Do not remember, or do not want to remember?

di Lucyvanplet93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Who are you? ***
Capitolo 3: *** I know who you are. ***
Capitolo 4: *** Strange ***
Capitolo 5: *** Runaway ***
Capitolo 6: *** You are crazy! ***
Capitolo 7: *** First step. ***
Capitolo 8: *** I am with you. ***
Capitolo 9: *** Tell me everything Cap. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Questo non è un vicolo Steve è la guerra!”*
Sono queste le sue parole, le parole di un uomo in divisa, con occhi e capelli chiari mentre si rivolge al suo amico più mingherlino e dall’aria decisamente più cagionevole, anch’egli con occhi e capelli chiari. Vuole proteggerlo, evitare che possa succedergli qualcosa,  non vuole perdere la sua famiglia.

 
Lo stesso uomo appena più giovane è alle spalle di Steve, che ora lo supera di qualche centimetro in altezza e che ha perso quell’aria cagionevole ed indifesa e che ora si erge di fronte ad un nemico con al posto della faccia un teschio rosso e maligno.
“Non hai anche tu una di quelle vero?”**
 
Scuote la testa James cercando di scrollarsi quei ricordi di dosso, i ricordi di quell’uomo che quasi una settimana prima ha cercato di uccidere. Soffoca la nausea alla bocca dello stomaco, provocata dal mal di testa che quei fastidiosi Flashback gli scatenano.
Non è nemmeno certo che siano flashback.
Non è sicuro che quelli siano ricordi suoi.
Quelle immagini si presentano in un contesto così antiquato al confronto con quello che ha davanti agli occhi, che più volte si è trovato a domandarsi se quelle che gli offuscano la mente non siano solo immagini di un film. Magari uno scherzo decisamente poco divertente dei dottori dell’Hydra che lo sottoponevano continuamente all’elettroshock.
Il rumore dei bidoni che crollano a terra costringono l’uomo a tornare alla realtà.
Ha perso tempo per colpa di quei ricordi nebulosi che riaffiorano in continuazione e sempre nei momenti meno opportuni come quello.
Sopravvivere al bombardamento simultaneo di tre Helicarrier armati fino ai denti, è già di per se un miracolo, miracolo che non sarebbe mai potuto avvenire senza l’intervento del misterioso uomo a stelle e strisce che continua insistentemente ad occupargli il cervello.
Considerando il fatto che la sua missione consisteva nell'ucciderlo, liberarlo da quella tonnellata di acciaio che gli era crollato addosso, era stata una mossa molto altruista o molto stupida, a seconda dei punti di vista.
Certo ora non era nelle condizioni fisiche migliori ma il semplice fatto di essere vivo era già di per se un evento straordinario, la spalla lussata e risistemata alla meglio gli faceva vedere le stelle impedendogli di chiudere occhio la notte, non che potesse permettersi il lusso di grandi dormite, con l’Hydra che lo cercava per eliminare con lui ulteriori prove della sua esistenza.
Nonostante il Capitano avesse cercato in tutti i modi di non difendersi alla fine lo aveva fatto. E non ci era andato leggero.
Se la missione del soldato era quella di uccidere il capitano, allo stesso modo la missione principale del capitano sembrava essere quella di convincerlo che fossero amici.
James era certo di non avere amici che lo cercavano per fargli tornare la memoria, James piu semplicemente era certo di non avere amici e quelli che lo cercavano erano più che intenzionati a fargli la pelle.
Eppure Steve aveva qualcosa di famigliare… Davvero si conoscevano? Davvero facevano parte dello stesso passato?
Un’altra stilettata di dolore alla testa lo costrinse a soffocare un gemito di dolore ed impedendo alla sua mente di perdersi di nuovo riprese a correre tentando di mettersi in fuga.
Il rifugio in quell’accampamento di senzatetto era bruciato nel giro di poche ore ed era stato costretto a scappare in fretta e furia mettendo K.O. un paio di soldati scelti, senza però riuscire ad evitare che una pallottola sparata alla cieca gli si conficcasse nell’addome.
In quelle condizioni, con un bendaggio di fortuna e con la ferita che aveva ripreso a sanguinare non avrebbe resistito un secondo contro i suoi inseguitori.
Si imbucò in un vicolo, prima a destra poi a sinistra preoccupandosi di non lasciare tracce di sangue lungo il percorso, la periferia di Washington era un vero labirinto ed era decisamente più caotica del centro.
Continuò a correre senza una meta finche le gambe glielo permisero, doveva trovare un posto in cui nascondersi e riposarsi un posto sicuro in cui poter riprendere le forze. Ma dove?
Magari sarebbe potuto salire su una di quella scale di acciaio esterne alle abitazione con un po’ di fortuna avrebbe trovato un edificio abbandonato, o qualcosa di simile, o…
Non poteva crederci, scioccato voltò lo sguardo sull'edificio che aveva alla sua destra. Chi poteva essere tanto incosciente da lasciare la finestra aperta al piano terra? In qualsiasi telegiornale avesse avuto l'occasione di sentire  -passando davanti alle vetrine dei bar camuffato alla meglio- si raccomandava di non andare in giro da soli di notte e di chiudere bene porte e finestre quando non si era in casa, visti gli episodi dell’ultimo periodo e lui cosa vedeva davanti ai suoi occhi?
Una finestra aperta.
Un invito quasi, una trappola forse.
Ma non aveva tempo per pensare, se fosse rimasto la fuori sarebbe morto comunque. Senza pensarci troppo ed il più velocemente possibile entro dalla finestra ritrovandosi all’interno di una camera da letto, in fretta chiuse il vetro e si appiattì contro la parete, nascosto dall’oscurità della stanza osservo i suoi inseguitori filare dritto senza incertezze superando la sua finestra.
Se quella era una trappola, stava tardando a scattare.
Decise di non prendere troppo in giro la stupidità e la mancanza di strategia dei suoi aguzzini, che sembravano non  aver preso in considerazione nemmeno per un momento la possibilità che lui si fosse nascosto in uno di quegli edifici, pensando che forse nemmeno lui era stato tanto intelligente nell'intrufolarsi in quella casa.
Sfinito crollò sul materasso accanto alla finestra, la ferita che bruciava e la spalla pulsava dal dolore.
Doveva medicarsi, doveva mangiare e doveva ricominciare a scappare, ma non aveva la forza di fare nessuna di quelle tre cose.
Se la ferita avesse continuato a sanguinare in quel modo sarebbe morto era quello il problema principale, ma non riusciva comunque a muoversi.
Il corpo si fece all’improvviso pesante, e le palpebre cedettero ben presto alla forza di gravità.
Svenne.




*Frase presa dall'inizio del primo film.
**La frase di Bucky a Steve, quando il capo dell'Hydra rivela la sua vera natura.

Angolo "autrice"
Salve a tutti, torno a bazzicare questa sezione con una nuova storia, che poi tanto nuova non è visto che ho iniziato a scriverla subito dopo aver visto, The winter soldier.
E' il Prequel/Sequel di un atra mia storia intitolata, "Insieme" anche se non serve leggerla per capire questa di storia
.
Spero non sia uscita fuori una schifezza e spero di non aver tralasciato orrori ortografici. Vi assicuro che l'ho riletta milioni di volte prima di pubblicarla, ma se mi sono persa qualcosa vi prego di farmelo sapere.
Quindi... Non mi ricordo cosa devo dire, perciò credo concluderò chiedendovi soltanto di farmi sapere cosa ne pensate di questa storia, accetto qualsiasi critica, positiva o negativa che sia e se secondo voi sarà il caso di finirla qui, beh fate un fischio.
Vlauterò la proposta.
Alla prossima, baci Lucy <3
(dovrei aggiornare ogni settimana, giorno più giorno meno, visto che la storia è in gran parte già scritta... deve solo essere ritoccata qua e la.)

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Capitolo 2
*** Who are you? ***


Tutto sommato la vita a Washington non era poi così male.
Nemmeno il lavoro all’ospedale lo era, in fondo la parte peggiore era l’ascoltare i vecchietti che si lamentavano degli acciacchi dell’età, le mansioni non erano eccessivamente pesanti, forse la cosa peggiore erano turni di notte stancanti e decisamente noiosi.
Certo l’ultima settimana era stata un inferno.
Tutti quei disastri e qui feriti avevano rischiato di mandare in tilt l’intero ospedale, dopo il crollo degli edifici del quartiere generale dello S.H.I.EL.D. e con tutti quegli scontri per le vie della città, l’ospedale era diventato un vero e proprio via vai.
Per chiunque sarebbe stato motivo di angoscia il continuo sfilare di vittime e feriti che continuamente passavano davanti alla postazione di Alexis, ma per le i non era così.
Anche se era una semplice receptionist, l’idea di potere aiutare qualcuno anche solo indirizzandolo dal medico giusto era un modo per sentirsi utile. Ammirava il lavoro dei medici, quasi invidiava la loro importanza nella società, lei non era certo il tipo da ambire ad una posizione elevata rispetto agli altri, ma le dispiaceva di non poter fare di più.
Era stata fortuna ad incontrare loro durante la sua convalescenza.
L’equipe di medici e infermieri che l’avevano seguita per quei lunghi mesi erano diventati una specie di famiglia per lei, era grazie a loro se aveva ottenuto quel lavoro all’ingresso del St Elizabeths Hospital e se era riuscita a ricominciare da capo in quel luogo a lei sconosciuto. L’avevano avvisata che la memoria avrebbe impiegato tempo a tornare, giorni, mesi, anni e che forse non sarebbe tornata affatto. Quello sembrava il suo caso.
Non che la vita di adesso non le piacesse, ma avvertiva quella strana sensazione di vuoto in mezzo al petto come se fosse incompleta.
Si era svegliata all’improvviso una mattina in quel letto d’ospedale con un mazzo di fiori sul comodino, senza sapere dove fosse e come fosse arrivata li, ma soprattutto, chi fosse.
L'unica cosa che le era rimasta del suo passato era quella targhetta di metallo, con il nome e la data di nascita incisi sopra.
Si sentiva come una pagina bianca, di una storia senza titolo e senza trama.
Anche se ora la sua vita poteva considerarsi abbastanza soddisfacente c’era sempre qualcosa che mancava, forse perché nessuno era mai venuto a cercarla, nessuno aveva mai chiesto di lei in tutti i quei mesi di ricovero. Alla fine aveva scoperto che i fiori freschi che trovava tutte le mattine sul suo comodino glieli portava la donna delle pulizie che si occupava di sistemare la sua stanza, anche quando era incosciente arrivata un giorno si e uno no con un mazzo di margherite appena comprate.
Alexis aveva deciso che quello sarebbe stato il suo fiore preferito da quel giorno, il suo nuovo primo ricordo e poi appena si sarebbe ripresa avrebbe offerto un caffè a quella donna.
La stessa che ora la stava salutando prima di entrare nell’edificio per cominciare il suo turno.
“Mi raccomando stai attenta quando torni a casa, è pericoloso per una ragazza come te andare in giro di notte a quest’ora!”
“Sta tranquilla Violet, andrò dritta a casa!”
Annuisce con un sorriso prima di bloccarsi sulla porta d’ingresso. “Ci vediamo domani allora?”
“Domani no, ho il giorno libero!”
“Oh, bene! Riposati allora ci vediamo la settimana prossima!”
Si strinse nel giubbotto di pelle prima di addentrarsi per le vie buie de quartiere, illuminate dalla luce artificiale dei lampioni che attiravano miriadi di insetti. Era stato un mese di agosto abbastanza piovoso e l’aria notturna era più fresca delle medie stagionali. Respira a fondo Alexis liberando un profondo respiro di sollievo nel respirare l’aria pulita che del piccolo parco che costeggia le mura dell’ospedale, prima di avviarsi verso la stazione metropolitana più vicina.
La periferia di Washington è facile da raggiungere grazie alla fitta rete della  metropolitana che si estende nel sottosuolo della città come un lungo serpente di metallo. Per Alexis ormai è diventato naturale muoversi per quelle vie intricate e piene di deviazioni, ha imparato anche come muoversi, evita i punti bui e si muove sempre alla luce delle numerose telecamere di sorveglianza.
Ascolta il suono dei suoi stessi passi sul marciapiede, provocato dagli stivaletti di pelle che indossa, l’odore di umido e di chiuso le solletica fastidiosamente le narici prima di essere spazzato via dalla folata di vento prodotta dall’arrivo dell’ennesimo treno della giornata.
Si siede come sempre dando le spalle al vetro dei finestrine all’interno del vagone, in modo da poter tenere sotto controllo tutto lo spazio che la circonda, senza nemmeno farci caso individua le vie di fuga rappresentate dalle porte elettroniche.
Non sa spiegarsi perché lo fa, ma sempre in qualsiasi posto si trovi il suo sguardo e la sua mente si assicurano di poter raggiungere l’uscita senza particolari problemi, in caso di emergenza, avere un punto di riferimento è una via di fuga è d’obbligo.
Gli appartamenti della zona residenziale di Logan Circle non erano di certo, l’ideale comune di lusso, ma per Alexis potevano bastare, con il tempo era riuscita a rendere quell’appartamento al pian terreno accogliente e confortevole, il suo stipendio le consentiva di vivere una vita moderatamente agiata e in quei tre anni era anche riuscita a mettere da parte un piccolo gruzzoletto non indifferente.
Era a quei soldi che stava pensando mentre saliva le scale che la portavano all’estero della fermata. Negli ultimi tempi aveva pensato spesso a come usarli senza però trovare mai una soluzione soddisfacente.
L’affitto di un nuovo appartamento, magari più grande? No. Stava bene dove stava e poi viveva da sola, quanto spazio le sarebbe dovuto servire in più.
Un nuovo Computer? Nemmeno. Per l’uso che ne faceva bastava il suo comodo portatile.
Una vacanza? Forse. Ma per andare dove.
Alla fine come ogni volta tutte le ipotesi venivano scartate con la stessa velocita con la quale le erano venute in mente.
E poi considerando il fatto che aveva lasciato al finestra della camera aperta prima di uscire magari non c’era nemmeno più niente da spendere.
Aprì la borsa davanti a portone prima di mettersi a frugare in essa alla ricerca delle chiavi di casa. Possibile che ogni volta la sua borsa diventasse sempre più profonda?
Afferrato il mazzo di chiavi nascoste sotto il portafogli e il piccolo -che poi tanto piccolo non era- ombrello da viaggio e con una leggera spinta varcò la soglia del palazzo a due in cui viveva da sola. La mansarda era della proprietaria, che proprio non voleva decidersi a ristrutturarla in modo da fornire un monolocale affittabile.
Le chiavi grattano all’interno della serratura che dopo pochi secondi scatta.
Uno spostamento d’aria mancata e Alexis si blocca all’entrata.
La finestra aperta dovrebbe far corrente e far muovere le tende, eppure è tutto troppo irrealmente immobile dentro quella casa.
Lo sente. C’è qualcun altro in quella casa.
Cercando di non produrre in benché minimo rumore, fruga di nuovo nella borsa alla ricerca del cellulare ed una volta afferrato si avvicina alla camera passando per il salotto ed afferrando il bastone d’acciaio posato accanto al caminetto, il buio della casa avvolge i suoi movimenti e la moquette attutisce il suono dei suoi passi rendendolo quasi impercettibile.
Nonostante la situazione non riesce a far tacere il suo istinto che le suggerisce di non essere in pericolo, qualcosa le impedisce di chiamare la polizia e incapace di fare altro continua ad avvicinarsi alla porta della sua camera da letto, la luce della luna entra dalla finestra filtrando dallo spiraglio della porta semichiusa, la apre piano pronta ad aspettarsi di tutto, ma nonostante gli innumerevoli scenari che si susseguono nella sua mente la scena che gli si para davanti agli occhi è assurdamente lontana da ogni sua più fantasiosa supposizione.
 
 
La massiccia figura svenuta di un uomo biondo con una specie di divisa militare occupava gran parte del letto, a completare il quadro già di per se surreale, ci pensava il suo vistoso braccio di metallo.
Chi diavolo ci faceva una specie di super soldato mezzo morto sul suo letto?
A giudicare dalla quantità di sangue che imbrattava le lenzuola la ferita all'addome dev'essere piuttosto grave.
Doveva portarlo all'ospedale o chiamare un'ambulanza, prima però doveva arrestare l'emorragia altrimenti non sarebbero arrivati da nessuna parte.
Raggiunse in fretta l'armadio, usando la sedia come scala per arrivare all'ultimo scaffale dove era custodito il kit per il pronto soccorso, corse il bagno saccheggiando l'armadietto per recuperare degli asciugamano puliti, disinfettante e una bacinella d'acqua.
Avrebbe dovuto togliergli quell'arnese che sembrava una camicia di forza, slacciò in fretta un paio di cinghie e almeno una dozzina di lacci, o almeno a lei sembrarono infiniti, finalmente riuscì a liberarlo da quella maledetta trappola in fibra di carbonio, che con un tonfo sordo cadde in un angolo del pavimento in cui l'aveva lanciata, osservò con occhio critico il bendaggio di fortuna alla ferita. Tutto sommato un lavoro abbastanza ben fatto considerando che doveva esserselo fatto da solo, non aveva sostituito le bende ne aveva anzi aggiunto delle altre sopra alle precedenti per bloccare l'emorragia, senza la giusta attrezzatura avrebbe solo peggiorato la situazione.
Si affrettò a controllate anche la spalla, leggermente gonfia e con un vistoso livido violaceo che si estendeva interamente al disopra della cuffia. Ad una prima osservazione sembrava solo lussata. A quella avrebbe pensato dopo, bastava immobilizzarla e metterci del ghiaccio, anche quella doveva essersela rimessa apposto da solo, sperava almeno di alleviargli il dolore con il ghiaccio.
Tornò a concentrarsi sulla ferita: Un colpo d'arma da fuoco, del proiettile non c'era traccia, avrebbe dovuti controllare la presenza di un eventuale foro di uscita e se non c'era...
Decise di non pensarci, doveva fare un passo alla volta. Si liberò delle bende gettandole nel cestino di fianco al comodino.
Con delicatezza, con fatica e il più lentamente possibile cercò di girarlo quel tanto che bastava per analizzargli la schiena.
Nessuna ferita, il proiettile era ancora dentro.
Doveva estrarlo con le dita.
Afferrò un paio di guanti in lattice ed inserendo indice e pollice all'interno del foro iniziò a cercare il bossolo.
Il soldato si irrigidì, lasciandosi sfuggire un gemito di dolore.
"Ce l'ho quasi, resisti!"
Non poteva sbagliare doveva riuscirci al primo colpo, sospirò di sollievo sentendo sulle dita il metallo del proiettile che nonostante si trovasse all'interno del corpo di quell'uomo era freddo.
Estrasse il bossolo lasciandolo all'interno della bacinella di plastica del kit.
Afferro uno degli asciugamani puliti e lo usò per tamponare la ferita ed iniziando ad esercitare pressione su di essa.
Recuperò disinfettante e bende con una mano mentre con l'altra continuò a fare pressione sull'addome.
Controllò più volte che la perdita di sangue diminuisse d'intensità e soltanto dopo una decina di minuti abbondanti poté dedicarsi a disinfettarla e pulirla con cura, il tutto sempre il più velocemente possibile.
Applicò la prima medicazione fissandola con del nastro adesivo clinico, sistemò un paio di cuscini sotto la testa del soldato e sistemandosi in ginocchio sul materasso inizio a fasciargli il busto con della garza pulita, fisso le bende in modo che fossero ben salde, ma che allo stesso tempo che non lo fossero troppo da non ostacolare la circolazione.
Di seguito e senza e senza fermarsi, si occupò anche della spalla immobilizzandola con una fasciatura abbastanza rigida da impedirgli i movimenti, doveva tenerla ferma almeno per una settimana altrimenti sarebbe uscita di nuovo dal suo asse e a quel punto sarebbe stato necessario intervenire chirurgicamente.
Si bloccò sul posto di fronte ai suoi pensieri.
Perché sapeva tutte quelle nozioni di medicina? Quando aveva estratto il proiettile l'aveva fatto con una tale naturalezze che sembrava non aver fatto altro per tutta la vita.
Scrollo il capo colta di sorpresa da quei pensieri così assurdi e recuperò il ghiaccio dalla cucina per poi applicarlo sulla spalla. Controllò la temperatura corporea dell'uomo e rendendosi conto che sudava a freddo si affrettò a coprirlo. Doveva impedire che subentrasse uno stato di shock, perciò doveva scaldarlo altrimenti tutti i suoi sforzi per mantenerlo in vita sarebbero stati vani.
Cosa doveva fare ora?
Chiamare la polizia? Un'ambulanza?
Afferrò il cellulare da terra sbloccando lo schermo con un semplice tocco.
"Devo portarlo all'ospedale..." Mormorò, fra se e se.
"N... N-no..."
Alexis sobbalzò e voltandosi verso il corpo riverso sul suo letto incrociò il suo sguardo che lasciava appena visibile, eppure perfettamente distinguibile, l'incredibile azzurro dei suoi occhi.
"N-no... N... N-nie... Te... O... O-ospedale..." Rantolò a fatica con il fiato corto e strozzato.
"Va bene, va bene!" Si affrettò a rassicurarlo posando il telefono e avvicinandosi al letto. "Ma, ora non parlare, non sprecare energie..."
Lo vide chiudere gli occhi e tornare a respirare faticosamente.
Perché non voleva andare all'ospedale? Rischiava di morire.
Bagnò un asciugamano nell'acqua passandoglielo sula fronte.
E perché diavolo lei gli stava dando retta?
Si diede mentalmente della stupida e lasciandosi scivolare stancamente sul pavimento poggiò la schiena contro il comodino e si voltò a guardarlo e osservandolo attentamente finalmente lo riconobbe.
Era James Buchanan Barnes, o meglio conosciuto come "Bucky", il migliore amico e spalla destra del famoso Captain America.
La sensazione di averlo già visto da qualche parte la stava tormentando da un quando lo aveva visto steso nel suo letto, ma non riusciva a ricordare dove.
La situazione già di per se assurda divenne ancor più surreale.
Quell'uomo doveva essere morto! Certo, tanto per il fatto di essere nato più di settant'anni fa, lo stesso eroe tanto famoso a Washington e che viveva nella stessa città era la prova che l'anno di nascita non contava poi molto, e lei aveva letto la sua storia.  Non solo in quella specie di museo consacrato al famoso eroe della prima guerra mondiale, ma anche i fascicoli che lo S.H.I.E.L.D aveva reso pubblici e con essi erano venuti a galla anche i panni sporchi dell'Hydra.
Come nell'antica leggenda l'associazione nazista cresceva all'interno dello S.H.I.E.L.D. Come un parassita e per ogni testa che veniva tagliata altre due prendevano il suo posto.
Circa una settimana prima tutte le informazioni riguardanti l'intelligence americano erano diventate pubbliche. Milioni di persone, lei compresa, avevano letto quei fascicoli stupendosi di quanto il sistema fosse marcio e corrotto fino al midollo.
Per mano dell'Hydra molte persone avevano perso a la vita e la maggior parte di esse per mano di un unico uomo: Il soldato d'inverno.
Bucky era morto durante una missione per catturare il capo de teschio rosso a capo dell'Hydra, lo stesa capitano Rogers lo aveva visto precipitare per centinai di km senza possibilità di scampo.
Ma grazie agli esperimenti che Zola, scienziato svizzero al servizio nazista, aveva condotto su di lui quando lo aveva fatto prigioniero durante la guerra, era riuscito a sopravvivere alla caduta perdendo però un arto, che era star sostituito con quella di metallo che aveva ora.
Chissà qual era stato il prezzo per la restituzione di un arto.
L'avevano usato come arma per inseguire i loro scopi, era come un burattino nelle mani di un creatore folle.
Non aveva trovato molte informazioni su di lui, sembrava un fantasma quasi, un ombra, una frase cancellata su cui qualcuno aveva riscritto sopra, anche il governo si era affrettato ad insabbiare le notizie facendo sparire in fretta le informazioni da internet in un paio di giorni.
Ora capiva perché non voleva andare in ospedale, se qualcuno lo stava cercando, di sicuro non sarebbe passato inosservato un uomo con una protesi di metallo.
Si domandò cosa gli fosse successo realmente. Cosa aveva dovuto subire lavorando per l'Hydra? Era pericoloso? Le avrebbe fatto del male?
In fin dei conti aveva ucciso dozzine di persone, perché con lei sarebbe dovuto essere diverso?
L'aveva visto in faccia e sapeva chi era, rappresentava una minaccia per lui.
Nonostante tutto però, Alexis non riusciva a sentirsi minacciata, il suo istinto le suggeriva di stare tranquilla e lei era tranquilla.
O forse era solo molto stupida.
Tutte quei pensieri continuarono a turbinarle nella mente facendole girare la testa. Guardo l'orologio sulla cassettiera, segnava le due.
A fatica si alzò dal pavimento con la testa che non smetteva di girare. Era stato facile medicarlo, non si era trovata a disagio con le mani sporche del suo sangue, era stato naturale come respirare lavorare su quella ferita e neanche il proiettile le aveva fatto troppo effetto, sembrava quasi che non avesse fatto altro per tutta la vita.
Era strano, decisamente strano.
Dopo essersi accuratamente lavata le mani, rimuovendo ogni traccia di sangue,
recuperò una coperta dall'armadio e come uno zombie arrancò verso il divano, la mattina dopo era sicura che si sarebbe alzata con un bel mal di testa, sempre che fosse riuscita ad addormentarsi, ovvio.
Quando sperava che la sua vita diventasse un po' più movimentata non si riferiva certo a questo, quando sperava di animare le sue giornate con un evento inaspettato non stava di certo chiedendo di ritrovarsi a dover salvare la vita ad un uomo con un proiettile piantato nell'addome.
Sempre che fosse riuscito a superare la notte.
Cercò di rilassarsi cercando una posizione comoda che le facesse prendere sonno e dopo un'interminabile attesa finalmente si addormentò.
Un unica domanda le continuava a martellarle il cervello: Dove aveva imparato a medicare una ferita d'arma da fuoco?

Chi sei?



