To die: to sleep; no more

di B Rabbit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 – Shadows ***
Capitolo 2: *** 02 – E la Paura ti osserva, celata dal chiarore della quotidianità ***
Capitolo 3: *** 03 – Prima che tutto peggiori di nuovo ***



Capitolo 1
*** 01 – Shadows ***












To die: to sleep; no more
If death was like a sleep, my life would be just a dream




01 – Shadows
Un lieve sussulto lo fece rinvenire dal torpore, fluito in lui attraverso le dolci carezze regalategli da Morfeo. Rumori soffusi pizzicarono le sue orecchie, parendo confusi a causa della bizzarra stanchezza che lo avvolgeva.
Forse – pensò – ci siamo fermati
Dei colpetti gentili toccarono il suo braccio e la sua mente, pregando attenzione con delicatezza. «Ehi, dormiglione» si sentì chiamare da un soffio leggero. «Siamo arrivati. Forza, dobbiamo andare».
Si volse e guardò suo fratello, Roxas, con gli occhioni blu pregni di sonno. «Mi sono addormentato…?» mormorò, guardando fuori dal finestrino della vettura.
«Quasi. Scendiamo, forza».
Notò suo fratello offrirgli la mano e Ventus la strinse debolmente, lasciandosi guidare fuori dal mezzo; percorse il piccolo vialetto con la testa bassa e le palpebre socchiuse, seguendo docilmente il gemello.
«Ho già suonato al campanello» informò una voce femminile, gentile e luminosa.
Ventus sentì delle dita fendere le acque d’oro dei suoi capelli e alzò lo sguardo, incontrando le iridi amorevoli di sua madre.
«Sei stanco, tesoro?» sussurrò lei senza smettere di carezzare il capo al proprio bambino.
«Saranno stati gli allenamenti di calcio» si intrufolò Roxas nel discorso, mentre guardava la porta con un certo nervosismo.
«Ora vi divertirete, su».
Ventus annuì e scrutò attentamente il fratello – l’ansia velava le due gemme, foschia in una gelida mattina che aleggiava sopra il mare ingrossato –.
La serratura scattò all’improvviso e la porta si aprì, rigettando le grida e le risate trattenute all’interno fino in quel momento.
«Aerith e i gemelli Strife!» esclamò entusiasta la donna dinanzi a loro. «Entrate voi due, su, non vorrete prendere un malanno!» e si scostò dalla soglia aperta, invitando con un gesto della mano i due tredicenni.
La castana sorrise. «A che ora posso venirli a prendere, Eden?».
La padrona di casa si portò le mani sui fianchi. «Mia cara, tu rimani qui!».
«Cosa?!» si lasciò sfuggire Roxas, che subito dopo si coprì la bocca imbarazzato.
Eden accennò una risata; portò una ciocca corvina dietro l’orecchio e guardò la madre dei due biondini. «Dai, cosa ne dici? Parleremo tranquillamente in cucina, magari con una tazza di tè» propose e un sorriso florido di allegria incurvò le sue labbra.
«Sì, certo» accettò ed entrò in casa.
«Bene!» e chiuse la porta canticchiando qualche nota. «Ragazzi, la festa è al solito posto. Fate come se foste a casa vostra» e detto questo, si allontanò immediatamente insieme ad Aerith, raccontandole chissà cosa fra risate trattenute.
Roxas sospirò. «Non credevo che nostra madre sarebbe rimasta qui…».
Il gemello accennò un sorriso e rafforzò delicatamente il legame che ancora univa le loro mani. «Sei preoccupato…» disse piano, cercando le iridi del fratello, ma quest’ultimo volse di lato la testa, amareggiato.
«È che…» sospirò.
Ventus si mise difronte a lui e attese, un sorriso dolce e delicato sui petali della sua bocca pronto ad accogliere e mitigare le ansie dell’altro.
«Tu… giocherai con tutti» riprese il biondino, e Ventus sentì la sua mano stringere maggiormente la sua come alla ricerca di forza e rassicurante calore. «Ti divertirai con gli altri… e mi lascerai solo».
Roxas sollevò infine gli occhi, intorpiditi dai fumi della preoccupazione che vorticava nel suo petto. Il biondo lo guardò; sbuffò e, rattristando il fratello, lasciò improvvisamente la sua mano.
«Sei uno scemo» gli disse, dandogli un buffetto in fronte – sorrise al mugolio che zampillò dalla bocca dell’altro –. «Non ti lascerò e ci divertiremo insieme. Sceeemo» e gli fece la linguaccia.
Roxas lo fissò e una risata volò leggiadra. «Lo sei anche tu, allora, visto che siamo identici».
Ventus sgranò gli occhi. «Non è vero!».
L’ilarità dell’altro crebbe. «Sì invece!».
«No!» e mugolò infastidito, ma felice per la serenità ritrovata; sentì un tepore lambirgli le dita e le labbra si arricciarono affettuosamente – cercava sempre la sua mano, Roxas, rifiutando addirittura quella della loro madre. Voleva soltanto la sua –.
«Dai, andiamo» disse lui, e Ventus annuì, beandosi di quel dolce calore che tanto amava.


