Rise of the Fallen King

di Il Conclave
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** (Blaise) Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** (Galerian) Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** (Asheryl) Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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~ Prologo ~
 
Si narra che millenni e millenni orsono, quando l’Impero Enthariano ancora era ben lungi dal nascere e le genti di Aenther vivevano disunite nella barbarie, su quelle terre ancora desolate, il Drago Primordiale squarciò il Vuoto e si mostrò al mondo. Le sue squame rifulgevano come il sole e le genti della terra lo chiamarono Kaish, “Lo Splendente”.
In quella lontana era di oscurità un duello si stava compiendo dall'alba dei tempi: Lyndranel il Luminoso Creatore e Merevath il Maledetto si fronteggiavano ininterrottamente; nessuno dei duellanti era riuscito a prevalere, e Aenther, devastata dal divino, inesauribile scontro, avvizziva e appassiva giorno dopo giorno e notte dopo notte.
Lyndranel, stremato dall’infinito conflitto contro l'eterna nemesi, straziato dal dolore e dalla distruzione che stava provocando alla Sua amata terra, implorò il Drago Primordiale di scendere in battaglia al Suo fianco. La forza di Kaish era incommensurabile, e Lyndranel era certo che con l'aiuto di un potere così sconfinato da squarciare il velo tra i mondi Merevath sarebbe infine stato sconfitto.
Kaish lo Splendente accettò. Amava Aenther fin dal primo momento in cui le Sue ali ne avevano solcato gli azzurri cieli, e aveva deciso che avrebbe sacrificato anche la Sua stessa vita pur di impedire con tutte le Sue forze che Merevath la distruggesse e sterminasse le sue genti.
Fu così che il Drago Primordiale scese in battaglia a fianco del Luminoso Creatore. Per ventitré giorni e ventitré notti il furioso combattimento imperversò, strappando il cielo a brandelli, capovolgendo la terra e infuocando i mari: pochi tra i popoli della terra furono abbastanza fortunati da sopravvivere al cataclisma divino.
Ma infine, proprio nell'istante in cui Merevath parve prevalere, Lyndranel e Kaish evocarono un colossale incantesimo, come mai prima era stato fatto da alcuno. E così il Maledetto fu strappato dai cieli e gettato negli abissi del Vuoto fra i mondi, sigillato per l’eternità.
Poco tempo passò, e già Aenther era ritornata a splendere rigogliosa e ridente come mai era stata: le genti della terra sopravvissero; ricostruirono le città distrutte, ne fondarono altre di nuove, si estesero ai quattro angoli del mondo e si avviarono verso una nuova, luminosa era.
Lyndranel allora sentì la fine del Suo compito giungere, ora che Merevath non poteva più nuocere alla fulgente Aenther. Nella Sua sconfinata saggezza e amorevolezza, volle lasciare alle genti della terra un ultimo dono: una guida, una Guardiana che regnasse in Sua vece. Ancora, per l'ultima volta insieme, Kaish e Lyndranel evocarono una grandiosa magia. Colei che ne fu forgiata possedeva le qualità di entrambi: era stata creata dal sangue del Drago perché fosse forte, e dalla luce del Creatore perché fosse gentile. Così Lyndranel e Kaish lasciarono in eredità ad Aenther Azaerien, la Guardiana.
Ma le genti della terra erano ancora sparpagliate e sperdute, divise dalle rivalità e dalle guerre, così aspre  da impregnare Aenther tutta del loro sangue. Commosso dalla sofferenze delle sue genti, Kaish donò loro un governo infondendo il Suo sangue in una stirpe di uomini perché brandisse il potere e lo reggesse con giustizia e lealtà. Lyndranel invece fece loro dono dei sacerdoti, mostrando ad alcuni uomini la via della conoscenza.
E quando grazie alla guida dei due Dèi i popoli della terra si sparsero per tutta Aenther, Azaerien, con il potere conferitole dal sangue di drago, squarciò a sua volta il Vuoto tra i mondi, e offrì alle genti i portali e interi mondi inesplorati al di là. Memore del suo compito di Guardiana, Azaerien modellò da terra, fuoco, acqua e aria creature che la aiutassero nel suo incarico: così nacquero i draghi di Aenther, che conservavano solo un frammento della potenza originaria di Kaish – il Drago Primordiale –, ma che si dimostrarono insostituibili fratelli e fedeli compagni per Entharian.
Assolto il Suo compito e sconfitto il nemico eterno, Lyndranel cadde addormentato tra le pieghe del Vuoto, mentre Kaish scomparve nel nulla, non lasciando traccia alcuna dietro di Sé.
Da allora Azaerien e i suoi sei fratelli minori, divinità della Luce – Guardiani di Aenther nati dal sangue del Drago e dalla luce del Creatore –, osservano e vigilano su Entharian, garantendo giustizia e prosperità a tutte le genti.

 
[La nascita di Azaerien, da Antiche leggende di Aenther; Biblioteca Imperiale di Qaranth]
 

~ • ~


[...] Galerian Linnaeus, primo del suo nome, ascese al potere come tradizione il quindicesimo giorno di Fheran, nell’anno quattrocentosettantasei della Seconda Era imperiale. Succedette al padre Arthurus Linnaeus IV all’età di diciotto anni in un’epoca tormentata da forti instabilità interne. Considerevoli sconvolgimenti si stavano verificando all’interno di Entharian e la morte del precedente imperatore non fece che inasprirne la gravità. Le Orde Oscure potenti come mai erano state prima premevano sui confini di Entharian già da tempo e seppero sfruttare abilmente il momentaneo vuoto di potere. [...]
Il neoincoronato imperatore, nonostante la giovane età, seppe destreggiarsi con accortezza e intelligenza tra le forze in campo e ne uscì vittorioso; la sua autorità ne fu rafforzata e questo garantì un lungo periodo di serenità e pace in cui Galerian, amato dal popolo e benvoluto dai nobili nonostante gli iniziali dissidi, governò con saggezza lasciando un’importante eredità di innovazioni in seguito portate avanti dai suoi discendenti. [...]
Per questi motivi è ancora ricordato come uno dei più grandi imperatori della Seconda Era ed è divenuto un esempio per tutti i suoi successori.

[Frammento da Annali Storici, Seconda Era, libro XL; Archivio imperiale Linnaeus di Kherya’No Aideran]
 

~ • ~

[...] Il primo dei Mondi Esterni che Entharian colonizzò fu Chéylan, annesso l’anno trecentododici della Prima Era. In quell’epoca gli abitanti erano numericamente inferiori e sparsi nelle molte isole che ne compongono le terre emerse e non offrirono che una blanda resistenza: l’annessione avvenne infatti pacificamente in accordo tra il re di Chéylan e l’imperatore dell’epoca, Flavius Seoraan IX.
[...]
Il primo contatto con gli Aersteri avvenne alla fine della Prima Era, ma solo durante la Seconda Era tale reciproca conoscenza andò oltre la mera consapevolezza dell’esistenza altrui. A differenza delle  maggior parte delle genti degli altri Mondi Esterni, il loro popolo aveva già una cultura molto avanzata, soprattutto nello studio di una magia che gli abitanti di Entharian non avevano mai incontrato. La loro cultura, così diversa da quella di Entharian, attrasse fin da subito sacerdoti itineranti che si recarono sul posto per studiarla in tutte le sue sfaccettature. Naturalmente, gli Aersteri non videro di buon occhio quegli estranei venuti da un mondo con cui non desideravano avere contatti; così come non apprezzarono l’esser trattati come inconsuete e interessanti creature esotiche.
[...]
Tutt’altra cosa sono gli ultimi due Mondi Esterni: pochi sono tornati dalle esplorazioni oltre gli avamposti di guardia conquistati appena fuori i portali; costoro raccontano di creature mostruose e luoghi impervi, inospitali e refrattari alla vita umana. Uno dei due mondi, di cui gli esploratori hanno raccolto una discreta quantità di informazioni e persino redatto una mappa approssimativa delle zone al di là delle installazioni militari di controllo, è ricoperto da una fitta foresta lussureggiante che presenta molte specie vegetali e animali ancora sconosciute. Del secondo, invece, si hanno informazioni tuttora scarse, ma viene descritto come un luogo infernale, molto caldo e completamente desolato, solcato da crepe in cui scorre fuoco liquido e dall’aria irrespirabile e bruciante. Solo la magia dei sacerdoti preserva i valorosi soldati stanziati di guardia in quelle lande orride e terribili.

 
[Frammento da Geografia dei Mondi Esterni del sacerdote itinerante Joakyn Elayan; Biblioteca del Tempio Lucente, Qaranth]





 
~ Note dell'autore ~
Buonasera, gente di EFP ^^
Sono Cygnus_X1 e vi ringrazio per aver dato fiducia a questa storia abbastanza da arrivare fin qui!! Questa è una storia scritta a dieci mani da me, Aurelianus, Destyno, Himenoshirotsuki e the Matrix Restored, che compariranno nei prossimi capitoli. Il prologo è volutamente incomprensibile... e speriamo che vi sia piaciuto!
Alla prossima!
Vy

 

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Capitolo 2
*** (Blaise) Capitolo 1 ***


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~ Capitolo 1 ~
~ Blaise ~
 
Un giglio di montagna. Petali del colore delle fiamme, screziati di rosso scuro, arricciati alla punta. Un calice capiente e lunghi pistilli profumati. Al buio sembra brillare, come se il fuoco dei petali ardesse davvero al loro interno.
Il cielo è scuro, madido, pesante. Una sola zona chiara, color porpora, a contatto con l'orizzonte, denuncia la presenza di un sole sanguinante.
Un'ombra nera contro il cielo nero emerge dall'alto della cortina di nuvole. Squarcia il cielo da occidente a oriente, prima di puntare verso il fiore.
A oriente sorge un'altra ombra, una viverna, la quale si lancia tra stridii furiosi contro la prima ombra, più nera del nero.
Il fuoco all'interno del giglio sembra pulsare, come in apprensione, mentre le due figure lottano nel cielo. Non passa molto tempo prima che la viverna abbia la peggio e sprofondi con un sibilo nel mare di nuvole. La fiamma a questo punto erompe dal calice del giglio, come lapilli dal cratere di un vulcano, e da esso emerge un piccolo drago.
Blaise si svegliò nella sua tenda da campo, con impressa nel cervello l'immagine del piccolo drago sovrastato dall'ombra nera. Dato che mancava poco all'alba decise che si sarebbe alzato, vestito e che avrebbe cominciato a svolgere i propri compiti sebbene a quell'ora solo gli scudieri e alcuni soldati di basso rango fossero già svegli e attivi.
Accese la lampada ad olio appesa alla branda e scattò fuori dalla coperta di lana con una rapidità quasi nervosa. Quando la tenue luce arancio si spanse nel piccolo ambiente disegnando soffici ombre e danzanti punti di luce, il colossale mastino accucciato in un angolo della tenda mosse un orecchio e torse il collo in modo da nascondere gli occhi tra la zampa muscolosa e la possente cassa toracica.
Prima ancora di rivestirsi, Blaise snodò il laccio che teneva chiusa la piccola apertura posteriore della tenda, lasciando che l'aria viziata uscisse e che un lieve spiffero fresco penetrasse all'interno. Piegò minuziosamente quanto rapidamente la coperta e la ripose ai piedi della branda, subito prima di drappeggiarsi un ampio mantello di lana di uri sulle spalle, a diretto contatto con la pelle nuda.
 
