One Hundred Kinds of Love

di Water_wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** An absence of Clarke ***
Capitolo 2: *** How to love ***
Capitolo 3: *** I love you there ***
Capitolo 4: *** Master of deceptions ***
Capitolo 5: *** Black is a warm color ***
Capitolo 6: *** A hundred cracks ***
Capitolo 7: *** The loner ***
Capitolo 8: *** Bulletproof love ***
Capitolo 9: *** The stars above you ***



Capitolo 1
*** An absence of Clarke ***


Titolo: An absence of Clarke.
Rating: Verde.
Wordcounter: 570 parole.
Pairing: Bellarke.
Nda: Buondì, popolo di EFP! Ho finito da poco la serie e già sto morendo in attesa della terza stagione, per cui era inevitabile che il mio cervello carburasse troppo e sfornasse idee e progetti ad ogni ora del giorno della notte. Amo la Bellarke e amo Bellamy — mi sembrava giusto fare il mio ingresso nel fandom parlando di entrambi. Enjoy!


 
I can't be sure of anything but I was so fucking sure about you.


La porta si chiude con un cigolio dietro di lui. Sposta la sedia per potercisi sedere — accasciare — sopra e le gambe stridono contro il pavimento. Appoggia la bottiglia sul tavolo con un suono soffocato.
Per un momento, tutto tace.
Bellamy si domanda se un cuore che si spezza faccia rumore.
Guarda fisso la bottiglia. È davanti a lui, immobile, e sembra sussurrargli, lasciva: Bevimi. Baciami. È whisky, forse — se è fortunato, vodka o del porto. L’ha sgraffignata dai magazzini, dove sono ammucchiate tutte le scorte di cibo e un mucchio di alcolici. Ironico come possano servire per sigillare un’alleanza e, allo stesso tempo, dimenticarsi di ogni cosa.
Bellamy ne accarezza la superficie, ne sfiora i bordi smussati con i polpastrelli, indugia sul tappo di sughero.
Pensa: Cosa farebbe Clarke al posto mio? Pensa: Clarke se n’è andata. Pensa: È colpa mia.
La sua mano si stringe attorno al collo della bottiglia.
Se solo abbassasse le sue palpebre, la vedrebbe. Passo deciso, spalle dritte e mento in alto. Ciocche bionde come oro bianco colpite dal sole. Ma chiudere gli occhi e ricordare fa male, male come schegge di vetro conficcate nei bulbi, quindi Bellamy continua a fissare la bottiglia senza sbattere le palpebre.
Gli brucia ancora la guancia dove Clarke ha premuto le sue labbra per quella che potrebbe essere l’ultima volta. Un bacio sviato, un bacio che è sia un addio sia un arrivederci. In quel momento—in quel momento avrebbe potuto stringerla più forte. Avrebbe dovuto trattenerla più a lungo, provarci più intensamente, perché è colpa sua Clarke se non è lì con lui e lo sa. Ma, invece, l’ha lasciata andare.
Passo deciso, spalle dritte e mento in alto. Ciocche bionde come oro bianco colpite dal sole.
Dopotutto, è sempre stato un codardo. Il ragazzo che ha dato il calcio alla cassa, non quello che ha impedito l’impiccagione di Murphy. Un codardo un codardo un codardo.
Bellamy vorrebbe essere come Lexa. Vorrebbe essere crudele, impietoso, feroce come lei. Vorrebbe essere bugiardo come lei. Vorrebbe non avvertire quel groppo in gola, quel macigno sullo stomaco, quel dolore nelle viscere. Quel vuoto, quell’assenza che è piena e pesante e dolore puro che gli opprime il petto.
Vorrebbe solo che Clarke non se ne fosse andata.
Bellamy si passa una mano sulla faccia, si stropiccia gli occhi che gli bruciano per la mancanza di Clarke sonno.  
 
(Quando ha deciso di andare a uccidere Finn e lo guarda, lo guarda perché lei è così dannatamente sicura di lui.)

(Quando gli dice di infiltrarsi a Mount Weather perché ne varrebbe la pena, perché perdere lui ne varrebbe la pena.)

(Quando le dona il suo perdono e i suoi occhi parlano per lei.)


 
Bellamy ha sempre chiesto prima agli altri se stessero bene. Le sue gambe non lo reggevano più, ma — a qualcun altro— stai bene? Stava sanguinando, ma — a qualcun altro — stai bene? Tutte le sue ossa urlavano di dolore, ma — a qualcun altro — stai bene?
Ma ora non c’è più nessuno altro a cui domandare. È rimasto solo lui. Sveglio, in una stanza vuota, quando il resto del suo popolo — il popolo che hanno recuperato, sì, ma a quale prezzo? — sta dormendo, finalmente in pace.
Bellamy fa scivolare il pollice sul tappo di sughero.
Quindi si chiede — Stai bene, Bellamy Blake?
La risposta non tarda ad arrivare e ammetterlo fa molto più male di quanto avrebbe creduto. No.
E stappa la bottiglia.