Appena il contenuto del grazioso cofanetto fu scoperto, sul viso di Kairi sbocciò l’infantile e genuina euforia che i bambini sapevano regalare a chi osservava.
«Sono bellissimi!» gridò quasi e abbracciò all’unisono i due gemelli – era riuscita ad ottenere il permesso di aprire il loro regalo prima del tempo stabilito, tra pressioni ed occhi supplichevoli–.
«Sono felice che ti siano piaciuti» le disse Ventus, ricambiando l’affetto manifestato. «Avevamo un po’ paura…».
«Sono stupendi, invece!» rassicurò lei, e guardò nuovamente il regalo, due candidi orecchini dalla forma di stella.
«Kairi, voglio vedere!» proruppe il castano vicino a lei, tenendo un palloncino azzurro fra le mani. «Sora» lo chiamò un ragazzino dai capelli nivei. «È il suo regalo: te lo farà vedere appena vorrà» e, con silenziosa sveltezza, strappò il gioco dalle mani dell’altro, facendolo squittire dalla sorpresa.
«Riku!».
La rossina sospirò. «Ragazzi…» li richiamò per la settima volta in quella misera mezz’ora, ma l’albino fuggì via con il palloncino, seguito da un indispettito Sora. Kairi sospirò ancora. «Scusate un attimo…» disse con tono esasperato e marciò verso i suoi due amici d’infanzia.
Ventus trattenne una risata. «Fa la mammina…» commentò, cercando con lo sguardo il trio.
«Direi più la fidanzatina». Il gemello lo guardò stupito. «Di chi?».
«Di entrambi».
Ventus si lasciò sfuggire un frullio divertito. «Ma non può!» dichiarò, prendendo sul serio l’affermazione del fratello. «Al massimo si fidanzerà con un’altra persona, non riuscirà mai a sce…» uno sbadiglio si intrufolò tra le sue parole e fuoriuscì stanco, spandendo nel giovane l’usuale debolezza del sonno.
«Sei stanco?» chiese il gemello, la voce umida di preoccupazione. Il biondo si stropicciò gli occhi con la mano socchiusa, strappando via le piccole gocce trasparenti dalla pelle. «Un po’… è da stamattina, sai?».
Roxas lo fissò; si mordicchiò il labbro e rifletté, ignorando il chiasso che gonfiava l’aria del grande soggiorno – nella sua mente brillava unicamente la figura del fratello, il suo viso raggiante e l’affetto che mai gli aveva negato –.
«Vai a sederti lì e aspettami» gli disse, indicandogli un divanetto in fondo alla sala. «Vado a prenderti qualcosa di gassato, così magari ti sveglia».
Il gemello gli strinse il braccio con delicatezza e riversò gli occhi nei suoi. «Non preoccuparti, Rox, passerà» soffiò, una leggera nota di stanchezza nella voce, ma il biondino ricambiò il suo sguardo e stette in silenzio – sul suo volto affiorò un sorriso morbido e dolce e gentile, così raro e meraviglioso da sciogliere ogni suo disappunto e intimarlo garbatamente all’ascolto –.
«Aspettami lì, su» e prima di lasciarlo fra invitati rumorosi e festoni colorati, Roxas gli baciò inaspettatamente la fronte, stupendolo – mai, considerò il tredicenne, suo fratello avrebbe fatto una cosa del genere in pubblico, eppure il presente gli aveva appena mostrato un’altra verità –.
«Speriamo ci sia qualcosa di decente» gli disse e si allontanò tranquillamente, ignaro di Ventus che, sbigottito, si portò una mano alla fronte e sfiorò con le dita l’ombra di quel tepore.
Individuò il tavolo su cui regnavano indiscusse le bibite; si avvicinò, scivolando come acqua fra le persone, ma dovette fermarsi appena dei ragazzi molto più grandi spuntarono nella sua visuale, circondando il tavolo – non li aveva notati, Roxas, nonostante la loro altezza superasse facilmente la sua –.
Si drizzò sulle punte dei piedi per trovare qualcosa di decente, però quelle opprimenti figure glielo impedivano, irritandolo sempre più; tentò di avvicinarsi dando una gomitata alla schiena di un ragazzo, ma il risultato che ottenne fu solo un’occhiataccia astiosa.
Digrignò i denti, pronto a gridare qualcosa di poco gentile, ma una mano sulla spalla richiamò la sua attenzione.
«Ehi, tigre, vuoi qualcosa?».
Roxas si voltò e sbatté gli occhi, meravigliato da quello strano e sorridente ragazzo – rimase colpito dalla sua altezza sottile e dai bizzarri capelli di un impressionante rosso cremisi –.
«Cosa c’è, lì…? E non chiamarmi “tigre”» bofonchiò, soffocando la stizza per educazione.
Il sorriso del fulvo si accentuò. «Va bene, gattino ~» e gettò un’occhiata al tavolo, noncurante della reazione dell’altro. «Vediamo… Coca-Cola normale e alla vaniglia – quasi finita –, della birra assolutamente vietata ai minori di ventun anni e una brocca di Dr Pepper alla ciliegia – annacquata, mia sorella deve aver messo il ghiaccio come una–».
«Tua sorella?» lo interruppe il biondino, e il più grande annuì.
«Piacere, sono il fratellone di Kairi, Axel, e sono qui a controllare che tutto vada bene» disse con innocente tranquillità. «Allora, cosa preferisci?».
Il tredicenne fissò per qualche attimo lo strano ragazzo. «… Due bicchieri di Coca-Cola alla vaniglia».
Axel sorrise. «Subito!» e prese immediatamente la bottiglia prima che qualcun altro potesse rubargliela.
Il biondino si poggiò contro il pezzettino libero del tavolo. «Quindi questi colossi sono amici tuoi?» chiese, ottenendo subito l’attenzione dell’altro.
«Oh. Ehm, sì» borbottò. «Quello con gli strani capelli blu è Saïx» e indicò con un cenno del capo il ragazzo a cui Roxas, per sbaglio, aveva dato una gomitata. «Mentre quell’altro è –».
«Guarda che anche i tuoi sono strani» puntualizzò il giovane.
Il ventenne accennò una risata gutturale, che l’altro trovò calda e rassicurante. «Il gattino ha ragione. L’altro invece è –».
«Non chiamarmi neanche “gattino”» lo zittì nuovamente, facendo sorridere il più grande.
«E come dovrei chiamarti, hm?» chiese con voce bassa.
Il biondino abbassò appena lo sguardo. «… Roxas».
Il ragazzo lo guardò e sembrò assaporare il suono di ogni lettera nella sua mente. «… Ok. Allora, Roxas, l’altro individuo strano...» si fermò, aspettandosi un nuovo intervento. «Si chiama Demyx: è il ragazzo biondo lì all’angolo che cerca di parlare al telefono».
Il giovane seguì lo sguardo dell’altro e fissò stupito l’amico appena citato, bizzarro quanto il fratello di Kairi. Quasi.
«Comunque, ecco la roba gassata che tanto volevi» lo richiamò all’attenzione Axel, porgendogli i bicchieri con un sorriso bonario. Li prese e guardò il fulvo per qualche istante. «Grazie…» mormorò infine, leggermente in imbarazzo.
L’altro sorrise. «Di nulla» ma prima che il giovane sparisse in mezzo agli invitati, lo chiamò per nome. «Belle lentiggini!».
Roxas sgranò gli occhi e per poco non gli caddero i bicchieri: lui odiava quelle macchiettine sul suo viso.
«Ma va’ a farti fottere!» abbaiò irato, sbalordendo il ventenne; stava per aggiungere qualcosa in più, ma tra i rumori della festa udì il suo nome ribollire in un grido scioccato, e Roxas, voltandosi, scorse il viso scandalizzato del fratello.
«Ven… ti prego, non dirlo a nostra madre!» ma appena il gemello volse lo sguardo di lato, verso la cucina, Roxas capì di essere ormai spacciato – gli parve di sentire quasi la risatina tagliente di Riku –. Sospirò affranto e riportò lo sguardo sul rosso. «Stanotte potrei dormire nel negozio floreale di mia madre per colpa tua. Contento?».

















