Il diario di Demi Salvatore

di Evenstar75
(/viewuser.php?uid=251889)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Damon ***
Capitolo 2: *** Demetra ***
Capitolo 3: *** Il corvo ***
Capitolo 4: *** Bloodlines ***
Capitolo 5: *** In biblioteca - Parte 1 ***
Capitolo 6: *** In biblioteca - Parte 2 ***
Capitolo 7: *** > She called me 'Damon'. ***
Capitolo 8: *** La fuga ***
Capitolo 9: *** Mezzanotte - Sensazioni da Strega ***
Capitolo 10: *** La trappola ***
Capitolo 11: *** La chiave ***
Capitolo 12: *** Genitori ***
Capitolo 13: *** Lapis ***
Capitolo 14: *** Need - 1° Parte ***
Capitolo 15: *** Need - 2° parte ***
Capitolo 16: *** La nebbia ***
Capitolo 17: *** Children of the Damned ***
Capitolo 18: *** Conosci il nemico ***
Capitolo 19: *** Hello Brother ***
Capitolo 20: *** Strane alleanze ***
Capitolo 21: *** Klaus ***
Capitolo 22: *** Triangle ***
Capitolo 23: *** Zii e nipoti ***
Capitolo 24: *** Prince Of Darkness ***
Capitolo 25: *** Rain ***
Capitolo 26: *** Fantasma ***
Capitolo 27: *** The Truth (Part 1) - The Cure ***
Capitolo 28: *** The Truth (Part 2) - Dovizhdane ***
Capitolo 29: *** The Truth (Part 2) - P.M.R. ***
Capitolo 30: *** The Truth (Part 3) - Personal ***
Capitolo 31: *** Il sogno ***
Capitolo 32: *** Stigma Diaboli - Parte 1 (History) ***
Capitolo 33: *** Stigma Diaboli - Parte 2 (Memorial) ***
Capitolo 34: *** Liars - Parte 1 (L'Arma) ***
Capitolo 35: *** Liars - Parte 2 (Always) ***
Capitolo 36: *** Shadows ***
Capitolo 37: *** Like Father Did ***
Capitolo 38: *** Incomplete ***
Capitolo 39: *** Epilogo - Demi (A new beginning) ***



Capitolo 1
*** Prologo - Damon ***


POV Damon Salvatore.
 
<< Mi chiamo Damon Salvatore e sono un vampiro. 
Ho lasciato Mystic Falls anni fa, come promesso, 
dopo che lei aveva finalmente fatto la sua scelta.
La donna in questione si chiama Elena
ed è tutto ciò che io ho sempre desiderato.
Ma lei non è mia.
Non lo è mai stata veramente.
 
Lei appartiene a mio fratello, Stefan, che se la merita, davvero.
Sono stato un cattivo ragazzo troppo a lungo
e non credo che sarò mai in grado di essere un uomo migliore.
 
Ho abbandonato la mia casa e la mia famiglia
per vivere nella solitudine e nel segreto
ma non ho mai smesso di pensare a loro.
 
Mi mancano.
 
Ho saputo che Stefan ed Elena adesso sono felici,
vivono insieme
ed hanno avuto una bambina.
 
Sono consapevole dei rischi ma... 
...io devo conoscerla. >> 


Image and video hosting by TinyPic

 
* * *

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Demetra ***


 Caro diario,

oggi succederà qualcosa di straordinario.
Non so perché l’ho scritto, ma qualcosa mi dice che nell’ombra di questa giornata ancora sconosciuta si cela già qualcosa di pericoloso e interessante, pronto a mostrarsi.
Tutto ciò è pazzesco.
Sono un tantino preoccupata.
Ho sempre strane sensazioni, ultimamente: di notte non riesco a dormire e spesso il cuore mi pesa nel petto, impedendomi di respirare regolarmente.
Sembra davvero assurdo ma ieri credo di aver notato, malcelata negli occhi grandi e castani di mia madre, la mia stessa, inspigabile inquietudine.
Scommetto che, alle 7:30 del mattino, sarà già in piedi in soggiorno, in vestaglia davanti ad una tazza di caffè bollente, oppure in veranda, con lo sguardo perso nel vuoto.
Questo suo comportamento nervoso è una faccenda insolita, a dire il vero, considerando che lei è sempre stata una donna equilibrata e pacata almeno quanto mio padre, il buon vecchio Stefan Salvatore. Lui è quello che bussa dolcemente alla mia camera prima di entrare a darmi la buonanotte, che cerca sempre di accontentare ogni mia richiesta e chiede il permesso perfino prima di abbracciarmi forte. Lui è sempre gentile e allegro eppure, ieri sera a cena, mentre mamma mi passava un marshmellow fumante perché lo divorassi, una buffa espressione ha incupito anche il suo bel volto. Ho finto di non accorgermene, non senza difficoltà, ma adesso mi chiedo il perché di tutto ciò.
Sono sicura che, se sapesse che il suo atteggiamento mi ha turbata, cercherebbe in mille modi di tranquillizzarmi, magari con una splendida sorpresa delle sue, quelle che includono lunghe passeggiate sul ponte o al lago e che piacciono tanto alla mamma.
Ma io non sono mia madre.
In realtà, non lo so nemmeno, chi sono.

La sedicenne Demetra Salvatore smise di scrivere e ripose il suo diario dalla copertina vellutata nell’ultimo cassetto del suo comodino, nascondendolo tra la biancheria.
Si passò una mano tra i lunghissimi capelli scuri e vagò con i vispi occhi azzurri nella sua camera.
Il piccolo orsetto a forma di koala che era appoggiato sulle coperte del suo letto era stato uno dei primi regali di Elena e la ragazza lo considerava un amico molto più che un peluche.
Demetra lo accarezzò, poi si tirò su dal materasso con un movimento agile e grazioso e posò i piedi infreddoliti sul pavimento di legno, alzandosi definitivamente.
Le sue rosee labbra piene, curvate in un mezzo sorriso, a metà tra l’imbronciato e il divertito, si schiusero in un piccolo sbadiglio.
Era sveglia già da un pezzo ma non aveva una gran voglia di andare a scuola, perlomeno non senza aver completato il suo personalissimo rituale mattutino dedicato, come diceva zio Jeremy, a ‘babbuccia, doccia, trucco e parrucco.’
A Demi piaceva molto suo zio, forse perché era l’unico parente che avesse, da parte di mamma.
Non aveva nonni né cugini materni o paterni e, se anche suo padre aveva una famiglia da qualche parte, lontano da Mystic Falls, non ne parlava mai.
Demi, come per tradizione, indossò le proprie pantofole pelose e si recò in bagno, dove la attendeva un enorme specchio ovale che rifletteva, ogni mattina, la sua arruffata ma squisita immagine: un viso tenero e pallido, una chioma corvina perfettamente liscia e setosa come quella di sua madre, delle sopracciglia arcuate, uno sguardo vivace e delle iridi color del ghiaccio.
Spogliandosi lentamente, osservò il proprio corpo slanciato: era quello che ogni ragazzina della sua età avrebbe desiderato ma lei non ci faceva molto caso e questo la rendeva molto distante dall’ideale di cheerleader che dominava da sempre nella sua scuola.
Demetra sospirò, infilandosi sotto l’acqua calda, cercando invano di allontanare quella sensazione di trepidazione e frizzante tensione.

* * *

Elena stava seduta sulla sua poltrona color porpora e fissava in silenzio la schiena di suo marito, intento a preparare la colazione.
Aveva sempre adorato il fatto che Stefan fosse un perfetto uomo di casa, che avesse mille premure e che facesse delle omelette sciroppate davvero eccezionali.
Il lieve sfrigolìo delle uova strapazzate in padella era rilassante e la donna inspirò profondamente quel profumo di pace e di famiglia per calmarsi.
Non aveva avuto una nottata felice e Stefan lo sapeva bene.
-Va un po’ meglio?- chiese piano lui, voltando appena la testa per incrociare con lo sguardo quello di sua moglie.
Elena sorrise debolmente e annuì, sfruttando quella piccola bugia anche solo per poter ammire il colore verde scuro dei suoi occhi riprendere luminosità per la notizia.
- Sto bene.- gli assicurò, massaggiandosi le tempie con le dita per rilassarsi maggiormente. – non capisco davvero cosa mi sia preso.-
Stavolta era la verità: non aveva idea di cosa avesse provocato in lei quell’anomalo senso di ansia misto a tristezza.
Forse avrebbe dovuto semplicemente chiedere a Bonnie un impacco alle erbe per rilassare i nervi.
Stefan preparò i piatti e versò caffè in due tazze più grandi, fermandosi a guardare una terza tazza ancora vuota ed esitando.
- Credo che il succo di pompelmo di Demi sia finito.- commentò, stringendo le labbra.
- Che shock.- mormorò ironicamente qualcuno dalle scale.
Accompagnata da un rumore di passi affrettati, Demetra giunse in cucina, perfettamente in forma e smagliante nel suo completo composto da top blu elettrico e calzoncini color panna (richiamati da un nastro dello stesso colore tra i capelli lucidissimi).
Elena si alzò per abbracciarla e la trattenne a sé per un istante più a lungo, con gli occhi chiusi, come in meditazione.
Stefan le guardò con dolcezza infinita e spostò una sedia affinchè Demi potesse sedersi.
- Abbiamo del succo d’arancia rossa.- propose Elena, improvvisamente di buon umore, allungandosi per prenderlo in uno degli scomparti accanto al frigorifero.

- Mi accontenterò.- sorrise Demetra, versandosene un po’ nel bicchiere. Aveva decisamente fame e le leccornie di suo padre erano sempre un ottimo modo per iniziare la giornata.
Conversarono a lungo, mentre il sole brillava nel giardino penetrando attraverso le finestre, si posava sulle mani intrecciate dei suoi genitori e veniva catturato dagli unici anelli alle loro dita: le fedi nuziali.
Tutto sembrava di nuovo perfetto e Demetra dimenticò presto il proprio disagio, accantonandolo come un brutto sogno.
La realtà era quanto di più intimo e gioioso potesse esistere e fu con gratitudine che Demi baciò mamma e papà prima di uscire di casa con lo zaino in spalla.  

 

Image and video hosting by TinyPic  






***
Spazio dell'autore:
Demetra si pronuncia 'Demìtra' e il suo diminutivo le è stato dato da Elena, che adora chiamarla Demi (pronuncia 'Deèimi').
Sono trascorsi sedici anni a Mystic Falls, ma Stefan ed Elena (dal momento dell'incantesimo di Bonnie) non sono invecchiati molto poichè l'unica rimanenza del loro vampirismo è appunto la longevità e la giovinezza del corpo. Avranno, in poche parole, all'incirca il solito aspetto di Stefan ed Elena. Demetra sembrerà una normale ragazza di appena sedici anni.
La vostra autrice è Delena ma apprezza anche (come avrete potuto notare in questo capitolo) lo Stelena e quindi entrambe le coppie saranno adeguatamente approfondite.
Questa storia è nata da un mio sogno notturno e come tale è frutto della mia pura fantasia, tutto è rielaborato a mio piacimento e non è detto che coinciderà sempre con la trama del nostro adorato telefilm.
Era il lontano (?) 28/10/2012, infatti, quando, dopo aver schematizzato l'intera trama, ho pubblicato il primo capitolo.
Essendo TVD una serie TV in continua evoluzione, i miei limiti sono rappresentati dalla non conoscenza dei progetti che i registi e gli sceneggiatori avevano in mente per la 4° serie DOPO la puntata 4x13.
Chiunque, dunque, voglia leggere la mia storia ha bisogno di conoscere alcuni particolari al riguardo:
- Katherine non è mai tornata ed infatti Jeremy è attualmente vivo e vegeto;
- La storia non considera l'esistenza di UNA SOLA dose di Cura ma di una sorta di 'fonte miracolosa' e di un Incantesimo che ha lasciato ai personaggi la scelta di essere sovrannaturali o esseri umani;
- Nella mia storia il padre di Bonnie non è più il sindaco di Mystic Falls, ma Tyler ha preso il posto di Carol al governo della città;
- Nella mia storia Stefan ed Elena non sono mai stati 'amici' ma il triangolo amoroso è sempre continuato fino alla scelta finale;
Detto questo... spero che continuerete a seguire la MIA versione delle vicende...
Alcuni spunti letterari appartengono a 'The Vampire Diaries' di L.J.Smith.

Per ulteriori informazioni sulla storia, i personaggi e l'autrice... ---> http://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=ts&fref=ts
Grazie a tutti, al prossimo capitolo, il cui titolo sarà: 'IL CORVO.'

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il corvo ***


 
Il cielo era di un celeste brillante e terso e, come sempre, riempì il cuore di Demi con la propria bellezza mentre lei camminava per la strada deserta e fittamente alberata che conduceva da casa Salvatore fino a scuola. La brezza mattutina le accarezzava delicatamente il volto candido, allontanando alcune ciocche scure dalla sua fronte e permettendole di riempire i polmoni di aria pulita e profumata. Le enormi chiome delle querce attorno al sentiero erano tutte un fremito ma Demetra riuscì a percepire comunque un suono diverso tra quelli delle foglie canterine: un frullo d’ali ed un verso gracchiante.
Alzò lo sguardo verso i rami nodosi ed intrecciati, aspettandosi di vedere un uccellino o, meglio, una cornacchia posata su di essi, ma non vide nulla.
Assolutamente nulla.
Aggrottò le sopracciglia, dubbiosa, continuando a camminare con lo zaino che le pesava sulle esili spalle e la giacca di pelle che sbatacchiava sui suoi fianchi, assecondando i suoi movimenti. Aveva la bizzarra sensazione di essere osservata. Si diede mentalmente della sciocca e pensò che per nulla al mondo si sarebbe dovuta fermare, anzi, che sarebbe stato meglio accelerare l’andatura fino a percepire lo sforzo fisico della corsa. Doveva sfrecciare via, arrivare a destinazione e magari chiudersi in una delle aule fino all’ora di pranzo... ma non lo fece. Qualcosa dalle parti dello stomaco glielo impedì. Si arrestò e si voltò di nuovo a guardare la sommità degli alberi imponenti, in perlustrazione.
E lo trovò.
Era un corvo, comodamente appollaiato tra le fronde ingiallite dall’autunno. Le sue piume lucidissime e gli artigli rapaci riflettevano quella luce dorata, splendendo. Era semplicemente enorme, il suo becco era immobile ma appuntito, i suoi occhi luccicavano.
E la fissavano intensamente.
Demetra sentì il cuore rimbalzarle in gola. Assalita dalla stessa urticante sensazione di inquietudine che l’aveva ghermita mentre scriveva sul suo diario, la ragazza rimase impietrita dalla paura e dalla confusione. Quell’uccello la scrutava come se riuscisse a guardarle nell’anima e il suo sguardo era tanto umano quanto sinistro.
Demi avrebbe voluto urlargli di andare via, avrebbe voluto tirargli un sasso o tentare di spaventarlo in qualsiasi altro modo ma qualcosa le diceva che niente avrebbe funzionato.
Dopo interminabili istanti, il corvo sembrò momentaneamente sazio della sua vista e, all’improvviso, si alzò in volo con grazia inaudita.
Si diresse verso di lei e Demi percepì la bufera di vento scatenata dalle sue gigantesche ali come una carezza.
Quando lo vide sparire verso il sole, inghiottito dall’orizzonte, Demi inspirò profondamente, per calmarsi. Nel disperato tentativo di distrarsi, guardò l’orologio argenteo che le ornava il polso sottile: era veramente tardi.
La sua compagnia l’avrebbe aspettata in cortile solo per qualche minuto ancora, prima di dirigersi a lezione. Non posso mancare all’appuntamento , pensò, precipitandosi verso l’istituto.
Correre le diede conforto ma non riuscì comunque a togliersi dalla mente il fascino di quello sguardo cupo ed irresistibile.

***

Matilde ‘Matt’ Lockwood si sistemò con le mani rosee e paffute il grosso cappello di lana rosa confetto sui lunghi capelli color dell’oro e sospirò, tentando goffamente di calmare la sua migliore amica, Sheila Bennett, che stava letteralmente dando di matto.
- Dove sarà finita Demi?- chiese l'altissima ragazza dai corti e sbarazzini riccioli castani, mentre un vago rossore ansioso si diffondeva sulle sue guance scure. Continuava a mordicchiarsi il labbro inferiore, tesa, e passeggiava avanti e indietro furiosamente, appena fuori da un viale scolastico sempre meno gremito. Matt cercò di aguzzare la vista per avere maggiore possibilità di notare la loro amica oltre il cancello ma di lei ancora nessuna traccia.
- Forse non sta bene.- azzardò timidamente, dando un calcetto ad un sasso accanto a lei e guardandolo rotolare pigramente. – o forse…- le sue parole incerte furono presto interrotte da un’apparizione piacevole quanto attesa: Demetra Salvatore, sana e salva, un po’ accaldata a causa della corsa ma giusto in tempo per tranquillizzarle, comparve davanti a loro, sorridendo maliziosamente.
- Credevate di esservi liberate di me?- chiese, scherzosa, tentando di darsi un contegno. Era scarmigliata e sconvolta e una strana luce infuocava le sue iridi di solito limpidissime.
- Ero preoccupatissima per te.- si lamentò prontamente Sheila, con gli occhi profondi socchiusi ma di nuovo accesi. L’abbracciò forte, come quando erano bambine e sua madre Bonnie la accompagnava da Elena perché le loro figlie trascorressero il pomeriggio insieme. Demi, alzandosi in punta di piedi, ricambiò quella stretta con calore, cercando di affondare in quella dolce sensazione per non pensare a nulla. Ci riuscì e il suo cuore provato rallentò i propri impetuosi battiti fino a renderli regolari. Matt si avvicinò a loro, sorridendo, impacciata, sfiorando affettuosamente i capelli arruffati della più bassa delle sue amiche.
- Cosa ti è successo?- domandò, curiosa, mentre Demetra esitava a rispondere. Doveva avere un aspetto davvero insolito, a giudicare dalle occhiate perplesse che Matt e Sheila le stavano lanciando in quel preciso momento.
- Niente…- sussurrò piano, mentre sentiva la propria voce tremare di menzogna. Correndo con le dita a risistemare quelle ciocche ribelli, notò che il nastro color panna che aveva posto su di esse era scomparso. Che il corvo, di passaggio sulla sua testa, l’avesse catturato tra le sue grinfie? -… questa mattina la sveglia è suonata in ritardo.-
- Come al solito.- precisò Matt, rilassandosi. Ben presto assunse un’espressione furba che rischiarò in fretta il suo viso rotondo: era molto carina quando sorrideva e al lato delle sue guance si formavano due fossette del tutto simili a quelle di sua madre, Caroline Forbes, altra intima amica di famiglia Salvatore. Sheila si sistemò la tracolla in spalla, continuando a osservare Demi, come se volesse dirle qualcosa ma non trovasse le parole adatte per farlo.
- Cosa c’è?- chiese Demetra, notando subito il suo atteggiamento.
- Non lo so.- mormorò la ragazza, pensosa. -… ho una strana sensazione.-
- Benvenuta nel club.- ribattè Demi, cercando di sdrammatizzare, sarcastica. Sheila non sorrise.
- Sento che siamo sospese come sull’orlo di un baratro, come se dovesse accadere qualcosa di terribile.- la sua voce era stranamente roca ed atona e Demetra, anche se non l’avrebbe mai ammesso, sentì un brivido percorrerle tutta la schiena, fino all’attaccatura dei capelli. Quei capelli che il corvo aveva toccato.
Silenzio.
Matt scosse la testa e ridacchiò, facendole tornare alla realtà.
- Non accadrà nulla di male.- le rassicurò, prendendole sottobraccio con noncuranza. – tranne il fatto che arriveremo in ritardo alla prima lezione di storia con il nuovo insegnante.- cominciarono a camminare verso le scalinate e Demi sentì il petto un po’ più leggero a quelle parole.
- Come si chiama il prof? E' carino?- domandò, sinceramente interessata.
- E’ una lei.- rispose Sheila, di nuovo con il suo tono di sempre. L'ombra dietro i suoi occhi sembrava essere scomparsa.
- Si chiama Rebekah Mikealson.- completò Matt, soave, trotterellando oltre il portone con il cappellino di lana che le dondolava sulla testa.





* * *

Nota dell'autore: 
Sheila è la figlia di Bonnie Bennet e Jamie Wilson, fuggito dalle responsabilità familiari e colpevole di aver abbandonato moglie e bambina al loro destino senza dare notizie ( proprio come Abby, sua educatrice, aveva fatto precedentemente con la figlia ed il marito). Sheila è ovviamente il nome di Grams Bennet. (Image and video hosting by TinyPic)
Matilde Lockwood è la figlia di Caroline Forbes e di Tyler Lockwood. Il ruolo del suo soprannome 'Matt' sarà chiarito nei prossimi capitoli.(Image and video hosting by TinyPic)
Rebekah non aveva detto, una volta, di amare il corso di storia? E' tornata come insegnante. Chissà come si comporterà con le tre coetanee figlie di Elena, Bonnie e Caroline.

Il prossimo capitolo sarà intitolato: 'Bloodlines.' 

Per ulteriori informazioni sulla storia, i personaggi e l'autrice... ---> http://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=ts&fref=ts

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Bloodlines ***


 Mentre camminavano nei corridoi, vicine e a passo sostenuto, Demi non poté far a meno di notare le occhiate che attiravano durante il passaggio: i tronfi giocatori della squadra di football scolastico, ad esempio, tutti muscoli e alti almeno un palmo più di lei, non facevano che ammiccare in sua direzione ed altri ragazzi, più sfacciati, giravano addirittura il collo, arrestandosi all'improvviso, pur di continuare a fissarla.
Demetra arrossiva sempre lievemente quando si sentiva in imbarazzo ma non poteva negare che tutte quelle attenzioni la lusingassero.
Anche Sheila aveva un sostenuto gruppo di corteggiatori, interessati a conquistarla anche per avere un aiuto con i compiti a casa, visto e considerato che la ragazza era semplicemente un genio e vantava la più alta media dell'Istituto.
Matt era un po' più imbranata delle sue amiche nei rapporti con l'altro sesso che andassero oltre una fraterna e giocosa amicizia, forse perché sempre così goffa e spontanea (o perché spesso diceva ciò che pensava senza riflettere sulle conseguenze); in compenso, riscuoteva molte meno antipatie delle altre due con il componente femminile dell’istituto ed era in ottimi rapporti con tutte le ragazze, anche con le più popolari.
Sheila le guidò con noncuranza verso il piano superiore, dove, davanti alla porta dell’aula di Storia, si era già radunato un bel gruppo di ragazzi chiaccherini in attesa.
Davanti all’espressione interrogativa di Demi, Matt notò una chioma scura e crespa tra la moltitudine di teste e richiamò l’attenzione di Tina O’Neil, una spilungona dalle spalle larghe che faceva parte della squadra di nuoto agonistico.
- Tina? Cosa sta succedendo?- la ragazza le rivolse un sorriso reso argenteo dall’apparecchio per i denti.
- Pare che la professoressa Mikaelson stia discutendo con un allievo. Non appena avranno concluso, potremo entrare per la lezione!- Matt rivolse un’occhiata allarmata alle proprie amiche e, come previsto, prima che lei o Sheila potessero fare nulla, Demi si fece spazio tra la folla, curiosa, per sbirciare e per capire cosa realmente stesse succedendo.
Arrivando facilmente a destinazione, senza arrecare troppo disturbo ai compagni di classe, Demetra premette il proprio volto contro il vetro della porta e diede un’occhiatina all’interno.
Nel suo campo visivo comparvero una donna dalla sagoma flessuosa e fiera (doveva indossare dei considerevoli tacchi ma ciò era impossibile da appurare a causa della cattedra che ostacolava lo sguardo di Demi), biondissima e con l’aspetto di un’adolescente un po’ altera, ed un ragazzo alto e smilzo, dai capelli castani e curati e dai grossi occhiali da sole scuri sul volto, che ascoltava impassibile le parole dell’insegnante, con un’evidente aria di sufficienza.
Demi pensò che fosse davvero un peccato il fatto che metà del suo volto fosse coperto dagli occhiali dato che, a giudicare dal fisico e dallo stile un poco appariscente ma elegante del suo abbigliamento, doveva trattarsi di un ragazzo molto carino.
La professoressa, esibendo una smorfia seccata, gli fece cenno di tornare al suo posto e si avvicinò alla porta, ondeggiando come una modella sulla passerella, furiosa come una leonessa, e la spalancò.
Demi notò che le sue labbra carnose e lucide erano tremanti di rabbia.
- Entrate e sedetevi.- disse seccamente, con un forte accento antico e sconosciuto, voltando loro le spalle. Demi e Sheila si avviarono nella classe per prime senza fiatare e presero posto ai loro banchi di sempre (seconda fila, al centro) ma il loro silenzio fu interrotto ben presto da un fragoroso baccano provocato da Matt. Voltandosi per chiudere la porta, la loro amica era inciampata malamente  sui propri piedi ed era finita lunga distesa sul pavimento.
Ci fu un coro di risatine che la signora Mikaelson non sembrò gradire affatto e, sotto il suo sguardo tagliente, Matt diventò paonazza.
- Chiedo scusa…- farfugliò, tirandosi su e accostando finalmente l’uscio. -… io non avevo intenzione di…-
La bocca di Rebekah si incurvò in un sorriso bello quanto terribile.
- Come ti chiami?- chiese a bruciapelo, melliflua.
- Matt… scusi, Matilde Lockwood.- rispose la biondina, a disagio. Gli occhi della Mikaelson mandarono lampi.
- Capisco.- disse, freddamente. – mi aspettavo di meglio… ma dopotutto…- le indicò, sbrigativa, il proprio banco e Matt vi si precipitò senza aggiungere altro e senza aver capito le ragioni di quella sconnessa riflessione.
Demi fissò la sua nuova insegnante con rabbia crescente e respirò profondamente per non fare qualcosa di stupido o avventato al fine istintivo di difendere la propria amica così maltrattata.
Rebekah, comunque, parve non accorgersene.
I suoi occhi acquosi scrutarono con un vago interesse gli studenti prima di posarsi sull’elenco dei nomi.
Doveva fare l’appello ma prima si sarebbe presentata.

Image and video hosting by TinyPic

- Mi chiamo Rebekah Mikaelson e sarò la vostra insegnante di Storia. Conosco Mystic Falls e le sue matricole… in effetti, non dev’essere cambiato molto dall’ultima volta in cui ebbi a che fare con loro. Non fu una bella esperienza ma questa è un’altra storia. Mi aspetto da voi un lavoro ordinato e costante e spero che voi rispettiate ogni mio ordine senza contestare. La pena per chi disturba l’andamento del mio programma didattico sarà immediata ed avrà pesanti ripercussioni sul vostro profitto.- pronunciò il proprio discorso con un’insopportabile aria compiaciuta ma nessuno osò contraddirla, neppure Demi, che la scrutava come se volesse sbottarle contro da un momento all’altro. – cominciamo con il conoscere i vostri nomi. Allora… S. Bennet ?- i suoi occhi si affilarono di scatto mentre cercava avidamente il portatore di quel nome. La sua bramosia era quasi inquietante.
- Sheila, professoressa. - completò la ragazza dalla pelle scura, sostenendo con sfida il suo sguardo. – Presente.- Rebekah tacque per un istante ancora per squadrarla con intensità, annuì tra sé, poi proseguì.
Nessuno degli altri alunni subì un simile trattamento quando venne nominato e vi furono molti sospiri di sollievo per questo motivo.
- M. Lockwood.- cinguettò a tempo debito Rebekah, ritornando con immenso piacere a punzecchiare Matt. – immagino che sarebbe molto più appropriato se, in questo caso, ‘M’ stesse per ‘Maldestra’.- pochi sciocchi risero di quella meschina battuta ma la ragazza paffuta sentì le lacrime di umiliazione premerle sugli occhi.
Infervorata da tale ingiustizia, Demi fece per aprir bocca ma sentì qualcosa sfiorarla impercettibilmente, giusto in tempo per interrompere il suo tentativo di rivalsa.
Era un bigliettino che le era volato addosso lanciato da qualcuno non molto lontano.
Rossa di collera, Demi lo aprì, facendo attenzione a non strapparlo, e vi lesse delle parole scritte con una grafia molto lineare e raffinata.
‘Non fare nulla che possa irritarla.’
Demetra ammutolì, guardandosi intorno per scoprire chi fosse stato il mittente di tale consiglio.
Senza dover cercare a lungo vide, seduto accanto alla finestra, il giovane che aveva visto discutere con Rebekah poco prima di entrare in aula, solo che adesso aveva tolto gli occhiali da sole.
La luce mattutina sfiorava, modellandoli, i lineamenti aggraziati del suo viso: zigomi alti, un naso delicato, occhi di un magnifico e abissale nero privo di sfumature.
I suoi capelli ben pettinati e scuri erano perfettamente in ordine per essere quelli di un ragazzo e Demi notò che anche le sue mani erano davvero bellissime, pallide e dalle dita affusolate: una stringeva una penna ad inchiostro blu, proprio come quella che doveva aver scritto il monito sul foglietto di carta, mentre l’altra era sollevata in aria, pronta a rispondere all’appello.
- Presente.- disse lui con voce suadente e ferma, senza una particolare espressione nelle labbra piccole e rosee.
La ragazza dagli occhi azzurri deglutì: presa com’era dall’ammirare la sua figura, non aveva neppure sentito il suo nome.
Senza una vera ragione, Demi decise di ascoltare il suo invito a non far aumentare la stizza della sua insegnante; prese un bel respiro e non fiatò.
Il turno della lettera ‘S’, quella del suo cognome, non tardò ad arrivare ma la signora Mikaelson esitò per un momento prima di pronunciarlo.  
La sua faccia da bambina dispettosa si contorse in un cipiglio estremamente turbato. Quasi ansioso.
‘D. Salvatore.’Cosa c’era di così strano?
Demetra vide uno squarcio d’umanità nel suo volto perplesso ma non riuscì ad essere compassionevole nei suoi confronti. Attese, come gli altri, in silenzio.
-Damon Salvatore?- chiese infine Rebekah, guardandosi intorno come smarrita.
Un brusìo spaesato animò la classe mentre tutti gli sguardi schizzavano verso un solo banco, al centro della classe.
- Demetra, professoressa.- la corresse prontamente Demi, aggrottando le sopracciglia e alzando la sua mano per farsi vedere. Damon? Chi diavolo…? - Mi chiamo Demetra Salvatore. Presente.- Rebekah si alzò in piedi e tutti si zittirono all’istante, sovrastati dalla sua smorfia che era un misto tra sorpresa, capriccio e giubilo.
Attraversò la classe con il registro in mano, il suono dei suoi tacchi che rimbombava nel mutismo più assoluto e la lunga chioma biondo platino che le sfiorava la schiena.
Era davvero molto bella ma Demi ne ebbe paura.
Aveva un che di predatore, di rapace, che la destabilizzava.
La fissò negli occhi per qualche istante, soffermandosi sul colore dei suoi capelli, sul suo labbro inferiore, sul suo incarnato.
 Ghignò.
- Ah certo. Molto interessante.- mormorò, affondando le unghie laccate nella copertina del registro e ritornando alla propria postazione.
Demetra sentiva di nuovo quel senso di oppressione dalle parti del petto ed evitò di incrociare lo sguardo di Sheila che, attonita quanto lei, era rigidamente seduta al suo fianco.
La lezione iniziò subito dopo e Rebekah parlò con maestria del concetto di ‘storia’ e dell’importanza di quella materia. La Salvatore riuscì a fatica a prendere appunti a causa della propria mente affollata da mille e disordinati pensieri: cosa rendeva la professoressa Mikaelson così singolare e spaventosa? Perché le sue attenzioni erano state richiamate in particolar modo solo da Matt, Sheila e Demi? Perché il ragazzo sconosciuto e stupendo seduto accanto alla finestra le aveva detto di non provocarla? E, soprattutto, chi diavolo era Damon Salvatore?
- Voglio una ricerca completa sulle vostre famiglie. Voglio che visitiate per una consultazione precisa gli archivi storici di Mystic Falls, che si trovano nel reparto storico della biblioteca comunale. Una relazione scritta e dettagliata entro la prossima settimana contenente una descrizione meticolosa e accurata del vostro albero genealogico, sarebbe l’ideale. Possibilmente vorrei che la arricchiste con foto o articoli di giornale reperibili nello stesso reparto.- Demi segnò distrattamente quel bizzarro compito a casa sulle pagine del suo quadernetto ma la sua biro smise improvvisamente di funzionare. Imprecando, prima che potesse mettersi a cercarne un’altra nell’astuccio, notò che il ragazzo dagli occhi neri e profondi le stava già porgendo la propria.
Demi la prese, impacciata, sillabando un grazie.
Il sorriso che ricevette in risposta per poco non la stordì.
- E’ necessario conoscere le proprie origini per essere dei bravi ricercatori.- cantilenò Rebekah, deliziata, un istante prima che la campanella suonasse, annunciando la fine di quell’ora infernale.
Demi raccolse fulmineamente le proprie cose e si aggregò a Matt e Sheila che sembravano sull’orlo di una crisi di nervi.
- Usciamo subito di qui.- piagnucolò Matt, tirando su col naso e lanciando un’occhiata atterrita dalle parti della cattedra.
- Veramente vorrei prima restituire questa…- ammise Demetra, mostrando loro la penna del ragazzo moro e cercandolo con lo sguardo tra i propri compagni.
Sheila scosse categoricamente la testa.
- Faresti meglio a stare lontana da lui.- convenne, asciutta, trascinandola fuori quasi di peso.
- Perché?- chiese la Salvatore, completamente colta alla sprovvista.
- Non hai seguito l’appello? Si chiama ‘Nick Mikaelson’… deve essere un suo nipote o pronipote o roba del genere!- Matt annuì energicamente per confermare, facendole inoltre segno di rimettere quella penna in tasca e di tacere.
Demi, stravolta, si girò a guardare in classe e vide che Rebekah e Nick erano effettivamente rimasti nuovamente soli: lui aveva la solita espressione ostile; lei, al contrario, sembrava rinvigorita dopo la lezione e, con aria quasi materna, allungò una mano per accarezzare la guancia liscia e delicata di Mikaelson. Un gesto d'affetto così naturale strideva con la pessima opinione che le compagne avevano appena maturato su di lei.
- Visto?- incalzò Sheila, spietata e smaniosa d’andarsene.
Demetra non sapeva cosa pensare: Nick, sotto i suoi occhi, aveva appena evitato, per quanto possibile, il contatto fisico con Rebekah.
Se era anche lui un cattivo, perché mai le aveva lanciato un bigliettino con su scritto un consiglio salutare, senza un secondo fine e senza neppure conoscerla?
Oltre ad essere eccezionalmente bello, le sembrava solo un'innocente vittima della perfidia di Rebekah e, dunque, non poteva fare a meno di compatirlo.
- Non sembra che sua zia gli piaccia molto.- bofonchiò. Non riusciva ad andarsene, i suoi piedi erano come incollati alle piastrelle. - insomma, cosa possono avere in comune quei due?- chiese, impaziente.
- Beh…- osservò Matt, stringendo le labbra mentre ci rifletteva su. Era tornata la stessa di sempre anche se i suoi occhi erano ancora arrossati e gonfi di pianto. –… entrambi hanno dei bei capelli.- involontariamente, le tre scoppiarono in una risata liberatoria.
Mentre si allontanavano, però, la mente  Demi continuò ad essere assalita da domande senza risposta e percepì la piccola penna blu di Nick Mikaelson pesarle come un macigno nella tasca destra dei pantaloni.






***
Note dell'autore:
Ecco a voi Rebekah come insegnante!! ^^
Cosa ne pensate? Un po' perfida ma assolutamente nella parte! :D
Nick Mikaelson è il figlio di Elijah (avrà ereditato da lui i bei capelli e le buone maniere?) ma al momento è sotto la custodia di Rebekah.
 (Image and video hosting by TinyPic)
Inoltre è stato appena nominato Damon Salvatore... che conseguenze avrà la curiosità che questo nome ha già scatenato in Demi?
Cosa scoprirà la nostra piccola Salvatore durante le ricerche familiari che Rebekah ha appositamente assegnato alla sua classe?
Alla prossima,
Evenstar75 ^^

Per ulteriori informazioni sulla storia, i personaggi e l'autrice... ---> http://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=ts&fref=ts

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** In biblioteca - Parte 1 ***


Caro diario,
la penna blu che scrive su queste pagine è dello stesso ragazzo dai capelli scuri che ho visto per la prima volta nell’aula di storia qualche giorno fa. Il suo ricordo si è stabilito in una parte remota e sconosciuta della mia anima e non riesco a liberarmene.
Non sono ancora riuscita a restituirgli ciò che gli appartiene perché il misterioso Nick è diventato inavvicinabile. Una sola volta, per i corridoi, mentre aprivo a fatica il lucchetto del mio armadietto, ho sentito i suoi occhi neri su di me prima ancora di vederli: era lì, a poca distanza da me, immobile, con la schiena appoggiata al muro, fissandomi come se mi stesse studiando.
Ho avuto la curiosa ed inquietante sensazione che stesse soppesando i miei gesti, perfino vagliando i miei pensieri. Avrei voluto dire qualcosa ma, prima che potessi muovere un solo passo verso di lui, si era già voltato ed era stato inghiottito dalla folla di studenti rumorosi.
Che razza di situazione, finirò per rimediarci un bel mal di testa. Non capisco perché questo suo atteggiamento mi abbia turbata… in fondo è un perfetto sconosciuto. Non so spiegarmi molte cose sul suo conto, ecco, e questo mi tormenta. Perché mi ha sempre ignorata ed evitata, dopo che l’avevo scoperto tutto intento ad osservarmi?
E’ piuttosto irritante. Perché mai, poi, il nipote della spietata professoressa Mikaelson, la donna che sembra odiare dal profondo sia me che le mie amiche, avrebbe dovuto (o voluto) avvertirmi di non irritare sua zia?
Qual’è il motivo dell'evidente astio tra di loro e cosa sa Nick delle motivazioni di Rebekah contro di noi?
Non credo sia il classico conflitto insegnante/alunno, c’è dell’altro e voglio scoprire cos’è.
Non so darmi pace. Sfortunatamente l’unico che potrebbe risolvere i miei dilemmi mi scansa come se avessi la lebbra o una qualsiasi malattia contagiosa, come se dietro quel velo di imperturbabilità nascondesse qualcosa... qualcosa di terribile.
E se fosse mio preciso compito scoprire la verità al riguardo?
Ne sarei deliziata, sul serio.
Non ne ho parlato con le altre perché credo che ne sarebbero davvero indispettite.
A loro non piace Nick, proprio come non sopportanto la nostra nuova insegnante di storia.
 
Demetra era rimasta lì a scribacchiare sul suo diario, avvolta dall’odore umido e polveroso della Sala di Lettura e alla disperata ricerca di tranquillità e silenzio. Tenne sospesa la penna tra le dita, mordicchiandosi il labbro inferiore in attesa di ispirazione e guardando distrattamente il grosso orologio ammaccato che segnava l’orario dalla parete davanti ai suoi occhi. I tavoli lucidi e rotondi della Biblioteca Comunale di Mystic Falls erano quasi deserti, eccezion fatta per qualche appassionato o maniaco della lettura che vagava tra gli scomparti alla ricerca di una nuova preda tutta pagine e copertina, ma non riuscì comunque a scorgere da nessuna parte le due persone che stava aspettando da più di mezz’ora. Sospirò, poi ricominciò, con maggiore energia.
 
 A tal proposito, anch’io penso proprio che la professoressa Mikaelson dovrebbe occuparsi di civiltà antiche e guerre d’indipendenza, non certo delle nostre famiglie. A che scopo assegnare questa dannata ricerca?
Tanto valeva chiederci di accedere in piena notte alla vecchia cripta dei Fell per tradurre i geroglifici incisi sulle pareti da chissà quali creature bavose. Insomma, ‘mission impossible’!
Matt e Sheila sono andate da papà Tyler Lockwood, il sindaco, per ottenere il permesso di visitare il reparto storico per una consultazione.
Ci vorrà almeno tutto il pomeriggio per raccogliere e riordinare quei dati. Sarebbero dovute essere già qui per cominciare e invece le aspetto in biblioteca già da mezz’ora, scrivendo.
E’ strano come ogni mia sensazione sia amplificata dalla tensione e come solo la scrittura riesca a darmi sollievo. Non ho nessuna voglia di sprecare il mio tempo a sfogliare polverosi alberi genealogici dei miei antenati Gilbert/Salvatore ma sarò semplicemente costretta a farlo… oh povera me.
L’unica nota positiva in questa tragedia è che avrò la possibilità di cercare, tra gli altri, almeno un nome in particolare: Damon Salvatore.
 
Demi chiuse il diario con uno schiocco quando sentì la porta della Biblioteca spalancarsi ed un profumo dolce e fresco sfiorarle le narici. Si voltò sulla sedia scomoda e scheggiata della sala e notò qualcuno di nuovo fare il proprio ingresso tra gli scaffali: Nick Mikaelson in carne, ossa e bei capelli, inaspettatamente, le passò accanto senza degnarla di uno sguardo e si avviò ad un tavolo completamente vuoto lì vicino, appoggiandovi la sua borsa pesante e sedendosi con delicatezza.
Lei rimase impietrita al proprio posto, con il libricino vellutato ancora in mano e la penna blu posata sulla scrivania. Qualcosa le diceva che Nick l’aveva deliberatamente ignorata e che sarebbe stato opportuno ricambiarlo con la stessa moneta, come al solito, ormai.
Il lato più spregiudicato ed intraprendente della sua anima, tuttavia, le suggeriva di rompere quell’assurdo silenzio per approfondire la sua conoscenza e dare finalmente pace al tumulto di domande che le affollava il cervello.
L’aura di cupa segretezza che avvolgeva quel ragazzo era semplicemente irresistibile.
Era la sua occasione?
Nick aprì un vecchio libro di storia e cominciò a sfogliarlo con dedizione, ma  i suoi occhi non erano puntati tra le pagine ingiallite, bensì lampeggiavano in direzione della ragazza Salvatore. Sembrava torturarsi nel tentativo di resistere alla tentazione di guardarla eppure non riusciva ad impegnarsi nella lettura, distratto ed attratto com’era.
Demi, accorgendosene, lottò con il proprio buon senso per prendere una decisione decente…
Alla fine si alzò, guardandosi intorno accuratamente per non rischiare: di Matt e Sheila ancora nessuna traccia, perciò… via libera.
Avanzò con passo svelto e deciso, sgattaiolando verso la sedia scomoda e legnosa su cui stava il ragazzo-enigma e attese, con le braccia incrociate, che lui notasse la sua presenza alle proprie spalle. Sentiva il cuore martellarle nel petto così forte che probabilmente lui, presto o tardi, l’avrebbe sentito.
Di nuovo impassibile, però, Nick non sembrò farci troppo caso.
- Sai… non è carino appostarsi dietro alle persone per osservarle.- esordì il giovane, con tono di divertito rimprovero, senza neppure sollevare lo sguardo. Voltò una pagina con noncuranza e Demi alzò un sopracciglio, scettica davanti ad una simile, pomposa affermazione.
- Già… è cortese quasi quanto lanciare anonimi bigliettini di avvertimento nel bel mezzo di una lezione.- soffiò Demetra, cogliendolo alla sprovvista. Abbassando appena il volume rispetto al proprio volto, finalmente, Nick si girò a guardarla e i suoi occhi di un nero indecifrabile ed intenso come quello di una notte senza luna incontrarono quelli azzurri e fieri di Demi, saldandosi gli uni negli altri.
- Come sai che sono stato io?- chiese con sfida il ragazzo.
- Questa.- rispose prontamente Demetra, mostrandogli la penna ad inchiostro blu che le aveva prestato subito dopo la lezione. Lui la riconobbe e sibilò di sconfitta mentre Demi sorrideva, trionfante, porgendogliela.
- Ah certo.- gemette Nick debolmente, afferrandola e concedendo alla ragazza un temporaneo vantaggio. Desideroso di chiudere lì la conversazione, ritornò, ostinato, alla propria occupazione ma Demetra, per tutta risposta, si fece spazio accanto a lui, liberando la sedia dal suo zaino, e si sedette, passandosi una mano tra i capelli per stemperare la tensione e anche per controllare che fossero in ordine.
- Cosa posso fare per te?- chiese lui, con tono monocorde ed evasivo.
Sarebbe dovuto essere perlomeno arrabbiato o seccato e invece non le rivolgeva la minima considerazione.
Demetra cominciava a perdere la pazienza.
- Potresti chiudere quel dannato libro mentre ti parlo.-  suggerì infine, con un’alzatina di spalle. – Non immagini quanto sia fastidioso provare ad interpretare gli atteggiamenti altrui, specie quando sono strambi e provengono da perfetti sconosciuti che ti trattano con un’insopportabile aria di superiorità.- e ghignò.
Adesso aveva tutta la sua attenzione e lo capì dalla sua espressione sbalordita: qualche tratto del suo bel viso pallido ricordava da vicino quello della terribile professoressa Mikaelson ma di certo era armonizzato da una massiccia dose di pacatezza e buone maniere.  E di inconsapevole sensualità.
Nick ripose il libro con calma e la fissò, finalmente pronto.
- Così va meglio.- ridacchiò Demetra, osservandolo attentamente. Aveva indosso dei jeans sbiaditi, una camicia bianca e un golfino; sembrava perfettamente in ordine e a proprio agio eppure nei suoi occhi profondi c’era qualcosa di inespresso e di felino che la attraeva come una calamita. Credeva di non aver mai fatto tanta attenzione davanti ad un ragazzo, di solito erano i suoi compagni a fissarla e a fare apprezzamenti su di lei.
- Non sono sempre così maleducato.- mormorò Nick, un po’ imbarazzato. - Forse posso rimediare presentandomi.- ipotizzò, titubante. Le porse, dunque, una mano chiara e fine perché Demi potesse stringerla. Al suo anulare c’era un anello con una grossa pietra rosso sangue su cui era inciso qualcosa simile ad uno stemma o ad un simbolo. Era brillante e ipnotico e Demi ebbe l’impressione di averne già visto uno di simile fattura, da qualche parte, chissà dove.  – Mi chiamo Nicklaus Mikaelson. In famiglia mi chiamano Nick, o lo farebbero se avessi ancora una famiglia.- Demi esitò per un istante per assorbire le sue parole, poi afferrò la sua mano e la strinse lievemente nella propria. Le parve estremamente fredda o forse era proprio la sua pelle ad essersi scaldata a quel contatto (si dava il caso che cominciasse a percepire anche un leggero calore sotto il collo e sulle guance).
- Demetra Salvatore.- disse lei, piano.
- Lo so.- sussurrò Nicklaus.
E sorrise.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** In biblioteca - Parte 2 ***


POV Damon Salvatore
 
L’avrei riconosciuta ovunque, anche tra un milione di altri insulsi marmocchi di sedici anni pronti a trascorrere una patetica giornata tra appunti, lavagne e banchi di scuola. Giorni fa, guardandola uscire dal vecchio pensionato di Zach Salvatore, mi sembrava di aver perso la ragione: era sorprendentemente simile ad Elena. La ragazzina camminava nel suo stesso modo fluido e aggraziato, vantava il suo stesso viso dai tratti raffinati, gli stessi ondeggianti capelli lisci e luminosi che Elena aveva quando la incontrai per la prima volta, solo più scuri di un tono o due. Sottoforma di corvo l’ho seguita tra gli alberi nel tragitto verso la scuola, volando tra le foglie cercando di non farmi notare, senza abbandonare la sua vista, avido di altri particolari: aveva il mento piccolo di Stefan, il suo naso dritto e fine. Era bellissima… e astuta. Doveva avermi già sentito quando si è fermata a guardarsi intorno con curiosità e accortezza, doveva essere turbata quando ha incrociato i suoi occhi con i miei. Il colore delle sue iridi mi ha lasciato senza respiro: azzurre, sfavillanti e vispe dietro le lunghissime ciglia nere. Gli occhi di mia madre, Mary… i miei occhi. Sembrava sul punto di voler dire qualcosa, la ragazza, come se avesse percepito la mia presenza umana dietro piume e becco frementi ma era rimasta silenziosa, con il vento che le accarezzava le guance vellutate, con l’aria indifesa, intrepida ed ironica. Se avessi atteso un istante ancora al suo cospetto, non avrei resistito al desiderio di manifestarmi, di presentarmi a lei, di abbracciarla e di stringere, attraverso il suo corpo proporzionato ma esile, tutto il mio passato. Ma non potevo farlo, non ancora. Sono volato via gracchiandole un saluto e prendendo tra gli artigli come souvenir il suo nastro per capelli color panna. Ripensandoci adesso, credo di aver già visto questo oggetto: era di Elena ed ha ancora posato sulla stoffa il suo dolce profumo.
 
Image and video hosting by TinyPic

Il grosso corvo che se ne sta appollaiato sulla finestra della Biblioteca Comunale di Mystic Falls sono io, naturalmente. Attraverso il vetro terso riesco a vedere una figurina minuta china su di un libricino aperto: è di nuovo lei, con in mano una penna di fattura antica e nello sguardo la foga di chi scrive per imprimere tra le pagine i propri segreti più inconfessabili. Non potevo certo aspettarmi altro dalla figlia di Stefan ed Elena: un diario.
L’ho vista vagabondare tra le strade della città con una combriccola altrettanto prevedibile: una spilungona dalla pelle scura e dai ricci indomabili, senza ombra di dubbio la figlia di Bonnie, la ex streghetta dalle mille e una risorse. Ho sentito che Jamie, il tipo che la Bennet aveva sposato, l’ha abbandonata anni fa assieme alla marmocchia… che scortese. Ovviamente Bonnie avrà tirato su tutta sola, proprio come suo padre fece con lei dopo la dipartita di Abby, quella che adesso sembra essere la migliore amica della mia nipotina. Patetico.
La nanerottola che gironzola intorno a quelle due è la copia grassottella ed allegra di Barbie Vampire: capelli biondi e morbidi, voce dolce come lo zucchero, spiccato senso dell’umorismo e risata sempre sulle labbra. Mi sorprende che non sia musona come il padre, Tyler Lockwood, ma, in compenso credo sia ingenua e di buon cuore come il vecchio Mason. Ops.
Adesso la piccola Salvatore le sta aspettando entrambe in Biblioteca, probabilmente per subire un’ora di studio intensivo con un’aria non molto felice al riguardo. Magnifico, sarebbe stato uno shock vedere scorrere il mio sangue in un’amante dei compiti a casa: al College, se ero stato il primo in qualcosa, quel qualcosa non riguardava la media scolastica.
Sorrisi, nostalgico, per scacciare via quel pensiero.
Si era alzata in piedi, lei, aveva le labbra strette e l’espressione da principessa guerriera che la faceva assomigliare progressivamente alla mia versione preferita di sua madre. Si era seduta accanto ad un ragazzino così pallido da sembrare ricoperto di neve e ci parlava con frizzante sagacia, a suo agio, solo un po’ rossa in viso.
Lui aveva un’aria familiare ma non riuscivo ad inquadrarlo e… la toccava?
Una stretta di mano.
Ohhhh era uno sconosciuto! Un po’ come me... solo più fortunato.
Svolazzai sul davanzale e cercai di sintonizzare il mio udito con ciò che dicevano da lontano e l’impresa mi riuscì incredibilmente facile:  
–… mi chiamo Niklaus Mikaelson. In famiglia mi chiamano Nick o lo farebbero se avessi una famiglia.- che COSA?
Mikaelson?
Aguzzai lo sguardo per notare i dettagli del suo viso giovane e delicato, ora cogliendone più consapevolmente le fattezze: aveva le labbra piccole e sporgenti di Klaus e Rebekah, gli occhi neri e profondi di Esther, le fossette di Kol, la calma di Finn, la mascella, i capelli e la gradevole apparenza di Elijah. Doveva essere…
- Demetra Salvatore.- disse lei, piano, pronunciando il proprio nome con naturalezza, senza sapere l’effetto che mi avrebbe provocato.
Demetra.
Che strano nome per una bambina, quello di una dea dell'amore disinteressato e della generosità, eterna dispensatrice d’abbondanza, giovinezza e vita.
Demetra.
Mi sembrò piacevole all'udito, tiepido come un sole nascente, fine come il suono delle spighe di grano mosse dal vento, come il mutare delle stagioni.
- Si, ti ho sentita rispondere all’appello.- mormorò poi Nick, rilassato. Mi riscossi dai miei divaganti pensieri. -… sei piuttosto popolare a scuola. Avevo già sentito parlare di te e del tuo caratterino… devi essere una ragazza molto sicura di ciò che vuole e capace di ottenerlo, vero?- e ammiccò.
Provai un’istintiva gelosia davanti a quella loro complicità.
Mi maledissi all’istante per quell’atteggiamento immotivato: Demetra non era mia figlia e, soprattutto, malgrado la somiglianza, non era Elena.
- Diciamo che spesso non controllo la mia curiosità.- replicò Demi, un po’ stordita dal tono di voce compiaciuto di Mikaelson. – e quindi volevo subito sapere perché le mie amiche mi hanno sconsigliato di girarti intorno… o perché non hai fatto altro che evitarmi in questi giorni, volatilizzandoti in mia presenza. Suppongo che questo faccia parte del tuo ‘essere inquietante’ o roba simile… mi sbaglio?- Il ragazzo rise e una dolce luminosità sembrò rischiarare le sue iridi nerissime.
Sentii l’eco della sua risata vibrare nel mio becco: però… che ragazzina perspicace!
- Cosa intendi esattamente con ‘inquietante’?- ironizzò Nick, un po’ confuso.
- Forse dovresti chiedere a tua zia… credo sia un’esperta in materia.- mormorò lei, sincera.
Era incredibilmente semplice per lei parlargli e non le importava quasi nulla di ferire i suoi sentimenti tanto era contenta di poterlo finalmente fare senza troppi preamboli.
A me piaceva smisuratamente quella sua inclinazione allo scherno e all’autoironia, mi ricordava in qualche modo il mio amico Alaric e, forse anche maggiormente, me stesso.
- … insomma credo che siano un po’ anomali i suoi modi in classe e soprattutto i suoi compiti per casa… un incubo, per farla breve.- dunque avevo avuto ragione: era lì per fare una ricerca che le era stata assegnata a scuola… ma da chi? Dalla zia di Nick Mikaelson? Non poteva che essere… Rebekah?
Agitai e gonfiai le piume lucide per trattenere un’altra grassa risata.
Barbie Klaus… dietro una cattedra scolastica? Ad insegnare alla figlia di Elena e delle sue compagne, per giunta?
Non potevo semplicemente crederci… troppo spassoso per essere vero.
- Mia zia è un po’… severa.- convenne il ragazzo moro, con un tono lievemente amaro che Demi non riuscì a comprendere a pieno. -… ma si è presa cura di me quando sarei dovuto finire in un orfanotrofio. Mi ha accolto quando i miei genitori sono scomparsi.- se fossi stato umano avrei inarcato un sopracciglio fino a farlo sparire nella frangia: scomparsi?
Voleva dire che Elijah si era sposato con una bella umana o con una vampira/lupa rinnegata, che aveva avuto un bel marmocchio tutto Mikaelson e poi era sparito nel nulla?
Provai un’istintiva pietà per Nick: oltre ad aver vissuto una infanzia di sicuro terribile assieme a ‘SheDevil’ aveva anche un nome orribile.
Andiamo, NiKLAUS?
Mi ero perso un bel po’ di interessanti cosette negli ultimi decenni di astinenza da Ele… emh, da Mystic Falls.
Assorto com’ero mi ero praticamente lasciato sfuggire metà della conversazione tra i due ragazzini, ma dall’espressione sinceramente dispiaciuta di Demi mi sembrò di capire che aveva lo stesso animo tenero e compassionevole di sua madre e la stessa propensione verso gli altri del mio adorato fratellino.
Veramente una cosa carina.
Con molto tatto lei deviò di nuovo il discorso sulla scuola e Nick sembrò rasserenarsi non poco, mentre si posava una mano sotto il mento per sostenersi il viso… ma cosa diavolo aveva al dito anulare? Un uovo di gallina? O un anello… ? Era semplicemente enorme.
– Come vanno le tue ricerche, a proposito?- domandò Nick, curioso. -… la tua famiglia non ha più segreti per te?-
Demi aggrottò la fronte in risposta, scuotendo lievemente la testa in segno di dissenso.
- Aspetto le mie amiche per poter entrare nel reparto storico... avrò un bel po’ di lavoro da fare… questa insolita ricerca sugli alberi genealogici ha stimolato la mia voglia di esplorare il passato.- mentre diceva questo, anche Demi si mosse e si sfiorò istintivamente i capelli, nel punto in cui l’avevo sfiorata qualche giorno prima, portandole via il nastrino.
Deglutii.
In quel momento la porta della Biblioteca si spalancò e sulla soglia comparve una figura femminile scura ed arruffata, quella di Sheila Bennet. Era da sola, aveva un’espressione relativamente tranquilla che si tramutò in disappunto e poi in furore quando vide che Demi, la sua cara amica, era seduta accanto a Nick.
Ebbi un improvviso flash: era la stessa espressione che quella saputella di sua madre utilizzava di continuo quando sorprendeva Elena essere troppo vicina a me.
Era come se Sheila non gradisse affatto la presenza di Mikaelson e la ritenesse nociva, pericolosa.
Demetra però, al contrario della sua influenzabile e insicura madre, dopo essersi alzata, seguita da Nick, fece un deciso cenno alla Bennet di avvicinarsi. Lei esitò, poi mise il muso e li raggiunse a metà strada.
-Niente permesso.- sbottò, guardando torva Nick. -… Tyler non ha voluto concedercelo dicendo di non avere la chiave del cassetto che lo conteneva perché l’aveva già consegnata a qualcuno. Una montagna di scuse, a parer mio. Era come se non volesse farci fare questa schifosa ricerca… come se avesse paura di qualcosa. Non ha ceduto neppure alle suppliche di Matt, e sappiamo quanto lui abbia un debole per la sua unica figlia! Sono desolata, credo che avremo la nostra prima ‘C’ dell’anno in Storia. Se non abbiamo il materiale, infatti, finiremo per consegnare in bianco… per la gioia di Miss Mikaelson. Dovevo saperlo che era tutto un suo demoniaco trucco.- Demi si accigliò, borbottando un’imprecazione mentre vedeva tutti i suoi piani svanire in fumo e percepiva, contemporaneamente, la tensione tra Nick e Sheila farsi insostenibile; erano in piedi l’uno davanti all’altra a scrutarsi con disprezzo.
- Dov’è finita Mattie?- chiese, perplessa, cercando la biondina con lo sguardo, nel tentativo di stemperare quel clima.
- Aveva un fortissimo mal di testa e così l’ho accompagnata a casa.- rispose Sheila, tetra. - Toccandole la fronte, la signora Caroline ha detto che di sicuro doveva avere la febbre alta… era molto scossa… voleva essere lasciata da sola e così l’ho accontentata.-
- Che strano.- osservò Demi, dubbiosa. - mi sembrava che stesse bene fino a qualche ora fa.- la Salvatore si lasciò attraversare da un evidente malcontento misto a preoccupazione per le condizioni della sua compagna Lockwood ma notai che Nick, dal canto suo, non sembrava affatto sorpreso.
Anzi, la sua faccia era quasi consapevole… quasi colpevole.
- Credo sia il caso di andare... tanto non abbiamo la più pallida speranza di riuscita in questa missione.- borbottò Sheila, afferrando per un braccio Demi ed invitandola a seguirla fuori.
A quel punto, Mikaelson si riscosse dal suo stato di meditazione.
- Forse posso aiutarvi.- mormorò, con un’alzatina di spalle. Demetra inchiodò i propri piedi al pavimento con tanta violenza che quasi non fece perdere l’equilibrio a Sheila, la quale, inviperita, le lanciò uno sguardo pieno di rimprovero.
- Come?- chiese la bruna, ironicamente. -… chiedendo a tua zia di smettere di tormentare le sue tre alunne predilette? No, grazie, ce la caviamo da sole.- e fece per andarsene.
- No.- tagliò corto Nick, con un sorriso ambiguo. -… il sindaco Lockwood non ha mentito: non aveva davvero la chiave perché qualcuno, prima di voi, l’aveva già richiesta ed ottenuta. Io so di chi si tratta.- e si fermò.
Sotto lo scetticismo di Sheila, io e Demi eravamo tutti orecchie. Nick proseguì quasi subito, abbassando la voce.
- Quel qualcuno che ha prelevato la chiave è stata Rebekah, per impedirvi di accedere agli archivi e costringervi ad interrogare direttamente le vostre famiglie sul passato. Evidentemente sarà questa la vostra unica possibilità di ricerca ed i vostri risultati, se non completamente assenti, saranno comunque mediocri e poco precisi.-
- E come potresti aiutarci a non far realizzare il suo contorto piano?- chiese Demetra, incerta.
- So dove nasconde la chiave.- disse Nick, con semplicità. -… potremmo entrare insieme nel reparto e prendere tutta la documentazione che serve.- a Sheila brillarono gli occhi di desiderio, in quanto la sua ambizione di prima della classe non era facile da reprimere in un angolo isolato della mente. Demi però, con mio grande stupore, incrociò le braccia sul petto, serissima.
- Va’ a prendere la chiave, allora, ti aspetteremo qui.- lo incoraggiò, piano. Mikaelson non sorrise.
- Non posso sgraffignare un oggetto di valore e sabotare il piano di mia zia nel bel mezzo del pomeriggio e sotto la sua sorveglianza.- obiettò lui, ragionevole. – potremo introdurci nella biblioteca stanotte, di nascosto, dopo che avrò recuperato la chiave ed evitato di attirare l’attenzione di Rebekah su di me. Potremmo darci un appuntamento a mezzanotte in punto, in cortile, proprio qui vicino e poi cominciare con l’operazione… se saremo cauti e silenziosi, nessuno se ne accorgerà.- le due amiche si guardarono per un secondo.
- Perché faresti questo per noi?- chiese Sheila, sospettosa.
In effetti era la stessa domanda che frullava nella mia testa da pennuto da qualche minuto a questa parte.
-Perché potreste essermi utili nelle ricerche… anche io voglio fare luce su alcune questioni familiari e due menti sveglie ed accorte come le vostre potrebbero essermi di grande aiuto.- ammise Nick, ma nei suoi occhi neri era annidata una fosca verità inespressa che non riusciva ad ingannarmi. E non fuorviò neppure Demetra.
- Non possiamo accettare.- disse lei, quieta, allontanandosi d’un passo dal ragazzo. Sheila la imitò, sospirando di sollievo. -… credo che parlerò con i miei genitori e loro mi daranno tutte le informazioni necessarie… perché non dovrebbero? Sono sempre stati schietti con me e non credo nascondano nessun segreto.- la sua voce tremò appena. Non potevo sapere perché ma credevo che numerosi sentimenti, adesso, le scoppiassero nel petto: curiosità, talento per i guai, desiderio di risolvere un mistero, attrazione nei confronti di Mikaelson e delle sue blande parole, volontà d’indipendenza, incertezza e dubbi riguardo i propri genitori e la loro completa sincerità.
- Come preferisci.- acconsentì Nick, impassibile. -… se le loro risposte non dovessero soddisfarti… sarò qui a mezzanotte.- le acchiappò di nuovo la mano per stringerla in segno di congedo e si voltò, andandosi a sedere dove prima aveva posato libri e zaino. Demetra lo fissò per un istante, poi si lasciò guidare fuori da Sheila, la quale biascicava commenti alla situazione con aria stizzita e non la degnava già più della minima attenzione, assorta com’era nei propri dilemmi. Sistemandosi le maniche della maglietta, Demi sentì rotolare nel palmo della mano un minuscolo foglietto di carta stropicciata, identico a quello che aveva ricevuto a lezione qualche giorno prima. Lo stesso mittente doveva averglielo fatto astutamente scivolare addosso un attimo prima. Senza dare nell’occhio, Demi lo aprì e vi lesse, scritto con la solita grafia svolazzante, un numero di cellulare e qualche frase breve e concisa.
So che verrai al nostro appuntamento. Ti aspetterò fino all’alba. Nick.’
Il cuore le rimbalzò in gola mentre si ficcava il minuscolo foglio in tasca e rabbrividiva.
Decisi di tenerla d’occhio ancora per un po’, dal mio davanzale, curioso e un po’ rabbuiato, poi spiccai il volo.
Tra le mie piume corvine vibrava un’inquietudine violenta che non provavo da secoli e che suggeriva alla mia mente immagini spiacevoli e pensieri torbidi.
 Angosciato, basandomi su quella sensazione infallibile, seppi finalmente la verità: la ragazzina si sarebbe cacciata nei guai.
In grossi, grossissimi guai.
 
 * * *
Ecco a voi il vostro Damon, ancora un bel corvo ma ormai consapevole dell’esistenza di DEMETRA!
*Mary, il nome di mamma Salvatore, è basato sui romanzi di L .J. Smith.
* Se fossi in voi, farei molta attenzione alla febbre di Matt.
* Cosa nasconde Nick?
 

Alla prossima, ringrazio in anticipo i miei adorati recensori… siete i migliori!

Per ulteriori informazioni sulla storia, i personaggi e l'autrice... ---> http://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=ts&fref=ts
Un bacio,
Evenstar75

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** > She called me 'Damon'. ***


Demi aveva provato a contattare Matt per avere novità sulle sue condizioni di salute ma il cellulare della biondina era rimasto inascoltato e le innumerevoli telefonate della Salvatore non avevano trovato alcuna risposta. Demetra, svoltando la prima curva a destra tra le stradine, sapeva d’essere davvero in ansia per lei: la piccola Lockwood non aveva mai avuto più d’un raffreddore prima d’allora e soprattutto era una maniaca della tecnologia, ragione per cui era praticamente impossibile non trovarla con il cellulare tra le mani ad ogni ora del giorno e della notte.
Purtroppo per Demi questa faccenda irrisolta era solo la prima di una lunga serie di questioni che le invadevano ogni angolo del cervello.
La cosa peggiore era che, per quanto si sforzasse, non riusciva a togliersi dai pensieri la proposta di Nick e il loro pericoloso e segreto (nonché irrealizzabile) appuntamento di mezzanotte.
La sconvolgeva il fatto che quel ragazzo dall’aria così misteriosa e accattivante fosse riuscito a comprendere al volo un dubbio che la assillava da giorni e che l’aveva resa sempre più schiva, assorta e taciturna in famiglia: perché non aveva mai sentito parlare delle proprie discendenze e perché non aveva nessun parente a Mystic Falls, salvo lo zio Jeremy?
Perché suo padre aveva sempre evitato l’argomento ‘parentele’ e cosa le dava la certezza che ne avrebbe parlato volentieri o sinceramente adesso che ne aveva bisogno per un’anomala ricerca scolastica?
Per la prima volta, Demetra sentiva di non poter parlare liberamente con i propri genitori ed era infuriata con se stessa perché, probabilmente, stava facendo esattamente sì che il malefico piano della professoressa Mikaelson si realizzasse. Ma come poteva essere altrimenti?
Cosa sapeva Rebekah più di lei riguardo alla sua famiglia? E perché né Stefan né Elena avevano mai osato parlare del passato, fingendo di averlo cancellato con caparbia ed inspiegabile determinazione?
Che c’entrasse, forse, proprio quello sconosciuto?
Quel Damon Salvatore?
Avvolta nei propri grattacapi, Demi aveva girovagato da sola con il proprio motorino un po’ ammaccato per tutto il resto del pomeriggio, dopo aver accompagnato a casa Bennet una burbera Sheila. Per fortuna, mentre era in viaggio, il pesante casco che Stefan le aveva imposto categoricamente di indossare per ogni spostamento non aveva impedito minimamente ai suoi lunghissimi capelli lisci di svolazzare nel vento fresco o alle sue orecchie di percepire il suono dolce dell’asfalto sotto le ruote. Questi piccoli dettagli avevano piacevolmente contribuito a rilassare e a tranquillizzare il suo animo in completo subbuglio e così, pur non avendo molta voglia di tornare a casa, col calar della sera e lo spuntare delle prime timide stelle nel cielo, la ragazza si ritirò puntuale nel giardino del pensionato, parcheggiando il proprio mezzo in un cantuccio e liberando con sollievo la testa dolorante dal casco protettivo.
Si sentiva stranamente elettrica (il cuore le palpitava nel petto con la forza di un tamburo e il suo respiro non era perfettamente regolare) ma riuscì a mostrare un sorriso perlomeno convincente quando sua madre aprì la porta d’ingresso e la aiutò a sistemare in camera lo zaino e l’impermeabile.
Per avere qualcosa da fare, Demetra si impegnò immediatamente nell’apparecchiare la tavola per la cena e sistemò con cura quasi maniacale le posate accanto ai piatti di porcellana, i bicchieri poco distanti da essi e dai tovaglioli finemente ripiegati.
Stefan guardava le due donne della sua vita sistemare ogni cosa per il pasto con aria sognante, senza traccia di preoccupazione sul suo volto, ma quando si furono seduti ai propri posti di sempre, Elena, attenta come al solito ad ogni movimento di sua figlia, emise un colpetto di tosse per richiamare l’attenzione.
Demi, che stava giocherellando con aria assente con il proprio pasticcio di patate, alzò finalmente lo sguardo color del ghiaccio per incontrare quello pensieroso di sua madre.
- Tesoro?- mormorò Elena dopo un istante, un po’ turbata.
- Cosa c’è?- scattò Demi immediatamente, aggrottando le sopracciglia nella speranza di non sembrare troppo colpevole. Elena alzò le spalle con aria innocente, azzardando un piccolo sbuffo e passandole piano la coppa con le salse perché ne prendesse un po’. Nonostante il suo tono noncurante, la donna continuava ad osservarla come se riuscisse a leggerle dentro.
Demetra conosceva benissimo la singolare sensazione di essere un libro aperto, perfettamente vulnerabile ed esposta sotto le occhiate di sua madre, ma, per la prima volta, non fu felice per la presenza di questo legame ancestrale e assoluto tra loro.
Non avrebbe voluto rivelare a nessuno i pensieri che le turbinavano nella mente perché era certa, ormai, che nessuno avrebbe capito…
- Sei così silenziosa.- osservò Elena, facendo per afferrare la brocca dell’acqua; prima che potesse farlo, Stefan allungò prontamente la propria mano e riempì con destrezza il bicchiere della moglie. Lei, grata, gli rivolse un breve sorriso complice, poi tornò a concentrarsi su Demetra. La ragazza stava distrattamente impiastricciando le proprie patate con della salsa ketchup ma i suoi genitori sapevano benissimo che lei odiava il pomodoro. -… qualcosa non va? Qual è la ragione di tutto questo malumore?- domandò Elena, perplessa, scambiandosi con Stefan uno sguardo confuso.
- Nessuna ragione.*1- mentì Demi, fissando il piatto.
Suo padre sorrise appena, sfiorando con le dita i capelli e la guancia della ragazza in una carezza: lei avrebbe voluto abbandonarsi a quel contatto e cercarvi sollievo ma qualcosa nel suo stomaco si ribellava ad esso e alle calme parole che seguirono:
- Hai per caso litigato con qualcuno?- tentò l’uomo, cercando gentilmente di spronarla a parlare.
- No…- rispose lei, senza riuscire a fare a meno di pensare ‘non ancora’. – sono… ecco…- sospirò, in cerca di una via d’uscita. – … sono preoccupata per Matt.- buttò lì la prima cosa che le venne in mente e funzionò: le attenzioni dei suoi interlocutori parvero essere subito attirate da quel problema, dimenticando le mille altre possibilità ipotizzate fino a quel punto. – ha la febbre molto alta e né io né Sheila siamo ancora riuscite a contattarla… non è mai successo prima d’ora che avesse l’influenza o roba del genere… di solito è sempre la più energica e in salute di tutte noi.-
- Come hai saputo della sua malattia se non rispondeva al cellulare?- domandò la madre, interessata.
- Questo pomeriggio sarebbe dovuta essere in biblioteca insieme a me per una ricerca di gruppo ma è rimasta a letto.- bofonchiò Demetra, evasiva.
- Che tipo di ricerca?- chiese prevedibilmente Stefan, tra un boccone e l’altro.
La ragazza si strozzò con l’insalata e dovette bere un lunghissimo sorso dal proprio calice prima di riprendere respiro.
- Storia.- esalò, spiccia, subito dopo e deglutì bruscamente.
Elena continuò a guardarla negli occhi fino a quando Demi non distolse lo sguardo ma non aggiunse altre domande se non quelle strettamente correlate alla strana vicenda di Matt. Poi fece schioccare la lingua, risoluta.
- Domani potremmo andare a trovarla, se ti fa piacere.- propose alla figlia, vivacemente. -… è da un bel po’ che non incontro Caroline e Bonnie e mi farebbe tanto piacere sia vederle che avere novità sulla povera Mattie.- Demetra acconsentì con un cenno e il resto della cena trascorse tra chiacchere civili e generali, fino a quando Demetra non ebbe ingoiato anche l’ultimo pezzo di contorno e non ebbe consegnato il piatto ormai vuoto a sua madre, alzandosi poi per aiutarla a sparecchiare.
Nel passarle le stoviglie notò che l’anello d’argento che la donna portava all’anulare destro nel ricordo del proprio legame coniugale era così diverso da quell’enorme monile che Nick aveva al medesimo dito; le sembrò di ricordare che su quella gigantesca pietra rosso sangue vi fossero dei simboli di cui avrebbe voluto sapere il significato. Questo pensiero non fece che acuire la patologica curiosità che già nutriva nei confronti del giovane Mikaelson e per un istante Demi sentì il terreno mancarle sotto i piedi dal desiderio di essere insieme a lui in quel preciso momento. Era una follia! Una lacerante, ridicola follia!
Eppure, adesso, le sembrava che l’unica speranza verso la verità fosse soltanto quel ragazzino introverso dai grandi e profondi occhi neri.
Mormorando una ‘buonanotte’, Demetra risalì pigramente le scale verso la propria stanza ma, una vota sprofondata nel morbido materasso del baldacchino, sentì, non molto più tardi, l’eco di altri passi leggeri accompagnare i suoi fino alla camera da letto.
Bussando appena, il faccino delicato e accorto di Elena, così simile al suo, comparve accanto all’uscio e un sorriso nostalgico le increspò le labbra proprio mentre osservava la propria figlia abbracciare l’orsetto peluche che ornava da sempre quelle lenzuola.
-Posso?- chiese dolcemente la donna e Demetra, quasi suo malgrado, annuì, facendole spazio tra le coperte.
Elena le accarezzò la piccola fronte e con i polpastrelli tentò di appianare le piccole rughe di inquietudine che si formavano su di essa, strappando un versetto compiaciuto dalla bocca della sua bambina. La conosceva forse come nessuno e sapeva che le era sempre piaciuto molto essere coccolata in quel modo. -… Demi, Demi…- bisbigliò la madre, con tenerezza, come se canticchiasse. -… sei sicura di stare bene?- la ragazza, che fino a quel momento aveva tenuto gli occhi socchiusi, li aprì lentamente, lasciando che le sue iridi splendessero nella penombra.
Senza quasi accorgersene, Demi scosse la testa.
- Sai che puoi parlare di qualunque cosa con me, non è vero?- sussurrò Elena, apprensiva. Demetra strinse le labbra per impedirsi di sfogarsi con lei ma non riuscì a trattenersi. Perché, in fondo, stava dubitando in quel modo di sua madre? Della sua stessa famiglia? Possibile che fosse bastato così poco per incrinare i loro rapporti, da sempre basati su dialogo, apertura e fiducia? Chi poteva capire le sue paure e i suoi equivoci, se non la donna disponibile e attenta che aveva davanti?
- Ho una nuova professoressa di Storia.- confessò infine Demi, tirandosi su, seduta sul letto e abbracciando le proprie gambe. – si chiama Rebekah Mikaleson e… mi odia.- sotto lo sguardo penetrante della ragazza il viso serio di Elena impallidì e cambiò repentinamente espressione, trasformandosi in un cipiglio mesto e teso. -… tu la conosci, mamma?- continuò lei, d’istinto.
- Si… io... frequentavo la sua classe, al college.- biascicò Elena, mordendosi il labbro inferiore, evidentemente sorpresa e impacciata. -… solo che credevo che avesse lasciato Mystic Falls molti anni fa.- l’ombra inquieta non abbandonò la sua faccia, anche quando accennò un sorriso e ammise: -… non potevamo soffrirci, a scuola, eravamo molto diverse e più di una volta ci siamo trovate in competizione… o nei guai l’una per colpa dell’altra.- Elena fissò sua figlia con ansia crescente. - Ma cosa significa ‘mi odia’?- domandò, rigida. -… ti ha fatto del male?-
- Non proprio.- precisò Demetra, onesta. – ma sembra avere un atteggiamento particolarmente intransigente e sarcastico nei miei confronti. E in quelli di Sheila… e di Matt. Soprattutto di Matt.- aggiunse, ripensandoci. Ormai era un fiume in piena. -… l’ha presa in giro per il suo nome e per il suo modo di fare un po’ goffo, fino a spingerla alle lacrime! Inoltre guardava Sheila come se fosse un avvoltoio, te l’assicuro, e aveva un tono tutt’altro che amichevole mentre si rivolgeva a loro! Avrei voluto rispondere alle sue provocazioni perché non sopportavo delle ingiustizie simili ma Ni…- arrossì lievemente. -… un compagno di classe mi ha fermata in tempo e poi…-
-  Un momento!- la interruppe Elena, alzando di colpo le mani per fermarla. Era livida e angosciata ma dietro le sue ciglia ardeva una febbrile fermezza e la definitiva decisione di voler conoscere tutta la verità. – mi stai dicendo che ha insultato le tue amiche e ha quasi provocato una tua reazione per difenderle dai suoi attacchi verbali… ma cosa ha fatto a te, precisamente?-
Davanti a quella domanda così chiara e diretta Demi esitò, tentando invano di trovare le parole giuste per esprimere ciò che provava al riguardo. Sotto lo sguardo interrogativo e ansioso di Elena, però, senza nemmeno sapere bene perchè, non riuscì a non sentirsi sopraffatta dalle emozioni.
Le lacrime le riempirono gli occhi con forza dirompente, senza scivolare giù, solo luccicando.
- Mi ha chiamata Damon.-


Image and video hosting by TinyPic




* * *
Ohhhh yes! ** Eccoci con l'altro capitolo!
Beh credo che l'ultima gif con la faccia di Elena sia abbastanza esplicativa ahahahah la vostra faccia?
Spero di aver fatto un buon lavoro con questo nuovo aggiornamento, guardate l'ora di pubblicazione: le 2:10... una follia! :D
Spero di sentire le vostre critiche... si spera positive come al solito!
Grazie infinite <3
Alla prossima... il cui titolo sarà 'La fuga' 

PS: Parallelismi:

*1 No reason.

Image and video hosting by TinyPic /// Image and video hosting by TinyPic

 /;;;Evenstar75 :*




Per ulteriori informazioni sulla storia, i personaggi e l'autrice... ---> http://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=ts&fref=ts


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La fuga ***


POV Elena

Image and video hosting by TinyPic

Le braccia di Stefan erano sempre state un rifugio sicuro e assolutamente perfetto per me.
Nulla, a mio parere, poteva competere con il loro potere di calmarmi e di darmi sollievo quando ogni cosa attorno a me sembrava essersi malamente dissolta nel nulla.
L’avevo stretto a me innumerevoli volte durante la nostra storia d’amore, fin dagli esordi, ed infinite lacrime avevano bagnato la stoffa delle sue camicie, inzuppato il suo viso in un bacio disperato e trovato la pace nel calice del suo palmo gentile… ma questa volta era stato diverso.
Era stato terribile.
Sentendolo respirare lentamente, disteso accanto a me nell’oscurità della nostra camera da letto, non riuscivo a far insinuare dentro di me neppure un briciolo della sua calma e della sua indole docile, non riuscivo a smettere di dondolarmi sul posto, con le gambe strette al petto e il mento posato sulle ginocchia gelide.
Quella mia posizione infantile e piena d’insicurezza mi aveva sempre aiutata a mantenere intatti ed uniti i frammenti del mio essere infranto ma adesso non faceva che ricordarmi che, ad essere in mille pezzi, c’era anche un’altra anima: quella che avrei dovuto proteggere, quella di Demetra.

-Chi è lui?- la sua voce incerta era giunta alle mie orecchie fievole come un soffio di vento serale ma aveva comunque spazzato via con irruenza ogni serenità dalla piccola stanza che mia figlia utilizzava per dormire. La frase che aveva poco prima pronunciato conteneva, purtroppo per entrambe, una parola che aveva sferzato il mio viso come uno schiaffo, aveva bruscamente lacerato l’idilliaco e sereno ambiente del pensionato e aveva squarciato un profondo solco nel mio petto, un solco antico come il mondo, profondo come il baratro della mia coscienza. Damon.

Sentii improvvisamente freddo ma nelle braccia non avevo forza sufficiente per muovermi e coprirmi meglio con il lenzuolo candido. Un groppo di tristezza mi impediva di deglutire ma non potevo rischiare di svegliare Stefan schiarendomi rumorosamente la gola. Tutto ciò era un po’ un’ironica parodia della mia vita quotidiana: qualcosa era sempre lì ad infastidirmi e a pungermi il cuore ma non volevo, non potevo permettermi di pensarci o avrei rovinato per sempre quella quiete e quella felicità che con estrema fatica eravamo riusciti a conquistare. E che Rebekah, stanotte, aveva incrinato.

Com’era possibile che fosse arrivata a tanto? Chiamare mia figlia con il suo nome, pur essendo a conoscenza dei fatti… non mi sarei mai aspettata un atteggiamento simile neppure dalla sorella di Klaus, pur sapendo che ha sempre desiderato punirmi dopo quel che accadde una notte di sedici anni fa. Ricordo ancora come lei, in lacrime, con il viso gonfio e irato, sfinito, aveva giurato vendetta e come io, in quell’istante, avessi pensato che sì, in qualche modo la meritasse. Ma da allora tutto era cambiato, il tempo aveva permesso alle mie ferite di rimarginarsi, alla vita di tornare a scorrere più dolce che mai e a Mystic Falls di rifiorire in tutto il proprio splendore. Rebekah e le sue oscure minacce erano scomparse all’orizzonte e tutto sembrava così perfetto, nell’illusione di aver dimenticato…

Mentre le lacrime mi scorrevano piano sulle guance, ora, ero consapevole di una sola cosa: non sarei mai riuscita a dimenticare. L’avevo capito nel momento esatto in cui avevo visto luccicare di pianto quegli occhi cerulei e innocenti, curiosi e meritevoli di comprensione e sincerità… l’avevo capito quando Demi aveva richiesto la verità sulla propria famiglia senza condanna o giudizi nello sguardo, solo appassionatamente, con slancio, con la sua irrefrenabile curiosità. Mi presi la testa tra le mani, premendomele sulle tempie, in balia del senso di colpa.

-Non ho mai sentito questo nome prima d’ora.- la mia voce così ferma, controllata, ormai allenata da anni di inconfessate menzogne, era irriconoscibile perfino alle orecchie della bambina che io stessa, con amore, sacrificio e bisogno avevo messo al mondo perché fosse migliore di me. E lei, ormai troppo matura ed intelligente per lasciarsi ingannare, aveva aggrottato la fronte, perplessa, riconoscendo in quel tono metallico la mia falsità e nel livore delle mie guance un’ansia folle ed indomabile. Non aveva creduto ad una sillaba.
- Perché mi stai mentendo?- aveva chiesto, con la delusione amara incisa nei tratti dell’angelico volto. Il mio silenzio non era bastato a calmare la sua sete di risposte e la sua mano piccola e bianca era corsa ad afferrare la mia, scuotendola, speranzosa. -… mamma?-

Sorrisi appena, pur avvolta dalle spire della malinconia, rimproverando il mio inconscio per aver desiderato, anche solo per un istante, che quelle dita pallide e fragili, strette alle mie in quella piccola stanza, su quel letto dalle soffici coperte, non fossero quelle di mia figlia.
Scossi impercettibilmente la testa.

Image and video hosting by TinyPic

Era buffo pensare che, adesso, non ci fosse proprio nessuno a salvarmi. Nessuno a cui dire grazie. Nessuno per cui lottare. Forse era stato questo pensiero straziante a farmi perdere la calma e la ragione, a farmi trattare in quel modo orribile la creatura candida e fiduciosa che avevo avuto la fortuna di dare alla luce.

- Non ne parleremo mai più.-
- Perché?-
- E’ la cosa migliore. Noi abbiamo deciso così.-
- Noi? Da quando fate delle scelte al mio posto?-
- Siamo i tuoi genitori.-
- Ma quella di sapere la verità è una mia decisione! Non è tua e non è di papà! Mia!-
- Lascia tuo padre fuori da questa storia!-
- Potrei chiedere a lui di Damon, forse almeno lui sarebbe sincero con me!-
- Adesso basta, smettila di pronunciare quel nome!-

Scivolata nell’incoscienza del sonno, non facevo che rivivere i momenti del litigio con Demetra, non facevo che sentire il mio cuore esplodere nel petto, la sua voce acuirsi a causa della rabbia, le sue guance imporporarsi, i suoi occhi fiammeggiare, scintillanti, feriti… accusatori.

- Devi ignorare quello che ti ha detto la professoressa Mikaelson, ok? Lei è una persona crudele e meschina…-
- Forse, al contrario, vuole solo farmi scoprire qualcosa che voi mi tenete nascosto! Cos’è? Dimmelo!-
- Basta ricerche, basta domande! Provvederemo affinchè tu non frequenti più la sua classe e forse così starai lontana da lei e tornerai a…-
- NO! No no no no, ho reso l’idea?! NO! Non le darò mai questa soddisfazione!-
- Te l’ho già detto, Demi, non c’è niente da dire, niente da conoscere!-
- D’accordo… ho capito.-
- Cosa intendi? ... Demi...?! -
- Lasciami sola... Fuori! Via, via… lasciami in pace!-

- E’ tutta colpa mia… colpa mia…- gemendo come il legno di quella porta che Demi mi aveva sbattuto in faccia, mi rigirai nel letto, e continuai a dimenarmi finchè qualcuno non accese la luce e qualcosa non mi afferrò delicatamente per le spalle, smuovendomi con decisione, per permettermi di vegliarmi.
- Elena… Elena… - Stefan era allarmato e ansioso e quando sbarrai gli occhi, finalmente vigile, sentii qualcosa di caldo colare giù dalle mie labbra: sangue. Sconvolta dai miei incubi, dovevo aver stretto i denti sul mio labbro inferiore con tanta forza da ferirmi ( adesso sentivo un lieve dolore, ma nulla in confronto a quello che ribolliva nella mia testa e alla bocca del mio stomaco). Avevo la nausea e la mano fresca di Stefan sulla mia fronte mi diede immediato sollievo mentre riprendevo a respirare e il mio petto smetteva di alzarsi ed abbassarsi freneticamente alla ricerca di aria. -… shhh… va tutto bene… shhh…- mio marito mi strinse a sé con tenerezza, cullandomi con un tono che avrebbe commosso anche una pietra, ma lui non riuscì comunque a calmarmi.
- Non avremmo dovuto tenerle nascosta la verità…- singhiozzai, aggrappandomi a lui con tutta la forza che avevo.
- L’abbiamo fatto per una giusta ragione…- sussurrò Stefan, allontanandosi da me e sollevandomi il viso per potermi guardare negli occhi. Le sue iridi verdi e intense erano cupe e tormentate quanto le mie ma quella somiglianza mi diede conforto. -… per proteggerla, Elena… volevamo che vivesse lontana da tutto quello che è male e ci siamo riusciti… vorrei avere ancora il potere di farle dimenticare ogni cosa…-
Annuii, rimpiangendo per la prima volta anche io quella possibilità ormai arcana e remota.
- Le abbiamo solo mentito… io le ho mentito…-
- Elena…- stavo per ricominciare a lamentarmi quando il tono di voce di voce di Stefan mi impietrì sul posto e mi costrinse a guardarlo.
Non era esattamente lo Stefan che mi aveva trattenuto tra le braccia fino a qualche istante prima: il suo volto era indurito e cereo e i suoi occhi erano due tizzoni ardenti che bruciavano nella minima illuminazione generata dal lampadario. La mano che aveva posato sotto il mio mento per avvicinarmi a sé era sporca di sangue scuro e denso, quello che scivolava giù dal mio labbro.
Sangue.
Paralizzata dal terrore vidi delle vene scure attorno alle sue palpebre gonfiarsi e le sue pupille oscurarsi completamente. No… non poteva essere…

Image and video hosting by TinyPic


Avrei voluto fermarlo quando si portò l’indice macchiato di rosso carminio alla bocca e, ispiegabilmente, lo succhiò, famelico. Le sue braccia presero a tremare e la sua espressione sbigottita si trasformò in un ghigno crudele. Un ringhio basso e gutturale sembrò provenire dalla sua gola ma non ne ebbi la chiara percezione perché fu coperto da un mio acutissimo urlo di sgomento e di orrore. In preda al panico mi alzai dal letto e mi diressi verso la porta della camera, nella speranza di non svenire dall’affanno… forse era solo un brutto sogno, era impossibile che Stefan

Image and video hosting by TinyPic

Qualcosa stava cambiando anche dentro di me, potevo sentirlo: le mie labbra sanguinanti erano state graffiate da qualcosa di più affilato di un normale dente umano, solo ora me ne accorgevo… i miei canini sporgevano pericolosamente e, di sfuggita, vidi riflesso nello specchio della stanza un volto che avevo sempre odiato e temuto di veder riapparire: una Elena dalle sembianze di una vampira ma ancora impaurita e debole come un’umana. Sentendo l’adrenalina scorrere come fiele nelle mie vene, mi voltai, di scatto e affrontai Stefan, impedendogli di aggredirmi.
-Stefan! Sono Elena!- lui si agitò, senza ascoltarmi. Dovevo insistere. Avevo paura di lui, della sua improvvisa sete di sangue, del suo animo di Squartatore che non aveva mai veramente sopito quando era un predatore.
- Ti prego…- ansimai, nello sforzo di tenerlo lontano da me. - NON FARLO, STEFAN!- lui, udendomi gridare in quel modo, sembrò rinsavire di colpo e il suo sguardo mi apparve d'un tratto più limpido, più libero dalla furia omicida ma estremamente più teso, più angosciato.
- Che cosa sta succendendo?- ruggì, annaspando per non spegnere le proprie emozioni umane che gli impedivano categoricamente di farmi del male. -… com'è possibile…?-
Non ne avevo idea ma in un istante la mia mente fu sgombra da altri pensieri che non fossero riferiti all’unica persona indifesa in quella casa: Demi.
Ci aveva sentiti urlare? Aveva visto qualcosa? Come le avremmo spiegato che…?
Mi precipitai nella sua stanza ma trovai la porta ostinatamente chiusa a chiave.
Subito la forzai e mi riuscì straordinariamente facile aprirla, con un colpo leggero e centrato che solo il mio pugno da vampiro poteva conferirmi. Un rigonfiamento immobile nel letto mi fece capire che qualcosa non andava: possibile che non si fosse svegliata in tutto quel baccano? Stefan mi raggiunse e, strappando via le coperte con una manata, scoprì il tranello: un cuscino malandato a sostituire il corpo di mia figlia, un’aria gelida che proveniva dalla finestra aperta verso il giardino e il cielo terso della notte.
-Dov’è…?- rantolai, disperata, gettandomi a guardare fuori, in cortile, alla sua ricerca. Dov’era finita?
La città sembrava in fermento, gemiti e ululati provenivano da lontano, gelando l’anima e riempiendomi della più cupa e inestinguibile pena.
- Elena…- Stefan, con lo sguardo devastato, mi allungò un biglietto stropicciato che doveva aver trovato sulla scrivania di Demi, tra le sue cose in disordine, accanto ad una lampadina ancora calda.
Col cuore in gola, lo lessi e riconobbi la scrittura minuta e frettolosa:

‘Lo scoprirò da sola.’

********************************



Weeeeeeeell! Immagino che la vostra faccia sia tipo:
Image and video hosting by TinyPic
Uahahhahahaha che capitolo intenso O_O chiedo scusa per l'uso continuo di gif ma adoro cercarle e caricarle sulle storie perchè rendono benissimo l'idea di alcune espressioni o azioni dei personaggi *_* e poi rendono la lettura meno statica e noiosa! Cosa ne pensate?
Dunque Stefan ed Elena, per qualche oscura ragione, stanno tornando ad essere quello che erano prima dell'incantesimo: dei VAMPIRI.
Demi è fuggita per scoprire la verità... dove sarà andata, secondo voi? XD
Le cose si fanno interessanti u.ù
MI DIVERTIRO' UN MONDO A SCRIVERE DI DAMON, CHE APPARIRA' PROPRIO NEL PROSSIMO CAPITOLO! HAAAAAAAAAAAAAAALLELUJA AHAHAHAHA <3
Un grazie anticipato a tutti coloro che commenteranno... siete la mia ragione :*
PS: Chissà cos'hanno combinato i nostri protagonisti alla povera Rebekah per spingerla a giurare vendetta... mmmmmmh!
Alla prossima, Evenstar75

Per ulteriori informazioni sulla storia, i personaggi e l'autrice... ---> http://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=ts&fref=ts

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Mezzanotte - Sensazioni da Strega ***


Image and video hosting by TinyPic

Demetra non era mai uscita nel cuore della notte, per di più alla cieca, completamente sola e deliberatamente senza permesso. Stavolta, tuttavia, era stato inevitabile e, nonostante il senso di colpa lancinante e la delusione le squarciassero l’anima con violenza, non riusciva a smettere di correre a perdifiato nell’ombra.
Le sembrava di non avere aria sufficiente nei polmoni; il suo petto era come impazzito ed il cuore, dentro di esso, pulsava dolorosamente, sordo e gonfio di sensazioni che mai avrebbe voluto provare: amarezza, rammarico, sconforto, umiliazione.
Era difficile ammetterlo a se stessa ma era estremamente ferita a causa dell’atteggiamento rigido e falso che Elena aveva assunto nei suoi confronti e, come ogni volta, quando era arrabbiata, non era riuscita a mostrare la propria assoluta disperazione se non facendo qualcosa di enormemente stupido.
Mentre sfrecciava silenziosamente sul sentiero umido oltre il viale di casa Salvatore, con indosso solo una giacca impermeabile, senza neppure una sciarpa a tenerla calda in quel gelo notturno, Demi lasciava orme profonde impresse nel terreno melmoso, imbrattando le sue scarpe bianche preferite, senza, però, curarsene affatto.
Il vento freddo che le schiaffeggiava il viso lucido di lacrime le dava un atroce sollievo e la aiutava a mantenersi cosciente, a non annegare nella tristezza.
La sua furia impetuosa era provocata anche dal pensiero di dover ammettere che Nick, in qualche modo, aveva avuto del tutto ragione: i suoi genitori le stavano palesemente nascondendo qualcosa e non erano stati sereni e sinceri come si sarebbe aspettata riguardo l’argomento ‘famiglia’… evidentemente qualcosa attendeva di essere rivelata e, senza aiuto, abbandonata a se stessa e alla propria sete di verità, Demi l’avrebbe scoperta da sola.
Quando aveva ansiosamente composto il numero del giovane Mikaelson per avvisarlo telefonicamente del suo prossimo arrivo, le dita le tremavano così forte da impedirle di controllare la digitazione e così aveva dovuto ripetere l’operazione più volte prima di avere successo.
Alla fine aveva atteso, frenetica, una sua risposta e quando Nick aveva pronunciato un saluto le era sembrato perfettamente tranquillo, per nulla sorpreso dell’improvvisa quanto insana decisione di Demetra di raggiungerlo nel piazzale accanto alla Biblioteca.
La ragazza, piena di scrupoli ma troppo furibonda per lasciar perdere quella follia, aveva buttato giù qualche riga d’eventuale avvertimento per sua madre e, raccolta la tracolla scolastica, una torcia e il proprio diario, era saltata giù dalla finestra senza un rumore, sparendo subito tra gli alberi del pensionato.
Le sembrava di aver udito qualcosa muoversi tra le foglie, come un frullo d’ali, e aveva accelerato il passo ancor di più, senza voltarsi indietro, con il cuore in gola.
Perché sua madre le aveva mentito riguardo a Damon?
Chi era, lui, in realtà?
Possibile che Rebekah avesse più conoscenza riguardo ai segreti di famiglia Salvatore rispetto a Demi stessa, che, dalla nascita, ne faceva parte?
Che cosa nascondevano gli archivi storici di Mystic Falls e che cosa c’entrava il tenebroso Nick con tutto questo?
Perché sentiva di essere completamente sola, in quella insidiosa ricerca, tanto da non aver avuto neppure il coraggio di telefonare a Sheila, terrorizzata all’idea di un giudizio negativo della propria migliore amica al riguardo?
Chi avrebbe capito il suo bisogno di sapere, ora che i suoi genitori le erano contro e anche Matt sembrava così irraggiungibile e misteriosamente malata?
 
***
 
Elena percorreva a grandi falcate il salotto in vestaglia e con la testa tra le mani, sforzandosi di non guardare Stefan che, abbandonato su una sedia lì accanto con il cellulare accanto all’orecchio, era in attesa, vinto dallo sconforto, di riuscire a contattare Caroline, la sua migliore amica, l’unica che fosse mai riuscito a riempire nel suo cuore il vuoto enorme lasciato da Lexie, in una ancora muta richiesta d’aiuto.
La bionda, nonostante i numerosi tentativi dell’uomo di rintracciarla, non aveva ancora risposto a nessuna chiamata e la cosa stava diventando ridicola: possibile che lei e Tyler non avessero percepito nulla di diverso nelle ultime ore e che la Gilbert e suo marito fossero stati gli unici a tornare, inspiegabilmente ed inaspettatamente, vampiri, proprio come prima dell’Incantesimo che aveva permesso loro di non esserlo più? Cosa diavolo stava succedendo e,  soprattutto, perché?
-Nulla.- sospirò Stefan infine, riattaccando e mordendosi il labbro inferiore nel tentativo vano di scaricare la tensione. Sentì i propri canini sfiorare la carne fragile e una terribile sensazione di abbattimento morale lo travolse. Non poteva essere… -… non riesco a trovarla. La linea è occupata.-
- Forse dovremmo chiamare Bonnie…- rantolò Elena, in fretta, con gli occhi lucidissimi. -… magari Sheila sa dov’è Demi in questo momento… magari ci aiuterà a trovarla prima che si cacci nei guai… potrebbe già essere in pericolo e io… io…- la sua voce si spense in un sordo singhiozzo e Stefan si alzò per andare a consolarla, avvolgendola in un tacito abbraccio pieno di desolazione. L’aveva vista molte volte disperarsi per la propria famiglia nel terrore che Jeremy o qualcuno a lei caro potesse farsi del male per cause sovrannaturali ma il tormento che il viso di Elena esprimeva al pensiero dell’attuale scomparsa di sua figlia era semplicemente straziante e incontenibile. Stefan provava lo stesso crudo rammarico e, forse per la prima volta, non riuscì ad aprir bocca per dare speranza alla donna che amava così tanto. Era come se un’enorme voragine avesse scavato nel petto di entrambi e l’impotenza davanti alla realtà li avvolgeva in funi bollenti e indistricabili.
Il campanello di casa Salvatore spezzò il silenzio ed Elena, ancora aggrappata a Stefan come ad un’ancora di salvezza, si voltò istantaneamente, mentre un barlume di fiducia le brillava nello sguardo.
Che fosse…?
-… Demi?- sussurrò, più a se stessa che al marito, precipitandosi ad aprire la porta.
Davanti alla soglia, però, trovò, immobile, una donna alta dalla pelle scura e dai lunghissimi capelli color della pece, con la mascella contratta in una smorfia ansiosa e la stessa paura della padrona del pensionato stampata in faccia: era Bonnie Bennet, la sua migliore amica, stretta in un cappotto stropicciato e piegata in due da un respiro affannoso, come se fosse reduce da una lunga, estenuante corsa.
Elena provò, nel vederla, un immediato sollievo ed una profonda delusione per il mancato ritorno a casa della piccola Demetra mista alla più pura sorpresa. Non le sembrava che Stefan avesse telefonato a Bonnie per avvisarla dell’accaduto eppure eccola lì, infreddolita e cupa, ferma sul tappeto d’ingresso, a torcersi nervosamente le mani in grembo.
-Cosa ci fai qui?- chiese la Gilbert, tesa e grata allo stesso tempo, invitandola velocemente ad entrare e facendole segno di avvicinarsi al camino per scaldarsi dal gelo del giardino e della notte tempestosa.
- Ho fatto prima che potevo.- annaspò Bonnie, di rimando. - Poco fa ho avuto una visione.- tagliò corto senza inutili preamboli, con un tono aspro nella voce, facendo scorrere gli occhi neri e infervorati su entrambi i coniugi Salvatore, come se cercasse qualcosa senza, però, trovarla. -… una visione terribile. Non ne avevo esattamente da quando ho sigillato l’Incantesimo, sedici anni fa… avevo rinunciato ai miei poteri per poter vivere una vita normale assieme a tutti voi e l’ho fatto senza conseguenze… fino ad oggi. Ho chiamato Caroline e ho riattaccato proprio un istante fa: anche per lei e per Tyler qualcosa è cambiato, sconvolgendoli. Sarebbe venuta qui anche lei ma pare che la piccola Mattie sia costretta a letto da una terribile febbre che nessuno di loro sa spiegarsi. So che qualcosa di strano e inaudito è accaduto anche a voi due, ve lo leggo negli occhi. - e deglutì, in attesa. Elena sentì il pavimento di legno lucidissimo mancarle sotto i piedi e seppe che la sua amica aveva ragione, come sempre.
- Io e Stefan abbiamo avuto una specie di transizione.- confessò amaramente, senza voler credere davvero alle proprie sofferte parole. -… ho visto nello specchio il mio riflesso oscurato dall’ombra del predatore. Anche adesso, nonostante tutto, non riesco a smettere di pensare alla sete incandescente che mi arde in gola senza darmi tregua… credo che il tuo Incantesimo, in qualche modo, abbia subito un’alterazione o, peggio, sia stato spezzato.-
- Questo non è possibile.- protestò Stefan, tentando di illudersi. -… niente poteva spezzare quell’incantesimo, era troppo potente! Non è vero… Bonnie?- guardò speranzoso la Bennet nel cieco intento di estorcerle una rassicurazione in proposito ma quel che vide sul volto bruno della donna furono un paio di labbra livide e degli occhi ridotti a minuscole fessure. Lentamente, mestamente, Bonnie scosse il capo.
- No, Stefan. Ogni magia, per quanto efficace, può essere aggirata.- mormorò, tetra ma sincera. -… certo il Male che ha di nuovo invertito il corso della Natura con l’abominio deve essere qualcosa di indescrivibilmente folle e crudele. E così  maestoso da mettere i brividi. Nel sonno, le anime delle Streghe mi hanno svegliata per questo, urlandomi di correre, di venire qui a capire. Giuro solennemente di non averle mai sentite così infuriate e allarmate prima d’ora… sembravano praticamente straziate, come tornate sullo stesso rogo di Salem che le consumò secoli e secoli fa.-
Stefan si mosse leggermente sul posto, sforzandosi di tenere salda la ragione.
-Cosa ti hanno mostrato?- chiese, avvilito ma risoluto a conoscere la verità. – cosa c’era nella tua visione, Bonnie?-
- Ho visto una grande oscurità trasformarsi in nebbia, ho sentito un verso rapace, come di un corvo, interrompere una monotona litania (forse magica, forse funebre) pronunciata in un cimitero pieno di lapidi e di fiori appassiti.- rispose la donna, scambiandosi uno sguardo con Elena che aveva il sapore di un’intesa mista ad un avvertimento. - L’uccello nero…- proseguì. -… è atterrato in una pozza di sangue scarlatto e, seguendone con lo sguardo il percorso, goccia dopo goccia, ho capito che quel sangue proveniva da un corpo inerte disteso sull’erba incolta. Si trattava di… - Bonnie si interruppe bruscamente, sforzandosi, senza successo, di non lasciar trasparire un improvviso panico nel suo tono o nei tratti rigidi della sua espressione.
- Di chi?- chiese Stefan, incalzante, afferrando un braccio della strega per costringerla a guardarlo negli occhi.
- Di Demetra.- esalò lei, a denti stretti. Elena si appoggiò alla poltrona per non cadere lunga distesa sul pavimento mentre lacrime di prostrazione e apprensione le scorrevano sulle guance come dei fiumi in piena. Bonnie battè le palpebre, stordita, liberandosi piano dalla presa di uno Stefan ormai ammutolito, e, con un fil di voce, chiese: - ... Demi è nella sua stanza a dormire, vero, Elena? Elena?-
Scossa dai singulti, tentando di contrastarli per darsi coraggio oltre che contegno, devastata, la Gilbert si strinse nelle spalle.
-Demi è fuggita.-

Image and video hosting by TinyPic
 

* * * 
Demetra udì il rombo poderoso di un tuono provenire dal cielo dopo un accecante lampo di luce e capì che, di lì a poco, sarebbe scoppiato un temporale di dimensioni cosmiche.
Affrettando la propria andatura, sfrecciò per il sentiero principale di Mystic Falls, avendo ancora cucita addosso la netta ed inquietante sensazione di essere osservata e seguita. Nel buio più completo, sorprendentemente, riusciva a muoversi con destrezza e quasi si sentiva parte della Natura circostante, cogliendone ogni sfumatura.
Pur gratificata da questo vago senso di onnipotenza, Demi percepiva che, adesso, la rabbia e il desiderio di scoperta non erano le uniche sensazioni a ronzarle dentro: c’erano anche tensione, caparbietà ed un pizzico di paura.
La luna, spuntando tra le nuvole sempre più nere e gonfie di pioggia, era appena visibile ma perfettamente piena e, quasi ironicamente, dei feroci ululati risuonavano intorno alla fanciulla in fuga, confondendosi tra gli alberi e la notte, gelandole letteralmente il sangue nelle vene.
Demi non aveva mai creduto al folklore ma quella particolare e suggestiva situazione stimolava la sua mente a vagare in fantasie e pensieri sinistri che forse avrebbe dovuto semplicemente ignorare.
D’un tratto, arrestandosi precipitosamente prima del vialetto della Biblioteca, con le scarpe luride e le guance imporporate a causa della gran corsa, vide una distinta figura nera come l’inchiostro attendere il suo arrivo a braccia incrociate, in silenziosa attesa, proprio all’entrata del cancelletto.
Avvicinandosi lentamente con un lieve sorriso stampato sulla bocca rosea, convinta di trovarsi davanti al giovane Mikaelson, magari trepidante d’attesa e lieto di averla vista arrivare lì sana e salva, Demi scoprì che non si trattava affatto del ragazzo del suo appuntamento di mezzanotte. Non si trattava nemmeno di un ragazzo.
-Che cosa ti è saltato in testa?- lo sgomento fece trasalire Demetra che spalancò la bocca di sorpresa come se non credesse ai propri occhi. Riccioluta, infuriata e paonazza, Sheila Bennet l’aveva aspettata lì, nel gelo pungente, senza che Demetra avesse precedentemente avuto neppure il coraggio di avvisarla del proprio piano di fuga dal pensionato.
- Che diavolo chi fai qui?- chiese la Salvatore, un po’ sollevata ma estremamente perplessa, aggrottando le sopracciglia mentre osservava Sheila soffiare aria calda sulle sue mani infreddolite con un fiume di imprecazioni sulla lingua. Demi era davvero sconvolta e, per quanto fosse felice di non essere più sola contro l’ignoto di quell’avventura proibita, non riusciva a capacitarsi di come Sheila, figlia e studentessa perfetta, dormigliona e assolutamente incapace di trasgredire le regole per osare l’impossibile, fosse proprio davanti a lei, per non lasciarla sola, per accompagnarla e per proteggerla contro quel mostro misterioso di Nick. Incorreggibile. – come facevi a sapere che sarei venuta all’appuntamento?- chiese la mora, incerta.
- Lo sapevo.- sbottò Sheila, senza avere idea neppure lei di come spiegare quella sensazione avuta nel sonno. – ho sentito mia madre parlare al telefono con la madre di Matt e dirle che, a quanto pare, era convinta che ti saresti messa nei guai, grossissimi guai. Poi ha indossato una giacca, ha afferrato delle chiavi ed è scomparsa nella notte, dirigendosi verso la tua casa, illuminata a giorno, tra l’altro. Ho capito che dovevi aver fatto qualcosa di veramente stupido, come stare a sentire le proposte suicide di uno sconosciuto che vuole farci rubare degli alberi genealogici da una schifosa Biblioteca Comunale.- il tono della ragazza era di rimprovero ma tradiva anche una certa preoccupazione e questo, a Demi, non sfuggì. -… così ti ho raggiunta qui in tutta fretta per avvisarti del casino che hai già combinato e per trascinarti a casa prima che qualche tragedia ci travolga e lasci la tua e la mia famiglia nel dolore e nel senso di colpa più totali.- Sheila afferrò la mano gelida della sua amica con decisione e fece per spingerla via. – Andiamo!- ordinò, con voce ferma. Demi, per tutta risposta, inchiodò i propri piedi al terreno e tentò di liberarsi.
- No!- scosse la testa, con impeto. -… voglio visitare il reparto proibito della Biblioteca, costi quel che costi!- Sheila roteò gli occhi, tirandola con altrettanta veemenza.
- Perché  ad un tratto è diventato così importante per te avere quella stupida ricerca di storia tra le mani?- abbaiò, senza riuscire a capire le ragioni della Salvatore. Un altro tuono esplose nel cielo sempre più cupo e minaccioso. -…  e cosa ti importa dell’appuntamento con Nick Mikaelson, quando è il nipote della donna che più sembra odiarci al mondo?-
- Non si tratta solo di Nick.- replicò Demi, con il vento impetuoso che le faceva danzare i capelli lucidissimi tutto attorno al viso pallido e contratto nello sforzo di mantenere la propria postazione. -… si tratta della mia famiglia, di qualcosa che Rebekah e mia madre e mio padre sanno ma che io devo per forza ignorare. Capisci?- urlò, con uno strattone definitivo. I suoi occhi azzurri brillavano nella tenebra conferendole una bellezza quasi disumana. -… non voglio fingere che non mi interessi, voglio scoprire, al contrario, tutto sulla mia discendenza per dimostrare a mia madre che non sono una bambina bisognosa di bugie per sopravvivere.- Davanti a quelle parole così convinte e piene di desiderio, Sheila non poté far a meno di afflosciarsi, sconfitta. L’affetto che la legava a Demi non era solo un istinto morale e protettivo ma anche una sincera amicizia che sarebbe stata disposta a qualunque sacrificio pur di vedere l’altra felice… e, in questo caso, pareva proprio che la felicità di Demetra dipendesse strettamente dalla verità.
- D’accordo.- acconsentì infine la riccia, abbassando il capo. -… se per te questo…- lasciò la frase in sospeso, alla ricerca di un aiuto con la memoria.
- ... Damon Salvatore.- completò Demetra, prontamente, per lei.
- Ecco… se lui è davvero così fondamentale per te… beh, puoi contare sul mio aiuto.- Demetra, con le iridi luccicanti di gioia e gratitudine, abbracciò di slancio la spilungona, stringendola forte mentre qualche goccia di pioggia bagnava le loro pelli e si insinuava tra i loro capelli scompigliati.
- Sarà meglio andare dentro se non vogliamo essere sorpresi dall’acquazzone del secolo.- disse all’improvviso una voce maschile calda, suadente e dall’accento particolare, alle loro spalle.
Nick Mikaelson, con un sorriso enigmatico sul volto affilato, mostrando loro la famigerata chiave d’oro che avrebbe aperto la sezione preclusa della Biblioteca, fece cenno alle ragazze di seguirlo attraverso un passaggio scavato fino ad un salone proprio accanto agli archivi sotterranei e rimasto inutilizzato per anni.
L’una emozionata, l’altra rassegnata, Demi e Sheila si affrettarono a raggiungerlo verso il seminterrato mentre l’acqua inumidiva foglie ed erbetta del sentiero adiacente e la luce di un lampo risplendeva nell’ambiente circostante.
Un corvo che, perdendo gradualmente le piume, si era trasformato per magia in qualcosa di molto diverso, lasciò il posto da un uomo alto, ben fatto e immobile che osservava adesso tutta la scena da un angolo privilegiato tra i tronchi. I suoi occhi azzurri, incastonati sotto le ciglia ricurve in uno sguardo fiero, ironico ma piuttosto preoccupato, dardeggiarono nel buio, mentre la sua giacca di pelle nera e lucidissima lasciava scivolare la pioggia senza perdere la propria semplice ma ipnotica lucentezza.

Image and video hosting by TinyPic

Damon Salvatore.
.
.
.
.
*_________________* Dunque Dunque gente! ;D mi scuso per il ritardo nell'aggiornamento ma non potete immaginare quali eventi tragici/comici abbiano sconvolto la mia settimana! Ecco qui, pronto per voi, un nuovo capitolo, in cui, come promesso, abbiamo un Damon Salvatore in carne ed ossa che finalmente compare, in perlustrazione, pronto ad osservare le mosse di Demi e ad intervenire (?) se dovesse essere necessario.
Evidentemente non solo i vampiri (Elena, Stefan e Caroline e l'ibrido Tyler) stanno ritornando al proprio stato pre-incantesimo ma anche Bonnie sembra aver riacquistato improvvisamente le arti magiche alle quali aveva spontaneamente rinunciato.
Inoltre Matt è ammalata, Sheila ha avuto un presentimento ed ha deciso di raggiungere Demi e la piccola Salvatore ha una velocità nella corsa ed una familiarità del tutto nuove con l'oscurità delle strade di Mystic Falls... che siano le conseguenze dei loro geni ereditari?
Che cosa succederà nel prossimo capitolo? Alla prossima, miei adoratissimi... spero di ritrovarvi sempre numeriosi ed entusiasti come non mai ** un bacione, Evenstar75

Per ulteriori informazioni sulla storia, i personaggi e l'autrice... ---> http://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=ts&fref=ts

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La trappola ***



Image and video hosting by TinyPic

Nick aveva indossato una giacca scura con cappuccio che disegnava in modo particolarmente preciso i contorni affascinanti del suo corpo atletico ma Demetra tentò in tutti i modi di non guardarlo e di concentrare la propria attenzione altrove.
Non dovette sforzarsi molto per questo, considerando che i gradini del sottoscala da percorrere erano davvero in pessimo stato e che, uno alla volta, conducendoli ad un ingresso sotterraneo della Biblioteca, scricchiolavano sempre più sinistramente.
Quando la Salvatore cominciò a rovistare con aria risoluta nella propria borsa, Sheila si accigliò, un po’ scettica, ma fu estremamente felice nel vedere quello che la sua migliore amica aveva appena tirato fuori dalle cianfrusaglie: una torcia.
Nella scia di quella artificiale luce, fioca e bianca come il latte, i tre ragazzi avanzarono con estrema cautela verso il basso, aguzzando le orecchie nel terrore di essere seguiti o scoperti da qualcuno.
Per fortuna udirono solo il fragore sordo dei tuoni e del vento all’esterno, accompagnato, ad intervalli regolari, unicamente dal cupo rimbombare dei loro passi per le scale polverose.
Per un momento, inciampando forse per distrazione, Demetra sembrò aver perso del tutto l’equilibrio ma, giusto in tempo, sentì qualcosa di deciso e allo stesso tempo delicato impedirle di cadere bocconi per terra:
- Fai più attenzione.- le sussurrò pianissimo Nick all’orecchio, con le mani sui suoi fianchi, lasciandola andare un istante più tardi del normale e facendola, per questo motivo, arrossire tanto da far assomigliare le sue guance a due fragole mature.
La ragazza cercò di tenere ben a mente la propria missione senza lasciarsi fuorviare dall’accaduto ma il comportamento così ambiguo, fosco e allo stesso tempo estremamente galante del giovane Mikaelson la stordiva completamente, conducendo i suoi pensieri in dei settori remoti dell’anima che avrebbero dovuto restare tali, fine della storia.
Con molto tatto, Sheila decise di non rimproverare Demetra con lo sguardo per la sua espressione ancora intontita ma continuò a camminare, silenziosa e traballante nell’oscurità, alle spalle dei due.
Ad un tratto, davanti ad un portone massiccio e scheggiato, dotato di un’enorme serratura bronzea ed ammaccata, Nick si fermò, immobile, e non aprì bocca finchè l’eco dell’ultimo movimento delle sue compagne non si fu spento nel vuoto.
- Siamo arrivati?- domandò la Bennet, con un fil di voce.
- Sì.- rispose lui seccamente, voltandosi con un sorriso splendido verso di loro.
Demetra, circospetta, gli puntò dritta in volto la luce della torcia ma lui, con sua gran sorpresa, non socchiuse minimamente gli occhi né battè le palpebre, assorbendo, al contrario, nel nero senza fine delle sue iridi, quell’esile ma ben distinto raggio luminoso. Era uno spettacolo inquietante ma allo stesso tempo incantevole. -… cosa c’è?- chiese lentamente Nick, fissando la ragazza più bassa e più pallida delle due e desiderando conoscere la ragione della sua chiara diffidenza.
Lei strinse appena le piccole labbra color pesca e alzò con noncuranza le spalle, per schermirsi.
-Cosa aspetti? Apri la porta.- incalzò poi, con un lieve sarcasmo che doveva mascherare la sua soggezione davanti al giovane.
Il ghigno di Nick, improvvisamente, si allargò.
- In realtà…- disse lui, vago, frugando nella propria tasca dei jeans sbiaditi per tirare fuori la famigerata chiave d’oro. - … volevo lasciare a te l’onore di farlo.- e le porse l’oggetto con un’espressione convincente e pacata che avrebbe fatto sciogliere persino il ghiaccio di un iceberg.
Il cuore di Demetra ebbe, come al solito, un sussulto innaturale ma stavolta, inarcando un sopracciglio, lei continuò a guardare, assorta e con intensità, il ragazzo che la attraeva e che, allo stesso tempo, non faceva altro che insospettirla e terrorizzarla.
Non era più tanto sicura di fidarsi di lui.
Sheila le si mosse accanto, impaziente, incrociando le braccia sul petto.
- Non vorrei mettervi fretta o interrompere qualcosa…- esordì, pestando, irritata, un piede per terra. -… ma solo ricordarvi che siamo a tre passi dall’infrangere almeno un miliardo di regole scolastiche, familiari e comunali. Non dovremmo assolutamente essere qui ma, giacchè ci siamo, forse sarebbe il caso di lasciare da parte le formalità e scappare a gambe levate (cosa che suggerisco con estremo piacere)… OPPURE, semplicemente, attraversare quella schifosissima porta verso la dannazione, possibilmente prima che il sole sorga o che qualche guardiano notturno ci colga sul fatto.-
Era triste ammetterlo, eppure era vero: dovevano sbrigarsi e non c’era tutto quel tempo per riflettere. Proprio a pochi passi, sconosciuto ma mai così vicino, c’era l’oscuro reparto che, in qualche modo e per qualche motivo, avevano categoricamente vietato loro di aprire ed esplorare.
Pensandoci, Demi sentì scorrere un brivido lungo tutta la schiena.
La voglia di scoprire cosa ci fosse dentro non si era mai davvero assopita ma, in quell’istante,  divampò in lei come un incendio devastante.
La consumava.
Abbassò tempestivamente lo sguardo; non poteva permettersi di essere scoperta prima di aver portato a termine quel piano o, peggio, di lasciare che paura, scrupolo ed indecisione le impedissero di giungere alla verità.
Si accorse di avere le mani sudate quando ne allungò una per afferrare la chiave di Nick, ma fu qualcosa di ancora più terribile a farle spalancare la bocca dalla paura e dall’orrore: un cigolìo lontano accompagnato da dei tonfi (o passi) disseminati nella pioggia sempre più lieve.
Qualcun’altro era nei paraggi? A quell’ora di notte? Che fossero i suoi genitori, venuti a fermarla ancora una volta?
D’istinto, Demetra si lanciò sulla serratura, infilando l’oggetto dorato nella fessura e girandolo con impeto.
Non si preoccupò, in ansia com’era, dello strano calore che aveva avvertito attorno alle dita sottili mentre compiva quell’operazione: si fiondò dentro con una velocità esagerata, immediatamente seguita da Nick e da Sheila, rispettivamente l’uno soddisfatto e beato, l’altra tremante e furente.
Mentre entrambi sprangavano debolmente dall’interno la porta, la Salvatore illuminò con la torcia l’ambiente circostante.
L’androne era straordinariamente vasto e spazioso e il disordine più totale vi regnava sovrano. Libri senza nome erano impietosamente ammucchiati al suolo accanto a fogli di pergamena accartocciati; alcuni dei molti scaffali da libreria avevano ceduto, rovesciando il loro contenuto sul pavimento sporco; una vecchia cristalliera piena di boccette e misture fluorescenti e certamente pericolose riluceva, lugubre, in fondo all’immensa sala.
Demetra si fece spazio tra le sedie e i tavoli dagli angoli rosicchiati ammassati qua e là, tossendo a causa della polvere grigia innalzatasi dopo il loro ingresso.
-Mi chiedo come faremo a scovare degli alberi genealogici in tutto questo soqquadro.- soffiò Sheila, con un sonoro starnuto, dando voce ai sempre più demoralizzati e confusi pensieri di Demi.
Avanzando accanto a lei, Nick spostò con la mano un velo di stoffa squarciato che pendeva dal soffitto e si fece, con dignità, strada in quel ciarpame.
-Forse volevano renderli introvabili.- osservò il ragazzo, mesto, senza però perdersi d’animo.
Sentirono lo zampettare di alcuni topi, inciamparono in un raggruppamento di vecchi strumenti d’argento ammaccato e, infine, si accorsero contemporaneamente di un piccolo foro circolare nella parete frontale, il quale, ricoperto da un vetro trasparente, lasciava penetrare all’interno del salone un fascio luce della luna piena talmente intenso che Demi avrebbe potuto temporaneamente spegnere la propria torcia.
Lì fuori doveva aver smesso di piovere poiché, nonostante i nuvoloni,  i raggi riflessi dell’astro notturno erano perfettamente limpidi e indirizzati verso un punto esatto della stanza… su un tappeto rotondo color ambra, sfilacciato e impoverato come il resto dell’androne.
Spostandolo istintivamente con un piede, Sheila notò un’incrinatura grossolanamente incisa nel pavimento, lucida e nera, con un gancio metallico in superficie ed una grossa ' D ' incisa lì accanto.
Demetra la osservò, interessata.
-Credo che sia una botola.- mormorò, inginocchiandosi per guardare meglio. Concentrata com’era, non si accorse che un sorriso quasi feroce era appena comparso sul volto del giovane Mikaelson.


***
 
Quel salottino semplicemente perfetto e ordinato, pur se insozzato dal disuso e dall’abbandono, era l’unica cosa che sembrava ancora intatta ed elegante in quello stanzone arruffato e sfatto.
Dopo essere discesi nella botola, a fatica e con un grande senso d’oppressione nel petto, si erano messi a ricercare con foga in quello che sembrava essere il più dettagliato e preciso sistema bibliotecario del pianeta: archivi, fogli, articoli di giornale, diari, ogni cosa era ben etichettata e sistemata in dei cassetti o dei reparti specifici, pronti alla consultazione.
Mentre Nick era sparito tra i libri di occulto e folklore, Demetra chiese a Sheila di aiutarla con gli elenchi biologici di Mystic Falls, acchiappando, per non perdere tempo a sua volta, un gigantesco libro rosso sangue, così ricoperto di ragnatele che le lettere incise si leggevano a stento.  Soffiandoci sopra, lesse, a caratteri cubitali, delle strane rune contorte e un’unica iscrizione:

 

‘Mystic Falls, from the foundation to the Damnation.’
 
- Guarda qua…- disse Demi, con voce strozzata, sbirciando il volume gigantesco.
- Non ho mai visto qualcosa di così grosso… e di libri ne ho posseduti fin troppi. Per quanto ne so, potrebbe contenere tutti gli alberi genealogici dal Rinascimento ad oggi.- improvvisamente, nonostante i timori e la contrarietà, anche Sheila sembrava entusiasta.
Tese, spontaneamente, le dita per toccare la superficie del volume, ma quella si oscurò immediatamente, come se, ad un tratto, respingesse l’idea di essere aperto. Non appena Sheila, turbata, ritrasse la mano, il libro tornò a splendere di luce rossastra e vivace, come se fosse fatto di fiamma viva. Qualche tentativo dopo, Sheila si arrese, paonazza dallo sforzo e un po’ umiliata.
- Sembra quasi stregato. Forse non vuole aprirsi.- bisbigliò Demetra, la voce roca, senza staccare gli occhi cerulei da quella copertina di velluto finissimo.
Sheila trasalì di riflesso quando si rese che la sua amica aveva appena pronunciato una parola che conteneva un forte richiamo alla ‘magia’, ma, pur sforzandosi, neppure lei, con la sua ferma razionalità, riusciva a trovare altra spiegazione al comportamento tanto anomalo del tanto bramato libro color rubino.
- O peggio…- mormorò Nick, dall’altro lato della stanza, sepolto tra i volumi. Aveva uno strano bagliore negli occhi, come se qualcosa nelle sue previsioni sull’esito della missione non fosse ancora andata per il verso giusto. -…maledetto.-
- Allora non dovremmo più toccarlo.- convenne Sheila, di scatto. – forse è per questo che non dovevamo venire quaggiù.- Demi, sentendosi perduta, osservò con rapimento l’oggetto di tutti i suoi desideri di ricerca e di scoperta.
Non poteva permettersi di dimenticare l’importanza dei suoi ancora celati contenuti.
Doveva lasciarsi guidare dall’istinto.
Doveva provarci.

Con evidente disperazione, accarezzò a sua volta, quasi con adorazione, il librone, tracciando qualche solco nello strato di polvere grigiastra che lo ricopriva.
Contrariamente alle disilluse aspettative di Sheila, questo, stavolta, rimase luminoso, come se non fosse accaduto nulla.
Improvvisamente ci fu un lampo di luce scarlatta, che si propagò fra di loro, investendo le mani di Demi e insinuandosi fin nei suoi polpastrelli, ancora impegnati a tastare il libro.
Tutto scomparve così rapidamente che lei pensò di esserselo immaginato.
Ma anche gli altri l’avevano notata.
- Sei sicura di voler cercare lì dentro…?- la voce già alterata di Sheila la raggiunse lontana come da un altro universo. Demi non riusciva a pensare a qualcosa di diverso che non fosse sfogliare, finalmente, il contenuto ingiallito e prezioso di quel libro. Con circospezione, lei lo afferrò e lo aprì con una facilità a dir poco straordinaria. Il libro sembrava essere attratto, quasi devoto a lei.
Sentiva che era stata la cosa giusta da fare, quindi cominciò a voltare, l’una dopo l’altra, le pagine incartapecorite del volume, scritte con un inchiostro bluastro e segnato da qualche macchia qua e là.

 
- La città di Mystic Falls venne fondata ufficialmente nel 1860 dai Fondatori ma sul suo territorio si erano stabiliti degli emigranti provenienti da Salem già nel 1690. In particolare, a tal proposito, ricordiamo la famiglia Bennet, sfuggita alla caccia alle streghe, e conosciuta come vittima principale di equivoci storico/religiosi della nostra epoca.-
 
Demi cominciò a leggere ad alta voce e sentì tutta l’attenzione della sua migliore amica su di sé. Notò che accanto al cognome ‘Bennet’ c’era un piccolo numero che faceva riferimento a delle pagine più avanti, probabilmente ad una sorta di galleria ritrattistica o fotografica dei componenti sino ad allora immortalati in quel manoscritto.
 
-Qui sono riportati gli eventi principali, dalla guerra di secessione Americana ad oggi, inerenti alle famiglie fondatrici, rispettivamente note con i nomi di Fell, Forbes, Gilbert, Lockwood e Salvatore.-
 
Il cuore di Demetra ebbe un sussulto nel leggere l’ultimo cognome, il suo, quello del suo ricercato: Damon.
Seguendo le indicazioni numeriche ed alfabetiche presenti tra le righe, corse a trovarlo tra quelle pagine, ricercando notizie biografiche, informazioni di qualsiasi tipo, anche immagini o dichiarazioni, discendenze, eventuale progenie, contatti. Impiegò molto meno tempo rispetto a quello che si sarebbe aspetttata prima di vedere quello che desiderava.
-Eccolo.- sospirò, fremendo d’aspettative.
Si trattava di un fedelissimo ritratto.

 
Damon aveva un viso levigato e fine, pallido come la neve. I suoi capelli lisci e neri come la notte erano abbozzati in un taglio sbarazzino e scompigliato. La sua bellezza era mozzafiato, un trionfo di eleganza, sensualità e sagacia. Le sue labbra scolpite e rosee erano curvate in una smorfia ironica e arrogante mentre gli occhi risplendevano di una luce strana, terribile, che dava quasi la sensazione di venirne risucchiati.
Erano due abissi color del cielo e sfumati di glaciale brillantezza.
Gli stessiocchi di Demi.

 

-Cosa c’è che non va?- mormorò Sheila, sporgendosi appena per guardare la figura.  
Nick emise un lungo fischio di ammirazione in lontananza, tirando fuori dall’ammasso di carta e velluto che stava esplorando un rotolo di pergamena finemente sigillato. Doveva aver recuperato ciò che gli serviva… ma per Demi non era lo stesso. Le sue domande si erano solo moltiplicate vertiginosamente e, per un momento, la sua bocca tremò di delusione e sconvolgimento. Un altro ritratto, collegato a quello di Damon da un sottile simbolo di parentela, si parava davanti ai suoi occhi stupefatti.

 
Iridi verdi con tracce di marrone nocciola, capelli castano chiaro leggermente mossi, fronte spaziosa, mascella pronunciata ma aggraziata, labbra sottili, naso dritto e perfetto, espressione seria e posata.
 
-Quello è tuo padre.- ansimò la figlia di Bonnie, scioccata, riconoscendo a sua volta l’uomo raffigurato accanto a Damon e sfiorando con le dita il suo nome impresso su quella specie di papiro cereo: Stefan Salvatore. -… in un ritratto che risale al 1864?!- senza riuscire a comprendere una sola parola di quelle che l’amica stava pronunciando, Demetra riusciva a soffermarsi su un’unica parola tracciata sul nastro che collegava il viso di suo padre a quello di Damon: ‘fratello’.
Deglutì, poi si inumidì le labbra per cercare di dire qualcosa.  Si rese conto, troppo tardi, di stare quasi urlando, isterica.
-Com’è possibile che…?- Nick, le tappò la bocca con la mano, appena in tempo, accennando alla porta. Sembrava improvvisamente esaltato ma allo stesso tempo teso come una corda di violino. Ritornando alla realtà tutti riconobbero con terrore una, anzi più d’una, voce metallica risuonare in lontananza, forse sulla cima delle scale che, di norma, avrebbero dovuto condurre gli studenti dalla Biblioteca al Reparto Proibito, forse dietro qualche scaffale lì sotto, forse perfino nella pioggia di nuovo battente.
Che li avessero scoperti?
Che stessero per entrare lì, dal portone principale, per scovarli e punirli del loro crimine?
Proprio adesso?
Sheila squittì, inorridita, impaurita dall’assurdità di quella situazione.
Quanto avrebbe voluto farsi trovare, adesso, dai suoi genitori o da quelli di Demetra, nella speranza che le perdonassero per quella follia azzardata e che le proteggessero da chiunque potesse o volesse far loro del male… Demetra trattenne rumorosamente il respiro, immaginando con ansia il momento esatto in cui i proprietari di quelle voci avrebbero posato lo sguardo sulla botola ancora aperta del reparto sotterraneo.
- Dobbiamo andarcene!- esclamò Demetra, scuotendo il braccio dell’amica e  sentendo ogni centimetro del proprio corpo vibrare dall’eccitazione e dallo spavento mentre, senza esitazione, strappava la pagina contenente i due ritratti e, convulsamente, la teneva stretta al petto. – subito!-
-Già.- sibilò aspramente Nick, in risposta, sparendo nel buio improvviso del salottino. Un suono scricchiolante e smorzato fece capire alle ragazze che, con tutta probabilità, il giovane era scomparso dopo aver aperto un passaggio nella parete
Ma che cavolo...?
E, quel che era peggio, aveva portato con sé la torcia di Demi.
Le due rimasero senza fiato dallo smarrimento.
 
Erano in trappola?

Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** La chiave ***


Damon non era riuscito a resistere al proprio impulso di seguire Demetra attraverso il folto del bosco di (… chi diavolo conosceva i nomi di tutti quegli alberi imponenti e contorti?) accanto alla Biblioteca comunale, anche se tutto, nella sua testa, gli urlava categoricamente di non farlo.
Sarebbe dovuto tornare in fretta al suo nascondiglio e dimenticare ogni cosa di quella ragazzina gracile con un genetico talento per i guai, ma non riusciva proprio a voltarsi indietro: riusciva a sentire, anzi, sempre più amplificate nell’aria satura di pioggia e nel cielo nero, le emozioni di tensione, di euforia e poi d’angoscia crescente della figlia di Elena.
Ignorarle a dovere era impossibile.
E non fiutare il pericolo incombente lo era altrettanto.
Attutiti dall’erbetta bagnata e dalle fronde degli alberi scosse incessantemente da un vento ruggente, Damon udì dei suoni secchi nell’ombra e si appiattì agilmente contro un tronco ruvido e profumato di resina, in ascolto.
Si trattava di passi, scoordinati e frettolosi, mossi da due presenze umane non molto lontane da sé.
L’uomo dagli occhi di ghiaccio fece balenare una smorfia confusa nel vuoto, salvo poi ricomporsi e aguzzare maggiormente i propri sensi verso quelle insolite creature, avvolte in un ampio mantello rosso cupo.
Erano un giovane alto, muscoloso e barbuto, con un naso leggermente sproporzionato rispetto al resto del viso, ed uno più anziano e selvaggio, con dei lunghi capelli grigio fumo ad incorniciare un volto scarno, rubicondo e famelico.
A giudicare dalla loro puzza, dovevano essere dei vagabondi, ma qualcosa di luccicante colpì immediatamente lo sguardo allenato e vigile di Damon: le loro iridi scintillanti erano straordinariamente dilatate rispetto alla norma ed erano anche sfumate di un mostruoso giallo dorato.
Le pupille di entrambi, al contrario, erano abbondantemente iniettate di sangue.
… Lu-Lupi Mannari ?!
- Hanno già trovato la ragazzina Salvatore, Hugo?- domandò, ad un tratto, il più giovane, esibendo un tono profondo e roco, raccapricciante.
- Non ancora, Scott…- rispose l’altro, dando l’impressione che il suo possessore fosse deliziato dall’eventualità. -… gli altri hanno già setacciato gran parte della zona, è rimasta solo quella cenciosa Biblioteca piena di marciume… abbi fede, non può essere lontana.- continuò ancora con voce stridula, interrompendosi per respirare profondamente. - Todd è riuscito a fiutare il suo odore fino ad una botola, proprio secondo le indicazioni… l’ha definito un profumo ‘inconfondibilmente Petrova’, eh? Patetico!- tra le risate sommesse e disgustose dei due esseri inquietanti, Damon impallidì di botto.
Chi accidenti erano e cosa volevano da Demetra ?
Le stavano dando la caccia  ? Seguendo delle indicazioni specifiche?
E poi… erano degli ibridi?
Certo che lo erano... com’era possibile, altrimenti, che stessero mantenendo il controllo, se in cielo, pur nascosta dalle nuvole, brillava una luna perfettamente piena ?
Ad un tratto, sotto la pioggia battente, i ghigni di Hugo e di Scott si interruppero, mentre i loro occhi orribili, accompagnati fulmineamente da quelli di Damon, si posavano in un punto in lontananza, lì dove un foro nella parete lasciava aperto un varco e permetteva a tre ombre esili e tremanti di uscire allo scoperto: erano Demetra, Sheila e Nick, il quale però appariva come curvo su se stesso nel tentativo di dominare un qualche dolore che pareva lacerarlo dall’interno.
Ma che diavolo...?
Il suo grido straziante si trasformò in un atroce ululato e, con uno slancio, lui si dileguò in tutta fretta, lasciando le sue compagne completamente smarrite e indifese.

***
 
Damon sentì chiaramente i bassi ringhi di sorpresa e di furore provenire dalle gole dei due ibridi dall’aspetto stravagante quanto sinistro.
- Cosa diamine fa, quel maledettissimo ragazzo, le ha portate fuori?- sbottò Hugo, grattandosi con sospetto la chiazza calva che i suoi capelli color cenere lasciavano sulla fronte. -… dannazione, buon sangue non mente mai, sapevo che non avrebbe avuto abbastanza fegato per…!- un eccesso di tosse coprì il resto delle sue infuriatissime ingiurie.
- Non capisco come abbia potuto una ragazza sveglia e attraente come Hayley lasciare il branco per un mollaccione Originale come Mikaelson e crescere un figlio così indisciplinato.- rincarò la dose Scott, sfregandosi le mani con fare minaccioso. -… la famiglia di quell’Elijah ha semplicemente distrutto la sua povera esistenza.- sputò per terra, sprezzante, e avanzò tra i rami nodosi di una grossa quercia accanto a sé, calpestandone le radici umide e nere. -… credevo che il ragazzo avrebbe dato qualunque cosa per ritrovare le tombe dei suoi genitori… anche papparsi la mocciosa, risparmiandoci un bel po’ di lavoro.-
- Evidentemente ti sbagliavi.- Scott fece scricchiolare le nocche con un suono terribile che turbò profondamente l’animo già combattuto di Damon.
Nel suo angolo tenebroso, il vampiro era agitatissimo: i suoi capelli neri erano appiccicati al suo volto pallidissimo a causa della pioggia e le sue labbra rosee erano ritratte sui denti in una smorfia di indignazione e torbido di silenzio.
La situazione, intanto, stava precipitando.
Demetra e Sheila, rifiutandosi di repararsi anche solo per un momento, brancolavano, ora, nel buio pesto, al freddo, fradice, senza capire, sempre più vicine a quegli sciacalli.
Sempre più indifese.
- Avete fatto un grosso errore.- le ragazze sobbalzarono.
Nessuna di loro due aveva parlato, eppure il soffio di quella frase agghiacciante si era insinuato nella macchia di vegetazione apparentemente abbandonata come un veleno a lento rilascio.
Demi, captando chiaramentre il rischio nell'aria, afferrò d'impulso Sheila per un braccio, tirandola dietro di sé, per farle scudo col proprio corpo. 
Tipico.
I due uomini lupo, con le facce distorte dall’eccitazione, si avvicinarono minacciosi.
- Un grosso errore.- ripetè, compiaciuta, una voce acuta e infantile tutta nuova, appartenente ad un terzo personaggio che, più grosso di entrambi i suoi compari, apparve, zoppicando, alle spalle delle giovani, facendole trasalire.
Doveva trattarsi di Todd, il fiutatore, il quale ghignò beatamente, indicando, a turno, le sue terrorizzate prede con un dito magro dall’unghia ricurva e giallastra.
– Prendetele!- ordinò, soave.
Hugo e Scott si gettarono in avanti all’istante, catturando Demi e Sheila ed immobilizzandole con inumana facilità.
Demi sentì il fiato caldo e malsano di uno di loro sul collo, mentre quello che doveva essere Hugo le teneva ferma la testa tirandole con fermezza i capelli e le inchiodava le braccia dietro la schiena.
Sheila, a cui era stato riservato lo stesso trattamento, gridò con tutto il fiato che aveva.
- Sta’ zitta, dannata strega!- ordinò Scott, senza allentare la presa.
- Lasciala subito, tu…!- era stata Demi a strillare, stavolta, gonfiando con fierezza il petto e divincolandosi per andare in soccorso alla sua amica in difficoltà.
Un sonoro schiaffo di Todd le bloccò, però, le parole in gola, seguito da una risata rumorosa da parte degli altri due compagni.
Hugo spostò il suo sguardo su di lei, poi sorrise, beffardo.
- Ma è questa la Salvatore che cerchiamo?- domandò il massiccio figuro incappucciato non lontano da lei.
Il trio di sudici ibridi sembrava provare vivo e perfido interesse nei suoi confronti.
- Si… penso proprio di si…- si deliziò Todd, con quella sua insopportabile vocetta infantile.
- Sarebbe lei la chiave per spezzare la ‘maledizione della clessidra’?- balbettò un altro, sbalordito, accennando sprezzante alla sua corporatura esile e all’aria innocua e spaventata di Demetra.
- Esattamente.-
- Peccato… non era proprio da buttare, sai?- tutti sghignazzarono in coro, senza ritegno.
- Non credi che dovremmo controllare, prima di fare quel che dobbiamo ? Ne abbiamo solo una, di occasione, e non dobbiamo sprecarla.- chiese l’uomo losco che ora teneva Sheila per il bavero della veste, quasi sollevata a mezz’aria.
- Era con Nick Mikaelson a mezzanotte, proprio come ci era stato riferito! Non ci basta come prova?- protestò Todd, battendo un piede al suolo, impaziente.
- Sarebbe uno spreco, agire inutilmente…- ricordò Hugo, ragionevole, riducendo a fessure esaltate i propri bulbi oculari splendenti e giallastri come il sole. – le daremo solo un’occhiata.-   
Scott, allora, rise di gusto, in modo folle, afferrando Demetra per un polso e gettandola a terra con violenza.
Sheila cercò invano di attentare alle gambe del suo aguzzino, ma non potè far altro che assistere alla scena, gli occhi scuri colmi di disperazione.
Demetra si sentì spingere contro il pavimento con forza.
Al contrario della Bennet, però, la Salvatore non emise un suono. Sembrava aver dimenticato come si facesse.
- Vediamo un po’…- esordì Todd. -… oh, si… ci avevano detto che eri bella, bambina, ma non pensavamo fino a questo punto…- altre risatine di scherno. L’uomo costrinse Demi a guardarlo in faccia. Lei vide il suo volto sporco e smagrito pervaso da un misto di malignità e piacere.
Ne ebbe paura ma mantenne il suo sguardo fermo, orgoglioso, quasi impudente.
Nemmeno se avesse potuto se la sarebbe data a gambe, vigliaccamente.
Sarebbe morta piuttosto che tradire quella proibita e ormai tragica avventura notturna.
Todd le infilò una mano nei capelli morbidi e sciolti, tastandoli rudemente. -…sono lunghi e neri come l’ebano… si, credo che corrisponda… e questo incantevole odore?- scoppiò in una sonora risata quando, spostate alcune ciocche fino ad accostarle al suo naso aquilino, non percepì l’aroma delicato di uno shampoo alle erbe. -… niente strozzalupo?! Che splendida notizia, davvero…- gli altri non la piantavano più di ululare dal ridere.
Lei sorbì l’umiliazione senza parlare.
L’unica risposta furono due lacrime che rotolarono giù fino a bagnare la giacca che indossava. – su, su… non piangere… questi begli occhi azzurri valgono la pena… guardali, Scott, sono due lapislazzuli…-
 
***
 
Demetra scorgeva, al di sopra della spalla di Todd, la luna piena farsi spazio tra le nuvole sempre più rade nel cielo notturno.
Pensò che fosse ironico e appropriato che quella fosse l’ultima cosa che avrebbe visto prima di morire.
Lo stormire delle foglie e dei cespugli scossi dalla brezza era quasi piacevole, pensò, in preda alle vertigini.
Forse sarebbe stato come dormire per molto, moltissimo tempo.
Ma, proprio mentre i tre si divertivano a prendere in giro le sue lacrime e il colore stupefacente delle sue iridi, qualcosa sollevò di peso il suo aggressore, gettandolo lontano con tanta forza che Demi potè distinguere il suono di tutte le sue ossa frantumatesi nell’impatto con un grosso albero nero.
La giovane, annaspando, rotolò su un fianco, libera, sentendo la guancia che era stata colpita poco prima in fiamme e cercando di gattonare fino a raggiungere Sheila.
La ragazza doveva aver perso i sensi e giaceva lunga distesa sull’erba grondante, i capelli riccioluti sparsi nel verde... ma respirava.
Anche l’uomo muscoloso che teneva immobilizzata lei, appena in tempo, era stato prontamente scaraventato via e adesso piagnucolava debolmente in un angolo, rannicchiato su se stesso come un bambino in fasce.
Qualcosa si mosse nell’oscurità e Demetra capì che anche lo spocchioso Todd, pur malfermo sulle gambe e in preda allo sgomento, era fuggito nel folto, lasciandole in pace e interrompendo le sue torture.
Il sollievo di Demi non riuscì a sopraffare la sua apprensione.
-Sheila…- esalò, scuotendo l’amica e notando, con ulteriore angoscia, che la sua testa ciondolava, inerte, senza che la Bennet desse segni di ripresa. -… svegliati…-
Una mano gentile si posò, piano, sulla spalla destra di Demetra e lei non si ritrasse, poiché comprese all'istante che quello doveva essere il tocco del suo salvatore, di colui che aveva sbaragliato i cacciatori e aveva messo in fuga l’uomo perverso che voleva far loro del male.
Con il cuore gonfio di gratitudine, la sedicenne si voltò per guardare dritto negli occhi quell’angelo letale e misericordioso ma, quando un raggio lunare illuminò il suo volto, rimase a bocca aperta.
Era impossibile.
Damon Salvatore, l’oggetto di tutte le sue ricerche, le rivolgeva uno sguardo ansioso e preoccupato, ma reale : i suoi fini lineamenti avevano ancora impressi sulle loro straordinarie angolazioni parte della rabbia cieca e omicida che doveva averlo spinto ad agire contro gli assalitori di poco prima eppure, allo stesso tempo, lasciavano trasparire una bellezza ed un’intensità senza eguali.
- Tu…- sospirò Demetra, allungando una mano per toccarlo ed essere sicura che non fosse un’allucinazione. -... tu sei...-
-Tua madre sta arrivando.- mormorò Damon, ad un soffio dal suo viso, con una voce cristallina e piacevole come una carezza sulla pelle.
In effetti, dei grossi fari di automobile andavano rischiarando la notte attorno a loro e un suono isterico e accorato proveniva da poco oltre il recinto della Biblioteca.
Erano Elena, Stefan, Bonnie e Caroline, venuti a salvarle.
Era finita.
-La tua amica, qui, ha solo battuto la testa ma si riprenderà, ok? Andrà tutto bene.- Demetra, istintivamente, annuì, sentendosi invadere da un gradevole calore misto ad un nuovo senso di tranquillità.
Avrebbe voluto abbracciarlo ma l’uomo alzò una mano per sfiorarle il mento e sollevare il viso adolescenziale, rigato di lacrime, fino all’altezza del proprio, con fermezza.

Image and video hosting by TinyPic

-… voglio che tu dimentichi quello che hai visto… le persone in città non dovrebbero sapere che sono qui.- con infinita tristezza, il misterioso Salvatore incrociò lo sguardo della figlia di Elena, così simile al suo, per l’ultima volta e poi, mestamente, sorrise. -… buonanotte, Demetra.- e, in un batter di ciglia, con un frullo d'ali lucenti, svanì.




*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*
E così eccoci qui, pronti ad un nuovo capitolo! ^^
Immagino che le vostre domande siano davvero tante: dov'è finito Nick Mikaelson e perché è fuggito nel nulla, senza una spiegazione, abbandonando Sheila e Demi al proprio destino?
Era a conoscenza dell'agguato?
Cosa c'entra con la storia la scomparsa dei suoi genitori (HAYLEY *,* ed ELIJAH?) e perchè mai il trio di aggressori crede fermamente che c'entri la famiglia Mikaelson in questo discorso?
Cosa ACCIDENTI è la MALEDIZIONE DELLA CLESSIDRA e perchè mai quei loschi esseri stavano cercando Demetra, chiamandola 'la chiave'?
Demi ricorderà nulla del suo incontro con Damon?
E il nostro vampiro riuscirà a stare lontano da lei e dal resto della sua famiglia, adesso?
ALLA PROSSIMA... vi adoro, grazie per il vostro infinito sostegno <3
Evenstar75

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Genitori ***


POV Elena
 
"Essere il genitore normale di una figlia straordinaria non è compito facile.’’
 
Investita dalla luce opaca e tiepida che gli spessi vetri ospedalieri lasciavano penetrare all’interno della stanza, non riuscivo a staccare i miei occhi rossi e gonfi dal viso candido e rilassato di Demi.
La ragazza era profondamente addormentata in quel letto dalle lenzuola inamidate, respirando regolarmente, senza emettere nessun suono che non fosse frutto di una assoluta quiete. Nonostante questo, però, la mia incontenibile inquietudine riguardo alle sue condizioni di salute non accennava a spegnersi e non aveva smesso di ardere neppure per un istante dal momento del salvataggio notturno. 
Stefan, semplicemente terrorizzato, aveva preso Demetra tra le braccia come una principessa mentre era ancora appena cosciente e lei aveva mormorato sommessamente qualcosa di incomprensibile, come se ridesse, prima di perdere del tutto i sensi. 
Vedendola distesa, inerte, al suolo, tutta sporca di terra e di polvere, fradicia a causa della pioggia, in quello stato completamente confusionale, avevo davvero temuto il peggio ma, per fortuna, Caroline ci aveva prontamente aiutati a caricare mia figlia e Sheila in macchina e aveva guidato, senza sosta, fino al ‘Mystic Falls Hospital’.
 
‘' A causa dei miei pregiudizi ti ho delusa. Sono tormentato dal pensiero di come sarebbe potuta andare se fossi stato disposto ad ascoltare la tua visione delle cose.'’
 
Le mani mi tremavano ancora di senso di colpa e di spavento per quello che sarebbe potuto accadere: appena riavutasi, mentre Stefan era occupato a cercare degli infermieri competenti, Sheila aveva raccontato frettolosamente a me e a Bonnie della piccola e scapestrata avventura nel reparto proibito della Biblioteca Comunale, dell’influenza di un certo Nick Mikaelson su quell’assurda decisione e, infine, delle loro febbrili ricerche su Damon Salvatore.
Aveva detto che tre uomini mostruosi le avevano aggredite fuori da quel sotterraneo cencioso e che le avevano minacciate orribilmente, percosse e spaventate a morte, fino a spingere perfino la forte, orgogliosa e testarda Demi alle lacrime. Se solo avessi potuto, sarei voluta tornare indietro nel tempo per prevedere ed evitare una simile tragedia: l’idea che la mia bambina fosse stata terrorizzata e colpita e che avesse corso tutti quei rischi a causa delle mie ostinate imposizioni e bugie, mi riempiva di angoscia e rimorso fino a farmi perdere la ragione. Forse avrei solo dovuto mettere per tempo le sbarre alla dannata finestra in camera di Demetra, così da tenerla ancorata a me per sempre… forse, invece, avrei dovuto aprirle il mio cuore prima di tutto questo, per spiegarle che…
 
-Mamma…- sussurrò una familiare voce accanto a me, bassa e delicata, ma ansiosa. 
Demi, guardandomi fisso con evidente preoccupazione negli occhi azzurri e limpidi, mi rivolse un mezzo sorriso tra il sornione e il colpevole. -... ciao.- 
- Ciao.- risposi, sorpresa e stordita. 
Sentivo le improvvise lacrime di gioia premermi con forza tra le ciglia ma decisi di trattenerle più a lungo possibile. 
Lei, con lentezza, provò a mettersi seduta sul materasso molle e piuttosto scomodo del letto, ma i suoi muscoli intorpiditi non risposero a dovere, facendola sbuffare sonoramente e ricadere pesantemente tra le coltri.
-Aspetta.- le sussurrai piano, aiutandola a star dritta seduta, sprimacciando con cura il suo cuscino rosato e posandole una mano sulla schiena per sostenerla un po’. 
Demi vagò con uno sguardo smarrito e esitante sul mio viso tirato dalla stanchezza della veglia, cercando in tutti i modi di non lamentarsi per il dolore o per la debolezza, nella speranza di cogliere, attraverso i miei tratti, qualche particolare eloquente. 
Forse temeva che ce l’avessi con lei per essere fuggita.
Dovetti sembrarle piuttosto pallida e scarmigliata poiché si accigliò, con le labbra cucite, e abbassò lo sguardo. 
- Hai freddo?-  chiesi, nel tentativo di comprendere la sua tristezza. 
Scosse la testa in risposta, silenziosa, e si appoggiò di nuovo con la testa sul cuscino, in attesa.
Mi alzai lo stesso, noncurante, e andai a prendere un’altra coperta da poggiarle addosso, sistemandola a dovere sul sottile copriletto fiorato.
- Grazie...- mormorò Demi, sfiorandomi volutamente una mano con le dita piccole e chiare.
Sentii che l’ansia e le paure, rimanenze ancora vivide del funesto sogno di Bonnie, dell’agguato nella foresta e della corsa ai soccorsi, si scioglievano come neve al sole a quel tocco soffice. Lentamente, inesorabilmente, i miei patimenti svanivano, facendomi sospirare di immediato e agognato sollievo. 
 
''Per me è la fine. Ma tu hai la possibilità di diventare grande e un giorno avere un figlio ed essere un genitore migliore di me.''
 
-Un giorno ntero a dormire senza sosta.- dissi, infine, scherzosa. - Non ti vergogni?- sussurrai quella domanda ironica con voce morbida, per farla tranquillizzare, proprio come quando era bambina ed aveva paura delle ombre nella sua cameretta. I lunghi capelli neri e corvini di Demi erano sparsi sul cuscino e si confusero con i miei, color cioccolato al latte, per un momento, mentre le solleticavano il viso ed io ero china su di lei per baciarla sulla fronte fresca. 
- Mi dispiace tanto.- bisbigliò lei, con il fiato mozzo di chi non è per nulla abituato a ritattare le proprie posizioni, per quanto sfrontate o pericolose esse siano, ma lo fa senza rimpianti. 
Era bianca come il latte e fragile: aveva avuto la febbre molto alta dovuta allo shock, come si poteva notare dagli impacchi per farla abbassare posati sul mobile lucido accanto a noi. C’erano anche i suoi abiti logori appoggiati ad una sedia minuscola, in attesa di essere portati a casa e ripuliti. – dov’è papà?- chiese, un po’ nel panico, notando la sua preponderante assenza. 
Sorrisi, indicando dolcemente una lastra trasparente che permetteva agli ospiti in sala d’attesa di guardare dentro, tra i pazienti, e viceversa: Stefan era seduto mogio e pensieroso su una sedia di pelle scarlatta, con lo sguardo perso in un punto imprecisato della parete immacolata di fronte a sé, mentre un medico munito di cartella clinica gli comunicava qualcosa di importante ed i suoi occhi verde scuro si rilassavano appena.
- Lo conosci…- dissi, alzando le spalle a mo’ di spiegazione. -… non ama molto gli ospedali. Credo che il sangue gli dia alla nausea.- e, ciò detto, indicai un paio di graffi ancora non del tutto rimarginati sul viso delicato di Demetra e sulle sue mani. Erano delle lievi escoriazioni già in via di guarigione, probabilmente provocate da rami d’albero o da unghiate. Demetra si affrettò a coprire i propri palmi lesionati con le maniche del pigiama blu elettrico, imbarazzata, e notai che nella sua espressione era balenato un intenso tormento.
- Come sta Sheila?- domandò, accorata. -… dimmi che sta bene, che non le è accaduto nulla e che…- 
- Sta benissimo, è solo un po’ scossa.- la rassicurai, sincera, accompagnando le mie parole con una lieve carezza. -… ha la testa fasciata e un ginocchio sbucciato ma è ok… anche Matt è tornata in perfetta salute, sono venute a trovarti stamattina ma tu eri ancora addormentata.- il sorriso che si aprì sul volto dispiaciuto di Demi fu luminoso come un diamante appena incastonato in un gioiello di estrema rarità. Fulgido, come l’alba dopo un’interminabile notte d’eclissi. I suoi occhi blu luccicarono di serenità mentre quel suo cipiglio così prezioso mi ricordava qualcosa di importante. – Tesoro… come avete fatto a sfuggire a tre uomini nel bosco? Eravate sole, indifese. Riesci a ricordare qualcosa, qualsiasi dettaglio al riguardo?- chiesi, fissandola, penetrante. Avevo bisogno di sapere la verità.
- Ricordo tutto.- rispose, semplicemente, con una vocina tranquilla e consapevole che non le avevo mai sentito prima.
Mi colse alla sprovvista e sussultai. - qualcuno ci ha salvate.- ricambiò la mia occhiata perplessa con estrema determinazione, mentre le sue iridi sfavillavano di ardore e convinzione.
Ero semplicemente esterrefatta.
Strabuzzai gli occhi, senza capire o accettare una parola di quelle che aveva appena pronunciato. 
-Chi…?!- farfugliai, aggrottando subito le sopracciglia. 
Demi sospirò, come rassegnata, e si allungò un po’ per raggiungere la massa degli abiti sporchi che aveva indossato la notte dell’aggressione. Sembrava aver riacquistato agilità di movimento in un lasso di tempo estremamente piccolo e la sua lucidità d’azione era semplicemente sconvolgente. Frugò, biascicando tra sé e sé, nella tasca dei suoi pantaloni strappati in più punti e, in quel groviglio di stoffa lacerata, trovò un foglietto ingliallito e sgualcito, ripiegato su se stesso e macchiato di viscida sporcizia. 
Me lo porse ed io lo presi tra le mani, fremendo, con il cuore in gola. 
Cautamente, come se temessi il suo reale contenuto, utilizzando la punta delle dita, come se la carta scottasse, lo lisciai, guardando la figura che vi era rappresentata: era un ritratto.
Due volti maschili di folgorante bellezza, rappresentati fedelmente da un tratto di matita sicuro e lesto, comparvero nel mio campo visivo, invadendolo e devastandolo.
Uno era chiaramente Stefan, mio marito: camicia e cravatta, capelli più lunghi, sistemati in un tipico ed aristocratico taglio ottocentesco, viso levigato e regale, con un sorriso grave e serio a increspargli le labbra dai contorni perfetti. 
L’altro…
-Lui ci ha salvate.- insistè Demi, indicando con l’indice il secondo viso immortalato, proprio accanto a Stefan. 
Un lieve formicolio si impadronì di me mentre inseguivo, affamata e paralizzata, il contorno di una faccia sardonica, scolpita, dagli occhi infiniti e dal ghigno beffardo e radioso, spontaneo, vivace. Un’alta uniforme completa di cappello era l’abbigliamento altezzoso di quell’uomo moro disarmante nel proprio fascino ammaliante che aveva equamente popolato tutti i miei sogni ed incubi degli ultimi sedici anni.
Impossibile non riconoscerlo. 
Deglutii e Demetra annuì, fervidamente mentre il mio mondo, d’un tratto, cadeva in pezzi.
-… Damon mi ha salvata.-
 
* * *
 
-Bonnie!- corsi a perdifiato per il corridoio, mentre i miei capelli sventolavano e il mio petto si alzava e si abbassava rapidamente, forse troppo. Avevo bisogno di aria, di respiro, di risposte. Avevo lasciato che Stefan avisasse Jeremy dell’accaduto, mentre Demetra era rimasta con le sue amiche, tornate a trovarla con delle buste di dolci in mano, per allietare il suo ricovero. Vedere l’altissima e dinoccolata Sheila lì, con una benda enorme sulla testa, al fianco di una Matt di nuovo rosea e pimpante, mi aveva dato una chiara e indispensabile informazione: Bonnie doveva essere nei paraggi, forse in ospedale, forse nel parcheggio, da qualche parte. 
Mentre sfrecciavo alla velocità della luce, con il ritratto di Demi ben stretto tra le dita, urtai qualcuno così forte da perdere l’equilibrio e rotolare sul pavimento, goffamente.
- Mi dispiace…- ansimai, addolorata, tentando di rialzarmi. Mi sentivo ancora straordinariamente umana e impacciata e riuscivo ancora a controllare la sete di sangue senza complicazioni, al contrario di Stefan. La mia transizione stava avvenendo più lentamente e questo mi dava un enorme quanto effimero conforto. -… non avevo intenzione di…-
- Elena?!- esclamò una voce femminile molto allegra, appartenente ad una donna esile e bruna, il cui corpo sottile ma proporzionato era avvolto in un camice bianco. Era finita anche lei in ginocchio al suolo, spargendo qua e là il contenuto dei suoi documenti clinici, ma sembrava molto felice di vedermi ed anche io mi lasciai coinvolgere da quella sua innata positività.
Image and video hosting by TinyPic- Meredith!- la riconobbi a mia volta, con un sorriso ancora inquieto, lasciandomi abbracciare da quella che era ormai da anni il medico di fiducia della mia famiglia. Dopo la morte di Alaric e l’incidente con l’automobile al Wickery Bridge, era stata una buona amica per me e Stefan, aveva sempre mantenuto i contatti con la nostra famiglia e, cosa ancora più importante, era stata lei a far nascere Demi, sostenendomi con professionalità e passione durante tutto il travaglio. -… ti ho fatto male? Lascia che ti aiuti!- le presi una mano, sollevandola da terra, e lei si spolverò il camice, con disinvoltura, tornando a sorridermi, un po’ preoccupata per la mia agitazione.
- Certo che no, stai tranquilla… come va? Ho saputo della piccola Demi.- la sua espressione mutò appena, trasformandosi in un cipiglio professionale e serio che un qualsiasi dottore avrebbe assunto. -… sarai lieta di sapere che si è ripresa benissimo, risponde alle cure in un modo sorprendente e credo che sia pronta per tornare a casa, dimenticando quest’esperienza oscura… in effetti è un miracolo che siano uscite vive dall’aggressione, credi che qualcuno le abbia soccorse appena in tempo?- la notizia della repentina guarigione di Demetra mi infuse dritto nel petto un contraddittorio senso di inquietudine mista all’irrefrenabile voglia di rivelare a qualcuno la verità su Damon.
Mentre mi sforzavo di sembrare tranquilla e decidevo di mostrare a Meredith la mia prova cartacea, mi accorsi di aver perso qualcosa. Il ritratto dei fratelli Salvatore, che Demetra aveva accettato di darmi con la promessa di una futura spiegazione al riguardo, non era né nelle mie tasche né tra le mie mani. 
Doveva essermi scivolato dalla presa durante il ruzzolone e il mio cuore perse un battito, quando me ne resi conto. 
- Stai cercando qualcosa?- una voce infantile, zuccherosa e dal forte accento purtroppo familiare giunse alle mie spalle. Il mio sguardo angosciato si spostò dalle piastrelle candide dell’ospedale alle scarpe lucide e con un tacco vertiginoso che avevano appena invaso il mio campo visivo. 
Rebekah Mikaelson, in tutto il suo sinistro splendore, ghignava di fronte a me, i capelli color dell’oro che scendevano in ampie onde lungo la sua schiena e le sue labbra lustre che si increspavano in una smorfia di derisione. Stava calpestando sotto la suola degli stivaletti la carta stropicciata e antica del ritratto, mentre i suoi occhi lampeggianti non abbandonavano i miei neppure per un istante. 
Era bellissima… e crudele.
-Smettila.- ringhiai, a denti stretti, allungando una mano con fermezza, sentendo i miei polmoni bruciare di furia e incendiarsi di rabbia. – subito.- Rebekah sbuffò, con puerile aria di superiorità, osservandomi.
- Quante storie per della carta straccia.- si lamentò, con il broncio. – dalla tua faccia sembra quasi che tu abbia smarrito il tuo anello da giorno, Elena, e non questa vecchia pergamena. A proposito, hai ricominciato ad indossarlo?- le sue frasi vellutate erano cariche di una velenosa e divertita ostilità che mi metteva semplicemente i brividi. Il mio rancore nei suoi confronti, però, adesso, era quasi pari al suo.
- Che cosa ci fai qui?- chiesi, mentre sentito lo stomaco sottosopra e cadevo vittima delle sue occhiate insolenti.
- Sono venuta a trovare Demetra.- trillò lei, come se fosse qualcosa di ovvio. Il suo tono soddisfatto e velatamente malvagio era tangibilssimo. -… dopotutto è una mia allieva ed ero preoccupata per le sue condizioni.- strinsi gli occhi, riducendoli a due fessure, sentendo l’istinto protettivo e materno ammontarmi nel cervello e nell’anima. 
- Non azzardarti a toccarla.- sibilai, e sentii Meredith, impotente spettatrice, fremere di timore davanti a quell’affermazione micidiale. Mi accorsi solo allora di un’altra presenza accanto a Rebekah, un ragazzo alto e ben proporzionato, dal portamento fiero, dagli occhi neri e impenetrabili e dall’aria semplicemente afflitta. Aveva le mani dietro la schiena, come se nascondesse qualcosa dietro di sè. 
Capii immediatamente di chi si trattava perché somigliava ad Elijah almeno quanto Demetra somigliava a…
- Che scortese.- mi rimproverò la Mikaelson. - Sono venuta qui con Nick solo per vederla e tu mi tratti in questo modo…- scosse la testa, perfidamente, mentre il giovane, glielo leggevo in ogni tratto raffinato del viso, non desiderava far altro che fuggire. Tesa e furente com’ero non riuscii neppure a provare pietà nei suoi confronti.
- State lontani da lei, tutti e due.- continuai, senza smuovermi di un centimetro dalla mia posizione pronta a scattare. 
-… so benissimo, Rebekah, che Demetra è fuggita nella notte a causa di una tua idea contorta e diabolica e che ha quasi rischiato la vita per inseguire tuo nipote in un’avventura che sarebbe potuta finire in tragedia.- le sputai addosso la verità con una veemenza che avrebbe fatto indietreggiare chiunque… ma non lei. -… ma qualunque cosa voi facciate non riuscirete a traviare la sua mente e a metterla contro la sua famiglia, mai più. Te lo impedirò, fosse l’ultima cosa che faccio.- e ansimai, tremante, d’impeto.
- Che succede qui?- chiese Bonnie, comparendo dietro un angolo e avanzando a grandi falcate verso di noi. Era scarmigliata e intensa, proprio come dopo una visione. Mi sentii immediatamente più al sicuro, alla comparsa della mia migliore amica ma Rebekah, alla sua vista, per nulla indispettita, sogghignò.
- Famiglia.- disse soltanto, beandosi del suono di quella parola. Sia io che Bonnie trasalimmo. -… un termine davvero interessante, non è vero, Elena? Credo che alla tua piccolina sia piaciuto molto sentirsi protetta nel bel mezzo di ‘Paradise Falls’, vero? Sentire il tuo amore e quello del caro Stefan avvolgerla e cullarla per tutta la sua limpida e ignara infanzia, non è così?- la sua voce stava diventando incalzante e tagliente, bassa e roca, e mi colpì come uno schiaffo in pieno volto. -… ma le cose sono destinate a cambiare, lo sai bene e ne è consapevole anche la tua strega. Le bugie non hanno una lunga vita in una città come questa… presto la tua preziosa Demi…-  pronunciò il suo nome con impertinenza. -… dovrà fare i conti con la sanguinosa realtà. E quando scoprirà la verità sulla sua adorata famiglia e sui suoi oscuri precedenti, cominceranno tutti a porsi molte entusiasmanti domande...- proruppe in un’insopportabile e malefica risata. – Oh… ve lo giuro: quando succederà… io sarò in prima linea a godermi la scena.- l’istinto mi avrebbe spinta ad andarmene da lì più rapidamente possibile ma rimasi immobile, inchiodata dalle sue parole, mentre lei inspirava profondamente e si compiaceva, come un avvoltoio che vola in cerchio, in attesa. 
- Non hai ancora dimenticato.- esalò Bonnie, senza riuscire a trattenersi.
- Non dimenticherò mai.- sottolineò Rebekah, e, per un istante, la sua voce spietata tremò. Per non lasciarsi travolgere dalla debolezza, voltandosi, la donna fece un secco cenno di saluto e se andò con passi lunghi e felini. Trascinò rudemente dietro di sé suo nipote Nick e lui lasciò cadere qualcosa sul pavimento, senza che lei se ne accorgesse. Un petalo di rosa rossa era caduto al suolo dai suoi palmi chiusi, andando a fare compagnia al ritratto che, finalmente libero da Rebekah, avevo di nuovo tra le mani. 
Raccolsi il petalo che Nick Mikaelson aveva segretamente lasciato per Demi e il mio cuore balzò, investito dai ricordi.
Image and video hosting by TinyPic
Meredith mi si avvicinò, improvvisamente cupa, guardandomi senza ombra di rimproverò nello sguardo. 
Doveva aver finalmente visto i due volti ritratti nel disegno perché fu con consapevolezza e compassione che mi posò una mano sulla spalla, mentre cercavo Bonnie ed le sue iridi scure nella vana speranza di attingere un po’ di serenità. 
- Questo è Damon.- lo riconobbe Meredith, sfiorandone i tratti remoti, scioccata. 
Il suo nome vibrò nel mio petto come una scarica di elettricità.
- E questo è il ritratto di cui Sheila mi ha parlato.- dedusse la Bennet, aggrottando le sottili sopracciglia. – lo stesso che hanno trovato nel reparto della Biblioteca durante le loro ricerche.- sentivo il suo sangue pompare rapidamente sotto la sua pelle scura e affluire dritto nel suo cuore impazzito. 
La sete mi bruciò, dirompente e definitivamente incontrollabile, la gola per la prima volta con la violenza di un uragano, portandomi sull’orlo della disperazione. 
La transizione doveva essersi infine compiuta.
 
'' Che tu sia adesso umana o vampira, ti amo allo stesso modo, come ho sempre fatto e sempre farò.''
 
-Devo trovarlo.- esplosi dal nulla, sentendo le lacrime premermi sulle ciglia senza che riuscissi più a frenarle. Le mie emozioni erano amplificate al massimo ma percepivo nettamente un unico, nostalgico desiderio che sovrastava gli altri: quello di essere capita e protetta. Singhiozzai, senza fiato. -… ti prego, Bonnie. Ti prego.-   




*** 

Vi chiedo perdono per l'infinita attesa ma la chiusura del quadrimestre mi ha tragicamente impedito di continuare :)
Finalmente siamo giunti ad un momento di svolta: abbiamo scoperto che Demi non ha per nulla dimenticato il suo incontro con Damon... perchè?
Cos'ha in mente Rebekah?
E Nick, come si comporterà nei prossimi capitoli, dovendo affrontare direttamente Demetra e le sue amiche?
E, cosa più importante, Elena riuscirà a trovare Damon? 
Cosa vorrà dirgli, dopo sedici anni? :'D
A prestissimo <3 vi adoro tutti... venite a trovarmi su ----> http://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore per avere spoiler, approfondimenti e curiosità su questa ff! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Lapis ***


Caro diario,
mi sento smarrita e sola, come se avessi perso la mia anima nel bel mezzo all’oceano e non avessi nelle braccia intorpidite la forza di nuotare e di riafferrarla prima di vederla annegare. Ho deluso tutti e messo in pericolo la mia migliore amica nella speranza di apparire eroica, indipendente, forte… beh, ho fallito, completamente. Non avevo previsto nulla di quello che è realmente accaduto e questo mi ha fatto sentire piccola, incapace, avventata. Ho visto negli occhi spenti di mio padre la più profonda delusione ed è stato terribile ammettere a me stessa di aver tradito l’ assoluta e costante fiducia che aveva sempre ed incondizionatamente riposto in me.
Insomma… sono scappata di casa nel cuore della notte, non potevo pretendere certo una stretta di mano e dei complimenti, da parte sua, giusto?
Mio zio Jeremy è venuto a trovarmi non appena tornata al pensionato ed è stato un estremo sollievo vederlo e riabbracciarlo… parlargli. Gli ho raccontato della mia catastrofica avventura quasi nel dettaglio, traendo conforto dalla sua compartecipazione al mio colpevole dolore.
 Ho saputo da Sheila che mia madre e suo fratello sono passati a trovare anche lei nello stesso pomeriggio.
Jeremy ha mormorato Bonnie parole di conforto e l’ha stretta in un lungo, tenero abbraccio sulla soglia di casa.
 
Demetra Salvatore guardò con un pizzico di disagio l’ingenuo e tronfio insegnante d’Inglese (tutto intento a gesticolare speranzoso dietro alla sua cattedra lucida e massiccia), consapevole di non aver ascoltato neppure una parola della sua meticolosa e pedante lezione. L’orologio panciuto che era attaccato al muro alle spalle del monotono professor Walcom sembrava lento ed affaticato e le sue lancette scandivano con un ritmo estenuante i minuti di quell’ora infinita. Ostinatamente voltata verso il lato destro dell’aula, Demi sentiva il cuore batterle sordo e cadenzato nel petto e, per distrarsi, rigirò la propria biro nera tra le dita pallide, ancora graffiate qua e là dopo il ruzzolone nella foresta.
La penna di plastica toccò con un tintinnio il suo anulare, al quale era saldamente infilato un antiquato accessorio del tutto insolito.
 
Zio Jeremy mi ha portato un regalo, durante la sua visita. Niente pacchetti, niente fiocchi, solo un solenne sguardo di complicità. Si è sfilato il suo anello, lasciando che potessi ammirarne la bellezza e la luminosità nella penombra della mia stanza, e l’ha fatto indossare a me, ancora tiepido dopo il ventennale ed ininterrotto contatto con la sua pelle. Sembrava felice di donarmelo ed io non ho saputo far altro che seguire con sguardo rapito il profondo blu della sua pietra preziosa, le rifiniture argentate che si intrecciavano con essa. ‘Questo è il gioiello del Gilbert.’ Mi ha sussurrato, sfiorandomi il viso in una carezza. ‘ quando ti sentirai in pericolo… sappi che la famiglia sarà la tua salvezza.’ Quella frase ha donato alla mia coscienza una buffa e contraddittoria sensazione. Credo che il mio disappunto sia profondamente legato alla mia scoperta in Biblioteca e al singolare incontro con il mio salvatore. Se non fosse stato per Damon, io e Sheila saremmo morte quella notte, senza nessuna speranza. Ma non avrei mai dubitato della sincerità della mia famiglia, non avrei mai messo in discussione la mia intera esistenza… se non fosse stato per Damon.
 
Demi sollevò il viso concentrato dal suo diario e smise di scrivere con foga solo quando udì qualcosa urtarle appena il gomito, per attirare la sua attenzione. Accanto a lei, con l’espressione dura e splendente di chi si impone di essere forte per non crollare in pezzi, Sheila era intenta a fingere cordiale attenzione, pur facendo scorrere la propria stilografica sul foglietto malridotto che, appena finito, fece scivolare sul banco della sua amica. Accigliata, Demi lesse le poche righe che vi erano accennate.
 
Non ha fatto altro che fissarti dall’inizio dell’ora.
 
Lo stomaco della Salvatore si esibì in una spettacolare capriola nel capire il soggetto sottinteso di quella frase e la giovane dovette fare appello a tutte le proprie forze per non voltarsi a guardare alla propria famigerata destra.
 
Non mi importa.
 
Scarabocchiò lei, con evidente nervosismo, sentendo improvvisamente gli occhi neri e senza luce di Nick Mikaelson bruciarle sulla schiena.
Non è vero.
 
Obbiettò la Bennet e Demi, nonostante tutto, non riuscì a darle torto.
Non avevano più avuto alcun tipo di dialogo con lui, dopo la notte di plenilunio. Il ragazzo aveva tentato di incrociare Demi per i corridoi e l’aveva persino aspettata fuori, in cortile, alla fine di ogni giornata scolastica, ma lei aveva ostinatamente ignorato la sua presenza, senza permettergli di avvicinarsi. I motivi che rendevano Demetra così intollerante e rigida nei suoi confronti erano molteplici e molto gravi: Nick aveva avuto un ruolo fondamentale nell’idea di sabotare il reparto proibito comunale, era stato ben attento a soddisfare i propri interessi (recuperando tra le cianfrusaglie librarie una stramaledetta pergamena) e poi era scomparso nell’oscurità, senza degnarsi di soccorrere lei o Sheila in un momento di così estremo pericolo. La Salvatore, inoltre, incolpava se stessa per essersi lasciata trascinare dal fascino e dal mistero di Mikaelson e, per questo, non riusciva proprio a perdonarlo. Lui la attraeva come una calamita e questo legame tra loro la spaventava ora più che mai…
La campanella, finalmente, diede il suo segnale e un sonoro sbadiglio da parte di Matt, seduta in fondo alla stanza a ronfare placidamente, fece capire agli studenti che quella noiosissima tortura era ormai giunta al termine. Alzandosi lentamente, Demetra cominciò a riporre i propri effetti nella cartella, sotto lo sguardo vigile di Sheila, che si affrettò ad imitarla. Mattie, che aveva già sistemato la propria roba da tempo, saltellò verso di loro, con il viso roseo illuminato dalla luce solare e, allo stesso tempo, dal suo sorriso contagioso.
-Terribile, non è vero?- cinguettò, accennando al professor Walcom che, intimamente compiaciuto, avanza verso la porta, facendosi spazio tra gli alunni in fuga.
- Estremamente.- confermò Demi, ricambiando il suo sorriso con aria stanca ma rianimata. Era davvero un sollievo rivedere la propria amica bionda in piena salute, dopo quella terribile febbre che l’aveva costretta a letto per un giorno intero. Matt era un po’ evasiva al riguardo ma la Salvatore aveva finito con il convincersi che, probabilmente, la piccola Lockwood volesse solo scrollarsi di dosso il più in fretta possibile il ricordo della propria malattia. Come darle torto? –ma è finita, non lo rivedremo fino alla prossima settimana.-
-Lo spero bene.- rincarò la dose Matt, stropicciandosi con una mano gli occhi chiari e vispi. -… Walcom è probabilmente il professore che sopporto meno, in questo istituto.- Sheila emise un versetto di disapprovazione e Demetra pensò che sarebbe stata d’accordo con la sua amica, se solo non fosse stato per l’esistenza della professoressa Rebekah Mikaelson.
Stava per ribattere quando sentii un profumo inconfondibile nell’aria, a metà tra l’acqua di colonia, le erbe e la vaniglia. Le sue narici, contro la propria volontà, se ne abbeverarono, estasiate, mentre da qualche parte, nella sua mente, Demi desiderava potersi dissolvere nell’aria come polvere nel vento.
-Ho bisogno di parlarti.- disse Nick, comparendo accanto a lei, con il viso scultoreo turbato dalla tensione.
- No.- sibilò Demetra in risposta, incanalando le proprie emozioni fino a fonderle in un’unica palpitazione: la rabbia. Issandosi con fierezza la cartella sulle spalle e facendo cenno alle sue amiche di seguirla, la ragazza si avviò verso l’uscita con una rapidità tale da far ondeggiare la propria chioma corvina nell’aria. La Bennet obbedì al suo invito senza fiatare e Matt, facendo spallucce, trotterellò dietro di loro con una certa noncuranza. Nick continuò a camminare per i corridoi, cercando di raggiungere il suo obbiettivo.
- Demetra!- la chiamò, mentre la seguiva, accelerando il passo. I suoi capelli castani erano un po’ arruffati rispetto al solito ma questo conferiva alla sua figura un’aura di trascurata bellezza che lo rendeva ancora più irresistibile del solito. Con lo sguardo irremovibilmente fisso sulle piastrelle del pavimento, Demi cercava di non badare troppo al piacere che le provocava il sentire il proprio nome pronunciato da quelle labbra sottili. – aspetta!- con un gesto repentino, Mikaelson le afferrò un braccio, nel tentativo di fermarla. La ragazza, indispettita, si decise a fermarsi e gli piantò addosso gli occhi azzurri e infervorati, fingendosi stizzita.
- Cosa vuoi?- domandò, liberandosi da quella presa con uno strattone. Matt pigolò al suo fianco, un po’ preoccupata, mentre Sheila osservava la scena con circospezione.
- Spiegarti.- ansimò Nick, ricambiando le occhiate della Salvatore con altrettanta intensità. Demetra si sentiva terribilmente vulnerabile e confusa davanti a lui, come se temesse di scoppiare in lacrime o di saltare di immotivata gioia da un momento all’altro. Come se lui fosse un lento fuoco sempre pronto a mandarla in ebollizione.
- Non ho bisogno delle tue spiegazioni.- lo bloccò, caustica.
- Mi dispiace.- proruppe lui, senza preamboli, sinceramente. Il tono serio e urgente con cui aveva pronunciato quelle parole la destabilizzarono, facendo breccia nel suo muro di indignazione. -… non volevo che nessuna di voi due si facesse del male, io… ho perso il controllo. La situazione mi è sfuggita di mano!-
- Sfuggita di mano?- ripetè Demi, con enfasi irrisoria. -… ci hai abbandonate in balia di tre furfanti con chiare intenzioni omicide e sei scappato come un vigliacco tra i cespugli, nonostante fossimo state le tue compagne e pedine durante la tua ricerca…- la nostra ricerca.
- Vi ho lasciate per una buona ragione, ti prego, lasciami spiegare…-
- Tu ci hai usate e poi siamo casualmente finite in una trappola quasi fatale!-
- No! Credevo che sareste state al sicuro, non avrei mai…-
- Perché tu e tua zia mi odiate così tanto, cos’ho fatto per meritarlo?- Demetra si accorse di stare urlando. Per fortuna molti studenti erano già andati a mensa e avevano risparmiato alla giovane l’imbarazzo di essersi lasciata andare così tanto al proprio risentimento. Nick aveva l’aria distrutta, la sua bocca tremava ed una vena gli pulsava sulla fronte mentre osservava, a turno, ogni componente del trio che aveva davanti.
Matt, improvvisamente, provò un senso di pietà nei suoi confronti ma Sheila rimase impassibile.
-Devi ascoltarmi.- esalò Nick, tornando a fissare Demetra. Era concitato, deciso, i suoi occhi adesso brillavano di quella rara luce che Demi aveva avuto la fortuna di imparare ad apprezzare con il tempo.
La scintilla del rimorso.
- E’ troppo tardi.- sussurrò lei, un po’ più debolmente.
- No, non lo è.- si ostinò lui, adombrato ma non sconfitto. -… se io fossi rimasto con voi, avreste corso un rischio perfino peggiore rispetto a quello che vi ha colpite.- la dichiarazione sembrò aleggiare nell’aria senza avere una reale consistenza, fluttuando. Sheila aggrottò le sopracciglia scure.
- Cosa intendi dire, con questo?- chiese, perentoria.
- Mi avevano promesso che non vi avrebbero toccate.- rispose Nick, glaciale. -… ma mi hanno ingannato.-
- Conoscevi gli aggressori?- domandò Matt, con voce fievole, sbarrando gli occhi acquosi con immenso stupore.
- Si.- ammise il ragazzo, senza abbassare la testa né mostrare un accenno di cedimento. -… facevano parte del mio branco.-

 

 * * *

-Grazie, Meredith.- bisbigliò Elena, soffiando leggermente sulla tazza di thè bollente che aveva tra le mani.
- Non c’è di che.- rispose la dottoressa Fell, versando il liquido dorato e fumante anche nel bicchiere di Bonnie e passando la zuccheriera ad entrambe. -… direi che il thè non è la soluzione dei problemi ma è un buon aiuto nelle difficoltà.- la Bennet sorrise, apprezzando la gentile convenzione di quella frase, annuendo e roteando con dolcezza il cucchiaino d’argento nella propria tazza, con naturalezza.
Elena osservò con i propri grandi occhi castani la stanza che Meredith aveva sistemato come proprio studio personale, passando in rassegna con diletto sulle tende squadrate e ampie che contornavano una finestra dalle esili imposte e su un tappeto smeraldino che faceva morbidamente affondare tra le pieghe i propri stivali. Erano tornate lì per trascorrere del tempo insieme dopo molti giorni dal loro incontro in ospedale ma, per quanto tutte e tre si sforzassero, non riuscivano a non sentire ancora, prepotente e opprimente, la presenza di Rebekah tra loro.
Sulla scrivania elegante di Meredith, finemente incorniciata, c’era una foto ricordo su cui Elena si soffermò, nel tentativo di distrarsi, tra un sorso di thè e l’altro. Un uomo dai capelli scuri e spettinati e dal sorriso caldo e familiare abbracciava una dottoressa Fell molto più giovane, più allegra, cingendola a sé con un certo trasporto che non poteva sfuggire ad un cauto osservatore. Il cuore della Gilbert si strinse quando riconobbe in quel volto radioso quello di Alaric Saltzman, il suo defunto tutore legale, nonché  l’ex fidanzato di sua zia Jenna e il più intimo amico di…
-Damon è in città.- esordì Elena, senza riuscire a trattenere dentro di sé per un istante ancora il vero motivo del loro incontro pomeridiano. -… lo so.- aggiunse, fissando le due donne che, un po’ più titubanti sulle proprie poltrone, adesso le stavano dedicanto tutta la loro attenzione.
- Come fai ad esserne certa?- domandò Bonnie, senza sarcasmo, solo con una profonda indecisione nella voce. Evidentemente aveva appena dato voce ai pensieri di Meredith, poiché il medico annuì vigorosamente davanti a quella perplessità.
- Demi l’ha visto.- replicò prontamente Elena, alzando le spalle con semplicità. -… è stato lui a salvarle dagli aggressori, quella notte nella foresta.- Bonnie alzò gli occhi al cielo, un po’ scettica. Elena capiva perfettamente il suo atteggiamento poco convinto ma aveva un assoluto bisogno di essere sostenuta dalla sua amica, in un momento simile. Al solo pensiero di dover fronteggiare il proprio passato e la propria colpa davanti alla notizia del ritorno di Damon si sentiva devastata e fragile, come un coccio di vetro, come se ora, da vampira, fosse stata derubata del vecchio suo anello da giorno. Era pronta a bruciare.
- Demetra era sconvolta, quella notte.- obbiettò Meredith, cercando di essere oggettiva. -… ha persino perso i sensi un momento dopo il vostro arrivo. Tra l’altro il motivo che l’ha spinta a fuggire da casa Salvatore fino ad addentrarsi nella Biblioteca Proibita è stata la sua voglia di scoprire delle informazioni riguardo a Damon. Non è possibile che si tratti di una sua suggestione?- ipotizzò, delicatamente, nella paura di ferire i sentimenti di Elena al riguardo. Lei scosse categoricamente la testa e i suoi capelli setosi si mossero sulle sue spalle, sfiorandole con dolcezza.
- No.- ribadì, decisa. -… secondo il racconto di Demi, Damon non ha solo salvato le ragazze, sbaragliando tre uomini che erano, per qualche motivo, decisi a far loro del male ma ha anche guardato mia figlia negli occhi, tentando di soggiogarla.- le iridi marrone cioccolata di Elena sfavillarono, febbrili. -… ha provato a farle dimenticare il loro incontro, dicendole che non sarebbe stato prudente far sapere in giro della sua presenza a Mystic Falls.- le sue parole furono immediatamente recepite da Meredith che, finalmente, capì.
- Tipico di Damon.- sussurrò, più a se stessa che alle altre.
- Esatto.- mormorò Elena, con un’espressione eloquente. -… e poi come avrebbe potuto Demi fantasticare un particolare del genere, non sapendo nulla sui vampiri? Ha descritto con precisione il cambiamento delle pupille di Damon durante il soggiogamento, senza avere idea di cosa lui avesse realmente intenzione di fare.- Bonnie, dal canto suo, si incupì leggermente, lasciando la sua amica un po’ stordita.
- Se quello che dici è vero… non capisco come Demi abbia potuto essere immune al soggiogamento di Damon.- disse, meditabonda, instillando in Elena un sentimento di inquietudine. Non ci aveva pensato minimamente, a questo problema. Come aveva potuto Demetra ricordare ogni dettaglio del suo primo incontro con il maggiore dei fratelli Salvatore se lui stesso, effettivamente, aveva tentato con un incanto di farglielo completamente dimenticare?
- Forse Damon non è forte come una volta.- ipotizzò Meredith, senza troppa convinzione.
- O forse c’è qualcosa su Demetra che non sappiamo.- si espresse Bonnie, con lo stesso cipiglio fosco. -… sia lei che Matt… sono degli esseri unici. Non è mai successo, infatti, nella storia dell’umanità e del mondo sovrannaturale, che vampiri, ibridi o lupi mannari procreassero come degli esseri umani. Non sappiamo cosa questa combinazione genetica ci riservi, ora che qualcosa sembra aver riportato tutti noi all’origine. I poteri della nuova e anomala generazione potrebbero non esistere affatto o al contrario, come è più probabile, essere un concentrato di quelli dei loro genitori… o magari il loro opposto? Non saprei…-
- Se c’è una persona che sembra conoscere tutta questa storia…- chiarì Meredith, rabbrividendo ed interrompendo le teoriche considerazioni di Bonnie. -… quella è Rebekah. Ma dubito che voglia spiegarci qualcosa al riguardo, visto e considerato il vostro ultimo incontro tra i reparti ospedalieri.- Elena assentì con un cenno, stringendosi nelle spalle.
-  Non possiamo escludere il fatto che Damon sia tornato qui per questo.- mormorò, con il viso pervaso da una strana luce. -… magari può aiutarci.-
- Sei sicura di volerlo rivedere per questo motivo?- domandò Bonnie, guardandola fisso con i suoi occhi scuri e profondi. Meredith, guardando l’espressione indifesa che Elena aveva assunto davanti a quell’interrogativo, ebbe l’istinto di abbracciare la donna per donarle conforto e comprensione ma rimase immobile al proprio posto, in attesa.
- Voglio chiedergli se è tornato per proteggere Mystic Falls da una nuova minaccia oppure no.- rispose Elena, torrmentandosi le mani in grembo. Il sottile anello di lapislazzuli che era stata di nuovo costretta ad indossare alla luce del giorno cozzò appena contro la fede che la legava al matrimonio con Stefan. -… e voglio ringraziarlo per aver salvato la vita di Demi.- aggiunse, con un deciso ardore nel tono.
Bonnie rimase a scrutarla per qualche istante ancora, prima di annuire.
-… e la vita di Sheila.- completò spontaneamente, improvvisamente conscia della necessità di trovarlo. Anche lei aveva un profondo debito nei confronti del vampiro dagli occhi di ghiaccio e non si sarebbe tirata indietro, a costo di errare in nome della propria dignità. L’essere madre l’aveva profondamente cambiata nell’animo ed Elena sospirò di sollievo quando capì che la Bennet l’avrebbe accompagnata fedelmente in quell’avventura, senza abbandonarla mai. – ti aiuterò a trovarlo, fosse l’ultima cosa che faccio.-
Era tutto ciò di cui la Gilbert aveva bisogno e per poco Elena non pianse di gioia.
Compiaciuta dall’evoluzione della situazione, Meredith posò la propria tazza ormai vuota sul mobiletto accanto a sé, lasciando che le sue labbra si increspassero in un sorriso nostalgico.
-A dire il vero non mi dispiacerebbe rivedere Damon.- ammise, per sdrammatizzare. -… la vita a Mystic Falls era molto diversa quando lui era in giro per le strade. Era più… dinamica.-
- Imprevedibile.- sottolineò la Gilbert.
- Già.- tagliò corto Bonnie, recuperando i propri modi bruschi d’azione. -… peccato che non sappiamo assolutamente dove si trovi in questo preciso momento. Hai qualche idea a proposito, Elena?- la donna scosse la testa, riflettendo.
- Non proprio… potrebbe essere ovunque… voglio dire, sono sedici anni di lontananza dalla città… non mi aspettavo certo che si facesse vedere al pensionato di Zach ma, insomma…- e arrossì, senza aggiungere altro.
- Magari non è molto lontano dal luogo dell’aggressione.- meditò Meredith, ragionevole. – La sua tempestività d’intervento gioca a favore di questa tesi. Se poi aggiungiamo il fatto che conoscesse Demetra almeno di vista e che si sia precipitato a salvarla nel cuore della notte…-
- Volendo stare lontano da Stefan e comunque vicino a Demi… sarà andato a sbirciare al college di Mystic Falls.- concluse Bonnie, nascondendo un sorrisetto. Ricordava perfettamente quando Damon aveva affermato di adorare le studentesse del liceo e l’ambiente scolastico così affollato da giovani donzelle. Al suo sbottare un ‘Sei disgustoso’ lui aveva sagacemente risposto ‘Lo so’. -… quindi a metà tra la scuola delle ragazze e la foresta…-
- C’è il cimitero.- terminò Elena, per lei. Sentiva la sua pelle ribollire di calore a quelle sempre più incalzanti deduzioni. Ci erano quasi… -… è lì che l’ho incontrato per la prima volta.- ricordò lei, mentre con lo sguardo si perdeva nel vuoto e ripercorreva solo con l’anima i propri ricordi. -… ero andata a portare dei fiori ai miei genitori ma avevo sentito immediatamente una presenza nell’ombra… lui era ancora un corvo e non avevo idea di chi realmente fosse ma era comparso come dal nulla nella nebbia… e poi…-
- Ho visto una grande oscurità trasformarsi in nebbia, ho sentito un verso rapace, come di un corvo, interrompere una monotona litania pronunciata in un cimitero pieno di lapidi e di fiori appassiti.- recitò a memoria Bonnie, improvvisamente illuminata. Erano le stesse frasi che aveva pronunciato proprio la notte dell’aggressione, quando aveva raccontato ai coniugi Salvatore della sinistra visione che le streghe di Salem le avevano inviato. Possibile che…?
- Il cimitero di Mystic Falls.- ragionò Meredith, ormai tesa come una molla.
- Credi che si trovi alle tombe dei tuoi genitori?- ipotizzò Bonnie, interrogando silenziosamente Elena, dubbiosa. La Gilbert vagò con i propri occhi alla ricerca di indizi in quella stanza piccola e accogliente, elaborando pensieri di ogni sorta con una mente sempre più  ansiosa e frenetica. Improvvisamente le sue iridi si fermarono sullo stesso oggetto che le aveva ricordato Damon all’inizio della conversazione e tutto fu splendidamente chiaro. Sorrise, radiosa, sfiorando con le dita la foto del suo ex insegnante di Storia.
-No… è alla tomba di Alaric.-

Image and video hosting by TinyPic



***********************

Dunqueeeeeeeee ** miei adorati! :)
Eccoci qui, davanti ad altri misteri, altri interrogativi e altre sorprese...
Vi ringrazio anticipatamente per tutte le recensioni... senza di voi questa ff non esisterebbe neppure :*
Venite a trovarmi qui ----> http://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore <3
 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Need - 1° Parte ***


Caro diario,
da quando io e Nick abbiamo litigato nel corridoio di Inglese le cose sono precipitate. 
Recentemente ho avuto davvero poco tempo per pensare a me stessa (Sheila, Matt ed io abbiamo dovuto lavorare sodo per recuperare il tragico voto ottenuto in Storia in seguito alla mancata consegna di quel
la dannata ricerca) ma il fatto di non averti più scritto è stato anche un prudente stratagemma.
Ultimamente, infatti, ho quasi paura di riversare i miei pensieri su queste pagine perché, nonostante io abbia assolutamente bisogno di essere sincera con qualcuno, tremo più del solito all’idea di essere scoperta e letta da eventuali soggetti indesiderati.
Credo davvero che tu sia al sicuro (sei nascosto dietro un’asse di legno in fondo al mio armadio!) ma, nonostante di recente mia madre sia continuamente in giro con Bonnie per delle
‘commissioni’ e mio padre sembri aver perso ogni voglia di socializzare con l’universo circostante… non riesco a starmene tranquilla. 
La verità è che non c’è una sola persona al mondo, inclusa me stessa, alla quale io non stia nascondendo qualcosa. 
Ho mentito perfino alle mie migliori amiche sul fatto di aver categoricamente dimenticato l’esistenza dell’affascinante e sospetto nipote della professoressa Rebekah. Sarei una bugiarda se ti dicessi che non l’ho sognato spesso, svegliandomidi soprassalto perfino nel cuore della notte. Quel ragazzo sta diventando un incubo costante… il mio incubo preferito. 
Quando mi guarda, dall’altro lato della classe o del cortile, con i suoi occhi profondi e sempre indecifrabili, mi provoca ancora una piacevole stretta allo stomaco ma, allo stesso tempo, mi ricorda i terribili momenti che ho vissuto nella foresta, in balìa di quello che lui stesso ha definito il ‘suo branco’. 
Secondo Sheila è un pazzo scatenato e, ad essere del tutto onesta, comincio a credere sul serio che le rotelle fuori posto siano un marchio di fabbrica, in casa Mikaelson. 
Questa tesi è avvalorata dal fatto che quei luridi Todd, Scott e Hugo (questi nomi rimarranno impressi a fuoco nella mia mente per tutta la vita) erano amici di Nick… insomma, parte della sua combriccola… suoi alleati. Riesci a pensarlo? 
Tutto ciò è semplicemente folle e mi dà i brividi ma non posso ignorare che qualcosa sia effettivamente nell’aria, pronta ad esplodere, come una bomba ad olorogeria posta da chissà chi proprio nel cuore di Mystic Falls.


Il giardino del pensionato era illuminato da un sole pomeridiano semplicemente delizioso, che accarezzava placidamente la pelle ed era, quindi, un vero sollievo per il viso infervorato di Demi. Seduta in veranda in completa solitudine, con le gambe accavallate e i capelli arruffati, la ragazza aveva trascorso un’intera giornata a poltrire, senza trovare il coraggio di andare a scuola e riprendere la sua vita di ogni giorno. Non riusciva a sopportare l’idea di trascorrere un’altra giornata a fuggire dal ragazzo che, più di ogni altro, le era entrato nella pelle senza che lei riuscisse a liberarsene. Si sentiva tesa, nervosa, febbricitante, e la penna scorreva sulla carta ingiallita come un aratro tra i campi, falciando parole e sentimenti sempre più intimi, sempre più increduli.

Nick ha detto di essere sempre stato a conoscenza della presenza degli aggressori nella foresta ma di non aver mai avuto idea delle loro reali e pericolose intenzioni fino al momento della violenza. Ha menzionato un ‘piano’ che la sua malefica zia avrebbe architettato ai nostri danni, spaventandomi non poco, e poi ha cominciato a farfugliare le parole ‘genitori’, ‘vendetta’, ‘sangue’... e altro. Stando al suo contorto racconto (che riporterò qui solo in parte, per sicurezza) i loschi uomini che hanno tentato di uccidermi lo avrebbero diabolicamente ingannato, promettendogli di aiutarlo a ritrovare i suoi genitori scomparsi ma, contemporaneamente, nascondendogli il modico prezzo di una tale cavalleresca cortesia: la mia vita. La vita di quella che sia Nick che i suoi compari hanno ripetutamente definito ‘la chiave’. Ok… ma la chiave di cosa?! Forse avrei proprio dovuto chiederlo a Mikaelson prima di voltargli le spalle e sparire il più velocemente possibile dal corridoio assieme a Sheila e Matt. Dannazione!

-Demi?- una voce dolce, un po’ arrochita dal lungo disuso, raggiunse la ragazza, facendola sobbalzare. Stefan comparve nel porticato con un’aria timida e impacciata, come se avesse paura di disturbare l’attività di sua figlia, chiaramente concentratissima nella scrittura. Demetra, un po’ sorpresa, chiuse delicatamente il diario sulle proprie ginocchia, osservando l’uomo di casa ed il meraviglioso, vago sorriso che le era tanto mancato far di nuovo capolino sul suo volto. – ti disturbo?- chiese Stefan, fissandola, titubante. 
Portava in ciascuna mano una tazza di cioccolata fumante, con doppia panna, come piacevano a loro, in una muta richiesta di tregua. 
Lei scosse piano la testa, facendogli cenno di avvicinarsi, e lui, sollevato, prese immediatamente posto su una sedia imbottita di cuscini a fiori, posta proprio davanti alla poltroncina di sua figlia. 
Stefan era bello e mite come sempre ma i suoi occhi, di quello stesso verde indefinito che Elena aveva sempre amato tanto, erano cerchiati da insolite quanto profonde occhiaie. La sua pelle cerea, inoltre, gli conferiva una strana aria emaciata e un’immagine così sbiadita di lui cozzava rovinosamente con il portamento pieno di vigore e salute che lui era abituato a mostrare in pubblico. 
- Tutto okay?- gli chiese Demi, d’istinto, allungando una mano per sfiorare il braccio dell’uomo. 
- Certo.- sussurrò Stefan, alzando le spalle con finta noncuranza. -… sto molto meglio, adesso. Il mio periodo di isolamento ha funzionato alla grande o almeno… lo spero.- ammise, esitando prima di porgerle la cioccolata bollente. 
- Già.- mormorò Demetra con una punta di amara tristezza nella voce, particolare che non sfuggì neppure per un attimo a suo padre. La verità era che Stefan le era mancato, terribilmente, e lei avrebbe tanto preferito un suo abbraccio, alla fine della tragica avventura nella foresta, o anche solo una semplice parola di conforto, al posto di tutto quell’inspiegabile silenzio accusatore. Stefan aveva trascorso quasi una settimana intera senza aprire bocca, vagando furtivamente per casa nel tentativo di evitarla e rinchiudendosi per ore ed ore in camera da letto per contemplare la propria solitudine, gettando Demi in una profonda voragine di senso di colpa e incertezza. 
Aveva davvero perso la sua fiducia, deludendolo a causa della propria sconsiderata e rischiosa condotta?
- Mi… mi dispiace di averti trascurata così tanto in questi giorni.- la smorfia colpevole e malinconica che segnò il volto di Stefan provocò subito nel cuore della ragazza una profonda fitta di gioia inconsapevole. Non riusciva a credere alle proprie orecchie! -… non avrei dovuto aggiungere altro peso al tuo dolore, dopo quello che era accaduto nella foresta. Sono stato debole quando invece avrei dovuto reggere il peso della situazione anche per te. Ma avevo la necessità di trascorrere un po’ di tempo per conto mio, capisci? Era l’unico modo.- mentre lui diceva quelle criptiche frasi, la dolcezza si fece prepotentemente ed inesorabilmente strada tra loro e cancellò in un baleno gli ultimi, gravosi giorni in cui non avevano avuto nessun genere di contatto. 
- Avevo paura che non mi avresti mai più rivolto la parola.- ammise Demi, con un sorriso ironico che balenava, incorreggibile, tra le sue labbra. Stefan avvicinò una mano per sfiorarle la guancia e, nonostante la temperatura gelida della sua pelle, quella carezza fu immediatamente tiepida, affettuosa e familiare per entrambi.
- Quello che ho dovuto affrontare in questi giorni di solitudine non ha mai avuto nulla a che fare con te, tesoro.- la rassicurò, guardandola intensamente. -… hai capito? Niente.- gli occhi azzurri della ragazza brillarono di gratitudine e lei, anche per nascondere la propria eccessiva emotività, si rifugiò tra le braccia di suo padre con un tale slancio da far quasi rovesciare a Stefan l’intera cioccolata sul pavimento della veranda. 
Lui rimase impacciato per qualche secondo, sorpreso da quell’improvviso gesto di tenerezza, poi però, con cautela, appoggiò su un tavolino la propria tazza e cullò sua figlia, stringendola delicatamente a sé. 

Image and video hosting by TinyPic

In quel caldo abbraccio, tuttavia, qualcosa non andava: il profumo delizioso dei capelli di Demetra, così come quello della pelle del suo collo di latte, per Stefan erano un pugno nello stomaco e le sue narici ardevano, impotenti, davanti a quell’odore così piacevole, così… umano. 
Gli occhi gli si oscurarono improvvisamente ma decise di trattenersi ancora un attimo in più, lottando contro la propria natura: sua figlia non avrebbe mai dovuto soffrire a causa della sua antica incapacità di controllare la sete di sangue. 
MAI.
-Mamma non tornerà per pranzo.- sussurrò, sentendo il lento fuoco del predatore bruciandogli la gola con meno violenza e allontanandosi appena da lei, vittorioso, per guardarla dritta in volto. Demi notò vagamente le sue palpebre brune prima che Stefan le coprisse con una mano, celandole, sperando di mascherare la subitanea metamorfosi dei propri tratti, ma si impose di non preoccuparsene. Non voleva rovinare ogni cosa proprio adesso che sembravano essersi finalmente riconciliati. -… pensavo di fare un salto alla casa sul lago, per rilassarci un po’. Solo io e te... e un paio di frittelle. Che ne dici?- Stefan sorrise dolcemente mentre pronunciava quella proposta e sua figlia, piacevolmente sorpresa dalla sua premura, ammiccò in risposta, annuendo.
- Dico che sei un genio!- commentò, radiosa, alzandosi subito in piedi per correre a cambiarsi, con il diario di velluto scuro ancora tra le mani ed una nuova baldanza nell’andatura. – faccio in un attimo, allora e… ah! Io voto per lo sciroppo d’acero sulle frittelle!- guardando di sfuggita Demetra correre come un razzo in camera sua, Stefan, pur sentendo il senso di colpa farla da padrone, non riuscì a far a meno di percepire, almeno sottopelle, la presenza dello Squartatore, sopito e nascosto in qualche angolo della sua anima, ma ancora ardente di micidiale pericolosità.
Adesso gli sarebbe bastato stringerla un po’ troppo, esagerare, lasciarsi andare ad un istinto crudele… per farle del male, per ferire sua figlia, quella stessa ragazzina esile e bellissima che rappresentava tutto ciò che aveva lottato per avere, per proteggere ed accudire. 
Dalla notte dell’aggressione, poi, gli sembrava che Demi fosse tanto più vitale ed energica quanto estremamente fragile, indifesa come non l’aveva forse mai vista prima. Era, come al solito, perfettamente simile a sua madre nel fisico e nell’atteggiamento (specie quando, sempre più spesso, sporgeva il labbro inferiore in un broncio delizioso, proprio come Elena quando era nervosa o preoccupata) ma c’era anche qualcosa di profondamente diverso nei suoi occhi… già, i suoi occhi… 

‘Non andrai lontano, Stefan, ci sarò io a riportarti indietro. Ogni secondo. Ogni giorno... finchè non avrai più bisogno di me.’

‘Ne ho ancora bisogno.’ Pensò l’uomo, con l’amarezza che gli ribolliva nell’anima, graffiando il suo già precario autocontrollo.
Poi, scutendo la testa, nostalgicamente, andò a cercare le chiavi dell’auto.

***

- Quello è completamente matto, fine della storia.- annunciò Sheila mentre uscivano da trigonometria, fissando incerta la propria amica bionda e la sua espressione profondamente scettica. Le parole di Nick Mikaleson rimbombavano ancora nella loro testa, dolorosamente, costringendo la Bennet a installare il sempre (o quasi) efficace meccanismo di autodifesa. -… non vorrai credergli, vero? Ha parlato di un branco di creature mutanti, di un incantesimo e di una Prescelta… insomma, non mi sembra il perfetto esempio di sanità mentale, specie dopo quello che… - 
- Io penso che Demi, in fondo, gli creda.- borbottò Matt, saltellando con noncuranza per il corridoio, con la chioma color dell’oro legata in una coda alta e svolazzante. -… forse dovremmo dare loro un po’ più di fiducia.- si guardava intorno come se si aspettasse di veder comparire il famigerato ragazzo dai capelli castani e sempre perfettamente in ordine, magari nascosto dietro ad un armadietto, acquattato accanto ad un bidoncino della spazzatura, mimetizzato nel bel mezzo di un gruppo di giovani giocatori di football… ma di lui non c’era alcuna traccia. 
Aveva forse già saputo dell’assenza di Demetra e, quindi, rinunciato ai propri tentativi di incrociarla in giro?
-Non è questo il punto.- rimarcò Sheila, aumentando la velocità dei propri rabbiosi passi. -… la questione è che quel… quel ‘tipo’, oltre ad averci abbandonate in balia di tre (e dico TRE!) maniaci, è probabilmente la ragione principale per cui oggi Demi non è con noi a scuola. Non sopporta di vederselo girare intorno a tutte le ore del giorno e non vuole più ascoltare le sue bugie e farneticazioni.- in cuor suo, tuttavia, la figlia di Bonnie temeva che solo una parte della propria teoria fosse vera. Demetra, negli ultimi giorni, non aveva quasi aperto bocca a mensa e non aveva avuto il coraggio di mettere nulla di commestibile sotto i denti. Tutto ciò era davvero strano, poiché il cibo caldo e invitante distribuito dal personale scolastico le era sempre piaciuto molto e il momento del pasto era sempre stato per tutte e tre un momento idilliaco di ritrovo e di divertito pettegolezzo. Sembrava molto turbata a causa…
Ascoltando le parole dure di Sheila, Matt si voltò a guardarla, un po’ sorpresa e decisamente torva.
-No, io credo che sia ferita perché lui ha tradito la sua fiducia, spingendola spudoratamente a cacciarsi in grossi guai.- replicò, continuando a camminare con un passo lento e quasi musicale, a dispetto della propria amica. -… e ritengo che, se lui fosse davvero un mentecatto senza sentimenti, non trascorrerebbe la maggior parte della giornata a cercare di scusarsi con lei per l’incidente nella Foresta.-
- Non ci sarebbe stato nessun incidente se Mikaelson non le avesse dato appuntamento a mezzanotte.- sbottò Sheila, infervorandosi. Possibile che la sua compagna fosse così irrimediabilmente ingenua? -… forse cerca di avvicinare Demi per coinvolgerla in un altro dei suoi assurdi progetti notturni… o forse vuole approfittare della sua buona fede, di nuovo, dopo averla ingannata e lusingata con delle inutili attenzioni.- 
- Forse.- convenne Matt, stringendo gli occhi chiari fino a ridurli a due fessure luminose. -… ma sfido chiunque a tentare di adescare per poi manipolare una ‘fanciulla innocente’ con storie di magia e d’occulto come quelle che Nick ha riferito un paio di giorni fa. Oh, andiamo! Per conquistare la fiducia di una ragazza non puoi andare a dirle ‘Hei, sai cosa? Mia madre faceva parte di un clan di lupi mannari e tu sei la chiave per rompere una malefica maledizi…’- 
- Shhh! Non urlare!- la zittì Sheila, terrorizzata, sperando che nessuno avesse sentito quelle parole. 
Davanti alla sua spropositata reazione, Matt inarcò un sopracciglio fino a farlo scomparire nella propria frangia. 
-Qualcosa mi dice che hai paura di considerare la possibilità che sia stato sincero con noi.- sentenziò, guardando fissa la Bennet che contrasse la mascella in uno spasmo di irritazione.
- Scusa tanto se mi rifiuto di credere alle favole su creature mostruose e sovrannaturali in combutta contro Mystic Falls partorite dalla mente di uno squilibrato. Checchè ne dica il fascinoso nipote di Rebekah, non mi sembra affatto che gli aggressori della Biblioteca avessero zanne e code pelose, o che possedessero qualsiasi cosa che potesse lontanamente farli assomigliare a dei lupi. L’unica cosa che so è che conoscevano Nick Mikaelson e che lui ha ammesso di avere delle faccende in sospeso con loro! Questo non lo rende un elemento molto raccomandabile, devi ammetterlo!- esclamò Sheila, con tono accusatorio. 
- Nick ha detto che sua madre (Hayley… si chiama così?) aveva insegnato loro a non trasformarsi dolorosamente e che, per gratitudine, credeva che loro avrebbero rispettato gli accordi, aiutandolo a scoprire la verità sulla sua scomparsa.- spiegò la bionda, visibilmente eccitata all’idea del misterioso racconto che non faceva che frullarle nella mente, ignorando la veemenza dell’amica. -… ma evidentemente non aveva considerato i rischi a cui l’illusione di ritrovare i suoi genitori avrebbero esposto te e Demetra. E’ così difficile da credere?- la sfidò infine.
- Estremamente.- confermò, cocciutamente, la mora, pur sentendo le proprie ragioni traballare segretamente sotto quelle argute considerazioni. -… se anche stessero così le cose e Nick avesse calcolato male la pericolosità dei suoi amici traditori… perché non è venuto ad impedire loro di farci a pezzi tra gli alberi?- 
- Forse lui non ha mai imparato a controllarsi, essendo cresciuto lontano dalla sua mamma.- bisbigliò Matt, meditabonda. -… forse si è trasformato nella notte ed è fuggito per non complicare ulteriormente la situazione! Così ogni cosa avrebbe un senso!!- 
- Perché è così importante, per te, dimostrare che le sue fantasie sono vere?- chiese Sheila, esasperata.
- Perchè c’è qualcosa di spaventoso che attende nel buio e la città sta cambiando attorno a noi, lo sai anche tu.- rispose Matt, improvvisamente seria. Si era arrestata sulla scalinata del cortile ed il sole le illuminava il viso rosso d’impeto. - Non sei scappata per caso nel cuore della notte per raggiungere Demi, senza che lei ti avesse avvisata dei suoi piani, seguendo una tua sensazione e fiutando un enorme pericolo nell’aria.- affermò, senza ombra di rimprovero ma con trasporto. – E, guarda un po'?, la notte in cui voi due siete state aggredite… era un plenilunio. Ed io avevo una febbre lacerante, improvvisa, che è passata il giorno dopo, magari a causa dell’orientamento della nuova fase lunare.- impedì a Sheila di interromperla con un cenno deciso e continuò, senza freni: - Ed è una coincidenza un tantino troppo assurda che un certo Damon Salvatore vissuto nel 1864 sia corso a salvarvi con la velocità e i riflessi di un fulmine, scomparendo nel nulla come un fantasma, non è vero?- Sheila aprì la bocca per ribattere ma fu costretta a richiuderla, senza trovare nulla da replicare in proposito. Matt aveva spietatamente dato voce a ogni sua preoccupazione, ad ogni timore che, con tanto impegno, aveva tentato di occultare sotto uno spesso velo di acido cinismo. 
E adesso?
- Non mi fido di Nick Mikaelson.- esalò la Bennet, con un fil di voce. 
- Nemmeno io.- chiarì l'altra, tristemente. - ma è l’unico che, fino ad ora, ha cercato di dare una spiegazione a tutte queste assurdità.- riflettè Matt, con le braccia incrociate sul petto. -… voglio saperne di più. Devo andare a fondo in questa storia e lo farò. Ne ho bisogno.- davanti alla sua caparbietà, Sheila sorrise mestamente e alzò le mani, in segno di resa. 
- D’accordo, va bene.- acconsentì, sospirando. Poi indicò qualcuno alle spalle della biondina, con una smorfia infastidita. -… eccolo lì, se proprio vuoi parlargli, il nostro Mannaro. Scommetto che muore dalla voglia di spiegarti i particolari più oscuri delle sue esoteriche leggende.- Nick Mikaelson, effettivamente, era intento ad ignorare le ragazze dai capelli splendenti e dai sorrisi d’avorio che gli passavano accanto nel cortile dell’Istituto e gli lanciavano degli sguardi infuocati e sensuali. Aveva lo sguardo fisso sull’erbetta smeraldina che danzava attorno alle sue scarpe scure, e aveva un’aria profondamente preoccupata ed infelice. -… io ti aspetterò a mensa, ok? Ho un certo languorino.- aggiunse Sheila, evasiva.
Matt inspirò profondamente, annuendo e accettando quella sorta di compromesso: la Bennet non l’avrebbe più giudicata per il fatto di prendere anche solo in considerazione delle verità così assurde, e la Lockwood avrebbe evitato di coinvolgerla nelle proprie indagini.  

Image and video hosting by TinyPic 
 
-Ti raggiungerò presto.- promise, dando un buffetto sulla spalla dell’amica, in segno di saluto. -… sai, ho quella che si dice ‘una fame da lupo’.- e sghignazzò apertamente, allontanandosi a grandi balzi per raggiungere il giovane Mikaelson. 
Sheila, incredula davanti a quell’ironica battuta, alzò gli occhi al cielo, come per invocare la propria pazienza, e voltò le spalle ai due, sparendo tra gli altri studenti. Nel profondo, sperava davvero che Nick desse a Matt delle risposte finalmente plausibili a tutte le loro domande ma non l’avrebbe mai ammesso, frenata da quello che sua madre aveva sempre definito ‘un dignitoso e caparbio orgoglio’… tipicamente Bennet.



***************************
Angolo dell'autrice :)
Mi scuso profondamente con tutti coloro che hanno avuto la dolcissima e solita cortesia di lasciarmi una recensione... risponderò a tutte al più presto, lo prometto! <3
Un bacione, vi adoro... alla prossimaaaaaaaaaaaaa! :*
P.S: Venite a trovarmi qui, se vi va ---> 
http://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Need - 2° parte ***


Nick Mikaelson, socchiudendo appena gli occhi a causa del sole accecante del mezzogiorno, guardò alcune giovani e formose cheerleader ammiccare nella sua direzione mentre gli passavano accanto nel cortile della scuola ma non ebbe il coraggio o la voglia di ricambiare le loro occhiate piene di malizia. Forse avrebbe semplicemente dovuto smetterla di pensare così ossessivamente all’unica ragazza che sembrava evitarlo come la peste, ma non ci riusciva e questo gli dava profondamente sui nervi. E, come se non bastasse, quello non sembrava essere il suo giorno fortunato…
-Ohhhh! Lupus in fabula...- una voce frizzante come il contenuto di una bottiglia di champagne si fece improvvisamente spazio nelle sue orecchie, mentre Nick ne cercava, un po’ spaesato, il possessore. Ammiccando e facendo cenno con una manina rosea, una ragazzina comparve nel suo campo visivo, vestita in modo buffo e sbarazzino, con i lunghissimi capelli biondi che le incorniciavano un viso bello, ridente e chiazzato qua e là da rosso imbarazzo. -… stavo cercando proprio te.- trillò la ragazza e Mikaelson, con un flash subitaneo, la riconobbe: era Matt Lockwood, lo scricciolo tutto pepe che girava sempre intorno a quell’antipatica di Sheila Bennet e… a Demi.
- Cosa vuoi, nanerottola bionda?- chiese Nick, guardando altrove con noncuranza, un po’ assorto ma con uno strano sorriso sulle labbra. Matt era più bassa di lui di almeno tutta la testa ma sembava una furia di decisione e caparbietà... e di certo voleva tutta la sua attenzione.

Image and video hosting by TinyPic

- Ouch.- ridacchiò lei, alzando le spalle con finto broncio. Sembrava abituata alle canzonature e, per questo, pericolosamente immune ad esse. - sei di buonumore, vedo, come al solito!- Nick, davanti a quelle ironiche parole, aggrottò un po’ la fronte, pensando a quanto vere fossero in realtà. Era diventato quasi l’ombra di se stesso, sempre sulla difensiva, sempre pronto a costruire un muro saldo e invalicabile tra sé e il mondo circostante. - Volevo solo dirti di non preoccuparti per lei… si è presa un giorno di pausa, oggi.- continuò Matt, candidamente, interrompendo bruscamente i pensieri del ragazzo.
- Lei chi, di grazia?- domandò Nick, distogliendo immediatamente lo sguardo dal cortile per posarlo sulla sua interlocutrice. Aveva delle guance vellutate che richiamavano quelle dei bambini, ma ancora più delicate,
- Oh, andiamo.- borbottò Matt, soave. -… sai benissimo di chi sto parlando.- Nick strinse i denti in una smorfia irritata, sentendosi estremamente vulnerabile: era così chiaro il fatto che stesse cercando, tra i gruppetti di studenti chiassosi in pausa pranzo, una ragazza pallida come la neve, dai capelli neri e dagli ipnotici occhi color del ghiaccio?
Fissando l’amica più socievole di Demetra, Nick si strinse nelle spalle, perplesso e a disagio, poi cedette.
-Demi… non sta bene?- chiese, cercando di non far trasparire la propria genuina curiosità. Aveva notato la sua assenza con grande preoccupazione dall’inizio della giornata e adesso aveva la propria occasione di scoprire la verità… come ignorarla?
- Diciamo che è ancora un po’ scossa.- replicò Matt, con un cipiglio assai soddisfatto. – Sai… è testarda, orgogliosa… credo che ti perdonerà tra un bel po’ di tempo ma che alla fine lo farà... puoi dormire sogni tranquilli.- Nick, suo malgrado, sentì un peso allontanarsi dal suo petto, permettendogli di respirare più serenamente. Demetra, durante la loro ultima discussione, inarcando le sue sopracciglia d’ebano in un’espressione di estremo sarcasmo, non aveva creduto, neppure per un istante, alla sua mostruosa e occulta versione dei fatti e la delusione covata nel fondo senza fine delle sue iridi cerulee lo aveva semplicemente travolto, inaspettatamente. Da quel momento, non aveva fatto altro che desiderare una speranza di riappacificazione, un nuovo inizio tra loro. Non sapeva spiegare perché ma, dal loro primo incontro in classe, Nick aveva saputo che la Salvatore era una ragazza differente, unica… pericolosamente speciale.
- Perché mi stai dicendo questo?- domandò lui, scrutando torvo la piccola Matt. Era impossibile che una creatura così divertente e svampita avesse scavato così a fondo ed insolentemente nelle sue preoccupazioni. - Cosa ti fa pensare che…-
- … che ti interessi?- continuò la bionda per lui, roteando gli occhioni con incredulità. - Santo cielo, vedo come la guardi. Non sono cieca e neppure lei lo è… non hai fatto che implorare il suo perdono, dopo la notte nella foresta… sai, per quanto io possa essere insignificante, ho assistito a quasi tutte le pietose scene di pedinamento fuori dalle aule. Detto fra noi, erano un vero spasso.- e, con grandissima impertinenza, giunse le mani sul petto, con un’espressione addolorata, imitando il comportamento di Nick delle ultime settimane: -… ti prego, Demetra.- piagnucolò, teatralmente. - devi ascoltarmi, devi conoscere la verità sulla tua famiglia…!-
Il giovane Mikaelson spalancò la bocca, scioccato, per la prima volta nella vita, forse, arrossendo furiosamente.
Matt urlava così forte che molte teste si voltarono i loro direzione, infastidite e ficcanaso.
- Ti scongiuro, una maledizione incombe su di noi… buhuuu!-
- Dacci un taglio.- ansimò, tuffandosi su di lei per impedire che continuasse con lo show.
Consapevole d’aver esagerato, Matt tentò una fuga scherzosa ma, goffa com’era, sentì immediatamente che il proprio corpo era immobilizzato da quello del ragazzo. Seminascosta in un cespuglio profumato, senza troppi rimorsi, ammise a se stessa di esserselo meritato. Così vicina a lui e finalmente zittita, riusciva a sentire un familiare odore di acqua di colonia e aromi che doveva aver sentito, qualche volta, addosso a suo padre, Tyler. Nick era attento a non lasciarla scappare fino a quando gli stormi di curiosi, attorno a loro, non si fossero dileguati e la trattenne per un istante di troppo, come era già accaduto quella volta in Biblioteca tra lui e Demetra. Notando il suo sguardo pensoso e distratto, sorridendo, Matt approfittò per liberarsi da quella presa con uno strattone, tenendo bene a mente l’unico scopo reale di quella richiesta di dialogo: la verità.
-Perché ti diverte così tanto prendermi in giro?- ringhiò Nick, lasciandola andare e continuando a guardarsi intorno per evitare di dare nell’occhio. -… in fin dei conti neppure mi conosci. Non sai niente di me.- aggiunse, con amarezza.
In realtà, neppure lui aveva un’idea chiara riguardo a se stesso.
- Sbagliato.- lo interruppe Matt, recuperando il fiato. La breve lotta per la libertà tra le braccia di Mikaelson le avevano messo addosso una carica di adrenalina sufficiente a radere al suolo mezza Mystic Falls. Dettagli. -… ho già indagato su di te. Diciamo…- si giustifcò, davanti alla sua confusione, con un pizzico di vergogna. -… che mi piace informarmi su chi gironzola attorno alle mie amiche… sai, per essere sicura della loro integrità morale e roba del genere. Ho paura che ti comporterai di nuovo da arrivistameschinosenzascrupoli con Demi e non posso permettere che si metta nuovamente nei guai a causa tua.-
- Che nana premurosa.– commentò sarcasticamente il giovane Nick, un po’ teso. – Ma chi ti dice che potrei essere ancora un danno per lei? Non avevo intenzione di farle del male… la situazione, quella notte, mi è solo sfuggita di mano.- quante volte aveva ripetuto, inascoltato, quella storia? -… non accadrà mai più.- sottolineò lui, quasi solenne.
- Certo… però sai come si dice, no?, il lupo perde il pelo ma non il vizio.- ghignò Matt, incrociando le braccia sul petto con aria giocosa. Nick trattenne un’imprecazione.
- Non è divertente.- sbottò, ma qualcosa dentro di lui ridacchiava per la perspicacia di quella battuta quantomai, seppur forse inconsapevolmente, adatta alla situazione.
- Per te.- lo punzecchiò Matt. La sua chioma fulva danzava nel vento leggero in modo piuttosto scomposto ma lei non se ne curò, lasciandola vagare libera sulla sua fronte e sulla schiena. - Comuque, come dicevo, so molte cose su di te.- ripetè la bionda, intenta a catturare l’attenzione assoluta di Mikaelson.
- Ad esempio?- la sfidò Nick, scettico.
- So che non sopporti tua zia Rebekah e… bingo, siamo in due.- rispose lei, con orgoglio, provocando in Nick un nuovo eccesso di silenziose risate misto a sorpresa. - Però so che vivi infelicemente con lei da diversi anni…- continuò la ragazza, sforzando, tra il serio e il faceto, la propria memoria come se stesse riepilogando le cose da comprare in un supermercato dopo aver smarrito la lista della spesa. Nick aggrottò le sopracciglia, poi si affrettò a replicare:
- Bekah è la mia tutrice da quando i miei genitori…-
- Sono scomparsi, lo so.- Matt lo guardò attentamente, senza più traccia di derisione. Sembrava appena uscita da un libro di fiabe… qualcosa tipo ‘Riccioli d’oro e i tre orsi’... una delle favole che Nick preferiva in assoluto, da bambino.Elijah era solito raccontargliele, con il librone in bilico sulle ginocchia, proprio accanto al focolare, mentre Hayley lo cullava tra le braccia fino a farlo addormentare, con una ciocca dei suoi fluenti e lunghi capelli scuri ben stretta tra le dita paffute. – Te l’ho detto, conosco abbastanza la tua storia.- disse Matt, notando lo sguardo momentaneamente assente del ragazzo. Qualcosa doveva averlo turbato ma non era il momento di distrarsi dall’obbiettivo. - E’ per questo che ti credo.-
Quella frase aleggiò tra loro come una brezza primaverile, scaldandoli. Nick sollevò gli occhi neri senza sfumature fino ad incontrare quelli limpidi e sinceri della Lockwood. Lei sostenne il suo sguardo, annuendo per confermare.
- Come hai detto?- chiese Nick, con la voce un po’ roca e incerta.
- Ti credo.- mormorò Matt, ancora, con la stessa intensità e sicurezza di poco prima.

***

Bonnie ed Elena raggiunsero il cimitero di Mystic Falls a bordo di un’automobile piuttosto ammaccata ma silenziosa, mentre la radio canticchiava sommessamente, per distrarle, una canzone anni ’70 piuttosto rauca e Bonnie teneva il tempo battendo ritmicamente le dita sul volante malconcio. Il vento insolito e progressivamente freddo sferzava attorno all’abitacolo, mandandolo quasi fuori strada, costringendo le due ad avanzare con estrema lentezza fino ai cancelli di pietra e metallo del cimitero. Mentre si accostavano al bordo della strada e la Bennet spegneva cautamente il motore, ponendo fine al leggero e stentato ronzìo che esso provocava, le chiome smeraldine dei cipressi circostanti furono frustate dall’aria impetuosa ed Elena rimase a guardarle mentre danzavano furiosamente, affascinata.
-Sei proprio sicura di voler dare un’occhiata lì dentro?- chiese Bonnie, inarcando un sopracciglio e guardando la propria amica mentre si tormentava le mani in grembo. Aveva sistemato i propri capelli sotto un elegante foulard, affidando ad un paio di ingombranti occhiali scuri il compito di coprirle la parte superiore del viso. Doveva aver frugato molto nel proprio armadio prima di trovare qualcosa di adatto da indossare eppure Stefan non aveva notato nulla di sospetto nel suo comportamento… l’aveva lasciata andare, come sempre, fine della storia. -… magari le nostre supposizioni sono sbagliate e Demi era solo scioccata, nella foresta. Nella migliore delle ipotesi, Damon potrebbe essere in un’isola dei Caraibi a sorseggiare piña colada.- Elena scrollò le spalle, coperte da una giacca dal taglio prezioso, in un gesto eloquente, poi abbassò e tolse gli occhiali per permettere ai propri occhi di incrociare quelli sarcastici di Bonnie, fissandoli intensamente.
Lo sconforto era, all’erta, in fondo alle sue pupille, pronto a prendere il sopravvento sulla speranza, ma una parte di lei era troppo decisa e coraggiosa per dare ascolto a quell’invevitabile angoscia.

Image and video hosting by TinyPic

-Devo provarci.- mormorò Elena, provando un leggero senso d’oppressione al petto. -… voglio farlo.- aggiuse, con maggiore enfasi, slacciando la propria cintura di sicurezza con un movimento fluido e rapido. - Dopo tutto quello che è accaduto… tentare di trovarlo è il minimo che io possa fare. Dopo quasi vent’anni, questa è forse la prima volta in cui siamo così vicine a lui… se non scendo da questa macchina adesso… lo rimpiangerò per sempre.- Bonnie rimase immbole al suo posto, osservandola con aria assorta, come in meditazione: dalla notte dell’agguato teso alle ragazze e dal momento del compimento della sua trasformazione, Elena aveva assunto nell’atteggiamento qualcosa di profondamente diverso, profondo, sconosciuto ed ombroso. Sembrava che perfino la sua pelle chiara fosse irradiata da qualcosa di più splendente dei semplici raggi del sole diurno, che le sue guance fossero ancora più fini e pallide, che il suo sorriso ed il suo broncio fossero, se possibile, ancora più pronti del solito a fare fulmineamente capolino tra le sue labbra simili a petali di rose rosse.
I suoi occhi, da giorni, non erano più remissivi o ingenui ma, al contrario, risplendevano di fiamma vivissima e ardente e questo non poteva essere dovuto solo al ritorno dell’antico vampirismo. Qualcosa aveva riacceso in lei la curiosità, soffiando sulla cenere sopita della sua anima la scintilla di una nuova, incendiaria consapevolezza: il ritorno di Damon a Mystic Falls.
- Sai… non sono più entrata in questo cimitero.- confessò d’un tratto Bonnie, con la voce intrisa di antica amarezza mista a riluttanza. -… non riesco a metterci piede, dopo quella notte orribile.- Elena comprese immediatamente a quale occasione la sua migliore amica stesse facendo riferimento e rabbrividì bruscamente, annuendo tra sé. Neppure lei aveva frequentato spesso quell’ambiente tetro e triste, negli ultimi sedici anni, e si era limitata a delle visite saltuarie, brevi e concitate alle tombe dei propri parenti. Non aveva mai portato Demi con sé, durante quelle lugubri passeggiate, nell’istinto materno di tenerla lontana da qualsiasi verità. Una smorfia di tristezza increspò la bocca della Gilbert, mentre pensava a quanto vani fossero stati i propri ostinati tentativi di tenere sua figlia lontana dal suo passato. Una vita normale e serena per loro, evidentemente, non era ancora possibile.
- Lo so, Bonnie, so bene cosa significa per te… per tutti noi.- sussurrò, guardandola con cupa sincerità ed un pizzico di tenerezza nello sguardo. – è per questo che non voglio costringerti a venire con me.-
- Ma non puoi andarci da sola.- protestò la Bennet, con gli occhi scuri sconvolti dal tormento e luccicanti di lacrime e ricordi. -… come potrei lasciarti…-
- Puoi restare qui e controllare la situazione da lontano.- mormorò Elena, con veemenza. - Andrà tutto bene e tornerò da te tra un istante, te lo prometto. Nessuno sa che siamo qui, neppure Stefan o Rebkeah… sarò al sicuro e troverò Damon immediatamente.- l’idea suggerita da quella frase le diede un senso di profondo sollievo ma il calore che irradiò la sua speranza non convinse del tutto Bonnie, che continuava a scuotere la testa. Elena le afferrò una mano e la sentì straordinariamente calda contro il proprio palmo gelido e fece attenzione a non farle male, mentre la stringeva con fervore. -… e se qualcosa dovesse andare storto… tu lo 'saprai'.- le ricordò, con slancio.
Finalmente, ricordando la nuova potenza magica che scorreva, dopo tutti quegli anni di silenzio, nelle proprie vene, Bonnie acconsentì.
-D’accordo.- esalò, lasciando andare la sua mano. -… ma fai in fretta.-
- Sta’ attenta ai corvi.- sussurrò Elena a mo’ di saluto, con un mezzo sorriso, prima di aprire lo sportello e scendere dall’auto, sotto gli occhi perplessi della strega. Il vento ghiacciato sferzò il foulard di Elena, strappandolo quasi istantaneamente via dai suoi capelli e facendoli turbinare attorno al suo viso, e frustò con violenza le sue guance intorpidite mentre lei affondava le scarpe nell’erbetta del cimitero, un passo alla volta, avanzando a fatica. La cosa assurda era che il sole rifulgeva nell’azzurro più limpido, brillante come un diamante incandescente, nonostante il freddo e la bufera facessero immaginare la presenza di un cielo gricio e vitreo appena sopra di lei. Quel vento implacabile doveva essere l’oscura manifestazione di qualche potere sconosciuto, forse di un pericolo incombente. Elena, senza darci troppo peso, tentò di non barcollare goffamente e di non rivolgere la propria attenzione sulle file di lapidi di granito che si stagliavano, funeste, tutt’intorno a sé. Il dolore della perdita, l’ansia e l’eventualità scottante della delusione imminente, le bruciarono dentro, spingendola a procedere in falcate sempre più ampie e rabbiose, caparbie.
''Damon è qui.'' Si ripeteva, per darsi la forza di continuare. ''E tu lo troverai perché… ne hai bisogno.''

***

-Siamo arrivati a destinazione.- Stefan, raggiante di buonumore, parcheggiò la propria automobile lucidissima nel giardino della Casa sul Lago e Demi, che aveva sempre adorato dal profondo quel loro rifugio personale, respirò a pieni polmoni l’aria pulita e profumata dell’ambiente circostante, sentendone la carezza sulla pelle.
Quella rustica ma adorabile abitazione, i Salvatore l’avevano ereditata dai genitori di Elena, Grayson e Miranda Gilbert, i quali avevano vissuto molti splendidi momenti tra quelle mura, come una vera famiglia.
Lo zio Jeremy raccontava spesso storie stravaganti su quella casa e sui nascondigli segreti che essa nascondeva ma non aveva mai avuto il piacere di una conferma al riguardo da parte di Elena, la quale era sempre stata molto più restìa del fratello a parlare di mere questioni di famiglia. La porta della costruzione in legno finissimo e pregiato era di un bel colore caldo, rassicurante, ed il batacchio di metallo prezioso aveva una bizzarra forma che richiamava lo stemma inciso sull’anello blu che Demetra aveva da poco ricevuto in dono. -… potresti portarci qui i tuoi amici, qualche volta.- sorrise Stefan, girando risolutamente la chiave nella serratura e aprendo, senza un rumore, la porta d’ingresso.
- Matt e Sheila ci sono già state un milione di volte.- gli ricordò Demetra, un po’ sorpresa, facendo scattare l’interruttore sulla parete destra e accendendo la luce nel salone: il lampadario intarsiato sospeso sopra le proprie teste illuminò la bellezza di un soggiorno accogliente, tranquillo e comodo, proprio come la ragazza lo ricordava. Lei e i suoi genitori avevano trascorso estati molto felici lì, in completa armonia, prima che una certa verità celata si insinuasse tra loro, offuscando quella fiduciosa felicità. Ripensò con nostalgia ai momenti della propria infanzia, con una morsa allo stomaco: suo padre seduto con lei sulle gambe, che le insegnava a tenere la penna ben salda tra le dita e a scarabocchiare le prime parole sulla carta di un diario; sua madre che, sorridente, la invitava ad apparecchiare tavola, come divertita punizione, dopo averla scoperta ad imbrattare il vestitino nuovo rotolando tra i cespugli del rigoglioso giardino.
- Non mi riferivo a loro due, in effetti.- le disse Stefan, riportandola alla realtà, con una certa aria sorniona quanto rara.
- E a chi, allora?- domandò Demetra, insospettita, affilando lo sguardo ceruleo per cogliere ogni sfumatura del tono del padre.
- Beh…- borbottò Stefan, con un sorriso scherzoso. -… ho sentito Caroline di recente e lei mi ha confidato che Matt dice di averti visto parlare animatamente e spesso con un ragazzo bruno di bell’aspetto, all’uscita da scuola. Ho pensato che fosse un tuo nuovo amico.- spiegò, guardandola compiaciuto arrossire all’istante fino alla punta delle orecchie e fingendo noncuranza allo stesso tempo. Demi aprì la bocca per ribattere ma la richiuse, sentendo pulsare il sangue nelle proprie vene fino ad affiorare irrimediabilmente sulla sua faccia imbarazzata, infuocandola.
-E’… un compagno di classe.- farfugliò, prendendo nota mentalmente di prendere a calci nel sedere Matt per quell’alto tradimento. Parlare di Nick Mikaelson con la migliore amica di suo padre? Dannata ingenuità.
- Ed è carino?- indagò Stefan, continuando a ghignare mentre si facevano spazio nel corridoio di casa, dirigendosi in cucina.
- E’ un idiota.- affermò Demi, decisamente deliziata da quella definizione appena uscita dalle sue labbra, puntando fiduciosamente la svolta verso la veranda, dove avrebbe potuto posare lo zainetto di oggetti inseparabili che aveva portato con sé e recuperare l’occorrente per sistemare la tavola ma, prima che potesse scomparire nell’ombra, Stefan trattenne una piccola risata e alzò le spalle, consapevole.
- Ohh… allora è carino.-
Demi girò con esasperazione la maniglia d’ottone ed uscì sul porticato inondato di sole, sentendosi ribollire sulle guance mille sensazioni contrastanti: erano passati giorni interi ed interminabili dalla notte in Biblioteca e, nonstante tutti i suoi sforzi, la ragazza non era ancora riuscita a togliersi dalla testa il giovane nipote di Rebekah. Lui sembrava essere impresso, come un marchio rovente, in ogni suo pensiero, in ogni suo gesto, come un’ombra di cui non riusciva a liberarsi.
Mentre sistemava la tovaglia a fiori su un piccolo tavolo rotondo, Demetra ripensò all’ultima discussione che avevano avuto nel corridoio di letteratura inglese, quando lei non aveva avuto il coraggio di guardarlo negli occhi neri e senza fine per un istante di più ed era fuggita fuori dalla sua portata, lontana da quelle parole che, intimamente, l’avevano profondamente turbata, costringendola a rivivere, attimo dopo attimo, gli istanti di quella sconvolgente conversazione.


- Loro facevano parte del mio branco.-
- Andiamo! Del tuo… branco?!-
- Si… loro appartengono, in qualche strano e assurdo modo, alla mia famiglia.-
-Perfetto! Dunque adesso possiamo aggiungere quei balordi all’elenco dei tuoi familiari che mi odiano?-
- Ascolta! Io non ti odio… credevo che saresti stata al sicuro, che si sarebbero presi cura di te fino a quando io…-
- Stai scherzando, vero? Li hai mai visti in faccia, quei tipi, prima di fare combutta con loro? Ci mancava solo che indossassero una maglia fosforescente con la scritta SERIAL KILLER sulla schiena ed il gioco era finito!-
- Sono stato un ingenuo! Non credevo che avrebbero mentito proprio a me, il figlio della loro guida e mentore, ma evidentemente l’hanno fatto. Non capisci? Se mi hanno ingannato… è stato solo per arrivare a te! Credo che si sentano minacciati da Rebekah... se tu fossi morta quella notte secondo i loro progetti, probabilmente lei non avrebbe potuto realizzare il suo piano… -
- Il suo piano? Cosa diavolo sarebbe il suo PIANO?!-
- Lei vuole te. Tu sei la chiave di tutto!-
- Stai delirando o cosa…?-
- Lei vuole compiere la sua vendetta ma dovevo capire cosa avesse in mente prima di poterti spiegare, proteggere…-
- Non voglio la tua protezione!-
- Ma ne hai bisogno!-
- Perché ti sei fidato così ciecamente di loro? Non riesco proprio a spiegarmelo.-
- Perché credevo che mi avrebbero aiutato… mia madre era come loro. Come me.-
- E cosa saresti, tu?-
- Io... sono un licantropo.-


Demi cercò di rallentare il battito frenetico del proprio cuore mentre riportava alla mente la drammatica serietà con cui quelle parole erano venute fuori dalla bocca di Mikaelson. Pazzo oppure no… era davvero fermamente certo della propria idea della realtà. Mentre Stefan faceva sfrigolare nella padella, in cucina, le uova per le frittelle allo sciroppo fruttato, Demi sentì l’odore del cibo mescolarsi a quello dell’aria lacustre, e, inaspettatamente sentì il proprio stomaco ribellarsi dalla nausea.

-No... tu sei fuori di testa!-
-Ti assicuro che è così… ogni cosa che conosci, ogni persona in questa città maledetta… nasconde un segreto terribile. E’ per questo che non ti senti più al sicuro neppure tra le mura di casa, è per questo che sei venuta da me, a mezzanotte, in cerca di risposte… tu sai che qualcosa è cambiato, non puoi continuare a negarlo!-
- Stai dicendo che anche la mia famiglia sarebbe coinvolta in questa follia?-
- Certo che lo è! Fino al suo ultimo membro, compreso quel Damon Salvatore.-
- Smettila, non voglio più sentire le tue idiozie... lasciami, lasciami in pace!-


-Tesoro… va tutto bene?- Demi si era appoggiata al legno del tavolo, mentre il mondo ruotava caoticamente attorno a lei senza che potesse fare nulla per impedirlo. Le posate che stava distribuendo accanto ai piatti in porcellana, squisitamente decorati, le scivolarono dalle dita per precipitare sul pavimento, con un tonfo sordo che rimbombò in tutta la stanza.
Stefan si affacciò dalla cucina e notò che la ragazza era pallida come un lenzuolo e non perfettamente stabile sulle proprie gambie. Ogni traccia di serentià era sparita dai suoi lineamenti, sostituita da un profondo rammarico.
L’uomo si precipitò a sostenerla, terrorizzato, guardandola con estrema preoccupazione stampata sul volto.
- Va tutto bene, papà… ero solo un po’ sovrappensiero.- sussurrò Demetra, sentendo un lieve dolore sul palmo della mano sinistra. -… ahi.- si lamentò appena lei, cercando di tamponare un taglio provocanto dallo stesso coltello da portata che le era appena sfuggito dalla presa. Doveva essersi procurata un graffio piuttosto profondo, dato che qualcosa di rosso e scuro già gocciolava giù dalla sua pelle lacerata, macchiando la stoffa a fiori variopinti.

Sangue.
 

Image and video hosting by TinyPic
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** La nebbia ***


>> Un tempo mi mancava la vita da umano. Ora non riesco a immaginare niente di più miserabile al mondo. Questo non sono io, Elena… questo è Stefan. <<
 
Le gambe di Elena, bellissime e strette in dei pantaloni piuttosto aderenti, erano più ferme e decise, nonostante il vento impetuoso ed implacabile soffiasse ancora tutt’intorno a lei, sferzandole i capelli e pungendole viso contratto dallo sforzo di mantenere l’equilibrio durante la marcia. I suoi occhi vagavano febbrili tra le file di lapidi modellate in spoglio granito e tra gli alberi dalla sfavillante chioma smeraldina posti al margine di quel cimitero tenebroso, alla disperata ricerca di qualcosa, di qualcuno. Il suo cuore, impazzito e rovente all’interno del petto ansimante, batteva come un tamburo e le rimbombava nelle orecchie, rese quasi sorde dal progressivo frastuono di fruscii, ululati e vibrazioni prodotti dall’aria tempestosa eppure fulgida del mezzogiorno.
Nulla l’avrebbe fermata, stavolta, neppure quel dannato luogo denso di perdita e dolore, quel cimitero che sembrava pervaso da una rabbia cieca e silente, pronta a travolgerla nel tentativo di scacciarla via, di impedirle di raggiungere la tanto ambita meta.
La sua mente, più aperta e sensibile del solito, potenziata soprattutto dallo spirito vampiro che di nuovo vi aleggiava come un’ombra ed un presentimento, lavorava frenetica lottando tra i ricordi, nella speranza di non rimanerne avviluppata e sconfitta, come era accaduto sedici anni prima, quando Damon era semplicemente... scomparso.
Era accaduto in un giorno qualunque, senza che lei potesse impedirlo, lui era sparito dalla città senza lasciare un biglietto o dirle addio, ed era stato inghiottito da un’oscurità muta e senza ritorno, lasciandola stravolta e lacerata tra i dubbi, la tristezza ed i dilanianti sensi di colpa. La guerra per ottenere la Cura era finalmente terminata, trascinando via con sé orrori e delitti della peggior specie, ma non ci sarebbe stato un nuovo inizio radioso e pieno di speranze, non per Elena, non così.
Pur essendo tornata umana e avendo riacquistato completamente tutto ciò per cui aveva lottato con tanta sofferenza, il futuro le era apparso all’improvviso un universo perfettamente estraneo, destinato all’infelicità e all’incompiutezza.
 
Ho perso così tante persone che amavo… e, se scelgo uno di voi, allora perderò l’altro.
 
Ed, evidentemente, così era stato. Elena aveva perso Damon, definitavamente, e la sua partenza da Mystic Falls era stata un colpo troppo duro da affrontare con le sue sole forze, troppo crudele da accettare senza batter ciglio. Profondamente colpevole, la ragazza era rifiutata di mangiare regolarmente, di dormire o di parlare per settimane, mostrandosi come il bieco, pallido e inconsistente fantasma di se stessa. Stefan, con il suo amore incondizionato e tenero, puro, come l’acqua sorgente da una fonte adamantina, ed i suoi amici di sempre, pur addolorati e disorientati dagli eventi, le erano rimasti valorosamete accanto per tutto il tempo, cercando di consolarla, di riportarla alla vita... invano.
A darle la forza di tornare a sorridere era stato un evento del tutto inaspettato...
 
-Elena…- aveva sussurrato Stefan con un tono mite e un po’ incerto. La ragazza se ne stava seduta su uno scomodo letto del Mystic Falls’ Hospital, le coperte tirate fino a metà del busto immobile e gli occhi castani vuoti e sbarrati che fissavano un punto invisibile e imprecisabile davanti a loro. I capelli le ricadevano in ciocche flosce e stoppose intorno al volto smagrito e sembravano secchi, opachi, senza un minimo di quella lucentezza fiammante che li aveva sempre caratterizzati.
– Elena, lo so che mi stai ascoltando. Non puoi farmi questo.- aveva continuato lui, allungando una mano tiepida e umana per toccare quelle della giovane, intrecciate e abbandonate sul proprio ventre. Al suo tocco gentile, lei era stata percorsa da un brivido innaturale e, agli angoli degli occhi vitrei, erano spuntate delle lacrime piccole, perlacee e tremule.
- Damon non tornerà.- aveva mormorato Stefan, con voce rotta, prendendo un fazzoletto dal mobiletto impolverato e asciugandole le guance pallide che erano adesso inondate di pianto silenzioso. Elena aveva battuto le palpebre ed altre lacrime si era addossate sulla sua pelle tirata. Stefan le aveva tamponate tutte con la stoffa delicata, raccogliendole e lavandole via con dolcezza. Stefan, con la sua calma proverbiale ma incrinata dal dispiacere, aveva saputo fin dal primo istante, pur cercando di negare la verità a se stesso, che Elena non avrebbe retto a quella notizia. I destini di Damon ed Elena erano stati incrociati da sempre, saldamente uniti tra loro da qualcosa che andava oltre la comprensione, ed ora erano stati recisi, entrambi, con un taglio netto e inesorabile. -… devi lasciarlo andare.- Un piccolo singhiozzo era esploso sulle labbra serrate di lei e si era confuso, tetro, con un lieve bussare alla porta.
Meredith Fell era comparsa timidamente sulla soglia, con un sorriso che sapeva di affetto e di sorpresa.
-Ho una notizia per voi.- aveva annunciato, dondolandosi sul posto come un po’ in imbarazzo, in attesa della loro completa attenzione. E alla fine anche Elena, a quelle parole, aveva alzato uno sguardo devastato, senza pronunciare una parola ma con un pizzico di curiosità mista a disappunto nel fondo delle pupille arrosate.
Celata tra quelle cartelle e quei fogli ordinati che il medico teneva ben saldi tra le dita c’era…

 
La notizia della gravidanza era stata un miracolo per Elena, un sorso d’acqua dopo mesi di cieco pellegrinaggio nel deserto, un fiore che mostra i propri petali variopinti contro ogni avversità, portando repentinamente alla memoria, con la propria bellezza, la meraviglia dell’esistenza umana. Ed Elena aveva abbracciato Stefan, con slancio, su quel materasso bianco latte e in quell’odore aspro tipicamente ospedaliero, rifugiandosi contro il suo petto profumato di casa e sicurezze, lasciandosi stringere con la sensazione che una gioia nuova, intensa, le avrebbe presto pervaso l’anima, riscaldandola come un raggio di sole fa con la neve più candida. E la giovane Gilbert aveva ricominciato a respirare a pieni polmoni nella brezza delle serate in veranda, al pensionato dei Salvatore, guardando le stelle e riflettendo, rapita, su quanto potessero essere luminose e lontane, nella volta di quel blu così assoluto, eppure, in qualche modo, sempre presenti, immutabili. E l’inverno con la sua mortale e fredda indifferenza e con le sue soffocanti responsabilità era stato spazzato via da un nuovo giorno quando, rosea come una pesca e tremula come una gemmea foglia scossa dal fecondo vento della primavera, Demetra era venuta al mondo, sorridendole, appartenendole. Elena era sbocciata alla vita con il suo pianto e le sue carezze, costruendo attorno alla bambina un mondo di tenera dolcezza, un pianeta protetto e inviolabile, dove, assieme a Stefan, avrebbe pazientemente impedito al dolore e alla violenza del passato di fare breccia. Eppure aveva fallito… non si poteva sfuggire alla verità. Tutto ciò che aveva allontanato e temuto per sedici lunghi e gloriosi anni… era tornato a perseguitarla, pericolosamente, impietosamente, portando con sé il ricordo mai davvero sepolto dell’unico volto che, sopito sotto enormi strati di nostalgia e dolore, avrebbe voluto vedere ancora.
-Damon!- il clima frusciante del cimitero fu squarciato da un grido intenso che fronteggiò l’urlo del vento fino a dissolversi tutt’intorno, tra le querce ed i cipressi dai tronchi purpurei, nel suolo livido, tra i suoi stessi capelli turbinanti nell’aria, tra le pieghe dei suoi abiti semplici e ondeggianti. – Damon!- non aveva pronunciato quel nome per anni e, adesso, le bruciava sulle labbra come sale su delle ferite mai rimarginate del tutto. Era lo stesso nome con cui Rebekah aveva chiamato Demi, il primo giorno di scuola, dando inizio a quell’uragano di emozioni e rimembranze che l’aveva condotta fin là. Una manciata di foglie secche le sfiorò la spalla, volteggiando a mezz’aria, ed Elena si voltò, senza vedere nessuna figura umana nelle vicinanze, senza sentire il minimo suono che ricordasse dei passi o simili movimenti. Il mondo sembrò essersi restrinto attorno a lei, angosciandola. Forse si era sbagliata, dopo tutto. Forse Damon non era lì e non era affatto tornato in città. Forse era solo il frutto di una suggestione di Demetra, un sogno ad occhi aperti, una realtà troppo straordinaria per essere effettivamente veritiera. Elena sentì la bocca dello stomaco ardere di acre frustrazione mentre la delusione le si infrangeva addosso come un’onda anomala, sommergendo ogni sua speranza e riempiendola di una lugubre consapevolezza… - Damon…- sussurrò per l’ultima volta, con voce fievole e rotta come dal pianto, con la vista che le si annebbiava fulmineamente di lacrime e puro sconforto.
Stavolta sentì qualcosa risuonare in risposta, come un frullo d’ali ed un verso gracchiante nella nebbia familiare, densa ed improvvisa, poi si accorse che il vento era di colpo cessato attorno a sé, come se ogni cosa fosse stata inghiottita da una sola presenza, non palpabile ma chiaramente vicina.
Vicina.
Elena si voltò di scatto ed la sua chioma bruna e setosa si mosse con lei, come danzando.
Qualcuno era proprio dietro di lei, statuario ed in piedi, e la osservava con la testa leggermente piegata di lato, come un bambino che ha voglia di scoprire una verità nascosta e attende, senza fretta o impazienza, la rivelazione. Era vestito di nero, stivali neri, jeans scuri e giacca di pelle lucidissima appena aperta sul petto, a lasciar intravedere una camicia color petrolio dal colletto alto appena visibile. Somigliava a Stefan ma aveva un volto dall’incarnato più pallido, i capelli corvini, la mascella meno pronunciata, la bocca rosea scolpita in una smorfia quasi perennemente beffarda. Come un’ombra o uno spirito, sembrava perfettamente immobile, non respirava neppure. Elena battè le palpebre e sentì il cuore rigonfiarsi di sollievo e vulnerabilità quando si accorse che no, non era un’illusione. Gli occhi azzurri di Damon Salvatore, stretti quasi in due fessure attente e vigili, splendenti come lapislazzuli dietro le ciglia, riempivano il suo campo visivo, mentre lui la osservava e, strabiliato, prendeva improvvisamente coscienza della situazione.
- Sei qui.- disse Elena, avanzando d’un passo barcollante e sfiorando con la stoffa dei propri abiti una pietra tombale non troppo lontana. -… sei tornato.-
 
***
 
POV Elena
 
- ... sei tornato.- sussurrai, con il respiro che mi si spezzava fragorosamente in gola. Non era una domanda. Le spalle di Damon si strinsero d'un tratto, come se all'improvviso avesse freddo. Non ce la faceva neppure ad annuire, a venirmi incontro, ad aprir bocca, stordito com’era. Rimase lì, intenso e concentrato, senza smettere di fissarmi neppure per un istante. Mi ricordava un lui molto diverso da quello che avevo, a mio tempo, imparato ad amare e adesso, dietro quel mezzo sorriso apparentemente spensierato, riuscivo a percepire, chiaramente, la presenza del più acuto ed indicibile dolore.
Una sofferenza ben nascosta, proprio come quella che avevo celato sotto le apparenze per sedici anni: la nostalgia.
- Si.- mormorò lui infine, quasi senza muovere le labbra. D’un tratto, però, un ghigno illuminò il suo volto avvenente, come una fiaccola accesa all’improvviso in una camera buia ricca di segreti avvolti nel più tenebroso mistero. -… ciao, raggio di sole.- disse, e per un momento riuscii a scorgere un tormento ed un desiderio antichi come il mondo fondersi nel ghiaccio tanto familiare dei suoi occhi.
Mi sentii piccola e indifesa, così in balìa di mille e contrastanti sensazioni e, divorando a grandi passi la strada che ci separava, mi avvicinai a lui con trasporto ed irruenza, contro ogni logica, allungando freneticamente le braccia per stringerlo a me, per sentirlo vivo e fremente, reale, contro il mio corpo intirizzito dal gelo e dalla tensione emotiva.
Mi accolse senza una parola, come se fossi io ad aver bisogno di conforto, come se non fosse lui quello scioccato, divertito e confuso dalla mia presenza lì, in quel momento. Possibile che stesse accadendo tutto nella realtà?
Che riuscissi a percepire ogni frammento delle nostre anime lacerate cercarsi, trovando finalmente pace l’una nell’altra?
-Ti ho trovato…- mi nascosi irragionevolmente nell'incavo del suo collo, tiepido, morbido, profumato, e affondai le dita nei suoi capelli neri d'inchiostro, accarezzandoli. Premetti la guancia contro la sua camicia ruvida, bagnandola con le mie lacrime bollenti e perlacee, simili alle gocce di rugiada che pendevano dai fiori appassiti attorno a noi.

Image and video hosting by TinyPic

Damon mi tenne stretta a sé, sorridendo, sornione.
- Sai, qualcuno dovrebbe suonare un violino da qualche parte...- mormorò, con una certa convinzione, senza staccarsi da me, anche perché forse non l’avrei lasciato andare. -... è una situazione commovente, davvero, forse dovrei cantare qualcosa.- e scansò con facilità il mio tentativo di pestargli un piede per protesta, cingendomi con la stessa delicatezza di poco prima.
Rimasi rigida ancora per un istante, contrariata, poi tornai ad abbandonarmi tra le sue braccia, inspirando profondamente l'odore della pelle nera della sua giacca.
- Bentornato a casa.- sussurrai, piano, a lui come a me stessa. Damon appoggiò il mento sulla mia testa, coccolandomi appena, mentre inspirava profondamente e cercava sulla lingua delle parole da pronunciare, dei pensieri da esprimere, delle nuove bugie da raccontarsi. Mi allontanai appena da lui dopo quella che mi parve un’eternità di sole e lo guardai dritto negli occhi, mentre Damon faceva balenare un altro dei propri fulgidi sorrisi e mi sfiorava le guance bagnate con le dita, pensoso.
- Sei esattamente come ti ricordavo.- osservò e non riuscii a non notare la gioia malcelata di quelle parole. -… il tempo non ha sbiadito la tua bellezza, Elena... e non ha neppure piegato la tua determinazione.- si interruppe teatralmente, scuotendo appena il capo. -… che cosa ci fai qui?- mi interrogò, improvvisamente serio. Anche se scomparso dalla sua bocca, tuttavia, qualche impronta del suo sorriso rimase nelle sue iridi cerulee e, improvvisamente, ciò mi fece tornare alla mente la principale ragione di quella visita al cimitero.
- Lo sai perché sono venuta.- dissi, serrando appena i pugni e percependo l’anello da vampira e la fede nuziale premermi contro la pelle. -… tu hai salvato la vita di Demi.- Damon aggrottò le sopracciglia scure, sinceramente stupito.
 
***
 
Stefan vide le gocce rosso rubino colare dal palmo della mano di Demetra ed il mondo sembrò essere congelato e sospeso, come sull’orlo di un precipizio, pronto a crollare e ad infrangersi in mille pezzi. D’istinto, diede le spalle a quella visione e trattenne bruscamente il respiro davanti a quell’odore di sangue così squisitamente e oscenamente delizioso, inumidendosi le labbra improvvisamente secche e riarse come la sabbia cotta dal sole.
-E’ solo uno stupido taglio…- si schernì sottovoce Demi, guardando con lieve cruccio alla propria insolita goffaggine e cercando un fazzoletto con cui tamponare la ferita. Stefan si sfiorò le palpebre con le dita tremanti, nel tentativo di impedire loro di assumere una sfumatura nera e pericolosa, ma non riuscì comunque ad impedire alle sue pupille di dilatarsi enormemente, riuscendo a cogliere sfumature e dettagli dell’ambiente circostante che sarebbero state insignificanti se solo fossero state osservate da un comune occhio umano. -… papà… va tutto bene?- chiese una voce che doveva essere di nuovo quella di Demi, ma che alle orecchie ronzanti e sorde di Stefan suonò atona e remota. Lui sentì le proprie ginocchia cedere quasi sotto il peso del disgusto verso quella parte di sé che, senza pietà, era estremamente, fatalmente… assetata. Quando una piccola manodalla pelle bianca ancora intatta si posò sul suo braccio in un gesto di affettuoso sostegno, l’uomo notò quanto fosse invitante il sottile tracciato turchino delle vene ricamate su di essa e pecepì i propri canini affilarsi e allungarsi, mentre la sua mente non riusciva più a ragionare lucidamente.
Non ricordava minimamente dove fosse, perché fosse andato in quel luogo confortevole così estraneo alla sua vera natura o perfino quale fosse il motivo per il quale doveva sforzarsi di non scoprire i denti in un’espressione così crudele, predatrice, avida come l’istinto gli suggeriva. La sua testa era un sibilo continuo e tremulo, confuso, ma il suo corpo sapeva fin troppo bene cosa fare.
Lo scatto felino che portò Stefan a mostrare il proprio volto trasfigurato a Demetra fu accompagnato da un ringhio feroce, come di una belva affamata, pronta ad attaccare, con i muscoli tesi e doloranti nell’attesa.
Era pronto.
Il viso delicato e grazioso di Demetra cambiò repentinamente espressione e l’uomo vide il suo breve sorriso scomparire di colpo, sostituito da una smorfia di stupore misto a tremendo spavento. I suoi occhi azzurri si spalancarono e luccicarono, turbati, prima di essere pervasi da due nuove sensazioni: la repulsione e la consapevolezza.
-Oh no…- con il corpo intorpidito dall’orrore, Demi si mosse malfermamente all’indietro, allontanandosi il più in fretta possibile da lui, interponendo il tavolo di legno pregiato tra loro; poi la sua coscienza corse rapidissima ad alcune parole che Nick aveva pronunciato durante il loro ultimo scontro, quelle stesse parole atroci che lei si era così ostinatamente rifiutata di ascoltare.  -… oh, no…-
Ogni cosa che conosci, ogni persona in questa città maledetta… nasconde un segreto terribile. Tu sei la chiave…
Lo Squartatore scrutò la ragazza trattenere il fiato, agghiacciata e, fortutitamente, si sentì invadere da una sorta di spavaldo ed immortale istinto di protezione nei confronti di quella creatura indifesa. La fetta più abominevole della sua ragione gli imponeva di dimenticare ogni sentimento, di affondare solo le fauci nella sua carne morbida, alla ricerca della linfa vitale, ma forse, con un impegno spasmodico quanto necessario, poteva ancora guadagnare tempo.
-Scappa…- ansimò Stefan d’un tratto, con la voce arrochita dalla sofferenza di controllarsi. -… ti prego, vattene, prima che io…- Demetra vide lo sconcerto e la debolezza attraversare in un unico lampo lo sguardo combattuto e stremato di suo padre e capì che quello era il momento di fuggire.
 
***
 
Quella mattina Sheila era già abbastanza nervosa senza che Mattie si mettesse a fare la solita pagliacciata quotidiana. L’inquietudine delle ultime settimane l’aveva spinta a dormire sempre meno, di notte, tormentata dagli incubi, e a rimpiangere nostalgicamente l’estate, il sole e le serate passate assieme al suo trio di amiche ancora nel pieno delle proprie facoltà mentali (e non turbate dalle circostanze oscure e sospette che ci si andavano accalcando intorno). La Bennet sospirò, sconsolata, rivolgendo un’occhiatina veloce al cielo azzurro sopra di sé appena fuori dal muretto di recinzione dell’edificio scolastico e voltò con fierezza le spalle alla sua compagna Lockwood, lasciando che raggiungesse, saltellando e con evidente aria di trionfo, quella che la figlia di Bonnie riteneva chiaramente la ragione di tutti i loro problemi: Nick Mikaelson, meglio conosciuto come il ‘licantropo’.
Certo, come no…
Finalmente era suonata la campanella e, da qualche minuto, Sheila si sentiva più leggera: la parte orribile e pesante della giornata poteva definirsi superata e lei aveva una gran voglia di infilarsi a mensa e di mangiare due o tre vassoi di schifezze per smaltire lo stress accumulato. Si diresse piano verso la sala da pranzo, già piena di gente che urlava e faceva confusione, e cercò di non pensare che, tra loro, oggi non ci sarebbe stata traccia della sua migliore amica Demi: non si era fatta vedere a lezione e Sheila era assolutamente in ansia per lei. Che fosse ancora troppo sconvolta per rientrare in classe senza problemi, che i suoi dubbi fossero diventati troppo insopportabili per essere affrontati con la solita, frizzante ironia che tutti le invidiavano tanto?
Si mise in fila e afferrò il mio vassoio: improvvisamente le era passata anche la fame. Dopo aver preso della salsa e delle cotolette con contorno di patate e aver lanciato uno sguardo di commiserazione ai cavoli e agli ortaggi bolliti, la Bennet localizzò in fretta il solito tavolo che condivideva con le altre e cercò di non pensare troppo ossessivamente alla desolazione di ben due posti vuoti accanto a sé.
- Buongiorno, Sheila.- la salutò Tina O’Neil, sbracciandosi dall’alto delle sue spalle larghe da nuotatrice, evidentemente felice nel vederla da sola e per di più fuori dalla classe di Storia di Rebekah che entrambe frequentavano. Forse così sarebbe stato più facile farsi dare una mano per l’infinità di compiti a casa che la professoressa Mikaelson, impietosamente e con una buona dose di sadismo, aveva assegnato loro di recente.
- Ciao Tina.- Sheila le sorrise brevemente e si sedette al proprio tavolo vuoto, con un’ombra contrariata negli occhi scuri e profondi.
- Posso sedermi accanto a te oppure aspetti qualcuno?- Tina teneva tra le mani un carico di verdure e di frutta (era evidentemente vegetariana) così pesante da farla quasi traballare sul posto e Sheila non ebbe il cuore di negarle un posto a sedere lì, al posto di Demi, che di certo non l’avrebbe raggiunta. Con un gesto cordiale, la Bennet si adoperò a spostare la sedia della Salvatore per permettere a Tina di sedersi ma, nel momento stesso in cui ebbe toccato la superficie legnosa e metallica della poltroncina, sentì una scarica di purissima elettricità attraversarle le dita bronzee, fino a penetrarle nelle ossa, facendola sobbalzare… e sprofondare.
 
Si trovava in una casa ariosa e piena di luce. Qualcuno preparava amorevolmente il pranzo in cucina e un piacevole odore di cibo aleggiava nell’aria limpida, mentre gli uccelli là fuori, radunati attorno al laghetto sfavillante, cinguettavano melodiosamente.
-Ti va di pranzare con noi?- chiese una voce dolce e maschile, affettuosa, quella che avrebbe potuto essere la voce di Stefan Salvatore, il padrone di quella tenuta rustica sul lago ai margini di Mystic Falls. -… Demetra sarà felice di vederti…- una risata vibrava, argentina, nell’aria, e un bagliore di denti bianchissimi accompagnava quel sorriso, mentre gli occhi verdi di Stefan si accendevano di gioia. Sheila sentiva di fluttuare nella stanza e i contorni sfumati dei mobili e degli oggetti in quella veranda inondata dal sole le davano il capogiro, disorientandola. Com’era finita lì? E dov’era Demi?
Forse era uscita a raccogliere un paio di quelle violette che, fin da bambina, le erano sempre piaciute tantissimo…
-Sono qui…- disse una voce gracchiante, mentre due iridi di un blu intenso riempivano il suo campo visivo. -… non mi riconosci? Sono io...- Sheila non aveva mai visto i capelli di Demetra così scuri e fluenti, nonostante tutto. La sua chioma riccioluta e arruffata, al confronto, sbiadiva rovinosamente, ma Demi la sfiorò ugualmente con le dita pallide e soffici, in un buffetto pieno di affetto…
- E’ in pericolo…- soffiò Stefan da lontano, come uno spettro dall’oltretomba. Sheila si sentì improvvisamente soffocare mentre la mano delicata e morbida della sua amica si trasformava in un artiglio rapace, graffiandole il collo. -… il sangue del mio sangue…- L’odore che aggredì le narici della Bennet era nauseabondo e le provocò un immediato conato di repulsione.
Era ferroso, viscido.
Sangue, appunto.
Sangue rosso carminio sulla pelle di Demetra, sangue vischioso, orrendo, che colava in gocce ripugnanti sul pavimento immacolato...
‘Ora basta’ sussurrò qualcuno nell’ombra, con un tono imperioso e serio.
La stretta alla gola si allentò, lasciandola respirare. Sheila, senza fiato, cadde in una nebbia fitta e brulicante.
Un corvo, un sibilo.
Silenzio.

 
Image and video hosting by TinyPic

-Sheila… svegliati, mi stai spaventando!- la voce di Tina O’Neil la raggiunse come da un altro universo, allarmata. Sheila si rese conto di doversi appellare a tutta la propria forza di volontà per riaprire gli occhi e tornare alla realtà. Il cuore, nello sterno, martellava senza sosta come un uccellino in gabbia, e la sensazione di terrore e pericolo le scorreva ancora nelle vene, frantumando gli argini del suo autocontrollo. -… si può sapere che cosa ti è preso?- la ragazza si accorse che molte facce curiose si erano voltate verso di lei e un lieve dolore alla guancia destra le fece capire che doveva aver battuto la testa sul tavolo mentre era in balìa di quella mostruosa ed inquietante visione. Senza dire una parola, la Bennet si portò le mani alla bocca, inorridita.
Una visione.
La bile le bruciò in gola, costringendola ad allontanare da sé l’invitante piatto di pietanze che aveva poco prima ritirato dal bancone della mensa. Una repentina ed innegabile urgenza la invase, facendola scattare in piedi come una molla. Tremava da capo a piedi ma riuscì ad afferrare la propria borsa dei libri e a respirare profondamente, nel tentativo di riprendere un contegno.
-Ci vediamo.- disse, spiccia sotto lo sguardo interdetto dei presenti, poi si precipitò fuori dal salone, correndo a perdifiato verso il cortile della scuola.
 
***
 
-Perché?- domandò Nick, fissando perplesso la ragazza bionda davanti a sé. La frase che lei aveva appena pronunciato non la smetteva di rimbombargli nelle orecchie incredule, sempre con maggiore intensità: Ti credo, ti credo, ti credo.
- Senti è ora di pranzo.- cercò di svicolare lei, spostando il peso del proprio corpo da un piede all’altro con un effetto piuttosto buffo a vedersi. - perché non andiamo a mensa? Potrei spiegartelo davanti ad un piatto di hambugers doppia salsa con contorno a scelta.- e ridacchiò, sinceramente divertita. Non aveva un modo molto gentile per spiegarlo ma, dalla notte in cui aveva avuto quell’assurda febbre, aveva una fame smisurata e vorace, di continuo.
E si dava il caso che lo stomaco di Mattie borbottasse già da un pezzo, inascoltato.
- Che cosa sai?- domandò brusco Nick, ignorando completamente la sua giocosa proposta e costringendola a sbuffare, arrendendosi a proseguire in giardino quella che sapeva sarebbe stata una luuuunga conversazione.
- So che quel che hai detto è vero.- ribadì Matt, guardandolo dritto negli occhi. Era una cosa buffa che ci riuscisse senza troppi problemi: di solito i ragazzi la inibivano e la costringevano a fissare il pavimento con aria trasognata, ma con lui era diverso. Era una sensazione piacevole fronteggiare quelle iridi nere come il carbone eppure ardenti, sfavillanti, con la costante paura di annegarci dentro. - Che c’è qualcosa di spaventoso nell’aria e che le cose stanno cambiando, in questa città. Non riesco a ricordare nulla della notte dell’aggressione delle mie amiche nella foresta… e pare che questo vuoto di memoria sia dovuto ad una febbre stranissima che ha colpito sia me che mio padre, il sindaco Lockwood. Sono sgattaiolata per giorni su e giù per la mia casa nel tentativo di ascoltare le conversazioni dei miei e, in un momento fortunato, li ho distintamente sentiti parlare di una loro amica di vecchia data, una certa Hayley.- a quel nome lo sguardo di Mikaelson si affilò e Matt comprese di avere finalmente conquistato tutta la sua attenzione. - Da quel che ho capito lei ha aiutato moltissimo mio padre quando lui era in un periodo oscuro e alla fine l’ha ‘guarito’ da quel dolore. Questa storia ha molte cose in comune con quella che hai raccontato circa il tuo branco ed è per questo che ho deciso di cominciare a darti retta.- Matt si mise le mani nelle tasche degli stravaganti jeans a pois e cominciò a camminare avanti e indietro, tracciando un preciso percorso nell’erbetta con le sue converse color senape.
- Se quello che dici è vero, forse tua madre ha aiutato anche mio padre a ‘controllarsi’ durante le trasformazioni in…- esitò, colorandosi di porpora sulle gote paffute, poi prese un bel respiro. – beh… in licantropo.-
Il giovane Mikaelson rispose alle sue teorie con un’occhiata silenziosa, senza riuscire ad annuire. La sua espressione era intensa e indecifrabile, meditabonda; poi arricciò le labbra sottili e disegnate in un’espressione divertita, sardonica.
- Forse.- acconsentì, inarcando un sopracciglio e osservando il viso dolce e determinato della sua interlocutrice. -… ma se quel che dico è vero…- e mimò la sua voce acuta e vivace, ricambiando il favore di poco prima. -… non dovresti essere terrorizzata da me? Voglio dire… sarei una creatura mitologica con fauci, peli irti e tutto il resto.- il suo tono di sfida non la destabilizzò minimamente e la Lockwood scosse la testa, ostinata. Immaginarsi quel tipo dall'aria magnifica con una coda a ciuffo la mandava in crisi esistenziale.
- Non avresti fatto del male a Demetra e a Sheila, quella notte, ne sono convinta. E poi non vedo perché dovresti avercela con me… sono molto meno interessante di loro. Cosa sarebbero, nella tua versione dei fatti? Uno zombie ed una mummia egiziana?- scherzò, svelta, facendo spallucce con la solita noncuranza. Guardandola, Nick trattenne una risata ma, allo stesso tempo, i suoi occhi si incupirono, sorpresi dall’apparente ingenuità di quella dichiarazione.
- La tua amica antipatica ha in sé il dono della preveggenza più vecchio del pianeta, considerata la sua discendenza diretta dalle streghe di Salem.- precisò lui, con tono severo. Matt pensò irriverentemente che non sarebbe stato affatto carino farsi udire da Sheila mentre parlavano del suo essere una ‘vecchia strega’… era una tipa piuttosto suscettibile a simili ingiurie, lei. – ma Demi… non ho idea di quale sia il suo effettivo Potere. Non credo che possa essere definito in una sola parola, considerandone l’entità e la vastità. Quella ragazza è un portento ed una risorsa inesauribile di qualità…- il suo tono diventava sempre più basso e incantato, come se stesse intessendo delle lodi ad un’amante. -… lei è la chiave di ogni cosa.-
- Mmmh…- borbottò Matt, grattandosi il mento con aria saccente. -… dovresti inventarti un nomignolo zuccheroso e smetterla di chiamarla ‘chiave’… è molto poco romantico, sai.- Nick le lanciò un’occhiataccia, poi la inchidò con lo sguardo.
- Ad ogni modo, sono stato io ad attirarle in trappola.- quelle parole inasprirono la sua voce, ancora cariche un incontenibile rimorso. -… come fai a fidarti di me?- sbottò, alla ricerca di una spiegazione che potesse rendergli l’assurda situazione un po’ più sopportabile.
- Sei fuggito quando hai capito di non poterti controllare.- obbiettò la bionda, incrociando le braccia sul petto, risoluta. -… in realtà, immagino, un attimo prima di aggredirle e staccare loro la testa con le tue terribili zanne licantropesche.- completò, con un pizzico di ironia che non riusciva mai a mancare nelle sue frasi frettolose e allegre. -… quindi, se loro due non possono ancora ringraziarti per questo... ho pensato di farlo io, al loro posto.- e la sua bocca rosea si allargò in un sorriso sincero, mite come quello di un cucciolo. Nick sentì che qualcosa di freddo e immobile, all’altezza del suo petto, si scioglieva lentamente e tese i muscoli ed i tendini davanti a quell’insolita sensazione, come se fosse pericolosa, tanto era sconosciuta.
- Perché fai questo?- chiese quasi con sgarbo, ansioso di conoscere la risposta a quel fondamentale quesito. - Cosa ci guadagni?- Matt lo scrutò con un pizzico di tenerezza negli occhioni verde acqua e si avvicinò a lui di un passo, pensando con tristezza a quanto potesse essere fragile e indifesa un’anima anche sotto una scorza così impenetrabilmente scostante.
- Deve per forza esserci un guadagno?- sospirò, con una smorfia che svelava le profonde fossette sulle sue guance.
- Mia zia mi ha insegnato così.- ammise lui a mezza voce, abbassando lo sguardo con desolazione. Mentre Matt tentava di resistere all’impulso di consolarlo con un abbraccio, l’attenzione di entrambi i ragazzi fu attirata da un turbine di abiti e capelli riccioluti che avanzava alla velocità della luce nella loro direzione, inciampando qua e là nel cortile. La Lockwood strinse le labbra per non ridere davanti a quella visione: Sheila Bennet si stava catapultando verso di loro, con un’impeto che non le aveva mai visto prima. La situazione perse ogni comicità quando fu chiaro che il volto rotondo della spilungona era segnato dalla più pura angoscia.
 - Che cosa succede?- chiese Matt, andandole incontro, con la fronte aggrottata ed interrogativa. -… Sheila…-
- Ho visto…- boccheggiò l’altra, piegata in due dopo quella corsa immane. -… Demi… io…- Nick, nell’udire il nome della Salvatore, si fece immediatamente scuro in volto, mentre un’ombra di ansia gli pervadeva i lineamenti fini e delicati. Le sue orecchie erano pronte ad udire qualsiasi informazione circa la ragazza che, in quel momento, mancava all’appello, e ogni fibra del suo essere si sarebbe adoperata per andare in suo soccorso. -… io credo che sia in pericolo…- Matt sbiancò all’improvviso e afferrò l’amica per le spalle, scuotendola appena per costringerla ad aggiungere qualche dettaglio a quelle dichiarazioni confuse e lasciate in sospeso.
- Come fai a saperlo?- domandò, con il cuore in gola. Non aveva mai visto la sua composta ed equilibrata amica perdere la calma in quel modo e questo la inquietava più di qualsiasi altra cosa nelle vicinanze.
- Io l’ho visto.- esalò Sheila e l’emergenza nella sua voce fece rizzare i capelli sulla testa di Nick.
No…
 
***
 
Demi strinse i pugni sui fianchi con decisione e si mise a correre, con uno slancio disperato che piacque infinitamente alla sua rabbia silente. Il vampiro avanzò repentinamente e ciecamente verso di lei e la raggiunse in pochissime falcate, spingendola via con violenza, facendola ruzzolare rovinosamente al suolo. Demetra non strillò di terrore come avrebbe immaginato di voler fare: restò ferma al proprio posto, con la bocca socchiusa e la lingua paralizzata, mentre le lacrime le pizzicavano gli occhi e la scena dell’aggressione nella foresta le graffiava i ricordi con artigli avvelenati. Mentre cercava di bloccare la spalla di Stefan con la mano illesa, per tenerlo a distanza dal proprio collo scoperto, qualcosa ammontò nel suo animo come un fuoco incontenibile e cocente.
-Su, su… non piangere, bambina… questi begli occhi azzurri valgono la pena… guardali, Scott, sono due lapislazzuli…-
-Guardami… voglio che tu dimentichi quello che hai visto…-

- NO!- Ad un tratto, senza una ragione precisa che non fosse una mera pulsione votata alla sopravvivenza, il fatto di essere tecnicamente impotente davanti ad una simile e disumana furia non le sfiorò più la mente.
L’inadeguatezza fu sostituita inaspettatamente dalla smania e dalla foga di azione.
Qualcosa nel buio nuvoloso del suo inconscio le diceva che poteva intervenire e che, nonostante lo sforzo le provocasse nausea e vertigine, sì… poteva difendersi.
In qualche modo, con una scossa di frenesia, lo capì: stavolta era forte abbastanza per fermare quella follia.
Sulla sua pelle candida si diffuse, liberatorio, un brivido d’inconsapevole impazienza e dal suo petto affannato si propagarono miriadi di vibrazioni bollenti, irresistibili. Dal profondo del suo respiro, senza che lei capisse bene come o perché questo stesse accadendo, esplose una ventata di brace simile a vapore acqueo, una nebbia che si frappose all’istante, come una barriera, tra lei e Stefan.
Pur guardandola con insopportabile brama, adesso il vampiro era profondamente scosso e battè velocemente le lunghe ciglia, con lo sguardo appannato ed inondato da quella foschia.
I contorni indefiniti del viso irrigidito dalla fatica di Demi si modellarono in modo diverso, più adulto e ancora più ingenuo, richiamando alla mente la figura della donna che, più di ogni altra al mondo, tanto le somigliava: Elena, sua madre.
Mia moglie.
Bastò quel piccolo dettaglio razionale per riattivare l’umanità di Stefan e l’uomo fissò Demetra come se la vedesse realmente per la prima volta. La sua stretta ferrea si allentò progressivamente fino a permettere alla ragazza di riacquistare la possibilità di libero movimento. Il sibilo crudele e assassino e la sete erano scomparsi all’unisono dalla sua gola e i suoi occhi verdi non erano più due cerchi sanguigni e famelici, ma erano di nuovo belli, perplessi e infinitamente tristi. In silenzio, Stefan si sedette a terra e continuò a fissare Demetra, mentre la coltre protettiva che lei aveva in qualche modo evocato si diradava sempre più fino a scomparire.
L’angoscia nel suo sguardo raggiunse il culmine quando anche Demi si tirò su, a denti stretti, con la testa bassa, appoggiando una spalla al muro per sostenersi, ancora andismando come dopo una lunga corsa, con la pelle che ancora scottava e formicolava.
-Demi…- mormorò Stefan, con voce trafelata.
Timoroso, allungò una mano per sfiorare la spalla della ragazza in una carezza ma lei si ritrasse con impeto, rabbuiandosi.
- Non toccarmi.- sillabò, raggomitolandosi con circospezione su di sé, con le labbra piene e tremanti storte in una chiara smorfia di dolore, stanchezza e… rifiuto. Una pioggia gelida sembrò essersi abbattuta tra di loro e la giovane sentì nel petto un dolore diverso, pietrificante, da mozzare il fiato. Stefan vide la stessa luce sempre brillante e combattiva nelle sue iridi blu diventare d’un tratto vitrea, inespressiva. Qualcosa, nel profondo di Demi, si era spento davanti a quello spettacolo terribile e lui lo sapeva.
Era tutto vero.
Il suono di un’automobile sul vialetto si fece lentamente spazio in quel silenzio devastato, accompagnato da alcune voci femminili, corrucciate o squillanti, e da un paio di sportelli che erano stati sbattuti con noncuranza. Dei passi affrettati si addossarono fuori, nel cortile tranquillo e soleggiato, e qualcuno bussò con violenza alla porta di legno rustico, urlando. Volgendo appena lo sguardo, Demetra riconobbe le voci delle sue amiche di Nick Mikaelson risuonare, minacciose e preoccupate.
- Aprite questa dannata porta!-
- Demi… sei lì dentro? Va tutto bene?-
- Oh, maledizione, forse è già troppo tardi!-
Stefan sospirò, insipirando convulsamente aria dal naso per calmarsi, poi si spolverò i pantaloni lacerati dai ruzzoloni e dai colpi, alzandosi a fatica dal suolo. Desolato, si avviò all’uscio e sentì il familiare e orrendo senso di colpa sommergerlo come se si trattasse di un oceano di delitto e sofferenza. Erano trascorsi quasi duecento anni ma non aveva ancora imparato a controllarsi, mettendo a repentaglio la vita di Demetra e rivelando, irrimediabilmente, la propria mostruosa identità. Con la morte nel cuore e la bocca piena di amarezza, Stefan abbassò la maniglia e si sentì investire dal sole del mezzoggiorno e dall’aria profumata di quel luogo isolato e protetto. Per un istante desiderò non avere al dito il suo magico anello di protezione. Se Demi lo odiava, la sua vita non aveva alcun senso, non dopo tutto quello che era accaduto.











