Fragments of Almasy's Memories

di Atra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La voce della coscienza ***
Capitolo 2: *** Il duello ***
Capitolo 3: *** Ruggito oceanico ***
Capitolo 4: *** Notte brava a Balamb ***
Capitolo 5: *** Descensio ad Inferos ***
Capitolo 6: *** Parole di troppo #1. Inferno ***
Capitolo 7: *** Parole di troppo #2. Purgatorio ***
Capitolo 8: *** Parole di troppo #3. Paradiso ***
Capitolo 9: *** Il pugnale ***
Capitolo 10: *** La Caverna di Fuoco #1. ***
Capitolo 11: *** La Caverna di Fuoco #2. ***
Capitolo 12: *** Festa di compleanno ***
Capitolo 13: *** La promessa ***



Capitolo 1
*** La voce della coscienza ***


Disclaimer: Final Fantasy VIII e i suoi personaggi sono proprietà della Square-Enix e vengono qui utilizzati senza scopo di lucro. Nessuna violazione del copyright è pertanto da ritenersi intesa.


Avevo sei anni, Seifer sette. Eravamo al Garden da due anni e stavamo imparando a combattere. Io non avevo ancora il permesso di misurarmi con i mostri, quindi non avevo assolutamente idea di cosa significasse esattamente la parola "uccidere". Seifer aveva incominciato quell'anno e, non c'è davvero bisogno di dirlo, era molto esaltato.
All'epoca non ci facevano ancora entrare nel Centro di Addestramento da soli; quello era un privilegio riservato solo dai tredici anni in su e noi ci eravamo ancora relativamente lontani..."relativamente" secondo l'opinione di Seifer, che sin da piccolo ha sempre odiato aspettare.
E così la notte sgattaiolavamo nel Centro nella fascia oraria in cui la sorveglianza era minima, ovvero fra le due e le quattro. Non ci beccarono mai, anche perché eravamo due tipetti svelti e discreti, quindi facevamo molta attenzione.
Dopo avermi insegnato a combattere con il pugnale, Seifer si era intestardito di volermi far provare a uccidere il mio primo mostro. Il "battesimo di sangue" lo chiamava. Si era intestardito perché, come mi aveva detto una volta, "non mi fido di quegli incapaci dei tuoi insegnanti", che a dire il vero erano anche i suoi... beh, si sa come è fatto Seifer.
Una notte mi aveva trascinato nel Centro. Non che io non volessi e non mi sentissi fiera della prospettiva di poter dire poi di aver già eliminato un mostro alla mia età, però ero spaventata da due cose.
La prima era trovarmi davanti non più il solito bersaglio circolare o mio fratello che si faceva anche colpire qualche volta per darmi una soddisfazione, ma un altro essere vivente pronto a difendere la propria vita da me. DA ME.
La seconda era proprio questa: come avrei potuto decidere che la vita del mio nemico doveva finire? Quando avrei avuto davanti un altro umano con la sua vita e la sua realtà da vivere...avrei dovuto sacrificarlo in nome di una mia superiorità decretata...da chi? Chi aveva detto che io dovevo vivere e lui morire, quando l'altro magari non aveva fatto niente per attaccarmi?
-Un mostro ti attaccherà sempre, ricordatelo - mi aveva detto allora Seifer, storcendo la bocca davanti alla mia esitazione - e a te non resta altro da fare che difenderti. Pensala così e uno scrupolo se ne andrà senza che tu te ne accorga. E poi basta che superi il battesimo di sangue: già dal secondo mostro viene tutto più naturale. Forza, sorellina - mi aveva incoraggiata, inginocchiandosi ai miei piedi per guardarmi da sotto in su - vediamo di che pasta sei fatta-.
Avevo deglutito con forza e avevo stretto la mano attorno all'impugnatura del pugnale. Non volevo deludere Seifer...e nemmeno me stessa.
Il primo Grat si era subito avvicinato e ricordo che io l'avevo osservato affascinata. Si muoveva goffamente, non doveva essere completamente adulto. Mi ero anche indispettita, perché sarebbe stato uno scontro alla pari allora e io volevo potermi già misurare con un nemico più forte.
-Vacci piano, Atra! Cominciamo con questo!- mi aveva subito urlato Seifer, ridendo della mia espressione delusa. Avevo fatto spallucce e avevo attaccato per prima. Il Grat aveva dondolato sulle zampette e aveva abbassato di colpo i suoi lunghi arti, per graffiarmi. Io gliene avevo tagliati tre, mentre un quarto mi si piantava nel braccio e un quinto mi si avvolgeva attorno alle gambe. Avevo stretto i denti e li avevo tranciati di netto, poi mentre il mostro era occupato a gemere di dolore, gli avevo conficcato il pugnale nel ventre e quello si era accasciato al suolo.
-Ottimo lavoro, Atra. Fammi vedere la ferita-. Seifer era arrivato accanto a me in tutta tranquillità e mi aveva afferrato il braccio.
Ero tornata alla realtà e solo in quel momento mi ero resa conto di due cose: la prima era il mio corpo. Non avevo sentito niente durante il combattimento, ma ora il dolore e il fiato corto mi stavano lentamente avvisando che non era stata una passeggiata come avevo creduto fino a quel momento. La seconda: quel mostro davanti a me aveva appena smesso di respirare per colpa mia. Magari aveva una madre ad aspettarlo...e io avevo deciso che il figlio non sarebbe tornato a casa.
Ai tempi ero piccola; una cosa del genere ora non mi toccherebbe nemmeno, ma allora mi ricordo che mi ero turbata parecchio.
-Atra, non pensarci- mi aveva consolato Seifer, mentre mi controllava i graffi sul braccio. Io avevo scosso la testa:
-Ci sto pensando adesso. Prima, mentre combattevo, non me ne sono preoccupata- avevo ammesso. Era questo che mi faceva più paura: avevo conservato la calma per tutta la battaglia. Non che fosse una cattiva cosa, ma avevo paura di cosa sarei diventata a combattere così a sangue freddo.
-Durante la battaglia devi conservare il sangue freddo. E devi pensare che ti stai difendendo, solo difendendo. Sorellina, - e qui Seifer mi aveva dato un buffetto sulla guancia con un sorriso - vedrai che imparerai a uccidere-.
E l'avevo imparato davvero, per quanto risultasse inquietante dirlo.
Beh, al Garden eravamo addestrati per questo, ma fu con Seifer che avevo imparato per la prima volta cosa volesse dire.
-Quando avrai davanti il tuo primo nemico umano, Atra - mi aveva detto una settimana dopo, durante l'ennesimo allenamento insieme - gli scrupoli arriveranno, sia che tu sia abituata ad essi o meno. Però devi tenere presente che stai uccidendo per un motivo: magari il tuo bersaglio ha ucciso già in precedenza o sta per colpirti. Magari la tua missione prevede un obbiettivo da raggiungere e quella persona ti sta ostacolando.
Tu non uccidi perché sei assetata di sangue. Tu uccidi e ti dispiace, il che è ammirevole-.
-E a te dispiace?- avevo chiesto allora, dal basso della mia ingenuità di bambina. Seifer aveva gettato indietro la testa e aveva semplicemente riso, limitandosi a passarsi il Gunblade nell'altra mano per poi colpire l'ennesimo mostro. Il sangue si era versato ancora una volta e Seifer ne era stato coperto di nuovo. Ma non direi che gli fosse dispiaciuto più di tanto.
Non gli avevo più fatto quella domanda. Forse perché avevo paura della risposta, forse perché anche io non sapevo bene se ce n'era una.
Per quel motivo non avevo capito come fosse mio fratello al di là di uno scontro con l'ennesimo Grat nel Centro. Magari non avessi voluto vedere...in realtà non capivo quanto uccidere fosse la perdita di equilibrio per cadere in un circolo vizioso alla perenne e inutile ricerca della gloria, inseguendo l'ambizione più estrema.
Mio fratello ci era caduto. E, evidentemente, non voleva che ci cadessi anche io.

Con l'arco fu diverso e decisamente più dura. Ammazzare qualcuno a sangue freddo e da lontano fu sicuramente più difficile e Seifer non era accanto a me. Ma tenendo sempre presente che uccidevo per un motivo sempre giustificato, come mi aveva detto lui, e che uccidere per me non significava niente e potevo anche rinunciarci, farlo era sempre più facile.
Così come diventava facile non ascoltare più la voce della mia coscienza, diventata ormai roca a furia di sgolarsi sin dalla mia infanzia.
Oggi la metto a tacere con un niente, forse anche perché non ho più tempo per starla ad ascoltare.
Seifer credo non ne abbia più nemmeno una.
Oppure è diventata definitivamente afona.



Sì, devo passare a rovinare anche questo capitolo...ma sarò breve.
Questa storia è riferita al capitolo 4 della mia fanfic a capitoli "Il legame del sangue" e spero che vi sia piaciuta: ciò che ho voluto sottolineare è soprattutto la differenza fra Seifer e Atra. È ammirevole che Seifer abbia tentato di capire un po' come la sorella si sentiva nell'uccidere dei mostri, pur non condividendo il suo pensiero, e abbia anche cercato di infonderle coraggio, sempre a modo suo.
Fatemi sapere se vi piace questo genere di raccolta! A presto!

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Capitolo 2
*** Il duello ***


Seifer aveva otto anni, io ne avevo sette. Era un bambino che poteva essere definito con qualsiasi aggettivo, tranne che "innocente".  Crescendo, era diventato sempre più insofferente nei confronti delle regole e aveva aspettato con pazienza esasperata che io compissi i sette anni per poter affrontare liberamente i mostri solo perché gliel'avevo chiesto io, dato che altrimenti gli insegnanti si sarebbero insospettiti se fossi stata abile già alle prime lezioni...e grazie agli insegnamenti di mio fratello ero già diventata molto brava, devo dirlo.
Comunque, fu nel Centro che affinammo le nostre tecniche di combattimento. Lui ha usato sin da subito il Gunblade: prima quello di misura ridotta, poi a dieci anni quello da adulti. Me lo ricordo mentre si sforzava di sollevarlo con quelle braccine striminzite che si ritrovava, il volto contratto per lo sforzo e le mani bianche, da tanto ne stringevano l'impugnatura. Ricordo che il peso dell'arma l'aveva trascinato a terra senza che lui potesse averne il controllo, nonostante la fronte imperlata di sudore e le mille imprecazioni sputate fra i denti. Il giorno dopo era in palestra a fare sollevamento pesi, contando forte e arrivando alle quattro cifre stremato e la settimana dopo era già in grado di tenere in mano la spada. Non serve dire che due settimane dopo la maneggiava come se non avesse fatto altro per tutta la vita.
Comunque, a otto anni lui usava ancora il Gunblade più piccolo e io l'arco, anche quello di misura ridotta. Fu nel Centro durante le nottate con Seifer che lui mi insegnò a combattere con il pugnale, circa un anno prima. E una volta mi sfidò a duello.
Eravamo a un passo dal laghetto che si trova al centro dell'area e la situazione era particolarmente tranquilla, dato che di solito in quella zona non si aggiravano né Grat né tantomeno Archeosaurus. Io stavo osservando il mio riflesso sull'acqua, accovacciata alla fine della passerella in legno, perché l'ultimo Grat mi aveva graffiata in viso e volevo vedere come fossi conciata.
Seifer era uscito con questa geniale idea perché, ovviamente, si era stufato a starsene lì in piedi contro il tronco di un albero a scavare solchi con la punta del Gunblade.
-Atra, ti sfido a duello!- aveva esclamato all'improvviso, puntando la lama della spada contro di me. Io l'avevo visto riflesso nell'acqua e la luce del Gunblade mi aveva abbagliata, costringendomi a guardarlo direttamente.
-Cosa?- gli avevo chiesto, sicura di aver capito male. Lui aveva alzato gli occhi al cielo, rinsaldato la presa sul Gunblade e ripetuto:
-Ti sfido a duello! Sai cos'è un duello?- mi aveva chiesto poi, con aria di saccenza. Io, a malincuore, avevo scosso la testa e mi ero avvicinata a un cenno di mio fratello, che si era seduto a gambe incrociate picchiando il terreno accanto a lui per invitarmi a sedere. Io gli ero scivolata accanto ed ero rimasta affascinata ad ascoltarlo infervorarsi tutto per spiegarmi cosa diavolo fosse quel nuovo gioco:
-Ci sono due persone una di fronte all'altra e a un certo punto una dice: "Ti sfido a duello!" e l'altra risponde: "Ci sto!". Poi prendono le armi e combattono fra loro all'ultimo sangue, fino a quando uno dei due non si arrende- aveva detto lui, gesticolando come un forsennato e con un lampo di smania negli occhi. Ricordo di aver sollevato gli occhi, quella volta, chiedendomi quale tipo di duello si immaginasse di star combattendo proprio in quel momento. Però avevo anche storto la bocca:
-"All'ultimo sangue", hai detto? Vuoi davvero dissanguarmi?- gli avevo chiesto, un po' indispettita. Lui aveva inclinato la testa con aria di sufficienza:
-Beh no, sorellina. Potremmo solo vedere chi per primo tocca l'altro con la sua arma. Tu usi il pugnale e io il Gunblade. Allora, giochiamo?- poi aveva battuto le mani e contemporaneamente i suoi occhi di ghiaccio, in cui brillava già il sapore della sfida. Io avevo sentito lo stesso sapore sulla punta della lingua e avevo deglutito. Mi ero alzata e avevo sfilato il pugnale dalla cintura, lanciando un'occhiata a controllare l'arco e le frecce. Poi avevo annuito con un sorrisetto birichino: mio fratello sarebbe stato deluso, se credeva di vincere con me solo perché ero una femmina e perché ero più piccola.
-Ti sfido a duello!- aveva strillato Seifer, mettendo davanti a sé la lama del Gunblade a tagliargli in due la faccia, che pure rimaneva speculare all'altra mentre si rifletteva nell'acciaio dell'arma. Sul suo viso concentrato aleggiava la vittoria a ogni costo, cosa che poi si sarebbe tradotta nella sa filosofia intitolata "a me l'ultimo colpo!", che ha portato avanti fino ad ora, praticamente.
Nessun tremito a scorrergli sul corpo, nessuna esitazione e nessuna paura di ferirmi. Evidentemente mi conosceva bene e sapeva che sarei stata alla sua altezza.
E non c'era nemmeno un segno che chiarisse che stessimo giocando, sebbene dieci secondi prima mi avesse chiesto di "giocare".
Beh, neppure per me quello era un gioco. Ciò che divideva la realtà dal gioco era solo il fatto che non combattessimo per uccidere. Nient'altro.
-Ci sto!- avevo risposto con convinzione, stringendo la presa sull'elsa del pugnale e piegando leggermente le ginocchia come mi aveva insegnato lui.
Avevo sperato che sul mio viso si leggesse la stessa concentrazione e la stessa serietà che tanto gli invidiavo.
Quella fu la prima delle tante sfide che accettai da lui.
Seifer era partito in quarta a testa bassa, veloce e silenzioso come sempre. Nemmeno il rumore di un passo a tradirlo, solo lo spostamento d'aria. Fu sufficiente: avevo aspettato che si avvicinasse, per poi semplicemente scartare di lato e allungare il braccio che teneva il pugnale per colpirlo alla schiena. Ma lui aveva abbassato il Gunblade per spazzare il terreno sotto di me, allora avevo saltato e poi avevo fatto una finta all'indietro per recuperare l'equilibrio. Ma essendo una finta, ero subito scattata in avanti per approfittare del suo sbilanciamento in avanti per attaccarmi. Così lui aveva scartato di lato e sferrato un colpo di piatto per sorprendere il mio fianco scoperto. Allora ero arretrata velocemente, mandando il colpo a vuoto, per poi abbassarmi a colpirgli un piede, vicinissimo a me. Lui l'aveva ritratto di scatto e stava per colpirmi alla schiena, quando io ero rotolata in avanti fra le sue gambe per impedirglielo e gli avevo fatto lo sgambetto. Ma Seifer mica era caduto! Stava cadendo, sì, ma aveva lasciato la presa sul Gunblade e poi si era appoggiato a terra con le mani, così da non finire ai miei piedi e alla mia mercé. Ero scattata a prendere la sua arma, ma quando lui l'aveva raggiunta prima di me avevo scartato a destra per colpire la sua gamba. Lui aveva saltato e mirato alla mia schiena. Allora ero rotolata sul fianco e lui si era appoggiato a terra con la mano per evitare il mio pugnale pronto a colpirgli la pancia. Mi ero rialzata in fretta e in tempo per evitare che mi colpisse quando ero ancora distesa.
Così eravamo tornati a fronteggiarci, come due leoncini fratelli che avevano scoperto come darsele di santa ragione, facendolo passare per un gioco.
-Maledizione Atra, sei così brava!- aveva sputato lui fra i denti. Io avevo riso tutta orgogliosa:
-Lo so, lo so- avevo cantilenato sprezzante.
-Hai imparato dal migliore, ricordatelo-. Seifer aveva sollevato un dito e un sorriso orgoglioso gli aveva incurvato le labbra. Io avevo battuto i piedi con impazienza:
-Sì, ma anche io sono brava!- mi ero lamentata, stizzita del fatto che mio fratello si stesse prendendo tutto il merito. Lui aveva sputato una risata e aveva sollevato la mano in un gesto conciliante (lo stesso che gli è rimasto ancora oggi, quando si sente attaccato dagli altri):
-Certo che sei brava...sei la mia sorellina- aveva osservato. La solita constatazione che mi aveva sempre fatto pensare a quanto sarei stata inutile senza mio fratello. E per un certo periodo lo ero davvero stata: completamente devota a Seifer, un cagnolino che lo seguiva ovunque.
Poi ero cambiata, da quando avevamo iniziato a frequentare lezioni separate. Beh, tirare con l'arco e usare un Gunblade sono due discipline davvero diverse. Fu in quel periodo che Seifer e Squall iniziarono a collidere paurosamente fra loro.
Seifer aveva visto intanto la mia distrazione e aveva deciso di approfittarne, all'urlo di:
-Atra mantieni la concentrazione, che diamine!-.
Io mi ero riscossa in tempo per schivare il colpo. In quel momento un Grat, richiamato dalle nostre urla e dai nostri movimenti, era zampettato fino a noi. Io l'avevo notato per prima e mi ero preparata a lanciargli il pugnale, quando anche Seifer se n'era accorto e aveva interrotto la sua piroetta per riprendere l'equilibrio e guardare l'orologio, mentre io continuavo a tenere d'occhio il mostro.
-Le quattro meno dieci. Dobbiamo andare, sorellina- mi aveva avvisato con una punta di dispiacere nella voce. Poi mi si era avvicinato con il Gunblade rivolto a terra:
-Bello scontro. Mi sei piaciuta molto, Atra - mi aveva elogiato mettendomi la mano sulla spalla - Ma non finisce qui-. La sua voce si era abbassata e chiunque si sarebbe sentito turbato da quelle parole e dal modo in cui erano state pronunciate. Tutti, ma non io. Avevo sorriso e l'avevo guardato dritto negli occhi, sollevando il mento:
-Ovvio che no- gli avevo risposto, sollevando le sopracciglia e godendo della luce che gli avevo visto attraversare gli occhi e scendere a illuminargli il viso. Era esaltato e il suo petto si alzava e si abbassava velocemente, seguendo il ritmo concitato del suo respiro e del suo cuore.
Lui si era voltato a guardare il Grat, molto vicino a noi, e aveva sollevato di nuovo il Gunblade:
-Ti sfido! Vediamo chi lo fa fuori per primo!- aveva strillato, prima di avventarsi contro il mostro.
-Ehi, non vale!- avevo urlato a mia volta, precipitandomi a prendere il mio pezzettino di carne da scannare.
L'ennesima sfida. Su questo filo passavano le nostre giornate e nessuno avrebbe detto che fossimo fratelli. In perenne litigio e un battibecco dopo l'altro stavamo costruendo la nostra relazione.
In realtà ci stavamo misurando l'uno con l'altra e cercavamo il limite oltre il quale il gioco avrebbe lasciato spazio alla rivalità.
Non l'abbiamo mai trovato.

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Capitolo 3
*** Ruggito oceanico ***


Eravamo al penultimo anno di scuola (ovvero l'anno precedente a quello in cui si presumeva avremmo ottenuto il nostro diploma da SeeD) quando ci avevano iniziato a parlare dei Guardian Force.
La prof.ssa Trepe aveva speso tutto il secondo quadrimestre a spiegarci cosa fosse la Junction e come potessimo sfruttarla a nostro vantaggio, senza divenirne schiavi.
-Il legame fra un G.F. e il suo padrone è estremamente unico e spetta proprio a noi rafforzarlo e alimentarlo - continuava a ripeterci, tanto che ormai io ripetevo a bassa voce con lei queste parole e anche: - Avere un G.F. può rendervi invincibili. Il confine tra questo e la morte è sempre meno di un passo-.
Collegarsi con un G.F. implica un grande dispendio di energia e l’occupazione di un’estesa regione del nostro cervello. Per questo si dice che l’uso prolungato dei G.F., come ad esempio è necessario ai SeeD, porti a una drastica perdita di memoria.
Beh, io non ne ho già per dote personale, l’unico rischio è di non ricordarmi più il mio nome, ma per quello c’è sempre Seifer che può rinfrescarmi la memoria.
Di solito durante il penultimo anno gli studenti potevano acquisire il loro primo G.F., che li avrebbe accompagnati per tutta la vita, che fossero diventati SeeD o meno. Tuttavia, erano selezionati solo gli studenti fisicamente e mentalmente preparati a sostenere una prova di quel genere. Seifer era ovviamente stato scelto per poter ricevere un G.F. e ne andava tutto fiero, come ogni volta che raggiungeva un traguardo.
Funzionava così: gli studenti selezionati erano sempre una decina e dovevano combattere contro un unico G.F., che avrebbe poi scelto il suo padrone in base alla forza e ad altre qualità che variavano a seconda del Guardian Force che si aveva davanti e della sua personalità.
La chiamavano “prova di forza” e non c’era nome più adatto: gli studenti avrebbero dovuto fare del proprio meglio per conquistare l’attenzione del G.F. e portarselo a casa.
L’anno in cui Seifer era stato selezionato, all'età di sedici anni, c’era Pandemon, di elemento vento. Infatti i professori non si arrischiavano ad evocare G.F. non elementali, perché erano i più pericolosi e complicati da addestrare. Contro gli elementali sarebbe bastato possedere le magie di elemento opposto e una buona abilità in battaglia per vincere in poco tempo e con risultati elevati.
Tuttavia Seifer aveva storto il naso:
-Ti pare che un G.F. così brutto si adatti alla mia bellissima persona?- si era lamentato, quando io gli avevo detto entusiasta che era stato scelto Pandemon.
-Che c’è, non ti va bene?- mi ero accigliata. Dal basso dei miei quindici anni ero totalmente affascinata dall’idea di avere un G.F. tutto mio, quindi non mi capacitavo della delusione di Seifer, che aveva scosso la testa:
-No, non mi va bene. Per me ci vuole un G.F. figo, come il Diablos del preside-.
Cid aveva posseduto Diablos per molto tempo, prima di rinchiuderlo in una lampada magica in attesa di una persona giudiziosa che il G.F. potesse servire senza far casini.
Giudiziosa, ho detto. Questo escludeva Seifer a priori.
-Comunque me lo porterò lo stesso a casa e poi vedrò che farmene- aveva concluso Seifer con un gesto della mano.
E così aveva fatto. Pandemon aveva scelto lui, con mio grande orgoglio e sua grande...indifferenza. Certo, era lusingato del fatto di aver battuto un G.F. in un tempo ridicolo, ma non aveva nemmeno “avuto il tempo di sentire una raffica di maestrale sul collo”, come lui stesso aveva lamentato a me, Fujin e Raijin. Non so quanto fosse vero: io non ero riuscita ad andare a vedere la sua prova, perché avevo lezione con il prof. Yamazaki e se avessi saltato un'altra sua ora mi avrebbe sicuramente fatto ripetere l'anno, quella sottospecie di pallone baffuto con manie di protagonismo.
Comunque Seifer era stato di parola e aveva messo in palio il G.F. a un torneo di briscola. Quel brutto imbecille l’aveva fatto apposta a non indire un torneo di Triple Triads, perché sapeva che avrei vinto io: nessuno dei tre poteva battere me e le mie carte. Per molto tempo ero rimasta offesa del fatto che non me l’avesse regalato: ero sua sorella, dopotutto! Poi me l’aveva spiegato quando ero entrata in possesso di Leviathan e io avevo capito, apprezzando molto di più il suo gesto di allora.
Comunque, quel torneo era stato vinto da Raijin, che aveva regalato Pandemon a Fujin per il suo compleanno.
L’anno seguente era il mio turno e aspettavo con ansia le selezioni: corporatura, abilità in battaglia e con le magie, agilità, astuzia, intelligenza, valutazioni scolastiche e forza mentale...ero convinta di rientrare nei canoni!
Tuttavia a volte essere sicuri di sé non basta...infatti non mi presero.
Quell’anno furono selezionati fra gli altri Squall Leonheart e Zell Dincht. Il mio astio e la mia delusione erano cresciuti, soprattutto alla vista di Fujin che si allenava con il suo G.F.: fu la prima in assoluto del nostro anno ad averne uno e io non riuscivo a tollerarlo.
Neanche a dirlo, Seifer si era precipitato dal preside a protestare, ma Cid era stato irremovibile: non potevo essere selezionata perché il G.F. scelto per quell’anno era troppo per me. Erano sicuri che l’avrei battuto, ma non avrei potuto controllarlo.
-Gli ho detto di trovarsi una scusa migliore- mi aveva riferito Seifer, di ritorno dal colloquio con il preside. Io sedevo imbronciata sul mio letto, guardando dalla finestra tutti i miei sogni scoppiare come tante, ridicole bolle di sapone.
-Già - avevo annuito, sentendo la rabbia fremere ancora una volta - È ridicolo-.
Il giorno prima della prova era stato comunicato dalla Trepe il nome del G.F. scelto:
-Ragazzi, un attimo di attenzione - aveva esordito entrando in classe una mattina - Ho il nome del G.F. che affronterete domani-.
Zell si era chinato in avanti sul suo banco, mentre Squall era rimasto impassibile come al solito, le braccia incrociate al petto e l’aria di chi se ne frega del mondo.
-Shiva, G.F. del ghiaccio. Non sottovalutatela per niente- aveva rivelato la Trepe, aprendo il registro con uno scatto teatrale. Nell’aula era calato un silenzio...glaciale, è proprio il caso di dirlo. Io mi sentivo un pezzo di legno, fremente di rabbia e di invidia ovunque. Zell aveva stretto i pugni con un sorriso sicuro sul volto e Squall aveva chinato il capo per cercare una concentrazione che doveva volare molto bassa, a giudicare dal suo sguardo.
Il giorno seguente io non ero rimasta al Garden: non ero riuscita a sopportare il trionfo altrui alle mie spese, chiunque fosse stato a conquistarsi Shiva.
Le lezioni del giorno erano state sospese per noi del quarto anno, per permettere a chi era in prova di prepararsi e a chi non lo era di assistere: privilegio stabilito dal solito simpaticone di uno Yamazaki e riservato solo a noi del quarto anno. L'avevo già beccato mentre si aggirava furtivo per i corridoi, investendo ogni malcapitato che gli capitava a tiro con le sue ramanzine. Sicuramente se mi avesse visto non mi avrebbe risparmiato, ma io mi ero confusa con la classe di Seifer che si recava al Centro di Addestramento e l'avevo fatta franca.
Forse rimanere a guardare lo spettacolo sarebbe stato interessante e utile,
tuttavia io ero troppo orgogliosa per rimanere a guardare quando al posto di chi stava combattendo avrei voluto esserci io.
Certo, avrei sempre avuto la possibilità di ottenere Ifrid alla Caverna di Fuoco l'anno prossimo, ma le selezioni erano il tipo di sfida che mi invogliava di più a dare il massimo per essere orgogliosa di me stessa. Una sfida persa già prima che cominciasse.
Questo pensavo, mentre mi avviavo verso la città di Balamb, l'unico posto dove potessi andare al di fuori del Garden, calciando i sassolini sula mia strada.
Non che amassi particolarmente la gente, il vociare dei negozianti, il rombo delle macchine e il muoversi affaccendato delle persone fra le vie; l'unico posto in cui mi sentivo un poco più a mio agio era il porto.
A quell'ora del mattino, con nessuna nave a sporcare l'orizzonte e neanche un'anima a stonare, con il suo semplice essere umano, con la natura del vento e del mare, stare lì era il rimedio perfetto per i miei nervi tesi e per il mio orgoglio ferito.
Mi ero seduta sul bordo della banchina, in un punto dove gli spruzzi del mare non potevano bagnarmi, pur arrivando a sfiorarmi la punta delle scarpe.
Mi ero impedita di riempirmi la mente di congetture inutili, lasciando che i miei unici pensieri fossero i sussurri delle onde contro la banchina sotto di me e il soffio del vento nelle orecchie.
Ricordo che, mentre mi scostavo i ricci dagli occhi, avevo lasciato correre lo sguardo sull'infinita distesa marina davanti a me, chiedendomi cosa ci fosse al di là di essa e se un giorno l'avrei saputo. Un po' come il mio futuro: imperscrutabile, immenso ma sempre a portata di mano. Prima o poi l'avrei affrontato e non vedevo l'ora.
Mi ero chiesta se un G.F. avrebbe davvero fatto la differenza nella mia vita. Ne volevo uno solo per poterne menare il vanto o perché ne avevo davvero bisogno? Potevo io aver bisogno di qualcun altro al di fuori di me stessa? Ero cresciuta tutta la vita a contare solo su di me, al massimo su Seifer.
In pochi minuti di riflessione a mente fredda avevo ribaltato la mia visione della situazione: era sciocco irritarsi per il fatto di non essere stata selezionata per avere il G.F., quando dietro quella situazione si nascondeva un'altra sfida più allettante: dimostrare che avrei potuto farcela anche senza un Guardian Force da cui trarre la forza.
E se fossi stata persino migliore di qualcuno che aveva avuto il privilegio di essere sostenuto da un valido aiuto, allora avrei vinto l'ennesima sfida con me stessa.
Mi ero alzata quando avevo visto delle nubi grigie addensarsi all'orizzonte, accompagnate dal brontolio dei tuoni, che si era fuso con il rombo, ora minaccioso, del mare. Il vento si era levato, freddo e sferzante, a colpirmi la pelle, accompagnato dal penetrante odore del sale, che sembrava posarsi sulla mia pelle con uno sfrigolio e un leggero bruciore.
Da dove mi trovavo potevo persino sentire una certa elettricità nell'aria, che agitava le onde del mare in una schiuma densa e perfettamente bianca.
Avevo deciso di tornare al Garden in tempo per la prova, contro i miei piani. Non potevo certo farmi sfuggire l'occasione di vedere un G.F. in azione. Speravo solo che non se lo pigliasse Leonheart...non sapevo come avrei reagito, essendo degna sorella di Seifer, soprattutto in posizione di minoranza.
Quando ero arrivata quasi alla porta della città, una scritta a caratteri cubitali posta sulla bacheca di Balamb aveva attirato la mia attenzione:
"ennesimo attacco a nave trasporto merci al largo delle coste di Balamb. nessun superstite".

