Eva

di Lady Warrior
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Risveglio ***
Capitolo 3: *** Un giardino fiorito ***
Capitolo 4: *** Un nuovo risveglio ***
Capitolo 5: *** Dwigh ***
Capitolo 6: *** Lo scopo di Eva ***
Capitolo 7: *** Skellin a sud ***
Capitolo 8: *** La biblioteca ***
Capitolo 9: *** Una nuova costruzione umana ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Eva
 


 
 
Prologo†
 
 
 
Il cielo si era fatto nero. Una densa nube sorvolava le città, era grigio-scura, pareva di fumo. Le ciminiere ne avevano prodotto troppo, e da tempo il cielo era oscurato dai gas prodotti dalle fabbriche, ma quelle nuvole presagivano altro, presagivano morte. Per le strade affollate la gente camminava in qua e in là. La popolazione si era decimata sempre di più negli anni: le nascite erano calate perché ormai le coppie non volevano quasi più figli, e anteponevano il lavoro e il denaro a tutto, inoltre a causa dell’inquinamento globale e delle nuove scoperte scientifiche, inizialmente credute benefiche ma rivelatesi in un secondo momento totalmente negative, si erano diffuse nuove, incontrollabili e incurabili malattie che avevano seminato morte dappertutto. La gente indossava perciò sempre delle mascherine, che tuttavia lasciavano filtrare comunque molti germi, e le persone continuavano a morire. Il clima era cambiato, dalla rivoluzione tecnologica: la temperatura si era alzata di molti gradi, la desertificazione si era espansa a vista d’occhio, e gli scienziati si erano accorti troppo tardi del pericolo, spazzando via popolazioni e terreni da coltivare. I ghiacciai ormai non esistevano più, e il loro scioglimento aveva causato un innalzamento del livello del mare, che aveva allagato gran parte della terra, cancellando terre e continenti. Molti animali si erano estinti, e con loro molte forme di flora. Gli uomini avevano compreso allora come coltivare nuove e resistenti piante, e si nutrivano solo di esse, perché la fauna era ormai in estinzione, ma avevano compiuto l’errore di consumare più cibo di quanto occorresse loro, errore che sempre ha commesso l’umanità, e così anche quelle piante salvifiche avevano iniziato a scarseggiare. Intere popolazioni erano morte di fame. inoltre, come se non bastasse, guerre e conflitti avevano dilaniato il mondo, nonostante in quelle condizioni fosse più consono allearsi per sopravvivere che contribuire con la violenza all’estinzione del genere umano. Quindi ciò che rimaneva dell’umanità in quel momento erano solo delle immense città situate in Europa centrale e meridionale o America settentrionale: l’Africa si era ridotta a un unico, enorme deserto, l’Europa del nord e la Russia erano state sommerse dal mare, così come buona parte dell’Asia, e ciò che rimaneva di essa era diventata deserto, mentre l’America Meridionale non contava più forme di vita da tempo. Ciò che stava provocando l’estinzione del genere umano non era un cataclisma, né una disgrazia, né un fatto prevedibile, ma l’autodistruzione. Ancora v’era guerra tra le città, che si contendevano la supremazia e i pochi viveri.
Qualcuno credeva che la nuvola nera fosse frutto dell’inquinamento, nulla di preoccupante, ma solo in pochi, cioè i governi e alcune equipe di scienziati sapevano che la nuvola era il preludio della fine. Avevano ancora poco tempo, e poi il genere umano sarebbe stato spazzato via a causa della sua stupidità e incoscienza.
Ben presto venne lanciato l’allarme anche alla popolazione, che andò nel panico più totale. Alcuni iniziarono a correre di qua e di là, altri tentarono il suicidio per non vedere la fine, altri ancora riunivano le loro cose nella vana speranza di poterle portare con sé, altri abbracciavano i loro cari per poterli vedere un’ultima volta, prima della fine. Solo una donna correva con una neonata frignante in braccio verso quello che sembrava un bunker.
Intanto nella costa occidentale onde alte metri si profilarono all’orizzonte: tempo di dire le ultime preghiere e le popolazioni costiere vennero spazzate via dal mare che nulla perdona. Il cielo iniziò a tuonare, caddero fulmini che attaccarono le centrali elettriche provocando numerosi black out. Tutti cessarono le loro occupazioni: tutti tranne i soldati, le guerre continuarono e quel che non portò via la natura lo portarono via loro. La terra iniziò a tremare, perché non tollerava più l’ingombro delle miniere, i sistemi petroliferi, le metropolitane e le ferrovie sotterranee e le nuove tecnologie che penetravano in profondità per estrarre ogni risorsa dalla povera terra, che venne spaccata proprio da loro. ci furono vari terremoti in molte zone. Molti animali, i pochi rimasti, iniziarono a fuggire, spaventati, entrando in città e travolgendo tutto. Venne una pioggia incessante, causata anch’essa dall’uomo, che sommerse le città, e i vulcani iniziarono a eruttare incessantemente, perché le innumerevoli trivellazioni avevano smosso i vulcani e alterato la loro stabilità.
Nel frattempo, la donna con la neonata, correva. L’aveva strappata dalle braccia della madre, che stava piangendo in piazza, ma non aveva potuto fare altro. Non c’era tempo. Quella bambina era la speranza dell’umanità. Non l’aveva scelta, l’aveva vista, aveva stordito la madre, e l’aveva rapita. La piccola piangeva, incosciente di tutto. Ironia della sorte, la donna, una scienziata di nome Emily Taik, aveva sentito la madre della piccola pronunciare il nome della piccola: si chiamava Eva. Proprio ironico. Tutto stava per finire, gli ecosistemi erano al collasso, la terra non sopportava più l’invadenza umana, e lei aveva tra le braccia una novella Eva. Corse oltre il supermarket, davanti al quale alcune persone, che non avevano ben compreso la situazione, stavano radunando cibo pensando di potersi salvare. Alcuni di loro erano malvagi. Emily storse il naso. Se si fossero vaccinati, sarebbero sani. Le persone avevano iniziato a vaccinarsi sempre meno, ritenendo che gli effetti collaterali dei vaccini superassero di gran lunga i benefici, e così avevano iniziato ad ammalarsi di malattie ritenute scomparse, trasmettendole tra loro e creando molte epidemie. Nonostante ciò una parte cospicua della popolazione ancora rifiutava i vaccini. Se così non fosse stato, almeno il problema delle malattie non ci sarebbe stato, o almeno sarebbe risultato di gran lunga inferiore. Se gli scienziati, eccitati all’idea di estrarre ogni minerale, ogni risorsa, avessero trivellato meno il suolo, quel terremoto non ci sarebbe stato, e i vulcani non starebbero eruttando; se avessero quantomeno contenuto l’emissione di gas dannosi l’ecosistema non sarebbe collassato, avrebbero avuto cibo e acqua e molte vite sarebbero state risparmiate, e quella nuvola nera, che avrebbe presto iniziato ad avvelenare tutto il mondo, non sarebbe stata sopra le loro teste. Così non era stato, avevano sbagliato, e avevano pagato per i loro errori. Loro, non Eva. Eva avrebbe ricostruito un mondo, un mondo migliore, un mondo naturale, un mondo giusto e consapevole.
Emily aprì finalmente la porta del bunker e accese dei dispositivi. Adagiò la bambina in un contenitore pieno di liquido, che si affrettò a sigillare.
-Il macchinario di stasi* è pronto. Le risorse per farlo funzionare bastano per circa mille anni. Blocco della crescita all’età di venti anni. Tecnologie di conservazione abilitate. Azionamento del conto alla rovescia completato. Fra novecento anni disconnessione delle attrezzature con conseguente risveglio del soggetto. Dispositivo audio connesso. Bene. Devo registrare. “Buongiorno. Tu ti chiami Eva, sei un essere umano. L’ultimo essere umano. Chi ti parla è Emily Taik. Quando udirai la mia voce sarò morta. Il tuo compito è riportare in vita il genere umano perché possa ripopolare il mondo. Il tuo scopo è questo: è per questo che ti abbiamo ibernato, tu devi fare ciò per cui sei stata salvata. Segui le mie istruzioni, Eva. Alla tua destra c’è un grande scaffale con delle ampolle e varie siringhe, quelle con l’ago. Il liquido all’interno delle boccette si chiama sperma, e lo devi inserire dentro la siringa. Metti l’ago nella tua pancia e premi il pistone. Il sistema tecnologico presente nel fluido, oltre allo sperma, consentirà a questo di arrivare a destinazione, nonostante tutto. La pancia ti crescerà e dopo nove mesi metterai al mondo un bambino. Quando sarà nato dovrai fare un’altra iniezione e così via fino a un numero sufficiente di bambini di ambo i sessi. Ho fatto in modo, grazie alla tecnologia dell’incubatrice, che tu possa conoscere le funzioni base dell’essere umano: saprai parlare e comprendere le parole, saprai camminare, correre e saltare. Troverai del cibo congelato alla tua sinistra. Troverai una borsa lì vicino. Non ho tempo per inviarti ulteriori informazioni. Buona fortuna”-

 
 
 
*Stasi: sono ben cosciente del fatto che il termine non sia molto adatto, tuttavia non trovavo parole che potessero esplicare il funzionamento del macchinario: stasi è da intendersi come un processo che blocca la crescita dell’individuo (a venti anni, in questo caso) fino a un tempo stabilito, in cui il processo si ferma e il soggetto diventa cosciente e ricomincia la fase di invecchiamento/sviluppo. 

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Capitolo 2
*** Risveglio ***


†Risveglio†
 
 
 
