Come il diavolo e l'acquasanta

di mamma Kellina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




 
Fu una fitta al petto a svegliarlo. Provò a toccarsi. Appena le dita si poggiarono sulle costole sussultò di dolore: doveva averle rotte. Come se non bastasse lo assalì un’ondata di nausea e per un breve momento ebbe paura di dover vomitare. Nelle sue condizioni non sarebbe stato piacevole. Cercò di respirare piano mentre un brivido di terrore gli passava lungo la schiena al ricordo del pestaggio subito la notte precedente. Doveva cercare di alzarsi, reagire in qualche modo. Con grande fatica si rizzò a sedere sul letto, ma  dovette restare qualche minuto immobile perché gli oggetti che arredavano la stanza si erano messi improvvisamente a ballargli davanti agli occhi. All’occhio, anzi, perché da un lato non ci vedeva affatto. Dopo un po’ riuscì ad alzarsi in piedi e ad arrivare davanti  allo specchio. Ebbe un tuffo al cuore. Quello non poteva essere Fabrizio Serra, il bel giovanotto di ventidue anni che faceva impazzire le donne! Quel volto riflesso  faceva paura: dei suoi lucenti occhi azzurri solo uno era rimasto normale, l’altro era gonfio e nero tanto da non mostrare più neanche la pupilla. Anche la bocca, di solito così delicata e affascinante nel sorriso, era tumefatta a causa di  un grosso taglio, mentre il blu profondo di un’ecchimosi si confondeva con il nero della barba non rasata. Avrebbe fatto meglio a non guardarsi, adesso si sentiva ancora peggio. Con enorme sforzo ritornò a distendersi e, cercando di calmarsi e di ignorare il dolore, si rimise a pensare all’aggressione della sera prima per capire come erano riusciti a conciarlo in quel modo. Non era stata colpa sua,  però. In circostanze normali, il fisico atletico e ben piantato gli avrebbe consentito di difendersi, ma era stato preso alla sprovvista da quei tre uomini che gli si erano avvicinati all’uscita della sala da gioco. Uno di loro gli aveva chiesto con gentilezza di accendere il sigaro e lui, senza nutrire alcun sospetto, si era fermato per porgergli il fuoco senza avvedersi che gli altri due gli si erano messi alle spalle e stavano per immobilizzarlo. In pratica non aveva avuto nessuna possibilità di movimento né aveva potuto sperare nell’aiuto dei pochi vetturini che transitavano con le loro carrozze per la strada solitaria a quell’ora di notte e che si erano ben guardati tutti dall’intervenire per non immischiarsi. C’era stato un momento in cui aveva pensato di non poter sopravvivere a tante percosse, poi, finalmente, non senza avergli fatto prima terribili minacce, i tre energumeni lo avevano lasciato andare. Era rimasto per un po’ mezzo svenuto sul marciapiedi bagnato. Quando si era ripreso stava così male che aveva accarezzato l’idea di rimanere lì disteso fino a quando qualcuno non lo avesse soccorso. Ma era notte fonda e per fortuna casa sua non era lontana. Si era fatto forza e pian piano, appoggiandosi ai muri come un ubriaco, con il passo vacillante, era riuscito a ritirarsi. Gli aveva aperto  Alfredo, il cameriere. Nel vederlo in quello stato pietoso si era lasciato sfuggire un grido sommesso. Con le  poche forze che gli erano rimaste, Fabrizio gli aveva fatto cenno di tacere: l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era che si svegliassero i genitori! Con poche parole gli aveva raccontato l’accaduto e poi si era fatto aiutare a mettersi a letto. Il buon uomo gli aveva disinfettato le ferite alla meglio e poi l’aveva lasciato riposare, ma con i dolori che gli attanagliavano tutto il corpo, aveva passato una notte d’inferno.
Eppure il peggio doveva ancora venire  e l’idea di dover affrontare la madre lo faceva star peggio delle costole rotte. Fu quasi contento quando entrò nella stanza, meglio togliersi subito il pensiero.         
 Appena lo vide, Carmela proruppe in un grido di spavento. Si portò una mano sulla bocca per soffocarlo, pallida come uno straccio.
- Mio Dio! – disse e nella sua voce c’era tanto dolore che Fabrizio se ne sentì assai dispiaciuto. Cercò di tranquillizzarla.
- Non ti preoccupare, mamma, non è niente.
Provò ad alzarsi per abbracciarla, ma la testa prese a girargli e rischiò di perdere l’equilibrio.
La donna lo sorresse e, quasi piangendo, gli chiese:
- Chi ti ha ridotto così, figlio mio? Che hai combinato stavolta?
Si era preparato tutta una frottola su una rapina subita, però ora, sotto lo sguardo indagatore di lei, capì che non era  una stupida e che lo conosceva troppo bene. Non se la sarebbe mai bevuta. Preferì tacere.
- Tu finirai per rovinarti, sciagurato! È per i debiti di gioco che ti hanno picchiato, non è così? – lo incalzò l’altra.
Era meglio vuotare il sacco. Tanto non c’era dubbio che se non avesse pagato, quelli lì sarebbero tornati presto a finire l’opera. Lui, studente di legge, non aveva un soldo di suo.
- Sì, mamma - le rispose.
- Tuo padre è diventato una belva: ha giurato di non darti più un quattrino se non metti la testa a posto. Non lo sai questo?
- E allora puoi anche cominciare a comprarti l’abito a lutto perché questo è niente rispetto a quello che hanno minacciato di farmi se non restituirò la somma per il 15 di febbraio.
Ancora una volta la signora Carmela si portò le mani al viso in un gesto di disperazione. Fabrizio si sentì addolorato nel vederla così, ma era stato uno sconsiderato e adesso poteva sperare solo nel suo aiuto. La guardò supplicante con l’unico occhio che gli era rimasto aperto e nel farlo, non riuscì a dissimulare una smorfia causata dal dolore che gli procurava alzare la testa.
- Va bene, cercherò di parlare con tuo padre. Quanto devi dare?
Le rispose con un sussurro che si udì appena. Nell’afferrare la consistenza della cifra, l’anziana signora proruppe in un gemito. Era cosciente che suo marito non aveva più molte possibilità però ugualmente era disposta ad affrontare una battaglia con lui perché in quel momento la salvezza del figlio le stava più a cuore di qualsiasi altra cosa. Anzi, nel vederlo così sofferente, gli disse con tenerezza materna:
- Non ti preoccupare, in qualche modo faremo. Tu però adesso mettiti a letto e cerca di riposare. Manderò a chiamare il dottor Landi per farti curare. È una persona discreta e fidata, non andrà a raccontare in giro quest’ulteriore disonore a cui ci stai esponendo.
- Mi dispiace. Te lo prometto, non accadrà mai più, starò lontano dal tavolo da gioco.
- ...e dalle ballerine, dal tabacco, dai liquori, dai cavalli, dagli amici dissoluti... – continuò Carmela con tono di rimprovero.
Fabrizio tacque, mortificato. Sapeva bene quanto la madre avesse ragione. Adagiato sul letto, in un mare di dolore fisico e di pentimento tardivo, ascoltò il fruscio della sua lunga gonna mentre andava prima a chiudere le persiane per impedire ai raggi del sole di dargli fastidio e poi  usciva dalla stanza.
 
 
Il tranquillo trotto di Stellina e il verde del bosco che brillava nel sole della limpida giornata di fine gennaio, avevano calmato un po’ i nervi scossi dell’avvocato Ferdinando Serra. Da giorni ormai stava lottando con la moglie perché non voleva cedere alle sue preghiere e dare una mano al figlio scapestrato,  cacciatosi di nuovo in un mare di guai. Si era persino rifiutato di vederlo, pur avendo saputo da Carmela che l’aggressione subita l’aveva lasciato molto malridotto. L’aveva fatto soprattutto per non cedere davanti a quello spettacolo e farsi impietosire ancora una volta dopo aver solennemente giurato di non aiutarlo mai più. Certo, a pensarci bene Carmela aveva ragione: non potevano lasciarlo in balia di quattro delinquenti che di sicuro non avrebbero esitato a pestarlo a morte se non avesse pagato, eppure la rabbia gli faceva rimescolare il sangue quando si ricordava che invece di ascoltare le raccomandazioni  paterne e mettere la testa a posto, quel disgraziato aveva continuato imperterrito la sua vita dissoluta. Ora,  per procurarsi il denaro si era addirittura rivolto agli strozzini. Non rimaneva altro da fare che vendere la casa di Sant’Agata sui due Golfi: solo in questo modo avrebbe potuto racimolare la cifra necessaria per coprire il debito. Così, ancora una volta, gli sarebbe toccato intaccare la poca ricchezza rimastagli, l’unica garanzia per una vecchiaia serena.
Si sentiva molto deluso, ma forse quella non era altro che una giusta punizione.  Anche lui aveva avuto molte colpe. Invece di accontentarsi delle sei figlie sfornategli dalla moglie negli anni della gioventù, aveva cercato in tutti i modi di avere un figlio maschio per far continuare il suo nome e la professione di famiglia. Quando Carmela era rimasta di nuovo incinta era stato felicissimo  e quando lei  era riuscita finalmente a dargli il sospirato erede, aveva addirittura toccato il cielo con un dito. Quel  bambino,  arrivato allorché le sorelle erano tutte abbastanza grandi e loro stessi avevano ormai superato i quarant’anni da un bel po’,  era stato la gioia della famiglia e forse avevano finito per viziarlo troppo. D’altronde da piccino era stato adorabile: bello, buono, allegro, simpatico, nulla che lasciasse presagire la cattiva riuscita che avrebbe fatto una volta cresciuto. Anche se non si era mai molto applicato negli studi, la sua intelligenza gli aveva consentito lo stesso di prendere la licenza liceale con ottimi risultati e, tutto sommato, era stato sempre un ragazzino ubbidiente e sereno. Le cose erano cambiate da quando si era iscritto all’Università. Aveva cominciato a frequentare cattive compagnie che lo avevano distolto dai suoi doveri e Ferdinando non sapeva più come fare a correggerlo, proprio ora che si sentiva tanto stanco. Ormai, alle soglie della vecchiaia, avrebbe voluto godersi il meritato riposo lasciando il suo avviato studio legale nelle mani del figlio e invece questi non solo non aveva ancora preso la laurea, ma era diventato un poco di buono, uno di quelli che lui soleva definire “inutili perdigiorno”. Certo il XX secolo incominciato già da sette anni era denso di novità e di attrattive per un giovanotto sveglio come Fabrizio. Poteva capirlo se non voleva seguire il suo esempio  diventando  già marito e padre ad appena vent’anni,  ma restava comunque inammissibile  il modo in cui si era buttato anima e corpo in tutti i vizi possibili, quasi come se in famiglia non gli fosse stata insegnata la rettitudine e la moralità.
Con un sospiro scese da cavallo e tenendo Stellina per la briglia, si accinse a riportarla alla stalla. Era così perso nei suoi cupi pensieri da non accorgersi di un distinto signore che lo stava chiamando. Finalmente si riscosse e voltandosi lo salutò con gentilezza.
- Buongiorno Conte, anche voi al maneggio stamani?
- Sì,  Avvocato, è una gran bella giornata anche se fa ancora freddo. Che ne direste di un buon punch caldo? Mi permettete di offrirverlo?
- Grazie, accetto volentieri.
I due uomini si avviarono al caffè del Circolo e si sedettero a un tavolino a sorbire la bevanda calda.
Il conte Alfonso del Cassano conosceva il Serra da troppo tempo per non coglierne il turbamento. Incuriosito, cercò di capirne la causa.
- Avvocato, che avete? Vi vedo preoccupato. Eppure voi lo scoglio che sto affrontando io in questo periodo lo avete superato molte volte e non vedo cos’altro al mondo possa dare più preoccupazioni di una figlia da maritare – scherzò.
Ferdinando sorrise.
- Dite bene. Ne ho maritate sei ed ogni volta è stata una battaglia, senza contare che mi sono dissanguato per le doti e le feste di nozze. Ma ditemi, quando sposa vostra figlia Dora?
- A marzo. Ha trovato un bravo giovane, forse lo conoscete, è il cavaliere Antonio Pepe.
- Sì, lo conosco. Ha una fabbrica di pellami, se non sbaglio. Però, perdonate, non è un po’ troppo grande di età per vostra figlia?
- Neanche per sogno! Un marito con una ventina d’anni in più è proprio ciò che ci vuole per una donna ammodo. Voi lo sapete meglio di me, l’amore passa,  ma la stabilità di un matrimonio è data proprio dalla solidità di un uomo. Anch’io fui dispiaciuto di dover rifiutare la mano di mia figlia al vostro Fabrizio quando me la chiese però ero convinto che la cosa non poteva andare – soggiunse, quasi a volersi scusare.
- Eravate nel vostro diritto – affermò l’altro un po’ freddamente.  Sapeva benissimo quanto fosse venale e interessato il suo interlocutore. Non avrebbe mai dato sua figlia ad un giovane se non fosse stato più che ricco.
- Comunque ho molto apprezzato la signorilità con cui si è tirato indietro quando ha saputo della mia disapprovazione alla loro unione.
In effetti Fabrizio non si era mostrato troppo addolorato, anzi, si era ripreso dal rifiuto  con una rapidità  e un’allegria che aveva lasciato tutti stupiti, quasi come se si fosse sentito sollevato dal fatto di non dover compiere un passo tanto serio qual è il matrimonio. Però ora, ripensandoci, un dubbio si affacciò nella mente dell’avvocato Serra.
- Già, proprio così, anche se è da quando ha avuto questa delusione che  ha cominciato a fare lo scapestrato e oggi non so più cosa devo fare con lui – commentò.
Tacque subito, pentito di essersi lasciato sfuggire troppo.
Alfonso lo incoraggiò ad aprirsi con lui.
- Cosa c’è che non va, amico mio, non volete confidarvi con me?
- Non lo so come sarebbe diventato se avesse sposato Dora – sbottò il padre ferito – ma oggi è diventato un diavolo,  pieno di vizi e di debiti. Vorrei solo avere il coraggio di lasciarlo andare per la sua strada, quel disgraziato.
- Avanti non fate così. È giovane, pieno di vitalità ed è pure un bel ragazzo, è naturale che si goda la vita. E poi è uomo, non si rovina certo la reputazione se corre un po’ la cavallina.
-  Forse, però io non posso permettermi di mantenere le sue dissolutezze. L’avete detto or ora che ho dovuto maritare sei figlie. Il poco che mi è rimasto volevo conservarlo per fare una vecchiaia tranquilla insieme a quella santa donna di mia moglie. Invece, l’ho appena saputo, deve restituire a degli strozzini una somma enorme persa al gioco e io sono davvero disperato. Se mantengo il punto e non l’aiuto, però finisce che me lo ammazzano. Sarò pure un debole, ma il solo pensiero mi fa tremare.
L’altro rimase un po’ silenzioso a riflettere. Serra temette di averlo tediato con il suo sfogo per cui fece per congedarsi.
- Perdonate, oggi non sono una piacevole compagnia …
Si alzò e salutò con un inchino. Il conte lo fermò.
- No, aspettate, vi prego. Voglio farvi una proposta.
Incuriosito, tornò a sedersi e aspettò con impazienza che l’altro si spiegasse. Sembrava  provasse un certo imbarazzo a dirgli  quanto intendeva. Quando cominciò a parlare la prese un po’ alla lontana.
- Vi ricordate di Angela, la figlia del mio povero fratello Ernesto? – gli chiese.
- Sì, certo, la ricordo da piccola.
- Infatti. Quando mio fratello morì, la madre ritornò nella casa paterna in Sicilia. Dopo qualche anno morì anche lei lasciando la bambina con il nonno. Il vecchio la tenne con sé per un periodo poi fu costretto a metterla in un convento di suore perché non se la sentiva di allevarla,  stanco e  malandato com’era. Dopo qualche anno finì pure lui.
- O Signore Iddio! E che ne è stato della poverina?
- La facemmo venire a studiare in un convento vicino Napoli per poterla andare a trovare di tanto in tanto.
- In un convento? – domandò l’avvocato, corrugando la fronte. Gli sembrava strano che gli zii non avessero accolto la povera orfanella come una figlia in casa loro, così come sarebbe stato giusto. Lui e Carmela lo avrebbero fatto di sicuro.
Alfonso colse benissimo quel dubbio e si affrettò a giustificarsi, piuttosto imbarazzato:
- Non l’abbiamo fatta venire a vivere con noi perché io e mia moglie pensavamo che potesse sentirsi a disagio in un ambiente non suo, abituata com’era alla pace del chiostro. Purtroppo non conoscevamo ancora le disposizioni di quel vecchio pazzo di suo nonno. Le abbiamo apprese solo quando, ad ottobre scorso, la ragazza ha compiuto diciotto anni e il notaio ha aperto il testamento.
Incuriosito, Ferdinando aspettò di conoscere cosa ci fosse mai scritto in quel testamento.
- In pratica – continuò l’altro dopo essersi acceso un sigaro – l’ha lasciata unica erede di una grossa fortuna che ho sempre amministrato per lei, ma che andrà tutta al convento se Angela deciderà di prendere i voti.
- Mi sembra naturale. Se la ragazza ha la vocazione, è giusto così.
- E chi ci dice che abbia  la vocazione? In pratica è stata chiusa lì dentro da quando aveva otto anni. Che ne sa la povera figliola di cosa c’è fuori? Se lo avessimo immaginato, avremmo cercato di farla stare di più con noi. In fondo Dora ha solo un anno in più e  mia moglie è così dolce e buona che forse la piccina si sarebbe anche ambientata a casa nostra.
Ferdinando sorrise tra sé pensando allo smacco che avevano ricevuto i conti del Cassano: avevano evitato come la peste di prendersi cura della povera orfana e adesso scoprivano che avevano avuto a portata di mano una gallinella dalle uova d’oro e se l’erano fatta scappare. Quelle persone non gli erano mai piaciute. Di nobile avevano solo il titolo, in realtà erano vacue, interessate e meschine. Quando Fabrizio si era incapricciato di Dora, aveva temuto che potesse finire nella loro famiglia e aveva cercato di farlo riflettere. Però allora era diverso, nutriva ancora delle speranze su di lui e non pensava si potesse traviare al punto tale da fargli rimpiangere persino quel mancato matrimonio.
Come se avesse intuito che il pensiero di Ferdinando  era andato al figlio, il conte Alfonso proseguì:
- Anche se la madre superiora era contraria, io e mia moglie abbiamo fatto venire la ragazza a vivere con noi per un periodo. Prima che decida di farsi monaca, vogliamo farle conoscere qualcuno, magari qualche bravo giovane, affinché sia ben consapevole delle cose a cui rinuncia prendendo i voti. Purtroppo fino ad oggi non siamo riusciti a smuoverla più di tanto, ma chissà se un ragazzo pieno di fascino e di bellezza come vostro figlio non possa far breccia nel suo cuoricino inaridito…
- State scherzando? Fabrizio non andava bene per Dora e adesso potrebbe andare bene per vostra nipote? Tra l’altro mi sembrano così incompatibili tra loro. Da quello che ho sentito di lei e dopo ciò che vi ho confidato di mio figlio, sarebbe come mettere insieme il diavolo e l’acquasanta.
Alfonso fece un sorrisino divertito mentre guardava la nuvola di fumo del sigaro. Quell’idea gli pareva splendida e non voleva arrendersi così presto.
- Chissà, a volte anche le cose più impossibili si realizzano. Di sicuro, se ci si mette,  Fabrizio può riuscire a conquistare una piccola ingenua come Angela. Lo sanno tutti: le femmine vanno pazze per lui e in fondo, anche se fa la monachella, mia nipote è pur sempre una donna.
Ferdinando rimase esterrefatto da un ragionamento così cinico.
- Se anche fosse così, secondo voi perché Fabrizio dovrebbe sposare una donna che non ama?
Alfonso lo guardò divertito e rispose con un tono ironico, alzando le sopracciglia:
- Per godersi la fortuna di sua moglie  finché campa, ad esempio? Forse se gli parlate…
- Non è il tipo da fare ragionamenti interessati e non vedo come potrei  convincerlo a fare una cosa simile – tagliò corto l’altro.
- Scusate, ma non mi avete detto poco fa che è finito in mano agli strozzini ed è pieno di debiti? Fate leva su questo e vedrete che riuscirete convincerlo. E poi Fabrizio non è uno stupido, sa bene che un uomo anche da sposato può continuare a fare la vita che più gli piace, magari usando un po’ più di discrezione…
- Perché siete tanto interessato al bene di mio figlio e non a quello di vostra nipote? Lo avete detto voi stesso, Fabrizio non dà garanzie di solidità. Come potrebbe farla felice? – obiettò il brav’uomo a cui quella proposta sembrava assai sconveniente.
Il conte proruppe in una sonora risata.
- Qui la solidità ce la mette mia nipote, vostro figlio ci deve mettere l’amore. Tanto, come in tutti i matrimoni, nell’arco di due o tre anni la passione è bella che andata. Lui sposa Angela, le fa fare due o tre marmocchi, poi la lascia a casa a crescerli e riprende a godersi la vita. Sarà contento lui e sarà contenta anche lei che non si chiuderà in un convento per tutta la vita e avrà la soddisfazione di avere una casa sua, un marito, dei figli.
- No, non può andare. Conosco Fabrizio, se anche accettasse, finirebbe per dilapidare la fortuna della moglie in quattro e quattr’otto.
- Ah no, questo non potrà mai essere! Resterei sempre io l’amministratore dei beni di Angela.
Ferdinando non riuscì a nascondere un certo disprezzo per tanta meschinità. L’altro ne rise e aggiunse disinvolto:
- Credetemi, Avvocato, ce n’è talmente  tanto da far star bene tutti.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***




 
L’inverno del 1907 si era presentato molto mite e nella mattina di festa pareva che mezza popolazione di Napoli si fosse riversata nella Villa Comunale. Frotte di ragazzini giocavano, alcuni  con il cerchio  altri con la palla, e si rincorrevano urlanti; anziani riposavano sulle panchine discutendo tra di loro a voce alta; giovani mamme e balie opulente spingevano le carrozzine passeggiando tra i viali alberati; famigliole di popolani vestiti a festa si affollavano intorno alle bancarelle che offrivano dolciumi a buon mercato; borghesi eleganti se ne stavano seduti ai tavolini dei costosi caffè. Nell’aria limpida si propagavano le note di un valzer che un’orchestrina suonava nella vicina Cassa Armonica. Tutti sembravano felici di godersi quella soleggiata domenica di febbraio.       
Tutti ma non Fabrizio. Anche in mezzo a quella confusione, lui non riusciva a scrollarsi di dosso l’ inquietudine che lo prendeva ogni qualvolta si trovava fuori casa. Erano passate solo due settimane dalla violenta aggressione subita e ancora ne portava i segni sul viso e nello spirito. Per questo, seduto sul bordo della Fontana delle Paparelle, si guardava intorno aspettando con impazienza che Filippo arrivasse. Avrebbe preferito non dover uscire per incontrare l’amico, ma a casa non poteva farlo venire perché i genitori lo detestavano perché lo ritenevano il principale responsabile della  sua rovina. In ogni modo, tra tutte le sue conoscenze, era la persona più adatta per contattare Caruso e portargli la cifra che alla fine suo padre aveva sborsato.       
Era lì da una buona mezz’ora e cominciava a spazientirsi quando lo vide arrivare da lontano. Persino per lui era un mistero come quell’uomo di poco più di trent’anni che poteva contare solo su una piccolissima rendita lasciatagli dai genitori, potesse fare tanto lusso. Anche quel giorno indossava un abito di ottima fattura che metteva in risalto la sua bella figura alta e slanciata mentre, sotto il capello all’ultima moda, il viso bruno dagli occhi vivaci risaltava di maschia bellezza. Senza nessuna fretta, dopo avergli fatto un cenno di saluto, si era soffermato a scambiare qualche parola galante con una bella signora  incontrata per caso e solo dopo un po’ si decise ad andarsi a sedere accanto a Fabrizio.
- Alla buon’ora!  Ma quando ti decidevi a venire? – sbottò questi, indispettito.
- Ehi, ehi, calma! Stanotte sono stato …. – e fece un sorriso allusivo, tanto non c’era bisogno di spiegare all’amico di bagordi dove era stato – A proposito, Lulù sente molto la tua mancanza. Quand’è che ti decidi a uscire dalla tana, coniglietto mio?
- Quando tu ti deciderai a dirmi come l’ha presa Caruso.
- Come l’ha presa? Certo non bene. La cifra che mi hai dato non era nemmeno un terzo di quanto gli devi.
- È tutto quanto sono riuscito a ottenere da mio padre. Ti prego, non tenermi sulle spine,  dimmi cosa ha detto.
- Che ti dà altri quindici giorni poi manderà i suoi amici a finire l’opera – gli rispose calmo l’altro, osservandosi le unghie ben curate.
- Mio Dio, e me lo dici così?
- E come te lo devo dire? Ti avevo sconsigliato di chiedere i soldi a Caruso, ma tu niente! Tanto vinco, dicevi, e invece…
- Che ci posso fare se la fortuna è girata? Ti ricordi l’anno scorso a Venezia? Ho vinto talmente tanto da riuscire a pagare un’intera settimana a Parigi ad entrambi. Cosa ne sapevo che sarebbe andata così male questa volta?  E poi sei la persona meno adatta a farmi un simile rimprovero. Non sei anche tu pieno di debiti?
- Una cosa è qualche bottegaio o il padrone di casa, un’altra sono gli strozzini. Per carità, sono il modo migliore per rovinarsi.
- Da quando papà ha chiuso la borsa non so proprio da chi andare.
Filippo si mise a giocare con la perla del fermacravatte e assunse un’espressione di sufficienza che fece irritare il giovane amico.
- Che dovrei fare, sentiamo. Visto che ti ritieni tanto abile, allora dimmi tu come fai a procurarti i soldi.           
 L’uomo lo prese in giro con un risolino divertito.
- Eh bello mio, ne devi mangiare pane prima di arrivare alla mia abilità nel procurarmi quattrini!
- La vedova? La signora Adele? Sono queste le tue fonti? No, grazie, non mi va di andare a piangere da qualche amante stagionata per farmi dare del denaro.
- Per carità, tu hai una dignità, un decoro – gli rispose ironico - … e allora accontentati di farti pestare dagli uomini di Caruso, che vuoi da me! Eppure, caro mio,  bello, giovane e simpatico come sei, non avresti nessuna difficoltà a trovare qualche pollastra da spennare.
Fabrizio rimase un po’ pensieroso, infine decise di confidarsi con l’amico.
- Mio padre non fa altro che farmi prediche. Dice che dovrei sposarmi e mettere la testa a posto. Secondo lui dovrei trovare una ragazza buona, onesta e ricca.
- Davvero? E se fosse anche bella guasterebbe? Se la trova lui una così!
- Mi ha detto di averla trovata: è una cugina di Dora del Cassano.
L’altro s’incuriosì poiché era a conoscenza del fatto che il conte Alfredo solo un anno prima gli aveva rifiutato  la mano della figlia. Lo incoraggiò a parlare.
Fabrizio gli raccontò in breve cosa gli aveva detto il padre.
- Io però non lo farei mai. Mi ripugna troppo – concluse.
- Perbacco, se non ti fai avanti con quella ragazza sei proprio un fesso. Credi sia facile trovare un’occasione del genere?
- Chi ti dice che lei possa volermi? Soprattutto se ha la vocazione, come potrei farle cambiare idea?
- Secondo me, se ci provi, ci riuscirai. In ogni caso mostra a tuo padre l’intenzione di farle almeno un po’ di corte e in cambio ti fai dare la cifra che ti resta da pagare a Caruso. Poi, se lei non ti vuole, non sarà stato per colpa tua …
 - Ma che consigli mi dai? Così se quella tipa dovesse convincersi dovrei sposarla davvero. Non se ne parla nemmeno!
- Se aspetti ancora un po’ non riuscirai più a trovare un padre disposto a concederti la mano di sua figlia,  soprattutto se ha una buona dote. Diventerai talmente povero da dover addirittura andare a lavorare. Per carità -  Filippo finse di rabbrividire all’ipotesi di una simile prospettiva – è meglio sposarsi, magari anche con una racchia, basta che sia piena di soldi.
Fabrizio sorrise sornione,  assumendo quell’espressione da canaglia che tanto piaceva alle donne.
Nel vederlo, l’amico commentò:
- Preparati al matrimonio, caro mio. Vedrai, ti vorrà, eccome se ti vorrà!
 
Si sentiva quasi un condannato a morte mentre insieme ai genitori, alla sorella e al cognato si stava recando alla festa in casa dei conti del Cassano. Aveva dovuto cedere alle loro insistenze perché non aveva trovato nessuna scusa valida per rifiutarsi di andare persino a conoscere quella tale Angela. Nonostante il suo cattivo umore, tra sé e sé cercava di rincuorarsi.
 – “Magari è bellissima. Forse assomiglia a Dora, in fondo sono sempre cugine. In questo caso, chissà, potrebbe anche essere amore a prima vista”-  si diceva.
Sorrise ripensando alla bellezza di quella ragazza che solo poco tempo prima l’aveva fatto impazzire. Dora era alta, formosa, i capelli biondi come l’oro e due lucenti occhi azzurri. Forse con l’avanzare dell’età la sua grazia di fanciulla si sarebbe trasformata in una notevole pinguedine pari a quella della madre, ma per il momento era tutta provocante e burrosa e in più aveva un carattere allegro e socievole. Spesso suo padre gli aveva fatto notare che in quanto a  cultura e a intelligenza era messa proprio maluccio, ma non erano state certo le sue doti intellettuali a infiammarlo.
A distanza di un anno era ancora molto bella. Lo poté constatare quando venne a riceverli e a presentare il futuro marito, un ometto già mezzo pelato e con la pancia che nel frac assomigliava molto a un pinguino. Lei invece era vestita di uno splendido abito di  seta rosa che le metteva ancora più in risalto la pelle di porcellana e gli occhi luminosi. Ancora una volta Fabrizio non avrebbe avuto esitazioni se avesse dovuto chiedere lei in moglie, ma siccome gli era già stata rifiutata, sperò ancora che la cugina almeno le assomigliasse.
Era destinato a rimanere molto deluso. 
Tanto per cominciare Angela del Cassano era bruna, anzi, i suoi capelli erano addirittura corvini. Gli avevano detto che la madre era siciliana e probabilmente nelle sue vene doveva scorrere un bel po’ di sangue arabo perché era molto scura di carnagione e anche gli occhi erano di un nero profondo. Non che fosse  brutta, in verità,  ma aveva un aspetto dimesso e severo, accresciuto dall’abito nero molto accollato e dai capelli acconciati in una semplice treccia avvolta intorno alla testa in una pettinatura passata di moda da almeno mezzo secolo. Di certo non aveva fascino. Fabrizio dovette fare uno sforzo notevole per non mostrare la propria delusione quando infine gliela presentarono.
Gli toccava bere fino in fondo l’amaro calice e così, con un sospiro, le si sedette accanto e si sforzò pure di iniziare un po’ di conversazione. La ragazza era  timidissima e a stento rispondeva a monosillabi, non soltanto a lui, ma anche ai numerosi altri giovanotti che le stavano intorno. Tra di essi Fabrizio notò la presenza di Francesco Sella, un suo compagno di università, che, a detta di tutti, era un noto cacciatore di dote. Chissà come era venuto a conoscenza anche di quella opportunità. Forse il conte del Cassano aveva fatto un bando pubblico per offrire la mano della nipotina… A giudicare da come cercavano tutti di  farsi notare  dalla ragazza, pareva proprio di sì.
Ben presto se ne stette in silenzio, disgustato da tanta meschineria intanto che  le giovani invitate si alternavano nelle solite, penose esibizioni di canto.
Francesco stava provando a convincere la compita Angela a cantare anche lei qualcosa e lo faceva con tanta noiosa insistenza da arrivare a farla arrossire. Alla fine Fabrizio ne fu infastidito e ne prese le difese.
- Smettila,  - gli disse - se la signorina non desidera cantare non mi sembra il caso di insistere tanto.
- Perché non ti fai gli affari tuoi? Sono sicuro che una così graziosa creatura deve per forza avere anche una voce bellissima -  rispose l’altro, rivolgendosi alla ragazza con un sorriso che voleva essere affascinante e risultava solo ipocrita.
- Perché non rifletti? – gli chiese allora, provando a farlo ragionare -  Probabilmente la signorina non conosce le romanze e le canzonette all’ultima moda e con le tue insistenze la stai mettendo a disagio.
Angela lo guardò, piena di gratitudine.
- Grazie, signore, è proprio questo il mio problema. Mi piacerebbe molto, ma conosco solo canti liturgici. Non mi sembra il caso di cantarli in un salotto …
Si era giustificata con un filo di voce, affrettandosi ad  abbassare gli occhi piena di vergogna, quasi come se fosse una sua colpa. Fabrizio ne fu intenerito e provò ad incoraggiarla.
- Però la musica la conoscete, non è vero? – le chiese.
Lei annuì, senza parlare.
- Bene, allora non c’è problema: vi porterò gli spartiti delle canzoni più famose e così alla prossima festa ci stupirete tutti suonandocele. 
La ragazza lo guardò e il giovane notò un leggero rossore diffondersi sulle sue guance, animandole il viso. Chiaramente voleva parlare, ma non aveva il coraggio di farlo.
- Cosa c’è, volete dirmi qualcosa? - la incitò.
- Sì. Per favore, potreste procurarmi qualche spartito dei notturni di Chopin? Una volta una mia compagna ne ha portato uno in collegio e l’ho trovato stupendo. Lo suonavo in continuazione di nascosto, poi suor Ada l’ha trovato e …
Fabrizio sorrise e non seppe trattenersi dall’ osservare con marcata ironia.
- Certo, è risaputo che i notturni di Chopin sono troppo peccaminosi per le caste fanciulle. Comunque non temete, se ora vi sentite tanto audace, ve ne porterò qualcuno e non avrete più bisogno di farlo di nascosto.
Angela aveva colto benissimo il sarcasmo eppure, in quegli occhi limpidi che la fissavano, azzurri e innocenti, le parve di vedere anche un lampo di tenera commiserazione.
- Potreste cantare lo stesso anche ora. In fondo siamo tutti buoni cristiani e gli inni sacri piacciono sempre a tutti – intervenne Francesco che, stupido e inopportuno, proprio non si voleva arrendere.
Fabrizio lo fulminò con uno sguardo poi guardò la ragazza che stava sorridendo. Sul suo viso adesso c’era un’espressione quasi  divertita che la rendeva molto più  carina.
 
Si rividero qualche giorno dopo. Angela si mostrò contentissima perché Fabrizio aveva mantenuto la promessa e le aveva portato alcuni spartiti di Chopin.
Nella quiete del pomeriggio, rimasero a parlare in salotto mentre la zia sonnecchiava sulla poltrona.
A guardarla bene, lui ne scopriva particolari che gli erano sfuggiti la prima volta. Non aveva la bellezza prorompente di Dora ed era eccessivamente magra, ma i  tratti del volto erano delicati e la pelle, benché di colorito assai scuro, doveva essere liscia come la seta. Gli occhi poi erano profondi e dolci. Inoltre era piacevole parlarle perché aveva un’intelligenza pronta e uno spirito curioso. Non era una stupida e dimostrava di voler conoscere le cose perdute in tanti anni vissuti in convento. Si accorse che stava conversando con lei come non aveva fatto mai con una donna. Era lusingato perché la vedeva pendere dalla sue labbra, interessata a tutto quanto le diceva. Parlarono di viaggi, di musica  e anche  di letteratura. Su questo argomento  Fabrizio si accalorò perché quella era la sua passione più grande. In realtà non gli capitava spesso di  trovare chi fosse disposto a starlo ad ascoltare tanto a lungo. Invece Angela si stava mostrando talmente entusiasta dell’argomento da dimenticarsi anche un po’ la timidezza e da sentirsi persino spronata a fargli una richiesta.
- Vorrei tanto leggere un libro. Potreste portarmelo voi per favore? – gli chiese infatti,  quasi in sussurro.  
- Ditemi qual è e lo farò senz’altro.
- No, no perdonatemi, è meglio che non ve lo dica, chissà cosa pensereste di me.
Il giovane si stupì nel vederla incerta e si lasciò sfuggire un risolino divertito.
- Davvero? Ah, ho capito! Forse quello che volete leggere è un libro scandaloso – scherzò.
La ragazza si fece rossa come la brace e si morse le labbra, senza parlare.
- Avanti, coraggio, non lo dirò a nessuno o forse temete che gli zii lo trovino e vi puniscano?
- No, questo no, tra l’altro è in latino e loro non lo capiscono – gli rispose, riprendendo un poco di ardimento.
- Voi la capite?
- Sì. 
- Allora non c’è problema, però mi dovete dire qual è, altrimenti come faccio ad indovinare? – la incoraggiò ancora,  con un tono amichevole.
- I “Carmi Brevi” di Catullo.
Fabrizio rise di gusto e citò:
- “Vivamus, mea Lesbia, atque amemus…”. Curioso, prima Chopin, ora i canti  d’amore di Catullo per Lesbia, si vede che dovete essere una personcina molto romantica, amica mia.
 Aveva voluto prenderla soltanto un po’ bonariamente in giro eppure Angela diventò  rossa come la brace. Pareva vergognasi. Provò a giustificarsi, la fronte corrugata e agitandosi sulla sedia.
- Niente affatto! Il mio è un interesse puramente letterario. In convento ho studiato Catullo, naturalmente, ma la suora non ci ha fatto leggere le sue nugae. E’ solo una curiosità la mia, ma se anche voi non lo ritenete adatto a una giovane perbene, non tenete conto di questa mia richiesta così sconveniente.
Lui scoppiò a ridere.
- Non vi preoccupate, signorina, non c’è niente di peccaminoso in Catullo. Forse  il peccato l’ha commesso chi vi ha impedito di leggere le sue opere facendovi credere addirittura che potessero farvi finire all’Inferno. Vi rendete almeno conto di tutte le sciocchezze che vi sono state inculcate?
 Fabrizio voleva solo incoraggiarla, ma lei s’impermalì.
- Non scherzate su queste cose, signore, ve ne prego. Sono cose serie.
Dopodiché si congedò senza dargli il tempo di spiegarsi.
 
Più tardi, mentre se ne tornava a casa, il giovanotto pensava a quella strana ragazza. Non era una gran bellezza, ma gli stava simpatica, nonostante tutte le sue fisime. Ma certo la simpatia era troppo poco per poter pensare a una unione tra loro. Alquanto risollevato, si disse:
- “Per fortuna è talmente bigotta che devo averla scandalizzata e non vorrà più vedermi. Il mio l’ho fatto, comunque,  e ora papà non potrà più tirarsi indietro. Dovrà darmi un’altra parte della somma, come mi ha promesso. Forse così riuscirò a tenere buono Caruso ancora un po’ di tempo, poi si vedrà.   
Non sapeva che, voltandosi e rivoltandosi nel suo letto, Angela proprio non ce la faceva a prendere sonno. Temeva di essere apparsa a Fabrizio una povera stupida o peggio ancora una ragazzetta frivola e sognatrice. Non era così, se lo fosse stato non gli avrebbe chiesto certo di portarle i carmi di Catullo, ma un qualsiasi romanzetto rosa. Ogni volta che le sue compagne tornavano dalle vacanze di Natale o da quelle estive, c’era sempre qualcuna che ne introduceva uno di nascosto eppure non li aveva mai voluti leggere, non perché si fosse divertita a trascorrere le sue ore libere in compagnia di un edificante libro sulla vita dei santi o a ricamare insieme a suor Giustina, ma proprio perché lei all’amore non voleva pensarci per nulla.  Aveva sempre avuto paura di scoprire l’esistenza di qualcosa di diverso, quasi come succede a quei poveri uccellini che, trovando all’improvviso lo sportellino della propria gabbietta aperto, esitano sulla soglia della loro prigione per paura di lanciarsi in volo. Erano stati i suoi buoni zii a farla uscire dal convento dove aveva trascorso gli ultimi cinque anni più come una novizia che come una semplice collegiale. Ora  che avevano superato tutti gli impedimenti per i quali erano stati costretti  a  lasciarla sempre lì e l’avevano accolta in casa loro come una seconda figlia, la invogliavano pure a pensare ad un futuro diverso da quello che si era sempre immaginata. Era grata per l’affetto che le dimostravano, ma non voleva una vita differente da quella che conosceva, non in quel mondo grande e sconosciuto nel quale non si sentiva mai all’altezza. Di questo ne era certa, o almeno lo era stata fino a qualche giorno prima. Cosa le era accaduto nel frattempo?  Aveva conosciuto quel giovane bruno dagli occhi di cielo e il ricordo di lui le tornava di continuo in mente. Ne risentiva la voce, ne rivedeva il sorriso accattivante, rammentava quel suo modo schietto e sincero di trattarla, così diverso dalla condiscendente ipocrisia che avvertiva negli altri Anche  se disperatamente cercava di scacciarne il pensiero, non poteva evitarlo. E lei, che all’amore non aveva mai pensato, per la prima volta avvertiva la voglia di lasciarsi cullare da un sogno tanto bello quanto irrealizzabile.
 
 
 
Ciao. Volevo ringraziarvi per la calda accoglienza che avete riservato a questa mia nuova storia. Ne sono davvero felice perché la ritengo un poco “il mio romanzo” sia per la cura dei particolari che ho messo nello scriverlo sia per l’affetto che nutro per i personaggi, complessi e in costante evoluzione caratteriale e spirituale. Sono consapevole che si tratta di una vicenda un po’ particolare che forse potrà interessare solo poche persone, ma se anche ce ne sarà una soltanto che nel leggerla proverà una pur minima emozione, allora avrò raggiunto il mio scopo.
Ho pensato di corredare talvolta i capitoli con qualche bella foto d’epoca, giusto per farvi entrare in questa specie di macchina del tempo che ho cercato di preparare per voi. Se è un’iniziativa che gradite, fatemelo sapere.


VILLA COMUNALE

Una cartolina della Villa Comunale nei primi anni del Novecento



La villa Comunale in quadro di Antonio Gravina



La "Fontane delle Paparelle" sul cui bordo Fabrizio è seduto ad aspettare Filippo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***




 
Fabrizio era convinto di aver portato a termine il suo impegno con Angela, ma appena qualche giorno dopo, mentre era a  pranzo con i genitori, Carmela gli fece sapere di aver ricevuto quella mattina stessa una visita della contessa Eleonora.
- Sabato sera andranno al San Carlo per la prima  de “L’Aida” e hanno invitato anche te nel loro palco.
Il giovane posò il cucchiaio nel piatto. Tutto a un tratto gli era passato l’appetito.
- Ancora con questa storia! – proruppe desolato – Non l’hanno capito che la nipote non mi vuole?
- Ti sbagli – gli rispose la madre – ha confidato alla cugina che tra tutti i giovani conosciuti in questo periodo, l’unico che ha trovato simpatico sei stato tu.
- Soltanto perché io l’ho trattata come una persona, non per altro. Non fatevi illusioni, quella è già una mezza monaca per come la pensa – precisò, senza dissimulare una certa irritazione.
- Insomma, Fabrizio, avevi promesso di prendere in considerazione questa cosa e devi mantenere la parola. La ragazza è simpatica ed ha anche un aspetto gradevole. Non mi pare tu debba fare un sacrificio così grande.
Ferdinando era davvero preoccupato e l’unica salvezza per quello scapestrato gli sembrava il matrimonio con una brava figliola.
- Certo, tuo padre ha ragione – intervenne la mamma -  è carina, colta, virtuosa, ricca. Cosa potresti pretendere di più da una moglie?
Lui sorrise, ironico.
- Chissà, forse sono uno stupido, ma ve lo dico lo stesso cosa  vorrei da una moglie: vorrei amarla. Vi sembra troppo?
L’avvocato alzò le spalle con un fare disincantato.
- Figlio mio, nelle tue condizioni economiche, senza la laurea o un lavoro e con la fama di sregolato che ti sei fatto, credo che un matrimonio d’amore sia la cosa in cui puoi sperare di meno. Accontentati di una brava moglie, credi a me, sarà meglio.
Fabrizio non rispose. In altre parole era quanto gli aveva detto Filippo. Anche se i loro punti di osservazione erano diversi, l’amico e il padre erano  giunti alle stesse conclusioni.
– Va bene – accondiscese alla fine - andrò anche a teatro se vi fa contenti. Però  mi raccomando, non metteteci troppe speranze
 
Nell’intervallo tra gli atti, i conti del Cassano con la figlia Dora e il futuro genero erano andati nel foyer a prendere un rinfresco mentre Angela, che non si era voluta muovere, era restata con Fabrizio nel palco. Quella sera era un po’ più elegante. Indossava un vestito grigio tortora, anche questo però accollato, e i capelli erano pettinati in una foggia un po’ più moderna. Osservandola durante il primo atto mentre era tutta intenta a seguire l’opera, il giovane aveva notato quanto fossero delicati i tratti del suo viso e quanto gli occhi neri ne lasciassero trasparire tutte le emozioni.
Per rompere un silenzio imbarazzato, le chiese:
- È la prima volta che assistete ad un’opera lirica?
- Sì, naturalmente – gli sussurrò con il suo fare timido e controllato.
- E vi piace l’Aida?
La ragazza parve rianimarsi e gli disse tutto di un fiato:
– Moltissimo. La musica è bellissima e anche le scene. Sono davvero incantata. Purtroppo della storia dell’antico Egitto ne so poco. Sono proprio una vera ignorante.
Fabrizio sogghignò divertito.
- Davvero credete che la maggior parte delle persone presenti in questa sala conoscano qualcosa dell’antico Egitto?
- Voi credete di no?
- Già. E credo anche che vostra cugina Dora, ad esempio, non se ne preoccupi più di tanto.
La ragazza sospirò.
- Sapete, io a volte mi sento così inadeguata. Tra le mura del mio convento è tutto così calmo, sereno: il lavoro, la preghiera, i giorni che scorrono sempre uguali l’uno all’altro … Qui fuori invece è tutto così difficile.
Fabrizio le chiese con molta dolcezza:
- Allora avete deciso di prendere i voti?
Lei lo guardò. I suoi occhi brillavano di una passione infinita.
- Dovrei farlo. In fondo mio nonno l’avrebbe voluto e anche la buona Madre Superiora me lo consiglia. Lo so, per me sarebbe la cosa più giusta … però …
Si era fermata, incerta se continuare o meno mentre si guardava le mani abbandonate in grembo. Poi trovò la forza di proseguire.
- Però nel mondo c’è tanto da vedere, tanto da sapere. Vorrei  leggere, ascoltare musica, visitare tanti luoghi, magari anche paesi lontani, conoscere persone …  nello stesso tempo ho anche paura di tutto questo perché l’unico posto dove mi sento al sicuro è lì, in convento - mormorò.
Esitò ancora un poco, infine si lasciò andare a confidarsi con quel bel ragazzo che sembrava l’unica persona al mondo a interessarsi un po’ a lei.
- Ve lo confesso, sono molto turbata perché forse non sarei una brava monaca con tutte queste inquietudini che mi porto dentro, ma nemmeno sono  adatta a diventare una sposa, come vorrebbe mio zio.
- Prendete tempo allora - le suggerì, intenerito da uno sfogo così sincero.
- Non posso, mi hanno dato solo un anno per decidere. Suor Ada e zio Alfonso sono d’accordo che è un lasso di tempo più che sufficiente per permettermi di stabilire se ho la vocazione o no. Così, anche se sono ancora tanto incerta, già a settembre dovrò tornare in convento …
- Che diritto hanno di fare questo? Nessuno può decidere della vostra vita, Angela, dovete difendervi.           
Il suo senso di giustizia, al di là di ogni meschina considerazione di ordine personale, si ribellava alla costrizione in cui stavano mettendo quella giovane donna. Per sua natura non sopportava le ingiustizie commesse sui più deboli e provò quasi il desiderio  di salvarla da tutte le persone che, celandosi dietro i buoni propositi, volevano solo farle del male.
 
Qualche giorno dopo accompagnò la madre a portare il regalo di nozze a Dora per il matrimonio ormai prossimo. Approfittando di un attimo di distrazione degli altri, Angela gli si avvicinò e gli disse a voce bassissima:
- Sapete, ho letto anche i libri che mi avete regalato insieme ai “Carmi”. Non riuscivo a smettere di leggerli, l’ho fatto giorno e notte. Alla fine avevo gli occhi rossi per la stanchezza e per le lacrime di commozione.
- Sono contento vi siano piaciuti.           
- Oh, sì, sono meravigliosi. Non immaginavo nemmeno che si potessero trasmettere sensazioni così potenti descrivendo  il dolore e la gioia, la vita e la morte. È tutto meraviglioso su quelle pagine.
- Piano, piano, non è che la morte mi affascini più di tanto, nemmeno sulle pagine del più bel libro del mondo – scherzò lui.
Mentre parlava un sorriso attraente gli illuminava il viso. Era bello, bello e simpatico. La ragazza si sentì battere forte il cuore. In quel preciso momento capì di amarlo e poiché il suo animo semplice e sincero le si rifletteva negli occhi, il suo sentimento fu talmente chiaro a Fabrizio da arrivare a spaventarlo.
Intuì di averla in suo potere e cercò subito la strada per tirarsi indietro senza doverla deludere. Per fortuna in quel momento Dora si avvicinò per mostrare loro il dono ricevuto e così entrambi poterono dissimulare la propria emozione.
 
Fabrizio era andato allo studio legale del padre di mattina presto, quando  non c’era ancora nessuno e Ferdinando poteva riceverlo in tutta tranquillità. Ormai non mancava giorno che gli strozzini non gli facessero pervenire terribili minacce. Si sentiva sull’orlo del baratro e la disperazione  gli si leggeva in viso.
Alla nuova richiesta di aiuto, l’avvocato Serra si mostrò avvilito.
 - Non ce l’ho i soldi, figlio mio, non ce l’ho. La casa di Sant’Agata sui due Golfi non sono ancora riuscito a venderla e questo è tutto quanto posso darti.
- Papà, ti prego, cerca di fare un altro sforzo: con questa somma non li tengo buoni neanche altri quindici giorni.
- Non credere che stia sottovalutando la gravità della situazione. Ho scritto persino a tuo cognato Rodolfo. Ho dovuto dirgli la verità e spero che non mi dica di no.
- Perché non chiedi anche agli altri tuoi generi?  Ho un bisogno disperato di quei soldi.
- Non posso domandare denaro a nessuno. Perbacco, lo sai anche tu che l’unica delle tue sorelle che ha fatto un buon matrimonio è stata Giovanna. Le altre, come vorresti fare tu, hanno fatto  “ i matrimoni d’amore” e adesso beato chi aiuta loro – lo motteggiò Ferdinando.
Però la paura di quello che sarebbe potuto accadere a Fabrizio lo preoccupava davvero e proseguì con un tono di aspro rimprovero.        
 - Ti sei cacciato tu in questa situazione. Non credi che sarebbe tuo dovere quanto meno venirne fuori da solo?
- In quale modo? – gli urlò il figlio – Prendendo in giro una ragazza senza alcuna colpa e facendomi pagare per sposarla? Meno male che siete voi quelli che hanno una morale ed io il poco di buono!
- Io non ti sto suggerendo di fare infelice una donna e approfittare di lei, ti sto chiedendo di mettere la testa a posto e ricominciare da capo, come deve fare un uomo onesto. Comunque, se non vuoi,  io non ti obbligherò. Spero che Rodolfo possa darti i soldi, però ti giuro, ti costringerò a  restituirglieli fino all’ultimo. Vuol dire che andrai a lavorare, magari anche al porto come  facchino, ma dovrai ridarglieli tutti e da solo.
Dopo, incapace di continuare oltre, uscì dalla stanza.
Con la scusa di mettere dei fascicoli  a posto entrò Alberto, l’avvocato che aiutava suo padre da anni.  Di origini molto modeste, ma onesto e lavoratore, era il protetto di Ferdinando che lo aveva aiutato a terminare gli studi di legge e poi lo aveva  preso come suo collaboratore. Ormai aveva già passato la trentina e, poiché non aveva più nessuno, la famiglia Serra era diventata un po’ anche la sua. Soprattutto con Fabrizio aveva sempre avuto un ottimo rapporto e il ragazzo  gli voleva bene quasi come a un fratello maggiore.
Spesso ricorreva  ai suoi consigli. Anche stavolta, vedendo che si era messo con fare indifferente a riordinare i documenti sulla scrivania, gli chiese:
- Che c’è, fai finta di non sapere niente tu?
L’altro sospirò.
- Tuo padre mi ha detto tutto e, credimi, lui è troppo un galantuomo per spingerti a fare un’azione contraria alla morale o al bene di quella povera ragazza.
- Lo so, ma se la sposassi farei il gioco di suo zio che si approprierebbe di fatto delle sue ricchezze.
- Questo non è detto. Una volta sposata sarebbe libera dalla sua tutela. In pratica lei potrebbe disporre di tutti i propri beni e tu, che ne saresti il marito, ne potresti beneficiare di riflesso.
- A me non interessano i suoi soldi, accidenti, lo volete capire tutti quanti? – protestò il giovane al quale  sarebbe bastato davvero togliersi d’impiccio questa volta perché  non aveva preoccupazioni future che andassero più in là della difficoltà momentanea.
- Lo so, tu non sei una persona avida. Ma cosa provi per lei? Almeno questo l’hai capito?
Fabrizio s’interrogò per la prima volta con sincerità sui propri sentimenti.
- Non l’amo, questo è certo, e poi fisicamente non mi piace neanche troppo. Però devo ammettere che è intelligente e dolcissima e mi fa una tenerezza immensa. Insomma, mi ci sono affezionato, ecco.
- E non ti sembra abbastanza?
- Per un matrimonio che ci leghi tutta la vita? No, non mi sembra abbastanza.
- Eppure per molto meno eri disposto sposare Dora.
- Molto meno,dici? Due tette così … - scherzando, il giovane mimò le forme procaci della giovane Dora.
- Fabrizio, sii serio per favore! Lo sapevi anche tu che è furba e venale, me lo confessasti quando ti chiesi se c’eri rimasto male al rifiuto del padre. Comunque hai ragione, forse questa Angela non è adatta a te,  le faresti solo del male.
- No, questo no – affermò l’altro, di nuovo serio – non potrei mai fare del male ad una creatura così dolce e buona. Forse gli altri le faranno del male, non io.
- E allora lo vedi?Anche per lei sarebbe meglio sposare te piuttosto che tornare in convento a marcire o maritarsi con il primo bellimbusto che lo zio riuscirà ad imporle.
 
La notte precedente al matrimonio di Dora, Fabrizio si era deciso a tornare dopo tanto tempo alla casa di tolleranza dove aveva incontrato finalmente la “sua” Lulù. Avrebbe voluto tornarsene in compagnia di Filippo, ma questi era troppo ubriaco per muoversi e lui non poteva consentirsi di aspettarlo: i suoi genitori non gli avrebbero perdonato se non avesse partecipato alla cerimonia dell’indomani.  Nonostante cercasse di rimanere concentrato sulle grazie della donna appena lasciata,  si sentiva a disagio. Tutto sommato fu un bene perché si avvide subito dei due figuri che erano spuntati da un vicolo secondario. Quasi non si meravigliò quando lo aggredirono. Questa volta però riuscì anche a difendersi, assestando due o tre pugni ben piazzati.  Mentre ancora  lottava,  apparve don Ciro Caruso in persona, seguito da altri scagnozzi. Non fu difficile per loro, visto che oramai erano in quattro contro uno, riuscire ad immobilizzarlo di nuovo. Stava lì ad aspettare le percosse, quando il malavitoso ordinò ai suoi uomini:
- Lasciatelo stare, non lo toccate. Tenetelo solo fermo.
Uno degli aggressori lo afferrò per i capelli, mentre un altro gli bloccò le braccia dietro la schiena. Intanto il guappo, grasso e disgustoso,  gli si era avvicinato talmente tanto che Fabrizio riusciva a percepire persino l’olezzo del suo alito.
- Allora, signorino, credi davvero di prendere per fesso il qui presente don Ciro Caruso?
Lui non rispose, ma il compare che lo teneva per i capelli gli diede un violento strattone facendolo gemere dal dolore.
- Rispondi, fetente! – gli intimò.
- No, signore, non è mia intenzione.  Ma quanto vi ho mandato è tutto quello che ho, per ora. Vi assicuro, il resto ve lo darò al più presto.
- Ah sì? E … sentiamo, quanto mi devi dare, secondo te? – gli chiese l’altro con un sorriso di scherno, mostrando i denti d’oro.
Fabrizio lo guardò perplesso.
Senza aspettare risposta, Caruso gli disse con la voce calma e ironica:
 - No, figlio mio, quei soldi lì me li dovevi dare ieri. Se vuoi farmi aspettare altri  quindici giorni,  me ne devi dare almeno tre volte tanto.
- Ma così non mi libererò mai di voi! – protestò il giovane in un impeto di rabbia.
- E ringrazia il cielo perché potrei decidere di liberarmi io di te.
Gli mise sotto il naso la fredda lama di un  coltello.
- Lo sai, mi diverto molto a usarlo sulle facce dei bei giovanotti come te.  Comunque, per questa volta ti lascio andare. Però, se tra quindici giorni non mi mandi quanto mi devi dare, credi a me, ragazzo, ti pentirai pure di essere nato... Andiamo adesso – ordinò ai suoi scagnozzi e poi, rivolgendosi di nuovo alla sua vittima, si tolse il cappello in un ironico omaggio e lo salutò: - Felice notte, signorino Serra.  
Gli uomini che lo avevano tenuto fermo lo scagliarono per terra e si allontanarono dietro il loro capo. Fabrizio si rialzò e, tremante per l’emozione, fece ritorno a casa.
Naturalmente passò una nottata d’inferno.
 
Il matrimonio, come tutti i matrimoni, proseguiva lungo e noioso. La sposa era molto carina, lo sposo assai brutto. Tutti ridevano, parlavano e mangiavano troppo. Solo Fabrizio se ne stava in un angolo, torvo e preoccupato. A nulla erano valsi gli incitamenti della madre per farlo  partecipare alla festa.
Ad un tratto Angela gli si venne a sedere accanto e rimase silenziosa per un po’ poi gli propose:
- Qui dentro c’è troppa confusione e troppo fumo. Mi accompagnereste fuori, per favore?
Lui non chiedeva altro. Uscirono nel giardino soleggiato nella tiepida giornata di marzo. Senza parlare, passeggiarono per il vialetto costeggiato di piante pronte alla fioritura e giunsero fino alla fontana di pietra dove l’acqua gorgogliava nel silenzio del pomeriggio.
Il chiasso della sala era ormai lontano. Tutto era pace lì fuori, anche quella ragazza tranquilla che rispettava il suo bisogno di star zitto.
Gli venne spontaneo rivolgerle un sorriso che lei subito ricambiò. Si sedette sull’orlo della fontana e con la mano gli fece cenno di accomodarsi accanto a lei.
- Scusatemi – gli disse - non dovevo importunarvi, vedo che non siete del vostro solito umore.
- Scusatemi voi, piuttosto, se non sono di molta compagnia. Non è niente di importante, passerà. Voi come state invece?
- Bene. 
Gli  aveva risposto  guardandolo in viso. Era dolce e serena e il ragazzo provò per la prima volta dalla sera precedente una sensazione di calma.
- Avete deciso del vostro futuro? – continuò a chiederle.
Questa volta lei rise, scuotendo il capo.
- No, non l’ho fatto. Non ancora, perlomeno.
- Ho saputo però che già avete ricevuto alcune proposte di matrimonio.
- E come lo avete saputo?
- Me l’ha detto mia madre  a cui l’ha raccontato vostra zia. Mi ha detto anche che le avete rifiutate tutte. Avete deciso di non sposarvi,  forse?
La giovane rimase un po’ zitta.
- Solo una cosa potrebbe spingermi a farlo: mi piacerebbe provare la gioia di diventare madre – gli confidò a un tratto.
- Bene,  allora dovete solo scegliere. Non vi piacevano i giovanotti che ve l’hanno chiesto?
- Mi sembravano strani.
- In che senso?
- Non lo so, come se non fossero davvero interessati a me. Forse è perché io non valgo molto e non ritengo nemmeno di essere una moglie molto appetibile. Neanche so se sarei capace di occuparmi di una famiglia.
- Perché dite questo, non è vero. Voi siete dolce e intelligente, vi sentite così solo perché siete una donna  sensibile più di tante altre che si credono chissà cosa e invece non valgono niente.
La ragazza aveva avvertito la sincerità nella sua voce, ma non poteva, non doveva illudersi. Si sentì salire le lacrime agli occhi, così distolse lo sguardo, per non farsi vedere. Finse di osservare i cespugli di rose, l’animo in subbuglio. Aveva capito che Fabrizio non era uno come gli altri: era speciale, unico. Si sentiva sconvolta da una sensazione nuova, come  una magia sconosciuta che di sicuro non avrebbe più provato nella vita, però, nello stesso tempo, era consapevole di non essere all'altezza di un uomo così. La cosa le provocava una sofferenza struggente.
- Angela, volete sposare me?
Si voltò di scatto a quelle parole e lo guardò stupita.
- Fabrizio, ma cosa state dicendo!?
- Vi sto chiedendo di diventare mia moglie.
Ci aveva pensato tanto, aveva sentito tante opinioni in proposito, tanti pareri. Forse era stato il brutto incontro della notte precedente o la sensazione di pace che provava quando stava accanto a lei. Non lo sapeva, non voleva saperlo, voleva solo che quella piccola donna spaventata come una gazzella avesse fiducia in lui e gli dicesse di sì.
Con un’ansia che non avrebbe mai pensato di provare, scrutò quei dolci occhi scuri e fu felice di vedervi passare una gioia profonda che si propagò presto al volto minuto e alla bocca che si schiuse nel sorriso mentre, tremando, lei gli diceva semplicemente:
- Sì!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***




 
Zio Alfonso aveva stabilito che il loro dovesse essere un fidanzamento molto breve. Sei mesi sarebbero stati più che sufficienti e in questo modo Angela avrebbe potuto sposarsi prima del suo diciannovesimo compleanno. Anche se mancava poco al matrimonio, Fabrizio non poteva più aspettare per saldare i propri debiti. Benché a malincuore, perché la cosa lo ripugnava moltissimo, fu costretto a chiedere un colloquio al conte.
Era il pomeriggio di una domenica che aveva trascorso con la fidanzata e la sua famiglia. Precedendolo nello studio, Alfonso gli chiese di chiudere la porta alle loro spalle.
- Non ti preoccupare, figliolo  - lo rassicurò -  immagino già cosa vuoi dirmi. Tuo padre mi aveva già accennato alle grosse difficoltà economiche in cui sei.
Fabrizio tirò un sospiro di sollievo e sentì di doverlo ringraziare.
- Voi non sapete quale peso mi state togliendo dal cuore. Sono davvero disperato e temo che quei criminali  possano mettere in atto le loro minacce se non li pago subito.
- Ma no,  non vogliamo di certo lasciare vedova la nostra cara Angela prima del tempo! Quanto devi dare?
Il giovane gli disse la somma e lo vide impallidire.
- Come accidenti hai fatto ad indebitarti così tanto?
- La cifra iniziale era molto più bassa, credetemi, però quei delinquenti non fanno altro che triplicarla ogni volta che non riesco a restituire tutto.
Il conte sospirò.
- Certo è davvero tanto …
Finse di starci a pensare un po’ su poi gli fece una proposta:
- Senti, facciamo così: io adesso ti do quanto mi hai chiesto così chiudi una volta per tutte con quella gente …
- Grazie, grazie di cuore!
- … ma tu mi firmerai un atto nel quale dichiari che rinunci ad amministrare i beni della tua futura moglie, che rimarranno a lei, naturalmente, ma dei quali continuerò ad occuparmi io.
- Per me non c’è problema – gli rispose Fabrizio. In quel momento avrebbe venduto anche l’anima al diavolo pur di liberarsi dei loschi figuri che stavano continuando a minacciarlo,  se pure da lontano.
- Benissimo, allora firmami questa rinuncia. L’avevo già pronta.
Alfonso trasse da una piccola cassaforte un fascio di banconote e uno scritto. Glielo mise davanti sulla scrivania  e incominciò  a contare il danaro.
L’altro lo guardava affascinato senza però muoversi.
- Che aspetti, firma – lo incitò.
Fabrizio stava per farlo, ma all’improvviso si fermò con la penna a mezz’aria.
- Insomma, che c’è? – gli chiese contrariato.
- Scusate, ho solo un dubbio: come farò a mantenere vostra nipote? Io non ho un lavoro, lo sapete, e mio padre non può accollarsi anche quest’onere.
- Già, dimenticavo. Ho comprato una casa alla Riviera di Chiaia intestata ad Angela dove andrete ad abitare e  ho stabilito una cifra per le vostre necessità che ti passerò ogni mese.
A Fabrizio l’idea di dover aspettare il sussidio mensile del conte per poter vivere suscitava qualche perplessità. Il suo interlocutore lo capì e aggiunse con severità:
- Lo faccio per il vostro bene. Non ti sei dimostrato troppo affidabile finora e potresti finire per giocarti tutto. Credimi, figliolo, così è meglio per tutti. Tu non avrai preoccupazioni e io starò più tranquillo. E poi, che diamine,  non vi farò fare la fame, non sono così perfido.
Tanto gli bastava. Fabrizio annuì e firmò.
 
Una volta toltasi la preoccupazione del debito da saldare e ottenuta la certezza che d’ora in avanti Ciro Caruso lo avrebbe lasciato in pace, Fabrizio si sentì rinascere. Nei primi tempi fu persino contento di interpretare il ruolo del fidanzato modello, ma  a mano a mano che la data delle nozze si avvicinava, un’inquietudine strana si faceva strada in lui. Si era affezionato ad Angela, ma sebbene la trovasse dolcissima, gli sembrava quasi una creatura ultraterrena tanto era candida e irraggiungibile. Lui era molto focoso per natura, ciò nonostante alla sua riservatissima fidanzata non aveva osato dare mai nemmeno un bacio. Lei, d’altronde, non aveva mai accennato a concedergli un po’ più di confidenza. Si limitavano a continuare a parlare di paesi lontani, di letteratura,  a volte persino di filosofia e pur apprezzando la cultura che vedeva crescere in lei ogni giorno di più visto che trascorreva la maggior parte del giorno a leggere avidamente, la sentiva più come un’amica che come una futura moglie. Angela inoltre dimostrava un assoluto disinteresse per le cose pratiche e non si stava occupando di preparare la loro futura casa o il corredo di sposa. Scherzando, Fabrizio l’aveva presa in giro per questo, paragonandola ai gigli dei campi di evangelica memoria. Per la giovane donna, infatti,  un vestito era qualcosa che doveva servire a coprire la nudità e la casa un posto dove bastava ci fosse un tavolo e un letto per dormire. Quando la zia e la cugina, tra l’altro già incinta,  si lamentavano che dovevano fare tutto loro,  le guardava con certi occhioni stupiti. Proprio non concepiva l’idea di poter parlare con un operaio o di andare dalla sarta per misurare gli abiti.
Anche Fabrizio aveva poca voglia di occuparsi della futura casa e ogni giorno di più si sentiva sgomento alla prospettiva del matrimonio che si avvicinava. A volte rimaneva anche l’intera notte sveglio a pensare a come sarebbe cambiata la sua vita.
A poco a poco si dimenticò i buoni propositi e invece di rimanere a letto a soffrire d’insonnia, riprese a uscire con Filippo. Anche se la triste esperienza vissuta lo aveva reso prudente al tavolo da gioco, oramai si era lasciato di nuovo andare. Ad eccezione del giovedì e della domenica, giorni in cui vedeva la fidanzata, il resto della settimana lo passava tra i bordelli, i café chantant  e l’ippodromo di Agnano.
Ferdinando era troppo onesto per ignorare un comportamento del genere e, senza dire niente al figlio, decise di affrontare l’argomento con il  conte del Cassano.
Si rividero nella stessa  saletta del caffè del Circolo dove avevano parlato per la prima volta.
- Mi dispiace, vostra nipote non se lo merita un poco di buono così. Converrete che ve l’avevo detto, era come mettere insieme il diavolo e l’acquasanta  - concluse il galantuomo dopo aver confessato all’amico le mancanze del figlio scapestrato.
L’altro non parlò e al suo silenzio l’avvocato Serra aggiunse:
- Io vi sono grato per la grossa somma che gli avete dato per pagare i suoi debiti e vi do la mia parola d’onore che tra pochi giorni vi restituirò fino all’ultimo soldo con in più gli interessi legali. Però vi prego, per il bene dei due ragazzi, sciogliamoli da questa  promessa.
Alfonso lo guardò con freddezza: un simile ragionamento non gli andava. Fabrizio era stato ricattabile e arrendevole, chissà se un altro candidato alla mano di Angela lo sarebbe stato altrettanto.
- È lui che ve l’ha chiesto? – gli domandò.
- No, non lui. Ma ne sono convinto: non è innamorato di Angela. Credo l’abbia chiesta in moglie solo per togliersi dai guai.
Il conte sorrise tra sé e sé: certo che non ne era innamorato! Come faceva uno così ad innamorarsi di una stupida, insignificante e pure bruttina  qual era sua nipote? Si mostrò sicuro del fatto suo.
-  Non vi preoccupate, Ferdinando. L’amore non è necessario per un solido matrimonio, ve l’ho già detto. Vostro figlio è un ragazzo intelligente e sensibile. Ora lo state dipingendo come un poco di buono, ma ho saputo che collabora a una rivista letteraria qui in città, non è così?
- Sì, lo sta facendo e gli piace, ma non lo fa come un lavoro. E poi la maggior parte del tempo non la passa con quegli stimati intellettuali, bensì con il suo depravato amico. Dio solo sa cosa vanno facendo tutte le notti!
- Su, andiamo,  lasciatelo vivere un po’ con spensieratezza prima di sposarsi. In fondo la ragazza non sa nulla del suo comportamento e non ne soffre. Ed è così innamorata! Non vorrete darle una simile delusione, vero? 
 
Angela infatti era felicissima. Aspettava con ansia i giorni in cui poteva vedere il suo amato e anche se manteneva un contegno riservato, avrebbe voluto che le ore trascorse insieme a lui non passassero mai. Lei per prima aveva  faticato a credere che un giovane così potesse essersi sentito attratto dalla sua persona, ma Fabrizio la trattava sempre con tanta dolcezza che oramai non ne dubitava più. Parlavano senza stancarsi mai e le idee e gli ideali di giustizia e di parità sociale che lo infiammavano le parevano indice di una nobiltà d’animo senza pari. In realtà il suo amore era di una natura così spirituale che pur trovando l’aspetto fisico del fidanzato molto gradevole, non si era mai soffermata su quello che avrebbe comportato la vita matrimoniale. Certo conosceva la necessità del sesso per procreare, ma preferiva scacciarne il pensiero perché la turbava.
C’era riuscita sempre benissimo fino a una domenica mattina, si era ormai in agosto, quando insieme alla famiglia e al futuro sposo andarono al convento per salutare le suore e la Madre Superiora prima delle imminenti nozze.
Con la carrozza attraversarono un lungo viale costeggiato di alberi fino alla chiesa con la grande cupola e l’edificio sede del monastero dove Angela aveva vissuto gli ultimi sette anni. Era un luogo dove si respirava un’atmosfera quasi rarefatta di pace e di tranquillità e Fabrizio fu quasi pentito di aver costretto la giovane a staccarsene. Era questa la vita adatta a lei, non certo quanto le poteva offrire lui. Si sentiva quasi in colpa. Per fortuna il suo sentimento spiccatamente anticlericale prese il sopravvento quando conobbe la Madre Superiora. Era una vecchia monaca alta e magrissima, dal viso arcigno che lo squadrò da capo a piedi per qualche minuto buono. Anche mentre prendevano il caffè in un salottino dopo aver assistito alle funzioni, continuò ad osservarlo fino a quando il giovane si decise a ricambiarne lo sguardo quasi con sfrontatezza. Solo allora distolse gli occhi e incominciò un ipocrita discorso con il conte Alfonso. Entrambi facevano a gara nel decantare le doti della povera piccola sprovveduta il cui denaro ognuno dei due aveva voluto per sé. Però, poiché alla fine aveva vinto il conte, alla suora non restò che fingere di voler parlare alla ragazza come una buona madre e trascinarla in un’altra stanza. Quando riapparvero, suor Ada appariva sorridente, ma Angela era rossa in volto e molto turbata e continuò a esserlo anche quando risalirono in carrozza e ripresero la via di casa.
Guardando fuori dal finestrino, la povera ragazza non riusciva a non pensare a quanto le aveva detto la monaca in merito ai suoi futuri doveri di sposa  e le sembrava tutto così al di sopra delle proprie possibilità da farla sentire sola e confusa.
- Che hai, cara? – le chiese Fabrizio che aveva cominciato a darle del tu.
Lei non rispose, solo abbassò la testa per non mostrare il turbamento.
- Non stare a sentire nessuno, vedrai, andrà tutto bene – la incoraggiò sottovoce per non farsi udire dagli altri.
Ancora una volta l’aveva capita senza che dicesse niente. Angela sentì il calore della felicità invaderle di nuovo il cuore e, in un impeto di amore, lo guardò con immensa gratitudine. Mise la mano nella sua. Lui  se la portò alle labbra e gliela baciò con affetto.
Di nuovo, dopo quel lontano giorno in cui l’aveva chiesta in moglie, Fabrizio provò nei suoi confronti  una grande tenerezza.
 
Ben diverso fu il suo stato d’animo la mattina del 15 agosto mentre aspettava davanti all’altare l’arrivo della sposa. Forse erano stati i bagordi della sera prima, forse la notte insonne o forse addirittura le tante persone che venivano a congratularsi e a stringergli la mano, ma si sentiva quasi male.
D’invitare alle nozze  Filippo non se ne era parlato nemmeno anche perché proprio in quei giorni era sulla bocca di tutti per un duello con un marito che lo sospettava, e a ragione, di essere l’amante della moglie. Fabrizio era superiore a tutte le chiacchiere e ai pregiudizi, però lo stesso i comportamenti dell’amico a volte lo infastidivano. Erano troppo forzati, troppo “dannunziani” per i suoi gusti. Anche a lui piacevano le donne e la bella vita e non se n’era mai privato, ma senza sentirsi per questo un super uomo al di sopra di ogni regola. In fondo era un bravo ragazzo, saldamente ancorato ad alcuni principi morali, e sapeva che non c’era nulla di cui vantarsi a sperperare denaro in futilità quando c’era tanta gente che moriva di fame.
Eppure rimpiangeva che  Filippo non fosse lì con lui in quel giorno così terribile. L’avrebbe di certo rincuorato, magari mettendogli sotto il naso il lato comico della situazione, così come aveva fatto la sera prima.
La giornata era molto calda e le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte passarono inosservate a tutti, ma non al padre, seduto al primo banco, a cui non sfuggì il pallore del suo viso sbarbato con cura per l’occasione. Gli si avvicinò.
- Come va? – gli chiese.
- Come dovrebbe andare? Mi sento quasi come un condannato a morte. Deve pensarlo anche la mamma visto che ha già cominciato a piangere da almeno mezz’ora.
Aveva volutamente usato un tono scherzoso senza riuscire peraltro a nascondere la tensione.
- È una cosa che capita a tutti sentirsi nervosi quando si sta per compiere un passo così importante, non devi farci caso – lo rincuorò Ferdinando.
- Soprattutto se non ti andava di farlo ancora quel passo – commentò, acido ed irritato.
- Credimi, figliolo, se ho insistito l’ho fatto per il tuo bene.
- Beato te che sai sempre tutto, addirittura anche quale è il mio bene.
Non aveva potuto evitare di rivolgersi al padre con tutta la rabbia e la ribellione che si sentiva dentro, anche se dopo fu dispiaciuto dall’espressione addolorata che gli vide negli occhi.
L’anziano signore si passò una mano tra i capelli bianchi e, come se si fosse all’improvviso pentito di tutte le pressioni fatte al figlio, gli  disse:
- Non è troppo tardi, sei ancora in tempo a tirarti indietro.
Invece era troppo tardi perché in quello stesso istante attaccò la marcia nuziale ed Angela entrò in chiesa sotto il braccio dello zio.
Nel vederla avanzare pian piano nella navata, l’esile figura fasciata in un semplicissimo abito bianco, Fabrizio pensò che un abbandono sull’altare l’avrebbe uccisa. Ne ebbe la certezza quando lei gli fu accanto e  sollevò il velo mostrandogli il viso minuto, reso grazioso dall’emozione. Tremava e nei suoi occhi neri  c’era quasi una febbre, ma gli sorrideva con dolcezza.
- Cerca di stare calma – le sussurrò piano.
Lo disse anche a se stesso.
Riuscì a controllarsi,  tanto da provare la sensazione che non fosse lui la persona a pronunciare quel “sì” e ad infilare la fede al dito di una manina gelata. Solo per un istante ebbe la consapevolezza di quanto stava facendo e fu quando toccò ad Angela dare il suo assenso. Lo pronunciò con una voce così carica di gioia e di fiducia da scuoterlo nel profondo. Allora, anche se non lo faceva mai, si trovò a pregare:
- “Signore, se davvero sei lì, perdonami e dammi la forza di sopportare il peso di tutto questo. Dal canto mio, Te lo  giuro, anche se la sto sposando senza amarla davvero, cercherò di proteggere sempre  questa povera ragazza che si sta mettendo nelle mie mani”.
 
Seduta a tavola accanto a lui, la sposa non aveva mangiato quasi nulla. Sorrideva imbarazzata alle persone che si avvicinavano al loro tavolo per congratularsi, ma era raggiante di felicità. Quando tagliarono insieme la torta nuziale, gli si strinse contro  e gli sussurrò con la spontaneità di una bambina:
- È il giorno più bello della mia vita!
Fabrizio ne fu commosso. La strinse a sé e forse l’avrebbe baciata, anche solo su una guancia, se sua sorella Giulia non l’avesse trascinata via per presentarle qualcuno. La guardò allontanarsi con il sorriso sulle labbra. Gli occhi gli si posarono su Dora, seduta poco distante, che aveva osservato la scena. La vide alzarsi e venirgli vicino.
- Allora, sposino, va tutto a gonfie vele? – gli chiese con un tono molto acido.
La gravidanza le aveva un po’ sfigurato la linea, ma era bella lo stesso, anche se le si leggeva in faccia uno strano livore.
- Sì, va tutto bene. Angela è una brava ragazza.
Lei sorrise, sprezzante.
- Queste sono le promesse di voialtri uomini. Solo un anno fa giuravi che mi avresti amato per sempre e adesso sposi mia cugina.
- Sei stata tu a non volermi, Dora.
- Non è vero, non è dipeso da me, io ti volevo. Avrei dovuto essere io oggi al tuo fianco, non quella stupida, insignificante mezza monaca.
- Forse, ma avresti dovuto rinunciare all’abito elegante, agli orecchini di brillanti, alla collana d’oro. Io non avrei potuto farti indossare queste cose anche se l’avessi voluto, questo lo sapevamo entrambi, non è così?
Fabrizio intendeva rinfacciarle il suo attaccamento al denaro che l’aveva spinta a sposare un uomo ricco pur non amandolo, ma aveva dimenticato che per Dora lui aveva fatto la stessa cosa proprio poche ore prima. Infatti la ragazza si rianimò e gli sorrise, prima di tornare a fare le moine al suo grasso marito.
Per un po’ era anche riuscito a non pensare alla propria  situazione, invece adesso, vedendosi attraverso gli occhi di un altro, si sentì davvero avvilito.
 
Dovettero trascorrere la prima notte a casa degli zii perché la loro casa alla Riviera di Chiaia non era ancora pronta e il conte Alfonso non aveva ritenuto di dover sborsare altro denaro per mandarli in viaggio di nozze.
Fabrizio aveva cercato di trattenersi a lungo  con lui dopo la fine della festa,  non perché  gli fosse simpatico, ma per ritardare il più possibile il momento di rimanere solo con Angela. Alla fine però venne il momento di ritirarsi. Mentre era in bagno a spogliarsi e a lavarsi, cercava di capire i motivi del suo nervosismo. In realtà di donne ne aveva avute a bizzeffe sin da quando aveva avuto sedici anni, però erano state tutte prostitute o signore di una certa età e di una certa esperienza. Una donna vergine non l’aveva mai posseduta e aveva paura di farlo.
Si infilò nel letto accanto alla moglie che, nonostante il gran caldo, indossava una camicia da notte accollatissima  e si era pure tirata le lenzuola fin sopra il naso.
Proprio non sapeva da dove cominciare. Avrebbe dovuto farle la grottesca domanda: “Ti ha detto niente la mamma?” anzi, nel loro caso, “la zia”? Non se ne parlava nemmeno: si  sarebbe sentito troppo ridicolo. Meglio non dire nulla e provare a toccarla. Si voltò verso di lei e le fece una carezza sul viso. Lei restò immobile. Cercò di non lasciarsi scoraggiare e le toccò il seno che avvertì piccolo e sodo. Pian piano sentì il desiderio arrivare, allora con la mano le toccò il ventre, senza osare avventurarsi più sotto. Ancora nessuna reazione da parte di Angela. Provò ad accarezzarle le cosce, ma la ragazza le teneva talmente serrate che non riuscì nemmeno ad infilare una mano tra di esse. La osservò alla fioca luce della lampada da notte che ardeva sul cassettone.  Se ne stava con gli occhi chiusi, rigida e immobile  come chi aspetta qualcosa di spaventoso che sta per accadergli. Si sentì raggelare e dopo averle posato un lieve bacio sulla fronte, si affrettò a dirle:
- Dormi, cara.  Buonanotte.
Poi si voltò di spalle e se  ne stettero entrambi  in silenzio senza osare neanche muoversi, fino a quando il sonno non li vinse.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***




 
Dopo la strana prima notte di nozze  i due giovani parevano contenti di lasciare le cose come stavano. Non dello stesso parere  era la contessa Eleonora che ogni mattina andava ad ispezionare il letto nuziale per trovare le tracce che il matrimonio fosse stato consumato. Trascorsi dieci giorni ed essendo assolutamente certa della verginità di Angela, incominciò a preoccuparsi.         
Intanto i due sposi sembravano aver ripreso la vita di sempre. Fabrizio stava fuori tutto il giorno e si ritirava solo a notte inoltrata, Angela invece si alzava all’alba e alle nove di sera già crollava dal sonno.           
 La contessa parlò al marito dei suoi dubbi, ma questi, con fare indifferente, le disse:
- Cosa ce ne importa, mia cara. Falli vivere come gli pare e piace.
- Sei una persona molto accorta però ti è sfuggito un particolare importante – osservò la moglie che in quanto a furbizia non era seconda a nessuno – il giovanotto potrebbe starlo facendo apposta perché un matrimonio non consumato si può annullare con facilità.
Alfonso rimase perplesso.
- Perché mai dovrebbe farlo?
- Per liberarsi di quella gatta morta, ad esempio. È un bel ragazzo, giovane e intelligente e lo sappiamo tutti che l’ha sposata solo per i soldi.
- Appunto.
- Appunto un corno! Quelli che gli servivano se li è già presi, non vedo quale interesse possa avere per la miseria che hai deciso di passargli ogni mese. E se lui la lascia, quella scema se ne torna dritta dritta in convento, puoi starne certo.
- Hai ragione, parlerò con il padre. Tu intanto cerca di interrogare Angela.
La contessa non se lo fece dire due volte. Con un gusto maligno, incominciò a tormentare la povera ragazza fino a quando lei non le confidò che sì, era vero, suo marito non l’aveva ancora toccata. Allora la rimproverò, accusandola di essersi sottratta ai doveri coniugali. Lei si difese, affermando di non essersi mai rifiutata. Lo fece  in tutta onestà, senza immaginare neanche che era stato il suo comportamento così poco invitante a raggelare il giovane e senza sapere l’interpretazione che sarebbe stata data alle sue parole dalla zia.
 
E così, pochi giorni dopo, Fabrizio, rientrando dal salotto letterario dove aveva trascorso una serata assai stimolante, trovò Alfonso e Ferdinando ad aspettarlo.  Fu invitato a seguirli nello studio e lo fece con molta curiosità perché non si spiegava il motivo dello strano incontro a quell’ora di sera.
Appena entrati, il conte lo apostrofò in maniera sgarbata.
-  Allora, bello mio, ce lo vuoi dire a che gioco stai giocando?
- Come? – chiese in preda allo stupore.
Il suo sguardo vagò in cerca di una spiegazione dal conte a suo padre. Questi gli disse con severità:
- Hai fatto una promessa quando ti sei sposato, adesso devi mantenerla.
Sempre più disorientato, cercò ancora un chiarimento.
- Cosa sto facendo di male? È vero, torno un po’ tardi la sera, ma è perché vado dal professore Croce. Però non mi sembra che parlare di letteratura e di filosofia sia una cosa disonesta. Non è che per voi il matrimonio significa la morte civile per caso?
Aveva parlato con un tono scherzoso, quasi a voler dimostrare la sua buona fede, ma  Alfonso sembrava furente.
- Potresti fare quello che vuoi se facessi anche il tuo dovere di marito. Tua moglie è ancora vergine come lo era dieci giorni fa – lo investì con disprezzo.
- Ah ecco! Non sapevo di essere spiato fin nella mia intimità – rispose, stupito ed  amareggiato.
- Nessuno si prende la briga di spiarti, credimi, ma noi siamo la famiglia di quella povera orfana e dobbiamo tutelarla. Se l’hai sposata, ora devi fare il tuo dovere. Se non ti piaceva, dovevi pensarci prima.
- Come è possibile che non riusciate a capire. Lei è così pura, così, così… insomma non so come spiegarvelo, mi sembrerebbe quasi di violentarla se lo facessi.
Alfonso proruppe in una sonora risata di scherno che lo irritò moltissimo.
- D’accordo, se è questo che volete, lo farò. D’altra parte quelli che sanno come ci si deve comportare siete voi, non io. Se mi dite che uno stupro, sia pur legalizzato dal matrimonio, non è uno stupro,  vi prenderò alla lettera.
Suo padre intervenne con calma per rincuorarlo.
- Non è così figliolo. Angela è meno fragile di quanto tu immagini. È stata lei stessa a lamentarsi con la zia che tu  non l’hai mai cercata.
Fabrizio sfogò la rabbia stringendo con tanta forza la spalliera di una sedia da far diventare bianche le nocche delle dita. Riuscì a controllarsi.
- Va bene – disse alla fine con gelida calma – vuol dire che l’ingenuo sono io, non lei. Non vi preoccupate, farò cosa devo fare.
Suo padre gli rivolse uno sguardo talmente grato da intenerirlo, nonostante tutto. 
- È tardi, vuoi essere riaccompagnato a casa? – gli chiese con premura.
- No, grazie, non ce n’è bisogno, Alfonso mi farà riaccompagnare con la sua carrozza.
 
Nel distendersi nel letto accanto alla moglie, la guardò come aveva fatto tante volte nelle notti precedenti. Dormiva supina, con le braccia alzate sul cuscino  in una posizione quasi infantile che gli aveva sempre fatto un’enorme tenerezza. Aveva i capelli sciolti. Il nero corvino spiccava sul biancore del cuscino e le incorniciava il visino dolce abbandonato nel sonno. Faceva molto caldo e dormendo si era liberata del lenzuolo. Attraverso la batista sottile della camicia poteva intravedere il piccolo seno alzarsi e abbassarsi nel respiro. Non era bella, era troppo, troppo magra, ma ugualmente aveva grazia e il profumo di pulito che emanava, unito alla morbidezza della pelle, lo attiravano. Ad un tratto si domandò per quale motivo non aveva cercato di avere rapporti con lei in tutti quei giorni.  Anche se non lo faceva impazzire di desiderio era pur sempre una giovane donna fresca e pulita che, grazie al matrimonio, era ora a sua completa disposizione. E poi sapeva benissimo di non essere andato sempre tanto per il sottile in passato quando si era trattato di fare sesso. E allora? Non l’aveva fatto perché la rispettava e non voleva imporle una cosa che palesemente la spaventava. Le voleva troppo bene, ecco tutto. Eppure lei era andata a lamentarsi con i suoi per quei mancati rapporti coniugali. Come aveva potuto farlo? Forse lo aveva preso per un  fesso o peggio ancora, per un impotente. Era stato uno stupido. Si era lasciato ingannare dalle sue arie di timida santarellina quando al contrario era una persona che sapeva il fatto suo.
Un po’ incollerito a quel pensiero, approfittò che fosse addormentata per toccarle le cosce nude. Sotto le dita avvertì la carne soda e liscia e la voglia non tardò ad arrivare. Perché reprimerla se anche lei non chiedeva altro? Le slacciò i bottoni della camicia sul petto e posò le labbra sulla pelle calda e profumata. A quel contatto Angela si risvegliò e, presa alla sprovvista, cercò di respingerlo, in un istintivo gesto di difesa.           
Fabrizio la fermò e, cercando di calmarla carezzandole  il viso, le sussurrò piano, ma non senza una certa ironia:
- Calmati, sono io, tuo marito. Hai dimenticato che abbiamo i doveri coniugali da compiere?
Angela si calmò e con il capo gli fece cenno di no. Non lo aveva dimenticato: giacere con il marito era un suo preciso obbligo.
- Che devo fare? – riuscì a mormorare. 
- Niente, ci penso io. Cerca solo di stare rilassata.     
Così lei non si oppose più, lo lasciò fare, ma era spaventata a morte e non riuscì a ricambiare neanche una carezza. Quando l’uomo finalmente riuscì a penetrarla, si lasciò sfuggire un grido di dolore, ma poi se ne stette lì, mordendosi le labbra per non urlare.
Lui se ne accorse.
- Lasciamo perdere, ti fa troppo male.    
Per un attimo Angela ne fu sollevata, ma poi ebbe paura di non essere in grado di superare la prova più ardua del matrimonio. Allora gli strinse forte le spalle, cercando quasi protezione dal dolore lancinante che lui stesso le stava provocando e riuscì a sussurrargli:
- Continua, ti prego.           
Il rapporto durò pochissimo, ma quel tempo le sembrò le eterno. Quando lui finalmente si scostò non ebbe il coraggio di guardarlo in faccia. Il sesso era stato qualcosa di sconvolgente, un dolore patito nel corpo e nell’anima che avevano trasformato il bel ragazzo amato in uno sconosciuto che la minacciava con la sua sola presenza. Sapeva di star sbagliando però e per un momento sperò che adesso lui le si rivolgesse con la consueta dolcezza, per coccolarla, consolarla, dirle che tra loro ci sarebbe stato sempre molto di più di quella cosa brutale che avevano appena fatto.  Ma quella notte Fabrizio sembrava non essere lo stesso.     
Neanche per lui era stato facile, anzi, per un momento aveva pensato di non riuscire nemmeno a farcela tanto aveva avvertito la mancanza assoluta di ogni piacere in sua moglie. Ora di certo non lo aiutava vederla starsene lì, accanto a lui, raggomitolata e tremante, con le mani che stringevano la camicia intorno alle ginocchia. Si alzò e andò in bagno. Dopo un po’ riapparve, rivestito di tutto punto. Fece per uscire dalla stanza.
- Dove vai a quest’ora? È notte fonda.
- Lo so, però ho bisogno di una boccata d’aria. Torno presto intanto tu cerca di riposare.
Rimasta sola, Angela si alzò, andò a lavarsi e a cambiarsi la camicia che si era macchiata. Come avrebbe potuto sopportare tutto questo senza smettere di amarlo? Eppure sapeva che doveva farlo se voleva essere una buona sposa e, soprattutto, una madre. Scostò il lenzuolo sporco, si distese di nuovo sul letto e si mise a piangere.
 
 
Nella notte calda, una fresca brezza veniva dal mare. Fabrizio l’avvertiva, ma nemmeno quella riusciva a rinfrescargli il viso in fiamme. Si sentiva malissimo per Angela e per se stesso. Altri uomini al suo posto non si sarebbero fatti tanti scrupoli, questo lo sapeva di sicuro. Era normale per tutti, anzi, era considerato un punto d’onore irrinunciabile portarsi all’altare una donna illibata da sverginare senza tanti complimenti, con o senza l’amore reciproco. Per lui invece nessun contratto matrimoniale al mondo poteva giustificare una simile violenza, perché solo di questo si trattava, era inutile illudersi. Il ricordo di quanto era avvenuto poco prima lo colmava di disgusto e quel rapporto carnale, così crudo e brutale, avuto con la sua legittima moglie gli pareva più scellerato di quelli consumati con le più volgari meretrici. Era questo dunque quello a cui si era condannato? Non c’era stata attrazione sessuale tra loro, né reciproco piacere e questa situazione sarebbe durata per tutta la vita. Perché doveva accadere tutto questo? Perché non potevano essere lasciati in pace a continuare la loro relazione fatta solo di tenerezza e di amicizia?   
Con un gesto nervoso gettò via il mozzicone della sigaretta poi si sedette su una panchina, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese il capo tra le mani, aspettando che pian piano scomparisse tutta la disperazione che avvertiva in quel momento.    
 
Nonostante Angela fosse pronta ad ogni sacrificio, l’atteggiamento del marito la mortificava. Era diventato scostante con lei, quasi come se non la sopportasse più e facesse di tutto per starle lontano. La poverina si sentiva disperata, ma non gliene faceva una colpa, al contrario si era convinta di aver mancato in qualcosa, anche se non riusciva a capire in cosa. Avrebbe voluto confidarsi con qualcuno, solo che un sesto senso le suggeriva di non parlarne con la zia. Così si teneva dentro una grande amarezza a cui non sapeva dare una spiegazione.
Una domenica che erano andati a pranzo dei genitori di lui, si trovò da sola con la suocera. Era una brava donna, molto dolce e materna, e la ragazza provò un’istintiva fiducia nei suoi confronti tanto che riuscì a confidarle le sue perplessità sullo strano comportamento di Fabrizio. Carmela l’ascoltò in silenzio e rimase un po’ pensierosa senza parlare fino a quando non rientrarono in salotto Ferdinando, il figlio e l’altra figlia, Giulia. Allora disse:
- Sapete cosa pensavo? Siamo appena ai primi di settembre, il tempo è ancora molto bello e poiché non avete fatto il viaggio di nozze, potreste andare a passare un po’ di giorni a Sant’Agata sui due Golfi. Vi piace la mia idea?
- Mi piacerebbe molto – affermò Angela con cortesia – ma ho promesso a zia Eleonora di occuparmi della casa alla Riviera di Chiaia.  È stata messa a nuovo, ma adesso bisogna arredarla. Dora non si sente tanto bene e zia vuole starle vicino. Non se ne possono interessare più e allora dovrò farlo io  se vogliamo  andarci ad abitare.
- E sarebbe anche ora – intervenne Fabrizio – sono davvero stufo di stare a vivere con i tuoi zii.
- Lo so, hai ragione, il fatto è che non ne sono proprio capace, mi dispiace.
Giulia si sentì intenerita dall’umiltà della cognata.  Le disse con sincerità:
- Non fartene un problema, se vuoi posso aiutarti io. A me piace molto arredare le case.
Carmela prese la palla al balzo.
- Davvero? E allora occupatene tu direttamente, così questi due ragazzi possono andare un po’ in villeggiatura. I soldi per i mobili glieli darai tu, Ferdinando, non è vero?
-  Sì, certo.
- Ma dico, siete impazziti? Deve pagarli il conte. Che rispetti i suoi impegni almeno.  Fabrizio si era ribellato, incurante dello sguardo di stupore  della moglie che non comprendeva perché fosse così adirato.
- No, voglio farlo io. È  una questione di dignità – disse il padre.
- Giusto, la dignità di non farsi prendere per i fondelli.  Anzi, sapete cosa vi dico? Me ne occuperò io stesso, tanto per quello che mi serve una casa, anche se verrà arredata male, sai quanto me può importare.
Carmela notò il tremito delle labbra di Angela e intervenne.
- No, se ne occuperà Giulia. Tu e tua moglie ve ne andrete a Sant’Agata sui due Golfi.
- E dagli con questa idea balzana, mamma! Ma che accidenti ci faccio lì? Sai che noia mortale.
Benché inesperta delle cose del mondo, la sposina non era una stupida e sentì gli occhi bagnarsi di lacrime perché aveva capito che Fabrizio con lei si annoiava.
- Cosa ci fai? Impari a fare il marito per esempio e questa signora qui a fare la moglie. Non vi sembra abbastanza?
- Io farò tutto quanto vuole mio marito – sussurrò la ragazza, sottomessa come sempre.
Lui la guardò, infastidito da tanta remissività.
- Brava, sei davvero una moglie esemplare – le disse con aperto sarcasmo.
La vide arrossire e ancora una volta si sentì un verme perché se la stava prendendo con lei per colpe non sue.
- Ma sì, in fondo è meglio stare in quel paesino piuttosto che a casa dei tuoi, con quella strega di tua zia e quel furbacchione  di tuo zio – sbottò alla fine.
 
Oramai senza più preoccupazioni, i conti del Cassano furono ben lieti di potersi liberare della presenza della nipote e di suo marito e riprendersi in casa la figlia, almeno fino alla nascita del bambino. Dora infatti si lamentava moltissimo per i fastidi della gravidanza anche se in realtà non aveva nessun problema serio. Faceva solo la smorfiosa perché le piaceva moltissimo stare al centro dell’attenzione di tutti, soprattutto di quella del povero cavaliere Pepe che si faceva in quattro per accontentare ogni suo desiderio. 
Non ci fu verso di far cambiare idea a Ferdinando che volle per forza accollarsi la spesa dei mobili. Anche di questo fu felice Alfonso. In un momento di magnanimità dovuto al sollievo provato, mise a disposizione dello sposo  una discreta sommetta, anticipandogli in questo modo una parte di quanto aveva promesso di dargli mese per mese.
Carmela intanto era sicura che stare un po’ da soli, lontano da persone così perfide,  avrebbe potuto far bene ai due ragazzi, per cui organizzò alla perfezione tutto. Una domenica mattina, di buon ora, partirono per Sant’Agata sui due Golfi. Insieme a loro andarono anche Giulia, il marito e i loro due bambini, i nipotini preferiti di Fabrizio.
La casa era molto bella, su due piani, circondata da un giardino un po’ trascurato a cui si accedeva dallo studio, dal salotto e dalla sala da pranzo. Al piano superiore c’erano due camere da letto spaziose con le relative stanze da bagno, un lusso moderno che l’avvocato Serra si era voluto concedere ai tempi d’oro. Sul retro della casa c’era una grande cucina, un’anticucina e le stanze per la servitù. 
Giulia e Carmela avevano chiamato un donna del posto che aveva già fatto il grosso delle pulizie e sarebbe venuta l’indomani con il marito e la figlia a prendere servizio.
Appena arrivati, mentre gli uomini  e i bambini si trattenevano in giardino, le due donne si diedero da fare per mostrare ad Angela  la casa e spiegarle le cose di cui si sarebbe dovuta occupare. La ragazza ascoltò attenta e si augurò di esserne capace. Una cosa però pensava proprio che non le sarebbe mai riuscita: cucinare. Non l’aveva mai fatto in vita sua e inoltre il suo rapporto con il cibo era stato sempre abbastanza conflittuale perché le suore con cui era vissuta l’avevano abituata a considerare la gola come il peccato in cui si poteva ricadere con più facilità.
Passarono una bella giornata e Fabrizio si divertì insieme ai nipotini nella casa dove aveva trascorso le estati più belle e serene dell’infanzia. Quando però nel primo pomeriggio i suoi  si rimisero in carrozza per andarsene,  si sentì stringere il cuore dall’angoscia. Ora che erano da soli per la prima volta come sarebbe stato il suo rapporto con la donna strana e silenziosa che gli stava accanto? Aveva deciso di lavorare ad un progetto cui teneva da tempo: preparare un articolo sulla  questione meridionale. Se fosse venuto bene, l’avrebbe sottoposto al professor Croce che, volendo, avrebbe anche potuto pubblicarlo così come aveva fatto con qualche altro suo articolo. Comunque questa volta il compito era assai più impegnativo e bisognava documentarsi bene per non rischiare di dire banalità. Decise di ritirarsi in camera a leggere anche se aveva lo scrupolo di non fare compagnia ad  Angela.
- Non ti preoccupare – gli disse invece questa –  mettiti pure a lavoro. Tua madre e tua sorella mi hanno scritto la ricetta di una torta e vorrei provare a prepararla per la colazione di domani. Spero solo di riuscire ad accendere il forno a legna.
Sorrideva serena e Fabrizio si ritirò senza più preoccuparsene. Fu tanto preso dalla lettura che quasi se n’era dimenticato quando la vide entrare in camera verso le dieci di sera, rossa in volto.
- Allora – le chiese – come è venuta la torta?
- Male, molto male. Ho dovuto buttare tutto.
Sembrava davvero mortificata. Lui la rincuorò con un risolino divertito.
- Non sarà mica la fine del mondo. Imparerai.
- Speriamo – gli disse e s’infilò a letto.
- Finisco di leggere questo capitolo e poi spengo la luce. Ti dà fastidio?
- Solo un po’.
L’uomo sospirò, poi, dopo un attimo di riflessione, le propose:
- Senti, qui ci sono due camere da letto. Domani fai preparare da Assunta anche l’altra così io andrò a dormire lì.
Angela lo guardò preoccupata: oramai si era abituata a dormire con lui, le piaceva molto svegliarsi al mattino e trovarselo accanto che riposava placido. Rimaneva sempre qualche minuto a contemplarne  il viso e gli occhi  dalle ciglia lunghe lunghe dolcemente chiusi. Il guardarlo le sembrava un modo meraviglioso per cominciare la giornata.
Si sentì preoccupata.
- Perché? – gli chiese.
- Tu vai a dormire presto e ti svegli presto, io invece faccio il contrario. In questo modo  non ci daremo  fastidio a vicenda.
- Non mi hai mai dato fastidio, ho il sonno molto profondo e non ti sento nemmeno quando vieni a coricarti. E io cerco di fare pianissimo la mattina così riesco sempre a non svegliarti.
- Sarà anche vero, ma qui ci sono due camere e non vedo perché non dovremmo usarle. Non sono abituato a dormire con un’altra persona.
- Io non sono un’altra persona, sono tua moglie – osò ribellarsi lei.
La sua insistenza lo fece irritare.
- Insomma Angela, di cosa hai paura, che non faccia il mio dovere di marito?
La ragazza gli sgranò in faccia due occhioni stupiti. Nel vedere la sua espressione, Fabrizio andò in bestia al pensiero di tanta ipocrisia.
- Non fare l’ingenua adesso. Non sei andata forse a lamentarti con tua zia dicendole che non ti avevo toccata nemmeno?
- Non è vero!
- Non è vero? E come faceva a saperlo la contessa se non glielo dicevi tu?
Angela arrossì. Era imbarazzata, ma doveva giustificarsi.
- La zia andava a controllare il letto tutte le mattine e non trovava le tracce di… di … - balbettò, però non ce la fece a continuare, si vergognava troppo. Ma tanto lui aveva capito.
 - Mi ha rimproverato moltissimo, accusandomi di averti respinto e io le ho detto solo che non l’avevo fatto. Tutto qui.
Fabrizio rimase un attimo interdetto, guardandola dritto negli occhi. Più volte aveva pensato che bastava guardarli quegli occhi  per capire tutto ciò che le passava nell’animo tanto erano limpidi e sinceri. Anche questa volta lesse la verità e la mortificazione per un’accusa ingiusta. D’altronde, pur conoscendola ancora poco, sapeva quanto fosse meno plausibile una sua lamentela rispetto alla morbosa curiosità della zia. Si sentì serrare lo stomaco dal senso di colpa. Come aveva potuto essere così stupido da dubitare di lei? Tutta quella penosa vicenda che gli aveva causato tanti orribili momenti si sarebbe potuta evitare se soltanto si fosse soffermato un poco a riflettere senza lasciarsi trasportare dalla collera. Eppure  non aveva voglia di chiederle scusa.
- Non sarebbe successo se tu mi avessi dimostrato almeno un po’ di voler stare con me. Non mi hai mai incoraggiato, neanche una volta.          
Aveva parlato più a se stesso che a lei.
Angela però non poteva saperlo e lo prese per un rimprovero.
- Scusa, non l’ho fatto apposta. So bene quali sono i miei doveri e che devo sottomettermi a fare quelle cose se voglio diventare mamma.
Fabrizio scoppiò in una risata amara.
Cambiava poco, quindi. Lui detestava di cuore quel genere di legame, lo aveva sempre considerato come una suprema forma di ipocrisia tra un uomo e una donna che o si amano e si desiderano oppure sono indifferenti ed estranei l’uno all’altra.  Per lui era inconcepibile avere rapporti fisici solo per dovere. Era una cosa che lo ripugnava molto.  Anche se non gliene faceva una colpa personale, Angela lo irritava a pensarla così. Il suo comportamento era il frutto di un mondo bigotto e perbenista che aveva giurato di evitare come la peste. E invece c’era cascato dentro in pieno!
- Bene – le disse pronto ad approfittare di una rabbia che lo eccitava quasi come il desiderio sessuale – se è così mettiti buona e sacrificati.
Posò il libro sul comodino e si voltò verso di lei. La prese tra le braccia, ma lei lo fermò, all’apparenza quasi spaventata.
- Aspetta, ti prego.  
- Che c’è, hai cambiato idea? Niente più doveri? Niente più sacrificio?
- Spegni la luce almeno.
Lui si affrettò a spegnere il lume a petrolio sul comodino, non senza dirle con manifesta ironia:
- Tu però almeno alzati  la camicia per favore, cerca di agevolarmi nel compimento del mio di dovere.
Cercò di rimanere concentrato e finire il più presto possibile un odioso rapporto che gli stava procurando solo un piacere amaro, soprattutto perché era consapevole della sofferenza che le stava infliggendo. Angela se ne stava del tutto passiva senza lasciarsi sfuggire né un gemito né un lamento. Aveva la bocca e gli occhi serrati, l’unica reazione al dolore fisico provato era la mano che stringeva l’orlo del cuscino. Quando Fabrizio si placò, rimase per un istante a riprendere le forze, molto vicino a lei. La udì mormorare qualcosa. Pensò che stesse parlando con lui e tese l’orecchio per  capire cosa stesse dicendo. Si accorse che invece, ancora con gli occhi chiusi e la fronte imperlata di sudore, stava mormorando una preghiera.
-  Ma ti sembra questo il  momento di mettersi a pregare?
Senza nemmeno attendere una risposta, si rivestì in fretta e lasciò la stanza. Andò in salotto e  si sedette sul divano. Ancora una volta, appoggiati i gomiti sulle ginocchia, si  prese la testa tra le mani in un gesto di disperazione.

 
 
NdA
Forse tutte voi, giovani donne del terzo millennio, sarete rimaste un po’ deluse dalla piega così poco passionale che ha preso il rapporto tra Fabrizio e Angela, ma quello che vi chiedo è di fare un piccolo sforzo d’ immaginazione per entrare nella mentalità dell’epoca.  Almeno fino alla prima metà del Novecento, infatti,  la virtù delle ragazze “perbene”  era sottoposta ad attenta vigilanza da parte della famiglia e di tutta la società e la loro illibatezza fino all’altare era qualcosa sulla quale non si poteva derogare . Per i maschi invece c’era più tolleranza, ma le loro esperienze erano naturalmente limitate all’amore mercenario o pressappoco. Spesso i matrimoni erano fatti solo per convenienza ed anche nel migliore dei casi, quando cioè c’era l’amore, le coppie  arrivavano totalmente impreparate alla vita sessuale. Certo anche allora c’erano le debite eccezioni, ma nel narrare questa storia mi sono ispirata proprio ad una di quelle situazioni di cui sopra e non credo che avrei potuto descrivere diversamente le inevitabili difficoltà che avrebbero incontrato i miei protagonisti nell’intimità del matrimonio anche se tra le righe non ho mancato di sottolineare il paradosso di una simile mentalità che non pochi danni deve aver causato sia a livello fisico che psicologico.
Posso solo augurarmi che possiate apprezzare anche questo piccolo tuffo nel passato   magari rassicurandovi che le cose prenderanno presto una piega più interessante perché  per il momento siamo ancora quasi solo al prologo di questa storia. Non sapete quanto mi piacerebbe mostrarvela tutta intera perché sono sicura che in questo modo potreste apprezzarla di più. Eppure non voglio accelerare la pubblicazione dei capitoli e concluderla in fretta perché altrimenti finirebbe tra quelle che io chiamo “le belle addormentate”, cioè le storie concluse che ben poche coraggiose hanno l’animo di incominciare a leggere. D’altra parte capisco che trovarsi davanti una trentina di capitoli possa alquanto scoraggiare e così mi appello alla vostra pazienza perché continuerò con il ritmo consueto, augurandomi che la lettura sia così più facile e piacevole.
Un’ultima cosa. Come avrete notato, in questo capitolo appare il primo dei personaggi reali di cui parlavo nella presentazone: Benedetto Croce. Credo che la loro presenza in sottofondo insieme a quella di avvenimenti storici  davvero accaduti serva a dare un’impronta di verità a questa vicenda che è totalmente di fantasia, ma che a volte mi è piaciuto  immaginare come un piccolo scorcio di passato che per incanto si è rivelato ai miei occhi.
Resto sempre curiosa di conoscere la vostra opinione e  intanto vi ringrazio tutte di cuore.


