Ogni canzone mi parla di te.

di piccolo_uragano_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La spirale ovale. ***
Capitolo 2: *** e invece sei tu. ***
Capitolo 3: *** Perdono. ***
Capitolo 4: *** stella cometa ***
Capitolo 5: *** principessa ***



Capitolo 1
*** La spirale ovale. ***


Immagino di dover dire qualcosa, prima, ehm ... la storia è ambientata più o meno nella terza stagione. Nasce perchè, ormai lo sappiamo, l'autrice non ci sta con la testa, e anche per dare alla stessa autrice la possibilità di sperimentare nuovi modi, nuovi mondi, nuove realtà. Ecco, per il resto, leggete e ci rivediamo a fine capitolo.



Ogni canzone mi parla di te.

Capitolo uno: ‘la spirale ovale’
(O ‘sei un tesoro’, o ‘ricominciare di nuovo’)


Luca guardava Lara dormire su quel divano scuro e scomodo. Era arrivata a casa sua la notte prima, piangendo. Anche con quel ragazzo era andata male, nemmeno questo Giorgio era quello giusto, nemmeno lui se la meritava. Luca lo sapeva, alla fine. Era finita esattamente come con Matteo, Marco, Giulio, Francesco … era finita perché nessun uomo al mondo riusciva a comprendere quanto in realtà lei fosse meravigliosa, con quel suo modo di gesticolare e di fare facce strane quando ragionava troppo, con quei pantaloni assurdi e quei capelli sempre in disordine. Lara era arrivata in lacrime, dicendo che si sentiva sbagliata e stupida. Lui si era limitato a spalancare la porta e ad abbracciarla. Che altro poteva fare? Erano anni che cercava di convincerla che non era lei ad essere sbagliata, ma gli uomini che si sceglieva. Ma lei era così, lei, pur di non incolpare gli altri dei suoi disastri, si sarebbe tagliata un braccio. Era così, era schietta, coraggiosa, leale ma fin troppo altruista. Per Luca, Lara era sempre stata quella persona che sapeva di poter trovare sempre accanto a lui, sempre disposta a sorridere, sempre disponibile a incoraggiarti.
Lara si mosse un poco, aprendo prima un occhio, poi l’altro, illuminando il mondo con quelle sue iridi azzurre e fredde, eppure così calde e piene d’amore.  «Buongiorno.» biascicò, stiracchiandosi e accennando un sorriso. Gli occhi erano ancora un po’ tristi.
Lui sorrise. «Caffelatte?» era quello il bello di essere amici da sedici anni: metà della loro vita l’avevano passata insieme, e conoscevano meglio le abitudini dell’altro che le proprie.
Lara sorrise, mettendosi a sedere. «Sei un tesoro.» gli baciò velocemente la guancia e si alzò, con addosso quella vecchia maglietta dei Beatles scolorita.
Luca la guardò andare verso il bagno: se avesse dovuto scegliere una donna per il resto della vita, senza dubbio avrebbe scelto lei. Si alzò anche lui, già pronto per uscire, andando verso la cucina, per preparare i due caffelatte (quello di Lara con due cucchiai di zucchero, il suo, invece, senza niente) e il caffè per Adriano, il suo compagno, che si sarebbe alzato a breve, mettendo in tavola i biscotti e leggendo il quotidiano che aveva preso dalla cassetta della posta appena sveglio.
Quando Lara uscì dal bagno, indossando dei jeans sotto a quella stessa maglietta, con un sorriso accennato si stava legando i lunghi capelli rossi.
Luca le sorrise. «Quindi, ora che farai?» le chiese.
«Beh» rispose Lara sedendosi. «immagino che dovrò di nuovo cambiare Commissariato, che dovrò ricominciare tutto di nuovo. Mi passi lo zucchero?»
«Te l’ho già messo io, lo zucchero.» sbuffò lui, sorridendo. «Lara, sai qual è l’unico commissariato della zona in cui non sei ancora stata?»
Lara storse il naso. «Sì.»
«E qual è?»
«Il Decimo Tuscolano.»
Luca sorrise. «Quindi presumo che fra qualche giorno verrai a lavorare con me.»
Lara fece una smorfia che indicava che gli stava facendo il verso.
«Perché non vuoi lavorare con me?»
«Perché no.»
«Dai, Lara. A sei anni ti era permesso rispondere ‘perché no’, ora abbiamo trentadue anni e siamo in grado di dare delle rispose sensate.»
«Era bello, quando avevo sei anni. Ero figlia unica e ancora non ti conoscevo.» bevve l’ultimo sorso di caffelatte e sorrise. «E io ne ho ancora trentuno. Non farmi invecchiare così a caso.»
Luca sorrise. «Ma non sei vecchia
Lei alzò gli occhi al cielo, poi prese la tazza e si alzò. «Comunque, non mi manderanno al Decimo.»
«E perché no?»
«Avete appena cambiato Commissario e ancora non avete beccato l’assassino della Rivalta, insomma …»
«Tu lo beccheresti.» replicò lui secco, ma con una nota dolce. Ancora intenta a lavare le tazze (l’aveva sempre divertita moltissimo, lavare le tazze giganti di Luca) Lara si voltò di scatto, incarnando un sopracciglio. «Perché ne sei così certo?»
«Perché tu hai una marcia in più, in certe cose.»
«Si chiama sesto senso femminile. Chiedi a Valeria
Lara pronunciò il nome della compagna lavorativa di Luca con una nota di disprezzo. Lui non fece in tempo a ribattere, perché Adriano uscì dalla camera da letto sbadigliando, con addosso solo un paio di boxer.  «Buongiorno.» disse, baciando Luca sulle labbra e strizzando l’occhio a Lara.
«C’è pronto il tuo caffè.» gli comunicò Luca.
«Sei un tesoro.» rispose l’altro, mettendosi a sedere. «Di che parlavate?»
«Di Lara che si trasferirà al Decimo.»
«Non è vero.» replicò secca lei, asciugandosi le mani e voltandosi verso il tavolo.
«Cambi di nuovo?» chiese Adriano, con stupore.
Lara lo guardò, con la bocca mezza aperta, sperando che capisse. Lui rispose continuando a guardarla dubbioso.
«Ieri sera ho mandato a fanculo il mio capo, nonché mio ex fidanzato. Devo chiedere il trasferimento prima che lui mi licenzi.»
Adriano alzò le spalle. «Non vi capirò mai, a voi poliziotti.» trangugiò il suo caffè e si diresse verso il bagno.
Luca tornò a guardare Lara con un mezzo sorriso stampato in volto.
«Luca?» disse Lara, rispondendo al sorriso. «Guarda che ore sono.»
Lui osservò distrattamente l’orologio che portava al polso, e quando si accorse che mancavano tre minuti alle nove si alzò di scatto, prese la giacca, corse verso il bagno per salutare il suo compagno, mentre Lara, urlando un saluto ad Adriano e dicendo a Luca che lo avrebbe accompagnato, afferrò le chiavi della macchina e uscì dalla porta, seguita da Luca.
«Non sono mai arrivato in ritardo, diamine!»
Lara ingranò la marcia per uscire dal vialetto di parcheggi del condominio. «Eh, già. Valeria potrebbe offendersi.»
Luca alzò gli occhi al cielo. «Smettila.»
«Potrai essere gay quanto ti pare, Benvenuto, ma certe cose una donna le capisce subito. Quella ha la puzza sotto al naso. Parola mia.»
«Okay, forse è un po’ rigida, ma non ha la puzza sotto al naso.»
Fu il turno di Lara ad alzare gli occhi al cielo. «Oh, andiamo Luca, quante volte mi sono sbagliata?!» replicò, mentre imboccava una stradina secondaria.
«Sbagli quando hai trentadue anni e ancora hai paura delle rotonde!»
«Trentuno, dannazione, trentuno!!» replicò lei quasi strillando. «E, per la cronaca, passando di qui si fa anche prima!»
«Lara Mancini, la donna che a quasi trentadue anni ancora temeva le rotonde.»
«Luca Benvenuto, l’uomo che a trentadue anni e un mese ancora non ha smesso di rompermi i … ma questo?» Una Punto uguale a quella di Lara era appena passata davanti a loro ad una velocità assurda.
«Quello è Roberto Ardenzi.»
«Può essere chi ti pare ma non sa guidare!» strillò lei, ormai giunta a destinazione.
«Lara, quanti punti hai sulla patente?»
Lara inchiodò e guardò Luca con finto odio. «Più dei tuoi neuroni.» Luca sorrise. «Sono le nove e due minuti, ispettore. Scenda o la Ruggero si preoccupa.»
«Ti odio.» replicò secco lui.
«Si, pure io.»
Luca scese dalla macchina borbottando qualcosa sul fatto che Lara guidasse in modo allucinante, e lei, sorridendo, lo guardò allontanarsi.

Lara citofonò alla porta della casa in cui era cresciuta, maledicendosi per aver dimenticato di nuovo le chiavi. Fece un paio di passi indietro per osservare da lontano quella casette dispersa in campagna, con i muri gialli e le imposte verdi, la porta grande e le tende chiare. Solo chi ci aveva vissuto poteva capire il mondo che c’era dentro.
«Chi è?» chiese una voce che Lara conosceva fin troppo bene.
«Sono Lara, mamma.» rispose, facendo il sorriso più convincente che riuscì a sfoggiare.
La porta si spalancò, e Lara si trovò davanti alla sua esatta fotocopia, solo vent’anni più vecchia e con i capelli scuri. I capelli rossi di Lara erano tutto ciò che lei aveva di suo padre. Quando sua madre la abbracciò, Lara, come ogni volta che andava a trovarla si ripropose di andarla a trovare più spesso. Era vedova da quasi due anni, ormai, eppure, da quando era uscita di casa per cercare di portare avanti una delle sue prime storie serie, faceva fatica a tornarci. Era come tornare in una tana che, ormai, ti sta stretta.
«Lara, piccola mia, che bello vederti, che bello, ogni tanto … vieni, piccola, entra … hai pranzato? Vuoi pranzare?»
Lara riuscì a staccarsi di dosso la donna, trovando le cose del defunto marito di sua madre esattamente come le aveva lasciate lui l’ultima volta che era uscito di casa. quando vide le chiavi della moto nello svuota tasche all’ingresso ed il berretto sull’appendiabiti, a Lara si chiuse lo stomaco. Per fortuna, sua madre era una delle persone che parlava di più al mondo, e non si accorse di non aver ricevuto risposta, quando Lara si sedette al suo posto (quello era sempre stato il suo posto, e sarebbe rimasta una delle poche certezze della sua vita), la donna stava ancora parlando.
«Tua sorella sarà qui a momenti, sai? Sarà contenta di vederti, si, sarà contenta, anche se mi racconta che vi sentite con quelle cose … quella macchinetta che si porta sempre in tasca, come si chiama?»
«Cellulare, mamma.» rispose Lara.
«Ecco, si, me lo racconta lei, che vi sentite con quelle macchinette lì … vuoi un caffè, tesoro?»
«Si, grazie.»
«Tua sorella sta prendendo la maturità, sai? È brava, è brava davvero … sono stata ai colloqui, la settimana scorsa … hanno detto che studia, che è intelligente, che potrebbe andare avanti, che potrebbe andare all’università … beh, fa casino, parla sempre, dicono, ma è intelligente …»
Lara sapeva che quella, per sua madre, era una soddisfazione immensa: lei non era assolutamente mai stata la figlia perfetta (lei e Luca erano sempre in presidenza per qualche scherzo che, a quanto pare, non divertiva mai nessuno al di fuori di loro due) lei non aveva mai portato a scuola dei nove, lei arrivata al sette. Lei era quella che si vestiva fuori moda, che portava i jeans strappati e che la sera stava fuori talmente tanto che tornava per la colazione.
«Dice che le piacerebbe studiare Medicina, sai? Per diventare un medico, una dottoressa, come suo padre, che era un dottore ...»
Tipico di quella ragazzina: nascondersi dietro l’ombra di qualcuno di più grande e più importante di lei.
«Tu … tu un giorno sei entrata da quella porta dicendo che tu e Luca siete entrati in Polizia … vi farete ammazzare, vi farete, ve lo dico io …»
Lara, senza smettere di sorridere, fece il gesto scaramantico delle corna sotto al tavolo. Sua madre era al primo stadio di quella malattia mentale chiamata Alzheimer, e lei si sentiva tremendamente in colpa. Sua madre stava perdendo il senno e lei non c’era.
«Ah, come sta Luca? È un po’ che non lo vedo neanche lui, sai?»
«Luca sta bene, mamma.» rispose, girando lo zucchero nel caffè.
«Tu e Luca state insieme, alla fine?»
«No, mamma. Luca è omosessuale, ricordi? Te lo ha detto dieci anni fa.»
«Omosessuale, si … si, me lo ricordo, me lo ricordo .. vuol dire che gli piacciono gli uomini, si, mi ricordo …»
In quel momento, la porta si spalancò, e una ragazza identica alla madre di Lara entrò in casa. «Mamma, ma perché la porta era apert … Lara
Lara si alzò ed abbracciò la sorella. «Ciao, bella. Tutto bene?»
Ludovica annuì, e poi guardò sua madre. «Hai visto, mamma? Te lo dicevo che sarebbe venuta a trovarci prima o poi!»
«Ludo, tu lo sai … lo sai che Luca è omosessuale?»
Ludovica non perse il sorriso. «Si, mamma, lo so. E se non mi sbaglio, convive.»
Lara annuì. «Si, convive.» prese un biscotto dal contenitore sul tavolo e lo addentò.
«E il suo compagno com’è?»
«Adriano? Si, beh, è simpatico.»
«E vive con Luca?» chiese la madre.
«Si.» Lara era lì da dieci minuti e aveva già voglia di correre via.
«Ma anche lui è omosessuale?»
«Si, mamma. Luca e Adriano stanno insieme, come marito e moglie.»
«Come marito e moglie …» ripeté la donna. «E tu? Tu non ce l’hai un marito?»
«No, mamma, non ce l’ho un marito. Io e il mio fidanzato ci siamo lasciati ieri.»
«Che cosa?!» domandò Ludovica, con aria esterrefatta. «Ma quando? Cioè, perché
Lara le fece segno che non importava. «Mamma, ascoltami. Io torno a lavorare qui vicino, se hai bisogno, okay?»
«Venite a cena?» chiese la madre, ignorando la domanda di Lara.
«Chi?»
«Tu, Luca, e quello che è come se sono marito e moglie.» il suo sguardo era improvvisamente lucido. Luca per lei era stato come un figlio, e il pensiero che almeno uno dei suoi figli avesse una vita sentimentale che riuscita a stare in equilibrio la rasserenava e le dava lucidità.
Fu per questo che Lara sorrise e disse: «Si, mamma, io, Luca e Adriano verremo a cena.»



