Fragments of Almasy's Memories di Atra (/viewuser.php?uid=852990)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La voce della coscienza ***
Capitolo 2: *** Il duello ***
Capitolo 3: *** Ruggito oceanico ***
Capitolo 4: *** Notte brava a Balamb ***
Capitolo 5: *** Descensio ad Inferos ***
Capitolo 6: *** Parole di troppo #1. Inferno ***
Capitolo 7: *** Parole di troppo #2. Purgatorio ***
Capitolo 8: *** Parole di troppo #3. Paradiso ***
Capitolo 9: *** Il pugnale ***
Capitolo 10: *** La Caverna di Fuoco #1. ***
Capitolo 11: *** La Caverna di Fuoco #2. ***
Capitolo 12: *** Festa di compleanno ***
Capitolo 13: *** La promessa ***
Capitolo 1 *** La voce della coscienza ***
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Avevo sei anni, Seifer sette. Eravamo al Garden da due anni e stavamo
imparando a combattere. Io non avevo ancora il permesso di misurarmi
con i mostri, quindi non avevo assolutamente idea di cosa significasse
esattamente la parola "uccidere". Seifer aveva incominciato quell'anno
e, non c'è davvero bisogno di dirlo, era molto esaltato.
All'epoca non ci facevano ancora entrare nel Centro di Addestramento da
soli; quello era un privilegio riservato solo dai tredici anni in su e
noi ci eravamo ancora relativamente lontani..."relativamente" secondo
l'opinione di Seifer, che sin da piccolo ha sempre odiato aspettare.
E così la notte sgattaiolavamo nel Centro nella fascia
oraria in cui la sorveglianza era minima, ovvero fra le due e le
quattro. Non ci beccarono mai, anche perché eravamo due
tipetti svelti e discreti, quindi facevamo molta attenzione.
Dopo avermi insegnato a combattere con il pugnale, Seifer si era
intestardito di volermi far provare a uccidere il mio primo mostro. Il
"battesimo di sangue" lo chiamava. Si era intestardito
perché, come mi aveva detto una volta, "non mi fido di
quegli incapaci dei tuoi insegnanti", che a dire il vero erano anche i
suoi... beh, si sa come è fatto Seifer.
Una notte mi aveva trascinato nel Centro. Non che io non volessi e non
mi sentissi fiera della prospettiva di poter dire poi di aver
già eliminato un mostro alla mia età,
però ero spaventata da due cose.
La prima era trovarmi davanti non più il solito bersaglio
circolare o mio fratello che si faceva anche colpire qualche volta per
darmi una soddisfazione, ma un altro essere vivente pronto a difendere
la propria vita da me. DA ME.
La seconda era proprio questa: come avrei potuto decidere che la vita
del mio nemico doveva finire? Quando avrei avuto davanti un altro umano
con la sua vita e la sua realtà da vivere...avrei dovuto
sacrificarlo in nome di una mia superiorità decretata...da
chi? Chi aveva detto che io dovevo vivere e lui morire, quando l'altro
magari non aveva fatto niente per attaccarmi?
-Un mostro ti attaccherà sempre, ricordatelo - mi aveva
detto allora Seifer, storcendo la bocca davanti alla mia esitazione - e
a te non resta altro da fare che difenderti. Pensala così e
uno scrupolo se ne andrà senza che tu te ne accorga. E poi
basta che superi il battesimo di sangue: già dal secondo
mostro viene tutto più naturale. Forza, sorellina - mi aveva
incoraggiata, inginocchiandosi ai miei piedi per guardarmi da sotto in
su - vediamo di che pasta sei fatta-.
Avevo deglutito con forza e avevo stretto la mano attorno
all'impugnatura del pugnale. Non volevo deludere Seifer...e nemmeno me
stessa.
Il primo Grat si era subito avvicinato e ricordo che io l'avevo
osservato affascinata. Si muoveva goffamente, non doveva essere
completamente adulto. Mi ero anche indispettita, perché
sarebbe stato uno scontro alla pari allora e io volevo potermi
già misurare con un nemico più forte.
-Vacci piano, Atra! Cominciamo con questo!- mi aveva subito urlato
Seifer, ridendo della mia espressione delusa. Avevo fatto spallucce e
avevo attaccato per prima. Il Grat aveva dondolato sulle zampette e
aveva abbassato di colpo i suoi lunghi arti, per graffiarmi. Io gliene
avevo tagliati tre, mentre un quarto mi si piantava nel braccio e un
quinto mi si avvolgeva attorno alle gambe. Avevo stretto i denti e li
avevo tranciati di netto, poi mentre il mostro era occupato a gemere di
dolore, gli avevo conficcato il pugnale nel ventre e quello si era
accasciato al suolo.
-Ottimo lavoro, Atra. Fammi vedere la ferita-. Seifer era arrivato
accanto a me in tutta tranquillità e mi aveva afferrato il
braccio.
Ero tornata alla realtà e solo in quel momento mi ero resa
conto di due cose: la prima era il mio corpo. Non avevo sentito niente
durante il combattimento, ma ora il dolore e il fiato corto mi stavano
lentamente avvisando che non era stata una passeggiata come avevo
creduto fino a quel momento. La seconda: quel mostro davanti a me aveva
appena smesso di respirare per colpa mia. Magari aveva una madre ad
aspettarlo...e io avevo deciso che il figlio non sarebbe tornato a casa.
Ai tempi ero piccola; una cosa del genere ora non mi toccherebbe
nemmeno, ma allora mi ricordo che mi ero turbata parecchio.
-Atra, non pensarci- mi aveva consolato Seifer, mentre mi controllava i
graffi sul braccio. Io avevo scosso la testa:
-Ci sto pensando adesso. Prima, mentre combattevo, non me ne sono
preoccupata- avevo ammesso. Era questo che mi faceva più
paura: avevo conservato la calma per tutta la battaglia. Non che fosse
una cattiva cosa, ma avevo paura di cosa sarei diventata a combattere
così a sangue freddo.
-Durante la battaglia devi conservare il sangue freddo. E devi pensare
che ti stai difendendo, solo difendendo. Sorellina, - e qui Seifer mi
aveva dato un buffetto sulla guancia con un sorriso - vedrai che
imparerai a uccidere-.
E l'avevo imparato davvero, per quanto risultasse inquietante dirlo.
Beh, al Garden eravamo addestrati per questo, ma fu con Seifer che
avevo imparato per la prima volta cosa volesse dire.
-Quando avrai davanti il tuo primo nemico umano, Atra - mi aveva detto
una settimana dopo, durante l'ennesimo allenamento insieme - gli
scrupoli arriveranno, sia che tu sia abituata ad essi o meno.
Però devi tenere presente che stai uccidendo per un motivo:
magari il tuo bersaglio ha ucciso già in precedenza o sta
per colpirti. Magari la tua missione prevede un obbiettivo da
raggiungere e quella persona ti sta ostacolando.
Tu non uccidi perché sei assetata di sangue. Tu uccidi e ti
dispiace, il che è ammirevole-.
-E a te dispiace?- avevo chiesto allora, dal basso della mia
ingenuità di bambina. Seifer aveva gettato indietro la testa
e aveva semplicemente riso, limitandosi a passarsi il Gunblade
nell'altra mano per poi colpire l'ennesimo mostro. Il sangue si era
versato ancora una volta e Seifer ne era stato coperto di nuovo. Ma non
direi che gli fosse dispiaciuto più di tanto.
Non gli avevo più fatto quella domanda. Forse
perché avevo paura della risposta, forse perché
anche io non sapevo bene se ce n'era una.
Per quel motivo non avevo capito come fosse mio fratello al di
là di uno scontro con l'ennesimo Grat nel Centro. Magari non
avessi voluto vedere...in realtà non capivo quanto uccidere
fosse la perdita di equilibrio per cadere in un circolo vizioso alla
perenne e inutile ricerca della gloria, inseguendo l'ambizione
più estrema.
Mio fratello ci era caduto. E, evidentemente, non voleva che ci cadessi
anche io.
Con l'arco fu diverso e decisamente più dura. Ammazzare
qualcuno a sangue freddo e da lontano fu sicuramente più
difficile e Seifer non era accanto a me. Ma tenendo sempre presente che
uccidevo per un motivo sempre giustificato, come mi aveva detto lui, e
che uccidere per me non significava niente e potevo anche rinunciarci,
farlo era sempre più facile.
Così come diventava facile non ascoltare più la
voce della mia coscienza, diventata ormai roca a furia di sgolarsi sin
dalla mia infanzia.
Oggi la metto a tacere con un niente, forse anche perché non
ho più tempo per starla ad ascoltare.
Seifer credo non ne abbia più nemmeno una.
Oppure è diventata definitivamente afona.
Sì, devo
passare a rovinare anche questo capitolo...ma sarò breve.
Questa storia è riferita al capitolo 4 della mia fanfic a
capitoli "Il legame del sangue" e spero che vi sia piaciuta:
ciò che ho voluto sottolineare è soprattutto la
differenza fra Seifer e Atra. È ammirevole che Seifer abbia
tentato di capire un po' come la sorella si sentiva nell'uccidere dei
mostri, pur non condividendo il suo pensiero, e abbia anche cercato di
infonderle coraggio, sempre a modo suo.
Fatemi sapere se vi piace questo genere di raccolta! A presto! |
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Capitolo 2 *** Il duello ***
Seifer aveva otto anni, io ne avevo sette. Era un bambino che poteva
essere definito con qualsiasi aggettivo, tranne che
"innocente". Crescendo, era diventato sempre più
insofferente nei confronti delle regole e aveva aspettato con pazienza
esasperata che io compissi i sette anni per poter affrontare
liberamente i mostri solo perché gliel'avevo chiesto io,
dato che altrimenti gli insegnanti si sarebbero insospettiti se fossi
stata abile già alle prime lezioni...e grazie agli
insegnamenti di mio fratello ero già diventata molto brava,
devo dirlo.
Comunque, fu nel Centro che affinammo le nostre tecniche di
combattimento. Lui ha usato sin da subito il Gunblade: prima quello di
misura ridotta, poi a dieci anni quello da adulti. Me lo ricordo mentre
si sforzava di sollevarlo con quelle braccine striminzite che si
ritrovava, il volto contratto per lo sforzo e le mani bianche, da tanto
ne stringevano l'impugnatura. Ricordo che il peso dell'arma l'aveva
trascinato a terra senza che lui potesse averne il controllo,
nonostante la fronte imperlata di sudore e le mille imprecazioni
sputate fra i denti. Il giorno dopo era in palestra a fare sollevamento
pesi, contando forte e arrivando alle quattro cifre stremato e la
settimana dopo era già in grado di tenere in mano la spada.
Non serve dire che due settimane dopo la maneggiava come se non avesse
fatto altro per tutta la vita.
Comunque, a otto anni lui usava ancora il Gunblade più
piccolo e io l'arco, anche quello di misura ridotta. Fu nel Centro
durante le nottate con Seifer che lui mi insegnò a
combattere con il pugnale, circa un anno prima. E una volta mi
sfidò a duello.
Eravamo a un passo dal laghetto che si trova al centro dell'area e la
situazione era particolarmente tranquilla, dato che di solito in quella
zona non si aggiravano né Grat né tantomeno
Archeosaurus. Io stavo osservando il mio riflesso sull'acqua,
accovacciata alla fine della passerella in legno, perché
l'ultimo Grat mi aveva graffiata in viso e volevo vedere come fossi
conciata.
Seifer era uscito con questa geniale idea perché,
ovviamente, si era stufato a starsene lì in piedi contro il
tronco di un albero a scavare solchi con la punta del Gunblade.
-Atra, ti sfido a duello!- aveva esclamato all'improvviso, puntando la
lama della spada contro di me. Io l'avevo visto riflesso nell'acqua e
la luce del Gunblade mi aveva abbagliata, costringendomi a guardarlo
direttamente.
-Cosa?- gli avevo chiesto, sicura di aver capito male. Lui aveva alzato
gli occhi al cielo, rinsaldato la presa sul Gunblade e ripetuto:
-Ti sfido a duello! Sai cos'è un duello?- mi aveva chiesto
poi, con aria di saccenza. Io, a malincuore, avevo scosso la testa e mi
ero avvicinata a un cenno di mio fratello, che si era seduto a gambe
incrociate picchiando il terreno accanto a lui per invitarmi a sedere.
Io gli ero scivolata accanto ed ero rimasta affascinata ad ascoltarlo
infervorarsi tutto per spiegarmi cosa diavolo fosse quel nuovo gioco:
-Ci sono due persone una di fronte all'altra e a un certo punto una
dice: "Ti sfido a duello!" e l'altra risponde: "Ci sto!". Poi prendono
le armi e combattono fra loro all'ultimo sangue, fino a quando uno dei
due non si arrende- aveva detto lui, gesticolando come un forsennato e
con un lampo di smania negli occhi. Ricordo di aver sollevato gli
occhi, quella volta, chiedendomi quale tipo di duello si immaginasse di
star combattendo proprio in quel momento. Però avevo anche
storto la bocca:
-"All'ultimo sangue", hai detto? Vuoi davvero dissanguarmi?- gli avevo
chiesto, un po' indispettita. Lui aveva inclinato la testa con aria di
sufficienza:
-Beh no, sorellina. Potremmo solo vedere chi per primo tocca l'altro
con la sua arma. Tu usi il pugnale e io il Gunblade. Allora,
giochiamo?- poi aveva battuto le mani e contemporaneamente i suoi occhi
di ghiaccio, in cui brillava già il sapore della sfida. Io
avevo sentito lo stesso sapore sulla punta della lingua e avevo
deglutito. Mi ero alzata e avevo sfilato il pugnale dalla cintura,
lanciando un'occhiata a controllare l'arco e le frecce. Poi avevo
annuito con un sorrisetto birichino: mio fratello sarebbe stato deluso,
se credeva di vincere con me solo perché ero una femmina e
perché ero più piccola.
-Ti sfido a duello!- aveva strillato Seifer, mettendo davanti a
sé la lama del Gunblade a tagliargli in due la faccia, che
pure rimaneva speculare all'altra mentre si rifletteva nell'acciaio
dell'arma. Sul suo viso concentrato aleggiava la vittoria a ogni costo,
cosa che poi si sarebbe tradotta nella sa filosofia intitolata "a me
l'ultimo colpo!", che ha portato avanti fino ad ora, praticamente.
Nessun tremito a scorrergli sul corpo, nessuna esitazione e nessuna
paura di ferirmi. Evidentemente mi conosceva bene e sapeva che sarei
stata alla sua altezza.
E non c'era nemmeno un segno che chiarisse che stessimo giocando,
sebbene dieci secondi prima mi avesse chiesto di "giocare".
Beh, neppure per me quello era un gioco. Ciò che divideva la
realtà dal gioco era solo il fatto che non combattessimo per
uccidere. Nient'altro.
-Ci sto!- avevo risposto con convinzione, stringendo la presa sull'elsa
del pugnale e piegando leggermente le ginocchia come mi aveva insegnato
lui.
Avevo sperato che sul mio viso si leggesse la stessa concentrazione e
la stessa serietà che tanto gli invidiavo.
Quella fu la prima delle tante sfide che accettai da lui.
Seifer era partito in quarta a testa bassa, veloce e silenzioso come
sempre. Nemmeno il rumore di un passo a tradirlo, solo lo spostamento
d'aria. Fu sufficiente: avevo aspettato che si avvicinasse, per poi
semplicemente scartare di lato e allungare il braccio che teneva il
pugnale per colpirlo alla schiena. Ma lui aveva abbassato il Gunblade
per spazzare il terreno sotto di me, allora avevo saltato e poi avevo
fatto una finta all'indietro per recuperare l'equilibrio. Ma essendo
una finta, ero subito scattata in avanti per approfittare del suo
sbilanciamento in avanti per attaccarmi. Così lui aveva
scartato di lato e sferrato un colpo di piatto per sorprendere il mio
fianco scoperto. Allora ero arretrata velocemente, mandando il colpo a
vuoto, per poi abbassarmi a colpirgli un piede, vicinissimo a me. Lui
l'aveva ritratto di scatto e stava per colpirmi alla schiena, quando io
ero rotolata in avanti fra le sue gambe per impedirglielo e gli avevo
fatto lo sgambetto. Ma Seifer mica era caduto! Stava cadendo,
sì, ma aveva lasciato la presa sul Gunblade e poi si era
appoggiato a terra con le mani, così da non finire ai miei
piedi e alla mia mercé. Ero scattata a prendere la sua arma,
ma quando lui l'aveva raggiunta prima di me avevo scartato a destra per
colpire la sua gamba. Lui aveva saltato e mirato alla mia schiena.
Allora ero rotolata sul fianco e lui si era appoggiato a terra con la
mano per evitare il mio pugnale pronto a colpirgli la pancia. Mi ero
rialzata in fretta e in tempo per evitare che mi colpisse quando ero
ancora distesa.
Così eravamo tornati a fronteggiarci, come due leoncini
fratelli che avevano scoperto come darsele di santa ragione, facendolo
passare per un gioco.
-Maledizione Atra, sei così brava!- aveva sputato lui fra i
denti. Io avevo riso tutta orgogliosa:
-Lo so, lo so- avevo cantilenato sprezzante.
-Hai imparato dal migliore, ricordatelo-. Seifer aveva sollevato un
dito e un sorriso orgoglioso gli aveva incurvato le labbra. Io avevo
battuto i piedi con impazienza:
-Sì, ma anche io sono brava!- mi ero lamentata, stizzita del
fatto che mio fratello si stesse prendendo tutto il merito. Lui aveva
sputato una risata e aveva sollevato la mano in un gesto conciliante
(lo stesso che gli è rimasto ancora oggi, quando si sente
attaccato dagli altri):
-Certo che sei brava...sei la mia sorellina- aveva osservato. La solita
constatazione che mi aveva sempre fatto pensare a quanto sarei stata
inutile senza mio fratello. E per un certo periodo lo ero davvero
stata: completamente devota a Seifer, un cagnolino che lo seguiva
ovunque.
Poi ero cambiata, da quando avevamo iniziato a frequentare lezioni
separate. Beh, tirare con l'arco e usare un Gunblade sono due
discipline davvero diverse. Fu in quel periodo che Seifer e Squall
iniziarono a collidere paurosamente fra loro.
Seifer aveva visto intanto la mia distrazione e aveva deciso di
approfittarne, all'urlo di:
-Atra mantieni la concentrazione, che diamine!-.
Io mi ero riscossa in tempo per schivare il colpo. In quel momento un
Grat, richiamato dalle nostre urla e dai nostri movimenti, era
zampettato fino a noi. Io l'avevo notato per prima e mi ero preparata a
lanciargli il pugnale, quando anche Seifer se n'era accorto e aveva
interrotto la sua piroetta per riprendere l'equilibrio e guardare
l'orologio, mentre io continuavo a tenere d'occhio il mostro.
-Le quattro meno dieci. Dobbiamo andare, sorellina- mi aveva avvisato
con una punta di dispiacere nella voce. Poi mi si era avvicinato con il
Gunblade rivolto a terra:
-Bello scontro. Mi sei piaciuta molto, Atra - mi aveva elogiato
mettendomi la mano sulla spalla - Ma non finisce qui-. La sua voce si
era abbassata e chiunque si sarebbe sentito turbato da quelle parole e
dal modo in cui erano state pronunciate. Tutti, ma non io. Avevo
sorriso e l'avevo guardato dritto negli occhi, sollevando il mento:
-Ovvio che no- gli avevo risposto, sollevando le sopracciglia e godendo
della luce che gli avevo visto attraversare gli occhi e scendere a
illuminargli il viso. Era esaltato e il suo petto si alzava e si
abbassava velocemente, seguendo il ritmo concitato del suo respiro e
del suo cuore.
Lui si era voltato a guardare il Grat, molto vicino a noi, e aveva
sollevato di nuovo il Gunblade:
-Ti sfido! Vediamo chi lo fa fuori per primo!- aveva strillato, prima
di avventarsi contro il mostro.
-Ehi, non vale!- avevo urlato a mia volta, precipitandomi a prendere il
mio pezzettino di carne da scannare.
L'ennesima sfida. Su questo filo passavano le nostre giornate e nessuno
avrebbe detto che fossimo fratelli. In perenne litigio e un battibecco
dopo l'altro stavamo costruendo la nostra relazione.
In realtà ci stavamo misurando l'uno con l'altra e cercavamo
il limite oltre il quale il gioco avrebbe lasciato spazio alla
rivalità.
Non l'abbiamo mai trovato. |
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Capitolo 3 *** Ruggito oceanico ***
Eravamo al penultimo anno di scuola (ovvero l'anno precedente a quello in cui si presumeva avremmo ottenuto il nostro diploma da SeeD) quando ci avevano iniziato a parlare dei
Guardian Force.
La prof.ssa Trepe aveva speso tutto il secondo quadrimestre a spiegarci
cosa fosse la Junction e come potessimo sfruttarla a nostro vantaggio,
senza divenirne schiavi.
-Il legame fra un G.F. e il suo padrone è estremamente unico
e spetta proprio a noi rafforzarlo e alimentarlo - continuava a
ripeterci, tanto che ormai io ripetevo a bassa voce con lei queste
parole e anche: - Avere un G.F. può rendervi invincibili. Il
confine tra questo e la morte è sempre meno di un passo-.
Collegarsi con un G.F. implica un grande dispendio di energia e
l’occupazione di un’estesa regione del nostro
cervello. Per questo si dice che l’uso prolungato dei G.F.,
come ad esempio è necessario ai SeeD, porti a una drastica
perdita di memoria.
Beh, io non ne ho già per dote personale, l’unico
rischio è di non ricordarmi più il mio nome, ma
per quello c’è sempre Seifer che può
rinfrescarmi la memoria.
Di solito durante il penultimo anno gli studenti potevano acquisire il
loro primo G.F., che li avrebbe accompagnati per tutta la vita, che
fossero diventati SeeD o meno. Tuttavia, erano selezionati solo gli
studenti fisicamente e mentalmente preparati a sostenere una prova di
quel genere. Seifer era ovviamente stato scelto per poter ricevere un
G.F. e ne andava tutto fiero, come ogni volta che raggiungeva un
traguardo.
Funzionava così: gli studenti selezionati erano sempre una
decina e dovevano combattere contro un unico G.F., che avrebbe poi
scelto il suo padrone in base alla forza e ad altre qualità
che variavano a seconda del Guardian Force che si aveva davanti e della
sua personalità.
La chiamavano “prova di forza” e non
c’era nome più adatto: gli studenti avrebbero
dovuto fare del proprio meglio per conquistare l’attenzione
del G.F. e portarselo a casa.
L’anno in cui Seifer era stato selezionato, all'età di sedici anni, c’era
Pandemon, di elemento vento. Infatti i professori non si arrischiavano
ad evocare G.F. non elementali, perché erano i
più pericolosi e complicati da addestrare. Contro gli
elementali sarebbe bastato possedere le magie di elemento opposto e una
buona abilità in battaglia per vincere in poco tempo e con
risultati elevati.
Tuttavia Seifer aveva storto il naso:
-Ti pare che un G.F. così brutto si adatti alla mia
bellissima persona?- si era lamentato, quando io gli avevo detto
entusiasta che era stato scelto Pandemon.
-Che c’è, non ti va bene?- mi ero accigliata. Dal
basso dei miei quindici anni ero totalmente affascinata
dall’idea di avere un G.F. tutto mio, quindi non mi
capacitavo della delusione di Seifer, che aveva scosso la testa:
-No, non mi va bene. Per me ci vuole un G.F. figo, come il Diablos del
preside-.
Cid aveva posseduto Diablos per molto tempo, prima di rinchiuderlo in
una lampada magica in attesa di una persona giudiziosa che il G.F.
potesse servire senza far casini.
Giudiziosa,
ho detto. Questo escludeva Seifer a priori.
-Comunque me lo porterò lo stesso a casa e poi
vedrò che farmene- aveva concluso Seifer con un gesto della
mano.
E così aveva fatto. Pandemon aveva scelto lui, con mio
grande orgoglio e sua grande...indifferenza. Certo, era lusingato del
fatto di aver battuto un G.F. in un tempo ridicolo, ma non aveva
nemmeno “avuto il tempo di sentire una raffica di maestrale
sul collo”, come lui stesso aveva lamentato a me, Fujin e
Raijin. Non so quanto fosse vero: io non ero riuscita ad andare a
vedere la sua prova, perché avevo lezione con il prof.
Yamazaki e se avessi saltato un'altra sua ora mi avrebbe sicuramente
fatto ripetere l'anno, quella sottospecie di pallone baffuto con manie
di protagonismo.
Comunque Seifer era stato di parola e aveva messo in palio il G.F. a un
torneo di briscola. Quel brutto imbecille l’aveva fatto
apposta a non indire un torneo di Triple Triads, perché
sapeva che avrei vinto io: nessuno dei tre poteva battere me e le mie
carte. Per molto tempo ero rimasta offesa del fatto che non me
l’avesse regalato: ero sua sorella, dopotutto! Poi me
l’aveva spiegato quando ero entrata in possesso di Leviathan
e io avevo capito, apprezzando molto di più il suo gesto di
allora.
Comunque, quel torneo era stato vinto da Raijin, che aveva regalato
Pandemon a Fujin per il suo compleanno.
L’anno seguente era il mio turno e aspettavo con ansia le
selezioni: corporatura, abilità in battaglia e con le magie,
agilità, astuzia, intelligenza, valutazioni scolastiche e
forza mentale...ero convinta di rientrare nei canoni!
Tuttavia a volte essere sicuri di sé non basta...infatti non
mi presero.
Quell’anno furono selezionati fra gli altri Squall Leonheart
e Zell Dincht. Il mio astio e la mia delusione erano cresciuti,
soprattutto alla vista di Fujin che si allenava con il suo G.F.: fu la
prima in assoluto del nostro anno ad averne uno e io non riuscivo a
tollerarlo.
Neanche a dirlo, Seifer si era precipitato dal preside a protestare, ma
Cid era stato irremovibile: non potevo essere selezionata
perché il G.F. scelto per quell’anno era troppo
per me. Erano sicuri che l’avrei battuto, ma non avrei potuto
controllarlo.
-Gli ho detto di trovarsi una scusa migliore- mi aveva riferito Seifer,
di ritorno dal colloquio con il preside. Io sedevo imbronciata sul mio
letto, guardando dalla finestra tutti i miei sogni scoppiare come
tante, ridicole bolle di sapone.
-Già - avevo annuito, sentendo la rabbia fremere ancora una
volta - È ridicolo-.
Il giorno prima della prova era stato comunicato dalla Trepe il nome
del G.F. scelto:
-Ragazzi, un attimo di attenzione - aveva esordito entrando in classe
una mattina - Ho il nome del G.F. che affronterete domani-.
Zell si era chinato in avanti sul suo banco, mentre Squall era rimasto
impassibile come al solito, le braccia incrociate al petto e
l’aria di chi se ne frega del mondo.
-Shiva, G.F. del ghiaccio. Non sottovalutatela per niente- aveva
rivelato la Trepe, aprendo il registro con uno scatto teatrale.
Nell’aula era calato un silenzio...glaciale, è
proprio il caso di dirlo. Io mi sentivo un pezzo di legno, fremente di
rabbia e di invidia ovunque. Zell aveva stretto i pugni con un sorriso
sicuro sul volto e Squall aveva chinato il capo per cercare una
concentrazione che doveva volare molto bassa, a giudicare dal suo
sguardo.
Il giorno seguente io non ero rimasta al Garden: non ero riuscita a
sopportare il trionfo altrui alle mie spese, chiunque fosse stato a
conquistarsi Shiva.
Le lezioni del giorno erano state sospese per noi del quarto anno, per
permettere a chi era in prova di prepararsi e a chi non lo era di
assistere: privilegio stabilito dal solito simpaticone di uno Yamazaki
e riservato solo a noi del quarto anno. L'avevo già beccato
mentre si aggirava furtivo per i corridoi, investendo ogni malcapitato
che gli capitava a tiro con le sue ramanzine. Sicuramente se mi avesse
visto non mi avrebbe risparmiato, ma io mi ero confusa con la classe di
Seifer che si recava al Centro di Addestramento e l'avevo fatta franca.
Forse rimanere a guardare lo spettacolo sarebbe stato interessante e
utile,
tuttavia io ero troppo orgogliosa per rimanere a guardare quando al
posto di chi stava combattendo avrei voluto esserci io.
Certo, avrei sempre avuto la possibilità di ottenere Ifrid
alla Caverna di Fuoco l'anno prossimo, ma le selezioni erano il tipo di
sfida che mi invogliava di più a dare il massimo per essere
orgogliosa di me stessa. Una sfida persa già prima che
cominciasse.
Questo pensavo, mentre mi avviavo verso la città di Balamb,
l'unico posto dove potessi andare al di fuori del Garden, calciando i
sassolini sula mia strada.
Non che amassi particolarmente la gente, il vociare dei negozianti, il
rombo delle macchine e il muoversi affaccendato delle persone fra le
vie; l'unico posto in cui mi sentivo un poco più a mio agio
era il porto.
A quell'ora del mattino, con nessuna nave a sporcare l'orizzonte e
neanche un'anima a stonare, con il suo semplice essere umano, con la
natura del vento e del mare, stare lì era il rimedio
perfetto per i miei nervi tesi e per il mio orgoglio ferito.
Mi ero seduta sul bordo della banchina, in un punto dove gli spruzzi
del mare non potevano bagnarmi, pur arrivando a sfiorarmi la punta
delle scarpe.
Mi ero impedita di riempirmi la mente di congetture inutili, lasciando
che i miei unici pensieri fossero i sussurri delle onde contro la
banchina sotto di me e il soffio del vento nelle orecchie.
Ricordo che, mentre mi scostavo i ricci dagli occhi, avevo lasciato
correre lo sguardo sull'infinita distesa marina davanti a me,
chiedendomi cosa ci fosse al di là di essa e se un giorno
l'avrei saputo. Un po' come il mio futuro: imperscrutabile, immenso ma
sempre a portata di mano. Prima o poi l'avrei affrontato e non vedevo
l'ora.
Mi ero chiesta se un G.F. avrebbe davvero fatto la differenza nella mia
vita. Ne volevo uno solo per poterne menare il vanto o
perché ne avevo davvero bisogno? Potevo io aver bisogno di
qualcun altro al di fuori di me stessa? Ero cresciuta tutta la vita a
contare solo su di me, al massimo su Seifer.
In pochi minuti di riflessione a mente fredda avevo ribaltato la mia
visione della situazione: era sciocco irritarsi per il fatto di non
essere stata selezionata per avere il G.F., quando dietro quella
situazione si nascondeva un'altra sfida più allettante:
dimostrare che avrei potuto farcela anche senza un Guardian Force da
cui trarre la forza.