~ • ~
 
Fu negli abiti tipici dell'antico popolo dello Chéylan che apparve agli occhi dei pochi già attivi nel campo – larghe brache a quadri rossi e blu fermate alla vita da un cinturone di cuoio grezzo con una fibbia a spirale e lungo tutti i polpacci con una striscia di pelle arrotolata stretta a mo' di stivali, torso nudo e spalle coperte dal mantello marrone impreziosito di minerali ferrosi lungo gli orli. Quando si trovava nel suo mondo natale amava distaccarsi dai costumi Enthariani, nonostante dopo lunghi secoli di dominazione pressoché diretta la maggior parte della cultura del suo popolo fosse stata assorbita dal Drago. L'unico aspetto che lo legava all'impero era il bracciale argentato con l'effigie del drago incisa al centro.
Si avviò verso il torrente in fondo alla valle nella quale era stato piantato l'accampamento, deciso a sfruttare l'anticipo per godersi un bagno freddo nelle acque pure che scendevano dai picchi. Attraversò la vasta distesa di tende e i pochi padiglioni seguendo silenzioso come un'ombra lo stretto sentiero scavato nell'erba dell'alpeggio subito dopo aver posto il campo. Incrociò un giovane scudiero proveniente da Aenther, il Mondo Centrale, tutto imbacuccato in un pastrano di lana grezza, che trasportava a spalle un barile dall'aria particolarmente pesante rincagnando la testa nelle spalle per tentare di scaldarsi. Il ragazzo, non appena ebbe notato la pelle nuda del petto di Blaise attraverso la semioscurità, spalancò gli occhi e affondò, se possibile, ancor più la testa nella lana. Il pregiudizio che faceva degli Chéyl selvaggi prossimi a bestie agli occhi della razza umana era radicato almeno quanto quello – tipico dello Chéylan – secondo cui quest'ultima fosse composta da donnicciole senza fegato.
Gli Chéyl, popolo di cacciatori e guerrieri dei passi montani e delle fredde coste pietrose, erano abituati a temperature basse e climi rigidi, e, secondo le tradizioni più antiche, esibivano il torso nudo anche durante la tempesta. Vero era che a quei tempi pochi seguivano la tradizione, uniformandosi ai costumi imperiali: era assai probabile che il giovane Enthariano non avesse mai visto nulla del genere. Blaise si chiese cosa avrebbe pensato nel vederlo nuotare a quell'ora nell'acqua prossima al congelamento.
Subito fuori dalla palizzata eretta – più per permettere una rapida preparazione ai soldati che per una vera e propria difesa – attorno al campo, il fiumiciattolo incontrava un lieve avvallamento, formando così una piccola polla limpida. Questa veniva sfruttata da tutti per i bagni e i lavaggi di indumenti, ed era quindi spesso affollata. Tuttavia Blaise sapeva che fino al sorgere del sole la sua intimità sarebbe stata al sicuro.
La valle si inerpicava verso est su un imponente massiccio, aprendosi la strada attraverso la montagna a partire da una larga valle glaciale, fino a incunearsi tra due affilati picchi rocciosi, il Becco del Falcone e L'urna del Sole, in una stretta forcella detta del Gatto Nero.
Il fondo della valle era coperto di vegetazione – erba da pascoli, cardi, eriche, mirtilli, e una miriade di specie floreali diverse – ma al centro, dove sgattaiolava il torrentello, era solcata da una serpentina di sassi e pietre affioranti, ovvero l'alveo del fiumiciattolo stesso.  Di notte, tutti gli effetti cromatici dell'alpeggio erano assorbiti dal blu cupo dell'atmosfera; ora le prime dita di rosa stavano apparendo nella forcella, dal lato dell'Urna, e i colori cominciavano timidamente a comparire. Blaise emerse dall'acqua e si erse sul bordo pietroso, pronto a immergersi nuovamente nella luce solare.
 
~ • ~
 
«Signori, non un'altra parola.»
Mantenere la calma collettiva in quelle assemblee era spesso una questione complicata. Umani e Varek nello stesso posto per troppo tempo, nonostante entrambe le razze fossero incluse tra le truppe regolari dell'impero, non andavano bene; figurarsi se poi essi dovevano discutere strategie di una guerra le cui modalità non erano proprie né agli uni né agli altri. Dopotutto, erano soldati imperiali. L’elasticità mentale non era il requisito fondamentale che Sua Vanagloria Galerian ricercava nelle sue truppe.
«Silenzio, ho detto!» rincarò, con voce profonda ma senza sbraitare, senza apparire turbato. Pochi occhi lo guardarono, la maggioranza dei presenti nel padiglione continuò a dibattere rumorosamente.
La sua mano era posata sulla pelle morbida tra le orecchie di Valier, il suo mastino. Egli non smise di accarezzarlo pacatamente con i polpastrelli, fino a quando la confusione non lo ebbe irritato oltremodo. A quel punto si limitò a irrigidire la mano e dare un colpetto sulla nuca del cane, il quale balzò in alto, atterrando – con una naturalezza tale da non rovesciare nulla nonostante il proprio peso – tra le carte e i pochi strumenti di scrittura sul tavolo al centro del padiglione. Con un ringhio minaccioso sgomentò i generali stranieri, e ridusse al silenzio quelli che, facendo parte dell'armata di Blaise da tempo, già lo conoscevano.
Quando i generali furono finalmente silenziosi, Blaise si stupì di quanto esiguo fosse il loro numero. Era incredibile quanta confusione potessero fare così poche persone, e quanto numerosi potessero sembrare.
Per pochi istanti, lasciò che le proprie orecchie si godessero il silenzio. Valier smontò dal tavolo con le movenze di un fantasma, spargendo attorno gelide occhiate eloquenti.
«Capitano Fergus» riprese con tranquillità, rispondendo al rappresentante dei Varek che, ponendo la sua obiezione, aveva scatenato il putiferio di poco prima. «Il nocciolo del problema sta proprio qui. I ribelli sono al corrente della schiacciante superiorità di questo distaccamento nei loro confronti. Non si metterebbero mai in condizioni di combattimento congeniali per la legione. E no,» aggiunse, voltandosi verso l'ambasciatore umano prima che questi proferisse parola «l'attacco diretto non è fattibile.»
Il quale ambasciatore, tal Claudius Julius Mairestyn, era uno dei più recenti acquisti del nuovo imperatore, e non era difficile per Blaise capire come mai andassero così d'accordo: era supponente e suscettibile tanto quanto il figlio di Arthurus – che Morean avesse cura del suo spirito.
Claudius, com'era prevedibile, protestò. Erano dodici giorni che non faceva altro, precisamente dal momento in cui aveva messo piede fuori dal portale.
«Mi permetto di dissentire, è da escludersi che la legione faccia da esca! Non siamo stati mandati qui a fare da bersaglio per dei selvaggi. Se quei...» esitazione, occhiata fulminea al volto minaccioso di Fergus e immediato cambiamento di rotta «... voglio dire, se i Varek conoscono l'esatta posizione del loro accampamento, l'attacco frontale resta sempre la strategia migliore!»
Sì, doveva ammettere che, a volte, dover mantenere l'assoluta imperturbabilità propria di un generale era difficile.
«Ambasciatore, se non vi dispiace, ritengo di conoscere il mio popolo meglio di voi. Non riuscireste a cogliere di sorpresa un gruppo di Chéyl neanche con una decina di draghi. Inoltre, dobbiamo riuscire a ingaggiarli in numero, e potete star certo che a fronte di un attacco diretto si guarderebbero bene dal farsi trovare tutti assieme. Come ho illustrato meno di mezza clessidra fa, la strategia che abbiamo ideato io, Jéan e Victor è la meno dispendiosa in termini di vite, tempo e risorse. Il nostro scopo è sradicare la ribellione prima che diventi troppo importante, non giocare...»
«È escluso!» interruppe nuovamente. Valier ringhiò lievemente percependo una leggera tensione nella mano posata sulla sua testa, ma Claudius non si rese conto che la minaccia fosse rivolta a lui, o forse ignorò solamente.
«La vostra cosiddetta tattica è un insulto alle truppe e all'imperatore. Non ci faremo bastonare da una manica di barbari per il divertimento di quattro codardi mezzi nudi che temono un attacco diretto. Siete sudditi di Sua Altezza Galerian anche voi, ricordatevelo!»
Blaise guardava l'ambasciatore negli occhi. Aveva smesso di accarezzare la testa del mastino e questi, interpretando il gesto come un segnale non positivo, ora ringhiava più forte.
«Suppongo che non mi sia necessario tediarvi con una lezione di storia sull'alba dell'impero, dico bene?»
«Che diavolo...?» L'esca aveva funzionato; il borioso umano era troppo orgoglioso di sé e della propria razza per comprendere il riferimento all'umiliazione subita secoli prima dagli umani, e questo lo aveva destabilizzato, rendendolo più vulnerabile.
«Ritengo personalmente che se Chéylan non è una provincia come le altre ma è l'unico alleato di Aenther non lo dobbiamo al caso, non siete d'accordo? E non siete forse d'accordo anche sul fatto che grazie agli attacchi alle spalle i berseker Chéyl, sfruttando il loro territorio, abbiano macellato migliaia di legionari in armatura pesante mentre essi tentavano assalti frontali come quello che voi state proponendo? La vostra tecnica non ha conquistato questo mondo ieri, Mairestyn, né oggi vincerà questi ribelli. Ora scegliete voi, le alternative sono subire un'imboscata a cui siamo preparati, oppure subirla mentre ci affanniamo ad assaltare un villaggio da cui tutti sono preventivamente fuggiti.»
Chiunque altro in quel padiglione si sarebbe astenuto dal proseguire oltre, ma era evidente che Claudius non abbondasse della ormai rara dote della diplomazia. La sua fortuna fu che Blaise al contrario ne era provvisto fin troppo. In seguito si sarebbe complimentato con se stesso per non aver messo mano alla sciabola.
«Capitano, riporterò alla vostra lacunosa memoria due semplici fatti. Il primo, per la sesta volta in due clessidre: conosco le tattiche e le possibilità del mio popolo meglio di qualsiasi generale entheriano. Il secondo invece è più semplice da capire, forse, persino per voi: se a dirigere questa spedizione il nostro venerato imperatore ha posto me, e non voi – Blaise, non Claudius – ritengo che una seppur minima ragione debba esserci.»
L'umano mangiò la foglia e si decise una buona volta a smettere di protestare, senza tuttavia astenersi da un'occhiata furiosa in direzione di Blaise.
«Bene, signori» disse il comandante di spedizione «dato che non ci sono obiezioni sostanziali propongo una votazione. Quanti concordano con me?»
Cinque mani si alzarono nel silenzio generale. Victor, Jéan, Fergus, Ailynn e lui stesso, contro Claudius e il suo secondo, il comandante dell'altra metà della legione imperiale – uno smidollato, incapace di prendere una decisione per conto proprio.
«Non ci sono dubbi» concluse, celando la sua soddisfazione come al solito dietro una maschera algida. «Ora ricapitolerò la nostra strategia nei dettagli.»
Ripescò da sotto la confusione presente sul tavolo una carta geografica delle montagne intorno al loro accampamento.
«Sappiamo che i ribelli conoscono approssimativamente la posizione del campo, per cui sarebbe più che lecito un nostro spostamento di truppe. Fergus ha già mandato in azione le sue spie» Blaise si voltò verso il tarchiato Varek in cerca di conferma e questi asserì «che faranno discretamente trapelare la notizia. Quindi, sposteremo le truppe lungo la Strada dei Serpenti.»
Si fermò per qualche secondo per mostrare sulla mappa la via: niente di più di una strada in terra battuta che si srotolava tra le montagne.
«E qui» proseguì, indicando un punto in cui il percorso si stringeva a causa di due monti molto vicini «prepareremo una trappola. La strettoia tra il Coltello di Pietra e la Corona crea un'ottima posizione per un'imboscata, inoltre il versante del Coltello è molto impervio e pressoché impraticabile per chiunque non sia un Chéyl; noi sfrutteremo questo dettaglio per attirare là gran parte delle forze ribelli e trasformare una situazione di vantaggio per loro in una nostra superiorità schiacciante.
«Dovremo far credere loro che tutto l'esercito si stia spostando lungo la strada. Ovviamente per raggiungere questo scopo lo spostamento avverrà di notte; abbiamo la luna in nostro favore poiché tra quattro giorni sarà oscurata. In realtà la colonna sarà composta solo dalla legione umana e un reparto di Chéyl capitanato da Victor, e sarete divisi in avanguardia, colonna principale e retroguardia. Dovrete disporvi in modo da occupare spazio anche per il resto dell'esercito: l'illusione è tutto.
«Secondo i nostri calcoli l'avanguardia oltrepasserà la terza propaggine della Corona due clessidre prima dell'alba. Ailynn, quando vedrai le torce dei primi soldati dalla postazione dovrai dare il segnale agli altri druidi e alzerete la nebbia. Questo manterrà la copertura.» L'esile maga annuì.
«Io starò sulla Corona con il mio reparto di Chéyl e metà degli astati Varek. Jéan sarà dall'altra parte con il resto dell'esercito. Quando la colonna principale passerà attraverso la strettoia, i ribelli attaccheranno dai due monti – perché lo faranno, sono del mio popolo e so come si comporteranno, Claudius» aggiunse con tono leggermente annoiato anticipando le obiezioni dell'ambasciatore.
«A questo punto scoppierà la battaglia vera e propria, i legionari dovranno solo resistere e ricompattarsi – e questo nessuno meglio di loro lo sa fare –, e quando la carica dei ribelli si infrangerà contro i vostri scudi, io e Jéan scenderemo dietro di loro per coglierli alle spalle. Nel frattempo avanguardia e retroguardia si chiuderanno verso la strettoia per impedire agli eventuali fuggitivi di farla franca. Così voi imperiali combattete su un territorio consono alle vostre abitudini e i ribelli sono sconfitti; siete soddisfatto, Mairestyn?» concluse con ironia velata il generale.
L'umano grugnì qualcosa di incomprensibile.
«Perfetto, ora che abbiamo l'approvazione ufficiale dell'Impero posso dichiarare che la riunione è sciolta. Che Denean vegli sulle nostre imprese.»
 