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***




 
I giorni successivi Angela fu  molto impegnata a prendere confidenza con la servitù a cui, com’era suo costume, si rivolgeva con grande gentilezza. Purtroppo  nella sua giovane vita aveva sempre e solo ubbidito. Non sapeva dare ordini e le furbe popolane capirono presto che la signora  si poteva facilmente mettere sotto i piedi.  
Finì che a meno da una settimana dal loro arrivo cominciò già a sentirsi smarrita e confusa. Fabrizio  se ne stava tutto il giorno chiuso nello studio e le domestiche la trattavano con sufficienza, tanto che quasi si nascondeva da loro per evitare ogni occasione di contatto. L’unica sua consolazione era la vicina chiesetta dove aveva preso l’abitudine di andare a sentire la prima messa del mattino e qualche volta anche i vespri. Nella preghiera ritrovava un po’ di pace e  chiedeva a Dio la forza di superare tanti ostacoli. Si sentiva sola, più di quanto non fosse mai stata in vita sua, e anche le piccole difficoltà di ogni giorno le sembravano insormontabili perché  temeva sempre di sbagliare.  Purtroppo non sapeva governare la casa e per fortuna il più delle volte  il marito non se ne accorgeva neppure.
Fabrizio infatti si era buttato anima e corpo nel  lavoro perché era l’unico modo che aveva per non lasciarsi avvilire dalla situazione in cui si era cacciato. Ce l’aveva con i genitori che lo avevano spinto a quel passo “per il suo bene”, con i conti del Cassano che lo avevano manipolato e soprattutto con se stesso. Con Angela no, povera piccola, perché anche lei era una vittima, inconsapevole per giunta. Allo stesso tempo non poteva nascondersi che il suo carattere lo irritava. Avrebbe preferito mille volte una moglie che gli avesse fatto pagare con gli interessi il comportamento che aveva tenuto con lei e non una specie di mansueta giovenca sacrificale che accettava tutto senza osare ribellarsi. Gli sembrava impossibile che potesse essere al tal punto priva di nerbo da farsi mettere i piedi in testa persino da quelle due zotiche che servivano in casa. Capiva però che sarebbe stato inutile cercare di farla agire diversamente, anzi, ogni suo intervento avrebbe potuto metterla ancora più in difficoltà. Allora faceva finta di non accorgersi di nulla e si rinchiudeva ancora di più nel suo guscio, imponendosi di non lasciarsi coinvolgere da quanto lo circondava.
Un giorno però, all’ennesima zuppa di lenticchie servitagli da  Anna, si ribellò.
- Insomma, è mai possibile che in questa casa non si debba mangiare mai nulla di buono e non ci sia mai un po’ di vino a tavola?
Alzando lo sguardo dal suo piatto, Angela guardò la cameriera che la guardò di rimando, pronta a giustificarsi.
- E ca’ vulite ra me, quella è vostra moglie che dice a mamma mia che deve cucinare!
 - Allora sei tu a ordinare ogni giorno queste cose? Me lo dici perché?
- Non lo so cosa ti piace e così mi sono ricordata dei menu del  collegio e …
Non la lasciò finire.
- Se non ti dispiace io non sono né un collegiale né un monaco. Non chiedo tanto, ma almeno vorrei mangiare.
Rivolto alla cameriera, ordinò:
- Da domani di’ a tua madre che passasse da me per decidere il pranzo. E ora portati via questa schifezza, piuttosto preferisco stare digiuno.
La giovane domestica ritirò il piatto. Stava per andare via,  poi ci ripensò: il giovane padrone le piaceva tanto, era un così bel ragazzo! Proprio non capiva come avesse fatto a prendersi quella cosa brutta e secca che sembrava già una vecchia beghina.
- Noi ci siamo fatti due spaghetti con le  vongole … ve’ pòzzo purtà?
Fabrizio in realtà aveva molto appetito e si rianimò subito.
- Accipicchia se li voglio! E se ci fosse anche un po’ di vino bianco sarebbe anche meglio.
La ragazza gli rivolse un sorriso radioso prima di fingersi dispiaciuta e  aggiungere:
- Però non lo so se ce ne stanno pure p’a’ signòra
- Che importa, tanto lei crede di stare ancora in convento ed è più che felice con un piatto di lenticchie lesse. Non è vero cara? – scherzò Fabrizio rivolto alla moglie con un sorriso divertito.
Angela intanto aveva ingollato solo qualche cucchiaiata di zuppa. Fece cenno di sì con la testa, si pulì la bocca con il tovagliolo e si alzò da tavola.
- Scusami, - gli disse - non ho fame e non mi sento bene. Vado a stendermi un po’.
Si allontanò quasi di corsa, in preda alla nausea che le torceva lo stomaco. Arrivata in camera sua, chiuse la porta a chiave, si buttò sul letto e scoppiò in un pianto dirotto.  Tutto quello che le aveva preannunciato suor Ada quando nel loro colloquio l’aveva invitata a riflettere sulla sua decisione, si era avverato. Non era altro che un’incapace, del tutto inadatta alla vita matrimoniale. Suo marito si era disgustato di lei ancor prima di cominciare e lei stessa non lo vedeva più come l’amico fidato con cui parlare di tutto, ma come un estraneo cattivo che la trattava con modi sprezzanti e la sottoponeva ad una sofferenza indicibile con le sue esigenze bestiali. Cercava di soffocare i singhiozzi nel fazzoletto mentre si chiedeva cosa ne sarebbe stato di lei. Amava Fabrizio, ma forse aveva sbagliato a sposarlo. Però, anche se non l’avesse fatto, non avrebbe certo smesso di amarlo per cui una sua vita da  monaca non sarebbe stata più possibile. La sua unica salvezza sarebbe stata non conoscerlo affatto. Se soltanto gli zii non avessero insistito tanto e l’avessero lasciata nel suo rifugio tranquillo! Lì la vita non l’avrebbe mai toccata, mentre adesso invece la stava ferendo nella maniera più crudele.
 
Passò il resto del giorno e anche quello successivo senza che  Angela si facesse viva.
A sera, preoccupato e assai pentito di averla presa in giro davanti alla domestica, Fabrizio chiese sue notizie alla servitù. Le due donne gli riferirono che non era mai uscita dalla stanza neanche per mangiare e nemmeno aveva fatto entrare loro per riordinare.
- Mettete qualcosa su un vassoio e portateglielo – ordinò.
- Non vuole mangiare – protestò la più giovane.
- Qualcosa dovrà pur mettersi nello stomaco, è digiuna da oltre ventiquattro ore. Preparate una cosa semplice, che so, un po’ di formaggio, del prosciutto, della frutta. Ci sarà un po’ di cibo in questa benedetta casa o avete mangiato tutto voi?
Appena il vassoio fu pronto, lo controllò e disse ad Anna:
- Dallo a me, glielo porto io.
Davanti alla camera di Angela c’era una consolle con sopra un vaso di rose rosse dal lungo stelo. Tenendo il vassoio in equilibrio con una sola mano, ne prese una e la posò tra i piatti poi bussò piano alla porta.
- Sono Fabrizio, posso entrare?
Dovette chiederglielo ancora prima che la udisse dirgli:
- Entra.
La trovò sul letto, in camicia. Gli volgeva le spalle, ma vide che se ne stava raggomitolata e tranquilla a guardare il cielo e le cime degli alberi attraverso la finestra socchiusa. Non si girò nemmeno a guardarlo.
- Visto che non  scendi, ti ho portato da mangiare qui.
- Grazie, non ho fame.
- Non è possibile, sono due giorni che non mangi!
- Non ti preoccupare, ci sono abituata.
- Non ti senti bene?
- Già.
- Che hai?
- Mal di pancia.
- Vuoi che chiami un medico?
- No, non è il caso. Sono cose di donna. Passerà.     
Si vergognava a dirglielo però non voleva si preoccupasse.
Fabrizio avvertì molta tristezza nella sua voce. Si sedette sul letto e le posò affettuosamente una mano sulla spalla.
- Non sarai  così triste solo per un mal di pancia.
Lei non rispose.
- È colpa mia. Ti chiedo scusa. Davvero.
- No, non preoccuparti, tu non ne hai colpa.   
Rimasero entrambi in silenzio fino a quando Fabrizio si avvide che stava piangendo. Allora la scosse un po’, cercando di farla voltare dalla sua parte per guardarla in viso, ma lei si divincolò. 
- Lo vedi che ce l’hai con me? Ti prego, parliamone – le disse, assai dispiaciuto.          
- Non ce l’ho con te, sto così per una cosa mia.          
- Ho capito, forse è  perché sei delusa di non essere rimasta incinta.
Angela non ci aveva pensato neanche un momento, ma preferì fargli credere quello piuttosto che lasciargli intuire il proprio smarrimento. Ancora non gli rispose e Fabrizio la prese come una conferma.
- Non è che debba accadere per forza subito. In fondo siamo stati insieme solo due volte. Accadrà il prossimo mese o quello dopo, chi può mai dire.
C’era di nuovo tenerezza nella sua voce e forse non tutto era perduto. Ne fu  così felice che le venne da piangere ancora più forte. Per non farsi vedere, si girò ancora di più, nascondendo la faccia nel cuscino.
Il giovane le carezzò con dolcezza la lunga treccia nera.
- Su, ora calmati, per favore, e cerca di riposare un poco. Prima però  mangia qualcosa, mi raccomando.           
Le posò un bacio sul capo e si allontanò senza far rumore.


Il giorno dopo Angela decise di farsi forza e uscì per recarsi alla messa del mattino. Fabrizio non l’aveva vista e chiese di nuovo sue notizie  ad Anna mentre gli veniva servita la prima colazione.
- Non vi preoccupate, signò,  sta bene. S’è fàtt a’ stànza e ‘aropp è ijut a messa.
- Dovete essere voi a rassettare la stanza, non lei.
Dato che la moglie non aveva nessuna capacità di farsi rispettare forse era un suo preciso dovere prenderne le difese.
La giovane alzò le spalle, infastidita.
Proprio in quell’istante lei apparve. Lo salutò con un gesto della mano e un sorriso e fece per tornare in camera sua.
- Angela, aspetta – la chiamò - come ti senti oggi?
- Meglio, non ti preoccupare. Te l’ho detto,  era un banale malessere.
- Hai mangiato?
- Sì, ieri sera ho cenato con quello che mi hai portato tu.
- E stamattina?
- Non potevo, volevo prendere la Comunione.
- Allora siediti e fa’ colazione con me. Anna, porta una tazza di caffellatte alla signora.
Rivolto ancora alla moglie, le disse con affetto:
- Adesso ti preparo io una specialità da leccarsi i baffi.
Angela lo interrogò con uno sguardo stupito.
- Pane, burro e zucchero. L’hai mai mangiato?
Lei fece di no con la testa.
- Capperi! Me ne facevo tante di quelle scorpacciate da bambino che mia madre lo doveva nascondere.
Con un sorriso radioso sul viso, si mise ad imburrare il pane, lo cosparse di zucchero e glielo porse. Sempre sorridendo, rimase in attesa che lo assaggiasse.
- È delizioso! – confermò la ragazza.     
Non glielo poteva dire, ma per lei quel gesto affettuoso era più dolce dello zucchero stesso.
Fabrizio le carezzò una guancia con tenerezza. Era davvero pentito di averla trattata male. Povera piccola, così pulita e innocente proprio non lo meritava! Si sentì  quasi commosso quando lei, in un gesto di gratitudine,  gli prese la mano e gliela baciò con le labbra appiccicose di burro e zucchero.
 
Intanto che i giorni di un settembre quasi estivo trascorrevano tranquilli, per la prima volta in vita sua Angela incominciò ad annoiarsi. Andava in chiesa due volte al giorno, ricamava, leggeva, cercava di dedicarsi a qualche faccenda domestica, ma lo stesso le sue giornate erano assai lunghe. Non aveva nessuno con cui scambiare due parole. Fabrizio era sempre impegnato nel suo lavoro e non mostrò di comprendere quando, molto velatamente in verità, cercò di convincerlo a farle un poco più di compagnia. Comunque le avevano insegnato la rassegnazione e si adattò, tranquilla e mansueta come al solito. Il marito però pareva aver ripreso a volerle bene e un venerdì, quando a pranzo la vide  rifiutare il cibo, si preoccupò, pensando a un suo nuovo malessere.
- Che hai? Ti senti ancora male? – le chiese.
- No, sto benissimo, ho solo fatto un fioretto.
- Un fioretto?
- Sì, di digiunare il venerdì.
- Cos’è, non ti bastava mangiare di magro?
- Te l’ho detto, è un fioretto.
Lui non sopportava certi bigottismi.
- Smettila con queste sciocchezze! Cosa vuoi che gliene importi al Padreterno se tu mangi o meno? E sei già  magra da far paura,  vuoi scomparire?
Credeva che anche questa volta si sarebbe mostrata arrendevole e gli avrebbe ubbidito, non pensava di vederla ribellarsi. Per la prima volta invece lo guardò con negli occhi un’aria di sfida.
- Ascolta, io faccio tutto quanto dici tu, ma per favore, non entrare nelle  mie convinzioni religiose. Mi pare di avere il diritto di credere in ciò che voglio  senza dover rendere conto a nessuno,  neanche a te.
Il giovane la guardò stupito. Fu quasi lieto di quella prima presa di posizione di sua moglie anche se continuava a disapprovare.
- Giusto. Fai quanto ritieni opportuno. Anzi, sai che ti dico? Il venerdì non venire neanche a tavola, preferisco mangiare da solo.
Angela non se lo fece ripetere. Si alzò da tavola e si allontanò.
A questo punto era passata anche a lui la voglia di mangiare. Con un gesto di disappunto gettò il tovagliolo sul tavolo. Era tutto inutile. Erano troppo diversi per andare d’accordo ed Angela, come tutti i baciapile, gli dava un fastidio tremendo. Comunque aveva avuto ragione: meglio stabilire le regole sin dall’inizio.
La domenica successiva, quando gli chiese se fosse pronto per andare a messa, le rispose con molta calma:
- Non posso venire. Ho da fare.
- Ma oggi è domenica! – protestò la ragazza, addolorata.
- Te l’ho detto, ho da fare. E poi non ci ho mai tenuto ad assistere alle funzioni.
- Fabrizio,  questo è peccato - lo rimproverò.
- Non ti preoccupare per me, acquasanta, tanto a me l’Inferno non lo toglie nessuno, visto che, come dice mio padre, sono un vero diavolo.
- Non si scherza su queste cose, smettila – lo rimbrottò ancora.
- Forse, ma non se ne discute nemmeno. Non avevamo detto che sulle convinzioni religiose ognuno è libero di comportarsi come gli pare? Pensa alla tua santa anima e lascia stare la mia. Non ho alcun bisogno di essere convertito.
Angela ci rimase molto male, ma da quel giorno non ritornò mai più sull’argomento.
 
Per fortuna dopo quello scontro le cose tra i due giovani cominciarono a procedere con più tranquillità e pian piano i loro rapporti, anche quelli intimi, si stavano cominciando a trasformare nella piatta routine priva di ogni passione tipica dei matrimoni combinati. Più passava il tempo e più Fabrizio si convinceva che la ragazza che aveva al suo fianco,  forse a causa del suo carattere debole o forse per l’educazione  ricevuta,  non era capace di amare fino in fondo. Per quanto lo riguardava, si era rassegnato a fare a meno dell’amore, almeno per il momento, e si accontentava del fatto che Angela non fosse una nevrotica che potesse rendergli la vita impossibile, ma una compagna silenziosa e discreta  che sembrava muoversi in punta di piedi per non dar fastidio a nessuno, meno che mai a lui.
Una sera, mentre era intento nella lettura, nel silenzio del crepuscolo ne udì la voce che pronunciava paroline dolci e affettuose. Molto incuriosito, uscì in giardino. In un primo momento non la vide, la scorse solo quando abbassò lo sguardo. Stava seduta per terra e la sua figurina vestita come al solito di nero, risaltava davanti a una splendida pianta di oleandro rosa. La gonna era aperta come una corolla e tra le braccia aveva una cucciolata di gattini e la loro mamma. Fabrizio rimase un attimo stupito nel notare come fosse carina: il visetto minuto, il collo lungo e sottile che spuntava dal colletto della camicetta,  i capelli tirati indietro, neri e lucenti, ma soprattutto gli occhi luminosi. Rideva accarezzando i micini che le si arrampicavano addosso. Era radiosa in quel momento e la cosa lo colpì perché ebbe l’intuizione di quanto amore ci fosse in quella piccola donna e come avesse bisogno di essere amata essa stessa. Un figlio sarebbe stata la sua salvezza. Come madre non sarebbe stata di certo un’incapace, anzi,  piena di dolcezza com’era, sarebbe stata una mamma meravigliosa e i suoi sarebbero stati davvero dei bambini fortunati. Le aveva sentito dire più di una volta che era stato soltanto il desiderio di maternità a spingerla al matrimonio. Con ogni probabilità lui stesso non era altro che lo  strumento, a volte persino sgradevole, che aveva scelto per ottenere il suo scopo di diventare madre. Non si riteneva ancora pronto ad avere dei figli, ma capiva che Angela avrebbe avuto  forza e volontà per entrambi. Forse solo così un matrimonio scombinato come il loro avrebbe potuto tirare avanti.
La gatta, guardinga, gli soffiò non appena si fu avvicinato abbastanza.
- No, no, è un amico, guarda – la tranquillizzò Angela.        
Gli prese una mano nella sua e con l’altra continuò a carezzare la gattina che presto si calmò. Fabrizio sorrise, cogliendo una strana forma di comunicazione extrasensoriale tra quelle due creature istintive e innocenti. Si sedette per terra accanto a loro.
- E questi da dove vengono?- le chiese con un sorriso.
- Non lo so, dalla campagna qui vicino, forse. Non sono deliziosi?
- Sì, tanto.
La ragazza lo guardò con gli occhi supplichevoli e, così come avrebbe fatto una bimba, lo implorò:
- Ti prego, li posso tenere? Mi piacerebbe tanto occuparmi di loro, mi sentirei meno sola.
- Certo che puoi, anzi, devi farlo. Morirebbero se tu non te ne prendessi cura.
Lei sorrise. Era così raggiante di felicità che, intenerito, le sollevò il viso e la baciò sulla fronte.
 
Solo qualche sera dopo la trovò in salotto a ricamare alla luce della lampada a petrolio. Accanto a lei sul divano c’era la gatta, mentre i micini riposavano in un cesto ai suoi piedi. Nel vederlo entrare nella stanza, Angela si vergognò di essere già in camicia e in vestaglia.
- Scusami, se avessi saputo che venivi qui non mi sarei fatta trovare in questo stato.
- Perché, che hai?
- Sono già pronta per la notte.
- Non ti preoccupare. I tuoi camicioni sono quanto di più  pudico possa esistere.          
L’aveva presa in giro con una smorfia di scherno perché non era mai riuscito a farle sfilare la camicia nemmeno nell’intimità.
- Domani vado  a Napoli – le comunicò dopo poco, ritornando serio.
La giovane lo guardò, triste.
- Ma torni?
- No, me ne scappo – riprese a canzonarla – Certo che torno! Ho finito l’articolo e vorrei farlo leggere al professor Croce. Tutto qui.  Sono impaziente di sapere cosa ne pensa.
- Che bello, l’hai finito! Me lo leggi allora?
- Tratta di una questione politica,  cosa vuoi capirne tu?
Angela non disse nulla. Abbassò gli occhi mortificata e finse di occuparsi della gattina che si era impigliata con le unghiette nel filo.
Fabrizio si pentì subito di essere stato scortese.
- Però, forse proprio perché non sai nulla sull’argomento, potresti dirmi se sono stato chiaro. Aspetta, vado a prendere i fogli – si affrettò ad aggiungere.
Dopo un po’ tornò con il manoscritto. Spostò la micia che  protestò con un miagolio indignato,  si sedette accanto alla moglie e cominciò a leggere.
La donna ascoltava attenta, pur continuando a ricamare. Ad un certo punto lo interruppe.
- Aspetta …
- Che c’è?
- Scusa, non so se posso permettermi, ma io avrei usato un altro termine per esprimere questo concetto.
Incoraggiata dal suo sguardo interrogativo,  glielo disse e lo vide rimanere pensieroso.
- Sì – convenne – hai ragione. Non ti preoccupare, esprimi pure le tue osservazioni, sono molto gradite.
S’interruppero ancora qualche volta a discutere del testo e della sua stesura ed ogni volta Fabrizio apprezzò la cultura e la saggezza della moglie i cui suggerimenti lo aiutarono a migliorare ancora di più il proprio lavoro.
Rimasero a parlare a lungo e alla fine si sentì di complimentarsi con lei.
- Sei una  donna molto colta e intelligente. Chissà,  se tu avessi ricevuto un’educazione diversa da quella che ti hanno impartito in convento, forse oggi saresti un’intellettuale, una di quelle rare donne in gamba che tengono salotto e sono molto famose.
La giovane sorrise, divertita a tale ipotesi.
- Si vede che non era destino – commentò.
- Non credo nel destino. Il destino lo facciamo noi.
- Davvero? Anche  andarsene giovanissimi come hanno fatto i miei genitori?
- Quello no, naturalmente, però i tuoi zii, ad esempio, avrebbero potuto allevarti loro piuttosto che chiuderti tra le monache.
- Oh, allora sì che sarei diventata una vera intellettuale! – scherzò e un lampo di malizia la rese quasi bella – Alla scuola dei miei zii forse sarei riuscita a surclassare persino Dora.
Fabrizio rise di gusto.
- Insomma, si può sapere cosa mai stai ricamando con tanto impegno da tre ore?
- Sono le nostre lenzuola. Zia Eleonora mi ha diffidato dal tornare a casa senza averle finite.
- Perché non possiamo dormire lo stesso se non c’è il  ricamo sopra?
- Per carità! – gli rispose, facendo trapelare un’ironia divertita che lo contagiò – Non vedi cosa sto ricamando?
- Delle iniziali?
- Già.  “A” per Angela e “F” per Fabrizio. Hai visto mai che sbagliassimo letto se non c’è scritto sopra? Sono queste le cose davvero importanti della vita!
Il giovane rise ancora. Quella sera la moglie gli piaceva, era vivace e intelligente, non la solita mansueta pecorella pronta al sacrificio.
- Senti – le propose malizioso – che ne diresti di provare a cercare il nostro letto anche senza le iniziali?
Lei arrossì un po’. Con gli occhi bassi, riponendo il lavoro, gli rispose:
- Certo, proviamo.
Fabrizio la prese per mano e la condusse al piano di sopra. Nonostante tutto, si stava abituando a tale aspetto del matrimonio e il fatto di avere una donna a completa disposizione ogni volta che gliene veniva la voglia, stava cominciando a piacergli. La lasciò sulla soglia della stanza.
- Sarò pronto in un attimo. Comincia a metterti a letto e … alzati la camicia, mi raccomando.
Angela lo guardò allontanarsi poi andò di filato nel bagno a  rinfrescarsi. Mentre si asciugava, lo sguardo le cadde sulla propria immagine riflessa nello specchio.  Solo allora si avvide dell’espressione felice che aveva sul viso. Già, perché ormai era da un po’ che la sofferenza durante i rapporti fisici era passata e anche se non si era ancora trasformata in un piacere vero e proprio, il suo corpo cominciava a desiderare quei momenti di intimità. Per nessun motivo al mondo avrebbe osato confessarlo al marito, ma a volte avrebbe voluto che durassero di più per riuscire a provare qualcosa che sembrava essere lì lì per arrivare, ma che, quando lui si allontanava, le lasciava una sensazione di privazione. Non sapeva bene cosa le mancasse, ma quando Fabrizio le restava vicino  dopo che aveva finito e le si addormentava accanto, rimaneva a lungo a guardarlo, trattenendo a stento la voglia di toccarlo per sentire sotto le dita la solidità di quel corpo maschio che solo fino a qualche istante prima era stato fuso con il suo o almeno di posare  le labbra sulla sua carne morbida e calda.           
Questi però erano pensieri sconvenienti per una moglie perbene, e così, cercando di non lasciarsi trasportare,  si distese sul letto e aspettò con la compostezza necessaria che il marito la raggiungesse.

NdA
Nel rileggerlo, mi sono accorta che questo capitolo è un po’ di passaggio. Eppure, anche se non succede nulla d’importante, non potevo eliminarlo perché le cose che ho raccontato servono a chiarire meglio in che modo Fabrizio ed Angela si stanno adattando al loro scombinato matrimonio. Le difficoltà e le differenze tra di loro ci sono, e pure tante, però alla base c’è una stima e un affetto reciproco che diventa sempre più evidente. Nel loro rapporto ormai si avverte la necessità di uno scossone che non tarderà ad arrivare, parola mia. Quindi un poco di pazienza e non smettete di seguirmi e magari, perché no, di commentare.
Un’altra cosa. Amo inserire nelle mie storie un po’ di dialetto perché mi sembra che le renda più vive e più plausibili  soprattutto quando a parlare sono personaggi del popolo.  Stavolta ho fatto pronunciare alla domestica delle frasi in napoletano che però ritengo siano comprensibilissime, almeno nel contesto. In caso contrario fatemelo sapere e provvederò a modificare il capitolo mettendoci  la traduzione.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***






 
Da quando erano sposati non erano mai rimasti lontano per tanto tempo ed Angela aveva contato ad una ad una le ore di quei tre lunghi giorni in cui era restata da sola. Appena sentì la carrozza fermarsi nel viale d’ingresso  si precipitò per le scale con l’intenzione di buttarsi tra le braccia del marito  e mostrargli tutta la  gioia  che provava nel rivederlo. Insieme a lui  però c’erano un uomo e una donna per cui trattenne il proprio impeto e aspettò che Fabrizio facesse  le presentazioni.
- Questi signori sono i miei amici Filippo e sua moglie Odette – le disse.
La ragazza salutò con un inchino bene educato mentre osservava con curiosità i due sconosciuti. La donna era molto bella, anche se vestita in modo assai appariscente. Anche lui era un gran bell’uomo: alto, bruno, con due occhi scuri dallo sguardo di fuoco. Le si avvicinò e le prese la mano per baciargliela.
- Contessa – le disse – sono molto lieto di fare la sua conoscenza.
Fabrizio rise.
- Smettila con queste smancerie: non ti metterai a fare il galante con lei, spero.
Era di buon umore. Il giorno prima, soddisfatto dal suo incontro con il professor Croce  e dopo essere passato dalla banca a ritirare una parte del denaro a sua disposizione, aveva deciso di andare a far visita all’amico. Lo aveva trovato barricato in casa, al riparo dai vari bottegai che gli stavano dando la caccia per costringerlo a pagare i debiti.
Troppo generoso per lasciarlo nei pasticci, lo aveva aiutato a saldare qualche conto,  salvandolo dall’ira dei creditori più inferociti, e poi gli aveva suggerito di cambiare un po’ aria invitandolo a seguirlo a Sant’Agata sui due Golfi. D’altronde era l’unica possibilità che aveva di fargli finalmente conoscere Angela perché, una volta tornati a Napoli,  i suoi genitori avrebbero disapprovato certe frequentazioni.           
In quel periodo Filippo si era incapricciato di Odette, nome d’arte -  se arte si può definire fare la ballerina di terza fila in un café chantant della Galleria Umberto -  di Nunziatina Vanacore, una bella bruna natìa dei Quartieri Spagnoli la quale però, in quanto a finanze, era messa ancor peggio dell’amante.
Fabrizio non si era preoccupato di portarseli entrambi in casa, tanto Filippo era comunque un gentiluomo e quella ragazza, agli occhi ingenui di sua moglie, poteva passare persino per la regina Elena in persona.
Durante il viaggio però avevano raccomandato alla donna di non rivelare la sua vera professione e d’impersonare invece la rispettabile consorte di Filippo. I risultati erano a dir poco esilaranti e la giovane popolana che giocava a fare la nobildonna, sembrava uscita pari pari da “Miseria e nobiltà”, la divertente commedia di Edoardo Scarpetta che tante volte li aveva fatti sbellicare dalle risa al teatro “Bellini” o al “Sannazzaro”.
Angela avrebbe preferito di gran lunga restare da sola con il suo amore, ma fece buon viso a cattivo gioco. Si augurò soltanto di essere all’altezza e di non fare sfigurare il marito. Una nota positiva però la rallegrò subito perché dovettero cedere una stanza da letto agli ospiti e Fabrizio tornò a dormire con lei.
I giorni successivi si diede molto da fare perché fosse sempre tutto in ordine e perfetto. Visto che non voleva trascurare i suoi doveri di buona cristiana, continuava ad andare alla prima messa per cui si  alzava quasi all’alba e la sera crollava  in un sonno profondo appena posava la testa sul cuscino.
Fabrizio pensava divertito che quel sonno pesante da bambina fosse una vera fortuna  perché altrimenti si sarebbe sentita imbarazzata per il baccano  che facevano nella stanza  contigua  i due focosi amanti. Dopo qualche giorno se ne sentì infastidito lui stesso e decise di dire a Filippo che doveva provare a fare le cose con un po’ più di discrezione.
L’amico scoppiò in una sonora risata alle sue lamentele e lo prese in giro.
- Scusa, forse non siamo bravi come voi due a non farci sentire.
- Non c’è nessuna bravura, credimi, è solo che non c’è proprio nulla da sentire – gli replicò Fabrizio.
- Com’è possibile!  Ancora non …?
- Certo che sì, qualche volta.
- Ah, volevo ben dire! Allora ci starò attento e ti dirò se davvero siete così bravi.
Stavolta fu Fabrizio a mettersi a ridere.
-  Aguzza pure bene le orecchie, ma ti avviso: se ti aspetti  gemiti e languidi sospiri rimarrai molto deluso. Al massimo potrai udire le preghiere che mia moglie non manca mai di recitare dopo essere stata insieme a me.
- Preghiere? – chiese l’altro perplesso. Rimase un attimo a riflettere poi osservò: - Però, è molto eccitante!
- Trovi?
Pensava che scherzasse, invece l’amico era molto serio.    
- Perbacco, ma ti rendi conto della fortuna che hai avuto? Una fanciulla così dolce e pura da far sbocciare all’amore come un bocciolo a primavera.
Il giovane continuò a mostrarsi  divertito.
- Mi fa piacere scoprirti così romantico, ma te lo assicuro, non c’è proprio nessuna fortuna a trovarsi una donna così, completamente negata per l’amore fisico. Tra l’altro non è neanche molto attraente.
- Angela? Ma l’hai guardata bene? Ha una grazia ancora acerba, è vero, ma è molto carina e quegli occhi ardenti  nascondono di certo un temperamento di fuoco.
- Forse non stiamo parlando della stessa persona. Altro che temperamento di fuoco,  mia moglie è proprio frigida.
- Io me ne intendo di donne, ragazzo mio, e ne sono certo: ti stai sbagliando.
Per tutta risposta Fabrizio inarcò le sopracciglia e lo guardò con una smorfia di scherno per mettere in ridicolo la sua pretesa di conoscere le donne.
L’amico si mostrò  irritato.
- Non puoi dire che uno Stradivari non è uno strumento meraviglioso se sei tu a non saper suonare il violino! – sbottò.
- Ah, quindi la colpa sarebbe mia?
- Certo, non puoi trattare una verginella pudica come tratti Lulù.
- Io preferisco le  Lulù alle verginelle timide e complicate.
- Perché non conosci l’arte della seduzione, bello mio. Ci vuole molta calma, non puoi bruciare le tappe, devi fare un passetto alla volta e ogni volta ripartire dal punto in cui hai lasciato. Quando però alla fine arrivi alla meta, è una vittoria così completa e appagante che ti ricompensa di tutti i sacrifici  fatti. Ma forse questo non è per te. Tu vuoi tutto e subito. Allora  accontentati dei piaceri superficiali e delle donne facili e lascia ai veri intenditori la fragranza dei fiori ancora da cogliere.
Il giovane lo guardò dubbioso. Non era del tutto convinto che la disastrosa riuscita dei loro rapporti coniugali fosse solo colpa sua, ma forse nella tesi dell’amico c’era una certa verità. Tra l’altro si era sentito anche un po’ infastidito da quelle ultime parole perché conosceva abbastanza Filippo da capire quando una donna lo infiammava. Stranamente la piccola e innocente Angela sembrava fargli proprio quest’effetto. In tali casi l’amico non guardava in faccia nessuno pur di raggiungere il suo scopo. Forse era meglio stare molto attento alla moglie perché non finisse tra le grinfie di quell’impenitente dongiovanni.
 
Il nuovo venuto si dimostrò un vero vulcano di iniziative e  sin dal suo arrivo le ore incominciarono a trascorrere in grande allegria. Non c’era giorno che non s’inventasse qualcosa da fare o qualche posto in cui andare. Mai come in quel periodo Angela era stata così socievole e lieta. Fabrizio la spiava di continuo e alla fine si convinse che erano le molte attenzioni di Filippo a renderla felice.
In effetti questi aveva cominciato a corteggiarla con molta maestria nascondendo, dietro alla gentilezza dovuta alla padrona di casa, delle premure che la facevano sentire per la prima volta in vita sua una persona importante. Come quando, saputo del suo digiuno del venerdì, si guardò bene dall’unirsi alle critiche  del marito, ma si precipitò la mattina stessa nella vicina  Castellammare di Stabia dove c’erano delle fonti di acqua minerale dette “della Madonna”.
- Se dovete bere solo acqua – le aveva detto versandogliela nel bicchiere di cristallo come se fosse un nettare prezioso - almeno sia un’acqua degna del vostro sacrificio.
Angela aveva riso, contenta di un gesto così gentile. Il marito invece si era sentito infastidito dalla gioia che le aveva visto passare negli occhi.
Anche Odette finì per capire che Filippo aveva assunto i suoi modi più sfacciati di seduttore, perché una sera, trovandosi da sola con Fabrizio,  gli  disse senza mezzi termini:
- Stai attento: quello lì ci sta provando con tua moglie.  Che ci trova poi in quella gatta morta!
- Stai al tuo posto – la rimproverò,  irritato.        
Lei, con un’alzata di spalle come a volergli dire “io ti ho avvisato”, se ne andò.
In realtà la povera Nunziatina che da quando aveva uso di ragione aveva sempre dovuto lottare con le unghie e con i denti per un piccolissimo posto al sole, proprio non sopportava quell’aristocratica  tutta rossori e parole difficili, vissuta sempre nella bambagia e si confortava al  pensiero di essere  migliore di lei.
La stessa cosa non pensava Filippo che ogni giorno di più si sentiva affascinato da una simile, tenera colomba e provava gusto a stuzzicarla con sapiente abilità. In un certo senso però le era anche utile, forse perché alla fin fine era l’unica persona che si fosse mai presa la briga di darle qualche garbato consiglio.
Una volta, mentre erano a tavola e stavano parlando dell’eleganza femminile, affermò che ogni donna ha il suo colore.
- Ad esempio voi, Angela, siete una donna che dovrebbe vestire sempre di chiaro – le disse.
- Sì, figurati! – intervenne Fabrizio – L’unica volta in cui l’ho vista vestita di bianco è stato con l’abito da sposa.
- In effetti ho parecchi vestiti chiari, ma non mi ci vedo, non ci sono abituata – ribatté lei.
- Eppure, con la pelle ambrata e il nero dei capelli, i colori pastello farebbero risaltare tutta la vostra bellezza mediterranea. Perché voi siete così, mia cara, un’autentica, calda bellezza mediterranea. Non scorre forse nelle vostre vene sangue siciliano e napoletano? L’Etna e il Vesuvio hanno lasciato il colore della lava nera nelle vostre chiome mentre gli occhi hanno lo stesso splendore del cielo notturno dove brilla il bagliore del fuoco ardente. Dovete fare come fa la natura che spegne nell’azzurro del mare e nel verde della vegetazione la severa maestosità della loro vulcanica magnificenza. 
Angela arrossì senza parlare mentre Odette, gelosa e infastidita, affermò acida:
- E agli uomini non fa piacere portarsi una cornacchia nera appresso!
 
Fabrizio non avrebbe mai pensato che potessero bastare solo quattro stupide parole per convincere la moglie a cambiar modo di vestire. Rimase stupefatto quando, la mattina dopo, la vide presentarsi con un abito bianco e un cappellino dello stesso colore ornato di rose azzurre.
Doveva ammettere che vestita così era molto più carina eppure non riuscì a farle nemmeno un complimento mentre Filippo invece le si precipitò incontro e le espresse tutta la propria ammirazione.
La ragazza rise contenta e commentò:
- Non volevo sembrare una cornacchia. Sto bene? – chiese rivolta al marito con una nota di civetteria molto insolita per lei.
- Sì – si limitò a risponderle.         
Si sentiva scontento per non aver provato lui stesso a convincerla ad abbandonare il nero monacale con cui si era sempre vestita.
Quel giorno avevano in programma una gita agli scavi archeologici di Pompei, mai visitati prima dalle due signore. Però, mentre l’interesse di Odette  si esaurì subito dopo un’iniziale curiosità, Angela non stava più nella pelle per la contentezza e lo stupore per tutto quanto vedeva.
- È stupendo – continuava a ripetere – ma non vi sembra di vederli gli antichi pompeiani aggirarsi per queste strade? Non vi pare di sentire le loro voci per queste vie o le grida della folla che assiste agli spettacoli gladiatori nell’arena? Io quasi vedo gli avventori di questo termopolio mentre consumano il pranzo, i cittadini che si recano alle terme, quelli che si affrettano a concludere i loro affari al mercato per tornare in fretta a casa dalla famiglia.
- Sì, hai ragione – convenne Fabrizio – in realtà il fascino di questo posto è che la vita sembra essere come sospesa e pare debba riprendere da un momento all’altro.
- Già, invece sono tutti morti in modo orribile – concluse la ragazza con un velo di malinconia sul viso.
Appoggiandosi al bastone dal pomo d’argento, Filippo intervenne:
- Sapete cosa ha detto Goethe, mia cara? Che mai nessuna tragedia umana ha fatto tanto felice i posteri come quella  avvenuta qui nel 79 dopo Cristo.
- Forse sarebbe stato meglio che noi fossimo stati un po’ meno felici e quei poverini  avessero vissuto in pace la loro vita.
- Davvero?  E chi si sarebbe ricordato di loro oggi? Non è stato forse meglio aver subito una morte violenta consentendo però a questa  città di vivere in eterno la sua gloria?
- Però adesso non può succedere più una sciagura così,  ora a Pompei c’è il Santuario della Madonna del Rosario e ci pensa Lei a proteggerla. Non è così, Angela? – chiese la povera Odette che istintivamente si era rivolta alla giovane donna che le sembrava la persona più autorevole  in materia di religione.
La ragazza esitò a rispondere e Filippo ne approfittò per prendere in giro l’ingenuità della sua compagna.
- Non dire sciocchezze! Anche gli antichi pompeiani avevano le loro effigi sacre, ma quando la natura deve fare il suo corso, uomini , bestie, cose … non c’è differenza alcuna per essa.
Intanto il pensiero di Angela era tornato all’aprile dell’anno prima, alle lunghe ore di angosciosa veglia passate nella cappella a pregare durante l’eruzione del Vesuvio che aveva fatto ancora così tanta devastazione. Anche lei guardando il cielo plumbeo ed ascoltando le spaventose notizie arrivavate persino nell’isolamento del convento, aveva pensato che non sarebbero state le loro preghiere a placare la furia del vulcano. La natura maestosa faceva soltanto il suo corso e non si curava certo delle vittime. Però, quando aveva confessato il proprio dubbio al suo padre spirituale, questi le aveva detto che era peccato mortale non aver fiducia nell’intervento divino. Con un sorriso rassicurante, si affrettò quindi a consolare la giovane smarrita ripetendole con molta dolcezza le stesse parole che le aveva detto il sacerdote.
- A volte l’umanità si macchia di troppi peccati per evitare il castigo divino, però, se ci mettiamo come buoni figli nelle mani della Madonna, Lei ci terrà sotto il suo manto e ci  proteggerà - disse.
Nel frattempo Fabrizio era entrato in una casa e ora si era affacciato sulla soglia per invitarli ad entrare. Era un’abitazione bellissima e molto ricca, con il cortile affrescato e i mosaici ancora ben conservati. Nel secondo cortile c’era un giardino dove le piante crescevano rigogliose.
Appena Angela gli fu vicina, le mise le mani sulle spalle e le sussurrò:
- Tu che sei così brava a immaginare, non riesci a vedere la dolce Lesbia mentre gioca in questo giardino con il suo passerotto sotto gli occhi innamorati di Catullo? 
La ragazza rise. Era felice perché il marito le aveva ricordato una delle loro prime  conversazioni  e lo spiegò a Filippo che si era affrettato a chiedere di cosa stessero parlando. Alla fine  concluse il suo racconto rivelandogli:
- Avrei voluto sprofondare quando mi resi conto che Fabrizio conosceva bene Catullo e quindi sapeva che si trattava di poesie d’amore.
- Oh certo, Catullo sì, purtroppo è Ovidio  che non ha studiato! – osservò l’amico per prenderlo in giro.
Angela sapeva la cattiva fama dell’autore de “L’arte di amare” e si sentì in dovere di prendere le difese del marito, non avendo naturalmente colto il senso allusivo della battuta.
- Questo gli fa solo onore. In fondo sono sempre dei pagani e forse per un buon cristiano è meglio non soffermarsi troppo su certe letture, anche se sono dei classici – affermò, volse loro le spalle e uscì.
Fabrizio si voltò verso l’amico con un sorriso di scherno.
- Lo vedi? Come voleasi dimostrare … - gli disse sottovoce e sottolineando la frase con un gesto della mano - La seduzione non è cosa per lei  …
Seduta su un muretto e sfinita, Odette li stava aspettando facendosi vento con un guanto.
- Insomma, non vi siete ancora stufati di stare qui dentro a guardare solo pietre? Io ho fame. Perché non andiamo a mangiare in quella bella trattoria  davanti all’ingresso degli Scavi?
- Perché le mie magre finanze non me lo consentono, mia cara – sospirò Filippo – Prova a domandarlo al nostro amico qui presente. Può darsi si commuova per le tue grazie e il tuo appetito e acconsenta a pagare lui.
Fabrizio rise e non si fece pregare per offrire il pranzo.
 
Stava spendendo parecchio più del previsto e quella stessa sera fu costretto a chiudersi nello studio a fare due conti. La presenza degli ospiti e i divertimenti che si stavano concedendo avevano contribuito non poco all’esaurimento della cifra a sua disposizione, però anche  i conti per il vitto presentati da Assunta ogni giorno erano davvero esagerati. Senza sperare in un aiuto da parte di Angela per la quale il denaro sembrava non esistesse nemmeno, si decise a convocare la servitù e a chiedere spiegazioni su costi tanto esorbitanti. Aveva il vago sospetto che la donna stesse facendo provviste per l’inverno a sue spese e in effetti aveva visto giusto. Per fortuna Luigi era un uomo onesto e ci teneva alla famiglia Serra al cui servizio era già stata sua madre. Si offrì di andare lui stesso la mattina al mercato a fare la spesa, ammettendo implicitamente la disonestà della moglie.
Appena terminata la noiosa incombenza, si affrettò a raggiungere gli altri in salotto. Odette era seduta su una poltrona e sfogliava con aria annoiata una rivista, mentre Filippo leggeva delle poesie in francese ad Angela che lo ascoltava estasiata con il gattino preferito in braccio.
Avvicinandosi, riconobbe i versi de “L’invitation au voyage”.
- Ma  che fai,  le leggi Baudelaire? Sei impazzito?
- Perché? Sono poesie bellissime. Mi ha già letto “Le chat” e “L’albatros” e le ho trovate stupende – intervenne la ragazza.
- Ah sì? Aspetta che ti legga “ Le litanie di Satana” e poi mi dici se ti piacciono ancora.
Angela sussultò nel sentire la parola “Satana”. Impaurita interrogò Filippo con uno sguardo inquieto, ma questi la rassicurò con un sorriso e si rivolse al giovane amico.
- Lo vedi, stupido, l’hai spaventata! Ma tu sai fare solo questo: aggredire. Invece ti ho spiegato che certe cose vanno fatte con calma, senza fretta. Solo in questo modo anche le fanciulle più tenere possono arrivare ad apprezzare una certa poesia.
- Non desidero che tu legga a mia moglie “Les fleurs du mal” e mi farebbe molto piacere se la smettessi con certi atteggiamenti  -  gli rispose, più infastidito dalle continue allusioni che dal fatto in sé.
Filippo si limitò a fare un sorrisino ironico. Angela invece non parlava, rossa in volto e molto mortificata. Odette invece sbuffò:
- Ora mi avete proprio seccata con tutte queste discussioni letterarie. Perché non ci facciamo una bella partita a carte?
La proposta servì ad allentare la tensione. Si prepararono a giocare, ma Angela disse di  sentirsi stanca e prese congedo.
 
Quando molto più tardi Fabrizio andò a dormire, la trovò già immersa in un sonno profondo. La luce della luna filtrava dalla finestra aperta e l’accarezzava, rendendola quasi bella. In effetti aveva un viso  carino e la forma delicata delle spalle e del seno si intravedeva finanche sotto la castigatissima camicia da notte. All’improvviso si trovò a desiderare di fare l’amore con lei, ma preferì trattenersi. Quella notte non avrebbe sopportato la sua freddezza, avrebbe voluto essere amato da una donna vera e sua moglie non lo era di certo. Oppure aveva ragione Filippo ed era soltanto lui a non saperla amare? Alla fine decise di non pensarci e provare ad addormentarsi a sua volta.


 
NdA
Avrete di sicuro notato il banner che apre il capitolo: è un regalo di Shouni che l’ha accompagnato con queste parole : “Ho usato come sfondo l'immagine del Mare del Nord e del Mar Baltico che si incontrano e non si mischiano proprio perché secondo me Angela e Fabrizio con le loro diversità si scontreranno tante volte, alla fine si incontreranno dolcemente e daranno vita a questo capolavoro!”
Grazie Shouni, è una bellissima copertina come quella che mi facesti per “Stagioni Passate”.
Non credo che questa storia possa essere “un capolavoro”, ma sono assai felice perché sta incontrando il vostro gradimento. L’ho detto tante volte, a me basta anche un semplice “mi piace”, qualche parere lasciato sporadicamente o vedere soltanto crescere le liste, però devo ammettere che, ognuna a suo modo, le recensioni che mi state lasciando sanno darmi una carica infinita. E allora  grazie anche a rosaRosa per la sua affettuosa vicinanza e la fiducia che ripone in me, a controcoreente sempre precisa ed analitica, a Valentina78 per l’entusiasmo che lascia trasparire dalle sue parole, a Glance che riesce sempre ad intravedere quel “qualcosa in più” che cerco di metterci sempre, a Moon236 che inoltre sta leggendo tutte le altre cose che ho scritto e perché no, a beate, la silenziosa fatina che so essere sempre al mio fianco.
Ma ora torniamo alla storia. Avete visto che ha combinato quel discolaccio di Fabrizio? Insomma, per la morale dell’epoca portarsi in casa un noto libertino e una ballerina di café chantant non era proprio il massimo, ma lui è fatto così non ha pregiudizi ed è uno spirito libero. Però questa sua scelta avrà delle conseguenze. Quali? Non perdetevi i prossimi capitoli…
Prima di lasciarvi voglio mostrarvi qualche scorcio di Sant’Agata sui due Golfi. Sono foto d’epoca tratte dal sito http://www.massalubrense.it/fotodepoca.htm Spero tanto che vi aiuteranno a visualizzare lo scenario nel quale si muovono i miei personaggi.
Ciao, a domenica prossima.


 







Quest'ultima foto non vi dà un po' l'idea della casa dei Serra come l'ho immaginata io?

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***




 
Per tutti i giorni successivi Fabrizio non tralasciò mai di controllare il comportamento di Filippo, ma l’amico, anche se lo aveva capito, continuava a fare il cascamorto con Angela che invece sembrava non avvedersi di nulla. Non si sarebbe mai aspettato di essere tanto infastidito da quella situazione, soprattutto per quanto riguardava sua moglie. Non riusciva a spiegarsi se lo faceva per un’estrema ingenuità o per una sottile civetteria.
Intanto anche settembre era passato. Una mattina Filippo annunciò che sarebbe andato a Napoli a ritirare la rendita a sua disposizione ogni primo del mese.
Partì di buon’ora lasciando lì Odette che senza di lui cominciò subito ad annoiarsi. Con Angela non aveva niente da dirsi e non voleva scendere in confidenza nemmeno con le due serve lazzarone ora che si sentiva una signora. Rimaneva Fabrizio che le piaceva anche moltissimo,  ma che se ne stava sempre nel suo studio e non le dava mai troppa confidenza. Cominciò a considerarlo un vero affronto al suo indiscusso fascino per il quale già tanti gentiluomini avevano perso la testa. Si ripromise quindi di far cadere ai suoi piedi pure quel ragazzo così bello e riservato. La sua stupida moglie non poteva rappresentare un ostacolo, tanto più che quel giorno sembrava ancora più smorta del solito.
Anche Fabrizio aveva notato quanto fosse giù di corda Angela e in cuor suo lo aveva attribuito alla lontananza di Filippo. Arrivò a chiederle spiegazioni e si tranquillizzò solo quando lei, vergognosa perché certi argomenti la imbarazzavano moltissimo, gli confidò di soffrire per i cicli mestruali non regolari e molto dolorosi.  
A stento riuscì a restare in piedi fino ad ora di pranzo, ma appena dopo mangiato, disse di sentirsi molto male, si scusò  e si ritirò in camera per mettersi a letto.
Restato solo con Odette, Fabrizio si sentì in imbarazzo e provò a filarsela nel suo studio come faceva sempre. La ragazza però lo fermò.         
- Non intenderai lasciarmi qui come una stupida, vero?       
- Mi dispiace, non saprei come intrattenerti.     
- Potremmo anche uscire un po’, abbiamo tutto il pomeriggio davanti. Perché non andiamo da qualche parte?
Lui provò a rifiutarsi in tutti i modi, ma alla fine, davanti alle insistenze e all’allettante prospettiva di non restare chiuso tutto il giorno a leggere, cedette. Ordinò a  Luigi  di preparare la carrozza e di accompagnarli a Sorrento.           
In realtà passarono un piacevole pomeriggio e la sera andarono prima a cena  in un ristorante sul mare e poi ad uno spettacolo teatrale.
Odette ce la stava mettendo tutta per essere seducente e a poco a poco, un po’ per il suo fascino, un po’ per le antiche abitudini che riprendevano a farsi strada, a Fabrizio passò quasi la voglia  di tornare a casa. Fu lui stesso a proporre di  trattenersi in un caffè  frequentato da molti nottambuli e artisti, dove rimasero a divertirsi e a  bere champagne fino alle ore piccole.
Al ritorno presero una carrozza a noleggio. Per non svegliare tutti, lui la fece fermare un po’ distante da casa per poi proseguire a piedi. Era molto buio e Odette era brilla. Spesso fingeva di perdere l’equilibrio e gli si buttava addosso. Il contatto con il suo corpo formoso gli procurava ogni volta un brivido di eccitazione. Comunque, zittendola quando si metteva a ridere troppo forte e controllando il proprio turbamento, riuscì a portarla fin sull’uscio della sua camera. Stava per salutarla e ritirarsi a sua volta, quando lei lo afferrò per il cravattino, costringendolo ad avvicinare il viso. Vista da così vicino era ancora più bella con la bocca rossa e invitante e i vivaci occhi castani che brillavano di lussuria.
Lei ormai lo desiderava da morire: quel giovane era troppo attraente con il suo corpo snello e forte, il viso maschio dai lineamenti delicati e gli occhi del colore del mare. Gli avvicinò le labbra, lo afferrò per i capelli e lo costrinse a baciarla. Al contatto con la sua lingua, Fabrizio avvertì come un fuoco divampargli dentro, eppure, con uno sforzo enorme,  si allontanò, appoggiandosi alla parete. Però Odette non aveva nessuna intenzione di abbandonare la preda. Gli slacciò la camicia   e gli baciò con sensualità la pelle nuda del petto, mordicchiandolo di tanto in tanto, mentre con la mano esperta gli stuzzicava la virilità attraverso la stoffa dei pantaloni. Lui cercò di resistere, ma ad un certo punto la voglia diventò così intensa da non permettergli più alcun controllo. La prese tra le braccia e la portò all’interno della stanza, dove la buttò sul letto, senza tante cerimonie. La ragazza non chiedeva altro. Mordendosi le labbra, gli sorrise e  cominciarono a spogliarsi. Fabrizio si strappò gli abiti di dosso quasi con furia  e restò a guardarla mentre, con sapiente lentezza, lei si toglieva a sua volta i vestiti, senza distogliere gli occhi che teneva fissi nei suoi con uno sguardo che prometteva mille delizie. Era da tanto che si portava dentro la voglia di fare sesso  e quando Odette gli fu davanti, nuda e bellissima, l’afferrò, lasciandosi sfuggire in un ansito tutto desiderio che lo sconvolgeva. La strinse a sé e non ci fu altro che quella calda carne di donna contro la sua.  
 
Cominciava già ad albeggiare quando si svegliò. Gettò uno sguardo a Odette che dormiva nuda al suo fianco e fu preso dal panico. E se Angela si fosse accorta che quella notte non si era ritirato? E se uscendo li avesse visti attraverso la porta  rimasta socchiusa?
In tutta fretta raccolse i vestiti sparsi per la stanza e in punta di piedi rientrò nella propria. Per fortuna la moglie dormiva ancora. Scivolò piano nel letto accanto a lei, dandole le spalle. Provò a  riaddormentarsi, ma non riusciva più a riprendere sonno. Era il senso di colpa. L’aveva tradita, per la prima volta l’aveva tradita e non erano neanche sposati da due mesi. Cercava di giustificarsi ai suoi stessi occhi dicendosi che alla fine era stata una cosa inevitabile: la sua natura sensuale non avrebbe mai potuto appagarsi nei freddi  rapporti con la moglie. Eppure il sesso sfrenato a cui si era abbandonato  la notte prima in un certo senso l’aveva sconvolto. Non gli era mai successo prima, ma ora avvertiva quanto la totale mancanza di tenerezza o di un qualche legame sentimentale con la donna che aveva tenuto tra le braccia, avevano reso quel rapporto una cosa piuttosto bestiale.
I suoi pensieri furono interrotti da Angela. Si era svegliata e si stava stiracchiando come una gattina. La sentì voltarsi verso di lui e posargli con dolcezza una mano sul dorso, in una carezza lievissima e affettuosa. Si sentì stringere il cuore anche se non smise di fingersi addormentato. Pianissimo, per non svegliarlo, la ragazza si alzò e andò in bagno. Poco dopo, sempre silenziosamente, si vestì e uscì dalla camera.        
Solo allora Fabrizio aprì gli occhi e si voltò supino a guardare il soffitto dove i raggi del sole che filtravano attraverso la persiana disegnavano giochi di luce. Si sentiva la bocca amara come il fiele e aveva un enorme mal di testa, ma non era questo a farlo sentire uno schifo, era soprattutto la consapevolezza di aver tradito non solo quella creatura così dolce, ma anche l’amico. Aveva tanto sospettato di loro due, ne aveva persino spiato ogni mossa e poi era stato il primo a compiere un gesto tanto infame. Anche se cercava di dirsi che Odette per Filippo era solo un’amante occasionale, sapeva che comunque avevano un legame. Ma dopo che la donna gli si era data  senza alcuna riserva, piegandosi a tutti i suoi capricci per quanto fossero audaci, ora un legame c’era anche con lui e questo proprio non riusciva a sopportarlo. In pratica si sentiva in colpa con Odette, con Angela e anche con Filippo.  Bel risultato! 
Non riusciva a calmarsi. Il letto era diventato ormai come un giaciglio di spine. Si alzò, si vestì in fretta e scese in cucina a farsi preparare del caffè.
Trovò Assunta e la figlia che facevano colazione inzuppando grosse fette di pane nelle ciotole di caffellatte mentre conversavano in tutta tranquillità. In casa non si alzava nessuno prima delle nove, solo la signora lo faceva, ma lei si accontentava di un bicchiere di latte freddo che le lasciavano sul tavolo da pranzo. Lo guardarono stupite  nel vederlo già in piedi alle sette del mattino. Anna si pulì in fretta la bocca e gli chiese:
- E perché vi siete già alzato? Non potete dormire?
- Ho mal di testa. Potrei avere un po’ di caffè o è troppo disturbo per voi?
La ragazza sorrise, ignorando volutamente il tono ironico della sua voce.
- Mo’ v’o’ porto subito. Intanto jatevenne int o’ ciardin a piglià nu’ poco e’ aria fresca – si affrettò a dirgli.
Fabrizio seguì il suggerimento. Andò in giardino e si sedette per godersi il primo sole del mattino. Era una di quelle splendide mattinate d’ottobre quando l’aria fresca e tersa fa rilucere i colori di tutte le  cose. Il giardino non era più lo stesso di quando erano arrivati perché con l’aiuto di Luigi, Angela ci si era dedicata con entusiasmo. Ora era pieno di fiori e di profumi.
In effetti l’aria fresca gli fece bene. Rimase un po’ a riposare nel silenzio incantato, guardando i gattini che giocavano tra di loro o saltavano per acchiappare le farfalline. A poco a poco sentì la pena alleviarsi e anche il feroce mal di testa. Stava bevendo il caffè  quando  vide il calesse tornare con Luigi ed Angela. Il vecchio era l’unico ad essersi affezionato alla giovane padrona e poiché stava andando tutte le mattine al mercato, aveva preso l’abitudine di passarla a prendere in chiesa per evitarle la fatica del ritorno a piedi. L’aiutò a scendere e lei lo ringraziò con i modi squisiti che usava con tutti, senza distinzione. Si avviò quasi di corsa verso casa, mentre l’uomo scaricava le ceste con la spesa. Nel vederla, i micetti le si precipitarono incontro, miagolando e strusciandosi contro le sue gambe, con le codine dritte e le testine alzate. La ragazza rise divertita. Aprì un cartoccetto che teneva in mano e si  inginocchiò accanto a loro a dargli da mangiare. Notando che come al solito il suo gattino preferito era stato escluso dal  banchetto perché era il più piccolo, si diede da fare a scostare i fratellini più arditi.
- No, cattivoni, non si fa così, fate mangiare anche  Rosso. Non è giusto che lo trattiate in questo modo solo perché non sa difendersi – li rimproverò.
Fabrizio osservava tutta la scena intenerito. Ecco che cosa l’aveva sempre attirato in quella donna: la dolcezza unita alla spontaneità. In lei non c’era nulla di artefatto, nulla di costruito, era limpida come un’acqua di fonte e luminosa come un mattino di sole.
Alzando gli occhi, Angela si avvide della sua presenza. Si stupì nel vederlo alzato così presto e si alzò di scatto, come una bambina colta in fallo. Si ripulì in fretta il vestito e gli si avvicinò.
- Come mai sei già alzato?
- Ho mal di testa.
- Mi dispiace. Posso fare qualcosa?
- No, non ti preoccupare. È solo un malessere. Tu piuttosto come stai? Ieri eri tu a sentirti male.
- Sto bene, grazie. Stamattina sono andata con Luigi al mercato e il pescivendolo suo amico mi ha regalato un po’ di pesciolini freschi per i miei gattini.
Forse si era sentita in dovere di giustificarsi, ma Fabrizio non disse nulla e restò con gli occhi bassi.           
Continuò, molto allegra:
- Sapessi quanto bel pesce abbiamo comprato per oggi!  Luigi dice che sua moglie lo cucina in maniera squisita. Vedrai, ti aspetta un pranzetto speciale.
Al solo pensiero di sedere a tavola con lei e con Odette,  il giovane si sentì invadere dall’ansia e l’espressione del suo volto lo rivelò. La ragazza notò quella specie di smorfia. Gli prese il viso in una mano e lo costrinse a sollevarlo per guardarlo meglio.
- No, tu non stai per niente bene. Hai certe brutte occhiaie!
Con un brusco  gesto della testa, l’uomo si liberò dalla mano e lei la ritirò di scatto, nascondendola dietro la schiena. Credeva che il marito si fosse scostato perché l’aveva vista toccare i gattini o perché magari le sue mani puzzavano di pesce.
Diventò rossa dalla vergogna.    
- Scusami, ora me ne vado e ti lascio in pace – mormorò.
Il giovane la seguì con gli occhi. Non si era allontanato per i motivi che lei aveva temuto, ma solo perché gli era sembrato, facendosi toccare da quell’essere innocente, di contaminarla con la sua putredine, così come avrebbe potuto fare un appestato.
 
Angela lo aveva sentito ritornare in camera a riposare poco dopo la loro conversazione, ma ormai era ora di pranzo e non era ancora sceso. Anche Odette stranamente quella mattina non si era fatta vedere. Dopo un po’ d’incertezza, chiese ad Anna di andarli a chiamare. La domestica ritornò per riferire che il signore non si sentiva ancora bene e non voleva mangiare e la signora, saputo che lui non scendeva, aveva chiesto il pranzo in camera. Angela guardò desolata la tavola da lei stessa preparata con tanta cura e stava per chiedere alla cameriera di sparecchiare, quando questa la prevenne.
- E perché dobbiamo fare tutta sta’ fatica? Mo’ a’ lasciamm accussì  ppe chesta sera.
A lei  sembrava una cosa poco igienica lasciare lì le stoviglie perché  faceva caldo e c’erano tante mosche, ma non ebbe il coraggio di richiamarla e ordinarle di sparecchiare. Senza dir nulla si avvicinò alla tavola, capovolse i bicchieri, mise le posate nei piatti e ricoprì tutto con i tovaglioli, poi andò a chiudere le persiane affinché non entrassero insetti. Prese anche il cestino del pane e lo riportò in cucina, dove trovò la famiglia seduta a tavola a consumare il pasto.
Nel vederla entrare quasi in punta di piedi, Luigi rimproverò la figlia:
- Anna, ma ca’ te passe ppe a’ capa, non hai chiesto alla signora se vuole mangiare?
La figlia la guardò infastidita. Con uno sforzo, chiese con simulata gentilezza:
- Volete favorire?
- Scema! Aizzate e portàl o’ pranzo a tavola – la rimbrottò ancora il padre.           
Angela intervenne.
- No, non vi preoccupate di me. Posso avere solo un po’ di pane e formaggio, per favore?
Assunta si alzò e le preparò in un tovagliolo candido ciò che aveva chiesto. Lei ringraziò e se ne andò in giardino a dividere la colazione con i gattini. 
- Chesta è propeto na’ scema! – commentò la giovane quando fu uscita.
Luigi si sentì in dovere di precisare:
- No, nun è scema. È na’ brava uagliona. Site tu e mammeta ad essere carogne.
Le due donne alzarono le spalle infastidite e continuarono il loro pranzo in tutta calma.
 
C’era un silenzio irreale quel giorno in casa e la povera Angela si sentiva davvero sola. Verso le quattro si avvide che Fabrizio era sceso nello studio. Facendosi forza, entrò dalla porta finestra del giardino. Lui stava scrivendo.
- Come ti senti? – gli chiese.
- Meglio.
- Cosa stai scrivendo? È un nuovo lavoro?
- Sì. Ho avuto un’idea.
La ragazza si mostrò entusiasta :
- Che bello! Di cosa si tratta? Parlamene, ti prego.
- No, è solo un’idea. Non mi far distrarre, per favore.
Non ebbe bisogno neanche di alzare gli occhi e guardarla per capire la sua delusione.
- Lo so che quando lavori non ami essere disturbato– gli disse lei con la solita sottomissione -  Me ne starò al mio posto zitta e buona ad aspettare che tu abbia finito.
Stava già uscendo quando il marito la fermò: si sentiva un verme e voleva scusarsi in qualche modo della propria scortesia.
- Non dire così. Lo sai, i tuoi consigli mi sono molto utili e anche stavolta non mancherò di chiederteli. Però per adesso è davvero soltanto un’idea e se non mi concentro, finisce che mi sfugge addirittura.
Lei si voltò a guardarlo. Lesse la sincerità in quel bel volto serio e, rassicurata, gli sorrise con dolcezza prima di andarsene.
 
Quasi ad ora di cena Odette si fece viva, vestita di tutto punto per uscire.
- Questa casa è un mortorio! Fabrizio dov’è? Adesso gli dico di portarmi fuori.
Si diresse verso lo studio, ritenendo di far valere chissà quali diritti su di lui.
Angela la guardò stupita e cercò di fermarla sulla soglia.
- No, aspettate, sta scrivendo e non vuole essere disturbato.
 Per tutta risposta lei la scostò in malo modo e spalancò la porta senza neanche bussare. Si rivolse con fare autoritario al giovane che aveva udito la loro conversazione e le guardava, la penna a mezz’aria, imponendosi di restare calmo.
- Ti decidi o no a darmi un po’ di confidenza oggi?
Fabrizio fu quasi contento di un approccio così sgarbato che gli dava il pretesto  di non andare tanto per il sottile.
- Sto lavorando, non hai sentito mia moglie?
- L’ho sentita, ma ora potresti anche smettere e stare un po’ con me. Me lo merito, non credi?
- Vai fuori! – le intimò adirato e senza mezzi termini, tanto che Angela si sentì mortificata da un comportamento così poco cortese nei confronti di un’ospite, anche se insopportabilmente insolente.
- Scusate, Odette, quando lavora è sempre molto irascibile.
- Vattene via anche tu! – urlò Fabrizio, esasperato dalle due donne.
- Scusa,  caro. Io non avrei voluto disturbarti.
- E smettila di chiedere sempre scusa, accidenti! Tra poco chiederai anche scusa di esistere e invece qua dentro sei l’unica che non ha nulla da farsi scusare!.
Proprio non sopportava più una tale sottomissione, avrebbe preferito che si fosse svegliata e avesse capito da sé con chi aveva a che fare, lui compreso. Invece la vide arrossire come sempre e abbassare  la testa per nascondere le lacrime.
Odette  andò in salotto, molto offesa, mentre Angela, esasperata da una giornata orribile, decise di ritirarsi in camera sua. Lì perlomeno avrebbe potuto piangere in santa pace e in quel momento era l’unica cosa che desiderasse fare. Più tardi avrebbe chiesto a Luigi di portarle un altro po’ di pane e formaggio e dopo si sarebbe messa a letto, sperando che il sonno consolatore fosse venuto presto a farle dimenticare tutte le amarezze provate.
Se ne stava salendo su, quando un trambusto proveniente dal viale d’ingresso la indusse a guardare fuori dalla finestra dell’atrio. Anche Fabrizio e Odette dovevano aver udito la strana confusione che all’improvviso aveva rotto il silenzio del tardo pomeriggio. La  raggiunsero e insieme a lei uscirono fuori per vedere cosa stava succedendo.
Era tornato Filippo che stava contrattando ad alta voce il prezzo del trasporto con il vetturino.






 
NdA
Come avete appena letto Fabrizio ha cominciato a tradire la giovane moglie. Ma lui è fatto così, al richiamo di una bella donna non riesce a resistere e, visto che è un gran bel ragazzo, le occasioni non deve nemmeno andarsele a cercare. Dopo si è  pentito però, al punto di sentirsi quasi male perché in fondo è un bravo ragazzo e ad Angela vuole più bene di quanto non sia disposto ad ammettere anche se tanto candore e tanta mansuetudine a volte lo irritano. Insomma lui è troppo diavolo e lei un po’ troppo acquasanta. E sono appena all’inizio… Insomma, sono impaziente di leggere le vostre impressioni, intanto vi do appuntamento a domenica prossima e vi auguro di trascorrere un felicissimo Natale. Un abbraccio a tutte.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***



 
 
Ci volle del bello e del buono perché si mettessero d’accordo. Alla fine ci riuscirono e, dopo aver intascato il suo sudato compenso, il cocchiere scaricò dalla carrozza una gran quantità di pacchi e pacchetti, compreso uno di dimensioni piuttosto notevoli. Intanto Filippo, sempre ben vestito e molto attraente, chiamò Luigi perché lo venisse ad aiutare. Vedendo i tre che lo aspettavano davanti casa,  si tolse il cappello in segno di saluto, ma poi si avvicinò direttamente ad Angela. Le prese una mano tra le sue e le disse, tutto galante:
- Auguri, mia  bella signora. Buon onomastico e buon compleanno.
Il marito impallidì: si era dimenticato che era il 2 di ottobre, giorno del diciannovesimo compleanno della moglie. A tal proposito, proprio qualche giorno prima, lei aveva raccontato  che, poiché era nata proprio nel dì in cui si festeggiano gli Angeli e assomigliando appena nata ad un angioletto, i suoi genitori avevano deciso di chiamarla così.
Amareggiato, Fabrizio si scusò:
- Perdonami,  mi era del tutto sfuggito.
- Macché perdono, tu sei imperdonabile, amico mio – gli disse l’altro – Meno male che me ne sono ricordato io. Entriamo in casa e sedetevi, mia cara, così potrete aprite i regali che vi ho portato.
La ragazza sorrise, felice  perché l’amico così gentile si era ricordato di lei, ma nemmeno voleva mortificare il marito.
- Non dovevate disturbarvi, io non sono abituata a essere festeggiata, nessuno l’ha mai fatto.
Nonostante le parole però, appena si fu accomodata sul divano, lacerò l’incarto del pacchetto mostrando una grande curiosità di scoprirne il contenuto.
Odette guardava, gelosa e preoccupata. Chissà quali regali costosi le aveva fatto quello stupido. Con una certa irritazione vide che il primo dono era una stupenda orchidea.
- Ma quanto hai speso?– gli chiese acida, senza nessuna remora di farsi udire.
- Un fiore comune era troppo poco per una donna che, come Flora in persona, fa sbocciare in  questo giardino rose, camelie e dalie solo con il tocco delle mani.
Fabrizio fece una smorfia di irritazione a un simile, melenso sproloquio. Proprio non la voleva smettere di fare il bellimbusto!
Intanto Angela aveva aperto il secondo pacchetto dal quale era venuta fuori una preziosa boccetta di profumo.
-  È cuoio di Russia – spiegò l’uomo -  Permettete?
Le prese il polso e le versò alcune gocce della preziosa essenza poi l’avvicinò al naso, aspirandone il profumo.
- Ci avrei giurato.  È proprio l’aroma adatto a voi. Sentite voi stessa …
Angela odorò anche lei. La fragranza, calda e sensuale, le piacque moltissimo.
- Grazie, sono regali bellissimi – disse con la voce rotta dall’emozione.
- Un attimo – le rispose allegro Filippo – non sono ancora finiti.
- Ancora? – osservò Fabrizio, sempre più infastidito.
L’altro lo guardò con aria di sfida e porse alla ragazza un altro pacchetto dal quale uscì un libro.
- Sono poesie di  Guido Gozzano. È un torinese che sta pubblicando delle bellissime opere in questo periodo.
Vedendola un po’ incerta, proseguì rivolto al marito.
- È adatto a lei, non è vero? Può leggerlo in tutta tranquillità.
- Sì, certo – convenne Fabrizio che conosceva l’autore. Sicuramente Angela avrebbe potuto leggere Gozzano, il cantore di quel piccolo mondo medio borghese anche a lei così caro, non certo Baudelaire.  Quest’ultimo era adatto a lui invece, perché viveva la sua stessa pericolosa ambivalenza, dilaniato com’era tra il desiderio di elevarsi e il gusto forte del peccato. Proprio quella mattina ne aveva letto una poesia in cui il poeta chiedeva al Signore “ la forza ed il coraggio di contemplare il suo cuore ed il suo corpo senza disgusto”. Si era riconosciuto in quelle parole. Che cosa gli stava succedendo? Perché una semplice avventura di poco conto gli sembrava ora una cosa tanto grave? Intanto non riusciva a distogliere gli occhi dalla festeggiata, notando la sua grazia innocente mentre apriva ancora un altro regalo. Era una scatola di cioccolatini di squisita fattura. Vinta dalla tentazione e dimostrando una golosità molto insolita per lei, ne aveva preso uno. Però Filippo la fermò:
- No, no, piccola mia: con l’appetito che vi ritrovate finireste per non mangiare più a tavola. Sono tutti vostri, ma li mangerete dopo pranzo.  A proposito, sono affamato: ma stasera non  si cena qui?
- Certo che sì, anzi, ci sono pietanze davvero speciali. Vado subito a dire ad Assunta di servire.
Leggera e allegra come un uccellino, volò in cucina a dare istruzioni per la cena. In lei non c’era più la minima traccia della tristezza che l’aveva sconvolta solo una mezz’oretta prima.
Rimasti soli in giardino, Filippo guardò l’amico e poi l’amante. Nonostante fosse stato concentrato su Angela, nella sua perspicacia aveva notato che tra quei due c’era una certa tensione. Con furbizia chiese a bruciapelo:
- Ebbene, cosa avete fatto in mia assenza?
- Niente, siamo stati in casa – rispose Odette, ma contemporaneamente Fabrizio aveva risposto: “Siamo usciti”.
Imbarazzati tacquero entrambi. Filippo, subdolo, li stuzzicò:
- Insomma siete usciti o siete stati in casa?
- Un po’ tutt’e due le cose – affermò la giovane con fare disinvolto.
- Ma vi siete divertiti non è vero?
- Divertiti poi… non c’era molto da divertirsi.
L’uomo ignorò la risposta dell’amante e continuò a tenere gli occhi fissi sull’amico, scrutandolo. L’imbarazzo che gli leggeva sul volto gli diede la conferma dell’esattezza della sua intuizione: appena aveva voltato le spalle quei due  si erano dati da fare. Non c’era da meravigliarsene. Odette non era certo un esempio di virtù e quel ragazzo giovane e bello, era una tentazione troppo forte per lei. Fabrizio poi, lo conosceva bene, perdeva facilmente la testa dietro alla prima sottana che lo sollecitasse nel modo giusto. Comunque non disse nulla perché il suo interesse era ormai rivolto alla dolcissima creatura che li stava chiamando per la cena. Avrebbe dato chissà cosa per possederla.
A tavola, Angela rideva alle continue  battute di Filippo, mentre invece Fabrizio e Odette, chiusi in un mutismo ostile, li osservavano con freddezza.  Nel guardare la moglie, il giovane si era convinto ancora di più che il suo amico le piacesse moltissimo e che ne accettasse la corte, nemmeno tanto velatamente. La cosa lo imbestialiva e lo amareggiava. Gli faceva male che anche lei, il suo angelo, la creatura al di sopra di ogni umana bassezza, si facesse sedurre così dall’arte di un incallito casanova come una donnetta qualsiasi. Inoltre cercava di spiegarsi il proprio fastidio: era solo un inopportuno senso di possesso o per caso non era un timido, inconsapevole sentimento nutrito per la moglie?  Però, se al mondo c’era una persona che non aveva il diritto di provare gelosia, questa era proprio lui. Non aveva forse accettato di sposare Angela solo per liberarsi dei debiti? Non la trattava forse sempre con arroganza e durezza pur rendendosi conto di farla soffrire? Che diritto aveva di prendersi la vita di quella giovane donna? Probabilmente Filippo avrebbe fatto la stessa cosa, ma perlomeno l’avrebbe resa felice. Magari sarebbe davvero riuscito a trasformare un povero bruco in una farfalla dai colori meravigliosi.
 
Dopo cena Odette si mise imbronciata in un angolo perché si sentiva trascurata dai due uomini. Nel vederla così Filippo le propose:
- Che ne dici, ti andrebbe di ballare?
La giovane si rianimò e senza pensarci confessò:
- Sì, usciamo. Ieri siamo andati in un caffè a Sorrento dove si stava benissimo.
A sentire quelle parole la giovane sposa impallidì un poco. Rassegnata, fece per alzarsi e prendere congedo.
- Io allora mi ritiro. Buon divertimento a tutti.
- Ma dove andate? Stasera è la vostra festa ed è giusto che si faccia un po’ di baldoria. E poi io intendevo ballare qui in salotto – precisò l’uomo fermandola. Allo sguardo deluso della sua donna, aggiunse rivolto  a lei – Ho una sorpresa bellissima, femmina di poca fede.
Vivace come al solito, si allontanò per ritornare poco dopo con il grosso scatolone portato da Napoli, da cui estrasse un grammofono a manovella e numerosi dischi di Enrico Caruso.
Le due donne ne furono contentissime. Odette, canticchiando con la sua bella voce le note delle canzoni, si avvicinò a Fabrizio, e lo costrinse a ballare. Il giovane non ne aveva molta voglia e appena possibile la lasciò andare. Allora la ragazza si rivolse a Filippo, ma questi era troppo occupato a convincere Angela a lanciarsi nella danza per preoccuparsi di lei.
- No, per carità – si giustificava intanto la festeggiata – non ne sono capace.
- Su, andiamo, non è affatto difficile. Vi insegno io.
Sotto lo sguardo inquieto del marito, la prese tra le braccia e la costrinse a muovere qualche passo. Era graziosa mentre cercava di seguire il suo cavaliere, ma, impacciata com’era, dopo un po’ finì per inciampare. Lui ne approfittò per stringerla forte.
Per nascondere l’imbarazzo, la ragazza rise, il viso vicinissimo a quello dell’uomo che la guardava con intensità.
- Come siete bella! – esclamò questi, incapace di controllare ancora il desiderio – Avete i denti perfetti e le labbra morbide. La vostra è proprio una bocca da baci.
Scandalizzata da tanta audacia, Angela si portò una manina davanti alla bocca con un’espressione spaventata negli occhi che finì per infiammare ancora di più il suo affascinante corteggiatore che la stava fissando con uno sguardo quasi ipnotico. Le prese la mano nella sua e gliela scostò piano, facendole sfiorare sensualmente le labbra dalle sue stesse dita.
- Cosa c’è, non li conoscete ancora i baci d’amore? – le sussurrò suadente.
Era troppo. Come una belva Fabrizio si avvicinò ai due e presa la moglie per un braccio la scostò bruscamente dall’amico.
- Adesso basta!  Tu vattene subito di sopra. In quanto a te, spero vorrai darmi una spiegazione per questo modo ignominioso di comportati.
Spaventata, Angela osò intervenire:
- Fabrizio, ti prego…
Lui non la lasciò finire e le urlò:
- Vattene di sopra, ti ho detto,  e non dire più una parola.
La ragazza obbedì, rossa in volto dalla vergogna. Restati soli, Fabrizio  rivolse ancora una volta lo sguardo all’amico che aveva un sorrisetto ironico stampato sul viso. Se ne sentì imbestialito e, senza più controllarsi, lo afferrò per il bavero della giacca.
- Ehi, calmati! – gli disse Filippo, liberandosi – Vuoi sfidarmi a duello anche tu?
- Non fare il fesso. Però ti avevo avvisato: Angela la dovevi lasciar stare.
L’altro rise ancora e lo prese in giro.
- Scusami, avevo pensato che poiché ti sei preso la mia di donna, non avresti avuto nessuna difficoltà ad accettare il fatto che io tentassi di sedurre la tua.
- Ci stai provando da quando l’hai vista, non soltanto da oggi – gli rispose, ammettendo tacitamente il rapporto avuto con Odette – e poi non mi dirai certo che si può paragonare mia moglie a una donna di facili costumi.
La ragazza non gradì essere definita in quel modo. Come una belva, strillando inviperita e tirando fuori tutta la sua natura volgare, gli si lanciò contro per picchiarlo. Fabrizio non aveva inteso disprezzare la sua occasionale amante della sera prima.       
- Scusami, Odette, non ce l’ho con te, lo sai. Tu fai la vita che fai e non te ne faccio una colpa.  Angela però ha tutta un’altra storia – provò a calmarla.          
Lei però non ne voleva sapere di smettere di aggredirlo tanto che fu costretto ad afferrarla  per i polsi per immobilizzarla. Filippo intanto li guardava divertito. Non ancora contento,  aggiunse con ironico cinismo:
- Andiamo, non fate così, in fondo voi due siete perfetti per stare insieme. Ascolta, ragazzo mio, goditi lei e lascia a me quel fiore. Vedrai dopo che te l’avrò svezzata per benino come ne trarrai piacere anche tu.
Un velo d’ira annebbiò la vista di Fabrizio. Scagliò la ragazza inferocita sul divano e si rivolse di nuovo a Filippo.
- Farabutto schifoso, esci da questa casa e portati anche lei – gli urlò.
Cercando a stento di controllare la rabbia che l’avrebbe potuto portare a fare qualche pazzia, si apprestò a lasciare la stanza. Prima di uscire però si volse ancora una volta a guardare colui che era stato suo amico.
- Non ti fare trovare qui domani altrimenti non rispondo più di me – gli disse.
- Non ti preoccupare, ce ne andremo domattina presto, ma te ne  pentirai, povero bacchettone.
Dopo essere entrato come una furia nella stanza da letto, Fabrizio si spogliò in fretta e si coricò accanto alla moglie che  piangeva dandogli le spalle. Esasperato la rimproverò ad alta voce:
- Smettila di piangere, vuoi vedere che ti metti anche a fare anche la vittima adesso?
La donna trattenne il fiato, si raggomitolò nell’altra estremità del letto e represse i singhiozzi che le squassavano il petto.
 
Con un gran baccano, i due ospiti stavano caricando le loro cose sulla carrozza di Luigi.
Fabrizio, svegliato dal fracasso, notò che Angela era già vestita e pronta a scendere.
- Dove stai andando? – le chiese senza nascondere una certa irritazione.
- Vado a messa, come al solito.
- O vai piuttosto a salutare il tuo corteggiatore?
Quella strana gelosia era tornata di nuovo ad attanagliarlo.
Lei lo guardò con la solita innocenza sul volto.
- Ma che dici?
- Non ti permettere di uscire da questa stanza prima che siano andati via – le ordinò.
Non le si era mai rivolto in modo tanto autoritario, però era molto confuso. Provava per la prima volta un senso di possesso nei riguardi della moglie e ciò non gli  piaceva. Si sentiva meschino, ma lo stesso non  riusciva a controllarsi.
Preferì andare in bagno a lavarsi. Quando poco dopo ne uscì, ancora a torso nudo, vide Angela accanto alla finestra con la fonte appoggiata ai vetri che guardava giù. Si sentì stravolgere dall’ira.
- Proprio non riesci a rassegnarti al fatto che l’affascinante Filippo se ne stia andando, vero? Cos’è, rimpiangi di non aver fatto in tempo a diventarne l’amante?           
 Erano accuse ingiuste e cattive che fecero indignare Angela.
- Come ti saltano in mente certe cose? Che ho fatto mai per farti credere una cosa così orrenda?
- Cosa hai fatto? Quando stavi con lui eri tutta mossette e moine. Accidenti, non ti ho mai visto sorridere tanto come in questi giorni!
- E non hai pensato che fosse perché Filippo è stata l’unica persona a farmi un po’ di compagnia? Tu mi eviti come la peste, io non mi sono mai sentita così sola e trascurata come da quando siamo qui. Le tue gentilezze si possono contare sulla punta delle dita, il più delle volte mi tratti con fastidio e sufficienza. E ti meravigli che io non sorrida mai! Me lo dici cosa avrei da sorridere?
Aveva parlato guardandolo dritto negli occhi, rossa in volto e sconvolta dalla sua stessa audacia, ma non ce la faceva più a sopportare quei sospetti, aveva bisogno di sfogarsi. Sconvolta,  fu costretta a voltarsi in fretta per nascondere le lacrime.
Fabrizio la vide appoggiare ancora la fronte ai vetri e capì che aveva incominciato a piangere.
- Non ricominciare adesso – la invitò, stavolta con una certa tenerezza.
Capiva di stare sbagliando a prendersela con lei quando l’unico ad avere delle colpe era lui stesso.
Le si avvicinò e le posò con affetto le mani sulle spalle che sussultavano nel pianto.
 A quel contatto Angela trovò la forza di dirgli tra i singhiozzi:
- Come puoi pensare che io provi qualcosa per un altro uomo? Tu sei l’unico per me, neanche lo immagini quanto ti amo.
Fabrizio si sentì investire da un’ondata di affetto. La fece girare e, afferratole il visino inondato di lacrime tra le mani, la costrinse ad alzarlo. Lei teneva gli occhi chiusi e lo sentì soltanto avvicinarsi e posare le labbra sulle sue. Fu un contatto dolcissimo e il calore della sua bocca le diede un conforto enorme. Lo guardò: in quei limpidi occhi azzurri contornati dalle ciglia lunghissime scorse qualcosa che le parve amore. Provò una specie di vertigine e gli posò le mani sulle spalle, felice di avvertire la solidità di quel corpo maschio contro il proprio. Di nuovo la bocca di Fabrizio si avvicinò alla sua, ma stavolta fu per darle il primo, vero bacio della sua vita.
Angela non avrebbe mai  pensato di poter provare una simile emozione, ma neanche lui avrebbe mai potuto supporre che la sua piccola donna, così riservata e fredda, potesse concedersi con tanto abbandono a un bacio. Forse tutto sommato Filippo aveva ragione, forse era davvero il caso di provare ad insegnarle a poco a poco l’amore.
La lasciò andare e, baciandola sulla fronte, scherzò:
- Ecco, così nessuno potrà più dire che non sei mai stata baciata.
Angela gli sorrise. La dolcezza provata era stata troppo grande per smettere così presto. Si strinse a lui e gli offrì ancora la bocca socchiusa. Si  baciarono a lungo e fu  con difficoltà che Fabrizio alla fine l’allontanò da sé.
- Adesso va’ o farai tardi per la messa – le sussurrò.
Per la prima volta in vita sua la ragazza trovò difficile compiere il proprio dovere di buona cristiana. Allontanarsi dall’uomo meraviglioso che le aveva appena insegnato quale cosa  stupenda fossero i baci le risultò assai duro.




 
Lo so, questo capitolo è un po’ corto, ma mi sono dovuta fermare perché non volevo spezzare il prossimo che invece sarà lungo e molto importante nello svolgimento di tutta la vicenda. Nell’attesa godetevi una meravigliosa notte di  San Silvestro e preparatevi ad un nuovo anno  pieno di gioia, di salute,  di serenità e… di tante domeniche sera da trascorrere insieme alla vostra mamma Kellina.
Valentina78 qualche tempo fa mi chiedeva di mettere delle foto di persone che mi ricordano i protagonisti di questa storia. Stranamente e contrariamente al mio solito, stavolta non mi sono ispirata a nessuno per il loro aspetto fisico. Ho trovato però una foto che mi ha fatto pensare ad Angela così come l’ho vista in questo capitolo e ve la voglio mostrare:



 
Non so nemmeno chi ritrae, ma che ne dite, potrebbe andare? E’ abbastanza fedele alla descrizione che ne ho dato? Mi farebbe molto piacere sapere come immaginate voi i personaggi per cui,  se vi va, mandatemi qualche foto che provvederò a mostrare in calce ai capitoli. Sarebbe simpatico se alla fine, tutte insieme, decidessimo il “cast” di “Come il diavolo e l’acquasanta”.
Ciao e a domenica prossima.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***




 
Ora passavano più tempo insieme. Fabrizio si era molto pentito di averla tanto trascurata in precedenza perché ogni giorno trascorso insieme a lei gli faceva apprezzare sempre di più il piacere della compagna della moglie. Era perfetta, capiva sempre se desiderava la sua presenza o se invece doveva rimanersene in disparte e lasciarlo in pace. Non era mai invadente o noiosa e questa era una dote davvero rara in una donna.
Aveva riflettuto a lungo sulle opinioni di Filippo e aveva capito che, per quanto l’amico fosse stato odioso e scorretto, gli aveva aperto gli occhi. Adesso cercava di non forzare le tappe e anche se l’aveva già posseduta,  non voleva farlo più prima che lei stessa si dimostrasse pronta a concedersi. Certo ci voleva pazienza, a volte diventava difficile accontentarsi solo di baci e carezze. Aveva però capito che quei preliminari ad Angela piacevano moltissimo e ben presto divennero quasi il loro passatempo preferito. Si divertiva ad afferrarla  all’improvviso, magari quando meno se l’aspettava, e poi, dopo averla imprigionata tra le braccia, la stringeva forte mentre lei tentava di divincolarsi,  solo per scherzo però, perché subito dopo si arrendeva alla sua bocca e ne ricambiava i baci con sempre maggiore perizia. Spesso, mentre la teneva così, le carezzava il corpo attraverso i vestiti. Solo allora, quando la sentiva vibrare tutta, la lasciava andare, combattendo con il suo stesso desiderio. Lei ne rimaneva sempre stupita. Vederla così, indifesa, stordita,  ansiosa di sapere se al  prossimo attacco l’avesse voluta completamente oppure no, faceva parte del gioco dolcissimo e intrigante a cui si era abbandonato.
Non avevano smesso di andare fuori. Ritornarono ancora a Pompei dove, indisturbati, trascorsero un’intera giornata. Entrambi appassionati di storia e di arte erano sulla stessa lunghezza d’onda e presto cominciarono a fare mille progetti di viaggi favolosi da fare insieme per visitare  le Piramidi, il Partenone, l’Alhambra. C’era tanto da vedere  nel mondo, tanto da conoscere e loro due si sentivano pieni di felicità, pronti ad afferrare tutto  e a godere di ogni possibilità. In quei giorni il futuro era solo una meravigliosa promessa e la consapevolezza dell’amore che stava sbocciando tra loro, li rendeva ottimisti e pieni di gioia.
A poco a poco Angela non fu più la stessa e molte volte si trovò ad interrogarsi su quella strana, nuova attrazione provata per il marito, tanto sconveniente quanto irresistibile.
Una mattina che gli aveva portato la colazione a letto, restò a guardarlo mentre ancora dormiva, inondato dal sole del mattino che era tornato  a risplendere dopo molti giorni di pioggia. Le parve bellissimo così, abbandonato nel sonno, i capelli scuri che gli ricadevano in simpatici ciuffetti sulla fronte, la frangia delle lunghe ciglia che gli gettava un’ombra scura intorno agli occhi chiusi e il corpo snello e attraente. Lo sguardo le cadde su quel gonfiore che si intravedeva attraverso la stoffa sottile dei pantaloni del pigiama e ad un tratto si sentì invadere da un languore che le capitava sempre più spesso di provare. Provò il desiderio di stendersi accanto a lui, abbracciarlo forte, godere dei suoi baci e anche di più. Voleva fare di nuovo quelle cose che avevano fatto i primi tempi e che ora non le sembravano più tanto spaventose, ma le tornavano spesso in mente come una tentazione continua. Allungò una mano per toccarlo, ma si fermò, vergognandosi molto di se stessa. Fabrizio avrebbe apprezzato tanta audacia o piuttosto l’avrebbe giudicata male? Alla fine la timidezza fu più forte. Lo chiamò piano, per svegliarlo con dolcezza.
- Amore, ti ho portato la colazione...
Dopo essersi un po’ stiracchiato, il giovane spalancò gli occhi ancora offuscati dal sonno.
-  Buongiorno!  Com’è il tempo? Possiamo andare a fare la nostra gita? – le domandò pieno di allegria.
- C’è qualche nuvola però non piove.
- Non ci faremo scoraggiare da un po’ di nuvole allora. Su, forza, vai a dire a Luigi di preparare la carrozza?
Si sentiva felice al pensiero di un nuovo giorno da trascorrere insieme a lei e la incoraggiò con un sorriso.
Mentre lui si dedicava con appetito al pane con la marmellata, Angela batté le mani piena di entusiasmo e corse ad avvisare il cocchiere. 

Aveva chiesto al marito di portarla su di una spiaggia perché  desiderava vedere il mare da vicino. Purtroppo il tempo si era messo al brutto e avevano dovuto rimandare già parecchie volte la loro escursione.
Durante il viaggio, gli parlò della propria infanzia.
- Mia madre mi portava spesso sulla spiaggia e se ne stava lì a guardarmi mentre io correvo sulla sabbia e raccoglievo le conchiglie – gli raccontò guardando il mare che ormai si scorgeva in lontananza -  d’estate poi non riusciva a trattenermi: mi strappavo letteralmente i vestiti di dosso per correre a fare il bagno. Lei mi lasciava fare. Dopo, mentre mi asciugava, mi chiamava “il mio pesciolino”.
Era la prima volta che Angela parlava di sua madre.
- Allora te la ricordi? – le chiese Fabrizio.
- Certo. Era molto bella, non come me che sembro uno spaventapasseri. Aveva il corpo di una dea e  i capelli assai lunghi,  tutti ondulati. Mi ricordo che la sera volevo sempre mettermi nel suo letto. Lei mi teneva stretta fino a quando non mi addormentavo. Nonostante non avessi conosciuto papà che era morto quando ero ancora troppo piccola, ero molto felice con lei perché sapeva darmi tanto amore. Quando si è ammalata ed è morta in pochi giorni, ho provato un dolore così grande che avrei voluto morire anch’io, nonostante avessi solo sette anni.
- Sei rimasta con il nonno?
- Sì, ma lui aveva troppo sofferto per la morte della figlia e non ce la fece a occuparsi di me. Preferì mandarmi dalle suore. Mi volevano bene ed erano brave, ma non potevo fare a meno di rimpiangere la mia mamma. E poi  mi sentivo prigioniera.
Il ragazzo le rivolse uno sguardo pieno di compassione, invitandola tacitamente a continuare quella sorta di confessione.
- C’erano tante ore da trascorrere tra i banchi o in cappella a pregare. La sera, prima che facesse notte, bisognava già mettersi a letto e quel poco di svago che avevamo all’aperto, era sempre tra le mura del convento. Proprio non ce la facevo ad osservare la disciplina e qualche volta, come un’incosciente, ho provato anche a scappare senza neanche sapere dove sarei potuta andare. Quando mi riprendevano le punizioni erano durissime: giornate intere chiusa al buio o il rosario da recitare inginocchiata sui ceci. Insomma, alla fine ho capito che era meglio per me  imparare a comportarmi come si deve. Ogni volta che potevo però, me ne andavo alla chetichella in  giardino. Mi stendevo sull’erba e restavo lì godermi l’aria aperta e a fissare il sole fino a quando non mi lacrimavano gli occhi. Lo facevo  perché mi piaceva immaginare tutte le cose sulle quali brillava in quel momento e che io invece avevo perduto: le montagne, i paesi, le foreste, ma soprattutto il mare, l’enorme, immenso, infinito mare … Dopo mi ci sono abituata, ma la libertà mi è mancata troppo all’inizio.
Fabrizio la strinse e lei gli si abbandonò con tenerezza tra le braccia, intuendo l’amore che aveva mosso quel gesto.
L’uomo non tardò a verificare quanto Angela fosse davvero attirata dal mare perché, appena arrivati alla marina di Sorrento, si lanciò in una corsa spontanea fino alla riva, senza dargli nemmeno il tempo di seguirla perché si era fermato con Luigi a parlare con dei pescatori.
Quando la raggiunse, la trovò assai affannata nel tentativo di togliersi gli stivaletti.
- Aspetta - le disse divertito –  ora  ti aiuto io.
Appena i piedi furono liberi, senza l’abituale pudore, Angela s’infilò le mani sotto al vestito e si tolse anche le calze, poi, alzando la gonna per non farla bagnare, si precipitò sul bagnasciuga.
Fabrizio la osservava, contento delle sue risate di gioia ad ogni onda che le bagnava i piedi. La sua felicità  aveva qualcosa di contagioso.
Quando alla fine si calmò,  tornando sulla spiaggia accanto al marito si guardò i piedi sporchi di sabbia bagnata.
- Mamma mia, e adesso come faccio a rimettermi le scarpe!
Aveva un’aria così comicamente desolata che lui scoppiò a ridere. La prese tra le braccia e le guardò con tenerezza il viso appoggiato alla sua spalla. Su quel faccino ora c’era un espressione di perfetta beatitudine, dovuta forse al calore del sole o alla brezza marina che l’accarezzava o forse soltanto alla stretta dell’uomo amato.
- Scusami, non mi sto comportando da signora. – gli mormorò ancora con un timido sorriso.
- Non è colpa tua. È Ibrahim.
- Chi?
- Non lo conosci? È un tuo antenato berbero. Poverino, lui aveva lasciato la sua terra di fuoco e di deserti perché voleva vivere sul mare, senza legami, senza mete. Ma faceva il marinaio al servizio di Allah e il suo compito era diffondere la sacra parola del Profeta. Così fu costretto a sbarcare in Sicilia, doveva essere l’830, l’835 al massimo – aggiunse come se davvero stesse raccontando un fatto vero - ma mentre i suoi compagni si abbandonarono a stupri e saccheggi contro quegli infedeli dei cristiani, lui invece si innamorò di una fanciulla del posto che assomigliava all’angelo che aveva parlato a Maometto. Anche lei si innamorò del giovane saraceno dagli occhi di fuoco, ma l’uno era musulmano, l’altra cristiana e nessuno accettò il loro amore. Così fuggirono  lontano da tutto e da tutti. Vissero felici per  tutta la vita, sempre insieme,  e misero al mondo tantissimi  figli che allevarono buoni e onesti nella legge di un dio a cui non diedero mai un nome. Quando diventarono molto ma molto  vecchi, morirono insieme, dolcemente. Prima però Ibrahim volle tornare a  ringraziare i flutti che lo avevano portato su quelle sponde felici e, con gratitudine, promise che tutti i suoi discendenti, qualunque fosse stato il loro dio, avrebbero portato nel cuore l’amore per il grande Padre Mare.
Angela lo aveva ascoltato divertita.
- Che fantasia hai! Però qualcosa di vero ci deve essere. Lo sai che mi sono sempre detta che se fossi stata un maschio avrei fatto il marinaio?
- Lo vedi?  È Ibrahim che ti parla dal profondo di te stessa. E tu hai i suoi stessi occhi ardenti, amore mio.
Restarono a baciarsi per un po’, tanto sulla spiaggia non c’era nessuno. Mai come in quel momento si erano sentiti uniti e felici. Purtroppo incominciò di nuovo a cadere qualche goccia di pioggia e prima che scoppiasse il temporale, dovettero affrettarsi a ritornare alla carrozza. Angela aveva ancora i piedi nudi e sporchi di sabbia, ma all’interno della vettura, con tenerezza, il marito glieli ripulì per bene e le rimise le scarpe.
Quando giunsero a Sorrento il tempo si era rimesso di nuovo al bello. Congedato Luigi, si concessero di trascorrere il resto del giorno lì. Fabrizio la portò a pranzare in una trattoria molto graziosa, dove sedettero sotto un pergolato d’uva. Come al solito la ragazza mangiò pochissimo, quasi timorosa. L’uomo notò anche l’imbarazzo con il quale chiese ad una cameriera della toilette. Ma era normale: Angela era fatta così, si vergognava di tutto, forse perché l’avevano abituata a considerare il corpo come un oggetto da nascondere, una cosa bassa e infamante da mortificare in ogni modo. E lui, come uno stupido, aveva preteso che fosse stata subito  pronta all’amore! In realtà non sapeva se sarebbe riuscito a cambiarla, ma oramai era sicuro di volerle bene anche così. Ora si sentiva disposto ad aspettare con pazienza fin  quando la propria passione non l’avesse finalmente conquistata del tutto.
Girarono un po’ per i negozi degli artigiani. La vide  incantarsi davanti ad un portagioielli di legno intarsiato con un carillon e una ballerina di carta che girava sulle note di una canzonetta molto in voga: “Torna a Surriento”. Senza neanche chiederglielo, lo comprò per regalarglielo e mentre Angela si schermiva, le disse scherzando:
- Per adesso c’è solo il portagioie, poi, con il tempo,  arriveranno anche i gioielli. Vedrai quanti te ne regalerò, ti ricoprirò d’oro!
- A me basterà il tuo amore – gli sussurrò lei, stringendosi al cuore il regalo.
 E lo fissò, assai innamorata.
 
Alla fine il temporale scoppiò davvero e dovettero ritornare in tutta fretta a casa con una carrozza a nolo. Mentre Fabrizio pagava il vetturino, Angela lo aspettava sotto la pioggia torrenziale.
- Scappa a casa, su,  non aspettarmi – la invitò.
- No, perché? Ti aspetto.
Era disposta a sfidare la furia degli elementi pur di non lasciare da solo il suo amore neppure per un attimo. Per fortuna il marito si sbrigò presto e insieme corsero ridendo verso casa. Sotto il portico la ragazza trovò Rosso che doveva essere rimasto chiuso fuori e cercava riparo dal temporale sotto una sedia. Passando il pacchetto con il regalo a Fabrizio, la ragazza si chinò a prendere in braccio il gattino, bagnato e tremante.
- Povero amore, che ti hanno fatto questi cattivoni?  Ti hanno chiuso fuori? – lo coccolò.
Con l’animaletto che miagolava felice per aver ritrovato la padrona, si volse a fargli un sorriso e scappò di sopra dicendo: “Vado ad asciugarlo!”.
- Asciugati pure tu, sei tutta bagnata – le suggerì Fabrizio con premura. Lui stesso andò a cambiarsi e ad asciugarsi. Ad un tratto si avvide di avere ancora il pacchetto con il regalo e decise di riportarglielo.
Non pensò a bussare perché la porta era semiaperta. La vide davanti allo specchio con la testa china mentre si asciugava i capelli sciolti.
- Ti ho riportato il carillon – le disse senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso.
Lei, dopo aver avvolto l’asciugamano intorno ai capelli  a mo’ di turbante, rialzò di scatto la testa. Si era tolta il vestito e il busto. Ora indossava soltanto un corpetto leggero allacciato davanti e le mutandine di una delicata batista bianca che le arrivavano al ginocchio. Fabrizio non l’aveva mai vista senza i suoi castigatissimi camicioni e si meravigliò che non corresse a coprirsi. Invece, benché un po’ vergognosa, la ragazza se ne restò ferma sotto gli occhi del marito che non nascondeva la propria ammirazione. Così spogliata era molto carina. Le si avvicinò e, traendola a sé, la baciò sul collo. Lei rise e spinse il capo all’indietro, offrendo anche la gola e il mento ai suoi baci. In quel gesto l’asciugamano scivolò via facendo ricadere i lunghi capelli neri ancora un po’ umidi.  Le loro bocche si ritrovarono in uno dei baci appassionati che oramai si scambiavano di continuo dopo i quali però  Fabrizio la lasciava sempre andare. Questa volta però in cuor suo Angela pensò: “Non te ne andare, amore mio, non te ne andare, ti prego!”
Come se fosse riuscita a trasmettergli il pensiero, infatti il giovane non si allontanò. Le prese le mani, andò sedersi sul bordo del letto, e l’attirò a sé. La ragazza lo seguì docilmente e cominciò a carezzargli la nuca e i capelli con tenerezza anche se, mentre lui le slacciava il corpetto e glielo faceva scivolare sui fianchi, cercava inutilmente di trovare la forza di impedirgli di fare una cosa tanto sconveniente. Ma uno strano e dolcissimo languore l’avvolgeva tutta.
Il giovane finì per spogliarla nuda. Fu meravigliato e felice di trovarla così graziosa. Era magra, ma non ossuta e il suo corpicino snello aveva la grazia di una silfide, con le carni compatte e sode e, benché fosse assai bruna, con nessuna spiacevole peluria, solo il minuscolo triangolino nero del pube. Con estrema delicatezza, quasi tremando, le toccò il seno piccolo e turgido come quello di una statua di Venere. Alzò su di lei gli occhi incupiti dal desiderio come a volerla interrogare.
Angela non parlò, ma si perse in quello sguardo e si abbandonò alla sua stretta in preda ad un’emozione mai provata prima. Stringendolo a sé e rabbrividendo di piacere ai baci appassionati che le si posavano sul ventre e sul seno, intuì di stare oramai perdendo per sempre l’innocenza di fanciulla. Non ne ebbe paura però, perché la voglia d’amare che ora le pulsava dentro, era la vita stessa e il divino incantesimo  che dalla notte dei tempi univa l’uomo alla donna finalmente stava per ripetersi anche per loro.
Dopo, con gli occhi spalancati fissi sul soffitto, si chiese come la cosa stupenda che aveva appena provato potesse essere la stessa che solo qualche tempo prima l’aveva così ferita e turbata. Cos’era successo? Si erano forse spalancati i cancelli dell’Eden ed era tornata insieme al suo uomo nel paradiso terrestre dove non c’era posto per il peccato, ma tutto, persino il fuoco del desiderio diventava innocenza e calore?
Fabrizio intanto continuava a tenerla abbracciata, il viso affondato ancora tra i suoi capelli. Pensava che tutta l’esperienza in materia di sesso di cui si era sempre vantato era stata solo presunzione. Per la prima volta quella sera aveva capito cosa voleva dire fare all’amore. Non aveva cercato come al solito solo la propria soddisfazione, ma con le mani, con le labbra, con tutto se stesso, aveva provato a rendere felice la sua compagna. Aveva ascoltato ogni suo sospiro, ogni suo gemito, aveva spiato quel viso così dolce di bambina fino a quando lo aveva visto trasfigurarsi di sensualità. Nel piacere di lei aveva trovato il proprio appagamento ed era stato un godimento più grande di quanto avesse mai sperimentato.
Sollevò il capo, le sorrise e le posò un bacio delicato sul nasino.
Angela si riscosse dai suoi pensieri e lo guardò in viso. Incontrò i suoi occhi che brillavano azzurri come un mare profondo. 
Fabrizio sembrava scrutarla per cercare la conferma  di essere riuscito a farla felice così come lo era stato lui stesso. Allora, dimenticandosi di tutte le remore e gli assurdi pudori, finalmente libera da ogni paura,  lo attirò di nuovo a sé, cercandone ancora la bocca.
- Sarà sempre così d’ora innanzi, amore? – gli chiese dopo un bacio dolcissimo.         
- Speriamo di sì. Io ci proverò, almeno.
- Sai, te lo chiedo perché se sarà sempre così, penso che non vorrò mai fare altro …  Beata, con le dita affondate nei suoi capelli, stretta a lui,  tenera e calda, lo baciava con sensualità  tra una parola e l’altra.
Fabrizio si diede dello stupido per averla creduta frigida e pensò che se era grazie al  matrimonio che adesso quella creatura stupenda era diventata sua e soltanto sua, allora sposarsi era la  cosa più bella del mondo. Avrebbe dovuto ricordarsi di ringraziare suo padre per averlo spinto con tanta insistenza a farlo.
 
Vissero quel periodo con tutto l’ardore dei loro giovani anni senza avvertire il passare del tempo e  il freddo che arrivava, dedicandosi soltanto al loro amore.
Anna, costretta più di una volta a rinunciare a rifare la stanza da letto perché i  padroni se ne stavano ancora chiusi dentro, aveva commentato con malizia: “S’è scetata, a’ santarella!”
L’improvvisa passione accesasi tra di loro era tale da renderli non soltanto  incuranti della servitù, ma completamente dimentichi di tutto quanto li circondava. Quasi si stupirono quando Giulia scrisse che la casa a Napoli era pronta e  la domenica successiva sarebbe passata insieme al marito a riprenderli.
Anche a lei bastò solo uno sguardo per capire quanto sua madre avesse fatto bene a mandarli lì da soli per un po’: il fratello era allegro e sereno come non mai,  in quanto ad Angela poi, era addirittura raggiante ed era diventata quasi bella benché l’aria di campagna non le avesse fatto mettere su nemmeno un chilo di peso.
Il giorno in cui andarono via, si sentivano entrambi tristi. La sposina sedeva in carrozza con il piccolo Rosso in braccio. Era l’unico della cucciolata di gattini che fosse rimasto e Fabrizio le aveva consigliato di portarlo con sé perché era ancora troppo piccolo e indifeso e lei gli voleva un gran bene. Benché il micetto le desse molto conforto e fosse felice per l’amore del marito, la ragazza aveva la spiacevole sensazione che qualcosa di meraviglioso stesse finendo per sempre. Fabrizio lo intuì vedendola  lanciare uno sguardo malinconico alla casa mentre la lasciavano. Allora la strinse a sé e, incurante della presenza della sorella e del cognato, la accarezzò con molta tenerezza.
- Su, non essere triste. Vedrai come staremo bene anche a Napoli e come è bella la casa che Giulia ci ha preparato. Non è così, sorellina?      
Quest’ultima lo guardò stupita. Possibile che quello scapestrato si fosse innamorato davvero? Perché, se era così, allora sul serio Angela doveva essere, come diceva papà Ferdinando,  acquasanta! Già, se era riuscita ad esorcizzare il  diavolo dentro Fabrizio non poteva esserci altra spiegazione.