E se fossi stata persino migliore di qualcuno che aveva avuto il
privilegio di essere sostenuto da un valido aiuto, allora avrei vinto
l'ennesima sfida con me stessa.
Mi ero alzata quando avevo visto delle nubi grigie addensarsi
all'orizzonte, accompagnate dal brontolio dei tuoni, che si era fuso
con il rombo, ora minaccioso, del mare. Il vento si era levato, freddo
e sferzante, a colpirmi la pelle, accompagnato dal penetrante odore del
sale, che sembrava posarsi sulla mia pelle con uno sfrigolio e un
leggero bruciore.
Da dove mi trovavo potevo persino sentire una certa
elettricità nell'aria, che agitava le onde del mare in una
schiuma densa e perfettamente bianca.
Avevo deciso di tornare al Garden in tempo per la prova, contro i miei
piani. Non potevo certo farmi sfuggire l'occasione di vedere un G.F. in
azione. Speravo solo che non se lo pigliasse Leonheart...non sapevo
come avrei reagito, essendo degna sorella di Seifer, soprattutto in
posizione di minoranza.
Quando ero arrivata quasi alla porta della città, una
scritta a caratteri cubitali posta sulla bacheca di Balamb aveva
attirato la mia attenzione:
"ennesimo attacco a nave
trasporto merci al largo delle coste di Balamb. nessun superstite".
Più in basso era riportata la testimonianza di un giovane
marinaio che aveva visto l'incidente da un promontorio poco fuori dalla
città:
«Era una bestia di dimensioni enormi e ha fatto a pezzi
quella nave come se fosse stata di burro».
L'articolo parlava di almeno altri cinque attacchi, prima sulle coste
di Galbadia nord e sud, poi in mare aperto e infine verso Balamb.
Quella cosa si stava avvicinando e al Garden nessuno faceva niente.
Perché non mandavano i SeeD a sistemare quella bestia? Era
davvero necessaria una ragione politica ogni singola volta? Questo
poteva valere anche per Galbadia: era la potenza militare numero uno in
quel momento, cosa ci sarebbe voluto mandare una truppa ben fornita a
dare un paio di legnate al mostro?
Mentre riflettevo indignata su quelle cose, la sensazione di tensione
ed elettricità sulla pelle era tornata più forte
di prima, mentre le prime gocce d'acqua gelata mi avevano fatta
sussultare.
Mi ero chiesta il motivo della mia inquietudine: bastavano davvero due
parole su un giornale e un temporale a mandarmi in paranoia?
Ovviamente no, se fossero stati solo quei due segnali.
-Mia sorella! - aveva strillato una voce infantile proprio in quel
momento - E' caduta in mare! La mia sorellina! Io non so nuotare,
aiutatemi!-.
Mi ero voltata di scatto, mentre un nanerottolo di circa otto anni mi
sfrecciava accanto, agitando le braccia e le mani. La sua camicia
gialla era fradicia di acqua. Si era sicuramente guadagnato
l'attenzione di molti uomini ben piazzati, padri di famiglia che magari
avevano dei figli della sua età...ma nessuno aveva mosso un
dito o proferito parola per informarsi almeno dell'incidente.
Mentre il bambino mi ripassava accanto, inspirando profondamente per
prorompere nell'ennesimo grido che si stava facendo rauco, l'avevo
afferrato prontamente per il colletto, con grande sorpresa di tutti,
persino di me stessa:
-Dove?- avevo chiesto meccanicamente. Hyne, quel bambino assomigliava
dannatamente a Seifer, anche con dei semplici capelli castani. Nei suoi
occhi azzurri lampeggiava il panico e il rimorso per un dovere non
adempiuto. Il dovere di un fratello più grande. Il dovere di
Seifer.
-Al...al porto!- aveva ansimato lui, frantumando ogni somiglianza con
mio fratello con la sua voce innocente e incrinata dalla paura. La
sensazione di déjà-vu era però
rimasta, mentre mi passavano davanti agli occhi tutte le volte in cui
mio fratello aveva cercato di proteggermi, a modo suo.
Non avrei mai permesso che succedesse qualcosa alla sorellina del
ragazzino che avevo di fronte. Non potevo farlo perché
capivo cosa significasse, anche se da un altro punto di vista.
Mi ero messa a correre, veloce come un fulmine, ripercorrendo a ritroso
la strada che era stata teatro dei miei pensieri, mentre cercavo di
frenare l'ondata di ricordi che era più potente dello
spettacolo di onde alte come muri che si era presentato ai miei occhi.
Maledizione, a quell'ora la bambina poteva essere sicuramente annegata,
ma non avrei certo dato nulla per scontato e avevo deciso che avrei
fatto un tentativo.
-Rimani qui. Se non siamo tornate entro cinque minuti, ritorna in
città e chiuditi in casa- avevo ordinato al bambino. Era
inutile chiedergli dove esattamente fosse caduta la bambina: quel mare
sembrava avere un proprio braccio e una propria mente e affidarsi a lui
sarebbe stata una follia bella e buona.
Ma la mia vita stessa era un folle inseguimento di obbiettivi
improponibili e sfide senza ricompensa né senso,
così mi ero buttata di slancio in acqua, senza neanche
spogliarmi.
Non appena il mare mi aveva circondata, una serie di scosse elettriche
mi aveva avvolto il corpo, rischiando di farmi annegare per la
sorpresa. Ero riemersa ansimando, cercando un punto di riferimento e la
convinzione di non aver fatto l'ennesima cazzata. Che sarei tornata dal
fratello con la sorellina. Che sarei tornata da Seifer.
Mi ero immersa, annaspando per vedere in maniera decente nell'acqua
torbida di tempesta e schiuma. Della bambina non c'era traccia: nessuna
ombra e nessun movimento.
Non appena avevo finito di guardarmi in giro, lottando con la furia
della corrente, avevo percepito un movimento con la coda nell'occhio,
seguito subito da un'ondata più forte delle altre. Tuttavia
non era acqua, non era la forza dell'elemento. Era violenza, energia
allo stato puro. Ed era proprio in quel mare.
L'acqua era stata frustata da un movimento potente, che mi aveva
spedito a molti metri di distanza. Il colpo mi aveva raggiunto
immediatamente dopo, mentre davanti a me iniziava a profilarsi una
sagoma sinuosa e scattante.
Sulla mia pelle era esplosa una serie interminabile di scosse
elettriche e sensazioni pungenti, mentre ancora una volta un colpo
violento mi aveva piegata su me stessa. In quel frangente avevo fatto
in tempo a vedere una serie di squame azzurrine e striate di blu
sfilarmi davanti. La vicinanza con esse mi aveva trasferito una scossa
immediata e quasi ero stata sopraffatta dalla sensazione.
Improvvisamente mi ero domandata da quanto tempo fossi sott'acqua e in
risposta avevo sentito i polmoni bruciare e il petto fremere come un
uccellino in gabbia. Avevo guardato sopra di me, solo per rendermi
conto che, qualsiasi cosa ci fosse laggiù, mi aveva spedito
così in profondità da disperare di raggiungere la
superficie in tempo per non annegare.
In quel momento quel "qualcosa" si era fermato proprio davanti a me e,
sebbene stessi annaspando disperatamente alla ricerca di un briciolo di
ossigeno, ero rimasta profondamente colpita da quello che era stato
descritto come il peggior incubo di navi e marinai. E in quell'istante
ero rimasta folgorata dalla comprensione del motivo di così
tante parole sprecate su di lui.
Il serpente disegnava una sinuosa S nell'acqua, che tremolava attorno a
lui a ogni respiro del suo corpo. La coda, di uno straordinario azzurro
chiaro, fremeva leggermente, sfiorando le miriadi di bollicine che
rendevano il mare frizzante in quel punto. Le sentivo scoppiare sulla
pelle, fra le ciglia degli occhi, sulla punta della lingua.
Le lunghe e artigliate pinne del mostro disegnavano dei lenti otto,
come le ali di fragili colibrì quando nuotano nell'aria. Di
fragile però quel mostro non sembrava aver nulla: persino le
sottilissime corna blu avevano l'aria di scalfire il diamante.
Il serpente aveva gettato indietro la testa, le punte delle corna
avevano sfiorato con un clangore metallico le squame della schiena,
mentre il suo becco azzurro si apriva in un ruggito a ultrasuoni che
aveva trapassato la distanza che ci separava, trafiggendomi le orecchie.
In quell'esatto momento il fondale sotto di me aveva iniziato a
tremare, mentre lo strato di dura sabbia si crepava per far affiorare
la roccia sottostante. Non ero riuscita a mettermi in piedi, sebbene
graffiassi con le unghie e con la pelle la pietra, perché la
corrente era ancora troppo forte.
Il mostro aveva battuto l'acqua con la coda, iniziando ad
attorcigliarsi su se stesso in una spirale di bolle e squame.
La pietra sotto di me aveva scricchiolato, espandendosi sulla sabbia
circostante, fino a quando mi ero ritrovata su un'isola di roccia
frastagliata ed estremamente tagliente. Il sangue proveniente dalle
ferite sulle mie ginocchia aveva disegnato volute scarlatte che si
erano allungate come tentacoli verso il serpente marino ed erano state
spazzate via dal movimento delle sue pinne.
Improvvisamente il fondale si era alzato di colpo e l'acqua mi aveva
schiacciata sulla roccia con violenza. Avevo intravisto le squame del
mostro danzare davanti a me, le sue corna a un centimetro dalla mia
bocca.
E poi di colpo l'ossigeno mi aveva frustato i polmoni, così
come l'aria aveva accolto la mia pelle gelida e tremante.
Mentre mi ero riscoperta perfettamente asciutta, con mio grande
stupore, il mostro aveva danzato con grazia anche sull'onda del vento,
sfiorando un'ultima volta la montagna di roccia su cui ero accovacciata
in quel momento.
Quando il mio respiro aveva tornato a funzionare e i tagli sulle
ginocchia avevano smesso di sanguinare, mi ero guardata intorno.
Non ero a Balamb, né in qualsiasi altro luogo conoscessi o
avessi sentito nominare.
Mi trovavo su un promontorio di pietra bianca e tremendamente affilata,
che si allungava a uncino, come il becco di un rapace, su una distesa
di acqua grigio piombo, che si confondeva con il velo di nuvole che
nascondeva il cielo. Mi ero sforzata di lanciare lo sguardo il
più lontano che potessi, ma non ero riuscita a individuare
la fine di quell'oceano e di quel cielo.
Mentre osservavo le macchie del mio sangue sotto di me, il vento mi
aveva schiaffeggiato il viso, portando con sé un odore umido
e bagnato, mescolato all'amaro e penetrante retrogusto di ruggine e
sale, che avevo ritrovato anche sulla punta delle labbra, unito a uno
strano pizzicore della pelle. Anche lì, dunque... non solo
nell’acqua.
Quella era stata la chiave che mi aveva fatto capire cosa accidenti
stesse succedendo: eccola lì la mia prova, quella che stavo
aspettando da anni.
La mia "prova di forza".
Perché avevo davanti un G.F.
Avevo automaticamente allungato la mano dietro di me per afferrare
l'arco che portavo a tracolla, trattenendo il respiro nella speranza
che non si fosse rotto. Un sospiro di sollievo e in pochi secondi ero
già in piedi a tendere la corda, che aveva cantato una nota
bassa e vibrante.
Non ero stata altrettanto fortunata con le frecce: me n'erano rimaste
solo due, troppo poche per avere la meglio sul G.F.
Mentre il mostro si inarcava per seguire le correnti d'aria, gli avevo
lanciato uno Scan per conoscerlo meglio. Il mondo era rimasto in
sospeso, mentre le informazioni contenute nella magia scorrevano dietro
le mie palpebre chiuse.
Leviathan.
Elemento: acqua
Quando avevo riaperto gli occhi, Leviathan era proprio di fronte a me:
il muso tendente dal blu all'azzurro era lucido e appannato
dall'umidità evaporata. Dalle corna gocciolava l'acqua,
così come dalla punta del becco aguzzo. I suoi occhi
completamente blu emanavano un'aura decisa. Il G.F. non avrebbe
rinunciato alla sua libertà tanto facilmente.
Beh, e io non avrei rinunciato alla mia vita con altrettanta
arrendevolezza.
Nel momento stesso in cui le mie labbra si erano piegate in un sorriso
per invitarlo ad avanzare, gli occhi di Leviathan si erano illuminati
intensamente e avevano sprigionato un raggio sottile di luce, diretto
proprio verso di me. Anni di addestramento avevano affinato i miei
riflessi, così ero riuscita a scansarmi in tempo, mentre la
roccia calpestata dai miei piedi appena un attimo prima si era sciolta,
sfrigolando.
Avevo riportato lo sguardo su Leviathan, preparandomi alla mia mossa.
Come in risposta, le sue pinne avevano ripreso più
velocemente il movimento a otto, sibilando nell'aria.
Avevo ripassato nella mente quale fosse l'elemento contrario all'acqua
e come utilizzarlo a mio vantaggio; ironia della sorte: con tutta
quell’elettricità nell’aria, era proprio
il tuono. Un semplice Thunder non avrebbe messo in ginocchio Leviathan,
,lo sapevo. Ma nemmeno una semplice freccia avrebbe penetrato la sua
corazza di squame.
Mentre ne incoccavo una, avevo spostato velocemente l'arco, cercando un
punto debole a cui tirare. In quel momento Leviathan aveva inarcato la
schiena per emettere ancora il suo ruggito, generando un vortice
d'acqua e sale che mi aveva sferzato le guance. Mi ero abbassata in
tempo per non essere investita dall'onda e da lì avevo avuto
una visione perfetta del ventre liscio e indifeso del serpente. Avevo
scagliato la freccia proprio nel momento esatto in cui Leviathan si era
allontanato da me con un colpo di coda e un sibilo, come quello della
freccia che si perdeva nel vuoto.
Mi ero morsa il labbro, stringendo convulsamente l'ultima freccia
rimastami, mentre il serpente sfrecciava in aria con gli artigli della
spina dorsale ben tesi, ad avvertirmi che probabilmente nel giro di
pochi minuti sarei finita allo spiedo.
Avevo cercato di controllare il tremito delle mani: eppure mi sarebbe
bastato distrarre il G.F. per conficcargli una freccia in pancia...
Come per offrirmene l’occasione Leviathan era volato fin
sopra di me, prima di gettarsi in picchiata come un dardo scagliato dal
cielo. Non ci avevo pensato due volte: avevo scagliato l'ultima
freccia, prima di proteggermi dall'impatto con un Protect innalzato
all'ultimo minuto. Leviathan era rimbalzato indietro e la barriera si
era infranta su di me con un tintinnio di frammenti sulla roccia che
erano poi svaniti nell'aria. Mi ero alzata velocemente per scoprire se
avevo fatto centro, ma Leviathan era ancora in piedi e agitava furioso
la coda, scuotendo in contemporanea la testa e disegnando cerchi in
aria con le pinne. Conficcata al centro del ventre aveva la mia
freccia, che però non sembrava avergli arrecato un danno
critico.
Ero arretrata con rabbia, battendo i piedi sulla roccia per sfogarmi.
Mi ero chiesta cosa avrei dovuto fare per portare dalla mia parte quel
serpente che in quel momento mi guardava facendo oscillare il collo
elastico, come per invitarmi a fare di meglio.
Come per sfidarmi.
Ma se non avevo i mezzi per accogliere la sfida come avrei potuto anche
solo pensare di vincerla?
Avevo gettato da parte l'arco con un grido esasperato: l'arma era
rimbalzata con un tonfo sulla pietra, distraendo temporaneamente
Leviathan.
Temporaneamente,
perché subito il serpente aveva riportato la sua attenzione
su di me per folgorarmi con un altro raggio di luce. Ero riuscita a
schivarlo all'ultimo, prima di buttarmi a terra per non essere travolta
da un suo colpo di coda.
Ricordo che per la prima volta avevo temuto di non uscirne viva. Non
avevo più un'arma con cui attaccarlo a distanza e un corpo a
corpo era impensabile...era stato in quel momento che ero stata
folgorata da un'idea, proprio nell'attimo in cui mi alzavo in piedi e
il mio sguardo si posava sul coltello nel mio stivale.
Certo, non avrei potuto accoltellare Leviathan da lì. Ma se
avessi lanciato un Thunder sulla lama del pugnale e poi l'avessi
scagliato contro il suo ventre? Valeva la pena di provare con l'ultima
arma che mi era rimasta.
Avevo schivato l'ennesimo colpo del serpente, prima di accorgermi che
qualcosa non andava. Dietro di me echeggiava un ruggito nuovo, che
rimbalzava sulla roccia sotto di me e contro il cielo sopra di noi.
Mi ero voltata per trasformare quella che era un'intuizione nella
realtà: un muro d'acqua alto come un palazzo correva
all'impazzata verso di me, obbedendo al controllo mentale del G.F.
Leviathan stava lentamente sbiadendo, come se stesse per diventare una
gigantesca S di acqua.
Era la mia ultima occasione.
L'avevo visto sollevare la coda per spingermi ancora più
indietro e più vicina all'enorme onda che si stava
avvicinando, come un'enorme bocca spalancata. L'avevo visto calarla sul
mio corpo con un ruggito che si era propagato fino agli estremi confini
di quel mondo solitario, confondendosi con il canto letale dell'acqua
in arrivo.
Avevo sguainato con forza il pugnale, lacerando un lembo di pelle dello
stivale, sentendo l'aria risucchiata dallo tsunami sempre
più vicina al collo.
Avevo evocato con un grido disperato la magia del fulmine, che si era
scatenata sul metallo del pugnale con un crepitio da nulla, in
confronto alla furia dell'onda appena dietro di me.
Infine avevo scagliato l'arma con un gemito, il mio braccio che veniva
spinto dal soffio dell'acqua e dalla disperazione. Leviathan si era
inarcato per ordinare il crollo di quel muro trasparente proprio sopra
di me.
Il tonfo del coltello che lacerava la carne.
Il boato di un intero mondo sopra il mio corpo.
Erano stati secondi di incoscienza per me: nelle orecchie avevo sentito
lo sciabordio dello tsunami che si disfaceva una volta travolto
l'obbiettivo, il sibilo dell'aria mentre precipitavo e la collisione
dell'acqua contro la roccia.
Improvvisamente la mia caduta aveva trovato terra con un tonfo. Avevo
provato la sensazione di qualcosa di liscio e scivoloso sotto di me:
una terra viva e quasi familiare.
Poi l'ennesimo ultrasuono mi aveva costretta ad aprire gli occhi con un
sussulto, per rendermi conto che non ero morta come credevo.
Ero più viva che mai.
Leviathan mi aveva dato un colpetto con un artiglio della pinna per
aiutarmi a mettermi cavalcioni sul suo collo, mentre dietro di noi
l'onda era diventata una cascata che erodeva il promontorio a becco
d'uccello.
Visto da lì, avvolto da una nube di vapore acqueo, il blocco
di roccia era un'isola di pietra nel mare più ampio che
avessi mai conosciuto e...sì, la sua forma ricordava proprio
il serpente che mi stava portando via.
Ma via...dove?
-Ehm...Leviathan- avevo provato a tossicchiare. In quel momento una
corda nella mia mente si era tesa al massimo, mettendomi in
collegamento con i pensieri del G.F., che aveva sollevato obbediente il
capo senza distogliere lo sguardo da davanti a sé.
Allora mi aveva scelto. Allora...era mio.
-Leviathan - avevo ripetuto, trattenendo a stento un sorriso di
orgoglio - Abbiamo una bambina da salvare-.
Il ruggito del mio serpente si era subito levato in risposta a spezzare
l'illusione del suo mondo, che aveva iniziato a sgretolarsi come la
roccia erosa dall'acqua e dalla voce del suo padrone: il suo ruggito oceanico.
***
Quando ero tornata al Garden, Seifer mi aveva accolta con uno sguardo
preoccupato e le mani nervose che si muovevano nei guanti neri:
-Dove sei stata, sorellina? Ormai le prove sono finite- mi aveva
rimproverata, prima di lasciarsi scivolare dal viso la smorfia
preoccupata e sostituirla con una confusa.
-Che cos'hai?-.
L'avevo abbracciato di slancio, contenta di sentirlo accanto a me di
nuovo. Non avevamo nulla da temere: eravamo in camera mia e Fujin, con
cui la condividevo, non era ancora rientrata. Seifer aveva affondato il
viso nei miei riccioli, prima di riformulare la domanda nel mio
orecchio.
L'avevo guardato negli occhi e avevo sorriso, accogliendo l'invito a
raccontare con un certo orgoglio.
Alla fine io e Leviathan avevamo salvato la bambina, riportandola al
suo fratellone con il rimprovero di non lasciarsela più
sfuggire in situazioni così pericolose.
Nessuno aveva saputo che la minaccia dei mari era stata trasformata in
un valido aiuto e io non avevo intenzione di farlo presente. Leviathan
era mio, ora. Non avrei permesso che qualcun altro gli avesse fatto del
male.
Tanto più che, essendo un Guardian Force, sarebbe stato
difficile batterlo.
Tranne per me, ovvio.
-Un G.F.? Nelle acque di Balamb? E chi l'avrebbe mai detto!- aveva
esclamato Seifer, dopo aver sentito tutta la mia storia. Poi mi aveva
strizzato l'occhio con un sorriso:
-Brava, sorellina! Te lo sei anche portato a casa. E dimmi una cosa:
come ci si sente?-.
-Benissimo- avevo risposto ridendo, mentre passavo un pollice su un
taglio del ginocchio per guarirlo con un'Energia.
-E adesso capisci perché non ti ho lasciato Pandemon?- mi
aveva domandato mio fratello, accovacciato ai miei piedi per guardarmi
bene in viso. Avevo annuito, mentre avevo sentito le guance arrossire:
-Beh...sì. Scusa, sono la solita idiota orgogliosa- avevo
risposto con un sorriso imbarazzato. Seifer era scattato in piedi:
-Ehi, ti ho insegnato anche a essere degli idioti orgogliosi nella
vita! Cosa vorresti dire con questo?-.
Ero scoppiata a ridere indicando la sua smorfia arrabbiata, prima di
essere colpita da un altro pensiero, che mi aveva distratta:
-E chi si è portato a casa Shiva, oggi?- gli avevo chiesto.
La smorfia scocciata sul volto di Seifer mi aveva suggerito la risposta
ancora prima che lui sbuffasse, scimmiottando:
-Il damerino Squall Leonheart, ovviamente-.
Ok, chiedo umilmente
perdono per la lunghezza estrema di questo ricordo...descrivere la
scena di combattimento fra Atra e Leviathan non è stato
facile, soprattutto in breve...lo so, non so contenermi!
Tuttavia, spero che non sia stato noioso e che vi abbia interessato
sapere la storia del suo primo incontro con il G.F.!
Lo so, qui Seifer è poco presente, ma ho cercato di inserire
qua e là qualche allusione al rapporto con la sorella, in
questo caso nel renderle certamente la vita piena di
soddisfazioni, ma non gratuite bensì frutto del suo sudore!
Che ne dite, Atra se l'è meritato Leviathan?
Aspetto i vostri commenti (di qualsiasi tipo!) !
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Capitolo 4 *** Notte brava a Balamb ***
Quella sera infausta a Balamb è stata la nostra prima uscita
a quattro in città. Io avevo appena compiuto i tredici anni,
età necessaria per poter uscire dal Garden dopo le venti di
sera. Fino a quel giorno Seifer, Fujin e Raijin erano sempre usciti da
soli ogni sabato sera, lasciandomi da sola al Garden. In
realtà ogni fine settimana ero io a spingere Seifer a
cambiare aria e a uscire un po' per divertirsi, perché lui
trovava sempre una scusa per rimanere con me, sentendosi sempre
più in colpa...così come trovava sempre una scusa
per giustificare il fatto che irrompesse puntualmente a mezzanotte in
camera mia ubriaco marcio a urlarmi chissà quale stramberia.
Quelle sere le passavo sempre a sistemare i verbali delle riunioni del
Comitato Disciplinare, correggendo i paurosi errori grammaticali di
Raijin e segnandomi le battute più esilaranti da
riciclare...insomma, non c’era molto di importante di cui
tener conto e quel poco Raijin non lo annotava mai. Meno male che avevo
una buona memoria.
Finalmente a settembre avevo ottenuto anche io da Madre Natura il
privilegio di unirmi all'allegra combriccola.
Finalmente...beh,
ero ancora troppo ingenua per pentirmene...anche se ero sicuramente
troppo idiota per mollarli e tornare ai verbali. Era sempre
più divertente stare con loro.
Fatto sta che il sabato sera dopo il mio compleanno noi quattro eravamo
usciti a Balamb a festeggiare.
-Stasera Balamb ci vede al completo, finalmente!- aveva esclamato
Seifer, euforico come non mai e circondandomi le spalle con un braccio.
-Per quanti minuti ti vedrà sobrio?- gli avevo domandato
ironica, ridacchiando e stringendomi a lui. Mio fratello aveva
sollevato un dito:
-Ci
vedrà, sorellina. Non avrai intenzione di fare la
maestrina?- aveva sbuffato, lanciando un'occhiata a Raijin, che mi
aveva fatto l'occhiolino:
-Tranquilla Atra, vedrai come cambierà il mondo stasera!-
aveva detto con un ampio gesto della mano.
-Dici che l'alcol sarà così potente da cambiare
anche il tuo brutto muso?- lo avevo rimbeccato serafica, guadagnandomi
una sua occhiata offesa:
-Non potevamo lasciarla al Garden come al solito?- aveva mugugnato,
stando ben attento a non farsi sentire da Seifer, che era scoppiato a
ridere fragorosamente, seguito a ruota da Fujin (strano ma vero).
-Ah! Mi mancavano proprio queste scene!- aveva sospirato,
scompigliandomi affettuosamente i capelli.
-Sì, ma non sono un cane- gli avevo fatto notare,
abbassandomi per sfuggire ai suoi (rari) spupazzamenti.
-Programma di stasera, Fu'?- aveva chiesto Raijin, cercando di spostare
l'argomento della conversazione da se stesso.
-INAUGURAZIONE!- aveva risposto lei con uno scatto del braccio, che
aveva sollevato a indicare la zona della stazione.
-Giusto: hanno aperto un nuovo bar- aveva aggiunto Seifer, prendendomi
per mano e facendola dondolare distrattamente. Avevo osservato quel
piccolo gesto con una certa confusione, soffermandomi poi a guardarmi
intorno.
Balamb di sera era semplicemente incantevole: i lampioni erano accesi e
proiettavano chiazze di luce soffusa attraversata dalle nostre ombre,
sgranate dalle pietre irregolari delle strade. La zona del porto
splendeva delle sue potenti luci che si riflettevano sull'acqua,
muovendosi in bilico sulle piccole increspature della superficie.
Intanto la gente iniziava a riversarsi nelle strade, dirigendosi
proprio dove stavamo andando noi. Che i bar a Balamb scarseggiassero?
Proprio tutti lì dovevano andare?!
Comunque nel momento in cui ci eravamo ritrovati in mezzo a una
combriccola di ragazzi più grandi, avevo capito il motivo
per cui Seifer mi aveva presa per mano.
Alla fine eravamo arrivati sani e salvi al bar ed avevamo guadagnato
anche uno dei tavoli più decenti.
-Guardate, c'è Lars con il suo gruppo!- aveva esclamato
Raijin, sollevando una mano in direzione di alcuni ragazzi e ragazze
seduti a un gigantesco tavolo in fondo al locale. Intanto quello che
doveva essere Lars ci aveva notati e aveva urlato per sovrastare la
musica:
-Ohi, Seifer! Venite qui che ci stiamo tutti!- ci aveva chiamati.
-Questi sono nostri amici- mi aveva spiegato mio fratello mentre ci
avvicinavamo a loro.
-Mi fa piacere rivedervi, ragazzi! - aveva sorriso Lars, prima di
notare anche me - E lei? La tua ragazza, Seifer?-.
A quelle parole tutte e cinque le ragazze della compagnia si erano
voltate a squadrarmi con vivo risentimento. Beh, nulla in quel momento
poteva battere la mia espressione assassina: che osassero anche solo
pensare di mettere le loro luride manacce su mio fratello...la pacchia
era finita!
Seifer aveva riso di cuore a quelle parole, mettendomi una mano sulla
spalla:
-Ma no! Lei è Atra, mia sorella minore di un anno. Questa
è la prima sera che esce- mi aveva presentato, lanciandomi
uno sguardo affettuoso.
-Ops- mi aveva sorriso imbarazzato Lars. Era un ragazzo ben piazzato,
dai capelli castano scuro e gli occhi marroni e grandi. Niente di
entusiasmante, a dire il vero.
-Forza, questa serata dobbiamo far ubriacare Atra!- era intervenuto
Raijin, beccandosi il primo calcio della serata da parte di Fujin. I
due si erano seduti accanto a Lars, di fronte a me e mio fratello.
-Raijin, tanto tu non potrai vedere perché sarai
già collassato da qualche parte- avevo ridacchiato,
sedendomi sul divanetto accanto a Seifer, che era scoppiato a ridere.
-Lo spirito è quello del fratello- aveva commentato Lars,
ridendo. Insomma, non mi aveva ancora gli occhi di dosso e io stavo
iniziando a irritarmi. Forse avrei fatto meglio a strapparglieli, prima
che la cosa si facesse esasperante.
Avevo sollevato le sopracciglia:
-Guarda che non condividiamo lo stesso cervello- gli avevo fatto notare
innocentemente.
-E hai anche la sua risposta pronta!- aveva continuato imperterrito a
osservare. L'avevo ignorato, anche perché era arrivato il
momento di ordinare da bere.
-La sfida della serata, capo?- aveva domandato a bruciapelo Raijin. Io
avevo guardato Seifer per avere una risposta e lui me l'aveva subito
data, tutto fiero:
-Ogni sabato sera io e Raijin ci sfidiamo a chi beve di più
- mi aveva spiegato, prima di rivolgersi al compare - Stasera facciamo
a chi beve più liquore!-.
-Atra, ti unisci anche tu?- aveva chiesto Lars, seduto di fronte a noi.
-Nah, sono cose stupide. Insomma...da uomini- avevo risposto con un
gesto della mano.
-Ehi, sono anche io un uomo!- si era lamentato con un sorriso Lars.
-Dovrei essere gentile solo per questo?- mi ero accigliata. Lui aveva
continuato a ridere in silenzio, mentre io reprimevo
l’istinto di essere ancora più gentile.
-Ehi Atra! - aveva esclamato Raijin in quel momento - Ci stai provando
di già con qualcuno?-.
-La verità è che ti piacerebbe che fosse
così facile anche per te- avevo replicato, sorseggiando
tranquilla il drink. Seifer aveva battuto una mano sul tavolo:
-Raijin, perché la stuzzichi? Lo sai che poi ti fredda
sempre!- aveva riso, seguito dalle cinque oche che lo guardavano con
occhi lascivi.