*****************

Angolo dell'autrice... <3
Eccoci arrivati all'incontro tra Damon ed Elena e alla rivelazione del grande segreto dei vampirozzi! <3
Vi ringrazio, uno per uno, per le visualizzazioni infinite che concedete a questa storia e per l'amore che infondete nelle vostre recensioni ^^ Siete la mia forza... e non smetterò mai di esservi grata per avermi portata a continuare fino a questo punto questa preziosa storia...
Un bacio, Evenstar75 <3

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Children of the Damned ***


-Non può essere troppo tardi.- sibilò Nick a denti stretti, mentre batteva con una certa irruenza il proprio pugno chiuso sulla porta d’ingresso della Casa sul Lago. -… non può!- il sole investiva i suoi bei capelli castani e arruffati dall’ansia, mentre un vento piacevole e tiepido accarezzava la sua pelle cerea e tesa. Sheila si mordicchiò con evidente nervosismo il labbro inferiore, nel vano tentativo di scaricare l’angoscia e di scacciare via dai propri ricordi l’orrore della visione che li aveva condotti lì, in tutta fretta, evadendo da scuola e sgommando a tutta velocità sulla Ferrari nera del famigerato (ed evidentemente ricchissimo!) Nick Mikaelson.
L’immagine del sangue e il suo odore nauseabondo, l’urlo del corvo nel buio confuso dell’allucinazione, il senso di pericolo ed emergenza… tutto era ancora intenso e vivido nella sua mente, come impresso indelebilmente nei meandri della sua coscienza, come un dolore fisico. 
E la sconvolgeva.
- Prova a soffiare.- suggerì Matt, a bassa voce, pallida come la neve nello sforzo di ironizzare in quella situazione drammatica. -… sai, il lupo cattivo entrò così nella casa dei Tre Porcellini.- Nick si impose di non alzare gli occhi al cielo ma l’ombra di un sorriso freddo apparve sul suo viso preoccupato mentre la Lockwood lo aiutava compassionevolmente a bussare con ancora maggiore energia. 
All’improvviso si udì un sonoro schiocco e la serratura scattò.
La porta si aprì, con un gemito, e qualcuno comparve timidamente sulla soglia, osservando con aria sofferta e interessata i tre scarmigliati ma risoluti ragazzi davanti a sé. 
Matt sospirò di sollievo alla sua vista, riconoscendo in quella snella e aitante figura il migliore amico di sua madre Caroline.
- Ciao, Stefan.- mormorò Sheila, guardando con timore e rispetto il marito di Elena stare immobile e silenzioso sulla soglia. Era più nitido rispetto al crudele e sbiadito Stefan della premonizione, ma qualcosa nel verde sfumato dei suoi occhi sembrava comunque offuscato, assente. La sua camicia a quadri era sporca di polvere e sgualcita e su una manica lacerata c’erano delle macchie di sangue fresco e carminio.
Guardandole, Nick si irrigidì bruscamente e la sua mascella si contrasse, in un gesto che, al padrone di casa, ricordò immediatamente, incosciamente, Klaus
- Dov’è Demi?- chiese il giovane Mikaelson, con un tono minaccioso.
Stefan lo guardò con una strana espressione, a metà tra la curiosità e l’avversione, poi abbassò la testa, scrollando le spalle. 
- E’ lì dentro, sul pavimento.- rispose, con la bocca piena di amarezza, indicando con un cenno dietro di sé e ricordando con rammarico lo sguardo scioccato e colmo di repulsione che sua figlia gli aveva rivolto, solo pochi attimi prima, mentre lottavano ferocemente in veranda.
Demetra adesso avrebbe compreso la verità sulla natura di nuovo assassina e oscura di suo padre e, con ogni probabilità, lo shock di tale scoperta l’avrebbe straziata a poco a poco, graffiando nel suo animo senza pietà, traviando la sua ingenuità tipicamente adolescenziale e catapultandola nello stesso mondo d’odio, colpa e disgusto dal quale i suoi genitori avevano tanto disperatamente tentato di proteggerla…
Stefan lo sapeva bene, sapeva di aver miseramente fallito. - ma non credo che sia nelle condizioni di parlare.- deglutì e distolse lo sguardo, tormentato. - è tutta colpa mia…- 
Sheila trasalì nell’udire quelle parole desolate e temette il peggio per la sua migliore amica ma fu Nick ad avere la reazione peggiore. 
Fu un attimo. 
Stefan si interruppe di colpo, ritrovandosi d’un tratto scaraventato all’indietro, a sbattere violentemente contro le assi cigolanti della facciata della Casa sul Lago, con il ragazzo moro che gli stava addosso.
- Che cosa le hai fatto, vampiro? - gli urlò Nick, pronunciando l’ultima parola con tutto il disprezzo di cui era capace, mentre nei suoi occhi neri brillava una cieca disperazione. Dalla tasca destra dei jeans aveva fulmineamente ed inaspettatamente tirato fuori un oggetto acuminato e robusto, un grosso paletto di legno appuntito, e adesso lo brandiva come un’arma, tenendola sospesa sul viso stupito e grave del signor Salvatore. -… dimmelo oppure io…- qualcosa di morbido afferrò Nick alle spalle, tirandolo via dal corpo di Stefan con decisione e urgenza. 
- Adesso non fare l’idiota, Nick!- gli sillabò severamente Matt, la quale, nonostante fosse quindici centimetri più bassa del ragazzo e fosse apparentemente fragile come un uccellino, riuscì a spingerlo via con una sorprendente potenza e a frapporsi coraggiosamente tra lo stesso Mikaelson e Stefan. La riuscita della propria istintiva mossa di salvataggio fu così repentina e inattesa che Matt, tutta eccitata, sorrise. – andiamo, tentare di impalettare il padre di una fanciulla non è esattamente il modo migliore per iniziare a corteggiarla.- Stefan sentì il proprio respiro affannoso riprendere il proprio naturale corso e la propria rabbia fare a pugni con la solita razionalità, mentre una piccola Caroline scalpitava fieramente per difenderlo e per impedire al nipote di Rebekah di toccarlo. 
Lei afferrò addirittura il polso della mano di Nick che stringeva il paletto, inchiodandola a debita distanza da loro. 
- Levati di mezzo, nana!- le ringhiò Nick, divincolandosi senza avere il coraggio di ammettere a se stesso quanto stupefacente e salda fosse la stretta di Matt sulla sua pelle. Era così forte da riuscire ad immobilizzare perfettamente a mezz’aria il suo braccio smanioso d’agire. -… non lo capisci? Quest’essere è pericoloso, ha sicuramente fatto del male a Demi… insomma, l’ha visto anche la tua amica, qui, non sto inventando nulla di assurdo e lo sai bene.- 
Sheila rabbrividì appena mentre i suoi occhi profondi si facevano allarmati e le sue labbra si assottigliavano in una smorfia insicura. Era assolutamente certa di ciò che aveva visto ma forse, magari (ed i suoi pensieri assunsero una chiara sfumatura speranzosa) era stato tutto frutto della sua fervida immaginazione… 
- Non siamo esattamente nella condizione di sparare sentenze e giudizi sugli altri, mi pare.- sbottò Matt, fissando il ragazzo con uno sguardo improvvisamente irremovibile nelle iridi limpide come l’acqua.
Le sue parole erano ferme come mai prima d’allora ed avevano uno strano sapore autoritario, specie se pronunciate da quella bocca di solito sempre ridente e spensierata.
Stefan fu colpito dalla spiccata somiglianza di Mattie con Tyler, il leader per eccellenza della vecchia generazione. - l’unica cosa davvero pericolosa che io vedo nei paraggi è quel dannato paletto. A proposito, da dove diavolo sbuca fuori? Avanti, posalo… e andiamo a cercare Demi.-

Image and video hosting by TinyPic
Con un’occhiata irritata ma molto meno furiosa, Nick sospirò ed abbassò l’arma di legno. Il suo viso si ammorbidì appena mentre la riponeva nella tasca ed il ragazzo annuì, avanzando un passo verso la sala d’ingresso, con qualche difficolatà a muovere correttamente le gambe a causa della scarica di adrenalina che la sua breve colluttazione aveva provocato. 
Improvvisamente, mentre Sheila si avvicinava al signor Salvatore per assicurarsi che stesse bene e l’uomo la tranquillizzava con una smorfia che sapeva di tristezza e riconoscenza, avviandosi poi pesantemente verso il salotto, il ragazzo dagli occhi neri e fiammeggianti si fermò.
-Ciao.- Demetra aveva infine ricomposto i pezzi, rialzandosi in piedi, ed aveva una faccia splendente, dura e seria quando comparve davanti a loro. Stefan la guardò con la coda dell’occhio, esitante, come se temesse di vederla esplodere da un momento all’altro, poi proseguì verso la cucina accompagnato dalla figlia di Bonnie; Nick invece impallidì di botto, preoccupato e allo stesso tempo infintamente sollevato. 
Demi era davvero lì, viva, un po’ ammaccata ma al sicuro. Ed era davvero bellissima anche con gli occhi azzurri gonfi di lacrime trattenute troppo a lungo e di terribili consapevolezze, anche con i lunghi capelli neri così scompigliati, con quel graffio sulla guancia ed una benda chiazzata di rosso avvolta frettolosamente attorno alla mano ferita. Lei passò in rassegna ognuno di loro, scrutandoli con una stretta allo stomaco, poi si soffermò su Nick, il quale si lasciò andare ad un involontario, breve ma spontaneo sorriso. 
Matt gli diede una piccola spintarella senza farsi vedere e lui fece per avanzare, impacciato, trovandosi ad una piccolissima distanza dalla Salvatore, fino a sfiorarle una spalla in una carezza, avvicinandola delicatamente a sé. 
- Sono felice di rivederti tutta intera.- disse, guardando ben oltre il suo viso, come se riuscisse a comprendere le sfumature dei suoi tormenti.
Il tradimento, la verità, il dolore, il Potere…
- Spero tu abbia ancora voglia di darmi delle risposte.- gli sussurrò Demi, sentendo il dolore affievolirsi davanti a quel volto meravigliosamente modellato e finalmente sereno, così vicino. In qualche modo si sentiva libera, come se potesse finalmente smettere di fingere a se stessa e al resto del mondo. Appoggiò la mano non fasciata su quella che Nick teneva sulla sua spalla e la strinse, mentre i battiti del cuore le rimbombavano nelle orecchie e lui socchiudeva gli occhi, come beandosi di quel tocco. Se mai avesse dovuto cominciare ad accettare quell’assurda, sconvolgente e terribile realtà… Demi avrebbe cominciato così. 

**

POV Elena Gilbert

-Tu hai salvato la vita di Demi.- 
Damon si allontanò ancora di qualche centimetro da me, sciogliendo definitivamente, anche se a fatica, l’abbraccio così denso di ricordi ed emozioni in cui ci eravamo stretti per quegli interminabili e fulgidi attimi di oblìo. Fissai con un pizzico di esitazione i miei occhi castani e lucidi in quelli di lui (che avevano, invece, la solita tonalità brillante, quella che avevo sempre, in qualche modo, sia temuto che venerato).
Era splendido come una statua perfetta, intatta e irraggiungibile, ma i lineamenti del suo viso fine, ora, erano improvvisamente rigidi, come se fosse teso ed inquieto. Riconobbi in quello sguardo intenso la stessa angoscia che sentivo scorrere dentro, come veleno, come fuoco, da troppo tempo e della quale adesso, finalmente, riuscivo ad individuare la sorgente.
- Di chi, scusa?- chiese Damon con un un fil di voce. Il suo tono suonò pacato e quasi privo di emozione ma riuscii comunque a coglierne il lieve tremore di sorpresa e smarrimento. Di nuovo mi venne voglia di toccarlo, di sfiorare con le dita la sua guancia pallida e di placare in qualche modo la sua ossessiva ricerca dell’oscurità, il suo ostinato ripudio del sentimento, quello schermo che metteva tra sé e il mondo, per non rimanerne travolto. 
Restai immobile a fissarlo con le mani che prudevano e pizzicavano dal desiderio, mentre l’eco di quella sua domanda assurda mi risuonava dentro lo sterno.
- Di Demetra.- ribadii, inumidendomi le labbra, vagliando con cautela la sua espressione indecifrabile. Qualcosa si contorse nel mio stomaco, urlando per essere ascoltata e per emergere, qualcosa di informe e crudele, come il tempo, come la menzogna. -… mia… mia figlia, Damon. Tu l’hai salvata… mi ha raccontato ogni cosa.- balbettai, senza fiato. Un’ombra calò lentamente sugli occhi del vampiro, mentre un sorriso amaro gli increspava la bocca rosea, perfetta e socchiusa, lasciando sfuggire un suo respiro profondo e tremulo.
- Oh…- mormorò, aggrottando le sopracciglia in un gesto fulmineo di meditazione. - … davvero? - in un attimo, il calore e la meraviglia tornarono a sfavillare in ogni angolo del suo volto pericolosamente e straordinariamente bello. Un senso di ribellione alla sua quiete insopportabile mi bruciò le guance, facendo affiorare su di loro il rosso dell’imbarazzo e dell’impazienza.
- Non ci provare.- lo avvertii, mettendo il broncio come una bambina. -… sai benissimo che è la verità.-
- Forse.- ammise lui, con la testa leggermente inclinata, alzando le spalle in un buffo tentativo di schernirsi. -… fammi riflettere.- strinse le labbra, in una smorfia sensuale e familiare che tentai di non prendere troppo in considerazione, poi cominciò a camminare avanti e indietro, ragionando tra sé. - Demi… - sussurrò, piano, come se giocherellasse con i suoni, come se adorasse il modo in cui quel nome ed il suo, implicitamente, si assomigliavano. - …una ragazza pallida come l’alabastro…- il suono dei suoi passi tra l’erbetta bagnata di rugiada era leggero come l’andatura felpata di un gatto agile e scattante. -… viso candido e pulito, capelli lunghissimi, lucidi e setosi…- Damon sembrò comprendere ancora una volta quello che mi passava per la mente e si incupì, senza smettere di elencare, mentre tentavo disperatamente di concentrarmi su altro che non fossero i suoi movimenti soffici e musicali. -… si aggira con una scontatissima combriccola di stampo Bennet/Forbes… capacità di cacciarsi nei guai al limite dell’inverosimile…- il suo sorriso si allargò smisuratamente, abbagliandomi e dandomi quasi le veritigini. Oh, no. Ero chiaramente agitata a causa del suo atteggiamento, della sua presenza e del suo odore tutt’intorno a me. Oppure no. Certo, ero assolutamente in pena per qualcosa... ma non avevo le idee del tutto chiare... 
Damon mi lanciò uno sguardo fugace da sotto le lunghe ciglia scure. -… oh, ma certo! Tua figlia!- esultò infine, annuendo teatralmente come se avesse avuto una divina illuminazione. - E’ praticamente identica a te, Elena.- disse, con una dolcezza così velatamente malinconica da farmi percepire un gelo improvviso bloccarmi le ginocchia. Avrei voluto contraddirlo su questo ultimo punto ma non ebbi il cuore di sottolineare il fatto che somigliasse anche a Stefan, nella forma regolare e fine del naso e nel mento piccolo e proporzionato, e allo stesso Damon… soprattutto a Damon. -… sì, me la ricordo.- acconsentì, vago, evidentemente perplesso. -… ma non è questo il punto. La questione è che lei non dovrebbe ricordare me.- un lampo balenò nei suoi occhi, facendo luce sullo sconcerto che dominava sovrano in quell’oceano di ghiaccio. -… com’è possibile?- mi strinsi nelle spalle, desolata dalla mia completa ignoranza sull’argomento, mentre la costernazione sfiorava anche i tratti del mio volto, trasfigurandoli in una maschera corrucciata.
Ero preoccupata per Demetra.
Ero semplicemente terrorizzata all’idea che fosse di nuovo coinvolta in quel turbine di oscurità e magia che si era abbattuto con violenza sulla città di Mystic Falls dopo quasi un ventennio di serenità e temevo che avesse dentro di sé qualcosa di terribile e speciale, qualcosa per cui creature mostruose sarebbero ancora venute a cercarla. 
Com’era possibile che fosse riuscita a resistere, senza battere ciglio, alla compulsione, la notte dell’aggressione nella Foresta?
Rimembravo perfettamente come solo e soltanto dopo la mia completa trasformazione in vampira fossero affiorati alla mia memoria i ricordi che lo stesso Damon aveva cancellato, in varie occasioni, solo per proteggermi dalla verità. 
Perché questa volta, invece, il suo infallibile incanto non aveva funzionato?
<< Forse Damon non è forte come una volta.>> aveva ipotizzato Meredith quel giorno, nel suo studio. 
Mi guardai intorno, afflitta, alla ricerca di una confortante conferma per quella tesi, e respirai piano nel profumo di conifere e fiori secchi del cimitero, vacillando appena sul posto. 
Il vento era cessato di botto, come se ogni forza della natura, ogni minuscola foglia e bacca, ogni particella di nebbia attorno a noi stesse servizievolmente rispondendo al Potere di Damon. Un brivido consapevole mi percorse la schiena, zampettando tra gli anelli della mia spina dorsale: Demi era riuscita, dunque, a risultare immune all’imposizione di una simile potenza, ad un tale assoluto controllo della mente. Chiaramente Damon non aveva seguito una magra dieta animale, negli ultimi sedici anni, considerando l’entità attuale della sua aura e l’irresistibile bellezza del suo corpo, ma questi erano dei dettagli che dovevo impormi di trascurare.
- Non lo so, Damon.- dissi, ad occhi bassi, senza il coraggio di guardarlo in faccia. Non volevo che vedesse le mie pupille annegare nella delusione. -… speravo che tu potessi... ecco, io… che stupida, lascia perdere…- strinsi i denti, chiudendomi in un silenzio di profondo sconforto.
Ovviamente lui non sapeva cosa potesse aver spinto Demetra a respingere quella compulsione, non era a conoscenza di nulla di utile per proteggerla dall’incombente pericolo che percepivo nell’aria, denso, urticante, imminente. Ma non era solo quella sensazione a farmi soffrire: ero andata da Damon perché avevo voglia di rivederlo, perché avevo bisogno di respirarlo, di sfiorarlo, di sapere che era vivo e che era tornato… ma anche perché volevo che mi aiutasse a scoprire la verità, perché sapevo che lui avrebbe capito i miei dubbi e mi avrebbe assecondata, come ai vecchi tempi, senza fare domande, senza esitare.
Ma l’illusione di poterlo di nuovo vederlo lottare al mio fianco era sparita in una breve e scoordinata nuvola di fumo: Damon non mi doveva nulla.
Lui probabilmente non aveva la più pallida idea di cosa stesse accadendo in città e, soprattutto, non aveva alcun dovere nei confronti di una ragazzina che non aveva mai conosciuto davvero. Nessun vincolo che lo costringeva a prestarmi ascolto in quel momento o a suggerirmi qualche soluzione al problema di Demetra... 

Image and video hosting by TinyPic

- Potrebbe avere qualcosa a che fare con il suo sangue?- il cuore mi balzò in gola in piccoli tonfi, a quelle istintive parole.
Damon aveva avanzato alcuni passi verso di me, nel tentativo di invitarmi a guardarlo di nuovo negli occhi, come se avesse paura di vedermi crollare da un momento all’altro. Non approfittò di quella nuova vicinanza né della mia debolezza per mettermi le mani addosso e questa fu una dimostrazione di tatto che apprezzai moltissimo. 
- Cosa intendi?- lo guardai spaesata, senza capire, in ansia totale.
- Voglio dire…- mormorò Damon, un po’ confuso dalla mia reazione spropositata. -… magari è una qualche proprietà della discendenza tipicamente Petrova o doppelganger.- espirai profondamente, sentendomi ancora nuda e vulnerabile sotto il suo sguardo. 
Potevo assorbire l’energia fresca delle sue iridi come se fossero delle gemme preziose di un anello diurno.
- Potrebbe.- bisbigliai, poco convinta. Riuscivo a vederli, quei cerchi turchini così espressivi, a naufragarci. Non meritavo una sola briciola della sua attenzione o compassione, non dopo tutto quello che era accaduto tra noi, dopo che lo avevo ferito in quel modo, lacerando profondamente anche me stessa. Non capivo come potesse essere lì dopo aver perfino salvato la vita di Demetra, mia figlia… la figlia di Stefan. -… ma non riesco a capire cosa stia succedendo e questo senso di impotenza mi distrugge. Qualcosa di spaventoso e maledetto è tornato di recente in città, mettendo in estremo pericolo la nostra sicurezza.- un sorriso beffardo brillò sul volto di Damon, ingoiando per un attimo il suo dolore.
- Grazie tante, eh.- sbuffò, prendendomi in giro. Per un istante, mi sembrò di dimenticare la mia tristezza e l’apprensione, di essere tornata ai tempi in cui la vita era una corsa continua all’orizzonte, un universo complicato ma… luminoso.
- Non mi riferivo a te.- sussurrai, resistendo all’impulso di dargli un sonoro quanto giocoso spintone. Riusciva sempre a sdrammatizzare anche nelle situazioni peggiori e questo suo merito era una qualità troppo unica per essere descritta con le parole. -… ma a qualcuno di biondo, infuriato e leggermente vendicativo.- Damon si immobilizzò di colpo e l’occhiata che mi rivolse era talmente penetrante da farmi sobbalzare. 
- Stai parlando di Barbie Klaus? - chiese, sollevando la testa di scatto, con una faccia improvvisamente alterata da un sentimento che avrebbe potuto essere contemporaneamente trepidazione, sgomento, beffa e timore. Annuii, pensando rapidamente alla prima, tragica lezione di Storia che Rebekah aveva intrattenuto con Demi e le sue amiche, poi notai che Damon aveva assunto un’espressione particolarmente deliziata.
- Magnifico… a tal proposito ho qualcosa da farti vedere.- e, con un mezzo inchino ed un ghigno enigmatico, mi invitò galantemente a seguirlo, zigzando tra le lapidi disordinate, marmoree e mute di quel cimitero.

**

Demi si strinse debolmente nelle spalle, percorrendo a piccoli passi il ponticello di legno sospeso saldamente sulle rive del Lago, ascoltando il suono prodotto dalle acque limpide e danzanti, in continuo ed inarrestabile movimento, proprio sotto di sè. L’eco dei suoi passi scricchiolanti veniva regolarmente inghiottito dalla brezza che sibilava tra le fronde ed i cespugli tutt’intorno e, nonostante ogni dettaglio naturale di quel paesaggio suggerisse palesemente quiete e tranquillità, la ragazza provava comunque un inguaribile senso di smarrimento misto a prostrazione. Il taglio sul palmo della mano le dava qualche leggera fitta ma lei non vi badò, concentrandosi su un tonfo sordo nel petto: Nick Mikaelson le camminava accanto, nel comprensivo e paziente silenzio calato tra loro dopo una lunga conversazione, lanciandole solo, di tanto in tanto, qualche rapido sguardo dal profondo dei suoi occhi neri ed ardenti.
- Non guardarmi così.- sussurrò all’improvviso Demi, con un lieve rossore che si spandeva sulle sue guance di perla. Lui si arrestò piano, con l’aria interrogativa, aggrottando le sopracciglia arcuate in un’espressione di sorpresa.
- Così come ?- chiese, istintivamente, trattenendo di colpo il respiro, come se avesse paura della risposta. Demetra diede un calcio stizzoso ad un ciottolo rotondo al bordo del ponte. Lo fissò rotolare, coraggiosamente, a mezz’aria, un istante prima di precipitare in acqua, annegando miseramente fino a toccare il fondo. 
Ecco, si sentiva esattamente come quel sassolino. 
- Come se sapessi perfettamente cosa sto provando.- mormorò, sentendo un nodo in gola. Le sue gambe belle e sottili si muovevano ormai per inerzia e, nonostante lei tentasse disperatamente di sembrare rilassata e disinvolta, tremavano. -… non… non è affatto come credi. Non mi importa nulla di quello che è successo, non sono ferita e non ho paura di quello che potrebbe accadere adesso. Sto bene.- le sue parole vibrarono tra gli alberi, vuote e accorate, mentre si sforzava di mantenere il controllo delle proprie emozioni ed esibiva un sorriso triste, fremente. Nick la guardò intensamente, come se non avesse creduto ad una sola sillaba di quelle che lei aveva appena pronunciato, poi azzardò a sfiorarla di nuovo in una sorta di maldestra carezza, seguendo lo strano ed irresistibile trasporto che provava verso quella fanciulla, verso la sua personalità caparbia ed orgogliosa, verso l’intima fragilità che lei nascondeva abilmente sotto strati di coraggio e spirito combattivo. -… voglio dire, non potrebbe andare meglio!- Demi tirò su con il naso, distogliendo lo sguardo da lui, sentendo le lacrime premerle dolorosamente sugli occhi senza che avesse la forza di farle sgorgare in superficie. - I miei genitori mi hanno praticamente mentito per tutta la vita su una faccenda così allucinante, mio padre è una specie di… di creatura mitologica dalle zanne affilate come rasoi ed io… sì, ecco, ho riempito di vapore acqueo la cucina nel tentativo di proteggermi da… lui stava per…-
La mano tiepida di Nick scivolò piano sotto il braccio convulso della Salvatore e si chiuse sulla sua, piccola e bianca, come poco prima davanti all’ingresso di Casa, in un gesto di conforto e comprensione. 
A Demi bastò quel tocco per far sì che le sue difese traballassero, facendole mordere le labbra per non cedere al peso della verità. I ricordi più recenti le bruciavano dentro come fuoco, incredibili, indelebili: Stefan, l’uomo che aveva sempre amato e apprezzato per la sua gentilezza e per il suo amore nei confronti della famiglia, aveva tentato di farle del male, traviato e spinto dalla follia, dalla sete del suo… sangue. 
Era così impossibile da accettare che suo padre fosse un mostro, uno di quegli spiriti crudeli che popolavano i racconti dell’orrore che zio Jeremy si divertiva a narrarle da bambina, trovando sempre in lei una sfacciata e intrepida ascoltatrice. Elena aveva sempre malsopportato quelle storie, temendo che lei potesse avere dei problemi ad addormentarsi durante la notte, e spesso aveva rimproverato suo fratello per quel motivo, spezzando l’entusiasmo di Demi. Sua madre, ripensandoci ora, aveva cercato con tutte le proprie forze di proteggerla e di tenerle nascosta una realtà parallela a quella del loro idilliaco nido domestico. Aveva sempre ritenuto fondamentale che Demetra fosse al sicuro. 
Al sicuro. 
- Va tutto bene.- le bisbigliò Nick, dopo un lungo istante di esitazione mentre le loro dita si intrecciavano dolcemente e i loro palmi combaciavano, cercando rifugio l’uno contro l’altro. -… io e te troveremo una soluzione, andrà tutto per il meglio. Devi fidarti di me.- Demi alzò lentamente il capo per osservare il volto serio del ragazzo, mentre una fievole scintilla di speranza la attraversava, riscaldandola. In un modo del tutto sconosciuto ed inaspettato, Nick riuscì a placare la tensione che dentro la attanagliava, donandole sollievo come un balsamo sulle ferite, come un soffio caldo e rassicurante sulla pelle intirizzita dal gelo dell’inverno e dell’inganno. Era una sensazione bizzarra… e dolcissima. 
Demi avrebbe dato qualsiasi cosa per poterlo incontrare di nuovo per la prima volta, magari per caso, in una classe qualunque dell’Istituto, per rimanere colpita dalla sua bellezza e per non provare mai quel paralizzante e terribile senso di rischio e cieca attrazione nei suoi confronti. Le sarebbe piaciuto conoscerlo spontaneamente, senza sapere nulla degli altri componenti della famiglia Mikaelson, senza temere continuamente di essere incastrata e abbandonata da lui in mezzo ad nuovo branco di manigoldi e, soprattutto, senza sapere che, in realtà, le sue fantasie sui licantropi… erano vere. 
- Tu lo sapevi.- disse lei, percependo un profondo senso di colpa travolgerla. -… tu hai cercato in ogni modo, per intere settimane, di avvisarmi ed io ti ho dato del pazzo furioso.- Demi lo fissò con quei suoi innocenti occhi azzurri, pieni di rimorso, e lui si sentì consumare da quello sguardo così sincero e amaro, di insopportabile efficacia. -… mi dispiace tanto, non avrei dovuto trattarti così.-
- Forse me lo sono un po’ meritato.- ammise lui, con una scollatina di spalle, guidandola verso il limite del ponte e sedendosi sul bordo, in attesa che lei facesse lo stesso. -… non avrei mai dovuto lasciare te e la tua amica Bennet in un pericolo così micidiale, nella Foresta accanto alla Biblioteca, ma… non avevo scelta. Adesso sai… perché sono fuggito subito tra gli alberi… era una notte di plenilunio. Come tuo padre prima, avrei potuto perdere il controllo e perfino peggiorare la situazione. Avrei potuto aggredirvi senza neppure rendermi conto delle mie azioni.- 
La Salvatore lo guardò fisso, ancora leggermente sulle sue, perplessa, poi, sospirando, si sistemò accanto a lui.
Le più tenebrose leggende del folklore cittadino avevano un fondamento concreto, allora. 
Nicklaus Mikaelson, il nipote della donna più bisbetica che il Mystic Falls’ Institute avesse mai vantato tra le file dei docenti, il suo solitario, schivo e bellissimo compagno di lezioni di Storia... non apparteneva alla stirpe comuni mortali.
Era anche lui una belva maledetta, magari un assassino, un predatore. Un Lupo Mannaro. 
- Avrei tanto voluto spiegarti, metterti in guardia contro il pericolo…- 
- Puoi farlo adesso, se vuoi.- lo interruppe lei, d’impeto, finalmente lucida e pronta. -… ti prego.- Demetra non riusciva ad accettare che, dietro il sorriso apparentemente così distaccato e indifferente del ragazzo, fosse stato celato tanto dolore a causa dei suoi precedenti rifiuti.
Finalmente lo capiva: cupa, silente, ben nascosta, nell’anima di Nick si celava una voragine infinita di tradimento e mestizia, un burrone ripido ed invalicabile che, adesso, combaciava con quello che la consapevolezza aveva scavato anche dentro di lei. 
- Sei sicura di volere tutta la verità?- le chiese lui, studiando attentamente la sua espressione titubante. 
Demi si sforzò di riflettere bene a tal proposito prima di aprir bocca. 
Lui le aveva rivelato, inseguendola senza posa tra i corridoi, di essere stato costretto a fare i conti con la propria malezione, con il proprio essere diverso e sperduto… e lei cosa era stata capace di fare? Di andargli addosso, sorda alle sue suppliche, alle sue richieste di perdono. Egoista. Gli doveva molto più di questo.
- .- confermò infine e tirò le ginocchia verso il petto, circondandole con le braccia, taciturna e cauta, in attesa.

Image and video hosting by TinyPic

- D’accordo.- esalò Nick, inspirando profondamente nell’aria tranquilla, per farsi forza. - So ciò che sono da molto tempo.- esordì, senza smettere di rimirarla, mentre il suo tono si faceva pian piano basso e roco, affascinante. - quando mia zia mi ha accolto in casa sua ero solo un marmocchio ma sapevo già che, prima o poi, alcuni orrori sarebbero riemersi dal buio. Un male così assoluto e oscuro non poteva restare sepolto tanto a lungo, no. Le tenebre avevano già inghiottito i miei genitori eppure sapevo che sarebbero presto tornate per me… per noi.- Demi sentì un brivido scuoterla completamente, ghiacciato e inesorabile come una doccia fredda di presagi, facendole trattenere il fiato. Aveva quasi paura che lui continuasse ma, al tempo stesso, la brama nei confronti di quelle rivelazioni la annientava.
- Perché?- chiese, scrutandolo con i polmoni che si espandevano e contraevano affannosamente, impazienti. Un sorriso malinconico arricciò le labbra sottili di Nick, spegnendosi immediatamente, in un barlume di dispiacere velato.
- Perché non saremmo dovuti nascere affatto, Demi. Le creature come tuo padre, come il mio… non erano fatte per procreare, per dar vita ad una nuova, singolare e duratura stirpe di dannati. Il loro sfrontato desiderario di una vita normale, umana, limitata… è stato un atto egoistico e imperdonabile che ha scatenato una Maledizione tra le più potenti della storia. Noi siamo delle eccezioni, a questo mondo, poiché pochissime creature hanno preferito la mortalità all’essere sovrannaturale, ma il nostro destino è segnato.- disse tutto d’un fiato, mentre le sue parole la trafiggevano come lame roventi. – Siamo una prole sgradita, delle rarità ibride che il Male, una volta risorto, vorrà avere dalla propria parte, piegare alla propria volontà, fare schiave della sua gloria, per punire i nostri superbi genitori. La Maledizione della Clessidra è stata spezzata la sera in cui ci siamo infiltrati in Biblioteca… e le cose sono tornate come prima. La nostra genetica occulta è riemersa, assieme a quella dei nostri parenti, così come era stato profetizzato.- Demi boccheggiava, in una sorta di sovraccarico sensoriale. L’agguato, i segreti, i ritratti, le bugie, la violenza… la chiave. - ... ed io penso di sapere chi c’è dietro a tutto questo.- 





***

Salve miei adorati lettori <3 chiedo scusa per il ritardo nell'aggiornamento e nelle risposte alle vostre recensioni... ho avuto delle settimane molto difficili e ho faticato moltissimo per ottenere la definitiva stesura di questo capitolo <3 Spero di avere dei vostri commenti positivi in proposito... vi amo tutti, nessuno escluso, per essere sempre così propositivi e appassionati nei confronti di questa storia ^^
Evenstar75

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Conosci il nemico ***


POV Elena Gilbert

-Coraggio, siamo quasi arrivati.- mi incoraggiò Damon, senza voltarsi indietro, avanzando rapidamente nel labirinto di cespugli aromatici e lapidi incastonate nella nuda terra. La sua schiena, stretta nel solito giubbotto nero di pelle lucidissima, era eretta e fiera, e mi costrinsi a non guardarla con troppa partecipazione emotiva. Chissà che cosa aveva intenzione di fare, se davvero poteva aiutarmi a proteggere l’unico legame che mi aveva impedito di crollare in mille, invisibili pezzi dopo la grande battaglia per la Cura… - Sei più silenziosa di quanto ricordassi.- osservò lui, facendomi sobbalzare sul posto ed emettere un breve grugnito in risposta, mentre continuavo a seguirlo con le labbra serrate e l’animo in completo subbuglio. Era vero, lo ero, ero una creatura molto più taciturna rispetto al mio polemico e testardo passato, ma ero molto migliorata negli ultimi sedici anni, dal giorno in cui la mia vita aveva ricominciato a scorrere regolarmente, donando sollievo ai miei sentimenti riarsi e decisi a non venire mai più a galla. 

>> Meredith Fell, splendente nel proprio decoroso camice bianco, con l’aria scarmigliata ma soddisfatta, entrò lentamente nella camera del Reparto di Ostetricia del Mystic Falls’ Hospital, le cui mura imbiancate erano investite dal fulgore artificiale dei grandi neon attaccati al soffitto.
-Eccola qui, la nostra piccola di casa Salvatore.- esordì, per annunciare la propria presenza ed attirare l’attenzione delle nostre due figure curve ed abbracciate sul malandato lettino dell’ospedale. Stefan scattò immediatamente in piedi ed i suoi occhi verdi, arrossati dalla preoccupazione e dall'attesa, saettarono dalla dottoressa, il cui bel volto olivastro era illuminato da un sorriso intenerito, fino al piccolo e tremulo fagotto che lei stessa reggeva tra le braccia. 
Nel medesimo istante, anche il mio sguardo offuscato, stanco eppure vigile squadrò quel palpitante involto di coperte inamidate. 

ImagesTime.com - Free Images Hosting

La minuscola creatura ancora avvolta e seminascosta tra di esse… era mia figlia.
Quando nell’aria si sprigionò, musicale e anelato, un piccolo vagito d’impazienza, il mio viso stremato divenne semplicemente raggiante. Meredith mosse un passo in avanti, con un’espressione gentile e comprensiva, poi cedette di buon grado la neonata a Stefan. Lui, sostenendone con facilità il lieve peso tra le braccia tremanti, si precipitò accanto a me, con un dolcissimo e mesto sorriso sulle labbra.
In quel preciso attimo, non avevo occhi per nulla che non fosse quel raggio di sole che avevo finalmente dato alla luce ma Stefan non si lamentò a tal proposito, rapito anch'egli da quel miracolo tutto gemiti e fossette.
Un viso di bimba, infantile, aggraziato e pulito, color latte e crema, comparve, meraviglioso, davanti alla nostra repentina sorpresa; ritrovai istantaneamente un po’ dei miei tratti nella forma particolare delle sue labbra piccole e imbronciate ma preferii soffermarmi su altri particolari, come sul nasino delicato, sulla fronte spaziosa ornata da rade ciocche corvine e sulle guance paffute e rosee, incendiate di calore. 
Piangendo, mi strinsi la neonata al petto e mi appoggiai a quella pelle vellutata, bagnandola con mille carezze e baci; Stefan, seduto sul materasso, mi cingeva di nuovo le spalle con un braccio e mi accarezzava piano la testa, stringendomi a sé in un gesto muto e accorato, denso di gioia e d'amore. 
- E' davvero bellissima.- disse lui, con voce roca, ed io mossi impercettibilmente il capo, come se annuissi tra me, d’accordo con quella definizione tanto appropriata. 
‘Vorrei tanto che potesse vederla.’ A questo mio muto pensiero, la piccola rispose con un vagito inconsapevole e allungò le manine sino ad afferrare qualcosa, una ciocca di capelli soffici che avevo sciolti sulle spalle, cercando di giocarci. Socchiuse appena le palpebre e, tra le ciglia nere, comparvero le sue grandi iridi languide, di un azzurro indefinibile. - oh... Demi.- >>


-Elena?- mormorò Damon, arrestandosi lentamente e fissandomi dal profondo dei suoi occhi lucenti, socchiusi e sospettosi. Mi riscossi bruscamente da quei dolci e dolorosi pensieri ed espirai con forza, guardando ostinatamente verso un punto imprecisato nel terreno erboso, giusto per essere sicura di non inciampare di nuovo nei miei stessi piedi durante il percorso. 
Quasi senza accorgermene, mi stavo torcendo le mani in gembo, soffocando in quelle convulse mosse tutta la mia tristezza e la mia impotenza. La fede nuziale che portavo al dito risplendeva, riflettendo la luce solare, producendo uno strano suono mentre sfiorava il mio anello diurno. 
Nonostante i miei vani tentativi, non ero assolutamente riuscita ad evitare alla mia mente di ripercorrere alcune scene ancora tanto vivide del passato e adesso, senza una ragione comprensibile, un brivido mi aveva addirittura attraversato la schiena, proprio quando Damon aveva pronunciato il mio nome. 
Ero completamente fuori controllo.
-Sto bene.- esalai, sentendo la mia voce spegnersi all’improvviso nel baratro della menzogna, mentre cercavo di continuare a camminare senza perdere l’equilibrio. 

>> Avevamo scelto il suo nome da molto tempo, io e Stefan, mentre aspettavamo che l’ultimo tralcio di legna da ardere fosse consumato dal fuoco scoppiettante nel camino del Pensionato. Sapevamo entrambi che la bambina sarebbe nata in una tiepida giornata di fine marzo, quando le giornate avrebbero finalmente ricominciato ad essere riscaldate e coccolate dalla primavera, quando una brezza piacevole avrebbe di nuovo invogliato tutti i fiori a sbocciare, i frutti a maturare, le gemme a schiudersi. 
-Dal greco 'Δημήτηρ'.- avevo sussurrato d’un tratto, seduta placidamente tra le sue gambe, indicando con l’indice una casuale ed interessante riga d’inchiostro su un libricino che Bonnie e Caroline avevano comprato per me quando avevano saputo della gravidanza. -… il suo nome è quello della Dea Madre, sovrana dell'agricoltura, artefice del ciclo della rinascita delle stagioni, della vita e della morte.- Stefan mi aveva baciato distrattamente i capelli di una morbidezza quasi liquida, respirandoli piano, come se quel profumo così familiare potesse scacciare via tutta la nostalgia e la desolazione che avevamo dentro da mesi. 
- Sembra molto carino.- mi disse, con un sorriso sereno, sbirciando curioso oltre la mia spalla, fino a fermare lo sguardo sulla pagina illustrata del volume. 
- Per i Greci Demetra reggeva tra le mani fasci di grano e papaveri.- continuai a bassa voce, timidamente, osservando un piccolo disegno a colori: una donna dalle fattezze angeliche portava, appunto, dei fasci dorati e rossicci ben stretti tra le dita di panna. Non riuscivo a coglierne distintamente le fattezze del volto, perché erano troppo vicine al bordo superiore della pagina, dove era riportato l’elenco alfabetico di tutti quei nomi in successione, ma doveva essere splendida. - La pianta del grano simboleggia il risorgere dopo una grande sconfitta… è anche, quindi, una metafora del passaggio dell’anima dall'ombra alla luce di una nuova e feconda vita.- lessi, con interesse, sentendo che anche lui, adesso, era coinvolto dall’argomento e che era anche caldo, umano, profondamente abbandonato contro il mio corpo. Le sue guance le vedevo diverse, più imporporate del solito, rosse forse per il calore del focolare, forse per un forte distacco rispetto al solito pallore da vampiro che ero abituata a notare sul suo viso. -… il papavero, un fiore rosso come il sangue, è associato al simbolo del potere. Una volta il fiore di papavero veniva anche usato per rappresentare la fedeltà all'amato.- le mie labbra ebbero un fremito e per un momento ogni cosa cominciò a turbinare attorno a me, scoppiando con uno schiocco improvviso, sordo. Avevo sentito Stefan sfiorarmi in un abbraccio concreto, dolce, morbido ed i miei sensi avevano cominciato ad appannarsi. -… mi… mi sembra perfetto.- balbettai, voltandomi appena per incrociare i suoi occhi. 
- Già.- aveva annuito lui, strofinando il naso contro il mio in un gesto tenero. -… Demetra, protettrice del matrimonio e delle leggi sacre.- il respiro mi si mozzò in gola quando la confusione si fece strada attraverso la mia pelle altrettanto tesa ed accaldata. Conoscevo alla perfezione ogni sfumatura verde delle iridi di Stefan ma qualcosa vi brillava in profondità, misteriosa, appassionata. -… proprio a tal proposito avrei qualcosa da dire.- Rimasi sorpresa e in silenzio fino a quando lui non ebbe infilato la mano nella tasca dei pantaloni scuri, scostandosi leggermente da me per riuscire a frugarci meglio. Tirò fuori una piccola scatola rigida rivestita in velluto, dall’aria antica ed elegante ed io capii cosa stava per fare. Il mio cuore perse un paio di battiti mentre la lingua mi si bloccava irrimediabilmente in bocca, impedendomi di spiccicare parola.
- Ascolta, Elena, so che dopo tutto quello che è accaduto io…- esitò appena, impacciato, e seppi in quel preciso istante che quel momento sarebbe per sempre rimasto impresso a fuoco nella mia memoria. Inspirò profondamente, gonfiando il petto con tutto l’ossigeno che poteva, come se si stesse aggrappando alla vita che gli scorreva di nuovo, miracolosamente dentro, per farsi coraggio. Poi ricomiciò, con un sorriso amaro ad increspargli le belle labbra carnose. -… sai, io ti ho vista. Ti ho vista fragile come un pezzo di vetro prima della tua trasformazione; potente, incontrollabile ed impetuosa come il mare in tempesta dopo l’incidente al Wickery Bridge e poi di nuovo debole e senza energie dopo la fine della battaglia…- una fitta nel petto mi fece mancare il fiato e, a quella mia reazione involontaria, Stefan si sciolse in una carezza, senza mai abbandonare i miei occhi. -… hai smarrito te stessa, ti sei ritrovata… e sei qui davanti a me, adesso. Sei, come sempre… la cosa più bella che io abbia avuto la sfacciata fortuna di guardare.- le ciglia mi si inumidirono immediatamente a quelle parole, come se quelle avessero, subitanee, riaperto delle ferite non ancora del tutto rimarginate sul mio cuore. Razionalmente, sapevo che quello era tutto ciò che avevo sempre desiderato: Stefan, la nostra umanità, una famiglia, il suo sorriso speranzoso, quei brividi tra le ossa, quell’amore così puro e profondo che sentivo fluire dai suoi gesti fino alle profondità della mia anima lacerata, solitaria… 
- Ti amo.- bisbigliò lui semplicemente, aprendo con uno scatto il contenitore che aveva in mano. Un piccolo anello d’oro, sobrio, brillante, comparve su un lettino di seta vermiglia. Un anello nuziale, una promessa.
- Lo so.- sussurrai io, con una strana sensazione di vertigine a destabilizzarmi. Mille sensazioni si scontravano nel mio sterno, cozzando fragorosamente le une contro le altre: la gioia, la disperazione, la perdita, la tenerezza, il disgusto, il piacere, la speranza, la colpa, l’abbandono… scossi la testa, mentre la vita mi pulsava dentro e mi dava la forza di allungare le braccia verso il collo di Stefan, con slancio, per sentirmi avvolgere da quel senso di pace e appagamento così tanto desiderato e mai realmente ottenuto. -… ti amo anche io.- gli presi il viso fra le mani, le sue meravigliose gote bollenti contro i palmi, poi chiusi gli occhi e lo baciai, lo baciai per smarrirmi in quella bocca deliziosa e per allentare la morsa che percepivo dentro, per bere la sua felicità stordita, lieta, trionfante. Due lacrime incandescenti e liberatorie mi erano scivolate giù per il volto, ma lui le aveva raccolte e asciugate, come sempre, senza chiedere nulla in cambio.>>


-No, non stai bene.- sbuffò Damon, invadendo il mio campo visivo con i suoi occhi ansiosi di quel colore così fervido ed espressivo. Era di nuovo vicino a me, ad un soffio, ed il sole opaco sopra di noi dipingeva sfumature multicolori tra i suoi capelli neri e setosi, così diversi da quelli di Stefan, così squisitamente spettinati, così simili alle piume di quel corvo che avevo visto così tante volte comparire nei miei sogni. Mi afferrò per un braccio, per scuotermi, costringendomi a guardarlo in faccia. Nelle parti più inesplorate del mio essere, lì dove l’istinto e il dubbio la facevano da padroni, sentivo ancora una volta la tempesta, la mia rabbia, la pioggia torrenziale di sensazioni che avevo deciso di rinchiudere per sempre e che invece adesso, indifesa e vulnerabile, mi ritrovavo a fronteggiare. Una domanda mi esplose sulle labbra prima che potessi fermarla e risuonò tra le foglie smeraldine dei cipressi, nel silenzio dell’aria calma, nel gelo ardente del suo sguardo confuso:
- Perché te ne sei andato?- 

***

- Dovresti risponderle, sai.- osservò Matt, fissando il cellulare di Sheila che vibrava rumorosamente sul tavolo della cucina della Casa sul Lago. Un nome brillava sullo schermo lucido, accompagnato dalla foto sorridente di un abbraccio pieno d’affetto tra Bonnie e sua figlia: ‘Mamma’. La signora Bennet aveva cercato di contattare la ragazza forse per una ventina di volte negli ultimi dieci minuti, inascoltata, e qualcosa diceva alla Lockwood che non si sarebbe arresa tanto facilmente. -… sicuramente sarà in pena per te.- aggiunse, rincarando la dose e costringendo la sua amica a passarsi una mano tra i ricci scomposti, come per scacciare via un pensiero molesto. 
- Le ho già inviato un sms.- tagliò corto Sheila, guardando altrove con un’espressione densa di amarezza. -… sa che siamo qui, sa quello che è accaduto e che stiamo bene… ma non ho voglia di parlarle.- le sue frasi dure echeggiarono nella stanza accogliente e, dal tono in cui vennero pronunciate, Mattie pensò bene di non continuare ad insistere: Sheila era stata investita, per la seconda volta in poche settimane, da un’ondata di magia, pericolo e sofferenza più grande di lei. Prima c’era stata l’aggressione nella foresta per mano del crudele ‘branco di Nick’… adesso aveva avuto anche una premonizione nel bel mezzo della pausa pranzo scolastica. Non poteva fargliene una colpa, insomma, se non era dell’umore giusto per ascoltare le sconnesse spiegazioni improvvisate dalla signora Bonnie. 
Ma un magro sms per spiegare quell’assurda situazione senza far sì che la povera donna si facesse, giustamente, prendere dal panico? 
Puah. 
Già se lo immaginava: 
>> A quanto pare sono una veggente, (per caso ne sai qualcosa?), Stefan ha appena tentato di papparsi Demi, tu dove accidenti ti trovi? PS: Siamo alla casa sul lago in compagnia di un Vampiro e di un Lupo Mannaro e tutto va per il meglio. Tanti saluti. >>
- Io, invece, ho appena telefonato mia madre.- annunciò fieramente Matt, trattenendo una risatina e sbirciando con aria innocente e allo stesso tempo curiosa oltre una finestrella che volgeva verso il Lago. 
Demi e Nick erano seduti sul ponte, finalmente l’uno accanto all’altra, e con ogni probabilità stavano chiarendo le moltissime e contraddittorie problematiche insite nel loro rapporto appena nato. – sarà qui tra un paio di minuti e ti fa i suoi migliori complimenti per non aver… ecco, sì!, staccato la testa ad uno di noi.- Stefan, allora, riemerse dal proprio stato di profonda e silenziosa meditazione in un angolo della cucina ed alzò lo sguardo provato per incrociare gli occhioni limpidi e chiari della ragazza. 
Lei, dignitosamente, gli indirizzò un allegro brindisi, sollevando appena il bicchiere di succo di frutta prima di vuotarlo tutto in un unico, lungo sorso.
- Grazie.- mormorò a stento lui, mollemente abbandonato su una delle cinque sedie imbottite lì intorno. Si sentiva scarmigliato e affranto, sporco, come se volesse scomparire dalla faccia della terra, eppure la sola presenza di quelle due ragazzine vispe e tenaci attorno a sé gli dava conforto. Proprio come ai vecchi tempi, quando poteva contare sull’aiuto incondizionato di Caroline e Bonnie, le migliori amiche di Elena, si sentiva ancora investito dall’ondata del rispetto e della stima di qualcuno. Era una sensazione piacevole che avrebbe tanto voluto poter ricompensare. -… voglio dire… grazie anche per essere venute qui in tutta fretta. Demi dovrebbe essere fiera di avere delle compagne d’avventura come voi due.- Matt annuì tra sé, tranquilla e consapevole, girovagando per la cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare negli sportelli. 
Aveva già spazzolato tutte le frittelle che Stefan aveva preparato sui fornelli prima della sua perdita di controllo alla vista del sangue di Demi, ma la sua fame nervosa non si era minimamente placata. Rovistando con cura nella credenza riuscì a trovare una busta di merendine al cioccolato e, con aria soddisfatta e noncurante, cominciò a scartarne una.
- Potresti smetterla di rimpinzarti e pensare alla drammaticità della nostra condizione?- la rimbeccò Sheila, la quale adesso si teneva la testa tra le mani, premendosi le tempie con le dita brune e affusolate. Matt, concentrata com’era nel trangugiare dolci, non udì affatto il suo rimprovero e, per tutta risposta, addentò una seconda merendina profumata.
- She’l m’pas sciropp d’frag-uOl?- fece, con le guance gonfie come palloncini.
- Cosa?- le domandò la mora, contrariata, scrutandola torva. - Non parlare con la bocca piena altrimenti non capisco un tubo!-
Mattie deglutì di colpo ed ingoiò precipitosamente tutto quello che aveva in bocca, nella speranza di riuscire a formulare la domanda in modo più comprensibile prima che la Bennet perdesse definitivamente le staffe.
- Mi passi lo sciroppo di fragola?- Sheila lo prese dal mobiletto davanti a sé e lo porse con aria scettica all’amica affamata, la quale si limitò a ringraziarla con un versetto di approvazione, mentre il cellulare sul tavolo continuava a sobbalzare in preda allo sconforto. 

ImagesTime.com - Free Images Hosting

Sheila rivolse uno sguardo disperato a Stefan ma lui, chissà da quale angolo della propria anima tormentata, aveva tirato fuori un mezzo sorriso divertito. 
Era incredibile quanto Matt gli ricordasse la sua migliore amica Forbes: erano due gocce d’acqua non solo nell’aspetto ma anche in alcuni atteggiamenti e modi di fare, così come Demi era identica a…
- Eccola lì.- borbottò d’un tratto la Lockwood che, affacciandosi di nuovo per dare un’occhiatina dalle parti del Lago, aveva notato un’automobile giungere nel parcheggio della Casa sul Lago, sollevando un grande polverone a causa dell’alta velocità d’ingresso. -… fate largo, prego, la First Lady di Mystic Falls è in arrivo.- e non riuscì a trattenere un ghigno canzonatore davanti a quelle parole. 
Tosse leggera soffocata dal nuvolone di ghiaia e smog che ella stessa aveva provocato con una brusca frenata, capelli più biondi dell’oro che le si appoggiavano con perfetta lucentezza sulle spalle minute, pelle candida (più bianca del solito!) simile a quella di una bambolina di porcellana finissima ed abito svolazzante ad avvolgerle il corpo perfetto: Caroline Forbes Lockwood, meglio nota con il soprannome di Barbie (Vampire), chiuse con impeto lo sportello del proprio fuoristrada e si precipitò verso l’abitazione, imprecando poiché i tacchi le si impigliavano nell’erbetta e nelle fessure del terreno da giardino.
-Matt!- strillò, mentre le sedicenni si avvicinavano di corsa alla porta per aprirle, non senza un pizzico di indecisione prima di abbassare la maniglia d’ottone. – Matt! Oh, grazie al cielo, stai bene! Cosa ti è saltato in mente, sei praticamente evasa da scuola… aspetta che lo sappia tuo padre… e cosa dirà la Preside?! Era così affezionata a me quando frequentavo il Mystic Falls’ Institute, ero il capitano delle cheerleader ma questo lo sai già… Sheila! Sei un po’ sciupata, ragazza mia, sei sicura di mangiare abbastanza frutta e verdura?- Matt sghignazzò davanti alla faccia scioccata della sua amica Bennet: adorava la personalità eccentrica e spumeggiante di sua madre Caroline, anche se contrastava notevolmente con la propria, di solito più autoironica e meno invadente, ma capiva lo sconcerto che tutta quell’energia poteva causare nella mente già corrucciata da Sheila. 
- Stiamo benone, mamma.- si lamentò la biondina, scherzosamente, accennando alle stanze della veranda e della zona cottura della rustica residenza lacustre. – vedi? Neppure un graffio. E’ il papà di Demi ad avere bisogno di te, ti ho rintracciata per questo.- 
- D’accordo, certo, vado subito da lui ma prima…- gli occhi azzurri di Caroline si soffermarono per un momento in quelli di sua figlia, più grandi e cristallini dei propri, accesi da una lieve sfumatura coraggiosa e decisa che le aveva sempre ricordato moltissimo il marito Tyler. In quell’occhiata piena di esitazione c’erano molti interrogativi e molte richieste di perdono che Matt intravide ma che decise di non prendere troppo sul serio. 
Sua madre evidentemente temeva che lei fosse sconvolta o ferita dalla realtà soprannaturale della situazione, che si sentisse tradita dalle bugie che le aveva raccontato per tutta la vita, che fosse alla ricerca di nuove certezze… ma non era affatto così. 
Mattie, al contrario delle sue migliori amiche, si sentiva completa ed appagata dopo quella scoperta, come se finalmente avesse scoperto un lato di sé che le era sempre stato impossibile raggiungere. 
Era contenta di avere un chissacchè di inaspettatamente speciale nel proprio DNA. 
- Va tutto bene, mamma, davvero.- assicurò la giovane alla donna, la quale emise subito un sofferto sospiro di sollievo e le arruffò i capelli dorati con una mano dalle lunghe unghie curatissime.
- Brava bambina. Ti spiegherò tutto al più presto.- le promise, poi piombò in cucina, accompagnata dall’ ulteriore e spiccato ticchettìo che i suoi tacchi frettolosi emettevano, come di consueto, sul pavimento. 

ImagesTime.com - Free Images Hosting

Matt riuscì a scorgere appena, oltre il breve corridoio, un abbraccio fraterno tra Stefan e Caroline, una stretta piena di un traboccante sentimento d’amicizia e consolazione reciproca, poi distolse lo sguardo per permettere loro di avere un po’ di pace e riservatezza. 
Il suo sguardo si spostò dalla soglia di Casa al punto in cui confluivano tutte le attenzioni di Sheila, corrucciata e a braccia incrociate: Matt vide che i due piccioncini sul ponte erano ancora immersi in una profondissima conversazione e, suo malgrado, capì che era tempo di interromperli per coinvolgerli in una bella chiaccherata di gruppo.
- Ricevuto.- annuì, alzando le mani in segno di resa. - Andiamo a salvare Demi prima che finisca dritta dritta nella tana del lupo.- suggerì, prendendo la Bennet sottobraccio per farsi strada, assieme a lei, verso la coppia sussurrante. Per la prima volta, dopo molto tempo, Sheila si lasciò andare ad uno spontaneo sorriso e respirò più tranquillamente nell’aria dolce ed odorosa del Lago.

***

Elena avvertiva i tremiti convulsi nella stretta di Damon, comunicatigli attraverso la presa delle sue dita sul braccio destro. Dopo aver udito quella spinosa e sconcertante domanda, Damon la scrutò senza battere ciglio, immobile, come se il mondo intero avesse improvvisamente smesso di girare per il verso giusto, poi distolse ostentatamente lo sguardo. 

ImagesTime.com - Free Images Hosting

A capo chino, ormai giunto a destinazione (cioè ai margini boscosi del camposanto di Mystic Falls), il vampiro percepì i più tristi e laceranti ricordi di sempre diffondersi come un lento ed insopportabile formicolìo in tutto il suo statuario corpo. 
- Sei andato via senza nemmeno dirmi addio.- sussurrò lei, d’impeto, con voce rotta, agitandosi sul posto nel tentativo di costringerlo a guardarla in faccia. Nell’ascoltare quelle parole veritiere, prive di una qualsiasi sfumatura accusatoria, solo piene di un dolore infinito e nostalgico che combaciava col proprio, Damon seppe che quelle destabilizzanti, inutili ed umilianti emozioni lo avrebbero presto sopraffatto. 
Proprio come quando aveva incontrato Demetra per la prima volta, sulla strada per andare a scuola, (e lei lo aveva guardato così intensamente da scavargli dentro ed annientare ogni sua barriera spavalda o protettiva), il vampiro si sentiva di nuovo vulnerabile. Un familiare vortice di turbamento tentava, dunque, di trascinarlo in un altro profondo abisso di sofferenza, orribilmente similie al baratro senza fondo in cui era precipitato esattamente sedici anni prima, il giorno stesso in cui aveva perso ogni cosa. 
-Elena…- si accorse che lei stava tremando d’attesa e tensione ma non riuscì comunque ad impedire alla propria voce di spegnersi nel vuoto, priva di spessore e di consistenza. Non ce la faceva. I suoi grandi e dolci occhi castani brillavano di lacrime mai versate e di parole mai dette ma erano anche fermi, decisi e desiderosi di conoscere la verità, e lo fissavano. Lo sconvolgevano, lo impaurivano, lo attraevano maledettamente, irresistibilmente, ancora, nonostante tutto.
Damon ricordava fin troppo bene il catrame nero ed impenetrabile della notte in cui era fuggito e l'alba sfrigolante d'addii del giorno dopo, assieme al nulla più assoluto in cui era scomparso, facendo completamente perdere le proprie tracce agli abitanti della città. Stravolto e ferito, non si era concesso neppure la clemente possibilità di dire addio all’unica donna che avesse mai amato o il tempo di guardarla per l’ultima volta risplendere sotto la luce della luna, eterna, lontana, segreta, crudele… come lui.
Era partito in incognito, fine della storia, aveva scelto la ‘cosa giusta’ da fare, preferendo ancora una volta, all’effimera ed irraggiungibile illusione della felicità, la propria inestinguibile solitudine. 
E la propria eterna condanna.
Durante quegli interminabili istanti di silenzio, riflessione e sospensione tra loro, qualcosa sibilò e schioccò sinistramente nell’aria ferma e densa del cimitero, facendoli sobbalzare entrambi, insospettiti. 
Fu un attimo.
L’espressione acuta e splendente di Damon divenne bruscamente allarmata e preoccupata; il cielo limpido dei suoi occhi si rabbuiò di colpo, le sue pupille si dilarono e tutti i suoi muscoli si tesero all’improvviso, pronti a scattare. 
Qualcuno si stava avvicinando con una rapidità sorprendente. 
Damon riusciva a sentire le vibrazioni di quei movimenti risuonare nell’ambiente, una per una, minacciose e nitide. Elena, i cui sensi da vampira erano ancora intorpiditi da un sonno quasi ventennale come dalla mancanza di sangue squisitamente umano nella sua dieta più recente, non comprese subito il perché di quella reazione turbata e felina nel vampiro e rimase lì a guardarlo per un po’, inebetita e muta, esitante. 
Ad un tratto, però, sentì la mano di Damon stringersi sul suo braccio fino a trasformarsi in una morsa e la forza di lui spingerla al sicuro. 
-Damon, cosa stai fac…?- l’urto della sua schiena contro il tronco di un albero dalla corteccia profumata e scagliosa fu netto, sonoro e urgente ma Elena non provò dolore: percepì solo una paio di foglie verde bottiglia impigliarsi tra i suoi lunghissimi capelli scuri e la leggera pressione del corpo di Damon sul proprio: un contatto assurdo ed inaspettato, prepotente… bollente. Elena, seminascosta dietro il cipresso e appiattita il più possibile contro il suo fusto, vagò alla cieca con lo sguardo sul volto pallido del vampiro, senza capire; lui posò l’indice sulle proprie labbra fresche e rosee e il suo respiro corto divenne così lieve da risultare inudibile.
-Non siamo soli.- le bisbigliò, intimandole con lo sguardo di non fiatare e di non muoversi fino a quando non fosse stato sicuro uscire allo scoperto. Elena sentì il cuore che le rimbombava nelle orecchie, battendo furiosamente nel suo petto, quasi come se volesse sfondarle la gabbia toracica, ed il sangue carminio che le affiorava sulle guance prima che potesse provare ad impedirlo. Damon sorrise teneramente mentre la guardava, come se non l’avesse mai vista più bella di così. Lei, con i polmoni in fiamme, quando lui si allontanò leggermente per sbirciare in direzione dell’alterazione dell’equilibrio spaziale circostante, alla ricerca della sorgente di quei movimenti, si costrinse a fissare lo sguardo al suolo. I radi ciuffi d’erbetta smeraldina le ricordarono immediatamente, desolatamente, il colore degli occhi buoni, gentili e sempre pazienti di Stefan. Un brivido la scosse come una scarica d’energia elettrica, costringendola ad aggrottare le sopracciglia in una smorfia torva e malinconica. Che diavolo stava facendo lì? –ecco quello che volevo mostrarti.- Damon interruppe il suo flusso di coscienza con una carezza sulla sua spalla, invitandola a sporgersi, assieme a lui, oltre il tronco dietro il quale si erano nascosti, e a guardare il nuovo personaggio comparso sulla scena. -… forse questo può aiutarti a proteggere Demi.- il modo cauto e delicato con cui lui pronunciò il nome della ragazza diede ad Elena una profonda fitta nello stomaco ma non ebbe il tempo di rammaricarsene.
Una figura snella, alta, femminile e meravigliosamente, pericolosamente bella comparve nell’incredulo incredulo campo visivo della Gilbert. Una fluente chioma bionda, mossa appena dal vento leggero, si spargeva come una pioggia dorata sulla schiena eretta e fiera di Rebekah Mikaelson. Le sue labbra sporgenti e carnose erano contratte in una smorfia di puro sconforto e la vampira reggeva tra le mani un mazzo di fiori che, a quella distanza, sembrava essere composto da rose rosse e bianche. I suoi abiti scuri ed i suoi guanti di pizzo nero sottolineavano il suo stato di lutto ed elegante sopportazione della perdita ed era semplicemente lampante il fatto che fosse lì per una visita ai defunti.
-Da quando sono tornato a Mystic Falls…- sussurrò Damon all’orecchio di Elena, quasi divertito, facendole venire la pelle d’oca sul collo. -… è venuta qui tutti i santi giorni alla stessa ora e continua a parlare con quella dannata tomba. Sembra leggermente ossessionata dalla faccenda ma questo è un po’ tipico di Bex.- da qualche parte, però, lassù, una nuvola nascose interamente il sole. 
Nell’udire quella notizia, proprio mentre Rebekah si inginocchiava davanti ad una pietra sepolcrale di marmo finissimo e vi deponeva i magnifici virgulti, Elena si afflosciò senza un suono lungo il tronco nodoso dell’albero ed uno spaventoso senso di oppressione le chiuse la gola in un pugno di fuoco. Adesso sapeva. Lei e Bonnie non si erano mai avvicinate tanto a quell’area del cimitero, negli ultimi sedici lunghi anni, e la Bennet era così terrorizzata all’idea di andarci da essere rimasta in auto perfino in un’occasione come quella corrente. Anche Caroline aveva sempre fatto lo stesso: lei e Tyler erano andati a deporre una coroncina di fiori su quella stessa lapide immacolata una sola volta, precisamente qualche settimana dopo la nascita della loro primogenita. Matt, l’avevano chiamata di comune accordo, in suo onore, nel ricordo costante ed indelebile di lui, dell’amico, dell’eroe. Ripensandoci, Elena vide davanti a sé un buio totale: sfiorata amorevolmente dalle dita guantate di Rebekah, riluceva piano la foto ovale di un volto a lei assai noto, un viso giovane, rubicondo e sorridente, incastonato ed intrappolato per sempre in quella tomba candida e muta. Le scarne incisioni nella pietra spoglia riportavano un unico, devastante nome, ed ogni lettera tracciata seccamente e con poca cura del dettaglio colpiva la coscienza della Gilbert come una lama appuntita al centro esatto del suo cuore pulsante:

_ M A T T H E W _ D O N O V A N _

-Ci ritiene responsabili della tragedia.- mormorò Elena, senza fiato, agghiacciata. La sua mente lavorava frenetica ed inarrestambile mentre i suoi occhi febbrili non volevano credere alla realtà che si parava davanti a loro. -… crede che Matt sia morto a causa nostra. Le abbiamo portato via la possibilità di essere umana e felice con lui…- Damon aveva le labbra strette ed ogni traccia di ironia era scomparsa dalle sue iridi cerulee, che adesso erano due pozze azzurre vacue e senza fondo. Elena lo fissò disperata e le sue mani corsero a coprire la sua bocca, contratta in una smorfia di puro terrore. -... così adesso cercherà di ricambiare il favore!-
Lui rimase fermo al suo posto, serrando la mascella. Un pensiero ritmico, snervante, gli penetrò nelle tempie come un cuneo e decise di esprimerlo in parole per attutirne la violenza d'impatto mentale.
- Quel che è peggio, Elena...- disse Damon, con un consapevole senso di ribellione ad attanagliargli lo stomaco. -... è che un cuore spezzato come quello non si fermerà davanti a niente.-

ImagesTime.com - Free Images Hosting






***



*** 
Eccoci qui con un altro capitolone! :33 Chiedo perdono alle mie adoratissime commentatrici... ho letto attentamente, amato ed apprezzato le vostre recensioni ma non ho ancora trovato l'ispirazione (?) giusta per rispondere a dovere a quel fiume in piena di teorie, complimenti e supposizioni! <3
Lo farò al più presto, nel frattempo spero che sarete felici di leggere questo nuovo pezzo <3

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Hello Brother ***


Tornata al pensionato, Elena si guardò intorno con aria desolata e si strinse nelle spalle, sentendo le assi del pavimento gemere appena sotto i suoi piedi incerti. Le pareti della stanza di sua figlia, con quelle vivide decorazioni floreali che Jeremy aveva dipinto assieme a Demi quando lei era solo una bambina, sporcandola tutta con la vernice rossa e gialla dei suoi pennelli solo per farla scoppiare a ridere, le sembravano improvvisamente opache e le si stringevano quasi addosso, vibrando fastidiosamente nel suo campo visivo offuscato di lacrime. 
-E’ stata la scelta migliore.- sussurrò una voce calda alle sue spalle, facendola riscuotere precipitosamente dai propri pensieri e costringendola a voltarsi. Stefan era comparso sulla soglia della camera da letto, appoggiato con la schiena all’uscio, con le braccia che penzolavano inerti ai suoi fianchi e con il volto contratto in una smorfia altrettanto triste. -… Demi sarà più al sicuro a casa di Bonnie.- Elena annuì debolmente, ostacolando in tutti i modi il pianto, e accarezzò piano l’armadio di Demi, i cui cassetti erano stati svuotati dei suoi abiti e dei suoi oggetti più cari. 
Suo marito aveva ragione, come sempre: sarebbe stata una follia ostinarsi a tenere Demetra sotto quel tetto dopo ciò che era accaduto nella veranda della Casa sul Lago. Bonnie era corsa ad avvisarla, completamente dimentica del tabù del cimitero, subito dopo aver ricevuto un terribile sms da Sheila: la piccola Salvatore aveva rischiato di nuovo la vita, Stefan aveva perso il controllo alla vista del suo sangue e le sue migliori amiche Lockwood e Bennet si erano precipitate da lei in seguito ad una premonizione inquietante di quest’ultima. Adesso Demi sapeva ogni cosa e, soprattutto… l’aveva scoperto nel peggiore dei modi. 
- Già. E’ solo che…- Elena sentì lo sconforto spezzarle le parole in gola, costringendola a deglutire prima di continuare. -… la casa è così vuota senza di lei.- Stefan abbassò lo sguardo, cupo, trovando ben presto il proprio campo visivo invaso dal tappeto turchino e piuttosto peloso posto da sempre accanto al lettino. 
Una volta, reggendo una boccetta smeraldina di sapone tra le mani ancora infantili e paffute, Demi aveva lasciato rovinosamente cadere il contenitore, versandone così l’intero contenuto sulla stoffa. Da quel momento, nonostante i molteplici lavaggi, il tessuto del tappeto non aveva mai smesso di profumare deliziosamente di menta e spezie. 
Reagendo a fatica alla profonda stretta allo stomaco che quel dolce ricordo gli aveva appena procurato, Stefan si avvicinò ad Elena e la abbracciò, cercando di confortarla e respirando piano tra i suoi capelli morbidi.
- E’ stata tutta colpa mia.- sussurrò il vampiro, con un insopportabile senso di oppressione e colpa che gli opprimeva il petto, mozzandogli quasi il respiro. Lei si aggrappò al suo corpo, stringendolo con trasporto, affondando le dita nelle sue spalle e scuotendo piano la testa in risposta.
- No, Stefan…- gli disse, lasciandosi scaldare da quel contatto così piacevole e necessario. 
Quando aveva raggiunto il Lago, sgommando e seminando irresponsabilmente tutte le auto incontrate durante il tragitto di ritorno, Caroline le aveva spiegato nel dettaglio ciò che era accaduto ed Elena non aveva avuto il coraggio di addossare, neanche per un attimo, la responsabilità di quella tragedia appena sfiorata a Stefan. L’uomo che aveva sposato non avrebbe mai tentato di dissanguare o di ferire la loro bambina, non avrebbe perso il controllo, non avrebbe ceduto ai più meschini istinti della coscienza… Stefan era solo stato dominato dall’oscurità che, per qualche motivo, era tornata a presentarsi nelle loro vite, sconvolgendole e straziandole. Stefan era stato solo una vittima di quell’incubo e, anzi, aveva tenuto a bada lo Squartatore in modo davvero eccellente, grazie alla propria forza di volontà e all’amore che provava per lei e Demetra. -… non è vero.- lo guardò negli occhi e li trovò lucidi, verdi, intensi, bellissimi. -… doveva accadere e basta, non c’è una vera ragione dietro tutto questo. Forse è solo il modo che il destino ha trovato per punirci di tutte le bugie che le abbiamo raccontato in questi anni.- il suo cuore perse un battito mentre pronunciava quelle dure parole e Stefan la fissò malinconico, senza emettere un suono, turbato ma consapevole. Le prese una mano, intrecciando con la solita semplicità le proprie dita alle sue, e la condusse dolcemente verso il letto di Demetra, a sedersi accanto a sé, su quelle coltri blu elettrico che la figlia aveva personalmente scelto e nelle quali adorava affondare la faccia raggiante, respirando a pieni polmoni tutto quel piacevole odore di sicurezza e di famiglia.
-Troveremo una soluzione, te lo prometto.- le mormorò, con uno slancio ed una determinazione che donavano molto ai lineamenti fini e delicatamente marcati del suo volto. -… Demi tornerà a casa e noi potremo lasciarci alle spalle tutto questo. Ricominciare da zero, insieme, essere felici. Vedrai, tutto si sistemerà e non ci saranno più menzogne tra noi... Demi capirà.- qualcosa nell’ingenuità sua espressione fece sorridere Elena di un sorriso amaro e lei distolse ostentatamente lo sguardo, mentre un flash di quelle stesse parole, pronunciate in passato, le brillava nella mente annebbiata, accecando la sua razionalità. Dopo la sconvolgente morte di Matt e la scomparsa di Damon, quando il dolore e l’agonia le si erano abbattuti addosso come un fiume in piena, frantumando tutti gli argini del suo autocontrollo, Stefan aveva preso in mano la situazione e le aveva mostrato l’unica via di salvezza possibile. Se non fosse stato per l’uomo che aveva davanti, la Gilbert sarebbe miseramente annegata nella disperazione: lui le aveva rimboccato le coperte quando il gelo dell’inverno e della sofferenza le aveva fatto battere i denti e tremare le membra fino allo spasmo, lui le aveva insegnato di nuovo a godere della luce e del tepore del sole sulla pelle, lui le aveva regalato sorrisi e coccole senza mai costringerla a ricambiare il suo amore, senza pretendere qualcosa in cambio delle proprie costanti e premurose attenzioni. Stefan le aveva giurato che le cose si sarebbero sistemate, che avrebbero avuto una vita libera da ogni tipo di affanno e che avrebbero cresciuto Demi insieme, nel più puro degli ambienti, circondandola di protezione e cure, dimenticando ogni bruttura del passato, cancellando i loro laceranti ricordi e fingendo con se stessi per trovare finalmente un po’ di pace.
Quell’illusione era durata per sedici fulgidi, favolosi e sereni anni… ma si era evidentemente spenta, come una candela nel vento, nel momento stesso in cui Rebekah aveva concepito quel suo sconosciuto e minaccioso piano di vendetta. La vampira bionda e crudele aveva astutamente approfittato dei loro segreti per fare breccia, minando alle fondamenta stesse della loro famiglia. Aveva sfruttato la loro cieca volontà di nascondere il passato che li aveva condotti, per ben due volte, ad un passo dalla disgrazia e si era beata dei loro guai: aveva istigato Demetra a fare delle ricerche genealogiche nel cuore della notte, l’aveva messa contro i propri genitori riempiendole la mente di sospetti e dubbi, le aveva perfino rivelato l’esistenza di Damon… 
- Stefan…- esordì Elena, sentendo un improvviso brivido percorrerle la schiena. La sua bocca era assolutamente asciutta e fece fatica a muovere le labbra. -… Rebekah ci crede responsabili della morte di Matt… ci odia dal profondo e odia ciò che abbiamo generato a costo della sua felicità. Non si fermerà mai… ha giurato vendetta sedici anni fa ed ora giocherà ogni carta a suo favore per distruggerci e per portarci via ciò che amiamo di più al mondo.- la stretta delle dita di Stefan si fece più forte mentre un terrore senza freni gli allagava le iridi. – Perciò non dobbiamo più permetterle di ingannarci, la posta in gioco è troppo alta. Voglio essere assolutamente sincera con te.- lui la scrutò, interrogativo, poi attese la continuazione di quel discorso tanto serio e accorato. 
Elena inspirò profondamente e sentì il sangue affiorarle alle guance in maniera incontrollata.
- Damon è tornato in città.- sussurrò, tutto d’un fiato. -… ed io l’ho incontrato.-

****

Nick aveva approfittato della scarsa sorveglianza di Rebekah per avvolgersi in un cappotto piuttosto pesante ed elegante ed evadere da Villa Mikaelson in pieno giorno. In quegli ultimi tempi sua zia gli appariva più fredda e taciturna del solito, come un fantasma di ghiaccio sempre meno propenso ad aggirarsi per casa, ma questo non lo infastidiva affatto; odiava, infatti, quando Rebekah si metteva a fare la sciocca con lui, riempiendolo di false attenzioni e di cantilenanti premure, oppure tentando in tutti i modi di controllare la sua esistenza. 
Non era più un bambino… anzi, grazie a lei non lo era mai stato davvero.
Nonostante lo sconforto di quei pensieri, il giovane dai capelli castani e in ordine si sentiva straordinariamente leggero. 
Dopo aver intrattenuto quella lunga conversazione con Demi alla Casa sul Lago, seduto accanto a lei su un ponte, con il sole che scaldava i volti paonazzi di entrambi, aveva ricominciato a respirare regolarmente e a non soffrire troppo il disprezzo per se stesso. Non riusciva a togliersi dalla testa la triste ed ineguagliabile bellezza celata nei suoi occhi color del cielo quando, finalmente, lei aveva cominciato a capire. 
Nick scosse la testa tra sé mentre si metteva al volante della sua auto nera e infilava le chiavi per metterla in moto.
Dal primo giorno in cui l’aveva conosciuta, tra i banchi polverosi della lezione di Storia, Demetra lo aveva fissato con uno sguardo di sfida e di curiosità che gli aveva quasi fatto venire la pelle d’oca per la sua intensità... in qualche modo, seppur del tutto inconsapevole, lei lo aveva subito avvertito della propria eccezionalità. 
Nessuna ragazza era mai riuscita a provocargli dentro quell’esplosione di sentimenti, quella confusione e quell’istinto protettivo che avevano messo a serio repentaglio la sua alleanza con il branco fino a cancellarla completamente. 
Nick non avrebbe mai più preso parte ad una qualunque iniziativa pronta a mettere in pericolo Demi Salvatore e si dava il caso che quella organizzata nella Foresta fosse proprio una di quelle. 
Nick accelerò quasi con rabbia, sentendo il vento gelido ululare contro la carrozzeria e cercando di scacciare via quel pensiero molesto e le responsabilità che aveva nei confronti dei compagni di sua madre Hayley, dei suoi simili, degli unici che avrebbero mai potuto accoglierlo come membro di una vera famiglia, quella che aveva sempre desiderato. 
Se solo avesse consegnato loro ciò che bramavano… sarebbe stato tutto molto più semplice.
Ma a quale prezzo? Quello di vedere spegnersi per sempre l’unica luce che per lui contasse in quel momento nell’intero, buio universo, quella brace cerulea e sempre ardente che illuminava gli occhi più meravigliosi e pericolosi che avesse mai visto? Mai. Nick svoltò a destra rigirando il volante tra le mani con un’agilità mai vista e sorrise tra sé, pensando a quanto fosse buffo, adesso, riuscire a godersi i vantaggi di quella dannata maledizione: era un Lupo Mannaro, d’accordo, ma aveva anche dei poteri straordinari che qualunque idiota sedicenne dai muscoli artificiali e dalla passione ossessiva per il football gli avrebbe invidiato. Ad esempio, poteva sfrecciare in quel modo, sulla Ferrari, senza aver paura di schiantarsi per strada: i suoi riflessi erano pronti, la sua pelle era una corazza impenetrabile e le sue escoriazioni o contusioni guarivano sempre straordinariamente in fretta. Peccato che non potesse leggere nel pensiero… gli sarebbe piaciuto davvero sapere cosa quella bellissima e cocciuta ragazza pensasse di lui o almeno la ragione Demi era nuovo sparita da scuola e da Casa Salvatore. Si era rifugiata dalle Bennet per leccarsi le recenti ferite senza dare troppo nell’occhio oppure se si era di nuovo chiusa in se stessa, rifiutando la possibilità di essere Speciale? Se Nick avesse continuato a sentirsi così lontano da lei, probabilmente avrebbe smesso di credere di averla incontrata davvero. Aveva una voglia palpabile di vederla e di ascoltare la sua voce.
Nick parcheggiò nel lussuoso giardino attorno alla casa che era rappresentata da una grossa ‘X’ su una cartina appoggiata al cruscotto e si infilò le chiavi nella tasca dei jeans sbiaditi, sbattendo lo sportello con delicatezza per chiuderlo. Di sicuro non avrebbe voluto abusare della potenza che gli scorreva nella carne per demolire, con un colpo mal assestato, la propria automobile… era una delle poche cose materiali alle quali tenesse davvero. 
Alzando lo sguardo nell’aria ghiacciata, il ragazzo osservò l’aspetto principesco e sofisticato dell’enorme edificio davanti a sé e, sospirando, attraversò il piccolo sentiero tracciato nell’erbetta appena tagliata che portava alla porta. Non aveva mai visto la casa del Sindaco Lockwood prima di allora ma doveva ammettere che era davvero molto raffinata ed imponente. Ossimorico, rispetto allo scricciolo che, prima che lui potesse citofonare, gli aprì energicamente il portone di quercia rossa e pregiata.
-Era ora, compare.- esclamò Mattie Lockwood, comparendo sulla soglia con indosso delle grosse pantofole peluches, dei pantaloni neri come l’inchiostro ed un maglione rosa confetto che si intonava perfettamente con il suo delizioso colorito. Nick quasi sussultò dalla sorpresa di vedersela davanti ma si lasciò andare ad un sorriso spontaneo quando si rese conto che doveva abbassare la testa di qualche centimetro per poterla guardare negli occhi. 
- Ciao, nana.- la salutò, con un cenno, notando quanto, nonostante tutto, potesse essere carino quel viso tondo e ridente. Una nuova folata di vento polare la investì in pieno, facendole sventolare i capelli biondi e raccolti in una coda alta sulla cima della testa e lei rabbrividì di colpo, afferrando con impeto Nick per un braccio e trascinandolo dentro. 
- Sbrigati, coraggio, vieni dentro! Fa un freddo cane… oh, scusa.- il ragazzo ghignò e non oppose poi troppa resistenza. Entrando, sentì immediatamente la suola delle proprie scarpe scivolare appena sulla cera di un pavimento perfettamente lucido e armonioso, uno tra i principali fattori decorativi a rendere la sala d’ingresso simile in tutto e per tutto a quella di una reggia. Una lieve stretta allo stomaco lo sorprese mentre una domanda affiorava, spontanea come l’acqua sorgente dalle cascate, nella sua mente rilassata: sua madre Hayley era mai stata in quella stessa, enorme e incantevole stanza? Era stata davvero un’intima amica di Tyler Lockwood? E Nick, date le circostanze, poteva sul serio fidarsi di quella biondina tutto pepe che adesso gli stava facendo strada attraverso un corridoio dalla luce soffusa? -… mio padre non è mai in casa, quindi siamo apposto. Praticamente è una fortuna che io riesca ancora a vederlo un paio di volte durante il giorno… credo che, prima o poi, finirà con il prepararsi una branda nel suo ufficio da Sindaco o con il dormire direttamente sulla sua disorganizzatissima scrivania. Santo cielo, odio la politica di Mystic Falls e la sua dannata burocrazia.- i borbottii di Matt proseguirono fino a quando non giunsero in un piccolo salotto, adiacente alla cucina, là dove Matt si precipitò per aprire il frigo. Tirò fuori con una smorfietta compiaciuta un pacco di caramelle gommose e lo lanciò sul tavolo, facendolo atterrare morbidamente con un tiro preciso e ben calibrato, sorprendente per una ragazza per nulla sportiva e dall’aspetto così soffice, buffo e minuscolo. – Per non parlare di mia madre, che è in piena crisi esistenziale da stress vampiresco. Le ho detto: ‘Rilassati, mamma! Un paio di canini appuntiti non sono mica un problema, avrei potuto chiedere l’intervento di un assistente sociale per molto meno!’- Matt ridacchiò tra sé, afferrando una brocca traboccante di limonata e appoggiandola sul tavolo squadrato al centro del salotto, sotto gli occhi perplessi di Nick che non riusciva a capire quale fosse l’esatto filo logico di tutte quelle esilaranti confessioni. - … ad esempio, da piccola, mi costringeva a fare le audizioni per le ragazze pon-pon, ogni anno! Una vera tortura, dammi retta, anche solo il guardare quella divisa mi dava i brividi. Ora lei sarà in giro per la città a fare shopping terapeutico, quindi…- la Lockwood aprì il cassetto dei bicchieri e cominciò a chiedersi quale fosse il più adatto da usare con un ospite tanto singolare; poi si voltò a guardarlo con un bellissimo sorriso sul volto. -… avremo via libera per mooolto tempo.- Matt afferrò due bicchieri a calice e due altri simili a tazze da thè e, con una scrollatina di spalle, li sistemò accanto alle caramelle multicolore. Nick si sedette, circospetto, sulla nobile ed intagliata sedia del salotto ed emise un eloquente colpetto di tosse prima di aprir bocca:
- Emh…- cominciò, un po’ confuso. -… che cosa ci faccio qui?- chiese, inarcando un sopracciglio scuro e arcuato fino a farlo quasi sparire sotto il ciuffo castano di capelli impomatati.
- Fai l’infiltrato in una imminente riunione di ragazze, è ovvio.- gli rispose la bionda, con semplicità disarmante. Scartò il pacco di dolciumi e ne sgranocchiò allegramente uno, porgendone un altro al ragazzo, il quale lo afferrò con aria profondamente turbata. -… è ora di fare una bella chiacchierata di gruppo riguardo ai problemini pelosi, sanguinolenti o stramaledetti di questa città... non credi?!- Nick si ficcò con rassegnazione la caramella gommosa in bocca un istante prima di udire quella risposta cristallina risuonare nella sua testa e percepì un sapore troppo dolce e appiccicoso per i suoi gusti incatenargli la lingua al palato, impedendogli di usarla adeguatamente per protestare. Matt gli rivolse un sorriso compiaciuto e decise di assecondare tutti i quesiti che, improvvisamente, erano spuntati nel profondo degli occhi neri del suo amico.
- Sì, saranno entrambe qui in una decina di minuti… anzi, considerando la scarsa puntualità presente nel DNA dei Gilbert direi al massimo quindici. Non preoccuparti, impedirò a Sheila di tramutarti in un girino o roba del genere. Non le sei affatto simpatico ma immagino che non ti darà troppo fastidio in presenza di Demi. Ahh non ci provare… so che morivi dalla voglia di rivederla.- Nick annaspò verso il bicchiere e Mattie ci versò servizievolmente della limonata, senza badare troppo alle guance paonazze del giovane. Quando lui ebbe vuotato in un solo sorso il suo calice, liberandosi la bocca da quel disgustoso confetto molliccio, la scrutò con uno sguardo di rimprovero misto a gratitudine. 
Come faceva quella nanetta a capirlo sempre così bene? Senza che lui ne facesse parola Matt aveva compreso il suo intimo desiderio trascorrere di nuovo del tempo con la Salvatore e aveva trovato un modo poco ortodosso, certo, ma comunque efficace, per farli incontrare ancora. E, nell’organizzare tutto questo, non aveva abbandonato il suo ostinato tentativo di coinvolgerlo nelle loro vite, come un amico di vecchia data, fidandosi ciecamente di lui e dandogli l’ennesima possibilità di dimostrare le proprie buone intenzioni e la propria lealtà al mondo intero. 
- Cos’è quella faccia?- gli domandò Matt, stringendo gli occhioni gioiosi e soddisfatti per osservarlo meglio.
- Niente…- borbottò lui, passandosi una mano nervosa tra i capelli e arruffandoli irrimediabilmente per sfogare un po’ di quella tensione emotiva. -… è solo che volevo…- inspirò profondamente, storcendo un po’ le labbra sottile a causa della scarsa abitudine a pronunciare quella parola, ma poi sorrise appena, sentendo un po’ di quel piacevole quanto raro calore stringersi come una carezza attorno al proprio cuore. -… ringraziarti.- Matt aggrottò le sopracciglia dorate mentre masticava dolcetti e lo fissò, sorpresa, senza riuscire a trattenere una mezza risata in proposito.
- Per cosa, per le caramelle? Credevo che non ti piacessero.- 
- Infatti, fanno davvero schifo.- confermò lui, scuotendo la testa, divertito. – Non mi riferivo a quella roba ma… a tutto il resto. Tu mi hai dato retta quando, agli occhi di tutti, mi sarei solo meritato un bel calcio nel sedere ed un biglietto di sola andata per il manicomio di Mystic Falls. Mi hai impedito di uccidere Stefan Salvatore in un momento di ira e debolezza quel giorno sul Lago, risparmiandomi l’odio eterno di Demi, e, adesso… fai questo.- il ragazzo sospirò, un po’ impacciato. -… grazie.- Matt, che lo fissava con la bocca socchiusa, come in contemplazione, deglutì bruscamente, quasi soffocandosi, ed un immediato rossore si diffuse sulle sue guance, facendole assomigliare a due fragole mature.

>
ImagesTime.com - Free Images Hosting
- Prego.- tossicchiò, senza fiato, mentre, fortunatamente, la loro attenzione veniva attirata da un suono leggero in giardino. I passi che si avvicinavano erano quelli di due persone, di due ragazze, considerato il ticchettìo che le scarpe di entrambe provocavano contro il piccolo tracciato di pietra vicino all’ingresso. E, a meno che l’astinenza non si stesse prendendo gioco di Nick con enorme successo, il tono di una delle fanciulle sembrava inconfondibile. 
- Di chi è quella fiammante Ferrari parcheggiata nell’angolo?- stava chiedendo Demi, continuando a camminare nel cortile con Sheila, fino a giungere alla soglia della villa. – è bellissima.- Prima che Mikaelson potesse dare voce ai propri affollati ed incoerenti pensieri, si accorse che Matt si era volatilizzata, precipitandosi alla porta per aprire alle sue amiche del cuore senza che lui potesse accorgersene in tempo. Imprecando tra sé lui si alzò a sua volta, approfittando della propria velocità sovrannaturale per raggiungere il maestoso ingresso in un batter d’occhio. 
La scena che gli si parò davanti aveva qualcosa di profondamente buffo e teatrale. 
- Posso spiegarvi ogni cosa, sul serio!- proferì con tono autoritario e melodrammatico Mattie, a mo’ di saluto, spalancando la porta ed invitandole ad entrare con un cenno eloquente. Sbucando da dietro il muro che faceva terminare il tratto dritto di corridoio, ansiosamente, Nick vide che Sheila Bennet aveva già riempito d’aria i polmoni per mettersi a strillare ( che avesse già riconosciuto, prima dell’altra ospite, la vettura sistemata in giardino e ne avesse correttamente indovinato il famigerato proprietario?) ma Nick non si soffermò troppo sulla sua prevedibile reazione, impegnato com’era ad individuare un’altra figura in piedi sulla soglia di casa Lockwood. Con i capelli scuri e vellutati sciolti sulle spalle ed un’espressione interrogativa stampata sul volto angelico, Demi si accigliò per un momento mentre i suoi occhi vagavano per la stanza, smarriti, prima di posarsi, stupiti, su di lui. Ancora una volta, senza nessuna previsione né regola, senza che nessuno dei due avesse il tempo di riflettere, il celeste sfumato e brillante si allacciò al nero più intenso. Fissandola, Nick capì che davvero non la ricordava bella com’era in realtà. 

***

Stefan rimase in silenzio per un lunghissimo istante, sentendo le dita che erano strette a quelle di Elena perdere ogni sensibilità tattile e la propria bocca spalancarsi di sorpresa prima che potesse in qualche modo impedirlo. Le sue iridi di quel verde cangiante così delizioso si oscurarono di colpo e, come alla disperata ricerca di una distrazione, vagarono nella stanza, confusi. Il suo sguardo raggiunse il comodino di Demi, sul quale erano appoggiate diverse foto-ricordo della sedicenne. La cornice di legno prezioso e lavorato posta in primo piano rispetto alle altre, in particolare, circondava un adorabile ritratto di famiglia: Elena era splendida come sempre, con i capelli di un lucente castano cioccolata sciolti sulle spalle e il viso disteso in un sorriso soave, lui era un po’ impacciato davanti all’obiettivo ma aveva comunque un’aria rassegnata e felice, misteriosamente bella; la piccola Demi, seduta comodamente tra loro, poteva avere al massimo cinque o sei anni ed indossava un magnifico vestitino color del cielo, della stessa sfumatura brillante dei suoi occhioni spensierati. 
Stefan osservò quei dettagli battendo rapidamente le palpebre e l’immagine ondeggiò davanti a lui, mentre un brivido inquieto si faceva spazio sulla sua schiena.
-Come…- si inumidì le labbra, a disagio, tornando a fissare Elena con estremo stupore. -… come è possibile che Damon sia tornato? Come hai fatto ad incontrarlo… quando…?- sensazioni contrastanti gli invasero improvvisamente il petto, accompagnate da un respiro profondo ed esitante pronto a sibilare sinistramente contro la sua gabbia toracica. Elena socchiuse gli occhi, cercando di rimettere in ordine le idee, e non lasciò andare la mano fredda di suo marito. Tutto le girava vorticosamente attorno e sapeva bene che Stefan percepiva la sua stessa sensazione di rimpianto stringergli lo stomaco. 
- La notte in cui Demi è stata aggredita nella Foresta e ha rischiato di morire…- cominciò lei, senza fiato al solo ricordo. -… qualcuno l’ha salvata dagli aguzzini, sbaragliandoli con una semplicità inumana e cercando di farle dimenticare, subito dopo, quanto era accaduto durante lo scontro.- mentre pronunciava queste parole liberatorie, la Gilbert percepì un repentino cambiamento dell’atmosfera nella stanza. Ogni cosa sembrava più silenziosa e cupa, adesso, come velata improvvisamente da una tristezza senza nome, senza tempo. 
- Damon.- sussurrò Stefan, con voce sommessa e monocorde. Elena annuì, lentamente, e il barlume di consapevolezza nell’occhiata che il vampiro le rivolse le diede la forza di continuare, consentendo finalmente all’aria di tornare ad affluire nei suoi polmoni inariditi dall’angoscia. Gli raccontò ogni cosa, guardandolo con intensità e malinconia, mentre sentiva i propri pensieri scivolarle fuori dalle labbra senza più inibizioni o dubbi, senza che dovesse più trattenerli per non ferire, per non sentirli diventare così reali. Gli disse esattamente ciò che aveva provato quando Demi le aveva rivelato di ricordare anche il più piccolo dettaglio di quella maledetta notte fuori dalla Biblioteca, gli spiegò con rabbia e rimorso quello che era accaduto nel corridoio del reparto ospedaliero, quando aveva incontrato Rebekah e suo nipote appena fuori dallo studio di Meredith, e perfino quello che aveva deciso di scoprire quando, con l’aiuto della dottoressa Fell e di Bonnie, aveva intuito il luogo preciso del Cimitero in cui Damon era nascosto. Evitò di menzionare, però, il fatto che Damon aveva declinato il suo accorato invito a tornare al Pensionato insieme a lei. Non era ancora pronta a fronteggiare l’ondata di cocente sconfitta che l’aveva travolta davanti al suo ennesimo ed inaspettato rifiuto. 
Stefan la ascoltò muto e immbolie, con i muscoli paralizzati dal bisogno di conoscere la verità e dal disappunto. Quando Elena tacque, scrutandolo per comprendere meglio quale effetto avessero avuto le proprie rivelazioni nell’animo del vampiro, lui la fissò per un momento, quasi senza vederla, poi si alzò.
Fece qualche passo per allontanarsi dal letto di Demi e da quella stanza piena di innocenza e memorie, inspirando profondamente per calmarsi e dando le spalle alla moglie, poi si fermò, fuori, in mezzo al corridoio, senza una meta precisa, smarrito in se stesso. 
- Sei arrabbiato con me.- intuì Elena, tirandosi su a sua volta e raggiungendolo, con le gambe che le tremavano tremendamente, sfiorando il dolore fisico.
- Perché non me lo hai detto?- chiese Stefan, con una voce bassa e veemente che, in qualche modo, riuscì comunque a risuonare nell’androne deserto poco lontano da loro. Quando si voltò di nuovo a guardarla, lei vide il dolore dell’uomo fremere sotto la sua maschera di compostezza. Dentro di lui c’erano un timore ed uno sgomento talmente grandi che lei sentì quasi immediatamente il pianto affiorarle tra le ciglia, mortificante, umiliante, inopportuno. 
- Perché non ero sicura di riuscire trovarlo…- mormorò in risposta, pallida come una bellissima statua di neve. Le parole venivano fuori a fatica, adesso, come se qualcosa di remoto, nel suo intimo, non volesse davvero pentirsi di quanto aveva fatto. -… non potevo caricarti di altre preoccupazioni o di illusioni… io non volevo… che tu soffrissi senza una ragione. Non dopo tutto quello che stava succedendo... non potevo permettere alla mia sciocca curiosità di turbarti inutilmente. Eravamo appena tornati vampiri, tu eri in lotta con te stesso per resistere alla sete di sangue, Demi era in convalescenza dopo l’agguato ed io… oh, Stefan…- lui disserrò lentamente i rigidi pugni che aveva stretto ai propri fianchi e la delusione e la furia evaporarono con la stessa rapidità con cui erano venute allo scoperto. 
Elena abbassò la testa, vulnerabile e mesta, lasciandosi coprire la fronte e gli occhi dalle ciocche scure dei suoi capelli profumati. Stefan provò un innato e invincibile quanto familiare senso di protezione nei suoi confronti e la sua fronte si corrugò quando si rese conto che, probabilmente, quello stesso sentimento doveva aver pervaso le vene di Damon, settimane prima, spingendolo a proteggere Demetra a costo della sua stessa vita. 
Pensò a quello che sarebbe accaduto se suo fratello maggiore non fosse mai tornato a Mystic Falls, se non si fosse mai frapposto tra la ragazza e gli aggressori, se avesse lasciato che quei folli assassini realizzassero, indisturbati, il loro lucido progetto di morte e vendetta. 
Un dolore sordo si fece sentire nel suo petto, facendolo vacillare sul posto.
- Pensi che comunque non sia stato sconvolto da tutto quello che ci sta succedendo attorno?- domandò, con tono aspro e debole, ripensando istintivamente all’incapacità di autocontrollo che aveva manifestato alla Casa sul Lago, mettendo ancora una volta a repentaglio la sicurezza della cosa più importante che esistesse nel loro intero universo. Se Demi adesso era costretta a vivere lontana dai suoi genitori era tutta colpa sua, sua soltanto. – Pensi che nascondermi il ritorno di Damon, affrontando tutto questo da sola, mi abbia semplificato le cose? Eri praticamente nell’inferno… ciò significa che anche io lo ero.- quella frase che Stefan aveva già pronunciato molti anni prima, con la stessa sofferenza e la stessa amarezza di quel momento costrinse la donna a sollevare lo sguardo verso di lui, disperatamente. - non lo capisci, Elena? Questo non è mai cambiato, per me. E non cambierà mai, lo sai.- sopraffatta dall’emozione lei scosse la testa, impotente, colpevole, e si avvicinò con slancio a Stefan, abbracciandolo d’un tratto con tutte le forze che possedeva. 
Lui si immobilizzò, meravigliato, stringendola di riflesso per un secondo, prima di circondare a sua volta il corpo della moglie con le braccia e di nascondere il proprio viso contro il suo collo liscio e pulsante, dall’odore tanto inebriante. 
La sua espressione si addolcì appena mentre qualcosa dentro di lui vibrava a quel contatto e le ultime macerie di riprovazione si consumavano piano, arse dal calore spontaneo e naturale quanto incandescente che proveniva dall’innegabile desiderio di tenerla ancorata a sé, per fondersi con lei.
- Lo so…- ansimò Elena, senza piangere ma tremando, aggrappandosi a Stefan come se temesse di vederlo scomparire da un momento all’altro, sepolto e nascosto dietro un velo di repulsione per le sue recenti omissioni. Se lui, in quel momento, l’avesse respinta o allontanata da sé, lei avrebbe desiderato con tutta l’anima scomparire dalla faccia della terra per sempre, sentendosi insignificante e vuota, meritatamente emarginata e condannata ad un’esistenza di solitudine e peccato… con un gemito roco e quasi impercettibile però, lui si arrese a quella struggente richiesta di tenerezza e, sentendo i battiti del proprio cuore accelerare bruscamente, riempì lo spazio che separava i loro volti, con urgenza. 

>
ImagesTime.com - Free Images Hosting
Il loro bacio non fu delicato o esitante come si sarebbe aspettato ma Elena cercò le sue labbra con passione, arrendendosi volentieri alle molteplici e piacevoli sensazioni che il sapore di lui e della sua pelle pulita e dolce le provocavano. Cercando in quel calore l’oblìo e il bisogno, l’amore, la vampira seguì il profilo noto della sua spina dorsale fino ad insinuarsi sotto la sua maglia con le dita tremule, mentre lui soffocava un gemito contro la sua bocca impaziente e si muoveva all'indietro, alla cieca, per portarla in un posto che fosse più comodo. Mentre si spostavano rapidamente verso la loro camera da letto, felici, per una volta, di poter diminuire drasticamente il tempo che avrebbero normalmente impiegato a raggiungerla grazie ai propri palpitanti e rapidi riflessi da vampiri, sentirono i propri pensieri frammentarsi e concentrarsi solo sull’esplosione di morbidezza e piacere che riuscivano a trarre l’uno dall’altra in quel momento. Stefan aprì la porta della stanza, trascinandola giocosamente dentro, e lei si sciolse quasi tra le sue braccia, con le spalle al muro ed il corpo di Stefan che premeva sul suo, sospirando.
Quando Elena rovesciò indietro la testa, per permettergli di baciarle il collo, con gli occhi socchiusi dal piacere, vide qualcosa muoversi nella tenue luce della stanza. Un’ombra scura era spalmata sul letto matrimoniale che per sedici anni aveva diviso con Stefan e, focalizzando meglio quell’ambigua figura, Elena non riuscì a trattenere un grido di sorpresa. 
-Ma tu guarda. Come al solito io sono qui a sgobbare e voi vi prendete tutto il divertimento.- borbottò Damon, rivolgendo loro un cenno malizioso ed impertinente. Placidamente disteso sul materasso soffice circondato da volumi spaginati appena tirati fuori da un baule lì accanto, con gli stivali e il cappotto irriverentemente addosso, vestito di nero proprio come quando Elena l’aveva incontrato nel Cimitero e per nulla turbato dalla scena che aveva appena deliberatamente interrotto, Damon voltò con aria noncurante una pagina del diario lacero che aveva tra le dita pallide, affusolate e splendide. 
Lei lo riconobbe: era uno degli ultimi che aveva scritto quando la battaglia era alle porte… e Bonnie l’aveva continuato per lei quando tutto era finito, lasciandola prostrata e distrutta, inerme come un guscio vuoto. -… credo proprio di aver trovato una delle risposte all’enigma di Demetra… abitudine patetica quanto utile, quella di scrivere un diario, Elena.- i suoi occhi azzurri dardeggiarono mentre la guardava, lasciando trasparire una luce abbagliante mista di desiderio ed ironia. Poi le sue labbra si incresparono e Damon fissò Stefan, il quale lo stava squadrando, sbigottito, da un pezzo, come se potesse trafiggerlo con lo sguardo o, forse, come se non credesse davvero alla sua presenza lì. 
La finestra aperta lasciò entrare una brezza leggera tra loro proprio come, magari ore prima, aveva permesso l’ingresso furtivo del corvo-Damon in quella casa, a rovistare tra i vecchi diari, ad ascoltare le loro conversazioni. 
-Ciao, fratellino.- ghignò il maggiore dei fratelli Salvatore, mentre la sua bocca si incurvava in un sorriso nostalgico e beffardo.

>

ImagesTime.com - Free Images Hosting

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Strane alleanze ***


Il cielo opaco del crepuscolo si era quasi completamente oscurato quando i passi di tre vampiri, leggeri e felpati, risuonarono delicatamente giù dalle scale del pensionato dei Salvatore, all’unisono, come non succedeva ormai da sedici lunghissimi anni, fino a toccare il pavimento dell’ampio salotto. Il divano dai gonfi cuscini color rubino, le lampade scure e basse poste sui mobiletti intarsiati di legno pregiato, i tappeti dai ricchi contorni dorati, le tende spesse dagli ampi drappeggi, le spade smussate incrociate ed appese alla parete laterale destra… tutto era quasi esattamente come Damon l’aveva lasciato. C’era solo qualche foto personale in più, appicciata al muro, al posto di quegli orribili quadri antiquati che Zach aveva acquistato a poco prezzo dal mercatino dell’usato e che Stefan si era sempre ostinato a tenere lì come cimeli di famiglia: una foto di Stefan ed Elena che si scambiavano un bacio in veranda, con il tramonto che si stagliava, radioso, alle loro spalle; una in cui Elena esibiva un sorriso imbarazzato ed un enorme pancione sotto una vestaglia cremisi tempestata di ricami floreali che, a giudicare dalle faccette compiaciute immortalate lì accanto, Bonnie e Caroline dovevano averle regalato durante la gravidanza; un viso di bambina, dai folti capelli neri e dallo sguardo impertinente, che ammiccava davanti all’obiettivo e mostrava, in un sorriso, il primo dentino da latte, sospesa tra le braccia di Jeremy, dell’unico zio che la piccola Demi avesse mai conosciuto davvero. 
- Mi dispiace di aver infranto i vostri programmi per la serata.- commentò Damon, facendo spallucce nella penombra del salotto, distogliendo con finta noncuranza lo sguardo dai ricordi di una vita in cornice che era trascorsa tanto serenamente senza di lui. -… è stato per una buonissima causa.- 

ImagesTime.com - Free Images Hosting

- Non cominciare, Damon.- lo avvertì Elena, trattenendo il desiderio dall’alzare gli occhi al cielo davanti a quella battuta ironica, in un tono perentorio ma abbastanza basso da permettere a Stefan di fingere di non aver sentito. Lui, dal canto suo, era impegnato a inviare messaggi di allerta al resto del gruppo e, guardandolo all’opera, sua moglie si strinse con molta energia il vecchio diario al petto. Era riuscita a strapparlo dalle mani di Damon appena in tempo e adesso non l’avrebbe lasciato andare per nulla al mondo prima dell’arrivo dei ‘soccorsi’.
- Bonnie arriverà tra poco… fortunatamente era per strada assieme a Jeremy, quindi verranno qui entrambi.- annunciò Stefan, con un’ultima occhiata allo schermo luminoso del proprio cellulare. Sembrava teso e scosso ma allo stesso tempo deciso a comportarsi bene, come sempre… almeno fino a quando fosse stato possibile. La sua gola era ancora scoperta dai bottoni che Elena aveva liberato voluttuosamente qualche minuto prima in camera da letto e la sua camicia era un po’ stropicciata, così come erano scarmigliati i suoi bei capelli castani. Damon, al contrario, aveva un’aria sfacciatamente tranquilla ed ordinata, padrona di sé. Era così maldettamente splendido e a proprio agio da inebriare ed accecare chiunque lo guardasse. Indossare quella maschera impenetrabile era sempre stato un trucchetto infallibile per nascondere le proprie reali emozioni ma Elena non riusciva a farsi ingannare dalle apparenze. – e anche Caroline è d’accordo… Tyler ci raggiungerà non appena possibile.- la Gilbert sospirò di sollievo a quella notizia e sorrise con gratitudine a Stefan, cercando di ignorare quel senso di inquietudine che, dalle dita che stringevano il diario, si diffondeva rapidamente in tutto il suo corpo fremente. Damon fece una smorfia e, voltando loro le spalle, si avviò con naturalezza al proprio piccolo tavolo dei drink che, lucido e immobile accanto alla poltrona più comoda di tutte, era rimasto intonso negli anni.
- Devo essermi perso qualcosa…- disse il vampiro, aprendo un piccolo cassetto in basso al tavolino e tirando fuori una bottiglia di Burbon, invecchiata ma ancora mai aperta. Qualcosa sobbalzò nello sterno di Elena e il suo cuore palpitò contro la gabbia toracica, urtando quasi la copertina del libricino che aveva tra le mani, quando il viso di Damon si distese in un breve sorriso. -… quando, esattamente, abbiamo deciso di convocare qui mezza Mystic Falls? Non mi entusiasma affatto l’idea di una bella rimpatriata.- tirò gentilmente fuori tre bicchieri di cristallo ma, dallo sguardo fermo e controllato che suo marito rivolse al fratello maggiore, Elena capì che Damon sarebbe stato l’unico a bere. 
- Sono i nostri amici.- gli fece notare Stefan con una strana voce atona, aguzzando le orecchie per udire in anticipo, eventualmente, un motore d’automobile avvicinarsi verso il pensionato. – qualunque cosa tu abbia scoperto riguardo a Demi è anche affar loro e dei loro figli… ed è necessario restare uniti il più possibile per affrontare questa situazione. Sei stato tu a dire che avresti avuto bisogno di Bonnie per un aiuto… o sbaglio?-
- Vada per la streghetta Bennet…- ghignò Damon, con gli occhi azzurri socchiusi e beffardi, sorseggiando il suo adorato superalcolico. -… ma la Barbie proprio non la reggo.- 


ImagesTime.com - Free Images Hosting

**

- Potresti almeno tentare di dargli una possibilità, non morde e non ha mica la rabbia!- si stava sgolando Matt Lockwood, la quale aveva appena smesso di masticare nervosamente l’ultima caramella dell’intero pacco multicolore ed ora si ritrovava ad affrontare, coraggiosamente, l’ira prevedibile e gistificata di Sheila Bennet. La differenza d’altezza tra le due era prodigiosa, considerando che Sheila era davvero una spilungona, ma Mattie non aveva intenzione di lasciarsi intimidire dalle circostanze o dal tono duro della ragazza mora e riccioluta di fronte a sé. –… forse può darci qualche spiegazione… magari può aiutare perfino te! Non ti piacerebbe capire qualcosa in più riguardo a quelle strane sensazioni… alle tue visioni? Pensaci, Sheila, potrebbe essere la nostra grande occasione e tu vuoi sprecarla così!- ascoltando queste ultime veementi frasi, le guance scure di Sheila si tinsero improvvisamente di rosso ma la sua inflessibilità non vacillò d’un millimetro. 
- Non ho intenzione di raccontare i miei presentimenti a quel tipo né di trascorrere quella che sarebbe dovuta essere una bella e ‘normale’ serata tra amiche con lui intorno… sarà per un’altra volta, credo.- tagliò corto di rimando, guardando storto da Nick, che adesso stava in un angolo con l’aria tesa e un po’ imbarazzata, alla sua amica bionda, colpevole di alto tradimento: come le era saltato in mente di invitare un Lupo Mannaro, per di più famigerato nipote di Rebekah Mikaelson, in quella casa, con loro, dopo tutto quello che era accaduto? - per me la conversazione finisce qui. Demi? Forza, ce ne andiamo.- la Bennet, sporgendo fieramente la mascella in ultimo un gesto d’indignazione, fece per allontanarsi dal tavolo della cucina di casa Lockwood per catapultarsi in salotto ma qualcosa la trattenne bruscamente dal piantare in asso gli altri ragazzi presenti.
- Io non mi muovo da qui.- disse Demi, con tono fermo ed un’espressione risoluta e ardente stampata sul volto. Senza rifletterci troppo su, guidata da un istinto che sapeva essere nel giusto, fece scrivolare la propria mano bianca verso quella di Nick, afferrandola con delicatezza e decisione. Il giovane fu colto da un lieve sussulto di sorpresa quando, toccando la pelle della Salvatore, notò quanto fosse tiepida, morbida e piena di inaspettata fiducia la sua stretta. Matt, guardandoli, rimase a bocca aperta per un istante ma si riprese subito, trattenendo un fischio d’ammirazione per quella mossa così geniale. Sheila, dal canto suo, ammutolì e strabuzzò i grandi occhi scuri. – Continuare a bisticciare e a dubitare gli uni degli altri è la cosa più stupida che possiamo fare, davvero. Ero convinta, proprio come te, che fosse una follia fidarci di Nick e credere alle vecchie leggende della città che ci andava disperatamente propinando… qual è stato il sensazionale risultato della mia ostinata condotta? Mio padre ha scambiato il mio sangue per una ricca colazione al Lago e, come se non bastasse, ho evocato una specie di barriera di fumo e nebbia per difendermi, neanche fossi una macchina a vapore!- la sua voce ironica ed amara tremò appena ma nulla riuscì a fermare il flusso impetuoso delle sue parole. – Siamo finiti in questo circolo sovrannaturale tutti insieme e, forse, ci toccherà collaborare per venirne fuori senza conseguenze. Io non ho intenzione di tirarmi indietro… e scommetto neanche tu.- la Bennet la fissò intensamente, trattenendo il fiato a causa dell’impatto di quelle frasi e, aggrottando le sopracciglia, espirò profondamente. Due contro una era davvero troppo: era il guaio di essere sempre state un trio inseparabile… la minoranza, semplicemente, non poteva continuare ad opporsi quando le cose andavano a finire in questo modo. Il suo sguardo confuso sfiorò il viso roseo e ansioso di Mattie, che si torceva le mani in grembo in attesa del verdetto, alle dita assurdamente intrecciate di Demi e Nick, agli occhi neri e impenetrabili di quest’ultimo, accesi d’attesa e d’una strana malcelata euforia. 
- D’accordo, starò a sentire ciò che hai da dire.- biascicò infine, rivolgendosi direttamente a Mikaelson, scuotendo appena la testa e facendo ondeggiare i propri disordinato boccoli scuri. -… ma ti avverto… ci vorrà un po’ perché io possa fidarmi di te e non è detto che lo farò.- lui le rivolse un’occhiata seria e piacevolmente sorpresa, irradiandola subito dopo con un sorriso che sembrò illuminare l’intera stanza.
- Correrò questo rischio.- replicò, con la voce vellutata e accattivante che riusciva sempre ad imbambolare gli ignari ascoltatori. Demi e Matt si scambiarono un breve sguardo complice e la Salvatore, sfiorando con maggiore forza le dita di Nick intrecciate alle sue, gli diede un leggero strattone, spingendolo a fronteggiare Sheila e acchiappando al volo anche la mano fine e affusolata che la furba Bennet stava per ficcarsi in tasca. 
- Voglio che suggelliate questa tregua con un gesto significativo.- disse, con una sfumatura divertita negli occhi di quell’azzurro tanto puro e penetrante, senza ammettere repliche. – Stringetevi la mano, avanti.- quando Nick si avvicinò alla ragazza con aria contrita e leggermente riluttante, lei, che evidentemente moriva dalla voglia di stritolargli le dita per vendicarsi della propria sconfitta, sbarrò gli occhioni castani e strinse le labbra in un’espressione turbata.
- Cosa c’è?- chiese piano Matt, improvvisamente preoccupata, battendo le palpebre per essere sicura di ciò che stava accadendo e cercando di individuare il responsabile di una simile reazione da parte della Bennet.
- Niente.- sussurrò lei, circospetta, come rapita. All’anulare destro di Nick Mikaelson c’era lo stesso anello dalla grossa ed ipnotica pietra rosso sangue che Demi aveva notato quel giorno in Biblioteca. Sul gioiello era inciso qualcosa di molto simile ad uno stemma di famiglia, accompagnato da una frase scritta con caratteri svolazzanti e antichi: ‘A & F, Nick’

***

Bonnie sorrise per la prima volta dopo giorni interi quando Jeremy Gilbert chiuse gentilmente lo sportello anteriore della propria auto e si recò alla guida, sistemandosi poi sul comodo sedile proprio accanto a lei, ma la smorfia non riuscì a raggiungere i suoi occhi inquieti. Il suo volto contrito rimase solo una pallida imitazione della serenità e la sua mente non smise di essere affollata da oscuri presagi per la serata. L’interno della macchina aveva un delizioso profumo di pulito e, notando come il fratello di Elena avesse applicato un ciuffo di verbena proprio accanto allo squadrato specchio retrovisore interno, giusto per sicurezza, la Bennet fu colpita dalla sua premura e maturità, distraendosi così dai propri mesti pensieri. Di certo Jeremy non era più il ragazzino sprovveduto e introverso con cui era cresciuta a Mystic Falls… era un uomo prudente, adesso, abituato a cavarsela da solo... proprio come lei dopo l’abbandono di Jamie.
- Non dovevi disturbarti.- esordì, allacciandosi goffamente la cintura di sicurezza e guardandolo con un misto di ammirazione e gratitudine. – Sheila ha preso la mia auto ma sarei potuta andare da Elena a piedi…- 
- Mi fa piacere andarci insieme.- ammise Jeremy, girando con noncuranza le chiavi e mettendo in moto. La via più rapida per raggiungere il pensionato dei Salvatore era tortuosa e stretta ma fortunatamente sempre deserta, quindi l’avrebbero percorsa con una discreta tranquillità e sarebbero arrivati giusto in tempo all’appuntamento. -… sarei venuto comunque a trovarti, oggi, se avessi saputo che Demi non era in casa… e, per inciso, sono davvero felice che si sia trasferita da te per un po’. Almeno sarà al sicuro fino a quando tutta questa faccenda non sarà finita.- Bonnie gli lanciò un’occhiata intenerita: la voce di Jeremy era piuttosto calma ma le sue dita erano strette al volante con una tale forza da fargli sbiancare le nocche. 
Lui aveva appreso quasi subito dell’incidente avvenuto a causa di Stefan al Lago e si era immediatamente preoccupato per la sua unica nipote: l’aveva consolata a lungo quando si era rinchiusa in camera senza voler dare ascolto ai propri genitori e alle loro inutili e tardive spiegazioni, aveva giocato un ruolo fondamentale nel convincerla ad abbandonare la propria abitazione, recandosi temporaneamente come ospite da Sheila, ed era sempre andato a farle visita a casa Bennet, portandole conforto e anche un po’ di quel genuino affetto familiare che, sotto le ostinate apparenze, sapeva mancarle molto.
- Vuoi davvero bene a Demetra, non è così?- chiese Bonnie, con voce delicata e con lo sguardo lontano, ben oltre il parabrezza. Riusciva a percepire il suono ovattato delle gomme sull’asfalto nero come l’inchiostro, il respiro lieve di Jeremy al suo fianco e perfino le carezze che gli alberi posti ai margini del tragitto si scambiavano nel vento. Era come incantata dalla strada che si snodava lentamente davanti a loro e dal buio ancora acerbo della notte incombente e, per una volta, riuscì a rilassarsi sul posto. 
- Certo.- rispose lui, mentre le sue labbra rosate si aprivano in un sorriso ampio e spontaneo. – devo praticamente a lei la vita di mia sorella. Ricordi quando scoprì di aspettare un bambino? Elena era irriconoscibile… un fiore appassito nel pieno della primavera, uno spettro senza consistenza. Poi è arrivata Demi.- le molle vecchie del suo sedile cigolarono appena quando si mosse, sporgendo leggermente la testa per avvistare casa Salvatore nell’oscurità, senza smettere di esibire un’espressione serena e affabile. - L’ho vista nascere e l’ho tenuta tra le braccia quando non era ancora nemmeno capace di parlare. Mi ricordo, però, quando disse la sua prima parola… eravamo in cucina e Stefan era inginocchiato ai piedi del tavolo per essere all’altezza del faccino di Demi, che era invece spaparanzata sul seggiolone. Elena stava preparando da mangiare canticchiando una vecchia canzone ed io e mio cognato, tutti sporchi di pappa ma concentrati, cercavamo di addestrare la piccola ad articolare meglio i suoni per avere qualche risultato comprensibile al posto dei suoi versetti impazienti. Eravamo sul punto di arrenderci quando lei, con gli occhioni più intelligenti che io abbia mai visto ben spalancati sul mondo, diventò rossa come un pomodoro e strillò: ‘Daaaaaa… Daaa… Dad!’ Papà. E’ stato grandioso, non la smettevamo più di festeggiarla ed eravamo così emozionati da dimenticare perfino il pentolone della cena sui fornelli.- sia Jeremy che Bonnie scoppiarono a ridere e l’automobile entrò nel cortile del pensionato senza un suono e accostò in un angolino, poco distante dall’ammaccato motorino che Demetra aveva sempre usato per girovagare nella città nelle belle giornate come quella.

ImagesTime.com - Free Images Hosting

Jeremy riprese fiato e continuò, con la bocca ancora curvata all’insù: - sai, è buffo… ma è come Demi se fosse un po’ figlia mia… anche se, ovviamente, io sono solo lo zio.- sentì le proprie parole allegre risuonare stranamente nell’abitacolo, come se fossero state pronunciate da un estraneo, e fece una pausa, e si voltò lentamente a guardare Bonnie. Lei, sollevando la testa a sua volta e mandando via con un gesto la frangia di capelli neri sulla propria fronte corrugata, mostrò di nuovo quell’aria grave dipinta sul bel viso olivastro. 
- Andiamo, coraggio.- sospirò tristemente, mentre le sue sopracciglia si aggrottavano appena. Jeremy annuì, con un respiro tremulo, poi slacciò la cintura di sicurezza e scese silenziosamente dall’auto. L’aria fresca del cortile accarezzò placidamente la loro pelle tesa mentre camminavano fianco a fianco verso la meta e le prime stelle palpitarono nel cielo ormai tenebroso, vegliando sulla riunione imminente e sul destino di molte vite sospese e pulsanti, come loro, nell’oscurità.

*** 

- Sul serio?- chiese quasi istericamente Caroline, entrando in tutta fretta dal portone principale e rischiando di inciampare a causa dei propri modesti tacchi impigliati nel vaporoso tappeto all’ingresso. La sua bocca ritoccata da una leggera dose di rossetto color ciliegia si spalancò quando riuscì ad individuare, seduta comodamente sul divano di Casa Salvatore, una figura sinuosa e ancora impegnata a sorseggiare beffardamente il proprio drink dorato. -… che ci fa lui qui?- 
Damon Salvatore, in carne, ossa, bei vestiti ed eleganza impeccabile, alzò lo sguardo al cielo e sbuffò sonoramente alla sua vista, con un’espressione per nulla entusiasta ma quasi rassegnato scolpita sulla faccia.
- Salve, Blondie.– borbottò sarcasticamente, indirizzandole un sorriso abbagliante quanto canzonatore. Elena trattenne una risata davanti a quella prevedibile scena e si affrettò a fingere di sprimacciare un cuscino scarlatto per evitare di far notare anche agli altri quell’inopportuno eccesso d’ilarità. Damon, fino a quel momento, si era comportato davvero bene con gli ospiti: aveva offerto un po’ di Bourbon a Jeremy, indirizzando un amaro ma sincero brindisi ad Alaric Saltzman; aveva fatto il baciamano a Bonnie e si era educatamente complimentato con lei per la notevole e progressiva somiglianza con Grams Bennet che gli anni le avevano conferito; aveva evitato di essere impertinente con Stefan e aveva sfiorato la padrona di Casa Salvatore solo con delle lunghe ed intense occhiate. Ma adesso... – simpatica come sempre, vedo. E’ bello anche per me rivederti, comunque, grazie.- e ammiccò, vuotando in un ultimo sorso il proprio calice e posandolo delicatamente sul tintinnante tavolino davanti a sé. Caroline fece per ribattere ma poi si limitò a borbottare qualcosa tra i denti scintillanti, allibita. Passò in rassegna tutti i presenti, scrutandoli interrogativa con un misto di curiosità e preoccupazione, fino a quando qualcuno non interruppe quell’ostinato silenzio. 
- Siediti, siediti.- la incoraggiò Stefan, gentilmente, indicando una poltrona, dall’altra parte della stanza rispetto al fratello. Caroline obbedì, chiudendosi dignitosamente la porta alle spalle, ed una folata di vento gonfiò la leggera camicia turchese che lei indossava e che si intonava perfettamente col colore dei suoi occhi chiari ancora sgranati. - dunque… direi che siamo al completo. So che Tyler è ancora impegnato ma abbiamo delle questioni urgenti da affrontare… spero che non ti dispiaccia cominciare senza di lui, Care.- lei acconsentì con energia e Bonnie inspirò profondamente, come se stesse trattenendo tutta l’aria possibile nei propri polmoni prima di un rischioso tuffo nell’oceano in tempesta. Erano pronti. Stefan tacque per un lungo istante, rivolgendo uno sguardo penetrante a Damon, il quale percepì senza alcuna difficoltà, nel fondo dei suoi occhi verdi e limpidi, la latente presenza di molte domande inespresse, di infiniti dubbi irrisolti. 
Il modo in cui Stefan lo stava fissando aveva un sapore inaspettato e severo, diverso da quello ostile che si sarebbe aspettato o da quello sollevato che avrebbe sperato. Era come se, dietro il folto delle sue ciglia, suo fratello minore nascondesse un silenzioso timore di lui mescolato ad un’indicibile ed inaccettabile desiderio di riabbracciarlo. Seguendo il profilo dei suo zigomi, del naso delicato fino alle labbra pronte a pronunciare una solenne richiesta di informazioni, Damon ricordò come alcuni di quei dettagli somatici si fossero modellati perfettamente nel grazioso viso di Demi, rendendola ancora più bella di Elena, per quanto fosse possibile. Quel pensiero gli trafisse lo stomaco per un momento ma non gli impedì di ascoltare ciò che Stefan stava chiedendo, dando voce ai pensieri dell’intero gruppo circostante: 
- Perché sei tornato?- Damon drizzò la testa e si appoggiò meglio allo schienale del divano, apparentemente per nulla scalfito da quella domanda.

ImagesTime.com - Free Images Hosting

I suoi occhi di quel blu brillante, quasi involontariamente, saettarono dalle parti di Elena, cogliendone l’espressione ansiosa e trepidante. Lei non tentò di evitarli e, anzi, li osservò attentamente, sentendo uno strano tepore, lieve come quello del sole mattutino, lambirle le guance ed il suono del mare sciabordarle nelle orecchie. Un angolo delle labbra di Damon si sollevò, in una smorfia consapevole, ripensando alla prima e così diversa domanda che lei gli aveva posto nel cimitero, subito dopo aver sciolto il loro muto e irrefrenabile abbraccio: Perché te ne sei andato? Quello era un segreto che non aveva potuto svelarle… per fortuna, stavolta, la richiesta di Stefan era decisamente più semplice da affrontare. 
- Forse sentivo la vostra mancanza.- ironizzò Damon, senza perdere l’occasione di punzecchiarli un po’. Gli sguardi di tutti erano posati su di lui ed erano densi di buffa attesa, sospetto, un pizzico di riprovazione, maldestro affetto, sollievo e diffidenza. - maaaaa a quanto pare i miei nobili sentimenti non sono ricambiati. Certe cose non cambiano mai, da queste parti.- i tratti di Elena ebbero un fremito nell’udire quelle frasi. Nel buio color cioccolata delle sue iridi docili e crepitanti c’era qualcosa di diverso, adesso, una scintilla simile alla colpa, allo smarrimento e alla bramosia. - voi siete nei guai e io corro a salvarvi... siete così stupiti che il mondo sia tornato a girare sul proprio asse?- continuò lui, scrollando le spalle con noncuranza. L’odore della pelle nera del suo giubbotto era inebriante e Bonnie sorrise nervosamente, scuotendo piano la testa.

ImagesTime.com - Free Images Hosting

- Avanti, Damon.- disse, quasi sillabando le parole. - sei sparito per sedici anni… come hai fatto a sapere che c’erano dei problemi a Mystic Falls?- il tenue accenno di rimprovero nella sua voce lo colpì inaspettatamente come una vampata di calore. Bonnie non era mai stata brava a nascondere le proprie emozioni e, anche se non l’aveva mai detto ad alta voce, il maggiore dei fratelli Salvatore aveva sempre apprezzato questa sua qualità. Lo biasimava per essere partito senza mai più farsi vedere per le strade della città oppure per essere lì, in quel momento drammatico, con quel ghigno falsamente beato stampato sul viso? Damon non riusciva proprio a capirlo e non voleva neppure saperlo, terrorizzato com’era dall’una o dall’altra eventualità.
- Le voci corrono.- replicò, con un piccolo broncio divertito che gli increspava il labbro inferiore ed il mento fiero. Stefan lo squadrò con attenzione, poi chiuse gli occhi, come addolorato. Era incredibile quanto quelle repentine e sfolgoranti espressioni ‘alla Damon’ gli ricordassero qualcuno che non era lì in quel momento… a causa sua. - Ho viaggiato molto, in questi anni… la vita, anzi, la non-vita fuori dai confini di questa miserevole città può essere straordinariamente intrigante. Ho frequentato davvero poco gli ambienti isolati… la confusione delle città moderne è elettrizzante, dico sul serio. Feste, occasioni, luci, abiti, lusso, Potere…- Elena rabbrividì nel sentire quell’accurata ed entusiasta descrizione. Stefan, accanto a lei, allungò un braccio attorno alle sue spalle e lei sussultò nel sentire le sue dita tiepide sfiorarla in un abbraccio istintivo, protettivo. Qualcosa le ammontò dentro ma si morse la lingua per non commentare. -… solo qualche volta ho ceduto al desiderio di solitudine… e le foreste sono un luogo ideale per la meditazione. Specie quando sei uno splendido corvo e gli animali ti rispettano e ti temono molto più degli esseri umani, senza mai piantare grane.- Caroline lo guardò scettica e lui le rivolse un cenno annoiato, ignorandola poi categoricamente. – fatto sta che ho incrociato per sbaglio tre Lupi Mannari. Erano loschi, luridi e parecchio incazzati, non so se riesco a rendere l’idea. Avevano la chiara ed ineluttabile intenzione di precipitarsi in spedizione punitiva qui da voi e quindi li ho seguiti… dannata curiosità, è sempre stata un’irresistibile seccatura. Volete sapere i loro patetici nomi? Hugo, Scott e Todd… uno di loro si appoggiava pesantemente ad un bastone, zoppicando. Parlavano (in realtà sputacchiavano qua e là, ma questi sono solo dettagli!) di una sedicenne mezza doppelganger con un cognome piuttosto familiare… chi indovina, eh? Salvatore.- Elena sentì uno strano formicolìo invaderle la pelle, dilagando fino a diventare pungente, e vide anche i muscoli di Stefan contrarsi bruscamente davanti a simili rivelazioni. Abbassò lo sguardo incerto sul proprio anello nuziale, che brillava, dorato, riflettendo la luce della lampada poco lontana, e, improvvisamente, inspiegabilmente, le venne voglia di urlare.
I licantropi che Damon aveva udito discutere erano gli stessi che, quella notte in Biblioteca, avevano aggredito Demi nel tentativo folle e crudele di toglierle la vita. 
- E poi…?- lo spronò a continuare Jeremy, serio e a disagio, con le gote pallide come l’alabastro. Damon lanciò ai coniugi Salvatore uno sguardo indecifrabile. Sembrava che stesse rivivendo esattamente le sensazioni del momento appena narrato, quando aveva, cioè, scoperto dell’esistenza di una nuova consanguinea, di una fusione perfetta, agognata e per lui irraggiungibile, tra la stirpe Petrova e quella dei Salvatore. 
Dolore, sorpresa, rifiuto, desiderio, rabbia, affetto, gelosia, soddisfazione, bisogno, incredulità. 
Elena non l’aveva mai visto così vulnerabile e le si strinse il cuore quando lui faticò a riprendere il proprio tono spavaldo di sempre, distendendo la bocca fino a creare uno dei suoi migliori sorrisi maliziosi, frementi, ingannatori. 
- Ho capito che doveva trattarsi di una vostra pargoletta e così… eccomi qui. Ahhh...- sospirò, sardonico. -... quando si dice 'la famiglia'!- 


Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Klaus ***



Image and video hosting by TinyPic

Bonnie fissò intensamente i propri grandi occhi scuri su Damon. 

Qualcosa dentro di lei tentava disperatamente di non lasciarsi destabilizzare dall’aria splendente e arrogante che il vampiro stava mettendo in scena. No, non si fidava di Damon, dei suoi modi raffinati e del suo sorriso accattivante più di quanto non avesse fatto sedici anni prima eppure sentiva che, dietro quella maschera impassibile, c’erano ancora molti segreti pronti ad emergere, come dei relitti impigliati in un oceano troppo profondo e pericoloso da esplorare. 
- Quindi hai praticamente spiato Demi per tutto questo tempo.- concluse Caroline, in tono d’accusa, facendo schioccare la lingua. Ci fu una pausa silenziosa, durante la quale tutti si voltarono, confusi, verso il maggiore dei fratelli Salvatore. 
Quell’affermazione incriminante, tuttavia, non influenzò minimamente il buonumore di facciata del bel vampiro; l’angolo della sua bocca si sollevò in un’espressione di beffa. 
- Non volevo metterla su questo piano…- sibilò lui, fintamente accomodante. Elena distinse chiaramente l’ira scoppiettare sul fondo delle sue iridi cerulee mentre lo guardava quasi a bocca aperta. -… ma sì, l’ho pedinata e tenuta d’occhio per settimane, assicurandomi che fosse sempre al sicuro e che nessuno osasse avvicinarsi a lei con l’intenzione di torcerle un capello. Ero fuori dalla Biblioteca, la notte in cui lei e la sua amichetta sono state aggredite, perché sapevo perfettamente che si sarebbero cacciate nei guai. Immagino che non sia stato poi tanto terribile, per loro, avermi tra i piedi mentre tre assassini patentati cercavano di strangolarle al chiaro di luna.- la sua voce, ora, era diventata un sussurro minaccioso e, sentendosi un po’ in colpa, Caroline abbassò gli occhi e tacque improvvisamente. 
Elena, d’istinto, appoggiò una mano sul braccio di Damon, come per richiamarlo alla calma, per placarne la malcelata indignazione. Le sue dita affondarono nel tessuto liscio e nero del suo giubbotto e lui si irrigidì di colpo, continuando a scrutare torvo la vampira bionda.
Lentamente, forse troppo, Damon espirò con forza, rilassando i muscoli della mascella e ritornando ad appoggiare la schiena alla poltrona. Evitò di rispondere alla carezza di Elena ma non si ritrasse da quel contatto così tenero e pieno di avvertimento: si lasciò sfiorare fino a quando non fu lei ad allontanare, un po’ imbarazzata, le proprie dita tremanti. 
Era trascorso davvero pochissimo tempo da quando l’aveva riabbracciata nel cimitero, desiderando annegare nei suoi capelli folti e profumati e stringendo a sé il suo corpo come se temesse di vederla scomparire da un momento all’altro, e già sentiva la nostalgia affondare come una lama gelata nella sua coscienza mai redenta… 
- Smettetela di bisticciare, voi due.- intervenne Stefan, seccato, leccandosi le labbra con aria nervosa e notando gli sguardi allarmati e perplessi del resto del gruppo. – Stiamo perdendo del tempo prezioso… abbiamo bisogno di sapere il più possibile su quei Licantropi e sui loro perversi progetti di vendetta. Più informazioni avremo, più in fretta capiremo che diavolo sta succedendo in città e potremo prevedere le loro mosse.- per la prima volta dopo sedici interminabili anni, i luminosi sguardi dei due Salvatore si incrociarono davvero, con determinazione ed urgenza. 
Damon fu sorpreso nel vedere che le sfumature delle iridi di Stefan erano più ardenti e dorate del solito, proprio come quando lui era pronto a mettere in gioco qualunque cosa per raggiungere un obiettivo eroico. In quel caso avrebbe dato la vita stessa per proteggere Demi, la bambina che aveva visto nascere e crescere, sua figlia, la figlia di Elena, la loro ragione... 
- D’accordo. Cosa vuoi sapere, fratello?- chiese, aspramente, sottolineando delicatamente quell’ultima parola con un breve sorriso. Guardando i suoi denti bianchissimi luccicare nella lieve penombra della stanza, Elena sentì un leggero brivido attraversarle la schiena e spostò ostinatamente l’attenzione su Stefan.
- E’ possibile che quei maledetti Lupi fossero al servizio di Rebekah?- domandò suo marito, cauto ma incalzante. Damon socchiuse gli occhi, poi scosse elegantemente il capo. 
I suoi capelli neri ondeggiarono appena, riflettendo tante sfumature quante, solitamente, erano contenute nelle piume altere del suo alterego… il corvo. 
- No.- rispose, assolutamente sicuro di sé, incrociando le braccia sul petto con aria fiera. – nessun alleato di Rebekah sano di mente avrebbe fatto affidamento sull’inesperto ragazzino Mikaelson per portare a termine i propri piani e si dà il caso che i nostri Licantropi l’abbiano proprio fatto. Se avessero avuto degli accordi con un Originale potente ed astuto come Rebekah non ci sarebbe stato bisogno di coinvolgere lo smidollato figlio della loro sexy ex-capobranco, non credete?- proseguì, con una smorfia, guardando Stefan con aria di sufficienza. Malsopportava da sempre la sua malsana passione per l’investigazione ma, allo stesso tempo, comprendeva la necessità di riflettere bene sulla questione di Demi. 
Per quanto si imponesse di ignorarlo, Damon qualche modo sapeva bene di essere inspiegabilmente ed irrimediabilmente legato a quella creatura indifesa e al suo incerto destino. 
- Già, molto ragionevole...- convenne Jeremy, intromettendosi precipitosamente nella discussione prima che potesse farlo chiunque altro. Bonnie spostò piano lo sguardo su di lui, increspando le labbra, in ascolto. -… ma noi non abbiamo mai avuto dei problemi con i Lupi Mannari, specialmente con quelli appartenenti al branco di Hayley. Se non erano lì per ordine di Rebekah, perché hanno aggredito in quel modo due ragazzine di sedici anni? Non avevano alcuna ragione di prendersela con loro.- 
- Diiiin… sbagliato!- esclamò Damon, imitando fedelmente il suono di uno di quei pulsanti televisivi che, strombazzando, annunciano gli errori dei concorrenti in gara. -… ritenta, sarai più fortunato!- fece spallucce mentre un’espressione ironica gli illuminava il volto. Caroline alzò gli occhi al cielo e automaticamente si ritrovò a fissare l’antiquato orologio a cucù appeso in salotto. Fu colta da un brivido di confusione: dove diavolo era finito Tyler? Sarebbe dovuto essere lì già da mezz’ora e invece… imprecando tra sé contro i doveri burocratici che il suo compagno aveva ereditato direttamente dall’ex Sindaco Lockwood, Caroline riuscì ad udire le riflessioni che Damon stava snocciolando in quel momento:
- In realtà credo che i ‘tre moschettieri’ (ovvero Todd, Scott e Hugo) fossero seriamente disperati. Li ho sentiti parlare qualche minuto prima dell’aggressione nella Foresta, mentre aspettavano che il loro pupillo Nick portasse fuori dalla Biblioteca le ragazze. Erano pieni di rancore, accusavano Elijah di aver distrutto la vita della loro amichetta Hayley e sembravano terrorizzati all’idea di fallire nell’impresa di quella notte.- la voce di Damon tremò appena mentre ripercorreva i tragici momenti dell’agguato. Ricordava perfettamente la pioggia gelida che sferzava il suo viso sfigurato dalla rabbia, gli occhi azzurri di Demetra inondati di lacrime, paura e orgoglio, il suo silenzio fiero e assordante, il modo in cui quegli esseri abominevoli avevano osato posare le loro sudice mani sulla sua pelle candida come neve… - si riferivano alle loro prede come se ne conoscessero benissimo le origini e le potenzialità: tua figlia…- e indicò Bonnie, la quale gli rivolse un’occhiata allarmata ma ferma, senza respiro. -… era la ‘strega’. Mentre Demi era la ‘chiave’. La chiave per spezzare quella che hanno definito…- fece una pausa tremula, durante la quale Caroline notò un muscolo nella mascella di Stefan contrarsi.
- … la Maledizione della Clessidra.- concluse per lui, mentre innumerevoli espressioni si susseguivano sul suo viso, troppo rapidamente per poterle decifrare: sospetto, terrore, incredulità, istinto protettivo, colpa… i suoi occhi si intorbidirono improvvisamente. 
Per quasi un ventennio aveva sperato che, mantenendo segreta la discendenza sovrannaturale di Demi, l’avrebbe tenuta al sicuro, ma tutto cio’ aveva fatto era stato lasciarla vulnerabile ed inerme sotto i colpi implacabili di quella sorte crudele che era tornata a tormentarli. 
- Se volevano eliminare direttamente la chiave…- dedusse Jeremy, sbattendo a fatica le palpebre. -… allora forse non volevano che la Maledizione fosse in qualche modo infranta.- Elena fu colta da un brivido di angoscia a quelle parole, le si strinse lo stomaco e uno spasmo gelido la scosse fino alla punta delle dita intorpidite.
- Perciò volevano farsi consegnare al più presto Demi e Sheila per toglierle di mezzo…- mormorò Bonnie con un rauco sussurro, aggrottando le sopracciglia scure mentre la voce le si incrinava ancora di più verso la conclusione della frase. -… e per impedire a Rebekah di sfruttarle in qualche assurdo modo… magari connesso a questa maledizione e a noi sconosciuto!-
- Fatemi capire.- intervenne Caroline, quasi isterica, sporgendo fuori il labbro inferiore e guardando biecamente Damon alla ricerca di una conferma. -… c’è qualche psicopatico in libertà che ha intenzione di usare i nostri figli per attivare una chissà quanto raccapricciante stregoneria? Come se fossero delle bamboline voodoo?- Elena deglutì a fatica e si afferrò i gomiti con le mani, per non crollare in pezzi. 
Il pericolo era semplicemente ovunque, adesso, avendo acquistato una forma più definita ed inquietante, era ancora più imminente. 
Come il suo ibrido fratello aveva voluto utilizzare il sangue umano di doppelganger per spezzare la Maledizione del Sole e della Luna, così adesso Rebekah voleva servirsi di Demi per uno dei suoi loschi e sicuramente cruenti scopi. 
Desiderava perversamente far provare a tutti loro l’orrore e la perdita che lei stessa aveva subito a causa loro, dopo la morte di Matt, e bramava una vendetta che fosse lenta e dolorosa, imprevedibile, ineluttabile.
La Gilbert percepì nuovamente il dolore allagarle il petto e soffocarle il cuore, riportandole bruscamente alla memoria le terribili sensazioni provato dopo la battaglia per la cura, dopo il lutto… e la partenza di Damon. 
Alla cieca, con la vista offuscata, cercò la mano di Stefan e vi si aggrappò con tutte le proprie forze, come ad un’ancora di salvezza, di nuovo, disperatamente. La stretta che ricevette in cambio fu un sollievo accorato e veemente ma Elena, stavolta, osservò anche Damon, senza riuscire a trattenersi, con trasporto e un profondo quanto muto senso di rammarico. 

Image and video hosting by TinyPic

- Perché mai i Lupi Mannari avrebbero dovuto o voluto intralciare i piani malefici di Bekah? Cosa interessa a loro della Maledizione… di cos’hanno paura?- chiese Bonnie, molto lentamente, quasi intimidita nell’interrompere quegli istanti di denso silenzio, introspezione e riflessione. 
Nell’ascoltare quelle domande, d’un tratto, Damon lasciò che l’incredibile blu dei suoi occhi mandasse ipnotiche faville e, rubatolo alla sua presa con un gesto fluido e troppo improvviso per essere ostacolato in tempo da una Gilbert così distratta, sventolò il vecchio e lacero diario di Elena sotto il naso dei presenti.
- Klaus.- disse adagio, semplicemente, quasi curiosamente divertito, mentre il gelo e lo sgomento calavano come le spesse tende di un sipario nell’affollato ed elegante salotto di casa Salvatore. 

***

Mattie dovette sollevarsi sulla punta dei piedi per riuscire tirare le tendine delle finestre in salotto, nel tentativo di dare un’aura di serietà e segretezza alla riunione. Dopo aver completato l’opera, con una smorfia compiaciuta stampata sul viso rubicondo, si lasciò cadere pesantemente in una delle gonfie e soffici poltrone lì vicino, proprio accanto al fuocherello allegro e scoppiettante che ardeva nel sontuoso camino del salone. 
-Però…- tossicchiò, esitante, inarcando un biondo sopracciglio davanti al silenzio di tomba che aveva invaso il resto del gruppo. - … le mie pantofole peluche sono più amichevoli ed eloquenti di tutti voi messi insieme, stasera.- Demi parve divertita da quella veritiera osservazione e smise subito di tamburellare nervosamente con le pallide dita sul bracciolo del divano, senza però riuscire a togliersi dalla testa la sensazione ormai passata della mano del nipote di Rebekah stretta nella sua. 
Nick, dal canto suo, non senza sforzo, la piantò di fissarsi i piedi, sentendo un lieve calore salire ad infervorargli le guance. Per smorzare l’imbarazzo si passò distrattamente una mano tra i capelli castani, arruffandoli appena, e facendo brillare di nuovo l’elegante anello color sangue che portava all’anulare destro. 
Sheila Bennet notò il sinistro luccichìo del gioiello e sobbalzò appena sul posto. 
Il fischio della teiera proveniente dalla cucina adiacente fece sentire la propria squillante voce e Mattie si alzò, trotterellando, per andare a spegnere i fornelli e per versare il thè nelle tazze di porcellana più eleganti di Mystic Falls. Era stata un’idea furba, quella di Demi: conoscendo il debole che la Bennet aveva sempre manifestato per l’infuso alle spezie di casa Lockwood, aveva bisbigliato a Mattie di prepararne un bel po’ e le aveva anche suggerito, rincarando la dose, di tirare fuori uno di quegli irresistibili vassoi di pasticcini alla crema che la sua governante preparava sempre il giovedì pomeriggio alle sette in punto. 
Forse, a stomaco pieno e soddisfatta da quelle premure, Sheila sarebbe stata un po’ più flessibile e gentile nei confronti di Nick…
- Ecco a te, She’. Fai attenzione, scotta.- la servì Mattie, passandole con aria innocente un tazzone traboccante di profumatissimo liquido dorato. Lei tacque, percependo l’inganno nell’aria, ma poi, rassegnata, afferrò una zolletta di zucchero e la guardò attentamente mentre si dissolveva nella bevanda fumante. 
Qualcosa nel suo stomaco brontolante si sciolse, lasciandosi corrompere, e Sheila sospirò in segno di resa, afferrando un biscottino imburrato.
-Beh… direi che è ora di incominciare con l’interrogatorio. D’accordo, allora…- esordì, stringendo le labbra carnose in una smorfia tesa. Il giovane Mikaelson lanciò a Matt un’occhiata allarmata ma lei lo rassicurò in silenzio, ficcandogli, spiccia, una tazza ricolma tra le mani. - … cos’è quell’affare?- chiese bruscamente Sheila, indicando improvvisamente il bizzarro anello rosso, senza riuscire a staccare gli occhi scuri dalla grossa pietra preziosa che se ne stava incastonata nell’oro. 
Demi fissò la propria migliore amica, sorpresa da quella domanda singolare, e soppesò per un secondo la calma assoluta che Nick aveva conservato sul proprio incantevole volto. 
Gli sorrise appena, per incoraggiarlo, poi rimase in attesa della risposta. 
- E’ un antichissimo cimelio di famiglia.- disse lui, pensieroso. – mio padre lo lasciò a me la notte in cui scomparve… la frase incisa sulla pietra era il motto del nostro casato, l’emblema del nostro sangue… forse credeva che mi avrebbe protetto e che avrebbe ricordato a mia zia i suoi doveri nei miei confronti.- dal modo disilluso con cui Nick pronunciò quelle frasi, le ragazze ebbero la chiara impressione che Rebekah non avesse mai davvero preso sul serio le sue responsabilità da tutrice. 
Un velo di dispiacere calò su di loro, inevitabilmente. Demi, un po’ timida ma risoluta, allungò di nuovo la propria mano per sfiorare quella di Nick che non reggeva il thè e si sporse appena sulla poltrona per leggere ancora le parole che erano scritte sul brillocco vecchio quanto inestimabilmente prezioso che lui portava al dito.
- ‘Always and forever, Nick’.- sillabò, lentamente, con tono perplesso, ignorando a fatica la scarica elettrica che le aveva attraversato la pelle a quel minimo contatto con il ragazzo. -… hai detto che è un anello antichissimo… ma c’è il tuo nome sopra. Com’è possibile? O hai un milione di anni oppure…?- l’espressione di Nick mutò rapidamente, illuminata dal sollievo provocato dalla vicinanza della Salvatore a sé e, allo stesso tempo, offuscata dallo stupore per quella sua ultima, astuta osservazione. 
- Non è propriamente solo il mio nome…- chiarì il ragazzo, accennando ad un lieve sorriso. – … ma era anche quello di mio zio, fratello di mio padre e di Rebekah, Nicklaus Mikaelson I.- senza una reale ragione, istintivamente, le tre amiche rabbrividirono all’unisono. 
Era come se un vento freddo fosse entrato da qualche inesistente spiffero nella parete. 
Mattie per poco non si soffocò mentre sorseggiava il thè e sgranò gli occhi vispi, indispettita, tossicchiando.
- Era?- sussurrò, con la bocca socchiusa dallo stupore. Indugiò per un momento, muta e con l’orecchio teso in attesa di altri particolari sulla vicenda, poi decise di chiederli lei stessa, a bruciapelo: – oh, cielo, fammi indovinare… è morto stecchito e la tua malefica zia pensa che sia colpa nostra o dei nostri genitori? Si spiegherebbero così le sue manie di protagonismo ai danni di Demi in classe, i voti bassi di Sheila in Storia… e tutto il resto.- abbozzando un ghigno, Mattie si scambiò con gli altri uno sguardo d’ansiosa intesa.
- Più o meno.- spiegò Nick, evasivo, valutando quella bizzarra ma verosimile teoria.
- Più o meno cosa?- incalzò la Bennet, concitata, aggrottando le sopracciglia come se si sforzasse di non perdere la calma. -… più o meno è questa la ragione per cui Rebekah non ci sopporta oppure più o meno il tuo omonimo zio è morto e sepolto?- gli angoli della bocca di Nick si distesero in un sorriso quasi divertito. Lui fece spallucce e scosse il capo, un po’ incerto sull’effetto che avrebbero sortito le sue parole, poi decise di vuotare il sacco:
- Più o meno… entrambe le cose, in effetti.- 
Il tono realistico e secco con cui pronunciò quella frase sembrò al trio di amiche molto più inquietante di qualsiasi altra cosa fosse accaduta a Mystic Falls nelle ultime tumultuose settimane. Mattie si girò istintivamente per guardare Sheila, nel timore che stesse per avere una crisi di panico o qualunque altra reazione poco piacevole, ma la Bennet stupì tutti scoppiando in una strana risata rauca e senza gioia.
-Ecco che ci risiamo… ci stai di nuovo prendendo in giro, vero?- gli chiese, trattenendosi dall’azare gli occhi al cielo con evidente aria scocciata. Demi non l’aveva mai sentita sghignazzare in quel modo: sembrava quasi che avesse una tosse stizzosa e stridente o che singhiozzasse senza controllo, ed i suoi occhi erano molto spaventati. – … vero?- sussurrò dopo un istante, quasi supplicando. La Salvatore sentì la pelle d’oca farsi strada sulla propria nuca e lungo le braccia candide.
- No.- soffiò Nick, inflessibile ma con una nota di tristezza nella voce suadente. – purtroppo non è uno scherzo… è la nostra storia, quella delle nostre famiglie, della loro colpa e dei nostri destini.- i secondi passarono con una lentezza estenuante ma alla fine Demi emise un lungo sospiro tremulo e, facendosi coraggio, decise di agire in fretta.
- Ti va di raccontarci ogni cosa?- mormorò, con dolcezza, interrompendo il cupo silenzio che gravava improvvisamente sulle loro teste. Nick distolse per un momento la vista da lei, tentando di sfuggire, invano, alla sua dolorosa quanto specifica richiesta di informazioni. Annuì lentamente, meccanicamente, e, cercando di non farsi sopraffare dall’emozione, cominciò a parlare piano, sommessamente:
- I miei genitori si conobbero prima della fine di quella che, a posteriori, sarebbe stata definita col nome di ‘Battaglia per la Cura.’ Mio padre, Elijah Mikaelson, era un vampiro Originale millenario che aveva amato una sola donna prima di mia madre, una certa Katerina Petrova… sai, era una tua parente.- gli occhi neri e impenetrabili di Nick guizzarono verso Demi e lei, pur sentendosi arrossire furiosamente, ricambiò con fierezza quello sguardo carico di sottintesi. - Katerina, però, aveva spietatamente spezzato il suo cuore, abbandonandolo al proprio destino in un momento di massima vulnerabilità, e così lui, nel vano tentativo di sgombrare la mente dalle strazianti pene d’amore, si era ritrovato a collaborare con i propri fratelli, anch’essi Originali, Rebekah e Nicklaus. La loro missione era, ormai da tempo, solo una: trovare la suddetta Cura. § - 
- Che genere di Cura?- chiese fiocamente Matt, con gli occhioni che riflettevano la luce rossastra e danzante del fuoco nel camino davanti a sé.
- Una Cura miracolosa....- rispose prontamente Nick, accorato. Sheila notò che, quando parlava con Mattie o con Demi, lui abbandonava inconsapevolmente la propria aura fredda e scostante da estraneo e diventava gentile, disponibile, come se nutrisse sinceramente per entrambe qualcosa di molto simile all’affetto e al bisogno. – … una Cura che era capace di trasformare qualunque vampiro la bevesse di nuovo in un essere umano e che era nascosta in un’isola remota, disabitata, nel profondo di un pozzo sperduto e pericoloso. §
Sia Klaus che Rebekah la desideravano ardentemente per sé: mia zia voleva avere la possibilità di vivere una vita comune e naturale, felice, di avere una famiglia tutta sua ed essere sepolta, un giorno, accanto al suo vero amore; mio zio, invece, voleva ritrasformare in essere umano una giovanissima vampira. 
Il suo scopo, però, per nulla caritatevole, era quello di tornare ad utilizzarne il sangue nella immonda creazione di ibridi suoi simili, alleati e servitori. La sfortunata fanciulla in questione era Elena Gilbert... tua madre.- 
Demetra trattenne appena il respiro, invasa da un improvviso senso di ansietà e sgomento. Quante cose non conosceva della donna che le aveva dato la vita e che l’aveva amata più di ogni altra cosa al mondo? Era stata una ragazzina come lei, forse ancora più fragile e impaurita dalle circostanze, aveva lottato contro esseri sovrannaturali assetati di potere e di sangue, era stata travolta da emozioni tipicamente adolescenziali come quelle che Demi, adesso, sentiva pulsare sulle guance color porpora… era stata, addirittura, a lungo sfruttata come una gratuita banca di sangue da un ibrido Originale tanto privo di scrupoli. 
Qualcosa, nello stomaco della Salvatore, si contorse mestamente.
- E tuo padre? Elijah non voleva la Cura?- chiese Sheila, incuriosita, suo malgrado, dal racconto. 
- No, all’inizio, deluso com’era, non credo che avesse alcuna intenzione di curarsi.- rispose Nick, mettendosi una mano sotto il mento, come se stesse soppesando le proprie affermazioni. – fu un caso fortunato a salvarlo… o, almeno, così diceva sempre quando io ero bambino e lui e mamma si prendevano in giro nel cortile di casa, passeggiando tra i cespugli di biancospino e tenendosi per mano.- Demi lo guardò mentre sorrideva, un po’ perso nei propri ricordi, ed una strana fitta nostalgica le attraversò il petto. – mia madre era nuova, a Mystic Falls, e aveva già combinato un bel po’ di guai nel tentativo di recuperare informazioni sulla propria famiglia scomparsa… un po’ come me. Era un Lupo Mannaro, era stata adottata e maltrattata dai propri tutori e così, dopo essere fuggita da loro, si era decisa a scoprire la verità sul conto dei propri parenti biologici. Era un’intima amica di Tyler Lockwood e, assieme a lui, aveva audacemente tentato di aizzare gli ibridi di Klaus contro il loro padrone e sire…- Matt si allisciò con noncuranza la maglia sgualcita, felice di udire il proprio cognome in quella storia elettrizzante. -… senza successo. Il tranello, scoperto proprio a causa di mia madre, ebbe delle conseguenze oltremodo tragiche: Klaus, per vendicarsi, non esitò a trucidare tutti i ribelli, ad uccidere il Sindaco Carol Lockwood e a perseguitare Tyler fino a costringerlo ad abbandonare Mystic Falls.- la biondina battè le palpebre, sconvolta dalla verità, poi si morse l’interno della guancia per mantenere un viso impassibile. 
Sul marmo pregiato del camino erano appoggiate da decenni delle pompose foto di famiglia. Una delle sue preferite era sempre stata quella che ritraeva suo padre, Tyler, accanto ad una carismatica donna sulla quarantina, estremamente attraente, con un sorriso luminoso ed una fascia da Sindaco ben visibile sull’elegante tailleur da aristocratica. Sua nonna, Carol, era dunque morta così, uccisa dal crudele zio di Nick dopo un tradimento da parte della madre di lui, Hayley? 
Per la prima volta un vago senso di terrore le si insinuò dentro e Matt si chiese se avesse fatto bene a fidarsi del giovane nipote di Rebekah, ad invitarlo con disinvoltura in casa propria e a trattarlo da pari a pari senza mai dubitare della sua buona fede. Notando, però, il genuino disappunto pronto ad affiorare sul viso di Nick e ricordando il senso di tenerezza che la sua eterna solitudine le aveva ispirato sin dal primo istante, Mattie sentì sparire ogni sospetto: lui era diverso, era suo amico e non le avrebbe mai voltato le spalle. Ne era certa.
- Mia madre sapeva bene di dovere al suo amico Tyler un grosso favore e così, quando scoprì le proprie origini in un clan di Lupi Mannari Luisiana, convinse alcuni di loro a seguirla a Mystic Falls, per radunare una specie di esercito pronto a battersi con valore contro Klaus. L’ibrido Originale era inviso a molti abitanti della città e, con le sue malefatte, aveva conquistato solo odio e riprovazione: Caroline Forbes, innamorata di Tyler e decisa a riaverlo accanto a sé, accettò di collaborare con Hayley senza troppi tentennamenti e, al loro fianco, si schierarono anche due vampiri che desideravano l’umanità della loro amata Elena Gilbert ma che, allo stesso tempo, non avevano intenzione di sopportare di nuovo la vista di lei sfruttata come una qualunque sacca di sangue dal nemico Klaus. I tipi in questione erano due fratelli, Stefan e Damon Salvatore.- Demi sentì una strana sensazione avvolgerle il capo, come se all’improvviso fosse entrata in una bolla di cristallo opaca e completamente priva di ossigeno.

Image and video hosting by TinyPic
 
Le vertigini le diedero il capogiro e strinse forse gli occhi per non perdere la percezione visiva a causa della sorpresa. Si passò le mani tremanti nei capelli e si inumidì le labbra, trovandole insolitamente secche e screpolate. 
- La loro amata Elena?- provò a chiedere, ma quello che uscì dalla sua bocca fu solo una pallida imitazione della sua voce. 
La sua mente, infatti, era già stata risucchiata da i ricordi più disparati senza che potesse fare nulla per impedirlo: intravedeva immagini confuse del passato, incongruenti eppure tutte collegate tra loro da uno di quei personaggi che aveva sentito nominare da Nick: ‘Damon Salvatore.’ e percepiva ormai chiaramente, in una scena fulgida e lattiginosa come le prime luci dell’alba, il volto del fratello di suo padre, di suo zio. 
Damon, lo stesso uomo che Rebekah aveva spudoratamente menzionato nel suo primo giorno di lezione, quello che aveva trovato ritratto su un albero genealogico in Biblioteca e che aveva salvato lei e Sheila da morte certa… era stato innamorato di sua madre. 
Era forse stato per quel motivo che a Demi era sembrato di percepire, nei suoi occhi azzurri e adamantini, identici ai propri, un sentimento così intenso e allo stesso tempo così timido e impotente, quasi ferito, vulnerabile? 
L’aveva fissata con un’avidità ed una tenerezza uniche nel loro genere… forse perché gli ricordava, in qualche modo, Elena? 
E lei, sua madre? Aveva mentito per l’ennesima volta quando aveva detto di non aver mai sentito qualcuno che portasse quel nome, quando aveva negato l’esistenza di un altro legame familiare tanto fondamentale... menzogne, le sue parole non erano state altro che ardenti e incomprensibili menzogne… 
- Cosa?- domandò Nick, che non aveva sentito bene la domanda stentata della ragazza. 
Lei deglutì profondamente, ingoiando un groppo di lacrime mai versate assieme alla propria delusione, e si sforzò di muovere le labbra per articolare una frase abbastanza convincente e disinvolta.
- Niente…- bisbigliò, con gli occhi comunque troppo lucidi per essere credibile. -… ti prego, vai avanti.- 
Lui fece per protestare ma Demi alzò una mano per fermarlo e, con lo sguardo, lo incoraggiò a continuare senza indagare oltre. Desiderava disperatamente parlargli e sfogarsi con lui ma non era quello il momento di lasciarsi andare, lo sapeva. Magari glielo avrebbe spiegato in in un’altra occasione, quando sarebbe stata pronta ad affrontare tutta quell’amarezza interiorie, a svelargli i più profondi segreti e ad accoglierlo nella propria vita completamente, senza più nessuna esitazione. Nick continuo a tacere fino a quando, emettendo un respiro rassegnato, non si decise a proseguire con il discorso:
- Essendo mio padre l’unico degli Originali a non essere direttamente interessato alla Cura, mia madre decise di provare ad ingannarlo nella speranza di estorcegli facilmente delle informazioni sui piani di Klaus; successivamente lo avrebbe tolto di mezzo, in modo da eliminare in fretta chi come lui, per ovvie ragioni di affettività fraterna, era considerato dei principali ostacoli alla distruzione dell’ibrido.- il ragazzo fece una breve pausa, increspando le labbra in un lieve sorriso commosso che fu per Demi come una boccata d’aria fresca ed un sollievo impareggiabile. – Ovviamente lei non ci riuscì. Si innamorarono, perdutamente, senza averlo premeditato. Hayley vedeva in Elijah tutto ciò che aveva sempre cercato: un uomo gentile, pacato, profondo… una certezza solida e piacevole, mentre lui era affascinato dal suo spirito rivoluzionario e dalla sua malcelata fragilità emotiva. Nessuno di loro due aveva mai avuto una vera famiglia ed entrambi la desideravano calorosamente, insopportabilmente. Entrambi avevano tradito e sofferto e avevano scelto di rimediare ai propri errori passati… insomma, avevano moltissime cose in comune.- Mattie vide lo sguardo del giovane brillare nella malinconia e ne fu intenerita. 
In realtà anche l’idea che i suoi genitori fossero stati tanto a lungo lontani a causa del cattivissimo Klaus era struggente e lei era rimasta gradevolmente colpita dal vago romanticismo che aleggiava in tutte quelle vicende.
- Quindi Hayley voleva uccidere Klaus…- lo interruppe Sheila, turbata e concentrata sull’argomento. – pur sapendo che lui era l’unico fratello dell’uomo che amava?- 
- Non esattamente.- asserì Nick, assorto. – vedete, tutti i piani per trovare la Cura e per sbarazzarsi di Klaus erano pronti da un pezzo quando lei incontrò mio padre e perse la testa per lui. In Luisiana aveva persino recuperato un paletto di quercia bianca che i Licantropi della sua tribù avevano conservato intatto per difendersi da eventuali invasioni di vampiri… tutto era praticamente perfetto. La quercia bianca, infatti, è l’unico albero il cui legno possa uccidere un Originale e, per di più, quando uno di essi viene usato per colpire un vampiro al cuore, il paletto stesso prende fuoco assieme al cadavere, scomparendo per sempre. Era la loro unica possibilità di vittoria e Hayley sapeva di non poterla sprecare, che Elijah lo volesse o no.-
- Si tratta dello stesso paletto appuntito che stavi per conficcare nel petto di Stefan Salvatore quel giorno sul Lago, vero? Quercia bianca.- intervenne Matt, perplessa ed eccitata. Tutti i nodi, in un modo o nell’altro, sarebbero venuti al pettine e questa era una grandissima sensazione di conforto, per lei. – l’hai… ecco, diciamo, ‘ereditato’?- 
- Non era lo stesso paletto ma sì, quello originale adesso appartiene a me.- rispose Nick, un po’ imbarazzato nel ricordare l’evento in questione proprio sotto gli occhi inquisitori e meravigliosi della figlia di Stefan. – Me ne porto appresso degli altri, molto meno preziosi, ma li tiro fuori solo e soltanto quando in giro c’è un serio pericolo… quando qualcuno a cui tengo davvero… è nei guai..- 
Demi gli lanciò un’occhiata a metà tra la lusinga, il rimprovero e la gratitudine ma poi aggrottò le sopracciglia scure, riflettendo tra sè. 
- Oh no, quello non ce l’ho con me, in questo momento, lo giuro…- aggiunse lui, impacciato, interpretando male quel suo sguardo penetrante. -… di solito evito volentieri di sbandierare la sua esistenza ai quattro venti perché credo che molti sarebbero interessati ad entrare in suo possesso prima della fine e poi…- 
- Aspetta un momento.- lo fermò Demi, con una voce talmente calma da apparire innaturale. – hai appena detto che, quando uno di quei paletti viene usato contro un Originale, va perduto per sempre…- mise i gomiti sulle ginocchia e inclinò appena il capo, curiosa. -… com’è possibile, allora, che tu abbia ereditato quello di tua madre Hayley ancora perfettamente integro?- Nick la guardò con approvazione, ammirando l’acutezza di quella considerazione, poi si rabbuiò di colpo, lasciando che un’espressione grave ed intensa gli indurisse il volto giovane e splendido.
- In effetti, alla fine… non fu usato un paletto di quercia per annientare mio zio.-

***

-Klaus. Sul serio?!- ripetè Caroline, con la voce remota, come proveniente da un altro universo. Lanciò un’occhiata smarrita a Stefan, il quale aveva socchiuso gli occhi, ormai talmente teso e immobile da assomigliare ad una splendida statua di cera, e trattenne a fatica un tremito inconsulto. -… stai dicendo che i compagni di Hayley dovrebbero aver paura di Klaus?- sembrava sul punto di scoppiare in una risatina nervosa ma era talmente pallida da aver quasi perso consistenza corporea. 
- O di quello che potrebbe fare a loro se qualcuno lo facesse tornare, sì.- specificò Damon, con nonchalance.
Il panico dilagò tra i presenti come un gas velenoso e fece mancare l’aria nei polmoni di ogni partecipante alla riunione.
- Klaus è morto.- sbottò Jeremy, scrutando Damon con aria torva, quasi incolpandolo di aver scatenato quella terrorizzata reazione in seguito alla propria supposizione. – è morto e non può tornare.- insistette, quasi con rabbia, più a se stesso che ad altri, nascondendo in una smorfia la sua evidente paura.
- Buffo che sia proprio tu a dire una cosa del genere, piccolo Gilbert.- ironizzò Damon, con un sorrisetto enigmatico. La sua gioia, però, non arrivò a scaldare i suoi occhi e questi rimasero ardenti di una gelida ed accecante fiamma severa. -… c’è più di uno, qui tra noi, che sa la verità e, anche se non volete ammetterlo, io vi smaschererò.- alzandosi in piedi con un gesto teatrale ed un ghigno emozionato, Damon aprì il diario di Elena verso le ultime pagine, ignorando le sue impotenti proteste, proprio come aveva fatto un po’ di tempo prima nella camera da letto dei coniugi Salvatore. Dopo aver localizzato un punto in cui le righe tracciate con una biro ad inchiostro nero diventavano più spigolose e meno armoniche, meno scorrevoli, chiarendo il netto confine tra la scrittura ordinata di Elena e quella sgangherata di Bonnie, cominciò a leggere ad alta voce. 
Erano parole che, nel periodo di profonda depressione della sua migliore amica, la Bennet, su sua specifica richiesta, aveva continuato ad annotare scrupolosamente sullo stesso diario, per non permettere loro di svanire nell’oblìo.
- ‘’Caro diario… sono Bon.- cantilenò Damon, schiarendosi la gola con un colpetto di tosse e spassandosela ad imitare la voce lamentosa che la Bonnie di sedici anni prima avrebbe volentieri utilizzato per condannare le sue azioni poco ortodosse nei confronti di ‘povere creature innocenti trattate come dessert’. – Elena mi ha dato questo qualche settimana fa ed io ho deciso di scriverci tutto ciò che posso per evitare che la gente dimentichi la verità. Immagino che dovrò aggiungere dei particolari su ciò che sta succedendo alla gente qui intorno… Elena l’avrebbe fatto, lei si preoccupa sempre tantissimo per gli altri! 
Jeremy è tornato in gran forma e ha deciso di vendere il terreno su cui sorgeva casa Gilbert prima dell’incendio per trasferirsi in una dimora tutta nuova, libera dai ricordi. 
Hayley ed Elijah sono pariti l’altra notte e hanno abbandonato Mystic Falls… auguro loro di trovare la felicità che tanto cercano e di ricominciare a vivere con un sorriso spontaneo sulle labbra. 
Caroline e Tyler si sono sposati un mese fa nel ristorante più lussuoso di Mystic Falls. Lei indossava un meraviglioso abito bianco e dorato dal taglio molto raffinato… era un misto tra una principessa ed una sirena e credo di non averla mai vista più radiosa di così. 
Io e Jamie abbiamo deciso di chiamare la bambina con il nome di mia nonna e, anche se lui non sembra troppo entusiasta, non ho intenzione di modificare le mie intenzioni… sarebbe splendido se mia figlia fosse davvero come la cara Grams, forte, fiera ed orgogliosa. 
Stefan ed Elena si sono trasferiti al Lago e…- proprio come nella lettura precedente, Damon saltò deliberatamente quel passo, fingendo di aver perso il segno, e aggrottò le sopracciglia, alla ricerca di punti più salienti e decisivi dopo l’iniziale fase di canzonatura. -… bla bla bla… e provo una tale rabbia che vorrei fare a brandelli ogni cosa. Continuo a chiedermi, perché Matt? Perché? C’erano moltissime persone che avrebbero potuto o dovuto morire, quella notte, ed invece è stato lui a volersi sacrificare, lui soltanto. E’ morto per salvarci e questo sarà il nostro più grande rammarico per il resto della vita.
Rebekah è comprensibilmente scomparsa e nessuno ha più sue notizie. 
Jeremy mi ha detto di aver visto un mazzo di rose bianche posato sulla tomba di Matt e, nonostante tutto, ho lo strano sospetto che possa essere stata lei a lasciarli lì per lui prima di andarsene da qui. Non sono andata a controllare… probabilmente, vigliacca come sono, non metterò mai più piede in quel Cimitero. 
Provo molta pena per Rebekah perché credo che, come noi, anche lei si senta in colpa per la tragedia di Matt. 
La parte migliore di lei gli apparterrà sempre ed è stata sepolta assieme a lui. Adesso quella donna è solo un cumulo di dolore e odio ed ho paura di quello che potrà fare in futuro… specialmente quando avrà realizzato quanto sola sia, adesso, al mondo. 
Sarà terribile per lei: Matt è morto, Elijah l’ha lasciata e Klaus è stato sepolto ancora vivo nella cripta dei Fell, completamente essiccato e con un pugnale cosparso di cenere di quercia bianca piantato nel cuore.’’
Tadaaaan!- Damon chiuse di colpo, con un sonoro schiocco, il diario e guardò Bonnie con aria soddisfatta ed impertinente, in attesa di una conferma che tardava ad arrivare. La strega espirò profondamente, con le guance in fiamme e alla fine, con una lentezza estenuante, annuì.

*** 

-Mio padre non poteva permettere a nessuno di uccidere Klaus.- mormorò Nick, con un’evidente costernazione nella voce. Demi sentì un nuovo calore, frutto dell’ansia del momento, strisciarle dal petto alla faccia e desiderò ardentemente essere all’aria aperta, con il volto baciato dall’aria fredda e pungente. – Certo, avevano avuto moltissimi diverbi, nel secoli, e più di una volta avevano tentato di prevalere l’uno sull’altro, stupidamente, senza remore, fino a lacerare in profondità il loro rapporto… ma erano pur sempre fratelli… ed un legame come quello di sangue è difficile da mettere da parte, anche in simili drammatiche circostanze.- 
Il sorriso quieto di Mattie si spense lentamente quando comprese la svolta tragica appena imboccata da quella narrazione ed incrociò le braccia sul petto, scrutando Nick con i suoi limpidi occhi color del mare. Percepiva quanto fosse difficile per lui parlarne e gli fu estremamente grata per farlo comunque, nonostante tutto, per aiutarle a comprendere ogni cosa.
- E così Elijah tentò di fermali?- chiese, coraggiosamente, scostandosi i capelli spettinati dalla fronte. 
Lui la trafisse con uno sguardo intenso e un po’ esitante, poi sulle sue labbra comparve una smorfia simile ad un sorriso mesto.
- Sì, si oppose ai piani omicidi con tutte le sue forze, cercando di proteggere suo fratello e, allo stesso tempo, di sfruttare la propria proverbiale diplomazia per placare la rivolta contro di lui. Non sarebbe stato giusto, disse ai ribelli, uccidere un altro Originale. 
Non era purtroppo un mistero il fatto che, una volta eliminato il capostipite della discendenza, un’intera linea di sangue di vampiri da lui direttamente o indirettamente generati si sarebbe estinta senza lasciare traccia di sé sulla terra. 
Gli abitanti di Mystic Falls avrebbero preso la Cura e, tornati umani, sarebbero sfuggiti alla strage… ma gli altri vampiri? 
Sarebbero morti innocenti ed inconsapevoli, proprio come quelli trucidati a sangue freddo in seguito all’eliminazione precedente degli altri due fratelli Mikaelson, Finn e Kol, avvenuta per opera degli stessi individui che ora combattevano Klaus in nome della libertà e della giustizia? - 
Demi si strinse nelle spalle, reprimendo un brivido. 
Chi era stato, dunque a causare la morte degli altri zii paterni di Nick? 
Possibile che fossero stati i suoi genitori a pianificare a tavolino l’uccisione di milioni di esseri viventi, dannati a causa della loro condizione di vampiri, ma comunque con una coscienza e dei sentimenti, dei sogni e delle speranze per il loro interminabile futuro da immortali? 
Soffocando un colpetto di tosse stizzosa, la Salvatore scosse la testa, scacciando quel pensiero come una mosca molesta.
-Tutto ciò che Hayley, Caroline, i Salvatore, Elena e gli altri volevano era, in fondo, avere una vita serena, libera dalle interferenze manipolatrici del maniaco del controllo per eccellenza, del più spietato tra gli Originali. 
Mio padre sapeva che Klaus avrebbe strappato via il cuore dal petto a ciascuno di loro (quindi anche a mia madre) se avesse anche solo sospettato un progetto di opposizione nei propri confronti e, anche per questo, lui riusciva a comprenderere e condividere a pieno quella accecante bramosia di normalità e ricostruzione anelata dai ribelli. 
A tutti loro sarebbe bastato prendere la Cura e vivere altri cinquanta, settanta anni in santa pace, senza doversi preoccupare delle minacce di Klaus, fino ad essere sepolti nella nuda terra come qualsiasi essere umano al mondo… fu così che lui ebbe un’idea geniale. 
Propose loro un’alternativa: avrebbe consegnato ai rivoltosi uno dei rarissimi pugnali d’argento, cosparsi di cenere di quercia bianca, in suo possesso, perché lo conficcassero nel cuore di Klaus. 
Lui, un ibrido parzialmente immune al potere della lama incantata, non sarebbe morto definitivamente perché, al contrario del paletto, la ferita causata dal pugnale gli avrebbe comportato solo una perdita dell’essenza e dell’energia temporanea, non eterna... sarebbe stato neutralizzato e solo successivamente essiccato grazie ad un incantesimo legato al potere dello stesso pugnale.
Non appena questo fosse stato estratto dal suo corpo, infatti, egli avrebbe riacquistato tutte le proprie facoltà vitali, senza alcun tipo di conseguenza. 
Klaus sarebbe stato risvegliato dopo la conclusione delle loro vite mortali e, magari, avrebbe potuto persino ricominciare da capo, lontano dalla sete di vendetta e dalla voglia di distruggere le loro esistenze…. libero.- 
Sheila strabuzzò gli occhi, sentendosi estremamente stordita da tutta quella serie di informazioni.
Distogliendo per un attimo lo sguardo da Nick, osservò attentamente il vassoio ancora pieno di biscotti e pasticcini alla crema, nel tentativo di riordinare le idee. 
- Quello proposto da Elijah sembra un piano lucido e razionale, facilmente realizzabile, dettato da un viscerale amore fraterno che contrastava con il desiderio di una vita da umano accanto ad Hayley.- commentò piano, con aria critica ma ormai appassionata alla vicenda. – ma ciò non toglie il fatto che fosse estremamente pericoloso. 
E se qualcuno avesse trovato il corpo di Klaus e avesse strappato l’arma d’argento dal suo corpo prima del tempo da loro stabilito? La sua rabbia sarebbe stata ancora più terribile e tutti sarebbero stati nei guai fino al collo. Perché i nostri genitori corsero il rischio di sacrificare la certezza di una vita assolutamente indipendente da Klaus in favore del timore costante del suo possibile ritorno? Voglio dire… come accidenti fecero Elijah e Hayley a distoglierli dal loro intento radicale? Due contro tutti... non potevano farcela.- Nick le lanciò una strana occhiata, poi rimase per un po’ in silenzio. Quando tornò a parlare, la sua voce si era addolcita notevolmente e, roca com’era, strideva notevolmente con il tormento presente nelle sue iridi nere e fiammeggianti.
-Infatti non ci riuscirono.- rispose lui, sbuffando quasi senza accorgersene. – non avevano abbastanza potere per imporre le proprie decisione ad un gruppo tanto numeroso e la maggior parte dei loro ‘amici’ li trattava con diffidenza e sospetto dopo le brutte malefatte di cui si erano macchiati in precedenza. La decisione di non ammazzare Klaus in modo irreversibile non dipese dai miei genitori ma da uno dei fratelli Salvatore.- l’atmosfera divenne, se possibile, ancora più densa e tesa di prima. Demi sentiva delle scariche di elettricità scorrerle lungo la pelle e gli occhi le bruciavano ininterrottamente da molti minuti, ormai. 
- Che cosa significa?- chiese, senza essere troppo sicura di voler davvero udire una risposta. La verità, come al solito, l’avrebbe schiacciata, ne era certa, infondendole un dolore brutale e pungente nel petto. 
- Vuol dire che c’era uno dei due Salvatore che non aveva alcuna intenzione di prendere la Cura e che quindi, se il capostipite Klaus fosse davvero morto, sarebbe stato travolto dalla distruzione totale della linea di sangue da lui avviata. Fu la dolce Elena in persona, in lacrime, a supplicare gli altri di sposare la causa di Elijah così da risparmiare la vita alla sua intera discendenza. Di comune accordo, dunque, la strega Bennet accettò di sigillare il pugnale nel corpo di Klaus con un incantesimo potentissimo.- l’ultimo tizzone ardente nel camino lì vicino rotolò, inerte, su un lato e si spense con un filo di fumo grigio, portando con sé l’entusiasmo e la curiosità che avevano animato e dato inizio a quella riunione. 
Demi percepì la desolazione premerle addosso mentre abbassava la testa. Un formicolìo andava diffondendosi sulle sue guance ma si sforzò di sorridere lo stesso perché, nonostante gli orrori e le responsabilità raccontati da Nick, le pareva di aver appena riscoperto, con gran sollievo, proprio tra le frasi del ragazzo, alcuni tratti della propria madre, di quella donna che ultimamente stentava a riconoscere: era stata uno spirito intrepido, diverso da quello bugiardo degli ultimi tempi, estremamente altruista e, quel che era meglio, anche pronta a tutto pur di salvare quelli che amava… 
Perché, pensò Demi con assoluta certezza, chiunque fosse stato il fratello Salvatore che Elena aveva deciso di risparmiare assieme al terribile Klaus, a costo della certezza di essere finalmente privi di angosce e preoccupazioni… lei doveva averlo amato davvero con tutta se stessa. 


Image and video hosting by TinyPic



***************************************************************************

Capitolo lunghissimo ma intenso... nonostante io abbia faticato moltissimo per buttarlo giù, credo di poterlo senza dubbio annoverare tra i miei preferiti <3
Ringrazio in anticipo tutti coloro che recensiranno e, soprattutto, le mie adoratissime e fedeli recenstitrici di sempre... risponderò ai vostri adorabili commenti quanto prima, lo prometto! 

Un abbraccio e a presto... Evenstar75 :*

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Triangle ***


POV Elena Gilbert

Mi voltai placidamente nel letto, cambiando lentamente posizione e sentendo un fruscìo di soffici lenzuola accompagnare i miei movimenti. Così comoda e al sicuro, sdraiata sul materasso candido e profumato di lavanda della mia camera matrimoniale, non avevo poi molta voglia di aprire gli occhi alla luce del giorno. Dopo la cupa e sconvolgente serata precedente, infatti, per me era stato un vero sollievo potermi abbandonare assieme a Stefan al buio del nostro rifugio di sempre e fingere per qualche ora che nulla, nel Pensionato, fosse davvero cambiato… 
-Sei sveglia?- domandò ad un tratto mio marito, osservandomi con aria incuriosita nella penombra della stanza. 
Il sole filtrava a malapena attraverso la tapparella abbassata con cura dell’unica finestra lì accanto, forse per evitare l’ingresso o anche solo gli eventuali occhi indiscreti di qualche corvo appollaiato sul davanzale. 

Pensandoci distrattamente, senza troppa convinzione, bofonchiai qualcosa in risposta a Stefan, ed affondai dispettosamente la faccia nella stoffa soffice del cuscino. 
Il vampiro sorrise tra sé e si avvicinò a me, puntellandosi risolutamente su un gomito. 
ImagesTime.com - Free Images Hosting  

Percepii le sue mani spostarmi i capelli scompigliati dal viso e le sue labbra fresche ed asciutte posarsi con delicatezza infinita sulle mie palpebre serrate, invitandole dolcemente a schiudersi. -… mmmhh… non ancora…- osservò lui, scendendo a baciarmi anche il naso, la fronte, gli zigomi e le ciglia, e sentendo la mia pelle riscaldarsi ed arrossire sempre di più sotto quel contatto. 
Emettendo un versetto compiaciuto, sollevai appena il viso e socchiusi le labbra, continuando a tenere gli occhi chiusi e abbandonandomi a quelle effusioni. 
Stefan era così… era come un lento balsamo profumato e tiepido che si spandeva da padrone sul mio corpo, rinvigorendolo e coccolandolo; era come un dono del cielo, come uno specchio magico attraverso il quale solo le cose più meravigliose e più spontanee della vita prendevano forma e colore, lasciando da parte l’oscurità e le insopportabili paure che essa, puntualmente e senza alcuna pietà, scatenava dentro di me. 
- Sei di buonumore?- gli chiesi con voce buffa e un po’ sorpresa, socchiudendo finalmente un occhio per dargli un po’ di soddisfazione. 
Stefan, sovrastandomi in un abbraccio, mi guardò con tenerezza infinita, poi scosse la testa, un po’ più serio. 
- Neanche un po’.- sussurrò, con tono basso e suadente. Come poteva esserlo, dopo tutto quello che era successo alla nostra famiglia? Demi non era ancora tornata a casa dopo quella drammatica esperienza al Lago e probabilmente non si sarebbe mai più fidata di noi come un tempo, eravamo tutti terrorizzati dalle nuove scoperte emerse riguardo ai piani di Rebekah e alle sue tragiche intenzioni distruttive, l’ombra di Klaus era tornata a soffocare la nostra esistenza e avevamo anche un ospite assolutamente bizzarro sotto lo stesso tetto…
- Oh… non essere arrabbiato con Damon.- mormorai, protettiva, dandogli un colpetto affettuoso sul braccio. – Lui non voleva nemmeno restare qui per dormire… sono stata io ad insistere. Davvero tu lo avresti lasciato a poltrire nel tetro cimitero per il resto della sua permanenza a Mystic Falls?- Stefan finse di prendere in considerazione l’ipotesi per scherzare un po’ ma poi, notando la mia espressione eloquente, si lasciò andare ad un sorriso un po’ strano, quasi intimorito.
- No, non l’avrei fatto.- ammise lui, sincero, dopo aver deglutito. – è mio fratello e, anche se è tornato senza avvisarmi, si è introdotto furtivamente nella nostra abitazione, ha interrotto un nostro momento d’intimità, ha frugato tra i tuoi diari e ha maltrattato i nostri ospiti… sono felice di rivederlo. Ammetto solo che sarà un po’ assurdo ritrovarselo per casa dopo sedici anni.- 
Scoppiai a ridere, perfettamente d’accordo con lui, poi, spingendo via con una piccola spinta le coperte, mi sedetti sul bordo del letto, sfiorando con i piedi nudi il pavimento freddo e liscio della stanza. 
Stefan comparve sulla mia spalla e mi appoggiò addosso la vestaglia di morbidissimo tessuto color malva, aiutandomi ad indossarla affinchè non prendessi freddo. Era così dolce da parte sua quel continuo preoccuparsi per la mia sicurezza ed il mio benessere che quasi riuscii, temporaneamente, a dimenticare il fatto che, essendo tecnicamente un vampiro, neppure una bufera di neve avrebbe mai potuto causarmi un comunissimo quanto umano raffreddore.
- Vado a preparare la colazione.- annunciai animatamente, alzandomi definitvamente per uscire dalla camera e dirigermi nel corridoio. La stoffa sottile della mia veste fluttuò leggermente nell’aria, assecondando i miei passi, e strappò un sorriso divertito a Stefan. 
Lungo il tragitto mi passai le dita tra i capelli scompigliati per districarli e li spostai da una spalla all’altra, tentando nervosamente di acconciarli nel modo migliore possibile. Non mi ero mai sentita così a disagio prima d’allora a causa di quel dettaglio talmente normale nella quotidianità ma adesso, con Damon in giro, percepivo uno strano stato di tensione emotiva tenermi sempre vigile e concentrata su qualsiasi particolare circostante. 
Le lancette del vecchio orologio di legno, ad esempio, segnavano le sette del mattino e, con il loro ticchettìo intermittente, mi ricordavano dolorosamente come, effettivamente, lo scorrere del tempo non si fosse mai fermato davvero, in quella casa. 
Certo, la famigerata Cura aveva avuto degli effetti collaterali davvero miracolosi su di noi, riuscendo a donare a coloro che l’avevano assunta, assieme alla tanta agognata mortalità, anche un’innaturale giovinezza, ma io sapevo bene che la mia bellezza fisica, pur intaccata solo in modo lento ed impercettibile dalla vecchiaia, aveva assunto negli anni nuove sfumature, diversi dettagli: il mio viso, ad esempio, aveva perso un po’ della propria ingenuità adolescenziale e le le mie forme, leggermente arrotondate, si erano ammorbidite in seguito alla gravidanza di Demi… ‘Demi’. 
Il tiepido pensiero di mia figlia mi sfiorò come il vento carezzevole delle serate primaverili faceva da sempre con l’acqua limpida sulle rive del Lago, provocandomi un doloroso quanto intenso senso di malinconia. 
Dov’era lei, adesso? 
Mi mancava come l’aria nei polmoni, più di ogni altra cosa al mondo, e mi sembrava spesso di vederla ancora in giro per il Pensionato, come quando era solo un cucciolo piccolo e indifeso e, ancora traballante sulle gambe paffute, scorazzava senza sosta per le stanze alla ricerca di attenzioni e baldoria. 
Nonostante quelle immagini di purezza ed infanzia mi scaldassero il cuore un po’ avvizzito dalla nostalgia, però, era la Demetra adulta ad affollare tutti i miei pensieri, la stessa ragazza che, proprio come un bel frutto ancora acerbo ma prossimo a maturare squisitamente, si stava affacciando alla vita giorno dopo giorno, crescendo e sbocciando in bellezza, orgoglio ed intelligenza. Mi mordicchiai le labbra, soffocando un sospiro di profonda e lancinante colpa: era stato semplicemente terribile, per me, vederla raccogliere le proprie cose in un paio di grigiastre valigie e lasciarsi la nostra dimora alle spalle, con quell’espressione desolata e triste sul volto, con quella delusione stampata nell’anima come un marchio rovente. Non riuscivo a perdonarmi per averle mentito tanto spudoratamente e, conoscendola forse come nessun’altro al mondo, sapevo perfettamente che, chiusa in quel silenzio vuoto e ferito, mia figlia aveva tenuto per sé un dolore, uno sgomento ed una frustrazione indicibili, fuori dal comune, per evitare che quelle sue tormentate sensazioni facessero male anche a noi. Era sconvolgente quanto fosse simile a qualcuno di mia conoscenza, per certi aspetti del suo carattere: era testarda, fiera e tenace ma, segretamente, era anche la persona più bisognosa di sicurezze e meno egoista del pianeta, proprio come...
Confusa e guidata da quell’irrazionale e spontaneo flusso di considerazioni, senza quasi accorgermene, finii con lo svoltare dal lato sbagliato della casa, quello opposto alla cucina, trovandomi davanti agli occhi la porta color ciliegio della stanzetta di Demi. Per giorni rimasta chiusa, custodendo una camera silenziosa e deserta, disabitata, ma ora era stranamente socchiusa, come se qualcuno, entrando, si fosse dimenticato di far scattare la serratura. Immediatamente, davanti a quella scena, sentii un brivido indesiderato quanto familiare farsi strada sulla mia pelle e, riconoscendo l’unico possibile artefice di quella mossa così spavalda, distratta e un po’ provocatoria, sbirciai attraverso la splendente fetta di stanza lasciata visibile dalla porta appena accostata. 
Damon si era prevedibilmente addormentato, completamente vestito, in posizione fetale, con la guancia appoggiata al cuscino candido e ricamato e con un grosso libro spaginato abbandonato pigramente tra le mani. 
La sua pelle era così pallida e luminosa da assorbire e modellare su di sé, con una nuova sfumatura perlacea, tutti i raggi di sole che penetravano dalla finestrella poco distante, e le sue labbra rosee erano socchiuse in una smorfia tenera, imbronciata. Fissandolo, non riuscii a trattenere un sorriso emozionato: doveva essersi assopito nel pieno delle sue frenetiche ricerche notturne, come testimoniavano i fogli e le fotografie che erano scivolate dal diario sul pavimento tutt’intorno a lui, e senza aver ottenuto dei risultati soddisfacenti, cristallizzando così sul proprio volto quell’adorabile espressione sfinita ma ancora risoluta. Vederlo disteso sul lettino di Demi mi aprì una profonda crepa nel petto, come se una grossa dose di calore si fosse improvvisamente abbattuta tra le pareti del mio cuore, sciogliendo un po’ di quel ghiaccio che la sua assenza aveva stratificato attorno ad esse. Per giorni interi, quando lui era misteriosamente scomparso dalla città, avevo vagato per quegli androni e quelle salette senza sosta, senza meta, nella speranza di vederlo comparire dietro l’angolo più buio, con un bicchiere di cristallo tra le dita, pronto ad imprecare contro qualcosa e a sorridermi in quel modo inimitabile, ammiccante, ironico… senza successo, senza fermarmi, senza rendermi conto di quanto fosse inutile.
Una volta Stefan mi aveva ritrovata nella camera di Damon, seduta sul pavimento con le gambe contro il petto e circondate dalle braccia, il mento appoggiato sulle ginocchia, il viso rigato di lacrime incandescenti. Le sue parole di spavento e conforto mi erano sembrate provenire da un’universo parallelo, rese irriconoscibili dai miei sensi annebbiati dall’agonia. Tutto mi era sembrato identico a come lui lo aveva lasciato: il suo lussuoso letto disfatto, i suoi libri preferiti accatastati con cura sul lato destro, le lampade dalle luci blande, il tappeto dai bordi rossicci posato sfrarzosamente sul pavimento di legno liscio, le candele grassocce e translucide sulla sua scrivania, la sua vasca da bagno… ogni cosa era rimasta intatta dopo la sua partenza, o quasi. 
Con un nodo in gola tornai a mettere a fuoco l’immagine del vampiro davanti a me, così beatamente addormentato, così presente e concreto. Mi resi conto con un misto amarezza e sollievo che miei ricordi erano sempre stati delle evanescenti illusioni rispetto alla realtà: nessuno di loro aveva mai reso giustizia a quei tratti fini e, in quell’istante, esausti. Damon si stava impegnando così tanto per trovare delle risposte all’enigma di Demetra, cercando senza sosta tra gli appunti e i documenti del passato in nostro possesso… le aveva salvato la vita una volta, proteggendola istintivamente contro un pericolo ben più grande di entrambi, e adesso continuava ad essere così meravigliosamente premuroso, con lei… 
Feci un passo verso l’interno, scansando accuratamente le pergamene che erano ammucchiate al lato del letto per non stropicciarle e per non fare rumore, e mi avvicinai al vampiro, il quale continuò a ronfare lentamente e dolcemente, beato. Non riuscivo a svegliarlo, non potevo. Mi sembrava un crimine terribile quello di interrompere i suoi sogni e così rimasi a fissarlo, quasi senza respirare, immobile sul posto, con un buffo formicolìo nelle dita. I capelli d’inchiostro di lui sembravano avere una vita propria, tanto erano arruffati, ma gli conferivano, come al solito, quell’aria di distratta eleganza che aveva fatto strage di cuori per secoli e secoli. Chissà cos’era accaduto in quei sedici anni, se lui era riuscito a liberarsi da quell’amore corrosivo e implacabile che ci aveva quasi condotti sull’orlo della follia, per ricominciare un vita serena e normale, sfacciatamente e favolosamente normale, come la mia, come quella che Stefan aveva deciso di donarmi nonostante tutto, magari accanto ad un’altra donna che… 
Cercando di scacciare quel pensiero cocente, distolsi ostentatamente lo sguardo e fissai un foglio di carta ingiallita e scricchiolante che era proprio accanto al viso di Damon, adagiata sul materasso dopo un’ultima consultazione da parte sua. Non era contrassegnato dalla mia scrittura né da quella di Bonnie ma, al contrario, era libero da qualsiasi iscrizione manuale; una grossa figura tracciata con inchiostro nero sovrastava completamente la facciata principale, ritraendo una bizzarra figura geometrica triangolare, all’interno della quale erano disegnate delle inquietanti figure stilizzate, scheletriche, circondate da simboli lunari. 
Mi chinai per scrutare con maggiore attenzione il decrepito disegno dai margini lacerati e aggrottai le sopracciglia in un’espressione concentrata. Dovevo averlo già visto da qualche parte ma non ricordavo di averlo inserito personalmente nel diario; doveva essere stata Bonnie a farlo, magari durante il periodo della sua custodia, forse per nasconderlo dalla propria memoria senza doverlo distruggere definitivamente. 
Certo, lo riconoscevo: era il Triangolo, il correlativo oggettivo di un magico processo di sacrifici umani programmati in tre località geografiche equamente distanti tra loro, destinato a concentrare e ad amplificare tutta l’energia mistica di una stregoneria sanguinaria e pericolosa chiamata ‘Espressione’. 
Durante la battaglia di sedici anni prima, quel semplice schizzo geometrico era costato la vita a ben trentasei innocenti (streghe, umani e ibridi), tutti immolati in tre gruppi di dodici persone ciascuno in nome del terribile Silas, il vampiro millenario custode della Cura e condannato da una strega crudele ad un’eternità di supplizi, mancanze e sofferenze. Mentre cercavo di sfilare dalla presa di Damon quel foglietto, delicatamente e senza fiatare, sporgendomi su di lui per limitare al massimo le possibilità di destarlo, udii un bisbiglio.
ImagesTime.com - Free Images Hosting
-Elena…- mormorò Damon, d’un tratto, facendomi sobbalzare e ritirare immediatamente la mano. Beh, come non detto. La sua voce era impastata di sonno ma sorpresa, quasi compiaciuta, e il profumo delizioso della sua pelle mi lambì le narici, a tradimento. Cercai di rimettere il moto il cervello nel minor tempo possibile e sentii l’eco dei battiti accelerati del mio cuore disperdersi nella stanza. 
I suoi occhi azzurri mi osservarono perplessi mentre lui realizzava, con un lampo di lucidità, la ragione per cui mi ero avvicinata così tanto a lui. Un angolo della sua bocca si inarcò in un sorriso beffardo. -… ammetto di aver sognato spesso un risveglio del genere ma, nella mia fantasia, non avevi quella faccia atterrita. Buongiorno, signorina ‘sono in una missione.’- con un movimento fluido e veloce si mise a sedere ed afferrò il disegno del Triangolo dell’Espressione, tirandolo fuori dalla mia portata e infilandoselo gelosamente nella tasca posteriore dei jeans, al sicuro. Immediatamente, mi risentii ma, per il momento, rinunciai a cercare di riacchiapparla, anche per paura di strappare quella carta così incartapecorita e fragile da essere simile a ruvida e friabile sabbia.
- Volevo soltanto dare un’occhiata a quella strana figura.- balbettai vaga e sospettosa, a mo’ di giustificazione. Poi, guardandolo, il mio viso si addolcì e si soffuse di tenue rossore. – e, comunque, buongiorno anche a te signor ‘ho trascorso tutta la notte a tradurre geroglifici per Demi.’- le sue iridi si riscaldarono immediatamente a quella battuta colma di gratitudine, come se fossero state invase da una sensazione, se non di soddisfazione, di lavoro ben fatto. Rapida com’era venuta, però, quella luce svanì, inghiottita dal disappunto.
- Non ancora sono riuscito a venirne a capo.- ammise, con un’alzata di spalle. 
- Ma ci stai provando... con tutte le tue forze. Se non fosse stato per te staremmo ancora brancolando nel buio più completo per quanto riguarda le intenzioni di Rebekah.- replicai, nel tentativo di incoraggiarlo, di confortarlo. Lui restò in silenzio, abbassando la testa con una smorfia combattuta ad irrigidirgli il viso, poi fece un respiro profondo e tornò a guardarmi negli occhi, intensamente. Probabilmente le mie parole avrebbero stonato con i miei desideri più intimi e nascosti ma mi costrinsi a pronunciarle per dovere, per giustizia: – Damon non devi farlo, se non vuoi, non devi sentirti responsabile di quello che sta accadendo qui… non hai nessun obbligo nei nostri confronti…-
- No?- chiese lui, sarcastico, ma il suo sguardo si era improvvisamente incupito. Trasportata dal solito, singolare ed infallibile intuito che avevo verso di lui non riuscii a comprendere l’orgine di quella malcelata angoscia senza esserne a mia volta travolta: il ricordo delle nostre responsabilità in quell’assurda faccenda di sangue, sacrificio e vendetta erano urticanti e insopportabili come ferite, come spine nella carne. Le sue parole cominciarono a traboccare veloci, nervose, e fui costretta a sforzarmi per cogliere il senso di ognuna. – Sono stato io a scatenare tutto questo casino con Rebekah, d’accordo? Se vuole davvero vendicarsi con qualcuno, dovrebbe prendersela con me… non con voi. E, soprattutto, non con la ragazzina.- il suo tono divenne protettivo e minaccioso, inebriante, ma non vi badai troppo, confusa dalle frasi che lui aveva appena pronunciato. 
Sentivo la testa pesante e non riuscivo a capire il vero significato di ciò che aveva detto. 
Sono stato io? 
- Damon…?- cominciai, quasi senza muovere le labbra dallo sgomento. Prima che potessi aggiungere altro, però, Stefan comparve sulla soglia della stanza, quasi precipitandosi per il corridoio. Si era vestito in fretta ed il colore acceso della sua maglia donava moltissimo al suo incarnato pallido… ma sembrava stravolto. Il suo viso finemente modellato e le sue labbra tremule tradivano un’urgenza che mi terrorizzò all’istante. Stringeva convulsamente il cellulare nella mano destra e il vacuo bagliore bluastro sul display indicava chiaramente la fine recentissima di una conversazione telefonica tra lui e qualcun altro. 
- Che cosa è successo?- chiese duramente Damon al mio posto, prima che potessi dare voce alle mie disordinate preoccupazioni. Sembrava assorto e squadrava suo fratello come se riuscisse a leggergli dentro. Per un po’, di fronte a tutta quell’incoffessabile, tacita ed affettuosa intesa, mi sembrò di essere un’estranea tra i due.
- Caroline mi ha appena chiamato.- rispose Stefan, respirando a fatica, accennando al proprio cellulare. I suoi occhi ardevano febbrilmente e, quando continuò, la sua voce era densa di rammarico. – Ha scoperto la ragione per cui Tyler non è venuto alla nostra riunione, ieri sera. C’è stato un incendio terribile in città e una ragazza di sedici anni è stata uccisa.- Mi sentii raggelare e mi portai istintivamente le mani alla bocca, per coprire una smorfia di puro orrore. Damon non disse nulla ma il lieve colorito che aveva aleggiato sulla sua pelle fino a quel momento, in un guizzo definitivo, svanì. Quando emisi un gemito soffocato, Stefan mi sfiorò il braccio con la mano, nel vano sforzo di consolarmi, ma i suoi muscoli erano contratti e rigidi almeno quanto i miei. 
- Com’è potuto accadere?- biascicai, con un groppo in gola. – Chi…?-
- Si chiamava Tina O’Neil, frequentava il college assieme a Demi.- sussurrò mio marito, cupo e teso come il cielo prima di un temporale. Quel nome mi ricordava indistintamente qualcuno; doveva essere una delle compagne di classe di mia figlia, di quelle con cui lei non aveva mai legato a sufficienza ma verso le quali, comunque, nutriva un sincero rispetto, frutto di intere giornate trascorse insieme tra i banchi di scuola, a mensa, nel cortile. Sì, l’avevo sicuramente incontrata, qualche volta… Tina doveva essere quella ragazza dalle spalle larghe e dal sorriso reso argenteo dall’apparecchio per i denti che faceva parte della squadra di nuoto agonistico di Mystic Falls. Ed ora... era morta. – E’ stata coinvolta nell’incendio appiccato non molto lontano dalla Biblioteca… ma pare che non sia stata questa la vera causa della morte.- Stefan fece un gesto eloquente, passandosi la lingua sui denti e soffermandosi sui canini appuntiti. Compresi immediatamente la tacita e micidiale allusione ai morsi di un vampiro e rabbrividii. – Per non creare ulteriore panico stanno tenendo segreto questo macabro particolare della tragedia, attribuendo per il momento la ragione delle sue ferite all’aggressione di un animale, ma Caroline mi ha supplicato di raggiungere subito lei e Tyler sul posto… forse possiamo dare una mano allo Sceriffo Forbes per la ricerca di dettagli e per tenere calmi gli animi.- senza riuscire a pensare coerentemente, annuii e, per non lasciarmi sommergere dalla sensazione straziante di perdita e smarrimento che quella notizia aveva risvegliato spietatamente in me, mi avviai pesantemente alla porta. Sarei tornata in camera mia e avrei indossato qualcosa al volo, poi ci saremmo precipitati sul luogo del delitto. Avevano strappato la vita ad una bambina… la morte era tornata, velenosa e implacabile, ad infiltrarsi tra le ormai da decenni sicure mura della città. 
Un imprecisato mormorìo sfiorò le mie orecchie mentre raggiungevo rapidamente il mio armadio e lo spalancavo per darci un’occhiata e, riconoscendo debolmente le voci di Stefan e Damon ancora nella stanza di Demetra, cercai di affinare i miei sensi uditivi per rendere più chiare le frasi che si stavano scambiando sommessamente in mia assenza.
- La casa data alle fiamme è proprio quella di Matt Donovan.- stava dicendo Stefan, a bassa voce. Trasalii, immaginandomi la faccia di Damon davanti a quella rivelazione. Senza volerlo trattenni uno spasmo di disgusto e ripensai alla catapecchia abbandonata dei Donovan che, dopo la morte del suo unico proprietario, era caduta nel disuso e nella desolazione più assoluti. La madre di Matt, Kelly, non era mai tornata a rivendicare il suo possesso e, in qualche modo, riuscivo a comprendere la sua volontà di tenersene alla larga: non riuscivo ad immaginare l’idea di perdere un figlio, di subire la scomparsa di Demi come i genitori di Tina avrebbero, adesso, patito quella della loro creatura. Le lacrime affiorarono ai lati delle mie ciglia senza che potessi fermarle e le sentii bruciare contro la mia pelle, annebbiarmi la vista e la ragione. 
- Una coincidenza molto strana.- commentò Damon in risposta, con un tono che non tradiva particolari emozioni. Era sempre stato bravo, lui, a nascondere la paura ed il tormento. -… hanno qualche sospetto concreto riguardo al colpevole?- 
- Sì, il ragazzo che è stato visto per ultimo assieme a Tina è tra gli indiziati ma è uno straniero, non l’hanno ancora identificato. Anche un’amica della povera ragazza è stata fermata ma è in stato di shock e non sono riusciti a tirarle fuori molto.- rispose Stefan, con improvvisa veemenza. - Credo che abbiano intenzione di interrogarli ma, se non ci sbrighiamo, probabilmente li lasceranno andare per insufficienza di prove.- 
- Vengo con voi.- concluse risoluto il maggiore dei fratelli. Udii le molle del materasso lamentarsi appena e capii che lui si era alzato in piedi, con quell’aria fiera e testarda, per fronteggiare Stefan.
- No.- lo bloccò quest’ultimo, probabilmente afferrandolo per un braccio per fermarlo. Mi immaginai lo sguardo improvvisamente furioso ed impenetrabile di Damon davanti a quel rifiuto e qualcosa nel mio stomaco si ribellò. Cosa si aspettava, Stefan, che sarebbe rimasto con le mani in mano in attesa di novità? -… non è il caso che tu ti faccia troppa pubblicità in giro.- proseguì lui, con voce pacata e severa ma piena di buonsenso. – Per quanto ne sappiamo Rebekah potrebbe essere in giro per le strade, praticamente ovunque, e non credo che rivederti qui le farebbe piacere. Se, come pensiamo, c’è davvero lei dietro tutto questo, io non ho intenzione di provocarla… e scommetto neanche tu.- 
Sbattei le palpebre, frastornata, nuovamente perplessa davanti a quelle parole così ambigue e, per me, prive di un qualsiasi senso logico. Perché Damon doveva tenersi alla larga da Rebekah? Se la bionda sorella di Klaus ci odiava tutti, senza particolare distinzione, per averle rubato il futuro che tanto avrebbe desiderato assieme a Matt… perché lui, in modo particolare, doveva starle lontano e ritardare il più possibile la scoperta del proprio ritorno in città?
- Posso tenerle testa, adesso, fratello.- sibilò Damon, lanciando un’occhiata di traverso a Stefan. La sua chiara allusione al Potere che aveva accumulato in quei sedici anni di vagabondaggio per il mondo mi diede la nausea, vibrando nel mio sterno con un irragionevole misto di invidia e repulsione.
- Non è solo per te che sono preoccupato.- replicò lui, irremovibile. – Una ragazzina è stata uccisa, stanotte, Damon… riesci a capire cosa questo voglia dire? Una sedicenne piena di vita, di sogni e di speranze è stata inghiottita dalle tenebre e non tornerà mai più ad abbracciare i propri familiari. Se Rebekah dovesse perdere la testa e decidere di prendersela con qualcun altro? Magari con Demi…- la sua voce già roca si spense in un soffio impotente e anche Damon tacque, scosso da quella drammatica eventualità. 
- D’accordo, ho capito, dannazione.- sbottò, mentre la sua rabbia sbolliva con la stessa rapidità con cui si era presentata e lasciava il posto alla delusione. Mi chiesi come fosse stato possibile far desistere tanto facilmente il vampiro dai propri propositi, come avesse potuto il solo nome di Demi smontare la sua audace e baldanzosa volontà di rendersi utile, di mostrarsi. – Quindi dovrei starmene qui a consultare vecchi diari e a rimurginare su quanto Barbie Klaus continui a condizionare la mia esistenza? Grandioso, davvero, potrei mettermi a saltellare dalla gio...- 
- In realtà…- lo interruppe bruscamente Stefan. -… pensavo di chiederti di andare da lei, da Demetra.- sia io che Damon ammutolimmo all’istante, scioccati da quella inaspettata volontà. Il tono di Stefan era più morbido, adesso, quasi affettuoso e, mentre indossavo una camicia liscia e color pervinca, ebbi l’impressione di aver frainteso le sue parole. Voleva mandare Damon da nostra figlia mentre noi andavamo ad aiutare le autorità a far luce sullo scellerato crimine che aveva coinvolto una sua sfortunata coetanea? Sentii Damon considerare la possibilità di obbedire a Stefan, poi lui, con estrema cautela, fece schioccare la lingua.
- Perché io?- domandò, incredulo, con una punta di scetticismo. – Sei impazzito, vero?- aggiunse, caricando di una sfumatura scherzosa ed accattivante la propria considerazione. Stefan scosse la testa e, dal modo in cui sussurrò le proprie motivazioni, capii che stava sorridendo.
- Perché lei ha bisogno di essere sorvegliata e protetta, ora più che mai. E’ una ragazza sveglia e furba, sa come gestire le situazioni difficili senza dare troppo nell’occhio ma è anche impulsiva e testarda e, quel che è peggio, è ferita dalle circostanze. La situazione potrebbe facilmente sfuggirle di mano e potrebbe ritrovarsi di nuovo nei guai. Non posso permettere che accada, le difese che ha usato contro di me quel giorno in veranda potrebbero non essere sufficienti a risparmiarle la vita.- Damon sollevò un sopracciglio, quasi divertito, guardando di sottecchi l’espressione accorata del fratello, poi mormorò:
- Ha proprio un bel caratterino, eh?- 
- Come te.- disse Stefan, sospirando. Sbarrai gli occhi nella penombra della mia camera matrimoniale, con le mani sudate sospese ed inerti sui bottoni della giacca. Sentivo il cuore rimbombarmi nella gabbia toracica e il mio respiro non accennava a tranquillizzarsi. Odiavo sinceramente quando il mio corpo si rifiutava di nascondere le mie tempeste emotive: possibile che fossi così nervosa nell’ascoltare un dialogo così apparentemente pacifico e nel sapere che presto Damon avrebbe goduto della risata spensierata di Demi, della sua dolcezza contagiosa e della sua indole innata così affine a quella del vampiro? – Lei ce l’ha con me e con Elena per averle raccontato un sacco di bugie ma non ha nessun rancore nei tuoi confronti. E’ incuriosita da te, lo è stata fin dal primo istante… magari potresti parlarle, provare a conoscerla, convincerla a tornare qui, a casa sua. Arrivare ad una parte di lei che per noi adesso è così irraggiungibile. Ho bisogno di sapere che è al sicuro, Damon… e mi fido abbastanza di te per dire che non l’abbandoneresti mai in un momento di bisogno.- mi asciugai le guance inondate con il dorso della mano, tirando su con il naso senza emettere alcun suono. 
- Potrei provarci.- sorrise brevemente Damon, in risposta, con la voce che tremava nel tentativo di mascherare la propria riconoscenza. Sentivo in lui il desiderio di mettersi alla prova, di avere uno scopo ben preciso, di rivedere la ragazzina che aveva salvato qualche tempo prima e alla quale, sicuramente con enorme sofferenza, aveva cercato di far dimenticare il loro primo incontro. Un tonfo soffice mi fece comprendere che i due fratelli dovevano essersi scambiati una pacca sulla spalla, in un raro segno di accordo. Da qualche parte, fuori dal Pensionato, un uccellino cantò allegramente ma il sole sembrò splendere più pallido tra le nuvole sparse e zuccherose del cielo. 

***

ImagesTime.com - Free Images Hosting
-Oh, Demi… non c’è bisogno di viziarci in questo modo, dico sul serio!- mormorò Bonnie con un sorriso intenerito mentre Demi si alzava da tavola con grazia e afferrava prontamente le tazze dei cereali della colazione ormai completamente vuote per posarle sul lavandino splendente della piccola e rustica cucina di casa Bennett. Dal giorno in cui era arrivata in quell’appartamento e aveva disfatto pazientemente le proprie valigie, la piccola Salvatore non aveva mai perso occasione di rendersi utile e, ogni santissimo giorno, si era spontaneamente data da fare per far sì che la dimora delle sue ospitanti fosse sempre perfettamente pulita ed in ordine.
- E’ il minimo che io possa fare per ripagarvi, Bon.- sorrise la ragazza, con una scrollatina di spalle. 
Nella stanza aleggiava ancora un delizioso profumo di caffè, marmellata e frittelle che la madre di Sheila aveva preparato con una cura particolarmente meticolosa e decorato con dello squisito sciroppo alla frutta, proprio come piacevano alla figlia di Elena. Non erano identiche a quelle inimitabili di Stefan ma Demi aveva comunque molto apprezzato quel concreto tentativo di farla sentire in famiglia; la Bennett si impegnava molto per essere affettuosa nei suoi riguardi e, nel profondo, Demi sapeva di farle un po’ di compassione. 
-Dove andrai oggi, mamma?- chiese Sheila, con la voce resa ancora brusca e bisbigliante dal sonno, stropicciandosi pigramente un occhio e poi passandosi una mano nella arruffatissima e riccioluta chioma corvina. Bonnie indossava dei jeans dal taglio elegante, una canotta nera e austera, dalle cui maniche spuntavano le sue sottili braccia color del bronzo, e aveva anche pettinato i capelli come se dovesse andare in giro per effettuare delle commissioni particolarmente importanti. -… non sapevo che avessi degli impegni… è sabato mattina!- Demi fece scorrere di proposito l’acqua ghiacciata e zampillante nel lavandino per dare una sciacquata alle stoviglie ma anche per coprire alla meglio l’eventuale risposta che la madre avrebbe pronunciato, con un gesto di discrezione che Bonnie colse immediatamente con un moto di ammirazione.
- Ho un paio di questioni da sbrigare ma sarò a casa per l’ora di pranzo, lo prometto.- rispose immediatamente lei, con tono evasivo ed un sorriso che era appena accennato, afferrando la propria borsa di cuoio scuro e sistemandosela su una spalla. – perché?-
- Così.- Sheila emise un comico verso di disinteressato in risposta e, rassegnata, si sporse leggermente sul posto per lasciarsi baciare dalla madre in segno di saluto. Demì udì il dolce schiocco di quel buffetto affettuoso posarsi sulla guancia della propria migliore amica e sentì una stretta micidiale chiuderle lo stomaco con crudele fermezza: era così che Elena l’aveva sempre salutata, ogni mattina, prima di vederla sparire oltre la soglia verso una nuova giornata scolastica, era così che l’aveva spesso coccolata quando entrambe avevano voglia di stringersi l’una all’altra in segreto, magari durante un terribile temporale, nella poltrona più soffice del salotto, condividendo senza sforzo o problemi un unico e scomodo posto a sedere pur di addormentarsi così abbracciate e al sicuro. 
- Mmmmh, ok.- mormorò Bonnie, scrutandole con poca convinzione e infilandosi le chiavi dell’auto nella tasca sinistra dei pantaloni. - Fate attenzione e non combinate guai. Non aprite la porta a nessuno e riordinate la vostra stanza.- Demi percepì le sue amorevoli dita tiepide posarsi anche sulla propria testa in una carezza di congedo ed uno strano senso di colpevolezza le bruciò nel petto, ribollendo, a quel contatto. La ragazza, tuttavia, si sforzò comunque di esibire uno dei propri più fulgidi e rassicuranti sorrisi. 
- D’accordo.- acconsentì con aria innocente, mantendo lo sguardo color zaffiro fermo e deciso per un bel po’, precisamente fino a quando la padrona di casa non si fu diretta verso il minuscolo ingresso e non si fu definitivamente richiusa la porta cigolante di legno bruno dietro le spalle. 
Sheila rimase in ascolto per qualche istante di silenzio, tendendo l’orecchio, poi, dopo aver ascoltato il rombo dell’automobile della madre che lasciava il giardino, rivolse la propria attenzione su Demi con raro un ghigno malandrino strampato sulla bocca. 
- Via libera?- chiese, accennando distrattamente al cortile finalmente deserto, in cerca di una conferma.
- Yep*... vado a prenderlo.- annunciò con entusiasmo la Salvatore, chiudendo di colpo il rubinetto e acchiappando al volo uno strofinaccio per asciugarsi le mani bagnate e rese profumate dal detersivo per i piatti. Sheila però, inaspettatamente, fu più veloce di lei e si precipitò per prima nel corridoio, scivolando con un suono bizzarro sul pavimento immacolato con le proprie bitorzolute pantofole color smeraldo. 
Demetra rise tra sé e sé a quella vista, soddisfatta della riuscita del piano che lei e l’amica avevano finemente elaborato sotto le coperte proprio la notte precedente, cioè quello liberarsi di Bonnie il più in fretta possibile e, ovviamente, prendere in esame con tutta calma ed in completa solitudine la migliore fonte di informazioni che avessero avuto la fortuna di ritrovarsi tra le mani fino a quel momento: il foglio di pergamena che Nick Mikaelson aveva rubato durante la famigerata notte in Biblioteca, poco prima dell’aggressione, mentre lei e Sheila erano impegnate a sfogliare gli alberi genealogici della città alla disperata ricerca di Damon. 
Quel pezzo di carta che era costato loro tanti rischi e tanta sofferenza e che, adesso, assurdamente, si rivelava così fondamentale per le loro personalissime indagini, Nick glielo aveva ceduto la sera della loro riunione a casa di Matt, quando lei lo aveva accompagnato fuori e lui si era messo a frugare tra i sedili lucidissimi e impeccabili della sua fiammante Ferrari nera.

>> Demi era uscita assieme a Nick per respirare sulla pelle ardente un po’ dell'aria piacevolmente fresca di quella notte calma e silenziosa, così meravigliosamente diversa da quella tenebrosa e burrascosa che li aveva avvinghiati l’ultima volta che erano stati insieme fuori dall’ambiente scolastico, tra gli scaffali polverosi del Reparto Proibito e, poi, tragicamente, anche tra gli alberi antichi e indifferenti della Foresta. 
Le stelle avevano palpitato ininterrottamente nel cielo color pece sopra di loro e la Luna li aveva osservati a lungo guardinga e in attesa, sbirciando tra le rade nuvole dispettose. 
Nick aveva abbassato lentamente il viso, fissando l’erbetta del giardino di villa Lockwood per una manciata di secondi, durante i quali i suoi lieneamenti definiti, delicatamente marcati, fini e assurdamente belli si erano distesi in un sorriso ansioso. Era tornato a fissarla, con un’espressione seria e intensa, mentre le sue labbra si stringevano, le sue ciglia sbattevano e lui ritornava cosciente della presenza della ragazza proprio lì, accanto a sé.
- Idea tua?- Demi si era decisa a parlare per prima, per interrompere quel silenzio troppo ricco di sensazioni contrastanti ancora sospeso tra loro: desiderio, timore, senso di colpa, impotenza, ingenuità… c’era tutto questo nei loro occhi attenti e molto di più. Più di ogni altra cosa la Salvatore aveva voluto subito sapere chi era stato il vero artefice dell’incontro combinato appena conclusosi.
- Quale?- aveva chiesto Nick, quieto e vago, come se non avesse sul serio capito a cosa lei si stesse riferendo.
- Quella di questa...- la voce le era venuta fuori in una specie di ringhio basso, perché quando lui faceva il finto tonto la mandava in fibrillazione. Era mettere in moto una reazione chimica esplosiva o un turbine di emozioni che non potevano far a meno di manifestarsi tra le righe sconnesse delle sue parole. Demi non era però riuscita ad impedirsi di sorridergli a sua volta quando aveva visto lo sguardo del nipote di Rebekah velarsi dalla spontanea paura di averla fatta infuriare di nuovo. Non era il caso di litigare, era un peccato... oltre che uno spreco di fiato. Demi era convinta che non sarebbe mai riuscita ad imporsi davvero su un tipo come lui. Nick era troppo, incredibilmente persuasivo. -… di questa piccola riunione a sorpresa.-
-... Ah, quella.- aveva sussurrato lui, ridacchiando, facendo un passo azzardato verso di lei. -... no, è stata la nana a organizzare tutto. Io non c’entro.- aveva ammesso. 
- Oh, certo.- aveva mormorato la Salvatore, voltandosi un momento di lato per sfuggire allo strano effetto che solitamente la voce del giovane, così bassa e vicina a sé, le provocava nello sterno e alla bollente e impercettibile delusione suscitata dalla sua confessione. – … capisco.- aveva bofonchiato, senza guardarlo. 
- Sono davvero contento che l’abbia fatto.- l’aveva assicurata Nick, esitante, come se avesse capito di aver in qualche modo fatto capire il contrario. Demi aveva sentito l’aria muoversi piano, in un sospiro silenzioso, il braccio del ragazzo che si spostava, le sue dita che si avvicinavano per sfiorarla delicatamente. Non si era girata, avava solo atteso e bramato la sua carezza, senza però muoversi di un millimetro, come paralizzata dalla trepidazione. Lui le aveva scostato timidamente una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio, provocandole un profondo brivido dietro la schiena. Lei aveva socchiuso le palpebre a quel tocco e aveva cercato di aggrapparsi a quella bella sensazione per dimenticare le sconvolgenti verità che aveva appena ascoltato davanti al camino del lussuoso maniero dei Lockwood, ma, sopraffatta dal turbamento, si era lasciata sfuggire una sorta di sospiro malinconico. Nick l’aveva guardata con aria dubbiosa e poi, con tono comprensivo e premuroso, aveva mormorato: - Stai bene?- 
- E’ un po’ difficile per me gestire tutta questa situazione ma ci sto provando.- aveva risposto Demi, con un tono un po’ più distaccato. Era sempre così: più cercavano di scavare dentro di lei per cercare reazioni autentiche, più riempiva intenzionalmente di strati spessi la sua corazza. Contro di lui, contro la verità, contro quel mondo che non riconosceva come proprio, contro quel dannato formicolìo nelle dita. Avrebbe tanto voluto ricambiare quei piccoli e tanto bramati gesti di tenerezza ma qualcosa, nel suo animo, stentava ancora a lasciarsi andare. Gli occhi neri, misteriosi e brillanti di Nick erano come due baratri immensi e senza fondo e Demi aveva una paura terribile, nonché perfettamente giustificata, di precipitarci senza più trovare la via del ritorno... di nuovo. 
- Ce la farai… possiamo riuscirci, ci vorrà solo un po’ più di tempo del previsto.- l’aveva incoraggiata lui, convinto e pieno di speranza. A lei era piaciuto moltissimo il modo in cui lui aveva usato il plurale per descrivere la loro condizione. – Matt mi ha dato piena fiducia e le cose stanno già cominciando a migliorare, da quando in giro c’è lei. Sarà fuori come un balcone ma è l’unica amica che io abbia mai avuto in vita mia. Grazie a lei sono riuscito ad incontrarti stasera, sono qui con te in questo momento… e anche la Bennett ha ascoltato il mio racconto senza fare troppe storie. Direi che è un bel passo in avanti.- la sua voce era sembrata un soffio imperettibile, irresistibile. Demi aveva preso in considerazione l’idea che lui adorasse particolarmente parlarle in quel modo, come se le stesse confidando un segreto, così, senza quasi che lei si accorgesse della sua presenza. – Demi, vorrei poter cancellare in un attimo i tuoi dubbi sul mio conto ma non ho idea di come fare…- 
- Potresti sforzarti di trovare un modo efficace.- aveva esalato la Salvatore, apparentemente misurata ma con il cuore in gola. Nick non era mosso, ma lei lo aveva sentito irrigidirsi leggermente sul posto. Era stata abbastanza vicina a lui per poter notare ogni piccola inclinazione del suo corpo… >>


-E’ stata davvero un’ottima idea quella di sfruttare il tuo amico Licantropo un aiutino.- proclamò Sheila, tornando in cucina con un poderoso libro di Storia tra le mani. Demi si riscosse bruscamente dai propri pensieri e guardò con una punta di perplessità il volume dalla copertina malconcia e Sheila alzò le spalle con aria di superiorità, scaricandolo rumorosamente sul tavolo davanti a loro. – Non fare quella faccia… tu mi hai detto di nascondere quella maledetta pergamena in un posto sicuro ed io ho pensato ‘Quale posto più sicuro di questo?’. E’ il libro che dovremmo usare per le lezioni della professoressa Mikaelson ma, visto e considerato che neppure imparando ogni singolo capitolo a memoria potremmo avere un voto decente con lei… eccoci qui.- urtando sul legno, il libro si era aperto e aveva lasciato intravedere che, tra le pagine intatte, era ben occultato un foglio di pergamena incartapecorita e ancora leggermente curva agli angoli, proprio come un oggetto cartaceo che è stato a lungo arrotolato su se stesso e tenuto nascosto agli occhi del mondo.
- Non gliel’ho chiesto esplicitamente… è stato Nick a darmelo spontaneamente come pegno di fiducia. Credo che abbia molto valore per lui, considerando che ci ha quasi fatte ammazzare per trovarlo tra le cianfrusaglie in Biblioteca.- Demi nascose una punta di amara ironia sotto i baffi, ragionevole, poi si sporse subito per osservare meglio i simboli tracciati sulla carta ingiallita: un triangolo di modeste dimensioni, qualche runa che le sembrava appartenere all’alfabeto di chissà quale antica civiltà, un paio di macchie d’inchiostro nei pressi dei bordi cartacei lacerati dal tempo e da qualche inclemente strappo e delle parole incomprensibili elencate accanto ai disegni. 
- Emh.- grugnì Sheila, scrutando torva quella pergamena priva di alcun apparente significato logico. Il suo iniziale entusiasmo si era spento come una lampadina improvvisamente fulminata. – vuoi dirmi che stavamo per essere sbranate da un branco di manigoldi per questa ‘roba’?- Demi piegò appena la testa lateralmente, lasciando che i capelli corvini le scorressero sulla schiena come cioccolato fuso, un po’ stordita. La pergamena che il giovane Mikaelson aveva tirato fuori, esultante, dall’ammasso disordinato di libri di occulto e folklore era lì, davanti ai loro occhi, eppure non avevano la più pallida idea di come fare a decifrarne il contenuto. 
- Nick mi ha detto che ha a che fare con la Maledizione della Clessidra e che ci avrebbe aiutati a saperne di più al riguardo.- borbottò la Salvatore, aggrottando le sopracciglia e sfiorando la carta ruvida con le dita impazienti. – ma non ha accennato al fatto che sarebbe stato facile servirsene. Forse l’ha data a noi perché credeva che, in qualche modo, avremmo trovato il modo di interpretare queste iscrizioni.- ipotizzò, rimurginando e stringendo le labbra. Un triangolo equilatero… la ragazza ricordava di aver letto da qualche parte che quella figura geometrica, in molte culture, rappresentava, attraverso la propria perfetta proporzionalità, l’armonia, la connessione e l’equilibrio quasi divino presente nella natura. Sentì un brusco respiro bloccarsi nella sua gola mentre un’idea bizzarra le illuminava il cervello. -… Sheila, osservalo attentamente. Non ti viene in mente nulla?- 
- Perché dovrebbe? Mi sembrano solo un mucchio di linee.- sbuffò subito la Bennett, incrociando le braccia sul petto con aria corrucciata. 
- Che ne so, sei tu quella delle visioni mistiche. A cosa serve essere la lontana pronipote dei magici abitanti di Salem se non puoi tradurre un paio di rune per me?- la punzecchiò Demi, affilando lo sguardo. Se tutto quello che avevano scoperto sulle loro famiglie era vero, infatti, Sheila aveva in sè del sangue Bennett, quello di una delle discendenze di streghe più potenti dell’intero pianeta. Se solo la ragazza non fosse stata così razionale e restìa nell’accettare le proprie origini e le proprie potenzialità, dunque, forse avrebbe potuto davvero contribuire alla risoluzione di molti misteri. -… prova solo a concentrarti. Canta qualche strana litanìa celtica, improvvisa un balletto, riporta alla tua mente brillante qualunque cosa abbia una minima connessione con questa pergamena... coraggio!- Sheila le lanciò un’occhiataccia, a metà tra l’impaurito e l’intrepido, ma poi le sue pupille si dilatarono leggermente quando tornò ad osservare, attentamente, il simbolo impresso sulla paginetta consunta.
- Non sarò un più il genio di Storia che ero prima che quella cattedra fosse assegnata alla bionda malefica…- esordì lei, lentamente. – ma ho divorato interi libri di storia antica, nei primi anni di lezione. Il primo significato di triangolo che mi viene in mente è quello delle civiltà Paleolitiche, i cui graffiti ritraevano come il grembo generatore della Grande Dea Madre, dispensatrice di vita e protettrice dei legami familiari più intimi e ristretti.- Demi si inumidì le labbra ed espirò profondamente, riflettendo su tutti i possibili collegamenti mentali che quelle parole riuscivano a suscitare.

-Nick, quel giorno sul Lago, mi ha detto che noi non saremmo dovuti nascere affatto… che le colpe dei nostri genitori hanno causato uno squilibrio nella Natura creatrice.- sussurrò, turbata, riportando alla mente quei ricordi con un po’ di timore ma anche con urgenza. – potrebbe essere un’allusione a questo? Ad un equilibrio violato dalla presenza sulla Terra di creature come me, Mattie e Nick?- Sheila annuì piano, senza staccare gli occhi dal simbolo.
- Potrebbe, certo…- il suo indice corse a ricalcare i contorni netti e precisi del Triangolo, seguendone la sinuosità. – E se fosse quello che non ci aspettiamo? Non un triangolo ma una lettera alfabetica, come queste tracciate qui accanto… un Δ greco, per esempio?- Demi, cercando di vagliare con cura anche quell’ipotesi, sentì un leggero brivido attraversarle la spina dorsale e farle venire la pelle d’oca sulle braccia candide. Uno strano calore la intossicò e le invase le guance, imporporandole. 
< Dal greco 'Δημήτηρ', il suo nome è quello della Dea Madre, sovrana dell'agricoltura, artefice del della rinascita delle stagioni, della vita e del ciclo continuo della Natura. > 
-Hei… tutto bene?- le chiese improvvisamente Sheila, guardandola preoccupata, come se improvvisamente avesse acquisito un aspetto strano e malaticcio. Demi si passò una mano tra i capelli, arruffandoli leggermente, per darsi una calmata, mentre il cuore le martellava nel petto e le orecchie le ronzavano, isolandola dalla realtà e contribuendo attivamente alla sua deriva tra le congetture più assurde. Δ come Dea, come Demetra, come…
- Demi…- una voce estremamente roca, quasi inudibile ma in qualche modo familiare, si sostituì bruscamente, come un sordo sibilo, a quel brusìo confuso di suoni e impressioni, facendosi spazio dentro di lei, nella sua testa, nelle sue ossa. Era certa di averla già sentita prima, magari nel segreto del suo inconscio, nei suoi sogni remoti, nella memoria, ma non riusciva ancora ad identificarne con chiarezza il possessore. 
- Hai sentito qualcosa?- chiese, sobbalzando istintivamente e incrociando gli occhi scuri, tesi e sfavillanti di Sheila. Il panico si insinuò nelle loro vene come lava bollente e le due amiche presero a guardarsi intorno, spaesate, alla ricerca di qualcosa di insolito o pericoloso nelle vicinanze. 
- No, solo un leggero stridìo…- disse la Bennett, spostando una sedia per avere maggiore libertà di movimento attorno al tavolino e tendendo nuovamente le orecchie verso il minimo movimento all’esterno. -… come il verso di un animale, di un uccello… e tu?- domandò, trafiggendo con lo sguardo la porta dell’ingresso adiacente, come se potesse riuscire a vederci attraverso. Demi non riuscì a rispondere in tempo perché i suoi respiri, spezzati e brevi, sembravano infuocarle i polmoni un attimo dopo l’altro, sempre più violentemente ed insopportabilmente. Era un po’ come quel giorno in veranda, quando la nebbia aveva avvolto lei e Stefan prima che la tragedia si consumasse, proteggendola da un pericolo, da suo padre… 
- Demi…- il suono nome risuonò meno stridulo di prima, più vicino, più caldo e accattivante che mai. Non assomigliava affatto al grido gracchiante di un animale, come Sheila aveva appena affermato, ma ad una voce perfettamente umana, ricca di sfumature carezzevoli, quasi melodiose. Ancora una volta, solo lei sembrò percepirla davvero. Le parve perfino di aver sentito un altro, bisbiglio, una parola, ma si impose di non pensarci, concentrandosi sul luogo di provenienza della voce. Si udì un ticchettìo leggero sulla lastra trasparente e luccicante dell’enorme vetrata della cucina, come quello proodotto da un becco rapace che picchia forte per annunciare la propria presenza. Sheila si voltò di colpo in direzione di quello schiocco, come pronta a difendersi da un nemico invisibile… poi lo notò.

ImagesTime.com - Free Images Hosting
- Oh, cavolo! Quello è…- era un corvo decisamente grosso, pigramente tenuto sospeso a mezz’aria dal battito delle sue meravigliose ali lucide. Le sue piume nere avevano riflessi davvero ipnotici, quasi blu notte, e rifulgevano dei colori che Demi preferiva in assoluto. Il suo becco era come socchiuso e ricurvo, appuntito, ma furono i suoi occhi intensi e fieri a turbarla. Immaginò se stessa vista attraverso quello sguardo austero, così fragile e pallida come un raggio di pura luce lunare, con l’espressione assorta eppure consapevole, con il corpo teso in posizione pronta a scattare o a sciogliersi, così combattiva eppure così dolce… e si riconobbe. 
- … Damon.- soffiò la ragazza, come in un sospiro di sollievo, sentendo una brezza delicata inondarle i polmoni e rinfrescarli, calmarli. I tratti aguzzi del corvo ebbero un fremito e si mossero in un cenno. 
Erano solo loro, due creature sconosciute che si studiavano davvero per la prima volta, fiutando l’uno nell’altra l’ansia, la curiosità, il terrore, la voglia di conoscersi e… di salvarsi. 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Zii e nipoti ***



 
''In persona, bambina.''
 
Una folata di vento tiepido mosse le tendine fiorate che erano poste ai bordi dell’enorme vetrata, facendole sventolare appena ed arruffando contemporaneamente anche le piume lucidissime dell’enorme corvo sospeso a mezz’aria.
Demi percepì come una carezza sulla pelle tesa l’imponente ed irresistibile ondata Potere che proveniva da quella creatura oscura così elegante ed il sangue le ribollì subito nelle vene, affinando tutti i suoi sensi.
La ragazza avvertì chiaramente la presenza di qualcosa di sovrannaturale nel fondo color pece di quello sguardo rapace, vigile e scintillante, ma fu solo dopo un attimo eterno che il corvo si decise, finalmente, a confermare quegli inquieti sospetti: annuì tra sé e, scosso da un sonoro fremito, in un fulmineo battito d’ali, il volatile lasciò il posto ad un uomo così bello da sembrare irreale.
Ammaliante come un lampo improvviso, pericoloso ed affascinante che illumina a giorno il vacuo cielo di una notte senza stelle, seduto in bilico sul davanzale della finestra trasparente e socchiusa, con un ginocchio sollevato e un sorriso smagliante dipinto sulle labbra, c’era… Damon Salvatore.
- Ditemi che non sta succedendo sul serio…- esalò Sheila, con tono lamentoso e, allo stesso tempo, stupefatto. -… è assolutamente incredibile…- la figlia di Bonnie si reggeva al tavolo della cucina con entrambe le mani nel vano tentativo di mascherare lo scovolgimento e i suoi bei boccoli scuri le incorniciavano il volto olivastro contratto in una smorfia a metà tra il terrorizzato, l’imbambolato e il rapito.
Il vampiro si sentì in qualche modo lusingato dalla sua reazione ed il suo ghigno si allargò.
- Troppo gentile, Hermione.- ironizzò, gettando un’occhiatina maliziosa e divertita alle due ragazzine paralizzate davanti a sé.
Demi, con gli occhi di brace turchina sgranati e fissi in quelli di Damon, non sembrava poi troppo sorpresa dalla sua presenza lì e ne sostenne lo sguardo di sfida e d’intesa senza alcun timore.
Restò perfettamente immobile sul posto, a testa alta, ed emise un lieve sospiro, come di sollievo.
Possibile che fosse… contenta di vederlo?
- Era tutto reale...- sussurrò d’un tratto, emozionata, con un pizzico di trionfo nella voce.
Le sue iridi, incassate in modo impeccabile sotto le sue ciglia nere e folte, trafissero il nuovo arrivato ancora a lungo, con silenziosa determinazione ed infinita curiosità. Fu scossa da un intenso brivido di comprensione mentre tutti i frammenti dei propri ormai lontani e confusi ricordi si ricongiungevano ed assumevano un senso compiuto. -… tu…- lo stomaco di Damon si contrasse dolorosamente e lui trattenne il respiro, sovrastato dall’eco della propria memoria: quella era stata la prima parola che Demi aveva pronunciato quando l’aveva salvata da morte certa nel cuore della foresta, era stato il suo modo maldestro e tenero di dirgli, tra le lacrime trattenute a stento ed il cuore stravolto dall’ansia emotiva, che aveva capito.
Che sapeva che lui non avrebbe mai permesso a nessuno di sfiorarla anche con un solo dito, che l’avrebbe protetta, che era al sicuro. -… sei tornato.- sussurrò lei, con un lieve sorriso inconsapevole.
Era davvero strabiliante quanto somigliasse ad Elena, pensò Damon.
Erano semplicemente identiche: stesso viso adorabile e fine come quello di una bambola di porcellana, stessa postura aggraziata, stessa fisicità proporzionata ed armoniosa, stessa chioma fluente… a tradimento, quelle riflessioni gli risvegliarono dentro delle sensazioni inaspettate, travolgenti ed implacabili.
Le aveva già provate il giorno del primo incontro con Demi, quando l’aveva seguita lungo il sentiero scolastico e, nascosto tra le fronde di una vecchia quercia, aveva vegliato sul suo cammino.
Stavolta, però, riemersero con maggiore forza ed uno strano calore si diffuse nel suo petto per mezzo di piccole, familiari ma dolorose fitte d'elettricità.
Si trattenne dall’imprecare: guardare Demi era come fissare il sole troppo a lungo… e, per giunta, senza l’anello diurno al dito.
- Vi spiace?- chiese Damon all’improvviso, dondolandosi leggermente sul posto, con finta noncuranza, per spezzare quel flusso incoerente ed insopportabilmente carezzevole di pensieri. – Qui non si sta poi molto comodi.- strizzò l’occhio in direzione della Bennet con un ghigno accattivante e notò che la sua bocca, dischiusa per la sorpresa e anche per l’imbarazzo, si apriva ulteriormente, mostrando promettenti segnali di cedimento.
- Emh… devo invitarlo ad entrare oppure no?- domandò infine Sheila con voce soffocata e confusa, rivolgendo l’attenzione alla propria migliore amica in attesa di una qualunque direttiva.
Al vampiro sembrava che la Lockwood e la Bennet pendessero letteralmente dalle labbra di Demetra: la rispettavano e la apprezzavano come una guida ed una consigliera e, probabilmente, non si sarebbero mai mosse senza il suo consenso. Dannazione… era un moto d’orgoglio, quello? -… Demi?-
Damon socchiuse le palpebre, spostando nuovamente lo sguardo sulla figlia di Elena, in uno stato di fiduciosa ma impaziente attesa.
Si aspettava i lineamenti della ragazza si ammorbidissero in una smorfia accomodante e gentile, che si sciogliessero in un’espressione permissiva e che lei annuisse in risposta alla Bennett ma niente di tutto ciò si verificò.
Le labbra di Demi, al contrario, si assottigliarono nello stesso ghigno canzonatore che aveva regnato sul volto del vampiro fino ad un istante prima e la giovane incrociò le braccia sul petto in un chiaro gesto provocatorio e dispettoso.
-Non saprei.- finse di meditare lei, sardonica, guardandolo poi dritto in faccia, tra il serio e il faceto. – in teoria non dovrei affatto fidarmi. Non so nulla di te e immagino che tu abbia avuto le tue buone ragioni per tentare di cancellarti definitivamente dalla mia memoria, non è vero?- Damon sentì quelle parole colpirlo come un pugno e la sorpresa divampò nei suoi sensi con uno scoppio inaspettato; Demi lo stava rimproverando per aver cercato di soggiogarla a dimenticarlo oppure era semplicemente furiosa perché quel gesto aveva significato, per lei, una violazione della sua piena ed indipendente libertà mentale?
Entrambe le possibilità terrorizzarono così tanto il vampiro che quest’ultimo, intimamente, provò il cocente desiderio di riassumere la forma di corvo e di volatilizzarsi, vigliacco ma testardamente al riparo, nel cielo terso.
Invece rimase a fissarla, impietrito.
- Ci sono un sacco di motivi validi per cui sarebbe stato meglio per te non avere idea della mia esistenza, dico sul serio.- ammise, nascondendo lo sgomento dietro un sorriso amabile. In effetti non sarebbe bastata un’eternità per elencarli tutti: la sua impulsività eccessiva e sempre pronta a mettere in pericolo anche le persone a cui teneva di più al mondo; la sua scelta di non ritornare mai più a Mystic Falls per consentire a suo fratello e ad Elena di vivere serenamente la loro umanità senza il rischio di sciupare la loro felicità; il suo amore assoluto e crudele, mai svanito, per la doppelganger di Katherine che, anche nei momenti meno consoni, affiorava nella sua anima divorandola senza pietà; il desiderio malsano e pericoloso di conoscere e magari anche solo di sfiorare in una carezza la figlia di Stefan, il solo residuo umano e vivente di quella che era stata la loro famiglia, maledetta e ridotta nell’oscurità dal 1864… - ma ormai ne sei a conoscenza, perciò, già che ci sei… potresti dire alla tua amica di invitarmi dentro. E’ evidente che sono in ritardo per la colazione ma… è un tantino rischioso penzolare qui fuori in pieno giorno nel bel mezzo di uno dei quartieri più popolari di Mystic Falls. Sapete com’è… i vicini potrebbero mormorare.-
- Dammi una sola buona ragione per farlo.- mormorò lei, cocciuta. Era inutile, non riusciva ad ingannarla o ad eludere le sue accuse o richieste utilizzando un semplice sguardo seducente o un tono da bravo ragazzo. – perché dovrei darti retta?-
Damon le lanciò uno sguardo torvo e, impegnandosi per ritrovare un minimo del proprio contegno e per assumere un cipiglio irritato che fosse convincente, si mise nella stessa posizione della ragazza, con le braccia incrociate, con aria contrita.
Che cosa ironica, pensò Sheila, trepidante e muta alle spalle di Demi.
- Perché vi ho salvato la vita?- rispose il vampiro, bruscamente, con uno strano luccichìo negli occhi.
- No, non mi soddisfa.- replicò Demetra, facendo schioccare la lingua.
Damon inarcò un sopracciglio, emettendo un sibilo di esasperazione che era più felino che umano.
La ragazzina lo stava provocando di proposito e, per di più, con una sorta di gongolante piacere.
Lui non aveva nessuna voglia di inventarsi una motivazione migliore da propinarle ma qualcosa nello sguardo di lei gli diede l’assoluta certezza che sarebbe rimasto al freddo per tutta la giornata, se fosse stato necessario.
Era sinceramente sbigottito e… affascinato.
- Perché sono felice che la compulsione non abbia funzionato.- si lasciò sfuggire, senza averlo premeditato, prima che potesse imporsi di non lasciar penetrare altra luce accecante attraverso quelle crepe profonde che Demi, unica al mondo assieme a sua madre Elena, aveva il potere di aprirgli nell’anima.
D’accordo, era completamente fuori di testa.
Lei increspò la bocca in un’espressione esultante e scrollò leggermente le spalle, espirando con forza.
- Ok.- disse in fretta, sciogliendo la propria posizione scettica senza staccare gli occhi dal viso del vampiro. – fallo entrare, Sheila.- la Bennet prese un bel respiro e mormorò esitante il suo invito, infrangendo così irrimediabilmente quel velo di protezione che, fino ad allora, aveva impedito a Damon di mettere piede in casa senza il permesso dei legittimi proprietari.
- Grazie.- disse lui in tono assolutamente cordiale, balzando dentro con un piccolo salto aggraziato quanto rapido. Demi nascose un sorriso ammirato e compiaciuto e notò che Damon le stava rivolgendo, proprio nel medesimo istante, uno sguardo di beffarda ma netta approvazione. La osservava con circospezione e bramosia, avidamente, nello stesso modo in cui lei stava osservando lui già da un bel pezzo. Il cuore della ragazza fece un balzo memorabile quando comprese che, nonostante tutto, lei e il fratello maggiore di suo padre Stefan non si erano ancora mai ufficialmente presentati.
Era così buffo che le sembrasse di conoscerlo da sempre?
La prima volta che aveva sentito pronunciare il suo nome risaliva a quando Rebekah aveva scambiato la sua giovane e detestata alunna per lo stesso Damon nel bel mezzo della lezione di Storia. Da quel momento folgorante, Demi aveva instancabilmente cercato delle informazioni sul suo conto, prima chiedendo ad Elena e cacciandosi nei guai in un reparto proibito della Biblioteca comunale, poi nascondendo sotto il cuscino il fedele ritratto dei fratelli Salvatore che era riuscita a strappare dall’albero genealogico rinvenuto tra le cianfrusaglie di una botola segreta. Si era ggrappata caparbiamente al ricordo del miracoloso salvataggio dai Lupi Mannari avvenuto al chiaro di luna per costringersi a ricordare ogni tratto del viso del suo eroe, ogni sfumatura delle sue parole rassicuranti, ogni singolo sfavillìo contenuto in quegli occhi azzurri così simili ai propri, ed aveva sperato di rivederlo...
Le parole le uscirono di bocca prima che la Salvatore potesse pronunciarle con la dovuta compostezza:
- Sono Demi.-
- Sono Damon…- il vampiro udì risuonare accanto a loro, con una punta di sorpresa, un’eco suadente della presentazione della ragazza ma solo dopo un istante si rese conto che era stato lui stesso a pronunciarla, contemporaneamente alla fanciulla, quasi senza rendersene conto. Attonito, le lanciò di sottecchi uno sguardo magnetico, poi si rassegnò all’evidenza e, con un lieve inchino, prese una delle mani bianche di Demi tra le sue, sfiorandone con la delicatezza quasi impercettibile di un bacio il dorso con le labbra.

Image and video hosting by TinyPic
Lei rabbrividì appena: la sua pelle era gelida ma allo stesso tempo soffice e vellutata. -… la tua fidata guardia del corpo.-
 
***
 
Elena si passò le dita sul viso assorto, socchiudendo appena le palpebre dolenti e tentando di rilassarsi sul posto. Il tenue chiarore provocato dall'innaturalmente bianca foschia del mattino filtrava senza problemi attraverso i finestrini dell’elegante auto scura, sommergendola con la propria luce lattiginosa ed illuminando gradevolmente il bellissimo viso di Stefan al suo fianco. Suo marito era estremamente pallido e le sue magnifiche labbra erano strette in un’espressione seria. Mentre la guardava con la coda dell’occhio, di tanto in tanto, per assicurarsi che stesse bene, gli parve molto provata e, quando finalmente, con le mani ben salde sul volante, si decise a parlarle, Stefan emise un breve sospiro di resa.
- C’è qualcosa che vuoi dirmi?- le chiese, rompendo con aria diretta e rassegnata l’insopportabile silenzio tra loro. Da quando Damon era uscito dal Pensionato, rivolgendole un sorriso fulmineo ed abbagliante prima di tramutarsi in un corvo dall’aria arcigna, la Gilbert non aveva spiccicato parola e aveva sempre avuto la bocca serrata, come se stesse tentando con tutte le proprie forze di soffocare la tentazione di esprimere i propri reali pensieri. Quando lei scosse piano la testa, sentendo gli occhi verdi e gravi del vampiro premerle addosso, lui non si lasciò ingannare. – ti prego, Elena, so che qualcosa ti ha turbata. Lascia solo che ti spieghi…- Elena si sentì avvampare all’istante, irreparabilmente scoperta, e distolse lo sguardo.
Una smorfia le comparve sulla faccia mentre, ingenuamente e senza poi troppa convinzione, cercava di fissare il rigoglioso paesaggio naturale che si stagliava e scorreva piano accanto a loro durante il tragitto. Fu tutto inutile: si sentiva tesa e risentita, come un foglio di carta accartocciato e malconcio in attesa di essere lisciato da una mano qualunque, purchè tiepida e caritatevole.
Un vago senso di sollievo la invase quando capì che quell’agognata carezza gentile sull’anima sarebbe potuta provenire solo dalla sua unica ed amata certezza, da Stefan, da colui che l’aveva sempre capita, curata ed assecondata. Le era sempre stato semplicemente impossibile mentirgli.
- Ti ho sentito parlare con Damon, prima.- mormorò d’un tratto, sommessamente ma senza troppi preamboli. Cercò di nascondere l’indicibile sbigottimento che aveva provato nell’istante stesso in cui aveva ascoltato l’accorata conversazione tra i fratelli dalla propria camera da letto, pur sapendo che lui se ne sarebbe accorto comunque. – ecco… era come se voi due mi stesse nascondendo qualcosa. Mi sbaglio?- Stefan rimase zitto, serrando leggermente la mascella mentre imboccava la strada più breve e semplice per raggiungere la casa abbandonata e adesso anche data alle fiamme di Matt Donovan.
- Non capisco cosa intendi.- bisbigliò infine, trattenendo il respiro e deglutendo meccanicamente.
La sua voce era stranamente atona e strozzata, come se lui stesse cercando di guadagnare tempo e di rimettere frettolosamente ordine tra le proprie convinzioni.
- ‘Rebekah potrebbe essere in giro e non credo che rivederti qui le farebbe piacere’.- citò fedelmente Elena, battendo le ciglia ed imitando alla perfezione il tono cupo e familiare con cui il marito aveva rivolto quelle stesse parole al proprio fratello maggiore. - questa frase, per me, è assolutamente priva di senso logico ma per voi, evidentemente, non lo è affatto. Perché Damon deve tenersi alla larga da Rebekah? Lei ci odia tutti indistintamente, cosa cambierebbe se scoprisse che lui adesso è tornato in città dopo sedici anni?- si accorse che un po’ di rossore imbarazzato gli era tornato sul viso, velando il suo allarmante pallore.
Un acre odore di bruciato si insinuò nell’abitacolo non appena ebbero svoltato a destra per l’ultima volta; il motore dell’auto gemette e smise di fare le fusa proprio mentre Stefan accostava in un angolo del cortile.
Erano arrivati a destinazione e, quasi senza rendersene conto, Elena si raddrizzò con urgenza sul sedile. Aveva un lancinante bisogno fisico di conoscere la verità ed ora, proprio come quando si era precipitata nel cimitero per chiederla direttamente a Damon, d’impeto, con la voce rotta dall’emozione e le guance inondate di lacrime bollenti e traboccanti di colpa, si sentiva esplodere dentro. – Stefan… se tu sapessi cosa c’è dietro la ragione della partenza di Damon me lo diresti, non è vero?- cercò ansiosamente gli occhi di lui nella speranza di cogliervi un barlume di sincerità o di cedimento. Il vampiro, però, non battè ciglio.
- Elena…- cominciò, rassicurante e gentile, come se stesse trattando con una bambina capricciosa.
- Me lo diresti?- lo incalzò lei, duramente, senza lasciasi incantare e tradendo un tono implorante. Qualcosa nel fondo degli occhi verde muschio di Stefan crepitò debolmente e si spense; lui tacque e si sentì come se avesse appena attraversato una linea invisibile senza alcuna possibilità di ritornare sui propri passi.

Image and video hosting by TinyPic
- Siamo arrivati.- tagliò corto, rifiutandosi categoricamente di rispnderle. Elena non si perse d’animo e, dopo una pausa aspra e sorpresa, decise di cambiare argomento.
- L’hai mandato da Demi, oggi.- sussurrò, con voce tremante. Le tornò in mente ogni cosa e i sentimenti di vergogna, delusione e timore le strinsero fatalmente la gola, bruciando e ribollendole nel petto come veleno. La Gilbert trasalì ed interruppe in fretta quel maledetto flusso dei ricordi per impedirsi di rivivere il passato e si concentrò sulla difficile conversazione ancora in atto. - perché l’hai fatto?-
Stefan sollevò un angolo della bocca, in un sorriso malinconico e consapevole, come se si aspettasse quel tipo di domanda. Prese un profondo respiro, come se stesse misurando attentamente le parole, poi scrollò appena le spalle.
- Lo sai, perché.- per Elena fu come risvegliarsi in un totale stato confusionale e lei si sentì improvvisamente, irragionevolmente braccata, in trappola. La sua curiosità non era stata affatto soddisfatta ma non ebbe il tempo di riflettere sulla faccenda perché, sotto un cielo folgorante ma improvvisamente cupo per lei, giunse alle sue orecchie otturate, come da un altro universo, una voce squillante e nervosa, accompagnata da un rumoroso zampettìo di tacchi troppo alti. Nell’aria ferma e fosca, gli odori di legna, fumo e cenere si mescolarono a quelli di un profumo femminile fruttato simile alle bacche che erano ben nascoste nei cespugli ancora intatti e verdeggianti tutt’intorno. – questa è Caroline.- soffiò Stefan, debolmente, riconoscendo la moglie del Sindaco Lockwood che si avvicinava alla velocità della luce al luogo del loro parcheggio. – andiamo, coraggio.- con una calma innaturale, rimandando quei discorsi troppo delicati ad un momento più adatto, Elena si riscosse ed annuì senza guardarlo.
- Sì, certo.- soffiò e, con le dita insolitamente maldestre, aprì lo sportello.
- Finalmente siete qui!- esclamò vivacemente Caroline, raggiungendoli subito con un portamento impaziente. Era piuttosto scura in volto e anche visibilmente stanca ma la luce dorata che sembrava irradiarsi costantemente dalla sua pelle meravigliosa non accennava a svanire. – Ero preoccupata per voi e avevo un assoluto bisogno di…- si interruppe bruscamente, guardinga, sbirciando all’interno dell’auto. Elena si scambiò una rapida occhiata con Stefan, il quale aveva stampata in faccia la sua stessa espressione interrogativa. -… dov’è Damon?- chiese la bionda, corrucciata, accorgendosi della sua assenza.
- Non è venuto con noi.- rispose seccamente il vampiro, ma non aggiunse altro.
- Sul serio?! Si può sapere perché non l’avete portato?- brontolò lei, in preda allo sconforto. Mentre Elena teneva lo sguardo fisso sul parabrezza, riflettendo sul fatto che Damon non era esattamente il tipo di persona che si facevaportare da qualche parte oppure no, la sua amica sbuffò. – Questo complica decisamente le cose.-
- Perché, scusa?- domandò Stefan, irrequieto.
- La sedicenne che era con Tina O’Neil e che ha assistito alla tragedia di questa notte. Si chiama Kayla Stone.- spiegò Caroline spiccia, facendo segno ai due coniugi Salvatore di seguirla attraverso il cortile che conduceva alla povera dimora consumata dal rogo omicida. – Abbiamo cercato in tutti i modi di spingerla a raccontarci qualcosa, intendo qualsiasi cosa!, riguardo quanto è successo alla sua ormai defunta amica del cuore ma niente. Non siamo riusciti a cavarle di bocca una sola parola. Credo che sia stata soggiogata a dimenticare tutto… o quantomeno il volto del carnefice.-
Elena sentì una rabbia irrazionale vibrarle nel petto ed aggrottò le sopracciglia.
- Non azzardarti a farlo, Care. Non puoi incolpare Damon di aver…- cominciò, con voce bassa e stizzosa.
- Non intendevo dire questo.- proseguì Caroline, sulla difensiva. – Ma pensavo sul serio che il vampiro cattivo dalla filosofia ‘squarcia, mangia e cancella’ potesse esserci utile a rimuovere, almeno in parte, la compulsione. La creatura che se n’è occupata stanotte è davvero molto più potente di noi comuni vegetariani e il mio potere, così come il tuo o quello di Stefan, non sembra essere sufficiente ad abbattere le barriere create attorno alla memoria della ragazzina. E’ un peccato che non si sia presentato a dare una mano tra un progetto di spionaggio e l’altro, tutto qui.-
- Come mai sei così certa che si tratti di una manipolazione della mente? Non potrebbe essere semplicemente scioccata dall’accaduto? Gli umani tendono ad eliminare gli eventi gravemente traumatici dalla propria coscienza.- si informò Stefan, un po’ scettico. Osservandolo attentamente, Elena capì che non era affatto pentito del fatto di non aver portato con sé il fratello maggiore e si insospettì, se possibile, ancora di più.
- C’è un vampiro dietro tutto questo, Stefan, fidati.- chiarì Caroline, sicura di sé. Il lato destro della casa, completamente consumata dall’incendio, si presentò davanti a loro in tutta la propria macabra desolazione. Le fiamme avevano divorato la staccionata che Matt Donovan, una volta, aveva pazientemente imbiancato assieme ad Elena, mentre Jeremy e Vickie giocavano a rincorrersi e a rotolare sul prato, spensierati e sudati sotto il sole cocente dell’estate della loro adolescenza; l’erbetta incolta che era cresciuta nell’abbandono di quelle mura domestiche era diventata un mucchio di sterpaglia bruciacchiata ed annerita e le mura avevano subito degli enormi danni, così come le tegole pericolanti del tetto e le assi del minuscolo porticato su cui il vecchio proprietario aveva trascorso moltissime serate a chiacchierare del più e del meno con i suoi migliori amici di sempre. Elena sentì un colpo sordo nel petto e distolse lo sguardo, incapace di sopportare quella straziante vista. Qualcuno stava avanzando verso di loro, lentamente e con aria altrettanto sofferta.
- Ciao, Tyler.- bisbigliò, senza riuscire a controllare i muscoli della propria faccia per mettere insieme un sorriso convincente. Il Sindaco ricambiò con un cenno e, stringendosi nelle spalle muscolose, constatò a sua volta, con lieve disappunto, l’assenza del vampiro Salvatore che, ben nutrito e quindi più efficiente rispetto ai presenti, sperava potesse essere utile alle sue indagini.
- Ho dovuto lasciare andare il ragazzo.- mormorò a Caroline, con tono denso di sconfitta. - Quella Rebekah non la piantava più di minacciarmi e così ho ceduto. Gli ho detto di tenersi a disposizione ma quella malefica ha ragione: non abbiamo nessuna prova contro di lui a parte il fatto che Kayla, di certo farneticando, ha parlato ossessivamente di un ‘lui’. Dannazione!- Stefan strabuzzò gli occhi, confuso da quelle parole.
- Rebekah? Il ragazzo? Che cosa…?- Elena sentì che, come al solito, suo marito dava voce ai suoi assurdi e sconnessi pensieri. Quando Caroline l’aveva chiamato, infatti, gli aveva comunicato che due ragazzi erano stati presenti alla terribile vicenda verificatasi in quel luogo e conclusasi con la morte di Tina e che, per questo, erano stati entrambi trattenuti ed interrogati. Una dei testimoni era Kayla, la fanciulla che, stravolta dall’evento e costretta a dimenticare il colpevole da un ‘lui’ dagli enormi poteri psichici, e il giovane che, a quanto la Gilbert aveva capito, aveva scoperto il delitto ed avvertito le autorità… che cosa c’entrava Rebekah? Dov’era, lei, in quel preciso istante? Perché aveva insistito così tanto affinchè lo Sceriffo lasciasse andare il ragazzo? Era forse legata a lui da qualche vincolo, magari familiare, sufficiente a renderla così protettiva nei suoi riguardi?
Purtroppo per i Salvatore, Caroline non si preoccupò di dare spiegazioni e cominciò ad inveire contro Tyler.
- L’hai lasciato andare?!- strillò, con la voce lamentosa di una bambina che fa i capricci. – Oh, no! Come hai potuto farlo? Non solo era l’unica persona dalla mente perfettamente lucida ad essere stata presente al momento dell’assassinio e dell’incendio ma era anche ricoperto di sangue quando l’abbiamo trovato accanto al cadavere! Insomma, non puoi credere davvero che si sia sporcato solo toccando Tina nel tentativo di rianimarla, non dopo quello che abbiamo trovato… - Stefan emise un basso ringhio esasperato per attirare l’attenzione e Caroline si zittì all’improvviso, come ricordandosi della sua presenza.
- Sangue.- sussurrò lui, contraendo la mascella nel tentativo di matenere il controllo della situazione. – che cosa avete trovato?- la sua migliore amica trattenne un brivido, stringendosi nelle spalle, e la sua espressione divenne ad un tratto vacua e triste.
- Guarda con i tuoi occhi.- disse, sommessamente, indicando, dopo un attimo di esitazione, un punto imprecisato alle loro spalle. Elena seguì con un istantaneo e dilagante panico il percorso tremulo di quel segnale e si voltò, d’impeto: sull’unica parete che sembrava essere rimasta intatta e non corrotta dalla furia fiammeggiante del disastro, luccicava qualcosa di sinistro. Era stata dipinta, a caratteri cubitali, una scritta rilucente e carminia, disgustosa, sotto i sempre più pallidi e quasi evanescenti raggi solari:       
 

Δamned Δad’s Δaughter’ll Δie.
 
(Damned Dad’s Daughter’ll Die. = La figlia di un padre dannato morirà.)

 

Elena si sentì raggelare e il suo stomaco si contrasse dolorosamente, dandole la nausea. Sangue. Quel rivoltante messaggio era stato scritto con del sangue innocente… ed era potenzialmente indirizzato a tutti loro e, quel che era peggio, ad una delle loro figlie. A sovrastare l’intera iscrizione vi era un’altra figura, stavolta geometrica, enorme, inquietante, altrettanto scarlatta: due triangoli equilateri, opposti e speculari, uniti attraverso il vertice, disposti verticalmente fino a formare il profilo schematico di…
-Una clessidra.- ansimò lei, ma dalla sua gola venne fuori solo un suono fievole e strozzato. Sì, esatto, una Clessidra. Chiunque fosse il maledetto che aveva tracciato quelle righe, dopo essersi macchiato di un crimine tanto atroce e aver cancellato le proprie tracce, lasciandosi avvolgere dalle tenebre del mistero, aveva voluto lanciare loro un beffardo avvertimento: il loro tempo era scaduto. Era ora di venir fuori a giocare.
Lassù, come riflettendo l'angoscia nella loro anima, una nuvola nascose definitivamente il sole.
 
***
 
POV Damon
 
- Immagino di essermi perso per poco le ciambelle.- emisi una specie di comico sbuffo, fintamente deluso dalle circostanze, ed incrociai le braccia sul petto. Mentre muovevo qualche passo fluido attorno al tavolo della cucina di casa Bennett, rivolsi uno sguardo furtivo alle sedicenni in piedi davanti a me, soffermandomi in particolare sulla più bassa e pallida delle due. Era estremamente difficile resistere all’assurdo impulso di sorriderle, di sentirmi bene vicino a lei. – ma che peccato.- le mie labbra si incurvano comunque, quasi senza che io riuscissi ad impedirlo; un brivido inconsapevole attraversò le mie interlocutrici, paralizzate e in attesa.
La streghetta svampita mi osservava con un turbamento fuori dal comune. Sembrava ammutolita ed affascinata dalla mia presenza ed io riconobbi senza difficoltà, nel suo sguardo scuro e profondo, la muta scintilla della gratitudine: neppure la figlia di Bonnie aveva dimenticato che, quando la sua ultima speranza di salvezza era stata inghiottita dal buio crudele e frusciante della foresta accanto alla Biblioteca, avevo  personalmente salvato sia lei che Demi senza un attimo di esitazione, mettendo a repentaglio la mia incolumità ed affrontando ben tre feroci manigoldi pronti a tutto pur di portare a termine la loro folle missione omicida. In un modo del tutto anomalo ma non per questo meno struggente, entrambe le ragazze sentivano di dovermi la vita e la loro riconoscenza, sorprendentemente, segretamente, mi lusingava.
- Come mai sei qui?- chiese d’un tratto Demi, con una smorfietta curiosa, scostandosi i capelli corvini dalla fronte. I suoi occhi azzurri e furbi, limpidi come schegge rubate agli zaffiri e specchio fin troppo fedele dei miei, brillarono di inquietudine e mi sorpresero con la loro intensità. – Non fraintendermi: è un vero sollievo sapere che esisti davvero e che non era poi necessario rischiare di nuovo di morire atrocemente per rivederti… è solo vorrei delle spiegazioni, se non ti dispiace.- un leggero e frizzante rimprovero velò l’ironia della ragazza ed io sentii un moto di irresistibile stima e comprensione nei suoi confronti farsi spazio nei miei pensieri già un po’ incoerenti.
Era come lei se stesse disperatamente cercando, sotto quell’aria composta e fiera, una certezza a cui aggrapparsi, una voce fuori dal menzognero coro della sua famiglia che, finalmente, le parlasse con schiettezza, a costo di ferirla, a costo di metterla in pericolo, ma senza remore, per una volta, solo con sincerità. Sentivo di capire alla perfezione la sua necessità di sapere la verità e non avevo intenzione di deluderla.
- Mi prendo cura di te, bambina.- ammisi, dunque, facendo spallucce come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Il lieve sorriso di Demi si spense lentamente e lei tornò a scrutarmi torva, con serietà.
- Non mi sembra che sia necessario.- protestò seccamente, con tono basso e quasi inudibile. Abbozzai una risata sarcastica, colpito dalla sua indignazione e dalla sua volontà di indipendenza. Era una ragazzina estremamente diversa da tutte le sciocche donzelle troppo viziate e piene di moine che avevo conosciuto in precedenza: ragionava come un’adulta fin troppo accorta eppure, guidata da un infallibile istinto ribelle, sapeva riconoscere altrettanto bene il momento più opportuno per tirare fuori la propria ostinazione adolescenziale.
- Non prendertela con me.- borbottai, scherzosamente offeso, approfittando della situazione per divertirmi un po’. – è stato il tuo caro paparino, nonché mio paranoico fratello, a mandarmi qui per tenerti d’occhio. Credo che si stia crogiolando nella speranza che tu possa finalmente smetterla di essere una costante calamita naturale per le disgrazie.- il viso di lei si irrigidì di colpo e strinse i pugni davanti a quelle parole beffarde.
Vidi chiaramente la furia repressa tornare ad accendere il suo sguardo turchino e compresi che, in realtà, proprio come Stefan aveva predetto, la rabbia nei confronti dei suoi bugiardi ed incauti genitori era ancora lì, sepolta sotto uno strato di nostalgia ed affetto, ma ancora tangibile… reale.  
-Sarebbe venuto personalmente ad occuparsi della faccenda ma lo conosci…- continuai, per sdrammatizzare. -… sarà stato troppo impegnato a pettinarsi i capelli all’indietro e a rimuginare.- Demi non raccolse la mia provocazione ma, quasi suo malgrado, lasciò ad un breve sorriso il compito di incresparle la bocca rosea e dolcissima.
Quel suo gesto spontaneo mi provocò una piacevole sensazione di sollievo dalle parti dello stomaco.
Mio fratello minore le mancava come l’aria, potevo percepirlo; era visibile nel modo in cui lei respirava piano, quasi esitando, e nella piccola ruga sulla fronte che, prima della sua nascita, avevo visto comparire infinite volte anche sul volto di Elena mentre lei si sforzava di resistere al sovraffollamento delle proprie emozioni…
- Possiamo benissimo cavarcela da sole, adesso. Non abbiamo bisogno di un baby-sitter, grazie.- sentenziò mia nipote, in un soffio, senza cedere. Una leggera nota d’orgoglio incrinò la sua voce cristallina ed io non me la lasciai sfuggire: quella ragazzina non era più tanto ingenua, spensierata ed avventata come quando l’avevo protetta dalla violenza dei suo aggressori; era più astuta, ora, in qualche modo più consapevole della situazione e, sicuramente, decisa a non lasciarsi più sopraffare dagli eventi con la stessa impotenza che l’aveva caratterizzata in passato. Era una creatura solitaria, caparbia e selvatica… come me.