 
NdA
Eccoci qui al capitolo che vi preannunciavo importante. Spero che vi sia piaciuto il modo come Angela e Fabrizio finalmente si sono ritrovati e in effetti, volendo, il racconto della loro storia d’amore potrebbe anche concludersi qui. Ma ho in serbo per loro ancora tantissime cose, tantissimi posti dove andare, esperienze ancora da vivere. Mi auguro che proviate sempre il piacere di seguirmi mentre vi racconterò, domenica dopo domenica, il futuro dei miei protagonisti,  dei momenti belli e delle sofferenze, quelle inevitabili e quelle che invece saranno causate dai loro stessi errori.
Sono consapevole  che durante una lettura così dilatata nel tempo a volte si possono dimenticare alcuni particolari   importanti ai fini della vicenda per questo, se continuerete a seguirmi,  vi invito a ricordare alcune cose che ho raccontato in questo capitolo. Non dimenticate ad esempio la storia di Ibrahim né il piccolo carillon con il motivetto di “Torna a Surriento” che Fabrizio ha regalato ad Angela perché ritorneranno ancora. Soprattutto non dimenticate  il racconto dell’infanzia infelice della mia protagonista e il modo come attraverso le punizioni sia stata abituata soltanto ad ubbidire e abbia represso invece la sua vera natura. Sono vicende che non ho pensato per renderla una novella Jane Eyre o una pietosa orfanella uscita da un feuilleton dell’ottocento, ma solo perché possono spiegare psicologicamente alcune pesanti forme di nevrosi di cui la ragazza è e sarà indubbiamente vittima… almeno fino al classico lieto fine.
Ora è il momento delle foto. Per prima cosa vi metto una immagine d’epoca della marina di Sorrento.




Non vi sembra di vederci passeggiare Fabrizio ed Angela? A proposito di loro: ecco come li vede la mia Shouni:



Fabrizio è indubbiamente un bel ragazzo anche se io lo avevo immaginato con i capelli bruni. Angela invece è perfetta (l’attrice si chiama Janet Montgomey, mi dice Shouni) : una bruna assai carina anche se troppo magra per i canoni di bellezza dei primi del Novecento secondo i quali le  donne dovevano essere molto più prosperose del mio personaggio per essere attraenti.
Vi ringrazio e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento non prima però di avervi detto che ho chiesto alla Befana – tra vecchie signore ci s’intende -  di riempire di doni meravigliosi le calzine delle mie care lettrici . Buona Epifania a tutte.

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***



 
Era l’antivigilia di Natale e faceva molto freddo. Fabrizio era sceso molto soddisfatto dalla casa del professor Croce perché anche il suo ultimo lavoro era stato apprezzato dall’eminente letterato che gliene aveva assicurato la pubblicazione sulla sua rivista “La Critica”. Per l’occasione gli aveva anche anticipato il compenso. Era contento perché fare il giornalista era stata sempre la sua più grande aspirazione mentre non desiderava affatto diventare avvocato come invece avrebbe  voluto suo padre.
Per le strade, fossero l’antica via di Spaccanapoli dove abitava  don Benedetto o la centralissima via Toledo,  c’era la solita grande animazione che caratterizza l’arrivo delle  feste natalizie a Napoli. Lui si muoveva felice in quella confusione. In tasca aveva il pacchettino con il cammeo che aveva appena comprato per regalarlo alla sua Angela. Prima però voleva mostrarlo alla madre così passò per la vecchia casa in Piazza Amedeo.
Gli aprì Alfredo, compito e gentile come al solito. Mentre gli prendeva cappello e  soprabito s’informò se la nipote Teresa,  a servizio presso i giovani sposi, si stesse comportando bene.
- È perfetta come te – gli confermò Fabrizio – mia moglie le si è molto affezionata. Peccato però, ci ha detto che tra poco andrà a raggiungere il marito in Argentina.
- Purtroppo  è così, ma quando si è giovani e innamorati la lontananza non si sopporta. I poverini sono già separati da oltre tre anni.
Fabrizio lo capiva,  oramai neanche lui sarebbe stato più capace di stare lontano dalla moglie, e ne convenne. Quando chiese della madre, gli fu riferito che era in cucina.
Si affrettò a raggiungerla. Entrò pian pianino e, facendo segno alla servetta che stava ai fornelli di star zitta, andò alle spalle dell’anziana signora, l’afferrò all’improvviso e la  riempì di baci sulla guancia. Carmela che aveva le mani sporche di farina perché stava impastando, rise e minacciò di sporcarlo se non la lasciava andare. Comunque le ci volle del bello e del buono prima di convincerlo a farla tornare al suo lavoro.
- Ne stai facendo montagne intere di struffoli?  - le chiese compiaciuto indicando gli enormi piatti colmi di quel tipico e semplicissimo dolce che adorava, fatto di  piccole palline di pasta imbevute nel miele e decorate con canditi e confettini colorati.
La  madre non gli rispose, occupata com’era a sorvegliare la cameriera.
- Enzina,  così li fai bruciare tutti! Devi toglierli appena salgono a galla – le stava dicendo.
-  No, signo’ stavo pensando che s’adda i’ a accattà o’ carbon.
La padrona aprì lo sportellino di ferro e controllò la fiamma che bruciava nel focolare di pietra.
- Ce ne sta ancora. Vabbè, ho capito, ti sei stufata di friggere e vuoi andare a prendere un poco d’aria. Fatti dare i soldi da Alfredo e vallo a comprare da don Luigino il carbonaio. Qui finisco io.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte, si strappò il grembiulino di dosso e si ravvivò con le mani i capelli.
- Non metterci tre ore! – la esortò la padrona mentre l’altra usciva quasi di corsa dalla stanza dopodiché si mise lei stessa davanti ai fornelli a sorvegliare con perizia il pentolone con la frittura.
- Sei allegro oggi, che ti è successo? -  chiese al figlio.
- Sono sempre allegro io, mica solo oggi.         
Carmela sorrise. Sapeva che da un po’ di tempo era vero e sapeva anche a chi attribuirne il merito.
- Angela come sta?- gli domandò.
Fabrizio le fece un cenno della testa per dirle che la moglie stava benissimo, ma non le rispose perché aveva la bocca piena degli struffoli che  aveva cominciato ad arraffare dal piatto.
- E no, giù le zampe! – lo rimproverò lei con un buffetto sulla mano.
- E dammene un po’, ne hai fatti tanti da farci mangiare un intero esercito!
L’anziana signora, con un sospiro di rassegnazione, gliene preparò un bel piattino. Mentre lo osservava mangiare golosamente, gli spiegò:
- Domani sera verranno anche Luisa e Giovanna con i rispettivi mariti e  i figli. Naturalmente ci sarà anche Giulia con noi. Visto che sono tutti degli ingordi come te, ho addirittura paura di non averne fatti abbastanza. Ma dimmi, verrete anche voi domani? Mi farebbe  piacere avere quasi tutti i figli con me la Vigilia di Natale.
- Certamente, verremo. E chi ci rinuncia a questa delizia! – le rispose Fabrizio. Intanto  leccava il miele sul cucchiaino come se avesse avuto ancora  tre anni.
- Pensavo che voleste andare a festeggiare alle tavole nobili… - lo prese in giro Carmela. 
Lui le rispose con una smorfia che la fece ridere.
- Per carità, non sai quanto mi stanno sullo stomaco quelli e poi, adesso che Dora è agli sgoccioli della gravidanza,  sono diventati quasi insopportabili con tutte le loro smancerie. Quando siamo stati a pranzo da loro il giorno dell’Immacolata, ad ogni movimento che il bambino faceva nella sua pancia, era tutto un coro di lamenti e di moine.
La madre scosse la testa con disapprovazione, immaginandosi la scena.
- Io ne ho avuti sette di figli e anche le tue sorelle ne fanno continuamente, ma nessuna di noi ha mai fatto tante smorfie come la contessina Dora – commentò.
- Non è questione di essere contesse o meno, sono certo che neanche Angela le farà, lei non è abituata a vezzeggiarsi. A proposito le ho preso un regalino e vorrei mostrartelo per sapere se ho scelto bene.
Carmela andò a lavarsi le mani e si sedette accanto a lui che  le porse il piccolo astuccio della gioielleria.
- Cosa te ne pare? – le chiese ansioso mentre la mamma osservava il cammeo.
- È di buona fattura e molto elegante, però è un po’ piccolo.
Fabrizio ci rimase male.
- Volevo regalarle un gioiello perché non ne ha, ma più di questo non potevo permettermi – commentò imbronciato.
- Non ti offendere, è bello e le piacerà di sicuro: tua moglie è una ragazza semplice. Però mi dici perché non potevi spendere di più? Non sono abbastanza i soldi che ti passa il conte?
- Quelli sono soldi di mia moglie.  Dovevo farle un regalo con il suo stesso denaro? Il professore Croce mi ha pagato per un articolo e così gliel’ho comprato. Però forse hai ragione, è troppo misero, è meglio che non glielo dia – concluse avvilito.
La madre gli sorrise.
- No, il tuo è stato un bel pensiero ed Angela terrà caro questo piccolo dono come il più prezioso dei gioielli. Comunque mi fa una rabbia pensare che quella poverina non ne debba avere.
- Glieli comprerò quando sarò ricco.
La donna sorrise ancora, tra l’ironico e il benevolo.
- Ma lo sai chi era la nonna materna di Angela? Era la marchesa Salemi di Montechiaro, una delle dame  di compagnia di Maria Sofia di Borbone. Credi che frequentasse la corte dei re di Napoli senza neanche un  gioiello da sfoggiare? – gli chiese.
- Cosa vuoi dire, spiegati meglio.
- La madre di tua moglie era figlia unica e tutti i gioielli di famiglia dovevano essere per forza passati a lei. Si vede che dopo la sua morte e quella del vecchio padre, qualcuno deve averli fatti sapientemente sparire. Senza contare poi  che il papà di Angela, il fratello del conte Alfonso, doveva averne avuti anche lui in eredità dai genitori. Guarda caso, non si sono trovati più neanche quelli.
- Era solo una bambina, mamma,  dove se li portava, in collegio?
- No, certo. Però adesso è adulta e anche maritata. Mi dici perché non sono venuti fuori e quella povera ragazza che chissà quanto possedeva,  deve accontentarsi di un misero cammeuccio?
- Insomma, era meglio che non te lo facevo vedere! Come te lo devo dire, a me non importa niente dei loro soldi. Non vedo l’ora di guadagnare abbastanza per gettare in faccia a quei nobilastri dei miei stivali anche la miseria che mi passano ogni mese.
- Va bene essere onesti, ma questo è troppo. Lo vuoi capire o no che quelli con cui i conti del Cassano fanno la bella vita sono i soldi di tua moglie?
- Te l’ho detto, non me ne importa niente. Ho dato ad Alfonso  la mia parola d’onore che gliene avrei lasciato l’amministrazione e ciò che ne fa riguarda solo la sua coscienza.
- Credimi, figliolo, io ti apprezzo. È giusto non approfittare della ricchezza di tua moglie, ma così facendo gli consentirai di sottrarla ai vostri figli. Forse la stessa Angela preferirebbe usarla per la sua famiglia piuttosto che per far campare lo zio nel lusso più sfrenato.
 - Angela non ne sa niente di queste cose, lo sai.
- Allora devi essere tu a fargliele capire. Deve farsi dare conto dallo zio dei suoi beni, prima che li faccia sparire tutti come ha fatto con i gioielli.
- Non lo so, vedremo più in là – disse il giovanotto un po’ perplesso. Infine, con un’aria desolata che la fece ridere,  le chiese - Che faccio allora, glielo do questo cammeo  oppure  è troppo brutto?
 
Mentre tornava a casa rifletteva sul colloquio avuto con la madre. Doveva convenire che aveva ragione. Prima o poi avrebbe dovuto avvisare la moglie del continuo furto commesso ai suoi danni dallo zio, ma non gli andava di farlo prima di poterla guardare dritto negli occhi, ormai affrancato dalla dipendenza economica che lo costringeva ogni mese a passare per la banca a ritirare quanto serviva loro per vivere. Pensava anche lui che il patrimonio di sua moglie spettasse di diritto ai figli di lei, ma poiché sarebbero stati anche i suoi figli,  era contento di aver preso la decisione di evitare di averne, almeno fino a quando non fosse stato comunque in grado di mantenerli. Forse avrebbe dovuto parlarne con Angela, ma lei non aveva fatto domande anche se era impossibile che non si fosse accorta del suo comportamento nell’intimità. Forse era felice così e non chiedeva di più. Al pensiero della sua giovane sposa si sentì invadere il cuore dalla gioia. Sapeva già che arrivato a casa gli sarebbe corsa incontro, preceduta dal gattino, il piccolo Rosso diventato il suo compagno inseparabile, e gli si sarebbe buttata tra le braccia, riscaldandogli il viso gelato con i  baci. Dopo avrebbero cenato con le pietanze preparate con le sue stesse mani perché si era ostinata a voler cucinare per lui. A volte erano davvero immangiabili, ma c’era tanto amore in quelle cose che fingeva sempre fossero buonissime per non farla scoraggiare. La sera l’avrebbero trascorsa in salotto con Angela seduta al piano a suonargli qualche pezzo, oppure sul divano, accanto al camino. Gli si sarebbe accoccolata tra le braccia, ascoltando assorta le cose che le leggeva, fossero  poesie o romanzi o quanto aveva scritto quel giorno lui stesso.  Solo più tardi se ne sarebbero andati a dormire, vinti dal sonno. Ma più probabilmente sarebbe stata la passione a costringerli a ritirarsi e ancora una volta avrebbe ritrovato in quella sposa dolcissima l’amante meravigliosa che alla fine abbandonava i suoi pudori per piegarsi con ardore al desiderio.
A questi pensieri, Fabrizio sorrise tra sé e si affrettò a ritirarsi a casa. Quello sarebbe stato il più bel Natale della sua vita.
 
Tra Natale e Capodanno Dora partorì, dando alla luce un bellissimo maschietto. In famiglia furono tutti felicissimi e più di tutti il cavaliere Pepe che non stava più nella pelle per aver avuto il sospirato erede. Anche Angela era felice e non vedeva l’ora di andare a trovare la cugina e il suo piccolino. L’accompagnò la suocera e furono ricevute dalla puerpera ancora a letto, circondata da un mare di cuscini e da uno stuolo di familiari adoranti. Carmela se ne meravigliò perché la levatrice, che lei stessa aveva  consigliato perché era una persona competente e pulita, le aveva riferito che il parto era stato facilissimo e la giovane stava bene. Invece, per tutta la durata della loro visita, Dora non fece altro che lamentarsi delle atroci sofferenze subite e più faceva così e  più la madre, il padre e il marito non smettevano di  compiangerla e pregarla di  riprendersi per il bene di quel frugoletto bianco e rosa che aveva bisogno delle cure della sua mamma.
Mentre tornavano a casa in carrozza, Angela se ne stava zitta e pensierosa. In realtà era un po’ spaventata dal racconto drammatico fatto da Dora e dalle sue condizioni pietose. Si stava chiedendo se sarebbe stata capace di sopportare tante sofferenze per dare alla luce un figlio. Nell’osservarla, Carmela ne intuì i pensieri e commentò:
- Come la fa pesante Dora! Ammetto che partorire non è una cosa da niente, però ho visto le mie sei figlie farlo tante di quelle volte e nessuna mai si è lamentata tanto.
- Davvero? – le chiese la ragazza un po’ incoraggiata.
- Certo. E poi anch’io ne ho fatti ben sette di figli e ti assicuro che mettere al mondo tuo marito, grande e grosso com’era sin da quando è nato,  non è stato uno scherzetto. Però sono solo poche ore, poi passa tutto quando stringi il tuo bambino.       
Angela fece un risolino divertito al pensiero del suo Fabrizio appena nato. Doveva essere stato bellissimo anche allora e lei avrebbe voluto avere un bimbo identico. Ma aveva tanti timori. Finì per confidarsi con la buona Carmela che le dava sempre più fiducia.
- A me fa tanta paura – le sussurrò ad occhi bassi -  Anche la Bibbia lo dice: “Tu donna partorirai con gran dolore”. Ho sempre pensato che deve essere una cosa terribile.
La suocera sorrise, benevola.
- Guardati intorno, figlia mia. La vedi tutta questa gente? Osserva quanta ce n’è e pensa  a quanta ancora ne circola sulla terra. Sono nati tutti così, nessuno escluso. Ebbene, ti sembra mai che se fosse una cosa tanto terribile le donne avrebbero continuato a fare figli?  Se lo fanno,  si vede  che non si prova poi un dolore tanto grande e che vale la pena di affrontarlo per la gioia di diventare madre. Devi ritenerti fortunata di essere donna, credimi.
Un po’ rassicurata, Angela ricambiò il  sorriso.
- Sì, deve essere proprio come dite voi, ma anche se non lo fosse, io sarei disposta ad accettare anche le più atroci sofferenze, non fosse altro che per Fabrizio. Sapeste quanto sto pregando la Madonna affinché mi mandi presto un figlio!
- Per Fabrizio? – le chiese la suocera un poco perplessa – Non mi sembra che si sia mai lamentato perché non arrivano ancora figlioli. Oppure l’ha fatto con te e a me non ha detto nulla?
- No, no, infatti, lui non ne parla mai … solo che …
S’interruppe. Trovava sempre oltremodo difficile confidare i pensieri più intimi persino alle persone a cui voleva bene. Scostò la tendina del finestrino della carrozza  gettando un’occhiata distratta alla strada dove i passanti infreddoliti si stringevano nei cappotti riparandosi dal vento di tramontana. Quando si avvide che Carmela la osservava dubbiosa in attesa che finisse la frase, le sembrò scortese non continuare. Abbassò gli occhi a guardarsi le mani e aggiunse:
- A volte mi chiedo come ha fatto un uomo come lui a scegliere proprio me. Siamo così diversi come carattere, educazione, mentalità…
- Anche se per il passato ha condotto una vita da scapestrato ora è cambiato. Ti vuole molto bene, Angela, stanne pur sicura – la rassicurò l’anziana signora.
- Lo so, ma volere bene non è amare. Per questo penso che solo un figlio potrebbe legarci davvero, farci diventare una famiglia. E poi io ho sempre desiderato averne una. È stato triste crescere così, senza la guida di un padre, senza l’affetto di sorelle o fratelli, senza l’amore di una madre … Ne sono certa, quando il Signore mi farà la grazia di mandarci dei figli sarà tutto perfetto, anche perché insieme a un marito che adoro ho trovato anche un padre, delle sorelle e soprattutto una mamma  che mi ascolta e mi rassicura. Non è così?
Parlando la guardava sorridendo, un poco rossa in volto per la timidezza. Carmela, le strinse la manina guantata tra le sue e pensò che suo figlio aveva ragione ad essersi innamorato di lei perché davvero era dolcissima e buona.
 
Già a metà gennaio fu organizzato un battesimo in grande stile. Anche i Serra furono invitati e si recarono tutt’insieme alla festa nella lussuosa casa dei conti del Cassano in via dei Mille. Dora era tornata in splendida forma e anche se aveva ancora la linea un po’ appesantita, era sempre molto bella. Appariva elegantissima in un abito azzurro molto lussuoso. Fabrizio ne osservò con ammirazione la bellezza solare e gli venne spontaneo confrontarla ancora una volta alla moglie. Ora che aveva imparato ad apprezzare quest’ultima però, non trovava più che  sfigurasse tanto nei confronti della cugina  così come non si può paragonare lo splendore del giorno all’incanto della notte. Certo  quella  di Angela non era una grande bellezza, ma il mistero degli occhi neri, la delicatezza della pelle ambrata o la scura lucentezza dei capelli si completavano  magnificamente con l’intelligenza e la dolcezza rendendola assai amabile. 
La giovane mamma girava tra gli ospiti con in braccio il neonato, vestito di una preziosa veste battesimale. Si soffermava qui e lì a mostrare orgogliosa  il figlio e l’anello ricevuto in dono dal marito. Era un diamante di notevole valore, grosso quasi come un cece, perché il Cavaliere Pepe, a cui gli affari andavano proprio bene, non aveva voluto sfigurare con la sua nobile consorte regalandole qualcosa non all’altezza di lei e dello splendido maschietto che gli aveva dato.
Angela, seduta su una poltroncina mentre  Fabrizio stava  in piedi alle sue spalle, attendeva con impazienza di vedere bene il nipotino e così chiamò la neo mamma che le   si avvicinò, tutta contenta e briosa.
- Oh finalmente! Lo mostri anche a me il tuo tesoro? – le disse.
Per tutta risposta, Dora le porse la mano su cui spiccava il prezioso gioiello e le chiese:
- Non è bellissimo?            
La cugina non commentò, anzi, la guardò con un’espressione strana che sembrava proprio quella di un’ebete. Infastidita, si affrettò a passare oltre ad altre persone meno stupide o forse meno invidiose.
Angela se ne accorse. Si girò a guardare  il marito alle sue spalle e gli disse con una faccia desolata:
- Ma io stavo parlando del bambino, non dell’anello!
Fabrizio s’intenerì pensando a quanto quella ragazza fosse  al di sopra delle assurde vanità che invece attiravano tanto le sue coetanee che spendevano ogni energia ad occuparsi solo di moda, di gioielli o di svaghi. Angela invece apprezzava le cose davvero importanti anche se sapeva essere allegra e giocosa come una bambina e mai noiosa. E poi era pulita, pulita e vera. Con enorme tenerezza le accarezzò una guancia, e le sussurrò:
- Lo so, cara, lo so.
Non lo disse abbastanza piano e  Ferdinando Serra,  seduto poco distante, vide e udì. L’anziano signore si sentì salire agli occhi lacrime di commozione. Giulia e Carmela gli avevano più volte detto che Fabrizio era cambiato e  si era davvero innamorato della giovane sposa, ma non ci aveva mai creduto. Pensava che il figlio mentisse, magari  solo perché si trovava bene in una situazione di comodo così poco dignitosa per un giovane onorato. Però quella sera, la scena a cui aveva assistito non visto, lo aveva colmato di gioia.  Appena la nuora rimase sola un attimo, approfittò per  avvicinarsi a lei. Voleva parlarle, sapere. Non aveva mai osato farlo prima per paura di trovarla infelice. Non lo avrebbe sopportato sapendo bene di essere stato lui stesso una delle cause principali della sua infelicità.
Invece Angela  gli sorrise contenta e avvicinò una poltroncina alla sua facendo cenno al suocero di sedersi accanto a lei. Ne aveva un poco di soggezione, ma la vinse perché doveva dirgli una cosa importante.
- È un segreto e non dovrei dirvelo – gli mormorò rossa in volto e parlando sottovoce per non farsi udire da nessuno – però lo so che ci tenete molto e mi pare giusto confidarvelo. Fabrizio ha incontrato qualche giorno fa il suo professore dell’Università, Fulvio Corona. Si è informato di voi. Ha detto che siete uno degli avvocati più bravi e onesti di Napoli e gli ha fatto i suoi complimenti.
- Grazie, figliola. Mi fa piacere sapere una cosa del genere. Detta da quel valente giurista poi, è davvero lusinghiera.
- Ma non è tutto. Ha detto anche che ha letto gli articoli pubblicati da Fabrizio su “La critica” e li ha trovati benfatti. Poi lo ha rimproverato perché un giovane brillante ed intelligente come lui ha lasciato gli studi quando gli mancava pochissimo a finirli. Ha aggiunto pure che se intendesse rifarsi del tempo perduto, sarebbe disposto ad aiutarlo a prendere la laurea al massimo in due o tre mesi.
- E cosa ha detto Fabrizio?
- Ne abbiamo parlato per  quasi una settimana. Vostro figlio non vuole fare l’avvocato, vorrebbe continuare con il giornalismo e dice che per farlo non è necessario essere laureati, anche Croce non lo è ed è lo stesso una personalità. Io però  ho cercato di convincerlo a laurearsi. In fondo dopo può sempre scegliere la strada che più gli aggrada senza però vanificare gli sforzi di tanti anni di studio. Gli manca così poco oramai!
- Potresti riuscire a convincerlo?
- Ci sono già riuscita – gli rispose raggiante - Proprio stamattina è andato da Corona a prendere dei libri e mi ha assicurato che da domani si chiuderà in casa a studiare. Vedrete, per quest’estate riuscirà a prendere la laurea – concluse la ragazza  posandogli la mano sulla coscia del suocero  con un gesto di complicità.
Ferdinando le prese la manina tra le sue e cominciò a baciargliela,  con gratitudine.
- Oddio, che fate? – protestò lei arrossendo e cercando di ritrarla.
- Lasciami fare, figlia mia. Tu non saprai mai quanto ti sono grato. Tu hai salvato mio figlio e io ti ringrazio con tutto il cuore. Come se fossi il tuo stesso padre, invoco su di te tutte le benedizioni di nostro Signore. 
- Grazie, ma sono io a dovervi ringraziare. L’ho detto anche a vostra moglie: voi siete quella famiglia che non ho mai avuto e che mi mancava tanto.     
Angela si era lasciata trasportare dalla commozione. Aveva parlato fin troppo per la sua natura, ma sentì la sua mano, sempre un po’ fredda, riscaldarsi tra quelle grandi e calde dell’anziano gentiluomo così come le sue parole affettuose le  avevano riscaldato l’anima poco prima.


 
NdA
Anche se può non sembrarlo, pure questo capitolo è importante nella dinamica della mia storia almeno per chiarire che Fabrizio non è mai stato un cacciatore di dote e alla sua Angela ha imparato a volere davvero bene perché ne ha colto i lati più positivi.  Ed anche i Serra le vogliono bene cosa che rende la ragazza per la prima volta in vita sua veramente felice. Tutto bene quindi? Almeno per il momento sì ma… Non posso anticiparvi nulla altrimenti smettete di leggere ed io come faccio? Quindi passo al consueto angolino delle foto.
Prima però voglio dirvi, per quanto riguarda l’aspetto di Dora del Cassano, che io l’ho vista un po’ sul tipo di Valeria Marini, ma mi farebbe piacere sapere come la vedete voi.


Questa è piazza Amedeo, dove ho immaginato che abitassero i Serra



Questa invece è la Riviera di Chiaia dove c'è la casa di Angela e Fabrizio


Ed infine via dei Mille, dove ho immaginato fosse la nobile maggione dei del Cassano.
Chi conosce Napoli forse sa che sono tutte strade limitrofe nella parte più bella della mia città. Chissà se qualcuna di voi, se un domani si troverà a passarci, non si ricordi di me e dei miei personaggi.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***



 
Quando negli anni della vecchiaia Fabrizio voleva dimostrare ai nipotini che la ferma volontà è il mezzo principale per ottenere un risultato, portava sempre ad esempio quel lontano 1908 durante il quale, in pochi mesi, era riuscito a recuperare tanti anni di studio perduti. Ad onor del vero diceva pure che se non fosse stato per la donna che aveva avuto accanto, forse non ci sarebbe riuscito.
La presenza dolce e discreta di Angela infatti gli fu di grande aiuto nel gravoso impegno che si era assunto. Se fosse stata un altro tipo di donna, più frivola o mondana, non avrebbe accettato la vita da reclusa a cui la costringeva. Invece lei era felice anche così. Desiderava solo stargli accanto a guardarlo studiare o scrivere, accontentandosi del sorriso che ogni tanto le rivolgeva o di quando, in qualche breve pausa, l’attirava a sé cercando conforto alla stanchezza nel suo abbraccio affettuoso. 
Qualche volta la portava al salotto del professor Croce, ma lei, benché per cultura e preparazione fosse certamente all’altezza, si sentiva un po’ intimidita dalla presenza di tutte quelle persone importanti che pure l’avevano accolta con benevolenza.
Quello che ad Angela piaceva fare,  e Fabrizio ormai lo aveva capito da tempo, era andarsene in giro insieme a lui per chiese e musei, ad ammirare le opere d’arte e ad  incantarsi ai suoi racconti, a volte veri, a volte inventati, sulle persone vissute in quegli antichi luoghi. D’altra parte la ragazza non aveva visto mai niente del mondo e tutto le appariva meraviglioso, anche le cose che agli occhi degli altri parevano insignificanti o scontate e ci metteva lo stesso entusiasmo con cui le altre donne della sua età trascorrevano ore intere dalla sarta o dalla modista.
Al marito non dispiaceva neanche più la sua semplicità nel vestire o la sua bellezza così poco appariscente. Naturalmente  continuava ad apprezzare le belle donne eleganti, ma si diceva che la moglie era per lo meno una spanna al disopra di tutte loro in quanto a grazia e a intelligenza. Oramai aveva del tutto abbandonato la vita da scapestrato e solo l’incontro con qualche vecchio amico di bagordi gli ricordava un periodo che oramai si era lasciato alle spalle, così come aveva fatto un tempo con i giochi infantili.
Una domenica mattina però, mentre insieme ad Angela si godeva il primo sole di marzo nei giardini sul Capo di Posillipo, dando uno sguardo al giornale, rimase colpito dolorosamente da una notizia di cronaca: Filippo si era battuto di nuovo in duello, questa volta con il Marchese di Serramanica, ma il risultato era stato drammatico perché quest’ultimo era deceduto, mentre lui era restato ferito in modo grave.
Ancora una volta quello stupido si era fatto trascinare in una cosa tanto assurda per amore del bel gesto e per il fascino delle sfide alla sciabola o alla pistola, dimenticandosi che i duelli erano stati messi fuorilegge dal nuovo codice penale e il  Re in persona era diventato presidente della lega antiduellistica. Quando tali irragionevoli dispute si svolgevano più per forma che per altro, veniva messo tutto a tacere, se invece, come nel caso specifico, le conseguenze erano tanto serie, si finiva davvero nei guai. Infatti l’articolo concludeva dicendo che “il Toscano è stato ricoverato all’ospedale dei Pellegrini per le ferite riportate ed è piantonato in attesa che le sue condizioni migliorino per poter essere tradotto in carcere”.
Nonostante Filippo si fosse comportato molto male con lui, Fabrizio non riusciva a staccarsene con il pensiero. Gli aveva voluto bene e saperlo ferito, solo e con il rischio di finire in galera era una cosa che lo amareggiava molto. Ne parlò al padre, chiedendogli di fargli concedere un permesso dal suo amico Prefetto per poterlo andare a visitare. In un primo momento Ferdinando si rifiutò di fargli incontrare quello scapestrato, ma poi decise che il figlio aveva dimostrato di meritare fiducia e lo accontentò.
Nella grande camerata d’ospedale, Fabrizio non ebbe difficoltà a capire quale fosse il letto dell’amico perché accanto c’era seduto un gendarme che si alzò non appena lo vide avvicinarsi, lesse il permesso, poi, dopo aver salutato militarmente, si scostò e lo fece passare. Dietro a un paravento bianco c’era il malato.  Il giovane stentò  a riconoscere Filippo: pallido come un morto, il viso incavato, il torace fasciato. Si vedeva che soffriva moltissimo. Però aveva conoscenza perché lo riconobbe e gli disse con un filo di voce:
- Sei venuto, alla fine!
- Certo, potevo mai mancare, vecchio pazzo sconsiderato che non sei altro? La vuoi smettere o no con questa follia dei duelli? Ma chi ti credi di essere, D’Artagnan?
L’altro sorrise debolmente.
- Non pensavo che il marchese facesse sul serio, credevo fosse come le altre volte – gli raccontò – E sua sorella non mi piaceva neanche molto, figurati un po’.
Fabrizio provò a ridere, ma non era affatto divertito. Cercò di consolare l’amico.
- Comunque non ti preoccupare. Parlerò con mio padre e gli chiederò di difenderti al processo. È molto bravo, sai, se ti difenderà lui te la caverai con poco. Adesso devi solo pensare a guarire.
Si aspettava che Filippo si mostrasse sollevato per la sua offerta di aiuto, ma gli vide fare una smorfia strana.
- Cavarmela con poco dici? Forse sì, forse sarà così, ma ormai sono diventato comunque un assassino. Sai quale sarà la mia eterna punizione? Rivedere per tutta la vita l’espressione di Giovan Battista quando ha ricevuto il mio colpo mortale e  cercava di fermare con le mani il fiotto di sangue che gli sgorgava dalla gola. C’era sgomento nel suo sguardo e un grande spavento. Forse in un istante ha rivisto tutta la sua vita, ha rivissuto tutte le speranze, i sogni, le emozioni che l’avevano accompagnato da quando aveva avuto uso di ragione. Oramai non c’era più ritorno e si sarà chiesto se fosse valsa la pena di buttare via tutto per qualche  frase e un assurdo senso dell’onore. Nello sgomento dei suoi occhi ho letto la sua conclusione: no, non ne valeva la pena. E quel che è peggio, è che l’ho concluso anch’io.
- Meno male, era ora,  così adesso potrai mettere la testa a posto.
Un sorriso triste si diffuse sul viso sofferente del ferito che disse quasi in un mormorio:
- No, amico mio, è troppo tardi, la mia vita oramai l’ho sprecata.
- E dài, non vorrai metterti anche tu a fare il vecchio bacchettone moralista, lo sai quanto detesto certe persone. Ognuno è quello che è e tu sei sempre stato un grande, con tutti i tuoi difetti.
- Ah sì? – gli disse Filippo, grato di quelle parole sincere,  ma non rinunciando a provocarlo  – Allora lo ero anche quando facevo la corte ad Angela?
Fabrizio sorrise e rispose con un tono divertito:
- No, allora ti avrei ammazzato con le mie mani e senza bisogno di nessun duello.
- Te ne sei innamorato, non è così?
- Sì, le voglio molto bene.
- E non è frigida, avevo ragione?
- No, non lo è, avevi ragione.
- Cerca di tenertela cara, allora,  e non lo dico solo perché mi sento vicino alla fine e mi pento dei miei peccati come un qualsiasi borghesuccio benpensante. Non mi rammarico di aver fatto la vita che ho fatto, ma mi chiedo: se avessi avuto l’amore sincero di una donna come Angela mi sarei lo stesso sentito sempre tanto  solo?
- Smettila, per favore. Ora stai male e ti sembra tutto nero. Pensa a guarire e vedrai come ti tornerà anche la voglia di vivere, vecchio marpione.
- Bene, – scherzò il malato – credo che seguirò il tuo consiglio e cercherò di guarire. Angela mi piace ancora e vorrei fare di tutto per strapparla a un piccolo babbeo come te.
 
Non ce la fece,  solo una settimana dopo morì. Quella notte, nel loro letto, Fabrizio lo comunicò alla moglie con la voce rotta dal pianto. Lei lo strinse forte al petto e gli carezzò con dolcezza i capelli, senza dir nulla. Il giovane ne avvertì il battito regolare del cuore e la morbidezza del seno e, nonostante riuscisse a stento a trattenere le lacrime,  sentì il dolore farsi meno cocente.
 
Purtroppo quella felicità  così inaspettatamente trovata dai due giovani  era destinata a durare poco per le interferenze del mondo esterno che non poteva sopportare un’unione così bizzarra. 
Angela aveva preso a frequentare con assiduità la Parrocchia dell’Immacolata, buttandosi anima e corpo nelle opere di bene e trascorrendo parecchio tempo tra quelle sacre mura. Tutto era andato bene fino a quando non era arrivato un nuovo parroco, un certo don Cesare, un giovane pieno di fervore, consapevole di quanto il mondo nuovo che si stava affacciando in quegli anni fosse pieno di insidie e di pericoli per le pecorelle di cui doveva essere il pastore. Fu subito interessato alla giovane contessa la cui purezza e semplicità gli apparvero subito al di sopra della media. Riuscì a spiegarselo quando venne a sapere che era rimasta in convento fino a diciotto anni  e per poco non si era fatta suora. Provò grande meraviglia quando la  seppe sposata  con Fabrizio Serra. Padre Cesare era infatti un uomo di chiesa a cui piaceva tenersi informato per essere pronto a individuare subito i temuti pericoli. Aveva letto parecchie cose pubblicate dal giovane, non ultimo un suo articolo su una rivista che si occupava di politica nel quale parlava della corrente “modernista” in termini positivi e,  pur senza abbracciarne in pieno le tesi, sosteneva la necessità di conciliare le nuove esigenze spirituali e politiche con l’essere cristiani e cattolici.
Da buon sacerdote non poteva ignorare che solo l’anno prima il Santo Padre Pio X aveva condannato nella sua enciclica le tesi avventate del pensiero modernista e si chiedeva in quali mani potesse essere finita la povera Angela avendo per marito una testa matta, liberale e sovversiva dell’ordine costituito. Più e più volte le domandò di fargli conoscere Fabrizio per potergli parlare e rendersi conto di chi fosse in realtà, ma il giovane, pur commosso dalle preghiere della moglie, non ne volle sapere. Si giustificò ricordandole il loro patto di seguire ognuno le proprie convinzioni religiose senza interferenze reciproche. Angela ci rimase un po’ male, ma rispettò il loro accordo. Si limitò a riferire al parroco che il marito era assai impegnato e non poteva incontrarlo.
Ciò bastò per convincere don Cesare di avere a che fare con un ateo pervertito e cominciò, se pure a fin di bene, a scavare nella vita intima della giovane coppia per cercare il seme della perdizione e dell’inganno.
Più volte, uscita dalla confessione, la donna si sentì turbata. Non le pareva di commettere niente di male, ma non doveva essere così, perché il suo padre spirituale la metteva in guardia mostrandole quanto fosse facile imboccare la via del vizio e della lussuria anche nei rapporti coniugali. Se ne sentiva molto confusa perché non riusciva a provare  alcun pentimento, anzi, il suo giovane sposo l’affascinava  sempre di più e con il consolidarsi  dell’intesa fisica, sentiva crescere anche la solidità della loro unione spirituale.
Cercò di non pensarci, scendendo un po’ a compromessi con la sua coscienza e dicendosi che doveva essere una cosa abbastanza diffusa in quanto il sacerdote la rimproverava e a volte la minacciava pure di non darle l’assoluzione, ma alla fine lo faceva sempre. Avrebbe voluto parlarne con Fabrizio, però sapeva quanto poco già sopportasse i preti così evitava di farlo.
Aveva pensato anche di parlarne con  Dora che aveva preso a frequentare con assiduità perché le piaceva molto stare con il piccolo Gianluca, ma certi argomenti intimi erano sempre ostici per lei. Poi, un giorno  d’aprile, la giovane mamma le confidò di essere di nuovo in dolce attesa. Nel notare l’espressione incerta di Angela alla notizia, si affrettò ad aggiungere con un po’ cattiveria:
- Senti, tra te e tuo marito sotto questo aspetto le cose funzionano?
- Sì – le rispose la cugina, non senza arrossire.
- Beh, allora dovresti farti visitare. Sei sposata da otto mesi e ancora non sei rimasta incinta, mentre io, che mi sono maritata solo sei mesi prima di te, ho già fatto un figlio e ne aspetto anche un altro. Non voglio spaventarti, ma potrebbe esserci qualcosa che non va. Se vuoi ti porto dal mio medico. Ti assicuro, è bravissimo e molto delicato.
Poteva sembrare un affettuoso consiglio, ma ad Angela non sfuggì il tono maligno della voce. La voglia  di confidarsi con Dora le passò del tutto e le rispose soltanto:
- Ti ringrazio, non è il caso. Semmai ne parlerò con mia suocera.
L’altra, che non sopportava la sua, fece una smorfia di disgusto.
- Sì, le suocere! – commentò ironica - Quelle sono buone solo ad umiliarti, figuriamoci se non riesci nemmeno a dare un erede ai loro beneamati figlioli.
- Non è il mio caso, te lo assicuro, la mia è sempre molto  brava e disponibile con me.
Dicendo solo la verità, Angela non si privò di prendersi una piccola soddisfazione su quell’antipatica della cugina che a volte si comportava con la sensibilità di un elefante.
 
Però il tarlo oramai non la lasciava più e una sera, dopo essere stata con Fabrizio e averne notato ancora una volta il comportamento, decise di affrontare l’argomento. Restando tra le sue braccia mentre lui le carezzava la treccia con molta tenerezza, pensò che fosse il momento giusto. Non ebbe il coraggio di parlargli con chiarezza e cercò di prendere la cosa un poco alla lontana. La sera stessa, a cena, gli aveva rivelato della nuova gravidanza di Dora e così decise di ripartire di là.
- Sai – gli disse – pensavo che dovrei farmi visitare.
- Perché cos’ hai,  non ti senti bene?    
- No, sto benissimo. Però non riesco a rimanere incinta. Anche Dora mi ha consigliato di farmi vedere da un medico.
Lui rise divertito.
- Non ce n’è alcun bisogno, te l’assicuro. Per fortuna - aggiunse -  si vede che sono bravo a starci attento.
La ragazza lo scostò in modo brusco. Prese la camicia da notte scivolata ai piedi del letto e si affrettò a rivestirsi, come se non sopportasse un istante in più di restare nuda davanti a lui. A quella reazione l’uomo osservò:
- Angela, perché fai così? Non mi dire che non te ne eri accorta in tutto questo tempo, oramai non sei più tanto ingenua.
- Lo sospettavo  infatti, ma non riuscivo a crederci. Come hai potuto farmi questo?! – gli urlò, sull’orlo delle lacrime.
Intenerito, lui l’afferrò per una spalla, cercando di riprenderla tra le braccia.
- Dai, amore, non fare così, parliamone.
Lei si divincolò, ancora irritata.
- Avresti dovuto parlarmene prima.
- Lo so, è vero, però, visto che non mi dicevi niente, avevo  pensato che anche tu fossi d’accordo ad aspettare un po’ prima di fare un figlio.
- Davvero? E chi te l’ha detto? Non lo sai che è sempre stato il mio più grande desiderio?
- Sì, sì, lo sapevo e c’è stato un periodo in cui ho pensato che fosse l’unica possibilità per renderti felice. Dopo mi sono illuso che lo eri lo stesso perché ti bastava il mio amore, almeno per il momento.
Un po’ rabbonita lei si girò a guardarlo e Fabrizio ne approfittò per tirarsela contro il petto.
- Ma perché? – gli chiese – perché non vuoi?
Lui le carezzò il viso e  le disse:
- Te lo sei mai chiesta di cosa  viviamo noi due?
 Angela lo guardò stupita.
- Zio Alfonso … la mia dote … Forse non è abbastanza?  – balbettò un po’ dubbiosa.
- Non è questo. È che adesso ce la sto mettendo davvero tutta per farcela e vorrei essere in grado di mantenerli io i nostri figli, senza dover contare sulla tua dote. Lo so, potrà sembrarti stupido e forse lo è per davvero, ma mi seccherebbe dover chiedere a tuo zio altri soldi per poter crescere un bambino come si deve. Vorrei essere autosufficiente e poter guardare te e lui senza dovermi dire che non sono io a pensare a voi.
La moglie lo guardò corrugando la fronte.
- Che sciocchezza! Come puoi avere simili scrupoli?
- Te l’ho detto, forse sono eccessivi, ma ce li ho, non posso farci nulla. D’altronde ti chiedo solo di pazientare un poco. Ne avremo di bambini, vedrai, ne avremo tanti, tu non sai quanto li desideri anch’io. Ti voglio così bene e diventare padre sarà bellissimo come ho sempre immaginato che debba essere.
Rabbonita, Angela gli si strinse contro e lui la baciò, felice di aver superato uno scoglio tanto  insidioso.
 
Invece non avevano superato proprio un bel nulla perché una sera, in una pausa dallo studio, si andò a sedere come al solito accanto a lei che ricamava tranquilla e la sentì riprendere l’argomento.
- Sai, ho parlato a don Cesare del nostro problema dei figli.
- Non mi sembra il caso di andare a spifferare in giro le nostre cose intime  - protestò, un po’ infastidito.
- Fabrizio, non fare lo stupido, gliene ho parlato in confessione, naturalmente. Mi ha detto che i figli si devono desiderare in due e che non è giusto forzarti.
- Ti ha detto questo? Se ha avuto tanta sensibilità si vede che dovrò rivedere le mie opinioni su  di lui.           
- Sicuro, dovresti farlo. Mi ha detto anche che è lecito per una coppia non mettere al mondo dei figli per un certo periodo.
- Davvero? – le chiese, stupito da tanta liberalità, ma si dovette ricredere subito.
- Certo. Basta osservare la castità e riprendere i rapporti quando si è deciso di lasciare alla natura di fare il suo corso.
Il giovane proruppe in una risata divertita, ma quell’ilarità fece irritare la moglie.
- La smetti di fare l’ateo blasfemo, per favore?
- Angela, starai scherzando, spero. Non pretenderai che io rinunci a te fino a quando non avrò un lavoro.
- Faremo conto come se fossimo ancora fidanzati. Quando tu sarai indipendente economicamente  staremo di nuovo insieme e faremo dei figli, come la legge del Signore vuole.
Era ferma e decisa e lui non sapeva che pensare.
- No, non puoi dire sul serio, non ci posso credere! - provò a insistere ancora.
-Ti prego, cerca di avere un po’ più di rispetto per me.          
- Ma di quale rispetto vai parlando?  – si infuriò lui – Io ti amo e credevo che anche tu mi amassi e volessi stare con me.
- Voglio starci, certo, però tu mi stai trattando come un’amante, non come una moglie.
- Solo perché non voglio avere ancora bambini?
- No, non è solo per quello, non fingere di ignorarlo. Hai approfittato di me perché sono una povera stupida senza esperienza, ma nell’intimità mi tratti come una delle donnacce a cui sei abituato.
- Chi ti ha messo queste idee bigotte in testa, quel prete schifoso per caso? – le urlò inviperito.
Era troppo, Angela non poteva sopportare un simile affronto a tutto ciò che era stata abituata a considerare sacro e al di sopra di ogni dubbio.
- No, lo schifoso sei tu che hai portato in casa mia un libertino e una poco di buono immorale facendola passare per sua moglie. Come credi ci sia rimasta quando ho saputo chi erano? Non ti ho mai detto nulla, ma non mi sono sentita rispettata da questo tuo comportamento. Hai dimostrato quanto mi consideri scema e facilmente manipolabile.
L’uomo ci rimase male. Lui stesso non si era mai perdonato di aver esposto la sua Angela a un simile contatto ed era stata solo una fortuna che non ne fosse rimasta scottata. Adesso però era in perfetta buonafede e si sentiva offeso dalla sua mancanza di fiducia.
- Te lo giuro su quanto ho di più caro, non potrei mai mancarti di rispetto. Forse hai avuto quest’impressione perché ti desidero tanto, ma ne sono sicuro, tra di noi è tutto così bello e pulito che non provo nemmeno  il bisogno di chiedermi cosa sia lecito e cosa no.
- Io sì, invece, e ti assicuro, ora so che con una moglie ci si comporta in maniera molto diversa da come fai tu con me. Per cui ti prego, almeno fino a quando non deciderai di rendermi madre, non mi cercare più.
Fabrizio la guardò, amareggiato. Quando parlò aveva la voce molto dura.
- D’accordo. Fa’ preparare il mio letto nello studio. Dormirò lì, così non sarò indotto in tentazione. Però sappilo, sono molto deluso dal tuo modo di fare. I tuoi mi sembrano solo stupidi, inaccettabili ricatti. Comunque fai pure la virtuosa se ti piace di più, vuol dire che mi sono sbagliato quando pensavo di avere tra le braccia una donna appassionata e innamorata di me.
Sbattendo la porta, ritornò nello studio, e lasciò Angela ad asciugarsi le lacrime.
Si sentiva confusa, ma era decisa a farsi rispettare.



 
NdA
Certamente sarete tutte deluse dall’atteggiamento di Angela che ha preso una decisione così drastica proprio quando le cose tra lei e il marito parevano essersi aggiustate. Avete ragione. Però vi ricordo che questa vicenda si svolge più di cento anni fa, in un periodo in cui si aveva una concezione ben diversa del sesso, anche quello coniugale. Non mi sono inventata nulla, credetemi, anzi mi sono richiamata ad esperienze di vita vissuta (non mie, intendiamoci, non sono poi così vecchia!) che mi sono state raccontate e che mi hanno testimoniato quanto l’unica forma di contraccezione consentita almeno fino alla metà del secolo scorso fosse la castità. Naturalmente nella vita pratica poi si agiva anche in maniera ben differente, ma non mi è parso il caso di Angela, così indottrinata ad arte e pronta a ogni sacrificio per la salvezza dell’anima sua. Inoltre, anche se questa storia è a rating arancione e quindi non vi ho portato troppo nella camera da letto dei miei protagonisti, avrete intuito che Fabrizio, giovanotto appassionato e libero, non faceva come la maggior parte dei suoi contemporanei che cercavano nell’amore mercenario quelle  “variazioni sul tema” che era disdicevole chiedere alle proprie mogli, comportamento peraltro ben tollerato e giustificato da tutti. Con queste premesse, visto che una situazione del genere era proprio utile allo svolgimento della mia trama pur rimanendo veritiera e perfettamente aderente al background dei miei personaggi, non ho esitato ad usarla. D’altronde sempre di un romanzo storico si tratta per cui, pur se la trama è di fantasia, il contesto in cui si svolge è assolutamente reale ed anche se può risultare anacronistico, almeno potrà indurre a qualche riflessione sulla fortuna che abbiamo avuto ad esserci liberati da tanti falsi moralismi e tante ipocrisie.
Giuro che non vi annoierò più con note così lunghe. Questa volta però mi sono parse necessarie per indurre qualche lettrice a non mandare me e la mia storia a quel paese. O almeno lo spero.
A presto.
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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***



 
L’ombra che si era creata tra loro non accennò a dissiparsi anche se la lontananza era una vera sofferenza per entrambi. Angela aveva qualche dubbio, ma poi si convinceva di star facendo la cosa giusta e trovava la forza di non cedere. Fabrizio invece provava un sentimento di rabbia e il suo orgoglio ferito gli suggeriva che la moglie non lo amasse abbastanza. Una donna davvero innamorata arrivava anche a perdersi, mentre lei, rigida e dogmatica, riusciva a rinunciare al suo amore in nome di un principio.
Continuava a comportarsi bene però, anche se la vita matrimoniale a cui ormai si era abituato gli mancava molto. Sperava soltanto di non far trapelare all’esterno il loro problema perché non avrebbe sopportato i commenti di chi, più o meno benevolmente, avrebbe sottolineato l’enorme differenza di educazione e sensibilità tra lui e la moglie, cosa che per un breve ma felicissimo periodo erano riusciti a dimenticare persino loro stessi.
Con la scusa di studiare anche in piena notte, giustificò il fatto di essere andato a dormire nello studio  e si guardò bene dal cambiare di una virgola il proprio comportamento  affinché in famiglia non si sapesse nulla. 
Angela non ne fu altrettanto capace e un giorno che la cugina la punzecchiava ancora di più perché non rimaneva incinta, per mostrarle di non aver bisogno di nessun medico, le confidò  che lei e Fabrizio avevano deciso di non avere ancora bambini e poiché erano due buoni cristiani, si astenevano dai rapporti intimi. Dora ne rimase colpita, ma stranamente non ne fece parola con nessuno.
Però la tenerezza tra i due sposi sembrava essersi dileguata e quando erano soli Fabrizio, molto risentito, quasi non le parlava più. Eppure, per tener fede ai suoi doveri di marito, anche in quella bella mattina di maggio, quarantacinquesimo compleanno di zia Eleonora, acconsentì ad accompagnarla  a  casa degli zii.
Durante il pranzo si parlò di diverse cose, poi l’argomento cadde chissà come sulla servitù. Loro due avevano il problema di trovare una sostituzione per Teresa, in procinto di partire,  e i conti del Cassano  si prodigavano in consigli per suggerire un degno rimpiazzo.        
Alfonso era molto contento del matrimonio della nipote. Fabrizio si accontentava davvero di quel poco che gli passava e il loro tenore di vita non era tale da richiedere una maggiore spesa per cui, finché c’era la possibilità, era meglio cercare di risparmiare. Contestando la figlia che sosteneva la necessità di avere anche una cameriera personale, sostenne:
- Non dire sciocchezze, per loro una domestica basta e avanza e ho già trovato io la persona giusta. Gliela manderò domani e vedremo  se ho ragione.
- Ti ringrazio, zio, non ce n’è bisogno. Ho appena conosciuto una giovane che potrà sostituire subito Teresa – disse Angela.
Un silenzio imbarazzato cadde alle sue parole. La contessa intervenne:
- No, Angela, non insistere su questa cosa assurda.
Poiché la ragazza non rispondeva, anche la cugina l’incalzò:
- Persino don Cesare ti ha detto che è una cosa sconveniente.
Incuriosito, Fabrizio domandò:
- Potrei sapere qualcosa anch’io, se è lecito?
- Certamente e cerca di fermare questa sconsiderata: ha deciso di prendere al suo servizio una prostituta.
- Maria non è una prostituta – protestò subito Angela, insolitamente ardita – è soltanto una povera ragazza sedotta dal suo ex padrone e abbandonata con un figlio.
- Che si è messa a fare la prostituta – concluse Eleonora.
- Di’, sei impazzita? Come ti viene in mente di prendere con te una donna  di malaffare? – la rimproverò lo zio.
- Nostro Signore Gesù Cristo accolse Maria Maddalena. Secondo voi io sarei meglio di Lui?
Alle parole della moglie Fabrizio proruppe in una risata. Per una volta, una volta soltanto,  stava avendo la soddisfazione di vederla pensare con la propria testa.
- Cosa ridi tu? – gli disse severo zio Alfonso – Dovresti piuttosto impedirle di fare una simile pazzia.
- Io? E perché? Basta che quella lì non eserciti il mestiere in casa mia,  mi sta più che bene.
Un mormorio scandalizzato seguì la sua affermazione. Angela si sentì in dovere di precisare:
- Non ti preoccupare, Maria è una brava persona. È caduta nel peccato, è vero, ma l’ha fatto solo una volta e perché era disperata. Se anche voi l’aveste vista piangere a dirotto ai piedi della Madonna come l’ho vista fare io,  adesso non avreste questi dubbi. È mio dovere di buona cristiana aiutarla a ricominciare una vita onesta.
- Te l’ho detto, Angela,  per me va bene, falla pure venire a lavorare da noi – la incoraggiò il marito.
Dora non poté trattenere un commento maligno:
- È naturale, a te fa piacere. È questa stupida che non dovrebbe mettersi in casa una donna simile con un marito giovane come te.
- Perché, ti risulta che io sia notoriamente un mandrillo che insidia le cameriere?  – le chiese, piccato.
- No, per carità, non volevo dire questo.
- Ah no? Non ci sarebbe da meravigliarsi visto come mi considerate tutti. Ora scusatemi, se permettete andrei in terrazzo a fumare un sigaro.
Era furioso. Lasciò la sala da pranzo e andò a rifugiarsi sul terrazzo soleggiato.
Dopo un po’ Dora lo raggiunse.
- Va’ via, sto fumando e ti può dare fastidio, sei anche incinta.      
Nonostante l’irritazione, non riusciva a non mostrarsi premuroso. La ragazza gli sorrise.
- Non mi dà fastidio e poi devo scusarmi per prima. Credimi, non volevo offenderti.
- Non mi sono offeso.
Si voltò a guardarla, oramai di nuovo calmo. Era molto bella e l’aria mortificata la rendeva ancora più attraente.
- La verità è che io e te siamo stati molto sfortunati, Fabrizio.
- Davvero? Tu non  mi sembri tanto sfortunata.
- Credi davvero che io ami quel vecchio noioso? È  vero, mi riempie di regali e mi tratta come una regina, ma niente e nessuno potrà ripagarmi del fatto che non mi piace neanche un po’ e sono costretta a soddisfare le sue voglie e a rimanere gravida perché lui lo vuole.
Il giovane fece una smorfia di disgusto: odiava quel genere di cose.
- Nessuno ti ha costretta a sposarlo.
- Oh certo, non come hanno fatto con te, ma anch’io sono stata costretta dalla mentalità dei miei e non credere che non ci abbia pianto. Ho cercato di rifiutarlo in tutti i modi però alla fine mi sono dovuta arrendere. Purtroppo non riesco ancora a rassegnarmi all’idea  di essere maritata a un uomo grasso, vecchio e stupido mentre tu ti sei dovuto accontentare di quell’insulsa bigotta di mia cugina. Invece ci hai mai pensato a come avremmo potuto essere felici noi due insieme? Siamo entrambi belli,  giovani, pieni di vita, perché non abbiamo potuto essere anche sposati?
Nel dire così gli aveva preso la mano e gliela stringeva. Fabrizio la guardò stupito. Come faceva a spiegarle che voleva bene ad Angela nonostante fosse arrabbiato con lei per la sua intransigenza?  Per fortuna il cavaliere Pepe venne verso di loro e la moglie si affrettò ad andargli incontro molto affettuosa, senza neanche vergognarsi che solo pochi minuti prima l’aveva definito vecchio e stupido.
 
Tornati a casa, rimase tutta la sera silenzioso e turbato. Cercava di concentrarsi nella lettura,  ma i pensieri andavano da tutt’altra parte. Quello di Dora era stato un invito e nemmeno tanto nascosto. Era una donna che gli piaceva molto, in realtà non aveva mai smesso di piacergli, ma l’idea di farsi avanti con lei gli sembrava quanto mai inopportuno. E poi non poteva smettere di ripensare all’appagante felicità provata con Angela. Alzò gli occhi sulla moglie, anche lei intenta nella lettura, e la osservò. Anche se non era bella come la cugina, la sua grazia gli dava un senso di pace mai provato con nessun’altra. Da lei non ci si poteva aspettare nessuna bassezza, nessun tradimento e per questo non ne meritava neanche. Provò l’impulso di andarle vicino.
Nel vederlo sedersi accanto a lei, Angela posò il libro  e gli sorrise con dolcezza.
- Grazie per non avermi ostacolato con Maria – gli disse.
- Figurati. La penso come te. Certi borghesi sembrano i classici sepolcri imbiancati del Vangelo: fuori sono tutta carità e benevolenza e dentro solo putredine.
- È una gran brava figliola, vedrai.
- Per quello che me ne importa!
Deluso,  Fabrizio avvertì che Angela non aveva o non aveva voluto capire la sua allusione, ma non volle arrendersi. Le posò una mano sulla gamba, l’accarezzò  e le sussurrò, suadente:
- Ho voglia di stare con te. Non dirmi di no, ti prego.
Lei posò la mano sulla sua.         
- Non devi pregarmi, sono tua moglie. Anzi, è quello che voglio anch’io se hai deciso finalmente di esaudire il mio più grande desiderio e rendermi mamma.
Fabrizio chinò il capo e rimase ad osservare per un attimo le dita affusolate di lei che giocavano con le sue. Anche quel semplice contatto fisico accresceva una voglia oramai quasi insostenibile. Ebbene sì,  pensò, se era un figlio che desiderava, l’avrebbe messa incinta quella stupida, in fondo solo pochi mesi prima era stato disposto a farlo e non era cambiato molto da allora.          
Solo che alzando gli occhi scorse sul viso di Angela un sorrisetto gongolante che lo irritò moltissimo. Dalla sua espressione si vedeva che era soddisfatta di essere riuscita, imponendogli soltanto qualche settimana di astinenza, a sottometterlo alla sua volontà e ai suoi principi. Eppure anche lui aveva dei principi: aveva giurato a se stesso di stare lontano da tutti gli sporchi compromessi borghesi e alle imposizioni della falsa morale. Fare un bambino a tali condizioni non gli sembrava più un atto d’amore, ma un mero ricatto.
Ritirò bruscamente  la mano e scattò in piedi. 
- No, non sono disposto a farlo – le disse secco.
Si allontanò da lei che lo fissava sconcertata. Ora sul suo viso c’era confusione, delusione, dispiacere.
Lui non se ne curò. Aprì la porta e uscì dalla stanza senza più una parola.
 
Maria si rivelò una gran brava ragazza. Soltanto la disperazione l’aveva indotta a fare la sua breve e scellerata esperienza. Fabrizio aveva conosciuto abbastanza prostitute in vita sua da capire quanto quella fanciulla semplice, dal viso dolcissimo e dai capelli biondi che assomigliava a una Madonna del Botticelli, fosse una creatura scevra dal vizio. Nella sua sete di giustizia s’infiammò ancora di più contro le classi parassite e sfruttatrici che, forti dei loro privilegi, si prendevano tutto dalle povere popolane indifese, compreso la loro innocenza e la loro virtù. Prendendo spunto dalla vicenda vissuta dalla sua cameriera e richiamandosi al famoso “Resurrezione” di Leone Tolstoj, scrisse un articolo sull’argomento. Il professore Croce glielo pubblicò volentieri, pur facendogli notare che le sue appassionate argomentazioni oramai  riguardavano più la politica e il sociale che non la critica letteraria.
In quanto ad Angela era felicissima di avere accanto a sé una brava figliola che l’adorava e la  considerava la sua salvatrice. E come non poteva essere così? La buona padrona la trattava con affettuosa familiarità nonostante i suoi umili natali e la sua caduta. Aveva anche indotto il marito ad accompagnarle nel piccolo paesino dell’Irpinia dove vivevano i genitori. Con le buone parole e la dolcezza, li aveva convinti a perdonare la figlia e a  prendersi cura del nipotino, ora abbandonato nelle mani di un’avida balia. Questo Maria non l’avrebbe mai più dimenticato e giurò a se stessa di rimanere accanto a quella donna con la devozione e l’amore di una sorella. Nella sua intelligenza però intuì subito il  turbamento dei due giovani sposi. Non ne conosceva i motivi, ma ben presto ebbe il presentimento di un’ombra nera che si allungava sulla felicità dell’amata contessina.
Intanto sin dall’inizio dell’inverno Angela si era molto impegnata  nelle opere di bene, anzi, era diventata l’anima stessa di un comitato di dame di carità che visitavano i malati e i poveri nei vicoli dei bassifondi e negli ospedali cittadini. Quando tornava a casa da queste spedizioni era costretta a chiudersi in camera con Maria per togliersi i vestiti lordati e  lavarsi accuratamente. A Fabrizio la cosa faceva un po’ disgusto, ma non se la sentì di impedirglielo perché era ben consapevole di quanto sua moglie fosse più coraggiosa di lui che si limitava a condannare la miseria e il degrado in cui venivano lasciate le classi meno abbienti soltanto nelle pagine dei suoi scritti, mentre Angela le viveva sulla propria pelle, ogni giorno. Per queste attività stava spesso fuori casa e il  venerdì trascorreva tutto il pomeriggio in chiesa a dare lezioni di catechismo ai bambini. Venuti a conoscenza della cosa e approfittando del fatto che nel pomeriggio la nipote non avesse bisogno di Maria, i conti del Cassano le chiesero di farla andare da loro a dare una mano per preparare i saloni per il sabato, giorno in cui avevano preso l’abitudine di ricevere in grande stile.
Angela sarebbe stata comunque incapace di  dire di no, ma questa volta lo fece soprattutto  perché  voleva che conoscessero la povera ragazza  e incominciassero ad apprezzarne l’onestà e la pulizia. Neanche Fabrizio si disse contrario anche se fu un po’ irritato dalla taccagneria di Alfonso che avrebbe potuto consentirsi di pagare chissà quante cameriere senza toglierla a loro. Però, essendo ormai diventato quasi un recluso per l’enorme sforzo di studiare che stava sostenendo, preferiva starsene in pace e da solo senza avere le due donne tra i piedi.
Un tiepido venerdì pomeriggio di metà mese se ne stava seduto alla scrivania a studiare un tediosissimo libro di diritto quando sentì bussare alla porta di servizio. Il loro palazzo aveva un ingresso secondario in un vicolo laterale che attraverso una scala stretta e buia portava alle cucine. Era  quello destinato alla servitù e ai fornitori per non farli passare dall’elegante ingresso principale sulla strada,  sempre sorvegliato da un portiere in livrea o dalla di lui moglie.
Perciò Fabrizio si meravigliò moltissimo nell’udire la campanella in cucina. Pensò che le donne di casa si fossero dimenticate di avvisarlo di qualche consegna e, sbuffando per la noiosa interruzione, si alzò e andò ad aprire. Il suo stupore fu enorme quando si vide davanti Dora, bellissima ed elegante come sempre.
- Fammi entrare, presto – gli disse in tutta fretta.
- Che ci fai qui? E poi perché sei passata da questa scala? – le chiese.  
Comunque non era uno stupido e ne aveva perfettamente compreso la spiegazione.
Infatti, per tutta risposta, lei lo guardò con due occhi lucenti in cui si leggevano mille risposte che lo spaventarono tutte. Continuò a fingere di non capire.
- Angela non c’è, è andata in chiesa.
- Lo so, sono qui  per questo e perciò sono passata dall’ingresso secondario. Non mi ha visto nessuno.
- Dora, per favore, non fare la pazza. Potrebbero scoprirti lo stesso.
- E come? Ho detto a mio marito che sarei venuta qui a trovare mia cugina e ad Angela che sarei passata a trovarla. Lei tornerà solo alle sei e mio marito passerà a  prendermi alle sette. Uscirò di nuovo dalla porta di servizio e tornerò dall’ingresso principale, così nessuno dei due sospetterà di nulla. Però  ora sono le tre e abbiamo tutto il pomeriggio per noi.
Non c’era nulla da obiettare, il piano era perfetto. Fabrizio non sapeva se abbandonarsi al desiderio o vincerlo in nome dell’affetto per la moglie.
Intanto Dora gli aveva afferrato le mani e le aveva appoggiate sui propri fianchi nel tentativo di farsi abbracciare. 
- Ti prego, non dirmi di no.
- No,…io…tu…non possiamo, lo sai.    
Lei gli si strinse addosso e il suo profumo seducente gli fece quasi girare la testa. E lungo la schiena sentì correre un brivido quando avvertì il solletico del suo fiato caldo mentre lei gli sussurrava all’orecchio: 
- Ti ricordi quella sera in cui mi chiedesti di sposarti? Eravamo restati un momento da soli nel giardino dei Della Rocca e tu mi prendesti tra le braccia e mi confessasti di esserti innamorato di me. Mi sembrò  di essere la donna più felice della terra perché eri solo tu l’uomo che avevo sempre amato. Eppure dopo siamo stati crudelmente divisi, ma è stato solo il ricordo di quel momento, dei tuoi baci, delle tue carezze nel quale mi sono rifugiata ogni volta che mi sentivo sopraffare dalla disperazione, a darmi la forza di andare avanti. Ma non è giusto così, prendiamoci  quanto ci è stato tolto. Io non posso più resistere al mio amore per te.
Gli si offriva, seducente e bellissima, e Fabrizio crollò. Strinse tra le braccia quel corpo provocante e prosperoso così a lungo desiderato che con la sua morbidezza gli fece dimenticare ogni altro scrupolo.
 
Qualche ora dopo la guardava rivestirsi. Sembrava assai calma come se ciò che avevano appena fatto fosse la cosa più naturale del mondo.
- Non è la prima volta, vero? Tradire tuo marito, intendo – le chiese.
Lei si voltò a guardarlo, scandalizzata.
- Come ti permetti! Non hai capito che l’ho fatto solo perché ti amo?
Smise di vestirsi e si asciugò una lacrimuccia.
- Ecco, siete così voi uomini: quando una donna vi si dà per amore allora la giudicate solo una donnaccia – protestò con la voce lamentosa.
Intenerito dal suo pianto, la prese ancora tra le braccia e cominciò a baciarle il collo e le spalle. Nella sua foga di giovane uomo vigoroso, avrebbe ricominciato volentieri a fare all’amore. Anche lei lo avrebbe fatto con piacere, ma come una saggia mammina che sgrida il suo piccino, lo allontanò.
- No, basta, adesso.  È tardi e devo proprio andare. Tra poco arriva quella scema e non dobbiamo farci scoprire. Però, se vuoi, tornerò venerdì prossimo.
Nel dirgli quelle ultime parole gli aveva lanciato uno sguardo talmente provocante e carico di promesse che il giovane si sentì il cuore leggero leggero. La lasciò andare senza fare più storie.
Rivestitosi lui stesso, aggiustò alla meno peggio il letto disfatto e cercò di concentrarsi ancora una volta sul libro di diritto, ma inutilmente. Il suo pensiero tornava di nuovo alla bella donna con la quale era appena stato in intimità. Si disse  che era stato fortunato perché un tempo era stato persino disposto a sposarla pur di conquistare quanto aveva appena avuto. Ma davvero Dora lo amava a tal punto? E lui, lui amava ancora la moglie?
Era confuso. Nella sua agitazione uscì dallo studio e cominciò a girare per casa. Per calmarsi si diceva che era accaduto l’inevitabile perché con Angela non avrebbe mai potuto funzionare: erano troppo diversi. Forse Dora non lo amava sul serio o forse sì. In fondo la poverina si era buttata in quella storia incurante delle conseguenze e superando ogni freno. Così facevano le donne davvero innamorate, non come Angela, talmente controllata da riuscire a tenere lontano persino lui, suo marito, l’uomo che diceva di amare. Solo a chiacchiere lo amava! In realtà era priva di  pulsioni altrimenti non sarebbe stata capace di rinunciare ai loro rapporti con tanta determinazione. E poi quel modo bigotto di pensare proprio non lo sopportava.  Dora si era abbandonata a lui senza remore, senza falsi pudori e, a dire il vero, visto che era già incinta, con lei aveva provato una sensazione di libertà assai travolgente. Meglio così allora. Se per Angela la salvezza della propria anima era più importante dell’amore del suo uomo, lui non se ne sarebbe rammaricato, si sarebbe goduto le grazie della donna da tanto desiderata che ora finalmente avrebbe potuto avere.
Nel suo girovagare agitato, si trovò in salotto dove, seduto su una poltrona,  c’era Rosso, il gattino fulvo di Angela, che lo stava fissando con le pupille iridescenti color topazio.  Con lo sguardo severo, sembrava ricordargli quanto poco onesto fosse stato il suo comportamento soprattutto dopo che aveva giurato di amare la sua dolce padroncina. Davvero l’incanto del loro tenero sentimento era già perduto?  Un senso di angoscia gli chiuse la bocca dello stomaco, ma non poté proseguire le proprie riflessioni perché sentì la chiave girare nella toppa della porta d’ingresso e vide rientrare la moglie.
Si stava togliendo i guanti e il cappello e si fermò, stupita nel vederlo in salotto.
- Che ci fai qui? – gli chiese.
Preso alla sprovvista, s’inventò la prima scusa che gli passò per la testa.
- Ho riportato Rosso di qua perché era entrato nel mio studio.
La ragazza prese in braccio il gattino.
- Brutto cattivo, lo sai, non devi disturbare il padrone e devi stare buono quando io non ci sono.
Il micio per tutta risposta si mise a miagolare e, per la contentezza di rivederla, le piantò le unghiette  nella stoffa del vestito. Lei ne  rise e carezzandolo con tenerezza, lo ammonì:
- Bravo, continua così, fammi pure male adesso.
Passando vicino al marito si fermò a guardarlo:
- Sei molto pallido, caro. Stai bene?
- Sì, sono solo un po’ stanco.
- Stai studiando troppo. Tra poco verrà Dora. Per favore,  rimani a parlare un po’ con noi, un po’ di distrazione ti farà bene.
Dopo circa dieci minuti  infatti Dora bussò alla porta d’ingresso e salutò la cugina abbracciandola.
- Fabrizio, che piacere, da quanto tempo non ti vedevo! – disse rivolta a lui con un sorriso radioso e innocente.
Un po’ turbato da tanta faccia tosta, il giovane ricambiò il saluto, poi, adducendo impegni di studio e nonostante le insistenze della moglie, si rintanò nella sua stanza. Dopo circa un’ora però fu costretto ad uscire per salutare il cavaliere Pepe, venuto a riprendere la moglie.
Nel vederlo tutto pimpante e contento, si sentì ancora più meschino anche se, nello stesso tempo, non riusciva a dimenticare il seno soffice e il sapore dei baci di Dora. Costei,  pur tenendo il marito affettuosamente sottobraccio, non smetteva di rivolgergli infuocati sguardi di complicità che solo lui poteva afferrare.
Quando alla fine la coppia prese congedo, si sentiva le tempie pulsare. Il suo aspetto turbato fu notato persino dal cavaliere Antonio.
- Tu però, ragazzo mio, ti stai affaticando troppo: la laurea, i giornali, finirai per prenderti un bell’esaurimento – lo rimproverò con bonomia.
- Anch’io gli dico in  continuazione di riposarsi un po’ – intervenne Angela.
- Perché non venite a cena da noi stasera? – chiese a questo punto Dora che proprio non voleva più mollare il pesciolino preso nella rete – Siete senza cameriera oggi ed Angela non è in grado di cucinare nemmeno un uovo sodo, non è così?
- Se mio marito lo desidera, per me va bene – disse la cugina, remissiva come al solito anche se stavolta trovò la forza di protestare alle illazioni dell’altra – Però non è vero, ora sto imparando a cucinare.  
Fabrizio era troppo turbato per accettare e tagliò corto, declinando l’invito con il pretesto di dover studiare.
 
Quando se ne furono andati, Angela gli rivolse un sorriso di gratitudine.
- Meno male che non sei voluto andare, non ne avevo proprio voglia. Comunque adesso vado a cambiarmi e corro subito a prepararti la cena
Dopo un po’ il giovane la raggiunse in cucina. Aveva indossato un grembiulino bianco e si stava dando da fare dietro i fornelli. C’era un buon profumo di sugo.
- Tra poco è pronto – lo avvisò  – Adesso vado di là a preparare la tavola.
- Tu non mangi?
- No, è venerdì.
Oramai rassegnato, nemmeno commentò il suo digiuno.
- Apparecchia qui in cucina allora: per me solo non c’è bisogno di fare tante storie.
- Ma perché?
- Per favore, fa’ come ti dico.
Lei ubbidì. Gli preparò un piatto di spaghetti e una omelette al formaggio. Gli versò il vino e gli si sedette accanto a guardarlo mangiare, contenta di vederglielo fare con gusto.
- Però! È vero, sai, stai imparando a cucinare: questa pasta è buonissima – commentò Fabrizio, sapendo di farla contenta.
Infatti Angela sorrise.
- Mi sta insegnando Maria - gli spiegò -  È davvero unica quella ragazza e poi è così buona con me!
- Sei tu ad essere buona con lei. Anzi, tu sei buona con tutti, forse sei addirittura troppo buona. La mia paura è che ne soffrirai.
La ragazza si accigliò.       
- Perché mi dici questo?   
- Perché le persone normali  non sono al tuo livello e quando attraverso te prendono coscienza della loro pochezza finiscono con il detestarti addirittura.
Lei abbassò la testa, mortificata. Fabrizio continuò:
- Se qualche volta anche tu ti lasciassi andare, se non ti imponessi di essere  sempre impeccabile e perfetta, se imparassi a difenderti e a mandare a quel paese gli altri, forse sarebbe tanto di guadagnato, forse sembreresti meno una santa e più un essere umano.
Era tutto inutile perché anche un tale  discorso, forse un po’ duro eppure fatto solo per il suo bene, la stava facendo soffrire. Lui se ne avvide e, pentito di essersi lasciato scappare quelle parole, le carezzò con tenerezza il capo chino e soggiunse per non farla dispiacere:
- Non ci pensare, ho detto solo sciocchezze.




 
NdA
Ecco, è successo il patatrac! E la colpa di chi è? Di Fabrizio? Di Angela? Di Dora? O piuttosto ciascuno di loro ha le sue colpe e le sue ragioni? Non vedo l’ora di discuterne con voi.
A tal proposito, volevo ringraziare le cinque “fedelissime” Moon236, rosa Rosa, Shouni, Laura88 e controcorrente che settimana dopo settimana, non mancano mai di commentare il capitolo. Ringrazio anche le altre amiche che l’hanno recensita di tanto in tanto e pure tutte quelle che l’hanno messa in una qualche lista, dandomi così il segno tangibile del loro apprezzamento. Spero inoltre che ci siano tante lettrici per ora silenziose che prima o poi abbiano voglia di farmi conoscere il loro giudizio. Per un’autrice dilettante quale sono il piacere di scrivere, che pure c’è ed è enorme, è niente rispetto a quello che mi dà parlare della mie storie con voi.
Buona settimana a tutte.
Antonella
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***




 
I mesi trascorrevano e tutti sembravano presi dalle loro occupazioni. Angela era impegnata nelle sue opere di bene, Fabrizio nello studio e Dora a fare la moglie perfetta e la mammina in dolce attesa. Anzi, questa volta la gravidanza procedeva una meraviglia senza che lei accusasse alcuno dei disturbi che l’avevano afflitta nella precedente gestazione.
Forse erano gli incontri del venerdì a farle  bene perché anche quelli continuavano indisturbati.
In un primo momento Fabrizio si era buttato nel loro rapporto con tutto l’entusiasmo, ma ora, trascorsi quasi tre mesi, cominciava a sentirne la stanchezza. Dora gli piaceva eppure avvertiva pienamente quanto fosse sporca e illecita la loro tresca. Per ora la gravidanza non si vedeva, ma presto sarebbe diventata evidente ed allora non avrebbe più potuto scacciarne il pensiero così come faceva adesso facendosi trascinare soltanto  dalla reciproca voglia. Però, ogni volta che le prospettava la necessità di finirla con quella follia, Dora riusciva a farlo cadere di nuovo. D’altronde, per il suo modo di comportarsi, sembrava priva di qualsiasi scrupolo. Anche lui aveva le sue responsabilità, però le moine che la ragazza faceva al marito o l’atteggiamento affettuoso simulato con Angela, a volte gliela rendevano odiosa. Non gli sembrava possibile non provare nemmeno un po’ di pena verso quei due poverini che entrambi cornificavano allegramente ogni venerdì! Per quanto lo riguardava  se ne sentiva in colpa e anche se sempre di più sentiva sfuggire il sentimento d’amore provato per la sua giovane sposa, le voleva comunque molto bene. Era una ragazza dolce e amorevole che non meritava di essere tradita proprio con la cugina e nella sua stessa casa.
Si rese conto di quanto oramai quella relazione per lui fosse giunta alla fine quando un venerdì, si era oramai nel mese di luglio e faceva un gran caldo, invece di concentrarsi sulle grazie della ragazza che lo aspettava impaziente a letto, se ne rimase ancora alla scrivania per cercare su di un testo la risposta a un quesito di studio. Insomma, se avesse potuto, avrebbe troncato subito, ma non sapeva come uscirne e suo malgrado, non poteva fare altro che tirare avanti.
 
Il giorno della tanto sospirata laurea arrivò. Nel sostenere l’esame finale, Fabrizio fece una figura così brillante che il professore volle complimentarsi, lodando le sue doti e la sua preparazione e presagendo per lui un avvenire radioso.
Alla seduta di laurea a cui avevano assistito i genitori ed Angela, partecipò anche Benedetto Croce in persona. La cosa, data la chiara fama del personaggio, non mancò di inorgoglire Ferdinando che ascoltò commosso le parole rivoltegli dall’insigne letterato che gli disse:
- Concordo appieno con l’esimio professor Corona,  avvocato Serra, vostro figlio è un giovane di grandi qualità. Permettetemi di dirvi che sarebbe un vero peccato se non continuasse con il giornalismo e la  letteratura.
- Certo, Professore, è libero di scegliere la strada che più gli aggrada. Io, come padre, volevo soltanto fargli riprendere la retta via. Ora mi sento più tranquillo.
Con in mano  il bicchiere di champagne con il quale stavano brindando, il figlio si sentì  toccato da quelle parole. La retta via? Avrebbe detto la stessa cosa se avesse saputo della sua relazione con la cugina della moglie?         
Angela intanto gli si stringeva al braccio, felice. Forse stava pensando che ottenuta la laurea, adesso poteva anche cercarsi un lavoro e farla presto contenta mettendola incinta. E poi? Poi avrebbe ricominciato ad insistere per il secondo figlio, poi per il terzo e così via. E poiché avrebbe avuto ogni volta le medesime, assurde pretese, tra un intervallo e l’altro lui si sarebbe preso ancora delle amanti. Sarebbero andati avanti così, felici e ipocriti, per tutta la vita. Si sentì invadere da un forte disgusto e dalla delusione: alla fine sarebbe diventato anche lui un bel sepolcro imbiancato malgrado  tutti i suoi sogni e le aspirazioni.
Intanto sorrideva e si mostrava contento, ma aveva l’animo colmo di un’amara inquietudine.
 
Ad agosto il caldo opprimente consigliava a chi poteva di lasciare la città per i più freschi luoghi di villeggiatura. Carmela e Ferdinando andarono nella casa a Sant’Agata sui due Golfi e Fabrizio fece partire con loro anche Angela,  con la scusa che lui si doveva dedicare alla ricerca di una occupazione mentre la moglie,  sempre  più pallida e macilenta, aveva bisogno di cambiare aria.
La ragazza come al solito accettò le decisioni del marito però avrebbe preferito di gran lunga sopportare la calura estiva piuttosto che lasciarlo.
Fabrizio voleva recarsi a Roma e a Firenze per scegliere la strada da intraprendere. Gli si aprivano infatti tre possibilità: la prima, la più logica di tutte eppure quella che gli piaceva di meno,  era entrare nello studio del padre a far pratica per poi intraprendere anche lui la carriera di avvocato. La seconda opportunità invece gli era stata offerta dal cognato Rodolfo che gli aveva trovato un impiego di concetto  al Ministero della Pubblica Istruzione con un discreto stipendio iniziale e buone prospettive di carriera. Se avesse accettato, avrebbe dovuto trasferirsi a Roma con la moglie e quindi avrebbe dovuto lasciare Napoli. Questa prospettiva  un po’ gli dispiaceva. Nel caso avesse dovuto farlo, avrebbe preferito di gran lunga la terza ipotesi, quella cioè di andare a Firenze dove, introdotto dal professor Croce, avrebbe potuto cominciare a collaborare con una delle riviste letterarie che vi si pubblicavano in quegli anni di  grande fermento culturale.
Approfittando della pausa estiva, andò da solo prima a Roma, ospite della sorella, e dopo a Firenze a conoscere i suoi eventuali, futuri colleghi.
Alla fine di agosto però non aveva ancora deciso cosa fare.
Era un periodo in cui si sentiva assai confuso e combattuto. Non riusciva a  decidere quale doveva essere il suo futuro soprattutto perché non poteva dimenticare di essersi sposato e di avere pertanto dei condizionamenti. Se l’avventura fiorentina lo attirava più che mai,  capiva che la vita di un giornalista impegnato ogni giorno nel confronto e perché no, anche in politica, non era quella a cui più facilmente avrebbe potuto adattarsi Angela. Per lei sarebbe stato meglio se avesse accettato il posto offertogli dal cognato. Avrebbero avuto una bella casa borghese e una vita tranquilla in cui il massimo dello stimolo culturale sarebbe stato tenere salotto una sera alla settimana invitando i colleghi del ministero e le loro rispettabili consorti. Forse, a lungo andare, si sarebbe abituato anche lui, dimenticandosi tutte le aspirazioni giovanili. Si sarebbe fatto una bella famiglia con tanti figli, sarebbe ritornato ad andare a messa ogni domenica  per far contenta la moglie e magari avrebbe messo su anche un rispettabile pancione, per acquistare definitivamente la figura del vero pater familias.
Voltandosi e rivoltandosi nel letto o passeggiando la sera mentre fumava una sigaretta dopo l’altra, il suo pensiero vagava sempre più inquieto e preoccupato perché una sua eventuale decisione, perfetta per far felice la moglie o inorgoglire il padre, per lui avrebbe potuto trasformarsi in una trappola mortale.
Solo ai primi di settembre, ancora più disorientato e confuso, si decise ad andare a riprendere Angela a Sant’Agata sui due Golfi. Intanto si era persino dimenticato del loro primo anniversario di nozze e nemmeno le aveva  mandato un bigliettino di auguri.


In quel giorno così importante, Angela si era detta che lui era fatto così, le ricorrenze se le dimenticava sempre, non per questo le voleva meno bene. Se lo diceva sempre, ma in cuor suo un dubbio doloroso cominciava ad attanagliarla perché temeva che il marito già non l’amasse più. Non voleva turbare la serenità dei suoceri che si stavano godendo quel periodo di riposo in tutta tranquillità e la trattavano con lo stesso affetto riservato alle loro figlie, eppure doveva parlarne con qualcuno, non ce la faceva più a tenersi tutto dentro.
Una mattina in cui Maria le si affaccendava intorno nella stessa stanza da letto che l’aveva vista tante volte felice con il suo Fabrizio, si decise a parlarne con lei. La fece sedere accanto a sé e le raccontò tutto, anche le cose più intime.
Nonostante potesse sembrare che le sue confidenze fossero inopportune tanto era inferiore il rango e la cultura della persona a cui aveva scelto di farle, la povera servetta ascoltò con attenzione,  mossa da un interesse sincero e non da una morbosa curiosità.
Alla fine le disse, ma senza arroganza o saccenteria e nel suo semplice linguaggio:
- Avete sbagliato, signò, avete sbagliato assai. Vostro marito è uaglione ancora, come fa a starsene buono buono senza fa’ nientè?
- Credi che abbia un’amante?
- Beh, a quell’età il sangue bolle e poi chissà come si è preso collera per il vostro rifiuto.
Angela, incapace di controllarsi, si mise a singhiozzare.
- No, no, nun facite accussì – aggiunse la domestica prendendosi la libertà di scuoterla per  un braccio. Poi, con un pizzico di malizia, aggiunse: - Sapete cosa dovete fare?  Adesso che viene qua, fateglielo capire quanto vi siete pentita. Certe volte basta un sorrisetto, una carezza o che so,  fargli vedere qualcosa che gli piace …
- Basterà?
- Come no! Vi vuolè bbene, si vede da come vi guarda. Ma voi dovete saperlo prendere. E dovete anche togliervi un poco di dosso queste cammiselle ra munacella che portate sempre!           


Nonostante i consigli di Maria, Angela purtroppo non era proprio capace di essere seducente e se ne avvide bene quando Fabrizio tornò perché non riuscì a farlo essere meno  distaccato. Non arrivava a fargli capire che voleva tornare indietro e ogni suo timido tentativo era  respinto dal giovane quasi  con indifferenza.
Fabrizio si sentiva in trappola. Le voleva bene e non voleva farle alcun male, ma nello stesso tempo la prospettiva di una vita monotona e deludente solo per farla contenta non lo attirava affatto. Tra l’altro sua moglie aveva perso anche quel poco di bellezza avuta nel periodo del loro innamoramento ed era diventata ancora più magra, ancora più spenta.
A Dora, la bellissima e seducente Dora invece, aveva già mandato riservatamente una lettera per troncare la loro reazione. Non ce la faceva più a portare avanti quella tresca ed era più che mai deciso a tener fede alla propria decisione. Con tutto se stesso voleva diventare un marito fedele e una persona degna, eppure dentro di sé temeva di non avere la capacità di essere né l’una né l’altra cosa. Ora come ora il futuro gli faceva soltanto paura.
Una sera, si erano appena coricati, chissà come Angela trovò l’audacia di accarezzargli una spalla per fargli capire di desiderarlo. Fabrizio quasi ne provò fastidio e le disse brusco, senza nemmeno voltarsi:
- Scusami cara, ma lasciamo perdere. Non sono ancora pronto a fare quello che vuoi tu.
A quel punto, avrebbe dovuto abbracciarlo, magari carezzarlo ancora e dirgli che no, non le importava di nulla, lo desiderava e basta e voleva assaporare ancora la dolcezza dei suoi baci e del suo amore. Avrebbe dovuto insistere, fargli sentire il fuoco che la divorava e forse una nuova scintilla si sarebbe propagata anche a lui, in quel momento solo incerto e confuso. Ma la timida, sperduta ragazza non ne ebbe il coraggio. Ritirò la mano e se ne stette al buio, supina, sentendo le lacrime calde e silenziose scorrerle lungo le tempie.
  
Alla fine, per far contenti i genitori e per prendere tempo, il giovane decise che un po’ di pratica legale non gli avrebbe fatto male. Cominciò così a lavorare nello studio situato in un’ala della casa paterna a Piazza Amedeo.
Incontrava ogni giorno il padre e ogni giorno gli teneva nascoste le proprie inquietudini e le difficoltà che stava avendo nel matrimonio. Ferdinando  però colse una strana malinconia nel suo ragazzo, di solito così vivace e allegro, e l’attribuì alla professione di avvocato che non gli piaceva, intrapresa solo per accontentarlo. Un giorno, in una pausa del lavoro, lo chiamò e, in presenza di Alberto, gli parlò con il cuore in mano.
- Io non voglio – gli disse – che tu debba fare un mestiere che non ami solo per far piacere a me o a tua madre o a tua moglie. Tanto per cominciare non saresti un buon avvocato e poi rimarresti insoddisfatto per tutta la vita.
- Non è questo, papà, è che davvero non so cosa fare. Sono molto combattuto, mi piacerebbe moltissimo fare il giornalista, lo sai è stata sempre la mia passione. Però è una carriera incerta e almeno fino a quando non ci si fa un nome, poco remunerativa.
- Non hai problemi economici, mi sembra. C’è sempre la dote di tua moglie.
- Per favore, non me ne parlare nemmeno, sono soldi suoi e io non voglio continuare a vivere di quello. È una cosa che sta cominciando addirittura a  ripugnarmi.
- Non esagerare. Cosa  c’è di male?
- Mi sentirei solo un miserabile verme  e, ti assicuro, la stima che ho di me stesso è già ai minimi livelli.
- Perché  dici così, figliolo? Sei un promettente giornalista, hai preso una brillante laurea, sei un bel giovane educato e intelligente. Cosa pretendi di più da te stesso?
Fabrizio  rise, un po’ sostenuto.
- Che c’è, papà, adesso non sono più un diavolo?
Il padre lo guardò stupito.
- Te lo dicevo quando conducevi una vita dissoluta. Ora non la fai più, mi pare.
- No, la vita dissoluta non la faccio più, ma dentro sono sempre lo stesso, credimi. Anzi, forse allora mi sentivo più innocente di adesso anche se agli occhi di tutti ero un depravato libertino.  Era bello non pensare a nulla, vivere la vita ogni momento, senza un dopo, senza la responsabilità di dover far felice qualcuno. Allora mi sentivo libero, oggi sono in catene.
Si era sfogato, ma nel vedere un’espressione addolorata passare su quel bel volto di vecchio,  se ne  pentì. Si affrettò a rassicurarlo con un sorriso:
- Credo che accetterò la proposta di Rodolfo e me ne andrò a lavorare a Roma. Sai, girando un po’ per la città mi sono già visto la mia Angela visitare tutta contenta i Fori Imperiali, la cappella Sistina,  San Pietro. Per lei non c’è felicità maggiore di conoscere le città e l’arte. Credo che staremo bene lì, sul serio. Poi  Giovanna ha già parlato con la cognata che possiede una bella casa in pieno centro e ce la darebbe volentieri in affitto. È grande e spaziosa, così potremmo crescervi tutti i figlioli che verranno e potremmo tenere sempre una stanza pronta per te e la mamma. Perché ti dovrai pur decidere a lasciare le redini di questo benedetto studio in mano a questo signore qui, prima o poi … – concluse indicando Alberto che aveva ascoltato in discreto silenzio la conversazione tra padre e figlio.
L’anziano signore si rianimò a tali parole.  
- Ne sei convinto davvero? - gli chiese pieno di speranza
Alla fine, parlandone con il padre, se n’era convinto. In fondo la felicità era fatta di piccole cose e lui si sentiva stanco di tutti i dubbi e le inquietudini. 
- Però dovrò sfogare le mie smanie letterarie mettendomi a lavoro su un libro che ho intenzione di scrivere. Ne ho parlato con il Professore e mi ha detto che l’idea è buona.
-  È un’ottima cosa, mi pare.
- Certo e penso che fare il funzionario ministeriale me ne lascerà tutto il tempo. Tu cosa ne dici, ci provo?
- Ne uscirà un’opera bellissima che ti farà diventare famoso. Sono orgoglioso di te, ragazzo mio!
 
Quella fu l’ultima lunga conversazione che ebbe con suo padre. Soltanto un mese dopo, rientrando in una piovosa serata di ottobre dalla casa del professore Croce, si stupì nel vedere Angela che lo aspettava in salotto ancora sveglia.
- Che c’è? – le chiese.      
Non ci fu bisogno di risposta. La vide scoppiare in un pianto dirotto e notò nell’ombra la figura di Alberto che gli si avvicinò e con la voce rotta, gli disse:
- Fabrizio, sii forte, tuo padre è finito all’improvviso poco fa.
 
Se il dolore si potesse pesare, quello che provò il giovane avrebbe colmato ogni misura. Nonostante non fosse riuscito a versare nemmeno una lacrima, si sentiva come se quella morte lo avesse fatto sprofondare in un pozzo dal quale non avrebbe più potuto riemergere. Con il pensiero andava di continuo al padre, alle premure di cui l’aveva colmato sin da quando era piccolo, alla sua severità ma anche alla benevolenza che erano state la sua sicurezza e il suo faro.
Nel giorno del funerale e in quelli seguenti, aveva udito tante persone parlare del defunto in termini di stima e di affetto, ma per nessuno, nemmeno per la povera mamma che sembrava volersi sciogliere nelle sue stesse lacrime, Ferdinando aveva potuto rappresentare ciò che era stato per lui. Solo ora si rendeva conto di quanto lo avesse amato e benché fosse uomo già fatto, si sentiva orfano nella vera accezione del termine. All’improvviso era rimasto solo,  privato dell’unica persona al mondo che aveva ritenuto sempre la sua unica guida. Eppure quanti dolori aveva inflitto al povero vecchio con la sua dissolutezza!  A  niente  valevano le parole di conforto della famiglia e di Alberto che lo rassicuravano ripetendogli quanto negli ultimi tempi Ferdinando fosse stato fiero di suo figlio. Dentro di sé sentiva di non meritare nessuna considerazione  perché aveva mentito, mostrando al padre solo l’aspetto migliore di sé mentre gli aveva tenuto nascosta  invece la propria bassezza. La verità avrebbe continuato a ferirlo e questo Fabrizio non riusciva a perdonarselo. Ma oramai non c’era più tempo per cambiare le cose: anche se fosse diventato la persona onesta e pulita che Ferdinando aveva creduto fosse già, non  avrebbe potuto più guardarlo negli occhi provando la gioia di meritarne finalmente la stima.
 
Un pomeriggio se ne stava seduto in doloroso silenzio e da solo nello studio dove l’avvocato Serra aveva lavorato per tanti anni. Presto anche la madre avrebbe lasciato la vecchia casa di Piazza Amedeo perché aveva deciso di partire insieme a  Giulia che doveva trasferirsi a L’Aquila per seguire il marito.
Guardando il vento scuotere le palme giù nel giardino dell’ingresso, richiamava alla memoria tutte le volte che era entrato lì e aveva trovato il padre seduto a quella scrivania, pronto ad accoglierlo con severità o con dolcezza a seconda dei suoi comportamenti. In ogni circostanza però, anche quando lo rimproverava,  gli aveva sempre  letto negli occhi un amore immenso.
Ora gli mancava, gli mancava tanto! Non poteva capacitarsi di averlo perduto per sempre e anche se ancora non riusciva a piangere,  dentro si sentiva come se lo stessero dilaniando.
Non si avvide di Angela che, con il suo passo lieve e confondendosi con le ombre della stanza per il vestito nero del lutto,  era entrata. Sussultò quando lei gli posò la mano sulla spalla. Alzò il volto, offuscato da un velo di infinita malinconia, e la guardò. La ragazza, con gli occhi rossi per il troppo pianto di quei giorni, gli prese il viso tra le mani e ricambiò il suo sguardo colmo di dolore.
- Io avevo ritrovato un padre e per la seconda volta l’ho perduto. - gli disse con la voce dolcissima -  Ma forse mi sbaglio, forse chi si ama davvero non si può  perdere mai. Io non lo so se c’è qualcosa dopo la morte, amor mio,  ma sento che lui sarà sempre con me. Mi basterà pensare al suo sorriso per sentirmi meno sola.
Fabrizio sapeva che non mentiva. Davvero aveva amato suo padre come se fosse stato il proprio e Ferdinando l’aveva amata con altrettanta tenerezza.  Si strinse forte a lei. Le appoggiò il viso sul seno scarno e  finalmente, senza ritegno, scoppiò in quel pianto che si portava dentro da giorni. Anche Angela piangeva e mentre le loro lacrime si confondevano, lui ebbe la certezza che mai, qualsiasi cosa fosse accaduta, si sarebbe potuto spezzare il legame delle loro due anime.

 

NdA
Come avete appena visto questo capitolo è molto incentrato su Fabrizio, sui suoi problemi, sul suo non saper scegliere tra i nobili ideali dello spirito e le tentazioni della carne, tra la rettitudine e la bassezza. Forse, agli inizi del Novecento, un maschio di 24 anni poteva pensare ed agire già da uomo maturo, questo io non posso saperlo, però ho voluto che il mio personaggio, un po’ in anticipo rispetto ai tempi per personalità e idee, avesse tutti i dubbi, i tentennamenti e, perché no, le debolezze di un ragazzo di quell’età perché solo in questo modo potevo renderlo più autentico. Ed ho voluto pure mostrarlo in tutta la sua vulnerabilità davanti ad una delle sofferenze più devastanti dell’esistenza, quella per la perdita di un genitore. Perdonatemi se questo capitolo è stato tanto malinconico - una lettura fatta per svago non dovrebbe trattare temi così delicati - però lo sapete, nell’immaginare le mie trame, mi ispiro sempre alla vita reale e quella, purtroppo, di  dolori profondi non è mai avara.
Restate con me, comunque, perché già nel prossimo capitolo ci saranno sviluppi molto interessanti.
Un’ultima domanda: che ne pensate delle cose che Maria ha detto ad Angela?  Non trovate che siano le stesse che ognuna di noi avrebbe voluto dirle se fosse stata una persona vera?

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***



Purtroppo il destino aveva deciso altrimenti e quello che si avvicinava sarebbe stato uno dei periodi più dolorosi nella vita dei due giovani sposi.
Oppresso dalla sofferenza per la morte del padre, Fabrizio desiderava disperatamente tenere fede all’ultima promessa che gli aveva fatto, quella di accettare l’impiego offertogli dal cognato a Roma. Quando lo aveva comunicato agli altri familiari li aveva fatti felici. La sua decisone gli avrebbe consentito infatti di essere la persona seria e rispettabile che tutti si aspettavano dovesse diventare. Più volte aveva avvertito dentro di sé il dubbio che la vita che si era scelto non era per niente il coronamento delle sue reali aspirazioni eppure la contentezza che aveva visto anche negli occhi di Angela lo aveva convinto ad andare avanti su quella strada. Non era più innamorato di lei, questo lo aveva capito da tempo, ma l’affetto e la tenerezza che suscitava in lui gliela rendevano assai cara. Forse, così come il lavoro, anche il matrimonio non sarebbe stato come lo avrebbe voluto eppure, se non poteva essere felice lui stesso, almeno avrebbe provato a rendere felice lei. Quella ragazza dolce e buona se lo meritava e probabilmente, con il tempo, anche lui sarebbe riuscito a conquistare l’equilibrio, la serenità e la pace di cui ora avvertiva il bisogno.
Per il momento, in attesa che Rodolfo sistemasse le cose, aiutava Alberto nelle incombenze del nuovo studio che aveva aperto a piazza San Ferdinando e soprattutto frequentava la casa di Croce e la cerchia di conoscenze a cui ben presto avrebbe dovuto dire addio.
Con Dora non si vedeva più  sin da prima della laurea e ormai considerava quella parentesi conclusa. Facendosi un attento esame di coscienza, aveva capito di non aver amato mai nemmeno lei, ma di esserne stato solo attratto fisicamente. Per questo, a volte, si sentiva un po’ in colpa per averla in qualche modo usata e sperava con tutte le sue forze che l’ex amante avesse potuto accettare la fine della loro storia sbagliata senza soffrirne troppo.    
S’illudeva. Dora all’inizio aveva dovuto rassegnarsi perché il marito l’aveva tenuta in villeggiatura fin quasi la metà di ottobre in quanto l’aria di campagna faceva bene al loro figlioletto poi, quando era tornata, c’era stata la disgrazia della morte di Ferdinando per cui non aveva potuto incontrare da sola l’uomo che era convinta di amare.
A novembre,  benché fosse oramai incinta di otto mesi, non ce la faceva più a sopportare una tale situazione. Non voleva credere di poter essere liquidata così, solo con una lettera, e decise di affrontarlo di persona.
Conosceva gli orari di Angela e sapeva anche che quel pomeriggio Fabrizio era solo. Senza esitare, lo andò a trovare  a casa,  usando il solito sistema.
Quando lui se la trovò davanti restò imbarazzato, ma non poteva non farla entrare. Però, per toglierle dalla testa ogni velleità, la portò in salotto e non nel suo studio.
- Perché fai così con  me, amore – protestò la ragazza, addolorata.
Nonostante il pancione era bella. Era difficile trattarla con freddezza, soprattutto non doveva farla soffrire.
- Dora, il nostro è stato uno sbaglio, dobbiamo smetterla con questa pazzia. Adesso tu devi pensare al tuo bambino soltanto.
- Per questo non mi vuoi più? Perché ti disgusto?
Effettivamente si sarebbe sentito un depravato a far sesso con  una donna grossa incinta e per giunta di un figlio non suo, ma  le mentì per non ferirla.
- Non dire sciocchezze, non mi disgusti. Però ammettilo, non è bello e  non è nemmeno giusto né nei confronti di tuo marito né in quelli di mia moglie.
Esasperata,  la donna gli gridò:
- Ma come fai a provare pietà per quei due: un vecchio maiale schifoso che mi perseguita con le sue voglie e una noiosa beghina che ha avuto persino il coraggio di rifiutarsi a te.
Fabrizio corrugò la fronte dallo stupore.
- Cosa ne sai tu di questo? – le chiese infastidito
- Me l’ha detto lei stessa. E se ne vanta pure! Povero scemo, ti senti tanto intelligente e invece sei solo un giocattolo nelle mani di un’ipocrita  furbastra. Lo so, adesso non mi vuoi, ma quando avrò avuto il bambino,  quando sarò di nuovo bella…
- No, non sarà così, tra poco andrò a vivere a Roma insieme ad Angela e noi due non ci vedremo più. Sarà meglio per tutti.
Sconvolta, lei gli si avvicinò e lo afferrò per le braccia. Incominciò a scuoterlo, senza più ritegno.
- No, ti prego, no! Come farò a starti lontano? Io ti amo, lo capisci? Ti amo! Non puoi calpestare così l’amore di una donna vera. Non lasciarmi ti scongiuro, io ne morirei!
Piangendo disperata, gli si strinse contro nonostante il grosso ventre. Lui le accarezzò intenerito i capelli, inebriato dal suo profumo.
La ragazza ne approfittò, gli cercò la bocca e cominciò a baciarlo. Le sue mani andarono ai bottoni della camicia, glieli slacciarono con furia e si intrufolarono sulla pelle nuda.
Fabrizio si sentì fremere a quelle carezze eppure le afferrò le mani, cercando di fermarla.
- Dora, non fare così. Dobbiamo smetterla.      
La donna si scostò un attimo. Pareva essersi arresa perché ad occhi bassi gli mormorò:
- Va bene, sei crudele a lasciarmi così, ma faremo come vuoi tu. Però diciamoci addio, almeno quest’ultima volta.  
Ora lo fissava con gli occhi blu cobalto accesi di una passione irresistibile. Si slacciò la camicetta, gli prese una mano e se la portò sul petto.
Per un momento lui rimase immobile poi con l’indice le toccò la carne tenera e calda e il turgore dei capezzoli. Piano, continuò a farglielo scorrere sul collo, sulla gola, sul mento. Glielo  posò sulle sue labbra socchiuse e allora lei lo prese in bocca e cominciò a succhiarlo, lentamente, sapientemente.           
- Non vuoi fare quello, lo so, ma io posso farti  godere lo stesso      - gli mormorò a un tratto con sensualità.   
L’uomo avvertì esplodere all’improvviso un desiderio incontrollabile. Purtroppo lui era così, si infiammava facilmente e anche se dopo se ne pentiva sempre, non riusciva a resistere al richiamo della carne.
La trascinò sul divano. All’improvviso non c’era più spazio per gli scrupoli né per le preoccupazioni. Non voleva altro che  spegnere quel fuoco improvviso che lo stava facendo impazzire.       
Si stavano baciando, quando Dora a un tratto s’irrigidì. Guardava terrorizzata l’ingresso. Lui ne seguì lo sguardo per capire cosa avesse provocato quella reazione e vide sua moglie.  
Angela era lì, dritta, pallida come una morta, ad osservarli come pietrificata. Era rientrata prima dal suo giro perché non si sentiva bene. Lei e Maria erano entrate usando la chiave e quei due, troppo presi dalla passione, forse non avevano nemmeno udito la porta aprirsi.
Ci fu un attimo di silenzio generale. La prima a riprendersi fu Dora che, ricomponendosi in fretta le vesti, si rivolse alla cugina:
- Angela, ti prego, non è come pensi tu!
La ragazza scappò via, cercando di  andare a rifugiarsi nella propria stanza. Dora la seguì.
Fabrizio invece rimase lì, sul divano, tenendosi disperatamente la testa tra le mani, sotto lo sguardo desolato di Maria che per un po’ non riuscì a muoversi, poi, in silenzio, se ne andò in cucina.         
Intanto nella stanza da letto,  Dora aveva afferrato Angela  per le braccia cercando di farsi ascoltare perché lei si tappava le orecchie per non sentirla. Allora la lasciò andare  e incominciò a piangere disperata.
- Non mi rovinare, ti prego, non mi rovinare. Posso spiegarti tutto. Io non sapevo che eri uscita ed ero passata a trovarti. Fabrizio mi ha fatto entrare e dopo un po’ mi ha afferrato cercando di baciarmi. Io ho resistito ma poi…
Anche Angela piangeva, silenziosamente. Aveva sempre saputo che tra la cugina e suo marito c’era stato del tenero anche se pensava che ormai tra di loro fosse finita da un pezzo. Non era così. Come aveva potuto credere che Fabrizio oramai amasse solo lei? Come aveva potuto pensare di poter competere con Dora, così bella e seducente? Che povera illusa era stata!
Intanto Dora continuava:  
 - Non mi rovinare, ti scongiuro, non gettare il disonore sui miei figli e sulla mia famiglia. Non è successo niente, te lo giuro, ed anche se ho avuto un attimo di debolezza, imploro il tuo perdono! Tu sei una santa, non puoi volere la rovina di una madre, non è così?
No, non lo voleva. Era stata ferita eppure non poteva distruggere una famiglia per vendicarsi di un momento di debolezza. Alla fine Angela cedette.       
- Non ti preoccupare, non dirò nulla a tuo marito, anzi,  ricomponiti se deve venirti a prendere come fa di solito. Ma domani va’ a chiedere perdono a Dio della tua leggerezza anche se non è solo colpa tua: è quell’uomo a cui avevo dato incautamente il mio amore ad essere disgustoso…
Felice dello scampato pericolo e senza alcuno scrupolo per aver gettato tutta la colpa sulle spalle di Fabrizio, Dora provò a baciarle le mani. La cugina le ritrasse con un gesto di fastidio. Allora lei si asciugò in fretta le lacrime e ritornò in salotto,  giusto quando Maria stava aprendo la porta al cavaliere Pepe.
- Dobbiamo andare via – gli disse afferrandolo per un braccio e trascinandolo via – Angela non sta bene e non vuole essere disturbata.
Quando furono usciti, un silenzio irreale piombò sulla casa.
 