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Capitolo 2
*** How to love ***


Titolo: How to love.
Rating: Giallo.
Wordcounter: 500 parole.
Pairing: Linctavia.
NdA: Altro giorno, altra fic! (Finché avrò una connessione stabile e pc sotto mano posterò molto regolarmente, ma poi potrei scomparire nel nulla though nobody cares) Lincoln è Octavia sono ship dal primo momento e li adoro entrambi davvero tanto, sono semplicemente meravigliosi. La fic può essere situata in entrambe le stagioni (io l'ho immaginata durante la seconda) e eper farla funzionare mi sono inventata l'usanze che leggerete sotto. Enjoy!

 
→ You see you had a lot of crooks tryna steal your heart
Never really had luck, couldn't ever figure out
How to love

 
 
«Lincoln, mi insegni a dire ti amo
Lincoln volta la testa verso Octavia. Si è sollevata su un gomito e lo fissa nella penombra, i capelli sciolti e scompigliati che le ricadono sulle spalle e in parte le coprono il seno. Hanno fatto l’amore, poco fa, e le mani di Lincoln si ricordano ogni brandello di pelle che hanno accarezzato questa notte.
«Mi hai insegnato a dire mi piaci» incalza la ragazza, avvicinando il viso al suo, «e anche ti voglio bene. Ma non mi hai mai insegnato ti amo
«È vero» ammette, gli occhi che gli cadono sulle sue labbra.
Octavia allunga le gambe e gli fa il solletico ai piedi sfiorandoli piano con i suoi. Lincoln sa qual è il premio in palio e lo desidera più di ogni altra cosa, ma non è per questo motivo che decide di parlare.
«Il nostro popolo non dice ti amo» le spiega.
Octavia smette di stuzzicarlo e si acciglia. «Come, non dice ti amo?» domanda, confusa.
Quando corruga la fronte sembra tornare bambina di colpo e la fossetta che si forma tra le sue sopracciglia accentua la somiglianza con il fratello. Lincoln prova l’irresistibile e doloroso bisogno di baciarla proprio lì in mezzo, ma si impone di trattenersi. «No» risponde. «È una cosa troppo intima. Sì, abbiamo le parole adatte per esprime il concetto, però… sarebbe come ridurre questo sentimento. Quindi preferiamo non usarle.»
«Oh.» Octavia abbassa lo sguardo e i suoi occhi corrono via da Lincoln. «E due persone come fanno a sapere di essere ricambiate?»
«Così.»
Lincoln le bacia la mascella con delicatezza e si alza.
Trovare il fiore —il loro fiore — è facile anche al buio, perché i suoi petali bianchi catturano tutti i freddi raggi della Luna. Lo coglie piano, ringraziando mentalmente la Terra per i suoi frutti. Ritorna da Octavia con lo stelo tra le dita e nota che si è tirata su a gambe incrociate per osservare tutti i suoi movimenti, impaziente.
«Il nostro popolo non usa parole, ma gesti» dice, mentre si siede accanto a lei. «Come puoi dire di aver ucciso cento nemici in battaglia, però nessuno ti crederà finché non lo vedrà con i suoi stessi occhi, così vale anche per l’amore: puoi dire ti amo a qualcuno tutte le volte che vuoi a tutti gli uomini che vuoi, eppure amerai davvero solo colui per il quale saresti disposta a fare qualsiasi cosa. Questo» — e le sistema il fiore dietro l’orecchio, scostandole i capelli con gentilezza —«è una piccola cosa che significa molto di più.»
Gli occhi di Octavia hanno uno scintillio, mentre guarda Lincoln capendo tutto ciò che c’era da capire.
«Può essere qualsiasi cosa?» chiede. «Il fiore o…?»
Lincoln annuisce. «Qualsiasi cosa.»
«Allora» sussurra Octavia mentre gli viene più vicino, «questa notte, tutti i miei baci vorranno dire ti amo. D’accordo?»
Un sorriso pigro ma soddisfatto si stiracchia sulle sue labbra. «D’accordo» approva, ed è l’ultima cosa che può dire, prima che le labbra di Octavia trovino le sue.
 