Erano le sette e dieci, Lara, che si era cambiata e lavata, era appoggiata alla sua Punto grigia fuori dal Decimo Tuscolano. La maglietta larga mostrava il simbolo storico del Rolling Stones, e lasciava intravedere il tatuaggio che aveva alla base del collo. I capelli rossi erano raccolti nella solita coda, ma quando Luca uscì da quella porta e la vide, pensò comunque che fosse bellissima, anche con il broncio gigantesco che portava. Valeria Ruggero, Roberto Ardenzi e Mauro Belli, dietro di lui, furono folgorati da quello strano personaggio.
«Hai detto che mi odi!» le urlò contro Luca, sorridendo.
«Sono sedici anni che te lo dico, Benvenuto.» replicò lei, appena i quattro si furono avvicinati. «Ma è mio dovere morale ammettere che oggi, per la prima volta in questi sedici anni, avevi ragione.»
«Non era affatto la prima volta, ma riguardo a cosa?» La domanda ebbe subito una risposta dall’espressione imbronciata della donna. «Ti hanno trasferita qui?» Di nuovo, Lara non rispose, ma Luca scoppiò in una risata di cuore, corse verso l’amica e l’abbracciò, sollevandola da terra. Poi, tenendole un braccio attorno alle spalle, si girò verso i tre colleghi che avevano assistito alla scena con un mezzo sorriso. «Ragazzi, so che vista così sembra uscita da un vecchio video musicale, ma lei è l’ispettore Lara Mancini, e vi giuro che ha un sesto senso che fa paura.»
Roberto, divertito da quella scena, tese la mano a Lara. «Piacere, ispettore Roberto Ardenzi.»
Lara gli strinse la mano sorridendo. «Piacere mio.»
Mauro seguì subito l’amico. «Mauro Belli, al suo servizio.»
«Belli, dammi del lei e farai una brutta fine.» replicò lei sorridendo.
Valeria sorrise e tese la mano a Lara. «Sarà un piacere averti come collega, Lara. Luca parla sempre benissimo di te.»
Lara strinse la mano alla donna con un mezzo sorriso. «Non credergli, Valeria: ne faccio una giusta e dieci sbagliate.»
«Sei una bugiarda.» replicò Luca.
Lara non diede segno di averlo sentito.
«Inizi domani?» chiese Mauro.
Lara annuì. «Pare di sì. Oggi sono venuta a ritirare Benvenuto per prenderlo a calci nel sedere.»
Valeria sorrise. «Non maltrattarlo troppo.» raccomandò.
Lara non fece in tempo a rispondere, perché Luca, anticipando la sua risposta, chiese prontamente se Lara, in quella giornata libera, avesse fatto visita a sua madre.
Lara, che era più bassa di Luca di cinque centimetri, lo guardò dal basso verso l’alto. «Sì. E le ho detto che saremmo andati a cena da lei.»
«Che cosa?!»
«Scommetto che ora rimpiangi di aver avuto ragione, questa mattina, vero?»
I tre sorrisero e si dileguarono, mentre Luca salì in macchina. «E Adriano?»
«Lo passiamo a prendere ora, Adriano.» rispose lei, allacciandosi la cintura di sicurezza e procedendo in retro per uscire dal parcheggio.
«Che canzone è?» chiese Luca, alzando il volume della radio.
«Spirale Ovale.» rispose prontamente Lara, riavvolgendo il nastro dell’audiocassetta. «Me l’ha prestata mia sorella, lei è in fissa con questi Articolo 31, ora.»
Luca sorrise, cercando di ascoltare le parole della canzone, mentre raccontava a Lara della giornata, e lei criticava ogni sua mossa, sorridendo e insultando le persone alla guida delle altre auto.
Non noto la pettinatura ed il vestito, ma muoio per il tuo sorriso.
 

Ecco, allora, mio caro lettore, mia cara lettrice, mi sento in dovere di porgere delle spiegazioni.
Andiamo in ordine.
Il nome del capitolo è, si, riferito alla canzone degli articolo 31, e, nel caso qualcuno avesse letto 'la neve se ne frega' di Luciano Ligabue, avrà notato che questa cosa dei più titoli per uno stesso capitolo è presa da lì. Si, sono talmente indecisa da doverlo fare.
Per quanto riguarda le canzoni, invece, si accettano offerte.
Il personaggio di Lara. Allora, non so da dove mi sia uscita questa donna, davvero, ma sono contenta che sia arrivata, perchè l'idea di lei e quel figo di Benvenuto (si può dire che è figo?) mi diverte molto. Che cosa succederà? Beh, lo sapremo presto. 
La struttura del capitolo, invece, sarà la stessa per gli altri. Nel senso, la frase finale in corsivo è presa dalla canzone che da il nome al capitolo (il nome ufficiale, almeno) e sarà una frase che entrambi si dedicano, dapprima inconsciamente, come la prima volta, e poi ... beh, vedremo! 
Spero di avere detto tutto e spero di vedervi nelle recensioni.
Fatto il misfatto! (si, dovevo dirlo comunque)
la vostra Claude :3

 

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Capitolo 2
*** e invece sei tu. ***



Ogni canzone mi parla di te.
Capitolo due: e invece sei tu.
(o ‘sei la mia famiglia’, o ‘compagni di esistenza’)


Erano le otto e trentasette del mattino del giorno dopo, e Lara stava suonando insistentemente il clacson sotto al portone del condominio dove vivevano Luca e Adriano. Intanto, all’interno della piccola automobile si sentiva ancora la canzone della sera prima. Dopo due minuti Luca spalancò il portone, con due grosse occhiaie e una felpa grigia.
«Buongiorno.» salutò Lara.
«Ciao.» rispose lui.
«Dormito poco?» chiese, con un sorrisetto malizioso.
«Non farti strane idee, Mancini. Abbiamo litigato.»
Lara si rattristò. «Mi dispiace.»
Luca passò i successivi dieci minuti a sfogarsi, e i due rimasero chiusi in auto anche quando arrivarono a destinazione, perché lui si stava ancora sfogando (Adriano non sembrava volersi trovare un lavoro serio) e Lara non aveva assolutamente voglia di entrare. Solo in quel momento, Luca notò che la maglietta della ragazza non portava nessuno stemma, nessun logo o nessuna scritta: era una camicia di jeans, una semplice camicia di jeans. I capelli erano raccolti in una semplice coda elegante e portava due orecchini a forma di stellina ai primi due buchi, e tutti gli altri (tre sul lobo sinistro, due sul destro) sfoggiavano dei piccoli brillantini.
«Hai dormito da tua madre?» chiese, cambiando argomento.
Lara si guardò, allarmata. «Puzzo?»
«Al massimo profumi. Casa di tua madre ha un buon profumo.»
«Beh, fatti accompagnare da lei al lavoro, domani.»
«Non hai una tua maglietta in macchina? L’ultima volta che ti ho visto indossare una camicia davamo la maturità!»
«Non infierire. Dovrò stare alle regole di mia madre fino a quando quel figlio di buona donna non avrà liberato casa mia dalle sue robacce.»
«Perché non stai da noi?»
«Credevo che tu e il tuo ragazzo aveste altro da fare, piuttosto che ospitare una vagabonda.»
Luca guardò fuori dal finestrino con aria malinconica. «Lo credevo anche io.»
«Scusa, non avrei dovuto dirlo.» sussurrò Lara.
«Non fa niente.»
«Oh, ho un regalo per te.» si ricordò improvvisamente Lara. Estrasse dalla borsa gigante un cd.
«Ligabue?» chiese Luca con un sorriso. «Ma Ligabue piace a te
«Si, ma il commesso era carino, il cd è una bomba e Ligabue ti piacerà, prima o poi, che tu lo voglia o no.»
Luca le baciò la guancia per ringraziarla, rise e uscì dall’auto. Lei fece lo stesso, e, in quel momento, un uomo con i capelli grigi e la divisa da agente girò l’angolo e salutò Luca.
«Parmesan!» rispose lui. «Posso presentarti il nostro ultimo acquisto?» chiese con tono fiero, indicando Lara.
La donna tese la mano. «Ispettore Lara Mancini, molto piacere.»
Come i suoi colleghi la sera prima, l’uomo rimase folgorato da quella sua ingenua bellezza. «Sovraintendente Antonio Parmesan, lieto di conoscerla, ispettore.»
«Parmesan, non darle del lei.» lo mise in guardia Luca.
L’uomo sorrise. «D’accordo, allora: è un piacere conoscerti, Lara.»
Luca strizzò l’occhio a Lara e le fece segno di seguire Parmesan verso l’ingresso del Commissariato.
Lei era bravissima a non mostrarlo, ma Luca sapeva che la sua migliore amica era davvero agitata all’idea di dover cambiare di nuovo ambiente. Ma lei era così, lei era una trottola, lei ferma in un posto per più di due anni non ci sapeva stare. L’unica persona che era riuscita a restarle accanto per più di ventiquattro mesi era lui, l’unico sopravvissuto a sclerate, pianti, periodi di totale apatia e periodi in cui sembrava che avesse bisogno di sedersi e stare ferma per tre secondi. Ma lei era fatta così, e lui non l’avrebbe mai cambiata di una virgola per nessun motivo al mondo.
Una volta varcata la soglia del Commissariato, il vicequestore aggiunto, Giulia Corsi, che li attendeva all’ingresso, sorrise a Lara studiandola segretamente.
«Immagino che lei sia Lara Mancini.» le disse.
Lara, abile nel non tradire agitazione, sorrise. «Sembra di sì.»
La Corsi le porse la mano destra. «Commissario Giulia Corsi, lieta di conoscerla: ho sentito grandi cose su di lei.»
Lara le strinse la mano, mordendosi la lingua per la forma di cortesia che il Commissario usava nei suoi confronti. «Posso dire la stessa cosa di lei, commissario.»
La Corsi mostrò a Lara quella che sarebbe stata la sua scrivania, in una stanzetta alla sinistra dell’ingresso, e incaricò Luca di farle fare il giro del Commissariato, ignara del legame tra i due.  L’intero Distretto apprezzò subito quella nuova figura femminile e quando ebbe finito il giro, la Corsi la fece chiamare nel suo ufficio.
Lara bussò timidamente, ricevendo un invito ad entrare.
«Salve, Commissario.» disse, entrando ma tenendosi sulla soglia. «Mi ha cercata?»
«Prego Mancini, si accomodi.»
Lara prese posto su una delle due sedie davanti alla scrivania.
«Mi parli un po’ di lei, ispettore. Ho sentito di grandi casi risolti – tra cui un caso risolto con un Maxi Processo e cinque ergastoli per cui sento il dovere di complimentarmi, davvero.»
Lara sorrise. «Amo il mio lavoro, Commissario.»
«E posso chiederle come mai non si è mai fermata nello stesso commissariato per più di … ventisette mesi?» chiese, controllando dei documenti.
«Ho un carattere molto difficile. Solo quattro persone sono state in grado di rimanermi accanto per più di ventisette mesi.»
«Immagino si tratti dei suoi familiari, allora.»
«Beh, si tratta di mia madre, che mi sopporta dalla bellezza di trentuno anni – okay, quasi trentadue - di mia sorella Ludovica, che ha diciannove anni, e …»
«Diciannove anni?» chiese la donna stupita. «I suoi genitori quanti anni hanno, mi scusi?»
Lara sorrise. «Mi scusi, Commissario, mi sono spiegata male. Ludovica non è propriamente mia sorella, è la figlia di mia madre e del suo secondo marito. Mia madre mi ha avuta a ventiquattro anni, ed è stata sposata con mio padre fino ai ventisei. Ora è un’allegra signora di cinquantasei anni.»
La Corsi sorrise all’idea di quella famiglia allargata. «E suo padre?»
«Io e mio padre non parliamo da quando avevo diciassette anni, Commissario. Il cognome che porto è il cognome di mia madre.» replicò Lara, come se l’argomento non la toccasse affatto, come se suo padre fosse qualcosa di assolutamente lontano e che non la riguardava.
«Mi dispiace. Mi diceva di queste quattro persone, quindi …»
«Mia madre, il suo secondo marito – deceduto quasi due anni fa – mia sorella, come le dicevo, ed infine il migliore amico che potessi desiderare.»
«Immagino si tratti del nostro ispettore Benvenuto.» rispose lei con un sorriso.
Lara rimase stupita. Luca aveva detto che la Corsi non sapeva della loro amicizia, e non avrebbe voluto che quella notizia varcasse la soglia dell’ufficio del Commissario: l’avrebbero presa per una raccomandata, ed era l’ultima cosa che voleva accadesse. Aveva sempre odiato chi si faceva raccomandare, perché lei era per la lealtà e la purezza del cuore. Il pensiero che qualcuno arrivasse in alto grazie ad un nome o ad un’amicizia la faceva arrabbiare, e Lara arrabbiata non era un bello spettacolo.
«No, non me lo hanno detto. Vede, ci sono cose che si capiscono al volo, e il vostro modo di guardarvi e di comunicare senza usare le parole lasciava ben poco all’immaginazione.» Lara abbassò lo sguardo, e, se ne fosse stata in grado, sarebbe arrossita.  «Non si preoccupi, Mancini: non avrei accettato di prenderla con noi se non fossi stata certa che il suo legame con Benvenuto non interferirà minimamente con il suo lavoro ed il suo leggendario intuito.»
Lara sorrise. «La ringrazio, Commissario. Spero di non deluderla.»
«Sono certa che non accadrà: intanto, lavorerà con Belli e Ardenzi, per vedere con loro come se la cava con questo caso.» le allungò un fascicolo. «Si tratta di un tredicenne morto suicida la scorsa settimana, ma non ha lasciato un vero e proprio motivo. La madre è disperata, e io sono riuscita a tenere lontana la stampa, ma non durerà.»
Lara annuì. «Ho capito, Commissario. Inizio subito.» la salutò con un sorriso e uscì dall’ufficio.
Trovò Luca appoggiato al muro, intento a fissarla e a sorridere. «Allora?» chiese, con sguardo curioso.
«Allora, la gente non lavora, qui? O la cena di mia madre ti è rimasta sullo stomaco e vuoi vomitarmela addosso?»
«Sei solo gelosa perché tua madre mi ama.» rispose lui alzando le spalle, ma lei si era già diretta alla sua scrivania, si era seduta e aveva aperto il fascicolo.
«È la convinzione che frega la gente.» rispose, osservando il fascicolo.
«Questa è la frase che ripeti di più al mondo, insieme a ‘ho fame’ e ‘vaffanculo’.»
«E ‘ti odio’ a che posto è?»
«Secondo posto. ‘Vaffanculo’ è più diretto.» si sedette sulla scrivania e osservò le foto del ragazzino che si era suicidato. «Su che lavoriamo?»
Lara alzò gli occhi e lo guardò. «Ti odio, ho fame, vaffanculo, è la convinzione che frega la gente e cercami Mauro Belli e Roberto Ardenzi
«La aggiungiamo alle frasi che ripeti di più?»
«Si, dato che lavoro con loro e non con te e la tua amica.»
Luca incassò il colpo e si alzò chiamando a gran voce Roberto e Mauro, mentre Lara, cercando di non darlo a vedere, sorrise, si sciolse i capelli e scosse la testa, mentre controllava un messaggio che le era arrivato sul Motorola.
«Benvenuto, notizia bomba: Giorgio mi ha liberato la casa, non devo più stare da mia madre.» disse, con una nota di gioia nella voce.
Luca le sorrise, mentre Roberto e Mauro entravano in ufficio.