Maria bussò alla porta dello studio e trovò il giovane già in piedi davanti alla finestra  che fissava desolato e triste la strada.
Posò il vassoio con il caffè sulla scrivania.
- Scusate, la signora dice che ve ne dovete andare perché non vuole più vedervi -  gli comunicò.
- Ho bisogno di parlarle. Diglielo,  per favore – la implorò lui.
La donna se ne andò per tornare poco dopo, ancora più mogia.
- Mi dispiace, non vuole. Ha detto che non vi dovete dire più niente e che non vi  sopporta più.
Un po’ vergognosa della sua stessa audacia, aggiunse:
- Scusate, signò, ma se permettete un consiglio da una povera scema, per ora è meglio che ve ne andate.
Confuso e pentito,  Fabrizio mise poche cose in una valigia e andò a chiedere ospitalità ad Alberto, nella sua piccola casa da scapolo in via Chiaia. Rimase lì, gettato su di un letto, abulico e triste fino a qualche giorno dopo quando il conte Alfonso lo andò a prendere per fargli incontrare la nipote per un chiarimento.
Aveva la barba lunga e gli occhi cerchiati, ma nemmeno quell’aspetto così miserevole riuscì a smuovere a pietà la dolce Angela che sembrava essersi trasformata in una statua di ghiaccio.
- Insomma me lo volete dire cosa è successo? Può mai essere una cosa così grave da farvi gettare alle ortiche il vostro matrimonio?
I due non gli risposero. Il conte continuò,  con un fare ipocritamente paterno perché aveva ben intuito  quale potesse essere il motivo della rottura. Tra l’altro riteneva normale per un uomo ammogliato cercare di soddisfare  tra le braccia di una donnina di facili costumi  le voglie che una moglie perbene non poteva togliergli.
- Angela, non fare così - insistette - in fondo Fabrizio è giovane e se pretendi il rispetto da lui devi anche capire le sue esigenze.
- Davvero zio? Tra le sue esigenze rientra pure quella di abusare delle giovani donne?
- È questo che ti ha raccontato quella disonesta? Che sono stato io a cercare di prenderla, magari addirittura con la forza? Lei non c’entra niente, vero? E tu le credi, non è così? – le urlò il giovane, esasperato da tanta perfidia da parte dell’amante e dal basso concetto che sua moglie aveva di lui.
- Sì, le credo e tu sei un infame se cerchi di buttare il disonore su di una povera donna pur di giustificare le tue bassezze.
Credendo che stessero parlando di Maria, Alfonso  sentenziò, quasi gongolando per la situazione:
- Eppure, ragazza mia, noi ti avevamo avvisato, sei stata tu ad insistere per prenderti in casa una donnaccia. Adesso ti lamenti se tuo marito se la fa con lei.
Angela sgranò due occhioni stupiti non sapendo cosa dire, mentre Fabrizio proruppe in un riso amaro e irrefrenabile.
- Povera Maria, proprio non se lo merita di essere chiamata donnaccia! – esclamò.
- A questo punto sei? – lo rimproverò irato il conte - Non ti vergogni di prendere le difese della tua sporca amante umiliando ancora di più quest’onesta figliola? Sei proprio un satanasso, non c’è altro da dire, aveva ragione la buonanima di tuo padre. L’hai fatto morire di dolore quel pover’uomo!
Fu come un velo di collera che scese sugli occhi di Fabrizio. Non riuscì più a  controllarsi.
- Ma lo volete sapere chi è la donnaccia di cui stiamo parlando? Lo volete proprio sapere?
- Fabrizio! – urlò Angela alzandosi in piedi e cercando di fermarlo, ma invano.
- È vostra figlia Dora. La buona, onesta Dora, moglie e madre esemplare.  È lei la donna che Angela ha visto qui con me.
Sconvolto Alfonso barcollò, una mano sul petto come a ripararsi il cuore da una notizia tanto sconvolgente. La ragazza se ne spaventò e corse in suo soccorso. Sorreggendolo, gli accarezzò il viso.
- Non dargli retta, zio, è solo un scellerato. Dora mi ha giurato che è stato lui a indurla a farlo.
- Ma davvero? Si vede che si è dimenticata di essere stata la mia amante per ben tre mesi!
Il conte gettò sul giovane uno sguardo pieno di odio.
- Brutto cane schifoso. Ti avevo dato una possibilità e tu hai morso la mano che ti è stata porta!
 - La mano che mi avete porto? Ma diteglielo allora a vostra nipote in quale modo mi avete costretto a sposarla allettandomi con il denaro che dovevo restituire agli usurai. E visto che ci siete,  ditele anche perché l’avete fatto.
Era fuori di sé ormai. Rivolto alla ragazza che sembrava sul punto di svenire, proseguì, incapace di continuare in  un inganno da cui si sentiva macchiato.
 – L’hanno fatto per  tenersi i soldi della tua cospicua dote sui quali aveva messo gli occhi anche quell’altra santa donna di suor Ada.  Se sceglievi di farti monaca, sarebbe andato tutto al convento. Così, quando hanno capito che ti eri innamorata di me, hanno insistito fino alla nausea perché ti sposassi.
Angela fu costretta a  sedersi per non cadere.
- Perché mi avete fatto questo, perché? – riuscì a mormorare
- Io non volevo farlo, avevo capito quanto tu fossi diversa da me e quanto fosse  impossibile per noi due vivere insieme. Ho sbagliato ad accettare i loro soldi, sarebbe stato più dignitoso scappare in America o magari farmi ammazzare. Eppure, poiché l’avevo fatto, ci ho provato ad andare d’accordo con te. Ma tu niente, tu ti fidi di tutti tranne che di me, sono solo io quello malvagio, quello che vuole tradirti, portarti alla perdizione, mentre tutti gli altri sono dei santi e ti danno solo buoni consigli. Accidenti, li vuoi aprire o no questi occhi, ti vuoi guardare intorno e vedere il mondo o vuoi rimanere tutta la vita una mezza scema?
Senza riuscire a sopportare oltre, la ragazza nascose il viso tra le mani e scoppiò in un pianto dirotto.
- Finiscila farabutto o ti spacco la testa. Sei solo una bestia immonda – intervenne il conte.
Si buttò addosso a  Fabrizio per percuoterlo, ma questi, più giovane e forte di lui, riuscì facilmente a farsi togliere le mani di dosso.
Vedendo che Maria aveva osato entrare e aveva abbracciato la padroncina in lacrime per trascinarla in camera sua, Fabrizio si rivolse ancora alla moglie, pentito e spaventato per il male che le stava facendo. Molte volte aveva pensato di rivelare alla moglie la verità e purtroppo, accecato dalla rabbia,  aveva scelto il modo peggiore per farlo.
- Perdonami, ti prego. Io sono stupido e debole, ma non sono un infame. Non ce la facevo più a tenermi dentro tutto questo. Dobbiamo parlarci, chiarirci, solo così potremo … Aspetta, Angela, non andartene – la implorò.
Lei non si voltò nemmeno al suo richiamo.
 
Era tornato il Natale, ma ben diverso era lo stato d’animo di Fabrizio rispetto alla gioia provata appena un anno prima. E come poteva non essere così se in un solo anno aveva perso tutto? Non c’era più l’accogliente cucina dove sua madre preparava il pranzo, non c’era più la presenza amorevole del padre, non aveva più una casa né una moglie innamorata ad aspettarlo. Si sentiva il cuore stretto in una morsa, anche se finalmente era riuscito, pregando più volte Maria, l’unica persona che le fosse vicina, di convincere Angela  ad accettare di  rivederlo ancora una volta.     
Era la Vigilia e le strade erano ancora una volta piene di movimento. Arrivò a quella che era stata anche la sua casa nel palazzo alla Riviera di Chiaia e, come un estraneo qualsiasi, bussò alla porta. La  cameriera gli venne ad aprire. Salutandolo con un cenno della testa, lo introdusse in salotto.
Come sembrava enorme quella stanza adesso! O forse era solo perché la donna seduta con il gattino in braccio davanti al camino acceso si era fatta ancora di più piccola piccola…
La salutò con dolcezza. Lei, senza rispondergli, lo guardò con gli occhi scuri, immensi nel visino smunto. Vestiva  ancora di nero. Fabrizio capì che il suo lutto non era per il suocero,  il padre di colui che l’aveva tradita in quel modo infame, ma  il segno di un dolore ancora vivo  per la perdita di una persona amata.
Vedendo la domestica posare il lavoro a maglia  e fare atto di ritirarsi, Angela la fermò con un cenno della mano.
- Dove vai? Rimani qui. Per te non ho segreti, lo sai. Tu sei l’unica persona degna di fiducia che abbia mai avuto la fortuna d’incontrare in vita mia.
- Ma signo’ … – protestò l’altra, molto imbarazzata.    
Alla fine dovette arrendersi allo sguardo insolitamente autoritario della padrona. Andò a sedersi un poco in disparte, vicino al tavolo.
Fabrizio pensò che la moglie non volesse restare da sola con lui e in tutta onestà non seppe darle torto.
- Come stai? – le chiese senza sapere come cominciare il discorso.
- Bene.
Aveva la voce calma, ma venata di malinconia.
- Sono venuto a salutarti perché sto andando via. Che ci facevo da solo a Roma se tu non vuoi più venire con me? Così ho deciso: vado a Firenze. Mi ha mandato a chiamare un mio amico di Siena, Giuseppe Prezzolini, che ha fondato una nuova rivista e desidera che collabori  con lui e con altri che la pensano come noi. Il primo numero uscirà subito dopo Natale. La chiameremo “La Voce” e, a dire il vero, ci crediamo molto. Anche il professore Croce ci sta incoraggiando. Come esporremo nel nostro manifesto, partiremo dalla critica letteraria e attaccheremo coloro i quali ritengono che   si possa fare l’artista per mestiere, magari solo con l’uso sapiente ed estetizzante delle parole, mantenendosi del tutto avulsi dai problemi civili e dalle ideologie che oramai ci spingono al rinnovamento. Con il tempo porteremo avanti un discorso di serietà morale e di dignità intellettuale contro le ipocrisie e tutto quanto c’è di retrivo nella nostra società contemporanea.
Il giovane si era infervorato nel discorso, ma un sorrisino ironico apparve sulle labbra di Angela.
- Bravo, ti fanno onore queste cose. Tu sei di sicuro all’altezza di una simile integrità morale.
C’era un sarcasmo  pungente nelle sue parole. Fabrizio s’interruppe e abbassò gli occhi, mortificato.
- No, non lo sono, ma perlomeno vorrei provare a diventarlo. Credimi, quello che ho fatto ripugna enormemente me per primo.
- Quello che hai fatto? Che cosa in particolare: esserti fatto pagare per sposarmi oppure aver assalito una povera donna, incinta per giunta?
- Ancora con questa storia! Sono un verme, d’accordo, ma tu mi consideri addirittura uno stupratore.
-  Vergognati! – lo incalzò la moglie, sprezzante e dura come non era mai stata.
- Me ne vergogno sì, mi vergogno di essermi lasciato andare con Dora in una relazione durata quasi tre mesi ma che stavo cercando di troncare quando tu ci hai scoperti. E mi vergogno anche di averti sposata per quel denaro maledetto, di averti fatto credere che già ti amavo mentre invece mi sono innamorato di te solo in seguito.
Con un’espressione amara sul viso, la donna allontanò il gattino e con la massima indifferenza, prese il ricamo dalla scatola portalavoro accanto a sé.
- Non ti credo – gli disse.
Si mise a cucire soprattutto per non doverlo guardare in faccia. Cercava di apparire tranquilla, ma doveva fare uno sforzo enorme per controllare le proprie emozioni. Pure in quel momento di sofferenza e di risentimento l’aspetto di  Fabrizio l’attirava molto. Gli occhi addolorati e il viso patito gli davano l’aria di un uomo più maturo. Appariva diverso, ma per lei non aveva  perso neanche un poco del fascino di quando le era parso soltanto un giovane spensierato.
- Non credi al mio amore per te? – proseguiva a dirle intanto lui – Invece è vero. E’ accaduto  dopo però mi sono innamorato veramente di te.
- Non ti sei comportato da uomo innamorato.
- È vero, ma ero ferito, offeso. Te lo giuro, se fosse stato un altro il motivo per il quale mi respingevi, lo avrei accettato, me ne sarei fatto una ragione. Se tu fossi stata malata, ad esempio, non mi sarei mai sognato di andare con un’altra, avrei aspettato fiducioso la tua guarigione, anzi, ti avrei aiutato a guarire. Ma tu agivi in quel modo assurdo solo per principio, con enorme disprezzo di me e dei miei sentimenti. Ti sei fidata di quel prete come se dalla sua bocca uscissero solo verità universali e anche adesso continui a fidarti di quanto ti dicono gli altri e non delle cose che ti dico io. Io non voglio apparirti migliore, te lo giuro, ammetto tutte le mie colpe e le mie mancanze, ma perché non mi vuoi perdonare come fai con tutti, perché non vuoi darmi ancora una possibilità?
- Perché ti amavo, Fabrizio, perché credevo che mi avessi sposato per amore,  perché di te mi fidavo, perché ora non ho più nulla, perché ora non sono più nessuno! Ti basta? – gli urlò alla fine esasperata.
Maria si agitò sulla sedia vedendo la padrona perdere il controllo, ma questa si ricompose e aggiunse più calma e non senza una certa ironia:
- Guardami negli occhi, marito mio, guardami e dimmi se sei sicuro di amarmi davvero.
Il giovane sostenne quello sguardo di fuoco e si interrogò: per un periodo, un breve periodo, gli era parso che fosse così, ma ora sapeva che ciò che aveva nutrito per lei non era ancora riuscito a trasformarsi in vero amore.
- Ti voglio molto bene, lo sai – le sussurrò, sincero.
- Non mi basta, grazie. Vattene per la tua strada e buona fortuna – gli disse drastica.
Non era mai stata così, ma ora era come se qualcosa le si fosse spezzato dentro e le avesse fatto diventare il cuore duro come una pietra. Se si fosse lasciata andare ai sentimenti avrebbe accettato tutto, qualsiasi compromesso pur di stargli vicino,  arrivando a mendicare l’amore che lui non avrebbe mai potuto darle perché non era la donna che cercava.
Era meglio restare sola. Un’ulteriore conferma della sua indifferenza l’avrebbe uccisa.
Fabrizio rimase un attimo in silenzio, guardandola addolorato. Senza dire più una parola, prese il cappello e si avviò all’ingresso. 
Maria  si alzò, lo accompagnò alla porta e ritornò a sedersi su uno sgabello basso davanti a lei. Rimasero entrambe in silenzio, ma  Angela  aveva il volto rigato da lacrime silenziose.
Incapace di resistere oltre a quel muto dolore, ad un tratto la giovane servetta  osò prendere tra le sue le mani della padrona. Cercando consolazione, lei l’abbracciò e finalmente si lasciò andare a un pianto liberatorio. Solo quando si fu un po’ calmata, la povera Maria trovò il coraggio di dirle una cosa che si portava dentro da tanto.
- Signora, devo confessarvi una cosa. Ve lo ricordate l’orecchino di  brillanti di vostra cugina? Vi dissi di averlo trovato in salotto, però non era vero.
In preda all’angoscia, Angela si scostò di scatto e la guardò con un’espressione  desolata.
- No, ti prego, non dirmi che l’avevi rubato, non tradire anche tu la mia fiducia, non lo sopporterei!
- Uh Maronna mia, e come vi viene in mente una cosa così?! – esclamò l’altra, dispiaciuta che la signora avesse potuto pensare male di lei. Guardandola dritto negli occhi, mentre nelle sue pupille castane si leggeva soltanto sincerità, si affrettò a spiegarle:
- L’ho trovato dentro lo studio, nel letto del signor Fabrizio, poteva essere maggio o forse l’inizio di giugno. Non ve lo dissi per non farvi prendere collera. Il giorno prima era  venerdì. Me lo ricordo perché nel pomeriggio la balia della signora Dora si sentì male e mi mandò a chiamare per farmi tenere o’ piccirillo. Mi disse che la signora non c’era perché era venuta da voi, ma io lo sapevo che voi  a quell’ora stavate in chiesa a imparare  il catechismo ai bambini …
Normalmente, quando la sentiva fare qualche strafalcione, Angela la correggeva con garbo, ma questa volta neanche se ne accorse che aveva detto “imparare” invece di “insegnare”. Rimase pensierosa e a occhi bassi.
- Ma quando mai è stato lui a zomparle addosso! – continuò la domestica nel suo linguaggio colorito -  Quelli stavano già assieme da allora e la signora contessa lo voleva pure lei,  eccome  se lo voleva!
Un sorriso amaro simile a una smorfia  si dipinse sul volto della ragazza in lacrime.
- E questo dovrebbe consolarmi secondo te? Dovrei essere contenta perché già da prima quella che consideravo una sorella e l’uomo che amavo mi tradivano? Pensa a com’ero stupida, aspettavo con ansia il venerdì perché avevamo preso l’abitudine che, quando se ne andava Dora, gli preparavo io la cena. Mentre mangiava, mi sedevo accanto a lui e lo guardavo. Era così bello starsene così, in cucina, noi due da soli, a parlare di tante cose. Mi ha sempre saputo  incantare con le sue parole e io mi sentivo  sempre più innamorata. Invece aveva appena finito di fornicare con un’altra!
 - Pp’ amor e’ Dio, è stato nu’ fetènt, se mi posso permettere – ammise l‘altra – però è lui che vi ha detto la verità, non vostra cugina. E poi -  ve lo ricordate? -  io ve l’ avevò ritt che un giovane come lui non poteva mettersi a fare il monaco solo perché voi vi eravate fatta convincere da don Cesare. Chille è nu’ prevete, ca’ ne sa e chesti cose!  Non lo dovevate stare a sentire, dovevate continuare a fare la moglie come fanno tutte quante e a’ signora cuntèss – pronunciò l’appellativo con un forte disprezzo nella voce - sarebbe rimasta come una scema. Perché con quella là il signor Fabrizio si è solo sfiziato un poco a letto invece a voi vi vuole bene veramente, di questo ne sono sicura.
Angela rimase pensierosa a riflettere sulle parole di Maria, il viso ancora rigato di lacrime.
- Non credo. Lo hai sentito anche tu, ora se ne sta andando a Firenze a inseguire i suoi sogni e presto si sarà dimenticato persino che esisto. Comunque ora basta, è inutile starsene qui a piangere, tanto le cose non cambieranno. A che ora passa a prenderti don Peppino? Dobbiamo preparare i doni per il tuo bambino.
- No, signora, io non ci  vado a casa, non vi lascio qua da sola.
- Non dire sciocchezze. È Natale e i tuoi genitori ti aspettano. E poi Gaetanino ha bisogno di vederla la sua mamma qualche volta, o no?
Parlando, le sorrideva con dolcezza, ma l’altra non voleva cedere.
- Non se ne parla. Con che cuore vi lascio? Perché dagli  zii non ci volete andare, non è vero?
- Sì, non li voglio più vedere. Non voglio vedere più nessuno. D’ora in poi sarai solo tu la mia famiglia. Ti prego, se mi vuoi bene, non trattarmi più come si fa con una padrona, fa’ come se fossi tua sorella, invece.
La guardava con il visino sincero e gli occhi dolci colmi di lacrime. Assai commossa, Maria se la strinse al petto e le giurò che niente e nessuno le avrebbe mai separate.
E così fu per davvero, finché vissero.



 
NdA
Spero che il capitolo che avete appena letto vi possa essere piaciuto e sono assai curiosa di leggere le vostre impressioni. Per il momento preferisco non dire nulla ma, se lo vorrete, sono pronta a commentare con voi la situazione che si è venuta a creare e le reazioni dei miei personaggi. Nel frattempo, a costo di essere ripetitiva, ringrazio tutte le mie lettrici per l’attenzione che mi stanno prestando.
Dimenticavo di dirvi che le cose che ha detto Fabrizio in merito al lavoro di giornalista che si appresta a cominciare a Firenze le ho prese pari pari dal manifesto de’ “La Voce”  che ho trovato su Wikipedia (santa, santa, santa Wikipedia!), la rivista fondata da Prezzolini proprio nel 1908. Data la personalità e le aspirazioni di Fabrizio mi è parsa una strada che gli si confacesse appieno e così, ancora una volta, ho lasciato che la storia, quella vera, venisse in ausilio ai miei personaggi e li rendesse almeno un po’ più autentici e veri.
Non mi resta che darvi appuntamento alla settimana prossima con i nuovi sviluppi di queste vite immaginarie che però mi auguro vi stiano diventando sempre più cari.

 
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***



I primi mesi del 1909 furono quanto di più freddo e amaro ci fosse mai stato nella vita di Angela. Inutilmente aveva cercato di riprendersi, ma la tristezza era diventata così grande da essere oramai quasi l’unica cosa che la teneva in vita. Non sopportava più nessuno, aveva perso anche l’interesse per la lettura e per il ricamo. Spesso trascorreva in silenzio i lunghi pomeriggi invernali, standosene seduta davanti al camino a fissare il vuoto con il suo gattino in braccio. Accanto a lei c’era sempre Maria. A volte, per farla distrarre un po’, le raccontava i pettegolezzi del quartiere o del suo paese, strappandole peraltro solo qualche vago segno d’interesse.
Ogni tanto il conte Alfonso passava per informarsi di lei e per lasciarle i soldi della rendita che ora le portava di persona. Spesso le faceva firmare anche dei documenti, atti di vendita perlopiù,  adducendo la scusa che gli agrumeti in Sicilia non rendevano come una volta ed era meglio disfarsene prima che diventassero del tutto improduttivi. La nipote firmava senza dir niente, ma i suoi grandi occhi che lo guardavano severi lo disturbavano così come avrebbe potuto disturbarlo la coscienza se solo ne avesse avuta una. Finì anche lui per diradare le visite.
Intanto Dora aveva avuto una bella femminuccia, con grande felicità del cavaliere Pepe, sempre ignaro del tradimento della moglie. I conti del Cassano però erano preoccupati. Quando Angela aveva appreso la notizia del parto dallo zio, non aveva detto nemmeno una parola né si era informata sulla salute della cugina o della neonata. Era ancora risentita, naturalmente, e, dopo un animato consiglio di famiglia, fu deciso che Dora dovesse andare a trovarla, magari con la scusa di portarle a conoscere la bambina, per assicurarsi che fosse intenzionata a mantenere un segreto che se fosse trapelato avrebbe gettato nella rovina e nel disonore tutti quanti loro.
Dora aveva provato in tutti i modi a rifiutarsi, ma stavolta i genitori non gliela avevano data vinta  e così, con i bambini al seguito, un pomeriggio di febbraio si presentò a casa di Angela con il segreto timore di essere messa alla porta. Non fu così. Benché sciupata e triste, la cugina la trattò con fredda cortesia. Non accennò nemmeno all’episodio increscioso accaduto qualche mese prima e Dora si guardò bene dal ricordarglielo. Stava già per andarsene quando, mentre metteva la figlia  nell’elegante carrozzina,  la udì dire all’improvviso:
- Per quale motivo te lo sei voluto prendere, per il gusto di portarmelo via forse?
La donna si sentì raggelare al suono freddo e calmo di una voce che sembrava provenire dagli abissi della più profonda sofferenza. Ancora di più si sentì turbata dallo sguardo severo di Angela, uno sguardo che la fece rabbrividire tanto la metteva di fronte alla propria colpa.
- Non credo che tu ne fossi innamorata sul serio -  continuò l’altra con lo stesso tono calmo -  se fosse stato così, non avresti cercato di buttare su di lui tutta la responsabilità, avresti avuto il coraggio di confessare che ti eri perduta perché non avevi potuto resistere alla passione. Avresti dovuto rinunciare a tutto per amor suo,  al tuo onore, alla tua posizione, persino ai tuoi figli. Invece hai saputo solo mentire.
Sul viso di porcellana della bionda cugina si diffuse un rossore di vergogna: aveva saputo dal padre che Fabrizio aveva confessato il loro sbaglio, ma si era convinta che quella versione era potuta sembrare solo una scusa ignobile. Invece non era stato così. Angela sapeva tutto, sarebbe stato da stupide fingere. Non vedeva come giustificarsi per cui  le disse soltanto, con un filo di voce:
- Perdonami. Non giudicarmi male, tu non sai come me ne sono pentita. Ti prego con tutto il cuore, non condannarmi al disonore. Potresti farlo, volendo, ma io ti scongiuro di non farlo!
Angela sorrise ancora una volta con quello strano sorriso amaro e ironico ad un tempo che le era diventato quasi abituale.
- Perdono? Giudizio? Condanna? Da me? No, Dora, e chi sono io per fare queste cose! Io sono solo una povera, stupida donnetta che potrebbe soltanto smascherare la tua immoralità. Potrei farlo, certo, ma non lo farò. La mia soddisfazione sarebbe rovinata dalla consapevolezza di aver fatto del male anche ad un brav’uomo e a queste due creature innocenti. Però smettila con la tua assurda ipocrisia. Io non ho bisogno del tuo falso affetto, anzi, mi irrita a tal punto che potrebbe farmi rivedere la decisione di non rivelare in giro quanto sei viziosa e disonesta.   Per cui, ascoltami, è meglio che non ti fai  più vedere da me. Se davvero sei  pentita di quanto hai fatto, il perdono vallo a domandare a qualcun altro.
Così dicendo alzò l’indice in alto indicando il Cielo. Ma tanta superiorità morale non poteva essere certamente compresa da quell’anima gretta. Dora si sentì sollevata da un peso, si asciugò le lacrime, finse gratitudine e se ne andò via. Mentre tornava a casa arrivò persino ad apprezzare   la buona sorte che le aveva dato per cugina una persona così priva di nerbo e poco vendicativa, cosa che le aveva consentito di passarla liscia.
 
Con il tempo anche le poche visite di circostanza cessarono perché la ragazza si mostrava sempre cortese, ma gelida con tutti. Lo fu persino con padre Cesare. Questi, venuto a conoscenza della grave crisi coniugale, si era affrettato ad andarla a trovare per consolarla e assicurarle che, anche se in quel momento ne provava  dolore, essersi liberata  dell’ignobile marito era stata una fortuna per la sua salvezza eterna.
Anche  suor Ada accorse per stare un po’ con lei. Le offrì di tornare in convento a riprendersi dalla delusione. Anche se questa volta lo fece senza nessun interesse economico, non di meno provò l’intima soddisfazione di averci visto giusto.
Angela rifiutò. Poteva dimenticare l’immensa gioia provata tra le braccia di Fabrizio? Non era più possibile. Oramai si sentiva prigioniera in un limbo penoso, corrotta e perduta per sempre. Non c’era luogo per lei dove potesse trovare  pace, nemmeno quelle antiche mura tra le quali era cresciuta lontana dal mondo.
Di suo marito aveva notizie attraverso le lettere che Carmela continuava a mandarle. Erano lettere dolenti, in cui la pregava di superare l’orgoglio giustamente ferito e di ritornare insieme al suo scapestrato figliolo, anche lui confuso in un simile momento, cercando nella sua nobiltà d’animo la forza di perdonarlo. Angela non le rispose mai. Alla fine la povera suocera, vinta dalla pena  per la recente vedovanza, dagli acciacchi e dal trauma di aver dovuto cambiare città a quasi settant’anni, si arrese e smise di importunarla.
Ed alla fine tutti si arresero e la lasciarono in pace. Lei quasi si abituò all’atmosfera rarefatta che si era creata intorno, ne trovava conforto alla depressione. Non se la sentiva più di dedicarsi agli altri né la preghiera le dava conforto anche se la mattina continuava ad uscire per andare alla prima Messa. 
Un giorno i suoi passi invece di condurla sulla sinistra dove c’era la chiesa, la spinsero,  come mossi da una volontà autonoma,  a destra,  dove la strada  costeggiava il mare. Senza nemmeno accorgersene, arrivò a Castel dell’Ovo. Rimase lì, in piedi per molto tempo, a guardare le onde grosse infrangersi sugli scogli, mentre il cielo cupo all’orizzonte si perdeva nel mare nero in bufera. Cominciò a farlo ogni giorno, senza sentirsi in colpa nei confronti di Dio per le funzioni sacre mancate, anzi, avvertendo nel vento che le sferzava le vesti e negli spruzzi di mare che ogni tanto le bagnavano il viso,  come la presenza di un altro dio, forse uno di quei numi pagani che sfogava al posto suo, nella furia degli elementi, la tempesta che le travagliava l’anima.
 
Un freddo giorno di marzo, uno di quelli in cui il vento fa lacrimare gli occhi e non si sa se si piange per un dolore o a causa sua, si ritirò dalla passeggiata con i brividi della febbre. Quella mattina Maria l’aveva  pregata di non uscire perché l’aveva udita tossire tutta la notte. Lei non l’aveva ascoltata: non poteva mancare all’appuntamento con il suo amico mare. Quando la domestica la vide rientrare, fu quasi spaventata dal suo aspetto e la costrinse a mettersi subito a letto.
Purtroppo, nonostante le sue premure, Angela nei giorni successivi non migliorò. La febbre aumentò e la tosse si fece incessante.
La brava donna, lasciando l’ammalata in compagnia di Mariannina, la moglie del portinaio, timidamente andò a bussare alla nobile casa di via dei Mille. Gli zii si  mostrarono premurosi e assicurarono che avrebbero mandato subito il loro medico a visitarla.
Infatti venne il pomeriggio stesso. Diagnosticò un raffreddamento e prescrisse uno sciroppo a base di liquirizia per calmare la tosse e un vitto sostanzioso per far superare alla paziente la debolezza della febbre.
Maria provò a curarla così. La maggiore difficoltà l’ebbe nel farla nutrire, perché Angela, già abbastanza inappetente per natura, ora che stava male non ne voleva proprio sapere di mangiare. Si industriò allora a farle delle sostanziose aranciate o a premere un po’ di carne per farle prendere il succo su qualche cucchiaio di  pastina. Le si metteva accanto quasi come un gendarme fino a quando la malata non aveva finito quasi tutto o al massimo fino a quando uno sforzo di vomito non le impediva di andare oltre.
Fu tutto inutile. Più volte tornò a casa degli zii e più volte questi ultimi fecero ritornare il medico, pur senza recarsi mai di persona a trovare la nipote inferma.
Alla fine di marzo, Angela era diventata solo uno scricciolo tra le lenzuola e se ne stava tutto il giorno sempre più abbattuta.
Un pomeriggio Mariannina che saliva spesso a sostituire Maria quando questa doveva uscire per qualche commissione, commentò:
- Non mi piace proprio come sta la contessa. Ho visto una mia cognata così e alla fine è morta di consunzione. Ci dobbiamo stare attente, figlia mia, queste sono malattie contagiose.
La domestica cominciò a torcersi le mani per la disperazione. Era spaventata e non già dall’ipotesi dell’infezione accennata dalla portinaia, ma perché vedeva la sua padroncina star male e non era in grado di farci nulla. Scoppiò in lacrime e ad un tratto, come una furia, afferrò lo scialle, disse alla donna di restare ancora un poco a far compagnia alla contessa e uscì di corsa. Aveva avuto un’idea.
 
Lo studio era abbastanza affollato perché Alberto Leoni aveva ereditato quasi tutta la clientela dell’avvocato Serra. Lui si dava da fare e con i suoi modi gentili, ogni volta che un cliente usciva, lo accompagnava alla porta. Nel farlo notò tra le persone in attesa una bella popolana dai capelli biondi e dal viso addolorato. Non era il tipo di persona che veniva da lui, una cioè che potesse permettersi di pagare i suoi costosi onorari. Incuriosito, le si avvicinò e mentre si puliva gli occhiali con un fazzoletto candido, le chiese:
- Ditemi, buona  donna, avete anche voi bisogno di me?
- Sono Maria, la cameriera della contessa Angela Serra. Sono qui  per lei.
Un po’ inquieto, Alberto chiese scusa ai clienti in attesa e la fece entrare subito nello studio.
- Raccontatemi allora, cosa è successo?
- Sta molto male, avvocato, e nessuno se n’importa.
La ragazza scoppiò in lacrime e abbassò il capo per la vergogna di farsi vedere piangere.
- Io non so che fare – proseguì a dirgli -  non ho mezzi e sono solo una povera donna ignorante. Però la signora non sta bene,  è già da tanto che era   triste e abbattuta, ma da più di un mese tiene sempre la febbre e una tosse terribile.
- Non dovete preoccuparvi, forse sarà un banale malanno, capitano spesso nella stagione fredda. L’avete fatto sapere allo zio?
- Sì e ha mandato un medico mezzo scemo che nun è buono a niente. Io mi metto paura: non è che tiene qualche  brutto male?
L’uomo rimase in silenzio e la ragazza lo interpretò come disinteresse. Si asciugò gli occhi con un fazzolettino e fece per alzarsi.
- Perdonatemi se vi ho scocciato. Ve l’ho detto, avvocato, io sono solo una povera serva, ma non ce la faccio a pensare che la signora mia ha solo vent’ anni e forse sta morendo. Ma in fondo è meglio così. Sì, è meglio che quell’angelo se ne torni in Paradiso,  tanto qui, su questa terra, e chi ci pensa a lei?
- Perché siete venuta da me? Io non ho mai avuto rapporti molto stretti con quella povera figliola.
- Lo so, ma conoscete bene il signor Fabrizio. Forse lui è l’unico che gliene importa un poco della padroncina mia,  anche se le ha fatto le corna. Io sono sicura che non la lascia così perché è nu bravo uaglione. Fatemi la carità, fateglielo sapere  voi che sta malata.
- Lo farò, potete starne certa. Oggi stesso lo avvertirò. Non so come reagirà e se avete avuto ragione a pensare in questo modo, ma comunque ci sarò io accanto a voi, non temete, non vi lascerò sola.
Gli occhi belli, il viso di madonna, la bontà di un animo così nobile in una ragazza del popolo,  semplice e ignorante, avevano commosso Alberto. E poi voleva bene ad Angela, la piccola donna sfortunata che nessuno sembrava amare tranne la dolce creatura che ora lo guardava grata, come risollevata da una pena. Anche se Fabrizio si fosse tirato indietro,  lui no, lui sarebbe stato al loro fianco.
 
Invece Fabrizio non si tirò indietro: appena ricevuto il telegramma di Alberto cercò di mettersi in contatto telefonico con lui per sentire dalla sua voce come stavano le cose. Non fu semplice, ma alla fine ci riuscì e insieme concordarono di chiamare il dottor Landi, che tante volte aveva curato i membri della famiglia Serra.
Il medico si disse molto preoccupato delle condizioni della ragazza e consigliò l’intervento di uno specialista. Soltanto il giovedì successivo fu possibile fissare l’incontro. Il giovane marito, lasciate le faccende che aveva a Firenze, si affrettò a precipitarsi a Napoli per essere presente anche lui.
Nel vedere quei quattro signori all’uscio, Maria si agitò un po’, non per sé, ma per la padrona.
- Scusate – disse con i suoi innati modi signorili e cercando di parlare bene come Angela le stava insegnando – vado a dirglielo, così si prepara. Ha la febbre molto alta stamattina.
Con la figurina elegante si avviò verso la stanza dell’ammalata  e i quattro uomini la seguirono con lo sguardo. Non indossava la divisa di cameriera, era da tempo che la padrona gliel’aveva impedito, e nel suo vestito semplice e lindo, con i capelli biondi accuratamente pettinati, poteva sembrare quasi una parente. Infatti i medici l’avevano presa per tale mentre Fabrizio, in cuor suo, le rivolgeva un pensiero grato e Alberto non cessava di ammirarla e di trovarla meravigliosa.
Benché stupita e agitata, Angela accettò di buon grado di farsi visitare. Quando Maria le aveva detto che Alberto aveva avvisato il marito della sua malattia, era rimasta abulica, credendo che lui se ne sarebbe disinteressato. Ora all’annuncio  che il dottor Landi era tornato con lo specialista e insieme a loro c’era anche Fabrizio, il suo cuore si era messo a battere forte dalla gioia.
Se ne rimase buona a farsi visitare. Quando i medici  si congedarono, si rimise sotto le lenzuola candide, cercando di accomodarsi al meglio la camicia e in capelli in attesa dell’arrivo di Fabrizio. Maria l’aiutò un po’, ma impaziente di sapere l’esito del consulto, la lasciò per raggiungere gli uomini in salotto.
Il professore Cenci, seduto al tavolo, teneva davanti a sé un ricettario e stava scrivendo qualcosa nel silenzio più assoluto. Alla fine, richiudendo il cappuccio della stilografica, domandò:
-  La contessa è stata a contatto con ambienti infetti?
- No, sta sempre chiusa in casa - intervenne Maria.
Però Fabrizio ricordò:
- L’anno scorso. Faceva la dama di carità e frequentava spesso ospedali e quartieri poveri.
- Ma è stato lo scorso inverno! – obiettò la ragazza con il volto addolorato senza riuscire a rimanere zitta e al posto suo.
- Non è detto che il male debba manifestarsi subito, a volte si annida per poi scatenarsi  in un periodo in cui si è particolarmente vulnerabili.
- Insomma professore, cos’ha? – tagliò corto Fabrizio a cui la preoccupazione scavava una ruga profonda in mezzo agli occhi.
- Ha la tisi, temo. Anzi, ne sono proprio sicuro.
A queste parole Maria proruppe in un grido. Si portò entrambe le mani davanti alla bocca mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
- Non fate così, signora. Non sempre questa malattia ha esiti mortali – la consolò il dottor Landi.
- È vero professore?  Ci si può salvare? – domandò il marito pieno di speranza.
- A volte sì, ma ha bisogno di molte cure, non solo di quelle che le può dare la sorella.
Senza badare a correggere l’errore, Fabrizio cominciò a camminare per la stanza, parlando ad alta voce per rincuorarsi.
- Certo che la cureremo! E che diavolo, siamo nel nuovo secolo, oggi non si muore più di tubercolosi!
Guardando l’illustre medico, cercava quasi conferma alle sue parole, ma l’altro fu più prudente.
- Le ho prescritto una cura ricostituente che dovrebbe rimetterla in piedi. Faremo delle radiografie e dopo vedremo di farla ricoverare. Credo sia proprio necessario - disse.
- Aspetti, professore, ho letto che da qualche anno è stato inaugurato un sanatorio in Svizzera, nel cantone dei Grigioni  mi pare,  dove si fanno veri miracoli. E se la portassimo lì? - continuò il giovane in preda ad un assurdo entusiasmo, come se avesse trovato la soluzione giusta. Ma il viso serio del medico lo fece avvilire di nuovo.
 - Forse è tardi per lei?
- No,  non è tardi, ritengo che il male sia ancora allo stadio iniziale.  Anche tra noi specialisti si  parla molto  di Davos e del suo  clima ideale per i malati di polmoni, ma è tutto un altro mondo e le cure lì sono molto costose, riservate ad un’élite internazionale. Però potremmo provarci, in fondo perché non tentare? Facciamo così, aspettiamo che si rimetta un po’ per affrontare il viaggio faticoso e poi ne riparliamo.
- Conosce qualcuno lì, professore? Può organizzare lei il ricovero?
- Sì, certamente, ma per ora deve prima rialzarsi in piedi, poi vedremo.
 
Rimasti soli, i tre non trovavano il coraggio di parlare. Maria continuava a singhiozzare mentre Alberto, in un moto spontaneo e irrefrenabile, le teneva una mano tra le sue. Fabrizio invece si aggirava a grandi passi per il salotto tormentandosi il mento con una mano. Il pianto disperato della  donna finì per irritarlo.
- E smettila di piangerla già per morta, accidenti! – sbottò alla fine rivolto alla donna. La vide sobbalzare e ne fu dispiaciuto. Le era grato per tutto l’amore fraterno che stava dando alla sua Angela, così le si avvicinò anche lui e le batté una mano sulla spalla per rincuorarla.         
- Scusami. Comunque non è ancora detta l’ultima parola. Anche se è una cosa seria sono certo che si salverà, però dobbiamo crederlo noi per primi.
La giovane annuì con il capo. Però c’era ancora una cosa a tormentarla.
- Chi glielo dice ora,  io non ce l’ ho il coraggio – mormorò.
Fabrizio la tranquillizzò:
 - Tocca a me farlo. Le parlerò io. Posso andarci ora?
- Sì, andate pure,vi sta aspettando.
Intanto Angela, incurante persino del suo stato di salute, non faceva altro che attendere il suo amore. Quel gesto affettuoso avuto nei suoi riguardi aveva cancellato come un colpo di spugna tutte le amarezze e i dolori dei mesi precedenti. Spontaneamente, con tutto il suo cuore, lo aveva perdonato e aveva anche capito i propri errori. Ora non chiedeva che tornare al suo fianco con tutto l’amore possibile. Questa noiosa malattia era soltanto una cosa da superare in fretta per poi tornare ad essere felice.
Entrato nella stanza, Fabrizio la cercò nella penombra. Se ne stava con le coperte tirate fin sul mento e questa volta il pudore era dovuto al desiderio di non farsi trovare brutta e malata.
Lui prese una sedia, si accostò al letto e le prese una mano tra le sue. Le  sorrise.
- Grazie di essere venuto, grazie di esserti preso cura di me. Allora è vero che mi vuoi bene?  - gli disse piano,  con la sua voce dolcissima.
- Ancora ne dubiti, piccola mia?
Lei sorrise contenta e la felicità sul visino sciupato la rese ancora più tenera.
- Una volta mi hai detto che mi avresti aspettato se fossi stata malata. Sei ancora disposto a farlo? Vedrai, tra poco sarò di nuovo in piedi e potremo ricominciare da capo.
Lo vide accigliarsi. L’ansia che lasciava trasparire le si propagò subito.
- Cosa c’è, caro, perché mi guardi così, non mi vuoi più forse?      
Fabrizio le carezzò il viso. Riusciva a tenerlo quasi tutto nella sua mano, ormai, quel faccino piccolo piccolo.
- Ora devi pensare a mettercela tutta per guarire.
- Certo, te l’ho detto, tra qualche giorno starò bene.
Cercava di mostrarsi allegra e serena, però il volto del marito, così preoccupato, le raffreddò  l’ottimismo. Gli strinse la mano e lo guardò fisso.
- C’è qualcosa? Dimmi la verità – insistette nel vedere le lacrime bagnargli gli occhi.
- Niente che non si possa curare, tesoro, però è un bel malanno ciò che hai.
- Me lo vuoi dire allora cosa ho?
- I polmoni. Sono compromessi.
Lei sussultò e si scostò di scatto, volgendo il capo dall’altro lato.
- Un bel malanno lo chiami? Ho la tisi e tu lo chiami un bel malanno! Anzi, statemi lontani, potrei contagiarvi e non voglio – mormorò, affannando d’angoscia.
- Ti ho detto che la cureremo. Forse dovrai andare per un periodo in un posto apposito.
- In un sanatorio vuoi dire?
- Sì
- E dove?
- In Svizzera.
- Così lontano! No, non voglio andarci, io voglio stare con te!
- Non sai quanto lo vorrei anch’io. Ho tanto desiderato il tuo perdono e sono felice che infine tu abbia deciso di darmi una seconda possibilità però adesso non possiamo ancora stare insieme. Ti ammaleresti peggio e in questo caso sì che sarebbe pericoloso.
Angela si era abbandonata ad un pianto sommesso. Non era la morte a farle paura, ma la malattia, le novità da affrontare, la lontananza dal suo amore e dalle cose che le erano familiari. Si sentiva smarrita.
- Non ci so arrivare da sola fin là – protestò.    
Il giovane, suo malgrado intenerito, rise.
- Non ci devi andare da sola. Anzi, sai che facciamo? Chiederò a Maria di stare un po’ lì con te, perlomeno fino a quando non ti sarai ambientata. Lei ti adora e verrà volentieri  - la rassicurò.
- E tu non verrai?
- Vi accompagnerò e poi tornerò a Firenze ad  aspettare con ansia la tua guarigione.
In quel momento sentiva di volerle bene con tutta l’anima. Non sapeva se quello fosse l’amore di un uomo per una donna e non se lo chiedeva nemmeno. Era certo l’amore tra due creature che si sentono unite nella lotta contro le avversità. Ciò gli bastava. Le prese una mano e gliela baciò con tenerezza
- Adesso riposa però. Il viaggio sarà lungo e faticoso e dovrai essere in forze per affrontarlo.
 
Rientrando in salotto, si sentiva più sereno. Vide l’ansia negli occhi di Alberto e di Maria e si affrettò a rassicurarli.
- È spaventata, ma ha voglia di guarire e questo è importante. Maria, mi sono permesso di prometterle che tu le sarai accanto in questa avventura così paurosa per lei, almeno per un po’.
- Avete fatto bene. Io starò con lei. Solo che …
- Cosa?
- Ha detto il professore che per una clinica come quella  ci vogliono soldi assai e quello lo zio le dà accussì poco!
Il giovane parve inquietarsi al pensiero.
- Mia moglie è ricca e può tranquillamente curarsi nel migliore dei modi. Vuol dire che è venuta l’ora di andare a fare quattro chiacchiere serie con il conte Alfonso del Cassano. Tu che dici Alberto, mi ci accompagni?
- Ben volentieri! Anzi, sai che ti dico? Prima lo facciamo e meglio è!


 
NdA
Anche stavolta lascio a voi ogni commento al capitolo che avete appena letto solo che, sarà pure poco letterario, ma voglio farvi due piccole anticipazioni. La prima riguarda Dora del Cassano, un personaggio che dopo il colloquio con Angela che vi ho appena riportato, uscirà dalla vita di quest’ultima e da questa storia in maniera definitiva o quasi. Di lei infatti la mia protagonista avrà solo notizie indirette e sono certa che la vostra reazione nell’apprenderle sarà simile alla sua. La seconda, che poi tanto anticipazione non è visto che già sapete che ci sarà un lieto fine, riguarda la malattia di Angela che sarà dolorosa, ma non avrà esiti nefasti, anzi, in un certo senso la porterà a fare esperienze che l’aiuteranno a crescere e a cambiare un po’ atteggiamento verso la vita e il prossimo.
Ed ora eccoci all’angolino delle foto. La prima è una veduta di Castel dell’Ovo, luogo dove Angela si reca a guardare il mare nelle mattine d’inverno. Chi è di Napoli o la conosce saprà che è uno degli angoli più suggestivi della mia città. Una veduta d’epoca aiuterà invece chi non conosce il posto a farsene un’idea.




Proseguo con una foto di Gwyneth Paltrow che io immagino possa raffigurare la buona Maria



e una di Rodrigo Guirao Diaz che mi è stata inviata da Valentina78 perché lei lo vedrebbe bene come Fabrizio
 
Secondo me sono entrambi perfetti nei ruoli dei miei personaggi. Insomma lo so, anche questo non è molto letterario perché bisognerebbe lasciare briglia sciolta alla fantasia dei lettori, però al giorno d’oggi siamo troppo condizionati dalle immagini visive per non desiderare di vedere praticamente i volti di quelli di cui leggiamo. E poi lo dico sempre, siamo qui non per fare alta letteratura ma per divertirci e per sognare un po’. A tale proposito, che ne dite, nel famoso film che sarà tratto da questa opera ingaggeranno questi attori per interpretare Maria e Fabrizio?
 E con questa fantastica illusione vi do appuntamento a domenica prossima.




 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***



 
Lo scontro con il conte fu molto duro e a più riprese. La prima volta Alberto fu quasi costretto a trascinare via il giovane amico che si era infuriato come una belva all’accusa di volersi approfittare della malattia di Angela per appropriarsi delle sue ricchezze. Una seconda volta dovettero superare le ironie degli zii in merito alla scelta, secondo loro opinabilissima, di portare l’ammalata in un posto così lontano quando sulle colline della loro stessa città c’erano sanatori altrettanto rinomati. Questa volta Fabrizio fu addirittura accusato di volersi liberare della moglie sottoponendola ad un viaggio dal quale con ogni probabilità non sarebbe uscita viva. Soltanto la terza volta lo zio dovette arrendersi. Fu quando Alberto gli mise sotto il naso un documento redatto davanti ad un notaio nel quale Angela gli revocava il compito di amministratore dei suoi beni per conferirlo a lui.
Nell’andarsene il giovane avvocato non riuscì a trattenersi dal fargli osservare velenosamente che era Fabrizio l’erede legale della nipote e che era finito il momento di approfittarsi di quella povera figliola, comunque si fossero messe le cose.
Fu una soddisfazione di poca durata. Nei giorni successivi esaminò il  patrimonio della ragazza e si rese conto che n’era rimasto ben poco: la casa del nonno a Palermo con i suoi antichi arredi,  un paio di agrumeti, del terreno dato a mezzadria e una cifra depositata al Banco di Napoli che  però le avrebbe consentito di pagarsi il viaggio e la retta a Davos, sempre ammesso che la sua permanenza lì non si fosse dovuta protrarre troppo a lungo.
Fabrizio non se ne preoccupò. Non gli era mai importato dei soldi della moglie e ora gli bastava che fossero sufficienti a permetterle di  curarsi. Ritornò per un po’ al suo lavoro a Firenze, ma i primi di maggio, quando Angela stava un po’ meglio e il viaggio era stato organizzato alla perfezione da Alberto con l’aiuto del professore Cenci, tornò a Napoli per accompagnare le due donne in Svizzera.
La partenza fu penosa perché l’ammalata, benché non volesse darlo a vedere e cercasse di sorridere spesso, era molto spaventata dalla vita futura. Si era lasciata convincere, e solo per una sua sconfinata fiducia nei confronti del  marito, che sarebbe stato un periodo breve in quanto il soggiorno sulle montagne svizzere avrebbe potuto guarirla in un battibaleno.
Chiusero la casa della Riviera di Chiaia  e, nell’andare via, passarono da Mariannina per lasciarle Rosso che non poteva seguire la padroncina in una simile avventura. Nell’affidarglielo, Angela si commosse: era molto affezionata  all’animaletto e si sentiva nel lasciarlo come se stesse abbandonando un figlio, tanto che tra sé e sé la portinaia pensò che quelle dovevano essere smanie della nobiltà in quanto le pareva una vera esagerazione fare tante smorfie per un gatto quando si stava già con un piede nella fossa così come stava la povera contessa.
Fu un viaggio molto lungo e faticoso, ma alla fine riuscirono a giungere a Davos senza grossi problemi.
La comparsa dell’insolito terzetto fu osservata con interesse dalla piccola comunità di malati per cui ogni nuovo arrivo era una novità. Nessuno ci mise molto a capire che la paziente era la ragazza bruna, magra e pallidissima, che a stento si reggeva in piedi. L’altra, alta, diritta e con un colorito bianco e rosa, doveva essere solo la dama di compagnia o una parente della giovane macilenta. In quanto all’uomo poi, nessuno ebbe mai il minimo dubbio che non scoppiasse di salute, anzi le signore non gli lesinarono furtivi sguardi di ammirazione.
Fabrizio in quel periodo aveva preso qualche chilo, ma il fatto che fosse ingrassato non diminuiva il suo fascino, anzi lo accresceva. La sua robustezza era molto maschia e il volto ora appariva più maturo e ancora più attraente.
Anche lui era entrato nella convinzione che la moglie potesse guarire presto e lo fu ancora di più dopo aver parlato con il dottor Friedrich Huber, il direttore del sanatorio, un massiccio medico tedesco con gli occhi azzurri, intelligenti e penetranti, che gli confermò, dopo averla visitata con cura, che la tisi contratta dalla moglie era di una forma abbastanza lieve. Se le cose fossero andate come si deve,  in tre mesi al massimo ne sarebbe potuta uscire.
Quando lasciò le due donne, era pieno di ottimismo e di fiducia e promise loro di tornare a luglio per riportarle a casa. Invece la tristezza per il distacco o lo strapazzo per il viaggio fecero aumentare la temperatura dell’ammalata, che fu confinata in una bianca cameretta con la sola compagnia della sua amica che aveva ricevuto eccezionalmente il permesso di andare a trovarla tutti i giorni.
Per ben due mesi quest’ultima fece vita da reclusa nell’alberghetto nel vicino paese dove Fabrizio le aveva preso una linda cameretta e dove consumava da sola i pasti. Si sentiva molto a disagio lì. Benché fosse stata abituata a vivere con le classi signorili da quando era stata messa a servizio a soli dodici anni, era pur sempre una povera donna del popolo. L’ambiente di Davos, raffinato e poliglotta, la metteva in soggezione. Anche il corpulento dottor Huber, quando lo incontrava,  le faceva tale effetto e a stento riusciva a capirlo quando parlava. Aveva sempre la sensazione che la rimproverasse,  forse per la durezza della sua voce. Si sentiva solo una meschina mentre vedeva deperire ogni giorno di più la sua amica.  Però il dottor Friedrich aveva quel modo di parlare solo per il suo forte accento tedesco che mal si conciliava con la dolcezza dell’italiano. Al contrario provava molta stima per la giovane donna che, con grande abnegazione e senza preoccuparsi della sua stessa salute, cercava di portare il conforto di una presenza familiare alla spaurita Angela. Intanto  quest’ultima stranamente non accennava a riprendersi. Il medico aveva notato quanto mangiasse poco e ne era assai preoccupato.
 
Quando Fabrizio ritornò a luglio, con l’animo lieto perché pensava di potersi riportare a casa Angela,  dovette affrontare un’amara delusione.
- L’ho tenuta a letto tutto questo tempo e le abbiamo prestato le cure del caso, ma ho paura che sua moglie abbia bisogno di almeno altri sei mesi qui – gli disse il sanitario durante il loro secondo colloquio.
- Ma com’è possibile, professore, mi aveva assicurato che sarebbe guarita in tre mesi!
- Io non sono il Padreterno, signor Serra, e sua moglie oltretutto soffre di una grave forma di anoressia nervosa. Non si alimenta a sufficienza, voglio dire, e per la cura della tubercolosi un’abbondante alimentazione è necessaria quasi quanto l’aria pura e ossigenata di queste montagne.
Fabrizio scosse la testa, desolato.
- Proprio stamani mi ha confidato che la vostra cucina non le piace. È  abituata a cose più semplici, più, diciamo così, mediterranee - gli spiegò.
- Qui siamo nel cuore dell’Europa e si mangia in questo modo, mi dispiace. D’altronde non credo sia solo per questo, ritengo che debba averne sempre sofferto.
- Sì, ha ragione lei, è così – ammise l’altro.
- Come le dicevo, è  una malattia nervosa. Non è colpa sua.
Fabrizio  arrossì di disappunto.
- Invece è colpa sua. Si è sempre fatta riempire la testa da tutte quelle frottole religiose. I digiuni, le penitenze, le opere di bene in quegli ambienti malsani… Non sono mai riuscito a farla cambiare, mi ha quasi odiato quando ho cercato di farglielo capire ed ecco a cosa l’ha portata la sua virtù!
Benché colpito da quello sfogo, il professor Huber non seppe dirgli nulla, soltanto osservò:
- Purtroppo noi qui guariamo i corpi, amico mio,  per la sofferenza delle  anime non possiamo farci nulla.
 
Fabrizio era nervoso mentre passeggiava sul terrazzo dove ospiti e degenti indugiavano a godersi il caldo sole estivo. Cercava di trovare la forza di andare a dire ad Angela che non se ne sarebbe potuta andare. Tra l’altro doveva dirle pure che Maria invece sarebbe dovuta ripartire insieme a lui, un po’ perché le sostanze cominciavano a scarseggiare e non era più possibile sostenere anche la spesa del suo soggiorno lì, ma soprattutto perché,  in tutta onestà, non se la sentiva di chiedere ancora alla povera donna, che tra l’altro aveva anche un figlio che non vedeva da mesi, di continuare a fare una simile vita in quel mondo di fantasmi. Già, perché questa era la sensazione che il giovane aveva delle persone ricoverate in sanatorio. Anche ora, guardandosi intorno, vedeva uomini e donne ben vestiti, ascoltava i più svariati idiomi, notava i modi più mondani e coglieva l’abitudine al lusso che molti di essi facevano trasparire, ma negli occhi inquieti, nei visi arrossati dalla febbre, vedeva anche con chiarezza lo spettro della malattia e della morte. Come quel giovane uomo che ora stava ricambiando il suo sguardo. Nonostante il gradevole aspetto conferitogli dal vestito raffinato, dal viso sbarbato e dai  capelli di un biondo rossiccio ben pettinati, lasciava trasparire un’aura  di dolore, come di chi sta percorrendo i suoi ultimi passi e ne è ben consapevole. Questa cosa lo faceva rabbrividire. Lui, che era pieno di vita, che sentiva il pulsare caldo del sangue nelle vene ed era pronto a lasciarsi tentare dai piaceri della carne fin quasi ad annullarsene, non riusciva a concepire quella sensazione di corruzione, gli faceva paura. Eppure quella stessa mattina l’aveva vista sul volto di Angela, la sua piccola Angela che come Orfeo con Euridice, avrebbe voluto disperatamente riportare indietro da quel mondo di ombre.        
Ma non poteva farlo.
 
Infine bisognò trovare il coraggio di andarle a dire che non era ancora guarita  e di rimanere a  guardarla piangere. Avrebbe voluto prenderla tra le braccia e consolarla, ma lei stessa aveva preso a rifiutare ogni contatto fisico sia con lui che con Maria, temendo quasi di propagare a loro il suo male. Soprattutto non riusciva a capacitarsi di doversi staccare dall’amica. Protestò tanto per questo che alla fine Fabrizio, suo malgrado, dovette rimproverarla.
- Insomma – le disse – non essere così egoista. Quella povera donna avrà pur diritto di tornare alla sua vita e al figlio. In  realtà qui non può fare per te nulla  più di quanto non facciano già i medici e gli infermieri.
Mortificata, la ragazza abbassò il viso. Si  vergognava delle sue assurde pretese e restò senza fiatare. Il marito ne fu commosso.  Si affrettò a dirle qualcosa di più dolce per consolarla.
- E poi, tornata a casa, potrà andare a riprendersi Rosso. Non è per farti preoccupare, mia cara, ma non è che l’abbia visto troppo bene tra le grinfie di quegli scugnizzi dei nipoti di Mariannina. Pasqualino voleva addirittura prenderlo per la coda!
In effetti la reazione del micetto, abituato ad essere trattato come un principino, che si era trovato all’improvviso  tra quei monelli urlanti, era stata davvero molto buffa: dopo aver lanciato uno sguardo spaventato alla padrona, era scappato di filato sotto un mobile da dove i ragazzini non erano più riusciti a tirarlo fuori.
Angela sorrise tra le lacrime. Provò a farsi forza.
- Sì, hai ragione: è meglio che torni presto a casa e vada a riprendersi Rosso.
Stette un po’ in silenzio poi aggiunse, guardandolo dritto negli occhi e con molta serietà:
- Ascolta, devi giurarmi che non abbandonerai mai  la mia Maria. Anzi, voglio che prenda sin d’ora con sé Gaetanino e che abbia da vivere come una signora. Io non so cosa si debba fare legalmente, ma voglio che qualsiasi cosa mi accada,  non sia costretta a tornare a fare la serva. Mi è troppo cara e non sarei serena se non avessi questa certezza.
Fabrizio proruppe in un risolino divertito.
- Non ti preoccupare, ne parlerò con Alberto e vedrai come provvederà subito. Credo  che per lui sarà un compito gradito, anzi, molto gradito – scherzò.
Angela sorrise perché anche lei aveva notato qualcosa nel comportamento del giovane avvocato, di solito così timido e riservato.
- Pensi che potrebbe dimenticare il suo passato e volerle bene davvero? – gli chiese speranzosa di non aver frainteso.
- Ritengo di sì. Alberto è una persona buona e pulita e sa riconoscere queste qualità in una donna.
- Speriamo perché a lei piace molto, me l’ha confidato un giorno che ne abbiamo parlato. Maria è una donna meravigliosa.
- Anche tu sei meravigliosa. Scusami per quello che ti ho detto prima: se c’è una persona al mondo a non essere egoista,  quella sei proprio tu.
Lei non disse nulla: in cuor suo sperava di udire qualche parola d’amore, l’aspettava quasi come la terra inaridita aspetta la pioggia. Fabrizio le prese il viso in una mano e la costrinse a guardarlo mentre le diceva:
- Non sai come mi sento in colpa prima per aver pensato solo al mio tornaconto personale e dopo per averti tradito con una donna che non è degna nemmeno di alzare lo sguardo su di te. La verità è che io stesso non sono mai stato degno di te. La cosa peggiore è che l’ho sempre saputo eppure ti ho strappato  lo stesso alla tua vocazione e alla  vita che volevi senza curarmi di poterti far soffrire. Adesso che vorrei tornare indietro per cambiare le mie scelte sciagurate non posso più farlo, però almeno vorrei che tu sapessi che ti ho fatto del male solo per la mia natura miserabile e non perché tu non mi sia assai cara. Ti prego, Angela, perdonami...
Angela gli guardò il bel viso addolorato e gli occhi lucidi di lacrime che brillavano ancora più azzurri. Le stava parlando con franchezza, mettendo a nudo l’anima. Però non c’era l’amore, non quello che lei avrebbe voluto, c’era invece l’affetto profondo che si può dare a una sorella o a un’ amica. Ma era arrivata a un punto strano della sua vita, come chi ha finito un libro e richiudendolo, si sofferma a pensare alle cose che vi ha letto. Gli parlò con estrema sincerità e quasi con doloroso distacco.
- Non temere, l’ho già fatto – lo rassicurò –  e poi ho poco da perdonarti, anzi, devo ringraziarti perché gli unici momenti di felicità che ho conosciuto nella mia vita li devo a te. Anche se forse erano fatti solo di illusioni e sono presto finiti, sono stati la cosa più bella che potesse capitarmi.
Commosso, Fabrizio ne vinse ogni resistenza e l’attirò a sé. La strinse tra le sue braccia forti.
- Ti voglio bene – le sussurrò – Ti voglio tanto bene!
- Lo so - rispose lei.
 E non disse più nulla.
           
Il dottor Huber si convinse che uscire dalla sua stanza avrebbe potuto far solo bene alla contessa. Sperava  che socializzando un po’ con gli altri ammalati, si distraesse e cercasse di alimentarsi un po’ di più. Non aveva fatto i conti con l’irrimediabile timidezza di Angela per la quale entrare nella sala da pranzo affollata e sedersi a tavola era altrettanto difficile che arrampicarsi sul ghiacciaio di fronte al sanatorio.
Quando dovette decidersi a farlo,  si sedette al suo posto quasi in preda al tremito. Vestita di una gonna blu e di un lungo maglione bianco, con i capelli corvini raccolti in una semplice treccia e il viso un po’ rosso per la febbre, era addirittura carina. I suoi commensali le rivolsero un cortese saluto di benvenuto che lei ricambiò con un sorriso cortese.  Le era stato riservato un posto di una tavola a quattro. Alla sua destra era seduta una signora inglese dall’aria molto raffinata, mentre di rimpetto c’era  il giovanotto che Fabrizio aveva notato qualche giorno addietro. Accanto a lui sedeva un corpulento tedesco che nella vita faceva il mercante di birra a Monaco. Assai gioviale, attaccò subito bottone con la nuova venuta che però gli rispondeva solo a monosillabi.
La presenza di tanti estranei intorno non l’aiutava di certo a mangiare di più. Farlo le pareva una cosa sconveniente, della quale quasi doversi vergognare. Vedere i suoi vicini che si rimpinzavano invece di quelle sostanziose e abbondanti pietanze,  anche se lo facevano con i dovuti modi, le faceva quasi disgusto,  come se stessero tenendo un comportamento osceno. Il suo dirimpettaio però, anche se mangiava con appetito come gli altri,  sembrava quasi non accorgersi del cibo. Lo portava alla bocca con una certa noncuranza, come se nutrirsi non lo prendesse più di tanto. Era un bel ragazzo, il viso leale e gli occhi chiari molto espressivi, ma su di lui si vedevano i segni della malattia allo stato avanzato. Notò che continuava a guardarla in modo abbastanza diretto e si sentì per questo molto in imbarazzo.
Più tardi, quando il dottor Huber si avvicinò al loro tavolo e prese a rimproverarla con benevolenza a causa delle pietanze pressoché intatte nel suo piatto, avrebbe quasi desiderato sprofondare dalla vergogna.
Rivolgendosi agli ospiti in un buon francese, anch’esso però storpiato dal pesante accento teutonico, il medico  li invitò a sorvegliare la nuova arrivata che mangiava come un uccellino.
- Soprattutto lei, Paul, che ha quasi la sua età, cerchi di convincere la nostra giovane amica. Il nutrimento è la prima cura che possiamo avere per il nostro corpo e dobbiamo farlo come un dovere, così come lo teniamo pulito e ci pettiniamo i capelli in graziose trecce.
- Lo farei volentieri, professore, se lei avesse la cortesia di presentarmi alla signora. Non abbiamo ancora avuto modo di farlo poiché tiene gli occhi bassi sul piatto e sembra quasi volerci ignorare.
Si era espresso anche lui in francese ed Angela, che conosceva bene la lingua, arrossì vergognosa di essere apparsa troppo superba. Alzò sul giovane gli occhi scuri, ancora belli anche se segnati ormai da vistose occhiaie, e lo guardò un po’ smarrita.
- Giusto,  farò le dovute presentazioni. – continuò il medico -  La signora è Mrs Virginia Baker e viene da Londra. Il signore accanto si chiama Hans Gruber e forse, se lo conosco bene, si sarà già presentato da solo, mentre questo simpatico giovanotto è il barone Paul de Savigny e proviene da Parigi, la  Ville Lumiere.  La nostra cortese nuova ospite è la contessa Angela del Cassano, maritata Serra. È italiana, anzi, direi più che italiana: viene da quell’incanto di città che si chiama Napoli.
- Ah! – esclamò il cordiale mercante di birra e subito intonò una strofa di “ ‘O sole mio” con una voce baritonale così potente che Angela si chiese come potesse essere ammalato di polmoni.
La signora Baker, la quale, come la ragazza seppe in seguito, aveva avuto ben quattro mariti e nonostante avesse oramai una certa età era sempre interessata al sesso forte, si affrettò a chiederle:
- Era dunque vostro marito quel bel giovane che vi ha accompagnata qui?
- Sì, è mio marito – le rispose con timidezza.
- Bene, ragazza mia, allora decidetevi a guarire in fretta perché un uomo così non va lasciato troppo da solo, credetemi.
Risero tutti alla battuta un po’ allusiva, tranne Paul che continuò a fissare Angela tanto che lei, imbarazzata, ad un certo punto chiese congedo e si ritirò in camera sua.
 
Purtroppo quella tortura si doveva ripetere tre volte al giorno ed ogni volta i suoi vicini di tavola sembravano aver preso molto sul serio il compito di farla mangiare. La tormentavano affinché finisse se non proprio tutto, perlomeno la carne, la frutta e la verdura. Solo Paul faceva eccezione. Una  volta, in un accesso di audacia, Angela  osò sussurrargli:
- Mi sembra di essere diventata un maialino all’ingrasso!
Lui le sorrise divertito, ma non commentò nulla.
In ogni modo il ghiaccio era rotto e pian piano la ragazza che era timida ma non forastica, riuscì a instaurare un rapporto abbastanza cordiale con gli altri degenti, compresa una coppia di gemelle americane, ambedue malate, che diventarono sue amiche. D’altronde le giornate in quel posto scorrevano sempre tutte monotone e uguali, in un ritmo dolce, ipnotico e lei si trovava a fare sempre le stesse cose senza avere più cognizione del tempo e dello spazio.
L’estate era venuta e anche finita. Il  principio d’ autunno fu  molto tiepido per quelle altezze montane e nelle giornate miti, l’aria sottile si riempiva di luci e di suoni dolci mentre la natura tutt’intorno offriva uno spettacolo di grande bellezza. 
Oltre alle cure all’aria aperta, Angela aveva cominciato a fare delle lunghe passeggiate solitarie, magari in compagnia di un buon libro. Il silenzio e la pace di quei luoghi  le davano un senso di conforto e di lenimento a quel dolore che non aveva mai smesso di sentire dentro.     
Una mattina di settembre passeggiava tranquilla, sollevando ogni tanto lo sguardo alle cime innevate in lontananza o soffermandosi a guardare incantata i colori dei fiori. Come sempre stava pensando a Fabrizio, al loro rapporto.
Da quando  era partito avevano cominciato un fitto scambio epistolare. Non c’era settimana che non ricevesse una sua lettera e che lei non gliene mandasse una. Provava un gran piacere ad essere tenuta al corrente delle cose che lo interessavano, del suo lavoro, della sua nuova vita che lo entusiasma tanto. Lui si abbandonava spesso a considerazioni anche di ordine personale su svariati argomenti con la certezza di trovare nella sua corrispondente la consueta attenzione. Angela cercava di mantenersi sempre all’altezza e, per non essere da meno, gli parlava anche della sua di vita e delle persone che stava cominciando a conoscere. Spesso temeva di annoiarlo, senza sapere che invece le sue lucide analisi e uno spiccato senso dell’umorismo rendevano le sue cronache talmente gradite al marito che alcune volte  ne leggeva qualche pezzo ai colleghi giornalisti, vantando l’intelligenza e l’acume che la  moglie sapeva esprimere più nei suoi scritti che di persona, data la sua estrema timidezza.
Tra loro due c’era un legame molto forte, questo lo avvertivano entrambi, un legame che probabilmente non si sarebbe mai spezzato anche se altrettanto probabilmente non si sarebbe mai trasformato in autentico amore.
Anche Maria le scriveva, Alberto le stava insegnando a farlo. Certo la sua calligrafia era infantile e la sua prosa poco scorrevole, ma la malata aspettava con ansia anche quelle lettere che le portavano il profumo di casa e la facevano sentire un po’ meno sola. Nell’ultima,  le aveva detto del suo incontro con la cameriera personale di Dora del Cassano e delle cose che questa le aveva raccontato. A quanto pareva un furibondo cavaliere Pepe aveva provveduto a spedire la mogliettina, insieme ai due bambini, a vivere a casa dell’anziana madre in provincia di Benevento quando le chiacchiere su una sua relazione con il giovane medico di famiglia, anche lui regolarmente ammogliato e padre di tre figli, avevano letteralmente invaso i salotti di mezza Napoli. Forse per la noia o per il disappunto per quel forzato esilio sotto la stretta sorveglianza dell’odiata suocera, Dora stava diventando sempre più grassa e sformata oltre che un’intrattabile nevrastenica.
Nell’apprendere queste notizie, Angela ne aveva provato un maligno senso di soddisfazione di cui si era subito pentita, ma non tanto però. Dopo l’infamia che le aveva fatto la cugina quella le pareva una giusta punizione e il minimo che potesse augurarle era di farsi grossa come una balena al punto da non poter più insidiare i mariti delle altre.
 
La meta della sua passeggiata di quella mattina era il vicino paese dove voleva andare ad acquistare una giacca di panno pesante. Ebbene sì, alla fine anche lei si era dovuta rassegnare ad occuparsi di queste cose e a maneggiare il denaro che le mandava Alberto insieme ai soldi della retta. Oramai era sola e aveva dovuto cominciare a sbrigarsela nelle faccende pratiche. Così, visto che cominciava a far freddo,  si era decisa a fare quell’acquisto necessario.
Era arrivata al ruscello, quando notò da lontano la figura di Paul, seduto su di un masso. Con lui continuava ad avere sempre rapporti un po’ distaccati perché le sembrava sconveniente che una donna sposata desse troppa confidenza a un uomo così giovane. In verità il francese era sempre  cortese e corretto, ma non le piaceva come la guardava: la scrutava con troppa attenzione e non certo perché fosse una bella ragazza. Angela era ben consapevole di essere diventata ancora più brutta. Con la malattia  si era fatta  rinsecchita, senza più nessuna di quelle curve che tanto piacevano agli uomini. Anche il viso, in precedenza grazioso, oramai   era solo un triangolino aguzzo in cui risaltavano  gli occhi nerissimi e contornati da lunghe ciglia, ma  cerchiati e infossati. Inoltre le si stavano diradando moltissimo i capelli tanto che ne aveva parlato con preoccupazione al dottor Huber. Il medico l’aveva rassicurata dicendole che si trattava di un fenomeno dovuto all’esaurimento nervoso e non alla tisi che invece stava migliorando.
Passò accanto al giovane con l’intenzione di fargli solo un cenno di saluto e vide  che se ne stava seduto molto accasciato con la testa tra le mani e il bastone da passeggio  buttato sull’erba vicino a lui. Nemmeno alzò il capo quando lei gli passò accanto e neanche rispose al suo saluto. Preoccupata, Angela abbandonò ogni contegno. Gli si avvicinò, accoccolandosi sull’erba per guardarlo meglio.
- Paul che avete, non vi sentite bene? - gli chiese posandogli una mano sull’avambraccio.
A quel contatto, il giovane sollevò la testa e la guardò. Aveva il viso febbricitante e gli occhi colmi di lacrime, ma le sorrise.
- Mi sto preparando, contessa, mi sto preparando ad andare via.
- Davvero?  Siete guarito allora e quand’è che ci lasciate?
Lui sorrise ancora, amaro.
- Vi lascerò presto, credo, ma per andare all’altro mondo.
Mortificata per averlo frainteso come una stupida, provò a consolarlo.
- Suvvia, non è così!
- E invece è così, mia dolce amica. Però tutto sommato sono felice di aver avuto il tempo di capire che sto morendo. A volte penso a come deve essere brutto per un’anima trovarsi all’improvviso fuori dal corpo senza che se lo aspetti. Deve esserci un momento di vero smarrimento, in questi casi.
- Non dite simili cose per favore, mi spaventate. Mio suocero è morto in questo modo, all’improvviso, mentre era seduto sulla poltrona dopo cena. Io gli volevo un gran bene e non vorrei che la sua anima avesse sofferto. Però vi sbagliate, senz’altro. Lui era una bravissima persona. Sono certa che gli angeli del Signore lo hanno portato dritto in Paradiso.
Paul rise.
- Paradiso?  Beata voi che ci credete ancora!
Risentita, Angela scattò in piedi quasi con l’intenzione di scappare via da quell’ateo. Poi, tanti anni di indottrinamento subiti e la sua abilità di catechista, la convinsero che era suo dovere riportare sulla retta via il povero giovane, soprattutto se davvero era moribondo.
- Smettetela di dire sciocchezze e di starvene qui a piangere. Anzi, sapete cosa dovete fare? Accompagnatemi in paese: devo andare a comprarmi una giacca più pesante e vorrei avere un consiglio. È la prima volta che compro qualcosa da sola.
- Volentieri – acconsentì il barone.        
Era restato così piacevolmente stupito da tanta insolita vivacità nella timidissima giovane che cercò di non farle pesare la propria pena. Lei se ne accorse e gli sorrise per incoraggiarlo.
- Bene, andiamo allora. Magari strada facendo parliamo un po’ delle cose dello spirito. Ne avete proprio bisogno, mio caro. Oh sì, se ne avete  bisogno!
Quello fu l’inizio di una solida amicizia che non sarebbe finita mai più, se mai più si può dire delle cose umane che hanno sempre una fine.
 
NdA
Come molte di voi avranno già capito,  questo e il prossimo capitolo,  ambientati nel sanatorio di Davos, mi sono stati ispirati dal grande Thomas Mann e dal suo capolavoro “La montagna incantata”.  Non so se ne è venuto fuori qualcosa di decente, ma devo confessarvi che mi sono talmente divertita a scriverli al punto che è questa la parte della storia che personalmente prediligo. Sarà perché quando si legge un grande libro rimane sempre qualcosa dentro al punto tale che si desidera riassaporarne  le atmosfere, ritrovarne le immagini. E a quanto pare non è successo solo a me tant’è vero che su di un sito portoghese (http://extratodomiolo.com/tag/forma/) ho trovato qualcuno che ne è rimasto talmente colpito da mettere online preziosissime immagini che riguardano proprio i luoghi che ispirarono Mann. Eccovele:

 





 
Non trovate siano bellissime?  Io non faccio nessun sforzo a vedere Fabrizio passeggiare su quel terrazzo oppure Angela seduta ad un tavolo di quel ristorante.  E voi?
Sperando sempre che vorrete lasciarmi i vostri graditissimi commenti, vi lascio e ci sentiamo domenica prossima.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***



 
L’intenzione di Angela di catechizzare il giovane Paul si rivelò presto priva di fondamento perché il barone de Savigny, ammalatosi quando era adolescente, era stato costretto ad abituarsi all’idea della morte quando i suoi coetanei incominciavano appena a prendere gusto alla vita. Per questo, lungi dall’essere un ateo,  era diventato piuttosto uno studioso  di religioni. Ben presto la ragazza si rese conto che le semplici e dogmatiche concezioni cattoliche secondo le quali aveva improntato la propria esistenza  erano ben poca cosa rispetto all’enorme sapere in materia di spiritualità del giovane amico. Il più delle volte fu costretta a tacere e ad ascoltare le lunghe lezioni che Paul le teneva durante le loro sempre più frequenti passeggiate o negli incontri in giardino.
In un primo momento rifiutò le nuove idee come se soltanto conoscere il pensiero di altre confessioni religiose  avesse potuto portarla alla perdizione. Ma era una persona intelligente e curiosa e a poco a poco vinse ogni  paura e si abbandonò con la consueta ansia di sapere.
Con Paul parlarono di Induismo e di Buddismo, sviscerarono approfonditamente i legami delle tre religioni del Libro, trattarono anche della riforma protestante di Lutero e persino di reincarnazione.  Alla fine, ma soltanto quando oramai si conoscevano bene e l’inverno era già avanzato, addirittura l’amico le espose lo spiritismo di Kardec e di Denis, non senza suscitare in un primo momento le reazioni spaventate della donna che in quel genere di cose vedeva la tentazione del diavolo e il peccato mortale. Solo dopo un po’ riuscì a cogliere  gli aspetti  più squisitamente mistici di quella corrente di pensiero al di là della fenomenologia spettacolare e ne trovò molto conforto. Senza nemmeno rendersene conto, a poco a poco cominciò ad essere una persona diversa, più aperta e meno intransigente, consapevole che ogni verità possiede sempre mille sfaccettature.
A nessuno dei degenti sfuggì l’amicizia creatasi tra i due, ma nessuno fu mai tentato di fare la pur minima illazione sulla sua reale natura. Persino la signora Baker, sebbene fosse portata a guardare sempre con malizia al legame tra un uomo e una donna, non commentò mai con malevolenza. I due giovani erano così puliti e portavano così chiari i segni della loro interna tensione spirituale da far quasi tenerezza. Sembravano due bambini che si tenevano  per mano mentre guardavano spaventati l’orlo di un abisso mostruoso. La reciproca compagnia faceva bene ad entrambi, anche perché spesso la loro serietà si stemperava, soprattutto quando si univano a Mary e Joanna, le gemelle americane. In questi casi i quattro sembravano tornati ad essere dei normali giovani poco più che ventenni e non dei malati a contatto ogni giorno con cose più grandi di loro.
Angela stava molto meglio, non così Paul che nel febbraio del 1910 ebbe un brutto peggioramento del male.
La ragazza, forte della loro innocenza e della comunanza nella malattia che li rendeva superiori a ogni bassezza, lo andava spesso a trovare in camera sua. Gli faceva compagnia discorrendo del più e del meno o gli leggeva qualcosa. Per questo a volte trascurava persino di starsene all’aperto a seguire la cura.
Un giorno in cui era assai nervoso e sofferente,  Paul la rimproverò con asprezza appena la vide entrare.
- Che ci fate di nuovo qui? Dovreste andare fuori a fare la vostra passeggiata.
- Non ne ho voglia oggi, preferisco stare con voi a parlare.
- Uscite invece. Ha anche smesso di nevicare e c’è un sole bellissimo.
- Sì – convenne lei – oggi c’è un sole magnifico e un cielo blu come il turchese. Comunque  avrò tempo per passeggiare domani. Ho tutto il tempo che voglio qui.
- Ma per quanto intendete rimanere quassù, non vi siete ancora stancata?
Lei lo guardò con un’espressione stupita.
- Stancata?  Come ci si può stancare di stare qui?
- Questo è un sanatorio, Angela, un posto dove si viene per guarire,  non per rimanerci in eterno. E voi siete quasi guarita.
- Quasi! Il dottor Huber ha detto che altri due o tre mesi di cure  non mi farebbero male.
All’improvviso si rese conto di star trovando delle scuse. Abbassò il capo e a voce bassa confessò:
- Io ci sto bene qui. In un primo momento non è stato così, non vedevo l’ora di potermene andare, ma ora che mi sono abituata  non so più pensare a come potrebbe essere la mia vita fuori. Ve l’ho raccontato che prima di sposarmi volevo farmi suora. Ebbene solo oggi ho capito bene il perché: non avevo la vocazione altrimenti non mi sarei innamorata di Fabrizio così come ho fatto, però mi piaceva la vita calma e raccolta, la necessità di non dover pensare alle cose pratiche, di non dover lottare con gli altri.  E vi assicuro che il sanatorio è ancora meglio del monastero in questo senso – soggiunse con un sorriso – qui posso parlare di tutto, suonare Chopin,  passeggiare libera per i boschi e posso addirittura avere un amico maschio come voi senza che nessuno mi giudichi male. 
Il suo interlocutore non si smosse.        
- Però questa non è la realtà, come non lo era il convento. E non è ciò che volete davvero, ne sono certo. Forse siete  soltanto troppo paurosa per osare di desiderare una vita diversa o troppo vigliacca per provare ad averla.
Risentita, lei si alzò di scatto.
- Ho capito, è meglio che me ne vada. Oggi siete  antipatico e scortese - protestò.
- Soltanto perché vi sto rimproverando? Credevo che la nostra amicizia ormai mi desse il diritto di dirvi apertamente come la penso. La verità è che dovete trovare la fiducia in voi stessa. Non potete continuare tutta la vita a nascondervi perché vi sentite sempre inferiore agli altri e andare avanti così, senza accampare alcuna pretesa, senza reclamare nessun diritto. Ogni essere umano ha diritto alla felicità, Angela, voi compresa.
- Anche mio marito me lo diceva sempre però anche lui, come tutti gli altri, non ha fatto poi molto per me. La verità è che non c’è stato mai nessuno che mi abbia aiutato a trovare quella felicità di cui parlate – protestò la ragazza ad occhi bassi e rossa in volto.
- Allora smettetela di compiangervi e cominciate a cercarla da sola. Dovete prendere tra le mani il vostro destino e mostrare a tutti la persona straordinaria che siete. Potrete farcela, ne sono certo, e quando ci sarete riuscita dovrete dire grazie solo a voi stessa..
Angela annuì poco convinta poi, in silenzio,  uscì dalla stanza.    
Paul la seguì con uno  sguardo dolente.
Aveva trascorso quasi sei anni ad attendere il momento supremo, cercando di spiare la morte per esorcizzarne la paura. Ma adesso che il suo corpo si stava arrendendo al grave fardello della materia corrotta, lo spirito non provava più la gioia per l’imminente liberazione a cui si era preparato provando quasi un’emozione come per una straordinaria e sconosciuta avventura ancora da provare. Non poteva negare a se stesso di essere cambiato: ora la gioia si confondeva con la disperazione, la paura si trasformava all’improvviso in commozione. C’era una presenza dolce e amata che leniva ogni suo dolore e gli spiegava ogni perché.
Si passò una mano sugli occhi colmi di lacrime. Ancora una volta quella domanda che sempre più spesso gli si affacciava alla mente tornò a tormentarlo: doveva essere grato alla sorte che gli aveva fatto un ultimo regalo facendogli conoscere una donna così meravigliosa o piuttosto maledirla perché adesso era costretto a lasciare anche lei insieme alla vita stessa?
 
Angela se ne era andata sul balcone soleggiato della sua camera. Si distese sulla sdraio e guardò lo stupendo panorama innevato tutt’intorno.       
Aveva detto la verità poco prima a Paul. Oramai si era abituata alla calma silenziosa di quel posto,  sospesa nel tempo e nello spazio come una non-esistenza. Certo lui aveva ragione, nel mondo c’era qualcosa ad attirarla e sapeva anche che cosa: Fabrizio. Però ora la diversità tra di loro le faceva ancora  più paura. Nelle sue lettere, il marito le raccontava che stava lavorando con ardore per il giornale, che partecipava alla vita politica, che lottava contro le ingiustizie sociali e per i diritti degli oppressi, era insomma sempre più  immerso nella battaglia come un guerriero forte e ardimentoso.
E lei? Lei si sentiva oramai  staccata dall’esistenza terrena in un anelito che, lungi dall’essersi placato con le nuove conoscenze religiose acquisite tramite l’amico, la spingeva sempre più verso il mondo dello spirito dove unicamente le sembrava di potersi ricavare un angolino dove poter vivere al riparo delle sue tante paure. Certo adorava ancora quell’uomo lontano, ma in quale modo avrebbe mai potuto conquistarne l’amore? Non erano certo lettere d’amore quelle che le mandava in continuazione eppure erano sempre piene di tenerezza. Il calore del suo affetto le faceva bene, la riscaldava così come quel sole dalla cui luce ora era costretta a ripararsi con il palmo della mano.
Si ricordò all’improvviso del gioco che faceva da bambina e cercò di nuovo di fissare l’astro luminoso fino a quando gli occhi non le avessero lacrimato. Ancora una volta immaginò tutte le cose nel mondo che in quell’istante erano inondate da quella luce. Vide Fabrizio passeggiare sotto la Loggia dei Pisani o a Palazzo Vecchio, raffigurandosi quei posti dalle cartoline che lui le aveva inviato. Vide Maria giocare con il figlio e Rosso che si stiracchiava sul balcone della casa di Napoli dove dovevano essere già fioriti i primi gerani. Dopo un po’ incominciò ad immaginare il mare, l’azzurro, immenso, sconfinato mare, calmo o minaccioso come l’esistenza stessa. Agli occhi della sua mente le montagne, i boschi di pini, il luccichio della neve, tutto scomparve. Restò solo il mare e si trovò in un luogo che non sapeva se fosse reale o fosse solo nella sua anima, a guardarlo felice, a sentire la brezza del vento sul viso e il profumo delle onde nelle narici, a udire in lontananza il richiamo dei gabbiani che volavano nel cielo azzurro con il loro volo planato che ha la calma e la dolcezza dell’eternità.
Chissà se nell’organismo umano c’è un preciso momento in cui ci si ammala  ed uno in cui si guarisce. Se così fosse, quello fu il preciso istante in cui il povero corpicino malato e macilento di Angela accolse in sé un nuovo seme di vita.
 
Nel medesimo momento, a molti chilometri di distanza, quello stesso sole illuminava il terrazzo maiolicato affacciato sul mare di Sicilia dove le cameriere avevano appena sistemato la marchesa Salemi. Lei se ne stava lì, come una vecchia lucertola,  a godersi il tepore dei raggi sulle membra dolenti e a rimuginare sullo strano sogno il cui ricordo non era svanito alle prime luci dell’alba come avveniva sempre per tutti gli altri.
Immersa nei suoi pensieri, diede solo uno sguardo indifferente allo stupendo scorcio di mare che si vedeva dalla villa. Ormai, ad oltre novant’anni, non riusciva più a coglierne la bellezza. D’altronde  è  difficile riuscire ancora a emozionarsi per qualcosa quando la vita ti tiene ancorata a un corpo dolente,  consumato dagli anni, dai dispiaceri  e dalle malattie. Padre Giovanni la rimproverava di fare peccato quando glielo confessava.
- La vita – le diceva - è un dono di Dio e dobbiamo ringraziarlo sempre per ogni minuto in più che ci viene dato.
Certo, la marchesa Lo ringraziava, ma Lo avrebbe ringraziato ancora di più se invece di farla campare tanto, a dispetto di tutti i suoi acciacchi, l’avesse fatta morire un po’ più giovane senza farla soffrire tanto. Se proprio poi il buon Dio aveva quegli anni in più da dare a qualcuno, perché non li aveva donati ad Elvira che pur essendo più giovane di lei se n’era andata così presto? Come era stata bella Elvira!  Come aveva amato la sua unica sorella! Ecco, il sogno di quella notte che le era rimasto così impresso riguardava proprio lei, ma invece di essere contenta per averla sognata dopo tanto tempo, gliene era rimasta una spiacevole, indefinita sensazione. Forse perché i loro rapporti non erano sempre stati idilliaci. Dopo che si era ostinata a sposare quel Tommaso Spinelli di Cardona, ad esempio. Aveva provato a dissuaderla in ogni modo, ma non c’era stato niente da fare e anche la soddisfazione di averci visto giusto era stata poca cosa di fronte alla sofferenza di Elvira quando il marito, pur essendo nobile, non aveva dimostrato nessuna nobiltà d’animo passando subito dalla parte dei Savoia usurpatori del Regno delle due Sicilie.  Certo c’era ben poco da fare, ormai le cose erano cambiate e bisognava adattarsi, ma la marchesa e suo marito se ne erano restati sempre nelle loro terre a badare ai propri interessi, riservati e in cuor loro ancora fedeli al vecchio ordine costituito invece Elvira, che nutriva una vera devozione per la regina Sofia di Borbone di cui era stata dama di compagnia, ne aveva molto patito. Dopo un po’ si era ammalata e se n’era andata in breve tempo. Forse però era stato meglio così: almeno si era risparmiata il dolore di vedere morire la sua unica figlia. Tommaso invece  era quasi impazzito quando Sofia era morta di colera e lei stessa, a cui il Signore non aveva mandato la benedizione di avere figlioli e le aveva voluto molto bene,  ne aveva avuto un immenso dispiacere.
Il ricordo dolce della nipote le si ripresentò alla mente. Era stata sfortunata a perdere il marito assai giovane, ma di sicuro, bella e ricca com’era, si sarebbe rimaritata presto se la morte non se la fosse presa. Quando era tornata in Sicilia da Napoli, era venuta  a trovarla molto spesso, pur sapendola non in buoni rapporti con il padre. Sofia era buona e generosa e non voleva abbandonare la zia, già vecchia, vedova e  malata. Conduceva con sé la figlioletta bruna dai grandi occhi neri  che non stava mai ferma un minuto e  della cui vivacità si scusava sempre con un sorriso dolcissimo, facendosi perdonare il fastidio che la presenza di quella monella le arrecava.
All’improvviso la marchesa fermò la mente su un frammento dello spiacevole sogno che le era tornato alla memoria. Ecco, ora ricordava: riguardava proprio quella bambina che neanche si ricordava  più come si chiamasse. Aveva visto Elvira (o era Sofia?) sulla spiaggia che giocava sul bagnasciuga con la bimba. La  faceva saltare in aria per riprenderla subito tra le braccia. Insieme, la donna e la bambina si divertivano un mondo. Lei            si era avvicinata - nel sogno poteva ancora  camminare - e aveva preso dalle mani della sorella (o era la nipote?) quel fagottino. L’aveva lanciato in aria con l’intenzione di  fare lo stesso gioco, ma le era caduto per terra e la sorella si era messa a gridare.
- Ecco – l’aveva accusata in lacrime – me l’hai rotta, me l’hai rotta!
Aveva scostato la copertina e le aveva mostrato i pezzi di una bambola di porcellana dai lunghi capelli scuri e dagli occhi di vetro neri neri che però nel sogno era una bambina vera, la piccola figlia di Sofia di cui non ricordava nemmeno il nome.  Allora lei si era spaventata ed era scappata via, strappandosi i capelli dalla disperazione per l’orribile delitto  commesso.
Un incubo del genere non era bello per una povera vecchia di oltre novant’anni. Rabbrividendo, la marchesa prese in mano il rosario di corallo e cominciò a sgranarlo, ma aveva l’animo in subbuglio. Mentre le sue labbra pronunciavano le Ave Maria, il cervello continuava a pensare e la coscienza a rimordere.     
Non era stato solo un incubo angoscioso, quello era di sicuro un segno. Non era stata troppo buona a disinteressarsi della piccina e  forse era proprio questo che le era venuta a dire la sorella (o era la nipote?) mentre era immersa nel sonno. Ma cosa avrebbe potuto fare? Il nonno, quell’arrogante di Tommaso, l’aveva presa con sé poi se n’era stancato e l’aveva messa in collegio dalle monache. Quando era morto, erano arrivati degli zii da Napoli che lei nemmeno conosceva né avrebbe voluto mai  conoscere, e l’avevano portata via. A poco a poco ne aveva dimenticato persino l’esistenza fino alla notte precedente e a quel sogno strano. Chissà che fine aveva fatto la povera orfana, chissà se era stata più fortunata di sua nonna e di sua madre! Forse era il caso di saperne di più. 
Benché fosse così avanti negli anni, la nobildonna era ancora molto lucida e aveva una volontà di ferro. La sera stessa mandò a chiamare il suo fido amministratore, Giuseppe Barone, e gli parlò della cosa. Lo vide sussultare, colpito da un ricordo penoso.
- Certo, mi ricordo di vostra nipote Sofia.  È morta nella stessa epidemia di colera che si portò via anche la mia Annuccia.
- Lo so che non vi siete mai ripreso dalla perdita della vostra unica figlia femmina, amico mio, ma ci si deve rassegnare alla volontà di Dio – lo compianse la marchesa. Però, poiché lei di tempo da perdere ne aveva ben poco, ritornò dritta allo scopo per cui l’aveva fatto venire.
- Sofia aveva una figlia, una bimbetta bruna che poteva avere sei o sette anni. Vorrei sapere cosa ne è stato di lei. Se fosse ancora viva, magari potrei lasciarle i miei beni. In fondo, anche se non me ne sono mai curata prima e l’ho lasciata al suo destino, è sempre sangue del mio sangue. Non vedo perché il mio denaro se lo dovrebbero godere le orfane di Sant’Egidio e non l’orfana di mia nipote.
Giuseppe era un uomo molto probo e onesto e fu molto lieto di sentirle dire tali parole. Si era sempre dispiaciuto dell’egoismo e dell’avarizia dimostrate dalla vecchia signora verso i contadini, i minatori e tutte le persone che lavoravano per lei. Più volte aveva parlato con la moglie dell’incapacità della marchesa di far del bene a chicchessia commentando che neanche la volontà di lasciare in eredità tutte le sue grandi ricchezze  al Convento di Sant’Egidio le avrebbe potuto comprare un posto in Paradiso. Ora la sentiva per la prima volta interessarsi di qualcuno e la cosa gli faceva un immenso piacere. Le raccontò molto volentieri quanto sapeva circa la pronipote.
- So per certo che è ancora viva, ha poco più di vent’anni adesso. Ne ho incontrato più volte lo zio, il conte del Cassano, che è venuto numerose volte qui a Catania a vendere i beni della nipote. Anzi, a volte l’ha fatto a prezzi talmente vantaggiosi che anch’io ho comprato qualcosa per accrescere il vostro patrimonio.
- Ah sì?  – chiese la vecchia – è perché vendeva? Non  lo sa il conte del Cassano che la terra non si vende?
- Di recente però ho visto venire un avvocato di Napoli, una brava persona che ho conosciuto qualche mese fa. Adesso è lui a  curare gli interessi della contessina, maritata con un suo amico.  Avevo saputo che voleva vendere il palazzo del conte Spinelli a Palermo e  mi sono fatto avanti per sapere quanto ne voleva. Poi però non se n’è fatto più niente.
- Anche il palazzo vorrebbero vendere! Sono impazziti?
- Sono in gravi ristrettezze.  Alla fine, essendo tra galantuomini, sono entrato in confidenza con questo avvocato Leoni. Mi ha rivelato che  lo zio  si è mangiato tutta l’eredità di vostra nipote e di vostro cognato. La ragazza  è rimasta quasi senza mezzi e tra l’altro sta facendo delle cure molto costose in un sanatorio in Svizzera perché è malata. Per questo stavano tastando il terreno, per farsi un’idea di quanto avrebbero potuto ricavare dal palazzo. Naturalmente sperano che  i soldi liquidi possano durare fino a quando la povera giovane non sarà del tutto guarita.
A quelle parole, la marchesa  proruppe in una esclamazione soffocata.
- Ecco cosa mi voleva dire Elvira nel sogno di stanotte!  O era Sofia che ho sognato? – disse. Restò qualche momento pensierosa a strofinarsi il mento con una mano infine, con il suo solito tono perentorio, ordinò:
 -  Giuseppe, domattina voglio qui il notaio Orsini.


 
NdA
Spero che non abbiate trovato noioso questo capitolo e che invece vi sia piaciuto anche se, indubbiamente, è un po’ particolare. Come avete visto, qualcosa sta incominciando ad allargare gli orizzonti di Angela però  è ancora lontana dalla piena realizzazione della sua personalità e della sua vita, forse a causa della malattia, di quella fisica, ma soprattutto quella dell’anima (oggi nella psicopatologia clinica  la chiameremmo nevrosi) a cui un’infanzia tanto infelice e le recenti delusioni subite non hanno fatto certo bene.
Invece vi ho solo accennato di Fabrizio. Voglio precisarvi che l’ho immaginato pienamente soddisfatto della sua nuova vita a Firenze. In effetti sta facendo quello che desiderava fare, almeno per il momento.
Vi lascio con due altre splendide immagini d’epoca di Davos per aiutarvi a visualizzare l’ambiente dove si muovono i miei personaggi. Vorrei avere anche qualche immagine della Sicilia, ma essendo il terrazzo della marchesa Salemi un luogo  del tutto immaginario non saprei dove prenderla.
A presto e lasciatemi tanti commenti, li aspetto.



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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***




 
Anche se appena qualche anno prima era stato inaugurato lo stupefacente traforo del Sempione, un viaggio da Catania fin quasi a Zurigo non era cosa di poco conto. Nonostante ciò Giuseppe Barone se lo accollò di buon grado non solo per esaudire le ultime volontà di una donna al cui servizio era stato per oltre quarant’anni, ma soprattutto per fare un’opera di bene.
Sostò un giorno a Napoli dove incontrò Alberto e Maria. Quest’ultima, anche se il viaggio sarebbe stato faticoso, lo implorò di portarla con sé  perché non ce la faceva più a stare lontana dall’amica che non vedeva da tanto. Il vecchio signore acconsentì di buon grado anche perché la presenza di Maria  avrebbe potuto aiutarlo a prendere confidenza con la malata. Angela ebbe nel rivederla una gioia grandissima, ma provò, com’era naturale, un po’ di diffidenza nei confronti del corpulento gentiluomo che l’accompagnava, anche se il suo sguardo buono e la barba brizzolata le ispirarono presto fiducia. Dal canto suo Giuseppe s’innamorò subito di lei. Avrebbe tanto desiderato mostrarla alla moglie. Il suo visino sciupato in cui brillavano gli occhi grandi e tristi assomigliava tantissimo a quello della loro Annuccia quando,  pressappoco all’età della contessina, se n’ era volata in cielo.
Incoraggiata dalla presenza di Barone, Maria propose di andare a parlare con il professor Huber, di cui aveva sempre una gran soggezione,  per sapere se Angela poteva lasciare il sanatorio e tornare con loro, magari nella bella villa sul mare che la  marchesa le aveva lasciato in eredità ad Acireale.
Il dottor Friedrich si mostrò un po’ dubbioso, ma poiché la paziente era risultata sana alle ultime visite e il dolce clima della Sicilia, della  cui bellezza lui stesso era un  estimatore entusiasta, non avrebbe potuto farle altro che bene, diede il suo consenso. Però li avvertì che il corpo lo avevano guarito, ma forse era l’anima della giovane ad essere ancora bisognosa di cure. Nella sua vasta esperienza di medico, infatti, ed anche se quello non era proprio il suo campo, aveva ben compreso quanto quella giovane donna fosse preda di innumerevoli disturbi compulsivi e psicologicamente molto fragile.
Angela però non voleva saperne di andarsene. Aveva troppa paura di lasciare quel nido accogliente e non voleva abbandonare l’amico Paul ora che stava tanto male.
 
Andò a trovarlo per chiedergli consiglio. Lui la guardò con gli occhi infossati e lucidi di febbre e la esortò:
- Dovete andare, dovete tornare nel mondo.
- Non m’ importa del mondo.
- Siete bugiarda. Qualche giorno fa, mentre pensavate che dormissi e aspettavate in silenzio che mi svegliassi,  vi ho guardata senza farvene accorgere. Vi siete messa a leggere una lettera di vostro marito e vi è scivolato sulle ginocchia un suo ritratto fotografico che era nella busta.
- Sapete che siete un bel curiosone, amico mio? – provò a scherzare Angela.   
L’altro proseguì, senza darsene per inteso.
- Allora l’avete preso in mano e l’avete guardato poi l’avete avvicinato alle labbra e avete cominciato a baciarlo. E stavate piangendo.
- Insomma, quale insolenza è questa! Come vi siete permesso di spiare un momento così intimo senza dirmi che eravate sveglio? – protestò lei, rossa in volto.
- Voi lo amate, Angela, lo amate perdutamente. È per questo che dovete andarvene da qui e tornare dal vostro Fabrizio
Alla fine la ragazza rinunciò a ribellarsi e con le lacrime agli occhi ammise:
- Sì, è vero, lo amo ancora. Però a che serve il mio amore?  È talmente impossibile farmi amare da lui che non posso neanche provarci.
- Niente è impossibile in amore.
Con un sorriso mesto la giovane  scrollò le spalle.
- No, è meglio per me restare qui - aggiunse con un tono rassegnato - e poi non dovete pensare che mi dispiaccia, qui ci siete voi che mi siete assai caro.
Allora Paul si alzò a sedere sul letto, le afferrò le mani e le gridò con il poco fiato che gli era restato:
- Ti sto incoraggiando a lasciarmi per andare da un altro uomo, è vero, ma se potessi, ti offrirei il mio amore come ad una divinità, ti implorerei di restare con me, di far felici i miei giorni perché la mia vita senza di te non ha più senso. Ti darei ogni fremito del mio cuore, ogni respiro e forse anche tu avresti pietà di me e mi ameresti!
La ragazza lo guardò spaventata e ritrasse le mani. Non aveva mai supposto di aver suscitato amore e ne fu commossa e desolata a un tempo.
- Non temere, non lo farò, non posso farlo, angelo mio, perché sto morendo e tu hai il diritto di vivere – concluse lui, abbassando il volto rosso di febbre.
- Paul  –  mormorò lei senza sapere cosa dire.
- Va’ da lui, va’ dal tuo Fabrizio, è lui la tua salvezza. Io porterò con me l’amore che hai suscitato in me e sarà la cosa più preziosa che mi avrà dato questa inutile vita.
Spossato, era ricaduto sul cuscino,  la fronte imperlata di sudore. Distolse lo sguardo dalla donna e lo fissò oltre la finestra sulle montagne che si stagliavano in lontananza.
Angela, in silenzio, gli si avvicinò, trasse dalla tasca un fazzolettino candido e gli terse la fronte sudata. Solo dopo un poco gli parlò e lo fece piano, dolcemente, come si fa con i bimbi per quietarli:
- Io ti voglio bene, lo sai, ti voglio moltissimo bene.
Paul si girò e le carezzò il viso. Le asciugò le lacrime che avevano preso a scorrere silenziose e le mormorò con un filo di voce:
- Lo so che mi vuoi bene. Io avrei voluto essere amato, ma non importa – e sorridendo aggiunse – però, se è vero che esiste la reincarnazione, ti ricordi cara quante volte ne abbiamo parlato? Se è vero, dicevo, può darsi che in un’altra vita o in un altro mondo ci incontreremo ancora  e le nostre anime si riconosceranno. Forse allora potremo essere felici insieme, chi lo sa! Però adesso tu devi promettermi che tornerai a vivere…
- Non ti voglio lasciare proprio ora!
… e che lascerai me morire in pace – proseguì il giovane, ignorando l’interruzione – perché lo sai, la morte è il momento più importante della vita e voglio poterlo affrontare senza dover rimpiangere il fatto che ti sto lasciando. Lasciami libero, Angela, te ne prego.
- Perché mi dici questo? Non è giusto! – protestò la donna tra i singhiozzi.
- Perché ti amo. Tutto qui.
 
I giorni successivi il barone de Savigny si rifiutò di incontrarla ancora. Il dottor Huber la pregò di rispettarne la volontà e di non affaticarlo ulteriormente poiché era ormai moribondo.
Angela si sentiva triste e smarrita.  L’improvvisa rivelazione di un amore che aveva suscitato senza volere e la gravità delle condizioni di Paul l’avevano sconvolta. Si rendeva conto che anche quel rifugio così consolante sarebbe diventato per lei un luogo di angoscia al ricordo del suo amico e poi, ora che era miracolosamente guarita, non era più lì il suo posto. Restare sarebbe stato quasi un insulto nei confronti delle tante persone ghermite dalla malattia o addirittura dalla morte. Era di nuovo sana e doveva ritornare a lottare, come le aveva detto Paul.
Si convinse a lasciare Davos  e a seguire Giuseppe in Sicilia per prendere possesso dell’eredità della prozia marchesa. Fu deciso che sarebbe andata ad abitare nella bella villa al mare di Acireale e che avrebbe portato con sé Maria e il suo bambino.  
Tutto sembrava predisposto quindi, ma ugualmente Angela si sentiva inquieta. C’era una cosa che desiderava fare con tutta se stessa: rivedere Fabrizio per domandargli cosa ne sarebbe stato di loro. Non pretendeva che lui la seguisse, ma le sarebbe bastata solo una sua parola per vivere nella speranza di poterlo raggiungere non appena si fosse rimessa del tutto.
Insistette talmente tanto con Giuseppe Barone che alla fine, benché non fosse convinto dell’opportunità della cosa, questi l’accontentò.
Nel salutarla, il professor Huber le raccomandò di curarsi ancora perché, anche se la tisi era guarita, soltanto lei avrebbe potuto decidere se ritornare ad essere una persona sana o  abbandonarsi ancora alla malattia.
La giovane contessa lasciò il sanatorio in una radiosa mattina di maggio, esattamente un anno dopo il suo  arrivo. Mentre la carrozza si allontanava, alzò gli occhi verso il balcone della stanza di Paul  e disse addio al suo dolce amico, ben sapendo che non lo avrebbe mai più rivisto, perlomeno in questa vita.
 