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Capitolo 3
*** I love you there ***


Titolo: I love you there.
Rating: Giallo.
Wordcounter: 288 parole.
Pairing: Ravick.
NdA: Probabilmente questo sarà il primo di molti aggiornamenti notturni, so brace yourselves. Questa tecnicamente non è una one-shot, bensì una flash-fic, machissenefrega. Wick (o Kyle) è l'unico con cui abbia shippato davvero Raven e insieme sono due cinnamon rolls, per cui trovo scandaloso che ci siano così poche ff su di loro. Da buona paladina dell'umanità, rimedierò u.u Qui è il momento in cui fanno l'ammmore nell'episodio 2x? non me lo ricordo ma fa niente Enjoy!
 
→ And I can barely breathe
when you're here loving me

 
Raven si sente viva.
Viva come quando ha fatto la sua prima passeggiata spaziale, come quando ha riabbracciato Finn dopo tutto quel fottuto tempo, come quando poteva ancora camminare senza nessun aiuto.
Wick le sta baciando il collo e le sue labbra — oh, Dio, le sue labbra — le fanno bruciare la pelle e non riesce a impedirsi di gemere per il piacere.
Si sente come se il mondo si riducesse a quel letto, a quegli istanti strappati alla guerra, e fosse suo, suo, suo. E vuole che Wick ne faccia parte.
Allora lo bacia, con una passione, un fuoco, che fino ad ora ha provato solo per un altro. Trattiene il suo labbro inferiore tra i suoi denti, lo stuzzica, e sa, con certezza matematica, che quel dannato ingegnere sta ghignando. Sorride anche lei e lo bacia con più trasporto. Wick risponde con altrettanta forza, approfondendo il bacio. Raven pensa che, se continua così, può riuscire a baciarle anche l’anima.
«Ti amo» lo sente mormorare nei suoi capelli, così piano che forse è tutto frutto della sua immaginazione. «Ti amo qui» continua Wick, e le sfiora il collo con le labbra gonfie. «Qui e qui» — le bacia la fronte e gli occhi chiusi — «e qui» —scende sulla punta del naso — «e qui» — in mezzo al seno — «e qui» — è il turno dell’ombelico — «e ti amo molto, molto qui» — la sua lingua le sfiora il clitoride — «ma soprattutto, Reyes, ti amo qui
Le bacia la gamba destra, sotto il ginocchio, dove non ha più sensibilità. Ma Raven può giurare — e lo fa — che quando Wick ritorna a baciarla sulla bocca, può ancora sentire l’impronta delle sue labbra sulla sua pelle nel punto in cui le ha premute poco prima.

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Capitolo 4
*** Master of deceptions ***


Titolo: Master of deceptions.
Rating: Verde.
Wordcounter: 649 parole.
Pairing: Clexa.
NdA: Probabilmente vi conviene rassegnarvi alla mia costante presenza nel fandom. Amen. È il turno della Clexa e, sebbene non shippi quelle due perché Clarke è di Bellamy e basta, il bacio della 2x15 mi ha lasciato piacevolmente sorpresa e la coppia, in fondo, non mi dispiace. Tra l'altro, è così bello che sia canon, dato che spesso le relazioni lesbiche (e gay) non vengano prese in considerazione per pairing "ufficiali". Di nuovo, ho giocato un po' con la cultura dei Grounders e preso qualche spunto dalla reincarnazione a ci ha accennato Lexa nella 2x10. Missing moment da inserire prima o dopo il bacio, nel quale, be', Lexa si sta comportando da Lexa e il titolo non c'entra niente ma faceva figo. Enjoy!


 
(Do I wanna know?)
If this feeling flows both ways?
(Sad to see you go)
Was sort of hoping that you'd stay