~ • ~
 
La valle era inondata dal sole del tardo mattino. Il tessuto delle tende, madido dell'umidità notturna, era riscaldato dai raggi dell'astro, e da esse si levavano bianche colonne evanescenti di vapore, sfavillanti di riflessi dorati e giochi luminosi degni delle favole sui folletti e le fate di quei boschi.
Non erano frequenti giornate come quella, nel clima umido e piovoso dell'isola di Denaiar sulla quale si trovavano. Questo lo metteva nella disposizione d'animo adatta a superare la frustrazione dovuta all'immaturo ambasciatore, e perfino il messaggio che aveva ricevuto da un corriere imperiale pochi minuti prima.
Con Valier che trotterellava allegro al suo fianco sinistro, lanciandosi di tanto in tanto contro qualche insetto o qualche piccolo animaletto, e il capitano Victor, il suo secondo, che camminava alla sua destra, il comandante si decise a esporre la situazione.
«Devo partire.»
Parlarne così, alla vigilia di una battaglia così importante, lo metteva a disagio. Non voleva essere un codardo, lasciare che i suoi uomini morissero al suo posto mentre lui si trovava a fare da balia a uno sciocco supponente eccitato per essere seduto sul trono di un imperatore. Si passò una mano tra i capelli rasati sulla tempia, e spostò la lunga cresta da un lato all'altro della testa con un gesto secco, tradendo così la sua soggezione.
L'amico, uno Chéyl alto e affilato – persino per gli standard della razza – dai lunghi capelli biondo-rossicci e due occhi a mandorla di un colore ordinario, lo guardò basito per poi sfoggiare un sorriso perplesso e domandare: «Partire? Dopo la battaglia? Neppure sappiamo come andrà...»
«Oggi» lo interruppe amaro Blaise. «Oggi stesso.»
Quello spalancò la bocca. Era una persona tanto plateale quanto era contenuto e controllato il suo diretto superiore e amico. «E per dove, di grazia?»
«Dal nostro imperiale amicone.»
«Claudius-ti-assedio-io-i-ribelli? È qui, non serve partire per trovarlo!»
Blaise represse a fatica un sorriso, e istintivamente si voltò alle spalle per assicurarsi che il dignitario umano non fosse nei paraggi. Victor si comportava come un adolescente, a volte, ma per fortuna sapeva quando era il caso di fermarsi.
«Dovresti puntare più in alto, mio caro.»
«Più in alto di quello? Stando a lui, impossibile.» Il capitano rise alla propria stessa battuta.
«Probabilmente è così, in effetti. Ma io mi riferisco a Galerian.»
Per poco, Victor non si soffocò. «L'Imperatore-sommo-e-supremo-di-tutti-i-popoli-e-i-mondi-esistenti-ed-esistiti? Sembra che abbia imparato come si cammina a due gambe quindi.»
Prima o poi quell'incosciente avrebbe finito per farsi decapitare – o per lo meno ridurre a giullare.
«Lui. Mi vuole per un gran consiglio.»
Prima che potesse pronunciare una nuova battuta, Blaise lo interruppe.
«Sii serio, ora, per favore. Chiaramente anche gli altri saranno a conoscenza della situazione, e cercheranno di aiutarti. Devo lasciarti il comando.»
«A me?» Sguardo spaesato, come qualcuno che si senta dire "Il cielo si è fatto arancio".
«Sì, so che puoi esserne all'altezza. Devi semplicemente concentrarti.»
E così era. Nonostante la sua giovane età e il suo temperamento turbolento, Victor aveva sempre eccelso per capacità organizzative. Anche quando aveva alle spalle un'esperienza di pochi mesi era riuscito a dare consigli e opinioni di notevole importanza. E non più di una clessidra prima aveva dimostrato anche una dose "normale" di diplomazia, considerando quanto irritante fosse la componente umana dell'assemblea. Forse Fergus avrebbe comandato con più tenacia, Ailynn con saggezza, Jéan con l'esperienza di un uomo vissuto... ma nessuno di loro aveva l'elasticità mentale sufficiente a gestire gli imprevisti – che senza dubbio sarebbero accaduti – quanto lui, e soprattutto nessun altro avrebbe accettato un compito simile assegnato così all'improvviso senza subire un tracollo nervoso.
Infatti, dopo un attimo di intensa attività cerebrale, il volto del giovane tornò a illuminarsi.
«Salute, comandante» esclamò, stringendosi bizzarramente una mano con l'altra.

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Capitolo 3
*** (Galerian) Capitolo 2 ***


 

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~ Capitolo 2 ~
~ Galerian ~

 
Galerian Linnaeus, primo del suo nome, supremo imperatore della potente Entharian e sacro officiante di Azaerien si stava beando di delizie oniriche di rara qualità e intensità, quando la luce del sole commise l’imperdonabile insolenza di raggiungere il suo volto, sostenuta, nello sfrontato oltraggio di scuoterlo dal suo piacevole torpore, da una flebile e fresca brezza.
«Vostra Maestà, temo sia giunta l’ora per la vostra sacra persona di interrompere il suo sonno e gloriarci tutti con la sua graziosa presenza» si levò una voce melliflua e affettata, frustrando ogni suo residuo tentativo di prolungare il bel sogno in cui era avvinto.
Il giovane imperatore aprì gli occhi, sbattendoli per abituarli all’aurea luce che penetrava dalla vetrata esposta sul ballatoio. Gettò uno sguardo irritato all’omino del tutto glabro e minuto, ridicolmente ammantato di abiti lussuosi troppo grandi per la sua scarsa presenza, dietro il quale un intero esercito di sguatteri si celava, inquietato – in particolar modo, la graziosa ragazza rea di aver spalancato i pesanti tendaggi. Quest’ultima era abbastanza avvenente da meritare una seconda occhiata: proveniva da Chéylan a giudicare dai suoi tratti somatici e non gli sarebbe dispiaciuto farne una conoscenza più approfondita – in effetti era nel suo diritto, e lo avrebbe di certo esercitato –, il Gran Ciambellano aveva effettuato una scelta oculata nel mandare lei ad aprire le tende: uno sguattero avrebbe passato un brutto quarto d’ora.

«Glabrius, a che ora del giorno siamo, per la sacra Dea?!» sbottò con voce impastata, tentando di ignorare le residue fitte di dolore al capo, conseguenza del carico di vino pregiato giunto in dono da un governatore provinciale in occasione della sua incoronazione, il quale era ormai già intaccato in buona misura.
Il sole si sta levando nel cielo in questo momento, Vostra Maestà: è l’alba,
» proferì cauto l’omuncolo.
Galerian balzò a sedere sul letto, urtando le due ragazze seminude avvolte nelle sue stesse coperte e distese accanto a lui, provocandone così il definitivo risveglio.

«La Vostra sacra persona ha lasciato disposizione affinché fosse destata a quest’ora, giusto ieri» si affrettò ad aggiungere il Ciambellano, arrestando immediatamente i suoi propositi di vendetta.
Galerian sbuffò rumorosamente e si alzò in piedi, lasciando che le coperte scivolassero a terra. Si erse nudo innanzi alla porta finestra spalancata, permettendo che il gradevole venticello di fine primavera lo destasse completamente, e compiacendosi degli sguardi ammirati che le ancelle gli indirizzarono.
Poi osservò divertito Glabrius schiarirsi la voce e riportare all’ordine i domestici; premurarsi di coprire con un mantello intarsiato d’oro le sue spalle scoperte e iniziare ad impartire istruzioni alla servitù, che prese a rassettare la piccola stanza quasi esclusivamente occupata dall’enorme letto a baldacchino.

«Voi due alzatevi in piedi e andatevi a rivestire! C’è molto lavoro da fare» ingiunse aspro alle due attraenti fanciulle distese ancora nel letto, battendo le mani con veemenza.
Le ragazze lanciarono all’imperatore un ultimo sguardo licenzioso poi si allontanarono di corsa ridendo, coperte solo dai lenzuoli. Vedere scuotere la testa al ciambellano con evidente disapprovazione fu alquanto divertente.
Galerian si passò la mano sul tatuaggio d’argento che gli ricopriva il braccio destro, prima di porgerla a Glabrius in persona, il quale, a capo chino,  gli infilò al dito l’anello d’oro del sigillo imperiale; poi altre due ragazze si avvicinarono imbracciando  le vesti ornamentali, proprie della carica di sovrano enthariano.
Prima che potessero accostarsi a lui, due figure ammantate di nero apparvero emergendo dalle ombre e frapponendosi minacciose fra loro e l’imperatore. Il silenzio calò immediatamente nella stanza, tutti i rumori provocati dal rassettamento si interruppero di colpo.
Galerian si volse e fissò i propri occhi sulla coppia di ombre nere, sogghignando.
«Stanno solo porgendomi le vesti, non attentando alla mia vita: lasciateci e tornate quando mi sarò compiaciuto di essere pronto» disse, invitandoli ad andarsene con un gesto annoiato.
Le due figure incappucciate, celate nei mantelli neri che nascondevano completamente il loro aspetto, chinarono il capo e scomparvero in un istante, così come erano venute. Galerian rivolse un caldo sorriso alle due servette, invitandole ad avvicinarsi ancora:
«Perdonate l’eccessivo zelo dei miei demoni, non amano molto gli estranei.»
Le due ragazze si scambiarono uno sguardo poi si avvicinarono per assolvere al loro compito, seguite immediatamente da tutti gli altri servi.
A differenza del consueto, Galerian non indugiò molto nella vestizione divertendosi a spese delle ancelle imbarazzate, ma si abbigliò in breve tempo; per poi uscire sul ballatoio, lasciando a Glabrius l’incombenza di congedare la servitù.
Il ragazzo si appoggiò alla balaustra di pietra e socchiuse gli occhi, permettendo che la luce del sole nascente gli bagnasse il volto per intero, stavolta. Quando era stato incoronato, poche decine di giorni prima, si era traferito in quella stanza, meno lussuosa e grande dei suoi precedenti appartamenti, ma al culmine della torre più alta nel palazzo. Quando si degnava – o se ne rammentava – di levarsi all’alba, amava osservare la capitale mentre l’aurora la raggiungeva.
A differenza di altre città costruite da Entharian, le quali avevano beneficiato dall’enorme splendore e prosperità raggiunte dall’impero, Aideran non era molto vasta. Impressione rafforzata dal fatto che il palazzo imperiale, ricavato nella rocciosa sommità di una maestosa montagna, la dominava totalmente in altezza.
Eppure, malgrado le dimensioni relativamente contenute, Aideran era bella. Eccetto che per il quartiere dedicato agli emissari stranieri, costituito da una moltitudine di splendidi palazzi nei più disparati stili dei popoli a cui erano intitolati, era stata edificata con un particolare tipo di pietra molto chiaro, il quale si accendeva d’oro se colpito dal sole durante l’aurora e il crepuscolo.  
L’imperatore lasciò scorrere lo sguardo sui torrioni, sulle torreggianti statue, sulle abitazioni, sui teatri e le sedi dei mercati, sino a raggiungere le leggiadre ed eleganti mura scintillanti, piccole e insufficienti per resistere ad un assedio; ma Entharian controllava quel mondo, e innumerevoli altri, da così tanti secoli che nessun nemico avrebbe potuto sperare di raggiungere la capitale in tempo per la fine di ogni era. Guardandole con occhio critico, Galerian decise che avrebbe abbattuto alcuni borghi fioriti a ridosso della cinta e ne avrebbe fatte costruire di più grandi e alte prima o poi, consegnando ai posteri un altro motivo per cui sarebbe valsa la pena di osannarlo e incensarlo nei millenni successivi – prima aveva in programma di conseguire un altro paio di obbiettivi per i quali avrebbe ricevuto gloria imperitura.
Come ultimo traguardo della sua contemplazione, ormai divenuta immutabile come un rituale, puntò gli occhi sulle campagne fuori le mura, abbracciandone le verdi e dolci forme: fertili e gravide pianure punteggiate da innumerevoli villaggi e cittadine circondate dalle coltivazioni si riflessero nelle sue iridi, Galerian sapeva che si estendevano per quasi mille leghe in ogni direzione, susseguendosi in uno schema identico senza variazioni, finendo col esaurirsi nel piccolo braccio di mare che divideva il continente centrale da quello meridionale. Solo il settentrione costituiva un’eccezione, anche senza l’ausilio di alcun strumento di osservazione la sagoma della grande catena montuosa che attraversava Aenther da parte a parte era ben visibile.
In effetti, da quando era stato incoronato il mese precedente, il sovrano aveva notato che la sua vista si era in qualche modo affinata. Per questo osservare notando i dettagli non costituiva un problema, nemmeno a quella distanza.
Eppure, quel giorno aveva un motivo in più per contemplare i suoi domini. Abbassò lo sguardo, cercando e trovando poco fuori la cinta muraria l’enorme e artistica struttura del portale, costruito ad uso esclusivo della capitale: la pulsante luce violacea che ne scaturiva dimostrava chiaramente la natura della costruzione, come se di propria iniziativa intendesse affermare che, malgrado ogni legge naturale prevedesse il contrario, lì la realtà si piegava e solo per il volere di Suo Splendore Azaerien, la Guardiana.
Ma non era la lieve e diafana colonna di luce che si innalzava dalla parte superiore del portale ad attirarlo, piuttosto l’accampamento militare che era sorto nelle immediate vicinanze: un’immensa distesa di tende e provvisorie costruzioni in legno, stalle per gli animali da guerra e soma, oltre che alle grandi scuderie mobili riservate ai draghi, che, in quel momento, stavano salutando il sole nascente librandosi in volo a decine e decine, compiendo ampi circoli sopra gli acquartieramenti della propria armata di appartenenza.
Anche da quell’altezza, e già a così presto, il brulicare di animali, carri e persone era ben visibile; il portale e la strada lastricata che conducevano all’interno della città erano già piuttosto congestionate di proprio conto anche in tempi normali, fra le intense transazioni commerciali e i dignitari in visita con seguito e scorta appresso; con tutti quei soldati in circolazione, la situazione rischiava di sprofondare nel caos più completo. Fortunatamente Entharian era da sempre stata caratterizzata da una certa efficienza, prerogativa con cui si era assicurata un grande impero.
D’altronde quel portale non era stato concepito per gestire un simile traffico, di norma per dare inizio alle campagne militari si adoperavano le porte di altre città – o si incaricavano le truppe stanziate nelle province degli altri mondi, preferibilmente quelli periferici. Ma Galerian era stato incoronato da poche settimane, e ogni singolo nobile d’alto rango o funzionario anche solo vagamente importante aveva preso la molesta abitudine di pronunciare e tentare di imporre la propria opinione, bramando di oscurare il suo potere sfruttando l’influenza acquisita: ben pochi vedevano di buon occhio le riforme amministrative, agrarie e fiscali che intendeva adottare negli anni futuri; mostrare la sua forza a quegli insignificanti essere inferiori dell’aristocrazia e, cosa non da poco, agli emissari stranieri era il motivo per cui aveva radunato l’armata lì, in previsione dell’imminente campagna militare. Quale miglior prova se non le lance dei tanto temuti fanti e le zanne degli altrettanto temuti draghi di Entharian? 
Galerian si stiracchiò con indolenza, dando le spalle alla magnifica vista e adocchiando il tetto della torre, dove Khais e Khair, i suoi due draghi personali, erano ancora accoccolati in attesa del suo permesso per prendere volo e salutare l’arrivo del giorno. Galerian amava farli dormire lì, dove l’intero mondo poteva vederne le scaglie d’oro brillare e rendersi conto del potere di cui poteva disporre. Lui adorava circondarsi solo di cose belle e squisite, e i draghi di Entharian erano di gran lunga le creature più magnifiche che avessero mai solcato i cieli di tutti i mondi: i degni eredi del Dio Kaish.
Si limitò a pensare di concedere loro il permesso, e i due draghi – fratelli nati dalla stessa madre – interpretarono correttamente i suoi pensieri: si lanciarono in volo e ruggirono entusiasti, protendendosi verso l’unico fuoco più grande di quello racchiuso nel loro ventre, il sole.
Per un istante ancora si beò, osservando i doni che la Dea Azaerien aveva concesso all’impero: i dorati draghi di Entharian, affusolati e minuti confrontati con le altre razze draconiche; e ciò nonostante i più intelligenti, i più forti, i più veloci e i detentori del fuoco più rovente; solo i draghi ibridati con le creature demoniache in uso dalle Orde Oscure potevano sperare di tenervi testa e solamente se in sovrannumero.
Tutto grazie alla Dea. Azaerien, la sacra e somma patrona di Entharian, la quale, sotto la Sua benevole protezione, aveva prosperato. L’imperatore recitò una rapida preghiera verso l’unico essere degno delle proprie attenzioni.