Mentre percorreva la breve strada dalla sua abitazione in via dei Calzaiuoli fino a piazza della Repubblica dove si affacciava il caffè Paszkowsky, Fabrizio si sentiva molto emozionato. Aveva piacere di rivedere Angela, ma nello stesso tempo ne aveva paura perché ancora dopo tanto tempo non era riuscito a decidere cosa avrebbe dovuto fare con  lei. Comunque la notizia della sua guarigione e dell’eredità della prozia che in un certo senso l’aveva risarcita del ladrocinio ai suoi danni perpetrato dall’ indegno conte del Cassano, lo avevano riempito di gioia. Barone gli era sembrato un gran brav’uomo, disposto a prendersi cura di lei. Inoltre al suo fianco c’era sempre Maria per cui si sentiva tranquillo. Non sarebbe rimasta sola in quel periodo in cui era tanto impegnato e non avrebbe potuto occuparsene personalmente.
Il caffè  Paszkowsky  era uno dei luoghi che frequentava di più con gli amici della rivista letteraria. Lì lo conoscevano tutti. Appena entrato,  Raimondo, un cameriere, gli indicò il tavolo dove la moglie lo stava aspettando. La scorse da lontano in compagnia di Maria e del loro maturo accompagnatore.
Angela non lo aveva visto  entrare e così ebbe tutto il tempo di osservarla bene. Gli volgeva le  spalle, ma era seduta di fronte a una specchiera  che ne rifletteva l’immagine. Nel saperla guarita, Fabrizio aveva sperato che il suo aspetto fosse stato più florido e invece era ancora più spenta ed emaciata di sempre. Non riuscì a trattenersi e  rimproverò a bassa voce  Giuseppe e Maria che nel frattempo gli si erano avvicinati:
- Si può sapere perché l’avete portata qui? Non vedete come sta male?
- Non c’è stato verso di farle cambiare idea, signore, ha voluto per forza passare prima da Firenze per vedervi.         
Nell’ascoltare le giustificazioni della donna, Fabrizio notò che,  con il vestito elegante, il cappello, la consueta bellezza e un modo di parlare per niente dialettale,  aveva acquistato un aspetto molto signorile. Non sembrava più la popolana di un tempo. Anche il Barone intervenne, con molto senso pratico.
- E poi una breve sosta ci voleva. Ne faremo un’altra più lunga a Napoli per sistemare le cose e poi la porteremo nella nuova casa ad Acireale.
Fabrizio non ebbe il tempo di trattenersi oltre perché Angela si era voltata e, sorridendogli contenta, lo stava invitando ad avvicinarsi tendendogli la mano. Lui gliela strinse notando quanto, per l’estrema magrezza delle dita,  la fede le andasse larghissima. Si ricordò di quando le aveva infilato quell’anello, oramai quasi tre anni prima. La tenerezza lo indusse a portasi alla bocca la manina scarna e a baciargliela con trasporto.
- Cosa fai!? – protestò lei. Però gli occhi le luccicavano dalla gioia: finalmente, dopo tanto tempo, aveva di nuovo il suo amore seduto accanto.
- Stai bene vero? Ora stai bene?  - le chiese ansioso – Hai mangiato qualcosa? Qui fanno dei dolci eccezionali. Ne vuoi uno?
- No grazie, non ne ho voglia.
- Però devi mangiare, cara, altrimenti non starai mai bene. Me l’ha confermato anche il dottor Huber in una sua lettera. Ti ha dimesso, è vero,  ma mi ha anche ribadito che  se non ti dai da fare potresti ammalarti di nuovo.
- Dài, non fare l’uccello del malaugurio! Mangerò, te lo prometto. Voglio stare bene e voglio curarmi. Ora posso farlo anche perché, non so se lo sai, sono di nuovo ricca, anzi più ricca di prima – aggiunse la ragazza con un’aria complice.
- Lo so e sono contento per te.
- Per me? A dire il vero a me non importa più  di tanto. In fondo, per quanto mi riguarda, la ricchezza è sempre stata più una iattura che un bene: se non avessi avuto tanto denaro forse le persone a cui tenevo non si sarebbero comportate così male con me – gli confidò senza però l’intenzione di fare alcuna allusione al  comportamento di lui, ma riferendosi agli zii.
- Piuttosto dovresti essere contento per te stesso – proseguì sorridendo allegra -  avere una moglie molto ricca è sempre una comodità, soprattutto per uno che sta cominciando una carriera politica.
L’uomo fece una smorfia e l’espressione premurosa di poco prima si trasformò quasi in una di disappunto.
- Non mi mortificare, ti prego – protestò -  Anche se una volta ho sbagliato, non consentirò mai più che tu debba usare nemmeno una lira del tuo patrimonio per me o per qualcosa che mi riguarda.
Era davvero dispiaciuto e sembrava sincero. Angela temette di averlo offeso sbattendogli sotto il naso la sua nuova fortuna. In realtà in quel momento nessuno dei due poteva sapere che sarebbe stata proprio quella ricchezza a salvare la loro vita in un futuro nemmeno tanto lontano.
- Scusami, non volevo offenderti, scusami – mormorò.         
 Era in uno stato emotivo di grande fragilità  e quasi senza accorgersene, cominciò a piangere. Fabrizio sospirò, desolato.
- Ecco, iniziamo bene: neanche cinque minuti che ci siamo rivisti e già ti ho fatto piangere! Angela, per favore, non fare così, non essere sempre così sensibile. Sembri una bambolina che sta lì lì per rompersi. Io non riesco a soppesare ogni parola, ogni intonazione della voce e persino ogni espressione del viso. E poi te l’ho detto tante volte, non devi sempre scusarti di tutto, anche gli altri sbagliano, non solo tu. Cerca di metterci un po’ di risolutezza per favore e lo dico per te, devi credermi.
- Vedrai, riuscirò a cambiare, riuscirò ad essere come tu mi vuoi. Da oggi in poi farò tutto quanto mi dici.
A sentire quelle parole appassionate l’uomo la guardò un po’ perplesso. Aveva capito che la moglie lo amava sempre mentre lui, pur essendole molto affezionato, non aveva nessuna intenzione di illudersi che quel sentimento potesse bastare. Soprattutto non voleva illudere quella dolce creatura così delicata. Però non trovava le parole per dirglielo senza ferirla.
Intanto lei proseguiva nel suo discorso, avendo vinto oramai l’iniziale riluttanza ad aprirgli il cuore.
- Io ti amo, Fabrizio. In tutto questo tempo ho capito che la colpa di tutto quanto è successo è stata solo la mia.
- Non è vero. – le disse con onestà - Ringrazio il Cielo che tu mi abbia perdonato, ma non devi accollarti nessuna colpa. Sono stato io a comportarmi in modo abietto con te.
- No, tu sei una persona allegra, sincera, piena di voglia di vivere e di interessi. Avrei dovuto essere io ad intuire che non mi avevi sposato per amore. Però te lo  giuro, se anche tu mi avessi detto perché lo facevi, ti avrei voluto lo stesso  e  mi sarei accontentata di ciò che potevi darmi.
Come sempre a lui una tale remissività dava sui nervi e ci tenne a precisarlo.
- Sono stati proprio questi gli atteggiamenti di te che ci hanno fatto allontanare: il vittimismo, il sentirsi un agnello sacrificale,  il vivere la vita come se fosse una pena da scontare. Hanno distrutto tutto ciò che era nato tra di noi.
- Lo so, caro,  per questo ti ripeto che è stata colpa mia. Avrei dovuto curare la piantina tenera nata da un piccolo seme, avrei dovuto sorvegliarla e proteggerla affinché diventasse un albero forte. Invece non ne sono stata capace, ho lasciato che il vento la strappasse e, anche se non volevo,  l’ho perduta. Ma ora è diverso, amore, ho capito i miei errori e voglio stare con te. Saprò essere una moglie perfetta, in tutto e per tutto come vuoi tu, te lo giuro.
Gli aveva preso entrambe le mani e gliele stringeva forte. Fabrizio non la guardava. Non ne aveva la forza. Investito da una simile ondata di passione si sentiva spaventato perché sapeva di non essere in grado di ricambiarla.
Un discreto colpo di tosse annunciò l’avvicinarsi del cameriere. Angela si affrettò a rimettersi le mani in grembo.
- Mi scusi signore, c’è la signora Anghilletti che domanda un momento di lei.
- Sì, vengo subito. Perdonami un attimo.  È la compagna di partito di cui ti ho parlato nelle mie lettere. Credo debba dirmi qualcosa d’importante.
- Vai, non ti preoccupare. 
Lui si allontanò ed Angela si mise una mano sulla fronte che scottava di febbre. Con lo sguardo seguì l’immagine del marito riflessa nella specchiera di fronte a lei e lo vide avvicinarsi ad una giovane donna. Era vero, gliene aveva parlato nelle sue lettere, le aveva detto che si chiamava Elena,  era vedova, aveva la sua stessa età e militava anche lei nelle file del partito socialista. Una donna in gamba, aveva tenuto a specificare, e con i suoi stessi ideali. Ciò che aveva tralasciato di dirle era quanto fosse attraente:  bionda, alta, con il corpo formoso fasciato nell’abito elegante e un viso intelligente oltre che grazioso. Anche Fabrizio al suo fianco era bello, robusto, possente. Il suo volto, ad ogni espressione  assunta nel corso del loro animato colloquio, era sempre ugualmente affascinante.
Angela distolse lo sguardo dai due. Guardando dritto di fronte a sé ebbe sotto gli occhi la propria immagine. Quanto vide la fece sprofondare in un baratro che le diede un tuffo al cuore: riflessa c’era una brutta ragazza con il colorito spento, i capelli radi e il viso incavato nel quale  solo gli occhi luccicavano di un febbrile ardore dandole un’aria da esaltata. Il corpo ossuto non aveva nessuna attrattiva femminile, né erano belle le spalle incurvate e le braccia come due stecchini. Come aveva mai potuto pensare di proporsi così a Fabrizio? Ma si rendeva conto o no di quanto lui fosse bello e vitale e di come dovesse disgustarlo quella specie di larva che gli offriva il suo amore? Come una stupida si era lasciata illudere perché  Paul si era innamorato di lei. Ma Fabrizio non era Paul. Lui era forte e sano nello spirito e nel corpo. Aveva bisogno della bellezza, della passione, della lotta. Il suo amico invece era stato come lei e forse l’aveva vista solo con gli occhi dell’anima, senza neanche soffermarsi su un aspetto fisico così patetico o sulla sua totale inettitudine.
Intanto il marito si era congedato dall’interlocutrice. Le si sedette di nuovo di fronte e cercò di parlarle con tutta la calma e la dolcezza che poteva usare in una circostanza così delicata.
- Ascolta cara, ora tu devi pensare solo a guarire. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo per riparlare di noi due. Lo sai, io ti voglio bene, moltissimo.
La ragazza alzò gli occhi su di lui, ma senza quasi  vederlo. Ricordava di aver usato con  Paul quelle stesse parole quando questi le aveva confessato il suo amore. Aveva voluto consolarlo del fatto di non poterlo amare, ma senza ferirlo o disprezzarlo. Ecco, ora Fabrizio intendeva fare la stessa cosa. Non poteva fargliene una colpa,  doveva accettarlo come aveva fatto Paul e cercare altrove  rifugio a un dolore che non poteva trovare sollievo.
- Lo so, caro, lo so. – gli rispose con un soffio di voce – Ora però, ti prego, chiama Maria. Sono stanca e voglio tornare in albergo a riposare. Mi aspetta un lungo viaggio da intraprendere.

NdA
Forse ci siete rimaste un poco male perché vi aspettavate che Angela non cadesse preda della sua solita insicurezza o che Fabrizio scoprisse di amarla e non di volerle solo bene come ad una sorella. Eppure le cose stanno così ed è ancora lungo il cammino che devono compiere i miei personaggi  prima di diventare  le persone che oggi non sono ancora.
Spero che non vi stancherete e vorrete continuare a seguire con me il filo di questo racconto che però, vi assicuro, sarà ancora ricco di situazioni nuove, personaggi e perché no, emozioni.
Inutile dirvi che aspetto i vostri preziosi commenti. Come dico sempre, anche un semplice “mi piace” per me sarebbe un enorme incoraggiamento.
Ciao a tutte e buona settimana.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***



 
- Non è ancora tornata Angela? 
Alberto era entrato in cucina e aveva fatto la domanda a bruciapelo alla moglie. Sembrava preoccupato.
- No, non ancora. È tardi, dovrebbe essere qui già da un pezzo – gli rispose Maria senza riuscire a nascondere l’ansia che provava anche lei.
Lucia, intenta ai fornelli, li rassicurò:
- Non siate sempre così apprensivi. Non corre alcun pericolo e poi c’è Luna a farle buona guardia, lo sapete.
- Dite bene voi, come se un cane bastasse!
Giuseppe stava intagliando un cavalluccio di legno che Gaetanino, in piedi accanto a lui, aspettava con impazienza di ricevere in dono. S’interruppe un momento  per contraddire Maria, occupata ad allattare la sua bimba.
- Un cane? - domandò - Quello se si arrabbia è una belva e poi un pastore abruzzese grande e grosso come Luna scoraggia qualsiasi malintenzionato, ragazza mia.
Alberto osservò quella scenetta familiare e si chiese come avevano potuto fare delle persone come loro, ognuna provata dalla vita e dal dolore,  a trovarsi così bene insieme. Personalmente aveva fatto una scelta un po’ arrischiata quando, intristito dalla  lontananza di Maria di cui si era innamorato, aveva deciso di piantare baracca e burattini per seguirla in Sicilia. Oggi però, dopo quasi un anno e mezzo, non se ne trovava pentito perché si era rivelata una sposa onesta e affettuosa che lo stava rendendo veramente felice. Si era anche affezionato molto al  piccolo Gaetano che  considerava come un figlio al pari di Annuccia. Non si sarebbe mai sognato di trattarlo in maniera diversa per il fatto che era il frutto di una colpa commessa dalla moglie quando era ancora troppo giovane per potersi difendere da chi se ne approfittava.  Era contento della sua scelta e anche  di aver cominciato a lavorare con Giuseppe Barone, una persona che gli aveva ispirato fiducia sin dal primo momento.
Anche i due vecchi coniugi sembravano felici: venti anni prima avevano perso una figlia e ora per la misericordia del Signore  era come se ne avessero ritrovate addirittura due. Maria ed Angela erano diventate come vere figlie per loro anche perché le due giovani donne ormai si sentivano e si comportavano davvero come se fossero sorelle.
Alla fine Angela, la piccola contessa orfana,  con la sua  semplicità, era riuscita ad avere la famiglia che aveva sempre sognato. Dall’affetto sincero di persone non consanguinee, ma affini a lei per bontà d’animo e pulizia morale,  traeva un enorme conforto alla solitudine.  Però continuava anche ad amarla quella solitudine e trascorreva intere giornate a vagabondare facendoli stare in pensiero, così come quella sera.
Il giorno stava ormai calando quando la videro arrivare. Li salutò con un sorriso mentre provava a trattenere il grosso cane che si stava preparando a fare la consueta entrata correndo dietro al gatto.
Alberto le andò in soccorso.
- Ti devo parlare, è una cosa importante – le disse.
- Sì, ma aiutami prima con questa, per favore. Se riesce ad afferrare  Rosso sono guai seri.
Appena l’amico fu uscito con il cane, lei si avvicinò a Lucia.
- Che stai preparando? – le chiese con allegria.
- La zuppa di pesce. E, guarda, ti ho fatto anche le paste di mandorle.
- Che buone! – esclamò la ragazza. Ne prese una e l’addentò con gusto.
- Poi non mangi – la sgridò Maria.
- Lasciala stare. Sono tutte mandorle e zucchero, possono farle solo bene.
- La volete smettere un po’ voi due? – protestò la ragazza – Dovrei diventare una botte per farvi stare tranquille?
Alberto, rientrato in cucina, si affrettò a riprendere il discorso.
- Ascolta,  Fabrizio mi ha mandato una lettera per te e mi ha raccomandato di dirti che è una cosa importante.
- E perché l’ha mandata a te? Non poteva mandarla a lei? – chiese la moglie, un po’ perplessa.
- Sostiene che nonostante abbia continuato  a scriverle sempre, Angela non gli ha mai risposto e così non sa se le sue lettere le legge o le cestina.
- Davvero  cestini le lettere di Fabrizio? – le chiese Giuseppe.
La ragazza, che se ne stava tranquilla a gustare il dolce,  gli rispose in tutta calma:
- No.
- Ah, volevo ben dire! Ne arriva una a settimana, non mi sembrava possibile che tu non le leggessi neanche - osservò l’altro.
- Le leggo eccome! Le lettere di Fabrizio sono sempre molto interessanti, sono un fedele ritratto di tutto quanto avviene nel nostro paese. Mi racconta ogni cosa e mi scrive anche se è fuori Firenze. L’anno scorso mi ha scritto anche da Roma dove si era recato per i festeggiamenti in occasione dei cinquant’ anni dell’Unità  e l’inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele II. Anche se non smetteva mai di criticare questa manifestazione che secondo lui era solo una  celebrazione dei Savoia  e non la reale testimonianza della vera unificazione dell’Italia, me ne ha fatto un resoconto talmente particolareggiato che mi sembrava di esserci anch’io. Insomma, non mi perderei le sue cronache per nulla al mondo.
- Però non gli rispondi mai … – la rimproverò l’amico più giovane.
Lei sembrò un po’ incerta  se  dirgli la propria opinione o tenersela per sé.
- A volte penso – si decise infine a rivelare – che le sue lettere siano solo sfoghi personali. Gli servono più che altro per guardarsi dentro, quasi come un diario. Come quando è entrato in contrasto con il pensiero del suo amato professor Croce o quando ha dovuto fare la scelta travagliata di lasciare “La Voce” perché non era d’accordo che sostenesse la  guerra in Libia. Non vi dico poi quanto mi ha scritto nel periodo in cui era incerto se collaborare o no con i colleghi che avevano fondato uno nuovo giornale! Insomma,  mi racconta tutto, ogni suo dubbio e ogni incertezza. Però non ritengo che si aspetti una risposta da me.
- Invece ti sbagli. Mi ha confidato di essere molto dispiaciuto per il fatto di non aver ricevuto nemmeno una tua lettera in questi ultimi due anni. Una volta gli scrivevi. Perché hai smesso di farlo? – ribatté l’uomo in difesa dell’amico.
- Si vede che allora avevo qualcosa da dirgli. Ora cosa gli racconto?  Che Luna e Rosso fanno cane e gatto, che Annuccia ha le colichette d’aria o che questo vecchio brontolone non vuole portarci a  trovare i figli a New York perché ad aprile è affondato il Titanic e ha paura di salire su di un transatlantico?           
Nel dirlo  si era messa alle spalle di Giuseppe e  gli stava tirando affettuosamente la barba.
- Non ci scherzare sopra. Sono rimasto così impressionato da quel disastro che non metterò mai più piede su una nave, figuriamoci attraversare l’Oceano -  affermò l’anziano signore.
Era un viaggio costoso fino in America e Lucia aveva sperato di poterselo concedere proprio grazie alla  generosità della giovane ereditiera.
- Sì, però così io i miei figli non li rivedrò mai più – piagnucolò.      
- Non ti preoccupare, vedrai che alla fine lo convinceremo – la rassicurò la ragazza e si servì di un’altra  pasta di mandorle.
- Comunque ora ha dato a me questa lettera e devo accertarmi che tu la legga.
 Angela sbuffò all’ insistenza del giovane avvocato.
- Che dici, è una cosa urgentissima o posso prima mangiare il mio dolcetto?
In ogni modo prese la lettera e se la mise in tasca. Mentre apparecchiavano per la cena, andò a leggerla in biblioteca.
Sugli scaffali  c’erano i molti libri che i genitori di Paul le avevano mandato subito dopo la sua morte.  Era stata una sua espressa volontà farli avere a lei che li aveva presi con gran piacere, pensando a quante volte il caro amico li aveva sfogliati con l’ansia e la speranza di trovare le risposte alle proprie domande. Sulla scrivania, in una cornice di argento, c’era anche il ritratto del barone de Savigny, bello ed elegante, che sembrava guardarla con una familiarità e un affetto  che glielo facevano sentire sempre vicino.  Di Fabrizio invece non c’erano fotografie in giro, anche se gliene mandava in continuazione. Preferiva tenerle in un prezioso cofanetto di madreperla già appartenuto alla zia marchesa. Le conservava insieme a quelle lettere a cui non rispondeva mai, ma che le davano una gioia grandissima.
Anche stavolta, con le mani tremanti per l’emozione, lacerò la busta con un tagliacarte d’argento e dopo averne tratto la lettera, molto più breve del solito, ne lesse avidamente il contenuto. Il suo viso impallidì. La ripiegò,  la mise di nuovo nella busta e la posò sulla scrivania, fermandola con il ritratto di Paul perché il vento caldo della sera di giugno che entrava dal balcone aperto avrebbe potuto farla volare via. Si alzò e uscì sul terrazzo. Con le mani appoggiate alla balaustra di pietra, l’odore della malvarosa che le inebriava l’olfatto e il caldo tramonto infuocato davanti agli occhi, stette silenziosa a guardare il mare fino a quando la chiamarono per cena.
- Tu eri al corrente del contenuto di questa lettera, non è così? – chiese calma ad Alberto mentre si sedeva a tavola.
L’altro arrossì e per darsi un contegno si mise a pulire gli occhiali, senza rispondere.
- Perché Fabrizio mi dice che hai tu il documento che devo firmare – continuò Angela.
- Sì, lo ha mandato a me – confermò l’altro con un certo imbarazzato.
Maria, incuriosita, si rivolse al marito:
- Si può sapere cos’è questa  faccenda così importante? 
L’attenzione di Angela era tutta per il gattino che le era corso subito accanto. Con la codina dritta, le zampine posate sulle sue gambe e un dolce miagolio elemosinava un po’ di pesce. Lei gli sorrise e quasi con indifferenza, rispose all’amica:
- Fabrizio vuole chiedere l’annullamento del nostro matrimonio alla Sacra Rota. Io devo firmare una dichiarazione con cui mi sottometto alla giustizia del Tribunale senza affermare o negare le sue affermazioni.
- Ma è un’infamia! – proferì Giuseppe. Guardò incollerito Alberto, quasi come se fosse colpa sua.
La ragazza invece sembrava molto calma e senza smettere di passare prelibati bocconcini a Rosso, lo contraddisse.          
 - Perché? È questa la prassi. Inoltre ci sono buoni elementi per poter ottenere l’annullamento: la coercizione che lui subì, il pericolo di vita che correva dal quale fu indotto a salvarsi sposandomi, la sua volontà di non avere figli con me. Certo, si deve un po’ calcare la mano, ma mi dice che può arrivare ad un personaggio influente del  Tribunale Ecclesiastico di Firenze che può aiutarci a non trovare troppi ostacoli.
- Quindi tu sei d’accordo? – le chiese Lucia. La fronte corrugata ne esprimeva tutti i dubbi.
- È la verità. Non mi amava e non mi ama. Ha ragione quando dice che il nostro non si può chiamare un vero matrimonio. Ed io sono d’accordo:  sarebbe  dignitoso sciogliere  un legame che non rappresenta più nulla per entrambi.      
Alberto si sentì sollevato perché l’amica aveva preso assai bene la scabrosa richiesta che aveva così temuto di inoltrarle.
- Allora mi firmi quello che ha chiesto così glielo rimando? – le chiese.   
 - No, non voglio firmarlo. Deve venire a chiedermelo di persona.
Ci fu un momento di imbarazzato silenzio. Angela carezzava il gatto che mangiava dalle sue mani e forse non aveva intenzione di spiegare l’apparente contraddizione alle persone care che la guardavano incerte. Dopo un poco però si decise a farlo, parlando con una voce calma, ma piena di malinconia.
- Nel mese di marzo di poco più di cinque anni fa, il giorno del  matrimonio di Dora, mi ha chiesto di diventare sua moglie. Ha avuto il  coraggio di guardarmi in faccia pur sapendo di non volermi sposare davvero perché il suo amore era solo una bugia. Ora  invece è sincero nel chiedermi di sciogliere la nostra promessa perché non mi ha mai amato.  Non vedo perché stavolta debba  temere di farlo guardandomi negli occhi.
- Tu non soffrirai di più a vederlo di persona? – le domandò Maria con un filo di voce.
- E perché? Non siamo nemici. Forse un matrimonio si può anche annullare, ma non è giusto dimenticare la stima, l’affetto, la tenerezza che comunque abbiamo provato l’uno per l’altra. È questo il motivo per cui deve venirmelo a chiedere di persona. Vorrei che tu glielo dicessi, Alberto, per favore. Venisse quando vuole, tanto io sono qui. Ed ora Lucia – soggiunse con un tono di voce assai diverso tanto era allegro e giocoso quanto il precedente era stato serio – ti prego, dammi un altro piatto di zuppa di pesce perché la mia se l’è mangiata tutta Rosso.
Senza aggiungere altro, si alzò di scatto e andò a lavarsi le mani.
Il micino, cacciato via dalla matura signora, si accomodò su di una poltrona e con grande impegno cominciò a  leccarsi le zampine, tutto soddisfatto del pasto succulento che gli aveva dato la padroncina.
 
Fabrizio camminava nel tiepido mattino della radiosa domenica di giugno e ogni tanto era costretto a togliersi il cappello per salutare qualcuno dei suoi numerosi conoscenti fiorentini.  Tirava sempre dritto però, senza fermarsi con nessuno, perché era troppo assorto nei propri pensieri e non voleva farsi distrarre. Era molto cambiato e non solo perché aveva fatto crescere i capelli più lunghi e adesso portava la barba. Il volto appariva più maturo anche se il luccichio degli occhi azzurri continuava a mantenere inalterato il suo fascino sia quando rivolgeva seducenti sguardi alle belle donne sia quando lanciava strali nelle discussioni più accese ai suoi oppositori. Anche  il fisico era diverso: si era lasciato alle spalle l’esile figura da giovanotto e si era fatto robusto, quasi massiccio, ereditando l’imponente mole del padre. Non era grasso però, anche perché sfogava la sua naturale esuberanza nella scherma e nella ginnastica. In un’epoca in cui i più erano gracili e mingherlini, quel pezzo d’uomo, dalla travolgente prestanza fisica, dall’intelligenza vivace e dalla raffinata cultura, era molto ammirato ed altrettanto invidiato.
Mentre arrivava al luogo dell’appuntamento, ripensava alla lettera di Alberto che gli  aveva riferito la risposta di Angela alla sua richiesta. Il rifiuto della ragazza a firmare il documento l’aveva lasciato un po’ interdetto, ma doveva convenire che le argomentazioni da lei addotte  erano davvero giuste.
In un primo momento non era stata sua intenzione comportarsi tanto da vigliacco,  inviando alla moglie una simile richiesta per lettera, senza nemmeno parlarle di persona.  Era stato ben deciso a farlo, ma poi, con il passare del  tempo, aveva perso ogni coraggio. Non solo si era convinto che sarebbe stato meglio scriverle, ma aveva sempre rimandato il momento di farlo. Solo da poco aveva trovato la forza di inviarle quella lettera così diversa dalle altre anche se la decisione di chiedere l’annullamento del matrimonio l’aveva presa sin dal  Natale precedente, quando era andato a trovare la mamma a L’Aquila.
Era stato un incontro molto triste perché aveva trovato Carmela  invecchiata e mesta. Seduta davanti al camino, con i capelli oramai tutti bianchi raccolti in una semplice crocchia, uno scialletto di lana sulle spalle, sembrava solo l’ombra della donna energica e vivace che aveva cresciuto sette figli. Ne aveva parlato con la sorella Giulia, esprimendole le sue preoccupazioni, ma lei se ne era risentita.
- Meglio di così non potrebbe stare. Siete tutti bravi voialtri con le chiacchiere,  però ve ne rimanete tutti a fare i fatti vostri e mammà la venite a trovare ogni morte di papa.
Fabrizio era rimasto mortificato da quelle parole anche se le aveva fatto notare che forse era la lontananza ad impedire ai figli di starle più vicino.
Nemmeno questa argomentazione era riuscita a calmare Giulia. Appariva così inviperita da non sembrare più la Giulia di sempre.
- Già – gli aveva risposto – però quando ho chiesto a Giovanna di prenderla con lei per farla stare a Roma in modo che tutti potessero andarla a trovare con più facilità, mi ha detto che ha già la suocera in casa e non può accollarsi un’altra persona anziana. E se lo vuoi sapere, neanche Gabriella l’ha voluta tenere a Bologna. In quanto a te poi, non ne parliamo nemmeno. Figurati se puoi prenderti cura di qualcuno visto che sei già così sbandato per conto tuo!  Dovreste ringraziarmi perché la tengo con me, chissà cosa le sarebbe successo, povera vecchia, se non ci fossi stata io.
Almeno per quanto lo riguardava, non aveva potuto fare alcuna obiezione perché era la pura verità. Dopo un periodo in cui le cose erano andate proprio bene, ora, dopo che i redattori con i quali  aveva lavorato sin dal primo numero si erano divisi per le divergenze sulla guerra di Libia, aveva lasciato anche lui “La Voce”, senza peraltro seguire l’amico Gaetano Salvemini che lo aveva invitato a scrivere su “L’Unità”, il nuovo giornale da lui fondato. Ormai faceva un lavoro mal remunerato, per casa doveva accontentarsi di una stanzetta ammobiliata e per passione inseguiva un sogno utopico. Che garanzie avrebbe potuto mai dare a chicchessia?
Forse Elena aveva ragione, forse era venuta l’ora di dare una svolta alla propria vita e la prima cosa da fare  era cercare di rimediare agli errori del passato.
 
Carmela lo aveva accolto con enorme gioia. Avevano trascorso insieme  tutti i giorni del suo breve soggiorno a L’Aquila e  per questo non gli era sfuggito quanto la madre fosse amareggiata con lui. Anche se aveva cercato di sviare sempre il discorso, la mattina di Santo Stefano  non riuscì più a farlo perché la vecchia signora lo affrontò di petto, ritrovando un po’ dell’antica baldanza.
Erano insieme e lui teneva tra le mani la matassa di lana che la mamma stava avvolgendo in un gomitolo.
- Insomma è vero che hai un’amante a Firenze?  - gli chiese all’improvviso.
Provò a risponderle con una battuta:
- E come faccio ad avere un’amante se non ho una moglie, me lo spieghi?
Carmela non era intenzionata a scherzare.
- Tu una moglie ce l’hai. Solo che lei sta ad Acireale mentre tu te ne stai a Firenze. Perché non la fai venire lì e vi rimettete in grazia di Dio?
- Non è così semplice. Tra noi oramai  c’è solo amicizia e neanche ne sono sicuro, figuriamoci rimettere in piedi il matrimonio. È inutile, non dovevo sposarla solo per togliermi d’impiccio. Fu un mio grave errore e le conseguenze ce le stiamo portando dietro ancora adesso.
Lei  si mostrò addolorata.
- Eppure è venuto un momento in cui vi siete amati, o sbaglio?
- Sì, ma mi sono innamorato tante di quelle volte in vita mia!  Poi è passato. Anche con Angela è stato così e probabilmente la stessa cosa è successa pure a lei.
- Ma lei è tua moglie, scellerato, è tua moglie, non un amoretto qualsiasi! – lo rimproverò.
- Elena dice che quel matrimonio si potrebbe addirittura annullare alla Sacra Rota. Ha uno zio prelato che potrebbe aiutarmi in questo senso.
- Davvero? E perché questa Elena si prodiga tanto? Perché vuole essere sposata lei?
- Forse... non lo so... credo di sì - balbettò il figlio – Ma non è per lei che voglio farlo, è per me e soprattutto per Angela. Non mi sembra giusto tirare avanti questa farsa del matrimonio che ci vincola senza alcuno scopo.
Carmela sospirò.
- Tu l’ami questa signora? – gli chiese.
Fabrizio alzò le spalle, senza mostrarsi troppo convinto.
- Sto con lei. Mi è venuto naturale farlo visto che già condividevamo tante cose insieme. È  sola anche lei. È rimasta vedova qualche anno fa e non ha figli e si è molto affezionata a me. È  una brava donna, sai.
- Una brava donna!? – si inalberò l’altra, di rimando -  Una che non si vergogna di farsi vedere in mezzo agli uomini, fa politica e va a letto con un uomo già sposato tu me la chiami una brava donna?
Piccato, lui posò la lana, si alzò in piedi e le volse le spalle per avvicinarsi al camino.
- Si vede che io e te non abbiamo lo stesso concetto di virtù, mamma.
- E quando mai tu hai capito la virtù?  Meno male che tuo padre – negli ultimi tempi quanto si era illuso, poverino! -  non ha avuto il dispiacere di vedere la fine che hai fatto.
Il giovane si portava ancora dentro il dolore per la perdita del padre e tutti i suoi rimorsi. Quell’accusa lo pungeva sul vivo.
- Perché, scusa, che fine avrei fatto?- si ribellò, assai risentito.
Anche la madre aveva perso il controllo e lo rimproverò con molta severità:
- Credi che sono diventata pure rimbambita? Lo so bene quello che sei, me lo dicono tutti e io muoio dalla vergogna di essere tua madre.
- Addirittura! E cosa ti dicono di me, sentiamo, che sono un ladro? Un assassino?
- Mi dicono che sei un senza Dio, un capopopolo, un sovversivo, che fai la vita di uno sbandato e di un immorale in un ambiente corrotto. Addirittura che ti sei dato alla politica.
Fabrizio rise, sprezzante.
- Ah, ho capito chi te le dice queste cose! Te le dice Rodolfo che odia chi s’interessa di politica? “Non éxpedit” disse il Papa e guai a chi la fa ed ancor peggio a chi osa pensare che il Vangelo non sia a uso esclusivo della Chiesa.  All’inferno! Vade retro, Satana!
- Il tuo sarcasmo è fuori posto. Non è soltanto Rodolfo a dirlo, se lo vuoi sapere.
- No? E chi altri allora? Renato? Il marito di Adriana? Certamente, deve essere per forza lui. Siccome fa il ragioniere contabile alla Fiat di Torino,  sta dalla parte dei padroni  e si sente  minacciato dalle pretese assurde di quella plebaglia degli operai. Ma forse non sono solo loro, siete tutti quanti ed ogni volta che vi riunite non avete di meglio da fare che sparlare di quel diavolo di Fabrizio che continua ad essere un dissoluto.
- Basta, finiscila, vuoi vedere che adesso hanno tutti torto. Sei tu a comportarti in modo indegno. Vergognati!
Come sempre, quando si sentiva attaccato in quel modo, il giovane reagiva. Alzando  senza volere il tono della voce, tanto da far accorrere la sorella, si sfogò:
- Perché, cosa faccio di male io, ditemelo, che faccio? È  forse un male lottare perché gli operai non debbano lavorare più di dieci ore in condizioni disumane o perché i braccianti stagionali non siano trattati come bestie? È  essere un  senza Dio a volere che la povera gente non soffra più la fame, che non sia mandata al macello in guerre inutili dove chi ci guadagna sono sempre i potenti? È  una cosa immorale desiderare che non ci sia più l’analfabetismo, lo sfruttamento dei deboli, la prepotenza che soffoca ogni possibilità di democrazia? È  un delitto sperare in un avvenire migliore dove ci sia pace e giustizia per tutti?
Aveva parlato con tanta veemenza che la madre e la sorella ne rimasero zittite. Per un po’ non parlò neanche lui. Ritornò a sedersi sul divano e provò a calmarsi. Tanta incomprensione nei suoi confronti era una cosa che lo avviliva molto. Con la voce molto triste infine  concluse il discorso:
- Ma perché nessuno di voi è riuscito mai a vedere quanto c’è di buono in me? Perché devo essere sempre considerato un malvagio depravato? Alla fine, se siete tutti convinti che io sia questa specie di diavolo e non meriti nessuna pietà e nessuna comprensione, allora lasciatemi bruciare tra le fiamme in questa vita e nell’altra, se mai ce n’è una, tanto nessuno mi capirà mai.
Carmela non lo aveva mai visto così desolato. Ne fu molto dispiaciuta perché lo conosceva bene e sapeva che suo figlio era un bravo ragazzo. Quando Giulia uscì dalla stanza, si sporse verso di lui e, con dolcezza materna, gli  carezzò i capelli. Dopo gli intimò:
- Forza, adesso riprendi la matassa che qui non abbiamo finito.    
Senza una parola, lui le ubbidì ed allora riprese a fare il gomitolo e  poi cambiò argomento.






 
NdA
Come avete visto in questo capitolo siamo già nel 1912, quindi due anni dopo l’incontro di Fabrizio ed Angela a Firenze. Per quanto riguarda il primo, vi ho già  anticipato per sommi capi cosa gli è accaduto in questo lasso di tempo. Con la stessa energia che metteva nel fare la bella vita, ora è impegnato nel  lavoro e nel sociale però è deluso, un po’ perché sta avendo delle difficoltà e un po’ perché, nonostante i suoi sforzi ed i suoi nobili ideali, nessuno sembra giudicarlo diversamente dal solito. D’altronde lo sapete, ne ho fatto un personaggio un po’ in anticipo sui tempi. Nel prossimo capitolo approfondirò anche la sua liaison con con Elena e la sua fede politica.
 Sì, vabbè, direte voi, ma ad Angela cosa è accaduto? Un po’ di pazienza, lettrici mie, per il momento vi basti  averla vista serena nella sua famiglia acquisita perché ve la mostrerò soltanto tra  un paio di capitoli attraverso gli occhi di qualcun altro. Nel frattempo mi auguro che non vi stanchiate di seguirmi.
A domenica prossima allora e buona settimana a tutte.  A proposito, volevo dirvi che i vostri commenti mi aiutano sempre a cominciare bene la mia. Grazie davvero.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***



 
Elena lo stava aspettando al caffè Gilli. Quando arrivò, ancora un po’ turbato dai ricordi spiacevoli, Fabrizio le si sedette accanto. Era molto graziosa e se ne sentì rinfrancato.
- Ho ricevuto la risposta di Angela – le disse affrontando subito lo spinoso argomento.
Una luce d’improvviso interesse si accese negli occhi nocciola della donna.    
- Davvero?  Ha firmato?
- No, dice che devo andare a chiederglielo di persona.
- Che stupida!
- Non dire così, ha ragione. Non dovevo comportarmi in questo modo, sono stato un meschino.
- E allora?
- E allora cosa?
- Che hai intenzione di fare?
- Non posso andarci,  tra poco abbiamo il congresso.
- Il congresso sarà solo la prima settimana di luglio e oggi è appena il 24 giugno. Puoi benissimo andare e tornare in tempo.
- Insomma Elena, perché tanta fretta? È una situazione che devo sistemare, lo so, ma non mi sembra che ci sia nessuna urgenza.
Lei lo guardò con freddezza.
- È questo che vuoi da me, vero?  Vuoi farmi continuare ad essere solo la tua amante.
- Accidenti, con questa fissazione del matrimonio! Credi davvero che andare davanti ad un prete a dirsi che ci si amerà per tutta la vita serva a qualcosa? –  le chiese e aggiunse con una smorfia ironica, accompagnando le parole con il gesto della mano – Poi basta uno zio monsignore e … puff!  Abbiamo scherzato, non è vero niente. C’è stato un matrimonio? Ma quale matrimonio, era solo una burla!
Ingollò di un colpo il bicchiere di cognac che il cameriere gli aveva appena potato. Era innervosito perché fare quella richiesta ad Angela gli costava molto. Le voleva sempre bene  e concordava perfettamente con lei sul fatto che qualcosa tra loro c’era stato comunque e non poteva scomparire così, solo perché qualcuno lo voleva. Nel loro caso poi questo  qualcuno era soprattutto la donna sedutagli di fronte  che lo guardava adirata.
- Smettila di fare il cretino. Lo sai  bene che  ci terrei ad essere tua moglie.
- Perché, non stiamo bene lo stesso così?
- Certo, ma non è per questo, è per la società civile
- E tu chiami “società civile” una massa di pecoroni benpensanti che si sente offesa dal fatto che io e te andiamo a letto insieme e non si sa fare gli affaracci suoi? Ti credevo superiore a certe cose, bella mia, sei una vera delusione.
- Ah sì? E allora sai cosa ti dico? Visto che ti ho deluso, arrangiati a fare senza di me. Però fallo anche quando ti vengono i momenti di depressione, quando hai bisogno di qualcuno che ti coccoli perché ti senti solo e specialmente quando ti vengono i bollori e cerchi una donna per spegnerli. Io non ci tengo a farmi sposare da te, non sei tanto appetibile, mio caro, anche se ti senti un grand’uomo.
- Io non mi sento affatto un grand’uomo.
- E invece sì, altrimenti non ti metteresti a fare tanto il superiore. Guardati dentro e vedrai quanto sei meschino e vigliacco.
- Possedevo tutte queste qualità e non lo sapevo? – le chiese irritato, ma cercando di nasconderlo dietro l’ironia.
- Perché allora non trovi il coraggio di chiedere l’annullamento di un matrimonio che non volevi? Non credi che sarebbe più dignitoso per te ammettere di esserti comportato male con quella ragazza solo perché volevi i suoi soldi piuttosto che cercare anche di farti commiserare?  Di’ la verità, è comodo  trincerarsi dietro un matrimonio fallito per avere la scusa di non fare le cose che dovresti fare.
- Hai ragione, sono un vero diavolo, furbo e maligno. Dovresti stare attenta, povera pecorella mia, altrimenti porterò anche te sulla strada della perdizione – le disse con un sorriso amaro.
Si sentiva deluso. Aveva creduto davvero che Elena, almeno lei che sembrava avere una mentalità più moderna e aperta, potesse aver capito le motivazioni e soprattutto perdonato il suo comportamento nei riguardi di Angela.
Invece la donna non accettò quel tono e gli volse le spalle per andarsene.
Si pentì di essere stato così poco conciliante e cominciò a richiamarla:
- Elena, aspetta … Elena …
Lei non si voltò nemmeno indietro. Avrebbe dovuto seguirla, ma una strana pigrizia gli impediva quasi di alzarsi.
Stava tornando a vivere uno di quei periodi in cui non poteva fare a meno di porsi mille domande. Per un po’ era riuscito a rimanere sereno, impegnandosi nella quotidiana battaglia della vita senza chiedersi dove lo stessero portando i suoi passi, ma ora l’improvvisa scelta a cui si era costretto, lo faceva sentire molto disorientato.  Scrutando a fondo nel suo cuore, capiva di non essere sul serio innamorato di Elena. Eppure si diceva, con altrettanta franchezza, che probabilmente non dipendeva da lei. Non era mai riuscito ad innamorarsi sul serio.  Di donne ne aveva avute tante al punto che oramai i loro visi gli si confondevano nella memoria. Certo non poteva dimenticare Dora o Angela, ma anche loro,  le aveva realmente amate? Dora era stata la sua passione giovanile, la donna che l’aveva attirato fino a farlo impazzire di desiderio, ma l’aveva sempre un po’ disprezzata perché era furba  e meschina e questa opinione era stata confermata dal modo ignobile con il quale aveva pensato a salvarsi la reputazione senza curarsi di lui.  E Angela? La sua piccola Angela? A lei voleva assai bene,  ma … l’aveva mai amata?  Al di là dei motivi che lo avevano indotto a sposarla, quel breve fuoco accesosi tra loro si era presto spento soltanto per la caparbietà di lei o anche perché, oltre a stimarla intellettualmente e a suscitargli  tenerezza, non ne aveva mai apprezzato troppo l’aspetto fisico e addirittura ne aveva trovato insopportabile il bigottismo? Ed Elena? Non stava con lei soltanto perché se l’era ritrovata accanto, bella e  disponibile, al momento giusto? No, nessuna mai lo aveva fatto innamorare sul serio,  forse perché sapeva provare solo lo stimolo dell’intelletto o quello del  sesso. Non accadeva mai che tra queste due emozioni c’entrasse anche il cuore. Forse avevano ragione gli altri, forse lui  un cuore nemmeno ce l’aveva.  
Finì il secondo bicchierino di liquore prima di decidersi ad andare a casa di Elena, sul Lungarno. Doveva cercare di rabbonirla perché se  la donna ideale era un’illusione,  lei era quella che ci si avvicinava di più. Era meglio accontentarsi  e  accettare ciò che la vita poteva dargli. Forse il vero amore non l’avrebbe mai conosciuto. Oramai aveva ventisette anni  e doveva smetterla di credere nelle favole. Se il miracolo non era ancora avvenuto, era probabile che non avvenisse mai più.
 
Con il passare del tempo cominciò a sembrargli che per Elena  la cosa più importante fosse diventata l’annullamento del suo matrimonio con Angela per potere poi regolarizzare il loro rapporto. Non si sarebbe mai aspettato questo tipo di comportamento in una persona così impegnata nella battaglia contro il ruolo subalterno delle donne nella società.
Quando in  primavera il Parlamento non aveva esteso anche a loro la legge sul suffragio universale, lei, che aveva lottato tanto per ottenerla, ne era rimasta delusa. Tra di loro e con gli amici più fedeli, avevano più volte discusso in merito alle condizioni di inferiorità e sottomissione in cui erano tenute le donne. Lodando l’ardore delle sue compagne di partito, Fabrizio aveva sostenuto che nella maggior parte dei casi erano invece  le donne stesse ad accettare i ruoli loro assegnati dall’universo maschile e a comportarsi di conseguenza. Ed ecco che a volte usavano la femminilità e la bellezza quasi come un’arma per ottenere i loro scopi oppure si lasciavano ammaestrare talmente bene dagli educatori al concetto di abnegazione e sacrificio da subire  ogni imposizione, privandosi della capacità di ragionare autonomamente. Non erano stati forse quelli i ruoli impersonati da Dora e da Angela? Ma oramai le donne che conosceva erano diverse, come la Kulisciòff, l’indomita, coraggiosa, amica Anna che aveva trovato la forza di ribellarsi al concetto di santità della famiglia e di affermare che il matrimonio a base mercantile a cui molte erano costrette non era diverso da una forma di prostituzione. O come la sua Elena, piena di personalità e voglia d’indipendenza.  Fabrizio ci credeva nella possibilità di una nuova forma di rapporto tra i sessi, senza assurdi asservimenti o costrizioni borghesi, mostrandosi  superiore finanche a tanti compagni socialisti che nonostante la loro professione politica, continuavano ad essere nel fondo dell’animo dei beceri maschilisti.
Per questo ora il modo di fare di Elena lo sconcertava. Cos’era mai successo per farle improvvisamente credere che la loro unione dovesse per forza essere legalizzata per diventare perfetta? Non voleva cedere e si rassegnò a sopportare le sue insistenze cercando di procrastinare in ogni modo il momento di accontentarla.
Intanto aveva passato un’estate d’inferno perché nel mese di agosto Giulia lo aveva chiamato al capezzale della madre. Per fortuna l’anziana signora si era ripresa dall’attacco di cuore da cui era stata colpita ed era potuto ripartire un po’ più sereno. Dopo di allora il pensiero che anche la mamma potesse lasciarlo all’improvviso così come era successo con il padre poco tempo prima, non lo aveva più abbandonato, addolorandolo molto.
E non era stata nemmeno la sola amarezza di quel momento buio. Anche il Congresso di Reggio Emilia era andato molto male. Dopo tante polemiche e discussioni, alla fine c’era stata una scissione del partito in due ali: la  riformista, che era stata messa in minoranza e addirittura espulsa e quella rivoluzionaria che aveva invece preso il potere.
A lui i rivoluzionari proprio non andavano giù. Non ne sopportava la demagogia e l’aggressività, ma non poteva neanche seguire  i riformisti, pure se tra di essi aveva tanti amici stimati, in quanto avevano sostenuto la guerra in Libia mentre lui era un convinto antimilitarista.
Nonostante tutto, era restato nel partito sperando di vedere presto prevalere di nuovo la via della moderazione e del dialogo. Oramai però ci credeva poco e temeva che il periodo felice in cui gli era sembrato di poter cambiare le cose fosse tramontato per sempre.
Tutto questo lo aveva reso  stanco e sfiduciato e quasi non aveva più la voglia di lottare per i propri ideali. La società borghese intorno a sé non gli piaceva più, imbevuta di dannunzianesimo e di nazionalismo sfegatato com’era. A volte sentiva l’impulso di piantare tutto per tornarsene alla tranquilla e meschina vita che solo qualche anno prima aveva rifiutato con tanto ardore.
Anche economicamente non se la passava bene perché il libro pubblicato non aveva venduto e la collaborazione con le riviste di un certo livello  era diventata ancora più saltuaria.
Se perlomeno avesse potuto sfogarsi nelle sue lettere con Angela! Invece non aveva neanche più questa soddisfazione perché, dopo averle fatto una richiesta così inopportuna,  non poteva riprendere a scriverle come se niente fosse successo.
Doveva tenersi tutto dentro cercando di mostrarsi sereno e sicuro con gli altri. Eppure era arrivato oramai quasi al punto di saturazione.
Dopo l’estate i suoi rapporti con Elena erano diventati sempre più tesi e infine, visto che  era un continuo litigare, si erano lasciati. Per un po’ aveva resistito, ma poi, dopo una breve lontananza,  la tristezza e la solitudine lo avevano indotto a cedere e ad accettare di presentare finalmente la domanda di annullamento del matrimonio.
A settembre chiese ad Alberto se poteva recarsi di persona ad Acireale. Quando questi gli rispose che lo aspettavano, si preparò a partire. Si vergognava molto, ma si diceva pure  che in fondo era la sola cosa giusta da fare perché nessuna delle due donne  meritava di essere ancora  tenuta così in sospeso.
 
Giunse in Sicilia la mattina del venerdì. Era già il  4 ottobre però in quella terra incantata era ancora estate e nel cielo terso brillava un sole tanto caldo da farlo sudare. Era stato contento di incontrare di nuovo Alberto. Non aveva mancato di notare quanto l’amico stesse bene. Addirittura  gli sembrava più giovane con i capelli ricci, il fisico asciutto e gli occhietti verdi e allegri dietro le lenti spesse che ogni tanto levava dal naso per pulirle in un fazzoletto immacolato nel suo abituale, meccanico gesto. Era venuto a prenderlo a Catania con l’automobile di Angela e per tutto il tragitto gli aveva parlato della sua Maria, della piccola Annuccia, senza dimenticarsi peraltro di Gaetanino. Si vedeva lontano un miglio quanto fosse felice  e Fabrizio arrivò quasi a invidiarlo un pochino. Da un po’ non la finiva più di illustrargli le delizie tecnologiche dell’auto sulla quale stavano viaggiando. Il giovane, un po’ stanco per aver dormito poco e male durante la notte precedente,  non ne poteva  più. A un certo punto sbottò:
- E va bene, ho capito, questa macchina è una vera meraviglia. Ma smettila di decantarmene i pregi  tanto io non me la potrò mai permettere. Non ho ricchi latifondi nobiliari, io.
Alberto lo guardò un po’ interdetto. Sapeva bene che Fabrizio di recente aveva organizzato e sostenuto molti scioperi agrari.
- Ti sbagli a dire così – osservò – tua moglie è una padrona molto buona e la macchina è il solo lusso che si è concessa.
- Per me può fare ciò che vuole con la sua ricchezza. Comunque preferirei sentirti dire “Angela” e  non “tua moglie”  in considerazione di quanto  sono venuto a fare qui oggi.
- Sei sicuro di questo passo? – gli chiese l’altro, molto serio.
- Sono anni che siamo separati e poi lo sai meglio di me, non ci siamo sposati per amore. Me lo spieghi che significato ha più tutto questo?
- Lei no, lei ti ha sposato per amore.
- Non può amarmi ancora, non dopo cinque anni.
- Non lo so questo, l’unica volta che ti ha nominato è stato quando le ho dato la tua lettera. Prima e dopo quella volta non mi ha mai parlato di te.
- Lo vedi? È ancora giovanissima e dopo l’annullamento potrebbe risposarsi con qualcuno molto più degno di lei di quanto io non sia mai stato. È meglio che ognuno di noi due vada per la propria strada.           
Alberto non ebbe il tempo di rispondere perché, dopo aver passato un cancello di ferro battuto, si erano avviati lungo un viale alberato alla fine del quale c’era una villa settecentesca. Nell’udire il rumore del motore Maria era apparsa all’ingresso. Era ancora più bella con la figurina alta e slanciata messa in risalto dall’abito azzurro dall’ampio colletto bianco e con i capelli biondi raccolti in una morbida pettinatura che le incorniciava il viso delicato. Aveva tra le braccia una bambinella di pochi mesi con i ricci neri e gli occhietti vispi e accanto un maschietto biondo di sei o sette anni che portava in braccio un gatto rosso. Alle loro spalle c’era  un’enorme pianta di ortensie blu. Il sole del primo mattino irradiava la sua luce dorata su tutta la scena rendendola così incantevole da dare a Fabrizio l’impressione di star ammirando un quadro di Monet o di Renoir. Sceso dalla macchina si avvicinò alla donna che gli sorrideva con calore.
- Benvenuto, signore – gli disse e gli tese la mano.
L’uomo gliela prese tra le sue e con il solito sorriso che gli illuminava il viso rendendolo assai seducente, protestò:
- Signore?! Sono incantato dalla vostra grazia, mia dolce amica, ma perché non mi chiamate solo Fabrizio?
Maria arrossì un poco,  assai contenta.
- Forse troverò il coraggio di farlo purché mi diate ancora del tu come facevate una volta.
L’antica, ignorante domestica aveva lasciato il posto ad un’elegante signora che sapeva esprimersi in maniera perfetta. Fabrizio ne era davvero felice.
- Io lo farei volentieri, ma dovrò chiedere il permesso a vostro marito prima.
Si beccò un’affettuosa pacca sulla spalla dal vecchio amico che lo invitò a non fare lo stupido.
- E tu sei Annuccia vero?  - chiese allora solleticando la bimba e facendola  ridere, poi rivolse l’attenzione al maschietto nascosto dietro la sottana della mamma.
- Gaetanino, non ti ricordi di me?  Eppure ti ho tenuto in braccio che non eri più grande del tuo gattino.
Si piegò sulle ginocchia per essere alla sua stessa altezza e cominciò a carezzarlo per fare amicizia.
- Mi dici come si chiama questo bel micio?
- Rosso – rispose il bambino, stringendosi ancora di più alla mamma.
- No, non è possibile! Può mai essere lui? – proruppe Fabrizio rivolgendo uno sguardo stupito a Maria che annuì sorridendo. Allora prese il gatto dalle braccia del bambino e si drizzò in piedi, tenendolo un po’ sollevato in aria proprio davanti al viso.
- Certo, ti riconosco, anche tu sei cresciuto però. Mi sembra ieri che Angela ti trovò nel giardino a Sant’Agata e ti adottò insieme a tua madre e ai fratellini. E come ti dovette difendere, poverina! Eri piccolo e macilento e ti facevi maltrattare da tutti.
Adesso però il gatto era diventato un grosso micione ben pasciuto e aveva sviluppato uno spirito indipendente molto felino. Con una soffiata e un tentativo di graffiarlo,  lo costrinse a rimetterlo giù.
- Accidenti – osservò l’uomo, divertito –  che bel caratterino abbiamo tirato fuori!
Maria rise.
- Non farti sentire da Angela, guai a chi le tocca Rosso. Adora questo birbante e lo ha viziato tanto da farlo diventare un vero prepotente.
- Perché non entriamo in casa? Qui fa caldo – propose Alberto.
- Già, è vero. Non sembra mai di essere in ottobre – convenne Fabrizio.
Seguì l’amico che si era avviato all’interno della villa con la sua valigia.
Fu colpito subito dal lusso della dimora. I pavimenti  e le colonne di marmo venato di rosa brillavano al sole che entrava dalle finestre alte. Uno scalone, anch’esso di marmo,  scendeva ai due lati del grande atrio, delineando un semicerchio al cui centro c’era una porta a vetri intarsiati attraverso la quale si intravedeva una stanza.
Maria percepì la sua curiosità.
- Vieni – gli disse – ti mostro il salone.
Entrarono. Era enorme, con  i  pavimenti luccicanti e alle pareti, decorate di stucchi dorati,  enormi candelabri e specchi che ne dovevano  riflettere la luce.
- Una volta questa era la sala da ballo. Chissà quanti nobili personaggi hanno volteggiato nella danza qui dentro – gli spiegò.
Dopo gli mostrò il salotto, lo studio, la sala da pranzo e  un altro salottino. Ognuna di queste stanze dava su un terrazzo molto grande affacciato sull’orizzonte. L’azzurro del mare e del cielo s’intravedeva tra le colonne di marmo del  parapetto.  Ovunque c’erano vasi di fiori in un tripudio di colori e di profumi inebrianti che si propagavano nell’aria sottile del mattino.
- Accidenti! – riuscì solo ad esclamare Fabrizio.
- E questa è solo la villa al mare. Dovresti vedere i palazzi a Palermo e a Catania – commentò Alberto.
- Fabrizio sarà stanco del viaggio. Perché ora non lo accompagni su a riposare un po’? – suggerì Maria.
- Vorrei prima salutare Angela.
- Non c’è, è uscita. Ma giusto il tempo che vai di sopra a rinfrescarti e la vedrai tornare.
Alberto fece strada su per l’ampio scalone che conduceva al piano di sopra.
- Qui ci sono otto camere da letto. Angela mi ha detto di darti quella vicina alla sua perché così sei lontano da noi.
- Perché?
- Annuccia è piccola ancora e spesso la notte piange. Io e Maria ci siamo presi l’ultima  stanza in  modo da non disturbare il riposo di Angela.  Vedrai,  anche tu dormirai saporitamente: in questo posto c’è un silenzio quasi magico.
Intanto aveva aperto la porta e lo aveva condotto in un’ampia camera arredata con mobili di squisita fattura ottocentesca, immersa nella penombra a causa delle persiane accostate.
- Il bagno è di là. Fa’ pure con comodo, io ti aspetto giù.
Rimasto solo, Fabrizio si guardò un poco intorno, poi prese dalla valigia una camicia pulita e andò in bagno a rinfrescarsi. Tornato in camera, gli venne voglia di affacciarsi. Aprì le persiane e la stanza fu inondata da un fiotto di luce che quasi lo accecò. Riparandosi gli occhi con la mano, uscì fuori e gli si fermò il respiro per un attimo: il terrazzo del piano di sotto non era nulla rispetto a quello dove si trovava adesso. Vi si affacciavano tutti i balconi delle stanze da letto e sembrava sospeso nell’aria poiché la villa era  stata costruita come un gioiello incastonato nel verde della montagna. Da lì si poteva vedere una  piccola spiaggia sottostante, i sentieri che scendevano verso di essa e la  montagna che si tuffava nelle acque trasparenti di un mare limpido come acqua di fonte e verde come uno smeraldo. Più che un terrazzo era un vero e proprio belvedere, pavimentato di ceramiche colorate. Lungo tutto il parapetto c’era un sedile, anch’esso maiolicato, interrotto a distanza regolare da enormi, panciuti vasi contenti kentie, palme o piccoli alberi da frutto per offrire  ombra a chi volesse sedersi ad ammirare il panorama. Era decisamente un incanto. Fabrizio dovette sforzarsi di rientrare in casa, ma l’ansia di rivedere Angela lo spinse a rivestirsi in fretta e a tornare di sotto.



 
NdA
Ancora una volta la storia, quella vera, è venuta in mio ausilio per delineare meglio i miei personaggi. Fabrizio infatti è molto sfiduciato. Nella tormentata società di quegli anni, immediatamente antecedenti alla Prima Guerra Mondiale,  vede allontanarsi sempre di più la realizzazione delle cose per le quali ha lottato. Anche Elena, la donna che per un momento aveva considerato la possibile compagna di una vita tanto gli sembrava congeniale, l’ha deluso, mostrando invece la solita mentalità borghese. Certo ho reso Fabrizio  uno spirito ribelle e un anticonformista però uomini come lui credo che debbano essere  realmente esistiti e hanno dato inizio a quel cambiamento  che pian piano nel corso degli anni ha portato alla mentalità attuale.
Alla fine, come avete visto, si è convinto ad incontrare Angela per chiederle di firmare l’annullamento.  È una cosa che fa a malincuore, ma che ritiene necessaria soprattutto per una questione di onestà nei confronti di una donna che aveva sposato solo per il proprio tornaconto e che, soprattutto ora che sta precipitando sempre più, ritiene di dover lasciare libera per farle vivere la sua vita.
Per il momento vi ho mostrato solo la villa al mare che vi prego di cercare di immaginare al meglio perché sarà lo sfondo dell’incontro con Angela. Secondo me sarà una delle parti più belle di questa storia però questo potrete dirmelo solo voi.
Grazie a tutte, anche a quelle che, pur senza commentare, stanno mettendo “Come il diavolo e l’acquasanta” e altre mie storie nelle liste. Già questo è indice del loro gradimento e quindi mi fa molto piacere.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***



 

Alberto gli aveva detto che lo avrebbe aspettato al piano di sotto, ma nel grande ingresso non c’era nessuno. Per paura di perdersi in quel labirinto di stanze, Fabrizio decise di aspettare lì il ritorno dell’amico. Per far qualcosa risalì l’imponente scalone e si mise ad osservare i quadri appesi alle pareti. A destra c’erano molti paesaggi, alcuni anche pregevoli, mentre i quadri appesi sulla parte sinistra erano tutti ritratti di famiglia. C’erano personaggi di ogni tipo e dalle fogge dei vestiti si poteva individuare l’epoca in cui erano vissuti. Ai  piedi della scala però  c’era un ritratto che superava per grandezza tutti gli altri, ma che non si riusciva a datare perché rappresentava un personaggio mitologico. Raffigurava la danza di una leggiadra giovanetta drappeggiata in una tunica bianca, il capo coronato di ghirlande e una cetra tra le mani. Sullo sfondo un monte alto circondato da nubi azzurrine e  altre fanciulle e puttini danzanti.
- “Tersicore, – ipotizzò Fabrizio cercando di rispolverare le sue conoscenze scolastiche – credo sia lei, la Musa della danza”.
La ragazza del quadro, al massimo di sedici anni, aveva dei fluenti capelli corvini,  il corpo formoso e seducente, la pelle ambrata, gli occhi neri e le labbra sottili e ben disegnate. Guardandola meglio, notò una strana familiarità con qualcuno che conosceva. Ma sì, gli occhi, la bocca, il colorito!  Assomigliava ad  Angela anche se era certamente più bella. Tra l’altro gli occhi erano stati dipinti con una tecnica particolare per la quale sembrava che lo sguardo della figura seguisse sempre chi la osservava.  La stava ancora guardando con interesse quando arrivò Alberto che si fermò ai piedi della scala.
- È la madre di Angela la donna raffigurata in questo quadro? – gli chiese – Le somiglia molto.
- Infatti, le somiglia, ma non è sua madre, è una sua trisnonna. Leggi la data in basso a destra. È scritta sopra alla roccia accanto alla firma dell’autore.
Fabrizio si chinò a leggere.
- 1795. Accidenti! E chi è questa bella Tersicore?
- Si chiamava Maddalena Ludovici  marchesa di Campofranco,  moglie del conte Spinelli  di Cardona. È stata la pecora nera della famiglia.  La marchesa Salemi di Montechiaro ne parlava in moltissime lettere scritte alla sorella, la nonna di Angela. Le ripeteva spesso che il marito, uno  Spinelli di Cardona per l’appunto, era passato ai Savoia dopo essere stato un fedele suddito dei Borboni solo perché il sangue di questa donna scorreva nelle sue vene. Un’infame traditrice, secondo lei. A tua moglie venne la curiosità di saperne di più e coinvolse Giuseppe nelle ricerche.  Il poverino dovette penare non poco per raccogliere sue notizie e soprattutto per averne un ritratto.
- Infatti, avevo notato quanto questo quadro fosse un po’ fuori luogo in una galleria di ritratti di famiglia – osservò Fabrizio.
- Già. Dopo tante ricerche,  Giuseppe lo pescò a Napoli,  in casa del principe non-so-chi. Un antenato di costui  aveva dato l’incarico a un pittore dell’epoca di dipingere per lui le Muse. Per modelle aveva scelto le più belle fanciulle nobili dell’epoca. Tutti gli altri dipinti che  raffiguravano la marchesa Ludovici sono stati distrutti senza pietà.
- Si può sapere cosa ha fatto la povera Maddalena per meritarsi tanta furia iconoclasta?
- Ti ho detto che aveva sposato uno Spinelli, il conte Francesco, ma non ti ho detto che lei aveva diciassette anni e lui più di cinquanta.
- Certo gli uomini non si sono mai vergognati di sfruttare le donne, non è così?
- All’epoca era quasi un matrimonio  normale. Sia gli Spinelli che i Ludovici erano siciliani, ma la corte era a Napoli e vivevano lì, pur avendo i loro possedimenti a Palermo. Francesco e Maddalena avevano avuto anche un bambino. Tutto sembrava andare bene fino a quel dicembre del 1798 quando, insieme al re Ferdinando  e alla regina Maria Carolina, furono costretti a lasciare precipitosamente Napoli  perché si sentivano minacciati dalla rivoluzione giacobina. Come tu ben sai, s’ imbarcarono nottetempo e fuggirono alla volta della Sicilia. La sorte volle che sul Sannita, il vascello dell’Ammiraglio Caracciolo sul quale salirono gli Spinelli, ci  fosse un giovane ufficiale napoletano, un certo Emanuele Giordano. Insomma, per fartela breve, durante quella tragica traversata, s’innamorò della marchesa e ne fu ricambiato. Fu un amore travolgente che continuò a farli ardere di passione anche quando arrivarono a Palermo.
- Tutto qui? Ed un semplice affare di corna ha travalicato i secoli?
- Magari fosse stato solo quello! Il fatto è che gli  ufficiali della  marineria napoletana ben presto si risentirono delle continue prevaricazioni degli ufficiali inglesi. Re Ferdinando sembrava essersi dimenticato del loro valore e dei loro eroismi nelle numerose guerre in cui avevano affiancato gli Inglesi e nelle quali si erano sempre distinti per il coraggio e la bravura militare. Non tralasciava nulla per umiliarli e offenderli, così come quando scelse la nave di Nelson, la Vanguard, per fare la traversata fino in Sicilia o quando non si oppose all’ordine dell’Ammiraglio inglese che fece bruciare le navi napoletane per non farle cadere nelle mani dei rivoltosi.
- Per questo Francesco Caracciolo e Giovanni Bausan passarono ai Giacobini, perché ritenevano i Borbone completamente succubi degli Inglesi che avevano tutto l’interesse ad eliminare o perlomeno a ridurre la forza della Marina Militare napoletana – commentò l’amico, sempre più interessato a quel racconto e dimostrando di conoscere bene la storia della Rivoluzione del ‘99.
- Già e lo fece anche Emanuele Giordano. Ma la cosa più scandalosa per l’epoca fu che Maddalena, follemente innamorata di lui, non esitò a lasciare il marito, il figlio e soprattutto il suo onore per seguirlo mentre passava al nemico.
- Nessuno si era accorto di nulla?
- Forse no, almeno sin quando la marchesa prese pochi gioielli, qualche vestito e scappò con lui per tornare a Napoli. Emanuele militò accanto all’Ammiraglio Caracciolo e si distinse per il coraggio profuso nel difendere la Repubblica Partenopea. La sua amante rimase al suo fianco, forse perché era stata conquistata dal vento di libertà che si doveva respirare in quel periodo o forse soltanto perché ne era davvero innamorata.
- Cosa ne è stato di loro dopo?
- Non si sa. Angela e Giuseppe non sono riusciti a saperne di più perché se ne sono perse le tracce. Forse morirono.
- E perché? – osservò Fabrizio – Bausan si salvò in Francia  e ritornò a Napoli nel periodo napoleonico. Forse si salvarono anche loro oppure trovarono una terra dove poter vivere finalmente liberi il loro amore.
Alberto rise e lo  prese in giro.
- Sei addirittura più romantico di Angela. Lei si è limitata a far tornare Maddalena tra i ritratti di famiglia e a dichiararsi felice di somigliarle tanto. Secondo me la povera marchesa Salemi  si sarebbe ripresa l’eredità se avesse saputo che sullo scalone del suo palazzo un giorno sarebbe stata appesa l’effige di quella  fedigrafa e giacobina di Maddalena.
Anche Fabrizio rise. Intanto si era avvicinata  Maria.
- Se lo gradisci,  ho preparato il caffè – offrì con molta cortesia.
- Certo che mi va, anzi, ne ho proprio bisogno – accettò lui.
- Però lo prendiamo in cucina. Spero non vorrai formalizzarti:  noi qui viviamo nella massima semplicità. Nonostante il palazzo sfarzoso, preferiamo starcene tutti lì per la maggior parte del tempo.
Maria aveva cercato di giustificarsi, ma l’uomo osservò:
- lo immagino. Conosco Angela e non stento a credere che abbia improntato anche la sua vita di ricca ereditiera in questo modo.
- Certo, e siamo tutti felici così – affermò Alberto. Mise un braccio intorno alla vita della sua graziosa mogliettina e fece strada.
 
In realtà l’ampia cucina maiolicata inondata dal sole e affacciata anch’essa su un bel terrazzo pieno di profumate piante officinali era quanto di più gradevole e accogliente ci potesse essere. I tre amici avevano preso il caffè seduti intorno al tavolo, mentre Annuccia e Gaetano giocavano con Rosso su di una copertina sul pavimento.
- Come sta Angela? Io ho sempre continuato a scriverle, ma lei, in tutti questi anni, non mi ha mandato mai nemmeno due righe. È guarita dalla sua malattia? – chiese a un tratto Fabrizio.   
- Sta bene, sta bene!  Vedessi adesso come si è fatta…
- …forte – Maria era intervenuta senza  lasciar concludere al marito quello che stava dicendo. Lui la guardò stupito perché voleva dire un’altra cosa.
- Non prende neanche più un raffreddore, se è per questo – continuò la donna senza curarsi  di quello sguardo -  Quando siamo venuti qui però è stata molto male e ho temuto addirittura di perderla.
- E perché non mi avete fatto sapere nulla?
- Dopo quella volta  che volle incontrarti lei stessa a Firenze ci aveva proibito di darti fastidio con la sua salute.
Fabrizio si rabbuiò al ricordo: forse in quella circostanza Angela doveva aver capito il suo turbamento e doveva esserci rimasta molto male.       
 - E poi, scusa, non l’avevi vista anche tu come stava? Invece di limitarti a scriverle soltanto non potevi venire qui per renderti conto del suo stato se davvero ci tenevi a lei?
Lo stava accusando senza pietà e Fabrizio non sapeva come giustificarsi. Si era sempre preoccupato di Angela, ma forse le preoccupazioni per il suo lavoro e per l’impegno politico erano state ancora maggiori. Aveva preferito credere che tutto andasse bene e rimanere a Firenze ad interessarsi dei fatti suoi.
- Hai ragione, avrei dovuto farlo – ammise ad occhi bassi, molto mortificato.
Alberto lo notò e si affrettò a rassicurarlo.
- E va bene, è stato solo per poco, poi si è subito ripresa.
- Cosa ne sai tu di come è stata? – lo rimproverò Maria – Non c’eri, eri lontano a Napoli e qui c’eravamo solo io, Giuseppe e sua moglie Lucia. Sai – continuò rivolgendosi di nuovo all’uomo che l’ascoltava attento – se non fosse stato per loro davvero non avrei saputo cosa fare. Sono stati meravigliosi. Le hanno voluto un bene sincero sin dal primo momento. Angela non voleva alimentarsi più, era diventata uno scheletro e se ne stava tutto il giorno a letto. Non voleva parlare né vedere più nessuno. Ma noi tre abbiamo tenuto duro, le siamo stati vicini per farle sentire il nostro affetto e alla fine il miracolo è avvenuto. Forse sono state le nostre preghiere perché proprio di un miracolo si è trattato: da un giorno all’altro si è ripresa e a poco a poco ha ricominciato a mangiare  e a desiderare di guarire. Però c’è voluto quasi un anno perché stesse di nuovo benino. Tu l’hai trovata già in piena forma – finì, rivolgendosi di nuovo al marito con un sorriso dolce.
Questi tirò fuori dal panciotto l’orologio e lo guardò.
-   È strano però, sono già le dieci e non è ancora tornata. Eppure lo sapeva che dovevi arrivare – osservò.
- Lo sai com’è fatta: se ne starebbe tutto il giorno a vagabondare. Starà sulla spiaggia qui sotto a guardare il mare.
- Adesso scendo a chiamarla.
- Perché devi andarci tu? Può andarci Fabrizio. Tanto o parlano qui o lo fanno sulla spiaggia non è la stessa cosa?
- Certamente. Però dovete spiegarmi come ci si arriva – rispose questi.
- Sei pazza! Te la sei scordata Luna? - protestò Alberto suscitando lo sguardo perplesso dell’amico -  È una femmina di pastore abruzzese che Giuseppe le regalò quando ancora era una cuccioletta -  si affrettò a spiegargli - Angela l’adora come adora Rosso. L’ha allevata con tanto amore e sono diventate compagne inseparabili.  Ora è grande e grossa e le fa buona guardia perché con quel bestione al suo fianco nessun malintenzionato oserebbe avvicinarsi a lei.
La moglie confermò:
-  È necessario. Quella benedetta figliola se ne va tutto il giorno in giro da sola. Un cane che vigili su di lei è utile. Comunque non è certo una belva feroce e agli amici della padrona non abbaia nemmeno.
- Già, però Fabrizio non lo conosce – obiettò il marito.
- Basta che non si avvicini troppo e chiami Angela da lontano per farsi riconoscere.
Nel tono di Maria c’era una certa insistenza. Chissà perché sembrava assai intenzionata a mandare Fabrizio sulla spiaggia. Sì alzò e lo invitò a seguirla sul terrazzo dove c’era un cancelletto in ferro che apriva su una scalinata  di pietra. Indicandogliela, proseguì:
- Devi scendere questa scalinata  fino in fondo. Troverai un sentiero che ti porterà sulla spiaggia dove c’è Angela. Fatti vedere e lei tratterrà Luna.
- Siamo sicuri che non finirò sbranato? – chiese l’uomo con un’aria divertita e il suo sorriso più accattivante – Già prima ho rischiato grosso con il gatto.
- Fidati, non ti succederà nulla. Però togliti la giacca: laggiù fa caldo e non mi sembra il caso di andarci tutto incravattato.
Fabrizio seguì il consiglio. Si tolse la giacca, il colletto, la cravatta e sbottonò un po’ la camicia. Maria ne notò il collo possente e pensò che quell’uomo era diventato ancora più bello di prima. Angela non le aveva più parlato di lui da quel lontano giorno a Firenze e non sapeva se ne fosse ancora innamorata. In cuor suo sperò che non lo fosse perché in questo caso trovarselo davanti così affascinante le avrebbe potuto fare molto male. Forse avrebbe fatto meglio a mandare Alberto al suo posto. Ma dopo qualche momento di dubbio,  si disse tra sé e sé che anche Fabrizio avrebbe potuto avere una sorpresa.
 
Il giovane si era avviato lungo la scalinata di pietra. Allontanatosi dalla villa notò il silenzio rotto solo dal frinire delle cicale lungo il sentiero scavato nella roccia. Nel giorno di ottobre che sembrava però ancora un caldo giorno d’estate, il profumo delle piante era inebriante. Si ricordò di un altro  giorno di ottobre di cinque anni prima quando si era accorto di volere bene ad Angela. Sembrava passata un’eternità! Rivedeva ancora il povero Filippo mentre danzava insieme a lei  e risentiva ancora le sue risate che quasi lo avevano fatto impazzire dalla gelosia. Possibile che l’amore per la moglie fosse stato tanto fragile da durare così poco? Probabilmente non aveva avuto la nobiltà d’animo per apprezzare la delicata ragazza che aveva sposato e ora gli restava solo il senso di colpa per averla ingannata sui suoi veri sentimenti. Si vergognava di se stesso perché non le aveva mai dato niente, neanche si era mai ricordato della sua festa, come quel giorno lontano in cui gliela aveva dovuta ricordare Filippo. Già, ora che ci pensava, il compleanno e l’onomastico di Angela erano passati solo da pochi giorni e ancora una volta  si stava presentando da lei senza portarle neanche un fascio di fiori in regalo. Era soltanto uno stupido egoista,  sapeva pensare solo a sé e forse era davvero un bene per lei se la farsa del loro matrimonio fosse finita al più presto.
Immerso nei propri pensieri, era giunto alla fine del sentiero e gli era apparsa la spiaggia. Su uno scoglio, quasi un piccolo promontorio che si affacciava sul mare di un incantevole verde-azzurro, c’era un grosso cane bianco dal lungo pelo che, non appena lo intravide in lontananza, si alzò sulle zampe e cominciò a guardarlo con i neri occhi intelligenti pieni di allarme. Però non si mosse, forse perché anche lui si era fermato. Accanto all’animale c’era una donna in piedi che guardava il mare. Indossava un semplice vestito di mussola bianca, quasi una tunica che la brezza le faceva aderire al corpo e un cardigan beige con le  maniche così lunghe da coprirle anche le mani. Non sembrava Angela, non ne aveva il  corpo magro. Anche i capelli, che portava sciolti, non  erano lisci e pesanti, ma una massa morbida e lucente, scura come la pece, che il vento scompigliava.           
Non doveva averlo visto perché era voltata dall’altro lato. Anche Fabrizio non la vedeva in viso e per un momento gli parve quasi  di avere le allucinazioni e che l’affascinante apparizione fosse solo il fantasma della marchesa Maddalena che aspettava il suo Emanuele.



 

NdA
Forse chi mi conosce sa già che non è ho l'abitudine di inserire qualcosa nei miei racconti  solo per allungare il brodo e tutte le cose,   anche quelle a cui  a volte non si presta troppa attenzione,  hanno  una loro ragione d’ essere. Anche Maddalena, la marchesa giacobina, e il suo amante marinaio avranno un loro posto in questa vicenda per cui leggere la loro storia non sarà stato inutile.
Comunque lo so, questo capitolo è un po’ corto e vi lascia ancora con la curiosità di incontrare Angela. In un primo momento avevo pensato di accorparlo al prossimo, ma, a parte il fatto che ne sarebbe venuto fuori uno troppo lungo, non avrei  avuto modo di avvisarvi che domenica prossima, visto che sarà il giorno di Pasqua, per impegni familiari, non potrò aggiornare.  Siccome però il capitolo è lì e i miei personaggi premono per farvi conoscere le loro vicende, provvederò a farlo giovedì prossimo in modo che le mie care lettrici potranno goderselo (che parolona! E’ una mia speranza, s’intende) quando più le aggrada senza stare appresso a me in una domenica di festa.  Intanto vi lascio ancora un po’ in sospeso, magari a commentare sul perché la nostra Maria si sta comportando in questa maniera un poco strana e su cosa troverà Fabrizio alla fine di quella scala. Qualcosa, ve lo anticipo, che gli farà un effetto inaspettato e dalle conseguenze imprevedibili.
A giovedì e grazie a chi aggiunge le mie storie nelle liste, chi sta semplicemente leggendo e soprattutto a chi mi lascia i suoi graditissimi commenti. Siete tutte meravigliose.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***



 
Qualche minuto dopo Fabrizio ritrovò la parola per chiamarla. Lei si girò e sul volto le apparve una forte emozione.
- Fabrizio! –  gridò. 
Lui ebbe modo di notare quanto quel visino smunto fosse diventato paffuto e come brillassero sulla pelle abbronzata il bianco dei denti e il luccichio degli occhi neri.
Intanto la donna si era affrettata a sedersi  accanto al cane che aveva cominciato ad abbaiare furiosamente. Lo carezzava e gli parlava con voce suadente.
- No, Luna – le diceva – non fare così, è un amico.
Rivolta a lui, lo invitò ad arrampicarsi sullo scoglio. Quando le fu vicino, gli sorrise ancora e gli fece cenno di sederle accanto mentre continuava ad accarezzare il cane per rassicurarlo. Presto Luna si calmò e si sedette buona, posando il muso fremente sulle ginocchia della padrona che però non smise di tenerla ben ferma per il collare per prevenire un’eventuale reazione improvvisa.
Fabrizio si sedette, ma a debita distanza. Con la sua mole enorme quella specie di belva faceva spavento.
- Non sapevo ti piacessero i cani – osservò.    
- Gli animali mi piacciono tutti. Sono molto meglio delle persone, ti sanno dare tanto e in cambio vogliono molto poco.
Incoraggiato dalla calma della bestia e per non mostrarsi pavido, lui osò allungare una mano per fargli una carezza. La cagna reagì subito e scattò di nuovo sulle zampe, ringhiando minacciosa. Angela dovette impegnare tutta la sua forza per farla rimettere seduta buona. La rimproverò con la voce severa:
- Basta Luna, ti ho detto di no! Lui è amico mio, guarda…   
Si appoggiò con il busto all’uomo seduto alle sue spalle e con la mano gli prese il viso facendolo accostare al suo. Fabrizio fu investito dal profumo di mare e di sole dei suoi capelli e quasi ne poté avvertire il tepore della pelle. La donna intanto continuava a carezzare il cane con l’altra mano e riuscì a farlo calmare del tutto. Rassicurata sulle intenzioni dello sconosciuto, alla fine Luna ritrovò la sua abituale mansuetudine e gli rivolse uno sguardo dolcissimo con gli occhi intelligenti.
Solo a questo punto Angela la lasciò.
- Ecco,vedi ora ha capito che sei mio amico e per questo lei lo sarà con te.
Fabrizio non disse nulla. Sembrava ammutolito e continuava solo a fissarla con insistenza.
- Scusami, sarei dovuta risalire a casa già da un pezzo, ma a volte perdo la cognizione del tempo durante le mie passeggiate. Anzi, mi sembra quasi che il tempo non esista nemmeno quando sono qui a guardare il mare e a godermi il sole   
- Sì, me l’hanno detto che sei capace di stare fuori tutto il giorno da sola con il tuo cane. 
- Non è solo il mio cane, è la mia compagna d’avventura. Siamo due  vagabonde a cui piace starsene libere e in solitudine anche per tutto il giorno, perlomeno nella  bella stagione. Non è così Lunacchia? – rise e scrollò il capo dell’enorme bestia che mugolò di piacere -  Purtroppo tra poco dovremo sospendere le nostre scorribande: sta arrivando l’inverno.
L’animale guaì ancora, contenta delle carezze della padrona e le rivolse uno sguardo adorante. Fabrizio capì che Angela non avrebbe potuto avere un’amica più fedele di quella.
- Strano, avrei detto che ti si confacesse di più la compagnia di un gatto. Povero Rosso, pensavo fosse lui il tuo unico amore e invece lo hai tradito – osservò per prenderla un po’ in giro.
La ragazza s’indignò.
- Tradito? Io avrei tradito Rosso? Neanche immagini come stiamo bene insieme mentre ce ne stiamo abbracciati davanti al camino nelle sere d’inverno quando fuori piove e il mare è in burrasca. È così calmo e rilassante il mio gattone,  tutto il contrario di questa qui che invece è piena di vitalità. Tutt’e due mi hanno insegnato qualcosa della vita.
Si era girata di nuovo verso di lui che continuava a guardarla. I lineamenti erano quelli che ricordava, ma nell’insieme era assai diversa.
Non resisteva più. Doveva dirglielo.
- Ti sei fatta bella, lo sai?
- Bella poi, sono cambiata un po’ da come mi ricordavi  perché adesso sto bene in salute – si schermì la ragazza. Però abbassò il viso per non mostrare il rossore che quel complimento le aveva provocato. 
- Solo un po’ cambiata? Pensa, non ti avevo neanche riconosciuta,  ti avevo presa per..
- ..il fantasma di Maddalena Ludovici! – concluse per lui come se fosse una cosa a cui era abituata – Hai visto il quadro in casa e Alberto ti ha parlato di lei perché mi somiglia, non è così? Lo so, me lo dicono tutti e a me fa piacere assomigliarle. Mi sono fatta addirittura cucire questo vestito apposta e magari mi procurerò anche una cetra. Non è intrigante tutto questo? Sai che spasso se si diffonde la leggenda del fantasma della marchesa che si aggira sulla costa con il suo cane bianco? Ti immagini quanti curiosi potrebbero accorrere per venire a vedere invece me?
- Certo ora assomigli più a lei che alla donna che conoscevo io. Ma come hai fatto a diventare così?
Angela rise. 
- Ho solo messo su una ventina di chili. Ultimamente mi ero fatta uno scheletrino, almeno Lucia  mi chiamava così.
- Era stata la malattia? – le chiese  e senza aspettare risposta, continuò – Anche i capelli sono diversi, non li avevi così belli prima.
Lei sorrise, passandosi una mano tra la massa bruna scompigliata dal vento.
- Già, non ne avevo quasi più l’ultima volta che mi hai vista. Avevo cominciato a perderli quando ancora ero in sanatorio. Il dottor Huber mi aveva detto che era una conseguenza dell’esaurimento nervoso e non della tisi. Quando diventai “uno scheletrino” Lucia decise di raparmi a zero per vedere di farli rinforzare. Io non volevo, ho pianto tanto quel giorno, ma lei ha insistito e in realtà ha avuto ragione perché poi mi sono ricresciuti così. Ma smettiamo di parlare di me ora, mi dici perché non mi hai più scritto? Ero ansiosa di sentire del congresso.
Fabrizio guardò il mare e le sussurrò un po’ incerto:
- Pensavo che non t’ interessassero le mie lettere.
- Ti sbagli. Te l’ho detto,  aspettavo con ansia di conoscere le tue impressioni sul congresso. Ho saputo che è andato male, non è così? Perché non me ne parli?
Lui acconsentì di buon grado e si lanciò nelle sue osservazioni, incoraggiato dall’espressione interessata della donna. Parlando si rese conto che raccontarle di sé gli faceva bene. Era stata l’unica ad averlo sempre capito e le sue parole non l’avevano mai annoiata. Solo quando ebbe saputo i fatti, Angela parlò:
- Adesso ti senti molto disorientato, ritengo. Da una parte detesti le esagerazioni dei rivoluzionari e non ami l’interventismo dei riformisti, d’altra parte ti sembra che la tua posizione non abbia più sbocchi.
Fabrizio la guardò sbalordito.
- Accidenti, ma come fai a conoscermi così bene? È proprio così! – esclamò.
- Ti conosco, ti conosco. Chiunque ti conoscerebbe come me se avesse letto le lettere che mi hai mandato così numerose in questi anni.
- Sai, mi fa piacere sapere che le hai lette. Alla fine mi ero convito che le buttassi via.
- Buttarle? Sei pazzo? Ho un cofanetto prezioso dove sono conservate tutte. Quando sarai diventato famoso le venderò a qualche tuo biografo.
- Sì, stai fresca, e quando divento famoso io! Il libro che ho pubblicato lo hanno letto solo quattro gatti.           
- Io l’ho letto e mi è piaciuto molto. Non devi meravigliarti,  è solo un po’ avanti con i tempi. Vedrai come piacerà tra qualche anno. E allora qualcuno studierà le tue lettere – con allegria,  imitò il tono di voce di chi cita il titolo di un libro  - “ Fabrizio Serra – Storia di un’anima. Il carteggio tra il 1909 e il 1912 con la moglie”
A quel punto si fermò un attimo e si fece seria.
- Sto dicendo una sciocchezza. Io non sarò mai stata tua moglie, non è così?
Fabrizio non si aspettava di dover affrontare l’argomento tanto all’improvviso. Si sentì avvampare e  con un filo di voce le rispose solo:
- Sì, se il matrimonio verrà annullato dalla Sacra Rota sarà così.
- E sarà un’altra  donna tua moglie, vero?
- Forse.
- Chi è? Elena Anghiletti?
Questa volta Fabrizio non rispose. Ma Angela non aveva finito con le sue domande. 
- Stavi già con lei quando sono venuta a Firenze?
- No, no, te lo giuro! – ora si era voltato a guardarla provando una strana, improvvisa voglia di giustificarsi – È successo molto dopo, quasi senza che me n’accorgessi.
Imbarazzato tornò di nuovo a guardare il mare.
- Ti credo, deve essere incominciata quando hai smesso di parlarmi di lei nelle tue lettere.
- Ho provato a spiegarle che non mi sento portato per il matrimonio, ma lei niente.  Non riesco a capirla più, eppure mi sembrava una donna tanto emancipata.
Angela rise. Gli mise una mano sul braccio e prese a scuoterglielo.
- Certo che non riesci a capirlo, ma ti assicuro, in fondo le donne sono tutte le stesse quando sono innamorate. Per loro arrivare al matrimonio è come per un alpinista arrivare in cima a una montagna: entrambi piantano il loro paletto dicendo: “Ecco, io ci sono arrivato e tutto questo mi appartiene ora!” È solo un’ illusoria forma di possesso.
Fabrizio si voltò di nuovo verso di lei, stupito per quell’osservazione buttata lì con leggerezza. La ragazza credette di cogliere un dubbio nel suo stupore e si affrettò a spiegarsi meglio.
- È così, te lo assicuro. Elena ti ama e probabilmente sa anche bene che non cambierà molto tra di voi, ma in pratica proprio non riesce a rinunciare a piantare la sua bandierina. Lo feci persino io che a sposarmi, ti assicuro, non ci avevo mai pensato.
- Perché ti innamorasti di me? Dovevi averlo notato anche tu quanto eravamo diversi – si sentì di chiederle. Però era in imbarazzo e aspettò la risposta guardando l’orizzonte e non la ragazza seduta al suo fianco.   
Lei alzò le spalle.
- Certamente. Anche se c’erano molti che mi ritenevano solo una stupida, non lo ero così tanto da non arrivarci. Però con te avvertivo una strana sensazione, come se tra noi ci fosse una comprensione molto profonda, forse perché entrambi eravamo degli idealisti, assai diversi da quelli che ci circondavano. E poi mi pareva di avvertire in te una stima e una tenerezza nei miei confronti che nessuno mi aveva mai dato prima. M’illudevo che fosse così, almeno.
- No, non era un’illusione – si affrettò a dirle.
Lei non rispose, ma aveva sul viso un’espressione molto strana tanto che fu preso dal timore di sentirle dire che no, non era possibile, se così fosse stato si sarebbe dovuto comportare in maniera ben diversa con lei. Eppure sapeva che era la pura verità, anche se poi era andato tutto storto.
A un tratto Angela  si voltò a guardarlo con un lampo di malizia negli occhi sorridenti.
- Inoltre eri un bellissimo ragazzo – aggiunse.
Fabrizio si mise a ridere.
- Non ridere, scemo. Perché credi che ti abbia preso in considerazione al punto tale da dimenticarmi di tutti i miei progetti monastici? Pura attrazione sessuale, amico mio!
Ma cosa le era successo? Fabrizio non ci credeva che potesse essere lei a parlare così. Ironizzando un po’, le disse:
- Neanche lo sapevi cosa fosse il sesso a quell’epoca.
- Io no, ma il mio istinto sì. Per questo scelsi te allora e non, ad esempio, quel tuo amico, non mi ricordo nemmeno come si chiamava … quello che voleva farmi cantare per forza la sera che ci siamo conosciuti … aiutami.. come si chiamava?
- Francesco Sella.
- Ecco, proprio lui. Mi aveva chiesto molte volte di sposarlo, ma io niente. Mi piacevi tu e bastò che me lo chiedessi  solo una volta per avermi ai tuoi piedi.
L’uomo si scostò con la mano un ciuffo di capelli che gli ricadeva sul viso. Era esitante a parlare però non voleva nasconderle più nulla.
- Anche lui era interessato alla tua dote – le disse.
- Lo so. Comunque un cacciatore di dote che sa fare il suo mestiere sarebbe stato meglio di uno pronto a pentirsi.
- Cosa?
- Voglio dire  che lui non mi avrebbe mollato per nulla al mondo, mi avrebbe fatto fare tutti i figli che volevo e non avrebbe consentito a zio Alfonso di prendersi tutto. Insomma, facendo i suoi interessi avrebbe finito per fare anche i miei. Però a me non importava. Io volevo te. Forse mi illudevo anch’io che dopo aver piantato la bandierina del matrimonio sarebbero state tutte rose e fiori.
Lo guardava con un sorriso. Lui osservò quel viso sereno e gli occhi dallo sguardo vellutato. Sì, era cambiata e  non solo nel fisico. In verità il suo cambiamento gli piaceva da morire.
- Ti ho delusa in tutto. Credimi,  è per questo che vorrei che ci fosse concesso l’annullamento dalla Sacra Rota. Tu sei sempre stata moralmente molto al di sopra di me e non è giusto che adesso debba portare per tutto il resto della tua vita il peso di un legame a cui ti ho indotta solo per la mia meschinità. Anche se lo so benissimo che nessun tribunale al mondo potrà mai annullare il male che ti ho fatto. Riuscirai mai a perdonarmi?  – le sussurrò, sincero.
- Non preoccuparti, l’ho già fatto da tanto. E poi non sei stato solo tu a farmi soffrire, sono stata io stessa a non volermi mai bene.
Era seduta accanto a lui. Con un braccio si teneva le ginocchia ripiegate contro il corpo, con l’altra mano  disegnava qualcosa sulla sabbia depositata dal vento sullo scoglio. Stette per un po’ zitta e pensierosa poi riprese a parlare e a Fabrizio parve che la sua voce sommessa fosse il suono stesso della natura intorno a loro.
- A volte bisogna scendere proprio giù prima di capire qualcosa. A me è successo, sai, sono stata proprio in fondo dove non c’era più luce né calore. Non è stato facile tornare.
Entrambi stettero ancora un po’ in silenzio. Angela proseguì, sempre senza guardarlo in volto:
- È successo quando me ne sono andata da Firenze e ho capito che non avrei mai avuto alcuna possibilità di farmi amare da te.
- Mi dispiace, io non volevo...
- No, sta’ zitto, ascolta. Quando sono arrivata a Napoli ho provato uno strano senso d’irrealtà a vedere la nostra casa, la stessa irrealtà che ho vissuto quando mi hanno portata qualche giorno nel convento per farmi rimettere un po’ prima della partenza per qui. Chi ero? Che ci facevo su questa terra? Credimi, non trovavo una spiegazione. Poi ho avuto la notizia della morte di Paul. Ti ricordi chi era Paul? Te ne avevo parlato tante volte nelle mie lettere da Davos.
- Sì, me ne ricordo. Credo di averlo anche notato quando sono stato lì.
- Eravamo molto amici. In quei pochi mesi ho parlato così tanto con lui quanto non ho mai fatto con nessun altro essere umano. In realtà mi aveva amata, ma io neanche me n’ero accorta, presa com’ero dal mio amore per te.
Fabrizio non commentò nulla. Era solo molto addolorato. La invitò ad andare avanti perché si era fermata. Lei continuava a disegnare qualcosa sulla sabbia con le dita affusolate che le sbucavano dalla lunga manica. Sospirò e, con un filo di voce, riprese il racconto.
- Avevamo parlato tante volte insieme del futuro. Paul sapeva di non avere più tempo, ma insisteva affinché io riprendessi a  vivere e a lottare. Ma forse si era sbagliato, forse per quelli come noi, per me, per lui, solo la morte era l’unico rifugio al dolore. Me n’ero convinta e anche se non avevo la forza e il coraggio di fare qualcosa per mettere fine ai miei giorni, avevo capito che se la vita non mi voleva, neanche io la volevo e così eravamo pari. Per questo quando arrivai qui smisi di mangiare e furono costretti a farmi alimentare quasi con la forza. In un primo tempo fu solo una forte depressione, ma poi, e successe quando Lucia decise di tagliarmi i capelli a zero, nel guardarmi nello specchio brutta com’ero, decisi che era venuto il momento di entrare nella tomba, anche se non ero ancora morta. Mi chiusi nella mia stanza e non ne volli più uscirne per mesi. Restai a lungo senza più parlare con nessuno o vedere chiunque. Non era mia intenzione morire, perlomeno coscientemente, la mia intenzione era rifiutare la vita, come in una sfida, e ci sarei riuscita, nonostante tutti i loro sforzi.
Tacque di nuovo. Ora però Fabrizio la fissava, la fronte corrugata e una smorfia di angoscia sul viso.           
- Che successe allora? – le chiese.       
 Lei lo fissò a sua volta  e scoppiò a ridere vedendogli quell’espressione così drammatica sul volto.
- Su, parliamo d’altro. Non voglio annoiarti con questi discorsi tristi.
- No ti prego, va’ avanti. Anche se mi sento in colpa per quanto ti è successo, ho bisogno di capire come ne sei uscita. Perché ne sei uscita, non è vero?
- Ma sì, certo.
- E come è successo?  Maria mi ha detto che è stato un miracolo.
- Non lo sa nessuno come è successo, non ho avuto mai il coraggio di raccontarlo ad anima viva.
- Allora davvero c’è stato un miracolo? – le chiese incredulo.
Ancora una volta Angela rise di gusto, gettando il capo all’indietro.
- Sì, un vero miracolo. E sai chi l’ha fatto? Un moscone.
- Un moscone!?
- Un moscone, proprio uno di quei mosconi che vanno sulla cacca.
La sentì pronunciare con disinvoltura quella parola che solo poco tempo prima l’avrebbe fatta arrossire. La guardò così incuriosito di conoscere quella storia che la ragazza non poté esimersi dal raccontargliela, benché davvero non l’avesse mai fatto con nessuno prima.
- Era un pomeriggio di dicembre, credo almeno, in quel tempo avevo perso anche la cognizione del tempo. Stavo molto male, ero arrivata a pesare nemmeno trentacinque chili, ero brutta e pelata, insomma facevo ribrezzo. Me ne stavo tutto il giorno rannicchiata nel letto in un dormiveglia dovuto all’estrema debolezza,  con Maria e Lucia che ogni tanto venivano a vedere se per caso non me ne fossi già andata. A un certo punto fui svegliata da un solletico sul viso e fui costretta a scacciare quel fastidiosissimo insetto con la mano. Mi rimisi giù cercando di riaddormentarmi, ma quello niente, zzzzz, zzzzz, zzzzz, mi volava intorno senza darmi tregua. Mio Dio quanto lo odiai in quel momento! Provai anche a suonare il campanello che avevo accanto al letto per chiamare Maria e far cacciare quello scocciatore, ma neanche lei mi sentiva. Provai una rabbia feroce all’idea di dovermene stare indifesa a letto a sentire il concertino di quell’animale immondo che doveva avermi scambiato per il suo materiale preferito. Ero tanto arrabbiata che trovai la forza di alzarmi e cacciarlo via con un fazzoletto. Mi resi conto però che se non lo avessi buttato fuori dalla stanza si sarebbe ripresentato dopo qualche minuto. La distanza fino al balcone mi sembrava enorme e io non avevo la forza di arrivarci, però feci uno sforzo  e pian piano arrivai ai vetri. Non so come li aprii e la stessa cosa feci con le persiane che mi costarono una fatica ancora maggiore perché erano pesanti. Hai visto la mia stanza da letto?  - gli chiese a un tratto.
- Sì … no …  cioè non la tua, voglio dire. Alberto mi ha spiegato che la mia è accanto alla tua sul terrazzo al primo piano.
- Ecco, allora puoi immaginarti cosa successe.
- Entrò una luce abbagliante. È capitato anche a me stamattina quando ho aperto le persiane.
- Giusto. Te l’ho detto, era dicembre, ma in questa terra meravigliosa anche un giorno d’inverno può essere pieno di luminosità, di tepore, di sole. Era uno di questi. Non ce la facevo e dovetti aspettare qualche minuto prima che i miei occhi si abituassero a tanto splendore, ma alla fine uscii sul terrazzo e davanti a me si presentò tutto questo – pronunciò le parole indicando con un gesto ampio del braccio il cielo, il sole, il mare, la montagna, la vegetazione - Fui travolta  dalla luce e non solo quella fisica, ebbi, così come il Buddha, anche l’illuminazione spirituale. In un solo istante capii che mi trovavo davanti a Dio e mi stava chiedendo perché volevo rifiutarlo. Però io sapevo cosa rispondergli, volevo dirgli che ero solo un piccolo essere brutto, inutile e insignificante, che nessuno mi voleva e che Lui si era dimenticato di me. Poi, su un piccolo albero di mandarino in uno di quei grossi vasi sul davanzale, notai il moscone di poco prima. Si era posato tra le foglie verdi e si stava sfregando le zampette mentre le piccole ali rilucevano nella luce del sole. A lui non importava di essere brutto e insignificante né di non essere amato. Nemmeno si curava dell’inverno che arrivava insieme alla sua fine. Lui quel giorno viveva. Era parte dell’universo e tutte le creature hanno ugualmente diritto di farne parte. Pareva che il Signore in quel momento mi stesse dicendo che avevo sbagliato ad amarlo come avevo fatto sempre, perché gli avevo negato la mia felicità, il piacere del corpo, l’abbandono dell’anima. Non so dirti se erano stati i discorsi fatti con Paul, il dolore immenso nel quale ero sprofondata o il calore del sole sulla mia pelle e il profumo del mare. Non lo so cosa fu, te l’ho detto, ma in quell’istante capii che la vita è una cosa bella. Mi resi conto che in tanti anni non avevo fatto altro che negarla credendo che solo il sacrificio, il dolore e la morte nobilitano l’essere umano. All’improvviso avevo voglia di vivere perché invece c’erano tante cose belle che mi erano passate sotto il naso e io non le avevo nemmeno guardate per timore che mi piacessero troppo e potessero trascinarmi alla perdizione. Capii che la gioia di vivere è la migliore preghiera che si possa innalzare al Creatore, anzi, è l’unica cosa che si possa fare. Dio non se ne sta in Cielo a farsi venerare da noi uomini in mille modi, a giudicarci, a dispensare gioie e dolori. No, Lui è e si limita ad essere, eterno, immutabile, immenso e noi siamo come Lui, anche se siamo infinitamente piccoli, ma sempre di Lui facciamo parte, come ogni goccia fa parte del mare …          
Certo, non sto a dirti che da allora ho trovato la chiave della felicità. Noi esseri umani, al contrario di tutte le altre forme di vita, siamo complicati, ci facciamo mille domande, ci poniamo una quantità di sovrastrutture. Eppure solo ora mi è parso di aver compreso davvero cos’è quel libero arbitrio di cui si parla tanto. È la scelta che ognuno di noi può compiere tra il fare del male agli altri, e spesso anche a se stessi, nell’assurda illusione di dare un senso alla propria vita oppure cercare l’armonia del creato e abbandonarsi semplicemente ad essa nell’improntare questa nostra esistenza.
Fabrizio non disse nulla perché l’emozione gli toglieva la parola. Angela aveva riassunto alla perfezione anche il suo pensiero. Infatti, ben lontano dall’essere un ateo come lo ritenevano in tanti, lui stesso aveva concepito Dio in quello stesso modo anche se non era mai riuscito ad esprimerlo con parole così semplici e profonde. Forse perché si era sempre e soltanto abbandonato al suo sentire più istintivo mentre lei era pervenuta a quelle conclusioni attraverso anni di macerazioni e  sofferenza. 
Intanto la donna, pentita di avergli fatto confidenze così serie e intime, provvide a concludere con un sorriso:
- Sai cosa feci allora? Allungai la mano e colsi un mandarino. Lo aprii gustandone per prima cosa il profumo, dopo ne assaggiai il sapore come se fosse la prima volta che ne mangiavo uno. Come era dolce! Ne presi uno ancora e poi ancora un altro, insomma depredai tutta la pianta. Quando Maria mi venne a prendere, ne avevo mangiati così tanti che la sera mi venne un bel mal di pancia. Ma sai una cosa? Quello era un mal di pancia “di vita” e ne fui lo stesso contenta.
Nel concludere il racconto aveva poggiato il viso sulle ginocchia. Fabrizio non riuscì a trattenersi: le carezzò i capelli con tenerezza. Angela socchiuse gli occhi e gli sorrise.