Image and video hosting by TinyPic
- Oh, credo proprio di sì, invece.- dissi, osservandola con attenzione, con un sopracciglio inarcato. Il fuoco che aveva dentro era talmente intenso che potevo sentirne l’ardore anche a distanza. Era inebriante, come il suo odore delizioso. I miei sensi finissimi, così diversi da quelli intorpiditi dal tempo e dal disuso della mia antica e rinnegata combriccola di Mystic Falls, non avevano bisogno di concentrarsi per cogliere in modo netto ed inequivocabile un Potere innato che divampava in lei senza tregua e diveniva ogni minuto più rilevante, più incredibile. Demi era forte, molto più di quanto potesse immaginare o sperare, ma un’eccessiva fiducia nelle proprie potenzialità avrebbe solo contribuito a peggiorare la sua già precaria situazione. -… conosco quella sensazione di onnipotenza, sai. Deve essere stato strabiliante per te riuscire a resistere ad una ed una sola compulsione, prevedere una ridicola aggressione attraverso una premonizione della qui presente novella Maga Circe e sputacchiare qua e là un po’ di vapore come scudo contro un ex-mangiatore di conigli, non è vero?- usai un tono aspro e inclemente con lo scopo di provocarla e ci riuscii, alla perfezione. – Mi dispiace deluderti, Demi, ma l’ultima volta che ho controllato in questa maledetta città si stava risvegliando qualcosa di molto potente, qualcosa di assolutamente micidiale, di terribile. Non basteranno di certo un paio di trucchetti da dilettante per sconfiggere le mostruosità che potrebbero venire a cercarti… e con ‘mostruosità’ intendo degli abomini molto più perfidi e crudeli di una fallita professoressa bionda tinta e di un mezzo Lupo Mannaro redento.-
Un’espressione incredula, intimorita e ferita sfiorò i lineamenti della ragazza per un attimo, poi lei decise di ignorare le mie insinuazioni e di tornare subito all’assalto.
- Ammettiamo che tu abbia ragione, Damon.- disse, a denti stretti, sottolineando il mio nome proprio come io avevo rimarcato il suo poco prima. Era una strana emozione sentirlo pronunciare da lei che, in teoria, avrebbe riverentemente dovuto chiamarmi ‘zio’. - Qual è il tuo consiglio per rendermi invincibile? Provare a farmi spuntare le piume?- sbottò, con un tono insolente che diede particolare spessore alle sue parole piene di sfida. Sì, in effetti, sarebbe stata un corvo meraviglioso…
Indispettito ma anche incantato dalla sua sagacia, aprii la bocca per risponderle a tono ma qualcosa distolse la mia attenzione: il mio cellulare vibrava nella tasca anteriore dei pantaloni, più o meno incazzato quanto me in quel medesimo istante. Lo tirai fuori reprimendo la frustrazione causata dall’interruzione indesiderata di quell’interessante battibecco e fissai lo schermo luminoso, aggrottando le sopracciglia.
- Tipico.- commentai a mezza voce, imprecando mentalmente prima di rispondere alla chiamata. Non era esattamente il nome che avrei sperato di leggere su quel display ma mi costrinsi ad accontentarmi. – Sì, fratello?- esordii, sentendomi un po’ a disagio senza darlo minimamente a vedere.
- Dove sei?!- mi domandò Stefan, con il fiato corto, come se fosse reduce da una lunga ed estenuante corsa. Compresi immediatamente che qualcosa, all’appartamento del defunto e compianto Matt Donovan, doveva essere andato storto e tentai con cautela di voltare le spalle a Sheila e a Demi, nella speranza di evitare le loro occhiate penetranti. Fu tutto inutile.

Image and video hosting by TinyPic
- Alle Hawaii a contare le noci di cocco.- ironizzai, con lampante impazienza, alzando gli occhi al cielo. -… sono a casa di Bonnie come mi hai chiesto, tenente, in compagnia della tua amorevole figlia e della sua eloquente migliore amica… perché?- Demi mi guardò a bocca aperta, capendo che, dall’altra parte della cornetta, c’era Stefan. Sheila mi fulminò con lo sguardo, per nulla divertita dalla mia battuta e leggermente in ansia a causa del tono urgente che aveva appena sentito uscire dalla mia bocca.
- Avevo solo bisogno di esserne sicuro.- gracchiò mio fratello, soffocando a fatica il sollievo e, allo stesso tempo, il panico. – Io… dopo quello che è accaduto… non muoverti assolutamente da lì fino al ritorno di Bonnie, d’accordo? Damon, mi stai ascoltando, vero?!- Mi infervorai di colpo.
Quando l’avrebbe piantata di darmi ordini senza fornirmi la minima spiegazione?
-  Si può sapere che diavolo è successo? Si tratta di Elena?- sussurrai, nel tentativo di non farmi sentire dalle ragazze. Ero talmente teso che la pelle del mio viso cominciò a tirare e a pizzicare, come se stessi per arrossire, per esplodere. Demetra attese in silenzio, pronta a leggere, sulla mia espressione, una risposta alla sua stessa preoccupazione. 
- No, lei sta bene… credo.- sbottò Stefan, inspirando profondamente per calmarsi. Il vento ululava attraverso l’audio del cellulare, con un suono estremamente gelido ed inquietante, metallico. Tentai di non riprendere a protestare e rimasi in silenzio, nell’ansiosa speranza che il mio fratellino si decidesse a parlare. – Come temevamo l’assassino di Tina non è un qualsiasi e casuale maniaco. Con ogni probabilità si è trattato di una creatura sovrannaturale capace di soggiogare e di provocare ferite caratteristiche ed inequivocabili sul corpo delle sue vittime: morsi, graffi… la poverina in questione è stata completamente dissanguata sotto gli occhi di una testimone. Purtroppo per noi, però, quest’ultima non ricorda assolutamente nulla della tragedia.- cercai di non battere ciglio davanti a quelle rivelazioni ma qualcosa, nel mio sterno, si contrasse.
- Beh… non mi aspettavo certo un simpaticone amante del buongusto.- replicai, aspramente, senza lasciar intendere molto alle mie già allarmate spettatrici. In effetti sapevamo che si sarebbe trattato di un mostro psicopatico senza scrupoli... di cosa si sorprendeva Stefan?
- Cos’altro avete scoperto?- gli chiesi, con tono strascicato.
- Il mostro ha lasciato un messaggio raccapricciante… e non si fermerà fino a quando non avrà ottenuto ciò che vuole, ovvero distruggere la nuova generazione di figli di padri maledetti che non avrebbero dovuto aver la possibilità di procreare. Il problema è questo… non dare di matto… ma potremmo aver lasciato scappare il principale sospettato proprio un paio di minuti fa.-
- Sono circondato dal solito branco di idioti.- stavo dando in escandescenza, come non detto. Sheila inclinò la testa da un lato come se stesse calcolando a mente la somiglianza che quella scena aveva con alcuni atteggiamenti di una certa Salvatore di sua conoscenza. – Come avete potuto lasciarvelo sfuggire dalle mani? Dove avete il cervello, razza di…?-
- E’ andato via con Rebekah dopo che lei ha quasi strangolato lo Sceriffo per far sì che lo lasciasse libero.- si giustificò Stefan, per nulla sorpreso dalla mia reazione. - Ma almeno sappiamo chi è. E’ un passo in avanti, non credi?- sospirai per smettere di inveirgli contro e l’aria passò con un sibilo rabbioso attraverso le mie labbra socchiuse. Non avevo la minima voglia di sapere quale effettivamente fosse il messaggio lasciato dall’assassino, o la sua vera identità… non potevo permettermi di averne paura, eppure un lieve tremore passò, insopportabile, attraverso le dita che stringevano il telefono.
- Dimmelo e basta, Stefan, non fare tante storie.- ringhiai, rassegnato. – Chi è il vostro indiziato?-
Sussultai involontariamente quando mi accorsi che Demi mi si era avvicinata notevolmente, fino a sfiorarmi il braccio con una mano delicata. Riuscivo a sentire il profumo frastornante della nebbia e del cielo… proveniva da lei. Sembrava decisa a carpire il più possibile da quella confusa conversazione tra me e il suo intrepido padre ma anche a darmi conforto in quello che doveva esserle parso un mio momento di cedimento. Sfoderai un sorriso innocente mentre la strattonavo appena, quasi giocosamente, per tenerla lontana dalla cornetta, ma lei non si mosse di un millimetro, testarda. Rimase lì, ad un soffio da me, mentre i miei occhi, a quella distanza, ripercorrevano a tradimento il profilo fin troppo familiare del suo viso. Il suo labbro inferiore era leggermente sbilanciato, più pieno rispetto a quello superiore; la sua pelle era perfetta e bianca come la neve ed il colore inconfondibile dei suoi capelli era…
Sentii che Stefan esitava appena e notai che, interrompendo il flusso scordinato delle mie inopportune riflessioni, la sua voce suonò nervosa e grave:
- E’ il nipote di Rebekah Mikaelson, Damon.-
 

***














Woooooo *-* eccomi qui <3 
Scusate il ritardo nell'aggiornamento... grazie a tutti per aver pazientato! :)
Venite a trovarmi qui, se vi fa piacere ---> 
http://ask.fm/IlDiarioDiDemiSalvatore
---> https://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=hl
---> https://www.facebook.com/demetra.salvatoreefp.9?ref=tn_tnmn

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Prince Of Darkness ***


Nick non aveva mai messo piede nel Grill di Mystic Falls, prima di allora, ma ne aveva sentito spesso parlare in modo entusiasta tra i banchi di scuola.
Era un locale piuttosto vasto dalla pianta irregolare e, entrandoci con cautela, il ragazzo si sentì immediatamente inebriato dal profumo di dolci, pietanze e bevande alcoliche che aleggiava nell’aria circoscritta, densa ed intima dell’ambiente interno.
I muri di pietra rustica e sgangherata erano rivestiti accuratamente con uno strato di piccoli mattoni decorativi color porpora, i bagliori di lampadine ambrate erano sparsi ovunque come le lucciole tremule annidate in un cespuglio aromatico ed il pavimento di legno rossastro era talmente lucido da riflettere come uno specchio chiunque ci camminasse sopra.
Il bar era piuttosto affollato e Nick faticò non poco per individuare, tra i clienti schiamazzanti, la testolina bionda e arruffata che cercava.
- Sono qui, compare!- strillò Mattie, in piedi nel tramestìo di voci, sbracciandosi talmente forte per farsi vedere che il giovane, per un istante di perplessità e divertimento, temette quasi di vederla spiccare il volo.
Zigzando tra gli altri clienti, Nick le si avvicinò in fretta e notò immediatamente la presenza di qualcosa di strano nei paraggi: un numero indefinito di buste colorate e sgargianti era ammucchiato sul tavolo circolare proprio davanti alla ragazza, sprigionando debolmente un profumo dolciastro, gommoso e zuccheroso.
Vuote, circondate da minuscole ma altrettanto appariscenti scatole di merendine, quelle stucchevoli confezioni altro non erano che gli involucri ormai superflui di qualcosa che era stato bruscamente strappato alla loro protezione e… divorato.
- Cos’è tutta questa roba?- le chiese Nick, scioccato, prendendo tra le mani la busta vuota di un enorme torrone al cioccolato.
- Sono caramelle.- rispose Matt, senza un briciolo di rimpianto nella voce. – Dolcetti.-
- Dolcetti.- ripetè Nick, con una vocetta stridula, perplesso. -… emh… posso sapere perché ti sei mangiata qualcosa che somiglia spaventosamente all’intera scorta cittadina, mentre aspettavi il mio arrivo?-
- Hai mai sentito parlare di ‘fame da stress’? Ecco, appunto.- bofonchiò la Lockwood, cercando di suggerirgli qualcosa di importante con i suoi grandi occhi color del mare.
Poi, con grande galanteria, spostò una sedia squisitamente imbottita, per permettergli di prendere posto proprio accanto a sé.
- Coraggio, siediti.- lo invitò, con garbo e con un ghigno apparentemente innocente stampato sul volto delicato.
Lui scrollò le spalle, ancora scosso, ma poi, lusingato da quelle attenzioni, decise di fidarsi e di non gongolare oltre sulle bizzarre abitudini alimentari della sua amica:
- Allora, nana, a cosa dobbiamo tutto questo nervosismOOOO…?- in un attimo di distrazione il posteriore di Nick Mikaelson atterrò con un tonfo sordo sul parquet scheggiato ma lustro del Mystic Grill; Matt, con una manovra astuta e disinvolta, certamente premeditata, aveva spostato un po’ troppo il suo sgabello, facendolo precipitare lungo disteso (e con le gambe scomposte) al suolo.
Lui sbuffò appena dal dolore, arrossendo lievemente a causa delle risatine che quella scena comica aveva suscitato nel pubblico tutt’intorno, poi si massaggiò il fondoschiena, allibito.
- Cos'ho fatto di male per meritare questo trattamento? Sentiamo.- gemette debolmente, con un’espressione profondamente ferita.
- Il piromane, ecco cosa.- esplose lei, enigmatica, senza degnarsi di aiutarlo a rialzarsi. Anzi, per eliminare qualsiasi possibilità futura di compassione, incrociò addirittura le proprie braccia sul petto e lasciò che il ragazzo la guardasse stralunato, sgranando gli occhi neri come cioccolato fondente, senza capire minimamente a cosa lei si stesse riferendo.
- Il che?!- Mattie emise una specie di ringhio davanti a quella che le parve una stupida obiezione ed acchiappò prontamente un quotidiano stropicciato ma fresco di stampa che era malamente appoggiato sul tavolo rotondo poco distante da loro.
- Vuoi forse dirmi che non sei stato tu?- gli domandò con voce improvvisamente bassa e stizzosa, aggrottando la fronte in una smorfia densa di puro sospetto.
- Non sono stato io a fare cosa?- Nick ebbe la chiara impressione che lei stesse per arrotolare il quotidiano su se stesso in modo da avere un’arma cartacea ma robusta per colpirlo sonoramente sulla testa ma, proprio mentre si alzava di colpo da terra e metteva il tavolo tra loro con un gesto di autodifesa talmente istintivo da risultare esilarante, fu Matt ad inarcare un sopracciglio dorato.
- Leggi.- gli ordinò con un’aria severa, gli occhi verdi ridotti a fessure, presentandogli il giornale ad un centimetro dal naso e costringendolo a fissare l’inquietante articolo in prima pagina. – Ad alta voce.-
-‘’Incendio divampa ai margini della città. Due ragazze aggredite da un animale, è giallo.’’- obbedì docilmente Nick, sillabando l’enorme titolo nero stampato sul Daily Mystic Falls, un po’ sollevato dall’appena scampata punizione corporale ma anche improvvisamente serio e preoccupato a causa della drammatica notizia. Una foto in bianco e nero ritraeva un edificio rustico e campagnolo, completamente devastato dalle fiamme… ma lui non lo riconbbe.
Esitò: ‘’Incendio divampa.’’
Un momento… lui… il piromane?
- Perdona la mia assoluta incapacità di afferrare al volo il concetto, ma non capisco davvero...- sussurrò, con voce d’un tratto sorda, prendendo il quotidiano con decisione dalle mani della Lockwood per lisciarlo e guardarlo più da vicino. -… che diavolo c’entro io con tutto questo?- fece una smorfia e proseguì, stizzito, sforzandosi di far balenare sul proprio viso un abbagliante sorriso timido, piacevolmente diverso da quello sghembo ed enigmatico a cui il trio delle meraviglie era abituato sin dal primo giorno.
- Andiamo… ti sembro un animale?-
- Non ci provare, ok?- lo avvertì Matt, isterica, osservandolo attentamente e scuotendo piano la testa. – So tutto, anche quello che i giornali hanno censurato per non creare panico in città. Questa mattina i miei genitori hanno ricevuto una telefonata urgente da mia nonna, lo Sceriffo Liz Forbes. Dopo aver riattaccato erano semplicemente terrorizzati e hanno strillato per casa per mezz’ora… un risveglio terribile, non so se mi spiego. Due ragazze ridotte in fin di vita, una casa abbandonata da anni data alle fiamme e il nipote di Rebekah Mikaelson inequivocabilmente sorpreso sulla scena del delitto…- era come se lei stesse disperatamente cercando le tracce di qualche brutta malattia sul volto meravigliosamente scolpito di Nick, nella speranza di trovarle e di rassegnarsi definitivamente all’idea che fosse davvero l’essere abominevole e pericoloso di cui aveva tanto sentito parlare, ma…
‘Dannazione, non ci riesco…’pensò, furiosa.
Se avesse avuto davanti un altro sacco di dolciumi l’avrebbe mandato giù in un boccone senza pensarci due volte.
- Il nipote di Rebekah?- mormorò il giovane, improvvisamente serio e all’erta, fissandola intensamente quelle sue pupille pulsanti, ipnotiche, quasi senza vederla. Un velo di orrore e consapevolezzare calò con irruenza sulle sue palpebre, rendendo il suo sguardo improvvisamente simile a quello di un terribile predatore pronto ad attaccare quanto a quello di una creatura indifesa e spaventata, incapace di difendersi. - No… non è possibile…- balbettò.
– Mi dispiace.- soffiò Mattie, sentendo la sua tensione penetrarle fin nelle ossa. - Ma questa volta non posso aiutarti, né giustificarti. Non puoi pretendere che io ti creda quando sembra chiaro come il sole che sei tu che…- la voce le morì in gola e lei strinse forte le labbra rosee, con poca convinzione, imponendosi di non cedere tanto facilmente all’insostenibile fiducia che, nonostante tutto, le ispirava ancora quel volto così sinceramente turbato dalle accuse e dalle circostanze.
Nick si accorse di quell’occhiata piena di possibilità e qualcosa lo spinse a sfiorarle il braccio con la mano, con slancio, come per aggrapparsi a qualcosa che non lo facesse crollare.
- Matt, devi ascoltarmi.- ansimò lui, senza fiato.
Era la prima volta che la chiamava per nome e lei se ne accorse con un tuffo al cuore, senza però commentare, con molto tatto. Il ragazzo sentiva da tempo il bisogno fisico di liberarsi dai propri segreti, di aprire la propria anima a qualcuno e di svelare, con estrema chiarezza, una volta per tutte, l’assoluta verità, ma non l’aveva effettivamente mai fatto totalmente con nessuno, prima d’ora.
Non era stato del tutto sincero neppure la sera della riunione a Villa Lockwood… ma come avrebbe potuto?
Come rivelare la minacciosa ed incombente realtà a quella criticona di Sheila Bennett, che non l’aveva mai sopportato di buon grado, giudicandolo sempre prima di provare conoscerlo, e a Demi, con il rischio insostenibile di riempire di tristezza e di rimprovero i suoi splendidi occhi di ghiaccio, già tanto provati dagli eventi? Non aveva avuto il coraggio di confidarsi con la Salvatore per evitare di essere frainteso, di rovesciarle addosso altre preoccupazioni e di spazzare via le sue già instabili certezze… ma con Mattie?
Percepiva con estrema chiarezza che con lei sarebbe stato diverso; Nick sapeva che, alla fine, la biondina non si sarebbe allontanata da lui, che gli sarebbe comunque rimasta amica e che non l’avrebbe mai scrutato con la delusione o il disgusto che tanto temeva.
Lo confermava anche il fatto che si fosse presentata proprio lì, nonostante tutto, ad un appuntamento con un potenziale maniaco pluriomicida.
- Non sono stato io.- le disse, con voce dura e decisa. Matt, al contrario, sembrava frastornata ma non abbandonò il suo sguardo neppure per un istante. Sollevata da quelle parole asciutte ma tanto attese, sentì che l’abisso tra loro traballava, incerto, fino a diradarsi.
- D’accordo, ho capito.- sospirò, fintamente serena, alzando le mani in segno di sconfitta. – fammi indovinare… ti hanno incastrato, eh?- Nick deglutì davanti a quel tono inaspettatamente serio e la fissò, senza fiatare, sopraffatto dall’angoscia.
Poi annuì.
-Andiamocene, adesso.- bisbigliò, guardandosi intorno con circospezione e tirando prontamente fuori dalla tasca un paio di banconote per pagare il sostanzioso conto lasciato dalla Lockwood. – Questo non è un posto sicuro per parlarne.- spiegò, spiccio, e, con un breve cenno, la invitò a seguirlo fuori.

Image and video hosting by TinyPic
 
***
 
- Mi stai prendendo in giro?!- Damon emise uno strano ringhio soffocato dalla sorpresa e lanciò una sfuggente ma ansiosa occhiata a Demi, giusto per essere sicuro che lei fosse ancora lì, sana e salva, accanto a lui.
Il viso pallido e allarmato della ragazza sembrava aver assorbito il sempre più cupo chiarore del cielo ormai plumbeo là fuori, ma il respiro lento e regolare sulla sua bocca ancora increspata in un’espressione interrogativa, fortunatamente, diede al vampiro la forza per non ricominciare a dare di matto.
Damon inspirò profondamente per tornare calmo e padrone di sé mentre attendeva una risposta decisiva che tardava ad arrivare:
- No, certo che no.- ammise infine, gravemente, Stefan, dall’altra parte della cornetta; Damon si rabbuiò ma trattenne alla meglio un altro incontenibile moto d’irritazione, scuotendo semplicemente la testa, incredulo.
Come avevano potuto, Stefan ed i suoi insulsi ‘amici’, lasciarsi scappare il principale indiziato che, come se non bastasse, sembrava proprio essere uno stramaledetto consanguineo di Rebekah?
Come avevano potuto permettere alla stessa creatura pericolosa e vendicativa che, per sedici anni, non aveva provocato altro che dolore, perdita e dubbi a Mystic Falls, di lasciare industurbata la scena del delitto in compagnia del caro nipotino?
Un sorriso avvelenato da ricordi dolorosi e confusi comparve sul viso di Damon, fulmineo e caustico.
- Beh, ovviamente ci mancava solo che l’adorabile nipote di Psyco giocasse a fare la piccola fiammiferaia.- commentò poi, sarcastico e a denti stretti, in un sussurro abbastanza basso e incollerito da risultare praticamente inudibile a Demi e a Sheila.
Per qualche ignota ragione, sembrava furioso ma per nulla disposto a dimostrarlo e Demi, immobile e tesa, lo fissò a bocca aperta, senza capire la ragione del suo risentimento, solo percependone il peso nel petto, così, irragionevolmente coinvolta dalla sua preoccupazione.
Non si azzardò ad intervenire nel discorso, paralizzata e spaventata com’era dall’infinita e malcelata urgenza comparsa all’improvviso nello sguardo freddo e solo fintamente beffardo di Damon, ma avvertì fin da subito la rabbia ed il soffocante senso del pericolo vibrare sotto la pelle perlacea del vampiro, nonostante lui stesse ancora disperatamente cercando di nasconderne l’imminenza dietro un velo d’impenetrabile noncuranza.
Con una piccola scossa di consapevolezza, un pensiero assurdo le riverberò nella mente: loro due, semplicemente, senza sapere perché o come, in qualche modo irresistibile e del tutto privo di logica, si sentivano… fine della storia.
- Aspetta il ritorno di Bonnie prima di lasciare le ragazze da sole, per favore, è fondamentale che siano al sicuro.- soffiò Stefan, serio, senza il timore di apparire ripetitivo su una questione di tale importanza. - L’ultima cosa che ci serve è che qualcuno decida di fare una capatina da loro prima dell’ora di pranzo. Proveremo a rimediare e a riacciuffare il giovane Mikaelson per delle indagini. Ti terrò aggiornato su qualsiasi novità.- promise, con una voce esausta, ansiosa e un po’ colpevole.
- Una saggia decisione, fratellino.- replicò Damon, scostante, fremendo dalla voglia di interrompere bruscamente la telefonata in quel preciso istante. No, non avrebbe sopportato per un minuto di più qualsiasi ulteriore, eventuale e prevedibile ammonimento da parte di Stefan, non avrebbe retto ai suoi inutili piagnistei da detective fallito e a quell’insostenibile senso di impotenza davanti agli eventi che, pericolosi ed inevitabili, si intessevano e si infittivano continuamente, come una ragnatela letale ed umidiccia, attorno a loro, braccandoli. - Vi raggiungerò non appena qui avrò finito con il turno di guardia. Tanti cari saluti e…-
- Voglio parlare con lui, Stefan.- Damon sentì il proprio cuore perdere un battito mentre udiva quelle insperate parole pronunciate dalla voce fioca ma decisa di Elena, abbastanza vicina al punto in cui suo marito si trovava al momento della loro conversazione, e si maledisse per quell’istante di debolezza: la propria totale nonché prodigiosa mancanza di autocontrollo non smetteva mai di inquietarlo, quando si trattava di lei.
Lo sguardo del minore dei fratelli Salvatore si perse per un istante nella concentrazione e nel disappunto ma lui non finse di non aver capito; abbassando la testa, dopo un lungo momento di silenzio, annuì e, sospirando, allungò il telefono alla Gilbert.

Image and video hosting by TinyPic
- Vado a vedere se di là hanno bisogno di una mano.- si congedò, posandolo nel suo palmo con una lieve carezza e mettendo poi le mani nelle piccole tasche della giacca. Stefan si strinse brevemente nelle spalle e si allontanò, raggiungendo lentamente Caroline e Tyler i quali, al momento, erano ancora immersi in un’accesa discussione ed Elena provò una dolorosa ed ingiustificata sensazione di distacco nel vederlo andare via; ciò nonostante, quando finalmente avvicinò il cellulare all’orecchio, non riuscì a non sentirsi immensamente sollevata.
Distese le dita e si inumidì le labbra:
- Damon?- sussurrò, tentando di calmare il respiro mentre aspettava di ascoltare la sua risposta. Le girava la testa in un modo che non aveva quasi nulla a che fare con l’apprensione ed il sovraccarico sensoriale quanto, piuttosto, con l’orrore di ciò che, qualche istante prima, aveva visto comparire sul muro di casa Donovan. Quando socchiudeva le palpebre, Elena non vedeva altro che quel sinistro simbolo tracciato con il sangue innocente e ancora fresco di Tina O’Neil e, ripensandoci, il terrore si insinuava nelle sue vene, minaccioso e terribile, senza concederle un attimo di pace.
- Sì, sono ancora qui.- la rassicurò lui, lievemente ironico, senza tanti preamboli e con un fervore che sembrò subito scaldarle l’anima intorpidita dalla paura. Demi notò il repentino cambiamento nel tono di Damon e gli rivolse un lieve e confuso sorriso. Ricordò quando, subito dopo averla salvata dagli aggressori nella Foresta, lui, chino e scarmigliato, ad un soffio dal suo viso, aveva usato la stessa dolcezza nel dirle che tutto si sarebbe sistemato e che quell’incubo era finalmente finito. Si era immediatamente sentita tranquilla e protetta, cullata dalle sue parole, proprio come Elena in quel preciso momento. – come va? Domanda perfettamente idiota, d’accordo, ma ho bisogno di sentirti dire che stai bene.-
- Andrà meglio, spero.- mormorò debolmente Elena, senza il coraggio di mentirgli, anche perché sapeva che lui non ci avrebbe creduto. – … sei con Demi?- gli domandò, incapace di trattenere il proprio desiderio di saperlo, di trovare conforto in quell’immagine.

Image and video hosting by TinyPic
- Con Baby-Bad-Ass, vuoi dire?- scherzò Damon, sfiorando con lo sguardo l’intenso, increbile e fiero blu degli occhi della figlia di Elena. Demetra, a metà tra l’indignato ed il lusingato, strinse la bocca in una specie di dispettoso broncio ma le sue guance arrossirono gradevolmente, tradendola. – ma certo. Riesce a tenermi testa anche più di te, dovresti esserne piuttosto fiera. E’ forte.- sentì, anche senza vederlo, che le labbra di Elena si erano incurvate in un sorriso divertito, nostalgico e rassegnato e, quasi per magia, anche i lineamenti di Damon si rilassarono un po’. Dopo qualche secondo, tuttavia, quell’illusione di serenità cominciò a svanire, lasciando al vampiro la lucida facoltà di chiederle spiegazioni.
- Che cosa volevi dirmi, Elena?- bisbigliò, di nuovo pensieroso ed impaziente, allontanandosi da Demi e da Sheila per evitare che ascoltassero i suoi discorsi, senza che loro, stavolta, opponessero troppa resistenza. Lei trattenne appena il fiato prima di rispondere:
- Credo che stiate pensando al ragazzo sbagliato.- disse, abbassando la voce, muovendosi appena sul posto mentre l’odore di fumo, fiamme ormai domate e distruzione si faceva spazio nelle sue narici fino a giungere nel profondo del suo animo intirizzito. – Quel Nick Mikaelson, il nipote di Rebekah, ecco… non è stato lui a fare tutto questo.-
- Il suo nome, chissà perché, non mi ispira molta fiducia.- osservò Damon, tra il serio ed il faceto. – Come mai ne sei così convinta?- le chiese, sinceramente curioso.
Elena fece schioccare la lingua, scrutando con aria turbata il cielo grigio sopra di sé e rabbrividendo a causa del vento gelido che frusciava lì intorno.
- Anche se Kayla, l’amica superstite di Tina, è stata soggiogata a dimenticare gli avvenimenti di stanotte e quindi non ricorda assolutamente il viso del suo aggressore… Tyler e lo Sceriffo hanno avuto a che fare con il giovane sospetto, almeno prima che Rebekah arrivasse per portarlo via, fuori di sé dalla rabbia.- gli spiegò, con tono fermo. – Si è rifiutato di rivelare il proprio nome e di rispondere a tutte le loro domande ma Liz mi ha dettagliatamente descritto il suo aspetto: ad occhio e croce sembra avere circa diciassette anni, occhi limpidi e penetranti, di un verde pallido, capelli biondi ondulati, labbra piene e un sorriso ampio, subitaneo ed un po’ inquietante.- Damon battè le ciglia un paio di volte, immagazzinando quelle informazioni ed esitando prima di proferire verbo.
Quando, sottoforma di corvo, si era appollaiato sul davanzale della Biblioteca per tenere d’occhio Demi, la mattina prima dell’agguato di mezzanotte, aveva notato che la ragazza si era presentata a Nick Mikaelson, un giovane dal viso delicato, con gli occhi neri come il carbone oppure come il cielo senza stelle, i capelli castani ed ordinati di Elijah e la bocca seria, sottile, davvero poco incline al sorriso, se non a quello di una fredda e distaccata cortesia.
- Posso assicurarti che non ha assolutamente nulla a che fare con la fisicità di Nick… una volta è venuto a trovare Demi in ospedale, io l’ho visto e mi ricordo perfettamente la sua faccia.- continuò Elena, per lui, cercando di imprimere alla propria voce una sfumatura determinata e spavalda. Dall’altra parte del telefono ci fu un silenzio talmente lungo che lei, con un moto di spavento, si chiese se il vampiro fosse ancora lì. – Damon?!-
- Stavo pensando.- replicò lui, sbirciando, dal salotto in cui si era spostato, verso la cucina e notando che le due amiche erano chine su qualcosa sul tavolo, fortunatamente poco attente a quella conversazione. – Dunque, ricapitoliamo… questo tipo è un mezzo vampiro spietato. La sua compulsione non può essere facilmente rimossa da vampiri normali, questo mi fa pensare che il suo potere sia assimilabile a quello degli Originali.- cominciò, riflettendo.
- Già.- assentì Elena, con un tuffo al cuore al ricordo della tragedia che il mostro aveva provocato nella notte ai danni di una povera sedicenne indifesa.
- Ed è un Mikaelson... anche se non è Nick, il novello martire figlio di Elijah.- proseguì Damon, socchiudendo gli occhi cerulei e vigili. – E’ biondo, aitante, crudele e Rebekah si farebbe in quattro per salvargli le penne perché resta comunque suo nipote...- Elena intuì che lui voleva portarla, attraverso un sottile ragionamento, alle sue stesse conclusioni e perciò continuò a confermare le sue affermazioni.
- Sì, esatto.- annuì, tamburellando nervosamente con le dita sul malridotto cancello di casa Donovan.
- Pare che abbia perfino una vena artistica nascosta… sai, passione per la pittura e tutto il resto, nel senso più macabro del termine, ovviamente: disegni sul muro, simboli, frasi allarmanti… sembra affetto da manie di protagonismo. Magari tutto ciò è dovuto a delle carenze affettive subite nell’infanzia, magari è un orfano ed è alla disperata ricerca di attenzioni… per questo appoggerebbe persino la zietta pazza nel suo piano di vendetta.- cantilenò Damon, ormai quasi deliziato dalla propria intuizione. – Disturbato, calcolatore… ti dice nulla? Ti ricorda qualcuno?-
Elena sollevò un sopracciglio, un po’ tentennante.
-Non ti seguo, io...- mentì, solo per impedirsi di prendere sul serio la terribile eventualità che lui le stava porgendo praticamente su un piatto d’argento.
- Oh, andiamo, Elena…- sbuffò Damon, con aria comunque trionfante. -… con quanti altri Originali è andata a letto quella sporcacciona di Hayley, escludendo Elijah, diciassette anni fa?-
 
*** 
 
- Quindi, in pratica, se non ho capito male…- bofonchiò Mattie, sorniona, percorrendo con la sua solita andatura saltellante il Wickery Bridge e respirando a pieni polmoni il vento freddo e frusciante che alitava tutt’intorno a lei e a Nick. Il giovane, riscuotendosi bruscamente dal proprio silenzio assorto, smise di ascoltare l’affascinante ed impetuoso scorrere del fiume sotto il ponte e la fissò intensamente mentre tentava di rimettere insieme le proprie idee. -… tu hai un diabolico fratello maggiore che, saltuariamente, se ne va in giro nel cuore della notte ad appiccare incendi e ad aggredire fanciulle indifese… giusto?- riassunse con semplicità la Lockwood, dando un calcio noncurante ad un sassolino e cercando di rilassare i propri muscoli facciali in un’espressione non troppo turbata.
- Un fratellastro.- la corresse Nick, pacato, quasi contento che il suono dell’acqua corrente coprisse almeno in parte la sua voce roca e sommessa. -Prince… si chiama così. Noi… non siamo molto legati, è un po’… complicato. Ha il mio stesso cognome, comunque, ed il mio stesso grado di parentela con Rebekah. Appena maggiorenne è andato via di casa per non dover più sottostare alle regole di nostra zia ma ora dev’essere tornato… dev’essere stato lui a scatenare tutto questo trambusto a Mystic Falls, di recente. Non c’è altra spiegazione plausibile ed io… avrei dovuto immaginarlo.- le ultime parole del ragazzo, sussurrate tra i denti, diedero a Mattie la sensazione che lui avesse nell’anima molto più tormento e molti più segreti di quanti, in effetti, non avesse fatto trapelare fino a quel momento e questo la spinse a provare un forte moto di compassione e tenerezza nei suoi confronti.
- Prince.- borbottò Matt, sprezzante, scuotendo impercettibilmente la testa e cercando di farlo sorridere. – Che razza di nome… un po’ pretenzioso, vero? Immagino che rispecchi la sua personalità... emh… bizzarra.- aggiunse, incrociando le braccia sul petto, nascondendo le mani ghiacciate nell’incavo dei gomiti e continuando a camminare per evitare che le si bloccassero le ginocchia dall’ansia e dalla curiosità.
- Già… suo padre, per un periodo, voleva diventare il Re di New Orleans, perciò...- le spiegò lui, distratto, poi si rabbuiò. –… in effetti questa sarebbe una storia parecchio lunga da raccontare.- notando che gli occhi neri di Nick si stavano rannuvolando almeno quanto il cielo fosco e scuro sopra di loro, la nanetta ripartì all’attacco:
- Però… hai un fratellastro killer che fa mobilitare mezza città contro di te, davvero fico. Ed io che pensavo che essere figli unici fosse noioso!- Nick le rivolse un’occhiata a metà tra l’esasperato ed il riconoscente, soffiando aria calda sulle proprie dita per riscaldarle un po’ mentre il vento gli spettinava irrimediabilmente i bei capelli castani, e lei ghignò, soddisfatta del risultato, prima di accigliarsi di nuovo.
- Non è stata una mossa molto intelligente, da parte tua, la decisione di non raccontarlo anche a Demi e a Sheila.- ammise, schiettamente, osservandolo per non lasciarsi sfuggire neppure un dettaglio del suo cipiglio. – Ti ho invitato a casa mia per permetterti di dire loro tutta la verità e… insomma… - esitò, nel tentativo di trovare le parole adatte per non ferire ulteriormente i suoi sentimenti. -… non credo proprio che tu abbia solo accidentalmente dimenticato di menzionare il fatto che Hayley e Klaus avessero avuto una tresca poco prima che lei sposasse Elijah e mettesse al mondo te.- disse, tutto d’un fiato, con i fari della Ferrari nera lì accanto che illuminavano solo una piccola parte del suo viso rotondo e concentrato.
- No, infatti.- mormorò Nick, sincero e con lo sguardo basso, stringendosi nelle spalle. Ricordare quanto caparbiamente ed indegnamente avesse tentato, di recente, di riconquistare la fiducia della Salvatore, celandole comunque una porzione tanto consistente della verità, gli fece percepire un moto di colpa farsi spazio nelle sue vene, sgomitando, facendogli quasi mancare il respiro. – Ma, fino ad oggi, fino al tuo arrivo in quel bar, con quello spaginato quotidiano tra le mani, ero solo pieno di dubbi e di sospetti… un po’ paranoico, a dirla tutta, ma fondamentalmente troppo vigliacco per ammettere a me stesso la realtà. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che tutti gli eventi che si stavano susseguendo in città potessero essere davvero ricollegabili a lui… non volevo crederci.- lui disse tutto questo in tono piatto ma Matt percepì perfettamente la presenza di un’infinita tristezza nel suo sguardo, negli stessi occhi che, misteriosi, tormentati ed indecifrabili, avevano stregato l’inarrivabile Demi tra i banchi di scuola durante la prima lezione di Storia e l’avevano spinta così irragionevolmente a fidarsi di lui, nonostante le sue problematiche familiari.
- Un momento, pausa!- lo interruppe con veemenza la biondina, ad un tratto sgomenta. – Di che stai parlando? Quali altri eventi avrebbero a che fare con il ritorno in città del tuo ambiguo fratellone, di grazia? Se escludiamo il falò dell’altra notte, è ovvio.-
Nick fece comparire sul proprio viso un sorriso cupo davanti alla sua ignara sorpresa e sollevò le spalle, con aria rassegnata e consapevole.
- Chi altri potrebbe aver mandato i componenti del mio branco a cercarmi in Biblioteca, la sera dell’aggressione nella Foresta, se non Prince?- le domandò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. – Sapevano esattamente dove trovarmi, conoscevano le mie debolezze, hanno giocato con me per tutto il tempo, menzionando i miei genitori e ingannandomi spudoratamente… solo per arrivare alla Chiave.- sibilò, osservando la desolazione del luogo isolato e quasi ostile che aveva scelto per rivelare il segreto alla sua unica vera amica. – Li avrà trovati lui, astuto ed unico altro parente di mia madre al mondo, e li avrà aizzati, indirizzandoli verso questa città. Avrà lasciato fare a loro il lavoro sporco, anche per non esporsi direttamente alle eventuali ire di Rebekah, certo… sarebbe stato perfettamente nel suo stile, un piano simile. Scaltro e sottile, finalizzato esclusivamente ai propri fini egoistici.- Mattie rabbrividì appena, pensando seriamente a quanto non le piacesse lo ‘stile’ ribelle del figlio del famigerato Klaus che, a quanto pareva, non era meno pericoloso del padre che i suoi genitori, assieme ai loro amici, avevano tentato per anni di neutralizzare.
- Perché non venire lui stesso a compiere la sua tanto importante impresa assassina?- chiese la Lockwood, con una vena di sarcasmo ed una strana luce combattiva negli occhi. – Perché affidare un lavoretto del genere a tre zerbini che poi si sono rivelati dei completi incapaci? Insomma… se questo tizio è così cattivo, potente e crudele come pensi avrebbe potuto tranquillamente occuparsi in prima persona di due ragazze inermi.- ipotizzò, ma Nick, con la fronte corrugata, non la lasciò neanche terminare.
- Forse, invece, non voleva affatto che Hugo, Todd e Scott portassero a termine la missione.- mormorò, con il cuore che martellava nel petto senza che potesse controllarlo. – Forse, addirittura,sperava che fallissero. Magari voleva solo provocarci, metterci in guardia, riempirci la mente di domande… a lui piace giocare con la preda.- sussurrò, con la voce che tradiva la sua furia. - E’ un sadico, il tipo di persona che lascerebbe dei messaggi enigmatici sul muro solo per puro gusto scenico.-
- Ma perché tre Licantropi dall’aria arcigna e pericolosa avrebbero dovuto dare ascolto ad un giovanotto arrogante e obbedire servizievolmente ai suoi ordini?- chiese la Lockwood, inarcando le sopracciglia, senza capire. – Perché avrebbero dovuto dare la caccia a Demi soltanto per fargli un favore?- il dolore che balenò improvvisamente sul volto serio di Nick, increspandone tutti i lineamenti finissimi, ricordò alla ragazza la gravità di alcune statue romane, dignitose ma fredde come il marmo, rese bellissime proprio a causa della disillusa smorfia solenne impressa in modo indelebile sui loro tratti. Era come il giovane le stesse guardando attraverso, come se stesse tentando di resistere al un senso di impotenza ed orrore che tentava di afferrarlo ogni volta che pensava a Demi come alla tragica soluzione di tutti gli enigmi… senza riuscirci.
-E’ chiaro che non ho la più pallida idea di quello che ha in mente Rebekah…- bisbigliò, quasi senza muovere la bocca. –… ma, se Prince è tornato sul serio, so esattamente cosa potrebbe volere lui.- Mattie, immobile sul posto, non disse nulla per un po’ e non distolse lo sguardo dal ragazzo, come pietrificata dall’attesa e dall’improvviso terrore. – la Chiave …- ripetè Nick, pallido come l’alabastro, con uno scatto quasi involontario della testa, come se stesse tentando di scacciare una mosca molesta. Ormai sembrava fuori di sé, come se stesse ragionando da solo con se stesso, e camminava avanti ed indietro, riflettendo, dimentico della presenza rassicurante di Mattie accanto a sé e della possibilità di trovare in lei il solito conforto. – … la chiamavano così, quei traditori, i suoi meschini alleati, non è vero? Certo… devo ammettere che così tutto avrebbe un senso…-
- Puoi spiegarmi che cosa accidenti ti sta passando per la mente oppure dovrò farmi prestare qualche facoltà paranormale da Sheila per scoprirlo da sola?- ringhiò la figlia di Caroline, con voce stridula, inseguendolo per acchiapparlo e costringerlo a guardarla in faccia.
- Non capisci?- sbottò Nick, senza rendersi conto di stare urlando. - Se una chiave è fatta per aprire, c’è solo una cosa che Prince vorrebbe poter aprire, l’unica da cui è stato ossessionato per tutta la vita!- la Lockwood socchiuse le palpebre in una smorfia attenta e spaventata ma non si allontanò da lui di un millimetro. Erano talmente vicini… Mattie sentiva quasi il suo respiro sulle labbra ma non allenò la stretta sul suo braccio tremante.
- Vorrà aprire la tomba di suo padre...- ansimò, sconcertata ma ferma, con un improvviso lampo di comprensione nello sguardo. Nick non la contraddì, non fiatò neppure, devastato. –… la tomba di Klaus.- 

Image and video hosting by TinyPic


***











Vorrei dire grazie a tutti quelli che hanno avuto la pazienza di pazientare fino a questo aggiornamento.
Grazie a tutti voi, a voi che avete saputo consolarmi, aspettarmi, incoraggiarmi e augurarmi la buona fortuna ogni santissimo giorno durante la mia lunga scalata verso la 'Maturità classica'. Non potrei avere dei fan e dei lettori migliori di tutti voi... spero che questo capitolo abbia soddisfatto le vostre aspettative... chissà cosa ci riserverà il prossimo! OMG <3
Un bacio a tutti e a prestissimo, stavolta... venite a trovarmi qui... vi aspetto --->  
https://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=hl <3

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Rain ***



Image and video hosting by TinyPic
-Dannata, dannatissima serratura.- imprecò tra sé Mattie Lockwood, emettendo un breve ringhio stizzoso e lottando ancora per qualche minuto contro il lucchetto freddo del proprio ammaccato armadietto scolastico. Sapeva benissimo che con le mani che tremavano così instancabilmente sarebbe stato praticamente impossibile riuscire ad aprire quella porticina di acciaio grigiastro, ma decise comunque di non arrendersi e di continuare a scuoterla con impeto, cercando di calmare i propri nervi, tesi come corde di un arco pronto a vibrare il colpo, e di respirare a fondo.
La sera prima era andata a letto con un mal di testa martellante ma, adesso, si sentiva addirittura spossata, quasi febbricitante… oltre che parecchio arrabbiata. Come se non bastasse, poi, il colore deprimente e cupo del cielo tempestoso là fuori, seguito dal suono delle pesanti gocce di pioggia che battevano contro i vetri delle finestre del Mystic Falls Institute, non aiutava per niente il suo pessimo umore a migliorare; pioveva ininterrottamente dal pomeriggio in cui, assieme a Nick, aveva percorso il Wickery Bridge e, dentro di lei, i tuoni rombanti ed accusatori della coscienza risuonavano ancora, più forti che mai.
 
- Sarà meglio mettersi al riparo.- le aveva detto piano Nick, scostandosi la frangia di capelli castani dalla fronte irrimediabilmente corrucciata. Un lampo accecante aveva squarciato del tutto il cielo plumbeo sopra di loro e così il ragazzo dal viso splendido e tirato dalla tensione aveva fiutato nell’aria ormai umida e densa l’imminente arrivo di un temporale. - Andiamo, nana, ti riaccompagno a casa.- aveva mormorato seccamente, facendole cenno di seguirlo fino all’impeccabile Ferrari nera. La Lockwood gli aveva lanciato un’occhiata stupita e penetrante e Nick, sentendo dei piccoli passi affrettati raggiungerlo in un attimo, aveva chiaramente percepito gli occhi color del mare di lei bruciargli sulla pelle pallida.
- Potremmo fare un salto a casa Bennett, sai.- aveva azzardato Matt, con il solito tono innocente e allegro, come se quella appena pronunciata fosse stata sul serio un’idea comparsa per puro caso nella sua testolina bionda e arruffata. - Qualcosa mi dice che Demi vorrebbe tanto essere informata sulle ultime novità.-
Lo sguardo di Nick si era immediatamente acceso al nome della Salvatore ma lui anche aveva scosso il capo, lentamente, fissando Mattie con un breve sospiro sulle labbra strette in una smorfia di dissenso.
- Nessuno deve ancora sapere dell’arrivo di Prince, ok?- le aveva detto, con le pupille stranamente dilatate, di un nero immobile ed indecifrabile quanto deciso. Il rombo di un tuono aveva fatto tremare le nubi cupe e minacciose sopra di loro, senza però coprire la necessità celata nella voce calda di Nick: - Soprattutto Demi.-
 
I corpi frettolosi degli studenti, radunati nella solita schiamazzante folla appena fuori dalle aule, si scontravano e sfioravano senza sosta nel corridoio poco lontano da Mattie, passandole davanti con innaturale serenità.
Lei, cercando disperatamente di svuotare la mente, diede un’occhiata furtiva alla propria sinistra, in attesa delle proprie migliori amiche, probabilmente ancora impegnate nella classe di Economia.
Per la prima volta nella sua vita, quella mattina, Mattie aveva quasi avuto paura di incrociare lo sguardo ancora ignaro di Demetra e Sheila: dopo la morte misteriosa di Tina O’Neil, infatti, consapevole del grande segreto che le rivelazioni di Nick le avevano svelato, la Lockwood non era ancora riuscita a condividere con loro un momento di pace e sincerità, non senza sentirsi dolorosamente spezzata in due dalle circostanze.
 
-Ahhh… ma allora Sheila aveva ragione!- aveva sorriso Mattie, con un ghigno fintamente risoluto. – Hai davvero qualche rotella fuori posto, tu!- aveva completato, cogliendo alla sprovvista Nick, che fino a quel momento, le era sembrato assolutamente calmo e rilassato, così imperturbabile da farla infuriare.
- Qual è il tuo problema?- le aveva chiesto il ragazzo, con cauto tono di sfida, battendo le palpebre con una punta di controllata incredulità nel cipiglio. Mattie aveva cercato di concentrarsi sul problema, leggermente stordita dalla reazione del suo interlocutore e dal delicato suono che la pioggia ancora lieve aveva appena cominciato a provocare tutt’intorno, accarezzando quasi piacevolmente la superficie del fiume, i bordi del ponte, i loro abiti. 
- PRONTO?!- gli aveva urlato, scandalizzata. - Hai per fratello un maniaco che sta cercando di risvegliare Klaus che, a sua volta, considerando i tuoi standard di famiglia, potrebbe essere più sadico e malvagio dell’adorabile zia Rebekah… e vuoi tenerglielo nascosto? Cos’hai nel cervello, strozzalupo?- un muscolo sulla mascella di lui si era contratto, conferendo al suo viso un’espressione a metà tra il colpevole ed il determinato.
- Voglio parlare con Prince, prima, faccia a faccia. Devo trovarlo.- le aveva confidato con durezza, stringendo fermamente i pugni ai lati del busto e ricominciando a camminare verso l’auto. - Gli dirò di andarsene... che non c'è nulla per lui qui. Farò in modo che non faccia del male a nessuno, a qualsiasi costo.-
Mattie era rimasta a bocca aperta, senza parole, come svuotata. Se Prince era davvero un assassino, un manipolatore, un vendicativo e se, a quanto pareva, non era sul serio legato al fratellastro minore… cos’aveva intenzione di risolvere quel pazzo di Nick, ordinandogli semplicemente di lasciare Mystic Falls e di non portare a compimento i propri sanguinosi piani di conquista e derisione?
- D'accordo, come vuoi...- aveva bofonchiato Mattie, con lo stomaco in subbuglio, seguendolo fino al lucidissimo sportello del passeggero, fingendo di assecondarlo. - … nel frattempo mi diresti il colore?- gli aveva domandato, scrutandosi le unghie con finta noncuranza.
- Quale colore?!- si era stupito il giovane Mikaelson, aggrottando le sopracciglia in un’espressione stupita.
- Il colore delle rose con cui dovrò addobbare la tua camera mortuaria dopo la tua bella chiacchierata fraterna.- aveva risposto prontamente la Lockwood, con tono eloquente, facendo balenare un ghigno canzonatore. - Ti piacciono gialle?-
 
‘Com’è possibile che gli sia saltata in testa una roba così idiota?’ si interrogò mentalmente Mattie, furente, tirando verso di sé il lucchetto come se volesse staccarlo dal piccolo gancio che lo teneva fissato all’armadietto ed immaginando di scrollare allo stesso modo le spalle del suo amico, per farlo rinsavire.
Era più che sicura, infatti, che, per fare la ‘cosa giusta’, Nick sarebbe finito col farsi ammazzare e il solo pensiero di una simile possibilità le dava le vertigini.
Se proprio lui ci teneva tanto a morire, anche solo per aver pensato ad una sciocchezza del genere, Mattie avrebbe potuto decidere di accontentarlo, magari cominciando con un calcio ben mirato nel…
- Ti serve una mano?- la ragazza sobbalzò sul posto nell’udire la voce suadente e lievemente ironica che aveva appena pronunciato quella frase e, quando la figura alta e slanciata di un ragazzo in jeans, maglia scura e splendidi capelli castani invase il suo campo visivo, si lasciò scappare un gridolino di sorpresa e indignazione.
- No.- biascicò, tornando a tormentare il lucchetto con il broncio stampato su ogni centimetro del viso paffuto. Nick Mikaelson alzò gli occhi al cielo, emettendo uno strano versetto impaziente, poi la aiutò a sbloccare la serratura difettosa, sfiorando con le sue dita quelle della ragazza, ancora ostinatamente avvinghiate al lucchetto.
- Ecco fatto.- disse gentilmente, dopo un momento, quando un leggero schiocco consentì alla porticina di spalancarsi, mostrando finalmente la montagna disordinata di libri di cui Mattie aveva bisogno. - Ah… ricordati di prendere il terzo volume di Storia. La prossima ora è con mia zia.- la ragazza rimase in silenzio per un secondo, lottando con se stessa per non lasciarsi tormentare dalla sensazione di angoscia che la sola prospettiva dell’imminente lezione di Rebekah le provocava dentro, poi, a malincuore, scaraventò il suddetto librone spaginato nella borsa. Nick fece una pausa perplessa, poi ci riprovò:
- Ce l’hai ancora con me?- mormorò, scrutandola con poca convinzione. Lei non fiatò. – Non mi succederà nulla, nana, ne abbiamo già discusso… piantala di essere così preoccupata.- continuò, risentito, mentre la biondina sbatteva con malagrazia l’armadietto tintinnante e gli voltava le spalle per raggiungere le scale, con il naso per aria. – Devo parlare con Prince anche solo per capire esattamente che cos’ha in mente… non ho intenzione di presentarmi lì per uno scontro ravvicinato con lui, so perfettamente che potrebbe essere pericoloso! Ma sono l’unico che, al momento, può fare qualcosa… e metterlo alle strette potrebbe essere utile per proteggere la città… per proteggere Demi… non capisci?-
- Capisco!- sbottò Mattie, girandosi di colpo verso di lui con tanta veemenza che gli pestò un piede. Qualche ragazzina superficiale si voltò verso di loro, sprezzante, senza capire come potesse fare quello scricciolo di Matt a rivolgersi in quel modo scortese ad un ragazzo così bello e sospirato. – Capisco perfettamente che tu, come al solito, vuoi cavartela da solo e fare l’eroe della situazione ma non è così che funziona.- proseguì lei, imperterrita, adesso, però, quasi bisbigliando.
- Le ho deliberatamente tenuto nascosta l’esistenza del figlio di Klaus che, tra le altre atrocità,  è sicuramente stato il mandante della sua aggressione nella Foresta.- replicò Nick, sforzandosi di essere obbiettivo e di mantenere ferma la voce. La pioggia inarrestabile là fuori non faceva che ricordargli la notte in cui lui stesso aveva attirato la Salvatore e la Bennett in trappola, nella bufera più cupa, nella tragedia fortunatamente solo sfiorata. – Un nuovo nemico che, tanto per cambiare, ha il mio stesso sangue che scorre nelle sue vene…- inspirò profondamente, sopraffatto. -… come farà a fidarsi di me quando lo saprà?- Mattie sbuffò sonoramente, con la voglia di fargli una bella tiratina d’orecchi che cozzava fragorosamente con il desiderio insano di abbracciarlo.
– Non puoi pretendere che Demi o chiunque altro si fidi di te quando tieni nascosti dei segreti così importanti.- gli assicurò, senza mezzi termini. – E, peggio ancora, quando vuoi metterti nei guai senza valutare bene tutte le possibili conseguenze. Se davvero ci tieni così tanto, se davvero vuoi fare qualcosa per prenderti cura di lei…- la voce le si spense in gola per un momento ma la figlia del Sindaco non si fermò. - … allora dille la verità. Avvisala del pericolo, stalle vicino, chiedi perfino il suo aiuto… qualunque cosa… purchè tu sia sincero con lei!- come lo sei stato con me.
Nick aprì la bocca per controbattere ma, dopo un momento di amara riflessione, la richiuse. Deglutì, assorbendo la saggezza di quelle parole scomode quanto reali, ed abbassò il capo.
Mattie, con il respiro reso affannoso dall’impeto della sua ramanzina, non riuscì a rimanere poi così arrabbiata davanti alla sua evidente malinconia e gli sfiorò un braccio con la mano, senza averlo premeditato, solo per rincuorarlo.
- Forza, compare.- lo incoraggiò, con un lieve sorriso comprensivo. -  Al piano di sopra ci aspettano due interminabili ore della ‘materia maledetta’, insegnata da qualcuno di biondo, saccente e molto cattivo. Sono sicura che, se dovessimo arrivare tardi, tua zia farebbe sembrare il tuo psico-fratellone un simpatico venditore di zucchero filato per bambini. Andiamo!-
 
***   
 
Demetra era davvero felice che la tortura scolastica quotidiana stesse quasi per terminare: dopo essere stata trattenuta dal panciuto ma affabile professore di Economia per un chiarimento, voleva solo evadere da quel mondo ristretto e soffocante fatto di aule affollate e di pettegolezzi e, soprattutto, voleva poter dimenticare al più presto come, in tutte le classi che aveva frequentato durante la giornata, il posto in fondo a destra di Tina fosse rimasto irrimediabilmente vuoto e triste.
La notizia della sua improvvisa morte l’aveva sconvolta completamente quando, seduta sul soffice divano blu di casa Bennett assieme a Sheila, ancora china nel tentativo di decifrare le iscrizioni sulla pergamena che Nick le aveva affidato, aveva sentito il notiziario di Mystic Falls darne il tragico annuncio.
Secondo il telecronista, due sedicenni erano state aggredite da una bestia feroce nel cuore della notte mentre si trovavano ai margini della città e, se la O’Neil aveva avuto la peggio, la sua migliore amica, Kayla Stone, era ancora in ospedale in un reparto di terapia intensiva.
La depressione che quel dramma aveva provocato sulle menti degli studenti del college era palpabile e Demi se ne sentiva perennemente stordita, braccata, ferita.
Ad esempio, percepiva di continuo i propri polmoni stranamente roventi, come se fosse sempre sull’orlo di un’esplosione, come se volesse costantemente proteggersi da qualcosa o da qualcuno attraverso quello strano meccanismo magico che una volta le aveva salvato la vita da Stefan e che, adesso, sapeva le sarebbe potuto tornare davvero molto utile contro dei nuovi pericoli.
Era un’emozione tutt’altro che spiacevole, quella di sentire un assurdo Potere incandescente vibrarle e crescerle come fuoco nel petto, ma, ogni volta che Demetra provava ad abbandonarvisi, una voce familiare le tornava alla mente, riportandola precipitosamente con i piedi per terra.
Conosco quella sensazione di onnipotenza, sai.
Deve essere stato strabiliante per te riuscire a resistere ad una compulsione e sputacchiare qua e là un po’ di vapore come scudo, non è vero?
Mi dispiace deluderti, Demi, ma un paio di trucchetti da dilettante non basteranno a proteggerti.
Damon. Lui l’aveva totalmente colta alla sprovvista con quelle affermazioni così disilluse ma anche con la sua presenza, con il suo carisma e con lo sguardo ceruleo, magnetico e furtivo che aveva continuato a rivolgere al suo viso per tutto il tempo, a casa di Sheila.
Quelle occhiate le erano sembrate criptiche ma anche tenere, come bramose di dettagli preziosi, e Damon stesso le era appaso, in qualche modo, impaziente, desideroso di recuperare, in piccoli gesti concreti, tutto quello che in quegli anni di lontananza si era lasciato alle spalle.
Il fratello di Stefan, che era diverso da lui così come il sole ardente e indispensabile differisce dalla luna pallida e rassicurante, a Demi piaceva moltissimo ma stargli accanto era una vera sfida perché, nel profondo, loro due erano estremamente, incredibilmente simili: entrambi erano testardi, impulsivi e qualche volta anche insopportabilmente sfrontati ma, in fondo, anche così vulnerabili
- Un rapporto disciplinare per il suo spudorato ritardo sarebbe l’ideale, signorina Salvatore.- la professoressa Rebekah Mikaelson, da dietro la sua lunga ed elegante scrivania, arricciò le labbra carnose e oscenamente lucide in un sorriso estremamente soddisfatto quando la sua alunna dagli occhi color del cielo entrò nell’aula di Storia, facendo piombare il più completo silenzio tra i compagni.
Demi, chiudendosi cautamente la porta della classe alle spalle, lanciò una rapida occhiata all’orologio rotondo affisso alla parete laterale (la cui sottilissima lancetta dei secondi ronzava impercettibilmente mentre le altre due, più grosse e visibili, segnavano solo tre minuti in più rispetto all’orario stabilito per l’inizio della lezione) poi scrollò le spalle e si morse la lingua per non protestare irriverentemente.
Sarebbe stato inutile, infatti, visto e considerato il crudele piacere che quella donna provava nell’infliggerle punizioni insensate, tentare di spiegarle che era stato il professor Peters a trattenerla di sotto e che non aveva mancato ai propri doveri per futili ragioni…del tutto inutile e rischioso...

Image and video hosting by TinyPic
- E’ già il quinto, questa settimana.- rincarò la dose Rebekah, deliziata, sottolineando con la penna rossa la nota scarlatta che aveva appena finito di compilare.
- Solo perché nel week-end la scuola resta chiusa, professoressa.- scattò Demi, facendosi fieramente largo tra i banchi e gli zaini ed allontanandosi il più possibile dalla cattedra.
Parecchi ragazzi sogghignarono sotto i baffi e, facendo posto accanto a sé alla propria temeraria migliore amica, Sheila notò con terrore come gli occhi chiari e crudeli di Rebekah stessero mandando lampi nella loro direzione.
Nick, seduto poco lontano da loro, si mosse nervosamente sulla sedia e strinse forte una matita tra le dita, fin quasi a spezzarla, osservando ansiosamente la scena, in uno stato di impotente attesa.
- La tua impudenza è quasi sorprendente, Salvatore.- commentò freddamente la Mikaelson, fissando Demi di sbieco, con il trionfo ancora impresso nel fondo delle iridi spietate. Proruppe in una beffarda risata di scherno che gelò persino il sangue che scorreva rapido nelle vene bollenti della ragazza mora, poi si alzò, mostrandosi in tutta la propria sinistra e statuaria bellezza. – E dico quasi solo perché, come saprai, cattivo sangue non mente… mai.-
Demi trattenne rumorosamente il respiro quando Sheila le diede un calcio sotto il tavolo per impedirle di rispondere ancora a tono e, con la vista annebbiata dalla furia, dal lieve dolore alla gamba destra e dal pizzicore nel petto che continuava a tormentarla, si impose di tacere.
Cattivo sangue… ma che diavolo…?
Tremante, tenne lo sguardo fisso sul libro che Sheila le aveva appena messo sotto il naso, ostinatamente decisa a non guardare Rebekah e a non provocarla oltre, poi cercò di bloccare come meglio poteva il flusso di pensieri ed imprecazioni che le si stava riversando nel cervello. Alla fine, con estrema lentezza, la bionda Mikaelson smise di puntarla come un avvoltoio e cambiò repentinamente bersaglio.
I suoi tacchi vertiginosi risuonarono con forza, simili alle gocce di pioggia picchiettante che si scagliavano ancora con violenza contro i vetri e le imposte, mentre si avvicinava languidamente al banco dell’unica ragazza del trio che sapeva di poter torturare impunemente a proprio piacimento.
- Signorina Lockwood… si sente bene, oggi?- domandò, melliflua, notando l’espressione eloquente di Mattie, che sembrava semplicemente nauseata. – Oppure sta fingendo un malore per evitare di aggiungere un’altra F alla sua già disastrosa media? Le assicuro che fare un salto in infermeria per aver mangiato troppo a colazione non l’aiuterà a risollevare le sorti della sua penosa carriera scolastica.-
- Sto benissimo.- soffiò la ragazza, con un sorriso stentato, facendosi piccola piccola sul posto. – Grazie.-
Demetra sentì una fitta al cuore quando capì che la sua amica era rimasta intimamente ferita dalle punzecchiature di cattivo gusto di Rebekah e cercò il suo sguardo oceanino per scusarsi: se lei non l’avesse istigata, probabilmente la loro insegnante non l’avrebbe presa di mira ed umiliata così…
- Già, lo vedo.- disse la professoressa, con un cenno insolente, non ancora del tutto appagata. – Sai, Lockwood, capirei la tua inettitudine se, come tua madre ai suoi tempi, tu sprecassi la tua giornata in frivolezze egocentriche come quella di impersonare il capo delle cheerleader, la volontaria alla mensa dei poveri e il segretario per il Comitato per la cura della città. Ma, evidentemente…- e caricò di allusivo disgusto le sue parole. -… non è il tempo a disposizione per lo studio, il tuo realeproblema…-
Ti prego… supplicò silenziosamente Demi, ascoltando un inudibile e ingarbugliato borbottìo provenire dalle labbra di Sheila che, accanto a lei, era a capo chino, come in preghiera. Per favore, fa’ che la smetta…


Image and video hosting by TinyPic

In quel momento, un tuono terrificante scoppiò in lontananza e le imposte di legno della finestra cedettero, spalancandosi con inaudita violenza e permettendo ad un po’ della tempesta in atto all’esterno di zampillare, trascinata dal vento, in classe, investendo persino alcuni alunni nei paraggi.
La professoressa Mikaelson che, prontamente, si era scostata al riparo, strizzò gli occhi trafelati e accusatori e li rivolse d’istinto nell’ala centrale della stanza, soffermandosi con particolare odio sulla faccia compiaciuta della sua alunna Bennett.
Demi, cogliendo i sottintesi celati nell’elettricità incendiaria in quel sospettoso scambio di sguardi, comprese che la strana litanìa pronunciata solo un momento prima da Sheila doveva aver avuto qualcosa a che fare con il contrattempo apparentemente casuale che aveva tappato la bocca a Rebekah e, rallegrata, si trattenne dall’esultare.
Quando un ragazzo grassoccio con il viso pieno di lentiggini richiuse la finestra e il mormorìo degli altri scolari si placò del tutto, l’insegnante inspirò profondamente e indietreggiò appena, tornando alla propria postazione abituale e sedendosi sul suo seggiolino con le lunghe e sinuose gambe incrociate.
-Alcuni vostri risultati nella mia materia sono alquanto deludenti, quest’anno, e la faccenda va risolta immediatamente, che lo vogliate oppure no.- esordì, con la consueta voce infantile ma, stavolta, anche autorevole. - Perciò ho pensato che i più mediocri tra voi potessero tentare di recuperare le catastrofi degli ultimi compiti in classe attraverso un’azione concreta e un po’ meno cervellotica ma, ovviamente, essenziale per il patetico funzionamento del sistema educativo di questa città.- il disprezzo, nel suo tono, si coglieva ad ogni pausa ma era impreziosito da certe inflessioni trepidanti che, agli studenti, mettevano i brividi. – Ci sarà un Ballo, come per tradizione, nelle prossime settimane, ovvero una festa organizzata dalle Famiglie Fondatrici e finanziata direttamente dall’Associazione Storica di Mystic Falls.-
- Che? Un ba-ballo?- chiese Matt, di slancio, prima di riuscire a trattenersi. Lei, che, al contrario della propria festaiola madre, durante le precedenti danze celebrative scolastiche si era sempre rintanata in casa per evitare di avere a che fare con abiti, lustrini e luci soffuse di qualsiasi genere, sembrava più scioccata degli altri e, sicuramente, molto più addolorata del solito dal fatto di essere una delle prime voci a comparire sulla ‘Lista delle incallite teste vuote’ perfidamente stilata da Rebekah. 
- Proprio così.- specificò la Mikaelson, serafica, affondando ancora di più l’autostima di Mattie. – E, ovviamente, il Gran Consiglio dei Fondatori conta da sempre sull’ausilio dell’insegnante di Storia per il successo dell’intera iniziativa. Purtroppo, con tutti i miei ingestibili impegni…- tirò fuori una vocetta piagnucolosa che fece rizzare i capelli sulla nuca di Demi. -… non potrei dedicarmi al progetto con tutta la dedizione che esso merita di ricevere… quindi ho pensato bene di lasciare ad alcuni di voi la nobile opportunità di occuparsene.-
Matt roteò gli occhi, incredula, mentre Rebekah scorreva con crudele piacere i nomi appuntati nel suo registro e Sheila, scuotendo il capo con aria rassegnata, le faceva segno di non mugugnare.
-Il compito verrà assegnato agli studenti con le medie più problematiche, per non dire ormai irrecuperabili, del mio corso… vale a dire a Matilda Lockwood…-  la bocca della figlia di Caroline tremò di muta disperazione. – … Sheila Bennett…- gli occhi scuri della ex-studentessa modello dell’intero Istituto luccicarono di ira repressa. –… e, naturalmente, anche a Demetra Salvatore.- Demi provò un leggero brivido quando nella sua testa riverberò il cocente ricordo del primo appello con Rebekah ma non lo diede a vedere, soffocando il desiderio di mettersi ad urlare ‘INGIUSTIZIA!’ davanti a quelle calcolatissime torture psicologiche. – Ovviamente, se non doveste riuscire a predisporre correttamente il vostro lavoro e, soprattutto, se qualcosa dovesse malauguratamente andare storto a causa della vostra incompetenza… la bocciatura sarà l’unica arma ancora in mio potere per garantirvi la giusta punizione.- Sheila inorridì all’istante ed i crespi riccioli le ricaddero sulla fronte, come afflosciandosi di colpo. – L’unica cosa che mi sono permessa di stabilire, in quanto vostro coordinatore ufficiale, riguarda la modalità di scelta del partner per le coppie impegnate nelle danze: saranno le ragazze ad invitare e non viceversa.- Mattie si premette una mano sulla fronte, desiderando con tutta l’anima essere inghiottita da una voragine qualsiasi nel pavimento polveroso. – Per quanto riguarda il tema, sarete libere di sceglierlo e, ovviamente, conto sul fatto che la vostra decisione non si riveli prevedibile o scialba o…-
-Voglio partecipare anche io.- la voce calma e suadente che aveva interrotto la sua petulante lista di informazioni fece sgranare gli occhi alla professoressa Mikaelson. Nick fece spallucce, incrociando lo sguardo interrogativo e stupito di Demi con slancio e ardente determinazione, poi tornò a muovere le labbra rese sottili dalla sua espressione seria. – Intendo dire… all’organizzazione del Ballo.-
- Non ha bisogno di alcun progetto di potenziamento con i suoi voti, signor Mikaelson.- sbottò Rebekah, completamente attonita, scoprendo i denti in una smorfia furibonda e cercando di suonare imparziale.
- Appunto.- convenne Nick, mantenendo fermo il proprio tono. Mattie, che ormai vegetava, completamente abbandonata sulla propria sedia, sentì comunque un moto di rispetto nascerle nel petto per il coraggioso e protettivo intervento del suo compare. – Credo che le mie compagne abbiano la necessità di un aiuto e non mi dispiacerebbe affatto mettermi a loro completa disposizione.-
- Che gentiluomo.- ringhiò sua zia, sarcastica, cercando di scacciare via la vivida immagine della galanteria e delle buone maniere di suo fratello Elijah che Nick le richiamava così sconvenientemente alla memoria. Alla fine, dopo qualche istante di insostenibile silenzio, fu lei a distogliere lo sguardo, sconfitta.
Poi la campanella suonò.
 
***
 
-Nick!- Demi cercò di attirare la sua attenzione nel fragore della pioggia inarrestabile in cortile, sbracciandosi fra gli alunni che, spintonandosi, cercavano di stringersi alla meglio sotto il breve porticato dell’edificio scolastico in attesa dell’autobus, senza troppo successo. – Hei… Nick, aspetta!- lui, seminascosto sotto un grosso ombrello color onice, non sembrava sentirla, almeno non in mezzo a quel brusìo incontrollato e schiamazzante di voci adolescenziali. Senza perdersi d’animo, la Salvatore si fece caparbiamente spazio tra gli altri, cercando di non urtare nessuno con eccessivo impeto e provando a sfiorargli almeno una spalla, tanto per farlo finalmente voltare verso di sé.
Quando riuscì a toccarlo, un brivido le attraversò la punta delle dita fino a perdersi nelle pulsazioni accelerate del suo cuore: non si accorse neppure di aver affondato i piedi in una larghissima pozzanghera e di essersi sporcata di viscido fango le scarpe ed i jeans aderenti, praticamente fino al ginocchio.
Quando aveva compreso l’immenso valore altruista del gesto di Nick, che si era contrapposto spontaneamente al malvagio abuso di potere della propria zia, nella fretta di raggiungerlo giù per le scale, aveva completamente dimenticato di fare attenzione a dove metteva i piedi, aveva congedato le proprie amiche con la frettolosa promessa di una futura spiegazione, aveva lasciato l’impermeabile aperto, aveva arrotolato la sciarpa in un modo davvero bizzarro attorno al collo ed, infine, aveva persino lasciato i capelli tremendamente scompigliati in balìa dell’umidità e del vento, tanto da farli assomigliare ad un mare di morbidezza increspato da lucenti onde corvine.
- Demi!- esclamò il giovane Mikaelson, girandosi di scatto, aiutandola a tirarsi fuori dalla caotica calca di studenti e a ripararsi sotto il proprio ombrello scuro ed elegante. Incontrando i suoi occhi pieni di urgenza si lasciò immediatamente incantare da quell’intenso e danzante fuoco turchino e le rivolse un sorriso sorpreso, felice. – Va tutto bene?- a Demi sembrava che fosse segretamente divertito dalla sua condizione arruffata ed assolutamente impresentabile ma Nick, da perfetto cavaliere, la contemplò comunque con la solita avida dolcezza, completamente ammaliato.
- No, affatto.- ammise lei, sentendo uno strano calore farsi strada sulle sue guance assieme alle fossette lasciate scoperte da un ampio sorriso, corso a ricambiare quello del ragazzo. – Come potrebbe, dopo aver trascorso le ultime due ore in quello stato di profonda agonia?- Nick tentennò, consapevole, poi si passò una mano sul viso, in un gesto impacciato, squisitamente ingenuo.
- Mi dispiace.- bisbigliò, costernato, con le labbra curvate in un’espressione sinceramente afflitta. – Vorrei tanto poter fare qualcosa in più per farla smettere di rovinarvi l’esistenza ma Rebekah proprio non…- Demi scosse la testa con energia, affrettandosi a posargli l’indice sulle labbra socchiuse, così, per fermare quelle superflue parole giustificatrici prima che prendessero forma.
Ormai erano a pochissima distanza l’uno dall’altra ed il suo sguardo le sfiorava, ardente, ogni centimetro del viso; le sue iridi nere, dubbiose, che circondavano le sue pupille accese e austere, le parvero impregnate di una strana, affascinante ed insperata meraviglia.
- Shhh.- lo zittì Demi, con apparente decisione, sentendo la pancia stringersi dolorosamente mentre beveva il lieve profumo di limone, vaniglia e colonia del giovane. – Sono corsa fin qui per ringraziarti di essere intervenuto, poco fa, rischiando di farle perdere le staffe… e per aver anche solo provato a salvarci dalle sue grinfie. Non rovinare il momento.- gli si avvicinò timidamente, senza più parlare, e lo strinse a sé, rifugiandosi in un abbraccio innocente, fiducioso  ma anche pieno di tacita gratitudine.
Nick battè forte le palpebre, sconvolto, sentendo i tiepidi capelli profumati della ragazza improvvisamente contro la propria guancia, poi la cinse anche lui, con vigore e gentilezza, senza riuscire a balbettare nulla di sensato.
Si sentiva sempre così bene insieme a Demi: grazie a lei i rimorsi e i più oscuri segreti sembravano accantonarsi in un angolo della sua coscienza di propria spontanea volontà e le ombre parevano essere risucchiate via da un astro di accecante ghiaccio splendente, che irradiava ogni cosa, senza che lui facesse alcuno sforzo.
- Prego.- si schernì piano, allontanandosi un po’ da lei solo per ammirare i tratti assurdamente belli della sua faccia angelica. Lei era così impegnata a fissarlo da non accorgersi della sua mano delicata posata sul proprio collo rovente, della sua bocca così invitante e così straordinariamente vicina.
Nick, guardandole le labbra rosee, piene e perfette, percepì il battito del proprio cuore riempirgli le orecchie e si sentì perfettamente stupido, estremamente coinvolto, vicino, così tanto da dichiarare i propri più inconfessabili sentimenti, da rivelarle anche un’altra, atroce ed incalzante verità…
- Stai per rovinare il momento, non è vero?- gli chiese d’un tratto Demi, inarcando un sopracciglio con aria ironica ed emettendo un tremulo sospiro surriscaldato.
Senza rispondere e senza annuire, Nick ascoltò il rilassante ma impetuoso suono della pioggia che si rovesciava impietosamente tutt’intorno, sperando di trovare nella potenza indifferente della natura circostante la forza di controllarsi, di fare la cosa giusta, per una volta. Mattie aveva sempre avuto ragione su tutto…
- Ascolta, Demi… noi non… c’è una cosa che devi sapere.- disse infine lui. Si accorse di avere la vista sfocata e così le prese le mani, stringendole teneramente tra le sue, a disagio, senza quasi riuscire a respirare. Lei lo fissò, leggermente turbata, spostando la testa di lato, come una bambina curiosa. - Vedi, io… ecco, devo dirti che…-
BEEEEEEEEEEEEEP.
I ragazzi sobbalzarono sul posto a causa di quello spropositato clacson che, con il proprio strombazzare, aveva appena coperto persino l’ennesimo tuono nel bel mezzo del temporale, e si voltarono di scatto per individuarne la fonte.
-Non ci credo.- sussurrò Demi, raggiante, sporgendosi leggermente oltre la spalla di Nick per vedere meglio: a bordo di una spettacolare Chevy Camaro blu accostata proprio accanto a loro, sotto la pioggia battente, con il viso ammiccante mostrato ad intervalli regolari dai fulminei tergicristalli in movimento sul parabrezza, c’era proprio l’ultima persona che si sarebbe aspettata di vedere nei paraggi.
- Chi è quel tipo?- le chiese Nick, a metà tra il frustrato e il sollevato, senza riuscire a cogliere bene la fisionomia del conducente. Demi fece una smorfietta impaziente e salutò lo strano personaggio alla guida che, per ricambiare, li fece nuovamente trasalire premendo il palmo sul clacson della lussuosa ed eccentrica automobile.
- Quello…- bisbigliò la ragazza, ridendo. - … è Damon Salvatore.-


Image and video hosting by TinyPic
 
***
 
La nebbiolina sottile e gelida che calava dal cielo avvolgeva completamente i mocciosi urlanti appena fuori dal Mystic Falls Institute, confondendone i contorni e la fisionomia, ma Damon non ebbe alcuna difficoltà nel localizzare una figura femminile minuta e apparentemente fragile, dai lunghi capelli neri setosi resi mossi ed indomabili dalla pioggia impietosa e dalla pelle così pallida e luminosa da risplendere di un lieve chiarore perlaceo, immobile, in piedi e al riparo sotto un ombrello di raffinata stoffa scura.
Accanto a Demi, però, al posto della solita allegra combriccola composta dall’arcigna Bennett e dalla svagata Lockwood, c’era un ragazzo moro, alto ed avvenente, vestito in modo semplice e sobrio ma allo stesso tempo impeccabile.
Quando lo riconobbe, Damon ridusse gli occhi a due fessure luminose e diffidenti: che cosa ci faceva Nick Mikaelson così vicino a lei? Praticamente le era addosso… che razza di… ma come si… q-quel…
- Damon… che cosa ci fai qui?- gli chiese ad un tratto Demetra, con una smorfia stupefatta stampata sul bel volto ridente, guardando oltre il trasparente finestrino elettrico che il vampiro aveva prontamente abbassato dopo averli raggiunti quasi sgommando. - Ciao.- lui ascoltò le sue parole a malapena, distratto com’era dal cupo ronzìo nelle orecchie che il solo vederla ad un paio di centimetri dal fascinoso figlio di Elijah gli aveva provocato, poi smise di guardare in cagnesco il ragazzo dall’aria mortificata e ricambiò il saluto della giovane con un cenno a metà tra il rimprovero ed il puro sollievo.
-  Come pensavi di tornare a casa, bambina, a nuoto?- le domandò con un breve ghigno accattivante, alzando le spalle e sfiorandola con un’occhiatina ironica dopo aver accennato all’inarrestabile temporale in corso fuori dal proprio comodo abitacolo. Seguendo il suo ammiccamento, Demi notò che ruscelli di modeste dimensioni scorrevano indisturbati agli angoli delle strade rese ormai quasi inaccessibili e che lampi accecanti brillavano ancora tra le nubi oscure, rendendo il panorama circostante parecchio losco, caotico ed inquietante. - Avanti, sali subito in macchina.- Damon usò senza un briciolo di pentimento il proprio tono perentorio da incorreggibile guardia del corpo e lei, per puro spirito di contraddizione, scosse energicamente la testa in risposta, fingendo di essere indignata da quella sua incantevole quanto insopportabile abitudine di darle degli ordini.
- Posso tranquillamente continuare ad aspettare l’autobus insieme a Nick.- disse, candidamente, gustandosi la scena: un subitaneo e prevedibile luccichìo di collera comparve nelle iridi ipnotiche di Damon proprio mentre lui inarcava piano un sopracciglio, fissandola attentamente come se stesse sul serio prendendo in considerazione la possibilità di scendere dall’auto e di caricarla di peso sul sedile anteriore.
- Giusto… oppure puoi sempre sperare che Noè venga a salvarti dal Diluvio Universale a bordo della sua celebre e mirabolante arca.- suggerì il vampiro, amabile e sarcastico, alzando gli occhi al cielo con una punta di studiata esasperazione. – Sali.- ripetè, aprendo la portiera laterale con un movimento fluido ed incalzante.
Demi rimase ancora per un attimo perfettamente ferma sul posto, accanto all’auto, con la solita fiera e testarda dignità impressa in modo indelebile nei suoi tratti squisitamente modellati, poi finalmente Damon capitolò, imbronciandosi: - Per favore?-
La Salvatore sorrise, radiosa e trionfante, voltandosi timidamente verso Nick che la osservava rapito con le labbra ancora socchiuse, pronte ad una rivelazione che gli era rimasta bloccata in gola, urticante più che mai.
- Devo scappare, ora. Ci vediamo presto…- promise, un po’ impacciata, spostandogli con una carezza i capelli castani dalla fronte corrucciata e sfiorandogli la tempia e la guancia con le dita fresche e rassicuranti. Non si arrischiò a fare nient’altro di compromettente per paura che Damon ricominciasse a far suonare a spron battuto la propria indignazione per tutto il vicinato e si congedò, dolcemente, allontanandosi. -… rimandiamo questa conversazione ad uno dei pomeriggi che trascorreremo insieme per organizzare quel dannato Ballo, ok?- mentre lei si affrettava a raggiungere la Camaro di Damon, il vampiro scosse la testa tra sé, con un sorriso sghembo e rassegnato dipinto sulla bocca.
Quella ragazzina aveva un potere assurdo e particolare su di lui, qualcosa di incomprensibilmente intenso che andava ben oltre il fugace legame che avevano instaurato durante i loro brevi incontri, qualcosa che trascendeva persino la sua marcata ed innegabile somiglianza con Elena, la loro consanguineità e le loro affinità caratteriali. Era così… sfacciatamente se stesso, quando lei era nei paraggi, sempre così poco propenso a nascondersi e a murare nella pietra dell’indifferenza tutto ciò che poteva ferirlo o sconvolgerlo…
-Però… hai l’aspetto di un uccellino mezzo annegato. Niente male.- osservò, provocatorio, quando se la ritrovò finalmente accanto, evitando di commentare con qualcosa di più caustico di un ringhio stizzito il fango rossiccio che, dalle scarpe di Demi, era finito dritto ad imbrattare la sua preziosa tappezzeria.
- Davvero divertente.- starnutì lei, chiudendo con grazia lo sportello e stringendosi nelle spalle prima di allacciare la cintura di sicurezza. - Lo prenderò come un complimento.- Damon sogghignò ma non rispose e cominciò subito a trafficare con le piccole leve sul cruscotto, azionando il riscaldamento per rendere l’ambiente interno quanto più confortevole possibile.
- Togliti quella roba fradicia di dosso.- le mormorò nel modo più gentile che riuscì a tirare fuori, alludendo al suo impermeabile zuppo di pioggia, poi si sfilò la giacca di pelle nera e gliela porse.
- Grazie.- bofonchiò Demi, piacevolmente sorpresa, prima di obbedire e di afferrare con entusiasmo il giubbotto asciutto. Era parecchio largo per lei ma lo indossò con una semplicità innata, godendo del calore che, dal corpo Damon, si era propagato fino a raggiungere quella stoffa profumata. – Mmmmh…- sussurrò, affondando il viso nella manica troppo lunga per le sue braccia ed inspirando profondamente. Quell’odore era inebriante: non c’era traccia di colonia o di qualsiasi altra spezia artificiale, era solo una fragranza che sapeva di boschi, di aghi di pino, menta e di famiglia. Le ricordava molto da vicino il profumo di Stefan, solo più delicato e più… selvatico. Damon socchiuse appena gli occhi, soffocando una risata, poi mise in moto.

Image and video hosting by TinyPic
- Allora… come mai non eri con le tue amichette del cuore, oggi, al freddo e al gelo?- chiese, fingendo un atteggiamento neutro mentre, in realtà, fremeva ancora di immotivata gelosia.
- Loro avevano un corso pomeridiano da frequentare…- rispose Demi, con un’espressione serena che donava moltissimo ai suoi lineamenti vellutati. -… perciò stavo aspettando l’autobus insieme al mio compagno di classe, Nick.- buttò lì, cercando di non lasciar trasparire alcuna emozione dalla propria voce innocente e omettendo volutamente il problematico cognome del giovane. Le dita di Damon si strinsero comunque sul volante mentre lui si accigliava, sardonico.
- Nick… sarebbe il testimonial dello shampoo con cui parlavi di poco fa?- domandò, beffardo, con un’ombra di comica incredulità nel tono.
- Yep*.- confermò lei vivacemente, annuendo e scrutandolo torva ma anche divertita. – Proprio lui.-
- Non mi piace.- brontolò il vampiro, con un sospiro enfatico, svoltando con agile rapidità a destra ed imboccando un sentiero completamente diverso da quello che Demi si sarebbe aspettata.
Come risvegliandosi di colpo da un sogno meraviglioso, la ragazza si raddrizzò sul sedile e provò affannosamente ad orientarsi nell’ambiente burrascoso e quasi indecifrabile là fuori, cercando dei dettagli familiari attraverso i vetri inondati ed appannati dell’auto. Poi rivolse a Damon uno sguardo interrogativo e truce.
- Questa non è la via giusta per raggiungere la villa di Bonnie... siamo dall’altra parte della città.- lo accusò freddamente, tentando di non tradire l’agitazione e lo sdegno. - Dove diavolo mi stai portando?- gli chiese, improvvisamente quasi soffocata dal piacevole tepore che l’impianto dell’automobile diffondeva generosamente tutt’intorno.   
- Ti ho detto che ti avrei riaccompagnata a casa… ed è quello che sto facendo.- sorrise furbescamente Damon, per nulla scalfito dalla rabbia impulsiva e un po’ stordita di lei, premendo senza rimorsi il piede sull’acceleratore.
Demi strizzò gli occhi, impietrita, prima di realizzare che la vegetazione scossa dal vento brutale attorno a loro era esattamente la stessa del pezzo di strada che lei aveva percorso a piedi, per anni, nelle belle giornate di sole, per raggiungere l’edificio scolastico partendo… dal Pensionato.
- Ferma la macchina.- sbottò d’impulso, con la testa che girava ad un tratto come una giostra impazzita. – Oh no, Damon… non… non ho la minima intenzione di…-
- Di fare cosa, precisamente?- le domandò lui, con voce pressante e seria, voltandosi a guardarla dritto negli occhi senza che la sua guida fluida e perfetta ne risentisse minimamente. – Di andare dai tuoi genitori e di chiarire con loro, una volta per tutte, quest’assurda situazione?- Demi rabbrividì e nascose le mani tremanti in grembo, distogliendo ostentatamente lo sguardo dal viso del suo convincente interlocutore e sporgendo la mascella in una smorfia furibonda e ferita.
Lui fu colpito dalla somiglianza che quell’espressione le conferiva con il sempre meditabondo e severo viso di Stefan e ricordò il patimento e l’infinita colpa che avevano addensato la coscienza di suo fratello dal giorno esatto in cui l’increscioso incidente alla Casa sul Lago aveva sancito il brusco e sofferto distacco tra lui, Elena e la loro adorata bambina.
- Loro mi hanno mentito.- protestò flebilmente la ragazza, sciogliendo un po’ la propria corazza di silenzio e caparbietà abbastanza in fretta da fargli capire quanto in realtà anche lei soffrisse la nostalgia dalla propria famiglia e da tutta l’amorevole sicurezza che questa aveva rappresentato per tutti i sedici gloriosi e spensierati anni della sua giovane vita. – Mi hanno trattata come una neonata incapace di capire e di fare le proprie scelte… mi hanno nascosto un segreto così importante… costringendomi a scoprirlo così!- le lacrime di frustrazione che spuntarono ai lati dei suoi occhi non precipitarono giù ma rimasero impigliate alle sue ciglia ricurve, brillanti come piccole perle liquide.
Damon, zitto e impassibile, rallentò con estremo garbo e parcheggiò precisamente sotto il porticato sul retro di casa Salvatore, là dove Stefan ed Elena non avrebbero potuto notare la loro presenza fino a quando non si fossero decisi a bussare alla loro porta. 
Dopo aver spento il motore della sontuosa Camaro blu, si girò verso di lei, inchiodandola con uno sguardo intenso che, con la luce solare completamente occultata dalle nubi, sembrava quasi grigio, limpido come il ghiaccio.
- Sì, è vero.- esordì solenne, senza più traccia di ironica persuasione nelle affermazioni, trattandola da pari a pari, senza preamboli o stupide frasi di circostanza. – Hanno tenuto la bocca chiusa sulla loro vera, mostruosa identità e sullo schifo che hanno dovuto affrontare nel loro passato… per permetterti di vivere un’esistenza felice, pura e priva di complicazioni. Hai tutte le ragioni del mondo per essere incazzata con loro… credimi, lo capisco.- la sua voce si addolcì repentinamente e Demi, che fino ad un momento prima aveva fissato con impareggiabile concentrazione il cruscotto, si lasciò pervadere da una nuova sensazione, come di irrazionale fiducia, di empatia. – Ma non è affatto come pensi. Dovresti sapere che tutto quello che hanno fatto, in un modo del tutto contorto ed inefficace, certo, l’hanno fatto solo per proteggerti. Quindi, qualunque cosa ci sia nascosta dietro le loro patetiche bugie e i loro stupidi errori… la verità è davvero molto più semplice di così: tua madre e tuo padre ti amano immensamente e questo, Demi, non cambierà se deciderai di non rivolgergli mai più la parola o di allontanarti da loro per sempre. Credimi, non ha limiti di spazio o di tempo, un sentimento così.-
Demetra, mordendo un gemito assieme al proprio labbro inferiore, tirò su col naso e tentò di asciugarsi le guance senza dare nell’occhio mentre Damon, con molto tatto, fingeva di guardare altrove per concederle un minimo di riservatezza.
Osservandolo di nascosto, la ragazza notò quanto quella paternale gli fosse costata e quante scintille di dolore, improvvisamente, fossero comparse sul suo volto statuario e bellissimo, sempre così impenetrabile ma a volte anche così espressivo, irresistibile, reale.
Si chiese scioccamente se, in quell’ultima frase accorata, lui non avesse celato anche un po’ di rimpianto personale nei confronti dei propri ormai defunti genitori o addirittura un pizzico di quell’amore divoratore che aveva provato per Elena e che si era lasciato alle spalle per tutti quegli anni, annegando nell’esilio, nel tormento e nella solitudine, nel ripudio di se stesso.
D’istinto, senza poterne fare a meno, cercò la sua mano e gli posò le dita sul dorso tiepido, bianco e liscio, stringendo leggermente, impercettibilmente.
- Mi starai vicino?- gli sussurrò, con la voce strozzata dal pianto e bisognosa di conferme. Damon, senza staccare gli occhi dal finestrino gocciolante, lasciò che la tenerezza di quel tocco si facesse spazio nella sua anima, facendo sbocciare sulle sue labbra uno di quei suoi sorrisi improvvisi e sfavillanti, disarmanti.
- Prova ad impedirmelo.- la sfidò, sporgendosi appena per slacciarle la cintura di sicurezza. Senza smettere di sorridere, infine, dandole un buffetto sulla testa corvina e arruffata, le fece segno di seguirlo fuori.








*****************************************************
Eccomi finalmente... con il tanto sospirato capitolo 25. 
Avevo pensato di aggiungervi un altro consistente pezzo di capitolone prima della pubblicazione ma, scrivendolo, ho deciso che sarà meglio riservarlo per il prossimo. Immagino che il Cap25 abbia già messo a dura prova i vostri feelings (nella scena Dametra ho pianto io stessa! XD) quindi non volevo sovraccaricarvi di emozioni... <3
Mi scuso in anticipo con tutti gli autori delle splendide recensioni che ho trovato alla fine dello scorso aggiornamento... i miei esami sono terminati pochi giorni fa e, spinta dalla voglia di pubblicare, non mi ci sono ancora dedicata con la dovuta attenzione, pur avendole lette tutte con entusiasmo e gratitudine. Aspettate una mia risposta... arriverà al più presto! Un bacio!
Se volete venite pure a trovarmi 
venite a trovarmi qui... vi aspetto! --->  https://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=hl / http://ask.fm/IlDiarioDiDemiSalvatore <3
 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Fantasma ***


Elena ascoltò i passi felpati di Stefan risuonare in salotto come se provenissero da un universo estraneo e parallelo, poi distolse lo sguardo fisso e vuoto dalla finestra appannata di fronte a sé e si raggomitolò come un gattino nella poltrona scarlatta in cui era sprofondata, esausta, già da qualche minuto.
Confortata dalla fragranza sprigionata dall’infuso aromatico che suo marito aveva messo a bollire in cucina e con il vecchio diario che Damon aveva già consultato nei giorni precedenti ancora aperto sulle ginocchia, la padrona di casa socchiuse gli occhi, provando a rilassarsi e cercando rifugio nel suono disordinato della pioggia che precipitava lesta nel freddo cortile del Pensionato.
Non pioveva così ininterrottamente dalla notte in cui tutto era finito, riflettè, sentendo i pensieri sciabordarle nelle tempie doloranti con la stessa intensità con cui i musicali torrenti d’acqua piovana scorrevano, sempre più copiosi, tra l’erbetta ed i cunicoli là fuori.
Non si era mai più visto un temporale prodigioso come quello che si era scatenato in città dopo la tragica morte di Matt Donovan, perlomeno non in quegli ultimi lunghi ed illusori sedici anni di pace.
Con un groppo in gola, la Elena abbassò lo sguardo tremulo ed offuscato sull’inerte libricino che aveva in grembo, terrorizzata all’idea di un ennesimo, lacerante tuffo nel passato eppure, allo stesso tempo, divorata dal bisogno di farlo.
Quelle pagine sottili, segnate dall’inchiostro bluastro di una grafia minuta ed impregnate dal pungente odore di muffa che l’essere sigillate tanto a lungo in un grosso baule aveva conferito loro, sembravano stranamente ruvide sotto i suoi polpastrelli e, attraverso quella loro consistenza friabile e disidratata, le ricordavano molto da vicino un angolo triste e solitario del suo stesso cuore, quello che per anni era stato dolorosamente costretto al silenzio
- Elena… che cos’hai?- le chiese d’un tratto Stefan, con tono ansioso e vellutato, comparendole accanto con una tazza di thè bollente tra le mani.
Quando udì la sua voce seria pronunciare quella frase incerta, Elena ripensò all’istante preciso in cui, molto tempo prima, proprio il minore dei fratelli Salvatore l’aveva trovata accasciata senza respiro sul pavimento e, guardandola nel profondo degli occhi castani, inespressivi e devastati dalla perdita, aveva capito che qualcuno non ce l’aveva fatta… che Matt era davvero…
- Non troverai nulla che possa aiutarti, in quelle memorie, solo altra inutile sofferenza… smettila di tormentarti e di ripensare a ciò che è stato, ti prego.- posando prontamente l’infuso dorato e fumante sul davanzale della finestra, Stefan si avvicinò alla poltrona della propria moglie per sfiorarle con una mano consolatrice il volto improvvisamente lucido, per farle sentire la propria presenza e per tentare di rasserenarla. Elena nascose timidamente il viso nel suo palmo, anelando quel contatto così piacevole e disinteressato, poi baciò piano le dita tiepide del vampiro, chiuse fino a formare un piccolo ed accogliente calice sotto il suo mento.

Image and video hosting by TinyPic
- E’ così buffo… tutto questo.- commentò lei, contro la sua pelle, con un lieve sorriso enigmatico stampato sulla faccia. Quando Stefan si ritrovò a fissarla, confuso ed interrogativo, Elena sospirò, riprendendo a fatica un minimo di contegno. - Era proprio per non rischiare di dimenticare i dettagli della nostra esistenza di un tempo che entrambi scrivevamo tanto assiduamente in questi diari, non è così?- proseguì, scuotendo appena il capo. - E’ per questo stesso motivo che ne abbiamo regalato uno anche a Demi quando lei era solo una bambina… per far sì che non smettesse mai di confidare nei ricordi, no?- quando la sua voce si spezzò, un’amara comprensione passò immediatamente a scaldare gli occhi verdi, trepidanti eppure imperscrutabili di lui.
- Guardaci adesso, invece.- bisbigliò Elena, con voce spenta, come se stesse parlando a se stessa. - Guarda a cosa ci ha portato la nostra vile ed ipocrita incapacità di affrontare il passato. A non saper più riconoscere la realtà dalla finzione, a mantenere degli assurdi segreti con le persone che più amiamo al mondo…- Stefan… se tu sapessi cosa c’è dietro la ragione della partenza di Damon me lo diresti, non è vero? Me lo diresti? -… finendo per perderle.- pensando istintivamente a Demi, Elena si sforzò di deglutire.
Ci avevano provato senza tregua, lei e Stefan, a ricominciare da zero… raccontandosi delle nuove verità, trascorrendo delle interminabili e magnifiche giornate nella più pura normalità, beandosi con entusiasmo di ogni singolo istante vissuto insieme, rimandando sempre e comunque qualsiasi questione che non riguardasse strettamente il presente, la loro personale felicità e quella della loro piccola… ma avevano miseramente fallito.
- Oh, Stefan, siamo diventati delle persone così diverse...- sibilò infine, asciugandosi con rabbia le guance che continuavano ad essere inondate di lacrime involontarie, accusatrici.  
- Io ti amo.- le sussurrò lui con improvvisa urgenza, interrompendola come se temesse di perderla e volesse, con tutte le proprie forze, trasmetterle l’ardore e la purezza di quelle parole sincere e ancora piene di speranza. - Questo non è mai stato diverso. Questo non è mai stato un segreto.-
Elena lo guardò come un pellegrino assetato e lacero osserva, ammaliato, un’oasi di cristallino ristoro e si sentì un po’ rincuorata; lasciò che la dolcezza di quelle parole oneste ed immutate spazzasse via un po’ della sua inquietudine interiore e non smise di sorridere neppure quando lui le baciò piano la bocca rosea, toccandola con la propria in un modo per niente irruento ma, anzi, gentile, paziente. Sospirando appena, percepì con chiarezza il fremito che attraversò le spalle di Stefan quando lo abbracciò e si concesse di svuotare la mente, per l’ultima, irresistibile volta, imponendosi di non pensare a nulla che non fosse il calore di quel soffice bacio appassionato
- Opsss… mi sa che abbiamo scelto proprio un brutto momento per le visite, stavolta. No, aspetta… tutte le volte!- una voce inaspettata, morbida ed accattivante risuonò di botto alle loro spalle, facendoli trasalire sul posto dallo sgomento e dall’imbarazzo. Damon Salvatore gongolò con le braccia incrociate sul petto e la schiena placidamente appoggiata ad una parete del soggiorno, soddisfatto dall’effetto che aveva provocato grazie alla propria teatrale entrata in scena, poi si voltò, rivolgendo un ghigno divertito alla propria destra: - Se fossi in te mi coprirei gli occhi, bambina.-
Stefan si stizzì nell’udire quello che gli sembrava solo l’ennesimo intervento volutamente provocatorio organizzato da Damon per interrompere quel suo attimo di tenerezza con Elena, ma poi, guardando la propria moglie voltarsi di scatto verso la porta d’ingresso e sbirciare tanto avidamente oltre lo schienale cremisi della loro poltrona, capì che doveva decisamente essersi perso qualcosa.
Con chi stava parlando in quel modo così rilassato il suo di solito caustico e beffardo fratello maggiore? L’unica persona al mondo a cui lui si fosse mai rivolto con tanta affabilità e premura nel corso di oltre centosessant’anni di non-vita era stata… beh, Elena…  
- D-Damon…?- chiamò quest’ultima, improvvisamente impaziente.
Nel momento esatto in cui la porta cigolante del Pensionato si era spalancata per lasciar entrare uno scarmigliato ed invadente individuo dagli occhi di ghiaccio, infatti, la vampira aveva percepito, pur senza ancora riuscire a scorgerla, la presenza di un’altra inaspettata entità in quella stanza, talmente inconfondibile e vitale che le era risultato del tutto impossibile non sporgersi per trovarla, per accarezzarla anche da lontano, almeno con uno sguardo.
- Meglio…io.- Demetra ammiccò scherzosamente per farsi notare ed Elena, quando udì quella battuta inconsapevolmente familiare uscire dalle labbra piene della propria figlia, sentì un immediato e travolgente sollievo diffondersi attraverso i sensi.
Demi se ne stava in piedi sulla soglia, bellissima ma arruffata, con la chioma setosa bagnata di pioggia e una giacca di pelle scura di qualche taglia più grande avvolta attorno al corpo minuto, con le scarpe sportive tutte sporche di fango ad un centimetro dal tappeto e con quell’immancabile aria spavalda che lei metteva sempre come scudo davanti alle proprie emozioni, specie quando queste, come in quel caso, rischiavano di destabilizzarla troppo.
Anche Stefan battè un paio di volte le palpebre, giusto per essere sicuro di avere davanti una scena veritiera e non fittizia, irreale.
 
Era tornata a casa
 
Damon l’aveva riportata a casa.
 
***
 
Jeremy inchiodò con la propria auto, sentendo l'implacabile nubifragio scatenarsi all’esterno dell’abitacolo ed il vento rabbioso ululare tra la selvaggia ed incolta vegetazione circostante. Un soffio particolarmente violento strappò brutalmente alcune foglie rossicce dalle dita legnose e contorte di un albero posto al bordo della strada e le fece volteggiare a mezz’aria, trascinandole in una danza tanto ipnotica quanto sinistra.
- Puoi spiegarmi perché siamo venuti fin qui, per favore?- chiese, incalzante, voltandosi impercettibilmente verso il sedile del passeggero.
Ancora nessuna risposta.
Quando quell’ostinato silenzio divenne semplicemente insostenibile, il giovane Gilbert inspirò profondamente, passandosi una mano sulla fronte, poi cercò di addolcire il tono di voce che poco prima aveva forse fatto risuonare di una nota troppo tesa ed aspra. - … Bonnie?- sussurrò, stavolta quasi implorante.
- Quando ti ho chiesto di accompagnarmi senza fare domande non era esattamente questo che intendevo.- chiarì seccamente la Bennett, sporgendo la mascella in un’espressione corrucciata ed agitandosi sul posto per slacciare la cintura di sicurezza, riacquistando così la propria libertà di movimento.
- Lo sai che non ti avrei mai lasciata venire da sola, comunque… perlomeno non così sconvolta e con questo temporale spaventoso, nel bel mezzo del nulla. Puoi darmi almeno qualche indizio? Sto rischiando una crisi di nervi.- si lamentò lui, roteando gli occhi. Lei sbuffò di rimando e, fingendo di ignorarlo, si piegò risolutamente verso il basso per recuperare da sotto il proprio sedile la stessa gigantesca borsa di stoffa grezza che aveva tanto insistito per portarsi dietro durante il tragitto.
Vedendola un po’ in difficoltà, Jeremy la aiutò servizievolmente a tirare fuori da lì quella poderosa sacca color ambra, poi sorrise a malapena, notando lo strano sguardo colmo di venerazione con cui Bonnie stava sfiorando quell’insolito oggetto dalle considerevoli dimensioni.
- D’accordo, ho capito…- disse, rassegnato, scrollando le spalle. -… se non hai intenzione di rivelarmi che cos’hai in mente… puoi almeno dirmi cosa hai messo lì dentro? Pesa un’accidente.-
La migliore amica di Elena si strinse al petto la gravosa tracolla ancora per un momento, indecisa, fissando un punto imprecisato sul parabrezza davanti a sé, poi emise un tremulo sospiro di resa e si diede da fare per svelarne il contenuto.
- Aspetta un secondo… quello è il tuo Grimorio?- tossicchiò Jeremy, restando a bocca aperta e riconoscendo immediatamente il profilo preziosamente decorato del librone che le potentissime streghe della famiglia di Bonnie avevano conservato con estrema cura per secoli, tramandandolo di generazione in generazione fino a farlo giungere in suo possesso.
- Già.- annuì la Bennett, con una strana luce nel fondo degli occhi scuri ed intensi. - Questa mattina, poco prima che tu venissi a trovarmi, ho accompagnato Sheila e Demi a scuola in macchina per evitare che si prendessero un malanno a causa di questo tempo orribile. Durante il tragitto le ho sentite bisbigliare qualcosa a proposito di un ragazzo e di un pezzo di pergamena ma non ci ho fatto molto caso, impegnata com’ero a non lasciarmi travolgere dalla tempesta.- raccontava con foga, senza quasi riprendere fiato. - Dopo essere rientrata, sono salita nella loro camera, come ogni lunedì, per riordinarla al loro posto ma, quando ho mosso il cuscino di Demi per sprimacciarlo… ho trovato il suo diario.- si interruppe di botto, aprendo con circospezione il Grimorio e cercando qualcosa tra le pagine scricchiolanti e giallastre al suo interno.
- Cosa c’è di tanto strano?- domandò Jeremy, perplesso. - Anche Elena aveva l’abitudine di nascondere la sua agenda sotto la federa per tenerla sempre al sicuro dagli occhi indiscreti…- poi riflettè e sul suo volto si dipinse un’espressione incredula. – Non avrai mica letto quello che c’era scritto, vero?!-
- L’idea di curiosare e di sfogliarlo non mi ha neanche sfiorata.- smentì subito Bonnie, indispettita dal quel tono sospettoso. - L’ho solo preso per spostarlo un po’ da lì e rimetterlo dov’era dopo aver sistemato il letto, ma mi è scivolato dalle mani e così quando si è aperto, urtando il pavimento… dal cuore di quel libricino è venuto fuori questo.-
Jeremy afferrò il pezzo di carta lacero, giallastro ed antico che Bonnie gli stava porgendo e lo scrutò con concentrazione, senza però riuscire a comprendere il significato arcano degli emblemi tracciati sulla sua superficie: un triangolo equilatero, qualche runa misteriosa, un paio di macchie d’inchiostro, un elenco di parole sconclusionate appuntate ai vertici delle bizzarre figure geometriche ai margini…
- Che roba è?- le domandò, spaesato. – E, soprattutto, come ha fatto a finire nel diario segreto di mia nipote?-
- Non lo so.- bisbigliò Bonnie, irrequieta. - Ma non sono riuscita ad ignorare questo simbolo…- e posò l’indice sottile sul grosso Triangolo che governava completamente la scena, facendosi spazio tra gli altri scarabocchi. -… mi sono subito allarmata. Sai… quando praticavo la magia nera, l’Espressione, era semplicemente ovunque e, secondo il professor Shane, rappresentava esotericamente la perfezione, il massimo a cui la volontà di una strega poteva giungere non solo sfruttando le proprie energie ma anche piegando con la forza tutti e quattro gli Elementi della Natura.-
Jeremy deglutì rumorosamente, reprimendo un brontolìo a metà tra il rapito ed disgustato, poi tornò ad ascoltare il discorso di Bonnie.
- Il Triangolo, in quasi tutte le tradizioni ideate dalle culture sia primitive che successive, ha sempre assunto il valore di una sorta di assolutezza quasi divina, di un enorme e pericolosissimo Potere individuale che, spesso e volentieri, veniva raggiunto da singolo mediante il sacrificio di vite innocenti.- il labbro inferiore le tremò nel pronunciare quelle parole e la sua mente già provata fu subito invasa dalle immagini truculente dei tre rituali sacrificali consumatisi proprio a Mystic Falls, solo vent’anni prima: dodici umani rimasti uccisi nell’incendio al Ranch del padre di April Young; dodici ibridi ammutinati trucidati spietatamente da Klaus in persona; dodici streghe buone, legate l’una all’altra da un incantesimo, eliminate da Caroline con il solo scopo di salvarle la vita… tutti omicidi efferati compiuti in tre differenti ed equidistanti luoghi che, se uniti con un segmento d’inchiostro su una qualunque cartina geografica, avrebbero dato vita alla sagoma di un perfetto triangolo fatto di sangue ed onnipotenza.
- Tutte queste inquietanti informazioni le hai reperite nel tuo Grimorio?- esalò Jeremy, restituendole in fretta la pergamena ed evitando intenzionalmente di guardarla, sconvolto com’era da quelle ultime rivelazioni.
- Ci ho provato.- mormorò Bonnie, scuotendo appena la testa. - Ma quando sono corsa in cantina per consultarlo… il libro non mi ha dato il tempo di farlo. Si è spalancato di colpo, come…- sorrise, alzando gli occhi al cielo davanti all’apparente assurdità di quanto stava per dire. -… come per magia e mi ha praticamente invitata a leggere un incantesimo in particolare.-
Jeremy la squadrò con curiosità poi, dopo un attimo, posò lo sguardo sulla pagina ricca di frasi scritte a mano che Bonnie gli stava presentando davanti alla faccia e lesse, scandendo bene:
- ‘‘Incantesimo di manifestazione… si usa per rendere temporaneamente visibile la materia invisibile.’’- lui si incupì, sentendo un ronzìo soffocato nelle orecchie. – Che cosa sarebbe la ‘materia invisibile’?- chiese, senza essere troppo sicuro di voler davvero ascoltare la risposta.
- I fantasmi.- mormorò Bonnie, asciutta. Jeremy impallidì ed aggrottò le sopracciglia, sperando di aver sentito male nonostante l’espressione decisa di lei non lasciasse trasparire alcuna esitazione. Fingendo noncuranza, il fratello di Elena lanciò un’occhiata fugace fuori dal finestrino striato di pioggia ed individuò la sagoma di un edificio in rovina, quasi interamente avviluppato dalle piante rampicanti, che non aveva riconosciuto prima.
- Lì è dove mi hai riportato in vita, una volta. E’ la casa abbandonata.- ansimò. Non era una domanda.
- Si…- confermò Bonnie, cercando di concentrarsi sul presente e di non lasciare che i propri sentimenti prendessero il sopravvento. Quando Liz Forbes aveva accidentalmente ferito a morte con un colpo di pistola l’allora sedicenne Gilbert, lei ed Alaric l’avevano trascinato in quell’abitazione desolata (sorta sul luogo in cui si era consumato il rogo medievale di un centinaio di streghe sue antenate) e Bonnie stessa aveva supplicato Emily, la sua più potente progenitrice, di riportarlo indietro tra i viventi. - E’ esattamente il posto riservato che mi serve per realizzare quel sortilegio. Abbiamo bisogno di risposte.- quando fece per aprire la portiera dell’auto per raggiungere la catapecchia stregata, Jeremy le afferrò la mano, fermandola e costringendola a guardarlo negli occhi.
- Sei abbastanza forte per farlo?- le chiese, a bruciapelo. – Non pratichi magia da sedici anni… potrebbe essere pericoloso ed io non voglio che ti accada nulla di male.-
Fu come se, per un momento, tutto quello che di brutto era accaduto tra loro, recidendo nettamente il filo invisibile che li aveva legati in età adolescenziale, non contasse più: non c’era più Jamie, il padre di Sheila, e il suo inspiegabile abbandono di casa Bennett, non c’era più l’amore impossibile che Jer non aveva mai smesso di provare per il fantasma della vampira Anna, né la decisione di restare amici che li aveva tenuti vicini e allo stesso tempo distanti per tutti quegli anni… c’erano solo loro due... e la preoccupazione di Jeremy.
- Perché pensi che ti abbia chiesto di accompagnarmi?- gli domandò lei, con una voce un po’ più dolce, stringendogli le dita per tranquillizzarlo. – Se l’incantesimo dovesse costarmi troppa energia… sarai tu a mantenere il contatto con lo spirito che evocherò, facendomi guadagnare del tempo prezioso. Eri piuttosto bravo a farlo, una volta.- il velato rimprovero che Jeremy percepì nel tono della donna lo fece sorridere appena, ingenuamente; poi anche lui scese dalla macchina, tirandosi la giacca sulla testa per ripararsi i capelli dalla pioggia sferzante ed arrancando tra una pozzanghera e l’altra verso la loro comune destinazione.
- Non mi hai ancora detto chi hai intenzione di chiamare!- urlò a Bonnie mentre la seguiva nella selva di erbacce, cercando di sovrastare il fragore rombante del temporale. Lei agitò una mano in modo eloquente, senza voltarsi, e continuò a camminare svelta, per ripararsi sotto l’unico tetto che avessero a disposizione.
Dopo aver lottato per qualche secondo con la serratura arrugginita, Jeremy spalancò il portoncino pericolante e lasciò che Bonnie entrasse per prima in un desolato, fosco ed enorme androne, seguendola poi a ruota.
Una pozza d’acqua melmosa si allargò rapidamente ai loro piedi, gocciolando dai loro abiti zuppi e ricoperti di foglie, ma non vi badarono minimamente, attenti com’erano ad osservare l’ambiente circostante.
- E’ proprio come lo ricordavo.- valutò lei, assorta, ispezionando le solite mura dalla tinta consunta e grattata via come da segni di unghiate, l’angolo sinistro della stanza ricoperto da una pila vecchi libri spaginati, i  mozziconi di candela sparsi ovunque e le spaventose ragnatele che, attaccate al pacchiano lampadario lassù, pendevavano, dondolando, dal soffitto spiovente.
- D’accordo, sono pronta.- Jeremy si limitò a rabbrividire quando lei gli consegnò con fermezza il Grimorio perché lo tenesse aperto sulla pagina prescelta e cominciò a sistemare l’occorrente per l’evocazione. Bonnie accese con uno schiocco di dita un cero argentato che aveva tirato fuori dalla borsa ed si inginocchiò lentamente sul pavimento polveroso.
Lo zio di Demi strinse forte le dita sulla copertina del librone, fino a farsi sbiancare le nocche dalla tensione, ma non disse una sola parola ed attese un cenno da lei, preparandosi ad assistere alla concretizzazione dell’Incantesimo.
La Bennett gli lanciò uno sguardo grato, poi cominciò a pronunciare la formula:
-Reverta fes matos et sonos nalvas… universa ruina intenebras…- soffiò in una strana lingua sconosciuta e densa, come proveniente dalle stesse oscure profondità della terra. -… ex veras necara animus scarvus…- continuò, chiudendo di colpo gli occhi ed aggrappandosi alle proprie ginocchia per non cadere in avanti, vittima della trance che la magia le stava provocando. - Reverta fes matos et sonos et intenebras nalvas… universa ruina exu quisa…- la litania si intensificò e il timbro con cui lei la stava enunciando divenne bruscamente stridulo, angosciante.
- Bonnie…- chiamò, senza fiato, Jeremy, senza mollare la presa sul libro, a denti stretti. -… Bonnie, resisti, ci sei quasi…- la fiamma che danzava, sfrigolando, sulla punta della grossa candela che lei aveva acceso, si spense di colpo ed un leggero filo di fumo grigiastro salì, sinuoso, verso l’alto, intrecciandosi in varie e pittoresche spirali. – … Bon…-
La bocca di lei cominciò a tremare vistosamente e un rivolo di sangue le scese dal naso fino alle labbra, dimostrando quando sforzo le stesse costando il tentativo di stabilire un contatto che fosse duraturo con l’Altro Lato.
Image and video hosting by TinyPic

Jeremy, atterrito da quella scena, le ordinò di smetterla, di lasciar perdere, dimenticando che i suoi sensi erano ormai totalmente ottenebrati dal maleficio e che, quindi, erano resi sordi e ciechi a qualsiasi altro spiraglio di realtà.
- Reverta fes matos exu quisa EXALIS!- per un momento piombò il più completo silenzio attorno a loro. Persino la pioggia burrascosa sembrava essere diventata un pallido ed anonimo crepitìo all’esterno del casolare.
Poi Bonnie sentì finalmente delle mani calde e reali afferrare le sue in una stretta familiare che le era tanto mancata.
Ce l’aveva fatta… lo spirito si era materializzato proprio di fronte a lei.
Quando aprì gli occhi, però, le sfuggì un grido strozzato di sorpresa dalla gola e, sotto lo sguardo altrettato stralunato di Jeremy, capì che nessuno di loro due si sarebbe mai aspettato proprio l’apparizione di quel fantasma.
 
***
 
- Sono proprio io… in carne, ossa e guardia del corpo petulante alle calcagna.- con un soave e dispettoso sorrisetto stampato sul bel volto ridente, Demi accennò palesemente a Damon che, per tutta risposta, le diede una gomitata giocosa, fingendosi profondamente offeso dalle sue parole.
- Bada a come parli, bambina.- borbottò lui, con un cipiglio severo che tradiva il suo estremo divertimento, passandosi nervosamente una mano tra gli splendidi capelli fradici che catturavano la luce in mille e danzanti sfumature di colore, richiamando fedelmente quelli della sedicenne al suo fianco. - Quello petulante potrebbe sempre chiederti di restituirgli il suo giubbotto seduta stante e qualcosa mi dice che non sarebbe un bello spettacolo. Vederti rotolare miseramente in una pozzanghera melmosa a due passi dall’uscita da scuola, invece… quello sì che è stato spassoso.- il suo ghigno canzonatore non la scalfì più di tanto: Demi, infatti, gli lanciò soltanto una penetrante occhiata di avvertimento e poi, istintivamente, si strinse appena nelle spalle, premendosi il profumato tessuto di pelle nera addosso, quasi volesse fondersi con esso.   
- Che cosa?- esclamò Stefan, turbato, girando rapidamente attorno al divano per andare incontro ai due nuovi arrivati e spezzando d’un tratto quell’atmosfera di calda complicità.
L’ostilità rovente che la ragazza lesse nei suoi occhi improvvisamente cupi la intimorì subito, risvegliandole dentro proprio quei ricordi repentini e mostruosi che tanto avrebbe voluto poter rimuovere.
 
Quella sue stesse sembianze, un tempo affabili, trasfigurate dalla sete di sangue, le sue vene gonfie e violacee pronte a formare un reticolo demoniaco sugli zigomi cerei, le sue pupille dilatate e completamente oscurate dalla cieca brama predatrice…
 
Damon, quasi involontariamente, si accorse del malcelato disagio di Demi e, sentendo ammontare dentro l’ormai irresistibile senso di protezione che provava nei suoi confronti, si frappose appena tra lei e il suo intrattabile fratello, giusto per accertarsi che fosse al sicuro.
Facendo schioccare la lingua con una certa baldanza, poi, previde sfacciatamente la scontata ed imminente sfuriata di Stefan ed incrociò le braccia sul petto, in attesa.
- Qualcuno è un po’ irritato?- si azzardò a chiedere, sarcastico.
- Come ti è saltato in testa di andare a prenderla da scuola, Damon?- sbottò Stefan, come da copione, controllando a stento il proprio indignato furore davanti a quella sfrontata faccia tosta. - Hai idea di che cosa sarebbe potuto accadere se qualcuno ti avesse visto? Perché devi sempre fare le cose a modo tuo, rischiando persino di mettere nei guai…-
- Perché pioveva a dirotto.- lo bloccò Damon con voce annoiata, come se stesse sul punto di sbadigliare. Elena, che era ancora ferma ed appoggiata allo schienale della sua poltrona purpurea, sgranò impercettibilmente gli occhioni da cerbiatta, sorpresa dalla tenera e schietta spontaneità di quella risposta. - Rilassati, fratello, ho fatto attenzione e… ho tutto sotto controllo. Vacci piano, adesso, con le tue proverbiali scenate all’Incredibile Hulk, ok? O il mio estenuante impegno per riportare all’ovile la qui presente pecorella smarrita sarà stato completamente inutile.- imbronciato, il vampiro accennò con decisione alle proprie spalle e l’altro, distogliendo faticosamente l’attenzione da lui per la prima volta dal suo ingresso in casa, sembrò finalmente accorgersi della presenza di Demetra.
In un attimo la sua rabbia fumante si svanì, come una lampadina fulminata.
Quando Stefan scorse il viso fiero e splendente della propria figlia, seminascosta dietro il corpo sottile ma regale di Damon, ancora pallida ed in silenzio, le braccia gli si afflosciarono lungo i fianchi e lui si sentì interamente svuotato della propria a volte insopportabile e ostentata razionalità.
- Oh, no…- balbettò, con una punta della solita titubanza nel tono, sentendo un’ondata di imbarazzo e di timidezza sommergerlo. Demi, notando nei suoi tratti cesellati la preoccupazione di averla delusa nuovamente con la propria noncuranza e l’autentica gioia di vederla di nuovo tra quelle tanto amate mura domestiche, riconobbe con facilità l’adorabile, paterno e premuroso uomo di sempre e si lasciò travolgere da un clamoroso tuffo al cuore.
Il rancore ostinato che aveva covato nei suoi confronti sembrava essere evaporato lasciando spazio ad un enorme vuoto ancora tutto da colmare ed a quella spiccata fragilità che le era sempre così difficile nascondere in simili occasioni.
- Scusami, tesoro, io non avevo la minima intenzione di…-
Ascoltando solo distrattamente il fiume in piena di giustificazioni accorate che seguì, Damon fissò di sottecchi Elena mentre si avvicinava, leggera come una nuvola incorporea, e si saziò, come un’assetato fa bevendo avidamente da una sorgente cristallina di latte e miele, dell’espressione sempre più sollevata e affettuosa che lei stava rivolgendo al marito e alla sua bambina.
Quando la vampira posò lo stesso sguardo ardente e colmo di riconoscenza anche su di lui, Damon rimase immobile ed impassibile al suo posto, senza emettere alcun suono, cercando disperatamente di ignorare il dolceamaro e nostalgico dolore che gli si stava insinuando mortalmente nel petto.
Con un mezzo sorriso le fece cenno di non badare a lui, di non rovinare quel momento, e lei mosse piano le labbra per sillabargli un ‘Grazie’ tacito e commosso.
Esattamente nello stesso istante, Demetra restituì a Stefan, da dietro le proprie lunghe ciglia scure, uno sguardo mite e carico di una nuova e promettente fiducia, ma non riuscì comunque a reprimere un brivido inconsulto quando lui provò a sfiorarla in una tremula carezza.
- Sei al sicuro, adesso.- la tranquillizzò Stefan, tentando di arginare con garbo quell’esitante timore che sembrava ancora pronto a dividerli. - Demi, guardami. Dopo quello che è accaduto al Lago, dopo quello che ti ho fatto…- il senso di colpa gli arrochì bruscamente la voce ma non gli impedì di sussurrare dolcemente altre parole, per continuare a rassicurarla. -… credimi, penso di non essere mai stato così padrone di quell’abominevole parte di me stesso, prima d’ora. Tutte queste settimane in questa casa priva di significato, senza di te, sono state un prezzo troppo alto da pagare. Non ti farei mai del male… non posso e non voglio più perderti.- lei annuì piano, sentendo le lacrime incandescenti premerle agli angoli degli occhi, e rimase paralizzata ancora per qualche istante, indugiando, prima di abbassare la testa e di gettarsi con slancio tra le braccia accoglienti di Stefan.

Image and video hosting by TinyPic
Sentendo quella stretta apprensiva e familiare avvolgerla proprio come quando era solo una creatura piccola ed innocente, impavida ed ignara, Demetra capì quanto effettivamente quel distacco forzato le fosse costato.
Elena, toccata nel profondo da quella incantevole ed insperata scena d’affetto, si avvicinò ad entrambi e li abbracciò a sua volta, lasciando che Demi trovasse conforto anche contro il suo petto, come un cucciolo indifeso che, per scacciare la solitudine ed i dubbi, si aggrappa strenuamente alla cosa più cara che possa possedere al mondo.
- Mi sei mancata.- le confessò la ragazza, respirando contro il collo liscio e candido di sua madre. - Tanto.- Elena sorrise beatamente e la cullò con un’incomparabile delicatezza, appoggiando il mento sulla sua testa corvina ed umida, squisitamente profumata di pioggia.
Accadde all’improvviso: sentì un inspiegabile brivido fatto di pura elettricità zampettarle sulla spina dorsale mentre si riempiva le narici di quell’odore così intenso, irresistibile ed ebbro di sensazioni passate. In un momento si sentì soffocare, consumare dentro, morire e rinascere, e non riuscì ad impedirsi di naufragare nell’oceano tumultuoso e proibito dei suoi più lontani ricordi…
 
I capelli grondanti che le avevano incorniciato il viso in una cascata disordinata e informe le si erano appiccicati sulle guance livide, seguendo l’acqua piovana e quel pianto di liberazione che non era riuscita a trattenere oltre... aveva visto solo un bagliore lunare, rossastro tra le nubi di catrame, ed un sorriso ampio proprio davanti a sé, poi lui era apparso nell’ombra, all’asciutto, con un ombrello pronto a coprire entrambi.
Il petto le era scoppiato di muto ringraziamento e si era sporta avanti, non leggermente, non con calma, ma con impeto, con bramosia. Si era aggrappata a lui con tutte le proprie forze, quasi facendogli perdere l’equilibrio, inzuppandogli i vestiti, sospesa, persa, e l’aveva baciato… l’aveva baciato con forza, con calore, con le labbra fresche ed umide di pioggia…
 
Elena annaspò, riemergendo dal fondo della propria coscienza e sentendo i polmoni roventi, poi si allontanò un po’ da Demi per riprendere fiato. La giovane la stava guardando perplessa, come se stesse aspettando qualcosa, e la vampira non riuscì nemmeno a guardarla mentre, ancora boccheggiando, sentiva due paia di vispi occhi identici, azzurri ed estremamente agitati bruciarle insopportabilmente sulla pelle, come marchi roventi ed indelebili.
- Tutto bene?- sussurrò Stefan, cercando invano di comprendere la ragione celata dietro le gote bollenti ed arrossate di sua moglie.
Prima che lei potesse precipitarsi al riparo della calma sempre consapevole ed incoraggiante dell’uomo che aveva sposato, il cellulare le vibrò nella tasca del pantaloni, riportandola precipitosamente alla realtà.
Damon mise una mano sulla spalla di Demi mentre sua madre si affannava alla ricerca dell’apparecchio telefonico in questione, poi fissò, estremamente turbato, l’espressione indecifrabile che era comparsa poco prima sul viso tanto amato di Elena.
Che cosa accidenti le era preso? E perché, adesso, evitava il suo sguardo con tutte le proprie forze?
- Bonnie?- chiamò la Gilbert con voce acuta, leggendo distrattamente il nome comparso sul display luminoso. - Pronto…?!-
- Elena.- il tono assurdamente roco e metallico con cui suo fratello Jeremy pronunciò il suo nome la colse alla sprovvista, come una doccia fredda. - Sono con Bonnie. Sta bene, non preoccuparti, mi ha chiesto lei di rintracciarti. Vedi…- fece una pausa esitante, come per guardare qualcuno alla ricerca di conferme prima di continuare. - Ha bisogno di parlare con te e con Stefan, subito. Da soli.- sottolineò, facendo rimbalzare in gola alla sua interlocutrice. Poi sussurrò le parole magiche. - Si tratta di Demi.-

Image and video hosting by TinyPic





************************

Note dell'autrice:
Dunque! Miei adorati!
Eccoci giunti ad un punto di svolta u.u
Chi sarà il fantasma comparso al cospetto di Bonnie e quali
risposte avrà dato a lei e al giovane Gilbert?
Chi era il protagonista dei ricordi di Elena... quelli che parlano di un bacio mozzafiato sotto la pioggia battente?
Quali misteri verranno svelati nel prossimo capitolo ai coniugi Salvatore? U_U
Spero di avervi ancora una volta affascinato con questo capitolo... l'ho scritto con una lentezza estenuante perchè avevo bisogno di rendere bene l'idea di quello che accadrà DOPO <3
Lo so, Prince non è ancora arrivato... ma la sua attesa vi farà godere ancora di più l'ingresso in scena, lo prometto! <3
Un bacio a tutti e grazie infinite per la vostra attenzione... siete la mia famiglia ^^
Evenstar75

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** The Truth (Part 1) - The Cure ***


- Non posso berne un po’ anch’io?- chiese d’un tratto Demi, scendendo le scale con grazia inaudita e con un magnifico sorriso malandrino stampato sul volto delicato. La ragazza, che si stava strofinando energicamente la testa con un asciugamano rosa pallido, tamponando i propri lunghissimi capelli neri ancora umidi dopo la doccia ma finalmente di nuovo puliti e profumati, sembrava parecchio di buonumore, quasi su di giri.
- Neanche per sogno…- borbottò Damon, fintamente contrariato, sforzandosi di non farle notare il proprio istantaneo ghigno compiaciuto e facendo di tutto per nascondere in fretta alla sua vista la bottiglia di Bourbon che aveva tirato fuori mentre lei era ancora di sopra. - … non sei minorenne, tu?- lei annuì, imbronciandosi ed emettendo un breve sbuffo di disapprovazione per quello spudorato colpo basso, poi si avvicinò al divano color rubino su cui Damon era comodamente spaparanzato e si sedette con un balzo su un soffice bracciolo rosso, lasciando che le sue gambe penzolassero ai lati.
- Minorenne, d’accordo…- gli concesse, senza perdersi d’animo. - … ma in compagnia di un parente adulto che, tra le altre cose, è un vampiro di oltre…?- i suoi vivaci occhi azzurro cielo guizzarono in direzione del suo interlocutore, curiosi, interrogativi ed in cerca di una conferma specifica circa l’ancora sconosciuta età reale di lui.
-… centottantotto…- le suggerì Damon, incuriosito e sorpreso dalla sua ostinata e fin troppo familiare sagacia.
- … ecco, di oltre centottantotto anni.- concluse trionfante lei, senza riuscire a non deglutire davanti all’assurdità di quella notizia. No, non si era ancora abituata all’incredibile stranezza di certe rivelazioni sovrannaturali e, soprattutto, alla paura dell’ignoto che le si insinuava ancora troppo spesso, ad intervalli regolari, nelle profondità più recondite dello sterno… ma con lui si sentiva perfettamente al sicuro, molto più che con chiunque altro al mondo. Senza esitazione alcuna, perciò, Demi ammiccò allegramente, facendo lampeggiare le proprie iridi di supplica:
- Che ne dici? Non ti sembra un compromesso sufficientemente equo?-
- Nope*.- rispose prontamente Damon. – Anche perché tuo padre mi ucciderebbe se lo venisse a sapere.- aggiunse, a mo’ di spiegazione, scrutandola con una certa deliziata intensità, di sottecchi. Sembrava che fosse evidentemente combattuto tra il rigido senso di responsabilità e l’irresistibile quanto spassosa possibilità di indurre in un altro melodrammatico eccesso di furia il proprio adorato fratellino.
- Ma appunto.- gli ricordò lei, strizzandogli l’occhio con aria complice. - Hai appena detto ‘se’.- soffocando una smorfia di ironica ed impotente resa, il vampiro annuì tra sé ed infine, cedendo, le allungò il proprio bicchiere di cristallo, ricolmo del suo liquore denso e dorato preferito.
C’era davvero qualcosa che quella singolare, scaltra ed imprevedibile ragazzina non fosse capace di fargli fare?

Image and video hosting by TinyPic
- Uhm… soltanto un sorso, ok?- la avvertì comunque, un istante prima di lasciarle accostare le labbra al bicchiere, per sicurezza.
La ragazza acconsentì con chiara emozione ed assaggiò timidamente il liquido alcolico contenuto nel calice: aveva un saporaccio bruciante, corposo ed acre e, quando lo mandò giù e lo sentì scivolarle lascivamente nella gola astemia, Demi tossì sonoramente, con tutte le proprie forze, arrossendo di botto fino alla punta delle orecchie.
Damon, gustandosi la scena, scoppiò subito in un’irriverente risatina di scherno, alla quale la giovane rispose con un’occhiataccia memorabile.
- Vacci piano, ubriacona.- sghignazzò, riprendendosi il bicchiere con un gesto talmente veloce e fluido da risultare praticamente impercettibile. - Non vorrei doverti trascinare di peso fino in camera tua in preda ad imbarazzanti deliri post-sbronza.-
- Esagerato.- bofonchiò Demetra, lasciandosi affondare nella morbidezza del divanetto e fingendo di non dare troppo peso alla voce soffocata da fumatrice accanita che le era appena venuta fuori. - Non starai prendendo un po’ troppo sul serio la faccenda del baby-sitter, vero?- lo punzecchiò debolmente, tanto per provare a vendicarsi, guadagnandosi uno sguardo pieno di incredulità da parte di lui.
- Hei, sei tu quella che attira calamità naturali come mio fratello attira gli scoiattoli, non io.- replicò Damon, fintamente indignato. - Vuoi forse che ti faccia un breve resoconto delle disgrazie che ti si sono rovesciate addosso fino ad oggi? Dunque, vediamo…- finse di ponderarci su, accavallando le gambe con aria saccente e grattandosi pensosamente il mento. – oh, sì, tanto per cominciare… un adorabile trio di Lupi Mannari parte in vacanza dalla Luisiana fino a Mystic Falls per mangiare un innocente panino farcito al Grill? Trova te, nel cuore della notte, fuori da una Biblioteca in rovina, e, per qualche stravagante motivo, decide che sei molto più appetitosa di un sandwich doppia salsa.- Demi, per la prima volta dopo settimane, sfiorando quello spinoso argomento, lasciò che un sorriso divertito le increspasse la bocca rosea, spazzando via le sue solite angosce.
- Poi… santo Stefan trascorre vent’anni di completa, ferrea e beata astinenza, lontano mille miglia dalla tentazione del sangue umano? Ovviamente ti tagli una mano e rischi di far saltare in aria il suo intero progetto di canonizzazione. Insomma, hai idea di quanto lui abbia faticato per finire immortalato, un bel giorno, in una di quelle cartoline sacre, con quella benedetta aureola sbrilluccicosa attorno alla testa?- lei, senza più riuscire a trattenersi, rise a crepapelle, immaginandosi la faccia seria ed arguta di suo padre impressa su un santino di quelli che si potevano tranquillamente trovare disseminati tra i lucidi banchi di Fell’s Church.
- Infine, sei l’unica delle tue compagne a non essere impegnata in un pedante corso pomeridiano a scuola e, perciò, potresti finalmente uscire per prendere una boccata d’aria e goderti il sole? Fuori diluvia brutalmente e, come se non bastasse, rischi perfino di annegare in una pozzanghera… dico, ma come si fa?-
Demi riprese fiato a fatica, riflettendo sull’apparente ed esilarante illogicità dei drammatici episodi appena citati da Damon, poi osservò cautamente l’espressione divertita e rilassata comparsa sul viso straordinariamente bello di lui e, sondando accuratamente il terreno prima di agire, decise di azzardare:
- E cosa mi dici della ‘fortuna sfacciata’ di avere come insegnante di Storia un’arcigna e complessata vampira il cui sport preferito sembra essere quello di torturare me e le mie povere migliori amiche? Quello sì che è un problema.- mormorò, con tono velato, studiando attentamente la reazione silenziosa di Damon davanti a quel brusco cambiamento d’argomento.
- SheDevil vi sta dando del filo da torcere, eh?- le domandò, incupito, sperando intimamente di non vederla annuire in risposta.
- Già… è insostenibile. E’ come se volesse continuamente farcela pagare per qualcosa… come volesse trascinare anche noi nel suo personale universo di frustrazione.- mormorò Demi, vaga ma pungente, in un fragile tentativo di apparire noncurante. - Vedi, a volte…- si interruppe, sorridendo, un po’ imbarazzata dalla personale segretezza di quella rivelazione. -… tu non puoi immaginare quante volte mi sarebbe piaciuto... non lo so, magari poter essere un uccello per volare via dalla sua aula e dalla tremenda oppressione di quelle sue ore interminabili. Sai, per smettere di sentirmi tanto indifesa sotto quel suo sguardo così… accusatorio.- lui inarcò fulmineamente un sopracciglio, voltando il viso nella sua direzione, poi strinse forte le labbra, fissandola senza dire una parola, perplesso, ora quasi sospettoso. Fiutava ormai distintamente nell’aria il malcelato ed allusivo desiderio della nipote di approfondire quel tema specifico ma continuò a tenere la bocca chiusa, sentendo quelle parole blande ed inconsapevoli premergli violentemente sulla coscienza, neanche fossero degli spilli appuntiti o, peggio, delle pericolose armi a doppio taglio.
- Mi chiedo come abbia fatto Rebekah a ridursi così.- ponderò alla fine Demi, come se niente fosse, con un’innocente scrollatina di spalle, esitando intenzionalmente per un istante di troppo prima di sollevare lo sguardo magnetico per incontrare quello sfavillante e turchino del fratello di Stefan. - Tu, per caso, hai qualche idea al riguardo?-
Per un esaltante momento, durante il quale Damon socchiuse piano le labbra scolpite come per cominciare a rispondere a quella domanda di così fondamentale importanza, Demi credette davvero di aver vinto e di aver impercettibilmente fatto breccia nell’animo imperscrutabilmente pieno di segreti di suo zio. Il suo tripudio interiore, tuttavia, fu di brevissima durata: il sorriso mozzafiato che gli balenò sul volto mentre scuoteva vistosamente il capo, infatti, fu ben più consapevole, beffardo e canzonatore di quanto lei si sarebbe mai aspettata.
- Molto astuto da parte tua, dico davvero. Ammirevole.- commentò Damon all’improvviso, gongolante, osservando distrattamente e in controluce le sfumature ipnotiche che il suo Bourbon provocava sul vetro del bicchiere ancora sospeso tra le sue dita. – Hai pensato proprio a tutto… hai mascherato la tua indagine su Miss BiondaeCrudele con alcool, senso di ribellione adolescenziale, confessioni, un pizzico di complicità…- elencò, sentendo la propria stima per quel batuffolo d’intraprendente intelligenza crescergli dentro a dismisura, quasi suo malgrado: Demi, con quel furbo ma fortunatamente acerbo tentativo di incantarlo, aveva appena dimostrato di aver ereditato i caratteri migliori della focosa stirpe Petrova e, modestamente, anche i più validi tra quelli dell’intera discendenza Salvatore. Le mancava un po’ d’esperienza nel campo della persuasione, certo, ma questo difetto poteva essere facilmente messo in secondo piano, vista e considerata la sua giovanissima età. - … lo ammetto, se non avessi inventato proprio io questo quasi infallibile trucchetto per estorcere delle informazioni super segrete ai poveri malcapitati, saresti sicuramente riuscita a fregarmi. Ma, appunto, ho appena detto ‘se’.- ridacchiò Damon, sarcastico, ripetendo con incommensurabile piacere le stesse sottili ed accattivanti parole usate da lei poco prima. Demi emise un comico suono scontento, a metà tra un’imprecazione ed uno sbuffo, sentendosi palesemente scoperta; fu proprio notando l’espressione di bruciante sconfitta comparsa repentinamente sui suoi lineamenti angelici, tuttavia, che il vampiro smise di prenderla in giro e le sfiorò in un buffetto la guancia vellutata.
- Oh, andiamo! Niente muso lungo, ok? Sei stata in gamba, oserei dire convincente…- cercò di consolarla, senza abbandonare il proprio ghigno soddisfatto. - Ti do un sei e mezzo, per il momento… devi affinare la tecnica ma ho comunque gradito l’effetto sopresa.-
Demetra sollevò appena il viso ancora rosso di umiliazione ma, rassicurata dal tono per nulla infuriato di lui, lasciò che un lieve e candido sorriso le spuntasse all’angolo della bocca.
- Peccato… qualcosa mi dice che un misero sei e mezzo non basterà a farmi capire di più sul passato della mia squilibrata professoressa o su qualsiasi altro argomento affine, non è così?- sussurrò, demoralizzata ma anche ingenuamente, irrazionalmente speranzosa.
- Questo dipende da ciò che vuoi sapere.- la corresse Damon, con semplicità.
Il fuocherello rossastro e scoppiettante, acceso nell’enorme camino del salotto, gli danzava nello sguardo, provocando delle ammalianti scintille di colore ed intensità nel contorno turchino delle sue iridi inquiete e stranamente scostanti. Con un lesto cenno del capo, la invitò ad esprimersi liberamente riguardo alle proprie perplessità e Demi, emozionata all’idea di poter sfruttare sul serio un’unica, preziosissima opportunità per vedere finalmente soddisfatta la propria inguaribile curiosità, raccolse l’offerta con entusiasmo.
- Perché Rebekah ti odia così tanto?- gli chiese a bruciapelo, con la gola talmente secca e riarsa da farle desiderare un altro sorso di quel maledetto liquore ambrato e bollente che, magari, sarebbe servito anche a scioglierle la lingua. Damon, che invece stava proprio altezzosamente ingoiando un ennesimo consistente sorso di Bourbon, nell’udire quella domanda inaspettata, si sentì improvvisamente soffocare dalla sorpresa più travolgente e tossì clamorosamente, raddrizzandosi subito a sedere per evitare di sputacchiare qua e là.
- Come?!- sbottò, sbigottito, schiarendosi bruscamente la voce e ricomponendosi nell’ormai vano tentativo di indossare di nuovo quella sua tanto confortante quanto falsa maschera dell’impenetrabile. - Che cosa ti fa pensare che la tua patetica insegnante bionda odi me?-
- Sei tu, adesso, quello che fa le domande?- lo rimproverò prontamente Demi, riducendo gli occhi a due immobili fessure iridescenti.
- Sputa il rospo, bambina. Subito.- le intimò lui, minaccioso e spaesato, facendola quasi stizzire.
- A quanto pare che sono l’unica nei paraggi con l’abilità di fare due più due.- si lamentò la giovane, imbronciandosi inevitabilmente prima di cominciare a spiegare, con una certa impazienza, le ragioni a sostegno della sua ipotesi. - So benissimo che, prima della mia nascita, lei voleva disperatamente per sé la Cura per il vampirismo, per poter riacquistare l’opportunità di avere una vita mortale ed umana. Beh… qualcosa dev’essere andato storto nei suoi idilliaci piani, perché lei è inspiegabilmente rimasta un mostro, una rapace predatrice tutt’ora in cerca di vendetta, mentre noi sembriamo essere diventate il suo bersaglio preferito. Non ti sembra un po’… strano? Magari è la nostra stessa esistenza, nella sua mente malata, ad infastidirla… forse rappresenta una parte di ciò che ha perso per sempre e che i nostri genitori, invece, hanno conquistato a costo della sua felicità.- spiegò, tutto d’un fiato, con impazienza. - Ho bisogno di sapere che cosa le sia successo… voglio capire la ragionedi questo indicibile rancore covato per sedici lunghi anni e pronto ad esplodere contro di noi, adesso, come una bomba ad orologeria.- Damon la squadrò severamente, allibito, poi storse la bocca in una smorfia estremamente seccata:
- Non puoi cercare anche queste belle risposte su ‘Nickipedia’?- sibilò, sferzante e sarcastico. - Mi pare che il tuo compagno di classe dalla chioma fluente se la sia cavata abbastanza bene con gli scoop sovrannaturali, finora.- detto questo, si prese mentalmente a calci per non aver sotterrato prima quel marmocchio Mikaelson dai modi galanti ed ambigui in un’interminabile buca nel terreno, in un pozzo senza fondo o in qualunque altro posto sperduto lontano da Demi e dalle scomode verità che avrebbe potuto svelarle anzitempo.
- No, non è come credi…- lo bloccò lei, con urgenza, cercando di proteggere il nipote di Rebekah dalla pessima opinione che Damon sembrava aver già maturato su di lui. -… Nick… lui voleva aiutarmi a capire, certo, ma mi ha parlato soltanto di ciò che è accaduto ai suoi genitori e di come loro vi abbiano aiutati a combattere il temibile ibrido Originale, Klaus…- i loro occhi limpidi ed identici, al suono agghiacciante di quel nome, si incrociarono all’improvviso, saldandosi gli uni negli altri in un modo talmente irresistibile, allarmato ed eloquente che a Demi ci volle un minuto buono di silenzio per riuscire a riprendere fiato e ad aprir bocca di nuovo. -… so che lui desiderava la Cura per poter dare vita ad un abominevole esercito personale sfruttando del sangue magico sottratto con la forza a mia madre… so che questo è uno degli innumerevoli motivi per cui voi l’avreste volentieri fermato, perfino ucciso, se fosse stato necessario. Ma fu proprio la sua sacca di sangue personale ad impedire la sua eliminazione totale, no? Mia madre vi impedì di realizzare completamente il piano omicida e si oppose alla vostra decisione di toglierlo di mezzo, senza lasciarsi minimamente spaventare dal rischio concreto di poter, un giorno, subire chissà quale atroce vendetta per mano di un Klaus miracolosamente risorto dalla tomba… so che lo fece senza esitazioni, solo per impedire ad un’intera linea di sangue vampiro di essere sterminata insieme a lui…- Demi riuscì ad interpretare senza troppe difficoltà le innumerevoli, furiose e preoccupate espressioni che si stavano susseguendo alla velocità della luce sul volto esangue di Damon e capì che ciò che aveva sempre sospettato, fin dal giorno delle rivelazioni nel salotto di casa Lockwood, doveva, alla fine, essere vero. -… perché quella era la tua linea, vero? Se tu non avessi preso la Cura e fossi rimasto un vampiro, non avresti avuto alcuna possibilità di sopravvivere al tuo capostipite…- lui deglutì a fatica ma Demi non gli consentì di allontanare lo sguardo sconcertato da sè, sfiorandogli il braccio con la mano bianca, decisa, consapevole. -… scommetto che lei l’ha fatto per te. Ha salvato lui per proteggere te.-
Damon strinse forse i denti per non lasciarsi sfuggire un’imprecazione o un qualsiasi commento caustico ma non ebbe la forza di dissentire, di negare.
Che senso avrebbe avuto mentire sulla realtà dei fatti quando quell’idiota di Nick si era curato così tanto di non trascurare nessun particolare nei suoi stramaledetti racconti dell’orrore?
-Queste tue fantasiose teorie non spiegano comunque tutto l’astio che ritieni Rebekah nutra nei miei confronti.- commentò debolmente, senza darle troppa soddisfazione. - Stando così le cose lei, infatti, avrebbe dovuto come minimo ringraziarmi in ginocchio per non aver preso quella dannata Cura e per aver consentito, seppur indirettamente, al suo fratellone di sopravvivere a quella che, in caso contrario, sarebbe stata senza dubbio una sentenza di morte certa e definitiva.-
- Hai ragione.- convenne ansiosamente Demi, massaggiandosi le tempie nel tentativo di riflettere più rapidamente. - Non fraintendermi… la professoressa Mikaelson ce l’ha con te, ne sono più che sicura, ma qualcosa al riguardo, semplicemente, ancora non mi quadra…-
- Magari l’ho solo sedotta e abbandonata.- ghignò Damon, deviando giocosamente il discorso alla vana e disperata ricerca di una qualunque semplice scappatoia. - Forse speravo che se ne sarebbe fatta una ragione, col tempo, ma a quanto pare…-
- No, io non credo proprio.- negò prevedibilmente Demi, testarda come non mai, cercando di scacciare l’immagine di Rebekah che faceva la smorfiosa e si lasciava conquistare dalle lusinghe e dal fascino innegabile del vampiro che aveva davanti. - Penso che ci sia qualcosa di molto più oscuro e terribile di una ripicca dietro tutta questa situazione tra di voi… e ti dirò di più… secondo me mio padre è perfettamente a conoscenza dei fatti.-
- Tu credi davvero che Stefan sappia…?- cominciò a canzonarla Damon, ormai affascinato e stravolto, quasi divertito dalla sua intelligenza così intuitiva, sensibile, impetuosa.
-… certamente più di quello che lascia trapelare, sì!- completò lei, al suo posto, stringendosi brevemente nelle spalle e mordicchiandosi il labbro inferiore per scaricare la tensione emotiva. - E questo potrei addirittura dimostrartelo.-
- Muoio di curiosità.- la stuzzicò lui, apparentemente beffardo ma in realtà molto interessato.
- Quando sei venuto a prendermi da scuola, oggi, lui era fuori di sé all’idea che qualcuno potesse averti visto scorazzare liberamente in giro, specie fuori dall’Istituto in cui la Mikaelson insegna. Quando zio Jeremy ha chiamato, implorando la mamma di raggiungere Bonnie a nonhoancoracapitodove, ti ha palesemente ordinato di rimanere al Pensionato per prenderti cura di me… sarebbe potuto restare lui stesso ed invece ha bloccato te qui. Era come se non volesse rischiare di far sapere a quel medesimo qualcuno della tua presenza in città… del tuo ritorno.- Damon si accorse che lei stava visibilmente tremando e provò l’irragionevole impulso di abbracciarla per impedirle di apparire così scossa, per stringerla una volta per tutte e per non lasciarle pronunciare ancora, ad alta voce, tutte quelle sferzanti quanto sensate supposizioni. Demetra, però, era un fiume ormai comprensibilmente in piena. - Io credo che stia provando a tenerti alla larga proprio dalla nostra Rebekah.- affermò per concludere in bellezza il proprio elenco di ipotesi, convinta, incrociando fieramente le braccia sul petto e sentendo le lunghissime ciglia nere bruciare e prudere, pronte a lasciar scivolare giù le lacrime liberatorie che tanto si stava sforzando di trattenere.
- Si può sapere perché ne sei così convinta?- la interrogò il vampiro, fintamente affabile, cercando di guadagnare tempo, di inventarsi qualcosa di credibile… e in fretta.
- Perché, in classe, lei continua a lanciarmi dei segnali che non so bene come interpretare… una volta ha assegnato una ricerca sulle nostre famiglie nella speranza che trovassi una tua foto stampata tra gli elenchi; in mia presenza ripete senza sosta la meschina frase ‘cattivo sangue non mente’; mi guarda negli occhi come se fosse un avvoltoio e poi, quando mi ha chiamata con il tuo nome per la prima volta…-
- Quando ti ha chiamata come?- intervenne Damon di colpo, interrompendola con tono trafelato e quasi inudibile ed aggrottando immediatamente la fronte in un gesto cupo e smarrito.
-… l’ha fatto come se stesse sputando fuori un insulto della peggior specie!- concluse Demi, svuotando del tutto i propri polmoni e riprendendo fiato in fretta, quasi boccheggiando, come se temesse di poter perdere i sensi da un momento all’altro. - Forse mi odia tanto perché vede qualcosa di te attraverso me… attraverso il mio… carattere, il mio atteggiamento…- la sua voce ormai era roca e stentata, come un inestinguibile singhiozzo. -… ti sto solo chiedendo il perché di tutto questo… che cos’hai fatto di tanto grave per meritarti il suo odio incondizionato, aspro ed eterno?-
Damon, lentamente, senza staccarle gli occhi di dosso, si avvicinò al suo angolo di divano, un po’ impacciato e con estrema delicatezza, poi le spostò una ciocca di capelli corvini dalla fronte e le passò le dita sulla pelle, come se volesse cancellare con i polpastrelli le piccole rughe di inquietudine comparse su di essa. Demi riconobbe chiaramente in quel gesto un’abitudine di Elena e si sentì il cuore improvvisamente più caldo, colmo di tenerezza.
- Sei proprio sicura di non avere una domandina di riserva?- biascicò Damon, ormai agli sgoccioli, come al solito desideroso di alleggerire l’atmosfera tempestosa, elettrica e plumbea che stavolta, però, non smise neanche per un istante di gravare tutt’intorno a loro.
Demetra inarcò un sopracciglio in risposta, esasperata.
- In realtà sì.- meditò, per un istante, ghignando risolutamente. - Ma non so se preferiresti davvero spiegarmi quale legame ci fosse, ai tempi, tra te e mia madre.-

Image and video hosting by TinyPic
- Ti dirò di Rebekah, ho capito, va bene.- sbottò in fretta e furia il vampiro, facendo istantaneamente dietrofront e lanciando un unico, fugace e languido sguardo al sontuoso camino che, proprio in quel momento, avrebbe potuto riportargli alla memoria, a tradimento, alcuni vividi, insuperabili e laceranti ricordi che sarebbe stato meglio seppellire nel silenzio per tutta l’eternità. - Ma sappi che ciò che sentirai potrebbe non piacerti affatto… potrebbe spaventarti, ripugnarti, farti perfino provare compassione nei confronti di Bekah. Sei pronta?- le chiese, schiettamente e senza rimorsi. Demi aprì la bocca per rispondere ma la richiuse senza fiatare, incapace di articolare una frase affermativa di senso compiuto. Improvvisamente era preoccupata e fu solo raccogliendo tutte la propria forza di volontà che riuscì, meccanicamente, ad annuire.
- Fantastico, allora.- Damon, riluttante ma deciso a mantenere la propria parola, si ripromise di non svelare ogni singolo dettaglio alla ragazza bensì di censurare opportunamente il proprio racconto e di riportare alla sua attenzione solo quelle parti che le sarebbero servite, poi, per ricostruire le ragioni della subitanea trasformazione di Rebekah in una creatura tanto insensibile e spietata. - Mettiti pure comoda. Avremo bisogno di un piccolo tuffo nel passato, perciò…-  
 
Flashback – 16 anni prima
 
La luce opaca e lattiginosa dell’alba inondò con una lentezza flautata ed estenuante le coste tranquille dell’Isola a 300 km della Nuova Scozia su cui tre gommoni color arancio brillante erano appena approdati.
La brezza mattutina, fredda e carezzevole, sfiorava placidamente la chioma sparuta di certi alberi alteri cresciuti negli scomodi ma fertili intervalli tra la sabbia candida come zucchero e le rocce imbiancate dalla salsedine, mentre il canto melodioso di alcuni gabbiani risuonava con forza, accompagnato dal sottile infrangersi delle onde sul bagnasciuga.
- Congratulazioni.- esultò il professor Shane, a capo della spedizione, scrutando l’impenetrabile macchia smeraldina e le ripide montagne che si stagliavano davanti al suo sguardo sinistramente soddisfatto. - Ce l’abbiamo fatta.-
Damon, ancora fermo sull’imbarcazione, alzò gli occhi turchini al cielo con una muta imprecazione sulle labbra ma non fiatò; continuò a passare gli zaini colmi di provviste e di armi ad Elena che invece, già sulla terraferma, sembrava un po’ spaventata ma anche estremamente incuriosita dall’ambiente insulare circostante.
Quando lei afferrò un fagotto particolarmente pesante e soffice, forse contenente la tenda che avrebbero dovuto usare per accamparsi al calar del sole, le sue dita morbide e pallide sfiorarono quelle di lui e si trattennero delicatamente su di esse, in una carezza incoraggiante.
- Sembra un luogo piuttosto tranquillo.- buttò lì con voce dolce, cercando di rassicurarlo. Damon le rivolse un’altra occhiata indecifrabile e pensierosa ma, dopo un attimo, si sentì sciogliere davanti a quel suo splendido viso speranzoso, a quegli occhi scuri così espressivi e a quell’aria combattiva e allo stesso tempo indifesa che il cappellino di lana, i capelli scompigliati e la sciarpetta rossa annodata attorno al collo le conferivano più che mai.
- E’ l’Isola più ignota e desolata del pianeta.- le fece notare, ironico, balzando a sua volta fuori dal gommone e sentendo le scarpe affondare nella sabbia umida. - Sarebbe quasi carina se non nascondesse, da qualche parte nell’oscurità, il sepolcro di Silas, ovvero del fenomeno da baraccone più vecchio e letale che sia mai esistito.-
- Andrà tutto bene…- ribadì lei, alzando la mano libera dal carico di scorta e posandola con tenerezza sulla sua guancia tiepida. -… troveremo la Cura in un battibaleno e ce ne ritorneremo a casa. Insieme.- il cuore di Damon perse un battito a quelle parole, ricominciando a pulsare ancora più dolorosamente nel petto dopo un attimo di smarrimento, poi lui si sforzò di annuire, lasciandosi scappare un sospiro impotente.
Certo, come no… di sicuro sarebbero riusciti a recuperare quella dannata bevanda prodigiosa senza nessun effetto collaterale e le cose si sarebbero sistemate, lasciando lo spazio ad uno stucchevole trionfo di unicorni e sfavillanti arcobaleni…
- Sbrighiamoci, avanti.- mormorò la voce seria e distante di Stefan mentre lui compariva alle loro spalle, con indosso un giubbotto scuro dal taglio austero con della pelliccia color panna cucita sui bordi del colletto.
Elena lo scrutò attentamente e si sentì invadere da un profondo senso di colpa e di compassione nei suoi confronti: qua e là, negli impeccabili lineamenti del vampiro, era incisa un’infinita tristezza mista ad una delusione indicibile, bruciante.
Era passato ancora così poco tempo dal giorno in cui lei gli aveva confessato, seduta sui gradini marmorei del porticato di Casa Gilbert, che i propri sentimenti per Damon si erano irresistibilmente amplificati, cogliendola alla sprovvista e consumandola come mai prima d’allora… così poco da quando lo stesso Stefan, assieme ad una risoluta Caroline, aveva scoperto l’esistenza di un particolare, accidentale ed anomalo legame d’asservimento formatosi proprio tra lei e Damon, attribuendo poi ad esso tutte le ragioni di quella sua nuova (e per lui incomprensibile) scelta…
- Prima troviamo la Fonte* e meglio sarà… per tutti.- senza più una parola, caricato un grosso fardello in spalla, il più giovane dei fratelli Salvatore si voltò con una certa fierezza e si avviò alle spalle di Shane, Bonnie e Jeremy, seguendo il tortuoso percorso indicato dai tatuaggi comparsi di recente sul muscoloso corpo del giovane Cacciatore.
- Sono d’accordo, non c’è un minuto da perdere!- approvò Rebekah con un ghigno crudele, superando a sua volta Damon ed Elena e facendo sventolare con civetteria i propri folti, lucenti ed argentei capelli. - Immagino che stiamo tuttimorendo dalla voglia di capire quanto, in realtà, il famigerato Sirebondabbia avuto a che fare con la nascita della vostra nuova amorevole coppia.-
La Gilbert, digrignando i denti in un sibilo furioso, fece per scattare in direzione della bionda alla velocità della luce ma Damon la acchiappò saldamente per fermarla ed impedirle di ricambiare con la stessa moneta le beffarde provocazioni di una potentissima vampira Originale.
- Lasciami andare!- si divincolò lei, battendo i piedi per terra con stizza e cercando di sfuggire alla presa ferrea delle mani di lui sui propri fianchi. - Voglio che la smetta… subito…-
- Elena.- la richiamò Damon tra i suoi capelli, quasi divertito, nascondendo dietro una voce calda e suadente ed un sorriso fulmineo il dolore mozzafiato che i dubbi gli stavano pian piano provocando dentro da un pezzo. - Non dimenticare che siamo tutti nella stessa squadra, per ora… la bionda e Stefan hanno una pietra tombale che contiene il sangue calcificato di una nonsocomesichiama strega millenaria… perciò dobbiamo fare in modo che entrambi continuino ad essere dalla nostra parte. Spero solo che, quando Bex avrà finalmente ingerito la sua preziosa dose di Cura, assieme alle zanne venga eliminato anche questo suo penoso senso dell’umorismo. Non sarebbe molto adatto all’immagine di creatura redenta che vuole mettere in scena per sedurre un certo cameriere del Grill.- il cuore di Elena continuò a battere all’impazzata, gonfio d’ira, ma il tono e le parole di lui riuscirono a calmarla un po’, dandole immediato sollievo.

Image and video hosting by TinyPic
- Sì.- convenne, in un coraggioso tentativo di apparire disinvolta. - In fondo dovrò sopportarla ancora per poco… quando avremo trovato ciò che cerchiamo ci libereremo finalmente di lei e non dovrò mai più avere nulla a che fare con le sue malignità.-
Damon le rivolse un mezzo sorriso, raccogliendo le ultime borse con una rapidità sorprendente e facendole cenno di precederlo nel cammino sconosciuto tracciato tra i cespugli aromatici, la terra rossiccia ed i tronchi ricoperti di resina odorosa di quell’Isola sperduta.
Con un brivido inconsulto, cercò di scacciare via i pensieri che gli ronzavano ancora nella mente come api dai pungiglioni velenosi, implacabili, assordanti: la famosa Cura avrebbe presto cambiato moltissime cose e avrebbe dato loro parecchie terrificanti ed attesissime risposte… forse sarebbe riuscita a chiarire, una volta per tutte, il reale fondamento del rapporto d’amore appena nato tra lui ed Elena, ridefinendone i contorni effettivi ancora sospesi tra verità ed asservimento…
Damon sapeva perfettamente che un solo sorso avrebbe potuto strappargli ogni illusione, portandogli via l’unica cosa che avesse mai amato tanto incondizionatamente nella propria vita... ma doveva comunque trovare quella Fonte ad ogni costo… perché per lei era così dannatamente importante.
 
- Mi rimangio quello che ho detto su questo posto.- mormorò Elena quando il crepuscolo calò tutt’attorno a loro, avvolgendo nelle sue spire soffocanti i monti aguzzi in lontananza ed i rami spogli della vegetazione arborea circostante, consentendo a questi ultimi di riflettere delle ombre nere e tremanti sul terreno arido e scricchiolante. - C’è qualcosa di a dir poco spaventoso, qui.-
- Già… questo bosco infestato fa venire i brividi quasi quanto l’Uomo Bussola.- commentò Damon a bassa voce, accennando sarcasticamente al capo riccioluto di Shane proprio davanti a loro e facendola ridere sotto i baffi.
Image and video hosting by TinyPic
- Secondo me non lo ammetterà mai per paura che io gli stacchi la testa seduta stante o roba del genere ma… è ormai chiaro ci siamo irrimediabilmente, schifosamente
persi.- continuò, sfogando la propria irritazione e sferrando un calcio ad un sassolino incontrato lungo il tragitto.
Stefan scosse gravemente la testa e accelerò notevolmente il proprio passo già sostenuto, raggiungendo risolutamente la loro guida.
- Cosa stiamo tentando di raggiungere, esattamente?- incalzò, interrogando con un cenno confuso anche Bonnie che, da parte sua, sembrava altrettanto incerta sul da farsi. - Insomma… stiamo cercando un ingresso sotterraneo, un cunicolo, una caverna tra le cascate, un villaggio di indigeni che è stato raso al suolo nell’età del bronzo da una banda di cannibali oppure…?-  
- I simboli impressi sulla pelle di Jeremy portano sicuramente ad un Pozzo.- rispose senza particolare esitazione Atticus, accendendo una piccola lampadina bluastra nel suo casco di plastica da minatore per avere un fascio di luce sicuro davanti a sé. - Si tratta di un pozzo magico all’interno del quale scorre la Fonte, protetta da un incantesimo ideato e pronunciato da Qetsiyah in persona circa un milione di anni fa. Secondo la leggenda, la nostra astuta Strega fece in modo che solo i suoi diretti discendenti potessero essere in grado di spezzare il Sigillo che impedisce a chiunque di avvicinarsi a quelle acque taumaturgiche ed è fondamentalmente per questo che ho insegnato a Bonnie l’arte dell’Espressione. Ne aveva bisogno per incrementare il suo potere individuale ma anche per vincere i limiti legati alla magia bianca comunemente praticata dalla sua stirpe nei periodi successivi.-
- E come mai ti sei offerto volontario per facilitarci le cose ed accompagnarci a fare gli Indiana Jones?- brontolò Damon, cinico, per nulla entusiasmato dall’idea di dover affidare la riuscita di quella missione agli assurdi giochetti di prestigio di una strega semi competente e di certo indisciplinata come l’unica nipote di Sheila Bennett. - Non ho ancora capito cosa ci guadagni tuda tutto questo casino, caro il mio professor Losco.-
- E tu?- domandò Shane, aspro, voltandosi a guardarlo con astio e spostando poi, in modo eloquente, lo sguardo su Elena. - Sai, sono davvero stupito dal fatto che tu stia cercando ottenere la Cura assieme a noi, visto che non la vuoi per te e che sarai senza dubbio quello maggiormente penalizzato dalle circostanze quando leisarà ritornata umana.- Damon incassò silenziosamente il colpo, serrando i muscoli della mascella e lasciando che un buio gelido ed insensibile piombasse nel fondo delle sue iridi cristalline, annegandole nell’infelicità. - Per tua informazione mia moglie è morta nel fondo di quello stesso Pozzo perché credeva di aver trovato un modo per resuscitare nostro figlio.- scosse la testa, meccanicamente. - Voglio la verità su quanto è accaduto… mi sembra un desiderio quantomeno legittimo.- Atticus si arrestò di colpo, come dopo aver udito uno scalpitìo tra le foglie, poi si schiarì la gola. - Accampiamoci, per il momento, riprenderemo tra qualche ora… può essere incredibilmente pericoloso girovagare di notte, specie se si è resi incauti dalla fame e dalla stanchezza.-
Con una nuova baldanza compiaciuta nell’andatura altezzosa, Rebekah cominciò a sciogliere le cinghie dei propri bagagli e Stefan si adoperò per trovare in giro del legname che fosse abbastanza robusto e secco per accendere un piccolo falò: nonostante tutto, Shane, Jeremy e Bonnie erano ancora degli esseri umani ed avrebbero avuto bisogno di un po’ di riposo, di una temperatura più confortevole e di buon cibo per rifocillarsi prima di poter riprendere quella faticosa marcia.
Damon approfittò della pausa e mosse un passo felpato nell’ombra.
Elena lo vide sparire per qualche secondo in uno scatto possente e felino, poi, dopo essersi accertata che suo fratello e la sua migliore amica sarebbero stati al sicuro insieme a Stefan, si lanciò al suo inseguimento.

Image and video hosting by TinyPic
Lo trovò quasi immediatamente, guidata dall’istinto: era seduto su una grossa radice divelta dal suolo, con la schiena pesantemente appoggiata al fusto di un abete ricurvo ed ammaccato, con lo sguardo prostrato rivolto al cielo, come se stesse cercando tra le stelle la forza di non cedere, di conservare intatta la propria spavalda quanto fittizia volontà di reagire alla pressione degli eventi che gli turbinavano intorno.
- Damon… per favore…- bisbigliò, avvicinandosi timidamente, come se avesse paura di disturbare il suo silenzio meditabondo. Il vampiro abbassò gli occhi e lei lo vide enormemente fragile, dietro la corazza, come una magnifica statua di sabbia, resa perlacea dai bagliori lunari sopra di loro, pronta a sgretolarsi e a svanire nel vento. -… Shane non sa di cosa sta parlando. Non dargli ascolto… sta commettendo un grosso errore riguardo a noi due.-
- Non possiamo saperlo.- disse lui, ancora senza guardarla, con una voce irriconoscibile ed intrisa di malinconia. - Anzi, sai cosa ti dico? Potrebbero tutti avere perfettamente ragione… il professore pazzo, mio fratello, la tua amica Barbie, il suo corteggiatore tirapiedi meglio noto con il nome di Klaus con la rispettiva sorellina Originale… insomma, mezzo mondo, probabilmente me compreso, pensa che sia praticamente impossibile il fatto che tu provi dei sentimenti reali per me… perché mai dovrebbero sbagliarsi? Guardati, Elena… l’unica cosa sicura in questa storia è che, a causa di questo stramaledetto Sirebond, tutto ciò che desideri è rendermi felice ed io non posso sopportare il fatto che forse è proprio questo l’unico motivo che ti spinge a…-
- A fare cosa?- gli chiese lei, impaziente, muovendosi verso di lui e sentendo il lieve profumo della sua pelle zampettarle come un balsamo delizioso nei polmoni affannati. - Questo?- gli sorrise appena e gli posò l’indice sul mento, facendolo voltare verso di sé, quasi suo malgrado, ed abbattendo con estrema maestrìa i muri un po’ traballanti ma comunque imponenti che lui aveva lui già cercato di frapporre tra sé e le proprie emozioni, per ripararsene. - Questo?- continuò Elena, sporgendosi lentamente per posare le proprie labbra morbide sulle sue, socchiuse e immobili.

Image and video hosting by TinyPic
Damon oppose una certa improbabile resistenza prima di cederle del tutto: si aggrappò a lei come se volesse fondersi con il suo corpo, le tenne sospeso il viso tra le mani tremanti e ricambiò quel contatto con tenerezza, con disperazione. Elena avvertì che un improvviso formicolio si era impadronito di tutte le sue membra e, quando Damon la sentì rabbrividire nel gelo della sera, le accarezzò i capelli per tranquillizzarla e scaldarla, come se, in realtà, non fosse lui quello tanto bisognoso di rassicurazioni, in quel frangente. Il loro bacio cominciò ben presto ad avere il sapore salato del pianto, ma nessuno dei due avrebbe potuto smettere. Rimasero allacciati in quel modo senza riuscire a pensare, pronunciando tra un sospiro e l’altro delle parole di conforto che non avrebbero mai avuto lo stesso suono se articolate in una qualsiasi altra lingua estranea a quei baci rubati al tempo e alla giustizia, e si coccolarono, sostenendosi a vicenda.

Si separarono e Damon la tenne lievemente stretta a sé mentre l’illusione di poter davvero essere felici insieme si dissolveva rapida, così come era arrivata.
Quel vuoto tanto immenso, evidente ed innegabile lo spezzò dentro.
-Tornare umana non cambierà ciò che provo per te.- sussurrò Elena d’un tratto, debolmente, con la guancia affondata nel tessuto morbido della camicia nera sul suo petto. - Ma darà la possibilità a molti di noi di ricominciare da capo… a Caroline, per esempio… credo che le farebbe piacere poter avere una famiglia tutta sua, un giorno, sposarsi in una reggia meravigliosa, organizzare minuziosamente la vita dei propri figli ed essere insieme a Tyler tutto quello che i suoi genitori, in un modo o nell’altro, non sono riusciti ad essere per lei; a Rebekah… che, nonostante tutti i suoi sbagli ed i suoi difetti, desidera soltanto poter dimostrare ad una persona pulita ed onesta come Matt di poter essere migliore, umana, gentile, meritevole di quell’amore che troppo spesso ha concesso senza ricevere in cambio altro che scottanti delusioni; a Stefan…- la sua voce si spense mentre giocherellava distrattamente con la cerniera del giubbotto di Damon; non si fermò ad elencare le risapute e nobili ragioni per cui anche Stefan avrebbe meritato di riprendere a respirare l’umanità della propria esistenza, finalmente libero, dopo essersi lasciato alle spalle tutta la sofferenza e la colpa che ne avevano segnato il tormentato passato da Squartatore, ma sentì comunque scorrere nelle proprie vene il desiderio di poterlo vedere di nuovo felice.
- … a te.- completò Damon, senza tradire particolari emozioni, cingendola però con più decisione, quasi temesse di vederla scomparire improvvisamente dalle sue braccia, come un’evanescente bolla di sapone.
- E a te.- bisbigliò lei beata, come in un sogno, con la voce attutita dalla stoffa degli abiti scuri di lui. Il vampiro osservò confusamente, senza vederlo davvero, un punto imprecisato davanti a sé, tra il verde e le lucciole vibranti sospese nella penombra, poi all’improvviso si irrigidì. La serenità di Elena vacillò pericolosamente, lasciandosi alle spalle un gusto agrodolce, e scomparve del tutto quando, sollevando il viso, lei intercettò il suo sguardo fisso e duro, glaciale. -… Shane ha indovinato, non è vero? Tu… tu… non vuoi la Cura.- balbettò, sentendo un nodo in gola.

Image and video hosting by TinyPic
Damon avrebbe preferito morire in quel preciso istante piuttosto che causarle quell’evidente dispiacere ma rimase muto ed immobile, schiavo del proprio impronunciabile e solitario tormento interiore.
In realtà non aveva ancora idea di cosa fare. L’amore inaspettato, incontenibile e tanto anelato di Elena lo confondeva più che mai, lo riempiva di dubbi e di vane speranze, gli faceva credere che ogni cosa al mondo potesse essere realmente possibile ma, allo stesso tempo, forse involontariamente, lo trascinava anche in un universo tempestoso e intricato, fatto di insormontabili paure, di scarsa autostima, di enormi bugie e di perplessità.
Che razza di uomo sarebbe stato, al suo fianco?
Egoista, orgoglioso, impulsivo, indomabile, sbagliato… così era sempre stato e non sarebbe mai cambiato sul serio, questo lo sapevano entrambi, ormai… e fin troppo bene.
E allora?
Cosa c’era di male nel voler cercare rifugio in quel costante, ovattato e grigiastro limbo di emozioni, dietro quel sottile velo d’incertezza che la Cura avrebbe squarciato con violenza inaudita, lasciandolo poi, con ogni probabilità, nudo e distrutto al suolo, come una larva inerme che nessun bozzolo protettivo avrebbe mai più tramutato in farfalla?
Il terrore della verità faceva forse di lui un vigliacco, una cattiva persona? E chi se ne importava?
Nei secoli, Damon aveva terminato le lacrime a disposizione… avrebbe solo voluto poter dire lo stesso riguardo alle proprie debolezze.
Se il Sirebond si fosse rivelato l’unica ragione concreta dietro quell’esplosione ardente di sentimenti nel cuore di Elena, lui avrebbe continuato ad amarla come un ramo d’ortica ama un fiore in boccio, come una scheggia di vetro ama la pelle delicata, come un gatto che guarda, malinconico, il proprio gomitolo dopo averlo sfilacciato… l’avrebbe amata, certo, ma non sarebbe sopravvissuto.
Non sarebbe mai guarito dal sentire la sua mancanza e non avrebbe mai smesso sentirsi incompleto, inetto, solo.
Non sarebbe mai riuscito a raccontarsi un’altra verità, sussurrando instancabilmente a se stesso che non erano mai stati fatti per stare insieme, che era sempre stato troppo per lei… o troppo poco.
Non avrebbe sopportato ancora di essere l’ennesima monetina arruginita, lanciata per aria e rimasta in bilico, con troppo amore nascosto negli occhi per vederlo stropicciato così.
C’erano stati dei momenti in cui non era riuscito a distinguere le sue piccole mani soffici dalle proprie, i propri battiti impazziti dal suo respiro lento e musicale e, per qualche istante, era andato tutto bene, così maledettamente bene
Se lei non l’avesse scelto stavolta, l’avrebbe comunque rivista in ogni stella cadente dal cielo, perché era perdutamente innamorato di lei e la cosa lo stava facendo impazzire, ma di certo non sarebbe stato abbastanza forte per reagire, per resistere, per continuare a combattere.
Forse avrebbe solo dovuto dirglielo, dirle che era spaventato ma che l’amava e l’avrebbe amata sempre, così quello non sarebbe più stato un giorno da odiare… ma non lo fece.
Damon era stato moltissime cose… un figlio, un fratello, un amante, un assassino… ma non era mai stato un ladro. Lei apparteneva ad un altro destino ed imporsi nella sua vita sarebbe stato come rubarle la felicità che meritava… assieme ad un uomo davvero degno di lei.
Assieme a Stefan.
-No, Elena...- le disse infine, sciogliendo il loro abbraccio con una lieve quanto meccanica fermezza. – Io non la voglio… e non la prenderò.-  
 
-Ricapitolando… siete partiti in gruppo per un’avventurosa spedizione nella speranza di trovare una sottospecie Fonte dei miracoli?- mormorò Demi, riassumendo tutte le informazioni che Damon le aveva appena offerto su un piatto d’argento. Non riusciva bene a capire cosa ci fosse nascosto nel fondo dello sguardo improvvisamente cupo e distante di suo zio: era come se lui stesse tenendo per sé una parte consistente ma dolorosa di verità ma la ragazza decise di non preoccuparsene troppo, per non rischiare di aumentare il suo tormento o di indispettirlo. – Wow, fa molto Pirati dei Caraibi, devo ammetterlo.- ironizzò, cercando di non scoppiare a ridere al pensiero di Damon e Stefan, tutti intenti a bisticciare a bordo di una maestosa nave dalle vele nere, magari nei panni rissosi del comico Capitan Jack Sparrow e del suo scorbutico primo ufficiale Hector Barbossa.
-Già…- disse Damon, arricciando il naso in una smorfietta che rischiarò i suoi tratti e spazzò via un po’ del suo misterioso malumore. -… erano tutti piuttosto eccitati all’idea di trovare il pozzo magico in cui, nella notte dei tempi, una strega dagli evidenti disturbi mentali aveva sepolto il suo unico amore dopo essere stata da lui brutalmente tradita. Per rimediare all’errore di avergli donato l’immortalità, lei aveva sigillato accanto al suo misero corpo essiccato una Cura che, se bevuta, gli avrebbe restituito l’umanità e l’avrebbe costretto, dopo la morte, a trascorrere un’eternità da prigioniero nell’Altro Lato, assieme a lei.- ridacchiò, teatralmente, notando l’espressione orripilata della nipote. - Era una tipa piuttosto romantica, la nostra Qetsiyah. Perversa, certo, ma con un certo stile.-
- Raccapricciante, direi.- rabbrividì Demi, scuotendo appena il capo, turbata dalla complessa e spietata crudeltà del sottile piano di vendetta architettato dall’invincibile antenata di Bonnie e Sheila. – Un’isola desolata ai confini del mondo, un pozzo nelle profondità della terra con un cadavere prosciugato ed intrappolato proprio nelle vicinanze… insomma, non molto rassicurante come prospettiva di viaggio.- commentò, con una certa obbiettività. – Fu per questa ragione che Caroline e Tyler decisero di non accompagnarvi nelle ricerche? Perché non mi sembra di averli sentiti nominare nel tuo elenco degli esploratori.-
‘Non le sfugge proprio niente’ pensò Damon, sentendo l’orgoglio risuonargli nelle orecchie come un argentino campanello di cristallo.
-Nah… loro due, per una volta, erano impegnati a fare qualcosa di più serio rispetto al loro solito pomiciare ovunque spargendo margherite e tulipani al loro passaggio.- chiarì immediatamente, malizioso. – Per esempio sorvegliare un Klaus che dava continuamente in escandescenza, bloccato com’era da un incantesimo supersonico nel soggiorno di casa Gilbert.-
- Quel… quel Klaus?!- tossicchiò la giovane, sbarrando gli occhioni blu dallo sgomento. – Ma chi mai avrebbe potuto rinchiuderlo…?-
- Bonnie, naturalmente.- rispose il vampiro con semplicità, prima che lei potesse riuscire a formulare la domanda. - L’aveva fatta parecchio incazzare e una Bennett sa tirare fuori delle risorse davvero interessanti quando perde il controllo.- la mente di Demi fu attraversata fulmineamente dal ricordo della litania infuriata che Sheila aveva rimbrottato tra i denti quella mattina davanti ai minacciosi dispetti di Rebekah e, subito dipo, da quello dell’inaudita violenza con cui la finestra dell’aula si era spalancata, lasciando tutti a bocca aperta dallo spavento. Involontariamente, la Salvatore deglutì, ricollegandosi a fatica con le fitte parole che Damon, imperterrito, aveva continuato a blaterare nell’intervallo della sua riflessione. -… peccato, in effetti, che sia sempre stata così frigida.-  
- Non avrebbero potuto lasciare l’ibrido lì a marcire e venire con voi?- lo interruppe dopo un attimo, ragionando.
- Certamente… ma poi non avrebbero avuto la stessa utilità che invece ebbero rimanendo a fare da balia a quel cattivone.- rispose Damon, con un sorriso sghembo.
 
Elena sentì un dolce e croccante profumo sfiorarle lentamente le narici e svegliarla dal sonno torbido e nervoso che l’aveva rapita alla realtà almeno per qualche ora. Quando riaprì gli occhi ancora gonfi di pianto e battè più volte le ciglia umide, percependo la pelle delle guance tirare, intorpidita dalla scia ormai rappresa delle sue innumerevoli lacrime notturne, si sentì disorientata e triste per un interminabile momento prima di riacquistare completamente la propria lucidità.
-Buongiorno.- le sussurrò una voce accomodante ed inconfondibile. Prima che la vampira riuscisse a localizzarlo nel proprio campo visivo ancora un po’ offuscato, Stefan le avvicinò un vassoio dorato pieno di cibo per la colazione: c’era un grosso pezzo di pane simile ad un biscotto ricoperto di marmellata, una caraffa colma di un liquido denso che sembrava succo di frutta e una grossa tazza di caffè, latte e fiocchi d’avena. Elena fissò quelle leccornie per un momento, stupita, poi inarcò un sopracciglio con aria critica, un po’ imbarazzata all’idea di poter ferire (ancora) i sentimenti del suo ex fidanzato.
- Cibo umano?- domandò, un po’ scettica.
- Proprio così.- sorrise Stefan, evidentemente entusiasta. - Con un po’ di fortuna troveremo la Cura tra qualche ora… perciò mi sembrava un buon modo per cominciare la giornata… non trovi anche tu?- Elena non fece la difficile ed afferrò in fretta un cucchiaio, trangugiando i così velocemente i cereali da non riuscire nemmeno a distinguerne il sapore. Assaggiò anche il pane imburrato e, in un istante, il suo risentimento nei confronti dei prematuri tentativi di Stefan di riconquistare la normalità svanì, senza lasciare traccia. Era tutto talmente gustoso che perfino il succo di pompelmo riuscì a dissetarla, facendole dimenticare per un po’ la presenza ancora ingente di altri bisogni in attesa di essere placati. Presto non li avrebbe più sentiti ardere così implacabilmente in gola… presto la sua sete di sangue sarebbe cessata, permettendole di rinascere, di nuovo innocente, serena,umana
- Grazie, davvero.- sospirò dopo aver finito, restituendogli il vassoio vuoto con un sorriso più che spontaneo. Il vampiro si illuminò, posando una mano sotto il proprio mento mentre le restituiva uno sguardo interessato, in attesa che parlasse ancora. -... era tutto squisito.- dopo essersi complimentata, Elena sbirciò la strana euforia celata nel verde screziato di nocciola degli occhi di lui ed increspò le labbra, incerta. - Non sei costretto ad essere gentile con me, Stefan.- gli disse, impacciata.
Nelle ultime settimane, specie da quando lei aveva scoperto di non poter più ignorare l’amore divoratore che provava nei confronti di Damon, avevano avuto i loro problemi e le loro incomprensioni ma, improvvisamente, lui sembrava aver voglia di ricominciare da zero, di darle una nuova possibilità.
- Io credo di sì… e poi, ad ogni modo, oggi scopriremo se ne sarà valsa la pena.- speranzoso, le offrì una mano per aiutarla a rialzarsi.
Quando sentì un rumore di passi immersi nell’erbetta al suo fianco, Elena alzò d’istinto lo sguardo verso il nuovo arrivato, sperando di vedere accanto a sé qualcuno dai capelli neri e dall’aria imbronciata, ma rimase delusa: era solo Jeremy, arrivato lì a torso nudo per riacciuffare i propri bagagli prima di rimettersi in marcia alle calcagna di Shane. Con un insopportabile senso di oppressione nello stomaco, la Gilbert afferrò il polso di Stefan e si tirò su, sentendosi tremare le ginocchia.
Una parte di lei, di certo quella più fragile e più spaventata dall’ignoto, avrebbe davvero desiderato poter dimenticare, attraverso la Cura, tutto quello che sentiva esplodere dentro al solo pensiero di Damon, magari per potersi rifugiare nel calore e nella semplicità che la mano libera di Stefan posata sulla sua schiena, sempre pronta a sorreggerla, le aveva regalato ininterrottamente durante la loro storia d’amore… ma non poteva. Non adesso, almeno… non così.
- Credo che Bonnie abbia bisogno d’aiuto.- soffiò cupamente, stringendosi nelle spalle e dirigendosi verso le tende in fermento degli altri.
 
- La pianti di fissarmi? Stai cominciando a darmi sui nervi.- sbottò Damon, seccato, continuando a tenere le braccia incrociate sul petto e le labbra strette in un’espressione furibonda mentre il vento spingeva le onde ad infrangersi fragorosamente sugli scogli finemente levigati della costa insulare. Rebekah, seduta su un grosso tronco sdradicato e disposto trasversalmente tra le rocce, agitando a mezz’aria il ramoscello sottile che aveva appena usato per tracciare sulla sabbia bianca come la neve qualche parola confusa e spigolosa, rispose con una noncurante alzatina di spalle.
- Oh, non stavo guardando te...- replicò prontamente, con un sorriso luminoso e soddisfatto. - … ma l’esilarante senso di colpa stampato su ogni centimetro della tua faccia. E’ evidente che anche tu l’hai sentita piangere per tutta la notte, dopo la vostra piccola discussione tra i cespugli.- disse, accennando al luogo dell’accampamento con un chiaro riferimento ad Elena nello sguardo ardente. Damon avrebbe voluto poter sentire qualcosa a proposito, un colpo allo sterno, un brivido nelle ossa, qualsiasi cosa, ma non percepì altro che un immenso ed indescrivibile vuoto dalle parti del petto. Era come sbattere contro un muro di pietra, come tentare di aggirare un’immensa ed aguzza muraglia per raggiungere, poi, il nulla. Era come se il cuore stesso gli fosse stato strappato via dalla cassa toracica. - Non sei stato un fidanzato molto carino… saresti dovuto correre a consolarla.- continuò Rebekah, distratta.
Il suo tono allusivo gli fece capire che qualcun altro, al contrario di lui, non avrebbe perso tempo per portare ad Elena il proprio conforto.
- Hai passato tutto il tuo tempo a criticare la nostra relazione e a sbandierare il tuo striscione ufficiale del Team Stefan.- sibilò Damon, acido, senza staccare gli occhi dal mare in subbuglio. – Ti prego, non smettere proprio adesso… definirmi il ‘fidanzato’ di Elena potrebbe precludere la tua tanto agognata promozione a membro onorario della sua fazione.- la avvertì, duramente, sarcastico.
- Non l’ho fatto per dar fastidio a te ma per lei.- gli rivelò la bionda, spostando un po’ di sabbia con gli stivali da viaggio per spianare di nuovo un angolo di superficie su cui sarebbe potuta tornare a scrivere con la punta del suo ramo secco. - Non ho ancora digerito il fatto che lei abbia cercato di convincere Stefan a pugnalarmi, né ho dimenticato la parte che ha giocato nella morte di Kol…- confessò, improvvisamente seria. -… era mio fratello e lo amavo moltissimo, nonostante tutti i nostri diverbi… Elena e il piccolo Gilbert non avrebbero mai dovuto osare tanto.-
- Lasciami un minuto di silenzio da dedicare alla scomparsa dell’Originale dal mentoaformadisederee delle sue formidabili mazze da baseball alle quali ero taaanto affezionato.- bofonchiò il vampiro, tentando spudoratamente di irritarla abbastanza da farla sloggiare dai paraggi.
- Sì, Kol era un tipo particolare ma a volte anche molto… saggio.- proseguì Rebekah ed i suoi occhi improvvisamente luccicanti di lacrime zittirono Damon all’istante. - E’ morto opponendosi al risveglio di Silas e al ritrovamento stesso della Cura a lui destinata. Diceva che tutto questo egoismo avrebbe scatenato l’Inferno, per noi.- si scambiarono un’occhiata intensa al di sopra delle fronde dell’albero stramazzato al suolo, a metà tra il terrorizzato e il compassionevole, poi Bekah si passò una mano sul viso, per riprendersi. - Immagino che non scopriremo mai che cosa intendesse dire con questo.-
- Al contrario, forse, non siamo mai stati così tanto vicini proprio a quellaverità.- disse il professor Shane, comparendo come un’ombra alle loro spalle e facendoli sobbalzare entrambi sul posto. Damon capì di odiarlo dal profondo del proprio non-cuore ma fu distratto dal mettergli le mani addosso dal suono delle voci che schiamazzavano in lontananza, soprattutto di quelle particolarmente familiari di Elena e di Stefan. - Muovetevi o arriveremo tardi all’appuntamento con la vostra umanità.- con un’insopportabile saccenza Atticus, fece loro cenno di seguirlo.
Rebekah, rinfrancata da quelle frasi e dalla propria intramontabile speranza di riacquistare la mortalità, balzò in piedi e raggiunse le altre tende, alla velocità della luce. Damon, rimasto in disparte, ancora tetro e riluttante, posò per un momento lo sguardo sulla sabbia che la Mikaelson aveva solcato con lettere e simboli.
Tra i granelli immacolati, riuscì distintamente a riconoscere i tratti di un nome in particolare, ripetuto all’infinito: Matt Donovan. MATT.MATT. 
 
- Questa gola tra le montagne, proprio sotto il fiume Acheronte, l’unico di quest’Isola, è il punto d’arrivo della mappa comparsa sui tatuaggi.- ansimò Shane, arrampicandosi a fatica giù per un ripido pendìo in discesa fino a toccare terra con le suole delle scarpe completamente ricoperte di muschio e fanghiglia. Bonnie e Jeremy si staccarono rispettivamente dal petto di Elena e da quello di Stefan i quali, con un salto acrobatico, li avevano spinti con sé, indenni, in quella spaventosa depressione nel suolo, poi udirono anche i tonfi ovattati dei corpi agili e scattanti di Damon e Rebekah atterrare accanto a loro, come se nulla fosse. – Equesto… dovrebbe essere l’ingresso sotterraneo del Pozzo.- esultò infine il professore, indicando un’evidente fenditura, alta e stretta, che attraversava la roccia gocciolante di fronte a loro.
All’interno della frattura si intravedevano dei bagliori di luce molto fiochi e persistenti, invitanti. Nessuno mosse un solo passo; tutti sembravano come ipnotizzati dall’inestimabile grandezza di ciò che, di lì a poco, si sarebbe realizzato proprio grazie al loro ingresso in quella caverna.
- Andiamo?- mormorò d’un tratto Stefan, rompendo di colpo il silenzio ormai diventato assoluto, pesante e palpabile.
- Sarebbe utile se qualcuno rimanesse qui fuori… sapete… per fare la guardia al passaggio.- consigliò Shane, con uno strano e sinistro luccichìo sul volto estasiato. Elena si sentì arrossire furiosamente quando incrociò per sbaglio gli occhi sfavillanti del fratello di lui, leggendovi dentro la sua stessa afflizione e lo stesso acuto timore di perdersi per sempre. Se bere quella benedetta Cura avesse comportato necessariamente il vederlo scomparire dalla propria vita, Elena sarebbe voluta tornare indietro all’istante e senza pensarci due volte, ma era ormai troppo tardi per tirarsi indietro…
- Rimarrò io.- si offrì prevedibilmente Damon, nel tono più freddo e sprezzante che riuscì a tirare fuori. - Fate in fretta, guardate dove mettete i piedi… e cercate di non cascare nella Fonte perché io sarò ancora un vampiro e non verrò a salvarvi a nuoto.- la Gilbert, comprendendo il sofferto e protettivo ammonimento che aveva ispirato quella battuta ironica, annuì debolmente tra sé, cercando di aggrapparsi alla propria forza di volontà per non crollare in mille pezzi, poi, con un ultimo sguardo ostinato a Damon, si trascinò accanto a Stefan attraverso il varco nel granito.
La prima cosa che riuscì a distinguere nettamente, nell’opaca foschia quasi lattea che dominava la cavità, fu un getto di calore che le investì la faccia e la pelle nuda delle mani, facendole sventolare i capelli e condensandosi tra le ciocche color cioccolata come rugiada. L’odore di umido che si sarebbe aspettata di annusare non aveva nulla a che fare con il lezzo di muffa e vapore che le intasò interamente le vie respiratorie, dandole la sensazione di stare soffocando, e perfino le sue pupille tanto allenate danzarono a vuoto per un momento di troppo, nel tentativo di adattarsi all’ambiente circostante, prima di darle la possibilità di individuare il resto del gruppo alle proprie spalle.
Jeremy le posò una mano rassicurante sulla spalla prima di passarle una torcia, visibilmente stordito. C’erano state alcune occasioni in cui, a causa del suo nuovo istinto da Cacciatore, aveva tentato di farle del male, persino di ucciderla… la Cura avrebbe eliminato questo suo istinto cruento e loro due sarebbero tornati gli inseparabili fratelli Gilbert di sempre...
- Restatiamo vicini e teniamo gli occhi bene aperti.- esalò Stefan, facendosi inghiottire dalla nebbia; a tentoni cercò dietro di sé la mano di Elena e lei la prese, cercando di non inciampare in una delle pericolose buche che l’azione erosiva dell’acqua aveva provocato nel viscido pavimento nero ed afferrando a sua volta quella del fratellino.
Le pareti sembravano brillare come piccoli diamanti grezzi e le stalattiti che pendevano dal soffitto erano affilate e minacciose, trasparenti e immobili come cristalli.
- Riesco a sentire lo scorrere di una sorgente.- annunciò Bonnie, con voce strozzata.
- E’ da questa parte!- confermò Rebekah, sentendo il cuore impazzito martellarle nel petto così forte da farle male. – Presto, di qua!- cominciarono ad affrettare il passo, stravolti dall’impazienza, scivolando come fantasmi incorporei tra le rocce preziose che ornavano la caverna che Qetsiyah aveva accuratamente scelto come tomba eterna per Silas ed avvicinandosi sempre più al rombare del miracoloso ruscello sotterraneo.
Era diventata quasi una gara, tra loro, ed Elena sentì la propria mente improvvisamente sgombra dai pensieri e dai dispiaceri, concentrata com’era nel raggiungere la meta. Svoltando rapidamente a destra per sorprassare Stefan, fu proprio lei a vedere per prima, finalmente, ciò che stavano cercando da sempre: il gorgoglìo scrosciante proveniva da un’enorme cascata che fuoriusciva da una consistente spaccatura nel muro.
Una vasca profonda ed irregolare, simile ad una maestosa fontana dai bordi argentei, catturava la luce del sole proveniente da un foro circolare nel soffitto che, a centinaia di metri in superficie, non poteva che essere la bocca del fatidico Pozzo magico.
Il vapore denso nell’aria proveniva direttamente dalla Fonte perché, a quanto pareva, l’acqua che da essa zampillava con energia era bollente, fumante, come proveniente da una sorgente vulcanica. Nella roccia tutt’intorno erano incastonati dei gioielli che avrebbero fatto invidia ad un miliardario e l’attenzione della Gilbert fu attirata, in modo particolare, da un lapislazzuli triangolare, grande quasi quanto il palmo della sua mano, incastrato proprio sotto la fessura principale della falda.
Attraverso il getto non riusciva a distinguere i simboli arcani incisi su di esso (sembravano delle stelle… forse pentacoli o, meglio, degli esagrammi?) ma ne rimase comunque affascinata.
- Quellaè la mia ricompensa.- sorrise Shane, senza staccare gli occhi avidi di dosso alla pietra incredibilmente azzurra. Fece per avvicinarsi all’ammasso d’acqua con le dita protese ma, non appena i suoi abiti sudici ebbero anche solo sfiorato il liquido caldo, una scossa immane vibrò in ogni venatura dei macigni circostanti, dandogli le vertigini.
Rebekah urlò a pieni polmoni quando si accorse che alcuni pugnali di pietra stavano cominciando a staccarsi dalla cupola di roccia per piovere sulle loro teste e si spostò appena in tempo, mentre le viscere della terra tremavano ed alcuni pilastri cominciavano a sgretolarsi.
- E’ il Sigillo!- strillò Bonnie, riconoscendo la magia in quella specie di terrificante terremoto d’avvertimento. – L’Incantesimo di Qetsiyah ha percepito la nostra presenza e sta creando uno scudo attorno alla Fonte! Guardate!- Elena avrebbe preferito cavarsi gli occhi dalle orbite, piuttosto, ma si costrinse ad osservare ciò che stava accadendo proprio sotto il loro naso impotente: le acque della Cura si stavano ritirando alla velocità della luce, risucchiate dagli stessi buchi che ne avevano lasciato scorrere i rivoli incandescenti fino ad un istante prima, lasciando l’enorme vasca arida e vuota, desolata.
- No… no…- mugugnarono Stefan e Rebekah in coro, sporgendosi come per immergere le mani nelle ultime gocce rimaste. Furono respinti dalla barriera magica provocata dal potente maleficio della strega che aveva creato e pianificato ogni angolazione e segreto di quel luogo misterioso e strinsero solo rabbia e disingranno tra le dita chiuse a pugno. – Oh no…-
 
-Che cosa?- chiese Demi, senza riuscire a credere alle proprie orecchie. – La Cura era… sparita?- si premette una mano sulla fronte in un gesto esasperato che, a Damon, ricordò esattamente quello che lui stesso aveva fatto fuori dalla caverna quando aveva ricevuto la melodrammatica telefonata di Stefan, resa stentata e distante dalla scarsa presenza di collegamento telefonico tra loro.
 
-Dimmi che non devo entrare lì dentro e fare una strage.- ruggì, fuori dai gangheri come poche volte nella vita, camminando avanti e indietro fuori dall’ingresso della cava e sentendo la propria eco rimbombare praticamente in tutta l’Isola. – Anzi no, dimmi che tutta questa pagliacciata della Cura non è stata solo una fenomenale presa per i fondelli da parte del professor Scemo oppure non riuscirò a controllare oltre il mio desiderio di strappargli la milza. O magari qualcosa di più poetico? Non saprei, davvero…-
- Oh no, non preoccuparti, Damon.- petulò Stefan, altrettanto furente e irritato. - Nessuno è rimasto ferito a causa della scossa sotterranea, tranquillo… stiamo tutti benissimo.-
- Per ora.- rimbrottò il vampiro, minaccioso, ignorando la sua indignazione. – Che cosa sta succedendo? Perché Bonnie non ha ancora spezzato quell’Incantesimo riassorbi-Cura? Che diavolo state aspettando?- incalzò, trattenendo l’impulso di prendere a pugni qualcosa.
- Hanno la formula magica giusta ma ci vorrà un po’ di tempo prima di avere qualche risultato, sai benissimo come funzionano queste cose.- rispose l’altro, mordicchiandosi le unghie per scaricare l’ansia. – Tra le altre cose abbiamo appena trovato un’iscrizione sul fondo della vasca argentata che arginava la Fonte. E’ incisa nella roccia e scritta in una lingua sconosciuta… Shane dice che potrebbe essere Aramaico, una lingua biblica ed antichissima appartenente al ceppo semitico… nonché lingua d’origine di Qetsiyah.-
 
- E ti pareva.- sbuffò la ragazza dagli occhi di ghiaccio, con una smorfia, sentendo un’angoscia senza fine riempirle il petto. Era strano sentirsi così coinvolta dalla storia ora che Damon aveva smesso di essere così reticente e si lasciava andare ad un racconto molto più dettagliato ed interessante. – Ci mancava solo un’intraducibile lingua morta a complicare le cose.-
- Puoi dirlo forte.- annuì Damon, grattandosi la nuca ed arruffandosi i capelli d’inchiostro. – Quella lingua vantava la bellezza di 3.000 anni di storia ma, per fortuna, c’era qualcuno che ne conosceva alla perfezione i più minuziosi segreti pronto a collaborare.- lui si accigliò per un momento, riflettendo sullo strano suono che avevano appena avuto le sue parole, poi ci ripensò: - Beh, più o meno.-        
 
- Ho spedito una foto di quella scritta Caroline… lei la mostrerà a Klaus.- annunciò Stefan qualche ora dopo, sedendosi sul bordo della grossa piscina ancora completamente asciutta con aria sconsolata. - Non capisco perché dovrebbe volerci aiutare… è sepolto vivo in casa Gilbert come una domestica annoiata e sa benissimo che, una volta tornati tutti umani, non avremo più nessuna ragione per non toglierlo di mezzo. Voglio dire… niente più linea di sangue da difendere… niente Klaus tra i piedi. Non aspettiamo altro da secoli, ormai.- Elena si voltò a guardarlo con uno scatto talmente repentino che ad un comune mortale sarebbe costato qualche vertebra, sentendo istantaneamente un groppo in gola toglierle il fiato.
Il vampiro la guardò perplesso e preoccupato, senza capire le ragioni del suo improvviso e livido terrore.
- Che cosa c’è che non va? Qual è il problema?-
- Stefan…- boccheggiò lei, stringendogli il braccio con urgenza, con gli occhi inondati di lacrime. Lui sentì le proprie labbra tremare,  come se avesse improvvisamente, insopportabilmente capito quello che stava per dirgli. - … è…  si tratta di Damon… lui… non vuole prenderla. Non vuole essere Curato…- le sembrava di avere la lingua paralizzata ma, in qualche modo, quelle frasi trovarono il modo di venire fuori, funeree, inevitabili.
- Morirà…- dedusse Stefan, agghiacciato, impallidendo di botto. -… se uccideremo Klaus… allora anche Damon…-
- Abbiamo appena ricevuto la nostra traduzione!- esultò d’un tratto Rebekah, sventolando il proprio cellulare con evidente entusiasmo. Anche il mormorìo sempre più fitto e complicato di Bonnie, che era piegata in avanti con le mani posate a pochi centimetri dalla parete piena di gemme multicolore e con la fronte malida di sudore gelido, si spense lentamente: le sue dita toccarono di nuovo la roccia con uno schiocco, superando ed infrangendo la barriera protettiva posta attorno alla Fonte.
Era finalmente riuscita ad eludere la sorveglianza del Sigillo.
- Ci siamo.- si rallegrò Shane, facendo balenare di nuovo quel suo sorriso ingordo e febbrile.
 
- Perciò le acque curative ricominciarono a scorrere esattamente come prima e tutti vissero felici e contenti?- chiese Demi, ormai sull’orlo di una crisi di nervi a causa della propria indomabile curiosità.
Damon scoppiò a ridere ma fu una risata amara, graffiante, del tutto priva di gioia.
- ‘Chi si nutrì di sangue, dal sangue verrà prosciugato. La Fonte non placherà la sete, non senza un tributo adeguato. Nel molto volere si giunge al niente, chi frena le labbra è più prudente. Molti berranno per lasciarsi curare; uno solo, invece, dovrà per amore.’- citò a memoria, riportandole fedelmente l’enigmatica traduzione ritrovata sul fondo della vasca. – Ecco quello che Klaus e il suo bravo dizionario Aramaico-Lingua comprensibile riuscirono a tirare fuori. Piuttosto inquietante come messaggio da lasciare ai posteri, non trovi?- le domandò, osservandola attentamente, in attesa di una qualsiasi reazione.
Demi battè un paio di volte le palpebre, ammutolita, cercando a fatica di rimettere insieme tutti i pezzi del puzzle.
- I vampiri, ovvero chi si nutrì di sangue…- riflettè ad alta voce, dopo aver inspirato nervosamente tutta l’aria che era riuscita a mettere insieme per evitare di sentire i propri polmoni ardere dalla tensione. -… dal sangue saranno prosciugati.- ripetè, mordendo piano l’interno della propria guancia, agitata. – Forse… per riattivare la Fonte… ci sarebbe stato bisogno di un tributo… di sangue ‘vampiro’? Una sorta di scambio… una modesta quantità di sangue per ricevere una dose di Cura?- lo fissò, emozionata.
- Interessante ipotesi.- commentò suo zio, ma qualcosa nel suo tono fiero le diede l’impressione di averci visto giusto. - Vedi… per diventare un vampiro i passaggi fondamentali da affrontare sono tre: ingoiare sangue di un altro vampiro, morire ed infine nutrirsi di sangue umano per completare la propria transizione. Per la Cura valeva la stessa cosa (a quanto pareva queste streghe fanatiche ed anche un po’ esaurite vanno matte per il numero della perfezione): per lasciar scorrere di nuovo la Cura in quella sottospecie di piscina bisognava lasciarci cadere dentro il proprio sangue gocciolante da una ferita autoinflitta, lasciando che fosse riassorbito dalla roccia porosa sul fondo, aspettare che riaffiorasse dalla Fonte sottoforma di Cura e poi, semplicemente… berlo.-
 
Stefan attese che il taglio sul proprio braccio si rimarginasse di nuovo del tutto prima di avvicinarsi alla bocca della Fonte, in trepidante attesa. Aveva già tra le mani due ampolle (una destinata a Caroline e l’altra a Tyler) piene di un liquido denso e rosso rubino come il sangue che aveva appena lasciato colare sulla roccia dalla propria ferita, ma non ebbe problemi nel sistemare sotto il terzo getto incandescente un altro contenitore di cristallo finissimo.
- Non appena avrete finito di raccogliere la Cura, invierò le fiale agli altri con un incantesimo di smaterializzazione.- li avvisò Bonnie, distogliendo lo sguardo dallo squarcio nella carne di Rebekah che le era servito per prelevare la propria dose e quella destinata ad Elijah, il solo fratello Originale che la volesse per sé. – La berrete tutti insieme… per un totale di sei somministrazioni totali.- uno spasmo impaziente nelle dita di Shane fece venire la pelle d’oca ad Elena, mentre lei pensava irrazionalmente al lapislazzuli tempestato di esagrammi nel muro principale. Cercando di ignorare la sensazione di disagio, la vampira infilò la propria boccetta nello zaino e chiuse la cerniera grigiastra. A Stefan, che stava scavalcando il gradino della vasca, sembrò di averla vista nasconderne un’altra ma i movimenti della Gilbert furono talmente veloci da fargli credere di esserselo immaginato.
- E’ finita.- le sorrise, raggiante. - Non riesco a crederci ma… abbiamo finalmente vinto.-
 
- Razza di mentecatti ingenui.- Damon lasciò andare la testa indietro, cercando il contatto con il cuscino dello schienale e socchiudendo gli occhi azzurri, come spossato. Demi non si sarebbe mai aspettata da lui un gesto del genere, sintomo così lampante di una simile debolezza interiore, ma si sentì inconsciamente partecipe della sua pena. - Avrebbero dovuto sapere che ci sarebbe stato uno schifoso trucco dietro tutto quell’idilliaco quadretto abilmente progettato dal subdolo Shane. Era stato tutto fin troppo facile cantare vittoria, troppo sospetto…- sussurrò Damon, come se stesse parlando a se stesso. – Idioti. Erano così convinti di aver già superato il peggio, di potersi fidare…-
La ragazza sentì il battito sordo del proprio cuore rimbombarle nello sterno, mestamente.
- Che vorresti dire con questo?- soffiò, toccata dalla sua muta disperazione. – C-che cosa… accadde dopo?- 
- ‘Nel molto volere si giunge al niente, chi frena le labbra è più prudente.’- le ricordò il vampiro, senza nemmeno voltarsi a guardarla. – Avevano praticamente ignorato quella parte della profezia, inebriati com’erano dalle lusinghe del meschino professore, dal desiderio di mettersi alla prova e di lasciarsi definitivamente alle spalle la loro eterna dannazione. Ma quella Cura non era stata ideata perché fosse ingerita da poveri vampiri in cerca della propria perduta umanità. Qetsiyah l’aveva creata unicamente per provocare la morte di Silas. Quella roba non era mai stata destinata alla restituzione della mortalità, capisci?, la sua unica finalità era sempre stata… la morte. - il suo tono feroce la raggelò, facendole rizzare i peli sulla nuca. - Questo fatto condizionò inevitabilmente la reazione fisica di quelli che avevano osato, dopo millenni di quiete, appropriarsi con l’egoismo delle proprietà così ‘esclusive’ di quella Fonte. La Cura non avrebbe placato la loro sete ma, al contrario, gli avrebbe scatenato dentro… l’Inferno.- ricordando le parole di Kol Mikaelson, Demi inorridì, colta alla sprovvista.
- Oh no…- gemette, con voce roca.
 
Elena aveva percepito sin da subito una strana sensazione diffondersi in tutto suo corpo, dopo aver ingerito la Cura, dopo aver avidamente bagnato con le sue gocce aspre e dal sapore metallico le proprie labbra screpolate, permettendo loro di colare giù per il suo mento, calde, irresistibili, ingannevoli.
Poteva sentirlo: era stato come se i suoi sensi avessero cominciato a cambiare in fretta, come se si fossero pian piano avviati sulla strada dell’annullamento, intorpidendosi, prosciugandosi della stessa linfa vitale… tutto era divenuto lentamente meno nitido, meno artificialmente perfetto, più normale ma anche terribilmente… debole.
Bonnie aveva continuato a ripetere loro che era quasi finita, che lei, Jeremy e Matt avrebbero trovato un modo per sistemare le cose, che aveva tutto sotto controllo, che mancava davvero così poco alla loro felicità…
Erano state sono solo un mucchio di disperate bugie, le sue… Damon glielo aveva letto negli occhi spenti e nel tono basso e strascicato…
 
- Sarebbero morti tutti nel giro di ventiquattr’ore, senza se e senza ma, se solo la Bennett non avesse cercato di rallentare la loro disidratazione improvvisando un patetico incantesimo di scelta. Sai, qualcosa di simile al libero arbitrio… ‘vuoi tornare ad essere un vampiro oppure lasciare che la Cura faccia il suo corso?’- mormorò il vampiro, con un volto di pietra. – Ovviamente il suo sortilegio non riuscì a sovrastare quello mortale di Qetsiyah… tranne che per Elijah e Rebekah, i due Originali. Il loro organismo reagì in maniera splendida, forse perché molto più resistente e antico di quello giovane ed inesperto degli altri, e così loro furono immediatamente protetti dagli effetti negativi della Cura, graziati. Per gli altri funzionò comunque, ma solo da diversivo mistico: l’effetto dell’avvelenamento avrebbe impiegato due giorni più del previsto per completare il suo ciclo, concedendoci un totale di soli tre giorni per chiudere per sempre quel bastardo traditore di Shane nella caverna, per tornare a casa e pensare ad una soluzione.-
Demi era così stranita da sentire le orecchie otturate, come se fosse sott’acqua, in balia di onde nere e crudeli. Non voleva crederci, voleva sfuggire da quel tragico risvolto che la narrazione aveva assunto ma qualcosa la tratteneva, bloccandola lì, a bocca aperta. 
- Ma voi… la trovaste, una via d’uscita.- esalò, cercando di spingerlo a spiegarle il resto della storia. – Come?-
- ‘Molti berranno per lasciarsi curare; uno solo, invece, dovrà per amore’, ricordi?- cantilenò Damon, completando, con l’ultima strofa, l’iscrizione che Klaus aveva servizievolmente tradotto. – Il rimedio era tutto qui, lo era stato sin dal primo istante. Ciò che la Fonte richiedeva era un sacrificio… un ‘tributo’.- sottolineò mimando le virgolette con le dita, disgustato. - Qualcuno avrebbe dovuto bere la Cura… senza possibilità di ritorno, stavolta. Avrebbe dovuto farlo per amore, per compassione, per bontà d’animo… per salvare spontaneamente chi tanto incautamente aveva desiderato sfidare le imposizioni di Qetsiyah.- la pancia di Demi si contrasse dalla sorpresa e dall’inquietudine.
- Ma…- esitò, ascoltando il proprio respiro sibilarle tra le labbra secche. -… nessuno di loro è morto. Mamma, papà, Caroline e Tyler… sono tutti sopravvissuti alle terribili conseguenze della Fonte, riacquistando la propria umanità… questo significa che nessuno di loro ha offerto se stesso in sacrificio.- cercò una conferma negli occhi di Damon e la trovò, nascosta tra le sue ciglia immobili. – Perciò chi…?- si sentì smarrita quando posò nuovamente lo sguardo su di lui, dubbiosa.
- Sarebbe stato inutile far bere la Cura ad un altro vampiro, non trovi? Avrebbe avuto esattamente lo stesso effetto devastante che stava avendo su tutti loro e la situazione sarebbe solo peggiorata, senza alcun senso.- osservò lui, trafiggendola con lo sguardo. – Credo che Qetsiyah volesse, con ogni probabilità, ricreare l’atmosfera del suo traumatico primo innamoramento… in un modo del tutto sadico, mi pare ovvio. La prima a perdere la vita per mano sua, in quel caso, era stata la bellissima e sfortunata umana di cui il tenebroso Silas si era perdutamente invaghito, ferendo i suoi sentimenti… perciò, anche in quel caso di grave offesa alla sua autorità di strega permalosa, un umano avrebbe dovuto bere l’amaro calice e lasciarci le penne. Per amore.-
- Hai detto che il Pozzo era stato di nuovo sigillato con il professor Paura dentro.- obiettò Demi, turbata. – Ad ogni modo, non sareste riusciti a tornare sull’Isola in tempo per attringere alla Fonte.- continuò, sentendo la verità avvicinarsi sempre di più, seppur ancora volubile ed irraggiungibile come uno spettro senza volto. - E tutte le porzioni di Cura giunte a Mystic Falls erano state bevute… ne erano state prelevate sei e, infatti, esclusi gli Originali, esattamente quattro erano i vampiri ancora in pericolo di vita, tormentati dalla sorte che sarebbe dovuta toccare solo a Silas...- Damon continuava ad annuire e a condividere a pieno tutte le sue repliche, dandole quasi sui nervi. -… non riesco davvero a capire. Ammesso che voi aveste già trovato il vostro martire umano pronto a morire senza troppa esitazione per loro la salvezza… le boccette di Cura erano state vuotate fino all’ultima goccia, non c’era più nessuna dose da somministrare, a meno che… oh mio dio…- un sorriso amareggiato ma estremamente luminoso, come un lampo terrificante che incendia il cielo per un solo istante prima di far tornare il buio più lugubre, comparve sul viso di Damon quando notò la consapevolezza farsi finalmente sul volto sbigottito di Demi. -… a meno che mia madre non ne avesse conservata una… per te.- completò, con voce spezzata.
- Eccoci qui, adesso lo sai.- esultò il vampiro, senza traccia di felicità sulla faccia. – Ciò che, invece, ancora non sai è che a volersi sacrificare era un giovanotto che tutti, in città, amavano moltissimo… ricambiati pienamente. Era un tipo semplice, umile, onesto, un po’ inutile, a volte, ma un buon amico. Quando tua madre, ancora umana, precipitò oltre il Wickery Bridge, rimanendo fatalmente bloccata in un’auto assieme a questo tizio, supplicò Stefan di salvare la vita di lui e non la propria. Se non avesse avuto il mio sangue in circolo… Elena sarebbe annegata volentieri pur di salvarlo… immagino che lui non vedesse l’ora di ricambiarle il favore.- l’ironia tra le sue parole nascondeva un’amarezza che Demi percepì come un pugno rovente nello stomaco. - Continuava a ripetere che tutto ciò che possedeva al mondo erano i suoi amici e, ripensandoci, non riesco a dargli torto… sua sorella Vickie era morta, non aveva mai conosciuto suo padre e sua madre non si era mai curata di lui, preferendo alla monotona vita di periferia l’ebbrezza di una relazione extraconiugale… aveva solo Tyler, il suo migliore amico, Caroline, l’ex fidanzata verso la quale nutriva ormai un affetto fraterno, Elena, l’amica fedele per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa... a qualsiasi costo.- Damon si interruppe, sentendo uno strano dolore affondargli nelle scapole, mozzandogli il respiro. Demi si sentì una sciocca ma non riuscì a non posare la fronte sulla spalla di lui, lasciando che i capelli le coprissero gli occhi lucidi, chiudendosi come un sipario corvino su di essi.
- Lui era Matt Donovan, vero?- sussurrò, sapendo che una risposta affermativa sarebbe ormai stata superflua. – Il ragazzo di cui lei scriveva ossessivamente nella sabbia. Quello di cui la mia amica porta il nome.- la pioggia implacabile, là fuori, aveva smesso di infuriare. Damon pensò che fosse ironico ma si sforzò di ritornare bruscamente al presente.
- Rebekah… Matt era il suo ragazzo… una specie. Lei ne era cotta, nonostante avesse trascorso gran parte della sua recente esistenza a negarlo. Dopo aver tentato di ucciderlo (fu proprio lei a spingere la macchina giù dal ponte, una volta) aveva giurato di proteggerlo e di provare a riconquistare la sua fiducia. Quell’amore così puro era l’unica ragione a spingerla a voler tornare umana… se mai avesse scelto di stare con uno dei buoni, sarebbe stata con lui… Matt sarebbe potuto restare vivo e vegeto assieme a lei, già salva dalla tragedia della Cura e già dimentica dei suoi moribondi ex compagni di ricerche, ma preferì donare la propria vita per salvaguardare quella dei suoi amici. Così, dopo aver strappato con l’inganno a tua madre la notizia dell’esistenza di un’altra Cura, la mia, lui la trovò e… la bevve.-
Demi pensò di non aver mai avuto tanto bisogno di un abbraccio in tutta la sua vita. Spavento, repulsione, compassione, senso d’abbandono, desiderio di vendetta… li sentiva tutti addosso, ora, quegli atroci e potentissimi sentimenti che Rebekah doveva aver provato, e le sembrava di essere in sovraccarico sensoriale. Pensò al suo cuore infranto in mille frammenti taglienti come cocci di vetro insanguinati, al senso di rifiuto che doveva aver consumato le sue speranze come acido, fin dalle fondamenta, al suo desiderio di attribuire la colpa di quella disgrazia a chi avrebbe dovuto bere quel veleno al posto di Matt, lasciando che il destino degli altri si realizzasse tra cenere e tormenti.
- Non è stata colpa tua.- disse piano la Salvatore a Damon, senza pensarci un secondo, senza muoversi. Lui, con un’aria insolitamente sfinita, poco convinta ma comunque grata, non emise un suono, respirando appena. Nessuno avrebbe mai potuto sapere che aveva trascorso gli ultimi sedici anni a desiderare che quelle stesse parole fossero pronunciate da una certa bocca rosea e dolce, temuta ma tanto amata. – Mi dispiace così tanto.- annuendo, lui le mise un braccio attorno alle spalle e, sentendo la propria coscienza un po’ più libera, per la prima volta dopo un’eternità, la strinse teneramente a sé.          

Image and video hosting by TinyPic
   
 
********************

Duuuuuuunque! Miei adorati! Avevo una voglia assoluta di pubblicare questo capitolo e l'ho vissuto tanto intensamente da aver chiuso occhio poco e niente, durante queste notti! XD
Spero che vi sia piaciuto... ecco la verità su ciò che accadde a Matt Donovan, su quali fossero i rapporti Delena prima della partenza di Damon e sugli effetti particolari della ''miracolosa'' Cura! ^^
Lasciatemi le vostre opinioni in un commento... mi aiuteranno moltissimo nella stesura del prossimo capitolo. ''Truth'' sarà diviso in 3 parti e verranno rivelati gran parte dei misteri che abbiamo lasciato in sospeso... l'identità del fantasma, il 3° potere di Demi, la paternità e, soprattutto, lo scopo del ritorno di Prince a Mystic Falls <3
Un bacione e a presto! 
https://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=hl

**************************

*Piccola nota dell'autrice:
Nulla di ciò che leggerete in questo capitolo riguardo la Fonte della Cura ed i suoi effetti è stato ispirato da una puntata di TVD.
Ho creato questa versione dei fatti prima che la 4x14 fosse trasmessa, perciò ho preferito mantenere la trama che avevo creato, pur modificando alcuni tratti decisivi dell'evoluzione del telefilm.
Ho praticamente riscritto la 4x13... spero che il risultato vi abbia fatto sognare <3
 
******************************************

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** The Truth (Part 2) - Dovizhdane ***


*
 
- Sono Matt… scusi, Matilde Lockwood.-
Demi non riusciva a fare a meno di ricordare, ossessivamente, i lampi gelidi ed accecanti con cui i famelici occhi di Rebekah Mikaelson, durante il primo giorno di scuola, avevano scrutato la maldestra figlia di Caroline.
Quando la bionda sedicenne, come al solito goffa ed impacciata, si era tanto candidamente presentata alla classe, pronunciando d’istinto quel soprannome amichevole ed infantile da ‘maschiaccio’ al posto del proprio nome per esteso, l’insegnante l’aveva trafitta con una cocente occhiata di puro odio, scatenando tra gli studenti una reazione unanime estremamente atterrita, confusa.
Mi chiamo Matt.
Demetra riusciva a cogliere molto meglio, ora, le oscure ragioni nascoste dietro l’atteggiamento scorretto e subdolo, un tempo così incomprensibile, assunto dalla sorella di Klaus nei riguardi della povera Mattie: Rebekah aveva perso ogni cosa, precipitando nel baratro senza fine della perdita, perché un ragazzo con quello stesso nome, un tipo buono, umile e generoso come nessun altro, si era sacrificato senza esitazione per salvare la vita ai propri amici in difficoltà, lasciandola poi completamente sola e devastata ad affrontare tutto il dolore scatenato dalla sua prematura ed ingiusta scomparsa.
Bilanciato da quel pensiero straziante, il familiare disprezzo che la Salvatore aveva sempre nutrito nei riguardi della sadica professoressa vampira si attenuò bruscamente, soppiantato dal peso di un sentimento del tutto nuovo e, se possibile, ancora più insopportabile… la compassione. A premerle nel centro esatto dello sterno, infatti, come un pugno serrato sul cuore pulsante, c’era qualcosa di diverso, adesso, di più amaro e lacerante rispetto al semplice rancore… forse era la pena, forse solo un dubbio o un flebile lamento, ma qualcosa le diceva chiaramente che, in fondo, Rebekah non aveva avuto scelta… erano state le tragiche circostanze a sbriciolare così la sua umanità e a renderla tanto simile al mostro di ghiaccio, dispetto e vendetta che lei si era cucita così bene addosso negli ultimi tempi…
Quanta solitudine aveva sopportato la Mikaelson prima di far diventare così arida e senza scrupoli la propria anima un tempo inerme, innamorata, intatta? Quante volte aveva brutalmente colpevolizzato se stessa per quanto era accaduto al suo Matt, prima di cercare altrove un’altra qualsiasi via di scampo, un capro espiatorio, uno scopo, nel disperato tentativo di riscattare la propria indicibile, desolata sofferenza?
Non era poi così difficile immaginarsela accasciata al suolo, dilaniata dal pugnale aguzzo dell’impotenza, con la chioma sparsa sulla schiena simile ad una pioggia d’oro fuso, a singhiozzare sul corpo esangue e rigido del suo amato mentre le lacrime le scendevano copiose dalle iridi sbiadite fino alle guance contratte in quella smorfia terribile, densa di quell’accusa che non sarebbe mai più riuscita a strapparsi dal volto…

Image and video hosting by TinyPic  



*
 
Demi socchiuse appena gli occhi e si rese conto di avere le ciglia umide.
Non sapeva per quanto tempo era rimasta così, abbracciata a Damon, con la testa posata sul suo petto e il braccio di lui ad avvolgerla come un’ala protettiva, ma, a giudicare dal lieve formicolìo che percepiva scorrere nella schiena e nelle gambe già da qualche minuto, ne era decisamente trascorso un bel po’.
Sentì le guance scottare ma non si mosse, ascoltando il lento scoppiettare del fuoco nel principesco camino davanti a loro ed il respiro lieve del vampiro sfiorarle i capelli. Lui era rimasto perfettamente immobile sul posto, per non disturbarla, e la ragazza si era addormentata aggrappata alla sua camicia d’inchiostro, come una neonata che si ritrova tra le braccia rassicuranti di un genitore e smette improvvisamente di piangere, concedendosi una pausa confortante dal mondo intero.
- Umh… sei sveglia.- constatò Damon dopo un attimo, riscuotendola dai quei pensieri ingarbugliati con il tono basso e compiaciuto di sempre. Lei, senza osare sollevare il viso per guardarlo, capì che stava palesemente ridendo sotto i baffi e si sentì arrossire ancora di più. - Alla buon’ora, bambina.- la schernì il fratello di Stefan dopo un attimo di silenzio contemplatore, fingendosi un po’ seccato per nascondere la propria straripante tenerezza. - Sai, sei davvero, senza ombra di dubbio, l’unica persona al mondo capace di ronfare tanto beatamente dopo aver ascoltato una roba del genere… ed io che credevo di averti impressionata con il mio fenomenale racconto!-
Demi scosse piano la testa nell’udire quelle parole ironiche, fintamente offesa, poi si tirò su a sedere e battè forte le palpebre, tanto per essere sicura di essersi riscossa dal torpore e di essersi liberata da quel turbine ansioso e malinconico di memorie che aveva regnato durante il suo stato di imprevista incoscienza.
- Ma io non stavo dormendo.- protestò, soffocando a tradimento uno sbadiglio e negando l’evidenza con la solita buona dose di adorabile faccia tosta. - Ero solo un po’… ecco… sovrappensiero. Sì, stavo… ragionando attentamente su quello che mi hai appena rivelato, tutto qui.- spiegò, facendo balenare dal nulla un sorrisino innocente e spostandosi le disordinate ciocche nere dalla fronte con un gesto rapido e disinvolto.
Era più o meno la verità, in fin dei conti...
Damon inarcò un sopracciglio in risposta, sospeso a metà tra l’incredulo e l’ammirato, poi ghignò apertamente.
- Certo… ed immagino che il russare facesse parte della tua ‘attenta riflessione’, eh?- la punzecchiò, spietato.
Demi sibilò come un gattino arrabbiato egli diede una sonora cuscinata per vendicarsi di quella caricatura.
- Eri molto più divertente poco fa.- quando facevi di tutto per non svegliarmi, sospirò infine la giovane, un attimo prima di sprofondare nello schienale della poltrona e di nascondere la propria faccia in quello stesso cuscino scarlatto che si intonava ormai tanto magnificamente con il nuovo colore delle sue gote tinte dall’imbarazzo.
Damon, però, ancora troppo entusiasta per terminare tanto in anticipo a una conversazione in cui, per una volta, stava decisamente avendo la meglio, le spostò appena la stoffa rossa dal viso imbronciato e sbirciò nell’ombra, alla ricerca di un paio di vispi occhi azzurri identici ai propri.
- Potrei dire esattamente lo stesso di te, lo sai?- la provocò dopo averli trovati, ammiccando curioso. - Se proprio vuoi saperlo non hai mai smesso di brontolare durante il tuo bel riposino e, lo ammetto… assistere al tuo contorto sonniloquio è stato davvero… illuminante.- la informò, beffardo, come se niente fosse.
Era una faccenda del tutto insolita e spassosa, per lui, quella di ascoltare i discorsi irrazionali di qualcuno che parlava tanto ininterrottamente nel sonno… non ricordava di avere mai avuto l’occasione di godersi quel genere di spettacolo, prima d’allora. Elena, ad esempio, non aveva mai dimostrato di possedere quella buffa abitudine quando si erano ritrovati a dormire insieme subito dopo aver… ops.
- Io… che?!- si riebbe improvvisamente Demi, sentendo che ormai la propria pelle era abbastanza incandescente da poterci tranquillamente friggere un’uovo sopra. - No!- Spesso, da piccola, aveva avuto il terrore di essere beccata da Stefan o da sua madre a blaterare a ruota libera a proprosito di certe segretissime malefatte compiute durante il giorno ma, con il passare degli anni, quelle sconvenienti ed involontarie rivelazioni notturne sembravano essersi fortunatamente diradate, fino a scomparire… o almeno così aveva sempre creduto, prima che Damon cominciasse a burlarsi con tanto gusto dell’effettiva realtà dei fatti. - Andiamo… che cosa ho detto?- gli domandò debolmente, funerea, senza essere troppo sicura di voler sentire la risposta.
Chiuse gli occhi, in attesa della batosta morale in agguato, ma a, sorpresa, lo sguardo di Damon si addolcì.
- Che ti dispiace per Rebekah, nonostante si comporti da stronza psicotica con te e con la tua amica Lockwood.- le bisbigliò con naturalezza, rimaneggiando i confusi mugugni di Demi per conferire loro maggiore colore ed espressività. - Poi hai insultato Shane, piuttosto pesantemente…- ridacchiò, fiero, tenendo il conto sulle dita di una mano per enfatizzare la cosa. - … ed hai sussurrato che ti avrebbe fatto piacere se i tuoi fossero rimasti un più a lungo qui con te, oggi. Che ti manca davvero tanto questo posto e le cose com’erano prima, tra voi.-
Demi, un po’ intristita ed un po’ rincuorata, si azzardò ad aprire un solo occhio, ancora esitante.
- Nient’altro?- chiese, con voce acuta. Davvero? Niente Nick, niente Sheila spalanca-finestre-con-la-forza-del-pensiero e niente imminente Ballo a tema nei suoi sogni traditori? Tanto le sarebbe bastato per farla esultare mentalmente al ‘miracolo’.
Damon socchiuse istintivamente le labbra, come tentato dalla possibilità di aggiungere qualcosa, poi, un po’ a fatica, si bloccò ed annuì.
- E’ tutto.- confermò, con un sorriso sfavillante ma un po’ troppo forzato per passare inosservato alla Salvatore.
- Damon…?- prima che lei potesse esprimere i propri dubbi circa l’assoluta sincerità delle ultime rivelazioni del criptico vampiro, tuttavia, quest’ultimo deviò astutamente il proprio discorso, interrompendola appena in tempo.
- Toglimi tu una curiosità, di grazia.- le disse, tra il serio e il faceto. - Per caso, a furia di chiacchierare, fai passare in bianco tutte le nottate anche alle Bennett, da quando vivi con loro? No, perché credo che, in quel caso, sarebbe molto più semplice, per me, cercare di spiegare come mai l’amorevole Bonnie abbia deciso di rimettersi a trafficare con candele e grimori muffiti, di recente.- quelle parole strisciarono nelle orecchie della sedicenne, stimolando la sua curiosità con un impatto inaspettato, quasi brutale. - Insomma, immagino possa capitare… l’insonnia cronica provoca spesso nei pazienti una marcata irritabilità… hai presente? Allucinazioni, sbalzi d’umore, desiderio irrefrenabile di rievocare un fantasma dal mondo dei morti… sono cose del tutto normali e naturali, giusto?-
Eh? Il m-mondo dei morti…?!
Demi inorridì tacitamente all’idea ma la sua faccia non lasciò trasparire alcuna particolare emozione; teneva particolarmente alla considerazione di Damon e non aveva intenzione di tradire le sue aspettative o di mostrarsi per quello che era realmente, ovvero trafelata da quella notizia bomba, sganciata lì senza troppi preamboli.
- Stai scherzando, vero?- chiese soltanto, legittimamente irrigidita dalla sorpresa e dalla reazione imperturbabile del suo interlocutore. - Bonnie sta davvero cercando di risvegliare un… un…?-
- ‘Fantasma’?- la anticipò lui, osservandola con una punta di soddisfazione. - Puoi dirlo ad alta voce, sai?, non è mica una brutta parola! E poi… neanche fosse la prima volta che succede!-
Demetra deglutì impercettibilmente e cercò di controllare il respiro che le si mozzava in gola fragorosamente, senza ottenere poi troppo successo.
- Ma come diavolo…?- provò a domandare, ma dopo un attimo decise di andare subito al dunque, tralasciando volutamente le modalità con cui le suddette bizzarre pratiche magiche erano state messe a punto dalla strega Bennett. Lesse l’istantanea delusione striare le iridi cerulee di Damon: gli sarebbe piaciuto moltissimo spettegolarci su. -… volevo dire, perché Bonnie avrebbe dovuto voler richiamare qualcuno dall’aldilà?-
- Mi stai chiedendo come mai le sia venuto in mente di contattare un ectoplasma misterioso dalle profondità dell’Altro Lato...- la corresse lui, specificando scrupolosamente. -… ovvero da quella dimensione in cui gli spiriti delle creature sovrannaturali defunte trovano il proprio posto dopo il trapasso?- quando Demi annuì, riducendo gli occhi a due fessure, e lui scrollò le spalle, con noncuranza. - A dire il vero… non ne ho la più pallida idea.-
La giovane aprì e richiuse la bocca, senza emettere alcun suono.
Era in qualche modo sconcertata dallo strano e spiccato disinteresse appena ostentato da suo zio riguardo ad una questione di simile importanza, probabilmente legata all’enigma della Clessidra che, lo sapeva, gli era sempre stata a cuore; poi, però, seguendo il profilo della sua mascella contratta e delle sue labbra strette, non le fu difficile comprendere come l’esclusione dal piano della mamma di Sheila l’avesse intimamente ferito.
Dovevano essere corsi da lei e dallo spettro dispensatore di attesissime risposte, Stefan ed Elena, lasciandosi alle spalle proprio Damon, lo stesso vampiro che avrebbe avuto il loro medesimo diritto di conoscere le novità sulla faccenda della Maledizione e che, invece, era rimasto bloccato lì, seppellendo il proprio irrefrenabile istinto di seguirli anche senza invito pur di sorvegliare la loro figlia, di proteggerla…
- Si può sapere che cosa ci fai ancora qui?- sbottò Demi, serrando improvvisamente i pugni sui fianchi. Damon la fissò assorto, confuso. - Vai.- gli disse secca, guardandolo dritto negli occhi sfavillanti. - Staranno di sicuro cercando delle soluzioni al Casino della Clessidra e tu te ne stai qui impalato a perdere tempo con me. Che cosa stai aspettando?- voleva pungolarlo, infastidirlo, perfino minare al suo orgoglio… insomma, qualunque cosa purché si alzasse da quel divano e corresse a conoscere in tempo reale la verità. Anche per lei. - Vai.-
- Perciò sarebbe questo il tuo modo di dimostrarmi gratitudine, adesso?- si lamentò di rimando il vampiro, improvvisando un tono melodrammatico solo per guadagnare del terreno prezioso. - Mi stai praticamente cacciando da casa mia!- Demi, prevedibilmente, non si lasciò incantare da quel tentativo di sdrammatizzare e sfoggiò un sorriso sinistro, tattico, ammaliante, a cui Damon rispose con una severa ed altezzosa prudenza.
- Per la cronaca… non ho nessuna intenzione di lasciarti qui da sola. Ho dato la mia parola.-
- Non avrai, piuttosto, paura di affrontare una stamberga infestata dai fantasmi, vero?- lo sfidò lei imperterrita, con voce vellutata.
- Credo di aver visto di peggio, ragazzina.- ringhiò lui, reagendo suo malgrado a quelle strategiche frecciatine.
- E allora vai!- gli ripetè la nipote, prontamente, indicando con la mano tesa il portone di quercia del Pensionato.
In quel preciso momento qualcuno bussò con decisione e sia Demi che Damon trasalirono sul posto, impegnati com’erano in un furente scambio di occhiate senza precedenti. Nonostante la propria marcata caparbietà, fu proprio lei a distogliere per prima l’attenzione dal volto marmoreo dell’altro, vinta dalla voglia di sapere chi fosse stato ad interrompere quella conversazione con una simile invidiabile tempestività.
- Ci penso io.- affermò, alzandosi dalla poltrona con dignità e dirigendosi verso l’uscio con il naso per aria.
Damon la studiò di sottecchi per un secondo, poi stritolò tra le mani un cuscino soffice e piumoso, giusto per sbollire la propria divertita irritazione, e rimase a fissare ostinatamente il fuoco morente nel camino, a braccia incrociate sul petto.
Già arrivata a destinazione, Demi percepì un ingiustificato rombo d’accelerazione provenire dai propri battiti cardiaci e rintoccarle nelle tempie, e capì chi c’era dietro la porta prima ancora di vederlo comparire.
- Buonasera.- lo sguardo tenebroso e acceso di Nick Mikaelson la investì assieme al vento fresco del crepuscolo umido e greve ormai avanzato sopra Mystic Falls e lei sentì una sensazione di sollievo mista a meraviglia riescheggiarle dentro. Non riusciva a capacitarsi della presenza della magnifica e ormai nota Ferrari nera parcheggiata nel cortile frusciante di a Casa Salvatore o di quella del sorriso lieve ed avvolgente del ragazzo a poca distanza da sé… eppure lui era proprio lì, in piedi, sull’ultimo degli ampi gradini d’ingresso.

Image and video hosting by TinyPic

- Nick… che cosa ci fa qui?- balbettò la giovane, talmente in fretta da temere di essere suonata scortese. Diede una furtiva sbirciatina alle proprie spalle e, nella speranza di riuscire a ritagliare qualche istante di confidenza e solitudine prima che Damon uscisse dalla fase di rifiuto sul divano e ritornasse all’attacco, socchiuse rapidamente la porta.
- Io volevo… rivederti. Mi mancavi.- le sussurrò Nick, roco, seguendo senza esitazione il consiglio di lei che, con un breve gesto delle dita, gli aveva chiesto di abbassare la voce il più possibile. Demi si sentì avvampare. L’ultima volta che si erano visti, solo poche ore prima, lo aveva abbracciato sotto la pioggia scrosciante… che cosa sarebbe successo se non avessero avuto interruzioni di alcun tipo, se si fosse lasciata andare a quel senso di impotente e vibrante attrazione venata di improvvisa gratitudine che provava di continuo, ormai, quando lui era nei paraggi?
- Come facevi a sapere che ero qui e non da Sheila?- bisbigliò, sporgendosi di più verso di lui con un’espressione accigliata e cercando di ignorare il proprio assordante batticuore. - Non ho detto a nessuno che sarei tornata a casa…-
- Ero soltanto preoccupato per te.- le confessò il ragazzo, un po’ impacciato. - Sei sparita nell’auto di un adulto apparentemente scorbutico che non avevo mai visto in città e non mi sentivo affatto tranquillo… così sono rientrato a scuola di corsa e ho chiesto alla nana bionda che tipo fosse questo ‘Damon Salvatore’ che ti aveva portata via con sé.- gli scappò un ghigno al ricordo della Lockwood che, sorpresa di vederselo apparire dietro nell’atrio della mensa quando ormai tutto l’Istituto aveva già terminato il pranzo, aveva rischiato di colpirlo inavvertitamente con il proprio vassoio ancora zeppo di pietanze ipercaloriche, convinta che fosse un custode spuntato fuori proprio nel momento sbagliato. - Non ne sapeva molto ma, citando testualmente le sue parole, ha detto: ‘Damon? L’ho sentito nominare qualche volta, dev’essere un fratello del signor Salvatore o qualcosa del genere… oh, è parecchio antipatico a mia madre, se vuoi saperlo, perciò dev’essere uno davvero in gamba.’- con un’alzatina di spalle, lasciò che i propri occhi neri brillassero nella penombra e catturassero quelli azzurri, luminosi ed attenti di Demi. - Dopo essermi calmato ho pensato che ti avrebbe portata qui, sai… dai tuoi genitori. A proposito, tuo padre è in casa?- forse Nick voleva solo scusarsi, a mente fredda, per come aveva aggredito Stefan quel giorno al Lago ma, senza sapere bene perché, la ragazza si sentì comunque mancare il fiato a quelle parole.
Prima che potesse rispondere qualcosa di sensato, come se non bastasse, udì dei passi felpati scattare nella loro direzione ed una presenza ormai familiare materializzarsi dietro di sé, con la rapidità di un fulmine danzante.  

Image and video hosting by TinyPic

- Non proprio.- l’intervento ironico di Damon sembrò una colata di zucchero quanto ad affabilità ma Demi percepì chiaramente la diffidenza e l’astio nascosti sotto quel fasullo ed inquietante strato di cordialità. Con un movimento fluido, il vampiro aveva già posato la mano sul pomello della porta e la teneva in bilico, come in attesa del momento giusto per richiuderla. - E’ un vero peccato ma gli diremo che sei passato.- con un trionfante e sbrigativo sorrisino di congedo, Damon provò a spingere inesorabilmente il portone in avanti ma Demi si intrufolò nella fetta di scalinata lasciata ancora libera dall’uscio socchiuso, bloccando alla svelta quell’operazione.
Lui imprecò sottovoce.
- Lei è… Damon Salvatore?- chiese il giovane Mikaelson, educatamente, per nulla (o quasi) intimidito dall’atteggiamento circospetto dello zio di Demetra. In qualche modo sapeva di meritarselo, quel trattamento così poco accomodante… era stato lui, in fondo, a spingerlo a venire allo scoperto per salvare la vita alle due sedicenni indifese fuori da una Biblioteca Proibita, lui a mettere in pericolo quella stessa fanciulla che il fratello di Stefan, al momento, scrutava con un’inconfondibile e quasi adorante sfumatura d’affetto nello sguardo di ghiaccio…
- Sì, l’adulto scorbutico.- confermò l’altro, sporgendo la mandibola con evidente risentimento. Demi resistette all’impulso di premersi una mano sulla fronte quando capì che, nonostante le sue precauzioni, Damon doveva aver ascoltato tutta la breve conversazione avvenuta tra lei e Nick, compreso il ‘Mi sei mancata’.
Per niente d’aiuto, sul serio.
- Tanto piacere.- aggiunse quel permaloso, con una smorfietta di circostanza.
Demi avrebbe voluto pestargli un piede ma si limitò a lanciargli un’occhiata torva e penetrante, cercando di farsi venire in mente uno stratagemma per assottigliare la palpabile tensione tra i due.
Fu Nick a trovarlo al suo posto.
- Mi chiedevo se… ecco, io e Demi potessimo… fare una passeggiata.- esordì il giovane, con quella voce gentile, amichevole e suadente alla quale, solitamente, nessuno sapeva resistere. Damon, inaspettatamente, ammutolì per un paio di secondi. Sulla sua faccia si susseguirono una serie di espressioni pericolosamente eloquenti: stupore, beffa, stima, biasimo, incredulità, gelosia, fastidio, impertinenza. Alla fine scoppiò a ridere clamorosamente, come se il ragazzo avesse appena pronunciato la battuta del secolo, e si aggrappò nuovamente alla porta, sganasciandosi senza ritegno.
-
Image and video hosting by TinyPic-
-
- Ahahahahhh… scordatelo.-
- A me sembra un’idea grandiosa.- esultò al contrario Demi, nello stesso identico istante, sferrando un’occhiata di profonda e inconfondibile complicità al suo bellissimo compagno di classe ed una di velato rimprovero a suo zio. Finse di non aver sentito la risposta nettamente proibitiva e di certo poco confortante di quest’ultimo e fece per voltarsi risolutamente verso il salotto. - Muoio di fame. Vado a prendere il mio cappotto e…-
Damon la acchiappò al volo e le impedì di portare a termine il proprio intento, improvvisamente irremovibile.
- Tu non vai proprio da nessuna parte.- sibilò, a denti stretti.
- Perché no?- sbuffò lei, scuotendo i capelli con un gesto e facendoli ricadere al lato del proprio viso, lisci e lucidi come seta nera. Qualcosa nella sua espressione determinata gli diede le vertigini. Perché, tra tutte le deliziose qualità di Elena, quella creatura sembrava aver ereditato proprio le più scomode ed intrattabili?
Tenacia, eccessiva fiducia nel prossimo, inguaribile talento per i guai…
- Puoi scusarci… intendo… solo per un minuto?- chiese d’un tratto Demi a Nick, muovendo appena le labbra, senza voltarsi a guardarlo per non concedere a Damon la soddisfazione di prevalere ancora nella loro ormai furiosa battaglia di sguardi.
- Sicuro.- acconsentì lui, sbrigativo, facendo un passo indietro e alzando le mani in segno di resa.
Damon gli rivolse un sorriso assassino e provò un appagante ed incommensurabile piacere nello sbattergli definitivamente la porta in faccia, facendola cigolare mestamente sui cardini. Quando si ritrovò di nuovo in salotto, da solo con la piccola, furibonda Salvatore, sentì il proprio petto ribollire della sua stessa muta irritazione ma non riuscì neanche ad aprir bocca.
- Nick potrebbe portarmi a fare un giro nei dintorni, magari a mettere qualcosa di commestibile sotto i denti, e poi riaccompagnarmi da Sheila in tarda serata.- lo precedette la ragazza, evidentemente infervorata. - Io potrei usufruire liberamente della mia misera ora d’aria giornaliera, da brava reclusa quale sono inavvertitamente diventata...- scaltra, come al solito, Demi stava cercando di fare leva sul senso di colpa del suo interlocutore. - … mentre tu potresti finalmente raggiungere gli altri senza rischiare di infrangere nessuna stravagante promessa da paranoica guardia del corpo. Non sarò più sola e tu non sarai costretto a tenermi d’occhio.- Damon si sentì dolorosamente punto nel vivo dall’aspetto allettante di quell’opportunità ma non vacillò d’un millimetro.
- Qual è il tuo problema?- lo incalzò lei, ancora senza capire.
- Restare qui con te significa tenerti al sicuro.- le ricordò lui, impaziente, come un professore pomposo che spiega per la millesima volta un concetto elementare ad un alunno particolarmente indisciplinato. - Lasciarti andare a spasso con il lupo cattivo?- le suggerì, accennando alla porta. Nick, là fuori, fingendosi assente, diede un innocuo calcetto ad un sasso del cortile. - Non è affatto sicuro!-
- Ti sbagli se pensi che lui mi farebbe del male.- replicò Demi con veemenza, piuttosto sicura di sé.
Non le importava che il bel Mikaelson potesse essere in ascolto… la consapevolezza della veridicità di quel concetto le dava uno spropositato sollievo interiore e le permetteva di zittire quella parte di sé che le aveva sempre impedito di fidarsi di lui dopo quello che era accaduto nella Foresta.
La pelle di Damon si fece tesa e impaziente, come se bramasse di trasformarsi in quella piumata e splendente del corvo, mentre lui incassava il colpo inaspettato provocato da quelle parole e cercava di riprendersi in fretta, di replicare a dovere.
Aveva visto anche lui gli occhi del nipote di Rebekah mentre la sfioravano con venerazione e tenerezza… solo un cieco avrebbe potuto non notare che, nella pece di quelle iridi prive di sfumature, c’era nascosto qualcosa di molto differente rispetto al mero desiderio di possesso, di rivalsa o di conquista che si chiunque sarebbe aspettato di scorgervi all’interno.
Che gli piacesse oppure no, qualunque cosa Nick provasse per Demi, le intenzioni di quel marmocchio erano di sicuro ben lungi dalla possibilità di metterla di nuovo in pericolo di vita. Aveva l’aria, piuttosto, di uno che le avrebbe fatto scudo con il proprio corpo pur di non perderla e di non ricadere nel peccato che l’aveva spinto, solo poco tempo prima, a collaborare con quegli stessi balordi che avevano cercato di ucciderla… gli ricordava vagamente Stefan quando combatteva strenuamente contro se stesso per resistere all’impulso di tornare ad essere ciò che la sete di sangue l’aveva reso. Un mostro.
- Bene, ammettiamo che lui non stia propriamente morendo dalla voglia di organizzare una nuova aggressione non appena avrete svoltato l’angolo del Pensionato.- concesse Damon, cercando di spaventarla e maledicendosi per non aver beccato a dovere il ragazzo sulla testa il giorno in cui i due piccioncini si erano presentati in Biblioteca, facendo breccia l’uno nel cuore dell’altra. - Che cosa mi dici a proposito dei suoi raccomandabilissimi parenti? Pensi che loro farebbero complimenti se ti vedessero sola soletta in sua compagnia? Vediamo se posso aiutarti a darmi la risposta esatta… da parte di madre ha un branco di bavosi Mannari i cui componenti stavano per strangolarti tra i cespugli di biancospino solo qualche settimana fa; da parte di padre ha un omonimo ibrido di malaffare in attesa di essere risvegliato, una famigerata Barbie-Zia che non ha assolutamente bisogno di ulteriori presentazioni…- Demi, nervosa, cercò di tenere a freno tutte quelle affrettate conclusioni e di difendere la diversità di Nick dal resto della sua famiglia di sanguinari, ma Damon proseguì senza lasciarsi intimidire: -… e, tanto per chiudere in bellezza, anche uno strambo fratellino che ha già cominciato a seminare il panico in città e che non vede l’ora di unirsi alla festa!- le sue parole dure riecheggiarono tutt’intorno, ondeggiando ciecamente tra le mura come se nuotassero a fatica nell’aria prima di annegare in un silenzio orripilato.
Demi le sentì travolgerla e coglierla di sopresa, facendo tremare violentemente le sue posizioni.
- C-che cosa?!- sibilò, soffocata. Da quando Nickaveva un fratello? - No… non può essere.-
Il vampiro era convinto che avrebbe provato un subitaneo senso di soddisfazione nel vederla così smarrita ed incredula ma non fu affatto così. Osservare la sua espressione ferita lo incupì ma cercò di non badarci troppo: era assolutamente necessario che lei conoscesse tutta la verità, che non si illudesse oltre, che non rischiasse di soffrire senza una buona ragione. Tina O’Neil non sarebbe di certo stata l’unica vittima di quello che Damon aveva intuito fin da subito essere lo sconosciuto fratellastro omicida della nuova cotta di sua nipote e lui sapeva di doverla mettere in guardia a tal proposito… visto che nessun altro si era degnato di farlo prima.
- E’ così, bambina.- annuì, con un tono ormai molto più preoccupato che accusatorio. - Abbiamo un nuovo elemento da aggiungere alla lista degli squilibrati che sembrano non gradire molto la serenità che Mystic Falls ha conquistato negli ultimi tempi… ed è un altro Mikaelson, sai che novità!, anche se non sappiamo ancora che faccia abbia o quali siano le sue reali intenzioni. Le autorità ci stanno lavorando già da un pezzo ma sembra essere sparito nel nulla. Sappiamo solo che è pericoloso e che potrebbe essere ovunque, pronto ad uccidere.- Damon cercò lo sguardo deluso di lei senza più traccia di sarcasmo nel proprio. Sembrava sinceramente dispiaciuto. - Ciuffo non te ne ha parlato, eh?- le domandò, abbozzando un sorriso.
Per Nick questo era un altro punto in comune con Stefan… l’incapacità di accettare la realtà e di porvi rimedio in modo brutale, istantaneo ma efficace, senza preoccuparsi troppo degli inevitabili effetti collaterali, era sempre stato un marchio di fabbrica del minore dei Salvatore.
Demi scosse piano la testa, ancora rifiutandosi di crederci, poi un vivido ricordo le trafisse la mente sconcertata.
 
- Stai per rovinare il momento, non è vero?- aveva sussurrato, solo qualche ora prima, al giovane Mikaelson, accorgendosi di quanto fosse rigido e trattenuto il suo abbraccio mentre erano entrambi al riparo sotto il porticato dell’Istituto scolastico. Senza il coraggio di annuire, Nick le aveva preso le mani, intracciandole alle proprie, un attimo prima che il clacson di Damon risuonasse nell’aria tempestosa e spezzasse la loro intimità.
- Ascolta, Demi… noi non… c’è una cosa che devi sapere. Vedi, io devo dirti che…-   
 
- Io… immagino che volesse farlo.- mormorò lentamente la ragazza, ritrovando a fatica la voce nella propria gola stretta da intense e contrastanti sensazioni. Ne era talmente certa che Damon evitò di chiederle come facesse a saperlo. Rimase zitto a fissarla mentre cercava di riflettere sul da farsi, lasciandole il suo tempo nella speranza che riuscisse a prendere una decisione ragionevole, poi la sentì sospirare. - Questo… fratello misterioso o quello che è… è solo un altro motivo per andare via con Nick. Adesso.- disse, infine, senza più tentennare.
- Che c’è… vuoi forse che te lo presenti?- sbottò Damon, stupito e indignato come se lei lo avesse appena schiaffeggiato. - Quale parte di ‘è un feroce omicida’ non ti è chiara, Demi?-
Possibile che l’eventualità di mettersi nei guai, sfidando la sorte avversa con un coraggio che somgliava tragicamente all’incoscienza, fosse tanto irresistibile per lei?
- Voi non avete idea di chi sia il soggetto in questione e di quali siano le sue priorità, giusto? Nick invece sì. Ci scommetto.- gli fece presente Demi, emozionata, ignorando la sua provocazione. - Posso scoprirlo senza dare troppo nell’occhio e aiutarvi con le vostre… indagini.- se lo sentiva dentro, addosso, nella pelle… il giovane Mikaelson era venuto fin lì per chiarirle una consistente e terribile parte del passato che la storia da lui stesso raccontata a casa Lockwood aveva lasciato nell’ombra. Per metterla in guardia… anche se in ritardo.
Perché non approfittare di quella situazione?
- Ci stanno già pensando lo Sceriffo ed il Sindaco, ad investigare sul caso.- brontolò Damon, freddamente. - Non c’è bisogno che ti immischi in queste brutte faccende. Non voglio che tu ne rimanga coinvolta, in nessun modo.-
- Sai che lo farò comunque.- insistè Demi, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. - Con l’unica differenza che, se tu accetti di fare un patto con me, potrei decidere di condividere le mie informazioni. Potremmo collaborare e trovare un modo per risolvere questa assurda questione. Come una squadra.- gli sorrise, bellissima ed ammiccante, e Damon sentì le proprie difese traballare. Una sensazione di calore e debolezza si fece spazio nel suo petto, invadendolo e sovrastandolo con prepotenza, senza lasciargli via di scampo.
- Che genere di patto?- si lasciò sfuggire, diffidente ma segretamente interessato. - Sentiamo.-
- Tu, naturalmente, scoprirai chi è il fantasma e starai a sentire tutto quello che lui rivelerà a Bonnie e ai miei genitori a proposito della Maledizione della Clessidra.- suggerì lei, astuta. - Io, invece, mi comporterò bene, sforzandomi di non commettere nessuna imprudenza per tipo… una settimana. Ti racconterò ogni singolo istante della serata che trascorrerò con Nick, compresi i risvolti genealogici che avrò modo di approfondire riguardo alla famiglia Mikaelson, e… sarò in pigiama a casa Bennett, sana, salva e molto assonnata, tra un paio d’ore al massimo.- gli porse la mano pallida, per completare l’offerta. - Affare fatto?-
Damon, passando velocemente lo sguardo dal viso risoluto della fanciulla alle sue dita protese, si costrinse a valutare lucidamente tutti i pro e i contro di quello che sembrava un accordo ben congegnato per metterlo in trappola. Ne era rimasto semplicemente estasiato e fu difficile, per lui, aggrottare le sopracciglia in una parvenza di cipiglio minaccioso.
- Un’ora sarà più che sufficiente.- la rimbeccò, prontamente. Poi, però, afferrò la sua mano e la strinse. - Andata.-
 
***
 
Elena aggrottò appena le sopracciglia, scostandosi alcune ciocche castane dalla fronte mentre le ultime gocce rabbiose si scontravano sul parabrezza dell’auto di Stefan con un tonfo sordo, definitivo. Il temporale che si era rovesciato implacabilmente sulle loro teste nelle ultime ore smise di infuriare con la stessa fulminea rapidità con cui era esploso ed il cielo sembrò riprendere finalmente un po’ di fiato, aprendo squarci simili a sorrisi color indaco tra le nubi fosche e brune. Aveva smesso di piovere ormai ovunque, tranne che nel suo cuore. Ogni singolo battito le costava una fatica devastante, ogni respiro era una straziante pugnalata, e così, mentre sfrecciavano muti verso la Casa Stregata ai margini della città, sollevando tra le ruote dei fragorosi schizzi neri sull’asfalto, Elena credette di impazzire.
Non riusciva a liberarsi dagli stessi tormentati ricordi che le avevano tolto il respiro al Pensionato, mentre era tra le braccia affettuose ed innocenti di Demi e sotto gli occhi confusi dei due fratelli Salvatore. Cosa avrebbe dovuto fare per lavarsi via di dosso l’odore della colpa e delle bugie? Sarebbe bastato strofinarsi forte gli occhi gonfi di pianto, nel tentativo di lacrimare via dalle proprie iridi ogni immagine del passato?
Avrebbe trovato forse, così, la pace?
Non riusciva a capire come mai il profumo denso della pioggia tra i capelli di corvini di Demi le avesse scatenato dentro quel turbine di acuminata ed irresistibile sofferenza: la morbida, imperdonabile consistenza di quel bacio antico, rubato alla notte, le era comparsa bruscamente tra le ciglia, vibrando tra le sue scapole, affiorando sulle sue guance incandescenti e tuonandole nello sterno.
Aveva rivissuto di colpo, senza averlo premeditato, degli attimi proibiti che credeva di aver sepolto per sempre all’ombra di una nebbia protettiva e necessaria, di un velo che li avrebbe lasciati eternamente intatti, meravigliosi ed intoccabili, ma lontani, ad una debita distanza di sicurezza.
Invece di fuggire da essi come al solito, questa volta la vampira li aveva accolti con un’insensata ed inaccettabile bramosia ed ora era crollata, vinta da tutto ciò che di doloroso essi avevano portato con sé: la truculenta morte di Tina O’Neil, stroncata da un destino crudele, l’incendio appiccato a casa Donovan, l’annuncio dell’imminente ritorno di un fantasma dai meandri dell’aldilà, gli strascichi di quell’ultimo giorno d’agonia trascorso sotto un temporale battente e senza fine, fatto di lacrime e promesse… tutti quegli avvenimenti sconvolgenti erano corsi implacabilmente a completare il circolo di orrori che, già una volta, precisamente sedici anni prima, l’aveva trascinata giù, a toccare il fondo.
Sopravvivere ancora a quel senso di disperazione, adesso, le sembrava assolutamente impossibile.
Ricordare, in fin dei conti, aveva sempre avuto un prezzo troppo alto, per Elena Gilbert.
 
Flashback - 16 anni prima
 
POV Elena Gilbert

 
Image and video hosting by TinyPic

Il corpo di Matt venne sepolto nel primo pomeriggio dello stesso giorno piovoso presso l’angolo più remoto del cimitero di Mystic Falls, proprio accanto alla spoglia tomba di sua sorella Vicki, deposto in una bara di bianco e opaco marmo venato di tetre sfumature grigiastre.
Il funerale si svolse tra pochi intimi attorno ad una fossa di modeste dimensioni scavata nella nuda terra annerita ed io vi assistetti in un opprimente stato di torpore, con i capelli intrecciati in uno chignon basso e disordinato scossi dal vento della bufera e resi umidi da qualche goccia sfuggita al riparo dell’ombrello. Bonnie, avvertendo il tremore della mia mano, mi strinse forte il braccio ma io rimasi immobile al mio posto, senza ricambiare, senza che il gelido acquazzone circostante riuscisse a lavare via una sola briciola del mio tormento.
Non avrei più ascoltato la risata del mio migliore amico d’infanzia vibrare spensierata nelle stanze di casa Gilbert, come quando eravamo bambini e giocavamo a fare i fidanzatini, incoraggiati da Kelly e da Miranda che, segretamente, avevano sempre sperato nella nascita di qualcosa di tenero tra noi; non avrei più trovato conforto nel suo abbraccio caldo che aveva sempre saputo consolarmi e riportarmi con i piedi per terra nei peggiori momenti di cupa confusione; non l’avrei più incontrato, non gli avrei più augurato ogni bene, non avrei più potuto provare a proteggerlo contro ogni minaccia che oscurasse il suo semplice, roseo e meritato destino pieno d’umanità.
Matt era morto… al nostro posto.
- … ti preghiamo di accoglierlo nella tua misericordia…- cantilenò servizievolmente il Pastore che aveva preso il posto del defunto padre di April Young, in piedi con aria solenne e con un libricino di velluto scuro in bilico tra le dita. -… e di concedergli una pace eterna e benedetta…- Caroline singhiozzò e nascose il proprio viso gonfio e candido nella spalla di Tyler, che la strinse a sé.
Le lacrime perlacee gli colarono vistosamente sulle guance del volto fiero e duro, tradendo, per una volta, la sua fragilità e finendo per inzuppargli la camicia. Provai una morsa allo stomaco nel vederli così uniti nel loro lutto e sperai che il sacrificio di Matt potesse realizzare a pieno le proprie intenzioni almeno nei loro riguardi. Sarebbero stati felici, loro due, ora che anche Klaus era stato finalmente sconfitto e neutralizzato, e avrebbero continuato a guardare in faccia al loro fulgido amore, sostenendosi l’un l’altra.
Li invidiai per un lungo istante.
Davanti a me, vedevo solo il buio.
Fu Jeremy, che per Matt era sempre stato una sorta di fratello minore di cui prendersi cura, con i tratti dilaniati dalla perdita che già troppe volte l’aveva stravolto negli ultimi anni, a sporgersi sporse sulla buca nel terreno quando il feretro vi fu adagiato e a lasciar cadere una prima manciata di terra brulla sul marmo, in un gesto di simbolico addio.
- … della resurrezione dei beati. Amen.- con un groppo in gola, lo abbracciai in vita e lo trascinai lentamente via da quel sepolcro, cercando di frenare in qualche modo singhiozzi che gli scuotevano lo stesso corpo agile e muscoloso che sarebbe sempre stato marchiato dalla mappa che ci aveva condotti dritti all’Inferno.
Il ragazzo ricambiò la mia stretta con ardore, proprio come quando, insieme, avevamo affrontato l’immane tragedia di zia Jenna… sembrava quasi che volesse dirmi: ‘Sei ancora qui, siamo qui grazie a Matt… lui non avrebbe mai voluto vederci in queste condizioni.’
Con lo sguardo logorato, sbirciai tra i cipressi tutt’intorno e aguzzai le orecchie nel fruscìo di foglie e di pioggia scrosciante, in ascolto, ma non udii né vidi nessuno nascosto tra i tronchi, nessuno che, in attesa che la piccola folla di fedeli si disperdesse, se ne stesse in disparte, magari per dare sfogo in un secondo momento, con una maggiore intimità, al proprio impronunciabile dolore.
- No, Rebekah non c’è.- mi anticipò debolmente Bonnie, inquieta, come leggendomi nel pensiero. - Non si è presentata affatto, come sospettavamo.- la sua voce roca si incrinò ed io deglutii, annuendo senza il coraggio di aggiungere altro.
Non ci tenevamo ad incontrarla, ovviamente, non se questo significava dover leggere di nuovo, nei suoi occhi incendiati dal rancore, quel grido di vendetta che aveva lanciato quando si era prostrata accanto al cadavere di Matt, reso freddo, immobile e consunto dall’effetto istantaneo della Cura velenosa, ma il fatto di non vederla in giro ci atterriva comunque, forse come mai prima d’allora.
Che cosa stava macchinando contro di noi, contro gli unici responsabili di quella morte insopportabilmente ingiusta?
- Hei.- il suono tiepido di una voce familiare mi raggiunse inaspettatamente alla schiena, facendomi trasalire.
Riconoscendone con esattezza la sfumatura dolce, però, mi sentii immediatamente rassicurata, a casa.
Stefan comparve tra i cespugli decorativi posti ai lati delle lapidi ed era fradicio dalla testa fino ai piedi, scarmigliato, ma sano e salvo. Ero stata molto in pena per i due fratelli Salvatore, sapendo che entrambi si erano occupati degli ultimi accordi da stipulare con Elijah a proposito della delicata faccenda di Klaus, e fui immensamente felice di vederlo.
- Hei.- sospirai, guardandolo avvicinanrsi con la faccia di chi si sente in colpa per essere arrivato in ritardo. Comprese al volo la natura inguaribile della tristezza presente nelle mie iridi color cioccolata e, quando allargò le braccia, facendo per stringermi a sé, non osai tirmi indietro, nonostante il bel corpo di lui gocciolasse senza tregua. Ansiosa, lo interrogai subito su ciò che era appena accaduto lontano dal cimitero senza sforzarmi di muovere le labbra e lui non si fece supplicare prima di darmi una risposta.
- Abbiamo finalmente un piano per chiudere con questa storia una volta per tutte…- disse lui, calmo e rassicurante, cercando con gli occhi l’attenzione del resto del gruppo. - Tutto è sistemato per stanotte. Il nostro obbiettivo è seppellire Klaus e bloccare il suo corpo essiccato con lo stesso incantesimo che Emily usò per rendere inaccessibile l’ingresso nella cripta nel 1864, servendoci dell’energia del plenilunio per creare un Sigillo…- scrutò con cura Bonnie, che rispose con un cenno affermativo del capo. Sarebbe stato molto più semplice, per lei, evocare quella magia potentissima con l’ausilio dell’Espressione che Shane le aveva insegnato e con la lieve modifica che avevamo deciso di imporre ai termini della fattura, rispettando il volere del fratello di Klaus e, soprattutto, il mio: l’ibrido Mikaelson sarebbe rimasto a marcire fino a quando noi ed i nostri futuri figli non avessimo terminato di vivere le nostre naturali esistenze umane, lontane dalla sua ingombrante minaccia. -… Elijah ed Hayley ci accompagneranno nella caverna, per assicurarsi che tutto vada come abbiamo prestabilito, poi partiranno insieme per non tornare mai più a Mystic Falls.-
‘Dopo di che’, pensai senza esitazione, ‘dovremo aspettare solo altre ventiquattr’ore perché l’effetto della Cura, mediato dall’altruista e drammatica scelta di Matt, completi la propria miracolosa azione, trasformandoci in qualcosa di più rispetto alle assurde creature metà vampire e metà umane che il ‘rimedio della scelta’ escogitato da Bonnie ci ha temporaneamente resi.’
Qualcosa nel mio stomaco si contrasse a quell’idea.
- Io e Bonnie scenderemo assieme a loro sotto terra, mentre Caroline e Tyler resteranno fuori ad impedire a chiunque di avvicinarsi con l’intenzione di sabotare la nostra operazione.- proseguì Stefan, ricevendo il loro immediato mormorìo di consenso.
Evidentemente non ero stata la sola a temere un’eventuale intromissione da parte di Rebekah.
- Vado anch’io con loro.- si offrì Jeremy, tirando su col naso. - Sono ancora un Cacciatore di vampiri e, se c’è qualcuno tra noi, considerate le vostre forze dimezzate dal progressivo avanzamento della Cura nel vostro organismo, che può ancora tenere testa ad una vampira Originale… quello sono io.- aggiunse un istante dopo, sulla difensiva, quando io aprii la bocca per esprimere tutto il mio dissenso per quella proposta avventata.
- E’ vero.- ammise Stefan, approvando le parole di mio fratello con un sorriso tirato dalla mia stessa preoccupazione. Il calore della sua pelle contro la mia era in qualche modo diverso, più intenso, più umano… potevo sentirlo scorrermi attraverso, scaldandomi. Così come i miei, però, anche i suoi sensi da predatore si stavano indebolendo ed entrambi sapevamo di non poterci permettere un fallimento in quella missione. - Potrai rimanere nascosto in macchina per eventuali evenienze… sperando che non ci sia bisogno del tuo aiuto e che tutto fili liscio come l’olio, d’accordo?- sporgendo la mascella, non del tutto convinto, il giovane Gilbert acconsentì.
Per nulla soddisfatta dalla piega che quel discorso aveva preso, io mi allontanai leggermente da Stefan, per non farmi sfuggire nessun dettaglio della sua espressione accigliata.
- C’è anche Damon.- gli ricordai, sorpresa dal fatto che nessuno avesse preso in considerazione le sue potenzialità. Non si era mai tirato indietro in delle situazioni simili, era sempre stato in prima linea nel rischiare la vita per proteggere coloro che amava, pur senza mai prendersene i meriti o ammettere il proprio coinvolgimento emotivo in quelle circostanze, aveva sempre guardato con diffidenza al lavoro di squadra ma, allo stesso tempo, non aveva mai saputo realmente farne a meno… perché fare affidamento su Jeremy e non su di lui, decisamente più esperto e più scaltro, di certo più desideroso di portare all’epilogo quella brutta storia nata solo perché non aveva voluto ingerire quella dannata Cura, rischiando così di morire assieme all’intera linea di sangue generata da Klaus? - Lui potrebbe senz’altro darvi una mano… come sempre. Giusto?-
Qualcosa nelle iridi cangianti di Stefan crepitò e si spense in una nuvola di fumo.
Battei forte le palpebre, senza capire, come se cercassi di respirare sott’acqua.  
Che cosa stava succedendo?
Il tempo trascorso a fissare il suo viso pallido e chino, ponendomi questa domanda a ripetizione, con la bocca tremula e serrata, non riuscii mai a conteggiarlo. Dopo quella che sembrò un’eternità, Stefan mi sfiorò una spalla con la mano, come per avvertirmi di mantenere la calma, ma me la scrollai di dosso con una violenza che non mi riconoscevo.
- Aspetta… dov’è Damon?- gli domandai, ma non era davvero la mia voce, quella. Li guardai tutti dritti in faccia, a turno, sperando che la mia non si fosse già tramutata in una maschera di puro terrore. Mi sentivo improvvisamente come sull’orlo di un precipizio. Pronta al salto nel vuoto.

Image and video hosting by TinyPic

- … Rebekah l’ha preso.- esalò infine Stefan, con tono forzato ed innaturale, inumidendosi le labbra e guardando fisso per terra. Un brivido agghiacciato le attraversò tutte le ossa dello scheletro, sbriciolandole con tutta la sua violenza… poi il nulla. - Elena…-
 
- Elena…- la vampira si accorse solo in quel momento, quando la voce ansiosa di Stefan fece combaciare alla perfezione il passato lacerante con il presente offuscato dai ricordi, di avere l’aria che le mancava in modo asfissiante dai polmoni. Tossì, forte, gli occhi chiusi, poi li riaprì a fatica, tremando. Si erano fermati davanti alla Casa Stregata con una lieve protesta del motore e suo marito la stava guardando con un’espressione profondamente infelice. Aggrappandosi al verde speranzoso del suo sguardo attento, la Gilbert riuscì a riemergere da quell’incubo e si strinse nelle spalle, senza parlare. Le sembrava di essere tornata indietro nel tempo, a quando si svegliava urlando nel cuore della notte e lui accorreva per rimboccarle pazientemente le coperte, per carezzarle la fronte e per dirle che era tutto a posto, che doveva resistere e trovare dentro di sé una ragione che le ricordasse quanto la vita fosse meravigliosa, quanto fosse necessario continuare a lottare... per se stessa, per la bambina. -… sei sicura di volerlo fare?- le chiese, scrutandola.
Lei non si mosse per qualche secondo di meditazione e chiusura ma qualcosa nel suo sguardo gli fece capire che non avevano molta scelta, stavolta.
- Lui ha detto che parlerà solo e soltanto in mia presenza. Cosa ti aspetti che faccia?- sussurrò Elena, scrollando appena le spalle, rassegnata. Ovviamente si riferiva al fantasma che Bonnie aveva arbitrariamente deciso di richiamare per avere delle risposte sovrannaturali direttamente dall’aldilà e che, non appena apparso, aveva preteso con tanta ostinazione di essere raggiunto dalla doppelganger di Katherine in quella catapecchia abbandonata ed inquietante. - Non mi tirerò mai indietro, non se si tratta di Demi.-  
 
POV Elena Gilbert
 
- Non ho intenzione di tirarmi indietro, non se si tratta di Damon!- sbottai, ormai al limite dell’esasperazione, prendendomi la testa tra le mani e cercando di scansare Stefan. Il suo abbraccio, fino ad un attimo prima consolatorio, era diventato un freno, una prigione, un insopportabile impedimento. Non avevo minimamente intenzione dargli retta, non potevo nel modo più assoluto permettergli di far rientrare nei limiti della razionalità una questione di così vitale importanza… non volevo che mi facesse riflettere sul da farsi, perdendo in questo modo del tempo prezioso… desideravo solo assicurarmi che Damon stesse bene, che fosse libero e al sicuro, fine della storia. - Perché non capisci? Stefan… lasciami, subito… Rebekah lo ucciderà!- se mi fossi messa ad urlare a squarciagola nel cuore di quel desolato cimitero, probabilmente lo avrei spaventato a sufficienza ma non riuscivo proprio a ritrovare la mia voce e parlavo in un ringhio basso, stentato, singhiozzante.
Non riuscivo ad impietosirlo, non sapevo più piangere.
Durante quelle ore di agonia non avevo versato neppure una lacrima… il pianto per la sventura inviataci da Qetzsiyah e per la morte di Matt mi era rimasto attaccato alle pareti del cuore, graffiando via da esse ogni traccia di serenità con delle unghie appuntite, avvelenate, senza che potessi farlo sfogare.
- Non credo che lei voglia ammazzarlo…- si intromise Caroline, con il volto ancora lucido ma deciso, affrettandosi a dare manforte al proprio migliore amico. -… sarebbe troppo facile, non credi? E’ una trappola, si aspetta che noi mandiamo a monte il piano di sotterrare Klaus stanotte e che magari decidiamo di non completare la transizione per correre a salvarlo con le nostre forze da vampiri al completo! Crede che Damon sia l’esca migliore ma noi non dobbiamo, per nessuna ragione, perdere di vista il…- non le consentii di terminare la sua ramanzina, sentendomi tradita. La voragine slabbrata aperta nel mio petto non avrebbe sopportato di perdere nessun altro al mondo… soprattutto lui.
- Il piano?! Non mi interessa nulla del vostro dannato piano!- esclamai, ansimando come un animale ferito. I miei occhi vagavano alla cieca, nella vana speranza di trovare un volto amico tra quelle espressioni pietrificate. - Perlomeno non ora che la vita di Damon potrebbe essere appesa ad un filo! La priorità dovrebbe essere trovarlo e strapparlo dalle sue grinfie, prima che…- la faccia di Stefan rimase inespressiva a lungo ma vidi chiaramente il suo dolore fremere sotto la superficie.
- Non è un mistero il fatto che, se Damon venisse a sapere che abbiamo pensato, anche per un solo attimo, di mandare a monte ogni progetto a causa sua, sprecando così l’unica occasione che abbiamo di chiudere i conti con Klaus …- mi fece notare Bonnie, con tono afflitto ma abbastanza controllato. -… perderebbe le staffe!- avvertii una violenta emozione, forse la consapevolezza?, ripercuotersi nel mio corpo sfinito e lo sconcerto assalirmi di soppiatto.
- E sai benissimo che lui preferirebbe gettare in un pozzo senza fondo il proprio anello diurno piuttosto che vederci assecondare il gioco di Rebekah!- esitai per assorbire la scomoda veridicità delle frasi accorate di Stefan, poi scossi categoricamente il capo, approfittando di un suo momento di distrazione per sgattaiolare via dalla sua presa. Cosa prendeva a tutti quanti? Erano impazziti?
- Se voi non avete intenzione di muovervi...- borbottai, avviandomi decisa verso il parcheggio e affondando i piedi nelle pozzanghere che scorrevano tra i fili d’erba che avrebbero accolto e custodito il corpo senza vita di Matt per sempre. Le sentivo, adesso, le lacrime… erano tornate ad annebbiarmi la vista al pensiero di tutto quello che quel cimitero aveva visto accadere entro il proprio malinconico recinto alberato. Le visite quotidiane alle tombe dei miei genitori, il primo, ingenuo incontro con Stefan, la nebbia e l’uomo avvolto da essa nascosto dietro una statua alle mie spalle, il verso di un corvo… -… allora lo farò io.-
- Elena… no.- gridò Jeremy, fermandomi con la morsa salda delle sue braccia. Mi divincolai ma non servì ad un bel niente: ero reduce da un’avvelenamento quasi mortale che mi aveva quasi risucchiato via l’intera essenza vitale, ero sulla buona strada per tornare ad essere un’insignificante umana ed ero stravolta nella mente e nel fisico dall’amarezza.
- Lasciami!- soffiai, scalciando ancora un paio di volte, sempre più flebilmente. La stretta era forte, più forte di me, e mi spezzò dentro. Era tutta colpa mia se Damon si trovava in quella situazione, se Matt era stato costretto a sacrificarsi e se Rebekah aveva perso la propria ragione di vita… era colpa mia e del mio insolito ma straripante egoismo che, in quell’occasione, mi aveva impedito di lasciar andare l’illusione di poter ricostruire un’esistenza umana là dove dubbi ed asservimento avevano distrutto ogni cosa, decapitando le mie speranze come una falce impietosa fa con i boccioli ancora acerbi ma tutti da scoprire. - Lasciami andare… per favore.- mi abbandonai senza opporre resistenza poco dopo, soffocando i singhiozzi nervosi, poi mio fratello si allontanò, scusandosi con lo sguardo, mentre mi massaggiavo i gomiti.
Che speranze avrei avuto di sfuggire a Rebekah in quello stato, se anche Damon era stato battuto dalla forza della sua furia?
- Matt è in quella tomba perché voleva che noi vivessimo una vita normale, lunga e felice, non perché ci avventassimo nella prima imprudenza rendendo completamente vano il suo dono.- mormorò Stefan, desolato ma convinto. Era convinto di sapere quello che suo fratello avrebbe voluto e forse aveva perfettamente ragione, anche se io non riuscivo proprio ad accettarlo. - Se tu vai a villa Mikaelson adesso, correndo un simile pericolo ed abboccando all’amo di una Rebekah che ti staccherebbe volentieri la testa, Damonnon te lo perdonerà mai. Ed io neppure.-
Lasciai che un suo braccio mi avvolgesse piano le spalle e mi guidasse verso casa come se fossi sul serio ancora il docile cucciolo che, ormai da tempo, non sentivo più di essere. Con la mente che cercava freneticamente una via d’uscita, fingendo accondiscendenza per mascherare le mie reali intenzioni, pensai che sì, per la vita di Damon, quello dell’eterna condanna da parte di entrambi i fratelli sarebbe stato uno scotto fin troppo onesto da pagare.
Perché nessuno riusciva a capire?
Io dovevosalvarlo.
Come avrei potuto abbandonare il maggiore dei Salvatore al suo triste destino quando, semplicemente, non sapevo più immaginare un universo che fosse anche solo lontanamente vivibile, senza di lui al mio fianco? Il sottile filo del mio destino era rimasto indistricabilmente intrecciato al suo per troppo tempo, ormai, nonostante lui si ostinasse a negarlo… se ne avessero reciso soltanto uno, li avrebbero distrutti entrambi.
Era forse questo che Rebekah stava cercando di fare?
 
- Certo.- mi rispose Stefan con una voce pacata e spruzzata d’ammirazione. - E neanch’io… dovresti saperlo.- Elena fu toccata nel profondo da quel tono fermo ed assolutamente privo di dubbi e lo fissò per un istante di troppo, stordita, prima di annuire, lasciandosi accarezzare solo dall’intensità del suo dei suoi occhi smeraldini.

Image and video hosting by TinyPic

Quando, da piccola, Demi era sgattaiolata nottetempo nella loro camera da letto e si era rannicchiata accanto a Stefan per guardarlo far finta di dormire ed immaginare che un giorno, una volta diventata più grande e forte, forse avrebbe potuto renderlo davvero orgoglioso di sé e di quello che la sua testolina sempre alla ricerca di nuove avventure avrebbe saputo costruire con le proprie forze, lui l’aveva sfiorata con quello stesso sguardo lucente e pieno d’amore che adesso stava rivolgendo alla moglie.
Stefan non avrebbe mai lasciato al caso nessuna possibilità, pur di fare ciò che era più giusto per la sua famiglia.
- Andiamo, adesso, non c’è tempo da perdere.- sospirando, i coniugi Salvatore aprirono le portiere dell’auto e si fiondarono fuori, mentre le foglie umide, strappate ai cespugli rampicanti disposti attorno all’edificio pericolante che li attendeva nell’ombra come un presagio, volavano tutt’intorno a loro, sibilando e scricchiolando. Localizzarono la macchina di Jeremy parcheggiata lì vicino ma non si lasciarono distrarre e proseguirono nella selva fino ad arrivare sulla soglia della porta cigolante della casa.