Lexa si sta applicando il kajal attorno agli occhi e le sue mani tremano. L’ala destra dell’aquila che si sta disegnando sul volto in preparazione della battaglia pende verso il basso, storta, come se fosse rotta. Lexa impreca e sbatte un pugno sul tavolo, così forte da far tintinnare i bicchieri e le lame lì sopra disposte.
È la seconda volta che ci riprova, senza riuscirci, e ora dovrà ricominciare da capo. Una heda ha bisogno che le ali siano perfettamente simmetriche, se vuole che la sua forza e il suo coraggio tengano uniti tutti i suoi guerrieri e che l’esperienza di Anya le venga in aiuto nei momenti critici.
È assurdo come la sua mano non abbia tremato nel squarciare la carne del suo secondo legato a un palo, mentre ora sembra una vecchia artritica perché non è nemmeno in grado di applicarsi un po’ di trucco rituale.
Afferra un pezzo di stoffa, già sporco di nero in più punti, e si strofina forte la faccia per rimuovere il colore. Lo specchio riflette il suo viso, ma Lexa non ci fa caso. La sua mente è da un’altra parte.
Concentrati, guerriera, si ordina. Devi concentrarti.
Riprende in mano il pennello e mormora le parole di un canto di guerra senza quasi muovere le labbra.
Si chiede se a Clarke interesserebbe conoscerlo.
Prima che possa sbagliare di nuovo, si volta di scatto e scaglia via l’utensile con un ringhio animale. Si appoggia al tavolo e chiude le dita attorno al legno, conficcandoci le unghie.
Davanti a lei, stesi sul ruvido pianale, ci sono i suoi migliori pugnali, quelli che porterà nella cintura e nascosti negli stivali durante la battaglia contro gli Uomini della Montagna. Agguanta il più vicino con rabbia, volta il polso e punta la lama contro il suo torace.
Oh, sarebbe così facile strapparsi quel maledetto cuore! Se solo potesse aprirsi uno squarcio nel petto, rompersi le costole e tirarlo fuori e continuare a vivere, lo farebbe senza tentennare un secondo. Ma le sue mani —le sue dannate mani — tremano, esitano come Lexa non ha mai esitato in vita sua. È così debole. Così innamorata.
Lascia andare il pugnale, disserrando le dita di scatto, e l’arma ricade con un tonfo sul tavolo. Non deve neanche minimamente pensarlo. Ha una battaglia da vincere, un esercito da condurre e deve essere più forte e più impetuosa di tutte quelle centinaia di guerrieri. L’amore non l’ha mai aiutata e mai lo farà. Mai.
Sceglie un altro pennello, ne scurisce le setole con il kajal e si specchia nuovamente, prima di riiniziare col trucco rituale. Traccia i contorni dell’ala destra con meticolosa precisione, rendendoli perfettamente simmetrici a quelli già precedentemente disegnati. Colorarne l’interno è molto più facile e, a lavoro finito, Lexa è soddisfatta.
Si assicura i pugnali alla cintura e infila i rimanenti due, più piccoli degli altri, in speciali compartimenti degli stivali. Alza il mento e assume il portamento di una vera heda, fiera e nel pieno delle forze.
Scosta il lembo di tessuto per uscire dalla sua tenda, fa un cenno a uno degli uomini della sua guardia personale e inizia il giro di perlustrazione delle tende, senza assicurarsi che il suo guerriero la segua perché certa che eseguirà l’ordine.
Il suo sguardo gelido infiamma l’animo dei soldati che lo incrociano, ma non quello di Clarke. Lei ricambia l’occhiata quasi con indifferenza e Lexa continua a camminare come se il fatto non la disturbasse affatto.
Sente qualcosa di spinoso stringerle la gola ed è costretta a deglutire per scacciare l’odiosa sensazione. Sa che è questo quello che ti fa l’amore — ti fa dubitare di te stessa, ti fa mettere in discussione ogni singola fibra del tuo essere. E ogni heda che si rispetti non può mai dubitare delle sue capacità. Ma l’unica cosa di cui Lexa non dubita in questo momento è che vorrebbe Clarke al suo fianco.

 

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Capitolo 5
*** Black is a warm color ***


Titolo: Black is a warm color.
Rating: Giallo.
Wordcounter: 872 parole.
Pairing: Bellarke (again).
Avvertimenti: Le recensioni non nuocciono alla salute.
NdA: Lo so che c'è già una Bellarke in questa raccolta, però non sono riuscita a trattenere il mio amore per questa coppia e quindi ne ho scritto di nuovo e probabilmente continuerò a farlo fino alla morte. Ho ipotizzato che, dopo la 2x16, Clarke si sia allontonata il più possibile da Camp Jaha e quindi abbia raggiunto il deserto. Succederà nella realtà? Who knows. C'è solo una persona un motivo per il quale Clarke sarebbe tornata indietro, ovviamente *grins* Perché, sul serio, COME HA FATTO QUELLA RAGAZZA A RESISTERE ALLE PAROLE DI BELLAMY E AD ANDARSENE SENZA NEMMENO UN VERO BACIO D'ADDIO LO SA SOLO LEI e quei bastardi dei registi. Enjoy!