 
Un brivido pervase il corpo di Eva.
Che cos’era? Non era mai stata cosciente. La ragazza non sapeva cosa era la vita. Si spaventò. Fino a un secondo prima era come se ella non fosse mai esistita, e ora provava qualcosa. Rimase immobile, perché non si rendeva conto di potersi muovere. E poi una voce.
“Buongiorno. Tu ti chiami Eva, sei un essere umano. L’ultimo essere umano. Chi ti parla è Emily Taik. Quando udirai la mia voce sarò morta. Il tuo compito è riportare in vita il genere umano perché possa ripopolare il mondo. Il tuo scopo è questo: è per questo che ti abbiamo ibernato, tu devi fare ciò per cui sei stata salvata. Segui le mie istruzioni, Eva. Alla tua destra c’è un grande scaffale con delle ampolle e varie siringhe, quelle con l’ago. Il liquido all’interno delle boccette si chiama sperma, e lo devi inserire dentro la siringa. Metti l’ago nella tua pancia e premi il pistone. Il sistema tecnologico presente nel fluido, oltre allo sperma, consentirà a questo di arrivare a destinazione, nonostante tutto. La pancia ti crescerà e dopo nove mesi metterai al mondo un bambino. Quando sarà nato dovrai fare un’altra iniezione e così via fino a un numero sufficiente di bambini di ambo i sessi. Ho fatto in modo, grazie alla tecnologia dell’incubatrice, che tu possa conoscere le funzioni base dell’essere umano: saprai parlare e comprendere le parole, saprai camminare, correre e saltare. Troverai del cibo congelato alla tua sinistra. Troverai una borsa lì vicino. Non ho tempo per inviarti ulteriori informazioni. Buona fortuna”
Dove era? Cosa era? Cosa stava accadendo? Dal nulla Eva si trovava proiettata in un luogo di suoni e odori. Sentiva ancora freddo, ma aveva paura di muoversi, quasi le fosse nocivo, quasi temesse di vivere, perché per quasi un millennio ella non era vissuta. Istintivamente socchiuse la mano. Provò un senso di rilassamento, e sentì qualcosa scorrerle dentro, percepì calore allo sforzo. Si rese conto, finalmente, di essere cosciente, si rese conto di essere qualcosa, si rese conto di esistere. Aprì leggermente gli occhi ma la fioca luce la accecò, e li richiuse. Sentiva l’aria scorrerle piacevolmente fino ai polmoni, rinfrescandoli. Poteva sentire il suo petto alzarsi e abbassarsi: era un’emozione fortissima. Si sentiva quasi come se potesse fare qualunque cosa, come se si fosse appena svegliata da un sonno durato mille anni. Provò ad aprire di nuovo gli occhi, e riuscì a tenerli aperti per un secondo. Piano piano si abituò. Vide il bianco del soffitto. Tutto era immobile. La voce ripetè il messaggio, come per essere sicura che Eva potesse udire. La ragazza voltò lentamente la testa verso destra, da dove proveniva la voce. Era troppo incuriosita, impaurita e allo stesso tempo eccitata all’idea di vivere per comprendere appieno quel messaggio. Non seppe come, ma riuscì a sedersi. Sentì la fatica dovuta allo sforzo di alzarsi. Mosse le mani per aria, come per afferrare qualcosa di inconsistente, quasi volesse comprendere come era fatto l’aere. Poggiò i piedi per terra, poi provò ad alzarsi, barcollò e cadde, sbattendo il braccio sinistro. Provò dolore, e si strinse il braccio. Era una sensazione brutta, spiacevole. Qualcosa di liquido le scese dagli occhi. La ragazza prese il liquido con le mani e lo passò sulla lingua. Era salato. Forse scendeva quando si faceva male.
Provò a rialzarsi e stavolta riuscì a mantenere l’equilibrio. Fece un passo. Freddo sotto i piedi. Percepì il pavimento liscio e scivoloso. Accennò altri passi fino a ritrovarsi ad una superficie riflettente, uno specchio. La ragazza aprì la bocca ed emise un verso. Poteva parlare, poteva emettere suoni. Incredibile. Come una bambina iniziò a fare smorfie e a emettere suoni insensati, per comprendere la funzione della bocca, poi iniziò a pronunciare parole dotate di senso, e allora si ricordò del messaggio, ma ancora non aveva importanza. Osservò lo specchio: rifletteva una figura, e Eva capì che era la sua. Il suo volto allungato era illuminato dalle labbra rosse, una sporgenza con due buchi, che era il naso, e da due grandi locchi leggermente obliqui dalle iridi nere come le tenebre. Lo incorniciavano lunghi e lisci capelli color ebano, che le scendevano sulle spalle, e poi giù, fino al termine della schiena. Osservò il suo corpo longilineo, e si accarezzò i fianchi con le mani, per percepirlo, arrivando poi ai fianchi, alle gambe, ai piedi. Sul petto aveva due piccoli rigonfiamenti, che contribuivano a donare un aspetto curvilineo alò suo fisico. Li toccò delicatamente, e scoprì che erano morbidi. Quale era la loro funzione? Osservò le dita e iniziò a muoverle, a stringerle a pugno. Di nuovo si tastò il seno, non comprendendo ancora bene la sua anatomia. Fece qualche passò indietro, poi si guardò attorno. Molte boccette erano posate su quello che pareva essere un grande armadio. La ragazza ne prese una in mano e osservò il liquido bianco. Come a ricordarle cosa doveva fare si fece udire per l’ultima volta il messaggio vocale.
Fu allora che Eva prese pienamente coscienza. Afferrò la siringa e osservò il lungo ago, premendo contro di esso l’indice destro. Ritrasse subito il dito e lasciò cadere la siringa. Un liquido rosso fuoriusciva dal punto ove si era ferita. La ragazza lo osservò e lo mise in bocca. aveva un sapore metallico.
Guardò di nuovo le boccette.
Il suo scopo era ripopolare l’umanità, perché era l’ultima donna. Non sapeva dov’era, cosa poteva fare, non sapeva nulla, eppure quel messaggio rude e insensibile le pareva salvifico, perché le donava un senso alla sua esistenza. Doveva ripopolare il mondo. Senza riflettere né porsi domande, la ragazza afferrò la siringa, vi depositò dentro il liquido, iniettò l’ago nella pancia e premette il pistone. Sentì il liquido penetrarle dentro, scorrere nel suo intimo.
La sorprese un altro brivido, poi si diresse verso quella che la donna aveva chiamato borsa, poi trovò il cibo. Addentò un frutto. Sentì che era dolce, e subito lo allontanò dalla sua bocca, osservandolo, non riuscendo a capire come lei avesse potuto assaporarne il gusto. Tutto ciò le sembrava un miracolo. Lo addentò di nuovo, chiuse gli occhi e si lasciò abbandonare alla dolcezza di quel frutto. Poi afferrò una bottiglietta e bevve. Sentì la sua gola bagnarsi, e si sentì ristorata. Ancora non sapeva cosa erano la fame e la sete. Alla sua sinistra c’era una porta. La porta che si affacciava sul mondo. Barcollando salì gli scalini e la aprì. Il vento le scompigliò i capelli. Sentì la forza naturale passarle sulle braccia, e questo contribuì a farla sentire viva.
Fece due passi, ma quel che vide la lasciò allibita e impaurita.
Il vento faceva vorticare a mezz’aria polvere mista a terra, producendo inquietanti sibili. Davanti alla ragazza v’erano quelle che parevano immense rovine di cemento e pietra. Tutto attorno a lei era grigio, persino il cielo plumbeo, che non accennava a nulla di buono. La ragazza fece qualche passo nella pietra. Tutto pareva abbandonato, senza vita, e per la prima volta da quando s’era destata la fanciulla si rese conto di essere inesorabilmente sola. Camminò, osservandosi attorno. C’erano grossi pezzi di cemento sparsi, come se qualcosa li avesse fatti crollare. Strani oggetti con gomme consumate, quasi del tutto decomposte, si trovavano vicino al cemento: alcune poggiavano a terra ribaltate, altre erano del tutto capovolte. Era tutto abbandonato. I piedi di Eva iniziarono a dolere, a causa del contatto con le dure e affiliate pietruzze del terreno, e la ragazza continuava ad avere freddo.
Arrancando, riuscì a salire su un grosso pezzo di cemento, e si guardò attorno. Tutto era grigio e tetro, rovinato.
Niente pareva essere rimasto del verde, della natura, niente di vivo o che ricordasse lontanamente la vita sembrava essere rimasto, se non Eva, in piedi, nuda, su un’enorme rovina non ancora decomposta di un grattacielo. Eva, che non conosceva la tecnologia, Eva, che non conosceva né il bene né il male, Eva, che era stata salvata per donare nuova vita.
La ragazza si sedette e osservò l’orizzonte. Il mondo doveva essere molto grande. Si sentì incredibilmente piccola di fronte a tutte quelle rovine, di fronte a quell’orizzonte così lontano, che forse segnava la fine della terra, di fronte a quel cielo plumbeo e soffice, e il suo compito le apparve tanto semplice quanto complesso. Doveva adempiere alla sua missione: gli uomini prima di lei gliela avevano affidata. Aveva già iniziato. D’istinto si accarezzò il ventre piatto.
Scese con un balzo dalla rovina, e iniziò a rovistare da tutte le parti, cercando qualcosa che la rimandasse al popolo al quale ella apparteneva. D’un tratto, dentro ad uno di quegli strani macchinari, trovò qualcosa. Delle perline legate ad un filo abbastanza lungo. Eva lo prese tra pollice e indice e lo osservò coi suoi occhi neri. Chissà a cosa doveva servire. Lo scosse, in attesa di una qualche reazione, ma non accadde nulla.
Allora vi infilò una mano dentro, e scoprì che aderiva bene al suo polso. La ragazza lo guardò e le piacque. Uscì dalla macchina col suo braccialetto, che le pareva un dono da parte di quelli che a lei parevano quasi dei, gli umani che erano venuti prima di lei. Camminò un poco, poi affrettò l’andamento, fino a riuscire a correre. Sentì il vento sfiorarle i capelli, farglieli danzare in qua e in là, carezzarle la pelle candida, entrargli in bocca, nel naso, negli occhi. Era la sua prima corsa. Stanca si fermò e fece due grandi respiri. Ancora si stupì dell’aria fresca che le riempiva i polmoni.
Si sedette per riposarsi. Vicino a lei c’era una pietra. L’afferrò e la guardò, incuriosita, notando che le sue dita si stavano tingendo di uno strano colore grigio. Allora mollò la presa sull’oggetto, che cadde per terra, con stupore della ragazza.
Si osservò le dita, poi le sfregò contro l’altra mano, e la polvere se ne andò. Allora Eva si tranquillizzò, e afferrò di nuovo la pietra. Iniziò a batterla per terra, per comprendere cosa potesse accadere, ma non avvenne nulla.
Allora prese un’altra pietra e la batté contro la prima più volte. Ad un certo punto ne scaturì una scintilla, poi scaturì qualche fiammella. Impaurita dal calore che emanava, Eva fece un balzo indietro e si nascose dietro un grande pezzo di cemento. Osservò il fuoco, preoccupata, pensando a come spegnerlo.
Proprio in quel momento, qualcosa le cadde sulla testa, poi sulla spalla destra, su quella sinistra, sempre di più. La ragazza guardò in alto: goccioline d’acqua stavano cadendo sul terreno. Eva aprì la bocca e lasciò che quelle goccioline le cadessero in gola, dissetandola. Guardò di sfuggita il fuoco, e vide che si stava spegnendo. Si lasciò sfuggire un esclamazione di sorpresa, poi fuggì via per ripararsi dall’acqua.
Entrò nel bunker e cercò di asciugarsi i capelli, poi si rannicchiò per terra, osservando il suo braccialettino di perline.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Un giardino fiorito ***


†Un giardino fiorito† 
 
 
 
Si destò qualche ora dopo. La pioggia incessante pareva essere terminata, e tutto era più buio. Inizialmente Eva si spaventò, temendo in qualcosa di brutto, ma quando vide che non accadeva niente, si fece coraggio e uscì. Una volta fuori, rimase stupita dal paesaggio che le si profilava di fronte: tutto era scuro e tenebroso, le rovine primi chiare e distinte ora erano celate da un manto scuro che incuteva terrore e inquietudine alla ragazza, ma quel che più la sorprese fu il cielo. Mentre prima era grigio e plumbeo, adesso era colorato di un blu scuro, ed era illuminato da tanti puntini luminosi, che lo rendevano incredibilmente bello e affascinante. Posta quasi al centro del firmamento v’era un grosso cerchio che emanava una pallida luce bianca, sufficiente tuttavia ad illuminare la terra per quel poco che bastava.
Eva si sedette a contemplare quello spettacolo, osservando la Luna e le stelle. Aveva freddo, necessitava di qualcosa con cui coprirsi. Rimirando quelle meraviglie, la ragazza si chiese perché proprio lei era viva, perché gli umani avevano scelto di salvare, avevano scelto di dare speranza proprio a lei, al tempo una bambina praticamente appena nata. Non aveva vissuto gli anni dolci e spensierati dell’infanzia, ove l’unica preoccupazione è quella di giocare, né aveva trascorso gli anni turbolenti e affascinanti dell’adolescenza, coi primi amori e la scoperta della propria identità, lei era semplicemente nata, si era addormentata e si era risvegliata ormai quasi adulta, perché questo era lei: una ragazza non ancora donna, ignara e inesperta del mondo, dei suoi pericoli e delle sue brutture. Conosceva il concetto di morte, ma ancora non aveva ben chiaro cosa significasse, non pensava ad un essere superiore, perché lei era semplicemente lì, salvata da umani. Tuttavia, era felice, nonostante i suoi simili fossero scomparsi, nonostante non avesse vissuto gli anni più dolci della sua vita, nonostante fosse sola in un mondo arido e distrutto, nonostante avesse dovuto lottare tutta la vita per acqua e cibo, nonostante l’unico scopo della sua esistenza paresse essere quello di procreare. Era felice perché era viva. Era viva, e poteva sentire il vento soffiarle tra i capelli, carezzarle la pelle e farla rabbrividire, poteva udire suoni, vedere il mondo e contemplarne le meraviglie, poteva gioire ma anche soffrire, mentre gli altri umani non potevano più, perciò si sentiva fortunata, specialmente lì, sotto quella candida e splendida Luna. Era grata per la vita che le era stata donata, al contrario degli altri umani. Non contenti di ciò che avevano, non contenti della vita e della bellezza del mondo e dell’universo, gli umani avevano cercato di arricchirsi e di diventare sempre più potenti, perché la loro brama era quella di creare, creare un altro mondo: ma l’uomo non può creare, sa solo distruggere, infatti gli umani, con la loro tracotanza e superbia avevano distrutto non solo il mondo, ma anche tutto ciò che erano riusciti a creare. Non erano stati grati per la vita che era stata donata loro: volevano migliorarla, realizzarla. Fu proprio nel vano tentativo di creare la vita, che gli umani avevano costruito i robot. Inizialmente erano fieri di questi esseri di latta e metallo che camminavano in giro, ma poi realizzarono che il ferro non era adatto per far sembrare la loro opera più umana, così iniziarono a coprire i materiali inorganici con pelle vera, procurata in vari modi, da animali e non, e da capelli. I robot così sembravano più umani, ma ancora gli scienziati non erano soddisfatti, poiché quegli esseri avevano una scatola di latta al posto del cervello, quindi non ragionavano, non provavano emozioni. Erano solo pezzi di ferro che si muovevano grazie ad algoritmi e meccanismi. Gli scienziati dovevano creare una nuova vita, perché essi volevano elevarsi al livello di Dio, volevano essere loro stessi dio, ed erano finiti per crollare. I robot troppo avanzati avevano iniziato a disubbidire, e si erano diffusi molti virus che facevano ribellare quegli esseri contro i padroni. La scienza e la tecnologia avevano creato cose molto belle, la prima aveva scoperto vari medicinali, vaccini, e grazie a questi era riuscita a debellare molti morbi ritenuti inguaribili, ma poi la medicina venne vista anche come un’arma, e così nacquero le guerre chimiche, guerre senza soldati né armi, ove la popolazione veniva decimata da morbi incurabili. Anche la tecnologia aveva fatto molti miracoli: arti bionici, computer super intelligenti che aiutavano le persone nei problemi di tutti i giorni, ologrammi, treni ad alta velocità e altre innovazioni notevoli, ma anche in questo campo gli uomini avevano voluto eccedere, causando la loro distruzione.
Eva rimase a riflettere sulla sua condizione finché non sorse il sole, e un sole rosso illuminò l’orizzonte. Allora la giovane si alzò e iniziò a camminare, per scoprire altri luoghi interessanti.
 