Angolo "autruce"
Salve a tutti, sono miracolosamente puntuale, anche con quelche ora di anticipo incredibilmente.
Il nuovo personaggio, si è più o meno presentato
, anche se per ora sappiamo solo il suo nome (si anche io XD), come capirete anche lei ha qualche problemino di memoria, che sembra non potersi risolvere tanto facilmente.
Penso di aver detto tutto... perciò vi saluto, e ringrazio tutti quelli che leggeranno e ancor di più chi recensirà Xd
Alla prossima baci Lucy
(Perdonate eventuali errori, sono un pò di fretta se ci saranno provvederò a correggere)

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Capitolo 3
*** I know who you are. ***


James si svegliò spalancando di scatto gli occhi, cercò di muoversi, ma la spalla e la parte bassa dello stomaco urlarono di dolore.
Con la vista appannata e il fiato corto si lascio ricadere nuovamente sui cuscini, cercando di regolare il respiro e di ricordare cosa fosse successo.
Si ricordava di essere scappato a quei soldato che lo cercavano e che si era intrufolato in una delle case che lo circondavano entrando dalla finestra aperta, ma poi?
Cos'era successo dopo?
Gli sembrava di ricordare vagamente un ragazza che voleva portarlo all'ospedale e  forse che lui gli aveva chiesto di non farlo, solo non sapeva dire se gli avesse dato retta o meno. Si guardò intorno cercando di capire dove si trovasse. Quella non sembrava di certo una camera d'ospedale, niente pareti bianche e puzza di disinfattante si toccò la ferita ora perfettamente bendata e la spalla sana bloccata in modo da non farla muovere troppo.
Si sentiva una straccio.
Studiò l'ambiente circostante, era una stanza abbastanza accogliente, il letto ad una piazza e mezza occupava gran parte dello spazio, sulle pareti dipinte di celeste c'erano appesi diversi quadri, ma nessuna foto. Sul lato destro c'erano un armadio e una cassettiera in legno chiaro, sotto la finestra c'era una poltroncina verde con un paio di cuscini bianchi e infine in fondo al letto affiancata alla porta c'erano una scrivania e una piccola libreria.
Fissò il soffitto bianco panna e si domandò perché quella misteriosa ragazza che doveva averlo medicato e che con ogni probabilità gli aveva salvato la pelle non lo avesse scaricato in un ospedale o non avesse avvertito la polizia.
Cercò di nuovo di muoversi, ma sta volta più lentamente e a fatica riuscì a mettersi seduto e con una dose non indifferente di dolore si mise in piedi, gli sembrava all'improvviso la gravità in quella stanza fosse amentata di colpo.
Era talmente debole che il suo corpo sembrava appesantito di qualche tonnellata.
Si, era fortunato ad essere vivo.
A fatica iniziò a mettere un piede davanti all'altro iniziando finalmente a sentirsi meno intorpidito e riacquistando lentamente la sensibilità alle gambe.
Uscì nel corridoio della casa percependo l'odore del caffè che si diffondeva per tutta la casa. Con cautela entrò in cucina preparandosi ad incontrare la padrona di casa.
"Finalmente ti sei svegliato..." Si bloccò all'istante sul posto irrigidendo ogni muscolo del corpo. Come diavolo aveva fatto a sentirlo? E non si era nemmeno voltata nella sua direzione. Era sicuro di non aver fatto nessun tipo di rumore. Lui non faceva mai rumore.
"Tranquillo... Non ho nessun super potere, questo parquet fa un rumore particolare quando qualcuno vi cammina sopra..." 
James era certo di non aver sollevato nemmeno un granello di polvere. Studiò la sua espressione con aria scettica non riuscendo a dissimulare in alcun modo la sua espressione dubbiosa.
"Fidati... È normale, solo io che vivo qui ho imparato a sentirlo."
Restarono in silenzio per diversi minuti studiandosi a vicenda, la ragazza non sembrava spaventata anzi, sembrava trovarsi perfettamente a suo agio in quella situazione. Era vestita in modo semplice con un paio di jeans chiari, un maglione di lana verde, e i lunghi capelli castani erano raccolti in un ordinata coda di cavallo. Sembrava innocua.
Se quella non era una trappola... Quella ragazza era decisamente strana.
"Chi sei?" Domandò non riuscendo in alcun modo a mitigare il tono inquisitorio.
Contro ogni sua aspettativa, Alexis sorrise ironica.
"Dovrei essere io a farti questa domanda!"
James iniziava ad irritarsi.
"Perché mi hai aiutato? Perché  mi hai salvato la vita? Avrei potuto ucciderti senza problemi!"
"Oh, non c'è di che!"
"Non sono in vena di scherzare."
"Nemmeno io credimi." La osservò posare la tazza di caffè sul bancone della cucina mentre gli voltava tranquillamente le spalle e apriva il frigorifero.
"Vuoi sapere chi sono? D'accordo, ma non ho granché da raccontarti, posso dirti che mi chiamo Alexis, che lavoro all'ospedale, che ho ventotto anni, e che non ricordo niente degli ultimi venticinque."
Lo stava prendendo in giro? Quante probabilità c'erano di finire in casa di una persona con il suo stesso problema.
"Amnesia retrograda hanno detto..." La ragazza riprese a parlare senza degnarlo di uno sguardo mentre teneva gli occhi puntati verso la finestra senza realmente vedere il panorama fuori da essa. "Mi sono svegliata un giorno in un letto d'ospedale senza sapere chi fossi, dove mi trovassi, senza nessuno accanto. Sola. Mi avevano detto che la memoria sarebbe anche potuta non tornare, anche se i casi non erano molto frequenti. A quanto pare io sono uno di quelli. Nessuno mi ha mai cercato e io non mai scoperto molto sul mio conto."
"Non hai risposto all'altra mia domanda." Distolse lo sguardo dalla finestra per rivolgere a lui tutta la sua attenzione.
"Perché mi hai aiutato?" Scrollò le spalle.
"Mi sono sentita in dovere di farlo. Non so dirti il perché."
"Avrei potuto ucciderti."
"Ma non l'hai fatto. E poi tutti dobbiamo morire presto o tardi." Non c'era nessuno tipo di inflessione particolare nella sua voce.
"Sei strana..." Si lasciò sfuggire pensando a voce alta.
"Disse l'uomo con un braccio di metallo." Alexis sorrise ancora.
"Hai fame?"
James guardò fuori dalla finestra e si accorse del colore rossastro che inondava le pareti della stanza.
Era notte quando stava scappando dai suoi aguzzini ed ora era il tramonto.
"Per quanto ho dormito?"
"Beh... Ora sono quasi le sei, perciò più sedici ore ormai. Forse avresti avuto bisogno di una trasfusione, per la debolezza intendo, ma visto che non volevi essere portato all'ospedale..." Lasciò la frase in sospeso.
Aveva davvero dormito per tutto quel tempo?
"Senti... Io fra poco ho il turno in ospedale, nel frigo c'è da mangiare e se vuoi... Puoi restare qui tutto il tempo che vorrai oppure puoi andartene anche ora, ma se ti serve un posto sicuro dove stare... Per me non fa differenza."
James restò in silenzio osservandola incredulo. Era tutto così assurdo, doveva essere una trappola per forza, non c'erano altre spiegazioni.
"Senti..." Iniziò Alexis alzando ambo le mani in segno di resa. "Non ti sto mentendo e non sono una minaccia. Posso farti leggere la mia cartella clinica se vuoi, ma ti assicuro che casa mia è meglio di una delle basi dell'Hydra."
A quelle parole Il soldato scattò, con un paio di falcate le si avvicinò fronteggiandola. La superava di diversi centimetri in altezza e nonostante la spalla bloccata e la ferita allo stomaco non risultava meno pericoloso con quel braccio di metallo che terminava con la mano stretta a pugno. Indurì la linea della mascella puntando il suo sguardo di ghiaccio nei suoi occhi grigi con fare minaccioso. Come faceva a sapere che era l'Hydra a cercarlo?
"Cosa ne sai tu dell'Hydra?" Domandò stagliandosi su di lei. Fatto sta che la ragazza non indietreggiò ne sembrò intimorita.
"Non molto... Dopo tutto il casino che avete fatto alla torre di Washington, qualcuno ha diffuso in rete tutte le informazioni riguardanti l'Hydra e lo S.H.I.E.L.D.. Prima che il governo insabbiasse tutto sono riuscita a leggere qualche fascicolo. E c'eri anche tu."
"Quindi sai chi sono e cosa sono capace di fare."
"Tu chi credi di essere?" Domandò in risposta la ragazza fissandolo negli occhi.
James non rispose, preso in contropiede da quella domanda diretta.
"Dimmi il tuo nome." Riprese. "Chi ti senti di essere?"
"James." La ragazza parve quasi soddisfatta.
"Allora James, io ti sto solo offrendo il mio aiuto. Niente trucchi, niente inganni. Ma ti ripeto che sei libero di fare quello che vuoi, puoi andartene o restare, a te la scelta. Io voglio solo aiutarti."
"Perché?"
"So che vuol dire svegliarsi un giorno senza ricordare, so che vuol dire essere soli, so che significa non sapere da dove ricominciare a ricostruire la propria vita. Io ti sto offrendo questo. Un punto di partenza, ma sta a te decidere."
Alexis restò in silenzio continuando a guardarlo negli occhi prima di sospirare ed avviarsi verso la porta per andare a lavoro.
Prima di uscire però la sentì bloccarsi sulla porta e quando la sua voce gli giunse di nuovo alle orecchie le lanciò un occhiata sbieca da sopra la spalla.
"Se decidi di restare... Domani vorrei portarti in un posto." Sorrise e dopo avergli rivolto un cenno del capo richiuse la porta alle sue spalle.
 
Alexis si sentiva inqueta. Nonostante avesse fatto di tutto per non mostrare timore davanti a James la verità era che aveva avuto paura di lui. E tanta.
Vedeva qualcosa di profondamente disperato nei suoi occhi, qualcosa nel suo sguardo che le suggeriva di non abbassare mai la guardia.
Per un attimo aveva seriamente pensato che l'avrebbe uccisa. C'era stato un momento, quando aveva nominato l'Hydra, in cui aveva colto una scintilla di follia nei suoi occhi.
Nonostante la paura però il suo istinto le diceva che non le avrebbe fatto niente, e così era stato.
Chissà cosa gli avevano fatto per farlo diventare il freddo e spietato mercenario che era.
Si strinse la borsa al petto quando un passeggero della metro la urtò scusandosi. Doveva liberarsi al più presto di quella che c'era dentro.
Tutto ciò che aveva usato per medicate James ora si trovava all'interno della sua borsa. Aveva deciso che gettare tutto nella comune spazzatura di casa sarebbe stato un errore, probabilmente si stava facendo delle paranoie inutili e sarebbe bastato gettare via tutto in un cassonetto a pochi isolati da casa sua e non portarseli dietro fino al posto di lavoro. Era certa però che fosse meglio non rischiare e poi quale posto poteva essere migliore dei rifiuti dell'ospedale per liberarsi di tutto quel sangue?
Quando finalmente getto il sacchetto svuotandone il contenuto nel bidone sul retro dell'ospedale le sembrò di essere diventata più leggera, richiuse con il coperchio il secchio e con un sospiro secco si avviò verso l'entrata.
L'ingresso dell'ospedale era abbastanza semplice il pavimento di un celeste chiaro ravvivava le pareti color grigio perla e le finestre leggermente aperte rendevano l'aria più respirabile e gradevole dall'odore di disinfettante che sembrava aleggiare sulla sua testa, si avviò alla sua postazione scomparendo nella stanzetta adibita a spogliatoio dietro il banco delle informazioni. Indosso la t-shirt a maniche corte con il logo dell'ospedale ed appese il cartellino con nome e cognome sulla parte destra del petto, risistemo il maglione all'interno della borsa e prima che riuscisse a sistemare tutto all'interno dell'armadietto, una voce alle sue spalle la riporto alla realtà facendola sobbalzare.
"Ehi smemorata, da quand'è che la mattina non si saluta?"
"Sharon! Mi hai fatto prendere un colpo!" Esclamò portandosi una mano al cuore.
"Scusa smemorata, di solito non sei così sulle nuove!"
Sharon se ne stava appoggiata alla porta con aria spensierata come al solito e la osservava con i suoi grandi occhi azzurri, resi ancora più vivaci dal taglio corto e sbarazzino dei suoi capelli. Era una ragazza sveglia ed intelligente, superava di un paio di cm buoni il metro e settantacinque, di fianco a lei che non arrivava nemmeno al metro e sessantacinque sembrava un gigante.
Sharon era diventata praticamente la sua migliore amica, era una delle infermiere che si erano prese cura di lei durante la sua convalescenza ed era l'unica che non la guardava con quel senso di pietà e tenerezza che tanto la mandava in bestia. Non che si lamentasse di nessun altro, erano stati tutti straordinari con lei solo che a volte le sembrava che la trattassero in un modo diverso soltanto perché faceva loro pena e invece Sharon non era mai stata così con lei, l'aveva sempre trattata come tutti gli altri prendendola in giro e sgridandola anche a volte, non dimeno le aveva anche affibbiato quel soprannome, da quando aveva riaperto gli occhi e si erano conosciute lei non aveva smesso un attimo di chiamarla smemorata.
"Scusa non ti ho visto arrivare!" Rispose con un sorriso prima di seguirla all'esterno tornando dietro la parete di vetro che divideva la sua postazione dal resto del corridoio di ingresso.
"Ma come? Ti avrò chiamata almeno tre volte!!"
"Sul serio?"
"Certo!"
"Scusa... Ero distratta!"
"Ho notato... Qualcosa non va?"
"No..." Mentì. "Tutto apposto."
Sharon assottigliò il suo sguardo.
"Non è che per caso hai conosciuto un ragazzo?" Mormorò maliziosa pungolanle un braccio.
Per poco non le cadde di mano la graffatrice che aveva appena usato per sistemare il plico di moduli per le richieste.
"Io? Ma ti pare?!"
In effetti in parte Sharon c'aveva preso.
Anche se incontrato non era esattamente il temine per descrivere la situazione che le si era parata davanti diverse ore prima... Aveva trovato un uomo. Mezzo morto sul suo letto e con un buco nello stomaco.
Oh, Ed un braccio di metallo ovviamente, come dimenticarlo.
"Non me la racconti giusta..."
"Come avrei fatto ad incontrare qualcuno? Sono sempre qua e quando non sono qua resto a casa e se non sono ne a casa ne qui sono con te."
"Sei troppo sulla difensiva..."
"Non ho conosciuto nessuno sul serio."
Sharon sembrò valutare la sua espressione. "Mh..." Mormorò. "Se lo dici tu... Ma sappi che non ti credo." E le diede un pugnetto sul braccio. Alexis sorrise incoraggiante. "Ora devo andarmi a cambiare, fra pochi minuti ho inizia il mio turno. Ci vediamo più tardi." La salutò Sharon con un cenno della mano prima di recuperare le sue cose ed avviarsi al suo reparto.
Alexis sistemò un po' del disordine che la collega prima di lei aveva disseminato per tutto il tavolo, prima di sistemarsi alla sua postazione di fronte al computer. Stampò un po' di moduli per il ricovero che erano quasi terminati, sistemo la pila di richieste archiviate e rispose alle domande di chi era alla ricerca di un medico o di un altro e passò una buona mezz'ora facendo avanti e indietro dalla sua postazione alla fotocopiatrice.
Una volta smaltita la fila di persone che attendevano impazienti di pagare il ticket per le visite mediche private, cioè dopo un paio d'ore buone, si concesse di divagarsi lasciando libera la mente di rimuginare liberamente.
Guardo l'orologio appeso alla parete bianca dietro di se: Segnava le nove.
Erano più di tre ore che era fuori casa, e i suoi pensieri tornarono senza via di scampo a James. Chissà se se ne era andato?
Si ripromise di sgraffignare un paio di vestiti da uomo dal guardaroba in magazzino, nell'eventualità che James avesse deciso di accettare la sua proposta aveva bisogno di un cambio, non poteva portarlo in giro vestito come l'aveva trovato a casa sua, con il braccio di metallo in bella vista e quella specie di divisa da guerra.
Sospirò domandandosi per l'ennesima volta perché ci tenesse tanto ad aiutarlo. Non era di certo obbligata. Eppure non aveva potuto farne a meno aveva letto di lui in quei fascicoli, si era sentita in un certo modo vicina lui anche se poteva solo immaginare quella che aveva dovuto provare nel ritrovarsi nelle mani di quei pazzi esaltati dell'Hydra, ma questo le bastava per capirlo.
Rimuginò ancora per un po' fra quei pensieri cercando al contempo di scacciarli in un angolo del suo cervello e impedirgli di tornare ad affollarla almeno per un po'. Tuttavia fallì miseramente.
"Ehy Alexis ci sei?" Per la seconda volta in quella giornata venne scrollata dai suoi pensieri da una voce esterna.
"Scusa Violet, mi hai chiesto qualcosa?"
"Ehm in realtà si... Volevo sapere quando potevo avere un appuntamento con il dottor Smith."
"Oh certo, do subito un'occhiata!"
Violet la osservò mentre trafficava con il computer in attesa di una sua risposta.
"Il primo posto libero è fra due settimane. Prenoto?"
"Si grazie!"
"E' urgente? Posso scriverlo se vuoi nella richiesta!"
"No no, ti ringrazio cara, ma è solo una visita di routine!"
"Meglio così!" Sorrise.
"C'è qualcosa che non va?" Domanda la donna leggermente preoccupata.
"No tranquilla... Tutto apposto!"
"Lascia perdere Violet... La nostra Alexis ha conosciuto qualcuno e non vuole dircelo."
Come al solito Sharon fece la sua entrata in scena al momento meno opportuno e non perse occasione per farsi gli affari suoi.
"Sul serio?" Domanda Violet incredula e visibilmente sorpresa. "E lo conosco?"
"Non darle retta Violet! È da sta mattina che se ne esce con questa storia, non ho conosciuto nessuno!"
"Fa la misteriosa!" Sorrise ancora la sua amica lanciando uno sguardo eloquente alla donna di fianco a lei. Alexis ridacchiò a sua volta non rinunciando però a lanciarle uno sguardo ammonitorio nel porgere il foglio con l'orario dell'appuntamento alla donna delle pulizie.
"Grazie cara!"
"Violet, mi daresti un passaggio alla stazione? Ho un gran mal di schiena e non ho potuto prendere la macchina!"
"Ma certo, con piacere!"
Sharon sorrise grata prima di rivolgere nuovamente l'attenzione alla sua amica.
"Noi andiamo allora! Ci vediamo domani!"
"A domani!"
"Ciao Alexis!"
"Buona serata Violet!"
Osservò le due donne avviarsi verso l'uscita e quando finalmente fu di nuovo sola inizio a sistemare le sue cose e spegnere il computer.
Avrebbe dovuto chiudere alla dieci quella sera, ma l'ospedale sembrava deserto e dubitava che qualcuno si sarebbe accorto della sua assenza.
Alle nove e mezza aveva già recuperato le sue cose e si apprestava ad inchiavare la porta del suo ufficio.
Prese l'ascensore e pigio il tasto con su scritto S, seminterrato e attese pazientemente osservando i numeri sul display dell'ascensore che decrescevano, con un cigolio sofferto finalmente le portiere si aprirono e Alexis si avviò verso la stanza che conteneva gli oggetti smarriti. Quando l'avevano portata laggiù, ormai tre anni fa si era stupita della quantità di abiti che la gente si perdeva. Pazienti e famigliari dimenticava di tutto, magliette pantaloni sciarpe giubbetti ed addirittura biancheria, chissà se i proprietari si chiedevano mai che fine avessero fatto quegli oggetti, alcuni venivano a cercarli altri invece rimanevano li ad ammuffire.
Sgattaiolò velocemente davanti alla guardiola del custode vedendola vuota e per un attimo credette di essere riuscita a passare inosservata.
"Ehi Alexis!"
Beccata.
"Ciao Joe!" Joe era il custode del seminterrato, aveva 35 anni non era eccessivamente alto ed aveva occhi e corti capelli scuri. La cicatrice sul mento era resa più visibile dalla luce chiara ed artificiale della stanza. Le aveva raccontato di essersela procurata ormai diversi anni prima mentre cercava di aggiustare la caldaia, si erano conosciuti pochi giorni dopo che si era svegliata in quell'ospedale, le raccontò di essere presente il giorno in cui la portarono all'ospedale, lui come Violet l'andava a trovare regolarmente per farle compagnia e qualcuno -Sharon- le aveva detto che Joe aveva una specie di cotta per lei.
"Che ci fai qua a quest'ora?" Domandò l'uomo.
"Oh... Ehm... Ecco io ero venuta per recuperare un paio di vestita fra quelli smarriti..."
"E come mai?" Domandò perplesso avvicinandosi.
"Volevo ridipingere le pareti di casa mia e non mi andava di rovinare quei pochi vestiti che ho così ho pensato di cercare qualcosa qui!"
"È una buona idea! Vuoi una mano?"
No, non voleva una mano, voleva fare solo il più in fretta possibile.
"Oh, ecco io non vorrei disturbarti..."
"Nessun disturbo, figurati mi fa piacere!"
Alexis sfoggiò un sorriso tirato e lo segui all'interno dello stanzino in cui erano conservati i vestiti. L'odore di chiuso che le inondò le narici quando la porta fu aperta da Joe, le fece storcere il naso.
"C'è ancora più roba di quanta ne ricordassi!" Esclamò ina volta varcata la soglia.
"È già, sembra che ormai alla gente non importi più molto di ciò che si lascia alle spalle."
Alexis gli diede mentalmente ragione e facendo lo slalom fra gli scatoloni iniziò a frugare fra i vestiti, con la coda nell'occhio notò che anche Joe stava facendo lo stesso.
Scartò i primi tre paia di pantaloni capitatigli sotto mano e troppo piccoli, alla fine ne trovò un paio di colore beige con delle tasche ai lati delle gambe e decise che quelli gli sarebbero potuti andare bene.
"Che ne dici di questa? Potrebbe starti!" Joe le mostrò una maglia a maniche corte verde scuro della sua misura, ma decisamente troppo piccola per James.
"Si, ma cercavo qualcosa di comodo e anche se di un paio di taglie in più della mia va bene lo stesso!"
Joe annui tornando ad osservare la pila di vestiti davanti a se.
"Che ne dici di questa? Sta larga anche a me... Dovrebbe andare!" Le mostro una maglia a maniche lunghe nera, sarà stara almeno tre taglie in più della sue e sicuramente una in più di quella di Joe. Era perfetta.
"Si grazie! È perfetta." L'amico sorrise.
"Ti serve qualcos'altro?"
"Mhhh... Credo prenderò questa giacca!" Mormorò afferrando un giubbotto verde bottiglia decisamente troppo grande per lei.
"Ti perderai con quella addosso!"
Alexis non rispose limitandosi ad accennare un sorriso prima di recuperare una busta al lato della porta in cui sistemare il tutto.
Una volta fuori attese con calma che Joe richiudesse la porta prima di ringraziarlo.
"Grazie per l'aiuto Joe!"
"Figurati è stato un piacere!"
"Ora sarà meglio che vada, si è fatto tardi!" Lo salutò avviandosi.
"Fammi sapere com'è venuta la parete mi raccomando!" Esclamò a voce leggermente più alta per farsi udire da lei.
"Contaci!" E così dicendo sparì in fondo al corridoio.
 
Io lo so chi sei.




Angolo "autrice"
Si, sono in anticipo di un giorno, il che di per se è incredibile visto che sono una ritardataria cronica!!
Detto questo, c'è un motivo se ho pubblicato prima, cioè farvi un "regalino" se così si può definire pubblicando prima perchè purtroppo domenica devo partire per andare in campeggio e non avrò ne internet ne computer nel posto sperduto in cui andrò e perciò non potro pubblicare il quarto capitolo. Scusate, sono dispiaciuta, ma purtroppo questa notizia mi è arrivta all'ultimo e non ho potuto organizzarmi. (Consolatevi, morirò dalla noia isolata dal mondo!) Quindi il prossimo aggiornamento sarà il primo agosto! *Ci scusiamo per il disagio*
Bene detto questo, parlo un pò del capitolo, i due finalmente si incontrano, e si Alexis è strana, ma un motivo ce l'ha e poi a me piace così perciò se piace a me piace a tutti XD.
Nel titolo del capitolo c'è un indizio, anche se grande quanto in granello di sabbia e se lo stringete in una mano fugge via (??). Spero di non aver commesso troppi orrori ortografici, vi posso assicurare che ho riletto un sacco di volte e se ho tralasciato qualcosa vi chiedo scusa, seganale, provvederò a correggere.
Ora svanisco in una nuvola di fumo in stile ninja e vi saluto.
Alla prossima, baciotti coccolosi, Lucy <3

 

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Capitolo 4
*** Strange ***



Alexis si fece strada fra la miriade di persone che quel giorno, più del solito, affollavano quel luogo tanto famoso in tutta la città.
Il museo dedicato a Captain America era conosciuto in quasi tutto il mondo e non era difficile incontrare persone che parlavano di lingue diverse dalla sua, superò in gruppo di turisti francesi che si erano bloccati nel contemplare l'aereo della seconda guerra mondiale a grandezza naturale che era appeso al soffitto. Presi com'erano a guardarlo con il naso all'insù non si erano resi conto di occupate gran parte dello spazio disponibile, rendendo cosi difficoltoso il passaggio.
Aveva perso di vista James.
Come aveva fatto a perderlo di vista solo lei lo sapeva, certo, ora che era vestito come un comune mortale gli riusciva tremendamente bene mimetizzarsi fra la folla e quando si era distratta un attimo per tirare fuori i soldi dal portafoglio per pagare i biglietti, James era sparito.
Se la sera prima era stata felice che i vestiti gli stessero alla perfezione ora si maledisse per non averlo lasciato andare in giro con il vistoso braccio di metallo allo scoperto. Almeno in quel modo sarebbe stato impossibile perderlo di vista.
La sera prima aveva rischiato l'infarto rientrando a casa, trovandola incredibilmente buia e silenziosa aveva creduto che lui se ne fosse andato e così aveva mollato malamente a terra vestiti e borsa, ma un momento prima che entrasse in cucina il soldato aveva pensato bene di palesare la sua presenza comparendole alle spalle e parlando come un automa gli aveva chiesto: "Dov'è il posto in cui volevi portarmi domani?"
Con il cuore in gola l'aveva rimproverato di non farlo mai più e solo dopo gli aveva raccontato di quel posto in cui si parlava anche di lui.
Aveva accettato di seguirla limitandosi ad uno stitico ok e l'aveva informata con giusto tre parole che avrebbe passato la notte sul divano. Lei si era limitata ad annuire recuperando i vestiti e ficcandoli nella lavatrice in cui successivamente aveva aggiunto anche le lenzuola sporche di sangue. Inutile dire che quella notte aveva faticato a prendere sonno perseguitata dal pensiero che un estraneo dormisse a pochi passi da lei. Ammesso e concesso che avrebbe dormito.
Anche se non aveva paura di lui restava pur sempre un estraneo.
Tornando presente a se stessa finalmente lo trovò.
Se ne stava girato di spalle e la sua possente figura occupava tutto il pannello di fronte al quale si era fermato, se non ricordava male in quel punto si parlava di lui.
Ne osservò la postura rigida della schiena e per un attimo le tornò in mente il momento in cui si era cambiato dopo che lei era tornata dal lavoro, rientrando a casa l'aveva visto infilarsi la maglia nera che gli aveva procurato la sera prima.
Gli stava leggermente stretta, ma il suo tessuto elasticizzato si adattò nel giro di pochi secondi al suo fisico restandogli leggermente attillata. Alexis avrebbe preferito il contrario, ma non aveva avuto il tempo di formulare alcun pensiero che il diretto interessato le aveva  scoccato uno sguardo sbieco con i suoi occhi di ghiaccio facendola sobbalzare sul posto. Si era limitata ad una scrollata di spalle, spiegandogli di essere contenta che i vestiti gli calzassero perfetta e James non aveva risposto.
Continuando ad osservarlo in silenzio, dopo alcuni minuti decise di avvicinarsi portandosi al suo fianco e quando si voltò ad osservarlo, il cuore le balzò in gola.
Aveva sempre pensato che fosse bello, questo si, anche la prima volta che aveva visitato quel luogo e aveva visto la sua foto si era ritrovata a constatare che il migliore amico di Captain America fosse un gran bel ragazzo, e quando si era soffermata un attimo più del dovuto ad osservarlo mentre dormiva la sua opinione non era cambiata, ma ora... Era bello da mozzare il fiato.
I capelli in parte celati dal berretto verde con la visiera che era riuscita a scovargli sbucavano sopra al colletto alzato del giubbotto, aveva tolto gli occhiali da sole che lei gli aveva fatto indossare lasciando così scoperti i suoi incredibili occhi azzurri che ora osservavano increduli la sua stessa immagine. Scese con lo sguardo lungo il profilo dritto del naso fino ad arrivare alle labbra che sembravano disegnate e leggermente schiuse. La barba leggermente incolta gli donava un aria ribelle rendendolo ancora più bello.
Sentendosi osservato voltò la sua attenzione su di lei guardandola fra l'interrogativo e l'infastidito.
Alexis deglutì prima di parlare.
"Ti... Ti viene in mente niente?"
James tornò a guardare dritto davanti a se, limitandosi ad una stanca scrollata di spalle senza aprire bocca. Gesto che Alexis interpretò come un 'Non lo so.'
Alexis sospirò, perdendosi di nuovo nei suoi pensieri. Gli sembrava di rivivere i giorni in cui c'era lei al suo posto tutti cercavano di farle ricordare qualcosa mostrandole foto o portandola in posti che secondo loro le sarebbero dovuti sembrare famigliari, le dicevano di concentrarsi così i ricordi sarebbero tornati, ma ogni volta tutto ciò che otteneva erano dei gran mal di testa.
Con la coda nell'occhio notò il suo accompagnatore avvicinarsi a una delle gigantografie di Bucky e il capitano Rogers, lo vide allungare una mano a sfiorare lo scudo stellare dell'eroe con la mano sana.
Quella mattina il soldato aveva insistito per farsi togliere la fasciatura alla spalla, non che avesse impiegato poi molto a convincerla. Tutte quelle bende gli impedivano i movimenti e se lei non l'avesse aiutato ci avrebbe pensato da solo.
Ripensò con imbarazzo al momento in cui, quella mattina gli aveva dovuto cambiare la medicazione alla ferita per ripulirla.
Nonostante le proteste, Alexis si rifiutò di liberarlo dalle bende che gli fasciavano l'addome, anche se le sue capacità di recupero si erano dimostrate incredibili non voleva rischiare che la ferita si riaprisse. Così lo aveva invitato a smettere di fare tante storie e di farsi aiutare.
Probabilmente stava calcando troppo la mano nel comportarsi così con lui, ma non le riusciva diversamente e ogni volta James sembrava troppo sorpreso per reagire in qualche modo.
Ormai era diventata pratica con le medicazioni, le sembrava quasi di non aver mai fatto altro, il problema era che ora lui era sveglio ed ogni volta, esattamente come era successo quella mattina sentiva su di se i suoi occhi di ghiaccio, attenti a seguite ogni suo movimento. Si sentiva sempre nervosa in sua compagnia, come un gatto che cammina in bilico sul cornicione. Sarebbe bastato un passo falso e sarebbe precipitata.
"Andiamocene." James l'aveva di nuovo affiancata dopo aver finito di curiosare in giro. Sobbalzò presa alla sprovvista dal sentire la sua voce, parlava talmente poco che quelle rare volte in cui lo faceva la sua voce le sembrava sempre diversa.
In silenzio come al solito si avviarono verso l'uscita e una volta all'aria aperta la fresca brezza che preannunciava l'inizio dell'inverno, la colpì in faccia donandogli una sferzata di vitalità, inspirò a fondo l'aria pulita e si accorse che il ragazzo di fianco a lei stava facendo lo stesso.
James aveva inclinato il capo all'indietro e chiudendo gli occhi si stava godendo il lieve raggio di sole che intrepido si era insinuato fra quella coltre temporalesca.
Sentendosi di nuovo osservato, il soldato le lanciò un occhiata perplessa alla quale lei rispose con un sorriso tranquillo e una scrollata di spalle.
Si trovò a domandarsi per quanto tempo James si sarebbe trattenuto a casa sua. Se aveva capito almeno in minima parte la personalità del soldato, immaginava che non l'avrebbe avvertita del fatto che intendeva andarsene, semplicemente un giorno, che sarebbe potuto essere domani o fra un mese, una mattina si sarebbe svegliata e lui sarebbe scomparso. In realtà non le dispiace poi così tanto averlo dentro casa, certo la sua non è decisamente la compagnia che chiunque avrebbe desiderato, ma avendo vissuto per cosi tanti anni da sola anche la semplice consapevolezza di avere qualcuno dentro casa la faceva sentire meglio. E poi... Il fatto che quella mattina se lo fosse ritrovato in soggiorno con solo un paio di jeans addosso aveva decisamente contribuito a migliorarle l'umore. Parlando chiaramente, anche con un braccio di metallo James era perfetto.
Si bloccò sul posto dandosi una manata sulla fronte accorgendosi dell'assurdità dei suoi pensieri.
'Che vai pensando idiota!'
Per l'ennesima volta in quella giornata si beccò un'occhiata sbieca dall'oggetto dei suoi pensieri. Poco male avrebbe pensato che era matta oltre che scema.
Tornò sui suoi passi riprendendo a camminare e senza altri indugi si avviarono verso casa.
 