«Glabrius» chiamò.
«Sì, Vostra Maestà?» rispose immediatamente il ciambellano, rimasto in disparte in attesa del richiamo del suo signore. 
«Quanti soldati ho fatto radunare laggiù?» domandò appagato, adducendo all’accampamento con un movimento appena accennato del capo. Il motivo principale per cui aveva deposto il precedente e borioso ciambellano nonché la casta eretta all’interno del palazzo – la quale ora si godeva un comodo pensionamento anticipato in qualche segreta di cui non ricordava il nome –, oltre all’imbarazzante e manifesta corruzione, era l’eccessiva cerimoniosità e il disinteresse per tutto ciò che non concerneva direttamente la loro mansione. Glabrius era stato un diligente funzionario minore di uno dei ministeri prima di essere elevato alla carica di Gran Ciambellano: era una persona meticolosa, efficiente e meno rigida dei suoi predecessori sul protocollo di palazzo. Erano altri i protocolli che gli premevano, inoltre era degno di fiducia.
«Cinquecentomila soldati e duemilacinquecento draghi, mio signore» affermò senza tentennamenti l’uomo.
«Quando marceranno faranno tremare la terra e oscureranno il cielo» asserì con crescente compiacimento. «Orbene, Glabrius,» riprese con vivacità, «rammentami la ragione per la quale ti ho impartito l’increscioso ordine di interrompere il mio sonno così di buon ora, questa mattina.»
«Mio signore, il Concilio dei Nobili richiede la vostra presenza, così come il Consiglio di Governo e  l’assemblea dei generali; inoltre molti dignitari stranieri e inviati dei governatori provinciali attendono di porvi omaggio da alcuni giorni. Voi avete disposto che…»
Galerian storse il volto e lo bloccò con un gesto di insofferenza. «Non ascolterò ancora uno dei noiosi monologhi di quel petulante parassita di Radek Mengskallian sul fatto che togliere altri privilegi all’aristocrazia sia anticostituzionale e contrario ai principi di base della ragione: ho detto che dovranno rinunciarvi, il feudalesimo è un’arretrata reliquia del passato che deve scomparire del tutto; i suoi brandelli si trascinano anche da troppi secoli danneggiando l’economia in molte province extramondo. E per quanto concerne il Consiglio di Governo,» proseguì fissandolo in tralice, «di’ loro che non mi tange la protesta del popolo, non ritornerò sulle mie decisioni: l’imposta di guerra sarà istituita, non intendo intaccare le casse statali per questa campagna. Il popolo è nato per servire, che serva! Quando, fra qualche anno, le riforme saranno in vigore a pieno regime, le tasse saranno molto più lievi e i servizi pubblici migliori. Tutti saranno più felici» zittì le sue proteste e stroncò i suoi argomenti.
«Piuttosto, informa l’assemblea dei generali che intendo incontrami con loro ora. Massima celerità, non sono ammessi ritardi» proclamò, esibendo la scarsa pazienza che provava quel mattino da subito.
Il ciambellano si inchinò e provvide a chiamare dei servi, sempre pronti a comparire fuori da ogni buio anfratto della reggia, perché portassero i messaggi dell’imperatore a chi di dovere.

«Molto bene Glabrius, accompagnami. Non desidero dover parlare direttamente con la servitù, se ne dovessi avere bisogno» disse, atteggiando i tratti in una posa altera.
Si voltò e varcò la soglia della porta finestra, rientrando nella stanza; quando ne uscì, venne affiancato immediatamente dai suoi due demoni: gli unici Demoni Superiori ad essersi mai convertiti alla vera fede per Suo Splendore Azaerien.
Discese le rampe di scale sino a raggiungere la base della torre e transitò per gli stupendi corridoi del palazzo, ignorando alacremente la gran quantità di servi, guardie e aristocratici di ogni specie e mondo che ne popolavano i celestiali interni.
Un gruppo di funzionari, alzando ridicolmente le lunghe vesti per effettuare una corsetta in modo più agevole, tentarono di raggiungerlo.
Circondato dalle sue guardie che gli ricavarono uno spazio nell’assembramento di nobili, l’imperatore entrò nel sollevatore riservato agli ospiti del palazzo: un’enorme piattaforma sostenuta da un complicato sistema di carrucole che, servendosi di un pozzo scavato nella dura roccia del monte Kherya, consentiva di raggiungere i vari livelli della reggia senza inerpicarsi sulle infinite scalinate.
Ignorando gli sguardi e i rumorosi lamenti degli aristocratici, già indignati per essere stati scostati dai tenebrosi custodi del loro signore, il ministro delle finanze e alcuni suoi collaboratori si infilarono entro l’arnese a cui ci si riferiva sempre più di frequente con il bizzarro nome di “ascensore”.

«Mio signore, di grazia, chiedo un istante del vostro prezioso tempo» sputò il grasso ministro, fra un respiro affannoso e l’altro.
Galerian lo osservò storcendo la bocca mentre l’ascensore iniziava il suo percorso verso il cuore del palazzo.
«Hai detto bene Venalus: prezioso. Vedi di non metterci troppo» commentò in tono sferzante; nel frattempo si domandò come quell’uomo, talmente grasso da aver assunto la forma di un pallone, potesse riuscire a respirare con tutti quei doppi, tripli e quadrupli menti – ne aveva perso il conto, ormai.
«Qui, mio signore?!» disapprovò Venalus, strabuzzando gli occhi. «Ci sono molte orecchie indiscrete.»
Galerian si guardò attorno con un movimento indolente, notando per la prima volta la folla di nobili assiepata contro le pareti del montacarichi, che si stropicciava le ricche vesti perché lui potesse stare comodamente al centro della piattaforma.
Tornando ad osservare il ministro, agitò la mano destra al vento, assicurando:
«Qui non c’è nessuno che conti. Procedi o vattene: decidi in fretta, poiché inizi a irritarmi.»
Spalancando la bocca ed osservando gli uomini e le donne che affollavano l’ascensore quasi in gesto di scusa, Venalus riprese a parlare: «Ho giusto qui un documento ufficiale a cui avete imposto il vostro sigillo ieri…» disse, afferrando con le sue mani madide di sudore la pergamena che gli veniva offerta da uno dei suoi collaboratori e porgendola all’imperatore.
Galerian lo raggelò con lo sguardo, rifiutandosi di toccare quel pezzo di carta umidiccio. Con un gesto intimò al ministro di tenerlo nelle sue mani e di avvicinarsi perché potesse leggere; poco ci mancò che ordinasse a uno dei suoi demoni di spezzargli il braccio, per buona misura.

«Ecco, vedete, qui avete approvato la nuova imposta di guerra – oh, niente da dire su questo meraviglioso ed elegante decreto, Vostra Maestà! – ma qui avete bocciata la mia nuova proposta in relazione ad un’imposta da applicare alla vendita delle granaglie» ansimò, soffiandogli addosso l’alito che sapeva in modo eccessivo di spezie; delle province nei mondi esotici, a giudicare da quanto percepiva: probabilmente avrebbe potuto indovinare cosa l’uomo avesse ingerito per colazione, talmente era intenso il lezzo che emanava.
Galerian storse le labbra e trasse da una tasca un fazzoletto profumato, premendoselo sul volto e aspirando con soddisfazione.
«Non alitarmi addosso, imbecille» bofonchiò al sicuro dietro quello scudo di seta.
Aspettò che il ministro si profondesse in un inchino di scuse – assai difficoltoso vista la sua mole – e che arretrasse, prima di replicare.
«Ministro Venalus, non approverò una tassa potenzialmente in grado di mandare in rovina un non precisato numero – che non mi disturberò nemmeno ad appurare – di contadini sparsi in tutti i mondi agricoli, il quale sicuramente si quantifica in miliardi» ribatté, con voce che virò verso un tono annoiato sin da subito. «Questione chiusa.»
«Ma, Vostra Maestà!» protestò con vitalità, altamente rischiosa per la sua testa, intesa sia come carica che in senso letterale, si divertì a pensare Galerian per un istante. «Avete preteso che il Ministero dello sviluppo progettasse aratri migliori da vendere ad un prezzo agevolato; in più avete stabilito la costruzione di nuovi e più capillari canali irrigui in ogni mondo agricolo, per non parlare delle bonifiche in programma! Come faremo a coprire queste spese?!» concluse in tono petulante.
Galerian levò gli occhi al cielo con teatralità, costatando che alla sua destinazione non mancava poi molto, fortunatamente.
«Queste misure servono ad arricchire Entharian e il suo popolo, non a favorire un suo tracollo. I grandi latifondisti non hanno ancora versato alcuna imposta, che lo facciano. Mi sembrava di aver chiarito che oramai non fossero più esentati.»
«Mio signore…» tentò ancora Venalus.
«Taci! Taci, stupido grassone incapace!» sbottò. Quindi chiuse gli occhi e aspirando le essenze profumate dal fazzoletto, si calmò, ritrovando il suo contegno. «Non manderò in rovina miliardi di piccoli e medi proprietari terrieri per mantenere i privilegi dei nobili, e perché tu e la tua stupida casta possiate intascare parte del denaro riposto nella casse – non credere che io non lo sappia. Il tempo della corruzione e dei soprusi è giunto al termine, sono i contadini il vero pilastro su cui si regge la nostra prosperità agricola, non i nobili; il vostro metodo impoverirebbe Entharian e getterebbe un’ombra oscura sul mio nome che la posterità rammenterebbe per millenni: non mi importa di quei villici trogloditi, ma non permetterò che voi lediate al mio onore,» proseguì, poi lo additò stando ben attendo a non sfiorare la sua pelle umidiccia, «mettitelo bene in quella testa bacata!»
Kaustakos e Khantark, i due demoni, si fecero avanti emettendo un sibilo orribilmente acuto e minaccioso: Vanalus e tutti i suoi dipendenti impallidirono.
L’imperatore atteggiò il volto in un’espressione seccata,
«Voi due, interrompete questa lagna assolutamente infernale. E quanto a te, Venalus,» proseguì, indirizzandogli ancora contro il dito sul quale portava l’anello imperiale, «ho siglato e apposto il sigillo a tutti i documenti di cui necessiti per far rispettare la sacra Legge dell’imperatore. Fai il tuo lavoro e non tediarmi più con le tue rimostranze incredibilmente moleste, o ti sostituirò. E la pensione non si consumerà in una tranquilla località provinciale, non dubitarne» concluse nell’esatto istante in cui il livello che gli interessava veniva raggiunto.
Seguito da Kaustakos, Khantark e Glabrius uscì nella corsia affollata con un’espressione tempestosa impressa sul volto. Non una sola persona osò scendere a quel piano.
Ignorando la servitù che si prostrava sino a terra e gli eleganti inchini appena accennati di altri maledetti e fastidiosi nobili, procedette a passo svelto verso la sala in cui l’assemblea dei generali usava riunirsi; vi entrò senza farsi annunciare, passando in mezzo al plotone di pretoriani posti lì allo scopo di mantenere il riserbo su quanto veniva detto e stabilito all’interno del consiglio di guerra.
Percorse la buia sala rotonda fra il brusio degli occupanti, notando che i posti dei generali erano già tutti occupati, sino a raggiungere il trono dorato posto al suo centro esatto, ai margini del complicato e arcano disegno inciso sul marmoreo e lucido pavimento.