 
→ Big girls cry when their hearts are breaking

 
La sabbia è bollente, ma il Sole ancora di più. Le brucia le spalle, trapassandole la giacca bucata e incuneandosi tra le sue scapole. La sua testa è coperta da due stracci che ha cucito insieme, quando si è accorta di quanto fossero pericolosi i raggi solari nelle ore di punta e dell’infido vento che tagliava a metà le dune, il primo giorno di cammino, eppure controlla che sia al suo posto ogni due secondi perché continua a scordarsi se l’abbia ancora a protezione del capo.
Clarke non ha mai vissuto in una situazione di dejà-vu tale e le gira la testa. Ma forse quello è colpa della disidratazione. È da due giorni che non beve neanche una goccia d’acqua, e la sua lingua giace gonfia nella sua bocca secca. Le labbra screpolate si aprono di più ogni volta che tenta di umettarle, ma la sua saliva è finita da tempo.
Clarke si chiede se fosse così che si sentissero tutti gli abitanti di Mount Weather — tutti i bambini di Mount Weather — nel non riuscire nemmeno più a mormorare una preghiera o un ultimo “ti voglio bene” alle persone che amavano prima che lei li sterminasse. Probabilmente, la morte che ha inflitto al popolo di Tondc o ai trecento Terresti chiusi fuori dalla navicella è stata molto più veloce e meno straziante.
Quale morte merita lei?
Forse è giusto così, che muoia sola mentre percorre quel deserto infinito, torturata più dai sensi di colpa che dal dolore fisico.
Ha ancora senso continuare a camminare, sapendo che non arriverà da nessuna parte? Ha ancora senso continuare a vivere, avendo scelto di essere un’assassina?
Le cedono le gambe e crolla con le ginocchia nella sabbia. Il suo peso la fa affondare — il peso di tutte quelle morti l’ha già fatto da tempo.
È troppo. Troppo per provarci ancora, troppo per aggrapparsi alla speranza, troppo per concedersi una preghiera. È troppo corrotta per meritarsi perdono.
«Principessa, sei già stata perdonata, ricordi? O stai iniziando a perdere colpi?»
Clarke alza la testa di scatto. La luce del Sole la abbaglia per i primi istanti, ma quando i suoi occhi mettono a fuoco non riesce a credere a ciò che vede.
Apre la bocca e cerca qualcosa di intelligente da dire, ma non le viene in mente niente. «Bellamy» sussurra soltanto.
Il ragazzo si inginocchia di fronte a lei e le carezza una guancia con il pollice. La guarda come ha sempre desiderato che la guardasse — come se fosse ciò che di più bello avesse mai visto.
Un piccolo sorriso gli increspa le labbra. «Clarke» dice.
Clarke non ce la fa più. Gli getta le braccia al collo e lui ricambia, stringendola a sé. E, oh, lui è lì, con lei, in carne e ossa, reale e tangibile. Non riesce più a trattenere le emozioni che ha celato fino a quel momento e scoppia piangere. Bellamy la stringe più forte, la accoglie tra le sue braccia come se non la dovesse lasciare andare mai più. E Clarke non se andrebbe mai più.
«Sei qui» singhiozza sulla sua spalla. «Per me
Bellamy non esita. «Sì.»
Clarke si lascia andare tra le sue braccia. È un posto sicuro, tra-le-sue-braccia, e lì non deve temere nulla.
«Se è di perdono che hai bisogno, io te lo darò.» È di nuovo Bellamy a parlare, ma la sua voce è così bassa che sembra che il vento stesso stia portando quel messaggio. «Sei perdonata
Anche se non vuole allontanarsi, Clarke si fa indietro per poterlo guardare in viso. I suoi occhi sono neri, ma, in quel momento, il nero è un colore caldo. «Non ho bisogno di perdono» replica. «Ho bisogno di te
E poi si stanno baciando. Le sue labbra sono morbide, così morbide, e Clarke vorrebbe continuare ad averle sulle sue per l’eternità. Chiude gli occhi e approfondisce il bacio, lascia che la sua lingua sfiori la propria.
Quando riapre gli occhi, sbattendo un poco per palpebre per combattere il Sole, lui non c’è più.
Lui
non
c’è
p i ù.
Clarke è incredula. Si alza in piedi e si guarda intorno, controlla le dune in cerca dalla sua figura, la sabbia in cerca di tracce, il cielo in cerca di risposte. Ma Bellamy non è lì.
Clarke grida.
Allucinazioni, è la spiegazione totalmente razionale che le offre il suo cervello. Colpa del caldo e della sete. Ma questo non rende niente a più facile.
Bellamy non è lì perché è stata troppo cieca per ammettere che l’amore è sì una debolezza, però anche la più potente delle forze. E lei l’ha lasciato indietro, il suo amore, al Campo Jaha.
Clarke si volta indietro, verso la foresta che ha superato ormai da miglia continuando nel suo cammino solitario. Ha percorso così tanta strada che sarebbe un abominio cambiare direzione — sempre ammesso che riesca a riattraversare il deserto —, eppure Clarke realizza che non vuole più restare da sola e che quel viaggio non le è più di nessuna utilità.
Il primo passo verso il ritorno è il più difficile, ma il secondo le riesce più naturale, e il terzo diventa una certezza. Vuole tornare al Campo Jaha — vuole tornare da Bellamy. E lui la sta già aspettando da troppo tempo.