Era strana.
Quella ragazza era decisamente fuori dal comune. La osservò senza farsi notare mentre camminava al suo fianco e per la prima volta da quando l'aveva incontrata si prese la briga di osservarla per bene.
Quel giorno aveva lasciato i lunghi capelli castani sciolti sulle spalle, l'espressione rilassata del viso sembrava raffigurare la serenità fatta persona si trovò ad osservarne il profilo del viso, nello stesso modo in cui lei aveva lo aveva fatto ormai diversi minuti prima senza che lui lo se ne accorgesse.
Aveva il naso piccolo leggermente all'insù, una caratteristica che la faceva sembrare più giovane di diversi anni, le labbra carnose e leggermente intente a far passare l'aria erano rosse per il freddo e gli occhi grigio scuro sembravano riflettere il colore del cielo.
Sembrava una ragazza normale insomma senza nulla di particolare, peccato però che l'apparenza inganni.
C'era qualcosa di strano nel suo comportamento, non tanto per il modo di comportarsi nei suoi confronti, c'era qualcosa di strano nel modo che aveva di muoversi, sembrava essere sempre in  allerta, sobbalzava per il minimo rumore improvviso e ogni volta che entrava in qualche posto vedeva i suoi occhi cercare involontariamente una via di fuga.
L'aveva notato ad esempio nel momento in cui erano saliti sulla metro per il breve viaggio che li aveva condotti in quella specie di museo, se possibile lei sembrava più a disagio di lui in mezzo a tutta quella gente.
Inoltre il modo in cui gli cambiava le bende lasciava trasparire dai gesti una sicurezza non indifferente, un'abilità che nessun principiante sarebbe stato in grado di dimostrare. Probabilmente doveva ringraziare il caso che l'aveva condotto in quell'appartamento, se ci fosse stato chiunque altro all'interno a quest'ora lui sarebbe già morto e  sepolto.
Chi era veramente quella ragazza?
Se l'era chiesto più volte costringendosi però ogni volta ad accantonare quell'interrogativo. Tanto non sarebbe rimasto tanto a lungo in suo compagnia da poterlo scoprire.
Non si scambiarono una parola durante tutto il tragitto esattamente com'era successo tutto il giorno, ogni tanto lei gli chiedeva qualcosa ad esempio se gli faceva male la ferita o se iniziava a ricordare qualcosa e ogni volta lui rispondeva con una scrollata di spalle o un grugnito che alla ragazza sembrava bastare come risposta. Di merito le andava che con lei non si sentiva in obbligo di darle spiegazioni, non doveva parlare per forza, non si sorprendeva davanti ai suoi modi bruschi e anche se a volte sembrava intimorita lei non aveva paura di lui. James aveva imparato a riconoscere la paura negli occhi delle sue vittime ne poteva addirittura riconoscere l'odore alle volte, ma in lei non percepiva nulla di tutto ciò.
Ad un certo punto si divisero, lui sarebbe passato dalla finestra sul retro, si intrufolò nel vicolo dirigendosi alla stessa finestra da qui era entrato due notti prima.
Quel pomeriggio prima di uscire Alexis si era bloccata sulla porta ricordandosi di aver dimenticato la finestra aperta in camera.
"Non vorrei che qualcuno entrasse mentre sono via!" E cosi dicendo si era voltata nella sua direzione ed aveva sorriso con eloquenza.
Quel giorno avevano fatto l'errore di uscire insieme da casa e un'anziana vicina, evidentemente impicciona, li aveva intercettati sul vialetto e con un gran sorriso aveva chiesto: "Chi è questo bel ragazzo che ti accompagna Alexis?"
Senza esitazione la padrona di casa aveva mentito dicendole che lui era suo cugino venuto dal Texas. Per fortuna l'anziana signora non era a conoscenza dell'amnesia della ragazza e per fortuna Alexis sembrava essere una bugiarda di carriera.
Così ora si ritrovava ad aspettare fuori dalla finestra per poter entrare, guardò all'interno e non percependo la presenza della ragazza entro senza difficoltà in casa, usando come appiglio il davanzale, con un balzo fu all'interno e facendosi da parte permise ad Alexis di chiudere la finestra.
"Io vado a preparare qualcosa per cena, nel frattempo tu..."
James la vide bloccarsi nel momento in cui incrociò i suoi occhi.
Indecisa, si dondolò sul posto prima di proseguire. "Tu... Fai quello che fai di solito..." Si bloccò ancora. "Anche se non so cos'è che tu fai di solito..." Concluse prima di sparire dalla porta.
Per un attimo il ragazzo rimase immobile al centro della stanza, senza sapere bene cosa fare, si sentiva un po' fuori posto in quella casa, la tranquillità non faceva per lui. Abituato com'era a scappare sempre la tranquillità lo agitava, temeva sempre che qualcosa di improvviso potesse accadere e coglierlo impreparato, per questo restava sempre in allerta e con la guardia alta.
Si sfilò la giacca posandola sulla poltrona della stanza tendendo le orecchie in modo da captare ogni movimento proveniente dall'altra parte del corridoio.
Senti il frigorifero aprirsi, il rumore della stagnola accartocciata e buttata in un cestino ed infine un imprecazione.
"James?" La voce di lei gli arrivò ovattata alle orecchie.
Lo stava davvero chiamando?
Sospettoso, si avviò lentamente verso la cucina e quando fu sulla soglia rivolse un'occhiata interrogativa al suo sorriso imbarazzato.
"Potresti darmi una mano?" Domandò.
Si avvicinò cauto senza riuscire a capire cosa volesse e quando le fu di fianco Alexis alzò lo sguardo.
"Mi vergogno come una ladra a chiedertelo, ma non è che potresti si insomma... Aprirlo?" Gli porse un barattolo di salsa al pomodoro con una mano mentre teneva l'altra avvolta in un panno.
James afferrò il barattolo e senza il minimo sforzo lo aprì, glielo porse, senza perder tempo la ragazza lo svuotò all'interno della padella sul fuoco, nel giro di una manciata di secondi il profumo si sparse per la stanza. Un alone rosso attenuato dagli strati di tessuto sovrapposto attirò la sua attenzione. Le afferro la mano scostandogliela dal petto, scoprendo il taglio imbrattato di sangue fra il pollice e l'indice.
"Ho provato ad usare un coltello... Ma invece che aprire il barattolo ho rischiato di aprirmi una mano."
Tenendo ancora la sua mano fra le sue dita analizzo la ferita.
"Non sembra profonda." Analizzò sorprendendola ragazza per aver parlato.
"No, infatti... È solo un graffietto... Un paio di cerotti e sarà come nuova!"
Gli sorrise per l'ennesima volta continuando lasciare la mano fra le sue senza ritirarla, poi alla fine leggermente imbarazzato la lasciò andare.
"Se vuoi puoi sederti... Tempo cinque minuti e la cena è pronta. Io vado a cercare dei cerotti." Con calma si avviò verso la porta del corridoio e per la seconda volta la vide sparire dal suo campo visivo.
James doveva ammettere che Alexis sapeva decisamente cucinare, non che lui se ne intendesse poi granché, ma tenendo in considerazione come l'avevano abituato all'Hydra quella era decisamente un pasto più che degno di nota.
Come al solito non parlarono molto, solo ad un certo punto il soldato iniziò a sentirsi osservato. Cercò ostinatamente di non mostrare troppo interesse per lo sguardo altrui, continuando a mangiare imperterrito.
Solo quando percepì un movimento nel suo capo visivo e le sue orecchie percepirono chiaramente uno sbuffo divertito, James si decise ad incrociare i suoi occhi con fare seccato.
"Se ti piace come cucino io... Mi domando cosa ti davano da mangiare all..."
"Nutrirmi non era la loro preoccupazione principale. Fra le loro priorità c'erano l'elettroshock e l'assegnarmi missioni in omicide." Il messaggio celato nel tono velato di minaccia sembrò essere arrivato a destinazione perché Alexis sobbalzò.
Non aveva voglia di parlare e sembrava essere riuscito ad ammutolirla.
L'espressione di lei però non sembrava spaventata, ma rammaricata.
"Si, scusa... Hai ragione ho detto una cosa stupida."
Finirono il resto della cena in silenzio e la ragazza che gli sedeva di fronte all'altro capo del tavolo sembrò decidere di lasciarlo in pace sia con gli occhi che con la voce.
Un po' si pentì di averla trattata in quel modo, ma lui non era abituato a stare con le persone e soprattutto non voleva abituarsi.
Quelle poche ore con lei gli avevano donato un illusione di normalità pericolosamente allettante, ma James sapeva di non potersi assolutamente e in alcun modo abituare a quella realtà, non era destinata ad appartenergli e presto sarebbe tornato ad essere da solo, sapeva di essersi trattenuto anche troppo in quel posto. Quanto ci avevano messo quelli dell'Hydra a scoprire quel nascondiglio di barboni. Meno di 24h?
Non poteva rischiare ancora. Non poteva coinvolgerla, lei che non centrava niente con lui.
Quegli angosciosi pensieri lo innervosirono trasmettendogli l'impellente bisogno di metterla al corrente delle sue intenzioni.
"Domani me ne vado." Le comunicò bruscamente.
"Oh..." Era l'unico suono uscito dalle sue labbra.
Sembrava quasi delusa. Possibile?
Ella sembro accorgersi della sua espressione e raddrizzando la schiena si riprese.
"Non fraintendermi, sapevo che non saresti rimasto a lungo, però mi ero quasi abituata a te." Lo disse con leggerezza, come se fosse la cosa più naturale del mondo quella di convivere con un mercenario come lui.
Alexis non aggiunse altro e una volta finito il suo piatto iniziò con calma a liberare la tavola infilando i piatti in quel armese che lei la mattina prima aveva chiamato lavastoviglie, non sapendo cosa fosse quando lei glia aveva detto che se avesse avuto bisogno di qualche stoviglia una volta usata poteva lasciarla tranquillamente dentro al lavandino o nella lavastoviglie.
E lui così aveva fatto.
O meglio, credeva di averlo fatto, solo che aveva confuso la lavastoviglie con il forno, provocando uno scoppio di ilarità incontrollato da parte della padrona di casa. Lei si era subito scusata e gli aveva assicurato che non lo stava prendendo in giro, ma mentre lo diceva continuava a ridere risultando sempre meno credibile.
Comunque quella sera lei aveva liberato il tavolo tutto da sola e  nel giro di cinque minuti aveva sistemato tutto e poi si era avviata verso il soggiorno senza dire una parola e lasciandolo così solo con i suoi pensieri.
Anche se aveva deciso di andarsene da quella casa il giorno successivo, non sapeva ancora bene cosa fare, non sapeva se gli conveniva tentare di recuperare la memoria, visto che quei pochi brandelli che negli ultimi tempi avevano iniziato a tormentarlo, rivedeva i volti degli uomini che aveva ucciso, ricordava sprazzi di una guerra passata che sembrava aver vissuto in prima persona, ma soprattutto ricordava le sedute di elettroshock alle quali quei pazzi dei nazisti lo sottoponevano.
Il silenzio di quella stanza, rotto solo dal rumore della goccia d'acqua che imperterrita continuava a ticchettare sulla base del lavandino, lo stava mandando fori di testa.
Si avvicinò alla porta del piccolo soggiorno, ma bloccandosi sull'arco di essa non sapendo bene cosa fare, Alexis se ne stava seduta rannicchiata ad un'estremità del divano  sul quale lui aveva passato la notte.
Non voleva restare solo soprattutto se non aveva niente da fare, in quei momenti non riusciva a tenere sotto controllo i suoi pensieri e le immagini che gli comparivano davanti agli occhi.
Così ora si ritrovava sulla soglia della porta del salotto, indeciso sul da farsi.
Alexis se ne stava in silenzio con una coperta sulle gambe ed un libro fra le mani.
"Puoi entrare, guarda che non mordo."
Ancora una volta non si era voltata a guardarla e di nuovo lui era certo di non aver fatto rumore.
Senza nemmeno rendermene conto le gambe si mossero da sole fino al lato apposto a quello di lei del divano.
"Puoi sederti... Se vuoi." Aggiunse sollevando finalmente lo sguardo dalla pagina che stava leggendo in quel momento. James non replicò e semplicemente si mise a sedere affondando nei cuscini. Lei gli sorrise e poi tornò a leggere il libro, James diede un sguardo alla stanza senza farsi notare, quella stanza come quelle del resto della casa non era enorme, ma era accogliente il divano stava al centro e dava le spalle alla porta, sopra al tappeto era posizionato un tavolino basso pieno di cianfrusaglie: Giornali,  che sembravano più essere fumetti, fogli e libri.
Le pareti erano dipinte di  bianco come la maggior parte della casa, il pavimento in parquet era di colore chiaro. Dalla finestra filtrava la tenue luce dei lampioni che si riversava sulla libreria alta quadi fino al soffitto, al suo lato destro, la tv era appesa al muro, aveva lo schermo piatto e il registratore sotto ad essa segnava le 20:18.
Come in tutte le altre stanze, sui muri non c'erano foto, ma le pareti erano decorate da quadri di vario genere.
Sospirò lasciando andare il capo contro i cuscini, lasciando libero lo sguardo di seguire la crepa che attraversava tutto il soffitto e la mente di riempirsi di mille domande, immagini e pensieri.
Non si era mai sentito così smarrito in vita sua, prima non aveva il problema di dover decidere cosa fare il giorno dopo, lui aveva sempre seguito gli ordini, di era sempre comportato come una macchina, ma ora stava a lui decidere e dopo tutta la fatica fatta per riuscire a conquistare la liberta non se la sarebbe fatta più togliere da nessuno.
Perso nei propri pensieri si accorse con un paio di secondi di ritardo che la ragazza seduta di fianco a lui lo stava osservando.
Il soldato la guardò interrogativo.
"Posso farti una domanda?" Chiese la ragazza una volta ottenuta la sua attenzione. James sbuffò sospettava che se anche avesse riposto negativamente lei avrebbe chiesto lo stesso.
"Domani... Hai intenzione di andartene in mattinata?"
"Perché?" Domando circospetto.
"Perché potrei procurarti dei vestiti se decidessi di aspettare l'ora di pranzo..."
"Avevo intenzione di andarmene domattina all'alba." Rispose secco.
"D'accordo allora... Come non detto."
Sorrise imperterrita prima di tornare al suo libro. James rimase ad osservarla per un attimo, studiandola con attenzione prima che la sua attenzione venisse attirata dai rumori ovattati che arrivavano dalla televisione. Alexis doveva aver abbassato il volume per poter leggere tranquillamente, così l'enorme  esplosione alle spalle del prestante attore vestito di stelle e strisce risultò irrealmente silenziosa.
James osservò con aria smarrita lo scudo che l'uomo aveva lanciato contro un paio di soldati vestiti in maniera tremendamente somigliante a quella dell'Hydra.
"È il film che racconta la storia di Captain America..." La voce di Alexis gli arrivò in soccorso, dando una risposta a tutte le domande che gli affollavano la mente.
"Ci sei anche tu..." Con il dito indicò un altro giovane attore di fianco al protagonista.
James tornò a fissare allibito lo schermo.
Gli sembrava assurdo quello che stava vedendo. Qualcuno stava recitando la sua vita. Era incredibile come chiunque conoscesse la sua storia più di lui stesso. Un bambino sarebbe stato in grado di dirgli quando era nato e un vecchio quando era morto.
Era così frustrante da accettare.
Strinse i pugni e nello stesa istante vide il suo altr'ego precipitare giù per una gola innevata.
"Bucky noooo!"
Captain America gridava il suo nome nella sua direzione tendendo il braccio cercando, invano di salvarlo.
Non aveva nemmeno percepito l'impatto con il terreno, aveva sentito solo un freddo tremendo e un dolore lancinante al braccio sinistro, mente il colore della neve sotto di lui prendeva una colorazione insolita, tendente al rosso.
Delle voci gli si mischiarono nelle orecchie fino ad arrivargli al cervello e conficcandovisi come degli spilli.
Senti qualcuno afferrarlo per un braccio nel tentativo di riscuoterlo...
Reagì d'istinto senza neanche pensarci, fece scattare il braccio di metallo ad afferrare qualsiasi cosa o persona lo stesse toccando e strinse con forza.
"Stai bene?" Una voce femminile gli arrivò alle orecchie, cercò di riprendere il controllo su di se e finalmente riuscì a mettere a fuoco la figura della ragazza che gli stava a fianco.
"Scusa non volevo spaventarti... Solo che sembravi così sofferente..." Alexis parlò di nuovo nel tentativo di farsi ascoltare e finalmente James si rese conto che ciò che stava stringendo fra le dita metalliche non era nient'altro che il polso di lei.
La ragazza si lasciò sfuggire una smorfia di dolore e il soldato tardò ad allentare la presa sulla sua pelle.
"Tutto ok?" Domandò ancora.
Ormai aveva capito che in quella ragazza non c'era niente di normale, ma per l'ennesima volta la sua reazione lo lasciò spiazzato. Non sembrava ne arrabbiata ne spaventata, due reazioni che sarebbero state perfettamente giustificate in una situazione del genere, e invece lei sembrava solo preoccupata.
La osservò mentre si massaggiava distrattamente il polso con l'altra mano e teneva lo sguardo fisso sul suo.
Si passo una mano sul viso finendo poi nei capelli che tirò leggermente indietro nel tentativo di distogliere anche solo per un istante la sua attenzione da tutte quelle immagini.
"Non c'è niente che vada bene..."
Alexis sospirò. "Mi dispiace... Posso solo immaginare come ci si senta." Restarono in silenzio guardandosi negli occhi. Sospettava che invecelei riuscisse a capirlo meglio di chiunque altro
La vide posare il libro sul tavolino di fronte a lei alzandosi in piedi. "Vado a dormire... E dovresti provarci anche tu." Si avvicinò alla porta per lasciare la stanza, ma poco dopo si bloccò.
"Prima di andartene... Se ti serve qualcosa dimmelo o se non vuoi parlare con me, prendilo e basta, non farti problemi..." Fece una pausa, e sembrò trovarsi improvvisamente a disagio. "Allora buonanotte." E sparì oltre la soglia.
James restò di nuovo solo con i suoi pensieri a fissare lo schermo della televisione che la padrona di casa aveva spento prima di lasciare la stanza.
Ancora sotto shock per aver visto parte della sua vita proiettata su uno schermo, alla fine decise di seguire il consiglio datogli dalla ragazza. Afferrò la coperta che fino a poco fa aveva usato lei e dopo essere liberato della maglietta per stare più comodo si sistemò sui cuscini.
Chiuse gli occhi e un odore inatteso gli solleticò le narici, era dolce e fruttato ed anche leggermente aspro. Si rese conto che i cuscini, la coperta ed anche il divano sapevano di lei, senza rendersene conto inspirò più a fondo lasciandosi cullare da quella fragranza che gli sembrò assurdamente familiare, lo rilassò inaspettatamente e avvolto da uno strano calore chiuse gli occhi e senza nemmeno rendersene conto scivolò in un sonno senza sogni.


 
 
Angolo "autrice"
Buona sera a tutti, o buona notte, non lo so decidete voi.
Sono un po' in ritardo lo so e mi scuso, ma la mia camera, in cui è contenuto anche il pc è rimasta inagibile fino al tardo pomeriggio e poi sono dovuta andare a lavoro e solo ora sono riuscita a usarlo. Comunque sono lieta di annunciare che è ancora il primo agosto e io sono quasi puntuale! Festeggiamo su!!!
Passando al capitolo, non ho granché da dire... I due si incontrano, "interagiscono" se così si può definire la loro giornata e James inizia a ricostruire pian piano la sua memoria. Per ora sembra essere tutto tranquillo... Ma chissà se sarà così ancora per molto.
Ora chiudo perché ho sonno e rischio di addormentarmi sulla tastiera.
Mi scuso se ci sono errori nel testo, ma ho sonno, sono pigra e non ho voglia di rileggere, se ne trovate qualcuno, vi prego di segnalare, provvederò a correggere.
Ringrazio tutti quelli che leggono questa storia, chi l'ha inserita fra le seguite\ricordate\preferite e naturalmente un grazie infinito a chi recensisce. Sappiate che non mordo e se c'è chi ha anche qualche critica sarò pronta ad "ascoltare".
Ora vi saluto sul serio, buonanotte e alla prossima settimana (spero).
Baci Lucy <3

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Capitolo 5
*** Runaway ***


"Il secondo piano a destra!" Rispose sorridendo all'ennesima persona che quella mattina le aveva chiesto un'indicazione, quella volta era stato il turno dell'oculista, l'anziana vecchietta aveva aveva stretto lo sguardo nonostante le spesse lenti della montatura all'ultima moda che indossava.
Guardò l'orologio e terminate le ultime venti fotocopie si fiondò dentro il suo stanzino per cambiarsi, doveva tornare a casa in fretta se voleva sperare di trovarlo ancora lì.
Con sua somma sorpresa quella mattina aveva ritrovato James ancora addormentato sul divano. Lui stesso aveva affermato che sarebbe partito all'alba del giorno dopo, certo lei quella mattina si era alzata alle sette, e non per controllare se lui se ne fosse andato o meno, ovviamente no. Indipendentemente da questo Alexis quella mattina era arrivata al lavoro con un largo anticipo.
Così ora non vedeva l'ora di tornare a casa e naturalmente non perché sperava che lui fosse ancora li.
Fatto sta che ora si sentiva stranamente agitata, come lo era stata tutta la mattinata del resto. Appena arrivata si era dedicata all'incursione nel guardaroba approfittando del fatto che Joe avrebbe iniziato il suo turno solo molte ore dopo il suo arrivo, non voleva che gli facesse altre domande. Cosa si sarebbe potuta inventare questa volta? Che voleva ridipingere tutto il vicinato?
Si sfilò di corsa la maglia a manica lunga  che indossava per lavorare e la sostituì con il maglione che era attaccato alla stampella e per la fretta una maglia dello stesso le resto impigliata al fermaglio con cui quella mattina si era sistemata i capelli.
Imprecò silenziosamente mentre si cercava di liberarsi febbrilmente da quella trappola diabolica.
Doveva darsi una calmata.
Si sentiva come se quella mattina invece di spegnere la sveglia avesse infilato le dita nella presa della corrente. Era sicuramente colpa del fatto che James si ostinasse a dormire solo con indosso i pantaloni, che lei si ritrovava in quello stato pietoso.
O forse era solo stanca, si era solo stanca decise.
"Ehi, vai di fretta?" Sharon le comparve come al solito alle spalle e Alexis sobbalzò.
"Devi smetterla di comparirmi così all'improvviso alle spalle."
"Scusa..." La schernì giocosamente. "Ma cosa ne so io che la smemorata in questi giorni è tesa come una corda di violino."
"Ma smettila!"
"Perché non ti fai un po' sciogliere dal tuo nuovo amichetto?" La provocò di nuovo l'infermiera con fare malizioso.
Alexis la fissò incredula. "Ancora con questa storia?"
"Certo che si! Te l'ho detto che non me l'avresti data a bere."
Alexis rise.
"Peccato che tu sia completamente fuori strada!"
"Si certo continua pure a negare! Ma con me non attacca. Sono due giorni che ti vedo con la testa fra le nuove."
"Sono solo stanca!" Rispose rafforzando così la sua tesi.
"Ma se oggi non hai fatto altro che correre avanti e indietro come una trottola!"
"E infatti ora sono stanca!"
Sharon incrociò le braccia al petto con fare dubbioso.
"Davvero... Non c'è niente... E nessuno." Ribadì mentre si sistemava il colletto del maglione.
"Ehy... Ma cos'hai al polso?"
Cazzo.
Doveva rimanere calma.
"Questo dici?" Domandò con noncuranza indicandosi la parte lesa. "Ho solo sbattuto..."
Gli si era formato un vistoso livido violaceo dove l'aveva afferrata James la sera prima.
Le aveva dato noia tutto il giorno, non sapendo bene come muoverlo per ogni movimento di troppo sentiva dolore, se avesse stretto un po' di più probabilmente glielo avrebbe rotto.
"... Ti picchia?" Alexis afferrò solo le ultime due parole di ciò che le stava dicendo la sua amica.
"Di che stai parlando?" Domandò confusa mentre scrutava l'espressione preoccupata dell'infermiera.
"Di te! Ti ho chiesto se non vuoi parlarmi del tipo che hai conosciuto perché ti picchia!"
Alexis spalancò la bocca incredula. Adorava Sharon, solo che ogni tanto lavorava troppo di fantasia, anche se di nuovo in un certo senso ci aveva preso. Alexis si massaggiò la radice del naso con il pollice e l'indice prima di rispondere alla sua fin troppo perspicace amica.
"Sharon..." Pronunciò stancamente. "Non mi vedo con nessuno, non ho una relazione con qualcuno e soprattutto... Non ho un uomo che mi picchia. È chiaro?" Concluse, mortalmente seria.
"Sicura?"
Alexis alzò gli occhi al cielo. "Si... Ne sono sicura.", "Posso andare ora?" Domandò dopo un attimo di silenzio.
A quel punto Sharon fece qualcosa di assolutamente inaspettato in quel momento, e la abbracciò.
"Lo sai che ti voglio bene e che se mi comporto così è solo perché mi preoccupo?"
"Si lo so... Solo che a volte sei un tantino esagerata. So cavarmela, non stare troppo a preoccuparti per me!"
"Ok, cercherò di smettere di fare la mamma!"
Le sorrise di rimando e con la mano destra afferrò la tracolla con dentro i vestiti che era abbandonata per terra di fianco a lei.
Chiuse a chiave l'ufficio del ticket e solo dopo aver salutato tutti i pochi rimasti nella hole dell'ospedale si avviò verso casa.
Per tutto il tragitto dall'ospedale a casa Alexis non riusciva a smettere di chiedersi per quale motivo ci tenesse tanto ad aiutare James. In fondo lui era pericoloso, era un assassino, un mercenario che per anni aveva spezzato vite in nome dell'Hydra, chissà con quanto sangue innocente si era macchiato le mani.
Non sapeva spiegarsi il perché, ma sentiva di doverlo fare. Forse per sdebitarsi in qualche modo con il destino che con lei era stato magnanimo nei suoi confronti e che le aveva fatto incontrare delle persone fantastiche che si erano prese cura di lei guidandola per mano nel ricostruirsi una vita con dei bei ricordi, invece per James era stato diverso, strappato da un'epoca per essere usato come arma in una guerra che non era nemmeno la sua, non aveva nessuno era solo e lei si sentiva in dovere di aiutarlo.
Ogni giorno da quando aveva lasciato quella camera d'ospedale conviveva con quel sentimento di malinconia che l'accompagnava quotidianamente, viveva la sua vita come se fosse tutto un'eterna domanda per la quale non esisteva risposta, sentiva di aver lasciato indietro qualcosa di troppo importante per essere dimenticato e ora dopo aver incontrato il soldato, per qualche assurdo ed insensato motivo aveva come la sensazione che aiutando lui avrebbe iniziato ad ottenere qualche indizio.
Appena messo il naso fuori dall'uscita della metro le nuvole temporalesche la accolsero con la silenziosa minaccia di riversarle addosso tutta la loro ira da un momento all'altro. Affrettò il passo avviandosi lungo il viale che da li a cinque minuti l'avrebbe portata davanti al portone di casa sua.
Gli alberi ormai spogli spuntavano qua e la fra le mura dele diverse palazzine che circondavano casa sua, il marciapiede leggermente crepato in più punti si arrestava a pochi isolati dalla zona residenziale.
Casa sua non era diversa dalle altre, la palazzina un po' malconcia che ospitava il suo appartamento aveva le pareti esterne color grigio topo e la vernice degli infissi bianchi delle finestre era danneggiata in più punti.
Senza perdere altro tempo infilò la chiave nelle serratura del portone, una volta dentro imprecò un paio di volte non riuscendo a trovare la chiave giusta per la porta di casa. Cercava di essere il più ordinata possibile in casa, ma quando si trattava della sua borsa sembrava che gli oggetti giocassero a nascondino andandosi a cacciare nei posti più impensabili. Dopo un paio di minuti buoni finalmente riuscì a scovare il portachiavi con la coccinella e ad entrare in casa.
Come la sera precedente, anche quel giorno la trovò stranamente silenziosa ed apparentemente vuota, poi però notò il borsone parzialmente pieno abbandonato al lato della porta.
Quella mattina prima di andare in ospedale aveva lasciato un biglietto a James, in cui gli diceva che avrebbe potuto usarlo per metterci tutto ciò che voleva. Magari se l'avesse aspettata gli avrebbe dato anche quei pochi vestiti che era riuscita a sgraffignare quella stessa mattina.
Certo, il fatto che il borsone si trovasse ancora li poteva stare a significare che lui l'aveva bellatamene ignorata e che se ne era andato nello stesso modo in cui era arrivato, cioè senza niente, oppure, nel più remoto dei due casi l'aveva aspettata.
Non dovette aspettare molto per scoprirlo, cogliendo perfettamente un rumore di passi provenire dalla camera da letto e in una manciata di secondi si ritrovò a sorridere di fronte all'espressione quasi colpevole del soldato.
"Credevo che te ne fossi andato."
"Stavo per farlo. Se avessi tardato un altro paio di minuti non mi avresti trovato."
Alexis non rispose, limitandosi a gettare un'occhiata alle sue spalle.
"Che ci facevi in camera mia?" Domandò.
"Sono rientrato dalla finestra."
"Rientrato?"
Il soldato si irrigidì, palesemente seccato da tutte quelle domande, ma alla ragazza non interessò.
"Sono dovuto uscire. Mi serviva una cosa."
James si strinse nel giubbotto verde che lei stessa gli aveva procurato il giorno prima e rimase a fissarla per alcuni secondi prima di parlare.
"Senti... Io volevo..."
Alexis lo bloccò alzando le mani davanti al viso. Non voleva sentirsi dire grazie.
"Se stai per ringraziarmi, sappi che non devi farlo. Non ho fatto niente."
L'aveva aiutato perché sentiva il bisogno di farlo, non perché voleva sentirsi dire grazie. Sorrise incrociando le braccia sotto al seno e fu a quel punto che notò lo sguardo di James posarsi sul suo polso destro.
Allungò la mano per sfiorarle appena la pelle e Alexis trasalì.
"Mi dispiace per questo... Non volevo."
La diretta interessata scrollò le spalle. "Non è niente. Passerà."
Calò di nuovo il silenzio e nessuno dei due seppe più cosa dire, Alexis vide James passarsi nervosamente la lingua fra le labbra e lei stessa dovette abbassare lo sguardo. Si sentiva decisamente in imbarazzo.
"Ora me ne vado." Alla fine fu lui a muoversi e superandola si chinò per raccogliere il borsone da terra. E scrollandosi, finalmente da dosso l'imbarazzo anche Alexis riuscì a muoversi ruotando su se stessa per poterlo di nuovo guardare in faccia.
"Beh, buona fortuna." Sorrise.
E poi successe.
Tutto all'improvviso.
Fece appena in tempo a registrare lo sguardo allarmato di James, che si sentì tirare bruscamente di lato per poi ritrovarsi schiacciata contro la schiena del soldato. Il suono di un sparo le fece dolere le orecchie, trovandosi poi ad agire d'istinto prendendosi la testa fra le mani prima che un nuovo colpo di pistola esplodesse dall'arma che il soldato impugnava con la mano libera.
Sollevò appena lo sguardo oltre la spalla del ragazzo che le stava facendo da scudo con il corpo, giusto per vedere cosa stesse succedendo li dentro, ma l'unica cosa che riuscì a mettere a fuoco furono gli occhi azzurri di James, che aveva voltato solamente il capo.
"Stai bene?" La sua voce le arrivò ovattata alle orecchie, che continuavano ad essere invase da un fastidioso e continuo ronzio. Annuì meccanicamente, James non sembrò crederle granché, ma non ebbe il tempo per verificarne le condizioni che dovette allontanarsi in fretta da lei. Alexis si guardò intorno spaesata, chiunque fosse entrato in casa sua doveva essere arrivato dalla stessa finestra dalla quale era arrivato James due giorni prima, guardo la figura dell'uomo steso a terra, probabilmente morto, e la chiazza di sangue che si andava allargando sotto di lui, macchiando irrimediabilmente il parquet, gli occhi vitrei e l'espressione spenta.
Alzò lo sguardo per posarlo sulla scena che aveva davanti agli occhi, un altro uomo giaceva a terra privo di sensi ed un terzo era impegnato in un corpo a corpo con il soldato. Quell'uomo sembrava addestrato, nonostante James fosse in netto vantaggio su di lui si vedeva che sapeva quel che faceva, un militare forse, magari un mercenario al soldo dell'Hydra che aveva scoperto dove James si nascondeva, ma non ebbe il tempo di osservare maggiormente il combattimento, ne di fare qualcosa che si sentì per la seconda volta nel giro di pochi istanti, strattonare indietro, questa volta però per la gola. Un quarto uomo l'aveva assalita alle spalle circondandole il collo con un braccio ed aveva iniziato a stringere, istintivamente aveva insinuato un una mano fra il suo collo e il braccio dell'uomo, permettendo all'ossigeno di continuare ad arrivare al cervello e finalmente riuscì a riprendersi dallo shock iniziale. Senza pensarci ed utilizzando tutta la forza che aveva tirò una gomitata fra le costole al suo aguzzino, che accusando il colpo allentò la presa su di lei e Alexis non si lasciò sfuggire l'occasione. Agilmente sguscio via dalla sua presa e si allontanò da lui precipitandosi verso la cucina ed afferrando la prima cosa capitatale sotto mano sferrò un colpo alla ceca sentendo il rumore dei passi del suo aguzzino farsi di nuovo vicini.
Mentre con il fiato corto brandiva la padella utilizzata come arma cercò di riprendere fiato cercando di mantenere salde le gambe che minacciavano di cedere sotto al suo peso da un momento all'altro e tenendo lo sguardo fermo sull'uomo privo di sensi ai suoi piedi, cercò di respirare ad un ritmo più umano e scostandosi i capelli dal viso lasciò cadere a terra con un gran fracasso la sua arma di fortuna.
Alzò il capo e davanti a se inquadrò la figura di James che la osservava incredulo.
"Che c'è? Siete voi uomini a dire sempre che il posto di noi donne è in cucina!"
James non le rispose e scavalcando il corpo steso a terra si avvicinò a lei afferrandola per le spalle.
"Stai bene?" Le domandò di nuovo guardandola negli occhi.
"Si... Più o meno, credo."
James la lasciò e voltandole le spalle lo sentì imprecare. "Merda!" E così dicendo sparì oltre la soglia.
 