«Vostra Maestà» gli diedero il benvenuto in coro gli alti ufficiali, esibendosi in una riverenza appena accennata.
Galerian si sedette sul trono che lui stesso aveva fatto riporre al posto dell’anonimo scranno che il predecessore suo padre soleva utilizzare. Quell’uomo aveva perso molto del suo vigore verso l’ultimo secolo di regno ed era caduto in qualche principio idiota riassunto in “primo tra pari”, o qualcosa del genere. In poche parole, si era sminuito.
Congiunse le mani ed osservò i generali racchiusi nelle proprie armature cesellate d’oro e d’argento: il consiglio di guerra non era costituito solo da umani di Aenther o degli altri mondi, bensì anche dagli statuari Wakram dalla folta pelliccia bruna; muscolosi Noctis dalla pelle grigio verdastra e dalle lunghe orecchie; zannuti demoni minori convertiti; i tarchiati Varek e Vnorsk, sempre inseparabili. E altre razze ancora.

«Molto bene, soldati: ho visionato l’elenco di obbiettivi che mi avete proposto di attaccare per la mia guerra dimostrativa» esordì, afferrando da Glabrius, il quale aveva affiancato il trono, il documento su cui era stata redatta la lista di mondi da prendere in considerazione per l’invasione, «e la ritengo insoddisfacente» li graziò con sole quattro parole. «Ho già messo in chiaro la rosa di obbiettivi che intendo prendere in considerazione. E quelli rimarranno. Obiezioni?»
«Mio signore, vi invito a riconsiderare le vostre decisioni» obbiettò Valentinianus, un canuto ed abile generale umano, sfortunatamente relegato nel passato con la mente. «Non solo nell’armata radunata vi sono più di centomila demoni minori – mio signore, non metto in dubbio la loro lealtà, tuttavia sono troppo imprevedibili! –, ma prendere come obbiettivo i mondi Oscuri è… folle! Quanto agli Aersteri non disponiamo di sufficienti elementi sul loro apparato difensivo per lanciare un attacco ben organizzato, lanceremmo un’operazione ad occhi pressoché bendati. Tutto ciò che sappiamo da loro deriva dalle analisi preliminari degli esploratori e dai sacerdoti itineranti, informazioni assolutamente inadeguate.»
Diversi suoi colleghi sostennero le sue parole assentendo.
Galerian annuì, portando un minimo di rispetto per quell’uomo valoroso:
«Attualmente, in totale, vi sono più di… quanti Glabrius?» si volse vero il ciambellano, «Tre milioni e mezzo, Vostra Maestà» riferì quest’ultimo, da buon archivio vivente qual era.
«Ecco, tre milioni e mezzo di demoni minori nelle fila del nostro esercito, ovvero circa un terzo delle nostro apparato bellico, di certo non per un caso: hanno sempre dato un’eccellente prova di sé. Non ne ridurrò il numero» replicò, incassando il grugnito compiaciuto e riconoscente dei tre generali di razza demoniaca all’interno della sala.
«Quanto agli obbiettivi: ho preso in considerazione gli Aersteri poiché, malgrado la scarsa conoscenza di cui disponiamo in merito alla loro società, sono alquanto ricchi; e questo è una dato certo oltre ogni dubbio. In questo momento sono un preda appetibile per rimpinguare le casse… quanto ai mondi oscuri, d’altro canto, dispongono di un fascino davvero unico: nessuno è mai riuscito a vincere una battaglia in quelle lande.»
«Mio signore, a buon ragione: quegli inferni sono popolati da un infinito numero di creature demoniache ancora dedite al Dio Oscuro. Nemmeno vostro padre, il grande vincitore della guerra civile, ha mai preso in considerazione l’idea di attaccare quei ricoveri di demoni maligni e mostruosi ibridi» disse il generale Daerius, un Wakram. Discernere le singole parole nella sua lingua composta da grugniti richiese uno sforzo che tediò Galerian.
«Mio padre era un debole» asserì l’imperatore, causando un istantaneo blocco dei brusii nella sala.
«Vostro padre è stato un grande uomo e un altrettanto grande sovra…» prese a dire Valentinianus indignato, difendendo colui che per decenni era stato il suo signore.
Galerian lo arrestò alzando la mano.
«Indubbiamente, mio padre è stato un buon generale e un grande conquistatore: ha saputo vincere la guerra civile scatenatasi dopo la caduta della dinastia Seoraan. Eppure ha lasciato riprendere piede all’aristocrazia e ha permesso una grossa diffusione della corruzione, cose a cui sto ponendo rimedio giusto in questo periodo. Mio padre era stanco, ha riunificato Entharian, ma la morte lo ha raggiunto prima che potesse sedare tutti i conflitti interni e portare a termine il suo compito: restaurare l’autorità dell’imperatore.»
I generali si scambiarono uno sguardo incredulo e assentirono di malavoglia, riconoscendo la validità delle sue argomentazioni. Forse non lo avevano ritenuto capace di un’analisi così profonda.
«Ebbene, una vittoria contro nemici di quel calibro gioverebbe alla mia posizione, inoltre avrebbe il pregio di riconsolidare la nostra reputazione fra i regni alleati e quelli ostili; non dimentichiamo, poi, di chi stiamo parlando: le Orde Oscure sono in grado di manipolare la magia per lacerare il Vuoto e schiudere ed azionare i nostri portali a loro piacimento, anche meglio di quanto facciamo noi. Quante volte attaccano e razziano i nostri mondi? Quanti nostri soldati periscono nelle aspre battaglie scatenate nei tempi e nei luoghi che più si confanno a quelle mostruosità?» pronunciò con enfasi, conscio di averli convinti – non che gli servisse davvero la loro approvazione.
«Troppi, Vostra Maestà» replicarono all’unisono tutti quanti, quasi si fossero coordinati prima dell’assemblea.
«Quindi, possiamo annunciare gli obbiettivi prefissati, mio signore?» sollecitò Tantalus, un anziano generale di razza Noctis.
«Assolutamente no» sbottò Galerian, guardando l’ufficiale come se fosse un pazzo.
«Mio signore, questa situazione è ascrivibile ad un limbo: ci sono dozzine di regni che temono di essere invasi da quell’armata là fuori» questionò Daerius, indicando le pareti decorate alle sue spalle, più o meno in direzione dell’accampamento. «Ciò sta generando un clima di terrore e…»
«E incertezza, è questa la parola che andate cercando, generale,» lo interruppe, «l’incertezza è un’arma potente, la sovrana delle armi.»
«Citare l’Arte della Guerra di Tzaerian non giustifica questa vostra decisione» interloquì per la prima volta Kraterius, un altro ufficiale Wakram.
«Temo, amico mio, che Sua Maestà abbia invece ragione» intervenne Tantalus, subito imitato da Valentinianus.
Quelle parole generarono un violento scambio di opinioni che durò per alcuni minuti.
Sorridendo compiaciuto, quando l’imperatore ritenne fosse ora di porre fine al dibattito, si volse verso Glabrius, invitandolo con un gesto a parlare.

«Trentasei e quarantotto» disse il ciambellano.
«Volete spiegare questi numeri, Gran Ciambellano?» fece perplesso uno degli ufficiali, trattenendo la replica non esattamente gentile che stava per scaricare addosso ad un commilitone.
«Trentasei regni in quattro mondi diversi, i quali non pagavano nulla da anni, si sono affrettati a versare i tributi che ci dovevano – arretrati compresi; mentre quarantotto sono i popoli che hanno rinnovato la loro alleanza con noi» elencò distrattamente Galerian, guardandosi le unghie.
«Molto bene!» esclamò, poi, levandosi in piedi. «Ho affari di Stato che richiedono la mia presenza altrove.»
«Aspettate, mio signore! Non avete riferito il piano d’azione che intendete suggerirci, né nominato il comandante della spedizione» gli rammentarono all’unisono quattro generali diversi, con parole molto simili le une alle altre.
«Oh, ma certo. Non lo avevo detto?» sorrise con aria innocente. «Sarà Blaise di Chéylan a guidare l’attacco e a lui riferirò la strategia da me elaborata» disse, accennando all’unico scranno rimasto vuoto, «ora devo solo decidere quale bersaglio attaccare.»
«Quel selvaggio botolo ringhioso?!» sbottò Kraterius, «Vostra Maestà, è assurdo!»
«Proprio lui» confermò l’imperatore, lasciando la stanza e trattenendo a stento il riso, pensando al vespaio che le sue parole avrebbero suscitato in quella sala. Quei tronfi uomini di guerra probabilmente avrebbero seguitato ad altercare per le due clessidre successive, anche se all’atto pratico non avevano alcun potere decisionale. Solo lui deteneva il potere.
«Glabrius, tutto questo discorrere mi ha causato dolore alle testa, ricordami cosa dovrei fare ora, io non intendo sforzarmi per farlo» lo interpellò massaggiandosi le tempie, una volta uscito dalla sala.
«Mio signore,» annunciò quasi con impaccio, «Sarebbe il caso di concedere qualche udienza.»
«Per la Dea! Devo proprio?» proruppe con timbro infelice.
Il ciambellano si schiarì la voce, cercando di usare un tono il più mite possibile:
«SSarebbe opportuno, qualcuno aspetta da molti giorni. Naturalmente, se Vostra Maestà non desidera…»
«D’accordo, mi degnerò di farlo, dopotutto» disse, agitando le braccia al vento per zittire qualsiasi replica.  «Su, muoviamoci. Per mezzogiorno desidero finire, nel pomeriggio intendo passare in rassegna le truppe.»
Quando ebbero attraversato altri corridoi, costellati dalla stanze occupate da quella parte di nobiltà che aveva preso dimora fissa nel palazzo, e furono discesi ancora una volta tramite l’ascensore, giunsero finalmente nell’ariosa sala del trono; costruita sul fianco ad un altezza medio bassa e non nel ventre della montagna, a differenza di quasi tutto il resto della reggia, perché fosse sempre raggiunta dal sole e perché fosse enorme. Scavare nella dura roccia del Kherya era un lavoro lungo e impegnativo, bastava solo pensare che c’erano voluti quasi milleduecento anni per ultimare definitivamente la costruzione di ogni ala del palazzo, il quale comprendeva praticamente l’intera montagna, dalla cima ai piedi.
Galerian puntò dritto al Trono di Entharian – che si diceva fosse stato ricavato da una delle fulgide squame del Dio Kaish –, ignorando l’inchino generale con cui la folla che gremiva la sala lo riverì non appena fu annunciato; si sedette accavallando le gambe e afferrando la coppa ingioiellata posta accanto alla sedia. Con enorme disappunto notò che era vuota e lanciò un’occhiata assassina al servitore accanto al trono, allungando il braccio verso di lui con un gesto brusco.

«Riempimi la coppa, imbecille» lo esortò innanzi alla sua staticità, scuotendo la testa e parlandogli come se fosse un infante appena uscito dal grembo materno.
«N-no-non posso, Vostra Maestà: il vino è finito» replicò terrorizzato, esibendo la caraffa arida in modo assolutamente fastidioso.
«Allora vai a prenderne dell’altro, idiota» ingiunse con voce sofferente di fronte a cotanta stupidità, demandando con un gesto il compito al ciambellano, il quale avrebbe certamente strigliato l’incapace sguattero.
Galerian puntò lo sguardo davanti a sé, in fondo alla sala si apriva un’enorme balconata dalla quale si poteva ammirare una veduta simile a quella di cui godeva egli nella torre ove riposava, sebbene ad una quota molto più bassa; avvicinandosi, si trovavano, intervallate dalle ampie vetrate dipinte, le colonne magnificamente scolpite che percorrevano tutta la sala ai due lati. Infine, il tetto dell’edificio era composto da un’unica, enorme vetrata trasparente; cosa che garantiva un’illuminazione e uno spettacolo senza pari.
Anche se, il giovane imperatore fu costretto ad ammettere che gli abiti delle personalità che occupavano la sala al centro erano anch’essi delle vere e proprie opere d’arte di qualità all’altezza dell’ambiente in cui si trovavano. Arricciando il naso, dimenticò quella concessione.
Ignorò gli sguardi ammiccanti delle varie nobildonne, tutte in possesso di una beltà disarmante, sicuramente lievemente accentuata da una briciola di magia – sempre utile per cancellare qualche piccola imperfezione – e dai migliori cosmetici sul mercato. Gli costò uno sforzo farlo, non gli sarebbe affatto dispiaciuto fare una conoscenza approfondita di alcune, tuttavia non avrebbe potuto sapere quali fra esse erano animate da propositi perniciosi, sicuramente ben diversi dal semplice desiderio. Presto la sua posizione sarebbe stata abbastanza forte e avrebbe acconsentito ad alcune delle richieste di incontri privati che gli pervenivano, ma non ancora: prima doveva lanciare la sua guerra e vincerla, ricavandone così immenso prestigio; cedere alle lusinghe di amanti in cerca di favori in quel momento sarebbe stato quasi un suicidio. Nessuno ancora lo conosceva e potevano pensare di aggirare un sovrano debole, facilmente influenzabile dalle moine di qualche fanciulla graziosa: il volgo non lo aveva ancora inquadrato e scambiava i suoi modi di fare per un’ennesima vessazione, mentre la nobiltà, d’altro canto, lo aveva capito perfettamente. E proprio per questo lo controllava ancor più di prima.
Sfortunatamente, quei quattro accattoni vestiti di stracci preziosi quale era l’aristocrazia e la massa infinita di ignoranti trogloditi che era invece il popolo contavano qualcosa dopotutto.