Trascorse vari giorni esplorando ciò che la circondava, senza mai trovare niente che non fosse pietra o rovine.
Quel giorno stava vagando senza meta precisa, quando vide una cosa che non si aspettava: davanti a lei si profilava una distesa verde smeraldo, sulle rovine era cresciuta folta l’erba, e di qua e di là v’era qualche arbusto. Incantata, la ragazza camminò nella direzione del verde. I suoi piedi toccarono la soffice erba per la prima volta. Era morbida, e liscia, era diversa da tutto ciò che aveva visto prima. Eva si accucciò e sfiorò i fili verdi che crescevano dal suolo. Per la prima volta vedeva qualcosa di vivo. Le sorprese, però, non erano ancora finite. Lentamente procedette verso gli arbusti e si fermò a contemplarli, a toccarne le foglie e il tronco, chiedendosi quale meraviglia fosse tutto ciò. Gli uomini avevano distrutto tutto, eppure la terra era riuscita a rigenerarsi. Dopo tutta quella distruzione c’era ancora vita. La ragazza ancora non sapeva il perché il genere umano si era praticamente estinto, ma aveva compreso che tutta quella distruzione che aveva visto aveva nuociuto alla terra, eppure nonostante tutto, ancora lì cresceva l’erba, nonostante tutto c’era vita, e speranza di ricominciare. Era immersa nei suoi pensieri, quando vide qualcosa volteggiare di fronte ai suoi occhi. Osservò quell’essere, dopo un sussulto: una delicata, piccola creatura, dalle ali bianche e blu stava volando vicino a lei, dirigendosi verso qualcosa posto più in là. Eva si diresse a vedere: la piccola creatura si era posata su quello che era un fiore dai grandi petali azzurro, circondato da altri suoi simili più piccoli, dotati di ditti petali bianchi e da un pallino giallo in mezzo. Eva rimase ferma ad osservare il piccolo animale, che ben presto riprese il volo. La ragazza lo rincorse, stupita, per vedere dove si recava, e trovò ancora una volta la vita. In mezzo a quel capo d’erba verde, sorto vicino a delle rovine, volavano di qua e di là un grande numero di farfalle, che si posava di fiore in fiore in una danza spettacolare e senza fiato. Alcune di esse si posarono sulle spalle della ragazza, come a sancire un nuovo accordo tra l’umanità e la natura.
Altri piccoli insetti volavano di fiore in fiore, e per alcuni di essi, colorati di giallo e nero, la ragazza provava un naturale timore, senza capire da dove esso provenisse. Poco più in là vi era un essere altrettanto meraviglioso, che sanciva l’inizio di una nuova vita: un grande albero, un ulivo. Eva si avvicinò alla pianta, ne sfiorò il tronco con una mano e ne osservò le piccole e verdi foglie dalla forma allungata, vicino alle quali spesso v’erano i piccoli frutti della pianta. -Non sei piccolo. Come hai fatto tu a sopravvivere per tutto questo tempo? Le rovine devono essere lì da tanto- disse Eva, scoprendo che di avere una voce delicata e melodiosa.
Si sedette ai piedi della pianta, appoggiando la schiena al suo tronco, e iniziò a guardare lo spettacolo che le offriva la natura.
Per avere costruito tutte quelle case in rovina, tutte quelle strutture, l’uomo aveva dovuto distruggere gran parte di quella meraviglia naturale, pensò Eva, e come aveva potuto? Aveva tolto una casa a tutte quelle belle farfalle che le volteggiavano intorno, non avevano apprezzato ciò che la natura aveva donato loro.
 
Calò la sera, ed Eva iniziava ad avere fame e sonno, così si alzò e iniziò ad avviarsi verso quella che riteneva ormai la sua casa. Camminò tra le rovine, notando il contrasto che c’era tra il grigio della pietra e il verde vivo dell’erba. Sarebbe dovuta tornare in quel giardino più volte. Si accarezzò il ventre che non era ancora gonfio, e la cosa preoccupava la ragazza. La voce le aveva detto che la sua pancia sarebbe dovuta crescere, ma  non era così: forse era ancora troppo presto, la ragazza non lo sapeva. Continuò a camminare, finché non vide uno strano oggetto per terra. Si accucciò per vedere meglio: era formato da quelle che sembravano due “sbarre”, perpendicolari tra loro, una delle quali era a forma cilindrica, e aveva un buco. Dove si univano c’era una sorta di levetta, che Eva era curiosa di premere per vedere il suo effetto. Quindi prese l’oggetto in mano, fissandolo, quando udì un suono spaventoso e improvviso, e subito dopo un dolore allucinante al ventre. La ragazza si toccò la ferita, e vide le sue mani grondanti di sangue. Subito pensò al bambino, poi vide tutto nero e perse conoscenza. 

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Capitolo 4
*** Un nuovo risveglio ***


 
† Un nuovo risveglio†
 
 
 
 
Suoni indistinti. Rumori. Parole. Parole su parole. Una scossa. Una puntura. Buio.
 
Eva si trovava in un tunnel, adesso. In una galleria bianca e blu, che vorticava attorno a lei. Lì dentro v’era un silenzio di tomba, non si percepiva alcun suono, alcun rumore, niente si muoveva, se non le pareti del tunnel. Davanti a lei, una luce accecante. Si sentiva spinta verso quel lume così grande, voleva andare lì e vedere cos’era, e d’altronde, qualcosa la stava spingendo in quella direzione. Eva non si sentiva più il corpo addosso, se provava a toccarsi da qualche parte, non trovava nulla. Dove portava quel tunnel? Dove si trovava? Era forse morta? Si guardò indietro. Non vide nulla, solo un’infinita prosecuzione del tunnel. Non sapeva cosa fare. Da una parte qualcosa la attirava verso la luce, dall’altra, una parte di lei voleva tornare indietro. Fu un momento. Sentì una sorta di scossa nel petto. Poi un’altra, e un’altra ancora, poi cadde all’indietro, la luce si allontanava sempre di più.
Sussultò, e si ritrovò nel suo corpo. Ora poteva udire suoni distinti: c’era qualcuno che camminava, altri parlavano, percepiva un ago nel suo braccio e una fasciatura sul suo ventre. Si sentì respirare. Era viva. Si sentì come se fosse nata per la terza volta. Le era stata data una terza possibilità, evidentemente.
Non aprì gli occhi subito: aveva paura di ciò che poteva vedere. Gli uomini non c’erano più. Come era possibile che sentisse le persone camminare? Udì qualcuno parlare una lingua sconosciuta e poi chiudere una porta. Istintivamente, la ragazza si accarezzò il ventre fasciato. Il bambino! Era di certo morto, non poteva essere sopravvissuto!
Così aprì gli occhi. Vide un soffitto bianco. Voltò lo sguardo. Qualcosa, un piccolo tubo di plastica sbucava dal suo braccio, facendovi penetrare del liquido trasparente. Si accorse in quel momento di avere una coperta sopra di sé. Aveva meno caldo con quella. Qualcosa, però, le suggeriva che non era sola. Con fatica, si pose a sedere. Un dolore lancinante, però, le colpì l’addome, e la ragazza gemette.
-Fa’ attenzione. La ferita non è ancora rimarginata, ma sei fortunata se sei ancora viva. I nostri medici hanno fatto un vero e proprio miracolo, a quanto sembra- disse una voce profonda, a tratti però gracchiante. La fanciulla sussultò, e con un leggero timore alzò il capo, e quel che vide la terrorizzò. Colui che aveva di fronte non era certo un umano!
-Tranquilla- le disse costui.
L’essere aveva una pelle verdognola, molto scura sul volto, in mezzo al quale pareva esserci una sorta di spaccatura. Gli occhi erano due buchi neri, e le labbra erano molto carnose. Sul capo, a circa metà del cranio, aveva una sorta di capelli rossi di media lunghezza, pettinati all’indietro. Indossava una sorta di tenuta blu scura, quasi nera, ricamata d’oro, e portava un paio di medaglie vicino alla spalla sinistra. Era seduto con le mani congiunte, e la stava osservando con quegli occhi neri più grandi del normale.
-Cosa sei tu? Non sei un umano! Perché sai la mia lingua? Dove sono? Cosa è successo?  Dov’è il bambino?  Vattene via! Lasciami in pace, voglio andare a casa!- disse Eva, spaventata.
L’essere accennò a una leggera risata.
-Una domanda per volta, signorina.  Io sono un Dresdan. Provengo dal pianeta Dresd. Abbiamo scoperto da poco questo pianeta, ma ci siamo subito affascinati dalla cultura degli umani, e ne abbiamo studiato la lingua. In questo momento ti trovi nel nostro ospedale, dove vengono curati i soldati. Siamo in mezzo alle rovine principali, penso che una volta questa struttura fosse una sorta di… supermercato. Sì, si chiamava così-
A quel punto Eva lo interruppe.
-Cos’è un supermercato?-
L’altro rise.
-Sei un’umana e non sai nulla che riguarda la tua cultura? D’altronde, mi dovrai spiegare cosa ci fai qui, visto che l’umanità è scomparsa da tipo 700 anni. Un supermercato era un luogo enorme dove gli umani compravano cibo e altre cose. Comunque, ritornando a noi, è accaduto che due ricognitori si trovassero vicino al luogo dove ti hanno sparato. Mi spiego meglio: erano lì in missione. Quando ti hanno vista, hanno avuto paura. Devi capirli, non hanno mai visto un alieno della tua razza, e pensavano tu fossi pericolosa, visto che avevi in mano una pistola. Quindi ti hanno sparato, e hanno chiamato il mio vice, che voleva ucciderti. Sono però sopraggiunto in tempo. Ti ho guardata, e ho compreso che non sei un pericolo. Oltretutto, un umana potrebbe davvero farci comodo: come potevo io, eliminare l’ultima superstite di una specie scomparsa? Se sei viva, significa che hai un ruolo nella storia dell’universo. Così ti ho fatto portare qui e ho ordinato ai medici di curarti. Riguardo al bambino, non so cosa parli. I medici hanno dovuto operarti, ma non hanno trovato alcun feto, né v’era nel luogo della sparatoria. Semplicemente, non sei mai stata incinta-
Cosa? La voce le aveva spiegato precisamente cosa doveva fare? Perché non era rimasta incinta? Non poteva avere bambini? Non era possibile. Non capiva nulla di tutto ciò che il tipo aveva detto. Sparatoria? Cosa significava? Ricognitori, soldati? Lei doveva tornare a casa! Doveva riprovare ad avere un figlio! Guardò male il tubo attaccato al suo braccio, e fece per toglierlo, ma l’alieno, fulmineo, la bloccò.-Io non lo farei- le disse.
-E perché mai?-
-Se lo fai, potresti sentirti davvero male- spiegò lui.
Eva guardò in basso, rattristata. Non poteva attendere. Doveva scoprire perché non aveva avuto il bambino, e soprattutto, doveva riprovarci! Ma pareva che prima dovesse attendere un tempo imprecisato presso quegli alieni inquietanti. Proprio mentre pensava ciò, si rese conto di aver caldo. Troppo caldo. Così si tolse il lenzuolo con disinvoltura. L’alieno si voltò di lato, quasi non la volesse guardare, anche se pareva tentato. Eva stava per chiedergli il perché del gesto, quando si rese pienamente conto di un dettaglio a cui prima non aveva dato molto credito: il Dresdan era vestito. –Perché sei vestito? E perché ti sei voltato?-
L’altro, senza accennare a guardarla, abbozzò un sorriso.
-Mi vedi strano? Sei tu ad esserlo, qui. Sei l’unica ad essere senza vestiti. Noi copriamo il nostro corpo, riparandolo dal freddo e da sguardi inopportuni. Non è educato guardare una fanciulla nuda- rispose.
-E perché? Io sono nata così-
L’altro scoppiò a ridere.
-Tutti nasciamo nudi-
-Lo so… volevo solo dire che non ci vedo nulla di male, ma forse hai ragione. Però non ho nulla con cui coprirmi, e col lenzuolo ho caldo-
-A questo si può rimediare- rispose l’altro, avviandosi verso la porta, chiamando qualcuno nella sua lingua e impartendogli alcuni ordini.
Poco dopo arrivò un suo simile con in mano qualcosa. Porse alla ragazza un vestito bianco decorato con alcuni pallini rossi, stretto in vita ma abbastanza largo nella parte inferiore. Eva lo prese in mano, guardandolo.
-Come lo devo usare?- chiese, senza vergogna. A questo punto l’alieno scoppiò in una risata bonaria, che tuttavia offese la ragazza, che incrociò le mani al petto.
-Il buco grande serve per la testa, negli altri due devi mettere le braccia- spiegò.
Eva guardò la stoffa, e fece come le era stato detto. Adesso il suo corpo era coperto dalla stoffa soffice e setosa. Oltre al vestito le era stato dato qualcos’altro.
-E questo?-
-Quelle sono mutande-
Mutande. Eva le lascio penzolare davanti a sé, prendendole tra pollice e indice. Non voleva chiedere aiuto a quell’alieno, voleva capire a cosa servissero da sola.
 