-A proposito: se tu ci provi anche con una sola di quelle sgualdrine ti
riempio di così tanti calci che Fujin mi fa un baffo- avevo
ammonito mio fratello, senza risparmiarlo. Seifer aveva sollevavo le
labbra in una smorfia sicura:
-Tranquilla, sorellina - poi aveva sorriso - Sono già stato
con tutte-.
-Ma che schifo!- avevo esclamato, mentre Seifer scoppiava a ridere come
un matto.
-Ah, sorellina: tienimi impegnato a parlare mentre bevo più
che posso... - mi aveva detto poi, prima di accostare la sua bocca al
mio orecchio - Di solito lo faceva Fujin, ma non è mai stata
molto efficace-.
Avevo soffocato una risata, mentre osservavo la diretta interessata
sforzarsi di articolare un discorso, che non stava andando al di
là di “AFFERMATIVO”.
Intanto erano arrivati i primi bicchieri di liquore e mio fratello si
era buttato sui suoi cinque con grande entusiasmo.
-Non balli, Atra?- si era inserito in quel momento Lars, tendendomi la
mano. L’avevo scrutata con una smorfia di disgusto, prima di
salire con lo sguardo fino al proprietario...ugh, così era
anche peggio.
Lars voleva proprio prenderle di santa ragione quella sera...e
l’esecutore del suo massacro non sarebbe stato Seifer, come
si potrebbe pensare.
Comunque mio fratello lo stava già minacciando, agitando
l’ultimo bicchiere vuoto:
-Lars: sfiora mia sorella anche solo con la punta delle dita e...-.
-Seifer - lo avevo interrotto sollevando la mano, prima che scatenasse
un’apocalisse di imprecazioni - datti una calmata - poi mi
ero rivolta direttamente al nostro “amico” -
Comunque piuttosto che ballare con te, Lars, preferirei sposarmi un
Namtal Utoku, non so se mi spiego-.
Mentre mio fratello scoppiava a ridere come se avesse sentito la
battuta del secolo, Lars si era tirato violentemente indietro sulla
sedia con uno sguardo assassino dipinto in viso:
-Aspetta solo che Seifer sia ubriaco...- mi aveva minacciato a denti
stretti.
Quello non aveva ancora capito proprio un emerito cavolo, insomma.
-Perché, è di Seifer che credi di dover aver
paura?- lo avevo rimbeccato tranquillamente, rivolgendogli
un’occhiata eloquente. Lars aveva allontanato violentemente
la sedia e se n’era andato con un sorrisetto sulle labbra che
non mi era piaciuto per niente.
Intanto Raijin stava agitando la mano come un forsennato per richiamare
il cameriere e io mi ero rivolta a Fujin per sapere a quanti bicchieri
stessero:
-DIECI!-.
-Dieci chi?-. Maledizione, a quei tempi intavolare una conversazione
decente con Fujin era un’impresa. Soprattutto se stava
bevendo come una fogna come in quella situazione.
-RAIJIN!-.
-Ok, e Seifer?- avevo chiesto paziente, mentre mio fratello ridacchiava
da solo come un perfetto cretino.
-DIECI!-. Oh, ci era voluta metà della mia vita per sapere
che i due erano in parità.
-Fratellone, come va?- gli avevo chiesto, mentre scorgevo da lontano il
cameriere con altri bicchieri di liquore.
-Una meraviglia- aveva borbottato lui, perfettamente concentrato sul
portatovaglioli davanti a lui.
Quando era arrivato altro liquore, Seifer aveva sorriso nel modo che io
avevo classificato come il più pericoloso. Significava che
aveva in mente qualcosa.
-Atra, vuoi darmi una mano a finirli?- mi aveva chiesto con innocenza,
scolandosi il primo.
-Vuoi che ti aiuti a barare per vincere una stupida sfida? - avevo
sussurrato, scandalizzata - E poi Fujin sta contando i bicchieri, non
posso bere con te-.
Seifer aveva sbattuto il secondo bicchierino sul tavolo:
-E tu distraila, porco Garden- aveva mugugnato, improvvisamente
interessato a quello che era rimasto sul fondo del bicchiere. Avevo
fatto un sospiro:
-È una cosa imbecille, balorda e davvero idiota, Seifer -
avevo commentato, cercando il contatto con i suoi occhi, prima di
illuminarmi - E sai una cosa?-.
-Cosa?- aveva biascicato, mentre il potente liquore stava iniziando a
fare effetto.
-Ci sto- avevo detto con una risata soddisfatta alla sua smorfia di
trionfo. Beh, avevo accettato perché non ero completamente a
cento...e poi si parlava sempre di dare una lezione a Raijin e io non
mi sarei mai tirata indietro dalla possibilità di umiliarlo!
Per prima cosa dovevo distrarre l’arbitro:
-Ehi Fujin! - l’avevo chiamata, schioccando le dita - Guarda
che Raijin non ha finito il contenuto di quel bicchiere-.
Mentre lei si girava a controllare, Seifer mi aveva passato svelto un
bicchiere di liquore, che io avevo buttato giù tutto
d’un fiato, ignorando il bruciore alla gola e le lacrime agli
occhi.
-Ehi! Atra sta aiutando Seifer!-. Maledizione a quello spione di Raijin.
-Senti: hai già le traveggole. Hai sentito cosa ho detto
prima? Io non faccio queste cose- lo avevo rimbeccato, affrettandomi a
spingere il bicchiere che avevo vuotato fra i molti raccolti da Seifer.
Ok, so che le avevo definite
cose stupide
da uomini, ma non potevo certo lasciare che mio fratello
si affogasse nel liquore per vincere quella stupida sfida.
L’avrebbe fatto per non fare cattiva figura davanti a me,
potevo giurarlo sulla mia testa.
-Fujin! Seifer e Atra barano!- si era lamentato Raijin, soffocando un
enorme singhiozzo (posso giurare che in realtà era un rutto,
ci scommetto qualsiasi cosa).
La sua compare si era girata con un’espressione feroce sul
volto e sia io che Seifer avevamo deglutito, improvvisamente intimoriti:
-IMBECILLE!- aveva strillato rivolta a Raijin, riempiendolo di calci e
di botte con il portatovaglioli. Quel siparietto di Wrestling estremo
ci aveva permesso di trangugiare altri cinque bicchieri, due io e tre
Seifer.
Quando aveva finito con lo scimmione, Fujin aveva decretato la fine
della sfida, vinta con venti bicchieri da Seifer contro i diciassette
di Raijin. Insomma, il mio intervento aveva fatto la differenza.
-Oh, maledizione alla Trepe e a Yamazaki che non ci fanno mai bere in
classe! I nostri voti sarebbero certamente migliori- aveva esultato
Seifer, stritolandomi in una presa mortale.
-Bravo fratellone, un discorso da vero leader del Comitato
Disciplinare- avevo risposto, annuendo tutta convinta.
-COPRIFUOCO!-. A proposito del Comitato Disciplinare, Fujin aveva
ragione: che ore erano? Dovevamo tornare prima del coprifuoco.
Avevo borbottato la domanda, che a quel punto sembrava molto retorica
dato che non c'era nessuno a illuminarmi. Invece...
-Mezzanotte e mezza- mi aveva risposto Lars, tornato in quel momento e
guardandomi truce. Il mio sguardo non era stato da meno.
Noi quattro ci eravamo alzati barcollando in contemporanea e il nostro
“amico” si era indispettito:
-Dove state andando?- ci aveva chiesto tutto impettito.
-Devo sposare quel Namtal Utoku di cui ti parlavo- avevo risposto come
se fosse stata la cosa più naturale del mondo.
Improvvisamente Lars mi aveva afferrata per il braccio, tenendomi
stretta:
-Mi devi un ballo, a proposito- aveva sibilato, lanciando
un’occhiata a Seifer, che sbandava paurosamente. Avevo
abbassato lo sguardo sulla stretta a tenaglia di Lars, che non si stava
rendendo conto di qualche guaio stesse andando a cercare.
-Toglimi le mani di dosso- avevo protestato tranquillamente, mentre per
un attimo l’effetto dell’alcol scemava e tornavo in
me. I guai stavano raddoppiando.
-Cosa vuoi farmi, altrimenti? - mi aveva canzonato Lars - Non
c’è il fratellone che ti protegge, adesso-.
-Non ne ho bisogno - avevo risposto sempre tranquillamente - Per me una
bestia in più o in meno non fa differenza. Mi chiedo solo
come faccia Balamb a dormire tranquilla quando c’è
un’invasione di Grendell e di Cokatoris femmina, entrambi
alle prese con degli ormoni in pieno party hard con tanto di mille
bolle blu-.
-Chi ti credi di essere per giudicare?- aveva ringhiato Lars,
stringendo la sua presa sul mio braccio.
-Sono Atra Almasy e mi stai iniziando a far male. Ti ho detto di
lasciarmi- avevo ribattuto con la voce che stava iniziando ad alterarsi.
-Cosa ne dici se prima festeggiamo un po’?- mi aveva chiesto
Lars, tirandomi con violenza vicino a sé. Il mio
autocontrollo era scoppiato al contatto con la sua camicia zuppa di
sudore:
-Io dico: che festa sia- avevo sogghignato, prima di rifilargli una
violenta ginocchiata nel ventre. Lars mi aveva lasciato con un gemito
di dolore e allora io mi ero allontanata di qualche passo per rimirare
il mio lavoretto. Uhm, non ero ancora soddisfatta:
-Vogliamo fare qualcosa per questi ormoni in fermento? - avevo
ridacchiato, preparando il colpo - L’unica cosa da fare
è spegnergli la luce-.
Poi gli avevo sferrato un violentissimo calcio nelle parti basse,
proprio mentre le luci del bar si spegnevano a ritmo con la musica.
Grazie a Hyne quella sera avevo deciso di non mettere la gonna.
-Vedrai che adesso starai bene- lo avevo salutato, lasciandolo
inginocchiato a terra, fremente di dolore e di umiliazione.
Avevo raggiunto Seifer, che per fortuna non si era accorto di niente,
ed eravamo usciti, tutti e quattro barcollanti (l’effetto
dell’alcol è uno stronzo, questo bisogna dirlo:
quando ti illudi che se ne sia andato, torna più forte di
prima).
-Siamo in ritardo di mezz’ora! Ci conviene prendere una
macchina!- aveva esclamato Seifer, tornato in sé quel che
bastava per non strisciare sull’asfalto.
-Nessuno di noi ha la patente: non ce la daranno mai- avevo commentato,
massaggiandomi il braccio dolorante.
Seifer mi aveva fatto l’occhiolino:
-Ovvio che no. Ce la prendiamo noi-.
***
-Fujin: tu farai la guardia. Ci devi avvisare quando arriva la ronda,
va bene?-.
-RICEVUTO!- aveva esclamato lei, nascondendosi meglio dietro la siepe.
Immaginatevi quattro ubriachi che pianificano un furto d’auto
(a noleggio) dietro una siepe, a un quarto all’una di notte.
Immaginatevi quanta furtività ci potrebbe essere nelle loro
azioni. Fatto? Ecco, adesso aggiungeteci che questi quattro siamo io,
Seifer, Fujin e Raijin.
Bene, avreste tutte le ragioni per sospettare che il piano
sarà un fiasco clamoroso. Soprattutto se proviene dalla
mente malata di mio fratello.
Tornando a quella serata, Seifer ci stava affibbiando i ruoli.
Se vi chiedete come ho potuto accettare un’idea
così malsana, considerate che ero ubriaca anche io e che
avevo bisogno di tornare a casa come gli altri tre. E poi...ok, devo
dirlo: l’idea di un furto d’auto mi sapeva molto di
sfida.
-Raijin: tu distrarrai il commesso. Chiedigli tutto quello che vuoi, ma
fa’ in modo che non si giri a controllare le auto-.
-Lascia fare a me, capo!- aveva risposto sicuro Raijin, battendosi il
petto. Ehm...ero sicura che fosse quello che preoccupava Seifer.
-Io e mia sorella ci intrufoleremo in un'auto del garage,
laggiù - mio fratello l’aveva additato con
l’indice che spuntava tra le foglie - Ci fermeremo ad
aspettarvi dopo la prima curva, dietro al bosco-.
Avevo annuito per non spezzare il silenzio, ma a quello ci aveva
pensato il movimento insistente di Fujin tra le foglie e
l’ansimare peggio di un animale di Raijin.
-Pronta Atra? Qui quella veloce sei tu - mi aveva incoraggiato Seifer,
appoggiandosi a me per non cadere, mentre io mi reggevo forte a un ramo
della siepe per non ribaltarmi a mia volta - Devi aprire la porta del
garage con una delle forcine che hai fra i capelli. Pensi di farcela?-.
-Se non riesco a fare una cosa così semplice, passami sopra
con la macchina- avevo detto con una smorfia, mentre Seifer soffocava
una risatina.
Intanto Raijin si era avvicinato baldanzosamente al commesso, che
l’aveva squadrato con aria sospettosa:
-Posso fare qualcosa per voi, signore?- gli aveva chiesto, simulando un
sorriso cordiale. Certo che trovarsi davanti la faccia di Raijin di
notte non era proprio un bel vedere.
-Uh...sì - aveva mugugnato l’altro, comportandosi
come un vero e proprio scimmione - Mi chiedevo quale macchina potessi
affittare per un viaggio...lungo. Ecco... sì, mi chiedevo
questo!-.
Quella sera Raijin ci aveva dimostrato di essere un attore nato...e poi
ucciso a colpi di sprangate. Ciononostante il commesso era partito in
quarta a spiegare la differenza tra la macchina blu e quella verde,
mentre io e Seifer iniziavamo a muoverci circospetti.
-E poi c’è quella rossa, ma non ricordo se l'ho
già noleggiata...aspetta che vado a vedere...-.
-NO! - aveva strillato con grande pathos Raijin, prima di avvampare e
saltellare sul posto imbarazzato - Volevo dire: non si disturbi, il
rosso non mi piace-.
Il rosso non mi piace.
Mi ricordo che in quel momento mi ero bloccata rassegnata e avevo
offerto i miei polsi a un immaginario poliziotto.
-Atra, cosa stai facendo?- mi aveva chiesto stupito Seifer.
-Mi arrendo. Con un incapace così cosa vuoi combinare?- era
stata la mia risposta.
-Muoviti e vai ad aprirmi la porta! Abbi fiducia-.
Beh, quando l’aveva detto mio fratello...non mi ero
rincuorata per niente.
Comunque ero sgattaiolata velocemente verso il retro
dell’edificio (evitando per un pelo una cabina del telefono
che continuava a spostarsi chissà come...), mentre il
commesso continuava a illustrare a un annoiato Raijin quali fossero le
caratteristiche che distinguevano un motore veloce da uno adatto a un
viaggio lungo.
Mi ero sfilata una forcina dai capelli, prima di infilarla nella
fessura della chiave del lucchetto appeso alla porta.
-Cos’è questo rumore?-. Al commesso si erano
subito rizzate le antenne: ci credo, non ero proprio esperta in
scassinamenti vari! Eh, anche i migliori hanno punti deboli.
-Non saprei...un gatto che rovista nei cassonetti?- aveva azzardato
Raijin con un sorrisetto che implorava qualcuno di salvarlo da quella
situazione.
Io avevo sudato freddo, mentre continuavo a frugare
all’interno del lucchetto con il mio pezzettino di metallo
facendo un rumore infernale, dato che tutto era in silenzio.
Però mi ricordo che avevo pensato che fermarmi fosse molto
peggio, perché sarebbe significato urlare ai quattro venti:
“maledizione, mi hanno scoperto!”.
Strano che il mio cervello continuasse a funzionare anche con tutto
quell’alcol per la testa. La situazione di grande tensione in
cui mi trovavo doveva aver risvegliato il mio istinto di sopravvivenza.
-Ma qui non ci sono cassonetti- aveva risposto intanto il commesso,
guardandosi attorno circospetto. Da dietro la siepe, Seifer aveva
iniziato a farmi gesti preoccupati.
Finalmente il lucchetto della porta aveva ceduto e io mi ero infilata
la forcina in tasca con mani tremanti, aspettando prima di aprire la
porta metallica.
-Beh, ora non si sente più- aveva concluso Raijin,
passandosi una mano sui capelli. Dietro di lui, Fujin sembrava essersi
addormentata. Che razza di incapace.
Mentre il commesso riprendeva, seppur con un orecchio
sull’attenti, la sua spiegazione, Seifer era sgattaiolato
velocemente accanto a me e aveva spinto la porta con la punta del
piede. Come capita sempre a chi cerca di farla franca, quella aveva
cigolato paurosamente.
-Eh no! Stavolta ho sentito bene!- aveva esclamato il commesso,
lasciando Raijin con un palmo di naso ed entrando in negozio,
sicuramente per venire a stanarci. Io avevo fatto segno di tacere a
Seifer, prima di appostarmi a un lato della porta.
-Maledizione, chi ha aperto questa dannata porta? - aveva imprecato
l’uomo, uscendo sulla soglia e grattandosi corrucciato il
capo. Aveva fatto qualche svogliato passo in avanti - Non ci saranno
mica i...-.
La sua voce era stata interrotta dal mio pugno che era calato sulla sua
testa, mettendolo K.O.
-...ladri, esatto- avevo completato per lui, affrettandomi a fare un
cenno a Raijin per dirgli di andare a svegliare quell’idiota
di Fujin.
-Rimani con questo qui, mentre io apro la porta del garage e prendo una
macchina- mi aveva ordinato Seifer, sgattaiolando dentro il retro.
Intanto Fujin si era svegliata e aveva iniziato a cantilenare qualcosa.
-...TO. ...UT...TO-.
Mi ero chiesta se Raijin le avesse dato la sua asta in testa per
scrollarla dal sonno, magari trasferendole tutta la sua idiozia. Poi mi
ero ricordata che Raijin aveva il cervello così piccolo da
non aver spazio nemmeno per quella, così mi ero sforzata di
capire cosa stesse dicendo.
-...BR...TO. ...UTTO. ...RUTTO-. Raijin l’aveva per caso
svegliata ruttandole in faccia?! E allora perché la siepe
era ancora in piedi? E Raijin dove cavolo era finito?
-BRUTTO!- improvvisamente la voce di Fujin aveva risuonato con
chiarezza, proprio mentre Seifer metteva in moto.
Ah, stava inveendo contro Raijin...beh, dopotutto era stato
l’incapace che mi aveva costretta a tramortire quel povero
(anche se stupido, fatemelo dire) commesso.
E poi...va be’, mi risparmio il giudizio estetico sul nostro
compare, per stavolta.
Un’auto verde scuro era uscita sgommando dal garage,
fermandosi per farmi salire. Avevo lanciato una veloce occhiata al
commesso, che giaceva ancora svenuto a terra, prima di salire
rapidamente sul sedile accanto a quello di Seifer, che guidava.
Quando avevamo svoltato per immetterci nella strada principale, la luce
ci aveva quasi abbagliato.
Luce?! Ma non era l’una di notte?!
Infatti...quelle erano le torce della ronda notturna.
Quei due imbecilli di Raijin e Fujin si erano fatti prendere. E noi con
loro.
***
Quando la polizia ci aveva riportati al Garden trascinandoci per le
orecchie (io e Seifer ci eravamo ribellati e ci avevano dovuti
ammanettare), il preside Cid ci aveva fatto una sfuriata alle tre di
notte. Avevamo passato le due ore precedenti al commissariato, cercando
di corrompere gli agenti o di truccare i moduli e lamentandoci con
l’addetta alle pulizie, che era l’unica ad averci
definiti “bravi ragazzi”. Ma dato che quella pazza
credeva di star pulendo i corridoi della scuola elementare di Balamb,
forse il suo parere non contava molto.
Comunque solo la cauzione pagata dal Garden ci aveva risparmiato le due
settimane al fresco che volevano propinarci. Quante storie per un
tentato furto...manco avessimo dato fuoco alla macchina dopo averla
rubata! Quella non era una cosa neanche da noi, perché non
era divertente. Lo sarebbe stato di più se ci fossero stati
dentro Fujin e Raijin, quei dementi.
Comunque, Cid ci aveva proibito di uscire a Balamb fino alla fine
dell’anno...cioé per tre mesi.
A nulla erano valse le proteste mie e di Seifer, mentre Raijin si
lamentava come un bambino e Fujin si era addormentata di nuovo.
Morale della nostra (dis)avventura? Ho capito che alla fine i sabato
sera passati sui verbali delle riunioni del Comitato Disciplinare non
erano poi così male! Oppure no?
Grazie ai
coraggiosi che sono arrivati fino in fondo a questo papiro egizio...dai
prossimi capitoli sarò più breve anche con i
ricordi, perdonatemi ma non è facile raccontare un'intera
serata ed essere concisa (soprattutto se QUALCUNO ne fa di tutti i
colori prima di rubare la macchina...)!
Spero che abbiate riso almeno la metà di quanto ho riso io
nello scrivere questo delirio...in caso contrario a Balamb dovrebbe
essere avanzato qualche bicchierino di liquore per consolarvi....
Al prossimo ricordo e grazie per aver letto anche questo capitolo!
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Capitolo 5 *** Descensio ad Inferos ***
-Bastaaaaaaaaaaa!-.
Ecco, avete appena sentito il sottofondo musicale che allietava i
pomeriggi di studio di me e Seifer al Garden. Questa era una cantilena
che durava più o meno dai cinque minuti dopo l'apertura di
un libro fino al momento esatto in cui chiudevo seccata il quaderno
degli appunti e glielo sbattevo sulla testa, prima di incrociare le
braccia al petto e sbuffare a mia volta, decretando la fine della
tortura.
Studiare con Seifer era impossibile, ma ero l'unica che riuscisse a
fargli prendere la sufficienza in qualsiasi prova...se ve lo state
chiedendo: ovvio che sì, lo minacciavo abbastanza
pesantemente, ma solo quando si rivelava necessario...cioè
sempre.
Tuttavia, un assolato pomeriggio di metà settembre, uno dei
discorsi più seri avvenuti fra me e mio fratello era
iniziato proprio con quel solito sbuffo.
Entro una settimana esatta, il ventidue settembre, avrei compiuto
diciassette anni e Seifer avrebbe raggiunto i diciotto il ventidue
dicembre.
L'anno scolastico era appena iniziato ed era il primo che stavamo
frequentando nella stessa classe, dato che mio fratello era stato
bocciato all'esame pratico SeeD. Dopo la prima bocciatura, lo studente
avrebbe potuto ripetere l'esame ogni qualvolta fosse stato chiamato
l'appello dalla direzione del Garden.
Ormai la data era stata fissata ed era il 20 ottobre. Mancava appena
poco più di un mese ormai e io stavo preparando Seifer con
grande impegno e...sì, tante librate in testa.
Fortunatamente l’esame alla Caverna di Fuoco non doveva
essere ripetuto (ovviamente se si era stati promossi): non credo che
avrei potuto sopportare ancora i pomeriggi passati a fare studiare a
mio fratello le tipologie di mostri presenti al suo interno o le magie
adatte per sconfiggerli. Comunque, grazie a me Seifer aveva superato la
prova egregiamente e al primo tentativo.
Per tornare a quel pomeriggio, dato che faceva caldo ci eravamo
appostati sul muretto del giardino del Garden e lì stavo
cercando di ficcare nella testa vuota di quell'idiota qualche nozione
sugli oggetti d’attacco, in particolare quelli elementali.
Eravamo lì da massimo un quarto d'ora, ma Seifer era
già stufo.
-Rispondimi a questa domanda e poi facciamo una pausa!- avevo
protestato, stringendo a me il libro per evitare che quel baro
sbirciasse.
-Dieci minuti di pausa se rispondo giusto- aveva contrattato lui con un
sorriso sghembo.
-E dieci minuti in più di lezione se non sai la risposta- lo
avevo rimbeccato.
-Eh no! Se rispondo sbagliato vuol dire che la domanda era troppo
difficile- si era difeso lui, imbronciato. Avevo alzato gli occhi al
cielo, prima di formulare la domanda:
-Di che elemento sono il Vento Artico e il Vento Antartico?-.
-Questa è veramente facile - aveva sghignazzato lui - La
risposta è nella domanda, sorellina: vento, no?-.
Hyne, che razza di imbecille cronico avevo per fratello?!
Avevo chiuso il libro di scatto e lo avevo picchiato forte con quello:
-No, schiappa che non sei altro! Ghiaccio! GHI-AC-CIO!- avevo strillato
esasperata.
-Era una domanda trabocchetto! - si era indignato lui - Che stronza che
sei!-.
-E tu non ti stai impegnando, maledizione!- mi ero arrabbiata, mettendo
il libro sulle ginocchia. Un paio di studenti ci erano passati accanto,
ridacchiando. Prima che potessi anche solo pensare che non era una
buona idea farlo, il libro stava già volando per colpire
quello che doveva aver fatto un commento molto divertente, a giudicare
dalle risatine del suo compare.
-Ehi! - si era lamentato il tipo, raccogliendo il libro e agitandolo
con fare eloquente - Questo va contro il regolamento del Comitato
Disciplinare!-.
Ehm, sì: avevamo istituito una legge anche contro i libri
volanti. Quando ti ritrovi ad aver a che fare con degli studenti che
durante i compiti riescono a copiare sollevando il libro con un Levita
e sostenendo che la gravità ha fatto cilecca...insomma,
eravamo stati costretti. Inutile dire che Seifer aveva protestato come
un matto, dato che era stato lui ad aver inventato il metodo.
-Anche ridere del Comitato Disciplinare va contro il regolamento- mi
ero difesa, facendogli segno di ridarmi il libro. Lo studente, che non
doveva aver più di quattordici anni, si era avvicinato e mi
aveva teso il libro senza una parola.
-Ah, tu e il tuo amico siete ancora in tempo per il turno di pulizia
dei cessi di stasera: segnate i vostri nomi sul tabellone nella Hall-
lo avevo informato, strappandogli il libro di mano - Guardate che dopo
controllo-.
I due si erano allontanati sbuffando. Beh, mai trovarsi nei paraggi
quando io o Seifer eravamo arrabbiati.
Ma stranamente in quel momento mio fratello era rimasto in silenzio.
-Ehi, non dirmi che ti sei offeso per quando ti ho chiamato "schiappa"-
avevo detto, sfiorandogli il naso con l'angolo del libro. Lui aveva
allontanato la testa di scatto, infastidito, e aveva scosso la testa:
-Ma no, figurati - aveva risposto con voce piatta, prima di respirare
profondamente - E' che...devo parlarti-.
Le due parole famose che ti fanno pensare a tutti gli errori che
potresti o meno aver compiuto nella tua vita...beh, per me non era
così. Avevo aspettato e basta, il libro in bilico su un
ginocchio, mentre mio fratello si torceva nervosamente le mani e
contava le pietre del pavimento.
Non l'avevo mai visto così a disagio.
-Insomma, va tutto bene?- ero scoppiata poi, incapace di trattenermi
ancora. Seifer aveva annuito con un cenno veloce, prima di proferire le
parole più...banali di questo mondo:
-Ho conosciuto una ragazza-.
Mi stava seriamente parlando di quello?! Chissà quante ne
aveva avute, dalle oche di Balamb a quelle del Garden...era un
problema? Per me un po', per lui non credevo proprio. Forse, a
giudicare dal suo contegno, in quel momento lo era anche per lui.
-E cosa c'è di diverso?-. Quando avevo pronunciato quelle
parole, mi ero accorta di aver fatto inconsapevolmente centro. Seifer
aveva annuito, sollevando le sopracciglia:
-C'è che ho voglia di rivederla-.
In quel momento nella mia mente stavano volando una miriade di "porca
miseria" e "che cosa diavolo me ne frega?!".
Da una parte Seifer che si diceva così interessato per una
ragazza era una cosa assurda...dall'altra era ancora più
strano che avesse deciso di parlarne con me, che di amore non me ne
intendevo proprio benissimo. Non avevo mai avuto un ragazzo, lascio a
voi immaginare il motivo (sostanzialmente il mio brutto carattere, non
pensate che non ci fosse qualche idiota che ci provava con me...anche
se tutti scomparivano misteriosamente non appena Seifer se ne
accorgeva), quindi...cosa potevo dirgli io in quel momento, se non:
-Wow, che bello-.
Seifer era scoppiato a ridere come uno scemo, battendo il muretto sotto
di sé e agitandosi tutto. Lo avevo osservato sclerare un
po', prima di sbuffare:
-Cosa dovrei dirti? Non posso leggerti sul palmo della mano quanto
durerà il vostro amore o altre cazzate del genere!-.
Mio fratello si era ripreso:
-Sapevo che avresti reagito così! E no, fortunatamente Rinoa
e io non abbiamo ancora problemi, quindi non ci serve sapere il
futuro!- aveva riso.
-Rinoa, eh? - avevo mormorato, sentendo subito e inconsapevolmente
antipatia verso quel nome, prima di realizzare l'ultima parte del
discorso - Ehiehiehi, vuol dire che state già insieme?!- ero
sbottata.
-Da quasi due mesi- aveva risposto orgoglioso Seifer, alzando il mento.
-Grazie per avermelo detto- avevo mugugnato, aggrottando le
sopracciglia. Lui aveva riso ancora e mi aveva abbracciato le spalle:
-Ah, Atra! Se avessi dovuto raccontarti tutte le storie che ho
avuto...dovresti far fuori mezzo Garden, in quanto a componente
femminile!-.
-Certo che fai proprio schifo!- mi ero indignata. Ma che cazz...?!
-Non è colpa mia se le ragazze mi trovano attraente!- si era
difeso lui, ridendo.
-Avrai anche un bel faccino - avevo detto pizzicandogli una guancia -
Ma se tutte le ragazze con cui sei stato avessero potuto guardare in
questa testaccia - gli avevo battuto forte il dito sulla fronte - credo
proprio che ti avrebbero scaricato all'istante-.
-Perché credi che non abbia mai funzionato con nessuna del
Garden?!- aveva ribattuto lui, continuando a ridere della sua
ignoranza. Maledizione: mio fratello era anche intelligente! Ma
l'abisso fra il suo acume e la sua voglia di applicarsi era
direttamente proporzionale a quello fra il mio bel caratterino e una
relazione con un ragazzo.
-Vantati, bravo- lo avevo scherzato, sbuffando. Seifer mi aveva dato un
pugno sulla spalla:
-Comunque, non volevo parlare di questo! - aveva esclamato - Pensavo
solo che non dovessi nascondertelo, tutto qui-.