«Pane e circo» sussurrò sospirando, poi schiuse le labbra in un ampio sorriso, rivolgendolo ai dignitari più vicini al trono. Sapeva di far effetto, aveva sempre posseduto un bel viso e intendeva sfruttare ogni arma del suo arsenale.
Il primo ambasciatore, di razza Alfayr, si avvicinò scortato da una piccola guardia d’onore del suo mondo e da due servitori che reggevano uno scrigno dall’aria alquanto pesante.

«R’Ktrak» gli bisbigliò senza farsi notare Glabrius.
«Che razza di nome assurdo sarebbe…?» mormorò Galerian perplesso, guardando il suo ciambellano, poi allargò ancor di più il sorriso e, rivolgendosi all’Alfayr, disse: «Ambasciatore R’Ktrak, benvenuto, quali nuove da Alfayran?»
La creatura si fermò ai piedi della pedana sulla quale trovava posto il trono e si inchinò. Galerian trovò bizzarra la sua riverenza, seguire i quattro arti superiori del diplomatico impegnati in un gesto di elegante deferenza, spiazzava. I quattro occhi dell’essere, in aggiunta, non aiutavano a rendere più discernibile il suo linguaggio corporeo.
«Il mio re desidera omaggiarvi con questo dono, potente imperatore del Gran Drago, e complimentarsi per la vostra incoronazione. Egli auspica un radioso futuro di mutua e pacifica amicizia, nonché una proficua collaborazione» enunciò R’Ktrak, sforzandosi di esibire la sua profonda conoscenza della lingua comune enthariana. Ad un suo gesto lo scrigno recato in dono dal suo popolo fu aperto, rivelando un contenuto di gemme preziose di rara qualità.
Galerian lo ringraziò, accettò il dono e dopo alcune parole di rito lo congedò con un’affabilità che sorprese lui stesso. Si ripromise di dare repliche più sferzanti da quel momento in poi, almeno avrebbe reso le cose più interessanti.

«Prima di procedere al postulante successivo, congeda immediatamente  i rappresentanti dei coltivatori diretti del fondo e delle corporazioni commerciali» bisbigliò chinandosi leggermente verso il Gran Ciambellano, quando lo Alfayr se ne fu andato soddisfatto. «Assicuragli che non imporrò altre imposte oltre a quella da guerra e che le leggi di cui necessitano per prosperare sono già in via di approvazione… vediamo di sfoltire un po’ la mandria» bofonchiò, lanciando uno sguardo falsamente benevolo alla folla antistante. Quindi, dopo che Glabrius si fu allontanato per disporre come aveva detto il suo signore, Galerian fece cenno di procedere.
Prima che il nuovo ambasciatore potesse proferire verbo, i banditori annunciarono un nuovo dignitario in visita – cosa singolare, considerando che tutti si premuravano di arrivare nella sala sin dall’alba per evitare le interminabili code… e che giungere in tarda mattinata dopo l’imperatore era valutato come indelicato.  

«Asheryl, somma sovrana degli Aersteri!» urlò attraverso il megafono il nunzio, incapace di nascondere la propria sorpresa, perfettamente discernibile anche attraverso la barriera costituita dall’oggetto amplificatore. Gli Aersteri erano noti per la loro pigrizia e xenofobia, se l’incontro con altri popoli si dimostrava davvero necessario, amavano far muovere il culo agli altri, visto che a loro pesava”, come aveva asserito il primo ambasciatore umano ad averli incontrati. Letteralmente, colui che aveva detto quella frase non aveva adoperato la parola terga… aveva prediletto termini più incisivi. Tanto per chiarire subito cosa ci ssi sarebbe dovuti aspettare dagli Aersteri.
Galerian si ammutolì per un istante, rimanendo con il dito a mezz’aria; Kaustakos e Khantark, avvertendo qualcosa di straordinario nei pensieri del loro signore, fecero capolino dalle colonne dietro il trono, avvicinandosi a lui pronti a difenderlo.
Il ragazzo dissimulò immediatamente la sua sorpresa e puntò lo sguardo verso la figura che dopo aver varcato l’istoriato portone d’accesso si stava facendo largo nella folla: emanava un’aura di autorità e autorevolezza incredibilmente potente, chiunque faceva ala e abbassava gli occhi per primo, anche i tronfi e vanagloriosi nobili determinati a mantenere la posizione guadagnata nella fila quella mattina. Ed era tanto bella da mozzare il fiato, persino più delle magnifiche aristocratiche di Entharian o delle giovani e stupende ragazze cui era solito servirsi per soddisfare i propri desideri.
La regina degli Aersteri si fermò ai piedi del trono, dopo aver attraversato in pochi istanti una sala che di solito richiedeva ore per essere valicata senza che nessuno osasse ostacolarla, e si osservò attorno con espressione altera; rimanendo impassibile e muta, appoggiò il piede destro sui gradini della piattaforma e prese a salirla, fra lo stupore generale: l’ultimo a farlo perché non aveva accettato di stare più in basso dell’imperatore, ed era cosa risaputa in ogni dove, aveva visto diventare il proprio mondo un provincia enthariana in capo ad un anno… oltre trovarsi la sua testa separata dal resto del corpo.  
Galerian ghignò divertito, afferrando la coppa di vino finalmente giunta nelle sue mani, quindi si adagiò sul trono in una posizione indolente, sorseggiando il liquido dorato con gusto.

«E voi sareste…?» fece, accompagnando la beffarda domanda con movimenti circolari del polso; intanto, nell’attesa della risposta, la osservò minuziosamente: era abbigliata con un vestito rosso chiaro, il quale la fasciava perfettamente lasciando intendere lo splendore inumano del suo fisico. Era alta, dalle gambe e braccia affusolate, ventre piatto e pelle d’avorio incredibile, assolutamente priva di qualsivoglia imperfezione. Aveva una chioma rossa come i soli nel cielo di Reylaghar, alternata da capelli neri che generavano un amalgama adorabile, il quale si ripercorreva a spirale nei morbidi boccoli che le giungevano quasi sino alla vita.
Il viso aveva tratti perfetti, labbra piene e rosse come se avesse bevuto il sangue di qualcuno, sembravano il frutto della fantasia di un pittore dalle dote invidiabili; parimenti, il naso pareva intagliato dal più talentuoso degli scalpellini. E gli occhi! Quei pozzi verdi dai riflessi ramati avrebbero potuto magnetizzare chiunque con una facilità disarmante; o intimorirlo, era possibile percepire una certa oscurità trasparire da quelle finestre dell’anima, quasi fosse un monito atto ad avvertire che le tenebre infernali avevano trovato una comoda dimora in quelle lucenti e divine spoglie carnali.
Per la prima volta in tutta la sua breve vita, Galerian si sentì in soggezione per la bellezza di qualcuno, lui che aveva sempre sortito il medesimo effetto agli altri. Si domandava se anche la donna subiva un minimo l’influsso del suo fascino… giunse quasi a sperarlo. Lui! Che non domandava né implorava mai e invece ordinava sempre.
Con un sfacciataggine voluta concentrò il suo esame sul seno pieno e ben formato della donna, ignorando gli occhi… malgrado fosse, probabilmente, l’unico nella sala in grado di reggere il confronto con il suo sguardo.

«Lo avete sentito poco fa, o le orecchie non vi funzionano più molto bene?» esordì lei, permettendo che la sua voce limpida e musicale si levasse, accarezzando le orecchie di quanti erano abbastanza fortunati da essere sufficientemente vicini per udirla. «Noi eravamo convinte che il legame fra la squama di Kaish che voi piccoli umani usate come volgare seggiola affinasse i vostri sensi, non che li ottenebrasse.»
Galerian sorrise, provando una sensazione di calore al petto: quella donna non immaginava il rischio appena corso, chiunque altro sarebbe finito folgorato o arso dai suoi Demoni Superiori per un insulto simile.
Doveva stare attento, lei lo stava stregando e ne era assolutamente consapevole.
Allungando la mano con la coppa, indicò lo spazio vuoto occupato da semplice aria alle spalle dell’Aersteri:
«Dovete essere una stolta, oppure confidate eccessivamente nelle vostre facoltà se pensate di poter venire a comandare nelle mia casa senza portarvi dietro nemmeno un singolo soldato di scorta.»
«Dite?» domandò, riuscendo a sembrare innocente nonostante l’austerità della sua espressione. «E da quali pericoli dovrebbero tutelarci questi soldati? Poiché qui non ne vediamo» disse, guardandosi attorno con movimenti esageratamente accentuati, eppure in qualche modo sensuali.
«In ogni caso, cosa vi porta qui ad Aideran?» tagliò corto il giovane sovrano, ignorando la provocazione.
«Oh, stavamo passeggiando per le campagne del nostro regno quando un uccellino si è appoggiato sulla nostra spalla» rispose, mimando il gesto. «Questi asseriva che un grande drago annoiato, dal pessimo carattere e in vena di lanciare la propria potenza verso un obbiettivo casuale era in procinto di mettere a ferro e fuoco il nostro mondo.» 
«V’ingannate, mia signora» disse, raggelando. Riuscì a rimanere impassibile, sorridendole ancora.
«Oh, ma noi abbiamo parlato di draghi, non della potente Entharian. Ti senti forse preso in causa?» affondò, regalando un sorriso – la prima dimostrazione di mobilità dei suoi tratti – splendido.
«Vi ribadisco che v’ingannate» confermò, dandosi dell’idiota. Quante volte anche lui aveva lanciato esche simili vincendo discussioni in un modo rapido ed elegante? Possibile non riuscisse più a riconoscere un trucchetto tanto elementare?
«Dici? Eppure abbiamo veduto un grosso assembramento di bambini che si preparavano per quella scaramuccia giocosa che voi vi ostinate a considerare guerra, appena fuori dal tuo portale.»
«Oh, non angustiatevi, non siete certo voi né il vostro regno il bersaglio preso in considerazione» rassicurò, esaminando mentalmente la lista di persone che erano informate delle sue intenzioni – quando lo desiderava era in grado di sfoderare una memoria da far invidia a Glabrius. E la cosa era davvero preoccupante, perché solo un ristrettissimo gruppo di soldati e funzionari, tutti assolutamente fidati, erano a conoscenza dei piani. Chi? Chi aveva osato?! Non appena lo avesse trovato, lo avrebbe fatto cuocere a fuoco lento dai draghi.
«Oh, ma noi non siamo angustiata… piuttosto, sembri sinceramente preoccupato, piccolo cucciolo d’uomo. Hai forse veduto un fantasma?» disse, avvicinandosi a lui e arrivando a sfiorargli la guancia con una lieve carezza del dorso della mano, permettendo al suo magnifico odore di giungere alla sue narici.
Galerian riuscì a trattenersi dallo spalancare la bocca solo mordendosi la lingua, incredulo. Era sempre stato bravo a mantenersi impassibile quando necessario! Come aveva fatto quella donna a indovinare le sue emozioni?

«Oh, i tuoi demoni parlano per te: fremono come non mai» asserì, indicando Kaustakos e Khantark con un gesto elegante.
«Ma forse vorrai spiegarmi le tue scuse… o, a seconda del punto di vista, le tue ‘motivazioni’ in un colloquio privato, giusto?» terminò, riuscendo a far sentire le virgolette che racchiudevano la parola.
Per un istante l’imperatore ponderò l’ipotesi, valutando concretamente l’idea di rifiutare: quella donna gli entrava nella testa come nessuno era in grado di fare.
«Credo sarebbe opportuno» acconsentì a malincuore.
Si domandò immediatamente in che guaio si fosse appena cacciato. 