Il Dresdan era voltato di spalle, le braccia incrociate sulla schiena. Stava attendendo che la ragazza avesse finito di vestirsi.
-Ho finito- disse lei.
Così egli si voltò, e quel che vide aveva del ridicolo. Quella ragazza gli infondeva un certo grado di tenerezza, e in quel frangente mostrava tutta la sua ingenuità. Era così ingenua che avrebbe potuto approfittare di lei senza che quasi ella se ne rendesse conto. Era ingenua, buona, incosciente. Doveva proteggerla, proteggerla da personaggi più istintivi e meno affidabili di lui, come Jyak, il suo secondo.
Comunque, Eva, con le mutande in testa a mo’ di berretto era davvero divertente. Stavolta il Dresdan riuscì a reprimere una risata. –Non lì- le disse –Le devi … nei buchi devi mettere le gambe. E poi tirare le mutande su, capito?-
La ragazza annuì, poi guardò l’indumento, e chiese a cosa servisse.
-Igiene- rispose sbrigativo.
Eva parve aver capito, e indossò correttamente le mutande. Il Dresdan si avvicinò al lettino. Eva si era sfilata la flebo, probabilmente per indossare il vestito, e non sapeva come rimetterla. Così con premura sistemò l’ago nel braccio della ragazza, che fece una leggera smorfia.
Il Dresdan poi allungò il braccio verso la ragazza, che lo guardò, stupita.
-Mi sono dimenticato di presentarmi. Mi chiamo Dwigh, piacere- disse.
-Oh, giusto. Eva. Mi chiamo Eva- rispose la ragazza, continuando ad osservare la mano tesa dell’altro.
-Dovresti stringerla. È un’usanza umana-
-Oh, sai più te di me sull’umanità- disse la ragazza, prima di stringergli la mano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Dwigh ***


†Dwigh†
 


 
Il Dresdan uscì dalla stanza dove era ricoverata l’umana. Si guardò attorno. Tutto pareva in regola: gli infermieri svolgevano il proprio lavoro, così come i medici.
-Tutto bene, generale?- chiese un dottore.
-Tutto bene, grazie. Tenete l’umana sotto osservazione. Non voglio che ci sfugga-
-Ai suoi ordini, come sempre-
Dwigh si avviò a passi larghi verso l’uscita della struttura, se così si può definire una rovina di un supermercato restaurata alla bell’è meglio, e una volta fuori si diresse con fare deciso verso destra. L’aria satura di polvere gli recò un leggero fastidio ai suoi occhi, di natura molto delicati. Fortunatamente non c’era rumore di spari, tutto pareva tranquillo. Si diresse verso la piccola tendopoli, dove stavano i servi, che subito, non appena lo videro, si accinsero a chiedergli cosa desiderasse, al che lui li scacciò con un veloce gesto della mano. Generalmente non trattava i servi con superiorità e superbia, ma gli piaceva socializzare con loro per mostrare loro che non era un nemico, ma in quell’occasione non aveva tempo, l’umana aveva la priorità. A pochi metri dalla tendopoli, verso nord, si profilava un’alta torre dai lineamenti rozzi e barbari, costruita grazie alle macerie. Dwigh entrò dentro e salì in fretta all’ultimo piano, era in ritardo, e i Radas non amavano chi non arrivava puntuale.
Come aveva previsto, il collegamento iperspaziale era già stato acceso, e davanti a lui si profilavano gli ologrammi dei sue governanti.
Dwigh si accinse a inchinarsi.
-Jyak ci ha comunicato che avete una sorpresa per noi. Una grande sorpresa, che potrebbe aiutare la scienza- disse la regnante femmina, di cui nessuno conosceva il nome: era usanza che i nomi dei Radas, i regnanti, fossero ignoti a tutti, persino i due sposi non sapevano il nome del proprio coniuge.
Dwigh si morse un labbro. Non poteva mentire ai Radas, ma non voleva dir loro di Eva. Era troppo affrettato, e poi avrebbero di certo trattato la ragazza come una cavia da laboratorio, non avrebbero rispettato la sua unicità, o peggio, forse l’avrebbero uccisa per paura di chissà quale catastrofe. E Jyak lo sapeva. Dwigh gli lanciò un’occhiata di fuoco.
-Non mi sembra una scoperta così importante- temporeggiò il Dresdan.
-Se tu non fossi il Generale dell’Esercito Esterno avrei già ordinato di infliggerti una pena memorabile. Mia moglie non ti ha chiesto un’opinione personale, e comunque, il ritrovamento di un essere umano vivente non mi pare una scoperta di poco conto- disse il Radas maschio.
-Suvvia, marito caro, perdona Dwigh. Chissà cosa teme, sai come è malleabile il suo cuore, nonostante abbia ucciso quasi mille esseri viventi. La questione di cui dobbiamo parlare è cosa farne della ragazza- rispose la regnante femmina. Dwigh esitò sul corpo della Radas, le cui forme parevano portate sin all’estremità, caratteristiche di tutte le femmine Dresdan, ma l’abito nero e succinto della regnante le metteva in evidenza più che mai, e a Dwigh non sfuggì neppure quella volta lo sguardo indagatore e incantato del suo secondo alla visione della regnante. Certo, la visione di quella fanciulla aveva stupito Dwigh: aveva visto sempre donne robuste e alte, era la prima volta che notava un corpo esile in una femmina.
-Se mi posso permettere- s’intromise Jyak, prima che Dwigh potesse proferir parola
 –Io ritengo che noi Dresdan abbiamo un sistema immunitario molto debole: scoperte scientifiche hanno dimostrato che se unissimo il nostro sangue a quello di un’altra specie con difese immunitarie più potenti, potremo rafforzarci. Nessun alieno, tuttavia, donerebbe il suo sangue ai Dresdan. Io dico di prelevare l’umana e di portarla su Dresd, prelevarne tutto il sangue e riprodurlo in boccetta, cosa che sappiamo fare, per poi distribuirlo a tutti-
-Vuoi dissanguarla?- chiese Dwigh, mal celando il suo disgusto in proposito.
-Dwigh, è l’ultimo esemplare di una specie estinta. La sua morte non nuocerà all’armonia dell’universo, e oltretutto ciò contribuirà al benessere del nostro popolo- ribatté Jyak.
-Sarà l’ultima esemplare di una specie estinta, ma è un essere vivente! Non possiamo macellarla così, senza ritegno, senza etica! I nostri scienziati sono sempre al lavoro, troveranno una soluzione che non implichi il dissanguamento di una persona!- replicò indignato il generale.
-Dwigh caro, Jyak tentava solamente di trovare un’utilità pratica all’umana. Hai per caso tu un’idea?- chiese la Radas.
Dwigh guardò in basso: in effetti non l’aveva. Lasciarla libera non sarebbe stato nei piani dei Radas, era improponibile.
-Voglio insegnarle ciò che so sull’umanità. Se riuscirà ad imparare, potrà vivere come una di noi, qui, nella colonia. In caso contrario, diventerà parte della servitù-
Il Radas, a quel punto, scoppiò in una gelida risata.
-Vuoi trattare un alieno come un tuo pari? Soprattutto, non sappiamo nulla degli umani. Potrebbero essere una specie aggressiva. Cosa accadrebbe se la ragazza rivoltasse contro di noi ciò che tu gli vuoi insegnare?-
-Non penso sia possibile. L’ho vista, è totalmente innocua. Anche se un giorno si rivelasse non essere tale, penso che il nostro esercito sia in grado di uccidere una singola persona-
Il regnante non parve soddisfatto, ma la moglie gli posò una mano sulla spalla.
-Se Dwigh vuole trattare la fanciulla come un gingillo personale, che faccia pure. Non trovo utilità nell’umana, anche se l’ipotesi di Jyak era affascinante. Ho trovato un compromesso: Dwigh attuerà il suo piano, finché noi non ne avremo uno nuovo e più efficace. E non dimenticarti di presentarcela, generale- disse la regnante, prima di toccare un punto imprecisato della stanza e disattivare il collegamento.
Dwigh tirò un sospiro di sollievo: la ragazza era salva, per ora.
 
 
Eva osservò il suo vestito. Non ne aveva mai avuto uno! Chissà se gli umani li usavano. Guardò la flebo. Chissà cos’era quel liquido che le entrava nelle vene. E se fosse stato pericoloso? Eva temette un attimo per la sua salute, poi si calmò. Si sentiva bene. Iniziò a riflettere su ciò che era accaduto. Cos’era quell’oggetto che aveva trovato? Perché non aveva un bambino in pancia? Aveva sbagliato qualcosa? Cosa volevano quegli strani esseri da lei? Quando sarebbe potuta ritornare a casa?
Si stava proprio ponendo tali domande in cerca di una risposta, quando la porta si aprì, ed entrò un Dresdan di poco più basso di Dwigh, dai folti capelli neri.
-E quindi questa sarebbe la puttanella umana di cui parlavi? Me la immaginavo diversa- disse il tipo.
-Jayk! Modera le parole, non tollero offese!- lo redarguì Dwigh, entrato in quel momento.
Era un’offesa? Eva voleva chiedere cosa significasse quella parola, puttanella, ma desistette. Si sentiva ignorante, insieme a quelle creature.
-In effetti hai ragione. Pare innocua. Chissà, magari potremo divertirci, in futuro- commentò Jyak, ostinato.
-E come? Non c’è nulla di divertente qui. E poi, io tornerò a casa, una volta guarita- disse Eva, non capendo il doppio senso.
Jyak esplose in una sonora risata, mentre Dwigh sospirava.
-Sarà bene che te ne vada, Jyak. La tua presenza non è richiesta qui. Controlla il bastione nord- gli ordinò Dwigh.
L’altro fece una smorfia di disapprovazione e fece un inchino irrisorio, prima di lasciare la stanza.
-Perdonalo, ha un brutto carattere- lo scusò Dwigh.
Eva rimase in silenzio. Non aveva voglia di parlare. Quegli esseri le incutevano ancora un po’ di timore, e anche se Dwigh non pareva pericoloso, ancora un po’ la spaventava.  L’altro parve averlo notato, e le si era avvicinato.
-Io devo andare fuori. Devo sbrigare il mio lavoro, signorina. Se hai bisogno di cure, ci sono i medici. Premi il pulsante sul muro, alla tua destra, e verranno. Se avrai bisogno di parlare, o di qualunque altra cosa, io sarò qui sul calar del sole. La mia stanza ha un amplificatore che mi permette di sentire se mi chiami>> le disse. Eva annuì, ma non aveva la ben che minima intenzione di farlo.
Osservò l’alieno uscire dalla stanza, poi si girò di lato, sperando di uscire presto da lì.
 
Dwigh ritornò presto nella sua stanza, quella sera, dopo essersi accertato delle condizioni di salute della ragazza. Si sentiva incuriosito dall’umana. Da poco tempo che la sua civiltà era scomparsa, quegli esseri erano diventati un modello per i Dresdan, che grazie allo studio della cultura e della tecnologia dell’umanità avevano appreso la strada per una rapida evoluzione. Erano riusciti a rintracciare molti libri, vari reperti, e addirittura qualche apparecchio tecnologico. Uno in particolare aveva affascinato Dwigh: era una sorta di parallelepipedo di plastica e ferro, con un pulsante nel mezzo e uno sportellino in alto che pareva non servire ad alcunché. Chissà come lo utilizzavano gli umani. Secondo lui quella scatola di latta era stata la piattaforma di lancio della tecnologia umana: probabilmente serviva a costruirla, o a programmarla. Nessuno, però, gli credeva. L’opinione più comune era che la scoperta cruciale dell’umanità fosse il propulsore iperluce delle astronavi, che aveva permesso agli umani di esplorare la galassia e apprendere dalle altre specie. Gli umani, però, avevano terminato presto di utilizzarlo, perché il degrado del loro pianeta era iniziato, e non avevano denaro per mantenere le astronavi. Perciò, secondo Dwigh, i propulsori non erano stati un’invenzione cruciale: il lento declino dell’umanità era iniziato poco dopo la sua scoperta. Come poteva essere stato così importante? Deve esserci stato qualcosa prima. E quel qualcosa era la scatola di plastica e ferro in questione.
Era immerso nei suoi pensieri, quando Dwigh udì un urlo. Subito si alzò, attento, e tese le orecchie. Ben presto sentì una voce che lo chiamava.
-DWIGH! DWIGH!- urlava disperata la voce. Pareva quella di Eva. Che Jyak stesse combinando qualcosa? Il Dresdan corse nella stanza della ragazza.
Come aveva immaginato, Jyak era davanti al letto.
-Cosa stai facendo, qui?- chiese Dwigh, gelido.
L’altro si voltò e lo guardò.
-Volevo vedere l’umana- rispose.
-Fuori da qui. Subito- gli ordinò Dwigh, indicandogli la porta.
L’altro lo guardò bieco e ubbidì.
-è comparso all’improvviso. Mi ha fatto paura. Si stava avvicinando. Non lo voglio vicino. Mi inquieta- spiegò Eva.
Dwigh sospirò. –Va tutto bene?-
La ragazza non rispose, e Dwigh temette che fosse accaduto qualcosa di spiacevole.
La ragazza iniziò a piangere, spaventata.
-Cosa succede? Ti ha fatto qualcosa?- chiese il Dresdan, impaurito. Fortunatamente la ragazza, pallida, fece cenno di no. Lo guardò e poi posò lo sguardo sul lenzuolo candido. Fu allora che il Dresdan lo vide: il lenzuolo era macchiato di sangue.
-Anche le mutande- disse flebilmente la ragazza –E non mi sento bene-
Poi lo guardò, terrorizzata e preoccupata al contempo. –Sto per morire?- chiese. –Ho paura. Non voglio morire!- disse, con voce tremante.
Il Dresdan non sapeva cosa pensare. Cosa poteva essere successo? Se nessuno le aveva fatto del male, come poteva aver perso sangue? Cercò di non mostrarsi troppo crucciato, e chiamò in fretta i medici. Essi accorsero quasi subito, e Dwigh spiegò loro la situazione.
-Ah, capisco tutto desso- disse uno di loro.
-Cosa capisci?- chiese Eva.
-Stai bene, signorina. Non è nulla di pericoloso-
-Ma perdo sangue!-
-Dwigh, dille di stare zitta- disse il medico.
-Lascialo parlare, Eva-
-Grazie. Alla ragazza sono venute quelle che gli umani chiamano mestruazioni. Le donne umane perdono sangue una volta al mese, più o meno. Serve loro per l’ovulazione. Senza di esse non potrebbero avere figli. Non sono sempre fertili come le nostre femmine, che non hanno bisogno del ciclo. I bambini dresdan nascono di rado, poche donne riescono a portare avanti una gravidanza, e molti piccoli muoiono in età infantile, perciò il nostro organismo si è dovuto adattare, e le donne sono sempre fertili. Serve a supplire alla mortalità infantile molto alta. Per gli umani è diverso. Il loro tasso di bambini che muoiono è di molto inferiore al nostro: perciò le donne non sono sempre fertili. Eva è appena sviluppata, è appena divenuta una donna. Per questo non era stata fecondata: non aveva ovuli, prima. Non era sviluppata. Ora può avere tutti i bambini che vuole- spiegò il medico.
-E in cosa consistono queste… mestruazioni?- chiese il Dresdan.
-Principalmente nella perdita di sangue. Tuttavia possono verificarsi alcuni effetti collaterali, come dolori articolari, mal di testa, dolori all’addome, irritabilità, sonnolenza…- spiegò il medico.
Eva stava guardando il dottore che spiegava tutto.
-Allora fortunatamente non è niente. Potete andare- disse Dwigh.
Eva gli sorrise, flebilmente, poi si accarezzò il ventre. Probabilmente le doleva, come aveva detto il medico. Dwigh si sedette accanto a lei.
-Non è nulla. Ti passerà, tra un po’. Vuoi che resti qui con te finché non ti passa?-
Eva lo guardò coi suoi occhi neri e innocenti, e sorprendentemente annuì. Si sdraiò e si voltò di lato. 

