Figlio di Terra e Cielo

di LittleBigSpoon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Belladonna ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Bilbo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Il Nido ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Primi Nomi ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Ritorno a Casa ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Come spaventare un Nano ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Strani avvenimenti ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Tre Conversazioni a Granburrone ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Colui dal cuore d'Aquila ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Un momento di riposo ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Ai confini delle terre selvagge ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Il sole scompare ***



Capitolo 1
*** Prologo - Belladonna ***


Note della Traduttrice
Ciao a tutti! Benvenuti - o bentornati - sul canale traduzioni di KuroCyou! Stavolta vi propongo la traduzione di una delle mie storie preferite del fandom, una delle prime che ho letto in effetti. Risale a poco dopo l'uscita del primo film della trilogia, quindi dalla Carroccia in poi segue - più o meno - la versione del libro degli eventi (in breve, non c'è Tauriel - ah!)
C'è molta azione, molti combattimenti, Bilbo è un figo, Thorin è un marshmallow, e ci sono tante AQUILE! Insomma, spero vi piacerà. Sono 22 capitoli, alcuni molto più lunghi rispetto all'altra long che ho tradotto, quindi dovrò vedere con quale cadenza riesco a pubblicare.
Come al solito, per appunti sulla traduzione mandatemi un messaggio privato qui o sul mio account principale,
e trovate la storia completa in originale qui.
Buona lettura!


ps: l'artwork usato per il banner è di ewebean


 

Figlio di Terra e Cielo

by LittleBigSpoon
traduzione di KuroCyou
 
- Prologo -
Belladonna
 

Ci sono alcuni nella Terra di Mezzo che parlano ancora delle Vecchie Storie, quelle che raccontano della creazione del mondo. Parlano di Eru e dei suoi Valar, della volontà data a tutta la Gente Libera della Terra di mezzo, quella cosa splendente e mutevole che li divide dalle distorte creature del disegno di Morgoth. Dicono che, sebbene tutti della Gente Libera siano padroni del proprio destino - nel bene e nel male - ci sono a volte parti della vita di una persona incise così saldamente nella roccia che è come se fossero scritte nelle stelle, tanto lineari e certi sono questi frammenti della vita. Questo è, in tempi difficili, di conforto per molti.

Così fu per Bilbo Baggins. Sebbene più in là nella sua vita fu onorato con quella delicata cosa chiamata scelta - una scelta che avrebbe influenzato molte più vite di quanto non se ne sarebbe reso conto - quel dono gli doveva essere offerto quando Bilbo fosse ben sistemato come un rispettabile scapolo. Il primo terzo della vita di Bilbo nella Terra di Mezzo doveva essere piena di abbondanza, delle quotidiane cose ordinarie che costruiscono una vita beata e pacifica. È così che va, direbbero coloro che ancora sussurrano di Eru Ilúvatar - è così che è, e nemmeno i Valar possono cambiarlo.

Ma nessuno aveva considerato Belladonna Took.

 
 

È così che Bilbo crebbe.

Crebbe come un vero hobbit della Contea, forte e sano, le guance rosee e innamorato di tutto ciò che era verde. Ma c'era qualcosa che distingueva Bilbo, persino nei suoi primi anni, qualcosa su cui Bungo sorvolava ma non Belladonna, che osservava il suo bambino con occhi sempre acuti. Bungo era contento di vedere un figlio fiorente, e l'entusiasmo che Bilbo dimostrava di imparare e leggere gli faceva chiudere un occhio sulla maggior parte dei suoi comportamenti.

Belladonna non diceva nulla delle sue considerazioni. Non c'era bisogno di creare problemi, e se c'era una cosa che odiava, era creare problemi. Comunque indirizzò Bilbo al meglio nei suoi primi anni, e quando lui cominciò a mostrare una tendenza a vagare in giro - anche senza i compagni di giochi - lei lo prese da parte e cominciò ad insegnargli nozioni sulle piante, così almeno non si sarebbe avvelenato per sbaglio durante i suoi vagabondaggi. Prestò anche particolare attenzione nel fargli capire quanto pericolosi potevano essere per gli hobbit i grandi specchi d'acqua. Sedeva con lui, a tarda notte sulla collina erbosa dietro Casa Baggins, fianco a fianco su di una vecchia coperta, una tazza di tè caldo per ognuno, e gli mostrava le stelle in cielo così che lui potesse sempre trovare la strada di casa.

Quando Bilbo raggiunse la pre-adolescenza Belladonna cominciò a preoccuparsi. Bilbo si svegliava presto ogni giorno, e spariva così velocemente da non avere mai tempo per la colazione, cosa che faceva sempre allarmare non poco Bungo.

"Dove te ne vai?" esclamava Bungo quando Bilbo era già per metà fuori della porta.

"Da nessuna parte in particolare!" Bilbo gridava sempre in risposta.

Quando era più piccolo erano stati gli elfi, sempre gli elfi, ma ora Bilbo si considerava troppo grande per certe idee infantili, o almeno troppo grande per dirlo ad alta voce a suo padre.

Belladonna sapeva esattamente dove andava Bilbo. Poteva probabilmente persino indicare con precisione quale sentiero stava prendendo; suo figlio percorreva i passi di sua madre senza neanche saperlo. Bilbo cominciò ad spingersi costantemente ogni mese sempre più lontano da Hobbiville, tanto quanto osava andare, fuori in campi rigogliosi e tranquilli, campi ondeggianti di grano dorato e boschi pregni della presenza della vita, rami che si arcuavano in alto sopra la testa, trasformando la luce gialla del sole in un verde freddo. C'era meraviglia nella Contea, una bellezza tutta di Yavanna, ma Bilbo comunque vagava sempre più in là, allungando le miglia tra Casa Baggins e l'ignoto, verso i punti vuoti della mappa, chiedendosi sempre cosa ci fosse oltre la prossima collina.

Ogni sera Bilbo ritornava senza fallo, sporco di fango fino alle ginocchia, le guance rosse per la fatica della giornata e gli occhi illuminati di gioia.

Bungo scuoteva la testa, sbuffava intorno alla pipa, e faceva qualche tentativo di rimproverare Bilbo, anche solo per il fango che era stato inevitabilmente portato nell'ingresso. Ma erano sempre sforzi poco convinti - per quanto il comportamento di Bilbo sembrasse, agli occhi di Bungo, poco consono ad un hobbit, non poteva essere infastidito dalle avventure del suo unico figlio, specialmente davanti all'evidente felicità di Bilbo.

Gandalf fece visita un anno, in tarda estate, placando velocemente ogni mormorio di malcontento con il suo uso generoso di fuochi d'artificio che incantava tanto gli hobbit più giovani. Belladonna, sempre felice di vedere il suo vecchio amico, fu ancora più felice per il fatto che Bilbo non smetteva mai di parlare degli ultimi botti, scoppi e scintille che aveva visto con i suoi amici. Egli riuscì perfino a convincere Bungo ad andare all'Albero delle Feste una sera, per fare un picnic e guardare la magia di Gandalf in azione. Belladonna non aveva bisogno di essere convinta, e rise di buon cuore con Bungo quando entrambi trattennero il fiato alle esplosioni più grandi.

Dopo una fontana di pioggia dorata particolarmente spettacolare, Belladonna si girò verso Bilbo, seduto alla sua sinistra, per vedere la luce dei fuochi d'artificio illuminare i suoi tratti. Il suo viso era rivolto all'insù, verso i cieli, tratteneva il fiato dalla meraviglia per lo spettacolo, sorridendo a più non posso. Ma il suo sguardo rimase rivolto al cielo molto a lungo dopo che le luci dei fuochi d'artificio si spensero, la sue espressione di gioia svanita per essere sostituita da una feroce brama che Belladonna, con un sospiro interno, riconobbe troppo bene. Belladonna osservò suo figlio che guardava il cielo, e i suoi pensieri volarono ad una scatola nascosta sul fondo di una cassa, dentro Casa Baggins.

Il giorno successivo Gandalf si congedò dalla Contea, promettendo di ritornare, promessa che Belladonna temeva di non vivere abbastanza da veder mantenuta. Gandalf non aveva mai avuto una vera percezione del tempo rispetto alle specie con una vita mortale. Bilbo fu triste di vedere partire Gandalf, ma Belladonna sapeva perfettamente come rallegrarlo. Lo prese da parte più tardi quel giorno, e gli chiese se volesse imparare una nuova lingua. Bilbo era già intento ad imparare l'Elfico, imperterrito nonostante il fatto che non ci fosse nessun'altro nella Contea con cui conversare in Sindarin, così fu immediatamente intrigato dalla prospettiva di un'altra lingua da imparare.

"Cos'è, mamma?" chiese Bilbo, "come si chiama?"

"Non ha un nome, Bilbo," rispose Belladonna.

Bilbo sembrò persino più curioso, se ciò era possibile, il suo viso giovane traboccante di impazienza.

"È la lingua della mia famiglia. Una lingua segreta," continuò lei, aggirando la verità, "Vorresti impararla? È molto diversa dall'Elfico o dalla Lingua Comune.

"Certo che voglio impararla! Quando cominciamo? Possiamo ora? Per favore?"

Quando Bungo entrò nello studio di famiglia quella sera, fu per trovare sua moglie e suo figlio che conversavano felicemente con schiocchi e trilli. Alzò le sopracciglia, scosse la testa con affettuosa esasperazione, e li lasciò fare.

C'erano alcuni, però, che cominciavano a sussurrare di Bilbo. Non i suoi compagni di giochi, grazie al cielo, che consideravano Bilbo coraggioso, e forse un po' idiota, il che per dei bambini significava che Bilbo era un eroe, per un po'. No, i pettegolezzi provenivano da parti che credevano di avere buone intenzioni, a cui piaceva parlare dietro le spalle della famiglia, e mai davanti a Belladonna - la sua lingua tagliente e brutto carattere erano ben noti in tutta la Contea. Ma parole come inappropriato e disdicevole riuscivano a raggiungere comunque le orecchie di Belladonna e Bungo, causando preoccupazione e agitazione in quest'ultimo e lasciando Belladonna a calmare i timori del marito con discorsi fatti a tarda notte vicino al fuoco. Belladonna faceva poco per placare i pettegolezzi, o per controllare le azioni di Bilbo. Cos'era la vita senza un po' di scandalo, dopo tutto? Tra l'altro, Bilbo non sembrava intaccato da tutto ciò, e quello era l'importante, e in generale Bilbo conobbe felicità e pace, e come ridere di fronte alle avversità, e Belladonna ne era lieta.

E poi arrivò il Crudele Inverno, e gli Hobbit conobbero la vera paura.

Calò su di loro con tutta la ferocia di cui un inverno è capace; una bufera arrivò dal nulla un grigio, spento giorno, ed improvvisamente la Contea era sotto una coltre di neve spessa vari piedi. Gli hobbit, sebbene non abituati ad una tale avversità, si misero all'opera dopo qualche giorno di stupore, durante i quali la frase più comune fu 'da dove è venuta fuori tutta questa neve? Riesci a credere a questo tempo?' Le loro dispense erano ben rifornite, ma presto dovettero cominciare a razionare il cibo quando fu evidente che il cattivo tempo non sarebbe passato in pochi giorni o settimane. Febbre e raffreddori si diffusero tra i più giovani e i più vecchi. Bilbo rimase a letto per una settimana dopo essersi preso una forma particolarmente brutta di influenza, ma come molti della sua età era fatto di materia resistente, e si riprese velocemente. Altri più anziani non furono così fortunati; sebbene avessero lunghi anni, fu comunque un grande dolore tra gli hobbit della Contea, perché coloro che avrebbero dovuto vivere serenamente gli ultimi anni furono presi dal gelo invernale. Gli hobbit divenivano sempre più magri ogni settimana che passava, e non sembrava esserci fine alla maledetta neve che li sigillava sempre più nelle loro case.

Pochi si avventuravano fuori quei giorni bui. Poi venne l'ululato dei lupi, i loro lamenti penetranti forti e terribili nelle orecchie degli hobbit, e nessuno più uscì. La famiglia Baggins si ritrovò intrappolata nella propria casa, la sola notizia dal mondo esterno erano voci di bestie terribili che avevano fatto a pezzi un povero hobbit non lontano dalla loro porta. Traevano conforto l'uno dall'altro, avvolti in una coperta davanti al caminetto, troppo sopraffatti da parlare; le sopracciglia di Bungo aggrottate dalla preoccupazione mentre fissava il fuoco, Bilbo accoccolato ai piedi della poltrona di suo padre, il naso in un libro. Non lo stava leggendo, da quanto poteva vedere Belladonna - non girava una pagina da mezz'ora, e i suoi occhi continuavano a rivolgersi alle porte e finestre. Bilbo era quasi un adulto ormai, e Belladonna era orgogliosa del giovane hobbit seduto davanti a lei. Poteva prendersi un momento per l'orgoglio, pensò - qualunque piccolo momento di felicità in questo inverno infinito doveva essere apprezzato.

Una delle notte più buie, dopo che l'ululato dei lupi li aveva attanagliati dalla paura, rendendoli inquieti e facendoli radunare insieme e ascoltare ogni minimo suono finché non furono sicuri che il pericolo era passato, Belladonna andò da sola al suo vecchio baule di legno e lo aprì. Scavò giù sotto i libri, disegni e gioielli rotti che non erano mai stati riparati finché le sue dita non sfiorarono una lunga, sottile scatola di legno laccato. La tirò fuori e ammirò, come faceva sempre, il legno caldo; la luce fioca della sua candela faceva quasi brillare i toni marrone-arancio di un calore proprio. Belladonna aprì il coperchio, e nella semioscurità guardò la lunga penna all'interno, di color oro lucido e meravigliosa nelle sue mani, e pensò al futuro.

Ma tutte le cose devono passare, come fanno sempre prima o poi, e presto i grandi lupi si scontrarono in battaglia con i Raminghi del Nord, che erano arrivati troppo tardi per alcuni, ma furono comunque ben accolti dagli hobbit esausti. Alla fine l'inverno allentò la sua morsa e si ritirò, e la riscoperta vegetazione verde non era mai stata così gloriosa.

Ma l'inverno aveva affondato i suoi artigli in Bungo, e non voleva lasciarlo andare, perfino con le prime avvisaglie di primavera. Si ammalò di febbre anche quando altri gioivano della fine dell'inverno, la stanchezza e la preoccupazione avevano colpito duramente il suo corpo. Bilbo sembrava certo che si sarebbe rimesso in piedi all'istante, e sedette vicino al letto del padre, raccontando a Bungo di tutte le cose che aveva imparato mentre era bloccato dentro. Belladonna stava ferma all'uscio della camera da letto, e non corresse le assunzioni speranzose di Bilbo. Il suo cuore piangeva già con tristezza anticipata, e quella notte le sue peggiori paure si realizzarono quando Bungo cadde in un sonno dal quale non si svegliò.

Bilbo non aveva mai conosciuto il vero dolore, e Belladonna fece del suo meglio per confortarlo le settimane seguenti, ma la maggior parte del tempo era lì solo in parte - a volte la sua mente vagava e ritornava in sé ore dopo, scoprendo di essere seduta nella poltrona di Bungo, le mani strette icosì forte ntorno alla scatola laccata che le sue nocche scricchiolavano quando allentava la presa. C'era alcuni nella Contea che avevano sempre messo in dubbio il suo amore per Bungo, anche dopo anni di felice matrimonio e che Belladonna gli aveva dato un figlio. Era lì per i soldi, dicevano. Ma Belladonna aveva amato Bungo come nessun altro, e sapeva di darne prova ora. Stava svanendo velocemente. Non c'era tempo per pentirsene. Era tempo di fare piani.

Scrisse una lettera a Gandalf e sperò che gli arrivasse in tempo. Se il suo piano avesse funzionato, sarebbe stato il più grande scandalo mai visto nella Contea. Belladonna se ne deliziava. Se doveva morire, allora doveva dare il commiato migliore che poteva. Bilbo sapeva che stava succedendo qualcosa, e Belladonna si disperava a dover tenergli nascoste le cose, specialmente ora che era ancora in lutto. Era confuso e ferito dalla sua chiusura, e anche terrorizzato dall'eventualità che Belladonna seguisse Bungo. La morte di suo padre aveva aperto gli occhi di Bilbo alla realtà, e un po' della sua ingenuità e innocenza erano morte con Bungo. Se le cose fossero rimaste così com'erano, sarebbe stato presto solo, e Belladonna non intendeva permetterlo. Bilbo non era mai stato interessato alle ragazze e ai ragazzi che avevano provato a corteggiarlo, anche se c'erano state delle avventure nella sua adolescenza. Nessun bambino sarebbe corso nei corridoi della loro casa, e non ci sarebbe stata una famiglia per Bilbo, a parte lontani cugini che stavano velocemente diventando hobbit rispettabili, dismettendo le loro aie avventurose. Ma Bilbo avrebbe avuto una famiglia dopo la morte di Belladonna. Se ne sarebbe occupata lei. Non sarebbe forse stata la famiglia che Bilbo si aspettava, ma sarebbe stata vera come ogni altra nella Contea.

Una lettera comparve alla posta un giorno d'autunno, e Belladonna ebbe la sua risposta. Sarebbero arrivati tra cinque giorni, e poi suo figlio avrebbe affrontato una scelta. Era arrivata appena in tempo - c'era poca vita in Belladonna quei giorni.

"Bilbo," chiamò Belladonna, "Bilbo, vieni qui."

"Che c'è, mamma?" disse Bilbo, accorrendo nella stanza, "Ti serve qualcosa? Una tazza di tè? Sei abbastanza al caldo?"

"Sto bene, tesoro," Belladonna mentì con facilità, "vieni a sederti con me." Bilbo si sedette davanti a lei, le sopracciglia aggrottate con preoccupazioni.

"C'è una cosa che devo dirti," gli disse, "e parte di essa sarà difficile da ascoltare. Ma dovrai essere forte per me, puoi farlo?"

Lui si allungò e prese una delle sue fredde mani in entrambe le proprie, la paura evidente sul suo volto giovane. "Posso provarci, ma di cosa parli, mamma?"

"Avremo dei visitatori, presto. Saranno diversi da qualunque cosa tu abbia mai visto, Bilbo. Ah! Non vedo l'ora di vedere la tua faccia," sorrise amaramente al pensiero, "Sono miei vecchi amici, di quando ero una giovane hobbit come te, e andavo all'avventura. Il loro Re mi deve un favore," e Belladonna continuò persino sopra Bilbo che farfugliava "il loro Re!", continuando spensierata, "e ti verrà data una scelta. Ascolta Bilbo. È importante. Mi dispiace doverti dare questo peso ora che sei così giovane, ma non sarò nei paraggi per molto a lungo, temo."

"Mamma," sussurrò piano Bilbo, sorpreso dalla sua improvvisa ammissione. Nessuno di loro aveva parlato ad alta voce delle loro paure fino a quel momento, "non dirlo, ti prego non…"

"Le cose stanno così, tesoro. Mi dispiace tanto di non poter vivere per vederti diventare adulto. No, non provare a negarlo," disse quando Bilbo scosse la testa, provando a trattenere un singhiozzo, "Sappiamo entrambi cosa sta succedendo. Ma non morirò senza averti dato questo."

Bilbo si morse il labbro, cercando di fermare il flusso di lacrime, ma non poté impedire che qualche grossa goccia gli rotolasse sulle guance.

"Hai l'opportunità di incontrare un'altra famiglia," gli disse, "non molti ce l'hanno. Questi visitatori - ah! - beh, immagino che ti prenderanno sotto la loro ala. Ti offriranno amore e protezione, se vuoi. Non solo, ma potrai uscire fuori e vedere il mondo, Bilbo! Potrai vedere le montagne e i grandi boschi e cose che potevi solo sognare, cose che non sono nemmeno nei tuoi libri. È quello che hai sempre voluto. Lo so. Sei il figlio di Bungo, ma sei anche mio figlio, e non avrei mai voluto che tu rimanessi nella Contea, senza avere le tue avventure."

"Non capisco," esclamò improvvisamene Bilbo, "Non voglio una nuova famiglia, voglio te qui, mamma, è tutto ciò di cui ho bisogno, non importano le avventure!"

"Beh," disse Belladonna con un piccolo sorriso, appoggiandosi all'indietro nell'abbraccio di quella che sarebbe sempre stata la poltrona di Bungo. "Vedremo." La conversazione l'aveva lasciata senza fiato, e poteva sentire un grande peso sollevarsi dal suo petto. Non molto a lungo ormai. Bilbo non capiva, ma l'avrebbe fatto presto. Odiava lasciarlo così, ma aveva fatto del suo meglio.

"Puoi desiderare certe cose, Bilbo ma non significa che si avvereranno. Non posso rimanere molto a lungo ancora con te - questo non cambierà. Nei prossimi giorni sarai posto davanti ad una scelta: rimanere qui a Casa Baggins e vivere una vita ordinaria - che non è una brutta cosa, fammelo dire. Oppure puoi scegliere di andare con i nostri visitatori e lasciare che il tuo mondo si apra. È una tua scelta. Sappi che non penserà male di te, se dovessi scegliere di restare nella Contea."

Bilbo piangeva senza freni ora, incapace di trattenere ulteriormente le lacrime, stringendole la mano come se potesse spingere il calore di nuovo nelle sue dita intorpidite

"Ma basta con questo ora," gli disse lei, ricambiando la stretta sulla sua mano più che poteva. "Raccontami una delle tue storie, Bilbo, se ti va. Hai un modo così bello di raccontare, te l'ho mai detto?"

Nonostante il dolore vivido, Bilbo riuscì a fare un sorriso umido. "Mamma, me lo dici almeno una volta al giorno," disse debolmente, ma la accontentò comunque, e sedette con lei per tutta la lunga notte, finché lei non si addormentò con Bilbo raggomitolato vicino alla poltrona di Bungo, uno scialle sulle spalle, stringendo ancora la mano della madre. Quel mattino, quando fu svegliato dalla debole luce del sole che filtrava attraverso il cielo nuvoloso, scoprì che quel poco calore che c'era nella mano di Belladonna la sera prima era svanito, e lei non si destò quando provò a svegliarla.

E così Belladonna fu seppellita nella buona terra, dalla quale tutti gli hobbit si pensava venissero. Bilbo osservò il funerale di sua madre con occhi ciechi, e nessuno dei molti hobbit che parteciparono alla funzione poté consolarlo.

Tre giorni dopo, le Aquile di Manwë scesero sulla Contea.

Continua...


Note della Traduttrice - reprise

E questo è il prologo! Spero che la cosa vi stuzzichi l'interesse :3 I nani arriveranno, ma solo nel 4° capitolo, prima ne succederanno delle belle però, quindi stay tuned!
A presto!
KuroCyou

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Bilbo ***


Note della Traduttrice
Buonasera gente! Aggiornamento veloce stavolta, questo secondo capitolo è piuttosto corto. Grazie a quelli che hanno recensito e messo tra i preferiti la storia! Spero che vi piacerà come è piaciuta a me :3
Un altro ringraziamento speciale a mia mamma, che ha betato questo capitolo e il precedente xD

Buona lettura!


- Capitolo 1-
Bilbo

Bilbo non era molto certo di essere sano di mente. Se aveva avuto un po' di buon senso dall'inizio, allora lo aveva certamente lasciato a Casa Baggins.

Il vento soffiava ad una velocità davvero allarmante, spingendogli via i capelli dal viso e pungendogli le guance e gli occhi. Le mani erano congelate nonostante gli spessi guanti di pelle, e Bilbo temeva che sarebbero rimaste bloccate permanentemente nella loro presa d'artiglio corrente. Le sue caviglie, cosce e schiena dolevano per lo sforzo di restare al suo posto. Il terreno sotto di lui - quando osava guardare - era così lontano che poteva vedere solo i villaggi più grandi e le foreste, e macchie scure che davano una vaga impressione di essere strade che avrebbe impiegato giorni - settimane, perfino - ad attraversare a piedi.

Ma più spaventosa dell'altezza o della velocità era l'enorme aquila sul quale dorso sedeva. Bilbo non era completamente certo che la suddetta aquila non si sarebbe girata da un momento all'altro, decidendo che lui fosse uno spuntino gustoso.

Sentiva freddo. Aveva fame. Era al contempo esausto e terrorizzato. Perché aveva pensato che fosse una buona idea?

Era sembrato tutto così semplice la mattina del giorno prima.
 

Il giorno prima

Bilbo si alzò presto in una Casa Baggins fredda e vuota e, senza pensarci troppo, cominciò a farsi una tazza di tè. La perdita di sua madre e di suo padre era un avvenimento ancora così recente che, da semi-addormentato, si ritrovò a girarsi per chiedere a suo padre se volesse della pancetta con le uova strapazzate, ma la domanda gli morì sulle labbra quando si confrontò con una cucina vuota. Rimase lì, la tazza di tè in mano, guardandosi intorno nella stanza senza scopo, tamburellando le dita della mano vuota sulla propria coscia.

E poi bussarono alla porta.

Altri parenti con regali di cordoglio, pensò sconsolato Bilbo. Probabilmente un altro cugino Took che pensava di poter rallegrare Bilbo con un'ennesima torta. Per quanto Bilbo apprezzasse il cibo, che era sempre delizioso, non voleva cinque parenti, o giù di lì, con buone intenzioni che gironzolavano per Casa Baggins, guardandolo con pietà e suggerendo vagamente che egli andasse a stare da loro per un po'. Bilbo non avrebbe mai accettato le loro offerte; vivere a Casa Baggins era solitario, ma almeno era a casa, e non doveva indossare una maschera coraggiosa. Poteva avvilirsi come voleva, qui. Tra l'altro, c'era la questione dello zaino stracolmo, al momento appoggiato contro il muro dell'ingresso, che aspettava tranquillamente di essere usato.

Per un momento Bilbo contemplò l'idea di ignorare il visitatore, ma bussarono un'altra volta - uno strano suono, pensò Bilbo tra sé se sé, aveva un tono molto più pesante rispetto ai soliti picchiettii sulla porta. Con un sospiro, Bilbo mise giù la tazza e andò, riluttante, ad aprire la porta d'ingresso, cercando di mettersi una sembianza di sorriso in faccia prima di farlo. Guardò fuori, e poi guardò in alto, e più in alto ancora.

C'era un'aquila gigante sulla sua soglia. Piuttosto rudemente, Bilbo le sbatté la porta in faccia.

Si appoggiò contro l'interno della porta, il cuore che andava ad un miglio al minuto, completamente terrorizzato. Un aquila aveva bussato alla sua porta. La sua mente sembrava completamente incapace di registrare il fatto. Aveva la vista sfocata, e gli girava la testa così tanto da credere che sarebbe svenuto.

Poi un suono penetrante e acuto arrivò da attraverso il legno pesante. Contro tutta la ragione o senso, il suo significato filtrò attraverso la nebbia di terrore di Bilbo.

"Figlio di Belladonna! Figlio di Belladonna, siamo venuti a porgere i nostri omaggi!"

"Non è possibile," disse Bilbo ad alta voce, parlando a sé stesso, "non - non è possibile."

Ma lo era. Seguì un altro suono, stavolta più un basso trillare, che finiva con una nota alta e lunga, e Bilbo comprese anche questo.

"Non ti mangeremo, Figlio di Belladonna. Siamo qui per portarti via, se vuoi."

Bilbo prese una grande boccata d'aria, ancora al limite dell'attacco di panico. Posso capirlo, Bilbo si disse, e la razionalità del pensiero gli permise di riprendersi dalla paura. Stavano parlando la lingua di sua madre, il suo linguaggio segreto. Come?

Gli si bloccò il respiro in gola quando l'improvvisa realizzazione lo invase dalla testa ai piedi. Sua madre gli aveva mentito - o almeno, non gli aveva detto tutta la verità. Non era mai stata la lingua della sua famiglia, era la lingua delle aquile. Era a questo che lo stava preparando, forse da anni. Erano questi i visitatori che aveva chiamato prima di morire. Visitatori ai quali Bilbo aveva appena chiuso la porta in faccia.

Una dolente ondata di afflizione sostituì le ultime orme di paura e panico. Il desiderio per la presenza di sua madre, per le sue spiegazioni pragmatiche e il suo sorriso gentile, lo sopraffece per un momento. Lasciò che la sua testa ricadesse per colpire la porta con un tonfo, nel tentativo di impedire che le lacrime gli scendessero dagli occhi.

Ci fu un altro bussare, più lieve questa volta, ma riuscì comunque a far tremare la porta. Sobbalzando un po', Bilbo si allontanò di un passo e, con non poca trepidazione, aprì di nuovo l'uscio.

L'aquila se ne stava lì, ancora esattamente nello steso punto. Torreggiava su Bilbo, così grande da dover mettere i suoi artigli, lunghi e dall'aria minacciosa, goffamente uno sopra l'altro sugli scalini che conducevano alla casa di Bilbo. Le sue piume erano di un colore ricco, marrone scuro finché non venivano colpite dalla luce, con la quale diventavano di una lussureggiante sfumatura d'oro. L'aquila sbirciò giù su Bilbo da sopra il suo tagliente becco curvo con occhi feroci; Bilbo si sforzò di ricambiare lo sguardo.

"Figlio di Belladonna," chiamò ancora, il suono penetrante così forte da quasi far male alle orecchie di Bilbo. "Io sono-" e qui l'aquila trillò qualcosa che Bilbo poté solo interpretare come "Deas. Siamo onorati di conoscerti, sebbene mi dispiaccia che non sia in circostanze più liete."

Ci fu una lunga pausa prima che Bilbo si riprendesse. "Bilbo Baggins, figlio di Belladonna e Bungo. Al vostro servizio." Fece un breve inchino, e poi sobbalzò quando Deas chiuse il becco improvvisamente.

"No, Bilbo Baggins," lo corresse Deas. "Noi siamo al tuo."

Eccolo di nuovo. Quell'uso del 'noi'. Ma Bilbo non vedeva segni di un'altra aquila. Forse usavano semplicemente i pronomi in modo diverso? si chiese.

Un secondo grido rispose alle sue domande. Bilbo si stava velocemente stancando di quasi saltar fuori dalla propria pelle ogni cinque minuti, ma non ebbe il tempo di essere infastidito prima che un'altra aquila, grande quasi quanto la prima, apparisse sopra di lui. La seconda era appollaiata sopra Casa Baggins, sbirciando Bilbo con solo la testa in vista.

"E io sono Solas, al tuo servizio, Bilbo Baggins," disse l'aquila sopra Casa Baggins.

"Ce ne sono altre di voi?" disse Bilbo d'impulso, prima di potersi fermare.

"No, solo mio fratello e io," disse Deas con una serie di fischi e schiocchi, "Bilbo Baggins. Siamo qui per portarti via, se è questo ciò che vuoi."

"Quindi avevo ragione allora," disse Bilbo, esitando. "siete amici di mia madre?"

"Lo siamo," confermò Solas.

Un movimento improvviso colse l'attenzione di Bilbo. Lo spettacolo a Casa Baggins non era passato inosservato, sembrava, perché Bilbo poteva chiaramente vedere la cima della testa di Hamfast Gamgee sopra i cespugli di rose nel giardino della Signora Gamgee. Nell'istante in cui Bilbo scelse di guardare dalla parte del suo vicino, Hamfast aveva apparentemente raccolto abbastanza coraggio da alzarsi e sventolare un paio di cesoie da giardinaggio nella sua direzione, con mano tremante.

"S-state bene l-lì, Signor Baggins?" Gridò a Bilbo, il viso pallido, gli occhi spalancati che guizzavano con incertezza tra Bilbo e le aquile.

Bilbo quasi rise. L'immagine di Hamfast Gamgee che attaccava le aquile armato con null'altro che attrezzi da giardinaggio era assurda, ma Bilbo era rincuorato dalla dimostrazione di coraggio del suo giardiniere, di fronte ad una sfida tanto schiacciante.

"Sto bene, Hamfast!" gridò Bilbo di rimando, "queste aquile sono… beh, sono miei amici," ciò fu detto con una certa incertezza, ma nessuna delle due aquile contestò le parole di Bilbo. "Non c'è nulla di cui preoccuparsi!"

"Sicuro?" praticamente squittì Hamfast, fissando Bilbo come se fosse pazzo.

"Si, tutto bene!" disse Bilbo, rassicurando sé stesso tanto quanto Hamfast.

"Qual è la tua scelta, Bilbo Baggins?" interruppe Deas, e né lui né l'altra aquila avevano preso in considerazione la presenza di Hamfast. Probabilmente non lo consideravano nemmeno una minaccia. "Farai ciò che voleva tua madre, e verrai via con noi?"

"Dove andremo?" chiese Bilbo, "E come arriveremo lì?"

Deas tirò indietro la testa e aprì un poco le ali. "Ti porteremo a casa nostra, in alto sulle montagne. E per quanto riguarda come, volerai con noi, ovviamente, sulle nostre schiene."

"Oh giusto. Certo," borbottò Bilbo, sebbene avesse preferito una destinazione più specifica di un semplice 'sulle montagne'.

Beh, allora. Cosa fare? Restare lì ed essere soffocato dai parenti, almeno per il futuro prossimo, ma vivere una vita comoda? O fare ciò che aveva sempre sognato, anche se non aveva mai concepito nessuna avventura così.

Se la metteva in questo modo, c'era un'unica vera scelta. Un sorriso cominciò ad allargarsi sul suo viso. Le sue guance, disabituate all'espressione dopo tanto tempo, dolevano per lo sforzo, ma era un dolore buono.

"Vengo con voi," disse Bilbo a Deas nella sua lingua, formando facilmente i suoni corretti sulla lingua e gioendone. "Vengo con voi, ma solo - lasciatemi sistemare un paio di cose prima."

"Ma certo. Ti aspetteremo, Bilbo Baggins."

"Oh, solo Bilbo, per favore!" disse, affrettandosi a rientrare. Guanti - avrebbe decisamente avuto bisogno di guanti. E una sciarpa. Bilbo si sbrigò a recuperare entrambi dal cassetto, prima di correre praticamente di nuovo nell'ingresso per prendere lo zaino e due cose dal tavolino. La prima era un cartello con su scritto 'Partito per un'avventura' in una grafia ordinata - che appese alla porta. La seconda era una lettera che corse a dare ad Hamfast - Deas saltò cortesemente di lato per farlo passare. Bilbo corse giù per il sentiero e spinse la busta nelle mani del giardiniere.

"Leggetelo, spiegherà tutto! Ci vediamo… beh, ci vediamo quando torno!"

Hamfast non ebbe il tempo di rispondere - Bilbo stava già correndo per mettersi davanti a Deas.

"Pronto!" disse. Deas inclinò la testa e poi abbassò il collo e il corpo fino a terra, aprendo le ali un poco per mantenersi in equilibrio. Bilbo fissò l'aquila per un momento prima di rendersi conto che doveva salire su. Alzò le mani tremanti e afferrò una manciata di piume soffici, chiedendosi se non stesse tirando troppo forte, ma Deas non sembrò notarlo, o importarsene. Con poca grazia, Bilbo si issò sulla groppa di Deas, sedendosi subito sopra le giunture delle ali. Era una posizione precaria che faceva affidamento sull'equilibrio di Bilbo, e il suo cuore palpitò con un crescente senso di trepidazione. Il terreno sembrava già così lontano.

"Assicurati di avere una presa salda, Bilbo," disse Deas.

E quello fu l'unico avvertimento che Bilbo ricevete prima che Deas aprisse le grandi ali, spiegandole piuma dopo piuma, e Bilbo si meravigliò dell'enorme apertura alare che sembrava allargarsi sempre più, le penne che fluttuavano alla brezza mattutina. Dietro di loro, Solas faceva lo stesso, ma con un grido giocoso che Bilbo poté solo descrivere come un urlo eccitato.

Deas si preparò, e poi saltò, battendo l'aria con le enormi ali, facendo appiattire completamente l'erba sul tetto di Casa Baggins e mandando Hamfast Gamgee a nascondersi, la lettera ancora stretta in mano. Lo stomaco di Bilbo sobbalzò mentre veniva portato in alto, e lui affondò le dita guantate in profondità tra le piume di Deas. Paura ed euforia si mescolavano nella sua pancia, riempiendolo di una sensazione che somigliava ad un'eccitazione frastornata. Stava volando! Casa Baggins e le terre verdi della contea cadevano velocemente lontano da lui, ma Bilbo si fece scappare una risata, perché poteva ancora vedere Lobelia che saliva su per il sentiero. La ficcanaso aveva spalancato svergognatamente la bocca alla vista di Bilbo e le aquile, e un vassoio di un qualche tipo di cibo le cadde dalle mani e atterrò ai suoi piedi. Probabilmente aveva voluto passare a casa sua, offrirgli del cibo e provare un'altra volta a rubargli i cucchiai. Beh, Bilbo non se ne sarebbe dovuto preoccupare ora. Non si sarebbe dovuto preoccupare più di nulla, a parte la velocità frastornante del volo di un'aquila.

Le aquile si piegarono, Deas un po' più alto di Solas, e Bilbo si aggrappò disperatamente. Ma non cadde quando le aquile virarono, e non guardò indietro mentre lo portavano a Est.

 

Ora

La pancia di Bilbo brontolò sonoramente. Aveva passato la maggior parte del viaggio disperatamente affamato. Nessuna delle aquile era sembrata particolarmente propensa a mangiare o riposare - avevano passato tutto il giorno, e la maggior parte del giorno prima, divorando miglio su miglio con lunghi e disinvolti battiti d'ali. Si erano cortesemente fermati due volte fin'ora - una volta per pranzo e un'altra per la notte, ma sebbene Bilbo si fosse preparato con un sacco a pelo e del cibo per il viaggio, era a stento riuscito a dormire la notte precedente, e l'assenza di pasti regolari stava compromettendo il suo entusiasmo iniziale per il viaggio. Era stato semplicemente impossibile prendere sonno - il terreno duro e la strana, inquietante presenza delle aquile erano i responsabili. Sebbene sapesse razionalmente che le aquile non gli avrebbero fatto del male, il suo corpo non lo sapeva. Aveva passato la notte ansiosamente raggomitolato, sobbalzando ad ogni arruffarsi di piume, incapace di staccare gli occhi dalle forme mastodontiche di Deas e Solas. I suoi muscoli, già spinti allo stremo dal volo del giorno prima, ora urlavano praticamente dal dolore. Quando sarebbero atterrati di nuovo, Bilbo non era certo di essere in grado di scendere senza assistenza. Non poteva neanche dire che la vista era particolarmente bella - se c'erano dei punti di riferimento conosciuti sotto di loro, non lo poteva sapere - quella mattina si erano alzati in volo con il brutto tempo, e nuvole scure che minacciavano pioggia oscuravano la terra di sotto.

Nel complesso, non era questo che si aspettava dalla sua avventura.

All'improvviso, Deas si abbassò, scendendo costantemente di altitudine, e la vista che gli si presentò davanti quando ruppero la cortina di nuvole fece sparire via dalla mente di Bilbo qualunque irritazione.

Le Montagne Nebbiose, che prima non erano nulla più di una traccia all'orizzonte, si ergevano davanti a loro, vaste e desolate, le vette che si stagliavano nel cielo come denti di drago. Bilbo aveva finalmente scoperto il vero significato dell'espressione 'da togliere il fiato'. Mentre Deas sfrecciava in basso, aumentando la velocità prima costante, Bilbo osservò le cime ricoperte di neve, la catena montuosa che si allungava fin quando occhio poteva vedere, più di quanto lui non potesse abbracciare con uno sguardo singolo; era meglio di qualunque dipinto o illustrazione che avesse mai visto nei libri.

Una delle cime si avvicinava a velocità allarmante, ma Deas virò a destra, sfrecciandole accanto, e Bilbo spalancò la bocca quando una grande valle si rivelò, il filo argentato di un fiume che serpeggiava lontano. Le aquile si disposero nuovamente in orizzontale, e Bilbo si ritrovò a guardare la sua nuova casa.

Continua...


Note della Traduttrice - reprise

Nel prossimo capitolo conosceremo tutte le aquile! :D
A presto!
KuroCyou

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Il Nido ***


Note della Traduttrice
Salve gente! Scusate davvero l'incredibile attesa di questa volta >_> Credo comunque che d'ora in avanti la pubblicazione andrà ogni due settimane, perchè i capitoli sono davvero lunghi o.o Il prossimo sono qualcosa come venti pagine, sto anzi pensando di dividerlo... che ne pensate?
In ogni caso, grazie a tutti quelli che hanno messo questa storia tra i preferiti/seguite! Ora vi lascio al capitolo :3

Buona lettura!


- Capitolo 2-
Il Nido

Il Nido delle Aquile era una vera e propria fortezza di schegge irregolari di roccia sulle ripide pareti della valle. Torri di pietra spuntavano qui e là, generate da infiniti secoli di vento ed erosione. Era brulla, la vegetazione poca - un posto desolato a prima vista, ma ogni secondo che passava, Bilbo vedeva sempre più segni della vita tra il grigio slavato delle rocce - cerchi di rami che dovevano essere nidi, infilati negli incavi e negli angoli più riparati. Ora stavano emergendo anche altre aquile, alzavano la testa all'avvicinarsi di Deas e Solas, gridandogli il loro benvenuto.

Deas sfrecciò e virò attraverso le torri, e infine atterrò insieme a suo fratello nella parte più profonda del Nido, su di una piattaforma piana di forma vagamente circolare. Un'altra aquila, la più grande che Bilbo avesse visto fin'ora, uscì da sotto un orlo della roccia dall'altro lato della piattaforma.

"Benvenuto, figlio di Belladonna," disse l'aquila.

Deas e Solas chinarono le teste rispettosamente, e Bilbo scivolò giù dalla schiena di Deas, per mettersi in piedi su gambe tremanti.

"Bilbo Baggins, al vostro servizio," s'inchinò Bilbo.

L'aquila spostò il suo sguardo penetrante su Bilbo. Lui notò che c'era una cicatrice frastagliata sul becco dell'aquila, una chiazza scura subito sotto l'incontro tra il becco e il cranio.