Buongiorno popolo di EFP. Io sono Aurelianus, imbrattacarte a tempo perso u.u
Spero il capitolo sia di vostro gradimento... o almeno non via abbia fatto del tutto pena: è la prima volta che scrivo fantasy, perciò massacratemi. Voglio apprendere dai miei sbagli.  
Ma, non disperate, gli autori che scrivono queste storia con me sono migliori del sottoscritto, pertanto troverete di meglio proseguendo. Non fermatevi a questo capitolo! ;) 
Aurelianus

 

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Capitolo 4
*** (Asheryl) Capitolo 3 ***


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~ Capitolo 3 ~
~ Asheryl ~

 
Era ufficiale: i due Demoni Superiori la infastidivano. 
Non la perdevano mai di vista un istante, soprattutto in presenza del loro signore. Quasi come se avvertissero un’eco delle sue intenzioni. 
Asheryl strinse gli occhi e si impose di sopportare ancora per qualche attimo la loro diffidenza e boria ingiustificata. 
Tallonò i due profili oscuri e incappucciati, attraversando la porta d’oro massiccio istoriata con scene di lotta e vittorie imperiali che conduceva alla Sala dei Cieli – così gli umani chiamavano la loro graziosa saletta del trono. 
Come per ogni cosa in quel palazzo era pura autocelebrazione del potere enthariano. 
Varcò la soglia dell’enorme portone e si diresse verso l’imperatore, attraversando la lunga sala. 
Il lattante se ne stava innanzi al suo trono con le mani intrecciate dietro la schiena, assorto nella contemplazione del proprio scranno dorato. 
Bel modo di usare la squama di un Dio, pensò concedendosi un ghigno divertito; gli umani non avevano rispetto, ne cognizione del potere di cui disponevano davvero. 
Con quale ingiustificata e tronfia arroganza usavano il potere primigenio degli Dèi e le tangibili vestigia di esso per appoggiarvi sopra i regali fondoschiena dei propri imperatori? 
Eppure Entharian era la principale potenza fra i mondi, complice l’eccessiva prodigalità di divinità troppo benevole nei confronti di quell’anonima e mediocre razza. 
Kaustakoss e Khantark – conosceva i loro nomi, poiché erano noti in ogni dove per la loro conversione – erano già accanto al sovrano quando la donna si avviò per raggiungerlo; dovevano aver annullato il distacco muovendosi ad una velocità notevole. 
La principessa degli Aersteri si permise di inarcare un angolo della bocca: se quei due idioti pensavano di impressionarla con così poco, erano ancor più stolti di quanto avesse immaginato. Il solo fatto che si fossero fatti asservire da quel glabro primate arrogante con il cervello di una capra di – come si chiamava?  Galurian o Golarian? Dimostrava quanto fossero infimi. 
E quanto al loro signore, non rammentava il suo nome, non che le  importasse. Era lì solo allo scopo di evitare che le legioni enthariane invadessero il suo mondo e lo devastassero con la dirompente forza del proprio numero… e dei “Draghi d’Oro Fuso”.   
Quando gli giunse alle spalle, il ragazzino si era da tempo accorto della sua presenza – l’aveva compreso dall’accelerazione del suo ritmo di respirazione – eppure non si era girato. 
Per Asheryl non era una sorpresa che l’umano la desiderasse: ammaliare gli uomini con il suo aspetto era una cosa facile, non era la prima volta che lo faceva. 
Sapeva che, come di consueto, avrebbe dovuto appurare questo fatto con glaciale freddezza; tuttavia, non poté evitare di provare una punta di soddisfazione. Quasi esternò la propria gratificazione con un sorriso. 
Quasi. 
«Benvenuta, Principessa degli Aersteri» esordì l’idiota, volgendosi. 
La donna intravide i muscoli dell’umano guizzare sotto la leggera veste di seta che indossava. I capelli d’argento e le pagliuzze dorate nell’azzurro degli occhi, destinate a soppiantare quel grazioso celeste per effetto del legame con la Squama, facevano di lui un vero e proprio pezzo di carne pregiato. 
«Ma come? Credevamo che questo fosse un incontro ufficiale. Per quale ragione siamo soli?» chiese con voce vellutata, riferendosi alla mancanza del Ciambellano e dello stuolo di garzoni e di sgualdrinelle vagamente attraenti che gli aveva visto vicino per tutto il giorno. 
«Desideravo parlarvi a quattr’occhi, mia signora» replicò lui, indirizzando un cenno di congedo alle due creature demoniache. 
Era già suo. Fin troppo facile, avrebbe preferito che opponesse un po’ di resistenza prima. 
Kaustakoss e Khantark vibrarono per un secondo, esprimendo una muta protesta poi, al ripetersi del comando, si mossero all’unisono, dirigendosi verso l’uscita. 
Quando le passarono accanto, lasciarono intravedere le pozze di pura luce che erano diventati i loro occhi dopo la conversione. Una minaccia per nulla velata. 
La donna sorrise, facendosi beffe di loro e dei loro futili tentativi di ostacolarla. 
Potevano anche avere un gran potere, ma non la spaventavano. Anche lei era potente. 
«Apprezzate il soggiorno a palazzo?» domandò il ragazzino, compiendo alcuni passi nella sua direzione e interpretando il sorriso di scherno come un invito. 
«Il palazzo è notevole, sì» ammise sinceramente. Non avrebbe mai pensato che stupido bestiame fin troppo prolifico come gli umani potesse concepire e costruire una città e una struttura tanto maestosa e magnifica. Questo poteva concederglielo… solo questo. 
«Ora ci troviamo nella parte del palazzo più antica,» incominciò abbracciando la sala con un movimento elegante del braccio destro, «costruita prima dell’unificazione di Aenther sotto Entharian, più di mille anni fa» concluse, probabilmente nel tentativo di impressionarla. 
Mille anni? Cos’erano mille anni? Nulla. 
Sorrise, ridendo di lui, facendolo però apparire come un’esortazione a proseguire.   
«Dopo l’unificazione si smise di costruire sul fianco della montagna e si prese a edificare nella montagna,» disse l’umano, accostandosi a lei con finta – ma ben simulata – noncuranza. «C’è voluto oltre un millennio per terminarlo. Il Palazzo rappresenta un modello, Entharian in seguito ha edificato molte altre strutture simili in ognuno dei suoi mondi, sebbene più contenute nelle dimensioni. Tuttavia questa  rimarrà nota per la sua unicità: a differenza delle sue imitazioni, per la sua costruzione si è adoperata anche la magia e non solo la tecnologia.» 
«Interessante. Devo dire che per essere topi ninfomani siete capaci di costruire qualcosa di interessante.» la principessa si guardò intorno, atteggiando il volto in un'espressione fintamente meravigliata. 
Fece un passo verso una delle immense finestre che aggettava sul cortile edificato sopra un terrazzamento appena più in basso. La luce filtrava attraverso le fronde di antichi e maestosi cipressi, inondando un giardino verdeggiante, gremito di gentiluomini, nobildonne e bambini; il sole proiettava i suoi raggi obliqui sui i fiori, riverberandosi suoi petali in mille sfumature di colore. Un venticello estivo che di tanto in tanto faceva danzare le foglie portava con sé il suono di un liuto e le risate gioiose degli ospiti di quel piccolo paradiso. Una donna sedeva su un panchetto munito di schienale sospeso con due catene a un ramo di un tiglio: sembrava dormire, ma alla principessa non era sfuggito l'impercettibile movimento della gamba che a volte metteva in moto il dondolo. 
Un'altra decina di donne ben vestite sedevano sull'erba, chi immersa nella lettura, chi concentrata sul lavoro a maglia, chi coinvolta in un'animata conversazione; poco più in là un nutrito gruppo di uomini riccamente abbigliati contemplava e ogni tanto additava le grandi formazioni di draghi che compivano voli lontano, oltre le candide mura cittadine. Le grida dei bambini, che si rincorrevano per il prato, facevano un chiasso assordante, ma nell'aria frizzante di quella giornata estiva non stonavano, come se ne facessero intimamente parte. 
Asheryl sorrise e inspirò profondamente quei profumi intensi, ignorando lo sguardo insistente dell'imperatore e riempiendosi gli occhi di quella meraviglia: sul suo pianeta, a causa dell’implacabile caldo afoso, una crescita rigogliosa naturale come quella era solo un sogno lontano. 
Un altro punto per la loro civiltà di scimmie glabre. 
“Forse dovrei chiedere a quest'umano se mi può vendere qualche giardiniere.” 
Rimase così per qualche minuto, ignorando le occhiate infastidite che l'imperatore le continuava a lanciare. Poi, quando ritenne che l'attesa l'avesse sfiancato a sufficienza, si girò verso di lui, ma lo interruppe ancor prima che provasse a proseguire. 
«La sala è meravigliosa, direi che i vostri architetti si sono superati nella progettazione di questo grande e magnifico palazzo. Ma sono sicura che questo non sia niente a confronto di quello che è il tempio dedicato alla vostra divinità.» lo adulò, sfoggiando un leggero sorriso. 
L'imperatore tacque e si passò una mano sul viso, celando appena il rossore che gli aveva imporporato le guance. 
«Allora, venite pure per di qua, Ashara. Vi faccio strada.» disse in tono secco, per poi dirigersi quasi a passo di marcia verso una porta di quercia scura. 
“Sì, è decisamente un ragazzino.” 
Camminarono per un lungo corridoio in penombra, dove entrambi poterono godere di un piacevole refrigerio. Galerian le dava ostentatamente le spalle e rimaneva sempre davanti a lei senza mai permetterle di affiancarlo, forse, anzi probabilmente, intimorito dalla tempesta di emozioni che la regina sapeva di avergli provocato. Nonostante l'oscurità, Asheryl sapeva cosa albergava nel cuore dell'imperatore in quel momento, lo aveva capito dal primo istante in cui avevano incrociato il suo sguardo e aveva visto un'ombra d'incertezza in fondo a quelle iridi dorate.   
Era un uomo giovane e lei la donna più bella su cui avesse mai posato gli occhi; la sua stessa essenza era il suo punto debole, la sua come quella di tutti quegli altri re con cui aveva avuto modo di avere a che fare. E lei non aveva mai avuto intenzione di non sporcarsi le mani: era arrivata lì per impedire che quella misera scimmia a due gambe invadesse le sue terre e, se fosse stato necessario concedergli il suo corpo, lo avrebbe fatto. Ma doveva giocare d'astuzia, sfruttare il desiderio che vedeva ardere in fondo agli occhi di quell'umano e volgerlo a suo favore. Lo avrebbe piegato al suo volere, così come aveva fatto tutte le volte che aveva dovuto schierarsi in difesa della sua gente. 
E, alla fine, la guerra che si combatte a letto non è molto diversa da quella che insanguina i campi di battaglia. 
Proseguirono per ancora una decina di minuti, camminando attraverso un labirinto di sale e corridoi magnificamente simili l'uno all'altro. Ad un certo punto, inaspettatamente senza una lunga e sempre più sfarzosa anticamera come preparativo, fecero ingresso in un tempio dal soffitto alto e dalle finestre finemente decorate. Il sole filtrava attraverso le ampie vetrate proiettando i suoi raggi in un caleidoscopio di colori che si rifletteva sul pavimento in marmo; le colonne in pietra bianca che catturavano la luce cangiante sostenevano degli imponenti archi a sesto acuto, dipinti con le scene delle storie e delle leggende di Entharian. In fondo, nell'abside poligonale, due scale a chiocciola salivano verso il piano superiore. 
«Per di qua.» 
Galerian le fece cenno di seguirlo e la regina, non senza una certa riluttanza, dovette costringere il suo corpo ad andargli dietro, affascinata com'era da quel piccolo gioiello architettonico. Camminò tenendo il naso all'insù, incapace di distogliere lo sguardo dalle volte a crociera, dagli affreschi e dagli occhi delle statue che apparivano meravigliosamente vivi. Un sorrisetto compiaciuto arcuò le labbra dell'imperatore enthariano e la regina finse di non farci caso, anche se provava un certo fastidio nel vedere quell'espressione da ebete compiacimento. Cercò di darsi contegno mentre salivano le scale, ma non appena sbucarono nella cappella, strabuzzò gli occhi abbandonando in un istante suoi propositi. 
Le finissime pareti della sacrario, ridotte all'ossatura dei contrafforti, lasciavano immensi spazi vuoti, riempiti da preziose vetrate colorate che svettavano fino al soffitto. Le volte a crociera, anch'esse preziosamente istoriate, sormontavano le tre navate, congiungendosi in prossimità dell'abside dove era stato posto l'altare. Dietro a esso, come una guardiana silenziosa, si innalzava la statua di  Azaerien, la dea dei draghi. 
Ancora una volta, Asheryl rimase a bocca aperta, incantata davanti a quello spettacolo che mai, negli oltre mille anni della sua vita, aveva avuto modo di ammirare. Sbattè le palpebre più volte e osservò ogni cosa nel dettaglio, imprimendosela a fuoco nella memoria poiché presto tutto quello splendore non sarebbe più esistito e solo nei suoi ricordi avrebbe potuto ammirarlo di nuovo. Lentamente lo stupore svanì, lasciando posto a una spietata determinazione. 