Povero Roku…
*trattiene le risate*
Buon ciao a tutti e benvenuti in questa long indefinita! :D
Per iniziare, vi spiegherò cosa ha causato quello che avete appena finito di leggere. Coff.
”CLOUUUUD!
Ho un’ideona!!!!
AU KH.
Ventus è HOTOLTOLAPAROLINAPERCHÈPORTATRICEDISPOILER”

Ecco qui :3
Siete ancora sicuri di voler continuare a leggere? Ci abbiamo sclerato sopra per un giorno intero, eh uxu
E fu così che scapparono tutti.
Comunque… non so quando aggiornerò, ma sappiate che andrò avanti a scrivere questa long perché ho due anime sopra la mia testa che vogliono i capitoli velocemente, quindi tranquilli.
Grazie per aver letto e bye bye :3

Cloud ~

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Capitolo 2
*** 02 – E la Paura ti osserva, celata dal chiarore della quotidianità ***












To die: to sleep; no more
If death was like a sleep, my life would be just a dream




02 – E la Paura ti osserva, celata dal chiarore della quotidianità
Una sensazione strana soffiò sulla pelle della coscienza, un vortice desideroso della sua mente assopita, e Ventus si ritrovò a strangolare le coperte del letto, nella stanza colma di tenebre.
Con gli occhi contornati da mezzelune d’insonnia, il ragazzo scrutò l’ambiente circostante, notando solamente gli abbozzi confusi della mobilia. Si rilassò contro il cuscino e chiuse le palpebre, mentre i battiti del suo cuore via via sfumavano dai sensi acuiti, abbandonando alla solitudine i propri respiri che gli carezzavano l’udito.
«Ven…?» mormorò una voce e il citato sospirò, chiedendosi se si fosse lamentato nel sonno.
«Scusami» rispose, e dei soffici fruscii annunciarono l’avvicinarsi del fratello.
«Ero già sveglio, eh» lo rassicurò Roxas, che si sedette sul bordo del materasso. Un sorriso luccicò nel buio.
Non è vero – pensò l’altro, ma anche le sue labbra si arricciarono dolcemente alla gentilezza del fratello. Ventus sprofondò di più nelle coperte e sospirò, deliziato dal caloroso abbraccio delle coperte. «Dai, vai a letto» disse, ma il giovane scosse la testa.
«Rimango un po’ qui… non ho molto sonno» ribatté lui, giocando con un lembo del lenzuolo bianco.
«Neanche io». Roxas lo guardò. «Vuoi che ti conti le pecorelle?» chiese con tranquillità, e il tono convinto suscitò delle risate nel petto del gemello che, dopo qualche scoppiettio di ilarità, si portò una mano alla bocca e l’altra all’addome per trattenersi. Roxas guardò mesto il biondo mentre inspirava profondamente e rigettava fuori tutte le sostanze nocive – l’aria consumata e il divertimento –.
«Scusami…» sussurrò lui, dispiaciuto delle parole dette, ma uggiolò appena l’altro gli diede un buffetto sulla fronte.
«Scemo».
Roxas sorrise; puntò lo sguardo verso la soglia aperta senza alcun interesse, mentre il silenzio rubava loro la voce. Percepì Ventus agitarsi appena nel letto, forse alla ricerca di una nuova, comoda posizione per dormire che alla fine, come ogni volta, sarebbe stata sempre la stessa, le gambe rannicchiate al petto e le mani che stringevano appena il cuscino – un atteggiamento chiuso, difensivo che manifestava l’irrequietezza del suo animo –.
«Oggi comincia la scuola…» proferì il ragazzo, volgendo gli occhi verso il gemello sdraiato.
Ventus annuì leggermente con il capo. «Il primo giorno delle superiori…».
«Sei agitato?» gli chiese con un soffio lieve.
«Curioso».
Roxas sorrise. «Sei sempre stato così, tu».
Il quattordicenne allontanò lo sguardo dal fratello e fissò il soffitto velato dal buio, soppesando le parole udite. «Ci sono così tante cose belle, nel mondo» sussurrò debolmente, e Roxas colse la tristezza nel suono della sua voce. Cercò il viso dell’altro, aguzzò la vista per rinvigorire le linee della sua espressione; corrucciò la fronte appena notò l’agitazione del biondo – il labbro torturato dai denti, le sopracciglia contratte –. «Ehi» lo chiamò Roxas e posò la mano sulla sua, sbucata fuori dal nascondiglio del letto. «Ci sono io in classe con te» continuò, e sorrise appena le dita dell’altro si intrecciarono alle sue. «E poi sono io l’asociale, tu sei capacissimo di stringere amicizia anche con un sasso».
Una lieve risata vibrò nella stanza. «Scemo, non sei asociale» gli disse Ventus con tono gentile, legando gli occhi ai suoi – limpidi, come se le paure fossero svanite temporaneamente grazie alla magia di un riso –. «Semplicemente sei una persona che n-non…» ma la voce impallidì e scomparve, piantando nell’animo del ragazzo il germoglio della paura. Ventus si schiarì la gola, strinse la mano del biondo in cerca di forza, ricevendo un aiuto silenzioso dalla stretta che veniva ricambiata. «Tu… n-non fai ami… amicizia con tu-» chiuse la bocca, affranto. Roxas colse un luccichio nelle sue iridi; carezzò la mano tremante del fratello e gli sorrise. «Ovvio che non faccio amicizia con tutti, alcuni sono così stronzi» disse con voce fintamente irritata per dissimulare la preoccupazione, il dispiacere; notò lo sguardo di Ventus fisso su di lui e sospirò. «Roxas, non dovresti dire certe parole! Nostra madre non sarebbe affatto felice!» lesse nell’espressione del biondo che, udendo quella sua caricatura, arricciò le labbra in un broncio. L’altro rise e, stupendo il gemello, si tuffò anch’egli nel suo letto, coprendo bene entrambi. «No, non andrò nel mio, quindi non rompere» disse in un soffio Roxas, guardando con un sorriso dispettoso il quattordicenne che lo spingeva debolmente fuori, invitandolo ad uscire. «Ehi, si sta davvero comodi!» esclamò felice, ridendo alle spinte leggere dell’altro.
«S… sei uno s-scemo» farfugliò Ventus, aggrottando le sopracciglia stizzito. Il fratello rise ancora, ma afferrò le sue mani e lo guardò – Ventus sussultò leggermente alla piega dolce che ondulò la bocca del gemello –. «Andrà tutto bene» lo sentì mormorare, morbido e sicuro, e lui abbassò il capo, sperando nella veridicità di quelle parole.