Lara entrò in casa, sudata, vestita da corsa, con i capelli raccolti ma comunque spettinati. Era ora di cena, ormai.
Quella casa era sì, dispersa nel nulla, ma sembrava uscire direttamente dai suoi sogni. Prima di tutto, viveva di nuovo da sola, e questo non poteva che essere un bene. Per il resto, era una semplicissima struttura formata solo da pian terreno, ma costruita in modo da avere un’ampia zona giorno e quattro camere da letto, tre bagni ed un garage a cui si accedeva direttamente dalla cucina. Entrando, sulla destra, oltre ad un muretto, si estendeva la gigantesca cucina, con tanto di bancone centrale per cucinare con i due sgabelli per quando Lara era sola. Accanto al bancone di marmo chiarissimo, c’era un tavolo da pranzo con sei sedie. Davanti alla porta d’ingresso, tre divani circondavano un camino, e, più a sinistra, due poltrone erano rivolte verso ad una televisione. Accanto a questa televisione, vi era la porta per la prima stanza da letto, quella di Lara, e il bagno adiacente. Dall’altra parte della casa, invece, (quindi alla sinistra del camino) un corridoio portava alle altre tre stanze. La prima era più grande di quella di Lara, ma non aveva il contatto diretto con il giardino che la donna adorava. Era la camera di Luca, quando litigava con Adriano, o, prima ancora, quando non aveva dove andare. All’inizio anche lui viveva lì. Subito dopo la stanza di Luca, c’era il ‘bagno piccolo’, poi un’altra porta conduceva al piccolo studio di Lara, con delle librerie di faggio che arrivavano al soffitto, piene di libri, manuali e fascicoli. La terza porta della zona est portava al terzo bagno, e l’ultima ad una camera da letto che non veniva usata quasi mai, se non da Ludovica o dal vecchio amico di passaggio. La camera di Lara, il salotto, la camera di nessuno ed il corridoio avevano delle gigantesche porte finestre che conducevano al giardino, al centro del quale vi era una gigantesca piscina, un tavolo da esterni, un griglia ed un albero con una casetta per bambini, perché (Lara ne era sicura) presto o tardi avrebbe trovato “quello giusto” e avrebbe avuto quei quattro bambini che aveva sempre sognato.
Entrò in casa sfinita da quella corsa, con il sole che stava tramontando, trovando Luca Benvenuto ai fornelli della sua cucina.
«Ehi.» disse, con il fiatone. «Sei stato sfrattato?»
Lui si voltò a guardarla. «No, mi sono preso un momento io. Ti va una pasta?»
Lara si diresse verso la sua stanza. «Adriano sa che sei qui?»
«Non gliel’ho detto, ma sa che sei la mia famiglia. Ah, mi ha chiamato Roberto, ha litigato con Francesca, la sua compagna, e …»
«Sta venendo qui?» urlò Lara dal bagno.
«Si, è un problema? Mi aveva chiesto di venire da me, quindi …»
«Figurati, casa mia è sempre aperta, soprattutto ora che sono sola.»
Luca sentiva l’acqua scorrere e Lara canticchiare Wake me up when september ends. Sorrise mentre buttava la pasta nell’acqua bollente. Era tutto così naturale, tra di loro. Eppure, si erano conosciuti quando lui era in cerca di sé stesso e lei girava con la salopette, i capelli tinti di tutti i colori possibili, gli anfibi rossi e quella solita matita nel capelli che le stava sempre benissimo. Erano al secondo anno di liceo, il primo giorno di scuola. Lui aveva appena cambiato quartiere, e aveva deciso di lasciare il liceo classico per passare allo scientifico. Quando lui entrò in classe, presentato a quel gruppo di ragazzi come ‘quello nuovo’, l’unico banco disponibile era quello in ultima fila, accanto a quella ragazzina un po’ strana che si mangiava le unghie ed era seduta come un muratore. Quando lui le aveva detto di essere omosessuale, un anno e mezzo dopo, erano già molto amici. Lei aveva alzato le spalle e aveva detto «E io il mese prossimo mi tingo di rosa, che ne pensi?» lui aveva riso e l’aveva abbracciata. Dopo quel piccolo segreto, erano diventati inseparabili.
Il citofono suonò e lui si diresse ad aprire la porta e Roberto e a Mauretta, con un grande sorriso.
«Robè, benvenuto. Ciao piccola.» fece un buffetto sul naso alla bambina mentre Roberto entrava in casa.
«Ciao, Luca, scusa … davvero, è che Mauro è a cena con Germana, sai, è il suo compleanno, e …»
«Non ti preoccupare.» lo rassicurò Luca. «Lara arriva, credo sia ancora in doccia. Puoi mettere le vostre cose nella stanza in fondo al corridoio, guarda …» gli indicò quella stanza che non usava mai nessuno, contenente un letto matrimoniale e una scrivania. Roberto ringraziò di nuovo e si diresse verso la stanza indicata con la bambina e una grossa borsa, mentre Lara, con i capelli ancora bagnati, uscì dalla sua stanza indossando una canotta grigia e dei pantaloncini di cotone.
«Ehilà, Ardenzi.» disse, con un sorriso. «Fai come se fossi a casa tua.» poi notò la bambina, e si illuminò. «Oddio, e questa principessa chi è?»
La bambina sorrise.
«Lei è Mauretta Ardenzi.» le disse Luca.
«Ciao, Mauretta.» Lara si chinò per essere alta quanto lei. «Io sono Lara, tanto piacere.»  porse la mano alla bambina che la strinse timidamente.
Luca non poté fare a meno di sorridere, guardando come Lara si entusiasmava davanti ad una bambina. Aveva sempre amato i bambini, e sarebbe stata una bravissima mamma, un giorno. La cosa meravigliosa da vedere, era che anche i bambini amavano lei. Per strada le sorridevano, e quando passeggiavano nei parchi, la guardavano come se si aspettassero che si chinasse a giocare con loro. Lei, con quel suo sorriso contagioso, agitava la mano in segno di saluto e prendeva Luca a braccetto, ripetendo che un giorno ne avrebbe avuto uno anche lei.
In quel momento, Lara alzò gli occhi, incrociando quelli di Luca. E i loro sorrisi dicevano tutto.

Tra i divani ed il camino, c’era un tavolino di legno scuro. Erano le tre del mattino e quel tavolino era stracolmo di foto, documenti, appunti. Riguardavano Lorenzo, un ragazzino di tredici anni che si era tolto la vita, e nessuno era riuscito a capire perché. Lara fissava quegli appunti e le foto di quel bambino impiccato, cercando in ogni modo di venirne a capo, con un indizio, una traccia da seguire. Aveva passato il pomeriggio a parlare con i genitori divorziati di questo ragazzino, e non era riuscita a fare a meno di pensare a quando lei aveva tredici anni, una sorella di pochi mesi, un padre che non era in grado di volerle bene e troppe lacrime da versare.
Vera, la madre del ragazzino, lo descriveva come un figlio che la riempiva di soddisfazioni, con una buona media scolastica e degli amichetti affidabili. Gli altri bambini del condominio, che avevano parlato con Mauro, dicevano che, sebbene fosse imbranato a giocare a calcio, era simpatico. I professori, interrogati da Roberto, avevano dato un riscontro positivo.
Lara scosse la testa. «Perché?» sussurrò, tirando con la sigaretta. Non fumava spesso, fumava quando era nervosa. E non risolvere un caso la rendeva nervosa.
Sentì la porta della camera di Luca aprirsi, e si girò quel tanto che bastava per vedere il suo migliore amico in maglietta e boxer uscire dalla camera in punta di piedi.
«Buonasera.» gli disse.
Lui si spaventò. «Che ci fai sveglia?» poi notò la sigaretta e il tavolino sommerso di documenti. Conosceva quel genere di situazione. Bastava una domanda perché Lara iniziasse a vomitare fiumi di parole e trovasse la soluzione da sola. «Oh.» disse. «Non ne vieni a capo?»
«Indovinato.» rispose Lara, tornando a guardare tutti quei fogli. Spense la sigaretta e si mise le mani nei capelli. Prese una foto che ritraeva il biglietto lasciato, che diceva solo ‘perdonami mamma’. «È come se si trattasse di due ragazzini diversi. Quello che si è impiccato e quello che mi ha descritto sua madre.» Luca si sedette accanto a lei. «Sua madre era … era come se fosse fatta di vetro e fosse stata davanti a me per terra in mille pezzi, Luca.»
Lui le accarezzò i capelli crespi. «Il padre?»
«No, lui era una roccia, sembrava che non gli importasse. Ha una seconda moglie e un secondo figlio. Questo ragazzino e sua madre appartenevano alla sua vita precedente.» scosse la testa, passandosi la lingua sulle labbra che sapevano ancora di Marlboro. «Tu … tu come fai? Voglio dire, quando hai un caso così, e non ci trovi né capo né coda, come fai?»
Luca sorrise. «Chiamo la mia amica Lara … anzi, direi, la compagna della mia esistenza, Lara … non so se la conosci, è una tipa carina, rompipalle, testarda, ma è intelligente, e … la soluzione la trova sempre.»
Lara lo guardò sorridendo. «Puoi ripetere?»
«Chiedo a Lara, la compagna della mia esistenza. È una tipa, carina, ro-»
Il sorriso di Lara si allargò. «Da quando mi trovi carina?»
«Oh, ehm, immagino da quando la Agnello di latino mi disse ‘prego, accomodati vicino alla Russo, lì all’ultimo banco’, più o meno da lì.»
Lara scosse la testa, appoggiandosi alla spalla di Luca. «Eri carino anche tu, si. Ma il cognome di quel verme non si può sentire.»
«Dovresti chiamarlo.»
«No.» replicò lei secca. «Ha detto di non farmi più vedere.»
Parlare con Lara di suo padre era come parlare ad un ebreo di Hitler.
«Lara?»
«Dimmi.»
«Prendiamo la moto e andiamo a vedere l’alba al mare?»

Esattamente un’ora dopo, Lara stava parcheggiando il vecchio scooter sul lungomare. Il cielo si era colorato di un dolce azzurro chiaro, e i primi colori dell’alba erano già visibili al di là del mare. Un bar stava aprendo, e la radio passava e invece sei tu, di Cesare Cremonini, cantante che loro adoravano. Corsero fino ad arrivare quasi alla riva, e videro i primi raggi del sole cominciare a sbucare dall’orizzonte.
«Erano anni che non guardavamo l’alba al mare, sai?» sospirò lei. Era una cosa che usavano fare prima che Luca convivesse, prima che alla madre di Lara venisse diagnosticato l’Alzheimer e prima che entrambi spegnessero trenta candeline.
Lui, in tutta risposta, la abbracciò da dietro, posandole la testa sulla spalla, annusando il suo odore che lo faceva sentire a casa.
E invece sei tu,che hai fatto di me un uomo migliore. E invece sei tu, che hai fatto per me un mondo migliore.
 

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Capitolo 3
*** Perdono. ***



Ogni canzone mi parla di te.
Capitolo tre: Perdono.
( o ‘se non te la sposi tu …’, o ‘colpe e meriti’)


Lara, con una maglia a grosse righe orizzontali, entrò di nuovo in quel condominio in cui aveva interrogato la madre di Lorenzo, il ragazzino suicida, seguita da Luca e Valeria, perché Roberto e Mauro erano impegnati a cercare di risolvere il caso di Angela. Nel cortile interno, quattro ragazzi che avranno avuto si e no diciotto anni giocavano a basket. Lara li guardò con invidia, pensando a quando lei e Luca passavano i pomeriggi a giocare.
«Ehi!» disse, dirigendosi verso quei quattro facendo segno a Luca e Valeria di aspettarla lì. I ragazzi si fermarono, scrutando Lara con diffidenza. «Scusate, ragazzi.» estrasse il distintivo e glielo mostrò. «Avrei bisogno di farvi un paio di domande, riguardo a Lorenzo, il …»
«Ancora?» sbottò il più alto dei tre. «Eh, no, mò basta! Siete già venuti la scorsa settimana, e ieri a chiedere un sacco di cose a mio fratello! Che volete ancora?»
Lara incarnò un sopracciglio. «Sapere la verità.»
«Beh, noi non la sappiamo, la verità.» le rispose il secondo avvicinandosi come a volerla aggredire.
Valeria, rimasta accanto a Luca nell’ombra, fece per andare ad aiutarla, ma lui la fermò con un gesto, facendole segno di stare in silenzio. «Sa quello che fa.» sussurrò.
«Però potete aiutarmi a scoprirla.»
«Credevo si fosse ammazzato, no?»
«Scusa, bello. Ho una laurea e un po’ più esperienza di te. E la mia esperienza dice che se uno si suicida ha un buon motivo, e io sto cercando questo buon motivo.»
«Noi non sappiamo niente.» rispose seccamente il più basso dei quattro.
Lara fissò il pallone nelle sue mani. «Se vi batto a basket mi aiutate a trovare la verità?»
«Tu? Da sola?»
Lara si voltò lentamente, guardò Luca e lui capì. Fece cenno a Valeria di rimanere lì, e raggiunse Lara al centro del campo, guadagnandosi gli sguardi diffidenti dei ragazzi.
«Non sono mai da sola.» replicò secca Lara. «Se vi battiamo, rispondete a ciò che dobbiamo chiedervi. Se perdiamo, invece, togliamo il disturbo.»
Il più alto dei ragazzi fece segno ai due più piccoli di andare verso il bordo del campo. «Ci stiamo. Però poi se perdi mi dai il tuo numero di telefono, bella.»
«E io ti sbatto dentro per tentata corruzione al pubblico ufficiale.» rispose Luca con una punta di rabbia.
Il ragazzo non rispose, si limitò a passare la palla a Luca, che la afferrò senza togliere gli occhi dal viso del ragazzo, alto quanto lui.
Uno dei due ragazzi a bordo campo fischiò, e la partita ebbe inizio. Luca e Lara, memori delle interminabili partite fuori scuola, riuscirono a riprendere a giocare senza la minima difficoltà. D’altro canto, i due ragazzi rimasero stupiti dalla bravura dei due amici e Valeria, che osservava da lontano, rimase a bocca aperta. Luca e Lara riuscivano ad intendersi con dei semplici e rapidi sguardi, coordinandosi in modo perfetto e spiazzando gli avversari, mentre il sole batteva sulle loro teste. Quando i due diciottenni si arresero, Lara rise. «Okay.» disse. «Ora sedetevi, mi sembrate esausti.»  i quattro si misero a sedere al centro del campo, e Lara fece cenno a Valeria di raggiungerli, mentre anche lei e Luca si accomodavano per terra.
«Interrogatorio per terra?» chiese la Ruggero.
Lara estrasse dalla sua borsa degli occhiali da sole con lenti a goccia. «Questo non è un interrogatorio, agente, perché questi ragazzi non sono accusati proprio di niente. Ma se non le sta bene può sempre chiedere di essere affidata ad un altro caso.»
Valeria, imbronciata, si mise a sedere, troppo orgogliosa per rispondere.
«Allora, prima di tutto voglio sapere i vostri nomi.» iniziò Lara.
«Marco Nozza, Alberto Turnis, Alessio Turnis e Matteo Loni.»
«Bene. Io sono l’ispettore Mancini, lui è l’ispettore Benvenuto e la mia collega lì è l’agente scelto Ruggero. Ora ditemi, avete mai notato qualcosa di insolito nei comportamenti del piccolo Lorenzo?»
I quattro scossero la testa.
«Sapete se frequentava qualche parco, bar o posto in particolare?» chiese Luca.
«Beh» rispose Alessio. «Un paio di volte mi è capitato di vederlo entrare e uscire dal Black, il bar qui dietro.»
«Black? E che posto è?» domandò Valeria.
«È un pub, un pub figo, direi. La mia ragazza lavora lì, e ci vado spesso.»
«Sai come si chiama il titolare?»
«No, non si vede spesso, sta sempre nell’ufficio suo.»
Lara lo guardò sospettosa. «Ufficio? Dentro il pub?»
«Si, si chiude lì e poi non si vede più per ore.»
«E che gente gira al Black
«Più o meno tutta gente della nostra età, ma se vuoi ci andiamo insieme.» rispose il più grande.
«Smettila.» lo richiamò Lara. Chiese loro altre cose sul Black, alcune informazioni sul padre di Lorenzo e su sua moglie, poi si alzò. «Grazie, ragazzi. Siete stati molto utili.»
«Se vi venisse in mente qualcosa, ci trovate al Decimo Tuscolano.» aggiunse Valeria.
I tre sorrisero e si allontanarono, decidendo se andare subito a visitare il pub o aspettare l’ora di punta, quando uno dei ragazzi urlò: «Benvenuto!»
Luca si girò di scatto. Fece segno a Lara e Valeria di non seguirlo, e tornò sui suoi passi. «Si?»
«Se non te la sposi tu, la rossa, fammi un fischio.» gli disse, sorridendo e battendogli una mano sulla spalla.
Lui sorrise. «Contaci.» disse, e si allontanò scuotendo la testa.