Durante tutta l’estate precedente Seifer era stato strano e
in quel momento avevo capito perché. Molto spesso prendeva
il treno tutto solo per chissà quale destinazione, con una
strana luce negli occhi e gli angoli piegati sempre in un sorriso un
po’ involontario, sopra il mento sollevato per esprimere un
orgoglio nuovo e diverso. Non avevo capito però che si
trattasse di quello.
Forse perché non sapevo cosa significasse o come funzionasse.
-Com’è?- avevo chiesto quindi, mentre mi stupivo
per l’ennesima volta di star facendo proprio quella domanda a
Seifer. Mio fratello aveva sollevato lo sguardo da terra:
-Chi, Rinoa?- aveva domandato, confuso. Avevo scosso pazientemente la
testa:
-No. Cosa si prova?-. Ma davvero volevo saperlo? Oppure volevo solo
capire che effetto facesse a lui? Forse tutte e due le cose...forse
volevo capire da cosa dovessi difendermi. O difendere mio fratello.
Seifer aveva sospirato forte, serrando le labbra e poi deglutendo.
Avevo osservato i muscoli del suo collo contrarsi e rilassarsi, prima
che lui si decidesse a parlare:
-E’ una lotta interiore. E’ una guerra divisa tra
ciò che eri e ciò in cui ti trasformerai. Come
puoi lasciarti perdere così, mi chiedo? Cosa ti spinge a
farlo?-.
I suoi occhi color ghiaccio erano rimasti fissi sul sole fino a quel
momento, prima di distogliersi totalmente dal cielo, le palpebre che
battevano velocemente e le ciglia bionde che si confondevano con la
luce. Avevo trattenuto il respiro per tutto il tempo, prima di
rilasciarlo per parlare:
-Tu...ti senti davvero così?-.
-Non devi averne paura, Atra - aveva detto lui dolcemente, seguendo con
la punta dell’indice la linea del mio zigomo sinistro -
L’amore è sempre stato una cosa da deboli: ti
sembra che una vita spesa per costruire un te stesso che alla fine non
ti piace sia stata uno spreco e vuoi cambiare ogni virgola di te quando
ti trovi al confronto diretto con chi dovrebbe amarti per quello che
sei-.
-E...Rinoa non ti ama per quello che sei?- avevo domandato, aggrottando
le sopracciglia come se pronunciare il nome di qualcuno che aveva fatto
un torto a mio fratello fosse masticare amaro in bocca. Seifer aveva
scosso forte la testa:
-No! - aveva esclamato, forse con più determinazione di
quanto avessi previsto - Cioè, non mi ha mai chiesto di
cambiare...ma c’è qualcosa in questo mio
sentimento che mi spinge a domandarmi se sono abbastanza per lei-.
Mi sbagliavo, se avevo pensato o anche solo lontanamente temuto che
Seifer si sarebbe lasciato influenzare da un sentimento che
già non gli apparteneva per sua natura, finendo per
arrendersi a una persuasione sbagliata, che lo avrebbe portato lontano,
troppo lontano persino da se stesso. Mio fratello stava combattendo
quella guerra che aveva detto essere l’amore, domandandomi in
silenzio aiuto per uscirne uguale a come ne era entrato, senza perdere
nulla.
-Ti stai facendo troppe domande su qualcosa che vedi solo tu - lo avevo
rimproverato, facendo dondolare i piedi contro il muretto. Seifer aveva
sospirato:
-Sarà, ma non mi permetterò di cambiare di una
virgola- aveva risposto, stringendo i denti. Avevo annuito:
-Questo è l’importante. Non cambiare per nessuno,
se senti che non è giusto- avevo sussurrato, prima di
sorridergli rassicurante, promettendogli in silenzio che io lo avrei
aiutato a rimanere se stesso. Lui me lo aveva letto in faccia e aveva
annuito, socchiudendo gli occhi.
Non avevo ancora capito come funzionasse l’amore,
all’epoca. A dire la verità, non l’ho
capito neanche adesso.
Se avessi saputo come sarebbe andata a finire, gli avrei suggerito di
fare il contrario. Avrei dovuto capirlo, maledizione. Avrei dovuto
puntare più alla sua felicità che alla nostra
avversione per i cambiamenti.
Perché nel periodo subito seguente al giorno in cui ci
eravamo parlati, Seifer non stava bene. La mattina seguiva le lezioni
con difficoltà, persino addormentandosi sul banco (sospetto
ancora oggi che di notte non dormisse, strapazzandosi il cervello con
inutili pensieri e tormenti); ai pasti mangiava poco, cosa strana per
uno come lui che era sempre il primo a finire quello che aveva nel
piatto e ad alzarsi a rubare il cibo a quelli del primo anno; al Centro
combatteva con una rabbia repressa mai sfogata prima, fino a giungere a
uno sfinimento in cui trovava la pace, per una volta.
La sera cercavo di dargli qualche lezione in vista dell’esame
imminente, per cui non aveva mai perso interesse ma su cui non riusciva
più a concentrarsi come avrebbe voluto.
Ogni volta che non si ricordava qualcosa, mi strappava il libro dalle
mani e leggeva la risposta, prima di scagliarlo con un ruggito
nell’erba davanti a noi. Poi mi chiedeva sempre scusa, di
fronte al mio sguardo preoccupato e indagatore.
La sua “descensio ad Inferos” stava accelerando
vertiginosamente, facendolo sprofondare appunto in un inferno di dubbi
e tormenti a cui avrebbe dovuto essere immune.
E forse si arrabbiava perché teneva a tutto ciò
che faceva parte della sua vita: me, il suo sogno di diventare
SeeD...Rinoa. Forse era lei che strideva con tutto questo, a cui lui
era incapace di rinunciare ma non così tanto da poter
lasciare andare lei.
E io assistevo impotente alla sua lotta interiore, rimanendogli accanto
per ricordargli sempre chi era. Tuttavia, dal suo tormento stavo
imparando che se Seifer non avesse fatto chiarezza dentro di
sé in un tempo ragionevole, avrebbe perso due delle tre cose
che voleva nella sua vita. E gli sarei rimasta solo io, a cercare di
riconoscerlo senza altri veli davanti.
Il giorno dell’esame da SeeD l’avevo visto nervoso,
per la prima volta. Mi aveva detto che ce l’avrebbe messa
tutta, ma quando ne avevamo parlato non avevo ben capito se si
riferisse alla sua prova o ad altro. L’avevo visto perduto in
sensazioni e pensieri che gli avevano deformato il volto in una smorfia
tesa e insicura. Ne ero rimasta sconvolta e non avevo fatto altro che
pensarci tutto il giorno, soffocando il cattivo presentimento che mi
montava in cuore.
Presentimenti...quando si avverano non ti senti mai un genio per
esserti aspettato l’esito di una certa situazione. E io non
mi ero sentita felice quando non era stato pronunciato il nome di mio
fratello nella lista dei nuovi SeeD.
Seifer non mi aveva parlato, quella sera. Non aveva mangiato e aveva
subito preso il treno, come mi aveva detto Raijin, irrompendo
preoccupato nella camera di me e Fujin.
-Avete litigato, per caso?- mi aveva chiesto, per la prima volta
sinceramente interessato. Avevo scosso la testa, prima di sollevarla di
scatto:
-Ti sembrava arrabbiato?- gli avevo chiesto, mentre il secondo
presentimento della giornata tornava a far capolino. Raijin aveva
sollevato le sopracciglia:
-Altroché! Era infuriato- aveva esclamato lui, sedendosi sul
letto di Fujin, che si era scostata velocemente intimandogli di lavarsi
un po’, accompagnando i suoi strilli con un quantitativo
abbastanza eloquente di pedate.
-Oh, maledizione- avevo imprecato, uscendo di scatto dalla stanza e
prendendo l'ascensore pigiando con forza e ripetutamente sul tasto,
come se fosse così facile ricostruire una vita, un
fallimento, un amore.
Ero arrivata in giardino trafelata, senza sapere bene cosa avrei dovuto
fare. Alla fine avevo deciso di aspettare Seifer per quando fosse
tornato.
Mi ero chiesta se il cambiamento che tanto temeva fosse alla fine
arrivato e avesse preso il sopravvento, anche se non ci credevo per
niente. Non avevo temuto nemmeno per un secondo che avesse lasciato il
Garden, perché avevo capito per quale motivo avesse preso il
treno. E avevo paura delle conseguenze di questo su se stesso.
Seifer non era un tipo sentimentale e proprio per questo, quando
provava un'emozione, si poteva dire che era sincero. Quando mi aveva
rivelato di Rinoa, avevo capito che era serio nelle sue intenzioni e
che ci teneva veramente.
E ora non sarebbe stato l'amore a distruggerlo. Ma la sua rabbia,
cioé se stesso.
Lo avrebbe perdonato Rinoa per quello che probabilmente le stava
facendo? E lui? Si sarebbe perdonato?
Lo avevo visto camminare lentamente, avvolto dal buio della mezzanotte.
Faceva freddo e io ero uscita solo in camicia e gonna e tremavo, ma non
l'avevo dato a vedere mentre gli tendevo una mano, in piedi in mezzo al
sentiero lastricato e bagnato di una pioggia che stava iniziando a
scendere, come lacrime di dolore. Come lacrime di sconfitta.
Seifer aveva spalancato gli occhi, abbagliato dalla luce sotto cui mi
trovavo e dalla sorpresa di vedermi lì. La pioggia gli
scivolava sul mento, sfiorandogli le labbra e lavando via i loro
ricordi.
Mio fratello mi aveva sfiorato le dita, prima di prendermi
energicamente per il polso e attirarmi a sé per
abbracciarmi. Il suo cappotto era bagnato, così come i suoi
capelli, ma lo ero anche io. E così gli avevo accarezzato
lentamente la nuca, sentendo la sua guancia contro la mia.
-E' finita- aveva mormorato contro i miei capelli, che si erano
arricciati ancora di più con l'umidità della
pioggia.
Sapevo che non avrebbe voluto parlarne, così non avevo
rincarato la dose.
Sapevo che non stava bene, perciò non gliel'avrei chiesto.
Sentivo il pentimento nella sua voce, misto al risentimento contro se
stesso e il mondo. Nessuno dei due avrebbe perdonato.
E gli ero rimasta solo io.
-Mi dispiace. Ti ho consigliato male- avevo mormorato, chiedendomi come
sarebbe andata se lo avessi spinto a fare qualche passo
indietro...andando contro me stessa e lui stesso.
La guancia bagnata di Seifer aveva tremato, mentre lui si sforzava di
scolpirsi un sorriso in faccia per poi staccarsi e guardarmi. Avevo
sentito il freddo bagnato della sua targhetta di metallo sfiorarmi
l'incavo fra collo e mascella, prima che si scontrasse con la mia in un
tintinnio metallico mentre lui allontanava il suo corpo dal mio. Questo
suono aveva risvegliato altri dolorosi ricordi a entrambi, gliel'avevo
letto negli occhi.
-Ormai non era più facile nemmeno per lei - aveva detto
amaramente, prendendomi la mano e osservando le gocce di pioggia
scendere dalle nostre dita intrecciate - Forse è stato
meglio così. Alla fine ero in catene lo stesso, anche quando
mi opponevo-.
L'amore e gli Almasy non andavano per niente d'accordo. Strano pensare
che eravamo nati per amore, ma potevamo farne benissimo a meno per
vivere.
-Basta parlarne. Adesso andiamo a dormire. Per l'esame...riproverai al
prossimo appello: sento che sarà quello buono- avevo
mormorato, tirandogli il braccio. Seifer si era fatto trascinare
dentro, gocciolante stanchezza e rassegnazione. Nemmeno una lacrima sul
suo viso fiero. No, non ne avrebbe sprecate per amore. Il suo orgoglio
valeva più di tutto.
***
A metà novembre aveva nevicato, a Balamb. Gli studenti erano
entusiasti di questa novità, che aveva portato un'atmosfera
diversa in giardino e le colonnine di mercurio ai minimi
storici...così come la mia gioia. Io ODIO il freddo.
Come al solito, io e Seifer stavamo studiando con concentrazione la
conformazione geografica della regione di Centra...cioè, io
ero concentrata, Seifer preferiva molto più il muro della
parete di camera mia.
-Bastaaaaaaaaaaa!- aveva esclamato poi, chinando la testa sulle mie
gambe. Gli avevo rifilato uno scappellotto sulla nuca:
-Ultima domandina...- avevo tentato, ma Seifer si era alzato
improvvisamente, armandosi della lampada che tenevo sul comodino:
-Le tue domandine no! Sei in svantaggio: arrenditi!- aveva ribattuto,
agitando minacciosamente la lampada. Avevo chiuso il libro con uno
scatto, gettandolo sul letto scocciata:
-Contento? Così per il compito di domani non saprai niente e
io non ti farò copiare una riga - avevo detto
tranquillamente, facendogli l'occhiolino - Chi è in
svantaggio, adesso?- avevo chiesto. Seifer aveva posato l'oggetto che
teneva in mano con uno sbuffo:
-Dammi dieci minuti di tregua, almeno!- si era lamentato, come un
bambino.
-Cinque - avevo sollevato la mano a segnare il numero, prima di fare
una smorfia - Ho un déjà-vu- avevo sospirato.
Seifer aveva ridacchiato:
-Aspettavo che lo dicessi. Sono passati due mesi da quando te l'ho
detto. Dopo è successo solo un gran casino-aveva ricordato
lui.
-Grazie, la colpa non è mia- avevo borbottato. Lui si era
allungato a toccarmi il naso:
-Lo so, lo so Atra. Non insinuavo nulla, sai- aveva sussurrato, prima
di distendersi con la testa accanto alle mie gambe. Gli avevo passato
distrattamente una mano fra i capelli, chiedendogli:
-L'hai...l'hai più sentita?-. Sapevamo entrambi a chi mi
riferivo. Lui aveva sospirato, la mano sul suo torace che si era alzata
automaticamente:
-No. Se fosse per lei ci riproveremmo anche subito. Ma...non ce la
faccio- aveva risposto.
-Troppi ricordi?- avevo domandato, guardando il soffitto.
-Sono stato uno stronzo, Atra. Grazie a Hyne non eri lì a
sentirmi...ma non dimenticherò mai ciò che le ho
detto e il dolore nei suoi occhi- aveva detto lui, seguendo il mio
sguardo.
-Forse c'era un modo per salvare il tutto, non credi?- gli avevo
chiesto, tornando a concentrarmi sulle mie dita che gli sfioravano
pigramente i capelli cortissimi. Lui si era sollevato sui gomiti per
guardarmi, prima di concentrarsi sul bianco del lenzuolo:
-No, non credo. Io troppo orgoglioso per rinunciare a qualcosa, lei
troppo fragile per sopportare un confronto diretto. Ho mandato a farsi
fottere l'esame per pensare a queste cazzate. Ogni volta che ci
vedevamo mi sentivo sempre più disgustato di me stesso e dei
suoi silenzi. Facevamo sempre ciò che volevo io...si andava
dove volevo io...ci si vedeva quando volevo io...la relazione era un
mio capriccio. E io tenevo a lei abbastanza per capire che non era il
tipo di vita che avrei potuto darle...non sono fatto per stare con le
persone, capisci?- aveva detto tutto d'un fiato, chinando lo sguardo.
Avevo annuito:
-Io sì. Ti capisco molto bene- avevo detto con una nota di
rassegnazione nella voce, che l'aveva resa roca e debole. Seifer aveva
giocherellato affettuosamente con un mio riccio nero, rimettendomelo
dietro un orecchio:
-Non importa. Siamo noi due contro il mondo, va bene lo stesso- aveva
mormorato, la voce alterata dal sorriso beffardo che gli si era dipinto
in viso. Lo stesso sorriso mi si era aperto spontaneamente, mentre la
mia voce tornava forte e sicura:
-Puoi dirlo forte, fratellone-.
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Capitolo 6 *** Parole di troppo #1. Inferno ***
#1. Inferno
Era il mese di giugno ed entro una settimana Seifer avrebbe sostenuto
per la prima volta il suo esame da SeeD.
Ormai passavo i pomeriggi sempre con lui, aiutandolo a studiare per le
vagonate di esami teorici che doveva ancora sostenere e preparandolo al
meglio che potevo, a volte riducendomi a studiare alle undici di sera
perché non toccavo per tutto il giorno i miei libri.
Mio fratello si stava stranamente impegnando, forse perché
aveva capito quanto un piccolo sforzo poi valesse un'immensa
soddisfazione.
Quando Seifer era partito per sostenere la prova pratica, tutto sommato
ero tranquilla. In campo non lo batteva nessuno e in quanto a
preparazione teorica...beh, aveva superato tutti gli scritti almeno con
la sufficienza o qualcosa di più.
-Sono pronto - mi aveva detto con sicurezza nella Hall, salutandomi con
un buffetto sulla guancia - E tutto grazie a te, sorellina-.
-Non mi deluderai- avevo asserito convinta, prima di fargli un cenno
con una mano e osservarlo consultare con aria annoiata la Trepe per
sapere a quale squadra fosse stato assegnato.
-Ma come?! Non sono caposquadra?! - aveva ululato improvvisamente,
stringendo i pugni indignato - E chi diavolo potrebbe esserlo, allora?-.
Avevo alzato gli occhi al cielo, mentre Raijin accanto a me sbuffava:
-Non possono non farlo caposquadra!-.
-INGIUSTIZIA!- aveva esclamato Fujin, tagliando l'aria con un gesto
rigido della mano.
-Non nominano caposquadra chi è un candidato per la prima
volta- avevo detto freddamente, irritata da quei due incapaci che
sapevano solo urlare e difendere Seifer. Mio fratello non aveva bisogno
di nessuno, diavolo.
-State per partire alla volta di Timber - aveva cominciato il preside -
Alcune organizzazioni locali hanno chiesto il nostro intervento contro
un'invasione di Ochu provenienti dalle foreste circostanti; l'esercito
di Galbadia non sembra sufficientemente qualificato per...-
-Cosa?! - l'aveva interrotto Seifer - Combattere al fianco di quel
branco di idioti?-. Il preside aveva spalancato gli occhi, prima di
muovere la mano in un gesto di stizza:
-Seifer, non combatterete con
loro, ma per
noi. E non definirli branco
di idioti come se tu fossi migliore-.
Mi ero morsa un labbro per nascondere il mio turbamento, mentre mio
fratello si irrigidiva e scuoteva la testa imbronciato, mandando
sicuramente tutti al diavolo nella sua mente.
Speravo solo che rimanesse al suo posto, magari conservando il buon
senso che gli era rimasto, dato che il resto era già andato
a farsi fottere.
Avevo trascorso il pomeriggio in stato di ansia, che ero andata a
scaricare nel Centro d'Addestramento. Poi, dato che era il mio turno di
ronda per il Comitato Disciplinare, avevo lasciato di malavoglia l'arco
per sostituirlo con registro e penna. Maledizione, lasciavano sbrigare
sempre a me quelle incombenze burocratiche!
Mentre mi prendevo una pausa in giardino per annotare che avevo
sorpreso uno del primo anno seduto sulla nostra panchina preferita,
Fujin e Raijin mi avevano raggiunto:
-I candidati arriveranno a Balamb con il treno. Andiamo a prenderlo?-
aveva domandato a bruciapelo Raijin, fissando con disgusto la mia mano
che scriveva. Avevo chiuso il registro con uno scatto, scocciata:
-Che ore sono?- avevo domandato, senza alzare un dito per farli sedere.
-Le sette meno un quarto. Di solito i candidati tornano alle sette,
quindi dobbiamo darci una mossa- aveva risposto agitato Raijin. Io
avevo annuito:
-Hai ragione, porta in camera di Seifer questo - e gli avevo schiaffato
in mano il registro - Così quando torna potrà
subito leggerlo-.
-Ehi, perché non lo fai tu?- si era lamentato lui.
-Sono le sette meno tredici. Se sua sorella
non andrà a prenderlo, Seifer si
offenderà. Se tu arriverai più tardi non gliene
fregherà un accidente. E adesso muovi le chiappe- lo avevo
rimbeccato, alzandomi e avviandomi con noncuranza verso i cancelli del
Garden.
-ASPETTA!-. Maledizione, mi ero dimenticata di Fujin...
-Non vai con Raijin?- le avevo chiesto, cercando di metterci
più irritazione possibile. Lei aveva scosso forte la testa:
-PUNTUALE!-. Oh, era davvero carina a voler salutare Seifer al suo
arrivo. Carina come un Piros come sedia, però meglio di un
Kyactus.
Avevamo percorso la strada in fretta e senza incontrare alcun mostro,
con mia grande gioia. Fortunatamente Fujin non era chiacchierona come
Raijin e avevamo raggiunto la stazione in poco tempo e senza sprecare
fiato in parole inutili.
Quando eravamo arrivate, però:
-PROMOZIONE?- mi aveva domandato lei nervosa. Avevo appoggiato la
schiena al muro:
-Lo spero tanto- avevo borbottato, osservando Raijin correre verso di
noi trafelato:
-Hehe, sono arrivato ancora in orario!- aveva esclamato, lanciandomi
un'occhiata compiaciuta. Gli avevo voltato le spalle:
-Vuoi un applauso per aver mosso le gambe tanto velocemente quanto
muovi la tua linguaccia?- lo avevo freddato. Raijin non era riuscito a
replicare perché una voce era risuonata negli altoparlanti:
«In arrivo il
treno da Timber. Ripeto: il treno da Timber al binario 2».
Ci eravamo zittiti tutti e tre, proprio nel momento in cui il treno ci
sfilava davanti, scompigliandoci i capelli e la mia gonna.
Le porte si erano aperte, rivelando una Trepe imbronciata, una Shu
stizzita e subito dietro mio fratello. Sul volto aveva un misto fra
noia e irritazione.
-Subito dal preside, Seifer!- aveva ringhiato Shu, passandomi accanto.
-Allora capo, come è andata?-. Hyne, avrei preso a calci
Raijin fino a quando non fosse diventato poltiglia e nemmeno allora
credo che mi sarei fermata. Mi ero limitata a dargli una violenta
gomitata nel costato e a fare un passo avanti:
-Cosa vuol dire dal
preside, Seifer?- avevo domandato accigliata, una punta di
inquietudine nella voce.
-Cosa non capisci dell'espressione dal
preside?- aveva risposto acidamente lui, con una smorfia.
La sua replica mi aveva lasciato di sasso, ma mi ero ripresa subito:
-Forse non ne afferro il motivo, che dici?- avevo ribattuto aggrottando
le sopracciglia, le mani sui fianchi. Seifer aveva sollevato una mano,
indolente:
-Potrei aver fatto un esame così stratosferico da
costringere il Garden a prendere in considerazione l'idea che io possa
sostituire Cid...- aveva osservato sarcasticamente con un sorriso
sghembo.
-Ma fammi il piacere, Seifer!- aveva sibilato la Trepe, prima di
allontanarsi facendo ticchettare rabbiosamente i tacchi sul selciato
della stazione.
-Ma cosa diavolo...?- aveva cominciato Raijin, mentre Fujin spalancava
gli occhi. Ma Seifer era scoppiato in un enorme sbuffo e si era avviato
dietro alla Trepe con le mani nelle tasche del cappotto.
Mi ero allungata per toccargli una spalla e lui si era ritratto di
scatto come se si fosse scottato:
-Mi vuoi lasciare in pace, per
una volta?!- aveva ringhiato, prima di voltarsi e
picchiare rabbiosamente i piedi mentre camminava e si allontanava
rapidamente, lasciandomi interdetta con una mano ancora sospesa.
Quello che successe dopo, fu solo colpa mia. Avrei dovuto lasciarlo
andare e parlargli dopo. Ma...come aveva potuto parlarmi
così?
-Ehi, razza di idiota! - avevo ringhiato, mentre sentivo la testa
andare in fiamme per la rabbia - Torna indietro e spiegami bene cosa
diavolo vuol dire per
una volta!-.
Seifer si era bloccato di colpo, mentre io ero stata colpita come uno
schiaffo dalle mie stesse parole, più sbagliate che mai.
Lui si era voltato e aveva ripercorso la distanza che ci separava,
calciando violentemente una lattina sul suo cammino.
-Cosa vuol dire? - aveva sibilato proprio davanti a me - Vuol dire che
tu e gli altri due adesso vi togliete dai piedi e la piantate di
seguirmi ovunque come al solito, almeno fino a domani mattina, hai
capito adesso Atra?-.
Il mio schiaffo gli aveva colpito il viso a metà della
parola "Atra", lasciando lui sorpreso con l'impronta rossa della mia
mano sulla guancia destra e me, altrettanto stordita della mia azione,
con il palmo dolente.
Lentamente Seifer aveva sollevato le dita per toccarsi la guancia che
iniziava sicuramente a bruciargli, mentre io decidevo che non era
ancora abbastanza:
-Questo è per quello che hai appena detto. La prossima volta
che avrai bisogno di ripetizioni, arrangiati- avevo rincarato la dose,
stringendo le labbra per sputare tutto il mio disprezzo insieme a
quelle parole.
Con tutto quello che avevo fatto per lui...
-Mi hai appena dato uno schiaffo, Atra?- mi aveva domandato lui, la sua
voce che aveva fatto suonare fino a lacerarmi il cervello il
mio campanello d'allarme interiore. Ciononostante avevo annuito,
cercando di sembrare spavalda e lui aveva abbassato la mano ancora con
più lentezza di quanta ne aveva usata per sollevarla:
-Non farlo mai più - aveva continuato, giungendo a un tono
così lugubre che mi si era accapponata la pelle e mi ero
morsa d'istinto un labbro - Mi. Hai. Capito?-. Seifer aveva scandito
queste parole alzando il tono della voce, fino a far scoppiare la sua
bolla di pericolosità repressa, scatenando la sua rabbia,
ora trattenuta a stento.
Non mi aveva mai parlato così e in quel momento non mi era
nemmeno passato per la testa di mandarlo al diavolo e allontanarmi da
lui.
Ero delusa perché avevo creduto di fargli un favore andando
a prenderlo in stazione.
Ero ferita perché avevo dato tutta me stessa, sacrificando i
miei brillanti risultati a scuola (la mia media si era vertiginosamente
abbassata da quando avevo preferito aiutare Seifer piuttosto che
studiare le mie materie).
Ero sorpresa dal Seifer che mi trovavo davanti, che non accennava ad
arretrare.
E quello era il problema dei nostri litigi, anche se quello era il
più serio che avevamo avuto fino a quel giorno: l'orgoglio.
-Se tu avessi chiuso la bocca e non mi avessi aggredito
così...- avevo cominciato, prima che lui sollevasse con
rabbia il dito:
-Io?! Ma se mi hai urlato dietro tu! Chi dovrebbe chiudere la bocca,
Atra?- aveva ringhiato. Avevo scosso con rabbia la testa:
-Io non ti ho rinfacciato certe cose, maledizione!- avevo gridato
esasperata. Ma non ero riuscita a pronunciare l'imprecazione,
perché mi si era spezzata la voce. Seifer era diventato
paonazzo:
-NON PIANGERE DAVANTI A ME, ATRA!- aveva sbraitato, mentre una lacrima
scorreva già silenziosamente sulla mia guancia.
La smorfia di rabbia che gli aveva deformato il viso mi aveva
terrorizzata completamente, mentre cercavo di reprimere le altre
lacrime che si affacciavano agli angoli dei miei occhi. Sapevo che
Seifer non tollerava che io piangessi davanti a lui. In quel momento
credo si fosse accorto che mi aveva fatto del male e non sopportava di
vedermi piangere per quello.
Avrebbe dovuto tacere, allora. E avrei dovuto farlo anche io.
Avevo conficcato le unghie nei palmi e avevo sollevato il viso per
guardarlo bene:
-Io non ho mandato a farsi fottere gli ultimi mesi di scuola per
questo, dannazione! - avevo urlato, sollevando un braccio per indicarlo
- E speravo che per te avesse significato qualcosa!-.
Seifer aveva avuto uno scatto del collo, prima di rispondermi:
-Cosa stai insinuando, scusa?- aveva domandato indignato e divertito
insieme. Avevo sbuffato con rabbia:
-Seifer, attento a con chi parli. Non sono stupida e non tollero che mi
parli con questo tono - lo avevo ammonito. Poi ero scoppiata in una
risata nervosa e amara: - Non dirmi che pensavi non avessi capito che
non hai passato l'esame-.
Seifer aveva spalancato gli occhi, l'iride che ormai si muoveva
impazzita nella sclera. Poi era esploso, arrivando a un soffio dal mio
viso:
-Stai dicendo che, essendo stato bocciato, sono stato ingrato nei tuoi
confronti? Ma che cazzo hai in quella testa?-.
Raijin e Fujin erano scattati velocemente a dividerci, mentre da
lontano la Trepe si voltava per tornare indietro.
Io e Seifer avevamo alzato contemporaneamente la mano per fermarli.
Sapevamo benissimo entrambi che mio fratello non si sarebbe mai
azzardato a mettermi un dito addosso. Io invece avevo già
provveduto.
Avevo chiuso gli occhi per liberarmi un secondo del suo viso rabbioso e
per cercare le parole che mi aiutassero a calmarlo:
-Dannazione, mi ascolti quando parlo o sai solo scattare e basta, oggi?
- avevo ringhiato esasperata, risollevando le palpebre di scatto - Ti
ho detto o no che sono venuta qui a prenderti? Non ho accennato alla
tua bocciatura! Tu hai invece reagito come se fosse colpa mia,
respingendomi in un modo che non ho tollerato- gli avevo spiegato,
mentre le dita mi fremevano dal nervoso.
-Sì certo, adesso sono io ad aver sbagliato! Proprio come ti
ho insegnato io, brava Atra- aveva ribattuto semplicemente lui,
voltandosi di scatto e allontanandosi di nuovo con rabbia.
-Seifer, dove diavolo stai andando? - ero esplosa, battendo un piede a
terra - Stai scappando come uno schifo di codardo! - poi gli avevo
fatto un applauso - Bravo, vattene a fare il figo in giro e a
raccontare di come hai umiliato tua sorella, che ti sta sempre fra i
piedi, ma che quando hai bisogno scatta come un cagnolino!-. Avevo
urlato le ultime parole lasciando che le lacrime irrompessero sul mio
viso, che tanto Seifer non poteva vedere.
Mio fratello si era fermato di nuovo, la Trepe a pochi passi da lui.
Doveva avergli detto qualcosa, perché improvvisamente lui
aveva levato una mano in aria e si era voltato, le labbra strette:
-D'accordo me ne vado, ma questa non me la sarei mai aspettata da te,
nemmeno ora- aveva detto con amarezza, prima di seguire la Trepe fuori
dalla stazione.
Ero rimasta interdetta e immobile, con una mano sulle labbra a
tormentarle, come per chiedermi se davvero avevo detto quelle cose.
Avevo chiamato Seifer
codardo e l'avevo accusato di sfruttarmi a suo piacimento.
Quelle parole sì che facevano male.