Il moretto si arrestò all’istante e, con occhi sgranati, fissò terrorizzato l’amico. «Non è vero!» urlò quasi, facendo ridere il più grande che si voltò a guardarlo.
«Sì, invece» rispose Riku, un sorriso malizioso sul viso. «È il mio secondo anno, quindi so come vanno le cose alle superiori» proseguì con noncuranza, divertito dall’espressione dell’altro. «I bulletti ci sono sempre stati, del resto».
Sora gemette. «Non mi prenderanno di mira, vero?» chiese poi, continuando a guardare l’albino.
«Certo! Sei così stu- ehm, ingenuo che sarai un perfetto antistress» rispose con limpida tranquillità e riprese a camminare, inseguito subito dal giovane.
«Ma tu mi aiuterai, vero?» supplicò l’altro, fissando il ragazzo negli occhi acquamarina. Il più grande ricambiò il suo sguardo e sembrò soppesare la richiesta con serietà – il moro avvertì la speranza curargli le ferite lasciategli dal timore con il suo dolce nettare, ma appena l’altro gli donò un no come risposta urlò ancora, ricordando all’altro i doveri dell’amicizia –.
Una voce femminile si aggiunse alle grida del moro e appena una chioma rossiccia spuntò nella sua visuale, Riku sbuffò, sperando che l’altro non cominciasse a raccontare tutto all’amica – cosa che, invece, accadde, immediatamente seguita dai rimproveri della giovane –.
«Quante volte devo ripeterti di non spaventare Sora?» chiese la ragazzina, ma il più grande si limitò unicamente a fermarsi e a ricambiare lo sguardo. Kairi corrucciò le sopracciglia. «Mi stai ascoltando?» e tirò leggermente una ciocca nivea al ragazzo, che sospirò seccato.
«Hai le brioches?» sviò il discorso lui, spostando lo sguardo di lato.
«Certo!» e, con un sorriso soddisfatto e vittorioso e splendido sulle labbra, mostrò agli altri una busta di carta, ottenendo come risposta esultazioni e sbuffi. «Sono ancora calde! Una al cioccolato per Sora» e porse al citato il suo cornetto, facendolo squittire dalla contentezza. «E due alla crema per noi!» finì con un sorriso allegro, offrendo all’altro la delizia mattutina – Riku la fissò per qualche secondo e, seppur brontolando una specie di riconoscenza, prese con delicatezza la brioche dalla mano della giovane.
«Non ho sentito nessun grazie» si intromise una quarta voce. Il più grande alzò gli occhi al cielo.
«Quante volte lo avranno detto a te, Brontolo?» rispose lui senza voltarsi; addentò la piccola gioia e si beò del sapore vellutato della vaniglia che gli lambì il palato, reso ancora più dolce dalla reazione stizzita del nuovo arrivato.
«Dai, non cominciate…» mormorò Ventus, guardando supplichevole il fratello. Lui grugnì un assenso poco convinto e morse il suo croissant al cioccolato.
«Sor, quando capirai che Riku vuole solo prenderti in giro?» chiese poi Roxas, lasciando che il fratello assaggiasse la sua merenda. «L’ha fatto anche alle medie, ricordi?».
«Non è vero!» rispose invece suo cugino e diede tranquillamente un altro morso alla brioche. Il biondo lo fissò sbigottito. «… Deficiente e pure smemorato» soffiò incredulo. Ventus squittì sconcertato ed allontanò dal gemello il proprio cornetto.
«Roxas!» lo richiamò, ma il biondo si lamentò unicamente per il morso vietato.
«Ma è vero!» si giustificò, allungando la mano verso il bottino, ma l’altro alzò il braccio per contrastarlo. «Scusa, come ha fatto ancora a non ca–».
«Non mi interessa, non devi dire cose del genere!».
Roxas abbassò leggermente il capo e guardò mesto il fratello che, notando il dispiacere intorpidire quelle due gocce di cielo, accennò un debole sorriso.
«Mi dai la brioche…?» mormorò infine il biondo, recidendo la speranza di un possibile pentimento nata nel cuore di Ventus.
«… No».
Gli altri risero, divertiti dalla scena dei gemelli.