 
NdA
Credetemi, non avrei potuto farlo apposta neanche se l’avessi voluto eppure sono stata contenta che il capitolo che avete appena letto sia stato pubblicato in coincidenza con la Santa Pasqua. Spero che lo spirito religioso che si avverte in questi giorni vi spinga ad essere un poco più indulgenti con me che mi sono lanciata in argomenti tanto seri e delicati nel descrivervi la piccola “resurrezione” della mia Angela. Era però necessario mostrarvi che il suo cambiamento è stato soprattutto interiore perché finalmente è riuscita a modificare una visione del mondo che anni ed anni di educazione rigida e dogmatica le avevano imposto, conservando però intatta tutta una spiritualità che ormai fa parte di lei. In ogni modo spero davvero di non avervi annoiate  e che il colloquio tra i miei due protagonisti sia riuscito a chiarirvi anche molte cose che il salto temporale di due anni nella vicenda aveva forse lasciato in sospeso. Il racconto del loro incontro continuerà ancora nei prossimi capitoli ed avrà sviluppi inaspettati. Torneremo, come direbbe il professor Huber con il suo forte accento teutonico, ad occuparci dei corpi e non soltanto delle anime.
 Mi auguro che la vostra curiosità resti ancora viva perché stavolta ci vorrà un po’ più di tempo per l’aggiornamento. Sono sicura però che la mia scelta di anticiparlo ad oggi sia stata, oltre che necessaria, molto utile, così potrete leggere con tutta calma, magari rubando qualche momento alle vacanze pasquali che vi auguro di trascorrere in letizia e serenità.
Aspetto le vostre recensioni. Accidenti però, che parolona! Le recensioni le fanno i critici letterari così come i libri li scrivono i veri Autori. Voi ed io non siamo né l’una né l’altra cosa, siamo solo persone che si dilettano a scrivere e a leggere e che in grande amicizia si scambiano le loro opinioni. Quindi, aspetto di conoscere le vostre, anche quelle più semplici ed elementari.
Ancora Buona Pasqua


 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***





 
Per un po’ stettero fermi e zitti. Una grande commozione aveva colto entrambi. Sentivano le loro anime assai vicine, una sensazione questa che avevano avvertito molte volte in passato, ma che ora sembrava strana perché erano stati lontani per tanto tempo.
Fu Angela a concludere quel momento così particolare  mostrando la sua nuova, incontenibile vivacità. Si alzò all’improvviso e gli fece una richiesta strana.
- Di’ un po’, tu sai nuotare? – gli domandò.
- Certo.
- Proprio bene bene?  Anche sott’acqua?
- Sì, perlomeno una volta lo sapevo fare.
- E dimmi, hai voglia di farti un bagno?
- Adesso?
- E quando se no?
- Come facciamo con i vestiti.
- Ce li togliamo. Ce le avrai pure le mutande sotto!
Lui rise, divertito.
- Sei diventata una bella impertinente, lo sai?
- Dài rammollito, spogliati.
Si tolse il cardigan e anche il vestito di mussola. Restò con una sottana di cotone a bretelle che le arrivava appena ai polpacci e le  lasciava  le braccia e le spalle scoperte. Posò i vestiti accanto a un paio di sandali che non aveva messo perché per  tutto il tempo della loro conversazione era rimasta a piedi nudi. L’uomo non riusciva a distogliere gli occhi dal suo corpo ben tornito la cui pelle liscia e abbronzata denotava che togliersi gli abiti per tuffarsi e prendere il sole era per lei un’abitudine.
- Sei ancora vestito? – lo rimproverò, vedendo che non si muoveva.
- E se passa qualcuno?
- Chi vuoi che passi di qui. Potrebbero vederti  soltanto dal mare. Vedi passare qualche barca forse?
- E gli abiti? Ce li portiamo appresso?
- Mamma mia e come sei  difficile! Li guarderà Luna. Nessuno rischierebbe di scontrarsi con lei per quattro stracci.
Finalmente convinto, Fabrizio si alzò in piedi e si liberò anche lui dei vestiti. Angela pensò che fosse una vera fortuna che in quel momento non la  guardasse perché forse il suo viso non riusciva a celare l’ ammirazione che provava per lui. Era stato un bellissimo ragazzo a farla innamorare una volta, ma ugualmente le sarebbe capitato con il giovane uomo robusto e affascinante che ora le stava davanti. Per evitare di farsi scoprire ad osservarlo si avviò giù per lo scoglio, agile come una capretta, non senza aver raccomandato al cane di restar fermo lì.
- Ehi, aspettami – protestò Fabrizio.       
Non era abituato alle rocce e temeva di ferirsi i piedi nudi. La sentì ordinare ancora  alla cagna di rimettersi a cuccia e di non seguirli. Quando la raggiunse sullo scoglio da dove dovevano  tuffarsi, le chiese:
- Perché non la fai venire, forse perché deve rimanere a fare la guardia?
- No, perché quello che stiamo per fare non è per lei. Ascolta però: davvero te la senti? Ci aspetta una cosa un po’ difficile.
- E che sarà mai!
Gli piaceva fare un po’ il gradasso e per non mostrare paura si tuffò per primo. Il contatto improvviso con l’acqua fredda lo fece rabbrividire, ma ben presto provò il piacere di trovarsi immerso nel mare cristallino. Cominciò a nuotare verso il largo.
Angela, tuffatasi dietro di lui, lo chiamò.
- No, non di là, vai verso la costa qui a sinistra – gli urlò per farsi udire nonostante la distanza tra loro.
Un po’ perplesso la seguì. Angela nuotava con la massima disinvoltura e molto velocemente. Nonostante i suoi sforzi non riuscì a raggiungerla e a un certo punto dovette chiederle di aspettarlo. Lei lo fece  e nel  vederlo arrivare tutto trafelato, si mise a prenderlo in giro.
- Ahi, ahi, siamo proprio fuori forma! Si vede che  a Firenze fai la vita del mollaccione.
Fabrizio rise e cercò di afferrarla.
- Adesso ti faccio vedere io, brutta dispettosa.
- Ascolta un consiglio, amico mio: risparmia le forze che adesso viene il bello.
E si allontanò tra gli spruzzi. Nuotò spedita verso una parete di nere rocce laviche  dove si fermò di nuovo ad aspettarlo.
- Cos’è,  fine della gita? – le domandò quando l’ebbe raggiunta notando che di lì non si passava oltre.
- No, riposati un po’ e riprendi fiato perché adesso ci aspetta la parte difficile.
- Questa era la parte facile? Non me n’ero accorto! – scherzò.
Cercò di attirarla verso di sé perché gli piaceva quel visino allegro e abbronzato che spuntava dal mare. Avrebbe voluto fermarsi lì, magari a giocare con lei come due bambini. Ma Angela era decisa a concludere  la sua impresa. Quando vide che si era riposato abbastanza, gli disse seria:
- Ora fai un bel respiro e immergiti. Cerca di non spaventarti perché non c’è alcun pericolo. Stammi dietro, fidati di me e nuota il più veloce possibile.
Fabrizio restò un po’ intimorito da simili avvertimenti. Avrebbe voluto chiederle che cosa stavano per fare, ma non ne ebbe il tempo perché Angela fece un profondo respiro e si immerse in apnea. Per paura di perderla fece la stessa cosa e la seguì. Sott’acqua la ragazza nuotava ancora più spedita anche se ogni tanto si voltava per accertarsi che le fosse dietro.
Tenendo gli occhi ben aperti, lui si guardò intorno nella luce soffusa d’azzurro: laggiù era tutto molto bello, c’erano una quantità di pesci multicolori che giravano intorno a loro, mentre piante acquatiche dalle tinte fantastiche si muovevano dolcemente così come i capelli di Angela e il suo vestito, facendo assomigliare anche lei ad una meravigliosa creatura marina.
Dopo essere scesa di un paio di  metri, la donna entrò in una fessura della parete rocciosa. Fabrizio la seguì, un po’ preoccupato. Fu allora che capì perché gli aveva detto di non spaventarsi: era solo un buco, abbastanza largo da far passare una persona,  ma completamente chiuso dalla roccia nera. Si aveva la spiacevole sensazione di poter rimanere intrappolati lì dentro. Con il cuore che gli batteva forte si affrettò anche lui a nuotare veloce fino a quando, dopo poco, non uscirono di nuovo nel mare aperto e risalirono in superficie a respirare. Appena ebbe ripreso un po’ di fiato,  cominciò a rimproverarla:
- Di’ un po’, ma sei pazza? Hai deciso di ammazzarti? Guarda che se è questo quello che fai tutto il  giorno da sola sarò costretto a dirlo a Giuseppe e ad Alberto perché ti impediscano di uscire.
Per tutta risposa  lei scoppiò in una risata, si mise un dito sulle labbra e gli disse a bassa voce:
- Sccch!  Quanto chiasso fai, sta’ un po’ zitto e guardati intorno.
 Fabrizio lo fece e ciò che vide gli mozzò il fiato.
Erano arrivati in una piccola insenatura dove il mare di un blu profondo s’insinuava tra le rocce nere. In alto, tra la vegetazione lussureggiante, c’erano moltissimi  uccelli che cantavano melodiosi  e il sole, a picco perché era ormai mezzogiorno, faceva splendere la sabbia nera di una minuscola spiaggia. Era un mondo incantato quello e non gli restò che seguire la ragazza che stava uscendo dall’acqua.  Il corpo, a causa della stoffa sottile e bagnata che l’avvolgeva come una seconda pelle, appariva come se fosse stato nudo. Lei non se ne curava e camminava lentamente, strizzandosi i capelli grondanti d’acqua. Arrivata a riva, si voltò ad aspettarlo e quando lui l’ebbe raggiunta, gli prese la mano e gli sussurrò, pianissimo per non turbare il silenzio fatato di quel luogo:
- Adesso ti mostro un altro dei miei segreti. Vedrai, una cosa così non te la sogni nemmeno.
Si addentrarono sulla sabbia fino ad un piccolo antro che si apriva nella roccia. All’interno la penombra era rotta soltanto da un fiotto di sole che penetrava attraverso uno squarcio nella volta. Una cascata di acqua sorgiva riluceva al suo riflesso.
- È  acqua termale – gli spiegò Angela avvicinandosi.          
Rabbrividendo di piacere, se la lasciò scorrere addosso, il viso alzato per riceverla anche sulla faccia. Aveva un’espressione di estremo godimento che la rendeva molto sensuale. A Fabrizio pareva tutto un sogno: quel luogo di fiaba non gli sembrava reale e neanche lei. Forse era una sirena o una nereide. Si avvide che sotto la veste era nuda. La stoffa bagnata e bianca le velava appena il seno,  i fianchi morbidi e le lunghe cosce tornite.  Le si avvicinò come in trance senza riuscire a staccare lo sguardo dalle goccioline d’acqua che le brillavano sulla pelle abbronzata.
Nel sentirlo avvicinare  lei raccolse l’acqua nelle mani a coppa e gliela porse.
- Senti, è calda – gli sussurrò.
Si interruppe perché vide lo sguardo dell’uomo carico di desiderio e si sentì travolgere anch’essa come da una vertigine. Lasciò cadere l’acqua abbassando il capo mentre cercava di riprendere il controllo di sé e di ignorare il significato di quella espressione. Non ci riuscì a lungo. Alzò di nuovo il viso  per  fissarlo negli occhi senza più cercare di nascondere l’attrazione provata per lui che,  seminudo e bagnato,   le stava davanti in tutta la sua bellezza. In un attimo si ritrovarono stretti a baciarsi e si sentirono avvampare quando lui cominciò a carezzarle il seno e i fianchi. Angela allora si scostò solo un poco e con un gesto molto invitante afferrò l’orlo della veste bagnata e la sfilò, alzando le braccia. Completamente nuda, rimase a guardarlo per poi chiudere gli occhi quando lui tornò ad abbracciarla.
Si abbandonarono all’amore con dolcezza, dapprima piano poi con sempre maggiore foga. Fabrizio sentì sotto di sé il calore del corpo di lei che si confondeva con quello della sabbia bagnata dall’acqua calda. Affondato in una morbidezza senza fine, ebbe la sensazione di starsi unendo con la terra stessa e non con una semplice donna. Gli parve strano e bellissimo.
Non poteva immaginare che per Angela stava avvenendo una cosa analoga perché, abbagliata dalla luce proveniente dalla volta che la inondava e con gli occhi chiusi,  le sembrò che fosse il sole stesso a donarle  quel piacere.
Il loro rapporto si consumò in fretta, ma ci fu un attimo in cui entrambi si sentirono fuori dallo spazio e dal tempo, in una dimensione dove persino il piacere fisico passava in secondo piano rispetto al bisogno irresistibile che li avevi portati a dirsi in quel modo qualcosa che non avrebbero mai saputo esprimere a parole.          
Dopo rimasero stretti l’uno all’altra senza neanche sapere dove fossero,  con la voglia di non riemergere mai più dal dolce  appagamento che li aveva resi così felici. In quell’istante non c’era posto per le domande  e preferirono tacere, lasciando solo che le loro bocche ogni tanto si incontrassero ancora in un bacio caldo e dolcissimo.
La prima a riscuotersi fu Angela. Si sciolse dal suo abbraccio e con un filo di voce  gli disse:
- Dobbiamo andare ora.
- No, ti prego, lasciami stare ancora un po’ in questo paradiso – la supplicò l’uomo, un braccio sugli occhi per ripararsi dalla luce accecante.
Lei si chinò a baciarlo sul collo, laddove finiva la barba e cominciava la pelle tenera della gola.
- Questo paradiso tra poco si trasformerà in una trappola: se non ci affrettiamo ad andarcene salirà la marea e la grotta finirà troppo sott’acqua.
Assai impressionato, Fabrizio si affrettò a muoversi. Tenendosi per mano si rituffarono ancora, facendo la strada all’inverso.
Più tardi, dopo essersi arrampicati di nuovo sullo scoglio, con Luna che faceva loro le feste felice di rivederli, esausti si misero distesi per asciugarsi al sole.
- Allora ti è piaciuto? – gli chiese Angela.        
Mentre pronunciava quelle parole, all’improvviso si rese conto che avevano appena fatto l’amore. Si domandò come avesse potuto lasciarsi andare così, con tanta naturalezza come se non avessero mai smesso di essere sposati. Dentro di sé conosceva la risposta, anche se per nessuna ragione al mondo avrebbe mai accettato di confessarla all’uomo che era andato fin lì solo per dirle che non la voleva più come moglie.
Si affrettò a specificare:
 – Il posto dove ti ho portato, voglio dire. Non è meraviglioso?
- Sì, certo. Però è pericoloso andarci. Mi devi promettere di non farlo più.
- Mi dispiace, non posso. Quello è il mio posto magico, proprio non posso evitare di andarci.
- È bellissimo, l’ho visto, ma ti ripeto, il tunnel sott’acqua è pericoloso, potresti rimanere impigliata e non riuscire a risalire o farti cogliere alla sprovvista dalla marea.
- Non mi succederà, stanne pur certo. E poi, anche se fosse, ti dirò, non mi dispiacerebbe morire in mare. In fondo non siamo immersi nel liquido amniotico prima di nascere? Basterebbe chiudere gli occhi e lasciarsi andare e sembrerebbe di ritornare da dove siamo venuti.
- Smettila! Non mi avevi detto che ti piace vivere ora?
- Dài, scherzavo e poi non devi temere per me.  Te lo sei scordato il patto di Ibrahim?
- Il patto di chi?       
- Il marinaio berbero che giunse in Sicilia e si innamorò della ragazza cristiana che sembrava un angelo. Prima di morire, vecchi e felici, consacrarono la loro discendenza al grande mare che aveva permesso loro d’incontrarsi. Me lo raccontasti tu quel giorno a Sorrento, tanti anni fa.        
- Ti ricordi ancora di quella stupida storia?
- Non era stupida. Secondo me senza volere avevi visto giusto: ho avuto davvero lui per antenato e adesso sono legata al mare dal suo patto. Anche Maddalena ne era legata altrimenti non si sarebbe innamorata di un marinaio.
Scherzava contenta mentre si scuoteva l’acqua dai capelli che pian piano si asciugavano al sole.
Fabrizio rimase ad osservarla incantato e all’improvviso, quasi come se anche lui se ne fosse appena reso conto, le chiese:
- Angela, perché abbiamo fatto all’amore prima?
Lei alzò le spalle, fingendo superiorità.
- Non lo so – gli rispose -  Come fai a conoscere il perché di certe cose? Perché il sole brilla? Perché ci sono le maree? Perché il giorno segue la notte e perché un uomo e una donna si uniscono nell’amore fisico? Per quanto mi riguarda è successo e basta. Ci è venuto naturale farlo ed è stato bello. Non chiediamoci il perché.
L’uomo non si accontentava di quella spiegazione, voleva interrogarsi e interrogarla, ma ancora una volta Angela non gli diede il tempo. Scattò in piedi e, rivestendosi in fretta, gli annunciò:
- Adesso si va a mangiare. Sto proprio morendo di fame. Tra poco scoprirai il mio cambiamento più eclatante e sono certa che ne rimarrai stupito. Su, vestiti, pigrone, cosa aspetti? Non hai fame tu?
- Sì, anch’io ho fame.
Si avviarono lungo la spiaggia preceduti da Luna che correva festosa e poi si voltava indietro ad aspettarli con la lingua penzoloni. Giunti accanto alla scalinata Fabrizio stava cominciando a risalirla.
- No, non andiamo a casa. – lo fermò Angela - Ti porto in un posto dove si mangia divinamente.
Si avviò lungo un sentiero che conduceva alla costa. Dopo un po’ arrivarono ad una terrazza sul mare dove c’erano i tavoli e le sedie di un ristorante, vuoto data la stagione inoltrata  e il giorno feriale.
Fabrizio si sentì mortificato.
- Mi dispiace, non ho portato il portafoglio, forse dovremmo tornare a casa per mangiare.
- Non ti  preoccupare, qui non si paga.
- E come mai?
- Perché il ristorante è mio.
Allo sguardo stupito dell’uomo, rise divertita.
- Non temere, non cucino io, ne sono solo la proprietaria. La cuoca è  una brava donna rimasta vedova l’anno scorso perché il marito pescatore è morto in mare. Poiché era restata  senza sostentamento con cinque figli da crescere,  ho comprato questo posto e gliel’ho dato in gestione. Non è un cattivo affare però. Rosa è davvero brava in cucina e questa è una località molto affollata d’estate sia per le terme che per i bagni di mare per cui si fanno parecchi soldini. E poi c’è di buono che  vengo pranzare qui gratis ogni qualvolta  mi aggrada.  Vedrai che manicaretti.
- Allora ho capito qual è stato il cambiamento eclatante: sei diventata una donna d’affari.
- No, io continuo ad essere una povera sprovveduta. È  Giuseppe a curare i miei interessi, però  desidera sempre spiegarmi le cose che fa per conto mio perché dice che i soldi sono i miei e devo sapere come li investe. Io mi sono limitata soltanto a ripetere quanto mi dice e cioè che con un po’ di accortezza si può riuscire a rimanere ricchi senza sfruttare la povera gente. Ed è una cosa sulla quale sono assolutamente d’accordo.
- Anch’io, certo. Ho sempre pensato che Giuseppe fosse un uomo onesto. Non lo conosco bene, ma mi ha dato l’impressione di essere anche molto buono.
- Sì, ed anche sua moglie. Se sono riuscita a guarire lo devo a loro due e a Maria, ovviamente. È  più facile riconquistare l’equilibrio se si hanno accanto persone come loro.
Intanto una donna ancora giovane ma precocemente invecchiata, vestita di un abito scuro e di un grembiule candido, li stava raggiungendo.
- Baciolemano, contessa – esclamò – che piaciri! Mi fati l’onore di manciari cca’? Haju priparato ‘na pasta chi sardi  che è ‘na vera sdillizia e la capunata che piaci tanto a voscienza.
- Benissimo, Rosa, avevo già detto a questo mio parente di Napoli che sei un’ottima cuoca e neanche a farlo apposta hai preparato alcuni dei tuoi piatti migliori. Ma adesso, per favore, puoi farci rinfrescare un poco? Stiamo venendo dal mare.
La donna, rivolta ad un ragazzetto di una decina di anni, ordinò immediatamente:
- Peppucciu, accumpagna i signuri!
Più tardi, rinfrancato dall’acqua fresca, Fabrizio ritornò sul terrazzo dove due graziose ragazze stavano apparecchiando con una tovaglia candida, non senza ridacchiare tra di loro e lanciare di sottecchi degli sguardi a un tempo timidi e audaci al prestante giovanotto in maniche di camicia.
Ricomparve Rosa con il pane e il vino da  portare in tavola e fulminò le figlie con uno sguardo.
- Allura, avite conzato ‘sta tavola?- le rimproverò.
Le ragazze si affrettarono a tornare in cucina e la madre si rivolse a Fabrizio.
- Scusasse, nun saccio ‘cchiù che le firria per la testa a ‘sti du’ picciotte e iu vidova sugnu. ‘U Signuruzzo volle pigliarselo a Calogero mio.
- Sì, ho saputo. È  morto per una disgrazia in mare, non è così?
La donna annuì, gli occhi pieni di lacrime.
- Piscatori era e chi va pi mari sa che po’ mòriri. Ma la santarma si scantava di lassari i figghi senza ‘na casa e senza pani. E chistu sarria stato si nun era pi’ o’ cori bonu della Contessa. Vossia parente le è?           
 - Sì - si limitò a rispondere senza specificare il grado di parentela.
- Idda ‘na santa j’e, ‘na vera santa, nun cuntassero farfanterie!
Apparve Angela. Aveva in una mano una scodella con il mangiare per Luna che non le dava tregua e le saltellava intorno abbaiando impaziente e con l’altra reggeva un piatto di frittelle dorate e fumanti.  Una ce l’aveva in bocca, senza riuscire a masticarla.
- Aiutatemi … – farfugliò con la bocca piena tanto che quasi non la si capiva.
Rosa le tolse il piatto così lei poté finalmente prendere la frittella in  mano. Si mise a mangiarla con gusto mentre guardava la  cagna che si era lanciata sul cibo con altrettanta voracità.
- Piano, piano, cos’è tutta questa fretta? – le diceva con la bocca piena.
- Con chi parli, con il cane o con te stessa? - le chiese  allora Fabrizio, divertito. 
     

 
  NdA
Ed eccoci ritornate alla cadenza consueta della domenica. Anche se l’ho già fatto individualmente, consentitemi di ringraziare ancora per la buona accoglienza che avete riservato al capitolo precedente. Nella mia smania di mettere quel qualcosina in più alla solita storiella sentimentale, ho temuto di davvero di aver preteso troppo dalle mie modeste capacità di scrittrice, però quando ho visto che molte di voi hanno usato nel commento la parola “emozione” mi sono rassicurata. Cosa c’è di più bello infatti di essere riuscita a trasmettervi la passione con la quale mi sono immedesimata ed ho descritto la discesa nell’inferno della depressione e dell’anoressia della mia protagonista e la sua risalita? Niente! Perciò ancora un enorme grazie a chi ha voluto farmelo sapere.
Ed eccoci al nuovo capitolo. Spero vi sia piaciuto anche se i motivi di questa improvvisa passione tra Fabrizio e Angela non sono ancora molto chiari. Certo lei sembra saperli, ma lui, già di per sé abbastanza ondivago e insicuro, ne viene fuori con un’ enorme confusione sia per quanto riguarda i propri sentimenti che quelli della sua quasi ex moglie. Comunque l’argomento non si chiude qui.
Un’ultima cosa. Se non avessi letto questa estate quasi tutta la bibliografia del grande Andrea Camilleri, forse la povera Rosa avrebbe parlato in perfetto italiano e, secondo me, sarebbe stata una stonatura. In ogni modo chiedo scusa alle lettrici, soprattutto a quelle siciliane se ce ne sono, se ho commesso qualche errore involontario nelle parti in dialetto, dovuto alla mia ignoranza e non certo alla mancanza d’ amore per la dolcissima lingua e la meravigliosa terra di Sicilia che, non so se si è capito, io adoro.
Allora a domenica prossima? Mi raccomando, intanto fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo.
   

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***




 
Il pranzo preparato da Rosa fu all’altezza di tutte le aspettative.  Angela era diventata una commensale deliziosa: allegra,  divertente, addirittura chiacchierona. Tra l’altro mangiava con gusto e addirittura beveva anche il vinello bianco che lui le versava di continuo nel bicchiere. Fabrizio era piacevolmente colpito da quel modo di fare così informale che non le aveva mai visto prima e non sapeva resistere alla tentazione di prenderla in giro, scherzando su quel cambiamento tanto inatteso senza che lei se ne mostrasse infastidita.
-  Il digiuno del venerdì te lo sei dimenticato, a quanto pare – le disse quando la vide  attaccare un’invitante granita di limone.
La ragazza rise prima di rispondergli.
- Avevi ragione tu. Non credo più che il Padreterno sia molto interessato a quello che mangio soprattutto se gli chiedo qualcosa in cambio – ammise - però – aggiunse facendosi seria – un po’ ti sbagli: certo il Signore non c’entra, ma fare un voto o rinunciare a qualcosa che ci piace  è comunque un atto di volontà che ci fa diventare più forti e sicuri. Forse non ce l’avrei fatta a risalire quella china pericolosa in cui ero precipitata se prima non avessi sviluppato una volontà di ferro e …. una fame arretrata che non ti dico – concluse ricominciando a ridere.
Si mise a gustare il gelato, leccando con voluttà anche il cucchiaino. Era radiosa in quel momento quasi quanto il raggio di sole che la illuminava. Fabrizio restò a guardarla incantato.
Alla fine posò la coppetta vuota sul tavolo e, seria seria, disse:
 - Ecco,  è questo il cambiamento eclatante: sono diventata una gran golosa. Il guaio è che rischio di fare la fine di Dora. Mi hanno riferito che è diventata grassa come una balena …
A sentire menzionare la sua ex amante, lui cambiò espressione per l’imbarazzo. Non sapeva come avrebbe dovuto reagire. Angela però aveva nominato la cugina senza intenzione e continuò, interessata a tutt’altro.
- Cosa ti stava dicendo prima Rosa? Parlavate di me?
- Sì. In pratica mi ha raccontato quello che mi avevi già detto tu.  Parlava in dialetto e non so se ho afferrato tutto quello che diceva, ma mi è parso di capire che lei ti considera una santa nonostante ci si sia chi non è d’accordo su questo.
 - Infatti, c’è qualcuno che dice che la “nipote della marchesa”, che poi sarei io, è mezza pazza.
- Davvero? 
Fabrizio si era mostrato stupito e dispiaciuto, ma lei alzò le spalle con un’aria di divertita rassegnazione.  .
- E che vuoi farci! Purtroppo io sono una persona semplice e do confidenza a tutti.
- E non ti apprezzano per questo?
- Alcuni sì, quelli che sono per natura più buoni e sensibili esagerano addirittura, arrivando quasi a considerarmi una specie di santa, come ti ha detto Rosa. Altri no, invece. Rammenti quelle due cameriere che avevamo a Sant’Agata quando eravamo appena sposati? Ecco, tanti sono così: la gente del popolo non è abituata ad essere trattata con familiarità dai padroni, vuole sentirsi dominata, magari anche essere considerata inferiore e odiarli per questo. Se non lo fai, si disorientano e finisce che o ti mancano di rispetto o ti considerano strano.
- E secondo te perché avviene tutto questo? Perché queste persone devono essere trattate solo con la sferza? È  l’analfabetismo, cara mia, l’ignoranza nella quale sono state volutamente lasciate dalla classe dominante che sulla loro pelle …
Fabrizio, da buon politico, avrebbe cominciato una delle sue solite tirate, ma si avvide che la donna tratteneva uno sbadiglio.
 – Scusami, ti sto annoiando - concluse un po’ piccato.
-  Scusami tu, piuttosto. Purtroppo la mattina mi alzo sempre all’alba e a quest’ora mi viene un sonno tremendo. Tra l’altro oggi non potrò neanche riposarmi perché devo tornare presto a casa per travestirmi da contessa.
- Come?
- Travestirmi, sì. Se fosse per me non indosserei altro che questi abiti qui. Detesto i cappellini e le trine per non parlare dei busti, vero tormento di noi donne. Pensa che, poiché non avevo avuto la fortuna di nascere uomo, pur di non metterlo, mi stavo addirittura facendo monaca!
- L’ho detto io che sei diventata una vera impertinente – commentò divertito da quel paradosso – E perché ti devi “travestire da contessa”?
- Oggi si sposa Agatina, la figlia del sindaco e devo andare al matrimonio. Sono una persona importante in questo paesetto, sai. Sei invitato anche tu.
- No, per favore, risparmiami. Detesto i matrimoni. E poi non saprei neanche come presentarmi: sono un parente e va bene, ma che tipo di parente? Mi sentirei in imbarazzo.
- Non ti devi preoccupare per questo. Le persone che conosco sanno della nostra situazione e alle altre non importa affatto se sei mio cugino, mio zio o il mio quasi ex marito. Comunque non sei obbligato a venire se non vuoi. Mamma mia, che sonno! – sbadigliò di nuovo – Quasi quasi un riposino me lo  faccio.
- Torniamo a casa allora?
- No lo faccio qui.
- E come, con la testa sul tavolo?
- Spiritoso! – gli disse con una graziosa smorfia - Vieni con me, uomo di poca fede.
Lo prese per mano e lo condusse con sé. Passando davanti alla cucina, avvisò Rosa dicendole: “noi stiamo qui fuori”, poi lo portò in un  limoneto dove, sotto gli alberi, c’erano delle sedie a sdraio.
- Ti va di stare un po’ qui?
- Scherzi? Non ho mai visto un posto così rilassante.           
Si sedettero all’ombra. C’era un bel silenzio, il sole che filtrava tra il verde delle foglie e il profumo dei limoni. Fabrizio si voltò verso di lei e cominciò a osservarle il volto. Era assai graziosa mentre cercava di tenere aperti i grandi occhi neri.  Non riuscì a resistere: le carezzò una guancia e si mise a declamare dei versi.
 
Uocchie de suonno, nire appassiunate          
Uocchie belle, uocchie doce, uocchie affatate!”
 
Angela si riscosse un poco e si mise a ridere, contenta.
- Che fai adesso, mi reciti le poesie napoletane?
Lui annuì con un sorriso.
- È Nannina, di Salvatore di Giacomo. Avrei tanti suoi versi da dirti, ce li leggeva sempre nelle serate a casa di Croce. La tua bellezza mi ha fatto ricordare le donne descritte nei suoi sonetti e nelle sue canzoni. Che bel periodo fu quello, come sembrava tutto meraviglioso, tutto possibile! Eravamo giovani, pieni di speranze, sicuri che bastasse il nostro entusiasmo  a cambiare le cose in meglio. Per farlo volevamo usare la letteratura e perché no, anche la poesia. Quale illusione!  Pensa che …
Voltandosi ancora verso di lei, notò che si era addormentata. Le lunghe ciglia le gettavano un’ombra scura sul viso e la bocca era socchiusa nel sonno. Aveva la testa appoggiata su di una mano mentre l’altra era abbandonata sotto il seno che si alzava e si  abbassava al ritmo  regolare del respiro.
Fabrizio sentì una strana emozione. Ma chi era quella donna meravigliosa? Possibile che fosse la sua Angela? No, a quella aveva solo voluto bene, di questa si sarebbe potuto innamorare alla follia.
 
Lo venne a svegliare Rosa con una tazza di caffè. Si guardò intorno un po’ stordito senza capire dove si trovasse, poi si ricordò di Angela e si voltò a cercarla. Solo allora vide Alberto seduto sulla sedia dove era stata lei prima.
- Ben svegliato – gli disse questi con un sorrisino divertito – ce lo siamo fatto il riposino!
- Dov’è Angela?
- È tornata a casa a vestirsi già da un bel pezzo. Mi ha detto di venirti a prendere. Che vuoi fare, vieni anche tu al matrimonio o te ne torni a casa?  Però ti avviso: non ci sarà nessuno a farti compagnia, solo la cameriera che baderà ad Annuccia che però parla un dialetto siciliano strettissimo. Noi saremo tutti alla cerimonia. Comunque alla villa c’è una biblioteca molto fornita e magari potrai distrarti a leggere.
Fabrizio rimase un po’ dubbioso, poi si accorse di aver voglia di stare ancora con Angela. Vinse tutte le sue remore.
- Va bene, vengo.  Però prima dobbiamo passare per casa perché mi devo vestire anch’io. Il guaio è che non ho portato nessun abito elegante.
- Non devi preoccuparti, l’abito che avevi oggi va benissimo. Facciamo presto, la funzione comincia alle cinque e abbiamo pochissimo tempo.
Infatti arrivarono che gli sposi erano già in chiesa. Senza far rumore si andarono a sedere accanto alle donne che li salutarono con un sorriso. Fabrizio incominciò subito ad osservare Angela “vestita da contessa”. Aveva un semplice abito bianco a rosette  turchesi. Le maniche lunghe terminavano con un pizzo che lasciava trasparire la pelle abbronzata delle braccia, mentre l’ampio scollo le lasciava scoperta la gola e l’attaccatura del seno. I capelli erano raccolti in una morbida pettinatura e fermati con un’acconciatura ornata di piccole rose che richiamavano quelle del vestito.  Come gioielli indossava solo una collana e degli orecchini di turchese di  fattura squisita. Si ricordò che quando erano sposati non aveva i lobi forati.
- Ti sei fatta i buchi per portare gli orecchini? – le chiese dando voce ai pensieri.
- Sì, ma la smetti di fissare me per piacere? Guarda l’altare, piuttosto.
- E perché? Lì ci sono solo due che si stanno sposando. Mi interessi più tu che ti sei fatta troppo bella.
- Sei sempre il solito, non è vero? Di’, da quanto tempo non vai più in chiesa?
Lui alzò le spalle.
- Non me lo ricordo. Ma quali speranze ho io che sono un diavolo? Piuttosto tu che sei una santa, o meglio acquasanta come diceva papà, vedi di intercedere per me.
La ragazza stava per rispondergli a tono quando la signora davanti a loro si voltò e li guardò sdegnosa.
- Silenzio!  - reclamò.
Angela le fece un sorrisino ipocrita, ma invece di arrossire mortificata come Fabrizio si sarebbe aspettato, appena l’altra si fu voltata,  le fece una smorfia così comica che lui non riuscì a trattenersi dal ridere. Si  beccò una gomitata nel fianco che lo convinse a starsene buono per tutta la durata dell’interminabile cerimonia.
All’uscita della chiesa, in un tripudio di petali di fiori,  lo presentò agli sposi e ai loro genitori  come suo cugino. Il sindaco si mostrò subito molto ossequioso, forse per rispetto alla nipote della marchesa. D’altronde Fabrizio, abituato a trattare con la gente, cercò di essere cordiale con tutte le persone che gli venivano presentate. Ad un certo punto si avvicinano due giovani, un uomo e una donna,  a cui  fu  presentato non più come “cugino”, ma semplicemente come “Fabrizio”. Dallo sguardo dei due si avvide che dovevano sapere chi fosse in realtà. Loro erano Clara e Vittorio Orsini, i figli del notaio, e mostravano di avere con sua moglie una grande familiarità poiché si davano anche del tu. Se la cosa poteva apparirgli  normale per la ragazza, una brunetta abbastanza graziosa di una ventina d’anni, invece lo stupì per quanto riguardava il giovanotto. Si mise ad osservarlo. Era un bel giovane, anche se non troppo alto e con il naso piuttosto pronunciato. In compenso gli occhi scuri, vivaci e intelligenti, i folti capelli bruni, i sottili baffi ben curati e il fisico snello, messo in risalto dall’abito elegante,  lo rendevano senza dubbio una persona dall’aspetto gradevole. Mentre fingeva di ascoltare Clara, continuò a tendere l’orecchio per udire la conversazione tra lui e Angela.
- Allora non ti siederai al nostro tavolo – le stava dicendo l’uomo, rammaricato.
- No, non potrò.
- E dire che stavo aspettando da tanto questo giorno!
La ragazza lo prese in giro:
- Davvero? Non immaginavo ci tenessi tanto che Agatina e Aldo si sposassero.
 
La temperatura era molto mite e il ricevimento si teneva all’aperto su una splendida terrazza affacciata sul mare, dove erano stati apparecchiati i tavoli per il pranzo nuziale. Presero posto insieme a Maria e ad Alberto con il piccolo Gaetano. Con loro c’erano anche Lucia e Giuseppe. Fabrizio fu lieto di incontrare di nuovo il  Barone e di conoscerne finalmente la moglie. Capì subito quanto fossero affezionati ad Angela e dalle parole della donna ne comprese anche il perché.
- La conosciamo da quando era piccola così – gli spiegò infatti Lucia facendo con la mano il segno dell’altezza di una bimbetta di un paio d’anni - Mia figlia Anna era stata amica di sua madre prima che andasse  a Napoli per sposare il conte Enrico del Cassano. Purtroppo la poverina rimase vedova giovanissima e se ne tornò a casa dal padre.
- Lucia, Fabrizio queste cose le sa già,  perché gliele racconti di nuovo? – la interruppe il marito per paura che diventasse noiosa.
- Certo che le sa, ma non sa che Anna era la dama di compagnia della marchesa Salemi  e quando  Sofia  riprese ad andare a trovare la zia diventarono di nuovo amiche del cuore, talmente amiche che se ne andarono insieme con l’epidemia di colera, povere figlie mie.
- Per favore, non cominciare a piangere. Lasciale andare. Se non fai altro che richiamarle come pretendi che stiano in pace? – le disse Angela con la voce seria.
Fabrizio la guardò,  stupito da quelle strane parole, ma lei gli sorrise allegra e gli fece un cenno di complicità.
- Piuttosto, raccontagli cosa faceva la marchesa quando mi vedeva arrivare –  la invitò, sicura che l’amica avrebbe abboccato perché era uno dei suoi argomenti preferiti.
L’anziana signora infatti si rianimò subito e cominciò a rivelare quanto la presenza di quella piccola peste spaventasse la vecchia zia che costringeva Anna a togliere tutte le cose delicate e a non cessare mai, nemmeno per un attimo, di sorvegliare la bambina. Appena se ne andava, la marchesa tirava un sospiro di sollievo e commentava:
“ Povera nipote mia, chissà chi doveva essere questo Enrico per averle fatto concepire un simile flagello di Dio”
- Addirittura! - proruppe Fabrizio, divertito.
- Invece suo padre, io l’ho conosciuto,  era una persona eccezionale, molto diverso da quella iena del fratello Alfonso – intervenne Giuseppe.
La moglie continuò, ignorando l’interruzione:
- Sì, però Angela era davvero una peste, anche Annuccia lo confermava. Quella povera Sofia non sapeva più come fare per farla stare buona. Se tu non fossi stata così monella, forse tua zia ti avrebbe preso con lei, senza metterti in convento come invece fece tuo nonno  - aggiunse rivolta alla ragazza in tono di affettuoso rimprovero.
- Per carità! La povera zia Ida, pace all’anima sua, da quel po’ che mi ricordo e da quello che ho saputo poi, era una vecchia acida, arcigna, pettegola e pure avara.  A tredici anni al massimo mi sarei suicidata.
- Sì, doveva essere come dici tu, però meno male che alla fine si è ravveduta e ti ha lasciato l’eredità – le fece notare Maria.
- Ed è stata l’unica cosa buona fatta in vita sua, per quello che ne so – rispose la ragazza con una risata.
Verso la fine del pranzo si alzò per andare al tavolo degli sposi a chiacchierare un po’.
- Voi mi dite che era una bambina terribile eppure quando l’ho conosciuta io era tutt’altro che vivace, anzi – commentò Fabrizio che aveva seguito con lo sguardo quella figurina che alla consueta grazia adesso univa una simpatica vitalità.
- Era stata in un collegio di suore per oltre dieci anni, cosa pretendevi – gli disse Alberto.
- D’accordo, ma ormai non ci stava più. Eravamo sposati e non sapete quante volte ho cercato di farla cambiare. Non c’era niente da fare.
Nessuno disse nulla, ma poi  Lucia fece un’osservazione:
- Hai mai provato a  catturare un uccellino, tarpargli le ali e chiuderlo in una gabbia per anni e anni? Se dopo lo rimetti in libertà non sarà più capace di volare e finirà per cadere. Ecco, lei era così. Fuori della gabbia in cui era cresciuta, c’era tutto un mondo che la spaventava.
- Però di me non si è mai fidata – si lasciò scappare lui con un po’ di amarezza. 
- Forse perché le ali non le erano ancora ricresciute – concluse Lucia.
- Ora però le sono ricresciute e anche troppo. Cercate di sorvegliarla un po’ di più, per favore. Ho paura che possa cacciarsi in qualche pasticcio.
Tutti lo fissarono stupiti: ma non era andato lì per chiederle di annullare il loro matrimonio? Perché questa premura assurda per una donna di cui non intendeva essere più il marito? Fabrizio si avvide dell’interrogativo che passava negli occhi dei suoi commensali. Come faceva a spiegare l’affetto enorme che non aveva mai smesso di provare per Angela? Non avrebbe voluto svelare un segreto confidatogli, però davvero era in pensiero per lei, non solo per il suo futuro, ma anche per la sua incolumità fisica. Si mantenne nel vago.
- Il mare – precisò – ne ha troppa confidenza. Potrebbe capitarle qualcosa un giorno o l’altro.
- Sì, hai ragione, anch’ io glielo dico sempre – confessò Alberto.
Anche Maria si mostrò preoccupata. Con un velo di esitazione nella voce, disse:
- In paese girano molte chiacchiere su di lei. I più benevoli commentano solo il fatto che invece di ripararsi dal sole come ogni gentildonna, la contessa va in giro con la pelle scurita dal sole come se fosse l’ultima contadina o la miserabile moglie di un pescatore.
- E lasciali dire! – commentò Lucia – Tanto le malelingue avranno sempre qualcosa da criticare, comunque ci si comporti. Angela sembra una creatura acquatica tanto si trova bene nel mare e non fa niente di male se vuole sentirsi libera di passare le sue giornate come meglio crede. Dopo ciò che ha vissuto, ha bisogno di riacquistare confidenza con il suo corpo e la sua vera indole. Non sarebbe giusto ricominciare a costringerla a reprimersi.
Giuseppe annuì.
- Credo che tu abbia proprio ragione, moglie. Noi che la conosciamo bene sappiamo che anche se all’apparenza sta bene, non è ancora guarita del tutto dalle sue paure e dalle sue insicurezze. Deve prendersi ancora un po’ di tempo, ma alla fine, ne sono certo, lei stessa avrà voglia di dare finalmente una senso diverso alla propria vita. L’unica cosa che possiamo fare per adesso è starle vicino e farle sapere che le vogliamo bene. Anche tu, Fabrizio, se me lo consenti. Una volta ci ha detto che anche se il vostro matrimonio si poteva annullare non sarebbe stato giusto dimenticare la stima e la tenerezza che avevate provato l’uno per l’altra. Angela a te ci tiene per cui, se ancora hai dell’affetto per lei come mi sembra di capire dalle tue parole,  continua a dimostrale la tua amicizia. Anche se non sarete più sposati nessuno vi impedisce di continuare a volervi bene.
Nel frattempo i camerieri avevano portato un’enorme torta nuziale e gli sposi si apprestavano a tagliarla. Si alzarono tutti per avvicinarsi a loro. Fabrizio non si mosse e rimase al tavolo da solo, immerso nei propri pensieri. Le parole rivoltegli da Giuseppe erano pressappoco il discorso che si era preparato  nei giorni precedenti, ripetendoselo in continuazione. Ma si era aspettato di doverlo fare alla Angela che conosceva e non alla donna il cui visino sorridente continuava a cercare in mezzo a tanti volti sconosciuti. Non era amicizia, stima o affetto quello che sentiva per lei in quel momento, era qualcosa di travolgente e inaspettato, un sentimento intenso che non aveva mai provato per nessuna in vita sua.  Si sentiva confuso e lo divenne ancora di più quando cominciarono le danze e la vide ballare con Vittorio Orsini.           
Intanto Maria era tornata e gli stava porgendo un piattino con il dolce.
- Grazie, non mi va – le disse con un tono molto mesto senza riuscire a staccare gli occhi da Angela.
Stava ballando una polka. Aveva imparato bene a ballare ed era davvero molto graziosa. L’abito a fiorellini le metteva in risalto la vita stretta e i fianchi rotondi. Le caviglie sottili sbucavano appena dal vestito  che ondeggiava nella danza.
Non si trattenne e chiese con un tono quasi di accusa alla donna seduta in silenzio accanto a lui:
 - Perché non mi hai avvisato che era così cambiata?          
Lei sorrise tra sé: lo aveva notato che Angela si era fatta bella e desiderabile! Era proprio quanto aveva voluto che accadesse. Ma non poteva dirglielo per cui provò a dissimulare quella che era stata la sua vera intenzione.
- Cambiata?  Sì, forse hai ragione, ma io l’ho avuta sotto gli occhi in tutto questo tempo e non me ne sono resa conto. E poi non si cambia da un momento all’altro, non senza portarsi dentro cosa si era il momento prima. Certo, per te che non la vedevi da oltre due anni deve essere stata una bella sorpresa ritrovarla così, me ne rendo conto.
- Non mi hai detto nemmeno  quanto si era fatta  bella. Neanche di questo ti eri accorta? 
Fabrizio aveva intuito un certo rimprovero nelle parole di Maria e non voleva cedere, anche se sapeva di esserselo meritato.
- Per me Angela è stata sempre bella, anche quando era in un letto al sanatorio o se ne  stava mezza morta chiusa nella sua stanza. Come facevo a conoscere il tuo concetto di bellezza? Poteva darsi che tu continuassi a trovarla brutta anche adesso. In fondo sei stato tu ad amare  altre donne e a lasciarla. O mi sbaglio?
A quanto pareva aveva imparato ad esprimersi con chiarezza e gli stava rinfacciando il suo comportamento con parole semplici e dirette. Lui invece non ne  trovava per giustificarsi. Continuava a guardare la coppia che adesso volteggiava in un walzer. Un dubbio lo assillava.
- C’è qualcosa tra loro due? – le chiese all’improvviso.
- Ti sembrerà strano, ma Angela non riesce mai ad aprirsi con nessuno, nemmeno con me, anche se oramai siamo davvero come due sorelle. E Giuseppe prima aveva ragione. Noi che le stiamo accanto, lo abbiamo notato quanto il suo umore sia sempre mutevole. Certi giorni, come oggi, sembra allegra e serena, ma ce ne sono altri in cui è malinconica e inquieta. È molto cambiata, è vero, ma non credo sia riuscita ancora a trovare un vero equilibrio.
Aveva parlato con molta serietà, facendo trasparire la preoccupazione e l’affetto provato per colei che una volta era stata la sua padrona. Ma forse, proprio per questo, non rinunciò a lanciare un’altra piccola stoccata all’uomo che aveva così deluso la sua adorata amica.
- Comunque – aggiunse con tutto un altro tono – che il giovane notaio Orsini ne sia innamorato mi sembra più che evidente. Fino ad oggi però, sapendo che era già sposata, non credo si sia mai fatto avanti; forse ora che grazie a te lei sta per diventare di nuovo libera, non mi meraviglierei se le chiedesse di sposarlo. E perché no? Sono giovani, belli e ricchi tutt’e due, perché non potrebbero provare ad essere felici insieme? Probabilmente l’unica cosa di cui ha bisogno Angela è proprio un uomo che possa amarla con sincerità.
Fabrizio si sentì chiudere la gola da un malessere che non aveva nessuna giustificazione. Era stato lui a proporre l’annullamento e lo aveva fatto anche per lasciare libera Angela.  Ora doveva prendere in considerazione l’ipotesi che avrebbe potuto risposarsi e rifarsi una vita in cui non ci sarebbe stato più posto per il suo ex marito. Ma allora perché quella mattina avevano fatto l’amore? Forse era come diceva lei, forse davvero non c’era stato un perché. Aveva avuto un perché lui stesso o non si era piuttosto lasciato trascinare solo dall’istinto che l’aveva portato a cercare quella creatura così diversa e affascinante senza nemmeno pensare che era la stessa donna dalla quale voleva separarsi?
Intanto i ballerini stavano tornando ai tavoli e anche Vittorio accompagnò la sua dama. Con il viso reso ancora più grazioso dal rossore che la fatica della danza vi aveva soffuso, Angela cercava con una mano sulla nuca di far tornare al loro posto i capelli bruni scappati dalle forcine, mentre con l’altra si sventolava.
- Cinque minuti – stava dicendo al giovane – devo sedermi almeno per cinque minuti. Fammi riprendere fiato.
Fabrizio non le parlò quando gli si  sedette di fronte. Il suo fastidio di poco prima si era trasformato in cattivo umore perché era andato a quel matrimonio solo per stare ancora con lei e invece si sentiva trascurato per colpa di quell’antipatico. Finalmente Vittorio si decise a lasciare in pace la ragazza e a ritornare al proprio tavolo, seguito poco dopo da Maria.
- Che hai? – gli chiese Angela quando furono da soli – Ti vedo strano.
- Mi annoio, lo sai, i matrimoni non mi piacciono per niente.
- Sì, è vero, di solito è così, ma non  i matrimoni come questo, all’aperto, con tanta musica e tanta allegria. Così a me piacciono molto invece.
Fabrizio le rivolse uno sguardo gelido.
- Bene – le disse - vuol dire che quando ti sposerai di nuovo il ricevimento di nozze lo farai in questo modo.
Mentre pronunciava quelle parole si rese conto di essere irragionevole. Aveva lasciato trasparire la propria irritazione quasi come se la causa di quanto  stava accadendo fosse stata Angela e non lui stesso. Rimase zitto, aspettandosi una sua reazione, come sarebbe stato giusto ora che lei aveva perso quella mansuetudine che le era stata così congeniale per il passato e che aveva consentito a tutti, a lui per primo, di colmarla di ingiustizie. Invece la donna non  pronunciò una sola parola. Rimase a fissarlo con i grandi occhi scuri al di sopra della coppa di spumante che sorseggiava a piccoli sorsi. Era uno sguardo così  intenso e pensieroso che finì per metterlo a disagio tanto che fu costretto a distogliere il suo per fingere di guardare attraverso  le spirali di fumo del sigaro la terrazza affollata.
Erano cominciate le solite esibizioni di canto delle signorine e così finse di interessarsi ad una giovane che cantava, o meglio massacrava, una canzone napoletana in voga quell’anno: “Core ‘ngrato”. 
Dopo poco ricomparve Vittorio. Afferrò Angela per una mano e la costrinse ad alzarsi. A bassa voce, per non disturbare l’esibizione in corso, alla quale peraltro nessuno, tranne Fabrizio, sembrava prestare molta attenzione, le disse:
- Me l’avevi promesso, non puoi tirarti indietro. E poi eravamo già d’accordo.
- Va bene, vengo. Però non quella, ne voglio cantare un’altra.
Si allontanarono di nuovo insieme, confabulando tra di loro. Quando la precedente “artista” ebbe finito di gorgheggiare il gran finale della sua canzone, si avvicinarono all’orchestra per parlare con il violinista.
Fabrizio non credeva ai propri occhi.  Non avrebbe mai immaginato che Angela sapesse cantare e invece, dopo un breve preludio di violino, accompagnata al piano da Vittorio, si levò la voce di lei, limpida, melodiosa, dolcissima.
Aveva intonato la famosa “Plaisir d’amour”  di Hector Berlioz. La cantava con tanta maestria che la sala ne fu incantata e contrariamente a quanto era avvenuto prima, si fece intorno quasi un religioso silenzio. Angela cantava in francese, una lingua che parlava benissimo, ma che molti tra i presenti non conoscevano. Nonostante ciò, tutti continuavano a seguire rapiti quell’interpretazione perfetta.
Fabrizio però conosceva il francese e sapeva le parole dell’aria.
 
“Gioia d’amore dura solo un momento,
Pena d’amore dura tutta la vita
 
Io ho lasciato tutto per l’ingrata Silvie
Lei mi lascia e prende un altro amante”
 
Si sentì pervadere da una tale emozione che fu costretto ad alzarsi da tavola. Si allontanò, avvicinandosi al parapetto dalle terrazza per andare a guardare il panorama. Nella notte stellata il profumo intenso delle zagare quasi arrivava a stordire, mentre il mare e in lontananza l’Etna con il suo cappuccio di fuoco offrivano uno spettacolo incantevole a cui si univa la splendida voce di Angela che si dispiegava nell’aria silenziosa, continuando il suo canto.
 
“Finché quest’acqua scorrerà dolcemente
Verso il ruscello  che costeggia i prati
Io t’amerò, mi ripeteva Silvie
L’acqua scorre ancora; lei però è cambiata
 
Gioia d’amore dura solo un  momento
Pena d’amore dura tutta la vita”
 
Si sentì accapponare la pelle. C’era tanta malinconia in quella voce, malinconia e rimpianto per le cose belle oramai perdute per sempre com’era stato il loro amore, tanto dolce quanto effimero. Forse lei stava cercando solo di ricordargli che aveva fatto di tutto per difendere quel tenero sentimento, compreso il perdonargli anche le colpe più gravi. Ora che lui o il mondo o il destino o chissà cos’altro glielo avevano strappato, ne prendeva atto con amara consapevolezza, senza cercare di illudersi che potesse ritornare una cosa oramai finita.
Quando le note della canzone si spensero nel silenzio della notte, prima che cominciassero i meritatissimi applausi, Fabrizio si rese conto di avere gli occhi colmi di lacrime. Non si avvide nemmeno di Maria che l’aveva raggiunto e si era affacciata al parapetto accanto a lui.
La donna, che a malapena aveva imparato a parlare l’italiano, non conosceva di certo il francese, ma aveva intuito quanto le parole della canzone appena cantata dalla sua amica volessero dire qualcosa e che il loro significato fosse ben chiaro all’uomo assorto a fissare il panorama con gli occhi lucidi. Prima aveva voluto di proposito punirlo per la sua condotta nei riguardi di Angela, ma ora, a vederlo così distrutto, non ebbe più il cuore di infierire.
-  È bellissima la vista da qui, non è vero? – gli chiese per attaccare discorso.
- Sì, è davvero molto bella.
- Pensa, domani a quest’ora sarai di nuovo a Firenze e il mare e il vulcano saranno solo un ricordo.
- Già, ma stasera è la mia vita di sempre a sembrarmi remota e lontana, come se non fossi io a viverla. Eppure anche qui mi sento fuori posto. Sono confuso, Maria, assai confuso.
La donna gli mise una mano sul braccio per consolarlo.
- Sai,  - ammise - forse avevi ragione prima, forse avrei dovuto avvisarti che lei era così cambiata. Però come facevo a sapere che ti avrebbe fatto questo effetto?
- E quale effetto mi ha fatto secondo te oltre a confondermi tanto?
- Vuoi saperlo da me? E come posso dirtelo io  se non lo sai neanche tu?
Sentirono la voce di Alberto. Era alle loro spalle e teneva in braccio il piccolo Gaetano addormentato.
- Maria, ce ne dobbiamo andare ora. Questo qui è crollato su una sedia e anche Giuseppe è stanco e  vuole ritirarsi.
- Sì, andiamo subito. Vado a chiamare Angela.
- No, lei non vuole ancora tornare, ha detto che la riaccompagneranno Clara e Vittorio con la loro auto. Fabrizio, per favore, aspettala tu, così tornate insieme.
- D’accordo – confermò l’altro.
- Non ti senti bene?
- No, sto benissimo.
- Meno male perché domani dobbiamo partire un po’ prima rispetto all’orario che avevamo concordato perché dobbiamo andare con il calesse: la macchina serve a Giuseppe che deve recarsi a Giarre per affari.
- Non ti preoccupare,  mi sveglierò presto.
Salutati gli amici e visto che oramai il tavolo era vuoto, non gli rimase che avvicinarsi ad Angela. Stava parlando ancora con gli Orsini di un viaggio a Parigi da fare tutti insieme. Non gli rivolse nemmeno la parola e continuò a farlo per tutto il resto della serata.



 
NdA
Visto? Angela sa anche cantare come un usignolo!  ( A proposito, se volete “sentirla” cliccate il link
https://www.youtube.com/watch?v=N77jIRg15U0 by ludovico 2810.
 Scherzi a parte, l’interpretazione di Nana Miskouri di Plaisir d’amour  ha contribuito non poco ad ispirarmi questo capitolo!).
Tornando ad Angela, sono sicura che chi ha amato questo personaggio sarà contenta del suo cambiamento in meglio anche se sotto sotto forse pensa che stia cominciando a diventare un po’ troppo Mary Sue. Niente paura perché, come hanno detto i suoi amici più cari, Angela è la solita ragazza fragile e un po’ nevrotica di sempre, anzi, a quanto sembra, pare che sia affetta addirittura da un serio disturbo bipolare. D’altronde è comprensibile. Come ha osservato la saggia Maria  “nessuno cambia senza portarsi dentro cosa si era il momento prima” e la  mia protagonista si porta dentro un fardello non indifferente fatto da un’infanzia triste, un’adolescenza  infelice e il primo,  grande amore, quello per Fabrizio, ricambiato solo con il tradimento e l’indifferenza. Ce n’è abbastanza per farla essere quella che è, per cui cercate di essere sempre un po’ indulgenti con lei, soprattutto quando smetterete di vederla attraverso gli occhi di Fabrizio che era andato in Sicilia con l’intenzione di lasciare la moglie, ma si è trovato davanti una donna sconosciuta e intrigante che non sa più inquadrare.
Purtroppo per gli sviluppi dovrete aspettare domenica prossima, intanto spero che a leggere questo capitolo siate sempre numerose e che vogliate lasciarmi tutte qualche gradito commento.
Buona settimana.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***



Benché si sentisse assai stanco, Fabrizio non aveva sonno. Prima di mettersi a letto provò a prendere una boccata d’aria fresca sul terrazzo. La notte era calma e stellata. Lo spettacolo del firmamento e il profumo delle piante la rendevano incantevole. Notò che nella stanza di Angela c’era ancora la luce accesa. Ripensando alla freddezza con la quale lo aveva salutato dicendogli solo “buonanotte”, stava ancora più male. Lei sapeva benissimo che l’indomani sarebbe dovuto ripartire e allora perché lasciarlo così, senza una parola su quanto era accaduto tra di loro la mattina?  Sicuramente ne  avrebbero dovuto parlare, non potevano far finta che non fosse successo. Avrebbero potuto farlo lì, poco prima,  mentre erano da soli  accanto al quadro della marchesa Maddalena che sembrava fissarli interessata. Invece se n’era andata e lui, come uno stupido, non era stato capace di fermarla.
La vide uscire sul terrazzo e fermarsi a contemplare il cielo pieno di stelle lucenti. Indossava già la camicia da notte, non più una delle solite camicione accollatissime, ma una tunica di raso che metteva in risalto le curve morbide del suo corpo. Non lo aveva veduto perché era al buio e così potette guardarla muoversi con naturalezza. Stava sorseggiando una bibita, appoggiata al parapetto, il viso sollevato ad osservare la maestosità della notte e del mare. Davvero si era fatta bella, terribilmente bella. Capì di desiderarla ancora.
Angela si dovette sentire osservata perché si voltò dalla sua parte e lo vide. Per un momento ebbe paura che se ne ritornasse nella sua stanza, invece gli si avvicinò,  venendogli incontro lentamente. Volgeva le spalle alla luce e la stoffa sottile della camicia lasciava trasparire la sua nudità che lo infiammò ancora di più. Quando gli fu accanto, Fabrizio stava addirittura tremando.
Lei si accorse del suo turbamento e  gli chiese premurosa:
-  Che hai?
- Niente, sto bene. Forse mi è rimasto un po’ il pranzo di nozze sullo stomaco.
Provò a sorriderle, cercando di  controllarsi.
Anche Angela gli sorrise e con un gesto grazioso gli porse il bicchiere.
- Tieni, è limonata calda. Un vero toccasana per la digestione.
Lui ne prese qualche sorso poi le restituì il bicchiere.
- Che c’è, anche tu non puoi dormire? – le chiese con un sorriso.
- No, ho bevuto troppo e non ci sono abituata. All’inizio mi viene un sonno terribile poi però mi passa del tutto e sono dolori.  Non te ne sei accorto che a un certo punto ero proprio brilla?
- No, non mostravi di esserlo. Sarebbe stato strano e l’avrei notato, così come ho notato invece che ti sei messa a cantare. E devo dire che aveva ragione Francesco Sella quando ti invitò a farlo dicendosi  sicuro che avevi una bella voce. Davvero sai cantare benissimo, complimenti.
La donna rise, gettando indietro la testa.
- Che buffo, nominiamo quel signore per la seconda volta oggi, chissà come gli fischiano le orecchie! Però non aveva ragione, avevi ragione tu e facesti bene a prendere le mie difese. In convento noi educande studiavamo canto per lunghi anni e Suor Paolina, la mia maestra, diceva che io ero la più brava di tutte. Però davvero non conoscevo nessuna canzone. Sai che figura avrei fatto a intonare qualche salmo o il Kyrie Eleison in un salotto!
- Già, a quell’epoca non conoscevi le canzoni, né l’amore né le sue pene e le sue gioie. Eri ancora nell’età felice dell’innocenza – le disse con rammarico – Mi dispiace.
- E di cosa ti dispiace? Che l’età dell’innocenza, come la chiami tu, sia finita per me?
Fabrizio annuì.
- Non devi dispiacerti: tutte le cose sono destinate a  trasformarsi  o a finire. L’infanzia è quella che lo fa più di ogni altra. Eppure ti sentiresti di augurare a un bambino di morire per evitargli di dover affrontare l’età adulta? No, non lo faresti. Sai che la vita va comunque vissuta  con tutte le sue gioie, ma anche con  le sue pene. Non è così?
Il giovane non rispose. Angela, posò il bicchiere vuoto sul davanzale, si voltò verso di lui e gli sorrise.
- Allora se non lo sai te lo dico io. Di me ti puoi fidare, l’ho saputo direttamente da un moscone!
I suoi occhi brillavano come due stelle e la bocca sorridente lasciava intravedere una fila di denti candidi come perle. Il visino paffuto, ad un palmo dal suo, era talmente grazioso che Fabrizio non riuscì a trattenere il proprio impulso: l’afferrò per le spalle, la trasse a sé e la baciò sulla bocca. Angela non oppose alcuna resistenza, anzi ricambiò il bacio stringendolo nel suo abbraccio. La bocca morbida sapeva di limone e il corpo sensuale aderiva al suo, fremente di desiderio. La sollevò tra le braccia e senza smettere di baciarla la portò nella propria stanza, posandola sul letto profumato di spigo. Con delicatezza le sfilò la camicia. Lei alzò il bacino e le braccia per assecondarlo, poi lo aiutò a sua volta a liberarsi del pigiama e cominciarono a fare l’amore.
Non fu come la mattina, quando il loro rapporto era stato breve e ardente. Ora si amarono senza fretta, con dolcezza, con sensualità. Per la prima volta Fabrizio aveva la consapevolezza che la bella donna tra le sue braccia  che gli infiammava i sensi era la medesima che quel giorno stesso aveva sentito così vicino nell’anima e nel cuore. E la stessa Angela, forse grazie al nuovo rapporto che finalmente aveva acquisito con il proprio corpo,   si abbandonava al sesso e alle sue fantasie con giocosità,  senza più i sensi di colpa ed i pudori che così tanto l’avevano bloccata in passato.
Era notte inoltrata quando ricaddero spossati l’uno accanto all’altra, ma, nonostante la stanchezza, lui non riusciva a dormire. Sdraiato sulla schiena, viveva ancora il piacere immenso che aveva appena provato e non gli sembrava vero. Questa volta si rendeva ben conto che non si era trattato solo di un sogno, ma della realtà. Era accaduto due volte quel giorno, si erano amati e adesso non si poteva più fingere che non ci fosse una ragione. Però questa ragione, qualsiasi essa fosse, comportava delle conseguenze che sarebbe stato costretto a fronteggiare. Avrebbe preferito non doverlo fare perché non aveva voglia di affrontare di nuovo la vita di ogni giorno, l’impegno politico, la lontananza di Angela e persino la presenza di Elena. C’erano tante cose spiacevoli che gli si affacciarono alla mente e lo preoccuparono, rovinandogli quel momento perfetto. Si volse a  guardare la donna accanto a lui di cui avvertiva solo il respiro leggero.
Si era voltata sulla pancia e il lenzuolo a mala pena le copriva il fondoschiena. Aveva un braccio ripiegato sul cuscino e teneva il viso poggiato sul dorso della mano. Pareva dormisse, ma anche con la poca luce che arrivava dal balcone, si rese conto che aveva gli occhi aperti e pensierosi. Provò la voglia di abbracciarla ancora e lei gli si accoccolò contro, volgendogli le spalle e socchiudendo di nuovo gli occhi al piacere provocatole dai bacetti che Fabrizio le posava sul collo e sulle spalle nude.
- Devo farti una confessione – gli disse a un tratto.   
Si sentì tremare a quelle parole. E se adesso gli avesse detto di essere stata di un altro, magari di quel Vittorio? Sapeva di essere irragionevole, ma non avrebbe potuto sopportarlo. Come gli aveva detto quella sera Maria, nessuno cambia senza portarsi dentro ciò che si è stati fino a un momento prima e lui, anche se aveva avuto la sensazione di trovarsi dinnanzi a una donna sconosciuta, aveva la consapevolezza che sempre di  Angela si trattava, la sua piccola Angela che non sarebbe mai stato disposto a dividere con nessuno.
Per fortuna la paura durò poco perché la ragazza, stretta tra le sue braccia, ad occhi chiusi quasi come se si vergognasse di guardarlo in volto, gli sussurrò:
- Ti ho detto una bugia. Ho sempre saputo perché abbiamo fatto l’amore oggi. È stato anche per  questo che ti ho fatto venire qui, perché avevo bisogno di rivederti, almeno una volta ancora. Non ero pronta a lasciarti andare, per questo, quando stamattina siamo stati così bene insieme, mi è sembrato di rivivere uno dei miei sogni più belli. Scusami, ma ti desideravo tanto.
L’uomo rise,  contento di essersi tolto un peso, e le posò un bacio sulla tempia.
- Non ho niente da scusarti. È naturale che tu abbia cercato di tenerti il marito.
La sentì irrigidirsi tra sue le braccia.
- No, non hai capito, non è questo: io avevo bisogno di te. Dopo tante sofferenze solo ritrovarti avrebbe potuto farmi sentire di nuovo viva e finalmente guarita da tutte le mie assurde paure. Anche l’amore fisico. Ogni volta che ci pensavo, ed è capitato molto spesso da quando sono stata meglio, pensavo a te …
Aveva parlato pianissimo, molto vergognosa di fare una confessione così audace. Lui, per sdrammatizzare, la prese ancora in giro:
- In fondo un po’ l’avevo capito: è da stamattina che mi stai mettendo sotto il naso quanto sei cambiata in meglio e come ti sei fatta bella. Se intendevi sedurmi ci sei riuscita benissimo. Come avrei potuto non caderci? Però non abbiamo fatto nulla di male, tutto sommato siamo ancora marito e moglie ed è abbastanza logico da parte tua ribadire il concetto che ti appartengo perché sei stata la prima “a piantare la bandierina”.  Purtroppo ora toccherà a me sbrogliarmela con Elena…
Angela  si sottrasse ai suoi baci e lo scostò con entrambe le braccia, sul viso un’espressione di disappunto.
- Perché fai così? Sei preoccupata forse? Sapessi come lo sono io che dovrò affrontare quella furia!
Aveva continuato ad usare un tono scherzoso e certo non si sarebbe aspettato lo sguardo adirato che lei gli lanciò. Quando gli parlò, rimase molto stupito dal tono astioso delle sue parole.
- Davvero? E come farai a risolvere il problema con lei? Che le dirai? Che ti ho teso una trappola perché non volevo perdere il marito? Che deve rassegnarsi a dividerti con me perché in fondo a te importa assai poco chi farà la moglie e chi l’amante visto che ci vuoi tutt’e due?
- Non intendevo dire questo.
- Ah no? E cosa volevi dire? Che forse cambierai idea nei miei riguardi solo perché sono stata con te?
- Angela, non è vero.
- Non è vero? E con quali intenzioni sei venuto stamani? Sei venuto forse per vedere come stavo, come mi sentivo dopo tutti questi anni durante i quali non ti sei mai curato di me?
- Non puoi accusarmi di questo, sei stata tu a non rispondere mai alle mie lettere.
- E cosa ti dovevo rispondere?  Quelle non erano lettere, caro mio, era il tuo diario, il tuo sfogo personale che solo per pura combinazione continuavi a indirizzare a me. Ma le rileggevi mai prima di spedirmele? Non chiedevi di me, di ciò che stavo attraversando, se avevo bisogno di te e che effetto mi faceva la tua lontananza. Eppure lo sapevi quanto ti amavo. Ma io ero solo  la moglie noiosa e asfissiante, quella a cui bastava riservare solo un poco di attenzione, giusto per farla contenta. La povera stupida, magra, brutta e senza capelli che ti faceva addirittura un po’ schifo e che non hai esitato nemmeno per un attimo a pensare di poter buttare via visto che non ti serviva più.
- Non è vero, io ti ho sempre voluto bene. Non è colpa mia se prima non eri  così. Che posso farci se solo oggi sono rimasto incantato da te?
- Davvero? Sono bastati un seno prosperoso e i capelli folti ad incantarti?
- No, anche le cose che mi hai detto.
- E se ti avessi mentito? Se tutto quello che ti ho raccontato  fosse pura invenzione? Cosa ne sai tu di me, di ciò che sono, di come sono diventata, di quello che voglio, di quello che spero. Non t’importa niente di me, non più di quanto ti fosse importato quando mi hai sposata. Probabilmente però, solo perché ti ho lasciato  prendere piacere di me e ti ho dimostrato di non essere più noiosa e bigotta, hai deciso che sì, un’altra possibilità me la potevi anche concedere, non è così? Come ti sei sentito magnanimo per questo!
Anche se all’apparenza tutte quelle accuse erano poggiate su una base di verità, Fabrizio sentiva che ciò che gli era accaduto quel giorno lo aveva profondamente cambiato. Perché Angela non voleva crederlo? Era assai dispiaciuto.
- Non merito nessuna scusa,  lo so, ma perché non ti sei mostrata dal primo momento tanto adirata nei miei confronti? Perché sei venuta persino con me per ben due volte se avevi tanto veleno dentro e mi reputi solo un infame? Perché ti sei comportata così? – obiettò.
Angela aveva indossato di nuovo la camicia e se ne stava uscendo dal balcone.
- Sarebbe stato logico se l’avessi fatto per tenermi il marito, vero? Però io non lo voglio un marito, Fabrizio, io voglio un uomo che mi ami davvero e quello non sei di certo tu. Ho creduto di poter provare certe cose solo con te, ma devo essermi sbagliata. Dovrò cercare altrove.
- Tu devi essere impazzita! – le gridò l’uomo, amareggiato.
- No, sarei pazza a rimettere di nuovo la mia vita nelle tue mani, dandoti la possibilità di distruggermela ancora una volta con la tua volubilità e i tuoi tradimenti. Sono stata una stupida a illudermi che tu potessi essere cambiato. Sei sempre il solito: egocentrico e superficiale.
Se ne uscì dal balcone aperto e tornò nella sua stanza, lasciandolo in uno stato di agitazione senza eguali. Dopo un po’ decise di raggiungerla, anche se oramai era quasi l’alba, perché non poteva rimanere così, doveva chiarire la situazione incresciosa.     
Provò ad entrare nella stanza di lei, ma la porta era chiusa a chiave e la persiana fermata dall’interno. Dovette rinunciare e ritornarsene a letto. Però si  ripromise di affrontare di nuovo il discorso il giorno successivo. Gli dispiaceva che ce l’avesse tanto con lui e doveva dimostrarle che si era sbagliata a dipingerlo in modo così negativo. Forse ci sarebbe riuscito. Sì, se provava ancora soltanto un po’ dell’antico amore per lui, forse ci sarebbe riuscito. Strinse il cuscino ancora profumato della splendida donna amata poco prima e mentre cercava invano di prendere sonno, cominciò a chiedersi come fosse stato possibile passare da una gioia così forte ad una pena così acuta in così breve tempo.
 
Entrando in cucina la mattina dopo, per  prima cosa chiese di lei. Notò Maria ed Alberto  scambiarsi uno sguardo perplesso.
- È andata a Giarre con Giuseppe e starà via qualche giorno. – lo informò l’amico – Non te l’aveva detto?
Per tutta risposa Fabrizio tirò un pugno sul tavolo, con  rabbia. Maria lo fraintese. In fondo, poverina, non poteva sapere cosa era accaduto tra loro due il giorno precedente.
- Mi ha detto che ha lasciato una busta per te nello studio – provò a tranquillizzarlo.
A sentire quelle parole, l’uomo si affrettò a raggiungere la stanza, sperando che almeno gli avesse lasciato un biglietto. Infatti sulla scrivania, poco distante dalla foto di Paul, c’era una busta bianca sulla quale, con la sua bella calligrafia chiara e rotonda, Angela aveva scritto “Per Fabrizio”. La busta era aperta. Febbrilmente ne trasse il foglio che conteneva, ma non era né una lettera né un biglietto, era la dichiarazione firmata nella quale diceva di non opporsi alla richiesta di annullamento. Scoraggiato, si lasciò cadere sulla sedia davanti alla scrivania e solo allora notò dove la ragazza aveva poggiato la busta. Era un cofanetto di legno intarsiato. Lo prese in mano e lo aprì: una ballerinetta di carta incominciò a volteggiare sulle note del carillon che suonava “Torna a Surriento”. Sul velluto rosso della fodera, spiccava un piccolo cammeo d’oro. Riconobbe entrambi gli oggetti e capì quello che Angela aveva inteso dirgli facendoglieli trovare lì, insieme alla richiesta di annullamento: era tutto ciò che aveva saputo darle e tutto quanto rimaneva della loro unione. Che piccola cosa! Con il cuore stretto dall’angoscia, mise in tasca il documento e si preparò a ripartire.
 
Se il periodo precedente era stato per Fabrizio pieno di preoccupazioni e di dubbi, quello che iniziò al suo ritorno a Firenze fu ancora peggiore. Si sentiva sempre molto confuso, ma all’incertezza si era oramai sostituita una collera incontrollabile. La provò subito nei confronti di Elena che incontrò il pomeriggio stesso. Gli diede fastidio il modo in cui lei tagliò corto quando provò a raccontarle del suo incontro con Angela per informarsi solo se fosse in possesso del documento firmato. Quando glielo mostrò, se ne impadronì  dicendogli solo, tutta soddisfatta: “ non preoccuparti, adesso me ne occupo io” e se ne scappò via come se non ci fosse nulla di più urgente. La lasciò fare e non le disse niente. D’altronde aveva ancora bisogno di elaborare quanto era accaduto in quei giorni.
Da quel momento però iniziò ad avere con lei quel comportamento inconsapevolmente crudele che assume chi in una coppia si è affrancato dall’amore e non fa più nulla per trattenere una persona accanto a sé. Elena non era una stupida e doveva essersi resa  conto che qualcosa era cambiato dopo il suo viaggio in Sicilia però non fu altrettanto intelligente dal chiedergli con calma le ragioni della sua freddezza. Se l’avesse fatto, Fabrizio le avrebbe detto la verità invece lei lo attaccava di continuo con le sue  recriminazioni ottenendo solo il risultato di infastidirlo ancora di più e di suscitare un litigio ogni volta che si incontravano.   
Tutto quel nervosismo lo danneggiava anche nei rapporti con i compagni di partito con i quali era in continua polemica. Non ne sopportava l’immobilismo, la perenne indecisione che non li faceva andare né da un lato né dall’altro, il loro perdersi in mille chiacchiere. Ne aveva fin sopra i capelli anche della politica e se non avesse creduto davvero in certe idee, avrebbe finito per mollare tutto. Invece rimaneva e gli amici lo giustificavano attribuendo il suo stato d’animo alle difficoltà economiche. Tutti sapevano infatti che per tirare avanti si era dovuto adattare a scrivere raccontini sentimentali che un suo amico gli  pubblicava su una rivista della domenica. Sapevano anche quanto si sentisse umiliato da questa attività, lui che aveva sperato di diventare qualcuno in campo letterario. Ma bisognava pur mangiare e il recente viaggio poi, con le spese affrontate, aveva dato il colpo di grazia alle sue già magre finanze.
Quando ci ripensava, si dava dello stupido per essersi lasciato convincere ad andare in Sicilia: si era solo stancato, aveva speso molto, aveva cominciato a detestare Elena e, soprattutto, aveva incontrato quella donna così strana che della sua piccola Angela non aveva più nulla.
Ed era soprattutto nei confronti di quest’ultima che la collera si faceva sentire con maggior intensità. Perché si era comportata in quel modo? Cosa le aveva fatto di tanto grave durante quel giorno così bello trascorso insieme, un giorno che, nonostante tutto,  non riusciva a cancellare dalla memoria? Avrebbe potuto capirla se si fosse lasciata andare a delle lamentele, forse avrebbe anche accettato con umiltà i suoi insulti, ma così no, proprio non arrivava a comprenderla. Era stata di una dolcezza infinita, gli aveva rivelato i pensieri più intimi, aveva dimostrato di averlo conosciuto e compreso come nessuno mai, gli aveva donato il suo corpo con un abbandono che neanche quando diceva di essere innamorata aveva mai avuto e poi? Senza alcuna ragione, lo aveva allontanato in malo modo facendogli capire che il loro matrimonio doveva finire perché lei stessa voleva così. Forse però una ragione c’era: aveva inteso vendicarsi del male subito. La sua però era stata una vendetta subdola, astuta e molto maligna:  mostrarsi  meravigliosa per poi negarsi con tanta cattiveria. Certo questo non era un comportamento congeniale ad Angela, ma  non poteva sapere cos’era diventata. Forse sotto l’aspetto saggio e sereno, covava solo risentimento nei suoi confronti.
Questi pensieri lo facevano soffrire molto, non solo perché le aveva sempre voluto bene, ma anche perché oramai non riusciva a trascorrere un solo giorno senza pensarla. Il suo impulso sarebbe stato di tornare da lei, guardarla negli occhi, chiarirsi. Eppure la paura di farlo era più grande di ogni altra cosa perché la sua indifferenza, o peggio il suo odio, lo avrebbero gettato in una prostrazione ancora più profonda.
In quel giorno felice Angela gli era parsa la donna che aveva sempre cercato. Averla  perduta ancor prima di accorgersi di averla trovata era qualcosa che non gli dava  pace.


 
 
NdA
E patatrac… si è girata di nuovo la frittata! Stavolta però non voglio commentare nulla, solo ho bisogno di sapere cosa pensano le mie lettrici. Credete che questa svolta inattesa sia dovuta alla mia perfidia o magari l’attribuite alle difficoltà psicologiche di Angela? Avete individuato qualcosa che può averle  fatto cambiare atteggiamento o credete che Fabrizio abbia visto giusto e la sua sia stata una semplice vendetta per le sofferenze che le ha fatto patire? E lui ha fatto o detto qualcosa di sbagliato oppure è il solito incapace in materia di sentimenti?
Aspetto le vostre osservazioni e magari vi ricordo solo una cosa che chi ha letto altre mie storie forse  già conosce. Io non consento mai ai miei personaggi di raggiungere l’inevitabile lieto fine se prima non hanno sbattuto il muso contro i loro stessi errori ed abbiano raggiunto la consapevolezza dei loro difetti. Lo so che nella vita vera questo non avviene, ma d’altra pare il gusto di essere un’ autrice in cosa consisterebbe se non posso  far prendere una certa piega alle persone nemmeno nei miei romanzetti? Per me è importante, ma è importante anche non annoiarvi. A questo punto della storia, però, mi sento di dirvi che, se un poco vi ci siete affezionate, non mancherete di trovare interessante anche il prosieguo. Mentre i miei protagonisti si cuoceranno nel loro stesso brodo (come il classico “purpo” cioè il polpo del famoso proverbio napoletano)  vi porterò in tanti posti diversi, vi presenterò personaggi vecchi e nuovi e così tanti intrecci che probabilmente  riuscirò ancora ad intrigarvi fino alla parola fine.
Allora a domenica prossima e mi raccomando, fatemi sapere il vostro parere. Per me è necessario verificare se sono riuscita a trasmettervi il vero senso di questo capitolo.
PS L’avete riconosciuti il carillon e il cammeo?

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***




 
L’autunno era quasi passato e si era già ai primi di dicembre. I pensieri di tutti erano rivolti alle imminenti festività natalizie e ci si organizzava.  Fabrizio aveva ricevuto una lettera dalla madre: l’anziana signora stava molto meglio, ma dopo la batosta subita l’estate precedente, si era fatta un po’ lagnosa. Forse aveva soprattutto bisogno del calore dei figli lontani.
Purtroppo Maria Rosaria stava a Londra con il marito impiegato all’Ambasciata italiana e Luisa, sin da quando nel mese di ottobre  la pace di Losanna  aveva messo fine alla guerra, aveva raggiunto il marito militare in Libia. Però  Giovanna, Gabriella e Adriana, con le rispettive famiglie, avrebbero trascorso a L’Aquila il Natale per stare tutti insieme.          
Nella sua lettera Carmela gli diceva che se avesse voluto esserci anche lui, Giulia lo avrebbe ospitato volentieri a casa sua per fargli risparmiare la spesa di un albergo.
Non insisteva, ma dimostrava che era un suo vivo  desiderio riunire quasi tutti i figli, anche se non mancava di concludere “però non azzardarti a portarti appresso quella signora perché altrimenti non ti faccio neanche entrare”.   
Fabrizio aveva sorriso nel leggere quelle parole: la buona, cara mamma, anziana, mezzo acciaccata, ma che non rinunciava mai al suo spirito battagliero! Le voleva un gran bene e aveva voglia di riabbracciare lei e le sorelle che non vedeva dai giorni tristi della morte del padre. C’era il problema di racimolare i soldi per il viaggio,  ma poteva sempre rimediare impegnando i gemelli d’oro.    
La frase di Carmela gli aveva ricordato la necessità di chiarire i suoi sentimenti ad Elena. Anche se i loro incontri erano diventati molto rari  e i rapporti intimi erano addirittura cessati, lei faceva finta che tutto fosse normale, forse perché pensava che, semplicemente, non volesse sposarla. Fronteggiarne la reazione alla notizia che voleva addirittura lasciarla non sarebbe stato semplice. Il solo pensiero delle discussioni da tenere lo faceva agitare, ma era una cosa che oramai non poteva più procrastinare.
 
Non ci fu la  tempesta immaginata, anzi, tutto si svolse con la massima naturalezza. Avvenne una domenica, a un pranzo a casa di Elena a cui era stato invitato insieme ad alcuni amici.
Quando l’argomento cadde sul Natale e l’amico Eduardo lo invitò insieme ad Elena a trascorrerlo con lui  nella sua casa in provincia di Siena, Fabrizio colse l’occasione per annunciare il viaggio a L’Aquila. Alle rimostranze dell’altro, si affrettò a specificare:
- Io non potrò venire, ma  Elena sì.
La donna,  che era troppo sveglia per non capire quando un discorso andava affrontato con calma e in privato, non disse nulla, ma la sera, appena furono andati tutti via, gli chiese con apparente calma:
- Bada che non ci tengo a passare le feste da Eduardo. Verrò con te, così potrò conoscere anche la tua famiglia.
- No, non è possibile – le rispose.
- E perché?
A quel punto non gli restava che dire la verità.
- Mi dispiace, ma mia madre non ti vuole conoscere.
Elena incassò il colpo senza battere ciglio. In fondo che una vecchia ultrasettantenne non la considerasse una di famiglia le importava ben poco. Ma doveva capire l’atteggiamento di Fabrizio.
- Bene, allora a trovare tua madre ci andrai un’altra volta e ora andremo insieme da Eduardo. Non è necessario andare a L’Aquila proprio a Natale – insistette senza scomporsi.
- Non posso. Le ho promesso che ci sarei andato e poi è giusto così. A Natale ci saranno anche  le mie sorelle.
- Quindi, in parole povere, per te vengono prima tua madre e le tue sorelle e poi io.   Sai, non m’interessa un bel niente di quello che pensano di me, però vorrei capire se mi lascerai insultare sempre così dalla tua famiglia senza dir nulla – proseguì, sempre mantenendosi calma.
Lui non rispose e il suo silenzio la fece imbestialire.
- Secondo te io dovrei sopportare questo comportamento assurdo anche quando sarò tua moglie? Perché lo sanno o  no che è solo grazie a me che otterrai l’annullamento e potremo sposarci? – gli urlò allora, avendo ormai perso il controllo.
Ecco, era venuto il momento di  parlare chiaro e Fabrizio trovò il coraggio di farlo.
- Per mia madre, mia moglie continuerà ad essere sempre Angela. E poi mi dispiace, Elena, ma non è detto che l’annullamento e il nostro matrimonio siano collegati.
- Cosa? Che stai dicendo?
Il tono della voce di lei era diventato molto acuto e si era fatta rossa in volto.
- Te l’ho detto un’infinità di volte, non far finta di non saperlo.
- E io che mi sto prendendo anche  tanta  briga per te!
- Sei sempre stata tu ad insistere tanto per questo benedetto annullamento. Io non ci tengo affatto ad averlo, prima perché non desidero sposarmi ancora e poi … – esitò un poco, ma decise di dare libero sfogo ai propri sentimenti che non aveva mai ammesso, neanche con se stesso – perché ho capito che provo ancora qualcosa per Angela.
La donna lo guardò incredula, scuotendo la testa. Se quella era una scusa per sottrarsi ai suoi impegni era davvero molto meschina. Con un tono sprezzante gli domandò:
-  Ah sì? E quand’è che  l’avresti capito?
- Quando sono stato in Sicilia. È  cambiata moltissimo e io me ne sono sentito irresistibilmente attratto. Abbiamo anche fatto l’amore  - le confessò alla fine ad occhi bassi.
No, non ci poteva credere: Elena perse del tutto le staffe.
- Sei un disonesto e uno schifoso! Perché non me l’hai detto? Perché hai lasciato che mi umiliassi a chiedere il favore a mio zio per farti avere l’annullamento se avete deciso di rimettervi insieme?
- Ho provato un’infinità di volte a parlartene, ma ogni volta che toccavamo l’argomento tu trovavi un pretesto per cominciare a litigare e mi facevi passare la voglia di dirtelo. Comunque non è questo il punto. Non ci siamo riconciliati. Anche se tra noi è successo qualcosa, oramai è Angela a non volermi più.
- Ed ha ragione, è quello che meriti. Sei soltanto un porco e un ipocrita, non sei capace di alcun sentimento,  ti lasci trasportare solo dal sesso e ne approfitti perché le donne non ti sanno dire di no.  Ma per quanto ancora ritieni di poter continuare a farlo? E alla fine,  che ti rimarrà di tutto questo? Finirai per restare solo come un cane.
- Forse hai ragione, forse sono destinato a rimanere solo, però è proprio perché non voglio  ingannare nessuna donna che te lo sto dicendo. Tu sei giovane, bella ed intelligente. Io ti  stimo moltissimo. Avrei tutti i vantaggi di questo mondo a restare con te, ma so di non amarti come meriti ed è per questo che è giusto finirla qui, perché tu possa trovare di meglio.
Elena capì che era inutile insistere, Fabrizio le stava dicendo la verità. Si era soltanto voluta illudere eppure lo aveva sempre saputo che era stato con lei non per amore, ma perché aveva accettato di dargli quello di cui aveva bisogno in quel momento. “Gli uomini sono fatti così – si disse con amarezza – sono tutti egoisti e incapaci di veri sentimenti”.
Non voleva dargli la soddisfazione di mettersi ad elemosinare, si era già umiliata troppo per lui. Cercò di riprendere il controllo e, con un sorriso freddo, gli si rivolse simulando una indifferenza che non provava.
- Che fai? Cerchi di indorarmi la pillola? Ma sì, vattene pure, anch’io sono stufa di te. Prometti tanto e dai molto poco. Avevo fatto bene a lasciarti. L’errore è stato ritornare sui miei passi, però non intendo perseverare in questa follia perché è vero, tu non mi meriti. Però non meriti nessuna, nemmeno quella povera ragazza che hai calpestato e ingannato senza nessuna pietà. Adesso vattene via,  per favore, e non farti più vedere.
Fabrizio si alzò per andarsene. Prima le disse un’ ultima cosa, in tutta sincerità.
- Ti prego Elena, cerca di non odiarmi.
- Non ti preoccupare, non meriti un sentimento così forte come può essere l’odio. Non ti rimpiangerò, puoi starne certo.
 
Era la seconda volta che una donna gli diceva addio senza alcun rimpianto. Poteva essere davvero fiero di se stesso! Eppure era contento perché non poteva più tirare avanti la menzogna del rapporto con Elena. Il fatto che anche lei si fosse stancata era un bene e la cosa non gli dispiaceva, anzi, gli dava sollievo.
La serata era fredda e per le strade non c’era molta gente. Non aveva voglia di tornare a casa, ma neanche voleva andare in un caffè dove di sicuro avrebbe incontrato un mucchio di conoscenti. Voleva stare da solo e così se ne andò in Piazza della Signoria e si riparò dal nevischio sotto la Loggia dei Lanzi. Seduto sugli scalini, si accese una sigaretta godendosi la solitudine che gli consentiva di seguire il corso dei propri pensieri. Non erano pensieri lieti però perché per la prima volta riusciva a guardarsi veramente dentro e quello che vedeva non gli piaceva affatto. Forse se non era riuscito a combinare niente di buono nella vita la colpa era soltanto sua. Aveva sempre agito in buona fede, questo era vero, ma ogni volta che era stato frainteso invece di cercare di spiegare le proprie ragioni, si era risentito al punto da sentirsi quasi una vittima e si era incaponito sulle proprie posizioni commettendo poi errori su errori. Mai una volta che avesse cercato di vedere le cose da un’altra prospettiva, mai una che con umiltà avesse ammesso di non essere un povero incompreso, ma un individuo egocentrico che  sotto sotto si sentiva sempre superiore agli altri. Lo aveva fatto con tutti: con la famiglia, con Elena, con i compagni di partito e soprattutto con Angela. Ora, ad esempio, non doveva sentirsi in collera con lei. Non aveva nulla da rimproverarle. Come sempre si era mostrata semplice e dolce e gli si era data senza chiedergli niente. Doveva essere stato qualche suo comportamento a ferirla e anche se non riusciva a capire quale, il modo come si era ritirato, pieno di rancore e di rabbia, non era stato corretto. Avrebbe dovuto insistere, cercare di capire cosa era successo per farla cambiare così all’improvviso, magari chiederle perdono e non sparire come un ladro che dopo aver preso il bottino  se la svigna quatto quatto. E se fosse rimasta incinta quel giorno?   Si erano abbandonati all’amore senza alcun freno e una cosa del genere sarebbe sempre potuta succedere. Neanche si era preso la briga di chiederle come stesse. Si era risentito della  presunta offesa senza curarsi di tutte le volte che era stato lui a umiliarla. Eppure Angela aveva sempre saputo perdonarlo, continuando a essere dolce e gentile nei suoi confronti. Questo voleva dire amare, solo ora cominciava a capirlo.
Come diceva quell’antica perla di saggezza? Ah sì: “cercare di cambiare quello che è in nostro potere e accettare ciò che invece non possiamo cambiare”. Era giunto davvero il momento di cominciare a vivere secondo questa massima. Forse ci sarebbero state tante cose che non sarebbe riuscito a modificare, ma ciò non avrebbe dovuto impedirgli di impiegare le proprie energie per cercare di sostenere le proprie motivazioni con più coerenza, senza mettersi a fare il bimbetto capriccioso se gli altri poi le rifiutavano.
Erano giorni che avvertiva il  bisogno di chiedere scusa ad Angela non soltanto per il male  che era certo di averle fatto, ma anche per quello che magari le aveva fatto senza accorgersene.
Quella sera aveva finalmente chiarito con la sua amante senza più trincerarsi dietro false giustificazioni. Non era stato giusto aspettarsi che Elena dovesse desumere dal suo comportamento scontroso che non l’amava più così come non era giusto non dire  a sua moglie l’amore che provava per lei se non era riuscita ad intuirlo da sola. Forse non sarebbe cambiato nulla, ma era arrivato di sicuro il  momento di cominciare a cambiare almeno se stesso. Gettò il mozzicone della sigaretta e si affrettò a tornare a casa.
Arrivato nella sua stanzetta, non si spogliò neanche, si sedette a tavolino e cominciò a scrivere una lunga lettera ad Angela. Esordì abbastanza formalmente, dicendole che anche se era rimasto molto dispiaciuto per il suo strano atteggiamento, non avrebbe esitato ad assumersi le proprie responsabilità se i loro rapporti di quel giorno avessero avuto delle conseguenze sul piano pratico. Capiva bene di non essere la persona da lei desiderata quale padre dei suoi figli, ma se per caso era rimasta incinta, doveva soltanto dirglielo e  lasciargliene condividere la gioia. In fondo l’irrefrenabile desiderio reciproco vissuto in quel giorno incantato era stato qualcosa di meraviglioso che li aveva uniti al di là di ogni volontà umana e nessun bambino poteva essere concepito in maniera più dolce di quella.
Era sempre stato bravo a scrivere, ma questa volta le parole cominciarono a scaturire e la lettera diventò a mano a mano sempre più intima e appassionata. Le raccontò del suo stupore per essersi trovato davanti una donna allo stesso tempo sconosciuta e nota, nei cui confronti provava tenerezza, ma che gli ispirava anche la più violenta passione. Le aprì il suo cuore, scusandosi per le proprie vigliaccherie e le proprie debolezze. Le chiese  di perdonarlo ancora una volta, anche se non se lo meritava più. Le ricordò di quando lei aveva paragonato  il loro amore a una tenera piantina rammaricandosi di non essere riuscita a difenderla. Ma come avrebbe potuto farlo se lui stesso,  come un vento impetuoso, l’aveva investita rischiando di sradicarla? Però quella tenera piantina non era morta, anzi, era riuscita lo stesso a diventare un albero frondoso alla cui ombra entrambi avrebbero potuto trovare riparo, se solo l’avesse voluto, se solo gli avesse dato un’altra possibilità. La scongiurò perché lo facesse. Le disse la sua certezza di non aver mai provato prima di allora un sentimento analogo perché  nessuna donna era riuscita a parlare in quel modo ai suoi sensi, alla sua mente e al suo cuore. Per la prima volta in vita sua aveva  capito cosa fosse l’amore e ora provava un tormento grandissimo al pensiero di averla già perduta. Le confessò di essere rimasto  stregato dalla creatura meravigliosa incontrata quel giorno, dal suo corpo incantevole, dalla sua vitalità, dalla sua saggezza, dalla nobiltà dell’animo suo  e la implorò di amarlo ancora perché adesso non sapeva fare più a meno di lei.
- “ Ti ho visto per la prima volta, amore mio – concluse – ed anche se sei la stessa  che ho ingannato e tradito, quella a cui fino ad ieri avevo voluto bene solo  come ad una sorella e trattato unicamente come la mia dolce  confidente e fidata amica,  ora so con certezza che sei anche l’unica donna che io possa amare con tutto me stesso. Dimentica ciò che è stato e guardami anche tu come se fosse la prima volta. Vedrai un uomo innamorato che  ti scongiura:  resta con me e diventa davvero la mia sposa! “ 
Quando ebbe finito di scrivere era già notte fonda. Restò a lungo a guardare  la busta sigillata sulla quale aveva scritto l’indirizzo di Angela, cercando il coraggio di spedirle quella lettera. Poi, in un impeto, si alzò dalla scrivania, indossò di nuovo la mantella e uscì nella notte fredda per andarla ad imbucare prima che gli mancasse l’animo di farlo.
 
Inutilmente aspettò una risposta nei giorni successivi. Prima di Natale si rese conto che non ne avrebbe avuto nessuna. Quanto le aveva scritto almeno ne meritava una, fosse stata anche solo un insulto o l’invito ad essere lasciata in pace. Invece niente. Angela si era limitata a ignorarlo, ferendolo con la sua indifferenza più che in ogni altro modo.
Fu così che, con la morte nel cuore, intraprese il viaggio per L’Aquila.
La famiglia gli diede conforto, soprattutto la presenza affettuosa della mamma, che mai, nemmeno una volta, accennò ad Angela o alla sua nuova compagna. Alla fine furono le sorelle a chiedergli di quest’ultima e rimasero stupite nell’apprendere che avevano troncato la loro relazione.
- Adesso che farai? – gli chiese Giovanna
- Niente, cosa vuoi che faccia, tirerò avanti.
- Ma pensi davvero di riuscire ad avere l’annullamento del matrimonio? Ho sentito dire che è una cosa molto difficile da ottenere, la Sacra Rota è molto severa su queste cose.
- Non importa, tanto non ho nessuna intenzione di sposarmi di nuovo.
- Però forse vorrà farlo Angela.  Non si era opposta, mi pare.
Si sentì stringere il cuore a quell’osservazione e non rispose nulla, ma la sorella maggiore, conoscendolo bene, si avvide di quanto la cosa lo facesse star male. Ne parlò con le altre e i rispettivi mariti. Tutti convennero che Fabrizio aveva davvero fatto una brutta fine: non aveva una professione seria  né una famiglia e da quello che avevano capito faceva una vita molto grama. Era diventato insomma solo uno sbandato così come aveva  temuto il povero Ferdinando. Poiché erano tutte brave persone e ognuna di esse aveva quella serenità interiore che consente di poter donare qualcosa agli altri, decisero di avere il dovere di aiutarlo, perlomeno economicamente, così come si doveva fare qualcosa per Giulia che non navigava in buone acque e in più si era accollata l’onere di accudire l’anziana madre.
Rodolfo, essendo il più anziano dei cognati, aveva assunto un po’ il ruolo di capofamiglia e così,  durante il pranzo di Natale, introdusse l’argomento, proponendo di vendere la casa di Sant’Agata sui due Golfi, oramai disusata da anni.
- È  un peccato tenerla così. Proprio ieri mammà mi diceva che il dottor Fernandez le ha scritto proponendole di acquistarla. Non è vero?
- Certo -  confermò l’anziana signora all’oscuro  delle manovre delle figlie – ma sarebbe un peccato venderla. Il ricavato, diviso per sette di voi, diventerebbe talmente una miseria da non valerne la pena. Se la teniamo almeno qualcuno potrà tornarci per una vacanza qualche volta. 
Giovanna intervenne a dar man forte al marito:
- Siamo tutti lontani da Napoli e ormai lì non ci va più nessuno. Poi io, Gabriella ed Adriana potremmo rinunciare alla nostra parte e lo stesso potrebbero fare  Luisa e Maria Rosaria, visto che non ne hanno bisogno. Così Giulia e Fabrizio potrebbero dividersi il denaro della vendita e potrebbero incassare una bella sommetta.
- Perché solo noi due? – chiese Giulia stupita, guardando suo marito.
- Tu tieni mamma con te.
- Non lo faccio certo per guadagnarci qualcosa - rispose risentita la giovane donna.
- Non dicevo per questo, figurati, ma in un modo o nell’altro dobbiamo sdebitarci.
Carmela riuscì a nascondere a mala pena la propria mortificazione e intervenne:
- Hanno ragione, Giulia, in fondo io non sono altro che un peso ed è giusto per te avere qualcosa in cambio.
- Non dire sciocchezze, mamma, Giulia ti adora  e lo sai! – obiettò Fabrizio, un po’ urtato per la mancanza di delicatezza dei suoi parenti - e poi, non hai sentito? Anch’ io dovrei beneficiare di questa elargizione. Mi spiegate perché? Che ho fatto io?
Rodolfo si mise a ridere. Conosceva Fabrizio da quando era piccolissimo perché all’epoca era già fidanzato con Giovanna e non  si rendeva conto di fargli del male quando gli disse con un tono quasi di scherzo:
- Niente. Comunque quella casa doveva essere venduta già tanto tempo fa per pagare i tuoi debiti. Oramai ci avevamo già messo tutti una pietra sopra, anche se non era giusto. Però come si faceva a contraddire il povero papà? Quello stravedeva per te e si sarebbe tolto anche gli occhi dalla fronte pur di non lasciarti nei guai. Adesso sarebbe contento di sapere che quel denaro va a te che ne hai ancora  bisogno.
Pallido in volto, Fabrizio si chiuse in un silenzio strano fino alla fine del pranzo. Appena gli fu possibile, si alzò da tavola e, chiedendo permesso a tutti, dichiarò di voler fare quattro passi.      
Uscì. Fuori era già buio. Il vento gli sferzava la faccia e qualche fiocco di neve gli si posava sul capo scoperto, ma lui, incurante del freddo, si avviò verso la piazza del Duomo, deserta nella gelida sera di festa. I suoi pensieri non erano affatto rosei. Come in un incubo, le sue colpe passate gli si riaffacciavano alla mente. Aveva fatto soffrire il padre così come aveva fatto soffrire Angela. Ora non poteva più tornare indietro. Adesso  era una giusta  punizione  essere trattato come un povero mentecatto dalla sua stessa famiglia agli occhi della quale avrebbe voluto apparire degno di stima e di ammirazione e non certo un fallito da dover aiutare per pietà. Ad un tratto si sentì chiamare. Si voltò e vide Giulia.
-  Che fai? Mi vieni dietro? – le chiese quando l’ebbe raggiunto.
- Volevo parlare con te a quattrocchi.
- Di cosa?
- Del fatto della casa. Ho pensato che è da stupidi mettersi a fare gli orgogliosi. A me quei soldi fanno comodo, Arturo guadagna una miseria e i miei figli si stanno facendo grandi.
- Bene, prendili allora. Io non li voglio.
- Perché? Lo sappiamo tutti che non hai un becco di un quattrino.
- Non fa niente, mi arrangerò in qualche modo.
- Sei arrogante. Certe volte bisogna sapere solo dire grazie e prendere la mano che ci viene tesa. Le nostre sorelle e i cognati  ci vogliono bene, lo sai,  e ci stanno offrendo questa opportunità con tutto il cuore. Ringraziamo il Cielo di essere in  una famiglia in cui c’è solidarietà  e non facciamo i superbi rifiutando il loro aiuto.
Erano arrivati nella piazza e Fabrizio si sedette su un muretto basso, il capo chino e il cuore gonfio di pena. Ad un tratto ruppe il silenzio e si confidò con la sorella in piedi di fronte a lui.
- Sì, è vero, sto davvero messo male economicamente però mi dispiacerebbe di approfittarmi di voi tutti. Non per superbia, credimi, piuttosto perché sono molto amareggiato di non essere riuscito a fare altro che deludere tutte le persone a cui tengo di più, Angela compresa.
Giulia gli scrollò la neve dai capelli con un gesto affettuoso.
- Sei sempre stato un bravo ragazzo, l’abbiamo sempre saputo tutti.
- Già, un bravo ragazzo che si è sempre comportato male.
- Dài, non fare così. Dove è finito quel diavoletto del mio fratellino?
Fabrizio fece un risolino amaro.
- Quello non c’è più da tanti anni e in fondo era solo un povero ragazzo un po’ scapestrato. No, Giulietta, purtroppo anche adesso che sono un uomo fatto e nonostante le migliori intenzioni, continuo ad essere un buono a nulla. Ho fallito in tutto: in politica, nel lavoro, con la mia famiglia e persino in amore.
- Non devi essere per forza una persona diversa e poi non è vero che sei un fallito. Ce ne fossero al mondo persone come te, piene di dignità e di buoni sentimenti!
Fabrizio le afferrò la mano con cui gli stava carezzando i capelli e se la strinse sulla guancia gelata.
- Grazie – le disse – non sai come è difficile riuscire a riprendere in mano la tua vita quando ti accorgi che sta prendendo tutta un’altra direzione da quella che volevi e che è soltanto colpa tua. A volte mi sento davvero solo.
- Non è vero, ci sono tante persone che ti vogliono bene. E poi forse anche noi abbiamo colpa per quello che ti è successo perché, nel bene e nel male, abbiamo contribuito a farti diventare quello che sei. Ah se non ti avessimo viziato tanto e magari ti avessimo insegnato a rigare un pochino più diritto!
- Davvero? Anche tu che hai appena otto anni più di me volevi fare l’educatrice con il piccolo di casa?
- Certo. Guarda che otto anni sono tanti. Te lo sei scordato di quando marinavi la scuola e venivi a rifugiarti da me che mi ero appena sposata?
- Mica era colpa mia se eri andata ad abitare a piazza Dante, ad un passo dal liceo Vittorio Emanuele – scherzò l’uomo, divertito al  ricordo di quei giorni lontani.
- Già e poiché non sapevi dove andare, te ne salivi su da me che avevo i bambini piccoli. E io ti assecondavo come una stupida invece di andare a raccontare tutto a papà.
- No, non l’avresti mai fatto. Rammenti quella mattina che papà venne a trovarti all’improvviso e io ero da te perché non volevo farmi interrogare in chimica?
La giovane donna rise.
- Ti nascosi nel ripostiglio del corridoio come se fossi stato il mio amante – ricordò.
- E il piccolo Luca prese per mano il nonno, lo condusse davanti alla porta, gliela indicò con il ditino e si mise a strillare “Izio, Izio” per dirgli che ero lì dentro.
- Meno male che papà non lo capì e mi chiese: “Giuliè, ma che  dice o’ piccerillo?”.
- Se mi avesse trovato, avremmo passato un brutto quarto d’ora tutti e due. Non è così sorellina?
In mezzo alla neve, sottobraccio, i due fratelli tornarono a casa ripensando alle cose passate e godendo  il calore del bene che si erano voluti e che ancora si volevano.
 
La pioggia battente lo aveva inzuppato, non riusciva a trovare nelle tasche la chiave di casa, era stanco del viaggio disagevole fatto per tornare da L’Aquila e in più aveva anche fame. Quando, imprecando tra di sé, alla fine Fabrizio riuscì ad entrare, notò subito la lettera infilata sotto la porta. Dimentico di  tutto, gettò la valigia per terra e si chinò a raccoglierla. Si avvide che la calligrafia non era quella di Angela, ma lo stesso si affrettò a lacerare la busta con le mani tremanti. Era di Alberto, infatti, ma nella busta c’era anche un’altra lettera, quella che aveva spedito a sua moglie e che gli veniva restituita senza neanche essere stata aperta. L’amico gli diceva che Angela non c’era, era partita con i fratelli Orsini già dalla  fine di novembre per andare a Parigi e non era ancora tornata. Lui stesso però aveva provveduto ad inviarle la sua missiva, però la ragazza gliel’aveva rimandata indietro dicendogli di restituirla al mittente e di chiedergli di non scriverle più. Alberto dichiarava di non riuscire a darsene una spiegazione, ma, benché a malincuore, aveva ritenuto di farglielo sapere. Proseguiva poi raccontandogli di sé e della famiglia e facendogli gli auguri per le prossime festività, ma oramai a Fabrizio non interessava più nulla di quanto gli scriveva.
Desolato, si tolse di dosso la mantella bagnata e dopo essersi sfilato le scarpe, si distese ancora vestito sul sommier accostato al muro, guardando la lettera ancora chiusa tra le sue mani. Ne aveva fatta di strada quella povera busta: Firenze, Acireale, Parigi, poi di nuovo Acireale e poi di nuovo Firenze. Era quasi un mese che girava, ma colei alla quale era stata indirizzata nemmeno l’aveva voluta leggere. Si sentì stringere il cuore dall’angoscia, ma in fondo non aveva voluto avere un cuore? Ed allora era normale che adesso qualcuno glielo spezzasse.
Guardava fuori dalla finestra, ma non vedeva la pioggia  cadere a dirotto. Agli occhi della sua mente riapparivano  il mare e l’Etna in una notte incantata. Anche le sue orecchie non udivano più il fragore dei tuoni, ma solo una voce melodiosa che intonava un canto dolcissimo.
 
“Plaisir d’amour ne dure qu’un moment,
Chagrin d’amour dure toute la vie.”        

Ecco, per lui che aveva sempre fatto  soffrire era venuto il momento di soffrire a sua volta. Non si sarebbe sottratto a quella pena, l’avrebbe accettata e quasi coltivata. Sapeva di meritare l’indifferenza e il disprezzo della donna adorata. Lei forse era riuscita ad affrancarsi dall’amore  provato così a lungo per lui,  un sentimento che non aveva mai cercato di meritarsi e che adesso invece avrebbe desiderato come la cosa più preziosa al mondo. Riuscì quasi a sorridere di sé al pensiero che  rifiutare le cose buone che gli venivano offerte per poi rimpiangerle subito dopo era un’altra sua caratteristica. Si scostò i capelli dalla fronte nel solito gesto desolato mentre un pensiero colmo di autoironia arrivò a farlo sorridere amaramente di se stesso. Anche quella mattina lo aveva fatto. Quando la madre e la sorella gli avevano messo in valigia una gran quantità di cose da mangiare si era quasi risentito con le due poverette. Con uno scatto di orgoglio del tutto fuori luogo aveva chiesto se lo avessero scambiato per un povero emigrante che si porta  pane e cacio in valigia. Ora però aveva una fame da lupo e gli toccava rivestirsi per scendere nella sera piovosa ad acquistare qualcosa da mettere sotto i denti prima che la drogheria sotto casa chiudesse. Anche in questo caso la giusta punizione non era tardata ad arrivare.





NdA
Non so ancora se lo avete gradito, ma quello che avete appena letto è uno dei capitoli di questa storia che mi soddisfa di più. In esso Fabrizio dà la dimostrazione di aver imparato qualcosa dai propri errori e mostra il desiderio di dare una svolta al suo modo di essere grazie proprio all’incontro con Angela, la donna come dice lui stesso ad un tempo sconosciuta e nota che è stata la sola a suscitare in lui per la prima volta l’amore.
Mi è piaciuto anche inserire quel siparietto con la sorella Giulia perché è un piccolo spaccato della sua infanzia e adolescenza che in un certo senso spiega quello che è diventato. Probabilmente per essere il settimo figlio arrivato dopo tanti anni e per giunta unico maschio in un’epoca in cui all’erede che continuasse il nome della famiglia ci si teneva tantissimo, è venuto su anche abbastanza bene. In fondo è un bravo ragazzo, per nulla prepotente o maschilista  e intelligente al punto da riconoscere i propri sbagli.
Però l’errore che ha commesso con Angela nello scorso capitolo non l’ha ancora capito, il provolone.  Dai vostri commenti invece ho visto che voi lo avete individuato tutte, ma tant’è, sempre di un uomo si tratta e loro, si sa, al contrario di noi donne a volte scarseggiano molto in delicatezza e sensibilità. Oppure è così perché è un personaggio inventato da un’autrice femmina? Bah, resterà un dubbio perché non ci sono maschietti a leggere le mie storielle romantiche e a darmi il loro punto di vista.
Prima di darvi appuntamento a domenica prossima vi metto delle belle immagini d’epoca di L’Aquila, una città bella e sfortunata che è da sempre nel mio cuore.






 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***





 
Quando le era arrivata la lettera di Fabrizio, Angela era sul più bello della vacanza a Parigi. Non era stato facile affrontare quel viaggio e le notti precedenti la partenza le aveva trascorse insonni per l’ansia e la paura di quello che l’aspettava. Però aveva capito che cercare di proteggersi richiudendosi in un guscio non era una strategia vincente. Lo aveva fatto con il convento, con il sanatorio ed ora lo stava facendo con la sua casa di Acireale. Non era giusto, era giunta l’ora di affrontare il mondo e le sue incognite.
Certo stavolta era stato più difficile perché si era allontanata anche da persone care del cui affetto  era sicura, ma, per fortuna, ora c’era Vittorio Orsini con lei. Era un cavaliere di eccezione che la colmava di ogni premura e la faceva sentire per la prima volta in vita sua una persona importante. Era innamorato e glielo dimostrava in tutti i modi. Lei preferiva fingere di  non essersene accorta per non dare importanza alla cosa. Le piaceva molto, ma era consapevole di non ricambiarne pienamente i sentimenti. Eppure in quel momento aveva bisogno di quella muta adorazione così come  aveva bisogno di stordirsi con le sensazioni, i sapori, le emozioni che la città  piena di luci e di colori pareva darle a piene mani. Forse lì, in quella frenetica baraonda e non nella pace della sua spiaggia fatata, avrebbe potuto dimenticare i lunghi anni della malattia e della sofferenza. Se la solitudine in cui si era rifugiata in un recente passato le era parsa l’unica strada per guarire dalle proprie pene, ora voleva provare a lasciarsi sprofondare come in un vortice senza né riflettere né ricordare.
Tante volte però, suo malgrado, le capitava di farlo. Una mattina in cui aveva visitato con i compagni di viaggio la Conciergerie, girando per quel luogo così pregno di suggestioni per  tutta la storia e le vicende umane che vi erano passate, aveva pensato di nuovo a  Fabrizio e aveva immaginato a come sarebbe stato bello averlo accanto.   Di sicuro avrebbe inventato per lei una delle sue storie e gliel’avrebbe raccontata,  tenendola stretta per la vita, con il sorriso simpatico che sempre gli illuminava il volto in simili circostanze.
Il breve e lontano periodo del loro amore le mancava. Lo aveva amato molto e solo grazie a lui aveva incominciato a scoprire il mondo e assaporato per la prima volta la vita. Durante la loro lunga separazione,  aveva passato molte notti a  desiderare le sue carezze appassionate e trascorso intere giornate ad interrogarsi  sui propri errori e sul perché lo aveva perduto.  Era stato questo il motivo per cui aveva voluto rivederlo. Non appena lo aveva incontrato di nuovo, gli si era data con tutta se stessa, perché le era parsa   una cosa inevitabile, naturale, così  come è naturale per i nuovi germogli rinascere sulle piante avvizzite al primo soffio di primavera. Con la stessa naturalezza gli aveva aperto il proprio cuore. Le era parso che quel giovane uomo  le fosse affine più di ogni altro essere umano, che facesse parte di lei, che a causa sua  fosse diventata ciò che era adesso. Solo  per la speranza di potergli tornare accanto aveva ritrovato la voglia di vivere. Ed era stato dolce fare ancora all’amore con lui. In quel giorno meraviglioso trascorso insieme, le era parso di aver finalmente afferrato un paradiso tanto a lungo agognato e di non doverlo perdere mai più …
Invece, proprio nel momento in cui stava trovando il coraggio di rivelargli il suo immutato amore, Fabrizio, quasi senza accorgersene e forse senza neanche attribuirvi un significato preciso, aveva pronunciato parole dalle quali aveva potuto capire i suoi veri sentimenti. Anche se si fossero rimessi insieme non sarebbe stato un nuovo inizio. Lui continuava a volerle bene, di questo ne era certa, ma era una persona troppo incostante per poter fare affidamento sulla concretezza del suo amore. Già una volta si era illusa che avesse potuto amarla per tutta la vita e invece la loro intesa era durata solo il tempo di una breve infatuazione. Oramai lo conosceva bene, probabilmente si era sentito di nuovo attratto da lei solo perché gli si era mostrata carina e allegra, cercando di apparirgli anche più serena e sicura di sé di quanto fosse in realtà. Ma non era cambiato nulla. Una volta c’era stata Dora, ora c’era Elena e domani chissà chi. A lei sarebbe toccato  sempre e soltanto un ruolo di secondo piano, quello della compagna affettuosa e presente che forse gli suscitava la stessa tenerezza di una patetica orfanella uscita da un romanzo d’appendice. Così come era avvenuto al caffè Paskowsky a Firenze, vedeva riflessa come davanti ad uno specchio l’immagine di se stessa che lui doveva vedere e se ne risentiva. Non voleva la sua pietà né desiderava tenerlo legato a sé da un matrimonio senza più alcun valore. Voleva solo strapparselo dall’anima anche a costo di sentirsi dentro un vuoto incolmabile. Certo, lo amava ancora e la gioia provata tra le sue braccia era stata immensa, ma non ce l’avrebbe fatta ad affrontare di nuovo il tradimento e l’abbandono. Ormai aveva la certezza che Fabrizio non avrebbe mai potuto amarla come avrebbe voluto essere amata e, come diceva la canzone di Berlioz, la gioia d’amore dura solo un attimo. Non  valeva la pena di barattarla con la sofferenza di una vita.
Fu per questo che gli  rimandò indietro la lettera,  vincendo persino la curiosità di sapere  cosa le volesse dire. Se doveva dimenticarlo era opportuno finirla anche con quell’ assurda corrispondenza che era durata per anni senza portare a nulla.
 
Ritornando da Roma dopo aver compiuto gli studi di Giurisprudenza e il praticantato presso uno studio notarile, Vittorio Orsini era sicuro che lo aspettasse la vita immaginata sin dagli anni dell’adolescenza:  l’esame per diventare a sua volta notaio, il lavoro insieme al padre,  il matrimonio con Annamaria Laudati, la figlia di un caro amico di famiglia con la quale tutti dicevano che avrebbe finito per sposarsi sin da quando era bambino. Insomma una serena e calma esistenza nella tranquilla cittadina della provincia di Catania dove era nato ventiquattro anni prima.  Allora non sapeva che il conoscere Angela del Cassano e innamorarsene sarebbe stato un tutt’uno.
I primi tempi aveva cercato di ignorare quello strano sentimento, ma poi la grazia e la bellezza della contessa avevano finito per conquistarlo e non passava giorno che non pensasse a lei. Quando era diventata amica della sorella e il padre gli aveva affidato la cura dei suoi atti legali, era stato costretto ad un continuo contatto. E quella donna, così diversa e affascinante rispetto ad ogni altra conosciuta in precedenza, aveva finito per conquistarlo.
Purtroppo sapeva che Angela era sposata, anche se in paese si diceva che vivesse separata dal marito da molti anni. Un po’ questo, un po’ il fatto che i suoi genitori la consideravano una persona troppo eccentrica, l’avevano indotto a non confessare a nessuno i propri sentimenti. Però nemmeno aveva chiesto la mano di  Annamaria e costei, ritenendosi in qualche modo fidanzata,  si era molto risentita, pur senza capire il vero motivo di un cambiamento tanto repentino. Neanche gli altri lo avevano capito. Con vera maestria, era riuscito a tenere il segreto fino alla sera in cui non aveva visto accanto alla donna amata il marito. In un primo momento si era avvilito: Fabrizio Serra era un uomo ben più giovane e attraente di quanto non si fosse aspettato. Inoltre era venuto a trovare la moglie e dormiva da lei, a dimostrazione che forse le voci sulla loro separazione erano soltanto sciocchezze. Nonostante questo, la sera stessa, il comportamento disinvolto di Angela e l’amicizia dimostratagli anche in presenza del marito, l’avevano indotto a sperare  e a tentare di fare qualcosa per svelarle il suo amore.
Per fortuna c’era stato il viaggio a Parigi. L’impegno necessario ad organizzarlo era stato  ripagato dal piacere di poter stare insieme ad Angela così come da tanto tempo sperava di fare. Certo non era stato facile convincere una pigrona come Clara, ma sarebbe stato molto sconveniente se non fosse andata con loro perché solo così potevano apparire come tre amici in viaggio di piacere. Ora però Vittorio avrebbe dato volentieri chissà cosa per far sparire quella noiosa della sorella e restare da solo con la sua diletta. Per fortuna a Parigi c’era l’amico Bruno che studiava alla Sorbona. Si era preso non solo la briga di fare loro da guida, ma anche la seccatura assai più gravosa di curarsi della piccola petulante che non faceva altro che lamentarsi per la stanchezza, per il cibo, per il freddo o per mille altre cose.
Angela invece era meravigliosa. Non si stancava mai, aveva sempre voglia di conoscere e di scoprire, era sempre piena di entusiasmo sia che visitasse un monumento o che assistesse a una rappresentazione teatrale. Sapeva vivere con ardore e sensualità ogni sensazione e ciò la rendeva ancora più intrigate di quanto non fosse mai stata,  persino di quando l’aveva incontrata per la prima volta sulla spiaggia del loro paese ed era restato incantato dalla grazia quasi soprannaturale di quella giovane seducente.
Oramai non gli fu più possibile nascondere l’amore che apparve chiaro agli occhi di tutti, a  Bruno, che ne fu divertito, ma anche a Clara che invece se ne sentì indispettita, un po’ perché era gelosa del fratello e un po’ perché, così come il resto della famiglia, riteneva la contessa una donna inadatta a Vittorio.
Solo Angela sembrava non prendersi cura di lui. Era sempre dolce e garbata, eppure non vedeva i suoi sguardi adoranti o scambiava le sue mille premure solo per cortesia.
 