-Hai esagerato, stavolta- aveva commentato Raijin, affiancandomi e
osservando Seifer allontanarsi e svoltare l'angolo dopo il Junk Shop.
-CATTIVA!- aveva aggiunto Fujin, le mani sui fianchi. Mi ero voltata
con gli occhi spalancati e le sopracciglia aggrottate, sulla difensiva:
-Chiudete la bocca e andate a farvi un giro pure voi!- avevo reagito,
prima di piantarli io in asso per iniziare a camminare furiosamente.
Ahi ahi ahi, eccoci qua.
Devo dire che mi è dispiaciuto parecchio farli litigare
così violentemente. Sono volati dei bei paroloni,
vero?
Ma sì, vedrete che si sistemerà tutto!
Ho chiamato questo capitolo "Inferno" perché effettivamente
è ciò che vivono sia Atra sia Seifer mentre
litigano.
Non vi chiederò chi dei due abbia torto secondo voi,
perché credo che lo abbiano entrambi. Però se la
pensate diversamente ditemelo, eh!
Appuntamento a molto presto con la seconda parte!
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Capitolo 7 *** Parole di troppo #2. Purgatorio ***
#2.
Purgatorio
Riassuntino: Seifer ha appena sostenuto il suo primo esame pratico SeeD
e quando torna non è dell’umore adatto per
incontrare Atra, dato che la prova non sembra essere andata come
sarebbe dovuta andare.
I due hanno un violento
litigio nato da alcune parole taglienti pronunciate da Seifer per
respingere la sorella, che gli risponde per le rime senza riuscire a
contenersi.
Alla fine Seifer se ne
va, precludendo qualsiasi possibilità di chiarimento.
Mi ero ritrovata dapprincipio al porto, come era successo qualche mese
prima quando avevo battuto Leviathan. In quel momento il G.F. aveva
restituito un impulso saldo al nostro collegamento, come per avvisarmi
che era ancora lì.
Grazie tante, Leviathan,
ma non è te che vorrei fosse qui con me.
Avevo esagerato, maledizione. Il che non era nel mio DNA, solitamente
era Seifer quello che parlava tanto e diceva cattiverie.
"...tu e gli altri due
adesso vi togliete dai piedi e la piantate di seguirmi ovunque come al
solito almeno fino a domani mattina".
E quella non era stata una cattiveria, allora?
Avevo cercato un po' di solitudine sedendomi sulla banchina del porto,
mentre per l'ennesima volta mi chiedevo quanto fossi di peso a mio
fratello.
Tutti coloro che ci conoscevano almeno un po’ si dicevano
sempre stupiti dall’ atteggiamento di Seifer nei miei
confronti: protettivo e con la costante preoccupazione di sapermi al
sicuro.
Al Garden erano in tanti a detestare il caratteraccio di mio fratello,
che spesso mi confidava, non senza una certa trepidazione, di
aspettarsi la vendetta dell’ennesimo alunno più
grande a cui aveva rubato la ragazza o del solito tipo a cui aveva
affibbiato una punizione ridicola in quanto leader del Comitato
Disciplinare.
Ma tutti coloro che cercassero una vendetta contro Seifer sapevano che
non avrebbero mai vinto a un corpo a corpo con lui. Per esperienza,
sapevano che dovevano sfruttare il punto debole del nemico.
Avevo passato tutta la mia vita a cancellare dalla mia fronte
quell’umiliante etichetta, sforzandomi di dimostrare a me
stessa e al mondo che non ero affatto il punto debole di mio fratello,
un peso che richiedeva protezione perché inerme e indifeso.
Seifer non aveva mai chiarito la sua posizione al riguardo, credo fosse
perché la riteneva abbastanza scontata. Ero sua sorella e
non avrebbe permesso a nessuno di ferirmi.
Ma io non volevo dipendere completamente da Seifer.
Quell’anno avevo domato un G.F. andando oltre le previsioni
della direzione scolastica e avevo dimostrato di cosa ero capace anche
da sola.
C’era stato un periodo in cui ero piccola e...beh, non che
Seifer fosse molto più grande di me, maledizione,
però era sempre stato lui il mio punto di riferimento.
Appoggiando il mento sulle ginocchia, mi ero domandata come sarebbe
stato Seifer se io non fossi esistita. Avrebbe avuto ancora freni?
Qualche scrupolo? Un pensiero in più prima di andare a
dormire e prima di alzarsi dal letto?
Forse sarebbe stato più libero.
Ecco ciò che gli avevo tolto io: la libertà di
essere solo se stesso. Al Garden ormai eravamo “i fratelli Almasy”
e fra i due ero io quella che lo teneva al suo posto.
Agli occhi degli altri ero l’unica ragione che gli permetteva
di essere ritenuto ancora un essere umano. Per colpa mia Seifer era un
soggetto più debole. La sua immagine non era quella nitida e
imponente dell’eroe solitario e glorioso.
Agli occhi degli altri ero l’unica che sapesse leggerlo alla
perfezione. Di conseguenza, solo io potevo parlargli e solo io sapevo
come trattarlo.
Tranne quel giorno.
Pensare a mente fredda e distaccata, appena distratta dalla brezza
fresca sul viso, mi aveva aiutato a individuare gli errori
stratosferici che avevo compiuto e che non avrei mai dovuto permettermi
nemmeno di considerare dentro di me.
Perché diavolo non avevo capito che Seifer stava dando aria
alla bocca, come al solito? Lo sapevo che quando si arrabbiava non
connetteva più cervello e lingua...ma in quello scontro ero
stata io quella che non era riuscita a fermarsi. In tutti i sensi.
Non era mai successo che mio fratello mi rinfacciasse apertamente il
fatto di essere un peso...soprattutto dopo tutto quello che avevo fatto
per lui. E soprattutto perché sapeva che quella cosa mi
faceva stare male.
E forse era stato proprio per quei motivi che avevo reagito
così violentemente...gli stessi motivi per cui ora non avevo
il coraggio di alzarmi in piedi e affrontare la realtà con
la consapevolezza che le gambe mi potessero cedere. Non sapevo come
sarei riuscita a tornare al Garden in quello stato. Non sapevo come mi
sarei trascinata dietro il mio senso di colpa e dei rimorsi tanto
assurdi quanto nascosti in quell’Atra seduta a terra con le
gambe penzoloni a un soffio dalle onde e il volto fra le mani, le dita
infilate fra i capelli.
Ma dopo pochi minuti mi ero ritrovata costretta a rialzarmi,
perché il porto aveva iniziato a riempirsi e gli sguardi
delle persone si erano fatti sempre più invadenti.
Non avevo alternative: dovevo tornare al Garden e...cosa avrei fatto
una volta lì?
Avrei dovuto aspettare che Seifer uscisse dal colloquio con Cid? E
dopo? Avremmo concluso la discussione? E in quale modo? E le cattiverie
dette dall’una e dall’altra parte avrebbero trovato
una spiegazione?
Oppure era meglio aspettare che fosse lui a cercarmi? Ma di solito non
è chi ha torto a dover chiedere scusa? E chi dei due aveva
più torto in quel gran casino?
Mi ero rialzata con queste domande a bersagliarmi la mente come le mie
fide frecce.
Avevo strofinato la gonna fino a quando non si era ripulita e poi avevo
gettato uno sguardo malinconico alla distesa di mare davanti a me, che
stava iniziando a riflettere l’ombra del cielo, fattosi
più scuro. In quel momento si erano accese le prime luci del
porto, costringendomi a voltarmi per non essere accecata.
Di fronte a me c’era una sola strada e non solo
perché Balamb era una città non troppo intricata.
La mia destinazione non poteva essere altro che una. E forse il viaggio
mi avrebbe suggerito il da farsi.
***
Il tragitto che ricopriva la distanza tra la città di Balamb
e il Garden non mi era mai sembrato così noioso.
Avevo messo i piedi l’uno davanti all’altro con
lentezza esasperante, mentre la mia mente era solo capace di ritornare
al litigio fra me e Seifer, come una molla tesa per troppo tempo che
premeva solo di tornare al punto di partenza.
Fortunatamente lungo la mia strada avevo incontrato solo un miserabile
Geezard, dato che ero così concentrata sul peso che sentivo
sul petto da non rendermi assolutamente conto della realtà
che mi circondava.
Avevo abbattuto il mostro con una freccia, scavalcandone il corpo senza
curarmi della punta del mio stivale che sfiorava uno dei suoi arti
appuntiti e artigliati.
Avevo fatto passare l’arco nell’altra mano per
rimettermelo in spalla, quando la corda era scivolata dalla mia presa e
aveva inciso un solco deciso e netto sul palmo della mano sinistra. La
stessa che aveva lasciato un’impronta rossa sul viso di mio
fratello.
Quello era stato il gesto più sbagliato ma al tempo stesso
più giusto che avessi compiuto, perché era
proprio ciò che mi sarei aspettata di fare, purtroppo.
Quando mi scaldavo, anche se era difficile, potevo diventare abbastanza
violenta e quella era stata la prova.
Ma come avevo potuto alzare le mani contro mio fratello, quando mai,
nemmeno quando ero piccola, lui si era azzardato a tirarmi anche un
solo capello o darmi un ridicolo pizzicotto?
Mi ero accorta delle lacrime che mi solcavano il viso solo quando ero
arrivata all'ingresso del Garden e mi ero chinata per riallacciarmi uno
stivale. Una goccia salata si era infranta sulla punta lucida della
scarpa e io l'avevo fissata con stupore, mentre mi passavo le dita
sulle guance e trovavo altre tracce della mia debolezza.
-Maledizione- avevo borbottato, fregandomi il viso e sperando di non
avere gli occhi rossi.
Nel momento stesso l’immagine della sorpresa e del
risentimento sul volto di Seifer appena dopo il mio schiaffo mi era
apparsa in mente come un flash. Avevo stretto forte il pugno,
mordendomi le labbra per non sentire il dolore delle mie unghie che
incontravano quell’incisione scura e profonda e mi ero
sforzata di vedere solo ciò che la mia lucidità
mi avrebbe fatto vedere...se l’avessi ritrovata, beninteso.
Non mi era nemmeno passato per l’anticamera del cervello il
dubbio che spesso assale due persone che hanno litigato con forza e che
si sono ritrovate pentite di aver usato le parole come frecce sadiche e
penetranti.
Seifer sarebbe stato
disponibile per un chiarimento. O no? Non potevo saperlo,
perché non avevamo mai litigato. Così come non
potevo giurare il contrario.
Il contrario.
Quando avevo intercettato Raijin che mi cercava in giardino, avevo
battuto forte le palpebre e l’avevo osservato farmi un cenno
con un grido sollevato. Al Garden era ora di cena ed ero sicura che per
aspettarmi stesse correndo il rischio di dover mangiare solo insalata.
Che razza di scimmione ingordo. Perché mi aveva aspettato,
poi?
-Ah, Atra!- aveva esclamato quando l’avevo raggiunto,
l’arco ancora in pugno che dondolava contro la mia gamba
sinistra. Avevo sollevato le sopracciglia:
-Beh? Cosa ci fai qui? - gli avevo chiesto con noncuranza - Vattene a
mangiare, io stasera non ceno-.
Come potevo aver fame? Per la prima volta non sapevo come comportarmi
con mio fratello e la consapevolezza di averlo lasciato solo a sentirsi
un fallito perché non aveva passato l’esame mi
stava facendo impazzire.
Così avevo fatto un cenno con il mento per salutare Raijin,
dopo essermi messa in spalla l'arco, e l’avevo superato. Le
sue dita si erano chiuse attorno al mio polso per fermarmi e
costringermi a voltarmi:
-Dove diavolo vuoi andare, allora?-.
Avevo fissato la sua mano enorme stritolare il mio polso gracile e
avevo incontrato i suoi occhi neri, lanciandogli uno sguardo assassino
per intimargli di lasciarmi. Lui aveva obbedito, ritraendosi con uno
scatto, come se si fosse scottato. Solo dopo che lui aveva messo il
solito metro di distanza fra noi due gli avevo risposto:
-Non ne ho idea, ma non credo di doverti fare un rapporto su quello che
faccio- avevo sospirato irritata. Raijin aveva sbuffato, prima di
sbottare con forza:
-Non me ne frega niente di dove te ne vai tu - a queste parole avevo
spalancato gli occhi: era la prima volta che Raijin mi rispondeva a
tono - Ma sta’ alla larga da Seifer-.
Un passo e mi ero ritrovata proprio sotto il suo mento: Raijin era
molto più alto di me, ma non che per questo mi incutesse
timore. Stava toccando un tasto molto sbagliato e gli conveniva darci
subito un taglio:
-Non prendo ordini da te, cagnolino- avevo sibilato, mentre sentivo la
mano destra pizzicarmi per la voglia di levare
quell’espressione aggressiva dalla faccia di quel demente.
Raijin aveva piegato verso il basso gli angoli della bocca, mentre i
suoi pugni si erano stretti come se si preparasse a colpire. E io avevo
sperato che alzasse le mani su di me, giusto per poter vedere la faccia
di Seifer.
Se Seifer avesse voluto vedermi, beninteso.
-E se fosse un ordine del leader per la sua sorellina?- mi aveva
canzonato con un sorriso beffardo.
Mi ero afferrata entrambe le mani e le avevo allacciate dietro la
schiena da tanto bruciavo dalla voglia di graffiarlo a morte. Mi ero
fermata solo per non peggiorare la situazione, seppur con grandissima
forza di volontà.
-Raijin, dacci un taglio- avevo ringhiato, perdendo tutta la voglia di
parlare con quel pezzo d’idiota. Il suo sorriso era scomparso
e sul suo volto si era dipinta una smorfia grave:
-E’ la verità, maledizione. Seifer non vuole
vederti, hai capito?- aveva detto, scrutando ogni reazione sul mio
viso. Avevo scosso la testa con violenza:
-Non è da Seifer, trovati una scusa migliore- avevo detto
con noncuranza, prima di piantarlo in asso e iniziare a salire le
scale.
-Atra fermati, porca miseria!- aveva gridato lui, tentando di
afferrarmi ancora per il braccio. Il mio spintone era arrivato prima di
lui e per poco Raijin non era inciampato, cadendo dal primo gradino.
-BASTA!- aveva esclamato Fujin, giungendo da sopra le scale e
fulminandomi con lo sguardo.
-Maledizione, ce ne hai messo di tempo!- si era lamentato Raijin.
Io contro gli scagnozzi di Seifer? Non sarebbero durati un minuto.
Rettifico: io incazzata nera contro gli scagnozzi di Seifer? Li avrei
disintegrati.
-Piantatela di farmi perdere tempo e non costringetemi a riempirvi di
botte- li avevo minacciati, tenendo d’occhio entrambi.
-Fu’, questa qua è più testona di suo
fratello e non mi crede!- aveva continuato a lagnarsi Raijin,
cominciando a salire le scale.
-Perché diavolo non volete farmi vedere Seifer, idioti? -
ero scoppiata, scostandomi con rabbia i capelli dal volto - Quello che
ci diciamo non sono affari vostri!-.
Fujin aveva battuto un piede a terra, impaziente:
-NEGATIVO!-.
-Non quando Seifer ci chiede di non farvi incontrare- era intervenuto a
rincarare la dose Raijin.
-E perché mai non dovrebbe voler chiarire, eh?- avevo
ringhiato, mentre il dubbio estraneo che mi aveva sfiorato prima
all’entrata del Garden tornava a farmi visita, diventando
l’unico tarlo della mia mente.
-ODIO!- aveva detto noncurante Fujin...manco fosse la cosa
più ovvia del mondo!
-CHE COSA HAI DETTO?- ero esplosa, cominciando a salire le scale con la
chiara intenzione di far rimangiare quella parola indecente a una Fujin
ora terrorizzata.
Le braccia di Raijin mi avevano cinto la vita, con mia grande sorpresa.
Maledizione, era troppo forte per me.
-No! - aveva urlato molto vicino al mio orecchio - Fu’ si
è sbagliata, Atra-.
Avevo continuato a divincolarmi dalla sua presa, prima di arrendermi e
fermarmi, puntando i piedi a terra. Avevo sentito due lacrime di rabbia
scivolare dagli angoli dei miei occhi alle guance, ma non avevo la
possibilità di asciugarle e quella cosa mi faceva
imbestialire ancora di più.
-Seifer non ti odia, Atra - aveva continuato con più calma
Raijin, mentre mi lasciava andare - Ma credimi, è ancora
molto arrabbiato. Potrebbe volerci del tempo prima che gli passi-.
Il mio respiro si era spezzato mentre cercavo di trarlo e sia Fujin sia
Raijin erano rimasti a guardarmi mentre mi concentravo per ricordarmi
come si incamerava ossigeno.
Alla fine mi ero passata una mano sul viso e li avevo guardati,
sentendomi sempre più vuota e rassegnata:
-Va bene, adesso toglietevi dai piedi-.
Avevo osservato i due andarsene imbronciati, lasciandomi da sola, in
piedi sugli scalini del Garden.
In fondo, me lo meritavo. Questa volta avevo esagerato e sicuramente
Seifer aveva voluto farmela pagare.
Un singhiozzo mi aveva bloccato la gola, ma non mi ero permessa di
piangere.
Perlomeno, non davanti a tutti.
Ho chiamato questa
parte "Purgatorio" perché Atra sembra proprio farsi un esame
di coscienza, chiedendosi dove ha sbagliato e come poter rimediare.
Ma a volte la realtà non è sempre come vorremmo
fosse...perciò Atra deve rassegnarsi a tormentarsi ancora
fino al giorno dopo.
A proposito: cosa dite della decisione di Seifer di non voler vedere la
sorella? Sarà un semplice gesto ai limiti
dell'infantilità o ci sarà sotto qualcos'altro?
Tutte le risposte sono, ovviamente, nella terza (e ultima) parte di
questo lunghissimo ricordo, che spero vi stia piacendo!
Ah, vi sfido a indovinare il titolo della terza parte!
Modalità: difficile
(hehehe)!
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Capitolo 8 *** Parole di troppo #3. Paradiso ***
#3.
Paradiso
Riassuntino: Dopo aver sostenuto il primo esame pratico da SeeD, andato
evidentemente male, Seifer litiga pesantemente con Atra e la lascia
sola a Balamb senza risolvere la cosa.
Dopo aver riflettuto
molto e dolorosamente, Atra è intenzionata a tornare al
Garden e sistemare le cose con il fratello. Tuttavia incontra Fujin e
Raijin che le riferiscono che Seifer non vuole ancora vederla e Atra si
rassegna a passare una notte in compagnia di tutti i suoi sbagli e
rimpianti.
La notte era più silenziosa del solito. L'avevo constatato
mentre osservavo le due di notte scattare sull'orologio della sveglia,
le cifre rosse che proiettavano il loro riflesso sanguigno sul comodino.
Quel silenzio aveva iniziato a farmi fischiare le orecchie, mentre mi
tiravo su dal letto per l'ennesima volta e guardavo fuori dalla stretta
finestra.
La pallida luce della luna e delle illuminazioni esterne al Garden si
proiettavano sul lenzuolo bianco dalla mia vita in giù,
mentre il mio busto era completamente immerso nell'ombra.
Avevo scalciato il lenzuolo in fondo al letto con un fruscio, rimanendo
solo in canottiera e pantaloncini. Nell'altra camera, separata dalla
mia solo dal corridoio che condividevano, sentivo Fujin respirare
lievemente, mentre dentro di me si agitava una tempesta silenziosa di
emozioni.
Rimpianto. Rimorso. Disperazione.
Dolore.
Mi ero accorta che il mio respiro si era fatto più veloce,
mentre mi raggomitolavo sul letto tremando, non di freddo.
Come sarebbe stato il giorno dopo? Seifer mi avrebbe parlato o avrebbe
continuato a evitarmi? E per quanto tempo...
-Atra-.
La mia testa era scattata verso la porta, dove in quel momento una
figura ancora più nera si stagliava contro il vano scuro.
-Seifer-.
Mio fratello aveva una mano appoggiata allo stipite sinistro della
porta e sentivo il suo sguardo sfiorarmi la pelle.
Mi ero messa seduta sul letto, le gambe penzoloni dal lato sinistro. In
quel momento il mio cuore si era messo a battere all'impazzata, forse
perché d'un tratto si era fatto più leggero.
Il silenzio assoluto della stanza si era ridotto a un lieve rumore di
sottofondo, dissipato e scostato come una nebbia leggera dal
rumore distinto dei nostri respiri affannosi, dovuti al nervosismo e
alla paura di sbagliare di nuovo.
Ma no: era impossibile litigare al buio perché era davvero
troppo rischioso.
Certi scontri implicavano il contatto visivo, per potersi imprimere
nella mente il volto dell'altro, mentre le parole che volavano come
frecce lo colpivano e lo segnavano. Serviva per pentirsene. Serviva per
stordire l'orgoglio, per inebriarlo di lacrime.
Quella notte non so proprio dove avessi lasciato l'orgoglio. Credo che
fosse rimasto sul cuscino bagnato di lacrime, mentre io ero seduta sul
letto e sfioravo il pavimento con la punta delle dita dei piedi.
Cosa avrei dovuto dire? Come
l'avrei dovuto dire?
Era davvero così difficile dire una parola così
stupida? Se il mio orgoglio era davvero rimasto sul cuscino...il mio. Ma quello di
Seifer?
Beh, ovunque fosse non era di certo lì con lui. Mio fratello
era venuto da me di sua spontanea volontà, andando forse
addirittura contro la sua stessa natura.
Un rumore di passi mi aveva distratto dalle mille domande che mi
stavano passando davanti agli occhi. Avevo risollevato lo sguardo e
avevo trovato Seifer in piedi accanto a me. Non indossava il cappotto e
sopra i pantaloni aveva la felpa blu con la croce bianca cucita sopra,
le maniche arrotolate fin appena sotto la spalla. Aveva le mani lungo i
fianchi, le dita che si contraevano secondo uno strano e insolito tic.
Avevo sollevato il viso per cercare di guardarlo, ma la luce della luna
non arrivava al di sopra del suo petto. Allora avevo riportato le gambe
sul letto abbracciandomi le ginocchia, per farlo sedere, sempre in
silenzio.
Un fruscio e lui si era seduto di fronte a me a gambe incrociate, gli
stivali che erano rimasti ai piedi del letto.
Avevo appoggiato il mento sulle gambe piegate mentre osservavo il suo
viso scolpito nella penombra e nella luce proveniente dalla finestra;
un ciuffo di capelli biondi appena più lunghi danzava al
movimento nervoso del suo collo. Gli zigomi appuntiti proiettavano la
loro ombra sulle guance, incredibilmente e inumanamente bianche alla
luce della luna. Le sue sopracciglia arcuate e sottili si erano
aggrottate improvvisamente, forse per reagire al corruccio evidente su
quelle labbra strette, mordicchiate piano dai denti.
Mi ero morsa l'interno della guancia, continuando a guardarlo e
reprimendo l'istinto di passargli una mano sui capelli per
sistemarglieli.
Seifer si era grattato la nuca, prima di posare il suo sguardo su di me
socchiudendo le labbra, come se questo avesse potuto aiutarlo a trovare
le parole che mancavano anche a me.
A dire il vero, era una parola sola.
Era il coraggio di pronunciarla, spezzando quel silenzio
così perfetto e quieto, che ci mancava, anche senza tutto il
nostro orgoglio.
Ero rimasta ad ascoltare il mio cuore che tamburellava insistente nel
mio petto, prima di cogliere il movimento lento e distratto della mano
di Seifer, mossa in avanti a cercare la mia. Mi era sfuggito un sospiro
di sollievo mentre intrecciavo le sue dita con le mie e risollevavo lo
sguardo per scrutare la sua reazione.
A quel punto, il ghiaccio che sentivo sulla lingua si era sciolto senza
il bisogno di altre parole sferzanti come sabbia o ardenti come sale
sulle ferite:
-Scusa-.
A quanto pare, si era sciolto anche il suo ghiaccio: l'avevamo detto
insieme.
Seifer aveva soffiato una risata silenziosa, scuotendo lentamente la
testa, mentre io mi ero morsa un labbro per contenere un sorriso
spontaneo. In quel momento le mie dita avevano preso a tremare da sole
fra quelle di mio fratello, che aveva rafforzato la stretta e mi aveva
lanciato uno sguardo preoccupato:
-Stai bene?-.
Avevo annuito subito, sorpresa dalla mia reazione stessa:
-Ora sì-.
Seifer aveva sorriso dolcemente, passandomi il pollice sul dorso della
mano per tranquillizzarmi.
-Sai che non riesco a essere arrabbiato con te per troppo tempo- mi
aveva rimproverato scherzosamente, inclinando il viso per scrutare il
mio.
Avevo chinato lo sguardo sulle pieghe del lenzuolo:
-Questa volta avresti avuto le tue ragioni- avevo mormorato, mentre mi
sfuggiva l'ennesimo sospiro sconsolato. Uno scatto aveva mosso l'angolo
sinistro delle sue labbra, mentre l'altra sua mano si allungava a
sfiorarmi il mento, prima che la sua voce risuonasse nuovamente, grave
e amara:
-Non hai più colpe di me, Atra-.
Invece sì
- volevo rispondergli - Sono
un peso per te, ma tu non hai il coraggio di dirmelo.
-Non volevo...- avevo cominciato invece, trovando subito le sue parole
secche e la sua espressione turbata:
-Nemmeno io - mi aveva interrotto Seifer, raddolcendo poi il tono -
Nessuno dei due voleva. Basta questo, no?-.
Avevo annuito lentamente, nascondendo la lacrima che mi stava scorrendo
sulla guancia, rivolgendo il viso al buio.
In quel momento Seifer, con un sospiro profondo, mi aveva afferrato il
mento, asciugando la lacrima con il pollice:
-Dannazione, non mi perdonerò mai per averti fatto
così male- aveva sussurrato chinando la voce, che si era
fatta più roca. Avevo scosso piano la testa, non riuscendo a
impedirmi di piangere silenziosamente:
-Sto bene- mi ero difesa, iniziando a sentire montare la rabbia verso
me stessa. Non sapevo far altro che piangere quella notte?!
-E piantala, una buona volta - aveva detto lui con uno sbuffo, prima di
riprendere - Non so ancora come ho avuto il coraggio di parlarti
così. Ho passato ore a cercare le parole per scusarmi, ma
non sono mai abbastanza-. La calma tormentata con cui mi aveva detto
queste parole mi avevano lasciata senza fiato, mentre l'ultima lacrima
scivolava sotto le dita di Seifer.
-Basta pensarci - mi ero ritrovata a dire, sebbene in quel momento
stesso le cattiverie dette da Seifer mi stessero echeggiando in tutte
le stanze del cuore - Dopotutto, non sei tu ad avermi dato uno schiaffo
in piena faccia...a proposito, ti fa ancora male?- gli avevo chiesto
alla fine, sollevando una mano per accarezzargli la guancia che, alla
luce della luna, era completamente pallida, come una distesa di
ghiaccio senza crepe.
Invece in quel momento Seifer aveva sorriso:
-Beh, devo dire che hai colpito nel punto giusto...ma dall'arciera che
sei mi sarei stupito se avessi sbagliato mira! Però lo sai
che tuo fratello è una roccia!- aveva scherzato,
alleggerendo l'atmosfera e alleviando il peso dei pensieri dal mio
cuore, facendomeli dimenticare per qualche minuto.
-Ah, è per quello che mi sono fatta male- avevo borbottato.
Seifer mi aveva subito preso la mano preoccupato e io avevo sussultato,
mordendomi le labbra. Dannazione, la corda del mio arco doveva essere
stata ben tesa...
-Cosa hai fatto qui?- mi aveva chiesto lui, sollevando il mio palmo
alla luce della luna e rivelando il solco più scuro che lo
attraversava.
-Credo che sia stata una punizione per la mano che ti ha colpito- avevo
risposto vagamente, osservandolo scuotere la testa sconsolato:
-E io ti ho anche respinta attraverso Raijin e Fujin, che pezzo
d'idiota che sono. A proposito...- aveva sospirato, ma io mi ero
affrettata a interromperlo:
-Avrai avuto i tuoi buoni motivi, Seifer-. Lui aveva avuto uno scatto
del collo e io mi ero affrettata a tacere, mentre diceva
seccamente:
-No, adesso ascoltami - e poi, mentre sul viso gli si dipingeva
un'espressione pentita - E' stato perché non volevo
peggiorare la situazione. Avrei potuto dirti altre cattiverie, ne sarei
stato assolutamente capace-.
Aveva fatto bene, allora. Aveva pensato a non farmi ancora
più male anche nel momento in cui forse ne avrebbe avuto
più voglia in assoluto.
Non potevo biasimarlo, davvero. Non era stato un codardo. Non lo era
mai stato.
-Davvero, Seifer hai...- avevo tentato, ma lui aveva posato l'indice
sulla mia bocca, un'espressione esasperata sul volto:
-Cosa devo fare per farti tacere, Atra? E dire che sono io quello che
parla troppo a volte...- aveva sospirato, prima di sorridere quando io
gli avevo restituito uno sguardo birichino - Comunque, voglio solo
dirti che ho trascorso tutto questo tempo da solo anche io. Sono andato
a farmi un giro a Balamb per pensare a cosa dirti...non sapevo se
parlarti direttamente stanotte o domani mattina presto. Non riuscivo
più a stare con il tormento di averti ferita
così- a quelle parole mi ero avvicinata a lui, posandogli la
testa sul petto. Lui mi aveva accarezzato i capelli, posando il mento
sulla mia testa e poi aveva continuato:
-...fino a quando non sono arrivato al porto. Lì c'erano le
solite bancarelle notturne dei vagabondi. Stavano smontando quando sono
arrivato io, ma mi sono ritrovato a dargli un'occhiata. Fra le mille
cianfrusaglie ho trovato qualcosa che aveva attirato la mia attenzione
e ho chiesto al tipo se poteva incidergli sopra qualcosa. Guarda un
po'-.
Mi ero staccata da Seifer per osservare qualcosa brillare al suo collo.
Che strano, non me n'ero accorta fino a quel momento!
Era una catenella argentata con al centro una targa orizzontale e
rettangolare, gli angoli ricurvi e leggermente concava.
Seifer si era spostato alla luce per farmi vedere la scritta, leggera e
quasi invisibile.
A.
A. 22/09
-A. A. sta per "Atra Almasy", ovviamente. Ho pensato che...- aveva
cominciato Seifer, ma io l'avevo interrotto abbracciandolo con una
risata silenziosa per soffocare la commozione e...sì, ero
anche un po' scocciata.
Insomma, come potevo essere arrabbiata con lui, se poi mi faceva quelle
cose?