Dopo aver salutato gli altri, i due biondini si diressero verso la loro classe con passo celere, desiderando unicamente di trovare due posti liberi nell’ultima fila.
«Ma Nami e…?».
«Arriveranno» lo tranquillizzò prontamente Roxas, afferrando il cellulare dalla tasca del montgomery per controllare l’orario.
«Sono in classe con noi?».
«Naminè è con Kairi e Sora, mentre – oh, vedo la porta!» esclamò il giovane, felice di non essersi smarrito in quell’imponente edificio, condannando così sé stesso e suo fratello ad un ritardo il primo giorno di scuola. «Forza!» lo intimò, notando i suoi futuri compagni entrare nell’aula per rubare loro i posti, ma Ventus si arrestò all’improvviso.
Roxas si voltò a guardarlo. «Tutto ok?» chiese con una goccia di preoccupazione, e con rammarico notò il fratello mordersi il labbro con la testa china. «Ehi…» lo chiamò flebilmente, prendendogli la mano serrata in pugno e aprendogliela con delicatezza. «Andrà tutto bene. Ci sono io con te».
Ventus sollevò appena il capo e fissò il gemello con gli occhi traboccanti di timore, in cui una leggera scintilla di fiducia baluginava indifesa.
«Andrà tutto bene…» ripeté le parole del biondo, che sorrise nel sentire la stretta delle loro mani rafforzarsi teneramente.
Con un cenno del capo, Roxas invitò l’altro a proseguire e insieme si avvicinarono alla porta spalancata. Seguito da Ventus, il giovane si diresse verso l’ultima, accogliente fila, dove stranamente sei posti attendevano i nuovi alunni.
Ventus si appropriò dell’estremo banco, entusiasta di poter sentire le carezze della brezza che si intrufolava dalla finestra socchiusa; si girò per guardare il fratello, ma un altro ragazzo si impossessò della sedia adiacente alla sua, causando in lui un leggero brivido.
«Ehm… in verità questo posto–».
«Ciao!» lo salutò invece lui, sorridendogli raggiante. «Come ti chiami? Io sono–».
«Io sono Roxas e tu sei nel mio posto» lo interruppe lapidario il biondo, guardando lo sconosciuto con freddezza.
Il ragazzo guardò i suoi nuovi compagni e sgranò gli occhi marroni. «Siete gemelli!» esclamò, lasciando trasparire un pizzico di entusiasmo.
«Abbiamo un genio fra noi» commentò Roxas di rimando. «Adesso ti sposti?».
Lo sconosciuto gli sorrise e si alzò, occupando poi il banco vicino. «Mi piaci, sai? Io sono Hayner!» e gli porse la mano, il solito ampio sorriso dipinto sul volto.
«Tu invece no» concluse Roxas, sedendosi finalmente al fianco del gemello. Il compagno di classe rise. «Ti adoro già» e, ignorando il verso del biondo, si girò verso gli altri studenti che occuparono i posti vicini– vecchi amici, giudicò Roxas dalle espressioni dei due, una giovane dai lunghi capelli castani e un ragazzo dall’aria affabile e disponibile –.
«Non la vedo» disse invece Ventus, che cercava nella gente un volto amico.
«Arriverà» dichiarò il fratello, ma appena la campanella trillò con forza un sospiro gli sfuggì. «In ritardo» aggiunse infine.
Tutti occuparono i loro posti un attimo prima che qualcuno entrasse nell’aula – Hayner fischiò deliziato, un sorriso ebete ad arricciargli le labbra, e Roxas si prese il capo nelle mani, imponendosi la calma assoluta –.
La donna adagiò la propria borsa sulla spaziosa cattedra e rivolse agli studenti uno dolce sguardo, premuroso come quello di una madre. «Bene» cominciò, portandosi dietro l’orecchio una ciocca azzurrina. «Il mio nome è Aqua: sarò la vostra insegnante di inglese e di letteratura» e rivolse alla classe un sorriso amorevole.
«Credo che mi impegnerò davvero tanto nelle sue ore» commentò Hayner per grande sfortuna del biondo al suo fianco.
«Ora farò l’appello» riprese la giovane donna, prendendo fra le mani affusolate il registro di classe. «Dirò il vostro nome e voi vi alzerete, così da farvi osservare da tutti». Ventus sentì l’ansia riempirgli piano i polmoni, smorzandogli i respiri.
«Potete dire anche qualcosa su di voi, se volete. Io mi impegnerò a ricordare ogni nome nel giro di due giorni» e vagò con lo sguardo su ogni volto, sognando di avere con ciascuno un forte e sicuro legame; posò gli occhi sul biondino vicino alla finestra e, scorgendo il suo disagio, gli sorrise, sperando di instillare in lui un po’ di sicurezza.
«Cominciamo… Edward Bennett?».
Un ragazzino si alzò dalla seconda fila e guardò Aqua, per poi sedersi pochi secondi dopo.
La donna sorrise. «Piacere» disse rivolgendosi allo studente. Lui la fissò e ricambiò il saluto timidamente, abbassando gli occhi smeraldini.
L’insegnante proseguì con l’appello, studiando bene i volti dei ragazzi e ascoltando ogni singola cosa che questi le dicevano – interessi, desideri, idee –, a volte scambiando qualche parola con loro.
«Grazie, Sam… Olette Flores?».
Una ragazza si alzò e Roxas si ritrovò ad osservare l’amica del pazzo. «Piacere…» cominciò lei, giocherellando con un braccialetto che teneva al polso sinistro. «Mi piace stare con gli amici, l’estate e la fotografia. Oh, e anche il mio cane» e si sedette, zittendo Hayner e i suoi commenti con un pizzico.
Aqua accennò una debole risata. «E chi è quel ragazzo spiritoso vicino a te, mia cara?» chiese.
Il biondo, esaltato dall’interesse dimostratogli, si alzò e allargò esageratamente le braccia. «Sono Russel Hayner, amante dello sport e amico fidato!» disse con un gran sorriso sulle labbra.
«Gasato» commentò un ragazzo che il biondo riconobbe immediatamente. «Lui invece è Pence Morris!» aggiunse poi, indicando il giovane vicino ad Olette che, udito il proprio nome, arrossì per il grande imbarazzo.
Aqua trattenne le risate per non agitare l’alunno. «Vuoi dire qualcosa?» chiese invece.
Il ragazzo sembrò riflettere sulla proposta fattagli, ma poi scosse energicamente il capo.
L’insegnante lo guardò con affetto. «Va bene… continuiamo con questa fila, dunque. Tu sei…?» e fissò Ventus; lui scattò subito in piedi a causa dell’agitazione e, notando lo sguardo sorpreso del gemello, si diede mentalmente dello stupido. Cercò di dir qualcosa, ma le labbra si muovevano senza alcun suono; abbassò il capo, avvertendo le tempie pulsare al ritmo del cuore.
«Sono Roxas Strife e tutti insieme arriveremo al diploma. Forse» sentì il fratello parlare al posto suo e lo vide accomodarsi sulla sedia in silenzio, incurante dei mormorii che si levarono nell’aria.
Aqua sembrò stupita da quell’intervento, ma si riscosse subito e sorrise al biondo. «Piacere di conoscerti» disse, per poi guardare il gemello. «E tu sare–» ma nell’aula entrò una figura dalla statura minuta e il volto celato da un cappuccio, che tra gli ansiti si scusò per il ritardo.
La donna tranquillizzò la ragazza, dicendole di non curarsi di una sciocchezza del genere. «Come ti chiami?» domandò poi.
«Assassin’s Creed!» urlò Hayner, portando l’ilarità nell’animo dei compagni.
«Sta’ zitto» sibilò R0xas, assestandogli una gomitata.
La piccola figura si volse verso il biondo e sembrò grata dell’aiuto. Poi rivolse lo sguardo alla professoressa. «Sono Xion Ross. Mi scusi ancora per il ritardo» e detto questo, lasciò scivolare il cappuccio sulla chioma d’ombra, rivelando un viso delicato e roseo, illuminato da un paio d’occhi azzurri ricchi di pensieri e fragili sogni.
«Non preoccuparti, su» ripeté Aqua. «Puoi andare a sederti lì, in ultima fila».
Ella annuì e, mentre si dirigeva al suo posto, unì lo sguardo a quello di Roxas e gli sorrise con riconoscenza – il biondo mimò un “Dovere” con le labbra e l’osservò sedersi vicino a Pence –.
«Bene» disse l’insegnante e posò gli occhi sul biondino vicino alla finestra, rimasto ancora in piedi. «Tocca a te».
Lui annuì timidamente. Si schiarì la voce. «Sono… Ventus Strife: adoro la compagnia dei miei amici e il calore della famiglia; vorrei fare un viaggio insieme a mio fratello alla fine delle superiori, ma adesso quel che desidero è passare degli anni tranquilli in questa scuola. E-e…».
«E?» gli fece eco la donna. Ventus guardò il fratello, quasi in cerca di aiuto. «E niente…» finì invece e si sedette, percependo l’ansia dissolversi lentamente.
Aqua lo fissò comprensiva, ma poi sorrise alla classe e riprese il corso naturale dell’appello.
«Sei andato benissimo» sussurrò Roxas, disinteressato delle presentazioni altrui. Ventus mugolò un assenso e si adagiò sul banco; inspirò e gettò fuori l’aria, osservando in silenzio il cielo terzo incorniciato come un quadro dalla finestra.

















Ansia da secondo capitolo.
Davvero, ho una paura Chocobo per questo aggiornamento °°”
Spero che il capitolo sia chiaro e che sia piaciuto – almeno un pochetto, su –.
E… niente. *Ventus mode: on*
No, ok, tornando seri… qualcuno di voi si sta facendo un’ideuzza su cos’ha il nostro piccolo angelo? Dai, dichiaro aperto il gioco Indovina cos’ha quel poveretto di Ventus! qualcuno potrebbe ammazzarmi per questo.
Ringrazio Woff per l’appoggio e per essere la mia compagna in questo viaggio, Cate per aver aggiunto la storia nelle preferite/seguite/ricordate e Faith per aver recensito. Ringrazio tutti voi per aver letto questa cosa. Bye bye :3

Cloud ~

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Capitolo 3
*** 03 – Prima che tutto peggiori di nuovo ***












To die: to sleep; no more
If death was like a sleep, my life would be just a dream