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Capitolo 6
*** Lo scopo di Eva ***


       †Lo scopo di Eva†
 
 
 
Eva si destò all’alba del giorno seguente. Si voltò verso destra, assonnata. Dwigh era ancora lì accanto a lei, seduto su una sedia, pareva riflettere. Eva osservò non notata il volto dell’alieno. Ancora non le sembrava reale. C’erano altre forme di vita senzienti, oltre agli umani, ed erano nel mondo, nel suo mondo. Eva ancora non conosceva le loro intenzioni, ma parevano amichevoli. O almeno, Dwigh pareva tale. Era rimasto tutta la notte con lei, per farla sentire più sicura. Gli era grata, ma si chiedeva perché con lui si sentisse in effetti più tranquilla. Non lo conosceva, era un alieno, ma non le incuteva terrore, bensì una leggera fiducia.
Eva si stiracchiò ed emise un leggero sbadiglio.
-Buongiorno- la salutò il Dresdan.
Eva lo guardò, ma non rispose. Si sedette, spaesata. Aveva fame. Come se le avesse letto nel pensiero, il Dresdan disse che aveva già ordinato la colazione.
-Hai dormito bene?- le chiese, poi.
-Sì-
-Posso farti alcune domande? Non occuperanno molto tempo. Voglio conoscere un po’ meglio te e la tua specie-
Eva tacque.
-Presumo sia un sì. Sai fare a scrivere?-
Eva lo guardò, sorpresa.
-Cosa vuol dire scrivere?- chiese.
-Beh, vuol dire… Non ti preoccupare, te lo farò vedere. E leggere? Sai leggere?-
La ragazza scosse la testa, confusa.
-Vedo che gli umani non sono riusciti a trasmetterti queste capacità. Dimmi, Eva, cosa sai fare?-
- Io so camminare, parlare… non so cosa intenda tu per “saper fare”-
-Quindi non ti è stato trasmesso nulla riguardo alla tecnologia umana-
-Non so cosa sia la tecnologia. Non so perché gli umani non ci siano più, perché abbiano salvato proprio e solo me, però una cosa la so-
-E cosa?- chiese il Dresdan.
-So qual è il mio scopo, perché sono qui-
-E perché sei qui?- chiese Dwigh, pur immaginando la risposta.
Eva parve esitare, forse non si fidava abbastanza di lui per rivelargli il suo segreto.
-Prometti che non lo dirai a nessuno? Prometti che mi lascerai andare, quando sarò perfettamente guarita?-
-Prometto che sarà un nostro segreto, ma non voglio illuderti: ho ricevuto l’ordine di trattenerti qui-
-Da chi? Io voglio tornare indietro! Non sarai tu a impedirlo!-
-Cercheremo una soluzione, Eva. Qual è il tuo scopo?- chiese l’alieno.
-Non te lo posso dire. Te lo devo mostrare-
Non sapeva cosa l’avesse spinta a formulare quella risposta, dopo aver saputo che sarebbe dovuta rimanere tra gli alieni, forse la speranza di riuscire a fuggire oppure un barlume di fiducia in quell’essere tanto strano ma alquanto amichevole.
Si alzò, e attese che l’altro le aprisse la porta per farla passare. Medici Dresdan camminavano in qua e in là per le stanze dell’ospedale di fortuna, con vari strumenti in mano. Nessuno pareva far attenzione a lei. D’un tratto un intenso desiderio di respirare l’aria fresca, sentire la brezza mattutina sfiorarle i capelli e vedere il colore del cielo riempì il cuore di Eva. Così iniziò a camminare più alla svelta che poteva, nonostante il dolore alla pancia e l’affaticamento per l’operazione. Non guardava il Dresdan dietro di lei: voleva solo uscire da quella struttura, e lo fece. Subito l’aria le scompigliò i capelli, ma quel che vide non corrispondeva a ciò che si aspettava: fra le grigie rovine camminavano molti Dresdan in una sorta di uniforme color kaki, e tenevano in mano strani oggetti dalla forma allungata. Parevano simili all’arnese che aveva trovato prima di essere ferita, solo erano più grandi. Alla vista di Dwigh, tutti si fermarono e accennarono ad uno strano saluto, poi iniziarono a scrutare la ragazza con sguardo indagatore. Eva si sentiva in difficoltà: quella era il suo mondo, la sua terra, eppure pareva che fosse lei l’aliena in quel mondo. Si coprì istintivamente il corpo con le braccia, imbarazzata. Si sentiva estraniata da quella situazione. Aveva promesso al Dresdan di condurlo a casa sua, ma si rese conto che non conosceva la strada.
-Lei è Eva. È un’umana. D’ora in poi risiederà con noi fino ad ordine contrario. Esigo rispetto nei suoi confronti. Il primo che proverà a farle del male verrà punito con la giusta pena- disse Dwigh, e gli altri Dresdan si cimentarono di nuovo in quel bizzarro saluto.
-In realtà- sussurrò Eva, arrossendo –Non so la strada, ma saprei riconoscerla, forse, se mi conduci laddove sono stata ferita-
Dwigh annuì, poi fece cenno a due suoi simili di venire con loro. chissà perché voleva che li scortassero. Forse temeva che lei tentasse la fuga, e con quei due esseri al seguito, non sarebbe proprio riuscita a farlo.
Tuttavia Eva non aveva pensato alla fuga, almeno non fino a quel momento. Però poteva provare, anche se le mancava un piano.
Eva guardò Dwigh, che la seguiva in silenzio, e notò per la prima volta che anche lui portava sulla schiena degli arnesi come quelli dei due accompagnatori, e su un fianco penzolava quella che avrebbe scoperto essere una pistola.
Osservò i due occhi dell’alieno, che le sorrise. Eva ricambiò. Forse un po’ le dispiaceva abbandonarlo. E comunque l’avrebbe ritrovata. Ma doveva tentare. Doveva provare a fuggire!
Arrivarono al luogo del suo ferimento in un tempo molto breve. Eva si fermò e si guardò attorno. Scorgeva i grandi massi e le rovine delle case, le distese di cemento armato. Sì, doveva essere quello il posto. Si avviò con passo deciso verso nord, ancora indecisa se fuggire dai Dresdan o no. Forse era più conveniente restare. Dove sarebbe potuta andare? Dove avrebbe trovato cibo? Certo, poteva cacciare qualcosa, ma non avrebbe trovato cibo a sufficienza per una vita lunga e agiata: il nutrimento fornitole dagli umani era molto, ma sarebbe bastato? Non sarebbe più potuta ritornare a casa: i Dresdan avrebbero controllato la struttura. No, fuggire non era un’ottima idea. Ma poteva portare a compimento la sua missione. Quello nessuno glielo avrebbe impedito.
Così si ritrovò davanti all’entrata del bunker. Aprì lentamente la botola e si calò giù con un piccolo salto, dopodiché scese le scale. Sentì qualcuno seguirla, ma lei corse verso l’armadietto e prese la siringa. Stavolta niente avrebbe fallito.
Iniizò a preparare tutto, mentre gli altri erano troppo distratti per notarla. Tanto meglio.
-Guardate! È meraviglioso!- esclamò Dwigh, aprendo le braccia.
-Sono riusciti a conservare tutto per più di 500 anni!- disse uno dei due accompagnatori.
-E non è finita! Guardate l’impianto di stasi! Dovremmo studiarlo, immaginate se riuscissimo a replicarlo! Non ci sarebbe mai fine per il nostro popolo!- esclamò Dwigh.
Mentre gli alieni facevano discorsi di tal genere, Eva aveva finito di preparare l’occorrenza. Osservò l’ago. Sarebbe stato pericoloso? Era stata operata da poco. No, ci sarebbe riuscita. E se avesse fallito, beh, avrebbe tentato di nuovo.
Guardò la siringa un’ultima volta.
-Cosa stai facendo?- le chiese Dwigh, giunto in quel momento accanto a lei.
-Faccio ciò per cui sono stata creata- rispose Eva.
-Ripopoli il mondo? Tu? Da sola?-
-Esattamente- rispose la ragazza.
-Questo è ciò per cui sei stata salvata. Non ciò per cui sei stata creata. Dimmi, Eva, tu lo vuoi fare? Vuoi tu ripopolare il mondo in questo modo?-
-è il mio dovere- rispose confusa la ragazza.
-Non ti sto chiedendo cosa devi fare, ma cosa vuoi fare-
Eva rimase allibita. Finora si era posta molte domande. Si era chiesta perché proprio lei era stata salvata, perché gli umani fossero scomparsi, e molte altre domande, ma mai, mai, si era chiesta cosa volesse fare lei. Era sicura di volerlo fare? Per la prima volta guardò la siringa, perplessa, esitante.
-Non lo so. Non me lo sono mai chiesto. La voce ha detto che sono stata salvata per questo. Che io sono in vita solo per questo-
-Pensi che il senso della tua vita sia solo e unicamente quello di procreare figli per ripopolare il mondo e far rinascere la tua specie?-
-La voce ha detto così-
-E tu cosa dici? Sono gli umani ad averti dato il senso della vita?-
-Non lo so. Perché mi fai queste domande?-
-Perché tu mi hai parlato del tuo compito, della voce, ma mai mi hai parlato di te. cosa ti piace? Cosa vuoi fare? Cosa senti? Quali sentimenti provi?-
Eva lo guardò, e per la prima volta, ascolytando quelle parola, si sentì umana. Si sentì vivente. Si sentì una persona. Cosa provava? Non se lo era mai chiesto. Aveva sempre vissuto come un macchinario. Un macchinario senza sentimenti, pronto solo alla riproduzione.
-Non lo so. Secondo te perché sono qui? Perché sono stata creata?-
-Io non lo so. Noi dobbiamo cercare il senso della nostra esistenza, nessun altro. Io l’ho trovato nell’aiutare la mia patria. Tu lo troverai qui, o altrove. Ma non accettare un senso che ti hanno imposto. La vita è tua. Io non so se siamo stati creati da qualcuno o se siamo stati inviati qui nell’universo da una serie di formule ed eventi casuali, ma so che stiamo vivendo. E che se c’è stato qualcuno, qualcosa, che ci ha dato la vita, vorrebbe solo che noi fossimo felici. La tua felicità consiste nel fecondarti con quella siringa?- spiegò Dwigh.
Le domande del Dresdan la stavano facendo confondere. La stavano mettendo in crisi. Tutto ciò in cui aveva creduto, stava crollando. Per la prima volta si sentiva viva, per la prima volta non sapeva cosa fare. Qualcosa si era smosso dentro di lei. Domande. Domande che esigevano risposte. E lei doveva cercarle. Doveva cercare il senso della vita tra le rovine di quegli umani che non l’avevano trovate, tra l’erba del prato verde, tra gli occhi dei Dresdan, ma soprattutto dentro di lei, in quei sentimenti che non aveva mai indagato.
D’un tratto lasciò cadere la siringa per terra. La osservò scivolare giù e cozzare sul pavimento e infrangersi in mille pezzi.
-Voglio sapere perché sono qui- disse, prima di avviarsi verso l’uscita. Gli altri la seguirono.
Eva corse via, poi si guardò indietro, per l’ultima volta. Si profilava per lei un nuovo inizio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 7
*** Skellin a sud ***


†Skellin a sud†
 
 
 
 
 