Seifer aveva riso, accarezzandomi la schiena:
-L'ho tenuto nascosto sotto la felpa per fartelo vedere al momento
giusto - mi aveva spiegato con voce soddisfatta, mentre le sue mani
improvvisamente fredde risalivano fino alla mia nuca - Comunque non ho
finito. Mentre il tipo incideva le tue iniziali sul mio ciondolo ne ho
notato uno uguale. E così...-.
Avevo sentito qualcosa di freddo cadermi sul torace, mentre le mani
leggere di Seifer mi allontanavano gentilmente da lui prendendomi per
le spalle. Avevo abbassato lo sguardo sul mio petto per vedere la
stessa sua targhetta al mio collo. L'avevo presa fra pollice e indice,
sentendone il contatto gelido sulla pelle e girandola alla luce per
scoprire cosa c'era scritto, anche se potevo già capirlo.
S.
A. 22/12
-Non sono il tipo sdolcinato, quindi approfittane finché ce
n'è, perché non ho intenzione di litigare di
nuovo per fare queste follie!- si era accigliato Seifer, mentre io mi
portavo una mano alla bocca per nascondere il tremito delle labbra e
rivolgergli uno sguardo riconoscente.
Doveva credermi, ero più stupita io di lui.
-Non significa niente in particolare, a parte strapparti un sorriso,
razza di musona- mi aveva apostrofato Seifer per distendere
l'atmosfera, che si era fatta esageratamente sentimentale.
Gli avevo lanciato uno sguardo esasperato:
-Oh senti, avrò preso da qualcuno - lo avevo rimbrottato,
lasciando andare la parte più fragile di me e ritornando la
solita, ostile Atra.
No, non avevo potuto dimenticare la sgradevole sensazione di essere il
punto debole di Seifer e un peso per lui...ma avevo capito che,
qualunque fosse la verità, a mio fratello andava bene
così.
Alla fine, una vita si costruisce prendendo strade ben precise, senza
chiedersi come sarebbe stato se ne avessimo presa una differente.
Non avrei rinnegato più niente. Giusto per non essere
masochista, insomma.
-Allora pace, sorellina?- mi aveva chiesto improvvisamente Seifer,
stranamente ansioso ma sicuro al tempo stesso. Lo avevo squadrato seria
per un bel pezzo, osservando tutta la sua decisione scemare dal viso,
prima di scoppiare a ridere:
-E pace sia, Seifer-.
Ed ecco che i nostri due
Almasy hanno finalmente fatto pace e il nostro ricordo si conclude qui!
Chiedo subito scusa
se il personaggio di Seifer sfocia un po' nell'OOC, però
forse ancora più che nel capitolo "Aspettative" de "Il
legame del sangue" ,qui si realizza il vero "What if?" della fanfiction.
I due fratelli sono
sempre gli stessi quando sono con altra gente, ma quando sono solo loro
due si rivelano anche loro bisognosi l'uno dell'altra...soprattutto
dopo tutto quello che è successo nei capitoli precedenti.
Nel videogioco,
Seifer ha davvero una targhetta così come l'ho descritta e
mi piaceva l'idea che in un oggetto così semplice si
racchiudesse l'essenza delle parole dette quella sera e poi mai
più ribadite, come se fossero diventate una
verità ormai risaputa. Seifer porterà sempre con
sé le iniziali della sorella per non dimenticarsi mai delle
sue origini; Atra porterà sempre con sé le
iniziali del fratello per non sentirsi sola e quindi per non essere
più un peso per il fratello.
Io spero che questi
tre ricordi vi siano piaciuti e vi abbiano fatto scoprire chiaramente
alcuni lati della personalità dei nostri due
protagnisti...con questo ricordo credo che si possa iniziare ad avere
una bella panoramica di coloro con cui abbiamo a che fare!
Io vi do
appuntamento al prossimo ricordo e ringrazio tutti i meravigliosi
lettori che seguono le vicende di Atra e Seifer! Vi invito a scrivermi
per qualsiasi chiarimento o critica, perché si
può sempre migliorare!
Ciao!
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Capitolo 9 *** Il pugnale ***
Mancava appena un giorno perché io compissi i sei anni.
In quel periodo nemmeno Seifer poteva ancora iniziare a misurarsi con i
mostri, ma non avrebbe dovuto attendere molto: a gennaio sarebbe
finalmente arrivato il suo momento e, neanche a dirlo, non stava
più nella pelle.
Anche io stavo aspettando con grande trepidazione il mese di gennaio,
quando avrei iniziato a frequentare le prime lezioni di arco.
Ma intanto, durante il mese di settembre, eravamo entrambi ancora in
palestra a fare addestramento fisico. Io e Seifer ci tenevamo molto per
poter essere all’altezza di qualsiasi combattimento,
così a volte rimanevamo in palestra fino a tardi.
Non eravamo gli unici a farlo...capitava molto spesso che un certo
Leonhart si fermasse con noi, guardandoci truce da dietro un peso o
dall’altra parte della palestra.
E accadeva altrettanto spesso che lui e Seifer si ritrovassero
contemporaneamente allo stesso strumento. Allora scattava la silenziosa
e rabbiosa sfida a chi avrebbe sollevato più pesi, a chi
avrebbe corso più veloce e lontano, a chi avrebbe fatto
più addominali o flessioni...
Forse Seifer lo faceva apposta. In fondo, lasciar stare il damerino non
era certo qualcosa che lo attraesse...e in fondo, che giornata era se
non provava a vincere la sfida del giorno?
Ma forse c’era qualcosa di più. Non erano le sfide
a cui era abituato lui, quelle in cui non c’era nemmeno la
soddisfazione di aver battuto l’avversario, tanto la vittoria
schiacciante era di routine.
A lui gli altri non facevano né caldo né freddo.
Squall gli faceva decisamente caldo.
Gli esiti di quelle sfide erano sempre incerti. A volte vinceva
Leonhart, che concludeva la sua prestazione con una scrollata di spalle
e dei passi pesanti verso le docce; a volte vinceva Seifer, che si
faceva sempre sfuggire un ghigno di soddisfazione e sollevava il mento
per disprezzare e guardare dall’alto in basso il suo
avversario.
Con il tempo era diventato prevalente un terzo risultato: il pareggio.
Questo indispettiva sempre Seifer, alla perenne caccia della vittoria o
della sconfitta a tutti i costi. Una situazione di giudizio sospeso non
faceva per lui, che odiava aspettare tutto: un evento, una risposta, un
chiarimento.
Quanto a Squall, non sembrava particolarmente toccato
dall’esito di nessuna sfida...sembrava sottoporvisi solo per
fare un piacere a Seifer, ponendosi, se davvero fosse stato
così, in uno stato di superiorità ancora prima
che la sfida cominciasse.
Questa era un’altra cosa che Seifer detestava del damerino.
Ed è emblematico il fatto che, nonostante tutte le loro
divergenze, ognuno di loro avrebbe poi sviluppato la tendenza di sapere
esattamente come porsi con l’altro.
Anni più tardi, Seifer avrebbe saputo cosa dire o fare per
far scattare Squall; Leonhart, dal canto suo, avrebbe mantenuto proprio
l’atteggiamento che Seifer non tollerava:
l’indifferenza.
Per tornare al racconto, il giorno precedente il mio compleanno io e
Seifer eravamo rimasti in palestra fino a tardi, come al solito.
Quando alla fine ne uscivamo, eravamo sempre distrutti dalla fatica e a
stento spiccicavamo qualche parola furante il percorso fino ai
dormitori.
Quel ventuno settembre non mi aspettavo che fosse differente...e invece:
-Cosa vuoi per il tuo compleanno, sorellina?- mi aveva domandato
innocentemente Seifer, tormentandosi il cappuccio della felpa blu.
Ero rimasta stupita dalla sua domanda: non mi aveva mai fatto nessun
regalo prima e io credevo anzi di essere in debito con lui per avermi
permesso di seguirlo fino al Garden.
Di fronte alla mia faccia basita, Seifer era scoppiato a ridere,
inclinando il collo in avanti:
-Che c'è, non posso farti un regalo?- mi aveva chiesto,
ancora ridendo.
Avevo aggrottato le sopracciglia e mi ero fermata in mezzo al corridoio
che conduceva ai dormitori:
-Non puoi perché non è da te- gli avevo risposto,
arricciandomi pensierosa una ciocca di capelli sfuggita alla coda. Dove
voleva andare a parare mio fratello?
-Ehi, se dici così mi fai sembrare il fratello cattivo- si
era lamentato, spalancando le braccia per poi incrociarle rapidamente.
Avevo sollevato una mano:
-Va bene, va bene...scusa. Però non è da te lo
stesso- gli avevo fatto notare alla fine con un sorrisetto. Seifer
aveva sollevato l'indice:
-Si può sempre cambiare...allora, che regalo vuoi?-.
Che regalo volevo? Avevo sei anni e stavo addestrandomi per diventare
un soldato. Avevo sei anni e mi era rimasto solo un fratello.
Avevo solo sei anni e avrei tanto voluto potermi sbarazzare di quella
mia debolezza di bambina.
Volevo essere forte. Volevo sapermi difendere da sola, come...
-Come te. Voglio essere come te- gli avevo risposto, sollevando il
mento e puntandogli il dito contro. Seifer aveva riso con tenerezza,
avvicinandosi a darmi un buffetto sulla guancia:
-Ma tu sei già come me. Sei mia sorella- aveva sorriso. Io
mi ero scostata, infastidita dal fatto che non mi avesse capito:
-Ma no! - avevo esclamato con quella ridicola voce lieve e fragile - Io
voglio sapermi far rispettare come sai fare tu, voglio che le persone
mi temano...voglio essere forte!-. Le mie parole erano paurosamente in
contrasto con la bambina che ero, con le braccia incrociate al petto,
la faccia imbronciata, il piede prepotentemente battuto a terra e la
coda di cavallo che era un disastro.
Molto temibile, davvero.
Il sorriso di Seifer si era allargato, mentre mi sistemava alla bell'e
meglio i capelli dietro le orecchie:
-Quello che ho detto io: sei mia sorella- mi aveva sussurrato, prima di
farmi l'occhiolino.
-Vorrà dire che mi inventerò qualcosa io, musona-
mi aveva apostrofato poi con uno sbuffo divertito, prima di farmi "ciao
ciao" con la mano e allontanarsi verso la sua camera.
Ricordo che ero rimasta in piedi nel corridoio con i capelli ancora
più scompigliati di prima e una strana sensazione a farmi
formicolare la pelle.
Forse era la convinzione di voler diventare come Seifer che stava
entrando nel mio sangue, come effettivamente era poi successo.
Oppure era tutt'altra convinzione.
Quella che non mi sarei più fatta toccare i capelli da mio
fratello!
***
Il giorno del mio compleanno mi ero svegliata con la strana sensazione
che ci fosse qualcuno nella mia stanza. Avevo socchiuso gli occhi e
avevo intravisto una figura nera sfilarmi furtivamente accanto per
sgattaiolare fuori dalla porta.
Ero scattata a sedere sul letto...che ore erano?
Il display della sveglia accanto a me segnava le sei e mezza e la luce
rossa illuminava la superficie liscia e metallica sotto di essa...
Metallica?!
Mi ero stropicciata gli occhi credendo di stare sognando, ma quando
avevo risollevato le palpebre l'oggetto era ancora lì.
Era un coltello.
L'avevo afferrato per l'impugnatura, sollevandolo alla luce del primo
debole sole che tagliava in diagonale il mio letto con un largo ma
labile raggio.
Sotto le mie dita, l'impugnatura era dura e fredda ma dalle linee
morbide. Dove si incontrava con la lama, il metallo si incurvava
leggermente ma sinuosamente verso la mano, imitando la crociera delle
spade. Il pomo dell'arma aveva incastonato uno zeffiro blu scuro, dello
stesso colore dei miei occhi.
Il sole aveva illuminato più forte la lama del coltello,
immacolata e senza alcun graffio, leggermente seghettata. Il riflesso
mi aveva accecata, costringendomi a distogliere lo sguardo. In quel
momento avevo notato sul comodino la presenza di un semplice fodero in
cuoio marrone chiaro.
Infilato all'interno c'era un biglietto scritto con la calligrafia
svolazzante e insieme frettolosa di Seifer:
Volevi
essere forte come me, Atra?
Allora
impara a usarlo.
Auguri,
sorellina.
Seifer
Avevo sorriso impercettibilmente nella penombra, proprio mentre un
veloce colpetto alla porta era risuonato nel silenzio della mia camera.
Il sorriso mi si era allargato, mentre con il pugnale in mano e l'aria
più inoffensiva che mai mi dirigevo a piedi scalzi verso la
porta.
Dietro il battente Seifer stava aspettandomi con le braccia incrociate
al petto e il tentativo di dissimulare la soddisfazione.
-Mi insegnerai?-.
La mia voce era risuonata ancora fragile, ma era rinvigorita da un
appiglio nuovo, che stavo stringendo convulsamente nella mano destra.
Seifer si era staccato dal muro e mi aveva squadrato con aria critica:
-Lo stai tenendo sbagliato- mi aveva rimproverato, togliendomelo
delicatamente di mano e mostrandomi come avrei dovuto tenerlo,
impugnandolo con tutte le dita tranne il pollice, appoggiato
delicatamente sullo zaffiro del pomo.
Avevo sbuffato:
-Ok, ma insegnami ad usarlo- mi ero lamentata, saltellando per
riprendermelo. Lui aveva schioccato la lingua:
-Sto già iniziando a insegnarti. Se non saprai tenerlo non
ti servirà a niente- aveva detto, restituendomelo con
delicatezza.
Io l'avevo preso in mano come se fosse stata una reliquia:
-Grazie fratellone. Vedrai di cosa sarò capace- gli avevo
promesso, sprizzando soddisfazione da tutti i pori. Seifer mi aveva
scompigliato i capelli:
-Non ne ho dubbi, sorellina. Ma da domani mi farai proprio vedere-.
Ok, forse questo
ricordo potrebbe sembrare banale.
Però
volevo tornare un attimo sulla figura di Atra bambina, assolutamente
dipendente dal fratello, ma che inizia a maturare il proposito di
essere forte come lui. Da qui inizierà il cammino che la
porterà a diventare uguale a Seifer e poi a staccarsi
lentamente da lui. Qui comincia il suo processo di maturazione, che
stiamo seguendo.
Il pugnale era
(solo) un pretesto per mostrarvi lo stadio iniziale di questa crescita
della nostra Atra, ma anche il contesto in cui ciò avviene.
D'altronde, se ne parla anche nel capitolo a cui è legato il
ricordo.
Per questo ho
presentato anche un piccolo spaccato di Seifer e Squall: per
sottolineare il punto di partenza da cui non solo Atra, ma anche i due
rivali della situazione sono partiti. Qui si parla del cammino nel
Garden, ovviamente. Quello che è successo
prima...sarà un'altra storia!
Io spero che il
ricordo vi sia piaciuto comunque e mi farebbe piacere sapere cosa ne
pensate.
Al prossimo (che
sarà una grossa sorpresa, spero gradita!)!
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Capitolo 10 *** La Caverna di Fuoco #1. ***
Parte #1.
Di solito noi cadetti sostenevamo la nostra prova alla Caverna di Fuoco
in aprile, circa due mesi prima del vero e proprio esame pratico SeeD.
La prova consisteva nell'attraversamento della caverna, che era piena
di mostri di elemento Fuoco, fino a raggiungerne la fine, dove ognuno
di noi doveva affrontare il G.F. che vi abitava, Ifrid, e conquistarsi
il suo rispetto senza necessariamente doverlo portare dalla propria
parte e diventarne padroni.
Ogni studente veniva accompagnato da un SeeD, che lo supportava in
combattimento e valutava il suo comportamento durante tutto l'esame.
Il punteggio che veniva dato a questa prova costituiva un buon quarto
della valutazione finale, come continuavano a ripeterci i professori.
Per questo era indispensabile fare un buon lavoro alla caverna:
impiegare il minor tempo possibile, parlare poco, dimostrarsi sicuri,
dare delle sonore legnate a Ifrid.
L'anno in cui toccava a quelli del mio corso, le prove erano cominciate
proprio i primi giorni di aprile e io dovevo sostenere la mia verso la
metà del mese.
Tuttavia, l'ultimo giorno della prima settimana si era verificato un
evento che aveva lasciato metà della scuola a bocca aperta e
l'altra metà indispettita.
Io appartenevo a quest'ultima categoria, ma giusto perché
dalla persona che vi era coinvolta non mi sarei mai aspettata questo!
Cosa era successo? Zell aveva sostenuto la sua prova alla Caverna di
Fuoco e Ifrid lo aveva scelto come proprio padrone.
Era ormai da anni che il G.F. veniva usato dal Garden per la prova alla
caverna e nessuno degli studenti che si era presentato al suo cospetto
per sfidarlo aveva dimostrato di possedere tutti i requisiti per poter
diventare il suo padrone. Il Guardian Force era stato così
dipinto come una creatura decisamente esigente, cosa che spingeva noi
studenti a fare ancora più del nostro meglio.
Tuttavia Ifrid aveva scelto proprio Zell. La cosa suonava decisamente
strana, perché il gallinaccio non era conosciuto
propriamente per il suo valore in battaglia, quanto per i suoi attacchi
isterici quando Seifer gliene faceva una delle sue.
Le prove erano continuate comunque, sebbene Ifrid avesse trovato il
proprio padrone. Tuttavia, Zell continuava a prendersela quando qualche
studente picchiava troppo il suo adorato G.F., mettendo il broncio e
facendo scrocchiare i pugni contro chi aveva superato la prova.
Ricordo che avevo ridacchiato, quando i suoi mugugni erano giunti alle
mie orecchie. Era il giorno prima che io sostenessi la mia prova e
ovviamente ero molto sicura di me stessa, come al solito.
Ifrid si sarebbe fatto parecchio
male.
***
Il SeeD affidatomi per la prova era stata...la Trepe.
Potete immaginare la mia gioia. Io me la ricordo benissimo.
-Non fare quella faccia - aveva commentato lei, quando mi aveva accolta
ai cancelli del Garden, scrutando la mia reazione - Ho valutato anche
l'esame di tuo fratello, sai?-.
L'avevo superata senza una parola, l'arco che dondolava contro la
faretra e un sospiro scocciato che mi sfuggiva dalle labbra.
Era questo il problema, dannazione.
Aveva valutato anche mio fratello.
Non solo sapevo cosa aspettarmi da lei quindi, ma avevo anche un'asta
bella alta da superare non solo per me stessa ma anche per la prof.:
non potevo concludere la prova con una valutazione peggiore di quella
di Seifer! Non lo volevo io e sicuramente non se lo aspettava lei. Ero
sicura che se fosse successo questo non mi avrebbe dato il punteggio
pieno che pretendevo.
-Cosa c'è? Agitata per la prova?-.
Maledizione, questo era l'altro inconveniente che mi aveva illustrato
Seifer, tra un'imprecazione e l'altra: la Trepe non stava mai zitta.
Credevo che stesse scherzando...invece, a quanto pareva, era tutto vero.
Con il senno di poi, sospetto che fosse più una strategia
per distrarci che un'effettiva loquacità...il che sarebbe
stato interessante, dato che fino a quel giorno avevo creduto che il
suo campo forte fossero le domande trabocchetto durante le
interrogazioni. A quanto pareva non se le pensava di notte, come avevo
congetturato io, ma aveva davvero una propensione sadica per tormentare
i suoi studenti.
Adesso capisco anche perché non si è ancora
sposata.
Tornando a quel giorno infernale (in tutti i sensi), la Trepe mi aveva
scortata fuori dal Garden, continuando a chiedermi come mi sentissi e
perché fossi così tesa.
A un certo punto mi ero scocciata e mi ero voltata nel bel mezzo di un
suo monologo, rischiando anche che lei mi andasse a sbattere contro:
-Nervi saldi e concentrazione: questo è ciò che
ti servirà ogg...-
-Quello che mi serve davvero è che qualcuno chiuda la bocca!
- ero sbottata, lanciandole un'occhiata così irritata che le
sue guance erano diventate dello stesso colore del suo vestito,
cioè color pesca - Grazie- avevo precisato con un cenno del
mento e una smorfia falsamente grata, prima di voltarmi senza nemmeno
aspettare una replica che non era arrivata.
Beh, almeno il resto del tragitto si era svolto nel silenzio, dandomi
l'opportunità di meditare sul fatto che avrei davvero dovuto
fare un prova stratosferica per ottenere un punteggio soddisfacente:
ero sicura che la Trepe stesse cominciando a considerare l'idea di
togliermi qualche punto dalla voce "disciplina".
Oh insomma, se l'aveva sopportata Seifer potevo sopportarla anche io.
Nel peggiore dei casi, avrei detto che era "accidentalmente" scivolata
in un fiume di lava.
Mentre rimuginavo su questa scusa cercando di non ridere malignamente,
eravamo arrivate in prossimità della caverna: l'erba fitta e
verde della pianura stava iniziando a cedere il posto a sprazzi di
terreno brullo e dal colore smorto, nel mezzo del quale sorgeva di
tanto in tanto qualche roccia bianca e nera che esalava già
il calore di quella giornata prematuramente calda.
Un sentiero rivestito di ghiaia sottile che scricchiolava sotto le
nostre scarpe conduceva fino all'entrata, una spaccatura oblunga e
irregolare che si apriva profondamente nella montagna di fronte a noi.
Due insegnanti erano appostati davanti all'ingresso,
cosicchè per entrare era necessario parlare con loro.
-Nome, cognome e numero di matricola- mi aveva borbottato quello di
sinistra, squadrandomi con disapprovazione.
-Atra Almasy, studentessa n° 022. E la TAC l'ho già
fatta prima dalla Kadowaki, grazie- avevo risposto melliflua, facendo
il saluto dei cadetti e fulminando contemporaneamente l'insegnante con
un'occhiata.
-Atra!- mi aveva rimproverato scandalizzata la Trepe, sollevando il
gomito per darmi un colpetto...che non era mai arrivato
perché lei ci aveva ripensato ed era rimasta con il braccio
a mezz'aria in una posa alquanto stupida.
Saggia scelta, prof.
L'insegnante di destra aveva avuto un leggero (e sospetto) attacco di
tosse, grazie al quale la Trepe si era riscossa per tornare a vestire i
panni dell'insegnante modello.
-L'obiettivo è sconfiggere un G.F. di livello base con il
supporto da parte di un SeeD- aveva cominciato il tipo di destra con
tono meccanico e inespressivo.
"Gli hanno inculcato bene la lezione" avevo pensato ironicamente,
stavolta tenendo per me la considerazione e limitandomi a sollevare le
sopracciglia, chiedendomi quanto tempo dovessi ancora aspettare per
entrare.
La Trepe aveva fatto la riverenza da SeeD:
-L'accompagnerò io. Insegnante n° 14, Quistis Trepe-
aveva detto, incrociando poi le braccia, la frusta avvolta attorno alla
vita a mo' di cintura che oscillava leggermente.
-Sei pronta, Almasy?- mi aveva chiesto l'insegnante di sinistra, non
senza una certa vena di scortesia.
Avevo sfoderato un sorriso beffardo:
-No, ci ho ripensato...oggi fa troppo caldo - avevo detto malignamente,
prima di beccarmi uno sguardo truce dalla Trepe e affrettarmi a
sbuffare - Sì, sono pronta-.
-Allora definisci il tempo che avrai a disposizione: il minimo
è 10 minuti, il massimo 40. Sii cauta nella scelta e non
strafare- mi aveva consigliato l'insegnante di destra, prima di
abbassare velocemente lo sguardo quando io avevo sollevato il mento e
aggrottato le sopracciglia cercando di reprimere una risatina.
Oh no, qui nessuno ti
giudicherà. Però, per la prova ti meriti trenta
punti su cinquanta!
Ah, patetici. Credevano davvero di metterci a nostro agio,
così?!
-No, non esagererò - avevo sorriso, ripetendo il saluto - 10
minuti sono anche troppi per me-.
Seifer ce ne aveva messi nove e quaratatré. Io puntavo ai
nove minuti e trenta secondi.
La Trepe aveva sospirato, voltando il viso per guardarmi:
-Atra, credi di esserne in grado?- mi aveva chiesto, sicuramente
intuendo le mie intenzioni. Avevo fatto un gesto rapido con la mano:
-Professoressa, si risparmi queste domande per i buoni a nulla- avevo
sbuffato, sinceramente irritata da tutte quelle premure. Mi facevano
sentire un'emerita idiota incapace.
I due insegnanti si erano scambiati un nervoso sguardo d'intesa, prima
di farsi da parte per lasciarmi entrare:
-Molto bene. Buona fortuna- avevano mugugnato in coro, allungando il
cronometro alla Trepe.
Avevo varcato la soglia della caverna, lasciandomi alle spalle la
bianca luce del mattino e preparandomi ad affrontare la penombra
rossastra davanti a me, da dove provenivano già ondate di
caldo secco.
Mi ero voltata a cercare la Trepe con lo sguardo: una suggestiva
penombra grigia che le investiva il volto mentre armeggiava con il
cronometro per appenderselo all'interno del colletto del vestito.
-Cominciamo da...ora- aveva detto poi e subito dopo un "bip" aveva
annunciato l'inizio della prova.
-Cerchi di starmi dietro prof., perché non mi
fermerò ad aspettarla- l'avevo messa in guardia, prima di
cominciare a correre avanti.
Seifer mi aveva detto che procedere nella caverna era facile,
perché non era un labirinto.
Al Garden non interessava tanto la nostra abilità nel
destreggiarci in posti particolarmente intricati, quanto testare le
nostre reazioni di fronte al pericolo. Perlomeno, questo era
ciò che richiedeva il tipo di prova che stavo svolgendo in
quel momento.
Davanti a me il sentiero di roccia rossastra e spruzzata di una fitta
polvere di carbone serpeggiava tra colonne di roccia emergenti dalla
lava, sulla cui superficie aleggiava un'aura tremante di calore e fumo.
Il rumore dei miei passi affrettati e veloci non copriva totalmente il
ribollire del fluido incandescente, la cui superficie si sollevava a
intermittenza come spinta dal basso, a volte formando anche delle
grosse bolle d'aria.
-Un bel posticino, eh?- era stata l'osservazione della Trepe appena
dietro di me.
Uhm, la prof. sapeva anche cos'era una battuta!
Il caldo esalato dal magma mi investiva in ogni direzione, dato che il
sentiero da noi percorso era come un ponte sopra un mare di magma
fluido. Ai suoi lati sorgevano delle rocce aguzze, alcune delle quali
spezzate o spruzzate dal fluido incandescente.
Non le avevo risposto, scorgendo improvvisamente un Buel sollevarsi da
dietro una roccia immersa quasi completamente nella lava, un po' come
un iceberg, se solo fossimo stati a Trabia.
Avevo incoccato una freccia e l'avevo semplicemente colpito senza
fermarmi. Il mostro si era bloccato a metà strada mentre si
avvicinava, agitandosi tutto ed emettendo un verso acuto, prima di
crollare nella lava ed esserne inghiottito.
Un tremendo odore di bruciato aveva fatto arricciare il naso a me e
alla Trepe, spingendoci a proseguire più velocemente.
-Mancano nove minuti e sedici secondi, Atra. Sei tranquilla?-.
Santo Hyne, la prof. aveva ricominciato con la tiritera.
"Fortunatamente" (non la definirei propriamente una fortuna, quando si
sta svolgendo una prova a tempo...) due Piros erano emersi dal magma,
rimbalzando proprio davanti a noi e costringendoci a fermarci per
fronteggiarli.
-Ah, vediamo come te la cavi con questi!- aveva esclamato soddisfatta
la Trepe, sciogliendosi la frusta dalla vita e facendola schioccare
contro il terreno di fronte a noi.
-Meglio non dare troppo adito a certi palloni gonfiati- avevo
borbottato in risposta, studiando le mosse dei due mostri, che
somigliavano proprio a due palle arancioni con una ridicola cresta di
fiamme sulla parte superiore e un paio di altrettanto inutili braccine
ai lati.
Niente di più facile, davvero.
Avevo incoccato una freccia, continuando a studiare i movimenti
ripetitivi dei due mostri. I Piros oscillavano qua e là,
spalancando e chiudendo di colpo l'enorme bocca nel loro caratteristico
ghigno intimidatorio.
Era quello
che mi interessava.
In quel momento il Piros che stavo prendendo di mira aveva deciso di
prendere l'iniziativa e si era avventato su di me come un proiettile.
Mi ero abbassata appena in tempo per essere solamente sfiorata dalla
sua pelle rovente e ruvida, poi l'avevo cercato di nuovo con lo
sguardo, non riuscendo più a trovarlo.
Improvvisamente un sibilo sulle nostre teste ci aveva messe subito
sull'attenti, in tempo per vedere il mostro piombare su di noi
dall'alto, la bocca spaventosamente aperta.
Avevo richiamato un Blizzard sulla freccia e poi l'avevo scagliata
rapidamente contro il Piros.
Il proiettile aveva disegnato una scia azzurrina e i pochi granelli di
neve formatisi si erano subito dissolti in vapore a contatto con l'aria
rovente della caverna.
La freccia invece era rimasta congelata e si era conficcata
precisamente nella bocca spalacata del Piros, che era imploso a un
soffio dalla mia faccia sollevata verso l'alto, facendomi cadere
addosso una sottile pioggerellina di scintille.
Il secondo Piros aveva scagliato prontamente un Fire diretto alla
Trepe, che aveva finto di non avere il controincantesimo.
La fiammata si era schiantata con un rombo secco contro il Shell che
avevo sollevato per proteggerla e a quel punto la prof. si era decisa a
evocare un maledetto Blizzard per far fuori anche quel Piros
abbattendogli un enorme blocco di ghiaccio "in testa".
-Ottimo lavoro, Atra - si era congratulata la Trepe - Vogliamo
proseguire?-.
-Ovvio. Abbiamo perso anche fin troppo tempo in divertimenti- avevo
replicato seccata, riprendendo la corsa.
-Tutta suo fratello- era stato il commento rassegnato della Trepe,
seguito poi dal rumore dei suoi tacchi sulla roccia sotto i nostri
piedi.
In quel momento eravamo passate davanti a una Fonte Energetica da cui
era possibile assimilare un po' di Fire: io l'avevo ignorata e questo
non era sfuggito alla prof.:
-Quindi non ti fermi ad assimilare della magia utile?- mi aveva
domandato con il tono tipico delle domande trabocchetto.
Avevo continuato a guardare davanti a me mentre le rispondevo:
-A meno che non sia una magia veramente potente, no. In questo caso non
mi serve, quindi la ignoro-.
La Trepe aveva fatto un verso di convinzione, proprio nel momento in
cui giungevamo in vista di una specie di isolotto nella lava, al cui
centro si apriva la voragine circolare abitata da Ifrid, raggiungibile
attraverso uno stretto ponte. Tutt'intorno all'isola sorgevano delle
rocce appuntite e allungate, inclinate verso la voragine.