Image and video hosting by TinyPic

- Siete arrivati.- finalmente. La voce di Bonnie vibrò, soffocata e distante, dall’interno delle mura ed Elena sentì un brivido d’elettricità attraversarle la spina dorsale. La Bennett doveva aver avvertito la loro presenza senza bisogno di vederli grazie alle sue meravigliose e di nuovo affilatissime percezioni paranormali ma sembrò comunque spaventosamente stanca e provata quando, dopo essere stati accolti frettolosamente da Jeremy, se la ritrovarono davanti. Il suo volto olivastro sembrava smunto e le luci di alcune candele che avevano acceso nell’attesa attorno a loro le si riflettevano sulle guance incavate in una smorfia seria e urgente. - Vieni… coraggio.- sussurrò alla propria migliore amica, quasi inudibile, facendole un gesto con la mano ed accennando alla propria destra.
Là, in un angolo spigoloso dietro una specie di rozza colonna decorata da ragnatele argentee che oscuravano la vista, doveva esserci il fantasma che le aveva promesso delle risposte in cambio della presenza della doppelganger lì, in quella tetra stanza disfatta dal tempo e dal disuso.
Elena, dopo aver scambiato una rapida occhiata con Stefan, imponendosi di non perdere la ragione e di non fremere visibilmente dal timore al solo pensiero di ciò che avrebbe potuto scorgere non appena avesse mosso un passo verso lo spettro, inspirò profondamente, concentrandosi.
Poi avanzò a testa alta.
Si sarebbe aspettata di notare uno spirito evanescente ed incorporeo al posto del corpo straordinariamente reale che investì tutto il suo campo visivo, sconvolgendolo, ma le sue previsioni era state errate praticamente su tutto.
Davanti a lei non c’era il ragazzo biondo dall’amichevole volto gentile ed attraente e dal corpo atletico da perfetto giocatore di football che avrebbe tanto sperato di rincontrare, non c’era nessuna donna anziana dai riccioli bruni e dal cipiglio severo tipicamente Bennett, nessun ex professore di Storia con cui Damon sarebbe stato tanto felice di condividere un ultimo drink… c’era solo un uomo ben vestito e all’apparenza straordinariamente elegante, con corti e fluenti capelli castani ed un viso pallido ed incantevole dai tratti mascolini e cesellati, distesi in un tenue sorriso indecifrabile, mozzafiato.
- Salve, Elena.- la salutò l’inaspettato fantasma, con un cenno regale. Il nome della vampira Petrova, pronunciato tra le sue labbra sottili, acquistò un suono leggermente diverso dal comune, come se la ‘E’ iniziale fosse stata sostituita intenzionalmente dalla dolcezza di una ‘I’. Ilena. – E’ un vero piacere rivederti.- ammise Elijah Mikaelson dopo un attimo, mentre i suoi occhi neri come la notte scintillavano.
 
***

- No, ti prego, non ci posso credere!- scosse la testa Demi, sghignazzando a bordo della splendida Ferrari di Nick mentre entrambi sfrecciavano, trionfanti, per le vie deserte e mezze allagate di Mystic Falls. Per un po’ erano andati a zonzo senza meta, coccolati da un appagato silenzio denso di intesa e di pura felicità per aver ritagliato insieme, non senza fatica, un po’ di tempo da trascorrere da soli, poi avevano cominciato a chiacchierare piuttosto pacatamente, almeno fino a quando il giovane Mikaelson non si era deciso a confidarle quali fossero state le ultime, minacciose parole che Damon gli aveva rivolto sottovoce, all’insaputa della ragazza, prima di tramutarsi in corvo e di svanire repentinamente tra le nubi. - Non può averlo detto sul serio!- ansimò la Salvatore, asciugandosi gli occhi e cercando di riprendere fiato tra le risate.
- Hai la mia parola d’onore!- le assicurò Nick, convinto, godendo dell’insolita ma piacevole spensieratezza di lei mentre un sorrisetto compiaciuto correva ad increspargli la bocca meravigliosa.- Mi ha liquidato con un eloquente‘Tu prova a riportarla a casa Bennett con un solo graffio ed io ti giuro che non ci sarà parrucchiere al mondo capace di rimediare a ciò che io ti combinerò’ ed ha persino mimato il gesto delle forbici con le dita… da brividi.- Demi continuò a sbellicarsi mentre ville borghesi dai lussuosi giardini impiastricciati di pioggia sfilavano sotto i suoi occhi rivolti al finestrino e cercò di concentrarsi su qualsiasi cosa che non fosse il suo stomaco che, eccitato dalla vicinanza del nipote di Rebekah accanto a sé, continuava a contrarsi, in balìa del calore, senza darle tregua.
- Mi dispiace proprio tanto…- gli disse, sincera, tenendo a mente di rimproverare Damon per aver spudoratamente approfittato della sua assenza nel pronunciare quelle frasi intimidatorie per nulla compatibili con il loro piccolo accordo di collaborazione. -… lui è solo parecchio protettivo nei miei confronti ma capisco che a volte possa sembrare… inquietante.- il sapore di quella parola sulla lingua non le piacque granché ma non riuscì comunque a trovarne un’altra che potesse riassumere alla perfezione il singolare senso di soggezione e timoroso rispetto che il vampiro riusciva sempre ad incutere nei propri interlocutori. In realtà, Demetra non era sicura che ne esistesse una davvero adatta a descrivere tutte le sfaccettature del carattere del fratello di Stefan.
Damon era…Damon.
- Mi fa piacere che lui si prenda cura di te…- mormorò Nick, con la voce che sovrastava di pochissimo le fusa del motore dell’auto. -… anche se i suoi metodi sono discutibili. Per me è importante che tu sia al sicuro.- lei lo scrutò con un pizzico di lusingata sorpresa, poi si strinse piano nelle spalle, per tenere a bada la pelle d’oca. Dannata sicurezza. Tutti coloro che amava sembravano esserne ossessionati e quella realtà di attenzioni e decisioni prese al suo posto cominciava ad andarle stretta: era per non mettere nuovamente a repentaglio la sua appena riconquistata fiducia che Nick non le aveva ancora rivelato tutta la verità sulla famiglia Mikaelson? Era forse per garantire la sua protezione che il ragazzo continuava ad avere dei segreti simili con lei? E Demi stessa, avrebbe avuto il coraggio di spezzare la fragile armonia tra loro che aveva tanto segretamente desiderato in quelle settimane di constrasti e che finalmente si ritrovava a vivere, per un paio d’ore trafugate ai suoi problemi?
- Ti va di cenare insieme?- gli domandò d’istinto, come se fosse la cosa più naturale del mondo. In realtà, probabilmente, lo era davvero, ma le sembrava ancora strano il fatto che il loro neonato rapporto, da sempre ostacolato da mille angolazioni diverse, si fosse risolto con tanta semplicità in un giretto nella quiete serale dopo la tempesta e in quella specie di maldestro quanto delizioso appuntamento. - Non mi sono neppure azzardata a chiedere del cibo in casa mia visto il nuovo concetto di ‘dieta equilibrata’ che sta spopolando tra quelle mura ma ammetto di essere più affamata di Mattie durante le ore di Storia. Rendo l’idea?- per un momento l’ombra di un ghigno divertito passò sul viso di Nick, un attimo prima che lui annuisse risoluto e facesse un gesto con la mano, spostandola leggermente dal volante.
- Certo. Dove ti piacerebbe andare?- con le labbra incurvate, le lasciò libera scelta e questa sensazione di assoluta libertà piacque a Demi, facendo tremare forte un punto nascosto nel suo petto bollente. Per ringraziarlo della sua completa disponibilità e anche per liberarsi da una bramosia divenuta ormai irresistibile, la ragazza posò le proprie dita tiepide su quelle di lui che erano impegnate ad armeggiare con alcune manopole luminose poste sulla radio nell’ampio cruscotto. La sua pelle era fredda e liscia proprio come quando l’aveva toccata per la prima volta in Biblioteca, sentendo il brivido sconosciuto ma intenso di quella carezza scuoterle i sensi.
- Ovunque.- sospirò lei, rilassandosi sul sedile di pelle lucidissima mentre le note di una canzone sconosciuta assorbivano ogni loro sensazione nel palpito di una batteria simile in tutto e per tutto al battito spezzato e sordo del loro cuore. Riconobbe distrattamente la celebre band rock americana che suonava… erano i The Killers.*
Wow… aveva sempre pensato a lui come ad un tipo dai gusti musicali più ‘classici’.
Il piede di Nick sfiorò appena l’acceleratore e schizzarono nell’oscurità ormai inoltrata, imboccando di un viottolo tortuoso che portava dritti al centro della città. Demi socchiuse appena le palpebre quando la scarsa illuminazione della periferia divenne di colpo più dorata e rassicurante, investendoli con la propria luce proveniente dalla cima dei lampioni che cominciavano ad accendersi, e si lasciò sfuggire un versetto d’apprezzamento quando vide la Ferrari attraversare la stradina più rapida per raggiungere il Mystic Grill. Quando entrarono nell’area riservata ai parcheggi, Nick accostò impeccabilmente, spense i fari ed uscì dall’auto per primo, lasciando che il profumo invitante di hamburgers e patatine si intrufolasse nell’abitacolo, poi fece il giro della vettura ed aprì la portiera di Demi, accennando ad un breve inchino galante per farle piacere.
- Grazie.- gli sorrise lei, tentando uno sguardo innocente prima di afferrare la mano che Nick le stava porgendo per aiutarla a scendere e di intrecciarla delicatamente con la propria. Stava diventando straordinariamente semplice stargli accanto, lasciarsi ammirare da quei suoi occhi neri dalle pupille pulsanti ed ipnotiche e assaggiare quell’ormai familiare odore di vaniglia misto a colonia che abbeverava le sue speranze come un adorabile antidoto contro i dubbi più assillanti. - Speriamo solo di riuscire a trovare un tavolo.- osservò, perplessa, mentre varcavano la soglia del Grill, accennando alla folla chiassosa e stipata che si era radunata al suo interno anche per sfuggire al violento acquazzone.
- Potremmo sempre arrangiarci prendendo qualcosa da portare via e poi… non lo so, andarcene di soppiatto? Per continuare la nostra passeggiata notturna in un posto tranquillo… lontano da qui.- le suggerì piano Nick in quel fracasso, avvicinandosi e sussurrando al suo orecchio per fare in modo che potesse sentirlo. La sua voce suadente tradì una vaga sfumatura di desiderio e Demi lo guardò fisso, esitante e rapita. - In fondo abbiamo ancora circa la bellezza di 45 minuti e tredici secondi prima che scatti il coprifuoco stabilito da Damon.- le ricordò, insinuandosi con il proprio respiro dolce sul suo collo bianco e sensibile. - Dodici. Undici. Dieci…- le fece apposta il solletico con la punta naso e Demi acconsentì, arrendendosi alla sua proposta, con una risata. Non avrebbe saputo resistergli, comunque, neanche se ci avesse provato con maggiore intenzione.
- Mi sta bene.- annuì, radiosa.
- Aspettami qui… torno subito.- a malincuore, lei lo lasciò andare via e seguì con lo sguardo perso ogni suo movimento mentre si allontanava per raggiungere la grossa scrivania delle ordinazioni.
Per distrarsi e per non permettere alle proprie emozioni di avere la meglio, la giovane acchiappò una sedia girevole che era sistemata a poca distanza dal bancone degli alcolici e vi si lasciò cadere, passandosi una mano sul viso in fiamme.
Possibile che fosse arrossita così tanto?
Possibile che non avesse più tracce d’aria nei polmoni contratti?
Si accorse all’improvviso che le girava la testa, vorticosamente, dolorosamente.
Stava ansimando, come reduce da una lunga ed estenuante corsa, esattamente come quando era sfuggita alle grinfie dello Stefan Squartatore, scappando a tutta velocità dalla veranda sul Lago, senza fiato e con poche speranze di salvezza. A disagio a causa di quei ricordi ancora insopportabili, Demi pensò che quella appena messa in moto dal suo corpo fosse una reazione decisamente esagerata, anche rispetto al familiare e dolce sconvolgimento che Nick Mikaelson le aveva sempre provocato dentro senza neppure aver bisogno di sfiorarla.
No, non era affatto normale.
Qualcosa di molto più travolgente delle ordinarie sensazioni umane si stava facendo strada senza preavviso nelle sue vene riarse, partendo con prepotenza dal centro del suo sterno rovente per poi urtare contro la gabbia toracica e diffondersi in ogni centimetro delle sue membra tremanti.
Senza che potesse evitarlo, il suo respiro, reso affannoso da vibrazioni pungenti, divenne di colpo più caldo e vaporoso, come arricchito e filtrato dallo stesso denso strato di nebbia che si era frapposto già una volta, salvandole la vita, tra lei e la morte certa.
Nel fondo della sua coscienza confusa, ardente e formicolante, Demi riconobbe in un lampo, con inaspettata chiarezza, le terrificanti ragioni nascoste dietro quell’imposizione strategica ed autodifensiva: era in pericolo.
Qualcosa (o qualcuno, si disse con un brivido di gelida paura) di molto pericoloso era nei paraggi.
Era lì in quel preciso istante, Demi ne era certa.
La osservava, fremente, in attesa, in agguato.
Lei riusciva a sentire distintamente la sua presenza nell’ombra… a sentirlo.
‘Pare che il nuovo Mikaelson sia sparito nel nulla.’le aveva detto seriamente Damon in salotto, solo poco tempo prima, per avvisarla. ‘Sappiamo solo che è pericoloso e che potrebbe essere ovunque, pronto ad uccidere.’
Balzando bruscamente in piedi e lasciando che lo sgabello di metallo gemesse a causa di quel suo scatto troppo repentino, la ragazza affilò lo sguardo color zaffiro, cercando disperatamente di individuare la malefica fonte di quell’invisibile ma reale minaccia tra gli schiamazzi gracchianti dei clienti del bar.
Non riuscì a cogliere niente di sospetto tra la gente allegra o nel fremito delle imposte le cui tendine assomigliavano sinistramente a delle mani di stoffa pronte a ghermirla, non vide nulla di così allarmante nei calici e nei bicchierini di cristallo della credenza così come nei gesti frettolosi dei camerieri che correvano qua e là per servire piatti fumanti e birre ghiacciate... tutto era apparentemente innocuo.
Assurdamente comune… e tranquillo.
Troppo tranquillo.
Davanti a tale consapevolezza, la sua ansiosa smania di conoscenza non si placò, anzi, le scatenò un’altra fitta di calore all’altezza del petto, incendiandole la gola. Doveva trovare Nick e andarsene, subito, doveva uscire da lì al più presto e senza mai voltarsi indietro, prima che lui riuscisse a…
A trovarti? sibilò d’un tratto una giovane voce maschile e persuasiva, dallo strano accento antico e poco identicabile, facendola raggelare sul posto. Nessun altro a parte lei sembrava aver udito quelle parole di pura tenebra e, accorgendosene, Demi sentì lo sgomento scivolarle in rivoli di freddo sulla schiena tesa. Battè forte le ciglia per rendere meno offuscata la propria vista proprio mentre la voce senza volto le riverberava ancora nella testa, acquistando una nota particolarmente divertita nel tono, come se il proprietario si stesse spudoratamente prendendo gioco di lei. Una sensazione nuova si unì al panico: la rabbia. O a toccarti? Un’entità invisibile, quasi una folata di vento, sembrò passare con passo rapido e felpato alle sue spalle, scompigliandole i capelli d’inchiostro. Demi sentì qualcosa di concreto sfiorarle la nuca scoperta in una specie di evanescente carezza, come se delle dita di ghiaccio e velluto si fossero soffermate sulla sua pelle sensibile.
Una risata si dissolse nella confusione del suo cervello atterrito.
Dovizhdane, Demetra.
Un tonfo.
E poi, improvvisamente… il silenzio.

 
 
 








NOTE PERSONALI dell’autrice:
 
Eccomi qui, finalmente :)
Innanzi tutto vorrei ringraziare tutti voi per la pazienza… la lavorazione di questo capitolo è stata davvero infinita a causa della settimana di ferragosto e delle vacanze che mi sono concessa al mare ma voi mi avete compresa e sostenuta, come al solito, fino a questo punto… meritate tutta la mia gratitudine.
Vorrei scusarmi con tutti i magnifici recensori dell’ultimo capitolo… ho letto TUTTI i vostri commenti e li ho amati ma ho deciso di utilizzare i ritagli di tempo libero per dedicarmi esclusivamente al capitolo soprattutto per non farvi morire nell’attesa… ahaha risponderò in ritardo ma lo farò come sempre, lo prometto <3

NOTE sul CAPITOLO:
 
Duuuunque :D
Il fantasma ha finalmente fatto la propria comparsa dal mondo dei morti.
‘Credo che la parola giusta che state cercando sia OMG.’ … non c’è mai stata un’occasione migliore di questa per inserire questa immortale citazione del buon vecchio Elijah. Lui ed Hayley erano ‘scomparsi’… chi non ha voglia di sentire la loro storia direttamente dall’ex Originale? Chi c’è sempre stato dietro la loro cattura, conclusasi evidentemente in tragedia? E lui avrà delle informazioni preziose a proposito di Nick e Prince?
O di tutto il resto, vedendo con chiarezza ogni mossa dall’Other Side?
Spostando il discorso sul flashback del funerale… si tratta del secondo giorno dei tre complessivi concessi da Bonnie ai vampiri che avevano ingerito la Cura. Finalmente sappiamo che Rebekah aveva preso Damon e che Elena era decisa a salvarlo. Il giorno dopo Damon se ne andrà da Mystic Falls senza dire addio... che cosa sarà successo nel frattempo?!
STAY TUNED.
Fatemi conoscere tutte le vostre teorie al riguardo e venite a trovarmi qui 
https://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=hl :)
Vi adoro.
 
_________
* La canzone che Nick e Demi ascoltavano i auto è la splendida ‘’Human’’ dei ‘’The Killers’’ (http://www.youtube.com/watch?v=RIZdjT1472Y)
* Dovizhdane = ‘’arrivederci’’ in bulgaro. E’ il contrario di ‘’Zdravei’’, il primo saluto di Klaus rivolto a Katerina.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** The Truth (Part 2) - P.M.R. ***


Previously on the DemiDiaries. (rielaborazione delle scene/punti chiave del seguente capitolo)
 
 
 
 Image and video hosting by TinyPic
 
 
 
Cap27_TheTruth1: Demi a Damon: ‘’Mia madre aveva tenuto da parte una dose di Cura… per darla a te.’’
 
**** Sedici anni prima: Elena: ‘’Tu non vuoi la Cura, non è così?’’
Damon: ‘’No, Elena. Non la voglio e non la prenderò.’’****
 
Damon: ‘’Matt trovò quella dose con un pretesto e la bevve, sacrificandosi. Da allora Rebekah cerca vendetta.’’
Demi: ‘’Non è stata colpa tua.’’
*abbraccio*
 
Damon a Shane sull’Isola della Cura: ‘’Come mai ti sei offerto volontario per facilitarci le cose ed accompagnarci a fare gli Indiana Jones?
Non ho ancora capito cosa ci guadagni.’’
Shane: ‘’Mia moglie è morta nel fondo di quello stesso Pozzo perché credeva di aver trovato un modo per resuscitare nostro figlio.
Voglio scoprire la verità al riguardo.’’
Shane guardando la pietra azzurra nella caverna: ‘’Quella è la mia ricompensa.’’
 
Cap22_Triangle: Elena trova un foglio di carta ingiallita accanto al viso addormentato di Damon con sopra tracciato un triangolo.
‘’Dovevo averlo già visto da qualche parte ma non ricordavo di averlo inserito personalmente nel diario; doveva essere stata Bonnie a farlo, magari durante il periodo della sua custodia, forse per nasconderlo dalla propria memoria senza doverlo distruggere definitivamente.’’
 
Cap22_Triangle: Demi sottopone all’attenzione di Sheila un foglio identico con i simboli triangolari che Nick le ha dato come pegno di fiducia.
‘’- Emh.- grugnì Sheila, scrutando torva quella pergamena priva di alcun apparente significato logico. - vuoi dirmi che stavamo per essere sbranate da un branco di manigoldi davanti alla Biblioteca per questa ‘roba’?-‘’
 
Cap22_Triangle: Sheila: ‘’Il suo indice corse a ricalcare i contorni netti e precisi del Triangolo, seguendone la sinuosità. - E se fosse quello che non ci aspettiamo? Non un triangolo ma una lettera alfabetica, come queste tracciate qui accanto… un Δ greco, per esempio?-  
Δ come Dea, come Demetra, come…’’
 
Cap26_Fantasma: Bonnie mostra a Jeremy il foglio che ha trovato sotto il cuscino di Demetra.
‘’Il Triangolo, in quasi tutte le tradizioni ideate dalle culture sia primitive che successive, ha sempre assunto il valore di una sorta di assolutezza quasi divina, di un enorme e pericolosissimo Potere individuale che, spesso e volentieri, veniva raggiunto da singolo mediante il sacrificio di vite innocenti. Abbiamo bisogno di risposte.’’
Bonnie e Jeremy evocano uno spettro dall’aldilà.
 
Cap28_Thetruthpt2: Il fantasma di Elijah: ‘’Ciao Elena. Che piacere rivederti.’’
 
Cap28_TheTruthPt2: Damon a Demi: ‘’Abbiamo un nuovo elemento da aggiungere alla lista degli squilibrati e, tanto per cambiare, è un altro Mikaelson. Il fratellino di Ciuffo.’’
 
Cap24_PrinceOfDarkness: Nick: ‘’- Chi altri potrebbe aver mandato i componenti del mio branco a cercarmi in Biblioteca,
la sera dell’aggressione nella Foresta,
se non il figlio di Klaus?’’
Cap25_Rain: Mattie a Nick: ‘’Se tieni davvero così tanto a Demi… sii sincero con lei.’’
 
Cap28_TheTruthPt2: Damon: ‘’Sappiamo che questo tizio è pericoloso e che potrebbe essere ovunque, pronto ad uccidere.’’
Demi: ‘’Tu ascolterai cos’ha da dire il fantasma ed io ti racconterò ogni singolo istante della serata che trascorrerò con Nick,
compresi i risvolti genealogici che avrò modo di approfondire riguardo alla famiglia Mikaelson.
Sarò a casa Bennett al più presto, al sicuro.’’
Damon: ‘’Andata.’’
 
Prince nella mente di Demi al Grill: ‘’- Demetra.-’’
 
 
 
 
 
________________________________________________ 
 
 
 
 
 
*Un tonfo.
 
E poi, improvvisamente… il silenzio.*
 
- Va tutto bene, calmati… ti porto fuori da qui.- d’un tratto più vicina e chiara che mai, la voce suadente di Nick le vibrò accanto, facendosi spazio nelle sue orecchie ancora otturate con un nuovo tono determinato, quasi autoritario. Demetra distinse piuttosto chiaramente una lieve sfumatura preoccupata arrochirne la consueta bellezza ma decise di non badarci troppo, lieta che un suono così caldo e familiare si fosse finalmente sostituito al sibilo beffardo, sconosciuto ed inquietante che poco fa aveva udito rimbombarle sinistramente nella testa. Cercò di riprendere coscienza della realtà nel minor tempo possibile ma fu costretta a battere forte le palpebre un paio di volte prima di riuscire a rimettere a fuoco l’affollato ambiente circostante.
Era… lunga distesa sul pavimento?
Oh, no… che cosa diavolo le era successo?
- Appoggiati a me, così… ce ne andiamo.- annuendo debolmente nell’ascoltare quelle parole concise e rassicuranti, sempre quasi senza respirare, Demi si tirò su, lasciandosi trascinare via dal giovane Mikaelson. Senza averlo premeditato, seppellì il proprio viso nell’incavo del collo pallido e profumato del ragazzo, alla ricerca di un contatto che le desse sollievo, ed avvertì il suo braccio tenace avvolgerla e sorreggerla dolcemente ad ogni singolo passo, fino all’uscita del Grill. Si sentì immediatamente più al sicuro. La vicinanza di Nick era davvero piacevole, come un panno freddo posato da una mano compassionevole sulla fronte di un moribondo.
I due avanzarono con estrema lentezza e cautela, circondati da un pubblico innaturalmente muto ed attonito, mentre lei sentiva premerle addosso, con crescente imbarazzo, gli sguardi ancora confusi e timorosi degli stessi clienti che l’avevano vista perdere i sensi solo qualche attimo prima, precisamente quando le sue ginocchia avevano ceduto al peso del suo corpo paralizzato ed atterrito e si erano trasformate in fluttuante gelatina. La Salvatore sapeva benissimo di aver involontariamente attirato su di sé l’indesiderata attenzione altrui, regalando alla numerosa clientela di curiosi uno spettacolo del tutto insolito su cui spettegolare allegramente in sua assenza, e si sentiva in colpa e a disagio per questo.
Anzi, no.
Era furiosa.
‘Dovizhdane, Demetra.’
Quel saluto allusivo, pieno di indefinibili sottintesi, pronunciato dalla voce maschile e misteriosa che le si era insinuata tanto impunemente nei labirinti più segreti e privati della mente, era stato la causa di tutto e adesso, come se non bastasse, non la piantava più di riecheggiarle dentro, come un monito o un’intimidazione.
Come un appuntamento per il futuro.
Sì, era suonato proprio come una sorta di promessa, come un anomalo e lascivo ‘arrivederci’.
‘A presto, Demetra.’
- Sicuri di non aver bisogno di una mano?- chiese goffamente un cameriere alto e snello, grattandosi la nuca con un gesto nervoso e comparendo nel loro tragitto con aria impacciata. - Potremmo chiamare un medico e…-
… e aspettare che Damon si presenti qui armato di forbici per capelli. Che idea meravigliosa. No, grazie.’ pensò sarcasticamente Demi, stringendo la presa sugli abiti di Nick e scuotendo impercettibilmente il capo contro il suo petto, in segno di dissenso.
- Fateci passare e basta.- persino facendosi largo a spintoni tra la gente e sillabando instancabilmente quella frase, il figlio di Elijah non suonava affatto scortese o inopportuno con gli altri, solo severo, protettivo e teso… teso come una corda di violino. Demi immaginò timidamente come il suo volto, in quel momento, potesse apparire magnifico, magari contratto in un’espressione raffinata, seria ed urgente, ma non osò aprire gli occhi per guardarlo. Li tenne ostinatamente serrati fino a quando non avvertì il bacio gelido e umido della condensa serale farsi spazio sulle proprie gote ancora bianche come un lenzuolo, solleticandole appena. Inspirò profondamente nel buio, ascoltando il ticchettìo metallico delle chiavi dell’auto di Nick, poi avvertì i movimenti fluidi di quest’ultimo mentre disattivava l’impianto di sicurezza ed apriva in fretta uno sportello.
- Siediti, adesso… qui.- Demi si accorse che le proprie dita stavano tremando solo quando sentì la stoffa liscia della maglietta di lui scivolare via da esse ma obbedì di buon grado a quel consiglio, mettendosi comoda anche per dare sollievo alle proprie gambe ancora malferme. Lasciò che il gradevole odore della pelle nera del sedile anteriore le inebriasse le narici, accogliendola nella propria morbida ed elegante consistenza, poi socchiuse piano le palpebre, scrutando le iridi nere come squarci di cielo notturno del giovane da dietro le proprie ciglia.
Provò un vivido sollievo nell’osservare tanto attentamente quegli specchi di lucida tenebra e, per un attimo, vi rivide se stessa, come attraverso un sogno evanescente: era davanti al tavolo degli alcolici, in piedi, stravolta dall’angoscia e da un’inspiegabile senso d’euforia, mentre cercava disperatamente di controllare la brusca reazione sovrannaturale scatenata dal proprio inconscio: la nebbia. Era rimasta immobile e smarrita per un tempo infinito davanti a quella minaccia senza nome che si era addentrata in modo sublodolo nella sua testa per avvertirla, per sfidarla, per dimostrarle quanto, in realtà, fosse piccola ed indifesa… poi era crollata a terra.
- Quella… quella voce…- ansimò d’un tratto, accorgendosi che la brezza frusciante in lontananza le aveva fatto venire la pelle d’oca. Cercò di controllare il proprio fiato per impedire che ritornasse ad addensarsi nella sua gola secca sotto forma di vapore protettivo ma scoprì che le risultava particolarmente difficile controllarsi. Tutto il suo corpo era ancora in fermento, in allerta. Era come se non le appartenesse.
- Tu non l’hai… sentita, vero?-
Certo che no.
Nessuno nelle vicinanze dell’ampio bancone aveva udito volare una mosca a parte lei, e si dava il caso che il ragazzo dai bei capelli castani si trovasse addirittura dall’altra parte del locale per ordinare gli hamburgers quando quell’oscura presenza si era manifestata, attivando tutti gli incontenibili sensori d’autodifesa di Demi.
Stando così le cose, Nick avrebbe mai potuto darle retta senza batter ciglio e credere che, a scatenare in lei quella reazione tanto esagerata quanto necessaria, potesse essere stato sul serio un qualche ignoto e malefico giovanotto dai conturbanti poteri telepatici?
Qualcuno che magari aveva il suo stesso sangue Mikaelson nelle vene?
Perché quella le sembrava davvero l’unica spiegazione plausibile.
In qualche modo del tutto inedito, Demetra era sicura che si trattasse proprio di ‘lui’, del fratello di Nick, dell’ennesimo spietato vendicatore contro il quale suo zio l’aveva messa in guardia nel salotto della Pensione.
- C’era qualcuno di molto pericoloso al Grill… mi ha raggiunta senza farsi notare e mi ha sussurrato delle cose… ma non l’ha fatto in modo normale… era come se per minacciarmi fosse entrato nel centro mio cervello, come se si stesse prendendo… gioco di me! Ad un certo punto ho sentito in ogni singolo centimetro del mio essere che lui avrebbe potuto… avrebbe voluto…- arrossì clamorosamente ed imprecò. - Oh, cavolo, tutto questo non ha assolutamente senso!- con un singhiozzo, si rese conto di quanto, effettivamente, potesse essere apparso insensato il suo discorso e chinò il capo, sentendo gli angoli degli occhi pizzicarle di lacrime e di frustrazione.
D’accordo, sentire strane voci inesistenti nella propria testa era un ottimo passo verso la paranoia ed il pronto ricovero in manicomio, questo lo sapevano tutti. Se poi all’elenco delle assurdità Demi ci avesse aggiunto anche quel buffo talento di sputacchiare qua e là del vapore acqueo a seconda dell’occasione… Damon ci avrebbe riso su senza rimorsi come minimo per i prossimi trent’anni.
Oh, Damon.
Quanto avrebbe desiderato vederlo in quel preciso momento, semplicemente per un attimo, per sentirsi a casa…
- Sì, lo so… non ne ha.- mormorò Nick in risposta dopo una breve pausa, a sorpresa, serrando la mascella in una smorfia che indurì di consapevolezza il suo volto, come se l’avesse congelato. Sembrava che stesse parlando con se stesso più che con chiunque altro. - Ma questo non significa che ciò che hai sentito non sia stato reale.- le lanciò un’occhiata convulsa, come se non avesse più tempo a disposizione, poi fece una cosa che la lasciò senza respiro: le sue mani tiepide e soffici corsero a sosterle delicatamente il mento, fino a formare una specie di calice sotto di esso. Accarezzando piano le sue guance con i pollici e sfiorandole come se fossero fatte di cristallo prezioso, Nick la pregò di continuare a fissarlo dritto in faccia, combattendo a spada tratta contro quella vigliacca parte di sé che aveva ancora troppa paura di scorgere in quello sguardo azzurro l’ormai inevitabile delusione. –… Demi, devi ascoltarmi attentamente.- sussurrò, vicinissimo alla sua bocca. Il cuore di lei perse un battito dallo sgomento ma forse era solo colpa di quegli occhi neri che la fissavano ardentemente, come se temessero di vederla trasformarsi in un mucchietto di polvere argentata pronta a dissolversi nel vento.
- So perfettamente di non meritare la tua fiducia, non più, a questo punto… ma, prima di dirti qualsiasi cosa che possa allontanarti da me, voglio solo che tu sappia questo… non permetterò mai a nessuno di toccarti. In qualsiasi caso, non lascerò che Prince si avvicini a te. Ti terrò al sicuro. Sempre e per sempre.- senza riuscire a liberarsi dalla trappola di quello sguardo profondo, sincero e magnetico, la ragazza si mordicchiò il labbro inferiore per non lasciarsi annegare nel tormentoso desiderio di credergli. Assieme alla sua innata e prudente diffidenza, a farle ribollire lo stomaco, c’era anche un’altra voglia totalmente irrazionale che non la aiutava a riflettere. Quando abbassò leggermente il viso verso di lui, assecondata silenziosamente dalle dita di Nick, Demi si accorse di avere la vista sfocata e dimenticò come si connettevano i pensieri. Si sentiva circondata ed irradiata dal calore più invincibile che avesse mai provato dentro e sapeva con certezza che, se solo si fosse lasciata andare a quel turbinìo di sensazioni, non se ne sarebbe pentita. Le sarebbe bastato sporgersi di qualche centimetro in avanti per permettergli di annullare del tutto ogni distanza loro, per scegliere, far sì che lui potesse finalmente riuscire a…
‘A trovarti? O a toccarti?’
Quel pensiero la riscosse bruscamente, dolorosamente.
- Chi è Prince?- bisbigliò dopo un attimo, con un fil di voce.
Era ancora praticamente sulle labbra di Nick, abbastanza vicina al suo volto meraviglioso da riuscire a sfiorargli il naso sottile con la punta del proprio ma non a sufficienza da consentirgli di baciarla. In verità, grazie a Damon, Demi sapeva già che ‘Prince’ poteva solo essere il bizzarro nome del nuovo, psicotico Mikaelson giunto in città, ma voleva comunque sentirselo dire direttamente da Nick. Doveva assolutamente saperne di più al riguardo… un patto era pur sempre un patto. Quel barlume di lucidità venne in suo soccorso, dandole la forza di ristabilire un precario ma efficiente equilibrio interiore. Non riusciva a scacciare le vertigini ma si disse che era perfettamente normale sentirsi sempre così accanto a Nick, come sull’orlo di un precipizio pronto a franare rovinosamente sotto i piedi. Lui era il ragazzo che più le piaceva al mondo. Era irresistibile. Prima il dovere, pensò Demi con temeraria ostinazione, allontanandosi appena con uno sforzo sovrumano. E poi… chissà. Notò con una certa soddisfazione gli occhi persi del giovane che si annebbiavano appena nel fissarle ancora, per un istante di troppo, la bocca socchiusa ma ancora straordinariamente vicina, poi capì che anche per lui non era affatto facile opporsi a quell’attrazione tra loro. Gli sorrise in modo innocente e lo sentì deglutire forte, con un pizzico di rassegnazione, prima di sospirare:
- Lui è mio fratello… il mio fratellastro.- le spiegò roco, quasi inudibile. - Il primo figlio che mia madre ebbe con…- Nick esitò appena, ancora istintivamente frenato, poi comprese che non c’era più alcuna ragione di continuare a mentirle. ‘Alcune verità sono semplicemente troppo imponenti ed innegabili per essere nascoste a lungo. Sputa il rospo e falla finita, compare.’ sussurrò una vocina fioca e spavalda nei meandri più sperduti sua coscienza. Gli parve di riconoscere il tono dolce di quello scricciolo di Mattie e si fece coraggio. -… con mio zio Klaus.-
 
***


- E-Elijah… sei tu…?- balbettando senza fiato, Elena strabuzzò a fatica i propri grandi occhi marroni, incredula. La sua mente si rifiutava categoricamente di dare un senso a ciò che aveva appena visto comparire nell’angolo più oscuro e pericolante della Casa Stregata e cercava di rifuggire in fretta dalla realtà, dimenandosi come un animale ferito ed in trappola. L’aristocratico fratello maggiore di Klaus Mikaelson in persona, lo stesso uomo elegante, signorile e bellissimo che adesso se ne stava immobile al suo cospetto come l’ombra tristemente reale di se stesso quando era in vita, annuì con calma, senza smettere di fissarla intensamente, confermandole una volta per tutte la propria identità. Un sorriso tenue ed indecifrabile gli increspò appena la bocca sottile e la Gilbert sentì una lacerante malinconia farsi spazio nel suo petto già gonfio di sincero rammarico. Trasalì.
No, non poteva essere. Cosa diavolo ci faceva lui lì? Dov’era il fantasma? Che razza di scherzo di pessimo gusto era quello? Doveva esserci stato solo un terribile errore… era impensabile che Elijah fosse… che fosse realmente… morto
‘Come avrebbe potuto, altrimenti, rispondere alla chiamata urgente di Bonnie Bennett, precipitandosi in questa stamberga abbandonata direttamente dall’Altro Lato e materializzandosi qui come per magia?’ protestò una voce velenosa nel suo intimo, innalzandosi come un faro accecante nel mare agitato delle ipotesi inverosimili che lei si stava già accalcando sul cuore a mo’ di protezione. ‘Elijah è esattamente lo spirito che la tua migliore amica ha evocato. E’ apparso per parlare soltanto con te dall’aldilà e non puoi permetterti di sprecare la preziosa occasione di starlo a sentire. Potrebbe essere l’unica. Si tratta di tua figlia, Elena. Pensa a Demi e dimentica il tuo dolore.’
Arrendendosi a fatica alla cruda ed inaccettabile verità che le si parava davanti, la vampira percepì una luttuosa e purtroppo familiare consapevolezza straziarla, spazzando via tutte le sue vane illusioni. Dio, era insopportabile rassegnarsi senza repliche alla sorte crudele che il destino impietoso sembrava aver immeritatamente riservato all’unico Originale lei che avesse mai stimato davvero per il suo animo nobile, sempre fiero ed onorevole…
- Oh, mi dispiace così tanto…- mormorò con voce rotta, incespicando verso lo spettro con passo incerto. Allungò le mani tremanti nella sua direzione ed Elijah le prese subito tra le proprie, infondendole dentro, attraverso quella stretta tiepida, un assurdo, dilagante ed agognato conforto. Sembrava così tranquillo… come se avesse finalmente trovato la pace. Elena scosse il capo, sentendo il vento ululare con impazienza alle proprie spalle e penetrare nell’androne desolato attraverso le grosse fessure nel legno di quella costruzione in rovina.
- Non posso credere che tu sia davvero…-
- Lo so.- le sussurrò il defunto, contrito ma risoluto, avvolgendole le dita nel proprio tocco gentile. - Lo capisco.-

Image and video hosting by TinyPic

Quelle frasi di circostanza, apparentemente del tutto prive di significato, provocarono nella schiena di lei un subitaneo ed intenso brivido traditore. Il fratello di Rebekah se ne accorse con un evidente lampo di speranza negli occhi e le sorrise appena, un attimo prima di ritornare impassibile per non destare sospetti negli altri presenti. Erano trascorsi ben sedici anni dall’ultima volta in cui lui e la Gilbert si erano visti per dirsi addio e si dava il caso che quelle stesse parole accorate fossero state pronunciate proprio dalle sue labbra mentre erano entrambi sulla soglia del Pensionato Salvatore, poche ore prima della definitiva sepoltura di Klaus nella cripta.
Elena si chiese come mai, in quel momento, Elijah le stesse lanciando quella sottospecie di messaggio in codice, quel flebile segnale che nessun altro in quella stanza, a parte lei, avrebbe mai potuto cogliere tra le righe o tantomeno interpretare a dovere. Era come se volesse invitarla a non abbandonare il passato nell’oblìo… senza sapere che lei non avrebbe mai e poi mai potuto dimenticare. Aveva ripensato spesso con riconoscenza alla notte del loro ultimo saluto, specie quando Damon era scomparso nel nulla e a lei era toccato rimettere insieme tutti i pezzi per il bene della piccola Demetra… con il trascorrere del tempo aveva soltanto rinchiuso nello scrigno proibito della propria coscienza quelle memorie insopportabilmente lontane, per impedirsi di soffrire ancora, per smettere di contemplarle in attesa che riprendessero forma e vita per tornare da lei… per proteggersi.
Guardando fisso nel nero lucente e privo di sfumature delle iridi del fantasma, però, Elena seppe con certezza che quello scrigno pesante come un macigno era appena stato dissotterrato con forza dalle profondità della sua anima martoriata e che, per il bene di tutti, doveva essere in qualche modo spalancato di nuovo.
Immediatamente.
______________________________________________________________________________________
 
Flashback di sedici anni prima
 
POV Elena Gilbert
 
La luna piena, perfettamente rotonda e tinta di un insolito ed ipnotico color rosso sangue, era ormai alta nel cielo. La sconfinata volta celeste, simile ad un’infinita distesa di seta nera e liquida, palpitava debolmente sopra il Pensionato, bellissima e minacciosa, in attesa del momento più opportuno per scatenare un nuovo, implacabile temporale sulla città dormiente. Era uno spettacolo davvero meraviglioso ed inebriante ma era anche qualcosa che ero costretta ad ignorare, almeno per il momento. Non potevo permettermi distrazioni, non in quella precaria situazione di pericolo e clandestinità. Sbirciando furtivamente da una finestra e posando lo sguardo attento sull’ampio cortile all’esterno di casa Salvatore, sentivo solo il cuore battermi all’impazzata contro la gabbia toracica, quasi stordendomi col suo impeto. Non c’era nessuno nelle vicinanze. Jeremy, Bonnie, Caroline, Stefan… sembravano essersi dissolti nel nulla. Al mio risveglio, sul divano scarlatto del salotto, avevo trovato solo un biglietto ripiegato con cura, con poche righe frettolose tracciate sulla ruvida superficie cartacea:
 
‘’Bonnie mi ha detto che le sue erbe ti avrebbero regalato un sonno tranquillo e senza sogni… non ho avuto il coraggio di interromperlo prima del tempo solo per salutarti, anche se avrei tanto voluto farlo.
Se non mi troverai in casa, sappi che andrà tutto bene.
Incontrerò Elijah tra poco, lui saprà cosa fare. Elena, devi fidarti di me.
Non permetterò che tutta questa storia finisca per farti soffrire. Ne abbiamo già passate troppe.
P.S.: Ti supplico, non fare nulla di stupido o insensato… quella di Rebekah è una trappola.
Ti amo. Ti amerò per sempre.
Stefan.’’
 
Strinsi spasmodicamente quel messaggio accartocciato nella tasca anteriore dei miei pantaloni, come per assorbirne meglio il significato ed il calore, poi cercai di restare calma e lucida il più a lungo possibile, per non cedere d’un solo millimetro alle contrastanti emozioni che mi stavano ininterrottamente squarciando il petto dall’istante stesso in cui, scortata dai miei amici, mi ero lasciata alle spalle la tomba fredda, bianca e muta di Matt. Avevo abbandonato quel cimitero docilmente, tra le braccia amorevoli del minore dei fratelli Salvatore, con un solo, martellante proposito in testa, con un’unica, disperata certezza: avrei ritrovato Damon. L’avrei salvato, portandolo via dalle grinfie di una Rebekah che, sconvolta com’era dal suo dolore e dal suo accecante desiderio di vendetta, non avrebbe esitato a fargli del male. Quel pensiero insopportabile mi aprì una sconfinata e bollente voragine nello stomaco e mi sentii attirata fuori da quell’abitazione silenziosa e sicura come da una forza incalzante che a malapena riuscivo a comprendere.
Ripresi fiato e mi imposi di non perdere il controllo.
Dovevo agire bene e in fretta.
Sarei sgattaiolata via da quella casa deserta senza dare nell’occhio e avrei raggiunto villa Mikaelson in un baleno… se i piani fossero andati esattamente come speravo, Stefan mi avrebbe perdonata benevolmente dopo qualche rimprovero e avrebbe riabbracciato suo fratello. Se qualcosa fosse andato storto, invece, se Rebekah mi avesse beccata a girovagare per le sue stanze lussuose o se solo mi fossi fatta cogliere in flagrante mentre abboccavo ingenuamente al suo amo letale… beh, probabilmente sarei morta.
Rabbrividii, intimorita, ma scacciai via quell’esitazione con violenza.
Non avevo scelta.
Non riuscivo a pensare ad una ragione più valida per rischiare di perdere per sempre una vita che mi sarebbe sembrata comunque pallida ed incompleta, senza Damon.
Come una conchiglia vuota, senza più il suono del mare al suo interno.
In quel caso estremo, al contrario di ciò che Stefan aveva cercato di farmi credere per impedirmi di combinare qualche guaio irreparabile mentre era via, ero convinta che Matt avrebbe capito la mia insana decisione. Chissà, magari sarebbe stato lui stesso, che prima di ogni altro aveva rischiato tutto per proteggere chi amava, ad accogliermi in paradiso tra le sue braccia di luce, con il suo più bel sorriso stampato sul volto roseo, proprio un istante prima della fine di ogni cosa… magari sarei riuscita a riabbracciare non solo lui, ma anche i miei genitori, zia Jenna, Rick…
Con gli occhi traboccanti di lacrime di commozione, strisciai verso l’ingresso e posai le dita sul pomello dorato della porta, decisa a farlo scattare in avanti.
Fu in quel preciso momento, tuttavia, che udii delle voci maschili, basse e vellutate, risuonare a pochissima distanza da me, sulla soglia di casa ma dall’altra parte dell’uscio.
Il cuore mi rimbalzò in gola dallo spavento e dalla sorpresa e per un lungo istante l’unica cosa che riuscii ad ascoltare furono i suoi battiti furiosi nella mia testa e nelle mie tempie pulsanti. Senza emettere un suono, tesi l’orecchio, sfiorando il legno odoroso del portone di quercia, e cercai di sintonizzarmi in tempo per cogliere qualche frammento del concitato discorso ancora in atto là fuori.
A parlare confusamente erano in due.
Rimpiansi per un secondo i miei sensi sviluppati e accorti da vampira completa, gli stessi che l’effetto della Cura stava gradualmente cancellando. Ancora ventiquattr’ore da creatura ‘ibrida’, poi il processo di metamorfosi umana si sarebbe concluso con una scelta, eliminando dal mio corpo ogni traccia di immortalità.
- … farei qualunque cosa. Forse tu puoi convincerla a lasciar perdere. Credo che lei ti ascolterebbe. Potresti trovare un modo.- stava bisbigliando Stefan, con quel suo tono pacato ed implorante che, in qualche modo, incuteva sempre nel prossimo un profondo senso di stima. In me, però, fece solo strabordare l’indignazione più fosca. Come sarebbe a dire lasciar perdere? Stava forse parlando di me? Credeva davvero che qualcuno avrebbe mai potuto strapparmi dal petto il pensiero di Damon in balìa delle spietate torture di Rebekah e, soprattutto, il bisogno di andare in suo soccorso? Contrassi la mascella talmente bruscamente da provare un acuto dolore al lato destro del viso. - Ho un terribile presentimento e Bonnie ha avuto persino una visione al riguardo. Ha detto: ‘Questa notte verrà versato del sangue. E questo sarà solo l’inizio.’- proseguì lui imperterrito e incalzante, lanciando uno sguardo alla luna rossa che era stata appena oscurata da una nuvola di catrame.
- Sono venuto qui soltanto per seppellire mio fratello e sparire per sempre con la mia famiglia, Stefan.- replicò Elijah asciutto, con il suo solito cipiglio composto ed incomprensibile, mentre io tentavo di sfuggire al gelido orrore che l’ascolto inedito della premonizione di Bonnie mi aveva provocato fin dentro le ossa. Forse sarà il tuo sangue a bagnare la terra, stanotte. O peggio… quello di Damon. - Se c’è una cosa che ho imparato in tutti questi anni è che non si possono combattere le battaglie di tutti.- mentre diceva ciò, l’Originale mi sembrò esausto e disincantato, come se non fosse ancora riuscito a capacitarsi di aver tanto attivamente collaborato a realizzare la fine di Klaus. Forse si sentiva spezzato dalla colpa nonostante avesse agito unicamente per amore di Hayley e del bambino innocente che lei portava in grembo. Provai pena per lui. - Se Rebekah desidera sul serio realizzare la propria vendetta, molto probabilmente, è proprio ciò che otterrà, in un modo o nell’altro. A parte sperare che Elena non si muova dal Pensionato con l’intento di portare a termine una missione suicida, non c’è assolutamente nulla che tu possa fare.- sentii Stefan trattenere di colpo il respiro. Quando parlò nuovamente, la sua voce tradì tutto il cocente dolore che, per non farmi stare in pena, gli avevo visto trattenere a labbra strette nel cimitero.
- Io no ma forse tu sì.- ribadì, strozzato. Percepii l’impatto violento della sua frustrazione e mi ricordai di quando lui, molto tempo prima, aveva sacrificato ogni cosa, vendendo la sua stessa anima al demonio, per salvare Damon dal veleno di licantropo che lo stava uccidendo lentamente. Capii, sentendomi avvampare, che non ero stata io il soggetto della serrata discussione che avevo colto solo in parte poco prima. ‘’Incontrerò Elijah tra poco, lui saprà cosa fare. Elena, devi fidarti di me.’’ Stefan stava cercando di convincere l’Originale a parlare non con me ma con Rebekah, per chiederle misericordia… affinchè risparmiasse suo fratello. Un tentativo debole e disperato che, però, mi scaldò il cuore. Oh, Stefan… - Tu puoi parlarci, puoi convincerla a desistere… se non vuoi farlo per me, devi farlo per Elena. So che tieni a lei, che la rispetti come nessun altro in questa dannata città. Se davvero le vuoi bene, sai che lei non…- lo sentii tacere, come se dire ciò che doveva gli stesse costando molto, e poi continuare con un groppo in gola: -… sai che non sopravviverebbe a tutto questo!-
- Cosa ti fa pensare che Bekah mi darebbe ascolto dopo tutto quello che è accaduto?- chiese Elijah dopo una pausa un po’ troppo protratta e vibrante. - Ho cospirato contro il mio stesso sangue, le ho mentito spudoratamente e tra qualche ora andrò via da Mystic Falls per vivere lo stesso sogno che le è stato brutalmente portato via. E’ tutto inutile, Stefan, non c’è modo…-
- Allora va’ e dille addio!- sibilò l’altro di rimando, indicando la porta. Mi sentii quasi scoperta ma ricordai appena in tempo che lui, in fondo, credeva che fossi ancora profondamente addormentata sul divano. Mi sembrò che Stefan fosse sul punto di mettersi ad urlare ma poi notai che, al contrario, la sua voce, come consumata dalla rabbia, diventava sempre più sottile e tagliente. - Sei venuto qui anche per questo, non è vero? Per salutare Elena e per augurarle buona fortuna. Non capisci ancora che non le servirà a molto… non sopporterà di perdere un altro dei suo affetti più cari! Se anche riuscissimo a tenerla lontana da Rebekah per oggi, con ogni probabilità sarebbe Damon a non avrebbe scampo e te lo giuro… la sua umanità non reggerebbe!-
Fu come se qualcuno avesse sparato un colpo di fucile in aria. Per un istante tutto tacque e rimbombò, persino il fruscìo dei cespugli schiaffeggiati dal vento e degli imponenti alberi da cortile ancora lucidi di pioggia.
- Ora capisco… sei spaventato.- dedusse con calma Elijah, fissando Stefan senza sorridere ma come illuminato da un barlume di improvvisa comprensione. I muscoli del corpo mi dolevano, tanto ero irrigidita dalla costernazione e protesa nel tentativo di non lasciarmi sfuggire nessuna parola. - Temi che, se la faccenda dovesse risolversi nel peggiore dei modi, Elena non sceglierà di restare umana, domani. Hai paura che il suo dolore sarà talmente inestinguibile che lei preferirà di gran lunga tornare ad essere un vampiro per l’eternità, rinunciando alla possibilità di rendere completa l’azione della Cura, piuttosto che restare con te. Sai che vorrà liberarsi dalla sofferenza, che sarà tutto più facile quando spegnerà l’interruttore della propria umanità e così... sei terrorizzato all’idea di perderla.-
Stefan non osò aprire bocca ma immaginai che stesse annuendo lentamente.
Sentii le guance inumidirsi e mi morsi le labbra fino a rischiare di farle sanguinare. Elijah attese in silenzio, riflettendo ed assorbendo piano l’effetto di quelle conclusioni, combattuto e tentato. Le sue nocche schioccarono quando lui strinse forte le dita, un secondo prima di far ricadere le braccia lungo i fianchi.
- Sarebbe davvero un peccato, in effetti, se il mondo smarrisse una creatura così compassionevole.- esalò.
Sentii la mia mano tremare sul pomello, scossa da uno spasmo involontario giunto proprio nel momento sbagliato, e compresi al volo che il mesto cigolìo della porta non sarebbe passato inosservato ai due litiganti. Inspirando a pieni polmoni nell’aria fresca ed elettrica del giardino, spuntai sulla soglia socchiusa e li vidi entrambi in piedi sulla piattaforma di legno dell’ingresso, a distanza di sicurezza, come se avessero appena smesso di fronteggiarsi duramente con lo sguardo.
Adesso, però, fissavano me con visibile sorpresa ed un pizzico di imbarazzo.
- Elena…- sussurrò Stefan. I suoi occhi lucidi brillarono come smeraldi mentre mi si avvicinava, cercando di nascondere la propria tristezza con la smorta ma coraggiosa imitazione di un sorriso. -… torna dentro, si gela.-
In effetti lui sembrava intirizzito e mi sorpresi di quanto anche la mia parte umana in progressiva espansione risentisse, ormai, della temperatura umida e polare dell’esterno. Senza muovermi, cercai con foga Elijah con gli occhi e qualcosa nella sua espressione enigmatica mi fece intuire che era contento di vedermi. Felice e rassegnato. Anche Stefan colse quel particolare e un po’ di rossore parve essere tornato a scaldargli le guance.
- Credo proprio che aspetterò in macchina.- annunciò, congedandosi da Elijah con un gesto eloquente che voleva dire ‘ricorda ciò che ti ho detto.’ Si voltò e mi rivolse la stessa identica occhiata intensa, solo carica di un maggiore calore, poi mosse un passo verso i gradini. Improvvisamente, d’istinto, lo afferrai per un braccio e lo trattenni. Non volevo che se ne andasse. Ogni volta che qualcuno che amavo abbandonava il mio campo visivo per dirigersi altrove… credevo di impazzire. Era come se sentissi sempre sulle loro teste l’orrenda possibilità di non vederli mai più rientrare a casa. Stefan lo sapeva e, in qualche modo, condivideva quel mio stesso timore. Fu forse per questo che mi attirò a sé con dolcezza e che posò le labbra sulle mie, con una tenerezza ed una necessità che mi lasciarono senza fiato. Da quando gli avevo confessato che i miei sentimenti per Damon si erano amplificati, non ci eravamo più sfiorati in quel modo ma in quel momento fu come se nella sua bocca calda e gentile si fossero condensate mille parole d’amore e di sostegno che non potevano essere pronunciate in nessun’altra maniera.


Image and video hosting by TinyPic

Non perdere la speranza. Ci sarò sempre per te, qualunque cosa accada. Starò bene. Ti prego, ti prego, abbi cura di te.
- Tornerò all’alba.- mi bisbigliò infine, accarezzandomi i capelli prima di sparire nell’angolo buio e coperto di vegetazione del vicolo. Rimasi a scrutare le foglie gocciolanti di un enorme salice piangente ancora per qualche secondo, stordita, attonita. Per un attimo di ebbrezza mi sentii davvero meglio, come rinvigorita.
Per un attimo… poi sprofondai.
- Te ne andrai lo stesso, ora?- chiesi d’un tratto, con una voce atona che non mi apparteneva e con lo sguardo vuoto ancora fermo sulla pianta fradicia e sospirante. Non sapevo bene se quella domanda sorta dal nulla fosse stata rivolta precisamente ad Elijah o a me stessa ma, per fortuna, fu l’Originale a togliermi dall’impiccio di pensarci su troppo seriamente.
- Molto lontano.- rispose, stringendosi nelle spalle. Anche lui guardava altrove, verso l’orizzonte cupo e senza fine. L’aria sibilava e l’odore della pioggia di nuovo imminente mi aggredì le narici. - E’ senz’altro la cosa migliore… Hayley ed io l’abbiamo deciso tempo fa. Quando il nostro piccolo nascerà, sarà più facile ricominciare e farlo crescere lontano da qui. Più sicuro.- qualcosa in quell’affermazione mi disturbava ma non riuscivo ancora a capire di cosa si trattasse. Forse fatto che Elijah avesse definito il figlio della donna che amava e di suo fratello come il suo? Oh, certo che no… anch’io ero cresciuta con Grayson Gilbert, fratello del mio padre naturale John, ed avevo amato il mio padre adottivo come ogni altra ragazza della mia età, anche e forse soprattutto dopo la sua tragica scomparsa. Lui mi aveva insegnato cosa volesse dire sacrificarsi per gli altri quando aveva supplicato Stefan di salvare me al suo posto, il giorno del nostro incidente al Wickery Bridge, lui mi aveva resa ciò che ero ed io speravo sempre che, guardandomi da lassù, potesse sentirsi costantemente orgoglioso di me. Ma allora cosa c’era che non andava? Cogliendo il mio silenzio pieno di disappunto, Elijah si lasciò andare ad un breve sorriso. - Ti starai chiedendo cosa io intenda dire con ‘al sicuro’.- ipotizzò, spostando finalmente il suo sguardo sfavillante su di me. Colta alla sprovvista, confermai e lo vidi farsi più serio. - Non tutti i nostri nemici hanno stabilito la propria residenza a Mystic Falls, Elena.- mormorò, a denti stretti. - Il bambino che Hayley aspetta non è frutto di una relazione tra esseri umani. Klaus è…- si bloccò, facendo un cenno con la testa. -… era un ibrido, una creatura sovrannaturale. E’ stato il suo gene di licantropo a consentire la gravidanza, d’accordo, ma non è escluso che qualcosa del suo vampirismo possa essere stata trasmessa al feto. Qualcuno potrebbe esserne incuriosito da quest’assoluta anomalìa genetica... potrebbe voler sfruttare la situazione a proprio vantaggio.- qualcosa nella sua voce funerea mi diede la nausea. Non stava mentendo solo per riempire di drammaticità la nostra conversazione. Faceva sul serio. - Per questo sarà meglio far perdere le nostre tracce e sparire nel nulla prima che sia troppo tardi. Prima che quel qualcuno venga a cercarci.-Sforzandomi di non mostrarmi troppo in pena per il destino di fuga e pericolo che lo attendeva, annuii e pregai silenziosamente che nulla di male accadesse ad Elijah e alla sua strana famigliola pronta a mettersi in viaggio verso l’ignoto.
Provavo una strana empatìa nei loro confronti, quasi un presentimento.
- La ami davvero così tanto?- chiesi inaspettatamente, respirando piano. La luna nel cielo sembrava un enorme occhio infuocato pronto a spiarmi e a leggermi dentro e mi metteva imbarazzo, facendomi diventare più audace che mai. - Insomma… sono mesi che metti a repentaglio la tua esistenza e il tuo onore per tenere Hayley al sicuro. Hai bevuto la Cura per vivere da umano con lei. L’hai protetta contro le assurde pretese di Klaus, la terrai lontana da qualsiasi minaccia verrà a cercare suo figlio e fuggirai chissà dove al suo fianco… sono certa che faresti qualsiasi cosa per salvarla.- il capo di lui si sollevò impercettibilmente per consentirgli di squadrarmi con scrupolo prima di muoversi in un secco cenno d’assenso.
- Qualsiasi.- sembrava che avesse già capito dove volessi andare a parare ma, per quanto tenesse duro, non poteva fare a meno di capire cosa mi stesse spingendo a tradire deliberatamente la fiducia di Stefan, di Jeremy, di tutti gli altri. Alcuni tra i suoi princìpi erano sempre stati straordinariamente simili ai miei.
Respirai a fondo, lasciando che l’aria ghiacciata e satura tremasse tra le mie labbra.
- Allora sai perché non posso restarmene con le mani in mano, stanotte.- sussurrai, stringendo i pugni fino a far affondare le unghie nella carne. Non ero mai stata così sicura e determinata in tutta la mia vita e lui se ne accorse senza difficoltà. Non avevo paura di confidargli le mie reali intenzioni perché sapevo che Elijah non avrebbe detto niente a nessuno: non avrebbe compromesso la riuscita del piano nella cripta allarmando uno Stefan che era già così preoccupato ed una Bonnie che sarebbe stata costretta a rinchiudermi al Pensionato con la magia, perdendo un po’ di quell’energia fondamentale che, al contrario, avrebbero dovuto utilizzare esclusivamente per sigillare il corpo di Klaus. Non avrebbe rischiato di rovinare l’ennesimo progetto per proteggere la sua amata licantropa solo per provare a fermarmi. Era giusto così, gli ero quasi grata per questo.
- Lo so.- avvicinandosi appena, lui mi prese le mani, afferrandomi delicatamente per i polsi e stringendo i suoi pugni sui miei. La consistenza della sua pelle era liscia, confortante. - Lo capisco.- sentii i miei occhi appannarsi di pianto e la sua immagine vacillò davanti alle mie pupille, diventando acquosa ed indistinta ed abbassai lo sguardo.
Non avevo più nulla da dire, mi sentivo come svuotata.
- Allora… addio.- abbozzai, con un brivido leggero.
Elijah mi fissò ancora per qualche istante, poi mi lasciò andare, sfilandosi la giacca grigio scuro e dal taglio severo ed adagiandomela sulle spalle infreddolite con un gesto galante. Rimase in maniche di camicia ed io rimasi impalata per un momento prima di stringermi la stoffa calda addosso, riparandomi dal vento sempre più crudele.
- Elena, io… proverò a sistemare la faccenda con Rebekah.- mi disse, posandomi le dita sulle spalle per enfatizzare l’importanza di ciò che stava appena promettendo. - Non sono sicuro che mi darà retta ma cercherò di farla ragionare… mi è venuta un’idea. Nel peggiore dei casi potrei farti guadagnare un po’ di tempo. Se c’è una persona in tutta questa città maledetta che merita il mio aiuto in questo momento... quella sei tu.- il mio volto avvampò e mi trattenni dal gettargli le braccia al collo. Avrei quasi voluto che Stefan si fosse lì al mio fianco per ascoltare. Le sue suppliche, come previsto, non erano cadute su di un cuore di pietra. - Ad ogni modo… c’è una porticina sul retro di villa Mikaelson che ti aiuterà ad entrare nella camera in cui mia sorella rinchiude solitamente i suoi prigionieri. E’ color mogano ed ha una serratura d’argento ammaccato. Non ti sarà difficile forzarla e, quando sarai all’interno, ti troverai davanti ad un lunghissimo corridoio.- cercai di marchiare indelebilmente quelle informazioni nella mia memoria, per non rischiare di dimenticarle, annuendo freneticamente ad ogni dettaglio. - Ti auguro buona fortuna e… fa’ attenzione.- si sporse su di me e mi sfiorò la fronte in un casto bacio di saluto, di avvertimento.
Poi il motore dell’auto nell’angolo rombò ed Elijah si dissolse nell’ombra.
______________________________________________________________________________________
 
Elena, temendo che l’ex Originale si volatilizzasse nella brezza anche nel presente, gli lasciò andare le mani con un’espressione semplicemente angosciata sul volto. Fortunatamente lui rimase fermo al proprio posto e rivolse un cenno anche a Stefan, come accorgendosi in ritardo della sua presenza nella catapecchia stregata. Lui ricambiò con educazione ma la Gilbert poteva percepire la sua impazienza dall’altra parte dell’enorme camera.
Altrettanto trepidante, lei cercò di tenere a mente e di ricucire insieme tutti i frammenti sconclusionati dei propri ricordi appena rivissuti, facendo bene attenzione a non affondarci dentro come nelle sabbie mobili.
Stefan che cercava di proteggere la vita di Damon e, soprattutto, l’umanità della donna che entrambi i fratelli amavano.
Elijah che, al contrario, voleva solo portare a termine la propria missione per poi andarsene.
O, meglio, per fuggire. Voleva scappare assieme ad Hayley da qualcuno di pericoloso.
Da qualcuno che però, alla fine, doveva averli trovati.
- Perché sei qui?- chiese improvvisamente Jeremy al fantasma, con la schiena appoggiata alla parete gocciolante e le braccia incrociate sul petto. – Voglio dire… perché tu?- sembrava stizzito, come se avesse trascorso le ultime ore a ripetere la stessa domanda senza che l’altro lo degnasse di una risposta decente. Elena si sentì allo stesso tempo lusingata ed infastidita dall’alta considerazione che Elijah aveva sempre nutrito nei suoi riguardi. Aveva detto ‘non parlerò se non in presenza della doppleganger di Katerina’ e, come al solito, si era dimostrato capace di mantenere la propria parola. Solo che adesso lei era lì e poteva rivolgergli la stessa identica domanda con le iridi marroni brillanti di necessità. Sapendo di non potersi più tirare indietro, l’uomo sospirò.
- Sono venuto a mettervi in guardia contro il Male che ha distrutto la mia esistenza e che, adesso, sta cercando un modo per insinuarsi anche nella vostra quotidianità. La situazione sta già precipitando e non abbiamo molto tempo.- annunciò, pacato ma tetro, riferendosi forse al fatto che tutti i vampiri ‘Curati’ della città erano già tornati alle loro sembianze mostruose. - Sono qui perché non voglio che a scontare il mio stesso destino siano i vostri figli… o i miei. Dovete proteggerli contro chi mi ha fatto questo, ad ogni costo.- la malinconia in quelle parole così sofferte e vere prese Elena allo stomaco, la disintegrò nel profondo. Anche nella morte, era tornato per vegliare amorevolmente sul suo valore più grande, sul suo conto in sospeso. Sulla sua famiglia. Il pensiero che a compiere l’orrido omicidio di Tina O’Neil potesse essere stato lo stesso bambino indifeso che Elijah aveva accudito come proprio fin dal primo istante la raggelò. Sapeva la verità anche su quello, su ciò che l’erede di Klaus era diventato?
- Di che cosa stai parlando, Elijah?- domandò Stefan, con slancio, aggrottando le sopracciglia nell’attesa. Quel Male ancora innominabile, qualunque forma avesse, Elena lo odiava. Lo detestava alacremente per aver spezzato le speranze ed i progetti di serenità dell’ex vampiro dal cuore buono e, soprattutto, per aver minacciato con la propria aura di negatività inquietante anche le vite, un tempo idilliache, degli abitanti di Mystic Falls.
- Chi ti ha… ucciso?-
L’Originale corrugò le labbra per un istante prima di farsi scuro in volto:

Image and video hosting by TinyPic

- Sophie Deveraux*...- rispose roco, tentando di non dare a vedere quale sforzo gli costasse pronunciare quel nome. Le candele che Bonnie stava distribuendo in circolo tutt’intorno a loro, per aumentare l’energia che tratteneva temporaneamente il fantasma nel loro mondo, divamparono di colpo con un’enorme fiammata rossastra ed Elena indietreggiò di colpo, sentendo tutto il calore naturale del proprio sangue abbandonarla.
‘Δeveraux.’
 
***
 
Le ruote della Ferrari stridettero sull’asfalto e l’auto puntò verso est dopo un brusco colpo d’acceleratore. Demi si accorse, nel bagliore debole provocato dalle manopole luminose del cruscotto, che il volto di Nick era piuttosto pallido e concentrato, come se lui stesse facendo attenzione a spostare alcuni pensieri in un lato proibito del proprio cervello per dedicarsi completamente ad una guida che fosse veloce e, allo stesso tempo, sufficientemente prudente. Si lasciarono il Grill alle spalle in un batter d’occhio e fu solo dopo qualche curva un po’ troppo audace che la ragazza si schiarì la gola rumorosamente.
- Credo proprio che il signor ‘voce misteriosa’ o ‘Prince’ o ‘quello che ti pare’ sia rimasto sepolto nello strato di ghiaia che hai sollevato al momento della partenza…- gli fece notare, accennando alla zona posteriore della vettura con uno strano sorriso divertito sulle labbra. Era sempre così: quando era preoccupata o triste le veniva immancabilmente voglia di fare qualcosa di eccitante o di sconsiderato, come sfrecciare in macchina a quell’ora, in compagnia dell’unico ragazzo (o quasi) che avrebbe dovuto evitare come la peste per ovvie ragioni. In quel momento, però, si dava il caso che Demetra avesse parecchie domande sulla punta della lingua e che simili questioni richiedessero un certo livello di attenzione. -… ergo ti giuro che, se mai deciderai di rallentare, non opporrò resistenza.- gli angoli della bocca sottile di Nick si curvarono in un raro ghigno d’apprezzamento e la velocità diminuì lievemente mentre lei riconosceva la strada del ritorno, quella che li avrebbe condotti presto a casa di Sheila.
Prima che potesse emettere un fiato per protestare, il giovane fece un piccolo cenno con il capo.
- Non stavi morendo di fame?- le chiese vago e, seguendo il suo gesto, Demi si accorse che c’era una piccola busta colorata ed intonsa adagiata proprio davanti a sé. Allungando le dita per toccarla, si accorse che era ancora calda e che conteneva due panini farciti, una consistente porzione di patatine fritte ed una scatola di ciambelle coperte di crema e glassa. Era la cena che avrebbero dovuto consumare se solo le cose fossero andate secondo i piani. Guardando il cibo e le due bibite ghiacciate complete di cannuccia che Nick aveva acquistato, la Salvatore percepì un senso di vuoto invaderla. Non era più affamata come prima, al Pensionato… qualcosa nel suo stomaco sembrava essersi chiuso ermeticamente. - Ti servirà una buona dose di zuccheri per ascoltare ciò che ho da dirti, perciò… se fossi in te metterei qualcosa sotto i denti.- sussurrò astutamente Nick e lei, frastornata e curiosa, inarcò un sopracciglio scettico prima di arrendersi e di addentare al volo una grossa patatina dorata. Masticò un paio di bocconi in un lampo, poi tornò a vagliare l’espressione neutra di lui, emozionata, come se stesse cercando il momento più opportuno per cominciare il bombardamento.
Ancora una volta, Nick la precedette.
- Siamo arrivati.- la avvisò ed accostò lentamente nell’orto di casa Bennett, in un angolino tra il fogliame e le erbacce abbastanza nascosto alla vista. Evidentemente non desiderava che Sheila si accorgesse della loro presenza prima del tempo. Sollevata, Demi gli mise sotto il naso la sacca profumata e multicolore ed ammiccò.
- Prendi.- gli ordinò, cercando di invogliarlo a scegliere qualcosa dalla confezione. - Coraggio.-
- Non mi va.- declinò gentilmente lui, con una scrollatina di spalle. In realtà, da quando Mattie gli aveva rifilato a tradimento una schifosissima caramella gommosa demolisci-mascelle, aveva un po’ di paura nell’accettare qualcosa di commestibile da ‘estranei’.
Demi sbuffò scherzosamente e gli lanciò con un’eloquente occhiata turchina da sotto le lunghe ciglia ricurve.
- Non ho mai sentito parlare di un ragazzo che non mangia al suo primo appuntamento.- osservò, fingendo indifferenza ed ingoiando un’altra patata. - Fammi compagnia… hanno davvero un buon sapore.- forse furono la sua faccetta compiaciuta o la parola magica ‘appuntamento’ a spingere Nick ad afferrarne una anche lui; fatto sta che consumarono il pasto in silenzio, sorseggiando un po’ di Cola in ghiaccio e scambiandosi sorrisi. Demetra sentì che il torpore ed il disagio che le subdole insinuazioni di Prince le avevano provocato nella mente tendevano a diradarsi, come le nuvole nel cielo d’inchiostro sulle loro teste. Anche i suoi polmoni si rinfrescarono di colpo e, per un momento, lei si sentì di nuovo la ragazzina normale e felice che aveva una famiglia perfetta alle spalle ed un futuro splendidamente roseo davanti a sé.
Nessuna ombra sul suo cammino… tranne una.
- Non mi avevi mai detto di avere un fratello, prima d’ora.- sussurrò ad un certo punto, con voce talmente bassa ed esitante che le fu estremamente difficile decifrare le sue stesse parole. Nick abbassò lo sguardo sul volante e lo fissò per un lungo istante di silenzio. Sembrava impassibile ma la ragazza riusciva ad avvertire quanto il suo umore fosse all’improvviso ritornato cupo e assorto. Si sentiva legata alle sue emozioni come da un filo invisibile, completamente diverso rispetto a quello d’acciaio involontario che il contatto mentale con Prince le aveva consentito di stabilire solo poco prima. Era un collegamento meno insoppportabile, il primo, fatto di intuizione ed analisi, di percezione. - Perché mi hai mentito? Credevo che volessi cancellare i miei dubbi sul tuo conto…- i suoi occhi arsero di rimprovero come pire di cristallo bluastro. -… e invece hai continuato a cavartela da solo fino a quando le cose non si sono messe male. Di nuovo.- fece un gesto esasperato, scuotendo la testa. - Perché non riesci mai a dirmi la verità? Di che cosa hai paura, si può sapere?-
- Di mostrarti chi sono davvero e da dove provengo.- sbottò Nick, d’impeto, prima di pentirsene un attimo dopo. Demi lo scrutò attonita ma l’accusa scomparve dalle sue iridi come un’ombra spazzata via dal sole. Lo incoraggiò a continuare con un cenno della mano, senza dire una parola, e sperò di essere riuscita a nascondere in tempo il tremolìo di sorpresa e di indulgenza che le aveva fatto tremare le labbra. - Di ripugnarti, forse, di spaventarti a morte e di vederti scappare via a gambe levate sapendo che, in fondo, è giusto così.- era scosso, quasi arrabbiato. - Tu… con tutto quello che la mia famiglia rappresenta per la tua, con tutto quello che sai già sul passato, su Klaus e su Rebekah, con tutto quello che lei continua a farti in classe ogni maledettissimo giorno… ecco, mi sorprende che tu sia qui al mio fianco, in questo momento. Avresti dovuto smettere di rivolgermi la parola molto tempo fa, addirittura prima dell’aggressione nella Foresta. Avresti dovuto starmi lontana, anche quando ti inseguivo per le classi in cerca del tuo perdono.- il suo tono divenne duro e freddo e Demi sentì che era ragionevole, anche se brusco. - Sarebbe stato tutto più facile se solo ti fossi fidata del tuo istinto… come hai fatto oggi, quando lui è comparso alle tue spalle per minacciarti. Avresti dovuto mandarmi via nello stesso identico modo.- indignata da quel paragone assurdo, Demetra decise di non assecondarlo oltre.
- Ma non l’ho fatto.- disse piano, sentendo uno strano calore tenderle la pelle delle gote infervorate. - Non l’ho fatto, Nick.- ripeté, soffocando la voglia di posargli una mano sulla guancia fredda per costringerlo a guardarla in volto mentre gli parlava in quel modo così impetuoso. – E non voglio farlo.- sentiva un sordo dolore al petto mentre capiva la ragione delle bugie e dell’insicurezza del ragazzo. La sua debolezza era lei. Era sempre stata lei.
- Lo so.- annuì lui, a metà tra la gratitudine ed il tormento. - Ma non vuol dire che in futuro le cose non cambieranno. Insomma, non mi stupirei se ciò accadesse. Sono stato un vigliacco perché mi importa quello che pensi di me e perché… voglio essere migliore di ciò che sono, ai tuoi occhi. E’ questo il problema. Non riesco ad essere… me stesso.- avrebbe voluto dire ‘abbastanza’ ma sapeva che sarebbe suonato un po’ troppo melodrammatico. Accigliata da quel discorso, Demi prese un bel respiro per darsi una calmata e si passò una mano tra i capelli corvini, scompigliando le lunghe ciocche della sua chioma morbida. Nick seguì i suoi gesti con aria ammirata, un po’ curioso, poi vide un candido ghigno di sfida abbagliarlo nella semi oscurità del cortile di casa Bennett.
- D’accordo, allora…- lei gli concesse un lieve vantaggio, senza smettere di mostrarsi allegra, poi si rilassò appena sul sedile. -… c’è solo un modo per risolvere questa questione una volta per tutte. Sii te stesso per…- non si azzardò a guardare l’orologio perché sapeva di aver già tragicamente infranto il coprifuoco imposto da Damon. -… per tutto il tempo che ti serve. Se alla fine del tuo racconto non sarò fuggita via di corsa, urlando a pieni polmoni…- ridacchiò sommessamente davanti all’espressione stupita e confusa di lui. -… vorrà dire che non riprenderemo mai più questo discorso e che dovrai smetterla di mentirmi per vergogna o per disprezzo. Vorrà dire che ti resterò vicina. Se lo vorrai.- gli fece l’occhiolino.
Nick la guardò estasiato, come se la vedesse per la prima volta.
- Ci sto.- sillabò, lasciandosi andare ad uno dei propri rari e fulgidi sorrisi. - Ok… da dove vuoi che cominci?-
- Da Prince!- rispose immediatamente lei, con un po’ troppo entusiasmo. Imbarazzata, cercò di ricomporsi senza dare troppo nell’occhio. - Intendevo dire…- si corresse, lisciandosi la stoffa stropicciata dei jeans con finta indifferenza. -… dalla tua famiglia. Tua madre, tuo padre… cosa significa ‘sono scomparsi’? E tuo fratello? Che cosa è successo a tutti loro?- via il dente e via il dolore. Nick sapeva bene che quella domanda spinosa e delicata sarebbe arrivata prima di qualsiasi altra e così si voltò appena per fissare il vetro leggermente appannato dell’auto, perdendosi nei ricordi e nella tristezza per qualche secondo, prima di iniziare a parlare:
- Hayley era al nono mese di gravidanza quando la battaglia per la Cura finì e mio padre la condusse con sé, via da Mystic Falls. Il bambino che portava in grembo era il risultato di una breve relazione avuta con Klaus prima di conoscere il fratello di lui, Elijah, e di innamorarsene perdutamente. Prince Henrik* Mikaelson, mio fratello, appunto, era una creatura innocente non ancora venuta al mondo eppure era già pieno di problemi. Mio padre sapeva che il suo futuro sarebbe stato notevolmente migliore se solo gli avesse concesso di nascere e di crescere altrove, lontano dalle macerie del proprio passato e, soprattutto, dai nemici di Klaus.- Nick afferrò la Cola che aveva lasciato a metà poco prima e ne bevve un sorso ansioso. La Salvatore approfittò di quella breve pausa per intromettersi nel suo fitto monologo:
- Ma come… come ha fatto, esattamente, Klaus ad avere un figlio con tua madre?- gli domandò perplessa, proprio mentre il ragazzo mandava giù un’altra goccia di bevanda gassata. Nick si soffocò all’istante. Demi diventò rossa come un pomodoro maturo e gli battè qualche colpetto sulla spalla, in attesa che la sua tosse finisse, poi si imbronciò. - Cioé…- si spiegò meglio, timidamente. -… lui non era umano. Credevo che, per poter procreare, un essere sovrannaturale dovesse aver prima bevuto la Cura e so per certo che Klaus non la prese, a suo tempo.- ricordando il minuzioso racconto di Damon in salotto e dando per assodato che fosse stato assolutamente veritiero, Demi non riusciva proprio a capire quale particolare le stesse sfuggendo. Nessuno nell’Isola di Qetzsyiah aveva prelevato una dose di Cura per ficcarla in gola al padre di Prince, ne era assolutamente sicura, ma allora come aveva fatto lui a…? Un enorme dubbio le attraversò la mente come un fulmine. - Ti prego, non dirmi che esisteva un modo indiretto per ingerire quella roba e risentire comunque dei suoi effetti!- la sua voce le venne fuori in un soffio e il suo cuore sembrò essersi fermato in agonia prima di riprendere a battere più frenetico ed indomabile di prima. Un’ombra strana passò negli occhi scuri di Nick.
- Oh, in realtà esisteva eccome.- chiarì lui con calma, d’un tratto senza guardarla. - Ma, almeno nel caso di Prince, non fu affatto quel sistema a consentire il concepimento. I vampiri non possono avere dei figli, questo è assolutamente vero, ma mio zio era un ibrido. Fu il suo gene di lupo mannaro a dare la vita a mio fratello… la Cura al vampirismo non c’entra assolutamente niente con questa storia. Demi… mi stai ascoltando?- NO. In realtà la giovane era rimasta ferma alla prima parte della sua pragmatica spiegazione, intontita e barcollante. Oh, in realtà esisteva eccome… almeno nel caso di Prince…
- Sì, certo, sicuro.- mentì, trasalendo come se fosse appena riemersa da un sogno. Il suo calore corporeo sembrava essere svanito e sentiva freddo, come se stesse nuotando nella neve. - Beh, fantastico… ecco… è solo che… mmmh…-  Nick le rivolse uno sguardo semplicemente allarmato. Non l’aveva mai vista farfugliare così o perdere il controllo e il giovane si voltò per darsi un’occhiata preoccupata attorno, all’erta, quasi alla ricerca di una nuova presenza oscura e pericolosa nelle vicinanze. Tutto, fuori dall’abitacolo, era tranquillo ed immobile.
- Ho forse detto qualcosa che non va?- le domandò, spaesato. Poi inorridì: - Non starai per metterti a correre via prima della fine del mio racconto, vero? Vero?!- la genuina spontaneità di quella sua paura la fece intenerire. Demi scoppiò in una risata nervosa ma liberatoria.
- Certo che no, non è colpa tua.- lo rassicurò dolcemente, dandogli un buffetto affettuoso sul braccio. - Mi stavo solo chiedendo quale potesse essere questo ‘modo alternativo’ attraverso il quale un vampiro può tornare umano senza aver necessariamente mandato giù la Cura.- buttò lì, ostentando falsa indifferenza e mimando le virgolette con le dita. Quando Nick trattenne il fiato, lei sfoggiò una delle sue migliori occhiatine alla Damon. Non le aveva mai chiamate così, prima d’allora, ma non c’era davvero un nomignolo più adatto per definirle: seducenti, furbe, irresistibili e finalizzate al raggiungimento di scopi poco ortodossi. Le aveva utilizzate per tutta la vita senza sapere a chi dire grazie. - Tu… ne sai qualcosa?- azzardò, speranzosa ma composta. Un evidente rossore si diffuse sulla faccia di Nick, un po’ com’era accaduto alla stessa Demi quando, poco prima, gli aveva posto quella domanda ambigua sulle modalità di accoppiamento degli ibridi. - Com’è che avviene il tutto?-
- A dire il vero è una cosa un po’… personale. Si tratta della cosa più personale che ci sia al mondo.- bisbigliò lui, sempre con un velo di imbarazzo e di qualcos’altro che lei non riusciva bene ad identificare stampato sul volto. - Ma perché ti interessa così tanto?- aggiunse poi, un po’ sospettoso.
Fu di nuovo il turno di Demetra di diventare paonazza.
- Così. Per sapere.- tagliò corto, evasiva. Forse aveva osato troppo… doveva rimediare al più presto e smetterla con tutte quelle ridicole elucubrazioni mentali. Ci riprovò con maggiore intenzione: - Prometto di non interromperti più dopo questa ma… chi erano i nemici di Klaus da cui Elijah ed Hayley stavano scappando assieme al piccolo?- ancora dubbioso, Nick decise di credere a quel flebile tentativo di distrarlo e ricominciò:
- Quando mio zio non era particolarmente impegnato a complicare le vite dei propri familiari o quelle dei cittadini di Mystic Falls, se ne andava in giro per delle città prestigiose in cerca di svago, di meraviglie e di arte. Una di queste, New Orleans, era la sua preferita. Si trovava in Louisiana, la terra natale di mia madre, ed era un luogo che Klaus aveva frequentato assiduamente prima che Mikael, il suo sanguinario patrigno, lo costringesse ad abbandonarla lasciandosi alle spalle una scia infinita di morti. Dopo la morte di quel cacciatore millenario, vi ritornò poiché si diceva in giro che una strega stesse tramando alle sue spalle. La diretta interessata si chiamava Jane-Anne Deveraux e discendeva da una stirpe di stregoni antichissimi e talmente potenti che si ipotizzava fossero stati iniziati alla magia da Re Salomone in persona.- Demi strabuzzò gli occhi, sorpresa. Aveva spesso sentito parlare di quel celebre personaggio biblico e delle sue gesta, del suo regno fatto di potenza e ricchezza leggendarie e del mito delle due madri che si contendevano lo stesso bambino al suo cospetto, in attesa del suo saggio giudizio, ma non avrebbe mai immaginato che, in realtà, egli potesse essere stato un mago dai poteri straordinari ma così lontani da quelli che la tradizione religiosa gli attribuiva. - Dopo aver rintracciato la donna attraverso Marcel, tiranno della città nonché vampiro dal carattere irascibile ed intollerante che puniva con la morte qualunque strega trasgredisse al suo ordine di non praticare la magia entro i confini della Louisiana, Klaus tentò di scoprire i suoi piani… senza successo. Marcel uccise Jane-Anne per aver infranto le sue regole tagliandole la gola prima che lei potesse pronunciare una sola parola ed inscenò un’esecuzione pubblica davvero raccapricciante a cui assistette, seduta in primo piano, Sophie Deveraux, sorella minore della morta e strega altrettanto temibile. Ad ogni modo, quando mio padre raggiunse suo fratello a New Orleans, venne a scoprire che i piani delle due sorelle Deveraux riguardavano direttamente il bambino che Klaus aveva generato assieme a mia madre, la donna che lui aveva già scoperto di amare. Si trattava, naturalmente, di Prince.- Nick inspirò profondamente e osservò con attenzione la reazione della propria ascoltatrice, per capire quali fossero i suoi taciti e foschi pensieri.
Demetra aggrottò appena le sopracciglia, sinceramente turbata:
- Cosa potevano volere due streghe da un povero bambino senza colpa, ancora nel ventre della sua mamma?- chiese, quasi protettiva. Nick scosse piano la testa, come commosso dalla sua ingenuità, tamburellando con le dita sul volante prima di serrarlo in una morsa.
- Prince non è mai stato solo ‘un povero bambino innocente.’- le spiegò, con semplicità ma anche con sconforto. - Innanzitutto era lo sfortunato erede di Klaus e così, quando Jane-Anne venne scoperta e subito trucidata da Marcel a causa della soffiata di mio zio, gli oscuri progetti di Sophie si trasformarono in una caccia senza sosta. In secondo luogo era anche il primo di una stirpe di creature differenti da tutte le altre perché nate da genitori che non avrebbero dovuto avere la possibilità di procreare. Era… una sorta di affascinante abominio della Natura.- disgustata intimamente da quella definizione, Demi si pentì di aver mangiato tutte quelle patatine fritte. Aveva bisogno d’aria fresca e così abbassò un finestrino, cercando respirare con calma.
- Cos’è, volevano ucciderlo?- domandò dopo un silenzio di tomba, cercando di controllare il tremolìo nella voce.
- All’inizio, forse.- rispose Nick prontamente, cercando di mascherare il disagio con un sorriso tirato. - E’ una prerogativa di molte streghe, sai, specie di quelle molto forti ed autorevoli, quella di voler sempre ripristinare un equilibrio nell’ambiente circostante. Tutte loro venerano la Natura, la rispettano e ottengono il loro potere direttamente da essa, perciò cercano di ricompensarla al meglio, vegliando sulle creature umane per proteggerle da eventuali minacce e provvedendo ad arginare e ad eliminare gli eventi che ne ostacolano il normale processo rigenerativo. Le Deveraux non facevano eccezione… perlomeno fino a quando Sophie non perse sua sorella in quel modo tanto vile e cruento, impazzendo di dolore e di solitudine.- il giovane Mikaelson tentennò, come se stesse cercando di temporeggiare per trovare le parole più adatte, fino a quando una scintilla di furente determinazione non gli ebbe incendiato le iridi color carbone. - Perlomeno fino a quando non si immerse completamente nelle Arti Oscure e non incontrò di persona il professor Atticus Shane.-
 
***
 
- … ad uccidermi è stata lei… assieme all’uomo che ti ha insegnato l’Epressione, Bonnie.- completò Elijah, lanciando un’occhiata cupa alle candele traslucide che la Bennett aveva scrupolosamente sistemato in cerchio. Le loro fiammelle dorate, al momento, erano tornate della giusta dimensione e vibravano in un modo innocuo e vacuo ma non per questo meno inquietante. Il silenzio orripilato che seguì quella confessione rese più vividi e sinistri i suoni che ululavano all’esterno della stamberga: il sospiro stremato dell’aria ancora elettrica dopo il temporale, il mesto gorgoglìo della terra che sembrava esausta nel riassorbire l’acqua piovuta senza misura dal cielo plumbeo, le selvagge sterpaglie che si dibattevano contro le mura da loro stesse avvinte con saldi lacci rampicanti, il verso gracchiante di animali rapaci nella notte, un frullo d’ali nere…
 
POV Damon Salvatore
 
‘L’aldilà deve aver fuso il cervello al buon vecchio Elijah, non c’è altra spiegazione. Non che la cosa mi sorprenda troppo.’ pensai stizzito, arruffando le penne come se qualcuno potesse riuscire a vedermi e a capire il profondo scetticismo espresso da quel brusco movimento inconsulto. Allungando le zampe fino a conficcare gli artigli nel davanzale di legno rosicchiato dal tempo, mi appollaiai su una finestra della Casa Stregata, guardando la scena che mi si parava davanti agli occhi. Se avessi avuto sembianze umane avrei inarcato un sopracciglio fino a farlo sparire nella frangia di capelli spettinati sulla fronte. ‘Andiamo, stanno ancora parlando di Atticus Shane? Lo sanno tutti che l’ho murato vivo personalmente in quella caverna stramaledetta per averci presi per i fondelli… e senza lasciargli possibilità di evasione. Gli ho fatto anche ‘ciao’ con la manina prima di spostare un gigantesco masso sull’unica via d’uscita possibile e poi via… tanti cari saluti, professor Fesso! Non è che se uno è bloccato in un’Isola deserta può andarsene in giro ad ammazzare ex Originali dalla chioma fluente con prole annessa, proprio no…’
- Questo non è possibile.- obbiettò a sorpresa Stefan, alzando lo sguardo verso il fantasma. Ringraziai il cielo mentalmente. Mio fratello era stato un po’ tardo in diverse occasioni del nostro passato, ne ero sempre stato convinto, ma sedici anni di convivenza ravvicinata con quella peste di furbizia di Demetra dovevano averlo allenato a scovare le menzogne meglio di un segugio. A proposito… che razza di ore erano? Sperai che la bambina avesse rispettato le mie condizioni, tornando a casa della sua amichetta prima di mezzanotte, ma cercai di non illudermi troppo. Non sapevo mai cosa aspettarmi da lei. Demi era un’enorme incognita. Imprevedibile. - Lui non avrebbe mai potuto scovare il nascondiglio della tua famiglia né raggiungervi per farvi alcun male… Damon aveva fatto in modo che non desse più problemi a nessuno di noi. Shane, ormai da moltissimo tempo, è…- su, dillo, fratellino, coraggio. Le mie orecchie hanno un assoluto bisogno di sentire quella parola. Non essere timido e scegli pure il vocabolo che più preferisci. Ne ho a palate, di termini pittoreschi che potresti usare: spacciato, venuto a mancare, passato a miglior vita, defunto, stecchito, trapassato, KAPUTT…
- Immagino che tu stia cercando di dire ‘morto’.- sintetizzò Elijah spiccio, precedendo Stefan e soddisfando al suo posto il mio sadico desiderio. Annuii compiaciuto con la mia testa di pennuto, mimetizzandomi col buio, ma qualcosa nel tono sospeso dello spettro mi fece fremere il becco di diffidenza. - Certo… lo sarebbe stato senza dubbio se avesse continuato a marcire là dove tuo fratello l’aveva abbandonato. Sarebbe stato annientato lentamente dall’inedia, dalla noia e dalla frustrazione di non aver ottenuto ciò che aveva programmato, proprio come previsto… se solo fosse rimasto rinchiuso dov’era.-
Elena deglutì a fatica e si sforzò di parlare.
I suoi occhi meravigliosi erano profondi ma gonfi, come se avesse pianto tanto prima del mio arrivo.
Qualcosa mi si spezzò dentro mentre li guardavo di nascosto.
- Non c’era modo per quel traditore di scappare.- protestò lei, difendendo il mio operato con fiducia. - Damon sapeva quel che faceva quando l’ha tolto di mezzo e ti assicuro che non è da lui commettere simili errori di valutazione.- D’accordo, razza di idiota piumato, respira. So che vorresti arrossire in questo momento ma, come dirtelo?, tecnicamente non hai nemmeno le guance, ergo
- Hai ragione, Elena, non avrebbe mai potuto liberarsi da solo.- le concesse l’ex vampiro con espressione sostenuta e paziente. Sbuffai di rimando, senza farmi sentire. Lui e il figlio avrebbero mai smesso di essere la mia personale dannazione? Resistere al desiderio di prenderli a beccate quando si esibivano in quell’impagabile quanto simile faccia di bronzo era semplicemente impossibile. Mi sembrava assurdo che alla scaltra Baby Bad Ass potesse essere simpatico quello sbarbatello di un damerino degno figlio di suo padre. A proposito… quanto diavolo ci metteva il mio Originale preferito a sputare fuori tutto ciò che sapeva sul professor Paura? - Infatti fu qualcun altro a tirare fuori Atticus dalla cava della Cura, salvandogli la vita appena in tempo e restituendogli la libertà.- proseguì quello, di colpo, cogliendomi alla sprovvista. Oh, no, per favore, qui si stava sfiorando il ridicolo. Chi, a parte i membri della nostra spedizione, avrebbe potuto sapere che Shane era intrappolato nel centro esatto di NessunaParte? Chi mai avrebbe voluto farlo scampare ad una morte crudele ma meritatissima?
Ne avevo abbastanza di quelle chiacchiere senza capo né coda e, imprecando tra me e me, feci per andarmene. Cosa c’è di peggio di un fantasma?! Io lo so, lo so io: un fantasma che spara un mucchio di stronz…
- Chi?- chiese Jeremy, assecondando quella follia. Gonfiai il petto di indignazione e, mio malgrado, tornai in ascolto. - Chi è stato a liberarlo?-
- Mia sorella Rebekah, ovviamente.- ammutolii come il resto del gruppo di poveri presenti, questo è sicuro. Per una volta nella vita era come se tutta la mia voglia di scherzare fosse stata risucchiata via da un mastodontico aspirapolvere domestico. La casalinga disperata che lo teneva tra le mani nella mia fantasia, trascinandolo qua e là mentre rideva sguaiatamente sulle nostre disgrazie era bionda, flessuosa e molto… Barbie. Rebekah. Accidenti a lei. Accidenti a Shane. Accidenti a me! - Vedete… la notte in cui mi chiedeste di parlarle e di distrarla nella speranza che risparmiasse la vita di Damon… sapevo di doverle fornire l’unica informazione che avrebbe potuto far guadagnare alla missione di salvataggio del tempo prezioso.- spiegò piano Elijah, guardando un punto indefinito tra gli sposi Salvatore davanti a sé, come se si stesse rivolgendo indistintamente sia all’uno che all’altra o, peggio, a qualcun altro di apparentemente assente. - Le confessai che forse non tutto era perduto, che c’era ancora un modo per ottenere ciò che più desiderava al mondo, che esisteva una donna a New Orleans, una strega dai poteri straordinari di nome Sophie Deveraux, che condivideva la sua stessa perdita ed il suo medesimo dolore dal giorno della morte della propria amata sorella. Io ed Hayley eravamo andati da lei settimane prima per parlarle del nostro piano per distruggere Klaus, nella speranza che smettesse di dare la caccia sia a lui che al suo bambino, ma l’avevamo trovata molto diversa dalla donna forte e virtuosa che era stata un tempo. Sembrava fuori di senno ed era costantemente china su di un Grimorio antichissimo che proveniva direttamente dal leggendario capostipite della sua stirpe. Si era evidentemente lasciata naufragare nella magia oscura della peggior specie ma era convinta di sapere ciò che faceva. Ci disse che, in un modo o nell’altro, avrebbe trovato un sistema efficace per riuscire a…- si interruppe e un ansimo generale si udì risuonare nella Casa, acre e denso come fumo nero negli occhi. -… a riportare indietro la sua Jane-Anne. Credeva davvero di poterla risvegliare dal mondo dei morti, non come semplice fantasma ma come creatura di nuovo vivente.- vidi Elena battere le palpebre, sconvolta da quel sovraccarico di informazioni, ed allungare la mano per afferrare quella di Stefan poco lontana da sé. Cercava sostegno, forse aveva paura di cadere lunga distesa al suolo dallo shock. Mi chiesi quanto mancasse anche a lui e agli altri per fare la stessa, miserevole fine. Stavamo tremando tutti d’attesa e di sdegno, me compreso. Che roba imbarazzante. - Alle mie parole, Rebekah ricordò immediatamente qual era sempre stato il solo scopo di Shane, su quell’Isola: trovare il modo di scoprire la verità sulla fine della propria moglie Caitlin, da lui stesso ritrovata morta nelle profondità del Pozzo di Qetzsiyah, dopo che aveva cercato di richiamare a sé, tra i vivi, il loro defunto figlioletto Sam. Anche lei era stata una strega originaria della Lousiana*, anche lei sicura che ci fosse in Natura un modo per cambiare i rapporti convenzionali esistenti tra la Vita e la Morte. Quella non poteva decisamente essere una coincidenza e, disperata com’era, mia sorella ipotizzò che, se solo fosse arrivata in tempo per salvare Atticus, avrebbe potuto chiedergli di più al riguardo. Con un po’ di fortuna lui e Sophie avrebbero pouto aiutarla a tentare l’unica impresa che potesse rendere la sua miserabile esistenza ancora degna di essere vissuta.- Non disse quale fosse il progetto tanto sospirato da Rebekah ma tutti ne sentimmo l’odore pungente aleggiare nell’aria, come un veleno invisibile e a lento rilascio. Ogni cosa sembrò muoversi a rallentatore mentre capivo che niente unisce i disagiati mentali più di un perverso proposito in comune. Se quel trio di cattivoni alleati aveva creduto davvero, anche solo per un momento, di poter squarciare il Velo tra i due universi, riportando in vita i propri cari dalle profondità silenziose delle loro tombe sotterranee, c’era solo una persona che Barbie Klaus avrebbe voluto poter riabbracciare in carne e ossa: un certo quarterback biondo ed aitante di nome Matt Donovan.
 
***
 
- Non ci credo, ancora quel dannato professor Losco. Puah.- borbottò Demi, storcendo la bocca in una smorfia di innegabile disgusto. - Immagino che questo non significhi niente di buono per il futuro del tuo racconto, non è così?- continuò la ragazza, già dispiaciuta a causa di quel brutto presentimento. Nick le lanciò uno sguardo rapito e, allo stesso tempo, piuttosto sorpreso.
- Conosci Shane?- le chiese, stupefatto, raddrizzandosi nervosamente sul proprio sedile. - Ma com’è possibile?-
- Ne ho sentito parlare una volta.- sussurrò lei vaga, scrollando candidamente le proprie spalle ed ostentando un’espressione del tutto innocente. O quasi. - E so abbastanza di lui per dire che non mi piace affatto come elemento… mi pare di ricordare che avesse una spiccata predisposizione per la menzogna, una mezza ossessione per le Isole sperdute ed una  per l’occulto, nonostante non fosse uno stregone.- specificò tutto d’un fiato, lasciando il ragazzo a bocca aperta. Si sentì arrossire e ringraziò mentalmente Damon per averle fornito tutte quelle notizie attraverso il suo racconto. Che fortuna sfacciata quella aver finalmente trovato qualcuno, nella propria famiglia, che non avesse il terrore di parlare liberamente del proprio passato…
- Già.- annuì Nick, riportandola alla realtà con una semplice parola di conferma. - Quando i nostri genitori lo conobbero, lui non aveva dei poteri personali ma era molto informato sulle vicende sovrannaturali che riguardavano le streghe più famose di tutti i tempi. Inoltre era vedovo di una delle fattucchiere più promettenti di New Orleans, una certa Caitlin Devina*, parente alla lontana delle sorelle Deveraux. Prima che lui la sposasse, era stata costretta a fuggire dalla sua città natale per aver tentato di utilizzare dei libri di Magia Proibita anche nota come Espressione, meno intercettabile da parte del crudele Marcel ma abbastanza pericolosa da essere respinta dalle streghe buone dei dintorni. Esse la esiliarono ma non seppero impedirle di studiare e di approfondire il proprio sapere. Dopo qualche tempo fu proprio l’Espressione a guidare Caitlin attraverso l’insidiosa scoperta dell’esistenza di Silas e della Cura al vampirismo ma, soprattutto, di un’altra leggenda che avrebbe potuto aiutare sia lei che suo marito a ritrovare la gioia di vivere dopo la morte accidentale e drammatica del loro unico figlio.- Demi esitò appena di proferire verbo, come per darsi il tempo di riflettere a mente ferma sulle parole del giovane Mikaelson, poi si lasciò sfuggire un leggero colpetto di tosse:
- Che… che genere di leggenda?- domandò, incuriosita ma anche timorosa. Si accorse che Nick teneva gli occhi stranamente bassi ma percepì anche la carezza morbida della sua mano sfiorare la propria con urgenza, come se lui avesse bisogno del suo contatto fisico per riuscire a sospirarle quella verità. Demi intrecciò le dita a quelle del ragazzo con fare incoraggiante, ignorando il leggero fremito d’impazienza che l’aveva appena attraversata:
- Quella dell’esistenza di un oggetto dai poteri magici semplicemente sbalorditivi, capace di stravolgere qualsiasi legge naturale a proprio piacimento e di assecondare qualunque volontà del proprio padrone e possessore. Una pietra preziosa di discrete dimensioni, un lapislazzuli, che portava incisi sulla propria superficie dei simboli celesti. Creata da Salomone in persona seguendo le istruzioni di un angelo dalle fattezze femminili e nascosta nello stesso posto introvabile scelto da Qetzsyiah per seppellire il proprio amante infedele Silas, si diceva che quel talismano avesse in sé il potere di dominare gli elementi e la facoltà di capovolgere persino la Clessidra del Tempo, annullando così i suoi effetti sui mortali e ribaltando i vincoli spazio temporali che tenevano legati i defunti all’aldilà. Si diceva che fosse capace di consentire addirittura la realizzazione dell’impresa somma che aveva sempre tormentato il destino di finitudine dell’uomo: la resurrezione dei morti su questa Terra.- davanti all’espressione trafelata della Salvatore, Nick sorrise appena. – Sai… il mito tramanda che, con ogni probabilità, fu lo spirito della bella Luinil*, la fanciulla amata da Silas e assassinata dalla malvagia strega sua rivale, a commissionare a Salomone, direttamente dal cielo, la creazione di quel gioiello di inestimabile valore… forse la sua anima beata desiderava che Silas, una volta risvegliato dal proprio forzato sonno sovrannaturale, la riportasse in vita, per poter trascorrere serenamente assieme a lui ciò che ad entrambi era stato strappato via con tanta crudeltà.- Demi si lasciò cadere mollemente sul sedile mentre le sue orecchie ronzavano come non mai. Era una storia assurda e commovente, quella che aveva appena sentito, ma le sembrava di essersi lasciata troppo trascinare dalla voce vellutata che Nick aveva utilizzato per narrarla. In realtà non riusciva a togliersi dai pensieri già ingarbugliati un particolare del racconto che suo zio le aveva riferito qualche ora prima al Pensionato: non aveva forse nominato lui stesso una magnifica pietra azzurra, incastonata nella sorgente, che aveva affascinato Elena e che Shane aveva guardato avidamente fin da subito, definendola persino ‘la propria ricompensa’? Possibile che fosse la stessa che…? - Io credevo che stessimo parlando della tua famiglia e del modo in cui è scomparsa.- mormorò d’un tratto, rivolgendosi al proprio interlocutore con aria confusa. - Come mai abbiamo cominciato ad affrontare l’improbabile tema di una P.M.R… Pietra della Miracolosa Resurrezione?- gli domandò subito dopo, cercando di buttarla sull’ironia. In effetti Nick rise ma fu un suono quasi gutturale ad uscire dalla sua gola, secco, assolutamente privo di gioia.
- Ti sorprenderà sapere quanto questi due discorsi possano avere in comune.- le assicurò con tono ruvido. Demi inclinò la testa di lato, pronta ad ascoltare il resto sebbene un po’ irrequieta, e lui si accigliò. - La tradizione della P.M.R., come dici tu…- le bisbigliò, fissandola tanto intensamente da farla arrossire. -… fu tramandata nel tempo dai più celebri alchimisti con i nomi più disparati (Clavicola o Clessidra di Salomone, Stella Azzurra, Esagramma degli Elementi) e per mezzo dei grimori più antichi e meglio custoditi di tutti i tempi… uno di questi, ovviamente, apparteneva di diritto alla discendenza dei Deveraux. Esso conteneva un segreto che Caitilin, con le sue sole forze, non avrebbe mai potuto scoprire e che la condusse ad una morte incauta per abuso di magia. Un segreto assimilabile in tutto e per tutto ad una Profezia.- a Demetra girava vorticosamente la testa, come quando si era ritrovata a poca distanza dall’ombra di Prince e aveva sentito la sua pelle fredda sfiorarle il collo. - Non ne conosco il contenuto ma so per certo che Prince la sta cercando.- concluse Nick, richiudendo i finestrini con un pulsante sullo sportello per essere sicuro che nessuno di indesiderato potesse udire il resto di quella conversazione.
Demi sussultò ma comprese al volo il motivo nascosto dietro quella saggia precauzione.
- Come fai ad esserne così sicuro?- gli chiese, senza fiato.
- Vedi… la notte dell’agguato in Biblioteca… non ti avevo convinta a seguirmi solo per far sì che i Lupi Mannari del mio ex branco ti trovassero.- disse Mikaelson, sottolineando lievemente la propria attuale distanza dai progetti e dai legami di un tempo, con gran sollievo della ragazza. - Ma ero andato lì anche per dei motivi personali. Volevo ritrovare un pezzo di carta che loro mi avevano chiesto di procurargli… mi avevano detto che mi avrebbero aiutato a ritrovare i miei genitori se solo gli avessi consegnato una delle due parti della famigerata… Profezia.- sì, certo, lei se lo ricordava benissimo. Mentre era impegnata con Sheila a cercare negli elenchi genealogici dei Salvatore, Nick era sparito tra i libri di occulto e folklore, tirando fuori dall’ammasso di carta e velluto che stava esplorando un rotolo di pergamena finemente sigillato. Demi rimembrò di avervi visto brillare su anche uno strano marchio, lo stesso dell’anello rosso rubino di Nick, emblema e stemma della famiglia Mikaelson. Ed un triangolo equilatero, ricoperto di lettere spigolose appartenenti a chissà quale alfabeto e di fasi lunari stilizzate.
- E’ lo stesso che mi hai dato nella speranza che scoprissi cosa c’era scritto tra i simboli.- disse lentamente, ricordando con facilità  il pegno di fiducia cartaceo, tutt’ora indecifrabile, che il giovane le aveva consegnato qualche tempo prima a casa Lockwood e che lei aveva poi nascosto con cura nel diario sotto il proprio cuscino.
- Esatto.- approvò Nick. – Credo che Prince voglia ottenerlo... per questo ha mandato quei farabutti a fregarmi.-
- Eh?!- sbottò la Salvatore, rischiando di rovesciarsi la busta ancora piena di cibo addosso mentre la riponeva in un angolo. - Prince… lui ha mandato… che cosa?!- la sensazione di impotente escandescenza che aveva percepito nel cervello quando il figlio di Klaus l’aveva sbeffeggiata esplose di nuovo senza precedenti, incendiaria. - Ha cercato di farmi ammazzare!- quella non era decisamente una domanda e così, quando Nick annuì, lei sentì ammontare di nuovo l’ira funesta ed il puro risentimento dentro di sé. Lo odiava, quel Prince, questo era fuor di dubbio. - Perché?!- sibilò di scatto, truce e schiumante di rabbia.
- Per divertirsi un po’.- convenne lui, un po’ impacciato. A Demi caddero le braccia, sul serio. - Intendo dire… non credo che intendesse ucciderti… i segugi che ha sguinzagliato alle sue spalle erano tre idioti e, furbo com’è, immagino che si aspettasse di vederti uscire fuori sana e salva dalla colluttazione. Voleva solo provocarti… spaventarti. Forse era lì intorno a gustarsi la scena ma, in fin dei conti, dubito che avesse in serbo per te qualcosa di così tragico.- lei non riusciva a controllarsi. I ricordi di quella notte di violenza le si stavano infrangendo addosso come onde impetuose e gelate, trascinandosi dietro i volti smagriti e perversi dei Lupi aggressori e le parole che loro avevano sogghignato spingendola a terra, studiando i suoi lineamenti. ‘’Oh, si…’’ aveva sputacchiato Todd, tastandole rudemente i capelli. ‘’… ci avevano detto che eri bella, bambina, ma non pensavamo certo fino a questo punto…’’. E chi poteva aver detto a quei balordi che lei era bella se non il loro mandate, il loro leader… chi, insomma, se non Prince?
- Tu lo stai… giustificando?!- ringhiò lei, tremando come una foglia. - Credi che sia… normale ciò che ha fatto?-  
- Assolutamente no.- puntualizzò lui in tutta fretta, scuotendo il capo. - Dico solo che quello che ha combinato è in realtà davvero nulla in confronto a quello che avrebbe potuto macchinare se solo ci si fosse messo un po’ più d’intenzione. E’ un tipo pericoloso… per questo voglio che tu stia lontana da lui, d’accordo?- le sfiorò una guancia con le dita per calmarla ed i suoi occhi trafugarono all’istante quelli di lei, incatenandoli ai propri. Demi inspirò a fatica, sentendo il cuore ancora scalpitante di furia, poi provò a rilassarsi.
- Certo. Puoi giurarci.- borbottò in risposta, incrociando le braccia, sicura di sé, e strappando un sorriso intenerito al ragazzo. Avrebbe tanto voluto ripetere quel concetto urlando (chissà, magari Prince era davvero nelle vicinanze con le orecchie tese) ma decise che sarebbe suonato strano e così si affrettò a deviare l’argomento: - Non credo di aver capito bene la questione della pergamena, comunque… com’è possibile che la Profezia della Pietra della Resurrezione fosse nascosta nella Biblioteca Proibita di Mystic Falls, esattamente là dove Prince voleva che tu la trovassi per consegnarla ai suoi complici? Non mi hai appena detto che l’unica verità al riguardo era contenuta nel grimorio delle streghe Deveraux?- domandò, incerta. Lui lasciò che l’ombra di un sorriso sarcastico gli curvasse la bocca.
- Lo era, in effetti.- annuì, dopo una breve pausa. - Prima che i miei genitori andassero a trovare Sophie nel tentativo di convincerla a lasciar perdere la sua crociata vendicativa contro Klaus. Mio padre le spiegò il piano che gli abitanti di questa città avevano organizzato per impedirgli di camminare indisturbato per il mondo ma si rese conto ben presto che quella donna non lo stava neppure ascoltando. Non faceva che stare china sui propri studi alchemici e su di un librone che sembrava avere migliaia di anni… ne era ossessionata e non faceva che farneticare. I miei decisero che, in quelle condizioni, la strega non si potesse più considerare un problema per loro ma mia madre era ancora inquieta. Fu lei stessa, prima di lasciare New Orleans per sempre, ad intrufolarsi in casa Deveraux. Dopo aver stordito Sophie nel pub notturno un tempo gestito da Jane-Anne,  strappò le due pagine più consunte di quel volume esorbitante che la discendente di Salomone teneva chiuso in cantina... sai, per usarle come merce di scampio contro di lei… per proteggere mio fratello.- Demi pensò che quel gesto tanto sconsiderato fosse stato reso tale dalla disperazione di una donna sola che, cresciuta nel sospetto, non era stata capace di resistere alla tentazione di trafugare una qualunque garanzia da contrapporre, eventualmente, tra la nuova famiglia che stava per mettere al mondo ed il destino di atroci persecuzioni che, con ogni probabilità, l’aspettava. Provò una fitta di compassione per la sciocca e materna Hayley e, di riflesso, per i suoi bambini. Sì, anche per Prince.
- Fu un atto d’amore.- commentò, tristemente.
- Fu un’imperdonabile follia.- la corresse Nick e la sua voce strozzata si spezzò del tutto.
 
***
 
- Per riuscire a convincere Rebekah che non stavo bluffando e che poteva fidarsi di me riguardo alle intenzioni di Sophie, nonostante tutto quello che era accaduto tra noi, fui costretto a raggiungerla a villa Mikaelson subito dopo aver sepolto definitivamente nostro fratello Klaus…- proseguì Elijah dopo un lungo silenzio scioccato ed amareggiato ma comunque attento. -… e a darle l’unica cosa che potesse davvero farla ricredere sul mio conto, l’unica cosa che avrebbe donato a te la possibilità di fuggire da quella dimora di orrori senza particolari ripercussioni…- abbassò la voce guardando Elena e lei sentì la commozione bruciarle nel petto. -… e a lei una speranza concreta, anche se fioca, di ritrovare la felicità: un foglio di pergamena su cui era incisa una piccola parte di una Profezia antica e potente come il mondo. Quando le venne astutamente sottratta da mia moglie, Sophie Deveraux stava ancora cercando di tradurla e di sfruttarla a proprio vantaggio per lo scopo che vi ho già largamente illustrato... era ricoperta di simboli e di lettere sconosciute a chiunque non fosse vissuto, come noi Originali, migliaia di anni fa. Rebekah, dunque, ne riconobbe il valore ed accettò lo scambio.-
Stefan si passò una mano esasperata tra i capelli castani e ritti, arruffandoli senza speranza.
- Le hai dato un pezzetto sconclusionato di una Profezia su una Pietra capace di resuscitare i morti?- chiese, cercando di non tradire spudoratamente il proprio scetticismo. - E’ davvero così che sei riuscito a convincere tua sorella a lasciar andare via Damon ed Elena senza un graffio, quella notte?- anche Jeremy sembrava incredulo e il corvo di Damon, battendo le ali fragorosamente a suon di imprecazioni sul davanzale, rischiò quasi di farsi scoprire a causa del baccano che stava provocando contro il vetro infranto qua e là della finestra. Bonnie, invece, stava scrutando Elijah come se riuscisse a leggere nei suoi pensieri ed aveva la bocca serrata in una smorfia apprensiva.
- Più o meno.- confermò l’Originale, imperturbabile. - Non era propriamente una ‘Profezia su una Pietra’ ma su qualcuno che sarebbe stato capace di usare quell’oggetto onnipotente, di attivarlo e di controllarlo. Su un Prescelto.- Elena rimase impietrita da quel termine e trattenne un gemito tra i denti. - Volevo disfarmi delle due pagine in questione da tempo, per evitare che la collera di Sophie ricadesse su di noi per quel furto, ma quella notte mi fu impossibile cedere a Rebekah il testo dell’intera profezia. La seconda parte non mi apparteneva più… l’avevo perduta.- trattenne una risata mesta e le sue iridi nere si scontrarono con quelle lucide e color cioccolata della doppelganger. - Sembra buffo… ma solo in seguito capii che l’avevo lasciata nella tasca della giacca che ti adagiai sulle spalle prima di lasciarti andare incontro al tuo destino, Elena. Non l’hai mai ritrovata?- lei socchiuse la bocca in un’espressione assolutamente incredula, poi cercò di negare.
Fu Bonnie a sorprenderla.
- La trovai io.- disse la Bennett con veemenza, senza staccare gli occhi da quelli del fantasma. Lui si voltò lentamente a guardarla, compiaciuto. - Molto tempo dopo… precisamente quando cominciai a venire al Pensionato per starti vicina e tu mi chiedesti di scrivere nel tuo diario al tuo posto per un po’.- continuò, rivolgendosi alla propria migliore amica che, al ricordo di quei momenti strazianti, impallidì. - Lasciai quel pezzo di carta ingiallito e stropicciato proprio lì, tra quelle pagine piene d’inchiostro… non avevo idea di cosa fosse né da dove provenisse ma ero incapace di distruggerlo. Era come se avesse un potere irresistibile dentro di sé, come se mi stesse chiamando, perciò lo misi via, confinandolo nella cassapanca della tua camera da letto. Ripensandoci adesso, era quasi identico a questo.- fluida e decisa, la madre di Sheila tirò fuori il foglietto che era scivolato giù dall’agenda segreta di Demi quella mattina, quando era andata a rifare il letto delle due sedicenni. Jeremy deglutì, riconoscendo il simbolo triangolare che li aveva spinti a convocare la ‘materia invisibile’ in cerca di risposte ed Elena, di colpo, capì. Ma certo! La pagina che Elijah aveva dimenticato di riprendersi dalla giacca, lasciata ad essiccarsi da Bonnie nel cuore dell’ultimo diario scritto dopo la battaglia per la Cura, era stata tirata fuori dal baule e consultata da Damon solo qualche giorno prima. La stessa Gilbert l’aveva osservata con un certo disappunto quando era giunta in camera di Demi e aveva trovato il vampiro placidamente addormentato sul lettino della figlia, circondato da fotografie ed appunti appartenenti al passato. Quello che Damon aveva recuperato e quello che Bonnie stava indicando con foga… erano sempre stati due squarci complementari dello stesso rotolo, della stessa Profezia che Shane, Sophie Deveraux, Rebekah e chissà quanti altri avrebbero desiderato avere tra le mani proprio in quel preciso istante…
Oh, cos’avrebbe dato Elena per essersi portata dietro anche il secondo brandello di papiro giallastro, quello mancante, quello che il vampiro dagli occhi di ghiaccio si era messo in tasca solo qualche minuto prima di essere distratto dall’annuncio della morte di Tina O’Neil…
- Sorpresa.- una voce conosciuta si materializzò tra loro con una nota ironica e meravigliosa ed Elena credette di sognare. Si girò verso la porta della Casa Stregata e vide che il fratello di Stefan, in carne ed ossa, un po’ bagnato di pioggia dopo essere passato attraverso la selva di alte erbacce là fuori, stava facendo il proprio ingresso, tenendo tra il dito indice e il medio un ritaglio di carta così scricchiolante ed incartapecorito da risultare inconfondibile. Lui lo aveva premurosamente tenuto con sé, fuori dalla portata di tutti, da quando aveva notato, nella cucina di casa Bennett, che Demi e Sheila erano intente a scervellarsi su qualcosa di molto simile. - Salve a tutti voi… Bei Capelli. Streghetta. Piccolo Gilbert. Fabio. Principessa… scusate il ritardo.- li salutò uno per uno con un cenno e si fermò al centro esatto del circolo di candele perlacee già consumate per metà. Era abbastanza vicino alla vampira da permetterle di bisbigliare al suo orecchio mentre gli altri erano ancora a bocca aperta dallo stupore di vederlo lì, un magnifico intruso con in pugno la risposta al loro enigma.
- Dove hai lasciato Demi?- soffiò Elena, con evidente preoccupazione.
- Questo dipende da quanto ti fidi di me.- sillabò lui di rimando, inclinando il capo per guardarla in faccia. Lei lo implorò con gli occhi silenziosi e la bocca di lui si aprì in un rapido, splendente sorriso. - Allora non hai nulla di cui preoccuparti. E’ andata a fare un giro, sai, a respirare aria fresca… è una ragazzina, non un soprammobile.- si sentì sorpreso della propria magnanimità e si riscosse in fretta, deliziato all’idea di poter far riunire rapidamente padre e figlio Swish se mai fosse accaduto qualcosa di male alla sua bambina. - Allora…- esordì, passandoli in rassegna con un’occhiata dignitosa e sventolando il proprio tesoro. -… chi è che stava parlando di una Profezia?-

Image and video hosting by TinyPic  

***
 
Demi si massaggiò piano le tempie doloranti mentre i suoi pensieri si azzuffavano l’uno con l’altro come belve feroci e si costrinse a fare ordine tra loro prima che fosse troppo tardi: la possibilità che Sheila si affacciasse ad una finestra della casa, infatti, spostando una tendina color pesca e notando qualcosa di strano, metallico e mozzafiato partcheggiato nell’angolino più remoto del suo orto, si faceva via via sempre più probabile.
- E così una prima parte della Profezia arrivò dritta tra le grinfie di Rebekah…- sussurrò, inanellandosi distrattamente una ciocca di capelli scuri tra le dita e cercando di fare un resoconto preciso e rapido del resto del racconto che Nick le appena aveva proferito. - … ma evidentemente ‘metà’ non era abbastanza per Sophie Deveraux. Perciò, quando lei divenne fedele alleata di tua zia… cercarono insieme l’altra da decifrare?- il giovane Mikaelson distolse lo sguardo da lei e, con lentezza estenuante, annuì. Demi non riusciva a sopportare quella smorfia di dolore dipinta sul suo viso e si sentiva rattristata ed attratta da quell’insolita vulnerabilità che sembrava avergli scavato negli occhi neri dei pozzi zampillanti di sofferenza.
- Mia zia se ne tirò fuori: confidò alla strega che era stato suo fratello Elijah a consegnarle la stessa pergamena che lei, poi, avrebbe nascosto al sicuro nella Biblioteca comunale, tra documenti muffiti che nessuno si sarebbe sognato di riprendere in considerazione per delle ricerche sovrannaturali… e Sophie capì chi doveva averla ingannata e derubata di un bene così prezioso come la Profezia. Non informò la sua complice dei propri piani ma si adoperò moltissimo per scovare il nascondiglio dei miei genitori e, se Rebekah mai intuì qualcosa al riguardo, restò convinta del fatto che tutto fosse finalizzato a riappropriarsi della seconda pagina del vaticinio di Salomone… e niente di più. La Deveraux, al contario, riteneva che i ladruncoli meritassero una lezione.- Demi rabbrividì istantaneamente ma non aprì bocca. Non sapeva cosa dire, sembrava aver dimenticato come si articolassero le parole. – Ci trovarono.- quella semplice frase lasciò Nick pallido e smunto e le sue mani si chiusero formando due pugni, proprio come quelli che lui stesso aveva stretto forte ai fianchi il giorno in cui tutto era finito. Riusciva a ricordare tutto, come quasi ogni notte negli ultimi unidici anni da quell’evento traumatico: lui, un bambino gracile dai grandi occhi neri e languidi, che se ne stava buono nel suo lettino mentre sua madre cercava di costringere il biondo, ribelle Prince a fare il bagno nella piccola vasca di pietra smaltata che troneggiava nel minuscolo bagno dalle piastrelle lilla. Lui e suo fratello maggiore avevano trascorso il pomeriggio a scorrazzare per il giardino pieno di cespugli di biancospino che Elijah amava guardare al tramonto e Prince lo aveva costretto a fare la guardia mentre sgraffignava una torta dal davanzale dei vicini. Quando l’irascibile ed anziana signora McPhee li aveva sorpresi, agitando un bastone da passeggio sulla testa, erano scappati entrambi a gambe levate, con le guance gonfie di marmellata di more, e avevano riso fino a scoppiare quando Hayley li aveva rimproverati a causa dei loro abiti ricoperti di fango ed erbacce. ‘Il bagno’ aveva detto lei, agitando un dito di scherzoso avvertimento. ‘E poi a nanna.’ Ovviamente Prince aveva protestato ed era toccato a Nick sacrificarsi per primo… farlo non gli era dispiaciuto poi così tanto. Suo fratello aveva sempre con sé qualcosa con cui barattare i suoi favori: pietruzze levigate raccolte nei pressi del fiume, radici, pelli che i piccoli serpenti di campagna si lasciavano dietro durante la muta, bacche e pastelli… tutto sepolto in una grossa botola nel pavimento, sotto il tappeto, che lui stesso aveva scoperto. Prince era un esploratore, gli piaceva collezionare oggetti e, quando nessuno lo stava a guardare, si dava da fare con le matite colorate che nascondeva in un astuccio per ritrarli, per intrappolarli sulla carta. Nick era convinto che sarebbe diventato un artista ed un grande avventuriero, un giorno, e gli piaceva fargli da spalla durante le marachelle e difenderlo dalle occhiate perplesse dei loro genitori. Si divertiva soprattutto quando Hayley gli stampava dei bei baci su entrambe le guance e lui fingeva di essere infastidito da quelle attenzioni… ma poi arrossiva come un peperone. ‘Buonanotte mamma’ aveva sospirato Nick quando lei e Prince erano entrati nella cameretta, lei soddisfatta e radiosa, lui con i capelli dorati ancora umidi e la faccia imbronciata. ‘Buonanotte papà.’ gli aveva fatto eco il primogenito, mettendo temporaneamente da parte il proprio risentimento per strofinarsi un occhio dal sonno mentre guardava Elijah comparire sulla soglia. Hayley aveva spento la luce ed assieme al marito si era socchiusa la porta alle spalle, il braccio di Elijah attorno alla vita di lei. Nick aveva cominciato a fare un bel sogno: era nei pressi del ruscello e riusciva a vedere i fiori di campo irradiati dai raggi solari, l’acqua limpida agitata appena dal vento, l’aria che faceva sventolare gli alberi mentre sua madre lo chiamava in lontananza, urlando che la cena era pronta… o forse stava strillando contro i dispetti di Prince? Non riusciva a capirlo… voleva che la smettesse… non gli piacevano quelle grida…
- Arrivarono nel cuore della notte… la strega e Shane. I miei capirono subito cosa stava per succedere e mio padre corse nella nostra stanza.- ‘Promettimi che non uscirai da questa botola fino a quando non se ne saranno andati, Prince… va bene? Tu e Nick dovete restare qui dentro. Mi hai sentito? Promettimelo, Prince.’ I due fratellini erano rimasti imbambolati davanti all’incomprensibile disperazione nel tono di Elijah e le iridi verdi e luccicanti del più grande avevano mantenuto il loro cipiglio fiero per un attimo ancora, prima di arrendersi. ‘Bravo bambino.’ aveva sospirato Elijah, con una carezza, poi era sparito. - Volevano qualcosa che mio padre non era in grado di dare loro…- ‘Dov’è, dove l’hai nascosto?’ si era sgolato Shane estraendo un pugnale, mentre Sophie spingeva con la violenza della propria magia Hayley al muro e le porcellane contenute in una cristalliera tremavano e si riversavano sul pavimento, infrangendosi in mille pezzi. ‘Non ce l'abbiamo, vi scongiuro, no…’
- Vedi, non era necessario che mio padre morisse. Lui aveva cercato di rimediare al suo errore ed era il fratello di Rebekah, era protetto…- Nick si asciugò le guance con rabbia, strofinandoci su la stoffa del maglione. Anche nel buio della botola aveva cominciato a piangere, sentendo i lucciconi rotolargli giù dalle gote paffute, e si era raggomitolato contro Prince. Lui gli aveva guidato le manine a coprirsi le orecchie, respirando affannosamente ma resistendo all’impulso di scoppiare in lacrime, poi aveva sollevato il coperchio della botola ed era sgusciato fuori tra le sue proteste. -… ma fu una sua scelta quella di intercettare l’incantesimo che Sophie aveva scatenato con la propria rabbia contro la ladra del suo tesoro più prezioso. Fu l’amore ad ucciderlo: crollò a terra nel tentativo di salvare mia madre… poi gli strepiti finirono, inghiottiti dal buio.- Nick tirò su col naso, maledicendosi per essersi mostrato, dopo tutto quel tempo, ancora così debole sotto lo sguardo perso ed inorridito di Demi. - E Prince, il piccolo, coraggioso, disobbediente Prince… lui aveva visto tutto.-
 
I muscoli del suo corpo, delle sue braccia e del suo viso sembravano non appartenerle più e Demetra rimase ad ascoltare il silenzio calato tra lei e Nick fissando il vuoto. Avrebbe dovuto inventarsi una frase di consolazione decente e smetterla di starsene lì impalata ma sapeva che qualsiasi commento, davanti a quell’immane tragedia, sarebbe sembrato innaturale e fuori luogo. Non provava quasi più rancore nei confronti di Prince, capiva Nick ed i motivi che l’avevano spinto a celare la sua esistenza e quella ferita mai rimarginata nell’anima, non riusciva neanche ad odiare gli assassini di Elijah e a giudicare sciocca la fiducia che Rebekah aveva riposto in loro… non sentiva assolutamente niente. Era desolata ed inespressiva.
- Forse dovresti rientrare… è davvero… davvero tardi.- riuscì a dire Nick dopo molto tempo, con la voce roca. – Ti accompagno, se vuoi.- la ragazza annuì mentre lui abbandonava l’auto e si addentrava un po’ a fatica nell’aria sferzante della notte, poi lo seguì con un senso di oppressione che le pesava nel cuore. Mentre camminavano l’uno al fianco dell’altra, dolcemente, Demi allungò una mano per prendere quella gelida di lui durante il tragitto ed il giovane la strinse forte, senza dire nulla. Aveva paura di guardarla perché temeva di leggere nei suoi occhi blu una pietà che non avrebbe sopportato ma, quando si voltò ad affrontarla, la Salvatore lo stava fissando con qualcosa di molto diverso stampato nei lineamenti più belli che lui avesse mai avuto la fortuna di osservare: ammirazione.
- Hai avuto fegato.- gli disse, mentre quell’affermazione sincera toccava un tasto talmente delicato e nascosto dentro di lui da farlo riprendere a respirare quasi regolarmente, come dopo una lunga agonia. - Ti ho chiesto di dirmi chi sei e di smetterla di indossare la tua maschera, per una volta… e tu l’hai fatto, conscio del rischio di sentirmi dire che sì, tutto questo è davvero troppo per me.- lui annuì debolmente, sentendo ribollirgli nello stomaco il folle desiderio di scappare da lì, terrorizzato com’era da quello che lei avrebbe potuto dirgli, facendogli male. - E lo è…- proseguì Demi, fermandosi sulla breve scalinata di casa Bennett e lasciando che una lampada bianca tra le tegole le illuminasse il viso perfetto e candido, come una perla. Era vicina, troppo vicina, ma la sua voce era stranamente ferma, distaccata.
- Demi…- la pregò lui, muovendo un passo in avanti, senza lasciarla andare.
- No, lasciami finire, ti prego… non capisci? Sarà sempre un problema per noi due il fatto che, dopo tutte le tue omissioni, io non potrò mai fidarmi totalmente di ciò che dirai. Sarai sempre un enorme punto interrogativo per me e non so se potrò sopportarlo. Non potrò certo dimenticare che tu sei il nipote di una donna che vuole distruggere la mia famiglia e la mia carriera scolastica, che tuo zio Klaus usava mia madre come una sacca di sangue personale e che tuo fratello è una specie di… assassino mentalista con un passato tormentato. Per quanto io mi sforzi… non posso farlo, Nick, e mi dispiace. Mi dispiace così tanto perché non posso nemmeno piantarla di sentirmi così ogni volta ti avvicini a me, ogni singola volta che ti guardo…- lei si interruppe bruscamente, mordendosi le labbra troppo tardi, ed il ragazzo sobbalzò leggermente sul posto, sorpreso dall’inaspettata conclusione del suo discorso apparentemente così razionale. Le sue pupille scure, profonde come tunnel senza luce, erano di nuovo pulsanti, accese, ed i loro respiri stentati quasi mescolati, fusi insieme.
- Di sentirti… come?- le chiese incalzante, socchiudendo appena le palpebre mentre la fissava ancora, trasognato.
- Così…- si mossero l’uno verso l’altra nello stesso istante, senza neppure rendersene conto. Demi sentì la bocca rosea, soffice e dolce di Nick bruciare sulla propria come una fiamma lenta ed invitante e così, quando il ragazzo le sfiorò il collo con le dita timorose, spostandole i capelli setosi da un lato e accostando ancora un po’ il proprio viso in fiamme al suo, lei lo strinse forte a sé, accarezzandogli appena il profilo delle spalle e del petto, cercandovi rifugio. Sotto la propria mano tremante, sentì il battito accelerato e meraviglioso del suo cuore e si sentì accolta, protetta, quasi commossa da tutta quella devozione.
Image and video hosting by TinyPic
E fu il beato oblìo, in un angolo sperduto e proibito delle loro anime, riuscire ad ascoltare solo il suono di quei lenti sospiri ed assaggiare il sapore timido di una pace neonata, indifesa, generata da un brivido di fiducia nuova, nascosta e vibrante nel loro petto surriscaldato…
- Demi?- mormorò Sheila, sporgendosi oltre la soglia di casa con un’espressione a metà tra lo scioccato ed il rassegnato sulla bella faccia olivastra e contornata da una chioma di folti boccoli bruni. I due ragazzi si separarono immediatamente, scambiandosi una rapida occhiata di complicità prima che l’imbarazzo sostituisse ogni altra emozione. - Ah… scusate. Se volete torno dentro.- sbadigliò, sforzandosi di essere cortese. Demi sapeva benissimo che non si sarebbe mossa da lì fino al suo rientro ma apprezzò comunque il tentativo di apparire accondiscendente e le sorrise, con un’alzatina di spalle.
- No, Nick se ne stava andando…- sussurrò, eloquente, immediatamente appoggiata dal ragazzo che scese i gradini di marmo con le gambe un po’ intorpidite dall’adrenalina appena scaricata in quel bacio così tanto desiderato e, allo stesso tempo, incredibile perché insperato. Sheila inarcò un sopracciglio e bofonchiò un saluto prima di voltarsi e di rientrare in salotto, facendo cenno a Demi di seguirla. -… ci vediamo a scuola.- bisbigliò lei, ammiccando e poi scusandosi con lo sguardo. Sembrava felice e anche Nick lo era. - Buonanotte.- ancora con il cuore in gola, sentì la serratura scattare alle proprie spalle e si toccò le labbra con le dita, come per mantenere più a lungo possibile impresso su di esse il ricordo di quel bacio.
La serata era stata un successone: niente ossa rotte nonostante l’imbarazzante mancamento avvenuto al Grill, un sacco pieno di informazioni su Prince e sui Mikaelson e addirittura quello strano mito della Pietra della Miracolosa Resurrezione ancora tutto da rielaborare… Damon sarebbe stato semplicemente entusiasta. Beh… ovviamente lo sarebbe stato se si fosse ricordata di tralasciare, nel racconto della serata, quegli attimi di tenerezza e trasporto nel giardino di casa Bennett. Quelli appartenevano solo a lei, in fondo. A lei… e a Nick.
 
Il giovane Mikaelson si avviò verso la Ferrari senza fretta, gustandosi ogni passo mosso verso l’autovettura. Ogni dettaglio circostante gli sembrava meraviglioso e surreale: l’erbetta umida sotto la suola delle scarpe, le luci dorate che illuminavano dall’interno la modesta abitazione che Demi condivideva con Bonnie e sua figlia, la resina profumata che colava dalla ruvida corteccia degli alberi da frutto nell’orto, la brezza che era un sollievo per la sua faccia accaldata… per un istante infinito, si sentì bene, come non succedeva ormai da troppo tempo. Spensierato, come quando era abbastanza piccolo e innocente da non aver mai avuto un reale contatto con le brutture del mondo, quando era circondato dai sorrisi incoraggianti della sua famiglia ancora intatta… li rivide. Sua madre che lo teneva sospeso sulla torta di compleanno ricoperta di panna mentre Elijah riaccendeva pazientemente le candeline blu che Prince aveva spento, dispettosamente, al suo posto… e Prince che si sceglieva il pezzo di dolce più grosso e farcito per cedergliene metà senza farsi vedere da nessuno…
- Ne è valsa la pena?- chiese d’un tratto una voce cupa ma divertita nell’ombra. - Intendo dire… raccontarle tutta quella storia strappalacrime per giustificare il semplice fatto che io sia ciò che sono?- sentendosi raggelare all’improvviso, Nick si voltò di scatto, spaesato, mentre sorpresa, confusione e paura si susseguivano come secchiate ghiacciate nella sua testa. No… non adesso… - Ti ho fatto una domanda, fratello, sarebbe educato se tu mi rispondessi.- una risata beffarda risuonò nell'oscurità, materializzandosi davanti ai suoi occhi increduli. Nick poteva distinguere le onde ricciolute di capelli biondi e ribelli, arruffati con cura, il profilo di una pelle compatta e dorata, come cotta dal sole, e di labbra piene, sporgenti e morbide, curvate in una smorfia compiaciuta – Allora…- continuò Prince, scomparendo in un secondo per ricomparire alle spalle del ragazzo, afferrandolo per le braccia ed immobilizzandolo. -… ne è valsa la pena?- Nick ansimò nel tentativo di liberarsi, poi urlò di dolore contro una mano posata sulla sua bocca. – Shhh, andiamo… non vorrai svegliare le signore.- sibilò Prince al suo orecchio, quasi rimproverandolo per quella mancanza di tatto. L’ultima cosa che Nick vide prima di accasciarsi fu il suo ghigno brillare nella tenebra. Si trattava di un ampio sorriso bianco latte che, splendente come le luci che certi pesci predatori accendono nel buio assoluto degli abissi per adescare le prede e divorarle in un solo boccone, aveva in sé qualcosa di sinistro e di irresistibilmente letale.
   
 
 
Image and video hosting by TinyPic  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
***
 
Note sulla STORIA:
 
*Sophie Deveraux… non ve l’aspettavate, eh? Diciamo che fin dall’inzio ho avuto in mente una strega squilibrata per questa storia cominciata, come sapete, molto prima della puntata 4x20, Pilot del nuovo show sugli Originali prossimamente in onda… per questo ho preferito utilizzare il suo nome, per rendervi più semplice utilizzare l’immaginazione durante la lettura. Non mi è mai piaciuta… molto creepy! ^^
 
 *Prince Henrik Mikaelson: Ecco, Prince ha un secondo nome un po’ più normale… precisamente quello del fratellino degli Originals che venne ucciso da Lupi Mannari e la cui morte prematura e cruenta consentì ad Hester e a Mikael di decidere di proteggere tutti i propri figli trasformandoli in vampiri. Non preoccupatevi, a lui piace moltissimo il suo, quello scelto da suo padre Klaus in persona! xD
 
*Caitilin non era originaria della Lousiana come le Deveraux, è una mia invenzione per far quadrare meglio la storia. Il suo cognome, ‘Devina’, è ispirato al nuovo personaggio di The Originals, una strega straordinariamente avvenente, ribelle e piuttosto fuori di testa… un’altra ‘D’, eh? <3
 
*Luinil, il nome della fanciulla amata da Silas ed uccisa da Qetzsiyah, è di mia invenzione. E’ elfico (omaggio a J.R.R. Tolkien) e significa ‘Stella Azzurra’.
 
Note dell’AUTRICE:
Eccoci qui, miei adorati. STO MALISSIMO. Rido e piango e… brrr. Questo è stato il capitolo delle risposte, per me che ho cercato di far quadrare alcuni dei vostri dubbi in una spiegazione razionale che mi auguro vi abbia soddisfatti ed incuriositi. Ci ho sudato sopra per giorni ma sono abbastanza felice del risultato finale… lungo ma pieno di emozioni. ‘Il Diario di Demi Salvatore’ è iniziato come una ff… è diventato un romanzo grazie al vostro sostegno e al vostro incoraggiamento. Non smetterò mai di ringraziarvi e, ve lo giuro, non sarò mai capace di spiegarvi in modo decente quanto mi renda felice ogni singolo commento alla storia, ogni recensione, ogni battito di cuore sperduto tra i vostri capitoli preferiti. Una svolta fantasy per il DD… come ho già annunciato su facebook… ormai siamo davanti ad un ‘urban-fantasy-gothic-telefilmico-OMG’. Spero che vi piaccia. Ad ogni modo… che cosa ne pensate? Lasciatemi un parere, ve ne prego, stavolta ci tengo particolarmente <3

Nel prossimo capitolo:
LA risposta.
Punto.
Non perdetevelo. <3
 
*****Venite a trovarmi qui… https://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=hl
*****Per le vostre domande… ask.fm/IlDiarioDiDemiSalvatore
Un bacio a tutti! <3
 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** The Truth (Part 3) - Personal ***


*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*
 
Previously On the DemiDiaries. (rielaborazione delle scene/punti chiave del seguente capitolo)
 

Image and video hosting by TinyPic
 
Cap28_TheTruthPt2
: *Flashback*
Elena: Dov’è Damon?
Stefan: Rebekah l’ha preso.
Elena: Se nessuno vuole andare a salvarlo… allora lo farò io.
 
Cap29_TheTruthPt2PMR: *Flashback*
Elena ad Elijah: Ami Hayley così tanto…
sai perché non posso restarmene con le mani in mano, stanotte.
Elijah: C’è una porticina sul retro di villa Mikaelson…
ti porterà ad un lunghissimo corridoio.
Buona fortuna.
 
Cap29_TheTruthPt2PMR:
Nick: Esiste una pietra preziosa, un lapislazzuli.
Creata da Salomone in persona,
ha in sé il potere di dominare gli elementi
e la facoltà di capovolgere persino la Clessidra del Tempo,
annullando così i suoi effetti sui mortali
e ribaltando i vincoli che tengono legati i defunti all’aldilà.
Demi: Una Pietra della Miracolosa Resurrezione?
 
Stefan: I due pezzi di pergamena sono due parti di una Profezia.
Elijah: Una ‘Profezia su qualcuno capace di usare quell’oggetto,
di attivarlo e di controllarlo.
Su un Prescelto.
 
Damon *portando il secondo pezzo della pergamena*:
Allora, stavamo parlando di una Profezia?
 
Nick a Demi: Prince vuole ottenere il contenuto di quella Profezia,
perciò ha mandato i Lupi Mannari a fregarmi.
E’ un tipo pericoloso… per questo voglio che tu stia lontana da lui, d’accordo?
 
Demi: Sarai sempre un enorme punto interrogativo per me,
ma non posso smettere di sentirmi così ogni volta ti avvicini a me…
Nick: ‘Così’ come?
*bacio*
 
Prince *appare nell’ombra*: Allora, ne è valsa la pena?
*Nick cerca di urlare*
Prince: Shhh, andiamo… non vorrai svegliare le signore…
 
*Buio*
 
*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*



 
- Oh, piantala di agitarti in questo modo ridicolo e rimettiti in piedi, Niklaus. Ti avverto… finirai per farti male.-
La stessa voce amabile di poco prima, vellutata come finissima seta e allo stesso tempo ostile come il vento più sferzante, risuonò ancora una volta nel buio della notte ormai inoltrata. Nick Mikaelson, malfermo sulle ginocchia ma ancora risoluto, per tutta risposta, continuò a lottare contro le braccia d’acciaio del fratellastro, senza posa, con gli occhi neri fissi nell’oscurità più assoluta ed il corpo immobilizzato dalla tensione.
Non era mai stato così spaventato, sorpreso ed infuriato in tutta la sua vita.
Sentiva la mano fredda di Prince tappargli seccamente la bocca ma non riusciva comunque a trattenere i gemiti di dolore che gli affioravano spontanei e copiosi sulle labbra contratte. Le innumerevoli scosse di Potere che provenivano dalle sue spalle lo attraversavano fin nelle ossa come fiotti d’acqua bollente nelle vene, come frustate incandescenti sulla pelle nuda e vulnerabile. E sì, facevano davvero male.
- Che ti avevo detto?!- mentre il ghigno felino del figlio di Klaus si allargava, sovrano dell’ombra, fulgido come una mezzaluna e subitaneo come un lampo di luce, Nick provò l’acre umiliazione e la sofferenza impotente di una vittima stanata e braccata da un esperto quanto spietato cacciatore.
L’aura della forza oscura che circondava suo fratello maggiore era incredibilmente aggraziata e pulsante… pericolosa. Tentare di liberarsene era inutile come provare a prendere a pugni uno spettro inconsistente, come cercare di svincolarsi da una camicia di forza allacciata con cura meticolosa e maniacale. Impossibile.
Arrenditi e basta, da bravo. Non ribellarti… sappiamo entrambi che non è mai stato da te, farlo.
Com’era? Il piccolo, pavido ed ubbidiente Nick, giusto?
Il prediletto.
Nick udì quelle parole di tacito scherno rimbombargli tanto insopportabilmente nel cervello che, per un istante, gli sembrò di aver perso la ragione. Mentre il panico gli intorpidiva tutti i muscoli degli arti, il ragazzo si afflosciò leggermente in avanti, sfiancato, sconfitto, schiacciato sotto il peso della cruda realtà. La voce crudele continuò a provocarlo, compiaciuta ed esultante.
Non puoi opporti al mio volere… io ho già vinto.
Era terribilmente vero.
Prince era solo un gatto annoiato che giocava con la propria preda un attimo prima di dilaniarla con gli artigli affilati, un giovane cuore palpitante emerso direttamente dalla tenebra dopo essere stato forgiato e corrotto da essa. Non c’era più niente di compassionevole in lui. Aveva già ucciso. Forse l’avrebbe fatto ancora… e ancora. Nick non riusciva neanche a concepire tutto quel fremente ed irriconoscibile desiderio di prevaricazione nei suo riguardi ma sapeva di non poter assolutamente competere con esso.
Sono sempre stato più forte di te.
Le vertigini gli rivoltarono lo stomaco quando percepì aleggiare nell’aria densa ed umida un aroma familiare ed inconfondibile di liquirizia e sale, di pane, vaniglia e mandorle tostate. Era lo stesso odore intenso che Prince aveva sempre avuto addosso sin da marmocchio, il medesimo profumo sacro ed accogliente che aveva impregnato per anni le loro amate mura domestiche… prima della tragedia.
Nick bevve avidamente quella fragranza, quasi suo malgrado, commosso, devastato.
Gli parve di essere tornato a casa.
Potresti cortesemente smetterla di frignare?
Un groppo di nostalgia ed astio gli chiuse la gola in una stretta letale, incredula.
Possibile che ogni tenerezza del passato si fosse dissolta nell’anima del figlio di Klaus, come una goccia d’acqua purissima che annega nel vino senza lasciare alcuna traccia visibile di sé? Era davvero suo fratello maggiore, il suo eroe, la sua ancora di salvezza, il suo modello, quel mostro privo di remore, sputato fuori da un’infanzia traumatica? Si trattava sul serio dello stesso bambino della torta di more sgraffignata ai vicini, dei mille pastelli colorati rinchiusi in un astuccio segreto e degli immancabili capricci prima del bagno caldo quotidiano? Di quello che rideva ancora di gusto, scorrazzando felicemente nelle sue memorie?
Tormentato da quelle amare domande destinate a rimanere prive di qualsiasi risposta, Nick annaspò alla cieca, concentrandosi e cercando di trovare al più presto una via d’uscita da quell’incubo. Una leggera pressione sul collo lo fece irrigidire, tremare. Doveva riflettere, in fretta, frugare nella propria mente, trovare un modo… chissà se qualche bricola d’umanità era rimasta ancora intatta nello spirito nuovo, sconosciuto e volubile di Prince, magari nascosta sotto le apparenze… chissà se il suo inguaribile orgoglio narcisista, per esempio, c’era ancora…
- Così forte eppure così codardo.- sillabò Nick d’un tratto, roco e disperato. La sua nausea claustrofobica stava peggiorando ma lui non smise di sibilare quelle aspre provocazioni, ostinato. - Niente male, per uno che si crede onnipotente, la scelta di aggredire un avversario disarmato alle spalle, senza dargli neppure la possibilità di difendersi, non trovi? Ammirevole, oserei dire.-
Quel debole e sarcastico tentativo di distrarre il fratello, aprendosi un varco tra le sue emozioni più autentiche, inaspettatamente, funzionò a meraviglia: rabbuiandosi di colpo, con quello che parve un moto di sinistro rispetto, Prince allentò la propria morsa invincibile e consentì al proprio prigioniero di posare di nuovo i piedi sul suolo viscido e scricchiolante.
Non sembrava troppo turbato ma ogni barlume allegro o divertito, nel suo sguardo smeraldino, era scomparso. Inspirando profondamente prima di aprir bocca, con un’espressione dura come il granito, il giovane riccioluto avvicinò le labbra all’orecchio del suo ostaggio, mellifluo e stizzoso:
- Se volevi che ti lasciassi andare…- gli sussurrò con una regale, gelida noncuranza. -… bastava solo chiedere.-
Fu un attimo.
Una spinta sovrumana fece perdere al figlio di Elijah il precario equilibrio appena riconquistato e, scaraventato via rudemente, quest’ultimo atterrò, con un ruzzolone fragoroso, su una macchia melmosa d’erba grondante ed incolta. Subito dopo aver sbattuto con la schiena sulla corteccia ruvida di un albero nel cortile, Nick percepì il tessuto della propria maglia strapparsi dopo essersi impigliato in una spinosa radice divelta, e rotolò a fatica sul fianco. Rimase immobile a lungo, faccia a terra, ansimando pietosamente su un letto di foglie secche cadute. Un lezzo pungente di marcio e di bagnato gli aggredì le narici, stordendolo.
- Faresti bene a non rivolgerti mai più in quel modo spocchioso al sottoscritto… non senza esserti portato dietro un paracadute, almeno.- ridacchiò immediatamente Prince, muovendo qualche passo verso lui nell’ombra, a gambe larghe, con le mani sui fianchi. Spavaldo come un dominatore, nato esclusivamente per comandare e per annientare i più deboli, fiutò l’aria come un segugio ed arricciò il nasino in una smorfia che sarebbe sembrata adorabile se solo fosse stata estrapolata da quel contesto di prepotenza. - Guardati un po’… direi che finalmente hai una buona scusa per infangare il buon nome della nostra famiglia, fratello!- esplose in una risata metallica e selvaggia, da brividi, che si perse in fretta nell’ululato della brezza tra le fronde della vegetazione.
Bruciando d’avversione e d’umiliazione, Nick tossì con impeto, sputacchiando qua e là delle foglie sbriciolate.
Si mise debolmente a carponi, sollevando il proprio viso pallido striato di terra e muschio verso Prince, poi lo affrontò. Notò con sorpresa che, senza smettere di sorridere, lui gli stava tendendo una mano, come per aiutarlo a rialzarsi. Forse si era reso conto di aver esagerato. Ad ogni modo, Nick ignorò con fierezza quell’offerta falsamente generosa, ribollendo di furia e di ripugnanza. 
- Che cosa ci fai qui?- sbottò rabbiosamente, sfiorandosi una spalla ammaccata dall’impatto contro il tronco con le dita imbrattate di quello che sembrava appiccicoso fango rossiccio. Un sussulto di dolore gli fece tremare le labbra livide. - Perché sei tornato ora? Non c’è niente di nuovo per te, in questo posto, Prince. Niente.- il veleno con cui caricò quell’ultima parola parve allettare in modo particolare il suo fratellastro, il quale incurvò gli angoli della bocca piena e rosea in un sorriso attraente.
Aveva ritirato da un pezzo la propria mano caritatevole e ora non c’era più benevolenza nei suoi tratti raffinati.
‘Tanto meglio’ pensò Nick, serrando la mascella ed i pugni, fino a far affondare le unghie nella carne.
- Mi pare di notare che non sembri affatto contento di rivedermi…- commentò Prince, fintamente dispiaciuto, accarezzandosi con aria indolente il mento segnato da una piccola fossetta verticale e girovagando con lentezza attorno al proprio interlocutore. Era inquietante come un avvoltoio, nobile come un’aquila reale. -… per fortuna non si può dire lo stesso a proposito della tua incantevole donzella dagli occhi di ghiaccio…- con un cipiglio ironico, il provocatore accennò a casa Bennett, soffermandosi intenzionalmente sul porticato in legno verniciato che aveva ospitato, solo pochi minuti prima, il tenero bacio tra Demi e Nick. -… dimmi, la bella Demetra è svenuta anche tra le tue braccia, durante il vostro primo incontro, o posso ritenermi particolarmente fortunato?-


Image and video hosting by TinyPic *
Il ragazzo dagli abiti sudici fu sopraffatto dall’ira nell’ascoltare quelle frasi allusive e si rimise in piedi troppo in fretta, ancora barcollante, stravolto. Il suo petto, sconquassato da una miriade di sensazioni contrastanti, ardeva contemporaneamente di sdegno, di repulsione, d’istinto protettivo, di collera e di rancore. Di gelosia.
- Tu…- sbottò senza fiato, con il labbro superiore sollevato in un ringhio d’avvertimento. Mosse un ampio passo verso l’altro, in una mossa intrepida ed imprudente, fronteggiandolo senza più alcun apparente timore. -… non devi mai più avvicinarti a lei, mi hai sentito bene? Smettila di seguirla ovunque, dimentica la sua esistenza, non azzardarti a minacciarla o a spaventarla ancora. Lasciala in pace, Prince, o giuro che te ne pentirai.- sarebbe stato alquanto stupido ed azzardato dire ‘te ne farò pentire’, perlomeno in quelle condizioni di evidente disparità psicofisica, ma il tono di Nick fu sufficientemente minaccioso da attirare l’attenzione del suo biondo sfidante.
- Lei non vuole avere niente a che fare con te!-
- Davvero?- sbadigliò il biondo, inarcando un sopracciglio con evidente insolenza. - Che peccato. Eppure mi era sembrata una fanciulla così sveglia, intelligente…- con una scrollatina di spalle, Prince si appoggiò ad un masso dipinto d’avorio e d’argento dalla luna ed incrociò le braccia sul petto. -… la prenderei volentieri come una sfida, se solo non avessi delle questioni più importanti di cui occuparmi, al momento…- spiegò, con una nota di falso rimpianto nella voce. Si sistemò con cura i polsini della camicia grigio fumo, come se Nick non fosse nemmeno presente, poi si mordicchiò le labbra perfette. - Chissà, in futuro potrei anche ripensarci… provare ad esserle simpatico, magari. Sono certo che ne varrebbe la pena.- in un momento le sue iridi verdi e sfavillanti bruciarono di desiderio, terrificanti. Per Nick fu come vederci attraverso: nel loro riflesso danzante c’era una giovane dalla pelle chiara incendiata di rosso sulle guance, magnifica, splendente e delicata come la fiamma di una candela, con i lunghi capelli corvini che le incorniciavano il dolce volto d’avorio... Demi. - Se la memoria non m’inganna, le donne della famiglia Petrova hanno sempre avuto una certa passione per i cattivi ragazzi, sin dalla notte dei tempi… ma questo discorso sembra essere un tabù per molti, in città, non è vero? Per Demetra, soprattutto.- gli fece l’occhiolino, malizioso, pronunciando quel nome con una confidenza così spiccata da sfiorare quasi il possesso. La sua eco si dileguò tra gli alberi, disperdendosi con una sfumatura spettrale, euforica. Prince scoppiò di nuovo a ridere e, allargando appena le braccia, sussurrò:
- Sai, potrei svelarle la verità io stesso. Ci sono un paio di modi davvero interessanti in cui lei potrebbe volermi dire ‘grazie’.-
A Nick non passò più per la testa l’idea di non essere abbastanza forte per combattere. Sentì solo il sangue salirgli al cervello e spegnere brutalmente ogni pensiero razionale. Seguendo l’istinto più profondo di gettarsi sul fratellastro con tutto il proprio peso, cogliendolo di sorpresa, desiderò solo fargli più male possibile, per cancellare quel sorriso insopportabile dalla sua bocca. Mentre gli balzava addosso con foga, vide gli occhi di Prince sgranarsi per un momento dal disappunto, poi udì il suo ringhio animalesco assordargli le orecchie. Nonostante il dolore alla spalla già malconcia lo stesse accecando, facendolo rabbrividire, Nick non smise di colpire, cercando con la mano tesa la gola dell’altro, la sua trachea, un punto vulnerabile sotto la sua mascella. Ma Prince era troppo veloce: giocando sporco, il figlio di Klaus continuò ad infierire sul braccio indolenzito di Nick e, una volta afferrati i suoi capelli castani con una mano, lo spinse di nuovo con il viso ad un soffio dal fango e dalle foglie, atterrandolo definitivamente.
‘Non sono tornato in questa lurida topaia per rubarti la ragazza, moccioso, nonostante questo tuo comportamento idiota ed infantile mi stia facendo venire voglia di ucciderla nel sonno o di fare di peggio, se riesci a capire cosa intendo.’ ansimò la sua solita, trasfigurata voce mentale, caricata di una nota particolarmente bassa e veemente sulle ultime, ambigue sillabe. La chioma bionda del principe pareva mossa da un vento invisibile ed i suoi occhi febbrili erano feroci come non mai, quasi illuminati dall’interno. ‘Voglio soltanto riprendermi ciò che mi appartiene, costi quel che costi, e tu mi aiuterai ad ottenerlo. Che ti piaccia oppure no.’
- Dovrai ammazzarmi.- sibilò il ragazzo moro a terra, ansante, divincolandosi. Quando trattenne tra i denti serrati un ennesimo lamento furibondo, simile a quello di un animale ferito, i suoi sforzi di opporre resistenza erano ormai diventati convulsi, frenetici. Patetici. - Perché non mi togli di mezzo e basta, vigliacco?- le dita impietose di Prince, saldamente allacciate alle ciocche della sua capigliatura, si strinsero ancora quando quest’ultimo gli tirò indietro il capo con forza, esponendo il suo collo nudo alla propria totale mercè.
- Perché non ho bisogno di macchiarmi del tuo sangue per essere certo che seguirai le mie istruzioni senza osare ribellarti.- gli confessò sottovoce, beffardo, agghiacciandolo con la propria disinvoltura. - Non ancora, almeno. Vedi, Niklaus…- il nome completo del suo padre naturale gli scavò una profonda ruga tra le sopracciglia aggrottate ma non addolcì minimamente il suo sguardo ermetico, insondabile. -… posso arrivare a te attraverso qualcun altro, senza sforzo. E’ questo il bello dell’altrui umanità…- ghignò, recuperando la propria marcata sfacciataggine. -… c’è sempre qualcuno di insignificante da minacciare al posto del diretto interessato, sempre. Saresti sorpreso dalle cose orribili che certe persone fanno per amore dei propri cari.-
Nick sentì la propria furia divampare e si morse forte l’interno della guancia, fino a farla sanguinare.
- Non puoi nuocere a Demi.- soffiò, cercando di non fargli notare quanto sforzo gli costasse pronunciare quelle parole. - Lei è troppo preziosa, troppo ben protetta… è la Chiave di ogni cosa e tu lo sai. E’ per questo che non volevi che i tuoi scagnozzi la uccidessero nella Foresta, vero? E’ per questo che non l’hai aggredita poco fa, al Grill… tu non vuoi toccarla.- il pensiero della Salvatore che respingeva con successo, servendosi della propria strabiliante Nebbia, l’intrusione telepatica di Prince lo scaldò dentro, rassicurandolo come un balsamo.
Lei era al sicuro.
Ma allora chi…?
- Non c’è proprio nessun altro, in questa città, a cui tu ti sia affezionato?- suggerì subito il primogenito, senza scomporsi, voltando appena la testa del fratellino per riuscire a guardarlo in faccia. Sembrava folle. - Pensaci bene, Nick, fai pure con calma… abbiamo tempo. Un sacco di tempo, in realtà.- il suo tono divenne ipnotico, suadente, ed il suo accento straniero si intensificò. - Non c’è davvero nessun altro che vorresti proteggere con tutte le tue forze, qualcuno senza il quale ti sentiresti smarrito, incompleto? Non tieni a nessuno in particolare, fratello?-
Gli occhi neri e senza fondo di Nick si spalancarono di botto, rimanendo fissi e vitrei.
L’orrore turbò ogni centimetro del suo corpo mentre un nuovo viso si faceva spazio tra i suoi pensieri.
Era rotondo e ridente, roseo, circondato da una criniera scarmigliata di morbidi capelli biondi; apparteneva alla stessa ragazza che lo aveva sempre guardato dal basso a causa della considerevole differenza d’altezza tra loro, servendosi degli occhi color del mare più colmi di fiducia lui che avesse mai visto.
La nana.
Mattie.
- No…- supplicò rauco, stringendo i denti e tentando per l’ultima volta di liberarsi. L’angoscia, stavolta, era persino superiore alla sofferenza fisica e lo trafiggeva come una lancia dalla punta avvelenata. Gli parve di risentire una delle paternali perferite di zia Rebekah esplodergli dentro, così veritiera, così insopportabile: ‘Mi ci sono voluti mille anni per capirlo… l’amore e l’affetto ci distruggono. Sbricioleranno anche te, Nick, presto… perciò smettila di tenerci. Pensa a tuo padre.’ -… no…- ringhiò, più a se stesso che a chiunque altro, cercando di non battere le palpebre per evitare che delle lacrime rivelatrici sfuggissero al suo già precario autocontrollo. -… non farle del male, Prince, lei è un’innocente, non c’entra nulla con tutto questo…- ormai stava delirando.
- Tu non puoi farlo!- farfugliò, prostrato.
- Oh, ma certo che posso!- bisbigliò l’altro di rimando, accomodante eppure inflessibile. - E, se tu non accetterai di collaborare con me, se non ti comporterai esattamente nel modo in cui io ti indicherò...- sorrise dolcemente, scoprendo i canini appuntiti e bianchi come la neve, senza perdere l’occasione di sfoggiare un’ulteriore, seppur superflua, dimostrazione di superiorità. -… giuro che lo farò. Magari domani… o tra qualche ora.-
Nick cercò di scuotere il capo ma il suo corpo sembrava non appartenergli più.
Un singhiozzo sconfitto gli bruciò nello sterno, scuotendogli le spalle, e Prince se ne beò.
- Ecco… così va molto meglio.- lodò, carezzevole, accostandosi ancora di più al suo orecchio, come un’ombra. Il figlio di Elijah riusciva ad avvertire il suo respiro gelido e profumato sul collo. Aveva la pelle d’oca. Sentì la presa ferrea dei suoi denti taglienti come rasoi sulla gola, la sua voce dura nella testa. Sapeva quello che sarebbe accaduto di lì a pochissimo ma una parte di sé si rifiutava ancora di accettarlo.
‘Ah, stavo quasi per dimenticarmene… nessuno è innocente.’
Un morso selvaggio, inclemente.
Poi un grido squarciò la notte d’argento e di catrame.
 
La Ferrari nera sfrecciò come un fulmine attraverso la silenziosa Timberwolf Street, sbandando appena durante le curve più strette e pericolose. Nick non se ne preoccupò minimamente e, tenendo gli occhi puntati sulla strada fortunatamente deserta proprio davanti a sé, continuò a guidare con il solo ausilio della mano destra. La sinistra, infatti, era impegnata a tenere premuto un fazzoletto, imbrattato da grosse chiazze rosso rubino, sulla pelle lacerata del suo collo pallido, là dove i denti aguzzi di Prince avevano inciso due punture nella carne, sottraendo da una vena pulsante una consistente quantità di sangue. L’umiliazione scatenata da quell’atto vile e meschino, rapace, dettato dalla pura prepotenza del suo fratellastro, bruciava nella ferita slabbrata di Nick più di qualsiasi altra sensazione al mondo. Fu con rabbia fumante che il giovane accelerò nell’oscurità, superando parecchi STOP senza fermarsi e sentendo il rombo del motore insinuarsi nelle sue orecchie, coprendo a stento un’altra voce tra i suoi cocenti, spossanti ricordi.
‘Forse questo ti convincerà a passare dalla parte dei vincenti, fratello. Dalla mia parte, cioè.’ aveva sussurrato il biondo predatore, leccandosi le labbra macchiate del suo liquido divertimento e lasciandolo ricadere al suolo, come un giocattolo usato. ‘Fa’ per me ciò che devi o ci saranno delle gravi conseguenze. Chissà… magari stanotte.’
Nick percepì un brivido attraversargli la spina dorsale e fece scattare bruscamente la sicura di tutti gli sportelli, per essere certo di rimanere da solo il più a lungo possibile in quell’abitacolo. Lì dentro non era al sicuro, lo sapeva bene, ma il bagliore tenue sul cruscotto, le gomme sull’asfalto e la liscia percezione del volante sotto le dita lo rilassavano, lo facevano sentire meglio.
Era più semplice persino ignorare il formicolio che il morso di Prince gli provocava ad intermittenza sulla gola mentre scompariva a poco a poco, cancellato dal processo di guarigione accelerata tipico dei licantropi.
Stanotte.’
L’automobile si fermò di botto, sgommando ed inchiodando all’entrata di un giardino verdeggiante, decorato da imponenti siepi e posto a circondare con cura quasi maniacale un maestoso edificio dall’aria signorile. I fari anteriori incastonati nella lucida carrozzeria, rotondi e dorati, puntarono con urgenza le eleganti e squadrate finestre di casa Lockwood: le tendine di uno squisito color ametista erano tirate per intero e tutta la casa sembrava tranquilla ed addormentata. La struttura laterale della villa a due piani del Sindaco della città, quella che fungeva solitamente da garage per la Buick GS grigia del 1971 di famiglia, era spalancata e vuota; forse, con un po’ di fortuna, signori Lockwood erano usciti presto per partecipare ad una delle loro sontuose e doverose cerimonie burocratiche e non erano ancora rientrati. Magari avevano portato la figlia con loro, tenendola ben lontana dalle minacce Prince. Forse Mattie non era stata aggredita da nessuno. Tutto andava bene.
‘Per il momento.’
Con un sospiro liberatorio, Nick si lasciò cadere pesantemente sul sedile di pelle, ansimando quasi. Aveva il terrore di chiudere gli occhi, perciò si limitò a socchiuderli, sprofondando in una sorta di vigile torpore.
Era distrutto.
Le espressioni del volto di inquietante bellezza del figlio di Klaus gli scorrevano nella mente e sotto le palpebre, come un’allucinazione, come un incubo in agguato. I suoi zigomi fieri, come scolpiti nel marmo, quel modo speciale ed ammiccante di inarcare un sopracciglio in una smorfia perplessa… gli ricordavano la loro madre. Il suo volto aggraziato, il modo in cui lei era solita sorridere dopo averli beccati a combinare qualche pasticcio… l’immagine stessa di Hayley filtrava come un raggio di sole improvviso nella tenebra del suo annebbiamento.
E lo accecava.
Una volta, dopo una zuffa tra fratelli nata sulle rive del fiume, precisamente quando il piccolo Nick aveva visto per primo tra i ciottoli una conchiglia luccicante che era subito piaciuta anche a Prince, lei gli aveva medicato una sbucciatura sul ginocchio, carezzandogli la testa arruffata dalla lotta nella sabbia.
‘Dovreste imparare ad avere cura l’uno dell’altro, non a litigare per delle simili sciocchezze… lo so, Prince può sembrare un po’ brusco, a volte, ma tu puoi essere più forte di lui. Come? Perdonando i suoi difetti, cercando di andare oltre la sua facciata dispettosa. Sii superiore, tesoro. In fondo lo conosci… non fa mai troppo sul serio quando si atteggia a bullo con te.’ Nick, imbronciato, le aveva mostrato il braccio coperto di graffi reali ma lei aveva sorriso, continuando a disinfettarglieli amorevolmente. ‘Oh, anche lui ha un bell’occhio nero, se proprio vuoi saperlo, ma non è questo il punto. Ascolta… se tu fossi in pericolo, se ti sentissi solo e sperduto, a difenderti non verrebbe di certo nessuna conchiglia scintillante. Ma tuo fratello sì. Lui ci sarebbe per te.’
Il figlio di Elijah serrò il pugno destro sullo sterzo con forza, sentendosi annebbiare la vista. Non riusciva a pensarci. Perdono, comprensione, condivisione… era rimasto davvero qualcuno di quei valori famigliari in Prince, qualcosa di buono che lui non era stato capace di vedere a causa della nuova rivalità, della furia insopportabile covata nei suoi confronti?
‘No.’ si disse il giovane con durezza, angosciato, cercando di contrastare il vuoto che quel pensiero lancinante gli provocava dentro. ‘Non c’è più niente da trovare o da cercare, in lui. Nessuno al mondo con un briciolo di cuore minaccerebbe una persona gentile e generosa ed indifesa come…’
Le vaporose tende violacee del salotto dei Lockwood ebbero un fremito improvviso e Nick, da sotto le ciglia tremule, notò un’ombra minuscola proiettata sul tessuto ricamato. Una lucina era spuntata all’interno delle stanze. Lui si raddrizzò sul posto, ammutolito dall’ansia, poi, quando la spessa stoffa tornò al proprio posto, come se non fosse mai stata spostata, si accorse di aver tenuto i fari della Ferrari accesi per tutto il tempo, rendendo la propria presenza nel cortile davvero poco trascurabile. Maledicendosi per quella svista, deglutì un attimo prima di notare che l’uscio principale si stava schiudendo inesorabilmente. Qualcuno doveva essersi precipitato ad aprire subito dopo aver capito chi si aveva fatto irruzione oltre i cancelli.
Gli si scaldò qualcosa dentro.
- No, ma io dico… ti sei bevuto il cervello con una cannuccia messa al contrario?!- gli urlò Mattie a squarciagola, sbracciandosi nella sua direzione come se stesse cercando di farsi vedere da un areoplano nel bel mezzo di un atterraggio d’emergenza. Un immenso, dilagante sollievo si fece spazio nel petto gonfio di pena di Nick quando la vide agitata, raggiante e pazza, persino più del solito. Neppure un livido, per fortuna, neanche una traccia di terrore sul viso paffuto e ridente. Tra i due era lui ad aver bisogno di cure ma andava bene, benissimo così. Il mostro non l’aveva trovata. Lei era salva. Un’inaspettata serenità lo invase, come un calore sconosciuto, intenso e piacevole e gli venne da ridere, nonostante il dolore alle costole gli mozzasse il fiato. Lo schianto rovinoso contro il tronco del tiglio di casa Bennett doveva avergliene incrinate almeno un paio. Probabilmente era ancora una volta un miracolato dal gene sovrannaturale della risanazione rapida dei tessuti… forse era solo per quel motivo che non si era ancora messo a sputare sangue. Mattie sbuffò sonoramente.

Image and video hosting by TinyPic *

- Allora, Balto?! Vuoi restare ancora per parecchio tempo lì impalato, al freddo e al gelo, oppure vuoi… non saprei… provare a venire dentro?! Sbrigati, su, avanti… così magari mi spiegherai cosa accidenti ci fai qui fuori a quest’ora. A proposito… di preciso, cos’è che avete tu e tua zia contro le belle nottate di sonno senza interruzioni? Si dà il caso che la sorella bionda di Dracula non faccia altro che tormentarmi negli incubi… compare dal nulla e vuole costringermi ad indossare abiti da sera luccicanti per quel partecipare a quel suo ridicolo, stramaledetto, pulcioso Ball… aaaaaaahh io non ci posso nemmeno pensare! Dove sono i miei biscottini per lo spuntino di mezzanotte?!- Matt sparì nel regale salone d’ingresso, entusiasta e veloce come un razzo, aspettando che Nick scendesse semplicemente dall’auto e la raggiungesse in soggiorno con il suo solito passo fluido, sicuro di sé, sedendosi magari vicino al tavolo rotondo che già una volta era stato teatro dei loro esilaranti battibecchi.
Ma lui non venne.
Quando la testa fulva e scarmigliata della Lockwood spuntò oltre la soglia della cucina per dare una sbirciatina accigliata in salotto, nel silenzio e nella penombra, lui aveva mosso solo qualche passo stentato, rimanendo poi fermo sulla soglia di casa ed appoggiandosi pesantemente al muro.
Fu in quel momento che lei assunse un’espressione preoccupata, fissando con apprensione il ragazzo.
- Qualcosa non va?- farfugliò, mortificata, scattando precipitosamente in avanti per raggiungerlo. Le sue scarpe da tennis spaiate, indossate alla svelta al posto delle pantofole pelose, senza i calzini, affondarono in un grosso tappeto persiano fin quasi alla caviglia. - Perché sembri uscito dal set di un film horror?!- gli domandò, osservandolo con gli occhi enormi. Aveva appena notato le tracce di foglie umide tra i capelli castani e di solito impeccabili del suo amico, le macchie di sangue rappreso sul colletto della sua maglietta lacerata, le ginocchia e la sua faccia striate di fango appiccicoso, la sua aria stravolta…
Nick le sorrise debolmente, come per rassicurarla, ma Mattie inorridì:
- Oh no!- strillò, così forte da fargli ronzare le orecchie. Gli girava intorno come per ispezionarlo e scuoteva la testa, incredula, incapace di formulare una frase coerente. - Non ci posso credere… sei andato al Pensionato come mi avevi promesso, hai detto a Demi tutta la verità come mi avevi promesso e lei ti ha ridotto… così?!- emise un basso fischio di ammirazione. - Però, ci è andata giù pesante! Devi piacerle parecchio!- Nick si trattenne dal premersi una mano sul volto, in un gesto di disperazione, anche per evitare di insudiciarsi ancora, poi sospirò.
- Sto bene e no, non è andata come pensi…- mormorò, con tutta la calma suadente di cui era provvisto per sua natura. Lei non lo stava minimamente ascoltando, impegnata com’era nello scrutare le grosse lacerazioni che gli abiti zuppi del giovane mostravano, perciò Nick si schiarì la voce, riprovandoci: - Lascia che ti spieghi, io…-
- Nahhh, non dire una sola parola!!!!!!!- lo interruppe lei, tappandosi il naso con una smorfia e acchiappandolo per un braccio con decisione ma anche con una certa gentilezza. Forse aveva il terrore di sporcarsi di poltiglia ma, molto più probabilmente, aveva paura che fosse ferito. Nell’incertezza, lui si sentì comunque sollevato da tutta quella premura. - Per la coda a ciuffo di Jacob Black, puzzi… di cane bagnato! E’… bleah… è insopportabile! Sei caduto in un pantano oppure…? Dannazione, mia madre mi taglierebbe i viveri vita natural durante se sapesse che ti ho appena fatto mettere piede in casa così conciato ma io non glielo dirò e tu… beh, tu cammina!!- trascinandolo via senza accettare repliche, lo condusse per mano, zoppicante e logoro, attraverso un breve corridoio ricoperto da grossi quadri dalle cornici intarsiate e lo accompagnò in un bagno dallo stile sublime ed antico. Quando lei fece scattare un piccolo interruttore sulla parete laterale, Nick vide il proprio riflesso nel gigantesco specchio a forma di farfalla sul lavandino di marmo luccicante. Distolse ostentatamente lo sguardo, disgustato, ma quando cercò di localizzare Mattie alle proprie spalle, in cerca di consolazione, lei era scomparsa di nuovo.
- Permesso, prego!- bofonchiò la figlia di Caroline, emozionata, sorpassandolo con una pila di vestiti puliti, profumati e decisamente in precario equilibrio tra le sue mani. - Posso prestarti gli abiti di mio padre, se non è un problema per te… dovrebbero andarti un po’ larghi ma, hey, non è colpa mia se sei magro come un chiodo!- li appoggiò confusamente ai bordi perlacei di una vasca con i piedi a zampa di leone, poi aprì uno sportellino nella parete. - Qui ci sono il bagnoschiuma e lo shampoo… dei sali da bagno della collezione proveniente dall’Antico Egitto di mia madre (ha una fissa per i cosmetici, tanto per non farsi mancare nulla!)… usali pure, ne hai bisogno.- gli consegnò una spugna da bagno color zafferano come se fosse un documento fondamentale per una missione criminale, poi si voltò verso la porta, saltellando.
Invece di uscire, però, la biondina si arrampicò su una specie di sgabello vicino all’entrata e vi si sedette, osservando un Nick piuttosto perplesso. Colmo di gratitudine, mentre la tinozza si riempiva gradualmente di acqua bollente e profumata, lui aveva già cominciato a sfilarsi i brandelli della maglietta stracciata, sporca e malconcia che aveva addosso per posarli in un angolo, quando si bloccò, sorpreso. Cosa…?
- Racconta, compare!- gli ordinò Mattie curiosa, contando sovrappensiero le piastrelle rosa confetto sul muro adiacente e dondolando i piedi avanti e indietro, come una bimba sull’altalena. - Com’è che ti sei trasformato in Melma-Man?- lui la fissò sconcertato, tentando di non ridacchiare per quella battuta né di arrossire per la sua presenza lì, poi tossicchiò, inarcando un sopracciglio. Aveva intenzione di restare?
Interpretando male la sua faccia palesemente imbarazzata, Mattie si morse il labbro inferiore, corrucciata:
- Non dirmi che è stato per via di un tentativo fallito di provare un nuovo gel per capelli!-
- Emh, nana.- lui, nel pallone, finse di spolverarsi una spalla. - Non potremmo... riparlarne… dopo il bagno?- le chiese sibillino, sperando che cogliesse il problema. Insomma, non poteva fare la doccia davanti a lei… era un ragazzo. La Lockwood sembrava essersene dimenticata, concentrata nel desiderio di ascoltare il totale resoconto della sua serata o forse, chissà, non l’aveva mai notato davvero, prima di allora, quel piccolo particolare.
Ad ogni modo, Mattie spalancò gli occhi chiari ed incerti solo dopo qualche secondo di tombale silenzio.
- Eh?!- domandò, corrugando la fronte, senza capire. Il suo sguardo ocenanino e smarrito si posò casualmente sulla stoffa insozzata che Nick aveva tra le dita, poi passò in rassegna, con una rapida occhiata, le braccia compatte, esili ma toniche del ragazzo, i muscoli del suo petto, contratti nel gesto di levarsi la maglia, la sua pancia piatta. Qu-quello era un addominale? – Ah.- soffiò la ragazza, emettendo un buffo suono con il naso, a metà tra un colpo di tosse ed uno starnuto. In quel momento avrebbe voluto soltanto potersi fondere con le piastrelle di poco prima. Le sarebbe stato comunque impossibile, adesso, considerando il rossore cremisi che le stava infuocando le guance in quel preciso istante, ma... - OH! Certo! Sì! Capito!- gemette, schizzando giù dal mobiletto con un balzo memorabile, ad occhi serrati, urtando qua e là contro i prodotti di bellezza che erano ordinatamente disposti sulle mensole della toilette. Nick fu tentato dal chiudere a sua volta gli occhi per non vederla inciampare rovinosamente in una saponetta, ma lei riuscì a scansarla appena in tempo, con un colpo di fortuna. - Beh, tu hai tu-tutto quello che ti occorre…- balbettò, alla cieca, prima di dileguarsi. -… io… va-vado in camera mia… è la porta dorata in fondo a sinistra… ti aspetto di là, insomma… ecco… lontano da qui!-
Quando lei si fu chiusa la porta alle spalle con inaudita violenza, facendo rimbombare i propri passi frettolosi per tutto il pianterreno, lui rimase a fissare il legno lucido e rossastro, inebetito. ‘Non si smentisce mai.’ pensò, con un sorriso che sapeva di tenerezza e di ilarità stampato sulle labbra. Poi sospirò, sentendo il proprio corpo indolenzito ed ammaccato venire attirato dall’acqua calda e ricca di bollicine come da una calamita irresistibile.
 
Mattie, dopo averli presi a pugni per sprimacciarli a dovere oltre che per sfogarsi un po’, ammassò due panciuti cuscini sotto la propria testa arruffata e rimase a fissare l’ampio soffitto a stella della propria camera da letto, in silenzio. Supina sul materasso ed assorta, immersa quasi completamente in quella piacevole morbidezza fatta di piume e liscia federa, sentiva il proprio respiro vibrarle nello sterno in modo irregolare, nervoso. Decidendo di ignorare quella stramba sensazione di agitazione ed emettendo una specie di sbuffo esasperato tra i denti, si rigirò pigramente, mettendosi prona e spingendo giù dalla branda, con un calcio poco misericordioso, un’arcigna bambola fucsia (di quelle particolarmente ridicole che Caroline si era ostinata a ripescare dal cestino dell’immondizia quando lei ce le aveva fatte scivolare dentro di nascosto). La guardò schiantarsi al suolo con la faccetta illuminata dalla soddisfazione, poi si sistemò su un fianco per incrociare gli occhi ambrati, fissi e vispi di Platone, il suo amato pesciolino rosso, che nuotava con il solito ritmo guizzante nella boccia rotonda posata sul comodino. Osservandolo spostare gioiosamente una grande quantità d’acqua con la minuscola pinna caudale di una bella sfumatura color aragosta, la biondina lo invidiò profondamente, picchiettando piano con le dita sul vetro trasparente della sfera come in una carezza.
Il suo cuore perse clamorosamente un battito quando udì qualcuno che tamburellava allo stesso modo alle sue spalle, bussando prima di comparire sulla soglia della camera.
- Posso?- chiese Nick, titubante ad entrare. Aveva tra le mani un asciugamano soffice con il quale si stava frizionando i capelli ancora umidi ed indossava un felpa sbiadita con la zip che il signor Tyler Lockwood usava quando non era costretto, per austeri motivi d’immagine, a conciarsi come un pinguino, con smoking e tutto il resto. Il morso sul suo collo sembrava essersi rimarginato del tutto e lui, rinvigorito dal bagno e finalmente libero dallo strato di sporcizia sul viso regale, sembrava di nuovo se stesso. Inconsapevolmente bello, come sempre.
- Solo se smetti di chiederlo.- ghignò lei con naturalezza, facendogli cenno con il capo di entrare e mettendosi seduta con le ginocchia contro il petto per fargli posto sul materasso, proprio di fronte a sé. Lui si mise le mani in tasca ed avanzò, osservando l’arredamento bizzarro di quella camera con la bocca socchiusa dallo stupore. Le coperte sul lettone matrimoniale di Mattie, bianche e decorate con un leggero motivo rampicante ed argentato, sembravano essere fatte di neve o di spuma marina; c’erano un grosso armadio disordinato che occupava più della metà della parete laterale, affiancato da poster cinematografici con su impresso il volto di Heath Ledger. C’erano anche dei ritagli di riviste che formavano un buffo collage di foto promozionali della band ‘MUSE’, una collezione di francobolli di rara bellezza che penzolava sopra la testiera del letto ed un numero sconfinato di volumi di saghe Fantasy, raggruppati scrupolosamente su un paio di mensole di legno curvate appena sotto il loro peso. Accanto a sé, Mattie aveva una scatola di biscotti alla crema ricoperti di noccioline, una tazza vuota di quella che sembrava essere stata, in tempi migliori, piena di cioccolata calda con panna e persino una buccia di banana. Una gigantografia nell’angolo ritraeva il trio di migliori amiche in una posa che doveva essere stata immortalata parecchi anni prima: Demi aveva i capelli neri più corti, le orecchie leggermente a sventola tra le ciocche ed uno sguardo, se possibile, ancora più vispo del solito; Mattie indossava orgogliosamente la divisa della squadra di football femminile della scuola ed un apparecchio per i denti che, però, non le impediva di sorridere come se non ci fosse un domani; ed infine Sheila, tra le due, con la frangetta ed una borsa colma di libri stretta al petto, aveva un paio di baffetti alla Hitler disegnati successivamente sulla carta da un abile pennarello indelebile nero.
Nick ridacchiò sommessamente a quella vista, facendo mentalmente un applauso all’artista ignoto che li aveva aggiunti con una simile maestria.
- Oh, sembri così sorpreso…- sussurrò Matt, trattenendo a stento un sorriso canzonatore. -… in fondo è una comunissima stanza con un letto ed un paio di banali effetti personali sparsi qua e là!- con la gola secca, Nick ebbe un flash improvviso quanto deprimente della propria camera a casa di Rebekah.
Era situata in cima ad una solitaria rampa di scale dal corrimano dorato, ed era vuota, gigantesca ed anonima, come se non fosse mai stata vissuta. Il suo arredamento povero e spersonalizzato consisteva unicamente in una nuda scrivania, in degli scatoloni mai disfatti, in un orologio a cucù fermo da anni ed in un letto spigoloso che custodiva, sotto il materasso, la preziosa foto stropicciata che lui, ogni notte prima di andare a dormire, si ostinava a fissare fino a farsi bruciare gli occhi.
In quello scatto Elijah teneva un figlio raggiante sospeso sulle spalle mentre Prince era accoccolato contro il ventre di Hayley, con il viso semiaffondato nella stoffa rossa del vestito che lei indossava, come se stesse cercando di fondersi con lei per nascondersi all’obbiettivo della fotocamera, rimanendo comunque a fissarlo con un occhio smeraldino socchiuso, malandrino.
Il più giovane dei Mikaelson si accorse di stare tremando incontrollabilmente.
- Nick… stai bene?- in quel luogo ovattato, sereno ed insolitamente sicuro, ogni ricordo gli stava tornando alla mente: lo strazio, lo sconforto, l’affanno, la sconfitta. Le verità che aveva rivelato a Demi. Il tocco dolcissimo della sua bocca e il fremito sulla sua pelle bianca sotto le dita. Quell’attimo di pace prima del precipizio. I piani di Prince, la sua forza sovrumana, esibizionista, inclemente. Quel suo sguardo diabolico ed implacabile. La sua trappola. - Tu dimmi solo chi ti ha ridotto in quello stato… ci penserò io a fargli il sedere a strisce!- sussurrò Mattie convinta, sfiorandogli una spalla con la mano in un gesto di conforto.
Lui percepì un tuffo allo stomaco ma si sforzò di sorriderle.
Avrebbe voluto tenerla all’oscuro di tutto, per il momento, per evitare che ciò che lo tormentava come una spina nel fianco facesse del male anche alla sua migliore amica, ma non poteva. Qualcosa nelle sue iridi accese gli diede la forza di reagire. In fondo era come se lei sapesse già tutto, come se loro due avessero avuto da sempre una sorta di connessione alla quale non potevano in alcun modo sottrarsi.
Erano come le foglie e le radici di uno stesso albero, come l’acqua di un fiume impetuoso che, per forza di cose, si getta nel mare per trovare il suo posto nel mondo. Affini, così tanto da non potersi mai nascondere nulla. Dopo una breve esitazione, Nick si decise a parlare e le raccontò tutto, lasciando che la Lockwood lo ascoltasse con le braccia incrociate sul petto, con le gote del solito rosa pallido naturale che diventavano via via paonazze dallo sdegno.
- Che razza di pallone gonfiato, questo Prince.- riuscì a sbottare alla fine della narrazione, roteando gli occhioni mentre Platone boccheggiava con furia nella boccia, altrettanto indispettito. - Chi si crede di essere? Tu non puoi permettergli di entrare nella tua esistenza così, di fare piazza pulita, di trattarti come una marionetta qualunque… ok? Abbiamo bisogno di un piano… subito! Hai detto che non vuole prendersela con Demi, giusto? Questo ci dà un discreto vantaggio, perciò potremmo… mmmh…- inanellandosi tra le dita la chioma ondulata che le ricadeva sulla schiena come un ammasso soffice color paglia, Mattie si illuminò. -… ecco, trovato! Che ne diresti di attirarlo con una bistecca molto al sangue in un angolo buio per poi… attaccare?- mimò con goffa eloquenza il gesto di spiaccicare qualcosa ma Nick scosse energicamente la testa, deciso.
- Non c’è nessun noi in questa storia, ok?- le fece presente, con un tono serio che non ammetteva repliche. - E’ troppo pericoloso e…- la bionda sbadigliò, sorbendosi con aria rassegnata la classica serie di noiosissime raccomandazioni da parte sua, poi, mentre lui parlava a raffica, afferrò il proprio cellulare. Quello si era messo a vibrare rabbiosamente tra le coltri, segnalandole l’arrivo di un sms. Con la coda dell’occhio, ne lesse il breve contenuto, inarcando un sopracciglio e sintonizzandosi a fatica, nuovamente, sul canale intitolato ‘eroe-solitario-va-incontro-alla-paranioia’, diretto in esclusiva da Nick Mikaelson II. -… se lui ha intenzione di prendersela con te solo per ferirmi, non ho intenzione di correre questo rischio. Punto!- Matilde gonfiò le guance a palloncino, come chi si riempie i polmoni d’aria dopo una lunga apnea, rifiutandosi di cedere.
- Virgola!- replicò, ostinata, rigirandosi il telefonino in grembo e lanciandogli un’occhiataccia. - Andiamo, sul serio vuole spaventarti dicendo di voler fare del male a me?! Tzè! L’avete capito oppure no, voi due idioti, che cos’ha organizzato la vostra zietta per la fine di questo mese? Un BALLO STUDENTESCO… durante il quale io dovrò indossare degli abiti vaporosi ricamati con tulle e strass. Magari persino un paio scarpette sbrilluccicose. Con i tacchi. Alti. Vertiginosi! Brrr! Se sono sopravvissuta all’annuncio di questa tragedia, posso definirmi immortale!- il volto di Nick simase duro e non tradì la minima emozione.
Mattie notò l’ombra dello stesso sguardo intenso che lui le aveva rivolto quel giorno al Grill, quando l’aveva chiamata per nome per la prima volta, supplicandola in ginocchio di credergli, abbattersi nelle sue iridi come un’onda divoratrice sulla spiaggia.
- Non è un gioco.- le disse, inquieto, per metterla in guardia. - Se lui vuole qualcosa non c’è nulla che possiamo fare per impedirgli di averla.-
- Magnifico. Secondo te, lo vuole un bel cazzotto sul suo principesco nasino?!- domandò lei, agitando per aria il pugno chiuso. Lui, schivandolo appena in tempo, lo afferrò tra le sue mani e costrinse Mattie a guardarlo in faccia, esercitando una piccola pressione con i polpastrelli sul suo polso sottile. La luce della fioca lampadina vicino all’ampolla del pesciolino rosso gli rendeva il volto visibile solo per metà ma la sua angoscia si sarebbe potuta avvertire anche a venti chilometri di distanza. Sbuffando, senza però allontanarsi dalla sua presa, Mattie sembrò sul punto di arrendersi: - Ma che cosa vuole da te, si può sapere? Cosa si aspetta che tu possa fare per lui?- gli chiese lamentosa, con il cuore che le martellava nel petto per qualche sconosciuta ragione.
- Vuole che io gli consegni ciò che aveva già programmato di avere tra le grinfie molto tempo fa, quando ha fatto in modo che entrassi nella Biblioteca per i suoi interessi.- replicò Nick, sospirando con una smorfia di puro pentimento stampata sul volto. - Vuole conoscere il contenuto completo di una certa Profezia e, per farlo, crede di aver bisogno di un pezzo di pergamena che io stesso ho tirato fuori dal Reparto Proibito in cui, anni prima, Rebekah l’aveva nascosto. Ma io non ce l’ho più.- la sua voce sembrò riecheggiare attorno a loro, amplificando il silenzio sordo che li circondava, dolorosamente simile a quella stridula e spezzata con cui Elijah, la notte in cui era stato ucciso, aveva cercato di persuadere i propri assassini senza scrupoli a risparmiare la sua famiglia. ‘Non ce l’abbiamo, vi scongiuro, no…’ - L’ho dato a Demi qualche settimana fa, nella speranza che lei e Sheila riuscissero a tradurre le rune incise sulla sua superficie. Se le chiedessi di restituirmelo adesso, lei si insospettirebbe e finirebbe per cacciarsi nei guai. Prince non aspetta altro… potrebbe essere questa la sua vera trappola, il suo obbiettivo finale. Vuole arrivare a lei attraverso la Profezia, Mattie, so che è così.- quelle parole veementi colpirono la Lockwood come una vampata di calore, poi lei sentì il sangue defluire di colpo dal suo viso. La sua espressione improvvisamente scioccata fece sgranare gli occhi a Nick.
- Che succede, adesso?- soffiò allarmato, cercando di scuoterla.
- Emh.- esordì lei atona, arretrando leggermente sul posto. Frugando tra le coperte, acchiappò il cellulare che fino a poco prima aveva continuato a vibrare, inascoltato. Cercò l’sms che aveva ricevuto qualche minuto prima e lo rilesse, agghiacciata. Il nipote della professoressa Mikaelson tossì per attirare la sua attenzione e lei sobbalzò, ancora sovrappensiero. - Mi sa che abbiamo un bel problema, compare. Oh, un grosso, immenso, gigantesco problema.- lui rimase interdetto, sentendosi mancare, poi fece per chiederle spiegazioni.
Lei, ignorandolo, indicò lo schermo del suo cellulare con foga, quasi premendoselo sul naso.
 - Allora, vuoi la buona o la cattiva notizia?- lo incalzò d’un tratto, con urgenza. Nick impallidì, con un nodo in gola. Non riusciva ad aprire bocca. - Beeene, ci penserò io… la buona notizia è che non dovrai chiedere a Demi un bel niente, per il momento, evitando così di destare i suoi presentimenti…- lo anticipò Mattie, dondolandosi appena ed imprecando nel capire che non c’era niente da fare: il messaggio ricevuto poco fa non poteva in alcun modo essere frainteso. -… la brutta, orribile, penosa notizia è che, tecnicamente, non puoi farlo perché lei non potrebbe accontentarti, restituendoti il tuo prezioso documento mistico, neppure se lo volesse.- Nick la fissò, vitreo e incredulo. - Pare che qualcuno abbia frugato nel suo diario a casa Bennett mentre era al Pensionato. La pergamena è… nonsocomedirtelosenzafartiperderelestaffe ma… ‘puf’. E’ sparita.-
 
***   
 
- Non credi che la piccola se la prenderà parecchio quando scoprirà che qualcuno è andato a ficcanasare nel suo diario segretissimo?- domandò Damon dal nulla, ammiccando e percorrendo in lungo e in largo, con passo vellutato, un’asse di legno rosicchiato sul pavimento. Bonnie gli rivolse un’occhiataccia seccata e lui alzò le mani per schernirsi, con un sorrisino innocente stampato sulla faccia. - Non ti sto giudicando, streghetta... stavo solo dicendo che, fossi in te, mi aspetterei come minimo di trovare la casa ribaltata o demolita, al mio ritorno. Magari mi sbaglio ma non mi sembra che Demi fosse in vena di adottare un cucciolo, l’ultima volta che qualcosa l’ha fatta arrabbiare. E’ fatta così.- l’innegabile orgoglio con cui il vampiro pronunciò quelle frasi ironiche costrinse Elena a voltarsi nella sua direzione, per studiare la sua espressione intensa. Gli occhi straordinariamente azzurri di lui attirarono i suoi nel solito vortice infinito ed irresistibile. Sentendosi risucchiare dall’oscurità ipnotica di quell’oceano tumultuoso, la Gilbert riuscì a comprendere subito la natura intima del solitario bagliore lunare che vibrava candidamente tra le onde, limpide e familiari, di quelle iridi: l’inconsapevolezza.  
- Puoi tradurre il contenuto di quella Profezia per noi?- chiese d’un tratto Stefan ad Elijah, in tono solenne, stringendo appena il braccio della propria moglie. Sobbalzando al minimo tocco, Elena abbandonò lo sguardo magnetico di Damon, sentendo un nodo doloroso stringerle la gola. Le pareva di essersi allontanata appena in tempo dal bordo di un burrone, giusto un attimo prima di precipitare giù, urlando.
Le pupille dilatate dell’Originale dardeggiarono in quelle speranzose di Stefan, con evidente fare inquisitorio, poi scrutarono il viso ansioso della Petrova al suo fianco, soffermandosi in modo particolare sulle labbra della doppelganger. Queste ultime, ora, contratte nella stessa espressione supplichevole che, tanti anni prima, aveva mosso a compassione un apparentemente irremovibile Elijah, firmando inconsapevolmente la sua successiva quanto tragica condanna a morte, tremavano appena.
Con una lentezza estenuante, il fantasma annuì.
- Sì… farò del mio meglio prima che il collegamento con l’Altro Lato venga interrotto.- assicurò, spostandosi risolutamente al centro del cerchio di candele luccicanti ed osservando con attenzione la superficie ruvida della pergamena misteriosa appena giunta in suo possesso. Con il volto impassibile, quasi scolpito nel marmo, Elijah cercò il sostegno della Bennett. - Avrò bisogno di tutto il tuo aiuto…- le comunicò gentilmente, indicando il Grimorio che lei si stringeva gelosamente al petto, neanche fosse uno scudo protettivo. -… tra quelle vecchie pagine potrebbero trovarsi alcuni dei simboli proibiti presenti anche nel testo di questo vaticinio… un consulto adeguato potrebbe farci guadagnare del tempo prezioso, perciò… permetti?- allungando le dita affusolate rese ormai fredde ed insensibili dalla morte, il fratello di Klaus sfiorò timidamente e con rispetto la spessa copertina del librone magico tra le braccia della discendente di Qetsyiah, senza sbilanciarsi troppo, in un gesto di educata attesa. Un’occhiata incoraggiante di Jeremy convinse una riluttante Bonnie a lasciarlo fare. Con un cenno di muto ringraziamento ad entrambi, l’ex vampiro si mise immediatamente a sfogliare quel volume antichissimo, alla ricerca di indizi utili.
- Non ci resta che sperare di avere presto una risposta.- sussurrò Stefan, parlando agli altri come a se stesso e passandosi una mano stanca sul volto reso rigido dalla tensione. Elena colse un suo fremito incontrollato e percepì un senso di disperata rassegnazione attraversarle il corpo come una lama appuntita. Suo marito stava cedendo al terrore dell’ignoto... persino la sua calma inesauribile e sempre confortante sembrava essere giunta al capolinea… ciò significava solo che si stavano avvicinando, inesorabilmente, alla stessa linea invisibile che, per anni, avevano cercato di evitare. Erano vicini al salto nel vuoto, alla totale perdizione, all’imminente e temuta demarcazione tra verità e menzogna che, una volta varcata, non avrebbe mai consentito loro un ritorno.
La Profezia parla di una Chiave capace di controllare il Potere indescrivibile sprigionato da un oggetto portentoso la cui leggenda ha ossessionato l’umanità per interi millenni. In modo più specifico, parla di un Prescelto.’
L’atroce prospettiva che Demi potesse essere invischiata in simili dispute sovrannaturali, così irrimediabilmente esposta al pericolo a causa di un destino avverso, impediva alla Gilbert di ragionare con un briciolo di lucidità.
Il bisogno viscerale di abbracciare Stefan, di nascondersi contro il suo petto per sentirsi vigliacca, sperduta ma di nuovo al sicuro davanti all’imprevedibilità del futuro, diventò di colpo una necessità urgente, improrogabile. Guardandola, lui non finse di non averlo capito e la accolse in una stretta tenera, consapevole, appoggiando il mento sulla sua testa profumata e restando immobile sul posto, in silenzio, a condividere tutte le sue paure.
Da sopra il capo di lei, i suoi occhi verdi e tormentati cercarono quelli glaciali di Damon.
Al maggiore dei due Salvatore parve di aver colto un’inedita sfumatura implorante brillare nel cupo sguardo di suo fratello ma, senza comprenderne le ragioni, impegnato com’era nello sforzo di deglutire a fatica, Damon si limitò ad indossare in tutta fretta la propria maschera impenetrabile più convincente e ad ignorare le effusioni in atto tra i due sposi. Fingendo di lisciare la stoffa del proprio giubbotto di pelle con noncuranza, continuò a camminare avanti e indietro nella polvere, sempre più velocemente, mostrandosi quantomai rilassato. In realtà era davvero difficile non percepire le valanghe di gelosia ed ostilità che, partendo direttamente dal suo petto, sembravano pronte a travolgere e ad inghiottire l’intera stanza affollata e piena di cianfrusaglie.
- Forse dovrei avvisare Caroline e Tyler riguardo a ciò che sta accadendo. E’ giusto che anche loro sappiano.- mormorò Stefan roco, inclinando il viso per riuscire a parlare ad Elena. Con un cenno quasi impercettibile, lei approvò quell’idea e, dopo un istante d’esitazione, sciolse il loro caldo abbraccio. Fissò suo marito allontanarsi, sentendosi vacillare dentro mentre la sua figura slanciata superava la soglia della Casa, poi rimase a guardare la fiamma debole e argentea di una candela traslucida, stordita. A quel punto avrebbe solo voluto poter premere le proprie guance pulsanti contro qualcosa di molto freddo e concentrarsi su una qualsiasi possibile via di fuga da se stessa, dal proprio urticante senso di colpa. Rimase intontita e malferma fino a quando un debole fruscìo accanto a sé non la fece trasalire, accompagnato dalla lieve consistenza di dita delicate, simili ad un battito d’ali, posatesi con una certa determinazione sulle sue spalle, come per sorreggerla.
- Non devi reprimere così la tua preoccupazione, Elena, dovresti lasciala sfogare!- sorrise Damon alle sue spalle, sfiorandole l’orecchio con il proprio respiro ed accennando al colorito cereo della Gilbert nonché al tremito inconsulto delle sue membra. Lei si girò impercettibilmente, battendo le palpebre e fissandolo incredula, come se gli stesse guardando attraverso. Come faceva ad essere così tranquillo, scherzoso e quasi sfrontato in una situazione del genere?! -… siediti qui o ti schianterai al suolo tra tre… due… uno…- lasciandosi guidare da una spintarella, Elena mosse qualche passo incerto verso la base squadrata di un pilastro grigio rudemente incassato nel pavimento e vi si appoggiò mollemente, percependo subito un leggero sollievo scorrerle sotto la pelle. Il vampiro si inginocchiò per raggiungere l’altezza del suo volto e i suoi occhi frugarono ancora in quelli di lei, piuttosto ansiosi. - Andrà tutto bene…- le mormorò, senza abbandonarli neppure per un momento. - Non è la prima volta che ci troviamo in mezzo a questi casini… un tempo eri proprio tu ad essere nei guai per via della ‘Maledizione del Sole e della Luna’ ma siamo riusciti a scamparla lo stesso. Contro Klaus. Insieme. Siamo già sopravvissuti al peggio... in qualche modo ci riusciamo sempre.- un brivido le si insinuò tra le ossa quando udì uscire dalle sue labbra le stesse parole che lei, in passato, aveva utilizzato per rassicurarlo dopo l’uccisione di Mikael da parte dell’ibrido. Elena le aveva pronunciate proprio davanti al camino di Casa Salvatore, là dove i loro più cari e proibiti ricordi sarebbero sempre rimasti sepolti tra scintille, Bourbon e tanto, tantissimo calore. Gli aveva persino preso il viso contorto dalla furia e dalla delusione tra le mani, quella sera, tenendolo sospeso, così, a pochissima distanza dal proprio. ‘We’ll survive this.’ gli aveva sussurrato, rincuorante. ‘We always survive.’
- Ho paura di quello che potrebbe venire fuori dalla predizione.- si lasciò sfuggire, sentendosi svuotata mentre le lacrime d’amarezza le premevano tra le ciglia e restavano impigliate e sospese tra di esse, senza il coraggio di rotolare giù, rendendo tutto così reale. - Demi… lei è solo una ragazzina indifesa e senza colpa. Non voglio che le accada nulla, io non…- la voce le si spezzò in gola con fragore, costringendola a tacere.
Damon sospirò.
- Non posso… non possiamo proteggerla se prima non sappiamo cosa vogliono da lei.- obbiettò, ragionevole, spostandole una ciocca color cioccolata dalla tempia, per provare a calmarla. Le toccò dolcemente la fronte corrugata con i polpastrelli, tentando di appianare le piccole rughe di inquietudine che erano appena comparse su di essa e lei chiuse gli occhi, sorridendo. Ma certo. Quella carezza l’aveva imparata da lui. Quando Demi era stata una bambina non aveva fatto che ripeterla sul suo viso paffuto e candido, in quello stesso modo adorante e nostalgico, fino a farla addormentare placidamente nella culla. Era il loro segreto. Un altro segreto.
- La verità potrebbe cambiare troppe cose.- soffiò Elena enigmatica, quasi inudibile. Damon annuì.
- Proprio per questo è un bene che questa Profezia sia saltata fuori, credimi… potrebbe consentirci di smetterla di brancolare nel buio e > perché no? < darci qualche dritta per risolvere i nostri dubbi. Ad ogni modo…- il suo tono roco si abbassò ancora, diventando dolce. -… nessuno si avvicinerà a lei. Mi hai sentito? Nessuno toccherà quella bambina, dovessi prendere a calci nel sedere Rebekah, il professore Pazzo e il resto della loro patetica combriccola fino ai confini del pianeta. Io non lo permetterò.- davanti al suo genuino entusiasmo, Elena si ritrasse appena, riemergendo come da un sogno fosco e tormentato. Rimase in silenzio a lungo, guardando ostinatamente altrove, poi la sua precaria serenità scomparve, trasformandosi in una smorfia di malinconia striata di tenerezza. Sembrava devastata, commossa.
- E’ incredibile come tu ti sia affezionato a lei… e lei a te.- questa riflessione spezzata, sussurrata a mezza voce, le fece sgranare subito gli occhi castani e la vampira si morse le labbra, come se si fosse fatta scappare una parola di troppo, pentendosene un istante più tardi. Quell’atteggiamento indusse Damon a scrutarla con un’occhiata insolitamente penetrante, trafiggendole l’anima. Si sforzava di nascondere la propria perplessità ma lei riusciva ad immaginare con precisione cosa stesse accadendo nella sua mente.
- Che cosa c’è che non va in questo?- le chiese lui, incalzante, irrequieto. - Che cos’è che ti terrorizza così tanto?-
Elena, che sembrava di nuovo sul punto di mettersi a piangere, trovò chissà come la forza di scrollare le spalle.
- Niente, sul serio.- mentì rapidamente in risposta, appoggiando la testa al muro che si trovava alle sue spalle ed inumidendosi le labbra secche e screpolate. Lo sguardo vigile di lui si assottigliò ulteriormente davanti a quelle dichiarazioni tanto evasive e le sue iridi sfavillarono nella tremula penombra, simili a cristallo purissimo. - Non capisco di cosa parli.-
- Del fatto che sei appena diventata una specie di ‘gattino fifone’, per esempio?- la provocò lui, rapido, pungente. - O magari di quello che ti sforzi così tanto di fingere che non ci sia qualcosa che ti fa a pezzi dall’interno, qualcosa che riguarda Demi e che non vuoi evidentemente rivelare ad anima viva, nonostante tu sia palesemente nel bel mezzo della spirale della vergogna?- aggiunse, osservandola e continuando con la sua analisi accurata, destabilizzante. Pareva incuriosito eppure, allo stesso tempo, turbato. Era come quando, solo qualche ora prima, abbracciando Demetra, la Gilbert si era lasciata annegare nei ricordi indelebili ed intensi che l’odore delizioso di pioggia tra i capelli corvini della figlia le aveva scatenato nel cuore, nella coscienza: neanche allora Damon era riuscito ad interpretare quella reazione spropositata… aveva soltanto notato che sia lei che Stefan avevano evitato il contatto con i suoi occhi o con quelli della sedicenne Salvatore, dopo quell’inspiegabile delirio.
Solo questo.
- Perché?-
Lei non emise un fiato ma, d’istinto, si strinse forte nelle spalle, come per evitare di sbriciolarsi in un universo di fragilità. Sembrava una magnifica statua di neve, ghiaccio e sofferenza. Lui non riusciva a capire. Ci voleva così tanto a rispondere? Che cosa le prendeva? Pronto?!
Rimase interdetto a fissarla sprofondare, poi aggrottò le sopracciglia scure, gettando un’ombra sul proprio viso.
- Damon, per favore…- esalò infine Elena, con i tratti pallidi increspati da un’espressione disorientata, logorata.
- Perché?- ripetè lui, brusco, avvicinandosi per impedirle di sfuggire al suo sguardo serio, incalzante. Quel tono urgente la bloccò, strappandole via le ultime tracce d’ossigeno dai polmoni. Era impossibile sfuggirgli, oramai. Non avrebbe saputo deviare tutte le domande sepolte nelle fette circolari di cielo estivo che erano i suoi occhi, né sarebbe mai riuscita a trovare un alibi che fosse anche solo lontanamente credibile… era in trappola, in balìa del presente. Del passato. - Elena… dimmelo.- disperata, lei fece la sola cosa che avrebbe potuto mettere a tacere il vampiro: gli sfiorò le labbra rosee con le dita, un po’ per zittirlo, un po’ perché non riusciva ad impedirselo, e gli lanciò un’occhiata da dietro le lunghe ciglia ricurve, supplicandolo. Parlandogli. Un’innegabile vibrazione sconvolse il petto di Damon e lui tremò, abbassando lo sguardo sbigottito fino a raggiungere l’indice freddo di Elena fermo sulla sua bocca. Trattenendo il fiato, lui riconobbe quel gesto. Quando tornò a fissarla in faccia, quasi senza vederla, le sue pupille erano così dilatate che era quasi impossibile scorgere le iridi cerulee.
_______________________________________________________________________________________
 
Flashback - 16 anni prima
Villa Mikaelson
 
Era buio ed umido, lì dentro, ed un odore di sangue, polvere e morte aleggiava nelle vicinanze, tetro e malsano. Qualcosa decisamente non andava ma ormai Damon credeva di averci fatto l’abitudine. Uno strato di torpore gli premeva sul petto, perforandogli la pelle intorpidita, e gli scorreva piano fin nelle ossa, facendolo irriggidire sempre di più e guidandolo subdolamente verso la totale ed imminente perdita dei sensi. Per non cedere alla tentazione di abbandonarvisi alla ricerca di un illusorio sollievo, il vampiro si stava agitando come una creatura in gabbia, incurante del dolore, scosso da spasmi muscolari. Gli faceva male dappertutto. Stava dormendo, ora… o qualcosa del genere... forse era solo uno stupido sogno, quello, ma era sul serio immobilizzato ed incapace di liberarsi… qualcosa gli premeva davvero sulla gola mentre i suoi occhi pesti smaniavano per riaprirsi e rivedere la luce…
- Maledizione.- gemette rivolto al nulla di fronte a sè, con una voce rauca che non sembrava neanche la sua. Il silenzio assoluto ed inquietante che seguì quell’imprecazione stentata fu ancora più insopportabile: riusciva solo a percepire il suono irregolare del proprio respiro e le fitte di sofferenza che, più acute che mai, gli si stavano insinuando giù per la schiena, fino alle costole. Cercando di restare lucido e riprendendo fiato con un rantolo, tentò di ricostruire quanto era accaduto nelle ultime ore: i suoi ricordi erano lontani e confusi ma Damon era certo di aver usato le proprie gambe per camminare, appena poco tempo prima. Aveva lasciato che Elena, con quel suo viso meraviglioso, gonfio e smunto, come quello di chi ha pianto tanto, entrasse nella sua stanza di casa Gilbert per prepararsi al funerale di Matt Donovan, poi era andato via, dandole appuntamento al cimitero per la cerimonia d’addio del suo migliore amico. Mentre attraversava il parcheggio, aveva sentito uno strano profumo tra i cespugli accanto alla Camaro blu, un’essenza di muschio, di champagne e di latte in polvere. Si era messo in guardia: somigliava all’odore di una certa bisbetica bionda di sua conoscenza. Rebekah, però, era sbucata fuori all’improvviso, furente ed armata, e gli aveva conficcato un grosso paletto di legno nello stomaco, facendolo accasciare al suolo in preda al dolore… Damon sorrise stancamente nell’oscurità completa, soddisfatto di se stesso. Era un inizio. Erano stati in viaggio per qualche minuto… lei lo avevano caricato su un’auto, forse... lui non ricordava nulla di preciso, solo vaghi rumori, degli squarci di voci ed un’espressione compiaciuta sul volto furente della Mikaelson... doveva essere svenuto, perciò non era stato cosciente durante la traversata di quel dannato ponte... il Wickery Bridge? Sì… sentiva ancora lo scorrere del fiume sottostante nelle orecchie… si erano fermati davanti ad una casa dall’aspetto inquietante e principesco, uno sportello si era spalancato, e poi… Damon strinse forte i denti, ma non per il dolore, stavolta. Il volto trionfante di Rebekah lo tormentava quasi quanto il terrore di addormentarsi, perdendo così ogni lucidità. La sorella Originale lo aveva portato a villa Mikaelson e tutto quel casino gli sembrava un deprimente déjà vu…
- Comodo, signor Salvatore?- chiese una voce zuccherosa e crudele dall’accento straniero, vibrando nell’ombra come una spada di Damocle sospesa sulla testa del vampiro. Il bagliore di un ghigno malevolo gli consentì di visualizzare una figura non molto lontana che si stava progressivamente avvicinando a lui, con un ticchettìo assordante di tacchi a spillo. Damon battè le ciglia, cercando di mettere a fuoco la figura ondeggiante e fiera di Rebekah. Capì ben presto che non c’era mai stata nessuna carenza di luminosità in quella stanza: il lampadario lussuoso che pendeva dall’alto era sempre stato acceso, era stata la sua immensa debolezza fisica a fargli credere il contrario, ingannando tutti i suoi sensi…
- Come l’ultima volta, più o meno.- annaspò lui, ironico, alzando a fatica il volto per osservare le catene che gli tenevano bloccate le mani: delle tenaglie insanguinate gli laceravano la carne dei polsi in profondità, tenendolo inchiodato al soffitto, facendogli sfiorare appena il pavimento splendente di cera con la suola delle scarpe.

Image and video hosting by TinyPic *

Il sorriso sinistro della bionda si allargò, senza però raggiungere i suoi occhi. Quelli rimasero gelidi come una notte d’inverno, vuoti e vertiginosi come dei tunnel senza via d’uscita, vitrei, come i bulbi oculari di chi è già morto dentro.
- Oh, questo mi rincresce.- ringhiò, tirando verso di sé una delle catene collegate alle tagliole che laceravano la pelle di lui. Damon, investito dal dolore, si morse la lingua per non urlare e il sangue gli riempì la bocca. Per evitare di soffocare, lui tossì, cercando di proteggersi la gola, ma con scarso successo. Il volto della sorellina di Klaus sbiadì davanti alla sua vista annebbiata, provocandogli un conato. Il prigioniero avrebbe voluto sputarle addosso quel risentimento, insultarla fino a quando la voce non gliel’avesse permesso, strappare brutalmente le braccia da quegli aggeggi di ferro a costo di farsi amputare entrambe le mani e aggredirla… ma non lo fece. Era diverso dall’ultima occasione in cui aveva assaggiato le torture di Rebekah. Se in quel caso lei l’aveva seviziato solo perché l’aveva abbandonata dopo aver spudoratamente finto di provare dei sentimenti per lei, nella vana speranza che si decidesse a svelargli alcuni dettagli sulla modalità di uccisione di un Originale, adesso lo odiava per qualcosa di molto più grave. La sua ostinazione nel non voler prendere la Cura aveva regalato a Matt l’occasione di sacrificarsi. Era morto a causa sua, bevendo dalla sua boccetta e scegliendo di spegnersi per salvare i propri amici in pericolo. Nella prima situazione, lei aveva agito con un cuore infranto e deluso. Adesso quello stesso muscolo involontario e volubile nella sua gabbia toracica sembrava essere scomparso, lasciandole dentro un vuoto incolmabile.
- Che cosa vuoi fare, Bex?- gracchiò Damon, ostentando indifferenza ed una smorfia che era solo la pallida, vacua imitazione del suo solito sorriso smagliante. L’impulso di strattonare i legacci che lo immobilizzavano era quasi irresistibile ma sapeva perfettamente che si sarebbe solo inflitto degli ulteriori, atroci supplizi: sarebbe stato impossibile uscire vivo da quella stanza senza l’aiuto di qualcuno. Era spacciato... tanto valeva godersela un po’. E, chissà, se avesse tirato a sufficienza la corda, forse Rebekah avrebbe saziato la propria sete di vendetta occupandosi esclusivamente del suo castigo, lasciando in pace tutti gli altri… Stefan, Jeremy, Elena… tutti loro sarebbero stati al sicuro, così come Matt avrebbe voluto. - Vuoi forse soggiogarmi per avere un nuovo fidanzato a portata di mano?- la provocò, caustico, accennando al pugnale luccicante che lei stringeva convulsamente tra le dita. Rebekah scoprì i canini affilati in un’espressione letale ed emise un basso sibilo. Colpì. La lama penetrò nella carne dello sterno di Damon con estrema facilità, squarciando la stoffa della sua camicia scura prima di affondare fino al manico, poi continuò a vagare, implacabile, tracciandogli dei segni bollenti sulla pelle, simile alla punta arroventata ed adamantina di un attizzatoio quando cala su una bestia per marchiarla in modo indelebile.
Lui ringhiò, cercando di trattenersi, ma ben presto le sue grida strazianti riecheggiarono in tutta la casa.
- In realtà… io voglio aiutarti.- lo corresse la donna, impassibile. - Voglio farti espellere tutta la verbena che hai nel corpo...- continuò a lasciarlo dissanguare, recidendo anche delle vene lungo la sua gola e incidendo sotto il pomo d’adamo che andava su e giù, al ritmo frammentario del suo respiro ansante e dei suoi gemiti sempre più sommessi. -… ed ordinarti di andare via da questa città… diciamo per sempre.- le linee delle pareti tremolarono e sbiadirono, sciogliendosi sotto gli occhi velati di Damon che lottavano per restare aperti e attenti.
Le tenebre sembravano essere pronte ad accoglierlo ma lui costrinse le proprie labbra a muoversi, spasmodiche.
- Uccidimi, piuttosto… prenditi la tua vendetta e falla… finita…- tossì ancora tra i denti, come per strapparsi un bavaglio invisibile dalla bocca. -… sarebbe così facile… per te… liberatorio...- cercava di persuaderla, terrorizzato com’era dall’eventualità alternativa che lei aveva appena ammesso di avere in programma per lui.
Andarsene?
Lasciare Mystic Falls e tutti i suoi abitanti, la popolazione che ormai era diventata, dopo tante peripezie, la sua famiglia da proteggere?
Cancellare tutti gli affetti che avevano fatto di quel posto sperduto della Virginia la sua unica casa?
Abbandonare… lei?
Gli parve di impazzire.
- Fa…llo. Adesso.- ansimò, in preda all’orrore. Il sangue gli colava dalle ferite, inarrestabile, copioso.
- Lo farò senz’altro se qualcuno dovesse intrufolarsi in questa casa per portarti in salvo.- puntualizzò Rebekah, compiaciuta dall’effetto che le sue minacce avevano appena sortito. - In quel caso, parola mia, staccherò la testa a te e a chiunque si presenti qui per riscattare la tua libertà. Avrei un paio di nomi in cima alla lista ma c’è una persona in particolare che mi aspetterei proprio di ricevere tra queste mura, stanotte.- Ma certo: Elena. Bekah voleva distruggerla. Eliminando la fanciulla che aveva raccolto una dose imprevista di Cura dalla Sorgente per consentire al suo amato di avere ancora una volta una possibilità di scelta, avrebbe lenito il proprio complesso di inferiorità nei suoi confronti, lo stesso che, tanto insopportabilmente, aveva spinto Matt a sceglierla come meritevole di felicità… al suo posto. - Non permetterò né a te né a quella maledetta di ottenere la vita che mi è stata portata via. Tu non la volevi, quella Cura, eri così fiero di questa tua scelta egoistica… eppure hai avuto la tua occasione di prenderla; lei, domani, tornerà calda e umana, viva… crescerà ed avrà dei figli, conquisterà la sua libertà…- gli pareva che Rebekah stesse singhiozzando ma non c’era traccia di pianto sulle sue guance vellutate. Damon non se ne stupì: probabilmente lei non sarebbe mai più stata in grado di versare delle lacrime spontanee, legate a delle autentiche emozioni, dopo quello che le era accaduto. Lo strillo selvaggio, animale che le era uscito dalla gola quando aveva visto il corpo senza vita di Matt disteso sul pavimento era stato l’ultimo sfogo della sua compassione. Gli aveva baciato le mani ghiacciate, accarezzandole e bagnandole, aveva cercando di rintracciare il battito del suo cuore, posando l’orecchio sul suo petto immobile, aveva continuato a gemere, incredula, inconsolabile… ‘Matt… no… Matt…’ - Non dovrebbe esserci pace per chi costruisce la propria felicità sulla miseria altrui e, difatti, non ci sarà. Voglio che tu te ne vada, Damon, domani stesso… e senza dirle addio. Scompari dalla sua vita, preferisci un’esistenza qualunque, vuota e tormentata, a lei. Sii come morto… eppure continua a viverle lontano. Non dovrai tornare mai più… né per nostalgia, né per rivederla, né per incontrare tuo fratello. Lasciali vivere un’esistenza a metà… come la mia.- lui scosse il capo con furia, per liberarsi dalla presa delle sue dita simili ad artigli, lasciando che unghie laccate lasciassero dei graffi profondi sulle sue guance. Il loro contatto visivo si interruppe, lasciandolo precipitare nel buio.
Anche i suoi ricordi sbiadirono e nulla fu più reale.
 
Il crepitìo del fuoco sarebbe stato un suono confortante per le orecchie di Damon se solo le sue fiamme non avessero contribuito ad inasprire le sue pene: quando Rebekah le aveva sfruttate per rendere incandescente un attrezzo acuminato per spostare le braci, sollevandolo in una pioggia di scintille ed immergendone l’estremità rovente nella sua pelle già straziata, il suo corpo aveva preso a sussultare di riflesso, sopraffatto dal dolore.
La tortura sembrava essere andata avanti per ore intere ma, perlomeno, la vampira Originale era andata via. Uscendo altezzosamente dalla sala esagonale, si era chiusa alle spalle un portone ed aveva rigirato più volte la chiave nella serratura ammaccata.
Solo, sudato e tremante, Damon aveva sperato che non si sarebbe fatta viva per un po’ ma, a giudicare dal lieve suono di passi nel corridoio adiacente e dalla figura femminile che si stava avvicinando precipitosamente al suo cospetto, doveva essersi sbagliato di grosso.
Turbato, aggrottò le sopracciglia per riuscire a distinguere meglio i dettagli della creatura esile comparsa nel suo tremulo campo visivo e battè le palpebre, stupefatto, quando notò che i capelli setosi di lei, lunghi e lucenti come quelli di Barbie Klaus, non erano affatto biondi ma lisci e castani, dello stesso colore rassicurante della cioccolata.
Il martirio pulsante delle ustioni e delle ferite sul suo petto si trasformò di colpo in un’eco inconsistente davanti alla disperazione interiore causata da quella visione.
Il vampiro abbassò il capo, sconfitto ed incredulo.
Voleva solo che finisse. Non avrebbe sopportato oltre simili umiliazioni.
Quella, in particolare, gli parve intollerabile.
- Sbaglio o sembri un po’ a corto di idee, Rebekah?- farfugliò, con un sorriso mesto che gli incurvava gli angoli delle labbra. - Quasi mi vergogno di te davanti a quest’imbarazzante prova della tua mancanza di originalità.- si beò del suono smorzato di quell’insulto, sentendosi all’improvviso un po’ più vivace. Quasi suo malgrado, sfruttò quella scintilla di energia per sforzarsi di rimettere a fuoco l’immagine della ragazza-fantasma. Scosse il capo davanti alla ingannevole veridicità di quella mera illusione, intristito: già una volta Bex si era intrufolata nel suo cervello, provocandogli delle allucinazioni che poi, una volta scomparse, l’avevano lasciato con l’amaro in bocca a bofonchiare imprecazioni e a fissare le piastrelle insanguinate sul pavimento.
Stava accadendo di nuovo.
Elena varcava quella soglia.
Elena lo liberava.
Elena correva a salvarlo.
Era solo un sogno irrealizzato.
Un trucco mentale organizzato da quella stronza di Rebekah.
Dannazione!
E stavolta era persino peggiore dell’ultima: l’odore deliziosamente speziato di miele, rose, lampone e zenzero della Gilbert sembrava pronto più che mai ad insinuarsi nelle sue narici, con un’insistenza tangibile quanto crudele.
Respirandolo, Damon si sentì stringere il cuore.
- Smettila, razza di psicopatica bionda da strapazzo. Tanto non ci casco di nuovo.- sbottò con rancore, sentendo gli occhi bruciare atrocemente. L’ombra di tutto ciò che avrebbe voluto rivedere prima di perdere nuovamente i sensi era troppo vicina. Riusciva ad udire con chiarezza il suo fiato trattenuto dal raccapriccio. E la sua voce.
- Damon…- il nome del vampiro venne pronunciato da un tono strozzato ma inconfondibile che fece vacillare le  sue ferree certezze. -… oh mio dio…- l’ondata di fulgido sollievo che lui provò nel sentire la consistenza di una mano delicata sul suo viso emaciato, contratto in una smorfia di prostrazione e macchiato di polvere e sangue, fu incontrollabile.
La luce proveniente dal camino era fioca ma illuminava abbastanza la faccia livida di Elena che, sconvolta dallo spettacolo di accanimento e violenza impresso sul fisico di lui, tremava da capo e piedi. Il fuoco scarlatto e  morente le danzava nelle iridi scure piene di angoscia ma determinate, mentre le sue gote erano solcate da gocce trasparenti d’acqua piovana.
Non poteva essere lei.
Davanti a quella consapevolezza demotivante, gli occhi di lui si rovesciarono ma la donna gli sostenne il volto, con un groppo in gola, cercando di riscuoterlo da quella straripante agonia.
- No… sono qui, Damon, sono qui…- abbandonandosi, nonostante tutto, alla bellezza di quello che gli pareva essere solo un meschino inganno, lui annuì tra sé. Era più giusto così, in fondo; annegare in quel magnifico prodotto indotto dalla sua fantasia sarebbe stato davvero un bel modo di andarsene. ‘Non me lo merito.’ pensò, instintivamente. ‘Ma chi se ne importa.’ -… Damon, guardami, ti scongiuro… concentrati, così… guardami!- gli bastò mezzo secondo per spalancare di nuovo le palpebre al mondo e per inspirare affannosamente aria pulita, riempiendosene il petto fino a scoppiare.
Quelle parole illuminanti.
Un drammatico incidente d’auto nel passato, lei intrappolata tra le lamiere accartocciate.
Damon che le chiedeva se avesse nulla di rotto, che cercava di tenerla sveglia dopo averla tirata fuori da lì.  
Elena che si accasciava tra le sue braccia, prima dell’inizio di ogni cosa, subito dopo aver scoperto la verità su Katherine.
Era lei.
Lì.
Per lui.
- Che cosa ci fai qui?- mugugnò, con una smorfia. Sembrava più ansioso di prima ed un solco profondo scavava la sua fronte corrugata. Non era mai stato così felice e così terrorizzato insieme all’idea di rivedere Elena, prima d’allora. - Rebekah ti ucciderà.- sospirò, con una voce sottile, ferita e fragile. C’era del panico nel suo sussurro ma, al nome del mostro che aveva osato ridurlo in quello stato, la mezza vampira si sentì ribollire dalla rabbia e dall’istinto di protezione. In parte avrebbe voluto essere sorpresa in flagrante, per potersi avventare sulla Mikaelson in modo da stringere tra le mani strangolatrici il suo collo di cigno in una morsa assassina che desse, in qualche modo, soddisfazione alla sua sete di vendetta per quello scempio… ma qualcosa nella sua umanità respingeva quella prospettiva.
Tutto quello che voleva era riprendersi Damon e trascinarlo via da quell’incubo.
- Sbrigati e dimmi cosa devo fare per liberarti.- gli mormorò, tirando su col naso e lanciando un’occhiata furtiva al portone alle sue spalle. Era ancora sbarrato: via libera. Lui provò a protestare ma era davvero troppo spossato per mettersi a blaterare raccomandazioni, perciò si limitò ad accennare alle tenaglie dentellate ed appuntite che gli tenevano bloccate le mani sopra testa. Lei raggelò. La vista della carne viva squarciata in profondità e tinta di rosso appena sotto il polso le scatenava un moto di nausea.
- Aprile… piano.- la pregò Damon, cogliendo il suo brivido di repulsione. Lei annuì, prendendo un bel respiro, poi si sporse in punta di piedi, cominciando a trafficare con le catene e cercando di non aumentare il tormento che esse gli provocavano. Dopo qualche istante una sicura scattò, lasciando che le estremità seghettate delle tagliole si spalancassero del tutto. Il bel corpo massacrato di Damon perse uno degli appoggi che lo tenevano in piedi e lui ricadde in avanti di peso, senza riuscire a reggersi sulle ginocchia. Elena lo sostenne tra le braccia per evitare che la mano destra, ancora intrappolata, risentisse di quell’improvviso squilibrio, continuando ad impegnarsi per liberarlo e stringendolo lievemente a sé. Lui inspirò tra i suoi capelli, sorridendo. - Però, bella giacca.- commentò, accorgendosi dell’indumento di classe che la Gilbert aveva tenuto addosso durante il tragitto per raggiungere la villa degli orrori. Era lo stesso che Elijah le aveva posato addosso per confortarla, come un simbolo di speranza.
La sua salvatrice alzò gli occhi al cielo davanti a quell’ironia, segretamente sollevata, poi riuscì a sbloccare anche la seconda serratura metallica.
Ce l’aveva fatta.
Adesso dovevano solo… sparire.
- Riesci a camminare nonostante il dolore?- gli chiese lentamente, sentendo fremere ogni centimetro delle sue membra nell’abbraccio e registrando quel particolare con una punta di allarmismo.
- Dolore?- biascicò lui, spavaldo, sforzandosi di inarcare un sopracciglio e di ignorare il terribile giramento di testa che lo stava pian piano annientando. La vicinanza di Elena bastava a farlo stare meglio ma i suoi muscoli intorpiditi non erano più reattivi di qualche minuto fa. Gli dolevano, per quanto si ostinasse a negarlo. - Quale dolore?! Non sento proprio nessun dolor… ARGH.- soffiò, come un gattino arrabbiato, quando uno spasmo attraversò le piaghe che il fuoco aveva impresso nella sua pelle compatta, poi strinse forte i denti, annuendo ed indicando l’uscita con lo sguardo. - Andiamocene o finiremo allo spiedo… e non sarà divertente.-
Il vibrante fascio di luce che invadeva il lunghissimo e tortuoso corridoio nel retro e che Elijah aveva descritto ad Elena sulla soglia del Pensionato dei Salvatore sarebbe stato gradevole se solo, davanti ai loro occhi poco abituati, non fosse sembrato accecante.
Zoppicando, il vampiro si lasciò trascinare via, cercando di non gravare troppo con il proprio peso su Elena.
- Shhh, Damon…- lo incoraggiò lei, cercando di non lasciarlo andare e di impedire alle sue gambe malferme di abbandonare la loro causa. I passi di lui erano pesanti e disordinati e rimbombavano durante il percorso, il suo respiro era un ansito rumoroso e non facevano che inciampare ovunque. - Devi resistere.- il cuore le martellava così forte da farle male e le sue pupille lottavano coraggiosamente contro il terrore per continuare ad assorbire quanti più dettagli circostanti possibili, nella speranza di non incappare a tradimento in nessun mobile d’antiquariato che potesse intralciare il loro cammino verso la salvezza.
Il tempo passava.
La sua disperazione aumentava.
Le possibilità di scampare indenni alla tragedia scomparivano a vista d’occhio.
- Coraggio, tieni duro…-
- Ci sono, ci sono…- cantilenò lui, cercando il muro con una mano ed appoggiandovisi per non traballare oltre. Elena si irrigidì immediatamente e spalancò la bocca dallo sbigottimento. Lui le lanciò un’occhiata incerta, poi capì la ragione di quella faccia sbalordita e terrificata: dei tacchi rimbombavano alla fine di quel tunnel senza fine, alle loro spalle, accompagnati da una vocetta puerile che li fece rabbrividire.
A separarli da Rebekah c’erano solo un portoncino di legno e qualche metro che lei, servendosi della propria velocità sovrannaturale, avrebbe tranquillamente potuto percorrere a grandi falcate, raggiungendoli in un paio di secondi.
A quel pensiero, Damon si riebbe di colpo e, stringendo i pugni, fece una lieve pressione con le braccia sul corpo di Elena, come per avvolgerla, per proteggerla.
Non avrebbe retto ad uno scontro ma non gli interessava… si sarebbe sempre frapposto tra lei ed il pericolo, qualunque cosa fosse accaduta, qualunque fosse stata la sua condizione.
Gli istanti si susseguirono, lentamente e senza novità, davanti ai loro volti paralizzati.
Rebekah continuava a muoversi ininterrottamente, facendo schioccare dappertutto i propri passi, eppure non sembrava intenzionata a spalancare nessuna porta verso di loro. Era come se stesse girando in tondo. E con chi diavolo stava parlando, poi?
Elena avrebbe voluto capirlo ma non riusciva a sintonizzare il proprio udito sulla stessa onda delle parole della vampira: la Cura continuava ad avanzarle nelle vene, allontanando da lei danni e benefici dell’immortalità. Rivolgendosi a Damon per un aiuto, lo trovò già proteso verso la camera in cui Bekah stava brontolando come una bambina capricciosa, senza preoccuparsi troppo di bisbigliare il suo disappunto. Lui rimase in ascolto:
- Non mi fido di te, Elijah, né delle tue assurde parole. Se la nostra famiglia non esiste più, è anche grazie a te. Ed è grazie ai ridicoli ‘amici’ che vorresti proteggere con queste fandonie che siamo finiti in questa situazione… guardiamo in faccia la realtà. Ci ritroviamo per sbaglio a condividere lo stesso cognome, tutto qui. Risparmia il fiato.-
Ok, era impegnata in una conversazione al cellulare con il fratello maggiore. Lui stava provando a convincerla a desistere dal proprio intento distruttivo che non avrebbe fatto altro che aggiungere rimorso alla sua infelicità. Stava mantenendo la sua parola. Quando Damon sillabò il nome dell’Originale dal gusto impeccabile a mo’ di spiegazione, Elena ricordò il modo gentile in cui Elijah l’aveva rassicurata solo poco tempo prima.
Proverò a sistemare la faccenda. Cercherò di farla ragionare. Nel peggiore dei casi potrei farti guadagnare un po’ di tempo.’
Non era finita, dunque.
Che stessero negoziando o soltanto litigando, i due fratellastri di Klaus erano concentrati su qualcos’altro e questo dava ai due fuggiaschi un breve vantaggio tutto da sfruttare. Non c’era più tempo da perdere.
- Su, dobbiamo andarcene… dobbiamo…- la decisione di Elena svanì quando si accorse che Damon non reagiva più. Sangue caldo continuava a colare dagli squarci che Rebekah gli aveva inciso addosso ed il suo respiro bastava appena a sollevargli le costole in un movimento forzato ed innaturale.
Il vampiro aveva le palpebre socchiuse, l’espressione assente.
- Ho… bisogno solo… di un momento…- esalò, sfinito, quando le sue ginocchia cedettero nello scavalcare un piccolo rigonfiamento nel pavimento e lo costrinsero a terra. Lei scorse il suo viso bianco e vi lesse la resa e la pena. Nel frattempo il tono degli Originali era diventato molto meno acceso, come se la telefonata stesse via via volgendo al termine. Quanto altro tempo restava? No… - Vattene, Elena… subito. Non fare la stupida… salvati.- le ordinò Damon, con voce stridente, mentre le sue iridi color zaffiro la fissavano con fervore. Lei avvertì un tonfo sordo nel petto e scosse la testa. -… vai, adesso…- per zittirlo, la Gilbert gli prese il viso tra le mani e posò la propria fronte contro la sua, chiudendo gli occhi e sospirando. Quel gesto racchiuse più sentimento di un qualsiasi bacio, più malinconia di qualsiasi lacrima.
Ad ogni modo, tra le dita a calice, lei sentì scorrere qualcosa di umido. 
- Non vado da nessuna parte senza di te.- gli sussurrò, quasi cullandolo. - Stammi a sentire… non ho intenzione di lasciarti.-

Image and video hosting by TinyPic *

 - Devi ritrovare la forza. Devi farlo.- Damon le rivolse un debole sorriso acquoso, chiedendosi quale metodo geniale lei intendesse usare in tempo reale per restituirgli l’antico vigore. Qualcosa infiammò l’animo di Elena, come un fulmine che si schianta su un ammasso di paglia, appiccando un incendio senza precendenti. Le era venuta un’idea.
- Bevi.- disse, avvicinando il proprio polso alla sua bocca. Lui la fissò senza parlare, gettando un’occhiata fugace al tracciato leggero di vene azzurrine che solcava la sua pelle olivastra. Il suo sangue, contaminato dalla Cura il cui effetto era ancora in corso, aveva già riacquistato alcune delle sue proprietà tipicamente umane. Forse lo avrebbe aiutato, proprio come era successo nella sua illusione. Lei si stava offrendo a lui, provocandogli quel crescente formicolìo nella mascella superiore, fin dentro ai canini. Damon continuava a guardarla, come se le stesse chiedendo il permesso, una conferma, come se la stesse divorando con gli occhi ed Elena annuì, sicura di sé. - Per favore…- le labbra di lui si posarono sulla sua carne, in un bacio caldo e adorante, ed i suoi denti si allungarono fino a perforarne il profilo delicato, taglienti come rasoi acuminati.

*
Image and video hosting by TinyPic
Lei trattenne bruscamente il proprio respiro nel sentire il morso ma non si ritrasse. Continuò a vagare negli occhi di lui, d’un tratto ardenti di desiderio, improvvisamente suoi. Si sentì arrossire mentre il minimo dolore provocato da quelle punture si trasformava in piacere e Damon succhiava la sua linfa vitale, la sua essenza, avidamente, appassionatamente. La sensazione bruciante di saziarlo, di restituirgli una parte di sé che sarebbe stata sua per sempre, di concedergli quella pace, le regalava una sola morbida, liquida consapevolezza: loro due si appartenevano. Come quando lui si era ferito ad una mano e le aveva regalato se stesso nel bagno del Grill, ed i suoi sospiri appagati avevano riempito ogni vuoto dentro di lei… si sentiva così, adesso. Persa in quell’intimità. ‘Scambiarsi il sangue è qualcosa di personale.’ Il sapore suadente di lei, per esempio, era indescrivibilmente intenso, speziato, ma c’era anche qualcosa di aspro mescolato a quella dolcezza, qualcosa che Damon non aveva mai percepito prima e che gli piaceva, così tanto da morirne. ‘Si tratta della cosa più personale che ci sia al mondo.’ Con un fremito, lui lasciò andare la presa sul braccio di lei e le sue zanne doloranti smisero di essere così aguzze e pericolose. Il mondo intero aveva ripreso a girare per il verso giusto ed Elena riusciva a vederlo nel nuovo colorito delle sue guance, nello sguardo di infinita gratitudine che lui le stava rivolgendo, nell’ebbrezza e nella pienezza del momento che proprio non riuscivano a scrollarsi di dosso. Gli sorrise quando lui provò a dire qualcosa per sdebitarsi e gli toccò la bocca socchiusa con le dita, come per zittirlo, accarezzandogli appena il labbro inferiore con l’indice. Lui sembrò stupito da quel gesto ma ben presto la loro vicinanza fece passare ogni altra cosa in secondo piano. I loro respiri fusero, incontrandosi per trovare la quiete l’uno nell’altro.
Poi un sussulto di bramosia scosse lo stomaco di entrambi, trascinandoli alla deriva. 
 
_______________________________________________________________________________________
 
Damon aveva ancora gli occhi attoniti ed opachi quando Stefan rientrò nella sala della Casa Stregata, portando con sé una folata del vento gelido e ululante che imperversava all’esterno. Non udì le parole di conforto che lui stava sussurrando ad Elena e agli altri presenti, né capì se i Lockwood, effettivamente, avevano risposto oppure no alla sua chiamata. Aveva le orecchie otturate come se fosse all’improvviso stato calato nell’acqua ghiacciata e la testa gli ronzava, anonima ed estranea. Nessun pensiero era più in grado di prendere forma al suo interno. Elena, all’arrivo di suo marito, distolse subito lo sguardo da lui e la sua mano scivolò via dal suo viso confuso, sfiorando dolcemente il suo mento prima di allontanarsi. Sentendo le proprie palpebre pizzicare con insistenza, lei lo lasciò lì impietrito, a ripercorrere ogni istante con il solo, maledetto ausilio della memoria, poi si rimise in piedi. Si spostò i capelli all’indietro, come spesso faceva Demetra quando era nervosa e si sforzava di non dimostrarlo. Il paragone mentale tra le due fu inevitabile: la chioma della sedicenne era sempre stata molto più scura, lucida e ribelle di quella di sua madre…. nera come la notte, come le piume di un corvo.
Ok, poteva un vampiro incorrere in dei problemi respiratori?!
- Forse abbiamo una traduzione!- esultò d’un tratto Bonnie, come giunta da un altro pianeta, sfiorando con riconoscenza la copertina di velluto del proprio Grimorio e scambiandosi con Elijah uno sguardo d’intesa. Lui sembrava pallido ed emaciato, forse a causa dello sforzo che il comprendere il criptico significato della Profezia gli era costato, ma la sua mente era lucida di determinazione. Annuì con convinzione per confermare le parole della strega, gettando un’ultimo sguardo alle pagine del libro magico, poi parlò con voce atona, urgente:
- Prima di consegnarvi la verità…- esordì, alzando la mano per frenare l’entusiasmo. -… ho bisogno che voi mi facciate una promessa.- riavendosi quasi immediatamente dal suo stato di shock, Damon sollevò il capo verso di lui, accigliato. Sentiva una rabbia cieca ammontargli progressivamente dentro, infiammando le sue viscere e facendogli venire una voglia matta di esplodere come un vulcano, senza controllo. Sì, gli sarebbe bastato poter eruttare tutti i dubbi che i ricordi dell’ultima notte trascorsa con Elena prima della sua fuga di Mystic Falls gli avevano appena insinuato nelle profondità dell’essere… lo avrebbe fatto stare meglio. Perché lui odiava sentirsi così smarrito, detestava lasciarsi anche solo lambire dal pensiero di una possibilità che gli avrebbe sicuramente strappato il cuore… andiamo, era impossibile che lui fosse… insomma, che Demi
No. Non doveva permettersi di pensarci, nemmeno lontanamente.
- Ecco che ci risiamo. ‘Elijah e la raffinata arte della collaborazione che finisce in tragedia - volume secondo’.- ironizzò, cercando di distrarsi e di trovare ad un appiglio qualunque per sfuggire alle proprie supposizioni. Non gli piaceva affatto che quel fantasma con la messa in piega si stesse mettendo a dettare legge e a imporre delle condizioni… chissà, magari il criticarlo lo avrebbe aiutato a sfogarsi, anche solo un pochino. Jeremy gli inviò un messaggio di disapprovazione ma Damon lo ignorò con piacere, partendo all’attacco: - Mi dispiace ricordartelo ma per stringere un accordo credibile bisogna possedere almeno un paio di requisiti fondamentali… tra i quali, per esempio, spicca quello di dover ‘essere vivi.’- lo scrutò, scettico, arcuando le sopracciglia fino a farle sparire nella frangia spettinata e corvina, poi fece una smorfietta. - Onestamente mi pare che tu sia un po’ carente in materia, caro mio, senza rancore. Capelli a parte. Amo la pettinatura…- ghignò. -… è davvero una cosa dell’Altro Mondo.-
- Sta’ un po’ zitto, Damon.- lo rimbeccò Stefan, per nulla divertito da quelle battutine sarcastiche, lanciando un’occhiata piena di crescente preoccupazione allo spettro. Quest’ultimo sembrava particolarmente impassibile ma i suoi occhi neri erano ardenti, accesi di risolutezza. Irremovibili. Il minore dei Salvatore inspirò, serio.
- Che cosa vuoi in cambio, Elijah?- gli domandò, conciliante ma anche estremamente prudente.
- I miei figli.- sospirò l’Originale, con un sussurro esile. Elena lo guardò in faccia, sorpresa, cercando di trasmettergli un po’ della propria perplessità. - Sono da anni sotto la custodia di Rebekah ma la verità è che sono costantemente esposti al pericolo. Sono vulnerabili, in balìa degli eventi e privi di figure di riferimento. Voglio che li proteggiate, che riserviate loro le stesse attenzioni necessarie ai vostri figli per scampare al peggio. Tempi duri si abbatteranno presto su questa città… voglio che siano preparati.- il suo sguardo intenso volò sulla Petrova, trafiggendola quasi, e cercando il suo appoggio. - Tutti e due… specialmente Prince.- Elijah scosse la testa, come in preda al rimorso. - Lui non capirà.-
- Neanche per sogno.- protestò Damon, indignato. - No! Lo ridico per sicurezza, okay?! NO! Quand’è che siamo diventati un centro di carità ed accoglienza per orfani e per delinquenti in erba, di grazia? Hello?! Il biondino, tanto per la cronaca, è ricercato dalla polizia per un omicidio e l’altro… beh, mi sarebbe molto più simpatico se fosse pelato, in realtà...-     
- Accettiamo.- intervenne Elena, con fermezza, annuendo. - Hai la mia parola.- aggiunse, e si posò una mano sul cuore, sotto lo sguardo riconoscente di Elijah. Damon, nell’udire la voce di lei, sorrise trionfante, incrociando le braccia sul petto, completamente fuori strada:
- Esatto!- borbottò, con un tono spocchioso ed un’espressione che sarebbe stata in perfetta sintonia con una linguaccia memorabile. - Proprio quello che stavo per…!- evidentemente aveva dato per scontato, troppo presto, che la Gilbert sarebbe stata ragionevolmente d’accordo con lui ma, costretto a ricredersi dalle circostanze, il vampiro inorridì all’istante e corrugò la fronte, sentendosi tradito. – … CHE COSA?!- scandì, furioso. Nessuno gli badò.
- Dicci che cosa hai scoperto a proposito del vaticinio.- mormorò Stefan, con una voce distaccata che tradiva la sua inquietudine. - Sai bene che il collegamento con l’aldilà non durerà per sempre.- lanciò un’occhiata a Bonnie, preoccupandosi per lei. La donna si era aggrappata alle mani Jeremy per non cadere, nel tentativo di contrastare a lungo la propria debolezza fisica causata dallo sfiancante Incantesimo di rievocazione, e stava cercando un posto comodo in cui sedersi per riposare.
Le sue energie stavano scemando… dovevano fare in fretta.
Elijah inspirò a fondo, poi si decise:
- Le Profezie, specie quelle così potenti ed antiche, non sono facilmente comprensibili. Sono ricche di simboli ambigui e spesso la loro soluzione interpretativa appartiene a delle culture scomparse, non rintracciabili nel tempo esiguo che è a nostra disposizione. Per cogliere il significato delle rune, bisogna avanzare delle ipotesi ma credo di essere stato in grado di avvicinarmi il più possibile al loro significato effettivo.- esordì, in una breve premessa che fece schioccare di impazienza la lingua a Damon. - Qui abbiamo due triangoli equilateri, elementi speculari.- indicò con destrezza le figure geometriche che, unite per un vertice, andavano a costituire lo schizzo stilizzato di una clessidra praticamente identica a quella tracciata col sangue sul muro di casa Donovan. - Essi sono simbolo di eterna armonia, sintesi di due entità opposte ma identiche che, invece di lottare tra loro, si appartengono, riconoscendosi l’una nell’altra. Si tratta della fusione su cui si fonda da sempre il principio stesso della vita… di un principio carnale, se vogliamo, rappresentato rispettivamente dal calice…- sfiorò con le dita il triangolo con la punta rivolta verso il basso, riservando poi lo stesso trattamento alla sua copia capovolta. -… e dalla lama. Abbiamo dunque un soggetto femminile ed uno maschile, madre e padre, che, intrecciati dal frutto della loro unione, formano una chiave di lettura dell’Universo: il Prescelto.- mentre, per qualche ragione, gli occhi di Elena si sgranavano e Damon, che non aveva mai smesso di osservarla, la vedeva arrossire, i frammenti di pergamena tra le dita di Elijah furono fatti scorrere in avanti, finendo per essere sovrapposti, così come lui aveva indicato. Formarono una stella a sei punte, esagramma simile a quello inciso sulla pietra che Shane aveva tanto bramato nella grotta di Silas. - Nulla esiste senza la sua controparte: la luce e l’ombra, il gelo e la calura, la notte ed il giorno, il bene e il male. Possedere e soprattutto mantenere un equilibrio tra le parti è il miracolo della Chiave.-
Stefan deglutì rumorosamente e Damon trattenne a fatica un brivido di disgusto.
Gli sembrava ancora di sentirli, i tre schifosi licantropi che avevano aggredito Demi nella Foresta, il giorno del salvataggio, mentre ringhiavano tra i denti: ‘Sarebbe lei la nostra Chiave? La ragazzina Salvatore?’.  
Quasi senza accorgersene, Damon serrò i pugni e la mascella.
- Dov’è la filastrocca?- sibilò, riducendo gli occhi a due fessure iridiscenti. - Tutte le profezie hanno una dannata filastrocca inventata da una strega ubriaca con il solo scopo di confondere le idee ai posteri. Perché noi non…?-
- ‘‘I miei servigi alla custode della Stella,
nata dal fuoco nella fiamma gemella;
mentre di rubini era piena la luna
sorgeva colei che le Terre raduna.
Due volte infinito dopo la primavera
l’oceano negli occhi, l’ombrosa criniera,
il soffio del vento che scuote la piuma
nera è nella Morte che tutto consuma.
Versato il suo sangue, presa la decisione,
tornerà per il mondo la velata stagione.’’- lo accontentò Elijah, quasi senza riprendere fiato, tenendo i fogli ingialliti in sospeso davanti al volto e rimanendo concentrato nel ricordare tutto quello che aveva appena rilevato tra gli schizzi alfabetici in aramaico. Incredibile… era riuscito a tradurre in rima?! Era forse un bizzarro incantesimo di Salomone a rendere possibile quella combinazione sempre musicale di parole, qualunque fosse la lingua in cui esse venivano convertite?
Nessuno dei presenti sembrò troppo farci caso, comunque.
Era come se la stessa pioggia ghiacciata che si era impetuosamente abbattuta sulla città fino a poche ore prima avesse ricominciato ad imperversare, di colpo, attraversando le pareti pericolanti della Stamberga e travolgendo tutti i presenti. Il viso Damon era bianco ed inespressivo ed Elena avvertiva il suo vuoto interiore ripercuotersi nel proprio corpo, senza che potesse impedirlo. Le sfuggì un singhiozzo ma i suoi occhi rimasero asciutti, vigili, sconvolti dalla paura almeno quanto quelli di Stefan che, invece, erano fissi nel vuoto, immensamente afflitti, logorati.
Fu Bonnie a rompere quel silenzio così assoluto e gonfio di sgomento, facendoli trasalire all’unisono, escluso Elijah, naturalmente.
- I quattro Elementi alchemici…- esalò, umilmente, torcendosi le dita in grembo con lampante nervosismo. - Le fiamme, l’oceano, le Terre, il vento… corrispondono agli elementi Fuoco, Acqua, Terra e Aria contenuti nella Stella a sei punte, vero?- domandò, richiamando all’attenzione dell’Originale i particolari fondamentali che era riuscita a carpire durante l’enunciazione dei ritornelli e a confrontare con il contenuto del suo Grimorio. Lui annuì, piacevolmente colpito, mentre Damon cercava di prestare attenzione a tutte quelle deduzioni, senza però riuscirci. Aveva il cervello inceppato, congelato, polverizzato.
- L’esagramma rappresenta da sempre la concordia tra gli Elementi, l’evoluzione del Cosmo e l’eterna unione dell’energia spirituale con la materia terrena.- spiegò Elijah, come se stesse parlando con se stesso. - Il triangolo con la punta rivolta verso il basso simboleggia l’Acqua e la Terra, mentre l’altro è l’emblema dei restanti elementi, ovvero dell’Aria e del Fuoco. Il guizzo arroventato che scaturisce da quest’ultimo, in particolare, richiama esotericamente il principio stesso della vita, motivo per il quale le antiche civiltà si impegnavano spesso a conservarne l’essenza sacra in delle celebrazioni rituali. Non è un caso, dunque, che venga menzionato per primo nella Profezia: il Prescelto è nato con il Fuoco nel sangue. In senso metaforico, questo comporta per il singolo grande tempra morale, istintività, volontà di ferro, coraggio e tenacia.- interrompendosi lentamente, il fantasma lanciò un’occhiata eloquente ad Elena, intercettando senza troppe difficoltà i suoi pensieri: non era diventata forse proverbiale, la frase che la beffarda Katherine aveva pronunciato una volta proprio a proposito del ‘Fuoco delle Petrova’, qualità genetica che Demi stessa, discendendo dalla stirpe delle doppelganger, doveva aver ereditato? - Il Fuoco, per il suo colore e per il suo potere rigeneratore, viene spesso associato al sangue, un liquido. Esso è la congiunzione perfetta tra il rogo e la sorgente. Eccoci giunti al secondo Elemento, opposto ed identico al primo, cioè all’Acqua, della quale l’oceano è solo il correlativo oggettivo. L’Acqua fonte inesauribile di purezza, è flessibile e si adatta alle circostanze, aggirando gli ostacoli che incontra sul suo cammino, ed il fatto che venga raffigurata proprio negli occhi del Prescelto richiama senza dubbio la sua acutezza ed innocenza interiore, il suo bisogno di scoprire e di fare chiarezza circa un mistero che non appare così limpido come dovrebbe.- nel suo cauto monologo si intromise un’altra voce, quella roca ma controllata di Jeremy.
- Il sangue, l’Acqua miracolosa… mi fanno pensare alla Cura. E’ possibile che abbia a che fare con la Profezia, magari perché necessaria al concepimento di questo Prescelto?- chiese, gesticolando con vigore, un po’ per dare sfogo alla tensione, un po’ perché si sentiva inghiottito dall’inquietante immobilità che aveva avvolto il trio alle proprie spalle. Nessuno tra Damon, Elena e Stefan aveva ancora osato pronunciare una frase di senso compiuto. Sembravano piuttosto delle statue di marmo e dolore.
- Oppure con il Potere che Demi usa per difendersi dagli attacchi nemici? In fondo, per farlo si serve di uno scudo fatto di nebbia.- suppose Bonnie, soffocando un gemito di affaticamento. Si sentiva davvero spossata dalla propria magia ma non poteva permettersi di mollare adesso. Avevano bisogno di risposte. -… Elijah?-
- Teoria interessante.- commentò lui, facendo un cenno affermativo con la testa. - Il vapore acqueo, in effetti, potrebbe nascere dalla combinazione alchemica di Fuoco e Acqua, condensati in un unico Potere protettivo.- Stefan mosse appena il capo, sentendo i battiti lenti del cuore pulsargli nel collo. Il ricordo di quando lui aveva scatenato la reazione di Demi, nella cucina del Lago, portandola a salvarsi dall’aggressione dello Squartatore, lo fece riavere di botto ma non lo confortò. Il suo fiato era ancora affannoso e veloce ma le sue orecchie erano di nuovo tese. - La ragazza ha manifestato anche altri talenti, finora?- domandò l’Originale, come un medico che chiede particolari circa i sintomi del proprio paziente.
Elena azzardò un’occhiata verso Damon, aspettandosi una risposta da parte sua, stavolta.
Lui, tuttavia, arretrò impercettibilmente, staccandosi dal cerchio degli spettatori con le labbra serrate e livide ed appoggiandosi al muro freddo e dissestato quasi quanto il suo animo. Continuava a non aprire bocca.
- Ha respinto la compulsione di Damon, una volta.- si sforzò di dire lei, allora, frettolosamente. - Lui voleva che dimenticasse il loro primo incontro ma Demi, il giorno dopo, ricordava tutto alla perfezione. E no, non aveva ingerito in alcuno modo della verbena, ne sono assolutamente sicura.- specificò, anticipando le puntualizzazioni e ricordando anche le analisi del sangue con le quali la dottoressa Fell aveva esaminato lo stato di salute di Demetra, durante il suo ricovero in ospedale.
Le iridi buie di Elijah ebbero un fremito di comprensione.
- Forse perché ce l’aveva già dentro di sé.- proferì quest’ultimo, in modo enigmatico, mentre il tetto sulle loro teste scricchiolava sinistramente. - Sì, avrebbe senso, immagino. Riflettiamoci… la verbena, in fondo, altro non è che una pianta selvatica che cresce ai margini dei boschi e nei luoghi sabbiosi… il rifiuto della compulsione potrebbe essere il risultato delle proprietà difensive generate da un solo elemento: la Terra.- cadde di nuovo un silenzio trepidante ed ansioso ma durò davvero pochissimo, stavolta.
- A proposito… ‘’Sorge colei che le Terre raduna.’’- citò prontamente Jeremy, sperando di essersi ricordato correttamente la disposizione di quel misterioso verso della predizione. - Che cosa vorrebbe dire?- proseguì, grattandosi la nuca. - Non ci capisco un cavolo.- sbottò, guadagnandosi uno sguardo di compassione da parte di Bonnie.
- ‘’I servigi della Pietra della Resurrezione andranno alla Custode che compirà sedici anni durante l’equinozio di Primavera.’’- chiarì Elijah, gentilmente. - Lei avrà tra le mani i due Mondi, ovvero questo e quello che esiste oltre il Velo creato da Qetszyiah: l’Altro Lato. Il suo fine ultimo, il suo destino, sarebbe quello di squarciare quel Velo e di annullare, di conseguenza, le distanze tra le ‘Terre’. Si verrebbe a formare così un nuovo, prodigioso inizio che...-
- Il terzo potere.- disse d’un tratto una voce secca e quasi del tutto priva di emozione, risuonando dall’angolo della stanza. Tutti si pietrificarono. Damon si staccò dal muro con le braccia incrociate sul petto ed il viso straordinariamente bello segnato da un’espressione neutra. Per quanto si sforzasse, non riusciva comunque a  nascondere la trepidazione di cui erano impregnate le sue iridi di ghiaccio incandescente. - Deve essere legato all’ultimo Elemento rimasto, no?- continuò duramente il vampiro, in apparenza senza rivolgersi a nessuno in particolare. - All’Aria, cioè.- nel suo sguardo sfuggente, ceruleo ed abbagliante, identico a quello di Demi, Elena riuscì a scorgere, per un attimo, l’ombra palpitante e oscura del suo alter ego.
Il corvo.
- ‘’Il soffio del vento che scuote la piuma’’, giusto?- ricordò Elijah, caricando di particolare enfasi l’ultima parola.
Il pavimento polveroso tremò improvvisamente sotto loro i piedi, mozzando il respiro della Gilbert.
Il brontolio cupo del temporale invase di colpo il salone, accompagnato dalla tempesta di nuovo incombente.
Aveva ricominciato a piovere… proprio come in quella notte di sedici anni prima.
_______________________________________________________________________________________
 
Flashback – 16 anni prima
 
Pensionato
 
- Non capisco perché ci stiano mettendo così tanto. Dovrebbero essere già guarite da un pezzo, queste dannate ferite, no?- soffiò Damon d’un tratto, trattenendo uno sbuffo di impazienza e rivolgendo un cenno seccato agli ampi squarci rossi che il coltello di Rebekah gli aveva spietatamente inferto sul petto e che, ora, stentavano a rimarginarsi. Elena alzò le spalle in silenzio, senza sapere bene cosa dire, poi immerse nuovamente un panno pulito in una ciotola colma di quella che sembrava essere semplice acqua trasparente, continuando a lavargli via il sangue e la polvere di dosso con tutta la delicatezza di cui era capace. La soluzione alle erbe che Bonnie le aveva lasciato di nascosto in cucina, con un biglietto che recitava ‘’Potresti averne bisogno al tuo ritorno. Bon.’’, si sporcò di rosa quando lei vi risciacquò la stoffa insanguinata ma nessuno dei due sembrò prestarci poi troppa attenzione.
Il vasto, nobile ed austero salotto dei Salvatore, illuminato fiocamente dalle solite lampade dorate a forma di campana poste tutt’intorno alle poltrone e da un fuocherello morente che vibrava lento nel camino sontuoso, sembrava più che mai un luogo sacro, famigliare, caldo e confortevole.
Erano tornati a casa, ce l’avevano fatta.
Il dono di se stessa che, di sua spontane volontà, Elena aveva consegnato a Damon in quel corridoio, aveva sortito esattamente gli effetti sperati, restituendo al vampiro le forze necessarie alla loro fuga. Così, dopo essersi lasciati alle spalle gli orrori di Villa Mikaelson, si erano precipitati nel cortile, tra i cespugli aromatici più folti, là dove l’auto della Gilbert era parcheggiata e nascosta, ed erano schizzati via, segnati da quell’esperienza traumatica, certo, tutti sporchi d’entusiasmo e di disperazione, sorpresi dalla pioggia battente… ma salvi.
Quando Elena aveva spalancato con impeto il poderoso portone d’ingresso, Damon si era fatto avanti a fatica, sdraiandosi sul divano scarlatto del Pensionato ed abbandonandovisi di peso, mentre la tempesta continuava a schiantarsi sui vetri delle finestre e sulle imposte, tracciando su di esse degli strani percorsi gorgoglianti. Sacche di sangue del gruppo ‘zero positivo’, ormai vuote ed abbandonate di malagrazia su un tavolino poco distante da loro, avevano contribuito a restituire un po’ di colore alle guance pallide di Damon e ad alleviare la sofferenza, stranamente prolungata, che le sue piaghe gli avevano provocato.
Accarezzato dalle dita soffici di Elena che correvano sulla sua pelle lacerata finalmente in via di guarigione e sfiorato dalla morbidezza profumata di quell’unguento, lui avrebbe dovuto sentirsi bene.
Invece era esausto, inquieto, come lei non l’aveva mai visto prima. 
- Hai corso un pericolo enorme, stanotte.- le disse piano, sollevando leggermente il viso per guardarla meglio. Il suo incarnato delicato diventava sempre meno smorto e perlaceo e continuava, al contrario, a riacquistare la tonalità olivastra e rosea che lui aveva imparato ad amare prima della sua transizione, quando era ancora fragile ed umana. Era così che sarebbe andata a finire, adesso… Elena avrebbe riconquistato la propria mortalità e sarebbe stata sempre bella, bella da morire, ma anche vulnerabile, soggetta allo scorrere del tempo. Avrebbe avuto la vita che aveva sempre desiderato e che quell’incidente giù dal ponte le aveva strappato via… sarebbe stata felice. Avrebbe frequentato il college come qualsiasi ragazza della sua età, avrebbe stretto nuove amicizie senza mai perdere di vista quelle più antiche, avrebbe trovato un giovane uomo con cui costruire una famiglia, qualcuno che meritasse davvero ogni suo sorriso ed ogni suo cruccio, capace di non incarnare alla perfezione il termine ‘sbagliato’. - Non avresti dovuto.- mormorò, scostandosi per evitare un ulteriore contatto con quelle premurose medicazioni. Lei lo fissò per un momento interminabile, confusa, poi abbassò la benda, posandola nel suo contenitore di latta.
Le ferite di Damon, in fondo, sembravano essere scomparse del tutto… almeno quelle visibili.
- Cos’altro potevo fare?- gli domandò dolce, prendendogli una mano e sforzandosi di sorridergli. Lui avrebbe voluto solo dissolversi in quell’istante, svanendo in quel tocco dolcissimo, eclissandosi del tutto sotto quel suo sguardo così amato e carico di speranza… ma non poteva. La voce aspra di Rebekah gli rimbombava nelle tempie, come il meschino sibilo di un serpente, senza concedergli un attimo di pace. ‘’Voglio che tu te ne vada, Damon, domani stesso. Senza dirle addio.’’ Non sarebbe forse stato meglio così? L’idea di sparire per permetterle di aggrapparsi di nuovo alla normalità che le spettava, risparmiandosi così anche un’incresciosa delucidazione sui suoi sentimenti e sui residui del Sirebond che, una volta annullati, l’avrebbero riportata con ogni probabilità dritta al suo posto, tra le braccia di Stefan… sarebbe stata così condannabile? Per quanto fosse inutile pensarci, quel dubbio lo dilaniava dentro. ‘’Voglio aiutarti.’’ Damon serrò i denti, mordendo forte la propria debolezza e masticando ogni ricordo, ogni emozione, ogni singolo attimo trascorso in quella stanza assieme a lei. ‘’Non tornerai mai più.’’ - Che cos’hai?- gli sussurrò Elena, allarmata. L’azzurro degli occhi del vampiro era tetro, come un cielo rannuvolato. Sottili venature di freddo tormento ne ricamavano la lucentezza. - Damon...- lui, con innaturale distacco, osservò il calco dei propri denti impressi nel polso delicato di Elena e ne tracciò il contorno ancora dolorante con l’indice, provocandole un brivido lungo tutta la schiena.
Di colpo, lo sguardo di Elena ebbe un guizzo di consapevolezza.
- Stai di nuovo pensando a quello che succederà domani, non è così?- la sua voce era un lieve bisbiglio, forse a causa di un grosso nodo che, al centro esatto della sua gola, non voleva proprio sciogliersi. - Quando la Cura avrà completato il suo effetto ed io sarò tornata completamente umana…- sottolineò l’ultima parola con enfasi, continuando a tenere le proprie dita saldamente intrecciate a quelle di lui, come se volesse fondere se stessa in quella stretta piena di fiducia e calore. -… hai paura che non proverò gli stessi sentimenti nei tuoi confronti.- scosse la testa, come se non credesse alle sue stesse, assurde parole, poi lo scrutò intensamente, senza alcuna traccia di ripensamento. - Lo capisco, sul serio… ma tu devi credermi. Io so quello che provo, Damon. L’ho sempre saputo…- il crepitìo del fuoco divenne improvvisamente più vivace e scoppiettante, come nel voler ricordare ad entrambi il momento in cui avevano suggellato per la prima volta il loro amore. -… e non ho più intenzione di litigare con te a tal proposito! Stanotte ne ho avuto la conferma. Sono corsa da te perché, se solo ti fosse accaduto qualcosa, io non…-
Damon deglutì debolmente, con i muscoli del viso contratti. Nell’ascoltare quelle dichiarazioni, quelle parole accorate e tanto attese, gli parve di essere paralizzato dal collo in giù. Non sentiva niente, a parte un immenso, soffocante dolore nello sterno.
- Bene, ammettiamo che tutto vada secondo i nostri desideri…- riuscì a dire, in un tono brusco, irritato e ferito che la fece trasalire. -… consideriamo che quando tornerai umana, mi amerai ancora così. Che cosa succederà, dopo? Te lo dico, se vuoi. Invecchierai… morirai…- scrollò le spalle, lottando contro quell’idea insopportabile e contro il sapore amaro che quest’ultima gli provocava sulla lingua, rendendo tutto così dannatamente reale. - ... mentre io resterò un vampiro.- concluse, esasperato. Voleva farla infuriare, farle vedere quanto palesemente la verità fosse contro di loro e così, per rendere le cose più facili, quasi senza muovere le labbra, aggiunse:
- Per sempre.-
- Sei stato tu a non voler prendere la Cura, Damon.- gli fece notare subito Elena, con una smorfia sbalordita, trovando chissà dove la forza di ribattere alle sue schiaccianti insinuazioni. - Sapevi che sarebbe andata così.-
Sembrava molto nervosa ed le sue iridi scure ardevano di risentimento.
Damon inarcò le sopracciglia quasi suo malgrado, sorpreso dal suo tono accusatorio.
- Cosa c’è, adesso sei incazzata con me perché non ho deciso di rischiare le penne trangugiando quella roba?-
- No, sono incazzata con te perché ti amo!- sbottò lei, tremando. Aveva il respiro affannoso e, quando la guardò in faccia, lui sembrò scioccato. I ricordi di entrambi si affollarono e cozzarono con una violenza inaudita gli uni contro gli altri, riportandoli all’istante a quel giorno in cui era stato proprio lui a pronunciare la stessa frase, cercando di far rinsavire la Gilbert prima che lei si lanciasse nell’ennesima missione kamikaze.
Come avrebbe potuto dimenticare la scena?
Erano stati attirati nella tana del lupo con la scusa patetica di un ballo sfarzoso in casa Mikaelson e…
Il suono di quel cognome tra i pensieri riscosse Damon dall’istintivo desiderio di cedere, di lasciarsi andare al sentimento struggente, complicato e proibito che Elena gli aveva appena confessato.
Voleva ricambiarlo, come sempre, magari lasciando che lei gli gettasse le braccia al collo, ma, sconcertato dal dolore che lo trapassava da parte a parte, il vampiro rimase muto ed immobile.
La pioggia all’esterno infuriava più selvaggia, accompagnata senza indugio dagli strepiti impetuosi del vento.
Con le labbra cucite, Damon seguì disperatamente le emozioni che il suo silenzio ostinato stava scatenando sul bel viso di Elena: tristezza, delusione, incredulità, senso di smarrimento, perdita.
L’impatto con la loro prepotenza fu crudo, snervante.
Avrebbe voluto solo cercarla con le mani, stringerla a sé, irragionevolmente, per tutta la notte… ma sapeva che, così facendo, avrebbe solo peggiorato la situazione. Non aveva alcun senso il continuare a ribellarsi… il domani avrebbe spazzato via ogni traccia di loro, sostituendo quell’amore con delle vili bugie senza fondamento, con della polvere grigia sulle foto sbiadite, tra lettere senza risposta, sulle pareti del cuore.
Quando si accorse che Elena si era alzata in piedi, con gli occhi gonfi di lacrime trattenute, voltandogli le spalle per non farsi vedere, Damon strinse i pugni fino a far affondare le unghie nella carne per impedirsi di fermarla. Era arrivato il momento di fare la cosa giusta per lei, per suo fratello, per la vita che li avrebbe accolti e che sarebbe stata libera e splendente, senza la sua ombra…
Elena si asciugò le guance con la manica della giacca impermeabile che stava indossando, accelerando il passo e superando alla svelta il tappeto cremisi che dominava il pavimento di legno lucido. Damon udì la carezza dei suoi passi e cercò di tenere bene a mente quel suono, lo stesso che la sua mente si rifiutava, egoisticamente, di lasciare scomparire oltre la soglia.
Quando la Gilbert abbassò la maniglia d’ottone del portone e si voltò a guardarlo, lo trovò a capo chino.
Un lampo accecante fuori dalla finestra illuminò i suoi capelli neri ed il suo viso pallido come l’alabastro.
Prendendo fiato, lei provò una lancinante stretta allo stomaco mentre sentiva l’uscio chiudersi inesorabilmente alle proprie spalle.
 
POV Elena Gilbert  
 
Pioveva, ancora.
Non riuscivo a trovare un pizzico di dignità capace di spingermi a recuperare le chiavi argentate dell’auto nella tasca della giacca di Elijah, non riuscivo a muovere un muscolo. Avvolta in quella stoffa elegante che, zuppa e troppo larga per me, non faceva che penzolarmi inerte sulle spalle, non riuscivo scrollarmi di dosso neppure un pizzico di quella pioggia gelida, incalzante, implacabile.
Disorientata da un sovraccarico sensoriale, non sarei stata in grado di ricordare neanche la strada di casa.
Perciò mi strinsi nelle spalle, annebbiata, rabbrividendo in ogni centimetro del mio esile corpo intirizzito.
Non c’era alcun senso preciso in quel mio sostare, quieto ed impassibile, sotto le grosse gocce violente di un simile acquazzone ma non potevo in alcun modo impedirmi di restarmene lì, in silenzio, con le braccia strette attorno al petto, nel vano tentativo tenere insieme i pezzi.
Dove altro sarei potuta andare, in fondo?
L’odore dell’erba inondata e del fango liquido che costeggiava la strada mi stordiva.
I miei capelli erano fradici, raccolti in una massa disordinata ed informe che mi incorniciava il viso distrutto.
Le ciocche si appiccicavano alle mie guance livide, seguendo di corsa l’acqua fredda che mi scorreva sulla pelle assieme alle lacrime bollenti che non ero ancora riuscita ad ingoiare in un gemito.
Non avevo il coraggio di voltarmi verso il Pensionato.
Avevo il terrore di immaginare il viso di Damon dietro il vetro di una finestra, intento a fissarmi con lo stesso sguardo vuoto e straziato di qualche istante prima.
Sarei rimasta sola ad affrontare quella tempesta.
Un tuono squarciò le nuvole color pece ed il mio petto, all’unisono.
Nell’oscurità mi parve di scorgere un frammento di quella luna piena, rossa e crudele che aveva fatto venire in mente a Bonnie la sua inquietante premonizione per quella notte. ‘’Il sangue verrà versato e sarà solo l’inizio.’’  
Fissando il segno ormai opaco e lieve del morso di Damon sulla mia carne, starnutii.
Cominciavo a sentirmi ridicola, forse sarei dovuta tornare sul serio nel parcheggio.
Più che l’inizio, quella mi sembrava la fine. La cupa fine di ogni cosa.
Mossi un passo traballante in avanti ma mi accorsi immediatamente che, nella pozza in cui stavano affondando le mie scarpe, non c’era più alcuna traccia di movimento. Le gocce avevano smesso di picchiettare con rabbia sulla superficie opaca di quella pozzanghera... eppure pioveva ancora.
Il mio cuore fece una capriola all’indietro.
 
http://www.youtube.com/watch?v=LpE50yDAEAE
 
- Anch’io.- mi voltai lentamente, quasi in trance, seguendo il suono delizioso di quella voce. Il respiro mi si era mozzato fragorosamente in gola già da un po’ ma trovò comunque la via di venir fuori, sibilando, in un lungo, basso sospiro di stupore, di sollievo… di gratitudine. Notai un altro bagliore lunare rossastro sfavillare nel cielo di catrame mentre un sorriso ampio e candido invadeva il mio campo visivo, fulgido come l’aurora nell’ombra più assoluta della mia desolazione.
Damon era all’asciutto e, con un ombrello scuro in mano, stava facendo del suo meglio per coprirci entrambi.
Boccheggiai.
Quando era arrivato? Come…? Io non l’avevo neppure…
Lo guardai, come smarrita in un bellissimo, terribile sogno.
Mi sentivo integra, come se la mia malinconia non fosse mai esistita davvero… ed emozionata. Il suo tormento, invece, era ancora lì, fermo al centro delle sue iridi ed inciso sulle rughe della sua fronte aggrottata, ma stavolta non gli impedì di catturarmi il viso nel calice della mano libera.