James si maledì di nuovo per la sua incoscienza. Era stato un veto idiota ad aspettare di andarsene da quella casa, non doveva andare così.
Che diavolo gli aveva detto il cervello? Se ne sarebbe dovuto andare da li non appena fosse stato in grado di reggersi in piedi, e invece no! Aveva aspettato ed ecco come era andata a finire, ora per colpa sua avrebbero cercato anche lei che non c'entrava niente con lui.
Imprecò di nuovo mentre recuperava il borsone abbandonato sul pavimento. Dovevano andarsene.
In fretta tornò da lei che stava ancora appoggiata al bancone della cucina visibilmente scossa. Quando di accorse di lui cercò di raddrizzare la schiena e le spalle.
"Devi andartene!" Esclamò.
Non c'era risentimento o accusa nelle sue parole, ma solo preoccupazione.
"Dobbiamo andarcene." La corresse.
Alexis lo guardò confusa. "Si... Me ne andrò anch'io, ma tu ora devi sbrigarti!! Potrebbero tornare!"
"Non hai capito, tu vieni con me!"
La ragazza vacillò, evidentemente colta di sorpresa.
"Cosa? No!" James strinse i pugni sentendosi terribilmente infastidito dalle sue infantili proteste. "Non posso venire con te! Ti sarei dolo di intralcio ti rallenterei!" Disarmato il soldato la fissò senza parole.
Si trovava in quella situazione per colpa sua e l'unica preoccupazione che aveva era che gli sarebbe stata di intralcio durante la fuga.
Ma non gli importava di morire?
"Non sopravvivesti un'ora da sola se quelli dell'Hydra ti cercano!" Sempre che poi quelli che aveva in casa fossero davvero membri dell'Hydra. Chissà con che tipo fi gente erano entrati in contatto pur di catturarlo.
"Si ma tu hai più possibilità senza di me!"
Come faceva ad essere così cocciuta. James le si avvicinò di nuovo.
"Tu verrai con me. Ti devo la vita, non ti lascerò qui a morire."
Si fissarono intensamente negli occhi per alcuni istanti. Se lei avesse di nuovo rifiutato di seguirlo, l'avrebbe costretta a farlo con la forza. Alexis sembrò pensarci ma alla fine annuì. "D'accordo. Prima però fammi prendere un paio di cose."
Il soldato scosse la testa. "Non abbiamo tempo, potrebbero tornare."
Alexis si torturò il labbro inferiore con i denti. "Lo so, ma ci metterò un attimo te lo giuro!" La ragazza attese il suo consenso ed alla fine James cedette lasciandola passare.
Lei non se li fece ripetere due volte e in un attimo sparì oltre la porta della cucina. Nel frattempo James decise di recuperare le quattro cose che la padrona di casa le aveva procurato sul posto di lavoro, ficcandole frettolosamente dentro al borsone. Contemporaneamente Alexis ricomparì davanti ai suoi occhi tenendo in una mano un paio di vestiti ed una busta di carta e stringendo sotto braccio quello che sembrava l'occorrente per il primo soccorso, in testa aveva lo stesso cappello che aveva utilizzato lui il giorno prima, sotto il quale aveva nascosto i capelli. Una volta riempito lo zaino se lo mise in spalla e seguendo i suoi spostamenti vide Alexis afferrare ed infilarsi la giacca abbandonata all'ingresso, James la segui ed insieme varcando l'ingresso.
La situazione era peggiore di quello che si aspettava.
Una volta usciti da casa percepirono entrambi il suono delle sirene della polizia, qualcuno doveva aver avvertito le forze dell'ordine dopo aver sentito gli spari. A peggiorare la situazione c'erano quei due tizi che camminavano verso di loro. Erano decisamente sospetti. I loro movimenti erano troppo rigidi il passo troppo misurato, cercavano di muoversi con naturalezza, ma così facendo risultavano finti. Quando i due si accorsero di loro si guardarono per una frazione di secondo che a James bastò per capire.
L'avevano riconosciuto.
"La metro." Suggerì la sua compagna che evidentemente aveva anche lei notato qualcosa di strano. "Anche se ci avessero riconosciuto non potrebbero fare granché in mezzo a tanta altra gente!"
"Muoviamoci."
Affrettarono il passo durante quei pochi metri che li separavano dal passaggio sotterraneo, fecero di corsa le scale urtando i pendolari che salivano o scendevano la scalinata. Quella doveva essere l'ora di punta perché l'aria fredda e umida che si respirava la sotto era satura e i tunnel erano strapieni di gente, sembrava di essere in un formicaio.
"Di qua, la linea verde porta fuori città." Lo richiamò guidandolo verso il secondo binario. James si guardò indietro individuando fra la folla i due uomini di poco prima che si guardavano intorno freneticamente a pochi metri da loro.
Avevano qualcosa di strano, sembravano diversi.
Seguendo la ragazza si intrufolarono in mezzo ad un gruppo di pendolari che attendeva l'arrivo del treno. Il soldato slacciò la cerniera del cappotto portando involontariamente una mano sull'impugnatura della pistola che portava infilata nei pantaloni. Se fosse stato necessario si sarebbe difeso.
"Aspetta." La mano della ragazza che gli stava a fianco
Si posò sul suo polso cogliendolo di sorpresa.
James si voltò verso di lei abbassando lo sguardo alla sua altezza.
"Non ce ne sarà bisogno." Con un gesto del mento indico il convoglio che era in procinto di arrivare. Restando allerta il soldato non allontanò la mano dall'arma e la ragazza fece altrettanto lasciando la sua li dove si trovava.
James continuava a tenere d'occhio i due uomini che avevano preso a muoversi nella loro direzione e Alexis segui con lo sguardo il convoglio che si avvicinava una volta aperte le porte meccaniche i due furono i primi ad entrare venendo travolti dalla ressa di passeggeri che li costrinse ad addossarsi alla parete opposta della carrozza, James sollevò il braccio per aggrapparsi ai sostegni del soffitto guardandosi intorno quando improvvisamente senti la mano di lei afferrargli un lembo della giacca facendolo voltare verso di se, in un battito di ciglia si sciolse i capelli e posò il cappello sulla sua testa, James la scrutò confuso un momento prima che lei gli si avvicinasse e accostandosi al suo orecchio gli sussurrò. "Sono dietro di te!"
Il soldato lanciò al volo un'occhiata alle sue spalle prima di abbassare lo sguardo su di lei. I due uomini erano alle loro spalle all'esterno, sul marciapiede intenti a guardare a destra e a manca nel tentativo di individuarlo, ma fortunatamente non riuscirono ad indentificarli.
James si spostò ulteriormente dando completamente le spalle alla parete di vetro in modo da nasconderla completamente dall'esterno.
Erano vicini, l'uno di fronte all'altra con i loro petti che si sfioravano, Alexis teneva lo sguardo basso mentre con una mano si reggeva al palo al lato del vagone, James sempre di fronte a lei non aveva mai tirati fuori la mano metallica dalla tasca del giubbotto e non lo fece nemmeno quando il convoglio partì, e Alexis urtata da un altro passeggero gli finì addosso poggiandogli le mani sul petto per non perdere l'equilibrio. Quando il passeggero si scusò con lei finalmente la ragazza si allontanò da lui, per quanto la presenza degli altri passeggeri glielo permettesse, farfugliando un qualcosa di molto simile alle scuse per essergli caduta addosso.
Studiandone il volto gli sembrò di cogliere con lo sguardo una nota di rossore sulle sue guance. In effetti l'aria in quelle quattro lastre di metallo era decisamente troppo alta.
James iniziò a guardarsi intorno in cerca di eventuali pericoli, fortunatamente si trovavano entrambi vicino all'uscita, una via di fuga abbastanza rapida.
Lasciò vagare lo sguardo intorno a se alla ricerca di un posto per sedersi, doveva pensare.
La sua idea era quella di sopravvivere in qualche modo e sperare che con il tempo il mondo si dimenticasse di lui, ma a quanto pare erano in molti quelli contrari alla sua idea, così dopo aver visto la sua immagine su quel pannello aveva deciso di provare a rimettere insieme i pezzi della sua vita e del suo passato, ma ora con lei sarebbe stato tutto più difficile. Sospirò lasciando andare il capo contro il palo di sostegno dietro di lui.
Il treno sfreccio per le vie sotterranee per diversi minuti senza fermarsi finché alle prime stazioni il vagone non iniziò a svuotarsi.
"Scendiamo." Sentenziò avvicinandosi a lei.
Alexis non se lo fece ripetere una seconda volta e in un batter d'occhio gli fu accanto.
James aveva bisogno di pensare e tutta quella gente non lo aiutava di certo, scesero ad una delle prime stazioni e si sedettero ad una delle panchine ai lati dei binari.
"Ora che facciamo?" Domandò la ragazza, dando voce allo stesso interrogativo che tormentava la mente di James.
Il soldato sollevò il capo guardando dritto davanti a se.
"Non ne ho idea..." Ammise. "Il piano era di tornare nel posto in cui è iniziato tutto e cercare di recuperare qualche pezzo, ma ora..."
"Con me è tutto più difficile..." Lo dice con sincerità Alexis, senza rancore o risentimento, semplicemente sembra rendersi conto che quella è l'unica verità, e come al solito James non può fare a meno di restare meravigliato da questo lato del suo carattere.
"Facciamolo lo stesso!" Esclama a bruciapelo cogliendolo di sorpresa. Il soldato non può fare a meno di osservarla con un sopracciglio inarcato, credendo di non aver capito bene.
"Vuoi tornare da dove sei venuto no?" Gli chiede voltandosi completa verso di lui. "Vuoi recuperare i tuoi ricordi e io posso provare ad aiutarti! Tanto quali sarebbero le alternative? Scappare senza avere una meta cercando solo di sopravvivere, se vengo con te almeno avremmo uno scopo!"
James ci pensò su, in fondo non aveva tutti i torti, non l'avrebbe lasciato sola al suo destino questo era poco, ma sicuro e in fondo era tutta colpa sua se si trovavano in quella situazione, era colpa sua e di quello strano istinto che gli aveva impedito di lasciare quella casa.
"Lo sai si che dove andremo è uno dei primi posti in cui l'Hydra, avrà cercato e tornerà a cercare?"
Era certo che lo sapesse, ma non faceva di certo male mettere le cose in chiaro ancora una volta.
Alexis sospirò. "Tanto sarei in pericolo lo stesso no?", "Dov'è che volevi andare?"
"Volevo tornare a casa."
"A Brooklyn..."
James aveva smesso ormai di stupirsi che lei sapesse così tanti dettagli sulla sua vita, ormai aveva imparato che chiunque sapeva più di lui sul suo conto.
Annui stancamente. "Sai come arrivarci?" Le domandò.
"So che ci vogliono più o meno tre ore di macchina!"
"Dovremmo procurarcene una allora." Disse alzandosi i piedi ed avviandosi verso l'uscita della metro.
"Intendi noleggiarla?" Gli domandò a sua volta Alexis alzandosi in fretta in piedi per non rimanere indietro
"No, intendo rubarla."
"Oh, certo. Domanda stupida!"
Con la borsa in spalla James salì in fretta le scale e quando furono di nuovo alla luce del sole il soldato dovette ripararsi gli occhi con un braccio e abbassò lo sguardo.
Quando i suoi occhi si furono abituati alla luce del sole si guardò intorno, non sapeva nemmeno dove fossero, ma sapeva che avevano bisogno di un mezzo per spostarsi.
"Andiamo." Ordinò alla ragazza che lo seguiva senza nemmeno degnarla di uno sguardo. Si infilarono in uno dei tanti vicoli alla ricerca di un'auto, ce ne erano diverse accostate al muro e James andò dritto verso una delle prime.
"Fermati!" Esclamò Alexis a bassa voce afferrandolo per il braccio metallico. "Quella ha l'antifurto!"
James la guardò confuso.
"Tralasciando il fatto che è troppo costosa per non averlo..." Gli spiegò. "Vedi quella lucetta rossa che si accede e si spegne? Ecco se provi a rubarla quel coso si attiva facendo un gran fracasso!"
La ragazza gli lanciò un ultimo sguardo divertito prima di dirigersi verso la quarta auto della fila. "Ora so che hai buon gusto in fatto di motori, ma mi dispiace per te, questo è ciò che possiamo permetterci ora!" Affermò indicandogli un'utilitaria verde.
Il ragazzo storse il naso infastidito dal suo chiacchiericcio, ma non perse tempo nel ribattere e si avvicinò alla macchina.
Lanciò un paio di occhiate a destra e a sinistra assicurandosi che non ci fosse nessuno in giro e quando fu sicuro di non ricevere brutte sorprese diede un pugno al vetro con il braccio metallico e una volta aperta la portiera mollò malamente a terra lo zaino per trafficare con i fili elettrici e dopo un paio di tentativi finalmente l'auto si mise un moto.
Se fosse stato da solo non si sarebbe preoccupato di rubare qualcosa con o senza antifurto, di solito non gli importava di venir scoperto, ma ora non era più da solo.
"Sai guidare?" La ragazza sobbalzò a quella richiesta, ma poi alla fine annui.
James si guardò di nuovo in giro e velocemente salì in macchina.
"Sai come arrivare a Brooklyn?" Le chiese ancora.
Alexis annui di nuovo.
"Ci sono stata un paio di anni fa..."
Con qualche strattone e alcune difficoltà, la ragazza riuscì ad uscire dal parcheggio per poi rivolgergli un'occhiata imbarazzata. "Sono un po' arrugginita, ho la patente, ma da quando ho scoperto la metro, le auto non sono più stare il mio mezzo preferito..." Alexis si bloccò notando la sua espressione. "E a te, giustamente non interessa, scusa faccio silenzio."
Restarono in silenzio mentre l'auto si immetteva nel traffico, dopo le prime difficolta alla guida, Alexis sembrò rilassarsi ed acquistare sicurezza.
James guardò fuori dal finestrino osservando il paesaggio che scorreva veloce sotto ai suoi occhi, il viso delle persone perse presto consistenza e i fili d'erba dei giardini che stavano percorrendo diventarono presto tutt'uno.
Sarebbe stato un lungo viaggio.


 
 
Angolo "autrice"
Saaaalve! Sottolineando il fatto che sono quasi puntuale, vi sottopongo il nuovo capitolo.
Che dire... Degli uomini, presumibilmente, dell'Hydra hanno fatto irruzione in casa della nostra malcapitata, costringendo entrambi i nostri protagonisti a darsela a gambe e cercare di sopravvivere.
Vorreri ricordare a tutti che l'habitat della donna è la cucina proprio perché essa è piena di armi, e se non mi credete chiedete a quel poveraccio che si è beccato una padellata in testa da Alexis XD
*lasciate ogni speranza o voi che entrate*
E dopo la citazione dantesca direi che posso anche dissolvermi nel nulla, non prima però di aver ringraziato tutti quelli che leggono\seguono\preferiscono\ricordano questa storia, sappiate che vi voglio bene e che se prima o poi vorrete farmi sapere cosa ne pensate di questa storia mi rendereste davvero molto felice.
Ho dimenticato di dire che nello scorso capitolo ho messo varie citazioni di entrambi i film solo che poi mi sono dimenticata di dirlo, che volete farci la testa ce l'ho pe impiccio.
Ora vi saluto, sapendo che ho di nuovo dimenticato qualcosa, vi aspetto al prossimo capitolo che forse sposterò a domenica o lunedì prossimo, per causa lavoro.
Alla prossima, baci Lucy <3
(segnalate e perdonate come al solito eventuali errori.)

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Capitolo 6
*** You are crazy! ***


*Direi che qui il titolo dice tutto XD*

Il viaggio verso Brooklyn era stato tutto sommato tranquillo, non avevano parlato molto, anzi a dire la verità quasi per niente, giusto un paio di volte James era stato obbligato ad aprire bocca per fargli notare le pattuglie di polizia ai lati della strada intente a svolgere i controlli di routine, per fortuna nessuno li aveva fermati e nei casi in cui si rendevano conto dirischiare troppo decidevano di cambiare strada.
Quando attraversarono il ponte di Brooklyn il sole stava ormai tramontando tingendo così i fili e le lamiere di quell'imponente costruzione architettonica, di una tenue luce rossastra.
Il soldato osservò stupito tutto quel cemento e tutti quei cavi che tenevano in piedi la costruzione più grande che avesse mai visto in vita sua, non che ne avesse viste chissà quante. O più plausibilmente ne aveva viste a bizzeffe e semplicemente non se lo ricordava.
Senti gli occhi della ragazza seduta dall'altro lato, su di se, ma quando si girò la trovò  intenta a tenere lo sguardo fisso sulla strada davanti a se.
Non gli chiese nulla e James gliene fu immensamente grato.
"Siamo quasi arrivati, ora dov'è che devo andare?"
James frugò in una delle tasche del suo giubbotto turandovi fuori un pezzo di carta su cui era scritto lo stesso indirizzo che aveva letto il giorno prima al museo.
Glielo porse e una volta letto l'indirizzo la ragazza iniziò ad addentrarsi per le vie del quartiere.
"È qui..."
Alexis parcheggio ad alcuni isolati di distanza, spense il motore e lasciò andare la schiena contro lo schienale del sedile.
"Che facciamo adesso?" Chiese Alexis.
"Aspettiamo..."
Alexis sbuffo, ma non sembrava intenzionata a protestare, solo ad un certo punto, passata una buona mezz'ora dal loro arrivo la ragazza parlò di nuovo. "Senti non so tu, ma io ho fame! Vado a comprare qualcosa da mettere sotto ai denti."
James la bloccò per un braccio poco prima che aprisse lo sportello. "Ci staranno cercando, sei scomparsa ed ho ucciso un uomo in casa tua, non hai bisogno che qualcuno ti cerchi anche per furto!"
Alexis si liberò dalla sua presa, guardandolo scocciata.
"E quindi cos'hai intenzione di fare? Non mangiare per il resto dei nostri giorni? Tu sarai anche abituato al digiuno, ma io no! E poi chi ha parlato di furto?" Slacciò la cintura e sporgendosi verso i sedili posteriori tirò fuori la busta dal al borsone. "Cosa credi che  contenga questa?" Chiese sarcastica.
"Non ruberò niente, non se ho i soldi per pagare!"
James era titubante a lasciarla andare.
"Guarda, li ce un alimentari!" Indicò il piccolo negozio alla loro destra. "Ci metterò cinque minuti e starò attenta..."
Restarono in silenzio per diversi istanti sostenendo fermamente i reciproci guardi, ma alla fine James acconsentì con un semplice cenno del capo.
"Sbrigati."
Alexis non se lo fece ripetere due volte e in un batter d'occhio fu in strada.
Il soldato osservò la osservò allontanarsi tenendosi le mani i tasca e camminando alla svelta sparì definitivamente all'interno del negozio.
James non si sentiva a suo agio in quella situazione. Non era abituato a preoccuparsi per qualcun altro, lui agiva da solo non era abituato a condividere, la sua era una vita fatta di obbiettivi e missioni, era un soldato agiva come una macchina, non era abituato a trattare con gli altri, non parlava quasi mai e mai si era dovuto sentire responsabile per qualcuno, mai aveva protetto un altro essere vivente.
E ora invece si sentiva in dovere di proteggere Alexis, almeno doveva impedire che morisse, non poteva accettare di sentirsi responsabile per la sua morte.
Anche se era un assassino aveva un onore, lei gli aveva salvato la vita. Glielo doveva e basta.
Cercò di distogliere lo sguardo dall'entrata attraverso la quale Alexis era scomparsa dal suo campo visivo e portò lo sguardo sulla casa a pochi metri di distanza dalla sua.
Non riusciva a capire bene come si sentiva, l'idea di tornare a casa lo faceva sentire strano. Lui non aveva mai avuto una casa o almeno non ricordava di averla mai avuta, viveva con quel costante senso di vuoto al centro del petto da anni ormai, un'arma senza anima, un involucro vuoto fatto di frammenti del passato e di sangue, ecco cos'era e l'idea che un tempo anche lui fosse stato un uomo normale, come quello che vedeva seduto a capotavola attraverso la finestra della casa di fronte alla quale avevano parcheggiato, gli sembrava una possibilità assurda.
Dall'esterno, il piccolo edificio che un tempo doveva aver abitato con i suoi genitori prima che questi morissero, sembrava vecchio e abbandonato, la vernice era assente in più punti e la dove ancora ricopriva le pareti, era sbiadita e scrostata. Dalle fondamenta che affondavano nel terreno si arrampicavano liane di edera inverosimilmente lunghe.
Assorto com'era nella sua contemplazione non si rese conto che qualcuno si stava avvicinando all'auto, e quando la portiera sbatté richiudendosi quasi sobbalzò nel ritrovarsi Alexis di nuovo seduta al suo fianco.
La guardò posare una busta di carta nel sedile posteriore intenta a masticare qualcosa.
"Ho preso qualche provvista nel caso ti venisse fame..." Lo informò interpretando la sua espressione interrogativa.
Risistemandosi al suo posto apri la bottiglia di plastica che aveva fra le mani per bere un sorso d'acqua per poi porgergliela.
Anche se un po' diffidente, questa volta il soldato accettò.
"Hai ricordato qualcosa?" Gli domandò.
Scosse la testa.
"Ed hai intenzione di entrare?" Ritentò nuovamente lei.
Sta volta James annui, senza però degnarla di uno sguardo.
La sentì sospirare prima di abbandonare il capo contro il vetro del finestrino.
La possibilità di recuperare qualche frammento della sua vecchia vita lo spaventava, ma allo stesso tempo lo faceva sentire meglio. Era stufo di vivere in quello stato permanente di incertezza, ormai non sapeva più a cosa crede e se almeno prima credeva di sapere cosa fosse, ora che anche quell'unica certezza aveva vacillato il suo essere soldato gli imponeva di vivere seguendo un obbiettivo che ora era recuperare il suo passato.
In silenzio attesero il passare delle ore finché non calò il sole e il buio della notte avvolse, le mura e gli interni della città come una coperta scura e silenziosa. Senza parlare il soldato scese dalla macchina e registrò Alexis fare lo stesso.
Si avvicinò cauto alla all'abitazione, finché dopo pochi passi non si blocco a metà strada.
Superato il muro che divideva quelle vecchie abitazioni dalla strada James individuò a pochi isolati di distanza da casa sua un'altra abitazione simile all'altra, cambiò direzione avviandosi verso quella che aveva attirato maggiormente la sua attenzione, salì i pochi scalini arrivando sul portico. La porta d'ingresso era inchiavata, abbassò lo sguardo sulla pietra posta al lato dell'ingresso e senza riuscire a spiegarsi il motivo gli diede un calcio, questa spostandosi rivelò una vecchia chiave arrugginita.
"Come facevi a sapere che era li?" La voce della ragazza lo riporto per un istante alla realtà, ma nonostante ciò non rispose.
Infilò la chiave nella toppa e con un leggero scricchiolare questa si aprì. L'odore di umido e di chiuso fece storcere il naso ad entrambi, la fioca luce dei lampioni della strada filtrava dalle assi scrostate che sbarravano le finestre, donando così all'intero ambiente un aria ancora più lugubre di quanto non lo fosse già di suo.
Al centro della stanza c'era un vecchio divano pieno di buchi dai quali James era certo di aver scorto un paio di occhietti gialli che lo osservavano sospettosi. Topi probabilmente.
Il pavimento di piastrelle era scheggiato e i battiscopa in fondo alle pareti erano discontinui o del tutto assenti, lasciando cosi in bella mostra i muri sporchi e pieni di muffa.
Addentrandosi di più nella casa si poteva scorgere un vecchio caminetto con diversi mattoni staccati, sulla mensola c'era una vecchia foto con la cornice di vetro rotta.
James si avvicinò afferrandola fra le mani. Ritraeva un ragazzetto piccolo e scheletrico, somigliava tremendamente a Captain America, probabilmente era lui prima di essere sottoposto al trattamento.
Per un attimo, tutto ciò che aveva intorno sparì, la casa assunse di nuovo un aspetto più vivibile e dalla porta alle sue spalle sbucarono due ragazzini di più o meno dodici anni che si precipitarono verso una donna intenta a cucinare dando loro le spalle.
"Mamma, Bucky può rimanere qui sta notte!"
La donna si voltò nella loro direzione sorridendo bonariamente al figlio piccolo.
"Certo che può fermarsi... Ma dove vuoi farlo dormire?"
"Potremo tirare giù i cuscini e dormire per terra!" Propose l'altro ragazzino sorridendo allegro.
La donna alzò gli occhi al cielo sbuffando divertita. "E va bene!" Concesse alla fine.
Il due bambini esultarono scambiandosi il cinque.
Lo scenario cambiò e la casa si svuotò, era di nuovo da solo e al buio da fuori arrivavano le voci di due uomini.
"Dai fammi restare, è la prima notte che passi da solo."
"Bucky, non ce n'è bisogno!"
I due bambini di poco prima, ora molto più grandi se ne stavano fuori dalla casa a discutere.
"Steve è appena morta tua madre, io dico che c'è n'è bisogno..."
Dall'altra parte non arrivò risposta così il ragazza che rispondeva al nome di Bucky insistette. "Dai fammi restare, tireremo giù i cuscini del divano come quando eravamo ragazzini."
Alla fine Steve si lasciò convincere e dalla porta entrarono i due amici. James si ritrovò a guardare confuso un uomo praticamente identico a lui, fatta eccezione per i capelli molto più corti e vestiti decisamente più antiquati.
James a quel punto capì.
Non era stato Rogers a mentirgli, bensì quegli uomini che per anni gli avevano riempito la testa di parole vuote su come lui fosse il mezzo necessario per garantire la sicurezza del suo paese e che per anni si erano serviti di lui come un'arma.
Lui e Captain America erano davvero amici, non nemici.
L'Hydra lo aveva sfruttato per anni portandogli via la sua vita, gli avevano impedito di vivere di gestire le sue scelte.
Lo avevano privato del libero arbitrio riducendolo ad una marionetta.
Chissà quante a quante vite innocenti aveva posto fine.
"James..."
Troppo arrabbiato per riuscire a ragionare non ascoltò quel richiamo, il pulsare furioso del sangue nelle vene gli annebbio i sensi impedendogli di reagire alla voce della ragazza al suo fianco.
"James!"
La sua voce lo raggiunse una seconda volta, ma ancora troppo debole perché lui potesse sentirla...
"JAMES!"
Si sentì tirare si lato le braccia della ragazza che gli placcavano la vita facendolo finire a terra. Una scarica di colpi crivellò le finestre e finalmente il soldato reagì, porto sotto al suo corpo la ragazza che per la seconda volta gli aveva salvato la vita facendole da scudo, mentre una seconda scarica di proiettili faceva saltare un'altra finestra, sentì Alexis sotto di se aggrapparsi alla sua maglietta e nascondere il capo sul suo petto, rimasero immobili in quella posizione finche i colpi non cessarono lasciando spazio solo alla polvere ed al silenzio.
"Verranno a controllare se c'è ancora qualcuno vivo. Resta giu."
James si sollevò dal corpo della ragazza dirigendosi velocemente verso la porta che si spalancò all'improvviso.  James non si fece cogliere impreparato e in un attimo atterrò i due uomini.
Afferrò il primo per il braccio con cui impugnava una pistola disarmandolo e senza pensarci troppo sparò all'altro.
A distrarlo fu l'urlo della ragazza che si era lasciato alle spalle, non fece in tempo però ad andare in suo soccorso, che altri tre uomini furono su di lui.
Se fosse stato un uomo qualsiasi quella sarebbe stata sicuramente una lotta impari, ma lui non era un uomo comune e nonostante i suoi aggressori fossero evidentemente ben addestrati, il soldato riuscì a difendersi con facilità.
Disarmò l'uomo con il coltello assestandogli un forte colpo dietro la nuca con piede della pistola, l'uomo stramazzò a terra e cadendo lascio andare il coltello che volò lontano. Il secondo si avventò su di lui alla cieca nel tentativo di colpirlo, venendo prontamente bloccato dal soldato che dopo aver piegato il braccio del suo aggressore in una posa innaturale, uso la sua stessa pistola per sparare al terzo. Strattonò il braccio dell'uomo strappandogli un grido di dolore che scemò poi in un gemito sommesso quando James lo tramortì scaraventandolo contro la parete alla sua destra.
In fretta corse in soccorso della ragazza che incredibilmente aveva steso da sola due uomini, aveva un piccolo taglio sul braccio, ma per il resto sembrava illesa.
Le si avvicinò in due ampie falcate e prendendola per le spalle la riscosse da quello stato di shock che sembrava essersi impadronito del suo corpo.
"Stai bene?" Le domandò. Aveva ormai perso il conto delle volte che gli aveva rivolto quella domanda.
Alexis lo fissò per qualche istante con aria smarrita e per un attimo James temette che non l'avrebbe riconosciuto.
"Si... Sto bene..." Rispose alla fine.
"Come hai fatto?"Le chiese lui indicando i due uomini ai suoi piedi.
"Non lo so..." Alexis sembrò più sorpresa di lui per quanto aveva appena compiuto.
Il soldato non ebbe tempo di indagare ulteriormente il tempo stringeva e la possibilità che da un momento all'altro arrivassero i rinforzi era tutt'altro che remota.
Dovevano muoversi.
"Dobbiamo andare!"
Alexis annui debolmente e James dovette sostenerla, mentre uscivano dalla casa visto come le tremavano le gambe.
Con la coda nell'occhio la vide  fissare per alcuni istanti il corpo dell'uomo, probabilmente morto, steso a terra mentre sfilavano al suo fianco dirigendosi verso l'uscita, si sarebbe aspettato una qualche reazione da parte sua, invece la ragazza restò in silenzio continuando a seguirlo docilmente.
Alla svelta tornarono verso l'auto e sta volta fu lui a mettersi alla guida. Qualcuno doveva aver avvertito la polizia perché i suoni delle sirene delle volanti riempirono presto il silenzio di quella notte decisamente poco serena.
Il soldato mise in moto immettendosi nel traffico pressoché inesistente di quell'ora, allontanatosi il più velocemente possibile da quella casa, lanciò uno sguardo alla ragazza seduta sul sedile passeggero.
Sembrava completamente sotto shock ed ora teneva gli occhi chiusi e il capo abbandonato contro il poggia testa.
Aveva steso due uomini ben addestrati la dentro e diceva di non sapere come avesse fatto, di nuovo per l'ennesima volta da quando l'aveva incontrata, James torno a porsi la stessa domanda: Chi era davvero quella ragazza?
 