"Io sono Grumach," disse l'aquila, "Re delle Aquile. Sono lieto che tu abbia scelto di accettare la nostra offerta, Bilbo."

"G-grazie," balbettò Bilbo, incerto di come rivolgersi a quello che era, a quanto pareva, un re. Desiderò improvvisamente e disperatamente di non indossare ancora gli stessi abiti con i quali aveva lasciato Casa Baggins. Si stirò la giacca, cercando in vano di lisciare la stoffa spiegazzata. Una discreta folla si era radunata attorno a loro - erano quasi completamente circondati da aquile curiose.

"Potremmo farla mille volte, Bilbo, e ancora non ripagheremmo il coraggio di tua madre. Il viaggio è stato duro per te, sono certo. Riposati, ora. Mio figlio, Lord Gwaihir, ti mostrerà il tuo nido. Ti metteremo con i giovani - pulcini di aquile che credo siano della tua età. Spero che vada bene."

Bilbo era un po' sopraffatto da tutta questa generosità, ma era anche curioso di come Belladonna fosse riuscita ad essere così rispettata dalle aquile. Trattenne le domande per ora, però, e Grumach era un po' troppo intimidatorio per preoccuparsi di certe cose. Bilbo prese nota mentalmente di chiedere a Deas dopo.

"Certo che va bene... ehm, vostra maestà. Grazie, sarò felice di stare nel nido dei giovani."

Grumach fece schioccare il becco. "Gwaihir! Vieni, mostra a Bilbo il tuo nido."

Un'altra aquila saltò sulla piattaforma, e ora che Bilbo cercava le differenze per distinguere le aquile l'una dall'altra, notò che Gwaihir era simile a suo padre per il colore - un marrone al limite dell'oro chiaro, ed era notevolmente più piccolo di suo padre e Deas.

Gwaihir non disse nulla a Bilbo, si limitò ad inchinarsi a suo padre prima di girarsi e allontanarsi a grandi passi. Bilbo sbatté le palpebre, sorpreso dalla rudezza del comportamento di Gwaihir, e poi si affrettò a seguirlo. Si inchinò di nuovo velocemente a Grumach, ringraziò profusamente Deas e Solas per averlo portato fin lì, afferrò lo zaino e corse dietro a Gwaihir. Le altre aquile si spostarono per fargli strada senza che lui dovesse chiedere. Bilbo scivolava ed inciampava sulle pietre smosse mentre inseguiva Gwaihir. Era abbastanza senza fiato quando Gwaihir si fermò di fronte ad una nicchia protetta. Lì, Bilbo si ritrovò a guardare il nido più grande che avesse mai visto, probabilmente grande quanto Casa Baggins. Al momento era occupato da altre tre aquile, le quali alzarono la testa all'arrivo di Bilbo.

"È qui!" esclamò una di loro, e quello che seguì fu un vero turbinio, con le aquile che si spingevano e si accalcavano nel tentativo di raggiungere Bilbo per prime.

"Ciao, hobbit!" disse una, solo per essere spinta via da un'altra.

"No, non è il suo nome, stupido!"

"Beh, come si chiama allora?"

"Se lo lasciaste parlare…"

"Sei un ragazzo hobbit o una ragazza hobbit?"

"Una ragazza hobbit! Lo capisci da-"

Era come avere a che fare con i suoi cugini Took. Come un branco di gatti, Bilbo ricordò di aver sentito dire da una delle sue zie.

Bilbo prese un respiro profondo e disse, molto chiaramente e ad alta voce, "Il mio nome è Bilbo Baggins, e sono un ragazzo hobbit. Ma potete chiamarmi Bilbo."

Loro si zittirono per un momento, prima di ricominciare da capo.

"Io sono Luaithre," cinguettò l'aquila alla sinistra di Bilbo, la voce trillante e il piumaggio screziato la distinguevano dalle altre.

"Io sono Tuit, e cosa sono questi?" disse un'aquila alla destra di Bilbo che aveva delle strane macchie bianche sparse sul petto, avvicinandosi per tirare una delle maniche della giacca di Bilbo con il becco.

"Cosa - quello è-" Bilbo cercò di spingerlo via, ma la terza aquila parlò.

"E io sono Landroval, fratello di Gwaihir, figlio di Grumach."

"Tuit, smettila," Luaithre spinse via Tuit, sfiorando inavvertitamente Bilbo nel farlo. Landroval, che era di un colore persino più chiaro di Gwaihir, si avvicinò, timido ma ansioso di vedere Bilbo, e lui si ritrovò ad essere un po' sopraffatto.

"Attenti a non soffocarlo, giovanotti," disse da un lato una severa voce d'aquila. Deas era appollaiato sul bordo del nido, rivolgendo loro quello che Bilbo poteva chiaramente interpretare come uno sguardo di vaga disapprovazione.

"Bilbo," continuò Deas dopo che le giovani aquile si zittirono immediatamente, e Tuit smise di cercare di strattonare la manica di Bilbo. "Tu mangi più spesso di noi aquile. I fiori e le bacche delle piante intorno a questo nido sono commestibili, se hai fame."

Bilbo quasi crollò dal sollievo, una preoccupazione di meno per la testa. Aveva abbastanza provviste per un altro giorno nello zaino, ma questa informazione lo rassicurava.

"Grazie, Deas," disse Bilbo.

Deas inclinò la testa solennemente. Tuit scelse quel preciso momento per sporgersi e mordicchiare la sua coda. L'aquila più grande lo ignorò completamente.

"Andremo a caccia domani," continuò Deas. Tuit, per niente scoraggiato dalla mancanza di una reazione di Deas, mordicchiò di nuovo le piume della sua coda. "Ti piacerebbe unirti a noi e guardare?"

Bilbo, cercando di reprimere una risata per l'atteggiamento di Tuit, disse: "Si, anche se non so a cosa servirebbe? Intendo, non so cacciare."

A quest'ammissione, Gwaihir emise un grido sprezzante.

"Ma puoi accompagnare i giovani e guardare da lontano. Non ci sarà pericolo," disse Deas. Tuit fece un ultimo tentativo disperato di provocare Deas, ma mentre saltava in avanti per dare un'altra beccata, Luaithre, che infine si era stancata delle sue buffonate, aprì con noncuranza l'ala sinistra e buttò Tuit ad artigli all'aria.

Bilbo dovette tossire per coprire una risata. Tuit starnazzò in modo poco dignitoso e si raddrizzò. "Beh," disse Bilbo a Deas, "in questo caso allora sì, sarei onorato di accompagnarvi."

Deas inclinò la testa da un lato con approvazione, e poi prese il volo.

"Adorerai la caccia," disse Luaithre a Bilbo appena Deas se ne fu andato, "noi non siamo abbastanza grandi da farne parte, non ancora, ma possiamo osservare e imparare dagli anziani. È così fant-"

"E a che servirebbe?" interruppe Gwaihir, rivolgendosi a Bilbo per la prima volta. C'era poco che Bilbo potesse leggere nei becchi e negli occhi delle aquile, ma stava imparando a fare caso al loro linguaggio del corpo, e Gwaihir non era esattamente amichevole in quel momento. "Dove sono i suoi artigli, dov'è il suo becco?" chiese. "Non ha ali, ed e decisamente troppo grasso!" con ogni domanda spintonava Bilbo con il becco, facendolo inciampare all'indietro ogni volta. L'ultima fu particolarmente brusca, e gli mozzò il respiro.

"Gwaihir!" gridò Luaithre in allarme. Tuit aggiunse la sua protesta, meno vocale.

Grasso? Bilbo era di una taglia perfettamente accettabile per un hobbit! Sconvolto, ribattè: "Si, non ho nessuna di queste cose, perché non sono un'aquila!"

"Hah!" sogghignò Gwaihir, "non ho idea del perchè mio padre abbia pensato di prenderti come un cucciolo randagio di mannaro che piange per la madre, hobbit, ma ritornerà presto in sé. Fino ad allora, cerca di non essere troppo di peso. Certamente io non ho intenzione di portarti."

E con ciò, Gwaihir prese il volo, assicurandosi di sventolare le ali direttamente davanti a Bilbo, così da gettarlo sul pavimento del nido. Con uno sguardo di scuse, Landroval seguì suo fratello.

Beh, quello era stato decisamente spiacevole. Bilbo si tirò su da terra e, tanto dignitosamente quanto poteva per un hobbit che era stato appena sballottato come un gattino, si spolverò i vestiti. Cercò di non guardare Luaithre e Tuit, che ora erano molto silenziosi.

Bilbo scoprì che, assurdamente, stava ricacciando indietro le lacrime. Si sentì come se vedesse improvvisamente chiaro, per la prima volta dalla morte di sua madre. Cosa stava pensando? Gwaihir aveva ragione. Non era un'aquila. Come aveva fatto a pensare di poter essere accettato da queste creature?

Continuando a non guardare gli occupanti del nido rimasti, Bilbo si girò e andò via, sulla piccola sporgenza che spuntava nell'aria aperta. Lì si sedette, si abbracciò le ginocchia, e cercò di trattenersi dal piangere, concentrandosi invece sul panorama incredibile - la valle era una vista stupenda nella luce morente.

Luaithre e Tuit gli lasciarono spazio, il che fu grandemente apprezzato, e passò la maggior parte della sua deprimente serata a fissare il panorama. La voragine aperta nel suo petto, scavata dalla morte dei suoi genitori, gli provocava più dolore di quanto non potesse dire.

Quando Gwaihir e Landroval tornarono al nido per dormire, Luaithre decise che Bilbo aveva bisogno di una compagnia che lo riscuotesse.

"Bilbo?" disse, mentre si sedeva accanto a lui.

"Oh, ciao Luaithre," disse Bilbo, rivolgendole a malapena uno sguardo, "Scusa, ma vorrei restare da solo, se non è un problema."

Luaithre gli rivolse un'occhiataccia. "Penso che tu sia stato abbastanz-"

"Penso che sarà questo hobbit a decidere quello, grazie mille," sbottò Bilbo, "E non un'aquila col cervello di gallina che infila il naso dove non le compete!"

In un attimo, la rabbia di Bilbo fu spazzata via dal rimorso.

"Mi dispiace, Luaithre," si scusò velocemente Bilbo. "Non avrei dovuto parlare così duramente."

"Se quelle erano parole dure per un hobbit, allora temo la tua reazione di fronte alla versione delle aquile della durezza."

"Penso di averla già vista," disse cupamente Bilbo.

Luaithre gracchiò disgustata, "Ah, si, Gwaihir, il-" e qui emise uno stridio che Bilbo non riuscì a tradurre, ma immaginò fosse qualcosa di terribilmente maleducato, "non far caso a lui. È giovane e stupido e pensa di dover dimostrare qualcosa."

"A quanto pare Gwaihir pensa che anch'io abbia qualcosa da dimostrare."

Lei sbuffò e arruffò le ali. "Non hai niente da provare, Bilbo. Gwaihir è solo… beh, immagino pensi di dover essere all'altezza di molte cose. Viene da una stirpe di re, una stirpe di aquile le cui grandi azioni verranno ancora raccontante alla Fine del Mondo. È troppo bramoso di grandezza." Luaithre fece una pausa, e poi aggiunse, con aria sfacciata: "Non aiuta che la sua apertura alare sia più piccola di quella di Deas."

Bilbo annuì pensieroso. Aveva notato che Gwaihir era un po' più piccolo di Deas, ma aveva pensato che fosse perché l'aquila era ancora giovane. Gwaihir doveva avere un - piuttosto letterale - complesso di inferiorità. Curioso, chiese: "È importante, quindi? L'ampiezza della vostra apertura alare?"

Luaithre produsse la versione delle aquile di una risata, "È un argomento piuttosto rude, lo sai, per le aquile," disse, "ma non dovrebbe importare. Importano solo la tua velocità, la tua agilità, e la forza dei tuoi artigli. Vedrai domani, alla caccia."

"Ah si. Non vedo l'ora," e mentre lo diceva, si rese conto che era vero, e non lo stava dicendo solo per essere gentile. Ma vedere le aquile in azione, non solo in un lungo viaggio, vederle cadere in picchiata, planare e turbinare in aria nella più elegante delle danze… Bilbo sospettava di essere già mezzo-innamorato del volo. Se solo fosse riuscito a superare la sua perenne paura delle altezze.

"Dovresti riposare, Bilbo. Domani sarà una lunga giornata per tutti. Non prendere sul serio le parole di Gwaihir - ti porterò io domani, per quanto vorrai. Non sei un peso." Disse lei, accompagnando l'ultima frase con una spintarella del becco sulla spalla di Bilbo. La forza del gesto era stata largamente trattenuta, ma comunque mandò Bilbo a terra, e lui si dovette alzare di nuovo. "Andiamo, vieni al nido con noi."

Si girò e tornò, in parte saltellando, in parte svolazzando, al nido dei giovani. Bilbo si affrettò dietro di lei - gli ci volle molto di più per salire, e quando finalmente riuscì a scivolare giù dai lati del nido, tra due aquile dormienti, lei era già addormentata profondamente dall'altro lato. Bilbo scosse la testa e si preparò a stendere il suo sacco a pelo poco distante da lei. Sperava davvero che nessuna delle aquile si spostasse nella notte - lo avrebbero potuto schiacciare facilmente se ne avessero avuta l'inclinazione. Bilbo rise con uno sbuffo tra sé e sé al proprio macabro senso dell'umorismo. Pensa, le aquile si sarebbero svegliate l'indomani, cercando il loro hobbit, guardando sotto ali e artigli, e avrebbero trovato Bilbo appiattito come una frittella dopo che un'aquila maldestra gli era rotolata sopra nella notte.

La sua fame acuta si fece sentire di nuovo, e Bilbo decise di riempire il proprio stomaco vuoto. Fece un pasto tardo con pandolce raffermo ripieno di frutta secca, e mangiò le ultime nocciole. Sebbene nemmeno lontanamente pieno come sarebbe stato se avesse mangiato nella Contea, il cibo almeno fermò la sensazione attanagliante nella sua pancia. Buttò giù tutto con gli ultimi sorsi d'acqua nella sua borraccia.

Bilbo entrò nel suo sacco a pelo. Il fatto che stesse già cominciando a tremare era preoccupante. Sebbene le aquile emanassero abbastanza calore corporeo, il nido non riparava dai freddi venti delle montagne, che in alcuni punti sferzavano molto. Più piano che poteva, Bilbo cercò di posizionare il suo sacco a pelo in vari punti diversi, ma ognuno sembrava più freddo del precedente. Infine, si rassegnò ad un'altra notte fredda e insonne, finché un lieve tubare raggiunse le sue orecchie.

Era Luaithre - evidentemente Bilbo l'aveva svegliata con il suo rigirarsi, ma non sembrava arrabbiata. Invece, si limitò a sbattere le palpebre e ad aprire un'ala con un invito.

Bilbo ponderò l'offerta per un lungo momento. La certezza di essere schiacciato sarebbe solo aumentata se avesse dormito sotto l'ala di Luaithre, ma d'altro canto, faceva davvero freddo.

In un istante, Bilbo fu in piedi, una coperta intorno alle spalle, e scivolò sotto la sua ala. Lì, nell'abbraccio oscuro di piume da un odore strano, si ritrovò ad essere meravigliosamente al caldo, e si addormentò velocemente con il suono regolare del battito del cuore di un'amica.

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 La mattina dopo, Bilbo fu svegliato da quello che sembrava il suono di ogni aquila del Nido che gridava. Aprì gli occhi e si ritrovò nell'oscurità; sbatté le palpebre assonnato per qualche momento, confuso, prima che l'ombra scura davanti ai suoi occhi si spostasse per ritrarsi. Oh, certo. Aveva dormito sotto l'ala di Luaithre la notte scorsa. Passò in rassegna il proprio corpo - sorprendentemente, i lividi e il dolore ai muscoli provocati dal viaggio si erano dissolti in un indolenzimento di sottofondo, cosa probabilmente aiutata da una lunga, ininterrotta notte di sonno.

Non c'era tempo per esitare un istante di più - Bilbo si guardò intorno e vide almeno mezza dozzina di aquile già in aria, le altre ancora nei nidi, ma che aggiungevano le loro voci al canto mattutino. La posizione del sole sull'orizzonte indicava che poteva essere a malapena considerata l'alba. Se questa doveva essere la sveglia di Bilbo ogni giorno, allora era un bene che lui fosse mattiniero di natura.

Il resto delle giovani aquile si stava preparando a spiccare il volo, e Luaithre era impaziente come le altre.

"Andiamo, Bilbo!" gli disse, "Veloce, sulla mia groppa, non vogliamo che ci lascino indietro!"

Bilbo si affrettò a salirle in groppa, non meno aggraziato di ogni altra volta in cui aveva scalato quella di Deas. Si rese conto, assonnato, di non aver avuto neanche il tempo di mettersi vestiti puliti, e probabilmente il suo odore si sentiva fin su nel cielo. Era troppo tardi per qualunque delle sue abitudini mattutine ora, però - Luaithre si accucciò bassa, aprì le ali, e si lanciò nella gelida aria di montagna. Bilbo avvolse le dita intorno alle sue piume, e si unirono al resto delle aquile che volavano in cerchio sopra il Nido, il suo cuore che sobbalzava ogni volta che si avvicinavano ad un'altra aquila, tanto che pareva che le punte delle loro ali si sarebbero toccate, ma Luaithre dimostrò di essere troppo agile perché accadesse.

Ci fu un altro sonoro richiamo, e Bilbo vide Deas spiccare il volo da un altro nido. Stavano evidentemente aspettando lui  - le aquile già in volo ruppero la formazione, volando via per dirigersi verso il fiume sul fondo della valle. Luaithre si unì a loro, accodandosi dietro Tuit. Con un veloce battito d'ali, Deas si librò sopra di loro, prendendo posizione più o meno in testa allo stormo. La rotta sembrava dirigerli sempre più a est, fuori dalla valle e in quelle che sembravano pianure aperte, ampi spazi verdi che per Bilbo erano più familiari delle pendici rocciose del Nido.

Viaggiarono in completo silenzio. Nessun'aquila emetteva un suono, a parte lo stormire del vento sotto le loro ali. Bilbo esalò un sospiro. Nonostante la pancia vuota e lo sporco incrostato sulla sua pelle e i suoi vestiti, il suo cuore ardeva. Aveva ancora paura dell'altezza - il suo stomaco si annodava ogni volta che gli capitava di guardare direttamente giù - ma si fidava che Luaithre non lo avrebbe fatto cadere. La luminosità dorata del sole, che riempiva a ritmo costante la tela del cielo, proiettava una lucentezza caliginosa su tutto quanto.

Era passata almeno un'ora, secondo i calcoli di Bilbo, quando Deas aprì al massimo le ali, inclinandosi leggermente per prendere una brezza ascendente che lo portò più in alto nel cielo. Fu seguito da almeno metà del gruppo - gli altri, che Bilbo notò essere le aquile più giovani, si girarono per una discesa rapida, dirigendosi su un affioramento roccioso. Lì atterrarono vicino alla cresta della collina, nascoste alla piana erbosa che si estendeva fin che occhio poteva vedere, orlata qui e là da pendii rocciosi, come un bacino proco profondo.

Bilbo alzò lo sguardo - le altre aquile erano scomparse nelle nuvole. Incerto di cosa stesse accadendo, cominciò a smontare, ma Luaithre gli lanciò un'occhiata da sopra la spalla e Bilbo cessò i suoi movimenti. Era tutto molto silenzioso. Nemmeno Tuit si muoveva. Concentrando lo sguardo al di sopra del loro nascondiglio, Bilbo si accorse di qual era il punto focale della loro attenzione. Lontano, c'era un'enorme mandria di cervi, che pascolava pacificamente sulla pianura. Bilbo riusciva a distinguere solo la sagoma di quello più vicino, e fu sorpreso dallo scoprire che erano molto più grandi di qualunque altro cervo che Bilbo avesse mai visto nelle zone più selvagge della Contea.

Ogni respiro che gli usciva dai polmoni sembrava essere troppo rumoroso. Si tese, reagendo all'atmosfera di attesa, aspettando qualcosa, sebbene non sapesse cosa. Il silenzio si prolungò finché Bilbo non cominciò a misurare il tempo con il proprio battito cardiaco.

Improvvisamente, all'estremità più lontana della conca, tre aquile uscirono allo scoperto e piombarono dal cielo, la loro discesa così rapida che Bilbo quasi se la perse, e quando raggiunsero la brughiera mutarono elegantemente la picchiata in una planata, sfiorando il terreno così da vicino che per un secondo Bilbo pensò che si sarebbero schiantate. I cervi erano in allerta - al primo segno di movimento cominciarono a virare in un'onda, come un unico essere, per scappare nell'altra direzione, in una fuga precipitosa diretta verso Bilbo. Ma le aquile guadagnavano rapidamente terreno, e la mascella di Bilbo si spalancò quando, senza alcun preavviso, le restanti aquile copiarono i movimenti dei primi attaccanti proprio da sopra la sua testa. Queste tre passarono così vicine al nascondiglio di Bilbo e delle altre che lui dovette aggrapparsi a Luaithre, così che la sferzata delle loro ali non lo facesse volare giù dal suo posto.

Il risultato di questa picchiata poté solo definirsi come carneficina. Gli attaccanti più vicini a Bilbo piombarono nei ranghi di cervi, gli artigli aperti penetravano facilmente nelle prede, anche se alcuni cervi provavano a correre e divincolarsi per scappare. Le aquile più lontane ebbero quasi altrettanto successo - Bilbo ne vide una artigliare l'aria vuota, la preda risultata troppo agile da prendere. I cervi rimanenti si sparpagliarono alla massima velocità, ma Bilbo vide chiaramente Deas e Solas provare il loro valore abbattendo un secondo cervo ciascuno.

Accadde tutto molto velocemente - uno sprazzo di piume, uno spruzzo di sangue, e poi le carcasse di nove cervi erano stese nell'erba.

I giovani ripresero il volo, gridando felici ai propri fratelli. Atterrarono vicino ai cacciatori vittoriosi, che già avevano iniziato il pasto con disinvoltura.

Luaithre aspettò un momento appena che Bilbo scivolasse a terra prima di affondare anche lei il becco nel fianco di un enorme cervo. Bilbo si fece indietro, cercando di tenersi lontano dal turbine di movimento che circondava le prede. Bastò uno sguardo al cervo più vicino, con lo stomaco aperto sull'erbe e il sangue che pulsava ancora dallo squarcio, sommato a Luaithre che si girava con un pezzo di interiora che le penzolava dal becco, e lo stomaco di Bilbo si ribellò.

"Ne vuoi un po', Bilbo?" gli chiese lei.

Bilbo era troppo impegnato a svuotare il contenuto del suo stomaco per rispondere.

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 "Beh, come facevo a sapere che rifiutare il cibo è un gravissimo insulto?" disse Bilbo, molto dopo, quando le aquile, piene, erano tornate al Nido. Due di loro avevano portato le prede avanzate, depositandole in altri nidi perché le aquile in attesa le divorassero. Bilbo riusciva ancora a sentire il suono della carne strappata, e il suo stomaco vuoto si contrasse ancora.

La reazione delle aquile all'educato 'no, grazie' di Bilbo, quando infine aveva smesso di vomitare, era stata gelida, al minimo. Luaithre lo aveva guardato a malapena da quel momento. Ora come ora, aveva la testa leggermente chinata e lo sguardo distolto, sebbene stesse riposando all'immediata destra di Biblo. Lui si raggomitolò più in fondo nella sua coperta, completamente avvilito, e vergognandosi un po', anche se non aveva fatto nulla di male, secondo i calcoli della Contea. Non si sentiva così male da quando aveva rovesciato l'inchiostro su tutto il libro preferito di suo padre.

"Ora lo sai," disse Deas, senza mezzi termini, dalla sua sinistra. "Luaithre non avrebbe mai dovuto farti una tale offerta, anche se sono certo stesse solo cercando di renderti partecipe."

Luaithre non disse nulla in riposta, ma abbassò ancora di più la testa. Sembrava che Deas la mettesse in soggezione, notò divertito Bilbo, e non era affatto loquace come al solito.

"La caccia è importante per noi," continuò Deas, "mangiamo solo una volta al mese, e cacciamo due volte. Si fa a rotazione per uscire, e gli altri rimangono indietro per sorvegliare il Nido. Vedersi offrire cibo da quelle uccisioni preziose non è cosa da poco, Bilbo."

"Ma non posso mangiare carne cruda," protestò belligerante Bilbo. "Avrei vomitato dopo averla mangiata, e sarebbe stato peggio!"

"Forse in futuro potrebbe essere saggio portare un po' di carne al Nido e cucinarla lì, se non puoi mangiarla cruda."

"Non ho il mio acciarino," disse Bilbo, cupo. Poi aggiunse, piano, "Non so neanche perché mia madre abbia pensato di mandarmi qui."

Luaithre gli diede un colpetto comprensivo.

"Neanch'io," disse Deas, "ma l'unico modo per scoprirlo è restare. Se vuoi, mi prenderò del tempo domani per insegnarti. Dovrai imparare in qualche modo a scendere dal Nido senza il nostro aiuto."

A giudicare del piccolo trillo sorpreso di Luaithre, Bilbo giudicò che fosse una grande offerta.

"Grazie, lo apprezzo," accettò grato Bilbo, ancora una volta preso alla sprovvista dalla gentilezza di creature così feroci.

"Domani, allora," disse Deas, e prese il volo.

"Vuoi che ti mostri il nostro fiume? Così puoi lavarti?" chiese Luaithre. Bilbo si chiese se puzzasse davvero così tanto.

"Fa' strada," disse.

 

Continua...


Note della Traduttrice - reprise

Il prossimo capitolo mostrerà la vita di Bilbo con le aquile! Dopodichè, arrivano i *dun dun dun* Nani!
A presto!
KuroCyou

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Primi Nomi ***


Note della Traduttrice
Ed eccomi qui di nuovo! Ancora una volta mi scuso per la lunga attesa, spero però che la lunghezza del capitolo basti a rimediare un po'.
Ci si sente in coda!

Buona lettura! ♥
Ps: vi do un consiglio: ascoltate questaquesta canzone mentre leggete, non ve ne pentirete! ;)

 


- Capitolo 3-
Primi Nomi

Bilbo avrebbe davvero dovuto smettere di essere sorpreso ormai, ma le aquile continuavano a rivelarsi imprevedibili in modi completamente nuovi. Come Bilbo stava ora scoprendo, la versione di Deas dell'allenamento non andava neanche vicino a qualunque cosa Bilbo si potesse essere immaginato.

"Vuoi che faccia cosa?" gli urlò Bilbo dal suo posto. Deas continuò a volare pigramente in larghi cerchi nel cielo limpido sopra Bilbo.

"Ci sono solo due modi per scendere dal Nido" gli gridò Deas, "il primo è volare. Il secondo è saltare. E a meno che non nascondi delle ali, solo la seconda opzione è fattibile per te."

"Ma-ma come?" farfugliò Bilbo. Si accovacciò, in equilibrio sui talloni, quando una folata particolarmente forte di vento sferzò su di lui. Un brivido gli percorse la schiena e sugli avambracci gli venne la pelle d'oca. Tutto ciò che Bilbo riusciva a vedere sotto di sé erano altre rocce irregolari, che proseguivano fino alla valle sottostante come enormi scale spezzate. Non vedeva nemmeno un passaggio per scendere camminando, figuriamoci saltando. Una mossa sbagliata e Bilbo si sarebbe schiantato sulle rocce, morto in un istante. La roccia dura del Nido non era clemente con il corpo di un hobbit.

"Non è lontano quanto pensi" gli disse Deas.

"Dice l'uccello gigante con due ali enormi," borbottò Bilbo tra sé e sé. Il piede destro gli scivolò un poco, e Bilbo osservò con macabro rapimento i sassolini che venivano smossi, rimbalzando giù sulla roccia successiva e frantumandosi in tanti pezzettini.

"Tu sei forte Bilbo. Puoi farcela. La paura è l'unica cosa che ti trattiene."

Bilbo emise una risata alta, e leggermente isterica, "quella, e il senso di autoconservazione!" rispose gridando a Deas.

Deas non rispose, e il suo silenzio sembrava di attesa. Bilbo prese tre profondi respiri, la testa che gli girava. "Va bene," disse, piano "va bene, puoi farcela," si spostò in avanti, fino a che le dita dei suoi piedi non furono oltre il bordo, "No, no, no, non posso davvero," Bilbo si affrettò a ritirarsi in relativa sicurezza.

Ma poi Deas gridò, un grido alto e penetrante, e Bilbo sentì qualcosa dentro di lui sollevarsi in risposta. Attraverso la nebbia di paura pensò: Posso farcela.

Piegò le ginocchia, e saltò.

Ci fu un momento in cui fu in una completa, terrificante caduta libera, poi colpì la roccia sottostante. Deas aveva ragione - era un dislivello più piccolo di quanto Bilbo aveva pensato, e rotolò all'impatto. Atterrò in un cumulo accartocciato, ma era miracolosamente illeso - solo un po' impolverato.

Bilbo rise, attraversato dall'adrenalina. Corse fino al ciglio della roccia successiva, considerò il dislivello, e saltò di nuovo. Un altro impatto, un'altra rotolata. Dopo gli sarebbero certamente venuti lividi su tutto il corpo, ma a Bilbo non importava. La sua paura era stata quasi completamente sostituita da euforia, e saltò dalle due sporgenze successive con solo una minima esitazione.

La sua discesa veloce giù per la parete della valle fu interrotta completamente da un effettivo dirupo. Non c'erano altri gradoni sotto, e lo slancio in avanti e l'eccitazione di Bilbo lo fecero quasi saltare senza pensare; si riprese appena in tempo.

La nuova altezza fece ritornare con impeto la sua paura. Bilbo ansimava, completamente senza fiato, i capelli e i vestiti incollati alla sua pelle sudata, mentre contemplava quest'ultimo ostacolo. Se Deas voleva che scendesse nella valle da solo, Bilbo avrebbe dovuto scalare da qui. Non c'era altro modo.

"L'ultima parte, Bilbo," gli disse Deas, sfrecciando oltre Bilbo tanto vicino che lui avrebbe potuto allungare la mano e sfiorargli le piume delle ali con le dita.

Bilbo dovette sforzarsi per sentire le parole successive di Deas - il vento era aumentato negli ultimi istanti, e ora era così forte da tirargli i vestiti e spingerlo da un lato.

"L'ultimo salto," disse Deas, "Ti prenderò io questa volta."

Bilbo sbatté le palpebre. Forse non aveva sentito bene - o forse aveva tradotto male le parole di Deas. Non gli poteva star suggerendo di saltare.

"Deas!" gli gridò Bilbo di rimando, sopra l'ululato del vento, "non puoi essere serio!"

"Lo sono. Non ti lascerò cadere, Bilbo. Devi imparare a farlo," stridette Deas, con aria di sfida. "Fidati di me!"

Bilbo si fidava di Deas - l'aquila non gli aveva dato ragione per non farlo. Ma questa era una questione di vita o di morte. Ma l'amicizia che stava velocemente sviluppando con l'aquila non copriva situazioni del genere.

"Ehm," disse Bilbo, "Non penso che io… non è per me…"

"Salta, Bilbo!" Deas virò per volare nuovamente vicino a Bilbo, volando intorno alla parete di roccia, ma Bilbo era troppo distratto dal movimento che aveva colto con la coda dell'occhio.

Un'altra aquila - non Deas - si stava rapidamente avvicinando. Quando fu più vicina, Bilbo si rese conto che era Gwaihir, e osservò, prima confuso, poi con un crescente senso di paura, l'aquila che atterrava direttamente dietro di lui. Gwaihir si fece avanti, la testa abbassata e le ali leggermente aperte, occupando velocemente il poco spazio disponibile sul dirupo, e Bilbo, con lo spazio aperto dietro di sé e l'aquila enorme che torreggiava su di lui, si sentì così in trappola da poter quasi sentire gli ululati dei lupi, il morso del freddo di una bufera, l'odore del profumo di sua madre.

Gwaihir stava cercando di farlo cadere, si rese conto Bilbo. L'aquila tirò indietro la testa ed emanò un grido assordante, così forte da fargli fischiare le orecchie.

Ma Bilbo non inciampò indietro, cadendo dal dirupo come voleva Gwaihir. Bilbo si sentì una preda, un coniglio messo all'angolo da un lupo, così pieno di paura che gli sembrava che il ghiaccio gli pulsasse nelle vene, ma il ricordo di sua madre gli aveva dato la forza di mantenere la posizione. Gwaihir si ritrasse, chiaramente sorpreso, e l'aquila lo osservò quando Bilbo ricambiò il suo sguardo tagliente senza tirarsi indietro.

Bilbo non disse nulla. La sua risposta a Gwaihir fu questa: gli voltò le spalle, e si lanciò dal dirupo.

Per cinque, orribili secondi, Bilbo cadde, il corpo senza sostegni, le dita che afferravano il nulla e i piedi senza un appoggio stabile, e poi impattò sul dorso di Deas. Con cieco istinto, afferrò le sue piume con ogni briciolo di forza che possedeva. La sua spalla fu strattonata dolorosamente, quasi dislocata, quando dovette sopportare il peso dell'intero corpo, e la forza con cui la sua caduta si interruppe fu tanta da fargli vedere le stelle. La sua testa si svuotò; si riprese solo quando Deas si inclinò a destra, compensando l'atterraggio inclinato di Bilbo. Ce l'aveva fatta. Forse non l'atterraggio più aggraziato del mondo, ma a Bilbo non importava un bel nulla.

Sul dirupo, Gwaihir lo fissava con un'espressione che Bilbo pensò identica a la faccia che Lobelia faceva sempre ogni volta che Bilbo la scopriva a cercare di sgraffignare pezzi d'argenteria da Casa Baggins, quasi stesse succhiando un limone.

Bilbo lanciò un grido di gioia, e Deas lo echeggiò con il proprio. Si sistemò meglio sulla groppa di Deas, mettendosi comodo, e Deas lo portò in un rilassato giro della vittoria intorno alla valle.

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Mentre Deas si librava senza sforzo sui correnti calde, Bilbo riprese fiato e si calmò un po'. Si sentiva un po' stordito, ma non abbastanza da impedirgli di godersi il volo.

"Non che mi dispiaccia," cominciò, rompendo il silenzio tranquillo, "ma perché mi stai addestrando?"

Non riusciva a pensare ad una ragione, a parte un modo più interessante per iniziare un volo. L'arrampicarsi scoordinato di Bilbo sui dorsi delle aquile ogni volta che dovevano viaggiare poteva difficilmente essere considerato divertente, da entrambe le parti.

"Dimmi, Bilbo," disse Deas, "vuoi essere utile per noi?"

Bilbo non si era aspettato una domanda come risposta. Ci rimuginò su per qualche istante, poi rispose: "Certo che si, ma non sono esattamente certo di quanta utilità sarei. Sono piccolo. Beh, sono piccolo rispetto a voi - sono piuttosto alto per un hobbit, sai."

"Essere piccoli non ha nulla a che fare con questo. La tua taglia non equivale al tuo valore. Se vuoi essere utile, allora devi imparare a cacciare e a combattere. Migliorare il tuo equilibrio e la tua forza è il primo passo. Per non parlare di dimostrare quanto puoi essere coraggioso."

Bilbo rimase in silenzio. Deas sembrava così sicuro, e Bilbo voleva contraddire le sue parole, dire Non sono coraggioso, non ci vado neanche vicino, ammettere che penso di essere scappato dalla Contea perché pensavo che sarebbe stato più facile. Ma si tenne le paure per sé, e non disse nulla.

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Dopo le azioni di Bilbo sul dirupo, Gwaihir cominciò a trattare Bilbo con qualcosa che si avvicinava ad una scorbutica accettazione, ma non si aprì all'amicizia, il che Bilbo cercò di non prendere troppo sul serio. Nelle settimane successive, Bilbo si trovò a fare velocemente amicizia con Luaithre, Deas, Tuit e persino Landroval, e mentre l'inverno si avvicinava su ali ghiacciate, Bilbo passò gli ultimi giorni d'autunno in qualcosa che somigliava ad una routine. Si allenava con Deas ogni volta che l'aquila non aveva un turno di guardia - Bilbo scoprì velocemente che, sebbene le aquile fossero in pace da molti anni, tenevano il loro territorio sotto una costante vigilanza, e tutte le aquile più grandi facevano la loro parte nei turni di guardia nei punti chiave della valle. Occasionalmente, quando Bilbo aveva bisogno del tipo di riposante, poco esigente silenzio che Deas forniva, si sedeva con lui. Bilbo era certo che i suoi occhi non fossero molto utili a Deas, ma non l'aveva mai fatto sentire sgradito.

Per il resto del tempo, Bilbo si divideva tra l'aiutare ad accudire il Nido e il passare piacevoli giornate con le giovani aquile sulle pendici delle Montagne Nebbiose, e sebbene vagassero in largo e lungo, si assicuravano sempre di rimanere nel territorio delle aquile. Giocavano, in modi molto più brutali e pericolosi di qualunque altra cosa Bilbo avesse fatto quando era un bambino. Sebbene non fosse permesso loro di partecipare alla caccia, i giovani uccelli dovevano mangiare più spesso degli adulti, e così potevano allenare le tecniche di caccia su prede più piccole. Bilbo andava alla ricerca di nuove piante commestibili, o si sedeva sul dorso di una delle aquile, godendosi semplicemente il volo. Aveva imparato come piegare il corpo per seguire i movimenti dell'aquila, invece di limitarsi ad aggrapparsi stretto, e alla fine divenne tutto molto più comodo.

La sera ritornavano al nido, e Bilbo si allontanava per lavarsi di dosso lo sporco e il sudore della giornata nel ruscello di montagna che scorreva attraverso il Nido. Il crepuscolo era presto diventato il momento delle storie - la seconda notte della sua permanenza tra le aquile, Luaithre aveva pregato Bilbo di raccontare storie della sua terra natia. La scenetta - quattro enormi predatori accalcati nel nido, e un piccolo hobbit che raccontava loro storie come se fossero null'altro che bambini - aveva fatto ridere Bilbo, e lo aveva detto alle aquile.

"Si potrebbe pensare che voi giovanotti vogliate una favola della buonanotte!" li aveva presi in giro, e nonostante le proprie riserve nel raccontare ad esseri tanto feroci storie sulla tranquilla Contea, cedette. Raccontò loro delle verdi colline ondulate della Contea e dei fiumi lenti, e dei buoni e prosperi hobbit che amavano tutte le cose che crescono. Gli aquilotti, con sua grande sorpresa, si bevvero tutte le storie e ne richiedevano sempre di più. Luaithre in particolare sembrava trovare molto divertenti i grossi pettegolezzi che Bilbo narrava, e tutti inorridivano sempre ogni volta che menzionava le case hobbit.

v"Vivete sotto terra?" disse stupefatto Tuit la prima volta che Bilbo aveva descritto Casa Baggins, e il resto delle aquile era rabbrividito in orrore. Bilbo cercò di spiegare quanto fosse comoda Casa Baggins, quanto accogliente, ma avevano tutti arruffato le piume e detto che non potevano immaginarsi una casa che non fosse in alto nell'ampio cielo aperto, senza un tetto salvo la copertura fatta di stelle. Bilbo aveva cercato di non sentirsi offeso.

Una notte, quando tutte le aquile nel nido salvo Luaithre erano profondamene addormentate, le storie di Bilbo furono ricambiate.

 "Sua madre è stata uccisa da un mannaro, sai," disse piano Luaithre. "Le nostre vite sono lunghe, Bilbo, e non vediamo spesso la morte, quindi quando viene su di noi, ci colpisce molto più duramente."

Bilbo sapeva di non poter comparare la propria aspettativa di vita con quella di un'aquila, ma le parole di Luaithre lo avevano colpito nel profondo. La morte dei suoi genitori era stata improvvisa e scioccante, dopo una vita in cui non aveva conosciuto dolore.

"Gwaihir era molto giovane all'epoca," continuò Luaithre, "e il Re pianse a lungo. È ancora in lutto, penso. Ha reso Grumach… iperprotettivo, per tutte le giovani aquile. Non ci è nemmeno permesso di prendere parte alla caccia."

"Com'è successo?" chiese Bilbo. Non riusciva ad immaginare nulla capace di abbattere questi forti uccelli.

Luaithre fletté gli artigli. "Mannari," sputò praticamente, "un branco ha abbattuto la Regina, e gli ci è voluto un branco, ai codardi - era una delle nostre combattenti più feroci. Sono le creature più vili della terra. Se potessi uccidere ogni mannaro - affondare gli artigli nella loro carne, tingere il mio becco del loro sangue - sarei soddisfatta."

Al suo fianco, Bilbo tremò. La furia delle aquile era una cosa terrificante a cui assistere. Dopo qualche momento, Luaithre si rilassò e lasciò che la rabbia scemasse.

"Ma parliamo di cose più piacevoli," disse lei, "Ci hai raccontato così tanto della tua vita Bilbo, non vorresti sapere delle nostre?"

Bilbo sorrise, di nuovo entusiasta, "Mi piacerebbe," ammise, "dimmi, avete dei cognomi?"

"Cos'è un cognome?" ribatté Luaithre, cosa che rispose alla domanda di Bilbo.

"È come 'Baggins' per me. Quello è il mio cognome. Dice alla gente chi sono i miei familiari, immagino."

"Oh!" Luaithre annuì, "beh, si abbiamo qualcosa del genere, ma…" si avvicinò a Bilbo e disse sussurrando, "è un segreto."

"Davvero?" Bilbo era persino più intrigato ora.

 "Si! È molto segreto. Vedi, Bilbo, i nomi con cui ci conosci sono i nostri nomi esterni. Sono i nomi che diamo al mondo esterno. Sono conosciuti come i nostri secondi nomi. Il primo è molto più privato, comunicato solo ai membri della famiglia. I nostri Primi Nomi rivelano chi siamo davvero, è la cosa più vicina al rivelare la vera essenza di te stesso. È per questo che sono tanto segreti." Luaithre sembrava molto orgogliosa della sua spiegazione.