Una mattina che avevano in programma di andare un’ennesima volta al Louvre, Clara non si volle alzare. Affermò di essere stanchissima perché il giorno prima avevano visitato Versailles e le smanie della signora contessa non solo l’avevano costretta a girare in lungo e in largo il Palazzo, ma anche il giardino, il Grand Trianon e il Petit Trianon.    
Irritato, Vittorio la lasciò nella sua camera, senza nemmeno pensare che se Bruno non fosse passato a prenderla più tardi, la sorella sarebbe rimasta tutto il giorno da sola.  Alla reception chiese di Angela e gli fu riferito che si era recata ai vicini giardini della Tuileries. Si precipitò sulle sue tracce nella fredda mattina di dicembre. A un tratto la vide da lontano, la figurina armoniosa vestita di pesante velluto verde che si stagliava nitida sulla ghiaia bianca del vialetto. Passeggiava lentamente e aveva in mano una lettera che stava leggendo. Le si avvicinò e la chiamò. Lei alzò il viso e gli sorrise.
- Non hai freddo? – le chiese premuroso – È molto presto e il sole non è ancora alto. E poi sta quasi per nevicare.
Angela gli rispose con una risata.          
- Non ci crederai, ma sono abituata anche alla neve. Comunque hai ragione, sono imperdonabile, neanche con questo clima così rigido riesco a rimanere un po’ di più a letto senza costringere i miei amici a fare levatacce per starmi dietro.
- Clara è ancora a letto, io però non riuscivo a dormire, dovevo vederti. È già stata lunga la notte trascorsa lontano da te.
Un’espressione malinconica le passò sul viso. Corrugò le sopracciglia e lo rimproverò, ma con la consueta dolcezza.
- Vittorio Vittorio, la vuoi smettere di fare così?
Lui non rispose e abbassò lo sguardo, un po’ mortificato.
- Notizie da casa?  - le chiese indicando la lettera  che aveva ancora tra mani.
- Alberto mi ha inviato una lettera di mio marito perché pensava che volessi averla subito.
- È  ancora chiusa, vedo. Scusami,  adesso mi allontano così potrai leggerla con tutta calma.
- No, non è necessario. Non la leggerò.
Vittorio si mostrò stupito eppure Angela non accennò a spiegargli il motivo di quella strana affermazione. Andò a sedersi su una panchina, rimise la lettera di Alberto e la busta ancora chiusa nella borsetta e poi si girò a guardare  i passerotti infreddoliti che saltellavano sull’erba coperta di brina.
- Scusami, ma ho bisogno di saperlo – le disse, incapace di non farle quella domanda – Perché non la leggerai?
Angela ancora non rispose, ma lui non poteva più trattenersi.
- Che c’è tra te e tuo marito?  Dimmelo, ti prego!
La sua richiesta era così appassionata che la giovane donna non ebbe il cuore di lasciarlo nell’incertezza.
- Più nulla ormai. Tra poco non ci sarà neppure il matrimonio, ne stiamo chiedendo l’annullamento. Comunque, qualsiasi cosa ci sia stata tra noi, non è stato amore. Nonostante ciò, siamo sempre stati molto affezionati l’un l’altra e Fabrizio mi ha sempre scritto, anche dopo la nostra separazione. Solo che ora…
Abbassò il capo, esitando un po’ a concludere la frase, non tanto perché non voleva far sapere le sue cose più intime all’uomo che sembrava pendere dalle sue labbra, ma soprattutto perché stava cercando di leggere nel proprio cuore. Alla fine trovò il coraggio di prendere una decisione.
- Devo spezzare questo assurdo legame. Non avrebbe più senso continuare così - disse, più a se stessa che al suo interlocutore.
A queste parole un’ondata di emozione invase il cuore di Vittorio: allora poteva sperare di avere la donna meravigliosa che gli stava davanti.       
- Angela, tu non lo sai quanto ne sono felice. Io ti amo, lo sai, devi saperlo, è inutile fingere ancora! Ti amo e vorrei  tanto essere amato da te.
- No, Vittorio, ti prego, non rovinare la nostra amicizia.
- Perché solo amicizia?  Ti prego, dimmi, perché? Ti disgusto? Mi trovi brutto?  Mi ritieni uno stupido? Non sono forse alla tua altezza?  Dimmelo. Se è così mi tirerò indietro e non ti importunerò più, te lo giuro.
- Ma che dici? Sei pazzo? – gli rispose la ragazza con un sorriso.
No, Vittorio non era per niente brutto, anzi era un bel giovane, elegante e colto, ma ... che poteva dirgli? C’era un ma, anche se non riusciva a capire perché ci fosse …
- Forse sono io a non essere ancora pronta. Però, credimi,  mi sento davvero lusingata dal tuo amore anche se so di non meritarlo.
Lui si mostrò sollevato.
- Tu sei la creatura più adorabile della terra. Anche se non sei ancora pronta ad amarmi, almeno dammi una piccola speranza. Io me ne starò qui buono buono fino a quando la mia adorazione non sarà riuscita a commuoverti e a farti ricambiare il mio amore, almeno un poco.
- Ti accontenteresti solo di questo?
- Anche di meno. Mi basta starti accanto e godere della tua visione, ascoltare la melodia della tua voce, guardarti. Lasciati amare, Angela, ti chiedo solo questo, lasciati perlomeno amare.
La giovane restò pensierosa. Lo capiva. Non aveva lei stessa provato quel sentimento per lunghi anni? Le era bastato un sorriso di colui che era stato suo marito per renderla felice. La sua sola esistenza era riuscita a riempirle la vita e anche il dolore che le aveva dato era stato niente al confronto dell’oscurità in cui era piombata quando aveva capito quanto gli fosse indifferente. Ora toccava a lei essere amata così e forse una simile devozione avrebbe potuto colmare il vuoto che si sentiva dentro. Si riscosse e gli disse:
- Ho paura, amico mio, che ti stancherai presto di me.
- Mai, mai, ti amerò per sempre!
- Anche tra tre o quattro ore quando avrai i piedi doloranti e la schiena a pezzi perché ti avrò trascinato per le sale del Louvre fino ad ora di pranzo? – scherzò.
Sorrideva ironica perché sapeva che, contrariamente a Fabrizio, Vittorio non era davvero interessato alle cose che invece entusiasmavano lei e l’accompagnava solo per pura compiacenza.
L’uomo le rispose mettendosi una mano sul cuore.
- Sì, anche se tu dovessi uccidermi, non smetterei mai di amarti.
- E per chi mi hai preso, per un’assassina? Va bene: l’hai voluto tu, ti metterò alla prova.
Divertita, lo prese sottobraccio e si avviò con lui verso il Museo del Louvre.
 
 
I loro rapporti non cambiarono di molto dopo quella dichiarazione d’amore, ma lo stesso fatto di non essere stato respinto dava a Vittorio la  speranza di riuscire a far innamorare Angela.
Intanto i giorni lieti della vacanza trascorrevano in grande allegria e lei sembrava felice. In realtà vedere posti nuovi era una cosa che aveva sempre desiderato fare e la città di Parigi offriva continui divertimenti. Ogni mattina c’era un’opera d’arte  da  andare a visitare, ogni pomeriggio un caffè o un bistrot al quale sedersi mentre si guardava l’elegante folla al passeggio, ogni sera un ristorante nuovo dove scoprire gusti e sapori inusitati. Quando Clara crollava distrutta, Angela aveva ancora voglia di starsene alzata e di andare in un teatro a godersi una divertente commedia di George Feydeau o all’Opera o al cinematografo. Spesso doveva pregare l’amica perché andasse con loro, ma poiché molte volte questa si rifiutava, decise che non si sarebbe più privata di quei divertimenti e sarebbe andata anche da sola con Vittorio e Bruno. Arrivò persino al punto di accompagnare i due amici al famosissimo Moulin Rouge, immortalato da Toulouse Lautrec nei suoi manifesti, anche se ne conosceva la fama di posto trasgressivo. Vittorio non ne fu contento perché non lo riteneva un divertimento adatto ad una signora per bene, però alla fine cedette e l’accontentò.
In un primo momento si vergognò moltissimo del proprio capriccio come se fosse stata lei stessa a ballare mezza nuda sul palco, anche perché l’amico continuava a scuotere la testa con disappunto a tale immoralità. Più abituato al clima frivolo della vita notturna di Parigi, per invogliarli a stare allegri, Bruno cominciò a prenderli in giro e a chiamarli bacchettoni. Così, grazie anche all’ottimo champagne e  al ritmo trascinante del can-can, cominciarono entrambi a rilassarsi e finirono per divertirsi moltissimo.
Erano quasi giunti a Natale quando in un pomeriggio piuttosto freddo andarono a visitare la Tour Eiffel.
C’era una fila enorme al secondo ascensore. Gli amici erano stanchi morti, lei invece manifestò il desiderio di salire fino su in cima, laddove si doveva provare l’inebriante sensazione  di toccare quasi il cielo con le dita. Come al solito Vittorio l’accontentò,  accompagnandola lui per le scale mentre Clara, che non si sentiva molto bene,  restò ad aspettarli in compagnia di Bruno.
Durante la salita, la ragazza non si stancava di esprimere l’augurio che i parigini non  smantellassero mai, come invece si era detto qualche anno prima,  quella meraviglia, vero miracolo e inno alla potenza creatrice dell’umanità che svettava su Parigi dall’Esposizione Universale del 1889. Arrivati in cima, rimase estasiata dalla stupenda vista della città che si godeva dall’alto e incominciò a divertirsi a riconoscere i monumenti e le strade e ad  indicarli al suo accompagnatore. Vittorio invece guardava solo lei, come incantato.
Affacciata al parapetto, con il vento che le scompigliava i capelli neri che sbucavano dal cappellino e il naso rosso per il freddo, era talmente carina che il giovane non seppe resistere. Approfittando del fatto che si fosse voltata verso di lui e che in quel momento non ci fosse nessuno, l’afferrò per la vita, la strinse a sé e la baciò sulla labbra.
In un primo momento lei si irrigidì e fu sul punto di respingerlo, ma poi, a poco a poco, si abbandonò al bacio e le sue labbra morbide e calde si dischiusero.
- Amore, amore mio – le sussurrò Vittorio  quando si staccarono.  
Angela se ne rimase a occhi bassi.
- Dobbiamo andare ora. Tua sorella e Bruno saranno stanchi di aspettarci.
Volò giù per le scale senza neanche attenderlo e per tutto il resto del pomeriggio sembrò essersi dimenticata di quel bacio.
 
Le condizioni di salute di Clara peggiorarono con il passare delle ore: si era buscata un raffreddore con i fiocchi e dovettero rientrare in albergo per farla mettere a letto. Angela, dopo la sua brutta malattia, portava sempre con sé il termometro e lo diede all’amica malata perché si misurasse la temperatura. Restò a farle  compagnia insieme a Vittorio fin verso le nove, quando si congedò e se ne tornò in camera sua.
Non aveva sonno però, oramai dormiva pochissimo, e non aveva neanche voglia di mettersi a leggere. Decise di fare un bel bagno caldo. Mentre riempiva la vasca,  ripensava all’episodio avvenuto quel pomeriggio sugli Champs Elysées. Era stata una cosa a cui i suoi amici nemmeno avevano fatto caso, ma che invece aveva colpito molto lei. Una bambinetta di quattro o cinque anni aveva lasciato la mano della mamma e si era messa a correre verso di loro. A un tratto era inciampata ed era caduta proprio a pochi passi da lei che si era precipitata a rialzarla. Si era ferita le ginocchia, nude e intirizzite dal freddo, ed era scoppiata a piangere. Angela allora l’aveva abbracciata e consolata con mille paroline dolci. Aveva sentito quel corpicino tenero e tremante accostarsi al suo in cerca di conforto e una grande dolcezza le aveva invaso l’anima. Poi era arrivata la mamma e la bimba le si era buttata tra le braccia, dimenticandosi di lei.
Si immerse nell’acqua profumata mentre pensava a Gaetano e ad Annuccia,  a quanto le fossero cari. Molte volte aveva osservato gli occhi limpidi della bambina che guardava la mamma mentre veniva allattata o l’espressione appagata di  Gaetanino che si addormentava a poco a poco tra le braccia di Maria. Molte volte, anche senza volere, aveva invidiato la sua cara amica. Poteva amare quanto voleva tutti i bambini del mondo, ma non aveva avuto la gioia di poterne avere uno suo. Non poteva esserci cosa più bella perché l’affetto tra una madre e un figlio è fatto di anima e di carne, di risa e di lacrime, di tenerezza e di abbandono. È un amore immenso, che non lascia spazio a nient’altro. Non c’è niente che possa eguagliare l’intimità di due esseri che in realtà ne sono uno solo tanto è indissolubile il loro legame.
Con la mano si spandeva l’acqua calda sul seno e sul ventre e pensava che il suo corpo non avrebbe mai conosciuto la gioia di portare in grembo un bimbo, di partorirlo, di allattarlo. Si sentiva per questo una donna incompleta e infelice. Avere un figlio era stato sempre il suo maggiore desiderio e averlo  da  Fabrizio era stato poi il suo sogno  più grande. Persino dopo essersi lasciati così male aveva sperato che i loro rapporti di quel giorno l’avessero resa madre. Benché fosse ormai certa di non essere amata e che le cose non sarebbero certo cambiate se  anche fosse rimasta incinta, non le importava. Anche se avesse dovuto crescerlo da sola, avrebbe comunque adorato quel figlio che immaginava con lo stesso viso e gli occhi color del cielo del padre. Purtroppo non era stato così. A lungo aveva pianto quando le era venuto il ciclo, ma poi era stata costretta a rassegnarsi al destino e a prendere atto della realtà. Aveva già ventiquattro anni compiuti, tra poco la giovinezza  sarebbe finita. Sarebbe invecchiata senza più la gioia di provare l’amore, senza la speranza di avere un figlio e si sarebbe trovata un domani sola e inacidita a rimpiangere la vita sprecata.





NdA
Come avrete intuito,  per un po’ lasceremo Fabrizio a riflettere sulla svolta che ha deciso di dare alla propria vita e ci occuperemo di Angela e dei motivi della sua reazione risentita di qualche capitolo fa. Lasciando un po’ da parte la famosa onniscienza del narratore e, di conseguenza, anche quella di voi lettrici  per la quale conoscete  il contenuto della lettera di Fabrizio e l’amore che ha cominciato a nutrire per la moglie, ditemi, vi sembra tanto criticabile la decisione di Angela di toglierselo dal cuore e di provare a vivere nuove esperienze? Certo forse pensate che è un peccato che ancora una volta  questi due ragazzi debbano prendere vie tanto diverse e allontanarsi,  ma non credete anche voi che accettare di nuovo il compromesso non sarebbe stato né dignitoso né appagante per la mia protagonista? Se lo pensate allora continuate a seguirmi in questa parte della storia dove, complice l‘atmosfera intrigante  della Parigi della Bella Epoque e nuovi personaggi che entreranno nella vicenda, la povera monachella comincerà a  trasformarsi, nonostante tutto,  in una donna più  completa che alla fine saprà prendere in mano la sua vita.
Ancora una volta, per puro caso, le riflessioni di Angela riguardo alla maternità capitano a fagiolo oggi che è la festa della mamma. A tale proposito voglio fare un affettuoso augurio a tutte le lettrici che già lo sono e perché no anche alla vostra mamma… kellina.
Grazie sempre a tutte, a chi commenta, a chi ha messo questa storia in una lista, alle lettrici silenziose che pure senza dirmi nulla mi fanno sentire la loro presenza. Spero sempre di non deludervi.

 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***



 

 
Di sicuro Angela non era mai stata  edonista eppure in quel soggiorno a Parigi stava cominciando a scoprire il fascino delle cose di lusso. Lei, che era sempre stata semplice e schiva, ora si lasciava attrarre dagli oggetti più ricercati come la costosa camicia da notte, in pratica una nuvola di raso e pizzo, o l’elegante flacone di Lalique con il profumo che aveva comprato nel negozio di François Coty in Place Vendome.
Appena uscita dalla vasca dove l’acqua ormai era diventata fredda, indossò l’accappatoio riscaldato sulla stufa di porcellana  e si lasciò avvolgere dalla fragranza profumata di  Cyclamen che con le dita si passò sul collo, dietro  le orecchie, sui polsi. Sciolse i capelli e  prese a spazzolarli a lungo fin quando diventarono morbidi e vaporosi.
Indossò la camicia da notte e guardò la sua immagine allo specchio. Ne fu soddisfatta perché ormai era quella di  una donna giovane e carina. Parigi la stava seducendo come il serpente con Eva, ma non si sarebbe più negata  quei piccoli piaceri. In fondo cercava soltanto di volersi un po’ di bene e ne aveva davvero bisogno. Per scacciare la malinconia o forse perché dentro di sé si sentiva ancora un piccolo, brutto anatroccolo bisognoso d’amore.
Proprio in quel momento bussarono alla porta. Domandò  chi fosse. Era Vittorio che le disse:
- Ti ho riportato il termometro.
- Grazie, non mi serve, me lo ridarai domani. Come sta Clara?
- Ha solo qualche linea di febbre. Ora sta riposando.
L’uomo non riuscì a nascondere il vero scopo di una visita ad ora così tarda e le chiese, quasi implorandola:
 - Angela, per favore fammi entrare.
- Sei impazzito? È  tardi e stavo per andare a letto.
- Ti prego, solo un attimo. Devo vederti.
- Ci vedremo domattina.
- Non ce la faccio a starti lontano, non dopo quello che è successo oggi pomeriggio. Ti prego, fammi entrare, ho bisognosi di vederti anche solo un minuto.
- No, ti ho detto di no. Vai via.      
Il tono era stato perentorio e lui, triste e rassegnato, si accinse a tornare in camera sua. Intanto Angela, appoggiata alla porta chiusa, pensava al bacio di quel pomeriggio che quasi le era sfuggito di mente. Eppure era stato piacevole. Aveva provato la stessa sensazione fisica di quando era stato Fabrizio a baciarla. All’improvviso, una voce dentro di lei cominciò a parlarle. Le disse che poteva diventare lo stesso madre, anche senza amare l’uomo che l’avrebbe resa tale. Sarebbe bastato chiudere gli occhi e lasciarsi andare. Dipendeva da lei, da lei soltanto il farlo prima che nessuno l’avesse voluta  più.
In preda a un impeto, spalancò la porta e guardò Vittorio che si avviava alle scale.
- Aspetta, non te n’andare - lo chiamò.
Lui si voltò, incredulo. Tornò indietro senza indugiare, la prese tra le braccia e, dopo aver chiuso la porta alle sue spalle, la baciò con passione sui capelli, sul viso, sul collo per poi impadronirsi delle sue labbra.
Angela lo lasciò fare. Quei baci, quelle carezze erano gradevoli  e poi era bello sentirsi desiderata. Intanto Vittorio era sempre più eccitato. La trascinò sul letto e provò a sfilarle la camicia. Lei glielo impedì, ma non riuscì a fermargli le mani che si insinuarono sotto la stoffa sottile e risalirono in un’audace carezza lungo le cosce nude, su, fino ai fianchi.
Angela rimase ad analizzare le proprie sensazioni. In ciò che stava accadendo avrebbe dovuto provare la stessa gioia che aveva sentito con  Fabrizio eppure quel fuoco che lui riusciva sempre ad accenderle nelle viscere e la portava a desiderare soltanto di sentirlo dentro di sé, stavolta non c’era.  Vittorio era molto dolce e il contatto con il suo fisico maschio le dava una sensazione di conforto eppure era ben chiaro che per lei sarebbe stato solo un rapporto carnale, senza neanche  un po’ d’ amore.
Ad un tratto un pensiero molto lucido le attraversò la mente: non lo voleva un figlio così e se non avesse fermato quell’estraneo, forse non avrebbe potuto impedirlo. Cercò di divincolarsi.
- Ti prego, Vittorio, non voglio. Per favore lasciami andare - lo implorò.
Ma inutilmente cercò di liberarsi dalla stretta di lui che la teneva sotto di sé. Però si era fermato.
- Perché – le chiese – perché non vuoi?
- Non voglio rimanere incinta.     
L’uomo la capì. Era una paura plausibile: una gravidanza indesiderata l’avrebbe messa in difficoltà agli occhi del mondo. Le prese tra le mani il viso inondato di lacrime e cominciò ad asciugargliele con i baci.
- Io ti amo,  ti amo tantissimo e mai e poi mai farei qualcosa che potesse farti male.
Si mise supino e se la tirò contro. Angela tenne il viso sulla sua spalla, circondata dalle sue braccia. Lui le baciò la fronte e poi le guance dove scorrevano lacrime silenziose. Era tenero, tenero e dolce, e lei si calmò  e ne ricambiò l’abbraccio. Per un po’ restarono così, immersi in una calma infinita, ma ben presto  le carezze di lui tornarono a farsi audaci, i baci più appassionati. Quando la sua passione divenne incontenibile, Vittorio si slacciò i pantaloni per poterla finalmente possedere.
Angela comprese di essere andata troppo oltre. Cosa doveva fare? Cercare ancora una volta di frenare quell’ impeto caloroso oppure doveva accettarlo e provare ancora a fare all’amore perché era giusto ricominciare a vivere? Non lo sapeva neanche lei. Si estraniò, quasi come se fosse stata un’altra persona, e intanto si chiedeva cosa provava per Vittorio. In realtà, anche se una parte di lei  lo odiava perché non riusciva ad amarlo, l’altra ne provava  una sorta di tenerezza per quanto lo sentiva innamorato e vulnerabile. 
Per fortuna  finì presto. Il giovane la lasciò per andare nel bagno contiguo e quando tornò, lei  teneva il viso affondato nel cuscino per non doverlo guardare in faccia.
Le si distese di nuovo accanto e cercò di riprenderla tra le braccia.           
- Tesoro, non so dirti quanto tu mi abbia fatto felice.
- Va bene – gli mormorò a voce bassissima senza neanche girarsi verso di lui -  ma adesso torna in camera tua, per favore. Clara potrebbe aver bisogno di te.
-  Clara starà dormendo  e io ho ancora voglia di stare con te, amor mio.
- Va’ via, te ne prego.
- Perché fai così, non sei stata bene anche tu?
- Ho voglia di rimanere un po’ da sola. Devo pensare.
- E non possiamo pensare insieme?
Vittorio, assai felice, le sorrideva con tenerezza e le carezzava i capelli.
- No, devo stare da sola.
- Va bene, me ne vado, ma soltanto se prima  mi dai un bacio.
Angela si voltò e posò appena le labbra sulle sue. L’uomo l’afferrò di nuovo e la baciò con la lingua, avidamente, tanto che alla fine lei lo scostò, disgustata.
- Basta ti ho detto, va’ via ora! – protestò senza riuscire a nascondere la sgradevole sensazione provata.
Lui ci rimase molto male. In quel momento intuì che non l’avrebbe mai più avuta e anche se cercò di scacciare quel pensiero sgradito, se ne andò via molto triste.
Appena fu da sola, la giovane corse a lavarsi per cancellare dal proprio corpo ogni traccia di quel rapporto da cui non aveva tratto alcun piacere. All’improvviso si sentì invadere da una malinconia infinita e non riuscì più a trattenere i singhiozzi. Quando fu stanca di piangere, tornò a letto e si tirò la coperta fin sulla testa. Gli occhi però restarono spalancati nel buio perché proprio non ne volevano sapere di chiudersi.
Aveva voluto provare ad amare un altro uomo, ma se quello era il risultato, la prova poteva dirsi fallita miseramente. Eppure ora non poteva più tornare indietro perché con il suo comportamento aveva chiuso la porta di un paradiso tanto sognato. Si sentiva come l’Angelo caduto,  sconfitta, oppressa dalla propria colpa senza più possibilità di espiazione. Lacrime di ribellione le salirono agli occhi: perché era dovuto succedere tutto questo? Perché non aveva potuto avere solo la vita che desiderava accanto a Fabrizio?  No, non era stata colpa sua!
Con l’orgoglio e la rabbia di chi è vinto, si disse che se quella doveva essere la sua vita, l’avrebbe vissuta fino in fondo, come un rimprovero o una vendetta  nei confronti di una divinità crudele che oramai l’aveva del tutto abbandonata.
 
Se avesse potuto, avrebbe preferito non dover più vedere l’uomo con il quale si era lasciata andare ad un’intimità così avvilente. Ma non poteva. Il soggiorno a Parigi doveva durare ancora una settimana e Vittorio, adesso che l’aveva avuta, si comportava in maniera molto possessiva nei suoi confronti. Inutilmente Angela aveva cercato di lasciarlo in albergo a far compagnia alla sorella malata per continuare i propri vagabondaggi, magari insieme a Bruno. Lui non l’aveva permesso, quasi come se oramai gli appartenesse. Per fortuna la lagnosa Clara aveva deciso che poteva rialzarsi e così almeno poterono ricominciare a uscire tutt’insieme.
La giovane contessa voleva vedere ancora tanti posti di quella città meravigliosa. Poi c’era una cosa che si era ripromessa di fare fin dal suo arrivo: andare al cimitero di Montparnasse. Una volta Paul le aveva riferito che i baroni de Savigny avevano la tomba di famiglia nel famoso cimitero parigino. Non essendo riuscita a  stabilire alcun contatto con loro durante il soggiorno a Parigi,  Angela sperava di poter trovare  da sola la sepoltura del suo povero amico.
Vittorio si mostrò un po’ seccato dalla richiesta, ma, come finiva sempre per fare, l’accontentò. Poiché il cimitero con la sua monumentale bellezza era anche una meta turistica, si unirono a loro anche Clara e Bruno. Trovarono la tomba che cercavano, ma un inserviente interpellato al riguardo  le disse che il giovane barone non era stato sepolto a Parigi, ma in Svizzera, laddove era morto.
La ragazza si diede della stupida per non averci pensato: era naturale che il suo caro Paul riposasse nel cimitero di Davos. Che scopo avrebbe avuto far fare alla sua salma un viaggio così lungo? Chissà che fine aveva fatto la sua famiglia e chissà se sulla sua tomba nel piccolo cimitero di montagna c’era qualcuno che gli portava  mai un fiore. Si sentì molto rattristata a quel pensiero e la sua malinconia non passò inosservata a Vittorio che cominciò a tempestarla di domande sui suoi rapporti con il defunto fino a quando non ne fu  infastidita e lo rimproverò. Lui se ne risentì. Divenne scontroso e scortese, ma la ragazza finse di non essersene accorta anche se in cuor suo non mancò di notare quella gelosia ossessiva  rivolta peraltro ad una persona che nemmeno c’era più.
Ad un tratto si trovarono davanti alla tomba di Charles  Baudelaire. Angela vi  si fermò un momento, raccogliendosi in silenzio, tra lo stupore degli amici che però non dissero nulla.
Ne parlarono più tardi, mentre erano seduti a un tavolino del  Café de la Paix  sul Boulevard des Capucines.
- Mi spieghi perché ti sei fermata a pregare davanti alla tomba di Baudelaire, stamani? – le chiese Bruno, assai incuriosito dalla cosa.
Lei sorrise.
- Non pregavo, ­– spiegò  -  pensavo a lui come a una vecchia conoscenza. Tanti anni fa qualcuno mi lesse delle sue poesie. Mio marito lo rimproverò dicendo che non era un poeta adatto a me,  ma da allora ne sono stata sempre affascinata.
- Lo sai chi era Baudelaire, vero? – le chiese Vittorio, ancora una volta irritato dall’accenno della sua amata a una vita passata – Un depravato, un uomo dedito alle droghe, un dissoluto lussurioso.
- Era uno di quei poeti maledetti o mi sbaglio? – chiese a sua volta Clara, facendo bella mostra di cultura anche se nemmeno si ricordava chi fossero gli altri.
- Sì, insieme a Verlaine e a Rimbaud. – confermò Angela poi si spiegò meglio – Sai, anche a me facevano un po’ paura all’inizio, ma a poco a poco ho cominciato a capirli e ad apprezzarne la sensibilità. Credo che mai nessuno meglio di loro sia  riuscito a trasmettere il contrasto insito negli esseri umani tra gli ideali e le bassezza della vita. E adoro il loro modo di cantare il desiderio di un oblio in cui il dolore trovi  finalmente pace.
- Già, l’oblio dell’assenzio! – scherzò Bruno che intanto aveva adocchiato una bella signora seduta a un tavolino accanto a loro che sembrava ascoltare con grande interesse quella conversazione.
- E perché no? -  proseguì Angela – L’oblio delle droghe, dei piaceri nei quali annullarsi, della morte intesa come suprema consolatrice perché in essa finalmente si dissolve la carne che non dà tregua allo spirito.
- Tu devi essere pazza – commentò l’amica, scuotendo la testa con un risolino ironico.
- Certo e faceva bene il tuo ex marito a vietarti questo tipo di letture – osservò a sua volta Vittorio.
La contessina rispose tranquilla:
- Fabrizio non era il tipo da vietare niente a nessuno. Te l’ho detto, intendeva solo proteggermi  nonostante lui stesso amasse molto Baudelaire. Pensava,  e a ragione,  che allora mi sarei turbata per le sue opere  in cui lo avrei sentito parlare  dell’amore carnale  o magari inneggiare a Satana. Infatti ho dovuto maturare molto  prima di poter capire che quella del poeta altro non è che un’ansia di bellezza e di purezza. Solo allora sono riuscita ad apprezzare la segreta disperazione dei suoi versi perfetti. Pensate a tutte le volte che anche noi vorremmo fuggire verso terre incantate e lontane, dove tutto è pace e calma, e trovare un appagamento dei sensi che sia pure totalità spirituale. A tutti  è successo di avvertire una malinconia senza fine e lo sconforto per l’incapacità di cambiare la nostra esistenza, ma a differenza dei poeti,  noi non riusciamo a spiegarlo a parole.
Dal tavolo a fianco giunse una bella voce femminile che declamò:
 
“Piange nel mio cuore
Come piove sulla città
Cos’è questo languore
Che mi penetra il  cuore?”
 
-  Paul Verlaine! –  esclamò Angela.
Aveva riconosciuto quei versi e si voltò sorridendo verso la donna che aveva alle spalle.
Doveva avere più di trenta, trentacinque anni però era ancora molto attraente. Aveva i capelli rossi, ma non rosso carota, erano del colore del miele e gli occhi, dalla forma un po’ obliqua, erano di un verde intenso. Il viso spruzzato di efelidi era bello e intelligente, così come tutta la sua persona, vestita in maniera raffinata. Stava sorridendo, quasi per farsi perdonare quella inopportuna intrusione. Visto che aveva parlato in italiano, la ragazza le chiese con gentilezza se lo fosse.
- No - rispose – non sono italiana, anche se parlo molto bene la vostra lingua e sono innamorata del vostro paese. Ho ascoltato senza volere, signora, e siccome mi è molto piaciuto ciò che avete detto, non sono riuscita a trattenermi. Ma forse è ora che mi presenti, mi chiamo Jeanne Fougez e sono di Nizza.
Bruno, che già da un bel po’ era rimasto colpito da lei,  ne approfittò subito. Si alzò in piedi con galanteria e fece le presentazioni. Jeanne era da sola così la invitarono al loro tavolo per fare una conoscenza un po’ più approfondita.
Ai fratelli Orsini risultò subito antipatica: a Clara perché sembrava aver monopolizzato l’attenzione dell’amico di suo fratello sul quale aveva fatto qualche pensierino e a Vittorio perché, sin dalle prime frasi, gli era apparsa una donna troppo emancipata che avrebbe potuto esercitare una malvagia influenza su Angela. A differenza degli altri, quest’ultima la seguiva affascinata, ammirando molto la verve della sconosciuta che mostrava una profonda cultura e aveva modi molto signorili. Fecero presto amicizia e poiché avevano prenotato un palco all’Opera per la sera, Bruno si affrettò a invitarla ad andare con loro senza neanche chiedere il parere degli altri.
- Cosa rappresentano? – si informò la signora prima di accettare.
- Un’opera di un compositore italiano, Giacomo Puccini.
- “Manon Lescaut” per caso o “Madama Butterfly”?
- No, la “Tosca” – rispose Angela – io non l’ho mai sentita, ma mi hanno detto tutti che è  molto bella.
- Sì, è così. Giacomo, lo dice lui stesso,  “è innamorato perdutamente dell’amore” e le sue opere non deludono mai, soprattutto noialtre donne che siamo delle inguaribili romantiche.
- Giacomo? Perché lo chiamate così, signora? Quasi come se lo conosceste! – ridacchiò Clara con l’intenzione di metterla in ridicolo.
La donna invece non si scompose e spiegò con un sorriso:
- Perché  è così, mia cara, ho avuto il piacere di conoscerlo di persona. Vi assicuro che non è stato facile rimanere indifferente al suo magnetismo e al suo fascino. Ve l’ho detto, è molto amato dalle donne anche se sua moglie Elvira è gelosissima.
Continuarono a parlare per un po’ e durante la conversazione, Bruno si informò sul suo stato sociale. Fu ben lieto di scoprire che si trattava di una donna libera da legami, probabilmente una demi-mondaine, facilmente espugnabile. Meno lieto ne fu Vittorio. Angela invece ne restò affascinata e fu contentissima di poterla  incontrare ancora la sera stessa perché alla fine lei accettò il loro invito.
 
Clara e Vittorio borbottavano indispettiti mentre  aspettavano madame Fougez davanti al Teatro dell’Opera e non mancavano di  rimproverare il povero Bruno. Quando lei arrivò, anche se con notevole ritardo, nel vederla scendere dalla carrozza a noleggio più bella ed elegante che non nel pomeriggio, il giovane dimenticò i rimbrotti subiti e si sentì avvampare per l’ammirazione. Anche la giovane contessa trovò simpatico il sorriso che la donna le rivolse, cordiale e aperto, quasi come se si conoscessero da sempre. 
Entrarono giusto in tempo per l’inizio della rappresentazione e la musica appassionata di Puccini li catturò presto. Da quella prima volta al San Carlo di Napoli, Angela non aveva mai smesso di amare la musica lirica e apprezzò molto la commovente storia di Floria  Tosca e Mario Cavaradossi. Fu addirittura rapita dalla struggente melodia.
Quando il tenore intonò la romanza “E lucean le stelle” ne fu talmente presa che dovette mettersi una mano sulla bocca per trattenere i singhiozzi che le salivano dal petto dove una forte emozione le provocava quasi un dolore fisico.
Era il ricordo di una notte stellata e profumata a farla star male. Ripensò a Fabrizio: l’eccitazione di sentirlo vicino, la dolcezza dei suoi baci, il tocco delle sue mani, il languore che l’avvolgeva come un incantesimo … Ma anche per lei il sogno d’amore era destinato a svanire per sempre e la vita, la vera vita, quella da trascorrere accanto all’unico uomo che voleva,  era finita proprio nel momento in cui aveva cominciato finalmente ad amarla.
Avvertì le lacrime scorrerle sul viso e dovette fare uno sforzo enorme affinché nessuno si accorgesse del suo turbamento. Ma Jeanne, seduta accanto a lei, la vide piangere. Con un sorriso e molta discrezione, le porse un fazzolettino ricamato e profumato di violette. Lei si asciugò gli occhi e ricambiò il sorriso, per ringraziarla. La donna allora le strinse la mano in un gesto di solidarietà femminile che le fece molto bene e l’aiutò a riprendere a guardare di nuovo l’opera con un po’ più di tranquillità.
Usciti dal Teatro, decisero di andare a cena  a Le  Procope. Nelle sale eleganti, mentre gustavano i piatti dell’eccellente cucina francese,  Angela sembrava aver superato lo sconforto di poco prima, anche se non aveva  dimenticato il proprio pianto e la gentilezza dimostratale da   Madame Fougez.
- Grazie per il fazzoletto, ve lo farò riavere domani, lavato e stirato – le sussurrò piano per non farsi sentire dagli altri.
- Non vi preoccupate mia cara, potete anche tenerlo.
- Oh, ce l’avevo anch’io, sapete, solo che ero così sconvolta da non riuscire neanche a muovermi e a prenderlo dalla borsetta. Mio Dio che stupida, chissà cosa dovete aver pensato di me!
- Che amate molto la musica o che avete perso qualcuno di cui siete ancora innamorata – rispose l’altra con uno sguardo quasi materno.
La ragazza la guardò stupita: come aveva fatto quella sconosciuta con la quale aveva scambiato sì e no quattro parole a intuire i suoi sentimenti?
Jeanne le si avvicinò e quasi con complicità, aggiunse:
- Non vi meravigliate. Purtroppo quando si passa per certe esperienze non si fatica a riconoscere negli altri le stesse pene.
S’interruppero perché Bruno stava dicendo loro qualcosa. Per tutto il resto della serata non ritornarono più sull’argomento.

Bene, avete appena letto il capitolo 29 che potrebbe avere come sottotitolo: “laddove la nostra Angela scende dal piedistallo di santa e commette un errore non più dettato solo da nobili princìpi,  ma dovuto unicamente a umana debolezza e immensa confusione”. Trovate sia giusto? Eppure, magari con il tempo,  potrebbe pure affezionarsi a Vittorio visto che è l’uomo tutto di un pezzo, realizzato professionalmente  ed innamorato da morire nelle cui mani può mettere la sua vita in tutta tranquillità. In ogni caso questo rapporto,  anche se sembra soltanto uno sbaglio, le farà bene. Forse l’aiuterà a trovare quella pace a cui tanto aspira oppure le mostrerà come sono fatti anche altri uomini. Magari scoprirà che Fabrizio ha delle doti che altri non hanno e ciò la renderà un poco più indulgente verso i suoi difetti. Anche se la farà soffrire ancora un pochino,  la perfida autrice ha pensato che la poverina non ha mai avuto modo di conoscere  il mondo o l’amore. Forse è venuta l’ora che incominci a farlo per poter compiere le sue future scelte in piena consapevolezza. Che ne pensate?
Ancora una volta aspetto con ansia di leggere i vostri commenti per dare una risposta alla mie domande. Mi raccomando, siate indulgenti. Ah, dimenticavo, stavolta l’appuntamento è per sabato prossimo.
Intanto vi metto qualche bella immagine d’epoca di Parigi




Il Caffé de la Paix



Place Vendome


L'Opera

E magari, se vi va, anche il link di  youtube dove potrete riascoltare la romanza della Tosca che fa commuovere Angela.
https://www.youtube.com/watch?v=hxdiJ74AL5Y
 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***





 
Jeanne Fougez ricambiò le gentilezze ricevute con un invito a pranzo a casa sua il giorno successivo. Abitava in un grazioso appartamento del Boulevard Saint Germain e  nel corso della giornata trascorsa insieme, approfondirono meglio la reciproca conoscenza. La padrona di casa disse di essere vedova e di vivere con la pensione del defunto marito che era stato un funzionario statale. La sua cultura e la sua apertura mentale erano davvero fuori del comune e Angela si trovò in sintonia con lei su tantissimi argomenti. Più di una volta nel parlare le capitò, anche senza volere,  di citare il marito, cosa che la portò a fare una riflessione. Lo aveva accusato di essere un narcisista perché  nella fitta corrispondenza durata tutto il periodo della sua permanenza a Davos e proseguita senza interruzione negli anni successivi, persino quando aveva smesso di rispondergli,  non le aveva mai chiesto di lei, ma si era limitato alle sue brillanti cronache di giornalista. Ora però capiva che quello poteva essere stato un modo per sentirsela vicino e condividere ogni momento. Forse aveva sbagliato a cercare in quelle lettere solo parole d’amore. Ciascuna parola era un atto d’amore e lei non se ne era mai accorta. Era stato solo grazie a Fabrizio, alla sua attenzione che non le era mai mancata, se ora conosceva tante cose ed era in grado di sostenere una conversazione.
Vittorio parve risentirsi dei continui accenni di Angela all’ex marito, fatti spesso anche in contrapposizione alle sue stesse idee. Senza neanche curarsi di nascondere la  propria irritazione, la  sfogò persino con la loro ospite che  trattava quasi con sufficienza. Si era  convinto infatti che una vedova non poteva consentirsi un appartamento così bello né le raffinate tolette se non fosse stata una poco di buono. Dal canto suo Bruno non la smetteva di fare il galante con la bella signora anche se aveva almeno una decina di anni meno di lei, anzi, proprio per tale motivo gli sembrava una preda più facile. In quanto a Clara, delusa nel suo nascente sentimento nei confronti del giovane, se ne stava scontenta e imbronciata.
Quando  a sera si congedarono, Angela rimase un momento da sola con Jeanne.  I due uomini erano scesi a chiamare una carrozza perché pioveva a dirotto  e l’amica si era ritirata un attimo alla toilette. All’improvviso la donna le disse:
- Mi sembrate una ragazza sensibile e intelligente, però, a dire il vero, non trovo i vostri amici allo stesso livello. Mi piacerebbe parlare ancora un po’ con voi, perché non mi venite a trovare da sola? È da tanto che cerco una persona amica con la quale potermi sfogare. Chissà,  forse potremmo farci compagnia. Che ne dite, vi va?
Angela provava una forte e istintiva simpatia  per lei. Si sentì arrossire per il disagio quando fu costretta a dirle:           
- Piacerebbe anche a me,  madame, ma ho paura che Vittorio non mi lascerà venire.
- Vittorio? È  il vostro fidanzato Vittorio?
- No, ma …
- Non era per lui che piangevate ieri sera, non è così?
Non le rispose, ma il suo silenzio fu abbastanza eloquente.
- Statemi a sentire, piccola cara, venite a trovarmi: farà bene anche a voi parlare con qualcuno. Vi assicuro che mai orecchie saranno più discrete delle mie.
 
Quella sera stessa, dopo che il concierge dell’Hotel Ritz in Place Vendome le ebbe consegnato una lettera arrivata nel pomeriggio, Angela salutò gli amici e si diresse verso la sua stanza per poterla leggere in tutta calma. Stava aprendo la porta quando si avvide che Vittorio l’aveva seguita.
- Di chi è questa lettera? – la investì senza mezze misure.
La donna lo guardò, stupita da quei modi così poco discreti, ma la sua naturale mansuetudine le impedì di rispondergli a tono.
- È  di Alberto.
- Giurami che non è di tuo marito.
- Cosa? – gli chiese indignata e aggiunse - Ma perché fai così?
- Perché mi hai fatto innamorare e adesso mi stai respingendo.
L’afferrò e cercò di baciarla per dimostrarle il suo sentimento, ma lei si sottrasse. Le dispiaceva se senza volere gli stava facendo del male, ma trovava inaccettabile la sua aggressività.
- Non lo sto facendo, sei tu a non comportarti più come il gentiluomo che ho conosciuto. Io dovrò pur difendermi in qualche modo.      
Era stata dura però aveva ottenuto di farsi lasciare subito. Il giovane sembrò mortificato da quell’accusa.
- Perdonami, io mi sento d’impazzire per la disperazione. Sono innamorato di te e tu non fai altro che pensare a tuo marito.
- Non è vero.
- Invece è così. Fammi vedere la lettera, sono sicuro che è la sua.
- Ti ho detto di no e gradirei essere creduta. Non mi piace questo tuo modo di agire. Te lo ripeto: perché stai facendo così?
- Perché ti amo, Angela. Come pretendi che io dimentichi il tuo passato se neanche tu riesci a farlo?
Lei abbassò il viso soffuso di rossore. L’uomo aveva colto nel segno.
- Lo so, forse perché sono come una persona convalescente dopo una grave malattia. Prendiamoci un po’ di tempo, ti prego, ora come ora sarebbe un grosso errore per me iniziare un nuovo legame.
Il giovane parve turbarsi moltissimo a quelle parole. L’afferrò per la vita e la strinse forse a sé.
- Neanche per sogno! Io ti voglio e voglio iniziare una nuova vita insieme a te. Vedrai, mia adorata, non te ne pentirai.
Ancora una volta cercò di baciarla, ma il campanellino che annunciava l’arrivo dell’ascensore al piano lo costrinse a staccarsi da lei e a riprendere un certo contegno. Mentre una coppia entrava nella stanza accanto, approfittando della pausa insperata, Angela prese congedo e si ritirò. Sapeva che Vittorio non avrebbe osato reagire in presenza di estranei così richiuse in fretta la porta alla sue spalle e vi si appoggiò, assai inquieta per quella dichiarazione d’amore appassionata.
Ancora una volta provava nei confronti del giovane un’ambivalenza di sentimenti che la faceva star male e non riusciva a decidersi se accettare il loro rapporto o respingerlo. Neanche la lettera di Alberto la calmò perché le fece ricordare che presto sarebbe dovuta tornare a casa e lì, inevitabilmente, avrebbe dovuto prendere una decisione sul futuro.
Passò una notte molto agitata e si svegliò ancora più presto del  solito. Non sapeva come impiegare il tempo fino alle dieci, ora in cui si sarebbe rivista con gli amici. Si sentiva ancora più angosciata della sera precedente. Un disperato bisogno di solitudine la spinse a vestirsi e a uscire per le strade ancora vuote della città che si stava appena  svegliando nel piovigginoso mattino della domenica di dicembre. Senza prestare molta attenzione ai propri passi, si trovò al Pont du Carrousel. Si ricordò che da lì poteva arrivare al Boulevard Saint-Germain e così decise di andare a trovare la nuova amica. Soltanto quando aveva già suonato al campanello d’ingresso guardò l’orologio appuntato con una catenina d’oro al bavero della giacca e si rese conto che erano solo le otto. Non appena la domestica le venne ad aprire, si mise a balbettare delle scuse. Stava quasi per andare via quando apparve Jeanne, non ancora vestita.
- Sono una gran maleducata, non avevo pensato all’ora inopportuna – si scusò – ma vado subito via.
- No, entra. Come vedi sono già sveglia e non credo che ti scandalizzerai a vedermi in vestaglia. Hai già fatto colazione?
- Sì, grazie.   
 Si sentì sollevata dal fatto che la donna l’avesse accolta con tanta familiarità, dandole addirittura del tu. Però non sapeva come comportarsi e neanche con esattezza il perché fosse andata a trovarla.
Jeanne la sollevò d’imbarazzo.
- Stai ben sicura che se fossi stata un giovanotto non ti  avrei fatto entrare, non prima delle necessarie opere di restauro almeno. – scherzò -  Mi fai compagnia mentre provvedo a rendere la mia persona di nuovo presentabile?         
Senza aspettare una risposta, la prese sottobraccio e la condusse in camera da letto.
Angela la osservò: vista così al naturale, madame Fougez dimostrava qualche anno in più, ma per essere cortese le fece un complimento un po’ malizioso:
- Conosco qualche giovanotto che l’ammirerebbe anche così, madame.
La donna si mise a ridere.
- Alludi a Bruno? Mon Dieu! Il ragazzo sta cercando davvero di darsi da fare con me, me ne sono accorta. Ma come faccio a prendere in considerazione un giovane che ha quasi l’età di mio figlio?
- Voi avete un figlio? – proruppe Angela, assai stupita.
- Due, per l’esattezza. Un maschio e una femmina. E quest’ultima mi ha già reso nonna di un bel nipotino. Ho quarantacinque anni, sai.
- Ne dimostrate almeno dieci di meno.
- Invece si vede che li dimostro tutti se continui a darmi del voi per rispetto.
- No, no – balbettò Angela – lo faccio  perché ci conosciamo da poco.
- Bene, allora conosciamoci meglio. Possiamo parlare mentre mi vesto.
Con grande affabilità le cominciò a raccontare dei suoi figli e del nipotino. Commossa dall’affetto che traspariva da quelle parole, Angela le confidò  il proprio rammarico per non avere avuto figli. Quando la sua interlocutrice osservò che faceva ancora in tempo ad averne, le rispose con un sospiro e abbassò gli occhi.
Jeanne provò a consolarla.
- Spesso  però i figli, quando diventano grandi, sono i tuoi peggiori giudici e sono giudici senza alcuna pietà. I miei mi hanno condannata perché a trentotto anni ho voluto provare ancora l’amore. Per loro, dopo la morte del padre, avrei dovuto rinunciare anch’io alla vita.


Le raccontò la sua storia, della giovinezza a Nizza, della felicità provata con il suo Eugene, della disperazione in cui  era caduta quando una malattia glielo aveva portato via. Erano stati lunghi anni bui in cui aveva dovuto fare  una ben misera vita, ma, con un po’ di aiuto da parte dei fratelli del marito e lavorando lei stessa nell’hotel della loro famiglia, era riuscita ad allevare bene i figli. Il maschio aveva studiato e a venti anni aveva trovato un buon impiego a Nantes mentre la femmina, di un anno più piccola, si era sposata con un bravo giovane. Da quando era rimasta vedova all’età di  venticinque anni, Jeanne non aveva nemmeno più guardato un uomo anche se il lavoro nell’albergo la metteva in contatto con un gran numero di gentiluomini, molti dei quali si mostravano interessati a lei. Eppure la rinuncia ad avere una vita affettiva non le era pesata perché i bambini le assorbivano ogni energia. Nel poco tempo libero a disposizione aveva preferito dedicarsi alle letture o a fare qualche breve viaggetto, riuscendo in questo modo a continuare a sentirsi viva. Gli anni erano passati, insieme alla gioventù, ma aveva provato la soddisfazione di sentirsi una donna serena ed onesta. Era fiera di sé per questo e non si sarebbe mai aspettata quello che stava per capitarle.
Forse accadde per l’enorme solitudine in cui restò quando entrambi i suoi ragazzi se ne furono andati di casa o forse semplicemente perché conobbe il barone Matteo Friboldi, un uomo fuori dal comune. Fu così che si ritrovò innamorata di lui come se fosse stata ancora una ventenne. Per lungo tempo provò a combattere quel sentimento sconveniente ai suoi stessi occhi perché Matteo, che era un ricco produttore di vini toscano, era ammogliato con una donna grassa e petulante che non lo lasciava mai un minuto.  Anche lui si innamorò, nonostante il rispetto per la moglie e le buone intenzioni di resistere all’attrazione provata. All’inizio la loro fu solo una relazione platonica, disperata e clandestina, che li faceva sentire colpevoli, ma l’anno dopo, quando lui ritornò di nuovo a Nizza per le consuete vacanze, un po’ la lontananza vissuta da entrambi  come un gran pena, un po’ il fatto che erano oramai consapevoli del loro sentimento, finirono per cadere l’uno nella braccia dell’altra. La scintilla presto divampò come un fuoco e non riuscirono più a nascondere la loro passione. Si cercavano di continuo, senza più prudenza, pur sapendo che avevano gli occhi di tutti puntati addosso. Quando la baronessa li scoprì insieme, lo scandalo fu grandissimo. Nessuno, né i cognati, né i figli, ebbero la minima pietà per lei, anzi, furono tutti pronti a condannarla senza remissione. Dovette fuggire a Parigi, sola e miserabile, senza sapere la fine che avrebbe fatto quando sarebbe terminato il poco denaro in suo possesso. Aveva provato l’abisso della disperazione, ma forse fu per questo che la sua gioia fu ancora più grande quando Matteo la raggiunse  qualche mese dopo. Non aveva resistito e per lei aveva lasciato tutto. Purtroppo non poteva sposarla, ma comunque quegli anni vissuti insieme furono stupendi, pieni di amore e di comprensione, di amici, di viaggi e di divertimenti. Ma per la povera Jeanne il tempo della sofferenza non era ancora finito: una caduta da cavallo le avrebbe portato via  il suo compagno dopo pochi anni di felicità. Da allora era rimasta a vivere lì, nel loro appartamentino, con una rendita vitalizia lasciatale dal suo amante che aveva previsto con saggezza anche quella triste eventualità.
Quando finì il racconto, Angela aveva gli occhi colmi di lacrime.
- Mi dispiace – le disse – mi dispiace tanto.
- No, non dispiacerti. Sono serena adesso: ho ancora tanti cari amici che mi vogliono bene e mi invitano di qui e di là in tutta Europa, non ho problemi economici  e da quando sono rimasta sola, mia figlia, perlomeno lei, si è un po’ raddolcita e ogni tanto mi fa vedere anche il nipotino.
Però, mentre diceva queste parole, non riuscì a trattenere una lacrima che le scivolò sul viso.
- Mi manca tanto Matteo! Anche con Eugene fu così, ma allora ero giovane e distratta dalle necessità della vita. Ora, se mi guardo intorno, vedo solo una desolata solitudine e la vecchiaia  farsi avanti.
Come aveva fatto l’amica con lei due sere prima, Angela le prese la mano tra le sue e gliela strinse forte. L’altra sorrise tra le lacrime e provò a fare una battuta:
- E poi c’è una cosa che mi tormenta: sarò per caso io a portare sfortuna agli uomini che mi amano? Avvisa Bruno, mi raccomando, lui è così giovane, poverino!
La ragazza la guardò con gli occhi spalancati dallo stupore, poi afferrò l’ironia della frase e sorrise anche lei
- Come fai ad essere così meravigliosa?  Con tutto quello che hai passato hai ancora voglia di scherzare!
- Diffida di coloro che non hanno il senso dell’humor. Sono persone rigide e intolleranti. Prendersi troppo sul serio non aiuta a vivere.
- Allora dovrei diffidare per prima di me stessa: non faccio altro che fare tragedie, io. Se tu sapessi quanto sono stata intransigente nella mia vita…
- No, tu sei una brava ragazza, l’ho capito appena ti ho veduta ed è per questo che ti ho fatto tutte queste confidenze oggi. Non le avrei di certo fatte a Bruno o ai fratelli Orsini. Anzi, forse mi odierai e non vorrai più vedermi, ma a questo proposito devo dirti una cosa: Vittorio non è adatto a te, pensaci bene prima di legarti a lui.
Gli occhi bassi per l’imbarazzo e turbata da quel pensiero che per un po’ era riuscita a scacciare, Angela balbettò:
- Non lo so. È così innamorato … e poi … poi … è successo … anche se dopo me ne sono pentita … come faccio a tornare indietro adesso?
- A me è parso un uomo molto possessivo e anche un po’ violento, ma che sia innamorato di te questo è fuor di dubbio. Il problema è se tu ne sei innamorata davvero. Se non è così, non farti scrupoli, non sentirti obbligata a fare qualcosa che non vuoi solo perché ci sei stata a letto, faresti la tua e la sua infelicità.
- Io non potrò mai più essere felice, Jeanne.
Allo sguardo amichevole dell’altra decise di  confidarsi. La donna l’ascoltò interessata e senza fare alcun commento, nemmeno quando le raccontò di Fabrizio e di ciò che era accaduto tra loro. Per Angela fu un vero sollievo perché non ne aveva mai parlato con nessuno, neppure con Maria. Avrebbe continuato a lungo la conversazione e ascoltato volentieri le cose che l’amica aveva cominciato a dirle, quando si accorse che erano già le dieci e trenta. Spaventata, saltò su come una molla. Doveva andare. Gli amici la stavano aspettando per la Messa e lei non aveva pensato ad avvisare nessuno.
Nel vederla così agitata, Jeanne le consigliò di prendere il tram che passava proprio sotto casa sua in modo da arrivare in albergo in nemmeno cinque minuti. Allo sguardo scandalizzato della ragazza, non poté trattenersi dal prenderla in giro:
- Guarda che ti ho consigliato di prendere un tram, non di fare un viaggio dalla terra alla luna.
- Io non l’ho mai preso da sola – obiettò la giovane.
- Non è una cosa trascendentale. Basta che sali, paghi il prezzo del  biglietto ad un cortese signore in divisa - a proposito  ce li hai gli spiccioli? –  poiché la giovane annuiva con il capo, proseguì – ti siedi e alla fermata in Place Vendome, scendi. Tutto qui.
- E se non ne sarò capace?
- Sbaglierai e alla fine imparerai a farlo. Cerca di camminare con le tue gambe, piccola mia, è una cosa davvero necessaria per poter essere felici.
 
Angela aveva seguito il consiglio di Jeanne e non solo non aveva trovato nessuna difficoltà a prendere il tram, ma le era anche piaciuto muoversi da sola per Parigi. Si sentiva contenta perché aveva fatto qualcosa che desiderava fare senza dover dipendere da nessuno. Si diceva tra sé che doveva imparare a superare le tante paure che ancora la rendevano timida e timorosa di tutto. Se fosse riuscita a diventare indipendente e sicura come le diceva Jeanne, di certo si sarebbe sentita meglio. Purtroppo la sua contentezza durò molto poco. Nella hall dell’albergo c’erano gli amici ad aspettarla.
Non appena la vide, Vittorio l’afferrò per le spalle e cominciò a scuoterla con violenza, assai adirato.
- Dove sei stata,  - le chiese brusco - si può sapere dove sei stata?
Le persone intorno si voltarono a guardarli, ma lui non se ne curò tanto era stato in pena per l’amata. Invece Clara se ne vergognò e proruppe in lacrime.
- Tu sei proprio impazzito per colpa di questa donna. Come vorrei non essere mai venuta a fare questo sciagurato viaggio! -  gli urlò e se ne scappò fuori.
Bruno lanciò uno sguardo eloquente all’amico per invitarlo a controllarsi poi si affrettò ad andare a consolarla.
Vittorio si ricompose e le chiese, più tranquillo:
- Dove sei stata?
- A fare una passeggiata – mentì lei – Scusami, non pensavo si fosse fatto così tardi e sareste stati in ansia per me. Però ti prego, Vittorio, cerca di dominarti un po’, non hai visto la reazione di tua sorella?
- Non m’importa di quella stupida, m’importa solo di te. Comunque per questa volta ti perdono, ma non farlo mai più.
- Non ho fatto nulla di male,  ho fatto solo una passeggiata.
- Non voglio che tu vada da sola. La prossima volta fammelo sapere e ti accompagnerò io.
Angela non rispose, ma dentro di sé capì che non avrebbe mai potuto rinunciare alla propria libertà.
 
Per fortuna dopo un po’ gli animi si calmarono. Aspettando che si facesse l’ora per andare a messa, fecero tutti insieme quattro passi. La pioggia era cessata ed era apparso un bel sole che riscaldava le strade e le rendeva ancora più belle e animate. Così come il tempo, anche Clara si era rasserenata e adesso camminava davanti a loro sottobraccio a Bruno. Era contenta perché il giovane l’aveva saputa consolare con molta dolcezza e le speranze di non essergli indifferente le si erano riaccese nel cuore. In realtà Bruno era interessato alla sorella dell’amico. Si era lasciato tentare dalle grazie di madame Fougez e ancora sperava di avere successo con lei, ma sapeva che si sarebbe trattato solo di un’avventura. La giovane Clara invece, caruccia e di buona famiglia, rappresentava un buon partito per accasarsi al meglio. Non gli andava di scontentarla e poi doveva rimanere a Parigi  perlomeno altri due anni: di sicuro avrebbe avuto tutto il tempo per far capitolare l’affascinante Jeanne in seguito.
Dietro di loro camminavano Angela e Vittorio. La donna era muta ed imbronciata. Lui invece non smetteva di dirle il suo amore spropositato e il felice futuro che li aspettava. Alla fine lei sbottò, alquanto irritata.
- Stai facendo tanti progetti come se io fossi libera. Fino a quando non ci sarà l’annullamento da parte della Sacra Rota, sarò ancora una donna sposata. Non  pretenderai che mi metta a fare la tua fidanzata!
- Certo, dovremo usare un po’ di discrezione, ma cercheremo di condurre una vita molto riservata e di non dare adito a troppe chiacchiere. Tu dovrai smetterla con i tuoi atteggiamenti stravaganti e…
- Che intendi dire? 
 Si era fermata di botto e lo guardava negli occhi, assai inquieta.
- Dovrai cessare i tuoi vagabondaggi da sola con quel cane, dovrai vestirti in maniera più castigata, dovrai avere un comportamento più distaccato nei confronti della tua ex cameriera e di suo marito. E neanche mi piace la familiarità che hai con i Barone: sono brava gente, questo è vero, ma trattarli come se fossero tuoi parenti mi sembra davvero eccessivo. Lo sai che il padre di Giuseppe era solo un bottegaio?
Angela non rispose nulla, ma si sentì stringere il cuore dall’angoscia. Cominciava a sentirsi in trappola. Era una sensazione mai provata prima e ne ebbe paura.




 
NdA
Ieri un impedimento imprevisto mi ha impedito di aggiornare e stasera per  un impegno già programmato nemmeno potrò farlo. Così vi ho postato il capitolo ad ora di pranzo,  creando forse un po’ di  confusione. Comunque  chi mi segue e conta sulla costanza dei miei aggiornamenti credo che non rimarrà delusa dal non trovarlo.
Vi ha fatto piacere conoscere il passato di madame Fougez? Spero di non avervi annoiato con questa digressione. So che a molte di voi stava già simpatica, ma ora penso che lo sarà ancora di più per i saggi consigli che ha dato ad Angela, magari gli stessi che avreste voluto darle voi. In quanto a Vittorio non è simpatico, lo so, ma non credo di aver tratteggiato un tipo troppo singolare visto che ancora oggi, dopo anni di emancipazione femminile, ci sono ancora uomini possessivi e gelosi da togliere il fiato alle loro compagne. Certo è un loro modo d’amare e in fondo un po’ di sana gelosia fa anche piacere (anche Fabrizio lo fu di Filippo, lo ricordate?) però quando si abbina ad una mentalità gretta e maschilista allora è meglio scappare a gambe levate. Secondo voi Angela ci riuscirà o finirà per accettarlo come fino ad ora ha accettato tutte le imposizioni?
Prima di salutarvi lasciatemi rivolgere un grazie pieno di riconoscenza alle abituali commentatrici ed un invito alle lettrici silenziose di farmi conoscere il loro pensiero su questa modesta storiella.

 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***







 
L’atmosfera della cattedrale di Notre Dame con l’odore dell’incenso e la luce che filtrava attraverso i rosoni diede ad Angela un po’ di conforto. Seduti nei primi banchi in attesa che cominciasse la Messa, gli amici si scambiavano qualche parola a bassa voce commentando le meraviglie architettoniche di quello stupendo tempio della cristianità. Lei invece si isolò come a volersi raccogliere in preghiera. Era l’unico modo per rimanere un po’ da sola con i suoi pensieri che continuavano a vagare febbrili da una cosa all’altra senza riuscire a concentrarsi neanche quando la funzione sacra ebbe inizio.
Si era cacciata in una terribile situazione dalla quale sarebbe potuta uscire solo ascoltando il consiglio di Jeanne di non continuare la relazione con Vittorio. Pure dopo averle raccontato di Fabrizio e del dolore provato per il suo comportamento, l’altra aveva confermato quella opinione.
- Anche se un uomo ti ha fatto soffrire non vedo come potresti trovare consolazione tra le braccia di chi non ami. Aspetta almeno di innamorarti di nuovo – le aveva suggerito.
- No, io non potrò più amare nessun altro.
- Ma se l’ami ancora, perché hai rinunciato a lui?
- Perché per ben due volte mi sono vista con i suoi occhi e ti assicuro, non sono io la donna che lui può amare.
- Che sciocchezza! Come fai a vederti con gli occhi di un altro? Che ne sai dei suoi veri sentimenti? È  stata la tua stessa insicurezza a farti paura. Devi imparare a dirti: “ecco, io sono così e sono una donna degna di amore e di ammirazione. Se gli altri mi vogliono, mi prenderanno per quella che sono, altrimenti vuol dire che sono loro a non essere  degni di me”. Soltanto quando starai bene con te stessa potrai star bene con gli altri. Questo vale soprattutto per Fabrizio. Sei stata tu ad allontanarti da lui per ben due volte. Come vedi la colpa è tua, non sua.
Se avesse potuto rimanere ancora a parlare con lei avrebbe confutato quelle opinioni. Che colpa ne aveva se Fabrizio l’aveva sposata per il suo denaro, se l’aveva tradita con la cugina, se si era messo con un’altra donna e aveva pensato di lasciarla? No, lei era del tutto innocente.
Nello stesso istante in cui formulava quel pensiero, gli occhi le caddero su Vittorio seduto accanto a lei.  Una pena immensa le strinse il cuore. Innocente? Chi poteva mai dirsi innocente! Lo era stata forse lei che non aveva esitato a peccare con tanta leggerezza? 
Per forza d’abitudine  si inginocchiò al suono del campanello con cui il chierichetto scandiva il momento solenne dell’Elevazione. Con il volto nascosto tra le mani provò a pregare, ma il cuore e la mente erano pieni di confusione. Lei, che solo fino a pochi anni prima conosceva solo la serenità e la pace di un chiostro, aveva imparato a mentire, si era data per desiderio a un uomo che non poteva più chiamare marito e per dispetto a un altro che non lo era mai stato. Avrebbe voluto tornare a essere la semplice e pura ragazza di una volta, ma non lo era più, oramai era sull’orlo di un abisso che stava per inghiottirla e non aveva nessun appiglio a cui aggrapparsi per non precipitare.  Forse avrebbe dovuto accettare l’amore di Vittorio e riparare al suo errore sposandolo non appena possibile. In fondo avere un marito, una casa e soprattutto dei figli era stato sempre il suo unico desiderio e lui le stava offrendo l’opportunità di condurre la vita tranquilla e rispettabile che era sempre stata la sua più grande aspirazione. Però qualcosa le si ribellava dentro a questa ipotesi. In realtà avrebbe sempre continuato a pensare a Fabrizio come al suo unico, vero marito. Era lui che aveva scelto davanti a Dio e se adesso era finita, sarebbe stato suo dovere rinunciare per sempre all’amore piuttosto che lasciarsi andare con chi era certa di non amare. Non si sarebbe mai aspettata di poter fare del male a qualcuno e, se lo avesse lasciato, avrebbe spezzato il cuore a Vittorio dopo averlo così crudelmente illuso. Eppure non se la sentiva più di tornare in Sicilia. Aveva una tremenda nostalgia di Maria, dei bambini e di tutti gli altri, persino di Rosso, di Luna e della sua casa, ma oramai niente e nessuno avrebbe potuto ridarle quella serenità che poco tempo prima l’aveva aiutata a guarire. Come avrebbe potuto continuare a vivere nello stesso paese a pochi passi da Vittorio se avesse seguito l’impulso che la spingeva ad abbandonarlo? E come avrebbe potuto togliersi dal cuore Fabrizio se in quel luogo ogni cosa oramai la riportava a lui, persino la spiaggia solitaria dove aveva vissuto un’ora indimenticabile tra le sue braccia?
- Signore aiutami, aiutami! – invocò con tutto il cuore.
Ma nessun angelo venne ad indicarle la strada da seguire e si sentì sola più che mai.
 
 
Vittorio aveva osservato Angela durante tutta la funzione e l’aveva vista piangere. Ben lontano dal sospettare i veri motivi di quella tristezza, l’aveva attribuita al proprio atteggiamento troppo rigido che doveva averla spaventata. Non doveva più comportarsi così, doveva trattarla con delicatezza fino a quando avrebbe potuto legarla a sé ufficialmente. Allora avrebbe avuto tutto il tempo di imporle i contegni che desiderava tenesse, per ora era meglio continuare a consentirle i divertimenti e la vita spensierata e nasconderle il proprio disappunto.
Così, quando Bruno gli disse che madame Fougez li aveva invitati ad andare con lei a un ricevimento in casa di un nobile russo, fu contento di accettare. Anche Clara ne fu lieta perché si era portata un elegante abito da sera e ci teneva a indossarlo. Per lei una festa nell’alta società parigina era l’ideale per avere qualcosa  da raccontare al ritorno a casa alle sue conoscenze per farle morire d’invidia. Angela invece pensò soltanto che avrebbe potuto rivedere Jeanne. In cuor suo fu lieta di aver mentito perché se Vittorio avesse saputo che la causa della sua fuga mattutina era stata proprio lei, di certo non le avrebbe permesso di incontrarla ancora.
 
Quando nel pomeriggio la cameriera del Ritz bussò alla porta per portarle il vestito da sera che era stato stirato, la giovane contessa si decise a  chiederle di mandarle  un coiffeur perché le acconciasse i capelli. Di solito si pettinava da sola con molta semplicità, ma aveva un abito che richiedeva una pettinatura fatta ad arte. Lo avevano trovato in un baule in soffitta, forse era appartenuto alla zia o a nonna Elvira. Era di un prezioso pizzo ecru e le sapienti mani di Lucia lo avevano rammodernato e reso una  stupenda toletta. Angela non lo aveva mai indossato prima perché lo riteneva troppo sontuoso. Se l’era portato a Parigi solo per le insistenze di Maria, ritenendo che fosse un ingombro inutile perché non l’avrebbe mai messo. Quella sera però era l’occasione giusta.
La festa si teneva a casa del principe Michail Sergeevic Vasilchikiov, situata nei pressi dell’Arco di Trionfo. Già il compito valletto in livrea che li accompagnò al guardaroba prima di introdurli nel salone, diede loro un’idea del livello di eleganza e di ricchezza dell’ambiente. Comunque l’aspetto dei quattro italiani non sfigurava: i due giovanotti, con i baffetti ben curati e gli eleganti smoking, facevano la loro bella figura e anche Clara era molto carina con un vestito nero ornato di paillettes luccicanti. Ma quella che lasciò tutti ammirati quando si tolse il mantello fu sicuramente Angela: il vestito di pizzo le stava un vero incanto. Aveva  le braccia nude coperte da lunghi guanti e una larga fascia di raso azzurro che le sottolineava la vita strettissima. Dal raffinato pizzo del corpetto, molto scollato,  l’attaccatura  del seno e le spalle risaltavano nella loro levigatezza ambrata, mentre i capelli erano acconciati in un’elegante pettinatura completata da preziosi fermagli di brillanti che ne illuminavano il nero. Vittorio rimase incantato a guardarla, ma altrettanto fecero i numerosi uomini che ne seguirono l’ingresso nell’ampio salone al braccio di lui. Per la prima volta in vita sua, la ragazza si sentì addosso gli sguardi di ammirazione dell’altro sesso e anche questo le fece provare una confusa sensazione: da un lato le dava uno strano ed  eccitante piacere,  dall’altro se ne vergognava e avrebbe voluto fuggire  in quel momento stesso.
Jeanne si avvicinò salutando tutti con cordialità. Prese sottobraccio Angela con un gesto di grande simpatia, ma per fortuna davanti a Vittorio riprese  a darle del voi.
- Siete incantevole, contessa. – le disse -  Finalmente vi vedo con una toletta degna della vostra  bellezza e del vostro rango e non con un vestitino che potrebbe indossare una qualsiasi maestrina di provincia.
- Davvero madame? Avete sempre giudicato il mio abbigliamento tanto modesto?
- Ebbene sì, mia cara, devo confessarlo. Il modo come vi vestite non vi fa certo onore.
- Bene, io sono fatta così, mi piace la semplicità. Vuol dire che chi vuole apprezzarmi nonostante questo lo farà lo stesso, altrimenti non sarà alla mia altezza  e io non mi curerò di lui o di lei!  
Le aveva risposto con malizia, ripetendo apposta le parole che Jeanne le aveva detto quel mattino stesso, per mostrarle di averne apprezzato la lezione.
- Touché! – rispose la donna ridendo – Bene, così si fa!
- No, non è vero, scherzavo. So benissimo di non essere mai stata brava ad abbigliarmi. Addirittura una volta vestivo sempre e solo di nero finché un gentiluomo non  mi convinse a indossare abiti chiari e una signora, un po’ meno gentildonna in verità, non mi definì “una cornacchia”!
- Era tutta invidia, ritengo.
- Macché, aveva ragione: all’epoca ero davvero brutta.
- Adesso invece siete bellissima e lo sareste ancora di più se imparaste a valorizzare la vostra bellezza così come avete fatto stasera.
- Ve l’ho detto, non sono brava, avrei bisogno dei consigli di una persona raffinata come voi.
- E allora? Dov’è il problema? Di consigli posso darvene quanti ne volete. Il denaro no, purtroppo, quello dovete mettercelo voi.
- Oh anche questo non è un problema, ne ho a sufficienza. Allora è deciso, mi accompagnerete a fare acquisti.
Vittorio, che aveva sentito la loro conversazione, intervenne preoccupato perché quella donna continuava a non piacergli e temeva potesse approfittarsi della ricchezza di Angela.
- Purtroppo non ce ne sarà il tempo, mia cara. Lo sai, domani sera dobbiamo ripartire.
- Così presto! – si rammaricò Jeanne.
- Sì, madame, dobbiamo far ritorno a casa per Natale. La vacanza è finita e io devo tornare al mio lavoro.
Alla signora non sfuggì l’ombra di tristezza sul viso della giovane. Sempre tenendola sottobraccio, ma rivolgendosi anche a  tutti gli altri, li invitò:
- Venite, vi presento il padrone di casa. Il principe Michail Sergheijevich Vasilchikiov è di antica nobiltà ed è intimo dello zar Nicola II.     
- Accipicchia! – esclamò Clara, sempre molto sensibile ai gradi nobiliari che le sembravano sinonimo di grande importanza.
Quando, chiamato da Jeanne, Michail si girò verso di loro per fare conoscenza, ne rimase addirittura folgorata. Non era giovanissimo, doveva avere più di quarant’anni, ma il suo aspetto era gradevole. Aveva  la fronte assai alta e spaziosa, magnetici occhi chiari che brillavano come il ghiaccio, il viso sbarbato e la bocca carnosa e ben disegnata. Alto e snello, la sua possente figura denotava l’eleganza oltre che le sue chiare origini aristocratiche. Con grande affabilità si rivolse agli ospiti, inchinandosi agli uomini e baciando la mano alle signore.
- Mia cara madame Fougez – disse – avevate simili gioielli nel vostro scrigno e li tenevate così accuratamente nascosti?
Aveva mostrato di riferirsi ad entrambe le ragazze, ma i suoi occhi erano fissi su Angela. A sua volta quest’ultima non poté trattenersi dall’arrossire più che altro perché aveva sempre pensato che Fabrizio fosse l’uomo più bello della terra. Anche se il principe non arrivava a eguagliarne la bellezza, comunque ci andava molto vicino. Fece un inchino aggraziatissimo e poi incominciò a parlare con l’attraente nobiluomo il quale  pareva non aver occhi che per lei. Più e più volte nel corso della serata la invitò a ballare e ogni volta la ragazza, volteggiando  tra le sue braccia nel sontuoso salone sulle note dei walzer di Strauss, ebbe la sensazione di star vivendo un sogno o che magari un brutto sogno fossero state le pene del mattino.
Vittorio la guardava adirato e commentava insieme alla sorella e all’amico.
- Ecco, ho capito cosa fa madame Fougez: deve essere la mezzana di quel nobilastro corrotto, gli procura le giovani donne per il suo spasso e ora ha messo gli occhi sulla mia Angela. Ma adesso vado lì, la prendo e la porto via.
I due cercavano invano di calmarlo, dicendogli  che era solo una festa e le sue supposizioni erano dettate dalla gelosia. Il giovane innamorato però non sentiva ragioni e stava rovinando la serata anche agli altri. Appena la contessa, in compagnia di Jeanne, si avvicinò al loro gruppetto, l’afferrò per un braccio e glielo strinse fino a farle male.
- Smettila di fare la poco di buono - le intimò con la voce bassa ma molto adirata - Anche se c’è qualcuno che ti ha scambiato per tale, tu adesso vieni via con me. Domani ripartiremo, ma quando saremo a casa dobbiamo ritornare su  questo tuo modo di comportarti che non mi piace affatto.
In qualsiasi altro momento della sua vita Angela si sarebbe sentita mortificata da un  simile rimprovero, ma non quella sera. Sentì un moto di ribellione crescerle dentro e la voglia di allontanarsi da Vittorio e da tutto ciò che lui rappresentava divenne un impulso irrefrenabile. La situazione di assoluta prigionia che il suo pretendente pareva volerle  preparare le apparve un’orribile prospettiva.
- Lasciami! - gli intimò – Io non sono tenuta a dar conto a te del mio comportamento e poi, sappilo, ho deciso di rimanere qui a Parigi per passare il Natale. Dopo andrò a Montecarlo. Il principe Vasilchikiov mi ha appena chiesto di essere sua ospite insieme a madame Fougez e ho intenzione di accettare.
Vittorio, rosso in volto e fuori di sé dalla rabbia, riuscì a stento a mantenere ancora basso il tono della voce.
- No, assolutamente no, tu domani torni con noi in Sicilia.
- E chi sei tu per comandarmi? Forse mio marito o mio fratello? Io sono una donna libera e non ho nessun obbligo nei tuoi confronti.
- E quello che c’è stato tra noi non conta niente, sciagurata? Sei già pronta a darti a quel nobilastro a cui ti ha presentata questa ruffiana?
- Basta, giovanotto, adesso state davvero oltrepassando ogni misura! Vi prego di smetterla o sarò costretta a chiedere al valletto di cacciarvi fuori – gli disse a questo punto Jeanne, calma ma determinata.
Bruno riuscì a stento a placare l’impeto dell’amico mentre Clara gli diceva, velenosa:
- Ecco, così finalmente avrai capito di chi ti sei andato ad infatuare. Non te lo dicevamo noi che questa qui è una mezza pazza? Lo sa solo lei cosa fa quando se ne va in giro mezza nuda e da sola tutto il giorno. Chissà quanti  poveri gonzi come te  sono già caduti nella sua rete.  Poi, visto che è già  abituata alla compagnia di una donna dal passato infamante, è   normale che adesso cerchi la compagnia di un’altra così.
Angela fu molto stupita da quella affermazione perché proprio non riusciva ad immaginare come Clara fosse a conoscenza di certe cose. Era troppo arrabbiata per non reagire.
- Se è a Maria che ti riferisci, ti assicuro che non sei neanche degna di baciare la terra sulla quale cammina. Comunque fai bene a  mostrarti per ciò che sei e a smettere di fingerti mia amica  – l’apostrofò con tono sprezzante.
Intanto madame Fougez le teneva il braccio per esprimerle la propria solidarietà  contro accuse così ingiuste, senza contare  le offese rivolte a lei stessa.
- Amica? Io non voglio avere niente a che fare con una come te e spero solo che mio fratello si convinca a fare altrettanto. Ti ho sempre trovata irritante lo sai?
- Davvero? E allora perché fingevi? No, non rispondere, te lo dico io perché: perché sei un’ ipocrita e avida piccola borghese, volgare e limitata. Tu e quelli come te  siete davvero i classici sepolcri imbiancati che dietro la facciata pulita e rispettabile, nascondono  la putredine e  vedono il male in tutto solo perché è l’unica cosa che  sanno concepire.
Angela tremava dall’agitazione. Aveva parlato con una rabbia e un odio che non avrebbe mai pensato di poter nutrire, ma lo sdegno provato verso quel mondo che fino a poco tempo prima l’aveva così condizionata era  troppo forte per poterselo tenere dentro.
La loro discussione concitata non era sfuggita agli altri ospiti né al padrone di casa. Quest’ultimo si avvicinò e,  con i suoi modi raffinati, chiese rivolto a Jeanne, ma guardando i giovani:
- Qualcosa non va, mia cara?
- Niente, Michail. I miei amici stavano discutendo sulla loro partenza di domani. C’è qualche problema organizzativo però, perché la contessa del Cassano non andrà con loro, verrà a stare da me sin da stasera.
- Tu verrai con me, invece – intimò Vittorio ad Angela.         
Non si era ancora arreso a quanto stava accadendo.
Pure questa volta, con un ardire inusitato, la ragazza non cedette.
- No! - gli disse secca, lo sguardo deciso dritto negli occhi di lui.
Bruno sperava che quell’incresciosa scenata avesse presto fine e quei due potessero affrontare con più calma la questione in privato.     
- Ma c’è la tua roba in albergo. Perlomeno vieni a riprenderla! – intervenne.       Fortunatamente la Fougez ebbe la prontezza di minimizzare la cosa.     
- Non c’è nessun problema per questo. Domani il principe sarà tanto cortese da farci accompagnare all’Hotel Ritz dal suo chauffeur e così provvederemo a ritirare i bagagli e a saldare il conto della contessa. Andate pure tranquilli, miei cari, e buon viaggio a voi.
Il nobile confermò la sua disponibilità e Bruno e Clara, messi alle strette e desiderosi di non dare scandalo, riuscirono a trascinare via Vittorio, rimasto quasi inebetito dalla pena.
Quella fu l’ultima volta che Angela vide i fratelli Orsini.  Tirò un sospiro di sollievo nel guardarli allontanarsi. Purtroppo non sapeva ancora che la loro malevolenza l’avrebbe molto perseguitata in seguito.
Michail intanto era restato accanto a loro e guardava la ragazza con un sorrisino tra l’ironico e il divertito perché la vedeva ancora molto agitata. Prese le due donne sottobraccio e le condusse al buffet dove offrì loro una coppa di champagne.
- Mi dispiace, mi dispiace tanto – mormorò la ragazza, assai mortificata.
- Di cosa ti preoccupi – la rassicurò l’amica – non è certo la prima volta che devo affrontare la maldicenza. Non è così, amico mio?
Il principe sollevò le sopracciglia in un gesto di comica  rassegnazione verso le umane cattiverie.
- Allora avete deciso di accettare il mio invito a Montecarlo? - chiese alla giovane.
- Sì.
- Benissimo, anche se in verità non so se siete stata spinta a farlo più dalla voglia di essere mia ospite o da quella di scappare dai vostri amici – osservò.        
Aveva inteso solo scherzare eppure Angela si sentì molto imbarazzata. Non sapeva cosa dirgli. In sua difesa intervenne Jeanne.
- Non chiedeteglielo, non lo sa nemmeno lei.  L’unica cosa certa è che questa ragazza ha bisogno di divertirsi un po’ e di non pensare a nulla.
- Allora  Montecarlo è il posto adatto a lei. Il mio palazzo è vicino a quello dove vanno a svernare i Granduchi. Ci saranno una quantità di occasioni di svago senza contare che avrete modo di conoscere tanta bella gente. Non ve ne pentirete, mia dolcissima fanciulla.
Le aveva preso una mano tra le sue e l’aveva portata con delicatezza alle labbra per baciarla.
La ragazza era un po’ confusa per quella decisione presa d’impulso. Aveva paura di ciò che l’aspettava, di  persone sconosciute, persino di Jeanne che, pur ispirandole fiducia, poteva essere benissimo diversa da come appariva. E poi il principe, così bello e galante, le pareva troppo interessato a lei. Si stava cacciando in qualche guaio? L’abisso era lì davanti, ma non sapeva più come tornare indietro. L’unica soluzione era saltare sperando di arrivare a cadere sulla sponda di fronte, finalmente in salvo.
- Ne sono sicura – mormorò in fine con un filo di voce -  Solo dovrò scrivere a casa per avvisare che non tornerò e farmi mandare le cose di cui avrò bisogno.
Jeanne le carezzò un braccio con affetto.
- Non temere, faremo anche questo – le disse e poi aggiunse con una smorfia buffa - Ma poi … scusa, cosa devi farti mandare oltre che un po’ di denaro per le necessità personali? Non intenderai rimanere a Montecarlo, tra le teste coronate, con i tuoi vestitini da maestrina, spero! 




NdA
Ah che soddisfazione! Sono certa che non l’ho provata solo io nello scrivere il ben servito di Angela a Vittorio e sorella,  ma pure voi nel leggerlo. Certo, il povero ragazzo fa un po’ pena, però peggio per lui. La nostra Angela non è proprio la moglie adatta alla sua gelosia e alla sua possessività, almeno non lo è dopo aver conosciuto Fabrizio ed essere in qualche modo restata in contatto con lui e le sue idee per tutto il tempo.
È indubbio che anche quest’ultimo abbia i suoi notevoli difetti, ma almeno ammette e sa chiedere scusa per i propri errori , quando,  con la mentalità maschilista che si ritrovano certi giovanotti allora come ora, avrebbe anche potuto giustificare i suoi tradimenti con il famoso “le scappatelle degli uomini non contano”.
Sono certa che adesso vi farebbe piacere sapere cosa combinerà Angela con il principe russo e in compagnia di Jeanne. Mi dispiace, dovrete aspettare un poco prima di saperlo (intanto potete anche fare qualche ipotesi) perché nel prossimo capitolo dovremo andare a vedere cosa invece sta combinando Fabrizietto nostro. Sarà ancora innamorato o gli è già passata?
Insomma ancora tante cose da scoprire in questa storia intricatissima, ma spero che riteniate valga la pena di continuare a seguirmi ancora per un po’.
Grazie a tutte e un bacione.

 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***



Mentre aspettava che l’acqua per la pasta bollisse Fabrizio era preoccupato. Doveva scrivere un racconto per il giorno dopo. L’amico Sergio gliene aveva assicurato la pubblicazione sull’edizione domenicale della rivista senza nemmeno leggerlo perché sapeva che le sue novelle incontravano sempre il favore del pubblico. Questa volta però il prolifico autore non sapeva neanche cosa inventarsi.
Scrivere quel genere di cose lo avviliva molto e lo faceva sempre controvoglia. Piuttosto gli sarebbe piaciuto portare avanti il romanzo che aveva incominciato la notte stessa in cui era tornato da L'Aquila.           
Rammentava come in quella notte piovosa di circa due mesi prima, disfacendo le valige, aveva trovato la cartella di cuoio completa di un  blocco di carta da lettera e di una  tasca per le buste che sua madre gli aveva regalato per Natale.  I suoi occhi erano caduti anche sulla scrivania dove c'era ancora la lettera scritta ad Angela che gli era stata rimandata indietro. Con tristezza l'aveva presa in mano per lacerarla, ma poi non se l'era sentita: c'era troppo di lui là dentro, non poteva buttarla via. Sarebbe stato come privarsi del suo amore per la moglie e questo non voleva farlo, piuttosto voleva riporlo in un luogo sicuro dell’anima dove avrebbe potuto custodirlo come una moneta di valore oramai senza più corso. Aveva tolto le buste bianche e infilato la lettera ancora chiusa nella tasca laterale, poi, mentre guardava i fogli bianchi, gli era venuta l'ispirazione.      
Era rimasto seduto a tavolino per buona parte della notte per narrare la storia della marchesa Maddalena e del suo ufficiale di marina. Scrivendo, aveva pensato ad Angela ed era lei che aveva descritto in quella figura di donna così come  lui stesso si era ritratto in Emanuele. Pur raccontando di un  sentimento antico,  aveva parlato del loro amore e di ciò che li aveva dolorosamente allontanati.  Aveva smesso di scrivere quasi all’alba, ma il suo primo pensiero il  giorno successivo era stato riprendere il  lavoro interrotto. Così un racconto cominciato solo per ricordare  aveva finito per coinvolgerlo più del previsto.
Per giorni e giorni, nelle molte pagine scritte di getto, Maddalena ed Emanuele avevano preso quasi vita mentre  lottavano indomiti contro le convenzioni e le ipocrisie del mondo. Le loro vicende e quelle dei personaggi di contorno erano diventati reali e avvincenti perché era riuscito a realizzare un affresco corale,  dove ogni figura aveva una sua personalità, una sua storia e qualcosa d'importante da comunicare. Ciò che era nato dalla sua penna non era stato solo un romanzo sentimentale, ma grazie all'ambientazione nei giorni della gloriosa Rivoluzione Partenopea del 1799, quando i cuori di pochi illuminati si erano infiammati di entusiasmo e di coraggio, era divenuto il pretesto per parlare del  tempo presente,  della voglia che tanti avevano ancora di cambiare il mondo, di dare a tutti benessere ed eguaglianza e trovare finalmente la strada della libertà e della  giustizia. Nel rileggerlo, il giovane autore  ne era stato molto soddisfatto: non era il solito pamphlet adatto solo a pochi amici che la pensavano come lui, ma un vibrante romanzo che attraverso la storia d'amore dei due amanti avrebbe potuto parlare al cuore e magari indurre a qualche riflessione.
Però c’era ancora troppo da lavorarci su. Avrebbe dovuto  fare delle revisioni, documentarsi meglio sul periodo storico, modificare in alcuni punti l’intreccio. Ora non poteva farlo, doveva guadagnarsi da vivere, e allora era meglio lasciar perdere.
Così com'era avvenuto per la lettera, quella storia ormai faceva parte di lui e non aveva potuto buttarla via. Aveva infilato anche il manoscritto incompiuto nella cartella di cuoio rosso e l’aveva gettata sulla scrivania.
Eppure non passava giorno senza che il suo pensiero non ritornasse a quel romanzo incompiuto così come tornava sempre ad Angela e all’amore che oramai sapeva di nutrire per lei, un amore che, nonostante il passare dei mesi, non accennava a finire così come in precedenza non era mai cessato l’affetto che lei gli aveva sempre ispirato.
Nonostante le difficoltà economiche che lo costringevano a darsi da fare per consentirsi di pagare l’affitto e di prepararsi quel poco di pasta al burro che si cucinava sul fornellino a spirito nel cucinino di casa, tutto sommato era riuscito a raggiungere un certo equilibrio. Aveva smesso di sentirsi sempre una vittima incompresa e si stava sforzando di riflettere a lungo sulle proprie posizioni, guadagnandone in tolleranza e in saggezza. L’impegno sociale lo stava aiutando a ritrovare un po’ di stima di se stesso, soprattutto l’insegnamento. Insieme a un amico, infatti, aveva aperto una scuola serale per i ragazzi dei quartieri più disagiati  e per i loro genitori, artigiani ed operai. Non c’era da guadagnarci, tutt’altro, a volte ci rimettevano persino, ma gli piaceva stare a contatto con tanta povera gente che dalla vita aveva ricevuto molto meno di lui e che pure si sforzava di guadagnarsi quel pezzettino di felicità a cui tutti aspirano. Era uno continuo scambio reciproco nel quale lui era diventato quasi un punto di riferimento per molti e loro lo rendevano migliore.    
 
La Pasqua del 1913 cadde molto presto, nel mese di marzo. Fabrizio avrebbe voluto trascorrerla con  la madre e la sorella a L’Aquila, ma un imprevisto lo costrinse a restare a Firenze. Questa volta però si trattò di una novità piacevole: in prospettiva delle prossime elezioni del mese di ottobre, le prime a suffragio maschile universale, l’amico Filippo Turati, che era ancora una personalità nel Partito Socialista sebbene fosse stato messo in minoranza nel Congresso di Bologna del luglio precedente,  gli propose di candidarsi.
La stima e la considerazione che questa offerta comportava erano già di per sé lusinghiere e poi Fabrizio aveva sempre desiderato intraprendere la carriera politica non perché fosse interessato agli intrallazzi e al lucro, ma soltanto perché così vedeva una possibilità per realizzare il suo sogno di contribuire a creare  una società più giusta.
Fu felice di accettare e comunicò la notizia in una lettera piena di entusiasmo a Carmela e a Giulia. Un po’ meno gli fece piacere che ad assisterlo nell’inevitabile campagna elettorale fosse stata scelta proprio Elena.
Da parecchio tempo avevano cessato di vedersi, ma non per questo si sentì meno imbarazzato quando se la trovò di fronte per stabilire il da farsi. In ogni caso fu anche l'occasione giusta per verificare che i suoi sentimenti per Angela non erano mutati, perché, nonostante la solitudine e la forzata castità che si era imposto, l’idea di ritornare con la sua ex amante non lo sfiorò nemmeno. Di sicuro avrebbe preferito avvalersi della collaborazione di qualcun altro, ma Elena era in gamba e troppo legata al partito per  mettergli  i bastoni tra le ruote allo scopo di vendicarsi della loro storia finita così male.
 
Verso i primi di aprile Giulia gli mandò a dire che erano pronti per la vendita della casa in campagna.  Poiché le sorelle maggiori avevano rinunciato al ricavato in loro favore, di comune accordo decisero che sarebbe stato giusto interessarsene in prima persona.
Fabrizio si prese qualche giorno di vacanza e impegnò i soliti gemelli d'oro per pagarsi il viaggio. Quando giunse alla casa di Sant’Agata sui due Golfi, vi trovò la sorella che già da un po’ stava provvedendo a vendere i mobili e a trasferire alla famiglia quanto dovevano invece conservare.
Prese ad aiutarla di buon grado e trattò lui stesso senza alcuna difficoltà con il dottor Fernandez. Il 12 aprile era tutto fatto e avevano fissato la partenza per le otto del mattino.
Dopo l'euforia dei giorni precedenti, una strana malinconia si era impossessata di lui. Si aggirava per le stanze che li avevano visti una famiglia felice con  una terribile sensazione di perdita ad attanagliargli lo stomaco.
Quanti ricordi! Lì, nella stanza-guardaroba, c'erano ancora i segni sul muro che metteva Luisa quando lo misurava in altezza. Sulla porta del salotto c’era quel buchino che aveva fatto da piccolo per spiare maliziosamente Giovanna ed  un allora giovanissimo Rodolfo che, seduti sul divano, si scambiavano teneri bacetti mentre mammà dormiva.
Uscì nel giardino, ma non trovò sollievo, anzi si rammentò della bicicletta che il padre gli aveva regalato per il suo ottavo compleanno. Lui e Giulia avevano imparato ad andarci su, ma quante cadute, quante lacrime di dolore e ginocchia sbucciate! Gli pareva quasi di risentire i rimbrotti della madre ogni volta che accorreva a medicarli, rivolti in primo luogo al povero Ferdinando “che aveva portato in casa quella diavoleria!”.
All'improvviso si voltò a guardare il muro di cinta e ai suoi occhi ritornò vivida l'immagine di Angela che rideva beata con in grembo i gattini. Come avrebbe voluto tornare indietro nel tempo, perlomeno a quel momento e riprendersi tutto ciò che si era lasciato sfuggire! Stranamente, tutte le volte che  pensava a lei, non ricordava tanto la donna bella e affascinante che aveva incontrato in Sicilia quanto la tenera ragazza che era stata al tempo del loro amore. Pensava alle cose che lo  avevano attirato al punto di farlo innamorare quali la calma, la dolcezza, l’intelligenza, il suo saper essere una presenza discreta e silenziosa sul cui appoggio poter sempre contare. Certo, c’erano stati anche aspetti che lo avevano irritato, ma se solo avesse avuto un po’ di pazienza e non si fosse comportato da sconsiderato, forse per amor suo sarebbe diventata  lo stesso la creatura meravigliosa che in seguito lo aveva così stregato. Fabrizio aveva ventisette anni ed era consapevole che forse in futuro gli sarebbe capitato di legarsi ancora a un’altra. Però sapeva anche, con assoluta certezza, che nessuna mai avrebbe potuto sostituire Angela e che si sarebbe portato dentro per tutta la vita il rammarico di aver sprecato l’unica occasione di poter vivere il vero amore.
 Non si era accorto che intanto alle sue spalle era arrivata Giulia.
- Fa male lasciare una casa in cui si è vissuti felici, non è vero? - gli chiese.
- Sì, molto.
- Io qui ci mancavo da tanto. L'ultima volta che ci sono venuta è stato quando sono ritornata a  prendere te e tua moglie.
Lui non rispose nulla, ma un'ombra gli passò negli occhi.
-  Eh sì, allora eravate felici – insistette lei.
- Smettila, per favore – le disse Fabrizio e, parlando più a se stesso che non alla sorella, aggiunse - il passato  bisogna lasciarselo alle spalle.
- Giusto, me l’ha detto anche Angela.
Si girò di scatto a guardarla. La donna si accorse di aver parlato troppo e si mise una mano davanti alla bocca, imbarazzata.
- Quando te l'ha detto? - le chiese incuriosito da quel gesto.
- Quando è venuta a trovare mamma a Pasqua – gli rispose dopo un attimo di esitazione.
- A trovare mamma? Dopo tutto questo tempo?
Giulia pensò che sarebbe stato meglio dirgli tutto oramai che la frittata era fatta. Carmela l’avrebbe rimproverata, ma forse da quelle rivelazioni avrebbe potuto nascere anche qualcosa di buono. O almeno così sperava.
- Sono sempre rimaste in contatto loro due. Angela le scrisse quando stava a Davos  chiedendole scusa per il suo comportamento.
- Quale comportamento?
- Quando vi lasciaste la mamma la implorò molte volte  di perdonarti e di tornare con te, ma lei non le rispose nemmeno. È  di questo che le chiese scusa. Dopo di allora si sono sempre scritte lunghe lettere, anche se tua moglie l’ha pregata di non subordinare il loro rapporto a te e di non parlartene nemmeno.
- Cosa che donna Carmela ha fatto sempre con grande scrupolo, a quanto pare –  commentò acido.
- Non ti arrabbiare, nostra madre vuole molto bene ad Angela. E anch'io.
- È venuta molte volte?
- No, solo questa Pasqua. Tornava da Montecarlo.
- Montecarlo? Che ci faceva a Montecarlo? Era stata a Parigi prima di Natale, ma pensavo  fosse tornata in Sicilia già da un pezzo.
- Non è mai tornata a casa. È stata lì insieme ad un’amica francese,  ospite di un nobile russo, un principe dal cognome impronunciabile, ed è rimasta in Francia fino a quando non è stata costretta a tornare a Napoli. Vedessi com'è diventata bella e raffinata! Io e Arturo quasi non la riconoscevamo. Mammà ha commentato che se pure le dispiaceva che quella ragazzina timidissima che aveva conosciuto quando vi siete sposati ora non c’è più,  anche adesso che è diventata una donna emancipata e affascinante è restata  dolce di carattere com’era allora.
Fabrizio si sentì salire il sangue alla testa dalla forte emozione. Prese Giulia per un braccio e le chiese:
- Sta con lui, sta con questo principe? È  la sua amante?
- E che ne so io! Comunque non era con lui, è venuta da sola. Anche di questo ci siamo meravigliati: prima non sapeva fare un passo senza essere accompagnata - poi, fingendo di aver trovato strana la reazione del fratello, aggiunse per provocarlo - Ma scusa, a te cosa importa, non state sciogliendo il matrimonio?
Lui si controllò e girò il viso per non mostrare la propria emozione.
- Perché è dovuta tornare a Napoli, è successo qualcosa?
La giovane donna fece un risolino sprezzante per meglio sottolineare quanto stava per dirgli.
- I conti del Cassano, ancora loro. Hanno presentato al Tribunale una domanda di perizia psichiatrica per far dichiarare Angela  incapace di intendere e di volere e una denuncia per Giuseppe Barone per circonvenzione d’incapace.
- Cosa?! - urlò Fabrizio.
- Già, quei perfidi! Forse avranno saputo che avete chiesto l'annullamento e che probabilmente l’otterrete. Non sarai più suo erede, quindi, e così si stanno facendo avanti per impossessarsi di nuovo dei suoi beni. Tra l’altro è ricchissima da quando ha ereditato dalla prozia marchesa.
L'uomo si mise una mano tra i capelli portati oramai piuttosto lunghi, denotando in quel gesto tutta l'agitazione di cui era preda. La sorella se ne accorse e ne fu intenerita. Che ci tenesse ancora alla moglie lo aveva capito sin dal Natale precedente, ma vederlo così scosso, le fece venir  voglia di consolarlo.
- Perché fai così, scemo! Lei era tranquillissima e ci ha detto che le avrebbe fatto persino piacere trascorrere qualche tempo nella casa a Napoli. In effetti è vero, ve l'avevo messa su proprio carina quella casa.
Fabrizio la guardò, la fronte corrugata. Stava facendo apposta la scema per farlo innervosire o lo era davvero?
- Ti rendi conto o no di quello che può succedere? – le disse.
Lei, con un’alzata di spalle, si accinse a tornare in casa. Prima però gli rispose:
- Cosa vuoi che succeda!  Bella ed elegante come si è fatta, al massimo le può succedere che il medico incaricato della perizia s’innamori di lei – concluse per farlo ingelosire.
Lo stava facendo di proposito, concluse tra sé Fabrizio.
 
Quella stessa mattina si recarono alla sede della banca dove dovevano riscuotere il denaro della vendita messo a loro disposizione dal dottor Fernandez. Mentre aspettavano il funzionario addetto, Fabrizio guardava pensieroso dalla finestra del secondo piano del palazzo Zevallos Colonna di Stigliano la strada sottostante assai animata. Gli uffici della Banca Commerciale Italiana erano situati infatti nella centralissima via Toledo, a quell'ora di punta piena di carrozze, auto e pedoni. Nella giornata piovosa, ogni tanto un raggio di sole illuminava la strada bagnata facendo brillare le cose di una luce allegra, ma poi, subito dopo, una nuova nube tornava a coprire il sole e tutto ripiombava nel grigiore.  Con le mani dietro la schiena e il cuore in tumulto, pensava ad  Angela, a quello che doveva star passando ancora una volta. Quando l'aveva sposata aveva giurato davanti all'altare di proteggerla e invece non c'era mai riuscito, anzi, lui per primo le aveva fatto del male.
Se ne stava assorto quando gli giunsero chiare le note meccaniche di un pianino che suonava “Palumella zompa e vola”. Quasi automaticamente gli vennero in mente i versi dell’antica canzone:
 
“Palummella, zompa e vola
addó' sta nennélla mia...
Non fermarte pe' la via
vola, zompa a chella llá...
Co' li scelle,
la saluta...
falle festa,
falle festa
attuorno attuorno...
e ll'hê 'a dí
ca, notte e ghiuorno,
io stó' sempe,
io stó' sempe
a sospirá...”




Infatti sospirò e tornò a sedersi accanto alla sorella. A un tratto le chiese, quasi con timidezza:
- Ti dispiacerebbe se non ti riaccompagnassi a casa?
- Perché, cos’ hai da fare?
Lui abbassò il capo e finse di osservare il parquet. Infine, sempre con la voce molto bassa, le spiegò:
- Vorrei andare a  trovare Angela. Che diavolo, sono qui a Via Toledo, a nemmeno mezz'ora di strada da lei e me ne vado senza rivederla?
La donna si mostrò stupita, ma in cuor suo fu ben contenta di averci visto giusto.
- E vai allora. Io me la saprò cavare.
- No, forse è meglio di no. Starei in pena per te.
- Perché? Mi accompagnerai al treno e poi prenderò la corriera da sola. Per chi mi hai presa, per una deficiente?
- No, non è questo …  Non so neanche se avrà piacere di rivedermi.
- Non lo saprai mai se non ci vai. Desideri davvero incontrarla ancora?
- Sì, con tutto il cuore - ammise sincero, sempre con gli occhi bassi.
Giulia sorrise e stava per dirgli qualcosa, ma dovettero interrompersi perché arrivò il funzionario con i loro assegni.
La vendita della casa aveva fruttato una bella sommetta e per un po’ di tempo almeno, Fabrizio non si sarebbe dovuto preoccupare delle sue finanze. La cosa gli fece molto piacere in un momento in cui i suoi assilli erano di tutt'altra natura.



NdA
Ed eccoci tornati a Fabrizio. Cosa ne dite, vi sembra cambiato un po’ in meglio? Tra l’altro, come qualcuna delle commentatrici ha sagacemente intuito, in queste pagine c’è la conferma che ciò che prova per Angela è l’antico sentimento che lei gli aveva ispirato già molto prima che diventasse la donna meravigliosa incontrata in Sicilia. Ora si sente come chi  aveva trovato una pepita d’oro e, confondendola solo con un sasso dorato senza apprezzarne il valore, l’ha scambiata con niente o poco più.
Anche di Angela avete appreso notizie, anche se solo attraverso Giulia. Ormai però è venuto il momento che questi due s’incontrino di nuovo e, come avete capito, ciò  avverrà nel prossimo capitolo. Non sarà ancora quello conclusivo, ma vi prometto che le cose cominceranno a mettersi nel verso giusto. Tra l’altro è uno di quelli che personalmente preferisco. Ancora un poco di pazienza, quindi, e intanto non mancate di dirmi cosa ne pensate delle cose che avete appena letto.
Per restare fedele all’atmosfera dell’epoca, vi metto una bella veduta di Via Toledo, la stessa che Fabrizio guarda dalla finestra.