Alexis non riusciva a dormire.
Non per colpa del letto, che di certo non era da albergo a cinque stelle, ma aveva dormito in posti peggiori e un esempio era il letto d'ospedale in cui aveva passato diversi mesi.
Non era il letto il problema, il problema era che sentiva dolore da per tutto, il taglio sul braccio non era stato un problema, era una ferita superficiale era bastato disinfettarlo per far si che non le desse più noia.
Tutto sommato la stanza di quel motel, non era poi tanto male, tralasciando gli scarafaggi e la polvere certo.
Il letto e il divano però erano abbastanza in buono stato e il bagno piuttosto pulito. In fondo per i pochi dollari che avevano pagato quello era decisamente un posto più che decente. Per far entrare James nella camera si erano accordato di aspettare almeno mezzanotte così che il soldato potesse raggiungerla senza essere notato.
Il fruscio della pelle del divano attirò la sua attenzione e sollevandosi a sedere sulle lenzuola Alexis proiettò lo sguardo in quella direzione trovando James che sembrava avere un sonno piuttosto leggero visto che, lo aveva sentito rigirarsi più volte e mormorare parole sconnesse per tutto il tempo che aveva fissato il soffitto da quando era entrata in quella stanza buttandosi a peso morto sul letto, sicura di riuscire a prender sonno non appena toccato il materasso.
Invece ora si sentiva tutta ammaccata e dolorante.
Sospirò guardando fuori dalla finestra il cielo stellato, senza riuscire ad impedirlo i ricordi la riportarono a poche ore prima quando quegli uomini l'avevano aggredita nella vecchia casa di Captain America, ancora non riusciva a credere di aver steso quei due in uno scontro fisco, non si credeva capace di tirare pugni o calci, e invece quando quell'uomo l'aveva presa alle spalle era stato più forte di lei ed aveva reagito.
A quei pensieri una fitta all'addome la fece trasalire, anche se era riuscita a difendersi egregiamente, quelle persone erano pur sempre addestrate e lei era solo una ragazza che chissà come conosceva qualche mossa di karate e box.
Anche se credeva di essere riuscita ad incassare quei colpi piuttosto bene ora il suo momento da wonder woman lo stava pagando a caro prezzo.
Si alzò dolorante dal letto e cercando di non fare alcun rumore si avviò verso il bagno, quando passò di fianco al divano smise quasi di respirare cercando di non sollevare nemmeno un granello di polvere.
Quando finalmente entro in bagno si richiuse cautamente la porta alle spalle e sospirò di sollievo quando fu completamente chiusa.
Accese la luce, soffocando un grido quando si accorse del ragno che lento gli stava zampettando sulla mano, scacciò via il piccolo esserino schifoso dalla sua mano e quando questo cadde a terra, lo fissò sfrecciare verso il buco alla base delle piastrelle della doccia.
Un po' infreddolita si avvicinò allo specchio poggiato sul muro di fianco al lavandino, era un po' traballante, ma tutto sommato almeno riuscì a vedersi dalla testa ai piedi.
Si guardò allo specchio scoprendosi la pancia dalla maglietta bianca a manica corta che indossava come pigiama. Sulla pelle chiara vicino all'ombelico spiccava un vistoso livido violaceo che le raggiungeva quasi il fianco, sfiorò il lembo di pelle con le dita rabbrividendo per il freddo che queste le trasmettevano tanto erano gelate. Incredula per quello che stava vedendo davanti allo specchio non si accorse che James aveva aperto la porta ed ora se ne stava alle sue spalle e la osservava perplesso.
Quando Alexis incrociò il suo sguardo attraverso lo specchio sobbalzo, voltandosi di scatto verso di lui si appoggio con la schiena al lavandino premendosi contemporaneamente una mano sul petto per lo spavento.
"Mi hai fatto prendere un colpo..." Esclamò con gli occhi sgranati.
Il Soldato non rispose limitandosi a fissarla, quando la ragazza si accorse della traiettoria che aveva il suo sguardo cercò di coprirsi, ma James la bloccò. Si era avvicinato senza far rumore afferendole la mano delicatamente costringendola a scostarla da se.
"Fa vedere." Parlò sottovoce come se temesse di svegliare qualcuno.
Alexis si torturò il labbro inferiore con i denti trovandosi indecisa sul da farsi, ma poi alla fine decise di assecondare la sua richiesta, lentamente sollevò il bordo destro della maglietta scoprendo così la parte lesa.
Vide James sgranare gli occhi e guardarla incredulo, allungò una mano a sfiorarle la pelle, e un brivido la percorse da capo a piedi quando avvertì il calore delle sue dita su di se. James traccio i contorni di quel livido violaceo che stonava tremendamente con la pelle della ragazza e Alexis si stupì della delicatezza di quella carezza, quando il soldato alzò lo sguardo su di lei, le sembro che qualcuno avesse risucchiato via tutta l'aria della stanza lasciandola così un apnea. Lo vide contrarre la mascella e guardarla con un tale tumulto nello sguardo che per un attimo Alexis ne restò intimorita.
"Mi dispiace..." Mormorò in fine sorprendendola.
"Non è colpa tua." Cercò di rassicurarlo. Tirò giù la maglietta tornando a coprirsi. "Ho voluto stra fare e ora ne pago le conseguenze..."
James la scrutò senza però abbandonare quell'aria colpevole.
"Ehi..." Allungò appena una mano per sfiorare il dorso della sua facendolo trasalire. "Non è stata colpa tua, tu non centri niente."
"Come fai a dire che non è colpa mia? Sono stato io a trascinarti in tutto questo."
Alexis scrollò le spalle. "Ma sono stata io a scegliere di aiutarti, ho rischiato sapendo chi fossi."
"Se non fossi rimasto più del necessario, non mi avrebbero cercato a casa tua."
Di nuovo Alexis scosse il capo. "Magari sarebbero arrivati dopo e non trovandoti mi avrebbero uccisa lo stesso. Mi hai salvato la vita."
"Dopo che tu l'hai salvata a me..."
Alexis sta volta sorrise. "Direi che siamo pari." James restò in silenzio non sapendo bene cosa risponderle.
"E poi..." Continuò la ragazza. "Non sono l'unica con dei lividi." Allungò una mano a sfiorargli il lembo di pelle vicino al braccio bionico, James sussultò, ma non si ritrasse.
Alexis ne percorse i contorni arrossati e si stupì del contrasto tra la pelle calda di lui e la sua così fredda.
Alexis avrebbe tanto voluto stringersi a lui e più semplicemente la verità era che aveva sempre avuto bisogno di aggrapparsi a qualcuno.
Avrebbe avuto bisogno di scaldare in qualche modo quel blocco gelido che aveva al centro del petto, in fondo loro due erano così simili eppure così diversi entrambi senza passato e ora chissà, probabilmente anche senza futuro, solo che a differenza sua James aveva la rabbia ad infiammargli le vene, in lei invece c'era solo una gelida rassegnazione.
Lo guardò un attimo negli occhi prima di sciogliere quel lieve contatto fra di loro.
"Tu invece? Perché non riesci a dormire?" Gli domandò alla fine. James sospirò.
"Incubi, flash, forse ricordi... Non lo so."
"Credi che tornerà?" Domandò di punto in bianco. "La memoria intendo..."
James la osservò senza rispondere, ma limitandosi a scrollare le spalle.
"Forse per me sarebbe preferibile che non lo facesse..."
Il soldato gli diede le spalle tornandosene in camera e Alexis fece lo stesso, lo segui con lo sguardo mentre si appoggiava allo stipite della finestra lasciando vagare lo sguardo fori da essa.
Sembrava così lontano in quel momento, i suoi occhi azzurri e limpidi come specchi riflettevano il cielo stellato senza vederlo realmente, sembravano vuoti e assenti, persi in chissà quali pensieri.
Si rivide in lui per in momento, lei stessa sapeva di avere quell'espressione quando si era svegliata per la prima volta in quel letto d'ospedale.
Certo, la sua esperienza era star decisamente meno travagliata e si stupiva che il soldato non soffrisse di uno stress post-traumatico.
Lasciò vagare lo sguardo per la stanza soffermandosi per un attimo sul piccolo divano che ospitava il soldato, era decisamente piccolo, se lei avesse avuto la sua stazza sarebbe sicuramente finita per terra dopo nemmeno dieci minuti, osservò il letto a due piazze sul quale dormiva e si sentì in colpa.
Quando sentì i passi dell'uomo spostarsi per la stanza dirigendosi verso il suo giaciglio Alexis lo bloccò.
"Ehi James, aspetta..."
Il soldato arrestò il passo bloccandosi sul posto e scoccandole nel frattempo un occhiata interrogativa.
"Se vuoi..." Deglutì a fatica. "Puoi dormire qui... Con me..." Mormorò indicando il letto sul quale si era seduta. Dio, nella sua testa quella proposta era suonata meno fraintendibile di quanto non lo fosse in realtà soprattutto ora che lui la fissava con quei suoi occhi taglienti come il ghiaccio.
La scrutò sospettoso, evidentemente non riuscendo ad interpretare bene la natura della sua offerta.
Alexis deglutì nervosamente cercando di spiegarsi meglio. "Ci stiamo anche in due... E quel divano è decisamente troppo piccolo per te... Oppure possiamo fare a cambio."
Come diavolo le era venuto in mente di proporgli una cosa del genere? Era impazzita ne era certa.
"Va bene."
Sicuramente nella sua testa quell'idea non le era sinceramente apparsa così ambigua, non aveva un doppio fine voleva solo essere una gentilezza... Un momento. Che cosa aveva detto?
Non ebbe tempo di chiederlo perché il letto cigolò sotto il peso di una seconda persona, James si era seduto dall'altro lato del letto sdraiandosi in un paio di secondi.
James si era steso di fianco a lei per poi girarsi dandole le spalle, senza dire una parola o altro. Ancora visibilmente stupita e scioccata tardò alcuni secondi prima di rimettersi a sua volta a dormire. Guardò la schiena nuda di James seguendone la linea della spina dorsale fino ai fianchi, aveva la pelle chiarissima e sembrava essere anche incredibilmente liscia. Chissà come sarebbe stato toccarla.
Scosse il capo maledicendo i propri pensieri, convincendosi ogni volta sempre di più di stare impazzendo. Si sdraiò a sua volta chiudendo gli occhi e cercando di dormire.
Inutile dire che fu tutto inutile.
Oltre al suo malessere fisico, c'era quello psicologico di James a turbarla, da quando aveva chiuso gli occhi addormentandosi non aveva fatto altro che agitarsi mormorando parole sconnesse, quando si era voltata a guardarlo l'aveva visto strizzare gli occhi e poteva chiaramente vedere i suoi occhi sotto le palpebre agitarsi convulsamente.
Si girò su un fianco verso di lui osservandolo preoccupata, James ora giaceva supino, la pelle imperlata di sudore.
Avvicinò una mano a sfiorargli la spalla nuda nel tentativo di sveglirlo strappandolo così da quell'evidente stato di disagio, ma James reagì.
In un attimo Alexis si ritrovò schiacciata sotto al suo peso con la lama di un pugnale puntato alla gola, sgranò gli occhi incrociando quelli spalancati ed allucinati di lui, non aveva nemmeno fatto in tempo a lanciare un grido di terrore, talmente erano stati rapidi e repentini i movimenti di lui. Si trovò a trattenere il fiato, mentre avvertiva quello caldo ed irregolare di lui sul viso, in netto contrasto con i sudori freddi che quel pugnale premuto sulla sua giugulare le provocava.
"James, sono io..." Sussurrò il più piano possibile, timorosa che anche il più piccolo movimento potesse segnare la sua fine. Deglutì a fatica percependo distintamente la fredda lama, aumentare la pressione. "Sono io James, non voglio farti del male. Lasciami..." Per un attimo il significato delle sue parole le suonò assurdo, non era certa di chi potesse fare male a chi.
Il soldato sopra di lei serrò per un istante gli occhi aprendoli subito dopo e in uno sprazzo di lucidità la lasciò sollevandosi a sedere di scatto liberandola dalla sua mole.
Alexis non si era accorta di tremare e prima di potersi sollevare dovette cercare di calmarsi a sua volta e solo quando ebbe vinto il tremolio che sembrava essersi impossessato delle sue mani si avvicinò con cautela a lui.
Avvicinò una mano alle sue e quando il soldato sollevo lo sguardo ancora annebbiato su di lei, la ragazza lo sostenne, in assoluto silenzio controllando anche il suono del suo respiro gli sfiorò le dita della mano metallica con le sue ed azzardandosi a parlare cercò di convincerlo a posare l'arma.
"Lascialo James." lo supplicò.
Il soldato allentò la presa permettendo ad Alexis di disarmarlo.
Nonostante la calma surreale di quel momento James continuava ad avere il respiro agitato, ogni muscolo del suo corpo era teso ed in allerta.
Posò il coltello lasciandolo a terra ed il più lontano possibile da lui. Doveva cercare di calmarlo, sembrava come una mina innescata, pronta ad esplodere da un momento all'altro, solo il fatto che non le avesse fatto concretamente del male la incoraggiava.
"James guardami."
Il soldato la ignorò e Alexis dovette trovare un altro modo per farsi ascoltare. Si portò in ginocchio sul materasso di fronte a lui afferrandogli il viso con le mani costringendolo a guardarla.
"James guardami." Ripeté, avvertendo nuovamente il respiro caldo di lui infrangersi sul suo viso. "Qualsiasi cosa tu abbia visto o tu stia ancora vedendo non è reale. È finito stavi sognando."
Finalmente il soldato sembrò guardarla veramente, iniziando forse a rendersi conto di essere sveglio. Aveva ancora il respiro pesante ed incredibilmente accelerato, ma forse finalmente stava riacquistando coscienza.
"Calmati. Respira." Gli posò una mano sul petto, facendo lievemente forza per non farlo sollevare troppo velocemente.
"Sei al sicuro. Non sei solo, ci sono io. Respira."
James la guardò intensamente per alcuni istanti prima di chiudere gli occhi e premere la fronte contro la sua in un gesto sconsolato.
Restarono immobili e in silenzio in quella posizione per un tempo indefinito, finche lui non si fu calmato.
Era strano stargli così vicino, fino a pochi istanti prima cercava di farlo desistere dall'intento di tagliarle la gola e ora si trovava nella situazione di doverlo calmare, si disse che forse era il caso di abituarsi a quei continui cambi di umore.
Sobbalzò nel sentire le dita di James sfiorarle il collo nel punto esatto in cui poco prima aveva premuto la lama del coltello, non si era nemmeno resa conto di sanguinare, solo ora che vedeva le dita di James leggermente sporche di sangue prese coscienza di quanto si era avvicinata alla morte.
"Mi dispiace..." Il sussurro usci strozzato dalla bocca di James che si scostò da lei cercando di allontanarla.
"Ehi, ehi, calmati, va tutto bene è solo un graffio." Lo trattenne vicino a se. "Però la prossima volta andiamo a dormire senza armi addosso." Si sforzò di sorridere e James la guardò incredulo.
"Tu sei pazza..."
Sta volta Alexis rise sul serio. Come dargli torto.
"Beh, ti ringrazio. Forse insieme alla memoria ho preso anche il buon senso."
Restarono in silenzio continuando a fissarsi negli occhi entrambi fermi nelle loro posizioni, finché Alexis facendo pressione sul petto di lui lo invitò a stendersi di nuovo ed incredibilmente il soldato ubbidì, si lasciò trascinare dai movimenti lenti di lei che si posizionò al suo fianco senza smettere di ascoltare il suo cuore con il palmo della mano mentre si calmava.
Chiuse gli occhi sentendosi improvvisamente stanca, probabilmente iniziando ad accusare la fatica di quella lunga ed assurda giornata. Pensò al suo lavoro, a Violet, Sharon e Joe le uniche persone con una qualche importanza nella sua vita, pensò che probabilmente non le avrebbe più riviste.
Nonostante i malinconici pensieri che le affollavano la mente per la prima volta da quando si era risvegliata in quell'ospedale sentì che forse la sua vita avrebbe ripreso ad avere un senso.

 
 
Angolo "autrice"
Eeeeh sono in ritardo!!!
Buona sera a tutti, mi scuso per aver impiegato tutto questo tempo ad aggiornare, ma purtroppo  oggi in casa mia è scoppiato il putiferio... Credo che prima o poi prenderò il mio cuscino il telefono e il pc ed andrò a vivere sotto un ponte vicino ad una connessione Wi-Fi. Sono stressata... Ho bisogno di ferie...
Tralasciando le mie paturnie, direi di passare al capitolo che secondo me è mostruosamente lungo! Mentre leggevo per correggerlo mi sembrava di non finire mai, è una mia impressione o è davvero un papiro?
Come potete vedere, o meglio leggere, ho fi nuovo cercato di cimentarmi nuovamente con qualche piccola scdna d'azione e visto che sono sempre un po' incerta su queste cose, un vostro parere non mi dispiacerebbe affatto. Inoltre c'è un altra cosa a preoccuparmi... Secondo voi il loro "avvicinamento" è stato troppo repentino o affrettato? Ovviamente non sarà sempre così ma mi farebbe piacere sapere se non ho forzato troppo le cose. Ripeto non saranno sempre così... Anzi.
Non so se avete notato, ma ho continuato ad inserire qualche scena del film, certo, la madre di Steve l'ho inventata di sana pianta, nel tentativo di dare un momento di felicità a tutti i nostri protagonisti. Spero di nuovo di non aver fatto disastri.
Ora chiudo perché credo di aver straparlato, come al solito. E sempre come al solito se vorrete farmi sapere un vostro parere io sarò più che lieta di accettarlo positivo o negativo che sia, anche perché devo migliorare ed ho sempre paura di non riuscire a descrivere e far capire bene ciò che la mia testolina bacata elabora!!
Ora vi saluto per davvero.
Alla prossima, baci Lucy <3
(Come sempre perdonate e segnalate eventuali errori ^^)

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Capitolo 7
*** First step. ***


Visitare di domenica mattina uno dei campi di addestramento dell'esercito americano della prima guerra mondiale non era di certo l'idea di divertimento che aveva Alexis, in più quella prima domenica di settembre era decisamente troppo fredda per quel periodo.
Forse era proprio il luogo un cui si stavano dirigendo ad emanare quell'atmosfera di gelo, perché più si avvicinavano e più Alexis sentiva freddo.
Al contrario suo invece James sembrava perfettamente a suo agio, indossava ancora gli abiti che lei gli aveva procurato e per quanto si sforzasse di ricordare, la giacca che indossava non era poi così pesante.
Un refolo di vento le si era insinuato fra i vestiti facendola rabbrividire all'interno di quel cappotto che si era procurata quella mattina stessa appena lasciato l'albergo.
Di nuovo James si era ritrovato contrario al suo metodo di procurarsi ciò che serviva loro per sopravvivere, proprio non riusciva a capire che finché lei avesse avuto soldo da spendere, rubare era fuori discussione.
Fatta eccezione per le macchine certo.
Quel giorno si erano spostati con la metro e perciò non avevano compiuto nessuna azione illegale per raggiungere la loro meta.
Soffocò uno sbadiglio causato dalla stanchezza che quella notte turbolenta aveva portato con se. James l'aveva quasi uccisa, e se ci ripensava poteva ancora sentire distintamente la lama del coltello premerle alla gola, lo stesso James che poi le aveva detto di essere pazza mentre cercava di calmarlo e rassicurarlo. In effetti non poteva dargli torto, considerando anche il fatto di essere riuscita ad addormentarsi solo dopo aver avvertito la vicinanza dello stesso uomo che poco prima l'aveva "aggredita."
Non avevano praticamente parlato da quando avevano riaperto gli occhi, James sembrava incapace di riuscire a guardarla negli occhi e lei, che solitamente faticava a starsene zitta, questa volta non aveva granché da dire.
Si erano limitati a scambiarsi due parole mentre si avviavano verso la metro, Alexis ci teneva almeno a sapere dove fossero diretti.
Ancora assorta nei suoi pensieri non si accorse che James si era fermato, finendogli così addosso. Non capendo il motivo della sua brusca interruzione cercò di guardarlo in volto ma tutto ciò che ottenne fu di sentirsi tirare bruscamente per un braccio per poi finire nascosta insieme a James dietro ad una quercia.
"Che diavolo..." James la zittì tappandole la bocca con una mano per poi farle un cenno con il capo per indicare qualcosa di fronte a lui.
Un paio di uomini vestiti da militari li superarono di corsa.
"Soldati dell'Hydra?" Domandò.
James scosse il capo. "Non lo so, forse."
Alexis tenne lo sguardo puntato nella stessa direzione in cui guardava quello di James e solo allora si rese conto di quanto fossero vicini.
Certo che era proprio alto, anche se dal suo metro e sessantacinque scarso, non poteva essere il contrario.
Quando il rumore dei passi si fu allontanato abbastanza, James controllò che non ci fosse nessun altro nelle vicinanze oltre a loro prima di uscire allo scoperto, ma ormai l'unico rumore che regnava incontrastato era lo scricchiolio dei ramoscelli spezzati sotto ai loro piedi.
Il soldato le fece cenno con il capo di seguirlo e la ragazza non protestò.
Camminarono per diverse miglia ancora e Alexis iniziava seriamente a domandarsi se sarebbero mai arrivati.
Si muovevano lentamente all'interno della foresta che costeggiava la strada principale, Alexis doveva perennemente tenere lo sguardo al suolo per evitare di inciampare e cadere a terra e contemporaneamente cercava di non perdere di vista James anche perché se così fosse stato probabilmente avrebbe dovuto imparare ad andare a caccia ed ad accendere il fuoco. Non era brava ad orientarsi nel posti che non conosceva.
Stava già figurandosi l'immagine di lei mentre si costruiva un capanna con le foglie di bambù ed un gonnellino di foglie dello stesso materiale. Che poi, c'erano le foglie di bambù nella foresta?
Talmente distratta dai suoi assurdi pensieri non si era nuovamente resa conto che James aveva arrestato il passo una seconda volta e così gli finì addosso, il soldato non sembrò nemmeno accorgersene, sembrava diventato sul serio di ghiaccio.
"Siamo arrivati." Continuò a guardare di fronte a se, sembrava stesse parlando da solo piuttosto che con lei.
Alexis gettò lo sguardo oltre la sua spalla restando per un attimo interdetta di fronte allo spettacolo che le si parava davanti.
La maggior parte di ciò che aveva davanti agli occhi era composto prevalentemente da macerie, giusto un paio di edifici si reggevano ancora in piedi per miracolo e sembravano da poco sopravvissuti ad un bombardamento.
Quel posto sapeva d'abbandono, di un qualcosa che era servito in passato e che ora era stato gettato nella spazzatura perché ormai inutilizzabile. Ormai le guerre si consumavano internamente ad un sistema, c'erano i complotti e gli inganni che avevano sostituito le battaglie sul campo, certo forse era meglio così, non ci sarebbero state più morti inutili di vite cadute sui campi di battaglia, ma almeno chi combatteva lo faceva per qualcosa di importante, valori come la libertà e l'uguaglianza.
Se per Alexis la guerra era inutile, il mondo in cui viveva ora ne era forse diventato la prova, chi combatteva ora lo faceva per il potere e per denaro e i pochi che si ribellavano venivano messi a tacere.
Alexis non sapeva se gli eroi esistevano, fatto sta che il mondo ne aveva disperatamente bisogno.
Osservò l'edificio alla sua destra che doveva essere stato un dormitorio, soffermandosi sulla vernice scrostata e sui vetri in parte scoppiati delle finestre.
James si mosse e Alexis lo seguì.
Se per un attimo aveva creduto che quello che era successo la notte prima potesse aiutarli a stabilire un qualche contatto, ma ora si trovava costretta a ricredersi. Si era accorta di come James fuggisse continuamente al suo sguardo, di come non le si avvicinava più del necessario e di come cercasse quasi involontariamente di non farla a sua volta avvicinare.
La teneva a distanza e lei lo sentiva, il problema era che non sentiva solo quell'impalpabile ed invisibile barriera con il quale lui la respingeva. Lei sentiva lui.
Sentiva il suo respiro, che sapeva essere insensatamente caldo, sentiva le sue paure, le sue insicurezze e le sue fragilità, solo che fin quando lui avesse continuato a respingerla non avrebbe potuto aiutarlo, nonostante fosse tutto ciò che volesse.
Aveva bisogno di tempo e questo lei poteva accettarlo, in fondo era certa che non si fidasse ancora completamente, e forse non era più nemmeno capace di fidarsi di qualcuno.
Ma Dio, lei riusciva ancora a percepire la sensazione della sua pelle sotto alle dita, e il volerlo aiutare non sarebbe bastato a lavare via quella percezione, e neanche il sapone temeva.
Si riscosse dai sui oziosi pensieri portando lo sguardo verso il calar del sole e cercando di non perdere di vista la sua "guida". Lo vedeva muoversi circospetto aspettandosi chissà quale agguato, lo sguardo che saettava da una parte all'altra del perimetro della zona studiando ogni muro, roccia o pietra che lo circondava.
Regalava un silenzio spettrale tutt'intorno a loro, nemmeno l'aria si muoveva, era tutto di un immobile quasi surreale.
Senza fiato.
Esattamente come si era mosso James si bloccò al centro di quella radura, impietrito, anche lui come ogni cosa intorno a loro.
Non capendo cosa stesse accadendo all'uomo davanti a se gli si avvicinò con cautela, memore dell'epilogo che aveva avuto l'iniziativa della notte prima.
Peccato che ogni buon proposito di agire con cautela fallì nel momento in cui lo vide portarsi entrambe le mani alla testa e guardarsi intorno con gli occhi sgranati. Lo vide crollare sotto il peso di chissà quale ricordo che lo costrinse a poggiare un ginocchio sull'arido terreno sotto ai loro piedi, lo vide sostenersi con una mano e gemere dal dolore.
Senza nemmeno rendersene conto Alexis aveva seguito ogni suo movimento, inginocchiandoglisi davanti cercando i suoi occhi.
"Guardami James, mi senti?" Cercò di richiamarlo, senza però avere successo.
Sembrava essere sordo a qualsiasi tipo di richiamo, il respiro talmente accelerato che dal terreno si sollevarono delle nuvole di polvere.
Alexis non aveva mai recuperato mai nemmeno un ricordo della sua vita passata, ma sapeva quanto dolore si provasse nel tentativo di recuperarli.
James doveva aver ricordato qualcosa in quel posto e ora lo sforzo di recuperare più pezzi possibile lo stava distruggendo.
"James ascoltami!" Lo scrollò per le spalle strattonandolo. "Ascoltami!! Sono qui sono reale non perderti nel passato."
James non diede segno di averla sentita, ma il fatto che ora i suoi occhi avevano incrociato per un istante i suoi le fece capire che forse era riuscita ad aprirsi un piccolo varco nella sua mente confusa.
"Non cercare di opporti e non sforzarti nemmeno di ricordare più del dovuto. Lasciali entrare, lasciali attraversarti e respira. Qualsiasi cosa tu stia vedendo finirà. Non opporti."
James dopo un istante che parve infinito riprese a respirare regolarmente e anche Alexis lo fece, rendendosi conto che fino a quel momento era rimasta in apnea timorosa che anche il minimo spostamento d'aria potesse innescare una qualsiasi sua reazione poco amichevole.
Quando James finalmente la guardò sembrava distrutto, completamente fuori fase e incredibilmente fragile, ma durò un secondo, un battito di ciglia e di nuovo la ragazza si trovò respinta dalla solida barriera di ghiaccio dei suoi occhi.
Lo guardò alzarsi in piedi, ancora malfermo sulle gambe, scrollandosi di dosso le sue mani. Guardò dritto davanti a se e senza dire una parola iniziò a muoversi verso il cumolo di macerie al centro del campo. Completamente spiazzata da quel repentino cambio di atteggiamento, Alexis resto bloccata a terra incapace di reagire e di fare qualcosa di diverso dal guardarlo stralunata.
Solo quando lo vide scaraventare lontano un blocco di cemento di almeno dieci chili si riprese da suo shock momentaneo.
Si alzo in piedi apprestandosi a raggiungerlo.
"Ehi!" Lo richiamò. "Cos'hai ricordato? E si può sapere cosa stai facendo."
"Qui mi hanno addestrato prima che quelli dell'Hydra mi portassero via! Qui non c'era costruito niente nel 1950. Quindi perché ci sono le macerie di un edificio?" Le rispose brusco, scansando un altro blocco di cemento frantumandolo.
Continuò imperterrito la sua ricerca, ignorandola mentre cercava di aiutarlo a cercare nemmeno lei sapeva cosa.
Lasciò cadere lo zaino per muoversi più liberamente.
Almeno ora non aveva più freddo.
"James!" Lo chiamò dopo essere inciampata su quello che doveva essere gran parte del soffitto. "Qui sotto c'è qualcosa."
Il soldato la raggiunse e solo dopo essersi assicurato che ne valesse la pena, sollevo l'ammasso di cemento e acciaio che bloccava quella che doveva essere una specie di botola.*
Alexis la studiò, valutando che li dentro ci sarebbero potute stare a malapena due persone, anche se James ora che vi era sceso dentro con un balzo occupava gran parte dello spazio disponibile. Sotto i suoi occhi tastò le pareti di quell'angusto spazio finché con un sinistro metallico non creò un varco fra la roccia, estraendovi un scatola grigia di metallo e il lucchetto non poté nulla contro la bionica determinazione del soldato**, accartocciandosi sotto lo sue dita come un pezzo di carta.
Ed un pezzo di carta fu quello che realmente vi trovò al suo interno.
Lasciando cadere a terra l'involucro ormai vuoto che aveva contenuto il misterioso foglio di carta, James vi dedicò tutta la sua attenzione spiegandolo piano.
Sul foglio ingiallito dal tempo e con i bordi accartocciati c'erano scritti centinaia di nomi e cognomi.
In basso a destra i teschio dell'Hydra e un nome in cima a tutti: Zola.
"Che cos'è?" Domandò incuriosita.
James ripiegò piano il foglio facendolo sparire in una delle tasche del giubbotto.  "Il primo passo verso la mia vendetta."
 