"Vengono detti solo a quelli considerati parte della famiglia?" chiese Bilbo, piano.

"Esattamente, sono.." Luaithre colse improvvisamente quello che intendeva dire Bilbo e aggiunse, "oh no, Bilbo, non devi pensarlo! Tu sei considerato parte della famiglia, da tutti noi. Ma devi capire, quasi nessuno conosce i nostri Primi Nomi. Persino Gandalf conosce solo quello di Grumach, e si conoscono da secoli, migliaia di anni persino!"

"Va bene, Luaithre," le disse Bilbo, perché aveva l'aria così agitata che sentì di dover rassicurarla. "Davvero. Capisco - ci sono cose private, persino tra i membri di una famiglia," riuscì a sorridere, "anche se nella Contea vengono sempre fuori. Siamo terribili pettegoli, vedi."

Dopo che Bilbo la rassicurò ancora di non essersi offeso, Luaithre andò a dormire, Bilbo nascosto al caldo nel suo solito posto sotto la sua ala. Ma il sonno gli sfuggiva, e passò molte ore sveglio nell'oscurità, ad ascoltare il battito del cuore di Luaithre, sentendo più che mai la mancanza di sua madre e suo padre.

Ci fu un altro incidente che ricordò a Bilbo il fatto che, non importa quanto imparasse sulle aquile, ci sarebbero sempre state delle incomprensioni. Spesso si lamentava, in modi molto vocali e creativi, della mancanza di fuoco. Non era affatto colpa delle aquile, ma a volte il desiderio di qualcosa di semplice come un tè diventava così acuto che non poteva non inveire. E tra le altre cose, gli mancava mangiare carne. Sebbene ora potesse accompagnare le aquile nella caccia senza vomitare (anche se ci era voluto un po'), non poteva cuocerla, e da quando era arrivato si era sostentato con una, piuttosto noiosa, dieta di frutta, bacche e piante. Se avesse potuto disporre di anche un minimo di fuoco, si era lamentato una sera, avrebbe potuto preparare qualcosa che somigliava al cibo al quale era abituato. La maggior parte delle aquile avevano annuito comprensive, ma alcune si presero l'incarico di aiutare Bilbo in modi più letterali.

Una luminosa giornata di tardo autunno, Tuit scomparve per una mattinata, senza una parola su dove stava andando. Per tutto il tempo Bilbo si preoccupò, ma la su paura che Tuit fosse stato preso dai mannari fu dissipata quando, quel pomeriggio, riconobbe all'orizzonte la sua sagoma  che si avvicinava velocemente.

"Eccolo qui!" cinguettò Luaithre, "Probabilmente si è perso di nuovo. Aspetta… cosa ha tra le zampe?"

Le altre aquile si girarono a guardare ora, e Bilbo strizzò gli occhi, cercando di vedere cosa intendesse Luaithre. Ma mentre Tuit si avvicinava, divenne velocemente chiaro cosa, o piuttosto chi, stesse portando.

"Quello è- quello è un uomo?" balbettò Bilbo, scioccato come gli altri, che emettevano bassi suoni sorpresi.

Era un uomo, che penzolava inerte dagli artigli di Tuit. Quando raggiunse il nido, Tuit lo posò dolcemente sul pavimento, prima di prendere il suo solito posto.

"Bilbo!" disse allegramente, ignaro del loro silenzio stupefatto. "Ti ho portato qualcosa per aiutarti con il problema del fuoco. Ti ho preso un contadino! L'ho visto fare del fuoco, quindi ho pensato che potesse fartene un po' anche a te!"

"Tu- idiota," sibilò Gwaihir, riprendendosi più velocemente degli altri, "non hai idea di cosa hai fatto stupido?"

Luaithre lanciò una serie di creative imprecazioni in direzione di Tuit, che Bilbo ignorò prontamente. Era più preoccupato per l'uomo, che, avvicinandosi, Bilbo scoprì essere un ragazzo, forse negli ultimi anni dell'adolescenza. Un adolescente che, a quanto pare, era svenuto. Bilbo non lo biasimava.

Bilbo ignorò la strigliata che Tuit stava ricevendo sopra la sua testa, e invece posò una mano rassicurante sulla spalla dell'adolescente mentre questi cominciava a muoversi. Osservò attento il ragazzo sbattere le palpebre un paio di volte, assonnato, prima che la consapevolezza gli accendesse lo sguardo, rendendolo pienamente cosciente.

Si allontanò precipitosamente da Bilbo per rannicchiarsi in un angolo del nido, gli occhi spalancati e il viso pallido.

"Va tutto bene," lo tranquillizzò Bilbo, "Non vogliono mangiarti. C'è stato solo un piccolo malinteso."

Siccome Bilbo era l'unico che poteva capire, lo sguardo del ragazzo smise di sfrecciare in giro terrorizzato, fissandosi invece su di lui.

"Dove s-s-sono?" riuscì a dire.

"Molto lontano da casa, immagino. Ma non preoccuparti, ti riporteremo indietro presto," Bilbo si interruppe. Non aveva idea di come spiegare la cosa. "Il mio amico, l'aquila che ti ha portato qui, voleva che facessi del fuoco per me. È per questo che ti ha preso."

"Non era per mangiarmi?" disse incredulo il ragazzo. Sembrava pronto a svenire di nuovo.

"No, non lo era," confermò Bilbo. D'improvviso, il ragazzo scavò nel suo cappotto consunto e ne tirò fuori una scatola di esche e degli acciarini. Li gettò ai piedi di Bilbo.

"Ecco! Prendi! Non m'importa, solo per favore riportami a casa!"

"Va bene, va bene, solo un momento," disse Bilbo con i palmi alzati, cercando di calmare il ragazzo. Si alzò e si rivolse alle aquile, che stavano ancora discutendo, prendendosi un momento per sorridere a Landroval, che era raggomitolato in un angolo in un modo simile al ragazzo umano, e fissava preoccupato le altre aquile.

"Mi dispiace interrompervi," gridò Bilbo a pieni polmoni. Aveva scoperto che era il solo modo di farsi sentire quando le aquile facevano così. "ma penso che dovremmo riportarlo a casa."

Smisero di litigare di botto e si voltarono verso di lui, ma non prima che Luaithre colpisse Tuit sulla testa con l'ala.

"Si," disse lei, laconica, "dobbiamo, prima che Deas scopra…"

"Prima che Deas scopra cosa, esattamente?" disse un'altra voce.

Bilbo si meravigliava sempre di quanto silenziosamente potesse volare Deas. Desiderò ferventemente di avere qualche abilità nel disegno - sarebbe stato felicissimo di poter mettere su carta le reazioni delle tre giovani aquile di fronte all'improvvisa comparsa di Deas.

Ci volle un po' di persuasione, ma infine il ragazzo fu convinto a salire in groppa a Deas, dietro Bilbo. Deas volò con più stabilità di quanto Bilbo l'avesse mai visto fare, persino durante il suo viaggio verso il Nido, ma il ragazzo passò l'intero volo alternando  l'aggrapparsi con troppa forza alle spalle di Bilbo all'afferrare manciate delle piume di Deas, trattenendo quello che sembrava l'inizio di un attacco di panico.

Deas atterrò poco distante dalla casa del ragazzo - Bilbo lo avrebbe accompagnato per il resto della strada, fu deciso. Probabilmente era la cosa migliore, Bilbo pensava che avessero terrorizzato abbastanza persone per un giorno solo.

La casa del ragazzo si trovava in un piccolo borgo nelle pendici più basse, nulla più di una manciata di case e terra coltivata. Mentre si avvicinavano, Bilbo cercò di conversare con il ragazzo, che teneva le braccia strette intorno alla pancia e aveva l'aria di essere sollevato dal trovarsi di nuovo sulla terra solida.

"Come ti chiami?" gli chiese gentilmente Bilbo.

"Jeth," rispose il ragazzo, e non disse altro.

"Io sono Bilbo Baggins. Piacere di conoscerti."

"Cosa sei tu, Bilbo?" chiese Jeth, sfacciatamente. "Non ho mai visto nulla come te."

"Sono un hobbit."

"Gli hobbit vivono con le aquile di solito?"

Bilbo rise. "No," disse, mentre raggiungevano il borgo, "non è così. Oh, per caso potresti farmi un favore? Mi servono alcune cose e posso pagare." Bilbo mostrò un borsellino pieno di monete. Jeth gli rivolse uno sguardo incredulo, ma cedette alla semplice richiesta, e si infilò per qualche minuto in una delle case, prima di tornare con gli oggetti richiesti. Li gettò nelle mani di Bilbo.

"Ecco," disse, "prendili e vattene, per favore. Non voglio più far parte di questa… questa pazzia."

Ma Bilbo riuscì a mettere il borsellino nelle mani del ragazzo. Era molto più del valore degli oggetti, ma non gli importava. I soldi non gli servivano a molto comunque.

"Bene," sospirò Jeth, prendendo il denaro, "ma per favore, di' alle tue aquile di non farlo di nuovo? Non siamo fatti per volare, non come gli hobbit."

"Non preoccuparti. Sono certo che non lo rifarà," disse Bilbo con fermezza. "Addio Jeth. Mi dispiace per la giornata che hai avuto. Spero ci incontreremo di nuovo, in circostanze migliori."

Jeth annuì e si voltò per entrare a casa, borbottando: "Sì, addio, Pazzo Bilbo Baggins."

L'insulto lo avrebbe ferito se Bilbo non fosse vissuto tra le aquile, che erano molto più taglienti con le parole. Si voltò per tornare dove Deas lo aspettava, esaminando gli acquisti mentre camminava.

Tra le mani aveva un lungo coltello da caccia, due grossi pezzi di tessuto marrone scuro e un altro di pelle, dell'ago e filo, e un pesante mantello invernale. Con un po' di fortuna, le azioni avventate di Tuit gli avrebbero reso i mesi seguenti un po' più confortevoli.

Tuit, con sgomento, fu bandito dalla caccia per due mesi e gli fu proibito di lasciare il nido per due settimane. Bilbo si ritrovò ad essere dispiaciuto per Tuit nella seconda settimana del suo confinamento, e si sedeva con lui per lavorare ai suoi nuovi vestiti. I vestiti da hobbit di Bilbo si erano dimostrati troppo delicati per la vita tra le aquile, ed erano lacerati e macchiati senza possibilità di recupero. Si mise all'opera per farsene di nuovi con la stoffa grezza che aveva comprato, e Tuit sembrava affascinato dal processo, anche se cercava di tirare via le cuciture se Bilbo distoglieva lo sguardo per un secondo.

Ora, in grado di accendere un fuoco, Bilbo poté finalmente accettare il cibo offerto dalla caccia. Prendeva della carne dalla carcassa meno rovinata e la impacchettava per cucinarla successivamente, sul fuoco che accendeva vicino al ruscello. Il sapore di cervo vagamente bruciacchiato non era mai stato così buono. Cominciò anche ad esercitarsi nel lancio del suo coltello, con le aquile che osservavano divertite mentre lui cercava di prenderci dimestichezza. Il coltello da caccia che aveva comprato era sorprendentemente ben bilanciato, e aveva un bordo abbastanza tagliente da conficcarsi nel legno ogni volta che Bilbo riusciva a lanciare particolarmente bene. Ma più si avvicinava il giorno del passaggio alla maggiore età di Bilbo, meno le sue giornate piene e stancanti, o la compagnia delle aquile, potevano allontanare la crescente tristezza. Non poteva fare a meno di pensare a come sarebbe stato quel giorno nella Contea, con i suoi genitori. Essendo lui il loro unico figlio, probabilmente avrebbero organizzato una festa oltraggiosamente stravagante, un fatto che ammise sussurrando a Gwaihir, una sera.

Il giorno del raggiungimento della sua maggiore età, le aquile lo sorpresero ancora una volta.

"Abbiamo dei regali per te, Bilbo! È questo che succede? Si danno regali?"

Bilbo, stupefatto e così contento da pensare di poter volare da solo, non le corresse, "sì, immagino sia quello che succede, ma non dovevate! Siete troppo gentili."

"Non c'è problema," gli disse piano Landroval.

Gwaihir sbuffò, "Volevamo farlo, idiota. Ora sta' zitto e lascia che ti diano i loro regali. Tuit potrebbe esplodere se non ricevi presto il suo."

Tuit praticamente saltò in avanti. "Ecco, Bilbo," disse dopo aver lasciato cadere qualcosa ai suoi piedi, "Ho trovato questa e ho pensato che potrebbe esserti utile!"

Bilbo scosse la testa e lo guardò con affetto, "Tuit la gazza," rise, e si abbassò per vedere cosa gli aveva regalato.

Era una lunga lancia, vide Bilbo, forse una volta e mezza la sua altezza, con un manico di legno solido e una punta di metallo a forma di foglia, estremamente tagliente. Bilbo la sollevò tra le mani, testandone il peso. La grana del legno sembrava giusta nella sua presa.

"È fantastica, grazie Tuit. Dovrò imparare ad usarla, ora!"

"Ecco il mio," disse Luaithre, impaziente di avere il suo turno. Posò un piccolo pacchetto sul pavimento del nido, il regalo avvolto in lembi di materiale, scarti dei nuovi vestiti di Bilbo. Lui si chiese se l'avesse fatto apposta - incartare il regalo come sarebbe stato fatto nella Contea. Lo aprì velocemente, e con sorpresa vide che dentro c'erano molte piume, lunghe e belle, tutte del colore oro screziato del piumaggio di Luaithre.

"Le raccolgo da un po'," ammise Luaithre, "Ho pensato che ti sarebbe piaciuto decorare i tuoi nuovi vestiti,"

"Ora hai artigli e ali," puntualizzò Tuit, "sei una vera aquila, adesso."

Bilbo li guardò tutti, incapace di esprimere quanto grato fosse. Prima che riuscisse a parlare, Landroval gli diede un lieve colpetto per attirare la sua attenzione.

"Il mio regalo non è qui," gli disse, "è giù nei boschi alla fine della valle. So quanto ti manca il tuo tè, e nessuna delle piante delle montagne è andata bene. Ho visto le espressioni che fai quando le assaggi," trillò Landroval, ridendo, "ma penso che questa possa fare il tè."

"Grazie, Landroval. Grazie a tutti voi," Bilbo abbracciò ognuno di loro, lanciando le braccia intorno ai loro colli al meglio che poteva. Le aquile ricambiarono avvolgendogli una spalla con il becco.

"Nemmeno il mio regalo è qui," disse Gwaihir, "arriverà più tardi. Andiamo, vieni nel cielo con noi, devi imparare a usare quella tua lancia, Bilbo, e ho voglia di farmi una grossa risata guardandoti provare."

"Oh, grazie," rise Bilbo, sapendo di non dover prendere sul serio le parole di Gwaihir.

Il regalo di Gwaihir fu svelato quella sera stessa, quando ritornarono al nido per trovare il Re che li aspettava, Deas e Solas ai suoi fianchi. Bilbo saltò nel nido dalla groppa di Tuit, salutando il Re con un inchino. Non aveva avuto molti contatti con Grumach, ma l'aquila era sempre stata gentile con lui ogni volta che avevano parlato. Tuttavia la sua presenza nel nido non aveva precedenti.

"Congratulazioni per la maggiore età, Bilbo," disse Grumach.

"Grazie, signore."

"Penso sia tempo che ti racconti la storia di Belladonna la Coraggiosa," disse il Re, arrivando dritto al punto, "Avrei dovuto raccontartela prima, Bilbo, ma mi è passato di mente finché qualcuno non me lo ha ricordato la settimana scorsa."

Bilbo rivolse un'occhiata a Gwaihir. Lui si rifiutava categoricamente di guardare nella sua direzione.

"Sarebbe fantastico, signore, se avete il tempo per farlo."

"Ma certo. Ho sentito che racconti storie tue al calar del sole - mi piacerebbe ascoltarne qualcuna io stesso, ma per ora lascia che ti raccontiamo una delle nostre."

Era la serata perfetta per un racconto del genere. Una tempesta si preparava in lontananza, e nuvole scure rotolavano giù dalle montagne. Bilbo sedeva tra Tuit e Deas, ascoltando rapito la storia di Grumach. Il Re narrò di una notte oscura, molte stagioni prima, quando un goblin aveva fatto ciò che le aquile consideravano impossibile: una notte era strisciato nel Nido, e aveva rubato un uovo. Nulla era più prezioso di un uovo per le aquile - la nascita di un pulcino era un evento così raro da essere sempre causa di gioia e grandi celebrazioni. Che succedesse una cosa del genere era stata una terribile tragedia per le aquile - cercarono ovunque l'uovo, ma non trovarono segni né di esso né del goblin che lo aveva rubato. Non una singola aquila riposò quella notte - volarono sempre più lontano dal Nido nella speranza di trovarlo.

Ma ciò che non sapevano era che l'uovo era stato trovato, ed era protetto. Belladonna Took, con Gandalf al seguito, era incappata in una banda di goblin, e dopo la battaglia che ne era risultata, nella quale Belladonna aveva ucciso la sua buona dose delle ripugnanti creature, aveva trovato l'uovo e l'aveva avvolto attentamente per tenerlo al sicuro. La banda di goblin non era da sola, però, e Bilbo ascoltò con meraviglia Grumach raccontare della lunga, terrificante notte che Belladonna aveva passato cercando di proteggere l'uovo dal brutale attacco dei goblin, finché il sorgere del sole non aveva portato con sé le aquile, che avevano cacciato gli attaccanti rimasti. Belladonna era considerata un'amica delle aquile da quel giorno in poi.

"Vorresti vedere il pulcino che tua madre ha salvato?" gli chiese Luaithre più tardi quella sera, dopo che la storia fu terminata, e lo condusse ad un nido situato nel cuore più profondo della fortezza, non lontano da quello dei giovani. Lì, Bilbo trovò un'aquila a riposo per la notte, con la più giovane, più soffice aquila che Bilbo avesse mai visto, addormentata e nascosta sotto l'ala della madre.

"Questo è Beleram[1]," disse Luaithre, più piano che poteva, "e sua madre, Lasair. Lasair, questo è Bilbo Baggins, il figlio di Belladonna Took."

Bilbo fu preso alla sprovvista quando Lasair si inchinò a lui - non un semplice cenno del capo, che era l'abituale modo di salutarlo, ma il tipo di inchino riservato solo al Re.

"Sono onorata di incontrarti, Bilbo Baggins," disse Lasair, "E lo sarebbe anche Beleram, se fosse sveglio."

Parlarono per un po' in toni sommessi, prima che Bilbo e Luaithre si ritirassero al nido. Bilbo si addormentò raggomitolato quella notte, circondato da aquile su ogni lato, con un sorriso sul volto. Per la prima volta, si sentiva a casa. 

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L'inverno fu aspro e gelido, ma Bilbo lo affrontò con l'aiuto del suo mantello pesante, dei nuovi abiti, e del calore fornito dalle aquile. Ora si ritrovava ad essere intrattenuto dalle aquile - da quando il Re aveva raccontato la storia di Belladonna la Coraggiosa, il tramonto era diventato il momento per le aquile di narrare anche le loro storie. Bilbo rimaneva incantato da ogni racconto, ascoltava attentamente le storie della creazione delle aquile, della loro parte nella Guerra dell'Ira, e del loro Re, la più grande aquila mai vissuta, Thorondor.

Bilbo cambiava sempre più con ogni settimana. Diventò sempre più forte, emergendo dall'inverno come una creatura molto più temprata dell'hobbit che vi era entrato. Sparito era il grasso che aveva ricoperto il suo addome, sostituito da muscoli snelli e duri. I suoi piedi erano così duri che nemmeno le rocce più taglienti potevano danneggiarli, i palmi delle sue mani ricoperti da calli provocati dallo scalare pareti di roccia e alberi e dallo stringere la lancia. Ora poteva salire e scendere dai dorsi delle aquile non solo senza paura, ma con qualcosa che si avvicinava alla grazia. La sua prima uccisione - un coniglio, abbattuto dal suo coltello da lancio - non era stata pulita, e l'animale aveva chiaramente sofferto molto mentre moriva. Bilbo non aveva ripetuto l'errore - ora, quando uccideva, era il più veloce e pulito possibile.

D'impulso, aveva cucito le piume donate la Luaithre alle spalle dei suoi nuovi vestiti, prendendo un po' alla lettera le parole di Tuit, ma pensò che le bellissime piume si accostassero bene alla stoffa marrone, e di una di loro ne fece un ciondolo, legato con una sottile striscia di cuoio. Si chiese cosa avrebbero pensato di lui gli altri hobbit, se lo avessero visto ora - ma non c'era tempo per tali pensieri. La vita con le aquile era sempre affaccendata, piena di così tante sfide da tenerlo occupato, e quando la primavera sbocciò, splendente e bellissima, nella valle, ricoprendola di migliaia e migliaia di boccioli, Bilbo poté ammettere a sé stesso di essere felice in questa strana nuova casa.

I successivi cinque anni passarono in maniera simile, e ad un certo punto Bilbo aveva cominciato a parlare il linguaggio delle aquile giornalmente, finché non divenne l'unica lingua che parlava. Durante questi anni imparò più dei modi delle aquile di quanto qualunque altro essere - salvo Gandalf - fosse a conoscenza. Imparò ad accordare le orecchie alla musica della montagna, ai sussurri tra gli alberi, ad avanzare con passo silenzioso su ogni terreno, e a sapere che la forza del suo braccio era capace di lanciare la sua lancia e trovare il bersaglio nel cuore palpitante della sua preda. Apprese le conoscenze delle aquile sul cielo, che avevano un migliaio di parole diverse per descrivere i venti, ognuno leggermente differente, e che quando amavano, amavano ferocemente e completamente, un sentimento che Bilbo si ritrovò a ricambiare. In quei cinque anni arrivò a considerarle la sua famiglia, proprio come Belladonna aveva predetto.

 

Ma il cambiamento è una cosa imprevedibile, e arriva quando è meno gradito.

Il cambiamento venne un giorno d'estate, quando Bilbo e le giovani aquile si stavano riposando nelle pianure dopo una mattinata di duro volo. Si rilassavano pigramente nella calura, la maggior parte delle aquile assopite, mentre Bilbo mostrava a bassa voce a Landroval le proprietà di una pianta che aveva trovato nel profondo del bosco. Landroval era sempre stato stranamente affascinato dalle piante - insolito per un'aquile - ed era sempre entusiasta di apprendere qualcosa dell'estesa conoscenza botanica di Bilbo.

Da un momento all'altro, l'atmosfera rilassata fu sostituita da tensione quando Tuit alzò la testa per guardare l'orizzonte e fece notare:

"È fumo quello lì?"

Lo era, persino Bilbo poteva vederlo - una sottile colonna di fumo nero risaliva nel cielo estivo di un blu dolente.

La calma svanì, e senza una parola di intesa, si mossero come un unico essere, prendendo il volo in direzione del fumo, Bilbo afferrò la sua lancia e corse per saltare in groppa a Luaithre senza indugio.

Non c'era tempo per planare - le aquile batterono le ali, prendendo un ritmo veloce, Bilbo strinse gli occhi per la velocità. Un senso di premonizione strisciava nel suo stomaco, un avvertimento al quale aveva imparato a prestare attenzione, e quando le aquile si librarono sull'ultima collina e videro la fonte del fumo nero, l'inquietudine di Bilbo fu confermata.

Era il borgo di Jeth, sebbene le case annerite e bruciate erano a stento un qualcosa ormai, figuriamoci un borgo. Alcune erano ancora in fiamme, e producevano grandi colonne di fumo, ma Bilbo non aveva occhi per quello. Il suo sguardo era fisso sui fagotti qui e là, che, quando le aquile atterrarono, realizzò inorridito essere i corpi di persone.

Bilbo scivolò giù da Luaithre e fece qualche passo nel villaggio. Ovunque si girasse c'era un nuovo orrore - cadaveri ovunque, accasciati nei vani delle porte o stesi dove erano caduti sulla strada, probabilmente uccisi mentre cercavano di scappare. Le ferite su ognuno erano terribili, e Bilbo si allontanò, sussultando, da più di uno.

C'era sangue ovunque. Bilbo ci camminava sopra nonostante cercasse di evitare i corpi. C'era un silenzio che non aveva mai conosciuto, un silenzio opprimente che gli pesava sul cuore. Le aquile dietro di lui non dissero nulla. Nessuno disse una parola mentre osservavano la scena.

Un suono improvviso fece voltare Bilbo, la lancia alzata, pronto per un attacco, ma la abbassò velocemente. Una giovane donna era accasciata contro un muro, il viso ricoperto di sangue e terra, le mani premute sullo stomaco. Bilbo si affrettò al suo fianco, ma fu presto chiaro che non c'era nulla che potesse fare per lei - i suoi vestiti erano praticamente zuppi del sangue che sgorgava dalla ferita. Lei lo guardò con occhi terrorizzati, il volto giovane contorto dal dolore. Bilbo allungò la mano per prender la sua, per darle un qualche conforto, ma era troppo tardi - la luce nei suoi occhi si stava affievolendo, e lei morì prima che Bilbo potesse dire una parola.

C'era un altro corpo poco lontano da lei - quando finalmente riuscì a distogliere lo sguardo, vide un uomo disteso supino a terra, un coltello nella mano tesa. Era Jeth - il ragazzo era divenuto un uomo dall'ultima volta che Bilbo lo aveva visto, i suoi tratti mutati e affilati, ma non abbastanza da impedirgli di riconoscerlo.

"Chi ha fatto questo," mormorò infine Luaithre, fermandosi dietro Bilbo. Sembrava persa tanto quanto lui si sentiva. "Chi farebbe una cosa del genere?"

"Sono stati i mannari," disse Landroval, "guarda i segni dei morsi. Mannari e…"

"!" gridò improvvisamente Gwaihir, e con un movimento esplosivo si gettò in volo.

"Gwaihir!" chiamò Luaithre, ma lui si allontanava a gran velocità, diretto alla cresta della collina dove Bilbo poteva vedere la sagoma enorme di un animale che non aveva mai visto, ma che riconobbe subito. Un mannaro si ergeva in cima alla collina, e guardava giù verso di loro. Gwaihir aveva chiaramente tutta l'intenzione di ucciderlo, ma non l'avrebbe fatto da solo.

"Luaithre!" disse Bilbo, e in un attimo lei aveva abbassato la testa perché lui le salisse in groppa, e spalancò le ali per sfrecciare dietro Gwaihir, Landroval e Tuit subito dietro. Volarono nell'aria a velocità massima, spingendosi più velocemente con ogni battito d'ali, spinti dalla furia. Su Luaithre, Bilbo strinse una mano intorno alla lancia.

Non raggiunsero Gwaihir. Il mannaro si era voltato ed era fuggito, e Gwaihir aveva trasformato il suo volo in una picchiata. Il mannaro era veloce, la sua corsa nella piana più rapida di ogni cosa che Bilbo avesse mai visto; si dirigeva chiaramente alla relativa sicurezza dei boschi vicini, ma non era abbastanza veloce da superare un'aquila con la preda in vista. Gwaihir gli piombò sopra, aprì gli artigli e li affondò in profondità nel mannaro.

Ma il mannaro non era da solo. Inorridito, Bilbo ne osservò un altro apparire dall'oscurità del bosco, questo con in groppa un cavaliere, un cavaliere che stava tirando indietro la freccia incoccata al suo arco. Bilbo cercò di gridare, di avvertire Gwaihir, ma fu troppo tardi - la freccia fu scoccata, e colpì con un tonfo il petto di Gwaihir.

Gwaihir ruzzolò a terra in un turbine di ali e piume, gemendo dal dolore. A Bilbo sembrò che la freccia avesse colpito anche la sua carne - il cuore gli palpitò nel petto, ma non c'era tempo di fare il punto della situazione: Gwaihir era stato abbattuto, ed era vulnerabile, e altri mannari ancora stavano caricando dagli alberi, uno di loro diretto su di lui. Bilbo non ebbe nemmeno bisogno di dire nulla - Luaithre sapeva esattamente cosa fare. Scese in picchiata, sfiorando il terreno, ma superò il mannaro in carica - volò invece sopra la sua testa, per colpirne un altro più indietro. Ma, ancor prima, Bilbo si mise in movimento: corse sulla schiena di Luaithre per saltare, alto nell'aria, portò indietro il braccio con la lancia e poi la affondò profondamente nel collo del mannaro.

Il mannaro ululò, scalciò e si divincolò, ma Bilbo piantò entrambi i piedi nel fianco della creatura, aggrappandosi coraggiosamente alla lancia conficcata nel suo collo. Afferrandola con entrambe le mani, si spinse via con in piedi, usando il mannaro come trampolino. Strappò via la lancia con uno spruzzo di sangue nero, e cadde a terra. La bestia era agonizzante, ma Bilbo non aveva tempo per guardarla cadere - si voltò e scattò, percorrendo la distanza che lo separava da dove Gwaihir stava cercando di tirarsi su. Tutt'intorno a loro era il caos - Landroval e Tuit si erano uniti a Luaithre in battaglia, e l'aria era pregna del suono delle loro grida di battaglia, dell'ululato del mannari e dello stridio degli orchi.

"Sta' fermo tu-" che si sappia che Bilbo aveva appreso un bel po' di imprecazioni nella lingua delle aquile, ma Gwaihir continuò ad agitarsi e ad avere spasmi di dolore e frustrazione.

"Gwaihir, basta!" gridò Bilbo, "Devo tirare fuori la freccia, quindi smettila di muoverti!" e infine Gwaihir si arrese, il petto che si sollevava con ogni respiro. Bilbo mise entrambe le mani intorno alla freccia - persino questo gesto minimo fece sussultare involontariamente Gwaihir - e con tutta la sua forza, la estrasse dal petto di Gwaihir. L'aquila gridò di dolore, ma il problema non era finito lì, perché Bilbo vide che la punta della freccia era macchiata non solo di sangue, ma anche di una sostanza densa e disgustosa, che ora fuoriusciva dalla ferita di Gwaihir. Veleno.

Il rumore di zampe allertò Bilbo della presenza di un attaccante, e lui ruotò su sè stesso per affrontarlo di petto, schivando la carica del mannaro lanciandosi a sinistra appena in tempo per evitare lo schiocco delle fauci, rotolò in piedi, lanciò un fendente con il suo coltello da caccia per tagliare le zampe del mannaro, e conficcò la freccia nell'occhio della creatura.

Bilbo tornò al fianco di Gwaihir veloce tanto quanto gli permettevano le gambe, spinse via le piume intorno alla ferita da freccia, pieno di paura per i gemiti di Gwaihir che si affievolivano rapidamente. Se Bilbo voleva che Gwaihir avesse qualche possibilità di sopravvivenza, doveva estrarre il veleno. L'improvvisa consapevolezza lo sorprese per la sua chiarezza, e con movimenti sicuri e senza un briciolo di esitazione, Bilbo cominciò a succhiare il veleno dalla ferita.

Il sangue gli riempì la bocca, il sapore non molto diverso da quello di Bilbo, ma c'era qualcos'altro, qualcosa di così ripugnante che lo fece quasi rigettare. Ma riuscì a sputare il sangue sull'erba, e ritornò alla ferita per ripetere l'azione. Per i primi minuti non sembrò esserci effetto, ma la decima volta, Bilbo era certo di sentire più sangue che veleno. Stava funzionando.

Ma Luaithre e gli altri non potevano tenere a bada tutti i nemici. Un mannaro e un cavaliere caricarono Bilbo, e con un ringhio lui afferrò la lancia per affrontarli. Il mannaro correva a tale velocità che Bilbo riuscì a stento a schivarlo, graffiandogli il muso con la punta della lancia. Il mannaro ringhiò, più arrabbiato che ferito, e Bilbo dovette bloccare il fendente di spada del cavaliere con la propria lancia, le braccia che gli tremavano per la forza del colpo. Saltò qualche passo indietro mentre il mannaro tornava verso di lui di nuovo a velocità fulminea, sollevandosi sulle zampe posteriori per lanciarsi su Bilbo con artigli e zanne.

Bilbo digrignò i denti insanguinati, tenne in alto la lancia, e non si mosse. Guidò la lancia nel palato della bocca aperta del mannaro, la lasciò andare, scartò di lato per evitare la testa agitata del mannaro, sguainò il coltello da caccia dal fodero alla propria vita e lo lasciò volare. La testa dell'orco fu gettata all'indietro dalla forza del coltello che si conficcava nel suo collo. Mannaro e cavaliere morirono con ringhi furiosi.

Tornò di corsa al fianco di Gwaihir e riprese il compito. Altre due boccate, e l'unico sapore che Bilbo sentì fu quello del sangue. Sarebbe crollato dal sollievo se il suo sangue non avesse cantato di euforia per la battaglia, ma non c'erano più nemici da affrontare - Luaithre, Tuit e Landroval avevano combattuto bene, ed erano uno spettacolo glorioso mentre estirpavano gli ultimi mannari e orchi dal campo di battaglia. Uno o due furono fortunati e fuggirono, ma la maggior parte cadde preda degli artigli e dei becchi delle aquile.

Bilbo recuperò la lancia e il coltello da caccia dal corpo del mannaro. Per un secondo non volle fare altro che inseguire i mannari, persino nei boschi dove le aquile non potevano seguirlo, ucciderli tutti. Poi Gwaihir emise un lieve mormorio, e qualunque ferocia che era stata svegliata in Bilbo passò.

Dopo un'ora di riposo, Gwaihir riuscì a tirarsi in piedi, e poi volare, sebbene fosse chiaramente indebolito e dovette tornare molto lentamente al Nido. Le altre aquile e Bilbo rimasero vicine a lui  sulla strada di casa, così vicine che le punte delle loro ali si sfioravano di tanto in tanto. Tuit era volato avanti, e le aquile stanche per la battaglia, incontrarono a metà strada altre dodici aquile, guidate da Deas, che le scortarono per il resto della strada.

Bilbo non avrebbe saputo dire cosa successe dopo. Fu sopraffatto dalla stanchezza non appena atterrarono, l'adrenalina che lo aveva sostenuto era svanita ora che il pericolo era passato. Registrò appena il suono delle aquile che gridavano insieme, furiose, preoccupate e addolorate; Gwaihir che veniva mandato a riposare per guarire le sue ferite nel loro nido. Bilbo tornò in sé in piedi davanti al Re, e sebbene molti dicano che le aquile siano animali severi e freddi che provano poche emozioni, Bilbo sapeva la verità: l'intero portamento di Grumach era pieno di paura, di dolore e di crescente rabbia.

"Bilbo," disse il Re. Erano circondati all'apparenza da tutte le aquile del Nido, salvo Gwaihir. "ti chiameremmo Bilbo il Coraggioso d'ora in avanti, se tua madre non avesse già preso il titolo! Invece ti chiameremo cuore d'aquila, amico delle aquile fino alla fine dei tuoi giorni, e persino oltre. Hai dimostrato il tuo valore in battaglia - tutti voi l'avete fatto - ma non solo, tu hai anche salvato mio figlio. Non potrò mai ringraziarti abbastanza, ma ciò che posso fare è rimediare ad un torto."

Bilbo, oscillando leggermente sui suoi piedi, sbatté le palpebre, confuso. "Un torto, signore?" disse, "Non ricordo che mi abbiate mai fatto alcun torto. Non siete stati altro che gentili."

"No, Bilbo," dissentì Grumach, "lo abbiamo fatto. Hai vissuto con noi per sei stagioni ormai, hai vissuto con noi come ogni altra aquila. Hai condiviso le nostre gioie e i nostri dolori, e hai affrontato molte avversità al nostro fianco. Ma mai, durante tutto questo tempo, ti abbiamo detto i nostri Primi Nomi."

Un mormorio passò tra le altre aquile, un basso suono di intesa. Bilbo osservò, troppo stupito per dire qualcosa, il Re fare un passo avanti, chinare la testa, e dire:

"Bilbo Baggins, colui che ha il cuore d'aquila, io ti dono il mio Primo Nome. Io sono La-Luce-Che-Colpisce-Attraverso-Le-Nuvole."

Le parole con le quali il Re pronunciò il suo Primo Nome erano astratte, e quasi intraducibili nella Lingua Corrente, ma Bilbo conosceva il linguaggio delle aquile bene tanto quanto il proprio, e capì completamente il significato del nome.

Deas fece un passo avanti e disse, "Bilbo, sono onorato di poterti chiamare mio amico. Ti dono il mio Primo Nome. Sono La-Canzone-Attraverso-L'Erba."

Bilbo ebbe appena il tempo di ringraziare prima che Luaithre, Tuit e Landroval facessero tutti un passo avnai.

"Io sono La-Brezza-Che-Smuove-Il-Fiume," disse Luaithre.

"Io sono Il-Sussurro-Delle-Foglie-Cadenti," disse Landroval.

"Io sono La-Danza-Della-Prima-Caduta-Di-Neve," disse Tuit.

Continuò ancora e ancora, finché ogni aquila nel Nido non ebbe donato il suo Primo Nome a Bilbo, e lui non fu quasi sopraffatto dal gesto.

"Aquile di Manwë!" gridò il Re, "Vorrei che questo gesto di famiglia avesse luogo in una notte migliore di questa, tanto siamo preoccupati da questa notizia di mannari con cavalieri. Chiedo a voi, gridate! Alzate le vostre voci, poiché ora siamo in guerra, e non riposeremo finché ogni orco e mannaro non avrà conosciuto il taglio dei nostri artigli!"

Come un unico essere, le aquile alzarono le loro voci, e Bilbo gridò al cielo con loro, il cuore che gli martellava nel petto. Erano in guerra. Bilbo era in guerra. Non si tornava in dietro, ormai.

Le aquile tennero fede alla loro parola, e sebbene Bilbo non si unì immediatamente a loro in battaglia - il veleno, anche se ingerito in minime quantità, lo confinò al nido per tre giorni - i due anni successivi furono un susseguirsi di azioni di guerra. I mannari e i cavalieri facevano del loro meglio per distruggere altri villaggi degli uomini nelle Montagne Nebbiose, ma le aquile non glie lo lasciarono fare. Quando volavano in battaglia, Bilbo andava con loro, armato di lancia e coltello, in groppa a Luaithre o Gwaihir. Le giovani aquile avevano dimostrato di essere più che capaci di prendere parte alla guerra, e sebbene Bilbo sospettava che a volte il Re rimpiangesse la decisione, e avrebbe voluto solo tenerli nascoste fino alla fine della guerra, lui li lasciò unirsi alle altre aquile nel portare distruzione sui loro nemici.

Bilbo diventò esperto di colpi veloci e fulminei, mortali nella loro efficacia. Saltava dal dorso di un'aquila, faceva il danno, e veniva preso di nuovo su da un'altra aquila. Si rendeva anche utile quando i mannari provavano a nascondersi nei boschi, usati come riparo dalle aquile. Bilbo li aspettava, in alto tra gli alberi, e usava tutto il suo ingegno e astuzia per ucciderne il più possibile prima di venir scoperto.

Si provocò molte cicatrici durante questo tempo, una di loro particolarmente orrenda - uno strano mannaro bianco era riuscito a colpire in pieno il fianco di Bilbo durante una battaglia particolarmente dura. Le aquile avevano temuto il peggio, e Bilbo era stato in punto di morte per molti giorni prima di recuperare ostinatamente contro tutte le aspettative, sebbene gli rimasero tre lunghe cicatrici bianche  sul fianco destro.

Ci furono anche momenti gioiosi, quando gli veniva concessa una certa tregua, a volte per un mese intero quando i mannari ritornavano nel qualsivoglia buco dal quale erano strisciati fuori per leccarsi le ferite. Ma tornavano sempre, e in maggior numero, finché non sembrava esserci fine.

La vittoria fu conquistata duramente. Per quando Bilbo fu esausto delle battaglie, lui e le aquile potevano finalmente affermare di aver cacciato i mannari e gli orchi fuori dal loro territorio, e di averli uccisi quasi tutti. Dopo una delle ultime battaglie della guerra, che era stata più un ripulisti dei mannari rimasti, ancora troppo sciocchi da non girare i tacchi e fuggire, Bilbo si ritrovò in piedi di fronte alle ampie, immobili acque di un grande lago, fissando il proprio riflesso.

Era ricoperto di sangue - la maggior parte del colore scuro che veniva dagli orchi e dai mannari, per fortuna. Ne aveva le mani imbrattate. Il suo volto era magro e tagliente, indossava abiti marroni e grezzi con bracciali di pelle. Un ciondolo fatto di una piuma d'aquila era appeso al suo collo.

Non si riconobbe. Non c'era segno dello hobbit dagli occhi luminosi che era arrivato al Nido tutti quegli anni prima, nel volto stanco che ricambiava il suo sguardo. Era pieno di una stanchezza profonda che sapeva lo assillasse da molti mesi ormai. Non era questo che sua madre voleva per lui, e sapeva che suo padre sarebbe inorridito a vederlo così. Era arrivato davvero fino a questo punto? Era rimasto qualcosa dello hobbit che era stato una volta, o due anni di battaglie lo avevano spazzato via? Improvvisamente, sentì il bisogno dei suoi libri, della sua poltrona, di parlare di nuovo la Lingua Comune. Ma più di tutto, sentì il bisogno del tipo di pace e sicurezza che si poteva trovare solo nella Contea.

Luaithre si avvicinò. "Bilbo?" chiamò, "sei pronto a tornare, ora?"

Bilbo rimase un momento in silenzio, poi si rivolse all'aquila che considerava sua sorella e sorrise tristemente.

"Sì," disse, "ma non al Nido. Penso sia tempo che io torni nella Contea."

Continua...


[1]Beleram: putroppo non so dirvi se compare anche nel Signore degli Anelli, ma una piccola curiosità: nel videogioco "La guerra del Nord", in cui, con tre personaggi, si ripercorrono gli eventi accaduti nel nord della Terra di Mezzo mentre Frodo e la Compagnia intraprendono la loro missione, compare come personaggio non giocante - ma chiave nella storia e nel gameplay - proprio Beleram!