03 – Prima che tutto peggiori di nuovo
Sbattendo l’ennesima anta alla ricerca di qualcosa, Roxas sospirò pesantemente e si appoggiò con il bacino al mobile dietro di lui, incurante dei fornelli e delle manopole alle sue spalle.
«Ma dove sono finite…? Ero sicuro che le avessimo in casa» si chiese sovrappensiero, incrociando le braccia al petto.
Sora aveva richiesto specificatamente le patatine, arrivando perfino a minacciarlo con l’indice alzato e qualche parola sul possibile odio che avrebbe provato verso di lui: questo lato del moro compariva di rado, soprattutto in circostanze superficiali e, benché fosse specchio della serietà delle sue intenzioni, Roxas doveva ogni volta scontrarsi con la sua ilarità, specialmente quando il broncio autorevole baluginava sul viso del famigliare – e il biondo sapeva di non essere l’unico a trattenere le risate, perché Riku si voltava sempre dall’altra parte in quelle occasioni –.
Guardò distrattamente l’ampia cucina dalle pareti di un morbido e delicato bianco panna, facendo scorrere lo sguardo sui mobili color ciliegio, robusti ma al contempo eleganti – stranamente, al biondo tornò in mente la sera di qualche giorno precedente, quando suo padre, vista l’assenza di Aerith, aveva dichiarato di occuparsi personalmente della cena, costringendo tutta la famiglia, poi, a ordinare qualcosa –.
Il quattordicenne si raddrizzò all’improvviso e sbatté confuso le palpebre: non aveva alcun valido motivo od obbligo per assecondare quell’infantile di suo cugino, quindi si voltò ed aprì l’anta dinanzi a lui.
«Vi vanno bene i cereali?» urlò, ottenendo come risposta un gemito sofferente, sicuramente da parte del moretto. Sorrise soddisfatto.
Afferrò due ciotole bianche e raggiunse gli altri, accampati nel salotto di casa sua.
«Avevo detto le patatine!» piagnucolò Sora senza voltare il capo verso il cugino, totalmente assolto nel giocare alla console.
«Non ci sono e non le vado a comprare!» dichiarò, versando i cereali in una tazza che porse successivamente a Xion, accomodata sul bracciolo cremisi della poltrona.
«Grazie» disse lei, regalandogli un sorriso radioso che sapeva di primavera. Lui ricambiò con una debole e timida curvatura delle labbra.
«Roxas, sei cattivo!».
Il citato sbuffò. «Sta’ zitto!» rispose, e Xion accennò una debole risata che educatamente ovattò con la mano vicino alla bocca.
Sora mugolò qualcosa e si concentrò sul gioco per non regalare la vittoria a Riku, seduto insieme a lui sul grande divano scarlatto.
Il biondo fissò la televisione e un pensiero gli ritornò in mente. «Perché hai Gran Turismo 4 da stamattina? Non potevi tornare a casa e prenderlo dopo la scuola?».
Il cugino esultò per la riuscita del sorpasso appena effettuato. «No, no, avrei perso solo tempo!» trillò allegro e lanciò un fugace sguardo al famigliare. «Questo gioco mi rilassa ogni volta, così ho pensato che potesse servire a qualcuno nel caso in cui il primo giorno fosse andato male» e guardò sorridente l’altro, ma appena si voltò per proseguire la gara, scoprì con raggelo di essere tornato l’eterno secondo. Un urlo acuto scoppiò nel salotto, portandosi come scia le risate dei presenti.
«Ti sei distratto» gli fece notare Riku, un sorrisetto dipinto sul viso. L’altro aprì la bocca, pronto a ribattere, ma stranamente non uscì alcunché; egli chiuse le labbra e sprofondò meglio sul divano, stringendo con più forza l’innocente joystick. «Ora ti faccio vedere io».
Sul viso dell’amico affiorò uno strano sorriso. «Cosa? Come non aiuti gli altri?».
L’automobile di Sora si fermò all’istante, per poi riprendere la gara. «Che?».
«Il gioco» cominciò a spiegare l’altro, indicando con un segno del capo la televisione. «L’hai portato con te per rallegrare qualcuno, nel caso la scuola fosse andata male» disse, e il moretto annuì. Roxas osservava la scena in silenzio e, mentre porgeva l’ultima coppa a Kairi, seduta sul pavimento vicino al cugino, notò il sorriso malizioso del ragazzo dai capelli bianchi. Sbuffò, preparandosi all’avvenire.
«Eppure stai giocando tu» riprese il più grande, giocando con tranquillità. Sora, invece, sbandò con l’auto, facendo aumentare la distanza fra i due mezzi. «Beh… nessuno sembra triste. Giusto?» e guardò gli altri in cerca di assensi e certezza.
«Hai chiesto prima?» domandò incalzante Riku con l’intento di far vacillare l’amico.
«N-no… ma–».
«Insensibile!».
Il moretto balbettò qualcosa, facendo saettare lo sguardo dalla televisione al volto dell’altro, ma alla fine mugolò stizzito. «Dai il tuo joystick, allora!».
«Il gioco è tuo, quindi dovresti essere tu a darlo» replicò subito lui, il tono accusatorio alleggerito dalla lieve risata che gli uscì dalla gola.
Il battibecco si protrasse per una manciata di secondi, finché una scocciata Kairi urlò i nomi dei suoi due amici d’infanzia, ottenendo così la loro attenzione. «Smettetela immediatamente» e detto ciò, lanciò un’occhiata malevola al quindicenne, facendolo così sbuffare. «Comunque» riprese e guardò il castano. «La scuola è andata bene, tranquillo» e gli sorrise radiosa.
Il viso di Sora si illuminò ed egli annuì con dei cenni profondi del capo. «Tu, Xion?» domandò, mettendo il gioco in pausa. Il ragazzo più grande lasciò il joystick vicino a sé e si rilassò sul divano.
«Anche io» rispose lei con un sorriso gentile.
«Roxas?».
«Niente bulli, se è per questo» gli disse, sedendosi sulla poltrona con la confezione dei cereali in mano. «Preferiscono le vittime come te».
Il castano mugolò a quell'idea spaventosa. «Sei uno stupido!».
Roxas dissimulò il divertimento piluccando qualche cereale. «Sono oggettivo, invece. Mi dispiace» dichiarò poi in risposta, e volse lo sguardo verso Riku. «E credo che tu sia d'accordo con me, vero?».
Quest'ultimo annuì con aria fintamente grave, accendendo nell'amico d'infanzia una scintilla di terrore.
«Non è assolutamente vero! Anzi, tutti mi adoreranno!».
«Giusto» asserì il più grande – Sora si meravigliò di tale affermazione, ma non si lasciò imbrogliare da quella parola e rimase guardingo, in attesa della fregatura –.
«Vero» concordò il biondo. «Ogni ragazzo ti adorerà. Come antistress».
«Roxas!» gridò Sora e il bisticcio riprese, procedendo nella strada abituale delle frecciatine e delle proteste.
Kairi non si intromise e preferì guardare la scena dal suo posticino, sbuffando qualche volta di fronte alla stupidità mostrata e negava ogni volta dai suoi amici.
Xion la raggiunse e si sedette sul pavimento vicino a lei. «Forse dovremmo intervenire...» sussurrò, posando i suoi occhi limpidi su quelli della rossina.
«Neanche per idea» rispose la giovane, portandosi le gambe al petto e stringendole fra le braccia. «Smetteranno tra qualche minuto».
La moretta annuì e fissò il trio. «Mi vergogno per loro...».