Più in basso era riportata la testimonianza di un giovane marinaio che aveva visto l'incidente da un promontorio poco fuori dalla città:
«Era una bestia di dimensioni enormi e ha fatto a pezzi quella nave come se fosse stata di burro».
L'articolo parlava di almeno altri cinque attacchi, prima sulle coste di Galbadia nord e sud, poi in mare aperto e infine verso Balamb.
Quella cosa si stava avvicinando e al Garden nessuno faceva niente. Perché non mandavano i SeeD a sistemare quella bestia? Era davvero necessaria una ragione politica ogni singola volta? Questo poteva valere anche per Galbadia: era la potenza militare numero uno in quel momento, cosa ci sarebbe voluto mandare una truppa ben fornita a dare un paio di legnate al mostro?
Mentre riflettevo indignata su quelle cose, la sensazione di tensione ed elettricità sulla pelle era tornata più forte di prima, mentre le prime gocce d'acqua gelata mi avevano fatta sussultare.
Mi ero chiesta il motivo della mia inquietudine: bastavano davvero due parole su un giornale e un temporale a mandarmi in paranoia?
Ovviamente no, se fossero stati solo quei due segnali.
-Mia sorella! - aveva strillato una voce infantile proprio in quel momento - E' caduta in mare! La mia sorellina! Io non so nuotare, aiutatemi!-.
Mi ero voltata di scatto, mentre un nanerottolo di circa otto anni mi sfrecciava accanto, agitando le braccia e le mani. La sua camicia gialla era fradicia di acqua. Si era sicuramente guadagnato l'attenzione di molti uomini ben piazzati, padri di famiglia che magari avevano dei figli della sua età...ma nessuno aveva mosso un dito o proferito parola per informarsi almeno dell'incidente.
Mentre il bambino mi ripassava accanto, inspirando profondamente per prorompere nell'ennesimo grido che si stava facendo rauco, l'avevo afferrato prontamente per il colletto, con grande sorpresa di tutti, persino di me stessa:
-Dove?- avevo chiesto meccanicamente. Hyne, quel bambino assomigliava dannatamente a Seifer, anche con dei semplici capelli castani. Nei suoi occhi azzurri lampeggiava il panico e il rimorso per un dovere non adempiuto. Il dovere di un fratello più grande. Il dovere di Seifer.
-Al...al porto!- aveva ansimato lui, frantumando ogni somiglianza con mio fratello con la sua voce innocente e incrinata dalla paura. La sensazione di déjà-vu era però rimasta, mentre mi passavano davanti agli occhi tutte le volte in cui mio fratello aveva cercato di proteggermi, a modo suo.
Non avrei mai permesso che succedesse qualcosa alla sorellina del ragazzino che avevo di fronte. Non potevo farlo perché capivo cosa significasse, anche se da un altro punto di vista.
Mi ero messa a correre, veloce come un fulmine, ripercorrendo a ritroso la strada che era stata teatro dei miei pensieri, mentre cercavo di frenare l'ondata di ricordi che era più potente dello spettacolo di onde alte come muri che si era presentato ai miei occhi.
Maledizione, a quell'ora la bambina poteva essere sicuramente annegata, ma non avrei certo dato nulla per scontato e avevo deciso che avrei fatto un tentativo.
-Rimani qui. Se non siamo tornate entro cinque minuti, ritorna in città e chiuditi in casa- avevo ordinato al bambino. Era inutile chiedergli dove esattamente fosse caduta la bambina: quel mare sembrava avere un proprio braccio e una propria mente e affidarsi a lui sarebbe stata una follia bella e buona.
Ma la mia vita stessa era un folle inseguimento di obbiettivi improponibili e sfide senza ricompensa né senso, così mi ero buttata di slancio in acqua, senza neanche spogliarmi.
Non appena il mare mi aveva circondata, una serie di scosse elettriche mi aveva avvolto il corpo, rischiando di farmi annegare per la sorpresa. Ero riemersa ansimando, cercando un punto di riferimento e la convinzione di non aver fatto l'ennesima cazzata. Che sarei tornata dal fratello con la sorellina. Che sarei tornata da Seifer.
Mi ero immersa, annaspando per vedere in maniera decente nell'acqua torbida di tempesta e schiuma. Della bambina non c'era traccia: nessuna ombra e nessun movimento.
Non appena avevo finito di guardarmi in giro, lottando con la furia della corrente, avevo percepito un movimento con la coda nell'occhio, seguito subito da un'ondata più forte delle altre. Tuttavia non era acqua, non era la forza dell'elemento. Era violenza, energia allo stato puro. Ed era proprio in quel mare.
L'acqua era stata frustata da un movimento potente, che mi aveva spedito a molti metri di distanza. Il colpo mi aveva raggiunto immediatamente dopo, mentre davanti a me iniziava a profilarsi una sagoma sinuosa e scattante.
Sulla mia pelle era esplosa una serie interminabile di scosse elettriche e sensazioni pungenti, mentre ancora una volta un colpo violento mi aveva piegata su me stessa. In quel frangente avevo fatto in tempo a vedere una serie di squame azzurrine e striate di blu sfilarmi davanti. La vicinanza con esse mi aveva trasferito una scossa immediata e quasi ero stata sopraffatta dalla sensazione.
Improvvisamente mi ero domandata da quanto tempo fossi sott'acqua e in risposta avevo sentito i polmoni bruciare e il petto fremere come un uccellino in gabbia. Avevo guardato sopra di me, solo per rendermi conto che, qualsiasi cosa ci fosse laggiù, mi aveva spedito così in profondità da disperare di raggiungere la superficie in tempo per non annegare.
In quel momento quel "qualcosa" si era fermato proprio davanti a me e, sebbene stessi annaspando disperatamente alla ricerca di un briciolo di ossigeno, ero rimasta profondamente colpita da quello che era stato descritto come il peggior incubo di navi e marinai. E in quell'istante ero rimasta folgorata dalla comprensione del motivo di così tante parole sprecate su di lui.
Il serpente disegnava una sinuosa S nell'acqua, che tremolava attorno a lui a ogni respiro del suo corpo. La coda, di uno straordinario azzurro chiaro, fremeva leggermente, sfiorando le miriadi di bollicine che rendevano il mare frizzante in quel punto. Le sentivo scoppiare sulla pelle, fra le ciglia degli occhi, sulla punta della lingua.
Le lunghe e artigliate pinne del mostro disegnavano dei lenti otto, come le ali di fragili colibrì quando nuotano nell'aria. Di fragile però quel mostro non sembrava aver nulla: persino le sottilissime corna blu avevano l'aria di scalfire il diamante.
Il serpente aveva gettato indietro la testa, le punte delle corna avevano sfiorato con un clangore metallico le squame della schiena, mentre il suo becco azzurro si apriva in un ruggito a ultrasuoni che aveva trapassato la distanza che ci separava, trafiggendomi le orecchie.
In quell'esatto momento il fondale sotto di me aveva iniziato a tremare, mentre lo strato di dura sabbia si crepava per far affiorare la roccia sottostante. Non ero riuscita a mettermi in piedi, sebbene graffiassi con le unghie e con la pelle la pietra, perché la corrente era ancora troppo forte.
Il mostro aveva battuto l'acqua con la coda, iniziando ad attorcigliarsi su se stesso in una spirale di bolle e squame.
La pietra sotto di me aveva scricchiolato, espandendosi sulla sabbia circostante, fino a quando mi ero ritrovata su un'isola di roccia frastagliata ed estremamente tagliente. Il sangue proveniente dalle ferite sulle mie ginocchia aveva disegnato volute scarlatte che si erano allungate come tentacoli verso il serpente marino ed erano state spazzate via dal movimento delle sue pinne.
Improvvisamente il fondale si era alzato di colpo e l'acqua mi aveva schiacciata sulla roccia con violenza. Avevo intravisto le squame del mostro danzare davanti a me, le sue corna a un centimetro dalla mia bocca.
E poi di colpo l'ossigeno mi aveva frustato i polmoni, così come l'aria aveva accolto la mia pelle gelida e tremante.
Mentre mi ero riscoperta perfettamente asciutta, con mio grande stupore, il mostro aveva danzato con grazia anche sull'onda del vento, sfiorando un'ultima volta la montagna di roccia su cui ero accovacciata in quel momento.
Quando il mio respiro aveva tornato a funzionare e i tagli sulle ginocchia avevano smesso di sanguinare, mi ero guardata intorno.
Non ero a Balamb, né in qualsiasi altro luogo conoscessi o avessi sentito nominare.
Mi trovavo su un promontorio di pietra bianca e tremendamente affilata, che si allungava a uncino, come il becco di un rapace, su una distesa di acqua grigio piombo, che si confondeva con il velo di nuvole che nascondeva il cielo. Mi ero sforzata di lanciare lo sguardo il più lontano che potessi, ma non ero riuscita a individuare la fine di quell'oceano e di quel cielo.
Mentre osservavo le macchie del mio sangue sotto di me, il vento mi aveva schiaffeggiato il viso, portando con sé un odore umido e bagnato, mescolato all'amaro e penetrante retrogusto di ruggine e sale, che avevo ritrovato anche sulla punta delle labbra, unito a uno strano pizzicore della pelle. Anche lì, dunque... non solo nell’acqua.
Quella era stata la chiave che mi aveva fatto capire cosa accidenti stesse succedendo: eccola lì la mia prova, quella che stavo aspettando da anni.
La mia "prova di forza".
Perché avevo davanti un G.F.
Avevo automaticamente allungato la mano dietro di me per afferrare l'arco che portavo a tracolla, trattenendo il respiro nella speranza che non si fosse rotto. Un sospiro di sollievo e in pochi secondi ero già in piedi a tendere la corda, che aveva cantato una nota bassa e vibrante.
Non ero stata altrettanto fortunata con le frecce: me n'erano rimaste solo due, troppo poche per avere la meglio sul G.F.
Mentre il mostro si inarcava per seguire le correnti d'aria, gli avevo lanciato uno Scan per conoscerlo meglio. Il mondo era rimasto in sospeso, mentre le informazioni contenute nella magia scorrevano dietro le mie palpebre chiuse.
Leviathan.
Elemento: acqua

Quando avevo riaperto gli occhi, Leviathan era proprio di fronte a me: il muso tendente dal blu all'azzurro era lucido e appannato dall'umidità evaporata. Dalle corna gocciolava l'acqua, così come dalla punta del becco aguzzo. I suoi occhi completamente blu emanavano un'aura decisa. Il G.F. non avrebbe rinunciato alla sua libertà tanto facilmente.
Beh, e io non avrei rinunciato alla mia vita con altrettanta arrendevolezza.
Nel momento stesso in cui le mie labbra si erano piegate in un sorriso per invitarlo ad avanzare, gli occhi di Leviathan si erano illuminati intensamente e avevano sprigionato un raggio sottile di luce, diretto proprio verso di me. Anni di addestramento avevano affinato i miei riflessi, così ero riuscita a scansarmi in tempo, mentre la roccia calpestata dai miei piedi appena un attimo prima si era sciolta, sfrigolando.
Avevo riportato lo sguardo su Leviathan, preparandomi alla mia mossa. Come in risposta, le sue pinne avevano ripreso più velocemente il movimento a otto, sibilando nell'aria.
Avevo ripassato nella mente quale fosse l'elemento contrario all'acqua e come utilizzarlo a mio vantaggio; ironia della sorte: con tutta quell’elettricità nell’aria, era proprio il tuono. Un semplice Thunder non avrebbe messo in ginocchio Leviathan, ,lo sapevo. Ma nemmeno una semplice freccia avrebbe penetrato la sua corazza di squame.
Mentre ne incoccavo una, avevo spostato velocemente l'arco, cercando un punto debole a cui tirare. In quel momento Leviathan aveva inarcato la schiena per emettere ancora il suo ruggito, generando un vortice d'acqua e sale che mi aveva sferzato le guance. Mi ero abbassata in tempo per non essere investita dall'onda e da lì avevo avuto una visione perfetta del ventre liscio e indifeso del serpente. Avevo scagliato la freccia proprio nel momento esatto in cui Leviathan si era allontanato da me con un colpo di coda e un sibilo, come quello della freccia che si perdeva nel vuoto.
Mi ero morsa il labbro, stringendo convulsamente l'ultima freccia rimastami, mentre il serpente sfrecciava in aria con gli artigli della spina dorsale ben tesi, ad avvertirmi che probabilmente nel giro di pochi minuti sarei finita allo spiedo.
Avevo cercato di controllare il tremito delle mani: eppure mi sarebbe bastato distrarre il G.F. per conficcargli una freccia in pancia...
Come per offrirmene l’occasione Leviathan era volato fin sopra di me, prima di gettarsi in picchiata come un dardo scagliato dal cielo. Non ci avevo pensato due volte: avevo scagliato l'ultima freccia, prima di proteggermi dall'impatto con un Protect innalzato all'ultimo minuto. Leviathan era rimbalzato indietro e la barriera si era infranta su di me con un tintinnio di frammenti sulla roccia che erano poi svaniti nell'aria. Mi ero alzata velocemente per scoprire se avevo fatto centro, ma Leviathan era ancora in piedi e agitava furioso la coda, scuotendo in contemporanea la testa e disegnando cerchi in aria con le pinne. Conficcata al centro del ventre aveva la mia freccia, che però non sembrava avergli arrecato un danno critico.
Ero arretrata con rabbia, battendo i piedi sulla roccia per sfogarmi. Mi ero chiesta cosa avrei dovuto fare per portare dalla mia parte quel serpente che in quel momento mi guardava facendo oscillare il collo elastico, come per invitarmi a fare di meglio.
Come per sfidarmi.
Ma se non avevo i mezzi per accogliere la sfida come avrei potuto anche solo pensare di vincerla?
Avevo gettato da parte l'arco con un grido esasperato: l'arma era rimbalzata con un tonfo sulla pietra, distraendo temporaneamente Leviathan.
Temporaneamente, perché subito il serpente aveva riportato la sua attenzione su di me per folgorarmi con un altro raggio di luce. Ero riuscita a schivarlo all'ultimo, prima di buttarmi a terra per non essere travolta da un suo colpo di coda.
Ricordo che per la prima volta avevo temuto di non uscirne viva. Non avevo più un'arma con cui attaccarlo a distanza e un corpo a corpo era impensabile...era stato in quel momento che ero stata folgorata da un'idea, proprio nell'attimo in cui mi alzavo in piedi e il mio sguardo si posava sul coltello nel mio stivale.
Certo, non avrei potuto accoltellare Leviathan da lì. Ma se avessi lanciato un Thunder sulla lama del pugnale e poi l'avessi scagliato contro il suo ventre? Valeva la pena di provare con l'ultima arma che mi era rimasta.
Avevo schivato l'ennesimo colpo del serpente, prima di accorgermi che qualcosa non andava. Dietro di me echeggiava un ruggito nuovo, che rimbalzava sulla roccia sotto di me e contro il cielo sopra di noi.
Mi ero voltata per trasformare quella che era un'intuizione nella realtà: un muro d'acqua alto come un palazzo correva all'impazzata verso di me, obbedendo al controllo mentale del G.F.
Leviathan stava lentamente sbiadendo, come se stesse per diventare una gigantesca S di acqua.
Era la mia ultima occasione.
L'avevo visto sollevare la coda per spingermi ancora più indietro e più vicina all'enorme onda che si stava avvicinando, come un'enorme bocca spalancata. L'avevo visto calarla sul mio corpo con un ruggito che si era propagato fino agli estremi confini di quel mondo solitario, confondendosi con il canto letale dell'acqua in arrivo.
Avevo sguainato con forza il pugnale, lacerando un lembo di pelle dello stivale, sentendo l'aria risucchiata dallo tsunami sempre più vicina al collo.
Avevo evocato con un grido disperato la magia del fulmine, che si era scatenata sul metallo del pugnale con un crepitio da nulla, in confronto alla furia dell'onda appena dietro di me.
Infine avevo scagliato l'arma con un gemito, il mio braccio che veniva spinto dal soffio dell'acqua e dalla disperazione. Leviathan si era inarcato per ordinare il crollo di quel muro trasparente proprio sopra di me.
Il tonfo del coltello che lacerava la carne.
Il boato di un intero mondo sopra il mio corpo.

Erano stati secondi di incoscienza per me: nelle orecchie avevo sentito lo sciabordio dello tsunami che si disfaceva una volta travolto l'obbiettivo, il sibilo dell'aria mentre precipitavo e la collisione dell'acqua contro la roccia.
Improvvisamente la mia caduta aveva trovato terra con un tonfo. Avevo provato la sensazione di qualcosa di liscio e scivoloso sotto di me: una terra viva e quasi familiare.
Poi l'ennesimo ultrasuono mi aveva costretta ad aprire gli occhi con un sussulto, per rendermi conto che non ero morta come credevo.
Ero più viva che mai.
Leviathan mi aveva dato un colpetto con un artiglio della pinna per aiutarmi a mettermi cavalcioni sul suo collo, mentre dietro di noi l'onda era diventata una cascata che erodeva il promontorio a becco d'uccello.
Visto da lì, avvolto da una nube di vapore acqueo, il blocco di roccia era un'isola di pietra nel mare più ampio che avessi mai conosciuto e...sì, la sua forma ricordava proprio il serpente che mi stava portando via.
Ma via...dove?
-Ehm...Leviathan- avevo provato a tossicchiare. In quel momento una corda nella mia mente si era tesa al massimo, mettendomi in collegamento con i pensieri del G.F., che aveva sollevato obbediente il capo senza distogliere lo sguardo da davanti a sé.
Allora mi aveva scelto. Allora...era mio.
-Leviathan - avevo ripetuto, trattenendo a stento un sorriso di orgoglio - Abbiamo una bambina da salvare-.
Il ruggito del mio serpente si era subito levato in risposta a spezzare l'illusione del suo mondo, che aveva iniziato a sgretolarsi come la roccia erosa dall'acqua e dalla voce del suo padrone: il suo ruggito oceanico.
***
Quando ero tornata al Garden, Seifer mi aveva accolta con uno sguardo preoccupato e le mani nervose che si muovevano nei guanti neri:
-Dove sei stata, sorellina? Ormai le prove sono finite- mi aveva rimproverata, prima di lasciarsi scivolare dal viso la smorfia preoccupata e sostituirla con una confusa.
-Che cos'hai?-.
L'avevo abbracciato di slancio, contenta di sentirlo accanto a me di nuovo. Non avevamo nulla da temere: eravamo in camera mia e Fujin, con cui la condividevo, non era ancora rientrata. Seifer aveva affondato il viso nei miei riccioli, prima di riformulare la domanda nel mio orecchio.
L'avevo guardato negli occhi e avevo sorriso, accogliendo l'invito a raccontare con un certo orgoglio.
Alla fine io e Leviathan avevamo salvato la bambina, riportandola al suo fratellone con il rimprovero di non lasciarsela più sfuggire in situazioni così pericolose.
Nessuno aveva saputo che la minaccia dei mari era stata trasformata in un valido aiuto e io non avevo intenzione di farlo presente. Leviathan era mio, ora. Non avrei permesso che qualcun altro gli avesse fatto del male.
Tanto più che, essendo un Guardian Force, sarebbe stato difficile batterlo.
Tranne per me, ovvio.
-Un G.F.? Nelle acque di Balamb? E chi l'avrebbe mai detto!- aveva esclamato Seifer, dopo aver sentito tutta la mia storia. Poi mi aveva strizzato l'occhio con un sorriso:
-Brava, sorellina! Te lo sei anche portato a casa. E dimmi una cosa: come ci si sente?-.
-Benissimo- avevo risposto ridendo, mentre passavo un pollice su un taglio del ginocchio per guarirlo con un'Energia.
-E adesso capisci perché non ti ho lasciato Pandemon?- mi aveva domandato mio fratello, accovacciato ai miei piedi per guardarmi bene in viso. Avevo annuito, mentre avevo sentito le guance arrossire:
-Beh...sì. Scusa, sono la solita idiota orgogliosa- avevo risposto con un sorriso imbarazzato. Seifer era scattato in piedi:
-Ehi, ti ho insegnato anche a essere degli idioti orgogliosi nella vita! Cosa vorresti dire con questo?-.
Ero scoppiata a ridere indicando la sua smorfia arrabbiata, prima di essere colpita da un altro pensiero, che mi aveva distratta:
-E chi si è portato a casa Shiva, oggi?- gli avevo chiesto. La smorfia scocciata sul volto di Seifer mi aveva suggerito la risposta ancora prima che lui sbuffasse, scimmiottando:
-Il damerino Squall Leonheart, ovviamente-.




Ok, chiedo umilmente perdono per la lunghezza estrema di questo ricordo...descrivere la scena di combattimento fra Atra e Leviathan non è stato facile, soprattutto in breve...lo so, non so contenermi!
Tuttavia, spero che non sia stato noioso e che vi abbia interessato sapere la storia del suo primo incontro con il G.F.!
Lo so, qui Seifer è poco presente, ma ho cercato di inserire qua e là qualche allusione al rapporto con la sorella, in questo caso nel renderle certamente la vita piena di soddisfazioni, ma non gratuite bensì frutto del suo sudore! Che ne dite, Atra se l'è meritato Leviathan?
Aspetto i vostri commenti (di qualsiasi tipo!) !

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Capitolo 4
*** Notte brava a Balamb ***