Note della Traduttrice - reprise

Ebbene, ora le vostre domande hanno una risposta! Per ricapitolare le cose, BIlbo arriva al Nido a 33 anni, e passa 8 anni lì, quindi ne ha 41 quando torna nella Contea. E nel prossimo capitolo comincia la seconda parte di questa storia: ovvero arrivano i nani!
A presto!
KuroCyou

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Ritorno a Casa ***


Note della Traduttrice
Buon Ferragosto gente! Pare che stavolta io sia puntuale ahah. Bene, vi lascio al capitolo :3

Buona lettura! ♥
 


- Capitolo 4 -
Ritorno a Casa

Gli hobbit della Contea non erano mai stati in grado di trovare un comune accordo su cosa fosse successo il giorno in cui Bilbo Baggins era sparito dalla Contea. Alcuni dicevano che Bilbo aveva problemi di debiti, e che la comparsa delle aquile e presunto rapimento non erano altro che una copertura. Altri, piuttosto ingiustamente, affermavano che Hamfast Gamgee avesse fatto una visita alla sua riserva di grappa, nonostante fosse mattina, e che si fosse sognato tutto. E quelli tra di loro con una mente più macabra dicevano che Bilbo era stato trangugiato dalle aquile come uno spuntino gustoso.

Ma comunque era stata l'unica altra testimone dell'evento, Lobelia Sackville-Baggins, a riportare qualcosa di vicino a ciò che era davvero accaduto quel giorno.

"Ho visto tutto," diceva sempre Lobelia quando la gente gli chiedeva cosa fosse successo, "e ve lo dico ora, che Bilbo è andato con quei perfidi animali di sua spontanea volontà. È matto quanto sua madre, ma dubito che sia ancora vivo."

Ma c'era una cosa sulla quale erano tutti d'accordo: qualunque fosse l'affare in cui Bilbo si era cacciato, era quasi certamente morto. Quindi immaginate la loro sorpresa quando, un giorno di tarda primavera, cinque aquile atterrarono sopra Casa Baggins.

Nel suo giardino in fondo alla strada, Hamfast Gamgee per la sorpresa lasciò cadere le sue cesoie da potatura.

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Separarsi dalle aquile fu forse una delle cose più difficili che Bilbo avesse mai fato. Quando aveva annunciato la sua decisione di andarsene, c'era stato sgomento, e tanta tristezza tra le aquile. Fu particolarmente difficile per i giovani, sebbene Gwaihir ammise che sapeva che sarebbe successo. Tuit si era lamentato, sonoramente, finché Landroval, che negli otto anni durante i quali Bilbo l'aveva conosciuto aveva perso i modi riservati, era intervenuto dicendogli di smettere di rendere le cose più difficili.

Bilbo aveva lasciato il Nido con ogni benedizione che le aquile potevano dargli. Deas lo avrebbe riportato nella Contea, fu deciso, ma poi i giovani avevano insistito per accompagnarlo anche loro. Nessuno fu contrario.

Dopo due giorni di viaggio, durante i quali Bilbo si convinse che stessero prendendo la strada più lunga intenzionalmente, ma tenne per sé i sospetti, atterrarono nelle terre fertili della Contea. Con cuore pesante, Bilbo disse addio alle aquile; abbracciò ognuna di loro più stretto che poteva, cercando di imprimere nella memoria ogni sensazione - il loro odore, il tocco delle loro piume morbide sulla sua guancia, il peso dei loro becchi quando ricambiavano l'abbraccio, e il modo in cui la luce del sole retro-illuminava le loro figure, dando loro un'aria nobile. Le aquile non rimasero - non era nella loro natura. Presero il volo l'una dopo l'altra, librandosi in alto nel cielo. Non guardarono indietro.

Casa Baggins era immutata in modo sconvolgente. Bilbo aveva trasferito la proprietà della casa ad Hamfast Gamgee per la durata delle sue avventure - la lettera che gli aveva dato prima di correre via con le aquile stipulava che i Gamgee potevano usare la casa come volevano fino al suo ritorno. Conteneva anche una clausola che assicurava che Bilbo, se non fosse ritornato entro dieci anni, dovesse essere dichiarato morto e la proprietà di Casa Baggins passata totalmente ad Hamfast. Bilbo aveva assicurato la cosa con tutta la precisione e la cura delle parole che suo padre gli aveva insegnato, così che nemmeno i Sackville-Baggins avrebbero potuto trovare una scappatoia nella lettera, sebbene Bilbo fosse certo che ci avessero provato.

Ma Casa Baggins non era stata affatto usata mentre Bilbo era via. Aveva vagato per le stanze la notte del suo ritorno, sfiorando con le dita libri, piatti e ninnoli, e meravigliandosi dell'assenza di polvere. Hamfast doveva essere passato regolarmente a pulire, si rese conto, e Bilbo mentalmente prese nota di rimborsare il giardiniere che era andato molto oltre il suo dovere. La notizia del suo ritorno si sparse velocemente, come sempre con ogni nuovo scandalo, ed entro un'ora dal suo atterraggio bussarono alla porta. Bilbo li ignorò tutti.

Quelle prime settimane nella Contea furono strane in un modo che Bilbo faticava a descrivere. Dormiva poco - aveva il letto più soffice ed accogliente che i soldi potevano comprare, ma non riusciva a dormirci. La prima notte si era arreso e aveva dormito sul pavimento di duro legno, ma persino quello non gli aveva permesso di riposare. Durante la notte allungava costantemente le mani, cercando il tocco di piume contro di esse.

Gli altri hobbit non sapevano cosa pensare del ritornato, e decisamente non morto, Bilbo Baggins. All'inizio avevano preteso di vederlo, per sapere se le voci erano vere. Poi, tutto d'un tratto, presero a tenersi a distanza, persino quando Bilbo usciva per andare al mercato, e la frase 'matto Bilbo Baggins' raggiungeva le sue orecchie più di qualche volta. In un primo momento, a Bilbo non importò. Si beava della solitudine permessagli dall'essere un reietto, salvo le serate occasionali passate a bere grappa con Hamfast. Per quelle prime settimane fu l'unica cosa in cui Bilbo trovava un po' di felicità. Scoprì di osservare la Contea, e persino Casa Baggins, come attraverso gli occhi di uno sconosciuto. La Lingua Comune suonava strana sulla sua lingua, e a volte inciampava su parole che avrebbe dovuto conoscere, scivolando nel linguaggio delle aquile senza rendersene conto. Non sentiva nessuna connessione, nemmeno alla poltrona di suo padre. Bilbo era cambiato, ma la Contea non era cambiata con lui, e si chiese se fosse possibile avere uno shock culturale per il posto dove era cresciuto.

Dopo due mesi, Bilbo si riscosse dal torpore in cui era caduto. Decise di intraprendere una campagna attiva contro i pettegolezzi della Contea, e reclamare, non importa quanto difficile sarebbe stato, la rispettabilità che era stata l'orgoglio di suo padre. Indossò rispettabili vestiti da hobbit, si assicurò di non uscire mai senza fazzoletto, invitò quella che gli sembrò ogni famiglia della Contea in casa sua per il tè, e non fece mai parola con nessuno di dove era stato.

Fu un processo lungo. La maggior parte di loro accettava i suoi inviti semplicemente per avere nuovi pettegolezzi da diffondere, ma Bilbo parò ogni domanda invasiva sulla sua scomparsa, e infine i suoi ospiti smisero di chiedere. Dopo un po', Bilbo divenne eccentrico piuttosto che matto, sebbene il secondo fosse un titolo che veniva ancora usato più frequentemente di quanto non avrebbe voluto. Bilbo si seppellì nei libri e occupazioni hobbitesche. Teneva molto alla sua casa, sentendosi come se ogni oggetto fosse un altro collegamento con il suo lato hobbit. Con l'aiuto di Hamfast, coltivò un giardino che divenne l'invidia della Contea, e se c'era una cosa che dava davvero piacere a Bilbo, era la sensazione della buona terra tra le dita e sotto le unghie.

Ma c'era un nodo stretto nel suo petto, e non importa quante pipe di Vecchio Tobia fumasse Bilbo, non si scioglieva. C'erano momenti in cui prendere tra le mani un grosso blocco di terreno bagnato nel suo giardino non bastava, e le mani spasimavano per sentire la grana familiare del legno della lancia che aveva lasciato indietro.

Quando finalmente Bilbo poté definirsi di nuovo rispettabile prese il suo coltello da caccia e svanì per un'intera giornata nelle terre intorno alla Contea. Con passo silenzioso, seguì le prede nei boschi e ritornò a Casa Baggins quella sera tardi in compagnia di tre conigli, gettati sulle sue spalle. La settimana successiva lo fece di nuovo, ma dormì fuori, sul terreno soffice dei boschi. Il nodo nel suo petto si allentava un po' ogni volta che lo faceva, e lo stufato di coniglio divenne un pasto regolare a Casa Baggins.

E se Bilbo si ritrovava a guardare ad est, ogni tanto, o a cercare sagome familiari nel cielo - beh. Non ne faceva mai parola con nessuno.

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C'era un uomo che risaliva il vialetto, avvicinandosi a Casa Baggins con l'andatura costante di qualcuno che non andava di fretta. No, Bilbo si corresse mentre lo sconosciuto si avvicinava. Non un uomo.

Gandalf il Grigio si fermò davanti a Bilbo, si appoggiò al suo bastone, e gli sorrise.

Bilbo si fermò, riponendo di lato il suo coltello. Il coniglio tra le sue mani, mezzo scuoiato, fu appoggiato sulla panchina a fianco a lui.

"Buongiorno, Gandalf," disse Bilbo con un sorriso, guardandolo negli occhi.

Gandalf alzò le sopracciglia. "Bilbo Baggins, ti ricordi chi sono?"

"Certo che sì," disse Bilbo. Forse si era dimenticato di Gandalf, era passato tanto tempo da quando lo stregone aveva visitato la Contea, ma molte delle storie delle aquile lo includevano. Non vide ragione di dirglielo, però. "Non mi dimenticherei un così buon amico di mia madre, o il creatore di tanto eccellenti fuochi d'artificio!"

Gandalf sbuffò e scosse la testa, "Bene allora, mio caro Bilbo, sono felice di averti lasciato una tale impressione, e arriverò dritto al punto." Si sporse in avanti, come per impartire un grande segreto, e Bilbo non riuscì a fare a meno di sporgersi a sua volta. "Sto cercando qualcuno con cui condividere un'avventura."

Bilbo sentì il proprio cuore fermarsi. La successiva parte della conversazione passò in un turbine, ma Bilbo ricordava distintamente di aver detto chiaramente di 'no', molte volte, prima di aver praticamente sbattuto la porta in faccia a Gandalf ed essersi ritirato nella sicurezza di Casa Baggins.

La mano destra di Bilbo si strinse in un pugno, aspettandosi di trovare una lancia che non era lì. Se conosceva bene Gandalf, allora la questione non era finita lì, e risolse di dire di nuovo no quando lo stregone fosse tornato, ma più forte.

Bilbo aveva ragione. Non era finita lì. Quella sera si ritrovò casa, la casa con la quale aveva appena ritrovato una familiarità, invasa da nani. Quando il primo era arrivato, spalle larghe e parole brusche, Bilbo aveva reagito con buone maniere istintive, ma non gli aveva tolto gli occhi di dosso. Dwalin era entrato in Casa Baggins, presupponendo il benvenuto, e se Bilbo prima aveva reagito con educazione automatica, ora gli ci volle ogni briciolo di autocontrollo per non scattare contro l'invasione del nano.

Dwalin era passato oltre, ignaro o incurante della violenza che Bilbo gli aveva quasi inflitto contro. Bilbo si era preso qualche secondo per ricomporsi, inorridito dal fatto che era andato così vicino al far del male ad un'altra persona che non aveva fatto nulla di male, salvo essere un po' maleducata. Era così sconvolto da sé stesso che lasciò entrare i nani successivi senza lamentarsi, persino quando uno di loro si pulì gli stivali sulla cassapanca di sua madre.

Erano ovunque, ora. Ovunque andasse erano lì a distruggere altri pezzi della sua pace attentamente costruita, calpestando i tappeti, infilando il naso in stanze che non gli appartenevano. Gandalf non fu di grande aiuto, quando arrivò, e Bilbo si ritrovò ad arrabbiarsi sempre di più per ogni morso di cibo mangiato.

L'ultima goccia fu vedere uno dei nani più giovani fare il giocoliere con la collezione di tazze da tè di sua madre. Il nano era giovane, con i capelli scuri e gli occhi vivaci, e si limitò a sorridere quando notò Bilbo.

"Mettile giù, mastro Nano," ringhiò Bilbo. Il nano interruppe i suoi movimenti, smettendo per un momento di fare il giocoliere, ma non chiese scusa.

"Andiamo, Signor Boggins," disse spavaldo il nano, "è solo per divertirsi un po', vedi - penso di potercela fare con quattro…"

Bilbo scattò. La sua mano volò alla cintura, dove aveva nascosto il suo coltello dopo il primo arrivo a Casa Baggins, e fulmineamente lo estrasse e lo lanciò in direzione del nano.

Il coltello si conficcò in uno stipite di legno ad un pollice dall'orecchio destro del nano. Il sorriso svanì dal suo volto.

"Rimettile a posto, o giuro che…" Bilbo fu improvvisamente distratto dalla vista di un altro nano svignarsela con i suoi pomodori da primo premio, e gli corse dietro.

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Kili rimase lì, congelato sul posto. Lentamente, si girò a guardare con occhi sgranati il coltello conficcato profondamente nel legno. La lama era così vicina da appannarsi con il suo respiro.

"Kili!" disse allegramente suo fratello dopo che lui ebbe riposto le tazze da tè e fu ritornato al tavolo. "Vieni," disse Fili, mettendogli un braccio intorno alle spalle, "assaggia un po' di questo formaggio, è ammuffito ma…"

"Fili," sibilò Kili, avendo finalmente trovato le parole, "Penso che lo hobbit abbia appena cercato di uccidermi."

Fili abbaiò una risata, "Cosa?!" disse incredulo, "Di cosa stai parlando?"

"Sono serio Fili," insistette Kili, "Ha lanciato un coltello dritto contro di me, mi ha quasi cavato un occhio - per qualche tazzina da tè!"

"Hai bevuto decisamente troppo," rise Fili, "Lascia stare la birra per un po', va bene?"

"No, davvero, penso potrebbe essere tipo un… un assassino hobbit o roba del genere! Forse è per questo che Gandalf vuole che lo assumiamo?" ma Fili si era chiaramente convinto della sua idea, e si limitò a ridere delle teorie di Kili su hobbit che erano segretamente killer addestrati.

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Bilbo pensava che la serata non potesse peggiorare ancora. Ma peggio di tutto finora - la ciliegina sulla torta - fu l'arrivo dell'ultimo ospite.

Thorin Scudodiquercia poteva essere il capo di questa chiassosa Compagnia, ma la prima impressione che Bilbo ebbe di lui non fu affatto positiva. Bilbo si sentiva raramente piccolo - persino durante la sua permanenza con le aquile non si era sentito piccolo come quando Thorin lo guardò da sopra il suo naso dritto.

"Ascia o spada?" gli chiese Thorin, e Bilbo quasi gli rise in faccia.

Nessuna delle due, volle ringhiargli contro, vorresti vedere cosa, esattamente, so fare con una lancia?

Bilbo sentì il proprio labbro superiore ritrarsi, scoprendo un incisivo, ma invece rispose con una battuta sulle castagne. Stava tremando quando Thorin e gli altri, ora calmatisi alla presenza del loro capo, cominciarono a spiegare il loro piano folle. Bilbo percepì qualcosa smuoversi dentro di lui, qualcosa che sperava di aver seppellito circondandosi delle cose semi-familiari di Casa Baggins. Ma ora la sua casa era stata invasa, e tutta la sua stabilità gettata nello scompiglio, e le parole di sfida di Thorin Scudodiquercia avevano risvegliato il suo lato più fiero. L'accenno ad un drago e alla possibilità di morte gli avevano giusto dato una scusa per fuggire dalla stanza.

Gandalf andò a sedersi con lui, rivolgendogli quello che poteva essere descritto come uno sguardo paterno di disapprovazione, e gli chiese quando fosse diventato così legato ai suoi ninnoli.

Da quando sono diventati l'unico legame che ho all'essere un hobbit, Bilbo pensò tra sé e sé, ma non disse nulla e avvolse le mani intorno alla sua tazza di tè.

"Bilbo, mi trovi un po' confuso," ammise Gandalf, "Hai già fatto una cosa del genere prima d'ora - sparire dalla Contea, correre via per andare in un'avventura. Perché questo è così diverso?"

Bilbo sbuffò sarcastico. "La mia ultima avventura non è esattamente andata come previsto, Gandalf," disse. Se Gandalf non era a conoscenza di cosa Bilbo avesse fatto durante il suo periodo con le aquile, della guerra che aveva combattuto, allora lui non aveva intenzione di parlargliene.

"Le avventure raramente lo fanno," ribatté Gandalf, "è questo che le rende avventure. E poi, non vuoi vedere di nuovo le montagne? Rivedere le aquile?"

Bilbo si girò di spalle, chiudendo gli occhi, "Non posso negare che mi piacerebbe Gandalf, e che desidero rivedere le montagne. Ma mi ci è voluto così tanto per riprendermi dalla mia ultima avventura. Non posso farlo di nuovo, Gandalf, mi dispiace, non posso e basta."

Con ciò, si ritirò a letto. Rimase disteso al buio, fissando il soffitto e ascoltando il suono di voci innalzate in una solenne canzone, una canzone che smosse le braci del feroce fuoco che era stato risvegliato quella sera. Il sonno non arrivò per molte ore, finché Bilbo non si arrese finalmente e dormì sul pavimento.

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Il giorno successivo Bilbo si svegliò lentamente, cosa molto insolita per lui. Per qualche momento, non ricordò nulla della notte precedente, ma poi tutto gli tornò in mente come un torrente. Si aggirò per Casa Baggins in punta di piedi, finché non fu certo di essere solo.

Non ci fu alcun senso di sollievo nell'essere stato lasciato in pace. C'era solo un intorpidimento, una mancanza di emozioni finché i suoi occhi non caddero sul contratto, che era stato abbandonato con noncuranza.

Fissò la linea vuota, dove sarebbe dovuta stare la sua firma. Il battito del cuore gli rimbombava nelle orecchie. Le montagne lo stavano chiamando, e un'inquietudine nel profondo del suo cuore gli solleticava la pelle. Si sentiva esattamente come quella volta, tutti quegli anni prima, nel breve momento prima di essersi buttato, dicendo di sì a Deas. Ma questa volta la sua paura non era dell'ignoto, ma di sé stesso. Osava rifarlo, sapendo che sarebbe potuto diventare di nuovo quell'animale in preda agli istinti al quale non importava di prendere la vita di un altro essere?

Ma no, pensò Bilbo con un'improvvisa certezza - era un amico delle aquile, acclamato come cuore d'aquila. Poteva controllarsi, poteva farlo, andare ovunque lo portasse il sentiero. Era abbastanza forte da affrontare qualunque cosa avrebbe portato.

Passò dallo stare fermo in uno stato di sconvolgimento ad un turbinio di movimento da un momento all'altro. Preparò una borsa di fretta, avendo cura però di prendere il suo acciarino, ficcandovi dentro vestiti e qualunque altra cosa sapeva sarebbe stata utile. L'eccitazione fece sì che il cuore gli battesse più forte, e che un sorriso ridicolo gli illuminasse il viso.

Bilbo spalancò la cassa ai piedi del letto e si fermò. Lì, sul fondo del baule di quercia, c'erano i vestiti che aveva fatto durante la sua permanenza con le aquile; delle piume decoravano ancora le spalle e la schiena della giacca. Subito dopo che era tornato nella Contea, Bilbo li aveva messi via con cura. Sebbene non ne avesse davvero bisogno, con la foga del momento li afferrò, ma disfece lo zaino per nasconderli sul fondo.

Infine, Bilbo si mise lo zaino in spalla e infilò il coltello nella cintura, schioccando la lingua con disapprovazione alla tacca rimasta sul legno. Impaziente di partire, Bilbo dimenticò di chiudere a chiave la porta d'ingresso - sfrecciò giù per la strada il più veloce possibile, e Hamfast Gamgee gli gridò dietro mentre lui lo superava: "Dove state andando, Signor Baggins?"

"Sto partendo per un'avventura!" gridò di rimando Bilbo, saltando la staccionata, "di nuovo!
 

Continua...


Note della Traduttrice - reprise

Bene, siamo arrivati al punto che aspettavano tutti! Ah, come informazione logistica, se ricordo bene, Bilbo ha comunque 50 anni quando parte con i nani, quindi in questo capitolo c'è un gap di 9 anni.
Volevo poi riferirvi una cosa che l'autrice ha scritto nelle note di questo capitolo, ossia che - come penso abbiate notato da qui - non ha intenzione di riscrivere tutte le scene per filo e per segno. Quelle situazioni che ormai sappiamo a memoria a forza di rileggerle o rivederle nei film verranno superate velocemente, per lasciare più spazio a materiale originale c:
A presto!
KuroCyou

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Come spaventare un Nano ***


Note della Traduttrice
Bentornati gente all'appuntamento settimanale (più o meno - ok molto meno e poco più) con questa fic! Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento!
Buona lettura! ♥
 


- Capitolo 5 -
Come spaventare un nano

Bilbo non si era mai reso davvero conto di quando disagevole potesse essere viaggiare quando non c'erano aquile che ti portano rapidamente da un posto all'altro a portata di mano. Dormire sulla dura terra non gli avrebbe creato problemi tutti quegli anni prima, con le aquile, ma, dopo così tanto tempo nella Contea, il corpo di Bilbo era decisamente confuso riguardo su che cosa stesse dormendo. Il sacco a pelo di Bilbo non era disgraziatamente né il suo letto a Casa Baggins, né il suo pavimento a Casa Baggins, né il nido delle aquile. La cosa peggiore era che Bilbo si ritrovava a svegliarsi durante la notte, come non gli capitava da anni, aspettandosi di essere circondato dalle enormi sagome dormienti delle aquile; invece, si svegliava per ritrovarsi confinato su tutti i lati da nani che russavano sonoramente.

Ancora peggio fu l'andare a cavallo. Sebbene la sua cavalcatura fosse indubbiamente un animale amabile a cui Bilbo si affezionò rapidamente, non era un'aquila. I muscoli di Bilbo erano abituati al dorso di un'aquila, non a quello di un cavallo, e resero noto il loro scontento. Si metteva a dormire con la schiena bloccata e le cosce doloranti, e il giorno dopo si alzava per dover rimontare sul suo pony a malapena in grado di sollevare le gambe per camminare.

Almeno il cibo era buono.

Per quanto riguarda la compagnia - beh, Bilbo stava facendo progressi su quel fronte. Subito dopo essersi unito a loro, la maggior parte dei nani lo aveva trattato con cortesia, ma nulla di più. Non c'era stato alcun reale sforzo da parte loro di fare amicizia, quindi Bilbo si era assunto il compito di, almeno, provare a conoscerli. Avrebbe viaggiato con loro per un po', e si rifiutava di essere emarginato per l'intero viaggio. Con alcuni, come Bofur e Bombur, era facile parlare - Bofur in particolare sembrava amichevole, e molto più disposto a chiacchierare di altri; tutto ciò che Bilbo dovette fare fu sedersi accanto a lui una sera e chiedergli cosa stesse intagliando. Il senso dell'umorismo di Bofur era un po' inappropriato, com'era stato a Casa Baggins, ma Bilbo si ritrovò comunque a ridere scandalizzato alle sue battute, ora che i nani non gli stavano svuotando la dispensa. Il fratello di Bofur era similmente affabile, e Bilbo lo aiutò spesso con la preparazione della cena, discutendo con il nano di spezie ed erbe e ricette, cercando di convincerlo dei meriti dei funghi.

Poi c'era Ori. Bilbo aveva dovuto fare uno sforzo speciale per parlare con Ori, ma ne era valsa la pena alla fine. La Compagnia era grande, e a Bilbo ci era voluto un po' per memorizzare tutti i loro nomi. Li aveva anche osservati interagire l'uno con l'altro, così che ora poteva dire di aver compreso chiaramente chi era imparentato con chi. In particolare Ori era rimasto impresso a Bilbo, durante il suo studio dei nani - sembrava essere quasi permanentemente in possesso di un libro, così come gli altri nani tenevano a portata di mano le loro armi. Un altro amante dei libri, allora. Bilbo poteva decisamente capirlo. Il fatto che Ori fosse costantemente circondato e sorvegliato dai suoi fratelli maggiori non fu, venne fuori, un deterrente per i tentativi di Bilbo di fare amicizia. Dori sembrava considerare Bilbo un gentil-hobbit molto rispettabile, arrivando perfino a dirglielo lui stesso e a complimentarsi con lui per la selezione di vini dalla quale si era servito a Casa Baggins. Bilbo dovette mascherare una risata con un colpo di tosse.

Ci volle un po' di pazienza da parte di Bilbo, ma infine il timido Ori cominciò a rispondere alle sue domande.

"Sono lo scrivano della Compagnia, sai," ammise Ori, rigirandosi la sua penna tra le dita, "ma sono davvero giovane per il ruolo. Non so perché Thorin abbia acconsentito perché venissi."

"Sono certo che ci fosse una ragione," disse Bilbo, sebbene non riuscisse a immaginare alcunchè delle motivazioni di Thorin. Il nano era un totale mistero per lui. "Ma è così consueto, allora? Avere uno scrivano in un viaggio del genere?"

"Si! È tradizione. È sempre stato fatto. Se riusciamo... quando ci riusciremo, il mio resoconto del viaggio sarà aggiunto alla biblioteca di Erebor per le generazioni future. È un ruolo di grande prestigio."

"Quindi è questo che ti vedo fare ogni sera? Scrivere?"

"E disegnare," ammise Ori.

"Davvero? Posso vedere?"

Ori sembrava molto riluttante, quindi Bilbo assunse l'espressione più affabile e meno minacciosa che poté. Ori sembrò valutarlo, cercando di capire se Bilbo fosse il tipo da criticare il suo lavoro. Ma dopo un momento di disagio, si arrese.

"Beh, va bene, disse "puoi vederne uno che ho fatto ieri, ma non è molto bello! Ho dovuto smettere prima di finirlo perché ha iniziato a piovere."

Ori gli passò una pagina staccata che era stata infilata nel mezzo del suo libro. Era un ritratto di Bofur, meravigliosamente dettagliato. Alcune sfumature erano incomplete, ma Bilbo riconobbe chiaramente i lineamenti, e Ori aveva catturato alla perfezione lo sguardo caldo e malizioso di Bofur, e il suo sorriso con le fossette.

"È straordinario, non c'è altro modo per descriverlo," disse Bilbo, "Non sono mai stato molto bravo a disegnare, ma ammiro coloro che ci riescono."

"Lo pensi davvero, Mastro Baggins?" disse Ori, scrutando la sua espressione in cerca di segni di una presa in giro. "Devo documentare ogni membro della Compagnia, ma voglio che siano i disegni migliori che riesco a fare."

"Non sto mentendo Mastro Ori. È esattamente uguale a Bofur, è…" e Bilbo era così rilassato e a proprio agio in quel momento che accidentalmente trillò nel tentativo di esprimere quanto fosse talentuoso Ori. Bilbo inorridì per aver incidentalmente parlato in un'altra lingua senza nemmeno rendersene conto, e le punte delle sue orecchie bruciarono d'imbarazzo, ma Ori lo guardava con null'altro che curiosità, e un po' di confusione.

"Era un'altra lingua quella?" chiese..

"Ehm, si," ammise Bilbo, con una certa agitazione. "è, è… la lingua della famiglia di mia madre," disse, facendo una smorfia subito dopo. Non riusciva a credere di star ripetendo la stessa bugia che gli aveva rifilato sua madre, tutti quegli anni prima.

Ma funzionò - la confusione di Ori sparì. "Oh! Interessante! Pensavo che tutti gli hobbit parlassero la Lingua Comune?"

"Beh, si," concordò Bilbo, "ma mia madre mi ha insegnato una seconda lingua quand'ero molto giovane. È una… lingua segreta, immagino, che solo gli hobbit dal… suo lato della famiglia conoscono.

Ori annuì. "È come il Khuzdûl allora. Non devi spiegare altro, Signor Baggins - capisco. Noi nani siamo riservati riguardo alla nostra lingua. Sono certo che lo sei anche tu con la tua."

Bilbo sospirò di sollievo. "Grazie, Mastro Ori. Ma ti prego, chiamami solo Bilbo."

"Lo farò se tu mi chiami Ori," disse il nano con un sorriso esitante, che Bilbo ricambiò. Fortunatamente, la loro conversazione si spostò verso altri argomenti. Bilbo imparò che alcuni dei racconti che aveva sentito da bambino erano nanici in origine, e lui e Ori passarono il resto della serata a chiacchierare amichevolmente delle differenze nelle rispettive versioni dei miti.

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Thorin Scudodiquercia conosceva ogni singolo membro della sua Compagnia. Magari non li conosceva tutti di persona - Bofur, Bifur e Bombur gli erano relativamente estranei, per esempio - ma sapeva di cosa era capace ognuno di loro. Thorin poteva facilmente elencare le abilità di ogni membro della compagnia, dire che mestieri avevano svolto, di quale materie erano più esperti, che armi portavano, i loro stili di combattimento, e le loro debolezze. Sapeva che Dori era quello più fisicamente forte della Compagnia, e che Balin aveva la miglior vista, che la conoscenza di Bofur delle miniere e dei minerali non aveva eguali, e che Fili era debole sul lato sinistro e doveva lavorare sul gioco di gambe. Thorin avrebbe potuto riempire un intero libro con ciò che sapeva della Compagnia, se avesse voluto, con ogni capitolo dedicato ad un membro. Era il suo dovere come capo, e Thorin prendeva il dovere molto seriamente. Se doveva guidare questi nani, allora doveva conoscere ogni loro punto di forza e ogni loro punto debole, e sapere su chi poteva contare se necessario.

Se Thorin avesse scritto un libro del genere, allora un capitolo sarebbe stato molto più corto degli altri. Probabilmente non sarebbe stato più lungo di una pagina, forse persino soltanto poche righe. Vi sarebbe scritto: 'Bilbo Baggins è uno hobbit e lo scassinatore della Compagnia, sebbene non abbia dimostrato di avere alcuna abilità che indichi che si meriti quel titolo. Abilità: preoccuparsi decisamente troppo di cose sciocche come i fazzoletti. Debolezze: quasi qualunque cosa a cui si riesce a pensare.'

Un sunto del genere sarebbe potuto sembrare duro, ma Thorin aveva dato un bello sguardo a Casa Baggins durante la loro breve permanenza lì. Aveva visto prove di una vita decisamente ordinaria nella comoda casa che i nani avevano invaso quella sera - Casa Baggins era piena di gingilli e cose non necessarie, oggetti frivoli senza scopo. Bilbo era chiaramente il tipo di hobbit che non era mai stato a corto di denaro, e probabilmente non aveva mai conosciuto la fame, o avversità, o guerre. La Contea era un luogo florido - la dispensa di Bilbo lo rendeva evidente, e la terra che Thorin aveva visto mentre cercava la sua casa era sembrata fertile; gli hobbit erano ricchi in un modo in cui i nani non erano mai stati. Probabilmente non avevano mai dovuto scegliere tra il mangiare per la prima volta dopo due giorni e quindi avere le forze per un'altra giornata di lavoro, o dare le loro razioni ai bambini così che non fossero affamati quella notte.

Il sommario di Thorin dell'utilità dello hobbit fu confermato quando Bilbo decise di unirsi a loro nella missione. All'inizio si era lamentato del dover cavalcare, e poi aveva avuto l'ardore di chiedere il permesso di tornare indietro per un fazzoletto: tra tutte le cose. Bilbo sembrava non avere abilità se non quella di infastidire Thorin. Era un cavaliere terribile, poi, e non sembrava in grado di afferrare il concetto di dover guidare l'animale, non lasciarlo vagare in giro dove voleva. La notte che Balin aveva raccontato alla Compagnia la storia di Azanulbizar, Bilbo era sussultato al suono delle grida degli orchi, nonostante non fosse in pericolo - a stento il segno di un grande guerriero. Aveva anche le più strane particolarità - quando Nori aveva riportato con trionfo un bel gruppo di uccelli dopo una buona serata di caccia, Bilbo si era rifiutato di prendere parte al pasto serale, nonostante Thorin sapesse quanto fosse affamato. La pancia dello hobbit aveva brontolato infelice tutta la notte, ma lui era sembrato nauseato ogni volta che Bofur aveva gentilmente provato ad incoraggiarlo a prenderne solo un morso.

Ma comunque, nonostante le radicate convinzioni di Thorin riguardo alle capacità di Bilbo, mentre la Compagnia cominciava a farsi strada tra le montagne, lo hobbit continuava a contraddire le sue certezze, come a farlo apposta. Per prima cosa ci fu la questione del coltello che Bilbo portava tutto il tempo. Thorin non era mai riuscito a vederlo senza. Dormiva perfino stringendolo in mano, forse imitando gli altri membri della Compagnia, in quanto nessuno tra loro avrebbe dormito senza un'arma a portata di mano. Il coltello, quando Thorin era riuscito a vederlo bene, si era rivelato un lungo coltello da caccia, di fattura completamente ordinaria. Probabilmente aveva una lama affilata, ma l'elsa e la piccola impugnatura parlavano di artigianato non professionale, realizzato da qualcuno che si stava concentrando più sulla lama che sull'arma intera. Ma questo in sé era strano - perché un hobbit ricco come Bilbo, evidentemente intenzionato ad essere sicuro nella missione (nonostante l'assenza di abilità nel maneggiare armi), aveva scelto di comprare qualcosa così chiaramente di seconda categoria, perfino ad un occhio non allenato?

La comprensione di Thorin dello hobbit subì un altro colpo quando la Compagnia ebbe la rara occasione di farsi un bagno. Avevano cavalcato vicino ad un fiume per molti giorni, ma la corrente era stata troppo forte, e l'acqua troppo profonda, per usarlo per altro che non fosse riempire i loro otri d'acqua. Alla lunga, il fiume fece qualche curva e poi si allargò, diventando abbastanza poco profondo da permettere loro di lavarsi in sicurezza. La Compagnia sospirò di sollievo quando Thorin ordinò di montare il campo per la notte vicino al fiume - c'era ancora qualche ora di luce, e li avrebbe potuti far continuare, ma nonostante la maggior parte della Compagnia fossero viaggiatori esperti, sapeva che non era bene ignorare l'opportunità di rinfrescare corpo e mente. Avrebbe aumentato il loro ritmo l'indomani per recuperare, decise, e loro sarebbero stati abbastanza riposati da giustificarlo.

Kili e Fili praticamente saltarono giù dalle loro cavalcature appena le parole uscirono dalla bocca di Thorin, sfrecciarono al fiume e si tolsero i vestiti mentre andavano, sparpagliandoli a destra e a sinistra. Il resto dei nani li seguì ad un'andatura più dignitosa, sebbene Bofur si divertì molto a lanciare gli stivali dietro di sé, incurante di dove ricadevano - uno colpì un Dori indignato. Thorin notò che né Gandalf né Bilbo si erano unito a loro - la riluttanza di Gandalf era comprensibile, Thorin non sapeva nemmeno se gli stregoni avessero bisogno di lavarsi, ma Bilbo guardava fermamente da un'altra parte rispetto ai nani che si spogliavano, concentrandosi invece sul preparare il proprio sacco a pelo.

"Non ti unisci a noi, Mastro Baggins?" chiese Thorin.

Ora lo hobbit si rifiutava di guardare anche lui, sebbene Thorin non si fosse tolto nulla.

"No pensò che resterò qui a cominciare a sistemare il campo se per te va bene," biascicò Bilbo nel suo zaino, "Potrei lavarmi dopo, quando il fiume è meno… affollato."

Come vuoi, pensò Thorin. Forse era stata la vista di così tanta pelle a scuoterlo così tanto. Gli hobbit sembravano essere creature così schizzinose, pensò mentre si univa ai suoi compagni nel fiume, stendendo i vestiti sulle rocce perché si lavassero. Sembravano offendersi per le cose più strane.

Bilbo scelse di sgusciare via a lavarsi mentre preparavano la cena. La maggior parte della Compagnia era seduta indossando solo i pantaloni, in attesa che il resto del loro equipaggiamento si asciugasse, ma Bilbo non era ancora tornato quando il pasto serale fu pronto da servire. Irritato dal fatto che il senso di decoro dello hobbit gli avesse fatto perdere la cena, Thorin si prese il compito di andare a recuperare Bilbo lui stesso.

Il mormorio di un basso canticchiare raggiunse le sue orecchie mentre si avvicinava al fiume, e nella luce fioca Thorin riuscì a vedere Bilbo, immerso nell'acqua fino ai fianchi. Bilbo si voltò ai primi rumori dell'avvicinarsi di Thorin, e si affrettò a cercare un nascondiglio dietro le rocce sul bordo dell'acqua, ma non prima che Thorin vedesse il suo petto e la sua schiena. Lo fissò sorpreso, e non poco imbarazzato.

"La cena è pronta," gli disse Thorin, e cercò di cogliere di nascosto un altro po' della pelle di Bilbo mentre parlava, per confermare ciò che aveva visto un istante prima, "Se non vuoi dormire affamato stanotte ti suggerisco di smettere di perdere tempo e sbrigarti a tornare al campo prima che Bombur mangi tutto."

Thorin si voltò per tornare al campo senza un'altra parola, e mentre camminava rifletté su ciò che aveva visto nel breve attimo prima che Bilbo si era nascosto. Gli occhi di Thorin, come quelli di qualunque nano, erano dotati di un'eccellente visione in condizioni di scarsa luce, e la sua vista era abbastanza acuta per vedere che il torso e l'addome di Bilbo non erano affatto come si era aspettato da un delicato hobbit. C'era poco del grasso intorno alla pancia che gli hobbit sembravano preferire, e quel poco che c'era sarebbe molto probabilmente sparito nel corso del viaggio. No, Bilbo era parso essere molto più snello di quanto dovrebbe essere uno che se ne stava seduto tutto il giorno. Ma non era questo che aveva colto Thorin di sorpresa, piuttosto le numerose cicatrici che ricoprivano la pelle di Bilbo. Ce ne erano di varie taglie e spessori, da graffi che gli punteggiavano le braccia ad una lunga cicatrice irregolare che si incurvava sulla parte alta della sua spalla sinistra, e le più sconvolgenti di tutte erano le tre lunghe linee parallele, notate quando Bilbo si era voltato, che prendevano tutto il suo fianco destro.

Le altre cicatrici potevano essere spiegate - prove di un'esistenza goffa, forse, o dell'inettitudine di Bilbo con attrezzi da contadino. Ma le tre cicatrici sul suo fianco erano state chiaramente provocate da un animale, molto probabilmente abbastanza profonde da minacciare la sua vita. La vita di Thorin si era assicurata che lui fosse ben pratico di tutti i tipi di cicatrici, e sapeva quando una indicava una ferita abbastanza profonda da uccidere.

Nulla di tutto ciò aveva senso. Ad ogni passo che Thorin faceva per tornare al campo, diventava sempre più frustrato. Tutto di Bilbo, dal coltello alle cicatrici, era in conflitto con la sua immagine dello hobbit quale creatura delicata e dal cuore gentile estranea alle difficoltà, che con molta probabilità se la sarebbe filata via al primo segnale di pericolo. Ma cos'altro poteva essere? Come poteva essere altro oltre che il viziato hobbit che Casa Baggins indicava?

Per quando Thorin aveva dato il primo morso al cibo - senza assaporare davvero lo stufato - aveva razionalizzato tutto. Il coltello da caccia doveva essere un cimelio, qualcosa alla quale Bilbo era legato sentimentalmente nonostante l'ovvia povera fattura. Le cicatrici erano il risultato di un attacco da parte di un animale selvatico - la Contea non poteva essere totalmente priva di predatori, e un giorno Bilbo poteva essersi scioccamente avventurato troppo lontano dalla sicurezza dei campi verdi del suo villaggio. 

Si, pensò Thorin mentre si metteva a letto per la notte, era esattamente questo quello che era successo. Ignorò con decisione la vocina nella sua testa che gli faceva notare che i segni di artigli che percorrevano il fianco di Bilbo erano decisamente troppo grandi, troppo distanti tra loro per essere stati provocati da un comune lupo selvaggio.

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Per quando Kili si fu quasi convinto che quello che aveva visto a Casa Baggins non era stato altro che un'illusione da ubriaco, la Compagnia aveva iniziato a lasciarsi alle spalle le dolci colline ondulate di Brea, e ora viaggiava su terreni sempre più aspri. Aveva tenuto ben d'occhio Bilbo, ma non aveva trovato nulla che indicasse che lo hobbit fosse altro che un nervoso topo da biblioteca, il che spiegava il perché aveva fatto subito amicizia con Ori. Il coltello che si supponeva avesse quasi cavato l'occhio a Kili era quasi sempre con Bilbo, a portata di mano, e Kili cercava di non sussultare ogni volta che la mano di Bilbo si avvicinava troppo all'elsa. Si stava comportando in modo ridicolo, si disse. Fili aveva ragione, Kili aveva bevuto troppa birra a Casa Baggins, e non aveva fatto altro che farsi prendere troppo dall'eccitazione.