Kairi asserì con un cenno del capo e posò la fronte sulle ginocchia per non guardare i tre ragazzi, ma appena il trillo del campanello annunciò allegramente l'arrivo di qualcuno, la rossina sbuffò e, certa di non ottenere alcuna risposta dal padrone di casa, lasciò Xion in salotto e si diresse verso l'ingresso per accogliere il nuovo arrivato. Quando aprì la porta, un sorriso le arricciò debolmente le labbra.
«Ehilà, sorellina!» la salutò Axel appena la vide, la mano alzata e la consueta espressione allegra ma adulta che sapeva tranquillizzarla. «Mamma mi ha chiesto di riportarti a casa... sei pronta? O vuoi rimanere un altro po’?».
«Oh, no... prendo le mie cose e andiamo. Aspetta lì, intanto» e con un cenno del mento gli indicò il salotto.
Egli annuì; osservò per qualche attimo la sorella mentre riponeva qualcosa nel suo zaino nero ma, udite alcune urla, si diresse incuriosito verso la stanza in questione con uno strano sorriso raggiante. «Ciao! Sono il fratello di–».
«Che cazzo ci fai a casa mia?» lo zittì subito il biondo, visibilmente sorpreso dalla presenza del fulvo. «Sei uno scassinatore? Come ca–».
«L’ho fatto entrare io» si intromise prontamente Kairi, posizionandosi di fronte al famigliare, quasi a volerlo difendere dal padrone di casa.
«Dovrei essere io ad aprire la porta» disse tagliente l’altro, irritato più dalla presenza di Axel, che dall’azione dell’amica. «Non tu, ma–».
«Ma siccome vossignoria era troppo occupato a dialogare, mi sono gentilmente caricata questo dovere». I due si studiarono l’uno l’altra per qualche istante, a loro volta fissati dagli amici e famigliari, e il silenzio aleggiò nel salotto finché Roxas, compresa l’irragionevolezza della sua reazione, sbuffò infastidito. Sollevò controvoglia la mano in segno di benvenuto e il più grande ricambiò il saluto.
Xion, che udì la scena rimanendo seduta sul pavimento, sorrise; si alzò e si avvicinò a Roxas. «Devo andare». Il giovane la guardò. «Oh… vuoi che–».
«Ti accompagno io!» affermò con slancio l’amica. «Non credo che sia un disturbo per mio fratello».
«Indubbiamente» accertò subito lui. «Una ragazzina non dovrebbe mai tornare…» ma la sua voce si affievolì piano piano a causa della gelida occhiata di Roxas.
Riku spense la console e scollegò i controller. «Allora andiamo anche noi. Ok, Sora?».
Il citato annuì e si voltò verso l’amica d’infanzia. «Ci dai un passaggio, per favore?».
Il quindicenne sbuffò. «Sei il solito… sono una ventina di minuti a piedi».
«Oh, non fare il cavaliere intoccabile» lo rimbrottò Kairi con le braccia incrociate al petto e un infantile – adorabile, secondo i suoi due migliori amici – broncio sul viso delicato. «E poi abitiamo anche vicini».
Riku sbuffò nuovamente. «Fate come volete…» brontolò e i due si batterono le mani in segno di vittoria – il giovane osservò in silenzio i loro sguardi complici, i sorrisi ampi e sinceri, e un velo di contentezza gli lambì dolcemente il cuore –. «Muoviamoci, forza».
La rossina rise mentre afferrava il suo zaino, imitata da Xion. «Come andiamo di fretta!».
«Siccome è tuo fratello ad accompagnarci…» si giustificò lui, seguendo le due giovani.
Il biondo scosse leggermente il capo, divertito da quella scena – un leggero sorriso mosse le sue labbra, movimento che Axel non si lasciò sfuggire –.
«Ehi, Roxas» lo chiamò il castano, ottenendo subito la sua attenzione. «Se vuoi posso lasciarti il gioco» gli disse con un sorriso luminoso.
Il cugino lo fissò confuso. «Perché?».
«Beh…» si portò una mano fra le ciocche brune e le smosse appena. «Nel caso in cui a Ventus… quando siamo arrivati è andato subito a dormire, quindi io…».
«Non ti preoccupare» gli disse l’altro voltandosi e cominciando a staccare ogni cavo dalla Playstation 2.
Il ragazzino si mordicchiò il labbro. «Però voglio aiutarlo… anche facendo piccole cose».
«Sor» lo chiamò il quattordicenne, lasciando la console vicino alla televisione; quando si voltò, ricambiando finalmente lo sguardo, l’altro sbarrò gli occhi dalla sorpresa – Roxas stava sorridendo, seppur leggermente, e quel gesto prezioso colpì e tranquillizzò il famigliare –.
«Grazie» gli disse, e Sora si grattò la guancia in leggero imbarazzo.
«D-di nulla… è normale preoccuparsi delle persone a noi importanti».
Il biondo accennò una risata. «Hai ragione» e gli diede una pacca sulla spalla. «Ora va’, prima che gli altri ti abbandonino».
«Sì!» e dopo aver stretto il parente, nonostante le proteste di quest’ultimo, si diresse verso l’ingresso canticchiando una qualche melodia allegra.
Lentamente, Roxas si voltò verso l’ultimo rimasto. «Muoviti, prima che quell’esaltato di mio cugino ti freghi la macchina» lo informò, la voce fredda e sterile malgrado la serenità di qualche attimo prima.
Axel sorrise. Sollevò la mano destra e fece dondolare leggermente una chiave sottile ed elaborata. «Non credo».
Il quattordicenne sbuffò dal naso. «Muoviti comunque. Stanno aspettando».
Il fulvo alzò l’altra mano in segno di resa. «Va bene, va bene» ma fatto qualche passo verso l’ingresso, il ragazzo si volse verso il più giovane. «Ci vediamo».
Roxas lo fissò attentamente – studiò la sicurezza sprezzante impressa sul suo viso sorridente, emblema dell’indifferenza che egli contrapponeva al distacco mantenuto dal biondo –. «Forse».
Al più grande sfuggì una risata. «Forse» e sparì nella stanza successiva, abbandonando l’altro in salotto.
Qualche goccia di tempo, pochi secondi, e tutti furono usciti. Roxas si sedette sul bracciolo della poltrona e sospirò. Com’è irritante – pensò, mordendosi il labbro inferiore per la stizza – e sicuro… irragionevolmente sicuro
Sospirò ancora una volta, il giovane, e puntò lo sguardo verso il soffitto. «Meglio sistemare» soffiò lievemente e, con piccolo slancio, si alzò. Afferrò le ciotole di porcellana bianca non del tutto vuote e la confezione dei cereali; fissò la console abbandonata vicino alla televisione e decise di non riporla nel suo scatolo – Magari Ven vorrà giocarci, questo pomeriggio –.
Si diresse in cucina, adagiò tutto sul tavolo e, mentre versava i cereali nella busta di plastica, rimuginò sulla mattina appena trascorsa – vagliò ogni singolo avvenimento, azione, e studiò le piccole cose che aveva scoperto sulle persone incontrante, stabilendo immediatamente chi ignorare e chi analizzare con più attenzione, nonostante i loro contorni fossero indefiniti e le loro figure vacillassero incerte nella sua mente per seguire un giudizio frettoloso –.
Ripose i cereali nel mobiletto pensile, ma appena si voltò sobbalzò dalla sorpresa.
«Scusa» gli disse Ventus con un sorriso birichino sul viso. L’altro si portò una mano sul petto. «Oh, pensavo di morire» proferì con voce debole e timorosa, ottenendo come ricompensa per la buona recitazione una risata da parte del gemello.