Quella sera infausta a Balamb è stata la nostra prima uscita a quattro in città. Io avevo appena compiuto i tredici anni, età necessaria per poter uscire dal Garden dopo le venti di sera. Fino a quel giorno Seifer, Fujin e Raijin erano sempre usciti da soli ogni sabato sera, lasciandomi da sola al Garden. In realtà ogni fine settimana ero io a spingere Seifer a cambiare aria e a uscire un po' per divertirsi, perché lui trovava sempre una scusa per rimanere con me, sentendosi sempre più in colpa...così come trovava sempre una scusa per giustificare il fatto che irrompesse puntualmente a mezzanotte in camera mia ubriaco marcio a urlarmi chissà quale stramberia.
Quelle sere le passavo sempre a sistemare i verbali delle riunioni del Comitato Disciplinare, correggendo i paurosi errori grammaticali di Raijin e segnandomi le battute più esilaranti da riciclare...insomma, non c’era molto di importante di cui tener conto e quel poco Raijin non lo annotava mai. Meno male che avevo una buona memoria.
Finalmente a settembre avevo ottenuto anche io da Madre Natura il privilegio di unirmi all'allegra combriccola.
Finalmente...beh, ero ancora troppo ingenua per pentirmene...anche se ero sicuramente troppo idiota per mollarli e tornare ai verbali. Era sempre più divertente stare con loro.
Fatto sta che il sabato sera dopo il mio compleanno noi quattro eravamo usciti a Balamb a festeggiare.
-Stasera Balamb ci vede al completo, finalmente!- aveva esclamato Seifer, euforico come non mai e circondandomi le spalle con un braccio.
-Per quanti minuti ti vedrà sobrio?- gli avevo domandato ironica, ridacchiando e stringendomi a lui. Mio fratello aveva sollevato un dito:
-Ci vedrà, sorellina. Non avrai intenzione di fare la maestrina?- aveva sbuffato, lanciando un'occhiata a Raijin, che mi aveva fatto l'occhiolino:
-Tranquilla Atra, vedrai come cambierà il mondo stasera!- aveva detto con un ampio gesto della mano.
-Dici che l'alcol sarà così potente da cambiare anche il tuo brutto muso?- lo avevo rimbeccato serafica, guadagnandomi una sua occhiata offesa:
-Non potevamo lasciarla al Garden come al solito?- aveva mugugnato, stando ben attento a non farsi sentire da Seifer, che era scoppiato a ridere fragorosamente, seguito a ruota da Fujin (strano ma vero).
-Ah! Mi mancavano proprio queste scene!- aveva sospirato, scompigliandomi affettuosamente i capelli.
-Sì, ma non sono un cane- gli avevo fatto notare, abbassandomi per sfuggire ai suoi (rari) spupazzamenti.
-Programma di stasera, Fu'?- aveva chiesto Raijin, cercando di spostare l'argomento della conversazione da se stesso.
-INAUGURAZIONE!- aveva risposto lei con uno scatto del braccio, che aveva sollevato a indicare la zona della stazione.
-Giusto: hanno aperto un nuovo bar- aveva aggiunto Seifer, prendendomi per mano e facendola dondolare distrattamente. Avevo osservato quel piccolo gesto con una certa confusione, soffermandomi poi a guardarmi intorno.
Balamb di sera era semplicemente incantevole: i lampioni erano accesi e proiettavano chiazze di luce soffusa attraversata dalle nostre ombre, sgranate dalle pietre irregolari delle strade. La zona del porto splendeva delle sue potenti luci che si riflettevano sull'acqua, muovendosi in bilico sulle piccole increspature della superficie.
Intanto la gente iniziava a riversarsi nelle strade, dirigendosi proprio dove stavamo andando noi. Che i bar a Balamb scarseggiassero? Proprio tutti lì dovevano andare?!
Comunque nel momento in cui ci eravamo ritrovati in mezzo a una combriccola di ragazzi più grandi, avevo capito il motivo per cui Seifer mi aveva presa per mano.
Alla fine eravamo arrivati sani e salvi al bar ed avevamo guadagnato anche uno dei tavoli più decenti.
-Guardate, c'è Lars con il suo gruppo!- aveva esclamato Raijin, sollevando una mano in direzione di alcuni ragazzi e ragazze seduti a un gigantesco tavolo in fondo al locale. Intanto quello che doveva essere Lars ci aveva notati e aveva urlato per sovrastare la musica:
-Ohi, Seifer! Venite qui che ci stiamo tutti!- ci aveva chiamati.
-Questi sono nostri amici- mi aveva spiegato mio fratello mentre ci avvicinavamo a loro.
-Mi fa piacere rivedervi, ragazzi! - aveva sorriso Lars, prima di notare anche me - E lei? La tua ragazza, Seifer?-.
A quelle parole tutte e cinque le ragazze della compagnia si erano voltate a squadrarmi con vivo risentimento. Beh, nulla in quel momento poteva battere la mia espressione assassina: che osassero anche solo pensare di mettere le loro luride manacce su mio fratello...la pacchia era finita!
Seifer aveva riso di cuore a quelle parole, mettendomi una mano sulla spalla:
-Ma no! Lei è Atra, mia sorella minore di un anno. Questa è la prima sera che esce- mi aveva presentato, lanciandomi uno sguardo affettuoso.
-Ops- mi aveva sorriso imbarazzato Lars. Era un ragazzo ben piazzato, dai capelli castano scuro e gli occhi marroni e grandi. Niente di entusiasmante, a dire il vero.
-Forza, questa serata dobbiamo far ubriacare Atra!- era intervenuto Raijin, beccandosi il primo calcio della serata da parte di Fujin. I due si erano seduti accanto a Lars, di fronte a me e mio fratello.
-Raijin, tanto tu non potrai vedere perché sarai già collassato da qualche parte- avevo ridacchiato, sedendomi sul divanetto accanto a Seifer, che era scoppiato a ridere.
-Lo spirito è quello del fratello- aveva commentato Lars, ridendo. Insomma, non mi aveva ancora gli occhi di dosso e io stavo iniziando a irritarmi. Forse avrei fatto meglio a strapparglieli, prima che la cosa si facesse esasperante.
Avevo sollevato le sopracciglia:
-Guarda che non condividiamo lo stesso cervello- gli avevo fatto notare innocentemente.
-E hai anche la sua risposta pronta!- aveva continuato imperterrito a osservare. L'avevo ignorato, anche perché era arrivato il momento di ordinare da bere.
-La sfida della serata, capo?- aveva domandato a bruciapelo Raijin. Io avevo guardato Seifer per avere una risposta e lui me l'aveva subito data, tutto fiero:
-Ogni sabato sera io e Raijin ci sfidiamo a chi beve di più - mi aveva spiegato, prima di rivolgersi al compare - Stasera facciamo a chi beve più liquore!-.
-Atra, ti unisci anche tu?- aveva chiesto Lars, seduto di fronte a noi.
-Nah, sono cose stupide. Insomma...da uomini- avevo risposto con un gesto della mano.
-Ehi, sono anche io un uomo!- si era lamentato con un sorriso Lars.
-Dovrei essere gentile solo per questo?- mi ero accigliata. Lui aveva continuato a ridere in silenzio, mentre io reprimevo l’istinto di essere ancora più gentile.
-Ehi Atra! - aveva esclamato Raijin in quel momento - Ci stai provando di già con qualcuno?-.
-La verità è che ti piacerebbe che fosse così facile anche per te- avevo replicato, sorseggiando tranquilla il drink. Seifer aveva battuto una mano sul tavolo:
-Raijin, perché la stuzzichi? Lo sai che poi ti fredda sempre!- aveva riso, seguito dalle cinque oche che lo guardavano con occhi lascivi.
-A proposito: se tu ci provi anche con una sola di quelle sgualdrine ti riempio di così tanti calci che Fujin mi fa un baffo- avevo ammonito mio fratello, senza risparmiarlo. Seifer aveva sollevavo le labbra in una smorfia sicura:
-Tranquilla, sorellina - poi aveva sorriso - Sono già stato con tutte-.
-Ma che schifo!- avevo esclamato, mentre Seifer scoppiava a ridere come un matto.
-Ah, sorellina: tienimi impegnato a parlare mentre bevo più che posso... - mi aveva detto poi, prima di accostare la sua bocca al mio orecchio - Di solito lo faceva Fujin, ma non è mai stata molto efficace-.
Avevo soffocato una risata, mentre osservavo la diretta interessata sforzarsi di articolare un discorso, che non stava andando al di là di “AFFERMATIVO”.
Intanto erano arrivati i primi bicchieri di liquore e mio fratello si era buttato sui suoi cinque con grande entusiasmo.
-Non balli, Atra?- si era inserito in quel momento Lars, tendendomi la mano. L’avevo scrutata con una smorfia di disgusto, prima di salire con lo sguardo fino al proprietario...ugh, così era anche peggio.
Lars voleva proprio prenderle di santa ragione quella sera...e l’esecutore del suo massacro non sarebbe stato Seifer, come si potrebbe pensare.
Comunque mio fratello lo stava già minacciando, agitando l’ultimo bicchiere vuoto:
-Lars: sfiora mia sorella anche solo con la punta delle dita e...-.
-Seifer - lo avevo interrotto sollevando la mano, prima che scatenasse un’apocalisse di imprecazioni - datti una calmata - poi mi ero rivolta direttamente al nostro “amico” - Comunque piuttosto che ballare con te, Lars, preferirei sposarmi un Namtal Utoku, non so se mi spiego-.
Mentre mio fratello scoppiava a ridere come se avesse sentito la battuta del secolo, Lars si era tirato violentemente indietro sulla sedia con uno sguardo assassino dipinto in viso:
-Aspetta solo che Seifer sia ubriaco...- mi aveva minacciato a denti stretti.
Quello non aveva ancora capito proprio un emerito cavolo, insomma.
-Perché, è di Seifer che credi di dover aver paura?- lo avevo rimbeccato tranquillamente, rivolgendogli un’occhiata eloquente. Lars aveva allontanato violentemente la sedia e se n’era andato con un sorrisetto sulle labbra che non mi era piaciuto per niente.
Intanto Raijin stava agitando la mano come un forsennato per richiamare il cameriere e io mi ero rivolta a Fujin per sapere a quanti bicchieri stessero:
-DIECI!-.
-Dieci chi?-. Maledizione, a quei tempi intavolare una conversazione decente con Fujin era un’impresa. Soprattutto se stava bevendo come una fogna come in quella situazione.
-RAIJIN!-.
-Ok, e Seifer?- avevo chiesto paziente, mentre mio fratello ridacchiava da solo come un perfetto cretino.
-DIECI!-. Oh, ci era voluta metà della mia vita per sapere che i due erano in parità.
-Fratellone, come va?- gli avevo chiesto, mentre scorgevo da lontano il cameriere con altri bicchieri di liquore.
-Una meraviglia- aveva borbottato lui, perfettamente concentrato sul portatovaglioli davanti a lui.
Quando era arrivato altro liquore, Seifer aveva sorriso nel modo che io avevo classificato come il più pericoloso. Significava che aveva in mente qualcosa.
-Atra, vuoi darmi una mano a finirli?- mi aveva chiesto con innocenza, scolandosi il primo.
-Vuoi che ti aiuti a barare per vincere una stupida sfida? - avevo sussurrato, scandalizzata - E poi Fujin sta contando i bicchieri, non posso bere con te-.
Seifer aveva sbattuto il secondo bicchierino sul tavolo:
-E tu distraila, porco Garden- aveva mugugnato, improvvisamente interessato a quello che era rimasto sul fondo del bicchiere. Avevo fatto un sospiro:
-È una cosa imbecille, balorda e davvero idiota, Seifer - avevo commentato, cercando il contatto con i suoi occhi, prima di illuminarmi - E sai una cosa?-.
-Cosa?- aveva biascicato, mentre il potente liquore stava iniziando a fare effetto.
-Ci sto- avevo detto con una risata soddisfatta alla sua smorfia di trionfo. Beh, avevo accettato perché non ero completamente a cento...e poi si parlava sempre di dare una lezione a Raijin e io non mi sarei mai tirata indietro dalla possibilità di umiliarlo!
Per prima cosa dovevo distrarre l’arbitro:
-Ehi Fujin! - l’avevo chiamata, schioccando le dita - Guarda che Raijin non ha finito il contenuto di quel bicchiere-.
Mentre lei si girava a controllare, Seifer mi aveva passato svelto un bicchiere di liquore, che io avevo buttato giù tutto d’un fiato, ignorando il bruciore alla gola e le lacrime agli occhi.
-Ehi! Atra sta aiutando Seifer!-. Maledizione a quello spione di Raijin.
-Senti: hai già le traveggole. Hai sentito cosa ho detto prima? Io non faccio queste cose- lo avevo rimbeccato, affrettandomi a spingere il bicchiere che avevo vuotato fra i molti raccolti da Seifer. Ok, so che le avevo definite cose stupide da uomini, ma non potevo certo lasciare che mio fratello si affogasse nel liquore per vincere quella stupida sfida. L’avrebbe fatto per non fare cattiva figura davanti a me, potevo giurarlo sulla mia testa.
-Fujin! Seifer e Atra barano!- si era lamentato Raijin, soffocando un enorme singhiozzo (posso giurare che in realtà era un rutto, ci scommetto qualsiasi cosa).
La sua compare si era girata con un’espressione feroce sul volto e sia io che Seifer avevamo deglutito, improvvisamente intimoriti:
-IMBECILLE!- aveva strillato rivolta a Raijin, riempiendolo di calci e di botte con il portatovaglioli. Quel siparietto di Wrestling estremo ci aveva permesso di trangugiare altri cinque bicchieri, due io e tre Seifer.
Quando aveva finito con lo scimmione, Fujin aveva decretato la fine della sfida, vinta con venti bicchieri da Seifer contro i diciassette di Raijin. Insomma, il mio intervento aveva fatto la differenza.
-Oh, maledizione alla Trepe e a Yamazaki che non ci fanno mai bere in classe! I nostri voti sarebbero certamente migliori- aveva esultato Seifer, stritolandomi in una presa mortale.
-Bravo fratellone, un discorso da vero leader del Comitato Disciplinare- avevo risposto, annuendo tutta convinta.
-COPRIFUOCO!-. A proposito del Comitato Disciplinare, Fujin aveva ragione: che ore erano? Dovevamo tornare prima del coprifuoco.
Avevo borbottato la domanda, che a quel punto sembrava molto retorica dato che non c'era nessuno a illuminarmi. Invece...
-Mezzanotte e mezza- mi aveva risposto Lars, tornato in quel momento e guardandomi truce. Il mio sguardo non era stato da meno.
Noi quattro ci eravamo alzati barcollando in contemporanea e il nostro “amico” si era indispettito:
-Dove state andando?- ci aveva chiesto tutto impettito.
-Devo sposare quel Namtal Utoku di cui ti parlavo- avevo risposto come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Improvvisamente Lars mi aveva afferrata per il braccio, tenendomi stretta:
-Mi devi un ballo, a proposito- aveva sibilato, lanciando un’occhiata a Seifer, che sbandava paurosamente. Avevo abbassato lo sguardo sulla stretta a tenaglia di Lars, che non si stava rendendo conto di qualche guaio stesse andando a cercare.
-Toglimi le mani di dosso- avevo protestato tranquillamente, mentre per un attimo l’effetto dell’alcol scemava e tornavo in me. I guai stavano raddoppiando.
-Cosa vuoi farmi, altrimenti? - mi aveva canzonato Lars - Non c’è il fratellone che ti protegge, adesso-.
-Non ne ho bisogno - avevo risposto sempre tranquillamente - Per me una bestia in più o in meno non fa differenza. Mi chiedo solo come faccia Balamb a dormire tranquilla quando c’è un’invasione di Grendell e di Cokatoris femmina, entrambi alle prese con degli ormoni in pieno party hard con tanto di mille bolle blu-.
-Chi ti credi di essere per giudicare?- aveva ringhiato Lars, stringendo la sua presa sul mio braccio.
-Sono Atra Almasy e mi stai iniziando a far male. Ti ho detto di lasciarmi- avevo ribattuto con la voce che stava iniziando ad alterarsi.
-Cosa ne dici se prima festeggiamo un po’?- mi aveva chiesto Lars, tirandomi con violenza vicino a sé. Il mio autocontrollo era scoppiato al contatto con la sua camicia zuppa di sudore:
-Io dico: che festa sia- avevo sogghignato, prima di rifilargli una violenta ginocchiata nel ventre. Lars mi aveva lasciato con un gemito di dolore e allora io mi ero allontanata di qualche passo per rimirare il mio lavoretto. Uhm, non ero ancora soddisfatta:
-Vogliamo fare qualcosa per questi ormoni in fermento? - avevo ridacchiato, preparando il colpo - L’unica cosa da fare è spegnergli la luce-.
Poi gli avevo sferrato un violentissimo calcio nelle parti basse, proprio mentre le luci del bar si spegnevano a ritmo con la musica. Grazie a Hyne quella sera avevo deciso di non mettere la gonna.
-Vedrai che adesso starai bene- lo avevo salutato, lasciandolo inginocchiato a terra, fremente di dolore e di umiliazione.
Avevo raggiunto Seifer, che per fortuna non si era accorto di niente, ed eravamo usciti, tutti e quattro barcollanti (l’effetto dell’alcol è uno stronzo, questo bisogna dirlo: quando ti illudi che se ne sia andato, torna più forte di prima).
-Siamo in ritardo di mezz’ora! Ci conviene prendere una macchina!- aveva esclamato Seifer, tornato in sé quel che bastava per non strisciare sull’asfalto.
-Nessuno di noi ha la patente: non ce la daranno mai- avevo commentato, massaggiandomi il braccio dolorante.
Seifer mi aveva fatto l’occhiolino:
-Ovvio che no. Ce la prendiamo noi-.
***
-Fujin: tu farai la guardia. Ci devi avvisare quando arriva la ronda, va bene?-.
-RICEVUTO!- aveva esclamato lei, nascondendosi meglio dietro la siepe.
Immaginatevi quattro ubriachi che pianificano un furto d’auto (a noleggio) dietro una siepe, a un quarto all’una di notte. Immaginatevi quanta furtività ci potrebbe essere nelle loro azioni. Fatto? Ecco, adesso aggiungeteci che questi quattro siamo io, Seifer, Fujin e Raijin.
Bene, avreste tutte le ragioni per sospettare che il piano sarà un fiasco clamoroso. Soprattutto se proviene dalla mente malata di mio fratello.
Tornando a quella serata, Seifer ci stava affibbiando i ruoli.
Se vi chiedete come ho potuto accettare un’idea così malsana, considerate che ero ubriaca anche io e che avevo bisogno di tornare a casa come gli altri tre. E poi...ok, devo dirlo: l’idea di un furto d’auto mi sapeva molto di sfida.
-Raijin: tu distrarrai il commesso. Chiedigli tutto quello che vuoi, ma fa’ in modo che non si giri a controllare le auto-.
-Lascia fare a me, capo!- aveva risposto sicuro Raijin, battendosi il petto. Ehm...ero sicura che fosse quello che preoccupava Seifer.
-Io e mia sorella ci intrufoleremo in un'auto del garage, laggiù - mio fratello l’aveva additato con l’indice che spuntava tra le foglie - Ci fermeremo ad aspettarvi dopo la prima curva, dietro al bosco-.
Avevo annuito per non spezzare il silenzio, ma a quello ci aveva pensato il movimento insistente di Fujin tra le foglie e l’ansimare peggio di un animale di Raijin.
-Pronta Atra? Qui quella veloce sei tu - mi aveva incoraggiato Seifer, appoggiandosi a me per non cadere, mentre io mi reggevo forte a un ramo della siepe per non ribaltarmi a mia volta - Devi aprire la porta del garage con una delle forcine che hai fra i capelli. Pensi di farcela?-.
-Se non riesco a fare una cosa così semplice, passami sopra con la macchina- avevo detto con una smorfia, mentre Seifer soffocava una risatina.
Intanto Raijin si era avvicinato baldanzosamente al commesso, che l’aveva squadrato con aria sospettosa:
-Posso fare qualcosa per voi, signore?- gli aveva chiesto, simulando un sorriso cordiale. Certo che trovarsi davanti la faccia di Raijin di notte non era proprio un bel vedere.
-Uh...sì - aveva mugugnato l’altro, comportandosi come un vero e proprio scimmione - Mi chiedevo quale macchina potessi affittare per un viaggio...lungo. Ecco... sì, mi chiedevo questo!-.
Quella sera Raijin ci aveva dimostrato di essere un attore nato...e poi ucciso a colpi di sprangate. Ciononostante il commesso era partito in quarta a spiegare la differenza tra la macchina blu e quella verde, mentre io e Seifer iniziavamo a muoverci circospetti.
-E poi c’è quella rossa, ma non ricordo se l'ho già noleggiata...aspetta che vado a vedere...-.
-NO! - aveva strillato con grande pathos Raijin, prima di avvampare e saltellare sul posto imbarazzato - Volevo dire: non si disturbi, il rosso non mi piace-.
Il rosso non mi piace.
Mi ricordo che in quel momento mi ero bloccata rassegnata e avevo offerto i miei polsi a un immaginario poliziotto.
-Atra, cosa stai facendo?- mi aveva chiesto stupito Seifer.
-Mi arrendo. Con un incapace così cosa vuoi combinare?- era stata la mia risposta.
-Muoviti e vai ad aprirmi la porta! Abbi fiducia-.
Beh, quando l’aveva detto mio fratello...non mi ero rincuorata per niente.
Comunque ero sgattaiolata velocemente verso il retro dell’edificio (evitando per un pelo una cabina del telefono che continuava a spostarsi chissà come...), mentre il commesso continuava a illustrare a un annoiato Raijin quali fossero le caratteristiche che distinguevano un motore veloce da uno adatto a un viaggio lungo.
Mi ero sfilata una forcina dai capelli, prima di infilarla nella fessura della chiave del lucchetto appeso alla porta.
-Cos’è questo rumore?-. Al commesso si erano subito rizzate le antenne: ci credo, non ero proprio esperta in scassinamenti vari! Eh, anche i migliori hanno punti deboli.
-Non saprei...un gatto che rovista nei cassonetti?- aveva azzardato Raijin con un sorrisetto che implorava qualcuno di salvarlo da quella situazione.
Io avevo sudato freddo, mentre continuavo a frugare all’interno del lucchetto con il mio pezzettino di metallo facendo un rumore infernale, dato che tutto era in silenzio.
Però mi ricordo che avevo pensato che fermarmi fosse molto peggio, perché sarebbe significato urlare ai quattro venti: “maledizione, mi hanno scoperto!”.
Strano che il mio cervello continuasse a funzionare anche con tutto quell’alcol per la testa. La situazione di grande tensione in cui mi trovavo doveva aver risvegliato il mio istinto di sopravvivenza.
-Ma qui non ci sono cassonetti- aveva risposto intanto il commesso, guardandosi attorno circospetto. Da dietro la siepe, Seifer aveva iniziato a farmi gesti preoccupati.
Finalmente il lucchetto della porta aveva ceduto e io mi ero infilata la forcina in tasca con mani tremanti, aspettando prima di aprire la porta metallica.
-Beh, ora non si sente più- aveva concluso Raijin, passandosi una mano sui capelli. Dietro di lui, Fujin sembrava essersi addormentata. Che razza di incapace.
Mentre il commesso riprendeva, seppur con un orecchio sull’attenti, la sua spiegazione, Seifer era sgattaiolato velocemente accanto a me e aveva spinto la porta con la punta del piede. Come capita sempre a chi cerca di farla franca, quella aveva cigolato paurosamente.
-Eh no! Stavolta ho sentito bene!- aveva esclamato il commesso, lasciando Raijin con un palmo di naso ed entrando in negozio, sicuramente per venire a stanarci. Io avevo fatto segno di tacere a Seifer, prima di appostarmi a un lato della porta.
-Maledizione, chi ha aperto questa dannata porta? - aveva imprecato l’uomo, uscendo sulla soglia e grattandosi corrucciato il capo. Aveva fatto qualche svogliato passo in avanti - Non ci saranno mica i...-.
La sua voce era stata interrotta dal mio pugno che era calato sulla sua testa, mettendolo K.O.
-...ladri, esatto- avevo completato per lui, affrettandomi a fare un cenno a Raijin per dirgli di andare a svegliare quell’idiota di Fujin.
-Rimani con questo qui, mentre io apro la porta del garage e prendo una macchina- mi aveva ordinato Seifer, sgattaiolando dentro il retro.
Intanto Fujin si era svegliata e aveva iniziato a cantilenare qualcosa.
-...TO. ...UT...TO-.
Mi ero chiesta se Raijin le avesse dato la sua asta in testa per scrollarla dal sonno, magari trasferendole tutta la sua idiozia. Poi mi ero ricordata che Raijin aveva il cervello così piccolo da non aver spazio nemmeno per quella, così mi ero sforzata di capire cosa stesse dicendo.
-...BR...TO. ...UTTO. ...RUTTO-. Raijin l’aveva per caso svegliata ruttandole in faccia?! E allora perché la siepe era ancora in piedi? E Raijin dove cavolo era finito?
-BRUTTO!- improvvisamente la voce di Fujin aveva risuonato con chiarezza, proprio mentre Seifer metteva in moto.
Ah, stava inveendo contro Raijin...beh, dopotutto era stato l’incapace che mi aveva costretta a tramortire quel povero (anche se stupido, fatemelo dire) commesso.
E poi...va be’, mi risparmio il giudizio estetico sul nostro compare, per stavolta.
Un’auto verde scuro era uscita sgommando dal garage, fermandosi per farmi salire. Avevo lanciato una veloce occhiata al commesso, che giaceva ancora svenuto a terra, prima di salire rapidamente sul sedile accanto a quello di Seifer, che guidava.
Quando avevamo svoltato per immetterci nella strada principale, la luce ci aveva quasi abbagliato.
Luce?! Ma non era l’una di notte?!
Infatti...quelle erano le torce della ronda notturna.
Quei due imbecilli di Raijin e Fujin si erano fatti prendere. E noi con loro.
***
Quando la polizia ci aveva riportati al Garden trascinandoci per le orecchie (io e Seifer ci eravamo ribellati e ci avevano dovuti ammanettare), il preside Cid ci aveva fatto una sfuriata alle tre di notte. Avevamo passato le due ore precedenti al commissariato, cercando di corrompere gli agenti o di truccare i moduli e lamentandoci con l’addetta alle pulizie, che era l’unica ad averci definiti “bravi ragazzi”. Ma dato che quella pazza credeva di star pulendo i corridoi della scuola elementare di Balamb, forse il suo parere non contava molto.
Comunque solo la cauzione pagata dal Garden ci aveva risparmiato le due settimane al fresco che volevano propinarci. Quante storie per un tentato furto...manco avessimo dato fuoco alla macchina dopo averla rubata! Quella non era una cosa neanche da noi, perché non era divertente. Lo sarebbe stato di più se ci fossero stati dentro Fujin e Raijin, quei dementi.
Comunque, Cid ci aveva proibito di uscire a Balamb fino alla fine dell’anno...cioé per tre mesi.
A nulla erano valse le proteste mie e di Seifer, mentre Raijin si lamentava come un bambino e Fujin si era addormentata di nuovo.
Morale della nostra (dis)avventura? Ho capito che alla fine i sabato sera passati sui verbali delle riunioni del Comitato Disciplinare non erano poi così male! Oppure no?


Grazie ai coraggiosi che sono arrivati fino in fondo a questo papiro egizio...dai prossimi capitoli sarò più breve anche con i ricordi, perdonatemi ma non è facile raccontare un'intera serata ed essere concisa (soprattutto se QUALCUNO ne fa di tutti i colori prima di rubare la macchina...)!
Spero che abbiate riso almeno la metà di quanto ho riso io nello scrivere questo delirio...in caso contrario a Balamb dovrebbe essere avanzato qualche bicchierino di liquore per consolarvi....
Al prossimo ricordo e grazie per aver letto anche questo capitolo!

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Capitolo 5
*** Descensio ad Inferos ***