Ricordo che mi avevano dato l'impressione di un tetto di capanna, un
particolare che rendeva quel posto più simile a una casa
concepita in termini umani.
Dietro la roccia posizionata più a nord della voragine, un
altro sentiero serpeggiava verso la fine della caverna, portando a
un'uscita di emergenza utilizzata nel caso estremo in cui Ifrid avesse
avuto la meglio su uno studente.
Io e la prof. eravamo state costrette a procedere in fila indiana sul
sentiero e in quel momento la Trepe mi aveva detto:
-Finora sei stata all'altezza di Seifer, se non più brava.
Sai, lui aveva assimilato dalla fonte...-.
Ovvio, quel curiosone era dovuto andare a ficcanasare anche
lì...e poi lui adora le magie di elemento Fuoco, quindi
figurarsi se non se ne riempiva le tasche.
Non le avevo risposto, perché in quel momento mi serviva
concentrazione.
Sotto il gorgogliare della lava sentivo un'elettricità
familiare che attraversava l'aria fino a sfiorarmi la pelle, facendola
accapponare anche con quaranta gradi.
-Stai bene?- mi aveva domandato la prof., mentre io socchiudevo gli
occhi inebriata dalla potenza del G.F.
Ifrid era un Guardian Force di livello intermedio, quindi non era
potente come il mio Leviathan, ma era comunque una creatura di tutto
rispetto.
Non sapevo ancora perché, ma potevo sentire persino tra la
lingua e il palato quell'elettricità, quell'agrodolce
retrogusto di energia pura.
-Sembra tutto tranquillo...- aveva mormorato la Trepe guardandosi
intorno, una volta giunte sul bordo della voragine.
Ovviamente la sfiga ci sente benissimo e ha una predilezione
particolare per queste frasi e per le persone ignare delle loro
conseguenze.
Fatto sta che Ifrid aveva scelto proprio quel momento per fare la sua
entrata spettacolare, emergendo con un salto dalla voragine e rimanendo
sospeso a mezz'aria per guardarmi con i suoi occhietti giallognoli.
-UH, COSA ABBIAMO QUI
OGGI? - aveva ruggito, stringendo i pugni - UNA DONNA! COSA MAI PUO' FARMI
UNA DONNA?!-.
-La tua prova comincia ora, Atra. Concentrati: hai otto minuti per
batterlo- mi aveva mormorato la Trepe, ma io ero già uscita
dai gangheri:
-Cosa può farti una donna?! Ti darò tante di
quelle legnate che ti metterai a piangere, razza di maschilista che non
sei altro!- avevo sbraitato, sollevando l'arco con gesto eloquente.
-BENE, ALLORA-
aveva concesso Ifrit, con un verso che somigliava maledettamente a una
risata canzonatoria.
Ovviamente in quel momento non era cosciente di quello che avrebbe
subito dopo, altrimenti credo che sarebbe stato più cortese.
E sicuramente non ci avrebbe trovato granchè di divertente.
Avevo stretto gli occhi, stringendo le dita attorno all'arco e
sfiorandone la corda con il pollice, mentre la Trepe faceva un passo
indietro per farmi spazio, la presa ben salda sull'impugnatura della
sua frusta.
Il mio sguardo era tornato sul G.F., che nel frattempo si era
posizionato davanti a noi dopo aver toccato terra in modo stranamente
leggero e aggraziato per la sua stazza.
I muscoli sembravano scolpiti nella pelle bruna e a ogni movimento
della creatura si tendevano di scatto, incidendo profonde linee nella
carne.
Il collo era circondato da una folta criniera scarlatta che oscillava
al calore esalato dalla sua pelle quasi a imitare la danza di una
fiamma, sfiorando le lunghe corna viola che si ripartivano da dietro le
sue orecchie, appuntite e ornate da orecchini ad anello, e
attorcigliandosi attorno ai loro spigoli affilati e irregolari.
La stessa peluria ricopriva i gomiti, i polpacci, i fianchi e il basso
ventre, risalendo poi dal petto fino al mento.
I larghi polsi erano ornati da bracciali dorati a fascia alta,
entrambi riportanti la stessa incisione, i quali scivolavano lungo le
braccia possenti seguendo i loro movimenti.
Beh, Ifrid poteva anche avere lo stile da "bad boy" che mi
piaceva tanto, ma gli avrei dato comunque le mazzate che gli spettavano.
A questo proposito, Leviathan si era svegliato proprio in quel momento
per avere uno spasmo di eccitazione che mi aveva riportato sull'attenti.
Ah no -
avevo pensato immediatamente - Scordatelo:
questo è mio, Leviathan.
È
per questo che io e il mio G.F. andiamo così d'accordo:
siamo sempre pronti a gettarci nella battaglia del secolo!
Ma quella volta mi era toccato metterlo a cuccia: non era una buona
idea far fare il lavoro ai G.F. durante un esame...
Il mio Guardian Force mi aveva trasmesso un impulso offeso, prima di
rintanarsi docilmente in un angolo della mia mente.
Tuttavia, poco dopo avevo sentito la Junction rinvigorirsi e investirmi
il corpo con una scarica di adrenalina: i nervi si erano tesi subito,
vibrando come corde prima di acquisire fermezza; i muscoli avevano
avuto uno scatto e i movimenti si erano fatti più sciolti.
Avevo scrocchiato il collo, mentre le mie labbra si incurvavano in un
sorriso spontaneo.
Ormai anche guardando la figura imponente di Ifrid non provavo
più niente.
Ero pronta.
Avevo subito sollevato una mano per richiamare un Blizzard: sopra la
testa di Ifrid si era formata una nebbiolina bianca e rarefatta che si
era velocemente condensata e solidificata in un enorme e squadrato
blocco di ghiaccio, sulla cui superficie irregolare scorrevano
già alcune gocce d'acqua, segno che il clima era troppo
caldo persino per la più pura magia di elemento Gelo.
Il pezzo di ghiaccio era rimasto sospeso sopra il capo di Ifrid,
impegnato a preparare un attacco particolarmente rovente per prendersi
la briga di guardare un attimo in alto, fino a quando io avevo
trattenuto la magia.
Poi avevo abbassato il braccio per tendere una freccia contro la corda
e scagliarla contro il blocco di ghiaccio, colpendolo proprio al centro
mentre stava precipitando.
Una ragnatela di crepe e fessure si era ramificata con uno scricchiolio
dal punto in cui l'asta e il piumaggio del mio proiettile emergevano
dalla superficie del blocco.
A quel punto Ifrid era stato costretto a sollevare il muso, spalancando
le fauci zannute proprio nel momento in cui una pioggia di grossi pezzi
ghiacciati simili a frammenti di vetro gli era piombata addosso,
tintinnando.
-È TUTTO QUI
QUELLO CHE SAI FARE, DONNA?- aveva ruggito la creatura con
tono canzonatorio, mentre il ghiaccio scivolava via in rivoli d'acqua
sulla sua pelle ed evaporava immediatamente a contatto con le fiamme
che cominciavano a rivestirla. Avevo ridacchiato, intercettando con lo
sguardo un oggetto dalla forma allungata e appuntita che era
precipitato rimbalzando ai piedi del G.F. proprio in quel momento.
-Non qui -
avevo precisato, sollevando la mano che non teneva l'arco e muovendone
le dita - ma lì-
avevo concluso, schioccandole subito dopo.
Il secondo Blizzard che avevo lanciato sulla freccia prima di
scagliarla si era liberato dall'arma proprio in quel momento, prendendo
subito la forma di un crepitante turbine di ghiaccio e neve che aveva
investito prima le gambe e poi l'intero corpo del G.F., sul cui viso si
era dipinta una smorfia sorpresa e rabbiosa.
Avevo guardato con la coda nell'occhio il viso della Trepe, contratto
in una smorfia di puro stupore. E ne aveva ben donde!
Davanti a noi Ifrid era racchiuso in un enorme e trasparente blocco di
ghiaccio: la sua pelle aveva assunto una curiosa sfumatura bluastra e
il respiro attorno alla sua bocca si era congelato in una nuvoletta
densa e scintillante, mentre le fiamme attorno alle mani si erano
dissolte in un fumo nerastro che aveva creato una macchia scura sulla
parete interna della nuova casa di quel G.F. maschilista.
Mi ero voltata con un soffio sprezzante, rimettendomi lentamente l'arco
a tracolla:
-Se secondo lei dieci secondi sono un risultato troppo poco credibile,
la autorizzo a scrivere che ce ne ho messi trenta- avevo sbuffato,
rivolta alla Trepe.
La prof. si era riscossa grazie alle mie parole e aveva sollevato una
mano a sfiorarsi la bocca:
-Se non l'avessi visto non ci crederei...- aveva mormorato.
Non mi ero nemmeno voltata a risponderle e avevo lasciato vagare lo
sguardo sul mare di lava che si perdeva a vista d'occhio attorno a noi,
fino a incontrare le buie pareti della caverna, il cui profilo era
appena disegnato dal bagliore del fuoco liquido sottostante.
Avevo respirato profondamente per evitare di sprizzare soddisfazione da
tutti i pori, mentre mi decidevo a rispondere:
-E va bene: scriva quello che vuole, ma non vada al di sopra del minuto
- avevo concesso con un gesto della mano - Non è colpa mia
se Ifrid oggi non aveva...fatto
riscaldamento- avevo ridacchiato poi.
In quello stesso momento un forte schianto era risuonato alle mie
spalle e mi ero voltata in tempo per vedere quel maledetto G.F.
liberarsi con uno strattone dalla sua prigione di ghiaccio e scrollarsi
di dosso la polvere congelata rimasta posata sulla sua criniera.
-NON E' ANCORA FINITA,
DANNATA UMANA!- aveva ringhiato puntandomi un artiglio
contro, mentre dei frammenti di ghiaccio affilati come coltelli stavano
sibilando nell'aria, diretti proprio verso di me.
Saaaaaaalve a tutti!
Vi avevo detto che il prossimo ricordo sarebbe stato una sorpresa e
questo è solo un assaggio. Ma non preoccupatevi, lo scontro
è rimandato solo di un giorno: domani avrete la battaglia
fra Atra e Ifrid parallelamente al capitolo de "Il legame del sangue"!
Falsa partenza insomma (lo so che sono cattiva, ma...avete visto quanto
diamine ho scritto?!), ma non per molto, dai! Domani facciamo fuoco e fiamme
(perdonatemi la battuta infelice)!
Chiedo perdono per la lunghezza del ricordo, ma la situazione non
è facile da descrivere in poche pagine e sapete che io
piuttosto che non essere esaustiva (ed esaperante! nd
Atra) preferisco tagliare e prendermela con calma.
Detto questo, vi aspetto domani se vorrete scoprire come Atra
farà la pelle a Ifrid!
Ciao!
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Capitolo 11 *** La Caverna di Fuoco #2. ***
Parte #2.
NON E' ANCORA FINITA, DANNATA UMANA!- aveva ringhiato
puntandomi un artiglio contro, mentre dei frammenti di ghiaccio
affilati come coltelli stavano sibilando nell'aria, diretti proprio
verso di me.
Nel momento in cui mi stavo voltando, una delle schegge mi aveva
trapassato il tessuto della camicia sulla spalla destra, graffiandomi
superficialmente la pelle sottostante.
Ne avevo schivata un'altra diretta proprio alla fronte abbassandomi
all'ultimo minuto, per scoprire che ne stavano arrivando una dietro
l'altra altre tre più piccole, ma alla mia stessa altezza e
veloci come proiettili.
Dato che era impossibile per me schivarle tutte, avevo istintivamente
scagliato uno Slow per rallentarne anche se di poco il movimento,
mentre pensavo a come toglierle di mezzo.
Uno Shell o un Protect erano impensabili: non avrebbero retto a quel
tipo di attacco, il primo perché i frammenti di ghiaccio
erano estremamente affilati e appuntiti, il secondo perché
si trattava di proiettili elementali.
Non mi restava altro da fare che scioglierli, ma...non avevo nessun
Fire con me! Non credevo che mi sarebbero serviti per quella prova.
Il mio sguardo era saettato affannosamente dalla Trepe, che in quel
momento aveva schivato per un soffio un poderoso pugno da parte del
G.F., a Ifrid stesso, rianimato da una nuova energia...o semplicemente
tornato in sé dopo la mia sorpresina.
Intanto i proiettili di ghiaccio si stavano avvicinando e io non sapevo
dove rimediare un Fire.
In quel momento Ifrid ne aveva scagliato proprio uno contro la Trepe,
che si era riparata dietro a uno Shell, prima di contrattaccare con la
frusta senza causare danni consistenti al G.F.
Una lampadina si era accesa nella mia testa e mi ero anche maledetta
nella mia mente: certo che ero proprio un'idiota!
Avevo allungato una mano davanti a me, mentre la prima scheggia era
così vicina che potevo vederne le incrinature della
superficie e le venature del ghiaccio, concentrandomi poi per percepire
la magia racchiusa in Ifrid.
Il G.F. era così impegnato nel combattimento da non
accorgersi del fatto che io gli stessi frugando nella riserva
magica...fino al momento in cui gli avevo sottratto qualche Fire.
Il suo ruggito infuriato non mi aveva distratta e avevo subito
scagliato la magia appena Assimilata, nel momento stesso in cui il
primo frammento ghiacciato mi aveva sfiorato la punta dell'indice.
La scheggia di ghiaccio si era dissolta in una cascatella d'acqua,
immediatamente attraversata dal secondo frammento, contro cui avevo
scagliato un altro Fire.
Il terzo pezzo affilato era leggermente spostato a sinistra rispetto
agli altri due, quindi mi ero inclinata in avanti di poco per colpirlo
da sotto con l'ennesima fiammata.
Liberatami di tutti i proiettili ghiacciati, mi ero rialzata in piedi
sulla roccia bagnata, in tempo per vedere la Trepe in seria
difficoltà contro un Ifrid stranamente più forte
del solito.
La mia solita sfiga
- avevo pensato prima di incoccare una freccia e scagliarla verso la
spalla della creatura.
La sua pelle coriacea aveva resistito alla perfezione e il mio
proiettile era rimbalzato ridicolmente contro di essa per poi finire a
terra accompagnato dal patetico tintinnio della punta di metallo.
-TOCCA A ME RIDERE
ADESSO, UMANA!- aveva ringhiato Ifrid, allargando le
braccia e stringendo gli artigli a pugno. Tra le sue dita erano
comparse alcune fiamme, che erano sgusciate in una morbida carezza fino
ai suoi gomiti, proiettando un riflesso rossastro sui suoi lucidi
pettorali.
Il fuoco aveva preso la forma di due enormi sfere rotanti, che si erano
sollevate in aria con un rombo a un gesto del G.F.
-VIENI ALL'INFERNO!-
aveva ruggito, le braccia sollevate e la criniera che gli si era
sollevata attorno al collo per effetto del calore prodotto dal fuoco
fra i suoi artigli.
Avevo stretto gli occhi, mentre una miriade di scintille rosse volava
in tutte le direzioni e il fumo diventava sempre più nero e
denso.
-Uhm, mi spiace rifiutare ma non mi è mai piaciuta la sauna-
avevo replicato con una smorfia, sollevando l'arco e preparandomi a
difendermi.
Ifrid aveva ruggito una risata:
-SEI DIVERTENTE, MA ORA
NON SCHERZIAMO PIU'- era stata la sua risposta, prima di
scagliarmi addosso entrambe le sfere infuocate, le cui traiettorie si
erano incrociate prima di schizzarmi addosso per colpirmi da direzioni
diverse, lasciando una scia di faville e spirali di fumo.
La Trepe dietro di lui aveva avuto un sussulto, prima di stringere i
pugni e scrutare attentamente ogni mio movimento.
La mia prova.
Avevo scagliato l'ennesimo Blizzard, ma stavolta sull'arco. Il ghiaccio
si era adagiato come un velo sopra la mia arma formando una spessa
lastra azzurrina, dietro la quale mi ero riparata come se fosse stato
uno scudo. Poi avevo fatto una mezza piroetta a destra per scontrarmi
con la prima sfera infuocata, che si era schiantata sul ghiaccio con un
rombo la cui violenza mi aveva trasferito il contraccolpo fino alle
braccia.
Lo scudo si era sciolto rapidamente, contrastando il primo attacco.
Ma dietro di me stava arrivando la seconda sfera!
Con le mani ancora gocciolanti d'acqua, avevo scagliato una freccia su
cui avevo lanciato un altro Blizzard. Il proiettile ghiacciato aveva
disegnato una traiettoria leggermente curva, prima di centrare in pieno
la sfera infuocata, che si era arrestata in aria e aveva cominciato a
congelarsi con un crepitio che aveva sovrastato il rombo infuriato
delle fiamme fino a estinguerlo rapidamente.
Mentre la sfera si trasformava lentamente in ghiaccio, avevo sguainato
il pugnale e l'avevo afferrato saldamente. Avevo adocchiato una roccia
della giusta altezza appena dietro di me e mi ci ero posizionata
davanti, sotto gli occhi sospettosi e sorpresi del G.F., che si era
messo subito sulla difensiva.
-Giochiamo a bowling, Ifrid? - avevo ridacchiato, sfiorando con la
punta di un piede la base della pietra - Comincio io-.
Avevo evocato un Levita che mi permettesse di salire velocemente sulla
roccia all'indietro e in quel momento Ifrid aveva capito cosa mi
passasse per la testa: infatti era scattato subito in avanti con il
pugno proteso e pronto a togliere di mezzo la sfera ormai quasi
completamente ghiacciata e solida, nonostante le profonde crepe che
creavano un'ombreggiatura blu scuro al suo interno.
Mi ero data una spinta in avanti con il piede e avevo saltato per
raggiungerla prima di lui. Una volta a mezz'aria, avevo scagliato il
pugnale più forte che potevo, aiutandomi anche con un Aero
evocato subito dopo.
La lama era volata come una scheggia, anche perché sospinta
dal soffio di vento che avevo richiamato, fino a conficcarsi nel
ghiaccio con un impatto tale da trascinarlo con sé nella sua
corsa, portandolo a schiantarsi sul muso di Ifrid.
-Strike!- avevo esultato, mentre toccavo terra e posavo la punta delle
dita sotto di me per non sbilanciarmi in avanti.
Ifrid era volato per alcuni metri prima di schiantarsi contro una
roccia, che si era spaccata in due ed era franata nella lava.
Il G.F. invece era semplicemente caduto violentemente a terra, creando
una crepa nella pietra sotto di lui.
Intanto il mio pugnale era rimbalzato all'indietro, cadendo tintinnando
a pochi passi dai piedi della Trepe, che si era affrettata a calciarlo
verso di me.
-Ti arrendi?- gli avevo domandato dopo averlo raccolto, scostandomi poi
i capelli dalla fronte e posandomi una mano sul fianco.
Per tutta risposta il G.F. aveva scrollato forte il capo per liberarsi
della polvere di roccia che gli si era posata addosso, prima di
ringhiare e avventarsi su di me con tutta la sua mole senza un minimo
di preavviso.
-Eh, ma allora sei stronzo- lo avevo apostrofato nervosamente,
vedendomelo arrivare addosso con nuovamente delle fiamme fra gli
artigli.
Avevo schivato il primo pugno accovacciandomi a terra, per poi rotolare
via quando il secondo si era abbattuto sulla roccia che era sotto di me
appena un secondo prima. Mi ero rimessa in piedi in tempo per evitare
con un salto una spazzata a terra, prima di essere colpita da un calcio
rotante a mezz'aria.
Il colpo mi aveva scaraventata contro una roccia appena dietro la Trepe
ed io avevo evitato il peggio evocando in tempo un Protect per
proteggermi dal tremendo impatto, che comunque non era stato certo
morbido.
-Atra, mancano due minuti. Te l'avevo de...- aveva cominciato la prof.
avvicinandomisi, prima che io mi rialzassi schiumante di rabbia e la
incenerissi con lo sguardo:
-Si tolga di mezzo e mi lasci combattere!- l'avevo rimbrottata
seccamente, notando appena la pelle delle braccia e delle gambe
seriamente scorticata quasi a sangue.
La Trepe si era limitata a sospirare, evocando poi un'Energia per
permettere alla pelle di rimarginarsi. Solo percependo il freddo tocco
della magia che mi risanava le sbucciature mi ero accorta del fatto che
mi ero ferita, anche se superficialmente. Inoltre una leggera scossa al
fianco mi aveva avvisato che Ifrid non c'era andato affatto piano con
il suo calcio.
Nel momento in cui prendevo coscienza delle mie ammaccature, la
Junction si era riattivata, prosciugando Leviathan delle ultime energie
e rinvigorendo invece completamente il mio corpo.
Grazie, Leviathan - avevo pensato, scuotendo la testa e riacquistando
la concentrazione.
-Non è finita, Ifrid! - avevo ringhiato in direzione del
G.F., che si era comodamente seduto a mezz'aria sopra la sua voragine -
Non è ancora ora di stare in panciolle!- avevo ridacchiato,
preparando un'altra freccia.
La creatura si era riscossa subito:
-NON NE HAI ANCORA
ABBASTANZA, UMANA?- aveva ruggito divertito, saettando in
aria e avvicinandosi velocemente a me con entrambi gli artigli protesi
in avanti.
-Non mi arrendo facilmente, sappilo- avevo replicato, schivando il suo
doppio pugno e passandogli sotto le gambe prima che queste toccassero
terra.
Ifrid mi aveva scagliato un Fire mentre si voltava e io avevo
contrattaccato con Blizzard, che aveva ridotto le fiamme a una lastra
irregolare e sottile di ghiaccio, attraverso cui vedevo distorta
l'immagine del mio avversario.
-Uhm, arte astratta?- avevo ironizzato, nel momento stesso in cui il
G.F. si gettava contro le fiamme congelate per raggiungermi. Il rumore
tintinnante del ghiaccio che si frantumava come vetro aveva coperto la
mia voce che evocava un Levita. Così Ifrid si era trovato
davanti al niente, mentre io volteggiavo tranquillamente sopra di lui.
-Sono qui, tonto- l'avevo canzonato, prima di lasciarmi cadere a
precipizio sopra di lui e scagliargli addosso il pugnale, potenziato
del solito Blizzard.
Ifrid mi aveva scrollata via come se fossi stata una semplice pulce e
solo un Levita tempestivamente invocato dalla Trepe mi aveva impedito
di finire nella lava. Ero atterrata in cima a una roccia, da dove avevo
osservato il G.F. strapparsi dalla spalla il mio pugnale, che gli aveva
lasciato una ferita profonda dai bordi bluastri e bianchi, e
lanciarmelo a una velocità doppia rispetto alla mia.
Il pugnale si era conficcato nella pietra sotto di me, facendola
franare all'indietro nella lava. Ero riuscita a saltare prontamente in
avanti, mentre la roccia sotto di me cedeva.
Il mio coltello era rimasto conficcato nella pietra e io l'avevo
disincastrato con uno strattone allungando le mani dietro di me e
afferrando al volo l'impugnatura, sfruttando la velocità
della caduta.
Ero atterrata davanti al G.F. con un ginocchio poggiato e l'altra gamba
tesa di lato, ansimante per l'adrenalina e la rapidità con
cui avevo agito; Ifrid aveva ovviamente colto l'occasione per non darmi
tregua e scagliarmisi nuovamente addosso.
Ero riuscita a schivare solo il primo pugno, prima di essere nuovamente
colpita da un montante e spedita verso l'alto. Ero atterrata su una
sporgenza della roccia a destra di quella più a nord della
voragine, aiutata sempre dal solito Levita richiamato dalla Trepe.
Fortunatamente non avevo battuto la testa, perché quella
volta non avevo fatto in tempo a proteggermi con un Protect. Ero
comunque abbastanza stordita, ma questo non mi aveva impedito di
accorgermi che Ifrid si era sollevato in aria per venire a darmi il
colpo di grazia.
Arrivato a metà strada, aveva scagliato un'altra sfera di
fuoco, che era saettata verso di me con la velocità di una
freccia.
Non mi arrendo tanto
facilmente.
Avevo incoccato una freccia, mentre un'ultima risorsa mi era balenata
nella mente. Se non avesse funzionato quello...
Avevo battuto gli occhi per scacciare dalla testa qualsiasi dubbio di
fallimento e mi ero presa alcuni secondi preziosi per prendere la mira,
respirando profondamente e cercando di non notare la sfera
incandescente che si stava avvicinando pericolosamente a me.
Forse quello è stato davvero il tiro più
difficile che io abbia mai tentato.
La mia freccia era partita con un sonoro schiocco della corda e aveva
oltrepassato sibilando la sfera infiammata, sfiorandola solo sul lato
destro.
Ifrid aveva soffiato una risata, credendo che avessi mancato il
bersaglio.
Peccato che io non manco
mai il mio bersaglio.
La freccia aveva centrato perfettamente l'orecchino ad anello portato
all'orecchino sinistro del G.F., trascinandolo all'indietro con
sé e conficcandosi nella roccia appena dietro di lui.
Ifrid si era trovato limitato nei movimenti e questo mi era bastato per
attuare la seconda parte del piano.
Nel momento stesso in cui la sfera infuocata si era schiantata sulla
roccia sotto i miei piedi, avevo evocato un Levita e mi ero sollevata
in aria per sfuggire all'impatto.
Come avevo sperato, un grosso blocco di roccia era franato in avanti,
dato che la sfera aveva colpito la pietra proprio nel mezzo.
Mi ero gettata su di esso e l'avevo raggiunto prima che si frantumasse
a terra, toccandolo con una mano ed evocando nel contempo un Blizzard.
La roccia si era ghiacciata istantaneamente, coprendosi di una lastra
bianca e dotata di aguzzi spuntoni che aveva divorato la pietra con un
crepitio.
Avevo frenato definitivamente la caduta del pietrone scagliandogli
contro un Levita e poi l'avevo spedito con il controllo mentale che la
magia mi consentiva in direzione di Ifrid, ancora imprigionato contro
la roccia.
Il grosso pezzo di pietra e ghiaccio si era schiantato sul corpo del
G.F., che era caduto a terra, seppellito dalla roccia appena dietro di
lui che gli era franata addosso.
-Ri-strike! - avevo esultato, poggiando i piedi a terra e osservandomi
contrariata le mani scorticate - Allora, cosa vuoi fare?-.
Ifrid era emerso completamente illeso dai mille pezzi di roccia e
ghiaccio cadutigli addosso e aveva sbuffato:
-MI ARRENDO, UMANA. SEI
FORTE! MA NON TI POSSO NE' VOGLIO SCEGLIERE COME MIA PADRONA-.
Ma chi ti vuole?!
- avevo pensato, sdegnata e indispettita dal fatto che fosse ancora in
piedi.
Sicuramente la sua antipatia nei miei confronti era reciproca: era solo
un pallone gonfiato e in quel momento avevo capito il motivo per cui
lui e il gallinaccio erano si erano piaciuti così tanto.
Ma d'altro canto, la prova non richiedeva di diventare amici per la
pelle di quel bestione, ma solo di riempirlo di mazzate e io l'avevo
fatto.
Un sorriso mi aveva incurvato le labbra, mentre mi voltavo a guardare
la Trepe, tirando un angolo delle labbra con aria eloquente.
La prof. aveva sollevato le sopracciglia, prima di annuire e
controllare il proprio cronometro:
-Nove minuti e trentuno secondi. Complimenti, Atra: hai superato
brillantemente la prova-.
***
-NOVE E TRENTUNO?! NO, NON POSSO CREDERCI!-.
Avevo ridacchiato, dando una pacca sulla spalla a mio fratello e
godendomi l'espressione sinceramente stupita dipinta sulla sua faccia.
Eravamo nella Hall a leggere i risultati delle prove della settimana
scritti su un foglio affisso appena sopra la mappa del primo piano del
Garden.
Accanto al mio nome e al numero di matricola c'era la scritta AMMESSA e
il punteggio che avevo totalizzato.
Praticamente avevo ottenuto il massimo quasi in tutte le credenziali,
tranne che in "disciplina" (maledetta Trepe, gliel'avrei fatta pagare!)
e "condotta" (credo sia stato per il piccolo bisticcio avuto con gli
insegnanti).
-Te l'avevo detto di stare tranquilla: la Trepe è
impossibile- aveva sospirato poi Seifer, picchiettando il dito sul voto
di "Disciplina". Avevo alzato gli occhi al cielo:
-Se l'avessi saputo le avrei lanciato un Novox prima di cominciare-.
-Seh, così non ti avrebbe nemmeno ammessa!- aveva
sghignazzato Raijin dietro di me. Mi ero voltata di scatto:
-Tu taci, che la battuta non fa ridere- avevo sibilato. Fujin accanto
allo scimmione era impallidita:
-B-BRAVA!- aveva balbettato, con delle difficoltà ancora
più consistenti nello spiccicare quella misera parola.
Ah, aveva paura?! Patetica.
-Comunque non posso credere che tu mi abbia battuto- aveva commentato
Seifer mentre ci avviavamo a lezione, una volta salutati i due
cagnolini, che se n'erano andati a orecchie basse e coda ferma: proprio
come li volevo io.
Avevo sollevato il mento, scostandomi l'ennesima ciocca ribelle dalla
fronte:
-L'allieva che supera il maestro, Seifer. Facci l'abitudine- avevo
detto perfidamente, incassando con un occhiolino la sua occhiataccia.
Nel momento in cui eravamo entrati in classe avevamo visto Zell in
piedi con i pugni stretti e l'aria decisamente alterata.
Mio fratello aveva tirato le labbra in un sorriso divertito ed era
stato subito raggiunto dalla mia gomitata di avvertimento.
-Chi? Chi ha ridotto così il mio G.F.?! Se lo piglio...-
stava sbraitando Zell, portandosi i pugni davanti al viso.
-Ehi gallinaccio, c'è qualche problema?- aveva detto Seifer,
sollevando il mento con la sua solita aria strafottente. L'avevo
seguito di buon grado: ah, mi sarei divertita un mondo!
Zell si era voltato, diventando rosso come un peperone per la rabbia:
-Seifer, non mettertici anche tu! Qualcuno questa settimana ci
è andato pesante con il mio G.F. e appena scopro chi
è lo faccio nero!- aveva strillato con il suo tono
da...gallo, maledizione, sembrava proprio un gallo!
Mi ero attorcigliata una ciocca di capelli attorno al dito:
-Uhm, Seifer...glielo spieghi tu?- avevo chiesto innocentemente a mio
fratello, che aveva sfoderato un ghigno divertito e mi aveva fatto un
gesto galante:
-Fai tu, sorellina. Mi divertirò di più a stare a
guardare- aveva ridacchiato, superando poi Zell e stravaccandosi sul
suo banco.