Image and video hosting by TinyPic *

Mi tenne sospesa per il mento, delicatamente, a pochissima distanza da sé, poi mi guardò negli occhi.
- Anch’io ti amo, Elena. Ti amo. Dovevo dirtelo, non potevo…- si interruppe, inspirando appena, per calmarsi. -… qualunque cosa accada, non dimenticarlo. Non devi dimenticarlo mai.- il suo tono fermo, sincero e sofferto mi irradiò di luce dorata, accecandomi.
Annuii convulsamente tra le sue dita, con il cuore che scoppiava di muta riconoscenza, poi mi sporsi in avanti, non leggermente ma con slancio.
Mi aggrappai a lui inzuppandogli i vestiti, sospesa, persa, e lo baciai con forza, con ardore, con le labbra umide di pioggia. Il mio entusiasmo lo colpì, lo fece vacillare. Rimase per un paio di istanti incerto, a cingermi con un solo braccio e a tenere l’ombrello con l’altra mano, ma sentivo il suo polso fremere dalla voglia di prendere la solita posizione di sempre, tra i miei capelli, sul mio collo, a contatto con la mia pelle incandescente. Mordicchiai il suo labbro inferiore con tenerezza, poi schiusi la bocca e lasciai che si sciogliesse piano contro di me, come neve al sole.
Aveva gli occhi chiusi… ed era mio.
Potevo sentirlo.
Le sue dita ebbero un ultimo spasmo, poi Damon lasciò stramazzare impietosamente l’ombrello al suolo, esponendoci completamente al temporale.
I suoi capelli neri s’inzupparono subito ed io mi divertii a raccogliere le gocce d’acqua cristallina lungo la sua mascella e poi sulle sue labbra zuccherose, di nuovo, senza averne abbastanza. Lui aveva le ciglia increspate, il volto pallido e rilassato, e mi stringeva, facendomi sentire protetta, al sicuro. Forse voleva solo portarmi via, nascondermi al resto del mondo… pensai che non mi sarebbe affatto dispiaciuto vivere rinchiusa, nascosta in questo peccato… avrei potuto affrontare tutte le mie paure ed i miei limiti, con Damon al mio fianco. In un momento, la forza di tutto l’universo, compresi i pianeti del sistema solare e ogni astro luminoso del creato, sembrò essersi concentrata nel dolce bacio di lui che rapiva e sposava la mia bocca, ancora e ancora, facendomi perdere ogni miserevole contatto con la realtà.
Senza interromperci arrancammo alla cieca attraverso il giardino allagato, all’indietro, mentre la tempesta proseguiva e noi ci abbracciavamo stretti, come bambini colti di sorpresa nel proibito e sconvolti dal timore di perdere il proprio unico complice.
Era come se al di là di noi ci fosse una voragine, un precipizio, il nulla.
La schiena di Damon battè delicatamente contro il legno lucido della porta, la serratura si aprì con l’ausilio di non so quali mani impazienti, le mie o le sue, ed io mi trascinai dentro, seguendolo con le braccia attorno al suo collo, il viso smarrito e le labbra indecentemente restìe a fermarsi. L’improvviso cambio di temperatura dall’esterno al salotto di casa fu piacevole ma non riuscii a concentrarmi sul quel nuovo calore, né sul profumo dei mobili verniciati, del divano coperto di cuscini imbottiti… percepivo solo il respiro di Damon fremere ad un centimetro da me, invitandomi ad impossessarmene nuovamente.
Affondando le dita nel tessuto della sua camicia d'inchiostro, con la testa libera da qualsiasi preoccupazione, scoprii che ne volevo ancora, che volevo ancora un altro po’ di quella sua irresistibile passione.
Il suono brusco e prepotente dei bottoni che si staccavano dalla stoffa e precipitavano, tintinnando, sul pavimento, gli strappò un gemito divertito. Con un sorriso, io gli sfiorai il collo nudo in un bacio delicato, percorrendo l’incavo sotto la sua mascella con la punta del naso, come per saziarmi del suo profumo di pioggia e libertà, mentre il silenzio mi rendeva sovrana assoluta dei suoi sospiri.
Il tocco caldo della sua lingua sulla mia mi fece esplodere una miriade di stelline sotto le palpebre socchiuse; Damon non provò a togliermi nulla di dosso ma si insinuò soltanto con il suo tocco infuocato sotto la stoffa leggera e fradicia della mia maglia, esplorandomi senza più paura di essere fermato dalla parte ragionevole di se stesso. Aveva il potere, adesso, dirigeva il gioco, e toccò con una sorta di venerazione la mia pelle umida e scottante, diffondendo un evidente rossore sulle mie gote.
Forse era imbarazzante, ma andava bene così.
Mi afferrò con dolcezza ma anche con decisione, lasciando che stringessi le mie gambe ai suoi fianchi, poi mi sollevò tra le braccia, portandomi via con sé. Aggrappata a lui, mentre percorrevamo la rampa di scale che ci separava ancora dalla sua stanza, mi permisi di accarezzargli la schiena nuda e bagnata con le dita, percorrendo il profilo perfetto dei muscoli tesi delle sue spalle. Sfiorando la sua spina dorsale, trovai il solco delle fossette sul suo bacino e risalii di nuovo, per raggiungere la sua nuca e per tenerlo stretto a me. Per nulla sazia, scesi con le labbra ad assaggiare il suo collo bianco, scivolando poi fino al mento, in una scia di baci che terminò ancora una volta nella sua bocca socchiusa e palpitante.
La porta della camera di Damon si spalancò ed io percepii un moto di sollievo stringermi la pancia quando mi sentii adagiare da lui sul materasso del suo letto immenso, tra le sue lenzuola dall’odore ineguagliabile, così soffici ed asciutte. Attirato da me come da una calamita irresistibile, lui scavalcò delicatamente il piccolo spazio tra noi, e si sistemò su di me, esperto, cauto eppure impaziente.
Non opposi resistenza, sentii solo quanto fosse reale, vivido e quasi violento il mio desiderio di lui.
Damon si mosse leggermente, per non pesarmi troppo, ma non riuscì ad impedire al suo corpo di sfiorare il mio con insistenza, rendendomi partecipe di un segreto che sarebbe stato nostro per sempre, tra quelle mura.
Non era niente di simile a quello che avevamo provato altre volte... era fuoco, ci ardeva addosso, ci mandava in iperventilazione.
Posai il palmo aperto sul suo petto, sentendolo contratto sotto i polpastrelli, poi scesi verso il basso, sfiorando il familiare percorso del suo addome che si dischiudeva al mio tocco.
Il bordo dei suoi pantaloni giunse come un’ancora di salvezza.
Cominciai a slacciare la sua cintura senza guardare, con gli occhi persi nei suoi.
Erano quasi grigi, in quell’oscurità grondante di bramosia, e la sua pelle ricordava la perla preziosa.
Mi baciò il collo, impaziente, scendendo con le sue coccole fin sotto l’orecchio, e strappandomi un brivido, un sussulto. Il tessuto dei miei vestiti scivolò via senza quasi che me ne accorgessi mentre le sue mani si fecevano bollenti sulle mie ginocchia, lungo le cosce, sul mio ventre, a toccare il paradiso.
Mi prese per i polsi, inchiodandoli sul cuscino ai lati del mio viso, ed io mugolai piano di protesta, con i capelli che si spargevano tra le coperte.
Bloccandomi nei movimenti e baciandomi dolcemente, Damon si spinse per la prima volta contro di me.
Mi sfiorava e poi si allontanava sul più bello, ad intervalli regolari, sorridendo maliziosamente sulla mia bocca.
Trepidante, rimasi in attesa di un contatto che mi permettesse di averlo mio così a lungo da farmi riprendere il controllo della situazione, senza però ottenerlo.
Stava forse giocando a farmi morire dalla voglia, a farmi sentire incatenata e prigioniera, il suo ostaggio, suo, della sua passione e della nostra follia?
Si avvicinò di nuovo alle mie labbra, leccandole piano, poi si spostò di nuovo, incorregibile.
Forse voleva sentirmi supplicare…?
Testarda e contrariata, scossi la testa e cercai di evitare il suo viso quando mi cercò di nuovo, pronto a continuare quella tortura di sospensione e piacere per sempre.
Lui, ridendo, mi inseguì, dispettoso, alla ricerca del mio bacio, ma...
- Ouch!- si lamentò, dopo il morso sul labbro inferiore che gli avevo rifilato, indignata e divertita, per fargliela pagare. Lo guardai con rimprovero fino a quando le sue dita gentili non si sciolsero lentamente lungo i miei polsi, liberandomi. Le sue dita risalirono, sfiorando il mio palmo rivolto verso l’alto, poi si nascosero tra le mie. Con la stessa dolcezza, Damon mi intrecciò a sè anche con un altro movimento, ormai familiare, ma stavolta più intenso e più voluto da entrambi. Il primo grido lo soffocai contro la sua spalla, poi mi aggrappai a lui. Stavo tremando. - Shh…- mi rassicurò, muovendosi piano, con gesti lenti e decisi, quasi musicali, dentro di me. -… shhh…- atterrita ed affascinata da quell’abisso sconfinato e turbinoso di emozioni, notai che, come al solito, era tutto perfetto, come non speravo più: il sapore intenso di lui era ovunque, lui era ovunque, ed io sentivo la mia pelle ribollire, farsi malida di sudore, farsi ansiosa di possederne di più…
Mi piaceva sentirlo muoversi tenace ed ardente su di me, adoravo il fatto di vederlo diventare di colpo più lento e timoroso quando mi stringevo a lui senza fiato, pretendendo ancora un minuto infinito della sua bocca così morbida...
Sentii che stava perdendo il controllo, ma non lo lasciai andare.
- Ti prego...- sospirai, abbandonandomi ad un gemito inudibile.
Ti prego, non lasciarmi andare.
Ti prego non fermarti, tienimi con te, portami in salvo.
Ti prego perdonami se sto per impazzire dal mio bisogno di te...
Lo sentii fremere mentre un altro brivido, più violento, lo percorreva interamente e il suo respiro esplodeva col mio, finalmente libero.
Con lo sguardo offuscato dalla gioia, io sperai davvero che la luna dimenticasse di tramontare, per quella notte, che le stelle rimanessero sospese in cielo, seppur nascoste tra le nubi, e che il sole del domani non sorgesse mai più. Volevo vivere quell’emozione, volevo lui, le sue incertezze, la sua passione, quel delirio, quei fremiti, così… per l’eternità.
Gli sfiorai l’ultima volta i capelli scompigliati, sperando che si addormentasse e cercando di conservare, intatta nella memoria, la sensazione delle sue ciocche scure che scivolavano tra le mie dita sfinite.
Quel ricordo di morbidezza e petrolio nero da toccare, ne avevo la netta impressione, era tutto ciò che di bello avrei portato con me se il mondo fosse diventato, all’improvviso, un elemento vuoto, del tutto estraneo alla mia serenità.
‘Grazie, Damon.’ pensai, commossa. ‘Grazie per questi ricordi.’
E, stretta a lui e al sicuro, mi addormentai.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Image and video hosting by TinyPic  *
__________________________________________________________
 
Note dell’autrice: Eccoci. Finalmente. Amo questo capitolo… ogni suo istante, ogni suo battito, in ogni sua sfumatura. Scriverlo è stato davvero distruttivo per me ma anche tanto meraviglioso… i miei sentimenti si polverizzavano praticamente ogni due righe. Siamo giunti ad una soluzione dell’Enigma MA tanti altri misteri ci attendono… io non posso non ringraziarvi, singolarmente, con grande affetto, per avermi accompagnato fin qui in questa straordinaria avventura. Il vostro entusiasmo è la mia forza e spero di essermi fatta perdonare adeguatamente per questa lacerante attesa.
Fatemi sapere cosa ne pensate <3
*Un abbraccio particolare alla mia Carina.
*Heath Ledger nella stanza di Matt. Liz, Give Me Love è OVUNQUE.
Un bacio a tutti eeeee… alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Il sogno ***


 
*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*
 
Previously On the DemiDiaries. (rielaborazione delle scene/punti chiave del seguente capitolo)
 

Image and video hosting by TinyPic  
Cap29_TheTruthPt2PMR:
Elijah: Rebekah ha liberato Shane dalla grotta sull’Isola della Cura
pensando che lui e Sophie Deveraux avrebbero potuto aiutarla.
Sono decisi a tentare l’unica impresa che possa rendere la loro esistenza
ancora degna di essere vissuta:
la resurrezione dei loro cari defunti.
 
Elijah: Esiste una Profezia antichissima
sul solo capace di usare la Pietra della Resurrezione,
di attivarla e di controllarla.
Sulla Chiave di ogni cosa.
Su un Prescelto.
 
Cap30_TheTruthPt3Personal:
 
Elena: Ho paura di quello che potrebbe venire fuori dalla predizione.
La verità potrebbe cambiare troppe cose.
Damon: Non possiamo proteggere Demi
se prima non sappiamo cosa vogliono da lei.
Che cos’è che ti terrorizza così tanto?
 
La Profezia: ‘‘I miei servigi alla custode della Stella,
nata dal fuoco nella fiamma gemella;
mentre di rubini era piena la luna
sorgeva colei che le Terre raduna.
Due volte infinito dopo la primavera
l’oceano negli occhi, l’ombrosa criniera,
il soffio del vento che scuote la piuma
nera è nella morte che tutto consuma.
Versato il suo sangue, presa la decisione,
tornerà per il mondo la velata stagione.’’
 
Jeremy: E’ possibile che la Cura abbia avuto a che fare con la Profezia,
magari perché necessaria al concepimento del Prescelto?
 
Cap29_TheTruthPt2PMR:
Demi: Credevo che, per poter procreare, un vampiro dovesse aver prima bevuto la Cura.
Non dirmi che esisteva un modo indiretto per ingerire quella roba
e per risentire comunque dei suoi effetti!
Nick: Oh, in realtà esisteva eccome.
Solo che si tratta di una cosa un po’… personale.
Della cosa più personale che ci sia al mondo.
 
Scambiarsi il sangue è qualcosa di personale
 
Cap30_TheTruthPt3Personal:
*Flashback16anniprima*
*Fuggendo Villa Mikaelson*
Elena a Damon: Non ti lascerò.
Non vado da nessuna parte senza di te.
Bevi.
Image and video hosting by TinyPic
 
*Flashback16anniprima*
*Pensionato dei Salvatore*
Elena: Ti amo, Damon.
Damon: Anch’io ti amo.
Qualunque cosa accada, non dimenticarlo.
Non devi dimenticarlo mai.
 
Image and video hosting by TinyPic
 
Damon: Pare che il terzo Potere di Demi abbia a che fare con l’ultimo Elemento.
Con l’Aria, cioè.
 
Cap23_Zii&Nipoti:
Demi a Damon: Allora quale sarebbe il tuo consiglio per rendermi invincibile?
Provare a farmi spuntare le piume?

 
*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*




 
 
- Sia nella tradizione alchemica che in quella primitiva gli uccelli hanno sempre dominato l’elemento dell’Aria, simboleggiando la congiunzione fondamentale tra la realtà materiale e quella ultraterrena. I corvi, in particolare, custodi e messaggeri del sovrannaturale, sono stati legati al concetto di morte e resurrezione rituale fin dai tempi più remoti… sapete, per via del colore oscuro del loro piumaggio.-
Elijah mormorò quelle parole con estrema cautela, spezzando il silenzio tombale ed agghiacciato che regnava ormai sovrano nella Casa Stregata. Si leccò le labbra prima di proseguire, poi lo fece con voce stranamente distante, intristita: - Se la Prescelta possedesse la mirabile facoltà di saper mutare forma a proprio piacimento, passando magari da quella umana a quella animale, non vedo quale creatura potrebbe essere più idonea del corvo a sintetizzare il suo ruolo, cioè quello di un collegamento concreto tra le Terre, necessario al mantenimento di un equilibrio tra le parti. Tale equilibrio è stato sancito dalla sua stessa nascita, avvenuta dal Fuoco…- Elijah fece scorrere l’indice sul primo triangolo equilatero impresso sulla pergamena, tenendo gli occhi neri puntati in quelli vacui della Petrova, poi proseguì, indicando la speculare figura geometrica della Profezia. Nel farlo, inclinò inequivocabilmente il volto verso Damon e sospirò gravemente: -… nella sua fiamma gemella.-
Congelatosi di colpo, il tempo parve restringersi vertiginosamente attorno ai presenti, prolungando all’infinito quell’attimo denso di smarrimento e d’improvvisa, scottante consapevolezza.
Mentre l’unico suono nelle vicinanze rimaneva quello della pioggia battente, impiastricciata dall’odore pungente della terra umida, Elena si costrinse ad inspirare profondamente, sforzandosi di conservare qualche frammento d’autocontrollo. Guidata dal tacito cenno dell’Originale, dopo aver sollevato lo sguardo offuscato dal pavimento ricoperto di polvere e cera, cercò a sua volta, con disperazione, il viso di Damon.
Lo trovò con una facilità insopportabile, come una falena attirata dalla luce di una lampada fatale, e lo  fissò a lungo, senza sapere con che espressione, lasciandosi trapassare da parte a parte dal suo cipiglio indagatore, incredulo. Il vampiro non si era mosso d’un centimetro dal proprio angolo buio: se ne stava lì, immobile e muto, con una spalla appoggiata pesantemente al muro pericolante, paralizzato da uno sgomento indicibile e crescente.
Era come se volesse fondersi con la stessa ombra spettrale proiettata alle proprie spalle dalle fiammelle delle candele lì intorno, come se volesse scomparire ancora, stavolta per sempre, per non far notare quanto spalancati e vitrei fossero, in realtà, i suoi splendidi occhi azzurri.
Gli stessi occhi di Demi.
Mentre rovistava alla rinfusa nel proprio petto squarciato a metà dalla lama affilata del rimorso, alla ricerca di un appiglio qualunque per non crollare in pezzi come una patetica bambola di vetro, Elena colse, commossa e terrorizzata, un’ondata di dilagante dolore travolgere quelle iridi cerulee e capì che Damon, finalmente, sapeva.
Ed era tutto finito… poteva leggerlo nella linea piena delle sue labbra socchiuse dallo stupore, nel bivio sfuggente delle sue sopracciglia aggrottate fino a formare una piccola ruga di disappunto sulla fronte, nel battito stentato delle sue palpebre e in quel suo respiro dapprima trattenuto bruscamente e adesso, invece, impercettibile, lieve come un frullo d’ali.
Image and video hosting by TinyPic
- Non capisco… non può essere- ritrovando la voce per chissà quale miracolo, Damon alzò lo sguardo al cielo in un gesto d’esasperazione che lo aiutò a trattenere il più a lungo possibile le lacrime bollenti appena affiorate nei suoi occhi simili a specchi d’acqua cristallina. Scosse la testa e contrasse forte un muscolo nella mascella, come per impedirsi di battere i denti; Elena non l’aveva mai visto più fragile e stravolto di così e lottò strenuamente contro se stessa nel tentativo di reprimere l’impulso di corrergli incontro per abbracciarlo, per confortarlo. - Non... non ha senso…- quelle parole smorzate gli morirono in gola mentre, al contrario, moltissimi tasselli trovavano il proprio posto nel puzzle della verità, componendo nella sua mente l’immagine fulgida di un sorriso familiare, candido come neve, antitesi perfetta di quegli stessi capelli corvini che, proprio da lui, Demetra aveva ereditato: la bambina che si risvegliava al suo fianco al Pensionato, lasciandosi sfuggire la buffa frase: ‘’Non sai quante volte mi sarebbe piaciuto poter essere un uccello, sai… per volarmene via da qui…’’; Demi che si arrotolava sulle esili braccia le maniche troppo lunghe di una giacca di pelle asciutta mentre lui, alla guida della Camaro, la prendeva in giro per via degli abiti così zuppi di pioggia… ‘’Sembri proprio un uccellino mezzo annegato!’’ l’aveva canzonata allegramente Damon, ignaro, un attimo prima di riportarla a casa dai suoi genitori… dai suoi…
- Elena…?- il suo implorante del vampiro fu attutito da una folata di vento che si accanì contro la costruzione diroccata, scuotendone le imposte e i vetri segnati dall’unto. Senza il coraggio di schiarirsi la gola, Damon ascoltò quel nome tanto amato vibrare sulle proprie labbra secche con una nota particolarmente rauca, simile al verso di un rapace.
Sentì un’altra fitta di ricordi trapassargli lo sterno, mozzandogli il fiato: ‘’Hai sentito qualcosa?’’ aveva domandato Demi a Sheila quando lui, solo qualche giorno prima, era atterrato sul davanzale di casa Bennett, gracchiando nel proprio becco nero e lucido qualche sonora imprecazione. ‘’Solo uno strano verso, come quello di un animale… di un uccello…’’ aveva ammesso la streghetta bruna, fissando allibita la propria migliore amica, neanche fosse una visionaria. ‘’… e tu, invece?’’ A quel punto la Salvatore si era voltata verso la fonte di quel suono bizzarro ma, per lei, così inaspettatamente umano.
Ma certo, avrebbe dovuto capirlo fin da subito… tutte quelle coincidenze non potevano solo essere tali…
Image and video hosting by TinyPic
- Damon, sta’ calmo.- sibilò Stefan, con un’ombra sfinita sul viso, alzando una mano nel vuoto nella vana speranza di placare i tremiti inconsulti del fratello mentre Bonnie e Jeremy fissavano la scena con ansia evidente.
Fiutando nell’aria l’odore nauseante della tensione, Elena comprese di aver perso ogni controllo sui battiti impazziti del proprio cuore e provò l’atroce sensazione di essere ripiombata nel medesimo baratro di sedici anni prima.
‘’Ci siamo.’’ pensò, sentendo un pianto mai del tutto esaurito inondarle le ciglia, accecandola. ‘’Oh mio Dio, sta per accadere.’’
- Damon, ascoltami…- riprese Stefan con una voce che sarebbe dovuta sembrare suadente e che, invece, era solo incrinata dal più crudo tormento. - … stammi a sentire, solo per un mom…-
- Elena… di’ qualcosa.- supplicò l’altro, quasi urlando, ignorando le accorate farneticazioni del fratello minore senza staccare gli occhi disorientati e dilatati da quelli della Gilbert, in attesa di una smentita che non sarebbe mai arrivata. Rabbia e frustrazione gli fecero fremere le mani mentre indietreggiava alla cieca, traballando come uno storpio e aggrappandosi alla parete. Poi esplosero: - Non… non farmi questo. Non hai il… il diritto di startene lì impalata senza aprire bocca, mi hai sentito? Non azzardarti a farlo!- sentendo tutta la sua sofferenza rimbalzarle addosso come una frustata incandescente, Elena si chiese se avrebbero mai smesso di farsi del male così, fino a strapparsi l’anima, loro due.
- Per favore…- in un momento, lei vide riflessi con esattezza, nelle iridi luccicanti di Damon, i propri pensieri: c’erano le umide carezze ed i baci che lui le aveva posato tra i capelli prima di scomparire nel raggio solare più freddo della loro ultima alba insieme; le proprie mani che lo rincorrevano ancora, ingorde ed inconsapevoli, nel sogno di un abbraccio tra le lenzuola ancora profumate del loro amore…
Elena battè le palpebre una sola volta, quasi inconsapevolmente.
Due grosse lacrime rotolarono lungo le sue guance, bagnandole la bocca di sale.
Image and video hosting by TinyPic
Fu un istante, poi lei nascose il proprio volto tra le dita tremanti, ingoiando la colpa in uno straziato singhiozzo. Non poteva più fingere, nonostante l’idea di ferire Damon in quel modo la lacerasse… e così annuì, rispondendo in quel modo alla domanda che lui non era stato in grado di porgerle ad alta voce, nonostante lo stesse facendo impazzire: Demi è… lei è mia…?
L’eco inarrestabile di quella muta conferma rimbombò ovunque con violenza, sbriciolando mura e certezze, affollando quella stanza desolata di memorie preziose eppure, ormai, perdute per sempre: il viso di vaniglia e di panna di una neonata paffuta cullata tra le braccia della sua mamma; il suo schiudere gli occhi color zaffiro al mondo intero come l’impronta indelebile di un segreto proibito; l’odore della sua pelle lattea e vellutata; il suo sillabare qualcosa con un’espressione concentrata dipinta sulle labbra imbronciate, un secondo prima di lasciarsi andare ad un sorriso sdentato, tutto fossette e soddisfazione: ‘’Daaa-aad.’’
Già… era stata proprio quella la prima parola di Demi…
‘’Papà…’’
Respirando a fondo, senza emettere alcun suono, Damon si staccò a fatica dalla parete.
Si sistemò il giubbotto nero come la notte addosso, come se si fosse appena vestito, e si mosse lentamente verso la porta, voltando le spalle a tutti. Si sentiva ubriaco, pregno e grondante di dolore, e non riusciva a distinguere nulla di preciso attorno a sé, con quegli occhi così gonfi.
Non aveva tanta importanza, in fondo.
Niente aveva più significato.
Niente, mentre si trascinava malamente all’esterno, tra la vegetazione molle e selvatica, sarebbe mai riuscito a calmarlo… neppure quelle familiari voci che, soffocate dal temporale, chiamavano il suo nome… doveva soltanto continuare a muoversi, pur incespicando, immergendosi nell’oscurità sempre più fitta.
Mentre fuggiva a perdifiato, gli scrosci dell’acqua piovana amplificarono l’infinito silenzio che aveva dentro, donandogli, però, anche una sorta di malsano, dolcissimo conforto.
Era proprio così, tra lacrime e sospiri, che tutto era cominciato.
E lì sarebbe dovuto finire.
 
***
 
- No, no, Damon… aspetta!- Elena spazzò via, con il dorso della mano tremante, le lacrime copiose ed argentee che erano sfuggite al suo controllo e avanzò nella scia del vampiro, seguendolo fin sulla soglia della catapecchia. La cocente disperazione ed il senso di colpa sembravano essere quasi tollerabili, se confrontate con l’improvviso orrore provato nel vederlo svanire così, inghiottito dal nubifragio in corso là fuori. - Damon! Aspetta!- quella stridula supplica si frantumò quando un tuono squarciò il cielo buio con il proprio boato ma la Gilbert, seppur ansante e malferma sulle gambe, non si ritrasse. Si chiese, piuttosto, quanto sarebbe durata, stavolta, tutta quella prostrazione, e cercò di darsi un contegno per non precipitare di nuovo sul fondo, come la pioggia fragorosa faceva già tra i cespugli aromatici.
Non ci riuscì minimamente... proprio com’era già accaduto in passato.
Quel ricordo le pulsò nelle tempie con una fitta allucinante, mentre fiumi d’acqua si affrettavano ad affollarle le gote pallide, inondandole di tristezza.
- Dov’è andato, dov’è…?-
Elena si era svegliata con quella stessa, martellante domanda sulla lingua, la mattina in cui Damon era scomparso, con quello stesso amaro, immenso desiderio di lui tra le ciglia, fra le dita, in fondo allo stomaco. Da umana, il processo di elaborazione dell’abbandono sarebbe dovuto risultare molto meno amplificato del solito, ma non era andata affatto così… perché non le era bastato amarlo così tanto da poterne morire con il sorriso sulle labbra, non era bastato combattere contro tutte le sue insicurezze per poi baciarlo fino a sciogliersi come fluido incorporeo nel suo abbraccio, né aggrapparsi a lui con tutte le proprie forze… non era bastato mordergli la pelle un po’ per gioco e un po’ per assaggiarlo come il frutto più delizioso, né supplicarlo, né stringersi a quelle sue coperte fino a volersele tatuare addosso, diventando così un tutt’uno con le piume sparute del suo cuscino, con il mare in tempesta del suo respiro… Elena non era bastata a trattenerlo.
Non era riuscita ad essere il suo motivo per rimanere.
- Va tutto bene, shhh, vieni qui…-
Stefan.
Lui la raggiunse e la avvolse impercettibilmente in un abbraccio, sia per allontanarla dall’ingresso della dimora, là dove il vento ululante aveva cominciato a spingere il diluvio, sia per riportarla al riparo.
Dapprima Elena si divincolò, poi si arrese, rifugiandosi contro la spalla familiare e ferma del marito, frastornata, in singhiozzi. Desiderò, in un impeto di vigliaccheria, di poter soffocare in quella stretta così rassicurante… ma la vita, imperdonabile, continuava a palpitare sotto la sua coltre d’angoscia, negandole la possibilità di una via d’uscita tanto sfacciatamente facile.
Stefan continuò a cullarla teneramente, mormorando:
Image and video hosting by TinyPic
-… sapevamo che sarebbe successo, non piangere… lui starà bene, staremo tutti bene…-
Elena non avrebbe voluto costringerlo ad assistere, almeno non dopo tutto quel tempo, ad un’altra delle sue crisi, ma non riusciva proprio a controllarsi: la maglia di lui si impegnò subito del suo pianto inconsolabile mentre il vampiro le accarezzava piano la testa, senza protestare, senza dire una parola. Bonnie e Jeremy erano immersi in una sommessa discussione di cui Elena non riusciva a cogliere il senso ma entrambi sembravano preoccupatissimi.
Dannazione, nessuno avrebbe più dovuto vederla in quello stato, mai più…
- Dobbiamo fermarlo, Stefan, io devo… non voglio…- balbettò, scuotendo il capo. Lui la cinse più forte per sorreggerla, annuendo in silenzio, poi si allontanò leggermente per prenderle il viso tra le mani, raccogliendo altre lacrime traslucide nei propri palmi.
- Andrò io a cercarlo.- si offrì, con voce roca e dolce, accarezzandole gli zigomi con i pollici. - Credo di sapere esattamente dove può essere andato.- lei, inarcando interrogativa le sopracciglia, fece per interromperlo ma lui proseguì prima che potesse aprir bocca: - Lascia fare a me… lo troverò… ci parlerò io. Resta qui, al sicuro… Elijah non ha più molto tempo ma potrebbe avere delle informazioni importanti da condividere con te prima dell’interruzione del collegamento. Devi farlo, devi resistere… per il bene di Demi.- al suono di quel nome, sussurrato come una preghiera, pur con gli occhi castani spenti, Elena capitolò. Acconsentì, malinconica, sforzandosi di essere ragionevole, e si lasciò sfiorare la fronte da un bacio lieve, di congedo.
Poi, senza poter fare nulla per impedirlo, vide sparire anche la sua ultima speranza nelle tenebre di quella notte interminabile.
 
Stefan si avviò con la destrezza di un’ombra attraverso la macchia folta ed intricata di rampicanti posti attorno alla costruzione malandata delle fattucchiere di Salem e raggiunse un piccolo bosco frustato impietosamente dalla bufera. Battendo le palpebre per proteggere i propri occhi dall’acquazzone, avanzò a fatica in mezzo alle felci sibilanti ed annusò il saturo ambiente circostante come un segugio alla ricerca di indizi.
Un tracciato piuttosto evidente di impronte umane lasciate nel fango attirò la sua attenzione mentre restava in ascolto, senza smettere di guardarsi affannosamente attorno.
Qualcosa vibrò d’un tratto nell’aria gocciolante, portando con sé lo scricchiolio inconfondibile di rami secchi spezzati, di foglie smorte falciate via senza pietà. I suoi sensi si affinarono, percependo tutt’intorno solo velocità inumana, sforzo furioso di muscoli e tendini e tanto, tantissimo strazio. Si trattava di un tormento semplicemente incontenibile, simile a quello espresso dal verso feroce di un animale ferito, dilaniato…
Damon!
Stefan sentiva l’aura torbida, acuta e sfacciata di suo fratello sfuggirgli di proposito, assorbita dalle più disparate e violente emozioni. Ogni razionalità, in lui, sembrava essersi dissolta, senza possibilità di ritorno. Era come se la mente del maggiore dei due Salvatore si fosse staccata dalle sue membra, restando aggrappata all’unico sentimento che lui sembrava poter tollerare più degli altri: la rabbia. Se ne stava lasciando invadere completamente, quasi con piacere, con riconoscenza, deliberatamente, per non dover cedere subito alla propria lampante vulnerabilità...
- Non pensarci neanche, Damon! Fermati!- urlò Stefan rivolto al cielo, come se l’altro fosse nascosto in ogni nuvola di catrame, in ogni venatura delle cortecce e in ogni deviazione dei ruscelletti tra le sterpaglie. Sapeva con certezza che lui poteva sentirlo ma non era tanto sicuro che fosse disposto ad ascoltarlo… valeva la pena tentare, comunque… l’aveva promesso ad Elena. L’immagine del viso di lei, striato di pianto, gli affondò nell’anima come la punta di un ferro incandescente: se Damon se ne fosse andato di nuovo, se gli avesse permesso di scappare o, peggio, se avesse lasciato che gli accadesse qualcosa… lei ne sarebbe morta. E Stefan non aveva intenzione di ripetere quell’errore per la seconda volta.
- Non fare sciocchezze!- lo ammonì, gridando in direzione degli aceri posti al limite del fosco sentiero.
- Piantala di fuggire, smettila di nasconderti… che cosa credi di fare, eh?! Vuoi sparire come un vigliacco… come l’ultima volta?- stava cercando di provocarlo in ogni modo possibile, anche in quello più subdolo, nel tentativo disperato di distrarlo da quello che aveva già individuato essere il suo unico obiettivo reale per la serata: distruggere.
Un vento gelido scosse gli abiti di Stefan mentre quest’ultimo si sentiva scaraventato via da una forza sovrumana e famigliare. Riuscendo a captare meglio le intenzioni del fratello, come se qualcuno stesse alzando il volume di una radio o rischiarando una stanza buia aggiungendo legna da ardere in un camino, lui capì che Damon era venuto allo scoperto, veloce come un fulmine, schiacciandolo subito contro un grosso tronco nero e tenendolo fermo per il bavero della giacca.
Gli stava addosso, con il viso pallido pervaso da un’espressione fredda e contorta, furibonda, devastata da una tristezza che lui non poteva permettersi di sfogare altrimenti.
- Non osare.- ringhiò Damon, digrignando i denti così bianchi da apparire simili alle stelle, incapace di riprendere il controllo di sé, stringendo la presa sulla sua gola. - Non immischiarti. Stavolta siamo solo io e la stronza bionda, Stefan, solo io e lei. Ne ho abbastanza. Ne ho avuto abbastanza. Voglio solo che finisca.- l’ex Squartatore si accasciò debolmente in avanti non appena libero, annaspando, ma riuscì ad afferrare l’altro per un braccio appena in tempo.
Se non lo avesse fermato subito, come previsto, Damon sarebbe andato ad affrontare di petto la causa principale di tutte quelle sofferenze… sue, di Elena… di Demi
Rebekah.
L’odio nei confronti della Mikaelson era un rogo che gli consumava ogni pensiero, sostituendolo con un insano quanto liberatorio istinto di rivalsa; quella brama distraeva Damon dalla propria sofferenza, donandogli il sollievo immediato, sconsiderato e selvaggio di cui aveva tanto bisogno e al quale non avrebbe cercato di resistere per nulla al mondo.
D’altronde, come avrebbe potuto anche solo volerlo?
Non poteva fronteggiare tutta quell’esplosione di verità senza rimanerne travolto, non riusciva ad accettare il fatto di essersi lasciato alle spalle, così inconsapevolmente, tutto quello che gli sarebbe bastato per vivere non solo una ma mille esistenze di serenità, tutto ciò che gli era sempre appartenuto
- Rebekah vorrebbe che ti sentissi esattamente in questo modo, Damon!- ansimò Stefan mentre l’altro si scrollava le sue mani di dosso con uno scatto infastidito.
Image and video hosting by TinyPic
La luce della luna, graffiata dagli artigli scuri delle nubi, dipingeva cristalli d’argento tra i suoi capelli fradici, sulla sua mascella contratta. - Così come si è sentita lei dopo la morte di Matt… come chi ha perso tutto! Non ha ancora dimenticato quella storia e, se tu provi ad affrontarla adesso, disarmato, senza un piano, le darai solo una soddisfazione che non merita! Non ne uscirai vivo! Non azzardarti a gettare così la tua vita… non te lo permetterò… non ora!- i suoi limpidi occhi verdi lo scrutarono febbrili, dal punto in cui un lampo aveva rischiarato a giorno il cupo sottobosco, poi, forse per la prima volta dall’inizio di quello scontro, incrociarono quelli di sfavillanti di Damon, inchiodandoli tra i ricordi.
________________________________________________________________________________
Flashback - 16° anni prima
L’alba del giorno dopo
 
Stefan sentiva l’erbetta ingiallita e ancora intrisa di pioggia affondare placidamente sotto i propri piedi.
Mentre percorreva il tragitto che lo avrebbe riportato alla sua vecchia automobile, parcheggiata in un angolino tra la vegetazione, lanciò un’occhiata alla stessa cripta incantata che, per secoli, era stata l’ossessione di Damon e che, adesso, era diventata la tomba di Klaus. Godendo di quegli istanti di pace e solitudine conquistati con tanta fatica, ripensò a quando, per ultimare la sepoltura dell’ibrido, Bonnie aveva sfruttato l’energia della luna rossa nel cielo notturno, sigillando quella cavità nella roccia prima di lasciarsi riaccompagnare a casa da Caroline e Tyler, soddisfatta ma spossata dallo sforzo compiuto. Anche Hayley ed Elijah erano fuggiti, dopo che quest’ultimo l’aveva pregato di portare i suoi saluti ad Elena, rassicurandola circa la sorte toccata all’altro fratello Salvatore… proprio come Stefan aveva sperato, lui e Rebekah avevano trovato un accordo e, per il momento, andava bene così.
Le luci del mattino erano diafane e velate ma la sensazione di calore sulla pelle era autentica, piacevole, ovattata. Il sole lattiginoso era sorto solo da pochi minuti ma il processo di trasformazione comportato dalla Cura, nel suo organismo, doveva essersi già ultimato: Stefan poteva percepire la propria nuova, agognata natura nella ritmica e regolare contrazione dei polmoni che catturavano l’aria frizzante per necessità e non più per protrarre all’infinito un’abitudine desueta, nel martellare vigoroso e fiero di quello stesso cuore che per troppo tempo era stato solo un muscolo fermo e cavo, incapace di battere, nella folata di vento fresco che gli accarezzava le guance infiammate di rossore, portando con sé un profumo vago di fiori, di fogliame e di resina…
La sete era scomparsa e, assieme ad essa, erano svanite anche le fitte alla gola, il prurito nei denti e sul palato e la smania di mantenersi costantemente all’erta nella speranza di controllare l’avidità crudele dell’appetito, senza mai riuscirci davvero. La sua mente sembrava finalmente sgombra, libera dalle mostruosità che lo avevano dannato per duecento anni e, quando si sfiorò le palpebre, Stefan guardò con sorpresa il luccichio bagnato sulla punta delle proprie dita.
Quella normalità era quello che aveva sempre, segretamente desiderato…
- Direi che l’umanità ti dona, fratellino.-
Una voce vellutata lo raggiunse alle spalle, meno nitida di quanto ricordasse ma inconfondibile.
Con lentezza, Stefan si voltò e vide comparire la figura gongolante di Damon davanti ai propri occhi, socchiusi appena nella luce sempre più rifulgente che si innalzava quieta all’orizzonte. Lui era seduto su un masso ed il suo volto era bianco come un lenzuolo ma determinato, invaso da una strana emozione che assomigliava all’orgoglio, alla pena e alla nostalgia. Indossava, fedelmente, il proprio anello di lapislazzuli, simbolo inequivocabile della sua scelta, così caparbia e diversa da quella del fratello, ed era sano e salvo, apparentemente senza più un graffio sul corpo.
Nel guardarlo, Stefan sentì un sorriso repentino e sincero aprirsi sulle proprie labbra, e gli andò incontro:

- Sono contento di rivederti tutto intero!- gli confessò, avvicinandosi abbastanza da sfiorargli una spalla con la mano, in una pacca che sapeva di calore e d’affetto. Damon trattenne una smorfia che sarebbe stata di dolore se lui non fosse riuscito a dissimularla così bene nell’ombra di un ghigno: alcune ferite, tra quelle che Rebekah gli aveva inflitto durante le torture, non ancora erano guarite del tutto ma non gli importava… quelle più gravi non si trovavano in superficie.
- Allora, avete risolto il problemino con il caro vampilupo immortale?- domandò, accennando alla cripta silenziosa in cui giaceva già da qualche ora la carcassa essiccata del loro più grande nemico. - Insomma… Klaus è, come si dice?, bello che morto?- Stefan annuì, raggiante, ma Damon pretese delle ulteriori conferme, con un cipiglio serio e sospettoso: - Vuoi dire niente più schiavetti pelosi dalla dubbia simpatia in giro per Mystic Falls? Niente più prelievi straordinari di sangue per Elena? Niente di niente?- lo incalzò, preoccupato.
Aveva bisogno di saperlo con assoluta certezza, prima di...
 - E’ finita, Damon… la magia di Bonnie ha fatto il suo corso proprio come auspicavamo. Klaus sarà bloccato lì fino a quando il sigillo non verrà infranto da una strega Bennett in delle specifiche, misteriosissime condizioni. Quel che è certo è che non rappresenterà una minaccia per le future generazioni di questa città.- mormorò Stefan, facendo con un piccolo gesto con il capo, come per rincuorarlo. - Torniamocene a casa, adesso.- continuava a stringergli il braccio come nel 1864, come quando erano solo loro, gli inseparabili Salvatore, amici per la pelle. Non lo lasciò andare neanche quando mosse il passo verso la propria autovettura, senza smettere di parlare con foga, con un inedito entusiasmo:
- Elena era così in pena per te… sarà felice di rivederci e di sapere che la missione di stanotte non ha avuto alcun intoppo e che…-
- Credo proprio che salterò la ‘Festa della Liberazione’ con pasticcini annessi e tutto il resto.- lo interruppe Damon, con voce dura. I suoi occhi erano improvvisamente vigili ed intensi, più blu che azzurri. Ipnotici. L’altro lo fissò con le sopracciglia aggrottate, poi tentò di comprendere cosa ci fosse dietro quello sguardo impenetrabile e cosa lo rendesse così tormentato e venato d’urgenza.
- Non fare così… lei ha bisogno del nostro sostegno… in questo momento più che mai.- gli fece presente, cauto ma confuso. - Ha bisogno di qualcuno che si prenda costantemente cura di lei, che le faccia dimenticare tutto ciò che questa battaglia le ha portato via… insomma, dovrà ricominciare da capo ed essere serena, di nuovo, come una volta.-
Damon abbassò la testa ed annuì con le labbra strette, condividendo ogni singola parola nonostante lo squarcio slabbrato nel suo petto, provocato da una nuova, terribile consapevolezza, non smettesse di tormentarlo.
- Hai perfettamente ragione, fratello.- bisbigliò, quasi senza muovere la bocca, le pupille dilatate simili a due pozzi neri senza fondo. La sua calma ostentata e surreale tradiva un’immensa miseria interiore. - E’ proprio per questo che tu farai il possibile per darle la vita normale che le spetta e che desidera, aiutandola a sopportare tutto questo fino a quando non sarà abbastanza forte da cavarsela da sola.- l’incrollabile decisione nel tono di Damon ardeva come una fiaccola sul suo volto di perla ma non bastò ad accendere neppure un barlume di convinzione nei suoi occhi.
Questi assomigliavano, piuttosto, a due stagni d’acqua morta.
Stefan battè forte le palpebre, attonito, riconoscendovi con orrore quel suo sguardo di resa. D’abbandono.
- Cos’è successo?- balbettò. - Stai… mollando?!- non sapeva come interpretare quell’assurda, inaspettata situazione e così rimase fermo al suo posto mentre una leggera nebbiolina saliva dal terreno, tra i cespugli. Più trascorreva il tempo, più il viso di Damon risplendeva di una bellezza vuota, addolorata. - Hai deciso di non voler essere più tu quel qualcuno che l’amerà con tutto se stesso fino alla fine dei suoi giorni? Non t’importa più?- solo nel sentirgli pronunciare quelle ridicole idiozie, Damon trasalì.
Accorgendosene, Stefan lo afferrò per le spalle, scuotendolo appena e riprendendo a sibilare:
- Non scegliere al suo posto… la sua transizione, a quest’ora, sarà stata completata ed i suoi sentimenti saranno autentici, liberi da qualsiasi forma di asservimento.- la paura gli fece tremare le labbra mentre pronunciava quelle parole accorate, forse prendendo per la prima volta in considerazione la possibilità che Elena potesse realmente preferire una ‘scelta così sbagliata’ a quella ‘più giusta che avesse mai fatto’. Ma al momento, persino quella questione sembrava essere finita in secondo piano.
- Preferisci vivere senza di lei, conservando un dubbio che ti tormenterà per sempre, piuttosto che rimanere qui, affrontando una certezza che potrebbe non fare al caso tuo?- lo provocò, spietato.
- Non ho molte alternative.- sputò Damon, storcendo la bocca dal disgusto nel ripercorrere le reali ragioni dietro la sua decisione. - BitchyBekah ha sistemato la faccenda per benino, fin nei minimi dettagli. Non facciamone un dramma… accetta la cosa e corri dritto al Pensionato. Sarò stato anche soggiogato a non ritornare mai più a Mystic Falls per rivedervi ma giuro che troverò il modo di torcere il tuo nuovo, fiammante collo da essere umano se non tratterai Elena come si conviene.- un sorriso amaro gli brillò sul volto scarno, sbiadendo troppo in fretta per farsi notare a dovere, per esser quantomeno credibile.
Stefan lo fissò atterrito mentre cercava di elaborare il contenuto scioccante di quella rivelazione.
Gli chiese spiegazioni, spillandogli ulteriori quanto inutili particolari, poi emise un basso sospiro angosciato.
- Posso risolvere la questione… sistemare le cose.- mormorò, pur sapendo quanto incerta, azzardata e smarrita stesse suonando la sua voce. Damon sbuffò ma posò a sua volta una mano sulla nuca dell’altro, ringraziandolo senza aggiungere una parola. Per quella sua mania di salvarlo, già troppe volte Stefan si era cacciato nei guai.
Image and video hosting by TinyPic
 - Hei… posso farcela.- ribadì quest’ultimo, certo che l’altro non lo stesse prendendo abbastanza in considerazione.
- Già… l’ultima volta che l’hai detto hai venduto la tua anima a Klaus, diventando il suo leccapiedi di fiducia e squartando povere vittime per tutti gli Stati Uniti mentre io, Elena e Ric provavamo a riacciuffarti. Lo scopo era richiuderti in un centro di recupero per irrecuperabili drogati di sangue, ricordi?- gli fece notare, senza troppi mezzi termini. - Senti, Rebekah è ancora una fottuta vampira Originale mentre tu… ed Elena…- pronunciare quel nome era diventato un puro atto di masochismo, un suicidio. -… siete esseri umani. Inermi… vulnerabili. Vuoi davvero fare una cosa per me? Proteggila dalla verità e non raccontarle mai nulla di questa storia. Fa’ che dimentichi, che si rassegni… tienila al sicuro. Promettimelo, Stefan. Prometti che non ti azzarderai a gettare così la tua vita e la sua… non a causa mia. Lei ha bisogno di te. Può farcela… è abbastanza forte per questo. Rendila felice e… dimmi addio.- le sue nocche sbiancarono mentre suo fratello lo tirava a sé, in una stretta che fu breve ma intensa, patita, piena di sottintesi e di condivisione. Damon evitò di battere le palpebre a lungo, per non lasciar scivolare il proprio orgoglio tra le ciglia ricurve che bruciavano come pire.
Si impedì perfino di respirare, trasformandosi in una solenne statua di granito, perdita e necessità:
- E comunque… Elena meritava di essere molto più rispetto al rifugio di un randagio come me.- sussurrò sommesso, parlando più a se stesso che a chiunque altro.
Il sole d’oro ardeva ormai alto nel cielo.
Era giunto il momento di lasciare andare.
________________________________________________________________________________
 
- Lasciami, Stefan, ti avverto!- soffiò Damon, scoprendo i denti come un gatto arrabbiato, senza però ottenere successo. - Potrei non rispondere delle mie azioni!- specificò, cercando di essere convincente. Stefan scosse caparbiamente la testa, scrollandosi la pioggia di dosso come un cane bagnato.
- Ho cercato di tenerti lontano dalla vista di Rebekah per tutto questo tempo perché lei non immagina neanche lontanamente il fatto che tu possa essere tornato a casa… crede di aver chiuso la questione da anni, di aver vinto, e questa sua presunzione potrebbe rivelarsi il nostro asso nella manica… il modo più immediato che abbiamo per proteggere Demi… perciò no, non ti lascerò andare da nessuna parte!- mentre Damon ribolliva ancora e arricciava il naso, scettico, fingendo di stupirsi per il modo davvero astuto con cui il fratello sembrava aver ideato un piano simile, la burrasca gli si ghiacciò addosso.
Lo stormire delle fronde non accennava a calare d’intensità, trasformandosi in frastuono assordante, mentre lui cercava di scacciare dalla mente l’immagine splendente evocata dal solo nome di Demetra: ogni volta che ci pensava il suo petto finiva per implodere, alzandosi ed abbassandosi freneticamente, poi, alla ricerca d’aria.
Una parte di lui avrebbe davvero voluto rannicchiarsi in un angolo per riposare, per dimenticare e per poterla smettere di darsi tanto ossessivamente dell’idiota per non aver compreso subito quanto c’era da capire… la fetta restante del suo essere, invece, riusciva soltanto a ringraziare in silenzio il temporale che, pietosamente, gli consentiva di guardare Stefan a testa alta, con le guance lucide ma insospettabili.
- La psicopatica non sarà un problema per un po’ se riesco a ficcarle un paletto nel cuore, no?- obiettò dopo un secondo di smarrimento, con un lampo di ferocia nello sguardo. Il pensiero di affondare fino al manico un’arma qualunque, purché di legno, nel petto della bisbetica gli donò una gioia aggressiva ed un desiderio brutale di assecondare il proprio istinto. Doveva lasciar perdere la patetica caterva di raccomandazioni di Stefan e agire, punto e basta. - Non la ucciderò, certo, ma potrà sistemarla Bonnie, dopo che avrò finito, come ha già fatto con Klaus… e se non ne è più capace, cercherò fino in capo al mondo una strega che non si limiti al Bibidi-Bobidi-Bù, parola mia!- nel panico, Stefan lo tallonò, affondando in una pozzanghera, nel tentativo di arrestare la sua furia.
- Che mi dici della promessa fatta ad Elijah?!- buttò lì, con rimprovero. Damon inarcò un sopracciglio, senza capire, senza importarsene granché. - E se uno dei ragazzini Mikaelson fosse in casa e finisse per essere coinvolto nella vostra assurda guerra, facendosi del male? Il più giovane dei due è un amico di Demi… credo che lei ci tenga moltissimo…-
- Motivo in più per fare in fretta, caro mio.- insistette Damon, fintamente ironico. Nonostante l’aria beffarda, un pizzico della sua cocciutaggine pareva essere svanita mentre si voltava: aveva notato anche lui il modo languido con cui la Salvatore aveva guardato quel damerino tutto imbevuto di classe e bell’aspetto quando quest’ultimo era venuto a prenderla al Pensionato, quella sera stessa…
Sì, se Parrucchino fosse finito nella mischia, lei ne avrebbe senza dubbio sofferto…
Va bene, avrebbe fatto attenzione.
Forse.
- Ti ho detto che non ti lascerò andare.- ringhiò Stefan, frenandolo ancora, stavolta con più veemenza. La presa sul braccio di Damon divenne una morsa e lui si irrigidì di botto nel percepirla, cercando di mantenere un volto impassibile davanti a quel repentino ed autoritario cambio di atteggiamento, di strategia. I suoi occhi si posarono sulle dita serrate ermeticamente attorno al proprio gomito e poi, con una lentezza ricca di acredine, andarono a studiare l’espressione seria del fratello, quasi con sfida.
- Lo so io ciò che è meglio per mia figlia, Damon.- scandì Stefan.
Al suono insolente di quelle parole, secche come uno sparo, una fiamma viva guizzò in due iridi color del cielo, incendiandole. Il sangue pulsò con impeto nelle orecchie ronzanti di Damon e gli salì alla testa proprio mentre sentiva un ruggito furente venir fuori dalla propria gola, affiorando sulle sue labbra contratte.
Image and video hosting by TinyPic
Il suo pugno sinistro partì con un rapido slancio ed andò a segno con precisione, colpendo Stefan in pieno volto e facendolo andare a finire bocconi contro un albero spoglio. Il vampiro dai capelli castani e arruffati dall’urto si massaggiò piano la guancia indolenzita, rimettendosi subito in piedi, poi tornò all’attacco.
Sembrava lieto di aver, seppur così meschinamente, attirato su di sé l’attenzione dell’altro, e questo fece saltare i nervi al fratello maggiore, ancora di più.
Damon fremeva dalla voglia di darci un taglio con quella ridicola perdita di tempo ma non osò muovere un altro passo verso la dimora dei Mikaelson, come paralizzato dalla scarica d’adrenalina appena piovuta nel suo sangue. Sperava quasi che Stefan ricambiasse il brusco favore, così da risolvere in fretta la questione. Chissà, magari una sana rissa fraterna l’avrebbe aiutato a sfogarsi…
- Puoi picchiarmi, se ti aiuta a distarti…- sbottò il marito di Elena, con tutta la disapprovazione di cui era capace, leggendogli nel pensiero. - Ma ti avverto… cercare la risposta nel rancore è la cosa peggiore che tu possa fare. Abbiamo una risorsa e tu vuoi sprecarla in questo modo!- strascicando di parecchio le parole per colpa della mascella offesa, Stefan proseguì caparbio, come se non si fosse mai interrotto: - Hai sconfitto l’incanto della compulsione, hai varcato i confini di Mystic Falls di nuovo, indenne, dopo sedici anni di assenza… non ti sei mai nemmeno chiesto come potesse essere stato possibile un prodigio simile?- lo incalzò.
Damon fiutò il suo scopo (obbligarlo a riflettere su qualcosa, qualsiasi cosa!, che non fosse flessuoso, biondo e parecchio bastardo) e, al limite della sopportazione, decise di assecondarlo.
Inspirò profondamente dalle narici, concentrandosi su quel problema. Le sue barriere emotive tremarono forte attorno alla sua anima ma gli consentirono di rivedere, nel fondo della propria memoria, proprio ciò di cui aveva bisogno: un lago di sangue che si spandeva sul pavimento, gocciolando giù dalle sue ferite e dalle catene grigiastre agganciate al soffitto; una lama luccicante sospesa tra le dita di Rebekah; le labbra carnose di lei stirate in un sorriso crudele mentre i cerchi delle sue pupille si restringevano vistosamente, lasciandole pronunciare la propria eterna, compiaciuta ed inviolabile condanna:
‘’Non tornerai qui… né per nostalgia, né per rivedere Elena, né per incontrare tuo fratello. Mai più.’’
Un fiotto caldo gli attraversò la schiena intirizzita mentre il suo cuore si esibiva in uno spettacolare sobbalzo e Stefan annuì, condividendo con quel cenno d’assenso la sua supposizione, l’unica possibile:
- E’ stata Demi a stravolgere il corso delle cose. Tu sei venuto in città perché avevi sentito parlare di lei, perché volevi conoscerla ed assicurarti che fosse al sicuro… per una ragione, insomma, che non aveva nulla a che vedere con quelle che ti erano state imposte con tanta cura da Rebekah. Quando ti ha soggiogato, la nostra Originale non aveva considerato un solo, piccolo imprevisto tra le clausole… in fondo, come avrebbe mai potuto prevederlo?- un sorriso malinconico, remissivo, poi Stefan riprese a parlare, quasi sussurrando: - Il tuo bisogno di Demi, il richiamo di lei… ha vinto su tutto, Damon. E’ stata la tua bambina a riportarti a casa.-
L’argento delle iridi del vampiro sembrò andare in frantumi mentre lui se ne restava trafelato, con lo stomaco in subbuglio, senza sapere cosa dire e, ancor meno, cosa provare.
Doveva andarsene da lì, subito, prima di perdere di vista l’obiettivo, prima di lasciarsi annegare nella mestizia, nella gratitudine, nel gaudio, nel rimpianto...
Guardandolo muoversi incerto verso il limitare del bosco, mentre la pioggia si diradava, tramutandosi in un’impenetrabile nebbiolina, Stefan scosse la testa, rimanendo però fermo al proprio posto:
- Se hai sul serio deciso la tua strada, se speri di andare a villa Mikaelson per affrontare la sorella di Klaus nella speranza che uno dei suoi colpi mortali ti sollevi dalla responsabilità di affrontare la tua vita… fa’ pure. Ma pensaci bene. Se stai cercando un motivo per cui andare avanti, per cui lottare… sappi che non ne hai mai avuto uno così immenso davanti agli occhi, prima d’ora.- e così, dopo aver regalato particolare enfasi alle proprie frasi, fu proprio Stefan a svanire tra il verde e la foschìa, lasciando il fratello completamente solo con il proprio dramma.
E coi propri dilemmi.
 
***
 
- Niente da fare, non riesco proprio a trovarla!- borbottò Demi, furiosa, seduta a gambe incrociate sul pavimento e con il proprio cellulare incuneato tra la spalla e l’orecchio in modo da avere entrambe le mani libere durante l’estenuante ma infruttuosa ricerca della pergamena perduta. - Ho cercato davvero dappertutto ma sembra proprio sparita nel nulla, Nick, e… mi dispiace così tanto!- abbandonando per un attimo la perlustrazione dei libri e dei cassetti della camera di Sheila (che aveva precedentemente rivoltato come calzini!) per passarsi le dita tra i capelli, allontanandoli dal bel viso deluso, la sedicenne sentì una voce suadente venir fuori dalla cornetta, rassicurante come una lieve carezza sulla guancia:
- Demi, smettila di tormentarti… qualcuno deve averla presa, non c’è altra spiegazione… non è stata colpa tua, avrei dovuto dirti di nasconderla meglio… non avevi alcuna idea dell’importanza del..- il nipote più giovane di Rebekah Mikaelson, dall’altra parte del ricevitore, udì un tonfo risuonare nel vuoto e si allarmò, parlando poi con voce piuttosto preoccupata: - Tutto bene?- domandò, confuso.
- Uh, credo che sia saltata la corrente.- bisbigliò piano la Salvatore, con un tono a metà tra l’incredulo e il curioso, guardandosi intorno e cercando di far abituare le proprie pupille all’improvvisa oscurità. Forse il vento, guidato dal temporale, aveva fatto schiantare, come spesso avveniva, dei rami spezzati sui fili elettrici della città o sui trasmettitori, lasciando che alcuni quartieri fossero inghiottiti dal buio per ore, spesso fino all’alba del giorno successivo.
- Inquietante.- commentò Nick, con un sorriso un po’ più rilassato che gli faceva capolino sul volto.
- E credo anche che Sheila sia inciampata tra le cianfrusaglie che abbiamo tirato fuori dall’armadio.- proseguì Demi, cercando a tentoni sul tappeto la torcia che aveva precedentemente trovato tra gli scaffali e percependo sotto i polpastrelli il profilo degli oggetti di carta e di plastica ammassati sul fine tappeto. - Doppiamente inquietante.- risoluta, afferrò l’impugnatura della lampada tascabile e premette un bottoncino sporgente, lasciando che un fascio di luce giallastro rischiarasse la stanza.
- Vado a controllare che sia tutta intera.- annunciò, dubbiosa.
- E’ ancora arrabbiata con te?- le domandò Nick, vago, alludendo a qualcosa che fece avvampare Demi fino alla punta delle ciocche corvine. Con l’impressione che sua amica si fosse sentita tradita, tanto da ritirarsi in un’altra stanza per continuare tutta sola le indagini sul pezzo di Profezia sparito, dopo aver assistito al tenero scambio di effusioni avvenuto tra i due sul portico di casa sua, Demi aveva deciso di parlarne con il ragazzo, anche solo a titolo informativo.
In realtà, quello sfogo si era dimostrato superfluo perché, dopo appena qualche minuto di lontananza e di silenzio pieno di rimprovero, Sheila le aveva portato una grossa tazza di caffè fumante per aiutarla a tenersi sveglia, garantendole una breve ma significativa tregua prima di andarsene di nuovo, con il naso rigorosamente per aria.
- Non approva noi due.- riassunse Demi, alzandosi in piedi e spolverando i propri vestiti sgualciti. Scrollando le spalle, puntò la torcia verso la porta, avviandosi poi verso il corridoio per accertarsi che Sheila non si fosse fratturata una tibia o roba simile. Sentiva le sue imprecazioni risuonare fin lì, attutite solo dal suono di pagine sfogliate con irruenza. Buon segno. - Pensa che tu abbia una pessima influenza sul nostro trio… e che mi spezzerai il cuore per darlo in pasto a tua zia prima del prossimo plenilunio.- quell’immagine macabra ma pittoresca fece salire un lungo brivido sulla schiena di Nick ma, proprio quando lui fece per interromperla, percepì il ghigno di lei brillare dall’altra parte:
- E non le ho ancora mai parlato di Prince!-
- Magnifico. Immagino che prenderà benone anche quella notizia.- ironizzò il ragazzo, non senza una punta d’amarezza, ascoltando il suono dolce dei passi di Demi rimbombare nel corridoio vuoto che lei stava percorrendo. Sospirò.
- Mi dispiace che tu sia costretta ad affrontare la sua disapprovazione per colpa mia… lo ammetto, anch’io sarei scettico, se fossi in lei… o nel resto del mondo.- confessò, ripensando ai precedenti della propria famiglia e poi a quella di Demi, visualizzando l’ostilità di un certo Damon Mani di Forbice Salvatore in cima alla lista dei problemi che avrebbero dovuto affrontare al più presto.
Deglutì.

Image and video hosting by TinyPic  
- E’ per questo che punteremo sul sostegno di Mattie, infatti.- chiarì Demi, facendo scorrere le dita sul corrimano di metallo delle scale ed accelerando il passo, facendo bene attenzione a non incespicare a causa della scarsa illuminazione. - Se hai bisogno di sostenere una causa persa, lei è sempre in prima linea. Quando le racconterò la verità, svaligerà la prima credenza che avrà la sfortuna di incrociare nel suo cammino ma poi ci riderà su e, cosa più importante, mi aiuterà a cavarmela con Sheila. Quanto a Prince… le sembrerà parecchio buffo, a cominciare dal suo nome.- Nick annuì, colpito da quelle parole straordinariamente fedeli alla reazione che, effettivamente, la Lockwood aveva già avuto davanti alle sue inedite rivelazioni al Mystic Grill, poi si impose di non cedere al vile istinto di cambiare discorso.
Non voleva attentare così presto alla nuova fiducia che Demetra aveva deciso di riporre in lui e, per questo motivo, decise che le avrebbe spiegato ogni cosa non appena si fosse presentata l’occasione giusta per farlo.
- Andrà tutto bene, vedrai. Ci vorrà solo del tempo.- sussurrò sicuro, a lei come a se stesso, stupendosi per quel barlume di audacia e determinazione. - Per il momento ti consiglierei di andare a dormire e di lasciar temporaneamente perdere la questione della pergamena… ma qualcosa mi dice che non hai intenzione di arrenderti. Vero?- abbozzò, sperando nel contrario ma lasciandosi comunque sfuggire un tono d’ammirazione che lusingò Demi fino a farla avvampare, di nuovo, come una fiaccola nelle tenebre. Il suo silenzio d’assenso fece scuotere il capo a Nick con un pizzico di rassegnazione.
- Okay, capito, messaggio ricevuto. Sei così testarda che è impossibile farti cambiare idea quando ti metti in testa qualcosa…- suonò come un complimento e lei increspò le labbra in una smorfia, colpevole. -… mi piace.- la rassicurò il figlio di Elijah, con calore.
- Devo aver ereditato un paio di geni recessivi fortunati, tutto qui.- si schernì la Salvatore, fieramente, ostentando una falsa modestia che strappò a lui una mezza risata. Prima di entrare nella camera di Bonnie, lei sbirciò furtivamente al suo interno e vide la schiena di Sheila curva su carte ed abiti della madre mentre, al fioco ed insufficiente barlume prodotto dallo schermo luminoso del suo cellulare, la Bennett rovistava dappertutto alla ricerca del foglio giallastro disperso.
Intenerita da quell’instancabile prova di collaborazione, Demi si appoggiò allo stipite della porta, abbassando la voce per far sì che solo Nick la sentisse:
- Ritroveremo quella Profezia, te lo prometto… ma adesso devo proprio andare.-
- D’accordo.- mormorò lui, mostrandosi allegro per non scoraggiarla e stringendo un po’più forte il telefono tra le dita affusolate, come per trattenere la sua voce per qualche attimo ancora: - Buonanott…- si interruppe appena in tempo, sentendo un sibilo scontento uscire dalla bocca di lei, poi provò a correggersi: -…emh, volevo dire buon proseguimento!- nell’ascoltare quelle parole convinte, Demi parve soddisfatta e si dondolò sul posto con un sorrisino divertito.
- A domani…- pronunciò quel saluto con la stessa delicatezza con cui, solo un paio d’ore prima, si era sporta oltre la soglia di casa Bennett, guardandolo andare via con la solita andatura fluida ed elegante. Le parve di percepire nuovamente la lieve consistenza del suo bacio sulle labbra mentre riattaccava a malincuore, sognante, e rimaneva in silenzio a lungo, giocherellando nervosamente con la luce della sua torcia.
Riscuotendosi e facendo lampeggiare quel cerchietto fluorescente sulla schiena ancora ostinatamente china di Sheila, come se fosse una lucciola impalpabile, non riuscì a ottenere dei risultati confortanti: la Bennett non si girò a guardarla, pur avendo avvertito perfettamente la sua presenza.
Fu così che la ragazza dai capelli lisci e setosi si decise ad emettere un colpetto di tosse strategica:
- Per una che odia tanto profondamente Nick… direi che ti stai impegnando parecchio per ritrovare la sua pergamena!- canzonandola con aria innocente, Demi entrò nell’ampia camera in punta di piedi, inciampando presto nel soffice cumulo di indumenti sparsi sul pavimento davanti all’armadio di Bon. Le sopracciglia nere di Sheila si inarcarono un po’ mentre quest’ultima si girava finalmente a guardare la figlia di Elena, risentita, ed incontrava, per tutta risposta, il bagliore radioso della sua gioia.
- Non sto mica… non lo faccio certo per quel tizio!- borbottò la Bennett, arruffandosi i folti boccoli di pece, piccata. - E’ solo che quel papiro era il nostro unico punto di partenza per riuscire a decifrare questo casino del mondo sovrannaturale e adesso… si è volatilizzato! Di grazia, dovrei organizzare una festa o piuttosto restarmene qui, a sgobbare nella speranza di trovare un rimedio alla cosa?- alzando le spalle, Demi si acciambellò accanto a lei, offrendole la torcia in segno di pace.
Sheila continuò a tenere il broncio ma accettò di buon grado l’oggettino, illuminando meglio con il suo chiarore il contenuto di un grosso libro dalla copertina di cartone rossiccio. Lo aveva ripescato nel fondo di un baule muffito e ora lo teneva aperto sulle ginocchia, in consultazione. Voltando una pagina con espressione un po’ più accomodante, la Bennett tornò ad aprir bocca, senza però staccare gli occhi dal volume:
- E poi non ho mai detto di odiarlo.- mormorò, alludendo all’accusa ‘ingiusta’ che Demi le aveva rivolto appena un secondo prima.
- Quel tizio.- la scimmiottò prontamente quest’ultima, tetra. - Andiamo, She’, lo consideri da sempre una minaccia… ed io, in quanto tua amica del cuore, dovrei fidarmi ciecamente del tuo giudizio!- sbuffò, battendo le ciglia da cerbiatta nel vano tentativo di intenerirla. - Potrebbe andarmi peggio?-
- Oh sì.- convenne Sheila, con un strano luccichio a rischiararle le intense iridi di carbone. - Diciamo che, secondo questo bel libro, ci sono almeno un paio di formule magiche che potrebbero fare al caso nostro se il caro Mr. Mikaelson si rivelasse il degno nipote di sua zia!- affilando all’istante lo sguardo turchino, Demi rimase senza fiato e spalancò la bocca, stupefatta.
Formule magichecosacavol…?!
- Vuoi dirmi che quello è un Manuale di incantesimi?- strillò alla Bennett, curiosissima, strappandole la lampadina di mano per inquadrare di persona quei foglietti sottili dalla fattura aspra, antica e ricca di complessi ghirigori d’inchiostro decorativo sul bordo.
- Come… quando… dove l’hai trovato?!-
La sedicenne dalla pelle olivastra si batté una mano sul petto, con aria saccente:
- Pensavo che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe essere stata mia madre a sgraffignare la pergamena del tuo caro tizio… potrebbe averla trovata per sbaglio in camera nostra e averla nascosta per poterla analizzare con calma in un secondo momento, il più lontano possibile da noi. Per questo motivo ho ritenuto opportuno dare un’occhiatina tra le sue cose, anche tra le più ‘private’… sai, alla ricerca del ‘nascondiglio perfetto’. Di quella cartaccia, ovviamente, neanche l’ombra… ma eccoci qui, in compenso. Lo stavo già consultando quando ho sentito delle voci familiari provenire dal portico…- spiegò Sheila, sferrando ad un’imbarazzatissima Demi una gomitata complice prima di ritornare più seria che mai. - Ad ogni modo, sembra una sorta di ‘ABC’ per giovani apprendiste… streghe.- giudicò, aggrottando la fronte mentre rifletteva.
Demi era talmente emozionata che, puntandole la lanterna dritta in faccia, finì per accecarla e per guadagnarsi un epiteto poco edificante.
Dettagli.
- Le fatture sono quasi tutte citate in qualità di ‘elementi di base’… immagino che siano state rimosse dal Grimorio di mamma (sempre presumendo che lei ne possieda uno!) perché considerate troppo ‘elementari’.- così dicendo, Sheila indicò una corposa lista di parole scritte in una grafia molto fine ed ordinata, con accanto segnati dei piccoli pentacoli vuoti o colorati, posti lì ad indicare il grado di difficoltà del singolo sortilegio rispetto al successivo:
‘’Per scacciare la paura del buio. Per cuocere del cibo. Per rendere inoffensivo un veleno. Per aprire le serrature. Per sigillare una porta. Per scavare un buco (più o meno profondo) nel terreno. Per pulire gli utensili. Per ricucire un abito. Per curare le ustioni. Per rimuovere le tracce del passaggio di qualcuno...’’
- Sembrano delle formule piuttosto ‘domestiche’…- commentò Demi, trattenendo le risate mentre spulciava l’elenco con rapidità, affascinata, prima di accigliarsi e di tornare a guardare l’amica con aria impaziente: -… allora, dov’è l’Abrakadabra ‘Per ritrovare un oggetto perduto’?- chiese ansiosa, senza riuscire a trovarlo tra le voci citate.
- Non c’è.- mormorò Sheila, compita, vedendo la pallida illusione svanire dall’espressione dell’altra alla velocità della luce, come spazzata via da un vento freddo. - Lo so, mi dispiace… ma credo che sia incluso nel corso di stregoneria più avanzato.- chiarì, desolata. Era evidente come anche lei lo avesse cercato in precedenza, senza successo, e, anche se con amarezza, Demi le fu immensamente grata per quella premura.
Era fortunata ad avere una persona come Sheila al suo fianco.
L’avrebbe abbracciata per sempre, nonostante i suoi piccoli difetti, se solo fosse stato possibile.
- Maaaaa, se può consolarti, ho comunque trovato una cosa che potrebbe interessarti e, chissà, magari anche farti sparire quel muso lungo dalla faccia. Ne avremmo giusto bisogno, adesso.- gli angoli della bocca di Demi si piegarono faticosamente verso l’alto mentre un nuovo moto di ottimismo le scaldava il petto. Il tono incoraggiante della Bennett, infatti, l’aveva spinta a guardare con più distacco alla speranza già sfumata di poter recuperare, magari grazie ad una scorciatoia incantata, la Profezia che Nick le aveva donato in custodia, e l’aveva invitata a posare lo sguardo su una formula in particolare, tra quelle che Sheila stava picchiettando con la punta dell’indice.
- Credo che la torcia, come fonte di illuminazione, sia davvero sopravvalutata.- ghignò la Bennett, prima di allungarsi all’indietro per raggiungere e spalancare la stessa cassapanca misteriosa dalle cui profondità aveva estratto gli appunti sovrannaturali di Bonnie, rimasti sopiti tra polvere e segreti per sedici anni.
Demi vide una piccola candela pingue e lucida, color cremisi, comparire nel palmo di Sheila dopo una breve ricerca tra le cianfrusaglie, poi un’altra, sottile e bluastra, con la base cilindrica conficcata in una specie di supporto bronzeo che assomigliava ad un candelabro, ed infine un’altra ancora, identica alla seconda, ma smeraldina.
- ‘Per accendere il fuoco.’- recitò la padrona di casa, facendo balenare nei propri occhi scuri un lampo di desiderio di mettersi alla prova.
Demi la fissò, rapita, immersa in un silenzio vibrante d’aspettativa e anche di sbigottito rispetto.
- Solo… non ridere di me, se non dovesse funzionare, okay?!- la ammonì la bruna, scoccandole un’occhiata d’avvertimento. La Salvatore scosse la testa solennemente, per tranquillizzarla, mentre quella abbassava le palpebre e cercava di concentrarsi, imponendo le dita sulla sommità della candela grassoccia.
Nel frattempo, Demetra incrociò indice e medio sotto la manica del pigiama.
- Ex Spiritum Intaculum…- sillabò Sheila con fermezza, riprendendo immediatamente fiato e sbirciando con un occhio solo sulla formula intricata che non era riuscita ad imparare a memoria. Sorrise, poi ricominciò, più cauta: - In Terrum Incendium…-
Mantenere l’equilibrio mentale necessario alla riuscita di quel sortilegio fu difficile: ogni parola era simile ad uno sforzo fisico e le pulsava dentro come musica mentre nuove sensazioni la assalivano, facendola fluttuare in uno stato di coscienza differente, più elevato. Il ritmo di quella litania pareva scandito dal battito cadenzato del suo cuore mentre una connessione più profonda e viscerale con la vita e con la natura circostante s’insinuava in ogni centimetro delle sue membra tese, rinvigorendole.
Stava funzionando!
Distratta dal proprio tumulto interiore, simile in tutto e per tutto a quello che aveva già provato una volta a mensa, quando, cioè, era stata colta dal malessere consequenziale alla sua prima premonizione, Sheila sentì il Potere che stava emanando dai polpastrelli venire attirato da un’altra presenza in quella stessa stanza, come da una calamita.
L’aspirante fattucchiera rischiò di perdere il controllo dell’incantesimo quando si rese conto di quello che stava accadendo: l’aura di Demi, come un punto fisso e splendente al centro esatto dell’universo in equilibrio, stava trattenendo su di sé una parte di quell’energia, supportandola ed amplificandone l’entità fino all’inverosimile, come uno specchio che rimandava indietro un bagliore, rendendolo, se possibile, ancora più intenso e luminoso di prima. Demi era un’attrazione incredibile per la sua magia ma Sheila percepiva qualcosa di sbagliato in quella situazione.
- … Phasmatos Salvis Adisdum!- concluse perciò, di colpo, tutto d’un fiato.
Nel silenzio che seguì quella declamazione, un anomalo odore penetrante, come quello sprigionato da bastoncini d’incenso, si diffuse tutt’intorno. Tuttavia, a parte quel particolare, non si verificò proprio nulla di rilevante. Nonostante i suoi sforzi, era ancora buio pesto.

Image and video hosting by TinyPic  
Leggermente stordita dalla faccenda, la Bennett si schiarì cupamente la gola, cercando di mascherare il disappunto:
- Forse i poteri delle discendenti di Salem saltano qualche generazione.- tentò, posando malvolentieri il cero spento sul pavimento, in chiaro segno di resa. - Come non detto.- sbottò, abbassando il capo e rannicchiandosi su se stessa, sconfitta. Si maledisse per quel ridicolo tentativo mettere a punto una simile pagliacciata esoterica e si ripromise di non lasciarsi mai più prendere la mano in quel modo.
- Lo sapevo che erano solo un sacco di scemenze!- si lamentò, con la faccia affondata tra le ginocchia.
- Sheila Bennett.- la rimbeccò Demi, scuotendole un braccio con voce rotta dalla venerazione.
- Apri gli occhi!-
Quando la strega lo fece, sbuffando come se non ci fosse un domani, si vide comparire davanti uno spettacolo singolare: non solo la corrente elettrica era tornata di colpo in tutta la casa, risplendendo in ogni lampada tremula e adamantina nel fiero lampadario della camera da letto, ma si era propagata anche in tutte le altre stanze, nel corridoio adiacente e persino nella stanzetta che le due usavano per dormire.
Anche all’esterno della dimora, per le strade deserte e sui lampioni percossi dalla tempesta e dal gelo, era tornata l’elettricità e tutte e tre le candele prescelte da Sheila per l’esperimento, seppur con un po’ di ritardo, erano state a loro volta graziate dal dono di una fiammella danzante sull’estremità.
- Accidenti.- fischiò sommessamente la Salvatore, raggiante, battendo le mani davanti all’espressione ammutolita e perplessa dell’amica. - Eccezionale risultato, per una principiante! Sei proprio sicura che fosse solo un incantesimo elementare? Questo si chiama talento!- con slancio, Demi abbracciò forte la Bennett per congratularsi ma, mentre questa ricambiava la stretta, sfiorandole con la guancia i capelli profumati, avvertì una fitta lancinante alla testa, accompagnata come da una sensazione di vertigine.
Si ritrasse istintivamente, con un gemito soffocato.
- Hey… tutto bene?- le domandò immediatamente la Bennett, preoccupata.
- S-sì…- bisbigliò lei, passandosi una mano sulla fronte e stringendo le dita sulle tempie, cercando di scacciare la sensazione di dolore e smarrimento che si era appena propagata nella sua mente, come se qualcuno avesse cercato di esercitare una gelida pressione nel suo cervello. Quell’improvvisa debolezza le ricordò il momento in cui aveva percepito la presenza di Prince Mikaelson tra la folla chiassosa del Grill ed il modo in cui quel ragazzaccio si era divertito a prendere in giro il suo timore. Si sentiva più o meno così, adesso, svuotata e spaventata, come se una porzione consistente delle sue forze le fosse stata sottratta contro la sua volontà, abbandonandola per sempre. Al contrario, la fiamma dorata delle grasse candele ardeva con vigore, rischiarando la sua pelle d’un tratto innaturalmente esangue. Le vennero i brividi. -… sono solo stanca, suppongo. Nick ha ragione… dovremmo continuare domani con le indagini e rimettere in ordine la casa prima che tua madre rientri e ci colga sul fatto…- Demi si tirò su, ostentando noncuranza, e scrollò le spalle, dando un buffetto sui riccioli di Sheila. Da parte sua, la Bennett la stava scrutando con apprensione, come se riuscisse a vederle attraverso. Un motivo in più per dileguarsi. -… controllerò l’ultimo scaffale rimasto e poi dritta a nanna.- promise lei, con un tono che non ammetteva repliche, avviandosi per raggiungere in fretta l’altra camera da letto. La sua andatura si sforzava di essere ferma e sicura ma tradiva una traballante fragilità che non sfuggì a Sheila. Che cosa diavolo le era successo? Senza riuscire a trovare una risposta, la figlia di Bonnie si accorse che, nell’istante preciso in cui la Salvatore aveva abbandonato la stanza, tutte le candele variopinte, in un unico soffio invisibile, lugubre ed evanescente, si erano spente.
 
***
 
Elena sentì una mano robusta afferrarle il polso e stringere con vigore le sue dita tra le proprie, in un muto gesto d’incoraggiamento. Alzando il viso ancora gonfio e lucido di pianto, vide che suo fratello Jeremy era al suo fianco e che, sostenendola, la stava aiutando a rientrare nella capanna, al cospetto dell’imperscrutabile spettro di Elijah.
I suoi occhi castani e velati parvero riacquistare una parte dell’antico fervore mentre la Gilbert sentiva accanto l’innegabile vicinanza della propria famiglia ed inspirava profondamente, coraggiosamente, riempiendosi il petto logoro d’aria fresca e pulita.
Per Demi.’ continuava a ripetersi meccanicamente, aggrappandosi al consiglio di Stefan e raccogliendo le ultime forze che le erano rimaste a disposizione. ‘Chiedi di più sulla Profezia, avanti. Subito. Per Demi.’
Qualcosa nella sua gola secca, però, sembrava essersi chiuso irrimediabilmente e, per questo motivo, fu Bonnie a rompere il silenzio al suo posto, emettendo un basso lamento d’allarme e poi piegandosi su se stessa nello sforzo di mantenere la connessione con l’Altro Lato il più a lungo possibile.
Elijah, forse intuendo che il tempo a sua disposizione non sarebbe stato sufficiente per rivelare tutto il necessario, si decise a parlare, senza più attendere la domanda che era già palpabile nell’atmosfera tempestosa, stravolta e satura di tensione di quello stanzone:
- Se tua figlia è davvero legata alla Clessidra di Salomone, il suo destino è segnato.- spiegò ad Elena, mentre quelle parole asciutte le si insinuavano nell’anima, strisciando e permeando con il loro sapore avvelenato ogni singola speranza. - Ho conosciuto e pagato a caro prezzo la follia e la determinazione di Sophie Deveraux e di Shane sulla mia pelle e su quella della mia famiglia. Combatteranno fino alla morte per ottenere ciò che bramano. E con loro, Rebekah. La loro cieca disperazione li rende avversari più spietati e pericolosi di chiunque altro… non si fermeranno mai.- Bonnie ebbe un brusco sussulto ma digrignò i denti, continuando a servire al suo scopo nonostante la sofferenza.
Elena fece per avvicinarsi istintivamente a lei, con le palpebre che le bruciavano, ma Jer la precedette, facendole poi cenno di sbrigarsi. Guardando il giovane uomo che sosteneva la propria amica tra le braccia, sussurrandole frasi di conforto mentre il petto di lei si alzava e si abbassava velocemente a causa della fatica, la Petrova si riscosse dal suo stato di afflitto torpore e, finalmente, reagì:
- Che cosa vogliono da Demetra… come hanno intenzione di… di usarla?- domandò al fantasma, con voce acuta, storcendo la bocca nel pronunciare quell’ultimo vocabolo. Elijah esitò, forse per riflettere sulla possibilità concreta di darle oppure no una risposta così atroce, ma Elena insistette ad incalzarlo, muovendo un passo impavido verso di lui:
Image and video hosting by TinyPic
- Se non me lo dici ora, non potremo in alcun modo proteggerla. Ti scongiuro, Elijah, è solo una… è una ragazzina…- la voce le si spezzò e lui provò il desiderio di posarle una mano compassionevole sulla spalla, pur consapevole dell’attuale inconsistenza materiale del proprio corpo. La doppelganger di Katerina, per una straziante frazione di secondo, gli aveva ricordato Hayley ed il modo in cui la sua amata licantropa si era messa ad urlare quella notte, quando gli assassini li avevano trovati e lui era corso a nascondere i piccoli nella botola, prima che fosse troppo tardi, prima che…
- Il suo Potere potrebbe essere utilizzato in molti modi, considerandone l’entità. Quella fanciulla è un prodigio, una risorsa inesauribile d’energia, e questa sarà la sua maledizione. Avranno bisogno del suo aiuto per aprire una falla tra le due Terre e per incrinare i rapporti eterni tra vita e morte con lo scopo di dominarne i confini. Cercheranno di ribaltare l’equilibrio da lei garantito sfruttando l’immensa magia contenuta nelle formule di Salomone dal quale, come ho già detto, Sophie discende per linea diretta. Il Grimorio che contiene i segreti proibiti necessari alla realizzazione di questo piano perverso è già nelle sue mani. Assieme ai suoi complici, la strega cercherà di far scorrere i granelli del tempo e dell’esistenza al contrario, consentendo così una diversa aggregazione delle particelle della materia. Ci sarà un nuovo inizio… lo stesso che viene definito la ‘velata stagione’.- chiarì Elijah, citando fedelmente l’ultimo verso della sua inquietante traduzione. Elena incassò il colpo ma non abbassò lo sguardo, incontrando ancora una volta l’approvazione dell’ex vampiro:
- Per fortuna, neppure il mago più esperto mai esistito potrebbe riuscire in un’impresa simile senza rischiare di commettere degli errori imperdonabili e di provocare distruzione e rovina in ogni luogo... loro lo sanno bene, questo. Nessuno può farsi obbedire da un oggetto così portentoso come la Pietra della Resurrezione senza perderne il controllo, senza lasciarsi prendere la mano dai suoi tesori e dalle infinite possibilità che offre. Perciò i suoi ‘servigi’ sono affidati ad una e ad una sola custode… a Demi, per l’appunto.- l’Originale cercò di mettersi una mano sotto il mento, assumendo una posa meditativa ed accorgendosi, con una cupa rassegnazione, che la sua pelle aveva ormai assunto una sfumatura verdastra, opaca e trasparente; il suo ritorno nell’aldilà pareva imminente ed Elena si sentì trafiggere da quella realtà intollerabile. - Molti, prima della sua nascita, hanno maneggiato quel lapislazzuli stellato, senza ottenere il successo sperato… questo perché il Prescelto possiede una qualità unica nel suo genere, la sola che renderebbe possibile l’attivazione di quella clavicola. Egli funge da ‘amplificatore della Magia’.- Elena inarcò le sopracciglia, perplessa, ed Elijah si precipitò a chiarirle quel concetto fondamentale, con la voce che diventava sempre più remota: - Avrai presto modo di notare che anche l’incantesimo più mediocre, se pronunciato in presenza della tua Demetra, tenderà ad acquistare una maggiore intensità, tramutandosi in un evento miracoloso. Il comune tentativo di far fiorire un bocciolo restio a schiudersi, ad esempio, potrebbe concludersi con l’avvio di una primavera anticipata in giardino. Ciò accade principalmente perché la Magia, massima espressione della volontà della Natura, ha la facoltà di cibarsi della vitalità e delle doti esclusive della sua unica eletta, facendo di lei una sorta di faro, di vero e proprio punto di riferimento per le streghe. Ne consegue il fatto che, grazie all’ausilio della Chiave, possano essere realizzate dai fattucchieri più incauti ed ambiziosi delle gesta che, in altri casi, risulterebbero praticamente impossibili.-
Elena spalancò la bocca ed inorridì, tormentandosi le mani in grembo.
Sentiva che, da un momento all’altro, sarebbe svenuta.
- La resurrezione dei morti, tanto per dirne una.- comparendo dopo aver spalancato la porta d’ingresso, Stefan si avvicinò ai due interlocutori, grondante di pioggia, con un lato del volto ammaccato e un chiaro tormento nelle iridi. La Gilbert sbirciò verso la soglia della catapecchia pericolante, alla ricerca dell’altro fratello Salvatore, ma il suo cuore divenne nero come la pece quando si rese conto della sua schiacciante assenza. Afferrò d’impeto la mano bagnata di suo marito e la strinse forte, quasi fino a spezzargli le dita; lui ricambiò dolcemente la pressione spasmodica della sua presa, per rassicurarla.
Se l’avesse lasciata andare in quel momento, Elena sarebbe precipitata all’inferno. 
- Esatto.- annuì Elijah, confermando l’ipotesi di Stefan. - Per compiere un’operazione simile, quei tre pazzi avranno bisogno del più efficace supporto sovrannaturale esistente… di qualcuno, cioè, che sia capace di incrementare al massimo l’effetto del maleficio architettato dalla Deveraux. Di vostra figlia.- Elena sgranò gli occhi, terrorizzata, mentre Stefan serrava le mascelle.
Image and video hosting by TinyPic
- Cercheranno di ottenere il suo Potere per liberare e potenziare le facoltà della Pietra e poi lo utilizzeranno… fino all’ultima goccia. Le conseguenze saranno devastanti…- il suono dei respiri affannosi di Bonnie sembrava un’eco lontana mentre Jeremy si scostava i capelli spettinati dagli occhi allibiti e guardava gli altri con la stessa cruda desolazione che era stampata sui loro volti. -… per poter essere amplificata, infatti, la Magia attinge direttamente alle riserve vitali della Chiave, tramutandole in entità che defluiscono completamente da lei, lasciandola via via più debole. Il suo corpo umano e vulnerabile è il limite imposto al suo Potere sconfinato, l’equilibrio immancabile, l’altra faccia della medaglia. Un abituale e ben controllato esercizio di quell’abilità potrebbe anche non incidere troppo negativamente sull’organismo della giovane Demi, ma un suo abuso sconsiderato, come quello che i vostri nemici hanno in mente… finirà senza dubbio per ucciderla.-
Elena notò il cambiamento contrito nella sua voce ed alzò lo sguardo, in preda alla disperazione. Vide con insopportabile lucidità che l’Originale non stava mentendo e, d’un tratto, le parve di impazzire. L’ultima volta che aveva smesso di credere nella possibilità di vincere contro il dolore, il suo mondo si era spento e, sommersa e circondata dal buio, le era sembrato di non riuscire a distinguere più nulla; non c’erano più stati i suoi amici, non c’era stato il cielo, non aveva più visto la speranza. L’ultima volta qualcosa le si era annullato dentro, morendo per sempre, ma ora era peggio: si sentiva lacerata, impotente e, quando sollevò una mano gracile ed implorante verso Elijah, lo fece come se la sua vita ne dipendesse.
- Non c’è un modo per impedire che questa follia si compia?- sibilò Stefan allo spettro, precedendola.
- Pare che la Natura abbia provveduto a fornire alla ragazzina dei meccanismi d’autodifesa piuttosto efficaci.- mormorò questi, con bonaria delicatezza, tendendo le dita pallide verso quelle della Petrova. Nel provare a toccarle, lei percepì solo una lieve e irreale sensazione di umido e di gelo, niente di più. - Ad esempio l’impossibilità di essere soggiogata a compiere il volere altrui, la facoltà di creare delle barriere protettive attorno a sé ed, infine, la non meno importante capacità di mutare forma. Se Demi imparasse a controllare meglio il proprio istinto, per sapersene servire con maggiore consapevolezza al momento opportuno… sono sicuro che sarebbe una preda molto meno facile per i suoi nemici.-
- Come… in che senso imparare a controllare…?- balbettò Jeremy, spaesato, mentre Bonnie annuiva per sostenere quella legittima domanda. Il sangue aveva cominciato a scivolare copioso giù dal suo naso fino ad imbrattarle il mento e lei appariva davvero sfinita.
Non avrebbe resistito che per un’altra manciata di secondi.
Forse anche meno.
- Mia madre Esther era una Strega molto potente, Elena.- ansimò Elijah, mentre la sua figura vibrava con violenza, come l’immagine di un programma televisivo sintonizzato male. - Il suo Libro delle Ombre è antico e prezioso quanto quello che ora appartiene alle Deveraux. Cercalo, lì dentro potresti trovare molte risposte ai tuoi dubbi. Non è andato perduto, ne sono certo, mia sorella non l’avrebbe mai… puoi ancora tentare…- la Gilbert provò ad interromperlo ma lui scosse il capo, scrutando il suo viso con l’urgenza dei suoi saggi e profondi occhi neri.
- Ascoltami attentamente: tieni tua figlia lontana dalla magia.- scandì, quasi volesse marchiarle l’anima col fuoco di quell’avvertimento. - Ogni volta che un incantesimo verrà formulato in sua presenza, le sue energie verranno incanalate in qualcosa di diverso rispetto alla sua protezione. La sua mente diverrà più indifesa e Sophie ne approfitterà per fare brecciaper colpire.- dibattendosi per resistere ancora qualche istante nel Mondo dei Viventi, l’ombra del vampiro ebbe un sussulto. La sua voce si fece malinconica, partecipe: - Credimi, possiede delle armi temibili e non esiterà ad insinuarsi nella coscienza delle sue vittime attraverso visioni e sogni terrificanti, finalizzati alla perdita della ragione. L’ha fatto prima d’ora, con risultati mostruosi per i malcapitati. Non sottovalutate nessuno di quei tre, neppure Rebekah. È affezionata ai suoi nipoti ma è talmente concentrata sulla vendetta da non accorgersi dei terribili rischi a cui li sta esponendo.-
Le sue pupille rotonde luccicarono e Elena comprese che era giunto il momento.
Un groppo le strinse lo stomaco mentre un vento sibilante penetrava dalle ampie crepe nelle pareti e si annidava al centro della stanza, avvolgendo il fantasma come un turbine vorticoso.
- Restate uniti, come una famiglia.- fece eco l’ultimo soffio della voce atona del fratello di Klaus, ormai proveniente da un altro universo. Poi, con un velo di commozione, riuscì ad aggiungere:
- Sempre e per sempre.-
Bonnie si accasciò pesantemente contro il petto di Jeremy, stremata, mentre il cerchio magico posto a contenere la sua stregoneria scompariva del tutto e il Libro di Incantesimi che Elijah aveva tenuto sospeso tra le mani, ritrovandosi improvvisamente privo del suo appoggio, si schiantava al suolo, facendo sfuggire dalle proprie pagine i frammenti complementari della Profezia.
Gli aliti notturni tornarono a soffiare gelidi e sottili attorno a loro mentre un silenzio opprimente ghermiva i loro cuori con i propri artigli pungenti. Vincendo il desiderio di svanire nell’ombra della propria indicibile angoscia, con una lentezza estenuante, la Gilbert sollevò gli occhi lucidi verso quelli di Stefan, ritrovandoli già fissi nei propri. C’era una strana, esausta determinazione nel fondo verde scuro delle sue iridi e quello sguardo così divorato dai sensi di colpa destabilizzò la donna, invece di consolarla, facendola sentire più sola, incompleta e misera che mai.
Le sue guance si bagnarono di nuovo d’argento mentre Stefan la stringeva a sé, mormorandole piano che c’era una cosa che lei doveva sapere, un segreto che lui non si sarebbe tenuto dentro per un istante di più, qualcosa che riguardava Damon e la ragione per cui, sedici anni prima, era fuggito.
‘’Damon.’’ pensò Elena, scuotendo la testa mentre Stefan la supplicava di perdonarlo per averle taciuto tanto ostinatamente quella verità. ‘’Dov’era lui, mentre il mondo le stava crollando addosso?’’
 
***
 
Il corvo si avvicinò alla casa senza fare rumore, furtivo, battendo le ampie ali nella brezza e facendo scorrere la corrente umida e densa tra le piume nere d’inchiostro. Giunto a destinazione, si appollaiò sul ramo sottile di un albero e, mentre qualche goccia ghiacciata pioveva dalla chioma grondante fin sulla sua testa pennuta, schiarendogli le idee, i suoi brillanti occhi rapaci sfavillarono nel buio del quartiere tranquillo ed avvolto nel sonno.
Via libera.
Sbirciando tra i rustici pannelli di legno che ricoprivano le pareti laterali dell’abitazione prescelta, individuò una fessura nella finestra squadrata e socchiusa al piano superiore. Fare un salto all’interno sarebbe stato un gioco da ragazzi e, una volta oltrepassata quella tendina danzante dai bizzarri ricami floreali con un balzo aggraziato, forse Damon avrebbe capito come mai, tra così tanti posti in città, era finito col giungere proprio lì, a casa di Bonnie, solo per vederla.
Perché Demi, lo sapeva, era in quella stanza ovattata, di certo profondamente addormentata, e lui, lasciandosi trasportare dall’istinto, aveva deciso di raggiungerla contro ogni logica, per starle accanto un attimo soltanto, per potersi aggrappare al miracolo della vita che le scorreva dentro, per essere sicuro che non fosse l’ennesimo sogno dal quale gli sarebbe toccato svegliarsi di soprassalto alle prime luci dell’alba.
Con un piccolo slancio delle zampette, l’uccello spiccò il volo e schivò le fronte sottili che grattavano lievi contro il vetro trasparente delle imposte, scivolando dentro quelle mura domestiche con agilità ma, soprattutto, col cuore in gola. Forse assecondare quel desiderio di ricongiungimento era stata una pazzia, forse era ancora in tempo per andarsene e per dirigersi dove la furia avrebbe voluto guidarlo, là dove uno scontro diretto con una certa megera avrebbe placato, almeno in parte, il suo senso di vuoto e di inadeguatezza… se solo Stefan non si fosse messo a blaterare, avrebbe scelto come obiettivo una dimora molto più lussuosa e terrificante di quella delle Bennett e si sarebbe addentrato lì, dove il suo dramma era cominciato tra grida, violenza e dolore…
http://www.youtube.com/watch?v=sf6mkYz4mx0
Il volto di Demetra gli apparve davanti agli occhi come un raggio di luna che squarcia le tenebre e lo invase con una tenerezza incontenibile che trionfò su qualsiasi altro suo pensiero, specie su quelli più cruenti e funesti.
Lei si era addormentata sdraiata sul tappeto, con il capo su un cuscino foderato d’azzurro, e aveva accanto a sé un libro aperto ad una pagina imprecisata. Damon si accorse che il suo corpo minuto e rannicchiato in posizione fetale era circondato da fogli e oggetti che erano stati estratti dalla libreria adiacente per essere tutti perlustrati con cura, alla ricerca di qualcosa. Della pergamena, senza dubbio. S’inginocchiò accanto a lei, con circospezione, e poi, lentamente, sfiorò con la punta delle dita i suoi lunghissimi capelli sparsi sul pavimento ed imbevuti di chiarore perlaceo.
Image and video hosting by TinyPic
A quel minimo contatto, le spesse mezzelune nere delle ciglia di lei tremarono appena, proiettando fragili ombre sulle sue guance nivee, ma i suoi occhi rimasero chiusi. Damon inclinò il proprio viso di lato per osservarla meglio, da ogni angolazione, affamato di particolari meravigliosi che mai si era concesso di ammirare prima: lei aveva la fronte delicata di Elena, i suoi zigomi arrotondati e dolci e il labbro inferiore roseo leggermente sbilanciato rispetto a quello superiore, increspato nel broncio adorabile di chi ha sempre pronta la risata così come la battuta pungente. Il vampiro si morse piano la bocca identica, con la vista annebbiata, senza il coraggio di distogliere lo sguardo dal quel nasino sottile, da quell’incarnato pallido così liscio e vellutato. Non era difficile immaginare quale aspetto lei avesse avuto da piccola e Damon si lasciò naufragare in quella deliziosa immagine.
‘’Bellissima.’’ nonostante i propri sforzi, non riusciva proprio a trovare una parola che fosse più adatta. ‘’Bellissima… come Elena.’’
Già, anche lei aveva l’abitudine di dormire con la mano sotto la federa, come un angelo, anche lei respirava così, lentamente e musicalmente, quando era tra le braccia di Morfeo. Anche lei era sempre stata capace di appianare ogni suo cupo tormento con l’espressione incantevole che i suoi tratti assumevano quando si stringeva alle lenzuola, rubandone una porzione consistente per sé mentre lui la lasciava fare, paziente e divertito…
Quei perduti ricordi gli risvegliarono una sorda desolazione nel petto e lo spinsero a sfiorare ancora, lievemente, il profilo grazioso della mascella di Demi.
Era lei l’unica concreta ed inaspettata testimonianza rimasta di quel passato che gli era sfuggito dalle mani, come sabbia tra le dita, senza mai svanire davvero.
Era la sua bambinae stava piangendo.
Riemergendo di colpo da quell’idilliaca illusione, Damon si accigliò, notando come abbondanti rivoli di lacrime stessero improvvisamente solcando i fini lineamenti della sedicenne, scivolando sulle sue tempie e perdendosi come limpidi brillanti nella sua chioma. Lei mormorò qualcosa di indecifrabile, agitandosi nel sonno e raggomitolandosi poi su se stessa, come se volesse proteggersi da una minaccia invisibile.
Un altro gemito uscì dalla sua bocca, stavolta più acuto, simile ad un grido strozzato.
‘’Un incubo.’’ si disse Damon, turbato, posandole una mano sulla spalla e provando a scuoterla.
- Demi…- le sussurrò, sporgendosi su di lei con tutta la gentilezza di cui era capace. Le spostò alcune ciocche dalla fronte imperlata di sudore freddo, cercando di avvisarla della propria presenza per non rischiare di spaventarla, peggiorando così la situazione. Ad ogni modo, non funzionò.
- Demi… apri gli occhi, piccola, avanti…-
- No... ti prego…- ansimò lei, rigirandosi nel giaciglio con impeto e continuando a singhiozzare. Damon capì che non stava parlando con lui ma con qualche malefica entità nel suo inconscio e notò che le sue palpebre serrate stavano fremendo, come se lei volesse spalancarle, senza però riuscirci. Le mani le tremavano ma riuscì con uno sforzo tremendo ad artigliare il cuscino. Sembrava che stesse lottando per svegliarsi, per fuggire. -... no, lascialo andare… lasciami!- con quell’urlo di supplica, la ragazza si sollevò di scatto, respirando affannosamente, come se non riuscisse a trattenere abbastanza aria nei polmoni.
Il suo sguardo turchino vagò nella stanza completamente buia e immobile, senza vedere nulla.
Avrebbe voluto strillare ancora ma una morsa di nausea ed orrore le chiudeva ermeticamente la gola.
Fu in quel momento che percepì qualcosa di tiepido, simile a seta, sfiorarle la guancia in una soffice carezza ed una mano sicura posarsi dietro la sua schiena, aiutandola a star dritta, sostenendola.
- Damon…?- riuscì a boccheggiare infine, senza fiato, vagando smarrita e sollevata sul volto ansioso del vampiro. Rabbrividì, sollevando le proprie dita intorpidite fino a raggiungere il collo dolorante, poi si strinse nelle spalle, sforzandosi di controllare il respiro. - Io… sei qui…- grossi lucciconi continuavano a sgorgarle dagli angoli delle ciglia, inarrestabili. -… credevo… credevo che…-
Impietosito, senza sapere bene cosa dirle, Damon la spinse adagio tra le proprie braccia, cercando di tranquillizzarla. Demi non si oppose e affondò il viso contro il suo petto, inspirando sommessamente contro la stoffa della sua camicia e lasciandosi andare al calore del suo affetto.
Image and video hosting by TinyPic  
- Va tutto bene…- mormorò lui, carezzandole dolcemente la testa. -… sei al sicuro… era un incubo, solo un incubo…-
- No, non lo era.- sospirò la giovane, scuotendo impercettibilmente il capo e aggrappandosi più forte a Damon, come se non volesse lasciarlo andare mai più. Sentiva la necessità di spiegargli ma, allo stesso tempo, non aveva la forza di ricostruire ciò che aveva visto in quegli istanti di incoscienza, come per paura di rendere quelle visioni troppo reali, ancora più insopportabili. - Era… notte fonda e c’era una donna… avvolta nell’oscurità… viso ovale e scarno, come quello di un teschio, una bandana rossa tra i capelli aggrovigliati ed un enorme tatuaggio sulla spalla…- Demi non riusciva a distogliere il pensiero dai particolari nitidi ed inquietanti dell’altera figura femminile dal sorriso feroce, grottesco e segnato da una marcata fessura tra gli incisivi che aveva invaso i suoi sogni. -... continuava a bisbigliare cose orribili, voleva me… voleva che andassi da lei e… aveva un piccolo corvo stretto tra le sue mani…- la voce le si ruppe in un lamento ma il vampiro non smise di cullarla, contrastando quel singulto. -… era morto, Damon… io… l’ho visto…-
- Shhh… calmati, non era reale...- le disse lui, cercando di convincere anche se stesso mentre percepiva la pelle di tutto il corpo accapponarsi a quelle parole. - Sono qui. Siamo qui. E’ tutto a posto.-
In silenzio, Demi annuì, cercando conforto nel tepore di quella stretta.
Lentamente, lo spietato, compiaciuto e ancora sconosciuto volto di Sophie Deveraux divenne solo un evanescente, orribile ricordo. I contorni del suo ghigno spiritato e malevolo cominciarono a sfumare ma il suo potere di terrorizzarla rimase ancora in agguato, come un’ombra, in un angolo oscuro della sua anima.
 
Quando la ragazzina si scostò appena dal suo abbraccio, tirando su col naso e cercando di ricomporsi, Damon le rivolse uno sguardo teso ed apprensivo, come se si aspettasse che, da un momento all’altro, avrebbe ricominciato a disperarsi.
Stropicciandosi un occhio, tuttavia, lei cercò di rassicurarlo, sforzandosi di increspare le labbra in un sorrisino sbiadito.
- Mi sa che ti devo una camicia nuova.- borbottò, accennando agli ampi aloni che le sue lacrime salate avevano impresso qua e là sulla stoffa pregiata di quell’indumento caratteristico. Il vampiro sentì un sollievo senza precedenti farsi spazio nel suo petto quando vide un po’ di colore tornare a dipingere le gote della sedicenne e le diede un buffetto giocoso prima di ricambiare il suo sorriso.
- Era una John Varvatos.- si pavoneggiò, fintamente addolorato, lisciandosi con le dita una piega sul colletto. - Ti costerà una fortuna.- risero entrambi sottovoce, inebriati dalla sensazione dello scampato terrore, mentre Damon si soffermava più a lungo del dovuto sulla fossetta che si apriva come una rosa sulla guancia di lei e sul modo in cui le sue iridi luccicavano, simili a lapislazzuli, nella cupa penombra striata dai raggi lunari della cameretta.
Era incredibile quanto somigliasse a sua madre… e a lui.
Qualcosa gli si contorse penosamente nel petto mentre le assurde rivelazioni della serata tornavano ad accalcarsi nella sua testa, riaccendendovi tutta l’incredulità, l’angoscia e l’indignazione da cui Demi era riuscita a salvarlo per qualche minuto, come una medicina miracolosa.
Per impedirsi di perdere nuovamente il controllo, il vampiro fissò perplesso le condizioni della stanza circostante, soffermandosi sull’innegabile disordine che sommergeva il pavimento lustro e l’intera mobilia. La giovane aveva proprio fatto le cose per bene, rovistando anche nel più minuscolo angolo tra gli arredi, e lui sentì un bruciante moto di orgoglio nei suoi confronti riscaldargli ogni centimetro di cuore.
- Che cos’è successo, qui dentro?- le domandò, titubante, indicando l’ammasso di quaderni e soldatini di piombo che giaceva, informe, oltre il bordo del vaporoso tappeto. - Hai giocato a nascondino con un uragano?- Demi lo scrutò di sottecchi, arrossendo, poi guardò il bizzarro orologio a cucù che era affisso alla parete ed emise uno sbuffo di protesta. Sembrava avercela con se stessa per non essere riuscita a portare a termine i propri progetti per la nottata, cedendo al richiamo della stanchezza.
Era tornata ad essere di nuovo la cocciuta, determinata ed esuberante ragazzina di sempre.
- Stavo solo cercando una cosa…- spiegò, cercando di apparire evasiva.
- La pergamena della Profezia, per caso?- finse di ipotizzare lui, a bruciapelo, godendosi lo spettacolo di puro disappunto appena comparso sul volto della Salvatore. Quest’ultima aprì e richiuse la bocca più volte, frastornata, prima di decidersi ad annuire, conscia di non avere poi così tante altre alternative a disposizione.
- Già…- confermò, con aria sospettosa. Evitò di chiedersi come diavolo lui potesse essere a conoscenza di quella faccenda; qualcosa le diceva che Damon non aveva alcuna voglia di parlarne e lei non voleva rischiare di metterlo a disagio. -… è letteralmente sparita!-
- Ahh, magari.- mormorò lui, alzando lo sguardo al cielo. Demi si accigliò all’istante.
- Un momento…- lo frenò, sgranando gli occhioni blu. -… t-tu sai dov’è finita?!-
- Yup.- ammise Damon, ostentando una certa noncuranza. Le lanciò un’occhiatina furtiva, in attesa della prevedibile sfuriata, poi, senza curarsi di avvisarla, la acchiappò, sollevandola tra le braccia come una bambina, come una principessa. Colta alla sprovvista, anziché protestare, Demi riuscì solo ad avvinghiarsi a lui, per non cadere, lasciando che le sue gambe penzolassero inerti oltre la sua stretta salda e sicura. - Ma non ho intenzione di dirtelo adesso.- chiarì il vampiro, deciso, avviandosi verso il lettino che troneggiava nella parte destra della camera di Sheila, come se stesse reggendo un neonato o una piuma priva di qualsiasi peso. - Si dà il caso che sia parecchio tardi e che tu abbia bisogno di una bella, riposante dormita, perciò filerai a letto…- la adagiò sul materasso, facendola sprofondare un po’ nella sua morbidezza. -… senza proteste.- sottolineò, con tono severo, alzando un dito fino quasi a sfiorare la sua bocca già pronta a brontolare. - Ne riparleremo quando sorgerà il sole.- le promise, con un eloquente cenno al buio ancora palesemente notturno del cielo là fuori. Il suo sguardo si addolcì notevolmente mentre aggiungeva, più roco: - Parleremo di un sacco di cose, domani.- sotto il proprio indice, Damon sentì aprirsi un sorriso accondiscendente.
- Agli ordini, mammina.- lo canzonò lei, scalciando la voluminosa trapunta e tirandosela addosso, fino al mento, obbediente. Mentre lui cercava di mascherare il subbuglio di emozioni che quell’epiteto gli aveva scatenato dentro, rievocando nel suo stomaco una battaglia pirotecnica fatta di scintille e fuochi d’artificio, lei si dondolò tra le lenzuola, soffocando uno sbadiglio ed impegnandosi a mantenere uno sguardo ancora vigile, curioso.
Damon sospettava che avesse paura di riaddormentarsi a causa di quel sogno terribile che l’aveva resa così vulnerabile fino a poco prima.
Provò un fiotto di tenerezza, l’ennesimo.
- Com’è stata la tua serata?- gli domandò Demi, tutta interessata.
Lui si sforzò di trattenere una smorfia.
- Terribile.- le confessò, d’istinto, riepilogando mentalmente, in un secondo, tutti gli eventi più tragici a cui era stato costretto ad assistere nelle ultime ore: il fantasma impomatato di Elijah, per esempio, ed i sadici piani del ‘trio di mentecatti’; la traduzione di quella decrepita Profezia, Re Salmone, Harry Potter e la Pietra Filosofale, il Leone, la Strega e l’Armadio e poi, dulcis in fundo, quell’improbabile ‘’Hey, Damon, lo sapevi che Demetra ha ereditato piume, becco e il resto della tappezzeria direttamente dal suo papà?’’
- Sul serio.- ribadì sconsolato, sedendosi accanto a lei, in un angolino scavato tra le coperte.
La vide un po’ confusa davanti a quella risposta e così cercò di valutare anche gli aspetti positivi delle vicende appena trascorse, sentendo un ghigno fargli capolino sulle labbra, incorreggibile:
- In compenso, ho preso a pugni Stefan dopo ben sedici anni di astinenza, il che fa slittare l’indice di gradimento della nottata almeno da ‘meno trenta’ a ‘zero’.- solo quando vide un’espressione sbigottita delinearsi sulla faccia di Demi, Damon si rese conto di averlo detto ad alta voce.
Ops.
- Cosa?! Hai avuto uno scontro con mio padre?!- balbettò lei, esterrefatta. Damon ammutolì, grattandosi la testa, incerto, senza sapere come spiegarle la complicata faccenda del padre che picchia… il padre.
E viceversa.
Dannazione!
Per occupare quegli istanti di imbarazzante silenzio, si piegò in avanti, raccogliendo un orsetto di peluche dal pavimento e spolverandolo con cura prima di porgerlo a lei, con aria innocente.
Demi rimase a bocca aperta, poi afferrò Teddy, fulminando il vampiro con lo sguardo.
- Non approvo.- sibilò, sistemandosi sotto le coltri con il broncio stampato sul viso.
Damon scrollò le spalle.
- Lo immaginavo.- le sfiorò il nasino con un polpastrello, cercando di farla rilassare. - Facciamo così... quando saprai tutta la verità potrai accompagnarmi tu stessa a chiedergli scusa… oppure aiutarmi a suonargliele di nuovo. Sarà una tua scelta.- con un cipiglio enigmatico, si chinò in avanti per posarle un bacio impercettibile sulla fronte corrugata, facendo poi per alzarsi.
Demi sbadigliò di nuovo, stavolta senza riuscire a trattenersi in tempo, con gli occhi velati di torpore.
- Dormi, adesso, bambina.-
Quando lui mosse un passo verso la finestra socchiusa, pronto a spiccare il volo per svanire nelle tenebre, sentì qualcosa di morbido ed inatteso trattenerlo per il polso, costringendolo a voltarsi.
- Resta.- gli bisbigliò Demi, tirandolo piano verso di sé. Nelle sue iridi cristalline ed intimorite all’idea di essere lasciate nuovamente da sole coi propri incubi, Damon riuscì a intravedere se stesso, il giorno in cui era stato costretto a scomparire, rinunciando a tutto ciò che aveva amato… alla sua casa, alla sua famiglia… ad Elena. L’alba ineluttabile aveva ridotto in cenere ogni sua speranza, come il sole fa con la carne di un vampiro privato dell’anello da giorno, quella volta, e lui sentiva che, se si fosse dileguato in quel momento, avrebbe provato ancora quella sensazione atroce… d’abbandono.
- Non andartene.- ripeté Demi e, per convincerlo, finse di dormire già profondamente, accentuando il movimento regolare delle proprie spalle ad ogni singolo respiro.
Con gli occhi che luccicavano, lui le si avvicinò e, con cautela, le si sdraiò di nuovo accanto, lasciando che si accucciasse contro il suo petto. Nonostante fosse esausta come non mai, dopo aver vissuto una giornata tanto ricca di stress emotivo e di avvenimenti, la Salvatore si sentì all’improvviso molto più serena, felice… protetta.
- Non me ne vado, stavolta.- le giurò lui, strofinando la guancia umida contro i suoi capelli profumati. Poi, con un groppo in gola, la strinse più forte. - Ci penso io a te.-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 













 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
L’ho detto e lo ripeto: i fan del ‘Diario di Demi Salvatore’ dovrebbero avere tutti un’aureola sulla testa perché, ammettiamolo, come sopportate l’attesa voi… nessuno mai! Mi scuso per questo ritardo senza precedenti ma gli orari delle lezioni dell’università mi hanno assorbita completamente, impedendomi di terminare il capitolo con la stessa velocità (?) di sempre. Credo che il 31° sia uno dei capitoloni più introspettivi che io abbia mai scritto… volevo soffermarmi in particolare sulle emozioni di Damon perché, come sappiamo, quando il nostro vampiro dagli occhi di ghiaccio è ferito, è anche incazzato e volevo che questa parte del suo carattere emergesse a dovere. Scrivere della scoperta della paternità è stato particolarmente straziante e vorrei ringraziare ancora una volta Serena (la mia Carina) per essermi stata vicina durante i miei momenti di crisi emotiva.
La Magia è tornata a Mystic Falls ma, come avete avuto modo di intuire, non si tratta affatto di una cosa divertente.
I pericoli sono in agguato, ora più che mai, per la nuova generazione e in particolare per Demi.
Non mi resta che ringraziarvi, singolarmente, per il vostro sostegno, per la pazienza e l’entusiasmo che non smettete mai di dimostrarmi. E’ magnifico tornare a casa distrutti a causa dello studio e ritrovarvi qui, sempre, al mio fianco in quest’avventura.
P.S. Avevo programmato una scena di ‘confronto’ Delena per questo capitolo ma ho deciso che era meglio rimandarla al prossimo.
P.P.S.: Il 28/10/13, la storia ha compiuto UN ANNO dalla pubblicazione del ‘Prologo’ su EFP.
Questo è un video di ringraziamento realizzato dalla sottoscritta per l’occasione:
http://youtu.be/UfyVQIeCtUk
*****Per informazioni e domande, come al solito:
https://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=hl
ask.fm/IlDiarioDiDemiSalvatore
 
Un abbraccio e alla prossima…
Evenstar75 <3
 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Stigma Diaboli - Parte 1 (History) ***



Image and video hosting by TinyPic

Damon socchiuse le palpebre quando percepì il lieve calore di un raggio di sole sfiorargli la guancia, filtrando senza riserve attraverso gli ampi e lucidi vetri della stanza, poi batté forte le ciglia nere nel tentativo di mettere a fuoco il placido ambiente circostante.
La sua metà del cuscino di piume sprofondò sotto il suo viso quando il vampiro si mosse leggermente sul materasso, cercando di puntellarsi su un gomito ed avvertendo un peso delicato e tiepido bloccargli i movimenti del braccio: Demetra era ancora profondamente addormentata al suo fianco, caparbiamente aggrappata alle lenzuola candide, e le teneva strette a sé con una buffa prepotenza, come per proteggersi da una minaccia invisibile.
Con gran sollievo di Damon, aveva smesso di borbottare convulsamente nel sonno già da un bel pezzo e si era abbandonata ad un torpore diverso, finalmente libero dagli incubi. Adesso, lui non riusciva a cogliere differenze significative tra il piccolo volto sereno di Demi e la luce lattea e rifulgente dell’alba che invadeva la cameretta e così, sistemandosi pigramente sul posto, rimase ad ascoltare a lungo il suono riposante del respiro della ragazzina mentre il profumo di mirtilli, di biscotti e di vento salmastro dei suoi lunghi capelli corvini lo cullava come una lenta ninnananna.
Quando lo scricchiolio di alcuni passi cauti sul pavimento incrinò quella melodia debole e sovrana, Damon sentì il cuore battere più sordo e pesante; le sue dita, posate sulla spalla di Demi in un impercettibile abbraccio, si strinsero d’un tratto, avvolgendo la giovane in un gesto protettivo, istintivo, spaventato. La consistenza della sua pelle sotto i polpastrelli lo rincuorò appena mentre si dava mentalmente dell’idiota, senza smettere di mantenere i propri muscoli in tensione: erano ancora lì, insieme, lei era reale e chiunque avesse varcato quella soglia, con qualunque folle intenzione l’avesse fatto, non sarebbe riuscito a portargliela via. Non ora… non di nuovo.     
La porta color crema si aprì con lentezza, gemendo, e il vampiro chiuse immediatamente gli occhi, fingendo di dormire come un angelo, anche quando riconobbe senza difficoltà la voce soffocata della nuova arrivata:
- Oh, grazie al cielo, sono qui… tutti e due…- bisbigliò Bonnie, lasciandosi andare ad un sospiro liberatorio mentre il vampiro sentiva ardere su di sé e sulla bambina, pur senza riuscire a vederlo, lo sguardo indagatore ma rinfrancato della Bennett. - Sì, Elena, lui è qui, sta’ tranquilla, è con Demi…- lo stomaco di Damon fece una capriola spettacolare davanti all’improvvisa consapevolezza del fatto che la Gilbert doveva essere dall’altra parte della cornetta, al telefono con la propria migliore amica, in ansia totale, alla ricerca delle tracce di sé che lui aveva fatto volontariamente perdere dopo la rivelazione della Profezia.
Dei sentimenti contrastanti si ammassarono, ringhiandosi selvaggiamente contro, nel suo animo: delusione, orgoglio, rancore, comprensione, necessità. Tutto tornò a ribollirgli nelle vene come poche ore prima, aprendogli una crepa bollente nel petto.
-… sì, sì, certo. Glielo dirò. Capisco… va bene. Figurati. Anch’io, Elena. Anch’io.- con un velo di malinconia, la strega riattaccò e scosse piano la testa bruna, assorta, accostando nuovamente l’uscio e facendo ben attenzione a non disturbare i due Salvatore mentre si allontanava. Damon aspettò ancora per qualche secondo, immobile, per sicurezza, prima di allungare il collo, sbirciando oltre il comodino accanto alla branda per essere certo che se ne fosse andata.   
Rammentava di essere incappato solo un’altra volta in un’occasione simile, nella propria lunghissima vita, quando, cioè, proprio come in quel preciso istante, aveva desiderato di non rialzarsi mai più dal letto per potersene restare fermo, bloccato in quell’illusione di completezza per tutta l’eternità, ma si impose di ignorare il dolore che quel ricordo gli scatenava dentro e si fece coraggio, anche se non ne aveva.
Questa volta le cose sarebbero andate in modo diverso. Questa volta non avrebbe perso tutto. Era a casa, ora, o meglio… aveva la propria casa proprio , assopita tra le braccia.
Decise che poteva farcela ed inarcò lentamente la schiena; poi, con una gentilezza che quasi non si riconosceva, sollevò la testa di Demi, sostenendole la guancia vellutata sotto il proprio palmo aperto, e si sfilò dalla sua presa, senza svegliarla. La condusse di nuovo ad affondare con la faccia sulla federa inamidata e, con un mezzo sorriso intenerito, le rimboccò addosso la coperta vaporosa, sentendo un tenue sbuffo d’inconscia gratitudine vibrare tra le sue labbra arricciate appena in risposta.
Voltandosi, Damon mise i piedi giù dal letto, alzandosi in fretta e lisciandosi le pieghe della camicia stropicciata. Il grosso specchio ovale posto all’angolo dell’armadio rossiccio rifletteva del tutto la sua figura scarmigliata e snella, perfetta nonostante l’evidente pallore del suo incarnato e l’aria trasandata che la sua chioma spettinata tradiva senza fare troppi complimenti.
Con una scrollatina di spalle, il vampiro si avviò verso il corridoio, intercettando una voce preoccupata mista al rumore di un’andatura precipitosa, affannata, a pochi metri da sé:
- Scoperte, Demi, siamo state dannatamente scoperte!- piagnucolò Sheila Bennett, a sé stessa come alla propria amica, stropicciandosi un occhio ed avanzando quasi alla cieca in direzione della stanza della Salvatore, con i bei boccoli scuri che le piovevano sul viso assonnato, simili ad una pioggia di pece. -… mia madre è tornata e noi eravamo crollate! Beccate con le mani nella marmellata, nel pieno delle ricerche della tu-sai-cosa, capito?! Io stavo russando come una locomotiva a vapore, perciò, se hai intenzione di inventarti una frottola qualsiasi prima che lei cominci a fare domande, prego, fa’ pure e cerca anche di essere convincent…- andando a sbattere senza alcuna clemenza dritta contro il busto di Damon, Sheila credette di aver urtato per sbaglio il solido stipite della porta e così, furiosa com’era, fece per sferrare un calcio esasperato all’asse di legno incriminato.
Quando, però, un ghigno beffardo la accecò, paralizzandole la gamba tesa sul posto, la ragazza realizzò un secondo troppo tardi di avere ancora abbastanza aria nei polmoni per mettersi ad urlare dallo spavento. Lui ne approfittò per tapparle fulmineamente la bocca con l’indice, giusto un attimo prima di scoppiare a ridere davanti alla sua espressione pietrificata, ammaliata.
 
Image and video hosting by TinyPic
 
- Shh, fa’ piano, Hermione… c’è qualcuno che è ancora immerso nell’incantevole mondo dei sogni, lì dentro.- la rimproverò, usando quello stesso nomignolo che aveva inventato la prima volta che si era presentato in quella casa ed accennando al lettino di Demi con un’aria complice che fece strabuzzare gli occhi alla Bennett. – Non ha trascorso una bella nottata perciò mi piacerebbe lasciarla riposare ancora per un po’, okay?- deglutendo, Sheila si soffermò sul viso cesellato di Damon poco lontano dal suo, sul suo tono di voce suadente e sulle ciocche arruffate che gli ricamavano la fronte.
- Ce-ce… certo, signor Salvatore.- esalò, facendo un balzo all’indietro e cercando in tutta fretta di riprendere il proprio contegno austero di sempre e aggrottando le sopracciglia, seppure con scarso successo.
- Grazie!- disse Damon, scoccandole uno dei suoi ammalianti sorrisi, divertito e lusingato dalla reazione che riusciva ad ottenere sempre e comunque con il gentil sesso, persino con la rinomata figlia scorbutica di Bonnie. - Per quanto riguarda la noi-sappiamo-cosa, sistemo io la faccenda con la tua mamma, nessun problema.- le fece l’occhiolino e Sheila annuì, poco convinta, continuando ad indietreggiare di riflesso. - Bel pigiamino, comunque!- commentò infine il vampiro, voltandole le spalle e lasciandola sola e senza fiato nel bel mezzo del corridoio, a fiondarsi nella camera di Demetra per maledirsi e per controllare che cosa diamine ci fosse di tanto ‘bello’ in una maglietta sbrindellata e in un paio di pantaloncini color senape stantia. 
Scendendo la breve e spigolosa rampa di scale che conduceva al piano di sotto, Damon percepì un aroma delizioso di uova e di cereali aleggiare nell’aria assieme allo sfrigolio dell’olio in una padella e sentì qualcosa nel suo stomaco contorcersi, mozzandogli il fiato. La figura di Bonnie, con un grembiule legato stretto in vita, china sul lavandino mentre l’acqua scendeva copiosa dal rubinetto, assunse nella sua mente dei contorni più esili e gentili, trasformandosi nella fisionomia familiare di una donna la cui bellezza il tempo e la nostalgia avevano solo intensificato, fino a renderla insopportabile ai suoi occhi: Elena.
Elena che era ancora per lui, come il primo giorno, un essere investiti in pieno da una saetta guizzante, un qualcosa che cambiava dentro per sempre, una zona in cui, di notte, deviavano ostinatamente i suoi pensieri, costringendolo a prendere a pugni un cuscino qualunque, freddo e bagnato di solitudine e rimorsi… la stessa Elena che era ancora così proibita, che era la vita di un altro, per un momento, stava solo preparando la colazione, sovrappensiero, con un sorriso sulle labbra, mentre una pestifera bimba, sfrecciando alle sue spalle, le si aggrappava alle ginocchia, lanciando a Damon uno sguardo complice e turchino da dietro le proprie lunghissime ciglia scure.
Un sogno, ecco cos’era… un sogno che non gli sarebbe appartenuto mai.
- Chiudi la porta, Damon, per favore. E’ ancora presto per rischiare di svegliare le ragazze con le nostre chiacchiere.- soffiò la Bennett ad alta voce, con un cupo cipiglio eloquente denso di sottintesi, facendolo sobbalzare. Il sangue riprese a pulsare nelle sue vene, così come nelle sue ferite, mentre lui si rendeva conto che, con ogni probabilità, era stato il suo respiro trattenuto troppo bruscamente a rivelarle il proprio ingresso in quella specie di soggiorno.
‘Tanto meglio’, pensò il vampiro, facendo scattare la serratura alle proprie spalle. Lanciò un’occhiatina fugace all’orologio rotondo appeso alla parete imbiancata, poi avanzò, per nulla sorpreso dal fatto che lei stesse fingendo di ignorarlo, continuando a trafficare coi fornelli.
- Tua figlia è già in piedi ma ci vorrà un po’ di tempo prima che arrivi qui a reclamare…- le sue dita afferrarono a caso una scatola con una grossa stampa pubblicitaria impressa sul davanti, sollevandola dal tavolo fino all’altezza del viso. -… i ‘muffin al cioccolato e allo yogurt per cominciare al massimo la giornata’.- completò, leggendo la scritta sgargiante con tono incuriosito ed inarcando subito un sopracciglio, dubbioso.
Chissà quale dei due ripieni, nei dolci, preferiva Demi. Chissà quanti altri quotidiani ed apparentemente frivoli dettagli, di lei, gli erano oscuri… qual era il suo colore preferito, ad esempio, o il genere musicale del suo cuore, oppure il modo in cui amava lasciarsi alle spalle una brutta giornata. Chissà se era simile a lui e se era una ‘cosa da padre’, quel considerare così importante anche il più piccolo particolare. In fondo, niente… niente era insignificante.
- Possiamo parlare liberamente…- proseguì Damon, vivace. -… oppure, se proprio non ne hai voglia…- accennò con un sorrisetto al caparbio mutismo e alla schiena della Bennett, ancora ferma come un muro davanti a lui. -… posso sempre farti una bella telefonata. Mi sembravi piuttosto a tuo agio con Elena, poco fa, Bon.- nell’udire quella provocazione, lei s’irrigidì, chiuse il rubinetto ed afferrò uno strofinaccio per asciugarsi le mani, poi si girò finalmente a guardarlo, a testa alta, dignitosamente.
- Mi hai sentita parlare con lei, prima.- dedusse, senza lasciar trapelare alcuna traccia di interrogazione in quella frase. - Tipico.- guardandola fisso, lui notò che le palpebre e gli zigomi fieri della donna sembravano gonfi e che quest’ultima, in generale, pareva segnata dalla spossatezza fisica almeno quanto dalle rughe d’espressione impresse sulla sua pelle bronzea.
Era stata una pessima avventura per tutti loro, quella notte appena trascorsa.
- I miei sensi, tra i quali, per tua sfortuna, l’udito, sono molto più sviluppati rispetto alla media.- osservò Damon con finta noncuranza, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. - Sono un vampiro e lo sono stato per oltre centocinquant’anni, ininterrottamente…- si fermò, corrugando la fronte, poi una strana smorfia fece capolino sulla sua bocca: -… più o meno.- concesse, sospirando e incrociando le braccia sul vuoto che il pensiero della sua unica, imprevista notte di umanità gli stava già aprendo nel petto. Poi annuì: - Certo che ti ho sentita.- nel silenzio teso che seguì quella dichiarazione, scrutando il volto impassibile della strega con intensità, Damon sentì una richiesta di spiegazioni urgente e spontanea affiorargli sulle labbra, prima che potesse fermarla:
 
Image and video hosting by TinyPic
 
- Tu lo sapevi, non è così?- le domandò in un soffio precipitoso, sforzandosi di sembrare spavaldo. Bon non finse di non aver capito e si strinse forte nelle spalle, mentre Damon sentiva un nodo serrargli la gola in una morsa di umiliazione. - Tu sapevi che Demi era… che era mia…-
- Lo sapevamo tutti.- lo interruppe la Bennett, seccamente, inclinando il capo, come per sondare le sue reazioni; le iridi azzurre del fratello di Stefan ebbero un fremito e parvero annegare, luccicando, nell’angoscia più autentica. Per un istante, lei si pentì di essere stata così brutalmente onesta. - Lei non ha mai mentito a nessuno di noi, al riguardo. Non ha potuto. Non ha voluto.- spiegò, addolcendosi in un’espressione più comprensiva.
Quello sguardo smarrito, così insolito in Damon, le aveva ricordato fulmineamente gli attimi di disperazione che Elena aveva vissuto dopo la scoperta della sua fuga misteriosa: lei si era chiusa per giorni nella camera del vampiro, rifiutandosi di uscire, di mangiare e di vivere, persino; continuava a lisciare le pieghe tra le lenzuola d’un letto disfatto, ad asciugarsi le guance con rabbia, scavando con le dita nella pelle, e a percorrere, in lungo e in largo, le assi di un pavimento sempre più polveroso, voltandosi con aria speranzosa ogni volta che qualcuno si avvicinava alla soglia. Scuoteva il capo e si mordeva le labbra livide fino a farsi male, delusa, quando a comparire nel suo campo visivo erano Caroline, Jeremy, lei stessa... o Stefan, poi sussurrava qualcosa tra i denti, come un mantra, singhiozzando: ‘Non l’ho dimenticato, Damon. Non lo dimenticherò mai.’
- La sua fase di rifiuto è durata per settimane. Era… convinta che saresti tornato.- la lieve accusa che le increspò la voce lo ferì, insinuandosi come un veleno a lento rilascio nel suo sangue, e lui strinse forte il bordo del tavolo squadrato, tendendo i muscoli, serrando la mascella. - Sia io che Stefan eravamo lì quando la sua speranza ha incominciato a vacillare. Sapevamo bene che sarebbe successo… ma il suo crollo emotivo arrivò senza preavviso. In quel preciso momento…- Bonnie alzò gli occhi al cielo per trattenere le proprie lacrime, con uno sforzo immane, poi la sua bocca tremò, com’era successo solo poche ore prima, nel cuore della notte, mentre cercava di trattenere lo spirito di Elijah nel loro mondo il più a lungo possibile. I suoi ricordi sfumati ripresero consistenza mentre riascoltava le urla di Elena, il fragore della bottiglia semivuota di Bourbon che finiva per essere scaraventata al suolo dalle sue mani tremanti, tagliandole in profondità la pelle di nuovo fragile con uno dei cocci… e poi le suppliche concitate di Stefan che la pregava di smetterla, di lasciarsi medicare e portare in ospedale, se necessario… -… ho sperato che non fosse mai ritornata ad essere umana.- la Bennett scosse la testa, davanti a quella confessione, come se non volesse darla vinta a qualcuno che, in gran segreto, aveva permesso a tutto quello strazio di concretizzarsi. - Quel dolore… lei avrebbe potuto ancora spegnerlo in un soffio, se solo non avesse preso quella Cura. Se solo… Matt non fosse stato costretto a sacrificarsi.- sospirando, Bonnie alzò un sopracciglio. - Immagino che Rebekah intendesse farle odiare la mortalità fino all’ultimo istante.- disse, con tono quasi inespressivo, ormai consapevole. - E credo che ci sia quasi riuscita, sai.-
Damon rimase in silenzio, ad ascoltare il suono stranamente stridente del proprio respiro vibrare tra le labbra socchiuse. Senza guardarla, percepì un sorriso conciliante allargarsi sulla bocca della strega mentre lei tirava su col naso, muovendo un passo incerto.
- Ho detto ‘quasi’...- puntualizzò, come se gli avesse letto nel pensiero e volesse chiarire l’ambiguità di quell’ultimo punto. - … perché quando Stefan la caricò di peso in auto per accompagnarla dritta dalla dottoressa Fell… Elena scoprì di aspettare Demi. Ed essere la madre di tuo figlio… beh, poteva essere un buon modo per trascorrere il resto della sua vita umana.- lo sguardo limpido di lui incrociò di nuovo il suo, infiammato, poi divenne torvo, di nuovo sbalordito. - Ha fatto un po’ come te… ha finto di aver dimenticato per dare a Demi una vita normale, per sopravvivere, per non farsi consumare. Non puoi biasimarla… sei stato tu ad insegnarle quel tipo d’amore.-
- Avrebbe dovuto dirmi subito la verità.- sillabò Damon, a fatica, inspirando a fondo un fiotto d’aria che gli parve assurdamente gelida, pungente a contatto con i propri polmoni arroventati.
- Ma certo.- protestò prontamente Bonnie, guardandolo di sbieco. - Perché tu, invece, sei sempre stato perfettamente sincero con lei, vero?- le pupille le bruciavano di risentimento e Damon batté le palpebre, turbato, senza capire subito a cosa cavolo si stesse riferendo. Aggrottò le sopracciglia, poi, dopo qualche secondo di riflessione, abbassò la testa per reprimere un ghigno fintamente divertito, amaro come fiele. Stava forse parlando della vera ragione per cui si era lasciato alle spalle, senza voltarsi indietro, ogni loro speranza di essere felici, di essere una… una famiglia, vero? Yep.
- Ahh, capisco.- borbottò, con una nota di rassegnazione. - Stefan ha finalmente vuotato il sacco. Che posso dire? Apprezzo il suo tempismo.- il suo sorriso di circostanza, storto e luminoso, non riuscì ad eludere la sorveglianza del duro cipiglio della Bennett e così lui si arrischiò a lasciarlo scomparire, rendendo visibile l’unica emozione che quella notizia gli aveva suscitato dentro: l’apprensione. - Elena…- sussurrò, roco, inumidendosi appena le labbra. - … come l’ha presa?-
- Lo chiedi a me?!- sbottò Bonnie, riprendendo i suoi soliti modi bruschi e voltandosi per spegnere il fornello delle uova che ormai erano pronte per essere distribuite nei piatti. Damon rimase interdetto, poi sfrecciò alle sue spalle e la costrinse, con un colpetto di tosse, a prestargli attenzione. Cercando di incantarla per ottenere una risposta, si ritrovò davanti solo una faccia di bronzo, irremovibile. - Nah, non avrai una sola parola da me, Damon.- brontolò lei, spingendolo leggermente di lato con la padella fumante sospesa tra le mani. - Va’ da lei, piuttosto… e parlale. E’ ora che fermiate questo circolo di menzogne e di frasi mai pronunciate ad alta voce… ne avete bisogno, sul serio. Prendilo come un consiglio spassionato, okay?-
Il vampiro fece per aprire la bocca per ribattere ma, udendo un gemito alle proprie spalle, fu costretto a girarsi per controllare chi, tra Demi e Sheila, si fosse unita alla loro piccola conversazione, facendo capolino in cucina.
- Demi non si sente molto bene, oggi.- annunciò la figlia di Bon, fissando ostinatamente la propria madre con un velo di rossore purpureo sulle guance ed ignorando la presenza di Damon con una vacillante determinazione. - Ha ancora sonno e, conoscendola, credo che neanche le cannonate basterebbero a buttarla giù dal suo letto. Ho bisogno di rinforzi.-
- Le porto la colazione di sopra.- si offrì immediatamente il vampiro, strappando di mano alla strega il vassoio di leccornie con un’occhiata eloquente che sapeva di preoccupazione e di premura ed avviandosi, poi, verso le scale. - E, se non ti dispiace, Bon, prendo anche in prestito il tuo trabiccolo arrugginito per un po’, oggi. Le accompagnerò a scuola e poi... chissà. Farò quello che mi viene in mente, come sempre. Ne ho decisamente bisogno.- la canzonò, prima di sparire, seguito da una Sheila riverente, su per la rampa ammaccata. Bonnie rimase a guardare il punto in cui lui era scomparso ancora per qualche secondo, combattuta, poi si versò un bicchiere di succo d’arancia, lasciandosi andare al senso di tenerezza che, dopo tutta quella tensione, le stava lentamente allagando il petto.
***
- Un paio di squisite frittelle non basteranno a distrarmi, Damon.- sbuffò Demi, tenendo il broncio al vampiro mentre l’automobile scura e scoppiettante delle Bennett sfrecciava allegramente verso il Mystic Falls’ Instititute, sollevando spruzzi argentati nell’investire in pieno alcune pozzanghere lungo il tragitto. - Avevamo un accordo!- gli ricordò, mentre il sole che penetrava dal finestrino si annullava, in dei riflessi bluastri, nel folto dei suoi morbidi capelli. - Avrei estorto delle notizie a Nick a proposito di Prince PsycoMikaelson in cambio di quello che il fantasma aveva da dire a proposito della Profezia. L’abbiamo persa, perciò ho bisogno di recuperare il suo contenuto… che cos’è cambiato, in una sola notte, si può sapere?-
- Ti stupiresti, bambina.- disse Damon, imboccando una stradina e tamburellando con le dita sul volante malconcio. Ahh, la mancanza della sua splendida Camaro cominciava a farsi sentire ma, con Bex nel ruolo di insegnante proprio in quell’edificio, la prudenza non era mai troppa. - Ad ogni modo, è giusto che tu sappia tutto…- la voce gli tremò e Demi si girò a scrutarlo, quasi ad esplorarlo, incuriosita. -… solo non adesso. Mi sembri già abbastanza su di giri.- arricciando la bocca rosea, lui le lanciò un’occhiatina fugace, ansiosa. - Come va la testa, a proposito?- chiese, con il solito velo di noncuranza reso del tutto inefficace dalla sincera preoccupazione presente nel suo tono.
- Me l’hai già chiesto… tre volte.- sorrise Demi, massaggiandosi le tempie doloranti e cercando di scacciare la cruda sensazione di malessere che non aveva mai smesso di tormentarla dal momento in cui Sheila aveva pronunciato il suo incantesimo elementare per accendere il fuoco. - Sto bene ma sono tanto, tanto arrabbiata con te.-
- Bugiarda.- la smascherò Damon, con un’alzata di spalle, notando un lungo corteo di macchine serpeggianti e colorate intasare il lato del marciapiede più vicino all’istituto e resistendo all’impulso di seminarle con quella che, con due sedicenni a bordo, sarebbe senz’altro sembrata una sterzata troppo azzardata. La testa a posto… doveva mettere la testa a posto. Sarebbe stato facile come bere un bicchier d’acqua. Giusto? - L’unico con il diritto di avercela con me è il povero Nick Mikaelson… costretto a subire le tue minacce per tuuutta la sera.- la punzecchiò, senza resistere all’impulso di prenderla in giro e di farla avvampare. - Sarà stato terribile per lui, una roba da farsi saltare in aria i bigodini!-
- Sheila, non c’era nessun incantesimo capace di fargli chiudere il becco, nella tua lista di magie, vero?- bofonchiò la giovane Salvatore, divertita, appoggiandosi alla portiera con finto sdegno e schiacciando il viso caldo contro il vetro del finestrino. Dannazione, non riusciva proprio a smettere di sentire quel ronzio nel cervello, per quanto si sforzasse di reprimerlo. La Bennett, abbandonata bocconi sul sedile posteriore, dissentì con vigore, incrociando gli occhi sfavillanti e giocosi di Damon attraverso lo specchietto retrovisore.
- Che peccato.- sbadigliò Demi, voltandosi verso il vampiro per fargli una linguaccia.
- Aspetta, aspetta… una ‘lista di magie’?!- la interruppe lui, allarmato, mentre le molle arrugginite sotto il suo sedere piagnucolavano per via di un suo brusco movimento. Demi si morse la lingua, maledicendosi per essersi involontariamente lasciata sfuggire quel particolare, poi assunse un’aria innocente davanti alla sua faccia stupefatta, per salvare il salvabile:
- Yup.- ammise, disinvolta, osservandosi le unghie con interesse, come se avesse appena smesso di passarci sopra lo smalto. - Sheila ha trovato un piccolo elenco di sortilegi nella cassapanca di Bonnie, tutto qui. Piantala di fissarmi come se mi avessi appena beccata a rubare nella cassetta dei poveri di Fell’s Church e tieni gli occhioni puntati sulla strada.- gli consigliò, battendo amorevolmente le ciglia ricurve, come se volesse sedurlo, pur di convincerlo a lasciar perdere.
 
Image and video hosting by TinyPic
 
Damon incassò il colpo con una smorfietta e cercò di contenere il getto d’orgoglio che gli stava scaldando le guance in modo quasi imbarazzante. Quella ragazzina era impossibile, quando ci si metteva d’impegno… proprio come lui. Tanto valeva provare a giocare sporco quanto lei per cercare di sfilare qualche informazione in più sulla curiosa faccenda di quei malefici, no?
- Allora…- esordì, vezzeggiando con le dita lo specchietto, per inquadrare meglio il volto nervoso di Sheila che stava tentando di fondersi con la stoffa della tappezzeria. -… dopo il rinvenimento della suddetta lista, avete giocato a fare le streghette dell'East End, per caso?- domandò, vellutato. Demetra scosse la testa con un versetto esasperato, ma la Bennett, incantata, si agitò sul posto ed assunse un’aria contrita, colpevole, sufficiente a farle scoprire. Entrambe. - Ah-ah!- sghignazzò lui, trionfante, facendo l’occhiolino alla bruna per sdebitarsi e rivolgendosi a Demi, fintamente ferito: - Lo sai che questo sarebbe abbastanza per farmi considerare violata la tua parte dell’accordo, dolcezza? La tua ‘serata in tutta sicurezza’ a casa Bennett non prevedeva sperimentazioni sovrannaturali di alcun tipo, mi pare!-
- Non abbiamo fatto nulla di male.- si giustificò lei, punta nel vivo, scoccando un’occhiata irritata all’amica. - Era soltanto un minuscolo incantesimo per accendere il fuoco.- disse, sincera. – E si dà il caso che abbia funzionato a meraviglia… Sheila è un vero fenomeno, è riuscita ad illuminare l’intero quartiere senza troppo sforzo!- neppure quel suo tono eccitato riuscì a fuorviarlo a dovere.
- Perché mi stupisce così tanto il fatto che tu non sia finita arrostita o roba del genere?- canticchiò Damon, grattandosi la nuca con fare distratto e cercando di accostare nel parcheggio che circondava il verdeggiante cortile della scuola. - Niente di traumatico? Nessuna sfortunata conseguenza? Niente di niente?- strabuzzò gli occhi, poco convinto, e Demetra, quasi suo malgrado, si accigliò.
- Il mio mal di testa, in realtà…- mormorò, pensosa, sentendo un brivido accapponarle la pelle della schiena. -… è cominciato subito dopo quella formula magica. Assieme agli incubi.- si strinse forte nelle spalle, imponendosi di allontanare dalla mente l’idea di un possibile collegamento tra quegli eventi. - Ma tutto questo non ha nulla a che fare con… Damon, attento!-  
In quell’istante, un’ombra rapidissima, nera e fluttuante come un mantello di velluto, passò sul vetro anteriore dell’auto, investendolo, urtandolo e poi svanendo, come se non fosse mai esistita davvero. Il vampiro, sbandando per una frazione di secondo, inchiodò senza pensarci due volte nella piazzola più vicina, facendo slittare e stridere le quattro ruote sull’asfalto e sballottolando le passeggere, senza però esporle ad ulteriori rischi. Si voltò, scattando, a controllare che fossero tutte intere, con una tale veemenza che sentì un acuto dolore dalle parti del collo.
- Tutto bene?- chiese terrorizzato, allungandosi verso il sedile di Demi. Lei percepì una fitta nella tempia mozzarle il fiato, costringendola a piegarsi in avanti e ad emettere un sibilo di stizza, ma, allo stesso tempo, sentì il tocco tiepido delle dita di Damon spostarle i capelli dietro l’orecchio. – Stai bene?- lei si sforzò di sorridere e di annuire, debolmente.
- Guidi come un pazzo.- commentò, colpendolo con un soffice pugno sulla spalla. Udendo un’imprecazione, entrambi si girarono verso Sheila, che se ne stava nell’angolo, arruffata e decisamente spaventata.
- Che cosa diavolo è stato?- proruppe, guardando fuori dal finestrino con gli occhi rotondi e grandi come monete d’oro, affannata. Il cielo era perfettamente limpido e non c’erano tracce di animali sul marciapiede, a testimoniare la natura di ciò che aveva tagliato loro la strada così all’improvviso. - Era qualcosa di enorme, sembrava… un… un…-
- Un vampiro.- completò freddamente Damon al suo posto, a denti stretti. La velocità di movimento della ‘cosa’ che si era schiantata deliberatamente sul loro parabrezza, le sue dimensioni, la sua capacità di svanire nel nulla, la consistenza dei suoi abiti… - Ascolta, Demi, forse è meglio se noi ce ne torniam…-
- Cosa?!- sbottò lei, slacciandosi la cintura di sicurezza in un gesto eloquente al quale Damon assistette senza poi troppa sorpresa. - Ho in classe Rebekah Mikaelson per la maggior parte della routine scolastica e adesso dovrei preoccuparmi di uno squilibrato che vuole farsi investire da una monovolume malconcia? Andiamo.- sbuffò, cercando il sostegno della propria migliore amica. - Starò benone, davvero.- assicurò, sventolando il dito mignolo proprio sotto il naso del fratello di Stefan. - Vuoi fare… giurìn-giurello?-
- Voglio che tu faccia attenzione.- la corresse quest’ultimo, guardandola intensamente, afferrandole la mano sospesa e nascondendola nella propria. Colta alla sprovvista, Demi sollevò lo sguardo ed incrociò il suo, leggendovi dentro lo stesso affetto di sempre misto ad un timore, se possibile, più pregnante, convulso. - Non osare… non ti azzardare a cacciarti nei guai o a correre rischi inutili, mi hai sentito?- le accarezzò le dita, come se avesse paura di romperla, e lei rimase immobile e zitta, ad assorbire tutta la genuina potenza di quella preoccupazione. Ricordò il terribile sogno che l’aveva straziata prima dell’arrivo di Damon nella stanzetta degli ospiti e il senso di orrore e di perdita che aveva provato nel notare la presenza del corvo morto tra le dita della donna demoniaca dagli incisivi sporgenti. Lo vide riflesso nello specchio di quelle iridi azzurre e si sentì mancare. - Promettimelo.- insistette lui.
- Promesso.- confermò lei, stringendo l’altra mano sulle loro già intrecciate, rassicurante. - Ora lasciami andare o faremo tardi… e Miss Mikaelson mi costringerà a recitare a memoria tutte le date dell’American Revolutionary War.- imitò fedelmente l’accento antico e pomposo dell’Originale, strappando un sorriso compiaciuto a Damon, poi lui sciolse la presa.
- Buona fortuna. Falle vedere chi comanda.- le bisbigliò, guardandola aprire lo sportello con grazia e sgusciare fuori dalla macchina, seguita a ruota dalla Bennett. Mentre le osservava sparire tra la calca di studenti pronti a vivere il loro personale inferno quotidiano di lezioni e pessimo cibo in mensa, il vampiro avvertì la propria breve spensieratezza spegnersi, lenta ma inesorabile, sostituita da un’inquietudine viscerale.
L’ombra alta e mascolina che aveva interrotto il loro tragitto verso l’Istituto, avvolta in un impermeabile nero dai bordi svolazzanti, con un cappello calato sulla fronte e dei pesanti stivali scuri ai piedi, lo vide attendere in silenzio ancora per qualche istante, serio e turbato, prima di rimettere in moto. E dal proprio angolo occulto, con le spesse vene attorno agli occhi da vampiro assetato che pulsavano febbrili, Atticus Shane ghignò.*
 
***
 
Image and video hosting by TinyPic
- Piantala di essere così paranoico, mi farai venire fame.- borbottò Mattie, sbattendo lo sportello della Ferrari, affondando il viso nella sciarpa rosa confetto che le circondava il collo come una grossa nuvola di zucchero filato e sforzandosi di nascondere tra le pieghe il proprio sorriso esasperato. - Senti, se il tuo fratellone vuole davvero giustiziarmi, non voglio che sia costretto a sbudellarti davanti ai miei occhi, prima. Lo sai che sono debole di stomaco, per certe cose... ma non per le ciambelle. Le ciambelle sono così buone.- specificò, pescandone un’altra dal sacchetto unto e profumato e ficcandosela in bocca.
- Ti ho soltanto scortato fino a scuola, nana… non farla tanto lunga.- si giustificò Nick, soffiando sulle proprie mani gelide per scaldarle un po’ mentre si guardava intorno nel parcheggio, di certo per assicurarsi che nulla di sospetto fosse nei paraggi. Intercettando la sua palese preoccupazione, Mattie emise un verso di disapprovazione, gonfiando le guance rosee come palloncini e invitandolo a fissarla di nuovo, definitivamente scoperto: - Non sono affatto paranoico, è solo che so quello che Prince è capace di fare.- le ripeté lui, sporgendosi per pulirle il naso sporco di glassa fucsia. In un secondo non riuscì più a distinguere il punto in cui c’era la macchia (perché Mattie era diventata color pomodoro) e così si limitò a darle un buffetto, scuotendo la testa. – Sono preoccupato per te!-
- Davvero? Non l’avevo notato, sul serio.- gongolò la bionda, accartocciando a malincuore la busta dei dolciumi ormai vacante e lanciandola nel canestro di un cestino di metallo per i rifiuti. - Quando stamattina ti ho beccato nel cortile di casa credevo che ci fossi capitato per sbaglio, lo giuro… lungi da me l’idea che tu potessi aver trascorso tutta la notte sotto la mia finestra a rimuginare.- il vago rossore che si diffuse sulle guance fini del ragazzo fu abbastanza esplicativo; Mattie gli diede una gomitata scherzosa, rassicurandolo: - Ricordati di avvisarmi, la prossima volta che decidi di sfruttare il tuo brevetto da bodyguard, okay? Platone ha una certa soggezione, quando si tratta di sconosciuti, perciò…-
- Mi dispiace deludere il tuo pesciolino rosso ma non potrò tenere d’occhio nessuno di voi due, stanotte.- la interruppe lui, notando come un consistente gruppo di studenti si stesse radunando davanti al portone d’ingresso, divenendo più chiassoso e compatto col passare dei minuti. Matt, seguendo il suo sguardo, individuò un paio di alunni al centro di quella calca, intenti a distribuire gli stessi volantini multicolore che molti membri della scolaresca stavano già analizzando, eccitati o perplessi, nel resto del cortile, ed accelerò il passo, curiosa. - Purtroppo ho un altro… impegno.- specificò lui cupamente, seguendola.
- Di che stai parlando?- chiese lei all’amico, cercando di mantenere un tono neutro. Nick aprì la bocca per rispondere ma si bloccò prima di emettere un suono quando una testa bruna e riccioluta comparve al suo fianco, annunciando la fine di quella conversazione:
- Non starete pensando di partecipare al Memoriale di questa sera, vero?- s’intromise Sheila Bennett, sventolando davanti a Mattie, a mo’ di saluto, la locandina chiazzata di inchiostro e decorazioni che continuava a circolare tra i loro compagni. Sporgendosi in avanti, Nick riuscì finalmente a leggere, seppur di sfuggita, le ampie scritte impresse sul foglietto e poste accanto ad una fotografia: ‘’Tina O’Neil - celebrating the accomplishments of a friend.’’ Il suo stomaco si strinse dolorosamente nel riconoscere la sedicenne uccisa dall’incendio che aveva visto il coinvolgimento del ‘nipote di Rebekah’, ma Mattie gli lanciò un’occhiata di avvertimento, per invitarlo a non fiatare davanti ad una Sheila così indignata. - Puah.- continuò quest’ultima, come se nulla fosse. - Una poveretta ci lascia le penne e tutti ne approfittano per fare baldoria in suo onore. Ragionevole, non c’è che dire.-
- E’ solo un modo per renderle omaggio, She’.- sorrise Mattie, accomodante, prendendo il volantino e scrutandolo con attenzione prima di passarlo solennemente al più giovane dei Mikaelson. - Sembra piuttosto suggestivo come programma per esorcizzare il dolore della perdita, in realtà.- commentò, obbiettiva, additando con un cenno il brusio compiaciuto che continuava a propagarsi tra gli studenti. - Macabro ma efficace. Andiamoci!-
- Alle Cascate?- domandò Nick, scettico, controllando di nuovo l’ubicazione del suddetto party funebre, incredulo. - Sul serio?- scosse la testa, guadagnandosi involontariamente l’inedita approvazione della Bennett, poi si accigliò, guardandosi intorno. – Scusatemi un attimo… ma lei dov’è?- per un istante, il suo mondo divenne buio ed il ragazzo tacque, spaesato: un soffice tocco di dita delicate si fece spazio sui suoi zigomi fino a raggiungere i suoi occhi, coprendoli ed oscurando completamente la loro visuale, come una sorta di benda giocosa. Abbozzando un sorriso consapevole, alla cieca, lui allungò le mani dietro di sé, sfiorando appena il profilo di un giubbotto familiare.
- Bang.- sussurrò Demi, facendo vibrare una risata sul suo collo e spuntando con il viso oltre la sua spalla. Gli fece il solletico. - Sorpresa!- Nick inclinò leggermente il volto verso il suo, sentendo la sua chioma setosa sotto la guancia, poi trattenne il fiato, paziente, fino a quando la Salvatore non si decise a liberarlo, inondando di luce il suo campo visivo con un solo sorriso.
- Dov’eri finita?- le chiese, sollevato, facendola accoccolare contro il proprio petto tiepido e avvolgendola in un abbraccio gentile, prudente, anelante. Le posò le labbra sulla fronte e Demi chiuse gli occhi, restituendo la sua stretta per un momento di pace interminabile.   
- Ecco che ricominciano… precisamente da dove li ho interrotti ieri!- borbottò la Bennett, storcendo il naso, rassegnata, risucchiando l’aria con la bocca ed imitando fedelmente il rumore di uno sturalavandini. Sotto i baffi, però, sembrava stranamente divertita e così, quando afferrò Mattie per il braccio, cercando di trascinarla via, Nick le rivolse un cenno grato ed impacciato, sorpreso dall’inaspettato eccesso di generosità da parte sua.
Fu la Lockwood ad inchiodare le proprie scarpe nel terreno umido del giardino scolastico, opponendo resistenza e tracciando una scia profonda nell’erbetta.
- I-ieri?!- con la mascella praticamente slogata, Mattie fissò la remissività stampata sul bel volto olivastro di Sheila e poi, ignorando il ragazzo con ostinazione, guardò Demi, alla ricerca di una smentita. Oppure, Dio non volesse, di una conferma. La Salvatore le alzò le spalle, impercettibilmente, poi annuì, emozionata, quasi implorante. Spontaneamente, la bionda le sorrise, condividendo con lei quel trionfo, poi affilò lo sguardo, sopraffatta da un’emozione che non riusciva bene ad identificare:
- IERI… v-voi due… oh mio dio!- scandì istericamente, battendo le mani e puntando un indice accusatorio contro il povero Nick. Sia lei che il giovane dai capelli castani fissarono la punta di quel dito minaccioso, confusi, poi Mattie lo ritirò, come se si fosse scottata. La macchia di glassa rosa era tornata visibile, spalmata sulla sua faccia paffuta ed ora bianca come un lenzuolo, ma Mattie sollevò il mento, fieramente, acchiappando l’amica Bennett e tirandola via. - Promemoria, promemoria per me…- bofonchiò, superando i due piccioncini e pestando casualmente il piede di lui durante il tragitto. - … strozzalupo nel caffè la prossima volta che si ricorderà di svelarmi solo la parte più deprimente della sua stramaledettissima serata! Razza di…- e sparì, sbuffando ad intervalli regolari e facendosi largo tra la folla che, al suo passaggio, si affrettava a ritrarsi, intimorita dalla sua furia.
Demi emise un buffo colpetto di tosse ed inarcò un sopracciglio, un po’ perplessa.
- Direi che l’ha presa piuttosto bene.- commentò, incerta, sollevando il volto verso quello di Nick per incrociare i suoi occhi distratti. Lui rimase ancora un po’ immobile, turbato dalla spropositata reazione di Matt, poi distolse lo sguardo dal portone (sbattuto dalla bionda con un po’ troppa energia) e tornò a guardare la Salvatore, beandosi della candida dolcezza dei suoi tratti e del calore che traspariva dalle sue iridi limpide come il cielo d’estate. - Sei triste.- mormorò lei, sistemandogli con le dita il colletto della camicia. Non era una domanda. Colto alla sprovvista, Nick scosse la testa, prendendole poi il viso tra le mani ed avvicinandolo al proprio, delicatamente.
- Sono qui con te.- sussurrò, semplicemente, increspando la bocca in un sorriso sincero. - Non dirlo neanche per scherzo.-

Image and video hosting by TinyPic  

Il caldo sollievo del suo bacio la sfiorò con una consistenza simile alla seta e Demetra ricambiò quel sorriso sulle sue labbra, aggrappandosi alle sue spalle ed assecondando il modo tenero che Nick aveva di coccolarla e di farle sprofondare il cuore nel petto dopo averlo riempito di sé, di quelle sensazioni, di quell’oblio così desiderato. Per un momento, lei dimenticò ogni inquietudine e sentì la mente libera e felice, lontana anni luce dal cupo tormento con cui le vivide reminiscenze dei suoi incubi notturni avevano continuato ad assillarla anche fuori da casa Bennett. Non c’era più nessuna donna scheletrica, nessun verso rapace nell’oscurità, nessun dramma, nessuna paura di precipitare nel vuoto. Era sola con Nick e l’universo continuava a brulicare caoticamente all’esterno, indegno della loro attenzione.
- Vieni alle Cascate con me.- bisbigliò la ragazza, senza allontanarsi di un millimetro da lui, socchiudendo appena le palpebre per scrutare la sua espressione. - Stasera.-
- Non credo che sia possibile.- mormorò lui, stringendo lievemente la presa sulle guance di Demi ed osservandola con altrettanta attenzione, spaventato all’idea di ferirla con quel suo rifiuto.
- Non vuoi?- sotto il suo sguardo cristallino e smarrito, Nick sospirò mestamente.
- Certo che voglio. Mi dispiace, davvero, ma… non posso accompagnarti..- tacque e lei lo fissò dritto in faccia, cercando di comprendere la ragione più profonda nascosta dietro a ciò che sembrava lacerarlo: le sue pupille erano dilatate e le riportarono alla mente quel giorno in Biblioteca, durante il quale tutto era iniziato, quando lui era stato costretto ad abbandonarla nelle mani dei meschini servi di Prince per non dover ultimare la propria trasformazione davanti a lei o a Sheila. C’era la luna piena, quella notte, e, per una frazione di secondo, Demi la vide riflessa anche nel lago nero degli occhi del giovane. -… scusami, io...-
- Shh.- lo zittì lei, a bassa voce. – E’ tutto okay. Posso ancora provare a convincere Sheila a piantarla con il suo moralismo… qualcosa mi dice che non le dispiacerebbe staccare un po’ dal sovrannaturale per andare ad un party qualsiasi… con alcolici qualsiasi e musica qualsiasi. Abbiamo sperimentato un po’ di magia, ieri, ma non mi sembrava poi troppo entusiasta della cosa.- scosse il capo, cercando di scacciare il pensiero di quello che era accaduto nel suo inconscio pochi minuti dopo l’incantesimo per accendere le candele, poi abbracciò Nick, istintivamente, rifugiandosi. Lui fece scorrere le dita tra i suoi capelli, poi li baciò, scendendo a toccarle con le labbra anche la fronte e le guance. – E’ solo che mi avrebbe fatto piacere stare insieme a te.- si sfogò lei, lasciandolo fare. - Continuano ad accadermi cose assurde e un giorno o l’altro finirò per dare di matto. Mi sento debole e confusa e ho la perenne sensazione che i miei genitori mi stiano nascondendo qualcosa. Ho trascorso una notte da incubo, nel vero senso della parola, e, se non fosse stato per Damon… sarei morta di paura nel mio letto. Il tuo fratellastro mi ha fatta incazzare così tanto che…- Nick raggiunse la sua bocca a quelle parole e vi indugiò con più trasporto, quasi possessivo, mozzandole il fiato in gola. -… poi stamattina ci è piovuto un losco vampiro sul parabrezza ed io continuo a sentirmi come se qualcosa di orribile dovesse succedere. Mi sembra di perdere il contatto con la realtà... sai, come quando Prince si è intrufolato nella mia mente ma molto peggio di così. Non riesco… a difendermi.- proseguì lei, decisa a vuotare completamente il sacco. Nick s’irrigidì, allontanandosi leggermente, di nuovo ansioso, guardandola come se sperasse di vederle ritirare tutto quello che aveva appena detto. - Ecco, lo sapevo… è da pazzi.- fece Demi, intercettando la sua reazione preoccupata. La testa le diede un’altra fitta ma lei si impose di ignorarla con tutte le proprie forze: - Dimentica ogni singola parola, okay? Va tutto a meraviglia, guarda la mia faccina sorridente!-
- No.- soffiò lui, di getto, impedendole di voltarsi e di sgattaiolare via. La ragazza percepì le sue mani sulle spalle e, lentamente, sollevò di nuovo il viso verso il suo. Aveva le gote imporporate ma, solo adesso lui riusciva a notarlo, anche l’aria sciupata e pensierosa di chi è spaventato ma non vuole darlo a vedere, pur di non ammetterlo a se stesso. - Demi, sei sotto pressione da settimane, per qualche assurda ragione tutta questa maledetta storia della Clessidra gira attorno a te ed è normale che tu ti senta in pericolo. Anzi, è un bene che tu lo faccia, se questo significa che starai attenta.- il cortile aveva cominciato a svuotarsi e la voce del ragazzo risuonava più sicura, adesso, in un silenzio sempre meno rado. Demi annuì, inspirando profondamente. - Preferirei che tu restassi a casa, solo per questa sera, insieme alla tua famiglia, alle tue amiche… in un posto sicuro. Mi fido del tuo istinto più di ogni altra cosa, dopo quello che è accaduto al Grill.- lei tremò mentre il tono suadente ed ironico del figlio di Klaus si faceva spazio nella sua memoria, minando alle sue difese già così traballanti, e sentì la pelle pizzicare di nuovo rossore. - L’idea di non poterti proteggere mi soffoca.- davanti a quella confessione così accorata, lei cedette.
- D’accordo.- gli promise, allungando la mano fino a raggiungere la sua, riconoscente. - Niente Memoriale. Non importa, in fondo… abbiamo ben altri problemi da affrontare, al momento.- Nick intrecciò le dita con le sue, avviandosi verso i gradini di marmo della scalinata principale, poi si accigliò.
- Per esempio?- chiese d’un tratto, senza essere sicuro di voler udire la risposta.
- Prova ad indovinare.- lo stuzzicò Demi, tirando fuori un sorriso malandrino. - Ti do un indizio, okay? Il nostro cruccio più urgente è una professoressa schizzata... il suo nome comincia per ‘Rebe’ e finisce con ‘Kah’.-
Rebekah.
Afferrando il concetto e tirando la giovane a sé in un ultimo abbraccio di conforto, mentre varcavano nello stesso istante la soglia del Mystic Falls Institute, Nick non riuscì a non deglutire.
 
***   
 
- Entrate, su… senza fiatare, grazie.- cantilenò prontamente la Mikaelson non appena la campanella di metallo appiccicata alla parete ebbe annunciato per tutto il corridoio l’inizio della sua ora. Demetra, facendosi largo tra la fila di malcapitati pronti a marciare in quell’aula, percepì lo sguardo astioso dell’insegnante bruciarle addosso ma, per una volta, non vi badò: la disposizione dei banchi, nell’ampia stanza rivestita dalla classica carta da parati, era stata stravolta, lasciando che lo spazio centrale fosse occupato da un solitario ma gigantesco sgabello. Su di esso troneggiava un proiettore dall’aria piuttosto antiquata.
- Ugh.- gemette una vocina soffocata che Demi riconobbe per quella di Mattie. La nanetta si stava torcendo nervosamente le mani in grembo mentre fissava a bocca aperta le tende di stoffa ruvida che erano state accuratamente tirate sui vetri delle finestre, rendendo l’ambiente circostante un oscuro misto tra il tetro e il grottesco. - Okay. Niente panico!-
 

Image and video hosting by TinyPic  
- Prendete posto.- ordinò Rebekah, accennando alle sedie sistemate in cerchio attorno ai vari blocchi di tavoli a scacchiera. - Sarà una lezione persino più interessante del solito.- cinguettò, facendo rimbombare il suono secco dei propri tacchi sul pavimento mentre si voltava verso la cattedra e raccoglieva delle buste di cartoncino rettangolari, rigonfie di fogli e di altra documentazione.
- Hallelujah!- brontolò ancora Mattie, sentendo quell’antifona, mordicchiandosi le unghie per ammazzare il tempo e per scaricare la tensione. Cavolo, niente riusciva a terrorizzarla come quella donna. - Adesso sì che mi sento più tranquilla!-
- Non farla arrabbiare.- le sussurrò Nick, guardingo, comparendo alle sue spalle insieme a Demi e spostando una sedia verso la sua amica bionda, in segno di pace. - Sediamoci e basta.- la Lockwood gli lanciò un’occhiataccia, poi aprì e richiuse la bocca, senza trovare una frase ad effetto da propinargli. Ringhiando, gli strappò la seggiola dalle mani e si lasciò sprofondare miseramente accanto a Sheila, troppo in ansia per tenere il broncio come si conveniva. Rebekah attese che anche l’ultimo studente smettesse di gironzolare, poi si avvicinò all’apparecchio, regolando attraverso una levetta stridente la luce di una lampadina ad incandescenza. Un fascio di chiarore giallo e circolare andò ad espandersi sulla superficie biancastra di un telo posto sulla lavagna, abbagliante come il prodotto luminoso di una torcia nel bel mezzo di una caverna. Compiaciuta dall’effetto esitante che era riuscita ad ottenere con poche mosse, la vampira ficcò una prima diapositiva nell’apposito contenitore, facendola aderire alla lente d’ingrandimento del marchingegno.
Le facce titubanti di circa venti sedicenni scattarono verso l’enorme immagine che venne proiettata sulla facciata immacolata del piano: sembrava, ad occhio e croce, la copertina consunta di un librone medievale, forse un di manoscritto, e riportava sulla propria intestazione delle gigantesche frasi in latino ed una miniatura dall’aspetto sinistro.
-‘’Malleus Maleficarum’’.- lesse Sheila, muovendo solo le labbra, con la fronte aggrottata, prima di rivolgere uno sguardo interdetto agli altri tre ragazzi, immobili accanto a lei. - ‘’Il martello delle streghe’’.- Demi batté forte le palpebre, insospettita da quel titolo insolito, poi posò lo sguardo sulla docente che, deliziata, sembrava pronta a partire all’attacco. ‘’A noi due’’, pensò, aggrappandosi alle parole che Damon le aveva sussurrato prima di lasciarla scendere dall’auto di Bonnie: ‘’Falle vedere chi comanda, piccola. Falle vedere chi comanda.’’
- Come molti di voi già sapranno…- esordì lei, languidamente. -… il vostro corso di Storia prevede che la corposa sezione di programma dedicata alle vicende locali venga affrontata solo nel secondo semestre. L’essere un’insegnante del mio calibro, tuttavia…- specificò, senza perdere l’occasione di pavoneggiarsi. -… mi consente di apportare delle piccole ma significative modifiche alle direttive dell’emerito Preside Webber. E’ per questa ragione che ho deciso di fare a modo mio e di anticipare un argomento per la lezione di oggi.- con un ghigno, inclinò leggermente il capo verso destra. - Si tratta, come vedete, di uno studio approfondito sulla ‘caccia alle streghe nel territorio di Mystic Falls’, mediato dal più consultato manuale di persecuzione mai esistito, pubblicato nel 1487 con il solo scopo di illustrare le modalità di sterminio delle fattucchiere…- con l’ausilio di una bacchetta di legno, picchiettò sul famigerato fotogramma del ‘’Malleus Maleficarum’’. -… e arricchito dalle ricerche del più brillante esperto di ‘’Paranormale’’ che il Whitmore College abbia mai visto…- le sue dita affusolate inserirono un’altra diapositiva nell’apertura, facendo comparire davanti a loro il volto di un uomo magro ed attraente sulla trentina, con degli arruffati capelli scuri ed un lieve accenno di barba sulla mascella. -… il professor Atticus Shane.-
Nick si raddrizzò di scatto sulla schiena e le sue iridi di onice divennero improvvisamente vacue, impenetrabili. Demetra socchiuse le labbra dallo stupore mentre i lineamenti del traditore di cui aveva tanto sentito parlare le si imprimevano nella mente con una forza inaudita, poi si voltò verso il figlio di Elijah, il quale sembrava aver smesso di respirare e stringeva i pugni sul tavolo, fino a farsi sbiancare le nocche. Inevitabilmente, alla ragazza tornò alla memoria il racconto che lui le aveva confidato la sera prima, quello in cui i due fratellini Mikaelson, Nick e Prince, spaventati a morte, erano scampati miracolosamente alla distruzione della loro famiglia. L’idea che quello scempio fosse avvenuto proprio per mano di una strega e di Shane, le diede la nausea e così, senza pensarci, Demi sfiorò con le dita il braccio di lui, stringendolo appena, per confortarlo.
Voleva che sapesse che gli era accanto, che condivideva il suo risentimento, il suo orrore, completamente, senza riserve.
- Salvatore.- trillò Rebekah, malevola, intercettando quel gesto, infastidita. – La smetta di importunare il suo compagno, immediatamente. Venga a sedersi qui, prego, così forse la smetterà di distrarsi.- con lo stomaco sottosopra, lei le scoccò un’occhiata di puro odio e si alzò fieramente, afferrando la sua agenda e l’astuccio e scaraventandoli sul nuovo tavolo che le era stato assegnato. Era completamente isolato dal resto della classe, fatta eccezione per una ragazza che, accasciata in avanti, fingeva di dormire sui libri, con la faccia completamente coperta dalla chioma fulva. Rebekah fece una smorfia, poi si decise a proseguire la sua cantilena, incitando gli altri a tirare fuori le penne per gli appunti. Né Demi né la sua vicina obbedirono a quella richiesta: la prima aveva le mani tremanti di rabbia, mentre la seconda sembrava del tutto incapace di rispondere agli stimoli. Demi, inquieta, dovette darle un’occhiata più da vicino per appurare l’impercettibile movimento delle sue spalle durante la respirazione. Sembrava paralizzata, come morta.
Image and video hosting by TinyPic
- Vorrebbe leggere per tutti, signorina Bennett?- chiese l’insegnante, posandole davanti il malloppo di documenti di poco prima ed ostentando un tono cortese che in realtà non prometteva nulla di buono. - Sono certa che troverà interessante questo paragrafo.- ammiccò.
Sheila impallidì e, controvoglia, si schiarì la gola, cominciando:
- Il celebre ‘’Malleus Maleficarum’’ fu diffuso con l’obbiettivo di indirizzare la repressione di ogni forma di eresia, occultismo e stregoneria nell’Occidente. Esso indicava i metodi di coercizione e tortura cui venivano sottoposte le donne accusate di essere… delle streghe.- mormorò lei, tutto d’un fiato, mentre il suono delle penne che grattavano sui fogli seguiva il ritmo della sua voce. - Anche le sevizie ritenute ‘più comuni’ erano atroci e, a Mystic Falls come in altri paesi, spesso venivano messe in pratica sulle sospettate prima di un qualsiasi regolare processo. Principalmente, si trattava di strangolamento, tormentum insominae…- ad ogni nuovo supplizio, Bekah faceva apparire una riproduzione piuttosto realistica e crudele delle sue conseguenze sul telo, strappando dei gemiti scandalizzati nell’aula. -… scuoiamento, impalamento, im-impiccagione…- con la vista annebbiata, Sheila si interruppe e allontanò quella lista da sé. Non le importava di dare soddisfazione a quella megera, non avrebbe retto un solo minuto di più. Con uno scatto collerico, fu Nick ad acchiappare quel pezzo di carta per porgerlo a sua zia, come a dire ‘basta così’. La Bennett lo guardò stupefatta ma non disse nulla; si limitò a spostare lo zaino che aveva messo sul suo banco, come una muraglia tra sé e il ragazzo, e a farlo cadere con un tonfo sul pavimento. Davanti a quella scena, quasi loro malgrado, dalle parti opposte della stanza, sia Mattie che Demi sorrisero.
- Naturalmente le vere streghe ad essere catturate dall’Inquisizione, secondo l’opinione di Mr. Shane, furono davvero pochissime rispetto alle malcapitate che morirono nell’arco di tempo della ‘Caccia’.- chiarì Rebekah, schioccando la lingua. - Certamente erano troppo  furbe per farsi scoprire ma ciò non impedì loro di perdere molti cari a causa dell’altrui fanatismo. Tra le vittime non furono risparmiati i loro amici, parenti e le persone amate.- su quell’ultima nota, la sua voce vibrò più cupa. - Così, una volta sfuggite alla condanna capitale, molte di loro pianificarono una vendetta adeguata per quelli che avevano le mani così insozzate di sangue innocente. E, per la nostra gioia, è esattamente qui che arriva la parte più… suggestiva? dell’intero discorso.- come se si fosse risvegliata, la ragazza dai capelli rossi accanto a Demi si tirò su, appoggiando il capo alla parete. Assorta, la Salvatore diede un’occhiata alla sua faccia esausta e la riconobbe: era Kayla Stone, la migliore amica di Tina O’Neil, quella che aveva assistito al suo omicidio ma che non ricordava assolutamente nulla al riguardo. Spruzzata di efelidi sul naso e sulle gote, Kayla aveva delle occhiaie profonde, l’aria malaticcia e gli zigomi che sporgevano sotto la sua pelle tirata. Con una sensazione spiacevole, Demi si ritrovò a ricordare i tratti emaciati della donna dei suoi incubi, il suo pallore spettrale, il suo sorriso irregolare.
Un lungo brivido la scosse da capo a piedi.
- Il professor Shane, in un suo articolo, dice che proprio in quel periodo furono inventati dei sistemi molto sofisticati per causare la distruzione della personalità e dell’esistenza dei bersagli di queste streghe. La tecnica più usata era sorta di invasione della mente del soggetto prescelto, grazie alla quale la maga riusciva ad insinuarsi nel suo subconscio, gradualmente, pilotandone dapprima i sogni, poi i pensieri ed infine… le azioni.- Demetra si passò una mano sul viso accaldato. Un panico istintivo e violento le trafisse la tempia con la stessa energia della notte prima, senza che potesse impedirlo, costringendola ad inspirare generosamente dal naso, per calmarsi, mentre il suo cervello veniva invaso dai crucci, dalle domande. Che cosa le prendeva? Era soltanto una vecchia storia intavolata lì da Rebekah per provocarla, quella del controllo della mente da parte di una strega… o forse no? Distogliendo l’attenzione dalla bionda, nella speranza di farle un dispetto, Demi si girò, ritrovandosi faccia a faccia con Kayla. I suoi occhi vitrei dovevano essere stati davvero molto belli, un tempo, azzurri come il mare più calmo… ora sembravano spenti, innaturalmente grandi.
‘’Lui… lui ha ucciso Tina.’’ rantolò una voce nella testa di Demi, sommessa, femminile. ‘’E ha tracciato col suo sangue una Clessidra sul muro. Lo sai che verrà a prendere anche te.’’ Il terrore le riempì di vapore la gola mentre il suo sguardo volava verso l’alto, cogliendo i particolari della ventola del lampadario sibilante, delle pareti, della cattedra e degli alunni ad una velocità da capogiro. Le diapositive avevano smesso di scorrere ed era tornato il volto bruno dell’assassino dei genitori di Nick, a troneggiare sul telo color latte. Quello di Shane. Dell’assassino. ‘’Lui è qui dentro ed è là fuori. Ti troverà. Che cos’è che ti spaventa di più al mondo, ragazzina?’’
Demi non voleva chiudere gli occhi. Le ciglia avevano cominciato a farle male da morire ma qualcosa le diceva che non avrebbe dovuto perdere, neppure per un istante, per nessun motivo, il contatto con la realtà: c’era davvero qualcuno ad attenderla dall’altra parte, una presenza indesiderata nel suo animo.
Ancora.
- Una strega che approfittava della debolezza del suo succube per manipolarlo poteva provocargli delle visioni, alterando il suo stato psichico ed emotivo fino alla perdita della ragione. Ogni sensazione era amplificata e ogni nervo scoperto, davanti al cosiddetto ‘marchio del diavolo’.- le leziose parole di Rebekah le giunsero come un rombo terribile, costringendola a coprirsi le orecchie per proteggersi.
Senza più la forza di opporsi, Demi serrò le palpebre e in un attimo fu buio pesto, come nel suo incubo.
‘’Li stai mettendo tutti in pericolo.’’ ansò la stessa voce echeggiante di poco prima. Il viso scarno, contorto e ancora senza un nome di Sophie Deveraux le fluttuò davanti, sadico, come un’ombra. ‘’Tutti quanti.’’ La ragazza scosse la testa, soffocando un urlo, mentre le facce di Elena e di Stefan le sfilavano nella mente, sorridenti, come quando lei era una bambina e loro cercavano di minimizzare il suo spavento dopo una brutta caduta; poi vennero quelle raggianti delle sue amiche, di Nick e di quel corvo maestoso, che la fissava con un orgoglio ansioso, protettivo… avrebbe fatto di tutto, lui, per salvarla da qualsiasi minaccia, persino… persino…
Oh, no…
‘’Vieni da me, porrò io fine a tutto questo. Solo io posso farlo, prima che sia troppo tardi.’’
- L’unica persona in grado di sciogliere il legame era la strega che l’aveva evocato… ma capirete bene come non sempre quest’ultima fosse dell’umore giusto per annullare il suo maleficio e...-
- Non lo vede che sta male?- un grido furibondo la fece riemergere, strappandola alla sua agonia, e Demi, con un sibilo di dolore, spalancò finalmente gli occhi che pizzicavano e prudevano. Nick, con la mascella serrata, rosso d’ira, stava affrontando una Rebekah che mascherava la propria sorpresa e il proprio sdegno dietro un sorrisino impassibile.
- Già. Lo vedo.- confermò, insopportabilmente beffarda. Lui, con le labbra che tremavano, emise un verso di stizza e si alzò in piedi, quasi rovesciando il tavolo, attraversando l’aula a grandi falcate, fino a raggiungere il banco di lei. - Signor Mikaelson? Torni subito al suo posto!- esclamò l’Originale, puntandogli il dito contro. Mattie, approfittando di quella sua distrazione, per dare manforte all’amico, con un calcetto ben assestato, fece cedere una delle gambette della sedia ormai vuota di Nick, facendo sì che quest’ultima cascasse e trascinasse ‘accidentalmente’ con sé anche lo sgabello del proiettore. Quando quello piombò a terra con un gran fracasso, tra le risate e gli ‘Ohh’ generali, la faccia arcigna di Atticus scomparve in un sonoro ‘click’. - Signor… signor Mikaelson! Mi ha sentito…?- mentre lui aiutava Demi ad alzarsi e a non barcollare, passandole un braccio attorno alla vita, Rebekah fece per intralciare il loro tragitto, schiumante di rabbia. Lo afferrò per una spalla, conficcandogli le unghie nella carne: - Nicklaus, fermati, non sei autorizzato… sarò costretta a prendere dei provvedimenti…-
- Tu-mi-disgusti.- sbottò lui, severo, mentre se la scrollava di dosso. Demi tremò e con le dita cercò l’aria, cercò lui, la stoffa fresca della sua camicia, un’ancora col presente. Lo trovò, nonostante tutto, dolce come un soffio di vento umido sul viso, e così, insieme, si lasciarono alle spalle la soglia di quell’aula maledetta.   
 
***   
 
- Allora…- la voce gentile di Nick la raggiunse assieme al cigolio di una porta ma lei non alzò la testa. Continuò a tenerla bloccata tra le ginocchia, come lui le aveva consigliato, per fermare la nausea, e rimase rannicchiata sulla branda spigolosa dell’Infermeria, con l’odore acido del disinfettante a bruciarle le narici. - Demi?- la chiamò ancora il giovane, muovendo un paio di passi verso il lettino e facendo riflettere la propria ombra allungata sulle piastrelle grigie ed opache. - Come ti senti?-
- Esplodere.- sbuffò la Salvatore, debolmente, senza riuscire a spiegare meglio il suo attuale stato emotivo: covava dentro di sé un dilagante senso di imbarazzo per quello che era appena accaduto e si sentiva in trappola nel proprio corpo mentre le pulsazioni le scuotevano la gola ed i polsi, rendendola spossata, febbricitante. - Bum-Bum.- mimò con le labbra, sempre a capo chino, sentendo un sordo tamburo ronzarle ritmicamente nelle tempie. Pur senza vederlo, Demi capì di aver strappato un sorriso intenerito a Nick ma, per quanto fosse felice di averlo accanto, quando avvertì sulla schiena la sua carezza, sentì tutti i muscoli ribellarsi a quel tocco delicato, come se fosse necessario difendersi da esso. Difendersi da qualsiasi cosa.
- Ti ho portato questa.- sussurrò Nick, suadente, porgendole un bicchiere di carta colmo di un liquido ambrato e fumante. - L’infermiera ha giurato di non interferire nella nostra conversazione a patto che tu la beva tutta d’un fiato.- con poca convinzione, la ragazza si sforzò di sollevare il volto arrossato fino ad individuare la bevanda calda e tese una mano per afferrarla, riluttante. - Avanti, non brontolare… ti farà stare meglio.- la incoraggiò lui, fingendo intransigenza davanti alla sua espressione scettica, fino a farla capitolare.
- Spero che sia qualcosa di forte.- soffiò Demi, sforzandosi di fargli l’occhiolino mentre il pensiero del liquore che aveva assaggiato assieme a Damon, seduta assieme a lui davanti al camino del Pensionato, le donava un po’ di sollievo. - Come non detto… camomilla.- dedusse un secondo dopo, annusando l’infuso ed inarcando un sopracciglio. Davanti alla faccia delusa di Nick, si decise a ripiegare: -Yummy.- commentò, ironica, indirizzandogli una specie di brindisi maldestro.
- Sei a pezzi.- osservò il giovane, guardandola scottarsi mandando giù il primo sorso e poi storcere la bocca dal disgusto.
- Troppo zucchero.- deviò la questione lei, tossicchiando ed evitando il suo sguardo per non fargli notare quanto, in realtà, fosse sfinita. L’armadio d’acciaio nell’angolo, lucido fino all’inverosimile e pieno zeppo di scorte di medicinali, catturò la sua attenzione, riflettendo la sua immagine distorta sulla propria anta principale: sembrava spettinata, smunta, tesa ed impaurita, posseduta… come Kayla Stone.    
- Attenta.- le bisbigliò Nick, riprendendosi il bicchiere che, inclinato così pericolosamente nella sua presa tremula e distratta di lei, rischiava di rovesciarsi sul pavimento. - Hey… non nascondermi ciò che provi, non fingere che vada tutto bene.- per non forzarla troppo dopo la sua reazione di poco fa, le sfiorò le mani solo impercettibilmente, cercando una conferma nei suoi occhi prima di stringerle. – Parlami di quello che è successo in classe. Sei caduta in una specie di trance, è stato spaventoso. Dimmi che cos’hai visto. Ti prego, Demi, spiegamelo.- sorpresa dal suo tono implorante, la Salvatore lo fissò, tentata ma sulla difensiva, come se volesse leggergli nella mente per capire quali fossero le sue reali intenzioni, prima di lasciarsi andare alla verità.
Il figlio di Elijah le appariva particolarmente preoccupato e consapevole, come se avesse già intuito, dalla sintomatologia, la natura ed il futuro esito della sua ‘malattia’.
Il che era praticamente assurdo.
- Credo che qualcuno… una strega, in realtà… si sia intrufolata nella mia testa, proprio come tua zia si è tanto divertita a spiegarci oggi.- gli confessò lei, d’un fiato, liberandosi finalmente del peso di quel dubbio assillante. – L’ho vista nei miei sogni per tutta la notte mentre cercavo di liberarmi dall’agonia e l’ho sentita nei miei pensieri durante la lezione. Continua a perseguitarmi, inviandomi avvertimenti e proposte malefiche, costringendomi a perdere la testa… io penso che perderò la testa se…- Nick le tenne ferme le mani nelle proprie, impedendole di respingerlo e di chiudersi di nuovo nel suo guscio, poi la invitò a proseguire, bisognoso di altri particolari.
- La strega. Descrivimela.- le ordinò, roco. Ancora quegli occhi increduli, orripilati eppure così determinati, ancora quei pozzi neri e tormentati nelle sue iridi, piccole come quelle di chi vede un fantasma del passato prendere forma dinanzi a sé, rimanendone travolto.
- U-una donna pallida e mora, con l’aria da pazzoide…- disse Demi, deglutendo a fatica. -… con un enorme tatuaggio sul braccio ed uno spazio tra gli incisivi e…- si zittì di colpo quando vide qualcosa morire sul suo volto, come annegando nello sgomento e nel rifiuto.
- Sophie.- disse Nick in un ringhio, distrutto. Lei sperò di non aver sentito bene ma non riuscì a non chiedergli una conferma, scrollandogli i polsi ora molli ed insensibili.
- Quella Sophie?- domandò, trafelata. Il silenzio che ricevette in risposta le diede la pelle d’oca ma, con uno slancio di baldanza, si limitò ad alzare le spalle. – L’avevo immaginata inquietante ma direi che nella versione ‘brutta copia della zingara Esmeralda’ si è proprio superata!-
- Non può essere.- mormorò Nick, immerso nel suo tormento. Forse stava parlando con se stesso, forse era semplicemente troppo atterrito per smetterla di farfugliare, ma Demi lo ascoltò comunque: - Il ‘marchio del diavolo’… ma certo, è la sua specialità… no, no, mi rifiuto di credere che abbia potuto imprimerlo su di te…- lei fece per aprire bocca ma lui le impedì di parlare, prendendole il viso tra i palmi a calice e avvicinandolo al proprio per guardarla, con un’intensità che le bruciò nel sangue. -… ascoltami, so come funziona quella roba, fin troppo bene.- lei sbarrò gli occhi nell’udire una dichiarazione simile ma non riuscì a chiedergli in tempo come diamine potesse essere così informato: - Un simbolo dovrebbe comparirti sulla pelle, per suggellarla. Perciò forse ti sbagli.- la strinse più forte. - Forse c’è ancora speranza.- senza parole, la fanciulla annuì, sentendo il suo respiro affannoso calmarsi lentamente, con grande sforzo. L’unica volta che ricordava di aver visto il nipote di Rebekah così vulnerabile era stata quando le aveva svelato il modo atroce in cui il povero Elijah era morto, facendo da scudo ad Hayley con il proprio corpo. - Forse non…-
- Sì.- mentì, con gli occhi lucidi e la voce atona. - Sì, forse è così.-
Lui cercò il suo sguardo, freneticamente, senza lasciarsi sfuggire quel particolare.
- Non trattenerti. Piangi, se vuoi.- Demi scosse la testa, senza versare una sola lacrima.
- Sono stufa di farlo.- sussurrò, con il sapore pungente della sincerità che le intorpidiva la lingua. - Sono stanca di tutto questo… non ne posso più, Nick.- percepì i suoi pollici sulle guance ancora coraggiosamente asciutte ed il suo fiato tiepido e profumato sulle labbra. Sorrise, impercettibilmente.
- Neanch’io.- quando lui la baciò, Demi provò un profondo senso di vertigine e dischiuse la bocca per accogliere meglio quell’istante di fuga e comprensione. Nick si aggrappò a lei con la stessa cocente disperazione con cui aveva cercato di consolarla solo poco prima, facendole mancare l’aria nei polmoni, stordendola. Con le gambe a penzoloni sul bordo del lettino, la ragazza affondò le dita nelle sue spalle, per avvicinarlo a sé, per soffocare in quel contatto tutte le parole di gratitudine e conforto che avrebbe voluto dirgli, tutte le domande scomode e spinose che avrebbe dovuto porgergli. - Demi, Demi…- sussurrò il suo nome ad occhi chiusi e lei sentì di nuovo le sue dita sul mento, sul collo, sulle spalle, sul profilo della mascella, sulla pelle straordinariamente sensibile sotto l’orecchio… un po’ troppo sensibile.
- Ahi.- sussultò lei, ritraendosi appena, con un gemito. Confuso e ancora inebriato, Nick la fissò allontanarsi senza sciogliere il loro abbraccio e portarsi una mano al collo, con circospezione. Un nuovo brivido la colse quando raggiunse la propria pelle indolenzita e gonfia. – Oh, che cosa…?- il fiato le si spezzò in gola quando il giovane impallidì di botto, facendole inclinare un po’ il viso di lato e spostandole i capelli per osservare meglio quel puntino insolito che pulsava e doleva: come un tatuaggio nero, simile ad una sigma greca in maiuscolo, una linea seghettata e sinistra brillava cupamente sulla carne liscia di Demi.
- Nick.- sillabò lei, incerta, cercando di interpretare il suo stato di choc. - Che cos’è?-
- E’ lo ‘stigma diaboli’.- rispose lui meccanicamente, inespressivo. - Il marchio di Sophie.-
Un rumore inaspettato li fece trasalire entrambi mentre la porta si spalancava e sbatteva contro le pareti di cemento candido, facendo spuntare due testoline, una dorata e una color carbone, sull’ingresso dell’Infermeria. Mattie, con un versetto a metà tra una risata ed un conato, si coprì gli occhi con le mani. Soltanto in quel momento Nick si accorse di essere ancora piuttosto avvinghiato a Demi e così la lasciò andare, garbatamente, ancora tramortito dall’emozione e dall’orrore. Scivolando via dalla presa di lei, si appoggiò per un attimo all’armadietto argenteo, come se fosse sul punto di perdere i sensi, poi inspirò e socchiuse le palpebre. La sua mente lavorò freneticamente a lungo ma, quando buttò fuori il fiato, raddrizzandosi e sistemandosi la giacca, nella brace dei suoi occhi bruciava la fiamma viva di una nuova determinazione.
- Restate con Demi. Non lasciatela sola neanche per un secondo.- esclamò, autoritario, avviandosi verso Mattie e Sheila con l’intento di sorpassarle.
- Dove… dove stai andando?- balbettò la Salvatore, facendo scorrere le lunghe ciocche corvine sul sigillo che scottava sotto il suo orecchio, fino a nasconderlo del tutto. Lui si girò a guardarla, come se fosse qualcosa che gli era stata rubata e che avrebbe dato la vita pur di riconquistare.
- Devo parlare con una persona…- le rispose, vago, aspro, deciso. -… è l’unico che possa aiutarci, per quanto possa sembrare assurdo anche solo pensare di chiederglielo. Lui saprà come risolvere questa questione… ci ha già provato in passato. Io farò qualsiasi… troverò un modo… sarà costretto ad ascoltarmi.-
- Di chi stai…?- Demi, spaesata, batté le ciglia all’unisono con Sheila ma, con loro grande stupore, fu Mattie ad acchiappare Nick al volo, impedendogli di squagliarsela.
- Ah, no, tu non ti muovi da qui!- sbottò, allargando le braccia davanti alla porta per non farlo passare. Aveva capito subito qual era il soggetto impronunciabile delle sue frasi sconclusionate fin dall’inizio e ne era terrorizzata. Per qualche ragione a lei sconosciuta, Nick voleva correre da Prince per un aiuto. Cos’è, moriva forse dalla voglia di diventare di nuovo il suo tappetino per affilare le unghie? O il prossimo stuzzicadenti? Presentarsi da lui, dopo quello che gli aveva fatto, dopo le minacce che aveva pronunciato, per di più senza l’agognata Profezia tra le mani, era troppo pericoloso… - Non se ne parla! Niente pettinatura da supereroe, per oggi… ti si è scompigliata ieri notte mentre lui cercava di staccarti la testa a morsi, ricordi?!- gli sibilò a bassa voce, quasi ringhiando, facendo in modo che le altre non sentissero che qualche parola sconnessa. 
- Sono già praticamente sospeso.- obbiettò lui, con energia, ignorando i suoi avvertimenti e fingendo che lei si stesse dando tanta pena per metterlo in guardia contro il rischio di una carriera scolastica in frantumi. - Un viaggetto in automobile fuori dal cancello non peggiorerà di molto la mia situazione. Starò bene.- la rassicurò, caricando quelle parole di sottintesi comprensibili solo da loro due.
- No.- protestò Mattie, sostenendo il suo sguardo con un cipiglio rabbioso, supplichevole.
- Sì, invece. Sarò di nuovo qui, presto… tutto intero.- ribadì lui, vellutato ma irremovibile, uscendo per imboccare il corridoio brulicante di studenti. Mattie lo seguì, affacciandosi sulla porta per chiamarlo, senza arrendersi. Gli avrebbe chiesto di portarla con sé, di usarla come esca o diversivo, qualunque cosa, pur di saperlo al sicuro, ma non poteva assolutamente farlo e questo la mandava in bestia, se possibile, ancora di più.
- Guarda che se decidi di allearti con lui, se ti azzardi a non tornare, s-se ti fai uccidere… io ti ammazzo!- gli sbraitò dietro, veemente. A quel punto Nick si arrestò, voltandosi verso la Lockwood con quella sua espressione concentrata, sempre così buona e calda, quando qualcuno dimostrava di avere a cuore il suo destino. Dopo un po’ di esitazione, si mosse all’indietro, riempiendo i centimetri che lo separavano dalla biondina e si sfilò l’anello dall’anulare, quello con l’imponente pietra rossa incastonata nell’argento finissimo, lo stesso cimelio che suo padre aveva avuto al dito fino ad un attimo prima di chiudere sulle teste dei suoi figlioletti la botola, nella speranza di tenerli al sicuro.
- Voglio che lo tenga tu.- le disse, afferrandole la mano e posandoglielo sul palmo aperto. - Così saprai che verrò a riprendermelo.- le scompigliò i capelli arruffati, in una carezza improvvisata, non premeditata ma resa necessaria dall’ansia che continuava ad ardere nel verde mare delle iridi di Mattie. - So quello che faccio. So di chi posso o non posso fidarmi…- le chiuse le dita sull’anello, piano piano. -… e so che tu ti fiderai di me, ora. Come sempre.- suo malgrado, Mattie lo guardò, sentendo tutta la propria risolutezza scemare e sprofondare. Arrossì, furiosa ma impotente, poi finalmente arretrò, annuendo.
Accennò ad un inchino, sarcastica, facendo per rientrare nell’Infermeria, là dove Demi e Sheila la attendevano, indispettite e a bocca aperta.
- Porta i miei omaggi al principe.- bofonchiò, in un tono pomposo da cerimonia, poi sparì, lasciandolo correre via per raggiungere il portone d’ingresso, alla volta del parcheggio e della sua fedele Ferrari che, fuori da lì, l’avrebbe condotto senz’altro verso la perdizione… o la speranza.
 
***
 
Damon vagò a lungo, in solitudine, a bordo dell’automobile malandata di Bonnie, senza una meta precisa, guardando di sfuggita le case scorrere oltre le siepi ordinate e l’ignara, allegra popolazione di Mystic Falls zampillare lungo i marciapiedi come acqua sorgente, noncurante.
Una canzone suonava alla radio senza che lui ci prestasse attenzione, mentre l’unico rumore che riusciva a distinguere, dentro di sé, era il battito innaturalmente cadenzato e lento del proprio cuore, un suono fragile, fosco, carezzevole, come il primo, inaspettato temporale di primavera.
Imboccando una stradina deserta con un gesto automatico, fluido e distratto, si chiese se sarebbe mai guarito, se avrebbe mai smesso di sentire il peso della propria inadeguatezza pungerlo e tormentarlo proprio lì, come una spina nel fianco, come se, in qualsiasi gesto, fosse ormai condannato a percepire ovunque la sferzante umiliazione delle sconfitte e dei propri spasmi incontrollati, gli stessi di chi continua a combattere per conquistare o per custodire un tesoro destinato a non appartenergli mai completamente.
Emise un basso sibilo di disperazione e si appoggiò al duro schienale del sedile mentre la sua mente grondante di contraddizioni continuava a spingersi oltre, perlustrando dei luoghi proibiti che sarebbero dovuti rimanere tali, nascosti tra le macerie fumanti degli ultimi sedici anni trascorsi senza Elena.
Inclinò il volante tra le dita mentre l’ampia ferita nel suo orgoglio sanguinava, lasciandolo senza fiato, e continuò a domandarsi se quegli stessi ricordi infuocati, nella sua nuova, perfetta vita assieme a Stefan, avessero mai smesso di strillare e di turbinare in quel modo agghiacciante, attorno a lei.
Chissà se si era sentita protetta davvero.
Chissà se, quando si era guardata allo specchio, il giorno della sua fuga, aveva sperato di imprimere nella memoria le proprie labbra rese rosse e screpolate dai suoi baci, gli ultimi che lui avesse desiderato e donato così.
Chissà se era stato il suo pianto di nostalgia ad assordargli le orecchie nell’oscurità e nella solitudine, quando tutto sembrava andare bene ed il sangue gli colava sulla bocca, senza distrarlo, senza placare la sua fame più inconfessabile.
Chissà se sapeva ancora di lui sul collo, nel cuore, ovunque, e se si era davvero illusa di poter dimenticare la loro colpa quando il peccato era venuto al mondo con i suoi stessi occhi azzurri, gli occhi di una figlia che aveva cresciuto… lontana da lui.
Avrebbe dovuto dirmi subito la verità.
E tu, invece? Sei sempre stato perfettamente sincero con lei?
Va’ da lei… e parlale. Ne avete bisogno.
Quando Damon premette di scatto il piede sull’acceleratore, facendo ruggire il motore dell’auto della Bennett, neanche volesse impedire ai ragionevoli consigli di quest’ultima di  aleggiare senza permesso nella sua immaginazione, si rese conto di essere già giunto a metà del viale che conduceva al Pensionato. Imprecò tra i denti contro gli scherzetti del proprio istinto ma non deviò il tragitto, proseguendo senza interruzioni fino a quando il familiare fruscio prodotto dalle foglie degli alberi della pensione non lo fece rallentare, invitandolo ad accostarsi. La sua Camaro, parcheggiata non lontano, sembrò guardarlo con occhi colmi di gelosia e così, quando ebbe girato le chiavi nel cruscotto, sbattendosi lo sportello nero alle spalle e avvertendo la ruvida consistenza della terra pietrosa sotto le suole, lui le passò accanto, dandole un colpetto affettuoso sul fianco turchino, come per dirle ‘sei sempre la mia preferita’.
Dando un’occhiata in giro, notò che la Porsche rossa di Stefan non c’era ed aggrottò la fronte mentre muoveva dei passi pesanti come macigni verso la soglia di casa.
Le sue dita, affondate nelle tasche dei jeans fino ad un secondo prima, raggiunsero un metallo freddo del pomello chiazzato dai segni del tempo; un brivido di trepidazione si diffuse sulla sua pelle, punzecchiandola, e lui inspirò dal naso, gonfiando il petto fino a scoppiare, come prima di un’immersione completa in acqua gelida… o bollente.
Poi, senza più aspettare, abbassò la maniglia di una porta che avrebbe trovato aperta ad aspettarlo, ed entrò.
 
La serratura scattò senza opporre resistenza ed un breve fascio di luce dorata e vibrante, dal giardino silenzioso, si allargò sul pavimento dell’ingesso. Il vampiro sbirciò all’interno: il camino era freddo ed anonimo, con un mucchio di cenere e brace spenta abbandonato al suo interno, il divano era liscio ed intatto tranne che in un punto, là dove alcuni cuscini rossastri erano stati disordinatamente ammucchiati accanto ad una coperta sgualcita. Le lampade velate, poste ai lati del mobiletto del Bourbon, erano accese e sulla superficie del legno c’era un unico bicchiere di cristallo, vuoto ma ancora con un residuo di liquore sul fondo.
- Elena?- Damon avanzò, cercandola con lo sguardo e accostando l’uscio alle proprie spalle. Sapeva che era lì, da qualche parte, lo percepiva dal suo odore, che impregnava il salotto come una fragranza irresistibile, dai drappeggi delle tende, sistemate a soffocare ogni barlume proveniente dalle finestre, come piaceva a lei quando era nervosa e alla ricerca di un rifugio dalle difficoltà, dall’esterno. - Elen...?- dei passi riecheggiarono dietro di lui e lo spinsero a voltarsi verso la rampa di scale che conduceva al piano superiore. Il suo stomaco si strinse quando notò i suoi occhi grandi e arrossati, macchiati dal trucco sbavato da chissà quante lacrime silenziose, fissarlo dall’alto, espressivi, fermi, accesi. Era così bella, così donna, adesso, così simile e allo stesso tempo diversa dalla ragazzina impacciata che, indossando un lungo abito blu cobalto, aveva sceso i gradini, una volta, porgendogli la mano per danzare con lui durante il concorso per la Reginetta di Mystic Falls.
- Sei qui.- osservò, con voce acuta, dura, scrutandolo attentamente con l’aria spavalda di chi è sopravvissuto al peggio, di chi ha già visto l’altro sparire davanti ai propri occhi in un soffio di fumo ed ha il terrore che possa accadere ancora, certo, ma non vuole darlo a vedere. – Bene. Dobbiamo parlare.- Lui socchiuse le palpebre, guardando i suoi capelli sciolti ondeggiarle sulle spalle e ricordandoli sistemati in un’acconciatura simile ad una treccia. In un flash, ripensò al corpo minuto e grazioso di lei, fasciato da un vestito nero e ricco di ricami, il giorno in cui gli aveva confessato il motivo della sua rottura con Stefan… lui. In quella stessa serata, loro due si erano appartenuti in ogni modo possibile, sciogliendo l’uno nell’altra bramosia ed incredulità, e si erano abbandonati, per la prima volta, alla stessa passione incontenibile ed ingiusta che li aveva spinti, poi, a dirsi addio in silenzio sulla parete del salotto, su quella stessa rampa di scale, tra le lenzuola umide, così, fino in fondo, zuppi di pioggia e bugie eppure nudi, fino all’anima.
- Stefan mi ha detto la verità.- bisbigliò Elena, riscuotendolo bruscamente dai suoi crucci  mentre continuava ad avvicinarsi, passo dopo passo, con lentezza estenuante. Damon batté le palpebre, corrugando leggermente la bocca, senza sorpresa, poi restò immobile a contemplarla, con le pupille ribollenti d’angoscia incatenate alle sue. - Su Rebekah. Sul perché te ne sei andato.- lo raggiunse e lo fronteggiò, con le labbra ridotte ad una linea sottile, tremula. Sembrava che stesse aspettando una smentita e che fosse incapace di sciogliersi in pianto, tanto era tesa… disperata. Lui, naturalmente, non disse nulla; sporse solo il mento in avanti, in un gesto inconsapevolmente a metà tra la fierezza ed il rimorso, suggerendole in quel modo, ancora una volta, la straordinaria somiglianza esistente tra il proprio volto pallido e quello di Demi. - Su ciò che gli hai fatto promettere prima di sparire.- la sua voce si spezzò inesorabilmente, assieme a qualcosa nel petto di Damon.
- E’… è andata così?-
Lui tentò di articolare una risposta ma non ci riuscì; lottò per un lungo momento contro se stesso, contro il ripudio di quel ricordo, della propria natura, di quella scelta ormai impossibile da cambiare con l’ausilio del suo doloroso, feroce, inaccettabile ma inutile rimpianto, poi il suo petto si sollevò, convulso.
- Sì.- sputò tra i denti, come se volesse sfidarla ad odiarlo, più di quanto lui non stesse già facendo con se stesso. - Sì, è andata così.-
Elena non si concesse il tempo di pensare, con il sangue che le pulsava nelle tempie e le fluiva sulle gote, infuocandole quanto il suo sguardo incredulo, ferito; colpì la guancia di Damon con uno schiaffo forte, costringendolo ad inclinare il viso di lato e dipingendo poi, sulla sua pelle perlacea, il segno rosso delle proprie dita. Il vampiro vide il mobile bruno dell’angolo perdere consistenza sotto il proprio sguardo offuscato, poi si toccò la faccia con i polpastrelli, stirando le labbra in un sorriso amaro che non ammorbidì la Gilbert.
- Perché l’hai fatto?- singhiozzò lei, spingendolo, con le mani aperte sul suo petto, fino a farlo arretrare, sbattere contro la spalliera del divano, inciampare. – Perché non me l’hai mai detto? Perché, Damon, perché…?- sottili ed umide, le lacrime le sommersero le ciglia ed il volto, cadendole sulla maglia e segnando la stoffa con aloni tondi e scuri. Damon le bloccò i polsi a fatica, tenendo a distanza da sé i suoi pugni, senza sapere come calmarla, senza sopportare l’universo di sofferenza che trasudavano i suoi occhi, le sue urla, i suoi dilemmi.
- Perché non ho avuto scelta! - gridò, trattenendola mentre si divincolava. – Perché ero le tue catene, Elena… perché era la cosa giusta!- si mossero ancora, lottando, alla cieca, andando a sbattere contro il tavolino degli alcolici, facendo precipitare una bottiglia sul pavimento, mandandola in frantumi. Le strinse le mani, sfiorando un punto leggermente rialzato sul suo polso, il calco dei suoi denti, impresso nella carne di lei, eterno come una cicatrice, e credette d’impazzire: - Perché ho avuto paura. Perché volevo questo per te…- batté con violenza un pugno sul muro ed accennò al salotto elegante, alla sua serenità confortevole, alle fotografie sorridenti che si erano aggiunte negli anni sulle pareti, tra i soprammobili. -… perché sono un dannato egoista!-
- Lo sei.- gemette lei, con le gli occhi da cerbiatta grondanti, languidi, indifesi. Scosse il capo, respirando appena. - Come hai potuto… tu non avevi il diritto di lasciarmi andare senza una spiegazione, svanendo nel nulla! Perché non mi hai dato la possibilità di trovarti? Perché non mi ha permesso di salutarti? Hai chiesto a Stefan di mentirmi per tutto questo tempo, quando io…- si liberò dalla sua presa, con uno strattone, e si passò le mani tra i lunghi capelli, come se volesse strapparseli. -… io ti avrei aspettato, Damon. Assieme a lei.- le iridi di lui sfavillarono per un istante, come se il debole chiarore di una candela vi avesse danzato all’interno, poi divennero fisse e vuote, appassite, a rimirare quello che stava accadendo tutt’intorno, senza vederlo davvero. - Ed è tardi, adesso… è così tardi…- Elena si coprì la bocca con il palmo, per ingoiare quell’atroce verità che le stringeva la gola come un cappio.
Damon si appoggiò alla poltrona, quasi lasciandovisi cadere, e si prese la testa tra le mani, per nascondersi.
- Non mentirò dicendoti che mi dispiace di non averti detto addio.- le sussurrò, distrutto. - Perché non è così. Dirtelo avrebbe voluto significare arrendersi, voltarsi e ricominciare, dimenticarti.- sollevò appena lo sguardo, inchiodandola. Si rimise in piedi e le si avvicinò, con le braccia all’erta, come se si aspettasse di rivederla perdere il controllo. Sorrise tristemente quando la vampira non si mosse, poi continuò: - Non l’ho mai fatto, sai… smettere di pensare a te, anche se sarebbe stato facile.- schioccò le dita davanti al suo viso concentrato, facendola sussultare, mimando il suono di qualcosa che si interrompe, che si spegne, solo premendo un bottone… quello della sua umanità. - Perché sono un vigliacco. Perché ogni mattina qualcosa mi dava la forza di sopravvivere… ed eri tu.- le lambì, quasi senza toccarla, una ciocca castana, spostandola per permettersi di godere meglio la sua bellezza, che gli era mancata così tanto. - L’idea che tu stessi bene, che non stessi sprecando la tua vita a cercare me... mi dava sollievo.- ‘’…uccidendomi.’’ concluse per lui la voce profonda della sua coscienza, destinata a rimanere sepolta, inconfessata. - Ma questo lo sai.- soffiò, talmente vicino da sentire il suo respiro trattenuto. - Questa è solo una delle tante cose da aggiungere alla lista delle cose che hai sempre saputo, non è vero?- Elena tirò su col naso, percependo il risentimento nel suo tono, e lo vide di nuovo come la notte prima, fragile, vulnerabile, come un animale in trappola. I suoi bei tratti cesellati erano irrigiditi in una smorfia di accusa legittima, quella di non essere stata sincera con lui su una faccenda di così fondamentale, vitale importanza: Demi.      
- Che cosa vuoi che ti dica?- boccheggiò lei, lacerata, colpevole, abbassando gli occhi.
- Solo la verità.- mormorò il vampiro, con una semplicità ed una necessità disarmanti ed una voce roca, quasi inudibile. - Per una volta. Voglio che sia tu a dirla. Voglio sentirla dalle tue labbra.- alzò la mano d’istinto, come se volesse accarezzarla, ma si arrestò a mezz’aria, per non osare troppo.
 
Image and video hosting by TinyPic  
 
Elena la afferrò tra le sue e tornò a fissarlo intensamente, con una disperata, cocente malinconia nelle iridi di cioccolata.
E si arrese.
- Demi è tua figlia, Damon.- sospirò, sentendo il cuore allargarsi e riprendere forma dopo essere stato schiacciato tanto a lungo dal peso di quell’immenso segreto. Incredula, vide dei diamanti spuntare agli angoli degli occhi di lui, così grandi da poterci precipitare dentro per l’eternità. - E’ nostra figlia.- il vampiro sembrò sul punto di fare qualcosa di diverso quando, con slancio, le afferrò il viso con entrambe le mani, tirandolo verso di sé; ma poi, con uno sforzo che gli costò un gemito, Damon si trattenne in tempo e posò la propria fronte contro quella di Elena, semplicemente, lasciando che i loro volti umidi rimanessero accostati per un minuto infinito, in silenzio.
- Grazie.- disse, poi la strinse convulsamente tra le braccia, lasciando che affondasse la faccia contro il suo petto. Respirò affannosamente contro i suoi capelli e, assurdamente, sorrise. - Grazie.-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
**********************
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Salve, sto annegando nelle mie stesse lacrime ma sono felice di aver concluso questo capitolo <3 come avevo già accennato sul mio profilo facebook, avevo progettato di scriverne uno molto più corposo ma ho deciso di regalarvi, come nel caso di ‘’The Truth’’ delle ‘Parti’ di capitolone, in modo da ridurre la vostra attesa (?) e da distribuire meglio gli avvenimenti. Molti lettori mi avevano chiesto di approfondire l’argomento della ‘nuova generazione’ ed io spero di averli soddisfatti in questo caso… è giunto il loro momento di splendere, finalmente! Ne vedremo delle belle, lo prometto! Un grazie infinito a tutti coloro che hanno recensito gli scorsi capitoli e a quelli che mi lasceranno un commento stavolta… grazie a chi non smette mai di sostenermi, senza chiedere mai nulla in cambio, regalandomi delle emozioni meravigliose. <3
 
 
P.S.: Colgo l’occasione per proclamare la vincitrice del CONCORSO allestito sulla pagina ufficiale de ‘Il Diario di Demi Salvatore’: Anna (su EFP ElathaDeiCorvi)… la tua storia Dametra (https://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=hl#!/photo.php?fbid=657931824229521&set=a.657929384229765.1073741825.514739071882131&type=3&theater) ha raggiunto il punteggio massimo e lo meritava, davvero, per la sua eleganza formale, per il modo impeccabile in cui hai reso i mei personaggi.
Hai talento… non farti mai più sentire dire il contrario. OKAY?! <3
 
 *****Per informazioni e domande, come al solito:
 https://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=hl
 ask.fm/IlDiarioDiDemiSalvatore
 
 Un abbraccio e alla prossima…
 Evenstar75 <3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Stigma Diaboli - Parte 2 (Memorial) ***


Nick osservò per una frazione di secondo le proprie dita affusolate strette al volante della Ferrari, prima di tornare a sondare con lo sguardo la strada che gli si stagliava davanti, dorata e luminosa sotto il sole del mezzogiorno. Una lieve ed insolita sensazione di vuoto all’anulare destro s’insinuò sulla sua pelle, tracciando un lieve brivido proprio lì, dove per undici lunghi anni era rimasto ancorato l’anello di suo padre. La sola cosa concreta che gli fosse rimasta di lui dopo quella notte di perdita e dolore che non riusciva a strapparsi dai ricordi.
 
- Prince.- quando aveva sentito il fruscio inquieto degli abiti di suo fratello, di quel suo buffo pigiama blu dalle maniche arrotolate fino ai gomiti, Nick aveva finalmente sollevato il capo dalle ginocchia, rivelando nel buio il proprio volto pallido e solcato da calde lacrime.- Ti prego.- Prince si era riscosso tutto d’un tratto, sobbalzando, ed aveva smesso di tendere l’orecchio verso il legno della botola sulle loro teste, voltandosi di scatto verso di lui, perso, come se non riuscisse a vederlo davvero: una goccia di sangue gli era colata fino al mento dalle labbra che aveva stretto tra i denti senza accorgersene, per impedirsi di urlare e per non rischiare di rivelare prima del tempo, a chiunque avesse fatto irruzione nella loro casa, il loro nascondiglio. - Non farlo, Prince. Dobbiamo restare qui.- il ragazzino biondo aveva fatto uscire l’aria dalla bocca contratta in un sibilo, una specie di ringhio, il verso di chi ha trascorso troppo tempo senza respirare, poi si era passato le dita tra i capelli. Qualcosa, lassù, in salotto, era precipitato al suolo, infrangendosi in un milione di pezzi. Forse era la cristalliera che piaceva tanto ad Hayley, quella lucida ed ordinata in cui lui aveva sempre amato specchiarsi. Poi un grido, disperato, di chi è in trappola, di chi chiede pietà. Elijah. Prince affondò le unghie nella parete rocciosa della botola, lacerandole, ansimando, mentre Nick ricominciava a singhiozzare. Un altro pianto, più penetrante, si era fatto strada nelle loro orecchie otturate dall’orrore…
- E’ la mamma.- era stato il suo tono soffocato e prostrato a tradire le sue reali intenzioni e Nick l’aveva capito immediatamente; suo fratello non avrebbe retto un minuto di più in quel posto oscuro ma ben protetto, là dove aveva promesso ad Elijah che sarebbe rimasto.
- Non lasciarmi.- quando il minore dei due l’aveva acchiappato per il polso, impedendogli di allungare il braccio fino a sollevare il coperchio del rifugio con uno strattone, Prince si era divincolato, senza controllare la propria forza, spingendolo via fino a fargli male. Nell’udire il gemito del fratellino, ogni traccia di colore rimasta sul suo viso sconvolto era svanita. La sua espressione ferita si era striata di determinazione, come quando una nube cancella le stelle.
- Non seguirmi.- aveva replicato, facendo aderire i palmi tremanti di Nick ai suoi lobi, nella speranza di precludergli la possibilità di ascoltare lo strazio in atto a soli pochi metri da loro. Gli occhi neri ed atterriti di quel bambino, identici a quelli supplici e fiduciosi di Elijah, non avevano mai smesso di tormentarlo. - Mantieni la parola. Almeno tu.- 
 
Il più giovane dei Mikaelson fece scorrere una piccola manopola sul cruscotto ed alzò al massimo il volume della canzone che rimbombava già nello stereo, lasciando che quella melodia lo sovrastasse, aggredendolo, impedendogli di pensare. Per un lungo istante si sentì sordo, beato e libero, ma, in fondo, lo sapeva: nessun frastuono avrebbe mai potuto sostituire quello da cui Prince aveva provato a schermarlo quella notte, con un gesto tenero, uno degli ultimi che avessero condiviso da fratelli.
Il cupo rumore della morte, lo stesso a cui Prince era andato incontro, sconsiderato, non avrebbe smesso di infuriare… né di perseguitarli.
 
Prince aveva richiuso la botola con cautela, fino a sentire un minuscolo scatto ma, prima di andarsene, ci aveva trascinato sopra un tappeto ovale e morbido, sistemandolo in modo da nascondere il più possibile, tra le pieghe, le fessure segrete nel pavimento che faceva da scudo al suo fratellino. Poi era sgattaiolato via, a piedi nudi, fino al corridoio. Il suo cuore pompava così in fretta da mozzargli il fiato, così forte da fargli percepire tutta l’impotenza del suo corpo sottile, ossuto, insopportabilmente infantile.
- Dov’è, dove l’hai nascosto?!- era possente ed adulto, al contrario, il fisico dell’uomo alto che aveva avanzato verso Hayley, con un ghigno luccicante di follia sulla faccia smagrita ed un pugnale altrettanto splendente stretto nella mano nerboruta. Prince era rimasto a guardare Shane con gli occhi verdi sbarrati, con un formicolio d’odio che zampettava nei suoi polpastrelli, nelle sue vene, ovunque, senza remore.
Se solo avesse potuto fare qualcosa… se solo avesse potuto… ucciderlo
- Cattiva idea, lupetta.- aveva cantilenato una donna, comparendo alle spalle di lei ed afferrandola per i lunghi capelli castani, quelli che Prince adorava inanellarsi sull’indice, tirandoli un po’ per gioco, per farla ridere. Elijah si era gettato coraggiosamente su Shane alla vista del coltello, improvvisando una lotta feroce che non sarebbe mai stata ad armi pari. - Quella di rubare un tesoro così prezioso, per usarlo come merce di scambio, nella speranza di salvare il tuo bambino… è stata decisamente una pessima idea.- le aveva alitato Sophie sul collo, strattonandola, poi, fino a farla cadere rovinosamente in ginocchio. - E lo sai perché? Perché io me li prenderò entrambi.- Hayley aveva alzato la testa a quelle parole ma ogni sfumatura di fierezza nei suoi lineamenti si era dissolta. C’era solo una madre distrutta. C’erano solo il suo istinto, la sua paura. – Mi servono e nessuno intralcia i miei piani. Come saprai, ho bisogno della Profezia…- aveva sottolineato Sophie, impaziente, allontanando la mano dietro la testa, come se stesse per caricare un pugno. In realtà una luce rossa, letale e soffusa si era sprigionata dalla sua presa, aleggiando come energia liquida, come pura elettricità attorno alla stanza -… e del piccolo… principe. Peccato. Non vivrai abbastanza per vedere come ho intenzione di usarlo.- l’urlo strozzato di Prince non era mai uscito dalla sua gola o forse era soltanto stato inghiottito da quello di Elijah; era accaduto tutto velocemente, forse troppo. Il ragazzino si era sporto fuori dal suo angolo, come nella vana speranza di potersi frapporre tra l’incantesimo mortale ed il corpo indifeso di sua madre, ma qualcosa lo aveva intercettato appena in tempo, superandolo e spingendolo lontano, di nuovo al riparo.
- Prince, no!- sbalzato via dall’ultimo impeto protettivo del fratello di Klaus, Prince aveva udito degli strepiti, dei movimenti inconsulti, ed aveva urtato con violenza la tempia contro un mobiletto, accasciandosi. Il tonfo secco di Elijah che stramazzava al suolo, al posto di Hayley, non aveva più smesso di riecheggiargli dentro, neppure quando il sangue aveva preso a scorrere copiosamente giù dalla ferita aperta nel suo sopracciglio. La licantropa si era abbandonata sul petto immobile del marito, squassata dai singulti, e lo aveva scosso, senza ottenere risposta, mentre Sophie restava a guardare un cadavere imprevisto che avrebbe potuto causarle dei problemi con Rebekah.
Un cadavere dall’aspetto regale che aveva gli occhi vacui, spalancati, dalle pupille fisse e senza sguardo.
Eppure fissavano Prince con insistenza… colme della più inestinguibile delusione.        
 
Nick inchiodò con estrema grazia nel cortile ampio e verdeggiante di villa Mikaelson, poi fece riposare il motore ancora rombante. La brezza tiepida che frustava i cespugli di siepe impeccabili, posti attorno all’edificio maestoso che avrebbe dovuto voler chiamare ‘casa’, gli sfiorò il viso in una carezza. La sua memoria lo riportò immediatamente al momento in cui aveva capito che non sarebbe mai più tornato al cottage dei suoi genitori, in quella dimora rustica accanto al fiume gorgogliante che lui e Prince amavano tanto esplorare fianco a fianco, alla ricerca di conchiglie e radici. Mai più.
 
- Asciugati il viso.- gli aveva ordinato zia Rebekah alle prime luci dell’alba, parcheggiando nello stesso punto in cui ora si trovava la Ferrari e porgendogli un fazzoletto immacolato. Il piccolo Nick, rannicchiato sul sedile del passeggero, non aveva reagito se non battendo le ciglia con aria assente, lasciando che altre lacrime gli gocciolassero sulle guance.
Da quando la sorella di suo padre aveva spalancato la botola, rompendo il silenzio tombale in cui la casa era piombata parecchie ore dopo l’aggressione, lui aveva mosso la bocca solo per pronunciare il proprio nome, in risposta alle domande insistenti di lei.
Nient’altro.
Non le aveva chiesto dove stessero andando... non gli importava.
Non era sicuro di poter respirare ancora. Forse non voleva farlo. Non sentiva niente.
Non gli sembrava neppure di esistere.
- Va bene. Ci penserò io.- aveva sbuffato la bionda, sporgendosi per strofinargli il faccino lucido con la stoffa pulita. Nick aveva percepito il suo tocco un po’ ruvido e goffo, tipico di chi non è abituato a trattare con i bambini, poi una morsa di nostalgia gli aveva chiuso lo stomaco.
‘’Questa non è la mamma. Questo non sei tu. Tu sei ancora nel tuo letto, al caldo, mentre Prince legge sotto le coperte con una torcia tra le mani, per non farsi scoprire. Domani papà mi dirà che sono stato bravo a non far andare perduto il suo anello. Non si era accorto di averlo lasciato cadere sul pavimento. Ci tiene così tanto… sarà felice quando glielo restituirò.’’
- Ecco fatto.- aveva mormorato la zia, accennando un sorriso soddisfatto. - Così va meglio, no?- indifferente, Nick aveva inspirato a fatica dal naso, socchiudendo le palpebre gonfie e pesanti come macigni. Era stremato, insensibile e bianco, come le pareti di quella che sarebbe diventata la sua nuova, lussuosa prigione. - Dormi?- gli aveva domandato Bekah, impensierita. Lui l’aveva ignorata per poi irrigidirsi sul posto. Nel suo sguardo intenso, il dolore aveva scavato una maturità ed un risentimento infiniti, che cozzavano fragorosamente con la sua giovanissima età.
Non sarebbe più riuscito a scrollarseli di dosso, lo sapeva, non dopo aver capito chi doveva aver catturato suo fratello maggiore, trascinandolo via con la forza dopo aver fatto strage della loro famiglia.
- Dov’è Prince?- aveva chiesto Nick alla donna, duramente. - Dove l’hanno portato?-
 
Il portone d’ingresso si schiuse, lasciando che Nick facesse il suo ingresso nell’androne principale, raffinato, arioso e cosparso del familiare odore di lavanda e champagne. I suoi passi rimbombarono nelle enormi stanze vuote, inutili, fredde, e lui avanzò in fretta verso il piano superiore, carezzando appena il corrimano intarsiato delle scale. Tutto sembrava intatto, esattamente come l’aveva lasciato: le tende vaporose erano al loro posto, i volumi enciclopedici erano ben incastrati negli scaffali della libreria e la camera da letto della zia era ancora proibita, sbarrata, insospettabile. Tuttavia c’era uno strano ed inconfondibile profumo nell’aria, un aroma mascolino che importunava lo stucchevole lezzo di fiori che piaceva tanto a Rebekah e che stuzzicava l’olfatto del giovane licantropo, sopraffino per via dell’ormai imminente plenilunio: liquirizia, sale e mandorle tostate.
Prevedibilmente… Prince.
- Aw. La pecorella smarrita di ritorno all’ovile, presumo.- indovinò la voce divertita del figlio di Klaus, impregnata della solita ipnotica quanto smaccata maniera di pronunciare le parole, facendosi strada nel corridoio prima che la testa riccioluta del suo possessore facesse capolino oltre la porta della stanzetta di Nick. - Ti trovo bene. Cioè… meglio di ieri sera.- abbagliato da un sorriso allusivo che sapeva d’ironia e di benvenuto, il minore tra i due strabuzzò gli occhi: Prince era a torso nudo davanti a lui, assolutamente a proprio agio, con le braccia incrociate sul petto e l’aria di chi sfiderebbe chiunque a contraddirlo perennemente stampata sul volto.
- Divertente.- mormorò Nick cupo, andandogli incontro con fierezza e sporgendosi poi per sbirciare, riluttante, all’interno della propria camera. Non fu troppo sorpreso di vedere quello che gli si parò davanti al naso una volta varcata la soglia ma qualcosa gli si ribellò comunque nello stomaco, senza che potesse far nulla: l’intera mobilia, per quanto spoglia ed anonima, era stata messa a soqquadro per permettere a qualcuno di rovistare tra i suoi cassetti personali; ogni angolo era stato perlustrato e ogni singolo oggetto analizzato, eccezion fatta per il materasso, la cui posizione, sorprendentemente, non aveva subito modifiche.
‘’Forse…’’ pensò Nick. ‘’… forse Prince l’ha rimesso al suo posto dopo aver scoperto cosa si nascondeva tra la rete ed il lattice. Forse ha visto la nostra foto di famiglia e non ha avuto la forza di spostarla.’’
- Spiacente, non ti aspettavo così presto e non ho fatto in tempo a riordinare. Mea culpa.- fece il maggiore, interpretando male il suo disappunto e voltandogli le spalle muscolose con noncuranza. - Credevo che avresti continuato a fare il cane da guardia alla biondina per i prossimi… trent’anni. Peccato… un altro po’ di tempo immerso nella tua privacy, mentre eri impegnato a proteggerla da me, mi avrebbe fatto comodo.- increspò le labbra in un broncio, continuando a rivolgergli la schiena. - Forse non sono stato abbastanza… convincente. Mmmh. Dici che rivelare i tuoi appostamenti notturni dai Lockwood alla tua fidanzata potrebbe aiutarmi?- rifletté tra sé, mellifluo, come chi, con la punta di uno spillo, cerca, un tentativo alla volta, il punto più sensibile per il prossimo affondo. - L’ira di Demetra, in quel caso, potrebbe tenerti occupato… ma, ripensandoci, sarebbe uno spettacolo affascinante. Non vorrei perdermelo per niente al mondo. Sai bene che tenerla d’occhio è il mio sport preferito, ultimamente. Una vera passione.-
Nick trattenne rumorosamente il fiato e gli lanciò un’occhiata densa di riprovazione, ma non reagì alle provocazioni. Il pensiero di Demi non lo rese vulnerabile o fragile come l’ultima volta... anzi, gli diede coraggio. Era lì per lei. Non poteva permettersi di perdere la calma. Il biondo, seccato dalla mancanza di loquacità del fratellastro, si avviò pigramente verso il suo armadio, appoggiandosi all’anta con indolenza prima di grattarsi il mento, pensoso.
- Stavi cercando la Profezia?- domandò il figlio di Elijah, chinandosi per raccogliere i suoi libri di scuola che giacevano inerti sul pavimento e creavano un tappeto spaginato simile a quello che aveva immaginato mentre era al telefono con la Salvatore e lei era impegnata nella medesima ricerca infruttuosa a casa Bennett. – E’ così?-
- Pff, che razza di malfidato.- commentò Prince, allungando una mano tra gli indumenti perfettamente stirati ed uniformi di Nick fino ad acchiappare una gruccia bitorzoluta che reggeva una camicia nera di indubbia eleganza. - Volevo solo trovare qualcosa di carino da mettermi per la festa. Quel Memoriale alla Cascate… sembra interessante. Tu che ne pensi?- solo dopo aver agganciato i bottoni subito sopra lo sterno, Prince si girò di nuovo, ridente, per farsi ammirare. Nel colletto alto e scuro era rimasto impigliato il ciondolo che la catenina argentea sulla sua gola esibiva, ma lui si affrettò a nasconderlo sotto la stoffa. A Nick parve di aver visto, tra gli altri pendenti, una pietra simile ad un ciottolo levigato ma non ne era poi tanto sicuro. Prince continuò a pavoneggiarsi. - Modestia a parte, credo che gli abiti scuri stiano molto meglio a me, Nicklaus. La prendo in prestito. Anche perché pare proprio che sia la cosa migliore che tu abbia da offrirmi, al momento.- un lampo di minaccia e rimprovero gli illuminò le iridi, rivelandone la vera sfumatura e rendendo il suo viso attraente molto meno amichevole rispetto ad un secondo prima.
Con uno slancio talmente rapido da risultare impercettibile, Prince raggiunse l’altro, fronteggiandolo.
- Se non è nella tua dannata stanza, dov’è la metà di pergamena che ti ho espressamente chiesto di procurarmi?- gli sillabò a qualche centimetro dalla faccia, con quell’accento particolare che diveniva più marcato con l’ammontare della furia. Nick rimase immobile, guardandolo negli occhi ed il suo silenzio teso ma per nulla impaurito colse il principe alla sprovvista. - Pare che io non riesca a spaventarti.- osservò quello, perplesso. - E’ un bel problema.- sbuffò, irritato, scoprendo i denti in una smorfia. – Quand’è che hai fatto tutti questi progressi, piccolo?- gli chiese, ostentando il proprio stupore con una crudeltà studiata, carica di sottintesi.
L’allusione al loro passato non restò inosservata neppure davanti alla decisa indifferenza del più giovane e quest’ultimo batté le palpebre mentre le sue pupille si facevano più rotonde, languide… tristi.
Le stesse di un bimbo indifeso che rimane nell’ombra, incapace di disperarsi e di reagire, soltanto fermo… ad aspettare. Semplicemente ad aspettare.
Image and video hosting by TinyPic  
- Dacci un taglio, Prince.- sibilò d’un tratto il figlio di Elijah, indietreggiando di un passo ma rimanendo rigido, sulla difensiva, con lo sguardo profondo e severo puntato in quello smeraldino dell’altro. - La tua messinscena finisce qui. Non puoi più ingannarmi. Ti ho scoperto.- gli puntò l’indice contro, guadagnandosi un’occhiata assolutamente stupita e scettica in risposta. - Ci ho pensato per tutta la notte, durante i miei appostamenti…- Nick sottolineò delicatamente quella parola, come per rinfacciare al fratellastro le sue responsabilità. - … ma non riuscivo a capire quali fossero le tue reali intenzioni. Credevo che tu fossi tornato a Mystic Falls e che avessi accumulato tutto quel Potere soltanto per riaprire una tomba…- Prince serrò forte la mascella ma continuò a guardarlo gelido, con disdegno, come se non volesse prenderlo sul serio o si imponesse di non farlo. -… ma, a quel punto, la tua ossessione per la Profezia non avrebbe avuto alcun senso. Qualcosa mi sfuggiva sempre quando cercavo di immaginare per quale ragione tu volessi possedere tanto disperatamente quel pezzo di carta e strapparlo alla sicurezza di una Biblioteca.- Nick s’interruppe per un attimo, abbassando la testa, poi quasi rise tra sé. Amaramente. - Finalmente ho capito. Dopo tutto quello che ti ha portato via, dopo tutto quello che lei ti ha fatto… saresti disposto a tutto pur di sabotare i piani della strega.- tornò a fissare Prince ed i suoi occhi furono attirati dalla sua espressione dura, sfolgorante. - … i piani di Sophie.-  
 
- E così eccoti qui, principino.- Prince aveva udito quelle parole deliziate mentre i passi della Deveraux gli si avvicinavano, con lentezza estenuante, come se lei si stesse gustando ogni centimetro del percorso verso la preda. Il freddo del pavimento aveva cozzato contro la sua guancia glabra, indolenzita, ed il calore della ferita aperta sulla sua tempia si era unito al fruscio delle vesti e alla luce lattea del lampadario intercettata dalla donna inginocchiata accanto a lui.
Prince non l’aveva degnata di uno sguardo ed aveva continuato a fissare ostinatamente i due corpi che giacevano bocconi dall’altra parte del salotto, abbracciati, immobili: i capelli setosi di Hayley, nella caduta, erano piovuti tra le dita inerti di Elijah ed i loro volti erano accostati, come se si stessero baciando, come se dormissero.
Prince avrebbe dato qualsiasi cosa pur di giacere al loro fianco per sempre.
- E’ stato fin troppo facile…- aveva bisbigliato Sophie, afferrandogli il mento per costringerlo a smettere di piangere silenziosamente. Un gemito carico d’odio, poi un ghigno soddisfatto. -… che sacrificio inutile, quello fatto da loro per provare a salvarti. Se solo avessero saputo che ti saresti consegnato a me in questo modo, non avrebbero sprecato le loro esistenze così… per niente. Fa male pensare che, se non fosse stato per te, sarebbero ancora vivi?- Prince aveva deglutito a fatica, sentendosi soffocare dal peso di quelle parole velenose ma disgustosamente sincere.
Perché lo erano… e lui lo sapeva.
Era stata colpa sua. Era stata tutta colpa sua.
- Portalo via.- aveva sbottato la strega, schioccando le dita ossute.
Quando una benda nera era calata sui suoi occhi, il ragazzino aveva sospirato di resa; se solo avesse sentito le gambe, forse avrebbe provato a scalciare e a ribellarsi, di riflesso, ma non era quello il caso. Shane lo aveva caricato in braccio senza difficoltà, di malagrazia, seguendo la propria padrona senza obbiettare.
- Almeno una parte del piano è andata per il verso giusto. Abbiamo il ragazzo… possiamo passare alla prossima mossa.-
La brezza umida della notte, il rumore di uno sportello, il motore gracchiante di un furgone. Un tonfo, il lento vibrare della vettura in movimento, poi Prince aveva perso i sensi. E Sophie… lei non aveva mai smesso di far risuonare ovunque la propria risata folle, fredda e senza gioia… demoniaca.  
 
Prince, istintivamente, sistemò un altro bottone della camicia, scuotendo la testa con un ghigno indecifrabile dipinto sulla bocca. Sembrava che volesse guadagnare tempo per inscenare una smentita decente davanti alle parole del fratello minore, invece cominciò a ridere di gusto, scoprendo ben presto di non riuscire a smettere. Nick, senza scomporsi, lo scrutò attentamente, sforzandosi di guardare oltre quella reazione. Ricordò il modo spontaneo con cui Prince era solito divertirsi ed esultare da bambino, poi confrontò quel suono sinceramente divertito con quello metallico e forzato che adesso vibrava nella sua gola.
La differenza gli diede i brividi ma non lo scoraggiò.
- Quella donna ha distrutto la nostra vita.- ribadì, con tono fermo. - La tua vita. E tu vuoi impedirle di farla franca. So che è così. Sei cambiato tanto…- Prince riuscì a contenere l’eccesso di ilarità e tornò a rivolgergli la propria attenzione, più curioso che interessato a simili discorsi. -… ma se c’è una sola cosa, dentro di te, che è rimasta intatta per tutto il tempo… è proprio questa. Tu vuoi strapparle la vittoria.-
- Io le strapperò il cuore.- sibilò tagliente il figlio di Klaus, muovendo d’impeto un passo verso l’altro e tirando fuori quanto di più simile ad una confessione potesse permettersi di pronunciare al momento. - Ma non per i motivi che credi. Io non sono come te, fratello, non illuderti. Non ho il tuo intramontabile senso dell’onore…- i suoi occhi verdi erano enormi e talmente penetranti da costringere Nick a distogliere i propri. -… e non ho il nobile desiderio di vendicare una famiglia che non è mai stata del tutto mia.- il più giovane si sentì colpito da quelle parole volutamente meschine come da uno schiaffo ma non si mosse: la voce di Prince era stata cristallina e cauta ma aveva vacillato per un istante, verso la fine, su quell’aggettivo così sofferto. - Sì, ho intenzione di distruggere la Deveraux ed il suo tirapiedi… ma lo farò da solo. E soltanto per me stesso. Chiaro?-
Nick rimase zitto, con il cuore che batteva pesantemente nel suo sterno, neanche fosse di piombo. Prince, pugnalato nel profondo dalla delusione che rendeva il viso del fratellino così insopportabilmente simile a quello di Elijah, lo fulminò per l’ultima volta da dietro le folte ciglia, poi si girò per uscire dalla stanza.
- L’hanno fatto anche con Demi.- sussurrò Nick all’improvviso, abbattuto, sfruttando la sua ultima possibilità. Quasi suo malgrado, il maggiore dei Mikaelson si arrestò sulla soglia, con le orecchie tese. - Quello che fece a te tanti anni fa… Sophie l’ha fatto anche a Demi.-
No.
Prince rimase immobile, a metà strada, mentre il suo sguardo si faceva vacuo ed assente.
Avrebbe voluto darsela a gambe ma non riusciva a muovere un solo passo.
- Di che parli, di grazia?- ruggì, fingendo di non aver capito ma voltandosi verso Nick, con il volto contratto.
- Lo sai bene.- rispose quest’ultimo, desolato. - La strega l’ha marchiata… con lo stigma. Ho riconosciuto i suoi sintomi… così simili ai tuoi.- incredulo e basito, Prince tentò di soffocare un brivido ghiacciato lungo la schiena, senza riuscirci; poi prima che potesse impedirselo, strinse entrambi i pugni con una forza inumana, fino a conficcare le unghie nella carne.
 
 
Image and video hosting by TinyPic  
- Ma certo.- mormorò, roco.
- Vogliono servirsi di lei per attivare la Pietra, non gli importa delle conseguenze… proprio come l’ultima volta. Le stanno dando la caccia. La costringeranno a fare ciò che vogliono.- proseguì Nick, studiando le frasi con cura, nel disperato tentativo di stuzzicare l’istinto di identificazione dell’altro, di scalfirlo, di aprirsi un varco nella sua umanità. – Le faranno del male.-
- Non... non mi interessa.- ringhiò sommessamente Prince, facendo per allontanarsi sul serio, stavolta, nonostante avesse le ginocchia intorpidite. - Affatto.-
- No, non è vero.- ribadì Nick, testardo, facendo per seguirlo. - Tu sai cosa significa, non puoi semplicemente… infischiartene!-
- Posso, eccome.- ribatté il figlio di Klaus, con voce incrinata, come se stesse per tossire o per ricacciare un nodo che aveva in gola. - E sai che ti dico? Dovresti farlo anche tu. Che te ne importa di lei? Che cosa ti spinge a reagire?- una luce diffidente attraversò i suoi lineamenti finissimi, scavandoli con maestria. - E’ soltanto una bella ragazza con un destino segnato, no? Tutto qui.- per qualche istante Nick rimase in silenzio, poi scosse il capo:
- Tu non la conosci.- bisbigliò, in un soffio. Qualcosa nel suo tono pieno di compassione, inaspettatamente, aprì una crepa nel petto di Prince, facendolo quasi avvampare. Ma che accidenti…? - Bene.- continuò il più giovane, con un sospiro rassegnato. - Se non vuoi aiutarla, se hai a cuore solo la tua vendetta, dimmi almeno come sei riuscito ad eludere il tuo Marchio del Diavolo. Farò quello che vuoi, in cambio, ma devo sapere come.-
Nell’udirlo pronunciare il nome completo del maleficio, il biondo trasalì ed lo inchiodò con un’occhiata feroce, poi emise un verso di stizza:
- Non sono interessato alle tue offerte. Ti ho già detto che cosa voglio e non sono qui per lasciarti negoziare.- chiarì, caustico. - E poi, giusto per la cronaca… azzardati a nominare ancora quella roba in mia presenza e te ne farò pentire. Lasciami in pace, altrimenti... beh, stessa identica cosa.- con un ghigno troppo tirato per risultare credibile, Prince si dileguò, scomparendo senza più una parola.
Teso come una corda di violino, Nick si strinse nelle spalle, ispirando profondamente dal naso e lasciandosi cadere sul materasso del suo letto, con il capo stretto tra le mani. Nonostante la palese sconfitta, un mezzo sorriso gli spuntò tra le labbra; era il meglio che potesse sperare di ottenere. Prince era turbato e a lui, adesso, toccava proprio fare quello che, a detta del fratellastro, era ciò che gli riusciva meglio: aspettare.
//  
Il sole al tramonto era sempre stata una delle cose preferite da Prince, assieme al suono dell’acqua corrente che si schiantava sulle rocce adamantine, piegandole al proprio volere con una determinazione lenta quanto implacabile. Per questo motivo, l’idea di lasciare l’oppressione di villa Mikaelson per tornare al suo rifugio nei pressi delle Cascate, tra le mura della casetta che aveva occupato negli ultimi mesi di progetti in incognito, gli parve davvero perfetta per distrarsi.
Gli ultimi crucci che Nick aveva provato ad insinuargli nella mente non facevano bene al suo umore e, quando era arrabbiato, il principe finiva sempre per farsi sfuggire qualcosa dalle mani. Non poteva permettersi di smarrire la lucidità ora, quindi decise di scacciare i fantasmi nel modo più semplice che conoscesse: la solitudine.
Le travi del ponticello di legno posto sul pelo dell’acqua, a pochissimi metri dalla riva, scricchiolarono mentre lui avanzava verso la dimora che aveva eletto come ‘propria’ da molto tempo, da quando, cioè, appena maggiorenne, aveva scelto di fare le valigie e di lasciarsi alle spalle tutte le incomprensioni con zia Rebekah.
Posta su una zolla di terra dall’aria selvaggia, quell’abitazione aveva attirato l’attenzione di Prince durante una delle sue innumerevoli passeggiate. Percependo immediatamente un po’ di empatia nei confronti di quelle pareti abbandonate, segnate dalle intemperie ma stranamente ancora in piedi, forse in attesa di qualcuno che si prendesse cura delle loro imperfezioni, il giovane vi si era stabilito, all’insaputa di tutti. Aveva sempre desiderato tornare a vivere in un luogo del genere, così simile a quello della sua infanzia, ma non l’aveva mai detto a nessuno.
Aveva agito e basta... come al solito.
Ed aveva centrato l’obbiettivo.
Mentre il vento stormiva tra le fronde dei salici piangenti, il biondo si chiese se il profumo del biancospino avrebbe mai potuto compensare la nostalgia di casa che sentiva così violenta ogni volta che il crepuscolo dipingeva il cielo di note color indaco. Sfiorò il legno della porta d’ingresso, assorto, poi l’odore conosciuto di cera d’api e ceppi per il camino degli interni gli lambì le narici, trascinandolo, suo malgrado, indietro nel tempo.
 
In un primo momento gli era sembrato di essere tornato nella propria cameretta e di avere i polpastrelli di Hayley che giocherellavano ancora sulla sua fronte, spostandogli dagli occhi assonnati la frangia di capelli umidi dopo il bagno. Prince aveva socchiuso le palpebre per non rischiare di perdersi un solo momento della serenità di sua madre e aveva assaporato ogni sfumatura rosea dipinta sulle sue guance. L’immagine esangue e livida che le aveva visto addosso negli ultimi istanti di vita gli era parsa d’un tratto soltanto un lontano ricordo. Inclinando il volto per baciarle il palmo, il ragazzo aveva battuto le ciglia bagnate di commozione… ma era bastato quell’attimo di disattenzione per tramutare l’atmosfera idilliaca in un incubo, in una tortura: le dita sul suo viso erano diventate degli artigli rapaci pronti a strappargli la pelle e lui si era ritrovato a gemere dal dolore, fino a farsi bruciare la gola.
Un piccolo corvo era comparso davanti a lui e tutto ciò che Prince riusciva a pensare era che avrebbe dovuto considerarlo come il suo unico nemico, il suo obbiettivo, la sua condanna, nonostante gli sembrasse così fiero, nobile e bello… così indifeso.
- Posso far sì che tutto finisca…- aveva gracchiato d’un tratto la voce atona della Deveraux, dal fondo della sua coscienza, provocandolo, spietata. -… tira fuori ciò che sei nato per essere ed io ti lascerò andare. Sii ciò di cui ho bisogno per chiudere il cerchio… diventa la mia arma.-
Prince, urlando, si era tappato le orecchie ed aveva chiesto di Elijah, implorato il suo aiuto ed il suo perdono, perché, nel delirio, era convinto che lui l’avrebbe salvato da quell’orrore, di nuovo, nonostante tutto, nonostante non se lo meritasse...
- Basta così, anche per oggi.- aveva mormorato Sophie, indispettita, battendo le mani con uno scatto che aveva fatto tintinnare i braccialetti rotondi ai suoi polsi. Come ogni volta da quando quel maledetto marchio era gli comparso sul corpo, Prince era riemerso dal buio a comando, spalancando gli occhi e ritrovandosi a carponi sul pavimento coperto di polvere, con le lacrime che continuavano a pungere come aghi invisibili, senza il coraggio di rotolare giù.
- Shane? Portalo da me. Sua zia lo sta aspettando ma credo che un risultato così deludente vada ricompensato come merita, prima. Rebekah non dovrà saperlo… non lo saprà, vero, Prince? Non vuoi che il tuo fratellino finisca nei guai, vero?-
‘’No…’’ aveva risposto quest’ultimo, senza però fiatare. ‘’… non dirò nulla. Continuerò a far credere a Nick che i miei sogni non siano poi così importanti. Dovrà smetterla di cercare le loro possibili cause sul Grimorio di nostra nonna, prima o poi… è troppo tardi, comunque, per me.’’
La porta sbarrata della cella si era aperta con un cigolio stridulo ed il ragazzino aveva visto la figura imponente del professore avvicinarsi, con la solita mano tesa, pronta ad afferrarlo e a trascinarlo al cospetto della strega.
Per la punizione.
Ancora.
Oh, avrebbe dato qualsiasi cosa per farli a pezzi.
O per fuggire a quel rito.
Qualsiasi cosa. Anche arrendersi.
All’improvviso era accaduto l’impensabile: a Prince era sembrato che tutte le sue percezioni si fossero dilatate assurdamente, facendogli cogliere ogni particolare del suo carceriere… la tensione dei suoi muscoli, lo strofinio dei suoi abiti, il sangue che gli pulsava nelle vene…
- Allora… vediamo se hai fatto dei progressi, piccolo mostro…-
Era stato un attimo: l’esplosione di Potere era venuta a galla senza preavviso, così brusca e portentosa da investire in pieno Shane, fino a fargli perdere l’equilibrio, costringendolo ad appiattirsi contro la parete. Nonostante lo sforzo avesse scatenato dentro al suo animo un senso di vertigine misto ad euforia, Prince si era abbandonato all’ebbrezza, rimettendosi in piedi, traballante. C’era qualcosa, nel suo profondo, che guardava con terrore alla reazione istintiva che il suo fisico aveva appena avuto davanti alla minaccia, mentre tutto il resto ne assaggiava piano il sapore e lo trovava semplicemente… delizioso.
Forse era vero… c’era qualcosa di sbagliato, in lui, che aspettava solo di essere risvegliata.
Di colpire.
Qualcosa di abominevole.
- Finalmente. Molto bravo.- aveva commentato Sophie, con gli occhi febbrili che ardevano di malsana eccitazione. Si era affiancata al suo collaboratore, ostentando un’espressione che rendeva ben visibili le imperfezioni del suo ghigno. - Lo sapevo che ci saresti riuscito. Chi non ha niente da perdere è più facile da manipolare... e tu non hai nulla che ti appartenga, Prince… soltanto ciò che hai toccato ed è andato in frantumi. Le uniche cose intatte della tua esistenza sono ancora lì perché vivono lontane da te... da te… che sei nato solo per distruggere.- il ragazzo era sbiancato ma non aveva replicato.
Avrebbe mai potuto contraddirla?
- Come ti senti, adesso?-
- Forte.- aveva sputato lui tra i denti stretti, prima di potersi trattenere.
- Bene.- aveva gongolato Sophie, scambiandosi un’occhiata d’intesa con Shane. -  E lo sarai sempre di più... e poi ancora. Grazie a me, al mio dono. Vedrai. Presto sarai così potente da raggiungere il tuo scopo, da compiere la tua missione.- aveva fatto un cenno eloquente con le dita, poi il professore lo aveva acchiappato per una spalla, spingendolo in avanti, fuori, dritto da Rebekah.
- Un giorno mi ringrazierai.-
Prince si era morso l’interno della guancia fino a sentire il sapore metallico del sangue sulla lingua, per non replicare.
‘’Un giorno sarò abbastanza forte da usare tutto questo Potere per liberarmi di loro.’’ aveva pensato ossessivamente, aggrappandosi a quella riflessione per non crollare in mille pezzi, come una statua di vetro. ‘’Lascerò che mi addestrino, farò finta di assecondarli, diventerò un’arma, un mostro, se è necessario. Farò toccare loro la gloria con la sola punta delle dita, giocando con le loro illusioni… e poi fuggirò. E quando sarà il momento, gli soffierò sotto il naso ciò che desiderano di più al mondo. Non importa quanto ci vorrà. Lo farò. Lo giuro.’’
 
Annegando nei ricordi per la prima volta dopo così tanto tempo, Prince passò una mano tremante sul proprio volto accaldato e si appoggiò pesantemente al tavolino del salotto, come per riuscire a reggersi in piedi. I contorni della stanza si fecero sfumati, come se si stessero sciogliendo lentamente, poi il frusciare degli alberi là fuori, visibile attraverso le ampie finestre, divenne di colpo più confuso, caotico e grottesco.
Oh, no, non può essere.
Neanche per idea.  
Annaspando, atterrito e suggestionato da quel malessere, il giovane sfiorò convulsamente con le dita la stoffa della camicia nera di Nick, spostando il tessuto setoso del colletto per strapparselo di dosso e per rivelare la porzione di pelle appena sotto di esso, nell’urgenza di controllarla; all’altezza del suo cuore, sul petto, era impresso un simbolo seghettato e tristemente familiare, una sigma disegnata al contrario, perfettamente speculare rispetto a quella convenzionalmente nota.
Lui ne tracciò con delicatezza il percorso con l’indice, sospirando, sollevato, poi cercò di darsi una calmata: lo stigma era ancora sbiadito e soprattutto inoffensivo, proprio come lo era stato dal giorno in cui era riuscito a contrastarne l’influsso; era pallido, come una cicatrice che Prince non sarebbe mai riuscito a cancellare, ma non faceva più male.
Perché lui aveva scoperto come potersi sbarazzare della sofferenza.
Era libero, adesso… al contrario di quella ragazza.
Di Demetra.
Per un istante il figlio di Klaus si lasciò andare all’immagine di lei sotto la pioggia, mentre sfidava a testa alta i tre manigoldi che lui stesso le aveva sguinzagliato alle calcagna, non per ucciderla ma per sondare le sue reazioni da lontano, accertandosi che fosse davvero la Prescelta di cui aveva tanto sentito parlare. La vide pallida e luminosa come una stella, con i capelli fradici appicciati al collo e alla schiena, e comprese perché Nick ne fosse così fatalmente attratto.
Doveva essere affascinante trovarsi al cospetto di una creatura così straordinaria senza correre il rischio di essere respinti dal suo innato, saggio istinto di autoprotezione… era stato un po’ buffo vederla sollevare uno scudo di nebbia solo per aver percepito la sua presenza al Grill, no? Forse la parte più intima di Demi sapeva di doversi difendere da lui.
Ma chi l’avrebbe protetta dagli orrori che il Marchio avrebbe presto comportato? Se quello che il moccioso aveva detto corrispondeva alla verità, Sophie avrebbe senz’altro sfruttato il proprio ascendente magico per obbligarla a consegnarsi a lei. O forse avrebbe spedito Shane a catturarla… in fondo, Atticus pareva averci preso gusto con le ragazzine, da quando aveva ricominciato a sfoderare i canini.
L’incauta Tina O’Neil, tanto per dirne una, era stata prosciugata da lui… Prince ne era certo. Aveva riconosciuto subito il modus operandi del professore e la ridicola clessidra tracciata sulle mura di casa Donovan non aveva fatto altro che confermare le sue ipotesi iniziali.
E se Demi, il nuovo, palese ed agognato scopo dei suoi nemici, fosse stata la prossima vittima dei loro giochetti perversi o, peggio, la chiave di volta che avrebbe finalmente concesso loro raggiungere il successo, una volta per tutte?
Beh… non solo Prince non l’avrebbe mai sopportato, ma sarebbe stato anche un terribile, imperdonabile… spreco.
 
***
 
- Vuoi dirmi che sei ancora vivo? Nuoo… fai sul serio?- la voce allegra di Mattie Lockwood esplose dal ricevitore del cellulare di Nick, abbandonato da quest’ultimo sul cruscotto un attimo dopo aver attivato il vivavoce. Un fischio ammirato risuonò nell’abitacolo della Ferrari: - Cavolo, compare… ed io che avevo già cominciato ad ipotizzare in quali posti avrei dovuto provare a scovare il tuo testamento! Mpff, aspetta, non dirmelo… ci sono! Era nascosto dietro al tuo balsamo preferito, eh?- Nick alzò gli occhi al cielo, muovendo leggermente la testa per impedire ai capelli sulla sua fronte di intralciargli la vista mentre guidava, ma lei interpretò prontamente quel silenzio divertito come un cenno di diniego: - No? Okay… allora, come ultima spiaggia, mi butto sui croccantini. Era lì, vero? Vero?- nell’ascoltare la sua voce giocosa, piena di buonumore e di sollievo, anche il giovane si lasciò andare ad un sorriso:
- Dove sei?- le chiese di slancio, per far sì che la ragazza lo sentisse anche con la cornetta a distanza. – Devo parlarti… ho bisogno di vederti!- non appena ebbe pronunciato quella frase, Nick udì un frastuono assurdo provenire dall’altra parte, come quello provocato da di chi si lascia sgusciare il cellulare via dalle dita, neanche fosse una saponetta.
Perplesso, tra le imprecazioni colorite di Matt, ci riprovò:
- Emh… nana? Tutto bene?!-
- T-tutto benissimo!- bofonchiò lei, affannandosi per recuperare l’aggeggio precipitato al suolo e per riportarselo in fretta all’orecchio, come se nulla fosse: - Umh, sì. D-dove sono, dicevi? Cioè… io?!- ripeté, nervosa, prima di rendersi conto, un secondo troppo tardi, di quanto potesse sembrare stupida una simile domanda. Inspirò profondamente, facendo appello a tutto il proprio autocontrollo, poi s’imbronciò. Era a letto con la febbre ma, per qualche strana ragione, non le andava di dirglielo, perciò si limitò ad arrossire: - Te l’ho detto mezzo minuto fa, razza di sopravvissuto smemorato... stavo giusto scegliendo il tuo epitaffio e si dà il caso che tu mi abbia rovinato la fest…-
- Sono a metà strada verso Timberwolf Street. Tra qualche minuto sono da te.- annunciò Nick, svoltando a destra con naturalezza mentre il cielo imbruniva ed il crepuscolo faceva capolino assieme a qualche stella sparuta tra le nuvole. Mattie capì che aveva riattaccato e strabuzzò gli occhi per qualche secondo, stordita da quella decisione, prima di emettere una specie di ringhio e di scalciare via il piumone che aveva addosso. Posò i piedi oltre il bordo del suo lettino, con Platone che guizzava felice nella sua boccia, e lanciò un rapido sguardo agli impacchi per far abbassare la temperatura che Caroline aveva ammassato sul comodino. Come se potessero servire a qualcosa, contro quello strano malessere che si presentava per la seconda volta durante il plenilunio, per poi sparire misteriosamente il giorno seguente! Sbuffando, Matt indossò una vestaglia che aveva ripescato dal baule e starnutì a causa del contatto freddo di quel tessuto sul proprio corpo bollente. Cercò di darsi una sistemata ai riccioli impazziti ma fu del tutto inutile: sembravano una balla di fieno. Senza speranze. Perché avrebbe dovuto preoccuparsene? Era solo Nick, quel pesce lesso… che aveva bisogno di vederla. Borbottando ed infilandosi le pantofole di peluche, Mattie lanciò un’occhiata combattuta alla soffice trapunta abbandonata sul materasso; ‘’Decisamente antiestetica’’ si disse ‘’ma necessaria’’ e poi, con uno strappo sovrumano, la tirò verso di sé. Dirigendosi poi, ciondolando, nel corridoio, rischiò di inciampare una decina di volte… ma quelli erano dettagli.
//  
Quando Nick scese dall’automobile, rimanendo vicino allo sportello aperto e sbirciando verso il portone di villa Lockwood, gli sembrò di essere uscito di senno: qualcosa gli stava correndo incontro a tutta velocità ma lui non riusciva bene a distinguerne i contorni né le fattezze. Sembrava una sottospecie di fagotto colorato… l’inquietante reincarnazione di un gigantesco involtino di stoffa, piume e goffaggine. Mentre si faceva via via più vicina, la buffa creatura cominciò ad inveire contro di lui e Nick riconobbe qualche ciuffo dorato, assieme a due piccoli pugni rosei, venir fuori dalla sommità del manto che la avvolgeva completamente. Mattie… ma che diavolo…? La ragazza, imperterrita, lottò contro il bordo della coperta per non rischiare di capitombolare e la scena fu così ridicola che il giovane Mikaelson scoppiò a in una risata liberatoria e argentina che quasi non si riconosceva.
- Che fai… ridi?!- strepitò lei, spostando appena un lembo di fodera per fissarlo con un occhio sbarrato dalla sorpresa. Lui annuì, piegandosi in due mentre lei rimaneva così, folgorata dalla luce abbagliante di quel suo raro sorriso spontaneo, e si ritrovava a voler accompagnare quell’ilarità, per annegarci dentro. - Non…- sibilò, incespicando e sghignazzando a sua volta, a più non posso. - … hey, aiutami, pezzo di scemo, ugh… sto soffocando!-
Riprendendo fiato ed un contegno, il ragazzo si adoperò per acchiapparla e liberarla dalle spire del piumone che si era arrotolato come un pitone attorno a lei, e poi, quando la sua faccia rotonda e paonazza fu finalmente riemersa, lasciò che Mattie affondasse la guancia nel suo petto, permettendole di abbracciarlo con un entusiasmo che per poco non gli fece perdere l’equilibrio.
- Hey!- protestò lui divertito, cercando di mascherare la sorpresa e ricambiando la stretta con la solita delicatezza. - Fammi capire… ti eri travestita da fantasma oppure quello della coperta era solo uno dei tuoi possibili futuri look per il Ballo?- le sorrise appena, poi cercò il suo sguardo. - Perché, se così fosse… non eri tanto male!-
- Oh, sta’ zitto!- sbottò la biondina, concentrata, impegnandosi per mantenersi il più a lungo possibile in bilico sulla punta dei piedi. Le pareva che ogni cosa fosse finalmente tornata al suo posto; forse avrebbe dovuto picchiarlo per averla fatta stare in pena tanto a lungo ma tutto ciò che riusciva a provare era emozione… e gratitudine. - Meriteresti un bel calcio nel sedere ma sono felice che tu sia sano e salvo… e qui. Sono così felice!-
Nick scosse piano la testa, intenerito dal suo tono accorato, e la fece dondolare sul posto:
- Sono un tipo di parola, io.- le ricordò, sciogliendo l’abbraccio ed alzando le spalle. - Che ti aspettavi?-
 
 
Image and video hosting by TinyPic  
- Qualche osso rotto ed un po’ di sangue, tanto per cominciare. E invece… guardati! Sei messo di gran lunga meglio di me! Bell’affare!- Mattie gli diede una spintarella col gomito e tirò su col naso, fragorosamente, fingendosi indispettita ed avviluppandosi di nuovo nel plaid, come in un mantello regale. Lui aggrottò lievemente le sopracciglia a quelle parole, incerto, poi notò quanto fossero arrossate le gote e lucidi gli occhi della sua amica.
- Non stai bene?- le chiese, improvvisamente allarmato. Prima che lei potesse fermarlo, le sfiorò la fronte accigliata con il palmo della mano, dolcemente, come aveva visto fare ad Hayley tante volte, quando era bambino. - Ma tu… scotti!- appurò, guardandola con un velo di rimprovero misto ad apprensione. - S-sei uscita di casa con la febbre? Così?! Sei forse impazzita?-
- Ero al caldo! Vedi?- brontolò lei, accennando con un ghigno conciliante al suo soprabito ‘alternativo’. Nick non approvò lo stratagemma e rimase inflessibile.
- Fila dentro. Non dovevo piombare qui così, non… mi dispiace! Non volevo disturbarti, è che... non sapevo che non stessi bene. Fa così freddo qui fuori e…- Mattie non gli diede la possibilità di terminare quel flusso confuso di giustificazioni e incrociò le braccia sul petto, tossicchiando in modo eloquente.
- Hai ragione, sai? Si gela. Ed io non mi muoverò fin quando non avrai sputato il rospo su quanto è successo. Coraggio, lo so che muori dalla voglia di deprimerti un po’, perciò… ti consiglio di accendere il riscaldamento in questa tua stramaledetta… auto di lusso.- con una candida naturalezza, la bionda aprì lo sportello del passeggero e balzò all’interno della Ferrari con l’entusiasmo di una bambina al parco, poi gli fece cenno di seguirla, senza ammettere ulteriori repliche.
//  
- Bene… la verità è che ho provato a chiamare Demi, dopo aver discusso con Prince.- confessò Nick d’un tratto, girando una manopola e lasciando che un piacevole tepore si diffondesse in tutto l’abitacolo. Matt stava per spaparanzarsi comodamente sul sedile, pronta per ascoltare le sue confidenze, quando si accorse che una luce inquieta e triste era apparsa negli occhi scuri ed intensi del ragazzo.
Cielo, solo Demi era capace di renderlo così vulnerabile.
A quel pensiero istantaneo, qualcosa nel suo stomaco contratto sprofondò.
- Non ha mai risposto. Sono preoccupato e credo che mi stia evitando.- dirlo ad alta voce provocò a Nick una sensazione di vuoto ma il suo petto si alleggerì comunque, attivando con successo il meccanismo che gli scattava dentro ogni volta, quando in giro c’era la nana.
Poche ore prima, il ragazzo aveva seguito l’istinto, correndo via da scuola alla ricerca di ‘una persona’, senza dare molte spiegazioni a Demetra, ed ora si sentiva terribilmente in colpa per averla lasciata da sola in un momento simile, così difficile… anche per una dura come lei. Durante il tragitto verso casa Mikaelson, lui non aveva mai smesso di pensare al suo viso, al dolore che avevano trasudato le sue iridi turchine così smarrite, al simbolo impresso sulla sua pelle e alle conseguenze crudeli che quell’abominio avrebbe di certo comportato, e le sue intenzioni si erano concentrate su di un unico obbiettivo: salvarla.
Ma ci era riuscito?
Oppure aveva soltanto realizzato l’ennesimo, patetico buco nell’acqua?
- Forse è la tua coscienza sporca a farti pensare questo e Demi è solo stanca ed immersa in un sonno profondo, lontana dal suo cellulare.- tentò di consolarlo Mattie, sforzandosi di suonare vivace ma senza troppa convinzione.
- Mmh. Forse.- mugugnò Nick, passandosi una mano tra i capelli castani ed arruffandoli un po’. Lei aveva notato che era un suo riflesso quasi incondizionato… lo faceva sempre quando era turbato e qualcosa che gli stava a cuore lo impensieriva. – Puoi dirmi cos’è successo, dopo che me ne sono andato? Come stava? Le cose sono… migliorate?-
- Un po’, sì.- bisbigliò Mattie in risposta, scrutandolo con aria seria... per quanto potesse concederlo la sua faccia paffuta e curiosa, naturalmente. - Sheila l’ha costretta a finire la camomilla e poi… beh, lei è rimasta a guardare il soffitto per qualche minuto, senza dire nulla. Sembrava… assente.- anche Nick restò in silenzio, con le labbra socchiuse e le pupille piene di tormento, mentre il tono insolitamente cupo della Lockwood non lasciava dubbi sulla gravità della faccenda. - Mi ha domandato che cosa diavolo ti fossi ficcato in testa.- proseguì Matt, precipitosamente, come se non volesse rischiare di trascurare dei dettagli importanti. - Aveva paura che ti saresti cacciato nei guai per causa sua. Ha… intuito che ne sapevo qualcosa, di Prince, quando invece sarei dovuta esserne all’oscuro… ma non ha fatto domande. E’ diventata solo più… fredda.- sospirò, scuotendo il capo, poi gli lanciò un’occhiatina furtiva; avrebbe voluto rimbeccarlo a dovere perché, dopo avergli ripetuto un milione di volte di rivelare tutta la verità alla Salvatore, lui aveva continuato a temporeggiare, finendo per impantanarsi ancora in quell’assurda situazione, ma la sua espressione le sembrò già così afflitta che non ebbe il cuore di infierire:
- Lo sai com’è fatta Demi.- considerò, obbiettiva. - Si sente più al sicuro dietro un muro di ghiaccio.-
- Lo so.- completò Nick amaro, annuendo tra sé. Il suo sguardo vagò oltre il finestrino, dove sfumature scure andavano tingendo l’orizzonte, annunciando l’imminente comparsa della luna, poi inspirò: - Basta, io vado da lei.- sentenziò, sistemandosi e posando le mani aperte sul volante. La sua voce apparentemente risoluta tradiva una malinconia che non sfuggì alla bionda, neppure per un istante.
- Posso spiegarle, non è come pensa…-
- Ceeerto… e glielo dirai prima o dopo aver cominciato ad ululare, genio?!- domandò Matt con spiccato sarcasmo, tirando il freno a mano con uno strattone, giusto per sicurezza. Lui si girò a fissarla, intontito, e lei gli agitò un pugnetto sotto il naso. - Grr… te l’ho mai detto che i tuoi sbalzi d’umore mi danno i nervi? Cavolo! Avresti dovuto pensarci prima, okay?! OKAY! Ora non puoi semplicemente presentarti alla sua porta per implorare il suo perdono… peli ed artigli a parte, ormai il danno è fatto. Assumitene le responsabilità, da bravo gentiluomo… perché il modo migliore per rimediare è evitare di ripetere l’errore! La verità va detta tutta quanta, anche se può far male… non ha senso tenersela dentro nella speranza che gli altri non si sentano traditi. E ficcatelo nella zucca, una buona volta!-
Nick batté le palpebre, pietrificato davanti a quello sfogo, e rimase zitto a lungo, senza smettere di osservare la ragazza. Lei aveva gli occhi lucidi dalla febbre ma il rossore che le aleggiava sulle gote era frutto della veemenza con cui aveva appena pronunciato quella meritatissima ramanzina. E magari di qualcos’altro.
Nick trovò la forza di distogliere lo sguardo solo nel momento in cui, imbarazzato, ricordò quanto anche Mattie fosse rimasta male a causa del suo atteggiamento, quella mattina, quando aveva scoperto per caso ciò che lui e Demetra avevano condiviso sul porticato di casa Bennett.
- Perché sei così?- gli sussurrò la Lockwood dopo un secondo di silenzio, con la sua solita dolcezza, come se volesse scusarsi per essere stata così dura con lui. - Non c’è niente di male nell’essere onesti. Si può sapere perché ti comporti in questo modo, sempre… come se dovessi nascondere a chiunque ciò che fai… che provi? Come se nessuno potesse aiutarti ad affrontare gli eventi?- non c’era traccia di accusa nel suo tono, stavolta, solo tanta voglia di esserci e di capire.
Il ragazzo si sentì sfiorato da quelle parole come da una carezza e socchiuse le palpebre.
 
Aveva continuato a trafficare tra le cianfrusaglie di zia Rebekah per tutto il tempo, il piccolo Nick, nonostante fosse proibito e sapesse perfettamente che, se solo lei lo avesse scovato a frugare nella propria camera blindata, ne avrebbe pagato le conseguenze. Aveva fatto un lavoro accurato, cercando senza sosta e sfruttando ogni prezioso secondo di solitudine a disposizione, ma non aveva ottenuto risultati: il male misterioso che continuava a affliggere Prince non era citato in nessuno dei documenti segreti che era riuscito a sfogliare… e li aveva controllati davvero tutti, a parte quell’enorme librone muffito con un pentacolo sulla copertina.
Magari la prossima volta.
‘’Maledizione!’’
Nick sapeva che Prince era nei guai…l’aveva sentito lamentarsi nel suo letto anche la sera prima, in preda agli incubi, come al solito, ma non aveva saputo fare nulla per aiutarlo. Suo fratello, come posseduto da uno spirito maligno, aveva continuato a mordere il cuscino per soffocare le urla e a drizzarsi sul materasso, con la fronte imperlata di sudore gelido, fino all’alba, senza trovare riposo, senza riuscire a scappare da quella ‘’Sophie’’ che nominava tanto ossessivamente durante l’agonia.
- Che hai?- gli chiedeva spesso Nick, spuntando oltre la sua porta, assonato… spaventato.
- Vattene via.- rantolava lui, abbandonato prono tra le lenzuola, senza voltarsi a guardarlo.
- Prince, per favore.- supplicava l’altro, con la voce che sapeva di pianto. - Hai bisogno di un dottore… io non…-
- Sto bene… non preoccuparti. Lasciami solo.- il tono esausto del biondo si ammorbidiva sempre un po’, nel tentativo di convincerlo, e gli faceva male dentro, tanto da morire. - Vai a dormire, Nick… ci penso io. Ci penserò io. Vai.-
Ma lui non era mai riuscito a darsi pace davanti a quella sofferenza ed aveva cominciato a darsi da fare per venirne a capo. Quando sua zia usciva per delle commissioni, lui partiva in quarta al setaccio delle sue cose, nella speranza di trovare delle risposte. Incubi, visioni, deliri, un carattere che diventava sempre più brusco, lacrime spesso trattenute, un simbolo che aveva scoperto sul petto del principe e che lui si era affrettato a coprire… quelli erano gli unici indizi in suo possesso.
I suoi punti di partenza.
- Che… che cosa stai facendo?- una voce trasfigurata dall’ira lo aveva raggiunto alle spalle, facendolo trasalire talmente forte da fargli sfuggire un foglio dalle dita. Quando era voltato, però, aveva notato che non era stata la sorella di Elijah a fare irruzione in quella stanza, bensì Prince. Il sollievo inziale si era trasformato in sgomento quando aveva capito che suo fratello tremava dalla furia, da capo a piedi. – Che ci fai qui, eh? Vuoi che lei ti scopra? Vuoi che ti… cosa stai cercando?- aveva sibilato, tagliente come un coccio di vetro.
- C-ci sono quasi…- aveva balbettato il minore, paralizzato, mostrandogli le prove della sua premura, della sua ricerca. -… voglio solo aiutarti… vedrai, troverò il modo di liberarti dal dolore, di qualunque cosa si tratti, io posso…- non era riuscito a finire in tempo la frase che Prince gli aveva strappato dalle mani le pergamene, lanciandole di malagrazia nel baule di Bekah e richiudendo quello scrigno con uno scatto che ne aveva fatto cigolare le giunture.
Quando Nick iniziato a protestare, l’altro l’aveva afferrato per il bavero della maglietta, sollevandolo quasi a mezz’aria.
Ma quanto poteva essere forte un ragazzino di un anno più grande di lui?
Enormemente, a quanto pareva.
Nick aveva faticato a respirare.
- Non voglio mai più vederti ficcare il naso tra questa roba. E’ pericolosa.- aveva scandito il ragazzo, con il veleno sulla lingua. - Non azzardarti più a provare a scoprire cosa c’è dietro i miei problemi. Sono affari miei e non voglio che tu ne prenda parte. Mai più.- aveva stretto la presa e Nick aveva sentito gli occhi bruciare.
- Sono stato abbastanza chiaro?!-
- Mi… fai… male.- Prince aveva lasciato la presa di colpo, come se si fosse scottato, poi si era guardato le dita ancora in tensione. Se era stato disgustato dal proprio impeto violento, se se ne era pentito, non l’aveva dato a vedere se non con il velo di tormento nelle sue iridi smeraldine… nient’altro. Poi l’aveva trascinato fuori da lì, tornando a rinchiudersi di sopra. Ed il sole era calato. E la tortura aveva ripreso ad infuriare. E Nick era rimasto a fissare la porta di suo fratello con impotenza mista a rancore, con quelle grida che gli graffiavano forte i pensieri, come unghie su una lavagna.
Poi l’aveva giurato a se stesso.
Questa volta non si sarebbe fermato.
Avrebbe continuato a portare avanti le ricerche, anche se questo avrebbe voluto significare nascondersi da chiunque. Da Rebekah. Da Prince. Avrebbe finto che tutto andava bene e poi se la sarebbe cavata da solo. A costo di pronunciare qualsiasi bugia… avrebbe scoperto quale mostro si era impossessato di suo fratello, fino a divorargli l’anima.
E l’avrebbe aiutato a sconfiggerlo.      
 
- Sono cresciuto così.- sospirò il giovane Mikaelson, premendosi le dita sulle tempie come per provare a riflettere, mentre in realtà avrebbe voluto solo coprirsi il viso, scomparire. - Salvare Prince è stata la mia missione segreta per molto… moltissimo tempo. Ma non ce l’ho fatta. Lui è stato costretto a pensarci da solo e poi… se n’è andato. Semplicemente.- la voce gli si spezzò e Nick si voltò impercettibilmente, fingendo di scrutare nello specchietto retrovisore per poi strofinarsi una guancia sulla spalla, là dove la stoffa era pronta ad asciugare tutta la sua colpa. Desolato, quasi sorrise: - E’ assurdo. Pare proprio che io non riesca…-
Pare che io non riesca a trattenere chi amo.
Pare che io non riesca mai a rendermi utile.
Loro soffrono ed io resto immobile. Nell’ombra.
Come un incapace.
Come un vigliacco.
- Non sei più il bambino costretto a nascondersi per fare la cosa giusta, ora.- gli ricordò Mattie, con delicatezza. - E’ arrivato il momento di vivere… di lasciare andare il passato.- Nick, lentamente, si girò di nuovo e la vide sforzarsi di sembrare raggiante, nonostante avesse appena smesso di tirare su col naso, ormai rosso come un peperone. - Questa volta riuscirai ad aiutare Demi. So che tu la salverai. Ne sono sicura.- timidamente, in uno slancio di follia, si sporse per posare la propria mano su quella del ragazzo e la trovò gelida a contatto con la propria. Un brivido la scosse ma non era sicura che dipendesse dalla differenza di temperatura tra loro, a quel punto.
- Io credo in te.-
Nick alzò appena la testa e la scrutò con intensità. Le sue iridi nere sembravano petrolio liquido e danzante… e brillavano. Ricordava prima volta in cui lei lo aveva inondato con tutta quell’inaspettata fiducia… non le aveva creduto subito, come invece stava facendo ora. Non aveva mai avuto quel coraggio prima di conoscerla, prima che lei gli desse una possibilità e gli svelasse un modo così diverso di rapportarsi agli altri… più spontaneo ed innocente, puro, senza troppe complicazioni, adorabile.
Com’era lei.
- Io… devo andare.- disse Nick, ritirando la mano dalla carezza di Matt per passarsela nervosamente tra i capelli, scompigliandoli. Ancora. - Si è fatto tardi… la luna piena sta per sorgere.-
- Uh. Certo!- esclamò lei, con voce stridula, come se avesse esaurito la quantità d’aria nei polmoni. - Sì. E’ meglio che tu vada.- lo incitò, schiarendosi la gola con fare solenne ed indicandogli la strada da percorrere per uscire dal cancello maestoso di villa Lockwood.
- E’ meglio.- confermò Nick, ragionevole, tamburellando con le dita sul volante, in attesa.
- Assolutamente.- convenne Mattie, decisa. Si guardarono per un breve istante mentre lei cercava di capire per quale strana ragione il giovane avesse quel sopracciglio inarcato e gli addominali contratti nello sforzo di non scoppiarle a ridere in faccia.
Già.
Perché?!
- Forse dovresti… mmmh… scendere dall’auto.- le suggerì, facendole l’occhiolino, come se fosse un segreto che avrebbe custodito gelosamente. Matt si accigliò, ancora smarrita, poi avvampò così tanto da sembrare una torcia accesa nell’oscurità. Aprì lo sportello con un’energia tale da rischiare di staccarlo e si fiondò fuori, sbracciandosi poi per salutare Nick mentre lui, con un sorriso, metteva in moto e ripartiva. 
- In bocca al lu… insomma, hai capito!- gli strillò dietro, mentre la vettura svoltava ed il suo amico era ormai incapace di udirla. Rimase ferma ad osservare il punto in cui era scomparso, sognante, poi si riscosse e si premette una mano sulla fronte. La voglia di prendersi a pugni e di vedere aprirsi sotto di sé un burrone pronto ad inghiottirla nelle profondità della terra confluì in un unico, familiare impulso: un brontolio nella pancia. Sì… aveva proprio bisogno di un biscotto.
 
***     
 
Elena si sporse di nuovo verso il salotto del Pensionato, rimanendo nascosta nell’ombra, senza far rumore, poi sbirciò all’interno, sperando che Damon non si accorgesse subito della sua rinnovata presenza. Dopo gli interminabili minuti di silenzio trascorsi l’uno tra le braccia dell’altra, a perdersi, a ritrovarsi, a singhiozzare e a contare i respiri profondi e smaniosi che avevano gonfiato i loro petti palpitanti, lei si era costretta a sciogliere quella stretta e a lasciarlo andare, nell’urgenza di ricomporsi. Damon, chissà con quale forza, aveva resistito all’impulso di trattenerla e l’aveva guardata scivolare via dalla presa delle proprie dita impotenti, come fumo o sabbia… come polvere.
Asciugandosi debolmente il volto bagnato con il dorso della mano, con lo sguardo vacuo e spento, la Gilbert si era allontanata a fatica, sfuggendogli senza una parola, senza che lui ritrovasse in gola il fiato necessario per protestare, poi era corsa di sopra, concedendosi una tregua che sapeva di non meritare ma che Damon le aveva concesso comunque.
Ora, dal proprio angolo appartato a pochi metri dal soggiorno, poteva scrutare il vampiro  con maggiore chiarezza, in segreto, senza che lui se ne accorgesse: era di spalle, con la stoffa della camicia scura che gli fasciava l’ampio, perfetto profilo della schiena, e se ne stava davanti al suo mobiletto preferito, con un gomito sollevato, come se si stesse portando qualcosa alla bocca.
 