Lara se ne stava seduta alla sua scrivania, fissando le carte dell’arresto di Matteo Bini, titolare del Black, per traffico e possesso di materiale pedopornografico, violenza psicologica, stupro e una gran faccia tosta a dire che lui non aveva fatto nulla di male. Si teneva la testa tra le mani e muoveva nervosamente la gamba sinistra. Luca, intanto, la osservava da dietro, appoggiato allo stipite della porta, con in mano due bicchieri di caffè appena sfornati dalla macchinetta.
Si perse un attimo nei suoi capelli, poi si avvicinò, posò il caffè macchiato con due cucchiai di zucchero accanto al gomito di lei e si sedette davanti alla scrivania. «Lo sai che giorno è oggi?»
«La madre di Lorenzo mi ha telefonato per ringraziarmi. Ha detto … ha detto che grazie a me il suo bambino ora riposerà in pace.»
Luca si mise a mescolare il suo caffè. Lara era sempre stata troppo sensibile, troppo toccata dal dolore degli altri.
«E … questo stronzo ha avuto la grandissima faccia tosta di dirmi che non c’era nulla di male, in ciò che faceva a quei ragazzini.»
Lei era fatta così. Lui non aveva bisogno di dire nulla, perché Lara aveva solo bisogno di sputare il suo dolore e dargli un nome.
«Voglio dire, come è possibile? Questa donna non aveva nulla, aveva solo suo figlio. Ora non ha più nulla. E questo bastardo …» batté un pugno sul tavolo.
«Quel bastardo è in galera, Lara. E ci rimarrà fino alla fine dei suoi giorni. Non è colpa tua se il ragazzino è morto, ma è merito tuo se riposerà in pace.»
Lara alzò lo sguardo verso Luca, accennando un sorriso.
«Non è colpa tua se Lorenzo ha deciso che non ce l’avrebbe fatta, ma è merito tuo se ora sua madre ha qualcuno con cui prendersela. Non è colpa tua se quello stronzo ha fatto ciò che ha fatto, ma è merito tuo se ora avrà ciò che si merita. Non è colpa tua se sua madre non ha più nulla adesso, ma è merito tuo se potrà andare a portare dei fiori a suo figlio.»
Lara, con gli occhi lucidi, annuì. «Hai ragione.»
Lui, a quel punto, sorrise. «Come sempre.»
Lei si permise di rispondere al sorriso. Chiuse il fascicolo, prese il caffè e finse di brindare. «Grazie.»
Lui alzò il bicchiere. «Dovere, ispettore.»
«Per rispondere alla tua domanda, oggi è il quindici ottobre.»
«Quindi mancano esattamente due mesi al tuo compleanno.»
«Ma ci godi tanto a ricordarmi che sarò un anno più vecchia?»
«Non sei vecchia. Ehi, aspetta … quello è un capello bianco?» finse di guardarle i capelli con stupore.
«Stamattina non ne avevo, cretino.»
«Se continui a preoccuparti così arriveranno, insieme alle rughe.»
Lara si riportò le mani sul viso, con espressione terrorizzata. «Diventerò vecchia brutta e antipatica come mia madre!» piagnucolò.
Luca scoppiò a ridere. «Tua madre è una persona adorabile, Lara.»
«Hai visto come le cade la pelle? Hai visto come perde colpi? Hai presente che si fa la tinta ogni mese per coprire i capelli bianchi? Che ci mette secoli per alzarsi dalla poltrona?»
«Lara …»
«Diventerò una vecchietta rompipalle! Mia madre almeno ha avuto due matrimoni, e due figlie … io sarò una vecchia rompipalle zitella e sola
«Lara!»
«Sarò peggio di mia madre ,Luca, peggio! Perché non avrò nessuno che si accorge che ho l’Alzheimer, per-»
«Non lo avrai.» replicò lui secco, con uno sguardo quasi impaurito.
«È la convinzione che frega la gente.»
«Comunque, mancano due mesi al tuo compleanno, e stasera andiamo al bowling, come ogni quindici ottobre da sedici anni.»
«’fanculo.»
Luca allargò il suo sorriso, si alzò dalla sedia e le stampò un bacio in fronte. «Anche io ti voglio bene, Mancini.» Guardò verso la porta, notando che Mauro Belli e Roberto Ardenzi erano in piedi ad osservarli. Senza dire una parola, uscì dalla stanza.
«Luca!» gli urlò Roberto.
Lui si girò di scatto. «Si?»
«Domani ci prendiamo una birra?»
Luca annuì. «Certo.»
«Ti avrei chiesto per stasera, ma sembra tu abbia di meglio da fare.»
Lara, che si era trascinata con la sedia fino alla porta, sorrise. «Ardenzi, guarda che puoi venire anche tu, se ti va.»
Robert sorrise. «Ma non è una cosa solo vostra?»
«Noi abbiamo una relazione aperta!» scherzò Lara, riportando le sedia al suo posto, ridendo.
«Va bene, allora, grazie.»
Lara li raggiunse e guardò Mauro. «Ovviamente anche Belli e signora sono graditi.»
«Avrai un precompleanno da paura quest’anno, Mancini.» scherzò Luca.
«Ovviamente, Benvenuto, i miei precompleanni sono sempre da paura.» rispose lei sarcastica.
«Noi siamo i migliori, però.» contestò Roberto.
«No, Robè, accennava ai nostri compagni del liceo che alle feste nostre erano sempre ubriachi.»
Lara sorrise. «Prova a batterli, se ti pare. Tanto domani è domenica.»
Luca la guardò con stupore. «Oggi è sabato?»
«Oggi è sabato.» confermò Lara.
«Domani è domenica.» aggiunse Roberto.
«Dopodomani è lunedì.» continuò Mauro.
«Ho capito!» protestò Luca.
Valeria si avvicinò a loro. «Di che parliamo?» chiese.
Lara fece una smorfia. «Di Luca che non ricorda che giorno sia.»
«Sabato.» rispose la Ruggero.
«Mi ero semplicemente stupito che fosse già finita la settimana.» si difese lui.
«Eppure dovrei essere io quella con l’Alzheimer.» scherzò Lara. «Oh, a proposito, ricordami che devo telefonare a mia sorella.»
«Tanto ce ne dimentichiamo in due, Lara, lo sai.»
Lara sbuffò. «Allora le telefono adesso, grazie per l’aiuto.» girò i tacchi e se ne andò, cercando il telefonino nella borsa.
Luca sorrise, guardandola allontanarsi.
«Dobbiamo proprio parlare, Luca.» disse Roberto, battendogli una mano sulla spalla e dileguandosi con Mauro.
Valeria rimase davanti a lui. «Come stai?» gli chiese, sorridendo.
«Alla grande.»
«Perché Vittoria mi ha detto che tra te e Adriano ultimamente non funziona …»
«Si, beh, siamo stati meglio.»
«E poi, volevo dirti che se hai bisogno di parlare, io ci sono, Luca, lo sai?»
In quell’istante, dall’ufficio, si sentì Lara scoppiare a ridere e poi dare alla sorella della stupida. Luca, di rimando, sorrise. La risata di Lara aveva, da sempre, il potere di riempigli il cuore. «Certo, Vale, grazie.» disse, sorridendo.

Lara, con l’eleganza di un elefante, gettò la palla in pista e fece l’ennesimo strike. Lei, Germana e Ludovica, erano in vantaggio netto su Mauro, Luca e Roberto.
Ludovica, identica a Lara per la forma del viso, il sorriso, ed il modo di fare, ma con capelli e occhi castani, esattamente come la madre, aveva accettato di unirsi a loro, e si stava divertendo molto. Lei e Luca avevano sempre avuto un buon rapporto, per lui, Ludovica era la sorellina che non aveva mai avuto.
Germana, invece, la donna di Mauro, era simpatica, ironica e dinamica. Lei e Lara si erano piaciute a pelle, ed era davvero raro che a Lara accadesse una cosa del genere.
Ludovica guardò Luca, con sguardo divertito. «Chi hai detto che erano i più forti?» si appoggiò a lui con un gomito.
«Non avevo mai giocato contro di te, bella. Sei forte almeno quanto tua sorella, e i miei amici sono delle mezze seghe. Ti devo una birra.» ammise, con sconforto.
«È sempre un piacere scommettere contro di te.» si mordicchiò un’unghia sorridendo.
Lara li raggiunse sorridendo. «Com’è la sconfitta, Benvenuto?» intanto, il tabellone segnò la fine della partita con una vittoria schiacciante del team femminile.
«La vendetta sarà piacevole.» replicò lui.
«Sei un povero illuso.» rispose Lara, mentre lui le passava un braccio attorno alle spalle. «Sono troppo forte.»
«È la convinzione che frega la gente.»
Lara gli picchiò una sberla amichevole sulla pancia. «Non rubarmi le frasi!»
«Per colpa tua dovrò offrire una birra a tua sorella.»
«Sono maggiorenne, non dovrai più andarla a prendere al supermercato di nascosto.» protestò Ludovica.
«Sei comunque piccola.»
«Ma che t’importa? Non eri gay?»
Lara rise della risposta della sorella, mentre Germana, Mauro e Roberto li guardavano divertiti.
«Noi andiamo.» disse Germana. «Siete in macchina?»
«Si, la mia Punto immortale è riuscita a portarci fino a qui.» rispose Lara, sciogliendo l’abbraccio con Luca per salutare Germana. «È stato un vero piacere conoscerti.»
«Anche per me! Spero che organizzerai una vera festa di compleanno, tra due mesi …»
Lara storse il naso. «Oh, io … in genere non la organizzo io, è troppo sotto Natale … se ne occupa sempre Luca.»
«Non ti piace il Natale?» domandò Roberto.
Lara, Ludovica e Luca scossero la testa.
«Fidati, Robè, a Natale è meglio non averci a che fare.»
Mauro sorrise. «E noi che stavamo per invitarti al Cenone!»
«Vengo io, se volete!» esclamò Ludovica. «Io amo il Natale.»
«Ecco, appunto.» sbuffò Lara.
Luca fece segno ai colleghi che era tutto normale. «Ci vediamo lunedì, ragazzi. Germana, alla prossima!»
La donna alzò la mano in segno di saluto, mentre i tre si allontanavano.


Ludovica scese dall’auto, sorridendo. «Grazie per la serata, ragazzi. Lara, finalmente hai dei colleghi simpatici!» sapendo che la sorella avrebbe avuto da ridire, Ludovica sbatté la portiera correndo via.
Lara sorrise e scosse la testa, rimettendo in moto. Poi alzò il volume della radio. «Oh, senti! Perdono
Luca alzò gli occhi al cielo. «Tiziano Ferro?» chiese, ma era troppo tardi.
«Con questa gioia che mi stringe il cuoreee, a quattro o cinque giorni da Nataleeee, un misto tra incanto e dolore, ripenso a quando ho fatto io del male … e di persone ce ne sono tante, buoni pretesti sempre troppo pochi! Tra desideri, labirinti e fuochi, comincio il nuovo anno io chiedendoti perdonoooo …» il tutto, naturalmente, accompagnato da un balletto alquanto imbarazzante. Per fortuna era notte e non li avrebbe visti nessuno.
Lara guardò Luca. «So che la sai anche tu.»
E, ridendo, iniziarono a cantare insieme.
«Qui l’inverno non ha paura!»
«Io senza di te un po’ ne ho!»
«Qui la rabbia è senza misura!»
«Io senza di te … non lo so!»
«E la notte balla da sola!»
«Senza di te non ballerò!»
«Capitano, abbatti le mura!»
«Che da solo non ce la farò!»

E poi, insieme. «Perdono, se quel che è fatto è fatto io però chiedo scusa, regalami un sorriso ed io ti porgo una rosa, su questa amicizia nuova pace si posa, perché so come sono infatti chiedo … perdonooo!»
Dire che sto bene con te è poco, dire che sto male con te è un gioco. 