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Capitolo 6
*** A hundred cracks ***


Titolo: A hundred cracks.
Rating: Verde.
Wordcounter: 305 parole.
Pairing: Flarke.
NdA: C'è stato un tempo in cui shippavo Finn con Clarke ma, be', è durato poco. Bellarke is the way. Però Finn, come personaggio, nella prima stagione mi è sempre piaciuto e quando ha incominciato a fare cazzate e a comportarsi da folle per Clarke ero molto tipo wtf r u doing Finn?? Dov'è finito il mio pacifista? Insomma, mi è dispiaciuto parecchio per lui. Si parla del massacro delle 18 persone di Tondc. Enjoy!

→ we do terrible things for the people we love the most

 

Guardali, Finn. Mentono tutti. Tutti. Anche i bambini. E le donne. E gli anziani. Senza eccezione. Lo sanno dov’è Clarke e non vogliono dirtelo. Vogliono farti soffrire. Lo sanno che la ami e che stai soffrendo come un cane per lei, si divertono a giocare con te, a prenderti in giro.
Non li vuoi uccidere, è già abbastanza che tu li abbia rinchiusi in un recinto come vacche da macello. Ma loro non vogliono dirti dov’è Clarke.
È colpa loro. Pensano che tu stia scherzando, che prima o poi ti stancherai della pioggia battente e del fango negli stivali e di quel freddo cane. Si sbagliano. Questo è il minimo che faresti per lei — uccidere è il minimo che faresti per Clarke. Sarebbe pronto a togliersi la vita, sterminare intere popolazioni e consegnare alle fiamme di un incendio l’intera foresta se solo glielo chiedesse. Perché per amore si commettono atti terribili, e tu e Clarke vi amate così tanto.
Ricordi di quella notte ti invadono la mente.
Lei che ti cerca la bocca come se potesse respirare solo con le tue labbra sulle sue.
Lei che geme quando entri dentro di lei e tu che la baci il seno e le dici va tutto bene.
Voi che vi sussurrate ti amo prima di addormentarvi una stretta tra le braccia dell’altro.
«Dov’è?» gridi, ed è il ruggito di un animale ferito. «Dov’è la ragazza? Dov’è Clarke?»
Un ragazzo cerca di scapparti —sta andando da lei la vuole uccidere lo sai bastardo —e tu spari, spari, spari. Non c’è modo di fermarti.
È colpa loro, ti ripeti. Non sanno di cosa saresti capace di fare per lei. È colpa loro.
Quindi fai fuoco, non risparmi nessun fuggitivo, strazi le loro carni e i cuori dei loro cari.
Lo fai per lei, per Clarke, perché la ami. Sempre.

 

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Capitolo 7
*** The loner ***


Titolo: The loner (povero piccolo Murphy).
Rating: Verde; Giallo se vi urtano le parolacce.
Wordcounter: 352 parole.
Pairing: Murphamy.
NdA: Lo so, lo so. Posso comprendere il disappunto. Ma in realtà a me Murphy piace e mi piace anche con Bellamy. Dopotutto, lui gli ha dato quel fottuto fucile. Quindi sì, diamo il via a una serie di crack! Mi sono permessa di osare con il tono irriverente perché Murphy è Murphy e io nella vita reale sono una scaricatrice di porto. *i bambini fecero oooooh scioccati* Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione sul personaggio, quindi non siate avari di commenti (positivi, negativi, neutri fa lo stesso ^^) Enjoy!


 
→ But I know I'm strong from all the trouble I've been through


Murphy si stravacca sul divanetto, godendo della soffice morbidezza dei cuscini che ha agognato dal giorno in cui li hanno spediti sulla Terra a morire.
Ah, quei bastardi. Li hanno proprio fottuti per benino semplicemente vivendo — ovvero mangiando, cagando e insultandosi l’un l’altro nel mezzo. Bei tempi.
Dopo il caldo torrido del deserto, la disidratazione, Emori e il suo fottuto carretto, le dannate mine, il cazzo di mostro marino che gli ha quasi strappato il braccio e il Cancelliere Jaha che diventa un invasato armato di bastone e sciocche parole di conforto, sopravvivere in una dolce e rigogliosa foresta gli appare come il paradiso. Già, be’, se non l’avessero impiccato. Ma sono futili dettagli, no?
«’Fanculo» borbotta Murphy, aprendo un sacchetto di provviste col coltello e svuotandosene il contenuto direttamente in bocca.
Chissà se quel vecchio folle ha trovato del cibo altrettanto buono con la sua stessa facilità. Magari è morto. Ah-ah. Il destino di cui farneticava potrebbe essere proprio quello di scoprire che la fantomatica Città della Luce è solo un faro del cazzo e poi morire in chissà quale umiliante modo.
Il pensiero è troppo serio per farlo ridere per davvero. Recupera la bottiglia di scotch  che ha abbandonato ai piedi del divanetto, affondato nello spesso tappeto, e beve a canna un lungo sorso. L’alcol gli brucia la gola e gli fa lacrimare gli occhi.
Cristo.
Dovrebbe andarci più piano, con quella roba. Non vuole mica morire soffocato o strozzandosi con quel ben di Dio.
Certo sarebbe più divertente berlo con qualcuno. Se il suo ego si manifestasse sarebbe perfetto, ma, al momento, la solitudine lo spinge a pensare che anche qualcuno come Bellamy andrebbe bene.
L’attacco di risa coglie di sorpresa quasi lo stesso Murphy. Bellamy? Sta davvero pensando a Bellamy come compagno di sbronze? Adesso si metterà anche a fantasticare su lui che gli regge la testa mentre vomita? Gesù, se è patetico.
«Murphy, Murphy» motteggia, ridacchiando. «Fottiti, stronzo. Non sono il tuo cane.»
Tracanna un altro po’ di scotch. Preferisce essere ubriaco, piuttosto che nostalgico. Almeno, avrebbe una buona scusa per desiderare la presenza di Bellamy Blake.