-Bastaaaaaaaaaaa!-.
Ecco, avete appena sentito il sottofondo musicale che allietava i pomeriggi di studio di me e Seifer al Garden. Questa era una cantilena che durava più o meno dai cinque minuti dopo l'apertura di un libro fino al momento esatto in cui chiudevo seccata il quaderno degli appunti e glielo sbattevo sulla testa, prima di incrociare le braccia al petto e sbuffare a mia volta, decretando la fine della tortura.
Studiare con Seifer era impossibile, ma ero l'unica che riuscisse a fargli prendere la sufficienza in qualsiasi prova...se ve lo state chiedendo: ovvio che sì, lo minacciavo abbastanza pesantemente, ma solo quando si rivelava necessario...cioè sempre.
Tuttavia, un assolato pomeriggio di metà settembre, uno dei discorsi più seri avvenuti fra me e mio fratello era iniziato proprio con quel solito sbuffo.
Entro una settimana esatta, il ventidue settembre, avrei compiuto diciassette anni e Seifer avrebbe raggiunto i diciotto il ventidue dicembre.
L'anno scolastico era appena iniziato ed era il primo che stavamo frequentando nella stessa classe, dato che mio fratello era stato bocciato all'esame pratico SeeD. Dopo la prima bocciatura, lo studente avrebbe potuto ripetere l'esame ogni qualvolta fosse stato chiamato l'appello dalla direzione del Garden.
Ormai la data era stata fissata ed era il 20 ottobre. Mancava appena poco più di un mese ormai e io stavo preparando Seifer con grande impegno e...sì, tante librate in testa. Fortunatamente l’esame alla Caverna di Fuoco non doveva essere ripetuto (ovviamente se si era stati promossi): non credo che avrei potuto sopportare ancora i pomeriggi passati a fare studiare a mio fratello le tipologie di mostri presenti al suo interno o le magie adatte per sconfiggerli. Comunque, grazie a me Seifer aveva superato la prova egregiamente e al primo tentativo.
Per tornare a quel pomeriggio, dato che faceva caldo ci eravamo appostati sul muretto del giardino del Garden e lì stavo cercando di ficcare nella testa vuota di quell'idiota qualche nozione sugli oggetti d’attacco, in particolare quelli elementali.
Eravamo lì da massimo un quarto d'ora, ma Seifer era già stufo.
-Rispondimi a questa domanda e poi facciamo una pausa!- avevo protestato, stringendo a me il libro per evitare che quel baro sbirciasse.
-Dieci minuti di pausa se rispondo giusto- aveva contrattato lui con un sorriso sghembo.
-E dieci minuti in più di lezione se non sai la risposta- lo avevo rimbeccato.
-Eh no! Se rispondo sbagliato vuol dire che la domanda era troppo difficile- si era difeso lui, imbronciato. Avevo alzato gli occhi al cielo, prima di formulare la domanda:
-Di che elemento sono il Vento Artico e il Vento Antartico?-.
-Questa è veramente facile - aveva sghignazzato lui - La risposta è nella domanda, sorellina: vento, no?-.
Hyne, che razza di imbecille cronico avevo per fratello?!
Avevo chiuso il libro di scatto e lo avevo picchiato forte con quello:
-No, schiappa che non sei altro! Ghiaccio! GHI-AC-CIO!- avevo strillato esasperata.
-Era una domanda trabocchetto! - si era indignato lui - Che stronza che sei!-.
-E tu non ti stai impegnando, maledizione!- mi ero arrabbiata, mettendo il libro sulle ginocchia. Un paio di studenti ci erano passati accanto, ridacchiando. Prima che potessi anche solo pensare che non era una buona idea farlo, il libro stava già volando per colpire quello che doveva aver fatto un commento molto divertente, a giudicare dalle risatine del suo compare.
-Ehi! - si era lamentato il tipo, raccogliendo il libro e agitandolo con fare eloquente - Questo va contro il regolamento del Comitato Disciplinare!-.
Ehm, sì: avevamo istituito una legge anche contro i libri volanti. Quando ti ritrovi ad aver a che fare con degli studenti che durante i compiti riescono a copiare sollevando il libro con un Levita e sostenendo che la gravità ha fatto cilecca...insomma, eravamo stati costretti. Inutile dire che Seifer aveva protestato come un matto, dato che era stato lui ad aver inventato il metodo.
-Anche ridere del Comitato Disciplinare va contro il regolamento- mi ero difesa, facendogli segno di ridarmi il libro. Lo studente, che non doveva aver più di quattordici anni, si era avvicinato e mi aveva teso il libro senza una parola.
-Ah, tu e il tuo amico siete ancora in tempo per il turno di pulizia dei cessi di stasera: segnate i vostri nomi sul tabellone nella Hall- lo avevo informato, strappandogli il libro di mano - Guardate che dopo controllo-.
I due si erano allontanati sbuffando. Beh, mai trovarsi nei paraggi quando io o Seifer eravamo arrabbiati.
Ma stranamente in quel momento mio fratello era rimasto in silenzio.
-Ehi, non dirmi che ti sei offeso per quando ti ho chiamato "schiappa"- avevo detto, sfiorandogli il naso con l'angolo del libro. Lui aveva allontanato la testa di scatto, infastidito, e aveva scosso la testa:
-Ma no, figurati - aveva risposto con voce piatta, prima di respirare profondamente - E' che...devo parlarti-.
Le due parole famose che ti fanno pensare a tutti gli errori che potresti o meno aver compiuto nella tua vita...beh, per me non era così. Avevo aspettato e basta, il libro in bilico su un ginocchio, mentre mio fratello si torceva nervosamente le mani e contava le pietre del pavimento.
Non l'avevo mai visto così a disagio.
-Insomma, va tutto bene?- ero scoppiata poi, incapace di trattenermi ancora. Seifer aveva annuito con un cenno veloce, prima di proferire le parole più...banali di questo mondo:
-Ho conosciuto una ragazza-.
Mi stava seriamente parlando di quello?! Chissà quante ne aveva avute, dalle oche di Balamb a quelle del Garden...era un problema? Per me un po', per lui non credevo proprio. Forse, a giudicare dal suo contegno, in quel momento lo era anche per lui.
-E cosa c'è di diverso?-. Quando avevo pronunciato quelle parole, mi ero accorta di aver fatto inconsapevolmente centro. Seifer aveva annuito, sollevando le sopracciglia:
-C'è che ho voglia di rivederla-.
In quel momento nella mia mente stavano volando una miriade di "porca miseria" e "che cosa diavolo me ne frega?!".
Da una parte Seifer che si diceva così interessato per una ragazza era una cosa assurda...dall'altra era ancora più strano che avesse deciso di parlarne con me, che di amore non me ne intendevo proprio benissimo. Non avevo mai avuto un ragazzo, lascio a voi immaginare il motivo (sostanzialmente il mio brutto carattere, non pensate che non ci fosse qualche idiota che ci provava con me...anche se tutti scomparivano misteriosamente non appena Seifer se ne accorgeva), quindi...cosa potevo dirgli io in quel momento, se non:
-Wow, che bello-.
Seifer era scoppiato a ridere come uno scemo, battendo il muretto sotto di sé e agitandosi tutto. Lo avevo osservato sclerare un po', prima di sbuffare:
-Cosa dovrei dirti? Non posso leggerti sul palmo della mano quanto durerà il vostro amore o altre cazzate del genere!-.
Mio fratello si era ripreso:
-Sapevo che avresti reagito così! E no, fortunatamente Rinoa e io non abbiamo ancora problemi, quindi non ci serve sapere il futuro!- aveva riso.
-Rinoa, eh? - avevo mormorato, sentendo subito e inconsapevolmente antipatia verso quel nome, prima di realizzare l'ultima parte del discorso - Ehiehiehi, vuol dire che state già insieme?!- ero sbottata.
-Da quasi due mesi- aveva risposto orgoglioso Seifer, alzando il mento.
-Grazie per avermelo detto- avevo mugugnato, aggrottando le sopracciglia. Lui aveva riso ancora e mi aveva abbracciato le spalle:
-Ah, Atra! Se avessi dovuto raccontarti tutte le storie che ho avuto...dovresti far fuori mezzo Garden, in quanto a componente femminile!-.
-Certo che fai proprio schifo!- mi ero indignata. Ma che cazz...?!
-Non è colpa mia se le ragazze mi trovano attraente!- si era difeso lui, ridendo.
-Avrai anche un bel faccino - avevo detto pizzicandogli una guancia - Ma se tutte le ragazze con cui sei stato avessero potuto guardare in questa testaccia - gli avevo battuto forte il dito sulla fronte - credo proprio che ti avrebbero scaricato all'istante-.
-Perché credi che non abbia mai funzionato con nessuna del Garden?!- aveva ribattuto lui, continuando a ridere della sua ignoranza. Maledizione: mio fratello era anche intelligente! Ma l'abisso fra il suo acume e la sua voglia di applicarsi era direttamente proporzionale a quello fra il mio bel caratterino e una relazione con un ragazzo.
-Vantati, bravo- lo avevo scherzato, sbuffando. Seifer mi aveva dato un pugno sulla spalla:
-Comunque, non volevo parlare di questo! - aveva esclamato - Pensavo solo che non dovessi nascondertelo, tutto qui-.
Durante tutta l’estate precedente Seifer era stato strano e in quel momento avevo capito perché. Molto spesso prendeva il treno tutto solo per chissà quale destinazione, con una strana luce negli occhi e gli angoli piegati sempre in un sorriso un po’ involontario, sopra il mento sollevato per esprimere un orgoglio nuovo e diverso. Non avevo capito però che si trattasse di quello.
Forse perché non sapevo cosa significasse o come funzionasse.
-Com’è?- avevo chiesto quindi, mentre mi stupivo per l’ennesima volta di star facendo proprio quella domanda a Seifer. Mio fratello aveva sollevato lo sguardo da terra:
-Chi, Rinoa?- aveva domandato, confuso. Avevo scosso pazientemente la testa:
-No. Cosa si prova?-. Ma davvero volevo saperlo? Oppure volevo solo capire che effetto facesse a lui? Forse tutte e due le cose...forse volevo capire da cosa dovessi difendermi. O difendere mio fratello.
Seifer aveva sospirato forte, serrando le labbra e poi deglutendo. Avevo osservato i muscoli del suo collo contrarsi e rilassarsi, prima che lui si decidesse a parlare:
-E’ una lotta interiore. E’ una guerra divisa tra ciò che eri e ciò in cui ti trasformerai. Come puoi lasciarti perdere così, mi chiedo? Cosa ti spinge a farlo?-.
I suoi occhi color ghiaccio erano rimasti fissi sul sole fino a quel momento, prima di distogliersi totalmente dal cielo, le palpebre che battevano velocemente e le ciglia bionde che si confondevano con la luce. Avevo trattenuto il respiro per tutto il tempo, prima di rilasciarlo per parlare:
-Tu...ti senti davvero così?-.
-Non devi averne paura, Atra - aveva detto lui dolcemente, seguendo con la punta dell’indice la linea del mio zigomo sinistro - L’amore è sempre stato una cosa da deboli: ti sembra che una vita spesa per costruire un te stesso che alla fine non ti piace sia stata uno spreco e vuoi cambiare ogni virgola di te quando ti trovi al confronto diretto con chi dovrebbe amarti per quello che sei-.
-E...Rinoa non ti ama per quello che sei?- avevo domandato, aggrottando le sopracciglia come se pronunciare il nome di qualcuno che aveva fatto un torto a mio fratello fosse masticare amaro in bocca. Seifer aveva scosso forte la testa:
-No! - aveva esclamato, forse con più determinazione di quanto avessi previsto - Cioè, non mi ha mai chiesto di cambiare...ma c’è qualcosa in questo mio sentimento che mi spinge a domandarmi se sono abbastanza per lei-.
Mi sbagliavo, se avevo pensato o anche solo lontanamente temuto che Seifer si sarebbe lasciato influenzare da un sentimento che già non gli apparteneva per sua natura, finendo per arrendersi a una persuasione sbagliata, che lo avrebbe portato lontano, troppo lontano persino da se stesso. Mio fratello stava combattendo quella guerra che aveva detto essere l’amore, domandandomi in silenzio aiuto per uscirne uguale a come ne era entrato, senza perdere nulla.
-Ti stai facendo troppe domande su qualcosa che vedi solo tu - lo avevo rimproverato, facendo dondolare i piedi contro il muretto. Seifer aveva sospirato:
-Sarà, ma non mi permetterò di cambiare di una virgola- aveva risposto, stringendo i denti. Avevo annuito:
-Questo è l’importante. Non cambiare per nessuno, se senti che non è giusto- avevo sussurrato, prima di sorridergli rassicurante, promettendogli in silenzio che io lo avrei aiutato a rimanere se stesso. Lui me lo aveva letto in faccia e aveva annuito, socchiudendo gli occhi.
Non avevo ancora capito come funzionasse l’amore, all’epoca. A dire la verità, non l’ho capito neanche adesso.
Se avessi saputo come sarebbe andata a finire, gli avrei suggerito di fare il contrario. Avrei dovuto capirlo, maledizione. Avrei dovuto puntare più alla sua felicità che alla nostra avversione per i cambiamenti.
Perché nel periodo subito seguente al giorno in cui ci eravamo parlati, Seifer non stava bene. La mattina seguiva le lezioni con difficoltà, persino addormentandosi sul banco (sospetto ancora oggi che di notte non dormisse, strapazzandosi il cervello con inutili pensieri e tormenti); ai pasti mangiava poco, cosa strana per uno come lui che era sempre il primo a finire quello che aveva nel piatto e ad alzarsi a rubare il cibo a quelli del primo anno; al Centro combatteva con una rabbia repressa mai sfogata prima, fino a giungere a uno sfinimento in cui trovava la pace, per una volta.
La sera cercavo di dargli qualche lezione in vista dell’esame imminente, per cui non aveva mai perso interesse ma su cui non riusciva più a concentrarsi come avrebbe voluto.
Ogni volta che non si ricordava qualcosa, mi strappava il libro dalle mani e leggeva la risposta, prima di scagliarlo con un ruggito nell’erba davanti a noi. Poi mi chiedeva sempre scusa, di fronte al mio sguardo preoccupato e indagatore.
La sua “descensio ad Inferos” stava accelerando vertiginosamente, facendolo sprofondare appunto in un inferno di dubbi e tormenti a cui avrebbe dovuto essere immune.
E forse si arrabbiava perché teneva a tutto ciò che faceva parte della sua vita: me, il suo sogno di diventare SeeD...Rinoa. Forse era lei che strideva con tutto questo, a cui lui era incapace di rinunciare ma non così tanto da poter lasciare andare lei.
E io assistevo impotente alla sua lotta interiore, rimanendogli accanto per ricordargli sempre chi era. Tuttavia, dal suo tormento stavo imparando che se Seifer non avesse fatto chiarezza dentro di sé in un tempo ragionevole, avrebbe perso due delle tre cose che voleva nella sua vita. E gli sarei rimasta solo io, a cercare di riconoscerlo senza altri veli davanti.
Il giorno dell’esame da SeeD l’avevo visto nervoso, per la prima volta. Mi aveva detto che ce l’avrebbe messa tutta, ma quando ne avevamo parlato non avevo ben capito se si riferisse alla sua prova o ad altro. L’avevo visto perduto in sensazioni e pensieri che gli avevano deformato il volto in una smorfia tesa e insicura. Ne ero rimasta sconvolta e non avevo fatto altro che pensarci tutto il giorno, soffocando il cattivo presentimento che mi montava in cuore.
Presentimenti...quando si avverano non ti senti mai un genio per esserti aspettato l’esito di una certa situazione. E io non mi ero sentita felice quando non era stato pronunciato il nome di mio fratello nella lista dei nuovi SeeD.
Seifer non mi aveva parlato, quella sera. Non aveva mangiato e aveva subito preso il treno, come mi aveva detto Raijin, irrompendo preoccupato nella camera di me e Fujin.
-Avete litigato, per caso?- mi aveva chiesto, per la prima volta sinceramente interessato. Avevo scosso la testa, prima di sollevarla di scatto:
-Ti sembrava arrabbiato?- gli avevo chiesto, mentre il secondo presentimento della giornata tornava a far capolino. Raijin aveva sollevato le sopracciglia:
-Altroché! Era infuriato- aveva esclamato lui, sedendosi sul letto di Fujin, che si era scostata velocemente intimandogli di lavarsi un po’, accompagnando i suoi strilli con un quantitativo abbastanza eloquente di pedate.
-Oh, maledizione- avevo imprecato, uscendo di scatto dalla stanza e prendendo l'ascensore pigiando con forza e ripetutamente sul tasto, come se fosse così facile ricostruire una vita, un fallimento, un amore.
Ero arrivata in giardino trafelata, senza sapere bene cosa avrei dovuto fare. Alla fine avevo deciso di aspettare Seifer per quando fosse tornato.
Mi ero chiesta se il cambiamento che tanto temeva fosse alla fine arrivato e avesse preso il sopravvento, anche se non ci credevo per niente. Non avevo temuto nemmeno per un secondo che avesse lasciato il Garden, perché avevo capito per quale motivo avesse preso il treno. E avevo paura delle conseguenze di questo su se stesso.
Seifer non era un tipo sentimentale e proprio per questo, quando provava un'emozione, si poteva dire che era sincero. Quando mi aveva rivelato di Rinoa, avevo capito che era serio nelle sue intenzioni e che ci teneva veramente.
E ora non sarebbe stato l'amore a distruggerlo. Ma la sua rabbia, cioé se stesso.
Lo avrebbe perdonato Rinoa per quello che probabilmente le stava facendo? E lui? Si sarebbe perdonato?
Lo avevo visto camminare lentamente, avvolto dal buio della mezzanotte. Faceva freddo e io ero uscita solo in camicia e gonna e tremavo, ma non l'avevo dato a vedere mentre gli tendevo una mano, in piedi in mezzo al sentiero lastricato e bagnato di una pioggia che stava iniziando a scendere, come lacrime di dolore. Come lacrime di sconfitta.
Seifer aveva spalancato gli occhi, abbagliato dalla luce sotto cui mi trovavo e dalla sorpresa di vedermi lì. La pioggia gli scivolava sul mento, sfiorandogli le labbra e lavando via i loro ricordi.
Mio fratello mi aveva sfiorato le dita, prima di prendermi energicamente per il polso e attirarmi a sé per abbracciarmi. Il suo cappotto era bagnato, così come i suoi capelli, ma lo ero anche io. E così gli avevo accarezzato lentamente la nuca, sentendo la sua guancia contro la mia.
-E' finita- aveva mormorato contro i miei capelli, che si erano arricciati ancora di più con l'umidità della pioggia.
Sapevo che non avrebbe voluto parlarne, così non avevo rincarato la dose.
Sapevo che non stava bene, perciò non gliel'avrei chiesto.
Sentivo il pentimento nella sua voce, misto al risentimento contro se stesso e il mondo. Nessuno dei due avrebbe perdonato.
E gli ero rimasta solo io.
-Mi dispiace. Ti ho consigliato male- avevo mormorato, chiedendomi come sarebbe andata se lo avessi spinto a fare qualche passo indietro...andando contro me stessa e lui stesso.
La guancia bagnata di Seifer aveva tremato, mentre lui si sforzava di scolpirsi un sorriso in faccia per poi staccarsi e guardarmi. Avevo sentito il freddo bagnato della sua targhetta di metallo sfiorarmi l'incavo fra collo e mascella, prima che si scontrasse con la mia in un tintinnio metallico mentre lui allontanava il suo corpo dal mio. Questo suono aveva risvegliato altri dolorosi ricordi a entrambi, gliel'avevo letto negli occhi.
-Ormai non era più facile nemmeno per lei - aveva detto amaramente, prendendomi la mano e osservando le gocce di pioggia scendere dalle nostre dita intrecciate - Forse è stato meglio così. Alla fine ero in catene lo stesso, anche quando mi opponevo-.
L'amore e gli Almasy non andavano per niente d'accordo. Strano pensare che eravamo nati per amore, ma potevamo farne benissimo a meno per vivere.
-Basta parlarne. Adesso andiamo a dormire. Per l'esame...riproverai al prossimo appello: sento che sarà quello buono- avevo mormorato, tirandogli il braccio. Seifer si era fatto trascinare dentro, gocciolante stanchezza e rassegnazione. Nemmeno una lacrima sul suo viso fiero. No, non ne avrebbe sprecate per amore. Il suo orgoglio valeva più di tutto.
***
A metà novembre aveva nevicato, a Balamb. Gli studenti erano entusiasti di questa novità, che aveva portato un'atmosfera diversa in giardino e le colonnine di mercurio ai minimi storici...così come la mia gioia. Io ODIO il freddo.
Come al solito, io e Seifer stavamo studiando con concentrazione la conformazione geografica della regione di Centra...cioè, io ero concentrata, Seifer preferiva molto più il muro della parete di camera mia.
-Bastaaaaaaaaaaa!- aveva esclamato poi, chinando la testa sulle mie gambe. Gli avevo rifilato uno scappellotto sulla nuca:
-Ultima domandina...- avevo tentato, ma Seifer si era alzato improvvisamente, armandosi della lampada che tenevo sul comodino:
-Le tue domandine no! Sei in svantaggio: arrenditi!- aveva ribattuto, agitando minacciosamente la lampada. Avevo chiuso il libro con uno scatto, gettandolo sul letto scocciata:
-Contento? Così per il compito di domani non saprai niente e io non ti farò copiare una riga - avevo detto tranquillamente, facendogli l'occhiolino - Chi è in svantaggio, adesso?- avevo chiesto. Seifer aveva posato l'oggetto che teneva in mano con uno sbuffo:
-Dammi dieci minuti di tregua, almeno!- si era lamentato, come un bambino.
-Cinque - avevo sollevato la mano a segnare il numero, prima di fare una smorfia - Ho un déjà-vu- avevo sospirato. Seifer aveva ridacchiato:
-Aspettavo che lo dicessi. Sono passati due mesi da quando te l'ho detto. Dopo è successo solo un gran casino-aveva ricordato lui.
-Grazie, la colpa non è mia- avevo borbottato. Lui si era allungato a toccarmi il naso:
-Lo so, lo so Atra. Non insinuavo nulla, sai- aveva sussurrato, prima di distendersi con la testa accanto alle mie gambe. Gli avevo passato distrattamente una mano fra i capelli, chiedendogli:
-L'hai...l'hai più sentita?-. Sapevamo entrambi a chi mi riferivo. Lui aveva sospirato, la mano sul suo torace che si era alzata automaticamente:
-No. Se fosse per lei ci riproveremmo anche subito. Ma...non ce la faccio- aveva risposto.
-Troppi ricordi?- avevo domandato, guardando il soffitto.
-Sono stato uno stronzo, Atra. Grazie a Hyne non eri lì a sentirmi...ma non dimenticherò mai ciò che le ho detto e il dolore nei suoi occhi- aveva detto lui, seguendo il mio sguardo.
-Forse c'era un modo per salvare il tutto, non credi?- gli avevo chiesto, tornando a concentrarmi sulle mie dita che gli sfioravano pigramente i capelli cortissimi. Lui si era sollevato sui gomiti per guardarmi, prima di concentrarsi sul bianco del lenzuolo:
-No, non credo. Io troppo orgoglioso per rinunciare a qualcosa, lei troppo fragile per sopportare un confronto diretto. Ho mandato a farsi fottere l'esame per pensare a queste cazzate. Ogni volta che ci vedevamo mi sentivo sempre più disgustato di me stesso e dei suoi silenzi. Facevamo sempre ciò che volevo io...si andava dove volevo io...ci si vedeva quando volevo io...la relazione era un mio capriccio. E io tenevo a lei abbastanza per capire che non era il tipo di vita che avrei potuto darle...non sono fatto per stare con le persone, capisci?- aveva detto tutto d'un fiato, chinando lo sguardo. Avevo annuito:
-Io sì. Ti capisco molto bene- avevo detto con una nota di rassegnazione nella voce, che l'aveva resa roca e debole. Seifer aveva giocherellato affettuosamente con un mio riccio nero, rimettendomelo dietro un orecchio:
-Non importa. Siamo noi due contro il mondo, va bene lo stesso- aveva mormorato, la voce alterata dal sorriso beffardo che gli si era dipinto in viso. Lo stesso sorriso mi si era aperto spontaneamente, mentre la mia voce tornava forte e sicura:
-Puoi dirlo forte, fratellone-.

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Capitolo 6
*** Parole di troppo #1. Inferno ***


#1. Inferno

Era il mese di giugno ed entro una settimana Seifer avrebbe sostenuto per la prima volta il suo esame da SeeD.
Ormai passavo i pomeriggi sempre con lui, aiutandolo a studiare per le vagonate di esami teorici che doveva ancora sostenere e preparandolo al meglio che potevo, a volte riducendomi a studiare alle undici di sera perché non toccavo per tutto il giorno i miei libri.
Mio fratello si stava stranamente impegnando, forse perché aveva capito quanto un piccolo sforzo poi valesse un'immensa soddisfazione.
Quando Seifer era partito per sostenere la prova pratica, tutto sommato ero tranquilla. In campo non lo batteva nessuno e in quanto a preparazione teorica...beh, aveva superato tutti gli scritti almeno con la sufficienza o qualcosa di più.
-Sono pronto - mi aveva detto con sicurezza nella Hall, salutandomi con un buffetto sulla guancia - E tutto grazie a te, sorellina-.
-Non mi deluderai- avevo asserito convinta, prima di fargli un cenno con una mano e osservarlo consultare con aria annoiata la Trepe per sapere a quale squadra fosse stato assegnato.
-Ma come?! Non sono caposquadra?! - aveva ululato improvvisamente, stringendo i pugni indignato - E chi diavolo potrebbe esserlo, allora?-.
Avevo alzato gli occhi al cielo, mentre Raijin accanto a me sbuffava:
-Non possono non farlo caposquadra!-.
-INGIUSTIZIA!- aveva esclamato Fujin, tagliando l'aria con un gesto rigido della mano.
-Non nominano caposquadra chi è un candidato per la prima volta- avevo detto freddamente, irritata da quei due incapaci che sapevano solo urlare e difendere Seifer. Mio fratello non aveva bisogno di nessuno, diavolo.
-State per partire alla volta di Timber - aveva cominciato il preside - Alcune organizzazioni locali hanno chiesto il nostro intervento contro un'invasione di Ochu provenienti dalle foreste circostanti; l'esercito di Galbadia non sembra sufficientemente qualificato per...-
-Cosa?! - l'aveva interrotto Seifer - Combattere al fianco di quel branco di idioti?-. Il preside aveva spalancato gli occhi, prima di muovere la mano in un gesto di stizza:
-Seifer, non combatterete con loro, ma per noi. E non definirli branco di idioti come se tu fossi migliore-.
Mi ero morsa un labbro per nascondere il mio turbamento, mentre mio fratello si irrigidiva e scuoteva la testa imbronciato, mandando sicuramente tutti al diavolo nella sua mente.
Speravo solo che rimanesse al suo posto, magari conservando il buon senso che gli era rimasto, dato che il resto era già andato a farsi fottere.
Avevo trascorso il pomeriggio in stato di ansia, che ero andata a scaricare nel Centro d'Addestramento. Poi, dato che era il mio turno di ronda per il Comitato Disciplinare, avevo lasciato di malavoglia l'arco per sostituirlo con registro e penna. Maledizione, lasciavano sbrigare sempre a me quelle incombenze burocratiche!
Mentre mi prendevo una pausa in giardino per annotare che avevo sorpreso uno del primo anno seduto sulla nostra panchina preferita, Fujin e Raijin mi avevano raggiunto:
-I candidati arriveranno a Balamb con il treno. Andiamo a prenderlo?- aveva domandato a bruciapelo Raijin, fissando con disgusto la mia mano che scriveva. Avevo chiuso il registro con uno scatto, scocciata:
-Che ore sono?- avevo domandato, senza alzare un dito per farli sedere.
-Le sette meno un quarto. Di solito i candidati tornano alle sette, quindi dobbiamo darci una mossa- aveva risposto agitato Raijin. Io avevo annuito:
-Hai ragione, porta in camera di Seifer questo - e gli avevo schiaffato in mano il registro - Così quando torna potrà subito leggerlo-.
-Ehi, perché non lo fai tu?- si era lamentato lui.
-Sono le sette meno tredici. Se sua sorella non andrà a prenderlo, Seifer si offenderà. Se tu arriverai più tardi non gliene fregherà un accidente. E adesso muovi le chiappe- lo avevo rimbeccato, alzandomi e avviandomi con noncuranza verso i cancelli del Garden.
-ASPETTA!-. Maledizione, mi ero dimenticata di Fujin...
-Non vai con Raijin?- le avevo chiesto, cercando di metterci più irritazione possibile. Lei aveva scosso forte la testa:
-PUNTUALE!-. Oh, era davvero carina a voler salutare Seifer al suo arrivo. Carina come un Piros come sedia, però meglio di un Kyactus.
Avevamo percorso la strada in fretta e senza incontrare alcun mostro, con mia grande gioia. Fortunatamente Fujin non era chiacchierona come Raijin e avevamo raggiunto la stazione in poco tempo e senza sprecare fiato in parole inutili.
Quando eravamo arrivate, però:
-PROMOZIONE?- mi aveva domandato lei nervosa. Avevo appoggiato la schiena al muro:
-Lo spero tanto- avevo borbottato, osservando Raijin correre verso di noi trafelato:
-Hehe, sono arrivato ancora in orario!- aveva esclamato, lanciandomi un'occhiata compiaciuta. Gli avevo voltato le spalle:
-Vuoi un applauso per aver mosso le gambe tanto velocemente quanto muovi la tua linguaccia?- lo avevo freddato. Raijin non era riuscito a replicare perché una voce era risuonata negli altoparlanti:
«In arrivo il treno da Timber. Ripeto: il treno da Timber al binario 2».
Ci eravamo zittiti tutti e tre, proprio nel momento in cui il treno ci sfilava davanti, scompigliandoci i capelli e la mia gonna.
Le porte si erano aperte, rivelando una Trepe imbronciata, una Shu stizzita e subito dietro mio fratello. Sul volto aveva un misto fra noia e irritazione.
-Subito dal preside, Seifer!- aveva ringhiato Shu, passandomi accanto.
-Allora capo, come è andata?-. Hyne, avrei preso a calci Raijin fino a quando non fosse diventato poltiglia e nemmeno allora credo che mi sarei fermata. Mi ero limitata a dargli una violenta gomitata nel costato e a fare un passo avanti:
-Cosa vuol dire dal preside, Seifer?- avevo domandato accigliata, una punta di inquietudine nella voce.
-Cosa non capisci dell'espressione dal preside?- aveva risposto acidamente lui, con una smorfia. La sua replica mi aveva lasciato di sasso, ma mi ero ripresa subito:
-Forse non ne afferro il motivo, che dici?- avevo ribattuto aggrottando le sopracciglia, le mani sui fianchi. Seifer aveva sollevato una mano, indolente:
-Potrei aver fatto un esame così stratosferico da costringere il Garden a prendere in considerazione l'idea che io possa sostituire Cid...- aveva osservato sarcasticamente con un sorriso sghembo.
-Ma fammi il piacere, Seifer!- aveva sibilato la Trepe, prima di allontanarsi facendo ticchettare rabbiosamente i tacchi sul selciato della stazione.
-Ma cosa diavolo...?- aveva cominciato Raijin, mentre Fujin spalancava gli occhi. Ma Seifer era scoppiato in un enorme sbuffo e si era avviato dietro alla Trepe con le mani nelle tasche del cappotto.
Mi ero allungata per toccargli una spalla e lui si era ritratto di scatto come se si fosse scottato:
-Mi vuoi lasciare in pace, per una volta?!- aveva ringhiato, prima di voltarsi e picchiare rabbiosamente i piedi mentre camminava e si allontanava rapidamente, lasciandomi interdetta con una mano ancora sospesa.
Quello che successe dopo, fu solo colpa mia. Avrei dovuto lasciarlo andare e parlargli dopo. Ma...come aveva potuto parlarmi così?
-Ehi, razza di idiota! - avevo ringhiato, mentre sentivo la testa andare in fiamme per la rabbia - Torna indietro e spiegami bene cosa diavolo vuol dire per una volta!-.
Seifer si era bloccato di colpo, mentre io ero stata colpita come uno schiaffo dalle mie stesse parole, più sbagliate che mai.
Lui si era voltato e aveva ripercorso la distanza che ci separava, calciando violentemente una lattina sul suo cammino.
-Cosa vuol dire? - aveva sibilato proprio davanti a me - Vuol dire che tu e gli altri due adesso vi togliete dai piedi e la piantate di seguirmi ovunque come al solito, almeno fino a domani mattina, hai capito adesso Atra?-.
Il mio schiaffo gli aveva colpito il viso a metà della parola "Atra", lasciando lui sorpreso con l'impronta rossa della mia mano sulla guancia destra e me, altrettanto stordita della mia azione, con il palmo dolente.
Lentamente Seifer aveva sollevato le dita per toccarsi la guancia che iniziava sicuramente a bruciargli, mentre io decidevo che non era ancora abbastanza:
-Questo è per quello che hai appena detto. La prossima volta che avrai bisogno di ripetizioni, arrangiati- avevo rincarato la dose, stringendo le labbra per sputare tutto il mio disprezzo insieme a quelle parole.
Con tutto quello che avevo fatto per lui...
-Mi hai appena dato uno schiaffo, Atra?- mi aveva domandato lui, la sua voce che aveva fatto suonare fino a lacerarmi il cervello il mio campanello d'allarme interiore. Ciononostante avevo annuito, cercando di sembrare spavalda e lui aveva abbassato la mano ancora con più lentezza di quanta ne aveva usata per sollevarla:
-Non farlo mai più - aveva continuato, giungendo a un tono così lugubre che mi si era accapponata la pelle e mi ero morsa d'istinto un labbro - Mi. Hai. Capito?-. Seifer aveva scandito queste parole alzando il tono della voce, fino a far scoppiare la sua bolla di pericolosità repressa, scatenando la sua rabbia, ora trattenuta a stento.
Non mi aveva mai parlato così e in quel momento non mi era nemmeno passato per la testa di mandarlo al diavolo e allontanarmi da lui.
Ero delusa perché avevo creduto di fargli un favore andando a prenderlo in stazione.
Ero ferita perché avevo dato tutta me stessa, sacrificando i miei brillanti risultati a scuola (la mia media si era vertiginosamente abbassata da quando avevo preferito aiutare Seifer piuttosto che studiare le mie materie).
Ero sorpresa dal Seifer che mi trovavo davanti, che non accennava ad arretrare.
E quello era il problema dei nostri litigi, anche se quello era il più serio che avevamo avuto fino a quel giorno: l'orgoglio.
-Se tu avessi chiuso la bocca e non mi avessi aggredito così...- avevo cominciato, prima che lui sollevasse con rabbia il dito:
-Io?! Ma se mi hai urlato dietro tu! Chi dovrebbe chiudere la bocca, Atra?- aveva ringhiato. Avevo scosso con rabbia la testa:
-Io non ti ho rinfacciato certe cose, maledizione!- avevo gridato esasperata. Ma non ero riuscita a pronunciare l'imprecazione, perché mi si era spezzata la voce. Seifer era diventato paonazzo:
-NON PIANGERE DAVANTI A ME, ATRA!- aveva sbraitato, mentre una lacrima scorreva già silenziosamente sulla mia guancia.
La smorfia di rabbia che gli aveva deformato il viso mi aveva terrorizzata completamente, mentre cercavo di reprimere le altre lacrime che si affacciavano agli angoli dei miei occhi. Sapevo che Seifer non tollerava che io piangessi davanti a lui. In quel momento credo si fosse accorto che mi aveva fatto del male e non sopportava di vedermi piangere per quello.
Avrebbe dovuto tacere, allora. E avrei dovuto farlo anche io.
Avevo conficcato le unghie nei palmi e avevo sollevato il viso per guardarlo bene:
-Io non ho mandato a farsi fottere gli ultimi mesi di scuola per questo, dannazione! - avevo urlato, sollevando un braccio per indicarlo - E speravo che per te avesse significato qualcosa!-.
Seifer aveva avuto uno scatto del collo, prima di rispondermi:
-Cosa stai insinuando, scusa?- aveva domandato indignato e divertito insieme. Avevo sbuffato con rabbia:
-Seifer, attento a con chi parli. Non sono stupida e non tollero che mi parli con questo tono - lo avevo ammonito. Poi ero scoppiata in una risata nervosa e amara: - Non dirmi che pensavi non avessi capito che non hai passato l'esame-.
Seifer aveva spalancato gli occhi, l'iride che ormai si muoveva impazzita nella sclera. Poi era esploso, arrivando a un soffio dal mio viso:
-Stai dicendo che, essendo stato bocciato, sono stato ingrato nei tuoi confronti? Ma che cazzo hai in quella testa?-.
Raijin e Fujin erano scattati velocemente a dividerci, mentre da lontano la Trepe si voltava per tornare indietro.
Io e Seifer avevamo alzato contemporaneamente la mano per fermarli. Sapevamo benissimo entrambi che mio fratello non si sarebbe mai azzardato a mettermi un dito addosso. Io invece avevo già provveduto.
Avevo chiuso gli occhi per liberarmi un secondo del suo viso rabbioso e per cercare le parole che mi aiutassero a calmarlo:
-Dannazione, mi ascolti quando parlo o sai solo scattare e basta, oggi? - avevo ringhiato esasperata, risollevando le palpebre di scatto - Ti ho detto o no che sono venuta qui a prenderti? Non ho accennato alla tua bocciatura! Tu hai invece reagito come se fosse colpa mia, respingendomi in un modo che non ho tollerato- gli avevo spiegato, mentre le dita mi fremevano dal nervoso.
-Sì certo, adesso sono io ad aver sbagliato! Proprio come ti ho insegnato io, brava Atra- aveva ribattuto semplicemente lui, voltandosi di scatto e allontanandosi di nuovo con rabbia.
-Seifer, dove diavolo stai andando? - ero esplosa, battendo un piede a terra - Stai scappando come uno schifo di codardo! - poi gli avevo fatto un applauso - Bravo, vattene a fare il figo in giro e a raccontare di come hai umiliato tua sorella, che ti sta sempre fra i piedi, ma che quando hai bisogno scatta come un cagnolino!-. Avevo urlato le ultime parole lasciando che le lacrime irrompessero sul mio viso, che tanto Seifer non poteva vedere.
Mio fratello si era fermato di nuovo, la Trepe a pochi passi da lui. Doveva avergli detto qualcosa, perché improvvisamente lui aveva levato una mano in aria e si era voltato, le labbra strette:
-D'accordo me ne vado, ma questa non me la sarei mai aspettata da te, nemmeno ora- aveva detto con amarezza, prima di seguire la Trepe fuori dalla stazione.
Ero rimasta interdetta e immobile, con una mano sulle labbra a tormentarle, come per chiedermi se davvero avevo detto quelle cose.
Avevo chiamato Seifer codardo e l'avevo accusato di sfruttarmi a suo piacimento. Quelle parole sì che facevano male.
-Hai esagerato, stavolta- aveva commentato Raijin, affiancandomi e osservando Seifer allontanarsi e svoltare l'angolo dopo il Junk Shop.
-CATTIVA!- aveva aggiunto Fujin, le mani sui fianchi. Mi ero voltata con gli occhi spalancati e le sopracciglia aggrottate, sulla difensiva:
-Chiudete la bocca e andate a farvi un giro pure voi!- avevo reagito, prima di piantarli io in asso per iniziare a camminare furiosamente.