«Esagerato».
«Dici?» e si avviò verso l’ingresso. «Vuoi mangiare qualcosa?».
«Non ho fame» lo tranquillizzò Ventus e lo seguì. «Che stai facendo?».
«Devo fare una cosa… vieni con me?» chiese l’altro, infilandosi la giacca di jeans.
Il biondo sorrise – quando si svegliava, il giovane ragazzo sentiva l’elettricità dell’energia solleticargli le membra e il desiderio di uscire fuori senza alcun progetto era troppo invitante per ignorarlo. Roxas lo aveva scoperto dopo i primi giorni e, ogni volta che scorgeva negli occhi dell’altro quella voglia, escogitava un pretesto, una motivazione futile o imprecisa pur di accompagnarlo, per fargli capire quanto fosse piacevole vagabondare con lui per la città –.
«Avvisiamo la mamma, però» ricordò Roxas. L’altro annuì d’assenso; prese la felpa verde e la indossò.
Uscirono di casa e, dopo che Ventus ebbe chiuso la porta a chiave, si diressero insieme verso il piccolo edificio vicino la loro abitazione, un negozio di fiori dalle ampie finestre e dalla facciata in elegante e delicato legno bianco.
«Mamma, noi usciamo!» urlò Roxas, aprendo la porta di vetro quel poco per introdurre la testa. Ventus si limitò a salutare il genitore da fuori.
A differenza della cliente che, deliziata, rise educatamente, Aerith scosse con leggerezza il capo, facendo ondeggiare appena le due ciocche che le contornavano il viso. «Va bene» acconsentì con un morbido e caldo sorriso. «Ma vi voglio a casa entro le sette».
«Di mattina?» chiese Roxas per gioco.
La madre lo guardò per qualche secondo, le sopracciglia alzate e un’espressione divertita a modellarle il viso. «Di sera, giovanotto. Avete le chiavi?».
«Sì!» rispose Ventus.
«Allora va bene». Aerith aggirò il bancone e raggiunse i figli. «Divertitevi» e, con un movimento celere, scoccò un bacio sulla fronte di Roxas, che subito indietreggiò lamentandosi e accennando qualcosa sull’età e le dimostrazioni d’affetto. Aerith rise deliziata e regalò la stessa coccola a Ventus, avvicinatosi appositamente all’entrata. La donna salutò i suoi bambini e li guardò allontanarsi per qualche attimo finché non svanirono dietro un angolo.
«Andiamo al parco?» propose Ventus, le mani nascoste nelle tasche della felpa.
«Ma è dalla parte opposta… magari dopo» obiettò l’altro con fare pensoso.
«E quindi?».
«Non so… per adesso camminiamo» suggerì lui.
Il gemello annuì con un cenno della testa; chiese al famigliare di raccontargli le vicende accadute mentre lui dormiva, ed egli non si oppose, cominciando così a parlare – Ventus rise appena udì delle discussioni tra il biondo e gli altri, ma disapprovò comunque il comportamento del fratello e del quindicenne –.
«Perché ti comporti così con Axel?».
«È irritante… e sembra che nulla lo sfiori».
«Non puoi esserne certo…» dichiarò lui, osservandolo con lo stesso sguardo apprensivo della loro mamma.
«Lo so…» mormorò il quattordicenne, distogliendo gli occhi. «Per adesso lo sto ancora studiando».
Il gemello annuì. «Ed Hayner?».
Il biondo legò nuovamente lo sguardo a quello dell’altro. «Cosa?».
«Lo allontanerai? Non hai avuto un buon inizio con lui… gli hai dato anche delle gomitate».
«Se l’è cercate!».
In disaccordo, il fratello corrucciò le sopracciglia, facendo sospirare così l’altro.
«Per adesso no» rispose infine, stringendo le spalle con fare difensivo. «Osserverò anche lui».
Ventus sorrise lievemente. «Va bene».
«Andiamo al GameStop».
Lui sgranò gli occhi. «Cosa?» riuscì a farfugliare, ma il famigliare parve ignorarlo e lo afferrò per mano, costringendolo a seguirlo lungo una via.
«Cosa vuoi fare?» chiese, fissando nel mentre le vetrine dei negozi che coloravano la strada.
«Magari c’è qualche perla, no? O qualche offerta».
«Tu dici?».
«Non si sa mai» e sorrise appena udì la risata leggera del giovane addolcire il viavai fastidioso delle auto.
«Però dopo si va al parco».
«Signorsì» promise e, insieme a Ventus, entrò in un negozio nero vivacizzato da svariati e colorati manifesti.
I gemelli si divisero: Roxas andò subito verso il reparto della Playstation 3, mentre l’altro vagò senza un preciso obbiettivo, passando dalla sezione dedicata al computer a quella dei peluche. Infine, si diresse verso il settore del Nintendo DS e iniziò a curiosare fra le varie custodie, soffermandosi a volte su qualche titolo. «Guarda cosa ho trovato!» lo richiamò il quattordicenne, mostrandogli vittorioso una custodia prevalentemente scura.
«… Dark Soul II?».
«E non costa tanto!».
«Ma… non sei molto bravo con quel gioco» mormorò il quattordicenne, massaggiandosi la nuca. «Ricordi a casa di Riku? Non te la sei cavata bene».
«Beh, sì, però non conoscevo neanche i tasti, visto che quello str–» si fermò appena ricevette un’occhiataccia dal biondo. «Ehm, hai capito».
Ventus sospirò. «Per me va bene se lo compri… al massimo chiederemo aiuto».
«Giammai!» ribatté l’altro e gettò uno sguardo sui giochi vicino. «Oh, il secondo di Golden Sun».
«Sì… bei ricordi» commentò il gemello, annuendo con la testa.
«Qualche giorno fa volevo giocarci, ma non l’ho trovato».
«L’ho prestato a Sora».
Roxas sbuffò. «Ven, perché? Ha già perso il tuo Pokémon –».
«Mystery Dungeon!» esultò il giovane, afferrando una piccola custodia su cui erano raffigurati un drago in compagnia di un pinguino e di una strana creatura gialla.
«Infatti» borbottò Roxas, e lesse il titolo del gioco. «È l’ultima versione uscita per il DS, vero?».
«Sì, non ci ho mai giocato».
«Tu avevi Esploratori del Tempo, giusto?».
Ventus annuì. «Già, avevo».
L’altro fissò il gioco. «Beh, non costa molto. Possiamo prenderlo».
«Ho dimenticato i soldi a casa…» ribatté mesto il biondo, abbassando leggermente il capo.
Il fratello lo guardò per qualche istante. «Lo prendo io».
Ventus puntò gli occhi su di lui. «Che?».
«Lo compro io».
«No!».
«Si!» dichiarò e agguantò la scatola dalle mani del gemello. «Mi hai sempre comprato qualcosa quando uscivi, ora lo farò anch’io» e detto questo, si avviò trionfante verso la cassa.
Ventus abbassò lo sguardo, sospirò. Un sorriso incurvò gentilmente le sue labbra rosee e, sollevando il capo, il ragazzino guardò suo fratello. «Grazie».

















Ansia da terzo capitolo.
Bene, sono tornata – no, non sono morta, tranquilli mi dispiace –.
In questo capitolo non succede molto, ma nel prossimo si smuoveranno un po’ le cose e nel quinto avremo il BOOM – forse –.
Questo enorme ritardo è dovuto alla scuola, al trasloco, all’assenza di Internet e al lavoro. Perdonatemi, please cxc
Ringrazio EternalSunRise, Faith Grace e Dreamer_98 per aver recensito, e ringrazio anche le persone che hanno aggiunto la storia nelle varie sezioni di preferenza. Grazie a tutti!
Alla prossima :3

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