 

 
Avrei voluto completare con “Palumbella zompa e vola” suonata da un pianino, ma, di quest’oggetto del passato (forse molte di voi non ne avranno mai visto uno) non ho  trovato nulla. Ripiego, per chi volesse ascoltarla, sulla versione cantata dal sempre attuale Massimo Ranieri.
Grazie ancora e a presto.



https://www.youtube.com/watch?v=0C6jHeoBNSk
 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***



 


Nella tarda mattinata Fabrizio salì le scale del palazzo signorile della Riviera di Chiaia dove aveva abitato anche lui per tanto tempo. Si sentiva agitato perché non sapeva come presentarsi ad Angela o cosa dirle. Sapeva solo che il desiderio di rivederla era più forte di qualsiasi altra cosa.
Arrivato al terzo piano bussò all’uscio dove c’era una targhetta di brillante ottone con su scritto ancora il suo cognome. La porta esterna era aperta e per questo poté vedere chiaramente attraverso l’altra porta di vetro smerigliato la sagoma di una donna che si accingeva ad aprirgli. Fu preso da un attimo di panico e in cuor suo sperò che non si trattasse di Angela. Invece, quando la  porta si spalancò, si trovò davanti proprio lei, anche se mai e poi mai avrebbe potuto immaginarsi di trovarla così cambiata.
Della piccola e timida monachella di una volta non era rimasto nulla: davanti a lui c’era una giovane ed elegante signora, molto affascinante. Già la volta precedente, quando l’aveva incontrata in Sicilia, era rimasto stupito dal suo cambiamento fisico. Ma tutto sommato, anche se già gli era apparsa molto più bella e disinibita, allora era la ragazza semplice di sempre. Ora invece la donna di fronte a lui incarnava il massimo della raffinatezza. Vestiva una gonna piuttosto stretta di velluto marrone e una blusa rosa dalle ampie maniche con uno scollo a punta da cui spuntava il colletto di pizzo che le metteva in risalto il collo lungo e sottile. I capelli  neri un po’ arricciati, erano  pettinati  in una foggia all’ultima moda. Completava l’abbigliamento una preziosa collana d’ambra portata a più giri, un velo di cipria che le faceva risaltare l’incarnato di seta e persino  del rossetto sulle labbra. Era bella, bella e seducente.
Il giovane rimase qualche minuto in silenzio, ma poi, vedendole sul volto un’espressione strana, si affrettò a dirle:         
- Scusami, non dovevo presentarmi così all’improvviso. Comunque, se la mia visita non ti è gradita, posso andarmene subito, basta che me lo dici.          
Angela era andata ad aprire con la certezza che si trattasse di Alberto o di Giuseppe e non si sarebbe  mai aspettata di vedersi davanti lui. Il cuore le aveva fatto un balzo nel petto per l’emozione e aveva sentito una vampa di rossore infiammarle il viso. Erano mesi che non pensava a Fabrizio ma ora, nel trovarselo davanti in carne ed ossa, era come se tutti i sentimenti che le aveva ispirato per il passato fossero tornati all’improvviso ad investirla con la forza di un uragano.     
In ogni modo cercò di riprendere il controllo di sé e gli disse, cercando di dare alla sua voce un tono molto calmo:
- Anche se ci siamo lasciati male l’ultima volta che ci siamo incontrati, non siamo due nemici e non vedo perché non possiamo parlare come persone civili.    
Si fece da parte per farlo entrare.           
Varcando la soglia,  mascherando la sua trepidazione dietro una smorfia ironica, Fabrizio osservò:
- Certo che non siamo nemici, anzi, ho sempre creduto che tu ed io avessimo un legame speciale. Solo che prima, vedendo la tua faccia,  avevo pensato che stavi per buttarmi giù per le scale...      
Lei tagliò corto con un gesto sbrigativo e, mentre si faceva dare il cappello e la mantella, lo rimbrottò:
- Era soltanto stupore, scemo, non mi sarei mai aspettata di vederti. Ma come facevi a sapere che ero qui? Chi te l’ha detto? Tua madre?
- No, lei non c’entra, è stata Giulia a dirmelo stamattina.
- E si può sapere cosa ci facevate a Napoli tu e Giulia?
- Siamo andati insieme a vendere la casa di Sant’Agata.
- Ah! – rispose l’altra e lo precedette in salotto – Poi l’avete venduta. Che peccato però!
- Che vuoi farci. Avevamo bisogno di quei soldi e abbiamo dovuto farlo. Però è dispiaciuto pure a noi.
Si era accomodato sulla poltrona mentre lei era andata a sedersi sul divano di fronte e aveva accavallato le gambe. Quasi senza volere, gli occhi gli caddero sul piedino calzato di un’elegante stivaletto di camoscio che le fasciava le caviglie sottili.      
Provò a concentrarsi per afferrare quanto Angela gli stava dicendo.
- Tutto sommato avete fatto bene, è inutile tenere su una casa quando non la si abita più. Dovrei farlo anch’io con questa, ma fino a oggi, devi credermi, non ne ho avuto proprio il tempo.
Il suo tono era volutamente mondano, ma Fabrizio stentava a mettere a fuoco le parole. La guardava e non riusciva a pensare altro che: “Mio Dio, come si è fatta attraente!”.
- Comunque se mi deciderò a farlo, i soldi ricavati dalla vendita dei mobili saranno i tuoi. Ricordi? Ce li regalò tuo padre.
Lui si riscosse e si guardò intorno. Vide le cose che gli erano state familiari: il pianoforte con sopra la foto incorniciata in argento del loro matrimonio, il camino davanti al quale avevano trascorso tante serate in intima dolcezza, il tavolo sul quale avevano cenato tante volte con le pietanze preparate da lei. Solo adesso si rendeva conto di quanto era stato felice in quel periodo.  Anche se Angela non era stata così bella come adesso, allora era la sua bambina, la prima creatura che aveva amato con infinita tenerezza. Rimpiangeva il loro affetto con tutto il cuore. 
- Però ti è stato utile non averla venduta visto che sei dovuta tornare a Napoli, non è così? – riuscì a dirle,  ritornando in sé. Poi rammentò il motivo della sua visita e le chiese: -  Dimmi, che sta succedendo con i tuoi zii?
Lei alzò le spalle con un’espressione rassegnata, ma anche di superiorità.
- Hanno deciso di farmi la guerra. Forse pensano che io sia ancora la povera ingenua di una volta. Non si sono resi conto che troveranno pane per i loro denti.
- Già, ho saputo. Adesso te la fai addirittura con i principi russi – commentò senza riuscire a trattenere una vena d’ ironia.
Angela lo guardò con attenzione: non era cambiato affatto, era sempre il suo meraviglioso Fabrizio e vederselo così vicino quasi le faceva male. Riuscì a controllarsi e fece finta di non essersi accorta del tono che aveva usato.
- Anche questo ti ha detto Giulia?
- Sì, anche questo. Lo sai, non riesce a tenersi due ceci in bocca.
- A me invece hanno riferito che sarai candidato e hai un luminoso avvenire in campo politico.
- E chi lo sa! Però è una cosa che desideravo fare da tanto. Almeno voglio provarci.
- Bene. Allora Elena ti sarà di grande aiuto con tutte le sue conoscenze.
- Con lei è finita già da prima di Natale. E non venirmi a dire che questo non te l’avevano detto perché non ti crederei.        
Le rivolse uno sguardo ironico e un sorriso che la donna ricambiò.
- Sì, me l’hanno detto, ma pensavo fosse una bugia che avevi usato con tua madre per farla stare buona. Non so perché, ma ho sempre avuto l’impressione che non apprezzasse troppo la tua nuova compagna.
- È proprio così. Credo che continui considerare sempre te mia moglie ed  anche se è stata molto brava a tenere segreti i vostri contatti, sono convinto che non ha mai smesso di  sperare che noi due ci rimettessimo insieme.
- Non penserai che abbia tenuto una corrispondenza con tua madre per portarla dalla mia parte, spero. Stai tranquillo, l’ho fatto solo perché è una persona a cui voglio molto bene.
- Ne sono sicuro. D’altra parte quando sono venuto in Sicilia me l’hai fatto capire chiaramente che non rivesto più nessun interesse per te né come marito né come uomo.
La donna restò in silenzio. Avrebbe potuto confutare quell’affermazione con grande facilità: non era il suo interesse quello che Fabrizio aveva perduto, era la sua fiducia. Dirglielo però avrebbe comportato il riaprire ferite ancora non del tutto guarite. Preferì tagliare corto.
- Forse in quell’occasione ci siamo lasciati trasportare troppo e siamo riusciti solo a rendere le cose più confuse. È meglio rimanere con i piedi per terra.  Anzi, poiché ci troviamo in argomento, mi dici a che punto è la nostra causa di separazione? Non è che perdendo Elena abbiamo perso anche la buona raccomandazione alla Sacra Rota?
Fabrizio avvertì una morsa allo stomaco.
- Non ti preoccupare, la domanda è stata presentata lo stesso,  forse ci vorrà solo un po’ più di tempo. A me la cosa non interessa, tanto non mi risposerò mai. In verità l’ho fatto soprattutto per te, pur se pensavo che la persona per la quale volevi renderti libera non fosse un principe russo.
 Angela fu molto urtata da quel tono di sufficienza.
- E chi pensavi fosse?
- Vittorio Orsini, ad esempio. Credevo che non foste solo amici o mi sbagliavo?
Fu colpita da quella domanda diretta come da uno schiaffo: il ricordo di quanto c’era stato con il giovane notaio l’aveva sempre turbata. Non se la sentiva di mentire. Abbassò gli occhi e si guardò la punta del piede che ora agitava nervosamente, poi gli rispose con un filo di voce:
- No, non lo siamo stati, anche se è successo tempo dopo.
Fabrizio aveva sperato in cuor suo di sentirle dire che non era vero, che non era stata di un altro. Ma quella risposta e l’espressione del suo viso erano state assai eloquenti.
Non riuscì a nascondere una certa delusione.           
 - Cosa ne è stato di lui?  L’hai lasciato a causa del principe?
La donna la scambiò per disprezzo e perciò reagì in malo modo. Gli rispose con un’aria di sfida.
- Sì e gli ho spezzato il cuore. Cosa credevi, che non sarei mai stata capace di far innamorare qualcuno di me? L’ho fatto invece ed è per questo che oggi mi trovo in questa situazione.
Fabrizio era rimasto molto colpito da una tale dichiarazione. Era la  dimostrazione di  quanto la fragile, innocente Angela fosse cambiata. Ora, come qualsiasi altra donna intelligente e bella, aveva la piena consapevolezza dell’effetto che poteva avere sugli uomini. Però non riusciva a capire cosa c’entrassero le sue vicende amorose con le attuali circostanze. La interrogò con lo sguardo.
- Sono stati loro, gli Orsini. – chiarì la giovane -  Nemmeno immaginavo quanto fossero legati ai del Cassano. Pur di sottrarre Vittorio dalle mie grinfie di perfida maliarda, non hanno trovato di meglio che andare a raccontare loro le mie stravaganze e il fatto che avevo lasciato la cura delle mie finanze nelle mani di Giuseppe. Hanno riferito anche a zio Alfonso della richiesta di annullamento del nostro matrimonio e così lui ha fatto due più due e si è deciso a chiedere la mia interdizione. Tra qualche giorno dovrò comparire davanti a un perito medico e dimostrargli che non sono pazza.
- Questo non sarà un problema, basterà mostrargli chi sei per davvero.
Ascoltando quelle parole, un sorriso amaro le si disegnò sul viso. A un tratto si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra. Si mise a guardare fuori dai vetri su cui batteva una pioggia violenta. Rimase un attimo assorta, poi parlò. La voce le tremava di una strana  l’emozione.
- La fai facile tu: “basterà dirgli chi sei”, come se io lo sapessi chi sono! Sono forse la timida ragazzina timorata di Dio o la donna che si è presa un uomo soltanto per capriccio, incurante di farlo soffrire? Sono quella selvaggia che girava mezza nuda godendo del mare e della libertà o la raffinata signora che se ne va sottobraccio al nobile Michail  in giro per i negozi più esclusivi di Montecarlo  a spendere una fortuna in cose inutili?  Chi lo sa chi sono! Mi sento solo assai confusa e non so nemmeno io cosa voglio davvero.
Non sapeva nemmeno perché gli aveva detto quelle cose quando solo pochi minuti prima l’orgoglio l’aveva portata ad assumere un atteggiamento di superiorità. Non ne aveva mai parlato con nessuno, neanche con Jeanne o Maria che erano le sue amiche più fidate. Invece lo aveva fatto con Fabrizio con la massima spontaneità, forse perché dentro di sé avvertiva ancora quel legame profondo tra le loro anime. Non aveva potuto evitare di lasciarsi andare, ma ora temeva di essere giudicata male. Si vergognò di quello sfogo e se ne stette zitta, continuando  a guardare fuori dalla finestra il tempestoso giorno di aprile che pareva negare persino la promessa della primavera.
Fabrizio era stato molto colpito da quelle parole  perché ne aveva intuito il significato più nascosto. Lei non era più la ragazza che aveva conosciuto, la creatura solare e mansueta a cui bastava seguire i semplici principi che  le erano stati inculcati per andare avanti sicura. Ora era infelice e piena di dubbi, si poneva mille domande. Si sentiva responsabile di una simile trasformazione che sapeva di aver contribuito a causare eppure, nonostante tutto, quel suo nuovo modo di essere gliela rendeva ancora più cara di quanto non gli fosse mai stata.  Come lui, adesso, era solo un essere umano, con i suoi sbagli, le sue incertezze, le sue paure e come lui stava lottando per non smarrirsi.
In preda a una tenerezza inarrestabile, le si avvicinò alle spalle, le posò  le mani sui fianchi e se la tirò contro. Voleva consolarla, farle sentire quanto la capiva e quanto le era vicino. Le sussurrò con dolcezza:
- E chi si conosce tanto a fondo da sapere chi è in realtà? Siamo tutti così. Però, anche se sembriamo solo alberi sbattuti dal vento, nel profondo le nostre radici stanno cercando a tentoni nella terra il modo per diventare più robuste e permetterci di resistere alle intemperie. Forse anche tu stai vagando alla ricerca di te stessa, ma non devi angustiarti. Tu sei la più bella persona che io abbia mai conosciuto. Vedrai, troverai la via per essere felice.
Le aveva parlato con la sua bella voce calda ed Angela lo aveva ascoltato ad occhi chiusi. Al di là del significato delle sue buone parole, aveva percepito una sincera corrente d’affetto pervenirle da lui. Si voltò a guardarlo: la stava fissando con uno sguardo dolcissimo e da così vicino poteva sentire il profumo della sua acqua di colonia. Quasi le girò la testa. Si era sentita sempre  come un viandante solitario a percorrere la strada sconosciuta della vita. Forse, se nel cuore di Fabrizio c’era ancora un piccolo cantuccio per lei, avrebbero potuto prendersi per mano e continuare insieme il cammino. Provò l‘impulso di buttarsi tra quelle braccia forti e cercarne la stretta rassicurante.  
In quel momento si diffuse il suono argentino della campanella della porta d’ingresso. Per forza di cose dovette riscuotersi. Il suo turbamento divenne  un sorriso malinconico.
- Vado ad aprire. Devono essere Alberto e Giuseppe – gli disse.
Fabrizio le fece cenno di sì con la testa e la lasciò andare. Era molto deluso perché anche lui aveva avuto la percezione del momento magico appena vissuto. Anche se non aveva osato baciarle il visino addolorato, era proprio quanto avrebbe desiderato fare.
 
Udì le voci degli amici nell’ingresso esprimere stupore alla notizia della sua presenza. Alberto entrò quasi di corsa e venne subito ad abbracciarlo. Anche Giuseppe gli si fece incontro molto contento di vederlo. La cosa lo consolò: perlomeno loro non lo ritenevano responsabile dei guai che stavano passando così come invece faceva lui stesso.
- Si può sapere cosa ci fai qui? - gli chiese l’amico  dopo essersi staccato dalla stretta affettuosa.
- Niente. Ero a Sant’Agata e Giulia mi ha detto cosa sta succedendo. Sono venuto a vedere se potevo essere utile in qualche modo.
- Ah Giulia, Giulia, proprio non lo sa mantenere un segreto! - commentò Alberto.
- Ma scusa, quale segreto? Quell’infame di Alfonso sta cercando di fare ancora del male ad Angela e tu volevi mantenere il segreto? Sappiatelo, io non mi tirerò indietro. Se è necessario sono disposto a venire a testimoniare che lui mi ha indotto a sposare la nipote promettendomi di pagare i miei debiti e di mantenermi in cambio della libertà di disporre del patrimonio di mia moglie. È vero, moralmente sono ugualmente colpevole, ma almeno non ho approfittato dei soldi di Angela come invece ha fatto quella carogna che si è appropriato di quasi tutto.
Lo guardarono stupiti.
- Non ti sei candidato alle prossime elezioni? – gli domandò Alberto.
- Sì, è così. E allora?
- Allora saresti un bel pazzo a fare una cosa del genere. Sei a conoscenza o no del patto Gentiloni?
- Certo che ne sono al corrente! I nostri avversari politici si sono impegnati a salvaguardare le posizioni della Chiesa in materia di divorzio e d’istruzione per  ottenerne l’appoggio. Noi però abbiamo il coraggio e la coerenza di sostenere le nostre idee, anche se mi rendo conto che abbiamo poche speranze di riuscire a vincere.
- E tu vorresti andare a raccontare in un tribunale civile quello che hai combinato con il conte?
- Sì, se fosse necessario. Davanti all’altare ho giurato che avrei protetto sempre questa donna meravigliosa e ora dire la verità è un mio preciso dovere. D’altronde non mi sono impegnato a farlo anche davanti alla Sacra Rota?
- La Sacra Rota non mette in piazza le proprie motivazioni, ma se tu andassi a dichiarare pubblicamente che hai spostato una donna per interesse e per giunta vuoi fare annullare il tuo matrimonio proprio dalla Chiesa,  sarebbe un vero scandalo. Neanche i tuoi compagni di partito se la sentirebbero di sostenere più la tua candidatura.
A questo punto Giuseppe intervenne, bonario.
- Su andiamo, ad Angela ci pensiamo noi, non ti preoccupare. Ricordi? Alberto è un avvocato che si è formato alla scuola di tuo padre. E se poi ancora non dovesse bastare, il principe Vasilchikiov provvederà a mandarci i migliori principi del foro. Questa volta il conte rimarrà a becco asciutto, te lo assicuro.
- E poi saranno i del Cassano a dover rispondere alla nostra denuncia per diffamazione. – aggiunse la ragazza - Comunque, con ogni probabilità,  non sarà nemmeno necessario arrivare in tribunale. Forse riuscirò a farmi trovare sana di mente all’esame medico.     
Provava tenerezza e gratitudine per l’uomo che era stato suo marito. La prima perché lo aveva visto rabbuiarsi a sentire nominare il principe, segno che ancora le voleva bene, la seconda perché dimostrava con quella proposta la propria onestà.     
Gli si avvicinò e lo prese sottobraccio.   
- Comunque ti sono molto grata per questa offerta. Ora però pensiamo ad altro: resti a pranzo con noi?
Fabrizio si sentiva molto a disagio.
- Non vorrei dare disturbo.
- Ma quale disturbo, fessacchiotto! E poi anche noi dobbiamo ancora mangiare - lo invogliò Alberto che non aveva perso la confidenza con il giovane che conosceva sin da ragazzino.
- Forse non si fida della mia cucina – scherzò Angela.        
Lo guardò con affetto e suo malgrado notò che negli occhi blu di Fabrizio c’era  altrettanta tenerezza, anche se erano molto malinconici.
- Fai male, mia moglie le ha insegnato proprio bene. Adesso la signora contessa sa anche cucinare. Come diceva mamma mia, “impara l’arte e mettila da parte”. Così, anche se il conte del Cassano la farà rimanere povera e miserella, la ragazza potrà avere sempre un avvenire come cuoca scherzò Giuseppe. Poi le diede un buffetto paterno sulla guancia – Va’, mia nobile dama, prepara da mangiare a questi poveri affamati, visto che per cucinare non hai voluto far venire Mariannina.
- Certo, vado subito, però mangerete in cucina, tanto siamo tra di noi e io non ho nessuna voglia di apparecchiare in sala.
 
Poco dopo, a tavola, continuarono la conversazione in un’atmosfera molto familiare che li fece ben presto sentire tutti a proprio agio. Angela si era già alzata due volte per andare prendere qualcosa, ma alla terza Fabrizio la fermò e, senza interrompere il discorso, con la massima naturalezza, si alzò, aprì la credenza e prese il piatto che mancava da tavola. Quando tornò a sedersi, vide la donna sorridere divertita e scuotere la testa.
Visto che le sedeva accanto, si chinò verso di lei e le chiese piano, per non farsi sentire dagli altri:
- Che c’è, perché sorridi?.
- Niente. Ho notato che ricordi ancora dove sono le cose in questa casa.
- Certo, te lo sei scordato quando il venerdì sera volevo cenare qui in cucina e tu ti sedevi vicino a me mentre mangiavo? 
 All’improvviso rammentò che quelli erano stati anche i venerdì del suo inganno e  tacque imbarazzato.
- No, non l’ho scordato.    
Gli aveva dato quella risposta con  gli occhi  velati di  tristezza. Fabrizio non riuscì a capire se la mestizia che le traspariva dal viso fosse dovuta al ricordo doloroso della sua infedeltà o alla nostalgia per il paradiso perduto che lui stesso aveva provato poco prima.
 
Si congedò nel pomeriggio ed Angela lo accompagnò alla porta. Si fece  promettere che lo avrebbe tenuto al corrente della situazione, poi le prese una mano e gliela baciò con dolcezza, trattenendola tra le sue. Imbarazzata la donna la ritirò con la scusa di porgergli il cappello.
- Cosa farai quando sarà tutto finito? – le chiese con una timidezza che non pensava di avere.
- Non lo so. Forse tornerò a Parigi, forse andrò con Michail a San Pietroburgo. Non lo so, te l’ho detto, ma comunque potrai  avere sempre mie notizie tramite Alberto.
Fabrizio rimase un momento a guardare il cappello che rigirava tra le mani, come cercando il coraggio di chiederle qualcosa. Lei se ne accorse.
- Che c’è? – gli chiese.
Alzò il capo e la guardò negli occhi.
- Vorrei tanto riceverle da te queste notizie. Perché non riprendi a scrivermi?
- Fabrizio, io…
- Ti prego, lo so che hai una vita da vivere, ma vorrei tanto che in essa  ci fosse ancora un piccolo spazio per me e per il nostro affetto. Sarebbe un grosso conforto riprendere la nostra corrispondenza, così, da amici.
- Va bene.
- Me lo prometti?
- Sì, lo farò.
Le sorrise con gratitudine poi si avviò per le scale non senza girarsi un’ultima volta a guardarla.
Angela non ce la fece a sostenerne lo sguardo tanta era la voglia che all’improvviso aveva di richiamarlo e gettarsi  tra le sue braccia. Tornò in fretta in casa e si chiuse la porta alle spalle.
 
 
Era ancora presto, mancava più di un’ora alla partenza del treno. Fabrizio si avviò sul lungo mare passeggiando lentamente. Arrivato davanti al Castel dell’Ovo si fermò a guardare le onde che si frangevano bianche sulla scogliera, così come tante volte aveva fatto Angela in quell’inverno lontano.
L’amava da morire. Avrebbe voluto tornare da lei e  gridarle quello che la voce della sua anima forse aveva pronunciato troppo piano per poter essere udita. Invece si trattenne. Sapeva che tutto il suo amore di oggi non sarebbe bastato a ripagarla del male che le aveva fatto in passato. E poi adesso che era diventata ancora più ricca, bella e sicura di sé  non aveva il diritto di proporsi a lei di nuovo squattrinato e sbandato com’era stato quando l’aveva sposata. Di certo il principe russo dal cognome impronunciabile avrebbe avuto molto più da darle. Sapeva di adorarla, ma proprio per il suo bene doveva lasciarla andare al suo destino perché sarebbe stata più felice senza di lui.
Si sentiva triste mentre guardava un raggio di sole che attraverso i cirri densi di pioggia faceva brillare il mare di una luce d’argento che quasi lo accecava. Forse però non era il riverbero ad annebbiargli la vista, erano le lacrime che a stento riusciva a trattenere.




NdA
Quanto ci avete messo a leggere questo capitolo? Dieci minuti? Un quarto d’ora? Ebbene io sono anni che lo scrivo e lo riscrivo, limando una cosa qui, aggiungendone un’altra là, misurando ogni parola e tutto questo fino a qualche minuto prima di pubblicarlo. Vi chiederete il perché di tanta pignoleria. Ebbene il perché è presto detto. Oltre ad essere uno dei miei capitoli preferiti è stato anche quello più difficile da realizzare. Ciò che volevo, era mostrare come fossero cambiati negli anni quel ragazzo scapestrato che stava rovinandosi la vita tra le case di piacere e i tavoli da gioco e la collegiale pudibonda che riteneva peccaminosi persino Catullo e Chopin. Dopo tutte le vicende che vi ho raccontato, volevo che questo fosse come il loro primo incontro in cui finalmente riescono a vedersi e ad amarsi per quello che intimamente sono davvero. Nello stesso tempo non volevo che fosse il capitolo conclusivo della storia perché ho ancora da raccontarvi il loro riavvicinamento. Niente paura però, ormai mancano solo quattro capitoli alla conclusione di questa travagliata vicenda. Chi l’ha seguita fino ad ora credo che avrà piacere ad arrivare pian piano all’immancabile lieto fine,  anche perché posso promettere che non si annoierà. Già nel prossimo capitolo ci sarà un nuovo personaggio (non immaginerete mai chi!) a cui ho affidato il compito di   illustrare il tema portante di tutto questo romanzo (mi consentite di chiamarlo così?). Ed allora restate con me e soprattutto fatemi sapere le vostre osservazioni su ciò che avete appena letto. Le aspetto con più trepidazione del solito.

 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***



 

Con il viso alzato verso il cielo, Angela godeva per il calore intenso dei raggi solari dello splendido giorno di maggio. Sapeva bene che il sole dell’alta montagna avrebbe potuto anche scottarla, ma per la prima volta da più di un mese si sentiva in pace. Non si era pentita della sua decisione di tornare a Davos, presa subito dopo che il medico legale l’aveva trovata in grado di intendere e di volere. In effetti aveva rimandato solo di qualche mese il problema, ma aveva intuito che in quel luogo di pace e di silenzio avrebbe potuto ritrovare un po’ se stessa. Aveva giustificato la sua scelta agli occhi di tutti adducendo la scusa di una tosse pungente e fastidiosa che l’aveva tormentata per tutto l’inverno. I motivi più profondi erano diversi.
Il dottor Huber era stato felice di rivederla. Dopo averla visitata con scrupolo, l’aveva trovata sana come un pesce in quanto la malattia di qualche anno prima era oramai  del tutto guarita.
- Basta guardarvi, mia cara – le aveva detto – vi siete fatta così bella e florida che vi terrei qui solo per farci pubblicità.
Lei aveva riso, ma era stato un riso forzato. Nei suoi occhi si leggeva quasi lo sgomento per non avere più il pretesto di restare lì, almeno per un po’. Il medico se n’era accorto e aveva aggiunto, nel suo italiano dal pesante accento teutonico:
- Noi qui curiamo i corpi, non le anime, ve l’ho sempre detto. Però nulla vi impedisce di scendere in un albergo in paese e godervi questa splendida primavera in montagna. Potrà farvi senz’altro bene e non solo al corpo.
Aveva accettato il consiglio e ora, dopo quasi un mese di permanenza, si sentiva come rinfrancata. Non se l’era sentita di tornare ad Acireale, lì c’era Vittorio e la sua famiglia, né di rimanere a Napoli dove, a parte i perfidi zii, era sola. Avrebbe potuto andare a Parigi, da Jeanne che l’aspettava con grande affetto, ma la vita frivola tra i divertimenti e i lussi aveva finito per stancarla. Non avrebbe potuto più darle nulla ora che ne avvertiva tutta l’inutilità. C’era sempre l’invito di Michail di seguirlo a San Pietroburgo, ma lì il discorso si faceva ancora più complesso.
Più volte durante le passeggiate solitarie sui sentieri di montagna si era interrogata su ciò che provava per il principe Vasilchikiov. A prescindere da ciò che le aveva detto madame Fougez quando le aveva suggerito di non cadere nella rete del nobiluomo che prendeva e lasciava le sue amanti con la massima facilità, era arrivata alla conclusione che, nonostante l’ avesse attratta fisicamente, non era una persona di cui si sarebbe potuta innamorare. Una sera dell’inverno precedente, durante una festa, su un terrazzo illuminato dalla luna che si affacciava sul mare e sulle luci di Montecarlo, lui l’aveva baciata. Allora aveva avvertito come una vertigine e la voglia di provare ancora una volta l’ebbrezza dell’amore fisico. Aveva accettato di seguirlo in camera sua. Michail era bello, dolce, abile, le aveva acceso i sensi con le sue sapienti carezze e i suoi baci appassionati, ma questa volta qualcosa dentro di lei l’aveva fatta ritrarre prima che fosse troppo tardi. Non aveva neanche capito cosa fosse stato, ma ad un tratto si era liberata dalla sua stretta. Per fortuna il principe era un vero gentiluomo e l’aveva  lasciata andare. Comunque il desiderio inappagato lo aveva reso da quel momento in poi ancora più ostinato nel cercarla anche se le aveva promesso di darle tutto il tempo di cui aveva bisogno, sicuro che alla fine gli si sarebbe concessa, superando ogni paura.
Anche lei ne era stata convinta, ma non dopo aver rivisto Fabrizio a Napoli. In quella occasione aveva capito che nessuno mai avrebbe potuto prenderne il posto. Forse la cosa più semplice sarebbe stata di andare a Firenze, dal suo unico amore, e mettersi nelle sue mani. Di una cosa era certa: suo marito le voleva bene, e forse era venuto il momento di andare a riscuoterne l’affetto e accontentarsi di quello, senza pretendere di più. Ma dopo tutto quello che c’era stato tra loro, le delusioni, i tradimenti, la lontananza, un matrimonio in procinto di essere annullato, era possibile riprendere il loro legame come se nulla fosse accaduto? E Fabrizio era cambiato davvero come le pareva dalle lettere che aveva ripreso ad inviarle numerose o magari era solo una sua illusione e l’interesse che provava per lei era soltanto dettato dall’amicizia? Qualcosa la bloccava. Aveva un bel dire Jeanne quando le suggeriva di pretendere di essere amata per ciò che era. Lei si sentiva ancora tanto debole ed insicura, senza davvero niente per cui potersi fare amare.
Era giunta al piccolo cimitero dove tra le sepolture segnate dalle croci di pietra e di metallo c’era anche il semplice monumento funebre  in cui  riposava Paul. Le aveva dato assai conforto ritrovare la sua tomba in quel luogo lontano da tutto e da tutti, dove il silenzio era rotto soltanto dal canto degli uccelli e dal passo felpato di qualche raro e rispettoso visitatore. Aveva preso l’abitudine di andarsi a sedere tutti i giorni lì, a guardare la bella foto dell’amico sulla lapide e a mettere nel vaso i suoi fiori preferiti, le campanelle sbocciate nei prati tutt’intorno che tante volte avevano raccolto insieme. Le pareva allora di parlargli ancora, anche se forse erano i battiti del proprio cuore che le rispondevano come fossero la sua voce. Paul non era andato via, le era accanto e anche se non sapeva come, la consolava, la sosteneva. Poteva ancora raccontagli tutte le pene che si portava dentro.
Lo stava facendo anche quel mattino quando sentì una voce maschile alle sue spalle dire in francese:
- La contessa Angela del Cassano, immagino.
Doveva essere qualcuno che la conosceva. Si girò, ma rimase stupita nello scorgere un uomo piuttosto anziano mai veduto prima. Lo osservò con attenzione: poteva avere una settantina d’anni, portava i radi capelli ancora biondi piuttosto lunghi e nel viso interessante, nonostante la fitta rete di rughe, brillavano due occhi dolcissimi, chiari e trasparenti come il ghiacciaio in lontananza. Gli occhi, quelli sì che le erano familiari. Incuriosita, gli chiese nello stesso idioma:
- Perdonate, signore, ci conosciamo?
L’altro sorrise  e  alzò il cappello in segno di rispetto.
- Scusatemi, – le disse – mi presento: sono Jacques de Savigny, il padre di Paul. Non ci siamo mai conosciuti, ma non ho stentato a riconoscervi anche se siete diversa dalle descrizioni che mi faceva mio figlio. Però il dottor Huber mi ha detto che eravate a Davos e forse questo mi ha aiutato.
Con un sorriso radioso la donna si alzò in piedi e gli si avvicinò, le mani tese in un gesto di simpatia.
- Mio Dio, barone! Neanche immaginate quanto vi abbia cercato a Parigi, ma mi avevano detto che eravate andati via dalla città.       
Lui le prese le mani tra le sue.
- Infatti è così. Dopo la morte del nostro ragazzo,  mia moglie ha preferito seguire l’altro nostro figlio che è militare in Marocco. Io non mi sentivo portato alle imprese coloniali né avevo voglia di restare a Parigi. Così ho preso casa a Zurigo e sono venuto a stare qui, vicino a Paul.
- Sì, lo so, eravate molto legati, lui mi parlava sempre di voi e di tutte le cose che gli avevate insegnato.
- Anche a me parlava molto della giovane contessa italiana, anzi, nelle lettere dell’ultimo anno parlava solo di lei, oramai. Era molto innamorato, sapete?
Nonostante Jacques le avesse detto quelle parole con un sorriso dolce, Angela se ne sentì imbarazzata. Arrossì.
- Mi dispiace, mi dispiace tanto!
- E di cosa? – si affrettò a rassicurarla l’anziano signore – Vi dispiace di aver regalato un sogno a un povero giovane che stava per morire?
- Forse gli ho fatto del male, ma senza volere, credetemi.
- No, mia cara. Paul era perfettamente consapevole che per lui non c’era altra via, ma non per questo non ha apprezzato la vostra dolcezza e la vostra amicizia. Anche i fiori che stanno per appassire hanno bisogno della rugiada e voi, con la vostra sola presenza, lo avete aiutato a essere felice, almeno per quel poco tempo che gli era stato ancora concesso di vivere.
- Io gli volevo bene come a un  fratello. Davvero, gli volevo tanto bene!
Angela ora aveva gli occhi colmi di lacrime.
Insieme, rimasero in raccoglimento sulla tomba del loro caro, dopo si avviarono verso il paese, fermandosi a tratti ad osservare l’incantevole panorama e il lago in lontananza. Chiacchierarono del più e del meno. Il discorso cadde, com’era naturale, sulle convinzioni religiose di Paul trasmessegli dal padre che aveva dedicato l’intera vita alla ricerca spirituale.
- È  stato lui a insegnarmi tutto quello che so in materia, anche se forse non è stato un bene – gli confidò la ragazza a un certo punto.
- Perché dite questo?
- Perché prima la mia semplice fede mi consentiva di camminare sicura. Dopo che lui ha confutato tante mie certezze, l’ho persa e ora i miei passi sono ancora più confusi.
- Però non avete smesso di cercare la vostra strada, non è così?
La donna sorrise con tristezza.
- Per cercare cerco, sono sicura che qualcosa c’è da qualche parte, ma sono così delusa, ferita. A volte non ho neanche la forza di pensare a cosa dovrò fare domani.
- Bene, allora vuol dire che siete pronta a trovare quanto cercate.
- Voi dite? Magari fosse così!
- Certo, state per arrivare alla vostra stessa essenza. Sarà un’impresa entusiasmante benché difficile. Dovete sentirvi pronta a rinunciare a tutto ciò in cui avete sempre creduto, ma sono sicuro che alla fine troverete davvero voi stessa e Dio.
Lei sorrise ancora, un po’ diffidente, un po’ incredula. Erano arrivati intanto all’albergo dove alloggiavano entrambi e dove, nei giorni successivi, le loro conversazioni si sarebbero fatte sempre più frequenti e i loro rapporti sempre più confidenziali. Infatti, appena pochi giorni dopo averlo conosciuto, la ragazza arrivò ad aprire il suo animo alla paterna dolcezza di un uomo in cui il dolore per la perdita del figlio non offuscava mai la saggezza e la serenità conquistate con fatica  in tanti anni di lavoro spirituale.
 
Quattro settimane dopo Angela e Jacques ritornavano dalla passeggiata. Dopo un giorno di pioggia, il sole era riapparso da dietro le nuvole giusto in tempo per tingere di porpora il cielo prima di tramontare. La donna aveva freddo e si stringeva nel cappotto. Anche se si era in giugno, la sera si presentava gelida e lei, nonostante la presenza dell’amico, era di pessimo umore. Era venuto ormai il tempo di prendere una decisione sull’avvenire.
- Non posso rimanere qui in eterno – stava dicendo – ho delle persone che mi vogliono bene. Loro, ne sono certa, mi seguirebbero ovunque decidessi di andare, ma il problema è che io stessa non so dove. Da una parte vorrei tornare in Sicilia, lì mi sentivo libera in mezzo alla natura, dall’altra penso che sarebbe meglio tornare a Parigi perché è una città stupenda, moderna, senza pregiudizi dove si vive momento per momento, nel lusso, nel benessere, nella gioia di vivere.   
L’uomo scosse la testa, in pieno disaccordo.  
- Non pensate che ci si possa star bene? – gli chiese allora.
- Le persone più superficiali forse sì. D'altronde è tutta la vecchia Europa che comincia a scricchiolare.
- Cosa volete dire?
- Basta guardarsi intorno e vedere quanta sopraffazione, quanta sete di potere e di guadagno ci sono nel mondo per capire che presto qualcosa accadrà e non sarà piacevole.          
- Non potete essere così pessimista. Siamo nel Novecento, un secolo di progresso e di giustizia.
- È tutto falso, tutto gonfiato. Quello che viene offerto alla gente sono solo promesse e nessuna di esse sarà mantenuta. Questo mondo dorato fatto di illusioni presto andrà in pezzi anche se tutti fingono di non saperlo per sentirsi più tranquilli.   
Lei rimase qualche attimo in riflessione.          
- Come sul Titanic. Ricordo che i sopravvissuti a quell’orrendo disastro hanno raccontato che l’orchestra suonava ancora il valzer mentre la nave stava affondando – commentò.
- Infatti. Purtroppo i primi a perire furono i più poveri stipati nell’ultima classe. Sono sempre loro quelli che pagano il conto più salato quando la sciagura si abbatte sull’umanità.
- Jacques, mi fate spavento. Ve le ha dette uno dei vostri spiriti queste terribili profezie? – gli chiese,  essendole nota la sua mania per l’occultismo.
- Forse – scherzò l’altro.
- Allora me ne torno ad Acireale. Là, sulla mia spiaggia, la cosa più spiacevole che potrà accadermi sarà pungermi con un riccio, farmi urticare da una medusa o, peggio ancora, incontrare Clara Orsini – provò a sdrammatizzare la giovane ridendo.
Anche Jacques sorrise. La prese sottobraccio e le fece una proposta.
- Venite con me a Zurigo.
- A Zurigo? E che ci faccio a Zurigo?
-Tanto per cominciare è una città bellissima e cosmopolita. Ci sono tanti intellettuali nelle università e una libertà di pensiero come non c’è in nessun’altra parte d’Europa, neanche a Parigi. E poi vorrei che foste mia ospite per continuare le nostre conversazioni. Siete un’allieva magnifica e sono sicuro che con un po’ di lavoro riusciremo a far convivere bene la vostra personalità con la vostra essenza.
-  Siete così convinto che ci sia tanta differenza tra le due cose?
- Non sono io a dirlo, ma il grande Georges Gurdijeff al cui insegnamento ho avuto modo di avvicinarmi lo scorso anno in Russia. Il maestro sostiene che la nostra personalità è nata dall’educazione che ci è stata impartita e dalle influenze che il mondo esterno ha avuto su di noi; l’essenza è ciò che siamo veramente e anche se è la parte di noi che meno conosciamo, è l’unica alla quale dobbiamo giungere per essere in pace con noi stessi e consapevoli di cosa davvero vogliamo. Anche in amore, vedete, spesso ci accontentiamo di chi ci soddisfa appena, dimenticandoci che soltanto due anime che si riconoscono possono amarsi davvero e in modo duraturo. Non mi guardate così, lo dico per esperienza personale. Prendete me e mia moglie, siamo persone diverse, facciamo esistenze diverse eppure niente e nessuno potrà mai separarci l’uno dall’altra perché sono le nostre anime a essersi conosciute e amate.
- Pensate sia possibile una cosa del genere? A me sembra solo un bel sogno romantico.
- Romantico un corno! Provate a mettere accanto due persone che pur essendo simili nei comportamenti sono diverse nel loro intimo. Sarà un vero disastro, neanche il sesso sarà vera unione tra di loro, ma solo l’istinto che spinge gli esseri viventi a perpetuare la propria specie. Purtroppo molti si ostinano a  scambiare anche quello per amore.
- Quindi voi pensate che anche due persone molto lontane per carattere e abitudini di vita possano amarsi senza saperlo?
- Amarsi certo, ma non senza saperlo, dentro di loro lo sapranno. Devono solo cercare la strada insieme e questo è ancora più difficile se sono entrambe già smarrite per conto proprio.
Angela restò un attimo silenziosa a riflettere. Tra lei e Fabrizio, sin da quando si erano conosciuti, c’era sempre stato un legame speciale fatto di tenerezza, di comprensione reciproca e perché no, anche di attrazione fisica. Ora che avevano ripreso a scriversi con una certa regolarità, avvertiva che quel sentimento non aveva mai cessato di esistere, nonostante tutto. Perché allora non erano mai riusciti a trasformarlo nel vero amore che entrambi non erano mai riusciti a trovare?
- Va bene, mi avete convinta, verrò con voi a Zurigo - sospirò infine.
- E farete bene, così forse avrete un po’ più le idee chiare su quello che c’è tra voi e Fabrizio. Perché è a lui che stavate pensando, non è così? – scherzò  Jaques.
La ragazza stette allo scherzo.
- Ma brutto impertinente che non siete altro, volete fare il maestro o il pettegolo?
- Andiamo, figliola, si vede lontano un miglio che siete ancora innamorata di vostro marito. Però, come dice la vostra saggia amica Jeanne, che per inciso mi farebbe molto piacere conoscere, è meglio che scopriate prima cosa ha da amare in voi il pover’uomo, altrimenti rischiate di rovinare di nuovo tutto.
- Io sono pronta ad essere quello che lui vuole.
- Ed ecco che ricadete di nuovo in errore! Voi siete quella che siete e lui, se vi riconoscerà, vi amerà di certo, anche se siete una piccola cosa e la stessa cosa accadrà a voi. Non sta scritto da nessuna parte che dobbiamo essere eccezionali, basta fare del nostro meglio ed essere sinceri, soprattutto con noi stessi.  Ma adesso andiamo a scrivere ai vostri amici, staranno molto in pena per voi, quei poverini.



NdA
Dite la verità, non vi sareste mai aspettate che il nuovo personaggio fosse il papà di Paul. Eppure mi è sembrato bello che la rinascita di Angela, iniziata in un certo senso a Davos proprio grazie all’amico ormai scomparso, trovasse una nuova spinta nello stesso luogo e grazie a qualcuno che era già stato la guida spirituale di questo giovane e sfortunato uomo. D’altronde solo grazie all’immaginario personaggio di Jacques de Savigny, studioso di discipline esoteriche e mistico, potevo introdurre i concetti relativi all’amore  di Georges Gurdijeff  che mi avevano molto colpita quando li ho letti in suo libro. Certo, nella nostra epoca in cui buona parte delle unioni sembrano destinate a fallire, le sue teorie possono apparire più che mai un bel sogno romantico, come lo ha definito Angela, ma essendo lei stessa e Fabrizio solo personaggi di fantasia allora perché non abbracciarle e far sì che, almeno per loro, il legame speciale che hanno avvertito sin da quando si sono conosciuti possa essere indice di due anime che si sono riconosciute e sono destinate ad amarsi per sempre?
Nei prossimi  tre capitoli, anche se pian piano, i miei protagonisti si ritroveranno. Vi chiedo di non lasciarli andare proprio ora che il loro happy end si avvicina e di continuare ad immergervi con me nel loro amore, nel loro mondo, nella loro epoca.
A domenica prossima e grazie a tutte. 

 

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***




Di certo Fabrizio non era più il giovanotto che aveva incontrato e amato sei anni prima eppure quello che era diventato adesso, se possibile, le piaceva ancora di più. Senza essere vista, Angela lo stava osservando mentre parlava con il portiere dell’albergo di Firenze dove era scesa la sera prima. Dall’ultima volta che lo aveva incontrato a Napoli era un po’ dimagrito e si era accorciato i capelli e la barba. Aveva un aspetto più autorevole e maturo, ma il suo volto dai lineamenti regolari e gli occhi dallo sguardo magnetico erano più che mai meravigliosi.
La donna sospirò al pensiero della cosa spiacevole che l’attendeva quel giorno dalla quale però non aveva potuto esimersi: erano stati convocati dal Tribunale Ecclesiastico per una udienza “di concordanza” nel corso della quale sarebbero stato stabilito il capo di nullità per cui volevano impugnare le nozze. Era il 2 ottobre del 1913, quasi un anno esatto da quando si erano incontrati in Sicilia e aveva firmato la richiesta. Non si poteva certo dire che i tempi della Sacra Rota fossero rapidi e l’eventuale annullamento era ancora lontano da venire eppure già la cosa le faceva tristezza. Anche se il loro matrimonio fino ad allora era stato solo come un bellissimo scrigno desolatamente vuoto,  in lei si era riaccesa la speranza di poterlo ancora riempire d’amore, forse perché ormai sapeva che Fabrizio era l’unico uomo con cui desiderava condividere la propria esistenza.
Quando gli fu alle spalle lo chiamò piano, quasi con la paura che la voce tradisse la trepidazione provata. Lui si girò e l’espressione sul suo volto fu quella di una persona in preda a una forte emozione che presto però si tramutò in manifesto apprezzamento. Ciò la rese contenta, tanto da farla sorridere mentre gli porgeva la mano. Lui gliela baciò e la trattenne tra le sue.
Non si era sbagliata, davvero in quel momento Fabrizio la stava guardando incantato e non riusciva a capacitarsi che quella creatura divina fosse proprio Angela. Sembrava più alta e indossava un tailleur a rendigote di un azzurro polvere che le metteva in risalto l’incarnato bruno. La gonna era stretta e le lasciava scoperte le caviglie e i piedini calzati in eleganti scarpe di vernice lucida, nere così come l’ampia fascia che le cingeva i fianchi. La toilette era completata da un sobrio cappello dalla larga falda, anch’esso azzurro polvere, ornato di una piuma nera che scendeva come una virgola a sottolinearle il visino dolce e gli occhi grandi.
Riprese fiato e le disse:
- Mamma mia, Angela,  come sei diventata elegante!
Lei rise e si schermì con un gesto del capo. In realtà era felice di quei complimenti che percepiva sinceri.
- Grazie, ma non è merito mio. Sono i consigli della mia amica Jeanne che è una vera maestra in materia di moda. Comunque anche l’aria buona della Svizzera ha fatto il suo.
- Già, a proposito, me lo dici cosa ci fai a Zurigo? Quasi non ci credevo quando mi hai scritto da lì. E ci sei rimasta quattro mesi!
- Sì, sono andata a Davos per riposare un po’ prima di decidere dove stabilirmi e lì ho conosciuto Jacques de Savigny che mi ha convinto a seguirlo a Zurigo.
- Si può sapere chi è? Non me l’hai mai spiegato bene  – le chiese, lo sguardo basso per non mostrarle il proprio turbamento.
Lei lo osservò con attenzione. Benché Fabrizio cercasse di dissimulare l’emozione, aveva notato una ruga che gli si era disegnata sulla fronte e un muscolo che gli guizzava nella mascella. Possibile che fosse gelosia?
- È il padre di Paul -  si affrettò a spiegargli - Te lo ricordi Paul?
Lui annuì, ma non era ancora contento e continuò lo strano interrogatorio – Stai con lui ora?
Angela scoppiò a ridere.
- Sei impazzito? Ha ben sessantotto anni! No – sorrise  come ad un ricordo piacevole, poi gli spiegò – è solo il maestro e io sono la sua allieva.
- Davvero? E cosa t’insegna, sentiamo.
La voce era incredula e Angela pensò di non essersi sbagliata: era proprio una punta di gelosia.
- A vivere, tanto per cominciare, e a guardare il mondo con occhi diversi. Gli sono molto grata per tutto quanto mi ha dato. È grazie a lui se sto ritrovando un po’ di equilibrio, ne avevo assai bisogno ultimamente.
Era contenta del suo interessamento, però le pareva strano visto quello che dovevano fare il giorno stesso. Ritenne giusto riportare la conversazione sull’argomento.
- Dimmi, a che ora dobbiamo essere al Tribunale Ecclesiastico?
- Alle diciassette.
- Alle diciassette!? Allora mi dici perché mi hai dato appuntamento alle otto del mattino? – protestò.
- Volevo stare un po’ con te prima, ti dispiace? – le confessò.
- No, figurati, tanto il treno che mi riporterà a Zurigo è prenotato per domani a mezzogiorno. Alberto ha giusto finito di sistemare le cose in Sicilia e passerà di qui domattina per fare il viaggio con me.
- Allora è vero,  vi  trasferirete tutti lì oramai?
- Sì, anche Maria e i bambini, Lucia e Giuseppe. Ci siamo portati persino Rosso e Luna. Comunque, tornando a noi, mi farà piacere visitare un po’ Firenze, ci sono passata sempre di sfuggita e vorrei vederla meglio. Andiamo allora,  fammi da guida.
Lasciato l’albergo, i due giovani si avviarono sottobraccio per le vie del centro, luminose e animate nel soleggiato e tiepido mattino autunnale. Fabrizio però si sentiva ancora un piccolo nodo alla gola che non andava né su né giù. Aveva bisogno di sapere.
- Quindi adesso non hai nessuno, se ho ben capito?
- Infatti.
- E il principe Vasilchikiov? Hai lasciato anche lui spezzandogli il cuore come hai fatto con Vittorio Orsini?
Angela si fermò un attimo, fingendo di interessarsi a una vetrina, ma giusto per trovare la calma per rispondergli.
- Spezzare il cuore? Esageravo quando ho usato queste parole. I cuori non si spezzano per amore. Ci può anche sembrare che non riusciremo mai a dimenticare coloro i quali ci hanno fatto soffrire, ma il tempo cancella tutto, niente è eterno, tanto meno l’amore.
Stette qualche minuto zitta, aspettando un commento, ma anche l’uomo se ne restò in silenzio  pensando che tali parole potessero essere state rivolte intenzionalmente a lui.
Intanto la ragazza proseguì:
- Vittorio si è fidanzato con la sua Annamaria e Michail se n’è ripartito per San Pietroburgo in attesa di incontrare qualche nuova donna che lo intrighi. A dire il vero ha insistito fino all’ultimo perché lo seguissi, ma non me la sono sentita.
- Perché? Non lo amavi?
- Guarda che non siamo mai stati amanti – si affrettò a precisare. – Mi attirava moltissimo, questo non posso negarlo e siamo stati, diciamo così, abbastanza in confidenza. Però tanti anni di indottrinamento socialista da parte del futuro onorevole Fabrizio Serra mi hanno impedito di innamorarmi di un uomo che ancora considera un affronto l’abolizione  della servitù della gleba fatta dallo zar nel 1861.
Aveva scherzato e lui, un po’ rassicurato, proseguì sullo stesso tono:
- Ah, così sarebbe per colpa mia se non sei andata a fare la principessa russa?
- Sì e poi non mi piace San Pietroburgo. Lo sai, io amo il mare.
- Ma che dici? Se è sul delta della Neva ed è chiamata la Venezia del Baltico!
- Il Baltico? Tu me lo chiami mare quello? Vuoi metterlo con il mio Mediterraneo? E poi lì ci fa troppo freddo per i miei gusti.
- Già, perché invece a Zurigo fa caldo.
- Uffa, ma quanto sei noioso! Sei peggio del professor Della Rocca.
- E chi è?
Lei non gli rispose. Erano arrivati in Piazza della Signoria ed era corsa a guardare da vicino la fontana del Nettuno. Quasi senza aspettare che la seguisse, andò anche al  David di Michelangelo e si mise a rimirarlo con il naso in su e la bocca aperta per lo stupore, come una bambina.
- Mio Dio, questa piazza è incantevole! - gli disse non appena Fabrizio le fu vicino. Gli si mise sotto braccio e si lasciò condurre a guardare tutte quelle meraviglie.
- Ti prego, portami a vedere gli Uffizi e Palazzo Vecchio, è tanto che desidero farlo – lo implorò poco dopo. 
Fabrizio le disse che dovevano fare prima una commissione a Ponte Vecchio e lei, desiderosa di vedere anche quell’altra bellezza della città, cedette di buon grado.
S’incamminarono di nuovo.
- Mi dici allora chi è questo professor Della Rocca?
- È lo psichiatra che mi ha esaminato a Napoli, quello che, come ti dissi per lettera,  per mia fortuna ha deciso che non sono scema.
Gli piaceva molto la sua vivacità e Fabrizio sorrise divertito.
- Infatti lo sapevo, ma non mi hai raccontato come andò. Era noioso?
- Faceva un mucchio di domande. La prima cosa che ho pensato quando l’ho visto è stata quanto fossero cattivi i miei zii – gli confidò.
- Perché? Spiegati meglio.
- Era un uomo che incuteva molta soggezione, con i capelli candidi, il pizzetto dello stesso colore e gli occhi come due lame d’acciaio che parevano volessero lacerarti l’anima. Era proprio il tipo  davanti al quale la timida Angela che ero stata una volta e che loro conoscevano, sarebbe morta di paura, facendosi prendere facilmente per deficiente.
- Però quella piccola indifesa non c’era più, non è vero? Ci avevano pensato i principi russi e le dame alla moda a svezzarla – suggerì tra l’ironico e l’infastidito.   
Angela non raccolse quella punta di perfidia.
- Certo. Seguii per filo e per segno i consigli di Jeanne. Mi vestii tutta elegante e raffinata -  mi avessi vista, sembravo una nave con il Gran Pavese! -  e mi misi a imitare i modi delle nobildonne amiche di Michail. Così … – cominciò a parodiare gli atteggiamenti affettati di un’aristocratica.   
Era talmente buffa che Fabrizio scoppiò in una sonora risata.
- E così l’esimio professore c’è cascato come un babbeo - commentò.
- Macché, quel noioso ha continuato a farmi domande. Non riusciva a spiegarsi come una persona che gli era stata descritta come una mezza selvaggia si fosse trasformata in una raffinata signora dell’alta società.
- Tu che gli hai detto?
- Niente, mi sono messa a descrivergli le trascinanti bellezze del mare di Trinacria e l’ho fatto talmente bene che non mi meraviglierei se la scorsa estate il professore l’avesse trascorsa tutta ad arrampicarsi mezzo nudo sugli scogli. Guarda questi dolci… chissà come devono essere buoni …
Si era fermata come una bambina golosa davanti alla vetrina di una pasticceria.  Fabrizio, sempre più rapito dalla sua spontaneità, la invitò a entrare per sedersi a un tavolino a consumarne uno. Mentre mangiava con gusto, lei proseguì il racconto.
- Però il colpo di grazia gliel’ho dato quando mi ha chiesto se sapevo che Giuseppe stava vendendo tutti i miei beni.
- Lo sapevi?
- Certo. Innanzi tutto, come già ti dissi, Giuseppe mi ha sempre tenuto informata di tutti gli atti compiuti a mio nome e poi l’ordine di vendere le miniere di zolfo ereditate dalla zia glielo avevo dato io stessa già tanto tempo prima. Hai mai sentito parlare del disastro di Trabonella?
- Mi pare. Non mi ricordo bene, però.
- Accadde nel 1911. Ci fu uno scoppio di grisou in miniera e un incendio che divampò per ben dieci giorni. Morirono almeno quaranta operai e ci furono anche molti feriti. Ne fui talmente turbata che volli essere accompagnata da Giuseppe a visitare i minatori che lavoravano per me nelle miniere di mia proprietà in provincia di Caltanisetta. Quello che vidi non lo dimenticherò mai più: sembrava una bolgia infernale dove al posto dei dannati c’erano i minatori. Non mi fecero neanche avvicinare ai pozzi perché quei poverini, per le elevate temperature, erano costretti a lavorare nudi. Comunque anche da lontano mi resi conto che in quel lavoro da bestie non c’era nessuna sicurezza e il biossido di zolfo che faceva lacrimare gli occhi e tossire anche me benché fossi così distante, era ciò che respiravano tutto il giorno quegli infelici. Mentre stavo andando via, il direttore venne a rendere omaggio con un mazzo di fiori alla “padrona” portando con sé due o tre bambini di circa sette o otto anni. Seppi che erano i “carusi”, quelli che portano il materiale estratto fino alla superficie attraverso stretti cunicoli dove solo i loro corpicini riescono a passare. Ti giuro, in quel momento mi vergognai come una ladra e non appena fummo andati via, ordinai a Giuseppe di vendere quell’obbrobrio.
- È molto encomiabile da parte tua, ma non hai certo risolto il problema. Qualcuno avrà comprato le tue miniere e quei poveretti staranno continuando a fare la stessa vita, magari con un padrone che li sfrutta ancora di più – osservò Fabrizio prendendola di nuovo sottobraccio mentre lasciavano il locale.
- Anche il  professore me lo disse, ma ti rispondo come feci con lui: non spetta a me cambiare il mondo, vorrei farlo, ma non posso. Per questo ci siete voi, i politici, gli intellettuali, quelli che contano. Io posso soltanto rifiutarmi di trarre profitto dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e cercare di usare il mio denaro per dare un po’ di benessere alla gente.
- Beneficenza?
- Oh no! Ho superato da un pezzo il concetto della carità pelosa per il quale è sufficiente portare ai poveri una zuppa calda e una coperta per sentirsi a posto con la coscienza. Bisogna creare le condizioni perché la gente possa procurarsi da sola di che vivere dignitosamente.
- Accidenti, qui stai diventando più brava di me! Perché non ci vieni tu a fare il comizio al posto mio domani?       
La strinse per la vita, ammirato dalla sensibilità d’animo della ragazza, di cui peraltro non aveva mai dubitato sin da quando l’aveva conosciuta.
- Dài, non prendermi in giro – protestò lei – te l’ho detto, non tocca a me cambiare il mondo. Però posso decidere cosa fare dei miei soldi ed è per questo che in seguito ho pensato di vendere anche tutto il resto, compreso le terre, ed investire in Svizzera. Ho tenuto solo la casa a Napoli e la villa della zia in Sicilia. Quella non potevo proprio venderla, la poverina ci teneva troppo.
- Davvero? E in cosa hai investito?
- Te lo ricordi il ristorante sul mare ad Acireale? È  da lì che mi è partita l’idea. Ho comprato un albergo a Davos che, come ben sai, è anche una stazione sciistica di prim’ordine. Ne farò un vero paradiso per chi vuole venirsi a godere la pace e l’aria salubre di quel posto incantato. Così almeno i soldi li guadagnerò con chi gode e non con chi soffre. Che ne pensi?
- L’idea è magnifica, ma tu non hai alcuna esperienza in materia.
- Non ti preoccupare, ho tutto l’appoggio necessario. Giuseppe ed Alberto si occuperanno della parte finanziaria, io della reception, Maria e Lucia della cucina,  il dottor Huber indirizzerà da me i clienti, Jacques de Savigny, che ha amicizie influenti a Zurigo, ci farà avere i vari permessi e ci farà una buona pubblicità. A dirigere il tutto verrà Jeanne che ha passato la vita intera negli alberghi. Naturalmente dovremo assumere parecchio personale, ma questo non è un problema.
- Non è che hai un posticino anche per me? Potrei fare anche il facchino e portare su i bagagli se a te sta bene.
Angela lo guardò con un sorriso impertinente.
- Non è possibile, hai altri impegni tu: devi salvare il mondo!
Intanto erano arrivati al Ponte Vecchio, laddove le botteghe degli orefici si affiancavano l’una all’altra. Sotto la soglia di una di esse c’era un simpatico giovanotto baffuto dagli occhi neri e vivaci che apostrofò subito Fabrizio con il suo pesante accento toscano:
- O’ bischero, finalmente ti si vede!
- Finalmente? Sono venti giorni che mi stai facendo venire qui tutti i giorni e quella cosa non è ancora pronta. Guarda che stamattina non voglio sentire ragioni, mia moglie è già qui.
- E indo’ la tenevi inguattata ‘sta bella mogliettina? – commentò l’altro con un inchino e un baciamano – Ma che, pe’ haso l’hai rubata ad un sultano con questi occhioni di foho e la pelle bruna che si ritrova? Sembra un’odalisca ‘sta figliola!
Angela arrossì, un poco perché l’ammirazione maschile la metteva sempre in imbarazzo e un po’ perché Fabrizio l’aveva presentata come sua moglie. Per quale motivo l’aveva fatto?
Lui intanto stava entrando nel negozio tenendola sottobraccio. Le fece un cenno d’intesa.
- Fa’ meno chiacchiere e dammi quella cosa – lo invitò.
- A te? La do a lei, piuttosto. Ecco, signora, codesto è un omaggio del maritino pe’l su compleanno.
Il viso della ragazza diventò di fuoco mentre gli prendeva  un astuccio dalle mani.
- Ti sei, ti sei … – disse rivolta a Fabrizio. Non riusciva a proseguire tanto era emozionata.
- … ricordato – finì lui – Certo, questa volta l’ho fatto e spero tu possa perdonarmi tutte le altre in cui invece ho mancato. Buon compleanno, cara, e buon onomastico!
Dall’astuccio blu foderato di velluto era venuta fuori una catena d’oro con un medaglione finemente lavorato a piccole foglie d’oro smaltate di verde. Al centro ce n’era una più grossa decorata con una serie di piccoli brillanti dalla luce molto pura.
- È stupendo! - esclamò la ragazza.
- Modestia a parte, signora mia, noi qui le hose le facemo ammodino.
- Chissà quanto ti sarà costato – protestò ancora mentre il marito glielo allacciava al collo.
- Non ti preoccupare di questo.
- E poi il su’ amico Manfreduzzo, che poi sarei io, si è preso solo un anticipo. Il resto lo pagherà il signor Fabio Sarrerzi in comode rate. Un è così, onorevole?
- Certo, non mancherà di farlo. A proposito dell’onorevole, quando dobbiamo passare a vedere la sala per il comizio di domani?
- E quando ci volevi ire, o‘ grullo? Oggi alle tre.
- Ma io non posso oggi, c’è mia moglie con me.
- Porta anche la signora. Ah, ho capito! – aggiunse l’amico.           
Si era ricordato della presenza di Elena e credeva che lui non volesse far incontrare la moglie con la sua ex amante.
- Non ti preoccupare, io ti aspetterò in albergo – tagliò corto Angela, intuendo la cosa.
- Davvero non ti dispiacerebbe? Sai, è importante, le elezioni ci saranno il 26 di questo mese e  dobbiamo darci da fare.
- No, figurati, fa’ quello che devi. Solo sarai libero per l’ora in cui abbiamo quell’impegno?
- Ah, me ne ero proprio dimenticato! – sospirò lui – Non preoccuparti, ce la farò. Però adesso andiamo, se vuoi visitare gli Uffizi dobbiamo sbrigarci.
Salutarono l’orefice e uscirono di nuovo sottobraccio.
- Cosa c’è dall’altra parte dell’Arno? – gli chiese la donna.
- Palazzo Pitti e i giardini di Boboli.
- Ascolta, non ho voglia di stare in un museo, non oggi perlomeno. Mi farebbe più piacere passeggiare nei giardini, ti andrebbe?
- È un’ottima idea. Sono bellissimi e oggi è giovedì, ci sarà anche poca gente.
Si avviarono all’interno del palazzo Pitti. Attraverso lo scalone, entrarono nei famosi giardini che Angela trovò incantevoli.
Passeggiando lungo il maestoso viale tra i pini ed i cipressi, godevano intensamente la carezza del sole, il profumo delle piante e il cinguettio degli uccelli. Nessuno dei due parlava. Tutta la vivacità mostrata poco prima da Angela sembrava essersi mutata in una sorta di malinconia, come se avesse voluto dirgli qualcosa che non osava dire. Per rompere il silenzio, lui le raccontò del suo lavoro d’insegnante e dei suoi ragazzi, di quanto gli fossero cari. Le parlò pure del prossimo impegno elettorale, delle speranze che vi riponeva. Arrivarono così al laghetto artificiale e si fermarono incantati a guardare l’isolotto ricco di piante e la Fontana di Oceano.
- Ti piace questo posto?     - le chiese.    .
- Sì, molto – gli rispose ma senza molto entusiasmo.
Fabrizio non riusciva a  capire il perché della sua improvvisa mestizia.   
 - Eppure c’è qualcosa che ti turba, lo sento.
Angela sospirò poi decise di aprirgli l’animo.  
 - Mi sto chiedendo perché hai voluto farmi un regalo così importante. So che non navighi in buone acque finanziariamente parlando e non vorrei avessi fatto dei  debiti per me.
Si sentì sollevato. Una luce divertita gli fece brillare il blu degli occhi.
- Non hai di che preoccuparti, te lo ripeto, da quando abbiamo venduto la casa di Sant’Agata non sto messo tanto male a soldi. Poi c’è Fabio Sarrerzi che è un vero amico e che pagherà volentieri.
- Perché dovrebbe farlo?  E per quale motivo dovevi farmi un regalo? Per dirmi addio?
- No, per carità! È  per il tuo compleanno e il tuo onomastico e non ti avevo mai regalato nulla prima d’ora.
- Non è vero questo.
- Già, ti avevo regalato una scatolina di legno e un cammeuccio da quattro soldi che hai fatto bene a sbattermi in faccia quando mi hai lasciato la dichiarazione firmata.
Angela si voltò a guardarlo stupita. Scosse la testa e, con un’aria molto addolorata, gli spiegò:
- Tu hai frainteso il mio gesto. Io non volevo rinfacciarti il poco valore dei tuoi regali, volevo solo ricordarti che in fondo ci eravamo voluti bene e quegli oggetti me lo avrebbero sempre richiamato alla memoria.
L’uomo restò molto colpito da quell’interpretazione a cui neanche per un momento aveva pensato. Un’espressione triste gli passò sul volto, soprattutto per le cose che lei stava continuando a dirgli.
- Mi dispiace, si vede che non hai capito proprio nulla di me se hai potuto pensare questo. Io non ho bisogno di regali costosi, anzi, non ho affatto bisogno di regali.
Allora Fabrizio l’afferrò per le spalle e la costrinse a guardarlo
- Hai ragione. Ci ero rimasto così male e invece avrei dovuto capirlo. L’ho sempre saputo che tu sei diversa da tutte le altre donne e sai dare il vero significato alle cose. Sono contento, sai, perché allora questo mio dono è davvero adatto a te dato che ha soprattutto un valore sentimentale. Guarda – le disse alzando il medaglione e facendoglielo osservare - La vedi la foglia centrale? Cosa disegnano i brillantini?
- Una effe. Sì, è proprio una effe. Cos’è, la tua iniziale?
- No, la effe sta per Ferdinando. In origine la foglia centrale era un fermacravatta di mio padre. Volevo darlo a te perché so quanto gli hai voluto bene, ma così sarebbe stato solo un ricordo da tenere in un cassetto, invece volevo che tu lo indossassi. L’ho portato a Manfredi e gli ho chiesto di farne venir fuori qualcosa di adatto a una donna elegante come te e lui ha creato questo medaglione.
Commossa, Angela gli si strinse contro.
- Perdonami – gli disse -  sono stata io a fraintenderti. Amavo davvero tuo padre, lo sai, e terrò questo oggetto molto caro così come ho cari gli altri doni che mi hai fatto. Credimi, per me valgono una vera fortuna.
Si scambiarono uno sguardo dolcissimo, sempre più consapevoli del bene profondo che si volevano e dei legami che li univano, anche se non trovavano ancora il coraggio di parlarsene apertamente.






NdA
Forse vi sarete meravigliate che per far incontrare di nuovo Angela e Fabrizio abbia scelto proprio l’occasione dell’udienza al Tribunale ecclesiastico per lo scioglimento delle nozze. L’ho fatto perché la loro storia è cominciata proprio con un matrimonio, fatto più che altro per liberarsi dai debiti da parte di lui e da una monacazione abbastanza forzata da parte di lei, che  ormai è una cosa inutile e priva di significato che nulla aggiunge o toglie ai veri sentimenti dei miei protagonisti.   Forse vi sarete chieste pure perché, pur essendo così innamorati, nessuno dei due trova il coraggio di lottare per il proprio amore. Mi è piaciuto pensare che quando ci si ama profondamente si è disposti pure a sacrificarsi per la felicità dell’altro, provando quasi la sensazione che imporre i propri sentimenti sia quasi una forzatura. Intanto però Fabrizio ed Angela, pur non essendosi ancora detti a parole chiare quello che provano, se lo stanno dicendo con gli sguardi, con i piccoli gesti, con il rivelarsi cose che non avevano mai avuto il coraggio di dirsi. Provano soltanto  il piacere di stare vicini e di sentirsi una cosa sola, liberandosi da ogni condizionamento del passato.  La consapevolezza del loro reciproco amore non tarderà ad arrivare, ve lo prometto,  e sarà una passione irrefrenabile che supererà tutte le paure e i dubbi e li vedrà finalmente uniti.
Posto due belle immagini d’epoca di Ponte Vecchio e dei Giardini di Boboli e chiedo umilmente scusa alle eventuali lettrici fiorentine per essermi azzardata addirittura a far parlare toscano l’amico Manfredi. Spero di aver reso l’idea senza aver commesso asinate.
A domenica prossima per il penultimo appuntamento e grazie per le opinioni che vorrete darmi su questo capitolo o sulla storia in generale.





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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***



 
 
Dopo il chiarimento avvenuto tra loro, si sentivano entrambi rasserenati e pieni di una strana gioia che li faceva sentire allegri come bambini.
- Adesso mi porti a mangiare perché ho fame – gli disse Angela dopo un po’ che giravano.
- Ancora? Ma se hai mangiato un dolce enorme appena qualche ora fa! Prima costavi molto di meno, mia cara, adesso ci vuole un capitale per sfamarti, altro che gioielli – scherzò Fabrizio.          
Lei, per tutta risposta, gli fece una smorfia.
Erano felici di stare insieme e quasi come se non avessero avuto un passato e non ci fosse nemmeno un futuro, godevano solo il meraviglioso presente del momento che stavano vivendo.
Fabrizio aveva deciso di portarla a pranzo in un ristorante alle Cascine che conosceva bene, ma non appena scesero dalla carrozza, l’innata curiosità di Angela le fece vincere la stanchezza e l’appetito. Volle visitare anche il parco che incominciava a tingersi dei colori dell’autunno.
Stretta sottobraccio a lui se ne fece raccontare la storia, ascoltando interessata tutto quanto le diceva. Gli chiese di inventare qualcosa per lei, ma non ce ne fu bisogno perché  giunti dinanzi al Monumento al Principe Indiano, Fabrizio le raccontò, con la sua consueta abilità di affabulatore,  la vicenda dello sfortunato giovane di appena vent’anni morto durante una visita a Firenze e dei  suoi genitori che avevano fatto erigere quella scultura commemorativa proprio nel punto in cui ne erano state disperse ceneri alla confluenza del Mugnone e dell’Arno. Commossa, lei gli si strinse forte. Gli teneva il viso appoggiato sul braccio ed era così tenera che fu davvero tentato di abbracciarla. Se non lo fece, fu solo perché erano accanto a un’allegra brigata in gita di piacere.
Dopo, durante tutto il pranzo, non smise mai di guardarla. Gli piaceva troppo: in lei ritrovava la consueta grazia e una nuova vivacità, senza contare che era sbocciata alla bellezza come un fiore. E poi aveva sempre adorato il suo modo unico di saperlo ascoltare, la sua dolcezza, la sua enorme intelligenza. Più volte aveva allungato la mano sul tavolo per prendere quella di lei e ogni volta Angela glielo aveva lasciato fare. Spesso lo aveva guardato con un sorriso e un’espressione di enorme affetto.
Anche lei si sentiva felice. Era bellissimo stare con Fabrizio e ogni volta che poteva, lo osservava con attenzione, come a volersi imprimere nella mente ogni particolare di quel volto adorato, soprattutto gli occhi che talvolta le sembravano assai tristi. Quando le sorrideva però s’illuminavano d’azzurro come il cielo quando appare all’improvviso in uno squarcio tra le nuvole.
Era giunta alla conclusione che non poteva rinunciare a lui, avrebbe dovuto continuare a vederlo. Non le importava se il loro matrimonio sarebbe stato sciolto, in quel momento, più che mai,  aveva la certezza che tra loro poteva nascere qualcosa di grande e vero: un nuovo amore che potevano vivere entrambi liberandosi dalle catene del passato.
Trovò una scusa per prepararsi il terreno.
- Domani dovrò partire – gli disse – però questa città mi piace tanto e ne ho veduto troppo poco. Ti dispiacerebbe se tornassi qualche volta e ti chiedessi di farmi ancora da guida?
- Certo che no. Soltanto potrei andare a Roma dopo le elezioni. Almeno lo spero.
Lei non poteva arrendersi per così poco.
- Oh, è naturale! – lo rassicurò con un sorriso -  Ma tutto sommato conosco poco anche Roma. Vuol dire che mi farai da guida lì e Firenze la vedrò da sola. Ci sono tanti posti belli da visitare. Io non mi stancherei mai di vedere città nuove.
- Lo so, l’hai sempre detto. Ti ricordi quanti viaggi dovevamo fare insieme?
- Già, però io non ho rinunciato, anche se mi sarebbe piaciuto di più farli con te che condividi la mia stessa passione.
Le era passata un’ombra di malinconia sul viso. Fabrizio ne fu turbato. Si dimenticò ogni prudenza e le chiese:
- Lo so che sei diventata una donna emancipata, ma qualche volta ti capita di ricordare quel periodo? Io lo faccio molto spesso e mi pare di non aver mai vissuto niente di altrettanto bello in vita mia.
La donna spalancò gli occhi dallo stupore.
- Dici sul serio?
- Sì.
Furono interrotti dal cameriere che portava il conto. Costui si mise ad osservare Angela quasi sfacciatamente, come d’altronde aveva fatto ogni volta che aveva portato una pietanza in tavola. Fabrizio, con un’aria tra il divertito e il distratto, mentre prendeva il denaro dal portafoglio si decise a dirgli:
- Ebbene sì, Raimondo, non ti sbagli: è proprio lei, mia moglie.
L’uomo si mostrò un tantino imbarazzato e si affrettò a scusarsi. Ad Angela che lo guardava stupita, spiegò:
- Deve sapere, signora, che io mi sono sempre vantato di essere un gran fisionomista tant’è che faccio anche delle gare con i miei amici. Ma oggi mi sono sentito davvero in difficoltà: ero sicuro di averla già veduta anche se non mi ricordavo dove.
- Al caffè Paskowsky – disse Fabrizio, poi rivolto alla moglie precisò – Era il cameriere che ci servì quella volta che venisti a Firenze.
- Oh! – esclamò la donna – Sul serio siete molto fisionomista, è passato tanto tempo e poi allora ero reduce da una brutta malattia.
- Ecco, deve essere per questo che non l’ho riconosciuta subito. Comunque mi permetta di farle i miei complimenti per il suo aspetto attuale. È diventata davvero bella se, con il permesso di suo marito, posso permettermi di dirlo.
- Già, il permesso! Come se non lo sapessi che sei un rubacuori… – scherzò Fabrizio con un sorriso cordiale. Poi fece strada ad Angela e uscirono a riprendere una carrozza.
Appena vi si furono seduti, lei gli confidò:
- Che vergogna, come avrò fatto allora a presentarmi in quello stato pietoso? Davvero dovevo sembrare uno di quegli uccellini brutti e spelacchiati appena caduti dal nido. Chissà come ti ho fatto impressione.
Fabrizio le rispose, serio.
- Non dire sciocchezze. Neanche immagini la tenerezza che mi facesti.
- Come no, tenerezza! – commentò lei con ironia.
- Certamente. I giorni successivi non ho fatto altro che pensare a te, a come stavi male, di sicuro per colpa mia. Avrei voluto dirti quanto ti volevo bene e come le lettere che mi avevi mandato in quel lungo anno erano state importanti per me. Per questo ho continuato a scriverti anche quando tu ormai non mi rispondevi più, non certo per narcisismo.  È vero, non chiedevo di te, ma solo perché avevo paura di ferirti, magari avresti dovuto parlarmi della tua malattia o delle tue sofferenze e non ti andava di farlo, però volevo farti sapere che ti ero vicino e ti pensavo sempre.
- Sì, però intanto ti eri innamorato di Elena.
- No, quello non era amore, te lo giuro. Non lo so neanche io cosa fosse, forse abitudine, forse solo l’esigenza fisica di una donna, ma l’idea di dover perdere anche quel sottile legame che mi univa a te mi faceva star male. Non mi crederai, ma ho esitato tantissimo prima di chiederti di annullare il nostro matrimonio.
- In fondo,  come dicevi nella tua lettera, il nostro non è mai stato un vero matrimonio e poi il nostro legame era troppo sottile perché potesse bastare ad entrambi – osservò Angela.
Mentre parlava, lo guardava seria. A lui parve di leggere un rimprovero in quello sguardo perciò non proseguì il discorso e cambiò argomento.
Angela però stava pensando alle parole di Jeanne quando le aveva raccontato di essersi vista con gli occhi di Fabrizio. Possibile che avesse avuto ragione la sua amica a dirle che era stata una sciocca? Se così fosse stato, allora quella in torto era stata lei a non rispondere alle lettere. Forse, se l’avesse fatto, a poco a poco l’affetto del marito si sarebbe trasformato in amore e avrebbero potuto ricominciare, prima che si legasse a quell’altra. E se la causa di tutte le proprie sofferenze fosse stata solo lei stessa? Ora però era troppo tardi per tornare indietro.
- Senti – gli propose – alla tre devi andare a vedere la sala per domani. Perché non mi porti a casa tua invece di accompagnarmi in albergo e poi venirmi a riprendere? Il Tribunale Ecclesiastico è a due passi dalla tua abitazione o mi sbaglio?
- No, non ti sbagli, ma davvero verresti su da me?
- Perché no?  Mi farebbe piacere vedere dove vivi.
- Ti avverto, non è la tua villa di Acireale.
- Che m’importa.  Andiamoci lo stesso.
- Va bene. Tutto sommato hai ragione: è tardi ed è inutile andare fino all’albergo. Solo speriamo che non ci sia l’arpia.
Appena scesi dalla carrozza e imboccata via dei Calzaiuoli, Angela si affrettò ad informarsi.
- Chi è l’arpia?
- La portinaia nonché mia padrona di casa. È un persona terribile, ma forse lo sarebbe di meno se invece di farla aspettare sempre per pagarle l’affitto avessi continuato ad elargirle sostanziose mance come per il passato. Chissà cosa sarà capace di dire adesso che mi vede salire su con una donna. È molto severa, sai, certe cose non le ammette.
- E tu dille che sono tua moglie, lo stai facendo con tutti perché non dovresti farlo con lei?
- Giusto e poi è anche vero, per adesso sei ancora mia moglie e potresti anche restarlo: non è detto che la Sacra Rota ci conceda l’annullamento. Ti dispiacerebbe?
- Cambierebbe ben poco – commentò lei con un’alzata di spalle, lasciandolo un po’ incerto sul vero significato di quelle parole.
Fortunatamente “l’arpia” non era in guardiola e i due giovani si avviarono per le scale. Arrivati al quarto piano la ragazza però aveva il fiatone.
- Ma si può sapere dov’è che abiti?
- Prima abitavo al secondo piano, poi sono dovuto passare al sesto. È  quasi una soffitta, ma è molto economica.
- Perché non mi hai fatto sapere le tue difficoltà? Avrei potuto aiutarti – gli disse senza pensare che si sarebbe potuto offendere.
Fabrizio non si offese, però si affrettò a precisare:
- Davvero credi che avrei potuto accettare denaro da te? Non l’avrei mai potuto fare, neanche ridotto alla miseria.
- Ma perché sei così stupido? Che ci sarebbe stato di male?
- Non voglio niente da te.
Si accorse di essere stato troppo brusco  e aggiunse:
- Non è necessario, c’è Fabio Sarrerzi che ci pensa.
- Insomma, si può sapere chi è costui?
L’uomo sorrise senza risponderle. Erano arrivati e aprì la porta. Agli occhi di Angela si presentò un piccolo cucinino. Sul lavabo di gres c’erano quattro piatti lavati e un pentolino, accanto un fornellino a spirito e una grossa stufa a carbone con sopra un paiolo di rame che doveva servire a scaldare l’acqua. Un piccolo tavolo e un mobiletto di legno dipinto d’azzurro completavano l’arredamento. Sulla destra, in uno stanzino, ci doveva essere il gabinetto e prima che lui ne chiudesse la porta, riuscì ad intravedere un semicupio di ferro. La guidò nell’altra stanza, anch’essa arredata miseramente con un armadio con lo specchio, un sommier con un copriletto a fiori accostato al muro e di fronte una scrivania ingombra di carte. C’era però una bella finestra grande dalla quale entrava l’aria pulita di ottobre e il sole che inondava la stanza. Angela corse ad affacciarsi: sopra i tetti si scorgeva  il blu del cielo solcato dal volo degli uccelli  e si udiva la campana del Duomo.
- Che bello qui!
- Sì, c’è quasi lo stesso panorama che si vede dalla tua villa – le rispose ironico mentre apriva l’armadio per prendere una giacca più leggera perché quel giorno faceva caldo – Mettiti comoda se vuoi, io farò presto.
Quando si voltò si rese conto che Angela, con la massima naturalezza, si era già sfilata le scarpe con i tacchi. Le si avvicinò alle spalle mentre era intenta a guardare i fogli sulla scrivania e nel frattempo si toglieva anche il cappello.
- Ecco, mi sembrava di ricordare che eri più piccoletta – le disse afferrandola per i fianchi e traendosela contro.
- Già, non bastavano i busti, adesso ci volevano anche le scarpe con il tacco.
- Cos’è, non ci hai preso gusto a “travestirti da contessa”?
Lei si voltò a guardarlo al disopra della spalla e gli fece con una smorfietta allegra.
- In confidenza? Lo detesto sempre.
- Per questo non hai messo quella roba in faccia oggi?
- Secondo Maria e Lucia con cipria e rossetto sembravo una donnaccia o una suffragetta. Ho pensato fosse meglio non dare impressioni sbagliate ai prelati che incontreremo tra poco.        
All’improvviso cambiò argomento:         
 -  Che sono tutti questi racconti?
Ne prese uno e ne lesse il titolo “Il figlio della colpadi Fabio Sarrerzi. Restò un attimo a pensare e, giunta alla conclusione, esclamò con l’aria di chi ha fatto una grossa scoperta:
- Ecco chi è, sei tu stesso!  Fabio Sarrerzi è l’anagramma di Fabrizio Serra.
- Ci sei arrivata finalmente! – la prese in giro con una risata. La strinse più forte a sé e la costrinse a girarsi verso di lui – Chi credevi fosse questo signore?
- Non lo so, un amico forse.
- Infatti lo è. Pensa che passa nottate intere a scrivere questi raccontini che piacciono tanto alle modiste, alle sartine e alle studentesse romantiche. Se non fosse stato per lui, sul serio avrei fatto la fame. Se vuoi, puoi leggere qualcosa mentre sono fuori, può darsi che gli intrighi e gli amori clandestini piacciano anche a te. Io torno tra  circa un’ora.
Dopo averle posato un bacio sulla fronte, se ne scappò al suo impegno.
Incontrò Elena che, piuttosto acida, non mancò di chiedergli:
- Che c’è, sei ritornato con tua moglie? È  tutto il giorno che incontro gente che mi riferisce di averti veduto con lei.
- Non sono tornato con lei – le rispose con un’espressione impenetrabile sul viso -  È venuta qui perché abbiamo l’udienza al Tribunale Ecclesiastico.
- Ma davvero? – sbottò la donna, sarcastica - Certo, avete una bella faccia tosta tutt’e due ad andarvene a braccetto a cuore a cuore lo stesso giorno che dovete andare a chiedere l’annullamento del matrimonio. Non vi vergognate? Però non è di te che mi meraviglio, incongruente come sei è anche naturale.  Ma lei? Non era una donna molto pia? Non lo sa che così facendo compie peccato mortale?
Qualcuno interruppe la loro conversazione e non tornarono più sull’argomento.
Mentre più tardi si ritirava, Fabrizio non riusciva a smettere di pensare alle cose che gli aveva detto la sua antica amante. Anche se le parole erano state dettate forse dal rancore, le osservazioni  di Elena erano più che giuste. Cosa sarebbe andato a raccontare alla Sacra Rota? Era vero, il matrimonio era stato forzato, ma dopo si era affezionato ad Angela e anche se l’aveva tradita, non per questo aveva mai smesso di volerle bene. Adesso poi quel tenero sentimento si era trasformato addirittura in un amore travolgente che non gli dava tregua. Per tutto il giorno aveva  cercato di manifestarglielo e anche se lei si era dimostrata affettuosa e dolce, non aveva mostrato di ricambiarlo. Forse desiderava rendersi libera. Il suo dovere allora restava quello di dire la verità, perlomeno per quanto riguardava il passato. Adesso, se le cose erano cambiate, doveva tenerselo per sé e soffrire in silenzio.
Rassegnato ad affrontare quella penosa incombenza, aprì la porta con le chiavi e la chiamò per non farla spaventare. Pensò che dovesse essersi addormentata perché non gli rispose. Entrò nella stanza e la vide distesa sul letto, un braccio sul cuscino e la testa appoggiata sopra.  Si era tolta il tailleur restando in sottana ed era assorta a leggere. Fabrizio riconobbe la cartella di cuoio rossa.
- Cosa stai leggendo? – le chiese avvicinandosi al letto.
Lei sussultò: presa dalla lettura non lo aveva nemmeno sentito entrare. Arrossì un poco poi gli rispose:
- Scusami, ma Fabio Serrarzi  proprio non mi va giù. Questo invece l’hai scritto tu, non è vero?
Fabrizio sorrise divertito, stando allo scherzo, mentre si sedeva sul letto accanto a lei.
- Che meraviglia: hai scritto la storia di Maddalena e di Emanuele! È bella, lo sai? Perché non l’hai finita?  - proseguì, sinceramente ammirata da quel racconto appassionato.
- Perché non si sa come andò a finire.
- Nella realtà sì, è così, ma la Maddalena e l’Emanuele del tuo libro non sono quelli veri. Questi li hai creati tu, sei tu che hai dato loro i pensieri, le emozioni. Sei il loro dio, il loro karma, il loro destino, chiamalo come vuoi, ma questa volta sei proprio tu che puoi decidere come andrà a finire.
- Si vede che allora sono ancora più confuso del destino stesso. Non so cosa fare: farli scappare in una terra lontana dove farli vivere felici e contenti? Oppure farli morire da eroi in nome del sogno di libertà e di amore che entrambi avevano vissuto? O ancora meglio, lasciare che vadano ognuno per la propria strada perché l’amore è finito per sempre e si sono resi conto che è stato soltanto un’illusione che li ha lasciati con l’amaro in bocca?
La guardava con ansia mentre diceva quelle parole. Forse avrebbe potuto leggerle negli occhi i suoi veri sentimenti. Ma Angela teneva il capo chino mentre risistemava i fogli per rimetterli nella tasca della cartella. Se ne stava pensosa senza dire nulla. Con un sospiro Fabrizio si alzò.
- Su – le disse – vestiti, altrimenti facciamo tardi.
Si stava allontanando per lasciarla sola quando la sentì dire: “E questa cos’è?”. Girandosi vide che aveva in mano la lettera che le aveva scritto tanto tempo prima. Con uno scatto le si avvicinò per prendergliela, ma lei l’aveva riconosciuta e non intendeva mollarla.
- È  la lettera che mi arrivò quando stavo a Parigi! – esclamò -  Ora la leggo.
Lui cercò di prendergliela.
- No – protestò – non l’hai fatto allora e non lo farai nemmeno adesso.
- E perché no? È  mia, è indirizzata a me e visto che non l’hai buttata, vuol dire che la posso ancora leggere.
Fabrizio non ricordava le esatte parole che aveva scritto, ma rammentava che in quella lettera c’era tutto il suo amore e tutta la sua anima messa a nudo. Non gli andava di mostrargliela ora, quando magari avrebbe potuto aggiungere il disprezzo di lei all’amarezza di quello che stavano per fare. Cercò ancora di afferrarla, ma la donna proprio non voleva cedere. Ridendo divertita da tanto accanimento, si divincolava e per impedirgli di afferrarle la mano che teneva stretta la busta ancora chiusa,  si stese supina e se la mise dietro la schiena, mentre con l’altra lo respingeva perché lui provava farla girare. Lottarono per un po’, ridendo a quel gioco, e forse fu per i loro visi così vicini o per il contatto dei loro corpi che si sentirono ben presto turbati. Smisero di lottare e rimasero a guardarsi pieni di desiderio fin quando Fabrizio non riuscì più  a resistere e incollò la bocca su quella di lei. Durante quel bacio dolcissimo Angela lo cinse forte tra le braccia. Quando la mano di lui le sollevò la gonna cercando la morbidezza della carne, lo strinse forte, mormorandogli come impazzita:
- Sì, sì, ti prego!
Avvertiva una strana sensazione, come se i vestiti le bruciassero addosso e solo il contatto con la pelle di lui potesse darle sollievo. Incominciò a spogliarsi, quasi strappandoseli e rise felice nel vedere le mani del suo amore che tremavano di eccitazione mentre l’aiutavano a slacciare il corpetto e a spogliarsi a sua volta.
Ben presto furono liberi e potettero godere della loro stretta, dei baci reciproci, delle carezze e finalmente dell’amore a cui si abbandonarono, incuranti di tutto, anche della campana che suonava e del vento che dalla finestra aperta accarezzava i loro corpi uniti. Dopo rimasero abbracciati nel piccolo letto che a stento conteneva la mole di quell’uomo grande e grosso che doveva tenere ben stretta la compagna per non farla cadere. Lei però ne era contenta perché accostata a lui  ne sentiva il profumo e ne avvertiva il battito del cuore.
- Che ore sono? – gli chiese dopo un po’.
- Non lo so. L’orologio è nel panciotto e il panciotto deve essere a terra. Non posso prenderlo: se mi muovo finisce che cadiamo tutt’ e due.
- Lo prendo io – disse Angela.    
Si voltò di scatto, ma davvero sarebbe caduta se Fabrizio non l’avesse trattenuta con il braccio. Risero entrambi, felici.
Angela guardò l’ora.
- Mio Dio sono già le cinque e mezza! Siamo già in ritardo di mezz’ora – esclamò.
Fabrizio la guardò, un po’ stupito che ancora pensasse a quella cosa, ma poi decise di buttarla sullo scherzo:
- Non ti preoccupare, adesso andiamo lì e ci giustifichiamo. Basterà dire a quei severi giudici ecclesiastici che abbiamo fatto tardi perché eravamo troppo occupati a fare all’amore
- E visto che ci siamo, gli diciamo pure che lo facciamo ogni volta che ci incontriamo -  aggiunse Angela con un sorrisino malizioso.
- Ah no, questa è una bugia e le bugie non si dicono! L’ultima volta che ci siamo visti non l’abbiamo fatto.
- Soltanto perché sono arrivati Alberto e Giuseppe. Forse non te ne rendesti conto, amore mio, ma stavo per saltarti addosso.
- Veramente stavo per farlo io – le disse e l’abbracciò stretta.
Lei gli nascose il viso nell’incavo della spalla. Se non fosse stato per il leggero solletico che gli fece il suo respiro quasi non si sarebbe accorto che stava parlando tanto la sua voce era un sussurro appena appena udibile.
- Io non voglio andarci in quel Tribunale, voglio continuare ad essere tua moglie…
All’improvviso Angela sembrò preoccuparsi di quello che gli aveva detto e lo guardò negli occhi mentre lui le carezzava il volto e le sorrideva con dolcezza.
- Non ti darò fastidio,  ti lascerò libero, potrai fare quello che vorrai, non sentirai il mio peso, te lo giuro! – cercò di rassicurarlo quasi senza riprendere fiato -  Non mi fraintendere ancora, però: io voglio essere tua moglie non perché ho bisogno di un marito, solo perché ho bisogno di te.
- Quando ti avrei frainteso? - le chiese Fabrizio, corrugando la fronte perplesso.
Purtroppo lei non fece in tempo a rispondergli che dei forti colpi bussati alla porta li fecero sussultare entrambi.
- Aspettavi qualcuno? – gli chiese Angela mentre si tirava addosso il lenzuolo.
- Deve essere Pino. Doveva portarmi a leggere la bozza del volantino che distribuiremo  domani, ma avevo pregato l’arpia di prenderla lei. Si vede che mi ha visto rientrare e non si è presa il fastidio.
Intanto i colpi continuavano, più forti ancora.
- Va’ ad aprire.
- No, lascialo perdere, ci stiamo dicendo delle cose importati.
- Ce le diciamo dopo, io non riesco a parlare con quello lì che bussa.
- Si stancherà.
Intanto i colpi non smettevano
- Accidenti! – sbottò assai arrabbiato, ma si alzò e si affrettò a indossare i pantaloni – Conosco bene quel rompiscatole: non demorde. È tenace e noioso e mi ci vorrà almeno un quarto d’ora per togliermelo di torno.
- Non fa niente. Ti aspetto.
- Non ti muovere, mi raccomando.         
Si chinò a  darle un bacio su una guancia.
- E dove vuoi che scappi?
- Non lo so, ma c’è la finestra aperta e dato che sei un angelo, potresti anche volartene fuori.
- No, non sono un angelo, solo sono una povera donna e qui stiamo al sesto piano. Mi conviene aspettarti. Fai presto però.







NdA
Chi mi conosce sa che nelle storie che scrivo nessun elemento è mai inserito per caso, ma tutto ritorna, tutto assume un suo significato. Mi piace molto farlo perché mi dà la sensazione di avvicinarmi un poco di più alle cose che capitano nella vita reale. Ed ecco allora che quella lettera che Fabrizio scrisse prima di Natale (era il capitolo 27) e che nel capitolo successivo Angela si ostinò a non leggere, ritorna e diventa lo strumento per sbloccare la situazione di stallo che si è venuta a creare tra loro. E’ vero, c’è stata la pausa forzata a causa di quei colpi alla porta, ma vi assicuro che è stata voluta solo per preparare il gran finale del capitolo successivo.  Non ho molto altro da dirvi, oramai, spero solo che mi darete fino all’ultimo l’appoggio con il quale avete accompagnato questa storia dall’inizio e che il classico lieto fine che è ormai alle porte, senza essere banale o melenso, possa essere di vostro gradimento.
Ultima immagine: il monumento al Principe Indiano delle Cascine. Anche  con queste foto antiche spero di aver reso un po’ l’atmosfera per meglio immedesimarsi nei luoghi e nell’epoca di cui ho parlato.




A domenica prossima, ultimo appuntamento.   
 

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***




 

Così come aveva previsto, gli ci volle del bello e del buono per congedare quello scocciatore di Pino che sembrava non volersene più andare. Quando finalmente ci riuscì, Fabrizio corse  in camera per riprendere il discorso interrotto poco prima. Angela si era alquanto rivestita e, rannicchiata  sul letto con le spalle appoggiate al muro, stava leggendo la famosa lettera. Anche se ormai non gli importava più che lei scoprisse quanto l’amava, il giovane la rimproverò.
- Sei proprio una scimmietta dispettosa e disubbidiente: mi sbaglio o ti avevo detto che non dovevi leggerla?
Si era aspettato che gli rispondesse con una delle sue simpatiche smorfiette. Lei invece lo guardò con sul viso un’espressione talmente addolorata che lo fece  preoccupare. Le si precipitò accanto e, inginocchiatosi davanti a lei, l’afferrò per le spalle e la scosse piano.
- Angela, che c’è? 
La donna, con il viso chino, gli mormorò pianissimo:
- Perché non volevi che la leggessi? Forse perché queste cose non sono vere?
- Certo che lo sono, non ho fatto altro che pensare a te dopo averti incontrato di nuovo in Sicilia!
L’aveva presa per il mento e, con dolcezza, l’aveva costretta a sollevare il capo e a guardarlo in faccia. Si accorse allora che quei grandi occhi scuri  luccicavano di lacrime.
- Perché fai così? Che c’è, amore?
Le lacrime traboccarono, scorrendole silenziose sul volto, e gli bagnarono la mano mentre lei gli diceva, accorata:
- Se soltanto avessi letto questa lettera quel giorno! C’è dentro tutto quanto avevo sempre sognato di sentirti dire, tutto ciò che desideravo dalla vita. Mio Dio se l’avessi fatto! Sarei corsa da te e avrei evitato di commettere tanti sbagli e forse sarei ancora quella che tu amavi allora … Perdonami se ... io … io … non ti merito più.
Non ce la fece a continuare, abbassò di nuovo il capo e le  lacrime caddero copiose sulla lettera che teneva ancora in  mano. L’inchiostro si sciolse e in alcuni tratti si allargò in grosse macchie azzurre.
Con un sorriso, Fabrizio la strinse forte e le carezzò il capo posato sulla sua spalla.
- Non dire sciocchezze! Chiedi perdono proprio a me che ho commesso tanti errori nella mia vita? Non per questo però sono un diavolo così come tu non sei una santa e hai potuto sbagliare anche tu. Siamo esseri umani, tesoro, e come tali abbiamo bisogno tutti di essere perdonati. Anzi – aggiunse  scostandola per farsi guardare in viso e mostrarle quanto fosse sereno – per quanto ti riguarda devo confessarti che adoro quella che sei diventata oggi e benedico tutto ciò che ha contribuito a farti essere così, ogni tua gioia, ogni tuo dolore, tutte le persone che sono passate nella tua vita, persino gli uomini che hai amato …
Solo a questo punto Angela sollevò di nuovo il viso e lo fissò dritto negli occhi. Fabrizio era meraviglioso in quell’istante, appassionato e sincero, e la guardava con un sorriso dolcissimo.  Non seppe trattenersi. Lo abbracciò forte a sua volta e cominciò a riempirgli il viso di baci. Non riusciva più a smettere e continuava a dirgli:
- Mai, mai,  io non ho mai amato altri che te. Tu sei la mia vita, la mia gioia, la mia unica luce …
Avrebbe proseguito a lungo nella sua incontrollabile frenesia, ma lui la baciò sulla bocca, facendola tacere.
 
Quella per loro fu una sera incantata che ricordarono per tutto il resto della vita. Abbracciati stretti, uscirono nella sera tiepida, andarono a cena, passeggiarono, si recarono su a Piazzale Michelangelo a guardare Firenze che risplendeva sotto il cielo notturno. Fabrizio parlava, parlava e lei lo ascoltava rapita e rideva alle sue storie con la sua risata allegra. Ad un certo punto gli chiese di finire per lei quella di Maddalena ed Emanuele. Le fu risposto che dovevano decidere insieme il destino dei due amanti. Lo fecero. Immaginarono che l’amore avesse trionfato  su tutto e fossero approdati sani e salvi in una terra  felice. Non ebbero il coraggio di farli perire perché  troppo si erano immedesimati in loro, ma concordarono nel pensare che alla fine delle loro vicissitudini, anche se lontani dalle ipocrisie e dalle costrizioni, i due giovani sarebbero stati  diversi, profondamente cambiati dalle vicende vissute. Non pensarono a un vero lieto fine perché oramai sapevano bene anche questo: la vita stessa non è mai lieta o triste, può cambiare ogni istante e la felicità che sembra essere a portata di mano, un attimo dopo è già sfuggita per poi ritornare ancora quando tutto appare senza speranza.
Stretti l’uno all’altra se ne ritornarono in carrozza. Erano talmente allegri che il vetturino domandò loro se fossero sposini in luna di miele.
- Sì – gli rispose Fabrizio, divertito – ci siamo sposati oggi.
E in realtà quello fu davvero il primo giorno di una nuova esistenza e la notte che vissero fu la loro vera prima notte di nozze perché oramai sapevano che dietro ogni bacio, ogni carezza, ogni fantasia d’amore, c’era una comunione profonda che li rendeva una sola cosa e li faceva felici.
 
Fu un raggio di sole a svegliarlo la mattina dopo. Ancora un po’ stordito, Fabrizio si affrettò a prendere l’orologio e a guardare l’ora. Erano già le otto e venti. Si voltò verso Angela, sicuro di non trovarla accanto a lui. Invece era lì che dormiva ancora. Aveva assunto la solita posizione: supina, con un  braccio alzato abbandonato sul cuscino e l’altro sotto al seno. Si sentì invadere dalla felicità guardandole le morbide labbra socchiuse nel sonno e le lunghe ciglia scure. Avrebbe voluto accarezzarla ancora e magari baciarla, ma poi si trattenne perché non la voleva svegliare. L’amava tanto e sarebbe stato bello poter rimanere lì a contemplarla in silenzio, immaginando tutti i giorni felici da vivere con la donna meravigliosa che il destino gli aveva messo accanto. Purtroppo era già tardi, il suo discorso era alle dieci e doveva sbrigarsi. Pianissimo, per non farla destare, si preparò e scese giù nella hall. Stava aspettando che il portiere finisse di parlare con una signora inglese per potergli lasciare un messaggio per la moglie, quando scorse Alberto. Gli si avvicinò e gli chiese:
- Che ci fai qui?
Lo sapeva benissimo cosa ci faceva: era venuto a prendere Angela per andare con lei a Zurigo, ma quella domanda era stata quasi un rifiuto all’idea che lei potesse partire quel giorno stesso.
- Tu, piuttosto, che ci fai qui. Io sono venuto a prendere Angela.  Ma dov’è?
- Sta dormendo.
- Angela? A quest’ora!? – esclamò stupito l’altro.
- Sì, stanotte si è un po’ stancata e ora riposa – gli rispose con un risolino malizioso.
L’amico capì.
- Ma scusa, ieri non dovevate andare a discutere dell’annullamento?
- Non ci sarà nessun annullamento. Ci amiamo e siamo marito e moglie. Anzi, fa una cosa, prendilo da solo quel treno e lasciala stare qui con me. Ti segno l’indirizzo della sala dove sarò nelle prossime ore. Per favore, accompagnala da me prima di ripartire.
- Ma, ma  … – obiettò l’altro senza riuscire a spiegarsi un così inatteso cambiamento.
- Non c’è nessun ma. Abbiamo perso già troppo tempo noi due, ora dobbiamo recuperarlo in fretta. Scusami, amico, ora devo proprio scappare.
Arrivò proprio in ritardo e si tenne senza fiatare i rimbrotti di Elena. In ogni modo era così felice e fiducioso nelle infinite possibilità riservate dall’esistenza da farne trarre vantaggio anche al suo discorso che risultò pieno di entusiasmo e talmente trascinante da  meritare gli applausi entusiastici dell’uditorio.
 
“Su fratelli, su compagne, su, venite in fitta schiera: sulla libera bandiera, brilla il sol dell’avvenir”…
Quando, tutti in piedi, le molte voci unite in una sola, si cominciò a cantare “L’inno dei lavoratori”, Fabrizio sentì un brivido scorrergli lungo la schiena. Per la prima volta dopo tanto tempo, ebbe la certezza che tutto ciò in cui aveva sempre creduto, tutti i suoi sogni, tutte le sue speranze, potessero davvero realizzarsi.
Tra i visi emozionati di quegli uomini e quelle donne cercò il volto di colei a cui per tanti anni aveva confidato le sue  aspirazioni. La sensibile, dolce, delicata donna che più di ogni altra persona al mondo sentiva vicina  nella carne e nello spirito.
Con un moto di angoscia però si avvide che Angela non c’era. Gettò un rapido sguardo all’orologio a muro e vide che  erano già le undici e mezza. In preda ad un’agitazione febbrile, comunicò ad Elena che aveva una cosa importante da fare. Incurante dei suoi rimproveri, si allontanò in gran fretta per andare alla stazione. Per fortuna Santa Maria Novella era lì a pochi passi e non ebbe neanche la difficoltà di cercare perché accanto ad un vagone di un treno in partenza per Milano scorse Alberto che stava fumando.
- Dov’è Angela? – lo investì.
- È già  sul treno. Fabrizio ascolta …
Non gli diede il tempo di finire. Si precipitò sul treno e guardò nei vagoni finché non scorse la moglie. Aprì la porta  e, senza curarsi di un ufficiale in divisa che sedeva di fronte a lei, proruppe appassionato:
- Perché te ne stai andando, perché?
Angela sollevò stupita gli occhi da una lettera che stava scrivendo intanto che il militare, capita la situazione, con molta discrezione, prese congedo e si allontanò. Rimasti soli, Fabrizio si sedette accanto a lei e la prese tra le braccia.
- Ti prego, non mi lasciare! – la implorò.
La donna lo abbracciò forte e gli abbandonò il capo sulla spalla.
- No, non ti lascio,  come potrei farlo ora che finalmente ti ho ritrovato?
- Eppure stai andando via da me e senza dirmi una parola.
- Ne abbiamo parlato stanotte, non ricordi? Ti ho detto che non posso fare a meno di andare, anche se non lo vorrei. E poi ti ho lasciato una lunga lettera nella quale ti dico quanto ti amo e ti prometto che sarò lontana solo per un po’. L’ho data “all’arpia” insieme ad una lauta mancia. Vedrai, te la darà non appena torni a casa.
- Che me ne faccio di una lettera? Io voglio te. Ho bisogno di averti accanto, di toccarti, di averti. Non te ne andare.
Lei gli carezzò il viso con grande amore.          
- Sarà solo per un poco, te lo giuro.  Per volontà mia ci sono delle persone che hanno lasciato la loro casa: adulti, vecchi, bambini, persino un cane e un gatto! Come faccio adesso a lasciarli da soli a Davos quando sono stata io a farli imbarcare in questa strana avventura?
- Sono più importanti di me?
- No, ma sono persone care e devo loro il mio rispetto. E poi, tesoro, non sarà una breve lontananza a dividerci, questo lo sai anche tu, vero?
Addolorato e non ancora convinto, lui abbassò il viso.
- Io ti amerò per sempre, lo sai – le mormorò appassionato.
- Anch’io ti amerò per sempre e appena avrò sistemato le cose, tornerò da te oppure verrai tu quando sarai libero. Dobbiamo avere il coraggio anche di stare lontani ora che sappiamo che i nostri sentimenti sono autentici. Non sarà certo soffocando le nostre aspirazioni o i nostri progetti che potremo essere felici. Non credi sia così?
- Sì, hai ragione, però io ho davvero bisogno di te e vederti andare via così presto mi fa star male.
Intanto Alberto era salito sul treno.
- Guarda che stiamo per partire. – avvisò - Vieni con noi anche tu?
- No, Alberto, questo signore ha troppe cose da fare, deve diventare una persona importante e io sono sicura che ce la farà perché nessuno è altrettanto meraviglioso  - rispose Angela.       
Non smetteva di carezzargli il viso e di guardarlo con un’espressione innamorata.
- Se non torni entro un paio di settimane, lascio tutto e vengo io da te, sei avvisata. E poi devi scrivermi, mi raccomando.
- Lo stavo già facendo – gli sorrise lei indicandogli la lettera che stava scrivendo quando era arrivato.
Si baciarono, incuranti dell’amico che sorridendo tra sé e per non mostrare il suo imbarazzo, si tolse gli occhiali e cominciò a pulirli nel candido fazzoletto. Un fischio annunciò che il treno stava per partire e Fabrizio si affrettò a scendere, mentre Angela corse ad affacciarsi al finestrino.
Dopo poco infatti il convoglio partì, ma loro due rimasero a fissarsi fino a quando furono troppo lontani per vedersi ancora. In entrambi rimase la dolcezza di quel saluto e la consapevolezza del bene che si volevano.


 
 
Epilogo

 
 
Certo Fabrizio ed Angela erano solo due esseri umani e in quel momento non potevano sapere ciò che la vita avrebbe loro riservato. Era tutto ancora oscuro, persino l’immediato futuro. Ignoravano, ad esempio, che durante la magica notte fiorentina appena vissuta, Angela aveva concepito Ferdinando, il primo dei loro quattro figli o che poche settimane dopo Fabrizio sarebbe stato eletto parlamentare.
In seguito la donna lo raggiunse a Roma anche se non abbandonò mai la conduzione dell’albergo da lei stessa voluto su quella “montagna incantata”  che solo pochi anni dopo sarebbe stata resa famosa in tutto il modo da Tomas Mann. Negli anni a venire la sua attività incontrò molto successo, rendendola ancora più ricca, mentre invece Fabrizio dovette patire non poco anche nell’incolumità personale per tenere fede al suo connaturato pacifismo che lo fece persino tacciare di vigliaccheria in un periodo in cui l’interventismo dei più finì per far  abbattere anche sull’Italia l’immensa tragedia della Grande Guerra. Invece non era un vigliacco e lo dimostrò dopo la disfatta di Caporetto, quando, contrastandosi con la moglie che temeva per lui, si arruolò volontario per difendere la Patria in pericolo. Furono mesi lunghi e difficili in cui come ufficiale di complemento, dovette combattere al fianco di tanti poveri giovani e affrontare con loro ogni giorno la morte. Per i suoi uomini avrebbe dato volentieri la sua stessa vita e per questo fu molto amato dalla propria truppa.
Quando la guerra finì e tornò a casa sano e salvo, parve che la felicità fosse oramai perfetta. Invece arrivò l’epidemia di spagnola che si portò via alcune delle persone a loro più care e i due giovani dovettero di nuovo affrontare il dolore.
Fabrizio non lasciò mai la vita politica e fu più volte rieletto in Parlamento, anche quando  il fascismo salì al potere. Nonostante la trepidazione di Angela e le sue preghiere di non esporsi troppo,  restò coerente con le proprie idee e, insieme ad altri parlamentari, intraprese una dura opposizione al regime, soprattutto dopo la sparizione e l‘omicidio dell’amico Giacomo Matteotti.
Una notte angosciosa del 1924, un suo ex soldato, ancora grato al proprio tenente che gli aveva salvato la vita durante la guerra, lo aiutò a fuggire con la moglie e i figli in Svizzera prima che fosse preso dalle squadracce fasciste che stavano organizzando anche la sua eliminazione.
Ebbe così inizio per loro un lungo e doloroso esilio, ma anche il periodo felice in cui Fabrizio incominciò ad insegnare letteratura italiana all’Università di Zurigo e pubblicò le opere che gli avrebbero dato la notorietà. Finalmente più tranquilla, Angela si occupò per lunghi anni  della famiglia e dell’albergo. Le sembrava di aver raggiunto la pace tanto agognata, quando la Seconda Guerra Mondiale portò di nuovo dolore e morte  e dovettero trepidare per i due figli maschi che vollero tornare in patria per partecipare alla Resistenza.
Quando pure quel periodo orribile ebbe fine, con la Liberazione potettero finalmente tornare a Napoli. Ma ormai tante cose erano cambiate, soprattutto loro due che non erano più né giovani né pieni di sogni e di speranze.
Fabrizio ed Angela non avevano potuto decidere il loro destino così come avevano fatto con quello di Maddalena ed Emanuele,  però in fondo anche la loro vita fu  fatta di gioie e dolori, di momenti belli e di momenti brutti, di incomprensioni e di solidarietà reciproca. Nonostante ciò nessuno dei due, neanche con il passare degli anni e l’appassire della bellezza e della gioventù, perse l’amore che avevano scoperto di provare in quei giorni lontani.
Erano ormai ottantenni quando un loro nipote che aveva trasformato la villa della nonna  ad Acireale  in un albergo alla moda,  li accompagnò con una barca a motore alla magica spiaggetta dove più di cinquant’anni prima si erano amati appassionatamente.
Con grande emozione ritrovarono la grotta con la cascata d’acqua termale, riudirono il silenzio incantato rotto solo dal canto degli uccelli e, seppur con gli occhi un po’ annebbiati  dalla vecchiezza, guardarono di nuovo l’acqua del mare di un blu profondo. Commossi, si strinsero allora in un tenero abbraccio e ridendo come due bambini, sotto gli occhi stupiti del nipote che li considerava solo due vecchietti un poco rimbambiti, ringraziarono il Padre Mare per averli fatti trovare così come, tanto tempo prima, avevano immaginato avesse fatto il marinaio Ibrahim insieme alla sua donna, bella come l’angelo che aveva parlato a Maometto.
 
Fine



 
NdA
Ed eccoci arrivati alla parola “fine”. Spero che vi sia piaciuta la storia di questi due giovani che vi ho raccontato  da quando erano rispettivamente una ragazza complessata e spaurita ed uno scavezzacollo impunito fino alla loro vecchiaia. Ad essere onesta mi costa un po’ lasciarli dopo tanti mesi ed ancora di più mi costa lasciare il nostro appuntamento settimanale e la suoneria sul cellulare che mi avvisava dell’arrivo di una recensione. Siete state molto buone con me, lettrici di sempre e lettrici incontrate per la prima volta, mi avete dato tanto coraggio con i vostri elogi e le vostre osservazioni. Mi avete riempito di gioia e di orgoglio perché so bene che le vostre parole erano sincere ed allora, se questo “romanzo” è piaciuto a tante di voi, posso esserne davvero fiera, cosa che di sicuro non mi farà male considerato il mio carattere così poco propenso alla fiducia in me stessa.
Ho solo un altro desiderio: di non tornare con questa e le altre mie storie nel dimenticatoio. Ed allora, non prendetemi per sfacciata, vi chiedo di continuare a leggere qualcosa di mio se non l’avete ancora fatto o, magari, di farmi un po’ di pubblicità. Il regalo più bello che potrete farmi è lasciare che io continui a sentire quella famosa suoneria che mi  dice che ancora qualche amica ha letto un mio racconto ed ha condiviso con me qualche momento nel mondo della mia fantasia.
Vi lascio con l’augurio di trascorrere una splendida estate ed un abbraccio fortissimo a tutte.

 

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