Ahi ahi ahi, eccoci qua. 
Devo dire che mi è dispiaciuto parecchio farli litigare così violentemente. Sono volati dei bei paroloni, vero? 
Ma sì, vedrete che si sistemerà tutto!
Ho chiamato questo capitolo "Inferno" perché effettivamente è ciò che vivono sia Atra sia Seifer mentre litigano.
Non vi chiederò chi dei due abbia torto secondo voi, perché credo che lo abbiano entrambi. Però se la pensate diversamente ditemelo, eh!
Appuntamento a molto presto con la seconda parte!

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Capitolo 7
*** Parole di troppo #2. Purgatorio ***


#2. Purgatorio

Riassuntino: Seifer ha appena sostenuto il suo primo esame pratico SeeD e quando torna non è dell’umore adatto per incontrare Atra, dato che la prova non sembra essere andata come sarebbe dovuta andare.

I due hanno un violento litigio nato da alcune parole taglienti pronunciate da Seifer per respingere la sorella, che gli risponde per le rime senza riuscire a contenersi.
Alla fine Seifer se ne va, precludendo qualsiasi possibilità di chiarimento.

Mi ero ritrovata dapprincipio al porto, come era successo qualche mese prima quando avevo battuto Leviathan. In quel momento il G.F. aveva restituito un impulso saldo al nostro collegamento, come per avvisarmi che era ancora lì.
Grazie tante, Leviathan, ma non è te che vorrei fosse qui con me.
Avevo esagerato, maledizione. Il che non era nel mio DNA, solitamente era Seifer quello che parlava tanto e diceva cattiverie.
"...tu e gli altri due adesso vi togliete dai piedi e la piantate di seguirmi ovunque come al solito almeno fino a domani mattina".
E quella non era stata una cattiveria, allora?
Avevo cercato un po' di solitudine sedendomi sulla banchina del porto, mentre per l'ennesima volta mi chiedevo quanto fossi di peso a mio fratello.
Tutti coloro che ci conoscevano almeno un po’ si dicevano sempre stupiti dall’ atteggiamento di Seifer nei miei confronti: protettivo e con la costante preoccupazione di sapermi al sicuro.
Al Garden erano in tanti a detestare il caratteraccio di mio fratello, che spesso mi confidava, non senza una certa trepidazione, di aspettarsi la vendetta dell’ennesimo alunno più grande a cui aveva rubato la ragazza o del solito tipo a cui aveva affibbiato una punizione ridicola in quanto leader del Comitato Disciplinare.
Ma tutti coloro che cercassero una vendetta contro Seifer sapevano che non avrebbero mai vinto a un corpo a corpo con lui. Per esperienza, sapevano che dovevano sfruttare il punto debole del nemico.
Avevo passato tutta la mia vita a cancellare dalla mia fronte quell’umiliante etichetta, sforzandomi di dimostrare a me stessa e al mondo che non ero affatto il punto debole di mio fratello, un peso che richiedeva protezione perché inerme e indifeso.
Seifer non aveva mai chiarito la sua posizione al riguardo, credo fosse perché la riteneva abbastanza scontata. Ero sua sorella e non avrebbe permesso a nessuno di ferirmi.
Ma io non volevo dipendere completamente da Seifer. Quell’anno avevo domato un G.F. andando oltre le previsioni della direzione scolastica e avevo dimostrato di cosa ero capace anche da sola.
C’era stato un periodo in cui ero piccola e...beh, non che Seifer fosse molto più grande di me, maledizione, però era sempre stato lui il mio punto di riferimento.
Appoggiando il mento sulle ginocchia, mi ero domandata come sarebbe stato Seifer se io non fossi esistita. Avrebbe avuto ancora freni? Qualche scrupolo? Un pensiero in più prima di andare a dormire e prima di alzarsi dal letto?
Forse sarebbe stato più libero.
Ecco ciò che gli avevo tolto io: la libertà di essere solo se stesso. Al Garden ormai eravamo “i fratelli Almasy” e fra i due ero io quella che lo teneva al suo posto.
Agli occhi degli altri ero l’unica ragione che gli permetteva di essere ritenuto ancora un essere umano. Per colpa mia Seifer era un soggetto più debole. La sua immagine non era quella nitida e imponente dell’eroe solitario e glorioso.
Agli occhi degli altri ero l’unica che sapesse leggerlo alla perfezione. Di conseguenza, solo io potevo parlargli e solo io sapevo come trattarlo.
Tranne quel giorno.
Pensare a mente fredda e distaccata, appena distratta dalla brezza fresca sul viso, mi aveva aiutato a individuare gli errori stratosferici che avevo compiuto e che non avrei mai dovuto permettermi nemmeno di considerare dentro di me.
Perché diavolo non avevo capito che Seifer stava dando aria alla bocca, come al solito? Lo sapevo che quando si arrabbiava non connetteva più cervello e lingua...ma in quello scontro ero stata io quella che non era riuscita a fermarsi. In tutti i sensi.
Non era mai successo che mio fratello mi rinfacciasse apertamente il fatto di essere un peso...soprattutto dopo tutto quello che avevo fatto per lui. E soprattutto perché sapeva che quella cosa mi faceva stare male.
E forse era stato proprio per quei motivi che avevo reagito così violentemente...gli stessi motivi per cui ora non avevo il coraggio di alzarmi in piedi e affrontare la realtà con la consapevolezza che le gambe mi potessero cedere. Non sapevo come sarei riuscita a tornare al Garden in quello stato. Non sapevo come mi sarei trascinata dietro il mio senso di colpa e dei rimorsi tanto assurdi quanto nascosti in quell’Atra seduta a terra con le gambe penzoloni a un soffio dalle onde e il volto fra le mani, le dita infilate fra i capelli.
Ma dopo pochi minuti mi ero ritrovata costretta a rialzarmi, perché il porto aveva iniziato a riempirsi e gli sguardi delle persone si erano fatti sempre più invadenti.
Non avevo alternative: dovevo tornare al Garden e...cosa avrei fatto una volta lì?
Avrei dovuto aspettare che Seifer uscisse dal colloquio con Cid? E dopo? Avremmo concluso la discussione? E in quale modo? E le cattiverie dette dall’una e dall’altra parte avrebbero trovato una spiegazione?
Oppure era meglio aspettare che fosse lui a cercarmi? Ma di solito non è chi ha torto a dover chiedere scusa? E chi dei due aveva più torto in quel gran casino?
Mi ero rialzata con queste domande a bersagliarmi la mente come le mie fide frecce.
Avevo strofinato la gonna fino a quando non si era ripulita e poi avevo gettato uno sguardo malinconico alla distesa di mare davanti a me, che stava iniziando a riflettere l’ombra del cielo, fattosi più scuro. In quel momento si erano accese le prime luci del porto, costringendomi a voltarmi per non essere accecata.
Di fronte a me c’era una sola strada e non solo perché Balamb era una città non troppo intricata.
La mia destinazione non poteva essere altro che una. E forse il viaggio mi avrebbe suggerito il da farsi.

***

Il tragitto che ricopriva la distanza tra la città di Balamb e il Garden non mi era mai sembrato così noioso.
Avevo messo i piedi l’uno davanti all’altro con lentezza esasperante, mentre la mia mente era solo capace di ritornare al litigio fra me e Seifer, come una molla tesa per troppo tempo che premeva solo di tornare al punto di partenza.
Fortunatamente lungo la mia strada avevo incontrato solo un miserabile Geezard, dato che ero così concentrata sul peso che sentivo sul petto da non rendermi assolutamente conto della realtà che mi circondava.
Avevo abbattuto il mostro con una freccia, scavalcandone il corpo senza curarmi della punta del mio stivale che sfiorava uno dei suoi arti appuntiti e artigliati.
Avevo fatto passare l’arco nell’altra mano per rimettermelo in spalla, quando la corda era scivolata dalla mia presa e aveva inciso un solco deciso e netto sul palmo della mano sinistra. La stessa che aveva lasciato un’impronta rossa sul viso di mio fratello.
Quello era stato il gesto più sbagliato ma al tempo stesso più giusto che avessi compiuto, perché era proprio ciò che mi sarei aspettata di fare, purtroppo. Quando mi scaldavo, anche se era difficile, potevo diventare abbastanza violenta e quella era stata la prova.
Ma come avevo potuto alzare le mani contro mio fratello, quando mai, nemmeno quando ero piccola, lui si era azzardato a tirarmi anche un solo capello o darmi un ridicolo pizzicotto?
Mi ero accorta delle lacrime che mi solcavano il viso solo quando ero arrivata all'ingresso del Garden e mi ero chinata per riallacciarmi uno stivale. Una goccia salata si era infranta sulla punta lucida della scarpa e io l'avevo fissata con stupore, mentre mi passavo le dita sulle guance e trovavo altre tracce della mia debolezza.
-Maledizione- avevo borbottato, fregandomi il viso e sperando di non avere gli occhi rossi.
Nel momento stesso l’immagine della sorpresa e del risentimento sul volto di Seifer appena dopo il mio schiaffo mi era apparsa in mente come un flash. Avevo stretto forte il pugno, mordendomi le labbra per non sentire il dolore delle mie unghie che incontravano quell’incisione scura e profonda e mi ero sforzata di vedere solo ciò che la mia lucidità mi avrebbe fatto vedere...se l’avessi ritrovata, beninteso.
Non mi era nemmeno passato per l’anticamera del cervello il dubbio che spesso assale due persone che hanno litigato con forza e che si sono ritrovate pentite di aver usato le parole come frecce sadiche e penetranti.
Seifer sarebbe stato disponibile per un chiarimento. O no? Non potevo saperlo, perché non avevamo mai litigato. Così come non potevo giurare il contrario.
Il contrario.
Quando avevo intercettato Raijin che mi cercava in giardino, avevo battuto forte le palpebre e l’avevo osservato farmi un cenno con un grido sollevato. Al Garden era ora di cena ed ero sicura che per aspettarmi stesse correndo il rischio di dover mangiare solo insalata. Che razza di scimmione ingordo. Perché mi aveva aspettato, poi?
-Ah, Atra!- aveva esclamato quando l’avevo raggiunto, l’arco ancora in pugno che dondolava contro la mia gamba sinistra. Avevo sollevato le sopracciglia:
-Beh? Cosa ci fai qui? - gli avevo chiesto con noncuranza - Vattene a mangiare, io stasera non ceno-.
Come potevo aver fame? Per la prima volta non sapevo come comportarmi con mio fratello e la consapevolezza di averlo lasciato solo a sentirsi un fallito perché non aveva passato l’esame mi stava facendo impazzire.
Così avevo fatto un cenno con il mento per salutare Raijin, dopo essermi messa in spalla l'arco, e l’avevo superato. Le sue dita si erano chiuse attorno al mio polso per fermarmi e costringermi a voltarmi:
-Dove diavolo vuoi andare, allora?-.
Avevo fissato la sua mano enorme stritolare il mio polso gracile e avevo incontrato i suoi occhi neri, lanciandogli uno sguardo assassino per intimargli di lasciarmi. Lui aveva obbedito, ritraendosi con uno scatto, come se si fosse scottato. Solo dopo che lui aveva messo il solito metro di distanza fra noi due gli avevo risposto:
-Non ne ho idea, ma non credo di doverti fare un rapporto su quello che faccio- avevo sospirato irritata. Raijin aveva sbuffato, prima di sbottare con forza:
-Non me ne frega niente di dove te ne vai tu - a queste parole avevo spalancato gli occhi: era la prima volta che Raijin mi rispondeva a tono - Ma sta’ alla larga da Seifer-.
Un passo e mi ero ritrovata proprio sotto il suo mento: Raijin era molto più alto di me, ma non che per questo mi incutesse timore. Stava toccando un tasto molto sbagliato e gli conveniva darci subito un taglio:
-Non prendo ordini da te, cagnolino- avevo sibilato, mentre sentivo la mano destra pizzicarmi per la voglia di levare quell’espressione aggressiva dalla faccia di quel demente.
Raijin aveva piegato verso il basso gli angoli della bocca, mentre i suoi pugni si erano stretti come se si preparasse a colpire. E io avevo sperato che alzasse le mani su di me, giusto per poter vedere la faccia di Seifer.
Se Seifer avesse voluto vedermi, beninteso.
-E se fosse un ordine del leader per la sua sorellina?- mi aveva canzonato con un sorriso beffardo.
Mi ero afferrata entrambe le mani e le avevo allacciate dietro la schiena da tanto bruciavo dalla voglia di graffiarlo a morte. Mi ero fermata solo per non peggiorare la situazione, seppur con grandissima forza di volontà.
-Raijin, dacci un taglio- avevo ringhiato, perdendo tutta la voglia di parlare con quel pezzo d’idiota. Il suo sorriso era scomparso e sul suo volto si era dipinta una smorfia grave:
-E’ la verità, maledizione. Seifer non vuole vederti, hai capito?- aveva detto, scrutando ogni reazione sul mio viso. Avevo scosso la testa con violenza:
-Non è da Seifer, trovati una scusa migliore- avevo detto con noncuranza, prima di piantarlo in asso e iniziare a salire le scale.
-Atra fermati, porca miseria!- aveva gridato lui, tentando di afferrarmi ancora per il braccio. Il mio spintone era arrivato prima di lui e per poco Raijin non era inciampato, cadendo dal primo gradino.
-BASTA!- aveva esclamato Fujin, giungendo da sopra le scale e fulminandomi con lo sguardo.
-Maledizione, ce ne hai messo di tempo!- si era lamentato Raijin.
Io contro gli scagnozzi di Seifer? Non sarebbero durati un minuto.
Rettifico: io incazzata nera contro gli scagnozzi di Seifer? Li avrei disintegrati.
-Piantatela di farmi perdere tempo e non costringetemi a riempirvi di botte- li avevo minacciati, tenendo d’occhio entrambi.
-Fu’, questa qua è più testona di suo fratello e non mi crede!- aveva continuato a lagnarsi Raijin, cominciando a salire le scale.
-Perché diavolo non volete farmi vedere Seifer, idioti? - ero scoppiata, scostandomi con rabbia i capelli dal volto - Quello che ci diciamo non sono affari vostri!-.
Fujin aveva battuto un piede a terra, impaziente:
-NEGATIVO!-.
-Non quando Seifer ci chiede di non farvi incontrare- era intervenuto a rincarare la dose Raijin.
-E perché mai non dovrebbe voler chiarire, eh?- avevo ringhiato, mentre il dubbio estraneo che mi aveva sfiorato prima all’entrata del Garden tornava a farmi visita, diventando l’unico tarlo della mia mente.
-ODIO!- aveva detto noncurante Fujin...manco fosse la cosa più ovvia del mondo!
-CHE COSA HAI DETTO?- ero esplosa, cominciando a salire le scale con la chiara intenzione di far rimangiare quella parola indecente a una Fujin ora terrorizzata.
Le braccia di Raijin mi avevano cinto la vita, con mia grande sorpresa. Maledizione, era troppo forte per me.
-No! - aveva urlato molto vicino al mio orecchio - Fu’ si è sbagliata, Atra-.
Avevo continuato a divincolarmi dalla sua presa, prima di arrendermi e fermarmi, puntando i piedi a terra. Avevo sentito due lacrime di rabbia scivolare dagli angoli dei miei occhi alle guance, ma non avevo la possibilità di asciugarle e quella cosa mi faceva imbestialire ancora di più.
-Seifer non ti odia, Atra - aveva continuato con più calma Raijin, mentre mi lasciava andare - Ma credimi, è ancora molto arrabbiato. Potrebbe volerci del tempo prima che gli passi-.
Il mio respiro si era spezzato mentre cercavo di trarlo e sia Fujin sia Raijin erano rimasti a guardarmi mentre mi concentravo per ricordarmi come si incamerava ossigeno.
Alla fine mi ero passata una mano sul viso e li avevo guardati, sentendomi sempre più vuota e rassegnata:
-Va bene, adesso toglietevi dai piedi-.
Avevo osservato i due andarsene imbronciati, lasciandomi da sola, in piedi sugli scalini del Garden.
In fondo, me lo meritavo. Questa volta avevo esagerato e sicuramente Seifer aveva voluto farmela pagare.
Un singhiozzo mi aveva bloccato la gola, ma non mi ero permessa di piangere.
Perlomeno, non davanti a tutti.


Ho chiamato questa parte "Purgatorio" perché Atra sembra proprio farsi un esame di coscienza, chiedendosi dove ha sbagliato e come poter rimediare.
Ma a volte la realtà non è sempre come vorremmo fosse...perciò Atra deve rassegnarsi a tormentarsi ancora fino al giorno dopo.
A proposito: cosa dite della decisione di Seifer di non voler vedere la sorella? Sarà un semplice gesto ai limiti dell'infantilità o ci sarà sotto qualcos'altro?
Tutte le risposte sono, ovviamente, nella terza (e ultima) parte di questo lunghissimo ricordo, che spero vi stia piacendo!
Ah, vi sfido a indovinare il titolo della terza parte! Modalità: difficile (hehehe)!

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Capitolo 8
*** Parole di troppo #3. Paradiso ***


#3. Paradiso


Riassuntino: Dopo aver sostenuto il primo esame pratico da SeeD, andato evidentemente male, Seifer litiga pesantemente con Atra e la lascia sola a Balamb senza risolvere la cosa.

Dopo aver riflettuto molto e dolorosamente, Atra è intenzionata a tornare al Garden e sistemare le cose con il fratello. Tuttavia incontra Fujin e Raijin che le riferiscono che Seifer non vuole ancora vederla e Atra si rassegna a passare una notte in compagnia di tutti i suoi sbagli e rimpianti.


La notte era più silenziosa del solito. L'avevo constatato mentre osservavo le due di notte scattare sull'orologio della sveglia, le cifre rosse che proiettavano il loro riflesso sanguigno sul comodino.
Quel silenzio aveva iniziato a farmi fischiare le orecchie, mentre mi tiravo su dal letto per l'ennesima volta e guardavo fuori dalla stretta finestra.
La pallida luce della luna e delle illuminazioni esterne al Garden si proiettavano sul lenzuolo bianco dalla mia vita in giù, mentre il mio busto era completamente immerso nell'ombra.
Avevo scalciato il lenzuolo in fondo al letto con un fruscio, rimanendo solo in canottiera e pantaloncini. Nell'altra camera, separata dalla mia solo dal corridoio che condividevano, sentivo Fujin respirare lievemente, mentre dentro di me si agitava una tempesta silenziosa di emozioni.
Rimpianto. Rimorso. Disperazione.
Dolore.
Mi ero accorta che il mio respiro si era fatto più veloce, mentre mi raggomitolavo sul letto tremando, non di freddo.
Come sarebbe stato il giorno dopo? Seifer mi avrebbe parlato o avrebbe continuato a evitarmi? E per quanto tempo...
-Atra-.
La mia testa era scattata verso la porta, dove in quel momento una figura ancora più nera si stagliava contro il vano scuro.
-Seifer-.
Mio fratello aveva una mano appoggiata allo stipite sinistro della porta e sentivo il suo sguardo sfiorarmi la pelle.
Mi ero messa seduta sul letto, le gambe penzoloni dal lato sinistro. In quel momento il mio cuore si era messo a battere all'impazzata, forse perché d'un tratto si era fatto più leggero.
Il silenzio assoluto della stanza si era ridotto a un lieve rumore di sottofondo, dissipato  e scostato come una nebbia leggera dal rumore distinto dei nostri respiri affannosi, dovuti al nervosismo e alla paura di sbagliare di nuovo.
Ma no: era impossibile litigare al buio perché era davvero troppo rischioso.
Certi scontri implicavano il contatto visivo, per potersi imprimere nella mente il volto dell'altro, mentre le parole che volavano come frecce lo colpivano e lo segnavano. Serviva per pentirsene. Serviva per stordire l'orgoglio, per inebriarlo di lacrime.
Quella notte non so proprio dove avessi lasciato l'orgoglio. Credo che fosse rimasto sul cuscino bagnato di lacrime, mentre io ero seduta sul letto e sfioravo il pavimento con la punta delle dita dei piedi.
Cosa avrei dovuto dire? Come l'avrei dovuto dire?
Era davvero così difficile dire una parola così stupida? Se il mio orgoglio era davvero rimasto sul cuscino...il mio. Ma quello di Seifer?
Beh, ovunque fosse non era di certo lì con lui. Mio fratello era venuto da me di sua spontanea volontà, andando forse addirittura contro la sua stessa natura.
Un rumore di passi mi aveva distratto dalle mille domande che mi stavano passando davanti agli occhi. Avevo risollevato lo sguardo e avevo trovato Seifer in piedi accanto a me. Non indossava il cappotto e sopra i pantaloni aveva la felpa blu con la croce bianca cucita sopra, le maniche arrotolate fin appena sotto la spalla. Aveva le mani lungo i fianchi, le dita che si contraevano secondo uno strano e insolito tic.
Avevo sollevato il viso per cercare di guardarlo, ma la luce della luna non arrivava al di sopra del suo petto. Allora avevo riportato le gambe sul letto abbracciandomi le ginocchia, per farlo sedere, sempre in silenzio.
Un fruscio e lui si era seduto di fronte a me a gambe incrociate, gli stivali che erano rimasti ai piedi del letto.
Avevo appoggiato il mento sulle gambe piegate mentre osservavo il suo viso scolpito nella penombra e nella luce proveniente dalla finestra; un ciuffo di capelli biondi appena più lunghi danzava al movimento nervoso del suo collo. Gli zigomi appuntiti proiettavano la loro ombra sulle guance, incredibilmente e inumanamente bianche alla luce della luna. Le sue sopracciglia arcuate e sottili si erano aggrottate improvvisamente, forse per reagire al corruccio evidente su quelle labbra strette, mordicchiate piano dai denti.
Mi ero morsa l'interno della guancia, continuando a guardarlo e reprimendo l'istinto di passargli una mano sui capelli per sistemarglieli.
Seifer si era grattato la nuca, prima di posare il suo sguardo su di me socchiudendo le labbra, come se questo avesse potuto aiutarlo a trovare le parole che mancavano anche a me.
A dire il vero, era una parola sola.
Era il coraggio di pronunciarla, spezzando quel silenzio così perfetto e quieto, che ci mancava, anche senza tutto il nostro orgoglio.
Ero rimasta ad ascoltare il mio cuore che tamburellava insistente nel mio petto, prima di cogliere il movimento lento e distratto della mano di Seifer, mossa in avanti a cercare la mia. Mi era sfuggito un sospiro di sollievo mentre intrecciavo le sue dita con le mie e risollevavo lo sguardo per scrutare la sua reazione.
A quel punto, il ghiaccio che sentivo sulla lingua si era sciolto senza il bisogno di altre parole sferzanti come sabbia o ardenti come sale sulle ferite:
-Scusa-.
A quanto pare, si era sciolto anche il suo ghiaccio: l'avevamo detto insieme.
Seifer aveva soffiato una risata silenziosa, scuotendo lentamente la testa, mentre io mi ero morsa un labbro per contenere un sorriso spontaneo. In quel momento le mie dita avevano preso a tremare da sole fra quelle di mio fratello, che aveva rafforzato la stretta e mi aveva lanciato uno sguardo preoccupato:
-Stai bene?-.
Avevo annuito subito, sorpresa dalla mia reazione stessa:
-Ora sì-.
Seifer aveva sorriso dolcemente, passandomi il pollice sul dorso della mano per tranquillizzarmi.
-Sai che non riesco a essere arrabbiato con te per troppo tempo- mi aveva rimproverato scherzosamente, inclinando il viso per scrutare il mio.
Avevo chinato lo sguardo sulle pieghe del lenzuolo:
-Questa volta avresti avuto le tue ragioni- avevo mormorato, mentre mi sfuggiva l'ennesimo sospiro sconsolato. Uno scatto aveva mosso l'angolo sinistro delle sue labbra, mentre l'altra sua mano si allungava a sfiorarmi il mento, prima che la sua voce risuonasse nuovamente, grave e amara:
-Non hai più colpe di me, Atra-.
Invece sì - volevo rispondergli - Sono un peso per te, ma tu non hai il coraggio di dirmelo.
-Non volevo...- avevo cominciato invece, trovando subito le sue parole secche e la sua espressione turbata:
-Nemmeno io - mi aveva interrotto Seifer, raddolcendo poi il tono - Nessuno dei due voleva. Basta questo, no?-.
Avevo annuito lentamente, nascondendo la lacrima che mi stava scorrendo sulla guancia, rivolgendo il viso al buio.
In quel momento Seifer, con un sospiro profondo, mi aveva afferrato il mento, asciugando la lacrima con il pollice:
-Dannazione, non mi perdonerò mai per averti fatto così male- aveva sussurrato chinando la voce, che si era fatta più roca. Avevo scosso piano la testa, non riuscendo a impedirmi di piangere silenziosamente:
-Sto bene- mi ero difesa, iniziando a sentire montare la rabbia verso me stessa. Non sapevo far altro che piangere quella notte?!
-E piantala, una buona volta - aveva detto lui con uno sbuffo, prima di riprendere - Non so ancora come ho avuto il coraggio di parlarti così. Ho passato ore a cercare le parole per scusarmi, ma non sono mai abbastanza-. La calma tormentata con cui mi aveva detto queste parole mi avevano lasciata senza fiato, mentre l'ultima lacrima scivolava sotto le dita di Seifer.
-Basta pensarci - mi ero ritrovata a dire, sebbene in quel momento stesso le cattiverie dette da Seifer mi stessero echeggiando in tutte le stanze del cuore - Dopotutto, non sei tu ad avermi dato uno schiaffo in piena faccia...a proposito, ti fa ancora male?- gli avevo chiesto alla fine, sollevando una mano per accarezzargli la guancia che, alla luce della luna, era completamente pallida, come una distesa di ghiaccio senza crepe.
Invece in quel momento Seifer aveva sorriso:
-Beh, devo dire che hai colpito nel punto giusto...ma dall'arciera che sei mi sarei stupito se avessi sbagliato mira! Però lo sai che tuo fratello è una roccia!- aveva scherzato, alleggerendo l'atmosfera e alleviando il peso dei pensieri dal mio cuore, facendomeli dimenticare per qualche minuto.
-Ah, è per quello che mi sono fatta male- avevo borbottato. Seifer mi aveva subito preso la mano preoccupato e io avevo sussultato, mordendomi le labbra. Dannazione, la corda del mio arco doveva essere stata ben tesa...
-Cosa hai fatto qui?- mi aveva chiesto lui, sollevando il mio palmo alla luce della luna e rivelando il solco più scuro che lo attraversava.
-Credo che sia stata una punizione per la mano che ti ha colpito- avevo risposto vagamente, osservandolo scuotere la testa sconsolato:
-E io ti ho anche respinta attraverso Raijin e Fujin, che pezzo d'idiota che sono. A proposito...- aveva sospirato, ma io mi ero affrettata a interromperlo:
-Avrai avuto i tuoi buoni motivi, Seifer-. Lui aveva avuto uno scatto del collo e io mi ero affrettata a tacere, mentre diceva seccamente:
-No, adesso ascoltami - e poi, mentre sul viso gli si dipingeva un'espressione pentita - E' stato perché non volevo peggiorare la situazione. Avrei potuto dirti altre cattiverie, ne sarei stato assolutamente capace-.
Aveva fatto bene, allora. Aveva pensato a non farmi ancora più male anche nel momento in cui forse ne avrebbe avuto più voglia in assoluto.
Non potevo biasimarlo, davvero. Non era stato un codardo. Non lo era mai stato.
-Davvero, Seifer hai...- avevo tentato, ma lui aveva posato l'indice sulla mia bocca, un'espressione esasperata sul volto:
-Cosa devo fare per farti tacere, Atra? E dire che sono io quello che parla troppo a volte...- aveva sospirato, prima di sorridere quando io gli avevo restituito uno sguardo birichino - Comunque, voglio solo dirti che ho trascorso tutto questo tempo da solo anche io. Sono andato a farmi un giro a Balamb per pensare a cosa dirti...non sapevo se parlarti direttamente stanotte o domani mattina presto. Non riuscivo più a stare con il tormento di averti ferita così- a quelle parole mi ero avvicinata a lui, posandogli la testa sul petto. Lui mi aveva accarezzato i capelli, posando il mento sulla mia testa e poi aveva continuato:
-...fino a quando non sono arrivato al porto. Lì c'erano le solite bancarelle notturne dei vagabondi. Stavano smontando quando sono arrivato io, ma mi sono ritrovato a dargli un'occhiata. Fra le mille cianfrusaglie ho trovato qualcosa che aveva attirato la mia attenzione e ho chiesto al tipo se poteva incidergli sopra qualcosa. Guarda un po'-.
Mi ero staccata da Seifer per osservare qualcosa brillare al suo collo. Che strano, non me n'ero accorta fino a quel momento!
Era una catenella argentata con al centro una targa orizzontale e rettangolare, gli angoli ricurvi e leggermente concava.
Seifer si era spostato alla luce per farmi vedere la scritta, leggera e quasi invisibile.
A. A. 22/09
-A. A. sta per "Atra Almasy", ovviamente. Ho pensato che...- aveva cominciato Seifer, ma io l'avevo interrotto abbracciandolo con una risata silenziosa per soffocare la commozione e...sì, ero anche un po' scocciata.
Insomma, come potevo essere arrabbiata con lui, se poi mi faceva quelle cose?
Seifer aveva riso, accarezzandomi la schiena:
-L'ho tenuto nascosto sotto la felpa per fartelo vedere al momento giusto - mi aveva spiegato con voce soddisfatta, mentre le sue mani improvvisamente fredde risalivano fino alla mia nuca - Comunque non ho finito. Mentre il tipo incideva le tue iniziali sul mio ciondolo ne ho notato uno uguale. E così...-.
Avevo sentito qualcosa di freddo cadermi sul torace, mentre le mani leggere di Seifer mi allontanavano gentilmente da lui prendendomi per le spalle. Avevo abbassato lo sguardo sul mio petto per vedere la stessa sua targhetta al mio collo. L'avevo presa fra pollice e indice, sentendone il contatto gelido sulla pelle e girandola alla luce per scoprire cosa c'era scritto, anche se potevo già capirlo.
S. A. 22/12
-Non sono il tipo sdolcinato, quindi approfittane finché ce n'è, perché non ho intenzione di litigare di nuovo per fare queste follie!- si era accigliato Seifer, mentre io mi portavo una mano alla bocca per nascondere il tremito delle labbra e rivolgergli uno sguardo riconoscente.
Doveva credermi, ero più stupita io di lui.
-Non significa niente in particolare, a parte strapparti un sorriso, razza di musona- mi aveva apostrofato Seifer per distendere l'atmosfera, che si era fatta esageratamente sentimentale.
Gli avevo lanciato uno sguardo esasperato:
-Oh senti, avrò preso da qualcuno - lo avevo rimbrottato, lasciando andare la parte più fragile di me e ritornando la solita, ostile Atra.
No, non avevo potuto dimenticare la sgradevole sensazione di essere il punto debole di Seifer e un peso per lui...ma avevo capito che, qualunque fosse la verità, a mio fratello andava bene così.
Alla fine, una vita si costruisce prendendo strade ben precise, senza chiedersi come sarebbe stato se ne avessimo presa una differente.
Non avrei rinnegato più niente. Giusto per non essere masochista, insomma.
-Allora pace, sorellina?- mi aveva chiesto improvvisamente Seifer, stranamente ansioso ma sicuro al tempo stesso. Lo avevo squadrato seria per un bel pezzo, osservando tutta la sua decisione scemare dal viso, prima di scoppiare a ridere:
-E pace sia, Seifer-.