Image and video hosting by TinyPic  
Un bicchiere di cristallo ricolmo, senza dubbio… forse lo stesso che lei aveva usato poco prima, vuotandolo tra le labbra tremanti per affogare nel suo contenuto alcolico la tensione, la nostalgia… e l’attesa.
- Sei tornata.- sussurrò Damon d’un tratto, senza voltarsi, facendola sobbalzare. Non era una domanda, la sua, ma una semplice constatazione che la fece avvampare. Diamine, che cosa poteva averla tradita, adesso? Aveva fatto attenzione a non emettere un suono, a non fiatare, persino… - Il tuo odore.- chiarì lui con naturalezza, come se le avesse letto nel pensiero; mandò giù l’ultimo sorso di Bourbon prima di girarsi, poi si strinse appena nelle spalle e sospirò: - E’ simile a quello di Demi. Non immagini quanto.-
Elena abbassò il capo a quelle parole, quasi suo malgrado, poi increspò la bocca in un flebile sorriso. Aveva sempre pensato che il profumo della pelle di sua figlia somigliasse di più a quello di lui, in realtà. Quella dolcezza infinita, celata con cura sotto un filo di caparbietà ed indipendenza, l’aveva annusata spesso tra i suoi lunghi capelli neri quando la piccola si era addormentata con la guancia premuta contro il suo seno e le dita sottili e bianche intrecciate alle sue.
Troppe volte era stato quell’aroma di passato a darle sollievo ed Elena l’aveva respirato come ossigeno, fino in fondo, anche per ore, cercandovi un po’ di riposo, una carezza che credeva perduta, un contatto con la felicità.
Non avrebbe mai potuto immaginare che Damon aveva fatto esattamente lo stesso, per tutto il tempo, soltanto la notte prima.
- Che cos’hai lì?- le domandò lui, indicando con un cenno interessato il poderoso libro rivestito di velluto che la vampira si stringeva al petto, avvolgendolo con le braccia come se fosse uno scudo… o, al contrario, un bene particolarmente prezioso da proteggere. Lei si riscosse dalle proprie riflessioni e lanciò un’occhiata veloce al volume, come se si fosse resa conto soltanto allora di averlo messo in mostra, poi scrollò le spalle:
- E’…- mormorò, avvicinandosi con passo titubante, impacciata. -… ecco, è un album di vecchie fotografie. Sono le più belle, le più significative… scattate nell’arco di sedici anni. Possiamo… sfogliarlo insieme, se vuoi.- la luce curiosa nelle iridi blu di Damon si offuscò improvvisamente, sostituita da un velo di malinconia, mentre lui si rendeva conto che, in copertina, erano ricamate delle parole davvero semplici ma sufficienti a spezzargli l’anima con la violenza di un’ascia che si scaglia su un tronco fiero… per abbatterlo:
 
‘’The Salvatore Family’s Memories –
Elena, Demi and Stefan’’.
 
Damon s’irrigidì mentre qualcosa nel suo profondo esplodeva: odiava sentirsi inadeguato e, in quel preciso istante, gli parve di essere incapace di fronteggiare il peso insostenibile di una vita sconosciuta che sarebbe potuta, che sarebbe dovuta essere sua, e che, invece, era finita miseramente intrappolata tra quelle poche pagine plastificate.
Confusa e mortificata dalla sua reazione, Elena si arrestò immediatamente dal porgergli il raccoglitore, poi si morse il labbro inferiore:
- Io…- balbettò, col fiato mozzo, tirandosi nervosamente una ciocca liscia e scura dietro l’orecchio. -… scusami, non… non è stata una buona idea. Lascia perdere, tu non devi… n-non ha importanza. Credevo che ti avrebbe fatto piacere ma… capisco…- rapida, fece per andarsene e per riporre il librone al suo posto ma, prima che potesse dileguarsi, sentì qualcosa di tiepido stringersi attorno al suo polso, fermandola.
Fu una pressione vellutata eppure decisa che la obbligò a non muoversi e a sollevare lo sguardo fino ad incontrare quello sfavillante ed intenso di Damon.
- Siediti accanto a me.- bisbigliò lui con un tono a metà tra la cortesia di una richiesta e la necessità viscerale di una supplica; la guidò con un gesto fluido del proprio capo verso il divano ed Elena, col cuore pieno di una gioia amara come fiele e di una gratitudine talmente soffice da sprofondarci dentro, non esitò a seguirlo.
//  
- Questa è la mia preferita!- la risata spontanea di Damon risuonò nel salotto, argentina ma un po’ rauca, familiare, ed un sorriso intenerito comparve anche sulla bocca di Elena mentre lo guardava indicare una foto. C’era Demi in primo piano, seduta sul pavimento della cucina, con i capelli svolazzanti raccolti in una coda alta e la faccia tutta sporca di cioccolata e panna. Doveva avere al massimo sei o sette anni e sembrava un dalmata (o meglio una torta simile in tutto e per tutto a quella che si era pappata di nascosto!) mentre, con l’espressione birichina di chi è stato sorpreso sul più bello ma continua spudoratamente a fingersi innocente, teneva le mani giunte, come in preghiera. Davanti a lei c’erano uno Stefan che, fintamente indignato, la puntava, come a voler dire: ‘’No, signorinella, questo non me lo sarei mai aspettato da te!’’ ed una Elena che, complice, si era portata un dito alla bocca dopo aver catturato con la punta un po’ di dolce rimasto, lasciando intendere chiaramente un: ‘’Buonissima! Ne prepareremo un’altra, per gli ospiti, amore… nessun problema!’’
- L’ha scattata Caroline, quella.- spiegò la Gilbert, arricciando il naso mentre passava a lui un altro gruzzolo di fotografie da analizzare e Damon s’imbronciava, alzando gli occhi al cielo d’istinto, al nome della Barbie. - Shh, era il dessert che avevo preparato per il suo compleanno.- aggiunse a voce bassa, come se stesse spettegolando. - E,in tutta sincerità, non credo che lei abbia ancora perdonato Demetra per averle sciupato la festa in quel modo!- lui continuò a ridacchiare sadicamente, mascherando il proprio orgoglio con un colpettino di tosse poco convincente, poi scrutò l’ennesima immagine stampata su un rettangolino cartaceo, concentrato:
- Dov’è lei, in questo caso?- domandò alla vampira un attimo dopo, battendo le palpebre, smarrito. Non riusciva a trovare sua figlia e non era tanto sicuro che quel ritratto gli piacesse: sembrava la Casa al Lago al crepuscolo ed Elena era abbracciata a Bonnie, con la testa appoggiata alla sua spalla, le mani posate in grembo e l’aria infinitamente triste. Era magra ed aveva gli occhi socchiusi contornati da occhiaie scure, la sua chioma era arruffata, un particolare così insolito per lei, ed il suo sorriso era tirato, come quello di chi stringe i denti per non smettere di lottare ma non è poi così sicuro di riuscire vincere.
- Qui.- Elena gli sfiorò la mano per guidare il suo indice a toccare un punto sul suo corpo immortalato, sul ventre appena accentuato dallo stato iniziale della gravidanza, e Damon percepì un fiotto di calore irradiarsi dal loro contatto, invadendolo completamente. I polpastrelli di lei si chiusero appena sulla sua pelle, come avendone percepito il brivido, poi si allontanarono, simili a piume tiepide. Damon inspirò profondamente, senza osare guardarla, mentre quello scatto, d’un tratto, sembrava acquistare spessore e significato. Bellezza, perfino. Per tenersi impegnato e impedirsi di dire qualcosa di irrimediabilmente sbagliato, lui sollevò le pagine giallastre dell’album, sfogliandole alla rinfusa; alcune foto che erano ammucchiate al suo interno, senza un’esatta collocazione, piovvero come foglie secche sul pavimento di legno lucido.
- Dannazione.- sbuffò lui, irritato, piegandosi subito per raccoglierle mentre anche Elena si dava da fare per recuperarne un paio. Di sfuggita, il maggiore dei fratelli Salvatore vide un’ombra sospetta attraversare il bel volto di lei, oscurandolo, e notò che, nel rimettersi composta, la donna cercava di nascondergli una foto in particolare, come se volesse farla scomparire dalla sua vista. - Che cos’è quella? La prima permanente di Stefan in luna di miele?- le domandò sarcasticamente, sporgendosi prontamente per sfilargliela dalle dita. Elena la trattenne con forza, senza più sorridere, tormentandosi il labbro inferiore, ormai scoperta:
- Damon, forse non dovresti…- cercò di fermarlo ma il vampiro fece una smorfia scettica.
- Oh, andiamo, con tutto quello che è accaduto in ventiquattr’ore posso autodefinirmi indistruttib…- la voce gli morì in gola in un soffio strozzato quando i suoi occhi si furono posati sulla figura in bilico sul proprio palmo: era Elena e non l’aveva mai vista più bella di così. Indossava un lunghissimo, principesco abito bianco e luccicante… l’abito di una sposa. Un nastro argenteo le fasciava la vita con una delicatezza studiata per nascondere e allo stesso per far risaltare il lieve rigonfiamento sulla sua pancia mentre, più in basso, il vestito scendeva in un intreccio di dolci, vaporose pieghe di stoffa simile a spuma di mare. I suoi capelli, sollevati appena da un fermaglio scintillante in cima alla testa, le coprivano le spalle velate di seta semi-trasparente e le incorniciavano il viso raggiante, in una cascata di onde morbide e scure. E, anche se nei suoi occhi da cerbiatta era riflessa una sorta di tenera insicurezza, lei sorrideva, illuminando con la propria luce perlacea tutto l’esterno di Fells Church, addobbato di fiori e ghirlande per l’occasione.
A Damon sembrava di essere paralizzato dalla testa in giù.
Se qualcuno lo avesse attaccato alle spalle, in quell’istante, magari per porre fine alla sua patetica esistenza, lui non si sarebbe opposto.
Per un istante d’inesauribile agonia, nessuno di loro due seppe cosa dire, poi il vampiro si girò impercettibilmente ad osservarla.
Il suo sguardo sembrava quasi impassibile, eppure il senso di perdita che vi ribolliva sul fondo colpì Elena con tutta la propria devastante irruenza, senza lasciarle via di scampo.
- Eri… eri stupenda.- farfugliò lui come se fosse ovvio, come se non potesse trattenersi dal dirlo, nonostante l’idea di lei col viso coperto da un sottile velo candido, al fianco di uno sposo coi tratti di suo fratello, lo stesse dilaniando in profondità, vivida e dolorosa più che mai. La bocca rosea di Elena ebbe un fremito di sorpresa e di tenerezza nell’udire quelle parole così sofferte ma sincere, poi si distese in un sorriso umido:
- Grazie.- bisbigliò, quasi inudibile, fissando le pieghe nel tappeto rossiccio e tirando su col naso. A quel punto Damon emise un basso sibilo esasperato e spostò con un tonfo il librone di fotografie che aveva sulle ginocchia, lasciando che scivolasse inerte sul sedile libero del divano e che gli consentisse di guadagnare una maggiore libertà di movimento.
Sì, doveva essere impazzito.
- Elena.- disse, in tono sorprendentemente fermo. Lei non reagì se non con un brivido leggero, frutto dell’aver udito il proprio nome pronunciato con tutta quell’incontenibile veemenza. Non si mosse… sembrava che non fosse più in grado di farlo. - Guardami. Adesso.- lei ci mise ancora qualche secondo per arrendersi e poi, finalmente, inclinò il capo nella sua direzione, con i laghi di cioccolata delle sue iridi che rilucevano di timore, allerta e di un desiderio sconfinato ed inappagabile… di pace.
- Sono qui.-
Damon, in qualche maniera del tutto assurda ed inconcepibile, era convinto che lei fosse già a conoscenza dei dubbi che lo assillavano, così come sapeva che non avrebbe potuto trattenerli un momento di più dentro di sé. Fu per questo motivo che non ebbe rimpianti quando quelle parole infuocate vennero fuori come uno sparo dalle sue labbra contratte:  
- Tu lo ami.- disse asciutto, senza traccia d’interrogazione, con una voce stridente che lei faticò a riconoscergli. Aveva il volto della prostrazione ma i suoi occhi azzurri e limpidi la scrutavano con fervore, decisi a conoscere la verità. - Stefan…- sussurrò, debolmente. -… l’hai sposato per amore.- un’ondata di calore le attanagliò le gote, facendole imporporare subito sotto lo sguardo attento del vampiro, come quando le gocce di vino dipingono di rosso l’acqua cristallina.
L’oro delicato della sua fede nuziale le accarezzò l’anulare, facendole sentire la propria consistenza e la propria presenza tiepida, intatta e luminosa, costante, proprio come quella di suo marito.
E le diede il capogiro.
Elena riusciva ancora a percepire il dolce, rassicurante contatto con le mani di Stefan, lo stesso che aveva sentito quando lui le aveva fatto scorrere piano l’anello attorno al dito, rendendola sua per sempre tra gli applausi… e giurandole amore, amore e fedeltà eterni.
Stefan che aveva tenuto dentro di sé un segreto così grande per tutti quegli anni, che le aveva celato la vera ragione per cui Damon era scomparso, agendo per rispettare il volere di suo fratello… Stefan che l’aveva protetta e accudita come una bambina all’inizio della sua angoscia e che l’aveva vista riprendere in mano la vita con la forza di una leonessa, poi, quando Demi era venuta alla luce. Stefan che c’era sempre stato, che era il profumo del caffè al mattino, le lenzuola pulite, le passeggiate in riva al Lago, la serenità che aveva tanto disperatamente desiderato per sé e che infine si era concessa, assaporandola forte, aggrappandovisi con tutte le proprie energie…
- Sì.- pigolò in risposta, come se avesse smarrito le corde vocali, con gli occhi scuri tormentati ed intensi, espressivi. Si schiarì la gola bruscamente, poi ci riprovò: - Certo che lo amo, Damon.- la sua voce tremò violentemente, forse di colpa o d’ira repressa, mentre le sue iridi brillavano come faville. - Come… come puoi chiedermi una cosa del gene…?-
- E se non me ne fossi mai andato?- incalzò lui, spietato, come se nulla lo avesse scalfito. Elena si chiese come potesse fingere di essere così distaccato quando ogni cosa, dentro e fuori di lui, urlava la sua sofferenza. Poi una crepa profonda nella sua sfrontatezza disegnò il profilo mesto del suo sorriso stanco, bellissimo, che la abbagliò fino a stordirla. - Che cosa sarebbe successo?- la sfidò ancora, avvicinandosi tanto da sentirla irrigidire ogni muscolo del corpo e trattenere il respiro. - Te lo sei domandato? Ci hai mai anche soltanto pensato, Elena? A noi?-
La Gilbert lo guardò dritto negli occhi, notando quanto fossero dilatate le sue pupille. Circondate da un cerchio ceruleo, sembravano pronte a risucchiarla in un universo alternativo ed ipnotico, lo stesso che una parte di lei non aveva mai smesso di aspettare davvero. Quel ‘noi’ così sussurrato le regalò un sussulto e le scatenò sotto la pelle una voglia irrazionale di sorridergli, un istinto che tuonò nel suo stomaco e le fece scuotere la testa nello sforzo di resistergli.
Perché Damon sapeva... nonostante le palpebre gonfie, nonostante l’impellente desiderio di fuggire da ciò che di distruttivo i loro discorsi finivano sempre per accendere… sapeva benissimo che ci aveva pensato.
A lui, allo spicchio di sole tra le sue labbra che si confondeva con la pallida luce dell’alba, al battito delle sue ciglia e al sapore salato che il sollievo avrebbe avuto ogni giorno se solo si fossero svegliati l’uno accanto all’altra, senza più ostacoli, appartenendosi. A loro due, incapaci di viversi almeno quanto lo erano di dimenticarsi, uniti… insieme a Demi.
 - Damon…- supplicò Elena, passandosi le dita tra i capelli ed allontanandoli dal proprio viso teso, inquieto. Fece per alzarsi ma lui la trattenne per un braccio, impedendole di andarsene e stringendola disperatamente, senza farle male eppure facendogliene più di quanto il cuore di entrambi potesse sopportare. Il timore di perderla che lei lesse nei suoi lineamenti tirati le ricordò in qualche modo se stessa, sedici anni prima, e la impietosì. 
- Ti ha resa felice?- soffocato dal proprio senso di vulnerabilità, Damon trasformò quella presa ferrea in una carezza che risalì lentamente sulla spalla di lei, fino a raggiungere il suo viso. Elena trasalì nell’avvertire il timido contatto col calice del suo palmo ma non si ritrasse. Chiuse gli occhi e si abbandonò per un attimo, sospirando. - Rispondimi.-
Senza osare schiudere le palpebre, lei annuì debolmente ed inesorabilmente, persa, come se dormisse e quello fosse un sogno dal quale non avrebbe mai voluto svegliarsi. Qualcosa di trasparente scintillò sulle sue guance, rotolando, e il vampiro percepì la scia bagnata delle sue lacrime lambirgli la mano. - Allora perché stai piangendo?- le sussurrò, catturando un luccicone sfuggito al suo controllo ed asciugandolo piano, con tutta la delicatezza di cui era capace.
- Perché?-
- Io… non lo so.- ammise lei mentre il pollice di Damon continuava a lavare via tutte le sue paure e lui le allontanava i capelli dalla fronte, permettendosi di godere meglio delle linee squisite del suo volto. D’un tratto, con una prepotenza lancinante, l’immagine di lei, immortalata distrutta, smagrita e debole in quella vecchia fotografia, sembrò sostituirsi a quella bellezza, facendolo affogare nel disprezzo per se stesso. Quanto aveva patito la sua assenza, Elena? Quanto aveva urlato il suo nome prima di addormentarsi e quanto aveva atteso il suo ritorno, invano, prima di arrendersi all’evidenza? Prima di rassegnarsi e di lasciarlo andare così? Quanta gioia e quante possibilità le aveva rubato, prima che lei si decidesse a riconquistarle tra le braccia di Stefan e della loro… famiglia?
- Mi dispiace.- si lasciò sfuggire Damon, battendo le ciglia bollenti. – Mi dispiace di averti causato così tanto dolore… di averti portato via così tanta vita.- a quelle parole, gli occhi lucidi di Elena si spalancarono e rimasero a fissarlo, trasognati e increduli, per un tempo non quantificabile.
 
Image and video hosting by TinyPic  
Lui trattene bruscamente il respiro, percependo il suo viso  muoversi contro la pelle sensibile della propria mano, come lei se volesse nascondersi, fondersi con essa; le sue labbra dolci gli sfiorarono l’incavo del palmo in un bacio dalla consistenza lieve e fragile, simile a quella del petalo di un fiore, e Damon, che avrebbe soltanto voluto avvicinarsi ed annullare ogni distanza tra loro, rimase assorto a guardarla, lasciandola fare, senza parole.
- Non dirlo mai più.- mormorò Elena, sommessa, la bocca ancora premuta contro la sua pelle. - Tu mi hai dato la vita.- confessò in un soffio caldo, regalandogli un brivido. - E qualunque cosa accada… non devi dimenticarlo. Non devi dimenticarlo mai.- negli occhi allibiti e grondanti di Damon, a quelle parole insopportabilmente familiari, divampò una scintilla di nostalgia talmente vivida da sembrarle accecante, insostenibile.
- Come potrei?- ormai erano vicini, così tanto da sentire il calore corporeo ardere come una fiamma attraverso lo spazio angusto che li separava. - Sarebbe come dire addio a ciò che amo... per la seconda volta. E preferirei morire adesso.- le strinse delicatamente le dita sul mento, come se volesse attirarla a sé, mentre Elena si aggrappava al suo braccio, affondandovi i polpastrelli, forse per trattenerlo… per trattenersi. Il suo sguardo indifeso e ceruleo, lo stesso che il destino le aveva concesso di continuare ad ammirare attraverso quello di Demetra, la feriva come non mai ed era difficile da fronteggiare. Impossibile. Ma lui non le lasciò altra scelta: - Avrei preferito la morte anche allora.- quella frase secca, limpida e determinata, talmente onesta da farle male, affondò nel suo cuore come una lama, devastandola e allo stesso tempo regalandole il più grande sollievo che potesse credere di meritare. Eccola lì, affilata eppure dolcissima, pronta ad appianare i dubbi che l’avevano tormentata per sedici anni. Mentre le lacrime di gratitudine minacciavano di sopraffarla di nuovo, Elena fissò il vampiro, desiderando ardentemente che la sua vista e la sua volontà non fossero così confuse:
- Perché… mi stai dicendo questo?- boccheggiò, col respiro irregolare. La sua disillusione lo aggredì ma Damon le restituì l’occhiata senza scomporsi, come se restare aggrappato ad una speranza fosse il suo unico modo di rimanere a galla:
- Perché è giusto che tu lo sappia.- rispose, senza riuscire a nascondere un tremito sulle proprie labbra. Inspirò profondamente, come per trovare il coraggio di proseguire, poi lo disse: - Così come è giusto che anche Demi conosca la verità.- Elena si sarebbe aspettata di udire un’ombra di accusa nella parola ‘verità’ ma Damon non sembrava aver voglia di rinfacciarle oltre le sue bugie e omissioni, perlomeno non se di mezzo c’era una questione importante come il destino… il bene della bambina.
- Io credo che sia fuori discussione.- nessuno dei due ebbe il tempo di rimettere ordine tra i propri pensieri ed i loro corpi si mossero d’istinto, allontanandosi, quando la voce di Stefan risuonò inaspettatamente alle loro spalle, spezzando il silenzio; Elena si sporse oltre il divano, verso il portone, e anche Damon sbirciò in direzione del fratello. - Almeno per il momento.- specificò quest’ultimo, sulla difensiva, come nel tentativo di addolcire la pillola. - C’è un’altra faccenda più urgente da considerare e non possiamo permetterci di perdere del tempo prezioso.-
L’unica reazione dell’altro fu quella di inarcare sarcasticamente un sopracciglio:
- Ah, davvero?- domandò Damon, senza particolare intonazione. Se stesse pronunciando un caloroso benvenuto o una minaccia, non era dato saperlo.
- Sì.- ribadì Stefan di rimando, facendosi da parte per far sì che un’altra figura emergesse dalla penombra dell’ingresso: il viso grave e bronzeo di Bonnie comparve accanto al lui, sotto gli occhi stupiti della propria migliore amica e quelli sospettosi del maggiore dei Salvatore, mentre la donna faceva un passo in avanti e mostrava loro lo stesso Grimorio che le aveva consentito di evocare il fantasma dell’Originale. Dal cuore di quel volume sbucava un fascicolo trasandato che lei si affrettò a tirare fuori.
- Io sono d’accordo con lui, Elena.- affermò la Bennett, avvicinandosi per consegnarle l’opuscolo mentre Stefan incrociava le braccia. Alzando gli occhi al cielo con una smorfia, Damon diede un’occhiata rapida in copertina e, suo malgrado, ammutolì: ‘’Il Marchio delle Streghe ed altri malefici, Manuale dell’Espressione a cura del professor Shane.’’ Tutte le ‘S’ del titolo erano disegnate in modo strano, appuntito, come se appartenessero ad un altro alfabeto. Da brividi. - L’abbiamo trovato questa mattina mentre le ragazze erano a scuola. Me l’ha dato Atticus quando era il mio insegnante di magia ed io…- sospirò, scuotendo la testa. -… io credo di aver capito che cosa volesse dire Elijah quando parlava delle intenzioni di Sophie.- Damon batté forte le palpebre, senza capire, fissando Bonnie tamburellare sullo strano simbolo impresso sul cartoncino. L’angoscia che travolse il volto di Elena, rimbalzando su quello di Stefan, lui la sentì ribollire nel petto all’istante, come lava incandescente:
- Di quali…- ansimò a denti stretti, passandoli in rassegna uno ad uno e cercando invano di trattenersi dall’esplodere. -… di quali… intenzioni state parlando?!-
 
***
 
 
Image and video hosting by TinyPic  
‘’Caro diario,
è passato un po’ di tempo dall’ultima volta... un bel po’, in realtà. Sono tornata. Beh, più o meno. Insomma, come ti pare. Mi sento a pezzi So bene che dovrei provare a rilassarmi ma non ci riesco. Non posso smettere di pensare a quello che sta succedendo, neppure per un momento, anche se lo vorrei. Ho perso le speranze di riuscire a chiudere occhio e adesso cerco con tutte le mie forze di restare vigile. Non voglio più svegliarmi di soprassalto in quel modo orribile, mai più. Come poco fa, quando credevo davvero che qualcuno stesse urlando a squarciagola, al piano di sotto, così forte da mandarmi nel panico.
Secondo Sheila, la casa è sempre rimasta silenziosa.
E’ assurdo ma forse quelle grida… esistono soltanto dentro di me.’’
 
Sussultando, Demi sollevò la punta della penna dalla pagina ed inclinò appena il proprio viso verso destra, fino a localizzare la fonte del ronzio che continuava a risuonarle nelle orecchie. Il suo cellulare continuò a vibrare imperterrito sul comò, imbestialito a causa della sua mancanza di attenzioni e, quando lei lesse il nome comparso sul display, sentì una stretta dalle parti dello stomaco mozzarle il fiato: Nick. Quando gli occhi color zaffiro le si gonfiarono di lacrime a tradimento, lei si morse il labbro inferiore, come per resistere all’impulso di rispondere, poi si impose di ignorare quel borbottio strozzato, tornando alla sua scrittura:
 
 
Image and video hosting by TinyPic  
‘’Lui continua a cercarmi, non si dà pace, ma non posso rispondergli. Non voglio che senta la mia voce adesso. Chiamalo orgoglio, se vuoi, ma sono stanca di mostrarmi così debole ed indifesa agli occhi di tutti. Quando gli ho detto la verità sulle mie visioni e gli ho mostrato questo dannato simbolo sul collo…’’ ne scarabocchiò il profilo aguzzo con rabbia, finendo quasi per bucare la carta. ‘’… Nick è partito in missione ed è sparito dalla circolazione per ore intere. Da quel che ho capito, Mattie era convinta che stesse per compiere una missione suicida. Per cosa, poi? Per proteggere me. Capisci? E’ proprio questo il punto. Finiranno per cacciarsi nei guai per colpa mia ed io non posso permetterlo. Forse non potrò impedire che il mio destino si compia ma mi rifiuto di condizionare il loro. Sono pronta a combattere, devo solo capire come farlo. Ma di una cosa sono assolutamente sicura: venire nella mia città a minacciare le persone che amo? Pessima mossa, Sophie Deverqualcosa.’’
 
Un breve scalpiccio colpì la porta della cameretta, poi Demetra udì la voce familiare della figlia di Bonnie farsi strada oltre il legno verniciato:
- Demi? Tutto bene?- chiese Sheila, incerta. Tirando su col naso, la Salvatore si affrettò a nascondere il diario sotto il cuscino e ad acchiappare un lembo del lenzuolo fino ad allora arrotolato sulle sue ginocchia; si tuffò sul materasso e si coprì completamente, giusto un attimo prima che la sua amica avanzasse nella stanza, allungandosi oltre la soglia per controllare se stesse dormendo. A giudicare dal suono dei suoi passi, era a piedi nudi e, sbirciando oltre la stoffa sottile, Demi si accorse anche che aveva indosso un accappatoio e un asciugamano arrotolato a mo’ di turbante attorno alla testa. Mentre Sheila, con un sospiro rassegnato, faceva per andarsene, il cellulare sul mobile ricominciò a protestare rumorosamente e Demi affondò la faccia nelle coperte per soffocare un’imprecazione.
- Però.- commentò tra sé e sè la Bennett, impressionata, indovinando senza difficoltà il mittente della telefonata. - E’ proprio un osso duro, il tipo… non c’è che dire. Più testardo di così non si può… e io che continuavo a chiedermi che cosa potessero avere in comune, quei due!-
- Ti ho sentito, sai.- mugugnò Demetra, fingendosi irritata prima di arrendersi e di venire allo scoperto con un fluttuare di coltri calciate via. Sheila l’accolse con un sorriso sincero e sollevato che si spense lentamente quando lei si soffermò sulle palpebre gonfie dell’amica e sulla sua aria infelice. Accorgendosene, la Salvatore si sbrigò a stropicciarsi un occhio con un fare pigro davvero poco convincente. In realtà non aveva intenzione di impegnarsi: sapeva che l’altra non se la sarebbe bevuta comunque.
- Guarda che non puoi continuare a respingere la gente che tiene a te in questo modo.- le disse infatti Sheila, accennando all’aggeggio che non la piantava più di fare un baccano immane. Continuava a tenere le mani rigorosamente dietro la schiena, come se stesse nascondendo qualcosa, ma Demi non riuscì a capire di che si trattasse neanche quando la sua amica si sedette sul bordo del letto. - Questo tuo comportamento non ti farà stare meglio… e lo sai.- la Salvatore si ricordò che quelle parole così severe e veritiere erano esattamente la ragione per cui, qualche secondo prima, lei aveva tentato di eludere la compagnia della Bennett, ma ormai era troppo tardi per tornare sotto le coperte.
Perciò, punta sul vivo, cercò di contrattaccare:
- No, aspetta un attimo. Tu…- disse, puntando scherzosamente l’altra col dito. - … stai rimproverando me perché sto cercando…- nonostante il tono di beffa, la voce le tremò a quelle parole, ma Demi strinse la mascella per non darlo a vedere. -… di ignorare Nick?- scoppiò in una risata che sarebbe dovuta essere di scherno e che invece suonò piuttosto isterica, poi scosse il capo: - Dannazione! Allora sono messa peggio di quanto pensassi!-
- Molto peggio, direi.- le sorrise Sheila, soffiando via un margine dell’asciugamano umido che stava penzolando sulla sua fronte. Mentre quello sguardo comprensivo leniva il suo turbamento più di qualunque carezza rassicurante e di certo più di qualsiasi ramanzina, Demi provò l’impulso di abbracciarla ma la Bennett la anticipò, scrollando le spalle con aria contrita e tirando fuori dal nulla ciò che aveva tenuto segreto fino a quel momento; parve che una nuvola nera fosse sbucata dalle sue mani ma, dopo un istante di sorpresa e confusione, Demi si rese conto che si trattava solo del tessuto di un abito abbastanza corto, morbido come seta:
- Forse questo potrebbe tirarti un po’ su di morale… che ne dici?- suggerì, sventolandole l’indumento sotto il naso. - Ti piace?- la Salvatore inarcò un sopracciglio, sfiorando con delicatezza la stoffa ruvida sulle estremità impreziosite dal pizzo, poi annuì.
- Un vestito da sera?- domandò, perplessa. Quando Sheila asserì solennemente, Demi si accigliò: - Carino.- concesse, abbozzando un ghigno, per non darle troppa soddisfazione.
- Carino?- protestò Sheila, prevedibilmente infuriata. - Per tua informazione ci ho messo un sacco di tempo per trovarne uno decente che potesse starti bene addosso, perciò… mettilo e vedi di renderlo fantastico! Abbiamo un Memoriale da affrontare, tu ed io.-
Per la sorpresa, Demi rischiò di capitombolare giù dalla branda.
- Un… cosa?- balbettò, grattandosi la testa, a bocca aperta. - Come… fai sul serio? Non… non eri tu quella che non voleva neanche sentir parlare della ‘festicciola organizzata solo per ubriacarsi, approfittando di una disgrazia’?- chiese, quasi divertita. Ricordava bene i commenti che la Bennett aveva rimbrottato tra i denti nel cortile del Mystic Falls Insitute quella mattina, proprio mentre Nick e Mattie davano un’occhiata ai volantini, e le sembrava assurdo che avesse cambiato idea così in fretta.
- Naturalmente.- sospirò la bruna, con una punta di frustrazione. - Ma qui si tratta della nostra carriera scolastica. Mentre tu e Nick eravate in Infermeria, oggi, la professoressa Mikaelson ha cortesemente comunicato a me e a Mattie che era necessario che almeno due, trai quattro organizzatori del suo pomposissimo Ballo, fossero presenti al Memoriale di questa sera… ‘’per avere un’idea dell’organizzazione generale di un evento studentesco nella vana speranza di evitare figuracce in futuro.’’- scimmiottò così fedelmente il suo accento da strappare a Demetra un sorriso malefico ma la gioia della ragazza fu di breve durata.
- Ho detto a Nick che non ci sarei andata.- mormorò, prendendo il cellulare tra le mani e accarezzandolo impercettibilmente. Sapeva che, se avesse ricominciato a suonare in quel preciso momento, avrebbe ceduto alla tentazione di rispondere, ma la sera era già calata come un manto oscuro, all’esterno, scoraggiando i suoi buoni propositi. Chissà, forse la luna piena era già sorta. - Voleva che me ne rimanessi al sicuro.- spiegò.
‘Che sciocchezza ingenua.’, pensò subito dopo, con una vampata di nostalgia e tenerezza, mentre la testa le dava una fitta fastidiosa. ‘Con questo Marchio sulla pelle, pare che io sia condannata a non essere al sicuro neppure nella mia stessa mente, ormai.’
- Dopo quello che Rebekah ha fatto in classe, dopo il limite oltre il quale si è spinta… io dico che il modo migliore per evitare di cacciarsi nei pasticci è cercare di non farla arrabbiare.- mormorò Sheila, ragionevole. - E poi, siccome Mattie è ammalata e il tuo fidanzato iperprotettivo ha il suo problema peloso con cui fare i conti, penso proprio che toccherà a noi gettarci nella mischia.- un lampo di timore attraversò gli occhi stanchi di Demi prima che lei potesse distogliere lo sguardo e, avvedendosene, la strega si sentì attanagliare da una morsa di compassione. Fece per riprendersi l’abito nero, risoluta, senza più un attimo di esitazione: - Non sei costretta a venire, se non te la senti, posso andarci anche da sola. Mi dispiace di avertelo chiesto… è una festa idiota e la nostra bocciatura nella materia di Rebekah è già praticamente assicurata, perciò è inutile che…- mentre mormorava tutte quelle giustificazioni, Sheila sollevò la testa e la fissò con gli occhi luccicanti di una tristezza mai vista. - Io… speravo solo che uscire un po’ ti avrebbe aiutata a distrarti, ecco tutto.- sussurrò sommessa, come se fosse sul punto di scoppiare a piangere.
 
 
Image and video hosting by TinyPic  
- Sei la mia migliore amica e odio vederti ridotta così.-
Demi la osservò per un lungo attimo di silenzio con una strana espressione, un misto di affetto, riconoscenza e stupore, poi posò la mano su quella della Bennett, stringendole delicatamente il polso.
- Mi vedrai ridotta anche peggio se la prossima tappa sarà il bancone dei superalcolici, ti avverto.- le bisbigliò, approfittando della sua indignazione per sfilare il vestitino dalla sua presa e rimettersi in piedi, ormai decisa. Ostentando disinvoltura, si adagiò la stoffa soffice sul corpo, dondolandosi per controllare che le misure fossero giuste, poi sorrise, soddisfatta. Sentiva la mente stranamente lucida e sgombra, ora, come se le emozioni positive fossero un buon sistema per contrastare l’influsso del maleficio di Sophie. Tuttavia, quando le ciocche dietro il suo orecchio sfiorarono il punto esatto in cui, poche ore prima, il simbolo maledetto era comparso, lei percepì un brivido zampettarle lungo la spina dorsale e quel senso d’inquietudine non l’abbandonò, seguendola ovunque… come un’ombra.
//  
- Non avresti dovuto indossare quella giacca sul tuo abito.- le fece notare Sheila, critica, incrociando le braccia mentre imboccavano il sentiero più agevole per raggiungere il luogo della ‘festa’. Sugli alberi spogli che costeggiavano la stradina erano state disposte delle coccarde e delle lampadine artificiali che, simili a lucciole, illuminavano le fotografie di Tina O’Neil appiccicate ai tronchi in suo onore. - Credo che copra tutta la bellezza!-
- Mi piace.- replicò Demi, stringendosi nelle spalle mentre la consistenza della pelle nera del suo giubbotto le infondeva sicurezza. Forse la sua amica aveva ragione, non era stato un lampo di genio mettersi addosso quel capo così sportivo quando era abbigliata come una principessa ma… - Insomma, sono già abbastanza scoperta … guarda qui!- alzò una gamba candida per dimostrare la veridicità di quella dichiarazione ed il tessuto leggero del vestito si sollevò appena sulla sua coscia.
- Cerca solo di rilassarti.- le consigliò la Bennett, divertita dalla sua timidezza, dandole di gomito. - Sei un incanto.- continuarono a camminare seguendo il percorso tracciato dalle luci e ascoltando il ritmo sempre più sostenuto della musica che risuonava non lontana, poi finalmente scorsero un’ampia radura tra la selva, là dove sorgeva un casale affollato e brulicante. Lo scroscio delle Cascate era attutito dal caotico vociare degli studenti ma era comunque udibile e Demetra cercò di concentrarsi su quello. I bassi della canzone che veniva fuori dalle casse le pulsavano nel petto, scandendo il battito accelerato del suo cuore, e le provocavano dentro una strana sensazione. Piacevole ma quasi dolorosa.
- Demi Salvatore e Sheila Bennett... quale onore!- le annunciò un ragazzo dai folti capelli rossi che entrambe riconobbero essere un loro compagno di scuola, precisamente Adam Stone, fratello maggiore di Kayla ed ex capitano della squadra di football. - Benvenute!- mentre Sheila lo ringraziava per la sua accoglienza, Demetra si limitò a lanciargli uno sguardo furtivo: somigliava molto alla sorellina, unica superstite e compagna di sventura di Tina, ed i suoi lineamenti le riportarono alla mente delle immagini indesiderate che avrebbe voluto poter dimenticare: lei, in classe, quella stessa mattina, seduta accanto a Kayla, mentre la voce di Sophie le assillava il cervello, costringendola a perdere il controllo
- Dov’è il punch?- domandò di slancio la ragazza dagli occhi blu, schiarendosi la voce per non dare l’impressione di essere così nervosa e sollevandosi sulla punta dei piedi per controllare tra la folla. Sheila non si lamentò davanti a quella richiesta e ciò fece dubitare la Salvatore del fatto che l’avesse realmente sentita; ad ogni modo, dopo averla scrutata attentamente da capo a piedi, con un cipiglio di apprezzamento stampato sul viso, Adam scrollò le spalle muscolose, indicando un punto alla loro sinistra:
- Da quella parte c’è il tavolo delle bibite.- le rispose, in tono speranzoso, venendo più vicino e facendo per posarle una mano sul braccio. - Se vuoi ti accompagno.-
Colta alla sprovvista da quella confidenza, Demi batté le ciglia da cerbiatta dolcemente, come se fosse sul serio onorata dalla proposta, poi tirò fuori un sorriso smagliante che lasciò stordito Stone giusto il tempo necessario a farla sgusciare via dalla sua presa:
- Posso farcela, dico davvero. Grazie.- assicurò, voltandosi e dileguandosi con un’occhiata eloquente alla Bennett. La chioma corvina le sventolò sulla schiena, sciolta e luminosa, mentre si allontanava ed espirava con forza, urtando qualche studente distratto oppure già brillo mentre raggiungeva il bancone delle bevande. Alcune ragazze, sedute su una staccionata di legno, ridacchiavano sorseggiando dai loro bicchieri di carta stracolmi, e Demetra si sforzò di respirare la loro spensieratezza a pieni polmoni, nel tentativo di integrarsi. L’atmosfera frizzante, l’odore della terra umida, la vicinanza con lo spettacolo delle Cascate… doveva solo tornare a goderseli, smettendola di essere così dannatamente in pena. Tutto qui. Non era poi così difficile…
- Ciao, Demi.- la salutò allegramente un giovane dalle folte ciocche castane seminascoste da una cuffietta, spuntando da dietro ad una prodigiosa brocca di idromele, pronto a servirla. Affinando lo sguardo, la Salvatore si rese conto che si trattava di William Doge, il nipote ventenne della governante di villa Lockwood che era solita preparare i biscotti preferiti di Mattie ogni giovedì. L’aveva incontrato spesso quando erano bambini e poi, qualche volta, anche al Grill, dove lavorava come cameriere. Lo aveva sempre trovato simpatico e cortese e le fece piacere vedere una faccia amica. - Sei tutta sola?- le domandò lui, approfittando della sua indecisione per porgere ad altri drink ai presenti, con la rapidità di un vero esperto.
- Yup.- rispose la ragazza, disorientata, sondando con sguardo indeciso le varie bottiglie. - Sheila non ama gli alcolici e Mattie ha la febbre.- ‘’E il mio fidanzato starà passando le pene dell’inferno perché è un Licantropo e oggi c’è il plenilunio. La vita fa davvero schifo, dovremmo procurarci un elmetto.’’ concluse la sua coscienza, facendole mordere la lingua per evitare che anche quella parte di verità venisse fuori dalle sue labbra.
- Bevi questo.- consigliò Will con aria solidale, porgendole un calice. - Per Tina.- aggiunse serio, come per invitarla ad indirizzare alla defunta quel brindisi. Demi alzò il bicchiere con educazione, poi se lo portò alla bocca, ingoiandone il contenuto; aveva un sapore strano che non le piacque affatto e che, al contrario, le diede la nausea. Le ricordava qualcosa di simile alla ruggine e al sale e, quando Demi guardò all’interno, non riuscì ad impedire che un conato orripilato le rimanesse strozzato in gola: si trattava di un liquido scuro e denso, viscoso… era sangue.
In quel momento accadde: lo Stigma le diede una fitta lancinante, come se si fosse appena incendiato, e lei lasciò cadere rovinosamente il calice. Il dolore alla testa la assalì mentre barcollava all’indietro, senza fiato, con la mente che cercava impazzita di riprendere padronanza di sé, senza riuscirci.
‘’Ti disgusta, il tuo stesso destino, ragazzina?’’ rantolò la voce ormai familiare di Sophie, da sotto le sue palpebre, così compiaciuta del suo spavento da darle il voltastomaco, forse persino più del contenuto del bicchiere. ‘’In fondo il sangue ti ha donato la vita… sarebbe poetico farla finire nello stesso modo, non trovi anche tu? Vieni da me e porrò fine al tuo tormento prima che qualcun altro se ne accorga, prima che qualcuno ne soffra. Hai la mia parola. Vieni da me… vieni…’’
- Che fai?- le sibilò Will, afferrandola per una spalla e scuotendola lievemente. - Tutto bene?- Demi riemerse dal suo stato di trance con un sobbalzo ed annaspò, alla ricerca di aria. Il viso preoccupato del cameriere le stava a poca distanza e, quando lei gettò uno sguardo ai propri piedi, si accorse che il fluido sparso per terra era in realtà sempre stato trasparente, innocuo, con dei cubetti di ghiaccio a contornarne la consistenza.
 - S… sì…- biascicò la Salvatore, arrossendo, senza riuscire a calmare i battiti frenetici
del proprio cuore e senza smettere di tremare. Tutti i suoi sensi sembravano sul punto di scoppiare, ingannati in quel modo dalla maestria della strega che aveva ucciso i genitori di Nick e che adesso era così determinata ad avere lei. -… mi dispiace tanto, io non…-
‘’E’ solo questione di tempo. Il mio potere, il controllo su di te continueranno ad aumentare, puoi già percepirlo, no? Sarà facile… e tanto, tanto doloroso… sai, potrei persino farti fare delle cose…’’ la voce crudele divenne allusiva e Demetra inciampò goffamente mentre cercava di isolarsi, di fuggire da se stessa. ‘’… quanto sei disposta a rischiare, prima che il sangue dei tuoi cari cominci a piovere sulla tua testa? Magari per mano tua? Consegnati a me e loro vivranno. Non è un prezzo insignificante, la tua esistenza, se messa a confronto con questo?’’ la ragazza, atterrita, si portò una mano sul collo, dove la viva sensazione di arsura la stava paralizzando, poi si costrinse a stringere i denti ed annuire.
Sì, l’avrebbe fatto.
Immediatamente.
Sheila non era nei paraggi, non avrebbe potuto fermarla.
‘’E’ solo questione di tempo.’’ ripeté Sophie, annusando la sua fragilità e sfruttandola al massimo.
A Demi sembrò tutto un sogno mentre le ombre degli alberi e la luce dei falò si dilatavano davanti alla sua vista sfumata. Si aggrappò al fusto e poi al ramo appuntito e resinoso di una quercia, lasciando che la sua corteccia le graffiasse i palmi. La sofferenza fisica l’aiutava a non annegare nelle visioni, facendo breccia nel suo panico ed aiutandola a pensare.
- Dove?- domandò a bassa voce al vento, sconfitta, certa che qualcuno potesse ascoltarla.
‘’Al Ponte.’’ le alitò la Deveraux in risposta, estasiata, prima che il suo Marchio smettesse di tormentarla, dandole tregua e lasciandola sola con la propria decisione ed i propri spasmi.
‘’Raggiungi il Ponte. E tutto avrà una fine.’’
//  
Demi si sfilò la giacca con un gesto, sentendo l’aria fredda della notte farle venire la pelle d’oca sulle braccia perfettamente bianche sotto la luce della luna, poi se la tenne stretta al petto, come se volesse in qualche modo farla ascoltare il pompare irrefrenabile del suo cuore prima della fine.
Le sue guance sorprendentemente asciutte erano tese mentre camminava attraverso le rocce ed i rovi di corsa, di nascosto, per eludere la sorveglianza degli altri partecipanti al Memoriale e per scongiurare l’intervento di qualcuno che avrebbe certamente pagato delle conseguenze atroci per l’intromissione.
Non si era guardata indietro prima di sparire.
I suoi sentimenti erano rimasti come congelati ed il suo petto sigillato nella speranza di impedire alla paura di prendere il sopravvento sulla sua determinazione. Non si sentiva coraggiosa né nobile mentre andava incontro al destino, lasciandosi trasportare dalle gambe intorpidite che non sembravano neppure appartenerle… sapeva solo che non c’era un sacrificio che non fosse disposta a fare per consentire ai suoi affetti di vivere lontani dall’incubo. Certo, le sarebbe piaciuto farsi abbracciare forte dai suoi genitori, in quel momento sospeso tra malinconia e fatalità, e magari ascoltare per l’ultima volta la risata orgogliosa che Damon riservava sempre e solo a lei. Avrebbe voluto dirgli che era ingiusto che il tempo passato insieme fosse stato così insopportabilmente breve, ma che lo perdonava per essere stato via così a lungo mentre la sua vita continuava a scorrere… incompleta. Chissà se lui l’avrebbe mai perdonata, invece. Chissà se si sarebbe mai dato pace, dopo aver scoperto quello che di lì a poco le sarebbe accaduto.
Il suono imponente delle Cascate divenne assordante e Demetra capì di essere giunta a destinazione: il Ponte comparve nel suo campo visivo, silenzioso e disadorno, in attesa. L’illuminazione era scarsa ma lei riuscì comunque ad individuare un’ombra a pochi passi da lei; se ne stava leggermente sporta in avanti, verso il baratro, ad osservare la tempesta dell’acqua corrente, mentre il suo lungo mantello frusciava sinistramente nella brezza.
In un lampo, le ricordò quello indossato dal misterioso vampiro che si era schiantato di proposito sull’auto di Bonnie nel parcheggio della scuola, quella mattina. Strano. Non si trattava della sagoma sottile che si sarebbe aspettata di trovare, ovvero quella di una donna scheletrica dal sorriso storto e meschino, ma, quando il suo piede si posò sul legno cigolante, facendo sì che l'individuo si voltasse, Demi lo riconobbe all’istante:
- Shane.- ansimò, prima di riuscire a trattenersi, mentre un brivido la attraversava con prepotenza; non era frutto del timore, bensì del ribrezzo. Sapeva ciò che quell’uomo aveva fatto, fin troppo bene, e l’idea che ogni cosa dovesse avere fine per sua mano le diede la stoccata finale. Strinse i pugni sulla pelle della giacca nera per non mollare e, sotto il suo sguardo carico d’odio, lui increspò la bocca in un ghigno malevolo.
Sarebbe stato un bell’uomo se solo non avesse avuto quell’espressione così famelica e rapace stampata sul volto.
- Sei venuta davvero, Prescelta.- mormorò, riverente, staccandosi dal margine del Ponte con lentezza mentre lei continuava ad avanzare. In un battito di ciglia, però, rapido come un predatore, la raggiunse a metà percorso, parandosi davanti alla sua persona in modo talmente repentino da inquietarla. Le rise in faccia. - Sophie era convinta che l’avresti fatto… e anche Rebekah. Sai, ero io quello scettico. Pare che i geni di tua madre siano in netta maggioranza, in questo caso, ma vedi, conoscendo il temperamento del tuo paparino…- provò a sfiorarle la mascella con un dito, costringendola a inclinare il volto per sottrarsi a quel contatto, così da esporre la sua gola. -… bizzarro. Sei identica a lui... credevo che mi avresti dato più filo da torcere. Beh, meglio così…- il bagliore dei suoi denti aguzzi la investì, mentre delle vene scure si gonfiavano ai lati dei suoi occhi bramosi, inondando anche i suoi zigomi. -… meglio così…-
E allora Demetra lo fece: con un grido, lasciò cadere il giubbotto che aveva tra le mani e rivelò la presenza, celata sotto di esso, di un pezzo di ramo acuminato, lo stesso che lei aveva staccato dal tronco della quercia prima di mettersi in cammino. Maneggiandolo come se fosse un paletto e sfruttando il temporaneo sbigottimento di Shane, lo affondò alla cieca nella spalla del vampiro, senza una mira efficace, strappandogli un ululato di sconcerto e di dolore. Demi aveva le mani sudate ma il suo sguardo ceruleo e fiero non si affievolì neanche quando lui si raddrizzò ringhiando, afferrandola per la gola e stringendo tanto rabbiosamente da sollevarla dal suolo, facendole venire le lacrime agli occhi: - Piccola bastarda…-
Con un respiro convulso, lei capì che non avrebbe avuto la possibilità di farne un altro e serrò le palpebre, pronta a dire addio.
Poi la presa mortale di Shane si allentò all’istante, così in fretta da farla accasciare a terra ed urtare rovinosamente con tutto il corpo contro il legno duro del Ponte. Demi, tossendo, rotolò su un fianco, cercando di recuperare la propria arma improvvisata, ma si fermò prima di farcela, stravolta: c’era un ragazzo nell’oscurità ed il suo istinto capì chi fosse prima ancora di vederlo in volto.
I suoi tratti cesellati erano contratti in un’espressione terribile e colma di una rabbia così primordiale che sembrava risplendere nel buio, provenendo direttamente dai suoi occhi verdi e glaciali.
- Prince.- agonizzò il professore, improvvisamente pallido come una bambola di cera. - Tu...?!-
- Che spiacevole sorpresa, Atticus.- la voce di lui rimbombò come una frustata, senza perdere la sua inclinazione suadente ed affascinante. Aveva uno strano accento che Demi non riuscì ad indentificare ma che sembrò capace di stordirla, com’era già successo quel giorno al Grill. - Bentrovato. Sei davvero in forma, mi pare.- scosse appena il capo, con i riccioli biondi che sembravano d’argento al chiaro di luna. - Dobbiamo rimediare… sia a questo, sia alla tua scortesia.- tenendo fermo il vampiro per il bavero, come se non volesse sporcarsi troppo le mani, il giovane si girò impercettibilmente, verso il bordo del Ponte. Demi non riusciva a capire se i movimenti spasmodici del corpo inerte di Shane fossero causati dagli scossoni di Prince, dalla sua vigliaccheria o dalle scariche di Potere che si gli stavano riversando dentro attraverso il tocco del fratellastro di Nick. - Non ti ucciderò adesso, se è questo dubbio a farti tremare così, vecchio mio.- ghignò quest’ultimo, sporgendosi ancora. - Perché voglio che tu sia presente quando avrò la mia vendetta... così come desidero che tu torni dalla tua padrona per portarle i miei saluti. Che ne dici, sarei abbastanza forte per lei, adesso?- Shane urlò, con la testa a ciondoloni, mentre Prince continuava a stargli addosso, senza dargli pace. La Salvatore pensò che la mera soddisfazione con cui lui gli stava infliggendo quel tormento avrebbe dovuto ripugnarla… e non attrarla. - Voglio che tu sparisca.- sibilò il biondo all’orecchio dell’ostaggio, come se gli stesse confessando un segreto. - E dopo quello che hai detto… credo che sia il caso di lavarti la bocca.- prima che Shane potesse ribellarsi, Prince mosse le braccia con eleganza, spingendolo e facendolo precipitare oltre il bordo della struttura legnosa. Un tuffo simile avrebbe ucciso qualunque essere umano ma Demi sapeva che non era finita, per il complice di Sophie. Le parve comunque una buona soluzione, quella, considerando che la potenza impetuosa ed invincibile delle Cascate lo avrebbe tenuto impegnato per un bel po’, e così sospirò, confortata.
Dopo aver liquidato Shane ed essersi sistemato il colletto della camicia con un gesto altezzoso, Prince si voltò a guardarla con una strana espressione, come se fosse sorpreso di vederla sveglia. Sembrava curioso ed ammaliante e trasudava una bellezza incantatrice, pericolosa, mentre non le staccava gli occhi di dosso.
Con le gambe molli e graffiate, lei cercò di rimettersi in piedi facendo leva sul lato del Ponte, ma le sue ginocchia cedettero miseramente, assieme alla sua lucidità. Malgrado cercasse di ignorarlo, era sotto choc e le figure cominciavano a danzarle davanti agli occhi, al rallentatore, preludendo una crisi nervosa. Perciò non ebbe la volontà sufficiente né la forza fisica di opporsi quando capì che il figlio di Klaus le si era avvicinato, circospetto, aiutandola a stare in piedi e poi sollevandola tra le braccia per impedirle di crollare lunga distesa.
- Ti tengo io, tesoro.- le sussurrò piano, respirandole vicino. Sapeva di buono, di dolce, e quando le sue labbra, nel parlare, sfiorarono l’incavo del suo collo candido e nudo, Demi si abbandonò con la testa sulla sua spalla, sfinita. - Ti tengo io.-   
 
  
 
 
 
 
 
 
**********************************************
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Eccoci qui, dopo così tanto tempo, con un aggiornamento davvero immenso.
Come ho già detto su fb, lo ritengo un capitolo davvero FORTE. La nuova generazione ha letteralmente preso il volo. Prince è finalmente arrivato nella vita di Demetra… in un incontro che non ho voluto spoilerare in nessun modo, per lasciarvi urlare dalla gioia (?) dopo tutta questa attesa.
I conti in sospeso con il passato continuano ad essere lì, pesanti come macigni, e nuovi sentimenti proibiti vengono a galla. La verità è nascosta dietro ogni singolo gesto, dietro ogni parola e, come ho detto alla mia adorata Carina, questo è solo l’inizio della FINE. Spero di avervi fatto emozionare ma soprattutto di essermi fatta perdonare per la mia lentezza nella scrittura… lo studio mi porta via del tempo prezioso ma ciò non mi ha impedito di ritagliare qualsiasi minuto libero per dedicarmi al DemiDiaries.
Spero che il risultato finale vi abbia regalato un sorriso e, perché no, anche qualche brivido… qualche lacrima.
GRAZIE A TUTTI, come al solito, più che mai.
E’ un’avventura magnifica da vivere con voi, questa ff… non sarebbe lo stesso senza il vostro fedele ed accorato sostegno!
 
*****Per informazioni e domande, come al solito:
  https://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=hl
  ask.fm/IlDiarioDiDemiSalvatore
 
Un abbraccio e alla prossima…
Evenstar75 <3
  

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Liars - Parte 1 (L'Arma) ***


 
*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*
 
Previously On the DemiDiaries.
 (rielaborazione delle scene/punti chiave del seguente capitolo)
 
 
Image and video hosting by TinyPic  
Cap32_StigmadiaboliParte1
Elena: Demi è tua figlia, Damon. E’ nostra figlia.
 
Cap33_StigmadiaboliParte2
Damon: E’ giusto che anche Demi conosca la verità.
Stefan: Io credo che sia fuori discussione. Almeno per il momento.
Bonnie: Ed io sono d’accordo con lui.
 
Cap29_TheTruthPt2PMR:
Nick a Demi: Prince vuole ottenere il contenuto di quella Profezia.
 
Cap30_TheTruthpt3
Elijah: Nulla esiste senza la sua controparte: la luce e l’ombra, il gelo e la calura, la notte ed il giorno, il bene e il male.
 
Cap31_Ilsogno:
Elijah: La Prescelta possiede una qualità unica, la sola che rende possibile l’attivazione della Pietra della Resurrezione. Funge da ‘amplificatore della Magia’.
Un abuso sconsiderato della sua abilità finirebbe senza dubbio per ucciderla.
Stefan: Non c’è un modo per impedire che questa follia si compia?
Elijah: Mia madre Esther era una Strega molto potente, Elena.
Il suo Libro delle Ombre è antico quanto quello che ora appartiene alla Deveraux.
Cercalo, lì dentro potresti trovare molte risposte ai tuoi dubbi.
 
Elijah: Non sottovalutate nessuno di quei tre, neppure Rebekah.
È affezionata ai suoi nipoti ma non si accorge dei rischi a cui li sta esponendo.
 
Elijah: Sophie possiede delle armi temibili e non esiterà ad insinuarsi nella coscienza delle sue vittime attraverso visioni e sogni terrificanti. L’ha fatto prima d’ora, con risultati mostruosi per i malcapitati.
 
Cap32_StigmadiaboliParte1
Nick a Demi: E’ lo Stigma Diaboli. Il Marchio di Sophie.
 
Nick: Lui è l’unico che possa aiutarci, saprà come risolvere questa questione… ci ha già provato in passato. Io farò qualsiasi… troverò un modo… sarà costretto ad ascoltarmi!
Demi: Di chi stai parlando…? Nick, aspetta!
 
Cap32_StigmadiaboliParte2
Nick a Prince: L’hanno fatto anche con Demi.
Quello che fece a te tanti anni fa… Sophie l’ha fatto anche a Demi.  

 
Cap29_TheTruthPt2PMR:
Elijah ad Elena: Hayley ed io ce ne andremo. Quando il piccolo nascerà, sarà più facile farlo crescere lontano da qui.
 Più sicuro.
Il bambino non è il frutto di una relazione tra esseri umani.
Klaus era un ibrido, una creatura sovrannaturale.
 E’ stato il suo gene di licantropo a consentire la gravidanza ma non è escluso che qualcosa del suo vampirismo possa essere stata trasmessa al feto.
Qualcuno potrebbe essere incuriosito da quest’assoluta eccezione genetica.
Potrebbe voler sfruttare la situazione a proprio vantaggio.
 
Cap32_StigmadiaboliParte2
*Flashback*
Sophie ad Hayley (prima di ucciderla): Peccato. Non vivrai abbastanza per vedere come ho intenzione di usare il tuo piccolo principe.
 
*Flashback*
Sophie a Shane: Ora che abbiamo il ragazzo… possiamo passare alla prossima mossa.
 
Sophie: Rebekah non dovrà saperlo… non lo saprà, vero, Prince?
 
Sophie: Sei nato solo per distruggere e presto sarai così potente da raggiungere il tuo scopo, da compiere la tua missione.
Tira fuori ciò che sei nato per essere ed io ti lascerò andare.
Sii ciò di cui ho bisogno per chiudere il cerchio… diventa la mia arma.
 
Nick a Prince: Se non vuoi aiutare Demi, dimmi almeno come sei riuscito ad eludere il tuo Marchio del Diavolo. Farò quello che vuoi, in cambio.
 
*Al Memoriale*
Sophie nella mente di Demi: ‘’Raggiungi il Ponte. E tutto avrà una fine.’’
 
Shane a Demi: Piccola bastarda!
Prince: Credo che sia il caso di lavarti la bocca, Atticus. *lo lancia nelle Cascate*
Prince a Demi: Ti tengo io, tesoro… ti tengo io.
 
*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*
 
 
 
- Per l’amor di Dio! Stiamo parlando di un vampiro contro una ragazzina di sedici anni! Quanto ci impiega quell’idiota a metterla fuori combattimento… una settimana?- la voce impaziente di Rebekah esplose come una fucilata nel salone del Covo, accompagnata dal suono ritmico e nervoso dei suoi tacchi schiantati sul pavimento. Sbuffando per via del silenzio ostinato ottenuto in risposta, l’Originale lanciò un’occhiataccia all’orologio, poi fece schioccare la lingua: - Dannazione! Shane è in ritardo e noi siamo bloccate in questa topaia!- la polvere che circondava il tappeto liso ai suoi piedi, come per confermare quelle parole, si sollevò in uno sbuffo grigiastro e un ratto vi zampettò a poca distanza; la figura ossuta e femminile rintanata nell’ombra, tuttavia, china su un tavolo consunto coperto da cartacce mistiche, non osò muoversi d’un centimetro.
- Sophie Deveraux.- tossicchiò la bionda, tentando di attirare l’attenzione, seccata all’idea di dover parlare con una schiena ingobbita per tutto il tempo: - Mi spieghi che cosa sta succedendo?-
- Ho perso di vista la Prescelta.- il tono metallico nella gola di Sophie somigliò al rumore stridente di unghie rabbiose e Rebekah si strinse nelle spalle, passandosi una mano sulla pelle d’oca delle braccia d’avorio. - E’ davvero strano. Qualcosa non va. Non riesco a stabilire un contatto duraturo con la sua coscienza, al momento… è come se la mocciosa stesse opponendo resistenza, contrastando l’influsso del Marchio. E’ assurdo… perché è l’opposto di ciò che speravo di ottenere, stasera.- digrignando i denti irregolari, la strega si voltò, lasciando che la sua veste logora frusciasse per terra, come agitata da un vento inesistente. - Atticus deve aver fallito.- nel pronunciare quella frase, le sue dita smagrite artigliarono un ciondolo posto all’estremità della catena che portava al collo e lo strinsero nel pugno, fino ad oscurarne del tutto il riflesso.
Rebekah distolse ostentatamente lo sguardo, aggrottando le fini sopracciglia dorate.
- Non capisco.- sibilò, quasi senza muovere le labbra carnose, tese in una smorfia. - Che cosa può essere andato storto?-
- Prince!- rantolò qualcuno all’improvviso, facendo irruzione lì dentro; i cardini arrugginiti del portone d’ingresso cigolarono pericolosamente, facendo sì che entrambe le sue ante si spalancassero. - Ecco cosa!- l’ombra alta e allampanata di Shane apparve sulla soglia, irriconoscibile: i suoi capelli riccioluti erano grondanti ed i suoi abiti, zuppi e lacerati in più punti, gocciolavano copiosamente ovunque, lasciando che una pozza d’acqua gelida si allargasse sotto le sue scarpe. Sembrava che l’impeto nero della corrente delle Cascate fosse ancora ben presente nel suo sguardo e sulla sua faccia trasfigurata dalla collera, così come nel fiato corto che gli gonfiava faticosamente il petto.
La Mikaelson ammutolì ed il suo viso divenne talmente pallido da risplendere nel buio.
- Prince?- squittì Sophie, e di colpo sembrò deliziata, come una bambina deforme che ha appena ritrovato il proprio giocattolino preferito in fondo ad un baule. - Ma davvero?-
- Sì!- tossì Shane, soffocandosi e sputando prima di puntare il dito tremante contro la vampira:
- E tu!- la aggredì, accusatorio, scuotendo la testa come un randagio bagnato. – Se oggi ho mancato l’obbiettivo, è soltanto per causa tua!-
Rebekah sembrò lottare per un lungo istante contro l’istinto di afferrarlo per il bavero per insegnargli a portare rispetto ad una signora e, in particolare, ad un Antico, ma poi la sua aura di alterigia e sdegno parve affievolirsi, vinta dall’ansia.
E dalla colpevolezza.
- Di cosa stai parlando?- sibilò, tagliente e vaga dopo un istante di esitazione.
Il vampiro la incenerì con un’occhiataccia, pieno di quel rancore che solo l’umiliazione sa scatenare, poi le ringhiò addosso:
- Lo sai benissimo! Che cosa aspettavi a dirci che quel maledetto era tornato in città, eh, zietta?-
________________________________________________________________________________
 
Il lato destro della modesta abitazione dei Donovan era stato completamente distrutto dalle fiamme e adesso sembrava solo un tetro ammasso di rovine, spazzato via per sempre dalla furia devastatrice dell’incendio appiccato la notte precedente. Rebekah avrebbe volentieri staccato la testa a Shane con le sue mani, per quello scempio, ma sapeva benissimo di non potersi permettere un simile lusso: Sophie la teneva in pugno e poi quello di attaccare un posto simbolico, legato agli affetti più profondi dei loro nemici, era davvero un buon modo per avvertirli del pericolo imminente. Per stuzzicarli. Doveva ammetterlo, quegli squilibrati ci sapevano proprio fare, quando si trattava di essere perfidi… ed era giusto che i Salvatore, i Lockwood e tutti gli altri avessero finalmente il sentore di ciò che sarebbe presto accaduto alle loro famigliole perfette.
Non si sarebbe persa lo spettacolo per nulla al mondo, certo… ma quella casa, semplice e imbruttita dall’abbandono, condannata ad un destino di eterna solitudine dopo la morte di Matt?
Non riusciva a non provare tristezza al suo pensiero.
Forse perché le somigliava più di quanto potesse tollerare.
- Le conviene collaborare, giovanotto.- aveva consigliato caldamente lo Sceriffo Liz Forbes, mentre il distintivo le brillava sulla giacca e il brusìo di collaboratori e soccorritori attorno a lei e al suo interlocutore aumentava d’intensità. La voce asciutta della madre di Caroline era giunta alle orecchie distratte di Rebekah come da un universo parallelo: - Lei è in una posizione delicata. Si tratta di omicidio. Una ragazza è stata assassinata e la sua amica è in uno stato di shock piuttosto grave, lo capisce?- l’Originale aveva alzato gli occhi al cielo, irritata dalla notizia, maledicendo il professore per la sua solita mancanza di autocontrollo: da quando gli avevano fatto spuntare i canini per renderlo meno inutile, Shane non aveva fatto che lasciarsi una sospetta scia di sangue alle spalle. Un comportamento da vero idiota, visto che la discrezione era essenziale per la riuscita dei loro piani, al momento. - Ad ogni modo, è stato sorpreso sul luogo del delitto e, mi perdoni, ma mi sembra stranamente rilassato…. nonché illeso.-
- Mi pare che si tratti di una fortuna, non di una colpa… non crede? - la voce del ragazzo incriminato non aveva tradito particolari emozioni e questo aveva sorpreso la vampira più di ogni altra cosa, persino più del suo accento così familiare, spruzzato di un’inconfondibile nota arrogante.
Il suo cuore aveva perso un battito.
- Guardi, posso giurarglielo, non sono un serial killer.- aveva continuato il giovane, e lei aveva percepito, pur senza vederlo, un sorriso beffardo increspare il suo tono accomodante e, proprio per questa ragione, velatamente minaccioso.
- Questo lo vedremo.- aveva commentato lo Sceriffo, facendo breve cenno di avvicinarsi ad un collega e muovendo il capo con un lieve ondeggiare dei suoi sottili capelli bianchi. - Per il momento ritengo opportuno che lei ci segua nel mio ufficio per un interrogatorio, signor…?- Liz si era interrotta, accigliandosi. - … un momento, non mi ha ancora rivelato il suo nome.-
- E mi creda...- aveva replicato lui, alzando le mani come per schernirsi. Sembrava divertito. - … non vuole sul serio che io lo faccia. Sa come si dice… quando si è figli di padri famosi è sempre più difficile farsi strada nel mondo. Il peso di un cognome importante...- aveva fatto un gesto eloquente con la mano, ammiccando. -… alle volte è un vero macigno.-
La donna aveva inarcato un sopracciglio, squadrandolo come se gli stesse prendendo le misure:
- Perciò, il suo ‘cognome importante’ sarebbe…?-
- Mikaelson.- Rebekah, scuotendo la chioma con aria fiera e sporgendo il mento in avanti, era comparsa fulmineamente dietro a Prince e gli aveva posato una mano sulla spalla, con fare protettivo. - E’ Mikaelson.- aveva ripetuto poi, quasi sillabando, come per rendere quel particolare chiaro almeno quanto la somiglianza presente trai volti di zia e nipote. Entrambi biondi, con quelle labbra rosee dalla forma piena, e con quella strana, cupa luce nelle iridi cangianti. Liz era rimasta a fissarli mentre la sua mente si affrettava a rimettere insieme i pezzi. - Sono certa che si tratta soltanto di un increscioso equivoco, Sceriffo. Mio nipote non può essere in alcun modo coinvolto in questa tragedia.- le aveva ghignato in faccia Bekah, melliflua. - Gradirei poter parlare da sola con lui, se non è un problema.- la sua espressione fintamente cordiale non aveva lasciato spazio alle repliche e così, con dignità, la Forbes aveva annuito, allontanandosi ed estraendo dalla tasca un cellulare. Aveva composto un numero, freneticamente, poi aveva continuato a lanciare sguardi furtivi nella loro direzione mentre, a bassa voce, pronunciava nella cornetta le parole ‘’Omicidio’’, ‘’Qui’’, ‘’Nipote’’ e ‘’Presto’’.
Annoiato, il figlio di Klaus aveva spazzolato le dita di Rebekah via dalla propria spalla un secondo prima di voltarsi, poi l’aveva scrutata curioso, con la bocca leggermente arricciata. Rivederla accanto a sé dopo tutto quel tempo di lontananza non sembrava scalfirlo, affatto; Prince era perfettamente a suo agio, anche dopo essersi liberato chissà come dal Marchio del Diavolo, dopo essere fuggito nel cuore della notte dalla loro abitazione di famiglia, dopo aver fatto perdere le proprie tracce, senza degnarsi di lasciare un biglietto… persino dopo essere ripiombato in città senza preavviso… sulla scena di un crimine.
Sua zia aveva abbandonato quasi immediatamente le premure ed il suo tono si era fatto pungente, colmo di sorpresa, di preoccupazione, di sollievo, di sconforto:
- Che cosa ci fai qui, Prince?- gli aveva chiesto, tremante, con gli occhi spalancati, affamati di particolari. Le era sembrato cresciuto, arruffato, con i riccioli troppo lunghi, più selvaggio rispetto all’ultima volta che l’aveva visto e con un’ombra febbrile, nuova e crudele impressa sui lineamenti. - Come… quando… perché ti trovi in questo posto? Che cosa accidenti…?-
- Ciao, nipotino adorato!- le aveva fatto il verso lui, battendo le ciglia con smaccata, irrisoria dolcezza, come se fosse lei a parlare, pronunciando un discorso ideale: - Credevo che, come minimo, fossi stato divorato da un leone della savana dopo esserti rifugiato dall’altra parte del mondo nella speranza di non avermi più intorno… ma per fortuna sei vivo, che piacere rivederti! Sei ancora più stupefacente di quanto ricordassi e devo ammettere che questa barbetta ti dona!- le aveva fatto l’occhiolino, ostentando soddisfazione, e lei si era mossa di slancio come per afferrarlo, per scuoterlo o stringerlo, prima di bloccarsi, appena in tempo: aveva già visto nel suo sguardo il riflesso di ciò che sarebbe accaduto se si fosse esposta troppo… Prince l’avrebbe respinta.
- Io ero in pena per te!- aveva balbettato allora, con le gote contratte.
 

Image and video hosting by TinyPic  
 
- Il mio cuore si è spezzato quando non ti ho trovato nel tuo letto, quando ho capito che eri scappato e che…- deglutì, ispirando per cercare di calmarsi. -… perché non mi hai detto che eri tornato a Mystic Falls? Io… io avrei…-
- Che cosa?- l’aveva provocata il giovane, scoprendo i denti candidi in un sorriso talmente splendido da sembrare insopportabile, terribile. - Sentiamo! Saresti corsa ad avvisare i tuoi cari amici del fatto che sono venuto di nuovo allo scoperto? Oppure, in un improbabile slancio d’affetto, avresti chiesto alla Deveraux di andarci più piano, stavolta? Che gentile, sono quasi commosso!- il suo sarcasmo l’aveva colpita in pieno volto come uno schiaffo ma l’Originale aveva serrato i pugni:
- Io… non avevo idea di cosa… di cosa ci fosse dietro i tuoi sintomi! Sophie sembrava così... ignara! Lei e quell’idiota hanno agito alle mie spalle, tu devi credermi!- aveva mormorato, supplice, con voce rotta. - Sapevo che avrebbero avuto bisogno di te, lo ammetto, ma… non in quel modo… credevo che, lasciandoli fare, tutto si sarebbe sistemato più in fretta, che saremmo stati di nuovo una famiglia, che vi avrei restituito…- le era sfuggito un singhiozzo ma l’espressione del nipote non aveva smesso di essere dura ed impassibile, neanche per un istante. -… tu non mi hai mai spiegato cosa accadeva quando eri da solo con loro… mai, Prince!- le iridi di lui si erano oscurate di colpo, come se la loro luce fosse stata inghiottita da chissà quali tetri pensieri; così serio e turbato, assomigliava di più a Nick… al fratellino che aveva cercato di proteggere col proprio silenzio.
- No, non l’ho fatto.- le aveva concesso, monocorde. - Ma questo non cambia le cose. Non cambia il fatto che ti fidi di loro e che ci bazzichi ancora assieme... dopo tutto quello che di orribile hanno fatto alla nostra famiglia! A mia madre. A mio…- un muscolo nella sua mascella si era teso. -… ad Elijah.- aveva concluso in un ringhio, cercando di mascherare il tremore nelle propria voce.
Rebekah aveva scosso ansiosamente il capo.
- No, tu non capisci, è proprio per questo che…- era parsa sul punto di scoppiare a piangere ma aveva schiuso le labbra per buttare fuori la verità un momento più tardi del necessario: Liz aveva interrotto la conversazione telefonica e sembrava intenzionata a tornare da loro, per proseguire le indagini: - Ci penso io.- aveva promesso la Mikaelson al ragazzo, tirando sul col naso e cercando di riacquistare una postura altera, decisa ad intimidire lo Sceriffo una volta per tutte. – Ti tirerò fuori da questo guaio.-
- Per poi rispedirmi dai tuoi soci?- aveva ghignato Prince, guardandola di sottecchi con una fossetta che si andava allargando sulla sua guancia, irriverente. - Umh.- finse di pensarci su, poi alzò le spalle: - Nah. Me la sono sempre cavata da solo…  continuerò a farlo. Non ho bisogno di te. Non più, ormai.- quella sua constatazione aveva rivelato un retrogusto amaro come fiele ma non aveva perso d’efficacia. – E poi, giusto per la cronaca, preferirei scontare l’ergastolo piuttosto che tornare a fare la cavia da laboratorio. Ma grazie tante, comunque!-
- Non parlerò con nessuno del tuo ritorno. Almeno fino a quando non sarai al sicuro.- aveva insistito la bionda, allungando la mano per sfiorargli lo zigomo con il pollice.
Lui era rimasto immobile, indifferente, ma, dopotutto, non si era opposto a quel contatto.
- Al sicuro.- aveva sbuffato, cinico, come se quelle due parole fossero un’utopia. - Come no.-
- Sarà ‘un segreto per un segreto.’- aveva ribadito Bekah, come se stesse parlando con se stessa, guidata da un’intraprendenza che sembrava scorrerle dentro a sua insaputa. - Non se la prenderanno troppo. In fondo mi hanno nascosto per molti anni una questione di gran lunga più importante, no?-
- Già.- a quel punto il figlio di Klaus le aveva sorriso, ma la sua gioia non aveva scaldato i suoi occhi di torbido ghiaccio verde. Così distanti ed adulti, quelli avevano continuato a bruciarle addosso, come sale sulle ferite.
________________________________________________________________________________
 
- Credevo che ti piacessero le sorprese, Shane.- cinguettò Rebekah, caustica, voltando le spalle al vampiro mentre, in realtà, cercava di guadagnare il tempo necessario ad inventarsi una scusa per quella sua omissione. Che cosa diavolo era saltato in mente a Prince? Farsi scoprire così? Sbucare fuori dal nulla, sprezzante del pericolo? A che razza di gioco stava giocando? - Come non detto. Cercherò di tenerlo a mente, la prossima volta, okay?-
- La prossima volta?- abbaiò il professore; era così indignato che nessuna delle sue due complici si sarebbe sorpresa se gli si fossero improvvisamente allungate le zanne. - Non ci sarà una prossima volta, per te!- furioso, fece per avventarsi sulla donna più formosa nel salone ma quest’ultima lo schivò senza difficoltà, sforzandosi di non cedere all’impeto torcergli subito il collo in un unico gesto aggraziato.
Doveva scoprire di più su quanto appena era accaduto alle Cascate, prima di togliersi quello sfizio.
- Sophie!- gridò Atticus, anelando l’appoggio della strega senza demordere, scagliandosi di nuovo in avanti e lasciando una patetica scia d’acqua scura sul pavimento sotto di sé.
Accidenti.’ pensò Rebekah, sistemandosi in posizione d’attacco, pronta a riceverlo. ‘Prince dev’esserci andato giù piuttosto pesante, per fargli perdere le staffe in questo modo!’.
E in effetti…
- Non vorrai mica mettere a rischio i nostri progetti per colpa della sua… indulgenza nei confronti del piccolo mostro, vero?- quando Shane pronunciò quella cattiveria, Rebekah cambiò repentinamente idea: non lo scansò ancora, come aveva programmato di fare, ma lo acchiappò proprio mentre le si precipitava incontro, artigliando con violenza la stoffa fradicia dei suoi abiti e sollevandolo di peso, per guardarlo dritto in faccia.
- Ti rendi conto che sono un’Originale millenaria, sì?- gli alitò addosso, brusca, letale, di colpo più simile che mai alla predatrice che si nascondeva sotto l’aspetto di una bambola di porcellana. Lui gemette, facendo dondolare i piedi a mezz’aria. - Piantala con questa scenata e non provocarmi oltre, razza di fastidioso…- Bekah fece schioccare le labbra, contenta d’aver trovato la definizione perfetta per lui: - … moscerino!-
- Smettetela.- ordinò Sophie, con la solita voce stridula, facendoli sobbalzare sul posto. Rapidamente come l’aveva afferrato, la bionda lasciò andare il vampiro, facendo sì che ritoccasse terra… con poca gentilezza. La Deveraux si leccò le labbra screpolate prima di distenderle in un risolino famelico: - Quella del ritorno di Prince è una notizia magnifica.- era sul punto di mettersi a battere le mani dalla felicità ma non sembrava voler separare il proprio pugno dal ciondolo che le pendeva sullo sterno piatto. I suoi occhi luccicavano, febbrili. - Sapevo bene che l’avrebbe fatto, prima o poi. Che avrebbe capito qual era il suo compito. Oh sì.- la Mikaelson percepì nuovamente rizzarsi i peli sulla nuca, agghiacciata dall’ambiguità di quelle frasi entusiaste. - Ed è giunto qui anche con un certo tempismo, direi.- aggiunse la strega, ormai quasi orgogliosa. - Perfetto.-
Anche Shane, come l’Originale, sembrava allibito, ma per tutt’altra ragione:
- Non vuoi neanche sapere che cos’ha fatto?- ruggì, rivolto a Sophie, boccheggiando quasi dal risentimento. - Mi ha soffiato la ragazza dalle mani, impedendomi di finire il lavoro!- spiegò, massaggiandosi una delle spalle che Rebekah aveva stritolato prima, quando lui si era permesso di provocarla. - Mi ha affrontato, sfruttando il suo Potere, e poi l’ha…- il professore inspirò profondamente, pronto all’assurdo: -… lui l’ha salvata! Capite?- roteando gli occhi davanti alle loro facce di colpo altrettanto stravolte, lui comprese di aver colto nel segno. - Esatto. La nostra Arma ha salvato Demi Salvatore.- ripeté, come se il pensiero di quanto era accaduto gli risultasse incredibile.
Innaturale.
Dopo di che calò il silenzio.
Sophie, in particolare, era livida ed ogni traccia di allegria era scomparsa dai suoi tratti spigolosi. Sembrava delusa dal comportamento di Prince, come se la rivelazione di Shane avesse fatto vacillare il cuore dei piani malsani che aveva sempre tenuto in serbo per lui, dal giorno in cui l’aveva brutalmente strappato alla sua infanzia, affogando nel sangue di di Hayley e di Elijah tutta la sua innocenza.
 
Image and video hosting by TinyPic
- Questo non va affatto bene.- mormorò, corrugando la fronte e facendo saettare gli occhi iniettati di sangue da Rebekah a Shane, senza guardarli davvero, assorta com’era nei propri crucci. - Non è per questo motivo che è venuto al mondo, non è per questo che l’ho addestrato, che l’ho reso così forte!- ormai stringeva il monile lucente in una maniera talmente convulsa da far penetrare i bordi affilati della pietra nella carne del proprio palmo. - Piccolo ingrato… ha bisogno di una lezione!- strillò, fremente, fuori controllo; una scarica di energia si liberò improvvisamente dal suo corpo, come un’onda invisibile, e, propagandosi, travolse la sparuta mobilia tutt’intorno, facendola tremare; gli oggetti di vetro scheggiato contenuti in una cristalliera nell’angolo esplosero, seminando ovunque i propri cocci polverizzati. Schivandoli, Rebekah udì il suono sinistro di alcuni frammenti schiacciati sotto la suola delle proprie scarpe e fu travolta dai ricordi: la notte in cui era corsa a recuperare il piccolo Nick dall’abitazione devastata, il pavimento era inondato di schegge, proprio come in quell’istante.
E Prince era già stato catturato e portato via dalla Deveraux, già inghiottito dall’incubo in cui lei l’aveva abbandonato, senza mai muovere un dito per aiutarlo.
- Gli insegnerò io… lo farò pentire…-
- E’ colpa di quella ragazzina.- intervenne allora la Mikaelson, in tono autoritario. Sophie si zittì, con il petto che si alzava e si abbassava ancora freneticamente, dimostrandole d’essere tutt’orecchi, nonostante la stizza. - E’ per via della sua innata capacità di irretire chi la circonda, recitando la parte della vittima, che tutti cadono ai suoi piedi. L’ho già visto accadere in passato. Sua madre ed il resto delle sue antenate erano delle vere maestre, in questo.- il chiaro rancore nella sua voce lasciò il posto all’ira in uno slancio precipitoso; quella consapevolezza parve accostare un fiammifero all’ammasso di paglia e desiderio di vendetta che l’Antica covava nell’anima da troppi anni, incendiandola: - E’ su di lei che dobbiamo concentrarci, prima che sia troppo tardi. Non su Prince… ma su di lei.- ripeté, non senza provare un pizzico di piacere nel ribadire la necessità di togliere di mezzo l’ultima delle Petrova.
Demetra, la bambina che, nascendo, aveva impedito ad Elena di perdere la ragione per via del dolore, così come, invece, lei avrebbe desiderato, nella speranza di ricambiare alla Gilbert il favore di averle strappato ogni speranza nell’avvenire; la bella fanciulla che aveva conquistato il cuore ingenuo di suo nipote Nick, rendendo ancora più sottile il filo che univa il ragazzo a sua zia e spingendolo a ribellarsi alla sua autorità; la creatura che, adesso, rischiava di insinuarsi anche nel futuro del principe… era come una spina nel fianco.
Era un grosso problema… che doveva essere al più presto risolto.
- Non sarà facile occuparsene, sai, ora che anche Damon Salvatore si è aggiunto alla sua scorta.- fece presente Shane, contrito, lasciandosi pesantemente cadere su una sedia sbrindellata a pochi passi dalla scrivania di Sophie. - Se non ricordo male, a quel tipo è sempre piaciuto il gioco duro, vero, Bex?-
Rebekah s’irrigidì, voltando bruscamente il viso per incrociare lo sguardo baldanzoso del vampiro. Un sibilo pericoloso le vibrò tra i denti ma lui non batté ciglio, evidentemente fiero di averla appena colta alla sprovvista con quella scottante rivelazione.
- Non dire assurdità.- lo avvertì lei, irritata, avanzando di un passo. I suoi bei boccoli biondi fluttuarono sulle sue spalle, quasi elettrizzati. - Ho sistemato la faccenda di Damon Salvatore sedici anni fa. E credimi… dopo quello che gli ho fatto, non c’è davvero nessuna possibilità che lui sia di nuovo in città. Nessuna.- accennando un sorriso soddisfatto destinato a morirle ben presto sulla bocca, fissò Shane mentre quest’ultimo inarcava le sopracciglia.
- Ma davvero?- proseguì a stuzzicarla lui, scettico. – Che strano. Mi pare proprio di averlo incrociato nel cortile del Mystic Falls’ Institute, stamattina, praticamente sotto il tuo bel nasino. E ti dirò di più… era con la sua piccola bastarda.- la vampira si morse forte il labbro inferiore, per contrastarne il tremito incontrollato, poi si afferrò i gomiti, come per impedirsi di distruggere qualcosa nella frustrazione. - Avresti dovuto vederli.- aggiunse Shane, infierendo. – Affiatati, felici, il ritratto della tenerezza. Si divertivano parecchio a costruire un solidissimo legame sulle macerie del tuo fallimento…-
- BASTA!- urlò la bionda, mentre il gusto acre della sconfitta le ribolliva in gola malgrado lei si sforzasse di respingerlo. Le immagini che Atticus le aveva appena descritto le si affollarono nel cervello, offuscandone la razionalità: Damon, condannato proprio da lei ad un eterno quanto meritato esilio, che sfiorava piano la guancia della figlia, con la stessa dolcezza mista a venerazione che aveva sempre riservato ad Elena, insopportabilmente pronto a ricominciare
- Noi abbiamo bisogno che quella marmocchia perda il controllo delle proprie emozioni per far avanzare lo Stigma Diaboli, giusto?- chiese d’un tratto, interrogando direttamente Sophie sul maleficio. - Più lei è vulnerabile, meno sarà capace di resisterci. Lo hai scritto tu nel tuo saggio, non è vero?- rincarò, rivolgendosi a Shane per un’ulteriore conferma. Entrambi annuirono, perplessi. Rebekah socchiuse le palpebre per un attimo, prima di spalancarle, con un’idea diabolica nella mente:
- So quello che ci vuole, allora. Ho trovato. Esiste una sola cosa in grado di consegnarci la Prescelta su un piatto d’argento, una sola cosa che saprà turbarla come si conviene, annientandola e distruggendoli tutti.- sogghignò, folle, estasiata e risoluta come solo una volta era stata, in passato. ‘Non dovrebbe esserci pace per chi costruisce la propria felicità sulla miseria altrui e non ci sarà. Non ci sarà pace.’ - E’ giunto il momento, per l’adorabile Demi, di scoprire la verità.- e così, disgustata da se stessa ma appagata, la vampira rise: - Tutta la verità.-
 
***
Image and video hosting by TinyPic

I bisbigli del vento tra gli alberi alti e severi come torri disabitate accompagnarono i passi ovattati del principe per tutto il tragitto verso la capanna. Il cielo oscuro, tempestato di stelle adamantine, sembrava un’entità impassibile come al solito, eppure, riflettendosi placidamente sull’acqua crespa delle Cascate, lo faceva sentire a casa: in fondo, a Prince era sempre piaciuto sentirsi circondato dagli abissi, dalle onde, dalle nubi e da tutto ciò che incuteva timore e meraviglia grazie alla propria bellezza incompresa, sconfinata.
Adorava quando le cose attorno a lui trasudavano tutta quella muta, pulsante solitudine.
- Mh-mh.- nell’udire quel sussurro soffocato contro il proprio collo, il giovane Mikaelson si riscosse dalle riflessioni e abbassò gli occhi con lentezza ed un sorriso trionfante sulla bocca: tra le sue braccia, aggrappata a lui come se la vita ne dipendesse, c’era Demetra, il prodigio di cui tutti parlavano, la Prescelta che lui aveva strappato alle grinfie di quel mentecatto di Shane un attimo prima che la tragedia si consumasse. Era corso sul Ponte a soccorrerla, senza pensarci, senza neanche conoscerla… eppure non riusciva a pentirsi di averlo fatto.
Qualcosa di intimo, dentro di lui, non la piantava più di rimuginare, interrogandosi a proposito della ragione che doveva averlo spinto a compiere un’azione così cavalleresca per i suoi standard, e si dava il caso che quel dilemma gli stesse facendo perdere la pazienza, irritandolo... parecchio.
‘Curiosità.’ si giustificò Prince in fretta, per darsi un alibi, poi ghignò, malizioso; sbirciò di nuovo verso il basso, compiaciuto, e percepì la morbidezza del corpo della ragazza contro il proprio con una consapevolezza decisamente maggiore: ‘Eccetera, eccetera.’ aggiunse tra sé, sforzandosi di essere obbiettivo.
Mentre continuava ad osservarla con attenzione, a metà tra lo scettico e l’incantato, vide che tra i suoi lisci capelli neri erano rimaste impigliate delle foglioline e, d’istinto, fece scorrere piano le dita tra le ciocche, per ripulirle.
- Mmh.- il versetto inconsapevole di lei, stavolta, parve compiaciuto a causa delle carezze e così, quando Prince sentì una delle minuscole mani della ragazza stringersi sulla stoffa della propria camicia, la cercò con lo sguardo, circospetto: aveva delle belle dita, bianche ed affusolate sotto la luce della luna, dalle estremità leggermente coniche, sottili. Sul suo palmo c’era un’escoriazione che lei doveva essersi provocata nello sforzo di strappare via un ramo sufficientemente appuntito per difendersi e, a quel pensiero, Prince sentì che il ricordo della sua tenacia tornava a solleticargli la mente.
In un attimo la rivide, gracile ma con gli occhi fiammeggianti del coraggio tipico dei condannati, mentre affrontava il nemico a testa alta, nonostante ogni speranza di salvezza fosse vana. Aveva continuato a combattere fino all’ultimo, Demi, tenendo duro nel tentativo di non perdere i sensi, ed infine, quando lui le si era avvicinato, non aveva avuto paura.
Prince l’aveva capito con estrema chiarezza dal modo in cui le sue iridi caparbie non si erano staccate dal suo volto, mentre la raggiungeva per sorreggerla.
- ‘A…zie.- soffiò la Salvatore all’improvviso, in tono talmente sommesso da far dubitare al principe di esserselo immaginato. Sembrava ancora priva di conoscenza ma, prima che lui potesse muoversi, lei gli premette i polpastrelli sul petto, sul cuore, sulla cicatrice più indelebile che entrambi condividevano.
Lo Stigma Diaboli.
- Ci siamo quasi.- deglutì Prince in risposta, come se non si stesse rivolgendo a nessuno in particolare, stringendola delicatamente a sé per sostenere meglio il suo peso. Il suo tono non fu caldo o affettuoso ma rassicurante… questo sì. - Tieniti forte, dolcezza.- le suggerì poco dopo, schiarendosi la gola con aria d’importanza:
- Siamo arrivati a palazzo.-
 
///
 
La porta scricchiolò duramente e Demi, da sotto le ciglia vibranti, riuscì ad intravedere una luce intensa, dorata ed avvolgente provenire dall’ingresso; quel luccichio abbagliante contribuì a stordirla e lei serrò le palpebre con più decisione, come determinata a non destarsi mai più da quello stato di semi-coscienza.
L’odore che si insinuò nelle sue narici era particolarmente forte e prese con irruenza il posto del profumo lieve che Prince aveva addosso e che, fino a quel momento, era bastato a farle mantenere la calma: gli interni sapevano di vernice fresca, cera d’api, resina e legna da ardere.
Il ragazzo la lasciò andare un istante più tardi, adagiandola su quello che doveva essere un divano foderato in pelle; era gelido ma la freschezza di quel contatto non la infastidì, anzi, le regalò uno spasmo di sollievo, permettendole di far riposare il capo dolorante. La consistenza dura del bracciolo sotto la guancia le ricordò confusamente il Pensionato e la poltrona che Stefan era solito cederle mentre scriveva nel suo diario o leggeva un buon libro; era la migliore, la più soffice, quella rossa che troneggiava da un’eternità accanto al camino, e suo padre le aveva sempre permesso di occuparla senza problemi, con il suo tipico sorriso tenero ed accondiscendente dipinto sul volto.
‘’Conoscendo il temperamento del tuo paparino… credevo che mi avresti dato più filo da torcere. Bizzarro. Sei come lui. Sei identica a lui.’’
Lo spicchio di mondo visto attraverso i suoi occhi di nuovo socchiusi divenne di colpo più umido e tremulo e Demi strinse forte i denti, cercando di scacciare quei pensieri. A parte le frasi allusive di Shane che le rimbombavano nella memoria ed il terrore represso che tornava in superficie ormai ad ondate, adesso che l’adrenalina dello scontro cominciava a diradarsi, sentiva la testa felicemente sgombra e voleva fare in modo che quella serenità durasse il più a lungo possibile.
Quanto tempo le restava ancora, in fondo, prima che Sophie tornasse a torturarla?
Sentendo il figlio di Klaus che si affaccendava, poco distante, frugando in un cassetto ed avanzando poi a tentoni, attento a schivare degli oggetti che erano ammassati malamente sul pavimento di quella che doveva essere casa sua, Demi si chiese, perplessa, che cosa diavolo stesse facendo per tenersi occupato.
Perché l’avesse tratta in salvo.
Che cosa avesse in mente.
E, già che c’era, anche chi accidenti fosse davvero.
Qualcosa prese a bollire pigramente in un pentolino e la ragazza ne ascoltò il gorgogliare, senza fiatare. Prince sfogliò quello che pareva un grosso libro dalle pagine muffite, con una certa veemenza, imprecando e rischiando di strappare via più di una volta quella carta incartapecorita, poi continuò a trafficare per i fatti suoi, passandole davanti solo di tanto in tanto, perlopiù ignorandola.
I suoi movimenti richiamavano da vicino quelli di un gatto, schivo ed elegante, abituato a cavarsela da solo senza doversi preoccupare di nessun altro, e, per questo motivo, fu solo dopo un po’ che lui si accorse che Demi stava tremando, percorsa da brividi inconsulti, causati dal freddo come dalla tensione accumulata dopo un simile pericolo fortuitamente scampato.
Di colpo, si arrestò davanti a lei, titubante, con le mani sui fianchi; la Salvatore avvertì il suo sguardo sfiorarla con un’insolita, palpabile intensità e si sentì arrossire. Si strinse  nelle spalle ma, quando tastò la stoffa del proprio vestito, come per assicurarsi che fosse ancora lì a coprirla, avvertì sotto i palmi anche la tiepida compattezza di uno scialle di lana grezza, delle dimensioni di una piccola coperta: Prince glielo aveva posato addosso con delicatezza, senza quasi che se ne accorgesse.
Incerta e sorpresa, la ragazza si raggomitolò tra le sue pieghe, lasciandosi scaldare… e nascondere.
Senza smettere di scrutarla, ormai quasi a malincuore, il giovane Mikaelson annuì tra sé, cercando di convincersi di aver fatto la cosa più giusta, poi si allontanò, lasciandola di nuovo sola con se stessa. Libera dalla sua presenza, Demi inspirò a fatica,  provando a calmarsi, poi cominciò a riflettere sul modo più rapido ed efficace possibile di realizzare l’unico progetto che le fosse venuto in mente dal momento in cui aveva varcato la soglia di quel posto: scappare.
 
///
 
Tirandosi su a sedere e appoggiandosi finalmente allo schienale del divano, Demi batté forte le ciglia, frastornata, concedendosi un minuto di tregua per contemplare l’eccentrico ambiente circostante: quel poco che si intravedeva delle pareti del salotto era di un color oro opaco davvero poco sobrio, tempestato di ghirigori riconducibili ad un qualche motivo di piante rampicanti, mentre il resto della superficie era occupata da specchi di tutte le forme e dimensioni.
Qua e là, in ordine sparso e caotico, erano ammucchiati dei cuscini talmente panciuti da sembrare sull’orlo dell’esplosione, vasi vuoti, candelabri arzigogolati e perfino un servizio da tè che, dalla posizione centrale assunta in tutto quel disordine, la giovane indovinò dover essere una delle cianfrusaglie che Prince preferiva in assoluto.
Una vecchia cassapanca nell’angolo traboccava di pergamene che, più che a dei documenti, somigliavano a degli schizzi impressi su fogli da disegno, mentre a terra, nei radi spazi che si intervallavano tra un tappeto e l’altro, erano posati dei quadri coperti da un velo di stoffa traslucida che, Demi capì, erano delle tele in attesa di essere esposte.
Restando intimidita al cospetto di un’infinita libreria, l’unica cosa veramente impeccabile che fosse nei paraggi, la Salvatore allungò appena la propria mano illesa per sfiorare gli innumerevoli oggettini da collezione che erano sistemati su un mobiletto al suo fianco: monete, orologi, segnalibri, matite e altro pregiato, lucente materiale da cancelleria…
- Sei sveglia.- constatò il maggiore dei nipoti della Mikaelson, comparendo alle sue spalle con un vassoio tra le mani. Sembrava di buon umore e, mentre lei si ritraeva d’istinto, schiacciandosi contro la spalliera, continuò ad avvicinarsi, imperterrito. La sua figura si impose nel campo visivo della sedicenne, invadendola completamente, e lei non poté fare a meno di osservarne i bei contorni slanciati, definiti da indumenti neri come la notte: c’era qualcosa di familiare nell’aspetto di Prince, nella forma raffinata dei suoi zigomi e nel profilo aggraziato ma deciso della sua mascella, e qualche dettaglio nei suoi tratti le ricordò Rebekah, mettendola a disagio.
Era avvenente, bello di un fascino impietoso ed esuberante che la spaventava.
- Buonasera.- le disse, con la voce piacevolmente straniera che lei aveva imparato a riconoscere. - Cominciavo a credere che non avresti mai più aperto i tuoi occhi in mia presenza. Lieto di essermi sbagliato… detto tra noi, sarebbe stato un peccato perdersi ancora per molto uno spettacolo simile, Demetra.-
 
Image and video hosting by TinyPic
Ammiccando, si lasciò cadere su una seggiola che aveva precedentemente sistemato di fronte al divanetto, poi si posò la buffa guantiera sulle ginocchia, osservandone la portata con concentrazione; Demi, sporgendosi, notò che si trattava di una ciotola ricolma di una strana pappa color menta.
E inorridì.
- Ah, quasi dimenticavo.- esordì Prince dal nulla, ancora senza guardarla, impegnato a lisciare un rotolo di quella che sembrava della comune stoffa per bendaggi. - Ti consiglio vivamente di posarlo dov’era.-
Demi si avvolse con maggiore vigore nello scialle di lana ruvida, sforzandosi di mostrarsi confusa ed accigliata davanti a quella frase così apparentemente priva di senso, ma il giovane sospirò, paziente: - Mi riferisco al tagliacarte che hai preso e nascosto poco fa in attesa del momento giusto per colpirmi, naturalmente.- specificò, calmo e divertito, come se stesse parlando con una bimba un po’ troppo capricciosa. - Posalo.-
Raggelando nel sentirsi colta alla sprovvista e scoperta, la Salvatore sentì il respiro che le si mozzava fragorosamente in gola ma non ebbe scelta: pur schiumante d’indignazione, si vide costretta ad obbedire ed estrasse da dietro la schiena la propria arma improvvisata, pronta a consegnarla. Fece per appoggiare l’oggetto sul palmo che Prince teneva teso nella sua direzione ma lui scosse la testa, senza smettere di sorriderle, imperscrutabile:
- Dammi la mano.- le ordinò, con un’insolita nota carezzevole nel tono. La Salvatore lo squadrò con diffidenza, facendo scorrere lo sguardo dalle sue dita al suo volto rilassato in un’espressione affabile; quasi senza avvedersene, si soffermò sulla sua bocca perfetta e canzonatrice: - Andiamo. Non mordo mica.-
Poco convinta, lei gli lanciò un’occhiata di avvertimento, poi estrasse la mano infortunata da sotto la lana, lasciando che il principe la prendesse nella propria. Senza scomporsi ma con un ghigno esultante ben visibile sulla faccia, lui esaminò attentamente i suoi graffi e lo fece con una gentilezza esperta ed inaspettata, attento a non farle male.
Le sue dita contro la pelle furono vellutate, quasi tenere, e Demetra percepì un brivido di calore dipanarsi dal punto esatto in cui la stavano toccando. Improvvisamente, le parve di essere tornata indietro nel tempo, alla sera del suo primo vero appuntamento con Nick al Grill: la potente vibrazione che sentiva premere ora al centro del petto era la stessa che aveva provato in quell’occasione, quando, cioè, aveva percepito la presenza di Prince nei paraggi.
Ricordava con esattezza quale sensazione avesse sentito divampare in quegli istanti, in ogni fibra del proprio essere: era stato come avvertire un presagio di sventura, un’ombra sul suo destino, e la portata di quell’entità sconosciuta l’aveva stravolta, risvegliandole dentro un incontrollabile istinto di autoprotezione.
Le stava forse accadendo lo stesso, ora?
Era per questo che, dopo aver riacquistato un po’ delle proprie forze, si sentiva così agitata, così sulla difensiva?
Non ne aveva la più pallida idea ma, quando i suoi polmoni si contrassero ancora, un po’ più dolorosamente, si impose di mantenere il controllo, ignorando quell’ inquietudine: qualcosa le diceva che trasformarsi in uno scudo di nebbia ambulante non le sarebbe poi stato molto d’aiuto, stavolta. 
- Che cosa ci faccio qui?- chiese a Prince, senza staccargli gli occhi di dosso mentre lui intingeva la punta di un batuffolo nella mistura verde e cominciava a spalmarla sulle sue escoriazioni con dei gesti fluidi, sicuri. Demi trattenne un gemito di fastidio iniziale, un attimo prima che quelle lievi pennellate di pomata diventassero fonte di freschezza e di sollievo. - Pronto?- gli sussurrò ancora, con quello che voleva essere un tono minaccioso.
Il suo cuore non la piantava di martellare, come in trappola, in allarme, ma cercò di non darlo a vedere.
- Passami la benda.- mormorò il principe, ignorandola e accennando al groviglio di stoffa immacolata che era posato sul vassoio. Sentendosi esclusa, lei sbuffò ma non mosse un solo dito verso le fasciature, pur di non dargliela vinta.
- Non rispondi alle mie domande.- osservò seccata, senza però ritirare la mano dalle sue cure. La dolce fragranza di quella miscela misteriosa sembrava capace di lenire persino l’arsura crescente che percepiva in gola… ed era un bene. - Perché mai?-
- Beh, vediamo…- valutò lui, inarcando un sopracciglio con una vena di scetticismo nelle iridi screziate di pagliuzze dorate. - Io ti salvo la vita al Ponte, aspettandomi quantomeno un pizzico della tua gratitudine in cambio, mentre tu, approfittando della mia ingenuità, cerchi di accopparmi col mio tagliacarte preferito.- scosse la testa eppure, nonostante la sua voce suonasse severa, sembrava sul punto di scoppiare a ridere: - Che posso dire? Considerami offeso dalle circostanze.-
- Uh.- rifletté Demi, ricambiando il suo sarcasmo con altrettanta enfasi. - Ti direi che mi dispiace di aver ferito i tuoi sentimenti, davvero…- i suoi occhi languidi, di quell’infallibile azzurro limpido come l’acqua, sfavillarono un attimo prima che lei ne approfittasse per esibirsi in un’alzatina di spalle: -… ma non è così. Senza offesa, credo che interpretare la parte del buon samaritano non sia esattamente ciò che ti riesce meglio. Ed io non sono così stupida da cascarci.-
- Lo so.- i loro sguardi ardenti e altezzosi si incrociarono nuovamente, sciogliendosi l’uno nell’altro senza troppe difficoltà. In quello del giovane era balenato qualcosa di strano, un barlume che Demetra non sapeva come interpretare. Sembrava un misto di sorpresa, rispetto e muta soddisfazione. - Ma, se non altro, apprezzo la tua onestà.-
Prince ridacchiò, poi continuò a fissarla con insistenza, sino a farle sentire il sangue che fluiva con forza verso le sue guance.
Indesiderato, il familiare tremito d’avvertimento nei muscoli di lei, sintomo di un pericolo imminente, tornò a farsi sentire nel suo sterno, addensandosi copiosamente sotto forma di vapore.
Lui parve rendersene conto e, pur senza commentare, sgranò impercettibilmente i grandi occhi verdi.
Non sembrava troppo sorpreso, solo... affascinato.
- La benda.- le ricordò dopo un attimo di silenzio, riportandola coi piedi per terra senza tanti preamboli. - Adesso.- quel tono rauco ed autoritario la indispettì e così, senza più aprir bocca, lei afferrò quei brandelli di tessuto bianco, consegnandoglieli con riluttanza.
Che cosa diavolo le stava succedendo?
Perché la parte sovrannaturale del suo corpo reagiva in modo così violento e prevenuto, al cospetto di Prince?
Concentrato e ignaro delle sue preoccupazioni, il biondo s’impegnò ad avvolgerle la mano in una fasciatura degna di quel nome, con le sopracciglia aggrottate e le labbra contratte. Mentre seguiva i suoi gesti meticolosi, lei si ritrovò a pensare che non aveva affatto l’aria spaventosa che si era immaginata. Al suo fianco, malgrado il suo istinto fosse di tutt’altro avviso, Demi si sentiva stranamente al sicuro e quella era una sensazione alla quale si era disabituata da un pezzo, ormai. Nelle sue pupille dilatate, nere come la pece, c’era qualcosa di felino che avrebbe dovuto incuterle terrore e che, invece, l’attirava come non mai. Chissà se la sentiva anche il principe, la presenza di quel legame incomprensibile tra loro due.
- Pessima idea quella di recarti al Ponte con l’intenzione di consegnarti, comunque.- la rimproverò lui d’un tratto, strappandola ai suoi dubbi e fissandole la medicazione attorno al polso con un piccolo nodo. - Se fossi in te, non ci riproverei. Siamo intesi?- lei lo scrutò a lungo, perplessa, mentre quelle sue parole inattese le riverberavano dentro. Nella voce di Prince non c’era traccia della compassione o della delusione che temeva costantemente di scatenare nelle persone più care: era un consiglio prettamente pratico, il suo.
- Prima regola di sopravvivenza allo Stigma: mai assecondare la stronza.-
La Salvatore drizzò le orecchie nell’udirlo pronunciare con tanta familiarità quel termine magico per lei così terrificante e batté le palpebre, confusa:
- E tu… cosa ne sai tu di come si sopravvive a quella roba?- gli domandò, guardandolo di sbieco.
- Giusto una cosetta o due, tesoro.- tagliò corto lui, vago, con l’espressione che tornava a farsi sofferta ed indecifrabile. Demi rimase immobile a riflettere sull’ambiguità di quella dichiarazione, poi trattenne il fiato: percepì lo sguardo magnetico di Prince scorrere piano su di lei, come alla ricerca di una distrazione, ammirando i suoi lineamenti dolci prima di passare al candore della sua pelle, della sua gola e del suo collo delicato.
L’impulso di prenderlo a pugni cozzò forte con la sua assoluta necessità di saperne di più sul Marchio del Diavolo.
- Allora…- esordì il giovane dopo un istante di contemplazione, soffermandosi con finta innocenza sulle gambe sottili e perlacee della ragazza, lasciate ampiamente scoperte dal vestitino. - … sei ferita da qualche altra parte?-
- *No-pe.- sillabò lei, con un’occhiataccia eloquente; sfilò la mano fasciata dalla sua presa in un lampo e si tirò la stoffa nera della gonna verso il basso, come se sperasse di vederla raggiungere le caviglie. Ahimè, con scarsissimo successo. - Sono a posto. Fresca come una ros… AH!- quando, spinto dalle sue dita distratte, il tessuto ruvido del pizzo finì per urtare contro le sue ginocchia sbucciate, Demi sobbalzò sul posto, soffiando dal dolore come un gattino arrabbiato.
- Certo. Lo vedo.- ghignò sommessamente Prince, prendendola in giro. Mentre un sorriso di singolare bellezza gli distendeva i tratti, lui decise che era il caso di sotterrare l’ascia di guerra e le passò la coppa piena di benefico unguento verdastro: - Puoi pensarci da sola.- sbadigliò, spiccio, come se fosse stata lei ad averlo appena importunato… e non il contrario. - Non sono mica la tua infermiera di fiducia, io.- mentre si alzava dalla sedia con ostentata eleganza, dandole le spalle e riportando il vassoietto vuoto in cucina, Demi rimase a bocca aperta e, fissando le onde dorate dei suoi capelli ribelli, la sua schiena, la sua postura così dignitosa, decise che era un idiota irrecuperabile.
Dopo aver disteso le braccia per sgranchirle, lei afferrò un batuffolo di cotone pulito e ne fece affondare l’estremità nella pomata, stendendola poi con delicatezza sulle escoriazioni sanguinolente. Il risultato fu molto meno impeccabile rispetto a quello raggiunto grazie alla maestria di Prince ma almeno ugualmente efficace e, senza la copertura della benda, Demi vide con maggiore chiarezza cosa accadeva alle sue ferite quando venivano bagnate dalla mistura: miracolosamente, il sangue svaniva e, provocandole solo un lieve prurito, la carne lacerata tornava intatta, come se non fosse mai stata squarciata.
Come per magia.
- Sei… sei una strega?- domandò al ragazzo quando lo vide ricomparire, irrigidendosi dallo stupore mentre gli indicava le proprie ginocchia risanate in un batter d’occhio dalla pozione. Lo sguardo brillante di Prince parve scaldarsi davanti all’ingenuità di quella sua deduzione. Per lei fu come avvertire delle fiamme smeraldine che le danzavano davanti al viso.
- Non proprio.- le rispose, con una certa indolenza. - Ripensandoci, farei prima a dirti ciò che non sono. Storia lunga.- con la gola secca, Demi cercò di ricordare quale assurda combinazione genetica avesse dato vita al figlio di Klaus, senza che l’uso della Cura fosse necessario: era un ibrido, metà vampiro e metà lupo mannaro… e chissà cos’altro. Quel che era certo era che, proprio come lei, era una bizzarra eccezione alla regola. - Per quanto riguarda il  piccolo intruglio, comunque, ho soltanto seguito alla lettera i metodi della nonna. Quelli sì che non falliscono mai.-
La Salvatore si passò una mano sulla faccia, esasperata dall’abitudine che il maggiore dei Mikaelson aveva di esprimersi per enigmi, poi, quasi inavvertitamente, annusò la fragranza deliziosa delle bende attorno al suo palmo: sembravano delle erbe, forse lavanda ed essenza di biancospino, e non le regalavano un sollievo puramente fisico.
- Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere trascorrere una notte senza incubi.- sussurrò Prince, quasi leggendole nel pensiero. - Si dà il caso che quella soluzione sia in grado di tenerli a bada… per un po’.-
Demi sollevò di scatto la testa nella sua direzione, cercando di mascherare lo sconcerto che le stava allagando il petto al suono di quella notizia; stranamente non aveva dubbi circa la sua veridicità: si sentiva davvero più protetta dagli assalti di Sophie.
Non libera, forse, ancora inquieta, ma di certo meno vulnerabile.
Per un po’.
- Perché hai fatto questo per me?- chiese, lapidaria, deglutendo a fatica. Le sue ciglia che continuavano a pizzicare non erano d’aiuto per la sua concentrazione. - Prima fai volare Shane dalla balaustra, poi mi accogli in casa tua ed infine… questo.- agitò la fasciatura sotto il suo naso, senza smettere di fissarlo, circospetta. - Perché?-
- Forse mi sentivo altruista.- suggerì Prince, facendo spallucce con aria noncurante. Un suo ennesimo sorriso abbagliante la investì in pieno, stuzzicandola: - E’ così strano da credere?-
- Decisamente.- annuì lei, senza farsi ingannare. - L’ultima volta che le nostre strade si sono incrociate, mi hai teso un agguato nel Grill, facendomi finire sull’orlo di una crisi di nervi.- le venne la pelle d’oca nel ricordare il modo subdolo in cui la voce accattivante del giovane le si era insinuata nella mente, giocando a sibilarle lascive minacce, ma questo non bastò a fermala: - E poi c’è la parte migliore, ergo quella in cui tre dei tuoi scagnozzi super pelosi vengono sguinzagliati alle mie calcagna fuori da una Biblioteca comunale.-
- Lo ammetto, quelle sono state delle cattiverie.- alzò le mani lui, accontentandola senza un briciolo di rimorso negli occhi. Sembrava colpito della sua dettagliata conoscenza dei fatti ma non colpevole. Era come se il suo capriccio rendesse lecita qualsiasi meschinità.
- E allora perché?- ripeté Demi, imbronciandosi.
- Non lo so.- confessò lui, irritato dal fatto di essere stato messo alle strette con una tale ostinazione. Avanzando di qualche passo, strinse istintivamente la stoffa della camicia fra le dita, all’altezza del cuore, dove era custodito il segreto che l’aveva spinto a correre in soccorso della ragazza. Lei se ne accorse, senza però capire. - Continuo a chiedermelo anch’io. Chissà, magari è merito di questa.- ironizzò, nell’urgenza di dare un significato alternativo a quel suo gesto inconsulto. - Forse le camicie di mio fratello le vendono con la sua moralità cucita sopra.- forse per deriderla, forse solo per distrarla, Prince si chinò appena su di lei, inclinando pericolosamente il viso verso il suo, e Demi si rese conto di avere la vista sfocata, il fiato corto: a quella distanza così breve, riusciva a distinguere con una maggiore chiarezza le fattezze aggraziate del principe e la lieve quanto innegabile somiglianza con i tratti di Nick le parve di colpo più nitida… insostenibile.
- Stammi lontano.- gli sibilò, incenerendolo con lo sguardo mentre il petto le si stringeva dolorosamente. Avrebbe voluto spingerlo via ma non aveva intenzione di toccarlo. Forse era giunto il momento di assecondare la propria magia, liberando la stessa nebbia che le mandava in fiamme lo sterno mentre si appiattiva sul divano: - Capito? Non osare.-
- Ritrosa.- commentò il biondo tristemente, piegando leggermente la testa di lato, come un bambino curioso. Non sembrava un’accusa, era piuttosto una semplice constatazione.  - Nick non aveva aggiunto questo dettaglio alla lista, mentre decantava le tue lodi. D’altro canto è sempre stato maledettamente bravo con le omissioni, dico bene?- lasciandosi sfuggire un sospiro liberatorio, la Salvatore lo guardò mentre finalmente si allontanava e, con il cuore ancora in tumulto, cercò di impedire a quell’allusione di fare breccia nelle proprie insicurezze:
- Che cosa diavolo significa?- mormorò infine, di slancio.
- Tutto.- ammise Prince, criptico, accarezzandosi il mento con una sfacciata delicatezza. Chissà come, doveva aver annusato il dubbio nella sua voce. - Oppure niente. D’altronde, immagino che tu sia a conoscenza di ogni cosa che lo riguarda, non è così? Del fatto che, giusto una sera fa, noi due abbiamo avuto un diverbio piuttosto cruento nel cortile di casa Bennett, per esempio.- gongolò, come se stesse quell’episodio si fosse limitato ad un affettuoso abbraccio fraterno e a nulla di più crudele.
Demi, quasi suo malgrado, inarcò un sopracciglio.
- O di quello che, nonostante i miei espliciti avvertimenti, lui abbia avuto comunque la sfrontatezza di venire a supplicarmi, stamani, promettendomi praticamente qualunque cosa in cambio del mio aiuto per te.- la ragazza strabuzzò gli occhi, mentre i suoi pensieri si accavallavano gli uni sugli altri, come flutti agitati dalla burrasca: Nick, in effetti, si era volatilizzato dopo aver visto il simbolo impresso sul suo collo, per cercare aiuto, senza darle poi troppe spiegazioni. Le era sembrato pronto a stringere un patto col Diavolo in persona, pur di proteggerla, ma non poteva credere che quello fosse precisamente ciò che aveva fatto.
- E così, adesso, sia tu che lui siete in debito con me. Fantastico. Chissà, forse questo accelererà i piani che il mio fratellino ha sempre avuto di ritrovare la famigerata Profezia per consegnarla a me.- le iridi di lei luccicarono d’astio e d’incredulità, mentre le sue labbra tremavano:
- Questa è una bugia. Lui non lo farebbe mai.- disse, alzando la voce. Certo, sapeva bene che Nick, di recente, aveva cercato di recuperare quella pergamena, ma non per i motivi che il biondo aveva appena cercato di suggerirle.
Non poteva crederci.
Eppure… non avevano forse trascorso l’ultima notte a discutere al cellulare, mentre lei si dava da fare per scovare il foglietto, su richiesta del figlio di Elijah?
Perché era diventato di colpo così importante, per lui, rientrarne in possesso?
- Sei stato tu!- dedusse Demi dopo un istante di esitazione, furiosa ma certa di essere nel giusto. - Hai trovato il modo di ricattarlo, non è vero?!-
Prince la guardò di sottecchi, senza degnarsi di smentire quell’accusa fin troppo veritiera.
- Anche se fosse?- la provocò, inarrestabile. - Non sono le mie reticenze, il problema, ma le sue. D’altra parte non capisco proprio come lui abbia potuto tacerti dei simili risvolti… in fondo, Miss Muffin Lockwood è informatissima al riguardo, e da un bel pezzo, per di più…-
- Falla finita!- sbottò la Salvatore, scattando in piedi. Aveva tenuto a freno il suo bisogno di esplodere per troppo tempo: da quando aveva scoperto di essere stata marchiata, non aveva fatto che seppellire i sentimenti di paura, angoscia e rabbia in un angolo nascosto della propria anima, là dove nessuno poteva scorgerli. Ma adesso era diverso. Li sentiva vorticare con violenza inaudita nelle proprie vene bollenti, ronzarle forte nelle orecchie e, quando sollevò una mano, senza neanche sapere perché, soltanto d’istinto, il flusso di energia che vi scaturì colpì Prince in pieno; lui barcollò appena all’indietro, appoggiando la schiena al muro, poi socchiuse le labbra in un’espressione rapita.
E, all’improvviso, accadde.
Proprio come quando la sua manifestazione era provocata con la forza dalle torture della Deveraux, il Potere abominevole che proveniva da lui scoppiò fino a farsi rovente e, per alimentarsi, attinse allo scudo evocato da Demi, cibandosene e riflettendosi su di esso come su di uno specchio. Attraverso le spire danzanti e scintillanti di quel prodigio, il giovane Mikaelson vide la fanciulla risplendere di tutta la sua bellezza nivea, notturna ed incendiaria, e si sentì attratto da lei almeno quanto lo era dall’incredibile Amplificatore che ella stessa rappresentava.
Dio, si trattava di un richiamo indicibile, appagante… irresistibile.
Ed era proprio come Sophie gli aveva sempre raccontato… nei suoi incubi peggiori.
________________________________________________________________________________
 
- In piedi.- aveva ordinato Shane, spietato, acchiappandolo per le spalle durante una delle innumerevoli occasioni di ‘’addestramento’’. Prince aveva guardato il suo corpo sovrastarlo a gambe divaricate, un attimo prima di essere tirato su con uno strattone inclemente. Di fonte al suo viso sudato ed impolverato, la sala grigia aveva ondeggiato a lungo, in un’illusione vertiginosa, poi lui aveva ripreso a respirare. Lo Stigma sul suo petto pulsava dolorosamente, più evidente che mai. - Lo sai… Sophie è contenta di te.- gli aveva rivelato il professore, come in confidenza, facendo per trascinarlo al cospetto della strega. - Dice che stai diventando sempre più bravo. Che presto sarai pronto.-
Non c’era bisogno che quell’idiota glielo dicesse, il principe riusciva a percepirlo da sé: ogni volta che la Deveraux aggrediva la sua coscienza, lui sentiva una nuova, repentina potenza scatenarsi dal suo profondo, stimolata dalla sua magia. Era come percepire il respiro di un animale feroce sul proprio collo. Spesso, mentre tutti i suoi nervi erano percorsi da spasmi, lui aveva cominciato a credere di essere diventato quell’animale.
Un abominio, un mostro.
L’Arma.
- Cosa mi accadrà?- aveva domandato d’un tratto, con la voce arrochita. Quella era una cantilena che aveva imparato a pronunciare spesso, per fingere interesse, per confondere i suoi aguzzini circa le sue reali intenzioni, senza mai ricevere una risposta soddisfacente. Non gliene importava granché, dopotutto. Ciò che voleva era diventare abbastanza forte da liberarsi di loro, sparendo poi il più lontano possibile… fine della storia.
- Insomma, come posso distruggere qualcosa senza sapere… come?-
- Ciò che vedi nei tuoi sogni è l’obbiettivo.- aveva ghignato a sorpresa Sophie, andandogli incontro. Era fiera dei suoi risultati, glielo si leggeva negli occhi crudeli e sulle gote incavate e chiazzate di rossore. A quelle parole, Prince aveva avuto un flash delle orribili visioni che lo Stigma continuava ad inviargli nella mente, senza mai dargli tregua: un battito d’ali nere d’inchiostro, la morbidezza delle piume sulla bocca… un piccolo corvo… morto. Era quello il suo nemico. Lo era stato da sempre. - Quando te lo troverai davanti, capirai subito ciò che devi fare per me. Ciò che sei nato per fare.- gli aveva fatto scorrere l’indice sulla mascella. - E, a quel punto, ti basterà lasciare che il tuo Potere cresca a dismisura… a discapito del suo.-
________________________________________________________________________________
 
- NO!-
Sopraffatti, entrambi i ragazzi caddero in ginocchio nel medesimo istante, l’uno di fronte all’altra, incapaci di ritrovare il respiro per motivi completamente diversi: Demi si sentiva svuotata e priva di forze, con un velo di sudore gelido che le imperlava la fronte, mentre Prince era pallido e stravolto dall’irruenza con cui la verità, proprio come predetto, gli si era appena presentata davanti agli occhi.
La sua espressione era così devastata da far provare alla Salvatore il desiderio di pronunciare qualche parola di conforto in suo favore, anche scioccamente, nonostante tutto.
Un dolore simile avrebbe commosso persino una pietra insensibile.
- Vattene.- le intimò lui in un rantolo, prima che potesse avvicinarsi, col cuore che batteva all’impazzata. Le umiliazioni patite in passato, le mille fandonie che avevano giustificato per anni il suo percorso attraverso atroci sofferenze, il suo scopo finale… era tutto chiaro, ora. Prince si tirò su con un gesto repentino mentre il turbine del suo odio riaffiorava, tramutandosi in una collera incontrollabile che rischiava di colpire l’obbiettivo sbagliato. - Devi andartene via… subito!-
Demi deglutì, con le pupille rese pozzi infiniti e senza fondo dal terrore.
- Io…-
- Non mi hai sentito?- urlò il ragazzo, avanzando verso di lei ed afferrandola bruscamente per un braccio. Le sue dita avrebbero potuto strattonarla o lasciarle dei segni sulla pelle ma non lo fecero neppure quando lui la costrinse a rimettersi in piedi. A Demi sembrava di vivere quella scena al rallentatore: vedeva il suo tormento ed il suo bisogno di stare da solo, di rintanarsi nel buio per leccarsi le ferite in santa pace.
E lo capiva… meglio di chiunque altro.
- Prince…- sussurrò, posando le dita sul polso della mano che la spingeva verso la soglia.
Non osò stringerlo, non lo sfiorò quasi, ma quel lieve contatto bastò a fargli sollevare lo sguardo smeraldino, smarrito, annegato in un oceano brulicante di demoni senza nome tornati a dargli la caccia. Come riemergendo, il principe la scrutò, indugiando sui capelli scuri che le incorniciavano il viso minuto, sul lividore sfinito delle sue guance.
Un nodo gli chiuse lo stomaco.
- Fuori di qui.- le ringhiò, a denti stretti.
Poi la porta della capanna si chiuse con uno schiocco sonoro, lasciando Demi sola, in balia della notte e della fresca brezza odorosa. Le Cascate gorgogliavano non lontane e il candore della luna piena era sufficiente ad indicarle la strada del ritorno.
Sentiva le ginocchia intorpidite ed era sconvolta da ciò che era appena accaduto. Aveva l’impressione che qualcosa le avesse risucchiato via quasi ogni fibra vitale: se Prince non si fosse fermato in tempo, con quell’urlo disperato, non avrebbe resistito ancora a lungo. Era difficile da spiegare, assurdo, ma sentiva che sarebbe stata inghiottita dall’oscurità… consumata. Invece di difenderla, per la prima volta, il suo scudo pareva aver contribuito ad indebolirla. Ma lui aveva impedito il peggio. In qualche maniera del tutto irrazionale, era la seconda volta che le salvava la vita, dopo averla messa in pericolo.
A modo suo, Prince aveva pareggiato i conti.
E lei era libera… di andarsene.
Nell’udire il tonfo fragoroso di qualcosa che veniva scagliato sul pavimento con violenza, all’interno della casa, forse la ciotola della pomata, forse il servizio da tè, Demetra trasalì e, staccando a fatica gli occhi dal legno scheggiato del portone, dovette ricacciare indietro le lacrime.
Che ci faceva ancora lì impalata?
Non c’era nessun motivo di restare.
Nessuno.
Demi prese una profonda boccata d’aria nel buio, voltandosi verso la foresta che Prince aveva attraversato tenendola tra le braccia mentre era ancora priva di sensi.
Vattene via. Subito.
Poi si mise a correre.
 
***    
 
- Mi state prendendo in giro?!- sbuffò Damon, irritato, facendo lampeggiare i propri occhi accusatori da Bonnie a Stefan. Nessuno di loro due si azzardò a smentire quanto aveva appena sostenuto: la strega si limitò ad allacciare con maggiore determinazione le dita bronzee al ’Manuale delle risposte pazze di Shane’, mentre l’altro si stringeva mestamente nella spalle, desolato:
- Non potrei mai scherzare su una questione simile, Damon.- mormorò, in tono prostrato.
Il vampiro dai capelli corvini scosse la testa, incredulo, aprendo e richiudendo la bocca più volte prima di riuscire ad articolare una frase di senso compiuto:
- E’ una follia. Non può essere vero. Non possono farlo.- deglutì, nel tentativo di non dare in escandescenza e, soprattutto, di non lasciarsi sopraffare dalla nausea per quello che aveva appena scoperto. Fu inutile: - Vogliono sul serio usare…- si interruppe ancora, poi ci riprovò con una voce più stridente, aggressiva: -… usare Demi… come una specie d-di lente d’ingrandimento per amplificare chissà quale Potere mostruoso? Per attivare una Pietra magica e far sì che i loro SCHIFOSI PIANI DI RESURREZIONE si compiano?!- non si era reso conto di essersi messo ad urlare ma non gliene fregava molto, comunque.
- Quelli non hanno capito un cazzo!-
- Se ciò che ci hai raccontato è vero, se lei stamattina aveva già dei sintomi sospetti dopo aver assistito ad un incantesimo di Sheila, allora Sophie potrebbe già averle insidiato la mente. Potrebbe essere troppo tardi.- lo interruppe la Bennett, gravemente, sforzandosi di essere lucida. Elena si passò una mano tra i capelli liscissimi, allontanandoseli dal volto con un gesto che trasudava pura angoscia, mentre Damon serrava la mascella, senza smettere di fissare Bon, come alla ricerca di una smentita che non sarebbe mai arrivata: - Lo Stigma Diaboli corrisponde esattamente alla descrizione che Elijah ci ha fornito del maleficio tipo della Deveraux. E’ un sigillo antico e terribile e quel che è peggio è che, com’è scritto in questo saggio, pare sia anche in grado di nutrirsi delle sensazioni negative della vittima, sfruttandole per progredire. Più il soggetto marchiato è instabile a livello emotivo, maggiori sono le possibilità concesse a Sophie di manipolarlo.-
Damon imprecò sottovoce, reprimendo l’impulso di prendere a calci qualcosa, qualsiasi cosa, pur di sfogare la frustrazione, poi, di colpo, capì qual era lo scopo principale di quei discorsi ed avvertì un sorriso amaro arricciargli le labbra:
- E immagino che la scoperta di una paternità celata potrebbe instillare in Demi certe sconvenienti… com’è che le avete chiamate? Ah, sì… ‘sensazioni negative’, vero?- chiese, sentendo una sorta d’impotente indignazione montargli nella parte più recondita del petto. Elena si voltò a scrutarlo, implorante, sentendo la tensione del suo corpo scorrerle sotto la pelle come una scarica, ma lui si sforzò di ignorare il suo sguardo. Le sue iridi glaciali erano fisse in quelle di Stefan e i due rimasero in silenzio a lungo, fronteggiandosi alla debole luce del soggiorno. - Beh, potrebbe trattarsi di una mia impressione, certo… ma questa storia puzza di codardia.- osservò il maggiore dei due fratelli, in un tono di sfida piuttosto palese. Stefan non abbandonò lo stato di allerta ma non disse nulla, come se si fosse aspettato un ragionamento di quel tipo. - Voglio dire… siete proprio sicuri che sia questa la sola ed unica ragione per cui non volete che lei sappia la verità?-
- E tu, invece, sei sicuro che dirle tutto sia giusto per lei, oltre che per te?- ribatté l’altro, incalzante, colpendo nel segno. A Damon tremarono le mani mentre sbarrava gli occhi e li lasciava vacui, ferito. Elena abbassò la testa, senza fiato, voltando le spalle ad entrambi mentre si stringeva tra i denti le proprie nocche, serrate nervosamente in un pugno.
- No, non intendevo dire questo…- fece marcia indietro Stefan, inumidendosi appena le labbra screpolate dall’apprensione. -… è solo che…- sospirò. -… non permetterò a nulla di mettere a rischio la sicurezza di Demi. Mai. Se questo nostro segreto è servito a proteggerla finora, a darle una vita normale, forse può continuare a farlo fino a quando le acque non si saranno calmate...-
- Din Din! Questo vostro segreto l’ha soltanto resa più vulnerabile!- s’infervorò Damon, come se stesse parlando con un idiota. - Come fai a non capire? Cosa credi che accadrà, quando lei l’avrà scoperto per caso? Pensi davvero che organizzerà una festicciola con una torta, bibite gassate ed un sacco di noccioline?-
- Preferisco di gran lunga rischiare che lo sappia in questo modo piuttosto che avere la certezza che mia figlia non sopravvivrà abbastanza da vedere il prossimo plenilunio per colpa di un sortilegio!- gridò Stefan.
- Tua figlia è mia figlia!- sillabò Damon.
- SMETTETELA, tutti e due!- gemette Elena, girandosi a fissarli con un cipiglio denso di rimprovero; le parole velenose che entrambi si erano rivolti la soffocavano, aleggiandole attorno come fumo urticante. Stefan fu il primo a reagire a quel monito, ammorbidendo appena la propria espressione, mentre l’altro si mordeva forte l’interno della guancia, per non replicare oltre. - La cosa più importante, al momento, è trovare Demi ed assicurarci che stia bene. Potremo portare avanti questa discussione solo dopo aver capito se quella donna orribile l’ha marchiata davvero.- la sua voce tremò di rifiuto sull’ultima frase ma rimase comunque inflessibile. - Non prima.- ripeté, stroncando sul nascere ogni eventuale protesta.
- Andiamo da lei, allora.- disse Damon, asciutto. La Gilbert non sopportava di leggere tutto quel dolore malcelato sui suoi tratti ma non sapeva come comportarsi al riguardo: qualunque scelta avesse appoggiato, tra quelle proposte dai Salvatore, sarebbe finita col far del male a qualcuno. - Ah. Io prendo la mia auto.- proseguì il vampiro, dirigendosi verso la porta. Dal suo tono burbero non sembrava che fosse disposto a percorrere la strada che li separava dall’abitazione delle Bennett in compagnia.
- Un momento.- lo fermò Bonnie, ostacolando il suo tentativo di svignarsela. – Le ragazze potrebbero non essere in casa, ora. Sheila mi aveva avvisata che, con ogni probabilità, sarebbero state impegnate a partecipare ad un Memoriale, stasera.-
- Scusa, come hai detto?!- scattò lui, arrestandosi ancora con un piede a mezz’aria.
Il cellulare della Bennett squillò prima che lei potesse aggiungere qualcosa e la bruna si affrettò a frugare nella propria tasca, estraendolo. Leggendo il nome sul display lucente, la strega aggrottò la fronte, poi un’ombra di preoccupazione le attraversò subitaneamente il volto. La sua reazione ansiosa fu talmente evidente da far immaginare a Damon quale potesse essere il mittente della chiamata, prima ancora che il suo nome fosse sussurrato contro la cornetta:
- … S-Sheila?-
 
///
 
- Dov’è lei?- avanzando come una furia tra la folla di adolescenti ancora intenti a ballare e a sorseggiare Punch dai loro bicchieri, il vampiro fece scorrere lo sguardo ceruleo ed atterrito da una parte all’altra della radura gremita, alla disperata ricerca di una zazzera di lisci capelli scuri come l’ebano. - Possibile che nessuno di questi idioti l’abbia vista?-
- Sheila, ti scongiuro.- supplicò Stefan, posando una mano tremante sulla spalla della migliore amica di Demi e scuotendola appena. Si sforzava di non perdere il controllo della propria voce, senza però riuscirci: sembrava comunque reduce da un brutto raffreddore. - Devi raccontarci esattamente come sono andate le cose. Ogni dettaglio potrebbe essere importante. Fondamentale, capito?-
- Vi ho già detto tutto.- tirò su col naso la figlia di Bonnie, scuotendo la testa, in preda al rimorso. Aveva provato a rintracciare telefonicamente la sua compagna, aveva chiesto informazioni a chiunque fosse nei paraggi, chiamando il suo nome fino a sovrastare la musica, ma non era riuscita a trovarla. Per questo aveva avvisato sua madre, in attesa dei soccorsi: - L’ho persa di vista poco dopo essere arrivate. Si è allontanata per prendere qualcosa da bere e poi è semplicemente… è sparita.-
- Che cosa accidenti significa che ‘è sparita’?- sbraitò Damon, quasi assalendola, fuori di sé. La ragazza lo fissò con gli occhi luccicanti di lacrime, senza che queste trovassero il coraggio di rotolare giù, e lui distolse lo sguardo. Non avrebbe dovuto prendersela con lei, lo sapeva, ma non era facile dominarsi mentre l’angoscia lo sommergeva come un’onda anomala. L’idea che Demetra fosse scomparsa era più di quanto la sua soglia del dolore potesse riuscire a reggere.
- Il tipo del bar ha detto di averla vista dirigersi al Ponte!- strillò Elena, precipitandosi nella loro direzione con la chioma scossa dal vento ed il petto in subbuglio. Le sue iridi castane e ribollenti incontrarono per prime quelle di Stefan e vi cercarono dentro una conferma, una rassicurazione. Quest’ultimo annuì lentamente, allontanandosi da Sheila e lasciandola al sicuro, con Bonnie:
- La ritroveremo.- promise a sua moglie in un bisbiglio, andandole incontro. La Gilbert lo guardò intensamente, costringendosi a credergli per non inabissarsi nello sconforto, poi sentì la carezza prudente di lui sfiorarle il braccio. D’istinto, intrecciò le dita alle sue, quasi spasmodicamente. - Sbrighiamoci.- suggerì lui, trascinandola lievemente con sé verso le querce imponenti che circondavano lo stretto passaggio verso le Cascate.
Le fronde li graffiarono mentre correvano a perdifiato:
- Dov’è finito Damon?- boccheggiò Elena d’un tratto, voltandosi indietro come se si aspettasse di vederlo comparire alle loro spalle. Non c’era nessuno, nell’ombra.
- Sono già qui.- mormorò lui, come da un altro universo, facendoli trasalire entrambi sul posto. Udendo la parola ‘’Ponte’’ venir fuori dalla bocca della vampira, non aveva resistito un solo istante con le mani in mano e così era arrivato prima di loro a destinazione. Ora era immobile, curvo in avanti, e dava loro le spalle, reggendosi alla balaustra. Barcollava impercettibilmente, come se fosse sul punto di crollare in mille pezzi.
Elena sentì un brivido di terrore trapassarla da parte a parte, come la gelida lama di un pugnale.
- E… e Demi?- chiese timorosamente, muovendo un passo sul tavolato cigolante. Lui non rispose. Non respirò neppure. - … Damon?- lo chiamò lei, con la voce intrisa di pena, talmente flebile da essere assorbita senza difficoltà dallo scroscio delle onde sottostanti. Quando suo fratello si girò, Stefan non lo guardò in faccia. L’unica cosa che riusciva a distinguere era ciò che lui teneva sospeso tra le mani: una giacca di pelle nera e lucida, dal taglio sportivo ma in qualche modo elegante, femminile, ed un rozzo pezzo di legno scuro, appuntito. Un paletto… sporco di sangue.
- Oh Dio… oh, Dio…-  
 
///
 
L’ombra grigia di Demi si allungò in avanti mentre lei continuava a sfrecciare attraverso un sentiero sommerso dalla vegetazione, affondando le scarpe nel letto di foglie e fango che costeggiava le radici degli alberi più maestosi; le pareva di essere circondata solo dai suoni palpitanti del buio, del vento e dell’acqua corrente, ed era completamente smarrita nell’abbraccio confortante della Natura. Era una sensazione meravigliosa, rinvigorente, e, senza sapere perché, la ragazza percepì il ricordo della volta in cui era fuggita di nascosto dal Pensionato verso la Biblioteca affiorarle con prepotenza nella mente: si sentiva allo stesso modo, adesso, terrorizzata ma euforica, come se fosse sul punto di spiccare il volo. Non riusciva a comprendere cosa stesse accadendo al suo corpo: se lo scontro di poco prima con il Potere assurdamente intenso di Prince l’aveva indebolita quasi a morte, fino a mozzarle il fiato nel petto, ora Demi si sentiva stranamente vigile ed energica, come se quella dose di pericolo le fosse servita da stimolo, acuendo tutti i suoi sensi e spingendoli a reagire.
Qualunque diavoleria fosse accaduta in quel salotto dall’arredamento stravagante, era assolutamente certa che avesse qualcosa a che fare con la Profezia. Forse anche Prince vi era invischiato e forse era per questo che aveva cercato di costringere suo fratello minore a consegnargliela con tanta urgenza. Che i suoi genitori lo volessero oppure no, Demi si sarebbe data da fare per scoprire da sola il contenuto di quella dannata pergamena, con o senza l’aiuto promessole da Damon. Il pensiero di quei tre le fece sobbalzare il cuore con forza mentre accelerava il passo per raggiungerli, sentendo il legno scricchiolante del Ponte sostituirsi finalmente all’erba umida sotto i propri piedi:
- No, non può essere… oh no, no, n-no…- le parole di Elena le giunsero alle orecchie così flebili e spezzate da risultarle di difficile comprensione e, mentre le luci sistemate qua e là a mo’ di decorazione irraggiavano le sagome familiari davanti a lei, la sedicenne sbatté le palpebre, confusa: sua madre, da quel poco che riusciva a distinguere, era accasciata contro il petto di Stefan e sussultava, soffocando i singhiozzi. Damon era di spalle e se ne stava in silenzio, come paralizzato, reggendo tra le dita un grosso ramo nodoso e lucido. La ragazza lo riconobbe all’istante, con un brivido di comprensione.
Oh, santo cielo… pensavano davvero che lei… che lei fosse…?
- Papà!- si sgolò Demi, sbracciandosi dall’altra parte del Ponte per farsi vedere. Tutti e tre i vampiri ebbero un sussulto nell’udire la sua voce cristallina squarciare la coltre d’orrore che li aveva avvolti, ma il primo a voltarsi non fu Stefan: sconcertato come appena riemerso da un incubo, con gli occhi blu sfolgoranti e colmi di chissà quali insondabili emozioni, Damon sollevò il capo di scatto, inclinandolo nella sua direzione, e la individuò nell’ombra, senza alcuna difficoltà. La fissò come si guarda il sole spuntato tra le nuvole dopo un’interminabile eclissi e lei gli sorrise di rimando, rassicurante, trionfante. Ogni tensione sul viso di lui si dissolse, confluendo in uno sguardo fiero ed un po’ triste, poi lui ricambiò il sorriso. Demi pensò che, se non si fosse rimessa a correre subito, sarebbe di certo scoppiata in lacrime. - M-mamma! Papà! Sono qui! Sto bene!-
Elena strillò e, separandosi dal marito, si lanciò verso di lei: la strinse a sé, toccandole il viso con aria incredula, poi le spostò i capelli dalle guance e dalla fronte, sfiorandole la pelle vellutata e fredda con umidi baci gonfi di gratitudine. Di tanto in tanto, tra le labbra socchiuse, sussurrava il suo nome.
- Hey, vieni qui, vieni qui…- bisbigliò Stefan, arruffandole la frangia e abbracciandola delicatamente a sua volta, col respiro affannoso di chi si è appena ripreso da un terribile spavento. Sbirciando al di sopra della sua spalla, Demi notò con disappunto che Damon non li stava guardando di proposito: se lei avesse provato a tendergli la mano per fargli cenno di avvicinarsi, non l’avrebbe vista. -… sei ferita? Va tutto bene? Che è successo?- Stefan le prese lentamente la mano, accorgendosi dell’impeccabile medicazione di Prince, ed aggrottò le sopracciglia, perplesso: - Che significa…?-
- Lasciamola riprendere fiato…- consigliò piano la Gilbert, allontanandosi leggermente dalla figlia senza però staccarle gli occhi preoccupati di dosso: le sembrava più esile che mai, provata dalle peripezie affrontate durante le ultime ore, ma miracolosamente salva e pronta per essere riportata al sicuro. Quando il contatto con il corpo caldo di sua madre le fu sottratto, Demi sentì la pelle d’oca farsi implacabilmente spazio sulle sue membra. Nessuno parve accorgersene. -… ci racconterai tutto con calma, d’accordo?-
- Andiamo a casa.- mormorò Damon con tono basso ma eloquente. La giovane udì la sua voce provenire a sorpresa dalle proprie spalle, poi percepì la soffice carezza della sua giacca di pelle adagiarsi dolcemente sulle proprie spalle intirizzite. L’affetto che trasudava quella premura stridette irrimediabilmente con la freddezza del modo in cui il vampiro si incamminò di nuovo verso la radura: - Guido io.-
 
///   
 
- Sei sicura di voler dormire al Pensionato, per stanotte?- le domandò Sheila esattamente un’ora dopo, mentre entrambe si trascinavano al piano superiore della pensione dei Salvatore, dirette verso la camera di Demi. Reggendo un tazzone di camomilla fumante, la giovane sembrava davvero determinata a non perdere di vista la propria migliore amica per il resto della vita, dopo quello che era accaduto al Memoriale: - Insomma, casa nostra sarà sempre aperta per te, lo sai.- con gli occhi scuri rimpiccioliti dalla stanchezza, la Bennett abbozzò un sorriso incoraggiante: - Mi ero abituata a vederti girovagare per casa, a dover dividere lo stesso tetto con te, a beccarti a pomiciare sul Porticato…-
Demi, colta in contropiede, quasi inciampò nel bordo della vestaglia mentre oltrepassava l’ultimo gradino, poi si voltò a fare una boccaccia all’altra, rassegnata:
- Quando metti alle strette i tuoi e alla fine scopri di essere una specie di fenomeno da baraccone eletto che rischia davvero grosso quando è a contatto con la magia, l’unica cosa sensata che ti resta da fare è quella di starli a sentire quando ti dicono che una casa di streghe non è esattamente il posto più sicuro in cui vivere.- commentò con finta noncuranza, spalancando la porta della propria stanza e lasciandosi investire dal suo odore familiare di menta e d’inchiostro. - Senza offesa, naturalmente.- sogghignò.
- Tranquilla.- acconsentì Sheila, posando la tazza sulla scrivania ed arrampicandovisi a fatica, fino a sedersi con i piedi a penzoloni. Demi diede un’occhiatina nostalgica agli scaffali e ai ripiani che erano stati svuotati dei suoi effetti prima del trasferimento da Bonnie, poi si passò la mano fasciata tra i capelli. Quando tastò lievemente un punto sul proprio collo in cui era impresso lo Stigma, lo sentì molto meno pulsante e doloroso del solito: per quanto potesse sembrare assurdo, l’impacco di erbe adoperato da Prince per disinfettarle i graffi sembrava ancora capace di proteggerla. Santo cielo, Demi avrebbe dato praticamente qualsiasi cosa pur di conoscere la ricetta di quella poltiglia. - L’ultima volta che abbiamo fatto un incantesimo insieme, noi… è stata colpa mia se Sophie ti ha Marchiata, se è riuscita a penetrare nelle tue difese.- borbottò la sua amica aspramente, distogliendola da quelle contorte riflessioni. - Dio, pensa se non fosse stato un sortilegio elementare… forse avrei potuto ucciderti!-
- Senza offesa ancora, She’… credo che il tuo Potere sia forte ma che non abbia nulla a che vedere con quello che ho percepito oggi in quella capanna. Dammi retta... non penso che possa esistere nient’altro di simile al mondo. Niente di più micidiale.- le assicurò la figlia di Elena, gettandosi sul letto con un salto ed affondando la faccia nel cuscino. Ne inspirò il profumo di pulito fino a scoppiare, poi cercò invano di togliersi dal cervello la convinzione che aveva maturato in seguito alle ultime rivelazioni di mamma e papà circa la sua funzione di ‘’Amplificatore’’ e la necessità di proteggersi a qualunque costo: il Potere di Prince… quello sì che avrebbe potuto annientarla in un battibaleno.
- Quando parli di ‘’roba incomparabile’’ stiamo parlando della Magia o del ragazzo in sé?- domandò la Bennett, allusiva, inarcando un sopracciglio davanti a quello che doveva aver scambiato per un tono adorante.
Demi s’imbronciò e le lanciò uno sguardo indignato dall’altra parte della cameretta, con le gote in fiamme:
- Quale parte del ‘si è divertito parecchio a farmi saltare i nervi e poi mi ha sbattuta fuori casa’ non ti è chiara, tesoro?- chiese, con una smorfia scioccata. Quando si rese conto di aver chiamato Sheila con quello stupido nomignolo, desiderò ardentemente mordersi la lingua, ma si limitò a farla schioccare: - Nah. Troppo poco cavalleresco, per i miei gusti.-
- Però ti ha salvato la vita.- obbiettò Sheila, come se si stesse sforzando di far guadagnare qualche punto alla galanteria di Prince Mikaelson. In realtà si sentiva come spezzata in due: una parte di lei era semplicemente grata a quello sconosciuto per aver impedito al peggio di consumarsi proprio nei pressi del Ponte, risparmiandole un futuro di eterno senso di colpa, mentre l’altra cercava semplicemente di deviare i ragionamenti della Salvatore dal terrificante argomento-rivelazione della tarda serata: la Prescelta Marchiata.
- Già.- concesse Demi, testarda. - Perché gliel’ha chiesto Nick.- a quel pensiero, avvertì un moto di malinconia farsi strada nel suo petto come un’onda divoratrice. Chissà lui dov’era, se stava bene, se stava pensando a lei con quella stessa nostalgia annidata tra le costole. Chissà se era una follia desiderare tanto irreparabilmente al proprio fianco lo stesso ragazzo che aveva cercato di tenere lontano da sé per tutto il pomeriggio e se era giusto continuare ad ignorarlo in quel modo, nella speranza di non costringerlo ancora una volta a cacciarsi nei guai per salvarla. - Mi manca.- sospirò d’un tratto la giovane, in tono sommesso. Sheila sollevò impercettibilmente il capo, osservandola attentamente, poi Demi annuì in segno di conferma, con un angolo della bocca a bocciolo piegato verso il basso. - Troppo.-
- Allora chiamalo.- suggerì la Bennett, come se fosse la soluzione più ovvia.
- Prince ha detto che sembrava disposto a tutto pur di proteggermi.- sussurrò piano la Salvatore, senza ascoltarla, sistemandosi supina sul materasso e fissando il soffitto con aria assente. Sheila vide dei piccoli diamanti risplendere in bilico sulle sue ciglia e quasi s’intenerì. - E’ da lui che stava andando oggi, quando è sparito nel cortile della scuola… voleva chiedergli di aiutare me. L’hai visto anche tu quando ha lasciato l’Infermeria, no? Sembrava fuori di sé, dopo essersi messo anche contro Rebekah.- Demi inclinò appena la guancia nella sua direzione, per guardarla meglio: - Quali saranno le conseguenze, se continua a comportarsi così per colpa mia?-
- Se ti ostini a scappare, non lo saprai mai di certo.- le sorrise Sheila, scendendo dal suo trespolo improvvisato sulla scrivania per sedersi sul letto. Dal modo buffo in cui Demi se ne stava rannicchiata su se stessa, come un gatto acciambellato, le pareva che ci fosse dell’altro a tormentarla, oltre alla questione strettamente legata alla sicurezza di Nick.  Forse Prince si era divertito ad insinuare anche altri dubbi nella coscienza della sua amica.
- Forse non sono quella giusta per lui, fine della storia.- bisbigliò infatti lei, poco dopo.
- Stammi bene a sentire, Miss ‘Non Sono Abbastanza’.- si spazientì prontamente la figlia di Bonnie, scuotendola per una spalla. - C’è soltanto un ragazzo capace di farti sembrare una dodicenne in piena crisi esistenziale e quel tipo, in questo momento, vorrebbe che tu alzassi la cornetta. Non gli importa di finire sottoterra o pelato, è pazzo di te!- quella dalla chioma corvina soffocò una risata e Sheila si guardò intorno con una certa circospezione, ritrovando il contegno: - Ma tu non dirgli che l’ho detto. Chiaro?-
- Cristallino.- promise solennemente Demi, col cuore un po’ più leggero.
Poi, quasi senza accorgersene, sbadigliò.
- La verità è che hai bisogno di una bella dormita, tutto qua.- la rimbeccò Sheila, tirando il piumone verso di sé per farlo sfuggire al peso del corpo di Demi sdraiato placidamente su di esso: - Quando ti ricapiterà di poter trascorrere una nottata intera senza tutti quegli incubi? Meglio approfittare della gentile concessione del principe.-
- Pffff.- grugnì Demi, in tono scontento, ficcandosi di malavoglia sotto le coperte.
- Suvvia, non fare la difficile.- rimbrottò l’altra, ravvivandosi i boccoli bruni. - Secondo me tu sottovaluti troppo il fascino del cattivo ragaz…-
- … Toc toc?- quando la testa arruffata di Damon fece capolino oltre la porta, la Bennett sentì la propria voce morirle in gola e serrò le labbra ermeticamente, talmente in fretta da far inarcare un sopracciglio sospettoso a Demi. Il vampiro sbirciò all’interno della stanza, poi improvvisò uno dei suoi migliori ghigni e si rivolse direttamente alla strega: - Granger a rapporto, BonBon ti aspetta di sotto. Pare che l’infinita conferenza sul sovrannaturale sia finalmente giunta al termine.- annunciò, passandosi teatralmente una mano sulla fronte, come per asciugare un velo di sudore inesistente. - Tua madre dice che abbiamo tutti bisogno di un sonnellino prima di passare alla seccatura mistica successiva ed io, inspiegabilmente, credo che abbia ragione. Ergo…- accennò alle proprie spalle, per dirle di seguirlo, ma Sheila non mosse un solo muscolo. Sembrava frastornata e combattuta, affascinata ma allo stesso tempo risentita per via della durezza con cui lui l’aveva trattata al Memoriale. Demi, vedendola così in difficoltà, le diede una spintarella per convincerla a rimettersi in piedi prima che fosse troppo tardi per la sua reputazione.
- Ci vediamo domani.- la salutò, con un’occhiatina eloquente.
Poi posò lo stesso sguardo su Damon.
- Ti faccio strada.- si offrì lui, come se nulla fosse, spostandosi appena per consentirle di passare. Sheila sembrò rianimarsi e si avviò verso la rampa di scale, superando la figura di Damon con il mento sporto in avanti con fierezza. - Dunque, immagino che tu sia un po’… nera con il sottoscritto.- esordì il vampiro, affiancandola durante il tragitto, mentre la ragazza incrociava le braccia sul petto e cercava di non camminargli troppo vicino. Non disse una parola e lui fece una smorfietta consapevole, prendendo quel silenzio per una conferma. - Appunto.- commentò, dondolandosi appena sul posto. - Non ti biasimo, ma… non credo che dirò qualcosa di carino per giustificarmi, ecco. Dovrai fartela passare e basta.- ammise, arricciando il labbro inferiore e scrutandola mentre tentava di evitarlo.
- Mi è già passata.- farfugliò alla fine Sheila, paonazza.
Damon comprese che il tempo a loro disposizione era praticamente scaduto quando udì le voci di suo fratello, di Elena e di Bonnie risuonare poco lontane, ed afferrò il braccio della Bennett di slancio, impedendole di attraversare l’arco prima che lui avesse finito:
- Dico sul serio.- ripeté, contrito. La ragazza lo fissò con gli occhi spalancati, poi percepì la propria la bocca schiudersi in una piccola ‘O’ di sorpresa. Damon non si lasciò scappare la sua espressione rapita e capì di aver vinto. Poi sorrise: - Di questi tempi non è una buona idea mettersi contro delle streghe in gamba, giusto?- chiese, cercando nelle iridi scure di Sheila un altro genere di approvazione.
- Giusto.- cedette lei, annuendo. La presa del vampiro sul suo gomito si allentò e lei se ne liberò senza fretta, avanzando verso il salotto mentre lui rimaneva sulle scale, pronto a risalire da Demi. Prima di scomparire, Sheila si voltò indietro con aria severa: - Farebbe meglio a ricordarselo, signor Salvatore.- consigliò, allontanandosi col naso per aria.
- Ci proverò.- acconsentì lui, fintamente servizievole, lanciandole un ultimo sguardo divertito prima di fare dietrofront.
 
///
 
Quando Damon giunse nuovamente davanti alla porta socchiusa della cameretta, restò a fissare le fitte venature del legno per qualche secondo, incerto, prima di posarvi sopra la mano, spingendo dolcemente. Il lettino di Demi era disfatto ma vuoto e lui, non vedendo la sedicenne sdraiata tra le coltri come si sarebbe aspettato, provò uno spasmo violento dalle parti dello stomaco. Dove…?
- E’ la seconda camomilla che prendo, oggi. E, tanto per la cronaca, mi fa più schifo della prima.- la voce della ragazza lo raggiunse ed il vampiro si girò per localizzarla, sollevato: Demi era seduta sul piccolo davanzale interno della finestra e stava guardando con aria assorta oltre il vetro, verso il cielo terso e la luna perfettamente sferica. Senza voltarsi, bevve un altro sorso dalla tazza che teneva tra le dita, poi rabbrividì di disgusto: - Avevo solo bisogno di dirlo a qualcuno, comunque. Ora puoi anche tornare ad ignorarmi. Non preoccuparti, fai pure con comodo.-
Damon percepì quella frecciatina colpirlo in pieno e così mosse un passo all’interno della stanza, facendo per raggiungere la ragazza. Lei continuò a far finta che lui non esistesse, anche quando vide riflesso il volto del vampiro nello specchio trasparente della finestra, qualche centimetro sopra il proprio.
- Io non ignoro nessuno.- negò lui, abbozzando un pallido sorriso. Era una bugia bella e buona e lo sapevano entrambi: durante il viaggio di ritorno al Pensionato e la vaga ma funzionale spiegazione sulla Maledizione della Clessidra avvenuta davanti al camino, le era sembrato quasi l’ombra di se stesso, freddo ed indifferente per una qualche ragione a lei sconosciuta, e non aveva quasi mai aperto bocca in sua presenza o in quella dei suoi genitori, chiaramente afflitto da chissà quali pensieri. Il fatto che Demi non riuscisse ad indovinarli come al solito la faceva infuriare almeno quanto l’ostinazione di lui nel non rivelarglieli.
- Beh, io sì.- replicò la Salvatore, soffiando pigramente sull’infuso. - Perciò smamma.-
- Ho un’idea migliore.- avvisò Damon, beffardo: Demi avvertì le sue dita scorrerle piano tra i capelli lisci, in una carezza lieve, impacciata; poi, non appena si fu rilassata, lui le spostò giocosamente una ciocca dietro l’orecchio, facendole il solletico. L’angolo della sua bocca rosea si curvò irrimediabilmente verso l’alto… e tanti saluti alla sua espressione forzatamente impassibile.
- Non avevo intenzione di farti sentire trascurata, bambina.- spiegò il vampiro, trionfante, guardandola ridere con un tuffo sordo nel petto. - E’ questa storia della Profezia che mi ha… come dire? Scombussolato.- era praticamente la verità pronunciata sotto mentite spoglie e quella consapevolezza lo fece sentire un po’ meno scoperto sotto quello sguardo così limpido ed intelligente. - E’ già la seconda volta che la sto a sentire ma non vuol dire che il suo contenuto mi faccia meno schifo.- le confessò, scimmiottando la sua lamentela di poco prima a proposito della camomilla.
Demi gli allungò una gomitata con il braccio libero e lui la schivò agilmente.
- Sono io a portare il peso della Prescelta, non tu.- osservò lei, concentrata. Il vento fece tremare più forte i cespugli del giardino, schiaffeggiandone le foglie lucide: - Dovrei essere io quella preoccupata.- aggiunse, mandando giù anche l’ultima goccia di tisana un attimo prima di appoggiare il tazzone accanto ad un orsacchiotto spelacchiato.
- E non lo sei?- domandò Damon, seguendo i suoi movimenti mentre si alzava e si girava a fronteggiarlo. I loro occhi si incrociarono, tinti dalla stessa sfumatura ardente, come la base di una lingua di fuoco.
- Non voglio esserlo.- rispose Demi, semplicemente. Si sentiva audace, ancora rinvigorita dalla soluzione di Prince e amata, piena della sensazione che l’abbraccio con i coniugi Salvatore le aveva regalato al Ponte. Era tornata a casa… era sopravvissuta. - Io voglio combattere.- precisò, stringendo risolutamente i pugni sui fianchi.
Damon la fissò a lungo senza aprire bocca, incantato, poi scosse la testa.
- Questo…- commentò, premendole la punta dell’indice sul naso. Sembrava che stesse facendo di tutto per imitare la voce seriosa di Stefan e lei doveva ammetterlo: il risultato era esilarante. -… è perché sei un’incosciente.-
- E’ perché ti somiglio.-
 
Image and video hosting by TinyPic
Quando la ragazza lo corresse con quella frase convinta ed alzò le spalle con una smorfia intensa sul viso, Damon sollevò a fatica lo sguardo e rimase immobile a fissarla, incapace di ribattere, di pensare. Ebbe l’impressione di aver esaurito la propria scorta d’aria, fino all’ultimo atomo d’ossigeno, e gli parve di sentire le pareti restringersi vertiginosamente attorno a loro, turbinando. Era vero, che gli assomigliava. I suoi capelli di seta nera, la tenerezza del suo sorriso appena accennato, la fine porcellana della sua pelle, quel suo temperamento così ribelle… tutti quei dettagli erano suoi.
Demi… era sua.
E lui avrebbe dato qualsiasi cosa per poterglielo confessare una volta per tutte, una volta soltanto, lasciando che lo stesse ad ascoltare con gli occhi umidi di sconcerto e le dita formicolanti di carezze, di rifiuto e consapevolezza.
 

Image and video hosting by TinyPic  
- Demi, ascoltami, io…- le sussurrò d’impeto, in un fil di voce. Cosa? Cos’aveva intenzione di dirle, a quel punto? La verità, quella stronza che sembrava essersi incastrata di proposito a metà strada nel suo sterno, tra il cuore ed i polmoni, serrandoli in una morsa indissolubile? Forse sarebbe dovuto partire dal principio, rivelandole di aver amato Elena più della vita… molto di più. E dirle che l’amava ancora come un pazzo, come un cieco, illudendosi che lei avesse fatto lo stesso per sedici anni di silenzi. Che aveva amato anche Demetra, forse prima ancora di conoscerla, perché gliela ricordava, perché aveva sempre rappresentato lo spicchio più innocente dell’esistenza che gli era stata strappata via in un modo così ignobile. Avrebbe dovuto spiegarle che aveva coccolato spesso il pensiero di loro tre insieme, di recente, per sentirsi a casa tra le macerie dell’impossibile, e che aveva pregato che si fosse salvata, al Ponte, anche se da secoli, ormai, non credeva più in nulla.  
- Sono qui.- azzardò la Salvatore, sollevando una mano per posargliela sul braccio, nel tentativo di scuoterlo, piano piano. Batté le ciglia, incuriosita davanti a quel suo silenzio così insolitamente teso, tepidante, e lui notò una piccola ruga di preoccupazione scavarle la fronte, spazzando via la serenità dai suoi lineamenti. Allarme rosso. - Sputa il rospo, avanti.-
‘’Più il soggetto Marchiato apparirà emotivamente instabile, maggiori saranno le possibilità che la strega avrà di conquistare il pieno controllo sulla sua coscienza.’’
‘’Sono certo che questo segreto potrà proteggerla ancora a lungo.’’
‘’Sei sicuro che dirle ogni cosa sia giusto per Demi, oltre che per te?’’
‘’Lo so io ciò che è meglio per mia figlia, Damon.’’
‘’Papà!’’
-… vorrei che tu saltassi la scuola, domani.- concluse il vampiro alla fine, con un sospiro sconfitto. Il mondo smise di vorticare e di apparirgli liquido, confuso. Era solo grigio, ora. Grigio come le sue iridi, come la tempesta che incombe, muta, sull’oceano.
- C-cosa? E perché?- Demi inarcò entrambe le sopracciglia, allibita e certa che la stesse prendendo in giro, ma Damon distolse l’attenzione dalla sua incredulità con noncuranza, sferrando un’occhiata critica alla libreria nell’angolo, spoglia e depredata dei suoi volumi migliori. Alla velocità della luce, ogni traccia di vulnerabilità scomparve dal suo volto: la maschera dell’impenetrabile era tornata al suo posto.
- Perché penso che la tua stanza sia piuttosto deprimente senza tutte le tue cose…- chiarì lui, carezzandosi il mento con le dita, come se si stesse sforzando di riflettere. In realtà lo stava facendo sul serio, nel tentativo di trovare un modo rapido ed indolore per deviare la questione dal ‘’devo dirti qualcosa di importante ma ho deciso di non farlo e mi odio per questo’’, tanto che lei lo trovò quasi convincente: -… e, se è deciso che tornerai a vivere qui, forse è il caso che le riporti dov’erano. Mmmh?-
- Damon.- lo fulminò Demi, eloquente, per nulla disposta a fingere di non aver capito che c’era nascosto ben altro, sotto quell’improbabile voglia di rimpinguare la sua cameretta dei vecchi effetti personali. - Fai sul serio?-
- Assolutamente!- confermò lui, battendo angelicamente le ciglia e sgusciando fuori dalla sua portata con un movimento fluido e quasi impercettibile. Demi lo fissò con rimprovero ma lui aveva già raggiunto la porta. Ma dove diavolo credeva di scappare? - Ci penseremo domattina. Andremo a prenderle dalle Bennett... insieme. Così avrai anche una buona scusa per evitare qualcuno di biondo e malefico per un paio d’ore, eh?- sembrava davvero compiaciuto dell’inaspettata plausibilità di quell’improvvisazione, almeno quanto Demi ne era esterrefatta.
- Buona idea.- borbottò lei, passando al contrattacco. - Mi spiace distruggere i tuoi sogni di gloria, però. Prince non frequenta il Mystic Falls’ Intitute.-
Damon, fin troppo prevedibilmente, ammutolì, arrestandosi prima di scomparire oltre la soglia, in trappola:
- Infatti, io stavo parlando di Rebekah!- protestò, compunto, puntandole un dito contro con fare melodrammatico.
- Ah, sì, giusto.- mugugnò Demi, con un ghigno vittorioso ad incresparle la bocca dispettosa. Si sedette sul letto a gambe incrociate, poi si scrutò la punta delle dita con esagerato interesse: - Non te la stavi svignando, comunque?- lo provocò, spietata, guardandolo di sottecchi mentre si infervorava.
- Ascoltami bene, signorina, noi due dobbiamo fare un discorset…-
- Disturbo?- ad interromperlo fu un tono dolce ed esitante: la figura delicata di Elena era comparsa nel corridoio, con la fronte lievemente aggrottata dal disappunto. Forse li aveva sentiti punzecchiarsi fin dalla cima delle scale, visto e considerato il volume isterico che aveva raggiunto la voce di Damon, ed ora era curiosa di sapere che cosa avesse scatenato la sua indignazione. - E’… un brutto momento?-
- *YEP!-
- *NOPE!- strillarono in coro i due Salvatore, voltandosi contemporaneamente verso di lei un istante prima di tornare a guardarsi in cagnesco. Il vampiro aveva ancora l’indice da bacchettone sospeso a mezz’aria, mentre Demetra esibiva un broncio altrettanto palese. Le loro labbra restarono serrate mentre tutti e tre si scambiavano delle rapide occhiate, e persino i loro addominali si sforzarono di rimanere dolorosamente contratti. Non bastò a fermarli: scoppiarono a ridere sguaiatamente, abbassando la guardia, ed Elena ascoltò quel suono armonioso con ogni fibra dell’anima, provando un fiotto di calore dalle parti del proprio cuore che, di colpo, pareva palpitare più sordo, più veloce.
- Shhh. Sveglierete tutto il vicinato!- li rimbeccò, facendo loro cenno di non eccedere con tutto quel baccano. La sedicenne riprese fiato, cercando la tregua negli occhi di Damon. La trovò lì ad aspettarla, mista a qualcosa d’incomprensibile che somigliava alla nostalgia come alla rassegnazione, poi il vampiro rivolse uno sguardo interrogativo alla Gilbert.
- Eri salita a controllarci oppure ad assicurarti che il piano di sopra non fosse già stato demolito?- le chiese, ironico.
- Avete bisogno di essere controllati, per caso?- replicò lei, candidamente, ricambiando la sua aria di sfida. Demi fece scorrere lo sguardo dall’uno all’altra, in silenzio. - Volevo solo darti la buonanotte, piccola. E’ davvero molto tardi, faresti bene a riposare. E’ stata una giornata difficile.-
- Sono a casa con la mia famiglia.- sospirò lei, sorridendo, come se non avesse bisogno di altre rassicurazioni. - Mi sarebbe decisamente potuta andare peggio. Posso sopravvivere al resto.- Damon abbassò lo sguardo, senza farsi notare troppo, ed Elena annuì, con gli occhi improvvisamente lucidi, avvicinandosi al letto mentre la ragazza vi si sdraiava, finalmente pronta a cedere alla stanchezza.
- Dormi bene, D.- le bisbigliò sua madre, piegandosi per lisciarle le coperte. Le sfiorò la fronte e la tempia con i polpastrelli, in quel modo segreto che soltanto le persone presenti conoscevano, poi la baciò delicatamente. Damon, con la spalla poggiata allo stipite della porta, non riuscì a distogliere la propria attenzione dalla scena e vi assistette, impietrito dall’emozione, fino a quando la vampira non si fu rimessa in piedi, raggiungendolo a capo chino, come se avesse paura di affrontare le sue reazioni.
Quando fecero per allungare le mani per spegnere l’interruttore del lampadario, le loro dita si sfiorarono involontariamente. Damon, in uno slancio di follia, strinse quelle di lei tra le proprie, impercettibilmente, mentre il buio calava con uno scatto sui loro volti e li nascondeva, avvolgendoli. Elena trattenne bruscamente il fiato, rovesciando appena la testa all’indietro, poi percepì il respiro di lui sulle proprie labbra dischiuse.
- E’ così che sarebbe dovuto essere. Lo sai.- sussurrò Damon, inudibile, tenendo i propri occhi incatenati ai suoi, l’unico bagliore in quell’oscurità così densa, vertiginosa. Nessuno sarebbe mai riuscito a comprendere quanta sicurezza e quanto dolore fossero condensati in quell’unica frase. Quanta crudeltà, forse. Solo lei fu in grado di avvertirli a pieno, solo tutta la sua pelle, solo il muro gelido contro la sua schiena.
 

Image and video hosting by TinyPic  
 - Buonanotte, Elena.- sorrise il vampiro tristemente, con voce roca, velata di amarezza.
Poi, carezzata da un fruscio, lei trovò il coraggio di riaprire gli occhi appannati.
Era di nuovo sola.
Tremava ancora nell’ombra.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
***
Note dell’autrice:

‘’Sono passati 84 anni…’’ (cit.) MA CE L’ABBIAMO FATTA! Chiedo venia per questo ritardo inaudito ma la sessione d’esami di gennaio/febbraio mi ha assorbita completamente, portandomi sull’orlo di una crisi d’astinenza dal DemiDiaries. Finalmente sono riuscita a pubblicare il 34° che è solo la ‘Parte 1’ di un capitolone davvero complesso… di svolta, oserei dire. Siamo ad un ‘punto di non ritorno’ e le strade di tutti i personaggi, ormai, sono abbastanza intrecciate le une alle altre, pronte all’esplosione di massa.
Demi è sul filo di un rasoio affilatissimo: quello della verità.
E’ giusto che Stefan abbia cercato di proteggerla, celandogliela in attesa di miglioramenti riguardo allo Stigma?
Riusciranno gli adulti ad evitare che le intenzioni di Rebekah si compiano, rendendo vano ogni loro sofferto ma necessario tentativo di ‘’insabbiamento’’ temporaneo?
In caso contrario, quali sarebbero le conseguenze per la Prescelta?
Come si comporterà Prince, dopo aver compreso di essere forgiato da Sophie come un’Arma perfetta, la più letale contro il ‘’piccolo corvo’’?
Possibile che sia l’unico in grado di fornire a Demi la via d’uscita dall’incubo del Marchio e, allo stesso tempo, che possieda IL ‘’Potere’’, quello in grado di consumarla?
Fatemi sapere quali sono i vostri presentimenti, i dubbi e le impressioni, sono davvero d’importanza vitale, per me.
GRAZIE A TUTTI, come al solito, per tutte le vostre recensioni, specie per quelle del cap33 (il più commentato dell’intera fanfiction, quale ONORE!) e ne approfitto per chiedervi perdono per via delle mie mancate risposte. Ho preferito impiegare tutto il mio tempo libero per aggiornare ma ho letto ed apprezzato ogni singola parola che avete speso per me, per la storia e per le emozioni che mi consentite di regalarvi ogni volta.
Alla prossima!
***** Per informazioni e domande, come al solito:
  https://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=hl
  ask.fm/IlDiarioDiDemiSalvatore
 
Un abbraccio e a presto (?)…
Evenstar75 <3
  

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Liars - Parte 2 (Always) ***


*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*
 
Previously On the DemiDiaries.
(rielaborazione delle scene/punti chiave del seguente capitolo)
 
 
Image and video hosting by TinyPic  
Cap32_StigmaDiabolipt1_History:
 
*Nei giardini del Mystic Falls’ Institute*
Nick: ‘’ Preferirei che tu restassi a casa, solo per questa sera, insieme alla tua famiglia, alle tue amiche… in un posto sicuro, insomma.’’
Demi: ‘’D’accordo… niente Memoriale alle Cascate.’’
 
*In Infermeria*
Demi a Nick: ‘’Credo che una strega si sia intrufolata nella mia testa, proprio come tua zia si è tanto divertita a spiegarci oggi.’’
 
Demi: ‘’Che cos’è?’’
Nick: ‘’Lo Stigma Diaboli… il marchio di Sophie Deveraux.’’
 
*In aula*
Rebekah: ‘’ Signor… signor Mikaelson! Torni subito al suo posto! Mi ha sentito bene…? Nicklaus fermati immediatamente, non sei autorizzat…’’
Nick: ‘’Tu-mi-disgusti!’’
 
Nick a Mattie: ‘’Prince è l’unico che possa aiutarci. Saprà come risolvere la questione… ci ha già provato in passato. Io troverò un modo.’’ *le consegna l’anello di Elijah* ‘’So che tu ti fiderai di me, ora. Come sempre.’’
Mattie: ‘’D’accordo. Porta i miei omaggi al principe.’’
 
Cap33_StigmaDiabolipt2_Memorial:
 
Nick a Prince: ‘’L’hanno fatto anche con Demi. Quello che fece a te tanti anni fa… Sophie l’ha fatto anche a Demi.’’
Prince: ‘’Non… non mi interessa.’’
Nick: ‘’No, non è vero.’’
 
*Sul Ponte*
Prince a Demi *tenendola tra le braccia dopo averla salvata*: ‘’Ti tengo io, tesoro… ti tengo io.’’
 
Cap34_Liars:
 
*Alla Capanna*
Demi: ‘’Perché hai fatto questo per me? Prima fai volare Shane dalla balaustra, poi mi accogli in casa tua ed infine… questo. Perché?’’
Prince: ‘’ Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere trascorrere una notte senza incubi. Sono solo i vecchi, infallibili ‘metodi della nonna’.’’
 
*Al Pensionato*
Sheila: ‘’Sarà anche stato sgarbato ma, in fondo, Prince ti ha salvato la vita.’’
Demi: ‘’Perché gliel’ha chiesto Nick. Lui mi manca. Troppo.’’
Sheila: ‘’… e allora chiamalo.’’
 
Bonnie: ‘’Lo Stigma Diaboli è un sigillo antico e terribile in grado di nutrirsi delle sensazioni negative della sua vittima, sfruttandole per progredire.
Più il soggetto marchiato è instabile a livello emotivo,
maggiori sono le possibilità concesse a Sophie di manipolarlo.’’
Damon: ‘’ Siete proprio sicuri che sia questa la sola ed unica ragione per cui non volete che lei sappia la verità (sulla paternità)?’’
Stefan: ‘’ E tu, invece, sei sicuro che dirle tutto sia giusto per lei, oltre che per te?’’
 
Damon: ‘’ Demi, ascoltami, io…’’ *sospiro* ‘’… ecco, vorrei che tu… saltassi la scuola, domani.’’
 






*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*
 
From Sheila:
Perciò… hai davvero deciso di prendertela comoda, stamani? E’ incredibile.
Stai marinando la scuola su consiglio di Damon Salvatore ed osi farlo senza di noi!
Questa ce la segniamo, D, altroché.
Non è vero, Mattie? u.u
 
From Mattie:
Naturalmente!
I mean… SERIOUSLY?!
Ci lasci cavalcare tutte sole verso l’ennesima lezione-killer
di Miss PsycoMikaelson soltanto per restartene IN LETARGO?!  
Ugh, considerati pure imperdonabile!
Dalle mie parti, questo si chiama ‘alto tradimento’!
Anzi, peggio… è diserzione! ;)
 
… disse Mattie dopo aver fallito miseramente nel tentativo di far credere a Caroline di avere ancora la febbre alta…
ficcando il termometro nelle uova strapazzate a colazione.
LOL
 
Io . . .
erano frittelle, quelle, okay?! Non uova u.u
Razza d’incompetente!
 
Fa lo stesso!
 
Time out, Bennett… ascoltami un secondo.
TU dovresti reggermi il gioco, chiaro?!
Si può sapere da che parte stai? :’D
 
 
 
Image and video hosting by TinyPic

Demi mugugnò debolmente di protesta, cercando di ignorare ancora per qualche secondo l’ostinata vibrazione che faceva saltellare senza sosta il suo cellulare sul comodino, poi nascose la faccia nelle pieghe soffici del guanciale, allungando a tentoni una mano verso il legno lucido del mobiletto. Attraverso il sipario dei propri capelli morbidi ed arruffati, riuscì ad individuare il telefonino e a scorgere il contenuto dell’animata conversazione appena comparsa sul suo schermo. Con una mezza risata, rotolò sul fianco, soffiandosi via qualche ciocca ribelle dalla fronte, tanto per garantirsi una visuale migliore, e rispose:
 
Mi mancherete tanto anche voi.
 
Mentre digitava quelle parole sincere, si stropicciò pigramente un occhio, trattenendo a fatica uno sbadiglio fragoroso: si sentiva ancora un po’ intontita ma anche piacevolmente rilassata, ancora avvolta dal piacere riposante che il sonno pacifico e miracolosamente ininterrotto di quella notte le aveva regalato.
Nella quiete dell’incoscienza, persino lo Stigma le era sembrato una ferita in lenta via di guarigione, un flagello passeggero, destinato ad ardere e a pulsare sempre meno sul suo collo innocente.
Purtroppo quell’illusione era svanita troppo presto, col sorgere del sole: ‘’Questa mistura ti darà sollievo.’’ le aveva confidato Prince, applicandola con una maestria senza eguali sulle sue escoriazioni. Le pareva quasi di risentire il suo accento smaccato rimbombarle nelle orecchie, di rimanere ancora una volta spiazzata davanti alla curva beffarda della sua bocca perfetta: ‘’Ma solo per un po’.’’
Demi, senza sapere esattamente come e perché, era convinta che il ragazzo non le avesse mentito riguardo ad una questione così cruciale: presto l’effetto miracoloso delle sue cure sarebbe svanito senza lasciare traccia e, a quel punto, la dannazione più cupa sarebbe tornata a tormentarla. Le sarebbe toccato cavarsela da sola, sforzandosi di trovare al più presto l’antidoto efficace alla cattiveria spietata di Sophie Deveraux… e a quella dei suoi alleati.
 
Non combinate nulla che possa irritare troppo Rebekah.
Intendo dire… non senza di me :)
Mi raccomando.
 
Scrisse quell’avvertimento senza badarci, d’istinto, eppure, prima che potesse impedirlo, avvertì il cuore batterle con una maggiore insistenza nel petto, quasi fosse una creatura selvaggia in trappola, stuzzicata dai ricordi: il primo giorno di scuola, qualcuno le aveva lanciato sul banco un biglietto che conteneva lo stesso consiglio accorato, impresso sulla carta straccia dall’inchiostro blu di una grafia elegante e sottile.
Nick.
Per un attimo, Demi sospirò, poi chiuse gli occhi, come nella speranza di riaddormentarsi abbracciata a quel pensiero. Le reminiscenze di quando ogni cosa era più semplice, libera dalle catene del sovrannaturale, la coccolarono a lungo da dietro le palpebre, spargendole sulle labbra il sapore dolceamaro della vita alternativa che aveva sognato fin da bambina e che, adesso, sentiva scorrerle accanto, vicina quanto irraggiungibile: in quell’esistenza ormai perduta, i suoi genitori sarebbero stati ancora umani e avrebbero continuato a ridere in salotto, stretti l’uno all’altra come quando avevano voglia di scherzare, mentre lei li sfiorava con un ultimo sguardo intenerito prima di tornarsene in camera; lì, una volta giunto il momento, avrebbe potuto occuparsi di tutte le frivolezze adolescenziali che avevano sempre allettato le sue coetanee e, magari, trai banchi di scuola che pullulavano di ragazzi carini, comuni, continuare a comportarsi da dura, coprendo l’imbarazzo provocato dal loro interesse con tutta la spavalderia di cui era capace. Forse, laddove la normalità fosse stata la parola d’ordine, si sarebbe sentita al sicuro dall’oscurità che la circondava e si sarebbe potuta ritenere fortunata, addirittura felice, di certo protetta dal pericolo… e dai suoi desideri.
Ma a quale prezzo?
Mentre si rigirava freneticamente tra le coperte, scatenando una debole protesta da parte del materasso, Demetra si posò cautamente l’indice sotto l’orecchio, ricalcando il profilo del Marchio senza vederlo, solo percependone la consistenza leggermente rialzata sotto le dita: la lieve carezza con cui Nick l’aveva rassicurata in Infermeria le tornò alla mente con un’intensità tale da farla rabbrividire. Ricordava perfettamente lo spesso velo d’orrore che gli si era abbattuto negli occhi al momento della scoperta del maleficio e, soprattutto, la dolcezza disperata con cui lui l’aveva baciata un attimo prima di sparire.
Impetuosa quanto inaspettata, la voglia irrazionale di rivedere il più giovane dei nipoti di Rebekah le premette addosso col peso di un macigno, come se fosse trascorsa un’eternità sconfinata dall’ultima volta in cui gli era stata accanto, e si fece di colpo più nitida, densa … più inaccettabile.
Avrebbe dovuto essere infuriata con lui, o quantomeno salda sulla propria decisione di non permettere mai più a nessuno di frapporsi tra lei ed il suo destino intessuto di rischi mortali, demoni e maledizioni, ed invece...
 
To Nick:
Hey.
Sono qui.
Lo so, lo so. Avrei dovuto rispondere prima a tutte le tue chiamate ma credevo che…
 
Sbuffando d’insoddisfazione, la sedicenne cancellò precipitosamente ogni singola parola picchiettata, poi sprofondò di nuovo con la guancia nel cuscino, accorgendosi di quanto fosse bollente il proprio viso a contatto la freschezza della stoffa. Fece presente a se stessa quanto fosse vigliacco continuare a comportarsi così e, tenendo ben presenti i saggi consigli che Sheila le aveva raccomandato solo la sera prima, aggrottò la fronte in un’espressione più concentrata. Ci riprovò:
 
Allora, innanzitutto volevo dirti che…
 
Ciao! Come stai? Ero così…
 
Mi dispiace tanto, okay? Sono stata totalmente…
 
Sei nei guai.
Si può sapere perché diavolo non mi hai mai parlato di...
 
Dobbiamo chiarire delle cose.
Ma se non hai tempo o hai deciso di ignorarmi, posso capirlo...
 
Senti, ci ho pensato seriamente. Forse è meglio che tra noi due...
 
Hey.
Sono ancora qui.
E’ solo che non me la cavo troppo bene, senza di te.
E tu?
 
Fissò la semplicità disarmante di quell’ultima dichiarazione in silenzio, mordicchiandosi il labbro inferiore dall’indecisione e percorrendo lievemente il bordo liscio del telefono con il pollice, poi pensò che sì, forse poteva andare. Sforzandosi di ignorare la paura di essere respinta mista al proprio inguaribile orgoglio, si impose di premere il fatidico tasto INVIO, ma...
- Sorgi e brilla, Bella Addormentata!- la voce allegra ed inconfondibilmente canzonatrice di Damon la raggiunse un po’ troppo all’improvviso, squillante, facendola sussultare sul posto dalla sorpresa. Con uno scatto deciso, il sole parve squarciare le tende ed inondare completamente la cameretta, investendola col proprio impalpabile abbraccio dorato. La ragazza fu costretta a battere più volte le ciglia, poi si tirò su a sedere, scarmigliata: il vampiro era comodamente spaparanzato sul davanzale interno della finestra, con una gamba a penzoloni, i contorni della propria figura resi lievemente sfuocati dalla luce ed un sorrisino sfacciatamente compiaciuto dipinto sul volto.
Sembrava su di giri e Demetra si accorse che la fissava con insistenza, apprensivo, sornione come chi la sa lunga, come se le avesse riconosciuto addosso le tracce di qualcosa e fosse perfettamente capace di leggerle dentro.
 
Image and video hosting by TinyPic  

Lei sbuffò forte, rintanandosi a tradimento tra le coperte, e gli fece schioccare la lingua d’indignazione:
- E buongiorno anche a te!- la scimmiottò lui, fintamente offeso, osservando le coltri che la nascondevano con una malcelata tenerezza, come se fossero l’incarto stropicciato del dono più inatteso che avesse ricevuto dalla vita. - Pfff… ma guardati! Hai appena saltato la scuola e, invece di darti alla pazza gioia, tutto quello che sai fare è continuare a poltrire col tuo bel nasino appiccicato ad un cellulare.- scandì quelle parole con un tono saccente, come se stesse elencando una serie di sintomi che, secondo il suo parere da esperto, sarebbero stati sufficienti a metterla in quarantena per, diciamo… un paio di secoli. Almeno. - Nope. Decisamente non è da te. Cosa c’è che non va, eh?- addolcì appena la voce, rendendola parecchio più suadente, quasi volesse spingerla a confessare: - Hai per caso combinato qualche guaio a cui ora non sai come rimediare?-
Demi si sentì assurdamente scoperta ed arrossì, incassando quella provocazione veritiera senza fiatare. Come l’aveva capito? Era davvero così evidente, così facile da indovinare, il suo stato d’animo? Si chiese, non senza una punta di disperazione, quanto tempo Damon avesse trascorso appostato sulla finestra di quella stanzetta, a fissarla nell’ombra mentre si tormentava in preda ai dubbi, incapace di rimanere indifferente alla nostalgia crescente che la lontananza da Nick le suscitava dentro.
Le venne voglia di premersi la mano sulla fronte ma, chissà dove, trovò il coraggio di scuotere il capo, in segno di ostinato diniego.
Inutile dire che lui non si lasciò ingannare:
- Suvvia, bambina. Ho visto quella faccia sulla mia faccia troppe volte perché tu possa darmela a bere.- con un balzo aggraziato, si rimise in piedi, avvicinandosi al lettino con fare circospetto, come se si aspettasse di dover assistere, da un momento all’altro, ad un’esplosione nucleare in risposta alle proprie punzecchiature. Lei non osò uscire dal suo nascondiglio di lenzuola ma avvertì comunque un fruscio accanto a sé e capì che si era inginocchiato alla sua altezza, vicino al bordo del materasso.
A quel punto arrischiò un’occhiatina ed il blu delle sue iridi, da sotto un lembo di stoffa inamidata, incontrò il suo specchio perfetto nello sguardo ceruleo di Damon:
- Che mi dici dell’adrenalina post-trasgressione scolastica che dovrebbe scorrerti nelle vene?- le domandò con un ghigno, cercando di sdrammatizzare. -… si è forse presa una vacanza ai Caraibi?!-
- Non ce l’hai un’altra camera in cui stare?- borbottò lei di rimando, svicolando l’argomento con una linguaccia. - Ce ne sono altre sei. E quella sprangata al piano di sopra, tanto per dirne una… suppongo debba essere la tua.- mentre ammiccava in modo convincente nel tentativo di rendergli più allettante l’idea di sloggiare e di lasciarla in pace coi propri crucci sentimentali, la giovane ripensò involontariamente alla porta liscia e sontuosa che per anni aveva stuzzicato la sua curiosità. I suoi genitori le avevano sempre severamente proibito di oltrepassarla, trasformando l’intero corridoio in una specie di ‘ala ovest’ disneyana. Proibito, proibito, proibito. - Non ci ho mai messo piede, lì dentro, a proposito!- rifletté d’un tratto, quasi senza rendersi conto di aver pronunciato quella frase ad alta voce. Damon la osservò perplesso, con un’espressione indecifrabile, e lei gli rivolse un sorrisino di schermo: - Non che non ci abbia provato, sia chiaro. Ma ogni volta che mi ci avvicinavo, mamma e papà perdevano la testa. Soprattutto la mamma. Sai, col tempo ho cominciato a pensare che lassù dovesse viverci un fantasma… o roba del genere.- mentre parlava a raffica, avvertì che un brivido della sua paura infantile le si riaffacciava nella coscienza: con tutto quello che di spaventoso, nell’ultimo periodo, aveva scoperto essere reale, nessuna possibilità era abbastanza assurda da poter essere esclusa alla leggera.
- Un po’ è così.- mormorò il vampiro sommessamente, abbassando per un attimo la testa, assorto in chissà quali pensieri. L’ombra che calò sul suo viso parve scolpire i suoi tratti nel marmo e farli più duri, ancora più segnati da quella cruda sofferenza che non poteva permettersi di mostrarle e che, per questa ragione, lui si affrettò a nascondere dietro una smorfietta ironica: - Oppure… la verità è che sei sempre stata una gran fifona, tutto qui!-
- Io?!- protestò lei, sgranando gli occhioni e boccheggiando, risentita. - Ma se il pericolo è il mio mestiere! Quasi!- si ridimensionò, battendo le ciglia da cerbiatta, con aria angelica. Damon scosse appena il capo, sghignazzando mentre la sedicenne proseguiva, sempre più piccata. Si era quasi dimenticata di tutti gli altri dispiaceri, concentrata com’era nel desiderio di farsi valere: - E dai… ti pare che io possa ancora avere paura degli spettri nascosti nella tua ex camera da letto abbandonata? E’ ridicolo.-
- Lungi da me!- la canzonò Damon, spietato, mettendo le mani avanti. Aveva colto il suo timore di bambina farsi strada nella sua vocetta stridula e non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di infierire un po’: - Sono sicuro che non batteresti ciglio nel varcare quella soglia misteriosa proprio adesso, non è vero? Cioè… brrrrr.-
Demi impallidì lievemente al  pensiero e, con un ringhio esasperato, si premette di nuovo le coperte sulla faccia, come se avesse appena serrato tra loro, con uno schiocco sonoro, la grata di un confessionale:
- La nostra conversazione finisce qui.- tradusse, in breve, bofonchiando quella frase in tono lamentoso.
- Ti piacerebbe.- commentò lui, pacato, punzecchiandola con un dito da sopra le lenzuola e facendole il solletico. Lei agitò un pugno ma il velo di stoffa lo intercettò, attutendone l’impatto ed impedendole mandarlo a segno. - Ancora non mi hai detto cos’è che ti turba. Tanto per la cronaca, non sto… non stiamo facendo tutta questa fatica perché tu ti faccia condizionare da sensazioni negative provenienti da ogni parte dell’universo sfuggita alla supervisione del sottoscritto, okay?- mise in chiaro, con un cipiglio serio che colorì il suo timbro di voce, pur lasciando intatta la sua nota più dolce. - E’ davvero importante che tu sia tranquilla. Potrebbe salvarti la vita.- cercando di non suonare melodrammatico, lui si riprese, aggrottando le sopracciglia: - Quindi… si può sapere perché hai la stessa espressione afflitta che assumerebbe Stefan se la sua tutina da Superman preferita si trovasse in lavanderia proprio nel momento del bisogno?-
Demi, colta alla provvista da quella battuta, si trattenne dallo scoppiare a ridere e decise che era inutile continuare a nascondersi così. Prese un bel respiro e riemerse, facendo capolino oltre i fittissimi ricami, ed inchiodò Damon con un’occhiata intensa. Sembrava determinata a vuotare il sacco, ma anche a prendere il vampiro a calci nel sedere, nel caso lui avesse osato prenderla in giro dopo quella confidenza:
- Hai mai avuto talmente a cuore la sorte di qualcuno da… ecco, da scegliere di tenerlo lontano da te per proteggerlo da ciò che sei?- gli chiese, a bruciapelo. Damon socchiuse appena le labbra, ma non fiatò, lasciandola continuare: - Ti sei mai sentito in colpa per aver ferito quella persona, che nel frattempo lottava per te? Sai come ci si sente quando chiedere scusa può non essere sufficiente a sistemare le cose che tu stesso hai rovinato? Quando si diventa insicuri di tutto?- bisbigliò, come se lo stesse pregando di risponderle di sì. Il vampiro, sbalordito, tentò di controllare le proprie espressioni, per non rischiare di tradirsi, ma lo sforzo fu disumano: si sentiva a mani legate, come imbavagliato, come se qualcuno lo avesse gettato di peso nel bel mezzo dell’oceano, lasciando che i flutti agitati delle sue emozioni contrastanti lo sballottolassero, da una parte all’altra, senza concedergli clemenza.
Aveva fatto un bel casino, certo.
Aveva messo al mondo una figlia che gli somigliava... irrecuperabilmente.
- Fammi un po’ di posto, Disastro.- le sussurrò dopo qualche secondo, indicandole il lato più vicino del materasso con un cenno. Lei annuì in silenzio e poi, quando Damon le si fu sdraiato al fianco, gli si raggomitolò vicina, in attesa. - Capita a tutti di commettere degli errori e, credimi, niente è capace di farti sbagliare come l’affetto che nutri per qualcuno. Può farti diventare pazzo, l’amore che provi.- disse lui, d’improvviso. Se si fosse guardato da un altro universo, gli sarebbe venuto da ridere: non avrebbe mai creduto di essere in grado di dare, per giunta senza particolare impaccio, dei simili consigli a qualcuno, meno che mai a quella ragazzina che, bella come un fiore in boccio, sua come nient’altro era stato al mondo prima d’allora, ne aveva così disperatamente bisogno. - Specie quando si possiede un caratteraccio come il mio… e, neanche a dirlo, come il tuo. E’ inevitabile: a contatto con esso, i sentimenti scatenano una combinazione esplosiva che non porta mai a nulla di buono. Beh… quasi mai.- si affrettò a precisare, facendo scorrere lentamente le dita tra i suoi lunghi capelli. Demi incassò quelle parole assieme alle sue carezze, sentendo le palpebre che le pungevano, inspiegabilmente. - Ma stammi bene a sentire qualunque strafalcione tu abbia commesso, chiunque rinunci a te… è un perfetto idiota. E potrebbe soffrire presto di una curiosa, prematura forma di calvizie… indotta. Mmmh?- con la guancia contro il suo petto, Demetra sorrise e lo strinse un po’ più forte, acconsentendo scherzosamente a quell’allusione.
- Oh... non so come ho fatto a cavarmela, quando non eri nei paraggi.- sospirò d’istinto, con voce rotta dalla sincerità.
Sembrava felice e Damon pensò immediatamente che, se quel silenzio così sofferto poteva sul serio proteggerla e magari donarle un pizzico di quella pace che tanto meritava, lui l’avrebbe mantenuto volentieri per tutta l’eternità. Anche se faceva male, forse era davvero giusto così.
In fondo, era molto più di quanto potesse permettersi di pretendere.
Era accanto a lei.
Il resto, poteva aspettare.
 
***
 
Nick sistemò con delicatezza il colletto della propria camicia bianca come una spolverata di zucchero, poi rimase a guardare il riflesso nello spoglio specchio ovale di fronte a sé: il suo volto era tornato umano e le sue fattezze erano di nuovo le stesse di sempre, scolpite nella loro innata eleganza ed ammorbidite dai timidi raggi di sole che penetravano con una certa ostinazione oltre le imposte nella sua stanza a Villa Mikaelson.
Non c’era più traccia del lupo nei suoi tratti, neppure un’impronta, oramai, di quella creatura feroce, irrazionale e in catene che aveva guardato tramontare la luna uggiolando, riversa sulla terra brulla, pronta ad accogliere l’alba come la più grande delle liberazioni.
 
Sei davvero sicuro di volerlo fare, compare?   
 
Gli occhi scuri e intensi del giovane si posarono distrattamente sullo schermo iridescente del cellulare abbandonato sulla scrivania e, mentre lui leggeva l’sms che Mattie gli aveva appena inviato, si strinsero appena:
 
Credimi, è giusto così. Ma non sarà per niente facile.
 
Mentre le rispondeva onestamente, il suo sguardo fu attirato da ciò che di familiare lo circondava e, quasi suo malgrado, Nick percepì il proprio corpo inclinarsi all’indietro, per permettergli di osservare bene, per l’ultima volta, la disadorna mobilia alle sue spalle: gli scatoloni che non aveva mai osato disfare sarebbero rimasti esattamente lì, immutabili quanto incapaci di patire la sua futura assenza, mentre l’armadio guardaroba nell’angolo esibiva un’anta già spalancata, lasciando intravedere con assoluta chiarezza il proprio interno vacante, svuotato del tutto da qualsiasi indumento.
Dopo aver tirato la cerniera inferiore del bagaglio rigonfio che aveva davanti, con un gesto fluido che mascherava qualsiasi stralcio d’indecisione, il ragazzo si ritrovò a digitare sul telefono qualcos’altro, titubante:
 
Tu stammi vicina, okay? Non credo di farcela, da solo.
 
Infilando qualche altro effetto personale nella piccola valigia, Nick inspirò profondamente dal naso, per mantenersi calmo: la stoffa fine dei suoi abiti sotto i polpastrelli, mentre li accatastava ordinatamente nel borsone, gli sembrava incredibilmente ruvida, arida, un po’ come la parte di lui che, in un modo o nell’altro, che gli piacesse oppure no, sarebbe rimasta ancorata a quella casa… e a sua zia. Sempre e per sempre: era incredibile quanto l’iscrizione sull’anello di rubini di suo padre suonasse come una specie di maledizione, ora, specialmente dopo che lui aveva scelto, dolorosamente ma con certezza, da che parte stare.
 
Oh, sì che puoi. Ma non ti lascerò comunque.
Dovrai fare decisamente di meglio, se intendi liberarti di me! :3
 
Increspando le labbra nell’ombra sbiadita di un sorriso, il ragazzo sistemò il materiale scolastico in un cantuccio, imperterrito, aggiungendovi anche l’unico libro che Prince, solo qualche anno prima, nell’ansia della fuga, aveva dimenticato di portare con sé, lasciandolo, forse intenzionalmente, a prendere polvere su uno scaffale. Era proprio per questo motivo, probabilmente, che il suddetto volume rivestito in velluto era diventato il preferito del fratellino: ‘’Il corvo e altre poesie di Edgar Allan Poe’’, così recitava il titolo in copertina. Dopo averlo aperto e sfogliato, come per leggere i componimenti al suo interno, Nick frugò nella propria tasca, estraendo l’unico oggetto che, in tutti quegli anni, avesse conservato una fondamentale importanza per lui: la foto di famiglia, un po’ ammaccata a causa dal tempo e della nostalgia, più bella e più irraggiungibile che mai.
Tornando a lanciare un’occhiata fugace allo specchio, vide che l’adolescenza l’aveva reso molto più simile ad Elijah di quanto avesse mai potuto immaginare o sperare. Rendersi conto di quella somiglianza così spiccata gli provocò una strana sensazione dalle parti del petto, una contrazione che sapeva di malinconia e di desiderio di essere all’altezza. Se solo suo padre fosse stato lì, di certo avrebbe saputo cosa consigliargli, avrebbe trovato una soluzione ragionevole, l’avrebbe guidato. Ma non c’era nessun faro, sulla sua strada. Solo banchi di tenebra e dovere morale. Soltanto una posizione da assumere, in linea con ciò che provava, giusto o sbagliato che fosse.
 
Ci vediamo a scuola. La salterei di buon grado ma devo rivedere Demi.
So che potrebbe farmi stare meglio. E le devo molto più di questo.
 
Sistemò cautamente il prezioso rettangolo di carta fotografica nel cuore del libro di Poe e ne carezzò appena la superficie, prima di richiudercelo dentro con uno scatto. Per quanto si sforzasse di autoconvincersi di essere irremovibile, osservò le proprie mani vagare a vuoto per un istante, sull’ultima fibbia del bagaglio, prima di allacciarla; quando Prince se n’era andato, di sicuro non aveva avuto tutte quelle esitazioni. Si era sbattuto la porta alle spalle nel cuore della notte, lasciando a lui lo straziante compito di assistere alle reazioni di Rebekah, l’indomani.
‘’Mi resti solo tu. Soltanto tu.’’ aveva singhiozzato lei, abbracciando convulsamente Nick mentre quest’ultimo se ne restava immobile e zitto, a fissare il letto intatto di suo fratello maggiore, lo stesso che il ragazzo biondo si era curato di rassettare in modo impeccabile, come se sperasse di poter rendere in qualche modo più accettabile la propria dipartita ai loro occhi. ‘’Ho rovinato tutto, Nick, sono stata io… ma cambierò. Va bene? Sarò migliore per te, devi darmi un’altra possibilità. Puoi farlo? Puoi?’’
Issandosi pesantemente il bagaglio sulle spalle, il giovane Mikaelson riuscì giusto ad intravedere il contenuto dell’ultimo messaggio:  
 
Frena un secondo, Romeo… c’è una cosa che devi sapere.
Vorrei dirtelo di persona, ma Demi non v…
 
- Particolarmente mattiniero, oggi?- con uno scintillio di lucenti capelli dorati, sua zia comparve in un batter d’occhi sulla soglia della stanza, con le braccia incrociate sul petto ed un cipiglio accondiscendente, ignaro, impresso sul bel viso di porcellana. - Non hai neanche fatto colazione. Posso… prepararti qualcosa. Possiamo parlare.-
Nick sollevò a fatica lo sguardo spento su di lei, che si impegnava a comportarsi come la più materna ed apprensiva delle creature. Come al solito, dopo averlo ferito, Rebekah cercava di ricominciare da zero, di fargli dimenticare tutto con qualche premura. Per anni, forse persino inconsapevolmente, aveva elemosinato così le briciole insufficienti del suo affetto, cercando di sopravvivere alla propria solitudine e sfruttando il suo bisogno altrettanto incolmabile di sentirsi amato e protetto da qualcuno. Soli al mondo e furiosi per tutto ciò che era stato loro portato via, si erano fatti compagnia a vicenda, pur mal sopportandosi, incapaci di privarsi dell’unico legame affettivo che, per quanto malato, fosse rimasto ancora in piedi, nonostante tutto, dopo infinite tragedie.
Lo stomaco di Nick si rivoltò silenziosamente mentre lui avanzava di un altro, decisivo passo:
- Me ne vado.- annunciò, con tono fermo, serrando le dita attorno alla fascia del suo carico. Sua zia lo scrutò seria, senza aprire bocca, mentre le sue iridi perlustravano avidamente l’espressione forzatamente neutra del ragazzo ed il borsone che lui reggeva. Le sue gote ebbero uno spasmo e si chiazzarono di violaceo. - Non è più il mio posto, questo.- continuò lui, come se ogni parola gli costasse una fitta indicibile.
Aveva creduto di riuscire ad ostentare forza e determinazione al cospetto dell’Originale ma, come al solito, si sentiva solo svuotato, devastato dal peso che la portata di quel gesto avrebbe esercitato sul suo futuro. Si era sempre atteggiato da adulto, negandosi i semplici svaghi e la spensieratezza dei bimbi qualunque, ma forse era giunto il momento di crescere davvero, ora.
- Il tuo posto è con me.- biascicò Rebekah, dopo qualche momento di silenzio. La voce le tremava ma era qualcosa di diverso dalla semplice rabbia. Era spaventata, indispettita, autoritaria, disorientata. - Questa è la tua casa. Io sono la tua famiglia. Non andrai da nessuna parte. Disfa subito quella valigia.-
- Non lo farò.- ribadì Nick, affrontandola senza arroganza ma con una compostezza che parve farle ancora più male. Lui conosceva molto bene quell’occhiata, quella che lei gli riservava immancabilmente quando parlavano di una persona in particolare, dalla quale Nick aveva ereditato la propria quasi inesauribile capacità di perdonare, di concedere al prossimo l’ennesima, inascoltata occasione di redimersi: il saggio fratello maggiore che la vampira aveva amato tanto, ma forse non abbastanza da schierarsi contro gli abomini che l’avevano assassinato. - Lasciami andare via da qui.-
- Ho esagerato.- ammise Rebekah, senza obbedirgli. Sembrava che non l’avesse neanche ascoltato, mentre il suo petto si agitava, come alla ricerca d’aria. - Lo so che sei infuriato, e hai ragione. Non avrei dovuto proiettare le immagini di Shane in classe… non davanti a te. Mi sono lasciata prendere la mano. Non intendevo…-
- Che differenza fa una diapositiva in più o in meno, in fondo? Che cosa conta, quando poi sei dalla stessa parte di quell’uomo crudele e di quella strega malvagia che non fa che devastare tutto ciò che di bello esiste nella mia vita?- fremette lui, istigato dal senso di delusione e disgusto che aveva provato nel vedere con quanta leggerezza sua zia avesse presentato agli studenti del proprio corso lo stesso vampiro che aveva minacciato Hayley con un coltello, in quella notte maledetta, prima che Sophie la finisse col suo sortilegio micidiale.
Suo padre, si disse, avrebbe mantenuto i nervi saldi.
Suo padre non si sarebbe lasciato sopraffare dal rancore.
Suo padre, però… non c’era più.
- Non posso più vivere così. Prince lo sapeva, se n’è tirato fuori in tempo. Mio fratello…- la voce gli s’incrinò. -… che ha perso tutto, persino la sua umanità, e che io stento a riconoscere... per colpa vostra!- la donna s’irrigidì di colpo, travolta dalla stessa accusa urticante che anche il figlio di Klaus le aveva rivolto nel giorno del suo ritorno a Mystic Falls, con quegli occhi verdi traboccanti di biasimo, decisamente troppo distanti e feroci, per un ragazzo di quell’età:
- Tu, meglio di chiunque altro, dovresti sapere la verità…- ansimò, con le ciglia chiare grondanti, incastonate di lacrime. -… ti ho raccontato com’è andata con Prince, molto tempo fa. Ritenevo che fosse la sua natura speciale a provocargli quelle atrocità, me ne sono lasciata convincere, e l’unico sistema efficace che credevo potesse guarirlo era consegnarlo a Sophie!- il pianto cominciò a segnarle le guance, scuotendole il timbro vocale e spandendosi in larghi torrenti oltre il suo mento, a gocciolarle lungo la mascella. - Mi tenevano in pugno, Nick! Pensi che sia stato facile, per me, vederlo affrontare quel calvario? Pensi che non volessi aiutarlo, che non abbia cercato di farmi svelare che cosa accadesse realmente durante quegli incontri? Hai sempre creduto alla mia versione, non capisco perché tu debba dubitarne ora…-
-  Perché non riesco proprio a capire come tu possa aver provato sinceramente pietà di lui, se adesso non batti ciglio, anzi, godi, quando è un’altra persona innocente, quella condannata alle sue stesse torture!- sbottò lui in risposta, con la brace del risentimento che gli infuocava lo sguardo.
Rebekah ammutolì per un istante, poi arretrò impercettibilmente. Per un attimo di follia, il giovane pensò che si fosse spostata per lasciarlo passare, arrendendosi, ma la vampira lo squadrò dall’alto in basso, con le palpebre socchiuse dalla comprensione.
- E’ questo il punto, allora.- sibilò, improvvisamente gelida. - Il vero problema è quella ragazzina. Demetra.- pronunciò quel nome con astio evidente, come se ci avesse sputato dentro tutta l’avversione accumulata nei secoli nei confronti della stirpe Petrova: di Tatia, la splendida, impacciata fanciulla del loro villaggio natale, che aveva rubato il cuore dei suoi fratelli maggiori per poi disintegrarlo, quando Esther aveva sfruttato il suo sangue per sigillare la Maledizione di Klaus; di Katerina, la sgualdrina manipolatrice che aveva spinto persino l’onorevole Elijah a tradire l’ibrido per salvarla, fuggita come una vigliacca irriconoscente alla prima occasione; e infine di Elena, la migliore amica di Matt Donovan, protetta eroicamente da quest’ultimo a prezzo della propria vita.
Suo nipote non negò e la bionda proruppe in una risata sciocca, prostrata: era assurdo pensare a come non avessero mai dovuto compiere il minimo sforzo, certe persone, per ricevere l’amore che lei, invece, aveva anelato per più di mille anni, senza mai poterlo sfiorare. Ancora una volta, le parve di sentirsi messa in secondo piano dalle persone che rappresentavano tutto per lei, di essere indegna della loro attenzione, di essere pronta per essere abbandonata… per sempre.
- Sei un povero illuso, Nick!- scoppiò, asciugandosi il viso con un gesto brusco, che lo fece trasalire. – Non puoi vincere questa guerra da solo, in nome dei sentimenti che provi per lei. E’ un suicidio. Mi sembra di risentire tuo padre! Credi che lui sarebbe fiero di te, se sapesse che stai mandando alla malora il suo sacrificio per una follia simile?- urlò, come se ce ne fosse bisogno, come se lui non stesse soffrendo già abbastanza a causa del bollore che quel dilemma così delicato gli provocava nelle viscere.
Nick scosse lievemente il capo, poi schiuse le labbra:
- E di te, sarebbe orgoglioso?- mormorò, fissandola con intensità. Rebekah esitò appena, poi abbassò lo sguardo e si strinse nelle spalle, digrignando i denti. Non c’era la necessità di rispondere a quella domanda retorica, così Nick sospirò: - Non voglio più negare a me stesso la possibilità di tenere a qualcuno, proteggendolo con ogni mezzo a disposizione. Non voglio finire consumato dal rimorso per ciò che avrei potuto avere e che invece non ho osato prendere per paura. Mai più.- non aveva preparato alcun discorso d’addio e quelle parole gli sembravano assolutamente insufficienti, improvvisate. Eppure erano talmente liberatorie da scavagli l’anima, raschiandola, levigandola, riportandola all’antica luce. Avrebbe voluto condividere con la vampira qualche scintilla di quella sensazione ma lei non aveva ancora sollevato il viso, tenendolo ostinatamente chino, seminascosto.
Era come se, ad opprimerla, fosse il fardello di ciò che lei sapeva, di lì a poco, sarebbe accaduto. Il ragazzo deglutì, dondolandosi sui talloni, poi mosse un altro passo in avanti, stavolta verso di lei.
- Puoi ancora scegliere, zia.- sussurrò, posandole una mano sulla spalla, in un inedito gesto d’affetto. Rebekah non riusciva a ricordare quando era stata l’ultima volta che qualcuno le aveva fatto una carezza. Poteva imporsi di non guardarlo in faccia, certo, ma non fare a meno che la sua voce le rimbombasse dentro, con un timbro più profondo, più docile. - Non preferire i morti a quelli che vivono. Combatti questa tua sete di vendetta, che non ti porterà altro che dolore e miseria. Rinunciaci.- il cuore dell’Orginale ebbe un battito più violento, come se stesse reagendo, e volesse liberarsi, come se fosse davvero in grado di farlo.
La speranza ingenua che trasudava dagli incoraggiamenti di suo nipote la spinse ad ostentare un cenno di silenzioso, acre diniego: la prospettiva di attivare la Pietra della Resurrezione era stata la sua ossessione per sedici anni, la sua ancella fedele, la sua ancora di salvezza.
Aveva sacrificato in suo nome energie e sogni, danneggiando irreparabilmente la propria anima e confidando soltanto nel sollievo che, ne era certa, quel prodigio avrebbe potuto restituirle.
Cos’altro le rimaneva, in fondo?
Anche Nick si era arreso, con lei.
Checché ne dicessero le sue ultime frasi compassionevoli, la valigia che portava in spalla parlava fin troppo chiaro.
Era perduta, rinnegata, condannata.    
- Mai.- sbottò lei, implacabile.
L’espressione fiduciosa di Nick si congelò di colpo mentre restava impietrito dall’orrore. Le sue dita scivolarono debolmente lungo il braccio della donna, inerti, come se non gli appartenessero più. Lei non fece che rincarare la dose, per impedirsi di considerare il valore intrinseco di quel gesto, ed esplose:
- Se per ottenere ciò che voglio dovrò distruggere con le mie stesse mani Demi Salvatore, giuro che lo farò. Non è nulla che io non abbia già compiuto in passato. Ogni suo respiro è un’offesa, per me, e se te ne vai adesso… vorrà dire che sarai tu l’ultima cosa che lei e la sua famiglia saranno riusciti a portarmi via.-
Nick avrebbe preso in considerazione la nota stridula che aveva vibrato forte su quelle ultime sillabe, se solo non fosse stato così mortalmente impegnato a ricomporsi. Cercò di ritrovare la forza necessaria a muovere i muscoli del volto e delle gambe, paralizzati ed intirizziti dalla consapevolezza di non poter più tornare indietro, senza però ottenere il minimo successo.
- Addio, zia Rebekah.- esalò in fretta, senza respiro, superando la sagoma della vampira per dirigersi in salotto.
 

Image and video hosting by TinyPic  
Se non avesse conosciuto a memoria il percorso che lo separava dalla porta d’ingresso, non sarebbe riuscito ad orientarsi, con gli occhi così appannati e gonfi d’amarezza. Le urla di lei lo accompagnarono per tutto il tragitto, assordanti, ma lui non si fermò.
Per quanto fosse difficile, non smise di camminare:
- Aspetta, Nick! Fermati! Dove credi di andare? Dove non posso proteggerti? Resta qui… ti prego, possiamo…! Non farlo, non osare! Quando avrai varcato quella soglia, sarà finita, capito?! E’ la tua scelta! Mi hai sentito? Nick! Torna indietro. Nick!- quando si fu chiuso il portone alle spalle, appoggiandovisi debolmente con la schiena, il ragazzo ansimava come se avesse appena smesso di correre a perdifiato.
Pensò disperatamente che non avrebbe retto a quelle emozioni, che ne sarebbe rimasto travolto, mutilato. Gli sarebbe piaciuto poter piangere a dirotto, lasciando che la sua angoscia trovasse una qualche valvola di sfogo, ma non ci riusciva.
Si staccò dal legno, barcollando, poi si trascinò verso l’auto parcheggiata nell’angolo esterno del cancello, bella ma quasi opaca sotto l’abbraccio di un sole che gli sembrava essere imploso. Senza che ci fosse bisogno di liberare la sicura, aprì lo sportello anteriore e vi si fiondò dentro.
Quando era tornato dalla foresta in cui si era trasformato, quella mattina, non si era degnato di sigillare le portiere della Ferrari.
Aveva sempre saputo che sarebbe stata solo questione di tempo e che presto, devastato esattamente com’era ora, si sarebbe ritrovato accasciato su quel sedile, come un reietto in preda ai tormenti.
Nick! Sono io, la tua famiglia! Dove andrai, adesso?
Mantieni la parola, almeno tu.
Sei un bravo, bravo bambino.
Asciugati il viso, coraggio. D’ora in poi ci penserò io, a te…
- Hey.- quando una voce dolce e reale gli giunse da poco lontano, lui stentò a localizzarla da sopra al frastuono che gli si era selvaggiamente abbattuto nella mente, annullandola tra i ricordi. Mentre batteva rapidamente le palpebre, una mano paffuta si posò sulla sua che, lui si rese conto, era appoggiata sull’orecchio, come se la parte più inconscia della sua anima avesse voluto tentare di schermirlo ancora dal boato interiore, com’era già accaduto una volta… nella botola.
C’era un vago profumo di fragole nell’abitacolo e Nick trasalì dallo sgomento quando individuò la figura di Mattie Lockwood accanto a sé.
- No, non sono un’allucinazione. Sì, sono venuta a controllare come te la stessi cavando… con questo.- lo aggiornò la biondina, indicandogli un pezzo di tavola con quattro ruote che lui comprese essere uno skateboard rosa. - Sì, dovremo falsificare la firma di mia madre sul permesso della mia entrata a seconda ora. No, non me ne frega un emerito… tubo, della condotta. Se non sei contento di vedermi, affari tuoi. Hai lasciato la macchina aperta ed io ci sono entrata. Ahimè, certi rischi bisogna pur prenderli in considerazione!- Nick boccheggiò, stralunato, contemplandola come se non l’avesse mai vista prima. Che cosa diavolo ci faceva lì, come le era venuto in testa di…? – Ah! Non dire nulla. Fermo lì. Guarda che cosa ti ho portato.- proseguì prontamente Mattie, imperterrita, sfilandosi dal dito anulare qualcosa di rosso e dorato. Il giovane Mikaelson osservò l’anello di Elijah con un misto di tenerezza e di sbalordimento, e sentì che un po’ del ghiaccio avvelenato che gli aveva artigliato l’anima si scioglieva al calore che quel rubino, ormai da secoli, emanava. Se il sole si era oscurato, quella pietra meravigliosa splendeva più ardente che mai. Sembrava addirittura che il luccichio sulla sua superficie fosse quello di un sorriso benevolo, famigliare. Un groppo di commozione gli serrò la gola.
- Ho pensato che avresti avuto bisogno di indossarlo di nuovo, oggi. E poi, diciamocelo, era un po’ troppo largo per me. Ho dovuto tenerlo legato al collo come un moderno Frodo Baggins per quasi tutto il tempo, e che diamine! Insomma, bando alle ciance, sono o non sono un tesssoro?!- sorrise la figlia di Caroline, porgendogli ossequiosamente il monile.
Nick non lo prese, non annuì, non fiatò, non riuscì neppure a pensare: in un attimo si sporse oltre il sedile e la cinse in un abbraccio mozzafiato, seppellendo il viso nella sua spalla morbida e tenendo la fronte premuta tra i suoi riccioli dorati.
- Non c’è di che!- ansimò Mattie, mezza soffocata da quella stretta, tamburellandogli con le dita sulla schiena prima di ricambiarlo con la stessa intensità, con le guance che le si scaldavano alla velocità della luce, come se lei si fosse appena trasformata in una specie di vulcano sull’orlo dell’eruzione. Imbarazzante.
Nell’udire risuonare un suo colpetto di tosse eloquente, lui soffocò una risata che, inevitabilmente, finì per assomigliare ad un singhiozzo spezzato. Ben presto, a quello sfogo inconsulto ne seguirono degli altri, ma la Lockwood non lasciò andare l’amico fino a quando anche l’ultimo dei suoi tremiti non si fu placato: sapeva quanto il gesto di abbandonare la propria dimora gli fosse costato caro e non trovava le parole giuste per esprimergli a dovere quanto, ai suoi occhi, fosse stato coraggioso. Perciò si limitò a tenerlo stretto in quel modo, lasciandolo andare, seppure a malincuore, soltanto quando, strofinandosi un occhio arrossato, come un bimbo appena sveglio, Nick non si decise ad allontanarla delicatamente da sé:
- Woah.- espirò lui d’un tratto, battendo la nuca contro il poggiatesta e rilassandosi sul posto, con le palpebre serrate, come se stesse cercando in tutti i modi di rendersi conto, lucidamente, di ciò che era appena accaduto. Certo, si sentiva ancora saturo di perdita, come se avesse consapevolmente tagliato via una parte del suo essere che non avrebbe mai smesso di mancargli, ma anche stranamente leggero. – Non posso crederci. L’ho fatto sul serio!-
- Allora.- esordì Mattie, osservandolo di sottecchi, come se potesse intuire i suoi pensieri. Si tirò una ciocca dietro l’orecchio, tanto per tenersi impegnata, e lanciò un’occhiatina furtiva ed atterrita allo specchietto retrovisore dell’auto, sperando di non vederci riflesso dentro il proprio volto in fiamme: missione-miseramente-fallita. - Ti senti un po’ più… libero, adesso?-
- Mi sento… un senzatetto.- confessò lui, con voce atona, senza aprire gli occhi. - Ma non ho rimorsi. Non stavolta.- aggiunse sincero, prima che la ragazza potesse interromperlo con qualche uscita sarcastica. Con lentezza, schiuse le ciglia e tornò a guardarla, mentre un sorriso sereno faceva timidamente capolino tra le sue labbra. - Ed è una gran bella sensazione, per me.-
- Lo so.- gli ricordò Mattie, restituendogli il sorriso con tenerezza.
Per qualche secondo non ci fu nient’altro da dire e si limitarono a lanciare il borsone all’indietro, spingendolo con forza, insieme, sui sedili posteriori. Poi, mentre la Lockwood guardava la valigia atterrare con un tonfo sonoro, Nick estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni, controllando le ultime chiamate con un’ostentata noncuranza che non riusciva proprio a risultare convincente. Notando il suo cipiglio deluso, lei capì che era precisamente quello il momento di intervenire:
- Vedi, caro mio, ci sono solo due cose in grado di risollevarti la giornata quando questa comincia così male da far schifo: le persone che ami…- impercettibilmente, lui strinse il profilo del telefonino tra le dita. -… oppure… una montagna gigante di bignè alla crema!- concluse la bionda, con aria di saggezza, intercettando senza rimpianti il suo sguardo ora semplicemente allibito. - E vuoi sapere una cosa? Non sono neppure tanto sicura della prima!-
Nick rise nervosamente, intuendo finalmente senza difficoltà dove lei volesse andare a parare:
- Ricevuto. Ci sono novità riguardo a ieri sera, vero? Vuoi… prepararmi psicologicamente a qualcosa di sgradevole che è accaduto e che non mi piacerà affatto sapere?- le chiese, paziente, con una punta di rassegnazione; era evidente dalla sua espressione che si fosse appena messo a prendere in considerazione una lista piuttosto dettagliata di calamità, le peggiori immaginabili, nell’eventualità imminente che Mattie potesse confermargliene una. La biondina esitò, grattandosi la nuca e cercando di trovare il modo più delicato di annunciargli che la sua fidanzata si era cacciata nei guai durante un Memoriale al quale non avrebbe dovuto partecipare, era scomparsa per l’arco di paio d’ore nei pressi delle Cascate ed infine era stata miracolosamente tratta in salvo (/sequestrata/curata/quasi defenestrata) dall’elusivo Prince, ma non ci riuscì.
Il figlio di Elijah la guardò in tralice, irrequieto:  
- P-posso reggere, okay? Perciò… dimmelo e basta, nana. Per cortesia. Che cosa mi sono perso?-
- Bignè, prima. Brutte notizie, poi.- rispose la piccoletta, indicandogli la strada con un cenno inesorabile. Lui fece per protestare, ma lei ammiccò, giungendo le mani e tirando fuori la più amabile e persuasiva delle proprie faccette: - Al cioccolato?-
Nick inspirò profondamente, poi girò le chiavi nel quadro, ascoltando le fusa provenienti dal motore con un impeto d’incondizionato affetto.
- Al cioccolato.- acconsentì infine, sconfitto, prima di premere il piede sull’acceleratore e di imboccare alla velocità della luce la via più breve verso il loro luogo favorito di sempre, almeno per quanto riguardava le confessioni più scomode: il Mystic Grill.
 
***     
 
- Ahah… no, nope! Smettila… subito… ahi, così mi fai… il solletico, no! Piantala, Damon!- sghignazzando a più non posso, seppur con una fatica immane, Demi riuscì a svicolarsi dalla presa scherzosa del vampiro e poi, disarcionandolo con uno strattone ed afferrando il suo cuscino con entrambe le mani, pronta a brandirlo come un’arma, lo colpì dritto in faccia, facendo sì che, nell’impatto, qualche piuma sparuta spuntasse oltre i bordi della federa. Damon, neutralizzato, si accasciò con pomposa teatralità sul materasso, fingendo di essere stato gravemente ferito e di avere, per questa ragione, soltanto pochissimi altri minuti a propria disposizione:
- Mi hai battuto, piccola.- rantolò, con la mano tremante che gli artigliava la stoffa della maglia sul petto, come se, proprio in quel punto, qualcuno l’avesse trafitto mortalmente. Fissava il soffitto con aria assente, quasi in cerca della famigerata ‘’luce in fondo al tunnel’’, e Demetra dovette sporgersi su di lui con tutto il viso per poter rientrare, col proprio ghigno soddisfatto, nel suo campo visivo; non si era mai sentita più bambina di così e forse era stupido, ma non si sarebbe negata il divertimento infantile di quel gioco per niente al mondo. Era la più grande riserva di energie positive a cui potesse auspicare: - Ti lascio in eredità tutti i miei averi.- tossì lui, roteando gli occhi, enfatico. La sedicenne gli batté caritatevolmente una mano sul braccio, come per incoraggiarlo a resistere, e così lui proseguì: - La collezione di bicchieri di cristallo, quella nascosta nel cassetto del Bourbon…- piagnucolò, come se stesse delirando per via della febbre. -… le mie lenzuola di seta nera... la mia copia autografata di ‘’Via col vento’’…- si asciugò una lacrimuccia inesistente, poi annuì tra sé e sé, ormai convinto: - Sì, anche la mia preziosa Camaro… prendila, Demi… è tua.-
La ragazza, a quel punto, non riuscì a trattenere un fischio di ammirazione.
- Uhhhh… dici sul serio?- gli chiese, battendo le mani, tutta esaltata.
Damon le lanciò un’occhiata significativa, scrollando le spalle:
- Ma ceeerto… che no!- quando lui si voltò di scatto, atterrandola di nuovo e riprendendo a farle il solletico, Demi strillò di sorpresa, ricominciando a divincolarsi, senza fiato dalle risate. - Mai abbassare la guardia, quando si crede di aver vinto, perché è in quel preciso momento che il nemico ne approfitterà per attaccare! Ah, si può sapere cosa vi insegnano in quelle scuole, oggigiorno?- petulò ironicamente Damon, beccandosi un sonoro calcetto negli stinchi in segno di protesta.
- Dubito che possa saperlo, visto e considerato come l’hai convinta a saltare le lezioni, fratello.- commentò una voce profonda e volutamente seriosa dalla soglia della cameretta, comparendo assieme alla sagoma slanciata di Stefan. Il vampiro li stava osservando già da un po’ con una strana espressione, con le braccia lievemente incrociate sul petto, ma, per loro fortuna, c’era anche l’impronta di un sorriso consapevole ad arricciargli la bocca, pronta a tradire il suo reale stato d’animo. La Salvatore si raddrizzò prontamente sul posto, servendosi della momentanea distrazione di Damon per scrollarselo comicamente di dosso, poi abbozzò una faccetta contrita al cospetto di Stefan:
- Non me la sto prendendo con te, tesoro.- la rassicurò quest’ultimo, accomodante.
Quando Demi fece per prendere la parola, nell’intento di difendere Damon dalla velata accusa presente nel tono di suo padre, il vampiro dagli occhi di ghiaccio la zittì, facendo spallucce:
- Eddai, non sciupargli la festa. Ci ha messo quasi due secoli di allenamento per riuscire a perfezionare a dovere la sua ramanzina prediletta, ovvero quella dal titolo: ‘’Damon-il-cattivone-ha-una-brutta-influenza-su-chiunque-gli-stia-intorno’’.- le bisbigliò, confidenziale quanto ironico. - Mettiti pure comoda. Non vorrai mica perdertela!-
Demi, obbediente, si spaparanzò sul letto, muovendosi in sincronia con lui e fingendo di sgranocchiare pop-corn nell’attesa, e Stefan si vide costretto a scuotere dolcemente la testa:
 
 
Image and video hosting by TinyPic  
- Divertente.- borbottò, alzando le mani. Non c’era partita contro quei due pestiferi, specie se coalizzati. - Sono venuto solo per dirvi che Bonnie ci aspetta. Prendiamo le tue cose e ce ne torniamo a casa per pranzo, Demi... che cosa ne dici?- mentre Damon rifletteva sul modo alternativo che lui avrebbe utilizzato per proporre alla ragazza la stessa identica questione (qualcosa di più simile ad uno spiccio ‘’Allora, hai… massì, mezz’ora di tempo al massimo per prepararti, dopo di che me ne andò solo soletto dalle Bennett e chissà cosa potrei combinare in tua assenza. Come si dice? Bimba avvisata…!’’), la sedicenne annuì calorosamente:
- D’accordo, papà.- acconsentì, calciando via le coperte ed addossandole di proposito su Damon, fino a seppellirlo interamente. – Vuol dire che finiremo un’altra volta il discorso sul tuo testamento, noi due.- mentre Demi ammiccava, indirizzandogli una strizzatina d’occhi, lui rispuntò tra le coltri, arruffato come un naufrago tra le onde. Lei scrollò la chioma corvina con fierezza: - C’è una cosa che mi spetterebbe di diritto e che non hai neppure nominato tra le tue ultime volontà. Vergognati.-
- T-testamento?- impallidì Stefan, senza capire. Damon lo ignorò e si mise in piedi a sua volta, lisciandosi scrupolosamente gli abiti scomposti dalla lotta di cuscinate precedente:
- Sarebbe?- domandò a Demetra, punzecchiandola. - Sentiamo.-
La giovane scrutò per una frazione di secondo la perplessità del minore dei fratelli, come se stesse valutando la possibilità di rivelare o no un particolare simile davanti a lui, poi fece una smorfietta innocente:
- Hai dimenticato di aver stretto un accordo con me?- chiese, vaga. - C’è una cosetta che avevi promesso che mi avresti aiutato a trovare in cambio delle mie informazioni su Prince. O sbaglio?- specificò, allusiva quanto bastava per farsi capire soltanto da Damon.
Due sere prima, si erano stretti solennemente la mano davanti al camino del Pensionato, mentre il vampiro cedeva alla sua richiesta di rivelarle quanto, una volta a contatto col fantasma della Stamberga, fosse riuscito a scoprire a proposito della Maledizione della Clessidra e della Prescelta. Al suo ritorno, poi, nel cuore della notte piovosa, trovandola assopita tra mucchi di cartacce, le aveva svelato di essere a conoscenza del luogo in cui si trovava la Profezia anelata da Prince e ricercata da Nick ma, nelle ore successive, aveva evitato l’argomento con tutte le proprie forze, forse sperando che lei dimenticasse i patti.
Ingenuo.
- Hai ottenuto i tuoi chiarimenti sulla Profezia… proprio ieri.- le fece notare Damon, un po’ piccato. - In ritardo, okay… ma li hai avuti. E si dà il caso che noi ci siamo anche fatti in quattro per tradurre tutto il malloppo dall’aramaico per te… vero, Stef?!- insistette, cercando l’appoggio del fratello, in una muta quanto urgente richiesta d’aiuto.
L’altro, da parte sua, lo stava fissando con riprovazione, come se l’avesse appena beccato ad assassinare per sport tutti i coniglietti rubati alla sua scorta personalissima: come gli era saltato in testa di insinuare nella mente di Demi certe pretese?
- Peccato che io abbia bisogno del cartaceo.- mormorò quest’ultima, quasi tra sé. – Come mai non posso averlo? In fondo ne conosco già tutto il contenuto, che differenza farebbe? Che cos’è tutto questo mistero?- incalzò, affilando come rasoi le proprie occhiate turchine verso quei due, che avevano iniziato a dondolarsi sul posto, scambiandosi degli sguardi sempre più esitanti, imbarazzati.
- La gente si è ammazzata per millenni, pur di riuscire a mettere le mani su quei pezzetti di carta.- azzardò Stefan, ragionevole. – Mi pare già un motivo sufficiente per tenerti il più lontana possibile da essi e da tutta la malvagità che rappresentano.-
- Yuuup. Come ha detto lui!- confermò Damon, schioccando le labbra.
 

Image and video hosting by TinyPic  
Demi pensò che doveva essere proprio sull’orlo di una crisi di nervi per ritrovarsi tanto d’accordo col fratello e non poté far a meno di provare una punta di disperazione a tal proposito. L’inevitabile consapevolezza di aver perso il suo potenziale migliore alleato non la rendeva felice: non aveva in mente un piano definito, ma sapeva di dover rintracciare quella Profezia, al più presto.
Con una fitta calda nello stomaco, ripensò all’espressione intransigente con cui Prince non si era neanche degnato di negare, quando lei lo aveva accusato di aver incastrato il povero Nick, pur di ottenerla.
‘’Sai… mi ha promesso praticamente qualunque cosa in cambio del mio aiuto per te.’’
‘’E tu hai trovato il modo di minacciarlo, non è così?’’
‘’Quello che conta, adesso, è che entrambi avete un grosso debito con me.’’
Dunque, chissà quando e in che modo, era assolutamente certo che il principe sarebbe venuto a riscuotere.
E, se lei non si fosse data da fare, anticipando le sue mosse, era altrettanto sicuro che il figlio di Elijah avrebbe serbato per sé le verità più scomode, impedendole di preoccuparsi, ma soprattutto di aiutarlo a risolvere la questione.
‘’L’idea di non poterti proteggere mi soffoca.’’ le aveva confidato la mattina precedente, nel cortile della scuola, stringendola tra le proprie braccia e pregandola di non partecipare al Memoriale, per non esporsi tanto incautamente alle calamità che le erano poi, in effetti, piovute addosso come una burrasca.
Nonostante le pesasse ammetterlo, Demi provava gli stessi sentimenti nei suoi confronti.  
- Lascia perdere, va bene? Hai già corso fin troppi rischi a causa di quella pergamena.- le consigliò vivamente Stefan, imperterrito, facendole cenno di precederlo fuori dalla stanza ed illudendosi di aver chiuso così la discussione.
La ragazza serrò la mascella, alzando il naso per aria e cercando di mascherare in quel modo la propria delusione, poi percepì un’ondata d’irritazione invaderla, scaturendo da un punto dannatamente preciso, tatuato dalla Magia Nera sul suo corpo.
Suo malgrado, trattenne bruscamente il fiato.
Oh, splendido!
Ci mancava solo che l’effetto provvisorio della principesca medicina si esaurisse una volta per tutte, ora sì che andava a meravigl…
- Mi è venuta un’idea.- improvvisò Damon con slancio, cogliendo di sorpresa gli altri due. Demetra intercettò il suo cipiglio allarmato prima che lui lo sopprimesse con una finta noncuranza ed intuì di avere ancora una remota possibilità di vincere la contesa, in virtù del principio che bandiva qualsiasi tipo di turbamento dal suo animo da Marchiata; non aveva avuto alcuna intenzione di inscenare quel tipo di ricatto psicologico ai danni dei Salvatore ma non poteva rifiutare l’occasione che le si stava presentando davanti, per quanto colpevole la facesse sentire. In fondo, si trattava di Nick. Gli doveva molto più di questo e, con rabbia crescente, pensò che, assurdamente, lo doveva anche a Prince: - Un patto è pur sempre un patto ed io non mi tirerò indietro. Se può consolarti, avrai la tua Profezia...- Stefan ammutolì e fece scattare il capo di lato, incenerendo il fratello, mentre questi arricciava la bocca nella sua tipica e pericolosissima smorfia da: ‘’Ho tutto sotto controllo.’’ Demi s’impose di non giungere a conclusioni affrettate ed attese in silenzio, convinta che ci fosse un trucchetto in arrivo: - … solo SE, e sottolineo con cura quel SE, riuscirai a trovarla.- terminò, infatti, Damon, senza smentirsi.
Di fronte al suo ghigno compiaciuto, la sedicenne batté le palpebre, stupefatta:
- Questo non faceva decisamente parte dell’accordo!- lo rimbeccò, irritata e allo stesso tempo allettata dalla voglia di mettersi alla prova che quella sfida, e soprattutto la posta in gioco, le solleticavano dentro.
- Invece sì.- replicò lui, angelico. - Solo che era… come dire?... una clausola molto, molto piccola.- mimando qualcosa di invisibile con le dita, Damon alzò le spalle, atteggiandosi come se si fosse sul serio sforzato per offrirle una simile, generosa alternativa: - Prendere o lasciare, allora. Lasciare?- suggerì, quasi speranzoso. Stefan si premette una mano sul volto, incredulo, come nel tentativo di resistere all’impulso di prenderlo a schiaffi. Sapeva già perfettamente come sarebbe andata a finire:
- Prendere.- sorrise dispettosamente Demi, ostentando una fiducia nelle proprie capacità di detective che, in realtà, avevano ben poco di concreto. Dettagli. - Purché sia nascosta tra le mura di questa casa e non... non saprei, sul fondo del Wickery Bridge!- chiarì, per non rischiare di dimenticare altre ‘’clausole’’ scritte in minuscolo. Dall’espressione di Damon capì che quel suo essere astuta l’aveva indispettito. Forse aveva davvero preso in considerazione l’eventualità di fregarla in quel modo.
Che razza di farabutt…
- Umh… e va bene, va bene.- concesse lui, mogio. - Ora fila a prepararti!- raggiungendola con passo ampio e solenne, le diede una lieve spintarella e Demi decise che era il caso di svignarsela alla velocità della luce, senza fare storie, prima di rischiare che il vampiro cambiasse idea. Quando udirono i suoi passi risuonare giù per le scale, i due fratelli si scambiarono un’occhiata spaesata che, in un nanosecondo, divenne truce:
- Sei impazzito o cosa?- ringhiò Stefan, prevedibilmente trafelato. - Come ti è venuta… ti sei inventato… una, u-na caccia al tesoro con in palio la Profezia?!-
- Uhhh. Rilassati, fratello. Ti farai venire i capelli bianchi dallo stress.- sbadigliò l’altro, scrutando meticolosamente la stanza della figlia e provando ad individuare il luogo ideale per un nascondiglio coi fiocchi. Il marito di Elena sembrava quasi allucinato dal suo tono gongolante: - Andiamo, mi merito un po’ di fiducia. So quello che faccio… e ‘’introvabile’’ è senza dubbio il termine più adatto per descrivere dove ho in mente di occultare quella pergamena. Dammi retta, siamo a posto.-
- L’ultima volta che l’hai detto, hai nascosto la Pietra di Luna in una ciotola di saponette. Te lo ricordi, sì?- sibilò Stefan, mentre Damon cercava di darsela a gambe. Punto sul vivo mentre si dileguava, lui rispuntò oltre la soglia della camera, con la bocca spalancata per controbattere, ma riuscì solo a sbuffare:
- Ah-ah! Colpo basso.-
Poi, fischiettando per sfogare l’indignazione, sparì con un guizzo oltre la soglia.
 

Image and video hosting by TinyPic  
 
///
  
Tump. Tump. Tump.
Per tutto il tempo trascorso sotto una calda doccia rigenerante, Demetra non fece altro che udire suoni simili, secchi come colpi di martello, cozzare contro lo scroscio odoroso dell’acqua fumante che l’avvolgeva. Soltanto quando fece cessare quel getto, zampettando fuori dal box, fradicia ed infreddolita, per infagottarsi nell’accappatoio, questi rumori si affievolirono. Tatticamente, ripresero a tamburellare, più intensi, quando accese il phon, e Demi prese mentalmente nota di quei particolari: tutti indizi potenzialmente utili ai fini della sua futura ricerca.
Tump. Tump.
Un istante di silenzio, impiegato per recuperare qualcosa prima di ricominciare.
Tump, tump.
Tump.
Pettinandosi con cura ed osservando il proprio riflesso un po’ scarmigliato nello specchio offuscato dal vapore, capì che il gusto di quella quotidianità le era mancato moltissimo. Per qualche minuto, le parve di essere tornata la stessa ragazzina curiosa e spregiudicata di qualche mese prima, quella spensierata che riusciva a ritagliare sempre un po’ di tempo libero, per una nuova avventura.
Se avesse avuto il suo diario a portata di mano, ci avrebbe scritto sopra: ‘’Sento che oggi sarà una giornata diversa, migliore. Ce la metterò tutta ed affronterò quel che verrà a testa alta. Quando tutto sarà finito, voglio avere sulla bocca il sorriso di chi ce l’ha fatta.’’
Facendo scorrere piano la spazzola, condusse strategicamente alcune ciocche a coprirle il lato del collo deturpato dallo Stigma, poi indossò gli abiti semplici che aveva racimolato in fondo al suo guardaroba, svuotato dei capi migliori dopo il trasloco dalle Bennett: un maglioncino ciano dai contorni merlettati che, soffice da far venire voglia di affondarci la faccia, per compensare l’effetto tenero che quella vaporosità conferiva alle sue forme, le lasciava una lieve porzione di spalla scoperta; dei pantaloni neri attillati ed un paio di scarpe da tennis della stessa sfumatura cromatica della lana.
Era spudoratamente in ritardo e forse una parte di lei sperava di beccare Damon ancora all’opera, una volta fuori dal bagno; fatto sta che si precipitò verso la rampa di scale, con le punte dei capelli ancora piuttosto umide e le gote accaldate.
- Sei molto carina.- la lodò Stefan, accogliendola mentre scendeva i gradini, dall’ingresso della cucina. Notando con quale espressione spaesata lei si stesse guardando intorno, si affrettò a spiegarle: - Lui è filato in macchina circa un quarto d’ora fa e ci aspetta lì… ma noi non ci muoveremo da qui fin quando non avrai messo qualcosa di commestibile sotto i denti. Ti ho preparato dei panacakes al miele… i tuoi preferiti. Quando eri bambina ne mangiavi a palate.- il suo tono era gentile e premuroso come al solito, ma anche striato di una malinconia troppo profonda per passare inosservato alla ragazza. - Dio, sembra solo ieri.-
Mentre afferrava il piatto e la forchetta che il vampiro le stava servizievolmente porgendo, Demi esitò:
- Tutto bene?- gli domandò, cercando di incrociare il suo sguardo basso. - C-che cos’hai? Papà?- Stefan sussultò impercettibilmente, tornando ad osservarla, con le iridi segnate, come da brulli solchi d’aratro nel verde dei campi, dalle tracce indelebili che il suo stesso, imperdonabile silenzio gli aveva impresso progressivamente nell’anima. La vide di colpo cresciuta e bella come non mai, pronta a prendere in mano la sua vita come Elena, forse, non era mai stata, ed inconsapevolmente simile a Damon, tanto da levargli il fiato, da riempirlo di rimorsi.
- A volte penso di non aver fatto nulla per meritarti.- mormorò, come se qualcosa dentro di lui fosse traboccato, sciogliendosi come lava in quella sincerità inedita, proibita. - Vedi, quando ho saputo di te… ho pensato che avrei potuto darti tutto l’amore di cui avevi bisogno. A volte mi chiedo se sia stato davvero così. Se il mio affetto ti sia bastato.- la giovane non disse nulla, con il respiro che si faceva più greve al vibrare di quelle frasi; quasi inconsciamente, carpì negli occhi di Stefan la stessa sbavatura d’impotenza che gli aveva visto indossare mentre assisteva alla zuffa esilarante che lei e Damon avevano inscenato sul lettone.
Non ricordava di aver giocato spesso in quel modo, con suo padre.
Quando si era infilata nel solco tiepido delle coperte tra lui ed Elena, la piccola Demetra l’aveva sempre fatto in silenzio, come per non farsi scoprire, impegnandosi al massimo per mimetizzarsi con i genitori e cercando di essere una sola cosa con loro. Qualche volta aveva provato addirittura ad indovinare i loro sogni, pur di immergervisi, alla ricerca di completezza, ritrovandosi poi puntualmente, all’alba, con un angolo del cuore ancora inspiegabilmente freddo… inesplorato.
- Sei sempre stata tu ciò che contava più di ogni altra cosa al mondo, per me e per tua madre. Lo sai, questo, vero, D?-
La giovane, percependo la carezza supplichevole di Stefan sfiorarle la testa, s’impose di annuire, quando il batacchio bronzeo del portone d’ingresso venne scosso da un tocco delicato e conciso, interrompendo così la loro conversazione.
- Sarà Damon?- ipotizzò lei, accigliandosi e sbirciando prima dalle parti dell’orologio, e poi oltre la spalla del padre. Per darsi una mossa, si ficcò una portentosa cucchiaiata di dolciumi in bocca, masticando rapidamente. - Diug…li di nu ffarla tnto lungha, ho quass ffinito!- bofonchiò dietro Stefan, mentre il vampiro si voltava rapidamente per andare ad aprire.
- Io non credo che sia lui. Insomma, Damon non bussa mica.- confessò questi, perplesso, avviandosi con la fronte aggrottata. Quando sentì il pomello dell’uscio scattare, Demi si sporse verso il salotto, scettica, col bicchiere di succo di pompelmo alla mano:
- MMha allora chi afltro…?-
- Salve, signor Salvatore.- se Demetra non fosse stata così impegnata a rimettere in moto le proprie facoltà respiratorie, dopo essersi clamorosamente strozzata con la spremuta, si sarebbe comunque sentita mancare dallo sgomento: il timbro educato che aveva udito provenire dalla soglia non corrispondeva neanche lontanamente a quello di Damon, ma era altrettanto inconfondibile. Investito dalla scia del sole mattutino, con un’aria decisa che rimodellava i suoi tratti in un profilo più assennato ed elegante del solito, senza però annichilirne la beltà timida ed imbarazzata al cospetto di Stefan… c’era Nick.
 

Image and video hosting by TinyPic  
- Perdoni la mia intrusione.- mormorò lui, titubante. Nessuno, di certo, sarebbe riuscito a capire se la sua ansia fosse maggiormente dovuta all’idea di parlare faccia a faccia con il padre della sua ragazza, a quella di dover affrontare in modo amichevole un vampiro che già una volta aveva provato ad impalettare oppure a quella di essersi presentato al Pensionato nel bel mezzo dell’orario scolastico, rendendo così vergognosamente lampante la propria negligenza al dovere studentesco:
- Avrei un’urgente necessità di parlare con sua figlia. Impellente, se preferisce. Demi è in cas…?-
Quando lei tossicchiò più forte, attirando irrimediabilmente il suo sguardo, i loro occhi si incontrarono per quello che parve un istante infinito. Qualcosa nelle pupille ardenti del ragazzo si sciolse subito, suo malgrado, attraversata da una scintilla di sollievo, ma il suo sguardo non osò ammorbidirsi oltre: sembrava che volesse sorriderle ma che, allo stesso tempo, fosse determinato a non farlo. Non per il momento, almeno. Risultava ancora più dolorosamente bello quando l’unico modo di capire ciò che pensava sul serio era quello di perdersi nel fondo abissale delle sue iridi, e, nel notarlo, la nostalgia, la rabbia e la voglia di corrergli incontro fecero selvaggiamente a pugni nella gabbia toracica di Demetra.
’Per niente d’aiuto, dannazione.’’ pensò lei, mentre, con uno sforzo immane, riprendeva a far circolare qualche sprazzo d’aria nei polmoni riarsi.
- Disturbo?- chiese cordialmente Nick, a nessuno in particolare, rivolgendosi a Stefan ma distogliendo appositamente l’attenzione da Demi un attimo più tardi del previsto. L’uomo scoccò un’occhiata furtiva alla ragazza ammutolita e poi, interpretando fin troppo bene il senso intrinseco della sua espressione, scosse il capo:
- Niente affatto… Nicklaus, giusto?- domandò, porgendogli la mano. Il nipote di Rebekah esitò appena, stupito da un atteggiamento così permissivo da parte del fratello di Damon (specie dopo il paragone con quest’ultimo e l’episodio violento che li aveva visti coinvolti in precedenza alla Casa sul Lago!), ma poi l’afferrò, stringendola ed annuendo. - Stavamo giusto per uscire.- annunciò Stefan, tranquillamente, cercando una conferma da parte della figlia. - Temo sia il caso di ripassare più tardi, magari…-
- Mi permetto di insistere.- soffiò lui, inchiodando ancora Demi con lo sguardo. Sembrava sapere tutto di lei, di ciò che aveva provato nelle ultime ore di lontananza da lui, di quello che le era accaduto in sua assenza. C’era qualcosa di inespresso e di diverso nel modo in cui la stava scrutando e non fu facile, per la sedicenne, muovere un passo in avanti, con la stanza che pareva vorticare e restringersi attorno a loro due. Ma lo fece comunque, alla fine, con valore, incrociando le braccia sul petto. Aveva promesso a se stessa che non sarebbe più scappata. E poi, anche se avesse voluto farlo, le sue ginocchia così molli non gliel’avrebbero consentito.
Stefan, dal canto suo, fece fioccare le proprie valutazioni immerso in un religioso silenzio, analizzando l’uno e l’altra con le sopracciglia inarcate, poi sospirò:
- D’accordo, capito. Se la mettete su questo piano…-
 
///
 
- Ed il premio per il Miglior Tontolone del secolo va a… STEFAN SALVATORE!- esclamò Damon, alternando gli scoppi di risatine isteriche alla simulazione di ovazioni da stadio davvero realistiche, con tanto di fischi da tribuna. Quando smise di applaudire, nervoso, le sue mani corsero ad arruffargli i capelli nerissimi, come se volesse strapparseli a ciuffi: - Aaarrggh… ma ti prego! Ti sei fumato tutta la verbena del nostro seminterrato, prima di decidere di lasciare quei due piccioncini da soli in una casa vuota, oppure ti è venuta proprio spontanea, una simile genialata? Eh?! Rispondimi!- continuando ad imprecare, si premette le tempie con le dita, inspirando a fondo, nel vano tentativo di riprendersi dalla notizia apocalittica di cui il fratello minore si era appena fatto portavoce.
- Non essere tragico.- cercò di correre ai ripari Stefan, tamburellando con le nocche sul cruscotto della Camaro. Erano ancora fermi nel cortile e, per la disperazione di Damon, non c’era nessuna bambina accucciata sul sedile posteriore. – Se solo li avessi visti, come si guardavano!, tu avresti fatto lo stesso. Avevano bisogno di parlare…-
- PARLARE!- ripeté l’altro, a denti stretti, sconcertato. Non si era mai pentito così tanto di aver fatto capitombolare ‘’erroneamente’’ Stefan giù dalla culla, nel lontano 1847. - Vuoi davvero sapere cosa succederà?- inveì, puntandogli un dito tremante contro. Il suo tono divenne sempre più acuto col passare dei secondi: - Te lo dico io, se proprio non ci arrivi, okay?! Nel migliore dei casi, litigheranno a morte, mandando letteralmente alle ortiche (a proposito, ti sei fumato anche quelle?!) i nostri progetti di tenere Demi serena e beata, mentre nel peggiore dei casi…-
- Coraggio, Elena sarà a casa prima di noi.- lo confortò il minore, battendogli una mano sulla schiena mentre lui si accasciava in avanti, maledicendo qualsiasi cosa gli venisse in mente di dissacrare... l’ingenuità dell’altro, tanto per fare un esempio calzante. - Caroline l’ha trascinata con sé per una battuta di shopping terapeutico, stamani, ma dubito che resisterà ancora per molto.- vedendo che Damon sembrava inconsolabile, Stefan azzardò un sorriso: - Giuro che mi è sembrato un bravo ragazzo!- commentò, onestamente.
- Già.- borbottò lui, mesto, senza neppure sollevare la testa. – Sembra proprio il tipo di persona sempre capace di convincerti a fare una messa in piega… intendo dire, anche quando sei pelato!- d’un tratto emise un versetto di comprensione, poi sbuffò: - Ecco, ora sì che ho capito com’è che ti è tanto simpatico! Tu…!-
- A dire il vero lo stimo perché, una volta, ha cercato di farmi secco, pur di proteggerla.- lo corresse Stefan, rivelando quell’accaduto con una semplicità disarmante. Il suo tono paziente s’incrinò appena quando proseguì:- A prescindere dalle questioni personali, agli occhi di un padre, sono queste le cose che fanno guadagnare punti ad un buon ‘partito’ piuttosto che ad un altro.- con il cuore a pezzi, si sforzò di stringere la spalla del fratello, come non aveva più fatto, ormai, da sedici anni. Damon, col viso ancora premuto contro il volante, sbarrò gli occhi cerulei nel vuoto: - Farai bene a ricordartelo... perché quando la storia dello Stigma sarà un capitolo chiuso, toccherà a te capire ciò di cui Demi ha più bisogno. Dovrai… sì, dovrai essere all’altezza.- a quella dichiarazione sospirata, sofferta ma incoraggiante, il maggiore si accigliò, un attimo prima di rilassarsi mollemente sul posto, come se avesse improvvisamente perso tutte le forze.
Fu con le palpebre di nuovo serrate che Damon si lasciò sfuggire qualche altro bisbiglio smorzato:
- Credi che io sia troppo impulsivo ed irragionevole per farcela, non è così?- domandò, a bruciapelo. Poi abbozzò un ghigno colmo d’amarezza: - D’altronde come potresti pensarla diversamente? E’ la verità, pura al cento e uno per cento.- nessun melodramma, in quelle frasi, nessuna traccia di autocommiserazione, solo un’autoconsapevolezza lacerante, la stessa che, nel corso dei secoli, non aveva mai dato scampo alla sua felicità e che l’aveva, al contrario, braccata con ferocia, fino a renderla una preda misera ed impaurita tra le grinfie dell'insicurezza.
 

Image and video hosting by TinyPic  
- Non sono mai stato io, quello bravo a soddisfare le aspettative altrui.-
- Immagino… che ti servirà del tempo.- precisò Stefan, imperscrutabile. - Il tempo che io ho avuto, tanto per cominciare.- quando Damon sollevò il capo, per incrociare le sue iridi accorate, ci vide danzare dentro il vivo riflesso dell’esistenza meravigliosa che gli era stata impietosamente trafugata da Rebekah: le foto che Elena gli aveva mostrato sul divano, la ghirlanda di fiori che lei aveva indossato sotto il velo da sposa, l’aria innocente che Demi aveva respirato in sua assenza, gli oggetti quotidiani che stavano andando a recuperare dalle Bennett e che avevano segnato e dato valore alla simbiosi della loro famiglia umana per quasi un ventennio… ogni cosa era lì, in bella mostra, incastonata permanentemente nello smeraldo liquido degli occhi di Stefan.
E quella vista gli faceva ancora troppo male perché Damon potesse osare pronunciare ad alta voce i pensieri che, malgrado tutto, con prepotenza inaudita, gli si stavano affollando nel cervello:
‘’Non avrei voluto che nessun altro vivesse questi anni al posto mio, ma, se avessi dovuto o potuto scegliere di augurarli a qualcuno, fratello... beh…’’
- D’accordo, cominciamo da ora. Chi ha tempo non aspetti tempo. Si parte. Allacciare la cintur… ahhh, lascia perdere!- sbottò il vampiro dal nulla, girando le chiavi nel quadro dell’auto e mettendo bruscamente in moto, come se avesse appena ceduto all’incalzante necessità di fuggire anche, e soprattutto, dai propri più intimi tentennamenti.  
Mentre faceva marcia indietro, riservò un ultimo sguardo assassino alle pareti esterne del salotto della pensione, troppo spesse ed impenetrabili per i suoi gusti, poi superò il cancello, passando in rassegna la sagoma elegante della Ferrari di Nick, parcheggiata impeccabilmente proprio lì vicino. Un’altra colorita imprecazione gli risuonò tra le labbra, assorbita dal rombo di una sgommata, poi la Camaro sfrecciò verso la periferia di Mystic Falls, consentendo ai Salvatore di svanire all’orizzonte, inghiottiti dall’asfalto brulicante della cittadina.   
 
///
 
Demi tenne il viso basso ancora per qualche secondo, dondolando un piede davanti a sé come per tracciare un semicerchio invisibile sul parquet, poi udì Nick chiudere il portone con uno schiocco, un attimo dopo essersi assicurato dell’effettiva dipartita dei due fratelli vampiro oltre i confini del cortile.
Mentre il ragazzo si voltava nuovamente a guardarla, trafiggendola con l’intensità delle proprie iridi assorte, lei si sistemò nervosamente una ciocca di capelli che le era scivolata sulla fronte. Poi, dopo aver posato il bicchiere di succo ormai vuoto su un mobiletto ed aver affondato entrambe le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni, la Salvatore prese un bel respiro:
- Okay.- annunciò semplicemente, decidendosi ad incrociare quegli occhi penetranti con l’azzurro fulgente dei propri.
Nick inarcò un sopracciglio in risposta, quasi a volersi dichiarare lusingato da una così generosa ed inaspettata dimostrazione d’eloquenza da parte sua, (specie se venuta fuori dopo ventiquattr’ore di silenzio assoluto!), e Demi non riuscì a trattenersi dal sorridergli: era una faccenda davvero molto seria e delicata, quella che di lì a poco avrebbero dovuto affrontare, ma era talmente felice di rivederlo, così sollevata ed in balia delle emozioni più contrastanti, in sua presenza, da trovare ardua persino la missione di restare concentrata.
Nonostante il disagio, non si diede per vinta e ci riprovò, stavolta con più intenzione:
- Prima che tu parta con la ramanzina che hai già pronta sulla punta della lingua e che io… insomma, condivido… capisco… e tutto il resto…- inspirò a fondo, con la gola secca e la voce acuita dalla tensione, poi si limitò a sussurrare: -… posso chiederti come mai non sei a scuola, in questo preciso momento? Voglio dire…- qual buon vento? A cosa devo l’onore? Si può sapere perché ci hai messo così tanto? Per quale assurdo motivo non sei scappato alla velocità della luce, visto e considerato il modo spregevole in cui ti ho ignorato ieri? -… che cosa ci fai qui?-
Forse fu il candore espresso da quel suo dubbio, postogli per dare inizio alla discussione almeno quanto per servirgli su un piatto d’argento l’occasione di rassicurarla prima che la situazione prendesse una piega troppo spiacevole, oppure fu quella sua faccetta così innocente ad intenerirlo; fatto sta che Nick inclinò impercettibilmente la testa di lato, e sospirò:
- Demi, Demi. Davvero non lo sai?-
Lei lo osservò senza parlare, ascoltando il battito di quella domanda retorica confondersi con quello accelerato del proprio cuore. Se si lasciava andare anche solo per un istante alle sensazioni, le pareva di aver già detto addio ad ogni tipo di raziocinio: la sorpresa di ritrovarselo in piedi sulla soglia di casa e la nostalgia di lui, sofferta molto più di quanto non volesse accettare, le rimbombavano dentro all’unisono, come il boato sferzante di una tempesta. E le davano forza.
- Ciò che so, è che non si dovrebbe mai rispondere ad una domanda ponendone un’altra. - lo rimbeccò a quel punto, tra il serio e il faceto, avanzando di un altro passo nella sua direzione, con le gote che s’imporporavano palesemente, tradendo tutti i suoi tentativi di mostrarsi spavalda, audace e disinvolta. - Non è corretto.-
Gli occhi scuri di Nick luccicarono.
- E lo è, invece, arrossire in questo modo… adorabile mentre mi rivolgi la parola?- ribatté lui sottovoce, apparentemente, forzatamente tranquillo. Quando lei fu abbastanza vicina, il giovane sollevò istintivamente una mano, come a volerle sfiorare il viso in una carezza, poi la lasciò cadere, cercando di mantenersi lucido il più a lungo possibile. - Mmmh. Così non mi rendi le cose più semplici.- le borbottò, contrariato, quando si rese conto di poter respirare a pieni polmoni il suo profumo dolce e familiare, speziato di mirtilli e sparso sui suoi lunghissimi capelli neri, ancora un po’ umidi dopo la doccia.
L’aroma somigliava vagamente al sapore delizioso delle labbra di Demi durante i loro baci, solo che era meno intenso e di certo meno appagante.
- Immagino che l’obbiettivo sia più o meno questo… giusto? Stai cercando di distrarmi.-
- Yup.- ammise lei, furbescamente, stringendosi nelle spalle, ormai scoperta. - Cattiva idea?-
- Non esatt… pessima, sì.-
Trattenendo una risata e riavendosi a fatica dal suo curioso incantesimo di seduzione, Nick scosse lievemente il capo e poi, mentre una fossetta rivelatrice gli si schiudeva sulla guancia destra, le fece cenno di attendere; frugò con cura nella tasca dei jeans, estraendo il proprio cellulare, e lo sventolò sotto il naso della ragazza, come se quel semplice gesto potesse bastare a giustificare tutte le ragioni del proprio distacco:
- Trentotto chiamate senza risposta.- mormorò infine, come se stesse pubblicamente declamando la sentenza finale di un processo. Di sottecchi, le lanciò un’occhiatina severa. - Trentotto.- insisté.
- Quaranta, in realtà.- precisò Demi, con una smorfietta che traduceva eloquentemente il motto ‘’diamo a Cesare quel che è di Cesare’’. Non desiderava che il suo comportamento andasse incontro a delle giustificazioni, perciò tanto valeva essere sincera… fino in fondo. Notando la sua espressione di colpo allibita, si affrettò a spiegare, con aria confidenziale: - Bisogna considerare anche quelle che ti ho rifiutato direttamente, ecco.-
- C-certo.- balbettò lui, impressionato. Poi aggrottò le sopracciglia: - Aspetta… hai tenuto il conto?-
- Niente affatto, io… forse.- si schermì Demetra, dondolandosi sui talloni. Forse avrebbe dovuto ricordarsi di essere un tantino meno specifica, se voleva evitare di fare la figura dell’adolescente patetica e cotta a puntino, ma, oramai, quella di mordersi la lingua le sembrava una precauzione piuttosto inutile. Specie se improvvisata sotto lo sguardo sospettoso di Nick. - Senti... ce l’ho messa proprio tutta, per riuscire a fare la cosa giusta. Per evitarti.- sbottò lei, sull’orlo dell’esasperazione, incrociando le braccia sotto il seno. Le pareva che, se non si fosse stretta forte, sarebbe esplosa in mille pezzi: - Ignorare le tue quaranta telefonate ed i tuoi ventitré sms, per non parlare dei messaggi contenuti nella mia segreteria, era il primo passo da compiere verso la meta!-
- Lodevole.- commentò il ragazzo, sistemandosi un polsino della camicia. - Il modo in cui mi fai sembrare uno stalker, intendo.-
- Volevo scusarmi.- continuò Demi, ignorando caparbiamente il suo sarcasmo. - Perché mi sono comportata da immatura, probabilmente calpestando i tuoi sentimenti. Perché ho perso la testa quando ti ho visto perderla per causa mia. Perché vederti sparire senza neppure degnarti di mettermi al corrente di cosa diavolo ti stesse passando per la mente mi ha fatto saltare i nervi… e io faccio sempre qualcosa di enormemente stupido, quando sono incazzata.- non era esattamente ciò che avrebbe voluto dirgli ma, a giudicare dalla sua voce stridente e frettolosa, non sarebbe riuscita a riavvolgere il nastro per riproporgli il tutto in una veste più raffinata. Non le restava che sperare che Nick sorvolasse almeno sul suo linguaggio: - Ad esempio, a volte lascio che il telefono squilli inascoltato, respingo le persone a cui tengo e mando in fumo i loro progetti di tenermi al sicuro, partecipando a delle feste suicide anche dopo aver giurato di starne alla larga!- il ragazzo la fissò con la bocca socchiusa in una smorfia che sembrava seria e consapevole più che stupita, ma non si azzardò a rimproverarla né tantomeno ad interromperla, neppure quando la vide sollevare gli occhi al cielo, cercando di trattenere un’imprecazione, o forse le lacrime: - Sono fatta così. Agisco e basta, e solo dopo mi rendo conto delle conseguenze. Prima mi faccio quasi ammazzare su un Ponte e poi, quando un ragazzo biondo ed impertinente arriva a salvarmi la vita su tua richiesta, sento addosso tutto il peso del prezzo che sarai costretto a pagare, ancora una volta, per colpa mia. Io non… non possiamo andare avanti così, Nick.-
Lui cercò di aprire la bocca per protestare ma esitò, riflettendo: nell’oceano delle iridi di Demi riusciva a vedere il senso più profondo dei suoi pensieri appena espressi, ancorati al ricordo della lite che lei stessa aveva scatenato tra lui e Rebekah, in classe, e a quello di ciò che Prince doveva averle astutamente raccontato alle Cascate a proposito dei loro patti.
Riconobbe il senso di colpa e l’impotenza contenuti in quell’azzurro sconfinato come si fa con dei vecchi amici, e le sorrise impercettibilmente:
- Toglimi una curiosità. Hai mai pensato, anche solo per una volta, di valerne la pena?- chiese alla ragazza, con espressione quasi intenerita, spiazzandola. - Hai mai preso in considerazione la remota possibilità di meritare ciò che di bello gli altri fanno per te… ciò che io faccio per te?-
Demi ammutolì per un secondo di troppo, prima di deglutire, quasi con stizza:
- N-non è questo il punto!- sbottò, stringendosi nelle spalle, come per ripararsi dal carico di speranza che la voce vellutata di Nick trasudava.
- Ne sei proprio sicura?- la provocò il giovane, scettico, intercettando senza remore il suo sguardo torvo. - Perché io, al contrario, ritengo che il problema sia esattamente questo. E’ per questo motivo che ti ostini a rovinare tutto, per non dover sentire la mancanza  di ciò che ami quando sarai costretta a rinunciarci per affrontare il tuo destino… da sola.- così dicendo, lui si sporse in avanti, toccandole un braccio con le dita delicate, supplichevoli.
- Rispondimi. E’ così?-
Non osò scuoterla, ma il petto della Salvatore iniziò comunque a scottare, come se quella lieve carezza le si fosse stretta attorno al cuore, e non nei pressi del gomito. Era un vero sollievo, per lei, sentire che Nick cercava il contatto con la sua pelle anche dopo aver intuito la cruda verità, ma non era ancora disposta ad ammetterlo a se stessa… come a nessun altro.
- Non mi aspetto che tu capisca, né pretendo che tu lo faccia.- deviò infine, spostandosi alcune ciocche ribelli dietro l’orecchio in un gesto denso di risentimento verso se stessa. I suoi polpastrelli sfiorarono inavvertitamente il Marchio pulsante sul collo e Nick non si fece sfuggire quel particolare, fiutando il suo terrore attraverso la corazza d’orgoglio. Nel tentativo disperato di stargli lontana, Demi si voltò per recarsi in cucina, ma il giovane Mikaelson la seguì ad un passo, senza concederle il tempo di inventarsi una qualunque scusa plausibile:
- D’accordo, hai ragione tu!- cedette lei, mentre il suo tono soffocato sussultava, traditore . Si appoggiò al tavolo della colazione e tornò ad affrontare il ragazzo, con lo stomaco in tumulto: - Forse sono... un buffo pennuto egoista che preferisce nascondere le cicatrici tra le ali, anziché volare. Forse ho solo bisogno di starmene un po’ per conto mio, di fare i conti col pericolo senza che qualcun altro metta a repentaglio la propria incolumità solo per starmi accanto.- il flusso impetuoso delle parole che stava per pronunciare le graffiò la gola come la lama di un coltello affilato, ma non si arrestò: - Non voglio che tu corra dei rischi, anche se questo significa dover rinunciare a noi.-
Il senso di quella dichiarazione fremette come una goccia sospesa, prima di precipitare e di infrangersi sul pavimento, senza più un suono.
Demetra abbassò il capo, sforzandosi di fissare un punto imprecisato sul muro senza che quest’ultimo danzasse davanti ai suoi occhi umidi, poi un silenzio infelice calò sovrano. Nulla poteva impedirle di percepire addosso il modo incredulo ed ardente con cui Nick la stava scrutando e così lui, che sembrava davvero poco disposto a farsi ingannare senza batter ciglio, la studiò ancora a lungo, assorbendo il sapore acre della sua rivelazione senza replicare.
Restò immobile, come paralizzato, per un attimo interminabile, poi si mosse di scatto: avanzò nella sua direzione, deciso, raggiungendola in pochissimi passi, mentre lei sentiva il cuore fare una capriola dallo sconcerto. Il suo indice le lambì la guancia quasi senza toccarla davvero, e la invitò tacitamente a sollevare lo sguardo verso il proprio viso, improvvisamente così vicino… troppo vicino.
- Vuoi che me ne vada?- le domandò Nick con semplicità, frugandole ansiosamente tra i lineamenti, senza che la sua voce facesse trapelare in qualche modo il bisogno viscerale di risposte che la tormentava. Era dura e pacata, adesso, eppure sembrava un soffice, irresistibile sussurro.
- Nick, per favore…-
- Se la tua idea di felicità non include la mia presenza, dimmelo adesso, Demi. Rispetterò la tua volontà, qualunque essa sia.- colta alla sprovvista dal suo tono roco, la ragazza non osò fiatare ma rimase sospesa ad osservarlo, incantata, combattuta, mentre lui ridisegnava col pollice il profilo bianco del suo mento, raggiungendo infine quello roseo del suo labbro inferiore.
Le si stava avvicinando ancora ma in fondo non abbastanza, talmente lento da risultare estenuante; era come se volesse lasciarle il tempo di scappare, di opporsi, di reagire… se soltanto l’avesse voluto sul serio.
- Farò ciò che desideri.- le ripeté, gli occhi socchiusi, attenti, incatenati ai suoi. - Tutto.-
Demi sollevò la mano per sfiorare quella tremante che il ragazzo le teneva sul volto, ma, invece di allontanarla come avrebbe creduto di poter fare, si ritrovò a tracciarne con i polpastrelli la consistenza morbida, percorrendone distrattamente il dorso, respirando a fatica.
- Mandami via.- incalzò ancora lui. Stavolta, le parve di aver visto l’ombra di un sorriso amaro increspargli l’angolo della bocca sottile. - So che non riuscirei a lasciarti andare, neanche se fosse la cosa più sicura per noi.- aggiunse, senza attirarla a sé, lasciando soltanto che si beasse dell’attesa, del calore ovattato che lo spazio sempre più breve che separava le loro labbra riusciva a sprigionare. - L’ho capito oggi, quando mi sono lasciato alle spalle la mia casa e la mia vecchia vita con Rebekah. Le imposizioni, le mancanze, il silenzio ed il dolore ci condizionano, ci cambiano… ma non possono decidere chi siamo al nostro posto. Preferisco pensare che, a definirci, sia piuttosto ciò che scegliamo, ciò che proviamo. Siamo il risultato delle cose che abbiamo perso… ma anche di quelle che non possiamo permetterci di perdere.- il suo sguardo bramoso si addolcì appena davanti alla sorpresa di Demi. - E’ in virtù di questo ragionamento che ho realizzato: non potevo più essere spezzato in due, non in tempi come questi. Se volevo lottare, c’era un solo posto al quale potevo appartenere… e così eccomi qui. Sono qui.-
La bocca della ragazza si mosse, senza che lei riuscisse a dire nulla di sensato:
- Tua zia… hai abbandonato… tu hai… perché…?-
- Lo sai, perché.- rispose lui, e la sua voce parve trasfigurata dall’emozione. La mano libera di Demi, che era corsa a posarsi sul suo petto, quasi a voler mantenere le distanze tra loro, sentì il battito sordo di un cuore impazzito martellare sotto il proprio palmo. -… e lo so anch’io. Quindi, se puoi, poni fine a tutto questo. Fallo tu. A quel punto uscirò da quella porta ed hai la mia parola che non dovrai mai, mai più…- quando lei lo zittì con un bacio urgente ed affannato, arrendendosi con un gemito ad una tortura che non sarebbe stata in grado di fronteggiare oltre, Nick rimase per un istante rigido e meravigliato, prima di serrare le palpebre, colmo di muta gratitudine, e di affondare le dita nei suoi capelli di seta.
Le sostenne lievemente la nuca, poi lasciò che tutta la sua impronunciabile necessità di tenerlo vicino trovasse finalmente ristoro contro il proprio corpo, contro la stoffa elegante dei propri abiti. Demi, contro ogni logica, si abbandonò completamente a quel contatto intenso, concedendosi un pizzico di sollievo, una tregua dalla malinconia, e si aggrappò a lui con tutte le proprie forze, come se volesse sparire in quel tepore, al riparo da tutto il resto, come se avesse trascorso le ultime ore a nascondersi nell’attesa di essere ritrovata, perdonata.
Gli permise di stringerla a lungo, con le mani lievi sul suo volto, e lo avvicinò ancora a sé, inarcandosi contro di lui fino a quando non sentì il suo fiato mozzarsi, le proprie difese vacillare e la razionalità svanire nella nebbia fitta delle emozioni, senza lasciare alcuna traccia.
Qualcosa nel suo petto cadde vittima di uno spasmo involontario.
Le pareti del Pensionato, il volto contratto in una smorfia crudele della professoressa Mikaelson tra i banchi di scuola, il passato conflittuale delle loro famiglie, le allusioni di Prince, la Maledizione della Clessidra, Sophie Deveraux e le sue minacce insopportabili… ogni cosa sembrò sciogliersi, come risucchiata via da una corrente oceanica, anomala ed adamantina, e anche i timori di Demi finirono ben presto alla deriva, assieme a tutto il resto.
La cucina.
Si trovavano ancora in…
Nick.
La calma, doveva mantenere la…
Era sbagliato, loro non…
Oh… sicuro.
Si sarebbero cacciati nei…
Oh, Nick.
- Non… riesco… neanche… a pensare…- sussurrò la Salvatore beata, carezzandolo col proprio respiro, smarrita in una sensazione di pura, quasi dolorosa euforia; avrebbe dovuto lasciarlo andare, dirgli addio, costringerlo a rivedere le sue priorità e forse persino ordinargli di tornare da Rebekah, per assicurarsi che fosse ben nascosto sotto la sua ala protettiva, al sicuro dallo stesso Male che aveva già inghiottito Elijah ed Hayley, e che, presto, sarebbe giunto a reclamare anche lei, ma…
- Non farlo. Non lasciare che la paura vinca.- bisbigliò lui, restituendole ogni tenerezza con un trasporto maggiore, quasi insostenibile: parlava anche, e soprattutto, a se stesso, e fu con quella consapevolezza vellutata stretta tra le labbra che Demi si lasciò andare al desiderio, rovesciando appena il capo e soffiando il suo nome come una benedizione: non importava quante volte avesse tentato di respingerlo, a partire dai loro primi incontri in aula, né quanti segreti sarebbero stati costretti a custodire l’uno agli occhi dell’altra, solo per riuscire a salvarsi… l’esistenza concreta ed indissolubile del loro legame non poteva più essere negata.
- Ci sono delle cose che non sai.- sospirò lei, posando la fronte contro quella del ragazzo, mentre la mano di lui risaliva lenta lungo il profilo delle sua spina dorsale, percorrendola fino all’altezza del suo collo e provocandole un brivido. - Sullo Stigma, sulla Profezia… sui pericoli che incombono.- tra i singhiozzi capricciosi del battito cardiaco, avvertì le labbra tiepide di Nick che riposavano nell’incavo più sensibile e dolorante sotto il suo orecchio, senza farle alcun male, in un gesto di profonda condivisione.
Ancora quell’onda divoratrice, ancora quella scossa di viva ed autentica sensazione.
- Se ci aspetta davvero l’inferno, lascia almeno che io lo attraversi al tuo fianco.- sussurrò lui, come in una ninnananna. Rannicchiata tra le sue braccia, dove nessuno poteva farle del male, Demi annuì. C’erano soltanto loro due, il buio malfermo dietro le sue ciglia socchiuse e quella loro muta, tenera promessa.
- Sì.- gli disse, semplicemente.
Poi sorrise.
 