James non avrebbe mai creduto di trovare rilassante la pioggia, almeno non fino ad ora.
Guardò l'inseguirsi delle gocce di pioggia sul vetro dello squallido motel in cui avevano deciso di passare la notte, certo, deciso non era proprio il termine adatto per descrivere come si erano ritrovati in quella stanza senza luce e senza riscaldamento, forse era più corretto dire che si erano fermati nel primo posto in cui erano capitati che disponeva di un qualcosa simile ad un letto e non poteva di certo biasimare Alexis se aveva deciso di dormire completamente vestita.
Non solo per via del freddo, ma anche perché probabilmente fra quelle lenzuola sarebbe stato possibile anche ritrovare un qualche tipo di microrganismo ancora sconosciuto alla scienza.
Lasciò andare il capo sullo schienale della poltrona sulla quale era seduto, cercando di riordinare le idee, almeno ora sapeva chi era.
James Buchanan Barnes, soldato dell'esercito, diciassettesima divisione, amico e membro della squadra di assalto di Steve Rogers meglio conosciuto come Captain America.
Una vita la sua che gli sembrava impossibile da aver vissuto.
Voltò di nuovo lo sguardo verso la ragazza che sia agitava nel sonno dietro di lui, che con un gesto secco si era messa supina girando il viso dal lato opposto al suo verso la finestra, la luce dei lampioni che costeggiavano la strada filtrava facilmente dalle tende appese alle finestre in maniera  alquanto precaria, permettendo al soldato di avere una visuale piuttosto buona su tutto ciò che la circondava.
I capelli scarmigliati le ricadevano scompostamente sul viso lasciando ben visibile la linea del collo ed inevitabilmente anche il segno ancora arrossato che aveva su di esso.
Il fatto di avere quasi tentato di ucciderla lo aveva scosso, aveva incrociato il suo sguardo terrorizzato ed era bastato quell'istante a farlo tornare in se, ed alla fine era stata lei a calmarlo convincendolo che tutto ciò che stava vivendo in quel momento in realtà era frutto solo della sua mente.
Riviveva ogni notte gli esperimenti fatti su di lui durante la sua cattura, l'elettroshock a cui veniva regolarmente sottoposto non era di certo fatto in anestesia e la sensazione di migliaia di aghi che ti pungono il cervello era l'unica sensazione che voleva dimenticare.
Alexander Pierce lo convinceva che i suoi non erano solo semplici omicidi, ma atti necessari e dovuti per rendere il mondo un posto migliore, peccato però che quegli "atti necessari" ora come ogni notte tornavano a tormentargli il cervello ricordandogli ciò che aveva fatto, erano solo frutto del suo subconscio che lo puniva -forse meritatamente- per tutte le sue colpe.
Vedeva i volti imploranti, le grida di terrore che invocavano un pietà che lui non avrebbe avuto.
E se non fosse stato solo una marionetta nelle mani di un burattinaio pazzo? Perché non si era mai ribellato? Perché ogni volta tornava dai suoi aguzzini alla ricerca di ordini? Se avesse guardato negli occhi le sue vittime come aveva fatto quella notte con Alexis, magari avrebbe potuto leggervi le stesse cose che aveva letto in quelli di Alexis.
Innocente.
Perché era questo che era lei e perché era questo che molti altri avrebbero potuto essere.
Innocenti.
Dio, non riusciva nemmeno a guardarla negli dopo quello che aveva rischiato di farle.
La osservò girarsi nuovamente tornando a dargli le spalle come pochi istanti prima. Se lui era inquieto nell'essere sveglio lei era decisamente agitata nel sonno.
Non ebbe nemmeno il tempo di pensare di alzarsi da quella poltrona sgangherata per andate a sciacquarsi la faccia che Alexis si mosse repentinamente, soffocando un grido e rischiando di franare a terra mentre scalciava via le coperte che le si erano attorcigliate alle gambe, la fissò interdetto faticando a capire cosa le stesse prendendo e guardandola schiaffeggiarsi le braccia nel tentativo di scacciare via non si sa cosa.
Alla fine l'oggetto o meglio l'essere, responsabile di tanto scompiglio si stacco dalla manica nera della felpa della ragazza, raggiungendo il suolo con un tack attutito dalla moquette sudicia e infilandosi di corsa in una delle numerose crepe del muro scomparendo.
Il soldato, che nel frattempo era scattato in piedi allarmato dai gesti inconsulti della ragazza, ora la guardava -incredulo- tremare come una foglia, completamente in preda al panico, mentre faceva saettare lo sguardo tra lui e il punto in cui era caduto lo scarafaggio.
"Que-quella co-cosa, mi stava... Ca-camminando addosso!!!" Balbettò tentando di giustificarsi.
Pazzesco. James era completamente senza parole. Quella ragazza era completamente fuori di testa. aveva scatenato tutto quel casino, per un semplice scarafaggio
"Torna a dormire." Le ordinò spazientito.
"Puoi anche scordartelo!" Lo rimbeccò lei risentita.
James rimase paralizzato al suo posto fissandola scioccato. Che cosa aveva intenzione di fare? Restare in piedi tutta la notte.
"Dormici tu su quella cosa." Sibilò indicandogli il letto. Tremava ancora, e gli sembrava improbabile che fosse per colpa del freddo, era troppo agitata per sentire freddo. Fisso il punto in cui era caduto l'insetto, inarcando un sopracciglio al pensiero che la ragazza fosse rimasta schifata da quel piccolo esserino, comportandosi come una ragazzina isterica quando il giorno prima aveva affrontato e steso ben due uomini molto più grossi di lei, riportando solo qualche acciacco.
Riporto lo sguardo sul volto pallido di lei incorniciato dai capelli che le ricadevano scomposti sulle spalle e da due vistose occhiaie, sembrava distrutta eppure si ostinava a restare in piedi come un pezzo di marmo, immobile, ma soprattutto irremovibile.
Scrollo il capo considerando che in fin dei conti non erano affari suoi gli attacchi isterici di quella pazza ragazza che si portava appresso, e senza dire una parola la superò avvicinandosi al letto e sistemandocisi di peso. Per contro Alexis borbottò qualcosa di indefinito, che si perse a metà strada tra lei e il suo udito mentre si avvicinava alla poltrona che fino a pochi istanti prima aveva occupato lui stesso e sulla quale era riuscito a stento a sedersi talmente era stretta e scomoda, meravigliandosi nel vederla accoglierla perfettamente.
La guardò mentre si sedeva portandosi le ginocchia al petto, stringendosi addosso la felpa extra large che indossava, gli sembrò di vederla tremare impercettibilmente e così si costrinse a riportare lo sguardo sul soffitto.
Che gli importava se aveva freddo? Era lei che era schizzata via da quel letto per colpa di un microbo. Non aveva nessun obbligo nei suoi confronti non stava a lui preoccuparsi per lei, lui doveva solo far si che sopravvivesse e basta, non era compito suo rimboccarle le coperte quando aveva freddo, o consolarla dopo un incubo.
Certo lei con lui l'aveva fatto.
Si, ma lui non gliel'aveva chiesto.
Non doveva nemmeno fidarsi troppo di lei, che gli assicurava che lei non fosse un membro dell'Hydra? Magari era una spia con il compito di tenerlo d'occhio, magari era stata proprio lei a chiamare quegli uomini a casa sua per poterlo catturare. Non doveva lasciarsi abbindolare, sarebbe stata la sua fine.
Però, ogni volta che la guardava negli occhi leggeva un sincerità disarmante in quelli iridi grigie, si poteva leggere ogni emozione o stato in quegli occhi, sembra essere del tutto incapace di mascherate le emozioni e poter mentire su ciò che provava e sapeva. Era disarmante quanto si fosse dimostrata un libro aperto.
E paradossalmente era proprio questo ha metterlo in guardia.
La verità era solo che aveva paura di fidarsi.
Ripensò agli uomini penetrati nell'appartamento, c'era  qualcosa che non gli tornava, se glielo avessero chiesto, nemmeno lui avrebbe saputo spiegare quale fosse il dettaglio che non combaciava, cosa gli stava sfuggendo?
Non si era nemmeno reso conto di aver ripreso a fissarla insistentemente, almeno finché non fu lei a farglielo notare.
"Che cosa c'è?" Gli domandò seriamente incuriosita, voltandosi a guardarlo a sua volta.
James si trovò preso in contropiede credendo di non essere stato poi tanto invasivo con il suo osservarla.
Lei parve capire la sua confusione e parlò di nuovo. "Quegli occhi me li sentirei addosso anche se fosse buio pesto." Rise appoggiando stancante il capo contro lo schienale della poltrona.
Il soldato la guardò ancora senza parlare indeciso sul da farsi, ma poi alla fine scostò le coperte e sollevandosi appena si fece da parte.
Alexis inclinò il capo assottigliando lo sguardo nel tentativo di capire cosa stesse cercando di dirle.
James sbuffò facendole intendere che aspettava solo lei.
Quando capì, la ragazza sgranò gli occhi stupita prima di tornare ad incrociare le braccia sotto al seno. "Io li non ci dormo." Asserì.
Esasperato si sollevò a sedere sul letto guardandola in cagnesco. "Non ho voglia di perdere tempo dietro a te quando ti ammalerai perché sei una ragazzina viziata che non vuole dormire in questo stramaledetto letto, evidentemente non alla sua altezza." Sputò alterato.
Ok, forse era stato un po' troppo acido e cattivo, ma Dio quella ragazza era impossibile. Aveva dormito tranquillamente accanto a lui che aveva cercato di ucciderla e ora faceva la schizzinosa?
"Io non sono una ragazzina viziata." Lo fulminò. "È solo che..."
Improvvisamente fuggì al suo sguardo, torturandosi le mani e apparendo improvvisamente in imbarazzo. "È solo che... Io ho una... Ho una fottutissima paura degli insetti!! Non ce la faccio a dormire li!!"
James restò spiazzato, quindi non le faceva schifo il letto, ma aveva paura.
Gli veniva quasi da ridere.
Scostò le coperte in un gesto stanco. "Qui non c'è niente. Vedi?" La rassicurò senza entusiasmo.
Certo, non si era impegnato troppo a rassicurarla.
Alexis scrutò sospettosa prima lui e poi le coperte, decidendo solo dopo diversi minuti ad avvicinarsi e quando fu abbastanza vicina le afferro rapido un polso tirandola giù e facendola cadere sul letto.
Sbuffò tornando a stendersi supino restando per metà scoperto.
"Sempre delicato eh!"James la ignorò aspettando che anche lei lo imitasse. Solo quando avvertì il fruscio delle coperte accanto a se chiuse gli occhi.
Restarono entrambi in silenzio in quella stanza il cui unico suono era prodotto dal feroce schiantarsi delle gocce di pioggia sul vetro della finestra, il vento fuori era in tempesta come lo erano i suoi pensieri.
"Che cosa c'è?" La domanda della ragazza arrivò ad accarezzargli l'udito in poco più di un sussurro. La guardò interrogativo, non capendo il perché le avesse posto quella domanda. Lei sorrise restando girata su un fianco verso di lui.
"Contrai sempre la mascella quando c'è qualcosa che ti turba..." E così dicendo allungò un mano a sfiorargli piano con la punta delle dita -gelide- la guancia. Quel tocco ebbe il potere inspiegabile di calmarlo, i suoi occhi che ora lo osservavano limpidi erano privi di nubi, era uno sguardo sincero quello, pulito.
Peccato che ormai lui riuscisse a vedere marcio ovunque.
Alexis sospirò ritraendo le dita. "Non riesci a fidarti di me..."
Colpito.
"Lo posso capire e non ti biasimo, ma non hai molta scelta e credo che dovrai imparare a farlo."
James continuò a non rispondere, soppesando attentamente le sue parole.
"Per quel che può valere... Io non ti sto mentendo, non l'ho mai fatto e se e quando deciderai di fidarti, io sarò qui. Anche perché non ho molte alternative!" Sorrise sincera. Di nuovo.
Poco dopo gli diede le spalle non prima di avergli augurato la buonanotte.
James restò sveglio ancora per diversi istanti, in contemplazione. Fissò il soffitto per un tempo interminabile, rimuginando sulle sue parole e decidendo, che l'unica cosa che sarebbe stata in grado di dargli delle rispose era il tempo.
E lui avrebbe aspettato.
Certo, non standosene con le mani in mano.

 
 
Angolo "autrice."
*Mi riferisco alla botola in cui si sono nascosti Steve e Natasha nel secondo film. Ho pensato: È vero che volevano uccidere i due... Ma addirittura un bombardamento -anche se poi hanno fallito- mi sembrava troppo e così io in quella botola ciò nascosto anche qualcos'altro.
**Mi riferisco al braccio di metallo di James (non so se si capiva)
Salve a tutti!! Eccomi con il nuovo capitolo (Che mi piace si e no.)
 ed anche puntuale.
Come potete leggere questo è un capitolo abbastanza transitorio, ho voluto descrivere ulteriormente il carattere di Alexis inserendo questa sua smisurata fobia per gli insetti, sto tergiversando per farli conoscere un po' meglio e se questo capitolo è relativamente tranquillo, il prossimo non lo sarà molto per Alexis. Diciamo che si troverà spesso con il fondoschiena per terra.
James vuole vendicarsi è palese, ma anche se muore dalla voglia di farlo dovrà agire cautamente anche perché non è più solo e anche se si ostina a mostrarsi freddo ed impassibile, un po' inizia ad affezionarsi alla ragazza. Come ci si affezionerebbe ad un gatto randagio XD (????)
Dopo le mie solite chiacchiere inutili, direi che è ora di chiudere ringraziando tutti quelli che seguono, leggono in silenzio, e recensiscono questa storia!
Grazie a chi mi rende partecipe dei propri pensieri e per qualunque critica o consiglio io sono qui per ascoltare e se la storia dovesse stufarvi o non piacervi mi renderebbe comunque felice saperlo.
Alla prima, baci Lucy <3
(Perdonate e segnalate come sempre eventuali errori.)
P.s. ho una piccola comunicazione di servizio... Non sono certa di riuscire a pubblicare lunedì prossimo, penso di si ma non ne sono certa... Ho un pò di problemi con il testo dei prossimi capitoli, è un pò incasinato e necessita di una grossa ristrutturazione. Cercherò di fare il possibile, ma vi avverto, potrebbe esserci un ritardo.

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Capitolo 8
*** I am with you. ***


*Comunicazione di servizio* Di solito inizio il capitolo dal punto di vista di quello che ha chiuso il precedentemente, ma sta volta inizia Alexis perché ho fatto casino e mi sono accorta solo ieri sera che avevo invertito le parti! Me dispiaciuta. Per le scuse generali, ci si becca alla fine.
 
Alexis sbuffò l'ennesima volta osservando il legno scrostato delle assi che componevano la gran parte dei muri di quella cascina in cui si erano stabiliti momentaneamente e che avevano adibito -o almeno lei lo aveva fatto nelle sua mente- a rifugio.
Certo, non era la suite di un gran hotel a cinque stelle, e le due stanze e mezza che la componevano non potevano renderla definibile come casa, ma almeno avevano un tetto sopra la testa, almeno finché questo non fosse crollato.
Si trovava praticamente in mezzo al nulla, uno spiazzo immenso e circondato da una folta vegetazione che nascondeva quel piccolo rifugio vecchio e malandato.
Quando il giorno prima avevano battuto nuovamente la zona intorno al vecchio campo di addestramento di James, si erano imbattuti in quella vecchia cascina, che sembrava reggersi in piedi per miracolo, ma che allo stesso tempo era incredibilmente isolata e ben nascosta.
Avevano deciso, o meglio James aveva deciso, che quello era il posto giusto per nascondersi.
Alexis era riuscita a convincerlo per miracolo, dopo svariate proteste di lui e altrettante ribattute di lei, a procurarsi qualcosa per sopravvivere.
Gli aveva fatto notare che se non l'avevano uccisa un branco di soldati armati ed addestrati, ci avrebbe pensato la fame a farlo ed alla fine messo alle strette e vedendosi costretto ad ammettere che aveva ragione era riuscita a farlo capitolare.
Certo non potevano permettersi granché, visto che in quella catapecchia non c'erano elettrodomestici, ne corrente, così si era limitata ad acquistare prodotti a lunga conservazione e una scorta quasi illimitata di fiammiferi.
Per scaldarsi avrebbero dovuto arrangiarsi alla vecchia maniera ed imparare ad accendere il fuoco.
Non c'era acqua calda e la poca che arrivava dal lavandino dello pseudo bagno, era gelata, il water era rappresentato da una fossa biologica -che di biologico aveva più poco- e la doccia, se così si poteva chiamare, era appesa al muro con del nastro isolante e formata da un tubo e da una cipolla da innaffiatoio.
La visione di vivere come una selvaggia che aveva avuto pochi giorni prima non era poi tanto irrealistica.
Seguì con lo sguardo l'enorme crepa sul soffitto che attraversava tutta la stanza in cui si trovava, che doveva essere quella da letto visto la presenza di quella brandina su cui era stesa e sbuffò lasciandosi cadere sul materassino.
James era sparito chissà dove lasciandola sola, e chissà se sarebbe tornato. Chissà forse aveva già iniziato con il mettere in pratica quello che le aveva detto, o meglio che lei lo aveva costretto a confessare, sul voler distruggere l'Hydra grazie ai nomi scritti su quella lista, e con distruggere Alexis temeva che James intendesse invece cancellare, nel vero senso della parola, i nomi da quell'elenco.
Magari aveva anche deciso di non tornare affatto con la scusa di andare di nuovo alla ricerca di qualche altro indizio  sull'Hydra, e lei era rimasta lì senza niente da fare, anche se non le dispiaceva poi molto, visto che nelle ultime ore non aveva la forza nemmeno per muovere un dito.
Il giorno dopo essersi stabiliti in quel luogo, James le aveva gentilmente comunicato che doveva imparare a difendersi e che sarebbe stato lui ad insegnarglielo.
Alexis non sapeva se sentirsi sollevata oppure spaventata di fronte a quella notizia.
"Rialzati!" Le aveva ordinato poco gentilmente dopo averla stesa per l'ennesima volta nel giro di un ora.
La stava sbattendo come un tappeto.
Lei aveva ringhiato un'imprecazione fra i denti e si era rialzata a fatica. Anche se lo sforzo non era valso granché visto che l'istante dopo si era ritrovata esattamente al punto di partenza.
James era severo con lei, non le importava che fosse una donna o che non avesse, almeno apparentemente, nessuna esperienza nella lotta e la trattava come un qualsiasi avversario. Quando era a terra lo vedeva girarle intorno come un predatore faceva con la sua preda poco prima di attaccarla. James non parlava molto, ma quel giorno non aveva fatto altro che impartirle ordini gridandole indicazioni e ripetendole in continuazione che non doveva mai abbassare la guardia e che se si fosse battuta con qualche soldato ben addestrato nello stesso modo in cui stava facendo con lui, non sarebbe durata due minuti.
Aveva stretto i denti ingoiando la risposta che premeva per uscirle dalle labbra. Forse aveva bisogno che qualcuno gli rinfrescasse la memoria ricordandogli che la settimana prima non solo gli aveva salvato le chiappe per la seconda volta, ma anche che aveva steso da sola due soldati.
Non era una macchina da guerra come lui e di certo non aveva la sua forza fisica, ma aveva dimostrato più di una volta di non essere una ragazzina indifesa e sprovveduta, non era un soldato ne una campionessa di pugilato, ma che diavolo, contro di lui anche uno degli uomini più forti del mondo aveva rischiato di morire.
Che cosa poteva fare lei?
Ormai aveva perso il conto delle volte che si era rialzata in piedi, ma allo stesso modo aveva perso il conto anche delle volte in cui aveva colto un barlume di stupore sul volto del soldato di fronte alla sua tenacia. Se c'era una cosa di cui era certa era che non gliel'avrebbe data vinta tanto facilmente.
Doveva ammettere che era rimasta stupita lei stessa della sua resistenza, mai avrebbe pensato di possedere tutta quell'energia nascosta e mai avrebbe pensato di potersi sentire così arrabbiata e frustrata, e James sembrava averlo capito, ma soprattutto aveva capito come farla arrabbiare.
L'aveva provocata tutto il tempo intuendo la sua natura poco propensa a subire in silenzio.
"Devi imparare a controllare le tue emozioni e non farti controllare da loro." Parlava facile lui. "Quando combatti in preda alla rabbia segui troppo l'istinto e diventi prevedibile." Le aveva ripetuto per l'ennesima volta e alla fine aveva avuto ragione.
Dopo essersi, di nuovo, alzata in piedi si era gettata all'attacco alla cieca contro di lui, guidata dalla stanchezza e dalla frustrazione e James senza fatica si era facilmente difeso dai suoi attacchi e poi l'aveva afferrata per la vita sbattendola malamente al suolo talmente forte da stroncarle il fiato facendola boccheggiare dal dolore.
Poco tempo prima si era scusato per averle quasi spezzato in polso, ora però non sembrava farsi scrupoli per averle quasi spezzato la schiena.
Strinse i pugni affondando il viso sul cuscino-sottiletta, soffocando un singhiozzo. Le veniva da piangere. Non perché si sentisse in qualche modo triste, ma perché non si era mai sentita tanto frustrata ed arrabbiata come in quel momento e forse anche perché tutta quella situazione in cui si era trovata senza volerlo iniziava a pesarle.
Non ce l'aveva con James, questo no, anche se avere a che fare con lui non era di certo semplice e non migliorava il suo umore, era schivo, diffidente, tremendamente scostante e
l'allenamento, se così si poteva chiamare, del pomeriggio prima era l'esatto parallelismo fisico del loro rapporto.
Nell'esatto momento in cui credeva di essere riuscita ad aprirsi un piccolo varco nella spessa corazza di ghiaccio che circondava James e credendo quindi di essere riuscita ad avvicinarsi almeno un po', lui la respingeva bruscamente.
Allo stesso modo quando credeva di poter riuscire a colpirlo finiva con il sedere per terra.
Si tirò a sedere spazientita, innervosita da quel silenzio che faceva solo diventare più rumorosi i suoi pensieri, decise di alzarsi, ed ogni singolo movimento le costò un imprecazione mentre ogni minima giuntura urlava di dolore e la schiena la implorava di rimettersi immediatamente sdraiata.
Una smorfia di dolore si impossessò dei suoi lineamenti, congestionandole il viso.
Espressione che svanì nell'esatto istante in cui percepì di non essere più sola, riconoscendo nel ritmo cadenzato che risuonava sul legno, il passo di James.
Si bloccò sull'entrata quando inquadrò Alexis, come se fosse stupito di trovarla ancora lì.
Cosa credeva? Che avrebbe approfittato della sua assenza per darsela gambe?
Quasi non riusciva a camminare grazie a lui.
Non aveva una bella cera, notò Alexis e in più era ferito o almeno così le era sembrato visto che non aveva nemmeno fatto in tempo ad aprir bocca che era sparito dalla sua vista.
Si alzò in piedi imponendosi di non far uscire nemmeno un suono dalle sue labbra, niente di simile ad un qualcosa che avrebbe potuto far intuire il suo malessere. Orgogliosa com'era non si sarebbe mai fatta vedere in qualche modo fragile di fronte ai suoi occhi.
"Che ti è successo?"
Gli domandò una volta averlo raggiunto in quella che era diventata la stanza degli addestramenti, o delle "torture" a seconda dei punti di vista. Che poi non poteva nemmeno essere definita stanza quella, visto che una parete era completamente crollata e il tetto era rappresentato da un telo di plastica decisamente usurato.
Guardò James che nel frattempo aveva gettato a terra il borsone scuro che aveva su una spalla, senza degnarla di uno sguardo mentre si liberava anche del giubbotto verde che indossava.
Continuò a darle le spalle ed avvicinandosi Alexis gettò lo sguardo sulla sacca posata a terra, dalla zip aperta riusciva chiaramente a distinguere due pistole ed un fucile.
Doveva averle trovate al campo pensò.
Riportò lo sguardo su di lui decidendo che non avrebbe fatto domande e considerando che la dozzina di armi da fuoco nascoste in quel pezzo di stoffa non erano affari suoi, cercò nuovamente la sua attenzione sta volta costringendolo a voltarsi tirandolo per un braccio.
James chiuse per un attimo gli occhi e sbuffando spazientito di fronte alla sua insistenza la guardò serrando la mascella.
"Sei ferito..." Mormorò. "Siediti." Proseguì indicandogli la sedia all'angolo della stanza.
James la guardò allibito. "Non prendo ordini da te."
"Oh ma io non te lo sto ordinando. Ti sto solo gentilmente chiedendo di sederti." Sorrise prendendolo evidentemente in giro.
Di nuovo la ragazza si beccò un'altra occhiata stralunata e di nuovo non si lasciò intimidire dalla sua stazza e dall'idea che avrebbe nuovamente potuto sbatterla sul pavimento.
Sarebbe potuta diventare ricca se qualcuno l'avesse pagata per tutte le occhiate assassine che le aveva scoccato da quando si erano incontrati.
Restò immobile di fronte a lui, più che decisa a non lasciar perdere, incrociò le braccia al petto restando in attesa della sua prossima mossa.
Sembravano come cane e gatto in quel momento, entrambi in attesa della mossa dell'avversario.
Alla fine con sorpresa di lei ed evidente esasperazione di lui, il Soldato decise di sedersi, guardandola di traverso.
"Aspetta qui."
In fretta e senza dargli l'opportunità di protestare Alexis spari di corsa -per quanto i muscoli glielo permettessero- verso la branda che aveva occupato fino a poco fa, e chinandosi sotto alla rete tirò fuori la cassetta del pronto soccorso che si era procurata il giorno prima, dopo qualche scricchiolio sinistro delle sue ossa si rimise in piedi tornando in fretta da James.
Sotto il suo sguardo perplesso posò la scatola verde su un ammasso di mattoni di fianco a lui e aprendola tirò fuori del disinfettante e una garza per poi affiancarglisi. Versò un po' di disinfettante sull'immacolato pezzo di stoffa lo invitò a raddrizzare la schiena e solo dopo gli sfiorò piano il mento con le dita costringendolo a voltare il capo nella sua direzione.
Aveva un taglio sulla fronte e il labbro inferiore spaccato, nulla di grave in fondo, ma voleva evitare che gli si infettassero.
"Dimmi se ti faccio male." Lui la guardò negli occhi e sorrise.
Alexis ne fu talmente sorpresa che per poco non rovesciò l'Intero contento della boccetta che aveva in mano.
Quel sorriso, tanto raro quanto bello svanì nello stesso modo in cui era comparso: All'improvviso.
Ancora decisamente sorpresa per quell'inaspettato evento si attardò più del dovuto rimanendo con le mani sospese a mezz'aria, riscuotendosi solo quando avvertì di nuovo la sensazione dei suoi occhi su di se.
Si schiarì la gola trovandosi improvvisamente in imbarazzo, decidendo alla fine di concentrarsi sulle sue ferite nel tentativo di ignorare quel suo sguardo assurdamente limpido.
Tamponò piano il taglio sul sopracciglio destro, cercando di essere il più delicata possibile per non fargli male, ma comunque lui non si mosse e non emise nemmeno un fiato per tutto il tempo. Evidentemente era abituato a sopportare di peggio, forse era per quello che prima aveva sorriso, la sua richiesta doveva essere suonata assurda alle sue orecchie.
"Mi vuoi dire che ti è successo?"
James chiuse gli occhi permettendole finalmente di rilassarsi.
"Ero tornato al campo, alla ricerca di qualche altro indizio e mi sono imbattuto in un gruppo di soldati. Evidentemente qualcuno dell'Hydra o chi per lui che vuole tenere alla larga i curiosi." Le spiegò brevemente. "In compenso però ho trovato quelle." Indicò con un cenno del capo il borsone posato a terra.
Non si voltò a guardare, anche perché aveva già notato che quella borsa era piena di armi, e non solo.
Gettò via il pezzo di garza e utilizzò un paio di cerotti per chiudergli la ferita e poi si dedicò al taglio sul labbro avvicinandosi ancora, e a quel punto si maledì per avergli proposto di medicarlo.
Era vicino, troppo vicino.
Ringraziò mentalmente Il fatto che tenesse ancora gli occhi chiusi perché in quel momento non sarebbe affatto stata in grado di affrontare anche il suo sguardo, si trovò improvvisamente d'impaccio indecisa su come muoversi, un tremore improvviso si impossessò dei suoi muscoli.
Vincendo il leggero tremore delle sue mani, avvicinò la garza imbevuta di disinfettante al sul labbro inferiore che sfiorò appena ritraendosi l'istante dopo, come se si fosse scottata.
Si diede mentalmente della stupida, imponendosi di darsi una mossa. Peccato però che il suo corpo non fosse minimamente d'accordo con lei, non riusciva a muoversi persa com'era a guardarlo, mentre se ne stava con gli occhi chiusi e con il viso rivolto verso di lei. Era bellissimo.
Si irrigidì a quel pensiero restando per un attimo immobile ed in silenzio il pensiero, chissà forse aveva battuto troppo forte la testa quella mattina.
"Hai finito?"
La voce di James la fece sobbalzare e quando tornò a guardarlo si rese conto con orrore che aveva riaperto gli occhi e che ora la stava fissando con aria interrogativa.
"Si ecco... Ho quasi finito." Balbettò.
Rigida come un tronco e con movimenti meccanici riavvicinò al suo volto cercando di concentrarsi sulla ferita piuttosto che sull'aspetto di quel labbro inferiore, pieno e che appariva incredibilmente morbido alla vista. Arrossi di nuovo per quell'ennesimo pensiero, mentre lo ripuliva dal sangue che gli aveva sporcato appena il mento, con il cuore che scalpitava come un pazzo al centro del petto.
Ma che diamine le prendeva?
Si raddrizzò gettando via anche l'ultimo pezzo di garza e si raddrizzò ripristinando le distanze.
James continuò a scrutarla indagatorio, evidentemente confuso dal suo comportamento, ma evidentemente non si sentì in dovere di indagare oltre, e Alexis gliene fu grata.
Un silenzio imbarazzante calò come un macigno sulle loro spalle, peso decisamente più pesante per la ragazza che ancora nel pallone per i pensieri e le sensazioni di poco prima, si sentiva incapace di muovere anche un singolo muscolo, inchiodata da quegli occhi di ghiaccio.
Probabilmente anche il fatto di dormire ormai ogni notte accanto a lui stava iniziando ad avere il suo peso. Si perché da quando si erano stabiliti in quel rifugio ed avevano scoperto che l'unico giaciglio disponibile era rappresentato da quella branda striminzita erano stati costretti a dividerlo  e ormai il dormire insieme era diventata un abitudine, se così si poteva definire.
"Io credo che andrò a dormire, sono un po' stanca..."
James le fece un cenno con il capo in segno d'assenso ed intuendo che come al solito lui sarebbe arrivato solo diverso tempo dopo, approfittò di quell'occasione per dileguarsi da quella stanza.
Cercò di calmare quel senso di agitazione che poco prima aveva deciso di impossessarsi del suo corpo e che non voleva saperne di abbandonarla, si mise al letto raggomitolandosi nelle coperte alla ricerca di una posizione comoda, decidendo fin da subito di fingersi di dormire.
Era comunque imbarazzante per lei dividere il letto con un altro essere vivente, di sesso maschile, anche perché in quei tre anni passati a ricostruirsi una vita, aveva sempre dormito da sola e mai aveva avuto un fidanzato, chissà piuttosto se ne aveva mai avuto uno. Era un domanda che l'aveva sempre tormentata, possibile che non si fosse mai legata a qualcuno? Possibile che davvero nessuno si era sentito in dovere di cercarla spinto dalla sua mancanza?
Serrò gli occhi, scacciando quei pensieri e si costrinse a rilassarsi simulando come sempre il suo sonno.
Perché se anche James decideva di andare dormire solo diverse ore dopo che lei si era infilata sotto le coperte, finché non avvertiva la brandina sprofondare sotto il peso di una certa seconda persona, Alexis non riusciva ad addormentarsi.
Sapeva che era assurdo anche solo pensarlo, ma si sentiva al sicuro con lui al suo fianco ed anche se la prima volta che avevano condiviso un letto, lui l'aveva quasi uccisa, non riusciva a fare a soffocare quel senso di protezione che le dava saperlo addormentato accanto a se.
Stava seriamente iniziando a valutare la possibilità che fosse davvero pazza, visto che trovava rassicurante dormire con un uomo che per anni era stato una marionetta assassina con un braccio di metallo.
Si sistemò meglio il cuscino sotto il capo cercando di non muoversi troppo da quella posizione che aveva trovato meno dolorosa possibile e
con gli occhi chiusi e le orecchie ben aperte, prese sonno solo dopo il tanto atteso cigolio delle molle della branda.
 