Comunque, ammetteva che Bilbo era un po' strano. O forse era completamente normale per uno hobbit - Kili non lo sapeva. Bilbo era il primo hobbit che avesse incontrato e non c'erano basi per un confronto. Kili si chiedeva, però, se a tutti gli hobbit piacesse la pioggia tanto quanto a Bilbo. Una giornata particolarmente piovosa, mentre la maggioranza della Compagnia era avvilita da ore e ore passate inzuppati fino al midollo con la pioggia che batteva sulle loro nuche, Kili notò Bilbo. Lo hobbit si era di nuovo allontanato dal sentiero, noncurante di dove il pony lo stesse portando, ma Kili non fece caso alle sue basse capacità di equitazione. Invece, si chiedeva perché Bilbo non avesse l'aria depressa, o irritata, ma sembrasse piuttosto in pace. Come chiunque - nano o hobbit - potesse essere così sereno nel bel mezzo di un tale diluvio andava oltre la capacità di comprensione di Kili. Bilbo non era nemmeno accucciato sul pony, nascosto sotto un mantello o cappuccio -  il suo viso era rivolto in alto, alla pioggia. Rimase così, gli occhi chiusi, finché Dori non si lamentò dell'acquazzone e Bilbo si girò per fare domande a Gandalf su altri come lui.

Gli hobbit, concluse Kili, erano creature molto strane.

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Ma Thorin e Kili non furono gli unici a notare le stranezze del loro scassinatore. Dwalin sedeva di guardia una delle prime notti del loro viaggio quando accadde una cosa straordinaria.

Si trovava in quello strano stato di vigilanza rilassata raggiunto dopo anni passati a svolgere quel compito. Le sue asce erano a portata di mano, e sebbene un osservatore casuale avrebbe visto un nano poco concentrato su ciò che lo circondava, in realtà Dwalin era consapevole di ogni suono e ogni movimento che i suoi sensi acuti riuscivano a cogliere. Era una notte silenziosa, e Dwalin non sentiva altro che il bubbolio dei gufi lì vicino e i rumori della Compagnia addormentata dietro di lui.

Ecco perché, quando una lieve voce disse: "Buonasera, Signor Dwalin," un paio di piedi più in là, Dwalin quasi saltò dalla paura.

Le sue mani furono sulle asce in un istante, il corpo posizionato automaticamente per affrontare la minaccia, solo per poi bloccare l'attacco una volta che si trovò davanti nulla di più pericoloso di uno hobbit.

Uno hobbit che aveva reagito istintivamente più o meno allo stesso modo di Dwalin. Bilbo aveva spostato i piedi in uno sciolto assetto di combattimento, che gli avrebbe dato la possibilità di schivare velocemente qualsiasi attacco, bilanciato sulle punte dei piedi, le ginocchia piegate, e il suo coltello da caccia in mano.

Quasi simultaneamente, entrambi si resero conto di quanto ridicoli dovevano essere, e la tensione scivolò via dalle loro posizioni. Dwalin abbassò le asce, fissando lo hobbit. Bilbo rinfoderò il coltello, con l'aria non poco mortificata.

"Mi dispiace per averti spaventato," disse semplicemente a Dwalin, completamente ignaro dell'atto impossibile che aveva appena commesso, "Non intendevo coglierti di sorpresa."

Dwalin continuò a fissarlo. Era incapace di capire come, esattamente, Bilbo fosse riuscito a coglierlo di sorpresa. Non succedeva mai e basta. Nessuno coglieva di sorpresa Dwalin, nemmeno Dis, e lei aveva il passo più silenzioso di ogni nano che lui avesse mai conosciuto. Ma, apparentemente con poca fatica, lo hobbit era riuscito a fare proprio quello.

"Beh," disse Dwalin, burbero e senza parole, "Non penso che lo rifarai."

Bilbo rise, imbarazzato, "no, immagino che non lo farò," disse.

"Volevi qualcosa, Mastro Baggins?" disse Dwalin, dato che Bilbo continuava a stare lì, trascinando i piedi.

"Si, solo io… beh, mi chiedevo se potessi sedermi con te, mentre sei di guardia."

Dwalin gli lanciò un'occhiataccia. Bilbo si affrettò a continuare, sebbene con un sorriso amaro, "Beh, il nostro capo pensa che io non sia capace di far la guardia per la Compagnia. Probabilmente crede che mi addormenterei, o cose del genere,"

Dwalin non contestò. Thorin aveva rese chiare a Dwalin le sue opinioni sullo Hobbit giusto la sera prima. 'Debole' era stata la parola preferita durante quella conversazione, seguita velocemente da 'inutile'.

"Ma," continuò Bilbo, "Vorrei comunque aiutare. Se significa sedermi con qualcun altro, beh. Non ho problemi."

Dwalin ci pensò su. Non trovava nulla di male nella semplice richiesta di Bilbo - no, si scoprì perfino burberamente colpito. Rinunciare anche ad un'ora di sonno prezioso in un viaggio stancante come il loro non era qualcosa di cui ridere. Poi c'era il fatto che Bilbo aveva tentato di difendersi contro Dwalin armato con null'altro che un coltello. Bilbo era stato chiaramente spaventato quando lui gli si era rivolto contro, ma aveva mantenuto la posizione. Dwalin lo poteva ammirare per quello,

"Aye, puoi unirti a me, allora, se vuoi," accettò infine, "solo non addormentarti su di me."

Bilbo rise, veramente stavolta, tutto l'imbarazzo svanito. "Prometto che non lo farò, Signor Dwalin," assicurò, "Grazie."

Non parlarono per tutto il resto del turno, ma a nessuno dei due dispiacque. Un silenzio sorprendentemente piacevole scese su i due, fino a quando Gloin non arrivò a dar loro il cambio.

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Nel complesso, Bilbo era contento che quelle prime settimane di viaggio fossero passate in relativa pace. Non c'era stato alcun segno di qualunque cosa violenta risvegliatasi dentro di lui a Casa Baggins, e di questo Bilbo era grato. Sperava che le cose restassero così. Si era assicurato di portare con sé cose che gli ricordavano la Contea - la perdita del suo fazzoletto aveva avuto un certo impatto, poiché nessun hobbit con rispetto di sé sarebbe uscito senza, e ne aveva lasciato indietro uno particolarmente bello, che sua madre aveva fatto per lui. Ma, per la maggior parte, Bilbo fu soddisfatto che la violenza che aveva quasi scatenato su Dwalin non fosse ricomparsa.

Bilbo pensò, però, che non ci sarebbero stati problemi ad indugiare su alcune abitudini.

La Compagnia stava percorrendo di buona lena alcune gole molto ripide, e spesso il campo veniva montato vicino al ciglio di un grande salto, com'era ora. C'era sempre una strana ora dopo cena prima di dormire, in cui non c'era null'altro da fare nel campo per la notte, e la maggior parte di loro usava quel tempo per occuparsi dell'equipaggiamento, intagliare o lavorare su altri progetti, o per prendersi cura delle armi. Quella notte era stranamente silenziosa - di solito i nani si lanciavano in canzoni, o in quel tipo di chiacchierio affabile che si crea in un grosso gruppo di persone comprensivo di vecchi amici e conoscenza. Ma la cavalcata del giorno era stata particolarmente dura, e la conversazione, quando ci fu, era sommessa.

Perfetto, quindi, per Bilbo. Scivolò via dal campo e si andò a sedere il più lontano possibile dal bagliore del fuoco, le gambe che penzolavano dal ciglio del dirupo. Il salto sotto di lui non era piccolo, ma Bilbo non ci fece caso. Invece, chiuse gli occhi e rese immobile il corpo, rilassandosi per la prima volta quel giorno. Una calma scese su di lui, allentandogli la tensione nei muscoli provocata dal cavalcare.

La valle al di sotto aveva un'acustica perfetta - Bilbo ascoltò con orecchio allenato i suoni del vento che soffiava e fischiava attraverso le pendici e i dirupi ripidi. Riconobbe ogni brezza, cogliendo le più piccole differenze tra i venti. Aveva sempre amato il linguaggio delle aquile e la loro conoscenza del cielo, ed era un'abilità che non voleva perdere. Si era messo spesso alla prova così nella Contea, fuori nei boschi del Decumano Est, quando Casa Baggins diventava un po' troppo stretta.

Ovviamente, Kili scelse quel preciso momento per passargli vicino. Si fermò, guardò Bilbo seduto sul dirupo, e disse, "Cosa stai facendo, Mastro Baggins?"

Bilbo sospirò, abbassando le spalle. "Sto ascoltando il vento, Mastro nano," rispose senza voltarsi.

"Il vento?" disse Kili e poi, probabilmente prima di trattenersi, "beh, cosa dice?" Mise le mani sulla bocca per smorzarsi la voce e disse sussurrando, "Wooooooooo Bilbo Baggins puzza e Kili il nano è il più attraente dell'intera Compagniawooooo!" Kili incrociò le braccia sul petto e annuì, "Si, dispensa segreti, vero? O forse dice solo la verità."

Bilbo represse un sorriso, "No," rispose con un'aria di grande pazienza, "il vento ha una canzone tutta sua, Mastro nano, se tu avessi la pazienza di ascoltarla, cosa della quale dubito sinceramente."

Era esattamente la cosa sbagliata da dire se voleva essere lasciato in pace. Immediatamente, un'aria determinata gli illuminò il volto, e Kili prese le parole di Bilbo alla lettera, sedendosi di fianco a lui sul dirupo.

"Ho moltissima pazienza, Mastro Baggins. Scelgo semplicemente di non mostrarla, la maggior parte del tempo. Quindi, come lo fai?" chiese, "'c'è qualche tipo di tecnica?"

Bilbo cercò di non ridacchiare del suo entusiasmo. Come faceva un nano quasi adulto, probabilmente ancora armato fino ai denti anche se stavano per andare a dormire, ad avere così tanto l'aria di un cucciolo troppo cresciuto era fuori dalla comprensione di Bilbo.

"Beh, cominciamo nel modo facile per prima cosa, va bene? Metti le mani vicino alle orecchie così, aiuterà," disse Bilbo, mettendo le mani a coppa intorno alle proprie orecchie, "lo senti ora?"

Un'espressione di concentrazione intensa passò sul viso di Kili. Dopo qualche momento, si arrese, "no," ammise accigliandosi, "non sento nulla di interessante, solo il terribile fischiettare di Bofur."

Bilbo gli diede una leggera gomitata, "Ci vorrà più tempo, sai. Prova a concentrarti un po' di più."

Kili sbuffò, ma chiuse gli occhi e riprovò. Questa volta non si lamentò dopo i primi dieci secondi, invece rilassò il viso giovane in qualcosa che assomigliava alla calma. Esalò un leggero 'oh' di comprensione.

Suo fratello scelse quel preciso momento per mettere entrambe le mani sulle spalle di Kili e dire: "Cosa stai facendo, fratellino?"

La concentrazione svanita, Kili si girò e lanciò un'occhiataccia a Fili, "beh, stavo usando la tecnica segreta di Bilbo per ascoltare il vento cantare," disse, "ma ora hai rovinato tutto."

"Cantare?" Fili rise con uno sbuffo.

"Non è esattamente quello che stavamo-" iniziò Bilbo, solo per interrompersi quando Fili lo fissò con aria seria.

"Puoi insegnarmi?" chiese senza un briciolo di malizia.

Quando Thorin e Dwalin tornarono al campo dopo aver recuperato gli ultimi pezzi di legna per il fuoco, la vista delle tre schiene di Bilbo, Kili e Fili li fece fermare per guardarli.

Thorin alzò le sopracciglia. I suoi due nipoti e lo hobbit della Compagnia erano seduti sul bordo del dirupo, completamente immobili - Kili e Fili con le mani a coppa intorno alle orecchie. Persino mentre Thorin osservava, non uno dei tre emise un suono, nemmeno un leggero movimento. Scambiò uno sguardo con un egualmente sorpreso Dwalin. In tutt'onestà, nessuno dei due aveva mai visto Fili e Kili così fermi al di fuori del sonno. La prima reazione immediata di Thorin fu richiamarli, dirgli che dovevano smettere di fare qualunque cosa stessero facendo e riposarsi, perché era tardi e dopo avrebbero avuto il turno di guardia. Ma per qualche strana ragione si ritrovò a lasciarli fare, e si girò per tornare al proprio sacco a pelo. Se si fossero addormentati sui loro cavalli l'indomani, avrebbero dato la colpa solo a loro stessi, decise Thorin. 

Ma, sfortunatamente per Bilbo, non tutte le sue abitudini ebbero un risultato così piacevole. Pochi giorni dopo che ebbe insegnato a Fili e Kili come ascoltare e distinguere i diversi tipi di vento, non riuscì a resistere l'opportunità di scalare un albero quando la Compagnia passò attraverso un folto pezzo di foresta. Bilbo passò qualche minuto semplicemente respirando l'aria e ammirando il panorama dai rami più alti dell'albero prima di cominciare a scendere. Sarebbe servito il suo aiuto per cena, presto, e Bilbo non voleva sottrarsi a uno dei pochi compiti che Thorin gli affidava.

Scese di qualche ramo, fino a quelli più bassi. Era ancora ad una discreta altezza, ma Bilbo era saltato da più in alto prima d'ora. Senza pensarci, scivolò giù dal ramo, atterrando accovacciato sul terreno.

 Un'esclamazione di sorpresa gli raggiunse le orecchie. Kili, che stava passando sotto l'albero con le braccia piene di legna da ardere, era disteso sul suolo della foresta e guardava Bilbo a bocca aperta.

Bilbo sospirò, desolato. Spaventare nani stava chiaramente diventando un'abitudine. Sarebbe dovuto stare più attento in futuron. "Scusa, Kili…" cominciò a scusarsi, ma Kili stava già correndo al campo. Non guardò Bilbo per il resto della sera.

Le cose peggiorarono quando, il mattino seguente, Kili aveva dovuto svegliare Bilbo dal sonno dopo il turno di guardia all'alba. Kili e Fili facevano sempre i turni insieme, ma questa era la prima volta che facevano il turno all'alba. Fili era andato ad occuparsi dei cavalli, ed aveva detto a Kili di svegliare la Compagnia, ignorando le sue proteste che non voleva svegliare la Compagnia, e perché Fili doveva prendere sempre i compiti migliori?

Bilbo non aveva reagito bene all'essere improvvisamente svegliato con uno scossone. Riprese piena conoscenza con il coltello alla gola di Kili. Inorridito, si ritrasse velocemente da lui e lanciò via il coltello. Non era mai successo prima - nessuno si era mai preoccupato di svegliare Bilbo, e di solito lui si svegliava prima che chiunque ci pensasse. E perché doveva essere Kili, tra tutti? Bilbo si sentiva ancora in colpa per avergli lanciato il coltello a Casa Baggins, e aveva pensato di star facendo progressi con il giovane nano.

Fantastico, pensò Bilbo, guardando Kili che lo fissava. Ben fatto, Bilbo Baggins. Stai proprio facendo amicizia, eh?
 

Continua...


Note della Traduttrice - reprise

E così, Bilbo comincia a fare un po' di conoscenza con i nani, i nani cominciano a chiedersi chi cavolo si sono portati dietro, e Thorin è il suo solito "giudico tutti" self. Caro mio, vedrai.. vedrai...
In tutto questo Kili rischia l'infarto ma a nessuno importa xD
Mi fa sempre sapere cosa ne pensiate, quindi commentate! O3O
Nel prossimo capitolo: i troll! Elfi! Dwalin e Thorin che fanno discorsi!
A presto :3
KuroCyou

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Strani avvenimenti ***


Note della Traduttrice
Pubblico di nuovo ad orari improponibili, scusate xD Grazie per i commenti ai capitoli precedenti, sono contenta che questa storia vi stia piacendo! Ora però vi lascio al capitolo :3
Buona lettura! ♥
 


- Capitolo 6 -
Strani avvenimenti

A parte spaventare Kili e sorprendere Dwalin, il viaggio fin'ora era stato relativamente privo di eventi. Bilbo era grato per quello, ma sentiva anche un certo presentimento solleticargli il collo. Per sua esperienza, ci sarebbero quasi sicuramente stati problemi. Andava già abbastanza male l'aver scelto di fare campo vicino al guscio bruciato di una fattoria - la vista aveva provocato un brivido di timore in Bilbo, e un eco di vecchi rimorsi. Era decisamente troppo simile alle case che aveva visto in passato, durante la guerra, quando non arrivavano in tempo per difendere un villaggio da mannari e orchi.

Ma i guai arrivarono invece quando a Bilbo fu affidato un compito completamente normale.

"Cosa c'è che non va?" chiese Bilbo, due ciotole di stufato in mano, spostando lo sguardo tra Fili e Kili.

Fili guardò suo fratello, poi Bilbo, poi di nuovo i pony. Era distintamente a disagio

"Abbiamo perso due pony," s'interruppe, e lanciò un altro sguardo a Kili come se si aspettasse che dicesse qualcosa, ma lui continuò a fissare davanti a sé.

"Non sono sicuro di come, però,"  continuò Fili.

"Come avete-" iniziò Bilbo, incredulo, ma fu interrotto quando Kili parlò improvvisamente.

"C'è una luce!" disse, e corse verso di essa. Bilbo mise da parte le ciotole e lo seguì, dietro Fili. I tre si  fermarono quando gli alberi cominciarono a diradarsi. Si accucciarono bassi, nascondendosi nel sottobosco, e furono sorpresi dalla vista di qualcosa di enorme e goffo, che si apriva la strada nella foresta senza cura per le piante, un pony che si dimenava sotto ogni braccio.

"Cosa… era un troll quello?" sussultò Bilbo.

"Sì," disse Fili mestamente. Kili non aveva ancora pronunciato parola, e Bilbo colse Fili a rivolgere un'occhiata irritata al fratello

"Giusto, Signor Baggins! È ora di scassinare un po'" Fili batté le mani e spinse in avanti Bilbo, verso i troll. "Saremo proprio dietro di te, vero Kili?" diede una gomitata nel fianco del fratello.

Kili, infine riscosso, sorrise debolmente, "Sì, Signor Baggins! Vai su!" e si unì a Fili nello spingere in avanti Bilbo, che oppose resistenza.

"Cosa? No, non è-"

"Se ti trovi nei guai, grida e arriviamo" disse Fili, tagliando corto.

"Non ho-"

"Saremo proprio qui," si intromise Kili, ed entrambi si voltarono, e sarebbero scomparsi nella foresta se Bilbo non avesse reagito così velocemente. Li afferrò entrambi per la collottola - ci volle parecchio sforzo per fermarli, forti com'erano, ma ci riuscì per un pelo.

"Aspettate un po' voi due," sibilò, "questo piano è terribile, vi rendete conto vero?"

"Cos'ha che non va?" disse Fili, indignato.

Bilbo fece finta di pensarci un po' prima di sbottare: "Più o meno tutto, scemi! Supponiamo che libero i pony, e poi? Sarò bloccato nel mezzo di una radura con tre troll, e penso che noteranno che la loro cena sta trottando via!"

"Oh. Beh, credo di non aver pensato tanto in là," concesse burbero Fili.

"Certo che no. Bene, ecco che faremo. Io entro di soppiatto, tu" puntò il dito a Fili - "crea un diversivo, io libero i pony e cerco di andare via senza farmi vedere." Si rivolse a Kili e disse: "E tu, torna al campo e allerta gli altri. È sicuro che non andrà come previsto e potremmo aver bisogno di aiuto," Bilbo concluse con un sospiro.

"Va bene," annuì Kili, "seguiamo il piano del Signor Baggins."

"Bene, ci vediamo dopo," disse Bilbo, e scivolò via nell'oscurità.

"Aspetta un attimo," Fili si accigliò dopo che Bilbo fu scomparso, "come faccio a creare un diversivo?"

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I troll, quando lui si avvicinò abbastanza per liberare i pony, puzzavano abbastanza da far rivoltare lo stomaco di Bilbo ad ogni respiro, ma si costrinse ad andare avanti con il pensiero che ne sarebbe uscito presto. Quando Bilbo non voleva essere notato, c'erano poche cose nel mondo che potevano individuarlo, e tre stupidi troll non erano certo tra di loro. Tutto ciò che doveva fare era aspettare il diversivo di Fili, qualunque cosa fosse, e poi sbarazzarsi delle corde che chiudevano il recinto dei pony.

Bilbo aspettò. E aspettò. Gli stava venendo un crampo al ginocchio destro per essere stato fermo così a lungo. Bilbo lo ignorò risolutamente. Dov'era quel dannato nano? Aveva provato ad ignorare la conversazione dei troll fino ad ora, ma più Bilbo rimaneva seduto, più si ritrovava ad ascoltare ciò che dicevano.

D'improvviso, una voce interruppe la conversazione, sorprendentemente stupida, sugli ingredienti, urlando: "Penso che allo stufato serva un po' più di carne!"

"Chi l'ha detto?" strillò quello chiamato Guglielmo.

"Io!" E Fili saltò fuori dagli alberi.

Bilbo avrebbe potuto imprecare. Era questa l'idea di Fili di un diversivo? Coraggiosa forse, ma terribilmente stupida. Sapeva di doverla sfruttare al meglio, perché per quanto sciocco fosse il piano di Fili, il diversivo stava funzionando. In fretta, Bilbo cominciò a tagliare la corda.

"Guarda questo Berto! Più cibo per la pentola!"

"Sì," disse Fili più forte che poteva, "Sono molto gustoso!"

I pony erano liberi e non si fecero pregare per muoversi - appena il cancello fu aperto, scapparono verso la libertà.

"Ed è entrato così!" disse Berto il cuoco.

"Oooh mi piace un po' di nano," Guglielmo puntualizzò leccandosi le labbra verrucose con la lunga lingua."

"Beh non statevene lì seduti! Prendetelo!"

Fili non indietreggiò, persino quando le due enormi bestie fecero per afferrarlo. Bilbo si fece avanti, il coltello in mano e il cuore attanagliato dalla paura, pronto ad accorrere in aiuto di Fili, ma non ce ne fu bisogno - con un feroce grido di battaglia, il resto della Compagnia caricò dagli alberi, e le probabilità mutarono in loro favore.

I nani in battaglia erano davvero uno spettacolo mozzafiato, e Bilbo si prese un momento per ammirare la danza mortale che si svolgeva davanti ai suoi occhi - ogni singolo nano sembrava sapere dove erano gli altri in ogni momento, si usavano l'un l'altro come trampolino per attaccare, alcuni difendevano i punti ciechi mentre altri colpivano le articolazioni e i punti deboli dei troll. Thorin e Dwalin, in particolare, attirarono lo sguardo di Bilbo - entrambi erano turbinii di lame lucenti, perfettamente sincronizzati.

Ma non tutti erano così ben difesi. I troll si difendevano, dispensando colpi devastanti, e uno di loro si stava avvicinando a Fili.

Fili, che fu distratto - per un istante - da Kili, che era inciampato all'indietro dopo aver appena schivato un enorme pugno. Bilbo non esitò un attimo - scattò in avanti, molto più veloce delle pesanti mani, e raggiunse Fili appena in tempo per spingerlo via dal pericolo.

La mano del troll si schiantò, aperta, sul fianco di Bilbo. Lo mandò a terra, la sua vista fu accecata da puntini bianchi. Il dolore fu immediato, come se fosse stato colpito da un martello, e Bilbo perse conoscenza per qualche momento.

Quando rinvenne, era a testa in giù, appeso direttamente sopra il pentolone dello stufato. Se Bilbo aveva pensato che i troll avessero un cattivo odore, non era nulla in confronto a qualunque cosa stesse cuocendo nella pentola.

La vista appannata, le orecchie che fischiavano e la testa che gli martellava, Bilbo cercò di concentrarsi su ciò che gli stava davanti. Mise a fuoco una figura su uno sfondo sfocato -  Thorin lo fissava con un'espressione omicida, la luce del fuoco che guizzava sul suo viso.

Un pensiero si fece strada nella mente annebbiata di Bilbo. No, pensò, non abbassate le armi per me. Il pensiero fu accompagnato da uno sprazzo di energia; aveva ancora il coltello in mano - istintivamente l'aveva tenuto stretto; con un gran sforzo, Bilbo lo affondò nel dito del troll, e subito dopo svenne.

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 Come diamine Bilbo riuscì a tirarsi fuori dalla situazione altamente assurda che seguì, e con un bernoccolo in testa, sarebbe per sempre rimasto un mistero per lui. Gli era rimasto abbastanza buon senso da provare a temporeggiare, ma non abbastanza per impedirsi dal dire: "Bisogna… spellarli prima!"

E poi la parte sui parassiti. Bilbo era certo che alcuni nella Compagnia avrebbero borbottato di quello per un po', anche se aveva salvato loro la vita. Distogliendo gli occhi da dove i nani rimanenti si stavano vestendo, Bilbo recuperò il coltello da dov'era volato, seminascosto sul suolo della foresta. Con la lama di nuovo al sicuro nel suo fodero, seguì Gandalf al tesoro dei troll, appoggiandosi su gambe tremanti all'entrata per cercare di far smettere al mondo di girare.

 Era ancora dolorante quando Gandalf gli presentò davanti una spada polverosa

"Ecco, Bilbo," disse, "Penso che sia ora che tu abbia un'arma."

Bilbo lo scrutò. "Non mi serve una spada, Gandalf. Dubito che saprei come usarla. E poi, ho il mio coltello."

"Il tuo coltello non basta. Prendi la spada, anche se spero che non dovrai mai usarla," disse Gandalf, lanciandogli uno sguardo penetrante da sotto le sopracciglia cespugliose, "ma meglio averla, per sicurezza."

Riluttante, più per essere lasciato in pace da Gandalf che altro, Bilbo prese la spada offertagli.

"E ricorda, Bilbo," Gandalf gli mise una mano sulla spalla, lo sguardo completamente serio, come per evidenziare l'importanza delle sue parole seguenti, "Il vero coraggio non è sapere quando prendere una vita, ma quando risparmiarla."

Bilbo sussultò. Le parole di Gandalf avevano colpito decisamente troppo vicino alla verità, sebbene lo stregone, con molta probabilità, non lo sapesse. Forse ciò lo rendeva un codardo, allora, perché durante il tempo passato con le aquile non gli era importato di nessuna delle vite che aveva preso. Le aveva distrutte senza colpa o rimorso, e ne era stato lieto.

La spada, sotto la polvere e la sporcizia, chiaramente non era ordinaria - persino Bilbo lo capiva. Mise la mano sull'elsa e la sguainò dal fodero, e la lama lucente che fu rivelata era una meraviglia per gli occhi. Però, non importava quanto fosse bella l'arma, non era la sua lancia, ed era decisamente troppo corta per il tipo di combattimento a cui Bilbo era abituato.

"S'illumina di blu quando orchi o goblin sono nelle vicinanze," gli disse Gandalf, e quelle furono le ultime parole che si scambiarono per parecchio tempo, perché poi ci fu un gran trambusto negli alberi, e si scatenò l'inferno.

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Una delle cose più importanti che un capo deve capire, è sapere quando si è in minoranza, e sapere quando la ritirata è la migliore - e unica - opzione rimasta. Non è una cosa da vigliacchi, Thror aveva detto a Thorin una volta, come ti diranno molti. È invece il segno di un grande capo, saper mettere le vite dei tuoi compagni nani al di sopra di un insensato desiderio di gloria ad ogni costo.

Non significava che a Thorin dovesse piacere.

 La Compagnia e lo stregone fuggirono, a tutta velocità - sulle brughiere, nascondendosi dietro una sporgenza rocciose per un riparo momentaneo. Thorin tirò velocemente indietro Ori quando il giovane nano continuò a correre allo scoperto, non essendosi accorto che la Compagnia si era fermata. Erano troppo esposti lì, su tutti i fianchi, e Thorin poteva a stento credere che stavano riponendo la loro fede in uno stregone ammattito e la sua slitta di conigli.

Il suono di ringhia, e di artigli che grattavano sulla roccia calcarea li raggiunse. Thorin lanciò uno sguardo a Kili, che aveva già l'arco in mano. Kili annuì all'ordine muto, il corpo teso mentre faceva scivolare una freccia dalla faretra. Profonde e basse ringhia, quasi sopra di loro ormai, scatenarono un brivido attraverso Thorin. Lui non mostrò nulla, ma c'era qualcosa di primordiale nell'essere cacciato dai mannari che risvegliava un'antica paura nella sua mente.

La freccia di Kili colpì il bersaglio, ma non fu comunque abbastanza per uccidere sia il mannaro che il suo cavaliere – i nani eliminarono velocemente entrambi, ma non prima che rivelassero la loro posizione. Alzando lo sguardo dall'orco e il mannaro morti, Thorin colse per caso l'espressione di Bilbo prima di uscire di nuovo allo scoperto. Con sua sorpresa, non c'era paura nel volto del mezzuomo, solo feroce soddisfazione. Thorin non ebbe il tempo per riflettere sulla stranezza di questa reazione - erano circondati, e Gandalf era svanito nel nulla all'improvviso.

Thorin ebbe solo qualche secondo per sentirsi giustificato nel sospetto che Gandalf li avrebbe abbandonati, perché lui comparve subito di nuovo. Avevano una via di fuga dopo tutto - Thorin si offese comunque all'essere definito 'sciocco' dal vecchio stregone - ma ora Kili stava coraggiosamente, e stupidamente, tenendo la posizione.

"Kili!" ruggì Thorin, usando il nome di suo nipote come un ordine. Fili indugiava dietro di lui, pronto a scattare in avanti se ci fosse stato il bisogno. Il cuore di Thorin martellava troppo veloce nel suo petto, e infine Kili scoccò un'ultima freccia e si voltò in ritirata, ma persino mentre correva i mannari guadagnavano terreno. Non ce l'avrebbe fatta. Thorin strinse in mano la sua nuova lama e si preparò a difendere il nipote incosciente.

E poi accadde una cosa straordinaria. Due mannari, in piena carica e decisamente troppo vicini a Kili, si fermarono da un momento all'altro. Frenarono goffamente - uno quasi si ribaltò nel tentativo di interrompere la corsa a capofitto. Thorin osservò stupefatto mentre respiravano pesantemente attraverso le narici a fessura e poi, contrariamente al desiderio dei loro cavalieri, si voltarono e fuggirono.

Non ci fu tempo di contemplare la loro fortuna. Kili era al sicuro, corse oltre Thorin per scivolare giù nel buco, seguito velocemente dal fratello. Thorin si voltò per seguirli, e inciampò praticamente su Bilbo, che gli stava dietro, la spada corta tenuta davanti a sé in una presa troppo lenta.

Thorin ringhiò: "Muoviti, mezzuomo! Giù nel tunnel!", e lo spinse praticamente giù nell'oscurità, al sicuro, imitando la discesa dello scassinatore un momento dopo.

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Bilbo non riusciva a capire perché i nani fossero così offesi dal semplice stare a Granburrone. A parte la bellezza della valle e il pervadente senso di pace, gli elfi avevano molto probabilmente appena salvato loro la vita. Di certo contava qualcosa? Ma i nani avevano risposto all'ospitalità offerta da Sire Elrond con una rudezza che sfociava nella pura maleducazione. Da hobbit, Bilbo era offeso per conto di Sire Elrond. Non si rifiutava l'offerta di cibo e riparo e basta, non importa quanto maliziosa fosse, e quella di Elrond non lo era certamente.

Bilbo fu condotto, insieme ai nani, in un'ala di quella che sembrava la casa di Elrond stesso. Fu data ad ognuno una stanza, e quando Bilbo vi diede un'occhiata all'interno mentre passava, notò che non erano quel tipo di stanze degli ospiti trasandate dove il proprietario cerca di nascondere tutti i mobili peggiori. Invece, ognuna era una bella stanza spaziosa, piena di luce, e ognuna aveva un letto di ottima fattura coperto di stoffe pregiate, con una scrivania e una sedia abbinate.

Oin comparve al gomito di Bilbo. "Penso che dovresti venire con me, ragazzo," disse, "hai delle ferite che devo vedere."

"Oh, non c'è bisogno," assicurò Bilbo, "Sto perfettamente bene." Gemette immediatamente quando Oin gli punzecchiò il fianco contuso.

"Come pensavo. Vieni con me, ora," disse Oin, in un tono che non ammetteva discussioni. Bilbo scoprì di aver poche energie per ribattere, e il fianco gli faceva, in effetti, male.

"Togliti la camicia, per favore," ordinò Oin appena furono nella sua stanza.

"Preferirei tenerla, se è lo stesso," si affrettò a dire Bilbo. Lo sguardo che Oin gli rivolse diceva chiaramente cosa ne pensasse lui, ma permise a Bilbo di sedersi e limitarsi a sollevare la camicia sul fianco ammaccato invece di toglierla completamente. Con sconcerto di Bilbo, la sua pelle era ricoperta su tutto il fianco di chiazze blu-nere. Oin si sfilò dalle spalle la sua borsa, estraendone un vasetto di unguento. Bilbo fece una smorfia al pensiero che qualcuno vedesse le sue cicatrici, ma fortunatamente Oin non le portò all'attenzione.

"Dovrò controllare se hai costole rotte," gli disse Oin, e Bilbo annuì. Si sentiva a disagio a permettere a qualcuno di avvicinarsi tanto, specialmente in un momento in cui era relativamente indifeso. Sapeva che una tale tensione non era necessaria - Oin era un membro della Compagnia, dopo tutto, ma Bilbo non riuscì a impedire la reazione istintiva. Fortunatamente, il tocco di Oin fu impersonale e totalmente professionale, cosa che lo aiutò a rilassarsi un po'.

"Le costole non sono nemmeno ammaccate. Sei stato fortunato," disse Oin, e cominciò ad applicare l'unguento rinfrescante.

Dopo qualche minuto, Oin dichiarò di aver finito, "Ma rimani dove sei, Signor Baggins. Ti faccio un impiastro per la ferita alla testa.

Oin prese degli ingredienti dal suo zaino e cominciò a mescolarli in una ciotola, facendo domande a Bilbo nel frattempo. Aveva avuto capogiri da quando aveva preso la botta? Aveva problemi a camminare? E così via.

Ad un certo punto entrò Gloin, borbottando qualcosa sul dover 'rimanere vicini' e 'non vagare in giro' intorno a quei 'bastardi amanti degli alberi'.

Bilbo alzò le sopracciglia, assai tentato di ricordare a Gloin chi, esattamente, li aveva accolti a caro prezzo. Ma poi Gloin si sedette pesantemente sulla sedia e tirò fuori un medaglione da dentro la tunica

Gloin colse l'occhiata curiosa di Bilbo. La rabbia svanì dal suo volto, e sorrise. "Ah, Signor Baggins," disse, "ti piacerebbe vedere la mia bellissima moglie e mio figlio?"

"Ah, sì," disse educato Bilbo. Di fianco a lui, Oin deliberatamente mise via il suo cornetto acustico.

Divertito, Bilbo scoprì velocemente il perché Oin non voleva prendere parte alla conversazione. Gloin era certamente molto entusiasta di parlare di sua moglie e suo figlio. Ma Bilbo era uno hobbit, ed era abituato ad ascoltare gli sproloqui della gente, ed era ben allenato a far finta di essere un ascoltatore attento. Sapeva esattamente quando fare rumori incoraggianti e quando assumere un'aria colpita, tutto questo ignorando l'intera conversazione.

Infine, fu salvato dall'annuncio della cena. Gloin lasciò la stanza con umore molto migliore di quando era entrato, dando una pacca sulla spalla buona di Bilbo prima di andarsene.

"Grazie per aver ascoltato mio fratello," disse Oin quando Gloin fu fuori portata d'orecchio, "raramente ha l'opportunità di parlare così di Gimli e della sua Amata, e so che gli mancano molto."

"Non c'è problema," disse Bilbo.

"Comunque ti ringrazio. Metti questo sulla ferita alla testa," disse Oin, passandogli l'impiastro finito, "e prova a tenerlo premuto per tutta stasera. Dovresti guarire completamente con un po' di riposo."

"Grazie, Mastro Oin." L'impiastro era meravigliosamente rinfrescante, scoprì Bilbo non appena se lo premette sulla testa. "Dimmi," continuò, colpito da un pensiero improvviso, "questo è il tuo mestiere allora? Guarire? Confesso che non lo sapevo."

"É il mio mestiere, ma ne ho due e sono anche un banchiere," disse Oin, mettendo via i suoi strumenti.

"Ho sentito dire che gli Elfi sono grandi guaritori," cominciò Bilbo con cautela, "Ne parlerai con loro già che siamo qui a Granburrone?"

Oin gli rivolse un'occhiata che era principalmente irritata, ma Bilbo potè distinguere anche della tristezza.

"Non se ne parla, ragazzo. Non c'è nulla che un elfo," praticamente sputò la parola, "potrebbe insegnare a un nano."

Lasciò Bilbo solo nella stanza, a chiedersi quale fosse la storia nascosta dietro le sue parole.

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La cena fu piacevole - a parte Balin che insultava la nuova spada di Bilbo - piena di bella musica e cibo delizioso. L'impiastro di Oin aveva fatto meraviglie, e per quando si ritirarono nelle loro stanza, il dolore pulsante era praticamente svanito. Nessuno dei nani sembrava aver voglia di prendere alcuna delle stanze, sedendosi testardamente fuori su un'ampia balconata. Bilbo si sarebbe certamente approfittato della sua stanza, nella speranza che quel letto dall'aria lussuosa gli avrebbe fornito una buona notte di sonno. Per ora, tuttavia, Bilbo era felice di unirsi ai nani, almeno fino a quando non avrebbe più potuto combattere il sonno.

Un paio di stivali riempirono improvvisamente il suo campo visivo. Bilbo alzò lo sguardo per poi trovarsi davanti Fili, in piedi a braccia incrociate.

"Giusto, Signor Baggins, vieni con me, per favore." Disse Fili, e senza troppi preamboli afferrò la spalla di Bilbo - fortunatamente quella sana - e lo trascinò fuori dalla stanza. Bilbo, completamente preso alla sprovvista dal comportamento del nano, si lasciò guidare fino ad una piccola stanza nascosta.

Kili era seduto su una panchina, con l'aria decisamente avvilita. Fili spinse con fermezza Bilbo in modo da farlo sedere di fianco a lui.

Fili sbuffò. "Vorrei rendere noto che voi due siete ridicoli."

"Hei, ora-" cominciò a protestare Bilbo, indignato.

"No, lo siete," disse fermamente Fili, "Signor Baggins, Kili è terrorizzato da te da quando ti abbiamo conosciuto."

"Davvero?" disse Bilbo, incredulo. Kili si rifiutava di guardarlo, preferendo invece i propri stivali.

"Quindi, per risolvere la questione, vorrei che rispondessi a qualche domanda, per favore," continuò Fili. Stupefatto, Bilbo poté solo annuire.

"Grazie." Fili raddrizzò le spalle. "Signor Baggins, sei o non sei un assassino hobbit?"

Bilbo lo fissò. Quando non rispose, Fili lo spronò: "Beh, lo sei?"

Era davvero serio, pensò Bilbo nel privato della propria mene. Non era uno scherzo. Fissò Fili a bocca aperta per un momento prima di riuscire a dire: "Perché diamine lo pensereste?"

Fili gli rivolse uno sguardo. Bilbo lo riconobbe quasi immediatamente - era lo stesso sguardo che gli aveva spesso rivolto Thorin - in parte un'occhiataccia frustrata, in parte completa esasperazione, come se Bilbo esistesse solo per rendere più difficile la loro vita.

"No," negò Bilbo. Non poteva credere a cosa stava per dire: "Non sono un assassino hobbit."

Fili annuì. "Bene! Prossima domanda - stai cercando di uccidere mio fratello?"

"Cosa-no! No, certo che no! È completamente assurdo..."

Un sorriso soddisfatto comparve sul viso di Fili. "Ecco qui, Kili. Puoi smetterla di evitare il Signor Baggins ora."

Bilbo si rivolse a Kili, "Mi stavi evitando? Perché pensavi che volessi ucciderti?"

Kili li guardò entrambi, testardo, e disse: "Tutto questo è stupido, è ovvio che nega di essere una assassino! E non puoi biasimarmi se lo penso, ha provato ad uccidermi tre volte ormai!"

Aveva provato ad uccider…? Oh no. Infine, tutto ebbe senso. Bilbo poteva immaginare che, nei panni di Kili, in effetti sembrava che stesse cercando di ucciderlo.

"Ma mi renderebbe il peggior assassino del mondo! Ho fallito ogni volta!" Bilbo si mise la testa fra le mani. "Non posso credere di star facendo questa conversazione."

"Non ho mai detto che eri un assassino bravo," ribatté Kili, "Quelle tazze da tè significavano davvero così tanto per te? È una qualche tipo di vendetta?"

"Non è una vendetta, e tra l'altro, sarei un bravo assassino grazie mil…"

"È un grave insulto nella Contea, giocherellare con le tazze da tè del tuo ospite?"

"Beh magari ! E hai portato del fango-"

La loro discussione fu interrotta quando entrambi si resero conto che Fili rideva di loro.

"Oh, chiudi il becco Fili," disse Kili, poco convinto, "Non sei tu quello che ha dovuto sopportare molteplici tentativi di omicidio."

Bilbo si gonfiò, indignato, ma Fili riuscì a dire, "Ma è così ridicolo! Assassini hobbit!" e ricominciò, quasi piegato in due dal ridere.

Bilbo percepì un sorriso cominciare a tirargli gli angoli della bocca. Di fianco a lui, Kili iniziò a ridere, e Bilbo non poté non unirsi a lui. Beh, ora che Fili lo aveva fatto notare, l'intera situazione era divertente.

Presto tutti e tre erano senza fiato, annaspando per respirare tra gli attacchi di risa. Persino Kili, che si teneva i fianchi finché le risa non si affievolirono e poté respirare di nuovo.

Bilbo ridacchiò e si asciugò le lacrime dagli occhi. "Mastro Kili," disse, ansimando ancora per le risa mentre parlava, "Mi scuso sinceramente per averti fatto credere che stavo provando ad ucciderti." Allungò la mano perché Kili la stringesse.

Kili sorrise, "Scuse accettate, se tu accetti le mie per averti accusato di essere un assassino hobbit." Bilbo annuì, e gli strinse la mano.

"Siete due idioti," li informò Fili da dove era finito accasciato sul pavimento ai piedi di Kili. Kili gli diede un calcio nelle costole. Fili sembrò sentirlo a malapena.

"Ma anche io devo scusarmi, Signor Baggins," disse Fili, guardando Bilbo.

"Per cosa?" sgranò gli occhi Bilbo.