///
 
-… e, alla fine, mi ha cacciata fuori casa.- concluse la ragazza poco dopo, puntellandosi sui gomiti per riuscire a guardare Nick dritto negli occhi: distesa su di lui, tra i cuscini del divanetto color porpora posto accanto al camino, gli aveva raccontato per grandi linee ciò che era accaduto la sera prima alle Cascate, senza smettere, neppure per un istante, di giocherellare con le dita affusolate della sua mano, intrecciandole alle proprie, oppure solamente accarezzandole. - Finale col botto per la prima puntata della serie ‘’How I met your brother’’, non c’è che dire.- aggiunse, ironica, improvvisando una bizzarra melodia per accompagnare i titoli di coda.
- Il solito scorbutico.- commentò il giovane, scuotendo gravemente la testa; riusciva ad immaginare alla perfezione la scena, anche perché aveva vissuto gran parte dell’infanzia ad essere strapazzato e poi sbattuto fuori dalle stanze dall’istinto di burbera protezione di Prince. Alzò le spalle, poi azzardò un sorrisino: - Considerati gli standard, credo che fosse un modo tutto personale per dirti che gli sei simpatica, il suo.-
Demi, colta alla sprovvista da quell’eventualità, ripensò al modo insistente e malizioso in cui il principe l’aveva osservata per tutto il tempo, mettendola a disagio di proposito, solo per bearsi della sua soggezione. Una vampata di collera la aggredì a tradimento:
- Non vale lo stesso per me.- replicò, accigliandosi. - Dammi retta… un giorno o l’altro, il suo ego esigerà una stanza tutta per sé, in quella capanna!- Nick restò immerso in un silenzio divertito a lungo, notando la sua irritazione, poi si sporse per posarle un bacio conciliante sulla fronte corrugata; lei inclinò appena il proprio viso verso l’alto, per assaggiare direttamente dalla sua bocca il sapore di una risata che le parve sin da subito troppo consapevole, quasi rassegnata.
- Temo proprio che tu abbia ragione.-  sospirò il ragazzo, meditabondo, lasciando che gli si accoccolasse di nuovo sul petto e stringendola istintivamente a sé. - Ed io che speravo restasse un angolino libero per poter disfare la mia valigia, laggiù!  Pazienza, mi toccherà arrangiarmi nel fienile o roba del genere.-
La Salvatore, che stava sfiorando con le dita il colletto della sua camicia, si raddrizzò di nuovo, precipitosamente, con gli occhi turchini sgranati, esterrefatti.
- Come, scusa?! Puoi ripetere?!- sbottò con una punta di isterismo, sperando, per il bene della propria sanità mentale, che lui non si azzardasse a farlo. - Non avrai intenzione di andare a vivere da lui, vero? Cosa? Da Prince?!- Nick la guardò fisso con quell’aria fragile e colpevole capace di sciogliere un ghiacciaio, cercando di esporle le proprie ragioni prima che lei desse di matto, ma non riuscì ad intenerirla. Era già troppo tardi: - No! Dimmi che non lo farai!-
Demetra non riusciva a capire come il giovane potesse aver preso in considerazione una simile, folle alternativa, ed era pronta a convincerlo a desistere quando, all’improvviso, una lucente sfumatura onice rese un po’ più netto il contorno delle sue pupille; lei, persa in quella cupa espressività, avvertì con un impatto ancora maggiore la tristezza della sua voce vellutata:
- E’ l’unica famiglia che mi resta.- biascicò lui, fioco, come se la verità fosse un boccone troppo amaro da mandare giù. - E’ mio fratello. Ti prego, Demi, cerca di comprendere.- la ragazza ammutolì con un lieve sussulto, colpita profondamente da quel tono implorante, poi cercò di soffocare l’imbarazzo di aver toccato un tasto così delicato, adoperando tutta la ragionevolezza possibile:
- Non sono sicura di poterlo fare. Prince mi ha detto tutto al tuo posto.- lo informò, senza distogliere lo sguardo, pronta a ricucire anche gli ultimi squarci che i segreti ed il silenzio avevano aperto tra loro di recentei. Nick non finse di non aver afferrato: - So che ti ha teso un agguato nel bel mezzo del cortile di Sheila, che ha trovato il modo di ricattarti nella speranza di ottenere da te la Profezia e che hai dovuto supplicarlo per far sì che lui aiutasse me.-
Il giovane Mikaelson si sentì mancare il terreno sotto i piedi e deglutì, stringendo appena le palpebre, come a voler reprimere un moto di frustrazione. La sua mano libera corse ad arruffargli nervosamente i capelli castani:
- Io…- esitò, impacciato. - Te l’avrei detto. Ascolta, non volevo…-
- Se n’è vantato!- lo interruppe lei, eloquente. Non aveva voglia di costringerlo a scusarsi né tantomeno di litigare, solo di rimarcare il concetto principale di quella conversazione: il principe non era l’esempio di parente apprensivo e caritatevole dal quale rifugiarsi dopo essere scappati di casa. - Poco fraterno, da parte sua. Non mi sembrava dell’umore giusto per riallacciare i rapporti… come puoi essere certo che non ti farà del male, quando avrai varcato la soglia della sua dimora a mani vuote, soltanto con un bagaglio in spalla?-
Nick si chinò leggermente su di lei, guardandola intensamente, come se fosse un’ingenua . Le carezzò la guancia con dolcezza, cercando sollievo, credendo forse di poter trovare le proprie risposte contro i punti di calore della sua pelle, poi sospirò:
- Se avesse voluto farmi soffrire davvero, ti avrebbe lasciata morire su quel Ponte.-
Quelle sue parole così inaspettate le riecheggiarono dentro inesorabilmente, scatenando un’attrazione irresistibile, mai provata prima; trattenendo il fiato, con un nodo di calore nella pancia, Demi riempì di slancio i pochi centimetri che li separavano, sprofondando assieme a lui nella spumeggiante morbidezza del divano. Una pioggia corvina e complice nascose entrambi i loro volti caldi ed inebriati, mentre lei, con le gambe chiuse tra quelle del ragazzo, il metallo duro della sua cintura premuto contro l’addome e la spalla lasciata scoperta dal maglioncino azzurro solcata dal tiepido, umido vento del suo respiro, sentiva di perdere il contatto con qualunque concretezza si discostasse da quei baci.
Se il cervello si rifiutava di funzionare a dovere, i sensi elettrizzati non le davano tregua, urlandole addosso che lei e Nick erano ancora soli, inverosimilmente, eccezionalmente… soli.
- Puoi restare qui.- ansimò, quasi inudibile, cercando di ignorare la sensazione delirante che il tocco timido delle mani di lui, poste ai lati della sua vita, le suscitava. - Possiamo ospitarti, fino a quando le acque non si saranno calmate. Di posto ce n’è a sufficienza ed i miei genitori non avrebbero il cuore di opporsi.- il suo pensiero scattò slealmente dalle parti di Damon, aprendo il varco a degli scenari davvero poco confortanti, ma lei decise di non darci troppo peso: - Puoi contare su di me.-
- E’ la stessa cosa che mi ha detto Mattie… anche se la sua somigliava più che altro ad una minaccia.- mormorò sinceramente il nipote di Rebekah, in risposta. Demi si drizzò un po’ a quelle parole, emettendo uno strano, incomprensibile verso tra le labbra, simile ad un colpetto di tosse nervosa. Lui avvertì il suo turbamento senza alcuna difficoltà e, tamburellando con le dita sui suoi fianchi, nel tentativo di richiamare l’attenzione, le sussurrò: - Hey, hey... qualcosa non va?-
- Nope.- mentì spudoratamente la Salvatore, sgattaiolando però via dalla sua presa, con un’unica mossa aggraziata. Nick aggrottò la fronte, confuso da quel repentino cambio di programma, poi alzò gli occhi al cielo, rimettendosi a sedere di riflesso, anche lui incerto, scarmigliato ma soprattutto disorientato da quella reazione.
- Demi?- la richiamò, con tono volutamente imperativo. Lei, che gli aveva dato la schiena e si stava districando con finta disinvoltura i nodi dalla chioma arruffata, reclinò appena il capo nella sua direzione, riservandogli un’occhiatina angelica:
- Nick?!- i loro sguardi si incrociarono in un lampo: lui inarcò un sopracciglio, interrogativo, e lei si limitò ad inscenare una smorfietta significativa, che valeva più di mille parole:
- Prince.- borbottarono in coro dopo un istante, Nick come se l’avesse dedotto e la ragazza come se quel semplice nome potesse bastare a chiarire ogni dubbio. Il giovane Mikaelson emise un sibilo e si massaggiò le tempie, esasperato: - Non ci posso credere. Che cos’altro ti ha raccontato?-
- Sai com’è… qualche allusione qui, qualche commento sarcastico là.- spiegò brevemente Demetra, ostentando noncuranza. Nick non seppe cosa dire e le spostò i capelli dall’ansa del collo, per intravedere meglio il profilo del suo volto, dato che lei non sembrava ancora disposta a girarsi, ma anche per valutare il suo livello di risentimento. La ragazza sorrise appena: - Non ti preoccupare… avevo già intuito che tu avessi parlato di lui con Mattie, prima di confidarti con me… più o meno dal modo in cui sei evaso dall’Infermeria. Lei ti ha inseguito per tutto il corridoio ed era un po’ difficile non sentirla strillare. Ero certa che sapesse dov’eri diretto, mentre io brancolavo ancora nel buio. La Canaglia ha solo… diciamo, confermato i miei sospetti riguardo al club privato da BFF che avete deciso di fondare a mia insaputa.- ‘’… e ha fatto breccia tra le mie insicurezze.’’ Questo non lo disse ad alta voce, ma il ragazzo parve udirlo lo stesso tra le righe. - Onestamente, non so bene di chi tra i due dovrei essere più gelosa.- ironizzò Demi, parlando coi ceppi bruciacchiati nel camino. - Mpff. Ci rifletterò.-
Senza farla voltare, considerando già una causa persa il tentativo, Nick la cinse da dietro con le braccia delicate e, in silenzio, posò il proprio mento sulla sua spalla, respirando tra le ciocche color dell’ebano. Lei rimase rigida per un secondo, poi, comprendendo il senso di quel gesto, posò la testa contro la sua. Il cuore di Nick palpitava calmo al centro esatto della sua schiena.
- Prince ti ha detto anche che ho trascorso l’intera notte alla finestra di casa Lockwood, dopo averti baciata da Sheila, per caso?- le domandò, accorato, avvolgendola più stretta, come se temesse di vederla svanire. - Perché l’ho fatto. Quando ha lasciato intendere che, se non gli avessi fornito ciò di cui aveva bisogno al più presto, avrebbe sfruttato il mio affetto per Mattie per farmela pagare, non ho avuto scelta. Lei doveva sapere per potersi difendere al meglio… ed io ho avuto il terrore, il terrore di perderla.-
Demi strabuzzò gli occhioni dall’incredulità e si agitò nell’abbraccio, per cercare quelli di Nick:
- Prince ha… minacciato Mattie?!- sillabò, come se fosse la cosa più assurda che potesse immaginare. Il pensiero dell’abisso di dolore che aveva scorto con così tanta chiarezza sul viso devastato del ragazzo biondo qualche ora prima, mentre le ordinava di lasciarlo solo con tutta l’irruenza di cui era capace, suscitando la sua compassione, le diede la nausea. - E’ così che aveva intenzione di obbligarti a fare il lavoro sporco? Prendendosela con la tua migliore amica che, tra le altre cose, è la mia Mattie?- la voce le tremò di pura indignazione: contro quante persone avrebbe dovuto combattere, ancora, per difendere i propri cari? Strinse i pugni, come se dovesse nascondere meglio il tagliacarte splendente con cui, la sera precedente, non era riuscita ad infilzare a dovere il principe, poi studiò il minore dei Mikaelson, sconcertata dal suo cipiglio fiducioso: - Come puoi credere che ci sia una possibilità di redenzione, per lui?-
- Non l’ha toccata.- le ricordò il ragazzo, con una pacatezza che cominciava a vacillare dal desiderio di renderla partecipe delle proprie supposizioni. - Non gli ho portato nessuna pergamena, neanche uno stralcio, eppure non ha alzato un dito su di lei. Quel fanfarone ha setacciato e praticamente distrutto la mia camera da letto durante le sue ricerche da strapazzo… ma niente di più.- le sue iridi sfavillavano febbrili, ribollenti di speranza, e Demi si sentì segretamente partecipe di quel calore, pur senza lasciarsene ammaliare del tutto.
Non sembrava troppo convinta, ma non le pareva di aver mai visto un Nick così volitivo:
- Hai detto che sapeva parecchio circa le confessioni tra me e Mattie, giusto? Ciò significa che ha origliato le nostre conversazioni.- rifletté lui, inarrestabile, illuminandosi di colpo. - Scommetto che è per questo che mi ha attaccato così nel giardino delle Bennett… per questo era furioso! Ero talmente convinto che fosse stato lui a provocare la morte di Tina O’Neil che, fin da subito, non ho esitato neppure per un secondo, prima di accusarlo…- s’interruppe bruscamente, come vergognandosi del proprio comportamento, poi scosse la testa: -… e non sono stato minimamente... clemente con lui, parlandone al Grill. Tutto combacia… certo, Prince ha un modo molto particolare di vendicarsi, quando gli altri lo infastidiscono con quelle che lui considera calunnie.- quasi inavvertitamente, Nick si sfiorò il collo perlaceo, lo stesso che il fratellastro gli aveva squarciato con un morso implacabile, prima di sparire nelle tenebre col suo guizzo ghignante.
- Com’è che funziona?- sbottò Demi, orripilata. - Tu lo deludi e lui è autorizzato a farti a pezzi? Tu non obbedisci ai suoi ordini e Prince trova il modo di fartene pentire?-
- Di solito sì.- ammise lui, seccamente. - Ma stavolta è diverso. Quando gli si è presentata l’occasione di punirmi per la mancata consegna, quando avrebbe potuto approfittare tranquillamente della mia assenza a causa della Luna Piena per trovare Mattie indifesa, alla sua totale mercé… che cos’è che ha fatto?-
- Umh. Ha avuto paura di perdere un po’ troppo presto la sua leva sull’amato fratellino?- ipotizzò Demetra, caustica.    
- E’ corso a salvare te.- la corresse Nick, dolcemente, portandosi la mano di lei alla bocca e posandovi un piccolo, gentile bacio sul dorso. - Credimi, quando ti dico che è molto più di quanto sperassi di ottenere. Che sia stato guidato dalla noia o dalla mera curiosità nei tuoi riguardi, ha dimostrato pietà e premura, e queste qualità lo rendono, almeno ai miei occhi, una causa per cui vale ancora la pena lottare.- sospirò incoraggiante, poi le chiese, teso, come se il suo parere contasse più di ogni altra cosa al mondo: - E ai tuoi?-
 
***
 
- Da’ retta a me, compare… se la conosco bene, Demi sarà dalla tua parte senza problemi.- lo aveva rassicurato Mattie un’ora prima, spolverando le briciole dei propri dolciumi via dal tavolino rotondo del Grill con esagerata meticolosità, per evitare di guardare troppo l’amico mentre gli parlava con siffatta convinzione. - Ma se ti azzardi a nasconderle di nuovo ciò che hai in mente di fare con Prince... stavolta giuro che chiamerò l’accalappiacani. Personalmente.- a quel punto gli era sembrata talmente seria da farlo impallidire, malgrado la comicità dell’avvertimento. - Se non vuoi rovinare tutto, per l’ennesima volta, la sincerità è d’obbligo. Capito?!-
- C-certo, sì.- aveva tossicchiato Nick, riemergendo da una tazza di cioccolata bollente che lei l’aveva costretto ad ordinare per ‘’ricaricarlo d’energie’’ ed azzardando un sorriso colmo di riconoscenza. - Farò del mio meglio. Promesso.- al che, si era lasciato sfuggire un respiro soddisfatto, mentre il calore piacevole della bevanda appena trangugiata gli infondeva una generosa dose di sazietà ed audacia nell’anima, a partire dallo stomaco. Tutto circospetto, lui si era avvicinato alla biondina, come sul punto di confessarle un segreto imbarazzante, criminale: - Prima, però… umh… potrei… averne un’altra?-
Scrutandolo di sottecchi mentre dondolava sulla sedia, lei gli aveva premuto un fazzoletto immacolato sulla bocca, scoppiando a ridere di gusto:
- Ma sicuro, Zorro!-
 
- Oh, eccoti qui! Matt! Si può sapere dove ti eri cacciata?- Mattie si riscosse dai propri pensieri con un sobbalzo talmente violento da lasciarsi sfuggire dalle mani i due manuali di Biologia che aveva recuperato dall’armadietto: il più pesante, rilegato maldestramente con una fodera di cartoncino sgargiante, finì dritto sul piede sinistro di Sheila Bennett, la quale lanciò un ululato di dolore nel bel mezzo del corridoio gremito di studenti.
- Esatto, proprio con Nick!- confermò la Lockwood, distratta, interpretando erroneamente quel latrato e chinandosi per raccogliere il volume, come se nulla fosse. – Come hai fatto ad indovinare? Ti stai proprio dando da fare coi fondi di caffè oppure…?- se l’alluce della figlia di Bonnie avesse potuto parlare, oltre che pulsare, avrebbe imprecato sonoramente in qualsiasi lingua conosciuta, ma, dimostrando un notevole autocontrollo, la streghetta si limitò a recuperare i fogli ricoperti di formule sparsi sul pavimento insieme all’amica del cuore, tra le risate generali dei loro compagni di classe. - Lascia perdere, She’, ci penso io… dannati bigliettini per il compito in classe su Mendel… se almeno mi fossero serviti a qualcosa… hey! Sbaglio o quello è il francobollo che mancava alla mia collezione?! Ohw, non ci posso… l’ho cercato dappert…-
- Ero in ansia per te. Hai saltato la prima ora, evitando la lezione di Storia.- la interruppe la bruna, senza badare agli schiamazzi altrui mentre si raddrizzava, lisciandosi i vestiti e riconsegnando, con un divertito rimprovero, l’infallibile materiale da copiatura all’altra. - Credevo che fossi terrorizzata dal cognome Mikaelson, per stamattina, non che avessi voglia di fraternizzare oltre con uno di loro!-
- C’è Mikaelson e Mikaelson.- spiegò Mattie con un sorriso mite e orgoglioso, sigillando il lucchetto di metallo con un giro di chiave ed issandosi poi la borsetta scolastica in spalla; a causa di quel rapido movimento, sentì la catenina attorno al suo collo sussultare, e si affrettò a nascondere il ciondolo nel proprio pugno, come per proteggerlo da qualsiasi ulteriore urto involontario: l’anello di Elijah era ancora con lei, splendente della propria immortale gemma cremisi... Nick, alla fine, non l’aveva voluto indietro. - Com’è andata con Rebekah , comunque? Scommetto che era ancora più… suscettibile del solito, eh?- mormorò dopo un attimo, giocherellando con il monile mentre si sentiva un po’ in colpa per aver lasciato Sheila tutta sola, in balia di una professoressa di certo di pessimo umore dopo quanto era accaduto alla Villa degli Originali.
- Non ne ho idea.- rispose la Bennett, cogliendola di sorpresa. – Perché la zietta non si è affatto presentata in aula, oggi. Nessuno l’ha vista varcare il portone d’ingresso, al suono della campanella, a dirla tutta… niente di niente.-
- Sul serio?! Supplenza?!- squittì Mattie, trafelata. L’idea di aver sprecato in quel modo così patetico ed infruttuoso una preziosa entrata in ritardo le fece brontolare lo stomaco di risentimento. - Che sfiga!- piagnucolò, addolorata, pestando i piedi sui gradini durante l’intero tragitto verso il piano superiore dell’edificio.
- Un Antico che chiede un giorno di permesso al Preside perché ha il raffreddore non mi pare neanche lontanamente credibile.- fece presente l’altra, ravvivandosi i riccioli scuri ed ignorando le proteste di Mattie, assorta com’era nelle proprie riflessioni a mezza voce. - Cosa può averla persuasa a rinunciare al piacere settimanale di torturarci per bene? Credevo che fosse la sua unica ragione di vita, oramai.- insospettita dal vago colpetto di tosse della biondina, Sheila affilò lo sguardo immediatamente, titubante: - Hai per caso qualcosa da dire, in proposito, tu?-
- Beh…- temporeggiò la Lockwood, incerta: non era molto sicura di voler diffondere senza il permesso del riservatissimo Nick la notizia della sua recente fuga ma, sotto le occhiate inquisitorie di Sheila, era praticamente inutile cercare di resistere alla tentazione di vuotare il sacco: -… io credo che la ragione della sua assenza potrebbe, in qualche modo, avere a che fare con una cosetta che è successa giusto un paio d’ore fa…- deglutì. -… sai, questioni famigliari. Brutte faccende, dico io... proprio brutte.- ripeté, battendosi sul petto con aria saccente.
- Spiegati meglio!- esclamò la Bennett, aggrottando le ciglia. - Ormai conosco bene quella faccia. Che cos’ha combinato il tuo compare per farle perdere le staffe, stavolta?-
Mattie intravide, al lato del corridoio, il cartello stilizzato che indicava il bagno femminile, ma pensò che provare a svignarsela, magari inscenando un fulminante attacco di colite post-bignè, non le sarebbe servito poi ad un granché.
Perciò, sentendosi in trappola, inspirò profondamente, quasi fino a scoppiare:
- Nick… lui, ecco… ha-deciso-di-lasciare-casa-sua-senza-voltarsi-indietro-e-tanti-saluti-zia-Bex.- buttò fuori tutto d’un fiato, guadagnandosi un’espressione semplicemente scioccata da parte della figlia di Bonnie. - Non ne poteva più, così ha preferito la libertà.- continuò, in un tono più cauto, accomodante, cercando di nascondere l’ammirazione che un simile atto d’indipendenza le ispirava ancora dentro. - Io sono dalla sua parte.- chiarì, tanto per la cronaca, senza alcuna traccia di rimpianto. - Almeno quanto lui ha appena scelto di stare dalla nostra.- 
Sheila boccheggiò, intontita, senza sapere bene come reagire, poi si premette la mano sul viso, ringhiando:
- Non so se quel benedetto ragazzo sia la persona più temeraria sulla faccia della terra oppure la più tonta!- sbuffò, avanzando spedita nel vociare ininterrotto degli studenti  eccitati dal cambio dell’ora, mentre Mattie trotterellava al suo fianco quasi di corsa, per tenere il passo delle sue ampie falcate: - Non ha pensato alle conseguenze di una simile presa di posizione? Quando Rebekah va fuori dai gangheri, c’è sempre un innocente che ne paga le conseguenze e, se lei non è rimasta nella sua reggia per ordire contro di noi un’atroce vendetta, io ho un gatto di nome Grattastinchi!- controllando il proprio eccesso d’ira, la strega prese fiato e smise di brontolare stizzosamente, rivolgendo uno sguardo sinceramente preoccupato all’amica: - Dov’è che andrà, adesso?- chiese, rispettosamente. La Lockwood sollevò la testa, stupita: - Se non ha un posto dove stare, puoi dirgli che la mia casa sarà sempre aperta… per uno di noi.-
Mattie provò un sollievo così dilagante davanti a quelle parole da voler saltare al collo della Bennett per stritolarla, ma, per una questione di decoro, si limitò a ringraziarla con uno smagliante sorriso:
- Glielo farò presente, se dovesse essere cacciato a calci nel sedere dal fratellone.- giurò.
- La più tonta, senza ombra di dubbio.- concluse prontamente Sheila tra sé, rispondendo al dilemma di prima.
Quando finalmente furono entrare nello spazioso laboratorio di scienze, in cui i banchi erano rigidamente disposti a coppie e muniti di un microscopio personale, il loro sguardo si soffermò brevemente sui due tavoli che Nick e Demi avrebbero scelto se solo fossero stati presenti. Lasciarono cadere i libroni sul legno lucido, con qualche tonfo attutito dal vivace chiacchiericcio circostante, poi Matt si mise a sfogliare il proprio block notes degli appunti, inorridendo all’istante:
- Accidentaccio… ho preso il quaderno sbagliato!- imprecò, subito dopo aver riconosciuto alcuni frammenti della propria calligrafia tra le sue pagine scarabocchiate. Richiudendolo in fretta, lasciò che Sheila scorgesse sulla copertina floreale la scritta ‘’Storia’’ al posto di ‘’Biologia’’. Dannatissimo sovrappensiero di fronte all’armadietto! - Non è possibile! E’ una specie di persecuzione, questa, lo so!- gemette debolmente la bionda, riaprendo di malavoglia il taccuino inadatto e sprofondandovi con la faccia dalla vergogna.
Sheila provò a batterle con una mano consolatrice sulla spalla, quando si accorse della presenza, tra le fini ciocche dorate di Mattie, di un post-it circondato da freccette rosa confetto. Fin da bambina, la figlia di Caroline aveva usato quel tipo di contrassegno come promemoria per gli impegni che, se avesse potuto, avrebbe schifato volentieri con tutta se stessa, e che invece, per cause di forza maggiore, era obbligata a portare a termine.
Il radar d’allarme della saggia, esperta Bennett si illuminò come un faro, a quella vista:
- Ma che diavolo…?- bofonchiò, invitandola a spostarsi per vedere meglio il contenuto del bigliettino.
- Eh?- grugnì Mattie, indispettita, strappata brutalmente dal proprio sacro momento di autocommiserazione. Anche le sue iridi verde mare furono ben presto attirate dal post-it e si allargarono appena, nello sforzo di ricordare: - Ahhh, ma certo! Mi ero dimenticata di mostrarlo a te e a Demi… me l’ha consegnato ieri Creepy-Kaya-Stone, beccandomi fuori dall’Infermeria, ed è da parte di Miss Mikaelson. Dice che Mercoledì pomeriggio, alle ore 15.30, ci sarà il nostro primo incontro per l’organizzazione di quello stramaledetto Ballo. Nella palestra, se non erro.- rilesse le poche righe svolazzanti per accertarsene, ed annuì: - Più qualche intimidazione vaga ed eventuale, è tutto qui.- quando vide Sheila ammutolire di colpo, Mattie le diede di gomito, ridacchiando mentre l’emaciato e calvo professor Barrie si faceva spazio tra gli alunni, distribuendo scatole di vetrini: - Eddai, che cos’è quel muso lungo, si può sapere?! Ti comporti come se oggi fosse…-
- Mercoledì.- sibilò Sheila, tra i denti, guardandola in cagnesco. - Appunto.-
 
***
  
- Tornerò in tempo per partecipare a quell’incontro.- promise Nick, avviandosi con passo elegante verso il portone del Pensionato. L’insperato appoggio di Demi a proposito del suo piano di riappacificazione con Prince e l’sms un tantino isterico che entrambi avevano appena ricevuto sul Ballo, rispettivamente da Mattie e da Sheila, l’avevano convinto che era il caso di darsi una mossa, in fretta. - Mia zia aveva fissato l’appuntamento prima che litigassimo, ma non esiste che tu ci vada da sola. Puoi stare tranquilla… io ci sarò.- la mano che non era intrecciata a quella di Demetra mentre lei lo accompagnava all’uscita, salì con infinita delicatezza ad accarezzarle il mento, richiedendo un bacio di congedo, e la ragazza si ritrovò a sorridere furbescamente contro la morbidezza della sua bocca:
- Oppure… potremmo andarci insieme, se solo volessi rimanere per pranzo.- gli confidò, ascoltando il suono del suo respiro dolce e irregolare confuso col proprio. - Posso provare a convincerti.- Nick socchiuse le palpebre per guardarla, incantato, scuotendo appena il capo e cercando di non mostrarsi troppo tentato dalla proposta, poi allungò una mano verso il pomello dell’uscio, ruotandolo impercettibilmente. 
- Sono irremovibile.- bisbigliò, aprendo la porta e lasciando che un fascio di luce solare lambisse la penombra dell’ingresso, disegnando un rettangolo d’oro colato sul parquet; Demi inarcò un sopracciglio e liberò le dita dalla sua presa delicata, parandosi di fronte a lui ed urtando con la schiena contro il legno ruvido della porta, fino a richiuderla con uno schiocco.
- Davvero?- domandò, sfidandolo con lo sguardo fiero. La risposta si smarrì in un sospiro di resa quando lui la raggiunse per stringerla in un abbraccio, un secondo prima di accogliere il sapore inconfondibile del suo trionfo tra le proprie labbra dischiuse, appassionate. Quando avvertì il corpo tiepido e perfetto del ragazzo farsi un po’ più vicino, spingendola lievemente contro la porta col proprio peso, e le mani di lui, poste ai lati del proprio volto, tremare contro la quercia rugosa, fu Demi a fermarsi, dispettosamente.
- Che peccato che tu debba proprio andartene.- soffiò, maliziosa, con gli occhi soddisfatti e accesi di puro divertimento.
- Dove?- la ragazza scoppiò a ridere davanti al suo disorientamento sensoriale, arruffargli il ciuffo sempre impeccabile sulla fronte.
- Da Prince?- gli suggerì, all’orecchio.
- Ah.-
Udendo quel nome, Nick parve riaversi un poco e nascose la faccia accaldata contro la spalla nuda di lei, mugugnando qualcosa di incomprensibile, come se stesse protestando contro le ingiustizie della vita.
Demi lasciò che si sfogasse in quel modo buffo, poi si aggrappò a lui, con le ciglia serrate, sforzandosi di fermare la sensazione di pienezza di quel momento nel fondo della propria mente, conservandola intatta dentro di sé, come una riserva da cui attingere nel tempo che avrebbero dovuto trascorrere lontani l’uno dall’altra.
Aveva il terrore di restare da sola con il proprio incubo peggiore, specie ora che il tempo dell’unguento del principe era scaduto, dissipando definitivamente il suo beneficio, ma non osò dirlo ad alta voce. 
Nell’oscurità assoluta celata dietro le sue palpebre, però, qualcosa, qualcuno si mosse con un sussulto sinuoso e subitaneo, prendendo forma attraverso delle sbiadite bavature di colore e Magia Nera: nell’ombra c’era di nuovo lo spettro sdentato e malvagio che aveva imparato a riconoscere a proprie spese, in agguato, tornato a tormentarla, ad approfittare delle sue eventuali debolezze.
Sophie.
- Convincerò Prince a liberarti dallo Stigma.- sussurrò Nick, accorgendosi del modo quasi convulso con cui lei lo stava cingendo. Demetra annuì, grata di quella rassicurazione così flebile ma necessaria, tornando a far circolare l’aria fresca nei polmoni che, fino a quel momento, erano stati investiti dal familiare calore autodifensivo. - Stavolta non fallirò.- aggiunse, scostandosi leggermente solamente per fissarla negli occhi ed imponendosi di essere sincero con lei, fino in fondo: - Qualunque sia il prezzo da pagare per averti salva, Demi.- specificò, infine.
La Salvatore non disse nulla a lungo, meditabonda, combattuta, poi allungò le dita dietro di sé, alla cieca, facendo scattare la serratura del portone e spalancandolo con un lieve strattone.
- Riusciremo a cavarcela… insieme.- mormorò, con tono un fermo che non ammetteva compromessi, mentre il sole la investiva in pieno, assorbito dalla sua chioma corvina e scintillante. - Tanto per cominciare... di’ a Prince che avrà la sua dannatissima Profezia. Presto. Se vogliamo ‘’allearci’’ con lui, dobbiamo almeno scoprire che cos’ha in mente al riguardo.-
- Aspetta, aspetta… sai dove trovare quella pergamena?- le chiese il più giovane dei Mikaelson, allibito.
- Neanche per idea!- sorrise Demi, arricciando il nasino in una smorfia esilarante.
 

Image and video hosting by TinyPic  
 – Ma si dà il caso che Damon l’abbia nascosta per me in questa casa. La troverò, dovessi rivoltare l’intera Pensione come un calzino, da cima a fondo… perché quando mi metto in testa una cosa, è quella e basta.-
Nick ricambiò il sorriso, fin troppo consapevole, e le accarezzò una guancia, strofinandole con dolcezza i capelli profumati sul viso perlaceo.
- Se fossi in te, proverei a dare un’occhiata nel posto che mi spaventa di più dell’intera dimora.- le consigliò con spassionatezza, assorto, come se fosse appena stato inghiottito dai più foschi ricordi. - Nostra zi… Rebekah teneva nascosto il millenario ed inestimabile Grimorio di nonna Esther tra i diari di mio padre, per esempio. Sapeva che così Prince non ci si sarebbe mai avvicinato... o almeno, lo sperava.-
- Come mai?- sussurrò lei, incuriosita, prima di riuscire a trattenersi. - Perché Prince non…?-
- Perché, dal giorno della scomparsa dei miei genitori, il dolore per aver infranto l’ultima promessa di Elijah divenne la più grande fonte di sofferenza, per mio fratello. Il rimorso indicibile che l’ha tormentato… forse gli dà ancora la caccia.- confessò Nick, tristemente. - Da allora Prince ha sempre rifuggito qualsiasi cosa gli ricordasse lui. Qualsiasi cosa… me compreso.- la nota di amarezza che incrinò la sua voce spinse Demetra ad aprire la bocca, nel tentativo disperato di scusarsi per il poco tatto, di dire qualcosa, senza che le sue corde vocali intorpidite lasciassero vibrare alcun suono di conforto. Nick si avvicinò a lei, di nuovo cauto, quasi freddo nel suo manto intessuto finemente di perdita e passato, e le posò le labbra sulla fronte, cogliendola alla sprovvista con la propria tenerezza.
- E’ per cambiare le cose che devo raggiungerlo, adesso. Tornerò.- sospirò sulla sua pelle, mentre Demi rimaneva immobile ad ascoltare, con una mano ferma sul gomito di lui, i polpastrelli affondati nella stoffa della sua camicia bianca, come se, inconsciamente, non volesse lasciarlo andare via. - Da te. Sempre.- poi lui si voltò, allontanandosi attraverso il cortile verdeggiante, fino a raggiungere la Ferrari, senza mai girarsi a guardarla ancora. Forse, se l’avesse fatto, non avrebbe trovato il coraggio di continuare a camminare.
Sempre.
Col cuore in tumulto, lei restò a osservarlo, poi udì il rombo musicale del motore perdersi in una folata di vento frusciante, e rientrò, sigillando i raggi solari fuori dall’androne con un colpo secco. Non si mosse fino a quando il battito non si fu calmato, facendo sì che ogni sua cellula si arenasse, confondendosi quasi completamente con la semioscurità della casa silenziosa, vuota… quieta.
Sempre.
Il primo istinto pseudo-razionale che fece breccia nella sua anima fu quello di ciondolare verso il tavolino proibito del Bourbon, accasciandosi pesantemente sulla poltrona più soffice del salotto e spalancando una delle porticine dei numerosi cassetti, precisamente quella che custodiva i bicchierini di autentico cristallo trasparente. Mentre cercava di aprire la bottiglia colma di liquore, dopo averla spostata dalla sua solita postazione, però, vide qualcosa luccicare distintamente sul fondo nero del mobile: era qualcosa di piccolo e argentato.
Lasciando perdere la bevanda alcolica, Demi s’inginocchiò per capire meglio di cosa si trattasse, e, allungando il braccio, riuscì ad afferrare qualcosa di minuscolo, sottile e ferroso: una chiave dall’impugnatura sagomata, su cui era incisa una ‘D’ tutta ghirigori, mai vista in precedenza, eppure così familiare. Ma certo! Era lo stesso simbolo alfabetico che era impresso sul lapislazzuli dell’anello da giorno di Damon, ne era sicura…
E si trovava su una chiave.
Nascosta in un angolo di paradiso assolutamente personale, intoccabile, insospettabile.
E lucente, per giunta… come se fosse stata spolverata solo qualche ora prima.
Le iridi cerulee, scioccate e trepidanti della ragazza raggiunsero quasi loro malgrado il pacchiano orologio a cucù che troneggiava accanto ai bizzarri quadri di antiquariato che Stefan aveva collezionato ed esposto in onore del suo defunto zio Zach: erano le 12.39.
Aveva esattamente venti minuti prima che Elena facesse ritorno al Pensionato dalla sua scampagnata obbligata per i negozi d’abbigliamento più chic della città con la signora Caroline, forse addirittura trentacinque prima di quello dei due vampiri Salvatore da casa Bennett (o da qualsiasi altro posto in cui il permissivo fratello minore avesse trascinato l’irascibile maggiore per concederle un po’ di intimità con Nick).
Era il momento giusto.
Ora o mai più.
ORA.
- Cara Camera Fantasma in cima alle scale.- annunciò a se stessa, sfregandosi la chiave tra le mani, pronta a cominciare le ricerche della Profezia dall’unico luogo dell’abitazione che, sigillato per sedici lunghi anni di suggestioni e segreti, era rimasto abbandonato e spaventosamente misterioso, ai suoi occhi. Riflettendoci, e tenendo la dritta di Nick ben presente, Demi considerò che quello dell’Ala Ovest sarebbe stato un nascondiglio quasi perfetto, se ad idearlo fosse stato qualcuno che voleva sul serio tenerla lontana da quelle mura e soprattutto dal loro contenuto, magari sfruttando i timori e i divieti di un’infanzia che lei stessa, quella mattina, aveva rivelato al vampiro. Quasi infallibile, appunto. - Sto arrivando. A noi due, Damon.- ghignò, indirizzandogli un brindisi fittizio e precipitandosi su per la rampa, con l’ansia della scoperta che la travolgeva con scariche d’adrenalina incandescente.
 
A noi due.
 
***






 
********


NOTE DELL’AUTRICE:
 
Ed eccoci qui, FINALMENTE, con il nuovo, sofferto e spero gradito aggiornamento. Vi chiedo umilmente perdono per il ritardo allucinante, ma ho avuto dei problemi con il PC e, per la mia disperazione, ho perso più e più volte il frutto del lavoro e dell’ispirazione di molte ore. Devo dire che il capitolo è stato davvero intenso da scrivere, soprattutto per via della catena ormai inarrestabile di eventi che, come potete bene immaginare, condizioneranno inevitabilmente l’avvenire dei nostri eroi nei prossimi, decisivi passaggi.
Nick e la decisione di essere libero dalle oppressioni di zia Rebekah.
L’ultimo pezzo di cuore dell’Originale che si dissolve, forse per sempre.
Il degno figlio di Elijah, col suo desiderio di dare una seconda possibilità a Prince.
L’eventualità di un’alleanza tra i fratelli Mikaelson.
Mattie, con la sua allegria, la sua sbadataggine ed i suoi sentimenti.
Sheila… con la maturità di mettere da parte i pregiudizi.
L’amore caldo, spontaneo e tenero tra gli adolescenti di una nuova generazione che sta sbocciando completamente.
Demi ed il mistero nella famigerata, arcana stanza di Damon.
Ogni scena è stata un colpo al cuore per un’autrice che, se potesse, vi abbraccerebbe tutti per ringraziarvi di ogni singolo, appassionato momento d’attesa, di supporto, di condivisione.
Un saluto particolare va alla mia Serena, compagna di malefatte, a Liz, che non ha voluto leggere il capitolo in anteprima per gustarselo meglio da cima a fondo, e ad Elyforgotten… grazie per avermi insegnato così tanto, su Elijah, e per essere una mosca bianca.
Ed infne a Sia, che credeva che la sua biondina non sarebbe comparsa. SORPRESA! Now you know. <3
Un bacio a tutti… e alla prossima!  
***** Per informazioni e domande, come al solito:
https://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=hl
ask.fm/IlDiarioDiDemiSalvatore
 
A presto (?)…
Evenstar75 <3

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Shadows ***


-… Demi? Che cosa ci fate quassù?!- la bimba dalle lunghe treccine color carbone aveva percepito il proprio cuore perdere un battito dalla sorpresa quando, prematuro e del tutto inaspettato, il suono lieve dei passi di sua madre si era fatto strada alle loro spalle, accompagnato da un tono stranamente preoccupato: Elena Gilbert, con un lento chignon fissato in cima alla testa ed un grembiule fiorato morbidamente legato in vita, aveva raggiunto lei e Sheila in un battibaleno, con le braccia incrociate sul petto.

I suoi occhi scuri e bellissimi erano corsi rapidamente dalla porta impolverata della camera di Damon alle mani nascoste dietro la schiena della piccola Bennett, per poi esaminare il sorrisino innocente della figlia. Mentre avanzava decisa, le era sfuggito un sospiro tremulo ed inquieto, talmente sfinito che Demetra si era sentita in colpa per averlo provocato. La donna era livida: - Quante volte devo ripetertelo? Non voglio che tu metta piede lì dentro. Nessuno deve farlo. Lo sai benissimo che non…-

- Noi…- aveva esordito allora la Salvatore, strisciando un piedino sul pavimento ed esibendo una faccetta assai contrita. Sheila le aveva lanciato un’occhiata eloquente: sin dall’inizio, non era stata affatto d’accordo con quella deliberata infrazione delle regole. -cioè, io credo che la nostra palla sia finita per sbaglio in quella stanza. Stavamo giocando in giardino e penso che Mattie l’abbia fatta… ecco, volare…- batté le folte ciglia, come alla ricerca d’ispirazione, poi concluse: - … contro la finestra!- rispettando scrupolosamente il piano elaborato qualche ora prima assieme alle sue due migliori amiche, quando l’attrazione esercitata dall’Ala Proibita del Pensionato si era fatta irresistibile ed aveva convinto il trio a mettere a punto una strategia di copertura efficace, prima di tentare l’ennesima impresa d’esplorazione, Demi aveva davvero creduto di poterla passare liscia: - Stavamo giusto andando a riprendercela, mamma… tutto qui!-

- E così… Mattie ha sfondato il vetro. Con un calcio.- aveva ripetuto Elena, scettica. Nonostante la sfumatura malinconica latente nelle sue iridi, pareva quasi intenerita: - Ma davvero?-

- Yuuup.- aveva asserito Demi, dando una gomitata alla Bennett, che si era affrettata ad annuire: nonostante il fil di ferro scassinatore che teneva stretto nel palmo della manina bronzea le paresse ormai quasi incandescente al tatto, non le restava che confermare quella panza… emh… versione, sforzandosi pure di essere convincente: - Sai com’è…- aveva continuato la Salvatore, imperterrita. -.. da quando Caroline è andata in fissa con la storia delle cheerleader, lei si è messa in testa di entrare nella squadra di football femminile della scuola. Si stava allenando così duramente che… beh, alla fine ci è andata giù pesante. Tipo… WOOOOHMM e poi SPLAAASHH e…!-

- Demi.- l’aveva richiamata Stefan, serio, interrompendola per poi sbucare alle spalle della moglie, con la medesima espressione severa stampata sul viso:

- Non attacca. Ho appena beccato Matilde mentre nascondeva la palla trai cespugli fuori dalla cucina.- quando lui le aveva mostrato la sfera variopinta, come una prova inconfutabile della sua colpevolezza, la bambina dagli occhi azzurri aveva deglutito in preda allo sconcerto, sentendosi tradita.

‘’Ma è… impossibile.’’ aveva riflettuto tra sé, corrucciata. ‘’Avevo espressamente detto a Mattie di tenersi alla larga dalla casa, di andare a seppellirla in una buca nel terreno oppure in garage… perché non mi ha ascoltata? Che cosa diamine può averla portata a cambiare idea, fino a farsi scoprire, attirandola e facendole dimenticare l’importanza del piano che...?’’

- C’era una ciambella appena sfornata messa a raffreddare sul davanzale.- aveva chiarito l’uomo prontamente, notando tutta la sua confusione. Era calato un silenzio imbarazzante, e Sheila aveva sollevato lo sguardo al cielo con una smorfia: - … alla crema.-

A quel punto Demi si era arresa con un flebile gemito e le era venuta una gran voglia di piangere... anche (e soprattutto) perché sapeva perfettamente che, per punizione, del delizioso dessert che aveva indotto la biondina in tentazione, facendo fallire miseramente la loro missione, non gliene sarebbe toccata neanche una fetta.

 

Con la mente ancora solleticata dal ricordo di quella disfatta infantile, Demi si parò dinanzi alla famigerata porta d’acero, solcata da profonde, eleganti nervature verticali, e prese un bel respiro, per farsi coraggio. Avrebbe trovato la Profezia, lì dentro, ne era praticamente certa: il Potere che trasudavano quei due frammenti di pergamena complementari doveva essere quasi palpabile, tant’era denso e saturo di storia, di sangue e di magia… per individuarlo, doveva solo rilassarsi e lasciarsi guidare dall’istinto. Dal bisogno di vincere una sfida, di proteggere chi amava… di saldare un debito. Impugnando la chiave lucente e ghiacciata tra le dita, si avvicinò alla serratura, inserendo l’argento dove per anni, divorata dalla curiosità, aveva bramato che fosse, e, con una rotazione leggera, lasciò che gli ingranaggi scattassero. L’uscio si schiuse languidamente davanti ai suoi occhi: nel buio quasi totale, si delineò la fisionomia confusa, maestosa e silente di quella che assomigliava molto da vicino ad una camera da letto allestita per un museo... per un museo abbandonato da tempo.

Mentre sbatteva le palpebre, tentando di distinguerne meglio i dettagli, un odore intenso di legno e polvere, di chiuso e torpore, la prese alla gola, facendole prudere il naso. Tossendo ed inciampando, Demi si avviò quasi alla cieca verso l’unica, immensa finestra nell’angolo, trovandola coperta quasi interamente da due strati di spesse tende color ambra, e tirò via la stoffa dal vetro opaco con uno strattone: un soffuso raggio solare penetrò all’interno, vezzeggiando i profili massicci della mobilia circostante e quelli soffici del regale tappeto persiano che, posto ai piedi di un letto a due piazze decisamente gigantesco, le lambiva la punta delle scarpe con l’orlo purpureo delle proprie frange.

Stringendosi appena nelle spalle, la ragazza continuò a guardarsi intorno, curiosa, circospetta, mentre gli acari danzavano in controluce, catturando scaglie di sole, come invisibili coriandoli lanciati lì intorno da qualche spiritello dispettoso; c’era una pila di libri dall’aria vissuta accantonata sul pavimento lì accanto, ed alcuni dei volumi avevano delle copertine così sporche ed ingrigite che, per riuscire a leggere i loro titoli, Demi avrebbe dovuto soffiarci sopra. Considerando l’idea poco saggia, lei trattenne uno starnuto e si limitò a raccogliere un paio tra quelli che giacevano spalancati ed inerti vicino al comò, a baciare il parquet con le pagine ingiallite d’un bacio lungo sedici anni; ripulì la loro rilegatura con la manica del maglioncino ciano e li riconobbe: ‘’Il richiamo della foresta’’, di Jack London; ‘’Via col vento’’, di Margaret Mitchell (che fosse proprio quella, la copia autografata di cui Damon le aveva parlato?)… e anche ‘’Twilight’’, di Stephenie Meyer.

C-come?!

La Salvatore s’accigliò, perplessa, rileggendo il titolo col timore di essersi sbagliata, poi scoppiò a ridere sommessamente, scuotendo la testa mentre riponeva di nuovo i volumi dove li aveva trovati. Passò oltre ed il suo sorriso divenne più risoluto non appena lei ebbe individuato una cassapanca ricamata di ragnatele nell’ombra… beh, da qualche parte bisognava pur cominciare.

Dovette radunare gran parte delle proprie forze per sollevare il coperchio del baule, più pesante di quanto si sarebbe aspettata, e, quando lo lasciò andare all’indietro contro la parete, il legno antiquato cedette con uno schianto sinistro. Sporgendosi e sventolandosi una mano davanti al viso, Demi diede una sbirciatina all’interno, scoprendo che la profondità della cassa era di dimensioni sorprendenti, sufficienti a contenere un consistente mucchio di cianfrusaglie. Le serviva un altro po’ di luce, perciò perlustrò meticolosamente i muri, alla ricerca di un interruttore, e pregò che il lampadario dalle lampadine soffuse funzionasse ancora a dovere, da lassù. Ebbe fortuna e si sedette a gambe incrociate nell’angolo più pulito del tappeto, poi, con decisione, tuffò il braccio nel più totale disordine, affondandocelo fino alla spalla: la prima cosa che riuscì a sfiorare furono i resti di una rosa essiccata, i cui petali erano secchi e croccanti come biscotti. Dopo un istante, i suoi polpastrelli afferrarono un ventaglio magnificamente decorato, femminile e raffinato, reso friabile come sabbia dal tempo che ne aveva rosicchiato il merletto, senza però sgualcirne la grazia. Pareva un reperto ottocentesco e, con un brivido di stupore misto ad ammirazione, la sedicenne pensò che poteva esserlo sul serio. Osservando con più attenzione la base pieghevole dell’oggetto, lei si accorse che il calco svolazzante di un nome era ancora ben visibile su di essa: ‘Mary Salvatore’. Mentre si stringeva delicatamente quel ventaglio al petto, terrorizzata dall’idea di romperlo, sentì uno spasmo di tenerezza invaderle il cuore:

 

- Hai rovesciato l’intera caraffa di succo di frutta sulla testa alla figlia della signora Young, Demi.- aveva sospirato Stefan, con aria evidentemente rassegnata, mentre, a bordo della sua Porsche rossa, facevano ritorno al Pensionato prima del previsto.

La bambina non aveva negato ma se n’era rimasta muta sul sedile del passeggero, con le braccia incrociate ed un broncio senza precedenti stampato sul faccino paffuto dei suoi sei anni e mezzo. Senza aver ricevuto la minima considerazione, Stefan aveva azzardato un’occhiatina dalle sue parti, distogliendo giusto per un secondo gli occhi dalla strada, ma lei aveva continuato a fissare il finestrino, come se il paesaggio là fuori fosse davvero la cosa più interessante che avesse mai visto. - Tua madre ed io eravamo molto preoccupati, quando ci hanno telefonato. Ti risulta così difficile comportarti bene, tesoro? Era una festa di compleanno, non un incontro di wrestling. April mi ha detto che hai addirittura morso Piper… è così?-

- Nope.- aveva borbottato la piccola peste. L’uomo aveva inarcato un sopracciglio. -… ho fatto la doccia a Piper.- aveva chiarito Demetra, facendo spallucce. L’ombra di un ghigno malandrino aveva brevemente sostituito il suo muso lungo, mentre precisava: - Il morso se l’è beccato sua sorella… Holly.-

Stefan si sarebbe volentieri premuto una mano sulla fronte, se solo non fosse stato costretto a tenerle entrambe saldamente agganciate al volante.     

- Si può sapere perché l’hai fatto?-

- La torta faceva schifo, dovevo pur mettere qualcosa sotto i denti.- aveva rimbrottato lei, incupendosi di nuovo.

- Demi.- mentre accostavano pian piano nel cortile di casa, la ragazzina si era vista costretta a sollevare lo sguardo ceruleo, intuendo la nuova serietà presente nel tono di suo padre: - Per favore, spiegamelo. Sto soltanto cercando di capire ma non posso farlo se non mi aiuti.-

Alla fine, seppur riluttante, lei aveva finalmente vuotato il sacco:

- Non facevano che maltrattare le mie amichette, quelle due. Hanno chiamato Mattie ‘’Castoro’’ per via del suo apparecchio... e hanno spinto Sheila fino a farla cadere, quando lei gli ha chiesto di smetterla. Ho pensato che dovevo essere un po’ più… convincente. Così forse l’avrebbero piantata.-

Stefan aveva spento il motore, pensieroso, poi si era massaggiato le tempie, alla ricerca di qualcosa di sensato da dire. Demi, interpretando male il suo silenzio, aveva abbassato gli occhi, serrando la mascella.

- Ecco, lo sapevo… tu non mi credi.- aveva mormorato, con un fil di voce.

- Certo che ti credo.- aveva detto lui, inclinando un po’ la testa. - Ma non voglio che tu ti comporti come un piccolo… vampiro…- sembrava quasi voler ridere di sé. -… ogni volta che ti senti minacciata. Sei una bambina forte che vuole difendere tutti quanti ed io lo capisco, ma ci sono altri modi per farlo. Innaffiare le tue coetanee con degli analcolici e scambiarle per dei sandwich umani non rientra in quelli più opportuni. Sono stato chiaro?-

- Ho esagerato.- aveva annuito la Salvatore, tristemente. Certo, non aveva messo in conto l’ansia ed il senso di delusione che poteva aver scatenato nei suoi genitori, convocati d’urgenza al party solo per colpa del suo caratteraccio… solo ora ci stava facendo i conti. - Mi dispiace tanto.-

- Beh, questo l’hai detto anche alle figlie di April Young.- aveva osservato Stefan.

- Sì, però… con loro non facevo sul serio.- si erano scambiati un sorriso che sapeva di pace e comprensione, poi le iridi di Stefan si erano allargate leggermente, facendosi all’improvviso molto più concentrate e serie, meditabonde. Sembrava quasi che le stesse guardando attraverso.

- Che cosa c’è?- aveva domandato lei, aggrottando le sopracciglia, incuriosita.

- Niente.- aveva mentito l’uomo, riscuotendosi. - E’ solo che… mi hai appena ricordato qualcuno.-

 

Demi accarezzò la stoffa incartapecorita, assorta: per tutta la vita, aveva pensato che gli aspetti più caratteristici della sua fisicità e del suo temperamento testardo, ribelle ed istintivo fossero un’eredità preziosa giunta fino a lei dalla fantomatica Mary, la nonna paterna che non aveva mai conosciuto. Elena e Stefan, dopotutto, si erano impegnati anima e corpo per farglielo credere, paragonandola a lei ogni volta che si era sentita a disagio con la propria indole. Le avevano dato dei buffetti affettuosi sulla testa, diventando di colpo vaghi ed evasivi, ed avevano cercato di farla sentire meno sola… ma non le avevano mai detto che c’era qualcun altro di simile a lei, in famiglia. Qualcuno che, ancora vivo, da chissà dove, aveva scrutato il mondo con degli occhi di ghiaccio spiccicati ai suoi per sedici anni di distanza, ed aveva sentito forte il richiamo del sangue ribollirgli nelle vene ogni volta che, incompleto, smarrito, si era guardato intorno senza un lamento, morendo dentro un po’ ogni giorno ed aspettando, invano, di sentirsi capito, consolato e riaccolto a casa da una faccia amica.

Qualcuno che le apparteneva da sempre, in fondo… come l’estremità di un arto, come le fossette sulle guance ad ogni sorriso, come l’aria nei polmoni: Damon. Lui, il possessore innominabile di quella stanza proibita, la ragione più profonda di tante, di troppe reticenze. Lui che era stato il tremore nella voce di Elena quando si era ostinata a negare la sua esistenza davanti alla figlia e l’ombra di rimorso nelle iridi di Stefan mentre questi le confessava mestamente che avrebbe voluto essere abbastanza, per lei… il suo Damon.

Le frasi aspre di Shane spuntarono a tradimento dai meandri della sua coscienza, pungenti e gelide come il vento che le aveva fatto sventolare gli abiti quella notte alle Cascate. Indelebili: ‘’E’ così bizzarro, che tu sia proprio come lui… sei identica a lui.’’

- Ahia.- soffiò d’un tratto la ragazza, avvertendo una scossa irradiarsi dal centro esatto del Marchio del Diavolo. Ricordandole bruscamente la propria presenza sul suo collo, quell’abominevole maleficio la spinse a riporre in un angolo il ventaglio e a proseguire le ricerche della Profezia, senza concedersi di indugiare oltre in simili, imprudenti riflessioni.

Non poteva distrarsi, si disse, con uno spasmo tremulo nella mente, non poteva rischiare d’intaccare la propria serenità proprio adesso, perdendo così l’occasione di rendersi utile. La posta in gioco era troppo alta per lasciarsi fuorviare dal veleno di serpente che il Professore le aveva sputato addosso di proposito. Per contrastare l’influsso dello Stigma, doveva rimanere calma e concentrata. Calma e concentrata. - Coraggio. Posso farcela.- bisbigliò tra sé, come un mantra, prima di riprendere a rovistare nel baule.

Acchiappò qualcosa di compatto e voluminoso e, tirandolo fuori con entrambe le mani dal fondo buio, si ritrovò a spalancare la bocca, senza fiato: era una balestra robusta e gravosa, dall’aria maledettamente letale, con un paletto conico e sottile ancora fissato sull’arco. Poi scovò un sacco di boccette sigillate, colme fino all’orlo di un liquido violaceo evanescente e di una mistura un po’ più densa color indaco, con delle etichette che citavano rispettivamente ‘Verbena’ e ‘Strozzalupo’. Lei se ne riempì le tasche, poi fece scorrere velocemente le dita su dei documenti che sembravano avere a che fare con la genealogia delle streghe Bennett (a partire da una certa ‘’Emily’’ vissuta nel 1864), arrivando anche a sfogliare un bizzarro cumulo di fotografie appartenenti a diverse epoche storiche, tra le quali spiccava addirittura un ritratto di Damon insieme ad un suo amico, ‘’Will’’, entrambi in un abbigliamento anni ’70 che faceva molto Sid Vicious...

- Dannazione!- imprecò Demi, furente dopo dieci minuti di caccia infruttuosa. Non c’era traccia della Profezia, lì dentro, ed il tempo continuava a scorrere inesorabile, rendendo sempre più imminente il ritorno di sua madre o dei fratelli Salvatore.

Doveva sbrigarsi o tutto sarebbe andato perduto.

’Prova a cercare nel luogo che ti spaventa di più.’ le aveva consigliato Nick prima di andarsene, con quella sua voce calda che soffiava sempre dolce come una brezza primaverile sul gelo crescente della sua tensione. 

Aggrappandosi a quell’incoraggiamento, lei scattò in piedi, raggiunse il lettone che troneggiava a poca distanza e che l’aveva intimidita fin dal suo ingresso, e spostò con forza i due cuscini rigonfi e stropicciati, per vedere cosa ci fosse nascosto al di sotto.

Il suo stomaco fece una capriola d’emozione quando udì frusciare della carta sul materasso, ma la sua illusione svanì in un attimo, non appena si fu resa conto che quel foglio non sembrava affatto una pergamena vecchia migliaia di anni: era solo un biglietto ripiegato, il cui inchiostro aveva sporcato la parte posteriore della pagina, lasciandoci impresse delle ampie sbavature, delle dimensioni di grosse lacrime sbiadite, forse cadute durante la stesura del testo dagli occhi tristi del suo autore.

Aguzzando la vista, lei riuscì a leggere distintamente un’unica parola, l’ultima: era  una specie di firma stentata… ‘’TTAM’’.

Si trattava di una lettera, dunque…

Prima di poter allungare la mano per prenderla e lisciarla a dovere, Demi udì degli strani suoni provenire dal cortile e, in allarme, sobbalzò sul posto, precipitandosi verso la finestra per assicurarsi che l’ansia non le avesse giocato uno scherzo di pessimo gusto: le fronde degli alberi e l’erbetta fremevano tra le dita invisibili del venticello, ignare, e, per fortuna, non c’era ancora nessuna automobile ferma nel parcheggio.

Che strano. Le era davvero sembrato di captare delle ruote stridere contro l’asfalto, là fuori…

Mentre faceva dietrofront, per nulla sollevata ed ancora sospettosa, qualcosa sfrecciò ai suoi piedi, rapida come un’illusione ottica, e la fece saltare di lato con uno strillo acuto: era un topolino grigio che, forse disturbato dalla sua presenza, era sbucato da qualche fessura tra le assi nel pavimento.

Incespicando in un innalzamento assai anomalo del tappeto, la giovane dovette tenersi al bordo del baldacchino per non cadere lunga distesa; poi,di colpo, si sentì assurdamente malferma sulle gambe, come se il terreno le stesse mancando da sotto i piedi.

Non solo in senso figurato. Il legno del parquet scricchiolò e gemette sonoro sotto la suola delle sue converse, dondolando pericolosamente, e la costrinse a spostarsi da lì per guardare meglio verso il basso, trafelata:

- Ma che diavolo…?!- con un calcetto, Demi arrotolò un angolo scarlatto del tappeto ed un nuovo cigolio attirò la sua attenzione, seguito ben presto da un tonfo più cupo, metallico: - Bene, bene… ma tu guarda un po’.- inginocchiandosi e spazzolando via qualche sparuto batuffolo di polvere, con gli occhi sgranati, lei vide emergere il contorno squadrato e cavo di una modesta botola sotterranea, con tanto di lucchetto per renderla inaccessibile fissato su in cima. Non c’era molta sporcizia nelle scanalature del coperchio, segno che qualcuno doveva averlo sollevato di recente. La mano di lei tremò mentre, assecondando un’intuizione ragionevole, faceva scivolare la stessa chiave della stanza nella serratura d’ottone, le labbra strette in una muta supplica.

Bastò un attimo.

Click.

 

///

 

Nonostante il senso di vittoria, l’emozione di avere finalmente in pugno la ruvida consistenza di ciò che aveva reso la sua vita un inferno, designandola come la Prescelta di una Maledizione per cui fanatici senza scrupoli come Sophie Deveraux avevano imbrattato il mondo di sangue innocente per secoli, le fece accapponare la pelle; l’iscrizione in aramaico era ancora un misero arcano per lei, ma qualcosa le diceva che Prince avrebbe saputo darle delle spiegazioni credibili, in proposito. Sempre se Nick fosse riuscito a convincerlo a collaborare, naturalmente, cosa che la ragazza credeva alquanto improbabile.

Prince non era capace di farsi persuadere, a meno che l’assecondare il proprio interlocutore non facesse già parte di un qualche suo capriccio da doppiogiochista; se c’era una cosa che Demi aveva intuito con certezza su di lui, era proprio quella sua sfacciata, splendente autoconsapevolezza. Era convinto che la propria ferrea volontà di tenere tutto sotto un controllo maniacale fosse la sua principale fonte di fascino e forse, in effetti… era proprio così.

Dopo aver srotolato la Pergamena per studiarla e per accertarsi che fosse quella giusta, saggiando il suo Potere pulsante con un lungo brivido nelle ossa, Demi fece per richiudere la botola e per darsela a gambe, quando qualcosa di simile ad un fagotto bitorzoluto catturò il suo sguardo dalle profondità. Senza resistere alla tentazione, lo tirò fuori, tastandolo con delicatezza, fin quando non vide qualcosa luccicare pigramente tra la stoffa: era una… una tiara.

Il suo oro bianco, lavorato finemente, formava un raffinato pettine per capelli e si intrecciava in fitti disegni floreali, fino a confluire in un piccolo ovale centrale, in cui era incastonato uno splendido diamante blu, probabilmente uno zaffiro.

Tenendola sospesa davanti al viso, Demetra ebbe un flash istantaneo delle foto ricordo che avevano sempre tappezzato le mura domestiche del Pensionato: Elena aveva indossato quel gioiello eccezionale al suo matrimonio, come un fermaglio per l’acconciatura, fissandoci tutt’intorno il lunghissimo velo bianco.

Lo sconcerto le strinse la pancia in una morsa.

Ma che cosa… cosa ci faceva lì, sepolto nella camera di...?

Deglutendo, con la vista appannata, la ragazza carezzò la vaporosità del lenzuolo un po’ consunto che aveva custodito quell’oggetto prezioso tra le proprie spire per così tanto tempo, e la percepì inconsciamente familiare; allargò le sue estremità per guardare la coperta nella sua interezza e si sentì mancare: ricamate con dei merletti color latte, c’erano stampate sopra quattro lettere svolazzanti... D e m i. Non era possibile: quella era la sua prima trapunta, la stessa che sua madre aveva adagiato infinite volte sulla sua culla per tenerla al caldo, al sicuro, fino a quando non era stata abbastanza grande da riuscire a conquistare il proprio posto nella stanzetta al piano superiore, dipinta da zio Jeremy con spighe di grano e papaveri scarlatti, solo per farla contenta.

Qualcuno aveva voluto che il simbolo più tenero della sua nascita appartenesse per l’eternità a quel luogo dimenticato, alle macerie fumanti di un’esistenza interrotta, all’unica parte di Damon Salvatore che non avesse lasciato la città assieme a lui… nove mesi prima che il lieto evento si verificasse.

Con l’indice privo di qualsiasi sensibilità tattile, Demi sfiorò impercettibilmente il contorno evidenziato dell’iniziale del proprio nome e, mentre tracciava quella ’D’ in tutta la sua lunghezza, avvertì che il puzzle della consapevolezza ricongiungeva di colpo tutti i propri pezzi mancanti.

Il suo cuore, per contro, parve sgretolarsi con un unico tonfo secco, lancinante ed insonoro; precipitò nel suo petto, come un coccio di cristallo giù da un dirupo, ma poi, invece di schiantarsi, fu intercettato a mezz’aria da un’oscurità impenetrabile, viscosa e galleggiante, che lo avviluppò mortalmente e lo inghiottì, spegnendo in esso ogni certezza, come un manto di lana che soffoca le ultime lingue di fuoco di un falò.

Le sue nocche si serrarono attorno al lenzuolino, tendendolo così forte da rischiare di strapparlo, poi Demi lo lasciò andare con violenza, come se, per causa sua, si fosse appena scottata.

In cortile rimbombarono ancora una volta gli scoppiettii di un motore ribelle, ma lei, pur capendo che con ogni probabilità qualcuno dei suoi doveva essere giunto a destinazione, non reagì.

Non le interessava più un accidenti della discrezione.

Non le importava più di nulla.

Non riusciva a pensare a nulla.

Non voleva farlo.

Ma doveva.

Spaesata, batté le palpebre, una, due, tre volte, cercando con tutte le proprie forze di non farsi risucchiare dal vortice di mobilia, verità e sale che le colmava il campo visivo, poi si tirò su a fatica, quasi senza respirare, mentre uno specchio opaco ed arrugginito alla sua destra le restituiva l’immagine barcollante di se stessa: il suo viso minuto, stravolto dal pallore, le rivolse uno sguardo vuoto, le cui sfumature turchine, tutto d’un tratto, parevano in grado di spargere ampie gittate di sale tra le crepe sanguinanti dei suoi nuovi, antichi, pressanti ed inaccettabili dubbi.

No, non poteva essere.

Non poteva neppure permettersi di prendere in considerazione l’idea che Damon fosse suo… lui non era…

Senza alcun preavviso, un coro di voci caotiche e assordanti si fece spazio nel suo cervello provato, simile al ruggito trionfante di un drago che affonda i propri artigli dritti nella carne della sua preda, e così, sbandando, la sedicenne si premette forte le mani sulle tempie, nel vano tentativo di arrestarne il fragore:

Rebekah, lei… mi ha chiamata ‘Damon’. Che cosa può voler dire?

Non lo so. Non ho mai incontrato nessuno che si chiamasse così.

Mamma… perché mi stai mentendo?

Siamo noi i tuoi genitori. Non ne parleremo mai più. Dimentica questa storia.

Quella di sapere la verità è una mia scelta! Non tua, non di papà… solo mia!

In fondo non c’è da stupirsi… cattivo sangue non mente, mai.

Forse lei mi odia tanto perché vede qualcosa di te attraverso me.

Ascolta, bambina, io… ecco, c’è una cosa che devo dirti...

E allora sputa il rospo, Damon, avanti!

Sei come lui… hai proprio lo stesso temperamento del tuo paparino

Piccola bastarda

Il calcio che assestò alla base bronzea dello specchio fu così veemente ed istintivo che tutti e quattro i poggiapiedi sottili cedettero di schianto, facendo sì che il vetro si crollasse in avanti di peso, frantumandosi e cancellando in un attimo dalla sua vista quel riflesso così insopportabilmente rivelatore; il frastuono dei cocci che piovevano sul pavimento le diede un certo sollievo e quindi, spostando i libri più amati di Damon con uno strattone inclemente, lei raggiunse un tavolino circolare pieno zeppo di candele e lo rovesciò, scaraventandolo lontano assieme a tutto il suo contenuto.

Urlò.

La normalità, la quiete, l’immobilità di quella stanza congelata tra bugie e divieti per quasi un ventennio le risultava più che mai intollerabile, adesso: sapeva di doversi muovere, di dover impedire alla sua anima di finire atrofizzata, e così gettò fino all’ultima le boccette di strozzalupo nel camino spento, notando che le proprie lacrime le colavano sulle guance proprio come le gocce scure di quella soluzione sui ceppi anneriti. Inarrestabili.

Deglutendo per riuscire a calmarsi, Demi si passò il dorso della mano sulla faccia, strisciandovi sopra una sottile traccia di fuliggine, poi crollò distesa sul materasso, supina, come una marionetta a cui hanno improvvisamente tagliato i fili, le dita strette tra i capelli umidi.

Il suo fiato, dopo essere stato rapidissimo ed affannoso, era adesso inudibile, lieve come quello di un passerotto ferito, morente.

Perché? Perché non lo aveva capito prima? Perché non le avevano mai detto che…?

Al martellare sordo di quella domanda senza risposta e del suo muscolo cardiaco, oppresso da mille e una considerazioni, si aggiunse all’improvviso uno più potente e deciso: era quello del batacchio al piano terra, picchiato un paio di volte contro il portone d’ingresso.

Le ci volle quasi un minuto buono per riuscire a coordinare bene i movimenti delle braccia e delle ginocchia per rimettersi seduta composta, e, alla fine, quando il suo sguardo spento corse lentamente verso l’uscio socchiuso che dava sul corridoio, la giovane prese una decisione: era meglio non restarsene lì impalata, a crogiolarsi nell’incertezza più totale.

Che fossero Damon, Stefan o Elena ad attenderla di sotto, nulla sarebbe cambiato: esigeva dei chiarimenti e li avrebbe ottenuti, con le buone o con le cattive. Prima di allora, non avrebbe lasciato campo libero a Sophie e al suo Stigma. Quel marchio che, esultante, doleva e sussultava come la puntura di un insetto, in agguato come poche volte prima d’allora, non l’avrebbe annientata.

Non adesso.

Con uno scatto repentino, Demi acchiappò la lettera scarabocchiata che aveva trovato sotto il cuscino poco prima, determinata a leggerla, e si lasciò alle spalle la devastazione della camera del suo vero… del vampiro coi capelli corvini.

I suoi passi tintinnarono senza pause giù per le scale ma, per la prima volta in vita sua, lei dovette sostenersi al corrimano per sentirsi un po’ più sicura.

 

///   

 

Richiudendo il biglietto imbrattato d’inchiostro, Demi terminò la rampa e si mosse lesta verso l’ingresso, con un pugno d’angoscia ed aspettativa chiuso sulla bocca dello stomaco. Senza sapere bene perché, solo guidata dal bisogno, tirò fuori dalla tasca il cellulare, rintracciando in rubrica il primo numero che le veniva in mente: Nick. Cercando le parole mentre avanzava verso il salotto, selezionò il destinatario e, con la mano libera posata sulla maniglia del portone di quercia, digitò in fretta e furia:

 

To Nick:

 

Ho appena scoperto che…

 

- Ciao, zuccherino. E’ permesso?- la Salvatore riuscì a stento a riconoscere l’accento stucchevole presente nell’inaspettata voce femminile che aveva pronunciato quel saluto, prima che il guizzo di morbidissimi capelli biondo dorato catturasse la sua attenzione, obbligandola a sollevare la testa. Poi, prima che potesse fare qualsiasi cosa per evitarlo, una mano soffice ma forte e dura come l’acciaio le coprì la bocca, soffocando il suo grido, e un profumo di latte e champagne, misto a quello acidulo di un anestetico, le ammorbò le narici. Il mondo divenne un universo estraneo e buio, sfocato, mentre Demi si accasciava senza un suono tra le braccia di Rebekah Mikaelson. Quest’ultima, dopo essersi guardata intorno con diffidenza, emise una sorta di sospiro nostalgico: - Quando si dice ‘’tale padre…’’-

Senza la minima difficoltà, l’Originale trascinò il corpo sottile come un giunco e privo di sensi della ragazza via con sé, fino a caricarla sulla propria decappottabile color amaranto.

Mentre la portiera anteriore del passeggero sbatteva con grazia, il telefono di Demi, inerte sullo zerbino verdastro, fece comparire sul proprio schermo un’unica parola lampeggiante: ‘’Inviato’’.

 

***

 

Il viaggio barcollante verso l’ignoto gli era sembrato interminabile, tra il tanfo di pelle dei sedili ed le proteste di una marmitta difettosa: dopo la strage dei suoi genitori e la cattura, la testa bionda e dolorante di Prince aveva continuato a ciondolare inerte, urtando ritmicamente contro il vano posteriore del furgoncino di Sophie e rinnovando le fitte ad ogni scossone.

La sua guancia glabra e incrostata di sangue si era intorpidita per via dei continui sussulti del veicolo ma, ad un certo punto, era diventata anche sorprendentemente asciutta: rannicchiato in un angolo ed immerso in uno stato catatonico misto d’orrore e rassegnazione, il principe aveva smesso di piangere.

Aveva strillato talmente tanto e così a lungo da sentire la gola irritata ed in fiamme, come se avesse ingoiato manciate di sabbia o schegge di vetro per tutto il tragitto, ma quegli strepiti non erano serviti a nulla, se non ad aumentare il suo già disperato senso di colpa.

E così si era arreso.

Aveva gridato un unico nome e aveva chiesto di suo padre, ma il fatto che Elijah non avesse risposto a nessuna delle sue preghiere poteva significare solo due cose: che lui era morto per davvero.

E che, soprattutto, non avrebbe mai più potuto perdonarlo.

- Legagli per bene i polsi, prima di farlo scendere. E non togliergli la benda.- il freddo della notte ventosa l’aveva investito in pieno quando le porte del retro si erano spalancate con un cigolio; poi, servizievole come al solito, il professor Shane si era appostato al suo fianco, avvolgendogli sgraziatamente le mani in una corda rasposa.

- Adesso ti portiamo in un bel posto. Vedrai. E’ fatto apposta per i mostriciattoli come te.-

‘’Così mi fai male, brutto bastardo. Mi fai male.’’ aveva pensato Prince con rabbia, gli occhi di nuovo umidi, ciechi, coperti da un velo nero fatto di stoffa e d’angoscia. Aveva digrignato forte i denti, mordendosi la lingua nella speranza di non dare al suo aguzzino la soddisfazione di udire l’ennesimo gemito venir fuori dalle sue labbra, ed era riuscito a trattenersi molto meglio di quanto avesse sperato:

- Però, che autocontrollo!- aveva lodato l’uomo, caustico, spingendolo giù, a toccare la terra rocciosa coi piedi formicolanti, malfermi. Le vertigini gli avevano strappato le viscere a unghiate ma Prince non aveva battuto ciglio, rintanato com’era nel silenzio più ostinato e rancoroso del mondo. - E’ una fortuna che tu abbia una scorza così dura, marmocchio, credimi. Ti servirà.- delle dita ossute si erano posate sulle piccole spalle del prigioniero, possessive, soddisfatte, guidandolo bruscamente nel buio: lungo tutto il percorso, il mantello della strega rapitrice aveva continuato a frusciare, scosso quasi da un vento invisibile, inquietante.

- Quell’Elijah, invece… ah!- l’andatura del ragazzo aveva mostrato un briciolo di cedimento al suono di quelle parole di scherno, mentre esse si trasformavano in una risata sguaiata, insopportabile: - Lui non ha mai smesso di supplicare, di chiedere pietà… -

- TACI!- Prince scattò a sedere così in fretta da avvertire un capogiro vertiginoso, poi sbarrò gli occhi appannati, strabuzzandoli nella realtà assolata della Capanna; accecato dalla luce dorata del mezzogiorno, mentre la bottiglia di liquore ormai vuota che gli aveva fatto da orsacchiotto durante tutta la nottata gli sfuggiva inavvertitamente dalla presa e si spiaccicava al suolo, si sforzò di non imprecare ma soprattutto di riacquistare al più presto il pieno, sobrio controllo delle proprie emozioni.

Più facile a dirsi che a farsi, naturalmente: seccato, per strapparsi di dosso la sensazione disgustosa che quell’incubo si era lasciato alle spalle, scrollò la testa, fiero come un leone con la sua criniera, ma, ancora insonnolito, sbronzo e senza il minimo equilibrio, riuscì soltanto a capitombolare su di un fianco, a peso morto, schiantandosi rovinosamente con la faccia contro uno spigolo del divano.

Ouch, che male.

- Non era necessario alzare la voce. Ci sento ancora moderatamente bene.- seduto di fronte al fratellastro su una seggiola imbottita messa al contrario, con le braccia incrociate sulla sommità della spalliera ed il mento appoggiato sul dorso delle mani, c’era un ragazzo dagli occhi inconfondibilmente neri, puntati dritti nei suoi.

Prince sbatté le ciglia, confuso, cercando di rendere un po’ più nitidi i contorni dell’intruso, nella vana speranza di averlo scambiato per qualcun altro, magari ingannato dai residui sonnolenti del proprio stramaledetto inconscio, ma non ci fu niente da fare: era proprio Nick quello che, per confermare definitivamente la propria presenza lì, stava inarcando un sopracciglio fino a farlo scomparire nel ciuffo: - Però…- commentò lui. -… non hai affatto una bella cera. Appena sveglio e già ubriaco come una spugna.- scosse la testa con aria critica, poi parve divertito: - Ti ricordi di quando nostra madre scoprì che la bottiglia di Scotch era sparita dalla cristalliera?- gli venne da ridere: - Tu continuavi a negare, ma il singhiozzo ti passò soltanto dopo una settimana.-

- Già. Vorrei tanto poter dire lo stesso del dolore alla mia chiappa sinistra.- borbottò il biondo, risentito, massaggiandosi la fronte ammaccata da un bernoccolo con la punta delle dita. - Non è più stata la stessa, da quel giorno in avanti.- con un lieve moto di nausea, si tuffò col volto sudaticcio nella morbidezza grezza di un cuscino, alla ricerca di un po’ di sollievo, poi sbuffò sonoramente, la voce stizzosa attutita dalla stoffa: - Posso sapere come accidenti hai fatto a…?-

- Ad entrare? Ho forzato la tapparella sul retro. Sono stato poco discreto ma dormivi talmente sodo che non hai fatto caso al baccano.-

-… volevo dire a trovarmi, fratellino caro?- bofonchiò Prince, con tono omicida.

- Qualcuno che è già stato qui mi ha spiegato per filo e per segno dove rintracciarti.- rispose Nick con naturalezza, alzandosi per accostare una tendina ed intercettare così il raggio di sole dispettoso che stava dando il tormento al figlio di Klaus da quando si era destato; quest’ultimo mugugnò qualcosa in segno d’apprezzamento, poi spuntò con un solo occhio verde e malizioso oltre il bracciolo del divano:

- Fammi indovinare… capelli neri, occhi blu, faccetta da stronza e fondoschiena da paura?-

- Demi.- confermò Nick, sillabando quel nome a denti stretti, prima di strappare di dosso al fratello il manto che lo copriva, senza sapere che si trattava dello stesso scialle di lana ruvida che lui aveva adagiato sulle spalle della Salvatore la sera prima. - Esatto.- Prince si rannicchiò subito su se stesso, ringhiando una protesta infreddolita:

- Pff… traditrice.- si lamentò, burbero ma in qualche modo compiaciuto. - Lo sapevo che avrei dovuto farle dimenticare l’ubicazione di questo posto, prima di lasciarla scappare via!-

- Lo sai benissimo che la sua mente è immune alla compulsione.- mormorò l’altro, con le braccia incrociate sul petto. Il biondo lo squadrò dall’alto in basso, con aria di compassionevole sufficienza, poi ghignò:

- Se pensi che il sistema più efficace per far scordare ad una ragazza persino come si chiama sia quello di soggiogarla, sei messo peggio di quanto pensassi.- con uno sbadiglio di circostanza, si decise finalmente a gettare le gambe oltre il divano e a riprendere un minimo di contegno, nonostante il suo capo, abbandonato contro il poggiatesta, fosse ancora parecchio arruffato e malconcio. Nick si limitò ad arricciare il naso in risposta:

- Qualcosa mi suggerisce che la tua arma infallibile sia l’alito d’alcool al mattino. Ho ragione?-  

- Fesserie!- rimbrottò Prince, tutto piccato, soffiandosi guardingo su un palmo della mano per annusare la veridicità di quell’accusa infamante. Tossicchiò, sforzandosi di ostentare dignità, poi si stiracchiò come un gattino pigro ed indispettito: - Ho trascorso una nottata d’inferno ed ora, per colpa tua, neanche il risveglio è stato dei migliori. Quando sarò uscito da quella porta…- indicò con un cenno l’ingresso del piccolo bagno al termine del lungo corridoio. -… vorrei che tu fossi già sparito da un pezzo. Altrimenti sarò costretto a sbatterti fuori… senza troppa gentilezza. Chiaro?- si alzò, ergendosi in tutta la propria altezza, e gli sfilò davanti con aria di sfida, indirizzandogli poi una smorfia ammiccante: - Sta’ sicuro che lo farò. In fin dei conti, ho scacciato da questo posto persone la cui compagnia mi allettava molto più della tua.- gli diede una lieve ma eloquente pacca sulla spalla e si avviò, ciondolando, senza più voltarsi indietro.

Nick fissò il punto remoto in cui suo fratello era scomparso fino a quando non udì la porta del bagno sbattere con violenza, poi, con un sospiro rassegnato ma ancora risoluto, si sbottonò i polsini della camicia, pronto a rimboccarsi le maniche.

 

///

 

In un primo momento, quando Prince fece ritorno nel salottino circolare e caotico della Capanna, col mento che gli sfiorava il petto, intento com’era nel districare i ciondoli della propria collana che, impigliati nel colletto della maglia, rischiavano di staccarsi dalla catenina, non si accorse della presenza di Nick: il primo dettaglio che riuscì a registrare fu meramente olfattivo e, quando l’aroma inconfondibile del di caffè gli aggredì le narici, così intenso da stordirlo, gli sembrò di essere ritornato indietro nel tempo.

- Mi rincuora il fatto che nella tua dispensa non ci sia niente di più abominevole di un paio di sacche di sangue zero positivo.- sorrise il ragazzo dai capelli castani, chiudendo uno sportellino senza fare rumore ed avanzando verso il tavolo della cucina con in mano un’innocua scatola di cereali. Versò i fiocchi d’avena in una tazza, poi diede un’occhiata all’orologio a pendolo dall’aria austera nell’angolino, increspando appena le labbra. Era praticamente l’ora di pranzo: - Se papà fosse qui, ti direbbe che non è affatto l’orario giusto per far colazione, questo. Credo che chiuderebbe un occhio solo se sapesse quanto bisogno hai di prendere un caffè, rigorosamente amaro, qui ed ora.- gli indicò un bricco fumante, per incoraggiarlo. - Bevi. Ho sentito dire che funziona sempre, contro i postumi di una sbornia.-

- Ti avevo detto di andartene.- sbuffò Prince irritato, senza sopportare di guardare l’altro troppo a lungo alla luce del sole, in quell’ambiente così familiare. Con uno scatto nervoso, smise di lottare contro i pendagli ed essi, per la prima volta dal giorno del suo ritorno, rimasero esposti alla vista altrui: una lettera alfabetica che assomigliava ad una ’M’, una pietruzza nera delle dimensioni di una lacrima ed una conchiglia argentea, rovinata dagli anni, dondolarono all’unisono attorno alla sua gola mentre lui deglutiva, indirizzando un’occhiataccia a Nick: - Che stai facendo?-

- O forse preferisci del latte?- domandò il minore, come se niente fosse, porgendogli amichevolmente un cartone biancastro. Prince, spazientito, decise di prenderlo, per poi posarlo con impeto sul tavolo e tornare a fissare in cagnesco il fratellino. In un batter d’occhio acchiappò quest’ultimo per il bavero della camicia e lo avvicinò a sé, con un lampo di furia e smarrimento nelle iridi smeraldine:

- Che - stai - facendo?!- ripeté, brusco.

- Quello che avrei dovuto fare non appena ho saputo del tuo ritorno, invece di avere così tanta fretta di giudicarti.- esalò Nick, cogliendolo alla sprovvista e sostenendo il suo sguardo senza abbassare la testa. L’espressione del maggiore fu solcata da un velo non identificabile d’emozione, fulmineamente, ma non si rilassò altrettanto facilmente: - So che hai ascoltato il modo in cui ho parlato di te con Mattie al Grill, so che ti ha ferito.- la presa si fece più convulsa, ma la sua voce non si affievolì di un solo tono: - Ho sbagliato. Pensavo che fossi tu l’assassino di quella studentessa a casa Donovan, credevo che volessi incastrarmi di proposito.- un luccichio amaro sfavillò nelle sue pupille, rendendole ancora più profonde, sincere: - Ho trascorso così tanti anni ad odiarti per essere scappato via, per esserti dimenticato di me, per aver rinnegato il tuo sangue senza una spiegazione, che…- rapido come l’aveva afferrato, Prince lo lasciò andare.

Nick riprese fiato, inspirando profondamente nella fretta di ricomporsi, ma, prima che potesse continuare a spiegare le proprie ragioni, si rese conto che l’altro gli aveva già voltato le spalle, avvicinandosi lentamente al piano cottura su cui stavano sfrigolando delle uova. Immerso in un silenzio cupo che non voleva essere infranto, il biondo spense il fornellino con destrezza e, dopo un istante che parve interminabile, si decise ad inclinare di nuovo la testa nella sua direzione, con un sorrisino sghembo dipinto sulla bocca:

- Chi ti ha insegnato il trucchetto del cibo?- chiese, impressionato. Nick intuì la sua necessità di cambiare discorso e la assecondò, senza sapere bene come sentirsi al riguardo. Sollevato o mortificato? - E’ un ottimo metodo per conquistarsi il favore di qualcuno, costringendolo a starti a sentire senza fargli saltare i nervi prima del dovuto. E’ sottile. Semplice. Ma sofisticato.- lodò. - Allora?-

- E’ stata la mia migliore amica.- rispose il figlio di Elijah, con una nota d’orgoglio. - Quella che tu volevi far fuori.-

- Voglio ancora farla fuori.- lo corresse Prince, scrollando le spalle ed afferrando una forchetta da un cassetto traboccante, dopo averne setacciati almeno una dozzina, prima di riuscire a trovarla. - Grazie per avermelo ricordato!-

- Demi troverà la Profezia.- chiarì Nick, ostentando calma. - E’ decisa a condividere il suo contenuto con te.-

- Brava ragazza.- annuì il giovane, soddisfatto, placando un brontolio nello stomaco con una cucchiaiata di uova strapazzate.

-… a patto che tu ci spieghi che cos’hai intenzione di farne.- aggiunse l’altro, giusto per essere preciso; a quelle parole, Prince rischiò di strozzarsi e sfrecciò verso la dispensa, agguantando il caffè ed ingurgitandolo d’un fiato, bollente ed amaro da far schifo. Nick avrebbe voluto dargli un colpetto sulla schiena per arrestare la sua tosse, ma poi pensò al suo modo poco ortodosso di alludere a Demi e a Mattie e si ficcò le mani in tasca. - Vogliamo collaborare. Se sei in guerra contro Sophie, beh, lo siamo anche noi. Questo ci rende i migliori potenziali alleati a cui tu possa mai auspicare.-

- Alleati?- Prince inarcò un sopracciglio dorato, con un barlume di sbalordimento nello sguardo, e, pur osservando con attenzione l’interlocutore, non osò proferire verbo. Del marmocchio impaurito, introverso ed avventato che aveva lasciato con Rebekah molti anni prima, non era rimasto quasi nulla: lontano da lui, Nick aveva trovato la sua strada per liberarsi dalla sofferenza, ed ogni suo gesto, ora, anche il più inconsapevole, gli ricordava quanto inadeguato sarebbe sempre stato al suo confronto. - Tu credi sul serio che io abbia bisogno del vostro aiuto?! Ah! Io sono ‘’il bambino miracoloso’’.- chiarì con asprezza, racimolando qualche avanzo d’ironica, acre spavalderia. Si batté sul petto, sulla cicatrice dello Stigma, e continuò: - Sono io la tanto attesa somma di tutta la feccia magica che ci sia in giro, non lo sapevi? Nel mio sangue scorrono l’invulnerabilità dei vampiri e la forza invincibile degli Originali, la furia micidiale dei Licantropi ed il Potere maledetto di Esther, la prima Strega che abbia osato sfaldare l’equilibrio della Natura con un maleficio. Sono stato addestrato ad essere un’Arma per tutta la vita, ed è proprio quello che sono diventato. Già una volta sono riuscito a liberarmi della Deveraux e sappiamo entrambi che distruggere è il mio scopo supremo. Lo è sempre stato.- la sua voce, mentre lui ripeteva la cantilena che gli era stata narrata ogni volta che il sudore, le lacrime, la polvere ed il sangue gli avevano dato tregua nel buio scivoloso della sua cella, durante un’infanzia da prigioniero, suonò stranamente roca, come sul punto di spezzarsi, ma non si spense: - Io non posso essere sconfitto e la vendetta è tutto ciò che mi resta. Ti pare che io muoia dalla voglia di condividerla con qualche incapace?-

Nick rimase a scrutarlo in silenzio, col cuore a pezzi dalla compassione, poi scosse piano la testa:

- Possiedi più di questo, Prince.- bisbigliò, accorato. - E sei molto più del Distruttore che ti hanno convinto a diventare come se non ci fosse via d’uscita, come se fossi nato solo per quello. Mamma e papà non si sarebbero sacrificati se non avessero avuto un briciolo di speranza…- lui fece un gesto incollerito, schioccando la lingua come se lo stesse scambiando per un pazzo scatenato, poi esplose, con le gote infiammate dall’indignazione:

- Sta’ zitto!- ruggì. - Tu non sai niente! Quella speranza li ha uccisi… io li ho uccisi!- sembrava fuori di sé ma, assurdamente, sorrideva, un sorriso largo, feroce almeno quanto i suoi occhi, che mandavano lampi accecanti: - E’ vero! E dopo tutto quello che hai perso e subìto per colpa mia, cos’è che ti fa essere così fastidiosamente convinto del fatto che possa esserci dell’altro, là fuori, per uno come me?!- Per un abominio, per un bastardo, per un mostro condannato a trasformare in cenere tutto ciò che tocca? Le sue sopracciglia si aggrottarono: - Non c’è modo di cancellare il passato.- mormorò, sicuro. – Ho scelto di abbandonarti per una ragione precisa, tanti anni fa, e sappi che quella riguardava solo ed esclusivamente la mia vende…-

- Ma sei tornato!- replicò deciso il più piccolo, alzando la voce per sovrastare quella del fratello. Si avvicinò appena e, nonostante il timore, provò a sfiorargli la spalla con le dita; Prince si ritrasse immediatamente, ma non gli spezzò il braccio, il che poteva essere considerato un risultato confortante: - E sei venuto a cercarmi! Il modo in cui hai reagito quando credevi che io avessi perso qualsiasi illusione nei tuoi riguardi, il fatto che tu fossi andato a cercare Shane per fermarlo, quando lui ha ucciso Tina e traumatizzato Kayla per la vita…- il principe alzò una mano per interromperlo ma lui insistette: - … tutto quello che hai fatto per Demi, ieri sera… ecco cosa mi spinge a non mollare! Tu non l’hai solo salvata… l’hai protetta! Mi ha detto che le hai spalmato sulle ferite qualcosa che ha bloccato i suoi incubi… beh, qualunque cosa fosse, so che hai rinunciato alla tua razione per darla a lei!-

Il biondo trasalì, esterrefatto:

- Ah sì?- sbottò, schiumante di rabbia. Quasi tremava, incontrollato. - E cosa te lo fa pensare?-

- Ho visto il modo in cui ti agitavi nel sonno, poco fa.- disse Nick, duramente. - Ho passato l’infanzia ad ascoltarti piangere negli incubi, ho riconosciuto i tuoi sintomi senza difficoltà. Ogni singola notte l’ho trascorsa sperando che la smettessi, che guarissi, che riuscissi a cavartela…- distolse ostentatamente lo sguardo, poi fece un lieve cenno verso i cocci di bottiglia nella pattumiera: - Ti sei quasi annegato nell’alcool per non pensarci, stanotte, ma non è un sistema efficace per tenere a bada lo Stigma Diaboli, quello lì, non è vero?- restarono immobili l’uno di fronte all’altro, a fissarsi dritti in faccia senza più una parola, col fiato corto, come se si stessero sfidando a vicenda a contraddire l’altro, pronti alla rissa.

Il clima diventò talmente gelido da intorpidire il sangue nelle vene.

Alla fine Prince si passò una mano tra i riccioli color dell’oro, inanellandoseli tra le dita con aria distratta, e si massaggiò le tempie:

- Che cosa vuoi, Nicklaus?- chiese, a bruciapelo. - Vuoi la ricetta del temporaneo rimedio per il Marchio, così da consegnarlo alla tua fidanzata? D’accordo! Ma ti avverto, non basteranno delle stupide erbe medicinali a tenerla al sicuro dal suo destino. La strega non smetterà mai di darle la caccia e, quando te l’avrà portata via, il tuo cuore finirà sottoterra, sepolto accanto a lei. E, per un essere immortale, vivere con quel vuoto può essere molto, molto doloroso. Devi… ecco, credermi sulla parola.- il suo tono divenne d’improvviso mesto e velato, stranamente consapevole, e Nick avvertì un brivido d’orrore che si diramava lungo tutta la sua spina dorsale, raggelandolo. – Se non puoi vincere una battaglia, evita di parteciparci. Non sai di cosa sono capaci le ‘’SS’’.- mimò le virgolette con le dita. - Non conosci i loro piani, le loro risorse, i loro mezzi… non sai niente. Se è la ragazza la posta in palio, loro hanno già vinto da un pezzo.-

- Non lascerò che tocchino Demi. Non mi arrenderò mai, non finché non sarà salva.- soffiò Nick, serrando forte i pugni. - Farò del mio meglio per impedire a chiunque di farle del male. Gliel’ho promesso.- sottolineò, come se quel dettaglio bastasse a chiudere la questione. - A quest’ora avrà già trovato la pergamena, lo so… l’aiuterò a nasconderla in un luogo sicuro e poi mi prenderò cura di lei… fino a quando vostra maestà non si sarà decisa a scendere dal piedistallo per darmi una mano, ovviamente.-

- Tanti auguri, allora.- ghignò Prince, senza gioia. - Avrai parecchio da fare… specie se continui a comportarti come un idiota innamorato.- Nick lo guardò, confuso, e Prince alzò le spalle, posando la padella della colazione nel lavandino assieme alle tazze. Con un guizzo, si avvicinò ad una scrivania piena di libri, quaderni, pennelli e materiale da cancelleria, ed estrasse una piuma d’oca da un piccolo recipiente cilindrico, usandola per grattarsi il mento con aria insolente. - Per esempio… a cosa pensavi, precisamente, quando hai deciso di lasciare la dimora di nostra zia per correre solo soletto verso il tramonto della libertà sul tuo cavallo bianco-barra- unicorno alato, mh?- domandò, fingendosi curioso ed indirizzando una strizzatina d’occhi allusiva dalle parti dei bagagli che Nick aveva accantonato in un angolo del salotto, nella speranza che passassero inosservati il più a lungo possibile. - Non al tuo giuramento d’amore per la bellissima, indifesa Demetra, immagino! Altrimenti ci avresti pensato su per benino prima di stuzzicare zietta Bex, rendendola almeno dieci volte più pericolosa di quanto lo sia di solito, giusto?-

- Che diav… che intendi dire?- sussurrò il figlio di Elijah, di colpo trafelato.

- Tutto, e niente. E’ solo che non mi stupirei affatto se la frustrazione di un’anima perduta come quella di nostra zia si abbattesse su un incantevole capro espiatorio dagli occhi di ghiaccio, quest’oggi… tutto qui.- spiegò Prince, teatralmente vago, come se si stesse sforzando di non suonare troppo spregevole, senza ottenere il minimo successo. - Insomma… non è scontato?! Tutto ciò che ha impedito a Rebekah di agire in prima persona contro la Prescelta era il suo infantile, materno desiderio di tenerti ancorato a sé.- Nick impallidì così tanto da somigliare ad una specie di statua di cera e neve insieme, mentre cominciava a capire: - Adesso che te ne sei andato via di tua spontanea volontà, lasciandola sola col cuore in frantumi, cosa le impedirà di prendersi una rivincita?-

- Io…- d’istinto, guidato dal più autentico terrore, senza neanche sentirsi le dita, il più giovane dei Mikaelson cercò alla rinfusa il cellulare nella tasca dei pantaloni, deciso a rintracciare Demi all’istante: aveva la necessità assoluta e primaria di sapere che stava bene, di udire la sua voce frizzante, di mormorarle che l’avrebbe raggiunta al più presto. Le avrebbe confessato che aveva avuto paura che le fosse accaduto qualcosa di brutto, ma che ora era tutto passato, che era così felice di essersi sbagliato…

 

3 SMS = NON LETTI

From Sheila:

 

Scusa il disturbo… ma sono preoccupata.

Tu e Demi sareste dovuti essere qui già da un pezzo.

Che fine avete fatto? Vi aspettiamo in palestra.

Rispondi appena puoi.

S.

 

From Mattie:

 

Capisco che tu ed il tuo fratellone siate al momento molto impegnati

a demolire la casa a forza di pugni, testate e scariche di testosterone,

ma mi spieghi dov’è la mia migliore amica?!

Sheila sta sclerando da un pezzo per il suo ritardo

ed io non riesco a calmarla.

Se hai sue notizie, chiamami.

Nana.

 

From Demi:

 

Ho appena scoperto che…

 

Quell’ultimo messaggio, interrotto così bruscamente, fu il campanello d’allarme definitivo e Nick, divorato dall’ansia, dopo essersi portato il telefonino all’orecchio con un gesto meccanico ed aver premuto un tastino verde chiaro sullo schermo, attese una risposta dall’altra parte della cornetta con ogni singola fibra del proprio corpo in tensione. Il silenzio cupo ed ininterrotto che lo investì gli pesò addosso come un macigno e lui fissò il vuoto per un secondo eterno, deglutendo a fatica, orripilato.

Oh, no…

- Demi...- ansimò, con la gola secca e le corde vocali che sfregavano l’una contro l’altra, come carta vetrata. Si voltò verso Prince e quest’ultimo vide la disperazione e la colpa riflesse nell’abisso nero e lucido delle sue iridi: -… lei… c-credo… credo che…-

-      … che sia nei guai?- completò l’altro, annuendo e guardandosi le unghie con vivo interesse. Per un attimo di tetro sconforto, Nick credette che gli avrebbe ordinato di cavarsela da solo, ma il figlio di Klaus sospirò, schioccando le nocche come per prepararsi ad uno scontro corpo a corpo: nel suo sguardo ardeva una strana luce, una fiamma simile alla curiosità di un bambino che viene attirato in un nuovo gioco, ma assai più densa, pericolosa. - Già. E, assieme a lei, è in pericolo ogni mia speranza di ottenere la Profezia.- sghignazzò apertamente, come se nulla fosse, poi scostò con la punta della piuma d’oca un lembo della tendina a fiori sulla finestra, localizzando, tra i cespugli oltre il ponticello che collegava la Capanna al boschetto di Mystic Falls, lo sfavillio silenzioso della Ferrari: - Fantastico. Morivo giusto dalla voglia di fare un giretto sulla ‘’Batmobile.’’- Nick lo fissò interdetto, abbagliato dal suo sorriso freddo, senza sapere bene cosa pensare. Prince inarcò un sopracciglio, senza scomporsi, poi ammiccò eloquente: - Tu no?!-

 

 

***

 

-      Questo cappellino è proprio la fine del mondo… non trovi anche tu, Elena?- tubò ad un certo punto Mrs Caroline Forbes in Lockwood, spuntando come un turbine multicolore da dietro lo scaffale di calzature più fornito e chic dell’intero negozio ed acchiappando al volo il sontuoso copricapo di paglia che troneggiava sul capo di un allampanato ed elegantissimo manichino; se lo ficcò in testa con gioia, facendo una piroetta dall’emozione, poi si voltò, pronta ad ammirare il proprio riflesso nello specchio lì vicino, e sorrise: i suoi occhi raggianti brillavano di soddisfazione, ma la biondina fu costretta a spalancarli quando, indignata, si rese conto che quelli scuri e vacui dell’amica non le stavano rivolgendo la minima considerazione: -… Elena?!- la richiamò la mamma di Mattie, spazientita, sollevando il mento con aria perplessa. Non le giunse alcuna risposta e così, prima di riprovarci, la Barbie si impose di serrare le palpebre, fino a renderle due fessure minacciose: - … pronto?! Pianeta Terra chiama… ELENA?!-

A quel punto, finalmente, l’altra parve riscuotersi e, sollevando lo sguardo a fatica, si limitò a sospirare, conciliante:

-      Ti sta davvero d’incanto, Care. Dovresti comprarlo.- abbandonata mollemente su un pouf ricoperto di luccicanti perline, coi lunghi capelli castani che le piovevano mogi sul viso, quasi a volerlo nascondere, la Gilbert cercò di apparire sincera ed entusiasta ma, abbozzando un sorriso che sembrava più che altro una smorfia, non riuscì ad essere convincente: - Mi dispiace non essere affatto di compagnia… io… non so cosa mi stia succedendo.- si passò una mano sul viso, massaggiandosi le tempie, e la Forbes inclinò il capo da un lato, osservandola con un cipiglio del tutto diverso, dapprima solo più attento, poi quasi compassionevole:

-      Elena.- mormorò, avvicinandosi di qualche passo con un secco tintinnare di tacchi altissimi. Il suo tono si fece gentile e confortante, mentre le soffici piume del suo nuovo cappello vibravano appena, assecondando i suoi movimenti: - Sei stata tu a chiedermi di trascorrere la mattinata insieme, supplicandomi di portarti in giro a fare shopping, ricordi? Non l’avevi mai fatto prima, in oltre vent’anni d’amicizia, ed io so bene quanto tu non abbia mai sopportato questo genere di passatempo. E’ chiaro che avessi disperatamente bisogno distrarti e fino ad ora ho cercato di non farti domande. Tuttavia…- e qui le sue parole divennero severe. -… mi sembri più inquieta e depressa di quando hai varcato la soglia del Pensionato, perciò…- prese fiato, aggrottando le sopracciglia dorate: -… vuoi spiegarmi che cosa diavolo c’è che non va?-

Elena si strinse nelle spalle, con le labbra serrate ed un sapore amaro come fiele sulla punta della lingua intorpidita, ma non fiatò.

Un commesso dall’aria snob fece il suo ingresso nella saletta delle prove, reggendo le grucce di una decina di magnifici abiti da sera, ma Caroline, con un gesto della mano che sarebbe stato più adatto a scacciare un moscerino, lo rispedì da dov’era venuto, rimandando il momento della scelta. Elena, che la conosceva forse meglio di chiunque altro, capì da quel valore di quella cruciale rinuncia quanto Caroline fosse sinceramente in apprensione:

-      Puoi parlare di tutto con me.- ricordò quest’ultima alla Gilbert, incoraggiante. - Da che cosa stavi scappando, si può sapere? O meglio… da chi?-

-      Non stavo affatto… è complicato.- borbottò Elena, col viso basso, mentre le gote le si scaldavano rapidamente: se si fosse lasciata scappare qualche lacrima, era certa che la loro scia argentea sarebbe evaporata ancor prima di raggiungere il profilo della mascella, dunque si limitò a tirare su col naso. Se una voragine nera si fosse spalancata nel bel mezzo del pavimento proprio in quell’istante, sotto i loro piedi, pronta ad inghiottirla, cancellando in un solo colpo il suo senso di colpa e alla sua cocente confusione, non si sarebbe lamentata.

-      Da Damon.- dedusse Care, cercando di moderare l’ostilità che risuonava ogni volta che era costretta a pronunciare quel nome. La madre di Demetra chiuse gli occhi, con le folte ciglia che spiccavano sul pallore violaceo delle sue occhiaie; sembrava fragile come un cristallo, sciupata, ed incredibilmente giovane. Come se il tempo, nonostante tutti i suoi sforzi, non fosse mai stato realmente capace di annichilire la parte più profonda di lei, quella che aveva cercato con tanta lena di soffocare tra i ricordi, come si fa con le scintille sotto la cenere, la stessa che la divorava ancora dall’interno, vorace, instancabile, rovente, oggi più che mai.

-      L’ho guardato negli occhi.- bisbigliò Elena, con un groppo in gola. Fece una pausa, poi si sforzò di schiudere nuovamente le labbra, lasciando che, attraverso la loro fessura tremula, sgorgasse una verità senza filtri, simile ad un fiume in piena. Le frasi vennero fuori sussurrate e sofferte, come quelle pronunciate nel buio della sera prima sulla soglia della stanzetta di Demi, mentre le dita di Damon fingevano di sfiorare un interruttore e sentivano che era il cuore di lei, invece, a schiudersi piano sotto la loro carezza: - Ho visto tutto il suo dolore, l’ho sentito sulla mia pelle . Tutti questi anni… - con un lungo brivido, Elena ripercorse, da dietro le proprie palpebre, il sunto vivido e tiepido della seconda opportunità che le era stata donata dalla Cura di Silas: a caratterizzarla c’erano il sole, la vita, la tenerezza di una bambina inconsapevolmente preziosa ed il sapore dolce di un’umanità bevuta a grandi sorsi per saziare una sete di gran lunga più ingorda, viscerale, più crudele… quella della verità: -… tutti questi anni trascorsi a credere che fosse stata una sua scelta, quella di andarsene via. A domandarmi perché. Perché non mi avesse mai pregato di seguirlo, perché non mi avesse tenuta con sé. Mi sono sempre chiesta come avesse potuto essere così cieco ed egoista e spietato da dimenticarmi.- ‘’E con quale coraggio avesse potuto condannarmi a rivedere i suoi occhi in ogni stralcio di cielo, distante e inarrivabile, con la consapevolezza che, un giorno, quell’azzurro era stato mio… e che l’avevo perduto per sempre.’’ - Ogni giorno, mentre era lontano, ho immaginato il suo volto, e ogni notte sono andata a dormire con un vuoto asfissiante nel petto. Sapevo che i miei polmoni non si sarebbero mai più abituati all’ossigeno, dopo aver respirato lui. Ho pregato Stefan di riportarlo da me, fino a quando lui non si assopiva al mio fianco, con la camicia inzuppata di lacrime e uno stupido giuramento intrappolato in gola. Ho pensato a quale sarebbe stato il suo modo di guardare Demi quando lei fosse venuta alla luce, al suo modo di accarezzarle i capelli, di cullarla. Ho desiderato il suo ritorno perché volevo che lei crescesse al suo fianco… perché se lo meritava. Entrambi lo meritavano.- Caroline le strinse forte una mano, pallida come la cera, con la bocca stretta e gli occhi resi enormi dalla commozione. Il ricordo del giorno in cui suo padre, Bill Forbes, aveva deciso di lasciarsi morire pur di non diventare un vampiro la aggredì da vicino, scatenandole dentro un moto di nostalgia: ‘’Nessuno è una persona migliore, senza i propri genitori.’’ gli aveva detto lei all’epoca, con voce rotta, per cercare di convincerlo a restare… ma non aveva funzionato. - Ed ora lui è qui… e la guarda, proprio in quel modo. E l’accarezza così, forse ancora più teneramente di quanto avessi mai potuto sperare. E non può saperlo, capisci? Demi non può sapere la verità, perché potrebbe voler dire renderla ancora più vulnerabile ed esposta ad un pericolo mortale. E così dobbiamo condannarla all’ignoranza, come io stessa lo sono stata per sedici anni, quando io… i-io vorrei soltanto poter abbracciare mia figlia e smettere di mentirle. Ma devo proteggerla e questo silenzio mi uccide. E sta uccidendo anche Damon. Posso vederlo.- Elena tacque e, per un po’, l’unico rumore nelle vicinanze fu quello appena percettibile della ventola del lampadario sopra di loro che, ruotando, rendeva fresco l’ambiente lussuoso del negozio. - Il pensiero che lui non possa… che non abbia mai potuto amare la propria creatura per colpa di Rebekah Mikaelson, della stessa persona che l’ha strappato a me, lo tormenta… lo fa impazzire. Lo conosco, non resisterà a lungo.- con gli zigomi umidi e la faccia sfinita, consunta, scosse lievemente il capo: - Il suo essere così schietto e cristallino, anche nelle situazioni meno opportune, avrà la meglio. Lui cederà ed io non posso permettere che il peso delle conseguenze della verità gravi sulle sue spalle. Ha sofferto abbastanza. Ha patito abbastanza.-

-      Cosa ne pensa Stefan, di tutto ciò?- corse ai ripari la bionda, tentando di essere ragionevole e di prendere, sempre e comunque, le parti del proprio migliore amico. La Gilbert fece una smorfia, mentre il pensiero del marito le suscitava nell’anima un misto di sensazioni contrastanti: la voglia di sentirsi confortata dalle sue parole pacate e dalla sua ineguagliabile capacità di rassicurarla cozzava rovinosamente contro la delusione e la rabbia che lo scoprire le vere ragioni dell’addio di Damon le aveva scatenato nel petto: lui aveva sempre saputo della compulsione, ma aveva preferito mantenere una promessa fraterna durata sedici anni e mille ed una notti di dolore, piuttosto che essere davvero onesto con lei. Elena si sentiva tradita e le nobili ragioni celate dietro al gesto di Stefan non bastavano a lenire la profonda ferita infertale dalle circostanze. - Hai… hai parlato con lui?-

-      Crede che temporeggiare sia la soluzione migliore.- spiegò la vampira, con un tono neutro. - Ma non riesce a capire. Rebekah mi ha già portato via Damon. Ci ha distrutti entrambi, senza il minimo rimorso. Voleva separarci perché sapeva che nessuno di noi due sarebbe sopravvissuto al distacco, e così è stato. In fondo, chi ha il cuore a pezzi sa come infliggere tormento a chi si ama, meglio di chiunque altro. Lei conosceva perfettamente le atrocità a cui saremmo andati incontro l’uno senza l’altra, eppure non ha mai esitato. Oggi è ancora piena d’odio e so che non si fermerà. Che cosa le impedirà di ritorcere la sua folle vendetta contro nostra figlia? Demi è vulnerabile… indifesa. E’ ciò che conta di più al mondo per me e per suo padre e lui ha ragione: venire a sapere una cosa del genere da qualcun altro le spezzerebbe il cuore. E i suoi nemici non aspettano altro.-

-      Che cosa vuoi fare, allora?- domandò la Forbes, allarmata, fiutando le intenzioni dell’amica nell’aria carica di tensione. - Vuoi per caso affrontare un’Originale da strapazzo, alleata con la strega più potente e schizzata di tutto il mondo, nella speranza di eliminare ogni rischio per Demi di scoprire il vostro segreto?- le iridi di Elena sfavillarono, febbrili, mentre lei inspirava profondamente, per farsi forza, per darsi coraggio:

-      No.- ammise, risoluta. - Voglio solo essere sincera con lei. Voglio che mi urli contro ma che si aggrappi a Damon per trovare sollievo. Voglio che scopra assieme a lui, col tempo, il modo di perdonare me e Stefan per le nostre bugie. Voglio che sappia che la verità, anche se in ritardo, è un valore che ho imparato ad apprezzare, e che mi fido abbastanza di lei da consegnargliela di persona, senza più tutti questi sotterfugi.- Caroline non osò replicare, anche se si vedeva che moriva dalla voglia di dissuaderla, e la guardò dritta negli occhi, con estrema serietà. Sembrava quasi che stesse facendo mentalmente appello allo spirito dell’assente Bonnie perché la ispirasse ad essere l’amica di cui Elena aveva tanto bisogno in quel momento così cruciale. Alla Gilbert venne voglia di abbracciarla per quello sforzo sovrumano ma Care la scosse appena, impaziente, per attirare la sua attenzione:

-      Sei assolutamente sicura che sia la cosa giusta da fare?- le chiese, a bruciapelo.

-      Sì.- sospirò l’altra, annuendo decisa. Il dorso della sua mano fremette sotto le dita della moglie di Tyler, ma quell’incertezza durò solo per un attimo: la loro stretta si fece più intensa, comprensiva e, colma di gratitudine, Elena riuscì ad aggiungere: - Se c’è qualcuno che ha il dovere di confessarle chi è suo padre, quella sono solo e soltanto io.-

-      Allora va’.- le intimò Care, solenne. L’amica le lanciò un’occhiata sorpresa ma non riuscì a scalfire il suo contegno: - Corri, dissolviti, dileguati, prima che io ritorni in me e cerchi di farti cambiare idea!- l’ultima frase le venne fuori con una certa urgenza ed Elena, come spinta da una forza invisibile, balzò in piedi, recuperando in tutta fretta la propria borsa e issandosela in spalla. La Forbes le passò anche la giacca e poi, davanti al cipiglio interrogativo e ancora piuttosto stupito dell’amica, scrollò le spalle: - Siamo madri.- chiarì, come se quel concetto esplicasse in modo esauriente tutte le ragioni di quel suo appoggio incondizionato. – Come io so che a Mattie verrebbe il mal di pancia se mi azzardassi a farle provare questo cappellino piumato, così tu sai ciò di cui Demi ha bisogno e ciò che è meglio per lei. E non c’è nessun altro, credimi, che possa saperlo più di te.-

 

Con uno slancio di riconoscenza, Elena cinse la bionda in un abbraccio rapido e quasi timido, ma pieno d’affetto, poi si allontanò, dirigendosi all’uscita, senza più voltarsi.

-      Dille che le prenderò qualcosa di carino da mettere e che glielo farò avere! Le delusioni si affrontano sempre meglio quando si è ben vestiti, dico io!- le gridò dietro la figlia dello Sceriffo, salutandola con energia dopo essersi tolta il copricapo multicolore ed averlo sventolato come un fazzolettino dell’addio: - Qualcosa di blu dovrebbe andar bene… umh, vediamo…- borbottò tra sé un attimo dopo, tornando a concentrarsi sui magnifici capi esposti negli stender e in vetrina, come attirata da calamite piene di strass e merletti. Soltanto quando vide schizzare Elena fuori dal negozio, per strada, coi liscissimi capelli scossi dal vento, mentre si precipitava verso la propria automobile, si ricordò di appiccicare il nasino sul vetro spesso e lucidissimo dell’emporio, gesticolando ed urlando: - Heeey! Buona fortuna!-

 

///  

 

-      Non puoi andare un po’ più veloce?- si lamentò Prince, coi piedi sul cruscotto della Ferrari e le mani poste dietro la testa in una posa irriverente, spaparanzato sul sedile del passeggero come su di un’amaca caraibica; ci mancava soltanto che si mettesse a sorseggiare latte di cocco da una cannuccia, poi il quadro sarebbe stato completo: - Accelera! PFFF! Guidi come mio nonno!-

-      Peccato che sia vissuto nel decimo secolo.- lo rimbeccò Nick tra i denti, svoltando a destra con un’unica mossa fluida. Le mani gli tremavano appena sullo sterzo ed aveva le gote livide dalla tensione. Mentre il fratello borbottava qualcosa di simile ad un ‘’si fa per dire’’ unito ad uno sdegnato ‘’ma quanto sei pignolo’’ e si godeva la trasferta con una fossetta esaltata sulla guancia, il figlio di Elijah gli scaraventò addosso il proprio cellulare: - Chiama Sheila.- gli sibilò, senza staccare gli occhi tormentati dal tragitto che li avrebbe condotti dritti verso la palestra scolastica. Prince inarcò un sopracciglio, irritato dal tono autoritario dell’altro, ma Nick non vi badò: - Sbrigati. Dille che stiamo arrivando, che Demi è sparita e che avremo bisogno della sua magia… dobbiamo lanciare un incantesimo di localizzazione per riuscire a trovarla e non c’è tempo da perdere!-

-      Fammi capire, ho la faccia da call center, per caso?!- sbottò Prince, stizzito. - Roba da non credere… lui che intende dare ordini a me!- quando il figlio di Klaus scosse il capo, indignato, nello sforzo di rendere il proprio poggiatesta più confortevole, le nocche di Nick sbiancarono; con un calcio veemente, il minore dei due Mikaelson premette il piede sull’acceleratore, costringendo il veicolo a schizzare in avanti, e poi, dopo un unico, studiato secondo di follia, inchiodò con violenza sul ciglio della strada. A causa di quella manovra volontaria quanto azzardata, Prince fu sbalzato con poca gentilezza giù dal proprio trespolo di disinteresse e rotolò dolorosamente oltre il sedile, fino a riemergere, scarmigliato e furente, con un lampo assassino negli occhi di smeraldo:

-      Tu…!- sembrava senza fiato, pronto a promettere orribili castighi in cambio di quello sgarbo, ma Nick lo interruppe in tempo, ringhiando:

-      Chiama la strega Bennett, Prince. Adesso! Fallo per la tua dannata Profezia. Per Demi.- l’altro strinse le labbra, come costretto a trangugiare una medicina amara, ma poi, rabbiosamente, si decise a ripescare il telefono dal tappetino sottostante, fissandolo come il suo più selvaggio desiderio fosse quello di stringerlo nel palmo sino a ridurlo in polvere. Mentre il conducente ripartiva sfrecciando, però, gli sovvenne un’idea migliore: lanciò un’occhiatina maliziosa alla rubrica e, dopo aver scelto con estrema cura il numero da rintracciare, assunse un’aria assolutamente malefica:

-      Pronto?- cinguettò dopo un paio di squilli, sibillino ed accattivante, accostandosi l’apparecchietto al viso e tenendolo sospeso con la punta delle dita. Nick aggrottò la fronte, confuso, la puzza di complotto che gli solleticava le narici: - Salve, tesoro. Matilde… giusto?-

-      TU…!- le orecchie del minore dei fratelli divennero paonazze e lui, allungando una mano, alla cieca, cercò di strappare il cellulare a Prince, senza ottenere il minimo successo. L’autovettura nera sbandò pericolosamente, mentre il ghigno beffardo e compiaciuto del principe si allargava e brillava come un faro nel cuore della notte:

-      Che sbadato! Mi sa che ho sbagliato numero!- gongolò questi con finta innocenza, coprendo il ricevitore per far sì che Mattie non udisse i commenti. - Non ti dispiace se… insomma… mhh?!- ammiccò in modo allusivo e Nick sentì il sangue salirgli al cervello e spazzare via, ribollendo, ogni parvenza di razionalità. Escluso l’istinto di agguantare Prince per prenderlo a sberle fino a quando non si fosse più sentito le mani, naturalmente.

Intanto, smorzati ma isterici, dall’altro lato della cornetta, risuonavano gli strilli e le imprecazioni di qualcuno di molto basso e biondo che non capiva che diavolo stesse succedendo.

E che, nell’incertezza, stava prevedibilmente dando di matto.

-      Oh no… passamela subito!- sillabò il giovane dai capelli castani, disperato. Prince, implacabile, mantenne il cellulare a debita distanza da lui, ed improvvisò un gesto esigente, come per invitarlo a proseguire con la parte mancante della frase; l’altro, pur storcendo la bocca con riluttanza, si affrettò ad aggiungere: - Per favore!-

-      Visto? Bastava chiedere.- con un piccolo ’clic’, la chiamata fu trasferita in vivavoce e le grida di Mattie esplosero e rimbombarono attraverso il ricevitore, acute come la sirena di un’ambulanza:

-      … paura di lui, è chiaro? Ho una strega al mio fianco e non ho paura di usarla! Se ti sfiora soltanto con un dito, anche con il mignolo, non mi interessa, troverò su un Grimorio puzzolente l’incantesimo che gli farà dire addio alle chiappe e anche a quel suo accento così dannatamente…!-

-      Nana, per l’amor del cielo… sono io!- la bloccò Nick, scandalizzato, imboccando un vicolo strettissimo e in discesa, senza degnarsi di rallentare. Prince, nel frattempo, si ostinava a fissare il tettuccio dell’auto, con gli addominali contratti, come se si stesse trattenendo per non sganasciarsi dalle risate. - Sto bene! Adesso ascoltami, molto attentamente: abbiamo un problema. Crediamo che Rebekah abbia… rapito Demi.- un mezzo gemito d’orrore si strozzò nella gola della Lockwood e lui avvertì una stretta al cuore, ma non esitò a continuare: - Ho bisogno dei poteri di Sheila per un supporto… le detteremo un incantesimo da pronunciare…- il principe picchiettò coi polpastrelli sul cartone dell’enorme libro spaginato che aveva voluto portarsi dietro ‘in caso di emergenza’, come per confermare la propria intenzione di collaborare, perlomeno fin quando gli fosse convenuto: -… nella speranza che ci faccia guadagnare del tempo. Ogni secondo potrebbe essere prezioso. Pensi che lei possa riuscirci? Intendo dire… a rintracciare Demi?-

-      Deve.- risposero in coro sia la nana che Prince, la prima con tono soffocato, come se si stesse mordicchiando le labbra in preda all’angoscia, e il secondo con una sorta di severa, fervida determinazione. Nick batté le ciglia, in attesa, ed immaginò la paura traferirsi, assieme alle novità degli ultimi minuti, da un paio di lucide iridi oceanine a due occhi scuri ed attoniti. Prima che lui potesse cercare conforto nel saluto di Mattie o che potesse in qualche modo provare a rassicurarla, anche se invano, la voce bassa e roca di Sheila si sostituì a quella più morbida dell’amica bionda: - Okay… ci sono. Spicciatevi, con questa formula magica. Non sono certa che funzionerà ma, con Demi in pericolo, non ci resta che tentare. Nick…- era la prima volta che la Bennett lo chiamava per nome, e lo fece con il terrore tatuato su ogni centimetro delle proprie corde vocali. Sembrava che lo stesse supplicando: -… la ritroveremo, non è così? Tu… la salverai, no?-

-      Dovesse costarmi la vita.- giurò Nick, gentile, ma anche deciso e secco, quasi come lo scoppio di una fucilata rivolta al cielo. Per parecchi incalcolabili istanti, Prince rimase a scrutare il fratellino, con il volto indurito da un’espressione indecifrabile. Poi, senza una parola, spalancò il Grimorio di Esther Mikaelson.

 

***

 

-      … Stefan?- chiamò Elena, incuneando temporaneamente il cellulare tra la spalla e la guancia, per avere maggiore libertà di movimento. Mentre allungava una mano per chiudere con uno schiocco lo sportello della Porsche, inspirò profondamente nell’aria umida, densa ed odorosa del cortile del Pensionato, per farsi coraggio, poi si avviò verso gli scalini all’entrata, con passo rapido e deciso. Giunta finalmente a destinazione, con il cuore le batteva all’impazzata, carico di aspettative, sentiva la necessità di correre da Demi pulsarle forte nelle tempie: - … pronto? Stefan?! Sei lì?-

-      Nope.- la voce familiare, sarcastica e leggermente sommessa di Damon le scatenò dentro un’ondata di nostalgia e sorpresa, invadendole il petto e surriscaldandolo, e subito, immaginando il candore compiaciuto del suo ghigno accompagnare quella parolina inconfondibile, Elena si sentì avvampare:

-      Oh.- esalò, oltrepassando distrattamente degli spessi e profondi solchi nel terreno, simili a strisce infuocate impresse dal passaggio sconsiderato di ruote tra l’erbetta. - Sei tu.-

Lui, appoggiato placidamente ad una grossa colonna color caramello sul porticato di casa Bennett, avvertì quasi il calore della soggezione di lei scaldargli la guancia attraverso la cornetta:

-      Yup. Pensavo che avresti fatto di tutto per evitarmi, se ti avessi chiamata col mio numero, perciò ho… preso in prestito il telefono di Stefan mentre lui era impegnato a caricare in auto gli ultimi pacchi della bambina. A proposito, abbiamo finito, qui. Tra poco saremo a casa.-

La vampira si attorcigliò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, apparentemente confusa dalla prima parte della frase di lui, poi biascicò:

-      E perché mai non avrei dovuto…?-

-      … rispondere ad una mia chiamata?- completò Damon per lei, osservando Bonnie radunare i bicchieri di limonata fresca ormai vuoti su un vassoio mentre Jeremy, capitato lì per caso come capitava lì per caso praticamente ogni giorno da sedici anni, si affrettava ad aiutarla: - Non saprei. Magari è per lo stesso identico motivo per cui te la sei svignata stamattina, senza neanche salutare, sperando che mi bevessi la scusa dello shopping compulsivo.- c’era un pizzico d’amarezza nel suo tono roco, qualcosa di consapevole ed intenso, che sapeva come farle stringere lo stomaco, fino a farle male: - O forse è perché hai imparato troppo bene a fuggire da ciò che provi, se ti destabilizza.- scrollò le spalle, mentre Stefan, in lontananza, sbatteva il cofano della Camaro e si strofinava le mani impolverate sui pantaloni, poi fece una smorfia colpevole: - Dopotutto, hai avuto proprio un ottimo maestro, no?-

-      Damon...- bisbigliò Elena, con uno strano nodo incandescente al centro del petto; lui mormorò qualcosa che somigliava ad un secco e disilluso ‘’Sì, lo so.’’ ma, prima che lei potesse in qualche modo replicare, una folata di vento si sollevò, facendole gonfiare i vestiti ed investendo in pieno l’uscio d’ingresso della pensione.

Il portone di solida quercia, inaspettatamente, non oppose la minima resistenza a quella pressione e, con un cigolio sinistro e prolungato, si spalancò sotto gli occhi di colpo perplessi della vampira.

Un momento.

Era… era aperto?

-      Damon.- ripeté lei improvvisamente, con l’allarme del panico nella voce. - Qualcosa non va.- circospetta, si chinò sullo zerbino, intravedendo un oggetto abbandonato tra le pieghe, e raccolse un aggeggio dall’aria ammaccata, con una riga centrale ed irregolare scavata sullo schermo: era il cellulare di Demi.

Che ci faceva lì?

Doveva esserle caduto dalle mani, per essere così malridotto

Mentre, dopo un paio di tentativi infruttuosi, riusciva a individuare il testo mutilo ed enigmatico dell’ultimo sms che la figlia aveva inviato e, allarmata, si precipitava in salotto, udì gli strepiti del vampiro dalle iridi di ghiaccio stridere e tuonare nel ricevitore:

-      Woh woh, Elena?! Che succede? Elena? Ele…?- quei suoni le parvero stranamente lontani quando si guardò attorno a fatica, quasi paralizzata dalla preoccupazione, alla ricerca di un guizzo di seta nera, di un paio di occhi color zaffiro, di qualsiasi dettaglio, insomma, che potesse confermare la presenza di una sedicenne illesa e sorridente nei paraggi; purtroppo, le uniche presenze in quella gigantesca stanza rimasero un silenzio desolato ed un’aria talmente rarefatta da rendere difficoltosa la respirazione.

Non c’è nessuno, qui.

Lei non c’è.

-      Demi?- mormorò Elena, fioca, come se qualcuno si fosse inghiottito i suoi polmoni. Il muscoli del suo cuore si contorsero, quasi volessero accartocciarsi su se stessi; poi, chissà come, in preda all’angoscia e ad un orrendo presentimento, lei ritrovò il fiato per mettersi a urlare: -… Demi? DEMI?! Dove sei? Demi!-

-      Che cosa sta succedendo?- ansimò Stefan, raggiungendo il fratello maggiore con un balzo, mentre quest’ultimo continuava a chiamare la madre della sua bambina per nome, nella speranza di riuscire a farsi spiegare quale fosse il problema; il suo viso marmoreo era diventato ormai smunto e tirato come quello di una statua di cera quando lui si costrinse ad accettare il fatto che la Gilbert avesse sospeso la loro conversazione per cause di forza maggiore.

Di estrema gravità.

Pungente ed insopportabile, il senso d’impotenza lo invase da capo a piedi:

-      Maledizione… MALEDIZIONE!-

Il suo pugno pieno di frustrazione si schiantò contro il muro della colonna alle sue spalle, sbriciolandone un profilo e facendo spruzzare sangue dalle sue nocche scorticate; Bonnie e Jeremy accorsero e Stefan lo afferrò per le spalle, cercando di fermarlo, di scuoterlo, di capire, con gli occhi verdi torbidi, pazzi di paura: 

-      Demi!- salendo le scale, intanto, veloce come un fulmine incorporeo, Elena si trovò di fronte uno spettacolo inaspettato… inequivocabile: la stanza di Damon, in fondo al corridoio, era aperta.

Ricacciando la propria intima, antica avversione per quelle mura così pregne di ricordi e sofferenza, varcò la soglia, scorgendo delle piccole impronte nella polvere del pavimento, e restò a bocca aperta: c’erano cocci di vetro, legno e devastazione ovunque. La mobilia era a soqquadro e i cassetti erano stati rivoltati come calzini. Lo specchio era in frantumi, il contenuto del baule delle armi giaceva ammassato sul tappeto… persino la botola segreta accanto al letto era stata scoperchiata.

Oh, no…

Con gli spilli roventi del pianto e della comprensione che iniziavano a sfrigolarle tra le ciglia bagnate, Elena si avvicinò al materasso e prese tra le mani tremanti la familiare coperta ricamata che, tanti anni prima, aveva ornato la culla di Demetra e che ora si trovava adagiata, inerte e scomposta, tra le lenzuola.

Un lembo di quella stoffa soffice e merlettata era ancora caldo ed umido, come le sue guance.

Posandola e facendo dietrofront, la vampira tornò al piano terra, tormentata dal pensiero che la figlia potesse essere stata in qualche modo catturata e portata via almeno quanto lo era dall’ipotesi che se ne fosse andata di sua spontanea volontà dopo aver intuito tutto ciò che lei era arrivata troppo tardi per confessarle.

Nonostante sapesse quanto fosse inutile, continuò a cercare, a sgolarsi, a pregare, senza risultati, fino a quando non si appoggiò con la schiena al muro, cercando di ragionare, di individuare qualche indizio nell’ambiente circostante.

Le tazze della colazione erano ancora nel lavabo, i tulipani che Stefan raccoglieva tutte le mattine per sistemarli in un vaso di ceramica erano ancora in fiore, intatti. Niente era stato toccato e, a perlustrarla, la casa era quasi identica a come l’aveva lasciata… o quasi.

C’era uno strano ritaglio di carta che risaltava, in bilico ma anche in bella mostra, sul mobile del Bourbon di Damon: era piegato in due parti, così da celare la scritta svolazzante e tremenda che era stata tracciata all’interno, e, quando Elena lo agguantò, lo fece con tanta foga da rischiare di strapparlo.

Poi, con un tamburo incessante che le scuoteva il petto, le vene dei polsi e quelle del collo, lo lesse:

 

‘’Vieni a riprenderti il tuo cuore dove un tempo viveva il mio.

Da sola, Elena.

Portati dietro anche soltanto uno dei Salvatore

ed io finirò quello che ho iniziato sedici anni fa.

Ma, stavolta, giuro che non fallirò.

XOXO

R.M.’’

 

Descrizione: C:UsersWindowsDesktopThe Vampire Diaries ffGif32cap36Nuova cartellaanimated[7].gif

 

La Gilbert, frastornata, batté le palpebre, mentre i pezzi di un passato lacerante si ricongiungevano precipitosamente con quelli di un presente ancora più assurdo e drammatico, e si aggrappò alla spalliera di una poltrona rossiccia per non cadere.

 

 

 

 

‘R.M.’, ancora una volta, voleva fargliela pagare usando l’amore che lei aveva perso tragicamente come un’arma contro di lei.

’R.M.’, ancora una volta, voleva attirarla in una trappola usando come esca la cosa più importante che fosse mai stata sua.

Ed Elena, ancora una volta, non aveva scelta.

-      Demi è in pericolo. L’ha presa lei.- sussurrò con voce assolutamente atona e vuota, non appena fu rientrata in possesso del cellulare. Nell’udire che Damon era ancora lì, ansioso di conoscere le novità, col fiato corto, circondato dal chiasso preoccupato degli altri presenti, le sue dita strinsero così forte il rivestimento in pelle del divano da conficcarvisi dentro con le unghie, fino in profondità. - Devo andare.- si leccò le labbra riarse, poi, a denti stretti, aggiunse: - Ti prego, Damon, non tentare di scoprire dove sono diretta. Non seguirmi. Ti scongiuro, per il bene di Demi, dammi retta… nessuno di voi deve farsi vedere al mio fianco.  Tu non devi seguirmi.-

-      Ma cosa vai farneticando?!- ringhiò lui, con la voce intrisa di sconcerto e furore, una combinazione letale che, nel suo personale linguaggio, era il corrispondente più prossimo dell’assoluta devastazione interiore. Stefan, immobile al suo fianco, vide luccicare un velo lucido sulle sue iridi dilatate: - Non dirlo nemmeno. Io vengo con te. Mi hai sentito? Subito.-

-      No.- insistette Elena, ficcandosi il biglietto di Rebekah in tasca e voltandosi per uscire dal Pensionato. Sentiva che se si fosse fermata, se non avesse continuato a muoversi e a camminare, avrebbe ceduto al panico e si sarebbe sbriciolata subito, come un friabile castello di sabbia vittima delle insaziabili fauci marine. Si sbatté il portone alle spalle, poi si asciugò gli zigomi con il dorso della mano, cercando di essere pronta… e forte: - So dove andare. Devo fare in fretta.- annunciò.

Al vampiro parve solo un modo di dirgli addio.

Il suo mondo smise di ruotare, trasformandosi in una caotica, nebulosa e opaca bolla di sapone. Pronta ad esplodere e a scaraventarlo in un oceano di perdita che non sarebbe stato capace di affrontare un’altra volta:

-      No, Elena, non ti azzardare a farlo. Non riattaccare. Non osare, capito?! Elena!- lei non l’aveva mai sentito supplicare qualcuno ma il suo tono era distrutto e tremulo come un’onda che si frange sugli scogli appuntiti. Il suo impatto la colpì con tutta la violenza di una tempesta. - Non puoi… non puoi farmi questo.-

-      Lo faccio per proteggerla.- bisbigliò lei, rimettendosi in macchina, con le ginocchia ormai ridotte in gelatina. Per proteggervi entrambi. La voce le si spezzò in gola, fragorosamente: - E’ mia figlia, Damon.-

-      E’ anche la mia.- ansimò lui. Il suo tono era basso e quasi soffocato, ma rimbalzò con un volume assordante nelle orecchie e nella cassa toracica della vampira. Lei ingoiò a fatica un groppo di lacrime, dolore e tenerezza che le impediva di proferire verbo e sfiorò con la punta del pollice il bordo liscio del cellulare, come se stesse carezzando un angolo della guancia di lui. Poi affondò la lama: 

-      Ho fatto una scelta. Devi rispettarla.- disse, scegliendo con cura le parole. Lo udì trattenere il respiro e, sigillando ermeticamente il proprio cuore, che si dibatteva, feroce come un animale in gabbia, lei aggiunse: - Perdonami.-

E chiuse la chiamata.

Damon udì un singhiozzo ovattato prima del ‘’click’’.

Poi, dall’altra parte, come un’ombra inestinguibile, calò il più totale silenzio.

 

 

///

 

-      Che cos’ha detto? Damon, guardami. Rispondi!- Stefan osservò il proprio fratello abbassare il telefono con un gesto brusco e meccanico, con le labbra così strette da assomigliare ad una linea sottilissima, quasi invisibile. Dal barlume funereo nei suoi occhi, si poteva intuire l’entità prodigiosa del rogo che lo stava consumando dall’interno, senza lasciargli scampo. Il minore dei due Salvatore avrebbe voluto toccarlo, scrollargli una spalla, avido d’informazioni, ma sapeva benissimo che avrebbe soltanto peggiorato le cose. - Elena… c-che cosa ti ha detto?-

-      Che Rebekah si è presa Demi.- rispose l’altro, calmo e inespressivo. Troppo calmo. Bonnie si coprì la bocca, strozzando un verso orripilato, e Jeremy si fece avanti, con la faccia sconvolta di chi spera di aver sentito male. Damon non si mosse d’un centimetro e rimase fermo e rigido, con le pupille vacue, fisse nel vuoto. – Crede di sapere dove trovarle ma non me l’ha rivelato. Mi ha ordinato di lasciarla andare. Di non provare a raggiungerla, per nessuna ragione al mondo. Nient’altro.-

Stefan fece un passo indietro, scuotendo il capo, incredulo, poi si massaggiò le tempie, mentre nessuno osava emettere un fiato.

I secondi fluttuarono attorno a loro con la stessa lentezza morente con cui vola un passerotto con un’ala spezzata. Alla fine, senza sollevare la testa, come se non credesse neppure lui alle proprie parole ma si sforzasse di farlo per rimanere aggrappato a qualcosa di solido, mentre la sua esistenza si stava sfaldando, Stefan esalò:

-      Avrà avuto le sue ragioni, per vietarti di seguirla. Se questa è una sua decisione… allora dovresti adeguarti.-

-      Neanche per sogno. Io vado da lei.- sbottò Damon, guardandosi intorno alla cieca, nel tentativo di non farsi distrarre mentre cercava di farsi venire un lampo di genio per salvare la situazione. S’incamminò verso il parcheggio, ancora immerso in mille progetti irrealizzabili, ma Stefan lo ostacolò, parandosi preventivamente a metà del percorso che c’era tra lui e la Camaro azzurra: - Levati-di-mezzo.- gli soffiò Damon, aggressivo, cercando di superarlo, senza troppi risultati. Una vampata di calore e di rabbia gli arrossò le guance e, quando Stefan non si mosse, lui fece per spingerlo via: - SPOSTATI!-

-      Ti ho detto.- ripeté l’altro, acchiappandogli un polso. I loro sguardi s’incrociarono e si sostennero per lunghissimo un istante d’asprezza: - Che è meglio che tu le dia ascolto.-

Damon fece una smorfia sghemba e amara, come a dire ‘prevedibile’, e i suoi denti si scoprirono in un bagliore accecante. Scoppiò a ridere, una risata gelida che fece rizzare i peli sulla nuca di tutti i presenti:

-      In tutti questi anni, non sei cambiato di una virgola, fratellino.- constatò. Stefan percepì l’antifona del pericolo vibrare nella sua voce, come quando una corda di chitarra salta all’improvviso: - Beh, se proprio vuoi saperlo… nemmeno io. Sta’ a vedere.-

Ci fu un guizzo di vento, un gemito di sconcerto, poi Damon scomparve dalla vista degli altri.

Rispuntò, come un giustiziere, alle spalle del fratello, i lineamenti finissimi resi più duri del marmo dalla tensione, e lo afferrò per le spalle, con impeto, ignorando di proposito tutte le sue deboli ed incredule proteste:

-      Damon, non…!-

-      Don’t Damon me.*- gli sibilò questi all’orecchio.

Bastò un istante, poi il vampiro spinse le braccia avviluppate al collo di Stefan in due direzioni diametralmente opposte.

Ci fu uno scatto sordo ed implacabile, penetrante; poi, col collo spezzato, il marito di Elena si accasciò in avanti, privo di sensi e temporaneamente anche della vita, atterrando bocconi sulla base dell’impalcatura legnosa del porticato.

-      NO!- gridò Bonnie, lanciandosi in avanti, agghiacciata. Un muscolo nella mascella di Damon si tese, ma fu quella la sua unica reazione visibile di fronte al corpo esanime della sua vittima. La Bennett alzò i suoi occhi scuri e colmi di rimprovero verso di lui, mentre appoggiava l’indice sulla carotide di Stefan e ne rilevava, cupa, l’assoluta immobilità: - Come hai potuto farlo?!-

-      Quante storie.- sbuffò lui, scrollando le spalle, come se niente fosse. - Lo sai bene che tornerà a petulare tra meno di qualche ora, sano come un pesce ma purtroppo non altrettanto muto. Nel frattempo, almeno non sarà qui intorno per impedirmi di fare... questo!- schizzò di nuovo come un lampo, svanendo fisicamente dalla loro percezione, poi acciuffò a tradimento il braccio del povero Jeremy, piegandoglielo dietro la schiena fino a quando questi non emise un lamento di dolore e sgomento:

-      Che diavolo stai facendo?! Sei impazz…?-

-      LASCIALO ANDARE!- strillò Bonnie, fuori di sé, con le palpebre sbarrate. Damon non si scompose. In fondo, quella reazione angosciata era esattamente ciò che sperava di ottenere:

-      Se faccio di nuovo ‘’snap’’, lui non tornerà. Niente anello magico, vedo. Niente di niente.- chiarì, indicando con un cenno la spoglia mano destra del fratello di Elena mente gli stringeva l’avambraccio sotto il mento, opprimendolo. - Per salvarlo, streghetta, devi fare una cosa per me. Un incantesimo di localizzazione, semplice semplice. Trova la mia bambina ed io lo lascerò andare.-

-      Tu non lo uccideresti!- gridò la Bennett, in un tono caustico ma anche implorante. Damon fece una strana smorfia vanitosa, come se qualcuno avesse appena messo in discussione le sue potenzialità, ma Bonnie precisò: - Elena e Demetra non te lo perdonerebbero mai!-

Una ruga di consapevolezza si scavò tra le sopracciglia aggrottate del vampiro; poi, annuendo tra sé e sé, lui sfoderò i canini appuntiti ed affilati, lacerandosi con un morso brutale la pelle del polso:

-      E’ vero. Perciò… ho un’idea migliore. Posso trasformarlo.- la avvertì, accostando la ferita alla bocca serrata del suo ostaggio e costringendolo a bere qualche sorso del proprio sangue. Jeremy si divincolò, ma non riuscì a liberarsi in tempo: il liquido denso e scuro gli scese in la gola e lui fu obbligato a deglutire. - Non ho più tempo, BONNIE!- ruggì Damon, disperato. - Hanno bisogno di me!- Cercò il suo sguardo e provò a trasmetterle tutto il proprio folle bisogno di fare qualcosa per impedire a Rebekah di distruggere quanto avesse di più prezioso al mondo:

-      Aiutami.-

-      D’accordo.- cedette lei, con le narici che fremevano. Il maggiore dei Salvatore mollò subito la presa e Jeremy si allontanò da lui, precipitosamente, massaggiandosi il collo indolenzito e tossendo. Bonnie gli sfiorò una ciocca di capelli sudati mentre lui si ripuliva la bocca macchiata di rosso, poi, dopo essersi assicurata che stesse bene, inspirò a fatica: - Avremo bisogno di una mappa. E di un pendolo, magari. Vado a prendere l’occorrente. Tu recupera dagli scatoloni qualcosa che appartenga a Demi, un suo effetto personale, e non lasciare che quella lesione sul tuo polso si rimargini. Dobbiamo sfruttare tutto il materiale possibile per indirizzare meglio il sortilegio.-

Mentre lei si precipitava in casa e Jeremy gli rivolgeva un’occhiata a metà tra la curiosità, il rancore ed il compatimento, Damon ficcò la mano nella tasca dei jeans e ne tirò fuori un sottile nastrino color panna. Era lo stesso che, sotto forma di corvo, le aveva rubato il primo giorno in cui l’aveva incontrata, lungo il tragitto che conduceva a scuola.

Lo aveva tenuto sempre con sé, all’inizio senza nemmeno sapere perché, ed ora l’avrebbe usato per ritrovarla. Lo carezzò lievemente con i polpastrelli, fin quando la Bennett non si ripresentò, con un foglio arrotolato sottobraccio ed il Grimorio della sua discendenza pronto per la consultazione.

Senza parlare, lui le porse il nastro come fosse un tesoro inestimabile, e la strega lo esaminò brevemente:

-      Può andare.- approvò, seria e rigorosa. Lo tese tra le proprie dita brune e chiuse gli occhi, concentrandosi. Anche Damon fece lo stesso, mordendosi l’interno della guancia e pregando silenziosamente che quella magia funzionasse, e al più presto. - Adesso dammi alcune gocce del tuo sangue.- gli ordinò la donna, facendogli segno di avvicinare la ferita alla stoffa immacolata. - Sei suo padre… così faremo più in fretta.-

-      Grazie.- sospirò lui, pronto ad obbedire, prima di riuscire a trattenersi. Sembrò sincero, specie per i suoi standard di solito pieni di sarcasmo ed arguzia pungente, tanto che Jeremy si sentì quasi in dovere di rimandare la scazzottata di ‘’pareggio dei conti’’ che aveva cominciato ad organizzare mentalmente dall’istante stesso in cui aveva riconquistato la libertà.

Bonnie, invece, fissò il vampiro senza pronunciare un solo commento, poi scosse la testa:

-      Non lo sto facendo per te.- chiarì, prima di abbassare gli occhi sulla mappa di Mystic Falls. - Ma per Elena.-

 

***  

 

-      Famatos Tribum, Nas Ex Veras Sequita Saguines, Ementas Asten, Mihan Ega…- la collanina che Sheila stingeva in mano a mo’ di pendolo, tenendola sospesa su una sbiadita cartina della città (che Mattie aveva da poco recuperato, scassinando con una forcina per capelli lo sgabuzzino della palestra), non voleva proprio saperne di collaborare: -… Mihan Ega Petous...- il ciondolo all’estremità della catena ebbe un sussulto molto incerto, ma si fermò troppo presto, e senza più dare segnali di ripresa. La figlia di Bonnie sentì i propri occhi riempirsi di lacrime di delusione e, se Mattie non l’avesse trattenuta per il braccio, avrebbe scagliato lontano ogni cosa, al culmine dello scoraggiamento: - E’ tutto inutile! Stiamo perdendo tempo! Non ne sono capace…!-

-      E invece sì! Puoi farcela… andiamo, sei proprio una strega coi fiocchi, quando ti ci metti!- cercò d’incoraggiarla la biondina, facendole una carezza confortante tra i riccioli arruffati. Sheila la incenerì con lo sguardo, risentita:

-      C-come sarebbe?!- sbraitò, impermalita. - Fai sul serio?-

-      Nooope!- gongolò l’altra, sbattendo le ciglia ed improvvisando una faccetta ruffiana e furba che voleva a tutti i costi imitare quella che Demi avrebbe senza dubbio assunto, se solo fosse stata lì presente, in mezzo a loro.

I due terzi del trio incompleto si scambiarono un sorriso triste, poi, saltellando da un piede all’altro, come un coniglietto in gabbia, la Lockwood si girò verso la porta, speranzosa, impaziente: ogni singola fibra del suo corpo aspettava di scorgere oltre l’uscio la sagoma dell’unica persona che, lei lo sapeva, avrebbe potuto salvarle da quell’incubo.

-      Fai un ultimo sforzo, She’, coraggio! Nick sta arrivando, lui saprà cosa fare… e, nel caso in cui quella canaglia del suo fratellastro ci avesse dato la formula sbagliata, potrai sempre darci una mano a nasconderne il cadavere! Okay? Intanto, riprovaci , dai… com’era?! Salagadula, magicabula...?-

Sheila, cercando di non perdersi d’animo, sbirciò gli appunti che aveva annotato pochi minuti prima, al telefono con l’erede di Klaus, tanto per essere sicura di non fare errori, poi sospirò:

-      Ci sono.- sollevò di nuovo il ‘pendolo’, cingendo tra le dita anche il braccialetto ramato che si era sfilata dal polso quando i due Mikaelson le avevano consigliato utilizzare un oggetto legato a Demi per incanalare meglio la magia, e fu sopraffatta dai ricordi: quando erano piccole, si erano scambiate quei gioielli, identici per tutte e tre, per simboleggiare l’eternità indissolubile della loro amicizia. A lei era toccato il bronzo, a Mattie l’oro giallo e a Demi l’argento:

-      Fasmatos Tribum, Ex Veras. Sequita Saguines …- la nanetta continuò ad incitarla in silenzio ma con partecipazione, dondolandosi e agitando le mani al suo fianco come una prestigiatrice esperta, e Sheila socchiuse le palpebre: - Fasmatos…-

-      Per l’amor di… di me stesso… è PHASMATOS, non ‘fasmatos’!- le interruppe una voce suadente, sconosciuta e spocchiosa dietro di loro, accompagnata dal fragore delle due ante del portone spalancate all’unisono.

Con un ingresso trionfale, un ragazzo alto e bello da mozzare il fiato si fece largo nella palestra, investito dalla luce, camminando spedito e noncurante, come se ogni centimetro di quel posto gli appartenesse di diritto, e grazie tante. Aveva l’aria di chi è sceso controvoglia nei bassifondi del proprio reame per sfuggire alla noia della vita di corte, ma non sembrava poi così entusiasta di quanto aveva trovato laggiù. - Sono circondato da dilettati! Tanto per cambiare!- si lamentò, con le mani ben salde sui fianchi.

-      Fammi indovinare.- bisbigliò Sheila all’orecchio di Mattie, con gli occhi sbarrati e la mano libera che si tendeva all’indietro, solleticata dal desiderio di agguantare uno dei manici di scopa che, coperti di ragnatele, se ne stavano appoggiati al muro verde ramarro della sala sportiva. - Quello là è… Prince?-

-      Niente corona…- osservò Mattie, stordita, battendo le palpebre più e più volte. Il furfante se lo era sempre immaginato come una specie di creatura abominevole e bavosa e, ora si ritrovava a fare i conti con quello che era un misto tra un angelo ed uno spruzzo di sole piovuto sulla terra e solidificatosi senza perdere un briciolo della propria brillantezza dorata, si sentiva confusa. Per fare qualcosa, acchiappò la scopa che l’amica le stava porgendo di soppiatto, poi balbettò: - … ma suppongo di sì.- serrò le dita attorno al legno, pronta a brandire l’asta come un randello, poi fece un passo avanti. - Ci penso io.- disse, facendo cenno a Sheila di proseguire con la versione esatta dell’incantesimo. - Lascia fare a me.-

Prince piegò la testa di lato, incuriosito dalla sua determinazione, e la fissò mentre avanzava con la stessa aria minacciosa che può ostentare un cucciolotto di foca bianca rimasto senza pesciolini per cena:

-      Sta’ attenta con quella scopa, amore.- le consigliò, in tono pratico. - Potresti farti male e si dà il caso che tu mi serva ancora viva e in buona salute.-

-      Dov’è Nick?- sbottò lei, implacabile, puntandogli contro la sua arma. Prince inarcò un sopracciglio, scettico, e lei si accorse troppo tardi di aver girato il bastone per il verso sbagliato: non c’era la punta del cilindro legnoso ad intimidire il ragazzo, ma soltanto l’ammasso soffice e ballonzolante delle frange di cotone poste sull’altra estremità della scopa. - Uh, ecco… no, non così. Ma così!- si corresse lei, ruotando il manico come se fosse stato tutto calcolato. - Ah-ah!-

Lui pareva sul punto di piegarsi in due dalle risate e lei pensò che, l’umiliazione a parte, le avrebbe fatto davvero comodo un simile cambiamento di prospettive: le faceva quasi male il collo, nello sforzo di continuare a sostenere gli occhi verdi e dispettosi di quel tizio a dir poco gigantesco. Ma quanto diamine era grosso? Un armadio, più alto del fratello minore e anche parecchio più muscoloso.

Ad ogni modo, il sospetto che Prince avrebbe potuto spezzare la sua mazza come uno stuzzicadenti non sembrò sufficiente a demoralizzarla, perché Mattie seguitò ad incalzare il proprio interlocutore con la stessa ostinazione di poco fa, oramai paonazza in volto:

-      Beh?! Dove l’hai lasciato, il mio compare?! Sputa il rospo e FORSE non ci saranno conseguenze troppo… emmmh… spiacevoli per te!-

-      Woah.- commentò il principe, impressionato, spostando col solo ausilio dell’indice il pomo rotondo dell’asta lontano dalla propria portata. - Che paura, scricciolo.- la osservò attentamente, divertito dalla prodigiosa differenza di dimensioni tra loro, poi sogghignò: - Ma tu guarda un po’. Ed io che credevo fossi così... minuscola per colpa della prospettiva e della lontananza, mentre ti tenevo d’occhio in attesa di farmi uno spuntino!- la prese in giro, sarcastico. - E invece…-

Lei lo fulminò, poi, a sorpresa, gettò la scopa sul pavimento e strinse entrambi i pugni sotto il suo naso, agitandoli:

-      Che ne direste di un gancio destro farcito, vostra altezza?! EH?!-  

-      HEY, BUONI, BUONI!- li bloccò Nick, comparendo in tutta fretta al fianco dell’altro Mikaelson, pallido come un cencio ma con uno strano luccichio negli occhi. Mattie abbassò le mani, senza pensarci due volte, ed il suo viso paffuto si rilassò, come se avesse appena visto spuntare un fulgido arcobaleno dopo un temporale infinito e burrascoso:

-      Eccoti qua!- esultò, avvicinandosi a lui. Le parole monotone ed incomprensibili di Sheila continuarono a riverberare nell’ambiente deserto ed immenso della palestra anche quando la nana abbracciò il nuovo arrivato, per dargli conforto. Lui, grato, l’accolse come se quella consolazione fosse stata una delle ragioni principali per cui si era precipitato fin lì, e la sollevò appena, facendo penzolare i suoi piedini a qualche centimetro dal pavimento.

-      Ma che stavi combinando?!- le chiese, con l’ansia che evaporava dalla sua voce con eccessiva lentezza e perdurava sotto mentite spoglie, tramutandosi in una sorta d’inedito, velato sospetto. Si era spaventato nel vedere la quasi-rissa scattata tra la sua migliore amica ed il fratellastro, ma c’era anche un latente pizzico di fastidio nel suo tono.

-      Fraternizzavo col nemico, no?- ironizzò lei, con aria d’importanza. - Non sarai mica geloso del mio mega cazzotto imbottito, vero?!-

-      Mmh.- mentre il giovane la cingeva, senza rispondere, a Mattie parve di sentire il suo busto un po’ più fragile e sottile, sotto la stoffa profumata degli abiti. Ma forse era soltanto una sua personale impressione:

-      Stai bene?- gli domandò dopo un attimo, dolcemente.

-      Non finché non l’avrò trovata.- replicò Nick, la guancia ancora premuta contro la testolina morbida e color del grano di lei.

Intercettando lo sguardo di Mattie, che si era fatto vacuo e lucido a quelle parole, da dietro le spalle del figlio di Elijah, Prince emise un buffo versetto, come se l’aria gli fosse andata di traverso mentre inspirava, e lei, sentendosi scoperta, si nascose subito con la faccia in fiamme nella camicia di Nick.

Il biondo, con un cipiglio soddisfatto, non disse nulla e raggiunse, fluttuando, il tavolo della sedicenne Bennett, forse cercando qualcun altro da infastidire, oppure semplicemente per controllare come stesse procedendo l’ardua localizzazione della Salvatore.

-      E’ colpa mia se lei è in pericolo.- esplose Nick, a mezza voce, quando fu certo che l’altro si era allontanato a sufficienza. - E’ tutta colpa mia. Non avrei mai dovuto irritare Rebekah in quel modo. E lasciare Demi senza protezione dopo un evento simile… come ho potuto essere così ingenuo? Avrei dovuto capirlo, sono… sono…-

-      Un idiota, se pensi che tua zia sia una pazza scatenata per causa tua!- lo rimbeccò lei, severamente. Phamatos Nas, Sequita Ega Sangiunem… - C’è ancora speranza. Non lasciarla andare. Te lo proibisco, capito?! Tieniti stretta la tua speranza, con tutte le forze che hai. Devi farlo.- quando lui annuì piano, la Lockwood fece per sciogliere l’abbraccio, ma Nick la trattenne con sé, istintivamente, continuando a stringerla.

Con tutte le forze che aveva.   

Mattie, intuendo il messaggio di quel gesto, sgranò gli occhi così bruscamente da sentir male alle palpebre.

-      S-sta… sta FUNZIONANDO!- strillò Sheila all’improvviso, notando che il ciondolo tra le sue mani sembrava infine essersi deciso a prendere vita. - VENITE QUI... SBRIGATEVI!- mentre la catenina oscillava velocemente, schizzando su vari punti della mappa, fino a tracciare un percorso piuttosto arzigogolato, Nick si congedò dall’amica e si affiancò a Prince, il quale era già chino sul banco delle stregonerie, con il petto in tumulto: - Quello è il Pensionato dei Salvatore… ed ecco la stradina secondaria tra le campagne… lì c’è il Wickery Bridge… sì… e poi…?- la collana iniziò a sfregare con maggiore intensità contro un angolo di carta in particolare, vibrando vertiginosamente, poi si fermò di botto: -… eccola lì! Si trova in Harrison Street!- rilevò Nick, allungando d’istinto la mano per sfiorare la mappa. Fu come se sperasse, con quel gesto involontario, di poter raggiungere Demi, o forse solo di rassicurarla a distanza, comunicandole che, presto, sarebbe corso a salvarla.

‘‘Ti ho trovata.’’ pensò, così intensamente da avere l’impressione che qualcuno tra i presenti potesse udirlo. ‘’Resisti. Stiamo arrivando. Andrà tutto bene. Tieni duro, Demi. E non aver paura.’’

-      E’ al numero 529…- precisò Mattie, alla sua destra, saltellando sul posto per avere una visione più completa della cartina geografica posata sul tavolo, un po’ troppo in alto per la sua statura. -… aaaah!- esclamò poi, sbattendo un pugno minuscolo sul legno, come colta da un’illuminazione: - Ma quella è la casa di uno dei più cari amici dei nostri genitori, morto parecchi anni fa, poco prima delle nostre nascite… Matthew Donovan, credo che si chiamasse così! Ha… ha senso?!-

-      Ma certo.- annuì tra sé Nick, mentre le tessere del mistero parevano finalmente pronte ad incastrarsi per il verso giusto: ‘’Matt’’ era l’amore perduto di sua zia, la ragione più profonda nascosta dietro la sua incapacità di amare qualunque cosa si discostasse dalla sete di vendetta. - Sì. Rebekah avrebbe senz’altro potuto portare Demi in quel posto, ma… un momento!-  l’entusiasmo scemò bruscamente, mentre lo sguardo limpido ma un po’ perplesso del minore dei due Mikaelson si conficcava ansiosamente in quello smeraldino e serafico del fratello: - Non è proprio quella la stessa dimora che ti… che ci hanno accusato di aver incendiato, giusto un paio di settimane fa?- gli chiese, accigliandosi.

Prince assottigliò le palpebre fino a quando i suoi occhi non divennero due fessure sfavillanti. Poi, senza variare minimamente d’espressione, annuì, con una lentezza estenuante:

-      Già. Che coincidenza.- confermò, la voce d’un tratto simile ad un nastro di velluto cosparso d’aculei. Mattie sentì una ventata di gelo farsi strada sotto la propria pelle, nonostante non ci fossero spifferi significativi, in quella palestra. Le belle labbra carnose di Prince si piegarono nel fantasma di un sorriso feroce, mentre lui ricordava alla perfezione l’odore di fumo e di cenere, di sangue e di urla che aveva invaso le sue narici, la notte in cui aveva raggiunto Shane a casa Donovan, per fermare la sua follia. Quell’intervento gli era costato la copertura, rivelando a gran parte degli abitanti di Mystic Falls il suo ritorno, ma il principe non si era fatto problemi, neppure quando era stato accusato dalle autorità di aver compiuto il delitto al posto del Professore. Fino ad un secondo prima, Prince aveva creduto che ne fosse valsa la pena, di farsi scoprire e di riempirsi di fuliggine mentre soggiogava Kayla Stone a scordarsi di ciò che aveva visto accadere a Tina O’Neil; adesso, dopo aver capito che la Prescelta era stata trascinata in quel luogo preciso, non ne era più così sicuro.

Se ciò che sospettava si fosse rivelato vero, allora…

-      Hey, marmocchi, statemi a sentire. Abbiamo un problem…!-

Ma, prima che potesse terminare la frase d’allarme, il pendolino che la Bennett teneva in bilico le scivolò dalle dita, cadendo con un sordo tintinnio sul banco; la giovane, senza emettere un lamento, si accasciò in avanti, e sarebbe finita faccia a terra se Nick non l’avesse afferrata in tempo:

-      SHEILA!- gridò Mattie, spingendo via Prince per avvicinarsi all’amica priva di sensi ed improvvisamente livida in volto. - SHE’! HEY! NO! MA CHE DIAVOLO…?!- Nick, confuso e preoccupato, continuò a sostenere il corpo esanime della Bennett tra le braccia, notando un lieve movimento dietro le sue palpebre serrate: si trattava di una vibrazione impercettibile ma costante che, quando lui si chinò sulle ginocchia, per adagiarla sul pavimento, s’intensificò precipitosamente. Con gli occhi sgranati simili a due oceani traboccanti, Mattie si mise le mani nei capelli: - CHE COSA LE PRENDE?! CHE COS’HA?!-

-      Una visione.- dedusse Prince, scrutando la figlia di Bonnie come se volesse vederle attraverso. - Ecco cosa.- In quel momento Sheila si raddrizzò sul posto e, quando i suoi occhi si spalancarono con violenza, le sue iridi si mostrarono completamente bianche, lattiginose e vacue, come fatte di schiuma marina:

 

C’era puzza di bruciato lì intorno ed il cielo si era rannuvolato, mentre qualcuno si avvicinava ad una macchina di lusso color amaranto, con passo pieno di baldanza. Indossava degli abiti scuri e maschili, aveva dei capelli riccioluti ed un accenno di barba attorno alla mascella. Poteva quasi apparire di bell’aspetto, se non fosse stato per la smorfia smaniosa e avida che gli contorceva il viso:

-      L’uccellino è finito in gabbia, alla fine.- gongolò Shane, sbirciando sul sedile del passeggero. Là, con la pelle candida come neve ed i lineamenti rilassati di un angelo assopito, c’era Demi, le ciglia chiuse che proiettavano lunghe ombre sui suoi zigomi lucidi, bagnati di lacrime. - Ottimo lavoro. Certo, probabilmente avrei saputo fare di meglio, se soltanto il tuo adorato mezzo-nipote non si fosse immischiato, ieri sera, ma… -

-      Prendi ciò che ti serve e sparisci.- sbottò Rebekah Mikaelson, senza guardarlo. La sua bocca rossa era una linea affilata. - Sto aspettando qualcuno d’importante e non ho voglia di averti tra i piedi, quando arriverà.-

-      Agli ordini.- quando lui fece spuntare i canini, leccandosi lascivamente le labbra di colpo screpolate, l’Originale lo fulminò con un’occhiataccia e scosse il capo, con uno sfavillio dorato, inflessibile. Non gli avrebbe concesso di avvicinarsi ad una delle vene pulsanti della ragazzina:

-      NO. Non in quel modo. Mi serve ancora tutta intera. Trova un altro sistema.- deluso ma deciso a non demordere, il servitore della Deveraux, pur a malincuore, ritrasse le zanne e tirò fuori dalla cintura un pugnale appuntito e fulgido, tenendolo sollevato minacciosamente mentre si avvicinava alla Salvatore. Il suo bagliore pericoloso si aggiunse a quello di una boccetta di cristallo che teneva stretta nell’altro palmo, mentre Demetra, stordita dall’effetto del sonnifero, giaceva immobile, alla sua totale mercé.

-      Sophie dice che ne basterebbe anche una sola goccia… ma, dopo tutto questo tempo trascorso ad aspettare, non le dispiacerà se ne approfitto…- Shane tenne sospeso il braccio inerte della sedicenne verso di sé, facendo sì che la manica del suo maglione si arrotolasse un po’, poi fece scorrere la lama tagliente sulla sua carne diafana, tracciandovi sopra un profondo solco scarlatto. Le labbra intorpidite della Salvatore si contrassero in uno spasmo di dolore, ma il liquido denso che fuoriusciva dalla sua ferita venne giù ancora più copiosamente, raccolto in quell’ampolla che, solo adesso Sheila se ne accorgeva, era già colma per metà di cenere grigia: -… fuoco e sangue, sangue e cenere, cenere e zolfo… oh, l’Inferno giungerà sulla terra… nel nome della Stella Azzurra…- quando il contenitore fu pieno fino all’orlo, Rebekah distolse gli occhi dal muro della casa di Matt su cui era stata impiastricciata la sagoma di una Clessidra, poi fissò Shane con disprezzo, da sopra gli occhiali da sole. Lui scoprì i denti in un sorriso sgraziato e le indirizzò un brindisi: - Ecco fatto. Bevendo questo, potrò finalmente crearne degli altri. Ogni cosa tornerà come un tempo. Dopotutto, non c’è niente di meglio del sangue di un Marchiato con lo Stigma per radunare un esercito…- 

 

-      FATELA RESPIRARE, RAZZA DI IDIOTI!- ansimò Mattie, assestando gomitate a destra e a manca, per fare largo attorno a Sheila; Prince schivò elegantemente un suo colpo, con un’impercettibile inclinazione del busto, assumendo il tipico cipiglio seccato di chi non ama particolarmente attendere i risultati di una trance mistica accanto a qualcuno che dà in escandescenza. Nick, invece, acchiappò la biondina alle spalle, serrandole le braccia sulle braccia attorno al corpo e cercando così di contrastare la sua isteria:

-      Calmati.- le sussurrò all’orecchio, con una voce profonda che si sforzava di non dare a vedere tutta la sua preoccupazione. Toccava a lui essere forte al posto della nanetta, per una volta. Era una buffa sensazione. - Ti prego… calmati.- Mattie si lasciò sfuggire un altro ringhio nervoso, con i muscoli della faccia contratti in una smorfia, poi scosse la testa:

-      NON POSSO CALMARMI, CHIARO?! E’ SVENUTA! HA FATTO ‘’SLAMFT’’ E POI… ‘’WOOOMSH’’… GIU’ COME UN SACCO DI PATATE! E SEMBRA PURE CHE ABBIA DUE FANALI AL POSTO DELLE PUPILLE, PERCIO’ NON… NON DIRMI CHE DEVO STARE…!-

-      Si sta svegliando.- constatò Prince, notando l’intenso brivido che aveva percorso le membra della strega: con un ansito boccheggiante, come quello di chi riemerge dal pelo dell’acqua dopo una lunga apnea, la Bennett sbatté di nuovo le palpebre e le sue iridi scure tornarono con un guizzo della propria sfumatura naturale, sebbene fossero ancora spaventosamente dilatate dallo shock.

-      COSA… BRUTTA… OH!- esultò Mattie, sgusciando via dalla presa salda di Nick e gettandosi tra le braccia dell’amica, con tanta energia da rischiare di mandarla di nuovo lunga distesa sul pavimento. - MI DISPIACE PER QUELLA VOLTA IN CUI TI HO RUBATO LA COLAZIONE DALLO ZAINO! E ANCHE PER AVER SCAMBIATO I NOSTRI TEMI CON IL PROFESSOR FITZGERALD, IN SECONDA ELEMENTARE, E… OH! NON AZZARDARTI MAI PIU’ A FARMI COLLASSARE IN QUESTO MODO, MI HAI SENTITO…?!-

-      Che cos’hai visto?!- domandarono in coro Nick e Prince, il primo col tono più cauto e delicato che riuscì a tirare fuori, il secondo con voce dura e sibillina, come se la risposta della ragazza fosse superflua e lui avesse già intuito ogni cosa. Le ciglia di Sheila ebbero un fremito e s’inumidirono, mentre lei balbettava:

-      Rebekah… l’ha drogata… Demi, lei… era così pallida, c’era un uomo… Shane… e il coltello…- Nick espirò con un suono strozzato, come se l’aria contenuta nei suoi polmoni gli fosse venuta fuori dalla bocca passando attraverso una gabbia toracica in frantumi.

Prince, al contrario, non si scompose d’un millimetro:

-      Le hanno preso del sangue?- chiese, monocorde. Il fratello minore alzò lo sguardo su di lui, come aveva fatto tanti anni prima nel fondo di una botola polverosa, e lo vide con la stessa determinazione sconsiderata che gli ardeva negli occhi chiari. E, proprio come allora, ne ebbe paura.

Sheila, intanto, sembrava in preda al delirio:

-      Sì! Shane l’ha bevuto, come avrebbe voluto fare ieri sera sul Ponte! Diceva che in quel modo avrebbe potuto crearne degli altri, che di nuovo, lui e Sophie, sarebbero stati in grado di crearne degli altri…-

-      Degli altri COSA?!- sberciò Mattie, furibonda.

-      Degli altri Demoni.- sospirò lui, come se fosse scontato. Tutti gli altri lo fissarono inebetiti e lui si sistemò il colletto della camicia con aria insofferente, come se si vedesse costretto a mettersi comodo per poter illuminare, dall’alto della propria saggezza, quel patetico branco di ignoranti: - Per ulteriori informazioni su queste simpatiche creaturine, consultare il ’Manuale del Sovrannaturale Oscuro’, a cura dell’emerito Professor Viscidus Shane.- citò, con una scrollata di spalle. - Oppure, se preferite una trattazione molto più approfondita… il Grimorio di nonna Esther, capitolo 17, pagina 394.-

 

///

 

-      Quando Luinil*, la bella fanciulla di cui Silas si era innamorato scatenando le ire di Qetzsyiah, commissionò a Re Salomone la creazione della Pietra della Resurrezione, qualcosa, nell’Altro Lato, si ribellò. Il crudele spirito della Strega, restio ad accettare un simile scacco da parte della rivale, emise una sentenza: qualunque mago avesse tentato di sfruttare i due Prescelti per realizzare i propri fini egoistici, e non per risvegliare l’anima dell’amante di Silas, impedendo così ad entrambi i fedifraghi di coronare il loro folle sogno d’amore, sarebbe stato premiato dall’Inferno che lei stessa aveva creato e governava. Un generoso esercito sarebbe giunto al comando dell’audace fattucchiere, fatto di Ombre e Demoni capaci di dominare la Terra. Così il mondo sarebbe divenuto invivibile e malvagio e questo avrebbe scoraggiato ogni desiderio di Luinil di tornare a solcarlo con i propri passi.- finendo di leggere con enfasi, Prince richiuse il librone con uno schiocco e lanciò un’occhiatina agli adolescenti al suo cospetto. Sheila tremava ancora come una foglia, stentando a riprendersi dal torpore magico che l’aveva posseduta; Mattie le teneva un braccio attorno alle spalle e, con la mano libera si grattava la testa, perplessa. Nick, infine, che dava le spalle a tutti, con le dita serrate brutalmente sul legno del tavolo, aveva una postura rigida ed il respiro fortemente irregolare. – PARAFRASANDO LA LEGGENDA… con un utilizzo distorto del Lapislazzuli di Salomone, si possono evocare nel Nostro Lato delle vere e proprie emanazioni dell’Inferno. Si tratta di spiriti, di proiezioni maligne, che si annidano nel corpo di un essere ancora vivente e ne infettano gli organi vitali, come un veleno a lento rilascio. Ai tempi, Sophie ha trasformato Shane in un vampiro per un motivo ben preciso, e con un processo un po’ bizzarro: il sangue che gli stava in circolo al momento della morte e della transizione era il mio.- le sue mani furono percorse da un lieve brivido, mentre Prince appoggiava il Grimorio sul banco, dandogli un paio di colpetti affettuosi sulla copertina consunta. - Io sono… sono sempre stato un abominio, secondo la loro concezione.- mormorò, a denti stretti, mentre Mattie si accigliava. Era dolore o rabbia, quel lampo che aveva baluginato nello sguardo cristallino del ragazzo? Non sapeva dirlo, ma comunque sentì stringersi un nodo in gola: - Ero il mostriciattolo di turno, ’mezzo ibrido, mezzo strega e chissà che altro’, ero l’Arma… insomma, il prodotto di scarto della stessa Natura che ha eletto Demetra come sua Prescelta. Cambiare in quel modo, grazie a me, ha reso il Professore capace di incanalare in sé parte del mio Potere distruttivo, potenziato al massimo dallo Stigma Diaboli. Il suo morso, per anni, è stato in grado di… intossicare gli umani… e non solo. La strega aveva intenzione di creare un esercito con cui venire a prendersi la ragazza, credeva di tentarmi con…- fece un brusco cenno di diniego con il capo e si interruppe, guardando altrove: -… i suoi piani sono andati in pezzi quando ho infanto il suo maledetto Sigillo, naturalmente.- un sorriso nostalgico e soddisfatto gli disegnò uno spicchio di luna candida tra le labbra. Si asciugò una lacrimuccia inesistente, poi proseguì: - Tutte le sue truppe demoniache sono stramazzate al suolo, quando me ne sono andato… e Shane, quel povero allocco, ha visto svanire gran parte delle proprie capacità insieme a me. Di recente, era in grado soltanto di dissanguare, come tutti gli altri vampiri, e di creare Ombre, al massimo. Niente più Demoni.-

-      Qual è la differenza tra le due entità?- pigolò Sheila, concentrata, come se si stesse imponendo di non vomitare.

-      La cosa che hanno in comune è che sono assolutamente prive di volontà propria. Sono al completo servizio di chi le ha evocate e, a volte, dei suoi alleati. Le Ombre, però, sono tendenzialmente più ‘’pacifiche’’ rispetto ai Demoni, a meno che non venga dato loro l’ordine ben preciso di attaccare. Gli esseri umani che vengono contaminati da Shane con quel sistema si limitano a diventare l’ombra, appunto, di se stessi: sono pallidi, smunti, parlano solo per mezzo di voci interiori e sono davvero parecchio raccapriccianti. Freddi come e più del ghiaccio, una volta concluso il processo di mutazione, non riconoscono più nessuno di quelli che un tempo amavano. Continuano a rivivere ininterrottamente l’istante della loro fine, o i peggiori ricordi della loro esistenza. E’ un’agonia infinita. Straziante.- l’ultima parola la pronunciò in un rantolo, come se conoscesse alla perfezione gli effetti di quel genere di tortura psicologica, pur senza essere mai diventato uno spirito infernale.

-      Ecco ciò che è successo a Kayla Stone!- comprese d’un tratto Mattie, l’orrore che le zampettava lungo la spina dorsale. - Dopo l’aggressione a casa Donovan, lei… lei… ha perso il senno… COMPLETAMENTE! Non si è mai più ripresa ed è diventata la schiavetta personale della professoressa Mikaelson!-

-      Ho cercato di cancellarle dalla mente ciò che sapevo che l’avrebbe tormentata fino all’ultimo dei suoi giorni.- mormorò Prince, così a bassa voce da far credere alle ragazze di esserselo immaginato. Un muscolo si contrasse duramente nella sua mascella mentre lui ripensava al momento in cui, piegandosi sul cadavere di Tina O’Neil, tra i resti dell’incendio, aveva scovato il corpo della migliore amica di lei, atterrita, con gli occhi fuori dalle orbite. Soggiogarla a dimenticare il suo assalitore era stato un gesto automatico, dettato dall’immedesimazione, più che dalla pietà: - Ma non è stato comunque abbastanza.-

-      Quindi… ora che Sophie ha Marchiato Demi, ossia l’altra metà della medaglia, e che Shane ha ingurgitato il suo sangue…- esordì Nick senza voltarsi, con una voce metallica che non somigliava neppure lontanamente alla sua: era come se avesse un coccio di vetro incastrato nella laringe. -… possono nuovamente evocare i loro Demoni. Che, a loro volta, possono infettare altri esseri viventi. Eccetera eccetera.-

Prince lo fissò con un sopracciglio inarcato.

-      Sì.- confermò, senza tante cerimonie. – E’ in arrivo una bella baraonda demoniaca pronta a leccare i piedi della Deveraux.-

Nessuno fiatò, ma Nick fece qualcosa che lasciò le due amiche a bocca aperta. Persino Prince trasalì, seppur impercettibilmente: con uno strattone, il figlio di Elijah scaraventò in avanti il tavolo che era stato il suo sostegno e questo, in seguito all’urto, si sgretolò come se fosse fatto di sabbia. Sistemandosi la giacca che era stata investita da qualche scheggia di legno, ridotta in una polverina talmente sottile da risultare innocua, lui si girò e, senza rivolgere lo sguardo a nessuno dei presenti, si diresse ad ampie falcate verso la porta.

Nessuno osò muoversi per un istante infinito, restando paralizzato sul posto, a fissarlo mentre si allontanava.

Poi, finalmente, qualcuno si decise a reagire:

-      DOVE VAI?!- si sgolò allora Mattie, riavendosi e schizzando in piedi per inseguirlo, senza perdersi d’animo, nonostante continuasse ad inciampare dappertutto. Lui spalancò le ante dell’uscio, lasciandosi investire dal sole ormai pomeridiano, e non aprì bocca. Era tornato a chiudersi nel suo guscio insensibile ed era sordo e muto davanti a qualsiasi tipo di ammonizione. Lei lo intuì al volo ma non si arrese: - NO! STAMMI A SENTIRE UN SECONDO… SE SOPHIE.., SE QUELLA BAGASCIA DEI MIEI STIVALI SCATENA SUL SERIO GLI ORRORI CHE HA IN MENTE, NON HAI SPERANZE DI TORNARE VIVO DALLA MISSIONE… T-TU NON PUOI ANDARTENE COSI’… E LO SAI! NON…- lo afferrò per un gomito, prima che lui la oltrepassasse senza difficoltà, e lo costrinse a fissarla dritta in faccia.

In un primo momento le parve di avere di fronte un’impalcatura di ghiaccio, un alieno, un estraneo, poi, al cospetto del suo viso rotondo, ansioso e paonazzo, le iridi nere del giovane si sciolsero appena, con un sussulto.

-      NICK, NON DEVI…-

-      Io la amo, Mattie.- sussurrò lui, con gli occhi onesti, velati e lucidi di lacrime. Era a pezzi. - La amo.- ripeté, come se si fosse appena reso conto della cosa, come se non ne fosse mai stato così dannatamente consapevole, prima d’allora. – Certo che devo.- La Lockwood strabuzzò le palpebre, poi tacque, mentre ogni cosa sembrava arrestarsi con fragore attorno a loro, come di solito avviene dopo uno sparo.

Ma, invece di lasciare la presa attorno al gomito del ragazzo, come una parte del suo petto avrebbe voluto ardentemente, mentre le budella le si contorcevano, lei deglutì ed avanzò di un solo passo, fino ad affondare la faccia contro il petto caldo di lui. Vi si abbandonò, aggrappandovisi con forza e disperazione, consapevole del fatto che non sarebbe riuscita a sopportare quel suo sguardo intenso per un secondo di più:

-      ALLORA IO VENGO CON TE.- singhiozzò, nascondendosi e cercando di arrestare il tremito irrefrenabile delle proprie labbra. - PER FAVORE. PER FAVORE, PORTAMI CON TE.-

-      Non se ne parla neanche.- disse una voce in lontananza. Si udì un frastuono di vetri infranti, e Nick si strinse Mattie al cuore, circondandola con le braccia, come se temesse che qualcosa stesse per schiantarsi sulle loro teste. Prince, tuttavia, li raggiunse con un’ascia da sfondamento stretta tra le mani, subito dopo aver fracassato la cabina antincendio per recuperarla, e se la mise in spalla, lanciando uno sguardo compassionevole alla Lockwood: – Tu non ti muoverai da qui, tesoro. Per le ragioni che ti ho già spiegato. Inoltre, rallenteresti il tutto e finiresti per farti infettare. Sarei costretto a farti fuori prima del previsto e sarebbe un peccato.- le disse, allungando una mano per inanellarsi tra l’indice ed il medio un suo boccolo d’oro. Intercettando quel gesto, il nero incrociò il verde smeraldo in un bagliore ricco di sfida, protezione, gratitudine e di qualcos’altro di più intimo e devastante, noto solo ai due fratelli. Poi il principe fece balenare un sorrisetto che sapeva di rassicurazione e pericolo insieme: - Anche perché… ci andrò io, con lui.-  

Fischiettando, con l’ascia che gli dondolava sulle spalle, svanì alla volta della Ferrari.

Nick attese che Sheila si avvicinasse a Mattie, quasi per sorreggerla, e poi, lanciando un’ultima occhiata indecifrabile ad entrambe, lo seguì.

 

_________________________________________________________________________________

 

 

NOTE DELL’AUTRICE:

 

‘’Sono passati 84 anni… eppure sento ancora l’odore della vernice fresca…’’

Ahahahah… rieccoci qui con un nuovo, lunghissimo e spero appassionante capitolo! Lo considero uno dei miei preferiti fino a questo momento. Vorrei scusarmi con tutti voi per l’attesa, spero con tutto il cuore che sia stata ricompensata a dovere. Ho trascorso un periodo difficile della mia vita universitaria (sessione estiva a gogogo) e ne sono uscita vittoriosa, ma anche stressata e prosciugata da ogni briciola d’ispirazione. Credevo che, da un giorno all’altro, avrei potuto gettare la spugna, ma il vostro sostegno, il vostro calore e la vostra energia mi hanno salvata, come al solito. GRAZIE a tutti quelli che sanno vedere, oltre il testo ed i personaggi, una PERSONA, con tutte le sue esigenze, le sue fragilità e le sue problematiche quotidiane da affrontare. GRAZIE per non esservi arresi e per avermi fatta sentire meno in colpa per via di questo apocalittico ritardo. GRAZIE per aver creduto in me e nella storia, ora più che mai.

Il capitolo iniziale doveva essere più lungo ma ho preferito presentarvelo in questo modo, così da darvi il tempo di carburare, prima di fare KABOOOM.

Lasciatemi i vostri pensieri e le vostre opinioni, questa volta li aspetterò come un assetato alla fonte.

Un bacione a tutti eeeeeeeee… alla prossima! <3

 

***** Per informazioni e domande:

 https://www.facebook.com/IlDiarioDiDemiSalvatore?ref=hl

 ask.fm/IlDiarioDiDemiSalvatore

 

 A presto (?)…

Evenstar75 <3

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Like Father Did ***


*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*
 
Previously On the DemiDiaries.
(rielaborazione delle scene/punti chiave del seguente capitolo)
 
 

Image and video hosting by TinyPic  
 
 
Cap35_Liars_PT2_Always:
 
Demi: ‘’Di’ a Prince che avrà la sua dannatissima Profezia.
Se vogliamo allearci con lui,
dobbiamo almeno scoprire che cos’ha in mente al riguardo.’’
 
Nick: ‘’Se fossi in te, proverei a dare un’occhiata nel posto che mi spaventa di più dell’intera dimora.’’
 
Demi: ‘’ Cara Camera Fantasma in cima alle scale…
A noi due.’’
 
Cap36_Shadows:
 
*Demi sfiorò il contorno evidenziato dell’iniziale del proprio nome sulla coperta e, mentre tracciava quella ’D’ in tutta la sua lunghezza, avvertì che il puzzle della consapevolezza ricongiungeva di colpo tutti i propri pezzi mancanti.*
 
Rebekah: ‘’Ciao, zuccherino. E’ permesso?’’
*la porta via con sé*
 
Prince a Nick: ‘’Avresti dovuto pensarci su per benino, prima di stuzzicare zietta Bex,
rendendola almeno dieci volte più pericolosa di quanto lo sia di solito.

Non vedevo l’ora di fare un giretto sulla Batmobile, comunque.
Tu no?!’’
 
Sul biglietto lasciato da Rebekah al Pensionato:
‘’Vieni a riprenderti il tuo cuore dove un tempo viveva il mio.
Da sola, Elena.
Portati dietro anche soltanto uno dei Salvatore
ed io finirò quello che ho iniziato sedici anni fa.
R.M.’’
 
Elena a Damon: ‘’ Demi è in pericolo. L’ha presa Rebekah.
So dove andare. Ti prego, non seguirmi.’’
 
Damon: ‘’ Per salvare Jeremy, streghetta, devi fare una cosa per me.
Un incantesimo di localizzazione.
Trova la mia bambina ed io lo lascerò andare.’’
Bonnie: ‘’Non lo faccio per te. Ma per Elena.’’
 
Mattie: ‘’Demi si trova in Harrison Street!
Aspettate un secondo, quella è la casa di Matthew Donovan!’’
 
Prince: ‘’ E’ in arrivo una bella baraonda demoniaca
pronta a leccare i piedi della Deveraux.
Demoni e Ombre,
evocati direttamente dall’Inferno grazie al sangue
di un Marchiato con lo Stigma Diaboli.’’
 
 Sheila: ‘’ La ritroveremo, non è così? Tu… la salverai, no?’’
Nick: ‘’Dovesse costarmi la vita.’’
 
Prince: ‘’Ci andrò io, con lui.’’
 
*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*
 
 
 
 
 
 
 
Flashback
_______________________________________________________________________________________
 
-… Hayley?- Elijah si era sporto con cautela oltre la porta della camera dei suoi bambini, sbirciando piano verso l’interno e lottando contro l’oscurità quasi completa che gli impediva la visuale. Nel silenzio ovattato, reso tremulo dai respiri dolci e regolari dei due piccoli Mikaelson sdraiati nei loro rispettivi letti, un lieve luccichio aveva catturato il suo sguardo, splendendo nel buio come un paio di familiari occhi felini. Un sorriso d’istintivo sollievo aveva increspato le labbra dell’uomo, mentre la sagoma sottile della propria moglie si delineava nel suo campo visivo; con i lunghi capelli filtrati dalla luce lunare che colava dalla finestra ed il viso ancora rivolto verso uno dei lettini, Hayley si era portata un indice di avvertimento sulla bocca, ma aveva comunque ricambiato il sorriso. - Dormono?- aveva domandato fievolmente lui, appoggiandosi con la spalla contro uno stipite, immerso in uno stato di stupita contemplazione.
Era estremamente raro che, a quell’ora, l’uragano d’energia infantile dei due fratellini fosse già stato placato dal sonno.
Hayley aveva annuito dolcemente, con una punta di trionfo:
- Nick come un angelo.- aveva sussurrato, accennando al fagottino di coperte alla propria sinistra: il bimbo dalla chioma castana era raggomitolato su se stesso, in posizione fetale, con una mano sotto il cuscino immacolato e l’altra a stringere un buffo, consunto orsetto di peluche a forma di lupo. La sua faccia era il ritratto della pace e della rilassatezza. -… e Prince…- le dita delicate di lei si erano avvicinate alla fronte del figlio maggiore, incorniciata da riccioli biondi come da un’aureola arruffata, e ci avevano posato sopra una carezza che gli aveva fatto emettere uno sbuffo d’inconsapevole compiacimento. -… beh, come Prince.- alla donna, assieme a quelle parole, era sfuggita una risatina, poiché le lenzuola del principe erano un groviglio indistricabile e lui era placidamente disteso a pancia in su, occupando, con le braccia e le gambe spalancate, tutto lo spazio disponibile sul materasso, fino all’ultimo centimetro:
- Ci penso io.- si era offerto Elijah, avvicinandosi di qualche passo, senza far rumore. Lei si era spostata appena, per fargli posto sul bordo, ed aveva approfittato di quel momento per raccattare qualche altro pupazzo sparpagliato sul pavimento, là dove il biondo l’aveva lanciato senza troppa misericordia. - Lascia fare a me.- mentre l’uomo faceva scorrere i lembi soffici delle coltri tra le mani e li rimboccava premurosamente sul corpicino di Prince, le iridi intense e calde di lei non l’avevano abbandonato neppure per un istante, seguendo ogni suo singolo, lento e leggiadro movimento. Elijah aveva percepito qualcosa nel proprio petto stringersi e scaldarsi, sotto quello sguardo insistente, ma si era limitato a scuotere il capo quando si era accorto di essersi seduto per sbaglio su qualcosa di fastidiosamente appuntito: - Mmh… pastelli.- aveva mormorato, mostrando alla moglie le matite che aveva recuperato da sotto le coperte, con un misto di divertimento e rimprovero nella voce: - Credevo di averglieli sequestrati per una settimana!-
- Forse sei stato un po’ troppo duro, allora.- aveva bisbigliato Hayley, con un ghigno appena percettibile, allungando la mano libera per posarla sul dorso di quella del marito. - Lo sai che Prince adora disegnare, quando è nervoso. E’ il suo modo di sfogarsi. Di creare qualcosa di diverso da ciò che lo circonda… qualcosa che sia simile a lui.-
- Ha ridecorato l’intero porticato della signora Labonair con un pennarello rosso carminio che, tra le altre cose, non è mai stato ritrovato.- le aveva ricordato Elijah, dignitosamente, con le dita che si allacciavano però con tenerezza attorno a quelle di lei: - Non ritengo sia decoroso consentire che simili atti di vandalismo continuino a verificarsi, tutto qui. Quella brava donna è fin troppo paziente. Sono convinto che la vecchia McPhee li avrebbe inseguiti entrambi fin qui con un bastone da passeggio tra le mani... cosa che non escludo possa accadere anche nei prossimi giorni, in effetti.-
- Ma Eve (1) adora i ragazzi, lo sai. Li considera come dei nipotini. Era qui, in fondo, quando Nick è nato. Ci ha trovati lei, per metterci in guardia… per proteggerci.- lo aveva rassicurato Hayley. Prince si era agitato nel torpore, rigirandosi su di un fianco, ed Elijah aveva lisciato le pieghe del copriletto, quasi senza rendersene conto, posando d’istinto un buffetto sulla sua spalla del bimbo addormentato. Lui non si era più mosso, rasserenato da quel tocco, mentre le ciglia di sua madre s’impregnavano all’improvviso di lacrime trattenute a stento: - Sai, a volte penso che, se dovesse accaderci qualcosa, lei potrebbe… insomma, prendersi cura dei bambini. Potrebbe portarli nel Bayou o anche da qualche altra parte… ovunque, purché lontano da… da…-
- Hayley. Basta così.- le aveva sussurrato l’uomo, in tono di gentile avvertimento. Lei si era interrotta bruscamente ed rimasta a fissarlo nell’ombra, con gli zigomi bagnati e sfavillanti come avorio liquido. Era bella e fiera, combattiva, eppure in qualche modo indifesa, come quando Elijah l’aveva conosciuta. Come quando si era innamorato di lei. - Siamo al sicuro, qui. Guardami…- le aveva toccato la guancia con l’indice, sfiorandole il mento per essere sicuro di incrociare i suoi occhi tormentati. -… non devi angustiarti. Ci siamo noi, accanto a loro. Nessuno toccherà i nostri figli, finché saremo insieme.-
- E se Sophie non si fosse arresa alla sua caccia? Se dovesse trovarci?- aveva ansimato lei, in un soffio strozzato. Le linee sulla fronte dell’umo erano diventate di colpo più profonde mentre lasciava cadere la mano verso il basso, debolmente, senza sapere cosa dire. Hayley si era morsa il labbro inferiore per far sì che la smettesse di tremare, poi si era alzata in piedi di slancio, voltandosi per non farsi vedere in faccia dal marito in un simile momento di fragilità. Elijah aveva garbatamente atteso che si ricomponesse, poi si l’aveva seguita, issandosi e raggiungendola per cingerla tra le braccia. - Non riesco a pensare ad altro...- gli aveva confessato lei, sommessamente, stringendo forte i pugni sulla sua camicia, come se volesse lottare ma non potesse farlo, e quell’impotenza disarmante la stesse lacerando. -… non posso nemmeno immaginare di lasciarli da soli ad affrontare t-tutto… tutto questo inferno, Elijah… sono così piccoli…-
- Potranno sempre contare l’uno sull’altro.- aveva sospirato l’uomo, carezzandole i capelli. C’era una fiducia cieca e disperata, nella sua voce, e dalla sua pelle tiepida trasudava una convinzione talmente assoluta da penetrare fin nelle ossa intorpidite di Hayley. Lei, che si era sempre sentita così piccola, così al riparo, con la guancia premuta contro il suo petto, aveva annuito appena, quasi senza accorgersene. - Sempre. Si terranno d’occhio a vicenda. Saranno una famiglia. E sapranno proteggersi, anche e soprattutto nelle ore più buie. So che sarà così.-
 
Image and video hosting by TinyPic
 
- Ti amo, Elijah.- mugugnò la donna, senza muoversi, con il tono attutito dagli abiti di lui, il proprio fiato caldo sulla stoffa inamidata e le sue braccia avvolte attorno a sé, a tenerla intera davanti alle avversità. - Ti amo.- Lui le aveva posato un bacio delicato sulla testa, poi aveva notato, guardando verso i due lettini, degli strani movimenti: Prince sembrava russare con più impegno di quanto non fosse necessario e, da dietro i ciuffi di pelo grigio del lupacchiotto di peluche, all’uomo parve di aver individuato addirittura il luccichio di un’iride scura, assonnata ma vigile, ardere prima che le palpebre di Nick si richiudessero di colpo.
- Allora devi fidarti di me. E di loro.- aveva bisbigliato Elijah alla moglie, guidandola piano verso l’uscio. Una parte di lui era stata infinitamente lieta di sapere che i piccoli avevano avuto l’occasione di udire, seppur di nascosto, le sue parole di conforto, e si era augurata che entrambi le prendessero come un monito eterno, salvifico. Era la loro unica possibilità, la loro speranza per il futuro.
_______________________________________________________________________________________
 
- Dici che il motto ‘’restiamo uniti come uno solo, sempre e per sempre’’ varrà lo stesso, una volta che ti avrò staccato la testa dal collo?!- s’interrogò amleticamente Prince, con tono isterico, aggrappandosi allo sportello dell’auto per non rischiare di finire scaraventato fuori dal finestrino. L’azzardo con cui il fratellino aveva appena imboccato una curva ripidissima ed in pendenza gli fece rizzare i peli sulla nuca. - RALLENTA!- ruggì, coi denti digrignati, un secondo prima di puntare un dito accusatore dietro di sé: - TU!- guaì, mentre veniva sballottolato qua e là dall’alta velocità del veicolo. - SOTTOSPECIE DI… POLLICINA! Sei la nipote dello Sceriffo Forbes oppure no?! Perché diamine credi che ti abbia ingaggiata a bordo, se non per evitare che lui… WOH-OOOH, NICKLAUS, QUELLO E’ UN SEMAFORO ROSSO!-
Schizzando oltre un paio di vecchie auto già ferme all’incrocio, Nick fece per premere di colpo il pedale del freno ma, prevedendo uno schianto di dimensioni epiche contro il ciglio del marciapiede, Sheila conficcò le dita nella spalliera del sedile del guidatore, stringendo le palpebre fino a ridurle a due fessure:
- Color ad novum a veteri, id flagito… voluntas mea est virĭdis… glaciare!- il disco scarlatto del semaforo si spense di botto, giusto un istante prima della tragedia, e fu sostituito da una prematura quanto luminosa macchia verde chiaro, che diede il via libera; la Ferrari nera sfrecciò in avanti, proseguendo di tutto diritto nel traffico, mentre qualche passante si copriva la bocca con aria orripilata ed un paio di clacson facevano riverberare nello smog la propria attonita protesta.
- Fiuuuuu!-
Prince si accasciò pesantemente sullo schienale, chiedendosi da dove diamine la Bennett avesse potuto tirare fuori quell’incantesimo ‘’cambia-colore’’, e benedisse in ogni lingua del mondo il manuale che doveva averle fornito una simile nozione. Mattie, nel frattempo, batté le mani, saltellando dall’eccitazione:
- … e quella formula da dove veniva fuori?! L’hai trovata qua sopra?- domandò, indicando il Grimorio di Esther Mikaelson che giaceva chiuso e sigillato sulle sue ginocchia. La strega scosse lievemente la testa:
- Io e Demi avevamo recuperato dei fascicoli di Magia Elementare nel baule di mia madre, tempo fa, ed io… beh, mi sono esercitata.- chiarì, in imbarazzo, continuando a tenersi forte alla pelle fresca che rivestiva il sedile, per mantenere un minimo d’equilibrio.
Al nome della Salvatore, gli occhi di Mattie incrociarono per una frazione di secondo quelli di Nick, riflessi nello specchietto retrovisore.
Distolsero entrambi lo sguardo, immediatamente, ma lei non poté fare a meno di provare un senso di sconvolgente vertigine dalle parti dello stomaco, mentre si rimetteva composta: era stato come guardare nel buio di un burrone senza fondo. Le iridi del ragazzo non erano mai state così impenetrabili, per lei, e la consapevolezza assoluta di non poterlo aiutare in alcun modo concreto, stavolta, la mandava in crisi.
Anche Prince sembrò cogliere un brivido di fragilità nei gesti del fratello minore, perché si schiarì la voce con un colpetto di tosse eloquente.
- Ricordati di girare a sinistra.- raccomandò, con studiato disinteresse, come se gli stesse chiedendo di passargli il sale per poter condire meglio una zuppa di patate un po’ troppo insipida. - Da bravo, così… a sinistra.-  
- Casa Donovan è a destra.- scattò Nick, quasi senza muovere le labbra. Erano livide, come tutto il resto del suo viso, sottili come una linea tracciata con la lama affilata di un pugnale. Strinse di più il volante, come temendo che il tremito delle sue dita potesse farlo sfuggire alla sua presa, poi sibilò: - Lei è lì. E’ in trappola. Voglio soltanto trovarla. Non m’importa un bel niente di essere...-
- … immobilizzato? Ombrizzato? Demonizzato? E tutte le altre cosette orribili che finiscono in -ato?- continuò per lui il figlio di Klaus, sbattendo le lunghe ciglia dorate come se stesse elencando le magnifiche tonalità di lilla con cui gli sarebbe piaciuto ridipingere la propria Capanna. - Ad esempio attaccato, malmenato, azzannato, devastato, triturato, scotennato o spappolato…-
- Per favore!- supplicò Mattie, con un gemito di nausea. Era da poco passata l’ora di pranzo e la grossa fetta di torta di mele e canditi che si era pappata prima dell’arrivo dei Mikaelson in palestra rischiava di giocarle un brutto tiro: - Ho appena mangiato!-
Prince si girò a guardarla e le scoccò un’occhiatina di languida ammirazione, di quelle che, nei film ambientati nelle corti di fine Ottocento, vengono solitamente accompagnate da uno spettacolare baciamano:
- Ma grazie, AMORE, quasi dimenticavo… DIVORATO?!- il suo accento straniero diventò un po’ più marcato e stridulo su quell’ultima parola, quasi a voler volontariamente sottolineare l’estrema gravità della faccenda, ed il ragazzo si accigliò: - Non c’è da scherzare, con queste creature. Purtroppo lo so meglio di te e non sono così idiota da rischiare di restarci secco. Non se ne parla! Sono sicuro che Shane ne sguinzaglierà almeno un paio, ma che dico?, forse di più, attorno alla dimora del nostro compianto quasi-zio Matthew, perciò... abbiamo bisogno di armi. Di un equipaggiamento decente. Se vuoi avere qualche speranza di battere quegli Inferi puzzolenti, tu devi svoltare a SINISTRA!-
- Posso lasciarti scendere.- rifletté Nick a bassissima voce, con il petto che faceva su e giù convulsamente, sotto il vincolo della cintura di sicurezza. - Nel bagagliaio ho una scorta di paletti di legno e forse persino una balestra. Per qualche motivo non sono mai riuscito a separarmene, da quando te ne sei andato via. Era come se qualcosa mi dicesse che dovevo tenerli con me.- Prince non proferì verbo ma Sheila, dal retro, notò come i suoi piedi fossero impegnati a scandire un ritmo più frenetico, forse colpevole, nei pressi dello zerbino. - Puoi andare da solo a prendere tutto ciò che ci serve e poi raggiungermi, mentre io vado avanti e…-
- Ah-ah! Ti ho convinto a scarrozzare anche Cip e Ciop perché ci tenevo alla loro compagnia oppure perché sapevo esattamente che mi avresti proposto questo compromesso, secondo te?!- sbadigliò il principe, accennando alle figlie di Bonnie e Caroline e allo stesso tempo parlando come se non fossero presenti. Nick serrò forte la mascella: - Se mi scarichi qui e adesso, ti avverto: non voglio né pesi né piantagrane. Dovrai portare le signorine con te, anziché nel posticino tranquillo in cui siamo diretti. E ti assicuro che, tra i boschi, nessun paletto potrà salvarle dal finire dritte in pasto ai mostri che sei così ansioso d’incontrare. La scelta è tua.-
Sheila trattenne il fiato, consapevole del fatto che nella voce di Prince non ci fosse neppure una briciola di tentennamento, di menzogna o d’esagerazione, e Matt chiuse gli occhi, come in preghiera. Nick fece lampeggiare la freccetta che indicava la direzione di svolta, poi emise un impercettibile verso di resa:
- D’accordo.- esalò, con le palpebre che pizzicavano fastidiosamente. - Andiamo a sinistra.-
 
///
 
Quando l’insegna sgargiante del Mystic Grill spuntò oltre la chioma frusciante di un albero, la Lockwood strabuzzò gli occhioni, incredula. Non era mai stata meno contenta di trovarsi nei pressi di un ristorante… e questo era decisamente tutto dire:
- E’ uno scherzo?!- strillò, prima di riuscire a trattenersi, acchiappando d’istinto un lembo della cintura di Prince, come se volesse tirarla fino a strozzarlo, nel caso in cui se ne fosse uscito con una delle sue candide conferme. Lui si limitò ad abbassare il cellulare con cui stava freneticamente trafficando da qualche minuto, e la nana ne approfittò per rincarare la dose: - E state molto attento a ciò che risponderete, vostra maestà… umh, com’era? Ah sì, ecco… serenissima!-
- E’ la già seconda volta che attenti alla mia vita, oggi.- osservò lui, con una scrollatina di spalle. Qualcosa le diceva che stava ghignando sotto i baffi. - Tzè. E poi sarei io, il biondino pericoloso in circolazione!- con una mossa aggraziata, il giovane fece scattare l’ancoraggio della propria cinghia, poi sgusciò via dalla sua presa, liberandosi da qualunque minaccia. Il riavvolgitore tornò ad avvilupparsi su se stesso così in fretta da assestare una leggera, altezzosa frustata sulle dita paffute di Mattie e lei, imprecando con aria offesa, si strofinò subito le nocche indolenzite sui jeans.
- Oh, scusami tanto.- la canzonò Prince, spietato. - E’ che ci tengo al mio primato. Al fatto che gli altri abbiano un’alta reputazione di me. Mi spiego?- le strizzò l’occhio con complicità ma, prima che la mano libera ed indenne di Mattie potesse scaraventargli dritto in fronte il librone d’incantesimi di Nonna Original, Nick accostò con il proprio veicolo in un angolo, vicino al magazzino del pub più frequentato della città.
Con un gorgoglio cupo ed elegante, il motore della Ferrari si spense.
- Ma che ci facciamo qui? Volete ammazzare Ombre e Demoni a colpi di sandwich?!- sbottò Sheila. Aveva una delusione talmente evidente stampata sul volto olivastro che, come ogni strega inesperta ed infuriata che si rispetti, sembrava pronta a farsi sfuggire una pioggia di faville colorate dai palmi delle mani. - TU! Noi ci siamo fidati di te!- esplose, rivolgendosi a Prince con veemenza.
Quest’ultimo non si scompose d’un solo millimetro. Anzi, sembrava divertito da quella reazione, come se se la fosse aspettata fin dal primo istante… come se, in fondo, ci fosse abituato:
- E la vostra fiducia ha una scadenza vergognosamente breve, vedo.- commentò serafico, mentre una profonda fossetta gli scavava un attraente solco nella guancia destra. - Sai, forse dovrei ringraziarti. E’ sempre bello sapere che, giovani o vecchie, malvagie o buone, le streghe sono comunque imbattibili nella raffinata arte di essere una gran seccatura, per il sottoscritto!-
- Prince.- lo richiamò Nick, debolmente; era esausto, ma la scortesia rimaneva comunque, in ogni caso, una questione tra le più intollerabili, per lui. Infilandosi le chiavi in tasca, però, il ragazzo dai capelli castani posò uno sguardo d’avvertimento anche sulla Bennett: - Siamo nel posto giusto.- le sussurrò, rassicurante. - Se lui ha degli aiutanti, non possono che essere nascosti qui.-
- Diglielo tu. A me non danno retta!- borbottò l’altro, piccato, affondando i piedi nell’erbetta folta che circondava l’edificio e sbattendo lo sportello all’unisono con le due ragazzine. La Lockwood raggiunse il suo migliore amico in un paio di goffi saltelli, mentre lui si guardava attorno, sperduto, tormentandosi le mani in grembo.
- Come fai a sapere che non ci sta prendendo in giro?- gli bisbigliò, muovendo soltanto la bocca, per far sì che Prince non la udisse; non voleva rischiare di vederlo diventare ancora più nervoso ed insopportabile e Nick, intuendo lo scopo segreto di quel gesto, quasi sorrise di rimando:
- Ne sono convinto. In fondo, ci ha tenuti d’occhio il giorno in cui ti ho svelato di avere un fratello, ed eravamo proprio in questo posto, seduti vicino al bancone, te lo ricordi?- lei annuì, accigliata, ancora poco convinta: - Prince, o qualcuno al suo servizio, ha origliato tutta la nostra conversazione. E un’altra volta, lui sapeva che io e… e Demi saremmo stati tra quei tavoli. Così è venuto fuori, per spaventarci un po’. Siamo dovuti scappare via senza aver toccato cibo… niente male, come primo appuntamento.- un velo amaro calò sulla sua espressione, tramutando il suo sorriso in una smorfia di tristezza e nostalgia. Matt avrebbe voluto posargli una mano sul braccio ma aveva quasi paura di toccarlo. Le sembrava così indifeso e distante che un soffio di vento sarebbe stato sufficiente a trascinarlo via, lontano da lei, dissolvendolo nell’aria fredda. - Dev’esserci qualcosa sotto e non ci resta che scoprire di che cosa si tratti. Non che m’interessi.- chiarì, con il vento che gli faceva sventolare l’orlo del cappotto scuro almeno quanto le ombre sotto i suoi occhi. - Un’arma è tutto quello che mi occorre.-
Mentre Prince controllava l’orario sullo schermo del suo cellulare, un sopracciglio inarcato nell’attesa, Sheila notò che, dal vetro fuligginoso di una finestra ovale incastonata nelle mura del deposito del Grill, si potevano scorgere dei movimenti confusi: c’era qualcuno, tra quegli scaffali polverosi, e si stava avvicinando.
Qualcosa di imponente, lanoso ed indefinito fluttuò silenziosamente dall’interno, per poi sparire nella semioscurità, ma, prima che uno di loro potesse avvisarlo di quell’anomalia, il principe aveva già perso la pazienza:
- Tempo scaduto. Peccato. Immagino che anche quando si renderanno conto che sarebbe stato molto meglio farmi entrare, sarà troppo tardi!- annunciò. Si avviò con passo risoluto verso la porta del magazzino e si rimboccò teatralmente le maniche fino ai gomiti: era chiaro che sarebbe stato in grado di sfondare il legno con un semplice tocco delle dita, ma gli piaceva da matti l’idea di fare un po’ di scena.
Ed il tonfo assordante venne eccome, ma non a causa del colpo che Prince aveva avuto intenzione di assestare: la porta si era aperta un istante prima di quell’impatto, con una violenza almeno altrettanto sconvolgente, ed un qualcosa di enorme e peloso era passato fulmineamente di fronte a tre paia d’occhi allibiti, investendo in pieno il ragazzo biondo e mandandolo a gambe all’aria.
- PRINCE, NO!- urlò Nick, così forte da sentire male alla gola. Senza pensare, senza neppure darsi il tempo di riflettere, di considerare i rischi o di afferrare un sasso, in un tentativo di difesa disperata, il ragazzo si lanciò verso la creatura gigantesca che aveva atterrato suo fratello, aggrappandosi alla sua schiena. Le sue dita ed il suo viso affondarono pienamente in una pelliccia morbidissima e fitta che odorava intensamente di aghi di pino, di resina e di miele, e quel profumo gli diede le lacrime agli occhi, prima ancora che lui potesse capirne il reale motivo.
Il suo istinto scavalcò lesto ogni ragionevolezza e lui inspirò a fondo, sbigottito, inebriato da quella fragranza così famigliare… inconfondibile.
‘’Mamma…’’ pensò, follemente, sentendosi totalmente prosciugato, senza più il coraggio di muovere un muscolo. Era impossibile come non riuscisse a rimanere abbastanza lucido e concentrato da aggrapparsi a qualcos’altro, ad un pensiero qualunque che si discostasse da quel nome che affiorava spontaneo dal suo inconscio in tumulto, eppure…
- Nick! SPOSTATI!- tossì Prince, agitando un braccio nel vuoto. Non sembrava che si stesse lamentando, ma la sua voce fioca era comunque squassata dai singhiozzi. Nick, trafelato, strabuzzò le palpebre, mentre le grida allarmate di Mattie e di Sheila gli rendevano difficile credere alle proprie orecchie e soprattutto comprendere perché accidenti il figlio di Klaus stesse… ridendo. E a crepapelle, per di più. - IDIOTA, STO SOFFOCANDO! PFFFF, PUH… PUH! BASTA-COFFF, LEVATEVI DI DOSS… EVE, DAMMI UNA MANO! UGH…!-
Con una zampata soffice ma decisa, la montagna di pelo spinse Nick da un lato, facendolo rotolare su di un fianco, fino a far sì che giacesse supino, col corpo mezzo sepolto nel prato. Il sole accecò l’adolescente per un momento, prima che una grossa testa si parasse tra lui ed il cielo azzurro, piegandosi a pochissima distanza dalla sua faccia: un muso di lupo, aguzzo, striato di bianco e panna ai lati, con un naso nero ed umido che lo fiutava con circospezione, gli si avvicinò pian piano, mostrandogli una sfilza paurosa di denti affilati come rasoi. A Nick parve di rivedere se stesso durante le notti di plenilunio, meno maestoso e di certo meno potente, ma con un’identica sfumatura rossiccia impressa sulla gola: un simbolo a forma di mezzaluna.
L’emblema di appartenenza al loro clan materno.
Quel punto preciso sul petto della creatura vibrò gutturalmente quando quest’ultima emise un ringhio sommesso, prolungato e terrificante, ed il figlio di Elijah sentì la pelle d’oca farsi strada lungo il proprio collo, assieme alla voce ancora estasiata del fratellastro, proveniente da qualche parte indistinta alla sua sinistra:
- Coraggio, Eve, lo stai spaventando a morte. A cuccia, mollalo…!-
Lentamente, mentre Nick tratteneva il respiro ed affondava le unghie nella terra sotto di sé, come se fossero artigli, nel tentativo di tirarsi su a sedere, quel ruggito diffidente si trasformò in un uggiolio quieto e sorprendentemente commosso.
Gli immensi occhi grigio ferro del Lupo sfavillarono come monete e si addolcirono di colpo:
‘’Sei ancora più bello di quanto avessi immaginato, piccolo mio!’’ esultò una voce femminile che esisteva solo nella sua testa. Sembrava appartenere ad una donna adulta e forse anche un po’ in là con l’età, ed era così inspiegabilmente familiare che il cuore di Nick traboccò all’istante di un profondo senso di tenerezza e di riconoscimento.
Eve…?!
Prima che lui potesse fare qualcosa per evitarlo, una scia lucida e bagnata prese scorrergli lungo le gote, copiosa, inarrestabile, e le dita si chiusero timidamente attorno ad un ciuffo di pelo.
Prince, nel frattempo, se ne stava lungo disteso su un lato, puntellandosi su un gomito per godersi quella scena, con uno strano, antico ed infantile sorriso dipinto sulla bocca:
‘’Ho aspettato così tanto questo momento… il momento in cui avrei finalmente potuto vedere come sei diventato, riabbracciarti… oh, non piangere!’’
Il Lupo femmina gli leccò la guancia con una lingua rosea, calda e un po’ appiccicosa, in un gesto affettuoso che di solito si riservava ai cuccioli del branco, poi si ritrasse, bonaria, per lasciargli riprendere fiato.
- Vi presento Eve Labonair.- gongolò Prince, tirandosi su in un lampo e porgendo poi una mano sporca di clorofilla e terra al fratellino, che la afferrò senza dire una parola, gli occhi neri puntati sul Lupo, che piegò la testa di lato e scodinzolò:
 
Image and video hosting by TinyPic
 
 - Probabilmente non ti ricordi di lei, ma viveva accanto al nostro casolare sul fiume, dieci anni fa, quando…-
- Mi ricordo.- lo interruppe Nick, seccamente. Era guardingo, confuso, come se non volesse credere ai propri occhi e soprattutto a quello che qualcosa nel suo petto aveva capito prima ancora che lui riuscisse a formulare qualunque pensiero razionale. Mentre Sheila spostava la mano dal proprio cuore, là dove l’aveva posata, come nella speranza di impedire a quel muscolo involontario di schizzarle fuori dalla gabbia toracica, e Mattie si avvicinava in punta di piedi alla nuova arrivata, con aria titubante e ansiosa, come se stesse morendo dalla voglia di darle una bella grattata sulle orecchie ma temesse che fosse poco opportuno, Nick si tamponò il viso umido con la manica della giacca.
Il suo cervello si sforzava di trovare un senso a quella situazione, ma riusciva solamente ad essere bombardato dagli sprazzi di un passato che si era ripresentato davanti ai suoi occhi senza alcun tipo di preavviso, destabilizzandolo: c’era una donnina dal corpo minuto e rotondetto che lo teneva sospeso tra le braccia, lasciandolo giocare con la propria grossa treccia argentata, mentre Hayley era impegnata a convincere Elijah del fatto che Prince avesse solo accidentalmente fatto a pezzi il vaso da fiori che il marito le aveva regalato per il loro anniversario… c’era un bel pacco regalo accanto alla sua torta di compleanno, un dono che, quando il fiocco era stato sciolto, aveva mostrato al proprio interno lo stesso lupacchiotto di peluche che aveva accompagnato tutte le sue notti da bambino timoroso ed introverso… e c’era infine una faccia sorridente e piena di rughette d’espressione dietro la fotocamera che aveva scattato il loro ritratto di famiglia, quello che lui aveva portato con sé dalle ceneri della propria infanzia e che ancora conservava tanto, troppo gelosamente…
- Credevo che fossi morta quella notte.- mormorò il giovane, rauco. Si zittì per un attimo, poi ci riprovò, sforzandosi di mantenere la calma: - Non capisco. Ti eri trasferita vicino a noi per restare accanto a nostra madre ed evitare che i suoi figli fossero indifesi, ma Sophie ti ha trovata prima di bussare alla nostra porta. Ti ha impedito di avvisare i nostri genitori del pericolo e ti ha annientata perché non le fossi d’intralcio. E da allora, tu sei morta, Eve. E’ morta.- la voce gli s’incrinò definitivamente, mentre Nick cercava l’aiuto di Prince con lo sguardo implorante: - Com’è possibile che sia qui… c-che sia ancora… ancora…?!-
- La Deveraux e Shane l’hanno trovata prima di arrivare ai nostri genitori, è vero, ma non l’hanno mai uccisa. La strega l’ha messa fuori combattimento e poi, per punirla dell’essere stata un fastidio, le ha scagliato addosso un Anatema.- Sheila alzò lo sguardo, perplessa, e Nick sentì un’altra ondata di pianto premergli sulle ciglia con l’irruenza d’una mareggiata. - Non era necessario che morisse. Sarebbe stato peggio per lei, vivere con la consapevolezza di aver fallito nel proteggere Hayley, l’ultimo membro della stirpe reale dei Labonair, ed i suoi piccoli eredi. Così Sophie l’ha solo costretta, con la sua sporca magia, a sopravvivere con questo tormento… rimanendo intrappolata nella sua forma animale. Per sempre.-
Eve emise un lieve mugolio e Nick tornò a scrutarla, come se la vedesse per la prima volta: i raggi solari le disegnavano splendide strisce nere e color caffè sulla schiena e sulla coda, una cosa davvero insolita ed innaturale per un Lupo Mannaro, abituato ad essere carezzato sempre e solo dalla bianca sorella dell’astro del mattino.
E per un unico giorno al mese.
‘’Quando ho ripreso i sensi e sono venuta a vedere che cosa fosse accaduto…’’ la voce che riverberava nella mente di Nick si impregnò di dolore, una sofferenza che lui conosceva fin troppo bene. ‘’… era ormai troppo tardi. Vi ho cercati dappertutto, seguendo con il mio fiuto le vostre tracce, frugando tra i vostri vestitini e tra i giocattoli, nella botola in cui speravo che vi foste nascosti, in salotto, tra le macerie... ma eravate spariti. Avevano trucidato i vostri genitori senza nessuna pietà e, dalle macchie di sangue sul pavimento, avrei dovuto credere che foste morti anche voi.’’ A quel punto, però, la creatura aveva scosso la testa con una fierezza nobile, e a Prince era tornato in mente il modo in cui Hayley scuoteva la chioma quando voleva assolutamente avere ragione in una discussione, sporgendo il mento in avanti con una smorfia imbronciata. Anche lui aveva ereditato quel caratteristico modo di fare e ne era particolarmente orgoglioso. ‘’Ma non sono mai stata capace di rassegnarmi. Ho vagato in lungo e in largo per le città, cercandovi senza darmi pace, fino a quando…’’
- Fino a quando non ha trovato me.- terminò il biondo al suo posto, mettendosi con le mani sui fianchi.
‘’… e non l’ho convinto a tornare.’’ precisò la Lupa, con aria soddisfatta. Lui fece un gesto minimizzante, senza però abbandonare il proprio lieve sorriso: il ricordo del giorno in cui, scappando a perdifiato lontano da villa Mikaelson e dagli orrori delle SS, aveva incrociato sul proprio cammino quell’angelo custode in forma canina gli tenne compagnia ancora per un po’, fino a quando non si decise a far schioccare la lingua, controllando per l’ultima volta l’orario, con aria palesemente stufa:
- Si può sapere dov’è finito quello scansafatiche di un Doge?! Puah! Sono due ore che cerco di rintracciarlo ma il suo cellulare deve essere precipitato in una tazza di caffè macchiato mentre serviva il menù del giorno al tavolo 8!- Nick aggrottò la fronte, senza capire chi fosse il cameriere protagonista delle sprezzanti imprecazioni del figlio di Klaus, ma condividendo comunque appieno tutta la sua impazienza: non c’era un minuto da perdere, dannazione, e, chiunque fosse quel Doge, doveva darsi una mossa ed aiutarli ad equipaggiarsi.
Altrimenti lui sarebbe partito da solo, e senza più voltarsi indietro.
Ogni secondo era irripetibilmente prezioso e la consapevolezza dello scorrere inesorabile e troppo rapido del tempo gli trapassava lo stomaco con la portata di una miriade di spilli acuminati.
Prince, probabilmente, nonostante l’immancabile facciata noncurante, avvertiva la stessa urgenza di agire, poiché diventò rosso come un peperone e si riempì risolutamente d’aria i polmoni, pronto a mettersi ad urlare a squarciagola il nome del suo ricercato, e tanti saluti alla decenza.
A mali estremi…
Tuttavia, dal modo curioso in cui Eve stava osservando il Mikaelson biondo, Nick capì che la sua telepatia poteva essere indirizzata anche ad uno solo tra loro due, escludendo occasionalmente l’altro fratello dal dialogo in corso. Con molto tatto, infatti, la Lupa riprese la comunicazione di gruppo solamente dopo aver rimproverato Prince in privato. Nick, un po’ divertito dalla scena, indovinò che gli avesse consigliato di tacere e di lasciare fare a lei. Così, sotto le sue iridi interrogative, con uno sbuffo d’introduzione che assomigliò ad un colpetto di tosse umana più che ad un vero latrato, la creatura inarcò dignitosamente la schiena all’indietro e spalancò le fauci:
- AUUUUUUUU-UUUUUUUUUUUUH!- l’ululato fu così fragoroso e prolungato da costringere Sheila a tapparsi entrambe le orecchie, mentre Mattie scoppiava a ridere di gusto ed i vetri della finestrella ammaccata del magazzino parevano oscillare pericolosamente. Prince fece un ghigno compiaciuto, come se quella fosse musica suonata dalla migliore orchestra del mondo, e Nick sbatté le palpebre, stupefatto: una testa scura, coperta da una sottospecie di berretto di lana cinereo, fece quasi subito capolino oltre l’uscio.
- PER TUTTI I DIAVOLI, EVE, MI STAI MANDANDO NEL PANICO TUTTI I CLIENTI… COME AL SOLITO! AHH, MA TE LO GIURO, QUESTA E’ L’ULTIMISSIMA VOLTA CHE PERMETTO A PRINCE DI… OH-OH!- vittoriosa, la Lupa s’accucciò docilmente tra l’erba, agitando la coda, mentre un giovane di bell’aspetto, dalle larghe spalle arrotondate e dall’aria spaesata si accorgeva del piccolo gruppo di ragazzi appostato vicino alla Ferrari. Con le gote lisce ed un po’ spigolose che si tingevano di carminio ed i capelli castani lisci come spaghetti che gli spuntavano a tradimento dal cappellino, il cameriere del Grill li salutò tutti con la mano: -… heilà!-
 
Image and video hosting by TinyPic
 
Le mascelle di Sheila e di Mattie avrebbero potuto tranquillamente spazzare all’unisono il pavimento, se solo sotto i loro piedi malfermi ce ne fosse stato uno:
- W-Willy? William… Doge?!- esclamò la biondina, sconvolta. Conosceva quel tipo, fin dalle elementari: spesso, lui era venuto in città coi suoi genitori per trovare la nonna, l’adorabile governante di casa Locwood, e si era ritrovato a giocare con lei o con le sue amichette, in giardino, come dei bambini spensierati qualunque. Ad un certo punto, come spesso accade ai compagni di birichinate infantili, avevano perso i contatti. Poi, all’improvviso, lui si era ritrasferito a Mystic Falls per vivere stabilmente con l’anziana Mrs Doge, senza frequentare il college, alla semplice ricerca di un lavoro.
Mattie ricordava di essersi sentita dispiaciuta per lui, perché sapeva che la sua decisione di rinunciare agli studi non aveva avuto nulla a che fare con le sue capacità scolastiche, per altro sempre eccellenti, bensì con le scarse possibilità economiche a disposizione della sua famiglia natale.
William le era sempre sembrato un bravissimo ragazzo, normale come pochi, fin troppo intelligente… che cosa cavolo ci faceva in combutta con un principino irascibile, bello e dannato e con la sua improbabile mascotte lupesca?
Allibita, la figlia di Caroline si girò di scatto verso Sheila, con quella domanda stampata su ogni centimetro del faccino paffuto, e si accorse che, dal canto suo, anche la Bennett era decisamente, esageratamente sotto shock.
Nell’ultimo anno, specialmente nel periodo estivo, ogni volta che lei, Demi e Matt avevano bazzicato al Pub, era stata così gentile da consegnare personalmente delle mance generose al simpatico cameriere ventenne e da scambiare qualche parola con lui, appoggiandosi al bancone e giocherellando distrattamente con la cannuccia colorata di una bevanda fresca, mentre le ore trascorrevano ed il ragazzo lucidava l’argenteria con un panno profumato di limone.
Tutti quei momenti rubati sembravano appartenere ad una vita precedente, ancora libera dal sovrannaturale… una vita che, Mattie lo sapeva, mancava alla streghetta più dell’aria, ogni giorno di più. 
- Forse vi siete sbagliati… l’ingresso è dall’altra parte!- canticchiò Will, evasivo, incrociando lo sguardo della streghetta per un secondo e diventando di una preoccupante sfumatura color prugna, al suo cospetto. - Ci vediamo in giro, mh…?!-
- GRRR! Ma perché non ti ho ancora appeso a testa in giù al soffitto, come un caciocavallo, me lo puoi spiegare?- sbraitò Prince, scattando a velocità sovrumana verso il suo compare e acchiappandolo per il colletto della camicia, sormontata da un gilet blu notte lucido come seta. - Mi stai mettendo in imbarazzo!- gli soffiò tra i denti, spingendolo dentro al magazzino con poca grazia.
- TUTTI DENTRO… svelti!-
Mattie e Nick si scambiarono un’occhiata d’allarmata intesa e schizzarono in avanti; poi, mentre la Locwood prendeva per mano l’amica Bennett ancora impalata sul posto e la tirava via con sé, Eve trotterellò allegramente dietro di loro, spingendo col muso la porta del deposito e sigillando la serratura con una zampata definitiva.
Nel frattempo, Will continuava a divincolarsi invano, rischiando d’inciampare in un paio di barili di birra posti nel magazzino:
- Senti, sono ancora in servizio, cosa credi che racconterò al mio capo quando…?-
- Poche chiacchere, sono in missione-salvataggio. E poi, il tuo capo posso soggiogarlo a star fermo a vita e poi usarlo come appendiabiti, chiaro?!- lo stroncò Prince, spiccio, prima di mollare la presa sui suoi abiti con una mossa talmente improvvisa che il giovane sarebbe precipitato a terra, perdendo l’equilibrio, se solo qualcosa di morbido non si fosse frapposto tra il suo sedere ed il suolo; la Bennett, prontamente, pronunciò a mezza voce qualcosa d’incomprensibile e spedì uno sgabello girevole ad attutire quell’urto, giusto in tempo per far atterrare il cameriere su un sedile spugnoso, invece che a terra. William non riuscì a ringraziarla in tempo, anche perché il principe era già tornato alla carica: - L’Inferno sta arrivando… come avevi previsto tu.- annunciò, solenne e contrito, come un giustiziere mascherato che decideva di sotterrare temporaneamente l’ascia di guerra. Una parte di Mattie sperava di riuscire a cogliere almeno un barlume di disappunto sul volto del giovane Doge, ma questi si raddrizzò sul posto, tutt’orecchi, mandando in fumo le sue ultime illusioni: - Hanno preso la Salvatore ed hanno sfruttato il suo sangue da Marchiata, come avevi previsto tu.
 
Image and video hosting by TinyPic
 
E quel balordo di Atticus Shane ha di nuovo i denti avvelenati, potesse inghiottirseli nel sonno!, ergo… un manipolo di teneri ed affabili esserini DEMONIACI sta per essere sguinzagliato alle nostre calcagna, proprio come, neanche a dirlo, avevi previsto TU!- William lo fissò, allibito, ma Prince scrollò le spalle, come per discolparsi: - Che posso dire? Una tragedia annunciata è pur sempre una TRAGEDIA!-
- Caspita se lo è!- trasalì l’altro, inarcando entrambe le sopracciglia ed impallidendo mentre veniva bombardato dal peso di quelle notizie terribili. Aveva l’aria intontita di chi ha appena ricevuto una randellata in testa: - Mi sa che ho bisogno di un drink!-
‘‘Willy continuava ad allarmare Prince in questo senso, ma lui si rifiutava categoricamente di ascoltarlo.’’ spiegò la vocina telepatica di Eve, dopo che la Lupa ebbe colto le facce lunghe e perplesse degli altri ragazzi presenti. ‘’Sono amici da diverso tempo e, oltre ad essere stato la sua spia in città, Doge anche è un imbattibile studioso di Occulto e Magia Oscura. Sapeva che lo Stigma Diaboli, se impresso su un altro Prescelto, sarebbe potuto essere sfruttato per evocare delle nuove entità diaboliche, proprio come quando il mio piccolo era schiavo della Deveraux.’’ sospirò, scuotendo gravemente la criniera multicolore. ‘’Credo che il fingere di non essere poi tanto preoccupato dall’imminente ritorno dei fantasmi del suo passato abbia aiutato Prince a non perdere la testa prima del tempo, ecco. Cosa che, naturalmente, accadrà lo stesso tra 3, 2, 1…’’
- Fermi tutti… un momento!- bisbigliò Mattie, allucinata, mimando il segnale del time out. Le stava andando in tilt il sistema nervoso: - Da quando quel tipo laggiù, un comunissimo, brillante ma sfortunato studente di liceo, è diventato un esperto di Dark BibidiBula?! Non sono mica cose che si imparano nel tempo libero tra uno straordinario mal pagato e l’altro, quelle lì, giusto?!-
- … EH?! Will è un esperto di che?!- sgranò immediatamente gli occhi Sheila, passando in rassegna la propria migliore amica, Nick e la Licantropa scodinzolante, con l'aria offesa di chi scopre di essere stato escluso da una qualche conversazione importante.
Mattie arricciò il nasino:
- Di ‘’Occulto e Magia Oscura.’’- ripeté, più formalmente, senza capire la ragione nascosta dietro quel tono tanto irritato. Sheila spalancò la bocca, come se fosse la prima volta che ne sentiva parlare, e la nana si grattò il mento, confusa: - Scusa, ma dov’eri poco fa, quando Eve ce l’ha detto?-
- Quando chi vi ha detto cosa?!- incalzò la Bennett, mentre Prince e Will confabulavano ad alta voce, coprendo quasi completamente la sua. - Come sarebbe?! Il Lupo… cioè, Eve può parlare?-
Nick scrutò Mattie mentre faceva per aprir bocca e replicare ma qualcosa, nel verde acqua genuino delle sue iridi, lo fece arrivare in un baleno all’unica, seppur assurda, conclusione possibile:
- Sheila non riesce a sentire i pensieri di Eve perché lei, nelle sue condizioni, è in grado di comunicare solamente con chi è un Licantropo. Con chi lo è una volta al mese, con chi lo è in parte, oppure, comunque, con chi potrebbe… diventarlo.- sussurrò, inchiodando la Lockwood con un’occhiata magnetica, indecifrabile. - Non vedo altra spiegazione.- terminò, asciutto.
Matilda si accigliò per un secondo, come se stesse riflettendo sul come interpretare quella frase, se come un insulto o come un complimento. Alla fine, prevedibilmente, parve optare per la seconda, ed un sorriso malandrino fece capolino tra le sue labbra di pesca:
- Vuoi dire che c’è una speranza che anch’io diventi una di voi?- domandò, emozionata fino all’estremità dei boccoli dorati. – AAAH! Lo sapevo che questa stramaledetta fronte alta non era l’unica cosa che avevo ereditato da mio paparino! Ecco perché la fame… ecco perché la febbre! Ma PERCHE’ non me l’hai detto prima, razza di spilorcio?! Potrei essere più forte, e più veloce, e venire con voi a salvare Demi e… oh, ma come si fa ad attivare il gene del Licantropo, come si fa…?!-
- Tu non sarai mai un Lupo Mannaro, è fuori discussione.- sbottò Nick, a denti stretti.
- Ma…!- senza perdere l’entusiasmo, Matt fece per contraddirlo; lui si rabbuiò all’istante, irrigidendo la mascella. Poi esplose:
- Mi hai sentito bene, nana, e non occorre che io mi ripeta! Preferirei, anzi, che l’argomento rimanesse CHIUSO, se non ti dispiace.- il battibecco fu troncato da un tono talmente duro ed inflessibile che la Lockwood lanciò uno sguardo da cucciolotto ferito al suo compare, prima di incrociare le braccia sul petto e di fargli una sonora pernacchia.
- Quanto sei antipatico! Giuro che certe volte, spesso, mi verrebbe voglia di…!- per sfogarsi, assestò un calcetto ad un sacco di farina rovesciato sul pavimento, ma, subito dopo, sentì qualcosa di morbido sfiorarle il collo nudo, come un soffio d’aria calda che odorava di vento e di foreste incontaminate. Un attimo più tardi, la biondina capì che Eve le aveva dato un buffetto affettuoso e conciliante con la punta del soffice muso triangolare e così, colpita da quella dolcezza, Mattie sentì la propria rabbia evaporare, rapida ed inconsistente come quando era arrivata.
La stessa cosa, ahimè, non valse per l’ira di Nick: notando come il confronto verbale tra Prince ed il cameriere non accennasse a finire e, soprattutto, come non stesse portando a nessun risvolto concreto, il ragazzo afferrò un grosso scaffale pieno di spezie essiccate e di altre provviste e lo staccò dai cardini, facendo sì che si sfracellasse sul pavimento marrone, nella sua interezza, con un baccano infernale.
Quel fracasso riscosse bruscamente i due collaboratori dal loro parlottare: William assunse l’espressione inorridita di chi sarebbe stato senza dubbio licenziato per quel casino, mentre Prince si limitava a gongolare sotto i baffi, come un qualunque fratello maggiore orgoglioso dei progressi della propria piccola nemesi.
- Le armi.- sillabò il figlio di Elijah, con una voce controllata a stento. - Non le chiederò una seconda volta.-
 
Image and video hosting by TinyPic
 
- L’hai sentito?!- mormorò il principe, dando di gomito a Willy, deliziato. - Te l’ho detto che quella è una ragazza per cui la gente sarebbe pronta a scatenare una guerra in Terra Santa! E, in effetti… è più o meno questo, ciò che abbiamo intenzione di fare! Allora, cosa te ne dici?-
- Dico che conosco Demetra. L’ho rincontrata al Memoriale di Tina, mentre servivo le bibite agli studenti… ricordo che era così… spaventata.- ammise questi, sistemandosi il berretto ed avvicinandosi in fretta all’unica parete sgombra dell’intero stanzone. Nick lo studiò a lungo, in silenzio, seguendo i suoi movimenti con le palpebre socchiuse, sospettose, fino a quando il ventenne non tirò fuori dal grembiule un bizzarro mazzo di chiavi vecchio tipo, scegliendone una, la più arrugginita e tozza tra tutte: - Come la maggior parte delle vittime di Sophie, neppure Demi merita ciò che le stanno facendo.- il cameriere misterioso girò la chiave in una fessura quasi impercettibile nella roccia, e qualcosa scattò immediatamente, liberando un brivido nell’aria circostante. Sheila fu la prima a muovere un passo, poi un altro, verso il varco nero che si era aperto nel muro. - Seguitemi. Se ci teniamo l’un l’altro in questo modo, non rischieremo di inciampare.- disse William, porgendole la propria mano prima di sparire nell’antro segreto, scavato come nelle profondità della terra.
Seppure insicura, la Bennett l’afferrò e si lasciò guidare nel buio, mentre Nick si affrettava a stringere nelle proprie dita quelle sottili e bronzee della ragazza, permettendo alle tenebre di inghiottirlo per terzo.
 
/// 
 
- AUCH! QUALCUNO MI HA PESTATO UN PIEDE!- gemette Mattie con voce acuta, mentre arrancava quasi alla cieca lungo un corridoio strettissimo che sembrava non voler finire mai. C’era uno strano tanfo nell’atmosfera, qualcosa che ricordava la cannella, il muschio e l’incenso così da vicino da risultare quasi disturbante.
Alla biondina lacrimavano gli occhi, e non soltanto a causa del dolore:
-… non guardare me, NON sono stato io!- si schermì immediatamente Prince, da un punto imprecisato accanto a lei, trascinandosi dietro gli altri come un brontolante chiudi fila: si era rifiutato di farsi tenere per mano da chiunque, durante il tragitto, ma Mattie lo aveva acchiappato lo stesso, volente o nolente, tirandolo per la manica della camicia, come se avesse paura che da un momento all’altro potesse svignarsela.
La pochissima luce che filtrava assieme a delle rade gocce d’acqua da qualche forellino nel soffitto del tunnel illuminò le onde dorate tra i capelli del principe, la punta del suo naso finissimo ed il candore del suo ghigno maleficamente soddisfatto, lasciando davvero poco all’immaginazione collettiva:
- Oh, che sei stato tu, invece!- dedusse prontamente la Lockwood, infervorandosi mentre, con un insistente e sonoro pulsare, la punta del suo povero alluce chiedeva un’istantanea, sanguinosa vendetta. Nick alzò gli occhi al cielo e tirò l’amica via con sé, cingendole appena più forte il palmo, come per richiamarla alla calma; lei inspirò profondamente, gonfiando le guance rotonde come due palloncini, pronta a giustificarsi:
- ARGH! Sta’ sicuro che tuo fratello farebbe diventare pazzo qualunque psichiatra cercasse di prenderlo in cura!- berciò, lanciando un’occhiataccia in cagnesco alle proprie spalle e ricevendo un sorriso fulgente e lusingato in risposta.
- E lo psichiatra dello psichiatra.- precisò Nick.
- E lo psichiatra dello psichiatra dello…-
Mentre i due Mikaelson e Mattie continuavano a bisticciare ed Eve emetteva dei lievi guaiti accomodanti, per tentare di placare gli animi, senza ottenere successo, Sheila incespicò in un gradino difettoso, rischiando di perdere l’equilibrio. Willy la sostenne, consentendole di raddrizzarsi, ed i loro visi si trovarono di colpo pericolosamente vicini:
- Scusami, io… non riesco a vedere niente di niente, quaggiù, dannazione!- si lamentò lei, sforzandosi di focalizzare meglio che poteva i dettagli dell’ambiente circostante e allo stesso tempo di sfuggire all’imbarazzo scaturito da quella situazione. Il giovane la lasciò andare, senza una sillaba, mentre lei continuava ad inveire: - Ma perché deve essere tutto così buio e tetro e terrificante, da queste parti? Perché?!-
Cogliendo il senso inespresso di quell’imprecazione, William osservò la Bennet, con una ciocca del ciuffo che gli sfuggiva dal berretto e gli s’increspava sulla fronte; Sheila ricambiò l’occhiata con diffidenza, senza però distogliere lo sguardo. Era chiaro che una parte di lei non aveva perdonato al nipote della signora Doge, suo amico d’infanzia e ragazzo della porta accanto, la colpa di essersi fatto beccare invischiato in quel mondo magico dal quale le sarebbe tanto piaciuto poter evadere, ed il giovane lo avvertiva senza difficoltà dal suo distacco, dalla rigidezza controllata di ogni suo gesto.
La sera del Memoriale, quando lei si era sgolata per cercare Demi alle Cascate, loro due si erano scambiati delle occhiate diverse, molto più pacifiche, prive di tutto quell’astio silente. Si erano messi a cercarla insieme, sollevati dall’aver incontrato una faccia conosciuta in quel trambusto, collaborando semplicemente perché la figlia di Bonnie aveva perso la sua migliore amica e Will era stato l’ultimo ad averla vista, ad averci parlato.
Anche se per ordine di Prince.
Poi era arrivato un uomo alto, dal giubbotto di pelle nera e dall’aria disperata, e Sheila si era congedata dal bancone degli alcolici per correre a perdifiato da lui.
Chissà se anche questa volta Damon Salvatore stava vendendo l’anima al diavolo, pur di ritrovare la Prescelta scomparsa.
Forse, se ci fosse stato lui, al fianco della Bennett, in quel preciso momento, il suo broncio così angosciato sarebbe svanito.
- Puoi rimediare personalmente all’oscurità, se ti dà noia, sarebbe un giochetto da ragazzi.- suggerì William di punto in bianco, cogliendola di sorpresa. La strega lo fissò, interdetta, ma lui annuì con convinzione, incoraggiante: - Se non conosci la formula, prova a ripetere con me: Luinil, albae lux vocatur ad spiritum…- continuando a modulare la propria voce fino a farle assumere un tono quasi ipnotico, il ventenne la invitò ad imitarlo. Sheila esitò, poi tentò obbedientemente di memorizzare la litania: -… incantatem solis astris rifulgo… Luinil, albae lux vocatur...-
-… ad spiritum incantatem solis astris rifulgo… Luinil, albae lux vocatur… Luinil, albae lux vocatur…-  le esili perdite d’acqua che penetravano ritmicamente dalla volta della galleria sotterranea s’immobilizzarono a mezz’aria, mandando bagliori come scaglie di diamanti o lucciole impegnate in una coreografia di danza, poi si condensarono ordinatamente in un unico punto luminoso davanti al viso stupefatto di Sheila, palpitando e solidificandosi fino a creare una specie di sassolino fluorescente; Willy lo afferrò e lo porse alla ragazza, mentre era ancora caldo e malleabile, e quello, come una lampada lava o una lanterna, rischiarò meglio il percorso che si snodava davanti a loro, tra scale e ghirigori, fino a terminare con un anonimo portoncino d’acciaio scorticato. - Molto brava.- commentò il cameriere, con il volto addolcito dall’ammirazione. - Sul serio, sono colpito. Adesso direi che possiamo anche proseguire... per di qua!-
Il bofonchiare rissoso del resto della compagnia continuava ad aumentare di volume, alle loro spalle, ma Sheila era troppo su di giri per badarci, figuriamoci per richiamare i ragazzi alla discrezione:
 - Sei… sei una strega anche tu?- chiese a Will, incalzante, come se lo stesse supplicando di rispondere di sì e allo stesso tempo temesse quell’eventualità. - Voglio dire, hai dei poteri magici?! Come fai a conoscere…?-
- E’ complicato.- ammise lui, rimettendosi in marcia. - Dal ramo materno, discendo da una delle famiglie magiche più prestigiose di New Orleans. Mia madre, Coraline, era una delle streghe più in gamba del Quartiere Francese. Lì, la pratica degli incantesimi è proibita dal tiranno della città, il vampiro Marcel, ed è legata indissolubilmente al potere dei nostri Antenati. Una volta abbandonata la città, il legame coi sepolcri degli Anziani viene infranto, e noi siamo ridotti ad essere poco più che comuni mortali. Ciò non vuol dire che i nostri Grimori siano costretti a fare la muffa, mentre siamo via, anzi… lo studio è sempre stato un buon modo di sentirsi a casa quando, per un motivo o per un altro, non ci si può più mettere piede.-
- Ma, a quanto ne so, anche Sophie proviene da quel posto.- si ricordò Sheila, aggrottando le sopracciglia. - Come mai il suo maledetto potere non svanisce come dovrebbe, mentre è a Mystic Falls?-
- Perché la sua magia non è più Ancestrale e pura come quella dei Francesi, ormai.- rispose William, con un po’ di asprezza. - L’Espressione che lei esercita non necessita altra fonte di potere che si discosti dalla sua malvagità, per essere innescata.- il ragazzo le segnalò con un cenno la presenza di una pozzanghera scivolosa, poi proseguì: - Nel caso in cui te lo stessi domandando, è in Louisiana che sparivo, da bambino, quando non ero qui a farmi ospitare da mia nonna. I miei genitori avevano l’abitudine di tornare spesso da quelle parti, nonostante non fossero esattamente il luogo più sicuro in cui vivere.-
- Che cosa gli è accaduto?- bisbigliò Sheila, notando la sfumatura di tristezza con cui Willy aveva terminato la propria frase e provando ad indovinare quale fosse la ragione di quel tacito rancore.
- Sono stati attaccati da un branco di schiavi oscuri che la Deveraux aveva spedito di proposito alla nostra porta.- rivelò il giovane, parandosi davanti al portoncino, finalmente giunto a destinazione. Sheila sentì un moto di nausea chiuderle ermeticamente la gola: - Li voleva fuori dai piedi, questo è sicuro. Se non fosse stato per Eve, che ai tempi si trovava da quelle parti in cerca dei fratelli Mikaelson, nemmeno io sarei sopravvissuto.-
- E’ terribile.- mormorò la Bennett, mortificata.
Lui annuì, poi fece scattare la serratura, con la mano un po’ tremante sulla chiave. In un secondo, spalancò l’uscio grigiastro con destrezza:
- In compenso, è da quando loro non ci sono più che mi preparo per essere pronto al ritorno degli Inferi. E, al momento, non vedo l'ora di fargli dare un’occhiatina a… questo!- la luce artificiale che ferì i loro occhi fu talmente improvvisa ed abbagliante che soltanto un già pratico Prince si sentì in diritto di sorpassare il resto del gruppo, mentre gli altri, intontiti ed accecati, cercavano di ripararsi la faccia con la mano.
- Benvenuti… al Laboratorio.-
Lentamente, le loro pupille si abituarono al fulgore, giungendo a contemplare, alla fine, uno spettacolo decisamente singolare: si trovavano in un ambiente unico che richiamava molto da vicino un incrocio tra una biblioteca ed un reparto militare.
Su uno sfondo imponente di librerie ingombre di volumi dai bordi muffiti, rinforzati da placche metalliche oppure imbottiti da fascicoli e rotoli di pergamena, si stagliavano delle teche traboccanti di oggetti acuminati, dall’aria semplicemente letale: spadoni dai bordi affilati, scimitarre dalle lame ricurve e scintillanti, lance con punte d’osso o di metallo e persino delle faretre stracolme di frecce.
Archi e balestre erano appesi in bella mostra sotto una navata più in fondo, accanto ad una sfilza di paletti di legno di ogni forma e dimensione, mentre, poco più in là, si poteva scorgere una minuziosa collezione di fiale e boccette, dai contenuti mollicci ed anche piuttosto inquietanti.
Ovunque, sulle aste, sui coltelli, sui calderoni e sulle copertine dei libri, era stampato o dipinto a mano un esagramma bluastro, il simbolo di Re Salomone.
E del Lapislazzuli Stellato. (2)
- Urca, urca!- strabuzzò le palpebre Mattie, con la stessa espressione rapita che avrebbe assunto di fronte ad una dispensa di biscottini al cioccolato fondente, i suoi preferiti. - Mi sento come se fossi finita sul set di Supernatural… oppure su quello del secondo film degli Shadowhunters, quello che non hanno ancora girato… avete presente?! (3) WAAH!- mentre i Mikaelson si avvicinavano sfrecciando alla serie di equipaggiamenti e munizioni, con aria critica e urgente, pronti a scegliere la loro futura arma, e Sheila si guardava intorno con gli occhi scuri fuori dalle orbite, come se fosse sul punto di svenire, la biondina si sfregò le mani, fremendo dal desiderio di toccare ed analizzare qualunque cosa fosse nei paraggi, e si dondolò sui talloni: - Allora… qual è la prossima mossa?-
- Andiamo a prendere Demi.- rispose Nick, senza neanche pensarci, prendendo un pugnale di fattura finissima e fissandolo alla cintura dei propri pantaloni.
- E la mia Profezia.- aggiunse Prince soave, raccogliendo un contenitore con un tappo color zaffiro e spolverandolo con una plateale riverenza: uno stampino di ceralacca era impresso sulla sommità della confezione bitorzoluta e rappresentava in modo abbastanza chiaro lo schizzo di un teschio. Tutto ciò era davvero POCO rassicurante. - … e poi, giacché ci siamo, facciamo una strage infernale. Ah-ah, infernale!-
- Andiamo.- tagliò corto Nick, dopo aver nascosto nelle tasche del cappotto qualcos’altro di potenzialmente utile, dirigendosi verso l’uscita. Eve zampettò dietro di lui, strofinandogli la sommità della testa contro il palmo della mano abbandonata lungo il fianco, ma Mattie, prima che entrambi sparissero di scena, si frappose tra il figlio di Elijah e la porta, per un’ultima volta. - Nana, per favore…- sussurrò lui, debolmente, senza riuscire a guardarla in faccia. -… non c’è più tempo per…-
 
Image and video hosting by TinyPic
 
- STA’ ZITTO UN SECONDO, lo so che devi andare.- chiarì lei, con le iridi lucenti, grondanti di rassegnazione. Aveva cominciato a tormentarsi la catenella che teneva al collo, quella da cui penzolava l’anello di rubini di Elijah, e quello era uno dei tanti motivi per cui Nick, al momento, era incapace di sostenere il suo sguardo carico di speranza. - E voglio che tu lo faccia. Perché Demi ha bisogno di te e…- la voce le venne quasi meno, ma non bastò a farla desistere. -… e tu di lei.-
Prince e Sheila, dai due lati opposti dello stanzone, si lanciarono un’occhiata significativa, per poi distogliere all’istante lo sguardo, fischiettando quasi, pur di simulare indifferenza:
- Solo che devi promettermi una cosa. Altrimenti imbraccerò uno di questi randelli dentati e te lo suonerò sulla testa come se fosse un clarinetto... un clarinetto pesante.- proseguì seria la Lockwood; si sfilò la collanina dorata e, mettendosi in punta di piedi, fece sì che fosse Nick, stavolta, ad indossarla. Tutti e due ebbero un flash istantaneo del momento in cui si erano salutati in quel modo, fuori dall’infermeria, dopo la lezione di Storia che aveva sconvolto le loro giornate: ‘’Voglio che lo tenga tu.’’ le aveva confessato lui, consegnandole spontaneamente il monile, prima di correre ad affrontare il pericolo di un eventuale rifiuto da parte di Prince. ‘’Così saprai che verrò a riprendermelo.’’ – Tu devi giurarmi che tornerai. Assieme alla mia migliore amica, certo, ma sano e salvo. Perché rivorrei indietro il tesssoro, è chiaro? Mia madre dice che dona in modo particolare alla mia carnagione e lei non è solita dispensare complimenti alla sottoscritta. Inoltre, è l’unica roba al mondo simile ad una grossa, appetitosa ciliegina che non mi papperei all’istante, solo perché, beh... perché è davvero poco commestibile MA, prima di tutto, perché ti appartiene. E custodirla è diventata una cosa davvero importante, per me.-
Come te.
Quasi percependo quel pensiero silenzioso aleggiare nell’aria, il ragazzo chiuse la propria mano sulla pietra preziosa che Mattie stava sfiorando con la punta delle dita, stringendole entrambe nella propria presa delicata. Qualcosa nelle sue iridi di petrolio si spense, mentre annuiva lentamente, ma la sua voce suonò comunque calma e rassicurante.
- Farò del mio meglio. Hai la mia parola.- mentre lui si allontanava, assieme a Prince e alla Lupa, la biondina cercò di sentirsi sollevata, ma non ci riuscì: senza alcun preavviso, un groppo di lacrime e terribili presagi le aggredì le vie respiratorie, annebbiandole quasi del tutto la vista.
Oh, ma che ti prende, testa di profitterole?
Non è mica un addio, questo qui… andiamo, non lo è.
Te l’ha promesso.
- OHHHH, mi salverò anch’io, tesoro, sta’ tranquillah! E grazie tante per l’interessamento!- le fece l’occhiolino il principe, sfarvallando ironicamente le dita da pianista in un cenno di saluto, prima di chiudersi il portoncino alle spalle. Matt si riprese giusto in tempo per fargli un gestaccio e per strappargli una risatina roca e scandalizzata; poi, svoltando l’angolo più fosco e tortuoso del tunnel in salita, fianco a fianco, i tre insoliti licantropi del clan Labonair partirono risolutamente per la missione.
 
***
 
Le palpebre di Demi ebbero un fremito, senza che lei riuscisse a schiuderle subito: il mondo confuso e lattiginoso dietro il velo scuro della sua incoscienza si tingeva continuamente di strascichi di volti mostruosi, di sangue nero e viscoso e di urla stridule che la reclamavano, e la teneva inchiodata all’oblio, senza darle pace.
Le sembrava di aver perduto la capacità di muoversi, eppure sentiva i propri denti battere all’impazzata: quel gelo incombente, innaturale, mai provato prima, non aveva nulla a che vedere con la rigidità della temperatura esterna, ma le nasceva da dentro, dal profondo, soffiandole senza pietà raffiche di ghiaccio, sale e veleno tra le crepe ancora sfrigolanti del cuore.
Avrebbe tanto voluto mettersi ad urlare dalla frustrazione, ma il suo corpo si rifiutava di rispondere ai comandi, anche a quelli più semplici: Demi avvertiva soltanto un sordo dolore dalle parti del braccio, là dove la lama di Shane era affondata, strisciando, per ottenere il proprio tributo, ed un bruciore selvaggio e crescente sul collo, appena sotto l’orecchio, là dove il Marchio del Diavolo infuriava e s’ingigantiva, padrone ormai quasi incontrastato di tutte le sue emozioni.
Sotto quell’influsso malefico, ogni cosa, ogni stimolo, si tramutava in un’illusione mentale orribilmente realistica, popolata con regolarità dai volti delle persone che le amava di più al mondo. Veder sfilare i visi dei propri cari tra i suoi pensieri sarebbe stato un sollievo, se solo essi non fossero stati intrappolati, proprio come lei, in un incubo interminabile: c’era Sheila, pallida e moribonda, che si accasciava mollemente sul pavimento, vittima di un uso sconsiderato e fatale della sua stessa magia; e Mattie, che veniva aggredita alle spalle da un mostro ringhiante e senza volto, che strillava il nome del suo migliore amico, sperando di vederlo comparire in suo soccorso, mentre la sua gola veniva dilaniata dai morsi feroci della creatura… e poi, e poi, inevitabilmente, venne il turno di…
- Nick…- sussurrò Demi, con il pianto che le strozzava la voce. Riusciva quasi a rivederlo mentre varcava la soglia del Pensionato, diretto verso la Ferrari, col sole che gli accarezzava i capelli castani e le mani affondate nelle tasche, le spalle curve ed il bel viso rivolto verso il basso, mentre si allontanava a malincuore da lei. Quell’immagine era come un balsamo profumato sulle ferite, ma lo Stigma era riuscito comunque a rendere sfumati e lontani i suoi contorni, come se niente di tutto quello che la ragazza stava tentando disperatamente di tenersi stretto al cuore fosse mai accaduto per davvero. Come se non si fosse mai sentita felice in vita sua.
E poi, come se non bastasse, altri presentimenti continuavano a torturarla, prendendosi gioco delle sue paure: se il giovane avesse saputo che cosa le era successo, se ne sarebbe dato la colpa… avrebbe tentato in tutti i modi di trovarla e, pur di raggiungerla, si sarebbe cacciato nei guai… avrebbe rischiato di farsi del male, sarebbe…
-… oh, no, Nick, no… ti prego, no, no…-
 
Image and video hosting by TinyPic
 
- Svegliati.- la richiamò all’improvviso una voce sgradevolmente familiare, risucchiandola fuori dal dormiveglia fino a riportarla in superficie. Come se fosse appena riemersa dal pelo dell’acqua, Demi annaspò e batté freneticamente le ciglia, mentre il mondo reale si dilatava con violenza di fronte a lei, riprendendo forma e consistenza: si trovava in una specie di foresta… anzi no, in una macchia di verde incolta, selvatica ed annerita.
La brezza puzzava di bruciato, come se qualcuno, in passato, avesse tentato di dare fuoco a quelle sterpaglie, e l’odore acre della devastazione era mischiato a quello della calce, della muffa e dell’abbandono.
Il naso cominciò a pizzicarle, mentre la sagoma deprimente, scomposta e fumante di quella che un tempo doveva essere stata una modesta casetta le si insinuava con prepotenza nel campo visivo.
Attraverso il vetro anteriore di una decappottabile.
- Mentre piagnucolavi su tua madre e su Damon eri parecchio più divertente.- ammise la stessa voce di poco prima, femminile e spruzzata d’arroganza. - Ma la faccenda stava degenerando ed era giunta l’ora di darci un taglio.- Demetra percepì una rabbia cieca ed incendiaria scuoterle il petto con la potenza di un tuono ma, quando fece per stringere e per sollevare i pugni, si rese conto di avere entrambi i polsi legati con una corda ruvida e resistente. Rebekah, dal sedile del guidatore, attraverso le proprie labbra carnose, le rivolse un sorriso canzonatore e quasi pietoso:
- Bentornata tra noi, piccola D. Dormito bene?-
- Non… mi chiami… non…- penetrare con le unghie nel palmo della mano fece provare alla sedicenne un guizzo di acuta sofferenza dalle parti del gomito già ferito, ma le consentì anche di sfogare un po’ della propria furia, aiutandola a restare lucida. Uno scambio equo, dopotutto: - Perché sono qui? Che cosa vuole da me? Parli chiaro… oppure chiuda quella bocca!-
- Dritta al punto, vedo. E sgarbata.- lodò la professoressa Mikaelson, senza esternare alcun genere di turbamento. Il suo tono era quasi sollevato: -  Mi ricordo di quando trovavo certe qualità affascinanti, specie in un tipo bello, tenebroso e complicato come Damon Salvatore. In seguito i miei gusti in fatto di uomini sono radicalmente cambiati, ma la persona che volevo al mio fianco è diventata polvere prima ancora che io potessi confessarle i miei sentimenti.- mormorò, socchiudendo i suoi grandi occhi turchesi, gonfi di un rimpianto infinito come il tempo. La ragazza sentì la stilettata impietosa del suo rancore trafiggerle l’anima e deglutì: era impossibile non sentirsi toccati da tutta quell’antica, inestinguibile afflizione, e persino lei ne fu destabilizzata, nonostante si imponesse di mantenere uno sguardo fiero, addirittura impertinente: - Vedi, Demi, da te… io non voglio niente. Non subito, almeno. Direi persino che ti ammiro, con questo tuo caratterino ed il tuo essere così impavida e testarda… mi ricordi me stessa alla tua età. Così innocente, piena di sogni. Sai… se i membri della tua famiglia non fossero stati così egoisti, forse avrei avuto una bambina tutta mia anch’io. Magari forte e coraggiosa come te.- le artigliò il viso con una mano, le sue unghie laccate che le sfioravano appena le guance, senza farle male, solo tenendola più vicina, mentre la osservava ferocemente: - Magari l’avrei cresciuta in quella casa laggiù… la vedi?- le fece girare di scatto la testa verso le rovine putrescenti e fumanti della casupola dei Donovan, poi la costrinse a restare immobile, a rimirare quei detriti, fino a quando la loro cruda entità non le si fu insidiata nelle cornee. Demetra, senza fiato, si sforzò di non battere le ciglia roventi: - Chissà. Forse, tra quelle mura, avrei potuto dare e ricevere amore.-
- Lei ne ha avuti ben due, di figli.- ringhiò la Salvatore, con la voce impastata a causa della difficoltà di muovere la mascella. - Si chiamano Prince e Nick Mikaelson.- pronunciò i loro nomi con veemenza, mentre le tornavano in mente i racconti malinconici del figlio di Elijah e ripensava al modo in cui il principe era stato costretto a scappare di casa, indifeso, solo per poter sfuggire alle atroci sevizie della Deveraux. In un battibaleno, una collera funesta tornò a farla tremare, fino all’osso: - Avrebbe potuto essere una buona madre, per loro, quando ne avevano più bisogno, ma invece di provare a ricostruire la sua famiglia, lei ha preferito distruggere quella degli altri!-
- STA’ ZITTA!- urlò la vampira, facendola trasalire. Mollò la presa sulle gote di Demi con un impeto tale da lasciarle impressi nella pelle i calchi rossastri delle sue dita, e le strappò un gemito, prima di tornare ad aggredirla: - STUPIDA RAGAZZINA, NON PARLARE DELLE COSE CHE NON CAPISCI!-
- L’unica cosa che non capisco.- replicò Demetra, con i lisci capelli neri che le scivolavano sul viso dolorante, sfiorandole le guance infiammate con la loro fresca consistenza. - E’ come lei possa essere caduta così in basso.- ‘‘Che stai facendo?! Smettila di provocarla, smettila subito! O saranno guai!’’ le urlò da dentro una vocina disperata, che somigliava vagamente a quella di Elena. O a quella di Damon. Questo particolare le fece saltare i nervi, se possibile, ancora di più: ne aveva davvero abbastanza di fare la brava bambina. Ne aveva abbastanza di tutto e di tutti. -… perché non posso credere che un ragazzo così semplice e buono ed onesto come Matt Donovan nutrisse sul serio dei sentimenti per una persona meschina e senza scrupoli come lei!-
Il cambiamento nei tratti di porcellana di Rebekah fu così repentino che la sedicenne riuscì a malapena a distinguere le vene scure e pulsanti che si erano andate a raggrumare attorno ai suoi zigomi, prima che la bionda la agguantasse per la gola:
- Oh, ti pentirai di ogni singola parola.- sibilò l’Originale, scandendo le sillabe in un ringhio che non aveva più nulla di umano. Il lampo d’odio contenuto nelle sue iridi era accecante, forse persino più del baluginare biancastro delle sue zanne appena sfoderate: - Eccome se te ne pentirai, piccola, disgustosa…-
-… ma lui l’ha fatto.- ansimò Demi, sfruttando a fatica gli ultimi residui d’aria che le erano rimasti nei polmoni. La morsa di Rebekah vacillò di un millimetro, mentre lei si accigliava, senza riuscire a capire. -… Matt provava qualcosa per lei. In qualche modo, forse, l’amava… o perlomeno si augurava la sua felicità. C-credeva… che lei… se la meritasse.- gli occhi blu della ragazza divennero ben presto lucidi ed arrossati a causa della mancanza di ossigeno, ma Demi non si arrese e, divincolandosi spasmodicamente sul sedile dell’auto, lottò contro le funi che le serravano i polsi, fino a riuscire ad acchiappare, con la punta delle dita, l’orlo di un foglietto che le spuntava a malapena dalla tasca dei pantaloni. – So… che è così… io l’ho… letto.- soffocò, estraendo il frammento di carta e lanciandolo alla cieca verso la sua aguzzina, nella speranza che lo raccogliesse.
Quest’ultima esitò per un secondo, incredula e diffidente, come se sospettasse un tranello, poi, però, senza avere altra scelta, si decise a mollare di malagrazia il collo della giovane, piegandosi con una foga cieca ed ansiosa verso il basso, per recuperare lo stralcio di pagina piovuto sullo zerbino, come se quello fosse il primo sorso d’acqua pulita che avesse avuto la fortuna di scorgere dopo un interminabile pellegrinaggio nel deserto.
Demetra vide con sollievo che, sulla superficie del bigliettino, corrosa dagli anni e sbavata d’inchiostro, era ancora perfettamente leggibile la firma del mittente, la stessa che lei aveva notato in camera di Damon, subito dopo aver estratto la reliquia da sotto il cuscino: TTAM.
Matt.
La sorella di Klaus si zittì all’istante, lisciando con una delicatezza quasi religiosa il foglio dalle sue pieghe stropicciate e fiondandosi avidamente sul suo contenuto, mentre Demi si accasciava sul posto, esausta, raggomitolandosi su un fianco e mettendosi rivolta verso lo sportello, nel tentativo di riprendere fiato dopo quei terribili istanti di asfissia.
Il cuore le batteva forte contro le costole, quasi sfondandole lo sterno.
Ma si trattava di un ritmo ben scandito, controllato: la scarica di adrenalina che le avevano iniettato nel sangue la consapevolezza di essere in pericolo e la paura di essere uccisa le stava scorrendo dentro, lenta ed inesorabile come lava bollente.
Come fuoco.
Già, il fuoco… era proprio ciò di cui aveva bisogno e Demi, pur rischiando deliberatamente le penne nel tentativo di ottenerlo, ci era riuscita: aveva innescato l’unico meccanismo di difesa sovrannaturale che potesse tornarle utile in una simile, drammatica situazione, e lo stava lasciando crescere a dismisura, silenziosamente.
Perciò, mentre ansava debolmente nell’angolo, con la gabbia toracica invasa, ribollente di vapore acqueo, la ragazza tossicchiò uno sbuffo denso ed argentato.
E sorrise.
 
***
 
- La cara zietta Bex è un dannatissimo genio del male, lo sai?- rimbrottò Prince, a metà tra l’ammirato e l’infuriato, tenendo aperto lo sportello della Ferrari per il tempo necessario a far scendere Eve. La povera Lupa, costretta a restarsene accucciata e mugolante sui sedili posteriori, aveva appena avuto la sua prima, traumatica esperienza con la guida spericolata di Nick, e sembrava più che entusiasta di poter tornare finalmente a solcare, con le proprie grosse zampe pelose, un terreno che fosse solido e stabile: - Ma tu guarda! Da qui in poi ci toccherà proseguire a piedi!- annunciò, accennando seccamente al sentiero bloccato di fronte a loro: due giganteschi tronchi d’albero erano stati sradicati e posti orizzontalmente lungo il fitto pendio boscoso, impedendo così il passaggio di qualsiasi autovettura. - Tanto meglio! Sono sempre andato matto per le scampagnate!- gracchiò, tetro, fissandosi una cintura trapunta di un motivo alternato di paletti e pugnali ben stretta in vita. - Pffff… avrà comandato a quel balordo di Shane di fare questo casino, spero! Non ce la vedo proprio a sporcarsi le mani... o le scarpette. Questa è roba da domestici!-
- Vorrà dire che correremo.- concluse Nick, facendosi scivolare la catenina di Mattie sotto il colletto della camicia. Il metallo era stranamente tiepido, come se avesse assorbito tutto il calore del suo corpo, e quel dolce tepore parve rassicurarlo un po’. Prince arricciò il naso in una smorfietta, annuendo senza troppo entusiasmo, poi inserì una caterva di proiettili di legno acuminato nel caricatore di un prodigioso fucile a doppia canna. Per un secondo di preparazione, il silenzio tra loro regnò sovrano. Poi il minore dei Mikaelson s’inumidì le labbra: - Tu… credi che lei stia bene?- sussurrò dal nulla, quasi inudibile. Prince lo osservò attentamente, dall’alto in basso, senza preoccuparsi di fingere di non aver capito a chi l’altro si stesse riferendo. Fece girare l’otturatore rotante dell’arma con un gesto da vero esperto, poi puntò il proprio sguardo smeraldino dritto negli occhi straordinariamente vulnerabili del fratello:
- Credo che stia combattendo.- rispose, sincero, con una nota indecifrabile nella voce. - E’ quello che ha sempre fatto, in fondo, dalla prima volta in cui le ho messo gli occhi addosso. Non si fermerà, non adesso. Il termine ‘’sconfitta’’ non fa parte del suo vocabolario.- due profonde, nostalgiche fossette gli si schiusero sulle guance, mentre le poche ore trascorse assieme a Demi e alla sua tenacia, dopo il salvataggio al Memoriale di Tina, gli tornavano alla mente con irruenza. Poi il biondo scrollò le spalle, rabbuiandosi, memore anche del modo spaventoso in cui la serata precedente si era conclusa: - E’ una fortuna, comunque, che lei sembri essere nata per farlo. Per lottare, intendo dire… per difendersi. Questo, se non altro, ci darà un po’ più di tempo...- il suo tono si arrochì pericolosamente e lui dovette correre ai ripari: -… tempo per addestrarti alla sottile e nobile arte di uccidere un’Ombra o un Demone, ad esempio. Mmh?-
- Sono tutt’orecchi.- mormorò il ragazzo dai capelli scuri, incamminandosi verso la selva, così pallido e silenzioso da apparire quasi incorporeo. Prince, compiaciuto dalla sua totale, insperata accondiscendenza, si schiarì la voce con aria d’estrema importanza, cercando di concentrarsi solo ed esclusivamente sul presente:
- Splendido. Dunque, ecco, vediamo… uhm… sì, d’accordo. Regola numero uno…-
 
///
 
-… e regola numero ottantaquattro…-
- Oh, ti scongiuro, dacci un taglio!- sbottò Nick dopo qualche minuto di estenuante tortura, scavalcando un cumulo di rami contorti e lanciando uno sguardo esasperato al fratellastro, il quale era già balzato davanti a lui con un movimento leggero ed aggraziato, degno di un gatto selvatico particolarmente pieno di sé.
-… mai farsi mordere.- cantilenò Prince, come se non l’avesse sentito. Il vento friniva quieto tra la vegetazione, facendosi via via più denso ed asprigno mentre si avvicinavano al luogo in cui il casolare dei Donovan era stato divorato dalle fiamme, e si impigliava tra le chiome ribelli dei ragazzi, increspando anche il pelo lucido e foltissimo di Eve. - I denti e la saliva di un’Ombra sono le armi più pericolose che possiede. E’ coi morsi che trasmettono il loro veleno e, una volta entrato in circolo quel siero, non c’è Cura al mondo che possa impedire ad un essere vivente di diventare come loro. Le unghiate ed il contatto fisico di altro genere durante uno scontro corpo a corpo, invece, non implicano necessariamente il…  Nicklaus.- adesso sembrava stizzito, con i bei zigomi arrotondati che gli sporgevano leggermente dalla pelle del viso, disegnando sui suoi tratti una smorfia imbronciata e curiosa insieme: - Mi stai ascoltando?!-
- Sssst.- sussurrò Nick dopo un istante, alzando una mano per invitarlo a tacere. La Lupa Mannara drizzò il muso e ne arricciò gli angoli in un ringhio muto, scoprendo una schiera minacciosa di zanne d’avorio lucido, in allerta. Il principe chiuse la bocca, poi avvicinò di scatto le dita alla propria cintola ingioiellata di armi, afferrando l’elsa di una sciabola dalla lama bluastra ed estraendola senza un suono dalla guaina di cuoio. - C’è qualcuno laggiù.- mormorò il figlio di Elijah, stringendo nel pugno destro un pezzo di legno intagliato a mo’ di paletto e in quello sinistro lo stesso pugnale ricurvo che aveva scelto al Laboratorio, fino a farsi sbiancare le nocche dalla tensione. 
- Ma non mi dire.- lo schernì l’altro, beffardo, incrociando gli occhi grigi di Eve e inviandole un segnale telepatico privato che la portò ad avanzare per prima tra le erbacce, annusando circospetta l’aria, sempre più appestata da un nauseabondo puzzo di zolfo, sale e di quello che sembrava essere sangue rancido. - Sono almeno in tre.- avvertì Prince, con una calma talmente assoluta da far sentire Nick a disagio con il proprio cuore martellante ed il velo di sudore freddo che gli attaccava la stoffa sottile della camicia alla schiena. - E si tratta solo di Ombre, per fortuna. Tzè! Shane deve essersi risparmiato le cartucce demoniache per un’occasione più speciale di questa. Beh, meglio per noi.- il suo tono diventò un soffio, mentre i muscoli delle sue braccia si tendevano, rapidi, guizzando sotto la maglia. - Ce n’è una a testa per ciascuno. Ci sarà da divertirsi parecchio.- le sue iridi lucenti cercarono quelle di Nick, imperscrutabili e serie come poche volte il ragazzo aveva avuto l’occasione di vederle; così accigliato e concentrato, con quell’espressione grave ed intensa, il figlio di Klaus sembrava quasi somigliare di più al proprio padre adottivo rispetto a quello biologico. Un evento così anomalo che per poco Nick non si sentì mancare: - Ti ricordi che cosa ti ho detto prima?-
- I punti deboli di quelle creature sono gli occhi, la gola ed il cuore.- recitò il minore, solenne ed impaziente, cercando di moderare il proprio respiro ansioso fino a renderlo regolare ed impercettibile quanto quello del fratello. - Trafiggere queste parti del loro corpo li mette fuori combattimento, ma solo per un lasso di tempo limitato. Ogni volta che vengono tramortiti, si risvegliano con una forza duplicata rispetto a quella precedente. Unicamente il fuoco è capace di distruggerli in modo definitivo.-
- Molto bravo... se tu fossi Eve, ti darei un biscottino.- sorrise Prince, buttandola sull’ironia per mascherare quello che, in teoria, sarebbe dovuto essere un commento orgoglioso. La loro Licantropa venne di nuovo fuori dai cespugli, subito dopo aver udito il proprio nome, e lanciò ad entrambi uno sguardo battagliero e significativo che Nick interpretò come un ‘’via libera’’. Inspirando profondamente per farsi coraggio e richiamando l’immagine di un certo oceano sconfinato ed indifeso per il quale sarebbe valsa la pena compiere qualunque tipo di sacrificio, il ragazzo si decise a muovere un passo. Un secondo più tardi, però, avvertì una stretta convulsa tirarlo con urgenza all’indietro, trascinandolo per un gomito: quando fu di nuovo occhi negli occhi con Prince, notò che quest’ultimo aveva la mascella contratta, come se volesse dirgli qualcosa ma non fosse sicuro di essere in grado di farlo. Le sue pupille erano dilatate ed un inedito senso di preoccupazione le invadeva. O forse, si disse Nick, quello era solo il frutto irreale della sua fantasia, il riflesso di ciò che avrebbe voluto vedere in quel momento, prima del salto nel vuoto: - Tu non ti farai perdere di vista.- scandì però Prince, cogliendolo di sorpresa con la propria veemenza. Il suo tono era freddo e micidiale, già quello di un predatore pronto a colpire, eppure qualche particolare sul suo bel viso sembrava tradire quella facciata, mostrandolo giovane e vulnerabile come mai, dal giorno in cui Hayley ed Elijah erano stati assassinati, si era più concesso di apparire: - Hai capito?-
Nick annuì meccanicamente, quasi suo malgrado, con i grandi occhi scuri attoniti, increduli.
- Bene.-
Come se si fosse appena riavuto da un incantesimo, Prince batté ostentatamente le ciglia e distolse lo sguardo, tornando ad indossare la propria maschera da arma letale. Quando finalmente lasciò andare la presa sul gomito del fratello, si impegnò scrupolosamente per riuscire a spingerlo appena un po’ più lontano, giusto per essere in vantaggio di qualche centimetro mentre si lanciavano all’attacco. Nick recuperò l’equilibrio senza difficoltà, poi, mentre il suono ovattato delle zampe di Eve che solcavano il terreno che gli rimbombava nelle orecchie come un’ipnosi, ricordandogli chi era davvero e quanto alta fosse la posta in gioco, si mise a correre a perdifiato tra i rovi.
 
***
 
Elena percepiva il proprio cuore pompare con un ritmo folle, accelerato, spezzato. Mentre il tragitto cosparso di grovigli selvatici che la separava dalla meta si accorciava, il terrore nel suo sterno continuava ad aumentare, anziché smorzarsi; con il fiato corto ed il petto pesante come uno straccio imbevuto di dolore e di terribili auspici, senza badare alle frustate che le foglie secche le rifilavano sul viso, graffiandolo e colpendolo, la Gilbert corse come una sola volta le era capitato di fare nella vita, prima di allora. La sensazione di aver già vissuto un incubo del genere, a quel punto, era talmente palpabile che le sembrava quasi di udire lo scrosciare della pioggia battente nelle proprie orecchie.
Dov’è Damon?
Rebekah l’ha preso.
E’ una trappola!
Ricordare e ripercorrere sulla propria pelle madida, satura di sudore e d’angoscia, la notte in cui tutto era finito ed in cui tutto aveva avuto inizio era la peggiore tortura che la vampira potesse sopportare: sentiva scorrere sulle proprie guance, tese nello sforzo della corsa, il peso schiacciante delle mille verità taciute fino a quel giorno ed avvertiva vibrare su ogni centimetro del proprio corpo le stesse carezze, i brividi, le lacrime e gli addii silenziosi che avevano segnato in modo tanto indelebile i momenti in cui, sedici anni fa, si era precipitata a salvare Damon, strappandolo alle grinfie della sorella di Klaus… prima di perderlo per sempre.
Ancora una volta, per una crudele ironia della sorte, era proprio Rebekah ad avere con sé l’unica persona al mondo la cui semplice esistenza le impediva di arrendersi e persino di smettere di respirare, una volta per tutte: Demi.  
A quel pensiero il cuore di Elena si contorse, implodendo quasi.
Demi, la sua bimba indifesa, testarda ed intraprendente, che era diventata una donna prima che lei potesse anche solo accettare l’idea della sua crescita e della sua voglia così insaziabile di essere trattata alla pari dalle persone che più amava…
Demi che ormai sapeva, che aveva trovato per caso le tracce inequivocabili della propria infanzia nell’unica stanza del Pensionato che lei e Stefan le avevano sempre proibito di esplorare…
Demi che aveva affrontato sgomento, bugie e delusione da sola, facendo a pezzi, tra gli altri oggetti, anche e soprattutto lo specchio di se stessa, forse per farsi compagnia, mentre ogni certezza le crollava addosso col fragore assordante dei vetri infranti…
- DEMETRA!- ansimò Elena, inciampando in una radice divelta ma continuando a correre, coi rami che le laceravano le maniche della maglietta e le tiravano i capelli: c’era uno strano involto informe adagiato mollemente tra i cespugli sporchi di fuliggine, con una specie di manto scuro a coprirne e a smussarne i contorni più scomposti. Era corpo umano, pallido e minuto, disteso innaturalmente prono, forse privo di sensi, con il volto immerso nel verde. - OH, NO… OH MIO DIO… OH, DIO…- con delicatezza ma anche con urgenza, Elena afferrò le spalle della ragazza inerte, svenuta o forse morta sul terreno, e la voltò per guardarla in faccia, nonostante i suoi occhi traboccanti di lacrime le impedissero di avere una visione nitida e precisa del mondo circostante.
Il suo stomaco ebbe un sussulto violento, a metà tra l’agghiacciato ed il sollevato: di fronte a lei c’era sì il volto di una sedicenne, scarno e bianco come latte, con delle vene bluastre che gli circondavano le tempie e la gola in una ragnatela fitta ed inquietante… ma non era quello di sua figlia. I capelli della fanciulla in questione erano rossicci e spettinati ed i suoi zigomi erano sporgenti e spruzzati di quelle che un tempo dovevano essere state lentiggini ma che, adesso, sembravano soltanto dei lividi in lenta via di guarigione.
Le sue labbra carnose, strette in una smorfia sofferente, erano nere come l’inchiostro.
- Kayla…- sussurrò la Gilbert, inginocchiandosi d’istinto, mentre i frammenti taglienti della propria voce che le s’impigliavano tra le corte vocali: quella era Kayla Stone, la figlia del proprietario della Biblioteca Comunale, nonché ex migliore amica di Tina O’Neil, la sfortunata coetanea di Demi che era stata assassinata da un vampiro soltanto qualche tempo prima, a pochi metri da quello stesso luogo. Mossa a compassione dalle condizioni raccapriccianti della salma, Elena ricacciò un groppo d’orrore e disgusto e cercò di scuotere il corpo pesante ed immobile della povera ragazzina: -… Kayla, puoi sentirmi? Santo cielo, puoi almeno…?-
L’unica risposta che le soggiunse fu un respiro rantolante, poi le palpebre chiuse di Kayla si spalancarono di colpo: l’iride era di un blu elettrico così lucente da mettere i brividi e la sclera era nera ed opaca, senza vita, chiazzata di sangue. Elena cacciò un urlo penetrante, staccando le mani dalla creatura ed indietreggiando precipitosamente, fino ad incespicare nei propri piedi; con uno sguardo famelico e privo di qualsiasi umanità, la mostruosità la puntò, pronta a balzarle addosso a denti scoperti, ma, prima che potesse raggiungerla, la vampira aveva già acchiappato alla cieca un grosso masso appuntito e glielo aveva scagliato contro, riuscendo a colpire con forza inaudita la sua tempia. Ringhiando, Kayla, o ciò che di bestiale restava di lei, si rimise in sesto in un istante sorprendentemente breve, poi prese a rincorrere la vampira come un segugio, mentre quest’ultima tentava disperatamente di darsi alla fuga.
- NOOO!- gemette Elena quando si sentì catturare e trascinare giù, fino a schiantarsi con la schiena sulla terra dura, rocciosa ed irsuta. Avvertì le unghie violacee e scheggiate della creatura trafiggerle i polsi mentre quest’ultima tentava di immobilizzarla, poi vide che delle zanne bavose e simili a quelle di un comune vampiro calavano implacabilmente su di lei, illuminate di rosso rubino dal sole morente.
Ma, proprio quando tutto sembrava perduto, inaspettatamente… accadde.
Ci fu uno stridio acuto e spaccatimpani, poi qualcosa di enorme, piumato e splendente si tuffò in picchiata sulla faccia sfigurata di Kayla Stone.
Elena vide la ragazza aprire la bocca incenerita senza poter emettere alcun suono, mentre un turbinio di penne e di artigli le strappava gli occhi e la pelle della fronte, costringendola ad allentare di slancio la presa sulla Gilbert e a mulinare le braccia sul proprio capo, nel vano e caotico tentativo di mettersi al riparo dall’assalto.
Dall’assalto del corvo.  
Mentre l’Ombra stramazzava al suolo, temporaneamente annientata, con le orbite vuote e gocciolanti, l’uccello si librò con estrema destrezza nell’aria, il becco ancora grondante di sangue denso e viscoso, e spalancò le ali, liberando uno sprazzo di luce accecante dinanzi a sé.
- Damon!- esalò Elena, incredula, vedendoselo comparire davanti, scarmigliato e sudato, con la mascella contratta ed il giubbotto di pelle lucido di liquido rosso nerastro, ma reale. Lui, che ancora stava fissando con aria bellicosa e stravolta il cadavere della Stone, sollevò lentamente lo sguardo ceruleo verso di lei. Fu come se una parte delle nubi covate in esso fosse stata rischiarata da un’alba nascente ed infallibile. Senza nemmeno stare a pensarci, con la gola stretta ed il cuore impazzito, Elena si gettò tra le sue braccia, affondando la fronte nell’incavo del suo collo d’alabastro e stringendolo forte a sé, come se allontanarsi di un solo millimetro significasse dover precipitare nel baratro più oscuro e brulicante dell’inferno. - Che cosa ci fai tu qui, eh? Come hai fatto a trovarmi, Damon?!- la sua voce sapeva di pianto e di sollievo, di dolore e di speranza, e tremava. - Ti avevo detto di non seguirmi! Ti avevo detto di restare dov’eri! Ti avevo detto che…-
 
Image and video hosting by TinyPic
 
- La compulsione di Rebekah è stata spezzata da tempo.- le sussurrò lui, in un soffio roco ma deciso. Le sue mani le cinsero la schiena, sfiorandole le scapole ed i capelli dapprima coi palmi aperti, poi con la sola punta delle dita. - Nessuno può più dirmi di lasciarti andare quando non voglio assolutamente farlo, adesso, ricordi? Nessuno. Neppure tu.- Elena sentì quelle parole riecheggiarle dentro come una carezza rassicurante ed inspirò profondamente per farsi coraggio, sciogliendo appena l’abbraccio per riuscire a guardare dritto negli occhi il suo salvatore.
La loro meravigliosa ed inconfondibile sfumatura cerulea le provocò una fitta nell’anima.
Era così buffo che i ruoli fossero stati scambiati dal fato: per tutti quegli anni aveva rivisto il fantasma del suo amore perduto attraverso le iridi cristalline di Demi, mentre ora era proprio lei a mancarle come l’aria e a fare capolino nella forma sicura della mascella di Damon, in quella deliziosa del suo labbro inferiore.
- Dov’è… dov’è Stefan?- bisbigliò d’un tratto la vampira, distogliendo con forza lo sguardo da quest’ultimo cruciale dettaglio per tornare alla realtà. Una ruga colpevole comparve tra le sopracciglia nere del maggiore dei fratelli Salvatore.
- Ha cercato di fermarmi.- spiegò Damon, asciutto, come se questo bastasse a chiarire la faccenda. Elena batté le palpebre, confusa ed improvvisamente spaventata, mentre lui si affrettava a fare spallucce, sollevando entrambe le mani per difendersi: - Niente di grave, sta’ tranquilla. L’ho solamente… ucciso.-
- DAMON!- sbottò la vampira, severamente, mettendosi le mani nei capelli.
- ELENA.- la scimmiottò lui, scoccandole un’occhiataccia assai significativa. – Risparmiami la parte in cui mi dici che avrei dovuto ascoltare i consigli di tuo marito mentre mi chiedeva di rispettare la tua sacrosanta decisione e di lasciarti venire qui a morire, ti prego. E’ una lezione che non imparerò mai e, se proprio vuoi saperlo, non ci tengo neanche, a farlo. Non mi importa di ciò che è giusto o sbagliato, m’interessa solo che, alla fine della giornata, tu e Demi usciate vive ed incolumi da questa storia. Fine.- siccome l’inquietudine ed il senso di colpa sui tratti di lei non accennavano a scomparire, le rivolse un sorriso storto: - Lo sai che non è morto morto. Bon-Bon e JerEmo saranno con lui, quando si sveglierà. Non vorrei essere al loro posto, a dirla tutta...-
- Rebekah vuole vedermi da sola.- gli confessò la Gilbert, sconfitta, tormentandosi le dita in grembo e cercando di concentrarsi su qualcosa che si discostasse sul suo attuale stato di momentanea vedovanza. - Mi ha lasciato un biglietto in cui diceva che, se uno di voi due mi avesse accompagnata, avrebbe fatto del male a Demi.- tirò su con il naso, stringendosi nelle spalle, desolata, poi scosse la testa: - Per quanto vorrei averti accanto a me al suo cospetto, Damon, non posso permetterle di averla vinta. Tu non puoi farti vedere, non puoi e basta. Al solo pensiero che Demetra sia in balia del suo volere, io…-
- Shhhh.- fece Damon, posandole un indice sulla bocca, quasi senza toccarla davvero. Le ciglia folte e ricurve di lei fremettero mentre tornava a fissarlo, in attesa, come se lo stesse supplicando di portarla fuori da quel baratro di d’impotenza. - Ho un piano. Prima di venire qui, la WitchyBennett e io abbiamo sistemato un paio di cosette.- prima che Elena potesse chiedergli spiegazioni, un movimento spasmodico ed agonizzante dalle parti degli arbusti la fece trasalire: in qualche modo assurdo ma innegabile, i lineamenti tumefatti di Kayla sembravano essersi ricomposti, le sue ferite erano quasi completamente rimarginate. La Gilbert si rese conto di stare stritolando il braccio sinistro di Damon. - Andiamocene. Subito.- suggerì lui, cercando di mascherare lo stupore ed il ribrezzo con un tono neutro davvero poco convincente. – Non so cosa siano queste diavolerie né da dove spuntino fuori, ma sono convinto che non ci conviene averle attorno, specie se abbiamo già un’Originale incazzata con cui fare i conti. Ti spiegherò tutto per strada, ok? Muoviti.- nonostante fosse diventato alquanto intransigente, le sue dita pallide ed affusolate s’intrecciarono attorno a quelle di lei con una dolcezza quasi timida, esitante. Elena, invece, le strinse nelle proprie con decisione ed annuì, lanciandosi nuovamente nel folto della selva. Con Damon al suo fianco, il seno in tumulto ed il vento che le ululava forte nelle orecchie, si sentì più madre e più guerriera che mai ed i suoi pensieri, come non succedeva ormai da anni ed anni, si fusero silenziosamente con quelli identici del vampiro, ‘’come due fiamme che s’immergono l’una nell’altra, fino a formarne una sola.’’ (4)
Stiamo arrivando, bambina mia. Tieni duro. 
 