Ed ecco che i nostri due Almasy hanno finalmente fatto pace e il nostro ricordo si conclude qui!
Chiedo subito scusa se il personaggio di Seifer sfocia un po' nell'OOC, però forse ancora più che nel capitolo "Aspettative" de "Il legame del sangue" ,qui si realizza il vero "What if?" della fanfiction.
I due fratelli sono sempre gli stessi quando sono con altra gente, ma quando sono solo loro due si rivelano anche loro bisognosi l'uno dell'altra...soprattutto dopo tutto quello che è successo nei capitoli precedenti.
Nel videogioco, Seifer ha davvero una targhetta così come l'ho descritta e mi piaceva l'idea che in un oggetto così semplice si racchiudesse l'essenza delle parole dette quella sera e poi mai più ribadite, come se fossero diventate una verità ormai risaputa. Seifer porterà sempre con sé le iniziali della sorella per non dimenticarsi mai delle sue origini; Atra porterà sempre con sé le iniziali del fratello per non sentirsi sola e quindi per non essere più un peso per il fratello.
Io spero che questi tre ricordi vi siano piaciuti e vi abbiano fatto scoprire chiaramente alcuni lati della personalità dei nostri due protagnisti...con questo ricordo credo che si possa iniziare ad avere una bella panoramica di coloro con cui abbiamo a che fare!
Io vi do appuntamento al prossimo ricordo e ringrazio tutti i meravigliosi lettori che seguono le vicende di Atra e Seifer! Vi invito a scrivermi per qualsiasi chiarimento o critica, perché si può sempre migliorare!
Ciao!

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Capitolo 9
*** Il pugnale ***


Mancava appena un giorno perché io compissi i sei anni.
In quel periodo nemmeno Seifer poteva ancora iniziare a misurarsi con i mostri, ma non avrebbe dovuto attendere molto: a gennaio sarebbe finalmente arrivato il suo momento e, neanche a dirlo, non stava più nella pelle.
Anche io stavo aspettando con grande trepidazione il mese di gennaio, quando avrei iniziato a frequentare le prime lezioni di arco.
Ma intanto, durante il mese di settembre, eravamo entrambi ancora in palestra a fare addestramento fisico. Io e Seifer ci tenevamo molto per poter essere all’altezza di qualsiasi combattimento, così a volte rimanevamo in palestra fino a tardi.
Non eravamo gli unici a farlo...capitava molto spesso che un certo Leonhart si fermasse con noi, guardandoci truce da dietro un peso o dall’altra parte della palestra.
E accadeva altrettanto spesso che lui e Seifer si ritrovassero contemporaneamente allo stesso strumento. Allora scattava la silenziosa e rabbiosa sfida a chi avrebbe sollevato più pesi, a chi avrebbe corso più veloce e lontano, a chi avrebbe fatto più addominali o flessioni...
Forse Seifer lo faceva apposta. In fondo, lasciar stare il damerino non era certo qualcosa che lo attraesse...e in fondo, che giornata era se non provava a vincere la sfida del giorno?
Ma forse c’era qualcosa di più. Non erano le sfide a cui era abituato lui, quelle in cui non c’era nemmeno la soddisfazione di aver battuto l’avversario, tanto la vittoria schiacciante era di routine.
A lui gli altri non facevano né caldo né freddo.
Squall gli faceva decisamente caldo.
Gli esiti di quelle sfide erano sempre incerti. A volte vinceva Leonhart, che concludeva la sua prestazione con una scrollata di spalle e dei passi pesanti verso le docce; a volte vinceva Seifer, che si faceva sempre sfuggire un ghigno di soddisfazione e sollevava il mento per disprezzare e guardare dall’alto in basso il suo avversario.
Con il tempo era diventato prevalente un terzo risultato: il pareggio.
Questo indispettiva sempre Seifer, alla perenne caccia della vittoria o della sconfitta a tutti i costi. Una situazione di giudizio sospeso non faceva per lui, che odiava aspettare tutto: un evento, una risposta, un chiarimento.
Quanto a Squall, non sembrava particolarmente toccato dall’esito di nessuna sfida...sembrava sottoporvisi solo per fare un piacere a Seifer, ponendosi, se davvero fosse stato così, in uno stato di superiorità ancora prima che la sfida cominciasse.
Questa era un’altra cosa che Seifer detestava del damerino.
Ed è emblematico il fatto che, nonostante tutte le loro divergenze, ognuno di loro avrebbe poi sviluppato la tendenza di sapere esattamente come porsi con l’altro.
Anni più tardi, Seifer avrebbe saputo cosa dire o fare per far scattare Squall; Leonhart, dal canto suo, avrebbe mantenuto proprio l’atteggiamento che Seifer non tollerava: l’indifferenza.
Per tornare al racconto, il giorno precedente il mio compleanno io e Seifer eravamo rimasti in palestra fino a tardi, come al solito.
Quando alla fine ne uscivamo, eravamo sempre distrutti dalla fatica e a stento spiccicavamo qualche parola furante il percorso fino ai dormitori.
Quel ventuno settembre non mi aspettavo che fosse differente...e invece:
-Cosa vuoi per il tuo compleanno, sorellina?- mi aveva domandato innocentemente Seifer, tormentandosi il cappuccio della felpa blu.
Ero rimasta stupita dalla sua domanda: non mi aveva mai fatto nessun regalo prima e io credevo anzi di essere in debito con lui per avermi permesso di seguirlo fino al Garden.
Di fronte alla mia faccia basita, Seifer era scoppiato a ridere, inclinando il collo in avanti:
-Che c'è, non posso farti un regalo?- mi aveva chiesto, ancora ridendo.
Avevo aggrottato le sopracciglia e mi ero fermata in mezzo al corridoio che conduceva ai dormitori:
-Non puoi perché non è da te- gli avevo risposto, arricciandomi pensierosa una ciocca di capelli sfuggita alla coda. Dove voleva andare a parare mio fratello?
-Ehi, se dici così mi fai sembrare il fratello cattivo- si era lamentato, spalancando le braccia per poi incrociarle rapidamente.
Avevo sollevato una mano:
-Va bene, va bene...scusa. Però non è da te lo stesso- gli avevo fatto notare alla fine con un sorrisetto. Seifer aveva sollevato l'indice:
-Si può sempre cambiare...allora, che regalo vuoi?-.
Che regalo volevo? Avevo sei anni e stavo addestrandomi per diventare un soldato. Avevo sei anni e mi era rimasto solo un fratello.
Avevo solo sei anni e avrei tanto voluto potermi sbarazzare di quella mia debolezza di bambina.
Volevo essere forte. Volevo sapermi difendere da sola, come...
-Come te. Voglio essere come te- gli avevo risposto, sollevando il mento e puntandogli il dito contro. Seifer aveva riso con tenerezza, avvicinandosi a darmi un buffetto sulla guancia:
-Ma tu sei già come me. Sei mia sorella- aveva sorriso. Io mi ero scostata, infastidita dal fatto che non mi avesse capito:
-Ma no! - avevo esclamato con quella ridicola voce lieve e fragile - Io voglio sapermi far rispettare come sai fare tu, voglio che le persone mi temano...voglio essere forte!-. Le mie parole erano paurosamente in contrasto con la bambina che ero, con le braccia incrociate al petto, la faccia imbronciata, il piede prepotentemente battuto a terra e la coda di cavallo che era un disastro.
Molto temibile, davvero.
Il sorriso di Seifer si era allargato, mentre mi sistemava alla bell'e meglio i capelli dietro le orecchie:
-Quello che ho detto io: sei mia sorella- mi aveva sussurrato, prima di farmi l'occhiolino.
-Vorrà dire che mi inventerò qualcosa io, musona- mi aveva apostrofato poi con uno sbuffo divertito, prima di farmi "ciao ciao" con la mano e allontanarsi verso la sua camera.
Ricordo che ero rimasta in piedi nel corridoio con i capelli ancora più scompigliati di prima e una strana sensazione a farmi formicolare la pelle.
Forse era la convinzione di voler diventare come Seifer che stava entrando nel mio sangue, come effettivamente era poi successo.
Oppure era tutt'altra convinzione.
Quella che non mi sarei più fatta toccare i capelli da mio fratello!

***

Il giorno del mio compleanno mi ero svegliata con la strana sensazione che ci fosse qualcuno nella mia stanza. Avevo socchiuso gli occhi e avevo intravisto una figura nera sfilarmi furtivamente accanto per sgattaiolare fuori dalla porta.
Ero scattata a sedere sul letto...che ore erano?
Il display della sveglia accanto a me segnava le sei e mezza e la luce rossa illuminava la superficie liscia e metallica sotto di essa...
Metallica?!
Mi ero stropicciata gli occhi credendo di stare sognando, ma quando avevo risollevato le palpebre l'oggetto era ancora lì.
Era un coltello.
L'avevo afferrato per l'impugnatura, sollevandolo alla luce del primo debole sole che tagliava in diagonale il mio letto con un largo ma labile raggio.
Sotto le mie dita, l'impugnatura era dura e fredda ma dalle linee morbide. Dove si incontrava con la lama, il metallo si incurvava leggermente ma sinuosamente verso la mano, imitando la crociera delle spade. Il pomo dell'arma aveva incastonato uno zeffiro blu scuro, dello stesso colore dei miei occhi.
Il sole aveva illuminato più forte la lama del coltello, immacolata e senza alcun graffio, leggermente seghettata. Il riflesso mi aveva accecata, costringendomi a distogliere lo sguardo. In quel momento avevo notato sul comodino la presenza di un semplice fodero in cuoio marrone chiaro.
Infilato all'interno c'era un biglietto scritto con la calligrafia svolazzante e insieme frettolosa di Seifer:

Volevi essere forte come me, Atra?
Allora impara a usarlo.
Auguri, sorellina.
Seifer


Avevo sorriso impercettibilmente nella penombra, proprio mentre un veloce colpetto alla porta era risuonato nel silenzio della mia camera.
Il sorriso mi si era allargato, mentre con il pugnale in mano e l'aria più inoffensiva che mai mi dirigevo a piedi scalzi verso la porta.
Dietro il battente Seifer stava aspettandomi con le braccia incrociate al petto e il tentativo di dissimulare la soddisfazione.
-Mi insegnerai?-.
La mia voce era risuonata ancora fragile, ma era rinvigorita da un appiglio nuovo, che stavo stringendo convulsamente nella mano destra.
Seifer si era staccato dal muro e mi aveva squadrato con aria critica:
-Lo stai tenendo sbagliato- mi aveva rimproverato, togliendomelo delicatamente di mano e mostrandomi come avrei dovuto tenerlo, impugnandolo con tutte le dita tranne il pollice, appoggiato delicatamente sullo zaffiro del pomo.
Avevo sbuffato:
-Ok, ma insegnami ad usarlo- mi ero lamentata, saltellando per riprendermelo. Lui aveva schioccato la lingua:
-Sto già iniziando a insegnarti. Se non saprai tenerlo non ti servirà a niente- aveva detto, restituendomelo con delicatezza.
Io l'avevo preso in mano come se fosse stata una reliquia:
-Grazie fratellone. Vedrai di cosa sarò capace- gli avevo promesso, sprizzando soddisfazione da tutti i pori. Seifer mi aveva scompigliato i capelli:
-Non ne ho dubbi, sorellina. Ma da domani mi farai proprio vedere-.



Ok, forse questo ricordo potrebbe sembrare banale.
Però volevo tornare un attimo sulla figura di Atra bambina, assolutamente dipendente dal fratello, ma che inizia a maturare il proposito di essere forte come lui. Da qui inizierà il cammino che la porterà a diventare uguale a Seifer e poi a staccarsi lentamente da lui. Qui comincia il suo processo di maturazione, che stiamo seguendo.
Il pugnale era (solo) un pretesto per mostrarvi lo stadio iniziale di questa crescita della nostra Atra, ma anche il contesto in cui ciò avviene. D'altronde, se ne parla anche nel capitolo a cui è legato il ricordo.
Per questo ho presentato anche un piccolo spaccato di Seifer e Squall: per sottolineare il punto di partenza da cui non solo Atra, ma anche i due rivali della situazione sono partiti. Qui si parla del cammino nel Garden, ovviamente. Quello che è successo prima...sarà un'altra storia!
Io spero che il ricordo vi sia piaciuto comunque e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.
Al prossimo (che sarà una grossa sorpresa, spero gradita!)!

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Capitolo 10
*** La Caverna di Fuoco #1. ***


Parte #1.


Di solito noi cadetti sostenevamo la nostra prova alla Caverna di Fuoco in aprile, circa due mesi prima del vero e proprio esame pratico SeeD.
La prova consisteva nell'attraversamento della caverna, che era piena di mostri di elemento Fuoco, fino a raggiungerne la fine, dove ognuno di noi doveva affrontare il G.F. che vi abitava, Ifrid, e conquistarsi il suo rispetto senza necessariamente doverlo portare dalla propria parte e diventarne padroni.
Ogni studente veniva accompagnato da un SeeD, che lo supportava in combattimento e valutava il suo comportamento durante tutto l'esame.
Il punteggio che veniva dato a questa prova costituiva un buon quarto della valutazione finale, come continuavano a ripeterci i professori.
Per questo era indispensabile fare un buon lavoro alla caverna: impiegare il minor tempo possibile, parlare poco, dimostrarsi sicuri, dare delle sonore legnate a Ifrid.
L'anno in cui toccava a quelli del mio corso, le prove erano cominciate proprio i primi giorni di aprile e io dovevo sostenere la mia verso la metà del mese.
Tuttavia, l'ultimo giorno della prima settimana si era verificato un evento che aveva lasciato metà della scuola a bocca aperta e l'altra metà indispettita.
Io appartenevo a quest'ultima categoria, ma giusto perché dalla persona che vi era coinvolta non mi sarei mai aspettata questo!
Cosa era successo? Zell aveva sostenuto la sua prova alla Caverna di Fuoco e Ifrid lo aveva scelto come proprio padrone.
Era ormai da anni che il G.F. veniva usato dal Garden per la prova alla caverna e nessuno degli studenti che si era presentato al suo cospetto per sfidarlo aveva dimostrato di possedere tutti i requisiti per poter diventare il suo padrone. Il Guardian Force era stato così dipinto come una creatura decisamente esigente, cosa che spingeva noi studenti a fare ancora più del nostro meglio.
Tuttavia Ifrid aveva scelto proprio Zell. La cosa suonava decisamente strana, perché il gallinaccio non era conosciuto propriamente per il suo valore in battaglia, quanto per i suoi attacchi isterici quando Seifer gliene faceva una delle sue.
Le prove erano continuate comunque, sebbene Ifrid avesse trovato il proprio padrone. Tuttavia, Zell continuava a prendersela quando qualche studente picchiava troppo il suo adorato G.F., mettendo il broncio e facendo scrocchiare i pugni contro chi aveva superato la prova.
Ricordo che avevo ridacchiato, quando i suoi mugugni erano giunti alle mie orecchie. Era il giorno prima che io sostenessi la mia prova e ovviamente ero molto sicura di me stessa, come al solito.
Ifrid si sarebbe fatto parecchio male.

***

Il SeeD affidatomi per la prova era stata...la Trepe.
Potete immaginare la mia gioia. Io me la ricordo benissimo.
-Non fare quella faccia - aveva commentato lei, quando mi aveva accolta ai cancelli del Garden, scrutando la mia reazione - Ho valutato anche l'esame di tuo fratello, sai?-.
L'avevo superata senza una parola, l'arco che dondolava contro la faretra e un sospiro scocciato che mi sfuggiva dalle labbra.
Era questo il problema, dannazione.
Aveva valutato anche mio fratello.
Non solo sapevo cosa aspettarmi da lei quindi, ma avevo anche un'asta bella alta da superare non solo per me stessa ma anche per la prof.: non potevo concludere la prova con una valutazione peggiore di quella di Seifer! Non lo volevo io e sicuramente non se lo aspettava lei. Ero sicura che se fosse successo questo non mi avrebbe dato il punteggio pieno che pretendevo.
-Cosa c'è? Agitata per la prova?-.
Maledizione, questo era l'altro inconveniente che mi aveva illustrato Seifer, tra un'imprecazione e l'altra: la Trepe non stava mai zitta.
Credevo che stesse scherzando...invece, a quanto pareva, era tutto vero.
Con il senno di poi, sospetto che fosse più una strategia per distrarci che un'effettiva loquacità...il che sarebbe stato interessante, dato che fino a quel giorno avevo creduto che il suo campo forte fossero le domande trabocchetto durante le interrogazioni. A quanto pareva non se le pensava di notte, come avevo congetturato io, ma aveva davvero una propensione sadica per tormentare i suoi studenti.
Adesso capisco anche perché non si è ancora sposata.
Tornando a quel giorno infernale (in tutti i sensi), la Trepe mi aveva scortata fuori dal Garden, continuando a chiedermi come mi sentissi e perché fossi così tesa.
A un certo punto mi ero scocciata e mi ero voltata nel bel mezzo di un suo monologo, rischiando anche che lei mi andasse a sbattere contro:
-Nervi saldi e concentrazione: questo è ciò che ti servirà ogg...-
-Quello che mi serve davvero è che qualcuno chiuda la bocca! - ero sbottata, lanciandole un'occhiata così irritata che le sue guance erano diventate dello stesso colore del suo vestito, cioè color pesca - Grazie- avevo precisato con un cenno del mento e una smorfia falsamente grata, prima di voltarmi senza nemmeno aspettare una replica che non era arrivata.
Beh, almeno il resto del tragitto si era svolto nel silenzio, dandomi l'opportunità di meditare sul fatto che avrei davvero dovuto fare un prova stratosferica per ottenere un punteggio soddisfacente: ero sicura che la Trepe stesse cominciando a considerare l'idea di togliermi qualche punto dalla voce "disciplina".
Oh insomma, se l'aveva sopportata Seifer potevo sopportarla anche io.
Nel peggiore dei casi, avrei detto che era "accidentalmente" scivolata in un fiume di lava.
Mentre rimuginavo su questa scusa cercando di non ridere malignamente, eravamo arrivate in prossimità della caverna: l'erba fitta e verde della pianura stava iniziando a cedere il posto a sprazzi di terreno brullo e dal colore smorto, nel mezzo del quale sorgeva di tanto in tanto qualche roccia bianca e nera che esalava già il calore di quella giornata prematuramente calda.
Un sentiero rivestito di ghiaia sottile che scricchiolava sotto le nostre scarpe conduceva fino all'entrata, una spaccatura oblunga e irregolare che si apriva profondamente nella montagna di fronte a noi.
Due insegnanti erano appostati davanti all'ingresso, cosicchè per entrare era necessario parlare con loro.
-Nome, cognome e numero di matricola- mi aveva borbottato quello di sinistra, squadrandomi con disapprovazione.
-Atra Almasy, studentessa n° 022. E la TAC l'ho già fatta prima dalla Kadowaki, grazie- avevo risposto melliflua, facendo il saluto dei cadetti e fulminando contemporaneamente l'insegnante con un'occhiata.
-Atra!- mi aveva rimproverato scandalizzata la Trepe, sollevando il gomito per darmi un colpetto...che non era mai arrivato perché lei ci aveva ripensato ed era rimasta con il braccio a mezz'aria in una posa alquanto stupida.
Saggia scelta, prof.
L'insegnante di destra aveva avuto un leggero (e sospetto) attacco di tosse, grazie al quale la Trepe si era riscossa per tornare a vestire i panni dell'insegnante modello.
-L'obiettivo è sconfiggere un G.F. di livello base con il supporto da parte di un SeeD- aveva cominciato il tipo di destra con tono meccanico e inespressivo.
"Gli hanno inculcato bene la lezione" avevo pensato ironicamente, stavolta tenendo per me la considerazione e limitandomi a sollevare le sopracciglia, chiedendomi quanto tempo dovessi ancora aspettare per entrare.
La Trepe aveva fatto la riverenza da SeeD:
-L'accompagnerò io. Insegnante n° 14, Quistis Trepe- aveva detto, incrociando poi le braccia, la frusta avvolta attorno alla vita a mo' di cintura che oscillava leggermente.
-Sei pronta, Almasy?- mi aveva chiesto l'insegnante di sinistra, non senza una certa vena di scortesia.
Avevo sfoderato un sorriso beffardo:
-No, ci ho ripensato...oggi fa troppo caldo - avevo detto malignamente, prima di beccarmi uno sguardo truce dalla Trepe e affrettarmi a sbuffare - Sì, sono pronta-.
-Allora definisci il tempo che avrai a disposizione: il minimo è 10 minuti, il massimo 40. Sii cauta nella scelta e non strafare- mi aveva consigliato l'insegnante di destra, prima di abbassare velocemente lo sguardo quando io avevo sollevato il mento e aggrottato le sopracciglia cercando di reprimere una risatina.
Oh no, qui nessuno ti giudicherà. Però, per la prova ti meriti trenta punti su cinquanta!
Ah, patetici. Credevano davvero di metterci a nostro agio, così?!
-No, non esagererò - avevo sorriso, ripetendo il saluto - 10 minuti sono anche troppi per me-.
Seifer ce ne aveva messi nove e quaratatré. Io puntavo ai nove minuti e trenta secondi.
La Trepe aveva sospirato, voltando il viso per guardarmi:
-Atra, credi di esserne in grado?- mi aveva chiesto, sicuramente intuendo le mie intenzioni. Avevo fatto un gesto rapido con la mano:
-Professoressa, si risparmi queste domande per i buoni a nulla- avevo sbuffato, sinceramente irritata da tutte quelle premure. Mi facevano sentire un'emerita idiota incapace.
I due insegnanti si erano scambiati un nervoso sguardo d'intesa, prima di farsi da parte per lasciarmi entrare:
-Molto bene. Buona fortuna- avevano mugugnato in coro, allungando il cronometro alla Trepe.
Avevo varcato la soglia della caverna, lasciandomi alle spalle la bianca luce del mattino e preparandomi ad affrontare la penombra rossastra davanti a me, da dove provenivano già ondate di caldo secco.
Mi ero voltata a cercare la Trepe con lo sguardo: una suggestiva penombra grigia che le investiva il volto mentre armeggiava con il cronometro per appenderselo all'interno del colletto del vestito.
-Cominciamo da...ora- aveva detto poi e subito dopo un "bip" aveva annunciato l'inizio della prova.
-Cerchi di starmi dietro prof., perché non mi fermerò ad aspettarla- l'avevo messa in guardia, prima di cominciare a correre avanti.
Seifer mi aveva detto che procedere nella caverna era facile, perché non era un labirinto.
Al Garden non interessava tanto la nostra abilità nel destreggiarci in posti particolarmente intricati, quanto testare le nostre reazioni di fronte al pericolo. Perlomeno, questo era ciò che richiedeva il tipo di prova che stavo svolgendo in quel momento.
Davanti a me il sentiero di roccia rossastra e spruzzata di una fitta polvere di carbone serpeggiava tra colonne di roccia emergenti dalla lava, sulla cui superficie aleggiava un'aura tremante di calore e fumo.
Il rumore dei miei passi affrettati e veloci non copriva totalmente il ribollire del fluido incandescente, la cui superficie si sollevava a intermittenza come spinta dal basso, a volte formando anche delle grosse bolle d'aria.
-Un bel posticino, eh?- era stata l'osservazione della Trepe appena dietro di me.
Uhm, la prof. sapeva anche cos'era una battuta!
Il caldo esalato dal magma mi investiva in ogni direzione, dato che il sentiero da noi percorso era come un ponte sopra un mare di magma fluido. Ai suoi lati sorgevano delle rocce aguzze, alcune delle quali spezzate o spruzzate dal fluido incandescente.
Non le avevo risposto, scorgendo improvvisamente un Buel sollevarsi da dietro una roccia immersa quasi completamente nella lava, un po' come un iceberg, se solo fossimo stati a Trabia.
Avevo incoccato una freccia e l'avevo semplicemente colpito senza fermarmi. Il mostro si era bloccato a metà strada mentre si avvicinava, agitandosi tutto ed emettendo un verso acuto, prima di crollare nella lava ed esserne inghiottito.
Un tremendo odore di bruciato aveva fatto arricciare il naso a me e alla Trepe, spingendoci a proseguire più velocemente.
-Mancano nove minuti e sedici secondi, Atra. Sei tranquilla?-.
Santo Hyne, la prof. aveva ricominciato con la tiritera.
"Fortunatamente" (non la definirei propriamente una fortuna, quando si sta svolgendo una prova a tempo...) due Piros erano emersi dal magma, rimbalzando proprio davanti a noi e costringendoci a fermarci per fronteggiarli.
-Ah, vediamo come te la cavi con questi!- aveva esclamato soddisfatta la Trepe, sciogliendosi la frusta dalla vita e facendola schioccare contro il terreno di fronte a noi.
-Meglio non dare troppo adito a certi palloni gonfiati- avevo borbottato in risposta, studiando le mosse dei due mostri, che somigliavano proprio a due palle arancioni con una ridicola cresta di fiamme sulla parte superiore e un paio di altrettanto inutili braccine ai lati.
Niente di più facile, davvero.
Avevo incoccato una freccia, continuando a studiare i movimenti ripetitivi dei due mostri. I Piros oscillavano qua e là, spalancando e chiudendo di colpo l'enorme bocca nel loro caratteristico ghigno intimidatorio.
Era quello che mi interessava.
In quel momento il Piros che stavo prendendo di mira aveva deciso di prendere l'iniziativa e si era avventato su di me come un proiettile.
Mi ero abbassata appena in tempo per essere solamente sfiorata dalla sua pelle rovente e ruvida, poi l'avevo cercato di nuovo con lo sguardo, non riuscendo più a trovarlo.
Improvvisamente un sibilo sulle nostre teste ci aveva messe subito sull'attenti, in tempo per vedere il mostro piombare su di noi dall'alto, la bocca spaventosamente aperta.
Avevo richiamato un Blizzard sulla freccia e poi l'avevo scagliata rapidamente contro il Piros.
Il proiettile aveva disegnato una scia azzurrina e i pochi granelli di neve formatisi si erano subito dissolti in vapore a contatto con l'aria rovente della caverna.
La freccia invece era rimasta congelata e si era conficcata precisamente nella bocca spalacata del Piros, che era imploso a un soffio dalla mia faccia sollevata verso l'alto, facendomi cadere addosso una sottile pioggerellina di scintille.
Il secondo Piros aveva scagliato prontamente un Fire diretto alla Trepe, che aveva finto di non avere il controincantesimo.
La fiammata si era schiantata con un rombo secco contro il Shell che avevo sollevato per proteggerla e a quel punto la prof. si era decisa a evocare un maledetto Blizzard per far fuori anche quel Piros abbattendogli un enorme blocco di ghiaccio "in testa".
-Ottimo lavoro, Atra - si era congratulata la Trepe - Vogliamo proseguire?-.
-Ovvio. Abbiamo perso anche fin troppo tempo in divertimenti- avevo replicato seccata, riprendendo la corsa.
-Tutta suo fratello- era stato il commento rassegnato della Trepe, seguito poi dal rumore dei suoi tacchi sulla roccia sotto i nostri piedi.
In quel momento eravamo passate davanti a una Fonte Energetica da cui era possibile assimilare un po' di Fire: io l'avevo ignorata e questo non era sfuggito alla prof.:
-Quindi non ti fermi ad assimilare della magia utile?- mi aveva domandato con il tono tipico delle domande trabocchetto.
Avevo continuato a guardare davanti a me mentre le rispondevo:
-A meno che non sia una magia veramente potente, no. In questo caso non mi serve, quindi la ignoro-.
La Trepe aveva fatto un verso di convinzione, proprio nel momento in cui giungevamo in vista di una specie di isolotto nella lava, al cui centro si apriva la voragine circolare abitata da Ifrid, raggiungibile attraverso uno stretto ponte. Tutt'intorno all'isola sorgevano delle rocce appuntite e allungate, inclinate verso la voragine.
Ricordo che mi avevano dato l'impressione di un tetto di capanna, un particolare che rendeva quel posto più simile a una casa concepita in termini umani.
Dietro la roccia posizionata più a nord della voragine, un altro sentiero serpeggiava verso la fine della caverna, portando a un'uscita di emergenza utilizzata nel caso estremo in cui Ifrid avesse avuto la meglio su uno studente.
Io e la prof. eravamo state costrette a procedere in fila indiana sul sentiero e in quel momento la Trepe mi aveva detto:
-Finora sei stata all'altezza di Seifer, se non più brava. Sai, lui aveva assimilato dalla fonte...-.
Ovvio, quel curiosone era dovuto andare a ficcanasare anche lì...e poi lui adora le magie di elemento Fuoco, quindi figurarsi se non se ne riempiva le tasche.
Non le avevo risposto, perché in quel momento mi serviva concentrazione.
Sotto il gorgogliare della lava sentivo un'elettricità familiare che attraversava l'aria fino a sfiorarmi la pelle, facendola accapponare anche con quaranta gradi.
-Stai bene?- mi aveva domandato la prof., mentre io socchiudevo gli occhi inebriata dalla potenza del G.F.
Ifrid era un Guardian Force di livello intermedio, quindi non era potente come il mio Leviathan, ma era comunque una creatura di tutto rispetto.
Non sapevo ancora perché, ma potevo sentire persino tra la lingua e il palato quell'elettricità, quell'agrodolce retrogusto di energia pura.
-Sembra tutto tranquillo...- aveva mormorato la Trepe guardandosi intorno, una volta giunte sul bordo della voragine.
Ovviamente la sfiga ci sente benissimo e ha una predilezione particolare per queste frasi e per le persone ignare delle loro conseguenze.
Fatto sta che Ifrid aveva scelto proprio quel momento per fare la sua entrata spettacolare, emergendo con un salto dalla voragine e rimanendo sospeso a mezz'aria per guardarmi con i suoi occhietti giallognoli.
-UH, COSA ABBIAMO QUI OGGI? - aveva ruggito, stringendo i pugni - UNA DONNA! COSA MAI PUO' FARMI UNA DONNA?!-.
-La tua prova comincia ora, Atra. Concentrati: hai otto minuti per batterlo- mi aveva mormorato la Trepe, ma io ero già uscita dai gangheri:
-Cosa può farti una donna?! Ti darò tante di quelle legnate che ti metterai a piangere, razza di maschilista che non sei altro!- avevo sbraitato, sollevando l'arco con gesto eloquente.
-BENE, ALLORA- aveva concesso Ifrit, con un verso che somigliava maledettamente a una risata canzonatoria.
Ovviamente in quel momento non era cosciente di quello che avrebbe subito dopo, altrimenti credo che sarebbe stato più cortese.
E sicuramente non ci avrebbe trovato granchè di divertente.
Avevo stretto gli occhi, stringendo le dita attorno all'arco e sfiorandone la corda con il pollice, mentre la Trepe faceva un passo indietro per farmi spazio, la presa ben salda sull'impugnatura della sua frusta.
Il mio sguardo era tornato sul G.F., che nel frattempo si era posizionato davanti a noi dopo aver toccato terra in modo stranamente leggero e aggraziato per la sua stazza.
I muscoli sembravano scolpiti nella pelle bruna e a ogni movimento della creatura si tendevano di scatto, incidendo profonde linee nella carne.
Il collo era circondato da una folta criniera scarlatta che oscillava al calore esalato dalla sua pelle quasi a imitare la danza di una fiamma, sfiorando le lunghe corna viola che si ripartivano da dietro le sue orecchie, appuntite e ornate da orecchini ad anello, e attorcigliandosi attorno ai loro spigoli affilati e irregolari.
La stessa peluria ricopriva i gomiti, i polpacci, i fianchi e il basso ventre, risalendo poi dal petto fino al mento.
I larghi polsi erano ornati da bracciali dorati a fascia alta, entrambi riportanti la stessa incisione, i quali scivolavano lungo le braccia possenti seguendo i loro movimenti.
Beh, Ifrid poteva anche avere lo stile da "bad boy" che mi piaceva tanto, ma gli avrei dato comunque le mazzate che gli spettavano.
A questo proposito, Leviathan si era svegliato proprio in quel momento per avere uno spasmo di eccitazione che mi aveva riportato sull'attenti.
Ah no - avevo pensato immediatamente - Scordatelo: questo è mio, Leviathan.
È per questo che io e il mio G.F. andiamo così d'accordo: siamo sempre pronti a gettarci nella battaglia del secolo!
Ma quella volta mi era toccato metterlo a cuccia: non era una buona idea far fare il lavoro ai G.F. durante un esame...
Il mio Guardian Force mi aveva trasmesso un impulso offeso, prima di rintanarsi docilmente in un angolo della mia mente.
Tuttavia, poco dopo avevo sentito la Junction rinvigorirsi e investirmi il corpo con una scarica di adrenalina: i nervi si erano tesi subito, vibrando come corde prima di acquisire fermezza; i muscoli avevano avuto uno scatto e i movimenti si erano fatti più sciolti.
Avevo scrocchiato il collo, mentre le mie labbra si incurvavano in un sorriso spontaneo.
Ormai anche guardando la figura imponente di Ifrid non provavo più niente.
Ero pronta.
Avevo subito sollevato una mano per richiamare un Blizzard: sopra la testa di Ifrid si era formata una nebbiolina bianca e rarefatta che si era velocemente condensata e solidificata in un enorme e squadrato blocco di ghiaccio, sulla cui superficie irregolare scorrevano già alcune gocce d'acqua, segno che il clima era troppo caldo persino per la più pura magia di elemento Gelo.
Il pezzo di ghiaccio era rimasto sospeso sopra il capo di Ifrid, impegnato a preparare un attacco particolarmente rovente per prendersi la briga di guardare un attimo in alto, fino a quando io avevo trattenuto la magia.
Poi avevo abbassato il braccio per tendere una freccia contro la corda e scagliarla contro il blocco di ghiaccio, colpendolo proprio al centro mentre stava precipitando.
Una ragnatela di crepe e fessure si era ramificata con uno scricchiolio dal punto in cui l'asta e il piumaggio del mio proiettile emergevano dalla superficie del blocco.
A quel punto Ifrid era stato costretto a sollevare il muso, spalancando le fauci zannute proprio nel momento in cui una pioggia di grossi pezzi ghiacciati simili a frammenti di vetro gli era piombata addosso, tintinnando.
-È TUTTO QUI QUELLO CHE SAI FARE, DONNA?- aveva ruggito la creatura con tono canzonatorio, mentre il ghiaccio scivolava via in rivoli d'acqua sulla sua pelle ed evaporava immediatamente a contatto con le fiamme che cominciavano a rivestirla. Avevo ridacchiato, intercettando con lo sguardo un oggetto dalla forma allungata e appuntita che era precipitato rimbalzando ai piedi del G.F. proprio in quel momento.
-Non qui - avevo precisato, sollevando la mano che non teneva l'arco e muovendone le dita - ma - avevo concluso, schioccandole subito dopo.
Il secondo Blizzard che avevo lanciato sulla freccia prima di scagliarla si era liberato dall'arma proprio in quel momento, prendendo subito la forma di un crepitante turbine di ghiaccio e neve che aveva investito prima le gambe e poi l'intero corpo del G.F., sul cui viso si era dipinta una smorfia sorpresa e rabbiosa.
Avevo guardato con la coda nell'occhio il viso della Trepe, contratto in una smorfia di puro stupore. E ne aveva ben donde!
Davanti a noi Ifrid era racchiuso in un enorme e trasparente blocco di ghiaccio: la sua pelle aveva assunto una curiosa sfumatura bluastra e il respiro attorno alla sua bocca si era congelato in una nuvoletta densa e scintillante, mentre le fiamme attorno alle mani si erano dissolte in un fumo nerastro che aveva creato una macchia scura sulla parete interna della nuova casa di quel G.F. maschilista.
Mi ero voltata con un soffio sprezzante, rimettendomi lentamente l'arco a tracolla:
-Se secondo lei dieci secondi sono un risultato troppo poco credibile, la autorizzo a scrivere che ce ne ho messi trenta- avevo sbuffato, rivolta alla Trepe.
La prof. si era riscossa grazie alle mie parole e aveva sollevato una mano a sfiorarsi la bocca:
-Se non l'avessi visto non ci crederei...- aveva mormorato.
Non mi ero nemmeno voltata a risponderle e avevo lasciato vagare lo sguardo sul mare di lava che si perdeva a vista d'occhio attorno a noi, fino a incontrare le buie pareti della caverna, il cui profilo era appena disegnato dal bagliore del fuoco liquido sottostante.
Avevo respirato profondamente per evitare di sprizzare soddisfazione da tutti i pori, mentre mi decidevo a rispondere:
-E va bene: scriva quello che vuole, ma non vada al di sopra del minuto - avevo concesso con un gesto della mano - Non è colpa mia se Ifrid oggi non aveva...fatto riscaldamento- avevo ridacchiato poi.
In quello stesso momento un forte schianto era risuonato alle mie spalle e mi ero voltata in tempo per vedere quel maledetto G.F. liberarsi con uno strattone dalla sua prigione di ghiaccio e scrollarsi di dosso la polvere congelata rimasta posata sulla sua criniera.
-NON E' ANCORA FINITA, DANNATA UMANA!- aveva ringhiato puntandomi un artiglio contro, mentre dei frammenti di ghiaccio affilati come coltelli stavano sibilando nell'aria, diretti proprio verso di me.