"Non ti ho ancora ringraziato per avermi salvato, quando stavamo combattendo contro i troll. Anche se non avresti dovuto, davvero. È stato un po' stupido da parte tua."

"Avrei dovuto lasciare che ti colpisse e basta? Se è questo il modo in cui i nani ringraziano, ricordami di non farlo di nuovo." Disse Bilbo, sarcastico.

"No, ti ringrazio davvero, ma avresti dovuto lasciare che prendessi il colpo. Ti ho visto con Oin prima - fammi indovinare, sei coperto di lividi? Nulla di rotto, spero?"

Bilbo scosse la testa, "no, solo un po' ammaccato."

"I Nani sono più robusti degli Hobbit," disse Kili. "Alcuni dicono che siamo stati creati dalla roccia stessa. Quella botta non avrebbe fatto male a Fili come a te. Magari gli faceva venire un po' di buon senso," aggiunse, e ora fu il suo turno di ricevere un calcio.

"Non ha mai aiutato te," Fili disse a Kili, "e ti hanno fatto cadere di testa da bambino."

"Mi ricorderò di spingerti di fronte ad ogni attacco in futuro, allora," disse Bilbo, prima che il bisticciare dei fratelli aumentasse.

"Vedi di farlo," Fili gli rivolse un sorrisetto.

"Ma, tornando a te che provi ad uccidermi," disse Kili, "Come fai a sapere come tirare i coltelli?"

Sia dannata la curiosità dei giovani. Bilbo si affrettò a trovare una spiegazione.

"Sì," anche Fili lo guardava adesso, "Kili ha detto che lanci coltelli bene quasi quanto me."

"Uhm," disse Bilbo. Non aveva idea di cosa dire di fronte a due volti giovani e in attesa. Non voleva mentire ancora - si era sentito abbastanza in colpa a mentire ad Ori.

"Temo di non poterlo dire," disse, anche se sapeva che non li avrebbe affatto placati. "È una storia molto lunga. Ve la racconterò, un giorno," aggiunse velocemente quando la stessa espressione di malcontento passò su entrambi i loro volti. "Ve lo prometto. Solo… non adesso."

"Ma sai fare altro?" chiese insistentemente Kili, "I Nani di solito non nascondono le cose a cui sono bravi, Signor Baggins. Tendiamo a vantarci, vedi. Gli Hobbit nascondono i loro talenti?"

"No, no," si affrettò a correggere Bilbo, "affatto. Ma temo che, al di là di lanciare il mio coltello e arrampicarmi sugli alberi, non sono molto bravo a fare altro. Come vostro zio continua a ricordarmi."

Bilbo intendeva dire l’ultima parte scherzosamente, con un pizzico di autoironia. Invece suonò solo un po’ triste.

I fratelli si scambiarono uno sguardo.

"Non devi prendere sul serio le parole di nostro zio, Signor Baggins," disse Fili.

"Sì, è spesso brusco. E duro. È un po' come il cuoio invecchiato, davvero."

"Quello che stiamo dicendo è… a volte gli ci vuole un po' per abituarsi alle persone."

Bilbo alzò un sopracciglio. "Nel mio caso, penso che dovrò aspettare fino alla fine del mondo perché vostro zio si abitui a me. Figuriamoci dire qualcosa di carino."

Si stava lamentando ora, ma non riuscì a fermarsi. L'evidente disapprovazione di Thorin per la presenza di Bilbo come scassinatore della Compagnia era a stento qualcosa che poteva ignorare, e si rese conto all'improvviso che gli era pesata un po'.

Kili lanciò un braccio amichevole intorno alle spalle di Bilbo.

"Sa essere gentile, sai."

Bilbo gli rivolse uno sguardo dubbioso.

"Quando l'occasione chiama," disse Kili.

"L'ho visto essere gentile, una volta," disse Fili.

"Menti! Devi confonderlo con qualcun altro!"

"No, davvero. È stato dieci, no, vent'anni fa, ora, alla vigilia di mezz'estate…"

"Va bene, va bene," rise Bilbo. Era impossibile essere abbattuti vicino a questi ragazzi.

Fili gli rivolse uno sguardo più serio. "Ma a parte gli scherzi, Signor Baggins, ti assicuro che Thorin è uno dei nani più gentili che io abbia mai conosciuto."

Accanto a lui, anche Kili si acquietò.

"Vi credo," disse Bilbo solo per assicurarli, sorridendo ancora.

Fili non fu placato dalle parole di Bilbo. "No, davvero," insistette.

"Ricordo ancora le scuse che si inventava sul perché non aveva bisogno di mangiare," disse Kili piano, e suo fratello continuò il racconto.

"Me lo ricordo. Fu un duro inverno quell'anno. Tornava a casa dopo una giornata nella fucina e s'inventava le scuse più ridicole per non mangiare la cena, e intendo davvero ridicole - non è mai stato bravo a mentire alla famiglia. Le scuse facevano arrabbiare mamma. Ce n'era sempre di più per noi, quelle notti."

"E aiutava sempre le altre famiglie che ne avevano bisogno, non importa chi fossero. Anche se non era obbligato." Aggiunse Kili.

Bilbo, giustamente pentito, vide gli sguardi di Fili e Kili farsi distanti. "Oh," disse, "non avevo capito… è stato così grave, dopo che voi… dopo che i nani hanno lasciato Erebor?"

Fili scrollò le spalle. "Non ne ho idea Signor Baggins. Né io nè Kili siamo nati a Erebor, e penso che siamo stati protetti dalla maggior parte delle difficoltà durante gli anni in cui i Nani hanno vagabondato, prima di stabilirci nelle Montagne Azzurre. Comunque, non importa quanto duramente lavorassero Thorin o i nostri genitori per esser certi che noi non sapessimo quanto fossero disperati quei tempi, sapevamo comunque che c'era qualcosa che non andava."

Bilbo non disse nulla, assorbendo invece le parole di Fili e Kili. Non riusciva a far conciliare l'immagine del Thorin orgoglioso, forte capo della Compagnia con quella dello zio che Fili e Kili descrivevano.

"Mi dispiace," disse Bilbo, invano. Sembrò completamente inutile - un gesto di scuse di fronte agli anni di sofferenza che i Nani dovevano aver vissuto, ma sentì di dover provare comunque.

Kili sorrise, "Grazie Signor Bilbo. Ma è tutto nel passato ora. Presto avremo una nuova casa, una più magnifica di qualunque cosa abbiamo mai sognato!" Spalancò le braccia per puntualizzare.

"Ma prima dobbiamo arrivarci," osservò Fili, senza tuttavia smorzare l'ottimismo di Kili. Dentro di sé, Bilbo non poté non essere d'accordo con Fili. Una cosa era essere ottimistici, ma c'era il piccolo dettaglio del drago tra loro e l'obiettivo. L'avrebbe fatto notare, ma aveva un'altra domanda che attendeva di porre.

"I vostri genitori sono entrambi rimasti nelle Montagne Azzurre, allora?"

"Mamma sì," confermò Fili. "Lei non… è molto contenta che noi ci siamo uniti alla Missione. O che Thorin abbia dato il permesso." Rabbrividì, come se stesse ricordando una cosa terribile.

"E lei non è potuta venire con noi, il che peggiora le cose," concordò Kili.

"Alle donne nane non è permesso andare nelle avventure?" chiese Bilbo, sapendo perfettamente quale sarebbe stata la reazione di sua madre se le fosse stato negato il permesso di andare in una missione.

Kili sembrò confuso per un momento, ma poi schioccò le dita e disse, "Ma certo, non lo puoi sapere, Signor Baggins! Ci sono molte meno nane che nani, vedi, quindi le donne sono molto preziose, e i bambini sono ancora più rari. Un bambino è la cosa più preziosa nella società nanica."

Bilbo non lo sapeva, e assimilò l'informazione.

"Gli uomini sono più sacrificabili delle donne" disse seccamente Fili, "quindi capirai perché l'avventura è dominio dei nani maschi."

"Andiamo, non siete sacrificabili," Bilbo fu sorpreso della facilità con cui Fili aveva detto una cosa del genere, come se avesse davvero poca importanza. Fili e Kili si limitarono ad ignorare la sua protesta.

"Non che abbiamo lasciato mamma indifesa," disse Kili, approfittando del momento, "Le nane imparano a combattere dalla nascita, come i nani. Devono essere l'ultima linea di difesa per i bambini."

Fili annuì pensieroso. "Sì, non ho mai capito gli Uomini," disse. "Tengono le loro donne a casa ma a nessuna è permesso prendere le armi! È ridicolo. Poco pratico."

Dopo tutto, forse a Belladonna sarebbe piaciuta la società nanica, pensò Bilbo.

"Siamo a malapena maggiorenni," disse Kili, "ma volevamo venire perché a Thorin serve il nostro aiuto."

"Ma sappiamo di essere giovani-"

"-da qui tutto lo sgridare," concluse Fili.

"Sono certo che lo apprezza," disse Bilbo, e dentro di sé non poté fare altro che ammirare questi due giovani nani coraggiosi, anche se le sue parole suonavano un po' false. Non aveva mai visto Thorin trattare Fili e Kili come nipoti - abbaiava loro ordini come a qualunque altro membro della Compagnia. Era stato anche severo con loro, in alcune occasioni. Se Balin non avesse informato Bilbo che Thorin era lo zio di Fili e Kili, lui non lo avrebbe mai indovinato.

"Sono certo anch'io," Fili sorrise a Bilbo, e per un momento dimostrò la sua età, perdendo l'aria da giovane sicuro di sé alla quale Bilbo era abituato. "Ma andiamo a letto ora. A Kili serve il sonnellino di bellezza."

"Non è vero," disse Kili immediatamente, ma comunque si alzò, "se c'è qualcuno qui a cui serve un sonnellino di bellezza - e disperatamente aggiungerei - sei tu, Fili. Ti sei guardato i capelli ultimamente? Sono una disgrazia per la razza dei nani."

"Oh, parla il nano con i capelli che sembrano un nido per uccelli," ribatté Fili.

I tre si ritirarono a riposare, Kili e Fili battibeccando lungo la strada. Bilbo non poté fare a meno di sorridere per allo scambio di battute dei fratelli - si interruppero a malapena per dargli la buonanotte - e fu un sorriso che durò fin quando non raggiunse la propria stanza.

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Su una balconata poco lontana da dove Bilbo si preparava per dormire, un'altra conversazione, completamente diversa, ebbe luogo.

"Non avrei mai pensato di vedere questo," disse Dwalin, sedendosi di fianco a Thorin, "Nani di Erebor, che accettano l'ospitalità degli elfi."

Dwalin avrebbe anche potuto aggiungere che si stavano nascondendo dietro le gonne della madre, fosse stato un Uomo. Ma il paragone non si applicava ai Nani - le donne nane tendevano ad essere continuamente armate fino ai denti, quindi dietro le gonne della madre era probabilmente il posto più sicuro, e nascondersi lì  una mossa molto intelligente.

Thorin grugnì in assenso e fece uscire dalle labbra un sottile sbuffo di fumo.

"Tempi strani," disse distrattamente, sebbene una frase così noncurante non esprimeva nemmeno lontanamente il disagio che provava nel trovarsi a Granburrone.

Caddero in un silenzio amichevole. Thorin sapeva che Dwalin aveva qualcosa per la testa, e sapeva che l'amico avrebbe parlato quando sarebbe stato pronto. Dopo un bel po' di tempo, Dwalin confermò i suoi sospetti quando si voltò verso di lui e disse:

"Penso che tu non ci abbia proprio preso con lo scassinatore."

Beh, Thorin non si aspettava che Dwalin se ne uscisse fuori con quello. Gli rivolse un'occhiata di sbieco.

"Devi ammetterlo, sei stato un pelino duro con il mezzuomo."

Thorin resistette all'impulso infantile di dire 'non è vero', e lasciò che Dwalin dicesse la sua.

"So che pensi che sia debole," e Thorin non poté fare a meno di sbuffare in risposta, cosa che Dwalin ignorò, "e anch'io l'ho pensato all'inizio. Ma guarda cos'ha fatto, Thorin. È entrato in un accampamento pieno di troll armato con nient'altro che quel coltellino che ha. Ha tenuto testa ai mannari - ma ancora più sconvolgente, ha tenuto testa a me."

Thorin prese un ultimo tiro dalla pipa e la tamburellò sulla panchina per far cadere la cenere, incurante del disordine creato. Dwalin si era zittito dopo lo sfogo sorprendentemente appassionato.

"Sembri esserti affezionato al mezzuomo," osservò Thorin, "dovrei aspettarmi di vedere una treccia con fermaglio da corteggiamento tra i capelli dello scassinatore? I tuoi gusti sono sempre stati diretti verso il piccolo e esuberante."

"Oh, va' a quel paese, Vostra Bassezza," disse Dwalin burbero, dando una spallata a Thorin. Non avrebbe mai detto una cosa del genere davanti alla Compagnia, ma ora che gli altri dormivano, Dwalin poteva essere l'amico di Thorin e dire quel che voleva.

"Sai che non è così," disse.

"Se non hai un fermaglio da corteggiamento con te, posso prestarti uno dei miei," offrì Thorin, "Te ne posso prestare due, se vuoi. Sono certo che non è il tipo di cosa che lo hobbit porterebbe in giro, e ti servirà qualcosa di carino da mettere in mostra per il tuo nuovo spasimante. Che ne dici di uno blu, abbinato all'argento della barba?"

Lo spintone di Dwalin che seguì avrebbe mandato un nano meno forte a gambe all'aria. Thorin si limitò a lanciargli un'occhiata divertita.

"Fai il serio, tu.." e Dwalin scivolò nella propria lingua per un momento, perché a volte la Lingua Comune non era abbastanza per insultare un vecchio amico.

"Sono serio," disse Thorin, senza più ironia. "non c'è nulla che mi faccia piacere il Signor Baggins."

"Allora sei un idiota," disse Dwalin. Thorin era davvero stanco di essere chiamato in quel modo così tante volte in un giorno. "Non ci provi nemmeno a guardare oltre ciò che ti sta davanti."

"Sei sicuro che non vuoi fare la corte allo scassinatore?" chiese Thorin, sul serio stavolta. Era molto tempo che non vedeva Dwalin difendere qualcuno con tanto animo.

"No," ribadì Dwalin, impaziente ora, "dico solo che farai la figura dell'imbecille quando finalmente ti renderai conto che hai sottovalutato la forza dello hobbit."

"Certo che si," disse Thorin, la voce secca come polvere.

Dwalin gli lanciò un'occhiataccia, stufo della testardaggine del suo amico. "Vedrai Thorin. Lo hobbit ha una vena di mithril dentro di sé," disse a Thorin, usando un vecchio detto nanico. Poi lo rovinò aggiungendo, "palle d'acciaio, pure."

Dwalin si congedò, dando una pacca a Thorin sulla spalla come buonanotte. Lo lasciò seduto sulla panca a riflettere su ciò che aveva detto.

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Se Bilbo avesse saputo che era l'argomento di una conversazione, non avrebbe avuto spazio in testa per contemplare la cosa. Era andato a letto esausto, raggiunto infine dalla follia degli ultimi due giorni. Si era distratto abbastanza, tra l'incontro con gli elfi, Granburrone e Fili e Kili, ma ora, con nient'altro a richiedere la sua attenzione, cominciò a ricordare la reazione istintiva che aveva avuto quando i mannari avevano attaccato.

Non importava quanto Bilbo provasse a rifuggire il pensiero, continuava a tornare all'eco di ciò che aveva provato quando aveva sentito le grida dei mannari la prima volta. C'era stata paura, certo - nessun hobbit sano di mente avrebbe affrontato creature del genere senza paura - ma c'era anche stata una furia affamata, un desiderio di uccidere, di prendere la sua nuova spada e tagliare carne, muscolo e ossa, guardare con soddisfazione i sangue scuro impregnare la terra.

Bilbo tremò, raggomitolandosi sul letto. Una mano era andata al ciondolo intorno al suo collo, per stringere la piuma di Luaithre in cerca di qualche conforto.

"Siamo state fatte per distruggere il male, Bilbo," aveva detto una volta Gwaihir, mentre lui e Bilbo recuperavano le forze nel nido dopo la loro prima battaglia, in autocommiserazione. "È la ragione per cui ci hanno create. È davvero una cosa così brutta che hai sentito l'impulso di distruggere creature così ripugnanti?"

"Ma tu sei un'aquila," aveva detto Bilbo, tremando sotto la coperta. "Sei fatto così. Io sono uno hobbit. Non siamo fatti per uccidere - non dovrei voler uccidere. Non solo, ma non dovrei voler uccidere un nemico che scappa!"

Gwaihir gli aveva puntato addosso uno sguardo tagliente. "Quei mannari, quelli che sono riusciti a scappare - pensi davvero che improvvisamente rinunceranno ai loro modi? Che non faranno più del male ai Popoli Liberi di questo mondo?

"Beh, no…" aveva concesso Bilbo, riluttante.

"Ti fai un'ingiustizia," aveva detto Gwaihir, "e stai provando la tua stupidità. Mio padre una volta mi ha detto che la battaglia rivela la tua vera identità. Se gli hobbit non dovrebbero essere così, allora tu cosa sei?"

Gwaihir aveva continuato, dichiarando Bilbo un hobbit-aquila, scherzando solo a metà. Ma un'affermazione così leggera non gli dava conforto al momento. Desiderò ferventemente di avere un po' della certezza che le aquile sembravano possedere sempre. Non c'erano esitazioni per loro. Lui, a sua volta, era sempre stato così sicuro quando era con loro - le rassicurazioni di Gwaihir avevano fatto molto per placare i suoi timori quella notte. Ma anni dopo, a Granburrone, circondato da nani,  Bilbo passò le dita nella trama sottile delle piume di Luaithre, impensierito.

Il sonno, quando lo trovò, non fu affatto pacifico.
 

Continua...


Note della Traduttrice - reprise

Informazione di servizio: la prossima settimana andrò all'expo e poi da alcuni amici, starò via fino al 15 quindi non credo riuscirò a pubblicare! Che poi... con che non-cadenza sto pubblicando questa storia? XD
Nel prossimo capitolo: tre conversazioni, un duello, e... cinguettii. Ah si, e Thorin e Bilbo finalmente parlano. Civilmente (più o meno)
A presto :3
KuroCyou

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Tre Conversazioni a Granburrone ***


Note della Traduttrice
Non lasciate mai che pensi di poter pubblicare di fretta, perchè non ce la farò. Mi dispiace per il ritardo! Se vi dico che la mia beta reader mi ha snobbato per una settimana mi perdonate? çwç anyway, vi lascio al capitolo!
Buona lettura! ♥
 


- Capitolo 7 -
Tre Conversazioni a Granburrone

 

In qualche modo, Gandalf era riuscito a convincere Thorin a rimanere un'altra notte a Granburrone. Come ci fosse riuscito era un mistero per Bilbo, ma era comunque grato per il giorno di riposo extra. I nani sembravano felici di rimanere nell'ala a loro riservata, ma Bilbo la considerava una cosa ridicola. Non riusciva a capacitarsi di come i nani potessero avere del tempo da passare a Granburrone e non voler esplorarla. Un giorno Bilbo avrebbe scoperto precisamente perché gli Elfi e i Nani fossero così in contrasto, ma per ora aveva dinanzi una giornata intera per esplorare, e la prospettiva di incappare nella biblioteca di Granburrone, ovunque fosse.

Bilbo passò la maggior parte della mattinata a vagare tra sale illuminate dal sole, ognuna meravigliosamente decorata con motivi intricati e fluenti e bassorilievi sui muri. Spesso la casa si apriva su colonnati panoramici, tranquilli cortili fioriti o spettacolari vedute del fiume, e Bilbo non aveva altra scelta che fermarsi ad ammirare la vista per un po'. Era completamente perso, ma così incantato che non se ne curava molto. Se quella era davvero la casa di Elrond, allora somigliava molto di più ad un maniero di qualunque altra casa che Bilbo avesse mai visto, tanto grande ed infinita sembrava. Era anche leggermente surreale - nel suo vagare Bilbo non aveva ancora visto un elfo che non fosse una guardia, e si chiese se fossero tutti a lavoro da qualche altra parte. Per ora di pranzo, decise che era tempo di chiedere indicazioni, ma non voleva disturbare le guardie severe.

Da un momento all'altro, Bilbo si ritrovò in un grande salone con un meraviglioso affresco. Avvicinandosi, si rese conto di star guardando un rappresentazione di Isildur nel momento del suo trionfo su Sauron, il che voleva dire che la spada spezzata dietro di lui era…

"I frammenti di Narsil," disse una voce gentile da dietro di lui. Bilbo gridò di sorpresa e si voltò, portando automaticamente la mano alla spada.

Lord Elrond era in piedi a qualche passo di distanza, un leggero sorriso che gli danzava agli angoli della bocca. Bilbo si rilassò e allontanò la mano dall'elsa, ma aveva il cuore a mille. Non aveva sentito nemmeno un fruscio dell'avvicinarsi di Lord Elrond, e si chiese quanto a lungo l'elfo fosse rimasto lì senza che se ne accorgesse.

"Buongiorno, Bilbo Baggins," disse Elrond con la sua voce calma.

"Buongiorno, mio Lord Elrond," rispose educatamente Bilbo, chiedendosi se dovesse inchinarsi o no.

"Pare che tu ti sia avventurato lontano dalla tua Compagnia," continuò Elrond, sollevando Bilbo dal suo dilemma sulle carinerie.

"Sì, mi dispiace, è la mia prima volta a Granburrone, vedete," Bilbo si affrettò a spiegare, "e volevo vedere la biblioteca e… sono finito qui. Mi dispiace se ho disturbato."

"Affatto. Sei il benvenuto ad andare dove vuoi entro queste sale, ma se è la biblioteca che cerchi, è nell'altra direzione."

"Ah", disse Bilbo. Poteva sentire le punte delle sue orecchie diventare rosse.

"Ma sarei felice di accompagnarti, se vuoi."

"Oh, no! Non vorrei essere di disturbo, sono certo che voi abbiate altre cose da fare!"

"Non c'è problema," assicurò Elrond, "Non sarei un ospite molto bravo se lasciassi che i miei ospiti si perdano non una ma due volte. Ti prego, seguimi. La biblioteca è un punto di particolare orgoglio per me, e ogni occasione che ho per vantarmene è gradita."

"Beh, allora, se davvero non c'è problema. Grazie," disse Bilbo, e si affrettò per tenere il passo con le falcate di Elrond. Con suo stupore, sembrava che non fosse troppo lontano dal suo obiettivo - probabilmente ci era passato oltre prima. La vista della biblioteca, però, fu tale da spazzar via ogni imbarazzo dalla sua mente.

"Desumo, quindi, che ti piacciono i libri" disse Elrond da dietro di lui, il tono divertito. Bilbo lo sentì appena - fissava rapito la grande sala circolare che si apriva davanti a lui, due piani di scaffalature illuminati dalla luce proveniente dall'enorme lucernario di vetro in alto. Qui e là, Bilbo vedeva elfi che entravano e uscivano dalle file, o sedevano alle scrivanie di legno che riempivano il centro della sala con grandi tomi davanti a loro.

"Penso che potrei passare un migliaio di anni qui dentro," ammise piano Bilbo.

Elrond arrivò al suo fianco, ridacchiando dell'entusiasmo di Bilbo. "Penso che sia la reazione che speravo di ottenere. Il bibliotecario ti assisterà per qualsiasi cosa vuoi trovare. Prova solo a non perderti," disse con un sorriso canzonatorio.

Bilbo ricambiò il sorriso. Era dispiaciuto di non poter passare più tempo nella biblioteca - Thorin avrebbe certamente preteso di partire quella sera, o la mattina seguente se erano fortunati.

"Perdonami, mastro hobbit, ma penso che ci sia qualcosa che ti distingue dagli altri Hobbit che ho incontrato," disse Elrond, riscuotendo Bilbo dai suoi pensieri. Bilbo si ritrovò ad essere il centro dell'attenzione dell'elfo, sottoposto ad un acuto sguardo ferreo, come se Elrond stesse cercando qualcosa, un segno nei tratti di Bilbo.

"Forse è il fatto che sono in una Compagnia di nani?" scherzò Bilbo.

quot;No," disse Elrond, e il sorriso gentile di prima era scomparso dal suo volto. L'Elrond di qualche momento prima, quello dei sorrisi calmi e atteggiamenti cordiali che si abbinava ai suoi abiti ricchi e delicati, era sparito. Ora somigliava più all'elfo che Bilbo aveva visto la prima volta sulla soglia di Granburrone, quello avvolto nell'armatura, con i guanti macchiati di sangue di orco. Bilbo cercò di resistere all'impulso di farsi indietro.

"No," ripeté Elrond, come se infine stesse confermando qualcosa a sé stesso. "Tu, Bilbo Baggins, sei il primo Hobbit che abbia mai incontrato ad avere il marchio di Manwë su di te, oltre a quello di Yavanna."

Bilbo si accigliò. "Davvero? Mi spiace, ma non sono certo di cosa intendiate."

"Hai passato del tempo con le aquile, non è così?"

"Sì." Bilbo non vedeva problemi nel confermarlo."

"Ne sono stato informato da Mithrandir, ma non ci avevo creduto fino ad ora. Le aquile non fanno amicizia facilmente, Bilbo. È quasi senza precedenti che accettino qualcuno non della loro specie. Ma contro ogni aspettativa… ti hanno dichiarato un amico delle aquile."

Non era una domanda. Bilbo poté solo annuire esitante, incerto di quale fosse il punto.

"Mithrandir non è a conoscenza di questo - o meglio, lo sospetta ma non ha ancora avuto conferma, ma lo vedo chiaro come il sole ora. È una cosa straordinaria."

"Ma… pensavo che Gandalf fosse amico delle aquile!" Bilbo emise una piccola risata mesta, "non c'è nulla di straordinario in me."

Il sorriso di Elrond tornò, ammorbidendo la sua precedente espressione severa.

"Al contrario. Mithrandir sarà pure un amico delle Aquile di Manwë… ma dimmi, Signor Baggins - le aquile ti hanno dato un Primo Nome?"

Bilbo poté solo fissare Elrond, scioccato. Non ne aveva mai fatto parola con nessuno. Sentì come se la acuta intuizione di Elrond fosse penetrata dritta nel profondo della sua anima, ed era una cosa profondamente fastidiosa. Elrond sembrò percepire il suo disagio, e agitò una mano come per dissolverlo.

"Non dirò altro se non vuoi che io continui," disse, "ma sappi che questo non ha precedenti. Tieni a cuore il tuo Nome, Mastro hobbit. C'è del potere nei nomi, e avrai bisogno del tuo, temo, nella strada avanti."

"Grazie, mio signore," disse Bilbo in toni sommessi.

"Ti lascio a goderti la mia biblioteca, e non farò parola di questo a nessuno - hai la mia parola. Mi dispiace di aver sollevato tale argomento, ma non sono riuscito a trattenere la curiosità," disse Elrond con un sorriso caustico.

"Nessun problema. Grazie per la vostra ospitalità, signore."

Elrond inclinò la testa e si voltò per andarsene. Bilbo prese un gran respiro per calmarsi, ma poi Elrond si fermò sulla soglia della biblioteca

"Bilbo…" cominciò, ma poi si bloccò. Bilbo pensò che lo sguardo dell'elfo fosse un po' distante come se non stesse affatto guardando lui. Sembrò improvvisamente molto vecchio e molto triste, e Bilbo realizzò a quante Ere doveva aver resistito l'essere davanti a lui.

"Mio signore?" sollecitò Bilbo. Elrond gli rivolgeva uno sguardo così dolorosamente triste che lui ne poté sentire un eco nel proprio petto. Poi Elrond sbatté lentamente le palpebre e qualsiasi cosa lo preoccupasse svanì come nuvole spazzate via per scoprire il sole, e scosse la testa.

"No, Signor Baggins, non è nulla." Disse Lord Elrond, e lasciò Bilbo solo nella biblioteca troppo silenziosa.

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L'incontro con Elrond aveva turbato Bilbo. Nessuno sapeva nulla del suo Nome. Bilbo non l'aveva nemmeno pronunciato ad alta voce a sé stesso, né lo aveva scritto - era troppo privato per rischiare di metterlo su carta. Come diamine faceva Elrond a saperlo? Il senso di pace che aveva raggiunto nel suo vagare per Granburrone era sparito ormai, e non aveva nemmeno potuto godersi la biblioteca. Era troppo consumato dalle domande per provare altro che un lontano piacere nel far scorrere le mani sui dorsi dei libri sugli scaffali. Il bibliotecario era stato accogliente e d'aiuto, ma Bilbo se ne era andato dopo un'ora a malapena, troppo agitato per potersi godere l'atmosfera della biblioteca. Forse sarebbe tornato un giorno, e non avrebbe lasciato la biblioteca finché qualcuno non l'avesse trascinato via.

Tornò all'ala che era stata assegnata alla Compagnia durante la loro permanenza. Un'occhiata veloce confermò che i nani non se ne erano andati senza di lui, e così Bilbo andò ad una grande balconata aperta poco lontano da dove riposavano. Qui aveva tutta l'intenzione di fare pratica con la spada finché la sensazione di irrequietezza sotto la sua pelle non fosse svanita.

Sguainò la lama, attento alla presa questa volta, senza limitarsi a brontolare per il fatto che non era una lancia. Eseguì qualche fendente di prova, testando il peso e il bilanciamento dell'arma, poi si rese conto che qualcuno si stava avvicinando. Poteva sentire l'andatura distintiva di uno della Compagnia che percorreva il corridoio verso la balconata, e poté persino identificare chi fosse dal suono dei passi. Si fermarono sulla soglia, e improvvisamente Bilbo ebbe uno spettatore.

Decise di ignorarlo, concentrandosi invece sul suo gioco di piedi, cercando di capire come bloccare e parare con la spada. Se lo spettatore avesse voluto parlare, sarebbe stata una sua decisione, ma fino a quando non avesse spezzato il silenzio vigile, Bilbo avrebbe continuato a fare ciò che faceva.

Dopo qualche altro fendente di spada, il nano parlò.

"Quella è la peggior guardia che io abbia mai visto," lo informò Dwalin.

Bilbo sospirò, abbassando la spada. Si girò verso Dwalin e disse: "Grazie per l'utile consiglio."

"No, davvero," disse Dwalin, "Ho addestrato molti spadaccini nella mia vita, e quella lì davvero-"

"C'è una ragione per cui sei qui? Oltre che insultare le mie abilità con la spada?" interruppe Bilbo, lanciando un'occhiataccia a Dwalin. Non era in vena per gli utili consigli di marchio nanico in quel momento.

Probabilmente Dwalin aveva sorriso sotto la barba cespugliosa - Bilbo non poteva dirlo.

"Nah, non va così male," disse Dwalin, avvicinandosi per mettersi davanti a Bilbo, "devi solo accorciarla un po'. Guarda, fa' come me," disse, e mimò l'atto di tenere una spada davanti a sé, mettendo i piedi in posizione. Bilbo lo imitò.

"Meglio," grugnì Dwalin, e poi, senza preavviso, estrasse una delle asce onnipresenti sulla sua schiena e si lanciò su Bilbo.

Istintivamente, Bilbo si spostò all'indietro e alzò la spada sopra la testa per bloccare il colpo. Sebbene Dwalin si stesse chiaramente trattenendo, la forza riverberò comunque attraverso le sue braccia. Fissò Dwalin.

"C'è qualche ragione per cui mi stai attaccando?" chiese al nano, "La mia guardia andava davvero tanto male?"

Dwalin ritirò l'ascia. "Devi imparare in qualche modo. Non male, per la tua prima parata, ma riesci a contrattaccare?"

E l'ascia attaccò di nuovo, stavolta con un colpo diagonale verso l'alto. Bilbo bloccò anche questo, incrociando l'ascia proprio sotto l'impugnatura per poi spingerla via con quanta più forza poteva, lanciandosi su Dwalin quando il movimento gli aprì la guardia per una stoccata. Dwalin recuperò velocemente, bloccando l'affondo con la sua ascia e spostando la spada di lato. D'un tratto, senza un'altra parola tra di loro, stavano combattendo apertamente. Dwalin non estrasse l'altra ascia da dietro la sua schiena - qualcosa per cui Bilbo si offese, ma il nano si dimostrò veloce abbastanza con una sola ascia che lui non si lamentò ad alta voce. Tra sé e sé, poteva ammettere di averne bisogno. La spada poteva non essere la sua arma preferita, ma gli sarebbe certamente servita nel viaggio.

Dwalin era veloce con l'ascia, e Bilbo non era abituato alla spada, e quindi i primi momenti dello scontro furono a vantaggio di Dwalin. Ma gli hobbit si adattano bene quando vogliono, e Bilbo ancor di più. Si abituò velocemente alla spada, costringendosi a concentrarsi sull'arma tra le sue mani, e non su una di cui poteva modificare la lunghezza semplicemente spostando la presa sull'ascia.

Si scontrarono e danzarono, muovendosi in cerchio l'uno intorno all'altro - Bilbo tenne Dwalin a distanza, ma l'altro continuava a cercare di metterlo all'angolo. Bilbo si accertava che i fendenti dell'ascia, quando arrivavano, potessero essere deviati facilmente dalla punta della sua spada. Sapeva che non poteva vincere quel combattimento improvvisato con la forza - i colpi di Dwalin certamente non potevano essere fermati fisicamente, ma Bilbo poteva modificare la direzione dell'ascia abbastanza da lasciare spazio per un contrattacco. Non solo, ma Bilbo sfruttò completamente la sua taglia e agilità; Dwalin era veloce a colpire, ma si muoveva lentamente, e Bilbo colse ogni opportunità per attacchi fulminei che gli permettevano di ritirarsi a distanza di sicurezza prima che Dwalin potesse contrattaccare.

La fronte di Bilbo stava cominciando a imperlarsi di sudore.

"Non male, mezz'uomo," gli disse Dwalin quando Bilbo schivò abilmente un colpo del pomolo dell'ascia diretto al suo stomaco.

Bilbo gli sorrise, divertito dal combattimento più di quanto volesse ammettere, "Cos'è tutta questa stupidaggine del mezz'uomo?" Bloccò un feroce colpo verso l'alto, spostandolo di lato, l'ascia sarebbe caduta pericolosamente vicina al suo corpo se non fosse saltato via. "Non sono la metà di nulla!"

Bilbo puntualizzò la cosa con un affondo dal lato scoperto di Dwalin, che l'altro dovette schivare. Il nano sorrise, e improvvisamente la velocità aumentò, il ritmo più rapido e Bilbo con esso, finché Dwalin non affondò, veloce come un fulmine, colpendo il polso di Bilbo e strappando con una rotazione la spada dalla presa allentata.

C'era un'ascia alla gola di Bilbo, posata sulla giunzione tra gola e collo. Dwalin lo guardò dall'alto, trionfante.

"Non male, ragazzo," disse, "Ma questa l'hai persa."

Bilbo sorrise e disse: "No, penso che questo sia uno scaccomatto, in effetti."

Dwalin si rese conto del coltello da caccia premuto contro la sua pancia, pronto a sviscerarlo da un momento all'altro. Si tirò indietro, rilasciando Bilbo, e abbaiò una risata.

"Per niente male," disse, appoggiando l'ascia al muro. Tra sé e sé, stava cercando di capire come avesse fatto Bilbo a tirar fuori il coltello così velocemente. Non aveva neanche visto la sua mano muoversi.

Bilbo rinfoderò il coltello, recuperò la spada e mise a posto anche quella. Come Dwalin, era un po' senza fiato, e andò ad appoggiarsi alla ringhiera della balconata al fianco del nano.

"Faremo di te uno spadaccino," gli disse Dwalin, e frugò nella tunica per tirar fuori una piccola fiaschetta. Tolse il tappo, prese una sorsata, e ne offrì un po' a Bilbo.

Bilbo la accettò senza una parola e prese un grosso sorso. Era alcool, cosa che si aspettava - il gusto era decisamente caldo con un sentore di miele. Era così forte che gli bruciò la bocca e la gola scendendo. Bilbo non reagì, e le sopracciglia di Dwalin si alzarono. Evidentemente si aspettava un soffocamento, tosse, uno sputacchiare o cose egualmente imbarazzante. Ma se pensava che quello era forte, allora Dwalin non aveva chiaramente mai provato la grappa di Hamfast Gamgee.

"Sei un tipo strano," osservò Dwalin. Bilbo aspettò il 'ma' che si aspettava seguisse, ma Dwalin sembrava contento di finire lì.

"Disse il nano che si coccola le asce di notte come un bambino con un orsacchiotto," ribattè Bilbo.

"Nulla di strano. Perfettamente naturale."

"Se lo dici tu." Disse Bilbo con leggerezza, prendendo un altro sorso dalla fiaschetta - più piccolo del primo ora che non aveva nulla da provare - e la ridiede a Dwalin.

"Sei a posto, mezz'uomo," disse Dwalin.

"È davvero tanto difficile dire Bilbo? So che ce la puoi fare," disse prima di potersi trattenere, irritato dal fatto che Dwalin sembrava incapace di chiamarlo per nome,

Dwalin lo guardò di sbieco e disse, con molta attenzione, "Sei a posto, Bilbo."

Bilbo sbuffò indelicatamente dal naso, "Eccoci qui. Sapevo che ce la facevi. Anche tu sei a posto, immagino, Dwalin. Per un nano."

Bilbo sperava che Dwalin avrebbe colto il tono canzonatorio, e fortunatamente sembrò farlo. La precedente ansia era stata spazzata via. Si sentiva stanco, e apprezzava la sensazione. Stanco significava che avrebbe potuto farsi una notte di sonno decente quel giorno, magari senza pensare troppo alle preoccupazioni prima di allora.

Aveva una domanda sulla punta della lingua che aspettava di essere formulata. Bilbo sperava che, dato che lui e Dwalin avevano condiviso un turno di guardia o due e ora si erano allenati insieme, il nano sarebbe stato disposto a soddisfare la sua curiosità.

Non riuscì mai a rispondere però, perché non appena Bilbo si voltò per porre la domanda, le sue orecchie formicolarono. Sentì un altro nano che si avvicinava, e anche stavolta seppe esattamente chi fosse. Si irrigidì, raddrizzando la postura rilassata sulla balconata.

"Dwalin. Cosa stai facendo?" Thorin chiese al suo amico, ignorando completamente la presenza di Bilbo. A quanto pareva Thorin stava ritornando all'ala, e probabilmente aveva sentito il clangore e i colpi della loro lotta dal fondo del corridoio. Dwalin si girò per guardarlo.

"Stavo solo dando allo hobbit-"

"Bilbo. Bil-bo."

"...Bilbo qualche consiglio su come maneggiare la sua spada," Dwalin diede un colpetto a Bilbo, nella voce un'insinuazione che l'altro colse subito. Bilbo lanciò un'occhiataccia a Dwalin, cercando di non arrossire, anche se le traditrici punte delle orecchie non lo aiutavano su quel fronte. Dallo sguardo decisamente non divertito che Thorin stava rivolgendo a Dwalin, Bilbo indovinò che anche lui avesse colto la battuta. Dwalin ebbe anche la sfacciataggine di aver l'aria divertita e compiaciuta nel seguente silenzio imbarazzato.

Bilbo decise di averne abbastanza di quel silenzio. Resistette all'impulso di fare una battuta sul rumore che avevano fatto, meglio di no in presenza di Thorin. Invece si limitò a dire: "Non mi servono più consigli sulla scherma, Dwalin, quindi me ne vad…"

"No no, ragazzo, resta," Dwalin mise una pesante mano sulla spalla di Bilbo, praticamente bloccandolo sul posto, "Questo era il tuo posto dall'inizio, dopo tutto, e le spade sono più il campo di Thorin che il mio. Magari gli puoi dare qualche suggerimento, eh Thorin?"

E con ciò, se ne andò, probabilmente ridacchiando tra sé e sé per tutto il tempo.

Lo sguardo truce di Thorin rivolto alla schiena dell'amico prometteva vendetta. Bilbo cercò di non dondolarsi sul posto. Era la prima volta da parecchio che lui e Thorin si erano trovati da soli insieme, e sebbene Bilbo non lo stesse evitando attivamente, era stato contento che non c'erano state molte occasioni in cui Thorin poteva dimostrare il suo disprezzo per lui faccia a faccia.  

Thorin sembrava pronto a congedarsi e seguire Dwalin, ma Bilbo fu improvvisamente preso dall'impulso di parlargli. Kili e Fili avevano insistito sul fatto che Thorin era un bravo zio. Di certo c'era un lato di lui che Bilbo non aveva ancora visto. Forse se solo fossero riusciti a parlare civilmente una volta, il viaggio che li attendeva sarebbe stato un po' più facile.

Ma ovviamente, la prima cosa che gli uscì dalla bocca non fu un'osservazione acuta intenta per suscitare una conversazione, ma invece un completamente inutile, "Ti sta piacendo la permanenza a Granburrone?"

Bilbo sussultò. Thorin si limitò a fissarlo. Perché la sua bocca aveva deciso che fosse una buona domanda? Ovvio che Thorin volesse andarsene da Granburrone, e di fretta - aveva reso la cosa chiara dall'inizio. Bilbo si affrettò a chiarificare.

"Intendo, ti sei riposato? Ehm, ti piace il cibo, magari?" Oh cielo, quello era anche peggio. Era una disgrazia per gli Hobbit - gli Hobbit avrebbero dovuto essere bravi con i convenevoli, ma eccolo lì, ad inciampare sulle parole e incerto perfino di cosa stesse facendo. Ma c'era qualcosa nell'essere l'unico oggetto dell'attenzione dello sguardo blu d'acciaio di Thorin che lo rendeva nervoso senza che l'altro dovesse dire nulla.

Thorin lanciò uno sguardo nella direzione in cui era sparito Dwalin, e poi disse, come se le parole gli venissero strappate a forza: "Mi sono riposato. Anche se l'ambiente potrebbe essere meglio."

"E il cibo… potrebbe esserci più carne, immagino."