***
 
Image and video hosting by TinyPic
 
‘’Cara Elena,
o Stefan, o Caroline, o chiunque trovi questa lettera per primo… sì, persino tu, Damon. Una parte di me sa bene che vi risulterà impossibile comprendere ciò che ho fatto. Vi conosco tutti da abbastanza tempo per immaginare quanto questo mio gesto disperato vi lascerà spaesati, ma non mi pento: questa mia scelta era necessaria alla sopravvivenza di ognuno di voi, perciò sono convinto che ne sia valsa la pena. Ho amato la mia vita, con tutte le sue infinite, pazzesche sfumature, ma non avrebbe senso trascorrerla senza i miei amici accanto. Senza gli occhi dolci di Elena che intuiscono il mio umore senza che io dica una parola, senza le pacche fraterne di Tyler sulla schiena, senza il bisogno di sentirsi rassicurata di Caroline, senza la risata sarcastica e la bontà d’animo dei Salvatore. Per la gente della città sono un poveraccio qualunque con un bel carattere ed un futuro roseo davanti a sé, ma per voi… io voglio essere semplicemente ciò che sono sempre stato: Matt. Non un eroe, non un martire… solo un pezzo di passato al quale ripenserete con un sorriso, quando sarete abbastanza vecchi da starvene rannicchiati su una sedia a dondolo accanto al camino acceso, circondati dalle persone che vi ameranno quanto io vi avrei amati, se solo il destino non si fosse accanito contro di noi. Ho trovato la dose Cura che Elena aveva destinato a Damon. Era nascosta nella sua stanza, qui, al piano di sopra del Pensionato. Per me è giunto il momento di andare. Morirò, e tutto tornerà com’era un tempo. Vi dono la mia umanità come fosse un addio. Sarà la mia fine, ma un nuovo inizio, per voi. Voglio che ne siate felici e sono certo che, in qualche modo, lo sarete eccome. Chiuderei gli occhi con serenità, se solo non fossi preoccupato per una persona in particolare… Rebekah. Lei non riuscirà ad accettare la mia decisione e non la biasimo. Quando non ci sarò più, e Klaus sarà sepolto in una cripta, ed Elijah sarà svanito assieme alla sua donna e al figlio che hanno intenzione di proteggere, non ci sarà più nessuno, accanto a lei, che la conosca per davvero. Che abbia visto ciò che di bello e di innocente si porta dentro, pur nascondendolo dietro la facciata spietata che i suoi genitori le hanno cucito addosso più di mille anni fa, senza neanche chiederle il permesso. Lei non è un mostro. Non lo è mai stata. E’ facile dimenticarsi di qualcosa, quando ormai non vive più nessuno che si ricordi com’era fatta, ma io voglio che ve lo ricordiate: lei vuole essere umana, vuole solo essere felice, come tutti voi. E, per farlo, è necessario che mi dimentichi… che mi perdoni.
Rebekah, se stai leggendo, ti scongiuro… fallo per me.
Trova qualcuno da tenerti stretto al cuore, qualcuno da proteggere anche a costo della vita.
Qualcuno che meriti di sapere quanto amore hai ancora da dare.
Perdonami, e vai avanti.  
E’ questo il mio ultimo desiderio.
Perdonami… e torna a vivere.
Senza di me.
Matt.’’  
 
La vampira bionda non osò muovere un solo muscolo per un intervallo di tempo straziante, infinito; la lettera le rimase aperta sulle sue ginocchia, tra le sue dita insensibili, mentre il mondo smetteva di esistere, spegnendosi attorno a lei come una lampadina fulminata. La rilesse tutta d’un fiato, ancora ed ancora, seguendo con i polpastrelli le particolarità tipiche della calligrafia un po’ appuntita di Matt e accarezzando i punti in cui macchie d’inchiostro e d’acqua salate avevano sbiadito le parole, rendendole quasi indecifrabili. Le sue lacrime, copiose ed inarrestabili, imbrattate di mascara, si erano aggiunte a quelle limpide ed ormai asciutte che il giovane Donovan doveva aver versato su quel foglio prima di avvelenarsi, trovando il loro posto là, esattamente dove avrebbero dovuto essere per tutto quel tempo.
- L’ho recuperata nella camera di mio…- la frase si infranse come un’onda su uno scoglio prima che Demi potessi pronunciarla per intero: -… di Damon. E’ stata nascosta lì per tutti questi anni. In attesa.- la ragazzina si era voltata di nuovo sul fianco destro, tornando a guardare in faccia la sua rapitrice, con le iridi azzurro cielo che luccicavano appena. Sotto il suo sguardo attento, la faccia segnata e triste di Rebekah sembrò trasfigurarsi, come se, d’un tratto, un raggio di sole latteo e diretto avesse spazzato via dai suoi tratti le ombre e le sofferenze di una vita intera. Alla Salvatore parve assurdamente giovane ed indifesa, una ragazza insicura come tante altre, come lei, come quella che Matthew aveva descritto tra le righe, bisognosa d’amore e di comprensione. Un’adolescente millenaria, condannata a perdere tutto ciò che aveva amato più e più volte nel corso dei secoli, fino a quando, esasperata dal dolore, non aveva deciso che smettere di importarsene era la via più sicura verso la pace interiore. Una pace che, comunque, non sarebbe mai arrivata. - Non voleva questo, nel suo futuro… Matt si aspettava di meglio, per lei. La prego, mi lasci libera.- dopo aver pronunciato ciò, Demi si zittì, esitando persino a respirare, terrorizzata com’era dall’idea di interrompere la lenta metamorfosi dell’Originale. Con gli occhi chiari resi più intensi e profondi dal pianto e dalla consapevolezza, Rebekah la fissò a lungo, intontita, quasi guardandole attraverso, piena, traboccante di un qualcosa di tiepido e dolce che ricordava molto da vicino il desiderio… o la tenerezza.
- Lo rivoglio. Lo voglio di nuovo qui, accanto a me. Tu mi servi.- mormorò, con un filo di voce. Tremava così forte da trasferire un pizzico di quel tremito incontrollato anche nel braccio dolorante di Demi. Senza che quest’ultima se ne accorgesse, infatti, la vampira l’aveva afferrata per un gomito, strattonandola appena per essere certa di avere su di sé tutta la sua attenzione. Demetra impallidì, soffocando un gemito, ma restò incatenata dalle sue pupille dilatate, incapace di reagire: - Non capisci? Non c’è nulla che io desideri di più al mondo che rivederlo, anche solo per un attimo, dopo tutto questo tempo. Anche se forse finirebbe per odiarmi, sapendo tutto quello che è accaduto mentre cercavo di sopravvivere alla sua assenza, io correrei il rischio non una ma dieci, cento, mille volte. Riesci anche solo immaginartelo, un amore simile?-
- Io sì.- rispose una voce alle loro spalle, femminile, decisa, inconfondibile. Demi sentì le viscere che le si contorcevano come serpenti mentre girava appena il viso, individuando e riconoscendo, senza difficoltà, la figura alta e delicata di sua madre sovrastare le macerie del recinto esterno di casa Donovan. Nel ricambiare il suo sguardo implorante, una traccia di fragilità le attraversò i lineamenti, prima che Elena tornasse rigida, per rivolgersi alla sua nemica: - Rebekah.- sibilò, lapidaria. - Giù le mani da mia figlia.-
 
///  
 
- E’ un piano folle, quello di Damon.- esalò Bonnie, dondolandosi nervosamente sul posto e mordicchiandosi le unghie mentre osservava il corpo senza vita di Stefan che giaceva inerte sul divano del suo salottino. Avrebbe tanto voluto poter ascoltare un suo parere a proposito di ciò che lei e Jeremy stavano per fare, ma sapeva perfettamente che sarebbero trascorse delle ore prima che il vampiro potesse a riprendersi da ciò che il fratello maggiore gli aveva fatto. E loro avevano i minuti contati: - E’ assolutamente folle!- ripeté, come se potesse sul serio servire a qualcosa.
- Lui è già stato costretto a lasciarle, una volta.- mormorò Jeremy, passandole il Grimorio delle Bennett e sedendosi a gambe incrociate sul tappeto color prugna sul pavimento di fronte a lei. Aveva ancora in mente il saporaccio dell’antidoto alle erbe che la strega gli aveva ordinato di bere per annullare al più presto gli effetti del sangue vampiresco in circolo nel suo organismo e così, quando lei gli scoccò un’occhiata confusa, si passò una mano tra i capelli, scoraggiato: - Demi ed Elena.- chiarì, monocorde. - Damon non permetterà che accada di nuovo ciò che è successo sedici anni fa. Non si farà da parte. Sarebbe troppo da sopportare, persino per uno come lui. E’ normale che voglia tentare anche l’impossibile, pur di riuscire a tirarle fuori da questa situazione con Rebekah!-
- Certo! Ma scagliare con successo un Incantesimo di Essiccazione ai danni di un’Originale, dopo anni ed anni di rifiuto totale della magia, sarà molto più complicato!- ansimò Bonnie, sfogliando il librone delle sue antenate con una furia cieca, come se volesse strapparlo di proposito e ridurlo in mille pezzetti.
- Aspetta.- la bloccò il fratello di Elena, posandole le dita su un polso. La donna sollevò lo sguardo, incrociando quello improvvisamente teso e preoccupato di lui: - Non sei sicura di potercela fare? E’ questo il problema? Sarebbe… troppo, per te? Perché se è così, io non ho intenzione di…-  
- Non è per me che sono preoccupata.- sussurrò lei, accorata. Le sue gote s’imporporarono e Jeremy socchiuse la bocca in una minuscola ‘O’ piena di incredulo stupore. - Per rendere efficace quel sortilegio devo fermare un cuore, lo sai.- lentamente, Bonnie scese dal trespolo del bracciolo su cui si era appostata per vegliare il minore dei due fratelli Salvatore e s’inginocchiò sul pavimento, accanto a Jeremy, che la fissava intensamente. - E’ passato molto tempo dall’ultima volta in cui l’ho fatto. Avevamo bisogno di incatenare Klaus nella cripta ed era necessario che non fosse soltanto il pugnale d’argento conficcato nel petto, a trattenerlo laggiù. Sono riuscita a riportarti indietro, quella volta.- timidamente, le sue dita bronzee, rese un po’ callose dai lavori domestici che era stata costretta ad affrontare nel tempo, per crescere da sola una figlia senza padre, si posarono sulla maglia grigio polvere dell’uomo che aveva davanti. Il dolce battito cardiaco di Jeremy palpitò contro il suo palmo mentre tornava a guardarlo dritto in faccia, quasi supplichevole: - E se qualcosa dovesse andare storto?-
- Tu… tu hai paura che io possa non risvegliarmi più?- chiese lui, con voce strozzata. Ma era impossibile!
- So che non potrei sopportarlo.- confessò Bonnie, con le iridi nere che luccicavano appena, come se fosse sul punto di scoppiare a piangere ma si stesse sforzando di non farlo, per non peggiorare la situazione già abbastanza critica. Jeremy le strinse forte la mano che lei gli teneva appoggiata sul petto, con una presa calda e tenera.
 
Image and video hosting by TinyPic
 
Le sue pulsazioni stavano galoppando ed era una bellissima sensazione per entrambi, esserne straordinariamente consapevoli:
- Se l’Incantesimo di Rianimazione non funzionasse, non sarebbe colpa tua.- disse lui, con un tono sommesso ma sincero. - Sto accettando ogni pericolo di mia spontanea volontà perché, esattamente come Damon, ho piena fiducia in te. Non mi hai mai deluso, Bonnie, mai. Non lo farai neppure oggi. Ne sono sicuro.- mentre la Bennett tirava su con il naso, annuendo debolmente, con l’aria di chi si avvicina al patibolo a testa alta pur di non allarmare gli spettatori dell’esecuzione, Jeremy la sentì balbettare tra sé:
- E’ solo che… se soltanto ci fosse un altro modo… più prudente per…-
- Non c’è, purtroppo.- piano piano, sfiorò la fronte della donna con la propria, socchiudendo le palpebre per godersi quell’attimo rubato all’emergenza del momento. Da quanto tempo desiderava farlo? Jeremy non riusciva a ricordarselo. Per sedici anni le era stato accanto, facendole compagnia, prendendosi cura di lei quando era in difficoltà ed instaurando con Sheila uno splendido rapporto, eppure non si era mai più permesso di avvicinarsi in quel modo, nonostante l’avesse spesso desiderato. Bonnie, cogliendolo alla sprovvista, non si ritrasse, invitandolo così a proseguire: - E’ la mia unica possibilità di proteggere mia sorella e Demi, non posso gettarla via. Dobbiamo almeno provarci.- la strega trattenne il respiro, lanciandogli uno sguardo da sotto le ciglia scure, il calore corporeo di Jeremy che scaldava tutte le sue insicurezze: - Lo farei anche per te, se i vostri posti fossero stati scambiati. Dio, lo farei anche per Sheila… lo sai.-
- Lo so.- Bonnie gli sorrise, stranamente consapevole e grata, poi gli circondò il collo con le braccia. Le loro labbra si toccarono in un bacio che aveva il gusto nostalgico e trionfale di mille altri mai sbocciati prima, di un confine che finalmente veniva abbattuto, del timore e della voglia di restare l’uno al fianco dell’altra ancora una volta, nonostante le intemperie, più uniti che mai. Quando si staccarono, lo sguardo un po’ vacuo della Bennett si allacciò a quello sognante, acceso e fiducioso di lui per ritornare lucido e determinato. - D’accordo, allora.- inspirò profondamente, mentre lui si sdraiava supino sul tappeto. - Cominciamo.- aspettò che lui le facesse un cenno di conferma, prima di sollevare le mani sul suo torace, con i nervi di tutto il corpo in fibrillazione: - Ocoros Mecante, Aleora Subsitos… olo Santire, Dis Et Brav… Ocoros Mecante, Aleora Subsitos…-
 
///
 
- Lascia andare Demi, Rebekah.- ripeté la Gilbert, avanzando di un paio di passi verso la decappottabile della vampira; guardare la propria figlia attraverso il finestrino posteriore e notare quanto i suoi bei capelli fossero arruffati ed il suo viso esangue e malconcio, reso, se possibile, ancora più bianco dal contrasto con la tonalità corvina della chioma, era quasi una fonte di sofferenza fisica, per lei. I flashback continui della stanza delle torture di villa Mikaelson e del sangue di Damon raggrumato sul pavimento e sulle catene che lo tenevano avvinto al soffitto mentre le sue carni venivano lacerate da un attizzatoio non smettevano di aggredirla, nauseandola. Sarebbe morta, piuttosto che consentire alla storia di ripetersi. - E’ me che volevi attirare, quella notte.- sussurrò, rauca, il vento sollevava sciami di foglie secche e croccanti sotto i suoi stivali, facendoglieli turbinare caoticamente attorno. - E’ me che vuoi ancora. Beh, sono qui. Facciamola finita, ma lascia mia figlia fuori da tutto questo. Liberala ed io ti giuro che non ci saranno conseguenze, per te.-
- E’ una minaccia?- sorrise la sorella di Klaus, senza un briciolo di gioia. Strofinandosi la manica dell’impermeabile purpureo sulle gote arrossate, solcate dai segni neri ed acquosi del suo pianto, cancellò bruscamente le tracce della propria precedente debolezza e Demi assistette, immobile ed impotente, al repentino svanire di ogni illusione: il gelo aveva avuto ancora una volta la meglio nel cuore dell’Originale e le aveva restituito il suo solito aspetto splendido e temibile, pericoloso, simile a quello di una spada sguainata. Elena non rispose, si limitò a sporgere il mento in avanti, serrando la mascella. - Accidenti, fai sul serio. Hai per caso un paletto di quercia bianca, con te? Ah, no. Li ho bruciati tutti sul Wickery Bridge tanto tempo fa.- fece Rebekah, spalancando con forza la portiera e sgusciando fuori dalla propria auto con una mossa misurata, quasi eterea. Restando intrappolata nell’abitacolo e voltando la testa all’indietro fino a sentire male dalle parti del collo, Demi seguì le ciocche di platino che ondeggiavano sulle spalle della vampira, ipnotiche, lucenti, come la pelle di un rettile pronto a colpire, anche se per difendersi. La sorella di Klaus si posò le mani sui fianchi: - Non vedo quale possibilità tu abbia di batterti contro di me senza restarci secca, Elena. A meno che tu non abbia un piano di riserva.- si guardò intorno, circospetta, come se volesse individuare la presenza di qualcuno nascosto tra i cespugli ed annusò l’aria: le sue iridi ebbero un guizzo di sorpresa e riconoscimento così subitaneo che Elena trattenne il respiro, in preda all’ansia di essere stata scoperta. Le labbra piene della sua avversaria, tuttavia, si stirarono presto in un altro ghigno amaro, quasi consapevole: - Illuminami a proposito dell’ennesimo modo che hai escogitato per strapparmi il cuore dal petto, ti prego. Sei per caso riuscita a tirare i miei nipoti dalla tua parte? Perché sento il loro odore. So che Nick e Prince sono in giro, nascosti da qualche parte.-
Demi deglutì bruscamente, con il petto che s’infiammava dallo stupore, trasformandosi in un reticolo muto ed incandescente d’incredulità, timore e gratitudine. Dall’altra parte, sua madre batté le palpebre, palesemente perplessa.
- Ammettilo. Li hai portati qui per usarli come diversivo, non è vero?- la incalzò la bionda, tagliente come un rasoio.
- Non so di che cosa stai parlando.- mormorò Elena e la sedicenne sentì che era confusa, ma sincera. - Non metterei mai in pericolo dei ragazzini senza colpa per raggiungere i miei scopi, al contrario di te! Se loro sono sul serio nei paraggi, ti assicuro che io non ho nulla a che fare con tutto ciò!-
- Ed io dovrei crederti? Ah!- ringhiò Rebekah a gran voce, cogliendo la palla al balzo. - Non ho nessuna intenzione di dar retta ad una donna che per sedici anni non ha fatto altro che raccontare bugie alla sua stessa figlia!-
A quelle parole, il calore confortante che stava avvolgendo l’inconscio di Demi dall’arrivo di Elena si tramutò di colpo in un turbine ghiacciato e lei si accasciò appena sul posto, con gli occhi vacui che le pullulavano di lacrime incontenibili, proprio come quando aveva lasciato l’Ala Ovest del Pensionato, con la mente straziata da mille, assurde domande sulla propria identità.
- Rebekah.- supplicò la Petrova, come da un altro universo, lanciando un’occhiata furtiva e mortificata alla figlia prima d’irrigidirsi dal terrore. Aveva la bocca secca ed impastata dal panico: - Ti scongiuro, Rebekah… non farlo.-
Gli occhi turchesi e dorati della vampira millenaria sfavillarono mentre le puntava un dito contro:
- Confessa, allora.- la sfidò, spietata, con un cenno alle proprie spalle. - Diglielo. Dille che l’hai sempre ingannata a proposito del suo vero padre ed io te la restituirò, sana e salva. E vi lascerò in pace, una volta per tutte.-
‘’Nega ogni cosa, mamma, ti prego. Fallo adesso.’’ si ritrovò a pensare Demetra, mordendosi l’interno della guancia fino a sentire il sapore metallico del sangue sulla lingua. ‘’Mamma, per favore, dille che non è vero… dille che non mi hai mai mentito, che tutta la mia vita non è mai stata un’enorme menzogna… che io non sono una menzogna…’’
Ma, nonostante le sue preghiere, la smentita che la Salvatore attendeva ed agognava con ogni fibra vigile del suo essere non arrivò mai.
E, pian piano, quel silenzio strozzato divenne un’inaccettabile certezza.
Un pugno gelido nello stomaco.
Una scarica elettrica lacerante dalle parti dello Stigma Diaboli.
 
Image and video hosting by TinyPic
 
- Come…- la voce di Elena si ruppe, come se lei stesse annaspando alla disperata ricerca di aria, ma Demi riuscì solo ad immaginare quel particolare: non sollevò il capo per tornare a fissare la Gilbert. Non riusciva a farlo. Voleva soltanto scomparire.  -… come puoi essere così… c-così crudele?-
- Non lo so. Non riesco a smettere.- sussurrò Rebekah, a denti stretti. A Demetra parve di aver udito quella frase smorzata, ma non era più così sicura che ci fosse qualcosa di reale in tutto quello che le stava accadendo. Stava precipitando, naufragando, risucchiata da una corrente di tenebra che le impediva persino di respirare. Stefan non era suo padre. Non era suo padre l’uomo che le aveva rimboccato le coperte da bambina, quello che sapeva perfettamente cosa prepararle a colazione quando era di cattivo umore, quello che l’aveva vista crescere e sognare ad occhi aperti, ridere ed imbronciarsi, che l’aveva accompagnata al cinema lasciandola sgranocchiare i popcorn al formaggio anche fuori dall’intervallo e le aveva insegnato ad andare in bicicletta quando aveva il terrore di capitombolare giù per l’ennesima volta, finendo lunga distesa sull’erbetta del loro cortile. Non era suo padre. Lei era stata una figlia, per lui, eppure non poteva più definirsi tale. Perché era nata da Elena… e dal suo amore per Damon.
Perché, proprio come aveva detto Shane, era una b…
’Bambina.’’ era incredibile, inammissibile, come la voce di lui le rimbombasse nel cervello, adesso, dapprima come un fioco gracchiare, poi sempre più forte, più umana, più distinta. Era quasi come avere Damon accanto a sé, come sentire il suo respiro tra i pensieri. ‘’Demi. Bambina mia. Riesci a sentirmi? Avanti, so che puoi farcela. Demi… non ascoltarla. Non puoi arrenderti, piccola, capito?! Sono qui. Guardami. Sei abbastanza forte. Ritorna da me, Demi, fallo prima che sia troppo tardi…!’’
Con uno sforzo immane, la ragazza si accorse che non doveva aprire gli occhi per tornare al presente, solo battere le ciglia bagnate: era rimasta a fissare il vuoto senza vedere nulla, con un pianto incessante e quasi involontario ad inondarle la faccia, trasportata in un’altra dimensione dall’effetto del Marchio che esultava atrocemente sulla sua pelle, simile ad un oceano di acido corrosivo versato su di essa.
Mentre annaspava, le grida di Rebekah e di Elena che riecheggiavano come registrazioni su dei nastri sbrindellati, qualcosa attirò la sua attenzione. Un frullo d’ali, lo sfolgorio nero di un becco affilato, familiare. Il suo cuore si sfaldò in un milione di frammenti, come fosse di fragile cristallo, alla vista di un inconfondibile cumulo svolazzante di piume ed artigli a qualche centimetro dalla propria testa:
‘’Tu lo sapevi!‘’ soffio telepaticamente al corvo, senza neppure sapere come, semplicemente seguendo un istinto che già una volta, a casa di Sheila, l’aveva portata a comunicare con Damon in quel modo, come se al mondo esistessero soltanto loro due, e tutto l’universo fosse un ridicolo contorno. Non le importava che lui fosse venuto a salvarla, che fossero in pericolo e che avessero i minuti contati prima che la loro nemica giurata si accorgesse della presenza dell’uccello accanto al suo preziosissimo ostaggio: la loro complicità, il senso di bisogno e di appartenenza che Demi aveva provato fin dalla prima volta in cui il vampiro aveva incrociato il suo cammino, i momenti di tenerezza inaudita che avevano condiviso, il conforto e le confidenze che si erano scambiati, tutto si stava sgretolando malamente proprio sotto il suo naso, mentre Damon armeggiava con le funi che le legavano i polsi, nel tentativo di liberarla il più in fretta possibile. ‘’Tu lo sapevi e non me l’hai mai detto! L’hai sempre saputo, è così? Da quanto tempo va avanti questa messinscena? Hai finto anche tu, Damon, quando per tutto il tempo eri… eri…’’
‘’Non è come credi.’’ bisbigliò lui, strattonando la corda una simile veemenza da sfilacciarla completamente e restituendo la piena libertà di movimento alla ragazza, mentre il sangue tornava finalmente ad affluire nelle estremità dei suoi arti superiori. ‘’Ma non c’è tempo per discuterne adesso. Ora tu esci da questa macchina e corri più veloce che puoi, mi hai capito?! A Rebekah ci pensiamo noi. Possiamo farcela, Bonnie ci sta aiutando. Ma sarà tutto inutile se tu non fili via immediatamente. Demi...’’ la voce si fece perentoria. ‘’… devi scappare.’’
‘’Come hai fatto TU?!’’ subito dopo esserselo lasciato scappare, lei si sentì morire.
Era la sola spiegazione ragionevole che fosse riuscita a raccontarsi in quegli istanti di pura follia, anche se l’idea che potesse trattarsi della teoria giusta era in grado di strapparle a morsi l’anima: Damon se n’era andato sedici anni prima, senza lasciare alcuna traccia di sé. Forse sua madre aveva sposato Stefan quando già aspettava un figlio... un matrimonio riparatore, dunque, di convenienza. In quel caso, lei, Demetra, non sarebbe stata altro che un errore del passato a cui porre rimedio, un qualcosa da tenere nascosto tra le spire di una nuova, rispettabile vita.
E Damon, il suo Damon, che era sempre stato così indescrivibilmente magnifico, con lei… lui… non l’aveva voluta.
L’aveva abbandonata, prima ancora della sua nascita.
Per qualche ragione, se n’era andato via.
- … perché?- cercò di domandargli ad alta voce, ma dalla sua gola venne fuori solo un tetro gorgoglio senza senso.
‘’Corri e non voltarti indietro.’’ le ordinò ancora il corvo, senza guardarla, con un tono così stridente da assomigliare al suono di unghie rabbiose su una lavagna. Qualcosa le diceva che doveva aver intuito le sue supposizioni, perché sue orbite avevano perso il loro bagliore naturale ed ora erano ridotte a due tunnel di dolore senza fine, eppure Damon non voleva, non poteva risponderle. La sua priorità assoluta era che fuggisse a gambe levate, lontana dal pericolo: ‘’Vai da quella parte, dove sarai più al sicuro. Ci sono delle strane creature nella foresta, dei mostri abominevoli, e non voglio che ti trovino. Fa’ attenzione. Non posso perderti, non di nuovo.’’
Demi avvertì quelle ultime parole inaspettate alitare con dolcezza sulle ceneri fumanti della sua coscienza e si aggrappò alla flebile scintilla di speranza che ne scaturì, con tutte le forze che le erano rimaste. Mentre il corvo si librava nel cielo, sfiorandole una guancia con la punta delle proprie piume, come per incoraggiarla, lei aprì con cautela lo sportello e si trascinò giù, rimettendosi in piedi nonostante le gambe molli ed intorpidite.
Damon era già sparito con un balzo, volatilizzandosi all’orizzonte.
Sua madre e Rebekah, invece, continuavano a gesticolare e a strillare, distratte, isolate dal resto dell’ambiente, gettandosi addosso cascate di rancore incandescente senza esclusione di colpi.
Era il momento.
Doveva andarsene.
Doveva mettersi in salvo.
Come avrebbe voluto Elena.
Come Damon l’aveva supplicata di fare, il tono sempre spavaldo impregnato di un’inedita, dilagante paura. Come quella di un vero padre, del padre che non le era mai stato concesso di conoscere, di amare, di stringersi al petto nelle avversità.
Scacciando via quel pensiero con rabbia crescente ed imponendosi di non perdere la calma, Demi stava comunque per farlo, per obbedire
… quando, d’un tratto, un lamento animale, prolungato e straziante, le assordò le orecchie, trafiggendole i timpani col proprio struggente fragore.
Proveniva dal lato diametralmente opposto rispetto a quello che avrebbe dovuto imboccare per non esporsi ad ulteriori rischi, e, con il petto che implodeva vertiginosamente, Demetra lo riconobbe: si trattava di un ululato.
Poco lontano da lì, dunque, nella parte più infida della selva, forse braccato ed in trappola, forse morente, c’era un Lupo che chiedeva aiuto.
- Nick...- quel nome le affiorò istintivamente, forse persino scioccamente, sulle labbra, senza che potesse farne a meno: lui era ancora lì, da qualche parte, tra quegli arbusti contorti e bruciacchiati. Sua zia aveva avvertito la sua presenza nei paraggi solo pochi minuti prima e, per assurdo, pareva che anche Prince fosse assieme al fratellastro, per tormentarlo, per dargli manforte oppure, molto più probabilmente, per fare un po’ tutte e due le cose, come suo solito.
In quel momento d’improvvisa consapevolezza, Demi capì che non ci sarebbe stata un’altra scelta possibile, per lei. Che non sarebbe mai stata in grado di resistere a quel richiamo, nonostante fosse una cieca follia anche solo pensare di inseguirlo.
I suoi piccoli pugni si chiusero spasmodicamente su se stessi, immobilizzandosi decisi ai due lati dei suoi fianchi.
Con gli occhi che ardevano come pire cerulee, la ragazza cercò di localizzare un battito d’ali corvine tra le nuvole, per l’ultima volta, senza riuscire a trovarle. Forse era destino che non ci fosse occasione, per lei, di scusarsi, quando, in fondo, non era neppure così dispiaciuta: non era mai stata una figlia modello. Si era sempre sentita quella che mandava tutto a monte, che non faceva mai la cosa giusta. Si era sempre cacciata nei guai, sentendosi fuori posto, inventandosi frottole e comportandosi da egoista avventata quando c’erano di mezzo i sentimenti.
Se solo Damon le fosse stato accanto abbastanza a lungo, l’avrebbe saputo.
Avrebbe saputo che gli assomigliava così tanto da sentirsi impazzire, divorare dal bisogno di fare a modo suo, per sentirsi ancora padrona di una vita ormai evanescente, senza volto o consistenza, che le si era rivoltata contro così.
Ispirando profondamente nella brezza agrodolce, fino a quando i suoi polmoni roventi non si furono gonfiati d’aria, d’urgenza e vapore, la Salvatore udì l’eco del latrato sofferente che tornava a farle visita tra i pensieri. Poi si lanciò a tutta velocità in avanti… verso la direzione sbagliata.
 
///
 
 
-… non ho alcun desiderio di ferirti, Rebekah.- mormorò Elena, con la voce acuta, rotta; le sue guance lisce e delicate erano asciutte ma anche stranamente lucide, come se fossero fatte di cera, pronte a sciogliersi, da un momento all’altro, sotto l’effetto della sua veemenza bollente. - Non più. Abbiamo sofferto abbastanza. Da sedici lunghi anni, Matt è morto. E tu non sai perdonarci, perché lo amavi. Ciò che troppo spesso dimentichi è che anche noi tenevamo a lui, che tutti quanti abbiamo subìto la tua stessa perdita, portandone dentro il peso!- scosse appena il capo, mantenendo il corpo teso, febbricitante, davanti a quello immobile dell’Originale. - Ma non è certo polverizzando ciò che lui ci ha donato che renderai più accettabile il suo sacrificio! Lui avrebbe voluto…!-
- Lo so, cos’avrebbe voluto.- la interruppe la bionda, scoprendo con uno scatto sibilante i suoi canini. La Gilbert s’impose di non indietreggiare, nonostante il proprio istinto le stesse urlando a squarciagola di farlo immediatamente, di correre ai ripari davanti al pericolo al più presto, per evitare che il netto dislivello di forza tra loro due la finisse per schiacciarla come un moscerino alla prima occasione. - Ho appena letto la sua lettera d’addio, che ha aggiunto un motivo in più alla già infinita lista dell’odio che nutro per te. Non sei altro che una disgustosa bugiarda, Elena!- le sue mani tremanti tirarono fuori un pezzetto di carta straccia dalla tasca, sventolandoglielo bruscamente davanti al viso tirato, stravolto. - Come hai osato tenere per te questo segreto? Io avevo il DIRITTO di leggere le sue ultime parole… forse mi avrebbero… forse…-
- Volevo consegnarti quel biglietto!- mentre grosse lacrime perlacee colavano sulla faccia affranta di Elena, le iridi di Beks continuarono a mostrarsi come specchi di ghiaccio liquido e lampeggiante. - Al suo funerale... mi sono chiesta dove fossi. Mentre guardavo mio fratello gettare una manciata di terra sulla sua tomba, ho sperato di vederti. Non poteva neanche immaginare quanto terribile fosse ciò che stavi attraversando e desideravo darti conforto, offrirti il mio aiuto, assieme a quell’ultimo frammento. Ma tu avevi già catturato Damon!- Elena giunse le mani, tormentandosi nocche fino a farle sbiancare, in preda al rimorso, e  Rebekah sbarrò gli occhi, agghiacciata. Lasciò cadere il foglietto, il quale volteggiò nel vento per qualche istante, prima di atterrare sul terreno tra loro, delimitando un confine che non sarebbero mai state capaci di superare senza conseguenze. - Ti ho odiata per questo. Ho creduto che soltanto un mostro potesse fare una cosa del genere per amor di vendetta. E così ho dimenticato ciò che il mio migliore amico mi aveva così caldamente raccomandato di tenere a mente: che tu eri soltanto persa. E vulnerabile. E sola, così dannatamente sola da voler cancellare per sempre dalla faccia della terra l’unico amore che sapevi sarebbe sopravvissuto indenne a tutta quella disperazione. Il mio, cioè.- la Petrova si tamponò le palpebre con una manica, cercando di ritrovare il contegno. - Ci siamo incolpate a vicenda per anni. Siamo state delle stupide, spezzate da ciò che ci era stato portato via. Non sai quanto ho desiderato poter cambiare il corso delle cose, nonostante sapessi che era troppo tardi…- con le labbra indolenzite e screpolate, si avvicinò alla vampira, ancora un po’, così da poterle sfiorare le braccia con le dita. -… non ha senso tentare di negare il passato. Posso solo dirti che… beh, io…- era difficile per lei dirlo, specie quando non era così sicura del fatto che le sue mani sarebbero rimaste attaccate ai polsi ancora per parecchio, sotto lo sguardo diffidente, arcigno ma attento della sorella di Klaus, ma, alla fine, riuscì a pronunciare le parole che le premevano sul palato, amare come fiele, eppure così necessarie: -… posso provare a lasciarmi alle spalle tutto il male che ci siamo fatte fino ad oggi.-
La porcellana del viso di Rebekah impallidì così tanto da diventare quasi trasparente, come vetro soffiato.
- Vuoi dire che tu potresti… perdonarmi?- un fremito allibito attraversò i suoi zigomi dolci ed eleganti, troppo sporgenti, constatò Elena, segno di uno stato di un’infinita stanchezza, sia fisica che interiore. Nel fondo delle sue pupille c’erano i residui del rifiuto, le sue ciglia dorate imbevute di lacrime erano come le piume di un pulcino arruffato.
- Purché tu prometta di fare lo stesso.- sospirò Elena, deglutendo a fatica. - Vogliamo sul serio mettere fine a questa faida, in un modo o nell’altro, e, credimi, questa è l’alternativa migliore che abbiamo, quella che sistemerebbe tutto senza dover aggiungere altro dolore al dolore. La mia alternativa.-
Rebekah si raddrizzò precipitosamente sulla schiena, affilando lo sguardo con un lampo di sospetto che le balenava in testa:
- Vogliamo porre fine?- ripeté, esitante, stridula, soffermandosi sulla parte di quella frase che non le quadrava affatto. - Come sarebbe a dire ‘’vogliamo’’?! Chi altro c’è…?-
La Gilbert provò l’impulso di mordersi la lingua e, quasi suo malgrado, lanciò un’occhiata furtiva alle spalle dell’Originale, verso l’auto che era stata la prigione di Demi, tradendosi; seguendo il suo sguardo, infatti, la vampira dalla chioma color del grano di rese conto di ciò che era accaduto: la Prescelta era fuggita, liberata da qualcuno che aveva approfittato della sua della sua ingenua, recidiva voglia di ascoltare e di credere alle farneticazioni della Petrova, e lei aveva perso per negligenza il suo unico vantaggio in quella disputa.
Ci era cascata ancora una volta, nel ridicolo trucchetto della compassione, e, prendendone atto, mentre si dava della sciocca sentimentale, la bionda si sentì invadere dal risentimento più violento e furente. Accorgendosi di un lieve movimento tra gli arbusti, come di qualcuno che scompariva come un fulmine tra le foglioline, scattò in avanti con un ringhio furibondo, ma si sentì trattenere:
- Rebekah, non…!-
- Tu!- urlò l’Originale, spingendo Elena lontano, come se fosse fatta d’aria, e facendo sì che si schiantasse con la schiena contro il cofano della macchina, ammaccandolo brutalmente nell’impatto. La madre di Demetra si afflosciò in avanti con un debole gemito, mentre la sua avversaria le balzava addosso, come un uragano. Era fuori di sé: - Ne ho abbastanza di te! Dei tuoi giochetti, delle tue trappole, della tua insopportabile faccetta da traditrice! Vuoi davvero che finisca?! Lo vuoi davvero?!- la sua mano, ripiegata come un artiglio, sfondò la cassa toracica della Gilbert, affondando nel suo petto fino ad afferrare il caldo, sferzante pulsare del suo cuore. Elena emise un debole rantolo soffocato ma non si azzardò a contrattaccare, completamente in balia del suo potere: - Suggerisco di fare come dico io, per una volta, se non ti disturb… AAAAAAH!-
Il grido di Rebekah riecheggiò tutt’intorno, in un lancinante crescendo d’intensità, poi si spense di botto, come se il vento avesse inghiottito la sua voce; lei lasciò andare la presa sul muscolo cardiaco di Elena senza opporre più alcun genere di resistenza e le sue dita sporche di sangue scarlatto caddero inerti lungo i suoi fianchi armoniosi.
Il suo mento arrotondato si abbassò lentamente mentre chinava il capo per osservarsi lo sterno, come se si aspettasse di vedere un pugno chiuso spuntare da esso dopo averla trapassata da parte a parte, ma Damon, tornato umano e pallido di rabbia e d’apprensione, dopo essere apparso alle sue spalle, si era limitato ad insinuarsi solo superficialmente tra le sue scapole, senza esagerare.
Gli importava di mantenere quel contatto fisico e sanguinolento per il tempo necessario a far agire l’Incantesimo d’Essiccazione della Bennet, e nulla di più.
 
… Ocoros Mecante, Aleora Subsitos…
… Olo Santire, Dis Et Brav…
… Ocoros Mecante, Aleora Subsitos…
 
- Nick…- con un boccheggiare ansimante, l’Originale avvertì il proprio viso coprirsi di crepe e di fenditure color grigio cenere, mentre la vita defluiva da lei come una nuvola di polvere soffiata via, disperdendosi chissà dove. -… Prince…- la sua pelle divenne simile al ferro, i suoi boccoli persero ogni lucentezza e le sue gambe cedettero, trascinando il suo peso in avanti. Damon la trattenne, accompagnandola mentre crollava, più per essere sicuro che la magia non fosse interrotta che per carità. Elena, invece, con gli occhi velati ed il fiato corto, si avvicinò abbastanza da notare una lacrima d’argento che pioveva giù, tra l’erbetta, dal viso ormai quasi bluastro di Rebekah. -… ditegli… che mi dispiace… m-mi dispiace… così tant…-
Riuscì a dire solo questo, con un singulto che le rimaneva intrappolato in gola.
Poi, tramutandosi in una statua di pietra ed infelicità, la vampira tacque definitivamente, ed il suo silenzio cupo e senza ritorno si allargò a macchia d’olio, calando come un sipario sopra di loro.
 
///
 
Elena posò i polpastrelli tremanti sugli occhi sbarrati e vuoti di Rebekah, facendo scorrere delicatamente le sue palpebre verso il basso. Se non fosse stato per il suo colorito livido e per le venature profonde che le solcavano l’incarnato, poteva quasi sembrare che lei stesse dormendo, ora, avvolta in una pace del tutto sconosciuta al suo cuore mentre quest’ultimo era ancora vivo e palpitante. La Petrova ricordò di aver compiuto quello stesso gesto colmo di pietà anche sul corpo senza vita di Matt, quando l’avevano trovato riverso sul pavimento del Pensionato, con la boccetta di veleno stretta nel palmo ed un sorriso pacifico stampato sulle labbra, e si sentì stringere la gola dal senso di colpa.
- Elena…- le sussurrò Damon, chinandosi piano verso di lei. Non si era accorta di essere caduta in ginocchio accanto al cadavere dell’Originale, né di avere la maglia imbevuta del sangue che continuava a gocciolarle giù dallo squarcio profondo e slabbrato che aveva nel petto. Annaspando, Elena realizzò con orrore che la bionda aveva tentato di strapparle via il cuore a mani nude, per la seconda volta dopo sedici anni. L’aveva scampata per un pelo. Stavolta erano riusciti a fermare in tempo la sua follia. Stavolta erano riusciti a rimanere insieme, a combattere l’uno al fianco dell’altra. Confortata dalla consapevolezza di essere sopravvissuta a torture e condanne di gran lunga peggiori, in passato, si sentì stranamente leggera, come se stesse fluttuando. La voce ansiosa di Damon le giunse come da molto lontano: -… sei ferita, molto gravemente… c’è mancato poco… perché questa roba non si rimargina subito, dannazione…!-
- Dev’essere… l’effetto… della Cura…- bisbigliò lei, fiocamente. -… anche se siamo ritornati vampiri… per qualche ragione i nostri poteri restano comunque influenzati da essa… siamo più lenti a riprenderci dagli scontri… più deboli… più…-
- Non ti affaticare, allora, shhh...- Damon aveva il viso contratto, ma i suoi occhi azzurri la osservavano con il solito, impetuoso fervore. -… è finita. Rebekah se n’è andata.- le scostò una ciocca color cioccolata dalla fronte, poi la strinse tra le braccia, cullandola appena, come avrebbe fatto in ogni momento, se solo la donna che giaceva immobile accanto a loro non li avesse divisi con un meschino inganno, molto, forse troppo tempo prima. - Non ci farà più del male, mai più.- sospirò, senza riuscire a celare il velo di trionfo che gli arrochiva la voce. - Sono il cattivo di turno se ammetto di esserne… felice? Intendo dire… un cattivo molto più cattivo del solito?!-
Gli occhi di Elena luccicarono, poi si persero nel vuoto:
- Dentro di lei c’era… un lato oscuro… che non si poteva in alcun modo placare.- mormorò, malinconica, sconfitta. Senza che potesse fermarlo, lo sfogo umido e trasparente del suo pianto colò rotolando sul tessuto del giubbotto di lui, grondante di sollievo ma anche di rimorso: - Se non avessi avuto Demi… se tu fossi morto, forse… sarei impazzita di dolore anch’io, proprio come lei.- dopo aver detto questo, Elena tacque e gli si aggrappò al petto, striandolo di sangue e respirando affannosamente contro di esso.
Il vampiro la cinse con più vigore, per rassicurarla:
- Un motivo in più per essere contenti del fatto che io sia qui, allora!- ironizzò, parlando con le labbra premute contro i suoi capelli. Lei, senza lasciare la presa, annuì debolmente: - Demi è scappata.- annunciò Damon, dopo mezzo secondo. - La troveremo. Le parleremo. Darà di matto, ed io con lei, ma le cose miglioreranno con il tempo... vedrai, andrà tutto, tutto beniss…-
- L’ho vista… andarsene… via.- fremette la Gilbert, sollevando la testa per guardarlo dritto negli occhi. Intuendo la ragione celata dietro quel suo sguardo ansioso, lui si sentì rizzare i peli sulla nuca: - Non ha intrapreso il sentiero che le avevi indicato tu, ossia quello libero dalle creature come Kayla Stone… è scappata di là, alla ricerca dei fratelli Mikaelson… ne sono sicura. Con loro qui intorno, starà provando raggiungerli…- il maggiore dei Salvatore socchiuse la bocca per lo sgomento, mentre le sue pupille si dilatavano fino all’inverosimile, per accogliere una miriade di emozioni contrastanti dentro di sé: muta comprensione, ira, tenerezza, spavento e rimprovero, tutti riflessi che ardevano già anche nelle iridi scure della Gilbert. - … avrà pensato che quei due siano finiti nei guai per colpa sua… e l’ha seguito, Damon, Demi ha inseguito il verso del lupo...-
Il vampiro batté le ciglia, attonito, poi trovò giusto la forza necessaria a prendersi la faccia tra le mani, prima di imprecare:
- MA PERCHE’… PERCHE’ ABBIAMO MESSO AL MONDO UNA FIGLIA COSI’ TESTARDA?!- se avesse avuto qualcosa da prendere a calci o da ridurre in poltiglia l’avrebbe fatto, senza neanche pensarci due volte, tanto per sfogare la frustrazione.
- Ha il cuore spezzato.- ansimò Elena, cercando scaglie d’azzurro cielo tra le dita serrate di Damon. - Ed è sconvolta. Non è una buona combinazione.- deglutì, poi accarezzò i dorsi delle mani del vampiro, per far sì che lui li allontanasse dal volto. La sua espressione era determinata, pur nella devastazione, e lo catturò: - Tu riesci a capirla meglio di chiunque altro, da sempre, in un modo che io e Stefan non riusciamo neppure ad immaginare. Devi andare. Corri a cercarla, subito, prima che una di quelle bestie approfitti della situazione per farle del male. Ha bisogno di te, ora più che mai. Ha bisogno di suo padre.-
Damon annuì, freneticamente, frastornato, e fece leva coi palmi sull’erbetta imbrattata di cenere per rimettersi in piedi, più in fretta che poteva:
- Tu verrai con me.- dichiarò, facendo per aiutare Elena a rialzarsi a sua volta. Quando lei non reagì, lui si accigliò, mentre una ruga esterrefatta che gli si scavava sulla fronte: - Non posso lasciarti qui in queste condizioni, in un covo di… cosi ripugnanti, con il cadavere di una Barbie accanto come unica protezione, non se ne parla neanche per…!-
- Ti rallenterei soltanto. Devo recuperare le forze.- fece la Gilbert, senza più guardarlo. Lui aprì la bocca, poi la richiuse, cominciando a capire: - E poi… Demi non vorrà rivolgermi la parola. Lo sappiamo entrambi che è così. Ed ha ragione.- Damon fece per contraddirla ma lei gli lanciò un’occhiata penetrante, facendolo ammutolire: - Se qualcuno ha la possibilità di farsi ascoltare da lei, quello sei tu. Troverai il modo. Io chiamerò Bonnie e Jer, li aspetterò qui. Mi nasconderò, starò bene. Non c’è tempo da perdere… vai.- la sua voce si frantumò, mentre lo spingeva via con tutte le forze che aveva in corpo, ma senza più fiato nei polmoni. Damon percepì tutto il dolore covato sotto quel comando, tutto il sacrificio che le stava costando la decisione di mandarlo via e soprattutto quella di non seguirlo nella ricerca della loro figlia, facendosi da parte per il suo bene, e l’amò, l’odio e l’ammirò con tutto se stesso, per questo.
- VAI!-
Avrebbe potuto, voluto fare di tutto: afferrarla per le spalle e scuoterla fino a farla rinsavire, dirle che sentirla parlare in quel modo sapeva d’addio e che lui non riusciva a sopportarlo… e invece si voltò di scatto, perché era furioso, perché sapeva benissimo che la moglie di suo fratello aveva ragione e non voleva farsi vedere da lei in quello stato, non ora, non mentre la sua mascella si tendeva fino a far male ed i suoi occhi traboccavano.
Mosse un paio di passi incerti verso l’ignoto, mentre una solitudine orribilmente familiare tornava a strangolarlo.
L’impulso di voltarsi indietro era irresistibile, quasi doloroso, eppure doveva soffocarlo.
Resistergli.
Perché soltanto una cosa poteva essere più forte, persino più intensa di quell’amore: Demi. Il suo bisogno indescrivibile, viscerale di lei, che lo aveva riportato a casa quando ogni altra magia aveva miseramente fallito.
‘’Devi trovarla. Ad ogni costo. Ha bisogno di suo padre.’’
Una folata di vento lo avvolse ed il suo corpo atletico e snello si trasfigurò in quello minuto, flessuoso e rapace del suo alter ego piumato. E, mentre Damon svaniva, rapido come una freccia nera scoccata verso il verde più selvaggio, la Petrova restò a fissarlo, circondata da strazio, polvere e macerie. Poi, senza farsi attendere troppo, i suoi singhiozzi inconsolabili riecheggiarono nel folto della radura, frangendosi contro le mura pericolanti e carbonizzate di casa Donovan come un’onda divoratrice su uno scoglio acuminato.    
 
///
 
Gli uggiolii sofferenti che Demetra aveva captato poco prima di mettersi a correre si erano trasformati in dei latrati bellicosi e feroci, facendosi sempre più vicini a mano a mano che la ragazza avanzava nel bosco, ma lei non ci aveva fatto troppo caso. Facendosi spazio tra le foglie che le s’impigliavano ai capelli, risplendendo come smeraldi o topazi lanceolati in mezzo al nero lucido delle sue ciocche, lei proseguì lungo il cammino, accelerando ad ogni passo e beandosi della sensazione di libertà e pericolo che il vento, l’umidità e la lontananza da casa Donovan le soffiavano dritto in faccia.
Gli abiti le premevano sulla pelle in tensione, dandole sollievo, ed il contenuto delle tasche rigonfie dei suoi pantaloni le sfregava contro le cosce, confortandola: in camera di Damon, sul fondo del baule pieno di armi, aveva trovato delle fialette colme di soluzioni alla verbena e allo strozzalupo, e si dava il caso che qualcuna tra esse fosse sopravvissuta alla sua furia distruttrice, finendo per accompagnarla in quel viaggio.
Forse non sarebbero servite a molto, si disse, ma erano un punto di partenza.
Mentre i ringhi animaleschi continuavano ad indicarle la strada da percorrere, Demi sentì un odore pungente di carne marcia e bruciata imputridire l’aria e si mise un braccio davanti alla bocca, affondando il naso nella stoffa squarciata del proprio maglione, nello sforzo di trattenere un conato.
Un guizzo inanimato vibrò poco lontano, facendola sobbalzare sul posto, poi svanì nel nulla più assoluto.
Con il cuore in gola, Demi si avvicinò al punto in cui qualcosa si era mosso e sbirciò oltre il tronco di un grosso albero raggrinzito, sprofondando fino alle caviglie nel soffice letto di muschio ai suoi piedi: qualcuno stava lottando strenuamente poco più avanti, girando in tondo in uno spiazzo rigoglioso che somigliava ad un’arena e facendo rimbombare ovunque i propri ululati agghiaccianti.
Si trattava di un enorme, prodigioso, terrificante lupo, simile ad un orso per via delle sue dimensioni sconcertanti, con il pelo spruzzato di sfumature color crema e caffè dalle parti della schiena ed una sfilza di denti digrignati in una smorfia famelica, e di un essere umano giovane ed allampanato, con gli abiti imbrattati da strati di terra e sangue scuro, così denso da ricordare l’inchiostro.
Era un ragazzo, un adolescente alto e smilzo con un’aria stranamente, inconcepibilmente familiare.
Demi non riusciva a vederlo in viso, ma avvertì comunque uno spasmo violento dalle parti dello stomaco quando l’animale si lanciò con un balzo contro di lui, rotolando assieme al proprio avversario inerme tra i cespugli e rispondendo ad ogni suo tentativo di rivalsa con un morso impietoso, lacerante, micidiale.
La mano bianca e tremula della Salvatore corse ad afferrare la boccetta di strozzalupo che aveva di riserva ma, sentendosela scivolare tra le dita sudate, lei non ebbe il tempo di stapparla né di fare qualcos’altro di utile per allontanare il lupo dal ragazzo: quest’ultimo si liberò da solo, scalciando via la creatura pelosa con una forza che avrebbe fatto invidia ad un qualunque vampiro di cento anni o poco più.
Mentre la bestia atterrava tra l’erbetta, mugolando, Demi riuscì finalmente a distinguere i tratti dell’altro combattente ed inorridì all’istante, riconoscendolo: aveva dei comunissimi capelli ramati ed una mascella forse un po’ squadrata, ma le sue labbra erano nere e livide e lo rendevano alquanto inquietante, l’ombra paurosa e slavata del diciottenne pieno di vita e di energia che lei ricordava di aver incontrato al Memoriale di Tina O’Neil solo la sera prima.
Era Adam Stone, il socievole fratello maggiore di Kayla, lo stesso tipo che si era offerto con una certa indesiderata confidenza di accompagnarla al bancone delle bibite di Willy Doge. Ma non c’era più nulla di naturale nel suo sguardo vuoto, lattiginoso e crudele, né nel suo modo meccanico di muovere gli arti.
Era un automa, una specie di spettro corporeo.
Un mostro.
Ma chi lo aveva ridotto in quello stato?
Chi mai avrebbe potuto fare una cosa simile…?!
‘’Bevendo questo, potrò finalmente crearne degli altri.’’ la voce sadica e soddisfatta di Shane le affollò i pensieri prima che lei potesse sopprimerla, mentre la ferita sul suo avambraccio, provocata dal pugnale maledetto del Professore, pulsava più intensamente, rivelatrice: ‘’In fondo non c’è niente di meglio del sangue di un Marchiato per radunare un fedele esercito direttamente dall’Inferno…’’
Con gli occhi talmente sbarrati da sentire le palpebre doloranti, Demi assistette incredula allo scontro finale tra il lupo e ciò che restava di quello che un tempo era stato un membro della famiglia Stone: la belva si rimise in equilibrio sulle quattro zampe e, radunando le ultime forze, mentre l’orrendo esperimento di Shane le si scagliava contro, riuscì a spiccare un salto debole ma aggraziato. Le sue fauci raggiunsero fortuitamente ma con successo la gola di Adam, chiudendosi attorno ad essa come due tenaglie, e a quel punto la Salvatore distolse lo sguardo.
Uno schianto secco riverberò in lontananza, seguito da una quiete affaticata ma vittoriosa, e la sedicenne intuì che la battaglia doveva essersi definitivamente conclusa.
Senza fiato, si aggrappò con i polpastrelli alla corteccia dell’albero, per non crollare a sua volta, scioccata da ciò che aveva appena visto ed ascoltato.
Un altro innocente.
Un altro innocente era stato costretto a diventare un’entità orripilante dalle stesse persone senza scrupoli che stavano dando la caccia a lei.
Il povero Adam, come Tina, come Kayla, era capitato nel mirino di Sophie e Shane per causa sua, perché lei, la Prescelta, aveva attirato la loro avida malvagità fino al centro di Mystic Falls…
Sopraffatta dal rogo spietato che lo Stigma Diaboli le stava appiccando sul collo, beandosi del suo rammarico, Demi si lasciò sfuggire un flebile quanto involontario gemito di dolore, un attimo prima di mordersi forte la lingua, conscia di averla combinata davvero, davvero grossa.
Le orecchie enormi ed appuntite del Lupo, infatti, si erano mosse immediatamente, attirate da quel sibilo soffocato, ed il suo naso umido aveva cominciato ad analizzare ogni singola fragranza presente nei dintorni. Ben presto i suoi occhi argentei erano scattati dalle parti della quercia che nascondeva la ragazza dietro la propria ombra e, con il muso insudiciato dal sangue disgustosamente bruno del fratello di Kayla che fremeva minaccioso, l’animale aveva mosso un passo zoppicante verso di lei, poi un altro, ed un altro ancora.
La Salvatore, con la gola riarsa come sabbia, strappò via con un’unghiata l’involucro della propria ampolla traboccante di aconito liquido e, rabbrividendo, la tenne sollevata sopra la testa, pronta a scagliarla in avanti.
Non appena la creatura fosse venuta abbastanza vicina, lei l’avrebbe fatto…
Avrebbe gettato l’infuso urticante sulla faccia triangolare ed altera Lupo, e poi…
Ecco, c’era quasi… poteva percepire il fiuto ansimante della bestia che scuoteva i ciuffi d’erba secca tra di loro…
Non ancora… più vicino… così…
ADESSO!
Ma qualcosa la acchiappò per un polso, trattenendola prima che potesse agire. La presa le risultò tiepida ma forte, indissolubile, e la fece trasalire. Concentrata com’era nel trattenere il fiato per non farsi scoprire prima del tempo e protesa fino all’esasperazione nell’ansia di un imminente attacco, non si era accorta della presenza di qualcun altro alle sue spalle. Colta alla sprovvista ed in fibrillazione, Demetra lasciò che il suo istinto tirasse fuori l’unica arma che le era rimasta e, voltandosi con impeto, si sentì pronta per liberare il proprio scudo di nebbia rovente.
Ma, prima che qualsiasi difesa potesse frapporsi tra lei e l’individuo che le si era avvicinato così di soppiatto, il mondo smise di ruotare attorno al proprio asse, concentrandosi solo in un paio di iridi nere e profonde come la notte, che la scrutavano incredule:
- Demi, sei…!- il corpo della ragazza reagì prima di qualsiasi ragionevolezza e lei si gettò a capofitto tra le braccia di Nick Mikaelson, come un pesce moribondo di ritorno nell’oceano, facendolo quasi cadere all’indietro e mandandolo a sbattere contro l’albero accanto a loro. La schiena di Nick aderì al tronco con un tonfo leggero, poi le sue mani la tirarono a sé, circondandola, cercando il suo viso, le sue guance e affondando tra i suoi capelli per tenerla più vicina a sé. ‘’Ti ho trovato, ti ho trovato, ti ho trovato…’’ Il sollievo, la disperazione, la sorpresa ed il desiderio di restare ancorata al presente si riversarono completamente nel bacio affannato che lei gli posò sulla bocca socchiusa, mentre il ragazzo sospirava appena e si lasciava travolgere da quell’entusiasmo, ricambiandolo con la sua solita, disarmante dolcezza, fino ad abbandonarvisi.
-… al sicuro.- concluse Nick a fior di labbra, non appena ebbe ripreso a respirare. Era pallido e scarmigliato, con due sottili graffi color rubino sullo zigomo destro, ma a lei non era mai sembrato più bello, più caldo e più reale di così. -... sei al sicuro.- le ripeté, ancora esterrefatto, appoggiandosi col mento sulla testa morbida di lei, mentre la Salvatore gli si rannicchiava convulsamente contro il petto. - Eve è con noi… non ti farà del male.- la Lupa sbucò opportunamente tra le sterpaglie, rilassando subito tutte le rughe intimidatorie che le erano comparse sul muso, poi emise un mormorio di conferma, abbassando le orecchie alla vista dei due ragazzi abbracciati e cercando di riprendersi dagli sforzi patiti durante la battaglia. Nick sollevò delicatamente il viso di Demi verso il proprio, e lo trovò rigato, zuppo di lacrime: - E’ tutto finito… ti riporterò a casa, vedrai… la tua famiglia si prenderà cura di te… saranno così in pensiero, tuo padre…-
- Non voglio tornare a casa.- lo interruppe lei, con voce roca, supplice. Lui sbarrò gli occhi, senza capire: - Mi hanno mentito su tutto, sempre… mia madre, tutti quanti…- non voleva mostrarsi così vulnerabile e ferita, ma la consapevolezza del fatto che, finché ci fosse stato Nick, non sarebbe stata inghiottita dal buio, le dava la spinta per esternare anche solo un po’ della cruda devastazione accumulata nelle ultime ore. - Da Rebekah…- gemette, fievole, furiosa. -… è da Rebekah che sono venuta a saperlo, capisci?! Che Damon non è… che lui non è mai stato mio zio, lui… non posso crederci… è mio… m-mio…- si bloccò, scuotendo il capo. -… non so più chi sono. Voglio solo scomparire. Voglio restare così per sempre. Quando tutto quest’incubo sarà finito, posso svegliarmi tra le tue braccia?-
Il ragazzo annuì lentamente e tacque, ma la sua stretta divenne all’improvviso più intensa, quasi spasmodica, confortante. Lei premette la fronte contro la sua spalla, mentre il tepore silenzioso del corpo di Nick scioglieva un po’ della sua paralisi interiore e le restituiva un brivido di vitalità nelle vene. Non c’era nulla che potesse dirle per consolarla o per cambiare le cose, ma il semplice fatto che lui fosse lì e che la stesse cingendo in quel modo le diede la forza di inspirare profondamente, per calmarsi.
Poi una folata di vento li investì in pieno entrambi, costringendo il giovane a sussultare e a ribaltare precipitosamente le loro posizioni, in modo da farla stare al riparo, nascosta e schiacciata contro il legno duro della quercia. Allibita, da sopra la sua spalla, Demetra vide qualcosa di simile ad un uragano sfrecciare a poca distanza da loro:
- LARGO, LARGO! TZE’! QUI C’E’ GENTE CHE STA LAVORANDO!- gridò una voce familiare, accompagnata da un baluginio di riccioli biondo oro e dallo splendore roteante di una lama color zaffiro impegnata in una danza ipnotica e micidiale tra le foglie. Prince, con la faccia lucida di sudore illuminata a festa dal ghigno di un bambino portato al parco divertimenti, si materializzò come un fulmine a ciel sereno al loro cospetto ed affondò la grossa sciabola che teneva in pugno contro il petto della creatura con cui stava duellando. Questa schivò il colpo, schizzando da un lato, lontana dalla sua portata, e Demi ebbe giusto il tempo di individuare uno sventolio di abiti femminili strappati, di capelli purpurei impiastricciati di sangue nero.
Kayla.
- OH-OH! Un pubblico più ampio per assistere alla tua disfatta, Ombra, mia cara!- gongolò il figlio di Klaus, per nulla infastidito, roteando su se stesso con una grazia ed un’agilità davvero impressionanti, frutto di anni ed anni di crudele, straziante addestramento. Si voltò all’indietro per intercettare lo sguardo sconvolto di Demi e le strizzò l’occhio con aria maliziosa, ignorando il fatto che un livido violaceo si stesse progressivamente allargando sotto di esso, poi tornò ad affrontare Kayla, più agguerrito che mai: - Non farmi fare brutta figura, altrimenti… no, scusa, facevo per dire. Credo che finirà malissimo in ogni caso, per te, perciò… MUA-AH!-
- Non sei costretta a guardare.- sussurrò Nick, ansiosamente, continuando a proteggere la Salvatore col proprio corpo. Lei abbassò d’istinto lo sguardo, accorgendosi che anche il suo ragazzo, proprio come il fratello, esibiva una cintura orlata di armi sui fianchi. Parecchi spazi, nel cuoio, erano visibilmente vuoti, là dove fino a poco prima erano stati incastrati dei paletti appuntiti. Anche lui si era battuto in quel modo? Perché? Che cosa diamine stava succedendo…?! - L’intera famiglia Stone è stata ridotta in quelle condizioni. Fratello, padre, madre... tutti contagiati e mandati fin qui come un esercito demoniaco. Abbiamo eliminato i suoi genitori poco fa…- Demi trattenne il fiato e lui si fece scuro in viso. -… non c’è stato niente che potessimo fare, era già troppo tardi. Nessuna cura è utile, quando la trasformazione è ultimata. Erano gli schiavi di Sophie e Shane, ormai, nient’altro che il guscio vuoto di ciò che erano un tempo.- le spiegò lui, mestamente. Non c’era traccia della gioia selvaggia di Prince nel suo tono rassegnato, e Demi si sentì commossa dalla sua costernazione. Le smorfie orrende della sua ex compagna di classe la squartavano dentro, facendole venire voglia di urlare: - Mi dispiace tanto. La morte è stata una liberazione, per loro. Quelle povere anime hanno smesso di essere intrappolate dalla magia nera ed hanno trovato la pace.-
Demetra gli credette, ma il senso di oppressione dalle parti del suo petto non accennò a diminuire:
- Perciò…- bisbigliò, mentre il figlio di Klaus faceva leva su una grossa roccia e si scontrava a mezz’aria con la mostruosità, spingendola con un calcio fino all’altra parte della radura e concedendosi un breve secondo di autocelebrazione. Con grande sorpresa della ragazza, gettò via la spada, lasciando che si conficcasse, tintinnando, nella terra nuda, poi cominciò ad armeggiare con una bottiglietta piena di polvere blu, completamente disarmato: -… a-adesso, tu e Prince siete diventati degli inseparabili… AcchiappaFantasmi?!-
- … fuochino.- mormorò Nick, con l’ombra di un sorriso ad increspargli la bocca. Incrociò l’occhiata allarmata che Eve gli stava lanciando e Demi capì che stavano comunicando in qualche modo a lei sconosciuto, forse sfruttando lo stesso sistema che lei e Damon usavano inconsciamente per scambiarsi i pensieri, quando lui era ‘il corvo’. Il suo stomaco fece una capriola, mentre il figlio di Elijah le afferrava la mano e la trascinava tra i cespugli, lontana dal luogo in cui Prince e Kayla stavano per darsi il colpo di grazia. Lei esitò e, nonostante le sue gambe stessero obbedendo all’impulso di fuggire e di rifugiarsi, si divincolò da quella stretta decisa:
- Che cavolo pensa di fare, Prince, eh?!- ansimò, osservando la scena dello scontro con la coda dell’occhio. Il biondo era ancora inerme, concentrato sulla boccetta che si dondolava tra le mani, come un giocoliere spavaldo. L’Ombra brutale della Stone, nel frattempo, gli si stava avventando contro ad una velocità pazzesca, spingendo la Salvatore a strillare a pieni polmoni: - Crede di poter vincere senza neanche brandire una mannaia o un coltello o una qualsiasi arma che…?-
- FUOCO!- confermò Prince, spargendo con un unico gesto, brusco ma infallibile, la polvere di lapislazzuli verso la creatura fedele a Sophie Deveraux. Le particelle sfavillanti, volando e ronzando come uno sciame di vespe inferocite, circondarono il corpo ed il viso di Kayla, aggredendolo, e, in men che non si dica, le diedero letteralmente fuoco. Fiamme impietose le divorarono le carni ceree ed i capelli sfibrati dall’Espressione, ma non venne fuori un solo lamento dalle sue labbra annerite. Eppure Demi, respirando fino a tossire il fumo, il sale e lo zolfo che esalavano dal piccolo incendio, comprese che la vita dell’amica del cuore di Tina O’Neil era davvero giunta all’epilogo.
 
///    
 
- Non è una vera festa senza i fuochi d’artificio, dico bene?!- fischiettò Prince, spolverandosi allegramente la giacca dalla cenere e ravvivandosi i capelli con un gesto altezzoso delle dita affusolate. Si diresse verso il luogo in cui si erano nascosti il fratello e Demi, camminando sicuro come un divo tra la folla in delirio, ma la Salvatore venne fuori dalla tana prima che potesse raggiungerli, con gli occhi azzurri lampeggianti e gonfi di lacrime trattenute:
- Non c’è bisogno di gongolare tanto.- sbottò, superandolo con una spallata ‘’casuale’’ ed affrettandosi a raggiungere il cerchio scuro ed ancora fumante dietro di lui, là dove l’unica testimonianza dell’esistenza di Kayla Stone si riduceva ad un mucchietto di cenere densa e ferrigna. Nick comparve alle sue spalle ed intercettò lo sguardo profondamente offeso del figlio di Klaus, prima che lui si voltasse per tornare a fissare la ragazza:
- E grazie tante per avermi evitato di fare la stessa fine di quell’ombra bavosa, Prince, mio eroe!- sbuffò quest’ultimo, facendole spudoratamente il verso e fissandola scioccato mentre s’inginocchiava sull’erba carbonizzata, lambendola con la punta delle dita, come in una carezza. Fu tentato di fare a Nick un gesto mulinante con l’indice, per chiedergli se ci fosse qualche rotella fuori posto nella mente acuta della sua fidanzata, poi decise che era meglio chiedere delucidazioni alla diretta interessata: - Insomma, qual è il tuo problema?- soffiò, irritato.
- La conoscevo.- mormorò Demi, senza girarsi. - Non meritava questa fine orrenda. Nessun essere umano se la meriterebbe.-
- Anche per me è un piacere rivederti, amore.- improvvisò Prince, come non l’avesse sentita, rispondendo alla conversazione ideale che stava avvenendo solo e soltanto nella sua testa. A proposito, faceva male. PapàOmbra gli aveva procurato un bel bernoccolo, prima di finire arrostito. - Anche se ti preferivo con il vestitino corto che indossavi ieri sera, decisamente. Questo look trasandato non è adatto ad una principessa.- in un paio di passi raggiunse la sciabola che era rimasta infilzata in una zolla e la estrasse, rimettendola nella fodera. Lei gli lanciò un’occhiata assassina, ma Nick ignorò pazientemente le allusioni del fratello, dirigendosi verso la ragazza.
Le sue mani delicate le sfiorarono le spalle:
- Dobbiamo andare.- mormorò, aiutandola a rimettersi in piedi e scrutando Prince con un cipiglio di rimprovero, come se l’altro fosse l’essere più insensibile sulla faccia della terra. Il biondo parve prenderlo come un complimento, perché ghignò e fece un gesto di congedo con le mani, rinunciando alla conversazione: - Sei esausta. Lo siamo tutti. Non c’è bisogno di prendersela con lui, ha cercato di fare del suo meglio per aiutarmi a trovarti.- le sussurrò, onestamente, cogliendola di sorpresa:
- Ha collaborato con te?! Per me?- gli domandò Demi a bassa voce, sgranando le palpebre. Non sapeva se sentirsi lusingata o terrorizzata da quella faccenda. Nel dubbio, continuava ad essere intrattabile, come un vulcano sull’orlo dell’eruzione.
- In realtà.- li corresse prontamente l’altro, scrollando le spalle, per minimizzare. - Sono venuto fin qui solo per la Profezia della Clessidra. Ma tu sei un magnifico effetto collaterale, intendiamoci. Anzi, al posto tuo, sarei davvero super gentile con me. E’ la terza volta che ti salvo la vita in meno di ventiquattr’ore, o no? Mi merito un premio.- inarcò le sopracciglia, con un cenno palesemente ammiccante: - Puoi scegliere quale. Un insignificante pezzo di pergamena vecchio di mille anni, oppure, beh... posso farmi venire qualche idea migliore, se per te non è un problema…-
Le gote vellutate della Prescelta s’imporporarono davanti al suo sorriso abbagliante, mentre le ringhiava a denti stretti:
- Senti, carino. Tu e la tua arroganza da strapazzo non otterrete proprio un accidente di…!-
Nick si passò una mano sul viso, ma smise di ascoltare quel battibecco sempre più furente quando si rese conto che Eve si stava agitando al lato destro di Prince, tirandogli la manica della maglia col muso e mugolando nervosamente. Il ragazzo dalla chioma dorata, però, troppo impegnato a ribattere a tono alle rispostacce che Demetra gli rifilava, non le stava prestando la minima attenzione.
’Eve.’’ la cercò telepaticamente il figlio minore di Hayley, cercando di intuire cosa ci fosse che non andava. ‘’Dimmi. Che cosa succede?’’
‘’Il ragazzo Stone, quello che ho azzannato alla gola poco fa...’’ spiegò la Lupa Mannara, precipitosamente, la voce interiore che le tremava dall’apprensione. Tra le sue riflessioni c’erano anche degli spasmi di dolore provenienti dalle parti della sua zampa anteriore, che la Labonair non sarebbe stata in grado di appoggiare a terra per un bel po’, forse nemmeno in caso di necessità. ‘’… si è risvegliato. Non è eterno, quel tipo di ferita, lo sai, si rimargina in fretta… Prince deve appiccare l’incendio, prima che…’’
‘’… prima che l’Ombra faccia del male a qualcun altro.’’ terminò Nick al suo posto, con un fremito d’ansia e di presagio che gli zampettava sulla spina dorsale, spingendolo a scattare in avanti, verso il fratellastro, il quale era paonazzo dalla rabbia davanti all’irremovibilità dispettosa di Demi:
- Non vedrai neanche uno stralcio di Profezia fino a quando non avrai sputato il rospo sul come e sul perché intendi usarla…-
- Prince.- lo chiamò Nick, afferrando il biondo per il gomito e scuotendolo appena, quando bastava per ottenere tutta la sua piccata attenzione su di sé. I loro occhi dal taglio e dal colore così diverso trasudarono un’intesa talmente assoluta da far sentire la Salvatore una comparsa sul palcoscenico di quell’attimo decisivo: - Non è finita qui. Prendi la tua polvere e diamoci una mossa. C’è ancora un Infero a piede libero, da quella parte, e qualcuno potrebbe essere in pericolo…-
L’aria densa, satura di tensione fu squarciata da un urlo improvviso, stridulo e lacerante.
Ma non si trattava di un grido umano, bensì di un verso animale, soffocato… gracchiante.
- DAMON!- prima che uno qualunque dei due fratelli Mikaelson potesse fermarla, Demi si era già lanciata all’inseguimento di quello stridio rapace, col cuore che le martellava nelle orecchie, nelle vene dei polsi, della giugulare. No, non poteva essere, non Damon… Quando si sporse di nuovo oltre la quercia rugosa, completamente dimentica del risentimento e del senso di tradimento e delusione che aveva provato a causa della scoperta dell’identità del proprio vero padre, la ragazza vide con orripilata chiarezza ciò che stava accadendo: il corvo aveva un’ala evidentemente spezzata, mentre Adam Stone, ritornato in piedi, con lo squarcio nella sua laringe ricucitosi come per magia, esibiva un’orbita oculare sfondata, trafitta con ogni probabilità dal becco lucido dell’uccello.
Tuttavia, a quanto pareva, un solo occhio cavato non era sufficiente a mettere un’Ombra fuori combattimento e quest’ultima stava tornando all’attacco, imbufalita.
Damon planò di nuovo in picchiata ma venne colpito da una manata violenta, che lo mandò a sbattere contro il ramo legnoso ed acuminato di una betulla, a pochi metri da Demi. Lei fece per avvicinarsi, ma si sentiva le ginocchia immobilizzate dalla paura. Era terrorizzata, non tanto per quello che sarebbe potuto accadere a lei se soltanto si fosse fatta vedere da Adam, quanto, piuttosto, dall’eventualità di accorgersi che Damon non sarebbe stato più in grado di rialzarsi come se nulla fosse successo. Forse, con quel pezzo di legno conficcato nella schiena, lui non avrebbe avuto la forza di sorriderle rassicurante, di dirle che avrebbe fatto il sedere a strisce a chiunque avesse tentato di separarli. Forse si sarebbe lasciato andare, arrendendosi, convinto che lei lo avesse rifiutato, scappando via senza dare ascolto alle sue raccomandazioni.
‘’Oh, ti prego, non mollare… per favore… per favore, papà…’
- Demi…-
Con un gemito rantolante, il corvo si smaterializzò in un fulgore di luce opaca e sbiadita, e al suo posto riapparve la sagoma scomposta del vampiro dalla pelle candida come neve, come quella della sua bambina, la quale si sentì superare con un balzo dall’ormai familiare turbine di abiti, armi e rissosità che era tornato ad impossessarsi di Prince Mikaelson.
Damon cercò di tirarsi su ma i suoi muscoli non risposero ai comandi, facendolo ribollire di furia, mentre il figlio di Klaus era costretto a tener testa ad Adam con molte più difficoltà rispetto a quelle che aveva riscontrato con Kayla.
… ogni volta che si risvegliano dal loro stato di morte apparente, le Ombre si risvegliano con una forza duplicata rispetto a quella precedente…
- Prendi questo.- ordinò Nick alla Salvatore, passandole sottobanco un paletto della propria scorta e stringendole con veemenza le piccole dita attorno all’impugnatura. Lei avvertì che la sua voce grave tradiva un senso d’imminente separazione e cominciò a scuotere la testa: - Eve t’indicherà la strada di ritorno. Usalo, se è necessario. Colpisci al cuore.- le posò le labbra sulla fronte, in un gesto così rapido da risultare impercettibile, poi si lanciò per dare una mano al fratello, il quale teneva sollevata la spada bluastra sulla testa, ma non riusciva a parare con successo tutti gli affondi dell’Ombra potenziata.
- Io non vado da nessuna parte, senza di voi.- protestò Demi, a mezza voce.
Fu un attimo: la punta della lama di Prince si ruppe come se fosse di cristallo ed il giovane fissò la propria arma dimezzata come un amante tradito, prima di essere sbalzato via da un prodigioso pugno di Adam. Nick lo vide rotolare nell’erba con il labbro inferiore spaccato in due ma, prima che potesse gettarsi sul nemico per difenderlo, capì che l’Ombra, privata della vista solo per metà, non aveva intenzione di occuparsi né di lui né del figlio di Klaus, per il momento.
Il suo unico, spaventoso occhio sano dalla sclera multicolore si puntò sul responsabile del suo parziale accecamento, che era riuscito a rimettersi in piedi debolmente, facendo leva con il braccio non penzolante sul tronco dietro di sé, per poi scivolare nuovamente verso il basso, il sangue scarlatto che sgorgava copioso dalla punta del ramo che gli aveva perforato la gabbia toracica in seguito all’impatto contro l’albero.
Damon.
Anche Demi intercettò lo sguardo avido di Adam ed immaginò alla perfezione quello che sarebbe successo di lì a qualche istante, senza però riuscire a sopportarlo.
Fu per questo che, d’istinto, si gettò con un urlo tra la bestia infernale e suo padre.
Prince, stordito e riverso sul terreno incolto, ebbe la netta, orribile sensazione di aver già vissuto in prima persona quella scena: anche lui, da piccolo, nonostante fosse ossuto ed inerme ed avesse fatto una promessa vincolante, si era lanciato tra l’incantesimo letale di Sophie ed il corpo di sua madre, nell’illusione di riuscire a salvarla dalla fine che qualcuno, lassù, aveva già scritto per lei nel giorno stesso in cui aveva scoperto di essere incinta di un mostro.
- NOOOOOOOOO!-
A quei tempi, Prince non ce l’aveva fatta a proteggerla… proprio come Demi adesso.
A sbalzarla lontana dal pericolo mortale, infatti, proprio come Elijah aveva fatto con lui, era arrivato Nick, i suoi capelli castani contro il sole morente del tramonto inoltrato. Fu Nick ad essere aggredito ed acciuffato dall’Ombra sibilante di Adam Stone al posto di Damon e, mentre la Salvatore ruzzolava tra i cespugli, al riparo, ed il vampiro riusciva a liberarsi dal legno che l’aveva infilzato, fu nel collo delicato del minore dei Mikaelson che calò il morso incurabile e maledetto dell’Infero.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
///
 
 
NOTE del TESTO:
 
(1) Eve Labonair è un personaggio di ‘’The Originals’’, trasmigrato nel ‘’DD’’ come Sophie Deveraux. Era la Lupa Mannara di mezza età, con le trecce bionde, amica e protettrice di Hayley nonché fan di Elijah, uccisa da Oliver nella puntata 1x19.
 
(2) Le armi incantate/segnate dall’Esagramma degli Elementi o costruite con estratti di lapislazzuli o zaffiri sono in grado di scalfire e sconfiggere più rapidamente le creature dell’Inferno.
(3) Ispirazioni recenti, penetrate nell’immaginario del ‘’DD’’, che ringrazio di cuore.
(4) Citazione di L.J. Smith.
(5) Alcune formule magiche pronunciate da Sheila e da Bonnie sono state inventate da me, altre provengono direttamente dal telefilm ‘’The Vampire Diaries’’.
 
NOTE dell’AUTRICE:
 
Eccomi qui. E’ l’1.56 ed io sono in lacrime davanti al pc. La mia Serena mi ha abbandonata ma sono sicura che domani mattina sarà a pezzi quanto me. Ho scritto ad Annina, che mi ha suggerito di prendere latte e biscotti e di andare a dormire. Ma non è facile farlo dopo aver scritto il capitolo più lungo (40 pagine) e, per me, più straziante di sempre. Vi avevo annunciato una tragedia, ma non sono sicura di come la prenderete, una volta capito che si trattava di Nick. Sono curiosa e terrorizzata. Specialmente da Ely, che ama il suo Niko come nessuno e che, in questo momento, starà cercando di scovare il sistema più efficace e rapido per uccidere attraverso lo schermo di un computer.
Che dire?
Sono stranamente soddisfatta di ciò che la storia è diventata. Dei progressi che ho registrato, del calore che ho ricevuto fino a questo momento. Scrivere questo capitolo mi ha regalato un’emozione profonda ed ininterrotta, perché era tutto molto, molto più ‘’romanzesco’’ del solito. Spero che vi sia piaciuta questa ennesima svolta fantasy e che vi abbia fatti divertire, appassionare e soprattutto commuovere in ogni scena, specialmente in quelle più drammatiche. Fatemi conoscere le vostre opinioni al riguardo, con lo stesso entusiasmo con cui avete lasciato le bellissime recensioni al mio #cap36. 
Ora che Nick è stato morso, che Prince è così vicino a recuperare la Profezia per i suoi ignoti scopi, che Mattie sente la voce della Lupa Eve nella propria testa, che William Doge si è rivelato un esperto di Occulto, che Demi conosce la verità su Damon e che le Ombre spopolano a Mystic Falls… che cosa accadrà?!
 
Alla prossima.
Voglio dedicare queste 40 facciate all’uomo meraviglioso e ricco di talento che ha ispirato tutta la mia vita e che tutti noi abbiamo perso tragicamente l'11 agosto 2014. Addio, Robin Williams, ci manchi davvero moltissimo.
Un bacio ed un milione di grazie a tutti voi,
Evenstar75 <3

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Incomplete ***


*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*
 
Previously On the DemiDiaries.
(rielaborazione delle scene/punti chiave del seguente capitolo)

Image and video hosting by TinyPic  
Cap36_Shadows:
 
Prince: ‘’ E’ in arrivo una bella baraonda demoniaca
pronta a leccare i piedi della Deveraux.
Demoni e Ombre,
evocati direttamente dall’Inferno grazie al sangue
di un Marchiato con lo Stigma Diaboli.’’
 
Nick: ‘‘Non lascerò che tocchino Demi. Non mi arrenderò mai, non finché non sarà salva.-’’
 
Prince: ‘’Niente di quello che farai basterà a tenerla al sicuro dal suo destino.
La strega non smetterà mai di darle la caccia e, quando te l’avrà portata via, il tuo cuore finirà sottoterra, sepolto accanto a lei.
E, per un essere immortale, vivere con quel vuoto può essere molto, molto doloroso.
Devi… ecco, credermi sulla parola.’’

 
 
Cap37_Like_Father_Did:
 
Prince: ‘’Non c’è da scherzare, con quelle creature.
Purtroppo lo so meglio di te e non sono così idiota da rischiare di restarci secco.
Abbiamo bisogno di armi. Di un equipaggiamento decente.’’
 
*Al laboratorio del Mystic Grill*
 
Mattie e Sheila: W-Willy? William… Doge?!
 
Mattie: ‘’Fermi tutti… un momento!
 Da quando un comunissimo, brillante ma sfortunato studente di liceo, è diventato un esperto di Dark BibidiBula?! Non sono mica cose che si imparano nel tempo libero tra uno straordinario mal pagato e l’altro, quelle lì, giusto?!’’
Will: ‘’Dal ramo materno, discendo da una delle famiglie magiche più prestigiose di New Orleans. Mia madre era una delle streghe più in gamba del Quartiere Francese.
I miei genitori sono stati attaccati da un branco di schiavi oscuri che la Deveraux aveva spedito di proposito alla nostra porta.
 Li voleva fuori dai piedi, questo è sicuro.
Se non fosse stato per Eve, nemmeno io sarei sopravvissuto.’’
 
Nick: ‘’Sheila non riesce a sentire i pensieri di Eve perché lei è in grado di comunicare solamente con chi è un Licantropo.
Con chi lo è una volta al mese, con chi lo è in parte, oppure, comunque, con chi potrebbe… diventarlo.’’

Mattie: ‘’Vuoi dire che c’è una speranza che anch’io diventi una di voi?’’
Nick: ‘’Tu non sarai mai un Lupo Mannaro, è fuori discussione.
E preferirei che questo discorso rimanesse chiuso.’’
 
Elena a Damon: - Dov’è… dov’è Stefan?-
Damon: - Ha cercato di fermarmi.
Niente di grave, sta’ tranquilla. L’ho solamente… ucciso.
E risparmiami la parte in cui mi dici che avrei dovuto ascoltare i consigli di tuo marito mentre mi chiedeva di rispettare la tua sacrosanta decisione e di lasciarti venire qui a morire, ti prego.-
 
Rebekah: - Diglielo, Elena. Dille che l’hai sempre ingannata a proposito del suo vero padre ed io te la restituirò, sana e salva. E vi lascerò in pace, una volta per tutte.-
 
Demi a Damon: ‘’Tu lo sapevi e non me l’hai mai detto! L’hai sempre saputo, è così? Da quanto tempo va avanti questa messinscena?
Hai finto anche tu, Damon, per tutto il tempo…’’
 
Prince: ‘’Mai farsi mordere da un’Ombra.
I denti e la saliva di quelle creature sono le loro armi più pericolose.
E’ coi morsi che trasmettono il loro veleno e, una volta entrato in circolo quel siero, non c’è Cura al mondo che possa impedire ad un essere vivente di diventare come loro.’’

 
*A sbalzare Demi lontano dal pericolo mortale, infatti, proprio come Elijah aveva fatto con Prince, era arrivato Nick, i suoi capelli castani contro il sole morente del tramonto inoltrato.
Fu Nick ad essere aggredito ed acciuffato dall’Ombra sibilante di Adam Stone al posto di Damon e, mentre la Salvatore ruzzolava tra i cespugli, al riparo, fu nel collo delicato del minore dei Mikaelson che calò il morso incurabile e maledetto dell’Infero.*

 
*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*




 
- NOOOOOOOOO!-
 
Nick udì quell’urlo corale e disperato rimbombare in lontananza, come dall’interno di una campana vuota, ma non riuscì in nessun modo ad impedire ciò che sapeva che, di lì a poco, sarebbe accaduto: mentre rotolava tra i ciuffi d’erba, sbalzato via dall’impatto violento con l’Ombra di Adam Stone, udì il tonfo sordo della propria schiena contro il terreno duro ed asciutto, ed il peso di quella creatura ringhiante che gli gravava sul petto, mozzandogli il fiato in gola. Si dibatté nel vano tentativo di liberarsi, ma ebbe giusto il tempo di veder baluginare un paio di zanne rossastre sopra la propria testa, prima di sentirsele affondare brutalmente nel collo.
Il dolore che si dipanò all’istante dai due fori slabbrati incisi nella sua giugulare non fu paragonabile a nessun genere di sofferenza fisica da lui sperimentata prima: era un acido amaro che sfrigolava sulla sua pelle e sotto di essa, un gelo incandescente che gli strappava i pensieri con pinze avvelenate, una scarica elettrica che si propagava in tutte le sue cellule impazzite, senza controllo, come un fiume in piena, strabordante di pura ed inguaribile oscurità.
Nick sentì gli occhi ardere con violenza mentre li rivolgeva quasi involontariamente al cielo, poi avvertì distrattamente che il metallo freddo della catenina posta attorno alla sua gola cedeva, rompendosi con un tintinnio leggero.
Le sue pupille si tramutarono in due specchi vacui, mentre il ragazzo capiva che l’anello di Elijah era scivolato via dalla collana di Mattie, rotolando nel verde, fino a giacere inerte al suo fianco, simile un grosso diamante imbevuto di sangue.
‘’Domani papà mi dirà che sono stato bravo a non far andare perduto il suo anello. Non si era accorto di averlo lasciato cadere sul pavimento… ci tiene così tanto… sarà felice quando glielo restituirò. Sarà… così… felice…’’
L’odore lieve e dolciastro della clorofilla gli assalì le narici mentre stramazzava all’indietro, schiacciato al suolo dal suo assalitore; poi, mentre quest’ultimo sollevava la propria faccia contorta e traslucida, segnata da fitte ragnatele blu notte attorno agli zigomi ossuti, Nick notò che, a sfavillare nelle sue iridi lattiginose e feroci, c’era una soddisfazione perversa, estranea, orribilmente familiare.
Quella di Sophie.
La strega senza scrupoli, da qualche parte nel buio di quei tunnel privi di coscienza, si stava godendo lo spettacolo, assaporando il trionfo appena ottenuto contro chiunque avesse mai osato opporsi al suo piano di tenebre ed egoismo. Il suo maniacale, succulento senso di successo fremeva attraverso l’aura della sua personale marionetta demoniaca, la stessa che aveva appena contaminato col proprio siero il fratellino della sua Arma, nonché il ragazzo della sua vittima sacrificale.
Un vero colpo da maestra.
Se la bocca annerita dell’Ombra avesse potuto emettere un qualsiasi suono, lo sapeva, ne sarebbe venuta fuori una risata stridula ed assordante, ma l’unico cambiamento che Nick riuscì a carpire nelle vicinanze fu un repentino, secco sussulto da parte di Adam. Questi, come colto alla sprovvista da qualcosa (o da qualcuno), s’irrigidì bruscamente sul posto, mentre il figlio di Elijah si rendeva conto che il carico del suo corpo cominciava a farsi via via più leggero da sostenere.
La presa ferrea dei suoi artigli sulle sue braccia si allentò e la sua morsa divenne sempre più debole, fino a quando non si sciolse definitivamente, liberandolo.
- Colpisci, dritto al cuore.- la voce di Demi, rintoccò così cruda e trasfigurata che Nick la riconobbe a stento: la ragazza comparve come un miraggio alle spalle del fratello di Kayla, proprio nel momento esatto in cui lui si accasciava mollemente di lato. Aveva i lunghi capelli neri arruffati, scossi dal vento ed intrecciati di foglie, e le sue mani erano macchiate di un viscoso liquido color catrame. Stringeva convulsamente il paletto che Nick le aveva consegnato poco prima, e la punta grondante del legno lasciava intendere come l’arma fosse appena penetrata in profondità tra le scapole dell’Infero, mandando a segno il colpo decisivo e mettendolo temporaneamente fuori combattimento.
- Demi…- esalò Nick, muovendo soltanto le labbra, un istante prima di sentire il buio calare su di sé. Lei non riusciva a distogliere lo sguardo dalla carcassa immobile e scomposta di Adam Stone al loro fianco: c’era un insolito alone torbido che la circondava, qualcosa che somigliava all’ebbrezza del terrore, della repulsione e del piacere insieme. Annientare quella creatura abominevole le aveva procurato un’ondata ineguagliabile di adrenalina, un balsamo giunto in suo soccorso proprio quando aveva creduto di non avere altra scelta, se non quella di arrendersi al dominio dello Stigma Diaboli.
Attaccare le era piaciuto, le era servito.
Ma a quale prezzo?
Inorridita, la Salvatore si fissò le dita gocciolanti del sangue di quello che era stato soltanto un adolescente, un innocente schiavizzato dalla Magia Nera che proprio lei aveva attirato in città, e, con un urlo soffocato, lasciò cadere di scatto il pezzo di legno appuntito.
Anche tutte le forze nei suoi muscoli tesi e sfiniti parvero precipitare giù e Demi si schiantò con entrambe le ginocchia sulla nuda terra, accanto a Nick, quasi crollando addosso a lui:
- Nick.- mentre allungava la propria mano per cercare quella del ragazzo, gelida come se fosse stata plasmata nella neve mattutina, lei si sentì all’improvviso vecchia e rattrappita, prosciugata, come se qualcosa le avesse risucchiato via tutte le energie. Non era neppure sicura di possedere la forza necessaria per continuare a respirare e, come se non bastasse, ogni volta che provava a riempirsi d’aria i polmoni, l’ossigeno le feriva la gabbia toracica come un diluvio di spilli crudeli. Fissando il volto elegante e familiare di Nick rimanere esangue e privo di sensi, congelato in una smorfia serena e dolcissima che rendeva la sua bellezza ancora più insopportabile, la Salvatore sentì che gli occhi le si riempivano di lacrime, accecandola: - Nick, per favore. Per favore, svegliati. Guardami. Non ti azzardare… oh, no, no, ti prego…-
Ma lui non reagì, neppure quando lei lo scosse, dapprima lievemente, poi sempre con più insistenza, quasi con rabbia. Nuotando nell’oceano del suo silenzio assente, Demi ebbe la sensazione di stare lottando contro una corrente impietosa d’agonia, nel tentativo di non lasciarsi trascinare giù. No, non poteva vivere in un luogo dal quale non avrebbe più potuto raggiungerlo… e dirgli grazie
- Bambina…- la voce di Damon la raggiunse da poco lontano, affaticata e graffiante, eppure concreta, vivida e reale. Demetra avvertiva il suo odore selvatico e amaro di vegetazione, di vento, di sangue e sale, e percepiva il suo tiepido calore corporeo riscaldarla mentre, quasi spaventato all’idea di toccarla, le sfiorava la schiena in una muta carezza. Come se avesse previsto ciò che il vampiro le avrebbe detto da lì a qualche istante, lei strinse più forte le dita attorno a quelle immobili di Nick, scuotendo la testa, mentre appoggiava la guancia bagnata sul petto inerte del ragazzo. Non c’era alcun battito cardiaco, sotto la sua camicia stracciata, nessun accenno di movimento.
- Non respira. N-non… non… respira. Perché non…? Damon…- ansimò la sedicenne, senza riuscire a smettere di tremare. Il fratello di Stefan serrò la mascella, la faccia ormai segnata da un lividore così evidente da dare ai suoi lineamenti le sembianze di una maschera, poi si costrinse a mormorare, con tutta la tenerezza che riuscì a racimolare:
- Shhh… Demi, Demi… mi dispiace tanto... lascialo andare, piccola, lascialo...-
Lei alzò di scatto il capo, lanciando un’occhiata furente all’uomo, come se le avesse appena chiesto l’impossibile, come se non capisse. Poi l’azzurro delle iridi della giovane s’intrecciò al suo gemello, altrettanto lucido ed intenso, e qualcosa in quell’abisso la spinse a prendere in considerazione l’unica possibilità che, per quanto orribile, poteva riuscire a spiegare in modo sensato l’atroce realtà dei fatti.
Nick era… era caduto.
A quel punto, Demetra avrebbe voluto urlare fino a farsi consumare le corde vocali, fino a lasciarle carbonizzare dal senso di privazione che la annichiliva dall’interno, e lo fece, senza pensarci due volte. Solo che il nome che si ascoltò pronunciare non era esattamente quello che si sarebbe aspettata:
- PRINCE!-
In quel momento si udì un boato squarciare la greve atmosfera circostante, così netto ed improvviso da far sobbalzare di spavento persino Damon, il quale s’inginocchiò subito verso la figlia, afferrandola per le braccia e costringendola a stare al riparo: una pira color zaffiro, infatti, era divampata proprio al loro fianco, avvolgendo il cadavere del fratello di Kayla Stone nelle proprie fiamme altissime e scoppiettanti e dilaniandone le carni, fino a cancellarne il ricordo. Demi, guardando oltre la spalla di Damon, vide riflesse quelle lingue di fuoco danzante in un paio d’occhi smeraldini, stravolti e feroci, le cui pupille erano così dilatate da inghiottire quasi completamente l’iride. Lei si rese conto che il principe non stava osservando né lei né il vampiro; era come se fosse cieco a qualsiasi altra cosa al mondo che non fosse il corpo di suo fratello disteso bocconi sul terreno, con le ciglia che gli proiettavano flebili ombre a raggiera sotto le palpebre chiuse.
Come quando era soltanto un bambino, e Prince si sporgeva per sbirciare verso il suo letto dalla porta della loro stanza, poco dopo essere rientrato a villa Mikaelson stanco, sudato e distrutto dagli allenamenti. Nick si era lamentato spesso dell’abitudine che il biondo aveva di non svegliarlo per trascorrere un po’ di tempo assieme, ma a Prince era sempre bastato assicurarsi che l’altro stesse bene e che la Deveraux avesse rispettato il patto stipulato in cambio del suo silenzio… tutto qui.
‘’Perché tu non vuoi che il tuo fratellino si faccia male, non è vero, Prince?’’
- FUORI DAI PIEDI!-
Damon sentì un brivido spasmodico percorrergli la spina dorsale mentre l’eco di quella voce giovane e vibrante di collera gli richiamava alla mente un volto del passato che credeva ormai sepolto da sedici anni: Klaus. Incredulo e suggestionato, il vampiro dalla chioma corvina si girò appena verso il ragazzo alto e muscoloso che era piombato accanto a loro come un fulmine, poi batté più volte le ciglia, cercando di strapparsi dal cervello l’immagine indesiderata che i suoi pensieri avevano già costruito intorno a quel tono inconfondibile e letale.
Nonostante la somiglianza quasi paurosa, quel tipo non era esattamente identico all’Ibrido Mikaelson che aveva tormentato le loro esistenze vampiresche: i suoi capelli erano chiari e riccioluti come una cascata di miele intorno alla sua fonte aggrottata e nei suoi tratti c’era una delicatezza quasi angelica che, nonostante l’espressione assassina, lo rendeva molto più simile a Rebekah che al suo dispotico fratellastro.
Non che questo dettaglio giocasse in suo favore, comunque.
Demi sollevò lo sguardo luccicante di lacrime verso il giovane, notando come il suo labbro inferiore, spaccato dal pugno di Adam Stone, fosse stato già miracolosamente ricucito dalla magia guaritrice insita nella sua natura sovrannaturale, e provò l’istinto di afferrarlo per un braccio, di scuoterlo per ottenere dei chiarimenti, delle rassicurazioni, qualunque cosa potesse strapparla via da quella tortuosa spirale di dubbio e di angoscia:
- Che cos’ha? Perché non si sveglia? Che cosa gli hanno fatto?!- esplose, con un nodo in gola. Nick era esanime solo da qualche minuto, eppure non le era mai mancato così tanto: aveva l’impressione che Prince, concentrato com’era sul fratello, non avesse la minima intenzione di darle ascolto, né tantomeno di rivolgerle un briciolo d’attenzione, e si sentiva impazzire dal senso d’impotenza: - Non può essere… lui non… n-non è…-
- No.- fu una risposta così fioca da portare Demi a credere di essersela inventata di sana pianta; poi Prince serrò con forza un muscolo della mascella, sfiorando con l’indice il lato della mandibola di Nick, come per assicurarsi di aver intuito il giusto a proposito delle sue condizioni. Senza dare nell’occhio, scostò appena il colletto della sua camicia bianca per scoprire un lembo di pelle d’avorio e la trovò solcata come da uno strato di collosa fuliggine nera: era il calco già sbiadito di un’arcata superiore incisa nella carne, e la faccia del figlio di Klaus s’incupì, invece di rasserenarsi, nel rilevare quel preciso particolare.
La Salvatore non capiva. Se Nick non era morto, che cosa poteva aver strappato ogni traccia di sollievo dal volto attonito del principe?
- NO!-
Con sua immensa sorpresa, il ragazzo si piegò su se stesso con un grido strozzato di dolore, stringendosi lo stomaco come se fosse squassato dai crampi, mentre gli alberi tutt’intorno fremevano bruscamente, caoticamente, scossi dal Potere che si andava propagando da lui più che da qualsiasi alito di vento nel dintorni.
- Prince…-
- Non toccarmi.- la avvertì lui, scattando ad una distanza di sicurezza e spingendo Demi ad abbassare la mano che aveva allungato timidamente verso di lui. Damon li osservò, muto e in disparte, poi si domandò se fosse normale che gli occhi verdi della prole ossigenata del demonio fossero improvvisamente diventati di un color topazio così acceso da ricordare quelli di un Lupo Mannaro pronto alla trasformazione, o comunque quelli di una creatura altrettanto bestiale e pericolosa. Oh, no, no, no, quello non era decisamente normal…! - IO CI STO PROVANDO, COSI’ DURAMENTE, A NON UCCIDERVI ENTRAMBI SENZA BATTERE CIGLIO… NON RENDERMI LE COSE ANCORA PIU’ DIFFICILI, DEMETRA.- ruggì Prince, a denti stretti, lottando contro se stesso ed agitando i pugni chiusi fino allo spasmo, come se avesse il terrore di vedersi sfuggire delle scariche fiammanti di energia mortale dai palmi contratti.
La sedicenne deglutì e sentì che tutti i suoi nervi reagivano istantaneamente a quell’allarme di pericolo, com’era già successo la sera prima alle Cascate, infondendole dentro una forza che non credeva di poter racimolare ancora.
Le sue gote s’incendiarono così violentemente da far quasi evaporare all’istante i copiosi rivoli di lacrime che ci stavano piovendo giù dagli angoli delle ciglia. Damon cercò di correre ai ripari afferrandola per una mano, nella speranza di tenerla buona, ma non riuscì ad acchiapparla in tempo:
- IO NON VOLEVO CHE ACCADESSE TUTTO QUESTO! NON L’HO MAI VOLUTO!- si sfogò lei, scattando in piedi per fronteggiare Prince, malferma sulle gambe eppure così piena di rancore e fuoco e furia da scoppiare. Non mai aveva chiesto che quella stupida Maledizione le gravasse sulla testa, non aveva desiderato essere speciale o essere il frutto di un amore proibito, né tantomeno essere rapita da una donna vendicativa che li aveva trascinati tutti quanti in quell’incubo senza fine. Mentre strillava, aveva quasi dimenticato la voragine che la perdita le aveva scavato nel petto e, rendendosene conto, Prince le rivolse un sorriso talmente efferato da farla quasi indietreggiare di colpo:
- MA E’ SUCCESSO!- sbottò quello di rimando, avanzando di un passo. Erano ormai così vicini che Damon cercò di sporgersi oltre la grossa testa di Eve, che si era appostata accanto a Nick, continuando ad annusarlo e a mugolare; al biondo bastò sussurrare quelle parole a mezza voce per essere sicuro che la Prescelta fosse l’unica ad udirle: - Perciò ora siamo bloccati qui, tesoro. Benvenuta nel mio inferno personale, ovvero nel luogo in cui si cerca continuamente di meritare i sacrifici di chi ci ha amato, senza mai riuscire sul serio ad essere alla loro altezza. Comoda?!-
La Salvatore affrontò di nuovo gli occhi ancora dorati del principe e sostenne il loro sguardo spietato, ipnotico. Ricordava bene quando Nick le aveva narrato ciò che era accaduto la notte in cui Hayley ed Elijah erano stati strappati alla vita come fiori dal gambo troppo fragile e nobile per resistere alla crudeltà della terra, e sapeva ciò che Prince aveva visto accadere davanti a sé quando era soltanto un bimbo senza colpa.
Qualcosa le diceva che lui riusciva a condividere fin troppo bene quell’orribile moto di colpa che le inabissava il cuore, anche adesso.
Magari lo odiava, ma lo capiva.
Per assurdo, qualcuno riusciva a comprendere l’immensità del suo tormento, ed era ancora in piedi, proprio lì, di fronte a lei, a dimostrarle con prepotenza che si poteva andare avanti anche senza finire sbriciolati dal destino che Sophie aveva filato per loro come una seconda Atropo, la Moira della Morte.
Non era poi così sola.
- Fa ancora male?- bisbigliò Prince all’improvviso, senza una particolare intonazione. Demi, colta alla sprovvista, si toccò istintivamente il simbolo del Marchio, il quale aveva smesso da qualche secondo di pulsare e di martoriarle la pelle sensibile sotto l’orecchio, donandole una tregua inaspettata. Il suo sguardo stravolto gli bastò come risposta e lui fece un gesto di congedo con le dita affusolate: - Bene. Qualunque sia stato il pensiero che ha fatto passare il tuo dolore in secondo piano, anche solo per un istante, trattienilo. Concentrati.- parlava in modo meccanico, come se stesse seguendo un libretto d’istruzioni, e Demetra sentì tutto il suo distacco rimbombarle nei timpani. La sua voce non aveva la stessa pacatezza gentile di quella di Nick, era solo fredda e dura, ma riusciva comunque a trovare il proprio varco attraverso la sua mente, nonostante tutto: - Se lo Stigma ha la meglio, la stronza vince. Le servirai la Chiave su un piatto d’argento, e mio fratello avrà fatto sfoggio del proprio mirabile coraggio invano. Farai meglio a ricordartelo.- Prince si passò il polsino della camicia sul mento ancora un po’ insanguinato, ripulendosi, poi superò con passo deciso la Salvatore, senza più degnarla di un’occhiata.
 
///
 
-… D-Demi?- quel nome graffiò la gola arida di Nick prima ancora che lui potesse schiudere le palpebre pesanti come macigni. La luce purpurea del tramonto ormai inoltrato gli ferì gli occhi appannati, poi un indistinto fluttuare di tenebre e sbavature di colore aggredì il suo campo visivo, prima di essere sostituito da due perle identiche e fulgenti, turchine e limpidissime, che lo scrutavano turbate, incredule e curiose.
- Nope. Ma ci sei andato piuttosto vicino.- sorrise una voce maschile ed innegabilmente sollevata. Nick ansimò appena e cercò di tossire, sorpreso nel ritrovarsi nei polmoni abbastanza aria da poter rimettere in moto il cuore, poi esercitò una leggera pressione sui propri gomiti, nel debole ma audace tentativo di tirarsi su a sedere. Qualcuno però lo trattenne, con un mormorio di avvertimento, prima di guidare tutti i suoi movimenti con attenzione, per evitare che il suo corpo indolenzito lo tradisse: Damon. - Hey, vacci piano, Baby Elijah. Sta’ giù, sei ancora mezzo morto. Non dovresti sforzarti troppo, se non vuoi completare l’opera… anzitempo.-
- Dov’è?- incalzò Nick, agitato, accettando l’aiuto del vampiro senza protestare e cercando di contrastare il capogiro mentre si raddrizzava, lottando strenuamente per mantenere una parvenza di equilibrio. L’odore che sentiva attorno a sé era un misto nauseabondo che sapeva di cenere e sangue, di carne in putrefazione, pelo di lupo e paura. Eve gli strofinò il muso triangolare contro la guancia, delicata come una manciata di piume, ed il ragazzo ripeté quella domanda telepaticamente anche a lei, prima di pronunciarla ad alta voce, con un respiro strozzato: - Sta… sta bene… lei…?-
- L’hai salvata.- rispose Damon, fissandolo dritto in faccia con un’inedita espressione colma di serietà e gratitudine. Gli teneva una mano dietro la schiena, come per sorreggerlo, un gesto che a Nick ricordò inconsapevolmente Elijah, ed il suo modo infallibile di farlo sentire al sicuro quando si sentiva troppo a disagio col proprio carattere introverso, così differente da quello esuberante di Prince. - Ci hai salvati entrambi, e senza uno straccio di mantello.-
Mentre gli faceva l’occhiolino, le labbra sottili del giovane Mikaelson s’incresparono nel fantasma di un sorriso stremato. Le voci familiari e sempre più acute di Demetra e di Prince gli giunsero da poco lontano, con un’eco stranamente ridondante: stavano forse litigando?! Quando finalmente lui intuì che l’argomento della loro conversazione era lo Stigma, provò un involontario spasmo di terrore. Che fosse rimasto svenuto tanto a lungo da scatenare una reazione fatale nel Marchio di Sophie?
Che fosse già troppo tardi per…?  
‘’No, la tua Demi è okay. Prince la sta aiutando a resistere, a concentrarsi, nonostante le sue solite cattive maniere.’’ gli assicurò Eve, intercettando il suo cruccio, il naso umido premuto contro la sua mascella, in un gesto di vicinanza e di protezione. Gli spinse all’indietro una ciocca di capelli castani e arruffati con un sospiro che profumava di conforto, poi uggiolò: ‘’Lui sa cosa fare… e lo sta facendo per te.’’
Nick annuì piano e lanciò un’occhiata poco più in là, notando il modo brusco in cui Prince aveva appena congedato la Salvatore, lasciandola lì impalata a stringersi nelle spalle e a fissare il vuoto per un lunghissimo istante di silenzio; inspirando a fondo, seppure a fatica, lei ricompose i pezzi e ritornò dritta sulla schiena, mentre il nuovo velo di determinazione apparso nelle sue iridi la spingeva a voltarsi e a seguire il principe, come se non le restasse altro che fidarsi di lui e dei suoi consigli.
Il petto del figlio di Elijah si contrasse appena a quella vista, ma ogni presentimento svanì quando Demetra si accorse che si era ripreso e gli rivolse uno sguardo attonito, interdetto, emozionato. I suoi occhi celesti brillarono come stelle mentre lei si precipitava verso di lui, quasi volando, pervasa da un senso di gioia talmente autentico ed ignaro da spezzare in due l’anima stessa di Nick:
- Tu sei… oh, sei qui, davvero… sei tornato!- la sua voce allegra gli riverberò nelle orecchie, assieme alla consistenza morbida delle sue labbra premute contro la pelle, restituendogli qualche effimera briciola di speranza.
- Da te, sempre.- le ricordò lui, affondando la faccia tra le onde nere dei suoi capelli lisci e ricambiando la sua stretta con tutte le forze che fu in grado di radunare. Chiuse gli occhi e posò la fronte contro il collo tiepido della Prescelta, in pace per un infinito attimo rubato all’ineluttabilità del futuro.
Sentiva che l’onta superficiale del morso di Adam si andava progressivamente ricucendo, ma il torpore velenoso che gli scorreva nelle vene gli suggeriva senza possibili fraintendimenti che non sarebbe stato altrettanto facile liberarsi dei suoi effetti più tremendi.
Non esiste una cura, Nick…
Non c’è rimedio al mondo…
Non c’è.
- Mi dispiace di averti spaventata in questo modo, non avrei mai voluto farlo.- lei borbottò qualcosa d’incomprensibile sulla nobiltà d’animo e sulla propria voglia di prendere a calci qualcosa, qualcuno, il mondo, ed il ragazzo serrò con una veemenza quasi dolorosa le palpebre, per farsi coraggio, per costringersi a fare la cosa giusta. Doveva continuare a proteggerla, anche dalla verità, ma non riuscì a dire nulla di sensato, perché Demi si era già allontanata appena da lui, carezzandogli il viso e tenendolo sospeso tra le mani di fronte al proprio.
Lo scrutava assorta e turbata, come se non riuscisse a credere alla fortuna di rivederlo vigile davanti a sé:
- Sei crollato senza un suono.- gli spiegò, mentre il solo rievocare quell’immagine le faceva pizzicare le pareti del cuore, spargendoci sopra uno spesso strato di sale e fuliggine. - Non avevi battito, era come… come se…-
- Come se quell’Ombra ti avesse morso.- terminò Prince al suo posto, tagliente. Nick alzò di scatto lo sguardo su di lui, al di sopra della spalla di Demi, e socchiuse appena la bocca dallo stupore. Non si era aspettato di sentirsi scoperto così in fretta e senza tanti preamboli; sperava che nessuno avesse visto o quantomeno capito la gravità della ferita che Stone gli aveva inflitto, così da poter guadagnare tutto il tempo necessario a ritardare il più possibile l’esplosione di dolore e negazione che sarebbe inevitabilmente scaturita dalla sua disgrazia.
Nel percepire l’incombenza della verità, però, la presa di Nick attorno alla figura minuta della Salvatore si fece più convulsa, come se lui non sopportasse l’idea di lasciarla esposta alle ripercussioni di una simile conferma, come se stesse cercando, nel calore di quel loro abbraccio, la forza di sostenere gli occhi fervidi ed indagatori del principe, implorando il loro aiuto.
- No, niente affatto… io sto bene.- la bugia gli venne fuori priva di tentennamenti, mentre il suo stomaco si attorcigliava su se stesso come un serpente a sonagli, senza farsi notare, lasciando intatta la sua più impeccabile facciata. Gli occhi felini di Prince continuarono ad inchiodarlo dall’alto, incapaci di farsi ingannare, superando la barriera della sua corazza senza difficoltà, ma il minore dei due Mikaelson si impose di proseguire: - Ho solo battuto la testa, piuttosto violentemente.- Nick si leccò le labbra secche, col terrore che potessero annerirsi da un momento all’altro, rivelando il suo segreto, poi si rese conto che Demetra lo stava osservando, smarrita, come se volesse disperatamente credere alle sue parole ma non ci riuscisse, non totalmente. Il ricordo non troppo remoto di quando le sue omissioni erano l’ostacolo principale al loro rapporto appena nato lo ghermì con insistenza, ma non bastò a fermarlo: - Sono un po’ ammaccato, ma me la caverò. Hey…- lui le sfiorò gli zigomi con i pollici, catturando un paio di lacrime prima che strabordassero verso il basso. Poi un groppo gli trafugò l’aria prima che potesse articolare correttamente quella frase accorata: -… n-non piangere. Sei salva, sei di nuovo al sicuro. Per me, è tutto ciò che conta. Tutto.-
Da dietro le ciglia, Nick cercò furtivamente il sostegno di Prince, lasciando che quell’ultima dichiarazione chiarisse in modo definitivo la sua volontà. Pur di difendere quella ragazza, si sarebbe portato quel fardello nella tomba, scomparendo di scena senza che nessuno dovesse patire troppo il suo addio.
Il biondo lo fissò, immobile, mentre ogni fibra della sua essenza gorgogliava dall’interno, lottando all’ultimo sangue contro il cieco istinto di vuotare il sacco una volta per tutte, fregandosene bellamente delle possibili conseguenze.
Ma Nick non mollava, esigeva di essere ascoltato:
‘’Non sono soltanto ferito, sono condannato. E tu lo sai. Non servirebbe a niente dirle adesso ciò che accadrà, solo a spezzarle il cuore. Non è abbastanza forte da reggere a tutto questo, non oggi, non dopo tutte le scosse emotive che ha subito. Non me lo perdonerei mai, Prince… non posso sopportare di essere io la goccia che farà traboccare il suo vaso.’’
‘’Non me ne importa proprio nulla di lei.’’ sibilò l’occhiata eloquente del principe, mentre il duello mentale tra i due proseguiva senza sosta, quasi crudele nella propria intensità. Nick gli scoccò un ultimo sguardo indecifrabile ed un po’ scettico, scuotendo impercettibilmente il capo:
‘’Per favore, fratello.’’
- D’accordo, allora.-
Il figlio di Klaus deglutì con estrema difficoltà, poi assunse un’aria decisa, che raschiò via dai suoi tratti di pietra ogni residuo di vulnerabilità; tese la mano destra, il palmo rivolto verso il cielo, ma non fu un’offerta di soccorso o d’intesa con Nick, quella, quanto piuttosto un’esplicita richiesta, una riscossione:
- Sono venuto fin qui per uno scopo ben preciso, io.- annunciò dopo un secondo, rapido ed implacabile come una pugnalata. Sia Demetra che Damon lo fissarono con un sopracciglio inarcato, ma Prince finse di non badare alla loro perplessità, mostrandosi più noncurante ed altezzoso che mai. Mantenere credibile quella copertura, tuttavia, specie sotto un certo paio di occhi cerulei, fu più complicato di quanto non si aspettasse. Dannazione. Cosa diamine c’era di diverso rispetto alle altre volte in cui aveva mentito in quel modo tanto spudorato? Aveva trascorso anni interminabili a far finta che tutto andasse a meraviglia quando, in realtà, stava morendo dentro, avrebbe potuto resistere altri dieci minuti senza farsi scoprire… no?!
- La Profezia della Clessidra… mi appartiene. E la voglio, subito. Così ciascuno di noi potrà tornarsene a casa e risolvere i propri drammi in famiglia. E’ chiaro che ne qualcuno ne ha particolarmente bisogno.- la sua chiara allusione ad una faccenda urgente quanto spinosa da sistemare punse Nick sul vivo, ma, per fortuna, nessuno dei due Salvatore diede segnale di aver afferrato quella precisa sfumatura. D’altronde, come avrebbero potuto? Entrambi si limitarono ad arrossire, mentre il ricordo della rivelazione di Rebekah sulla paternità bastava a confonderli, portandoli decisamente fuori strada: - Basta con le perdite di tempo ed i sentimentalismi, esigo la mia pergamena!- sbuffò allora Prince, impaziente. - Morirsene di noia dopo averla scampata contro tutte quelle Ombre sarebbe alquanto ridicolo, non trovate?-
 
Image and video hosting by TinyPic  
Damon lo fulminò, indignato, poi indirizzò a Nick una smorfietta confidenziale:
- Mi dispiace di averti etichettato come la peggiore seccatura nei paraggi solamente perché eri nipote di tua zia. Non avevo ancora ancora incontrato Spruzzetto Di Sole.- commentò, scoprendo i denti in un sorriso minaccioso che il principe ricambiò, con un’immensa faccia tosta.
- Mio fratello è dalla nostra parte, anche se non lo ammetterà mai.- assicurò il figlio di Elijah a Demi, mentre lei cercava il suo consenso senza parlare, appoggiando la mano sulla tasca dei propri pantaloni sbrindellati, là dove era nascosta la parte mancante del suddetto foglio millenario. Nick le sistemò una ciocca ribelle dietro l’orecchio: - Sai già cosa fare. Dentro di te, senti che è giusto così. Non hai bisogno del mio permesso.- a quel punto, le sorrise mestamente. Aveva una voglia di baciarla che rischiava di farlo impazzire, ma non era sicuro che sarebbe riuscito a trattenere la disperazione se lo avesse fatto, se avesse realizzato che quella poteva davvero essere l’ultima volta.
- Forse no.- acconsentì lei, estraendo la Profezia, ruvida ed arida contro i polpastrelli. - Ma ho bisogno di te. Avrò sempre bisogno di te.-
Il minore dei Mikaelson mosse le labbra senza che ne uscisse alcun suono, poi afferrò la mano libera che lei gli stava tendendo, alzandosi in piedi e cercando di dissimulare la fatica ed il pungente dolore che gli costava ogni minimo movimento. Eve intuì che qualcosa non andava ma non poté fare altro che emettere qualche ringhio soffocato, mentre Demi, spolverandosi i jeans, si avvicinava cautamente a Prince. Quest’ultimo la stava rimirando con la stessa curiosa diffidenza che lei gli aveva riservato fin dal loro primo incontro, ma anche con una sorta di cupa frenesia nelle iridi verde intenso, qualcosa che si tramutò in palese compiacimento non appena lei gli ebbe consegnato il tanto agognato frammento di carta giallastra e scricchiolante:
- Mi sto fidando di te. Non farmene pentire.- lo avvertì Demetra, trattenendo per un istante più del dovuto la Profezia, come se non volesse lasciarla andare nelle mani del suo nuovo proprietario, non senza una garanzia. Lui concesse a quel foglietto di restare sospeso come un muro impalpabile tra le loro dita, ancora per qualche secondo, poi lo reclamò a sé con un unico gesto deciso, appropriandosene così bruscamente da far temere alla Salvatore di aver visto uno squarcio aprirsi nella pergamena:
- Grazie mille, tesoro. Ci proverò.- mormorò il biondo, racimolando un barlume piuttosto sbiadito della propria solita, accattivante spavalderia mentre lei lo guardava storto. - Nicklaus?!- richiamò subito il principe, con fare autoritario. Quando raggiunse il fratello minore, posandogli una mano sulla spalla come in una pacca, questi avvertì che quella presa confortante lo aiutava silenziosamente a stare dritto, a non dare cenni troppo evidenti di cedimento, ed un moto d’inaspettata e sbigottita riconoscenza gli scaldò il petto.
- Abbiamo finito, qui. Forza. Ce ne andiamo.-
 
///
 
- Mi dispiace per quello che è accaduto con Rebekah.- aveva sussurrato Demi a Nick poco dopo, mentre Damon la aspettava in disparte, pronto a fare dietrofront verso il luogo in cui Elena stava aspettando il loro ritorno, tra le macerie di casa Donovan e quelle altrettanto insensibili della bionda Originale.
- Anche a me.- aveva soffiato il ragazzo, con gli occhi bassi ed un pallore niveo sparso sulle guance. Lei aveva aspettato che il suo shock ed il suo cipiglio impietrito si rilassassero un po’, poi gli aveva afferrato le mani, stringendole delicatamente tra le proprie ed intrecciando le dita con le sue, come per riempire il vuoto causato da quella nuova, incolmabile perdita, nonostante si sentisse la persona meno adatta a consolarlo:
- Lo so che può sembrare ipocrita e falso e buonista e sciocco, da parte mia, ma… nessuno dovrebbe subire ciò che tua zia ha patito. Nessuno dovrebbe vedersi strappare via la persona che ama, o la speranza di una vita diversa, lontana da tutto questo.- Nick trasalì e lei lo osservò allarmata, confusa, con le iridi che le si inumidivano, fraintendendo le ragioni di quel sussulto: - Io provo così tanta… pena per lei. Vorrei… vorrei essere stata capace di…-
- Lo so.- aveva annuito il giovane, posandole un indice latteo sulle labbra, per zittirla. - E’ per questo, per la tua compassione così assoluta, che io…- si era interrotto precipitosamente, come se si fosse arrestato sul ciglio di un burrone. Quando aveva ripreso a parlare, la sua voce era stata un sussurro sofferto: - Il tuo è un dono, Demi, è ciò che ti rende così tenace, così diversa da chiunque altro sia coinvolto in questa brutta storia. Il potere di perdonare, il coraggio di andare avanti… ti mostreranno la tua strada. E, una volta trovata, non dovrai fare altro che percorrerla, a testa alta… perché tu fai così.-
- Non so nemmeno se c’è ancora, una strada fatta apposta per me.- aveva ammesso lei, tanto sincera da farsi male.
- Mi sono sentito anch’io così, sai, quando i miei genitori sono morti.- le aveva confidato Nick, con un cenno quasi involontario all’anello di rubini che era tornato al proprio posto sul suo anulare destro. - Immagino che mia zia abbia vissuto lo stesso dolore per anni, senza riuscire a sopravvivergli.- lo sguardo del figlio di Elijah si era fatto di colpo più intenso, simile ad una manciata di carboni ardenti sulla sua pelle: - E’ davvero raro, quasi impossibile, che le cose che perdiamo ci vengano restituite dal fato. Quando accade, non bisogna arrendersi, non bisogna scappare.- Demi l’aveva fissato con circospezione, intuendo già quale fosse il punto di quel discorso. - Parla con lui.- le aveva bisbigliato Nick, lanciando una rapida occhiata a Damon, il quale era impegnato a mantenere una posa indifferente davanti ad un Prince che accarezzava Eve sulle orecchie, forse passandole informazioni sull’attuale, drammatico stato di salute del loro protetto. - Ascolta ciò che ha da dire, qualunque cosa sia, fallo per lui, per te stessa… e per me.- il suo tono s’incrinò pericolosamente, mentre l’espressione dapprima così contrariata di lei si ammorbidiva un poco, intenerita: - Perché io vorrei che mio padre fosse qui, adesso. Non mi è mai mancato così tanto.-
 
- E’ stato toccante.- commentò Prince, assestando un calcio ad un cespuglio di ginepro per farsi strada, mentre il dolce suono dei passi frettolosi di Eve vibrava accanto a lui ed il fiato un po’ corto di Nick ansava alle sue spalle, mentre questi si impegnava per non mostrarsi affaticato o debole, come se tutto andasse bene, come se niente fosse cambiato. - Quel tuo casto bacio sulla sua fronte, il modo in cui l’hai spinta tra le braccia della sua famiglia per essere certo che avrà qualcuno a cui aggrapparsi quando tu non ci sarai più, il tuo essere un cavaliere solitario perennemente senza macchia, insomma… sei stato così nobile e puro e altruista e mi ha fatto commuovere talmente tanto, che ora muoio dalla voglia…- cantilenò il biondo, scorgendo finalmente il profilo lucidissimo della Ferrari nera all’orizzonte. -… di prenderti a calci nel sedere!-
In un vortice d’impeto e velocità, Prince afferrò Nick per la camicia, spingendolo contro una fiancata dell’auto silenziosa ed elegante, fino a fargli sbattere la schiena contro di essa. Il più giovane dei due fratelli non emise un solo gemito, cosa che sembrò far infuriare l’altro ancora di più:
- Ne ho ABBASTANZA!- sbraitò il figlio di Klaus, scuotendo Nick come per farlo rinsavire, le mani sulle sue spalle, gli occhi chiari e spiritati che cercavano i suoi in un muto appello di ascolto, denso d’urgenza, ira e devastazione. - Puoi anche infinocchiare la tua bella, farle pensare che nessuna schifosa Ombra ti abbia azzannato e che domattina sarai ancora il fidanzatino perfetto, ma non puoi fregare me. NON ME, NICKLAUS.- Eve arricciò il muso e cercò di far forza con la testa pelosa sul fianco di Prince, per invitarlo a mollare la presa sul fratellino, ma il ragazzo non desistette di un millimetro. Fissava l’altro con un’intensità tale da farsi bruciare le ciglia dorate, quasi come se lo odiasse, come se stesse riscoprendo attraverso di lui tutto quello che aveva tanto ostinatamente cercato di cancellare nel tempo: le urla, la colpa, Sophie, il tonfo secco di un cadavere sul pavimento, il martirio di Elijah in nome della loro famiglia, il suo viso grave pallido almeno quanto quello del giovane che aveva di fronte…
- Io SO quello che ho visto.-
- Allora sai anche che non c’è speranza.- esalò Nick, tagliando corto con uno sforzo enorme, distrutto. Voleva solo essere lasciato andare, svanire il più in fretta possibile… dimenticare. - Dire ad alta voce ciò che è accaduto non renderà il tutto più sopportabile, non mi impedirà di diventare un servo dell’Inferno!- l’orrore per la frase che aveva appena pronunciato quasi gli diede un conato, costringendolo a deglutire con irruenza, per trattenere la nausea. - Se accadesse sul serio, io… i-io preferirei…-
- NON OSARE DIRLO.- sbottò Prince, fuori di sé. - SAI perché non ho fatto a pezzi il vampiro che ha essiccato nostra zia e perché l’ho lasciato tornare a casa a braccetto con una ragazza la cui semplice esistenza non fa altro che spiattellarmi in faccia il motivo per cui sono stato addestrato da una psicopatica assassina?! Perché TU, fratellino, sei stato così idiota da buttarti in pasto al diavolo, pur di proteggerli entrambi! E’ ancora il tuo mestiere preferito, quello di cercare di salvare le persone, eh?!- tra le sue sopracciglia apparve una piccola ruga, tracciata dai ricordi della loro infanzia, durante la quale Nick aveva sempre tentato di trovare un antidoto per lo Stigma Diaboli. D’un tratto, anche le memorie più recenti, legate agli istanti vissuti assieme alla Capanna, riaffiorarono con prepotenza. - MOLTO BENE.- Prince spalancò lo sportello del passeggero, quasi scardinandolo dall’attaccatura, poi scaraventò il ragazzo dai capelli scuri nell’abitacolo, facendolo atterrare morbidamente su un sedile rivestito in pelle. - SEI UFFICIALMENTE IN MALATTIA, EROE. Ed hai bisogno di un degno sostituto. Che sarei io.- s’indicò con aria scettica, come se non credesse a se stesso mentre annunciava quella svolta. - Non ho nessuna esperienza, lo ammetto, ma, come avrai ben notato, al momento siamo un po’ a corto di personale. EVE!- la Licantropa emise un breve sbuffo irritato ma balzò dentro a sua volta, sporgendosi per leccare una guancia a Nick, incoraggiante, mentre Prince si posizionava al volante con aria risoluta.
- La mia macchina.- brontolò sommessamente il figlio di Elijah. -… non esiste che qualcuno guidi la mia
- NAH, NON ESISTE CHE NON ESISTA UNA CURA.- lo corresse Prince, accorato, mettendo in moto la vettura con uno stridore quasi assordante. Nick lo scrutò con la coda dell’occhio, mentre delle fitte ghiacciate s’insinuavano nelle sue costole, subdolamente, facendo sì che un brivido di tenebra gli attraversasse tutte le membra. La vista gli si appannò lentamente e la voce del fratello gli giunse via via più lontana, come se lui se la stesse immaginando, come se stessero fluttuando entrambi verso l’oblio: - TROVERO’ QUALCOSA, un modo per non lasciarti completare la trasformazione. O brucerò il mondo intero dalle fondamenta, lo giuro, cosicché tu possa comunque sentirti a casa.-
 
///
 
Demi proseguì il cammino di ritorno con la schiena leggermente ricurva in avanti, le mani ostinatamente affondate in tasca ed i capelli che le ricadevano flosci sulle guance candide, come due spesse tende color inchiostro. Damon era al suo fianco e le lanciava di tanto in tanto delle occhiate furtive, preoccupate, senza riuscire a dire nulla. Ogni volta che provava ad aprire la bocca per mormorarle qualcosa, fosse solo una frase di conforto o un semplice avvertimento circa il sentiero che stavano attraversando, le parole gli appassivano in gola, lasciandolo arido e desolato, disgustosamente impotente.
- Jeremy e Bonnie avranno ormai raggiunto tua madre a casa Donovan.- biascicò però ad un certo punto, ovvero quando credette di essere sull’orlo di una crisi di nervi per via della frustrazione. Lei non reagì. Da quando l’aveva incontrata per la prima volta, Demetra non era mai stata così silenziosa e schiva, almeno non con lui. Il pensiero che stesse soffrendo indicibilmente senza darlo a vedere, che si fosse chiusa ad ogni genere di stimolo esterno, preferendo nascondersi in un luogo che a lui non era più dato raggiungere piuttosto che affrontare la realtà, lo faceva impazzire. Perciò azzardò un lieve sorriso: - Personalmente, non sono mai stato un fan del Beremy, ma credo sul serio che la tua amica Sheila dovrebbe cominciare prendere in considerazione l’idea di un nuovo arrivato in famiglia.-
- Mio zio Jeremy c’è sempre stato per lei.- replicò la sedicenne, quasi suo malgrado, la voce arrugginita, come se non la usasse da settimane. Non ebbe la forza di sollevare lo sguardo, ma avvertì immediatamente quello di Damon scottare su di sé: fu come sentirsi esposta ad un raggio solare troppo potente, come vedersi costretta affrontare il gelo invernale nel bel mezzo di una convalescenza, subito dopo essere scampata per miracolo ad una malattia che l’aveva quasi uccisa. - Lui c’era nel giorno del suo primo compleanno e in tutti quelli a seguire. Non se n’è mai perso uno. E quando Sheila è capitombolata giù da un castello di legno nel parco, a sei anni, è stato lui quello che l’ha afferrarla al volo, prima che si facesse male. Jeremy era lì quando lei aveva voglia di mangiare schifezze ai pigiama party e persino quando continuava a chiedersi dove accidenti fosse finito il suo vero padre dopo averla abbandonata.-
Damon ammutolì, mentre il ghiaccio cristallino delle sue iridi che andava in mille frantumi. Fissò la sagoma della ragazza ondeggiare appena nel suo campo visivo mentre quest’ultima si stringeva nelle spalle ed accelerava il passo, sporca di fango, di lacrime e di rancore. Gli faceva venire in mente un gomitolo di sofferenza avviluppato su se stesso, un fiocco di neve talmente fragile da essere pronto a dissolversi nell’aria, prima ancora di aver toccato terra. - Demi.- il vampiro non ricordava di aver mai supplicato qualcuno, prima di quel momento. - Lasciami almeno…-
- Spiegare?!- completò lei al suo posto, piuttosto duramente, ma pur sempre a capo chino. - Niente di ciò che dirai potrà cambiare le cose, Damon.- stava quasi balbettando, ma non era più possibile trattenere l’onda anomala di schiettezza e dolore che le stava straripando dal petto fino alle labbra screpolate; poteva solamente lasciare che quella marea infuocata traboccasse all’esterno, nella speranza che la smettesse di soffocarla così: - Non cancellerà mai tutte le mattine in cui mi sono svegliata sentendomi così incomprensibilmente… incompleta, fuori posto, come un uccellino incapace di spiccare il volo. Era come se una parte della mia anima stesse vivendo altrove, lontana dal mondo finto che mi circondava quaggiù. Mi sentivo vuota e sperduta nella mia stessa casa, mentre ero coccolata dalla mia stessa famiglia, per tutto il tempo, e non ho mai avuto il coraggio di confidarlo a qualcuno, perché credevo che nessuno avrebbe potuto capire.- un rossore repentino le chiazzò il viso sfinito: - Qualcosa, dentro di me, ha sempre saputo, ha sempre avuto la sensazione di stare vivendo a metà. Ed ora ho scoperto che sei sempre stato tu…- la voce le si spezzò, ed i cocci si conficcarono dritti nel petto di Damon, come spilli invisibili. -… eri tu ciò che mi è sempre mancato, più di ogni altra cosa al mondo…- lei tirò su col naso, mentre il vampiro, impietrito, assorbiva l’impatto di tutte quelle struggenti rivelazioni. - Io avevo bisogno di te, senza neanche sapere che faccia avessi, quale fosse il tuo nome o se mi volessi bene. Mi sentivo… vicina a te, al pensiero, all’illusione di te. E tu… tu non c’eri.- dopo aver esalato quello sfogo così intimo, Demi si sentì all’improvviso avvilita, spossata.  
Il suo più grande desiderio era quello di scivolare nell’incoscienza assoluta, finendo magari catapultata in un universo parallelo, in uno in cui non sarebbe più stata costretta a sentirsi così accerchiata, braccata dal dolore.
- Dov’eri, Damon?- sussurrò infine, in un fil di voce. Il suo viso smunto, con quella corolla di ciglia scurissime a contornarle le palpebre gonfissime di pianto, non gli era mai sembrato più simile a quello di Elena. Era quasi come se la ragazzina stesse pronunciando quella domanda anche al posto della madre, facendogli due volte più male del dovuto. - Io… io ti avrei voluto accanto.-
 

Image and video hosting by TinyPic  
Damon rimase muto ed immobile a fissarla per un istante infinito di strazio e di silenzio, ma, prima che potesse formulare una qualsiasi frase coerente per discolparsi, per chiarire o anche solo per consolare la propria figlia, un’altra voce, femminile ed ansiosa, riecheggiò nel folto della radura, attirando irrimediabilmente la loro attenzione:
- DEMI!- la Salvatore riuscì a malapena ad udire un fruscio fulmineo di foglie smosse e ad annusare nell’atmosfera un vago, speziato profumo di miele misto ad apprensione, prima che un paio di braccia tiepide le si avvolgesse attorno con infinita dolcezza. Notò che erano esili e tremanti, eppure forti, come il resto del corpo di... sua madre. - Oh, Demi, piccola mia…- un singhiozzo spezzato e familiare le solleticò l’orecchio, mentre la nuova arrivata la cullava impercettibilmente, come fosse una bimba ancora in fasce, bisognosa di cure e di protezione. - Vi ho cercati dappertutto, temevo che... quelle creature… potevate essere… oh, ma state bene, tu sei salva, sei…-
Elena Gilbert, in carne, ossa e fiato corto, era lì, e l’aveva ritrovata. Ora, finalmente, erano assieme, e sarebbe andato tutto bene. Demi e la sua mamma avrebbero potuto contare l’una sull’altra per sopravvivere a qualunque difficoltà, come avevano sempre fatto, perché niente era realmente cambiato, tra loro…
Per un momento, la Prescelta si lasciò andare a quella possibilità così come a quella stretta tanto rassicurante e sentita, restando con gli occhi socchiusi mentre le carezze della donna che l’aveva messa al mondo le scorrevano lentamente tra i capelli. Poi udì degli altri passi rimbombare tutt’intorno, seguiti dalle espressioni concitate ma anche sollevate di Bonnie Bennett e di zio Jeremy, giunti fin lì dopo aver terminato il Rituale d’Essiccazione, per dare manforte ai soccorsi.
Tra gli arti possenti e muscolosi del fratello di Elena era sospeso mollemente quello che, a primo acchito, sarebbe potuto sembrare un semplice involto di lenzuola bianche, ma che, in realtà, era un corpo umano saldamente avviluppato in esse.
Demetra capì di chi si trattasse prima ancora di scorgere la mano grigiastra e delicata che ciondolava da un lato del drappo, o di individuare il profilo conosciuto di un viso angelico ed avvizzito seminascosto sotto il velo della stoffa.
Rebekah.
Come da un pugnale, la memoria della sedicenne fu trafitta all’istante dal ricordo del primo incontro con l’Originale, avvenuto nella famigerata aula di Storia del Mystic Falls’ Institute: quel giorno, un pallido raggio solare aveva investito la sagoma flessuosa della professoressa Mikaelson, introducendola bruscamente nel suo universo e in quello delle sue migliori amiche. Il modo in cui un certo paio di iridi turchesi e crudeli l’aveva squadrata fin dal principio, con un misto di curiosità ed inspiegabile disprezzo, le dava ancora i brividi sulla schiena:
 
- … Damon Salvatore?!- aveva gongolato la bionda insegnante di fronte alla classe gremita, lanciando un’occhiata deliziata al registro scolastico, stretto come un’arma di distruzione tra le dita d’avorio.
- Demetra, professoressa.- l’aveva corretta Demi, cadendo dalle nuvole. Ricordava di essersi sentita in imbarazzo ed in pericolo sotto quel suo cipiglio da falco, da leonessa, da fiera vendicatrice. - Io mi chiamo Demetra.-
- Ah certo.- aveva commentato l’altra, sfoggiato un sorriso indolente ed allusivo come unica risposta: - Molto interessante.-
 
- Mi ha chiamata ‘Damon’.- aveva raccontato ingenuamente la Salvatore, turbata, una volta tornata a casa, al sicuro, tra le braccia dei propri genitori e in particolare tra quelle della madre, che era sempre stata per lei la confidente più fidata, la sua guida nell’oscurità: - Che cosa può voler dire, mamma?-
- Non lo so.- il tono tremulo di Elena, la sua cupa ostinazione, le sue menzogne. - Non ho mai conosciuto nessuno che si chiamasse così.-
 
‘’Nessuno.’’
 
E poi, ancora, lo scontro finale tra le due vampire, consumatosi nel bel mezzo di quella stessa boscaglia sterile e funerea, mentre tutte le certezze di Demi si sbriciolavano al loro cospetto, simili ad un castello di sale e negazione finito sotto l’assalto implacabile della verità:
- Confessa, adesso, Elena. Diglielo. Dille che l’hai sempre ingannata a proposito del suo vero padre…!-
 
- TU… tu non avevi il DIRITTO di farlo.- quando spinse la Gilbert lontano da sé, istigata dall’amarezza e dalla rabbia repressa, Demi lo fece con una voce gelida e graffiante che sorprese persino lei. Elena si ritrasse come se si fosse scottata, mentre il poco colore che le animava ancora le guance, semplicemente, svaniva. - Come hai potuto farmi questo?! Come hai potuto guardarmi dritta negli occhi ogni singolo giorno e… mentire?! Dio, tu mi hai… m-mi hai sempre mentito- quel termine le venne fuori come un insulto, mentre le pareva che qualcuno alle sue spalle stesse cercando di tenerla a freno, supplicandola di non dare di matto, senza che lei potesse o volesse obbedire. Si sentiva nauseata, incredula, e la faccia mortificata di sua madre non faceva altro che aumentare il suo desiderio incontenibile di urlare: - Che differenza avrebbe fatto dirmi chi era mio padre fin dall’inizio, eh?! Credevi che sarebbe stato più semplice, così, cucirmi addosso un’esistenza che non era la mia e, perché no?, magari neppure la tua?!-
 
Image and video hosting by TinyPic
 
Ammutolita e senza fiato, Elena si sforzò di non spostare subito il suo sguardo stravolto e rivelatore dalla figlia a Damon, mentre il suo pallore diventava via via più accentuato, ormai quasi cinereo. Le due Petrova tremavano entrambe come foglie, lei di colpa, Demi d’ira, delusione e risentimento:
- Pensavi forse che ti avrei giudicata? Che mi sarei vergognata di te, o peggio, di essere chi sono?! Oppure eri certa che sarei stata incapace di amare Stefan come il mio vero papà, se solo mi avessi raccontato la verità?!- gli occhi blu ed enormi di Demi scintillarono di lacrime trattenute, come se il solo prendere in considerazione quell’assurda possibilità fosse in grado di infliggerle un dolore atroce, quasi fisico: - Lascia che ti dica una cosetta o due, mammina: PESSIMA-CAPACITA’-DI-PREVISIONE!-
- Io stavo solo…- Elena inghiottì, in preda alle vertigini: era traballante sul posto, come se temesse che il terreno si sarebbe potuto spalancare da un momento all’altro sotto i suoi piedi, pronto a trascinarla nell’abisso. -… stavamo cercando di… di proteggerti…-
- E da COSA, esattamente?!- incalzò Demi, ormai furibonda. - Da tutto quello che avrebbe potuto risvegliare i tuoi fantasmi, per caso?!- l’interno delle palpebre le sembrava spalmato di acido, così come il fondo della sua gola: - Ho visto quella botola. E quella stanza, la mia coperta. Hai seppellito tutto ciò che ritenevi pericoloso in quel posto, e poi mi hai proibito di visitarlo, nella speranza che mi rassegnassi, come avevi fatto TU. Ma ciò che era contenuto in quelle pareti muffite apparteneva A ME quanto a te, mamma!- il suo grido era diventato così acuto che, tra qualche minuto, solo i pipistrelli sarebbero stati in grado di percepirlo: - Era roba mia, che mi riguardava, profondamente… e tu me l’hai portata VIA. Mi hai portato via una parte di ciò che sono, di ciò che avrei potuto comunque amare! E non era una decisione che spettava a te!-
- Volevo risparmiarti un dolore, il dolore di chi aspetta chi non può più tornare…- balbettò Elena, supplichevole. Damon l’aveva già vista in quelle condizioni una volta, la notte in cui il fantasma di Elijah aveva svelato il contenuto della Profezia in sua presenza, smascherando il segreto che lei e Stefan avevano serbato per sedici imperdonabili anni. Ma stavolta era diverso: la vampira sembrava sul punto di accasciarsi in avanti dalla disperazione, come se l’idea di sentirsi odiata dall’unica creatura che l’aveva tenuta in vita fino a quel momento avesse il potere di farla a pezzi dall’interno, squarciandole in due la gabbia toracica, calpestandole il cuore, inabissandole i polmoni e polverizzandole l’anima in un solo colpo. -… mi dispiace, tesoro, mi dispiace così tanto. Avrei dovuto dirtelo, ma avevo paura di ferirti, di vederti con quest’espressione sul volto... ne hai passate così tante, credevo che… forse il tempo avrebbe potuto…- fece un movimento timido, come se volesse sfiorarla per darle conforto, per alleviare la sofferenza di entrambe, ma la giovane scattò lontana dalla sua portata, prima che il suo tocco potesse raggiungerla. Quella distanza così incolmabile colpì la Gilbert come un pugno: - Mi merito tutto il tuo rancore, ma tu devi ascoltarmi, devi… devi credermi…-
- Vorrei riuscirci, davvero. Con tutta me stessa.- confessò la ragazza, strofinandosi il dorso della mano sugli zigomi bagnati e lasciandoci sopra un’impercettibile scia nerastra, simile al preludio grafico che certi popoli primitivi si tracciavano sulla pelle prima di una grande battaglia, una di quelle che, d’ora in poi, lei avrebbe combattuto da sola. - E forse mi odio per questo… perché ti voglio bene, e ne voglio a mio padre.- si mordicchiò il labbro inferiore, annaspando, come se quella rivelazione le fosse costata molto cara: l’assenza di Stefan in quel frangente cruciale le pesava dentro come un macigno, ma non avrebbe dato a nessuno la soddisfazione di intuirlo. - Questo non potrà cambiare, mai. Ma non chiedermi di fidarmi di voi come se nulla fosse successo, o di stare a sentire le vostre ragioni, perché, davvero, non posso farlo.- scosse impercettibilmente il capo, per autoconvincersi di aver preso la decisione più giusta, e qualche goccia tremula ancora appesa alle sue ciglia le colò sulle gote contratte. - Io… non posso. E basta.-  
 
Image and video hosting by TinyPic
 
Elena fece un respiro profondo e stridente, come se stesse incanalando dentro di sé tutta l’aria possibile prima di un tuffo in pieno oceano, poi annuì a fatica, abbassando gli occhi, sconfitta. Demetra non provò alcun sentimento di piacere o di rivalsa davanti a quella resa, anzi, si sentì un mostro senza cuore: non sopportava di vedere sua madre soffrire, eppure era stata proprio lei a ferirla in quel modo, quasi sbattendole in faccia le porte del proprio cuore. Si chiese se, dopo una simile frattura, il loro rapporto si sarebbe mai potuto ricucire senza apparire per sempre la vacua, grossolana imitazione del legame che avevano avuto in passato, troppo perfetto per durare, per essere fino in fondo… reale.  
- Portala via da qui.- sospirò Elena d’un tratto, guardandosi le mani, apparentemente senza rivolgersi a nessuno dei presenti in particolare. Demi restò così stupefatta dal quella strana ed inaspettata richiesta che quasi sussultò, mentre il tocco gentile delle dita di Damon si posava sulle sue spalle rigide, rispondendo quasi inconsapevolmente a quel comando. Il gesto del vampiro trasudò all’istante un qualcosa di inspiegabilmente dolce, come fosse un minuscolo bagliore lunare scorto durante una notte senza stelle, e rassicurò intimamente la ragazza, spingendola ad inclinare appena il volto all’indietro. Nel fissare quello pallido ed immobile come madreperla di Damon, a lei tornò in mente la prima volta in cui l’aveva salvata, strappandola ad una sentenza di morte certa fuori dalla Biblioteca: ‘’Andrà tutto bene’’, le aveva detto, e lei, senza neppure sapere perché, seguendo solo l’istinto ed il lento, musicale ribollire delle proprie vene, gli aveva dato retta. - Noi andremo a prendere Stefan, poi ci occuperemo di Rebekah. Voi… andate.- la voce della Gilbert sgorgava dalla sua bocca come sangue da una ferita aperta, ma lei non vacillava.
Jeremy e Bonnie avevano delle espressioni talmente addolorate che Demetra si costrinse a mordersi l’interno della guancia fino ad assaporare il sangue, pur di non reagire davanti alla loro pietà. Ricordò, senza averlo premeditato, il modo scortese e quasi brutale con cui Prince Mikaelson l’aveva sbattuta fuori dalla Capanna la sera prima e sentì di comprendere come mai prima di quel momento la sua necessità divorante di rintanarsi nel buio e nel disprezzo di se stesso.
Nick le aveva raccomandato caldamente di mantenere la calma, di non vomitare solo ira ed acredine sui propri genitori, ed aveva avuto fiducia in lei. Ma Demi non era riuscita a seguire il suo saggio consiglio: era esplosa come una bomba ad orologeria ed adesso si ritrovava ad essere circondata dalla cenere e dai detriti, da tutto ciò che Sophie, Shane e Rebekah avevano subdolamente progettato per lei.
Ma chi sono io, veramente? Un burattino tra le grinfie del destino? Un pupazzo bitorzoluto, imbottito di bugie? Una mosca impulsiva finita in trappola? Oppure un oggetto mandato in mille frantumi e ricomposto maldestramente di proposito, così da essere condannato a non riconoscersi mai più nello specchio?
- Con te starà bene.- stava dicendo Elena, ormai atona, spenta. Demi batté le ciglia umide per guardarla meglio mentre parlava ma si ritrovò la guancia premuta contro il tessuto compatto di una giacca di pelle nera, i polpastrelli affondati in quella stessa consistenza, soffice e dura allo stesso tempo. Un imbarazzato stupore le serrò il petto: non si era accorta di essersi girata su se stessa e di aver abbracciato Damon, né di averlo fatto in quel modo, aggrappandosi a lui con tutto il corpo, come per non sprofondare.
Non si era resa conto di aver lasciato che il proprio bisogno di sentirlo vicino agisse al suo posto.
- La Camaro è a pochissimi metri da qui, più vicina di qualsiasi trabiccolo abbiate usato per arrivare.- convenne lui, apparentemente senza scomporsi. Demi, però, avvertì senza la minima difficoltà la sua cassa toracica espandersi quando lui inspirò a fondo, come per farsi coraggio, ed intuì tutto il suo nervosismo, la sua impotenza, la sua impazienza. - C’è una storia che esige di essere raccontata…- le soffiò sui capelli, chinandosi fino a sfiorarle la testa bruna col mento. - La mia. E non ho intenzione di rimandare oltre.- Elena li osservò, le due metà del suo cuore che si stringevano l’un l’altra, sorreggendosi ed infondendosi un pizzico di speranza mentre il vento li accarezzava al suo posto. Poi, molto lentamente, fece un passo indietro.
- Certo... ecco… io…- bisbigliò, mentre la strega Bennett le si avvicinava timidamente, toccandole un braccio con tutta la delicatezza del mondo, per esprimerle la sua solidarietà. -… abbiate cura l’uno dell’altra, mentre siete via. Non merito nessun perdono, ma questo… questo è tutto ciò che chiedo. Ciò che avrei chiesto sempre. Per… per favore.- Demetra, colpita da quella preghiera così soffocata, fece per sollevare lo sguardo, ma Elena si era già tappata la bocca con entrambe le mani, voltandosi precipitosamente nella direzione opposta: mentre le dita di bronzo di Bonnie rimanevano sospese a mezz’aria, la vampira scappò via, svanendo con un guizzo nel folto.
Damon si limitò a sussurrare il suo nome tra le labbra socchiuse, prima di cingere Demi con più forza, quasi con disperazione, come prima che il tetto di una casa diroccata si schiantasse su di loro.
Poi, inesorabilmente, i passi affrettati di ciò che di bello sarebbero potuti essere tutti e tre assieme si allontanarono nella foresta, rapidi, inarrestabili, come il tempo che avevano perduto e che non avrebbero mai più potuto recuperare.
 
///
 
- Non sarebbero dovuti essere già qui diciamo ‘’da un bel pezzo’’? Sai, di ritorno?! Puzzolenti di battaglia ma vittoriosi? Con le fanfare ad accoglierli al loro passaggio, magari mentre un trombettista ubriaco fa accidentalmente cascare lo strumento sulla testa vuota di Prince?!- Mattie giocherellò pigramente con l’ombrellino colorato che William aveva sistemato sulle sue olive verdi e ne infilzò una per la frustrazione, senza però azzardarsi a mangiarla: aveva lo stomaco annodato dalla tensione ed aveva lasciato nel piatto anche il resto dell’aperitivo consolatorio che il cameriere aveva improvvisato per lei e Sheila una volta venuti fuori dall’armeria.
La piccola Bennett, in un primo frangente, era parsa scioccata dalla mancanza d’appetito della sua migliore amica, tanto da provare a tentarla con le sue leccornie preferite, ma era stata ben presto vinta, a sua volta, dall’ansia dell’attesa: già da qualche minuto si teneva la testa tra le mani, i gomiti rigidi sul tavolino del Grill, i disordinati riccioli color carbone che le ricadevano fitti tra le nocche ed il respiro che si sforzava di essere il più silenzioso e regolare possibile, senza troppo successo.
- Stanno lottando all’ultimo sangue contro un esercito di mostruosità.- ricordò a Mattie, sfinita, quasi tentando autoconvincersi di essere ancora sana di mente, nonostante le sue parole suonassero assurde, persino rispetto agli standard degli ultimi tempi. - Con delle armi magiche fornite da uno stregone che al momento serve caffè macchiato alla gente ignara.- specificò, accennando a Willy Doge che armeggiava con una brocca di vetro colma di liquido fumante, dispensando sorrisi e carinerie a tutti i clienti con cui aveva a che fare. Quasi percependo lo sguardo della figlia di Bonnie indugiare su di sé, lui lanciò un’occhiata dalle loro parti, da dietro lo schermo dei propri lisci capelli castani: una piccola ruga gli si scavò tra le sopracciglia, mentre mormorava sommessamente qualcosa ad una collega e posava risolutamente il recipiente del caffè, forse intenzionato a congedarsi dal servizio al bancone. - Insomma, non è una faccenda da prendere alla leggera. La guerra è la guerra, e non sempre finisce in un lampo, specialmente quando uno dei due combattenti è un tale esibizionista.- Sheila si massaggiò piano le tempie, sempre sforzandosi di non perdere il controllo e di mostrarsi serena: - Sono in ritardo, è vero, ma non significa necessariamente che qualcosa sia andato storto. Niente affatto.-
- Sarei dovuta andare con loro.- bofonchiò Mattie, fissando una venatura nel legno come se le avesse fatto uno sgarbo. La mano tiepida di Sheila si posò subito sul dorso roseo della sua e la Lockwood ricambiò quella stretta d’impercettibile conforto, le guance rotonde che si gonfiavano di risentimento. - Sono un mezzo Lupo Mannaro anch’io, l’hai sentito con le tue orecchie! Non sarò una spadaccina provetta - in effetti, credo che la cosa più pericolosa che io abbia impugnato in vita mia sia la forchetta durante il pranzo del Ringraziamento-, ma mi sarei potuta comunque rendere utile, se solo mi avessero lasciata…-  
- Nick non ti avrebbe mai esposta al pericolo in quel modo, e lo sai.- tagliò corto la Bennett, senza un briciolo di esitazione, strappandole un’espressione colpita. Era davvero bizzarro per la biondina sentire la strega parlare del suo compare come se fosse un caro amico e non più il tipo tenebroso ed inaffidabile che avevano incontrato il primo giorno di scuola, ma questa l’aveva fatto in un modo talmente spontaneo e caloroso da commuoverla e da farle temporaneamente chiudere il becco. 
- So benissimo che ha la fissa di salvare il mondo. A volte credo che abbia scambiato Mystic Falls per Gotham City, figurati!- replicò però dopo qualche istante, nel tono affettuoso ed un filino adorante che non riusciva proprio a camuffare, quando si trattava di lui. La bruna non fece commenti a proposito della scia color porpora che si era andata progressivamente allargando sul viso della figlia di Care a quelle parole, ma non poté fare a meno di notarla. E di aggrottare le sopracciglia: - Dico soltanto che qualcuno dovrà pure darsi da fare per badare a lui, prima o poi.- Matt sospirò, poi si mise a sminuzzare nervosamente un bordo della tovaglietta di carta lilla, mentre William si accostava al loro tavolino, il cappello color cenere ballonzolante sul capo e l’aria un po’ preoccupata. Si era tolto il grembiule da lavoro, forse per fare una pausa, ma la Lockwood non parve neanche essersi accorta del suo arrivo, concentrata com’era nel brontolare: - Potrei provare ad essere io quel qualcuno, se solo mi spiegassero come accidenti diventare…-
- … il Lupo.- mormorò Sheila in un bisbiglio concitato.
- Brava! Proprio quello che stavo per…-
- No, Mattie… il Lupo! GUARDA!- ripeté ansiosamente la Bennett, dandole una scrollata ed indicando con l’indice un punto preciso alle sue spalle. Qualcosa di grosso e di peloso, nei pressi dello stesso portoncino che tutti loro avevano attraversato per riemergere dai mistici sotterranei, ebbe un fremito lucente, rivelando con chiarezza la propria posizione.
- E’ Eve.- quel nome denso di riconoscimento risuonò sia dalle labbra di Matt che da quelle di Willy, il quale aveva seguito il gesto della Bennett sino ad individuare la figura familiare del Licantropo Labonair, immobile davanti all’uscio del magazzino. - Sono tornati.- dedusse il giovane Doge, con la voce stranamente strozzata.
Matilde balzò in piedi così in fretta che per poco non rovesciò lo sgabello e Sheila la imitò in un battibaleno, con il cuore le che le schizzava in gola, pulsando dolorosamente, mentre Eve si agitava sul posto, gli occhi grigi gonfi d’urgenza, invitandoli a seguirla.
Mentre li conduceva fuori, le sue zampe sul pavimento tonfarono molto più pesantemente del solito, gravate da un’andatura solenne, sconsolata e tumida di apprensione.
‘’Qualcosa non va.’’ dedusse Mattie tra sé, oltrepassando con un salto il contenuto sparso e disintegrato dello scaffale colmo di provviste che Nick aveva scardinato prima di partire in missione; si precipitò fuori, sul retro del Grill, mentre la brezza ghiacciata le pungeva la faccia e la luce di due grossi fari gialli la accecava per un istante, stordendola. ‘’Eve?!’’ con uno sforzo di volontà che le parve paurosamente spontaneo, dettato com’era dall’angoscia istintiva che la stava attanagliando, la ragazzina cercò con la propria mente quella della Licantropa.
Ciò che vi lesse dentro fu scioccante, insopportabile: c’erano pena, rammarico ed orrore nei suoi pensieri agitati, e gli strascichi di quelle emozioni le rimasero impressi a fuoco nella testa, invadendola fino a farla ribollire:
‘’Dimmelo… che è successo? Che cosa… cosa cavolo sta succedendo…?!’’
‘’Presto… fate presto… non c’è tempo da perdere… il mio piccolo…’’ la vocina ormai familiare della creatura sovrannaturale le frusciò come una bufera nel cervello inceppato, incostante, mentre le pupille di Matilde si abituavano alla nuova luminosità, aiutate dalla sagoma snella di Prince che avanzava decisa, interponendosi tra la Ferrari abbagliante e la vista delle due migliori amiche di Demi.
Gli occhi del figlio di Klaus, di solito beffardi, erano adesso intensi ed inquieti, taglienti ed infranti, come cocci verde bottiglia. Incrociandoli per un brevissimo attimo, Mattie sentì il panico assorbirle ogni singola goccia di sangue nelle vene, lasciandola vuota e deserta nel profondo.
 
Image and video hosting by TinyPic
 
Fu in quel preciso momento che, sporgendosi verso l’automobile, pronta a trasformarsi in una statua di sale per il proprio peccato, lei lo vide.
Era bianco, malconcio e stropicciato come uno straccio.
Con un lato della gola sporco, sbavato, sudicio di polvere e di quello che sembrava catrame fuso.
La sua pelle era tirata fin sulle ossa, mentre dei cerchi scuri risaltavano nel suo pallore malsano, simili a lividi violacei sotto gli occhi inesorabilmente chiusi.
- Nick?- Sheila si murò la bocca con le mani tremanti, come per tramortire un grido, mentre il cielo sbiadiva lentamente ed il ragazzo, per la prima volta da quando lui e Mattie si erano presentati, conosciuti, scontrati, punzecchiati ed infine aggrappati l’uno all’altra, non dava alcun segnale di aver udito il suo richiamo. La biondina scosse impercettibilmente la testa, mentre la scena del loro ultimo saluto le sfilava attraverso l’anima, riducendola a brandelli. - Oh, no… n-non può essere… non è vero…-
Non è un addio, questo qui, testa di profitterole.
Lui te l’ha promesso.
Te l’ha promesso.
Tu me l’avevi promesso.
-… intenzione di portarlo in un posto più sicuro. Alla Capanna. Perciò muoviti, prendi la tutta la roba di cui hai bisogno e raggiungimi. Finalmente ho la Profezia. Ti aspetterò qui, cercando di non massacrare la maggior parte della clientela per un puro sfogo personale, mh?- le parole intimidatorie del principe riecheggiarono nelle orecchie otturate di Mattie, e fu solo con immenso ritardo che quest’ultima si rese conto che lui si stava rivolgendo a William.
Entrambe le loro facce erano scolpite nel granito e lei non osò neppure immaginare quale espressione potesse essersi stampata sui propri lineamenti nel frattempo.
L’universo vacillò pericolosamente, poi lei arrancò a fatica verso l’auto, con il cuore che le mugolava nello sterno, in un lamento che ricordava troppo da vicino il pianto straziato di un cucciolo di lupo smarrito, terrorizzato. Incapace di ritrovare altrove la propria luna, braccata dal mesto, impenetrabile groviglio delle tenebre, Mattie si accoccolò lì dove era sempre stato il suo posto… accanto al suo compare.
E chiuse gli occhi.
 
///
 
- Siamo arrivati.- Demetra dischiuse con cautela le palpebre quando udì il motore vibrante della Camaro sospirare di resa, e si accorse di essere giunta, a bordo della fedele macchina azzurro metallizzato di Damon, ad una destinazione molto diversa da quella che si sarebbe aspettata: intorno all’abitacolo tiepido e confortevole, infatti, si stagliava l’austero giardino del Pensionato dei Salvatore, lambito dalle dita impercettibili del crepuscolo e imbrattato qua e là dal profumo di umido e di quiete che le nubi trasudavano abitualmente dopo il tramonto.
 
Image and video hosting by TinyPic
 
Al cospetto di quella visione così famigliare, fatta di alberi e cespugli rigogliosi, di tegole ed ampie pareti tinteggiate di ricordi, la gola della ragazza si strinse in un groppo improvviso, asfissiante: le tornò in mente lo smeraldo vivido ed ipnotico dell’erbetta che, un attimo prima del rapimento, aveva fissato con muta caparbietà, come per conservarne intatta la consistenza sotto le ciglia, mentre il mondo intero si tramutava in torpore e scompariva tremolando sotto i suoi piedi. Demi si era aggrappata con tutte le proprie forze a quella sfumatura di colore, a quell’immagine reale, come ad un’ancora di salvezza, ma non le era servito poi ad un granché: aveva solo avvertito calare su di sé le braccia di Rebekah, graziose e crudeli come pugnali sguainati, ed era crollata nella loro trappola, fine della storia.
Da quando era stata risucchiata dalla spirale tumultuosa della cattura e delle rivelazioni, in realtà, era come se non avesse mai smesso di precipitare nel vuoto, scalpitando senza sosta e cercando un appiglio nel presente fino a scorticarsi le unghie, senza che nessuno, nessuno riuscisse ad afferrarla in tempo, prima dello schianto.
Poteva forse un albero rimanere in piedi, una volta che gli erano state amputate le radici?
Poteva una stella smettere di brillare nello stesso firmamento che aveva un tempo chiamato ‘’casa’’?
- E così sei sveglia.- osservò Damon, scoccandole una rapida occhiata; le sue dita d’avorio tamburellarono lievi sul volante, rivelando tutto il suo nervosismo, mentre lui si inumidiva le labbra stirate dalla tensione. - Però.- commentò. - Non hai detto una parola per tutto il viaggio.-
Demi non si girò, rimanendo a scrutare il finestrino con aria assente, ma intuì dalla voce incrinata del vampiro i suoi più inconfessabili tormenti: era esausto, preoccupato, eppure innaturalmente calmo, determinato, in qualche modo quasi… rassegnato. Ogni suo gesto tradiva il tormento che lo stava logorando, e lei, schiacciata da quella consapevolezza così intima, desiderò follemente potersi strappare via dal cuore il sommo senso d’appartenenza e condivisione che nutriva da sempre nei suoi riguardi.
Dio, voleva solo che finisse.
Voleva recidere di scatto tutte le funi che la tenevano ancorata ad un’esistenza fatta di segreti e di bugie e sentirsi libera, anche a costo di spegnere tutto ciò che fino a quel momento aveva ritenuto importante, indispensabile. Forse sarebbe stato più facile, fingere di non avere affatto un’anima, soltanto per non farsela mai più scalfire. Forse il non sentire nulla avrebbe reso più sopportabile persino la morsa feroce dell’orgoglio che ormai sembrava essersi impossessata del suo petto gracile, minuto, martoriato, eppure ancora così ostinatamente, quasi fastidiosamente pulsante:
- Tu, invece, non sei stato zitto un secondo, mh?- ironizzò la sedicenne, stringendosi nelle spalle con un piccolo brivido. Quasi involontariamente, percepì sotto i polpastrelli la stoffa lacera del proprio maglioncino preferito, impiastricciata di sangue e sfilacciata dal coltello implacabile di Shane, e strinse i denti con rabbia, come per impedirsi di mettersi ad urlare.
- Pensavo che volessi essere lasciata in pace per un po’.- confessò Damon, in un sussurro che sfregava dolcemente contro il bisogno di sfogo e distruzione che le stava ammontando dentro come lava incandescente. Scrutando di sfuggita il proprio riflesso nel tergicristallo gocciolante di brina, Demi vide le proprie scure sopracciglia aggrottarsi in una smorfietta interrogativa: - Voglio dire sapevo che sarebbe stato perfettamente inutile cercare di forzare la mano nella speranza che mi stessi a sentire, perciò ci ho rinunciato. Ti ho semplicemente ascoltata respirare, tranquilla, così silenziosa che ho sperato quasi che ti fossi appisolata. Che stessi viaggiando molto, molto lontano da qui, in un luogo in cui tutto è come vorresti che fosse. Limpido, onesto, sicuro, reale. Dove nessuno può più farti del male. Dove sei di nuovo te stessa e non ti senti più una bimba sperduta.- la ragazza distolse lo sguardo dallo specchietto prima che quest’ultimo cominciasse a danzarle pericolosamente davanti agli occhi. Non avrebbe sopportato per un secondo di più di rimirare la propria figura sbiadita e smunta, e così si rivolse finalmente a Damon, quasi furtivamente.
Lui la guardava già con intensità, come se lei fosse un fiore fragile e meraviglioso, sbocciato con coraggio nel bel mezzo dell’inverno, nonostante la neve ed il gelo pungente. Era come se in sua figlia potesse annusare l’ultimo soffio di primavera che gli fosse stato concesso dal destino, ed era di una bellezza intollerabile.
- Perché mi hai trascinata proprio qui, si può sapere?- chiese Demetra, accennando alla pensione, silenziosissima ed immobile a pochi metri da loro. Avrebbe voluto suonare dura e disinteressata, ma non ci riusciva: sotto il tettuccio basso della Camaro, in quell’ambiente confortevole, non poteva fare a meno di sentirsi a suo agio, ed era una sensazione che le era mancata molto, troppo, mentre era l’ostaggio di una vampira squilibrata, o dilaniata dallo Stigma Diaboli, o, peggio ancora, circondata da orripilanti creature infernali. ‘’Portala via.’’ aveva ordinato fioca Elena al vampiro, parlando come se lei non fosse presente alla scena, un istante prima di scappare via nella selva. Non aveva specificato un luogo preciso come destinazione, e Demi non riusciva davvero ad indovinare per quale ragione quel posto fosse stato la prima scelta di Damon. - Perché, sul serio, non c’è angolo del pianeta in cui vorrei essere di meno che…-
- Ti ho riportata a casa perché credevo che fosse giunto il momento di ricambiarti il favore, tutto qui.- la interruppe lui, senza essere brusco, ma con una fermezza gravida di sottintesi che la spiazzò. La giovane sentì le molle del sedile protestare appena mentre si voltava con tutto il corpo da un lato, per riuscire a guardare meglio in faccia il fratello maggiore di Stefan, quell’angelo protettore che conosceva da pochissimo e che, comunque, non era mai riuscita a considerare veramente come un estraneo.
- Che intendi dire con questo?- soffiò, fiocamente. Di quale ‘favore’ stava parlando? Quando mai l’aveva guidato a ritrovare il suo posto nel mondo, lei? - Non capisco.-
- E’ logico. Ci sono tante, troppe cose che ancora non sai.- le rispose Damon, il tono grondante di senso di colpa, di un’accusa latente che era indirizzata a chiunque, persino a lui in prima persona, tranne che a lei. - Cose che desidero dirti più di quanto io abbia mai bramato ficcare un paletto di quercia bianca dritto nel cuore della donna che ti ha strappato a me prima che potessi venire a sapere della tua esistenza. Ma non ti costringerò ad ascoltarmi, non fino a quando non sarai pronta… pronta a reggere il peso di ciò che dirò. Voglio che sia tu a chiedermi di raccontarti tutto, e a quel punto lo farò, te lo giuro, senza tralasciare un singolo dettaglio, senza preoccuparmi di addolcire la pillola. Avrai la verità. Tutta la verità.- Demi socchiuse la bocca rosea in una piccola ‘O’ di stupore, senza sapere cosa dire, mentre la lotta tra curiosità e rifiuto le imperversava nello sterno, più aspra che mai.
- Mi stai dando la possibilità di scegliere?- domandò alla fine, turbata, esitante, combattuta e tentata.
- Ti sto lasciando libera di non sapere che cosa mi ha portato a viverti lontano ogni giorno negli ultimi sedici anni.- chiarì Damon, senza esitazione. - O quello che ho provato durante tutto questo tempo, o ciò che mi ha spinto a non arrendermi mai veramente all’esilio, anche e soprattutto quando mi sembrava d’impazzire dalla solitudine. Di non scoprire quanto io abbia amato ciò che ho perso, o quanto io, colpevole ed idiota come sono, lo ami ancora, quasi come se fosse un mio diritto.- c’era un tratto di tensione evidente nella linea elegante della sua mascella, eppure i suoi occhi di ghiaccio erano concentrati, densi, irremovibili. - Io non me ne andrò da questa città fino a quando la Pietra Della Miracolosa Resurrezione non sarà stata trasformata in una polverina talmente sottile da far invidia a quella della fatina Trilly. Non mi muoverò da qui fino a quando non sarai sana e salva, e, già che ci siamo, felice da fare schifo. Ma, una volta che questa seccante avventura mistica sarà finita ed il mondo intero sarà tornato a ruotare sul proprio asse…- inspirò profondamente, come pronto al salto nel vuoto. -… potresti voler ricominciare da capo, avere una vita normale e tranquilla, come se nulla di tutto questo fosse mai accaduto. Quando quel giorno verrà, non voglio che tu ti senta condizionata dalla mia presenza, dal mio passato, dal dolore che mi porto dietro, dalle mancanze che non posso cancellare e sulle quali tu non puoi sorvolare. Se lo vorrai, Demi, non sarò così egoista da volerti per me, né arrogante e pazzo al punto da credere di meritare un’occasione. Posso starmene zitto adesso, o per sempre, se preferisci, così non saprai mai quanto ti sei sbagliata nel pensare che io ti avrei lasciata andare, se solo avessi potuto ragionare con la mia testa e dar retta al mio cuore, quando me ne sono andato. Non saprai mai che non sei stata un errore, ma un miracolo, e tutto potrà ancora tornare al suo posto. Senza problemi. Senza di me.-
 
Image and video hosting by TinyPic
 
La ragazza tacque per un istante infinito, mentre le iridi ansiose e supplichevoli di Damon le sfioravano i lineamenti, alla cerca di una risposta, di un segnale; pensò che le sarebbe piaciuto moltissimo potersi sfogare in un pianto liberatorio, così forte da scuotere persino le fondamenta della terra, ma temeva che, se solo avesse lasciato via libera alle lacrime, non sarebbe più stata in grado di fermarle… non questa volta.
Si rendeva conto della grandezza straziante di ciò che il vampiro le stava offrendo: era disposto a rinunciare a tutto, pur di darle la possibilità di dimenticare e di andare avanti, di tornare alla normalità, una volta conclusa la guerra contro Sophie. Se il sole le si fosse spento di colpo sulla testa, come un’enorme lampadina fulminata, lui sarebbe stato capace di accendere un fuoco e di gettarsi a capofitto tra le fiamme, lasciandosi consumare, pur di regalarle un altro po’ di calore. Sarebbe uscito di scena, certo, ma l’avrebbe fatto senza ripensamenti… per lei.
Era di quell’uomo capace di compiere qualsiasi sacrificio in nome dell’amore, che Elena si era innamorata tanti anni prima?
Demi era stanca di chiederselo:
- Voglio sapere ogni cosa.- si lasciò sfuggire quella frase così precipitosamente che, per un attimo, le parve che fosse stato qualcun altro a pronunciarla al suo posto. Damon accennò un sorriso, ma non si sbilanciò: dal tono della sedicenne aveva intuito che c’era dell’altro, e lui si preparò ad affrontarne l’impatto: - Lo voglio per davvero. Ma allo stesso tempo… sono terrorizzata. Tu vuoi proteggere la bambina che ero quando mi hai conosciuta, quella che Stefan ed Elena hanno fatto crescere in una campana di vetro. La sua vita… la mia vita era racchiusa in una bolla di sapone che prima o poi, lo sapevamo tutti, sarebbe esplosa. Quel momento è giunto, e lei… non esiste più. Non so più chi sono o a chi appartengo… come posso essere sicura di ciò che desidero? Come posso costruire il mio futuro sulla tua verità, quando non ho conosciuto nient’altro che bugie?- la sua voce non era che il lieve tubare di una colomba dalle ali spezzate, troppo ferita e disillusa per azzardare un’occhiata fuori dal proprio nido d’insicurezze. - Non li perdonerò mai.- sbottò all’improvviso. - I miei genitori. Per non avermi insegnato a capire la differenza tra realtà e finzione, per avermi mentito come se fosse assolutamente naturale. E’ una cosa che dovrò imparare da sola, d’ora in poi, questa... dovrò imparare a cavarmela, senza più contare ciecamente sulla mia famiglia.- Damon incassò i sottintesi di quelle parole senza lasciar trapelare emozioni; i suoi occhi erano due stagni immobili e logori di mutismo, consapevolezza e comprensione. Nell’incrociarli, Demetra si sentì sbriciolata, come cenere sparsa nel vento: - Forse… se io e te avessimo avuto la possibilità di essere… c-ciò che siamo… prima…-
- Forse.- annuì Damon, senza più riuscire a guardarla. Lei ripensò istintivamente a sua madre, al modo spietato in cui le aveva scagliato addosso il proprio risentimento di figlia tradita. A Nick, che era stato aggredito da un mostro, pur di non lasciarla esposta al pericolo. A Rebekah, che lei non era riuscita a salvare dal suo stesso odio. Ed infine a Prince, che la guardava come se sapesse tutto di lei, come se vedesse attraverso la sua bellezza diafana ciò che di orribile sarebbe diventata a causa della Maledzione. Come se gli facesse schifo.
Che cosa sono diventata? Un pezzo di vetro lasciato su una spiaggia? C’è qualcuno che possa incrociare la mia orbita senza finire per sanguinare?
- Io ho bisogno... d-devo…- mormorò soffocata, aprendo di scatto lo sportello, come se volesse catapultarsi fuori. L’aria tiepida ed umida della sera le si avvolse attorno come una coperta e, nella foga di allontanarsi dalla tristezza di Damon e dall’acre disgusto che le provocava l’essersi trasformata nella creatura più lontana possibile dalla ragazza allegra e spensierata che tutti quelli attorno a lei avevano sempre avuto a cuore, un violento capogiro la stordì, costringendola a rimanere aggrappata alla portiera per non cadere in avanti. Un fruscio familiare venne in suo soccorso, e Demetra avvertì le braccia del fratello di Stefan tenerla in piedi. Lo sentì accarezzarle un braccio, per tranquillizzarla, e chiuse gli occhi di scatto, come per proteggerli da una tempesta di sabbia. Era proprio così che si sentiva: come se la polvere accumulata per anni sulla sua esistenza si fosse improvvisamente alzata, turbinando, impedendole di vedere oltre il proprio naso. Non sapeva più come orientarsi, perché non aveva la più pallida idea di dove andare, di cosa cercare. L’unica cosa reale era il respiro teso di Damon accanto a sé: -… devo… sto sbagliando tutto… è troppo per… non m’importa… non…-  
- Demi… va tutto bene… devi solo riposare… sono qui, sono qui… accanto a te… siamo insieme…- la voce del vampiro era distante, ma tenera. Non sembrava che lui la odiasse. Luci accecanti le scoppiettarono sotto le palpebre, e Demi capì che il suo equilibrio psicosomatico, alla fine, non aveva retto. Stava farneticando senza senso, scossa dai tremiti, ma quando la sua mano fredda si strinse attorno alla stoffa della camicia ruvida di Damon, le sue parole vennero fuori cristalline come acqua sorgente:
- Non lasciarmi… mai più... anche quando tutto questo sarà finito… tienimi.-
Lui non disse nulla ma obbedì fin da subito, trattenendola in quell’abbraccio intessuto di pianto e di ricongiungimento, mentre quell’inaspettata supplica gli regalava una speranza che non credeva di aver fatto nulla per meritare.
E se la tenne stretta al petto in tumulto, la sua bambina, sollevando gli occhi verso il cielo terso, apparentemente senza un vero perché; era come se volesse ringraziare con quel gesto chiunque, da lassù, avesse voluto regalargli uno spicchio di pace in quel mondo impietoso, gli aveva portato via tutto, ma che forse poteva ancora essere perdonato. Perché, in fondo, gli aveva donato anche lei, ed era un qualcosa per cui essere eternamente grati al paradiso.
 
///
 
- Se provi a muoverti di un millimetro, ti soffoco col primo cuscino di piume che trovo nei paraggi. SONO STATA ABBASTANZA CHIARA?!- Mattie tirò su col naso con estrema dignità e sprimacciò selvaggiamente un guanciale color amaranto dalle lunghe frange beige, prima di sistemarlo con cura sotto la testa di Nick. Si assicurò che il ragazzo fosse ben comodo, poi si voltò; lui non osò aprire la bocca, rinunciando a protestare, e restò muto ad osservare la ragazza, mentre quest’ultima tirava fuori dal poderoso armadio della stanza di Prince un gigantesco cumulo di coperte e lasciava che si schiantassero in massa, con un soffice tonfo, sul lettone su cui Nick era stato costretto a sdraiarsi fin dal loro arrivo alla Capanna.
Era passato un bel po’ tempo da quando il maggiore dei fratelli Mikaelson era spuntato al Grill come un uragano incontenibile di foga e disperazione, impartendo ordini a destra e a manca e facendo sudare freddo quel povero diavolo di William Doge, ma l’espressione della biondina non era minimamente cambiata: da quando si era precipitata fuori dal magazzino dell’affollata locanda, non aveva smesso neanche per un secondo di essere corrucciata in quel cipiglio di pura, incontenibile, agonizzante… furia. - Anche se poi, in effetti, non credo che questa minaccia possa spaventarti un granché.- rifletté piccata, con i boccoli dorati che le dondolavano sulla schiena e le dita paffute che armeggiavano a fatica con un manto particolarmente spesso e vaporoso, un attimo prima di adagiarlo sul giovane, lisciandone meticolosamente le pieghe: - Pare proprio che la morte e tutte le sue più orribili derivazioni ti facciano gola, proprio come alla sottoscritta potrebbe far venire l’acquolina in bocca un grosso, appetitoso budino alla vaniglia. Ho reso sufficientemente l’idea?!-
- Sei arrabbiata con me.- mormorò Nick, in un soffio affaticato. Fuori dalla finestrella ovale che dava sulle Cascate, il crepuscolo era ormai calato, trasformando in oscurità il già tenue chiarore del sole. Il figlio di Elijah colse una triste similitudine con ciò che gli stava accadendo dentro mentre parlavano: c’era qualcosa di tremendamente sbagliato nelle sue vene, un corpuscolo estraneo e velenoso che gli si addensava progressivamente nel sangue e che, a lungo andare, gli avrebbe trasformato ogni fluido corporale in icore nero e viscoso, come quello dell’Ombra che lo aveva morso.
Attraverso il vetro, nel velo plumbeo del firmamento, al ragazzo parve di scorgere il bagliore sparuto di una minuscola stella, e la sua mano scattò istintivamente ad afferrare quella di Mattie, che gli stava ancora rimboccando le coltri:
- Non… non esserlo.- la voce di Nick si ruppe, facendosi estenuata ed implorante: - Nana. Ti prego.-
- Non smetterò di avercela con te fino a quando non starai meglio.- la Lockwood evitò ostinatamente il suo sguardo, ma alla fine si appollaiò su un angolino del materasso, restando seduta accanto a lui in silenzio, senza mai abbandonare la presa sulle sue dita. Erano fragili e sottili, così ghiacciate da farle venire voglia di sfregarle contro le proprie o persino di soffiarci sopra, pur di riuscire a restituire loro un barlume dell’antica vitalità. Ma Mattie sapeva perfettamente che non sarebbe servito, e quella consapevolezza era così inaccettabile da gonfiarle gli occhioni di lacrime, mentre lei si mordeva il labbro inferiore ed abbassava la testa arruffata, per non farsi vedere mentre tratteneva il pianto. Un pianto che, se solo fosse riuscito a sgorgare, avrebbe potuto inondare l’intera camera da letto senza problemi. - Non un minuto prima.- rimarcò, irritata. - Ficcatelo nella tua stramegamaledettaedannatissima zucca.-
- Allora immagino che sarò nei guai per molto, molto tempo.- considerò lui, sforzandosi di sorriderle, nel goffo tentativo di rasserenarla; Mattie fece per replicare a tono ma, in quel preciso momento, Nick trattenne bruscamente il fiato e rotolò su un fianco, gemendo piano e rannicchiandosi su se stesso in posizione fetale, scosso da un dolore lancinante, talmente improvviso da aver colto alla sprovvista persino le sue più notevoli abilità di camuffamento. Ingoiando un groppo di disperazione, la bionda si limitò a stringergli la mano fino a vedersi sbiancare le nocche, poi restò ferma, in attesa che quei crampi si placassero, con il cuore stritolato dall’impotenza.
Quando il ragazzo riuscì a smettere di tremare convulsamente e si rimise supino, lei notò che aveva il viso imperlato di sudore gelido, tanto che anche i suoi capelli castani di solito impeccabili erano umidi ed appiccicati alla sua fronte.
- Che cosa faccio?!- ansimò Mattie, guardandosi freneticamente intorno, alla cieca, come se sperasse di veder spuntare, nel bel mezzo della penombra, un rimedio miracoloso, una soluzione qualunque che potesse salvare il nipote di Rebekah dalla sua condanna. Ma non c’era nessuna mano tesa verso di loro, nella penombra. Quella che stavano vivendo giorno dopo giorno, si disse la Lockwood con amarezza, non era affatto una delle storie fantastiche che impolveravano gli scaffali della sua libreria personale da una vita; quello era il mondo reale, e si dava il caso che fosse un universo crudele ed ingiusto, sempre più estraneo ai suoi occhi. Dall’istante in cui aveva notato quanto smunto e livido fosse il bel viso di Nick, abbandonato mollemente sul sedile della sua stessa auto, là dove infinite volte lei lo aveva visto accendersi di coraggio, di vita e di voglia di ricominciare, tutto le era sembrato opaco ed inutile, come quando ad uno splendido vengono risucchiati via tutti i colori. - Dimmi… che cosa… cosa posso fare?!- mentre Nick osservava le spalle dell’amica che sussultavano smorzate, per contrastare lo scoppio nevoso dei singhiozzi, sentì come se il tempo si fosse fermato di colpo, dilatandosi fino ad inghiottire ogni altra dimensione.
Gli sembrò di essere rintanato in quel posto sicuro e riparato da secoli, e gli tornarono in mente le carezze amorevoli di sua madre, la dolce eco della sua voce mentre gli assicurava che la strana febbre del lupo sarebbe passata il mattino seguente, col sorgere dell’aurora, durando solo per il plenilunio, e nulla più.
E nulla di più…
Fu in quel momento che Mattie percepì una leggera scossa d’energia irradiarsi dal punto esatto in cui il suo palmo era a contatto con il dorso della mano gelida di Nick: uno strano calore le percorse il braccio, come un’impercettibile scarica d’elettricità, e lei si ritrovò con la mente affollata da pensieri che non erano i suoi, così sfuocati e confusi da assomigliare a spessi banchi di nebbia animata. Prince l’aveva avvertita che l’inevitabile transizione di Nick avrebbe riportato a galla i peggiori ricordi del ragazzo, costringendolo a riviverli infinite volte, fino a condurlo alla follia, ma Mattie non ci aveva voluto credere: era impossibile rassegnarsi al fatto che un’anima così pura come quella di Nick dovesse essere destinata a dei simili, immeritati supplizi; lui era speciale, forse il fato gli avrebbe concesso un po’ di pace, una tregua… forse avrebbe fatto un’eccezione. Per conto suo, lei era abbarbicata quella flebile speranza come una pianta rampicante al fuscello di un albero che, presto o tardi, sarebbe stato abbattuto, ma mai si sarebbe aspettata di dover diventare la diretta spettatrice degli ondeggianti squarci di coscienza che, esattamente come il principe le aveva annunciato, erano alla fine giunti per dare il tormento al suo migliore amico:
 
Vedeva.
Attraverso la foschia di una memoria che non le apparteneva, Mattie vedeva un viso dai tratti poco distinti, belli quanto innaturalmente pallidi, fiocamente rischiarati dal lume di un cero; si trattava di un profilo femminile ed aggraziato, a lei sconosciuto, incorniciato da lunghissimi capelli neri privi di sfumature, simili ad una copiosa cascata di carbone liquido, o, meglio, ai tentacoli arricciati di una piovra ormai priva di vita. C’erano anche delle mani, lì vicino, mani piccole e delicate, intrecciate su di un seno ancora acerbo, chiaramente adolescenziale, talmente immobile da mettere i brividi. Il filo grezzo di una collanina era avvolto saldamente attorno a quelle minuscole nocche esangui: il ciondolo era una ‘’M’’ svolazzante, modellata finemente nell’ossidiana.
La biondina ebbe l’impressione di aver già visto quel gioiello da qualche parte, ma non poté affilare lo sguardo come avrebbe voluto, perché non erano davvero i suoi occhi, quelli che assistevano impotenti alla scena.
Dall’atmosfera greve che opprimeva l’intera visione, pareva di presenziare ad un funerale, alla veglia di una persona cara: che cosa diavolo era accaduto a quella fanciulla misteriosa ed inerte, che giaceva distesa su un letto disfatto, simile ad un sepolcro profumato di fiori e di morte?
‘’Cos’hai fatto?’’ una voce spezzata e rauca, come quella trasmessa da un canale televisivo mal sintonizzato, dissolse di botto il silenzio tombale circostante. L’accento smaccato era un marchio di fabbrica assolutamente singolare, unico: Prince. ‘’Che cos’è successo… che cosa le hai fatto?!’’
L’inquadratura del ricordo fu caoticamente attirata dalle parti di un uscio, spalancato con tanta violenza da far tremare la parete adiacente, impiastricciata da una carta da parati violacea, sfregiata dal tempo come dai segni di unghiate; il debole aggancio di uno specchio ovale inchiodato al muro cedette di schianto, e l’oggetto precipitò verso il basso, finendo in mille frantumi sul pavimento a scacchiera.
Mattie notò che un grosso coccio tagliente le era piovuto accanto e, senza poter controllare i propri movimenti, totalmente in balia del miraggio, si ritrovò a guardare attraverso quel pezzo di vetro, aspettandosi di scorgerci dentro un paio di tonde iridi verde mare, sgranate dallo sgomento e dal terrore.
Ma il riflesso che la lastra luccicante le restituì le tolse il fiato.
La faccia giovanissima e stravolta che individuò le era familiare quasi quanto la propria, ma non era decisamente la sua, bensì quella del proprietario di quel mondo evanescente, intessuto di cupe, inconfessabili e segrete memorie.
Non erano suoi, quei famelici occhi gialli da predatore inconsapevole, né quel dolore atroce che le faceva contorcere tutti i muscoli e le ossa come se volessero allungarsi all’unisono per incurvarsi, rafforzarsi, distorcersi, tendersi, fino a trasformarsi in qualcosa di diverso, di aggressivo… di mostruoso.
Non erano di certo suoi, quei polpastrelli artigliati e macchiati di scarlatto che ora stava fissando con orrore crescente, senza poter in alcun modo distogliere lo sguardo. Quelle erano, assurdamente ma senza ombra di dubbio, le dita affusolate e inconfondibili di Nick Mikaelson. E quel fluido viscoso che le imbrattava, gocciolando fino a terra con un tonfo impercettibile, quello… era sangue.  
‘’Che cos’hai fatto?! Che cos’hai fatto?! Che cosa le hai fatto, NICKLAUS?!’’
 
- Hey, compare... mi stai facendo m-maleahio… molla l’osso… SVEGLIATI!- il figlio di Elijah riemerse dal baratro del suo delirio all’improvviso, annaspando, poi balzò a sedere sul materasso, sbattendo freneticamente le ciglia incrostate di sale e guardandosi poi intorno, trafelato. Con un’esplosione di grigiore danzante, il mondo riprese bruscamente consistenza davanti suoi occhi stralunati: le pareti tappezzate di quadri, le cianfrusaglie da collezione di Prince, il pigolio rado del respiro di Mattie… ogni cosa gli riapparve nella propria corporeità, spezzando le illusioni e catapultandolo di peso nel presente.
Fu in quel momento che il ragazzo si accorse di aver tenuto un po’ troppo stretto il polso della sua migliore amica, senza accorgersene, come per tenersi inconsciamente ancorato alla realtà mentre quest’ultima sfuggiva tanto inesorabilmente al suo controllo: ci si era aggrappato così violentemente da lasciarle impresso sulla pelle delicata il calco purpureo delle proprie dita.
Di quelle stesse dita colpevoli che la visione gli aveva mostrato sudice di… di sangue…
- Io… mi dispiace…- la voce gli venne fuori strozzata, quasi come se qualcuno gli stesse premendo un cuscino sulla bocca. Era scosso da un tremito incontrollabile e si sentiva come sul punto di vomitare; eccezionalmente, neppure le sommesse, accorate parole di conforto di Mattie bastavano a rassicurarlo. -… non volevo, io non… scusami, non avrei mai, mai potuto… ti ho fatto… oddio, f-fammi… fammi vedere…-
- Non è niente.- minimizzò lei, fissandolo con un misto tra dolore, panico e confusione. Si affrettò a nascondere la lieve abrasione dalla sua vista così rammaricata, cercando di non farsi notare troppo: l’ultima cosa di cui lui aveva bisogno era di sentirsi in colpa per un graffio tanto insignificante, eppure sembrava proprio che non riuscisse a smettere di giustificarsi. - Sei stato assorbito da una specie di trance, non eri più in te… piantala di preoccuparti, non sono mica di marzapane, io, e… e poi…- la frase le morì in gola, perché Nick le aveva appena impedito di ritirare la mano, trattenendola nuovamente tra le sue, stavolta con tutta la tenerezza di cui un essere umano potesse essere capace.
Mattie, interdetta, lo vide abbassare dolcemente il capo, poi avvertì qualcosa di soffice sfiorarle l’incavo del polso, là dove un invisibile orologio di rossore le segnava ancora la carne: con le labbra dischiuse, il giovane le toccò il polso in un bacio impercettibile, per poi ingoiare un singhiozzo di acuta contrizione tra i denti:
- Perdonami.-
Mattie si sentì come se il sangue avesse smesso di circolarle nelle vene: le parve che fosse stato attirato tutto verso il centro del suo corpo, dalle parti del cuore, il quale pompò con un’irruenza inaudita tutta la propria afflizione ed il proprio desiderio proibito. Quel gesto così sconsiderato e supplice, che un Nick più lucido e razionale, forse, non avrebbe mai compiuto con tanta spontaneità, per poco non la fece scoppiare in lacrime. Perché era chiaro come il sole che non era soltanto a lei che il figlio minore di Hayley Labonair stava chiedendo un’assoluzione.
- T-tu… tu non faresti mai del male ad una mosca… io lo so, lo so…- bisbigliò la bionda, allungando l’arto libero per lasciargli una carezza sulla chioma castana e scarmigliata. Se solo avesse potuto appropriarsi di una parte della sua sofferenza, per ridurla, alleviarla e condividerla, così come aveva condiviso assieme a lui l’orrore della visione insanguinata, lei non si sarebbe mai tirata indietro. Nick inspirò a fatica ma rimase chino in avanti, probabilmente per non farsi vedere in faccia mentre serrava le palpebre, distrutto. Alla Lockwood parve quasi di essere ancora in contatto con la sua mente per mezzo di un qualche sortilegio, perché era assolutamente certa di sapere ciò che gli stava passando nei pensieri in quell’istante: - Chi era quella ragazza con i riccioli scuri?- gli chiese in un sussurro stentato, con un’audacia di cui non si riteneva capace.
Nick non osò guardarla e se ne restò muto, rannicchiato sul posto, come un bimbo senza madre, senza speranza, abbandonato a se stesso nel buio.
- Ho visto anch’io le immagini che la transizione ha riportato in superficie.- proseguì Mattie, cauta, discreta. - Forse non avrei dovuto ficcanasare, ma non ho potuto evitarlo. So che si tratta di un tuo ricordo, del peggiore della tua esistenza… beh, a quanto pare ti sta dando la caccia. E ti porterà alla pazzia prima che tu te ne accorga, se non troviamo il modo di fermarlo subito.- lui non fiatò e seppellì ancora più a fondo la faccia contro le proprie ginocchia. La Lockwood si domandò che aspetto dovesse aver avuto da piccolo, quando la tragedia aveva cominciato a segnarlo e ad insinuarsi con una scia infinita di cicatrici sotto la sua pelle, imprimendo la violenza nel tracciato del suo destino. - Dimmi chi era, dimmi che cosa le è successo. Forza, apri quella bocca e parla. Sfogarti potrebbe sottrarre un po’ di territorio al contagio, perciò... dobbiamo almeno tentare.- gli scosse piano una spalla, invitandolo a piegare da un lato il viso ancora seminascosto, fino a solleticarle le nocche con un ciuffo di capelli. - Stammi bene a sentire: chiunque fosse questa lei, qualunque cosa sia accaduta nel tuo passato oscuro e tenebroso, qualsiasi incidente sia capitato… non cambierà mai ciò che tu sei per me. Mai. Tu sei…- lo sentì fremere, come se avesse appena trattenuto un singhiozzo, o forse era stata proprio lei a non respirare per un istante di troppo: -… sei la persona migliore che io conosca. E non m’importa di nient’altro, capito?!- quando lui le rivolse finalmente un’occhiata furtiva ed incredula, Matt si ritrovò a sorridergli incoraggiante, una linea luminosa che le scavava due fossette nelle gote rotonde. Annuì: - E’ così. Perciò sputa il rospo e piantala, per una buona volta, di fare il lupo solitario.-
 
Image and video hosting by TinyPic
 
Le labbra sottili di Nick si arricciarono in una strana smorfia di malinconia quando lei ebbe pronunciato quelle ultime due parole con un’inconsapevolezza tale da farlo sentire ancora più meschino, più inadeguato.
- Ricordi quando ti ho detto che non saresti mai diventata una di noi?- le bisbigliò, con un pizzico di rammarico nella voce arrochita dallo sforzo di mettere insieme le parole più giuste. - Che non avresti mai e poi mai attivato il gene da Licantropo che hai ereditato da tuo padre e che ti rende schiava della fame e della febbre alta durante ogni plenilunio, incombendo da qualche parte nel tuo animo, dormiente, in attesa di essere risvegliato?- Mattie fece un ipnotizzato cenno d’assenso e lui inspirò a fondo, ogni parola un macigno: - Ti ho fatta infuriare parecchio, ma non era una mera proibizione, la mia. Era piuttosto una speranza.- alla luce fioca della luna sorgente, i suoi tratti sembravano scavati nella perla; Mattie non si era mai sentita così attratta e, allo stesso tempo, così terrorizzata dagli eventuali esiti di un ‘’discorso serio’’, perlomeno da quando Caroline non l’aveva fatta sedere sul divano del salotto di villa Lockwood, annunciandole solennemente di aver compilato di proprio pugno l’iscrizione della figlia al famigerato gruppo di cheerleaders del liceo, mandandola in crisi esistenziale per il resto dell’adolescenza: - Per trasformarti in un Lupo Mannaro completo, dovresti agire come una creatura non umana, compiendo cioè l’atto più nefando che possa esistere al mondo. Dovresti…- un muscolo si contrasse nella mascella del giovane, evidenziando per un istante la sua forte e allo stesso tempo vaga somiglianza con il fratellastro. -… tu dovresti prendere una vita.-
La biondina avvertì la tremenda parola, ‘’uccidere’’, riecheggiare tutt’intorno e diffondersi come un gas velenoso ispirato a forza, poi fece per alzare una mano verso la sua stessa bocca spalancata, per coprire la propria espressione sgomenta. Per un momento, si sentì una perfetta idiota: aveva desiderato così tanto due paia di zampe pelose e due adorabili orecchie a punta, capaci di udire qualunque vibrazione da una distanza sorprendente, senza sapere, senza immaginare quale potesse essere il prezzo atroce di quella magia. La benda umida d’aceto che teneva appoggiata sulle cosce scivolò inavvertitamente per terra e lei, tutta impacciata, si chinò subito a raccoglierla e a risciacquarla.
Quando si rimise composta, si ritrovò a fissare il carbone nero delle iridi di Nick, ancora ardenti, seppur fiaccate da tutto il dolore che quella confessione doveva avergli appena smosso nel profondo.
- E’ ciò che hai fatto anche tu, non è così?- soffiò Mattie, decisa. Non era più curiosa o spaventata; non aveva più paura di sentire una risposta affermativa, né desiderava che quel silenzio incerto si prolungasse all’infinito per tenere nascosa in eterno la verità, di qualunque natura essa fosse: voleva soltanto capire, per poi ripartire da quel punto, senza recriminazioni o futili piagnistei. Avrebbe lottato più strenuamente di prima per aiutare l’amico, per difenderlo, fungendo da scudo contro ogni nemico. La sua missione non era cambiata, la sua fedeltà non aveva vacillato d’un millimetro. Nick glielo lesse chiaramente nello sguardo d’oceano, che non l’avrebbe abbandonato, un istante prima di annuire in risposta, con un unico, lapidario cenno positivo. Lei, a quel punto, inspirò fino a sentire i polmoni indolenziti, poi si limitò a tamponare la fronte lucida di sudore del figlio di Elijah con la stoffa morbida del bagnolo, senza smettere di guardarlo dritto negli occhi: -... com’è successo?-
- In tutta onestà, io… non l’ho mai saputo.- quella risposta inaspettata spiazzò così tanto la ragazza che la garza sospesa tra le sue dita rischiò di sfuggirle nuovamente dalla presa; Nick incassò quello shock più che legittimo apparentemente senza batter ciglio, conscio di quanto potessero essere suonate assurde le sue parole: - Non ho idea di chi sia quella poveretta perché non ho mai vissuto quel ricordo prima di qualche minuto fa. Non ha senso, lo so, eppure è proprio così… tu devi credermi. E’ come se ogni cosa fosse riemersa dopo essere stata rimossa dalla mia mente da una magia potentissima, da uno strano incanto che ha cancellato temporaneamente alcuni specifici frammenti della mia memoria, come se non si fossero mai verificati. A quanto ne so, succede lo stesso anche durante la trasformazione in vampiro: tutte le compulsioni subite si annullano ed i nostri ricordi ci vengono restituiti per intero nel corso del processo di cambiamento. Certo, la scena mi era in qualche modo familiare, ma non potrei rievocare niente di diverso da quello che hai appena visto anche tu. Non per il momento, almeno.- la voce gli si spense come una fiammella inghiottita da un brusco alito di vento. - Ho scoperto da solo quale fosse la causa scatenante della Licantropia. Rebekah non ha mai voluto approfondire troppo l’argomento e, quando ho cominciato le metamorfosi nelle notti di luna piena, Prince era già scappato via, chissà dove. Ero completamente fuori controllo. All’inizio non volevo credere a ciò che avevo appreso; per quanto mi sforzassi, non riuscivo proprio a rassegnarmi all’idea di aver ammazzato qualcuno. Era impossibile che l’avessi fatto senza rendermene conto e, soprattutto, senza riuscire a ricordare nulla. I conti non tornavano, ed io mi tormentavo senza sosta, alla disperata ricerca di una spiegazione, di una scusa. Così ho cominciato a pensare che, forse, quella faccenda del Lupo Mannaro era accaduta semplicemente perché doveva… e basta. Forse ero il figlio di un’Alfa, l’erede, dunque per me non era necessario avere la coscienza compromessa dal sangue per sviluppare determinate abilità… questa teoria ha reso giusto un po’ più sopportabili le mie disgrazie, ed io mi ci sono aggrappato con tutte le forze, fino a convincermi che fosse l’unica verità possibile. Fino ad oggi, ero convinto di non avere nulla di cui rimproverarmi.- si prese la testa tra le mani tremanti, scuotendola lievemente. Nel suo tono ardeva qualche sparuta scintilla d’un sorriso amaro come fiele, quando finalmente riprese: - Sono stato un illuso ed un vigliacco. Mi sono lasciato cullare da una comoda bugia per non diventare matto, ma è evidente che non c’è stata nessuna eccezione, per me. E’ così… è proprio come temevo.- la consapevolezza gli azzannò l’anima mentre un nuovo attacco di convulsioni rischiava di fargli perdere l’equilibrio sul posto, riempiendogli la bocca di un sapore acre, metallico, nauseabondo. Mattie fissò con terrore un alone d’inchiostro annerire le labbra contratte del suo migliore amico, e qualche vena farsi più sporgente e bluastra sotto il fragile rivestimento della sua pelle tiratissima. - Sono… sono davvero un… io sono un… assassino…-
- Non puoi sapere com’è andata, non puoi.- lo interruppe immediatamente Mattie, con la gola in fiamme, come se avesse appena smesso di respirare fumo, zolfo e caligine. – Forse questo è soltanto ciò che Sophie vuole farti credere per far sì che tu prenda parte al suo esercito il più in fretta possibile… chissà, persino prima del mio sacrosanto spuntino di mezzanotte. E’ fuori come uno stendino del bucato, quella là, te lo dico io. Magari il siero tossico dell’Ombra sta manipolando i tuoi ricordi, approfittando dei pezzi mancanti, per indebolirti, per farti sentire il mostro che non sei...- nessuno dei due parve convinto di quella versione, ma le pupille cupe di Nick si rischiararono appena, commosse da quel tentativo così goffo di rassicurarlo. - Dobbiamo scoprire cos’è accaduto sul serio quella volta, così potrai accettarlo senza che nessuno schifosissimo maleficio ci ricami sopra con lo scopo di farti crollare.- il cuore le turbinò rapido nello sterno, pronto all’azione, poi lei socchiuse risolutamente le palpebre: - E si dà pure il caso che io abbia una vaga, ma proprio vaghissima!, idea di chi possa essere stato a mettere lo zampino dietro questa tua fantomatica compulsione.-
- Mio fratello.- il sospiro sfinito del figlio di Elijah venne fuori così flebile che la Lockwood si ritrovò a pensare di esserselo soltanto immaginato, quasi come un’eco evanescente del medesimo sospetto che le attanagliava l’intuito già da qualche minuto. - Sfruttando il suo potere da vampiro Originale, si sarà preso la verità, è scontato... ma non riesco proprio ad immaginare per quale ragione possa avermi fatto questo.-
‘’Ho cercato di cancellare dalla mente di Kayla Stone ciò che sapevo l’avrebbe tormentata fino all’ultimo dei suoi giorni, ma non è stato comunque abbastanza.’’
‘’E’ stato più per spirito d’immedesimazione che per compassione, ma ho cercato comunque di salvarla dagli orrori della sua stessa memoria.’’
- Lo scoprirò io, per te. Adesso cerca… ecco, cerca solo di riposare.- a quel punto Nick annuì debolmente, sentendo il velo dello stremo calargli sulle ciglia, poi si lasciò scivolare all’indietro, con la schiena sul materasso e la testa dolente che trovava finalmente il suo appoggio nell’incavo più soffice del guanciale; Mattie non poté fare altro che rimboccargli silenziosamente addosso un lembo del lenzuolo bianco, notando suo malgrado quanto il colorito del ragazzo fosse divenuto al confronto, più che candido, ormai praticamente trasparente. - Andrà tutto bene, coraggio. Ci sono io, qui, accanto a te. Non lascerò che ti facciano altro male… ci penserò io, ad investigare… sono sempre stata imbattibile nelle maratone de ‘’La Signora in Giallo’’, lo sapevi?! Si tratterà soltanto di percorrere il crimine al contrario: dato il colpevole, troverò… beh, tutto il resto.-
Gli diede un buffetto, poi, con immane sforzo di volontà, distolse lo sguardo annebbiato da lui, alla ricerca di una distrazione qualunque, di un po’ di coraggio, e percorse senza troppa attenzione le buffe pareti della Capanna: era chiaro che Prince avesse la passione per l’arte, vista e considerata la quantità abnorme, quasi imbarazzante, di meravigliose tele appese dappertutto, sui muri.
Ispezionandole una alla volta, la biondina pensò che, a meno che non avesse svaligiato un museo internazionale o non avesse soggiogato qualche novello Leonardo a dipingere per lui notte e giorno, l’unico artista possibile celato dietro tutti quei capolavori dovesse essere proprio il figlio di Klaus, ed avvertì una punta d’invidia nei confronti di quello che era un talento a dir poco indiscutibile: qua e là erano sparsi degli schizzi di notturni da sogno, spennellati equamente di stelle e di ombre, alternati a vari bozzetti assolati pieni di spighe tremolanti, così realistiche ed aguzze da perforare l’iride stessa dell’osservatore, quasi fossero spine di rose appassite nel vento, o diamanti grezzi ancora tutti da levigare. Tra gli affreschi di tutti quei posti incantevoli, intrappolati per l’eternità in delle cornici di legno intagliato con cura, spiccava l’unico dipinto che non aveva nulla a che fare con la natura paesaggistica; si trattava di un ritratto umano, un’armonia perfetta di sfumature tracciate su un foglio di carta roseo e consunto, con l’ausilio di un carboncino.
Era l’ovale di un viso femminile, giovanissimo e dolce, e, Mattie lo intuì all’istante, anche stranamente, assurdamente familiare: lunghissimi capelli nero pece che incorniciavano una delicata fronte a forma di cuore; due grandi, languidi occhi dorati dalle ciglia folte e ricurve verso l’alto; labbra piene atteggiate ad un mezzo sorriso misterioso, attraverso il quale si scorgevano dei dentini piccoli e bianchi, forse con una leggera, impercettibile imprecisione scavata tra gli incisivi.
La Lockwood si drizzò immediatamente, turbata, gettando le gambe oltre il materasso e facendo attenzione a non disturbare il sonno già agitato di Nick, poi si avvicinò piano al quadro, con la fronte aggrottata dalla concentrazione: dove diavolo aveva già visto quella faccia adolescenziale, che non dimostrava più di sedici anni?
E perché Prince l’aveva immortalata, assegnandole un posto d’onore tra le altre opere che parlavano solo di ambienti e di miraggi perduti?
La risposta giunse spontaneamente quando lo sguardo trafelato della figlia di Caroline si soffermò sul collo da cigno della fanciulla sconosciuta, decorato dal filo scuro e sottile di una collana: la catena terminava in un ciondolo a forma di ‘M’, lo stesso che era apparso nella visione del minore dei Mikaelson, adagiato sul petto esangue della prima vittima di quest’ultimo.
- Monique.- lesse Mattie senza fiato, issandosi a fatica sulle punte dei piedi per scorgere l’invisibile dedica tracciata sul lato destro del quadro, poco sopra la firma svolazzante del principe. La bocca le si era asciugata così tanto che pronunciò il resto dell’intitolazione con la sensazione di avere la lingua impastata di sabbia: - Monique… Monique Deveraux.- *
 
***
 
Prince se ne stava chino in avanti con le dita saldamente intrecciate sotto il mento, senza dire una parola. Era seduto sul divano di pelle fredda del suo salotto, la schiena ricurva come impegnata a sostenere il fardello di millenni di sofferenze, ed era talmente immobile che Sheila avrebbe potuto facilmente scambiarlo per una statua, se solo non avesse notato quanto intensa fosse la danza delle fiamme del caminetto riflessa nelle sue iridi di smeraldo torbido. A contatto con il palmo serrato di una delle mani del ragazzo, stretto con tale spasmo da incidere nella carne una ferita superficiale ma non per questo meno pungente, era nascosto un piccolo pendente aguzzo ed alfabetico, lo stesso che lui esibiva costantemente al collo ormai da anni, quasi come un monito… come un ricordo:
 
___ Flashback ___
 
- Perché ti ostini a resistermi?!- quando aveva riaperto gli occhi impiastrati di lacrime, sale e sudore, il piccolo, inesperto Prince aveva visto un altro sguardo balenare nel proprio, ed aveva capito che Sophie doveva averlo riportato al presente dopo uno svenimento, con l’ausilio della stessa magia con cui, fino ad un istante prima, l’aveva torturato fino a fargli perdere i sensi. Seccata, la strega lo aveva afferrato con violenza per i capelli, in modo da tenere il suo viso ancora infantile sollevato all’altezza del proprio ghigno perverso, poi gli aveva alitato in faccia tutta la propria insoddisfazione, mentre il simbolo dannato sul petto di lui diventava un tizzone incandescente, sempre più insopportabile. Non era stata una giornata felice o promettente per l’addestramento, quella: il figlio di Klaus aveva appena avuto il primo assaggio di certe creature mostruose chiamate ‘’Ombre’’, contro le quali era stato mandato a combattere senza protezione, come un gladiatore disarmato catapultato in un’arena colma di belve feroci, pronto per la carneficina o per il pubblico ludibrio. Le risate beffarde di Shane, in effetti, miste ai loro ringhi disumani, gli graffiavano ancora i timpani, anche ora che quegli esseri abominevoli erano stati rinchiusi nelle loro celle di sicurezza, dove sarebbero rimasti in attesa, in agguato, almeno fino all’allenamento successivo: - Non capisci?!- lo aveva scosso la sua aguzzina, irritata dalla sua disattenzione. - Tu ed il mio piano siete una sola cosa dal giorno stesso in cui sei nato. Mi servirai per l'eternità, che ti piaccia oppure no, perché non c’è altro scopo alla tua esistenza, se non la distruzione. Sei la mia macchina di morte personale, l’unica di cui posso servirmi per annientare il Piccolo Corvo… devi soltanto unirti a me, lasciare che io t’insegni. Devi… donarti… a me. Insieme, domineremo il mondo, in questo Lato e nell’Altro. Cosa rispondi?-
Prince, radunando con una mirabile nonchalance tutte le forze che aveva in corpo, le aveva scoccato un ampio sorriso insanguinato, fulgido ed assolutamente inquietante su quei tratti così raffinati da cherubino… poi le aveva cordialmente sputato addosso.
 
Ciò che era accaduto subito dopo quel suo gesto tanto sconsiderato era riassumibile con un’ondata travolgente e caotica di un dolore sfrenato quanto crudele, conclusasi col suono cigolante di una porta sbattuta e con quello ferroso ed unto di una serratura scattata per rinchiudere in gabbia e in totale isolamento tutta la sua aspra ribellione, fino all’arrivo di Rebekah, che sarebbe rimasta all’oscuro di tutto… come ogni maledettissima volta.
 
E così Prince era rimasto intrappolato a lungo in quella specie di tugurio cencioso in cui le SS lo avevano segregato per punirlo, con le mani legate, la schiena appoggiata alla parete gelida e la maglia sudicia strappata su uno Stigma che continuava a pulsare, mentre una trapunta d’oscurità fittissima lo avvolgeva implacabile, inconsistente, eppure terribilmente asfissiante.   
Con una lentezza esasperata, le grida stridule, bavose ed assordanti delle Ombre bloccate nelle prigioni adiacenti alla sua erano sfumate in un silenzio dapprima singhiozzante, poi, di colpo, tombale. Il principe si era rannicchiato su se stesso come un gatto acciambellato, digrignando i denti per evitare che battessero dal freddo, mentre il suo corpo minuto e spossato cercava di non bramare troppo l’unica cosa che, lo sapeva, avrebbe potuto dargli un po’ sollievo; Sophie, di recente, aveva incominciato a premiarlo, dopo le sue migliori prestazioni: qualche volta gli aveva somministrato una specie d’intruglio profumato di erbe ed aromi, capace di lenire gli effetti più devastanti del Marchio. Naturalmente, non aveva perso occasione di ricattare Prince a proposito di quel rimedio temporaneo dalla ricetta impossibile da intuire, minacciandolo di sospendere il trattamento ogni qualvolta lui avesse osato sfidarla.
Il ragazzino aveva scosso il capo nel buio, terrorizzato ma senza un briciolo di rimorso; di certo, dopo essere insorto in quel modo così impertinente al cospetto della megera, sarebbe stato schiavo delle atrocità più cupe per tutto il resto della serata, ma le avrebbe sopportate tutte a testa alta, colpevole, ma per nulla pentito.
Come previsto, senza farsi attendere troppo, dietro le sue palpebre serrate avevano iniziato a comparire con orribile nitidezza i volti dei suoi genitori, il loro disprezzo, la loro delusione e la vacuità senza vita dei loro occhi un tempo tanto amati, poi Prince si era sentito divorare timore cocente di perdere se stesso una volta per tutte... fino a quando, inaspettatamente, era accaduto.
Il portoncino sprangato della cella si era dischiuso pian piano, lasciando che una goccia di luce biancastra si spandesse a macchia d’olio tra la polvere alta sul pavimento, e qualcuno si era fatto strada all’interno, prima di richiudersi furtivamente l’uscio alle spalle.
Lui aveva subito notato che non c’era stato alcuno schiocco ad accompagnare quell’ingresso misterioso, nessuna chiave rigirata più volte nella toppa.
Che strano.
Prince non aveva permesso alle illusioni di far breccia tra le sue ciglia temporaneamente abbagliate: chiunque fosse appena entrato in quel carcere desolato, non avrebbe di certo potuto o voluto salvarlo. Eppure c’era un qualcosa di diverso, lì intorno: ad avere un passo così fragile e felpato non erano né quella viscida di Sophie né quel gradasso patentato del Professore. Si udiva piuttosto di un’andatura lieve come una brezza, come se si trattasse di piccoli piedi nudi a contatto con le piastrelle.
Dopo aver percepito la presenza della sconosciuta creatura un po’ troppo vicina a sé, cieco nella tenebra di nuovo assoluta, lui aveva avvertito il Marchio ardere come un attizzatoio, bevendo a grandi sorsate la sua prostrazione per ingigantirsi e rafforzarsi.
Quale orrore avrebbe dovuto affrontare in duello, adesso?
Che cosa volevano fargli, ancora?
- Sta’ fermo… così è peggio.- lo aveva rimproverato inaspettatamente una vocina giovane, intercettando i suoi bruschi e goffi movimenti mentre lui cercava di sfuggirle, di divincolarsi; era un tono femminile e assai sommesso, quasi confortante, come quando il riverbero della spuma di mare si ode da molto lontano. - Ci metterò un attimo.-
Quando lui aveva avvertito il gelo metallico di una lama vibrare a contatto con i propri polsi, era stato sul punto di mettersi a urlare, ma un taglio deciso aveva tranciato di netto le corde strette dolorosamente attorno ad essi, giusto in tempo, prima della sua esplosione.
Prince era rimasto sbigottito: non soltanto la misteriosa estranea l’aveva lasciato illeso, ma l’aveva appena liberato.
- Ecco fatto… va meglio?- c’era un profumo leggero di spezie e fiori, di biancospino e menta, lì vicino, e lui aveva annusato avidamente l’aria circostante, sentendosi quasi rinato grazie a quella fragranza. Con un tintinnio di ciotole di ceramica, la nuova arrivata gli aveva versato dell’acqua fresca sui graffi che le funi gli avevano procurato, poi gli aveva spalmato una strana pomata benefica sulle ferite, disinfettandole. Come per magia, le escoriazioni si erano riassorbite completamente, lasciandogli la pelle intonsa e rinvigorita. Imbambolato, lui aveva battuto in fretta le palpebre, nel tentativo di scorgere qualche particolare fisico della sua ignota benefattrice, ma aveva potuto notare solo il bagliore lucido delle sue gigantesche iridi dorate, così simili a quelle di una gatta che Prince si sorprese non poco nel vederle solcate da una normalissima pupilla tonda e non verticale e felina, come invece si sarebbe aspettato. Quando la creatura aveva intercettato quell’occhiata, un calore indescrivibile si era diffuso attorno al collo e alle gote di lui, come fossero state investite da un’improvvisa ventata bollente. - Ti starai chiedendo chi sono.- aveva bisbigliato la voce, come trattenendo un breve sorriso consapevole: - Posso fartelo vedere, ma devi promettermi che mi lascerai spiegare e che non penserai subito male di me. Non sono un pericolo per te, te l’assicuro. Nel nome di Luinil.-
Lui non aveva fiatato; non aveva proprio nessuna voglia di fare né tantomeno di ascoltare giuramenti, specie dopo aver distrutto gli ultimi brandelli di fiducia che Elijah aveva riposto in lui nella botola, e non si sarebbe di certo fidato di una sconosciuta senza faccia né nome solamente perché gliel’aveva chiesto con quel tono di zucchero. Senza indovinare la sua diffidenza, però, lei aveva smesso di cospargere i suoi polsi con gli unguenti odorosi di poco prima ed aveva sollevato le proprie dita sottilissime, delicate, muovendole con destrezza a mezz’aria, come se stesse suonando un bizzarro, ipnotico strumento invisibile, proprio sotto il naso del figlio di Klaus.
- Allora… sei pronto?-
Dal nulla più completo era scoppiata una tenue scintilla, un guizzo simile a quello provocato dall’accensione di un fiammifero, poi una vivace fiammella si era accesa nel palmo aperto dell’estranea, senza scottarle la pelle, ma bruciando sinuosamente tra il suo volto esitante e quello di colpo impenetrabile di Prince, fino a rischiararli entrambi:
- Io sono…-
- … una STREGA!- tremando incontrollabilmente, lui aveva emesso un sibilo furibondo che l’aveva spaventata e colta alla sprovvista, concedendogli un vantaggio di pochi secondi appena, sufficienti all’azione; il principe aveva individuato abbastanza in fretta ciò che cercava, sfruttando sia il lampo del fuocherello magico appena invocato che i frutti del duro corso di sopravvivenza sperimentato con la Deveraux: aveva afferrato il curvo pugnale dal manico d’osso che giaceva per terra lì accanto e, guidato dalla disperazione, dalla paura e dal ricordo ancora troppo fresco e straziante di ciò che aveva visto accadere ai suoi genitori proprio a causa di un incantesimo, si era avventato di peso sull’intrusa, sulla strega, brandendo contro di lei lo stesso coltello che era stato usato poco prima per slegarlo.
Rotolando, lottando, atterrandola ed ansimando per lo sforzo di racimolare tutte le energie necessarie a prevalere, Prince aveva sollevato iroso l’arma sopra la propria testa, tremante, mentre la ciotola con la pomata fatata andava in mille pezzi ed un groviglio di lunghissimi riccioli neri si apriva come un sipario davanti a lui.
Aveva appena caricato l’affondo, quando la fiamma ancora sospesa nell’atmosfera aveva illuminato a tradimento un volto a forma di fragola a pochissima distanza dal suo… quello di una fanciulla.
 
Image and video hosting by TinyPic
 
Poteva avere all’incirca la sua età o poco più, e la sua pelle sarebbe stata ambrata anche sotto il latteo riflesso lunare. Aveva gli occhi color miele circondati da lunghe ciglia ricurve e spalancati in una smorfia di vago spavento, e somigliava così tanto a Sophie Deveraux da far intuire senza difficoltà l’esistenza di un’intima parentela tra loro.
Tuttavia, cercare di mettere a paragone i loro volti era semplicemente folle, blasfemo, quasi come il voler accostare l’immagine di un rovo a quella di un fiore in boccio.
- Chi sei, tu? Sei per caso sua figlia? La figlia di Sophie? Che cosa vuoi?- le aveva ringhiato Prince, premendole la lama sulla gola e seguendo una gestualità feroce che non si riconosceva affatto ma che avrebbe dovuto imparare ad affinare, se non voleva restarci secco. Il petto della giovane aveva continuato a sollevarsi e ad abbassarsi affannosamente, coperto da una veste sottile come una camicia da notte, e quel movimento frenetico le aveva lasciato scivolare da un lato il ciondolo che portava al collo: era una ‘M’ di ossidiana che, vista da una diversa angolazione, pareva richiamare molto da vicino la stessa sagoma lineare dello Stigma che il principe, già da diverso tempo, portava impresso a fuoco sul cuore. - Parla!- aveva insistito lui, impaziente, mentre minuscole gocce di sangue scuro spuntavano oltre il profilo più tagliente del pugnale. Il semplice vederle zampillare gli aveva scatenato dentro un cruento moto di nausea che sperava lei non avesse notato: - Altrimenti ti… io ti…-
Davanti a quella sua palese esitazione, sembrava che l’espressione nervosa di lei si fosse addolcita parecchio: al cospetto di quel fare tanto minaccioso quanto inconcludente, la sconosciuta pareva assolutamente convinta che lui non le avrebbe fatto alcun male. Prince, schiumante d’indignazione davanti a tutta quella calma, si era sentito davvero in colpa nel beccarsi a considerare in qualche modo graziosi i tratti della ragazzina, così malsanamente simili a quelli del demonio che aveva brutalmente assassinato la sua famiglia:
- Voglio soltanto aiutarti, Prince Henrik Mikaelson.- aveva sussurrato lei, socchiudendo le palpebre fino a gettare finissime ombre scure sui propri zigomi d’avorio. Il suo indice timido aveva spostato un brandello di stoffa sfilacciata dallo sterno teso di lui, poi, con estrema cautela, aveva tracciato il contorno seghettato del simbolo dello Stigma Diaboli in tutta la sua lunghezza. - Se mi lasci andare, ti spiegherò come ho intenzione di liberarti dal peso di questo Marchio e perché... per ora sappi soltanto che non esiste sortilegio al mondo che non possa essere infranto.- mentre la guardava attonito, rapito e confuso, oltre che palesemente tentato dalla speranza trasudata da quelle parole, il principe non aveva trovato il coraggio di sottrarsi alla lievissima carezza con cui lei lo stava ancora sfiorando: - La tua battaglia contro ciò che di terribile mia zia sta scatenando in questo mondo è anche la mia… e quella della mia gente. Non tutte le streghe del Quartiere Francese sono come Sophie… ‘’presso di noi, chi soffre a causa dell’Espressione potrà sempre trovare conforto.’’- sotto lo sguardo glaciale ma insistente di Prince, l’ambra perlacea delle gote della ragazzina si era fatta purpurea e lei aveva tormentato il suo amuleto tra le dita per smorzare la soggezione: - Oh, a proposito, non mi sono neanche presentata… il mio nome è Monique.-
______  _____
 
- A che cosa accidenti ci può servire la mappa di… cosa?! Del Quartiere Francese di New Orleans?!- sbottò piccata la figlia di Bonnie dalla cucina della Capanna, rivolta a William, il quale stava srotolando su un tavolo, di buona lena, con una vena di concentrazione scavata al centro esatto della fronte, un rotolo di pergamena che ritraeva fedelmente la pianta cittadina di N.O., come se fosse la cosa più logica e necessaria del mondo. - Heilà? Non stavamo cercando un antidoto introvabile per impedire la transizione di Nick?! CHE STA SUCCEDENDO?! PERCHE’ QUESTO CAMBIO DI PROGRAMMA PROPRIO ADES…?-
- Falla smettere di blaterare, Doge.- ordinò Prince dal nulla, bruscamente, continuando a fissare il camino senza degnarsi di voltare le spalle verso gli altri due. - O sarò costretto a pensarci io stesso, e sai già che non sarà divertente.- Sheila udì la minaccia micidiale contenuta nel tono apparentemente pacato del principe serpeggiarle fin nelle ossa, ma fu solo quando la mano tiepida di Will si fu posata sul suo polso che si impedì di rispondere con rabbia a quella gratuita provocazione.
- Non oserà toccarti.- le bisbigliò il cameriere del Grill, per rassicurarla, facendole segno di aiutarlo a lisciare il lenzuolo di carta che era quella mappa, giusto per distrarla un po’. - Il piano che abbiamo intenzione di attuare praticamente da quando ci siamo conosciuti e che è forse l’unico sistema possibile per salvare suo fratello non può essere realizzato se non con l’aiuto di una strega completa, ed io sono totalmente fuori uso, così lontano da casa mia e dalle tombe dei miei avi.- con gran sorpresa della Bennett, gli occhi scuri di William lampeggiarono emozionati, come tunnel investiti da un faro intermittente. - Per il momento, tu sei l’unica che può aiutarci con l’Incanto di Localizzazione che ci occorre.-
- Ma di che parli?! Che significa ‘’per il momento’’? E che cosa stiamo cercando?!- ansimò Sheila, sbattendo freneticamente le palpebre gonfie, senza capire. Il ragazzo moro rivolse un’occhiata furtiva dalle parti di Prince, cioè fissò a lungo la sua schiena ostinatamente ingobbita, come alla ricerca di un permesso; Eve, che intanto se ne stava accucciata sul tappeto, accanto al maggiore dei suoi protetti, come un gigantesco cane da guardia pronto a staccare a morsi la testa di chiunque avesse osato arrecare altra pena al principe, allungò il muso verso quest’ultimo ed urtò col naso umido il suo pugno ancora ermeticamente chiuso sul ciondolo di Monique; scosso da quella carezza d’avvertimento, il figlio di Klaus trasalì, come rinsavito, e lasciò andare d’impeto la ‘M’, giusto in tempo per rendersi conto che, rapito dai suoi ricordi funesti, aveva finito col trafiggersi la carne in profondità, fino a farla sanguinare.
- Troveremo il sepolcro di Luinil.- rispose lui dopo essersi ricomposto, con voce apra, osservando senza troppo interesse le mezzelune slabbrate delle sue ferite richiudersi sul palmo, lasciandolo di nuovo intatto. - Ecco cosa.- senza più esitare, si rizzò in piedi come in un flessuoso passo di danza, poi si mosse spavaldo verso Willy, estraendo dalla tasca due frammenti di pergamena dall’aria decrepita e rinsecchita e porgendoglieli come se fossero un tesoro inestimabile. Sheila non ebbe difficoltà a riconoscerli: erano i due pezzi della Profezia che lei e Demetra avevano trovato in Biblioteca, la notte in cui Nick aveva quasi rischiato di farle ammazzare da tre manigoldi. Sfiorato da quel pensiero, le parve quasi che il cuore le si stesse accartocciando nel petto: quanto aveva odiato quel bel ragazzo misterioso, per averle deliberatamente messe in pericolo, mentre ora avrebbe dato qualunque cosa pur di vederlo salvo dal suo atroce destino! - La formula che deve pronunciare è incisa qui.- quando Doge ebbe afferrato la Profezia che gli stava porgendo, Prince si sfilò la catenina dal collo: sulla spessa ossidiana del ciondolo erano incisi dei simboli bizzarri, come delle lettere svolazzanti, che formavano una specie di codice.
‘’Où tu fuis? A pouvoir la trouver. Yonn souri nan zeb.’’
La Bennett notò che Prince sembrava parecchio restio a lasciare andare il pendente e che si sforzava anima e corpo di tenere gli occhi roventi inchiodati su William, rivolgendo a lei la stessa attenzione che avrebbe potuto dedicare ad una pianta grassa posata sul piano cottura:
- Spiegale solo ciò che è necessario sapere per visualizzare il posto il prima possibile. Non abbiamo tempo da perdere, perciò fa’ che si sbrighi.- dopo avergli intimato queste parole, implacabile nella sua aria austera ed inquietante e terribilmente bellissima, il biondo si voltò e scomparve dalla loro vista in un batter di ciglia, mentre la porta dell’ingresso da lui stesso spalancata per dileguarsi in giardino si richiudeva alle sue spalle con un secco boato, lasciando entrambe le streghe da sole, con un’Eve affranta in mezzo a loro. Sheila si sforzò di non apparire troppo confusa o allucinata e tenne sospesa tra le dita la collana che William le aveva appena consegnato, la quale continuava a dondolare placidamente, tracciando dei minuscoli semicerchi a mezz’aria:
- Sembrava che si stesse strappando il cuore a mani nude, mentre se la levava.- osservò la ragazza, quasi inudibile, tanto era rimasta impressionata.
- Gli è stata regalata da una persona… da una persona che adesso non c’è più.- chiarì il cameriere, cupo, posando la Profezia in una ciotola di ceramica e cospargendola poi di quella che sembrava sabbia nera, dal fortissimo odore di zolfo e di sale. - Questa ragazza si chiamava Monique ed era, proprio come me ed i miei genitori e come la stessa Sophie, prima di esserne scacciata, una strega del Quartiene Francese di New Orleans. Ma era anche molto, molto più di questo: in quella città, nel tracciato mistico del suo territorio, da troppo tempo perché possa essere quantificato, esiste un antichissimo Consiglio di Streghe votate alla magia bianca, all’esercizio del bene comune e al culto degli Antenati. Il primo tra tutti gli avi, capostipite simbolico del loro culto, è il mitico Re Salomone, dal quale la leggenda di Luinil e quella della Pietra della Resurrezione sono nate. Monique sarebbe stata, per dignità di nascita, la futura Custode di questo cerchio ristretto e sacro di fattucchiere, il cui scopo supremo è il mantenimento dell’equilibrio della Natura e la lotta contro ogni suo abuso o perversione, nonché il mantenimento di un segreto vecchio quanto Silas e Qetzsyiah stessi.-
- Intendi dire l’ubicazione del sepolcro della Stella Azzurra?- ipotizzò la Bennett, la bocca socchiusa, interdetta dallo stupore.
- E, soprattutto, di ciò che vi è nascosto all’interno.- confermò William, gravemente. - Per millenni, si è narrato che sarebbero giunti sulla terra due Prescelti, due garanti della stabilità eternamente presente tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Due controparti, identiche eppure opposte, una vittima sacrificale ed un suo nemico naturale, destinati a scontrarsi e a ribaltare l’ordine stesso dell’universo, consegnando ad una sola persona il suo dominio incontrastato. Presso le spoglie della donna veramente amata da Silas, in una bara irrintracciabile che è poi divenuta un tempio protetto da potentissimi sortilegi d’invisibilità, giacerebbe l’unica arma in grado di compiere correttamente il sacrificio rituale necessario ad attivare il Lapislazzuli Stellato: una spada. La Piuma Nera.- Will prese fiato, scrutando attentamente Sheila ed accorgendosi del suo colorito che andava impallidendosi col passare dei secondi, come il cielo notturno straziato dai primi raggi dell’alba. - Quando il bellissimo ed angelico spirito di Luinil apparve a Salomone per consegnargli la Pietra, si tramanda che egli, per trattenerla un attimo ancora accanto a sé, si aggrappò ad una delle sue ali, strappando via da esse un’unica piuma infuocata. Bagnata dalle lacrime del sovrano, quest’ultima si solidificò, fino a divenire tagliente come un pugnale di magnifica fattura. Quest’arma, proveniente dal cielo, si dice che sia in grado disintegrare anche il sortilegio oscuro più potente, restituendogli l’antica luce ed assorbendo dentro di sé ogni singola traccia di tenebra.- la figlia di Bonnie si rese improvvisamente conto di essersi pesantemente appoggiata ad un angolo del tavolo, come per reggersi in piedi.
- Perciò… volete trovare questa spada e sfruttarla per annientare il veleno d’Ombra che si vuole impossessare dell’anima di Nick?- chiese, incerta se sentirsi terrorizzata o sollevata da quella possibilità. - Oh mio dio, potrebbe sul serio… funzionare?!-
- Se c’è una sola medicina al mondo che possa ancora salvare quel ragazzo, è contenuta nella lama della Piuma Nera.- mormorò Will, abbassando la testa e scuotendola, fino a farsi dondolare il cappellino di lana grigio sulla sommità del capo. - Ma ad un prezzo a dir poco spaventoso. Anche una volta rintracciato, per essere aperto, il sepolcro avrebbe bisogno di una dose di sangue da parte di entrambi i Prescelti, versata direttamente sulla statua di una grossa Clessidra scolpita sul mausoleo. Da quel momento in poi, la Spada comincerebbe ad usare una parte dell’oscurità assorbita nei secoli, e sarebbe finalmente utilizzabile per gli scopi di Sophie, la quale ha marchiato sia Prince che Demi per renderli eguali, ed ora non aspetta altro che veder compiuto il suo progetto di morte, resurrezione e strapotere. Nell’istante stesso in cui offriranno il loro sangue in cambio della Piuma, entrambi i loro destini saranno segnati. Ed il loro tempo limitato.- Eve emise un ringhio sommesso di repulsione, poi d’impotenza. - La povera Monique conosceva la volontà del Consiglio a tal proposito e voleva che fosse rispettata, anche a costo di impedire alla sua stessa zia di realizzare il proprio folle piano. Per questo si alleò con Prince e gli spiegò quale fosse la ragione nascosta dietro l’ossessione di Sophie per i due pezzi perduti della Profezia di Salomone, i quali erano l’unico mezzo per giungere alla tomba sacra e, di conseguenza, all’arma del sacrificio. Gli fornì l’Incantesimo degli Anziani mediante quel ciondolo che ora tu reggi e gli fece promettere che sarebbe stato proprio lui, un giorno, a trovare la pergamena… per distruggerla.- Sheila guardò di sfuggita il vaticinio maledetto, come per assicurarsi che fosse ancora lì, poi tornò a rivolgere tutta la propria attenzione su uno sfinito cameriere del Grill: - Solo così facendo, infatti, avrebbe potuto strappare la vittoria a Sophie, una volta per tutte.-
- E ora lui ha cambiato idea?- la voce incerta e trepidante di Mattie emerse da un angolo semibuio vicino all’imboccatura del corridoio, facendo capire che aveva seguito il discorso standosene in disparte, senza dare nell’occhio agli altri tre. - Mancherà alla parola data e metterà in pericolo la sua stessa vita, nonché la possibilità di compiere la vendetta su cui ha lavorato per anni ed anni… ed anni?!-
‘’E’ suo fratello.’’ sussurrò la voce materna della Licantropa Labonair in un recesso della sua coscienza, come se questo bastasse a far svanire ogni dubbio. Nel minuscolo cortile alberato attorno alla Capanna risuonò di colpo un ruggito roboante, come di una moto appena accesa nella notte, poi Sheila sbirciò curiosa fuori dalla finestra, con la ‘M’ della piccola Deveraux che le sfiorava l’indice, assieme all’unico altro ciondolo ancora appeso al filo di cui il principe si era privato con tanta riluttanza: una conchiglia malandata, la stessa che il biondo aveva raccolto da bambino nei pressi del fiume accanto alla casa ancora intatta di Hayley ed Elijah, azzuffandosi capricciosamente con Nick per ottenerne il possesso e conservarla così. Come un simbolo di loro. ‘’E non importa quali siano stati i loro problemi in passato o quanto la vita li abbia potuti allontanare nel tempo: per un vero Mikaelson, la famiglia viene prima di tutto il resto.’’ Eve era talmente commossa che, per un lungo istante intinto di disperazione, orgoglio e tenerezza, desiderò poter evadere dalla prigionia della propria forma animale, anche solo per potersi lasciar andare ad un pianto liberatorio: ‘’Sempre e per sempre.’’
 
***
 
Elena rimase muta ed assorta ad ascoltare il suono delle braci morenti rimaste ad ardere tra la cenere nel camino del Pensionato, poi scostò una ciocca castana dal viso immobile di Stefan, ancora profondamente addormentato nel sonno livido della morte temporanea, il capo posato sulle sue ginocchia ed il resto del corpo ciondoloni sul divano.

Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic  
Jeremy e Bonnie erano tornati a casa Bennett già da un pezzo, anche loro spossati dopo le infinite disavventure della giornata, ed erano saliti nell’auto di lui tenendosi per mano e facendosi coraggio l’un l’altra, come una coppia di sposi. Elena accarezzò delicatamente la tempia del marito con le nocche, mentre l’anello nuziale incastonato sul suo anulare fremeva appena, ricordandole senza pietà tutte le volte in cui anche Stefan era stato la sua ancora di salvezza, la sua roccia incrollabile, la persona a cui aveva donato se stessa con un giuramento di amore eterno, e con l’aiuto della quale aveva disegnato l’ideale di una famiglia meravigliosa che adesso non era altro che un cumulo fumante di polvere e rottami e segreti... e dolore.  
- L’ho conciato proprio male, non è così?- la voce ironica di Damon vibrò nelle vicinanze, tenue come un frullo d’ali, ed attirò con un sussulto l’attenzione di Elena dalle parti della rampa di scale che il vampiro stava scendendo con passo apparentemente baldanzoso, di ritorno dal piano superiore. - Beh, non posso dire, in tutta onestà, che non se lo sia un po’ merit…- gli bastò incrociare lo sguardo torvo della Gilbert per sollevare pigramente le mani in un obbligatorio segno di resa, poi si esibì in una smorfietta colpevole, giungendo finalmente a calpestare il parquet del salotto. -… dunque.- tossicchiò, sforzandosi di non mostrarsi troppo scortese. - Per quanto tempo sarà ancora… ecco, insomma, hai capito… un non-morto… bello che morto?!-
- Bonnie dice che tra qualche minuto dovrebbe già riaversi.- rispose Elena, stringendosi melanconicamente nelle spalle ma apprezzando comunque il vago tentativo di Damon di mostrarsi interessato alla sorte del fratello a cui lui stesso aveva fatto saltare metà delle vertebre solo poche ore prima. - So bene che non è il massimo, ma vorrei che a tenerlo d’occhio fossi tu, almeno per un po’…- balbettò la vampira, sfilando cautamente le gambe che fungevano da appoggio al capo inerte di Stefan e sostituendole con un guanciale. -… nel frattempo io… ecco, vorrei… vorrei provare a…-
- E’ una pessima idea.- la interruppe Damon, prima ancora che finisse di parlare. Lei lo fissò mentre si arrestava deciso davanti a lei, come una barriera interposta tra la sua persona ed i gradini che l’avrebbero condotta al primo piano, le braccia incrociate sul petto e l’aria seria, grave. Non aveva una bella cera, neppure sotto la luce dorata delle lampade del Pensionato: le ossa finissime dei suoi zigomi sembravano volergli squarciare la pelle diafana ed ombre di tensione e tristezza gli scurivano le palpebre. - E’ a pezzi, ha bisogno di dormire, di una tregua, e, più di ogni altra cosa, di non farsi vedere nello stato in cui effettivamente è. E’ una tosta, ma non abbastanza da rivivere la scena nella foresta per la seconda nello stesso giorno.- il maggiore dei due Salvatore abbassò la fronte per un istante, prima di tornare a guardare la madre di Demetra, con un sospiro ragionevole: - Forzare le cose non funzionerà.-
Elena restò senza parole per un lungo momento d’indignazione, vergogna ed indesiderata consapevolezza, poi si premette una mano sulla faccia, inspirando profondamente contro di essa per calmare il tremore che l’aveva improvvisamente attraversata:
- Mi odia, vero?- esalò, rivolta a Damon come a nessun altro in particolare, soffocando a fatica sul calice del proprio palmo sudato quel dubbio tanto atroce ed insistente. Lui la fissò muto e turbato, una ruga di dispiacere tra le sopracciglia, mentre lei si imponeva di tenere sollevato il volto verso il soffitto, per impedire alle lacrime che già le allagavano gli occhi di rotolare giù, rivelatrici. - Demi, lei… l-lei mi odia…-
 
Image and video hosting by TinyPic
 
- Non ti odia affatto.- la contraddisse il vampiro, scuotendo la testa ed allungando le dita verso il gomito di lei, istintivamente, come se volesse posarle addosso qualche briciola di conforto; Elena non trasalì visibilmente a quel contatto ma avvertì tutti i tendini guizzarle dentro, come elettrizzati, in una reazione epidermica talmente forte da sfiorare la soglia della sofferenza fisica. La cioccolata fondente delle sue iridi si tuffò nell’oceano febbrile di quelle di Damon, e lui si ritrovò a confessarle a fior di labbra, quasi come se non potesse trattenersi oltre: - Non ti odia più di quanto non potrei mai farlo io.-
- Dovresti.- fece lei, con un filo di voce spezzata, il cuore che le martellava impietoso nella giugulare, come se avesse appena smesso di correre, o come se sapesse che, in realtà, non avrebbe mai smesso di farlo per davvero. - Dovresti odiarmi.- il singhiozzo incastrato nella sua gola si attutì in un fruscio di abiti quando, con un gesto esitante ma necessario al mantenimento del suo autocontrollò, lei si liberò dalla presa di Damon, rivolgendogli la schiena ed allontanandosi leggermente.
- Perché?- la provocò lui, seguendo ogni suo singolo movimento con un’occhiata rovente, infuocata dal bisogno di risposte quanto dalla delusione insopportabile di vederla andare via da sé per l’ennesima volta, senza essere nella posizione di poterla fermare. - Per non avermi dato retta quando ti dicevo che dire la verità a Demi il prima possibile sarebbe stata la cosa più giusta per lei?- il suo tono era duro, ma celava lo sfogo impronunciabile delle angherie, delle paure e delle angosce subite durante quella giornata maledetta, e in quegli ultimi mesi a Mystic Falls, e in tutti quegli anni trascorsi come un vagabondo per il pianeta, senza casa, senza famiglia, senza l’amore… senza sua figlia. - Perché dovrei odiarti, Elena? Per aver portato in grembo la mia bambina mentre non c’ero, e per averla cresciuta col tuo spirito ed il tuo coraggio, cosicché io potessi amarla?- la Gilbert non si girò, ma le sue spalle minute ebbero un fremito convulso, represso con estrema difficoltà, mentre Damon non desisteva: - Perché?! Perché porti al dito la fede di un altro uomo… di mio fratello? Perché lo hai scelto e perché lo ami, perché lui ama te, e perché Demi vi considererà sempre i suoi unici, veri genitori, nonostante tutto?-
- PERCHE’ SAREBBE TUTTO PIU’ FACILE!- urlò lei, finalmente pronta a fronteggiarlo, le unghie quasi affondate nelle gote, tanta era stata la disperata, cocente vemenza di quella dichiarazione. Damon la scrutò interdetto mentre lei respirava affannosamente, l’eco del suo stesso fiato corto, del clamore assordante nel suo petto:
- Cosa?- le chiese, impaziente, con gli occhi sfavillanti come stalagmiti di ghiaccio al sole. - Che cos’è che sarebbe più FACILE?!-
- GUARDARTI.- esplose Elena, con la voce acuta intrisa di struggimento, vera come non lo era mai stata di recente e come forse non credeva di poter essere mai più. - Respirarti vicino, fare finta che non conti niente, che non sto impazzendo, che non sono spezzata a metà dalla tua sola presenza… sarebbe più semplice lottare al tuo fianco per uno scopo comune, e persino nascondere il terrore di morire solo perché vorrebbe significare doverti perdere di nuovo…- lui non osò spostare un muscolo, impietrito da quelle parole, mentre vedeva il sangue di lei affluirle sui lineamenti e pulsarle nelle vene, ardente, mandandola in ebollizione come pochissime altre volte aveva avuto la dolce tortura visiva di ammirare. - Se tu mi odiassi, Damon, se tu ne fossi realmente capace… io non dovrei più sentirmi così.-
- Colpevole?- Elena non capì come potessero le parole di Damon essere state pronunciate così vicine alla sua bocca tremula: distinse solo un guizzo d’incorporea velocità sfrecciare silenziosamente fino a lei, poi il profilo di Damon, la morbidezza scultorea dei suoi tratti e la perfetta armonia del suo collo e delle sue spalle la sovrastarono, invadendo totalmente il suo campo visivo. Ed il suo profumo di passato e di presente, di proibito e di voluttà, di nostalgia e di fiamme crepitanti si mescolò al suo ossigeno, mentre scorgeva riflesso in due specchi ribollenti d’acqua cristallina ciò che di lì a poco sarebbe accaduto, e non ne aveva che il fervore:
- Incompleta.- e fu allora che Damon la baciò.
 
Image and video hosting by TinyPic
 
Spingendosi in avanti con uno slancio che l’avrebbe fatta cadere all’indietro, se lui non l’avesse stretta saldamente a sé, cercò l’oblio di quelle labbra tanto amate premute sulle proprie, e le sentì schiudersi piano sotto di esse, simili ai petali umidi di una rosa in boccio. Il calore vellutato della loro passione si confuse con la foga delle dita intrecciate ai capelli ed il sapore del sale sulla lingua, poi Elena si sentì travolta dalla fiumana setosa e bollente della memoria e, da dietro le proprie palpebre serrate e sognanti, vide sfilare il Porticato di casa Gilbert, dove Damon le aveva rubato il loro primo vero bacio, ed il motel di Denver, là dove entrambi avevano ceduto al desiderio incontenibile di viversi.
E la danza dei loro brividi assomigliava oramai sempre di più a quella sensuale ed un po’ impacciata che li aveva portati, tanti anni prima, a fare l’amore in quello stesso salotto familiare, per assaggiarsi, per possedersi, per ricordare l’uno all’altra quanto fosse giunto il loro momento, e quanto fosse dannatamente giusta ogni singola carezza…
- Questo è quanto ti odio, Elena.- ansimò d’un tratto Damon al suo orecchio, mentre lei rovesciava appena la testa, i polpastrelli immersi nella stoffa della camicia sulle spalle di lui e il corpo squassato dalle sue stesse sensazioni, dalle sue colpe, dalla scarica violenta di gioia mista ad autodisprezzo che la stava annichilendo, trascinandola inesorabilmente alla deriva. - Questo… è quanto voglio che sia facile, per te, dimenticarmi.- senza traccia d’aria nei polmoni, lei provò a mormorare qualcosa, qualsiasi cosa di senso compiuto, ma un lamento soffocato riecheggiò fino a loro dal divano, assieme ad uno strofinio di cuscini contro la spessa pelle che ne rivestiva l’imbottitura.
- E’ sveglio.- soffiò Damon atono, accennando a Stefan, il quale aveva ancora gli occhi chiusi ed un’espressione di fastidio stampata sul viso, ma era sempre meno esangue con il trascorrere degli istanti. Le pupille velate di Elena rimasero vitree, come assorte nella contemplazione del vuoto più assoluto, poi una goccia argentata le piovve dalle ciglia fino al mento, là dove il pollice del vampiro la raccolse, asciugandola. Dopo di che, non ci fu bisogno di parlare: Damon rimase all’ombra dell’arco che separava la rampa dal centro esatto del soggiorno, quasi volesse fondersi con le mura e l’arredamento, e lei raggiunse il minore dei Salvatore, per assistere al suo ritorno in vita. Mentre quest’ultimo si rimetteva a sedere a fatica, tutto arruffato, stravolto e disorientato, Damon lo udì chiedere che cosa fosse accaduto, se Demi fosse salva e se Rebekah fosse stata sconfitta, ed immaginò le smorfie di orrore, d’ira e di sollievo dipinte ad intermittenza sul suo viso, mentre veniva a sapere ciò che Demetra aveva scoperto e ciò che la crudele Originale aveva ottenuto in cambio della sua sadica rivelazione. L’ultima cosa che intuì prima di svanire nell’oscurità più fitta della Pensione fu un casto abbraccio tra i due coniugi, poi sentì Elena che tirava su col naso, e Stefan che le sussurrava frasi di cupa consolazione contro il collo, mentre i singulti di lei crescevano d’intensità, fino ad affievolirsi gradualmente, trasformandosi poi in un sonno prostrato, estenuato, che forse le avrebbe dato l’illusione di un po’ di quiete, mentre nel suo sterno covava l’ennesimo segreto, inconfessabile, incastrato tra ciò che lei era in realtà e ciò che invece aveva tentato di essere, senza il minimo successo, per sedici lunghi anni di apparenze.
 
***    
 
Demi si chiuse alle spalle la porta del bagno con uno schiocco sordo, senza preoccuparsi di essere troppo discreta: aveva sentito l’eco delle voci di sua madre e di Damon al piano di sotto, rimbombare indistinte ma piuttosto alterate, e non le pareva che si fossero fatti poi troppi problemi a tal proposito. Si passò distrattamente una mano tra i capelli lisci e spettinati, profumati di mirtilli dopo una doccia bollente che non era servita a rilassarla, poi accese una lampadina ambrata posta sul comò della propria stanza: non aveva voglia di essere investita da una fonte di luce più potente, specie se artificiale: voleva starsene un po’ per conto proprio, magari dormire come un ghiro, oppure essere una particella di polvere sparsa tra le mastodontiche pile di libri scolastici ammucchiati sulla scrivania, o, ancora, fingere una normalità che le mancava, che non le sarebbe mai stata restituita per intero.
Rabbrividì, come se un alito di vento gelido le avesse fatto accapponare la pelle, poi si girò istintivamente verso la finestra della cameretta, per assicurarsi che non ci fossero spifferi, e si rese improvvisamente conto che la sottile tenda rosa che decorava le imposte stava danzando bellamente, come il lenzuolo di un fantasma, e che la serratura era stata sbloccata, lasciando uno spazio di apertura tra il vetro ed il davanzale non indifferente.
‘’Ma che diavolo…?!’’ Demi si avvicinò circospetta e gettò un rapido sguardo fuori, in cortile, perlustrando i cespugli e lo spiazzale deserto accanto al garage, avvolti nel laccio uggioso della notte: non c’era nessun movimento tra le foglie, a parte quello della brezza che le faceva palpitare ritmicamente, né alcuna mostruosità in agguato, pronta a sbucare per fare del male a lei o a chiunque amasse. Con un sospiro gonfio di tensione allentata, lei richiuse la finestra e pensò che forse avrebbe dovuto semplicemente smetterla di essere così paranoica e darsi una mossa, infilandosi al più presto sotto le coperte e seppellendo il prima possibile, in un angolo remoto della propria mente, ogni genere d’ansia o di dispiacere, almeno per un po’, almeno fino all’alba del giorno dopo…
Risoluta, tornò sui propri passi e lanciò un’occhiata sfuggente allo specchio mobile di fronte a lei, adagiato sulla cima del cassettone della biancheria, poi cominciò a sfilarsi la vestaglia che aveva indossato poco prima, per non rischiare di morire di freddo subito dopo la doccia; quando la stoffa le fu scivolata morbidamente giù dalle spalle, scoprendo un’ampia porzione della sua diafana pelle nuda, la giovane si sporse appena in avanti, rovistando caoticamente nel cassetto dei pigiami per tirarne fuori uno a caso, purché morbido e tiepido, da indossare per conciliare il sonno.
- Quello rosso.- gongolò dal nulla una voce pratica ed esperta dietro di lei, come se nulla fosse. - E’ di gran lunga il più sexy, tesoro.- uno strano ed inedito alone scuro vibrò nella semioscurità, proprio sotto gli occhi sbarrati di Demi, facendo la propria comparsa anche nella lastra riflettente dello specchio, quasi come se volesse salutarla; poi lei si girò di soprassalto, trattenendo a stento uno stridulo grido di terrore che, ben presto, si tramutò in un sibilo furente: spalmato come il burro su una considerevole fetta di pane tostato, le braccia dietro la testa ed i piedi a penzoloni sui lati del materasso, c’era un ragazzo biondo e riccioluto, con la carnagione d’oro che creava un gradevole contrasto tra sé ed il bianco accecante del suo sorriso dispettoso, come quando una conchiglia di madreperla si scopre abbandonata sulla sabbia croccante.  
- OH MIO DIO.- scandì la Salvatore, orripilata, chiudendo con una brusca gomitata il cassetto e riafferrando al volo la propria camicia da notte, cercando di limitare i danni del suo corpo fine e delicato esposto praticamente quasi per intero allo sguardo compiaciuto di quel principe infiltrato. - OH. MIO. DIO!-
- SUVVIA, ormai abbiamo un certo tipo di confidenza, tu ed io.- minimizzò lui, ironico, ammiccando maliziosamente. - Non mi offendo mica se mi chiami semplicemente Prince.-
- Dimmi che è un incubo.- esalò lei, appoggiandosi con la schiena al muro, come per non rischiare di scivolare lunga distesa per terra, una volta che le sue pulsazioni avessero smesso di pomparle alluvioni d’adrenalina dritte nelle arterie. - Ho un assoluto bisogno di sentire queste parole.-
- Lo è per forza.- commentò il figlio di Klaus, con un’alzata di spalle. - Sono ancora tutto vestito!-
- TU.- ringhiò Demi, inudibile, con gli occhi che mandavano lampi cerulei mentre le gote erano oramai così paonazze da poter essere tranquillamente individuate nella penombra.
- CHE COSA SEI VENUTO A FARE, QUI?! COME TI E’ SALTATO NEL CERVELLO DI… E DA QUANTO… D-DA QUANTO TEMPO SEI LI’ A…?!-
- … a godermi lo spettacolo?- completò Prince al suo posto, sfacciato. Lei si sentì prudere le mani dalla voglia malsana di prenderlo a schiaffi su quel suo viso da arrogante senza speranza di redenzione ma non si azzardò a fare un solo passo verso il letto, dal cui soffice giaciglio lui si stava comunque sollevando, fino a rimettersi in piedi. - Da un bel po’, in effetti. Sono i vantaggi di essere vampiro solo per un terzo, sai… agli abomini della Natura non occorre neanche essere invitati ad entrare. Nuove regole.- lo ammise con nonchalance, mentre la spada color zaffiro che aveva utilizzato durante lo scontro con le Ombre gli sbrilluccicava al fianco, poi prese ad avanzare lentamente nella direzione della Salvatore, ogni lembo di pavimento conquistato simile ad un provocatorio soffio di vento calato sulle braci mai sopite del meccanismo difensivo di lei. - Voglio solamente chiederti un favore, comunque. Se sarai tanto gentile con me da non fare troppe lagne, non sarà necessario usare alcun genere di… persuasione.-
- Se ti avvicini ancora d’un millimetro, mi metto ad urlare.- lo avvertì Demi, minacciosa, indietreggiando alla cieca fino ad appiattirsi completamente contro la parete ghiacciata, e ricevendo in risposta un’occhiata teatralmente scettica:
- Oh, andiamo… se avessi voluto, l’avresti già fatto.- la rimbeccò il biondo, con il labbro inferiore arricciato in una smorfietta insopportabilmente sicura di sé. Lei si mordicchiò a sangue l’interno della guancia, punta sul vivo da quell’osservazione. Quel ragazzaccio era imprevedibile, oltre che astuto e terribilmente pericoloso; se avesse chiamato aiuto, Damon si sarebbe di sicuro precipitato a soccorrerla, e le cose non sarebbero finite bene, per lui, o per i suoi genitori, ancora così provati dallo scontro frontale avuto con Rebekah quel pomeriggio. Tentare di comprendere la ragione nascosta dietro la visita di Prince era il modo più semplice di cavarsela senza conseguenze troppo cruente, e toccava soltanto a lei risolvere il problema.
In fondo, aveva promesso a se stessa che, d’ora in avanti, se la sarebbe sempre sbrigata da sola.
- Parla.- gli sillabò infatti poco dopo, sporgendo fieramente il mento, mentre le sue iridi celesti rimanevano fisse in quelle del ragazzo, sostenendone tutta l’ammaliante intensità. Il giovane, un po’ spiazzato da quell’impeto d’inaspettato coraggio, piegò leggermente il capo da un lato, scrutandola con estrema curiosità da sotto le ciglia dorate. Proprio non riusciva a capire per quale motivo si fosse incantato, ma c’era qualcosa in quello sguardo adamantino che gli ricordava da vicino se stesso all’inizio di tutto, la propria caparbietà e le proprie disgrazie, e che lo faceva fremere dai ricordi.
- Lascia perdere quel pigiama, stanotte non ti servirà. Verrai via con me. Subito.- le disse in un sussurro, cogliendola totalmente di sorpresa. Demetra inarcò un sopracciglio, sbigottita, senza sapere bene come reagire davanti all’assurdità di quella proposta, se con una stretta allo stomaco o con una grassa, sonora, isterica risata.
- Tu sei tutto matto.- constatò, facendo schioccare forte la lingua. - Sei completamente, irrimediabilmente andato.-
- Già. E da un bel po’, pure.- convenne Prince, orgoglioso, liquidando con un rapido gesto della mano quell’osservazione che non gli era sembrata troppo offensiva, anzi, in realtà l’aveva lusingato quasi fosse un complimento. - MA ciò non significa che io non faccia sul serio, tesoro.- facendole l’occhiolino, approfittò del suo stupore per allungare le dita verso di lei, scostandole una minuscola ciocca di capelli dietro l’orecchio, come se fosse un suo mero diritto: avvertì la seta nera della chioma della sedicenne scorrergli lentamente sui polpastrelli e la osservò scoprirle un angolo del collo, quello su cui si poteva adocchiare a stento l’impronta dello Stigma, poi socchiuse la bocca, in attesa, fino a quando lei non si accigliò, facendo un gesto irritato ma tremante per liberarsi:
- Quando Nick verrà a saperlo, ti ucciderà.- gli intimò, agitata e sprezzante, inspirando a fondo dalle narici dilatate.
- Che tu ci creda o meno, è proprio per il suo bene che verrai con me.- spiegò il principe, fatalista. Demi si sentì sbiancare dalla preoccupazione, mentre si rendeva conto di quanto la sua facoltà di scelta fosse limitata ad una formalissima illusione: dal tono che il biondo aveva appena utilizzato, sembrava chiaro che l’avrebbe caricata in spalla in ogni caso, anche a costo di rapirla mentre era strillante e scalciante. Avrebbe portato comunque a termine il proprio ignoto progetto, e, se le stava chiedendo il ‘’permesso’’, era soltanto per cercare un compromesso tra l’inevitabile e la seccatura che sarebbe senz’altro derivata dal suo costringerla a fare qualcosa che non le andasse a genio.
- Dove?- bisbigliò allora la ragazza, deglutendo, senza però abbassare la testa. Il sorriso che ricevette in cambio di quella domanda fu simile al fulgore accecante di una cometa che incendia il cielo, ed il suono delle parole che seguirono fu il corno suonato prima di un’epica battaglia ancora tutta da combattere:
- A New Orleans.-
 
 
 
 
 
 
 
 
***********
 
 
 
 
 
 
 
 
 
ECCOMI QUA.
YEAH, IT’S ME.
AND I’M ALIVE.
BEH………………. PIU’ O MENO. #LOL
Innanzitutto vorrei scusarmi con tutti voi, miei adorati, per questo VERGOGNOSO, inaudito ritardo. E’ stato un periodo davvero molto difficile della mia vita, intessuto di mille problemi, ma anche di gioie e di tanti episodi che mi hanno segnata profondamente, destabilizzandomi. Uno di essi mi ha impedito per lungo tempo di affrontare come avrei voluto e dovuto la tematica della sofferenza fisica di Nick, e mi ha portata a posticipare di tanto l’aggiornamento, fino ad oggi.
Non è stato un capitolo semplice, assolutamente: ho sentito addosso la pressione delle mie stesse aspettative, perché ho cominciato a raccontare questa storia partendo da una paternità segreta e da un amore rimasto immutato nonostante la distanza, i segreti ed il tempo trascorso, ed in questo decisivo momento della vicenda volevo rendere al meglio l’essenza di tutto questo, trattando il Dametra, il Delenametra ed il Delena come davvero MERITAVANO di essere trattati.
Spero tanto di esserci riuscita, ma soltanto le vostre recensioni potranno tranquillizzarmi a tal proposito! J
Un pezzo de ‘’Il Diario di Demi Salvatore’’, questo, che apre lo scenario su tematiche del tutto nuove: che cos’altro di terribile è nascosto nel passato di Nick? Qual è stato, nel tempo, il vero ruolo di Monique Deveraux e quali rapporti intercorrevano tra lei e Prince, prima della morte di lei? Riusciranno lui e Demi a recuperare la Piuma Nera, viaggiando verso la Lousiana, e a quale prezzo salveranno la vita del figlio di Elijah dalla transizione? Vi avevo già annunciato che il mio principino sarebbe stato il motivo grazie al quale la storia avrebbe preso una piega diversa… in questo passaggio ho gettato le basi per rendere possibile tutto questo.
Fatemi sapere che cosa ne pensate, anche se non me lo meriterei per la troppa attesa… spero di essermi fatta perdonare! <3
Grazie per la pazienza e per la fedeltà… devo un abbraccio soprattutto a tutti quelli che si sono ''presi cura di me'' in questo periodo d’assenza, inviandomi moltissimi, bellissimi messaggi privati per mostrarmi il loro supporto.
Siete i migliori lettori del mondo.
Un bacione e alla prossima…
Evenstar75 <3
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Epilogo - Demi (A new beginning) ***


POV Demi Salvatore
 

Image and video hosting by TinyPic

 
<< Mi chiamo Demi Salvatore e sto scrivendo quella che potrebbe essere l’ultima pagina del mio diario.
Sto lasciando Mystic Falls perché ho finalmente fatto una scelta,
e non so se tornerò mai a casa, se porterò a termine la missione che mi è stata affidata dal destino
o se morirò nel tentativo di proteggere con ogni mezzo le persone che amo.
Comunque vada, qualunque sia il futuro che mi attende,
non voglio trasformarmi in qualcosa che non sono mai stata e che non voglio diventare mai… una vigliacca.

Sono seduta al posto del passeggero, a bordo di un’auto nera che profuma di ricordi e sfreccia rapidissima verso l’ignoto,
faccio scorrere incessantemente la penna sulla carta e mi raggomitolo contro la pelle del sedile, riflettendo in silenzio.

Sparata nella notte morente come un proiettile di speranza, sono lontana,
sempre più lontana da tutto ciò che conosco e che mi ha vista crescere, combattere, cambiare.

Mi sento mutata nel profondo, come se i pezzi del mio cuore infranto si fossero riassemblati in modo anomalo,
costruendomi attorno una corazza di vetro, ruggine e sangue,
rendendo solido quel sentimento di dolore e di rivalsa che prima mi era sconosciuto,
ma che userò, d’ora in poi, come uno scudo per il futuro.

Prince dice che non sono così diversa da lui,
perché soltanto chi è fatto di tenebra non trema di paura quando è intrappolato nell’ombra.
Dice anche che il buio è l’unico posto in cui la luna può splendere davvero e che lui me lo dimostrerà, presto.

Non mi fido, ma l’alba sta sorgendo pallida nel cielo e tinge lentamente i riccioli tra i suoi capelli biondi.
Non assomiglia affatto ad un’Arma, alla più grande minaccia che sia stata posta su questo pianeta ai miei danni,
alla più inestinguibile e letale creatura che potesse incrociare il mio cammino.
C’è qualcosa di inquieto e di tremendo nel suo sguardo concentrato,
eppure lui guida tranquillo, con una smorfia beffarda e determinata dipinta sul viso,
gli occhi puntati verso l’orizzonte ed un anello di rubini infilato al dito, come una promessa.

So che devo seguirlo.

Per Nick.
Perché non posso sopportare che la luce che brilla nelle sue iridi si spenga o sia contaminata dagli orrori che vogliono portarmelo via.
Perché il suo coraggio mi ha insegnato a restare dritta sulla schiena anche quando l’universo crolla in mille pezzi,
perché lui merita molto più dell’oblio ed io voglio salvarlo come lui ha salvato me, non importa quello che mi costerà.
Mi mordo le labbra per non piangere e sento il suo sapore vellutato come miele sulla lingua;
chiudo gli occhi e sento la carezza delle sue dita fredde sulla guancia;
la sua voce è nell’aria che soffia contro la carrozzeria ruggente della Ferrari e la scia del suo odore mi ricorda chi sono,
ciò che di fragile giace sotto la scorza, ciò che di me sarà suo per sempre,
fin quando il mio cuore avrà la forza di battere.

Tornerò.

Per Mattie.
Perché lei, dal minuscolo batuffolo di zucchero filato che era, sempre pronto a far da mascotte alle mie malefatte,
è diventata forte abbastanza da regalarmi un ultimo sorriso sofferente prima della partenza,
e da farmi giurare di non arrendermi, per nessuna ragione al mondo.
Fin quando non avrò trovato la Piuma Nera e fermato la maledizione dell’Ombra nelle vene di Nick,
terrò a mente lo strano luccichio nelle sue occhiate verde mare, rese lucide da un febbrile istinto di protezione,
simile al cruccio di un piccolo lupo deciso a scoprire i denti pur difendere il suo branco. 

Terrò duro.

Per Sheila.
  Perché aveva l’anima ricoperta da una corteccia ruvida ed impenetrabile a tutto ciò che non era chiaro e razionale,
mentre ora sarebbe disposta persino a praticare ciò che la spaventa di più,
la sua Magia,
pur di rendersi utile e di sostenere una causa che protegga degli innocenti.

Stringerò i pugni.

Per i miei genitori.
Perché ho abbandonato la mia casa e la mia famiglia ma già soffro la loro mancanza.
Sento la nostalgia intossicare ogni stralcio dei miei pensieri di bambina
ed ogni residuo di ciò che loro avrebbero tanto ostinatamente voluto che diventassi, privandomi del mio Potere,
riparandomi dalle mie disgrazie, ma tenendomi comunque prigioniera di una vita che sarebbe stata sicura,
certo,
ma anche irreale, insignificante.
Voglio dimostrargli che so cavarmela da sola.

E non fallirò.

Per Damon.
Perché ho cominciato quest’avventura come un passerotto smarrito ma, per fortuna, lui mi ha trovata.
Mi ha raccolta e tenuta al caldo, si è preso cura delle mie ali intirizzite
ed ha costruito con le sue sole forze un nido maldestro in cui, chissà, magari entrambi un giorno potremo andare a vivere.
Anche ora che sento le mie piume annerite e pesanti, come macchiate, imbevute di catrame,
ed i miei artigli farsi più duri e rapaci, pronti a tenersi stretto quel poco che è rimasto,
avverto la sua vita pulsare ardente dentro di me,
come se finalmente fossi libera,
certa di appartenere a qualcuno.

E forse è davvero così.

Forse l’unico modo che ho di andare avanti è abbracciare ciò che sono nata per essere fin dal principio,
e l’amore da cui provengo,
le mostruosità che mi ostacoleranno,
le vittorie che mi guadagnerò,
le verità che mi hanno plasmata,
i pericoli
e le avventure che mi aspettano dietro l’angolo.

Sono consapevole dei rischi ma non m’importa.

Perché forse è arrivato sul serio il momento, per il Piccolo Corvo, di spiccare il volo.>>
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(INFINITE MA DOVEROSE) Note dell’autrice:
Salve a tutti! J E’ vero, è trascorso un bel po’ di tempo dal mio ultimo aggiornamento, per l’esattezza sei lunghi, aridi ed improduttivi mesi, eppure eccomi qui, eccoci tutti qui, a chiudere questa parte della storia nel modo più semplice possibile: così com’è cominciata.
Il 28/10/2012 ho pubblicato il mio breve Prologo, un mucchietto di parole insicure che ho voluto omaggiare con questo Epilogo, ricalcandone la struttura; ero solo una ragazzina con un sogno e tanta voglia di scrivere e, nonostante gli anni passati tra una pubblicazione e l’altra, posso dire con certezza di non essere cambiata poi così tanto. Stavolta ho scelto di dare voce alla mia Demi, così come, all’inizio, l’avevo data a suo padre, chiudendo in modo circolare la fanfiction: proprio come Damon sedici anni prima, infatti, anche Demi, adesso, è costretta a lasciare Mystic Falls. 
Per troppo tempo non ho avuto più un briciolo d'ispirazione, nemmeno una goccia d'inchiostro con cui imbrattare le pagine del mio quadernetto rosso degli appunti, NULLA.
‘’Il Diario di Demi Salvatore’’, per me, non è mai stato un semplice passatempo, è stato il mio modo personalissimo di scoprire me stessa e la mia passione per la scrittura e quello di condividere con ciascuno di voi la mia fantasia, il mio calore ed i miei ideali. Mi ha aiutata ad affrontare alcuni dilemmi, eventi e persino traumi della mia esistenza e mi ha portata a creare dei personaggi nuovi, seppur sulla base di quelli di TVD, che amo profondamente e le cui vicende meritavano di essere raccontate a dovere, con la stessa energia e lo stesso affetto di una volta, e non forzatamente. Per questo ho aspettato di capire quale fosse il vero motivo del mio blocco e, alla fine, ho realizzato che non era ‘’Il DemiDiaries’’ ad essersi esaurito, ma solo la sua parte più acerba, quella che mi ha visto creare i miei bambini, farli crescere, dargli amore e farli pienamente ambientare nel nuovo mondo sovrannaturale che farà da sfondo alle loro vicende future.
Loro sono cresciuti.
Sono cambiati tanto che il vecchio stile ed i vecchi intrecci della fanfiction gli stanno stretti. I perni della prima parte della storia (il mistero della paternità di Damon, la vendetta di Rebekah, gli esordi della Profezia della Clessidra, il passato irrisolto della old generation…) sono stati affrontati e risolti, ma i personaggi sono più vivi che mai ed hanno bisogno di nuovi scenari, di nuove battaglie e sfide, di nuovi impulsi... ed io voglio darglieli, se me lo permetterete.
Sono cambiata anch’io, nel tempo, trovandomi catapultata in una ‘’family’’ che mi ha dato sostegno e calore e comprensione nel modo più genuino e costante che avrei mai saputo o potuto desiderare. E’ cambiata la mia vita, i miei impegni, le mie relazioni, siamo cresciuti insieme ed ora sono qui, a credere di poter dare una svolta vera alla mia piccola creazione. Chissà che cosa ci riserveranno i nodi ancora da sciogliere nel DD… chissà se vi piacerà la piega più ‘’originale’’ e ‘’fantasy’’ e ‘’dark’’ e ‘’romanzesca’’ che intendo dare alla seconda parte. Io mi auguro proprio di sì, perché le gioie che ho provato grazie alle vostre recensioni, agli scleri di gruppo, ai messaggi privati, alle fan art, alle minacce, alle suppliche dolcissime e ai video ricevuti in questi anni sono ferme nel mio cuore, indelebili.
Grazie davvero a ciascuno di voi per avermi fatta sentire una ‘’scrittrice’’, anche solo per un attimo, anche dando un’occhiata di sfuggita ai miei capitoli. Grazie a chi mi ha riempita di complimenti e a chi mi ha criticata con gentilezza per aiutarmi a migliorare. Grazie a chi ha atteso gli aggiornamenti lentissimi senza riempirmi di parolacce e a chi, invece, mi ha maledetto in tutte le lingue del mondo per la sofferenza che provocavo. Grazie a chi si è commosso e si è innamorato, a chi ha tifato per le mie ship, a chi ha consigliato il DD e l’ha fatto amare agli amici, a chi l’ha stampato come se fosse un libro vero, a chi l’ha commentato, facendomi riempire il cuore di orgoglio.
Grazie a Serena, per essersi disperata in silenzio all’idea che tutto questo fosse destinato a restare incompiuto. E per essere rimasta la stessa di cui avevo bisogno, nonostante tutto.
Grazie ad Ely, che mi ha fatto scoprire quale immenso piacere ci fosse nel distinguersi dalla massa.
Grazie ad Annina, che mi coccolava di notte quando ero in piena crisi isterica e che mi ha sempre fatto invida per la sua fede e la sua costanza.
Grazie ad Ale, che ha sempre fatto la diretta del capitolo insieme a me, facendomi morire dalle risate.
Grazie a Verdiana, che ha sempre scritto le recensioni più profonde che io potessi desiderare.
Grazie a Linda, che mi ha fatta sentire a mio agio nonostante le difficoltà e mi ha sempre dato la forza di credere in me stessa.
Grazie a Liz, che ha convinto sua sorella a leggere la storia, e che ha amato ed ispirato Prince meglio di chiunque altro.
Grazie a Fabiana, che mi ha donato i più bei capolavori artistici che si siano mai visti per una ff.
Grazie a Maria Grazia, Laura, Iraida, Alessia, Marta, Immacolata, Chiara, Fede, Raven, Benedetta, Antonella, Marilena, Luigi, Rosa, Michelle, Elise, Floriana, Valentina, Cristiel, Mery, Kiara, Rossella, Sara, Sarah, Angy, Elisa, Maria, Giù, Sabrina, Anastasija, Elena, Samantha, Hope, Silvia, Giuggy, Ida, Nina, Karin, Teresa, Alin, Shelley, Anna, Angela, Conny, Luna, Jessica, Greta, Carola, Elisabetta, Jade, Gopika, Ludos, Ruby, Deborah, Irma, Marty, Esha, Simona… e tutti gli altri lettori meravigliosi (ne ho dimenticati di certo moltissimi, vogliate perdonarmi!) che non mi hanno mai, MAI lasciata sola.
Grazie ai miei 1.187 fan sulla pagina Facebook ufficiale della fanfiction e ai membri del gruppo privato di fangirlaggio.
Grazie agli autori delle mie 510 recensioni totali, ai 203 Preferiti, ai 57 Ricordati e ai 257 Seguiti.
Grazie per avermi fatta essere e rimanere, per anni, al 3° posto tra le ‘’Storie più popolari’’ della categoria ‘’fanfiction di TVD’’, su un totale di 4175.
Vi devo ogni cosa, ogni sorriso, ogni lacrima ed ogni singola soddisfazione.
Tornerò presto, se mi vorrete, con i nuovi episodi dei nostri piccoli (?) eroi.
Il ‘’DD’’ è tutt’altro che finito. Ci sarà solo un nuovo inizio, una rinascita, un’entusiasmante nuova avventura.
Dopotutto, ‘’We always survive.’’
Infine, dedico questa conclusione a Te, che mi hai fatto capire come la scrittura non sia soltanto un rifugio dalla malinconia quotidiana, ma una meta che punta dritta verso la Felicità. ‘’So insecure, I’ll find the words and let it out. I’ll turn the water into wine.’’

Image and video hosting by TinyPic

Un bacio, ci rivediamo presto ne ''Il diario di Demi Salvatore, vol.2'' (https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3551987),
vostra Evenstar75

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1342103