Parò un altro paio di pugni sferrati con non sufficiente forza per farlo impensierire e di nuovo per l'ennesima volta, nonostante lei fosse riuscita ad intercettare il colpo mettendosi in posizione di difesa, la stese con un calcio ben assestato.
Le sembrava un po' strana negli ultimi giorni, certo non che di solito non lo fosse, solo che da un paio di giorni a quella parte lo era in modo diverso.
Anche ora mentre la guardava rialzarsi lo faceva in un modo diverso, sembrava anche improvvisamente diventata sorda alle sue provocazioni e quando lo attaccava non lo faceva più con l'impeto e l'istintività che l'aveva sempre caratterizzata da quando aveva iniziato ad allenarla. Quella sua energia che gli era sembrata illimitata si era via via esaurita e quella scintilla che aveva nello sguardo sembrava essersi gradualmente affievolita fino allo spegnersi del tutto.
La osservò mentre si tirava nuovamente in piedi un po' mal ferma sulle gambe, ma comunque sempre pronta a ricominciare. Anche se meno determinata doveva ammettere che non si arrendeva mai.
Le si avvicinò pronto a ricominciare e Alexis fece altrettanto.
Restarono immobili, uno di fronte all'altro studiandosi e restando in attesa ogni uno della mossa dell'avversario, Alexis fu la prima a muoversi lanciandoglisi contro senza dire una parola cercò di colpirlo con un pugno mirando al volto, James si scansò rapidamente parando allo stesso tempo la successiva ginocchiata di lei mirata al suo stomaco.
La spinse via riguadagnando le distanze, Alexis barcollò, ma cercando in tutti i modi di mantenere l'equilibrio, riuscì a restare in piedi e senza aspettare oltre torno alla carica cercando di nuovo di colpirlo con un destro, sta volta però, James decise di non si spostarsi, e restando fermo bloccò un suo pugno con una mano, Alexis non si arrese e cercò di colpirlo con la mano libera e di nuovo lui parò il colpo bloccandole entrambe le mani, la strattonò poco delicatamente verso di se e mollandole una ginocchiata nello stomaco che  la costrinse a portarsi le braccia al ventre evidentemente dolorante, senza però emettere nemmeno un fiato.
Il pavimento scricchiolò sotto i suoi passi mente le dava le spalle per ritornare al punto di partenza.
Non si sarebbe mai aspettato un attacco alle spalle, non da parte sua.
Fatto sta che avvenne tutto talmente in fretta che nemmeno si rese conto di averla rispedita nuovamente a suolo con una gomitata. Era bastato un movimento improvviso di lei e una fin troppo pronta risposta di riflessi di lui che Alexis si ritrovò con un labbro sanguinante.
L'aveva colpita in pieno volto facendola cadere seduta sul pavimento, si immobilizzò sul posti rendendosi conto di averle fatto concretamente del male e anche se a conti fatti non era nemmeno la prima volta che succedeva, si sentì tremendamente in colpa.
Senso di colpa che aumentò nel vederla asciugarsi la bocca con il dorso di una mano sporcandola inevitabilmente di sangue. Credeva che probabilmente si sarebbe quantomeno arrabbiata con lui e invece restò seduta a terra senza dire una parola continuando a coprirsi il viso con le mani, comportamento che non lo fece sentire meglio. Anzi.
Combattendo contro il senso di colpa che le stava attanagliando le viscere le si avvicinò in po' indeciso sul da farsi e non sapendo bene dove mettere le mani. Temeva che le avrebbe fatto di nuovo del male se l'avesse toccata.
Si accucciò di fronte a lei, scostandole piano la mano dalle labbra per esaminare meglio la ferita. "Mi dispiace." mormorò con un fil di voce.
Alexis sollevò finalmente gli occhi su di lui guardandolo confusa.
"Perché ti dispiace? Sono cose che possono succedere... In fondo mi stai addestrando."
In effetti era quello che si ripeteva ogni giorno da quando avevano cominciato, ma ora vederla conciata in quello stato non lo faceva sentire meni responsabile.
"Dove tieni il materiale per le medicazioni?" Le domandò preferendo concentrarsi su altro.
"Sotto la brandina..."
Senza aggiungere altro si alzò in piedi raggiungendo in poche falcate l'altra stanza e come le aveva detto Alexis la scatola per il pronto soccorso si trovava sotto al "letto" in un angolo. L'afferrò per poi tornare da lei.
"Ti ringrazio!" La prese in consegna posandola sulle sue ginocchia estraendo tutto il necessario per medicarsi il taglio sul labbro, lui la osservò muoversi con sicurezza e naturalezza esattamente nello stesso modo in cui aveva fatto con lui.
Gli era venuto da ridere quando aveva espresso a voce la sua paura di potergli fare male,visti che aveva decisamente sopportato di peggio rispetto ad un paio di graffi e di sicuro chi si era occupato in passato delle sue ferite non era ne delicato, ne premuroso come lo era stata Alexis.
Trovava strano che qualcuno si prendesse cura di lui, anche se Alexis non aveva fatto poi molto, la gentilezza e la delicatezza dei suoi gesti lo aveva lasciato stordito.
La osservò tamponarsi il labbro con calma finché il sangue non smise di uscire. "Dovrò stare zitta per un bel po'!" Rise cercando di scherzare. Tentativo che non servì a mitigare il macigno che aveva deciso di stabilirsi sul suo petto.
"Oh, andiamo sta tranquillo non è successo niente, sto bene, sono cose che possono capitare."
Lui la guardò sempre più incredulo scuotendo la testa, sbuffando le porse la mano, quella sana, per aiutarla a rialzarsi.
Vide Alexis osservarla un po' titubante come se stesse valutando se accettare o meno il suoi aiuto, James restò in attesa non riuscendo a capire il perché della sua improvvisa insicurezza.
Alla fine però sembrò decidersi e sollevando il braccio destro afferrò la sua mano, quando però l'uomo cerco di tirarla su quest'ultima gemette dal dolore portandosi il braccio sinistro a stringersi il ventre, colto di sorpresa dalla sua improvvisa mancanza di collaborazione, le lasciò andare la mano per non farle ulteriormente male nel tentativo di sollevarla a peso morto.
"Che ti prende?" Le domandò leggermente preoccupato.
"Niente sto bene!" Mentì stringendo i denti.
James non se la bevve, anche perché era chiaro che stesse mentendo, e le si avvicinò accucciandosi alla sua altezza.
Alexis si ostinava a non guardarlo continuando a schermarsi il busto con le braccia.
"Togli le braccia." Le ordinò. Alexis non diede segno di averlo udito.
"Ho detto, toglie le braccia." Sta volta la sua voce assunse un tono che non accettava repliche e quando la ragazza voltò lo sguardo, James poté vederlo incorniciato da un paio di vistose occhiaie e da un colore della pelle fin troppo pallido.
Scontrandosi con i suoi occhi le resistenze della ragazza crollarono e le braccia scivolarono lungo il busto.
Il soldato scostò con  due dita il tessuto della maglia a maniche lunghe nera che indossava, scoprendo che la pelle, che avrebbe dovuto essere pallida come quella del viso, si avvicinava invece pericolosamente al colore del tessuto che aveva fra le dita. Ritrasse la mano come scottato lasciando ricadere l'indumento al proprio posto, atterrito sollevò lo sguardo su di lei deglutendo un groppo di saliva che gli risultò incredibilmente amaro.
Evidentemente accortasi della sua espressione sconvolta, Alexis cercò di attirare la sua attenzione.
"Ehi! Non sentirti in colpa, non farlo. È normale ok? Mi stai addestrando." Cercò di avvicinarglisi alla ricerca di un contatto, ma di nuovo James si ritrasse.
"Perché non mi hai detto che non ce la facevi?" Le domandò rabbioso.
La ragazza soffocò una mezza risata. " Non l'avrei mai fatto."
Aveva capito che fosse orgogliosa, ma non fino a questo punto.
"E comunque..." Continuò. "Ti saresti davvero fermato?" Lo guardò negli occhi senza rabbia o amarezza, ma solo con una sincera curiosità. Aspettò una sua risposta che però non arrivò mai.
Perché nemmeno lui era in grado di rispondere.
Si sarebbe davvero fermato se lei gliel'avesse chiesto? Forse no, ma forse se gli avesse fatto vedere come l'aveva ridotta, si sarebbe reso conto prima che lei non era come lui, che non era una macchina e anche se non lo dimostrava mai era comunque fragile, era un essere umano, era tutto ciò che lui aveva cessato di essere molto tempo prima.
Doveva addestrarla, e doveva farlo per il suo bene, ma forse avrebbe dovuto rivedere i suoi metodi, aveva dimostrato più volte di sapersi difendere e di essere anche incredibilmente tenace e testarda, e di questo doveva dargliene atto.
Tornò a guardarla mentre cercava di nuovo di tirarsi in piedi, le si avvicinò afferrandole un gomito per aiutarla e quando riuscì a riguadagnare la posizione eretta lo ringrazio mormorandogli un flebile grazie che le morì in gola.
Fece appena in tempo ad afferrarle le spalle prima che franasse rovinosamente a terra rischiando di farsi ancora più male.
Era svenuta.
James la sostenne per poi caricarsela fra le braccia, tenendole un braccio dietro la schiena e uno sotto le ginocchia, la trasportò senza fatica rendendosi improvvisamente conto di quanto fosse leggera e minuta rispetto a lui.
La adagiò sulla branda gettandole addosso una coperta e dopo averle scostato piano alcune ciocche ribelli dal viso si sedette sul pavimento di fianco al letto, sospirò continuando a tenere lo sguardo puntato sulla figura di lei ormai addormentata, domandandosi, come si sarebbe dovuto comportare con quella strana ragazza.
Cosa doveva fare?
Lui si sarebbe dovuto limitare di più e sapeva che sarebbe stato difficile, ma anche lei doveva fare la sua parte. Sembrava preoccuparsi troppo per lui e troppo poco per se stessa, lui non era in grado di capire la sofferenza altrui, lui era solo capace di provocarla, aveva recuperato il suo passato, ma ricominciare ad avere a che fare con le emozioni umane era tutto un altro discorso.
Era difficile e a volte incomprensibile per chi come lui aveva passato gli ultimi anni della sua vita a comportarsi come una macchina da guerra, fredda e spietata. Avere a che fare con la paura di far di nuovo del male, soprattutto a lei che era l'unica persona con cui potesse avere quel contatto umano di cui lui aveva bisogno.
E lei era così umana.
Non nel senso comune della parola, quello che intende un essere vivente che pensa, respira e si muove, ma nel senso che lei era umana nei suoi confronti, non lo odiava, non aveva paura di lui nonostante -ne era consapevole - le avesse rovinato la vita, sentiva nel modo che aveva di guardarlo che lei fosse fermamente convinta che lui in realtà fosse buono.
Convinzione a cui lui si aggrappava con tutto se stesso.
Se davvero esisteva qualcuno che credeva in lui, forse prima o poi sarebbe riuscito a farlo anche lui, era stato un uomo buono in passato forse, ma chi gli garantiva che sarebbe potuto esserlo di nuovo? Lei ora era l'unica a crederci. E forse Steve.
Quando lo avevano conservato in quello stato comatoso forzato, insieme al suo corpo avevano congelato anche il suo cuore e i suoi sentimenti, rivestendoli in uno strato tanto spesso e duro di ghiaccio che stentava a credere che mai si sarebbe sciolto, condannandolo per sempre ad un esistenza fredda e desolata.
Distolse lo sguardo dal viso rilassato di Alexis, avvertendo distrattamente il suono delle gocce dell'imminente acquazzone iniziare a tamburellare il tetto. Si guardò in giro nella speranza che qualcosa riuscisse a catturare la sua attenzione almeno per un po' e lo sguardo gli cadde sulla vecchia e malandata scatola a pochi centimetri da lui.
Quando erano arrivati in quel posto e avevano perlustrato l'interno, in un vecchio baule d'acciaio avevano trovato diversi diari di guerra, alcuni illeggibili e per la maggior parte distrutti dal tempo, ma studiandoli attentamente, almeno un paio erano ancora intatti e comprensibili, ne afferrò uno iniziando a sfogliarlo svogliatamente.
Chissà quante cose si era perso durante tutti quegli anni, magari leggendo la storia vista da chi come lui l'aveva vissuta, avrebbe potuto imparare qualcosa.
Quando Alexis riprese conoscenza lo fece in modo brusco, facendogli sollevare velocemente lo sguardo dalla pagina che stava leggendo, si agitava con il fiato corto e quando finalmente aprì gli occhi si sollevò di scatto, respirando a fondo come se avesse trattenuto il fiato per tutto il tempo.
Continuò a prendere aria gonfiando il petto a più non posso prima di tornare ad avvolgersi il busto con le braccia soffocando una smorfia, evidentemente di dolore dovuto al gesto repentino sollevarsi a sedere, si lasciò andare di nuovo sul cuscino fissando il soffitto e voltandosi un istante verso di lui prima di tornare con lo sguardo verso l'alto.
Restarono in silenzio, mentre la pioggia continuava incessante a scrosciare.
"Sto prendendo la tua stessa abitudine..." Mormorò, riferendosi al fatto evidente che avesse avuto un incubo.
La guardò chiudere gli occhi nel tentativo di rilassarsi.
Tornò a guardarlo studiando il quaderno che aveva fra le mani, uno sguardo interrogativo che non esitò ad esplicare a voce. "Che stai facendo?"
James gettò uno sguardo al diario che aveva fra le mani prima di richiuderlo. "Volevo vedere cosa mi sono perso durante tutto questo tempo."
"È stato istruttivo?" Gli chiese.
"In un certo senso." Lanciò il diario all'interno della scatola al suo fianco. "Che stavi sognando?" Le chiese lui sta volta.
"Sognavo di annegare." Confessò senza tanti giri di parole.
"Non sai nuotare?"
"Cosa? No! Certo che so nuotare. Ma nel sogno non riuscivo a muovere ne mani, ne piedi, era come se fossi legata e più mi agitavo nel tentativo di risalire e più andavo a fondo." Restò in silenzio probabilmente fermandosi per riflettere. "Non mi capitava di fare quel sogno da un sacco di tempo." Constatò.
"È già successo?"
Alexis annuì. "Subito dopo essermi risvegliata in ospedale. Ogni notte per mesi facevo lo stesso identico sogno. Poi con il tempo ho smesso, almeno fino a sta notte."
Calò di nuovo il silenzio, che però non durò per molto, visto che la ragazza lo riempì con una nuova domanda.
"Li hai uccisi?" James sgranò gli occhi dalla sorpresa non aspettandosi una domanda di quel tipo esternata così a bruciapelo. "I soldati dell'altro giorno intendo." Chiarì.
Anche se poi non ce n'era realmente bisogno, James aveva intuito perfettamente a cosa lei si stesse riferendo.
"Si l'ho fatto. Mi avevano visto in faccia. Ti dispiace forse." James non gradiva le domande e sperava che il tono derisorio che aveva volontariamente impresso a quella risposta rendesse chiaro il concetto.
Alexis sembrò riflette, apparendo per nulla impressionata dal suo comportamento.
"Per loro no, per te si."
Ormai aveva smesso di stupirsi per le sue risposte che ogni volta erano il contrario di quello che si aspettava, però non riuscì a dissimulare ancora una volta il suo stupore.
Che voleva dire con quella frase?
"Non ti giudico James. Qualsiasi cosa tu abbia fatto loro, se la sono meritata."
La guardò negli occhi, leggendovi in essi una profonda sincerità.
"Tu però non l'avresti fatto." Abbassò lo sguardo avvertendo improvvisamente il bisogno di parlare con qualcuno.
La vide sospirare lasciando vagare lo sguardo per la stanza prima di parlare. "Non so cosa avrei fatto al posto tuo. Non so se sarei in grado di togliere la vita a qualcuno forse perché credo che la vita valga più di qualsiasi altra cosa, ma non so cosa farei se fossi al posto tuo. Anzi ogni giorno che passo con te non posso fare a meno di passarlo pensando a come tu riesca ad andare avanti." Cercò di sorridergli, tornando a guardalo e al soldato, quegli occhi grigi non erano mai sembrati tanto scuri come in quel momento.
"Ti ammiro, dico sul serio. Io non so se avrei il coraggio di premere il grilletto per vendetta, forse potrei uccidere solo per difendere chi amo, ma anche in quel caso non so se ne sarei in grado."
"Sono una macchina, sono stato creato per spezzare vite." Sputò con ribrezzo. Perché in fondo era questo che era, un mostro.
Alexis si sollevò dalla branda su cui era stesa calciando via a fatica le coperte per poi lasciarsi scivolare a terra, in ginocchio di fronte a lui.
"Il Soldato d'inverno è una macchina, un assassino forse, ma James? Chi è James?" Glielo chiese restando seria come se si aspettasse davvero una risposta.
"James è morto."
Alexis rise abbassando il capo sotto lo sguardo incredulo di James che si domandava cosa avesse detto di così divertente. Lei gli posò una mano sul petto, esattamente all'altezza del cuore tornando a guardarlo, mentre la pioggia rendeva ancor più buia quella notte.
"Ti sbagli. James è proprio qui davanti a me. È l'uomo che ora si sta domandando se c'è ancora qualcosa di umano dentro di lui, James è quello che settimane fa mi ha salvato la vita portandomi con se." Non distolse l'attenzione da lui, continuando a tenerlo legato a se con lo sguardo. "Ed è anche quello che ogni giorno mi mette con il culo per terra." E sta volta rise, contagiandolo per un istante strappandogli una smorfia terribilmente simile ad un sorriso.
"Mi dispiace per quello. Cercherò di essere meno manesco le prossima volte."
Alexis lo guardò stralunata quando si scostò da lui per guardarlo meglio.
"Stai scherzando vero? Devi continuare come hai sempre fatto se vuoi che sia in grado di difendermi quando verrò con te!"
Il ragazzo non riuscì a capire il senso del suo discorso e non poté impedirete che lo stupore si impadronisse dei suoi lineamenti.
"Dov'è che tu vorresti venire con me?" Le chiese sinceramente interessato.
"Ovunque tu decida di andare. Verrò con te. Sia che tu decida di prendere d'assalto una base Hydra sia che tu decida di andare a fare la spesa." Gesticolò sostenendo la sua decisione.
"Non se ne parla." Cercò di alzarsi in modo da porre fine a quella conversazione che aveva preso una piega assurda, ma Alexis glielo impedì afferrandolo per le braccia e costringendolo a restare dov'era.
"Si invece, devi ascoltarmi. Permettimi di dimostrarti che non sei come loro. Sarò io la tua parte umana se fatichi a vedere la tua! Ti ricorderò che non devi uccidere tutti quelli che incontri sul tuo cammino."
"Non posso coinvolgerti in questo, tu non c'entri!" Protestò, cercando nuovamente di liberarsi dalla sua presa.
"Tanto cosa cambia? Cosa potrebbe accadere? Se mi lasci qui da sola e qualcuno decidesse di venire a controllare quante speranze pensi che possa avere?" Gli domandò, senza però aspettarsi una risposta. "Te lo dico io: Nessuna. Se invece vengo con te potrei aiutarti e di certo sarei più al sicuro."
Forse non aveva tutti i torti, ma portarla in un covo nazista pieno di soldati o a caccia di qualche uomo su quella lista non era lo stesso una buona idea, ma era più sicuro rispetto alla possibilità che potessero trovarla lì da sola.
Lasciò andare la schiena contro la parete guardandola per la prima volta in vita sua, sconfitto.
"Tanto anche se mi opponessi tu non cambieresti idea vero?"
Il suo sorriso valse più di mille parole.
"E va bene!" Esclamò. Stroncando però sul nascere il suo assurdo entusiasmo. "Ma devi giurare che farai qualsiasi cosa io ti dica, devi seguire ogni mio singolo ordine."
"Te lo giuro."
James la guardò scettico prima di proseguire. "Sarà meglio." La minacciò. "Perché se non sarà così, un labbro spaccato sarà l'ultima cosa di cui dovrai preoccuparti."
Alexis non sembrò impressionata dalle sue nemmeno troppo velate minacce. E anzi si mise a sedere sul letto abbandonando lo scomodo pavimento.
"Ora che siamo d'accordo... Possiamo dormire?" Propose come se niente fosse.
Pazza. Era pazza e lui sarebbe impazzito con lei. Più di quanto non lo fosse già.

 
 

Angolo "autrice."
Saaaaalve a tutti.
Non so davvero da dove iniziare a chiedere scusa, ma tra un imprevisto e l'altro non sono riuscita a fare prima! Anche se questo è decisamente un ritardo imperdonabile vi chiedo lo stesso di farlo!! Scusate!
Beh che dire del capiton, James inizia a muoversi e Alexis cerca di stargli dietro, anche se a fatica.
Da questo punto in poi ho un po' paura di entrare nell'OOC... Cerco di non farlo anche se penso sia difficile visto che come diceva td, nel film il carattere del soltado è trattato a grandi linee e io posso solo cercare di immaginare come possa sentirsi o comportarsi, perciò se secondo voi sto sbagliando, vi prego di farmelo notare.
Per ora sto cercando di mostrarvi come i due interagiscono e il modo che hanno di preoccuparsi l'uno per l'altra anche se in modo mooolto diverso l'uno dall'altra. Spero di non aver scritto troppe cavolate e che il tutto in generale non vi appaia troppo assurdo. Insomma spero di non aver esagerato in niente XD.
Probabilmente sarò in ritardo anche  nei capitoli a venire anche perché il prossimo, ha bisogno di una grossa ristrutturata e quello dopo ancora devo scriverlo praticamente da zervo, visto che ho solo lo "scheletro" perciò vi prego di avere pazienza e scusarmi.
Ora me ne vo, anche perché è quasi più lungo l'angolo autrice che il capitolo XD. Come al solito ringrazio tutti qiello che leggono, seguono, recensisco questa storia, mi fa piacere sapere che la storia vi piaccia e visto che pochi giorno fa è stato il mio compleanno, lasciatemi una bella recensione per regalo XD.
Allla prossima, baci Lucy <3
(Come al solito, perdonate e segnalate eventuali errori.)