L'espressione di Thorin non rivelava nulla, ma Bilbo riuscì ad individuare un sottile accenno di imbarazzo nella sua postura. Forse Bilbo non era l'unico ad essere mortificato dal loro terribile tentativo di conversazione. L'osservazione lo incoraggiò un po'.

"Sì," disse Thorin, conciso, e poi aggiunse, con riluttanza: "Gli elfi sembrano un po' troppo appassionati alla roba verde per i miei gusti."

Bilbo ripensò agli insulti di Gloin del giorno prima, e ci fu qualcosa nel modo in cui Thorin lo disse che irritò Bilbo. "Beh, immagino che quando sei circondato dal verde, è quello che finisce nel piatto," osservò vagamente. La valle di Granburrone era rigogliosa di vegetazione, dopo tutto, e la maggior parte di quello che Bilbo aveva mangiato fino a quel momento era stato delizioso e saziante.

"Non lo so."

Bilbo lo fissò per qualche secondo, prima di capire. "Oh, certo," disse, "Immagino, essendo Nani, non abbiate molte cose che crescono sotto terra?"

"Immagini molte cose," disse Thorin, "ma sì, Erebor stessa non aveva alcuna vegetazione."

Ah. Erebor. Bilbo non sapeva affatto se si fosse improvvisamente avventurato in un territorio doloroso per Thorin. Con quanta più attenzione e frivolezza poteva, Bilbo disse: "Forse potreste cambiare le cose, allora. Quando ritornate. Potreste ridecorare il posto - sono certo che ci siano specie di piante che crescono sottoterra.

All'esterno, nulla cambiò nell'espressione di Thorin, ma Bilbo percepì comunque la sua disapprovazione.

"E perché dovremmo farlo?"

A quanto pareva, Thorin aveva deciso di prendere Bilbo molto più seriamente del previsto. "Beh, immagino che potreste dover coltivare il cibo per dar da mangiare al popolo, e a parte quello, ci sono molte ragioni per coltivare piante."

"Coltivare piante e raccolti non è nelle competenze dei Nani, Signor Baggins," disse Thorin prima che Bilbo poté approfondire gli usi delle piante. "Noi Nani siamo più interessati all'ingegneria e artigianato."

"Beh, sì. Ma la conoscenza delle piante è tanto importante quando l'artigianato. Intendo, gli scopi medici…"

"Non avremmo tempo per ricerche tanto frivole. L'agricoltura è per gli Uomini, ed è molto pratica, ma curare un giardino è per quelli che conducono vite noiose, e che hanno poco talento o interesse per altro."

Ora fu il turno di Bilbo a fissarlo. Non riusciva a credere a quello che era appena uscito dalla bocca di Thorin, e in un modo tanto superficiale. Se l'intenzione di Bilbo era stata quella di suscitare una conversazione, allora ci era riuscito, ma l'argomento di interesse non era esattamente di suo gradimento. I tratti di Thorin si erano alleggeriti nel parlare di Erebor, e i suoi occhi erano accesi dall'entusiasmo. Ma Bilbo non notò nulla di questo, né si accontentò di aver ottenuto ciò che voleva.

"Ora, lo studio di metalli, minerali e…"

"Scusami, ma cosa hai detto sui giardini?"

Thorin sgranò gli occhi, sorpreso dall'interruzione. "Ho detto che sono un passatempo-"

"Un passatempo?" sbottò Bilbo, decisamente seccato ora.

"Sì," la confusione di Thorin era chiara sul suo volto. "È un passatempo per gente delicata-"

"Il giardinaggio è tanto meritevole quanto l'estrazione di metalli." Disse Bilbo a denti stretti

Thorin sbuffò, come se Bilbo avesse detto qualcosa di divertente. "Andiamo, Mastro Baggins, non puoi essere serio. Un giardino non si avvicina nemmeno al livello di una miniera."

Bilbo non riuscì ad ascoltare un momento di più. Imprecò contro Thorin nel linguaggio delle aquile, definendolo in un modo eccessivamente maleducato che non può essere ripetuto, prima di andarsene a grandi passi.

Luaithre sarebbe stata così orgogliosa.

Thorin lo guardò andarsene, totalmente allibito. Non aveva davvero intenzione di offendere, ma chiaramente lo hobbit aveva trovato un affronto nelle sue parole. Di certo Bilbo vedeva i meriti del creare cose rispetto a… ah. Thorin riportò la mente alla Contea e ricordò che ogni hobbit che aveva visto sulla strada per la casa di Bilbo aveva un giardino.

Ma, gaffe a parte, lo scassinatore gli aveva appena cinguettato contro?

Continua...


Note della Traduttrice - reprise

Diamo una medaglia a Dwalin, per favore! E il prossimo capitolo è quello che aspettate tutti! *rullo di tamburi* Goblin Town, con tutti gli annessi e connessi. Mancherà qualcosa però. Chissà mai cosa...
A presto :3
KuroCyou

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Colui dal cuore d'Aquila ***


Note della Traduttrice
Aaaah, è tardissimo! In tutti i sensi! Scusatemi tanto, queste ultime settimane sono state estenuanti per me, domani poi ricomincio la scuola ç-ç Ma tanto so che vi frega poco della mia vita, quindi sbrighiamoci e vi lascio al capitolo! 
Buona lettura! ♥

 


- Capitolo 8 -
Colui dal cuore d'Aquila

 

Bilbo fu triste di lasciare indietro Granburrone. Non poté fare a meno di fermarsi per guardare indietro un'ultima volta, ammirando la vista di un luogo che gli aveva dato, in maggioranza, un senso di benvenuto e di pace. La luce del sole nascente aveva appena iniziato a battere sui tetti riccamente colorati dell'Ultima Casa Accogliente, facendoli brillare d'oro. Bilbo si prese un momento per imprimersi l'immagine nella mente, poi si girò per unirsi al resto della Compagnia nella dura salita lungo il ripido fianco della montagna.

Si rammaricava di dover voltare le spalle a Granburrone, ma c'erano montagne davanti a lui e le loro alte cime erano un richiamo che gli provocava un tale desiderio che non sapeva proprio come avesse potuto pensare che le dolci colline della Contea l'avrebbero mai soddisfatto.

La strada che si dipanava sotto i loro piedi era ardua, e il tempo sembrava peggiorare ad ogni passo, ma Thorin andava testardamente avanti, instaurando un ritmo quasi inarrestabile che la Compagnia prese senza lamentele, ma spesso si udivano non pochi sospiri di sollievo quando veniva lanciato l'ordine di fermarsi per la notte. Sembrava quasi che Thorin volesse mettere più miglia possibile, e il più velocemente possibile, tra loro e Granburrone. Il tempo aspro e il vento ululante non infastidivano Bilbo, ma la dura marcia aveva lasciato il segno su quella che sarebbe dovuta essere una Compagnia ben riposata e felice, e ci furono poche chiacchiere e canzoni.

Le montagne si innalzavano sempre di più, e loro salivano con esse. Il terzo giorno di viaggio, il cielo divenne da blu acceso a nero nell'arco di pochi momenti, nuvoloso e agitato da fulmini. Una pioggia pesante cominciò a cadere.

I giganti di pietra furono la ciliegina sulla torta.

Bilbo pensava di aver visto tutto ciò che c'era da vedere sulle Montagne Nebbiose. Ma mentre si aggrappava alla parete di roccia dietro di sé, desiderò poter dire che fosse vero. Riusciva a malapena a distinguere i giganti che duellavano sopra di loro - erano solo ombre colossali illuminate dai lampi dei fulmini, troppo enormi perché la mente li comprendesse, ma ispiravano in lui abbastanza paura da fargli battere il cuore all'impazzata.

Una cascata di massi frantumati - ogni pezzo grande il doppio di Bilbo - piovve su di loro dall'alto. Il terreno sotto di loro si mosse, e la mano di Bilbo volò immediatamente sulla persona alla sua sinistra, che scoprì essere Bofur. Il nano sembrava terrorizzato tanto quanto Bilbo, entrambi si chinavano e oscillavano nel tentativo di seguire il loro appoggio instabile. Altri intorno a loro urlarono, di sorpresa, di paura, ma nulla si paragonava alle grida angosciate di Kili e Fili quando il sentiero si divise in due, separandoli. Il cuore di Bilbo pianse con loro.

Il sentiero stava scomparendo rapidamente. Bilbo si aggrappò con la mano al cappotto di Bofur, la stoffa ruvida un punto fermo in mezzo a quella follia. Si sentiva una formica - impotente, a rischio di essere spazzato via in un attimo. Non posso morire qui. Il pensiero fluttuava in cerchio nella sua mente terrorizzata. Un altro schianto di roccia sopra le loro teste, un altro tuono di un fulmine, e la parete di roccia si stava alzando per incontrarli.

Miracolosamente sopravvissero: riuscirono a salire sul nuovo pezzo di sentiero che si presentò davanti a loro prima che il gigante di pietra cadesse nell'abisso. Bilbo afferrò un appiglio e si aggrappò, con Bofur che faceva lo stesso di fianco a lui. Ma alcuni non furono così fortunati. Ori, alla sinistra di Bilbo, fu gettato sul sentiero solo per poi vederselo crollare in parte sotto di lui. Bilbo non esitò - abbandonò l'appiglio sicuro per afferrare il collo del cappotto di Ori e issarlo in una posizione migliore sul sentiero. Ori era salvo, Bilbo no - scivolò dal sentiero, riuscendo a tenersi aggrappato solo con le dita. Non riusciva a respirare, non riusciva a pensare. Se cadeva ora non ci sarebbe stata alcuna aquila a prenderlo. Non poteva morire lì. Ci fu un trambusto sopra la sua testa, grida e imprecazioni, e la mano di Bofur atterrò sulla su spalla, ma non riuscì a salvare Bilbo da solo. Con poca considerazione per la propria sicurezza, fu Thorin a gettarsi oltre il ciglio, sollevando Bilbo sul sentiero prima di essere tirato su da Dwalin.

Bilbo rimase lì dov'era caduto, ansimando per riprendere fiato. Bofur gli diede una pacca sulla spalla. "Pensavamo di averti perso, lì!" disse allegramente, sebbene la sua voce fosse scossa.

"Mastro Baggins si è perso da quando ha lasciato casa sua," ringhiò Thorin nella pioggia, "Non sarebbe mai dovuto venire."

Le parole di Thorin scivolarono su Bilbo. Non c'era spazio nella sua testa per elaborarle al momento, ma rimasero incastrate nel suo cuore.

Fu una Compagnia decisamente scossa e completamente zuppa a fare campo nella caverna che trovarono, poco distante dal campo di battaglia dei giganti di pietra. Il fuoco avrebbe sollevato gli animi, se Thorin ne avesse permesso uno. Così com'era, srotolarono i sacchi a pelo sul pavimento di pietra e cominciarono a sistemarsi per la notte, con poche parole scambiate.

Uno strattone sulla manica di Bilbo attirò la sua attenzione. Ori se ne stava da un lato, giocherellando con i fili tirati intorno al suo colletto.

"Grazie, Bilbo," disse, gli occhi illuminati da sollievo e gratitudine.

Bilbo riuscì a sorridere per lui. "Va bene, Ori. Avresti fatto lo stesso per me."

Ori si lanciò su Bilbo, dandogli un veloce e stritolante abbraccio che Bilbo tentò di ricambiare prima che l'altro si tirasse indietro per unirsi ai suoi fratelli. In un'altra serata, Bilbo avrebbe notato con divertimento che Dori gli lanciava occhiate sospettose, ma ora era troppo stanco, emotivamente e fisicamente prosciugato per darci troppo peso. La pioggia aveva lavato via tutto il suo buonumore.

Si avviò verso il fondo della caverna - facendo un cenno a Dwalin sulla strada - per raggiungere due nani in particolare che voleva accertarsi stessero bene. Kili e Fili erano seduti insieme, il che non era insolito, ma i volti pallidi e gli sguardi veloci che continuavano a lanciare l'uno all'altro tradivano una paura persistente.

Bilbo diede ad entrambi una pacca sulla spalla, rassicurato molto dal semplice contatto fisico. Kili tentò di sorridergli ma venne fuori più una smorfia, e Fili mise la mano sulla spalla di Bilbo per un momento. Non c'era un vero bisogno di parole.

Stanchi com'erano, la maggior parte della Compagnia si addormentò entro l'ora. Bilbo rimase seduto, ad ascoltare i respiri sempre più profondi e il russare ritmico. Stava cercando di concentrarsi sulla Compagnia, ma la sua mente continuava a ritornare al momento in cui era quasi caduto giù dal burrone e alle parole dure di Thorin. Non aveva idea di cosa ci facesse lì. Per un momento di follia, aveva seriamente considerato di fare i bagagli e abbandonare la Compagnia per tornare da solo a Granburrone. Abbandonò l'idea con uno sbuffo appena arrivò. Se c'era una cosa che il suo tempo con le aquile gli aveva rivelato, era che era determinato ad arrivare alla fine delle cose.

Una dozzina di altri pensieri gli svolazzavano in testa, finche Bilbo non riuscì più a pensare. La caverna era troppo piccola, troppo affollata e angusta. Aveva bisogno d'aria. Qualche minuto fuori sarebbe bastato.

Più piano che poteva, si alzò dal suo sacco a pelo. Fili e Kili si erano avvicinati nel sonno e la mano di Fili afferrava l'avambraccio di Kili. Bilbo si chiese se era così che dormivano da bambini. Erano così giovani, tutti e due; gli piangeva il cuore a guardarli. Fece attenzione a scavalcare loro e Bifur - c'era l'intera Compagnia tra lui e l'entrata della caverna, ma non era un vero ostacolo per Bilbo. Vide che Bofur era seduto vicino all'apertura - magari si sarebbe potuto sedere un po' con lui.

La sensazione di occhi fissi sulla sua nuca fece voltare Bilbo. Con un sussulto, si rese conto di non essere l'unico sveglio - Thorin era seduto da un lato sul suo sacco a pelo, lo sguardo scuro e calcolatore.

Si è perso da quando ha lasciato casa sua.

Bilbo avrebbe potuto girarsi e andarsene, avrebbe potuto distogliere lo sguardo e andarsi a sedere con Bofur. Invece si ritrovò ad aprire la bocca per dire:

"So che dubiti di me. So che è una cosa che non cambierà. Ma qualunque cosa tu possa pensare di me, io sono qui per arrivare fino alla fine."

Stava fuoriuscendo tutto in un torrente e Bilbo non riuscì a trattenere il flusso delle parole. Thorin non disse nulla, ma nemmeno tentò di interrompere il discorso di Bilbo, quindi lui continuò, la voce bassa per non svegliare i nani.

"Non so cosa significhi per i Nani dare la vostra parola, ma per un hobbit - per me - significa che la mantieni ad ogni costo. Perché… perché penso che Erebor sia una casa per voi tanto quanto sia un regno. Almeno, penso che lo sia per Fili e Kili, anche se non l'hanno mai vista. E conosco un po’ come ci si sente, a non avere una casa. Quindi voglio aiutarvi, se posso."

Riprese fiato. Come aveva fatto a pensare che dire la sua in mezzo a nani russanti fosse una buona idea era un mistero. L'imbarazzo cominciava a salire. Thorin continuò a rimanere seduto così immobile che sembrava fosse scolpito nella roccia, ma gli occhi del nano si abbassarono lentamente sul corpo di Bilbo, per fermarsi sulla spada alla sua cintura. La testa di Bilbo scattò all'ingiù e vide un bagliore blu spuntare dalla fessura tra fodero ed elsa. Lentamente, sguainò la spada e la luce blu gli illuminò il viso e la mano.

 Bilbo e Thorin ebbero solo un momento per scambiarsi uno sguardo inorridito. Thorin scattò in piedi, chiamando i nani alle armi, ma fu comunque troppo tardi - il pavimento si aprì sotto di loro, e rotolarono nell'oscurità.

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L'atterraggio tolse il respiro a Bilbo. Fu più fortunato degli altri, essendo caduto sul povero Bombur, che aveva preso il colpo più forte. La vista di Bilbo era punteggiata di bianco e si sforzò di respirare, ma le aquile gli avevano insegnato a non rimanere mai a lungo per terra - un'aquila a terra era un'aquila vulnerabile. Barcollò in piedi molto prima del resto della Compagnia, ma mai troppo presto - un vero e proprio sciame di goblin, che tra grida e stridii era quasi su di loro. Bilbo diede un pugno sulla mascella del primo che si avvicinò, ma altri tre ne presero il posto.

Furono soverchiati nell'arco di un respiro. La Compagnia non poteva nulla contro un numero così schiacciante e in uno spazio tanto piccolo non c'era modo di combattere efficientemente. I goblin li tenevano giù, afferrando armi e gambe e saltando sulle loro schiene. La Compagnia rispose all'attacco al meglio che poteva, ma ai goblin sembrava non importare di essere gettati giù dalla piattaforma, e non importava con quanta foga Bilbo tirasse calci e pugni, non poterono far nulla per impedire di essere trascinati via dall'orda.

A Bilbo fu strappata la spada, insieme al coltello. Forti dita con unghie taglienti affondarono nelle sue spalle, costringendolo a muoversi in avanti. Accanto a lui, Kili cercava di ritrarsi dagli aguzzini, senza risultato.

Bilbo non si era mai sentito così inerme.

Li condussero ancora più nelle viscere della montagna, giù lungo ponti traballanti e oltre un numero infinito di goblin che li deridevano al loro passaggio, resi folli dalla cattura della Compagnia.

Furono fatti fermare davanti ad un grande trono, sopra il quale sedeva il più grosso e ripugnante goblin che Bilbo avesse mai visto. Le armi della Compagnia furono gettate rudemente in un mucchio davanti al Re. Bilbo era seminascosto dalla mole di Dwalin e non riusciva a vedere molto di quello che accadeva, ma dalla breve occhiata che riuscì a dare al Re goblin, ne fu lieto. Non voleva guardare la sua brutta faccia più del dovuto. Senza una parola, la Compagnia serrò i ranghi, traendo quanto conforto potevano dalla presenza degli altri.

All'ordine del re, furono perquisiti. Bilbo perse tre bottoni di ottone dal panciotto, ma la Compagnia sopportò l'affronto con proteste minime. Ma non finì lì. Il cuore di Bilbo fece un salto quando Ori venne minacciato di tortura. Non in mia presenza! Ruggì Bilbo internamente. Questo nuovo sviluppo stava disfacendo Bilbo. Aveva i nervi a fior di pelle, e si sentiva come se il suo controllo potesse finire a brandelli ad ogni momento. Un goblin, con quella che era una contorta sembianza di un volto, gli ringhiò contro. Bilbo digrignò i denti e gli diede una testata. Il goblin se la svignò, ma Bilbo ricevette un graffio sulla guancia da un altro per il disturbo.

Ma poi Thorin fece un passo in avanti, apparendo fino all'ultimo il Re che stava combattendo per essere. Si erse in tutta la sua altezza e rimase immobile persino di fronte agli affronti del Re goblin. Bilbo provò ammirazione quando colse un frammento della schiena ampia di Thorin attraverso un'apertura nella Compagnia.

Sentirono un clangore e scricchiolio, e la Compagnia si riscosse nervosamente dal silenzio risoluto. Un tamburo cominciò a suonare ritmicamente in mezzo all'orda di goblin, che cantavano di membra spezzate e ossa frantumate. La Compagnia si strinse ancora di più insieme.

D'improvviso, Bilbo vide che un goblin stava masticando il suo zaino mentre un altro rovistava nel suo contenuto. Infuriato, Bilbo si lanciò in avanti, colpendone uno ai reni e gettandosi sull'altro, tuttavia l'azione lo fece uscire dal riparo fornito dalla schiena di Dwalin. Il nano cercò di andare in aiuto di Bilbo, ma la zuffa colse immediatamente l'attenzione del Re goblin.

"Tu!" sbottò il Re, puntando il dito contro Bilbo, "Portatelo avanti, fatemelo vedere!" e Bilbo fu spinto in avanti di fianco a Thorin, con lo sgomento della Compagnia.

Bilbo raddrizzò la schiena e lanciò uno sguardo truce al Re goblin, furioso e impaziente di combattere.

Il Re sorrise, tirando con il movimento la barba carnosa. "Bene bene bene," sogghignò, "Non avrei mai pensato che sarei vissuto per vedere questo giorno. Sì, so esattamente chi sei tu."

E il Re sputò una parola nella lingua degli orchi, una parola che Bilbo non sentiva da molti, molti anni, una che veniva pronunciata con quanto più disgusto possibile dai goblin:

"Portatore di luce!"

Ora sì che erano nei guai.

"Che bella coppia che fate!" gongolò il Re. Bilbo percepì Thorin che gli lanciava uno sguardo interrogativo, ma non si girò per incrociarlo. Un goblin diede a Bilbo un calcio nella schiena e lui scattò automaticamente. Mentre cercava di difendersi, il suo piede colse accidentalmente l'elsa della spada di Thorin, estraendola un poco dal fodero.

La reazione alla rivelazione della lama fu immediata. Dove prima vi era orgoglio per la vittoria, ora c'erano paura e rabbia. I goblin si rivoltarono contro di loro con le fruste e li picchiarono con dei bastoni. Bilbo fu gettato a terra da una serie di feroci colpi che lo fecero gemere di dolore. Si affrettò a rimettersi in piedi e un altro colpo atterrò sulla sua spalla. Il rumore della Compagnia che lottava e il grido di Ori gli riempiva le orecchie. Bilbo ficcò il gomito nella pancia di un goblin, con poco guadagno - una lama fendette un po' troppo vicina al suo collo, e avrebbe trovato il bersaglio in solo pochi momenti.

E poi, inarrestabile e implacabile, ci fu un'ondata di luce bianca e un'esplosione di energia. Nani, goblin e hobbit furono tutti gettati a terra, cercando storditi di riguadagnare la vista dopo la luce accecante.

Attraverso l'annebbiamento si fece avanti una figura molto familiare. Gandalf.

"Prendete le armi!" gridò, "Combattete! Combattete!"

A Bilbo non servì altro. Spinse via un goblin che gli era caduto sopra e afferrò la spada e il coltello, mentre la Compagnia faceva lo stesso intorno a lui, e nell'arco di qualche respiro stavano combattendo con le unghie e con i denti per una via d'uscita.

Bilbo si sarebbe ricordato poco della battaglia che seguì. Si muoveva seguendo il puro istinto - non c'era tempo per delibere morali al momento - stavano combattendo per fuggire, per sopravvivere, e i suoi arti si muovevano senza alcuna istruzione dalla sua mente, cadendo nel ritmo della mischia senza pensiero. Alcune cose gli sarebbero poi rimaste impresse - si sarebbe ricordato di aver combattuto insieme a Fili e Kili, coprendo la ritirata, con Thorin e Gandalf che aprivano la strada. Ricordava con certezza di aver lanciato il suo coltello senza esitazione, colpendo a pochi pollici di distanza dalla testa di Kili il goblin che si era avvicinato troppo al nano. Si scambiarono un breve sorriso, finché la situazione rese necessario che Bilbo recuperasse il coltello e riportassero l'attenzione sulla battaglia.

Miracolosamente, nonostante quella che sembrava un'intera montagna di goblin che cercava di impedire la loro fuga, la Compagnia piombò fuori alla luce del sole senza che nessuno si fosse fatto seriamente male.

Corsero giù lungo il fianco della montagna fin quando non si resero conto di non essere inseguiti. Ognuno di loro ansimava per riprendere fiato - persino Gandalf sembrava affaticato. Bilbo si appoggiò con la mano ad un albero e prese lunghe sorsate d'aria, cercando di non guardare la spada macchiata di sangue che aveva in mano.

"Beh," disse Bofur, fermandosi accanto a Bilbo, "quello è stato spiacevole."

"Non mi dire-" cominciò lui, sarcastico, ma fu interrotto dal suono da far gelare il sangue di un ululato di mannaro. Un altro ululato si unì al primo, e poi un altro e un altro ancora. Un branco di mannari, pensò Bilbo con rinnovato orrore. Un branco di mannari decisamente troppo vicino.

"Dalla padella..." disse Thorin.

"...alla brace. Correte!" abbaiò Gandalf.

Ma velocemente si resero conto che non c'era posto dove  correre. Il rumore di enormi artigli che martellava sulla terra li raggiunse - il branco era già su di loro, e Ori dovette colpirne uno con i martello da guerra preso in prestito prima di venir sollevato sugli alberi dai suoi fratelli. Un altro mannaro cercò di tagliare in due Bilbo, ma lui gli ficcò la spada dritta tra gli occhi, strattonò la lama per liberarla e si arrampicò velocemente su di un albero per sedersi un ramo sotto Fili .

Non c'era via d'uscita. I mannari graffiavano e artigliavano le basi degli alberi, strappando il legno come se fosse carta. Poi, un nuovo orrore. Da in mezzo agli alberi si avvicinò un enorme mannaro bianco - la cui vista fece echeggiare un vecchio dolore nel fianco destro di Bilbo, riportando alla luce oscure memorie di sangue, battaglia, e le aquile che gridavano di dolore e rabbia. Era il mannaro che gli aveva quasi tolto la vita, e l'orco che gli sedeva in groppa…

"Azog!" Bilbo sentì esclamare Thorin, sconcertato, dietro di lui, "non può essere."

L'enorme orco pallido sollevò la sua mazza, e i mannari corsero in avanti con rinnovato vigore, attaccando di nuovo gli alberi, strappando interi rami con le fauci nella fretta di raggiungere la Compagnia. Gli alberi tremarono e si scossero sotto la carica,e Bilbo si aggrappò meglio che poteva sperando disperatamente che nessuno degli altri cadesse per esse fatto a pezzi dal branco in attesa.

Con un potente rombo, l'albero di Bilbo cominciò a cadere. Il mondo rotolò di lato e l'albero caduto diede inizio ad una reazione a catena, finché solo uno rimase in piedi, con tutta la Compagnia nascosta tra i rami. I mannari continuarono a saltare e a mordere, e Azog osservava il tutto con un crudele sorriso soddisfatto.

Bilbo desiderò di avere il suo acciarino, per creare un incendio come faceva in situazioni simili in guerra. Prima ancora che finisse di formulare il pensiero, Gandalf stava passando loro pigne infuocate. Bilbo trovò non poco piacere nel lanciarle ai mannari sottostanti. Il sottobosco secco prese fuoco immediatamente, e presto fiamme rosse ruggirono di vita, riempiendo l'aria di fumo nero. I mannari si ritrassero di qualche prezioso metro. Fili e Kili esultarono, ma la loro piccola vittoria durò poco. Con un enorme gemito, l'ultimo albero si ribaltò. Fortunatamente, qualche forte radice impedì che cadesse ulteriormente, e la Compagnia rimase appesa solo grazie a riflessi veloci e pura fortuna. Bilbo stesso penzolava dal tronco principale, aggrappato alla corteccia con braccia dolenti. Il cuore gli si fermò quando sentì Dori chiamare Gandalf e cadere dall'albero, e sembrò riprendere a battere solo quando vide che Dori e Ori avevano afferrato il bastone dello stregone.

Il fumo punse gli occhi di Bilbo, inondandogli la gola. Aveva finito le idee.

Tutte le idee, tranne una, e Thorin la stava eseguendo. Bilbo guardò, sconcertato, il nano alzarsi lentamente sul tronco, trovare l'equilibrio, lo sguardo fisso in avanti e concentrato solo su Azog, spada e scudo pronti. Stava andando per guadagnare loro tempo. L'improvvisa consapevolezza sprizzò attraverso Bilbo, scuotendolo.

No! Se Thorin pensava di poter fare una cosa così folle da solo, era fuori di testa. Le mani di Bilbo rasparono la corteccia dell'albero - doveva alzarsi, ora, ma la corteccia era troppo secca, troppo friabile - si spezzò tra le sue mani quando provò ad aggrapparsi. Cercò disperatamente un buon appiglio, grattando il legno con le unghie, la pelle dei suoi palmi graffiata e tagliata dalla superficie ruvida; cercò di torcere il corpo per portare un piede sul ramo - ecco! - ora ce l'aveva, e si sollevò sul tronco. Ma era troppo tardi per salvare Thorin dal primo attacco, la carica del nano fu interrotta facilmente dal mannaro albino, e lo mandò a terra, impreparato per il colpo devastante della mazza di Azog che atterrò preciso sul petto di Thorin.

Paura e furia erano in guerra dentro di Bilbo, ma ora ne aveva il controllo. C'era un pensiero che sovrastava gli altri, un pensiero che gli rese salda la mano davanti a morte quasi certa: Thorin non deve morire. Bilbo trovò l'equilibrio immediatamente, e seguì il percorso di Thorin giù dall'albero, spada in una mano, coltello nell'altra, correndo a massima velocità. Le enormi, potenti mascelle del mannaro furono su Thorin in un battito di ciglia, ma Bilbo non era lontano - fletté la mano sinistra e fece volare il coltello senza fermarsi. Il mannaro ringhiò quando la lama gli graffiò il muso, e in un attacco di rabbia lanciò il corpo di Thorin di lato come se non fosse altro che una bambola di pezza. Thorin colpì violentemente il terreno e non si mosse, vulnerabile agli altri mannari che avanzavano al comando di Azog.

Ma non lo raggiunsero mai - Bilbo arrivò per primo, affondando la spada profondamente alla tempia del mannaro più vicino, dove il cranio era più debole, prima che si rendesse conto di essere attaccato. Bilbo estrasse la spada dalla testa del mannaro per incrociare la mazza del suo cavaliere, deviando il colpo e infilzando l'orco con tale forza da non incontrare la resistenza dell'armatura.

Guadagnatosi un certo spazio con il suo attacco spericolato, Bilbo si ritrasse verso Thorin - Thorin, che cercava di mettersi in piedi, usando la spada come appoggio e digrignando i denti per il dolore.

"Sta' giù, idiota!" gli ringhiò Bilbo da sopra la spalla, e non perse tempo a vedere se Thorin aveva dato ascolto al suo ordine.

Il cuore di Bilbo batteva troppo velocemente, un ritmo rapido che gli rimbombava nelle orecchie. Altri tre mannari e i loro cavalieri si avvicinavano, i ringhi bassi promesse di massacro. Bilbo strinse la presa sulla spada, le mani rese scivolose dal sangue, e non si spostò.

E poi, attraverso le colonne di fumo ondeggianti, attraverso le fiamme ruggenti e le nuvole scure nel cielo, Bilbo vide una sagoma familiare battere le ali attraverso il luminoso cerchio argentato della luna.

Bilbo sorrise. Non fu un sorriso particolarmente gradevole.

Per lo sbigottimento di tredici nani e uno stregone, cadde una lancia - come dal cielo - che si conficcò di punta nella terra a due piedi da dov'era Bilbo. Bilbo ringuainò la spada ed estrasse la lancia. I mannari si erano impennati all'improvvisa apparizione della lancia, e ora artigliavano il terreno con le zampe, incerti. Nei recessi annebbiati delle loro menti, i mannari riesumarono un ricordo semisepolto; la figura davanti a loro - avvolta dalle fiamme, piccola di statura, la lancia in mano - era familiare. Per loro era profondamente e istintivamente associata a due cose: morte e aquile.

Il riconoscimento diede vita a due reazioni diverse. Un mannaro guaì e si ritrasse, scontrandosi con il suo compagno, il terzo attaccò per la paura, scioccamente spronato dalla lama crudele del suo cavaliere. Fu sistemato velocemente dalla punta della lancia di Bilbo, che lampeggiò per infilzare il petto dell'animale, e poi con il manico disarcionò l'orco, gettandolo giù dal burrone. Altri mannari correvano in avanti per prenderne il posto, ma i nani avevano infine trovato un appoggio e ruggirono in battaglia in aiuto di Thorin, che si era accasciato, inquietantemente incosciente, dietro di Bilbo. I nani spinsero indietro i mannari, senza curarsi della propria sicurezza, con la paura per Thorin che rendeva i loro attacchi potenti ma disperati.

Tuttavia, sgomberarono inavvertitamente la strada per il mannaro bianco e il suo pallido cavaliere. Bilbo rimase saldo davanti a Thorin, praticamente ancorato al terreno. Incrociò lo sguardo terrificante di Azog e non si ritrasse. Il mannaro si accucciò, preparandosi a saltare.

Gli artigli di Luaithre mancarono mannaro e cavaliere di un soffio; il mannaro dovette torcersi e scattare via per schivare l'attacco. Il grido di battaglia di un'aquila riempì l'aria e Bilbo si voltò per vedere Landroval afferrare un mannaro con ogni artiglio. Tutt'intorno a Bilbo le aquile si gettavano in battaglia, cantando di gioia e furia terribile, difendendo i nani e spargendo le fiamme con le loro ali. Bilbo sentì il sollievo nelle ossa quando vide Deas raccogliere Kili e Fili e tirarli via dal pericolo, e gli altri nani ricevettero velocemente lo stesso trattamento. Abbassò un poco la punta della lancia. Sebbene non fosse la più ideale delle riunioni, era molto contento di sentire e vedere di nuovo la sua famiglia, e si sentì sollevato da i loro richiami, la sensazione di tornare a casa alla fine di una lunga, estenuante giornata.

Il branco di mannari stava provando a ritirarsi, ma erano corsi in avanti con troppa foga nell'inseguire la Compagnia, e ora non riuscivano a ritrarsi o voltarsi per scappare nella stretta striscia di terra, praticamente inciampando l'uno sull'altro nella fretta di fuggire. Erano un bersaglio facile per le aquile. Ma Bilbo non poteva prestare altra attenzione alla battaglia -  Gwaihir schioccò il becco in un saluto, e si librò sopra il dirupo. L'aquila indugiò per un momento, facendo una domanda a Bilbo, che annuì di risposta. Con più delicatezza di quanto quei grandi artigli potessero sembrare capaci, Gwaihir afferrò il corpo incosciente di Thorin, portandolo via dal pericolo.

Un ringhio raggiunse le orecchie di Bilbo. Si voltò per vedere che Azog e il suo mannaro bianco si stavano preparando ad un nuovo attacco, nonostante le fiamme che li separavano da Bilbo.

Era il momento di andare. Senza guardarsi indietro, Bilbo fischiò un nome e corse per saltare dal dirupo. Luaithre fu lì per prenderlo, come sempre.

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 C'erano poche ragioni per godersi il volo, o per essere grato di essere di nuovo con la sua famiglia. Lo strano assortimento di nani, aquile, uno stregone e uno hobbit volò lontano dal pericolo e verso l'alba, ma Thorin non si mosse negli artigli di Gwaihir. Fili chiamò lo zio, ma non ottenne risposta. Bilbo sedette in groppa a Luaithre e lasciò che il suo corpo seguisse i movimenti familiari del volo, al contempo pregando e sperando e desiderando con tutto sé stesso che Thorin stesse bene.

Scesero in cima ad una collina di roccia frastagliata; Bilbo scivolò giù da Luaithre senza una parola, senza spostare gli occhi da dove giaceva Thorin. Luaithre prese di nuovo il volo, ritornando in cielo per volare in cerchio sulla Compagnia con il resto dello stormo, lasciando spazio a Bilbo per il momento.

Le peggiori paure per Thorin non si realizzarono alla fine, perchè quella notte non aveva ancora finito di dispensare miracoli. Gandalf si sporse su Thorin per qualche momento, e quando si ritrasse, gli occhi del nano si aprirono.

Bilbo lasciò andare dal sollievo quella che sembrava tutta l'aria che aveva in corpo. Il testardo nano barcollò in piedi, con un po' di aiuto da Dwalin e Kili, rifiutandosi di rimanere giù a lungo. Ma poi Thorin si rivolse a Bilbo, ed il sorriso estatico che gli tirava le labbra scomparve quando i suoi occhi si fissarono su di lui. Thorin sembrava furioso.

"Tu! Cosa pensavi di fare?" il resto della Compagnia lanciò sguardi preoccupati tra i due, ma Thorin non aveva finito. "Ti sei quasi fatto ammazzare! Non avevo detto che saresti stato un peso?"

Bilbo sentì il grido oltraggiato di Gwaihir in risposta, anche se l'aquila volava in alto nel cielo.

Thorin continuò, menando il colpo finale che ferì Bilbo più di un'intera nottata di battaglia.

"Che non saresti sopravvissuto nelle terre selvagge? Che non c'è posto per te fra noi?"

Bilbo deglutì. Scoprì di non riuscire ad alzare gli occhi per incrociare lo sguardo di Thorin.

"Non mi sono mai sbagliato tanto in vita mia," concluse Thorin, e Bilbo si ritrovò ad essere trascinato in un brusco abbraccio.

Oh, pensò. La lancia gli cadde dalle dita inerti per sferragliare al suolo. Il resto della Compagnia rideva e applaudiva sullo sfondo, e Tuit fischiettava sfrontatamente nel cielo, ma l'attenzione di Bilbo era solo per le braccia avvolte intorno a lui e la pelliccia morbida e i capelli lunghi che premevano sulla sua guancia. Thorin abbracciava nello stesso modo in cui faceva molte cose - con il suo intero cuore, e Bilbo si affrettò a ricambiare la stretta, per quanto riusciva. Il suo cuore era in alta quota, e il sorriso estatico era ritornato al suo posto.

Dopo un lungo momento, Thorin si tirò indietro. Il sorriso che aveva illuminava l'intero volto del nano, e Bilbo non poté fare a meno di fissarlo per un attimo, leggermente stordito da tutto ciò che era successo. Gli occhi di Thorin vagarono oltre Bilbo, guardando in lontananza sopra la sua spalla. La Compagnia si calmò e si avvicinò, cadendo in silenzio, e Bilbo capì presto perché. Là, all'orizzonte, si vedeva una cima tagliente che spiccava nel cielo, la forma velata nella tinta viola e rosa del cielo, ma inconfondibile per i nani.

"Erebor. La Montagna Solitaria," disse Gandalf, "l'ultimo dei grandi Regni dei Nani della Terra di Mezzo."

"Casa nostra," mormorò Thorin con riverenza, lanciando a Bilbo un'occhiata significativa.

Sarebbero rimasti a guardare ancora un po', ma la pazienza delle aquile era infine esaurita. Con un grido secco Luaithre e Gwaihir annunciarono il loro avvicinarsi alla Carroccia. Thorin e la Compagnia si fecero indietro per dar loro spazio per atterrare, e rimasero senza parole quando Bilbo rise e corse ad abbracciarli entrambi.

"Luaithre! Gwaihir!" esclamò.

Thorin lo fissò, confuso dalla presa che avevano preso gli eventi. Una veloce occhiata a Dwalin accertò che non era l'unico ad esserlo. Quando l'aquila abbassò la grossa testa verso lo hobbit, Thorin sussultò in avanti in un movimento interrotto - le aquile potevano averli anche salvati, ma i loro becchi erano terribilmente taglienti. I suoi timori erano infondati, però - l'aquila sembrò semplicemente ricambiare l'abbraccio.

"Bilbo?" chiese Thorin, la voce carica di domande.

Bilbo si voltò per guardarlo. L'oro gli si addiceva, pensò distrattamente Thorin, osservando la sagoma di Bilbo bagnata dalla luce dell'alba, in controluce sullo sfondo di piume color oro caldo.

L'ampio sorriso di Bilbo si ingentilì.

"Penso che sia ora che vi racconti la mia storia," disse a Thorin. 


 

Continua...


Note della Traduttrice - reprise

Ebbene sì, è successo! C'è qualcosa che invece non è successo, vediamo se indovinate eheh. Nel prossimo capitolo: discorsi e spensieratezza generale <:
A presto :3
KuroCyou

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Un momento di riposo ***


Note della Traduttrice
Rieccomi qui! Pubblicazione in mezzo alla settimana stavolta, prima o poi riuscirò a trovare un pattern....
Questo capitolo è un po' un filler, ma credo che potrà piacervi :3
Buona lettura! ♥

 


- Capitolo 8 -
Un momento di riposo

 

"Tu... conosci queste creature?" chiese Dwalin. La Compagnia era radunata in cerchio, più vicino possibile, e molti di loro sembravano sul punto di scoppiare in una fila di domande.

 Bilbo era stupito, e un po' sopraffatto, dalla loro evidente curiosità, ma annuì in conferma. "Sono onorato di chiamarle mie amiche," disse piano, e poi si raddrizzò per indicare ognuna delle aquile. "Vi presento Luaithre e Lord Gwaihir, Principe delle aquile. Luaithre, Gwaihir - questo è Thorin Scudodiquercia, e la sua Compagnia. E Gandalf, che conoscete già."

Thorin inclinò la testa in un gesto di cortesia, ricadendo nel conforto del protocollo in una situazione tanto insolita "Vi ringrazio per averci salvati," disse.

"Te l'avevo detto, te l'avevo detto che era-" sibilò Kili a suo fratello, ma fu presto azzittito.

L'aquila sulla sinistra, che era un po’ più piccola delle altre, emise una serie di fischi. Ci fu un momento di pausa e poi Bilbo sobbalzò e si affrettò a dire:

"Gwaihir dice prego, ma i ringraziamenti non sono necessari."

"Tu le capisci?" disse Thorin, stupefatto.

"Sì," confermò Bilbo, dondolando da un piede all'altro sotto tutta quell'attenzione.

"Beh," rise Dwalin, "Sono certo che tu abbia una bella storia da raccontare." La Compagnia mormorò il proprio assenso, e Balin borbottò un "per dire un eufemismo, fratello"

"E per quanto mi piacerebbe ascoltare la storia del nostro hobbit - e porre qualche domanda io stesso," disse Gandalf, lanciando un'occhiata penetrante a Bilbo da sotto le sopracciglia cespugliose, "Suggerisco di spostarci altrove. La cima della Carroccia non è un terreno adatto per montare un campo e ascoltare storie."

Stavolta fu l'aquila più grande a parlare. "Luaithre dice che rimarranno con noi," tradusse Bilbo, lanciandole un sorriso sollevato per la rassicurazione che le aquile non se ne sarebbero andate subito, "Le aquile faranno la guardia mentre riposiamo."