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Capitolo 8
*** Bulletproof love ***


Titolo: Bulletproof love.
Rating: Verde.
Wordcounter: 476 parole.
Pairing: Bellaven.
NdA: Si continua sulla linea dei crack!pairing. Questa volta l'idea non è mia, bensì di Pixel, di cui ho letto "Almeno guardami negli occhi" e per colpa/merito sua/o vi beccate questa cosa. Vi consiglio di leggere la sua fic per capire meglio la coppia, perché, dopo che ci pensi, può davvero funzionare. Per i dettagli pratici: è ambientata in un momento imprecisato della S1 e, be', il primo gradino della ship, per me, è una sorta di ammirazione reciproca da cui si sviluppa tutto. Enjoy!


 
 → You haven't seen the best of me
I'm still working on my masterpiece


«Ehi.»
Bellamy scosta il telo che forma l’entrata della tenda e si abbassa per entrare.
Raven borbotta un saluto e ritorna a concentrarsi sui suoi proiettili, non lo degna nemmeno di uno sguardo.
Bellamy si ferma dietro di lei e appoggia una mano sullo schienale della sedia su cui è seduta. Si china in avanti per osservare meglio ciò che sta facendo e tenta di indovinarlo prima che glielo dica lei, ma non c’è speranza. Si perde ad osservare le sua dita che si muovono svelte tra polvere da sparo, proiettili, pinze e fil di ferro.
È sempre così sicura, Raven, come se niente la spaventasse, come se i proiettili che produce potessero ferire tutti gli altri eccetto lei. È impavida, Raven, e tenace e spavalda e autoritaria. Eppure, colta da sola nella sua tenda assorbita dal lavoro, la sua forza appare meno dirompente. Quasi come se non fosse del tutto lì, ma in parte in un altro mondo, dove gli ingranaggi possono scacciare via le sue preoccupazioni con parole rassicuranti. È bella, Raven, a metà tra queste due realtà. Più naturale. Più vera.
«Hai intenzione di rimanere qui a fissarmi alitandomi sul collo senza un motivo, Bellamy?»
Bellamy si riscuote di colpo. «Uh, ehm, già.» È improvvisamente cosciente dell’esatto numero di centimetri che separano il suo corpo da quello di Raven e delle sue mani così vicine alle sue spalle. «Come vanno i proiettili?»
La ragazza emette un verso che esprime tutto il suo disappunto. «Sto finendo quelli a metà. Saranno pronti, quando i Terresti sferreranno l’attacco.» Posa quello su cui sta lavorando e alza lo sguardo su di lui. «Ovviamente, non saranno mai abbastanza.»
Bellamy fa una smorfia e annuisce, grave. Non ha bisogno di esprimere ad alta voce le sue preoccupazioni.
Non potrà salvarli tutti e sarà anche colpa sua — soprattutto colpa sua. Se un leader non è in grado di far altro che seppellire la sua gente, può davvero essere considerato tale? Che cos’è il comando, se non l’arroganza di dire a chi crede in lui muori combattendo per me?
«Ehi, Bellamy.» La voce di Raven è morbida, comprensiva. Bellamy appunta distrattamente che le loro mani si stanno toccando. «Hai fatto del tuo meglio.»
Annuisce, uno scatto secco e rigido del capo. Non le crede. Non è vero. Avrebbe potuto dovuto fare di molto meglio. Si gira e si allontana. Sta per scostare la tela, i polpastrelli che ne sfiorano il tessuto impermeabile, quando si blocca.
Si volta e la guarda di striscio, cogliendola ancora sotto quella luce diversa. Gli piacerebbe vederla sempre così, meno spavalda e più Raven.
«Ehi» la chiama.
Raven si gira a guardarlo con un proiettile in mano, in attesa delle sue parole.
Bellamy sente contrarsi un piccolo muscolo all’angolo della bocca e non può impedirsi un accenno di sorriso. «Anche tu hai fatto del tuo meglio, Raven.»