-Spiegare cosa?- mi aveva chiesto confuso il gallinaccio. Io avevo
sorriso:
-Che non puoi far nero il responsabile - avevo risposto semplicemente,
per poi allargare il sorriso quando lui aveva sollevato le sopracciglia
ancora più perplesso - Perché io sono
già nera di capelli, vedi?- avevo detto, sollevando le dita
che stringevano una ciocca di ricci e mostrandogliela.
Zell era impallidito, mentre in classe era sceso un silenzio tombale:
-Sei...sei stata tu?- mi aveva chiesto, cambiando letteralmente
atteggiamento.
Il silenzio era stato rotto dalle risatine soffocate di mio fratello e
dai sospiri scocciati di Squall, seduto dietro a Seifer, mentre io
annuivo in silenzio sempre più divertita.
Zell era impallidito ancora di più e allora io gli avevo
chiesto tranquillamente:
-Allora, cosa hai detto che avresti fatto al responsabile? Ora che
l'hai trovato sarai molto arrabbiato, no?-.
In quel momento era entrata la Trepe, che aveva squadrato me e Zell con
aria critica, prima di battere le mani:
-Ehi, cos'è tutta questa tensione? Almasy,
Dincht...c'è qualche problema?- ci aveva domandato,
sbattendo i libri sulla scrivania. Avevo lanciato uno sguardo di fuoco
a Zell mentre rispondevo alla prof.:
-Nessuno. Stavo dando qualche consiglio a Dincht su come educare il
proprio G.F., a partire
dal suo proprietario- avevo detto, sottolineando a dovere
le ultime parole.
Colpito e affondato. Il gallinaccio se n'era tornato al banco con la
faccia da pesce...pardon, da pollo
lesso.
Eccoci qua, anche
questo ricordo è finito!
Spero di aver descritto una bella battaglia: forse è diversa
dalle solite, l'ho condita con qualche effetto speciale in
più, anche se ho cercato di non renderla assurda.
Boh, ditemi voi cosa ne pensate!
Adesso credo che abbiate capito il motivo per cui ho dovuto spezzare il
ricordo in due parti, ops!
Ringrazio chi arriverà alla fine di questo papiro egizio e
vi do appuntamento al prossimo ricordo (più corto,
più corto, lo so!) !
Ciao!
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Capitolo 12 *** Festa di compleanno ***
-Così è storto, scimmione ottuso. Ma sai almeno
cosa sia la precisione?-.
-Io non sono mica un arciere come te, Atra! E, per la cronaca...-.
-Per la cronaca
guarda dove metti i pie...-.
SBADARANGDRANG!
-RAZZA DI IMBECILLE!-.
Era il 22 dicembre, giorno del diciottesimo compleanno di Seifer, e io
e gli altri due imbec...ehm, Fujin e Raijin avevamo pensato bene di
organizzargli una piccola festa a sorpresa, con il pretesto
dell'ennesima riunione del Comitato Disciplinare.
Tuttavia preparare a festa la sala insegnanti, dove di solito si
svolgevano le nostre riunioni per gentile concessione del preside, con
il solo aiuto di quelle due teste vuote si era rivelata un'impresa.
"Un'impresa impossibile"
avevo pensato esattamente, facendo scorrere uno sguardo esasperato
lungo l'intera stanza: c'erano palloncini azzurri sparsi ovunque (li
aveva portati Fujin, perché l'azzurro era il colore
preferito di Seifer...ma a dire la verità, data la
quantità industriale, sembrava più che fosse nato
un bambino), festoni sparpagliati per terra, sul tavolo e penzolanti
dalle pareti, bottiglie di vino e birra accatastate su una sedia,
pericolosamente vicine alla torta che avevo trafugato dalla mensa quel
pomeriggio.
E poi c'era Fujin che stava cercando di incartare da un'ora e mezza il
regalo per Seifer, ma a giudicare dalla forma lui avrebbe pensato che
fosse più un soprammobile che un fodero per il Gunblade.
"Un disastro"
avevo concluso dedicando l'ultima occhiata a Raijin, ancora con il culo
ben piantato a terra e in mano uno striscione tutto spiegazzato su cui
troneggiava la scritta "AUGURI LIDER!!!", seguita dalle firme di Fujin
e Raijin.
Già, lider.
Seriamente. Non serve dire di chi fosse stata l'idea.
-Guarda che si scrive "leader"- lo avevo corretto quando me lo aveva
mostrato quel pomeriggio, senza nemmeno chiedermi se volevo firmarlo.
Beh, non che chiamassi Seifer "lider",
io.
-Ma taci! - aveva berciato Raijin, strappandomi di mano lo scotch e
spostando con un cigolio la scala per fare quello che fanno gli
scimmioni suoi simili, cioè arrampicarsi - Sempre a
criticare, tu!- aveva aggiunto, cercando di liberarsi dallo scotch che,
chissà come mai, non voleva collaborare con le sue mani
sgraziate.
-Io mi dissocio - avevo commentato con le mani sollevate, la scala che
intanto ondeggiava pericolosamente sotto il peso piuma dello scimmione
- Tanto per me cadi-.
E infatti dopo soli cinque minuti Raijin si trovava esattamente nella
posizione suddetta, come un perfetto...
-IMBECILLE!-.
-Fujin, tu stai zitta e cerca di dare a quel "coso" una dimensione che
non sia imbarazzante - l'avevo rimbrottata, incrociando le braccia e
guardando per l'ennesima volta l'orologio - Seifer sarà qui
a minuti e non avete ancora finito!-.
-E tu? Tu cosa hai fatto?- mi aveva sfidata Raijin, afferrando
malamente lo striscione. Avevo indicato la stanza con un gesto
noncurante:
-Io ho avuto l'idea, io ho fatto i festoni, io vi ho suggerito il
regalo, io ho preso la torta, io...IO TI DISTRUGGO, RAIJIN!-.
Mi ero appena resa conto del fatto che Raijin aveva mollato tutte le
bottiglie proprio sopra la torta, non accanto, come avevo
pensato prima.
-Io ho fatto lo striscione- si era pavoneggiato intanto lo scimmione,
sporgendosi pericolosamente nel tentativo di appenderlo al lampadario.
-Si vede- avevo commentato ironica, sorvegliandolo attentamente con le
mani sui fianchi.
-E tu non l'hai nemmeno firma...ops!-.
Il secondo tentativo di Raijin mi aveva praticamente fatto piombare in
testa lo striscione, da cui ero riemersa rabbiosa come una vipera:
-Incapace!- avevo ringhiato, lanciandoglielo addosso oltre il tavolo.
-Provaci tu, genio!-.
-Io non appendo al soffitto il tuo schifo! Mi hai capito, sottospecie
di Grendell rimbambito?- ero scoppiata, mandandolo a quel paese con una
mano.
Raijin aveva allungato rabbiosamente lo striscione a Fujin, che si era
arrampicata inciampando sulla scala per provare ad appenderlo, e poi mi
aveva fronteggiato:
-Mi ripeti cosa hai detto, Atra?-.
-Quale parte non hai capito, tesoro?-
gli avevo risposto melliflua, abbassando i toni giusto per non farmi
sentire da Seifer, nel caso fosse arrivato in anticipo (il che sarebbe
stato un miracolo degno di Babbo Natale, giusto per essere in tema).
-La mia definizione, professoressa-
mi aveva tenuto testa lo scimmione, sicuramente approfittando del fatto
che mio fratello non fosse presente.
Beh, ne avrei approfittato anche io:
-Ho detto che sei così brutto che quando vai al bagno ti
mimetizzi perfettamente con i cessi e che sei così scemo da
non capire nemmeno tu la differenza quando ti guardi allo specchio, hai
capito adesso?- avevo risposto tranquillamente.
-Ah, questa era sottile, sorellina!-.
Porca miseria, era arrivato Seifer.
-Capo!-.
-CAP...-.
SBADARANGDRANG (la vendetta)!
-Si può sapere cosa state...-.
-AUGURIIIIII!-.
Raijin mi aveva lasciato perdere per andare a scondinzolare attorno a
mio fratello, seguito da una dolorante Fujin.
Avevo lanciato un'occhiata allo striscione appeso di traverso (a quanto
pare ero l'unica precisa lì dentro) e mi ero limitata a
mettere la scala da parte, cercando di far sbollire l'irritazione
provocata dal fatto che quei due avessero rovinato tutto, come al
solito.
-Dai Atra, vieni qui!- mi aveva chiamato ridendo Seifer nel momento in
cui io avevo chiuso la scala con uno schianto rabbioso. Avevo sollevato
il viso per vedere mio fratello distendere le labbra nel sorriso
speciale che dedica solo a me, quello che di solito fa quando siamo
soli.
Beh, con Fujin e Raijin che litigavano per chi dovesse avere l'onore di
dargli il regalo era praticamente come se non ci fosse stato nessun
altro oltre a noi due.
-Lo so che l'idea è stata tua- mi aveva detto Seifer, il
sorriso che si restringeva in una smorfia furba. Mi era sfuggita una
risatina sconsolata:
-Beccata, hai vinto. Ma lo striscione non è opera mia,
quindi non offenderti se non l'ho firmato- avevo borbottato, nello
stesso momento in cui lo sguardo di mio fratello si posava per la prima
volta sul cartellone.
-E' vero che è bello, lider?-
era saltato su Raijin, distraendosi dalla sua colluttazione con Fujin,
che ne aveva approfittato per strappargli il regalo dalle mani e
strillare, battendosi una mano sul petto:
-APPESO!-.
Mio fratello aveva sollevato le sopracciglia, gli angoli della bocca
che tremavano mentre cercava di trattenere le risate:
-Certo che è bello, diamine! Bel lavoro, ragazzi!- aveva
esclamato però, dando una vigorosa pacca alla schiena del
suo compare e sulla spalla dell'altra tirapiedi, tutto soddisfatto.
Avevo incrociato le braccia con uno sbuffo:
-Domani vi faccio scrivere duecento volte la parola "leader",
sgrammaticati che non siete altro- avevo mugugnato, senza
però trattenere un certo senso di sollievo nel vedere la
sincerità sul volto di mio fratello.
Era in momenti come questi che mi sorprendevo sempre di me stessa, di
quella ragazza fredda che però si preoccupava costantemente
che Seifer stesse bene. Forse era stato da quando era stato bocciato al
suo primo esame pratico, forse era a causa dell'avvicinarsi della mia
prima prova.
Forse volevo ripagare in qualche modo tutti quegli anni che lui aveva
passato a prendersi cura di me. Oppure, più semplicemente,
era un comportamento tipico da sorella.
Avevamo mangiato la torta, fortunatamente non totalmente sfracellata
sotto il peso delle bottiglie, che ci eravamo scolati una dopo l'altra.
Poi Seifer si era trovato fra le mani il regalo di Fujin e Raijin:
-Aprilo, dai!- aveva ululato Raijin, sventolando una bottiglia di birra
vuota.
-FALLO, FALLO, FALLO!- l'aveva seguito a ruota la cantilena di Fujin,
ormai ubriaca marcia.
-C-cos'è?!- aveva esclamato imbarazzato mio fratello,
rigirandosi fra le mani quello che aveva tutta l'aria di essere un...
-FALLO, FALLO, FALLO!-.
-Fu' intende dire "aprilo" ma l'ha già cantilenato prima,
mentre tu stappavi la bottiglia di vino...così ha cambiato-
aveva spiegato imbarazzato Raijin, di fronte a un Seifer che si era
praticamente pietrificato nell'atto di strappare la carta.
Quando mio fratello lo aveva scartato, rivelando il fodero per il
Gunblade, lo aveva studiato con occhio critico (anche se era
già ubriaco), prima di dare la sua approvazione tutto
compiaciuto:
-Questo mi serviva proprio! Grazie ragazzi!-.
-Suggerito da me, quindi grazie
Atra- avevo ironizzato, sventolando una mano in aria.
Seifer si era voltato verso di me e mi aveva sussurrato:
-Ci ero arrivato, simpaticona-. Poi mi aveva dato un colpetto al mento
con la mano, mentre io gliela trattenevo un secondo fra le mie:
-Il mio te lo do dopo...non potevo portarlo qui e poi capirai
perché- avevo sorriso misteriosamente, mentre lui annuiva in
silenzio, stranamente senza fare domande. Forse per una volta voleva
gustarsi il piacere della sorpresa...sarebbe stata una
novità per lui, che voleva sempre tutto subito.
Durante la serata mi ero riscoperta più volte a scrutare il
volto di mio fratello: mentre scoppiava a ridere fragorosamente a una
battuta di Raijin, mentre scrollava leggermente Fujin quando rischiava
di addormentarsi, mentre lottava con me per l'ultimo pezzo di torta,
mentre rovesciava la testa all'indietro per prendersi l'ultimo sorso di
vino, persino mentre ingaggiava una sonora gara di rutti con Raijin.
Lo avevo osservato con i pensieri che lentamente affondavano nel
torpore dell'alcol, facendosi sempre più confusi.
Lo avevo semplicemente
osservato ma mi permettevo di farlo poche volte, perché a
volte leggerlo mi faceva male.
Mi feriva la consapevolezza che, nonostante il nostro supporto, lui non
fosse ancora riuscito a raggiungere i suoi obiettivi. Avrei voluto
qualcosa di più per quel ragazzo che nessuno conosceva a
fondo...eccetto noi, soprattutto me.
Ma quella sera lui
era diverso, era quel Seifer che non vedevo da tanto tempo. Speravo
fortemente non fosse l'alcol a darmi le allucinazioni, ma che
l'allegria disordinata e terribilmente assurda di Fujin e Raijin e la
mia maschera di ghiaccio leggermente allentata riuscissero a essergli
di supporto contro quel mondo che lo giudicava, lo colpiva
ripetutamente con insulti che piovevano come colpi di mitragliatrice,
ne dipingeva a proprio piacimento il ritratto del pregiudizio.
E forse il mio regalo gli avrebbe dato la spinta sufficiente a
riprendere in mano la propria vita, che, anche se non lo dava a vedere,
era stata sempre più difficile dopo la prima bocciatura.
-Atra! Non fai una gara di braccio di ferro con me, prima di andare a
dormire?-.
La voce squillante di Seifer mi aveva fatto trasalire: probabilmente
ero scivolata in una sorta di dormiveglia, dato che di quel momento
ricordo solo le mie riflessioni.
Comunque la aspettavo, la nostra solita sfida per rendere completa la
serata. E avrei dovuto lasciarlo vincere quella volta solo
perché era il suo compleanno?! Ma non ci avrei pensato
nemmeno! Lo avrei aiutato a spuntarla sugli altri, ma mai su di me. Era
questo il bello di essere fratello e sorella.
-Ci sto, ma non aspettarti di vincere-.
-E che gusto ci sarebbe?-.
Era questo il bello di essere sua
sorella. Ma questo sarebbe stato difficile da tradurre in parole e io
non ero brava a farlo. Dopotutto, non era ciò che mi
chiedeva lui.
Non era questo
che mi chiedeva lui, mentre mi prendeva la mano e mi appoggiava il
gomito sul tavolo.
Mi chiedeva di essere sincera con lui, come ogni volta, come in quel
momento mi chiedeva di non rendergli la sfida facile.
Quello sapevo farlo molto bene; ed era una promessa che rinnovavo ogni
22 dicembre, anche per quell'anno in cui io non ero ancora nata e non
avrei mai saputo cosa fosse stato di lui.
L'avevo rinnovata tacitamente anche quella sera, stringendogli
più forte la mano, senza che lui lo sapesse. Dopotutto, non
c'è mai bisogno di ribadire le certezze e di quella promessa
io ero certa.
Ne sono certa,
sempre.
Auguri, fratellone.
Ecco come riesumare
la raccolta di “Fragments”: dedicando un capitolo
al compleanno di Seifer, che è oggi 22 dicembre!
Non preoccupatevi, il ricordo sarà presto legato alla storia
principale e quindi non è stato inserito a caso. Ho
semplicemente pensato fosse giusto che anche Atra avesse la
possibilità di fare gli auguri al suo fratellone...anche se
non come vorrebbe!
Siete curiosi di
sapere che cosa gli ha regalato sua sorella? Tranquilli, il prossimo
ricordo parlerà proprio di questo ma per leggerlo dovrete
aspettare il capitolo de “Il legame del sangue” a
cui è strettamente connesso.
A proposito de
“Il legame del sangue”, colgo l’occasione
per avvisarvi che riprenderò prestissimo a pubblicare, ora
che sono in vacanza da scuola!
Spero che il
capitolo vi sia piaciuto e intanto vi saluto! Ciaaaao!
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Capitolo 13 *** La promessa ***
-Ah, non vedo l'ora di poter andare a dormire: sono distrutto!-.
Mio fratello aveva sottolineato le sue parole con un sonoro sbadiglio e
stiracchiandosi, per poi appoggiare la testa contro la parete
dell'ascensore.
Eravamo di ritorno dalla festa a sorpresa che io, Fujin e Raijin
avevamo organizzato per lui in occasione dei suoi diciotto anni e
avevamo fatto piuttosto tardi.
Avevo evitato per un pelo il suo braccio, in pericolosa rotta di
collisione con il mio mento, e lo avevo abbassato con la mano per
guardarlo meglio in faccia:
-Sul serio? Allora non vuoi vedere il mio regalo?- avevo domandato,
leggermente risentita. Il braccio di Seifer si era fermato a mezz'aria
sotto la mia mano, prima di ruotare dietro di me e circondarmi le
spalle:
-Certo che sì...era solo per dire, no?-.
-Sei ubriaco, maledizione. Vorrei che lo vedessi da lucido,
è più sicuro- avevo constatato nervosa,
realizzando solo in quel momento che eravamo arrivati nella Hall.
-Certo che anche tu non scherzi- aveva commentato lui con una risatina,
ricevendo subito uno spintone che non l'aveva mosso di un millimetro.
-Avanti, sarai anche riuscita a battermi a braccio di ferro, ma non
credi di pretendere troppo?- aveva continuato a canzonarmi, mentre ci
trascinavamo verso i dormitori.
Sì, avevo vinto la sfida a braccio di ferro con lui, ma non
ne ero per niente contenta.
-Mi hai lasciato vincere, scemo- lo avevo rimbeccato infatti,
aggrottando le sopracciglia. In quel momento eravamo arrivati alla
biforcazione del corridoio, che portava a sinistra verso il dormitorio
maschile e a destra verso quello femminile; Seifer mi aveva dato una
spintarella a destra e io di contro lo avevo sospinto a sinistra.
-Insomma, ti decidi?- aveva sbuffato lui quando io lo avevo fulminato
con uno sguardo assassino, le braccia incrociate al petto.
-Lo vuoi questo regalo o no?- avevo sibilato in risposta.
-Scusa, credevo l'avessi in camera tua!- si era difeso lui con aria
offesa.
Per tutta risposta, ero scoppiata a ridere in maniera incontrollata:
-Ma guardati, ci manca solo che scoppi a piangere come un bambino!-
avevo boccheggiato, dopo essermi ripresa. Lui mi aveva squadrato con
aria critica:
-Meno vino, la prossima volta- si era appuntato a bassa voce, prima che
io lo sospingessi verso il dormitorio maschile:
-Taci: il regalo è in camera tua-.
-Posso chiedere come diavolo hai fatto a entrarci?-.
-Non diavolo, ma scimmione.
Qualche volta sa rendersi utile anche lui- avevo risposto
semplicemente, mentre Seifer riprendeva a cingermi le spalle e scuoteva
in contemporanea la testa:
-Sei gravemente
ubriaca, Atra- aveva constatato rassegnato, prima di fermarsi davanti
alla porta della sua camera e voltarsi a guardarmi:
-Devo aspettarmi qualche strano mostro...- aveva cominciato, prima che
io sbuffassi sonoramente:
-Allora?! Qui facciamo mattina!-.
-Beh, non che manchi molto...- aveva commentato Seifer con una
risatina, prima di affrettarsi a girare la maniglia allungando la mano
dietro di sé, una volta incrociato il mio sguardo inferocito.
Mi ero appoggiata allo stipite della porta e lo avevo osservato
arretrare lentamente, lo sguardo ancora fisso nel mio e puntato sul
lento sorriso che mi stava affiorando sul volto non appena avevo colto
il bagliore del primo sole sul regalo di Seifer.
-Mi volto, eh- mi aveva avvisato lui, interrompendo il filo dei miei
ricordi, che mi aveva portato a circa una decina di anni prima, quando
la mattina del mio sesto compleanno avevo trovato sul comodino un...
-...un Gunblade-.
Avevo sbattuto le palpebre per annullare definitivamente quel ricordo e
immergermi nel presente: Seifer era di spalle, in piedi davanti al
letto, e le sue mani tenevano sollevato alla luce il mio regalo di
compleanno per lui.
La lama del Gunblade aveva riflesso il primo sole, così come
quella del mio coltello quando lui me l'aveva regalato
all'età di sei anni, per poi lasciare scivolare via il
raggio di luce quando mio fratello si era voltato, il viso ancora nella
penombra.
-Fodero nuovo, Gunblade nuovo- avevo detto semplicemente lanciandogli
la custodia, che era volata oltre la sua spalla irrigidita ed era
atterrata sul letto.
Avevo stretto gli occhi per visualizzare la sua espressione, ma era
ancora troppo buio, così avevo fatto qualche passo in avanti
e avevo allacciato le mani dietro la schiena:
-Allora, mi dici qualcosa?- lo avevo incalzato, dopo un lungo attimo di
silenzio in cui avevo colto solo il nulla assoluto sul suo viso. Seifer
aveva sollevato subito gli occhi, due voragini nere nella penombra:
-Io...non so cosa dirti- aveva ammesso infine con un sussurro flebile e
fioco.
Avevo inclinato la testa di lato, colpita dalla sua reazione:
-Beh...che ti piace?- avevo azzardato con un mezzo sorriso che ero
sicura non potesse vedere. Seifer per tutta risposta si era voltato a
posare l'arma sul letto, con un'accortezza che mi aveva fatto capire
che sì, il mio regalo gli piaceva davvero. Poi si era
voltato di nuovo ed era venuto velocemente accanto a me per chiudere la
porta, che avevo lasciato spalancata; a quel punto la stanza risultava
quasi totalmente immersa nel buio, non fosse stato per il bagliore
grigiastro del mattino invernale che si andava preparando e quello del
cielo nuvoloso, che si rifletteva con il suo biancore sporco sulla lama
perfetta del Gunblade.
Una volta chiusa la porta, Seifer mi era passato nuovamente accanto e
in quel momento la mia mano era scattata sul suo braccio per
trattenerlo, in un gesto istintivo e anticipato solo da un fruscio nel
silenzio della stanza.
Era stato quel contatto a far scattare mio fratello, che si era voltato
altrettanto velocemente ad avvolgermi in un abbraccio che mi aveva
lasciata senza fiato per la sorpresa.
Superato il momento iniziale d'impaccio, mi ero rilassata e avevo
poggiato la testa sul suo petto, ascoltando sempre più
stupita il suo cuore battere come un uccellino impazzito non appena lui
traeva un respiro tremante, per poi rallentare a un ritmo comunque
veloce a ogni sospiro successivo.
Mio fratello non parlava più, il mento poggiato sulla mia
testa e una mano sulla mia schiena a trattenermi delicatamente contro
di lui, come per accertarsi che non mi allontanassi...e non solo
dall'abbraccio.
No, Seifer non dubitava certamente che potessi anche solo pensare di
lasciarlo, ma c'erano molte altre cose in quella sua afasia, c'era
tutto quello che non era in grado di dirmi a voce semplicemente
perché non esistevano parole adatte per farlo, c'era
ciò che non si può vedere né al buio
né alla luce, ma solo nella penombra di una mattina
invernale come tante altre.
In quella penombra non c'erano più Seifer e Atra, ma solo un
fratello e una sorella, perché ciò che contava
più del resto era il loro legame di sangue, rispetto al
quale ogni altra cosa era scontata e superflua.
E subito dopo in quella penombra non c'erano più un fratello
e una sorella, ma Seifer e Atra, che parlavano un linguaggio solo e
soltanto loro, che ascoltavano l'uno il respiro dell'altra quasi lo
sentissero per la prima volta, associandolo al sottofondo senza nome
che aveva accompagnato tutta la loro vita, che probabilmente avrebbero
conservato per sempre quel ricordo da qualche parte nella loro memoria.
Io me lo ero ripromessa in quel momento. Mi ero ripromessa di tenere
quel ricordo da parte per i momenti peggiori della mia vita, per quei
momenti in cui avrei avuto bisogno di guardare indietro per sapere da
dove provenivo, per quei momenti in cui i dubbi sarebbero stati
più forti delle certezze e per quei momenti in cui la
solitudine si sarebbe fatta insopportabile.
Perché noi Almasy siamo duri come pietre e freddi come
ghiaccio, ma siamo carne e anima come tutti gli umani e anche noi ci
imbattiamo in momenti che vorremmo facilmente evitare e da cui ci
difendiamo a colpi di contegno, sfrontatezza, spavalderia. Il nostro
segreto è che questo non ci basta, perciò ci
appoggiamo l'uno all'altra e ci diamo una mano a vicenda; ma quando
ciò non è possibile concretamente, ecco che
sovvengono i ricordi più importanti a rammentarci chi siamo
e dove vogliamo andare, a rammentarci che noi ci possiamo salvare da
soli proprio perché non siamo soli.
Per Seifer sarebbe stato facile ricordarsi di quel momento: la prova
giaceva ancora immobile sul suo letto e sarebbe stata la sua fida
compagna per tutta la vita, esattamente come...
-Atra?-.
Avevo sussultato leggermente e avevo tentato di sciogliere l'abbraccio,
ma le mani di mio fratello si erano posate sulle mie spalle per
trattenermi:
-Aspetta. Ho qualcosa da dirti-.
La sua voce mi aveva fatta tornare di nuovo al mio posto, contro il suo
petto. Lì avevo potuto sentirlo contrarsi, mentre lui
prendeva fiato per parlare:
-Il tuo regalo significa molto per me. E so che è lo stesso
per te-.
Certo che lo sapeva, lo aveva capito perfettamente. Non serviva dirgli
che quel regalo era la promessa che sarei rimasta sempre accanto a lui,
per aiutarlo a combattere i suoi nemici, i pregiudizi, chiunque gli
avesse dato fastidio.
Non serviva dirgli che anche io, come quel Gunblade, avrei abbattuto
per lui ogni ostacolo alla sua felicità.
Ma non serviva nemmeno dirgli che non ero disposta a mentirgli, che, a
differenza di quell'arma, io ero manovrata da una volontà
diversa dalla sua, come era giusto che fosse.
Non serviva nulla di tutto questo e Seifer lo sapeva, perché
non aveva atteso una mia risposta e aveva proseguito:
-Parlare di promesse mi rende sempre inquieto, perché
sembrano anticipare sempre la fine di qualcosa-.
Nemmeno io ho mai amato particolarmente le promesse e per questo non
siamo mai stati soliti scambiarcene, oltre al fatto che non ne abbiamo
mai avuto bisogno.
La testa di Seifer si era improvvisamente spostata e ora era la sua
guancia ad essere appoggiata sui miei capelli. Mi ero voltata
leggermente anche io a seguire con lo sguardo ciò che aveva
attirato la sua attenzione, ma non avevo scorto nulla.
-Cosa hai visto?- avevo sussurrato, così a bassa voce da
credere non mi avesse sentito. Invece Seifer mi aveva risposto subito:
-Uno stormo di uccelli; solo uno stormo di migratori-.
Infatti avevo colto in fretta ciò di cui stava parlando: gli
uccelli viaggiavano in formazione a V e non erano molti; volavano verso
l'orizzonte nuvoloso, neri e in netto contrasto con il cielo grigio
chiaro.
-Presto sarà così anche per noi e saremo liberi-.
Liberi.
Come suonava strana quella parola, dopo tanto tempo passato chiusi nel
Garden. Avevamo cercato la libertà a modo nostro, ma nulla
era comparabile alla sensazione di non avere più un posto
concreto a cui dover tornare...ma questo solo se avevi il tuo posto, il tuo riferimento.
-Nulla dice che saremo insieme-.
-Seifer...- avevo mormorato immediatamente, cogliendo appieno il
significato delle parole con cui aveva introdotto questo discorso,
costruito a fatica su frasi spezzate e difficili da liberare.
-Shh - mi aveva zittita lui, accarezzandomi la schiena - Dico solo che nulla dice che
saremo sempre insieme, ma...mi auguro di poter volare alto con te
ancora per un po'-.
Detto questo, Seifer aveva posato un leggero bacio sui miei capelli,
per poi sciogliere l'abbraccio in silenzio e allontanarsi di un passo
per guardarmi.
Un'espressione confusa e insieme intenerita gli aveva attraversato il
viso in un lampo:
-Oh, non sei tu a dover piangere, Atra-.
A dire la verità, non mi ero nemmeno accorta di star
piangendo, immersa com’ero in un senso di dolorosa nostalgia,
di frenetica ricerca di una ragione per cui credere fermamente che il
mio posto fosse sempre accanto a Seifer, di pungente impotenza di
fronte a un futuro che non potevo decidere e a cui non potevo
prepararmi.
Mi ero riscossa subito, asciugandomi la lacrima dalla guancia prima che
potesse farlo lui:
-Scusa- avevo risposto d'istinto, sapendo che lui odiava vedermi
piangere. Seifer aveva sollevato una mano per darmi un colpetto al
mento:
-Fa' la brava, dovrei essere io a commuovermi per il tuo regalo, no?-.
Avevo annuito lentamente, tornando a guardare il Gunblade; nello stesso
momento mio fratello aveva sgranato gli occhi, folgorato da un pensiero:
-Prima mi hai detto che non era sicuro mostrarmelo da ubriaco; credevi
davvero che io...-.
-Stavo scherzando, Seifer - lo avevo interrotto subito, sollevando gli
angoli della bocca in un mezzo sorriso - Non temevo affatto che me lo
rivolgessi contro- avevo continuato, leggermente stupita che avesse
avuto anche solo il bisogno di chiedermelo.
-Non che ne dubitassi, eh...- aveva chiarito infatti lui, muovendo la
mano in un gesto di sufficienza.
Avevo soffocato una risata, prima di illuminarmi a mia volta:
-Accidenti a me, non ti ho ancora detto come si chiama il modello-
avevo detto, sedendomi sul letto e invitandolo accanto a me per
mostrargli il marchio.
-Dimmelo, allora- mi aveva incalzato lui, gli occhi improvvisamente
brillanti di entusiasmo.
Le mie dita avevano trovato in fretta il nome del modello, inciso alla
base dell'elsa, e lo avevano sfiorato leggermente, prima che io
riportassi lo sguardo su Seifer e sfoderassi un sorriso compiaciuto e
complice insieme:
-Il tuo Gunblade ha il soprannome di Giove: Hyperion-.
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