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Capitolo 9
*** Tell me everything Cap. ***


Alexis cancellò l'ennesimo nome su quella maledetta lista. Maledetta perché anche se sopra c'erano scritti i nomi dei maggiori esponenti Hydra, quel pezzo di carta stava diventando l'ossessione di James.
Quando ormai quasi una settimana prima si erano trovati davanti ad uno degli scienziati che per anni lo avevano torturato il Soldato non era riuscito a trattenersi e con freddezza aveva posto fine all'esistenza di quell'uomo senza batter ciglio sparandogli un colpo in testa.
Non erano valse a nulla le sue parole, mentre lo implorava gridandogli di non farlo,  lui non l'aveva ascoltata, trasformandosi completamente nel freddo e spietato soldato d'inverno, e Alexis per la prima volta da quando lo aveva incontrato, aveva avuto paura di lui.
Quando però poi aveva visto il suo sguardo completamente vacuo e spento, aveva capito che qualcosa si era nuovamente spezzato dentro di lui, e forse grazie quel qualcosa anche lo stesso James si era reso conto che forse la vendetta, -almeno non ottenuta in quel modo- non lo avrebbe fatto sentire meglio.
Anche perché decisamente, ora non stava meglio.
Erano ormai sette giorni che James non dormiva, e Alexis se n'era accorta, non solo perché nemmeno lei dormiva finché lui non la raggiungeva, ma anche perché ogni notte si svegliava vedendolo agitarsi nel sonno e tutte le volte lei cercava di svegliarlo nel modo più delicato possibile, sperando di sottrarlo a quel supplizio che erano i suoi sogni.
Quando James apriva gli occhi poi rifiutava di chiuderli di nuovo probabilmente avendo timore di quello che lo aspettava nell'oblio e così aveva preso a dormire sempre di meno fino a smettere del tutto. Ormai erano due giorni che non chiudeva occhio.
Perciò non si era stupita troppo di averlo trovato profondamente addormentato sulla brandina e a giudicare dalla scomoda posizione che aveva assunto, con la testa penzoloni e le gambe in parte stese, doveva aver combattuto un ardua battagli con morfeo per non addormentarsi, ma alla fine doveva essersi arreso. E considerando il fatto che quando Alexis si era avvicinata per cercare di farlo stendere, James non aveva dato il minimo cenno di essersi accorto di lei le face capire che doveva stare dormendo molto profondamente, il che era assurdo per uno come lui che viveva costantemente in allerta con i sensi sempre vigili.
Così dopo avergli gettato addosso una coperta si era allontanata cercando di non fare rumore e sperando che quel suo sonno apparentemente senza sogni durasse almeno qualche ora permettendogli di recuperare almeno in minima parte tutto il sonno perso in quei giorni.
Peccato però che dopo nemmeno mezz'ora di tranquillità passata a studiare i fogli stampati riguardanti il loro prossimo obbiettivo, Alexis aveva avvertito chiaramente dei lamenti provenienti dall'altra "stanza" e senza pensarci due volte si era precipitata da lui, trovandolo però già sveglio.
Lo osservò stringersi la testa fra le mani con i gomiti piegati sulle cosce, le si strinse il cuore nell'udire l'urlo soffocato di frustrazione che gli uscì dalle labbra. Non meritava di soffrire in quel modo.
Si sedette al suo fianco osservandolo in silenzio. "Ancora incubi?"
James annuì con un impercettibile cenno del capo.
"Non ce la faccio più." Il suo fu poco più di un sussurro, ma dal tono Alexis poté comunque capire quanto stesse soffrendo in quel momento e quando James cercò di alzarsi Alexis lo bloccò afferrandogli un braccio, facendolo restare seduto.
Lo sguardo che le scoccò sarebbe stato capace di demolire un edificio in cemento armato, ma con lei non funzionò, o almeno non lo diede a vedere.
Deglutì sostenendo il suo sguardo.
"Hai bisogno di dormire, non puoi alzarti." Cercò di farlo ragionare.
"Lasciami in pace." Cercò di liberarsi dalla sua presa, inutilmente. Certo se avesse davvero voluto l'avrebbe già scaraventata sul pavimento togliendosela così di torno, ma visto che in fin dei conti era ancora li seduto con lei forse aveva qualche speranza di convincerlo.
Studiò il suo volto soffermandosi sui suoi occhi vistosamente incorniciati da scure occhiaie. "Rimettiti a dormire..." Insistette.
James scosse il capo tornando a fissare il pavimento. "Torneranno... Mi faranno impazzire..." Mormorò con voce lamentosa.
"Ehy, non torneranno. Resto io con te." Avvicinò una mano al suo volto accavezzandogli piano una guancia. A quel tocco James tornò a guardarla probabilmente valutando la veridicità delle sue parole.
"Devi dormire James, sono giorni che non chiudi occhio. Non puoi andare avanti così." Cercò il suo sguardo e senza sciogliere il contatto fra di loro lo strattonò piano verso di se.
Alexis si spostò lungo il materasso sedendosi al posto del cuscino, costrinse James a posare il capo sulle sue gambe per poi far passare le dita fra i suoi capelli accarezzandoli.
"Chiudi gli occhi." Gli consigliò a bassa voce.
Inizialmente James restò rigido, teso come una corda di violino, probabilmente sentendosi decisamente fuori posto in quel momento. Dopo diversi istanti lo sentì sciogliersi un poco chiudendo anche gli occhi come gli aveva suggerito.
Alexis continuò a muovere le dita fra i suoi capelli scoprendoli assurdamente morbidi e lisci, i suoi in confronto somigliavano terribilmente ad un nido di airone. Sorrise al quel pensiero attorcigliando una ciocca di capelli fra le dita per poi sciogliere la presa su di essa, riprendendo quella lenta carezza. Avvertì il respiro di James farsi più profondo e regolare suggerendole che forse si era nuovamente addormentato, continuò a muovere piano le dita sperando con tutta se stessa che riuscisse a dormire il più possibile e che almeno in parte la sua vicinanza gli fosse d'aiuto, avrebbe tanto voluto fare qualcosa per lui.
Anche fargli da cuscino le bastava.
Lasciò scivolare le dita fra i suoi capelli ancora un paio di volte fermandosi poi ad osservarlo e come ogni volta non riuscì ad impedirsi di trovarlo bello, non riusciva a smettere di vederlo sotto quella luce e ora in quel momento tanto raro le sembrava così sereno da sembrare finto.
Non si rese nemmeno conto di aver iniziato a tracciare i contorni del suo viso con le dita, partendo dalla fronte spaziosa fino a scendere verso il profilo del naso dritto e ben delineato, arrivando poi alle labbra, più secche all'esterno e leggermente umile dov'erano schiuse per lasciar passare il respiro. La barba pungeva sotto il suo tocco ricoprendogli la mascella forte e pronunciata.
Alexis era certa che i suoi occhi non avessero mai visto niente di più bello.
Si soffermò con lo sguardo su quegli aloni violacei che gli incorniciavano gli occhi, rovinando la pura bellezza di quel viso, strinse i pugni per la rabbia.
Era tutta colpa sua.
Se non si fosse distratta quel giorno…
Era incredibile da dire, ma stava funzionando.
Non c'erano stati morti, solo feriti, molti feriti, ma nessuno in pericolo di vita e i nomi su quella lista stavano sparendo uno dopo l'altro ad una velocità impressionante e Alexis si era dimostrata all'altezza della "missione".
Almeno finché non si era lasciata distrarre dai suoi stupidi pensieri.
Si erano organizzati a dovere decidendo come muoversi, calcolando tutto con attenzione facendo così un modo che nessuno dei due ci rimettesse le penne e per imposizione di Alexis, nemmeno una goccia di sangue Hydra era stato versato.
Almeno fino al proiettile che James aveva conficcato nella spalla della guardia del corpo che stava per aggredirla, quello aveva fatto si che il pavimento dell'edificio governativo in cui si trovavano si macchiasse più del dovuto, ma almeno nessuno aveva perso la vita.
Non fino a quel momento.
Si erano divisi i compiti, James si occupava del lavoro sporco e ad Alexis toccava quella ancora più sporco.
Agivano in modo semplice, a James toccava il lavoro fisico e a lei quello mentale.
Si era scoperta brava con i computer e almeno questa era un'abilità alla quale sapeva dare una motivazione, visto che in quei tre anni aveva partecipato ad un corso di aggiornamento di informatica dopo essere stata assunta dall'ospedale e l'argomento le piacque così tanto da spingerla ad approfondirlo e perciò aveva acquisito una buona conoscenza di essi.
La maggior parte dei nomi che popolavano quella lista appartenevano a persone potenti, uomini e donne che agivano in nome di un bene comune che in realtà era soltanto il loro e molti dei topi che usavano come scudo lo S.H.I.E.L.D. non erano affondati con la barca, anche se la rete di intelligence che proteggeva il mondo era stata distrutta, molti parassiti continuavano indisturbati il loro operato.
Era bastato scavare un po' più a fondo della superficie per far emergere il marcio che si celava dietro molti nomi di lustro, facendo ricerche sui nomi scritti su quella lista, bastava poco. Come nel caso di Jedekay Erdoghan, che copriva il traffico di armi con le sue fabbriche di giocattoli.
Alexis aveva scovato un articolo che denunciava la pericolosità di alcuni suoi prodotti, e leggere di un bambino di appena sei anni che aveva quasi ucciso un suo coetaneo giocando ai pirati, l'aveva fatta rabbrividire. Le lame di quei pugnali che dovevano essere finte, si erano dimostrate più taglienti del dovuto mettendo a rischio la vita di un povero bambino.
Loro stessi avevano visto con i loro occhi che all’interno dei magazzini della società c'era tanto di quel materiale bellico che da solo sarebbe stato più che sufficiente per rifornire l'intero esercito americano per le prossime tre guerre.
La ragazza aveva impiegato un po' per trovare quell'articolo, probabilmente insabbiato a dovere, in cui si parlava della vicenda, ma alla fine era riuscita a scoprire chi l'avesse scritto, un pover'uomo che era morto diversi anni dopo di stenti. Nell'articolo che parlava della sua prematura scomparsa si parlava di stenti e di accattonaggio, ridotto alla fame per la semplice colpa di aver cercato di inseguire la verità.
Il putiferio che aveva colpito l'azienda di Erdoghan era durato poco, domato dagli avvocati strapagati  del uomo, e almeno un centinaio di persone –probabilmente utilizzate come capro espiatorio- avevano perso il lavoro, con l'accusa di aver cercato di sabotare il potente uomo d'affari, e con un paio di assegni donati alle scuole il finto buon samaritano di Jedekay Erdoghan se l'era cavata con un paio di foto in cui sui giornali raffiguranti lui e la sua famiglia sorridente, intitolate: Questo sono io.
Ma l'uomo che veniva ritratto in quelle foto, in realtà non era nient'altro che un armiere che forniva materiale bellico al braccio armato dell'Hydra coprendo i suoi traffici con l'insospettabile copertura di un'azienda produttrice di giocattoli.
Alexis si era sentita fiera di se stessa mentre scaricava tutto il materiale incriminate da computer principale dell'azienda alla sua pen drive, in quel computer c'era di tutto, progetti, filmati e documenti che attestavano il suo coinvolgimento in affari loschi. Non era stato difficile forzare la protezione del suo computer, la password si era rivelata essere la data di nascita del suo primo genito, incredibile quanto certi uomini si sentissero intoccabili. A volte era proprio la loro troppa sicurezza a fregarli.
Presa da quell'insensata euforia non si era resa conto di essere tenuta sotto tiro già da un po'. Una guardia l'aveva scoperta e lei non se n'era accorta, era stata una stupida, aveva abbassato la guardia sentendosi al sicuro, ed era finita con il fare lo stesso errore degli individui a cui dava la caccia.
Quando aveva incrociato lo sguardo con quello dell'uomo di fronte a se aveva capito che non l'avrebbe risparmiata ed era stata certa di morire. Aveva chiuso gli occhi aspettando inerme lo sparo.
Poteva solo prendersela con se stessa se ora tutta la fatica che avevano fatto per entrare in quell'edificio, era stata inutile. L'unica cosa che le dispiaceva era di non essere riuscita a fare di più lasciandosi distrarre in un momento fondamentale come quello. Se solo ci fosse stato un modo per far arrivare quella maledetta chiavetta nelle mani di James.
Lo sparo però non era arrivato, e quando Alexis aveva riaperto gli occhi l'uomo era in ginocchio di fronte a James che gli era arrivato alle spalle disarmandolo e quando Alexis aveva inquadrato lo sguardo di James aveva stentato a riconoscerlo.
Sembrava un altra persona, il suo sguardo era implacabile, freddo e spietato, l'aveva guardato fissare quell'uomo con astio.
"Ti prego non farlo..." Aveva mormorato l'uomo implorando il soldato di non ucciderlo, ma non erano valse a nulla le sue suppliche, ne le sue ne quelle della ragazza ed alla fine l'unica cosa che aveva potuto fare la ragazza era stata assistere inerme all'esecuzione di quell'uomo.
E quella era stata la prima volta che Alexis aveva avuto paura di James.
"Andiamo." Le aveva ordinato senza alcuna sfumatura nel tono di voce. Alexis aveva ubbidito senza fiatare e lo aveva seguito restandosene in silenzio per i primi metri, finché logorata dalla curiosità non aveva parlato. "Chi era quell'uomo?"
"Uno di quelli responsabili della mia manutenzione." L'odio che trasudava da quell'ultima affermazione convinse la ragazza a rimanere in silenzio.
James non le aveva spiegato di più e questa volta Alexis non aveva indagato oltre, potendo solo immaginare cosa quell'uomo rappresentasse per lui, ora però il peso delle azioni malvage dell'Hydra ricadevano ancora una volta sulle spalle di James. Nemmeno la soddisfazione di aver letto suo giornali dell'arresto di Erdoghan era servito a farlo sentire meglio, certo, sapere che la persona a cui spedivano puntualmente tutte le prove, aveva deciso di fidarsi era una buona notizia, almeno tutti i loro sforzi non andavano sprecati.
Un rumore improvviso di terra smossa e ramoscelli spezzati, face sobbalzare lei e svegliò lui.
Il soldato si sollevò di scatto spalancando gli occhi, già pronto all'azione, aveva recuperato la pistola ed ora se ne stava appiattito contro la parete sbirciando fuori dalla finestra. Alexis dal canto suo era rimasta immobile trattenendo il respiro.
Quando poi l'ombra di un animale selvatico occupò la loro vista, entrambi ripresero a respirare.
James la guardò senza parlare e Alexis poté constatare che ora sembrava un po' più riposato anche se ora era teso come una corda di violino.
Aleggiava un certo imbarazzo fra di loro, più tangibile dalla parte si James probabilmente consapevole di essersi lasciato andare alle sue cure, per quanto riguardava Alexis, poteva solo sentirsi felice di essergli stata d'aiuto.
"Quanto ho dormito?" Le domandò alla fine.
"Più di due ore più o meno..." Considerando che ormai stava calando la notte, e che lui si era addormentato presumibilmente verso le quattro, era riuscito a riposare per circa due ore e mezza.
"Come ti senti?" Gli domandò alzandosi in piedi a sua volta e avvicinandoglisi.
James la scrutò rilassando finalmente le spalle.
"Un po' meglio..." Piegò impercettibilmente le labbra. "Almeno non ho sognato."
Alexis sorrise. "Mi fa piacere."
"Perché fai questo?" Parlò di nuovo.
La ragazza lo guardò confusa, non capendo a cosa si riferisse.
"Perché fai questo per me? Perché ti preoccupi? Perché cerchi di prenderti cura di me?"
"Perché mi sento di farlo." Ed era la verità. Non sapeva dare una ragione a quel sentimento d'affetto che provava nei suoi confronti, che sapeva non essere legato alla gratitudine, immaginava che per lui fosse assurdo il suo comportamento, ed aveva imparato a capire che per lui era difficile rapportarsi con gli altri, anche con lei che era l'unico contatto umano che riusciva ad avere.
"Io non me lo merito." Il tono di voce era fermo, come quello di qualcuno che sapeva ciò che diceva. Alexis poteva solamente immaginare come si sentisse, recuperare tutti quei ricordi di una vita spezzata, sentirsi diviso a metà fra ciò che era stato e quello che lo avevano costretto a diventare.
"Non puoi dirlo." Provò a convincerlo, leo credeva veramente in lui, era stato una brava persona un tempo. Poteva esserlo di nuovo.
"Sono un mostro! Un arma, un assassino!" Scoppiò avvicinandosi pericolosamente al suo viso. Era arrabbiato. Furioso quasi.
"Non è vero, smettila di dirlo, non è colpa tua!" Lo fronteggiò guardandolo dritto negli occhi.
James sorrise, sta volta amaramente. "L'ho visto come mi hai guardato quando ho ucciso quell'uomo." Affermò. "Hai avuto paura di me. Hai visto chi sono veramente." Era dolore quello che sentiva nelle sue parole?
Il senso di colpa l'attanagliò, se non fosse stata così stupida ora non sarebbero a questo punto, in fondo era sua la colpa se quell'uomo aveva perso la vita. Aveva avuto paura di lui in quel momento, ed era vero, ma si era sentita uno schifo in quel momento. Chi era lei per giudicare?
"Mi dispiace James, non volevo... È che in quel momento ho pensato che..."
"Smettila!" Urlò. "Non puoi fare sempre così! Tu dovresti avere sempre paura di me, non prenderti cura di me. Dovresti odiarmi!"
"Smettila di dire così! Tutti meritiamo una secondo occasione e non è stata colpa tua quello che hai fatto, non..."
"È stata colpa mia invece!" La interruppe di nuovo alzando ancora la voce. Restò in silenzio aspettando che continuasse, magari sfogarsi gli avrebbe fatto bene. "E se fossi stato io a farmi usare? Ho ucciso persone innocenti con le mie mani! Avrei potuto rifiutare di farlo, avrei potuto ribellarmi e non farmi usare come una marionetta! Sono malvagio Alexis, sono un mostro senza pietà!" Si era avvicinato a lei ad ogni parola e per ogni passo di lui, lei ne aveva fatti altrettanti all'indietro, finché non si era ritrovata all'angolo, intrappolata fra quel muro logoro e il corpo possente di James. "Io sono questo. E forse non posso cambiare. Non fidarti troppo di me, potresti rimanere delusa."
"No." Fu la flebile, ma ferma risposta di lei. "Io credo in te. Non sei malvagio." E lo credeva veramente. "Non mi avresti salvato la vita quel giorno in casa mia se fossi stato malvagio, mi avresti lasciato morire, con o senza debiti nei miei confronti."
"Ho salvato una vita... Non basta a cancellare tutte quelle che ho stroncato."
"A me si." Puntò gli occhi nei suoi, perdendosi in quel mare di ghiaccio e dolore. "Se fossi davvero un mostro come affermi di essere, ora dormiresti sonni tranquilli, non saresti divorato dai rimorso, non rischieresti di impazzire per via degli incubi. Non hai sbagliato a togliere la vita a quell'uomo, ma se davvero non avessi una coscienza non avresti sensi di colpa. Invece stai soffrendo perché sai che questa non è la strada giusta." Gli accarezzò il viso guardandolo con dolcezza.
E poi decise di muoversi, lasciò scivolare il braccio intorno al suo collo mettendosi sulle punte per arrivare meglio alla sua altezza e si strinse a lui.
Com'era prevedibile il soldato si irrigidì a quel suo goffo tentativo di fargli sentire che lei c'era, ma un attimo prima che la ragazza decidesse di ritirarsi e di scusarsi per quel gesto, apparentemente, poco gradito, James ricambio la stretta, avvolgendogli le braccia intorno alla vita chinandosi su di lei fino ad immergere il viso nei suoi capelli. La strinse forte fino ad incrinarle le ossa, in un gesto disperato.
"Io credo in te. So che è difficile, ma prova a farlo anche tu." Gli sussurrò all'orecchio.
James non rispose, limitandosi a tenerla ancora stretta, restando immobile in quell'abbraccio. Probabilmente il giorno dopo avrebbe avuto qualche livido suo fianchi, data la presa ferrea delle sue braccia, probabilmente il giorno dopo sarebbero tornati al punto di partenza e Alexis sarebbe stata di nuovo respinta da quel suo spesso muro di ghiaccio, ma non le importava.
Avrebbe avuto pazienza.
Forse spiraglio dopo spiraglio sarebbe riuscita a sgretolare quell'indistruttibile barriera che usava come scudo.
Ci sarebbe voluto tempo, ma ci sarebbe riuscita.
 
 
 
 
Quando Steve rientrò nel palazzo dove abitava era già notte. Le luci dei lampioni illuminavano pigramente la città intorno a lui, da qualche parte in qualche vicolo un gatto rovesciò un bidone provocando un gran fracasso e le conseguenti urla di protesta di uno dei condomini.
Salì le scale guardando fuori dalla finestra il barbone che aspettava l'autobus vicino alla pensilina della fermata.
All'ultimo piano del palazzo c'erano solo due appartamenti, il suo e quello in cui fino a poco tempo prima abitava la sua vicina, o meglio ex- vicina, che poi si era rivelata essere non altro che un agente dello S.H.I.E.L.D. con il compito di tenerlo d'occhio.
Si chiese se c'era mai stata della verità in tutto il tempo che aveva passato al soldo di Fury.
Dopo aver gettato un ultima occhiata alla porta della sua ex vicina, tiro fuori le chiavi dalla tasca del giubbotto e le infilò nella toppa. Una volta dentro disinserì l'allarme e accese la luce, e come al solido, come succedeva da circa un mese a quella parte, vicino alla porta sul pavimento c'era una busta.
Si era chiesto più volte chi fosse a mandargli quelle misteriose buste di carta, facendole probabilmente passare da sotto la porta. Non c'era il minimo indizio su quelle buste, era una semplice busta di carta gialla di quelle che di solito si usavano per la normale posta.
Steve la prima volta che ne aveva trovata una sul pavimento di casa sua aveva pensato che magari, il postino non riuscendo a trovare la sua cassetta avesse pensato di fargliele arrivare facendole passare sotto la porta.
Anche se poi era stato costretto a ricredersi, visto il contenuto di quelle buste, e visto che il postino aveva negato con forza di saperne qualcosa quando lui glielo aveva gentilmente domandato.
Non c'era nulla su quel pezzo do carta, fatta eccezione per la scritta in corsivo il centro della busta un semplice, X Steve, scritto in corsivo a matita con una calligrafia sottile e decisa, che stranamente gli ricordava qualcosa. Quando poi aveva scoperto che all'interno si celava una comunissima chiavetta usb, aveva pensato di farla analizzare per scoprire qualche impronta digitale, ma non era saltato fuori niente.
Quella pennetta sembrava nuova ed immacolata. E quando poi aveva deciso di aprirla per consultarne il contenuto era rimasto sbalordito di fronte alle informazioni che vi aveva trovato al suo interno.
Quella volta, quella misteriosa chiave che aveva aperto, non solo lo scrigno di pandora di uno degli uomini più potenti della città, ma anche le porte della cella che ora lo ospitava.
Dopo quel primo arresto ne erano seguiti altri, effettuati grazie alle informazioni che una misteriosa fonte forniva al capitano, fonte che era stata condivisa solo con il suo fidato amico Sam.
Lo stesso che però continuava a ripetergli di stare attento. Soprattutto dopo che gli aveva rivelato che l'unico modo per aprire quei misteriosi file, era rispondere ad una domanda di cui solo Steve poteva conoscere la risposta.
Almeno questo era in grado di dirgli che chi gli mandava quella singolare posta lo conosceva fin troppo bene.
Sbuffo raccogliendo il pezzo di carta dal pavimento. Anche se le indicazioni contenute in quelle missive erano sicuramente molto utili, era stufo di non sapere da chi provenissero, si sentiva usato, e non riusciva a capire da dove saltassero fuori tutte quelle informazioni.
Aprì la busta rovesciandola sul tavolo e sta volta il contenuto risultò essere di nuovo una pennetta USB. L'afferrò rigirandosela fra le dita, una semplice chiavetta di plastica nera, quattro GB stando a quello che c'era scritto sulla parte inferiore.
Sospirò chiedendosi cosa lo aspettava quella volta, e a cosa dovesse rispondere sta volta. Si sedette, lasciando l'oggetto sul tavolo di fronte a se unendo le mani a pugno e appoggiandovi le labbra restò in contemplazione, in silenzio scrutando attentamente quell'ennesima prova illuminata fiocamente dal lampadario sopra la sua testa e dalla fioca lice della luna che filtrava dalla finestra.
Si alzò dalla sedia andando a recuperare il portatile dalla sua stanza e di nuovo riguadagnò la sua posizione aspettando che il computer si avviasse. Di certo non era un mago del computer, ma aveva imparato ad usarlo e se la cavava anche, certo tutt'altra storia doveva essere per la persona che gli inviava quelle lettere. Doveva essere piuttosto brava dato che aveva reso inaccessibili le informazioni della pen-drive, se che ne entrava in possesso non conosceva la risposta alla domanda d'accesso.
Di cosa ti riempivi le scarpe?*
Era questo il quesito che gli si palesava davanti agli occhi sta volta. Steve sorrise a quel ricordo e senza esitare digitò la risposta, sentendosi sempre più stranito per la spaventosa conoscenza che quell'individuo dimostrava nei suoi confronti.
Rilassò la schema contro lo schienale della sedia restando in religioso silenzio, quando poi per l'ennesima volta lo schermo del computer venne invaso da documenti su documenti, Steve decise di fare una telefonata.
Digitando il numero che ormai era diventato una chiamata rapida attese la risposta del suo amico.
"Ponto...?"
A giudicare dal tono di voce estremamente rauco e dalla risposta vagamente incomprendibile, Steve soffocò un sorriso, sentendosi anche leggermente in colpa nei confronti dell'amico, per il quale aveva con ogni probabilità rappresentato una sveglia poco gradita.
"Sam, sono Steve. Scusa l'orario, ma è importante!"
"Dimmi tutto Capitano!"
La sua voce risultò immediatamente sull'attenti, e conoscendolo poteva tranquillamente immaginarselo impegnato nel saluto militare.
"Ne è arrivato un altro! Ho trovato come al solito una busta nel mio appartamento."
"Dammi dieci minuti e sono da te."
Detto questo riattaccò.
Gettò uno sguardo all'orologio appeso al muro che segnava mezzanotte passata, si sollevò dalla sedia avvicinandosi alla finestra lasciando acceso il computer, incrociò le braccia al petto ed appoggiandosi con la spalla alla parete lasciò vagare lo sguardo lungo la strada deserta.
Le luci un po' sfuocate dei lampioni illuminavano malamente i dintorni e le luci delle case delle palazzine adiacenti erano quasi tutte spente.
Non c'era anima viva in giro. Nemmeno un auto eta passata sotto la sua finestra, e ora che lo notava, nemmeno l'autobus era passato.
Il barbone era scomparso.
Bussarono alla porta e Steve fu costretto ad abbandonare la sua contemplazione, e a grandi falcata si avviò verso la porta, controllo dallo spioncino, prima di togliere il chiavistello dalla porta ed aprirla.
"Dovremmo smetterla di vederci in questo modo! Qualcuno potrebbe farsi delle strane idee!" Esordì Sam una volta entrato in casa dell'amico.
Steve sorrise, chiuse la porta e dandogli un'amichevole pacca sulla spalla rispose: "Credi che potrebbero pensare ad una cospirazione ad danni del governo?" Scherzò riferendosi alle accuse che soltanto pochi mesi prima lo avevano visto protagonista.
"Due bravi ragazzi come noi? Impossibile!"
Risero entrambi brevemente prima di tornare all'argomento principale del loro incontro.
"Allora? Cos'abbiamo sta volta?"
Steve sospirò, avvicinandosi al monitor e facendogli cenno di dare un'occhiata.
"Il solito! Documenti, file, filmati delle telecamere di sicurezza!" Spiegò.
"E ancora niente sull'identità del misterioso informatore!" Ipotizzo Sam sapendo di non sbagliarsi.
"Esatto, sempre la stessa busta, azzarderei addirittura dicendo che sono fatte dello stesso materiale. E anche se domani ho intenzione di farla analizzare come le altre, ci metterei la mano sul fuoco che di nuovo non troveremo nulla!"
"Ok..." Sospirò Falcon, sfilandosi la giacca per posarla sul divano. "Mettiamoci a lavoro!"
Si divisero i compiti, e Steve decise di stampare tutto ciò che riguardava la documentazione riguardante Josh Claver e Sam si occupò della visione dei video.
Si lasciò andare sul divano, con il blocco di carta stampata fra le mano ed inizio a sfogliarli con attenzione.
Essendo autonomi di intervenire quando più lo ritenevano necessario, gli Avengers erano direttamente responsabili delle loro azioni, perciò toccava a loro valutare i rischi e le conseguenze delle loro azioni, e Steve quando decideva di entrare in azione voleva essere sicuro di provocare il minor numero di danni possibili, il suo compito era quello di difendere le persone e voleva essere sicuro di riuscire a farlo al meglio.
"Sai, Tony sembra essere davvero molto curioso di sapere da dove ricavi tute queste informazioni!" Parlò Sam, interrompendo il silenzio carico di concentrazione che ormai si era creato da diversi minuti, senza però distogliere lo sguardo dal monitor.
"Non si è bevuto la storia dell'informatore anonimo! Come immaginavo d'altronde."
Sapeva bene che Tony Stark, conosciuto anche come Iron Man, non avrebbe abboccato a quella storia, e anche se in fondo non si trattava di una balla -visto che davvero nessuno sapeva da dove arrivassero quelle buste- sapeva che prima o poi si sarebbe spazientito ed avrebbe iniziato a ficcare il naso come suo solito. Sperava solo che se ne stesse buono ancora per un po', giusto il tempo che serviva a lui per scoprire con cosa, e soprattutto con chi avesse a che fare.
"Non gli hai detto la verità spero!"
"Per chi mi hai preso Steve!", "Sono tuo amico e se anche a volte non sono d'accordo con te, mi fido! So che se fai qualcosa è perché sai quello che fai."
Steve sorrise, la fiducia incondizionata che Sam nutriva per lui lo lusingava.
Sta volta però non era sicuro di meritarsela.
"Non so esattamente il perché, ma ho come la sensazione che dietro a tutto questo..." Indicò il loro lavoro con un gesto del braccio. "Nasconda qualcos'altro! C'è qualcosa su quelle buste che..." Si bloccò di colpo puntando i suoi occhi azzurri sul pezzo di carta giallo che giaceva sul tavolino.
Si alzò di scatto rigirandosi fra le mani alla ricerca delle uniche due parole incise sulla superficie liscia ad immacolata della carta.
Sentì su di se lo sguardo confuso dell'amico, ma non vi badò, se i suoi sospetti erano fondati tutto avrebbe avuto decisamente più senso.
Velocemente raggiunse la libreria, alla ricerca di ciò che avrebbe risposto a tutte le sue domande. Estrasse il fascicolo di Bucky, che Natascia gli aveva procurato e prese a sfogliarlo, finché non trovò ciò che cercava: Un rapporto missione scritto da quella che sapeva essere la calligrafia del suo migliore amico. L'aveva notato subito quando lo aveva studiato con attenzione, ma solo ora gli era venuto in mente.
Come aveva potuto non pensarci prima. Idiota. Si insultò mentalmente.
"Come ho fatto a non pensarci prima..." Mormorò mentre confrontava la scrittura di quel rapporto e la calligrafia di quell'unico indizio presente in ogni singola busta che aveva ricevuto. Era la stessa.
"Si può sapere che t'è preso?" Domandò infine Sam intento a fissarlo.
"È la stessa scrittura. È Bucky!" Asserì.
"È impossibile!"
"No invece! Ha senso, pensaci! Le domande quando attivo la pennetta, il fatto che ci siano tutti numi legati a l'Hydra lo dimostra! La scrittura è la stessa! Chi altro potrebbe essere!"
Sam restò in silenzio, probabilmente resosi conto che la teoria del suo amico poteva essere non del tutto infondata.
"Se davvero le cose stanno come dici tu..." Si bloccò all'improvviso attirando la sua attenzione. Seguì la direzione del suo sguardo capendo in fretta che il motivo di tanto interesse non era nient'altro che uno dei video ancora aperto sullo schermo.
Steve sgranò gli occhi avvicinandosi, non poteva credere ai suoi occhi.
Sullo schermo Bucky si muoveva velocemente atterrando in un attimo la guardia che armata di pistola mirava alla testa di una ragazza. Il braccio di metallo del suo vecchio migliore amico scattò in fretta verso la ragazza strattonandola verso di se e quando le la luce rossa della telecamera di sicurezza rimbalzò sul suo arto, Bucky sollevò lo sguardo puntando l'arma dritta contro l'obbiettivo.
Un istante dopo tutto fu buio.
"Chi diavolo era quella?"
Sam diede voce ai pensieri di entrambi. Era la stessa domanda che gli frullava per la testa, magari era solo un caso la sua presenza li, ciò nonostante, dopo mesi aveva di nuovo una pista, anche se debole, che poteva ricondurlo finalmete al suo amico.
"Non ho la più pallida idea di chi sia, ma una cosa la so. Potrebbe essere un indizio!"
"Dici che la conosce?" Domandò indicando con un cenno del capo la foto del fascicolo di Bucky abbandonato sul tavolo.
"Forse! Non ci resta che scoprirlo!" Sorrise.
"Chissà perché, ma immaginavo che lo avresti detto!" Abbassò il capo scuotendolo.
"Mi conosci bene!"
Si sorrisero.
"Forza. Abbiamo una pista da seguire!"
 

 
 
Angolo “autrice”
E finalmente ce la fa! Lo so che mi odiate e che sono imperdonabile, ma questo capitolo è stato un parto! So anche che avrei dovuto aggiornare 2 giorni fa, ma siccome sono stupida, ho bagnato il telefono che ha deciso di farsi un bel bagnetto nel water e avendo solo li il capitolo non ho potuto metterci mano per giorni, visto che per farlo aggiustare ci è voluta una settimana!
E quindi bon, non so che dire, sono scomparsa, ma avevo promesso che non avrei abbandonato la storia e non lo farò.
Altra cosa, ho intenzione di seguire gli eventi del nuovo film? Si, in parte, più che altro perché mi ha dato un idea concreta per il finale che onestamente latitava leggermente!
Perciò ora mi dileguo, scusandomi ancora immensamente per il mio  vergognoso ritardo! Cercherò di fare del mio meglio prossimamente, mi scuso con quello che leggono la mia storia e mi auguro che qualcuno abbia ancora voglia di leggerla e farmi sapere cosa ne pensa! Sono aperta a tutto!
Alla prossima, baci Lucy <3
(Perdonate (e segnalate) eventuali errori, non ho avuto modo di rileggerlo approfonditamente, ma lo farò, mi sono sbrigata a pubblicare per evitare altri incidenti XD)
 

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