Eva seguì Dwig tra le rovine. Stranamente l’alieno non proferiva parola, ma anzi, si guardava attorno, circospetto.
-E ora cosa faremo?- chiese Eva.
-Ora cercheremo di conoscere meglio il tuo popolo-
-E come?- chiese Eva, ma non ottenne risposta.
Dwigh urlò qualcosa ai soldati, poi corse verso Eva e la spinse verso destra con violenza, facendole cadere l’equilibrio. Nel giro di pochi attimi la ragazza si ritrovò per terra dietro un grosso masso.
-Cosa fai?- chiese Eva, adirata. Perché la aveva spinta, e così forte? Le aveva fatto male! cercò di rialzarsi, ma l’altro la spintonò giù di nuovo.
Eva stava per chiedere di nuovo spiegazioni quando udì un rumore intermittente, simile a un boato. Udì la scorta urlare e vide Dwigh sporgersi dal masso dove si stavano riposando con uno strano arnese in mano, che Eva notò poter sparare alcune lucine colorate.
-Che cosa è?- chiese, senza ottenere risposta. Quella situazione la stava stufando: perché non voleva parlarle? Perché Dwigh stava sparando lucine colorate? Tutto ciò non aveva senso! Stizzita, la ragazza riuscì ad alzarsi, sistemandosi con delicatezza il vestito.
Quel che vide la lasciò senza fiato. Anzi, la spaventò a morte.
Davanti a lei, con in pugno altri oggetti simili a quelli di Dwigh, v’erano degli esseri spaventosi. Avevano una testa allungata, ricurva verso il basso, con due zanne grigie al posto dei denti e degli occhi piccoli e rossi. Ogni tanto la lingua biforcuta leccava le zanne. Quegli esseri bipedi erano ricurvi, e dalla schiena piegata spuntavano alcuni aculei molto grossi, che forse provenivano da uno sviluppo inappropriato della spina dorsale. Quello che più spaventava Eva erano le loro mani e i loro piedi: al posto dei diti avevano artigli acuminati. Uno di loro parve notare Eva e le puntò addosso uno di quei spara-lucine. Eva non fece in tempo a far niente, né quell’essere ebbe modo di sparare, che ella si sentì afferrare per una caviglia e strattonare giù. Batté violentemente il ginocchio destro, che iniziò a sanguinare.
-Ti ho detto di stare giù. Ubbidisci, stupida ragazzina- gli ordinò Dwigh, palesemente arrabbiato, poi si sporse di nuovo dal nascondiglio.
Eva udì quelle creature emettere gridi sordi e poi tacere. Dopo alcuni minuti calò il silenzio. Cos’era accaduto?
Dwigh uscì allo scoperto e corse verso uno dei suoi soldati, sdraiato a terra, mentre Eva rimaneva ferma al suo posto. La ragazza lo vide inginocchiarsi e toccare il volto dello sconosciuto.
Dimenticando gli ordini, la ragazza si alzò e si avvicinò agli altri Dresdan. Il soldato era immobile, con una grande macchia di sangue sul ventre. Eva lo osservò, pareva non respirare più.
-Che gli è successo?- chiese.
-è morto- rispose cupo, Dwigh.
-Cosa vuol dire morire?- chiese Eva.
-Quello che ti sarebbe successo se non ti avessi salvato la vita ben quattro volte, di cui tre oggi. Devi imparare ad ubbidire ad un ordine. Non potrò sempre salvarti e non voglio che un altro dei miei soldati perda la vita a causa tua. Intesi?-
Eva annuì, anche se non aveva compreso bene il tutto.
Dwigh si alzò e si avvicinò a una di quelle creature, anche loro evidentemente morte.
-Anche loro sono morte?-
-sì-
Eva si avvicinò. Erano ancora più ripugnanti viste da vicino.
-Cosa sono?-
-Niente. Lascia perdere. Andiamo, dobbiamo giungere di fretta alla Fortificazione- disse Dwigh, riprendendo la marcia, preoccupato.
 
Il luogo ove il Dresdan la condusse, non era l’ospedale. Per la prima volta Eva vide delle costruzioni vere e proprie. Una città. Le case erano state costruite utilizzando le macerie, ed erano disposte in cerchio attorno ad un’alta e rozza torre.
Eva la indicò.
-Cos’è quella?- chiese.
-Una torre- rispose Dwigh, laconico, non condividendo la sua emozione.
-Lo so! A cosa vi serve?-
-Niente di particolare-
Eva sbuffò. Non le piaceva che non le si dessero delle risposte, e che Dwigh la trattasse in modo così scostante. Era sempre stato carino con lei. Che forse si fosse atteggiato in quel modo solo per conoscere il suo segreto?
Dwigh svoltò a destra, fermandosi davanti ad un’enorme casa rettangolare.
-Entra. Io ti seguo- le disse Dwigh.
La ragazza ubbidì. Stranamente, la casa, che all’esterno pareva leggermente fatiscente, era arredata con grazia e maestria. Si notava subito che apparteneva ad una persona di rango sociale elevato.
-Prima di partire- disse Dwigh –Ti faccio vedere la tua nuova casa. Questa sarebbe la mia dimora qui sulla terra. A destra ci sono le camere, la tua è quella in fondo al corridoio. È piccola, ma ci farai l’abitudine.
Questo è il soggiorno, a sinistra ci sono la cucina e la sala da pranzo. Accanto a ogni camera ci sono i bagni. Seguimi- spiegò Dwigh.
Eva lo fece, circospetta. Non era mai stata in una casa.
Dwigh arrivò davanti a una porta e la aprì. Nel centro v’era una sorta di grande bacinella di un materiale a Eva sconosciuto.
-Io devo andare. Tornerò presto, o almeno lo spero. Nel frattempo, ti consiglio di farti un bagno-
-Un cosa?- chiese Eva, inclinando la testa di lato.
-Un bagno. Quei tuoi capelli verranno infestati dai pidocchi se non li lavi un po’-
-Temo di non sapere come si fa. Dovresti insegnarmelo-
Dwigh sospirò, poi si voltò.
-Edith!- gridò.
La porta si aprì.
Eva vide quello che ai suoi occhi pareva un Dresdan molto strano: aveva i fianchi molto larghi e due protuberanze lunghe e anche un po’ larghe sul letto, coperte da un vestito verde bandiera.
-Perché me lo insegna lui?-
-è una femmina, Eva. Si chiama Edith. Edith, insegnale a farsi un buon bagno, te la affido. Sistemale i capelli, dalle un po’ di profumo, truccala un attimino mentre io non ci sono-
-Perché me lo deve insegnare lei? Non la conosco! Non puoi farlo tu?- chiese Eva, simile a una bambina che fa capricci.
-è meglio di no. Bene, io vado. Fatti trovare pronta al mio ritorno- disse Dwigh.
 
Il Dresdan salì in fretta i gradini della torre. I preparativi per il collegamento erano quasi terminati. Le cose non andavano affatto bene, e Dwigh temeva che i Radas incolpassero lui. D’altronde, la zona era sotto il suo comando e la sua giurisdizione, se capitava qualcosa era solo colpa sua.
Quando entrò nella sala comunicazioni i Radas erano già proiettati lì.
-Buongiorno Dwigh- disse la femmina.
Il generale s’inchinò. Mano sul cuore, gamba destra indietro, capo chino.
-Ho cattive notizie-
-Davvero? È sopravvissuto un interno insediamento di umani infuriati e armati di forconi?- chiese il Radas, ironico.
-No. Peggio. Gli Skellin sono riusciti a penetrare a sud. Abbiamo incontrato alcuni esploratori. Temo che vogliano attaccare da un momento all’altro. Abbiamo liberato la zona con fatica, molti soldati sono esausti, non pronti ad una guerra. Se ci attaccassero, potremmo non avere la meglio. Far ritirare tutte le colonie non è una buona idea. I nemici acquisirebbero territorio, e non li fermeremo. Ci troveremo in una morsa. Mi servono aiuti. Almeno altri due plotoni-
-Hai conquistato un intero pianeta, Dwigh, ricordi? Sei invecchiato, che un paio di Skellin ti fanno paura?- chiese il Radas.
-No, Signore. Ai tempi avevo un buon esercito, e un nemico indebolito. Avevo risorse. Qui è diverso: l’acqua manca, di cibo ve n’è poco. Questo pianeta è tutto rovine, e gli Skellin sono più forti. Si sono evoluti. Non avevano pistole laser, prima-
-Questo è in effetti preoccupante. Inizio a capire perché nei cieli di Astra volino tante astronavi Skellin. Sono dirette sulla Terra. Se non riesci a difendere tutte le colonie, abbandona quelle più esterne. Concentrati su un nucleo-
-Lasciando morire la mia gente?-
-è un prezzo da pagare- rispose il Radas.
-Anche se facessi così, gli Skellin sono sempre di più, e più pericolosi. Ci ucciderebbero tutti. Per come la vedo io, la conquista della Terra non è cosa semplice. Troppi interessi. È un pianeta troppo grande, noi e gli Skellin potremo non essere gli unici. Abbiamo risorse per una guerra a livello globale? E a quale pro? Anche se riuscissimo a vincere, non otterremo nulla. Qua è tutto un insieme di macerie e nient’altro. Voglio solo dei rinforzi, ecco qua, per scacciare gli Skellin e conquistare un territorio solido e ben definito- disse Dwigh.
-Io so cosa ti preoccupa, mio caro- s’intromise la Radas –è l’umana, non è vero? Ti sta dando problemi, è troppo ingenua, forse una bambina nel corpo di una ragazzina. O forse, temi che gli Skellin la possano scoprire e decidano di attaccarvi per prenderla al fine di scoprire qualcosa sugli umani, o peggio, ucciderla-
Dwigh rimase in silenzio.
-Se procura problemi, devi uccidere l’umana- disse il Radas.
-Non sta creando problemi. Sì, deve capire come difendersi. E ho paura che gli Skellin inizino a scoprire di lei. Che ci attacchino per questo-
-In tal caso devi seguire l’ordine di mio marito, Dwigh. Ucciderla-
-Non vorreste più il suo sangue?-
-è comodo, ma non necessario. Troveremo un altro modo. In effetti, dissanguare una persona si addice di più ai metodi di Jyak- rispose la Radas.
-Basterebbe prelevare un campione di sangue e riprodurlo, senza dissanguarla- propose Dwigh.
-Hai idea di quanti anni impiegheremmo? Il sangue perderebbe le sue caratteristiche! E non dimenticarti che possiamo clonare solo l’originale! Se lo prelevassimo tutto avremmo più speranze, più sangue per tutti!- disse il Radas –E riguardo ai rinforzi, vogliamo attendere ancora un po’. Li invieremo solo in caso di necessità evidente. E ovviamente tu non devi fallire, Dwigh-
Il Dresdan annuì col capo, s’inchinò una seconda volta e uscì. Ancora un colloqui con esito negativo.
 
Eva si avvicinò alla tinozza ovale.
-Cosa dovrei fare, ora?- chiese.
-Spogliati-
Eva si accarezzò i capelli, poi prese i lembi del vestito e li tirò su, rimanendo in mutande. Gettò l’indumento poco più in là. Sentì Edith fare un verso strano. Poi si tolse anche le mutande, gettandole vicino al vestito, per non sporcarlo.
-Adesso entra dentro la vasca e gira le manovelle- ordinò Edith.
Eva ubbidì. Da un buco fuoriuscì dell’acqua, che ben presto colmò quasi tutta la vasca. Era gelida. Eva rabbrividì.
-è gelida! Voglio uscire!- protestò.
-è quella che è. Immergi la testa, o quando arriverà il padrone sarai ancora qui-
-Non ci penso proprio! È fredda!- gridò Eva.
Fulmineamente, Edith le fu vicina, e le spinse la testa in acqua. Eva sentì il liquido penetrarle nel naso, nella bocca e nelle orecchie, raggelandola. Quando Edith mollò la presa, Eva riaffiorò dall’acqua e sputò nella vasca tutta l’acqua che aveva in bocca. Edith emise un altro verso di disappunto.
-Forza, signorina. Insaponati. Struscia questa sul tuo corpo- disse la Dresdan, porgendole una saponetta. Eva la guardò, poi obbedì, guardando bieco Edith, che iniziava a strofinarle i capelli con una sostanza profumata.
-Giù la testa- ordinò.
Eva ubbidì, e sentì La Dresdan strofinarle di nuovo i capelli. Continuò così per un po’, cospargendo la chioma della fanciulla con altre sostanze, poi le ordinò di alzarsi.
Eva uscì dalla vasca tremando tutta. Edith la avvolse con un asciugamano bianco e la invitò a sedersi. Afferrò un paio di forbici e iniziò a tagliarle i capelli, riuscendo a dar loro una forma migliore, mentre la ragazza osservava i ciuffi neri cadere per terra.
-Vestiti- le ordinò poi.
Quando la ragazza si fu vestita, e Edith l’ebbe profumata tutta, arrivò il momento del trucco, in cui la Dresdan ricoprì il volto della ragazza con una sostanza chiara, e le passò attorno agli occhi una sorta di matita.
-Ora sei presentabile- le disse –Io ho finito qui. Vado a lavare i panni. Vedrai, dovrai imparare anche tu, presto. Diventerai una serva del padrone, proprio come me-
Eva rimase sola. Iniziò a girare per la casa, fino a che non arrivò alla sua stanza. Appoggiato ad una parete c’era un letto con sopra varie coperte, e davanti ad esso uno specchio. Eva si sedette.
Sentì qualcuno entrare in casa, avvicinarsi alla sua porta, ed entrare.
-Così va meglio- disse Dwigh –Adesso andiamo-
 

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Capitolo 8
*** La biblioteca ***


†La biblioteca†
 
 



Nda: Finalmente mi sono ricordata delle note!!!
  1. Innanzitutto grazie, grazie, grazie a FAT_O che ha recensito ogni singolo capitolo di questa storia! Se essa migliorerà sarà anche merito suo! Poi ringrazio ghiaccioomega, lovingbooks e Una canzone_solo per te_    per aver inserito questa fic tra le preferite!!! I miei ringraziamenti anche a Miakuzz e FAT_O che la hanno inserita nelle storie seguite. Grazie tante ragazzi, e grazie a tutti i lettori!
  2. No, non è l’ultimo capitolo
  3. Terzo, ma non per importanza: PERDONATE l’imperdonabile ritardo. Purtroppo devo avvisarvi che questi ritardi prolificheranno, perché sono impegnata, molto impegnata. Prima di tutto, devo dare scritto e orale di Analisi 2, poi scritto, pratico e orale di Fondamenti 1, magari fisica, poi devo aggiornare questa storia (ve ne sarebbe anche un’altra ohi ohi) e nel frattempo devo ricorreggere e fare la sinossi del mio libro che ho intenzione di spedire agli editori entro settembre, ed è un lavoro che mi occupa molto tempo. Oltretutto dovrei scrivere una storia per un contest a cui partecipo e correggerne un’altra, lunghissima, per un contest che ho indetto (oh mamma mia!! Entro il 30 giugno), poi devo mettere le recensioni premio. Insomma… non ho un minuto di tempo libero! Spero il capitolo vi piaccia, ma mi sa che renderà meno degli altri, dopo essere uscita da 5 ore di integrali è difficile riprendersi!
 