Con una fluidità felina, camminò fino all'altare e vi si appoggiò, studiando l'espressione dell’imperatore enthariano. 
La fissava negli occhi, chiaramente contrariato per il suo gesto irrispettoso nei confronti della Dea; tuttavia la principessa sapeva che quella era solo una facciata che il sovrano tentava di mantenere di fronte a lei: le braccia inermi lungo i fianchi, le pupille dilatate sino a coprire l’oroazzuro delle iridi e la tensione che percepiva nell'aria erano solo i più palesi tra i segnali. Lui non lo sapeva, ma era già suo; lo era stato fin dal primo momento in cui aveva messo piede a palazzo. 
Un sorriso feroce le piegò le labbra. 
«Allora... mi hai portato in questo luogo per parlare di questioni importanti, no?» accavallò le gambe e si scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, «Ebbene, parliamone, o Sommo Re.» 
Galerian fece un passo avanti, senza perdere il contatto visivo. «Imperatore» la corresse esordendo, poi proseguì. «Siete diventata informale, ho notato.» 
Nonostante il suo tentativo di parlare con tono fermo, non le sfuggì il leggero tremolio nella sua voce. Non era paura, non era un uomo che provava timore davanti a una donna, di questo Asheryl ne era certa. Eppure era nervoso, terribilmente e dannatamente nervoso. E ciò non poteva far altro che compiacerla. 
«Non c'è nessuno, Galerian. Per me è innaturale parlare in quel modo così artificioso tra sovrani.» ammiccò e indicò col dito la cupola sopra di loro, «Certo, potrebbe esserci la vostra Dea a guardarci, ma quelli come noi non temono nemmeno le divinità.» 
L’enthariano la guardò allibito, ma prima che potesse ribattere a quell'affermazione blasfema, Asheryl continuò. 
«Comunque, non sono venuta qui per discutere di teologia ed elucubrazioni filosofiche, anche se sarei onorata di ricevere un tuo invito per sentirvi blaterare le vostre teorie da ingenui e inesperti mortali. Mi hanno detto che sono particolarmente... fantasiose.» 
«Perché, il tuo popolo crede di saperne più di noi, Ashara?» 
«Oh, non è che la mia gente creda di saperne più di voi umani. Il mio popolo sa molto più di voi, Galerian, è normale: viviamo più di trenta secoli, ciò che vede e conosce un Aerstero è paragonabile agli anni più proficui dei vostri più illustri studiosi.» alzò lo sguardo e socchiuse le palpebre, beandosi del calore dei raggi del sole morente. 
La giornata stava per giungere a termine e da fuori il brusio che caratterizzava la caotica Aideran andava via via spegnendosi. Asheryl si concentrò su quei suoni, cercando di ignorare lo sguardo di fuoco che l'Imperatore le aveva piantato addosso. Non che la cosa non la disturbasse, se fosse stato un suo amante probabilmente gli avrebbe fatto cavare gli occhi, ma le piaceva stuzzicarlo, era più forte di lei. Lo sentiva disagio e, allo stesso tempo, la sua rabbia intrideva l'aria, saturando il silenzio di parole e minacce non dette. 
Passarono così alcuni interminabili minuti in cui i due sovrani tacquero. Asheryl si concentrò sul proprio respiro, rilassando tutti i muscoli del corpo e lasciando che la mente vagasse su pensieri e immagini sconnesse di ciò che aveva visto quel giorno. La capitale, gli umani, il loro modo di pensare e di agire differiva troppo da quello suo e della sua gente; anche se avesse voluto tentare una convivenza pacifica, era ben conscia che il suo popolo non avrebbe mai accettato una decisione del genere. Forse non ci sarebbero state rivolte ne proteste, ma la tensione sarebbe sempre stata palpabile e non era da escludersi che alla fine sarebbe sfociata in qualcosa di incontrollato. E allora sarebbe scoppiata una guerra sanguinosa da cui, sicuramente, loro ne sarebbero usciti perdenti. Gli umani erano troppi e gli Aersteri troppo pochi. Non era importante quanto fosse grande il loro orgoglio, quanto profondo il loro sapere o potente la loro magia, non avevano abbastanza armate da opporre agli infiniti, disciplinati e organizzati eserciti di umani e dei loro sudditi. In breve, sarebbero giunti ad un infausto epilogo ed Entharian non era famoso per la magnanimità nei confronti di chi aveva tradito la sua fiducia e dei popoli sconfitti: li avrebbero colonizzati, costringendoli ad aprire i loro confini e a condividere le loro conoscenze in cambio di “protezione”, così come solevano dire. Ma le catene della schiavitù, anche se dorate, rimangono comunque catene. 
Sospirò e tornò a rivolgere l'attenzione a Galerian. La fissava, in attesa che lei parlasse, con un'espressione a metà fra il truce e l'estasiato. Asheryl era ben consapevole di star camminando su un ghiaccio molto sottile, ma allo stesso tempo sapeva quanto fosse forte l'ascendente che esercitava sugli uomini. L'Imperatore era intelligente e acuto, malgrado ciò era giovane, troppo giovane per rendersi conto che ormai stava giocando al suo stesso gioco e secondo le sue regole. Le mancava poco per vincere la partita. 
Schioccò la lingua e gli elargì un sorriso malizioso. Con noncuranza, si spostò una ciocca rossa dietro l'orecchio e si sporse in avanti per osservarlo meglio. 
«Comunque... veniamo al nocciolo della questione. Ho saputo che avete messo gli occhi sul mio pianeta. Smettiamola di far finta che non sia così, è chiaro ormai.» 
«Cosa ti fa pensare che stia mirando proprio al tuo di pianeta.» ringhiò il sovrano sulla difensiva. 
“La maschera comincia a sgretolarsi eh, Galerian?” 
«Anni di vita mi hanno insegnato che, quando si arriva alla reggia di un re e si notano delle armate che si allenano, bisogna stare in guardia. Inoltre il mio regno è il più vicino fra quelli che detengono una certa rilevanza ed è il più interessante.» 
«Sempre sicura di te, mia regina.» 
«La sicurezza è una dote che solo pochi possono sfoggiare senza modestia.» si mordicchiò il labbro inferiore, senza curarsi di trattenere un sorriso di scherno. 
«La tua non è sicurezza, è sfrontatezza.» 
Asheryl dondolò le gambe, senza perdere il sorriso. 
Osservò la mano di Galerian posarsi sull'elsa della spada; probabilmente, se non fosse stato un gesto altamente sconsiderato, non ci avrebbe pensato due volte a piantarle la lama nel petto. La regina lo leggeva negli occhi, nel tremore del corpo, nei respiri ostentatamente controllati. 
Sarebbe stato interessante vedere chi avrebbe prevalso, un Aerstera rapida e letale o uno sbarbatello che non aveva mai visto una battaglia in vita sua, ma solo qualche campo di addestramento? 
«Non sto dicendo che tu non debba esserlo.» sospirò, accarezzando con la punta delle dita il marmo dell'altare e godendosi la sua espressione sbigottita, «Non ti reputo uno stupido, Galerian, ma non mi piace che qualcuno possa pensare che io lo sia. Sei appena salito al trono, hai bisogno di una guerra per compiacere il tuo popolo e per mostrare ai tuoi mondi di essere degno del tuo ruolo. Potevi scegliere tra il mio e i Regni Oscuri, ma contro di loro non hai la certezza di poter vincere, mentre attaccando noi sai già di avere la vittoria in pugno.» 
Galerian sussultò e, a quella vista, Asheryl schioccò la lingua con un'espressione trionfante sul volto: aveva colpito nel segno. 
«Ah! Allora non si sbagliavano i miei uccellini...» 
«Chi te lo ha detto?» sibilò a denti stretti l'Imperatore. 
La sovrana si umettò le labbra e un sorrisetto perverso le si dipinse sul volto. 
«Te l'ho già detto prima: un uccellino mi ha riferito...» 
«Voglio il suo nome.» scandì, furioso, ma quell'improvviso mutamento di atteggiamento non la turbò. 
«Non è importante il nome. Sinceramente, gli ho solo fatto scandagliare la mente per essere sicura che non stesse mentendo, ma non ho appurato la sua identità.» 
«Tu menti.» 
«Perché mai dovrei mentire per difendere un umano, Galerian? Ho ottenuto le informazioni che mi servivano, non me ne verrebbe nulla a coprire un disertore.» ammiccò ed elargì all'imperatore un sorriso crudele. 
Quelle parole così ovvie furono come una pugnalata per il suo interlocutore. Gli aveva voluto fare del male e c'era riuscita. Instillare in lui il seme del dubbio, disorientarlo, fargli credere che nel suo regno non ci fossero solo luci e, alla fine, porgergli la mano come una fedele alleata. O, almeno, quello era quello che avrebbe dovuto credere. 
«Sotto l'ombra di un grande re, si nascondono molti roditori pronti ad azzannarlo quando cadrà al suolo.» sfiorò appena il ciondolo che le pendeva al collo, «A volte, sono proprio loro a farlo cadere.» 
Galerian tacque. 
«Ora che sono a conoscenza dei tuoi piani, non avrai più la possibilità di invaderci. O meglio... potrai farlo, ma al prezzo di centinaia di migliaia di vite, perché non credere che la mia gente si lasci addomesticare facilmente: saremo meno di voi, tuttavia abbiamo affrontato molte guerre e siamo sopravvissuti a secoli di sofferenze. Se ci attaccherai, Galerian, gli Aersteri prenderanno le armi e porteranno nella tomba chiunque puoi di conservare la loro libertà...» 
«Come puoi parlare così...» l'imperatore contrasse la mascella, furente, «Tu non hai idea...» 
«La mia è una razza nata per combattere, nelle nostre vene scorre il sangue degli Antichi Demoni.» si alzò in piedi e slacciò il nodo della leggera veste. 
La seta scivolò sul pavimento, mentre la luce sanguigna del tramonto accarezzava la sua pelle ambrata. L'imperatore la osservò rapito e la regina gli concesse un sorriso sensuale, avvicinandosi con grazia felina, senza fretta. 
Arrivò a una spanna da lui e fissò lo sguardo in quello del sovrano, lasciando che i suoi occhi la osservassero e godendosi la brama che balenava in fondo a quelle iridi dorate. 
«Vedi queste rune?» gli prese la mano e se la passò sulle braccia, sul collo, sul seno, «Le incisero a mia madre e a sua madre prima di lei. Sono il simbolo della famiglia reale e creano un collegamento profondo con le forze primigenie del mio mondo. Vengono tramandate di generazione in generazione da tempi immemori e solo le donne possono ereditarle.» si avvicinò ulteriormente per poi allungarsi fino a sfiorargli l'orecchio, «Abbandona i tuoi insani propositi di guerra e io diverrò una preziosa alleata. Posso renderti partecipe della mia forza, posso diventare la tua amante, se lo aneli, Galerian. E, se lo desidererai, posso diventare anche qualcosa di più.» 
Il silenzio riempiva la sala. Innanzi alla titubanza del giovane, Asheryl increspò le labbra in un mezzo sorriso e lo provocò: «Forse non hai mai visto una donna nuda? È per questo motivi che esiti, mio imperatore?.» 
«Chi ti dice che io desideri averti...?» bisbigliò il ragazzo riscuotendosi. 
La risposta non giunse mai. Galerian spalancò gli occhi e rimase impietrito, mentre la regina prese l’iniziativa e si strinse al suo corpo, premendo prepotentemente le proprie labbra su quelle umide di lui. Ma fu solo un istante, il tempo di un battito di ciglia e l'incertezza svanì. 
L'imperatore la fece sedere sull'altare e affondò le dita in quella cascata di capelli sanguigni. 
«Mi appartieni, Ashara, ora mi appartieni...» le soffiò all'orecchio, ma prima che lei potesse opporsi, le sue labbra si erano di nuovo impadronite della sua bocca. Ma la regina non rifiutò quel bacio violento: lasciò il controllo del suo corpo all'istinto, al desiderio che come magma incandescente le aveva invaso le viscere. La sua lingua danzò con quella di Galerian, mentre i loro respiri si fondevano, diventando ansiti e gemiti strozzati. Percepiva il battito accelerato dell'imperatore sulla sua spalla, ma le mani della regina correvano sul suo corpo che lo graffiavano, costringendolo a rimanere vicino a lei. Gli morse le labbra fino a farle sanguinare e, di nuovo le due lingue si scontrarono, cercandosi e bramandosi come se fossero state amanti da sempre. 
E non c'era dolcezza nelle carezze di Galerian, in quelle mani grandi e lisce, così diverse da quelle dell'inesperto ragazzino che pensava di avere davanti. Lo strinse e fece aderire il petto a quello di lui, mentre le sue dita si infilavano nei suoi capelli per poi tirarli con forza, quasi a volerlo fermare, ma in cambio ricevette un bacio ancor più affamato, vorace. 
Quando l'ultimo abito cadde a terra, come ad un segnale convenuto, le si avventò addosso, si tuffò in quei capelli rossi, sui seni, sulla pelle tatuata, graffiandola a sua volta, incidendovi un suo segno di appartenenza. 
Si guardarono per alcuni momenti, in perfetto silenzio. Il sole era ormai tramontato e il tempio era avvolto solo dalla luce fioca delle prime stelle. 
«Avanti, ragazzo. Non dovrò mica insegnarti come si fa, vero?» disse sorridendo e porgendogli le mani. 
Ignorando la provocazione, lentamente Galerian le aprì le gambe, senza mai distogliere gli occhi da quelli dai suoi.  Poi, sotto lo sguardo degli antichi eroi e delle divinità, divennero una cosa sola. 

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