Saaaaaaalve a tutti!
Vi avevo detto che il prossimo ricordo sarebbe stato una sorpresa e questo è solo un assaggio. Ma non preoccupatevi, lo scontro è rimandato solo di un giorno: domani avrete la battaglia fra Atra e Ifrid parallelamente al capitolo de "Il legame del sangue"!
Falsa partenza insomma (lo so che sono cattiva, ma...avete visto quanto diamine ho scritto?!), ma non per molto, dai! Domani facciamo fuoco e fiamme (perdonatemi la battuta infelice)!
Chiedo perdono per la lunghezza del ricordo, ma la situazione non è facile da descrivere in poche pagine e sapete che io piuttosto che non essere esaustiva (ed esaperante! nd Atra) preferisco tagliare e prendermela con calma.
Detto questo, vi aspetto domani se vorrete scoprire come Atra farà la pelle a Ifrid!
Ciao!

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Capitolo 11
*** La Caverna di Fuoco #2. ***


Parte #2.

NON E' ANCORA FINITA, DANNATA UMANA
!- aveva ringhiato puntandomi un artiglio contro, mentre dei frammenti di ghiaccio affilati come coltelli stavano sibilando nell'aria, diretti proprio verso di me.
Nel momento in cui mi stavo voltando, una delle schegge mi aveva trapassato il tessuto della camicia sulla spalla destra, graffiandomi superficialmente la pelle sottostante.
Ne avevo schivata un'altra diretta proprio alla fronte abbassandomi all'ultimo minuto, per scoprire che ne stavano arrivando una dietro l'altra altre tre più piccole, ma alla mia stessa altezza e veloci come proiettili.
Dato che era impossibile per me schivarle tutte, avevo istintivamente scagliato uno Slow per rallentarne anche se di poco il movimento, mentre pensavo a come toglierle di mezzo.
Uno Shell o un Protect erano impensabili: non avrebbero retto a quel tipo di attacco, il primo perché i frammenti di ghiaccio erano estremamente affilati e appuntiti, il secondo perché si trattava di proiettili elementali.
Non mi restava altro da fare che scioglierli, ma...non avevo nessun Fire con me! Non credevo che mi sarebbero serviti per quella prova.
Il mio sguardo era saettato affannosamente dalla Trepe, che in quel momento aveva schivato per un soffio un poderoso pugno da parte del G.F., a Ifrid stesso, rianimato da una nuova energia...o semplicemente tornato in sé dopo la mia sorpresina.
Intanto i proiettili di ghiaccio si stavano avvicinando e io non sapevo dove rimediare un Fire.
In quel momento Ifrid ne aveva scagliato proprio uno contro la Trepe, che si era riparata dietro a uno Shell, prima di contrattaccare con la frusta senza causare danni consistenti al G.F.
Una lampadina si era accesa nella mia testa e mi ero anche maledetta nella mia mente: certo che ero proprio un'idiota!
Avevo allungato una mano davanti a me, mentre la prima scheggia era così vicina che potevo vederne le incrinature della superficie e le venature del ghiaccio, concentrandomi poi per percepire la magia racchiusa in Ifrid.
Il G.F. era così impegnato nel combattimento da non accorgersi del fatto che io gli stessi frugando nella riserva magica...fino al momento in cui gli avevo sottratto qualche Fire.
Il suo ruggito infuriato non mi aveva distratta e avevo subito scagliato la magia appena Assimilata, nel momento stesso in cui il primo frammento ghiacciato mi aveva sfiorato la punta dell'indice.
La scheggia di ghiaccio si era dissolta in una cascatella d'acqua, immediatamente attraversata dal secondo frammento, contro cui avevo scagliato un altro Fire.
Il terzo pezzo affilato era leggermente spostato a sinistra rispetto agli altri due, quindi mi ero inclinata in avanti di poco per colpirlo da sotto con l'ennesima fiammata.
Liberatami di tutti i proiettili ghiacciati, mi ero rialzata in piedi sulla roccia bagnata, in tempo per vedere la Trepe in seria difficoltà contro un Ifrid stranamente più forte del solito.
La mia solita sfiga - avevo pensato prima di incoccare una freccia e scagliarla verso la spalla della creatura.
La sua pelle coriacea aveva resistito alla perfezione e il mio proiettile era rimbalzato ridicolmente contro di essa per poi finire a terra accompagnato dal patetico tintinnio della punta di metallo.
-TOCCA A ME RIDERE ADESSO, UMANA!- aveva ringhiato Ifrid, allargando le braccia e stringendo gli artigli a pugno. Tra le sue dita erano comparse alcune fiamme, che erano sgusciate in una morbida carezza fino ai suoi gomiti, proiettando un riflesso rossastro sui suoi lucidi pettorali.
Il fuoco aveva preso la forma di due enormi sfere rotanti, che si erano sollevate in aria con un rombo a un gesto del G.F.
-VIENI ALL'INFERNO!- aveva ruggito, le braccia sollevate e la criniera che gli si era sollevata attorno al collo per effetto del calore prodotto dal fuoco fra i suoi artigli.
Avevo stretto gli occhi, mentre una miriade di scintille rosse volava in tutte le direzioni e il fumo diventava sempre più nero e denso.
-Uhm, mi spiace rifiutare ma non mi è mai piaciuta la sauna- avevo replicato con una smorfia, sollevando l'arco e preparandomi a difendermi.
Ifrid aveva ruggito una risata:
-SEI DIVERTENTE, MA ORA NON SCHERZIAMO PIU'- era stata la sua risposta, prima di scagliarmi addosso entrambe le sfere infuocate, le cui traiettorie si erano incrociate prima di schizzarmi addosso per colpirmi da direzioni diverse, lasciando una scia di faville e spirali di fumo.
La Trepe dietro di lui aveva avuto un sussulto, prima di stringere i pugni e scrutare attentamente ogni mio movimento.
La mia prova.
Avevo scagliato l'ennesimo Blizzard, ma stavolta sull'arco. Il ghiaccio si era adagiato come un velo sopra la mia arma formando una spessa lastra azzurrina, dietro la quale mi ero riparata come se fosse stato uno scudo. Poi avevo fatto una mezza piroetta a destra per scontrarmi con la prima sfera infuocata, che si era schiantata sul ghiaccio con un rombo la cui violenza mi aveva trasferito il contraccolpo fino alle braccia.
Lo scudo si era sciolto rapidamente, contrastando il primo attacco.
Ma dietro di me stava arrivando la seconda sfera!
Con le mani ancora gocciolanti d'acqua, avevo scagliato una freccia su cui avevo lanciato un altro Blizzard. Il proiettile ghiacciato aveva disegnato una traiettoria leggermente curva, prima di centrare in pieno la sfera infuocata, che si era arrestata in aria e aveva cominciato a congelarsi con un crepitio che aveva sovrastato il rombo infuriato delle fiamme fino a estinguerlo rapidamente.
Mentre la sfera si trasformava lentamente in ghiaccio, avevo sguainato il pugnale e l'avevo afferrato saldamente. Avevo adocchiato una roccia della giusta altezza appena dietro di me e mi ci ero posizionata davanti, sotto gli occhi sospettosi e sorpresi del G.F., che si era messo subito sulla difensiva.
-Giochiamo a bowling, Ifrid? - avevo ridacchiato, sfiorando con la punta di un piede la base della pietra - Comincio io-.
Avevo evocato un Levita che mi permettesse di salire velocemente sulla roccia all'indietro e in quel momento Ifrid aveva capito cosa mi passasse per la testa: infatti era scattato subito in avanti con il pugno proteso e pronto a togliere di mezzo la sfera ormai quasi completamente ghiacciata e solida, nonostante le profonde crepe che creavano un'ombreggiatura blu scuro al suo interno.
Mi ero data una spinta in avanti con il piede e avevo saltato per raggiungerla prima di lui. Una volta a mezz'aria, avevo scagliato il pugnale più forte che potevo, aiutandomi anche con un Aero evocato subito dopo.
La lama era volata come una scheggia, anche perché sospinta dal soffio di vento che avevo richiamato, fino a conficcarsi nel ghiaccio con un impatto tale da trascinarlo con sé nella sua corsa, portandolo a schiantarsi sul muso di Ifrid.
-Strike!- avevo esultato, mentre toccavo terra e posavo la punta delle dita sotto di me per non sbilanciarmi in avanti.
Ifrid era volato per alcuni metri prima di schiantarsi contro una roccia, che si era spaccata in due ed era franata nella lava.
Il G.F. invece era semplicemente caduto violentemente a terra, creando una crepa nella pietra sotto di lui.
Intanto il mio pugnale era rimbalzato all'indietro, cadendo tintinnando a pochi passi dai piedi della Trepe, che si era affrettata a calciarlo verso di me.
-Ti arrendi?- gli avevo domandato dopo averlo raccolto, scostandomi poi i capelli dalla fronte e posandomi una mano sul fianco.
Per tutta risposta il G.F. aveva scrollato forte il capo per liberarsi della polvere di roccia che gli si era posata addosso, prima di ringhiare e avventarsi su di me con tutta la sua mole senza un minimo di preavviso.
-Eh, ma allora sei stronzo- lo avevo apostrofato nervosamente, vedendomelo arrivare addosso con nuovamente delle fiamme fra gli artigli.
Avevo schivato il primo pugno accovacciandomi a terra, per poi rotolare via quando il secondo si era abbattuto sulla roccia che era sotto di me appena un secondo prima. Mi ero rimessa in piedi in tempo per evitare con un salto una spazzata a terra, prima di essere colpita da un calcio rotante a mezz'aria.
Il colpo mi aveva scaraventata contro una roccia appena dietro la Trepe ed io avevo evitato il peggio evocando in tempo un Protect per proteggermi dal tremendo impatto, che comunque non era stato certo morbido.
-Atra, mancano due minuti. Te l'avevo de...- aveva cominciato la prof. avvicinandomisi, prima che io mi rialzassi schiumante di rabbia e la incenerissi con lo sguardo:
-Si tolga di mezzo e mi lasci combattere!- l'avevo rimbrottata seccamente, notando appena la pelle delle braccia e delle gambe seriamente scorticata quasi a sangue.
La Trepe si era limitata a sospirare, evocando poi un'Energia per permettere alla pelle di rimarginarsi. Solo percependo il freddo tocco della magia che mi risanava le sbucciature mi ero accorta del fatto che mi ero ferita, anche se superficialmente. Inoltre una leggera scossa al fianco mi aveva avvisato che Ifrid non c'era andato affatto piano con il suo calcio.
Nel momento in cui prendevo coscienza delle mie ammaccature, la Junction si era riattivata, prosciugando Leviathan delle ultime energie e rinvigorendo invece completamente il mio corpo.
Grazie, Leviathan - avevo pensato, scuotendo la testa e riacquistando la  concentrazione.
-Non è finita, Ifrid! - avevo ringhiato in direzione del G.F., che si era comodamente seduto a mezz'aria sopra la sua voragine - Non è ancora ora di stare in panciolle!- avevo ridacchiato, preparando un'altra freccia.
La creatura si era riscossa subito:
-NON NE HAI ANCORA ABBASTANZA, UMANA?- aveva ruggito divertito, saettando in aria e avvicinandosi velocemente a me con entrambi gli artigli protesi in avanti.
-Non mi arrendo facilmente, sappilo- avevo replicato, schivando il suo doppio pugno e passandogli sotto le gambe prima che queste toccassero terra.
Ifrid mi aveva scagliato un Fire mentre si voltava e io avevo contrattaccato con Blizzard, che aveva ridotto le fiamme a una lastra irregolare e sottile di ghiaccio, attraverso cui vedevo distorta l'immagine del mio avversario.
-Uhm, arte astratta?- avevo ironizzato, nel momento stesso in cui il G.F. si gettava contro le fiamme congelate per raggiungermi. Il rumore tintinnante del ghiaccio che si frantumava come vetro aveva coperto la mia voce che evocava un Levita. Così Ifrid si era trovato davanti al niente, mentre io volteggiavo tranquillamente sopra di lui.
-Sono qui, tonto- l'avevo canzonato, prima di lasciarmi cadere a precipizio sopra di lui e scagliargli addosso il pugnale, potenziato del solito Blizzard.
Ifrid mi aveva scrollata via come se fossi stata una semplice pulce e solo un Levita tempestivamente invocato dalla Trepe mi aveva impedito di finire nella lava. Ero atterrata in cima a una roccia, da dove avevo osservato il G.F. strapparsi dalla spalla il mio pugnale, che gli aveva lasciato una ferita profonda dai bordi bluastri e bianchi, e lanciarmelo a una velocità doppia rispetto alla mia.
Il pugnale si era conficcato nella pietra sotto di me, facendola franare all'indietro nella lava. Ero riuscita a saltare prontamente in avanti, mentre la roccia sotto di me cedeva.
Il mio coltello era rimasto conficcato nella pietra e io l'avevo disincastrato con uno strattone allungando le mani dietro di me e afferrando al volo l'impugnatura, sfruttando la velocità della caduta.
Ero atterrata davanti al G.F. con un ginocchio poggiato e l'altra gamba tesa di lato, ansimante per l'adrenalina e la rapidità con cui avevo agito; Ifrid aveva ovviamente colto l'occasione per non darmi tregua e scagliarmisi nuovamente addosso.
Ero riuscita a schivare solo il primo pugno, prima di essere nuovamente colpita da un montante e spedita verso l'alto. Ero atterrata su una sporgenza della roccia a destra di quella più a nord della voragine, aiutata sempre dal solito Levita richiamato dalla Trepe. Fortunatamente non avevo battuto la testa, perché quella volta non avevo fatto in tempo a proteggermi con un Protect. Ero comunque abbastanza stordita, ma questo non mi aveva impedito di accorgermi che Ifrid si era sollevato in aria per venire a darmi il colpo di grazia.
Arrivato a metà strada, aveva scagliato un'altra sfera di fuoco, che era saettata verso di me con la velocità di una freccia.
Non mi arrendo tanto facilmente.
Avevo incoccato una freccia, mentre un'ultima risorsa mi era balenata nella mente. Se non avesse funzionato quello...
Avevo battuto gli occhi per scacciare dalla testa qualsiasi dubbio di fallimento e mi ero presa alcuni secondi preziosi per prendere la mira, respirando profondamente e cercando di non notare la sfera incandescente che si stava avvicinando pericolosamente a me.
Forse quello è stato davvero il tiro più difficile che io abbia mai tentato.
La mia freccia era partita con un sonoro schiocco della corda e aveva oltrepassato sibilando la sfera infiammata, sfiorandola solo sul lato destro.
Ifrid aveva soffiato una risata, credendo che avessi mancato il bersaglio.
Peccato che io non manco mai il mio bersaglio.
La freccia aveva centrato perfettamente l'orecchino ad anello portato all'orecchino sinistro del G.F., trascinandolo all'indietro con sé e conficcandosi nella roccia appena dietro di lui.
Ifrid si era trovato limitato nei movimenti e questo mi era bastato per attuare la seconda parte del piano.
Nel momento stesso in cui la sfera infuocata si era schiantata sulla roccia sotto i miei piedi, avevo evocato un Levita e mi ero sollevata in aria per sfuggire all'impatto.
Come avevo sperato, un grosso blocco di roccia era franato in avanti, dato che la sfera aveva colpito la pietra proprio nel mezzo.
Mi ero gettata su di esso e l'avevo raggiunto prima che si frantumasse a terra, toccandolo con una mano ed evocando nel contempo un Blizzard.
La roccia si era ghiacciata istantaneamente, coprendosi di una lastra bianca e dotata di aguzzi spuntoni che aveva divorato la pietra con un crepitio.
Avevo frenato definitivamente la caduta del pietrone scagliandogli contro un Levita e poi l'avevo spedito con il controllo mentale che la magia mi consentiva in direzione di Ifrid, ancora imprigionato contro la roccia.
Il grosso pezzo di pietra e ghiaccio si era schiantato sul corpo del G.F., che era caduto a terra, seppellito dalla roccia appena dietro di lui che gli era franata addosso.
-Ri-strike! - avevo esultato, poggiando i piedi a terra e osservandomi contrariata le mani scorticate - Allora, cosa vuoi fare?-.
Ifrid era emerso completamente illeso dai mille pezzi di roccia e ghiaccio cadutigli addosso e aveva sbuffato:
-MI ARRENDO, UMANA. SEI FORTE! MA NON TI POSSO NE' VOGLIO SCEGLIERE COME MIA PADRONA-.
Ma chi ti vuole?! - avevo pensato, sdegnata e indispettita dal fatto che fosse ancora in piedi.
Sicuramente la sua antipatia nei miei confronti era reciproca: era solo un pallone gonfiato e in quel momento avevo capito il motivo per cui lui e il gallinaccio erano si erano piaciuti così tanto.
Ma d'altro canto, la prova non richiedeva di diventare amici per la pelle di quel bestione, ma solo di riempirlo di mazzate e io l'avevo fatto.
Un sorriso mi aveva incurvato le labbra, mentre mi voltavo a guardare la Trepe, tirando un angolo delle labbra con aria eloquente.
La prof. aveva sollevato le sopracciglia, prima di annuire e controllare il proprio cronometro:
-Nove minuti e trentuno secondi. Complimenti, Atra: hai superato brillantemente la prova-.

***

-NOVE E TRENTUNO?! NO, NON POSSO CREDERCI!-.
Avevo ridacchiato, dando una pacca sulla spalla a mio fratello e godendomi l'espressione sinceramente stupita dipinta sulla sua faccia.
Eravamo nella Hall a leggere i risultati delle prove della settimana scritti su un foglio affisso appena sopra la mappa del primo piano del Garden.
Accanto al mio nome e al numero di matricola c'era la scritta AMMESSA e il punteggio che avevo totalizzato.
Praticamente avevo ottenuto il massimo quasi in tutte le credenziali, tranne che in "disciplina" (maledetta Trepe, gliel'avrei fatta pagare!) e "condotta" (credo sia stato per il piccolo bisticcio avuto con gli insegnanti).
-Te l'avevo detto di stare tranquilla: la Trepe è impossibile- aveva sospirato poi Seifer, picchiettando il dito sul voto di "Disciplina". Avevo alzato gli occhi al cielo:
-Se l'avessi saputo le avrei lanciato un Novox prima di cominciare-.
-Seh, così non ti avrebbe nemmeno ammessa!- aveva sghignazzato Raijin dietro di me. Mi ero voltata di scatto:
-Tu taci, che la battuta non fa ridere- avevo sibilato. Fujin accanto allo scimmione era impallidita:
-B-BRAVA!- aveva balbettato, con delle difficoltà ancora più consistenti nello spiccicare quella misera parola.
Ah, aveva paura?! Patetica.
-Comunque non posso credere che tu mi abbia battuto- aveva commentato Seifer mentre ci avviavamo a lezione, una volta salutati i due cagnolini, che se n'erano andati a orecchie basse e coda ferma: proprio come li volevo io.
Avevo sollevato il mento, scostandomi l'ennesima ciocca ribelle dalla fronte:
-L'allieva che supera il maestro, Seifer. Facci l'abitudine- avevo detto perfidamente, incassando con un occhiolino la sua occhiataccia.
Nel momento in cui eravamo entrati in classe avevamo visto Zell in piedi con i pugni stretti e l'aria decisamente alterata.
Mio fratello aveva tirato le labbra in un sorriso divertito ed era stato subito raggiunto dalla mia gomitata di avvertimento.
-Chi? Chi ha ridotto così il mio G.F.?! Se lo piglio...- stava sbraitando Zell, portandosi i pugni davanti al viso.
-Ehi gallinaccio, c'è qualche problema?- aveva detto Seifer, sollevando il mento con la sua solita aria strafottente. L'avevo seguito di buon grado: ah, mi sarei divertita un mondo!
Zell si era voltato, diventando rosso come un peperone per la rabbia:
-Seifer, non mettertici anche tu! Qualcuno questa settimana ci è andato pesante con il mio G.F. e appena scopro chi è lo faccio nero!- aveva strillato con il suo tono da...gallo, maledizione, sembrava proprio un gallo!
Mi ero attorcigliata una ciocca di capelli attorno al dito:
-Uhm, Seifer...glielo spieghi tu?- avevo chiesto innocentemente a mio fratello, che aveva sfoderato un ghigno divertito e mi aveva fatto un gesto galante:
-Fai tu, sorellina. Mi divertirò di più a stare a guardare- aveva ridacchiato, superando poi Zell e stravaccandosi sul suo banco.
-Spiegare cosa?- mi aveva chiesto confuso il gallinaccio. Io avevo sorriso:
-Che non puoi far nero il responsabile - avevo risposto semplicemente, per poi allargare il sorriso quando lui aveva sollevato le sopracciglia ancora più perplesso - Perché io sono già nera di capelli, vedi?- avevo detto, sollevando le dita che stringevano una ciocca di ricci e mostrandogliela.
Zell era impallidito, mentre in classe era sceso un silenzio tombale:
-Sei...sei stata tu?- mi aveva chiesto, cambiando letteralmente atteggiamento.
Il silenzio era stato rotto dalle risatine soffocate di mio fratello e dai sospiri scocciati di Squall, seduto dietro a Seifer, mentre io annuivo in silenzio sempre più divertita.
Zell era impallidito ancora di più e allora io gli avevo chiesto tranquillamente:
-Allora, cosa hai detto che avresti fatto al responsabile? Ora che l'hai trovato sarai molto arrabbiato, no?-.
In quel momento era entrata la Trepe, che aveva squadrato me e Zell con aria critica, prima di battere le mani:
-Ehi, cos'è tutta questa tensione? Almasy, Dincht...c'è qualche problema?- ci aveva domandato, sbattendo i libri sulla scrivania. Avevo lanciato uno sguardo di fuoco a Zell mentre rispondevo alla prof.:
-Nessuno. Stavo dando qualche consiglio a Dincht su come educare il proprio G.F., a partire dal suo proprietario- avevo detto, sottolineando a dovere le ultime parole.
Colpito e affondato. Il gallinaccio se n'era tornato al banco con la faccia da pesce...pardon, da pollo lesso.