 
 
 
Uscirono dalla casa di Dwigh. Egli si diresse a destra, uscendo presto dalla città, se così si può definire. Eva lo seguiva in silenzio con le braccia congiunte, guardandosi attorno. Ancora non capiva dove la stesse conducendo.
Ben presto la città alle loro spalle non si vedeva più, e si addentrarono in quel deserto di pietra e polvere.
-Una volta, prima che gli umani rovinassero questo pianeta, c’erano verdi prati e boschi rigogliosi, i fiumi solcavano questa terra, donandole vita. Ora è tutto distrutto. Tutto morto- disse Dwigh, con una nota amara nella voce.
-E come lo hanno distrutto?- chiese Eva.
-Ci sono cose che ancora non puoi comprendere. Gli umani volevano sempre di più, volevano ricchezza, e per averla dovevano sfruttare le risorse della terra, e ne hanno alterato l’equilibrio, ad esempio. Nella loro avidità non hanno tenuto conto che si stavano autodistruggendo, il pericolo era sotto i loro stessi occhi, ma lo celavano a loro stessi, e quando si sono accorti che avevano superato il limite, per loro non c’era più speranza, ormai- spiegò Dwigh.
Eva tacque un attimo, poi riprese a parlare: -E voi, voi come vi comportate col vostro pianeta?-
-Noi? Beh, per ora non abbiamo fatto nulla che gli possa aver nuociuto. Temo però che i governanti vogliano imparare troppo dagli umani. Certo, hanno sviluppato tecnologie che noi non riusciamo nemmeno a pensare, ma… ma non vorrei che seguano la loro scia. Ma per ora è presto per parlarne, abbiamo trovato ancora troppo poco. I nostri governanti vogliono solo che colonizziamo il pianeta, per la scoperta delle tecnologie ci sarà tempo- spiegò Dwigh.
Quindi volevano prendere il possesso della terra, pensò Eva. E lei non avrebbe potuto farci nulla. Era sola. Continuò a camminare in silenzio, osservando le rovine e immaginando cosa ci fosse stato prima di esse. Immaginò le verdi praterie nominate da Dwigh, i grandi boschi pieni di farfalle e colori.
Ad un certo punto, Dwigh si fermò.
Davanti a loro s’innalzava un edificio del quale era crollata la parte posteriore, ma per il resto era intatto. Era di un colore giallo chiaro: un grande portone di legno dava l’accesso all’interno della struttura, e due alte colonne di marmo, lavorate e scolpite, sorreggevano la parte dell’edificio antistante l’ingresso.
Dwigh avanzò verso il portone.
Sopra di esso era scolpita una pergamena con inciso qualcosa.
-Cosa significa?- chiese Eva.
-C’è scritto: “scientia potentia est”. Una lingua umana che ancora non conosco. Non so tradurla-
-Gli umani avevano molte lingue- constatò la ragazza, osservando la scritta.
Dwigh le fece cenno di seguirlo. Aprì il portone che cigolò. L’aria dentro l’edificio era fredda, e puzzava di umido e antico.
Eva camminò per i corridoi. I suoi passi rimbombavano tutt’attorno. Osservò tutto ad occhi aperti: il soffitto riccamente dipinto, gli arazzi alle pareti, le statue di marmo, scolpite alla perfezione, il pavimento decorato.
-Cosa rappresentano i dipinti e le statue?- chiese Eva.
-Non lo so. Ma è la tua storia, Eva. È parte di te, parte di ciò che sei. È la grandezza decaduta degli umani-
Eva si guardò attorno, e focalizzò l’attenzione sul mobilio. Alti e larghi scaffali circondavano i corridoi della struttura, e contenevano degli strani oggetti. Eva li accarezzò. Erano ruvidi. Ne prese uno in mano. Era rettangolare, e conteneva vari fogli. Lo aprì e ne spostò alcuni.
-è un libro. Qui è racchiusa buona parte della conoscenza umana. Ciò che conosciamo del tuo popolo, lo abbiamo ricavato da qui. Abbiamo imparato la vostra lingua, abbiamo scoperto la vostra storia e molte cose. I nostri archeologi devono ancora finire di imparare tutto ciò che è racchiuso qua dentro-
-A cosa serve un libro, Dwigh?- chiese Eva.
-A leggerlo-
-Ma io non so fare! Me lo insegneresti? Me ne leggeresti uno?-
Dwigh la guardò e annuì.
-grazie- sussurrò Eva, e gli sorrise, poi istintivamente lo abbracciò.
-Voglio questo. È il primo libro che ho preso. Quello che mi ha attirato- disse.
Trascorsero varie ore immersi in un religioso silenzio, mentre Eva toccava e guardava ogni volume di quella biblioteca. Guardava ogni statua, ogni dipinto, e lo sfiorava con le dita, come se esso potesse parlarle.
Solo verso sera Dwigh disse alla fanciulla che dovevano tornare indietro.
 
 
Eva si sedette sul letto, col libro in mano. Lo sfogliava lentamente, annusando le pagine ingiallite, che sapevano di storia. Osservò la copertina rossa, poi cercò di decifrare i simboli all’interno del volume, inutilmente.
All’improvviso, Dwigh aprì la porta e le si sedette accanto.
-Dammi il libro. Leggiamo un po’- le disse.
Eva gli porse il volume e guardò Dwigh, ascoltandolo, mentre le mostrava le lettere nominandole per nome.
-Adesso iniziamo a leggerlo. Prova a seguirmi- le disse.
Eva annuì.
-In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque-
-Cosa significa?- lo interruppe Eva.
-Presumo sia il libro di una religione umana. Un libro sacro-
-Cosa è una religione?- chiese Eva.
Dwigh aprì e richiuse la bocca.
-Una credenza in uno o più esseri superiori che avrebbero creato la terra o l’universo. Ogni religione ha i propri valori e i propri riti che vanno seguiti- cercò di spiegare.
-E tu hai una religione?-
Dwigh fece spallucce. –Ho smesso di credere tanto tempo fa, quando sono andato in guerra per la prima volta-
-Ma non è stato l’essere superiore a fare quella guerra. Siete stati voi- osservò Eva.
-Beh, sì. insomma, vogliamo continuare e vedere come va a finire?- chiese Dwigh, tentando di evitare l’argomento.
-D’accordo- disse Eva.
-Bene. Dio disse: “Sia luce!”. E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre- Dwigh si arrestò un attimo –Sta spiegando quella che per questa religione è la creazione di questo mondo. Beh, continuiamo. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo. Dio disse: “sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque”. Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno-
-Quindi è stato Dio a creare il cielo e la terra?-
-A sentire questo libro, sì-
-Ed è vero?-
-Secondo me no- rispose Dwigh.
-Non ti ho chiesto se secondo te è vero. Ti ho chiesto se è vero!- protestò Eva.
-Non lo so- rispose l’altro –Dipende se ci credi o meno-
Eva annuì. –Continua-
-Dio disse: “Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l’asciutto”. E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto terra, mentre chiamò la massa delle acque mare. Dio vide che era cosa buona. Dio disse: ”La terra produca germogli, erbe producano seme e alberi da frutto, che fanno sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie”. E così avvenne. E la terra produsse germogli che producono seme, ciascuna secondo la propria specie, e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: terzo giorno. A questo punto, continuiamo domani, Eva-
-Non ti piace proprio, vero?- chiese la ragazza, lasciandosi sfuggire una risatina.
-No, affatto-
-Quindi, prima che gli umani distruggessero tutto, c’erano molti alberi e piante, e fiumi…-
-Esattamente. Questo è vero- disse Dwigh.
-Ancora non capisco perché hanno agito così. Il mondo doveva essere proprio bello!- disse Eva.
-Beh, senza dubbio. Ma vogliamo sempre di più, e nella nostra brama di potere e denaro diventiamo ciechi. È così per gli umani, come lo è per i Dresdan e qualunque altro popolo- disse Dwigh, chiudendo il libro e posandolo sul comodino di Eva.
 
Dwigh se ne era andato, e la ragazza stava sfogliando il libro, quando udì delle urla. Aprì la porta e s’incamminò nel corridoio che conduceva al salotto. Aprì leggermente la porta senza essere notata.
Dwigh e Edith stavano discutendo.
-Stai insegnando all’umana a leggere?- chiese Edith.
-Ti sbagli. Stavamo solo parlando- disse Dwigh, mentre stappava una bottiglia.
-Ti ho sentito. Le stavi insegnando a leggere. Sai cosa stai facendo? I Radas non apprezzerebbero di certo! Pensa se l’umana conoscesse troppo! Potrebbe diventare un pericolo!- gridò la serva, alzando le mani.
-Oh ti prego, Edith. Mi sembri tanto Jyak. Come può essere pericolosa una singola fanciulla? Suvvia- rispose il generale, versandosi da bere in un bicchiere di vetro.
-Oh, potrebbe, potrebbe! Pensa se riuscisse a fuggire, andare in quel suo covo e a “riprodursi”! Avremmo un’altra guerra! Sei un incosciente!- gridò la serva.
-Sai, Edith, io sono un padrone magnanimo. Ma non devi dimenticare che tu sei una serva. Potrei scacciarti da casa condannandoti a vivere una vita di stenti, o potrei anche farti uccidere. Un altro lo avrebbe già fatto, non trovi? Quindi cerca di usare più rispetto- disse Dwigh, irritato dalla condotta della sottoposta, che guardò in terra, imbarazzata. Aveva superato un limite.
-Perdonatemi- balbettò.
-Già fatto- disse Dwigh, facendo un cenno con la mano e assaporando la bevanda.
-è solo che… che penso che stiate trascorrendo molto tempo con l’umana. Troppo. E temo che qualcuno possa pensare male, ecco. Possa pensare che vogliate tradire il vostro popolo, cosa che non fareste mai- rispose la donna, imbarazzata.
-O piuttosto- rispose Dwigh avvicinandosi a lei, e a quel punto Eva si nascose meglio, - pensi che io stia passando troppo tempo con lei e che nutra dei sentimenti che vanno al di là degli interessi accademici e scientifici nei suoi confronti, sentimenti che invece vorresti che provassi per te-
La donna indietreggiò, in palese difficoltà.
-No, signore. Cosa pensate?-
-Non sono certo l’ultimo arrivato-
-Vi sbagliate, vi sbagliate. Io non sono gelosa della ragazzina. Quello che ho detto corrisponde a quello che penso-
Dwigh assunse una strana espressione, poi si voltò per caso di lato.
-Oh, Eva. Vieni pure. Non interrompi nulla. Volevi chiedermi qualcosa?-
Eva sospirò. La aveva vista. Avanzò lentamente. –No. Io… avevo solo un po’ di fame- mentì, e si diresse verso la dispensa. Doveva stare più attenta.
Quindi Edith si era innamorata di Dwigh. E probabilmente lui non ricambiava. Ecco perché era così scontrosa con lei!
Eva si voltò indietro, ma la serva se ne era andata.
Era curiosa di vedere i nuovi sviluppi.
 