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Capitolo 4
*** stella cometa ***



Ogni canzone mi parla di te.
Capitolo quattro: stella cometa.
(o ‘la prossima volta dimmelo prima’, o ‘non ci posso credere’)


Lara rientrò dalla corsa mattutina alle undici e trenta, trovando Luca  ancora in pigiama, seduto sul divano a fissare il telefono muto.
«Ehi, buongiorno.» esclamò, entrando, togliendosi gli auricolari.
«Mi ha chiamato Adriano.» rispose lui, con un filo di voce.
«Oh, era ora. Hai avuto questo tono tutto il tempo o sembravi un essere vivente quando parlavi con lui?» chiese lei sarcastica.
«Mi ha chiesto di vederci a pranzo.» chiese, ignorando il sarcasmo dell’amica.
Lara sorrise. «Beh, è una cosa buona, no?»
«E se mi lascia?» si voltò a guardarla, perché notasse gli occhi pieni di paura vera.
Lara sospirò. Stava per andare a lavarsi, ma tornò sui suoi passi per chinarsi accanto al divano per guardarlo negli occhi. «Allora sarebbe un grandissimo idiota, perché si lascerebbe sfuggire una persona fantastica e un compagno meraviglioso.» poi sorrise, gli accarezzò la guancia e gli baciò la fronte. «Riesci a non fare la ragazzina depressa per dieci minuti?»
Luca accennò un sorriso. «Scusa, ti ho trattenuta. Vai pure a lavarti.»
«Mi stai dicendo che puzzo?» chiese lei ridendo. «Vai nel bagno della tua stanza, lavati, profumati, vestiti, prendi la macchina e vai da lui.»
Lui allargò il suo sorriso. «Grazie.» si alzò e la abbracciò. «Ti ho mai detto che ti voglio bene?»
«E io ti ho detto che sono sudata?»
Luca sorrise, sciolse l’abbraccio e si diresse verso la sua stanza.
«Benvenuto!» urlò Lara a quella porta chiusa.
«Mancini!» replicò lui.
«Ti voglio bene anche io!»
Luca sorrise, mentre lei, ancora in salotto, si diresse saltellando verso il bagno della sua stanza, canticchiando una canzone sconosciuta a chiunque, meno che a lei. Era tutto molto strano,quel giorno. Era domenica, e, se fosse stata la figlia che sua madre ed il suo patrigno volevano che fosse, sarebbe andata a pranzo da loro. Anzi, si disse, se Carlo ci fosse stato ancora, probabilmente l’avrebbe chiamata dicendole che l’aspettavano a pranzo insieme a Luca. E lei non avrebbe avuto motivo di dire di no. Scosse la testa, sotto la doccia. Le mancava, Carlo. Le mancava perché era ciò che di più vicino ad un padre avesse avuto.
Uscì dalla doccia, rendendosi conto di avere sorprendentemente freddo. Prese una vecchia felpa, rubata a Luca anni prima, e ci annegò dentro, buttandosi sul letto, sentendo il getto della doccia di Luca che ancora andava. Si mise a gambe incrociate e si legò i capelli ancora umidi in due treccine.
«Lara!» sentì urlare dal salotto.
«Che vuoi?»
«Tutto bene?» chiese, facendo capolino alla porta.
«Certo. Perché?»
«Perché mi aspettavo che uscita dalla doccia, ti mettessi ai fornelli.» Lara scosse la testa. Non sembrava in sé: di solito era un vulcano di energia, quel giorno, invece, sembrava spenta.  «Però mangia.» si raccomandò lui.
«Si, mamma.» rispose lei sarcastica.
«Quella felpa è mia?»
«Lo era. Anzi, è mia da talmente tanto tempo che ormai ha perso il tuo profumo, razza di essere inutile.»
«Allora ridammela, me la metto, sudo e poi te la restituisco.»
«No, ciò che è tuo è mio, ma ciò che è mio è mio. Ora vai, vai dal tuo uomo.» si alzò e fece per cacciarlo.
Lui le prese i polsi. «Dimmi in bocca al lupo.»
Lei sfoggiò la sua espressione da bimba imbronciata. «Senti Benvenuto, vattene, vai da lui, fate la pace, fate l’amore, e fatemi vivere la mia vita da single, per carità di Dio, okay?»
Luca sorrise. Quello, a modo suo, era un in bocca al lupo. «Grazie, tesoro. Ti voglio bene!» le baciò la guancia e uscì dalla stanza.
Lara rimase lì, contando fino a tre, e dopo tre secondi esatti accadde ciò che lei aveva previsto.
«Mancini, dov-»
«Appese alla porta del garage!»
Luca rise, rientrando in camera. «Come facevi a sapere che ti stavo per chiedere le chiavi della macchina?»
Lei alzò le spalle. «Sei prevedibilmente stupido.»
Lui sorrise e se ne andò. E Lara, involontariamente, si ritrovò a fissare la porta che lui aveva appena chiuso dietro di sé, anche quando sentì chiaramente la sua auto allontanarsi dal vialetto e prendere la strada per la città. Si ritrovò a fissare il punto in cui erano sparite le sue larghe spalle ed i suoi capelli, sperando che quella felpa potesse in qualche modo portare ancora il suo odore addosso.
Spense il telefono e prese la macchina, con troppi pensieri in testa che avevano bisogno di ordine.

Lara era seduta in riva al mare. Si teneva le gambe con le braccia, cercando di abbandonarsi al rumore delle onde, sperando che superassero quello dei suoi pensieri.
«Perché siamo qui?» seduta accanto a lei, Silvia Mancini, con una squallida camicia a fiori, osservava la figlia curiosa.
«Ascolta il mare, mamma. Ascolta l’infinito.»
Lei si raggomitolò nella stessa posizione in cui era Lara, lasciando che il vento, la salsedine ed il debole sole di metà ottobre facessero ciò che dovevano. Erano due donne adulte che, seppur fosse difficile ammetterlo, in un modo o nell’altro avevano bisogno l’una dell’altra.
«Lara?»
Lara si voltò a guardare sua madre.
«Tu credi nel Paradiso?»
Lara si morse il labbro – tic che segnava che stava pensando. «Se esiste, io non sarò ammessa. Ma Carlo è lì. Carlo è dove finiscono le persone buone, mamma, e tu lo devi lasciare andare.»
«Credi che lo raggiungerò in Paradiso?»
«Si, credo che vi ritroverete. Perché voi eravate destinati, mamma. E non si scappa al proprio destino.»
«Mi dispiace, Lara.»
«Per cosa?»
«Perché non era tuo padre, l’uomo della mia vita.»
Lara accennò un sorriso. «Non fa niente, mamma.»
«Avrei voluto darti un padre, una bella infanzia, e …»
«Non importa. Sono cresciuta benissimo, lo stesso, non trovi?» chiese, sorridendo.
«Hai i suoi occhi, Lara. Come puoi guardarti allo specchio senza pensare a lui?»
Lara abbassò lo sguardo. Non lo vedeva da quindici anni, suo padre. Ma sua madre aveva ragione. Quando qualcuno le faceva i complimenti per gli occhi bellissimi, quando si guardava allo specchio o quando guardava vecchie foto, rivedeva Davide, sul quale viso quegli stessi occhi stavano d’incanto.
Ma Lara era bravissima a nascondere il dolore, aveva imparato a sorridere comunque. «Perché nello specchio vedo anche il volto della donna che mi ha cresciuta. E allora i suoi occhi non mi pesano.»
Silvia sembrò soddisfatta dalla risposta. Tornò a guardare il mare, e Lara fece lo stesso.
«Perché siamo qui?»
Perché la tua memoria a breve termine sta andando letteralmente a farsi fottere, mamma.
«Mi piace qui, ci vengo spesso con Luca.»
«Con Luca?»
«Si, veniamo qui a guardare l’alba dopo il turno di notte o a vedere il tramonto quando capita.»
«E perché non sei qui con lui?»
«Perché sono qui con te.» rispose, girandosi per guardarla.
«Si, ma … perché passi la domenica con la tua vecchia mamma e non con il tuo uomo?»
Lara inclinò leggermente la testa. «Mamma, Luca non è il mio uomo.»
«Ah no?»
«No.»
«E perché no?»
Lara alzò gli occhi al cielo. Ammazzatemi prima di diventare così, ammazzatemi quando mi dimenticherò dove ho messo il telefono.
«Perché Luca è omosessuale, mamma, ricordi? Gli piacciono gli uomini.»
«Oh. E ora è con un uomo, quindi?»
«Esatto.»
«Che ragazzo stupido. Sembrava così intelligente, da ragazzino …»
«Mamma!» la richiamò Lara. «Ti pare il caso di dire una cosa così?»
«Ho ragione! Solo uno stupido preferirebbe un uomo a te!»
«No, mamma, è molto più complicato di così.»
«Senti, io starò anche perdendo colpi – e non guardarmi così, so che sta succedendo – ma tra voi c’è qualcosa di speciale.»
«Si chiama amicizia. Di vere e belle come la nostra ce ne sono poche.»
«No. Lui e Ludo sono amici. Voi siete diversi.»
«Tu ci sei solo rimasta male che anche con Giorgio non ha funzionato, mamma.»
«No, non è vero. Questo … questo lo pensava anche Carlo.»
A quelle parole Lara si bloccò. «Dici sul serio?»
«Si, si. Quando Ludo ha compiuto quindici anni, ti ricordi, voi … voi vi siete messi a giocare nel prato …»
Una delle più belle feste di sempre: lei e Luca che giocano come bambini con gli irrigatori automatici del parco in cui si svolgeva la festa. Prima si erano rincorsi, poi lui l’aveva afferrata, riuscendo a metterla sotto al getto d’acqua,  si erano fatti il solletico e poi avevano finto di ballare un valzer. Erano mesi che non si divertivano così. Poche settimane dopo, Luca avrebbe conosciuto Adriano e Lara avrebbe iniziato ad uscire con Giulio, un postino che l’aveva tradita brutalmente.
«Io e Carlo … eravamo lì a guardarvi, e lui mi ha detto ‘quei due si amano, eppure non lo sanno’. Io gli ho detto che non era vero, che era pazzo, ma poi lui mi ha detto ‘guarda, Silvia, guarda come si guardano e come parlano senza aprire bocca, e dimmi se questo non è amore’.»
Lara si mise a giocare con la sabbia. «Tuo marito era un uomo molto fantasioso, mamma.»
«Vorrei essere morta io, al suo posto. Non voglio stare in un mondo in cui lui non esiste, Lara.» sussurrò.
«E lui non vuole vederti piegata da questa cosa.»
«Lui vuole vederti felice.»
Lara sorrise. «Sto bene, mamma.»
«Da quando ‘stare bene’ è sinonimo di ‘essere felici’?»
Lara si perse negli occhi scuri di sua madre, e le sorrise. Forse, da qualche parte, era ancora la donna che l’aveva cresciuta.