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Capitolo 9
*** The stars above you ***


Titolo: The stars above you.
Rating: Giallo.
Wordcounter: 560 parole.
Pairing: Lostia (Lexia? Coxa?)
NdA: Lo scopo di questa raccolta non è quello di essere una sotto specie di long da aggiornare regolarmente, bensì quello di fornire una fic per qualsiasi tipo di coppia, ma mi sento un po’ in colpa lo stesso per essere scomparsa tutto questo tempo. Le mie vacanze mi portano a girare come una trottola, sorry. È una vita dura, ma qualcuno la deve pur fare lol Anyway, amo tantissimo la Lexa/Costia (molto più della Clexa) e non poteva mancarmi un momento tra loro. Con entrambe in vita, si intende. Enjoy!

 
 
→ How long will I love you?
As long as the stars are above you

 


Costia sa che Lexa è sveglia dal ritmo del suo respiro. Sa anche che si sta sforzando di rallentarlo e di renderlo regolare come se fosse addormentata, perché non vuole rischiare di disturbarla. Ma Costia ha passato molte ore con l’orecchio premuto contro le sue costole ed è in grado di riconoscere ogni cambiamento nel suo respiro.
Si sistema meglio contro di lei e per sbaglio scalcia via il lembo di coperta che la copriva, ma non le importa, perché il calore emanato dal corpo di Lexa non è comparabile a quello delle pelli. È un fuoco bianco che le brucia nel petto anche di giorno e che si attizza ad ogni suo sguardo, le fiamme alte che le avvolgono il cuore, pompato nelle sue vene assieme al sangue. Come tutti i fuochi, però, brucia più intensamente al buio. Ed è così vivido, così vivido, al buio della tenda di Lexa quando fanno l’amore.
Le sfiora un fianco con i polpastrelli e poi abbandona la mano sul suo ombelico. Può sentire i muscoli sotto la pelle, quella pelle meravigliosa che non può trattenersi dal toccare.
Lexa trattiene il fiato a lungo, prima di lasciarlo andare in un sospiro pesante come il manto bagnato di un lupo.
«A cosa stai pensando?» le domanda. È solo un sussurro, parole più lievi del canto dei grilli tra l’erba.
Lexa non risponde.
Costia fa scivolare la mano lungo il suo interno coscia, piano e sicura—è una promessa che le ha fatto mille e uno volte e che mille e uno volte si è impegnata a mantenere.
«Adesso, a cosa stai pensando?» la stuzzica, mordendosi il labbro inferiore con malizia.
Lexa volta il viso verso il suo. «A te» risponde. «Stavo e sto pensando a te.»
Costia ritira la mano e si concentra sul suo viso. Distingue solo gli occhi, cerchi verdi con pagliuzze dorate, e la curva delle labbra. Non  c’è bisogno che la inviti a spiegare; d’altronde, non c’è mai stato bisogno di molte parole tra loro.
«Ho fatto un sogno» continua Lexa. «Non mi ricordo cos’ho visto, ma ero così piena di dolore e rabbia che mi sono svegliata.» Sposta gli occhi oltre la spalla di Costia. «Temo che ti accada qualcosa di brutto.»
Non dice: a causa mia. Ma Costia sa.
«Lexa…» Le prende la mano e intreccia le dita con le sue. «Sei la mia anima. Non potresti mai farmi del male.»
Lei ricambia la stretta, forte, ma attenta a non farle male. I suoi calli sono duri e ruvido contro il palmo di Costia. È una guerriera, la sua anima—la sua guerriera. La ama anche e nonostante questo.
Lexa ha il respiro più corto mentre avvicina il viso al suo. Il suo fiato le scalda le labbra quando soffia: «Ho paura
«Sono con te» dice Costia, sfiorandole la bocca con la sua. «Sono sempre con te.» Le preme la mano aperta sul cuore. «Sempre.» Indugia ancora, sebbene frema di desiderio. «Anima mia» mormora. «Fino a quando le stelle brilleranno sopra il nostro capo, io sarò con te. Non avere paura.»
Un angolo della bocca di Lexa si solleva lievemente. «Non ne ho più.»
Costia si sente esplodere la gioia nel petto. Le ha strappato un sorriso. «Lo so.»
E poi ci sono unicamente i loro corpi che diventano uno solo e le loro anime che si ricongiungono.

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