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Capitolo 9
*** Una nuova costruzione umana ***


             †Una nuova costruzione umana†
 
 
 
 
 
Eva si destò presto la mattina seguente. Era l’alba e i raggi dorati del sole le accarezzavano il volto. Si stiracchiò, guardando il soffitto. Anche quel giorno doveva andare da qualche parte con Dwigh: a quanto pareva egli voleva insegnarle ciò che sapeva sulla sua civiltà d’appartenenza. Eva si sedette sul letto e aprì la finestra. Osservò il panorama grigio e tetro. Davvero una volta il mondo era verde e bello? Davvero una volta fiumi solcavano la terra e piante crescevano rigogliose? Davvero l’uomo aveva distrutto tutto questo? Doveva sapere di più, Dwigh aveva ragione. E gli doveva chiedere anche molte altre cose.
Si alzò dal giaciglio e si specchiò. Trovava buffo poter vedere la sua immagine riflessa in uno specchio. Accarezzò la superficie con una mano. Non aveva mai visto il suo aspetto. Si trovava carina. Ma vedere la sua immagine riflessa le faceva pensare nuove e vecchie domande su di lei, la sua identità e il suo destino. Sospirò e si allontanò. Prese l’abito e si vestì. Doveva essere puntuale: Dwigh non aveva tempo da perdere.
Entrò silenziosamente in cucina, dove Edith stava servendo da mangiare al padrone. La Dresdan lanciò un’occhiata di fuoco a Eva. La detestava fin nel profondo, era chiaro. La ragazza si sedette accanto a Dwigh e gli sorrise.
-Come hai dormito?- le chiese lui.
-Bene. Non c’è molto silenzio, ma il letto è caldo e soffice- rispose lei, iniziando a consumare la sua colazione.
Dwigh ed Eva uscirono non appena terminato il pasto. I soldati fuori dalla casa fecero subito il saluto militare al loro generale, mentre Eva si guardava attorno, curiosa.
-Siete in tanti perché temete quegli altri alieni?- chiese Eva al suo accompagnatore, che annuì.
-Non siamo gli unici a desiderare questo pianeta. Anche gli Skellin hanno visto un ottimo investimento conquistarlo-
-Volete un nuovo pianeta su cui abitare?-
-Anche. Inizieremo a colonizzarlo, terminata questa guerriglia, e quando fra qualche millennio la terra avrà di nuovo le sue risorse originarie, le estrarremo e diverremo immensamente ricchi. Contiamo di scoprire anche i segreti più reconditi degli umani per potenziare le nostre tecnologie-
-E anche gli Skellin vogliono questo?-
-Certo-
-Beh, il mondo è grande, a quel che ho visto, e ho ragion di credere che ne ho esplorato ben poco. Forse quasi nulla. Potete dividervelo e porre fine alla guerra- osservò la ragazza. Dwigh emise una risatina sommessa.
-Dividere non è nel vocabolario della politica-
-E perché? risolvereste i conflitti! Non sarebbe bello? Niente più morti e ricchezza per tutti!-
-Vedi, Eva, i nostri governanti e la nostra specie, come la vostra un tempo tempo, non vogliono semplicemente essere ricchi. Vogliono avere tutto. E spartire il mondo con gli Skellin significherebbe non avere tutto-
-Ma avreste abbastanza per diventare forti-
-Anche gli Skellin-
-E allora?- chiese Eva, che proprio non capiva.
Dwigh sospirò.
-Ascoltami bene. Sono gli interessi e i giochi di potere a governare la società, più dei governanti. Ammettiamo di utilizzare la tua soluzione: come hai detto tu stessa anche gli Skellin si potenzierebbero e si svilupperebbero. Attualmente solo tre razze, tra cui la mia, sono talmente avanzate da essere ricche e potenti, anche se non come gli umani. Se gli Skellin diventassero più forti, o anche qualche altra razza, sorgerebbero conflitti economici e politici. I loro prodotti competerebbero con i nostri, e potremmo rischiare un collasso economico, non si sa. Gli Skellin potrebbero decidere di volere altri territori, e inizierebbero a dichiarare guerra alla mia specie o alle altre e cadremmo nel caos più totale. So che può sembrare ingiusto limitare la loro conoscenza, non aiutare le razze non sviluppate o in via d’estinzione, ma è così che funziona l’universo, e così funzionava il tuo mondo, Eva. Bisogna indebolire gli altri per rafforzare noi stessi: noi stiamo facendo il possibile perché altre specie non si evolvano per questo. Per mantenere l’egemonia e non cadere nel baratro: dietro la povertà e l’arretratezza di altre razze stanno i nostri interessi e il nostro potere. È sempre stato così dalla nascita dell’universo- spiegò Dwigh.
Eva assunse un’espressione preoccupata e schifata allo stesso tempo.
-Ma loro… gli altri soffrono, e non è giusto, Dwigh! Non può funzionare così!-
-Come credi che abbiano fatto gli umani a loro tempo? Le nazioni più forti hanno mantenuto e accresciuto il loro potere e la loro ricchezza a scapito dei paesi più poveri. E non solo le nazioni, ma anche le industrie, e le corporazioni, e anche ogni singolo individuo. Hanno accresciuto tutto ciò a scapito dei più poveri, dei più deboli e persino della natura-
-Ma è estremamente egoista. E comunque, vedi che fine ha fatto la mia specie a causa di ciò- osservò Eva.
-ti sbagli. Gli umani non hanno avuto la loro fine a causa di ciò. Certo, lo sfruttamento della terra e l’inquinamento hanno avuto un ruolo decisivo, ma vedi, Eva c’è un equilibrio che regola questo universo-
-Equilibrio? Quale equilibrio?- chiese Eva.
-Vedi, Eva, i singoli individui, le corporazioni, le industrie, le società, le nazioni e ogni razza sono come le comete. Nascono, si innalzano sul cielo, arrivano al culmine del loro viaggio, quando sono più belle, e poi iniziano la loro inesorabile discesa fino alla morte. Vedi Eva, noi come singoli individui nasciamo, cresciamo, arriviamo al culmine delle forze ad una certa età e poi invecchiamo, fino a morire. Capiterà a te e capiterà a me. Aspiriamo all’immortalità perché temiamo la morte, ma mai otterremo ciò che desideriamo. Anche le società, le nazioni seguono questo equilibrio, questa legge della vita: nascono, si sviluppano, arrivano al culmine della loro potenza sviluppando tecnologie inimmaginabili e conquistando terre a dismisura, e poi declinano, fino a scomparire. Così hanno fatto gli umani: sono nati, hanno imparato a usare il fuoco, hanno creato la ruota, si sono uniti in tribù e poi in città, infine in nazioni, hanno conquistato terre, ciascuna nazione ha avuto il suo apice, hanno sviluppato tecnologie, inventato astronavi, teletrasporti particellari, cure perfette e molti altri miracoli. Poi hanno terminato le risorse. Hanno destabilizzato l’equilibrio della terra e hanno iniziato la loro discesa verso la morte. Così è successo agli umani. Così accadrà ai Dresdan e anche agli Skellin, per quanto cerchiamo di limitare il processo. Ma dopo ogni fine c’è un nuovo inizio: dopo la fine degli umani ci siamo sviluppati noi, dopo ogni morte c’è sempre una nascita, dopo ogni crisi c’è sempre una rinascita, dopo ogni rinascita c’è sempre una crisi, come in un moto oscillatorio. E noi non potremmo mai spezzare questo equilibrio, per quanto tentiamo-
Eva rimase ad ascoltare il Dresdan a bocca aperta. Anche se non le piacevano, quelle parole la convincevano. Però lei era lì. Che spiegazione c’era a questo?
-Andiamo, adesso- le disse Dwigh, e lei lo seguì in silenzio.
Giunsero in un luogo che lasciò meravigliata la ragazza. Erano le rovine di una città, ma erano stranamente ben conservate. Poteva vedere le candide colonne di marmo di un edificio bianco, v’erano alcuni cartelli davanti a strutture. In una casa c’era una finestra aperta, e le strade erano ancora ben visibili.
Eva ne percorse una, guardandosi attorno, meravigliata.
-Era una città umana. È piccola, molto piccola, ma è stata ben conservata. Alcuni ritengono che in realtà sia una piccola porzione di una città più grande, che arriva persino dove siamo collocati noi- disse Dwigh.
Eva fece il giro della piccola città, e si fermò soltanto quando vide un edificio del tutto diroccato con alcune panche all’interno. Si avvicinò ad una di esse e vi si sedette. Erano di legno.
-Cos’è questo edificio?-
-Gli archeologi dicono che era una sorta di… tempio umano-
-Tempio?-
-Dove si adorano gli dei- spiegò Dwigh.
-Qui leggevano il mio libro?-
-Probabile-
Eva proseguì all’interno dell’edificio e vide due sbarre di legno posate per terra, una accanto all’altra.
-Guarda, Dwigh! Sul mio libro c’è una croce! Forse queste due barre la rappresentavano?-
-Può darsi-
-Che peccato, sono rotte- osservò eva, con una nota malinconica nella voce, poi gli si illuminarono gli occhi.
-Dwigh! Ho il libro qui con me! Che ne dici se mi insegni a leggere di nuovo, qui?-
-Perché proprio qui?-
-Rende l’atmosfera-
Dwigh sospirò. -Speriamo migliori. Siediti su questa panca, accanto a me-
Eva ubbidì e gli diede il libro.
-Dio disse: “Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per le feste, per i giorni e per gli anni e siano fonti di luce nel firmamento del cielo non l’aveva già detto? Per illuminare la terra-. E così avvenne. E Dio fece le due fonti di luce grandi: la fonte di luce maggiore per governare il giorno e la fonte di luce minore per governare la notte, e le stelle. In realtà la luna è un pianeta, ma insomma…-
-Un pianeta? Ma fa luce!-
-è un satellite, Eva. È un pianeta che gira attorno alla terra, perciò è chiamato satellite. E sembra che sia una sorta di stella perché pare faccia luce, ma in effetti rispecchia solo quella del sole-
-E perché allora c’è scritto che è una fonte di luce?-
-Si vede non sapevano che era un satellite-
-E allora perché scriverlo?-
-Oh, Eva! È un libro di religione scritto  millenni d’anni fa, non di scienza. Se credevano in un dio, potevano benissimo credere che la luna sia una stella-
-Ma non c’è scritto che la luna è una stella- osservò Eva, riflettendo.
-io leggo così-
-No, c’è scritto che è fonte di luce. Forse sottintendevano che è un satellite. In effetti, è fonte di luce, visto che riflette i raggi del sole-
-Stai diventando intelligente! Via, continuiamo, prima si fa e meglio è. Dio le pose nel firmamento per illuminare la terra e per governare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno. Dio disse: -Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo-. Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati, secondo la loro specie-
-Che cosa sono gli uccelli? E i pesci? Come mai non li vedo?-
-Gli uccelli sono animali con le ali, c’è anche scritto, Eva. E i pesci sono esemplari che vivono nell’acqua. Non li hai mai visti perché sono tutti morti a causa dell’uomo-
-Davvero?-
-Sì. sacrificati per la brama di potere-
-Che cosa brutta…- osservò Eva.
-Continuiamo. “Dio vide che era cosa buona. Dio li benedisse: ”siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra”. E fu sera e fu mattina: quinto giorno. Dio disse: -La Terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici, secondo la loro specie-. E così avvenne. Dio fece gli animali selvatici, secondo la loro specie, il bestiame, secondo la propria specie, e tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona. Preparati, Eva. Qui sotto vedo una cosa interessante-
-Cosa?-
-Presto lo saprai-
-Io ho visto degli animali-
-Cosa?-
-Sì! e anche i fiori! Un giorno ti ci porterò!-
Dwigh la guardò, incredulo, poi scosse la testa, pensando che la ragazza avesse visto tutto ciò solo in un sogno.
-Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del ciel, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra-
-A immagine? Somiglianza? Cosa significa, Dwigh?-
-Non ne ho idea. Forse il dio degli umani aveva le loro sembianze. O forse significa che conferisce il potere di dominare agli uomini similmente a quanto fa lui-
-Dominare- sussurrò  Eva. -Quindi gli umani avevano il diritto di fare tutto ciò?-
-Forse così lo hanno giustificato- ipotizzò Dwigh.
-O forse hanno ecceduto nel loro diritto-
-Anche. E dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra” bene. Ha descritto la nascita dell’essere umano-
-Maschio e femmina. Io dovrei essere una femmina, giusto? Perché non è stato salvato un maschio?-
-Perché non avevano modo di farlo riprodurre- spiegò Dwigh.
-Giusto. Quindi, a sentire il libro, la terra ci è stata donata da Dio-
-A sentire il libro, sì. vi è stata donata. Ma è solo un libro. Propongo direttamente di guardare qualcosina sugli umani, tralasciando qualche pezzo-
-Se vuoi…- rispose Eva, leggermente contrariata. Dwigh non se lo fece ripetere due volte.
-Il Signore Dio prese l’uomo e lo portò nel giardino dell’Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, dovrai morire. Fammi indovinare: questo tipo lo mangia e così è venuta la morte E il Signore Dio disse: -Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda-. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse dall’uomo per vedere come li avrebbe chiamati. Saltiamo qualche pezzo, questo non mi interessa. “Allora Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolto all’uomo, una donna e la condusse all’uomo […] L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi-
-Si chiamava come me!- esclamò la ragazza -Secondo me mi hanno chiamato così volontariamente? Oppure è stato un caso?-
-Non ne ho idea. Ora torniamo a casa, Eva- disse sbrigativo Dwigh.
Così lei si chiamava come la prima donna. In effetti, anche lei rappresentava la prima femmina umana dopo la scomparsa della sua razza. Era una nuova Eva, con la stessa missione, forse. Ma era prescelta a seguirla oppure poteva scegliere un’altra via?
Era immersa nei suoi pensieri, quando un boato la riportò alla realtà.

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