Quei due si amano eppure non lo sanno”. Le parole di sua madre le risuonavano nella mente, seppure lei facesse di tutto per evitare che accadesse. Erano parole che cercava di sotterrare da qualche parte, sotto ad altri pensieri, ma quella frase puntualmente tornava, e faceva male.
Se ne stava seduta in auto, a pensare, con una vecchia canzone che passava alla radio ed il sole calante delle sei e mezza. Aveva riportato sua madre a casa, aveva salutato Ludovica e ora vagava senza meta per le vita di Roma, in quel quartiere periferico che l’aveva vista crescere. Ora batteva la mano sul clacson senza sapere con cosa altro prendersela.
Era iniziato tutto davvero per caso.
Aveva sedici anni, una felpa scolorita e stava giocando con una ciocca di capelli, quando la professoressa le comunicato che il ragazzo che veniva dal liceo classico si sarebbe seduto accanto a lei. Lei aveva alzato gli occhi, trovandone un paio castani e smarriti, un viso gentile e in qualche modo attraente. Sorridergli le era venuto istintivo, ma lui era timido e si sentiva perso, e non era riuscito a dire nient’altro che «Ciao, sono Luca.» si era seduto accanto a lei e la prof di chimica aveva iniziato la lezione.
Luca non le aveva rivolto la parola per le prime tre settimane. Lei arrivava sempre pochi secondi prima che suonasse la campanella, trovandolo già seduto. Quando si avvicinava, entrambi sussurravano un flebile «Buongiorno». Lara appena sveglia odiava tutti, ma a quel ragazzo strano cercava sempre di sorridere. Una mattina, durante la lezione di algebra, lei gli chiese una matita. Lui, senza cambiare minimamente espressione, gliela porse. Lara, contrariamente alle aspettative del suo compagno di banco, usò la matita per raccogliersi i capelli.  «Scusa» le disse. «Non hai un elastico?»
«No.» aveva risposto semplicemente lei.
«Sono sicuro che le altre ragazze ne hanno uno.»
«Sono sicura che hai notato che io e le altre ragazze non ci salutiamo neanche.» replicò seccamente lei.
Era vero, nessuno in quella classe rivolgeva la parola a quei due ragazzi strani. L’anno prima, Lara aveva litigato con Veronica, la ragazza più bella e popolare della scuola. E da allora nessuno all’interno della scuola le aveva più rivolto la parola. E Luca, invece, era appena arrivato ma era seduto vicino a Lara, e agli occhi di quei ragazzi questo era un buon motivo per escluderlo.
«Potresti iniziare salutandole tu.» aveva replicato quel ragazzino.
Lara aveva sorriso. «Guarda, già è tanto se concedo loro parte del mio ossigeno, Benvenuto.»
Ecco, era così che avevano iniziato. Però era stato graduale, non immediato come molti pensavano. Non erano diventati subito amici, per un lungo periodo avevano continuato a nutrire una perfetta indifferenza nei confronti dell’altro.
Lara, senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò davanti al portone di quella stessa scuola, sotto alla scritta che indicava che quello era il liceo scientifico Giulio Natta, con i capelli raccolti sempre un po’ come capitava e la testa pesante per i troppi pensieri. Si sedette su uno di quei grandi scalini di marmo, rovinati dai troppi passi, e si accese una sigaretta. Le aveva sempre fatte di corsa, quelle scale. La mattina perché era in ritardo, e alla fine della giornata perché non vedeva l’ora di correre via. Parcheggiava il suo vecchio motorino nel solito posto, e, pregando che non l’abbandonasse proprio quel giorno, correva via.
La prima volta che aveva dato un passaggio a Luca era stato per pura pietà: dei ragazzi lo stavano picchiando, ma lei era corsa in suo aiuto, picchiando anche più forte di loro. Quando ebbe finito, Luca si ritrovò a terra con un occhi nero, il naso sanguinante e la gamba gonfia, i libri a terra e una gran voglia di piangere. Lara non era riuscita a schivare un pugno nello stomaco e uno sulla spalla, ma era riuscita a rompere il polso ad Andrea, al più grosso di quei tre ragazzi e a fratturare il setto nasale a suo cugino Lorenzo.  Il terzo ragazzo era talmente spaventato che lei aveva dovuto solo guardarlo per farlo scappare, mentre urlava «Andate a piangere da quella troia di vostra madre!» si era girata a guardare Luca, scuotendo la testa. Gli aveva teso la mano e lo aveva fatto alzare, e prima che lui potesse ringraziarla, lei gli aveva fatto segno di seguirla. Lo aveva fatto salire sulla sua moto e lo aveva portato da Carlo, in ospedale. Carlo era stato bravissimo, non aveva fatto domande, non aveva fatto pesare a Luca il fatto di essersi presentato con la sua figliastra piena di lividi. Si era limitato a medicarlo con un sorriso gentile mentre canticchiava. Poi aveva notato il livido sulla spalla di Lara, e quando lei si era rifiutata di farsi toccare, lui aveva semplicemente detto «Ne parliamo a casa, allora.»
Usciti dall’ospedale, Luca aveva chiesto a Lara come mai non si fosse fatta toccare quel livido. Lara aveva fatto segno che non importava.
«Comunque è forte, tuo padre.» aveva detto Luca, salendo in moto.
Lara aveva sorriso. «Lo so. Ma non è mio padre, è solo l’uomo di mia madre.»
Pian piano, avevano iniziato a scoprire piccoli particolare della vita dell’altro. Per esempio, quando Lara aveva tirato una palla di neve a Veronica, riuscendo ad incolpare un primino innocente, Luca aveva scoperto che Lara amava la neve e odiava il rosa, colore del cappotto di Veronica, mentre lei era stretta in un eskimo scolorito. Quando Luca aveva preso il voto più alto della classe nell’ultimo compito di latino del trimestre, lei aveva scoperto che lui aveva una memoria fotografica che poteva essere sfruttata per vari scherzi.
Lara tirò con la sigaretta. Come era possibile che Carlo fosse finito a dire che si amavano?
Quando avevano diciassette anni, Lara invitò Luca a pranzare da lei dopo scuola, senza avere secondi fini, e lui si era perso nei dettagli di quella casa piena di colori e fotografie. Si erano messi a studiare algebra, poi si erano seduti sul divano a bere una birra e a ridere di tutto il mondo attorno a loro mentre guardavano i cartoni animati di Ludovica in televisione. Lei lo aveva guardato, e aveva capito che non se ne sarebbe andato facilmente da lei. Era legati da qualcosa di più forte.
Lara fissò quel portone. Perché non poteva tornare ad essere tutto così semplice?
Ci fu una volta in cui Paola, una delle ochette che seguivano Veronica come se fosse il Messia, organizzò la sua festa di compleanno nel giardino della villa del padre. Tutta la scuola era stata invitata, e con grande stupore di tutti, persino Luca e Lara avevano trovato l’invito rosa sopra al banco. Luca aveva convinto Lara a mettersi un bel vestito, che avevano comprato insieme qualche giorno prima, con uno scollo a cuore e una decorazione floreale. Mentre Silvia, la madre di Lara, la implorava di pettinarsi, Luca si era seduto sul divano con Ludovica a guardare la Pimpa. Quando Lara era uscita dalla stanza, per lui era stato naturale alzarsi ed ammirarla. I capelli non erano raccolti dalla solita matita, ma in un elegante chignon, gli occhi non erano sottolineate dalle solite occhiaie ma da un velo d’ombretto, il suo fisico scolpito non si perdeva in una vecchia tuta da ginnastica ma dava forma ad un vestito che sembrava nato su di lei. «Sei bellissima.» aveva sussurrato Luca. Lei aveva sorriso e lui aveva salutato Ludovica, pensando per un secondo di non portare Lara alla festa ma di prenderla per mano e portarla a vedere il tramonto.
Lara si prese la testa tra le mani. Che cosa era successo, poi? Quando erano diventati qualcosa di più che due semplici amici?
Avevano diciotto anni e Lara stava scendendo le scale su cui ora, quattordici anni dopo, era seduta. Rideva con Luca e non si rese conto dell’uomo che la stava fissando fino a quando questo non urlò il suo nome. Lei si girò, e quando Luca vide il suo sorriso sparire, si sentì lo stomaco preso in una morsa di ferro. Chi era quello per spegnere il sorriso della sua Lara? Poi si era avvicinato, facendosi spazio tra la folla, e vedendo nel viso dell’uomo gli stessi occhi di Lara, aveva capito.
«Che cosa vuoi?» gli aveva chiesto Lara, senza salutare o fingere di essere contenta che suo padre fosse lì.
«Non sei venuta domenica al pranzo.»
Lara era rimasta inespressiva, ma Luca sapeva che si era dimenticata di quell’impegno. «Oh, scusami. Auguri.» replicò scettica.
A quel punto, Luca era stato trafitto da quegli occhi di ghiaccio. «E lui?»
«Lui è amico mio.» aveva replicato Lara con freddezza. «Hai bisogno di qualcosa?»
L’uomo aveva scosso la testa e se n’era andato, mentre Lara, riuscendo a non mostrarsi scossa dall’avvenimento. Porse il casco a Luca per accompagnarlo a casa.
Il giorno dopo, Lara non si era presentata a scuola, e lui aveva preso l’autobus per andare a casa sua a chiederle come stesse. Quando era arrivato nei pressi della villa, aveva visto la stessa macchina che aveva visto fuori scuola parcheggiata nel vialetto. Rimase davanti alla porta, indeciso sul da farsi, sentendo Lara gridare e suo padre rispondere.
«Che cosa vuoi da me? Che cosa vuoi da noi? Questa è la mia vita, Davide, e tu hai scelto di non farne parte!»
«Non dire stronzate, Lara, io sono tuo padre!» replicò lui con tono duro. «Vuoi davvero che la tua vita sia un patrigno idiota, una sorellastra ritardata, una madre nevrotica e un amico frocio
Lara rimase colpita più dal dispregiativo usato per Luca che per tutto il resto. Luca le aveva confessato la sua omosessualità settimane prima, ma lei non ci aveva dato troppo peso. Ma il fatto che ora Davide lo stesse insultando senza conoscerlo le dava tremendamente fastidio.
«E cosa c’entra questo con me e te? Sei uscito da quella porta promettendomi che tra di noi non sarebbe cambiato niente, invece ora sei qui e l’unica cosa che sai fare è gettare merda sulla mia vita!»
«E questa la chiami vita?»
Dalla finestra, Luca riusciva ad intravedere Silvia in lacrime. «Notizia bomba, Davide. La vita con un patrigno idiota, una madre nevrotica, una sorella ritardata e un amico omosessuale è di gran lunga migliore di quella che tu e quella puttana della tua compagna potreste offrirmi.»
Lo aveva detto a bassa voce, ma lui aveva sentito perfettamente. Davide tirò un pugno al muro. «Da questo momento con me hai chiuso. Addio, Lara.»
«Tanti auguri.» rispose lei scettica.  Davide, senza aggiungere altro, uscì di casa, dando giusto il tempo a Luca di entrare di corsa e fuggire ad uno sguardo carico di odio. Entrato in casa, senza dire una parola si era diretto verso Lara e l’aveva abbracciata, senza paura di farle del male nello stringerla, e lei, tra le sue braccia, si era concessa di scoppiare a piangere. Non aveva mai pianto davanti a lui, non le piaceva mostrarsi debole. Eppure, in quel momento, fu la cosa più naturale da fare. Quella sera Luca dormì lì, tenendola abbracciata e aiutandola a decidere come vestirsi per trascinarsi a scuola una volta svegli.
Lara spense la sigaretta, pensando a suo padre con una certa compassione. Perché non poteva essere tutto così semplice? Perché non bastavano più un pianto ed un abbraccio per sistemare le cose?


Lara prese il telefono dal bancone della cucina, trovando cinque chiamate perse da Luca, due da Valeria e tre da un numero sconosciuto. Prima che potesse schiacciare il tasto per richiamare Luca, la porta di casa si aprì, mostrandole l’ispettore Benvenuto.
«Ciao.» gli disse, con l’asciugamano al collo per asciugare i capelli ancora umidi dopo la doccia. «Com’è andata?»
«Ci siamo presi una pausa.» sussurrò lui. Con un’espressione più sfinita che mai, si lasciò cadere sul divano.
Lara, capendo che era accaduto dell’altro, lo seguì.
«Ho fatto l’amore con Valeria.»
Un altro pugno nello stomaco, come quello che aveva preso a sedici anni, avrebbe fatto meno male. Quelle parole non solo furono un pugno, furono un pugno ad un muro di bugie sul loro rapporto costruito anno dopo anno.
Luca la guardò in attesa di risposta. Lei non si mosse.
«Posso dormire qui?»
«Valeria
Luca annuì. «Ti ho chiamata ma avevi sempre il telefono spento. Per pura coincidenza, lei ha chiamato me. Mi ha sentito giù di corda, siamo andati a bere qualcosa, e …»
Lara cercò di trattenere il mostro che le stava prendendo a calco lo stomaco. Si passò una mano nei capelli, ed esibì un sorriso carico di tensione. «La strada per camera tua la sai.»
Fece per alzarsi, ma lui le afferrò il braccio. Si voltò, notando in quei grandi occhi castani tracce di quella sbronza che l’avevano portato a fare l’amore con una donna.   «Sei arrabbiata?»
Se fosse stato in sé, non lo avrebbe chiesto. Non ne avrebbe avuto bisogno, lo avrebbe capito. Ma evidentemente aveva davvero bevuto troppo.
«La prossima volta che ti piacciono anche le donne, Benvenuto, dimmelo prima.» Si liberò dalla sua presa e andò verso lo scaffale degli alcolici. Prese un bicchierino e lo riempì di vodka. «Vaffanculo.» sussurrò, prima di trangugiarlo. Si era aspettata che il bruciore che l’alcolico le avrebbe procurato alla gola l’avrebbe consolata, ma non era così. Faceva comunque male.
«Avrei voluto che fossi tu.»
Lara scosse la testa. «No.»
«Ho pensato, ho immaginato che fossi tu.»
Riempì nuovamente il bicchiere, iniziando a sentire la testa girare. «Stronzate.»
«Non mi piacciono le donne, non tutte. Non Valeria.» si alzò e cercò di guardarla negli occhi, ma la penombra della cucina non lo permetteva.
«Eppure te la scopi.» rispose lei. «Vai a dormire, Luca. Sei ubriaco.»
«No.»
«Vai a dormire.» ripeté lei.
«Tu non c’eri.»
Lara sbatté il bicchiere, di nuovo vuoto, sul bancone della cucina. Fissò il bicchierino come se si aspettasse che da un momento all’altro, questo salvasse la situazione.
Quei due si amano, eppure non lo sanno.
Prese quel colpo nello stomaco senza abbassare la  testa, sperando che quella vodka maledetta la ammazzasse. «Ero a cercare di recuperare il rapporto con mia madre, prima che se ne vada anche lei.»
«Io non me ne vado. Ho bisogno di te.»
Sapeva che le parole degli ubriachi sono le più vere, eppure in quel momento non riusciva credergli. Alzò gli occhi, per mostrare a Luca le lacrime silenziose che le stavano rigando il volto. «Vai a dormire.»
Quei due si amano.
«Stai piangendo.»
«Vai a dormire.»
«Avrei voluto che fossi tu.»
«Vai a dormire.»
«Avrei voluto fare l’amore con te, non con lei. Con te è tutto più bello.»
Eppure non lo sanno.
Fu costretta a mordersi il labbro per non rispondere. Luca la guardò sedersi per terra mentre lasciava che la voce le si rompesse in singhiozzi, e, incapace di avvicinarsi per consolarla, andò in camera sua e si gettò sul letto, addormentandosi all’istante.
«Vaffanculo.» ripeté Lara.

Lara strizzò gli occhi, seduta davanti alla scrivania di Giulia Corsi. «Cosa è, uno scherzo?»
La Corsi sorrise. «Purtroppo no. Lei è stata esplicitamente richiesta per questo caso, e io non posso …»
Lara indicò il nome che stata all’inizio del fascicolo che la Corsi le aveva dato. «Vede? Valentina Russo. È la sorella di mio padre, Davide Russo. Da quel che so, ora vivono tutti insieme allegramente in Sicilia, ma …»
«So che si tratta di sua zia, ispettore. Ed è per questo che il commissario Russo ha richiesto proprio lei.»
«Non vuole me per il caso, vuole dirmi che mio padre sta morendo, o cose così, e vuole che lo vada a salutare.» Il tono secco con cui Lara parlava di suo padre faceva quasi paura.
La Corsi intrecciò le dita sulla scrivania. «Se così fosse, le consiglierei di dire a suo padre tutto ciò che deve. Potrebbe non avere più tempo.»
Lara rimase impassibile, ma guardò il biglietto per il traghetto che il Commissario le stava porgendo. Sarebbe partita l’indomani mattina per Siracusa.  
Le tornò in mente il sapore amaro della vodka, i pugni nello stomaco che le avevano provocato le parole di Luca, il pianto e la semplice voglia di sparire senza fare rumore. Avrebbe avuto l’occasione che aspettava per stare lontana da Luca - e Valeria. «Okay, accetto. Quanto dura questo incarico?»
«Tre settimane.»
Tre settimane. Tre settimane per rendersi conto che  no, non era innamorata di Luca dalla bellezza di sedici anni, che si era solo lasciata condizionare dalle parole di sua madre.  «Perfetto.» rispose, gelida.
«Si prenda pure questa giornata per fare le valigie e salutare sua madre, Lara.»
Lei non se lo fece ripetere due volte. Prese ciò che doveva e uscì dalla stanza.
Come sospettava Luca era lì ad aspettarla. «Quindi?»
Non si erano dati nemmeno il buongiorno, quella mattina. Ognuno aveva fatto colazione in silenzio, l’uno davanti all’altra, mentre lui non riusciva ad ignorare le occhiaie e gli occhi rossi che Lara sfoggiava, mentre i ricordi della sera prima pian piano prendevano forma nella sua mente. Aveva fatto il viaggio in macchina in silenzio, senza nemmeno ascoltare la musica. Quel ‘quindi’ era la prima parola dopo quindici ore di silenzio.
«Me ne vado per tre settimane.»rispose lei, senza guardarlo. «Sarai contento, no?»
Luca sbatté le palpebre. «Dove vai?» la seguì in ufficio mentre afferrava il cappotto e la borsa.
«In Sicilia.»
«Perché?»
«Perché di si.»
Gli dava sui nervi quando rispondeva come una bambina di due anni. Gli dava tremendamente sui nervi quando si infilava la sigaretta in bocca, come in quel momento, segno che avrebbe avuto bisogno della nicotina per calmarsi. Gli dava sui nervi anche l’idea di averla ferita, anzi, quello lo ammazzava dentro, ma aveva imparato da lei a nascondere il dolore dietro un sorriso.
Lara fece per uscire. «È colpa mia?» chiese, in un sussurro.
«Non esisti solo tu al mondo, Benvenuto.»
Le prese il mento tra indice e pollice e la costrinse a guardarlo. «Ti prego.»
Lei sembrò intenerirsi, ma un dolore allo stomaco le ricordò la discussione della sera prima. «Vai a pregare la tua amante.» detto questo, lo spostò con una mano e se ne andò con le lacrime agli occhi, di nuovo.