Eccoci qua, anche questo ricordo è finito!
Spero di aver descritto una bella battaglia: forse è diversa dalle solite, l'ho condita con qualche effetto speciale in più, anche se ho cercato di non renderla assurda.
Boh, ditemi voi cosa ne pensate!
Adesso credo che abbiate capito il motivo per cui ho dovuto spezzare il ricordo in due parti, ops!
Ringrazio chi arriverà alla fine di questo papiro egizio e vi do appuntamento al prossimo ricordo (più corto, più corto, lo so!) !
Ciao!

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Capitolo 12
*** Festa di compleanno ***


-Così è storto, scimmione ottuso. Ma sai almeno cosa sia la precisione?-.
-Io non sono mica un arciere come te, Atra! E, per la cronaca...-.
-Per la cronaca guarda dove metti i pie...-.
SBADARANGDRANG!
-RAZZA DI IMBECILLE!-.

Era il 22 dicembre, giorno del diciottesimo compleanno di Seifer, e io e gli altri due imbec...ehm, Fujin e Raijin avevamo pensato bene di organizzargli una piccola festa a sorpresa, con il pretesto dell'ennesima riunione del Comitato Disciplinare.
Tuttavia preparare a festa la sala insegnanti, dove di solito si svolgevano le nostre riunioni per gentile concessione del preside, con il solo aiuto di quelle due teste vuote si era rivelata un'impresa.
"Un'impresa impossibile" avevo pensato esattamente, facendo scorrere uno sguardo esasperato lungo l'intera stanza: c'erano palloncini azzurri sparsi ovunque (li aveva portati Fujin, perché l'azzurro era il colore preferito di Seifer...ma a dire la verità, data la quantità industriale, sembrava più che fosse nato un bambino), festoni sparpagliati per terra, sul tavolo e penzolanti dalle pareti, bottiglie di vino e birra accatastate su una sedia, pericolosamente vicine alla torta che avevo trafugato dalla mensa quel pomeriggio.
E poi c'era Fujin che stava cercando di incartare da un'ora e mezza il regalo per Seifer, ma a giudicare dalla forma lui avrebbe pensato che fosse più un soprammobile che un fodero per il Gunblade.
"Un disastro" avevo concluso dedicando l'ultima occhiata a Raijin, ancora con il culo ben piantato a terra e in mano uno striscione tutto spiegazzato su cui troneggiava la scritta "AUGURI LIDER!!!", seguita dalle firme di Fujin e Raijin.
Già, lider. Seriamente. Non serve dire di chi fosse stata l'idea.
-Guarda che si scrive "leader"- lo avevo corretto quando me lo aveva mostrato quel pomeriggio, senza nemmeno chiedermi se volevo firmarlo. Beh, non che chiamassi Seifer "lider", io.
-Ma taci! - aveva berciato Raijin, strappandomi di mano lo scotch e spostando con un cigolio la scala per fare quello che fanno gli scimmioni suoi simili, cioè arrampicarsi - Sempre a criticare, tu!- aveva aggiunto, cercando di liberarsi dallo scotch che, chissà come mai, non voleva collaborare con le sue mani sgraziate.
-Io mi dissocio - avevo commentato con le mani sollevate, la scala che intanto ondeggiava pericolosamente sotto il peso piuma dello scimmione - Tanto per me cadi-.
E infatti dopo soli cinque minuti Raijin si trovava esattamente nella posizione suddetta, come un perfetto...
-IMBECILLE!-.
-Fujin, tu stai zitta e cerca di dare a quel "coso" una dimensione che non sia imbarazzante - l'avevo rimbrottata, incrociando le braccia e guardando per l'ennesima volta l'orologio - Seifer sarà qui a minuti e non avete ancora finito!-.
-E tu? Tu cosa hai fatto?- mi aveva sfidata Raijin, afferrando malamente lo striscione. Avevo indicato la stanza con un gesto noncurante:
-Io ho avuto l'idea, io ho fatto i festoni, io vi ho suggerito il regalo, io ho preso la torta, io...IO TI DISTRUGGO, RAIJIN!-.
Mi ero appena resa conto del fatto che Raijin aveva mollato tutte le bottiglie proprio sopra la torta, non accanto, come avevo pensato prima.
-Io ho fatto lo striscione- si era pavoneggiato intanto lo scimmione, sporgendosi pericolosamente nel tentativo di appenderlo al lampadario.
-Si vede- avevo commentato ironica, sorvegliandolo attentamente con le mani sui fianchi.
-E tu non l'hai nemmeno firma...ops!-.
Il secondo tentativo di Raijin mi aveva praticamente fatto piombare in testa lo striscione, da cui ero riemersa rabbiosa come una vipera:
-Incapace!- avevo ringhiato, lanciandoglielo addosso oltre il tavolo.
-Provaci tu, genio!-.
-Io non appendo al soffitto il tuo schifo! Mi hai capito, sottospecie di Grendell rimbambito?- ero scoppiata, mandandolo a quel paese con una mano.
Raijin aveva allungato rabbiosamente lo striscione a Fujin, che si era arrampicata inciampando sulla scala per provare ad appenderlo, e poi mi aveva fronteggiato:
-Mi ripeti cosa hai detto, Atra?-.
-Quale parte non hai capito, tesoro?- gli avevo risposto melliflua, abbassando i toni giusto per non farmi sentire da Seifer, nel caso fosse arrivato in anticipo (il che sarebbe stato un miracolo degno di Babbo Natale, giusto per essere in tema).
-La mia definizione, professoressa- mi aveva tenuto testa lo scimmione, sicuramente approfittando del fatto che mio fratello non fosse presente.
Beh, ne avrei approfittato anche io:
-Ho detto che sei così brutto che quando vai al bagno ti mimetizzi perfettamente con i cessi e che sei così scemo da non capire nemmeno tu la differenza quando ti guardi allo specchio, hai capito adesso?- avevo risposto tranquillamente.
-Ah, questa era sottile, sorellina!-.
Porca miseria, era arrivato Seifer.
-Capo!-.
-CAP...-.
SBADARANGDRANG (la vendetta)!
-Si può sapere cosa state...-.
-AUGURIIIIII!-.
Raijin mi aveva lasciato perdere per andare a scondinzolare attorno a mio fratello, seguito da una dolorante Fujin.
Avevo lanciato un'occhiata allo striscione appeso di traverso (a quanto pare ero l'unica precisa lì dentro) e mi ero limitata a mettere la scala da parte, cercando di far sbollire l'irritazione provocata dal fatto che quei due avessero rovinato tutto, come al solito.
-Dai Atra, vieni qui!- mi aveva chiamato ridendo Seifer nel momento in cui io avevo chiuso la scala con uno schianto rabbioso. Avevo sollevato il viso per vedere mio fratello distendere le labbra nel sorriso speciale che dedica solo a me, quello che di solito fa quando siamo soli.
Beh, con Fujin e Raijin che litigavano per chi dovesse avere l'onore di dargli il regalo era praticamente come se non ci fosse stato nessun altro oltre a noi due.
-Lo so che l'idea è stata tua- mi aveva detto Seifer, il sorriso che si restringeva in una smorfia furba. Mi era sfuggita una risatina sconsolata:
-Beccata, hai vinto. Ma lo striscione non è opera mia, quindi non offenderti se non l'ho firmato- avevo borbottato, nello stesso momento in cui lo sguardo di mio fratello si posava per la prima volta sul cartellone.
-E' vero che è bello, lider?- era saltato su Raijin, distraendosi dalla sua colluttazione con Fujin, che ne aveva approfittato per strappargli il regalo dalle mani e strillare, battendosi una mano sul petto:
-APPESO!-.
Mio fratello aveva sollevato le sopracciglia, gli angoli della bocca che tremavano mentre cercava di trattenere le risate:
-Certo che è bello, diamine! Bel lavoro, ragazzi!- aveva esclamato però, dando una vigorosa pacca alla schiena del suo compare e sulla spalla dell'altra tirapiedi, tutto soddisfatto.
Avevo incrociato le braccia con uno sbuffo:
-Domani vi faccio scrivere duecento volte la parola "leader", sgrammaticati che non siete altro- avevo mugugnato, senza però trattenere un certo senso di sollievo nel vedere la sincerità sul volto di mio fratello.
Era in momenti come questi che mi sorprendevo sempre di me stessa, di quella ragazza fredda che però si preoccupava costantemente che Seifer stesse bene. Forse era stato da quando era stato bocciato al suo primo esame pratico, forse era a causa dell'avvicinarsi della mia prima prova.
Forse volevo ripagare in qualche modo tutti quegli anni che lui aveva passato a prendersi cura di me. Oppure, più semplicemente, era un comportamento tipico da sorella.

Avevamo mangiato la torta, fortunatamente non totalmente sfracellata sotto il peso delle bottiglie, che ci eravamo scolati una dopo l'altra.
Poi Seifer si era trovato fra le mani il regalo di Fujin e Raijin:
-Aprilo, dai!- aveva ululato Raijin, sventolando una bottiglia di birra vuota.
-FALLO, FALLO, FALLO!- l'aveva seguito a ruota la cantilena di Fujin, ormai ubriaca marcia.
-C-cos'è?!- aveva esclamato imbarazzato mio fratello, rigirandosi fra le mani quello che aveva tutta l'aria di essere un...
-FALLO, FALLO, FALLO!-.
-Fu' intende dire "aprilo" ma l'ha già cantilenato prima, mentre tu stappavi la bottiglia di vino...così ha cambiato- aveva spiegato imbarazzato Raijin, di fronte a un Seifer che si era praticamente pietrificato nell'atto di strappare la carta.
Quando mio fratello lo aveva scartato, rivelando il fodero per il Gunblade, lo aveva studiato con occhio critico (anche se era già ubriaco), prima di dare la sua approvazione tutto compiaciuto:
-Questo mi serviva proprio! Grazie ragazzi!-.
-Suggerito da me, quindi grazie Atra- avevo ironizzato, sventolando una mano in aria. Seifer si era voltato verso di me e mi aveva sussurrato:
-Ci ero arrivato, simpaticona-. Poi mi aveva dato un colpetto al mento con la mano, mentre io gliela trattenevo un secondo fra le mie:
-Il mio te lo do dopo...non potevo portarlo qui e poi capirai perché- avevo sorriso misteriosamente, mentre lui annuiva in silenzio, stranamente senza fare domande. Forse per una volta voleva gustarsi il piacere della sorpresa...sarebbe stata una novità per lui, che voleva sempre tutto subito.

Durante la serata mi ero riscoperta più volte a scrutare il volto di mio fratello: mentre scoppiava a ridere fragorosamente a una battuta di Raijin, mentre scrollava leggermente Fujin quando rischiava di addormentarsi, mentre lottava con me per l'ultimo pezzo di torta, mentre rovesciava la testa all'indietro per prendersi l'ultimo sorso di vino, persino mentre ingaggiava una sonora gara di rutti con Raijin.
Lo avevo osservato con i pensieri che lentamente affondavano nel torpore dell'alcol, facendosi sempre più confusi.
Lo avevo semplicemente osservato ma mi permettevo di farlo poche volte, perché a volte leggerlo mi faceva male.
Mi feriva la consapevolezza che, nonostante il nostro supporto, lui non fosse ancora riuscito a raggiungere i suoi obiettivi. Avrei voluto qualcosa di più per quel ragazzo che nessuno conosceva a fondo...eccetto noi, soprattutto me.
Ma quella sera lui era diverso, era quel Seifer che non vedevo da tanto tempo. Speravo fortemente non fosse l'alcol a darmi le allucinazioni, ma che l'allegria disordinata e terribilmente assurda di Fujin e Raijin e la mia maschera di ghiaccio leggermente allentata riuscissero a essergli di supporto contro quel mondo che lo giudicava, lo colpiva ripetutamente con insulti che piovevano come colpi di mitragliatrice, ne dipingeva a proprio piacimento il ritratto del pregiudizio.
E forse il mio regalo gli avrebbe dato la spinta sufficiente a riprendere in mano la propria vita, che, anche se non lo dava a vedere, era stata sempre più difficile dopo la prima bocciatura.
-Atra! Non fai una gara di braccio di ferro con me, prima di andare a dormire?-.
La voce squillante di Seifer mi aveva fatto trasalire: probabilmente ero scivolata in una sorta di dormiveglia, dato che di quel momento ricordo solo le mie riflessioni.
Comunque la aspettavo, la nostra solita sfida per rendere completa la serata. E avrei dovuto lasciarlo vincere quella volta solo perché era il suo compleanno?! Ma non ci avrei pensato nemmeno! Lo avrei aiutato a spuntarla sugli altri, ma mai su di me. Era questo il bello di essere fratello e sorella.
-Ci sto, ma non aspettarti di vincere-.
-E che gusto ci sarebbe?-.
Era questo il bello di essere sua sorella. Ma questo sarebbe stato difficile da tradurre in parole e io non ero brava a farlo. Dopotutto, non era ciò che mi chiedeva lui.
Non era questo che mi chiedeva lui, mentre mi prendeva la mano e mi appoggiava il gomito sul tavolo.
Mi chiedeva di essere sincera con lui, come ogni volta, come in quel momento mi chiedeva di non rendergli la sfida facile.
Quello sapevo farlo molto bene; ed era una promessa che rinnovavo ogni 22 dicembre, anche per quell'anno in cui io non ero ancora nata e non avrei mai saputo cosa fosse stato di lui.
L'avevo rinnovata tacitamente anche quella sera, stringendogli più forte la mano, senza che lui lo sapesse. Dopotutto, non c'è mai bisogno di ribadire le certezze e di quella promessa io ero certa.
Ne sono certa, sempre.
Auguri, fratellone.



Ecco come riesumare la raccolta di “Fragments”: dedicando un capitolo al compleanno di Seifer, che è oggi 22 dicembre!
Non preoccupatevi, il ricordo sarà presto legato alla storia principale e quindi non è stato inserito a caso. Ho semplicemente pensato fosse giusto che anche Atra avesse la possibilità di fare gli auguri al suo fratellone...anche se non come vorrebbe!

Siete curiosi di sapere che cosa gli ha regalato sua sorella? Tranquilli, il prossimo ricordo parlerà proprio di questo ma per leggerlo dovrete aspettare il capitolo de “Il legame del sangue” a cui è strettamente connesso.
A proposito de “Il legame del sangue”, colgo l’occasione per avvisarvi che riprenderò prestissimo a pubblicare, ora che sono in vacanza da scuola!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e intanto vi saluto! Ciaaaao!

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Capitolo 13
*** La promessa ***


-Ah, non vedo l'ora di poter andare a dormire: sono distrutto!-.
Mio fratello aveva sottolineato le sue parole con un sonoro sbadiglio e stiracchiandosi, per poi appoggiare la testa contro la parete dell'ascensore.
Eravamo di ritorno dalla festa a sorpresa che io, Fujin e Raijin avevamo organizzato per lui in occasione dei suoi diciotto anni e avevamo fatto piuttosto tardi.
Avevo evitato per un pelo il suo braccio, in pericolosa rotta di collisione con il mio mento, e lo avevo abbassato con la mano per guardarlo meglio in faccia:
-Sul serio? Allora non vuoi vedere il mio regalo?- avevo domandato, leggermente risentita. Il braccio di Seifer si era fermato a mezz'aria sotto la mia mano, prima di ruotare dietro di me e circondarmi le spalle:
-Certo che sì...era solo per dire, no?-.
-Sei ubriaco, maledizione. Vorrei che lo vedessi da lucido, è più sicuro- avevo constatato nervosa, realizzando solo in quel momento che eravamo arrivati nella Hall.
-Certo che anche tu non scherzi- aveva commentato lui con una risatina, ricevendo subito uno spintone che non l'aveva mosso di un millimetro.
-Avanti, sarai anche riuscita a battermi a braccio di ferro, ma non credi di pretendere troppo?- aveva continuato a canzonarmi, mentre ci trascinavamo verso i dormitori.
Sì, avevo vinto la sfida a braccio di ferro con lui, ma non ne ero per niente contenta.
-Mi hai lasciato vincere, scemo- lo avevo rimbeccato infatti, aggrottando le sopracciglia. In quel momento eravamo arrivati alla biforcazione del corridoio, che portava a sinistra verso il dormitorio maschile e a destra verso quello femminile; Seifer mi aveva dato una spintarella a destra e io di contro lo avevo sospinto a sinistra.
-Insomma, ti decidi?- aveva sbuffato lui quando io lo avevo fulminato con uno sguardo assassino, le braccia incrociate al petto.
-Lo vuoi questo regalo o no?- avevo sibilato in risposta.
-Scusa, credevo l'avessi in camera tua!- si era difeso lui con aria offesa.
Per tutta risposta, ero scoppiata a ridere in maniera incontrollata:
-Ma guardati, ci manca solo che scoppi a piangere come un bambino!- avevo boccheggiato, dopo essermi ripresa. Lui mi aveva squadrato con aria critica:
-Meno vino, la prossima volta- si era appuntato a bassa voce, prima che io lo sospingessi verso il dormitorio maschile:
-Taci: il regalo è in camera tua-.
-Posso chiedere come diavolo hai fatto a entrarci?-.
-Non diavolo, ma scimmione. Qualche volta sa rendersi utile anche lui- avevo risposto semplicemente, mentre Seifer riprendeva a cingermi le spalle e scuoteva in contemporanea la testa:
-Sei gravemente ubriaca, Atra- aveva constatato rassegnato, prima di fermarsi davanti alla porta della sua camera e voltarsi a guardarmi:
-Devo aspettarmi qualche strano mostro...- aveva cominciato, prima che io sbuffassi sonoramente:
-Allora?! Qui facciamo mattina!-.
-Beh, non che manchi molto...- aveva commentato Seifer con una risatina, prima di affrettarsi a girare la maniglia allungando la mano dietro di sé, una volta incrociato il mio sguardo inferocito.
Mi ero appoggiata allo stipite della porta e lo avevo osservato arretrare lentamente, lo sguardo ancora fisso nel mio e puntato sul lento sorriso che mi stava affiorando sul volto non appena avevo colto il bagliore del primo sole sul regalo di Seifer.
-Mi volto, eh- mi aveva avvisato lui, interrompendo il filo dei miei ricordi, che mi aveva portato a circa una decina di anni prima, quando la mattina del mio sesto compleanno avevo trovato sul comodino un...
-...un Gunblade-.
Avevo sbattuto le palpebre per annullare definitivamente quel ricordo e immergermi nel presente: Seifer era di spalle, in piedi davanti al letto, e le sue mani tenevano sollevato alla luce il mio regalo di compleanno per lui.
La lama del Gunblade aveva riflesso il primo sole, così come quella del mio coltello quando lui me l'aveva regalato all'età di sei anni, per poi lasciare scivolare via il raggio di luce quando mio fratello si era voltato, il viso ancora nella penombra.
-Fodero nuovo, Gunblade nuovo- avevo detto semplicemente lanciandogli la custodia, che era volata oltre la sua spalla irrigidita ed era atterrata sul letto.
Avevo stretto gli occhi per visualizzare la sua espressione, ma era ancora troppo buio, così avevo fatto qualche passo in avanti e avevo allacciato le mani dietro la schiena:
-Allora, mi dici qualcosa?- lo avevo incalzato, dopo un lungo attimo di silenzio in cui avevo colto solo il nulla assoluto sul suo viso. Seifer aveva sollevato subito gli occhi, due voragini nere nella penombra:
-Io...non so cosa dirti- aveva ammesso infine con un sussurro flebile e fioco.
Avevo inclinato la testa di lato, colpita dalla sua reazione:
-Beh...che ti piace?- avevo azzardato con un mezzo sorriso che ero sicura non potesse vedere. Seifer per tutta risposta si era voltato a posare l'arma sul letto, con un'accortezza che mi aveva fatto capire che sì, il mio regalo gli piaceva davvero. Poi si era voltato di nuovo ed era venuto velocemente accanto a me per chiudere la porta, che avevo lasciato spalancata; a quel punto la stanza risultava quasi totalmente immersa nel buio, non fosse stato per il bagliore grigiastro del mattino invernale che si andava preparando e quello del cielo nuvoloso, che si rifletteva con il suo biancore sporco sulla lama perfetta del Gunblade.
Una volta chiusa la porta, Seifer mi era passato nuovamente accanto e in quel momento la mia mano era scattata sul suo braccio per trattenerlo, in un gesto istintivo e anticipato solo da un fruscio nel silenzio della stanza.
Era stato quel contatto a far scattare mio fratello, che si era voltato altrettanto velocemente ad avvolgermi in un abbraccio che mi aveva lasciata senza fiato per la sorpresa.
Superato il momento iniziale d'impaccio, mi ero rilassata e avevo poggiato la testa sul suo petto, ascoltando sempre più stupita il suo cuore battere come un uccellino impazzito non appena lui traeva un respiro tremante, per poi rallentare a un ritmo comunque veloce a ogni sospiro successivo.
Mio fratello non parlava più, il mento poggiato sulla mia testa e una mano sulla mia schiena a trattenermi delicatamente contro di lui, come per accertarsi che non mi allontanassi...e non solo dall'abbraccio.
No, Seifer non dubitava certamente che potessi anche solo pensare di lasciarlo, ma c'erano molte altre cose in quella sua afasia, c'era tutto quello che non era in grado di dirmi a voce semplicemente perché non esistevano parole adatte per farlo, c'era ciò che non si può vedere né al buio né alla luce, ma solo nella penombra di una mattina invernale come tante altre.
In quella penombra non c'erano più Seifer e Atra, ma solo un fratello e una sorella, perché ciò che contava più del resto era il loro legame di sangue, rispetto al quale ogni altra cosa era scontata e superflua.
E subito dopo in quella penombra non c'erano più un fratello e una sorella, ma Seifer e Atra, che parlavano un linguaggio solo e soltanto loro, che ascoltavano l'uno il respiro dell'altra quasi lo sentissero per la prima volta, associandolo al sottofondo senza nome che aveva accompagnato tutta la loro vita, che probabilmente avrebbero conservato per sempre quel ricordo da qualche parte nella loro memoria.
Io me lo ero ripromessa in quel momento. Mi ero ripromessa di tenere quel ricordo da parte per i momenti peggiori della mia vita, per quei momenti in cui avrei avuto bisogno di guardare indietro per sapere da dove provenivo, per quei momenti in cui i dubbi sarebbero stati più forti delle certezze e per quei momenti in cui la solitudine si sarebbe fatta insopportabile.
Perché noi Almasy siamo duri come pietre e freddi come ghiaccio, ma siamo carne e anima come tutti gli umani e anche noi ci imbattiamo in momenti che vorremmo facilmente evitare e da cui ci difendiamo a colpi di contegno, sfrontatezza, spavalderia. Il nostro segreto è che questo non ci basta, perciò ci appoggiamo l'uno all'altra e ci diamo una mano a vicenda; ma quando ciò non è possibile concretamente, ecco che sovvengono i ricordi più importanti a rammentarci chi siamo e dove vogliamo andare, a rammentarci che noi ci possiamo salvare da soli proprio perché non siamo soli.
Per Seifer sarebbe stato facile ricordarsi di quel momento: la prova giaceva ancora immobile sul suo letto e sarebbe stata la sua fida compagna per tutta la vita, esattamente come...
-Atra?-.
Avevo sussultato leggermente e avevo tentato di sciogliere l'abbraccio, ma le mani di mio fratello si erano posate sulle mie spalle per trattenermi:
-Aspetta. Ho qualcosa da dirti-.
La sua voce mi aveva fatta tornare di nuovo al mio posto, contro il suo petto. Lì avevo potuto sentirlo contrarsi, mentre lui prendeva fiato per parlare:
-Il tuo regalo significa molto per me. E so che è lo stesso per te-.
Certo che lo sapeva, lo aveva capito perfettamente. Non serviva dirgli che quel regalo era la promessa che sarei rimasta sempre accanto a lui, per aiutarlo a combattere i suoi nemici, i pregiudizi, chiunque gli avesse dato fastidio.
Non serviva dirgli che anche io, come quel Gunblade, avrei abbattuto per lui ogni ostacolo alla sua felicità.
Ma non serviva nemmeno dirgli che non ero disposta a mentirgli, che, a differenza di quell'arma, io ero manovrata da una volontà diversa dalla sua, come era giusto che fosse.
Non serviva nulla di tutto questo e Seifer lo sapeva, perché non aveva atteso una mia risposta e aveva proseguito:
-Parlare di promesse mi rende sempre inquieto, perché sembrano anticipare sempre la fine di qualcosa-.
Nemmeno io ho mai amato particolarmente le promesse e per questo non siamo mai stati soliti scambiarcene, oltre al fatto che non ne abbiamo mai avuto bisogno.
La testa di Seifer si era improvvisamente spostata e ora era la sua guancia ad essere appoggiata sui miei capelli. Mi ero voltata leggermente anche io a seguire con lo sguardo ciò che aveva attirato la sua attenzione, ma non avevo scorto nulla.
-Cosa hai visto?- avevo sussurrato, così a bassa voce da credere non mi avesse sentito. Invece Seifer mi aveva risposto subito:
-Uno stormo di uccelli; solo uno stormo di migratori-.
Infatti avevo colto in fretta ciò di cui stava parlando: gli uccelli viaggiavano in formazione a V e non erano molti; volavano verso l'orizzonte nuvoloso, neri e in netto contrasto con il cielo grigio chiaro.
-Presto sarà così anche per noi e saremo liberi-.
Liberi. Come suonava strana quella parola, dopo tanto tempo passato chiusi nel Garden. Avevamo cercato la libertà a modo nostro, ma nulla era comparabile alla sensazione di non avere più un posto concreto a cui dover tornare...ma questo solo se avevi il tuo posto, il tuo riferimento.
-Nulla dice che saremo insieme-.
-Seifer...- avevo mormorato immediatamente, cogliendo appieno il significato delle parole con cui aveva introdotto questo discorso, costruito a fatica su frasi spezzate e difficili da liberare.
-Shh - mi aveva zittita lui, accarezzandomi la schiena - Dico solo che nulla dice che saremo sempre insieme, ma...mi auguro di poter volare alto con te ancora per un po'-.
Detto questo, Seifer aveva posato un leggero bacio sui miei capelli, per poi sciogliere l'abbraccio in silenzio e allontanarsi di un passo per guardarmi.
Un'espressione confusa e insieme intenerita gli aveva attraversato il viso in un lampo:
-Oh, non sei tu a dover piangere, Atra-.
A dire la verità, non mi ero nemmeno accorta di star piangendo, immersa com’ero in un senso di dolorosa nostalgia, di frenetica ricerca di una ragione per cui credere fermamente che il mio posto fosse sempre accanto a Seifer, di pungente impotenza di fronte a un futuro che non potevo decidere e a cui non potevo prepararmi.
Mi ero riscossa subito, asciugandomi la lacrima dalla guancia prima che potesse farlo lui:
-Scusa- avevo risposto d'istinto, sapendo che lui odiava vedermi piangere. Seifer aveva sollevato una mano per darmi un colpetto al mento:
-Fa' la brava, dovrei essere io a commuovermi per il tuo regalo, no?-.
Avevo annuito lentamente, tornando a guardare il Gunblade; nello stesso momento mio fratello aveva sgranato gli occhi, folgorato da un pensiero:
-Prima mi hai detto che non era sicuro mostrarmelo da ubriaco; credevi davvero che io...-.
-Stavo scherzando, Seifer - lo avevo interrotto subito, sollevando gli angoli della bocca in un mezzo sorriso - Non temevo affatto che me lo rivolgessi contro- avevo continuato, leggermente stupita che avesse avuto anche solo il bisogno di chiedermelo.
-Non che ne dubitassi, eh...- aveva chiarito infatti lui, muovendo la mano in un gesto di sufficienza.
Avevo soffocato una risata, prima di illuminarmi a mia volta:
-Accidenti a me, non ti ho ancora detto come si chiama il modello- avevo detto, sedendomi sul letto e invitandolo accanto a me per mostrargli il marchio.
-Dimmelo, allora- mi aveva incalzato lui, gli occhi improvvisamente brillanti di entusiasmo.
Le mie dita avevano trovato in fretta il nome del modello, inciso alla base dell'elsa, e lo avevano sfiorato leggermente, prima che io riportassi lo sguardo su Seifer e sfoderassi un sorriso compiaciuto e complice insieme:
-Il tuo Gunblade ha il soprannome di Giove: Hyperion-.

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