«Quindi parti?»
Sua sorella la guardava attraverso degli occhiali da vista giganti.
«Esatto.»
Era seduta al suo solito posto a casa di sua madre, mentre Ludovica preparava il caffè.
«E io? E la mamma? E Luca?»
Lara scosse la testa. «Tu e la mamma ve la caverete per tre settimane senza avermi tra le scatole.»
Ludovica posò due tazzine sul tavolo. «È bello averti tra le scatole.» sussurrò.
Lara accennò un sorriso. «Sono solo tre settimane, Ludo.»
Lei alzò le spalle. «Hai svincolato la domanda su Luca.»
«Lo so.» ammise, con un filo di voce. «Non mi va di parlare di lui.»
Sua sorella si girò di scatto. «È successo qualcosa?» chiese, con aria allarmata.
«Non mi va di parlare di lui.» ripeté.
«Oddio, allora è davvero successo qualcosa!» esclamò, versando il caffè. «Sputa il rospo, dai.»
Lara la fissò intensamente. Non era abituata a confidarsi, tantomeno a farlo con la sua sorellina. Ogni tanto pensava di dovere ancora andare a comprarle i Plasmon. Aveva sempre confidato tutto a Luca – e solo a lui. Ed è per questo che decise che di sua sorella, per una volta, si sarebbe potuta fidare.
«Posso chiederti un cosa?»
Ludovica annuì.
«Hai mai pensato che io e Luca fossimo più che semplici migliori amici?»
«Nel senso, se ho mai pensato che poteste essere innamorati?»
«Sì.»
«Sinceramente? Si. Moltissime volte, guardandovi, mi sono resa conto che, a modo vostro – in un modo davvero tutto vostro – foste innamorati, ma innamorati come si deve, innamorati come nei film. Solo che lo siete a modo vostro, ecco.»
Lara trangugiò il caffè.
«Perché me lo chiedi?»
Lara tolse letteralmente il tappo. Raccontò tutto, da come era iniziato (la chiacchierata con Silvia in riva al mare) alle ore passate sui gradini della scuola a pensare ad ogni dettaglio, fino a raccontare del suo ritorno a casa e di quella gelosia nuova e dolorosa. Sua sorella ascoltò con pazienza ogni particolare, senza mai dare segno di aver previsto qualcosa o di annoiarsi.
«Vedi?» disse, alla fine. «Ho ragione io. È amore, in un modo tutto vostro, ma è amore.»
Lara si lasciò cadere sulla sedia. «Non ci posso credere. Sono davvero innamorata di lui?»
Lei annuì, sorridendo.
«Cazzo.»

Lara, stesa sul divano a testa in giù, non riusciva a smettere di pensare.
La valigia era pronta, il biglietto per il traghetto era sul tavolo, Ludo aveva le chiavi per controllare la casa, e le finestre erano tutte perfettamente chiuse.
Eppure, guardando il camino sottosopra con la radio accesa, c’era qualcosa che non le tornava.
Luca. Luca non era a casa, e, presumibilmente, non sarebbe tornato. Forse sarebbe rientrato dopo la sua partenza, e avrebbe usato quella casa come nido d’amore insieme a Valeria – o ad Adriano, chi può dirlo?
Maledetto.
Non aveva voglia di accendere un’altra sigaretta, non aveva voglia di arrivare a cinque al giorno come dieci anni prima. Semplicemente, non le andava neppure di alzarsi. Anzi, non le andava di vivere. Sarebbe stato tutto più semplice se il suo divano avesse potuto risucchiarla e tenerla lì per sempre, perché nessuno si sarebbe accorto che era scomparsa. Poteva chiamare sua zia e dirle che non ci sarebbe andata, a Siracusa. Avrebbe preso la macchina e sarebbe andata dove la portava il cuore, dove le andava, alla sola condizione che nessuno sapesse dove fosse – e che questo posto fosse molto, molto lontano. Avrebbe potuto farlo, si. Ma aveva davvero voglia di scoprire cosa volesse Veronica da lei, dopo quindici anni di silenzio da parte di tutto quel ramo della sua famiglia.
La canzone alla radio cambiò. Dalle prime note, si trattava sicuramente di una canzone d’amore. Con un pugno, spense la radio. Non aveva voglia, non aveva voglia di rendersi conto di essere davvero innamorata di Luca.

Mauro, Luca e Roberto erano seduti al tavolo di un bar, davanti a tre birre medie.
«Da quanto tempo sei innamorato di Lara?» chiese Mauro.
Luca sembrò trovare improvvisamente interessante il sottobicchiere della birra. «Non sono innamorato di Lara. Che diamine te lo fa pensare?»
«Il modo in cui la guardi. Il tuo sorriso quando lei è accanto a te. Il fatto che tu ora non riesca a guardarmi negli occhi.»
«Io sono gay.» rispose Luca con aria quasi colpevole.
«E allora?» chiese Roberto in risposta. «Non è questo il problema, Luca. L’amore è tra due anime, e le anime non hanno sesso. E poi voi siete praticamente un cosa sola, avete passato la metà esatta della vostra esistenza insieme e non riuscite a stare lontani.»
«Lei sta partendo.» replicò prontamente Luca.
«Infatti, non capisco come mai tu sia qui con noi e non a cercare di fermarla.»  lo riprese Mauro.
«Perché eravamo d’accordo che saremmo usciti a bere qualcosa noi tre!»
Roberto alzò gli occhi al cielo. «E allora? La donna che ami sta partendo, ed è arrabbiata con te!»
«Ma io che ci posso fare?! Ho commesso un errore, okay, ma lei ne ha commessi molti di più!»
«No, Luca, perché lei non ha fatto in modo che sedici anni di amicizia fossero basati sul fatto che lei fosse dell’altra sponda! Il motivo per cui non riesci ad ammettere di essere sempre stato innamorato di lei è il tuo fottutissimo orgoglio!»
Luca abbassò di nuovo la testa.
«L’orgoglio che non ti permette di urlare di esserti sbagliato, l’orgoglio che ti tiene incollato a quello sgabello perché hai passato quindici anni della tua vita a dire che ti piacevano gli uomini senza renderti conto che sei innamorato della tua migliore amica, che non è altro che la donna della tua vita!»
Luca trangugiò la birra.
«Quindi, ti rifaccio la domanda. Da quanto tempo sei innamorato di lei?»
«Da quando avevamo diciotto anni, e l’ho vista piangere per quel verme di suo padre.»
Mauro e Roberto annuirono soddisfatti. Il primo passo era fatto.
«Stai attenta.»
Se c’era una cosa che Lara odiava, erano le raccomandazioni. Ma amava le sorprese, ed il fatto che Roberto, Mauro e Germana fossero comparsi all’improvviso al bar del porto in cui Lara stava facendo colazione le aveva fatto tremendamente piacere.
Guardò Germana e sfoggiò il sorriso finto più convincente che riuscì. «Stai tranquilla.»
«Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Luca, ieri sera.» comunicò Mauro.
Lara alzò le spalle. «Buon per voi.»
«Cerchiamo solo di aiutarvi, Lara.»
Lei scosse la testa, con espressione dura e ferita. «Non dovete preoccuparvi per questo.»
«Luca è nostro amico, e tu fai parte di lui.»
Lei scosse la testa di nuovo. Poi guardò l’orologio appeso al muro dietro di lei. «Devo andare.» disse, alzandosi.
Anche gli altri tre si alzarono, e Germana la attirò a sé e la abbracciò. «Abbi cura di te, bella. Posso telefonarti?»
Lara sorrise. «Certo, quando vuoi. Mauro il mio numero ce l’ha.»
Abbracciò anche Mauro e Roberto, sorbendosi tutte le raccomandazioni del caso.
Quando finalmente riuscì a parcheggiare la macchina in quella che da bambina aveva sempre chiamato ‘la pancia della barca’, salì sul ponte di prua e ascoltò la musica che passavano da dentro, cercando di non pensare a niente.
La canzone che partì, era la stessa che aveva evitato di ascoltare la sera prima.
E sono scappato via, perché da troppo amore non so respirare. (…) Di ogni viaggio lontano da te sei la meta, io re magio, tu stella cometa. 

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Capitolo 5
*** principessa ***




Ogni canzone mi parla di te.
Capitolo quinto: principessa.
(o ‘il segreto è’, o ‘paura dell’aereo’)


Per Lara, trovarsi davanti a quella che una volta chiamava ‘zia’, solo quindici anni più vecchia, fu un vero colpo al cuore. Trovare quella donna così invecchiata, così sciupata e così spenta fu come bere una birra cattivissima o come comprare un vestito che in vetrina le sembrava bellissimo, ma poi era uno straccio.
Ovviamente, Veronica la abbracciò e la strinse a sé come se non aspettasse altro da secoli, mentre Lara si chiedeva quante volte si fosse spruzzata quell’orribile profumo prima di uscire di casa, il telefono le stava già suonando. Fu un sollievo che per tutto il viaggio in auto lei avesse parlato al telefono, pensò Lara, così avrebbe sviato domande imbarazzanti almeno per le prossime ore. Veronica la accompagnò davanti ad un condominio che sembrava sul punto di crollare, ma lei sorrise e ringraziò. Disse che l’appartamento che le spettava era al secondo piano, che non era granché ma che per tre settimane poteva andare bene.
Una volta entrata, Lara si trovò in un bilocale grande quanto il suo salotto, con una doccia che perdeva e un lavandino da sgrassare ad ogni costo, un divano che sembrava che stesse per cedere e l’idea di soffocare. Poco prima dell’ora di cena, si lasciò cadere sul letto, riuscendo solo a pentirsi di aver rifiutato l’idea di scappare lontano dal mondo intero senza dirlo a nessuno.
«Maledetta te, Lara Mancini.» si disse, guardandosi allo specchio. «E maledetto quell’idiota di Luca Benvenuto.» aggiunse, per quanto le costasse pronunciare quel nome.
Prese la borsa e uscì di casa.
Fece giusto qualche passo prima di trovare un bar che sembrava disposto a darle una cena – dopotutto, non mangiava da due giorni.
Veronica non lo aveva detto, ma Lara era sicura che anche suo padre vivesse in quella città. Probabilmente aveva anche avuto altri figli, altre mogli, e altre vite. Fondamentalmente, a lei non importava. Non le importava da quando avevano litigato quindici anni prima. Si pentì amaramente di essersi messa a pensare a quel momento, perché subito le venne in mente l’affetto dimostrato da Luca in quella giornata. L’aveva tenuta abbracciata tutta la notte, e senza dire una parola l’aveva ascoltata piangere, lasciando che gli bagnasse la felpa e che gridasse. Avevano dormito così, abbracciati, e quella fu la prima notte in cui dormirono insieme. La mattina dopo, lui le preparò la colazione chiacchierando con Silvia e Carlo,e poi le scelse i vestiti da indossare, mentre con uno sguardo colmo d’affetto le chiedeva silenziosamente di non lasciarsi spegnere da quanto successo.
Ordinò un panino e una Pepsi, e poi si perse a guardare una coppia di anziani ridere nel tavolo accanto al suo.
La donna, che avrà avuto circa sessant’anni, notò gli sguardi di Lara. «Ciao, cara.» disse. «Tu non sei di qui, vero?»
Lara sorrise. «In effetti, no.»
La donna le porse la mano. «Tanto piacere, allora. Io sono Maria e lui è mio marito Gennaro.» Lara le strinse la mano e si presentò, mentre il marito la scrutava con attenzione. «Cosa ti porta da queste parti, Lara?»
«Sono di passaggio per lavoro.» rispose lei, mentre il cameriere le porgeva il panino.
«E sei sola?»
Perché tutti fanno sempre questa domanda?
«Così pare.»
«Che lavoro fai?»
«Sono ispettore di Polizia.»
La donna sembrò spaventarsi. «Ed è un ruolo pericoloso?»
Lara sorrise e scosse la testa. «La maggior parte delle volte no.»
«Hai mai sparato?»
«Non con l’intenzione di uccidere.»
«Io si
Lara guardò l’anziana signora che aveva davanti. No, si disse, avrei giurato che questa non avesse nemmeno il coraggio di uccidere una mosca.
«Ho fatto la guerra, sai? È per quello, per salvarmi, che ho sparato.»
Lara annuì, senza sapere cosa dire. Non voleva chiedere i particolari della sua vita difficile a quella donna, anche le se sembrava simpatica. Così si limitò ad indicare con la testa l’uomo seduto accanto a lei. «Da quanto state insieme?» domandò con aria curiosa.
La donna accarezzò la mano a suo marito. «Il mese prossimo facciamo cinquant’anni di matrimonio.»
Lara sorrise. «Il mese prossimo sarò già tornata a Roma, ma vi porgo ugualmente i miei più cari auguri.» La donna sorrise, e Lara si sentì autorizzata a fare la domanda che più le premeva. «Posso chiedervi quale è il vostro segreto? Voglio dire, come … come si fa a stare accanto ad una persona per così tanto tempo?»
Per la prima volta, fu l’uomo a parlare. Aveva una voce profonda e rassicurante. «Il segreto, mia cara? Il segreto è che ho sposato la mia migliore amica
Di nuovo, fu come uno schiaffo. Lara salutò, si alzò e tornò a casa.


Era il crepuscolo, di nuovo. Un altro giorno che finiva. Lara era appoggiata al cornicione del condominio, in mezzo ai panni stesi. Guardava il sole tramontare nel mare, dando luce a mille colori magici. Tirava con la sigaretta: quello era il solo momento della giornata in cui si concedeva di pensare a Luca. E, guarda caso, era anche il momento più piacevole. La divertiva immaginarlo che sistemava le ultime carte della giornata al Commissariato e poi saliva in auto. Immaginava che se ne andasse a casa loro, perché quella era davvero casa loro. Anche se lui viveva con Adriano da qualche mese, quella sarebbe sempre stata la loro casa. Anche se lui aveva fatto l’amore con Valeria. Se lo immaginava rincasare con aria stanca, lasciare la borsa sul divano (cosa che lei odiava), prendere la tuta da casa e farsi la doccia. Era bello pensare a lui, perché voleva sperare che lui, in qualche modo, pensasse a lei.
Erano lontani, in quel momento, ma quello stesso tramonto poteva guardarlo anche lui.
Era passata una settimana, e aveva parlato al telefono solo con Ludovica e con Germana, il sabato mattina. Era stato piacevole parlare con lei, raccontarle le piccole cose che le stavano succedendo, e aveva gradito che lei non le avesse nominato Luca nemmeno per sbaglio, ma era quasi sicura che avesse riferito tutto a Mauro.
Sorrise all’idea di Mauro che andava da Luca a riferirle che Lara stava bene, che aveva una casa poco lontano dal commissariato, che sua zia non aveva nominato suo padre per ora, che c’era stato un caso di stupro e due casi di corruzione nel quartiere. Luca probabilmente aveva corrugato la fronte e si era passato una mano nei capelli, e se le voleva davvero bene avrebbe composto il suo numero una paio di volte ma poi avrebbe riattaccato subito, perché l’orgoglio lo stava soffocando.
Le telefonate con Ludo erano diverse. Quotidianamente, la sorella la chiamava all’ora di cena per chiederle come stessero andando le cose, e quando Lara rispondeva ‘bene’, la secondogenita si sentiva autorizzata a vomitarle addosso tutto quello che accadeva a Roma, ogni cosa, ogni particolare, dal professore stronzo al tempo schifoso, dal locale che aveva chiuso all’incidente stradale  poco lontano da casa loro. Lara aveva l’impressione che Ludo avesse paura che sua sorella si dimenticasse di loro e si innamorasse della Sicilia, ma non aveva capito che Lara voleva solo tornare indietro.
Voleva solo tornare indietro per guardare negli occhi Luca.
Scacciò il pensiero di una dichiarazione strappalacrime buttando fuori il fumo. Sarebbe tornata a Roma e lei e Luca si sarebbero ignorati. Aveva vinto Valeria. Era stata lei a sedurlo, ottenendo ciò che lei non aveva avuto in sedici anni.
Forse solo perché lei non si era mai resa conto di amarlo.
Il telefonino squillò, e Lara lesse con piacere il nome di Roberto Ardenzi sul display. «Robe’.» esordì, sorridendo.
«Lara!» rispose lui con entusiasmo. «Stavo per denunciarti tra i dispersi.»
Lara sorrise e scosse la testa. Roberto aveva un modo tutto suo di dimostrare affetto. «No, non ti darò questa soddisfazione.» replicò, ridendo.
Forse un buon motivo per tornare a Roma ce l’aveva. Dei nuovi amici.
 
Lara se ne stava seduta sul divano con un pacchetto di Pringles e una lattina di Coca-Cola, mentre in tv davano il cartone animato di Anastasia.
Lo aveva sempre adorato, quel cartone. Da piccola,  costringeva sua madre a guardarlo con lei. Quando Ludovica era diventata abbastanza grande, glielo aveva imposto ogni sabato pomeriggio. E ogni quanto riusciva, imponeva ancora a lei o a Luca di cantare ‘quando viene dicembre’ insieme a lei. Non aveva mai davvero creduto nell’amore, ma il legame tra Anastasia e Demetri si avvicinava a quello che per lei era l’apice della tenerezza: capirsi con uno sguardo e ridere insieme.
Aggrottò il naso, perché, inevitabilmente, pensò a Luca, quando avrebbe voluto solo concentrarsi su ciò che Rasputin aveva in mente – anche se sapeva a memoria cosa sarebbe successo.
Il telefonino, abbandonato sul posto vuoto accanto a lei sul divano, iniziò a suonare in modo fastidioso. Lei lo aprì senza nemmeno preoccuparsi di finire di masticare.
«Si?»
«Ehi, sorella, finalmente mi rispondi.»
Ludovica sembrava più allegra del solito.
«Si, scusa se non ti ho risposto stamattina, stavo litigando con quella troia di Veronica.»
«Perché?»
Lara scosse la testa, mentre il vagone bagagli del treno diretto a Parigi si staccava dal resto del mondo. «Perché vuole che veda mio padre, ma se lo scorda. Non sono venuta qui per lui, sono venuta qui per convincermi di non essere innamorata di Luca.»
Non fece in tempo a bloccarsi. Ormai, lo aveva detto. Lo aveva ammesso. Non aveva ancora detto apertamene del perché fosse lì – in una casa che cadeva in pezzi, nel territorio della mafia, a guardare un cartone animato.
«Certo, lo so. Piuttosto, che fai? Sei a casa?»
«Danno Anastasia, certo che sono a casa.»
Ludovica rise. «Su che canale?»
«Sei.»
«Okay, me lo guardo con te, come quando eravamo piccole.»
Lara sorrise. «Come sta la mamma?»
«Bene, bene, sai? Ieri ha cucinato la pizza, e ora prepara le cotolette.»
«Mi fa piacere.»
«C’è solo un problema, però.»
Ecco, pensò, era troppo bello per essere vero. «E quale sarebbe?»
«Apparecchia per quattro. A volte per cinque, chiedendo quando tu e Luca tornerete da scuola.»
Lara distrusse la lattina di Coca-Cola con la mano libera. «Ah.» riuscì solo a dire. Il nome di Luca e la malattia degenerativa che stava mangiando il cervello di sua madre le chiusero lo stomaco in una morsa. In quel momento, qualcuno bussò alla porta. «Scusa, bella, bussano alla porta. Ci sentiamo dopo.» attaccò a sua sorella e si diresse con passo stanco verso la porta.
«Chi è?» chiese. Tanto per cambiare, l’occhiello della porta blindata non funzionava.
«Luca.»
A quel punto, il suo stomaco si mise a ballare la macarena. Aprì la porta senza nemmeno pensarci, trovandosi davanti il suo migliore amico in tutto il suo splendore.
Sorrise, sorridendo veramente per la prima volta dopo settimane, e lui ricambiò il sorriso, facendole girare la testa come se avesse bevuto.
«Posso entrare o vogliamo rimanere qui così?»
Lara scosse la testa e si spostò da davanti alla porta, ricordandosi che era arrabbiata con lui e maledicendosi, perché, diamine, ne era davvero innamorata – e grazie tante.
Notò che Luca aveva uno zaino, gli occhiali da sole sopra la testa e la maglietta che aveva lasciato da lavare a casa, quindi era passato a casa, aveva parlato con Ludo e quella cretina le aveva chiesto apposta se fosse a casa.
Devo ricordarmi di ucciderla, quando torno.
«Non mi dire che passavi di qui, Benvenuto.» gli disse, mentre lui appoggiava liberamente lo zaino sul tavolo.
«Immagino di non poterla usare come scusa.»
Lara scosse la testa, mentre lui notava il cartone animato nella televisione. «Ho interrotto qualcosa?»
«No, stavo cercando di ricordare quando ci bastava quel film e una birra per rimettere le cose a posto.»
Luca abbassò la testa come per assimilare il colpo.
Erano meno di due settimane che non lo vedeva, e aveva dimenticato quanto potessero essere intensi i suoi occhi e quanto potesse essere accecante quel sorriso.
«Dobbiamo parlare, Lara.»
«Avresti potuto telefonarmi.» rispose lei, riposizionandosi sul divano.
«L’ho fatto, almeno tre volte al giorno, ma eviti le mie chiamate.»
Lara si morse il labbro: era sicura di non averne evitate tante, di telefonate. «Sono stata impegnata.»
Bugiarda.
«A sederti sul divano a guardare cartoni animati?»
Lo sentiva dietro di lei, sentiva la sua mano sullo schienale del divano, eppure combatteva contro se stessa per non girarsi a guardarlo.
Lara prese il pacchetto di Pringles e ricominciò a mangiare in modo nervoso. «Sono qui per lavoro, Luca.»
«Io sono qui per amore.» replicò prontamente lui con tono dolce.
Lei si ingozzò con una patatina alla parola ‘amore’. Si alzò di scatto, mandando all’aria tutti gli sforzi di non guardarlo, e lo fissò come se avesse appena detto ‘ehi, Lara, ci sono gli Ufo che bussano alla porta’.
«Lara io … io non lo so se siamo qualcosa di più, io e te. Non lo so. Ci siamo sempre dati per scontati, non ce lo siamo mai chiesti. Ma non siamo migliori amici. Siamo una cosa sola, lo sai anche tu. Non diciamoci cazzate come ‘siamo come fratelli’, perché con Ludovica siamo come fratelli, con Mauro siamo come fratelli, ma io e te no
«Forse non siamo mai stati niente. Forse ci siamo presi in giro per sedici anni, Luca.»
«Forse ci siamo amati per sedici anni senza rendercene conto, invece.»
Lara si passò una mano tra i capelli con aria nervosa, mentre spalancava la portafinestra perché si sentiva mancare l’aria. «Tu ti senti solo in colpa per la storia di Valeria, Luca, non sai quello che stai dicendo.»
«So benissimo quello che sto dicendo, invece.»
Lara continuò a scuotere la testa. «No
«Sono innamorato di te, Lara Mancini. Lo sono dal momento in cui mi sono seduto al banco accanto al tuo, dal momento in cui hai preso a pugni quei bulli per proteggermi, dal momento in cui ti ho vista piangere per la prima volta. Per qualche motivo ero convinto che mi piacessero solo gli uomini, forse perché ero convinto che non mi avresti amato come ti amo io, perché credevo che non sarei stato in grado di stare assieme ad una donna, ma ti giuro Lara, ti giuro che se anche solo dieci anni fa mi avessero chiesto di scegliere una persona da avere accanto fino alla fine dei miei giorni, avrei scelto te senza battere ciglio. Come fai a non accorgertene? È sempre stato amore, sempre. Solo che lo abbiamo sempre negato.»
Lara fece del suo meglio per non piangere. «Tu mi ami?» chiese, con un filo di voce.
«Io ti amo.» rispose lui con tono sicuro.
«E quindi? Se ti dicessi che sono innamorata di te più o meno da quando ti ho guardato negli occhi per la prima volta, cambierebbe qualcosa? Non credo. Tu hai un compagno, io sto trecento chilometri lontana da casa e probabilmente sto sognando, e …» si bloccò, mentre un mostro le divorava lo stomaco e non riuscì a fare più niente per imporsi di non piangere.
«Non è un sogno.»
«Allora è un incubo!»strillò lei, liberandosi dalla presa ferrea che lui aveva applicato sul suo braccio.
Lui si avvicinò a lei e le baciò lo zigomo, per bloccare quella lacrima salata. Lei ebbe i brividi lungo la schiena per il sapore nuovo di quel bacio, mentre lui, con gesti lenti come se avesse paura di spezzare qualcosa, avvicinò le sue labbra a quelle di Lara e la baciò piano. «Non è un sogno. E non è un incubo. Siamo noi, sempre noi, Lara.»
Lei tirò su col naso. «Non devi baciarmi solo perché sto piangendo.»
Lui sorrise, posandole le mani sulle spalle. «Non ti sto baciando perché piangi, ti sto baciando perché ho voglia di baciarti
Lei sorrise e lo baciò di nuovo, con più sicurezza e trasporto, rimanendo convinta di stare sognando. «Ripetimelo.»
«Ti bacio perché ho voglia di baciarti.»
«No, che mi ami.»
«Ti amo.» ripeté, e poi si perse di nuovo nei suoi baci, sedendosi sul divano e facendola sdraiare sopra di lui, come i due liceali che erano stati.

Lara si svegliò la mattina dopo che ancora non ci poteva credere. Luca era lì. Luca la amava. Luca aveva fatto l’amore con lei, per tutta la casa, per tutta la notte, staccando le labbra da lei solo per sorriderle o sussurrare il suo nome. La luce del sole invadeva la stanza senza ritegno, illuminando la schiena muscolosa di Luca e i suoi capelli castani. Lara, senza nemmeno pensarci, si alzò e andò di là, senza nulla addosso. Prese una canotta azzurra e dei pantaloni di una vecchia tuta che trovò in giro, e si mise a scaldare il caffè. Luca meritava di dormire (non sapeva nemmeno come fosse effettivamente arrivato lì) ma lei sarebbe dovuta andare a lavorare, almeno fino a pranzo.
Lo sentì alzarsi e strisciare i piedi qualche metro, giusto per arrivare in cucina indossando solo i boxer. Lei gli sorrise, e lui le baciò dolcemente le labbra. «Buongiorno.» le sussurrò, con tono dolce.
Lei sorrise di nuovo. «Che bel buongiorno, Benvenuto.»
Lui le pizzicò il fianco. «Fino a che ora lavori?» domandò, sedendosi al tavolo mentre lei serviva il caffè.
«Almeno fino a mezzogiorno.» si sedette davanti a lui. «Levami una curiosità.»
«Ho chiesto alla Corsi.» rispose subito lui. «Ludo si è presentata in Commissariato a strigliarmi come un bambino che ha rubato la Nutella. Germana era venuta a prendere Mauro e l’ha sentita darmi dell’idiota, si è avvicinata e ha detto ‘ho parlato con Lara, stamattina, ti conviene rimediare al più presto’. Ovviamente anche Mauro e Roberto erano dell’idea, così sono andato dalla Corsi e l’ho implorata di dirmi esattamente dove fossi e dove potessi trovarti. Ho prenotato il volo per l’ora di pranzo del giorno dopo. Sono andato da Adriano, gli ho detto che era inutile fingere, perché tra noi era finita, e lui, senza che io dicessi niente, mi ha detto ‘finalmente ti sei accorto di amare quella ragazza, eh?’. L’ho ringraziato, sono andato a cena da tua madre, e la mattina dopo Roberto mi ha portato in aeroporto. Altre domande, ispettore?»
Lara lo guardava senza riuscire a credere alle ultime parole. «Tu hai paura dell’aereo, Luca Benvenuto!»
Lui alzò le spalle. «Ho preso due piccioni con una fava.»
«Come ti è venuto in mente di prendere un dannatissimo aereo?»
Lui sorrise. «Sono venuto qui e ho detto che ti amo, Lara Mancini: l’aereo non era niente in confronto.»

Lara entrò in commissariato con aria raggiante. Aveva lasciato Luca a casa, promettendogli che sarebbe tornata quanto prima, mentre lui le annunciava che avrebbe avuto delle telefonate da fare, e lei gli aveva rubato la maglietta della sera prima, per tenere il suo odore addosso.
«Oggi sei radiosa, Lara!»
Per la prima volta, l’atteggiamento viscido di Veronica Russo non le diede fastidio: le sorrise e si sedette al tavolo dove lavorava sempre, contando le ore che la separavano dalla pausa pranzo. Fece per estrarre dal cassetto le foto segnaletiche su cui avevano lavorato anche il giorno prima, quando uno degli agenti bussò alla porta del piccolo ufficio. «Scusi, ispettore Mancini, ma il commissario Russo vorrebbe parlare con lei.»
Lara guardò il commissario Veronica Russo, davanti a lei, con aria sospetta. «Avevo detto di no.»
«Oh, Lara, ti prego!» esclamò l’altra. «Solo cinque minuti!»
Ma Lara scosse la testa, e, indignata, afferrò nuovamente la sua borsa. «Sono venuta qui per scappare da un problema personale che aveva a Roma, che si è risolto ieri sera. Quindi, non ho nessun motivo per rimanere qui.» Afferrò il suo cappotto. «E non voglio parlare con Davide, perché per me lui è morto. È abbastanza chiaro?»
La voce che le rispose non fu quella di Veronica, ma una voce profonda alle spalle di Lara. «Sei identica a tua madre, Lara.»
Lara, lentamente, si voltò. Davide Russo era davanti a lei, invecchiato di quindici anni, con i capelli grigi e i suoi stessi occhi azzurri. Si sorprese di trovare Lara così adulta e matura, e non nascose il suo stupore quando la trovò restia ad ogni contatto.
«Me ne torno a Roma.» disse la donna, con gli occhi persi in quelli del padre.
«Ho bisogno di parlarti.» replicò lui.
«E io ho bisogno di fumare una sigaretta, urlare e abbracciare il mio uomo.»
«Hai un compagno?» domandò lui curioso.
«E che t’importa?»
«Sono tuo padre, Lara. Dimmi, hai dei bambini?»
«Tu per me sei morto, Davide.» replicò lei, con una voce tremendamente fredda, che non aveva mai usato con nessuno.
Uscì dalla stanza, salì in auto e accese la radio. Si sforzò di non piangere, mentre immaginava Luca che l’aspettava a casa, e che l’avrebbe consolata e riportata a Roma, cercando contemporaneamente di non sbandare e di fermarsi ai semafori rossi. Parcheggiò di fortuna e salì le scale di corsa, con il fiato a pezzi per via dei polmoni corrosi dal fumo. Quando spalancò la porta di casa, trovò Luca che cercava di sistemare il lavandino che perdeva, mentre canticchiava la canzone che passava in radio. Si accorse immediatamente di lei, correndole incontro come se stesse per crollare, e abbracciandola senza chiederle niente. Solo tra le sue braccia lei si concesse di scoppiare in lacrime, facendo caso alla canzone che passava in radio.
Vieni principessa, ti porto via con me, tra le stelle di un altro pianeta c’è una rosa rossa da cogliere per te, e domeniche, e sogni di vita.

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