"E poi ascolteremo la tua storia," disse Thorin - non era una domanda.

"Sì," promise Bilbo.

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Per quanto la Compagnia fosse impaziente di ascoltare il racconto di Bilbo, le cose pratiche avevano la priorità. Gwaihir disse loro che c'era un fiume non lontano dalla Carroccia che sarebbe stato il posto ideale per accamparsi, ma prima dovevano percorrere lo stretto sentiero che girava intorno alla collina rocciosa. Gwaihir e Luaithre presero il volo, informando Bilbo con finta serietà che c'erano molte altre riunioni di fare una volta raggiunto il fiume.

I nani non chiesero l'aiuto delle aquile, né loro lo offrirono - Bilbo sospettava che l'orgoglio nanico fosse stato messo un po' troppo alla prova nei precedenti due giorni, e non ce la facevano a chiedere di nuovo aiuto. Persino Thorin, che era ancora ferito e si muoveva come dolorante, non chiese né una spalla su cui appoggiarsi né un momento di riposo. Bilbo rimase dietro di lui per l'intero tragitto, preoccupato che il nano si stesse sforzando troppo dopo una tale disavventura; ma Thorin mantenne un ritmo costante e non vacillò. La strada in discesa non era particolarmente ripida, ma era lunga, e quando raggiunsero la base, tutti stavano praticamente barcollando dalla stanchezza.

Fecero il campo su un pendio erboso che conduceva all'ampio e lento fiume, anche se campo era forse un termine un po' eccessivo per quello che riuscirono a fare con così poche provviste a disposizione. Con i bagagli perduti, non poterono far altro che sistemarsi sull'erba morbida in cerchio. Alcuni controllarono cos'era stato perso e cosa no, mentre altri si limitarono a rimanere fermi al loro posto, grati per l'opportunità di riposare e occuparsi di ferite minori.

Bilbo non si unì subito a loro. Lo stormo di aquile che volava nel cielo sopra di loro atterrò poco lontano dal campo improvvisato, e Bilbo abbracciò ognuna di loro. La maggior parte si congedò subito dopo - avevano un Nido da difendere, ma trillarono la loro gioia al rivedere Bilbo prima di prendere il volo. Lui sorrise e le salutò con la mano mentre volavano via nel cielo blu pallido. Infine, solo i più giovani e Deas rimasero.

"Deas," disse Bilbo dopo aver salutato l'amico come meritava, "siete una gioia per gli occhi, davvero."

"È passato troppo tempo, Bilbo," disse Deas, un leggero ammonimento nel tono.

Bilbo chinò la testa per un momento. "Lo so. Io… ho sempre avuto intenzione di rivedervi, ma non ho mai pensato che ci sarebbe voluto tanto. Mi dispiace."

"Dovrebbe," disse Gwaihir.

"Non ascoltare mio fratello," tagliò corto Landroval, "siamo solo felici di vederti."

"Ma non farlo di nuovo!" trillò Tuit, spingendo il becco contro il fianco di Bilbo, che dovette spingerlo via con una risata.

"Comunque, per quanto quei nani sembrano essere curiosi su di te," disse Luaithre, "Noi siamo più curiosi. Cosa stai facendo con una Compagnia piena di nani da questo lato delle Montagne Nebbiose, Bilbo?"

"Ah, beh, vedi, stiamo facendo questo viaggio…"

Lo scambio tra aquile e hobbit era osservato da lontano da Thorin e Dwalin. Il più vecchio amico di Thorin si era seduto al suo fianco e si era unito all'osservazione, ma non aveva detto nulla per rompere il silenzio, e Thorin sapeva che Dwalin stava aspettando che lui parlasse per primo.

Alla fine il silenzio divenne così carico di aspettativa che Thorin sospirò e disse, "Andiamo. So che vuoi dirlo."

"Dirlo? Oh, no, no. Non voglio rovinare una cosa del genere pronunciando una certa frase ad alta voce," disse Dwalin. Suonava quasi allegro.

"Penso che questo giorno…. Questo giorno finirà sicuramente nei libri di storia. Dovrei assicurarmi che quel piccoletto del nostro scrivano lo appunti, tutti i dettagli - il giorno in cui fu dimostrato che Dwalin, figlio di Fundin, aveva ragione, e Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror, dimostrò al mondo intero quanto fosse stato un coglione."

Di fianco a lui, Thorin gemette. Non aveva mai incontrato un nano che gongolava quanto Dwalin. Dentro di sé, si rassegnò all'inevitabile.

"E, intendo, il più grosso coglione di tutti i Regni dei Nani. Quando verrai incoronato Re Sotto la Montagna, ti chiameranno Re Thorin il Coglione. No, non funziona bene in effetti. Che ne dici di Re Thorin l'idiota-che-non-ha-dato-retta-al-suo-vecchio-amico-Dwalin?"

"Per quanto tempo hai intenzione di farmelo pesare?"

Dwalin sembrò pensarci su. "Almeno per i prossimi cinquant'anni o giù di lì, penso. Cose del genere," tirò su col naso, "hanno le gambe." Poi, dopo una pausa, si fece serio. "Quando hai intenzione di farlo?"

Thorin non ebbe bisogno di chiedere a cosa si riferisse Dwalin. "Prima del piccolo momento storia improvvisato. Dovrà esser fatto davanti a tutti, ovviamente. Anche se include queste… aquile."

Tornarono in silenzio, osservando Bilbo. Non potevano sentire nulla di quello che veniva detto, ma una delle aquile aveva chiaramente fischiato qualcosa di inappropriato perché Bilbo alzò la voce per dire:

"Oh, chiudi il becco, pollo troppo cresciuto!"

La vista di un piccolo hobbit, le mani sui fianchi, che rimproverava un enorme predatore come se non fosse altro che uno scolaretto birbante, sarebbe stata molto probabilmente ricordata per sempre come una delle cose più insolite che Thorin avesse mai visto nella sua vita. Quella, e l'immagine di Bilbo ergersi davanti a lui, lancia in mano, pronto a morire per difenderlo.

Con quell'ultimo pensiero in mente, Thorin seppe che era il tempo di farsi avanti. Si alzò senza aggiungere una parola a Dwalin, e si avvicinò al gruppetto di aquile e hobbit.

Bilbo si voltò e gli rivolse un mezzo sorriso. La più grande delle aquile inclinò la testa nella sua direzione, e Thorin rispose a sua volta con un cenno.

"Salute, Thorin Scudodiquercia," disse Deas, Bilbo che traduceva fluentemente le parole, ora che era preparato. "Il mio nome è Deas. Credo che abbiate già conosciuto alcuni dei nostri compagni più impazienti."

"Ah, sì!" esclamò Bilbo, interrompendo la traduzione. Si affrettò a fare un altro giro di presentazioni, annunciando le due nuove aquile come Tuit e Landroval.

"Il resto delle aquile sta ritornando al Nido," spiegò Bilbo quando Thorin lanciò un'occhiata curiosa alle sagome dello stormo che si allontanava rapidamente.

"Sì, i nostri compagni ritornano al nido," disse Deas, e Bilbo ricominciò a tradurre per lui, "ma potrebbero provare a scovare quel mannaro bianco e il suo cavaliere sulla strada del ritorno."

"Cosa?" sbottò Thorin, mentre allo stesso tempo Bilbo diceva, "davvero?"

"Certo Bilbo," disse Deas, tradotto da Bilbo, "quando mai ci hai visti lasciar andare un mannaro quando c'era ancora la possibilità di distruggerlo?"

"L'orco - l'orco pallido," disse Thorin teso, sforzandosi di mantenere la voce calma, "ha commesso terribili crimini contro la mia famiglia. Non avrà altra giustizia salvo quella inflitta dalla mia spada e dalla mia spada soltanto."

Bilbo cominciava ad avere l'aria sempre più preoccupata, ma continuò a tradurre.

"Se vuoi inseguirlo in queste condizioni, ferito e inferiore di numero, allora prego, va' avanti," disse Deas, e Bilbo cercò di non includere la freddezza del tono di Deas nella sua voce.

Thorin strinse la mascella così forte che sembrava facesse male. Sembrava essere sul punto di fare esattamente quello - abbandonare la missione e inseguire l'assassino di suo nonno.

Poi Luaithre parlò. "Se non trova la sua fine sui nostri artigli e becchi," disse, "allora pensi davvero che non continuerà a cercarti? Davvero, pensavo che i nani fossero gente assennata, ma tu sei-"

La tensione montante si ruppe quando Bilbo dovette censurarsi a metà frase, sul volto un'espressione di completo affronto quando si rivolse a Luaithre con un'occhiataccia e disse: "Luaithre! Non ho intenzione di tradurre quello! Non essere così maleducata."

Luaithre gracchiò piano in quello che sembrava l'equivalente delle aquile di uno sbuffo. Thorin respirò profondamente per calmarsi. Per quanto detestava ammetterlo, le aquile avevano ragione. Ma in quel momento promise a sé stesso che quando avrebbero incontrato di nuovo l'orco pallido sarebbe stato alle sue condizioni, e ne sarebbe uscito vittorioso ad ogni costo. Questo sembrò placare la sensazione turbinante che gli bruciava sul fondo dello stomaco, qualcosa che non sentiva da molto tempo, dai giorni seguenti alla Battaglia di Azanulbizar.

Comunque non aveva certo intenzione di dire alle aquile che avevano ragione - per il momento gli bastava dover affrontare il gongolare di Dwalin. Invece, cambiò discorso.

"Mastro Baggins, credo che la Compagnia sia ansiosa di ascoltare la tua storia, ma prima c'è qualcosa che devo chiederti."

"Penso che possiamo lasciar perdere il Mastro Baggins, no?" disse Bilbo con leggerezza, sebbene sembrasse ancora insicuro di poter fare una tale richiesta.

Thorin annuì. "Penso di sì, Bilbo."

"Grazie... Thorin," disse Bilbo, esitante. Un'altra aquila - Tuit, era così? - tubò lievemente e Bilbo le lanciò un'occhiataccia. "Zitto, tu," disse.

Ignorando qualunque cosa fosse trasparsa, Thorin si voltò per tornare al campo, aspettandosi che Bilbo lo seguisse. Lo hobbit lo fece, insieme alle aquile che si erano fermate a riposare ad una breve e rispettosa distanza dal campo.

Thorin si fermò al centro del cerchio. Immediatamente, il chiacchierio dei nani si quietò. Un po' confuso, Bilbo rimase ad una certa distanza da Thorin.

Avrebbe fatto male, ma Thorin conosceva il suo dovere, e sapeva cosa la cultura nanica richiedeva in questi casi. "Bilbo Baggins," disse, e gli occhi dello hobbit scattarono di nuovo su di lui, "Ti ho fatto un torto. Per rimediare, ti offro questa."

Thorin estrasse un piccolo pugnale dalla cintura, e avvicinò il filo della lama alla radice di una delle trecce che gli incorniciavano il volto. Intorno a lui, i nani trattennero il respiro con smorfie di compassione, ma Bilbo scattò in avanti prima che potesse fare il taglio.

"No!" disse Bilbo, allungando la mano come per bloccare Thorin, "Per favore, non farlo!"

Thorin aggrottò le sopracciglia. "Sto chiedendo il tuo perdono, Bilbo. Ti rifiuti di concederlo?"

"Cosa? Oh! Sei perdonato! Considera tutto dimenticato," Bilbo agitò la mano allungata, "per favore, non c'è davvero bisogno. È così che i Nani chiedono perdono? Offrendo alla parte offesa una treccia?"

"Aye, è così che si fa," si inserì Balin.

"È… beh. Non c'è bisogno, davvero," insistette Bilbo.

Thorin abbassò il coltello, incerto. Non si aspettava una tale protesta da Bilbo. "Ti ho recato un torto per l'intero viaggio fin'ora. Vuoi dimenticarlo così facilmente?"

"Ma anch'io vi ho fatto un torto. A tutti voi," ammise Bilbo, ignorando il basso suono emesso da una delle aquila. "Vi ho mentito riguardo al mio passato, tenendolo segreto. Chiedereste anche a me di tagliarmi una ciocca di capelli?

In risposta, ci fu un generale mormorio di scontento nella Compagnia. Le aquile mantennero il silenzio, incuriosite dall'intera farsa, e Gandalf si limitò a sorridere intorno alla pipa.

"Beh, non è così che facciamo nella Contea," proseguì Bilbo, "Noi hobbit diciamo solo 'mi dispiace' e andiamo avanti."

Ci fu una pausa. Thorin si aspettava che Bilbo continuasse, ma sembrava aver finito lì.

"Va bene, facciamolo nel modo degli hobbit," Bilbo sorrise raggiante, rincuorato dall'idea," perché non dici 'mi dispiace', e io ti perdonerò, e poi lo dirò anch'io, e poi… spero che mi perdonerete tutti."

Thorin si rilassò un po'. Contro qualunque ragionamento, scoprì che gli angoli della propria bocca erano tirati all’insù. Si affrettò a porvi rimedio.

"Molto bene allora," disse, rinfoderando il coltello. "Faremo a modo tuo, se è questo che vuoi. Bilbo: mi dispiace."

"Grazie," disse Bilbo felicemente. "Thorin… tutti voi. Mi scuso anch'io."

Questo fu accolto da varie esclamazioni di approvazione dalla compagnia, dal "non pensarci più, ragazzo," di Balin all'allegro "Ho sempre saputo che avevi qualcosa di strano!" di Kili. Bilbo continuò a sorridere per tutto il tempo, finché la Compagnia non tornò in silenzio e lui si voltò verso Thorin.

"Ti perdono," disse Thorin, "anche se non penso proprio che tu ti debba scusare con me."

"Questa è l'accettazione di scuse più riluttante che abbia mai sentito," ridacchiò Bilbo, "ma grazie."

"Se abbiamo finito qui con tutto questo avanti e indietro," disse Gandalf, divertito, "Penso che sia il momento di sentire ciò che Bilbo ha da dire."

"Ah, sì," disse Bilbo, guardando il suo pubblico e battendo le mani. Thorin riprese il suo posto vicino a Dwalin, e Bilbo si sedette vicino a lui. Per quanto malconci e stanchi fossero i membri della Compagnia, si avvicinarono tutti, impazienti di ascoltare.

Bilbo sorrise leggermente tra sé e sé, perso per un attimo in un altro ricordo mentre pensava a come iniziare. Alzò lo sguardo sul raduno di nani e aquile, e disse:

"Come molte delle cose nella mia vita, questa storia inizia con mia madre, Belladonna…"

E così Bilbo raccontò la sua storia alla Compagnia di Thorin Scudodiquercia, dalla scelta presentatagli da Belladonna fino alla fine della guerra, e tutto ciò che era successo nel mezzo. Fu difficile parlare di alcune cose, ma la natura del raccontare garantì a Bilbo una certa distanza dall'argomento, come se stesse parlando di qualcun altro. La Compagnia si dimostrò essere un bravo pubblico, e spesso qualcuno interrompeva la storia per fare una domanda, finché non veniva interrotto dagli altri che volevano che Bilbo continuasse. Ma ridevano e trattenevano il fiato nei punti giusti. Alcune volte le aquile insistevano nel voler chiarificare o sviluppare alcune parti, quindi Bilbo doveva tradurre ciò che dicevano, anche se non tutto era d'aiuto - gli interventi di Tuit consistevano per la maggior parte di brutte battute.

Bilbo parlò tanto a lungo che presto scese la notte, e c'era molto ancora da dire. Gloin, contro qualsiasi aspettativa, aveva ancora un acciarino con sé, così accesero un fuoco per tener lontano il freddo della sera. Infine Bilbo arrivò alla fine della storia, raccontando di come aveva sentito il bisogno di tornare nella Contea dopo aver visto tanto spargimento di sangue. Alcuni fecero cenni di comprensione. Bilbo aveva la voce roca per quando i nani ebbero soddisfatto la loro curiosità e, uno per uno, i membri della Compagnia si addormentarono lì dov'erano seduti, finché gli unici rimasti svegli non furono che Thorin e Bilbo.

Bilbo non lo disse ad alta voce, ma la Compagnia gli ricordava un gruppo di cuccioli addormentati dopo una giornata passata a giocare. Per quanto i nani fossero temprati, la battaglia aveva infine fatto sentire il suo peso, e lui sospettava che avrebbero dormito profondamente fino al mattino, al sicuro sapendo che c'erano cinque feroci aquile a vegliare su di loro.

Durante il suo racconto, Bilbo non aveva osato lanciare a Thorin più di una manciata di occhiate. Aveva percepito l'attenzione costante del nano su di sé per tutto il tempo però, ma sapeva che avrebbe finito per inciampare sulle parole se lo avesse guardato troppo spesso. Ora però, Thorin sembrava pronto a porre le sue domande, e Bilbo non ebbe altra scelta che voltarsi a guardarlo.

"Sei certo di non volere la mia treccia?" chiese Thorin, la voce bassa e sussurrata. "Non ho mai malgiudicato qualcuno come ho fatto con te. E ora scopro che sei anche un guerriero."

Bilbo sperò di aver interpretato bene il tono di Thorin - sospettava che il nano non fosse serio sulla prima parte. "Per favore, non ritorniamo sulla cosa delle scuse" disse "Credo di aver sentito abbastanza 'mi dispiace' per un giorno solo."

Thorin guardò lontano, nel fuoco. Sembrava star ponderando attentamente le sue parole successive. "Questa non è una critica, Bilbo," disse infine, "ma… perché hai deciso di nascondere chi sei? Il successo di questo viaggio si basa sulla Compagnia, sui punti di forza di ognuno di noi. Se non avessimo mai scoperto cosa sai fare con un coltello e una lancia, la Compagnia ne avrebbe risentito."

Bilbo strinse le labbra. "Lo so," disse. "è stato sciocco da parte mia. Ma, vedi, quando sono tornato dalla guerra, ho pensato…" si interruppe. Stava entrando in un territorio molto privato, personale. Prendendo un respiro, osò guardare Thorin e dire, "Ho pensato di dover reprimere cos'ero diventato - la persona che dovevo essere per sopravvivere alla guerra. Ho pensato… ho pensato di dover scegliere, e per molto tempo ho scelto di essere uno hobbit."

La luce del fuoco illuminava piacevolmente i bei tratti di Thorin, il naso dritto e gli zigomi alti. "E ora?" lo incoraggiò Thorin.

Bilbo sorrise. Il nodo che aveva sempre avuto nel petto si stava finalmente sciogliendo, disfacendosi totalmente.

"Ora," disse, "non penso di dover scegliere. Ora penso di poter essere entrambe le cose."

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Il giorno successivo, l'alba si levò su di una Compagnia decisamente stordita. Potevano aver avuto una buona notte di sonno, ma ora si resero conto che c'era un altro bisogno a cui provvedere - erano tutti, senza eccezioni, estremamente maleodoranti. Si alzarono, stiracchiarono e si avviarono giù al fiume per lavarsi. Ma uno di loro notò che alla Compagnia mancava uno scassinatore.

"Dov'è Bilbo?" chiese Thorin a Fili e Kili. Prese anche nota della presenza di un'aquila con loro, la testa nascosta sotto l'ala, ancora addormentata. Fili e Kili alzarono le spalle, ancora non proprio svegli.

"Probabilmente è andato a trovare del cibo," suggerì Fili. "Bene, perché muoio di fame."

"Mastro Fili ha ragione," disse Gandalf da sopra la spalla di Thorin, "Bilbo si è svegliato prima di tutti voi, si è lavato ed è andato a caccia con le altre aquile. Tornerà presto, sono sicuro. Nel frattempo, suggerisco di seguire il suo esempio."

Thorin stava per precisare che non era preoccupato, ma piuttosto allarmato dal fatto che la loro guardia era apparentemente scomparsa all'improvviso senza avvertire. Ma Gandalf se ne stava già andando, e Thorin lasciò perdere. Risolto il problema dello scassinatore mancante, Thorin si unì agli altri al fiume.

Furono fortunati - la corrente in quel tratto era lenta ed era poco profondo vicino agli argini - perfetto per un bagno. Il sole li riscaldava mentre si toglievano i vestiti, godendo di come il fiume lavava via lo sporco e il sangue per lasciarli puliti. Si passarono un unico pezzo di sapone, usandolo sia per i vestiti che per il corpo e i capelli. Trecce furono disfatte e re-intrecciate, e i vestiti furono stesi sulla riva ad asciugare. Non era mai stato tanto piacevole essere di nuovo puliti, e fu una compagnia decisamente rinfrescata a riemergere dalle acque per sedersi sulla sponda ad asciugarsi al sole.

I nani avevano per la maggioranza indossato di nuovo i vestiti asciutti per quando Balin individuò quattro sagome scure nel cielo in rapido avvicinamento. Erano le aquile, ovviamente, e sul dorso di una sedeva Bilbo. Quando furono più vicine, divenne chiaro che due di loro avevano qualcosa tra gli artigli - cervi, si rese conto Thorin - due enormi cervi che avrebbero fatto molto per riempire le pance di nani affamati. Quando Gandalf aveva parlato di caccia, intendeva proprio caccia, pensò Thorin.

La vista del cibo suscitò molte acclamazioni da parte dei nani, e alcuni che erano rimasti a nuotare nell'acqua bassa - come Kili e Fili - si affrettarono ad uscire, impazienti di mangiare. I due cervi furono depositati lontano dal campo, e Bilbo scivolò con grazia dal dorso dell'aquila per ricevere numerose pacche sulla schiena dai nani, che ringraziarono le aquile con perizia. Il fuoco fu acceso velocemente, e Bombur e Bifur si misero all'opera per macellare le carcasse.

"Ecco, Bilbo," disse Bofur, incrociando lo hobbit prima che andasse ad aiutarli, "ho una cosetta per te."

"Davvero?" disse Bilbo, e osservò stupefatto Bofur frugare nel proprio cappotto ed estrarre qualcosa che era un po' danneggiato, ma inconfondibile per lui.

"Bofur," sospirò Bilbo, fissando sconcertato la tunica che fu rivelata, "Io non… come diamine hai fatto a tenerla?"

"Beh," disse Bofur, disinvolto, "quando ti ho visto lottare per il tuo zaino con tanta ferocia, ho pensato che ci fosse dentro qualcosa a cui tenessi. Vedo che avevo ragione, a giudicare dalla tua espressione."

"Tu... non so cosa dire. Grazie."

"Ah, non preoccuparti," disse con un sorriso con le fossette, "Non stavo esattamente pensando, ho solo afferrato la prima cosa che ho trovato per terra quando Gandalf ha fatto quella… cosa magica." Agitò le dita, cosa che Bilbo suppose fosse il segnale universale per 'magia'.

"Comunque," disse Bilbo, "Grazie. Di tutte le cose che avresti potuto prendere, questa è quella a me più cara." Si accigliò, attraversato da un improvviso pensiero. "Spero che tu non abbia perso nulla di importante nel salvare questo."

"Nah," disse Bofur, "I nani tendono a tenere tutte le cose importanti per loro su di loro. Per esempio, son certo che Gloin abbia ancora il suo medaglione, e io ho ancora questo." Alzò la mano così che Bilbo potesse vedere il braccialetto che portava al polso, sul quale c'era quello che sembrava essere un sottile cilindro di metallo, completamente privo di decorazioni o incisioni.

"È uno speciale fermaglio per capelli," spiegò all'occhiata interrogativa di Bilbo, "sarà difficile per te trovare un membro della Compagnia che non ne ha uno addosso. Dà un'occhiata ai fermagli del giovane Fili la prossima volta che lo vedi - indossa il suo nei capelli."

"È in bianco," osservò Bilbo, cosa che pensò essere insolita. Ricordava le poche occasioni in cui aveva visto un fermaglio da vicino - le chiusure e le perline erano sempre adornate da piccole pietre preziose o incise con disegni complicati.

"Deve esserlo. È un fermaglio da corte."

Bilbo alzò le sopracciglia, sorpreso. "Davvero? Non pensavo che ci aspettassimo di trovare l'amore in questo viaggio insieme all'oro. Avrei portato il mio panciotto migliore."

Bofur ridacchiò. "È un portafortuna," disse, "ed è anche utile. Non sai mai quando puoi incappare nel vero amore. Il mio è fatto con il primo metallo che ho trovato da solo, e come ogni altro nano l'ho indossato il giorno del raggiungimento della maggiore età. Non me lo sono tolto da allora."

"Ma perché è in bianco?"

"Così puoi inciderlo quando incontri il tuo amore, ovviamente! Devi dimostrare di sapere quanto bene conosci l'altra persona decorandolo con qualcosa che la rappresenti. Donare un fermaglio è considerato un segno certo che vuoi intraprendere un corteggiamento. Lo rende ufficiale. L'altro partito accetta ricambiando con il proprio fermaglio."

"Significa che siete fidanzati?"

"Fidanzati? Ha, no! Affatto. Solo che vi state corteggiando. La corte dei nani può durare mesi, anni perfino. Ci si scambiano piccole cose durante il percorso - regali e così via. E poi… beh, temo di non poter parlare del resto." Bofur gli lanciò uno sguardo con un luccichio negli occhi. "Perché così curioso, Bilbo? C'è qualche ragione per cui sei interessato?

Bilbo alzò un sopracciglio. "Sì, Bofur," disse seccamente, "questo è il mio modo di dirti che ho sentimenti per te. Sentimenti molto forti."

Bofur batté le ciglia. "Ah, Mastro Baggins! Che discorso commovente," si mise una mano sul petto. "Sono stati i giganti di pietra, vero? I nostri occhi che si incontrano attraverso l'abisso…"

"I lampi dei fulmini sullo sfondo…" continuò Bilbo.

"Forti possibilità di morte," sorrise Bofur, e risero entrambi.

Bilbo scosse la testa. "In ogni caso, grazie. Con il mio pugnale perso, sono ancora più grato di averlo."

Diede una pacca sulla spalla a Bofur, e poi fu ora di pranzo.

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 Quando si furono riempiti lo stomaco fino a scoppiare di cervo - cosa che impiegò un po' di tempo - si distesero al sole, sopraffatti da una pigrizia che non si erano potuti permettere da molto tempo. Anche le aquile si stavano rilassando - Landroval e Luaithre si stavano pulendo le piume, Deas volava pigramente nel cielo in alto sopra di loro, e Tuit era a terra, con Ori che lo ritraeva felicemente. Nano e aquila sembravano entrambi molto soddisfatti da quella sistemazione, Tuit di essere disegnato e Ori di avere un soggetto tanto insolito, anche se Tuit continuava a provare a mangiare il carboncino di Ori ogni volta che il nano guardava da un'altra parte.

Bilbo era disteso sull'erba, godendosi il sole, quando Fili si avvicinò a lui.

"Signor Baggins!" esclamò Fili, allegro.

"Solo Bilbo, ti prego, Fili," disse Bilbo, coprendo il sole con una mano per poterlo guardare.

"Bilbo. Mi è stato detto che hai perso il tuo pugnale," Fili si avvicinò un po' e sussurrò, "per difendere quel cocciuto di mio zio."

Bilbo si sedette. "Sì," disse. Il pugnale era stato con lui per molto tempo, e si rammaricava di averlo perso.

"Allora dovresti prendere uno dei miei. Ho coltelli da lancio in abbondanza, e penso che uno ti andrebbe bene," disse Fili, frugando nel proprio cappotto come aveva fatto Bofur. Sembrava essere una giornata di regali, pensò Bilbo stupito, quando gli fu porta l'elsa di un bel coltello nanico.

Intorno a loro, la Compagnia si era tesa e il chiacchiericcio si era interrotto, con la maggior parte dei nani che cercavano - fallendo - di ascoltare discretamente la conversazione.

"Ti offro questo pugnale in amicizia," disse Fili significativamente, lanciando al resto dei nani un'occhiata divertita. "È il minimo che possa fare, dopo tutto."

Bilbo sorrise quando l'attenzione dei nani si concentrò altrove, soddisfatti dal chiarimento. Era lieto che Bofur gli avesse parlato dello scambio dei doni, ora - altrimenti non avrebbe avuto idea del perché ci fosse stato un tale interesse per il gesto di Fili.

"Grazie, Fili," disse Bilbo grato, prendendo il pugnale.

"Con la lancia e la spada e il pugnale, ora sei armato bene quanto qualsiasi nano!" esclamò Kili.

"Combatti certamente come uno di noi!" disse Fili.

"Esatto," disse Dwalin "specialmente quando si tratta di proteggere gli altri." L'ultima parte fu seguita da un'occhiata in direzione di Thorin.

Bilbo trasse molta gioia nel sorridere a Dwalin e dire: "Come un nano? Forse. Ma tu non sai quanto ferocemente le aquile proteggono i loro compagni."

Dwalin rispose con una risata abbaiata.

Landroval alzò la testa, cinguettando una domanda a Bilbo. Subito dopo Luaithre ripeté la stessa offerta.

"Luaithre e Landroval chiedono se a qualcuno va di volare," riferì Bilbo ai nani. "Stavo per suggerire la stessa cosa - è una bella giornata per farlo."

Fili fremette visibilmente. "Grazie per l'offerta, Luaithre, Landroval. Ma preferirei rimanere a terra."

"Aye, i nani non sono fatti per volare," concordò Dwalin, tornando ad affilare la sua ascia.

E poi Kili sorprese tutti dicendo, con voce bassa ma determinata: "Io vado."

"Davvero?" disse Fili, stupefatto.

"Vorrei provarci quando uno di noi non è in pericolo mortale," disse Kili seccamente.

"Eccellente," disse Bilbo, felice che uno di loro avesse raccolto l'offerta. Saltò in piedi e guardò Luaithre e Landroval. "C'è una cosa che non faccio da tanto tempo" disse, e chiese qualcosa alle aquile nella loro lingua, alla quale loro risposero felicemente.

Bilbo condusse Kili ad uno spiazzo d'erba aperto, spiegando cosa avrebbero fatto. Dietro di loro, Landroval e Luaithre distendevano le ali, preparandosi al volo. "Vieni Kili, al fiume. Non voleremo sopra i dorsi delle aquile. Ci prenderanno negli artigli."

"È sicuro?" chiese Kili. Il suo nervosismo cominciava a mostrarsi, la spavalderia di qualche momento prima scomparsa.

"Sicuro," confermò Bilbo. "L'ho fatto dozzine di volte. Ora, ecco cosa succederà…"

Sulla riva del fiume, Fili osservava, lo stomaco annodato, suo fratello venir preso su da Landroval. Nonostante il nervosismo, rise al grido di Kili quando fu sollevato da terra da artigli sorprendentemente delicati, Luaithre che faceva lo stesso con Bilbo un secondo dopo.

La strana coppia volò ad una buona altezza da terra, e poi virò per tornare al fiume. Fili continuò a guardare, il cuore in gola, e trattenne il fiato quando vide Landroval planare vicino alla superficie dell'acqua - aveva intenzione di gettare Kili nel fiume? - ma no, i timori di Fili erano privi di fondamento. Landroval fece volare Kili abbastanza vicino alla superficie da permettergli di pattinarvi in una strana parodia di una corsa. Kili si divertiva chiaramente - Fili sentiva le sue grida di eccitazione da dov'era, e si rilassò leggermente.

Bilbo ripeté il percorso di Kili, trascinando i piedi nell'acqua piuttosto che provare a correre. Luaithre emise una serie di versi musicali che suonavano come una risata. Ripeterono la cosa due volte prima che Kili fosse depositato - illeso - sulla sponda del fiume.

Il sorriso di Kili arrivava fino alle sue orecchie, "devi provarci, Fili!" esclamò, "è un po' strano all'inizio, ma è tanto divertente!" Dietro di lui, Landroval cinguettò.

Fili non poté non ricambiare il sorriso del fratello, ma era ancora fermamente convinto che volare non facesse per lui. "No, non penso proprio," disse, scuotendo la testa. "Buon terreno solido, quello mi piace."

"Sei sicuro?" disse Bilbo, appena atterrato.

Fili si voltò per rispondere. Mentre lo faceva, era completamente ignaro della conversazione sussurrata che avveniva tra suo fratello e Landroval alle sue spalle.

"Sicuro," Fili si accigliò, infastidito dal fatto che nessuno sembrasse ascoltarlo.

"Ero incerto anch'io all'inizio, sai," continuò Bilbo, lanciando uno sguardo a Kili sopra la spalla di Fili. Più silenzioso che poteva, Landroval spiccò il volo. "Ma poi mi ci sono abituato."

Kili ora era così entusiasta che saltellava da un piede all'altro.

"E va bene per te, ma non penso che cambierò idea. Preferisco una profonda e buia miniera che- uah!"

Qualunque cosa Fili stesse per dire fu persa quando Landroval lo tirò su di peso. L'aquila ignorò le sue proteste - anche se volò molto più vicino al terreno stavolta - e depositò velocemente Fili nel mezzo del fiume.

Kili era piegato in due dalle risate ormai. Rideva ancora quando Fili, dopo aver attraversato il fiume a nuoto, riemerse grondante sulla riva con un sorriso piuttosto minaccioso.

"Fratello," disse Fili. Bilbo stava cercando di nascondere le risa dietro la mano, fallendo miseramente.

Kili, sentendo il pericolo, prese a correre, schivando il primo tentativo di Fili di afferrarlo.

"Vieni qui, caro fratello," gridò Fili mentre lo inseguiva, "Voglio darti un abbraccio!"

Kili faceva del suo meglio per evitarlo, davvero, ma i suoi tentativi di fuga erano sabotati dal fatto che stava ancora ridendo, e non passò molto prima che Fili riuscisse ad attirarlo a forza in un abbraccio bagnato. Kili emise una serie di strilli, cercando di liberarsi.

Sono molto vicini al fiume, pensò Bilbo. Beh, era un'opportunità troppo buona da ignorare. Più silenzioso e veloce che poteva, Bilbo prese la lancia, avanzò furtivamente fino a dove i fratelli erano, sull'argine dell'acqua, e colpì il retro delle ginocchia di Kili con il manico della lancia. Poi diede loro una forte spinta.

Entrambi i nani persero l'equilibrio e caddero nell'acqua con uno spruzzo. Ora era il turno di Bilbo a rimanere senza fiato, sopraffatto dalle risate. Kili e Fili si sedettero, togliendosi i capelli dagli occhi. Si scambiarono un'occhiata, annuirono, e senza una parola scattarono verso Bilbo.

Bilbo prese a correre senza indugio, Kili e Fili alle calcagna. Probabilmente sarebbe riuscito a scappare se non fosse stato per Luaithre, che allungò il becco per far inciampare Bilbo quando le passò vicino.

Kili e Fili furono su di lui in un istante, tirandolo su facilmente.

"Luaithre, traditrice!" gridò Bilbo all'aquila ridacchiante, prima di essere a sua volta gettato nell'acqua dai fratelli. Fili e Kili alzarono le braccia esultanti, ancora scossi dalle risate.

Al campo, Thorin aveva osservato l'intero gioco con un sorriso sul volto. Sembrava farlo davvero tanto ultimamente - sorridere. Si chiese se dovesse preoccuparsene.

Continua...


Note della Traduttrice - reprise

Nel prossimo capitolo: Beorn! E Thorin comincia a dimostrare di essere un mashmallow.
A presto :3
KuroCyou

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Ai confini delle terre selvagge ***


Note della Traduttrice
Ebbene sì. Sono tornata. Non so dirvi quanto mi dispiace per aver lasciato questa traduzione per così tanto tempo, posso solo dire che l'ultimo anno e mezzo è stato un assoluto delirio. Ma mi dispiace troppo lasciare un lavoro a metà, quindi cercherò di portare avanti questa cosa, anche se molto probabilmente la cadenza dei capitoli non sarà più così regolare (anche perchè... diventano sempre più lunghi.. how)
Spero ci sia qualcuno ancora tra voi interessato a questa storia :')
Buona lettura! ♥


- Capitolo 10 -
Ai confini delle terre selvagge

"Per quanto gradito fosse stato il giorno di riposo, era arrivato il momento di andare avanti. Non avevano più gli zaini, né provviste, e quando si svegliarono il secondo giorno sapevano di aver bisogno di trovare il modo di rifornirsi prima di avventurarsi a Bosco Atro. L'atmosfera pigra e rilassata che aveva permeato il campo appena il giorno precedente era sparita, sostituita dall'incalzante preoccupazione per la mancanza di cibo. Le aquile avrebbero potuto cacciare per loro di nuovo, ovviamente, ma mentre si preparavano a partire, divenne ovvio che non tutte loro si sarebbero unite alla Compagnia per il resto del viaggio.

"Devo tornare al Nido", annunciò a Bilbo Deas. Dietro di loro, i nani facevano colazione con i resti del cervo e si preparavano a partire.

"Davvero? Così presto?" disse Bilbo, cercando senza riuscirci di non esserne turbato.

"Temo di sì. Ma non preoccuparti! Pensi davvero che dopo tanto tempo lontani, aspetterò ancora molto prima di rivederti?"

"Non penso che riusciresti a fermarlo," disse Gwaihir.

"Tra l'altro," continuò Deas, una punta di umorismo nella voce, "qualcuno deve dire al nostro Re dell'insurrezione dei suoi figli."

All'esclamazione stupefatta di Bilbo, "insurrezione?", Luaithre spiegò: "Veniamo con te, Bilbo," disse. "Tutti noi. Fino alla fine."

"Padre capirà." Disse semplicemente Landroval.

"Prima o poi," aggiunse Gwaihir.

Bilbo sbatté le palpebre e spostò lo sguardo dall'uno all'altro. "Lo fareste?"

"Ma certo," disse Tuit, "cos'altro ti aspetti da noi? E poi non abbiamo intenzione di perderti d'occhio tanto presto dopo averti ritrovato!"

"Sospetto che Re Grumach sapeva che sarebbe successo," disse Deas, scuotendo la testa mestamente. "molto probabilmente non sarà sorpreso."

Bilbo rise lievemente. Era profondamente toccato  - ma d'altronde avrebbe dovuto immaginarlo che le aquile non se ne sarebbero andate tanto facilmente. "Grazie," disse, sentitamente, nonostante sapesse che non ci fosse bisogno di ringraziamenti.

"Ma non saremo in grado di accompagnarvi attraverso Bosco Atro," disse Luaithre

"No," Deas abbassò la testa, "Devo avvertirti Bilbo - c'è un'oscura e potente forza in opera nella foresta, e recentemente essa è diventata ancora più malvagia. Non possiamo volarvi sopra. Qualunque cosa influenza la foresta, inquina anche l'aria sopra di essa. Solas ha volato troppo vicino il mese scorso, ed è gravemente indebolito da allora."

La preoccupazione attanagliò il cuore di Bilbo. "Sta  bene?"

"Sta recuperando. Starà di nuovo bene, non temere - è forte."

"Quindi non vi saremo molto d'aiuto per quella parte del viaggio, temo," disse Luaithre, "ma voleremo a nord e circumnavigheremo Bosco Atro. È un lungo volo, e potremmo impiegarci del tempo. Penso che arriverete alla Montagna Solitaria prima di noi, ma vi raggiungeremo presto."

"Per ora, però, rimarremo con voi fin quando non arriverete a casa di Beorn," disse Gwaihir.

"Ah, sì," disse Bilbo. Quella mattina Gandalf aveva detto loro del misterioso Beorn e della grande casa che si trovava non lontano da dove si erano accampati. "Cosa sai di lui?"

"Non molto," ammise Deas, "ma abbiamo sentito dire che può essere molto gentile, se lo becchi al momento giusto."

Quello fu abbastanza rincuorante. La descrizione di Beorn fatta da Gandalf si era limitata all'avvertimento di non farlo arrabbiare, e lo stregone si era deliziato nello schivare le loro susseguenti domande preoccupate.

"Mi congedo ora," disse Deas, "addio Bilbo. A fin quando ci rivedremo."

"Addio, Deas," rispose Bilbo, e si avvicinò per far toccare lievemente la fronte con la curva del becco di Deas. Rimase a guardarlo spiccare il volo, le grandi ali spalancate, spiraleggiando sempre più in alto sulle correnti termali fin quando Bilbo non fu più in grado di vederlo.

"Non essere triste, Bilbo," disse Luaithre, "probabilmente ci raggiungerà alla Montagna Solitaria. Re Grumach non vorrà che i suoi figli se ne vadano in giro senza che qualcuno li tenga d'occhio, e per Manwë, non posso farcela da sola. Ma a parte questo - perché non indossi la tua tunica?" Quest'ultima parte fu detta con uno strattone alla camicia di Bilbo.

Bilbo cercò di scacciarla via. A quel punto era meglio che non strappasse l'unica camicia rimastagli. Se dovevano conoscere Beorn, voleva essere il più presentabile possibile. Ecco perché aveva deciso di indossare la sua tunica, lasciando perdere il panciotto che aveva perso quasi tutti i bottoni. "Via tu, sei peggio di Tuit!" disse Bilbo, "dammi un momento per metterla."

La infilò sopra la camicia, dato che aveva le maniche corte. Quando la stoffa pesante gli si posò sulle spalle, sembro che fosse l'ultimo tassello di un puzzle rimasto irrisolto per troppo tempo.

"Ecco qua," disse Luaithre, "ora sembri Bilbo. Voleremo sopra di voi e terremo d'occhio il percorso." Gli altri concordarono, e con ciò le aquile presero il volo senza esitazione - i nani erano impazienti di partire e speravano di arrivare da Beorn nel pomeriggio.

La reazione dei nani al suo nuovo abbigliamento andò dal divertimento alla curiosità, e Bilbo dovette scacciare un po' di mani indaganti che tiravano le piume, principalmente di Kili. Thorin si limitò ad alzare un sopracciglio. Quando la Compagnia iniziò a muoversi nella caratteristica fila barcollante, Thorin riuscì in qualche modo a ritrovarsi a camminare di fianco a Bilbo in mezzo al gruppo - Gandalf li guidava in testa, dato che conosceva la strada.

"Le tue aquile ci lasciano così presto?" chiese Thorin, camminando.

"Sì," rispose Bilbo, "ma le incontreremo dall'altro lato di Bosco Atro. Deas deve tornare al nido però - è il comandante del Re e c'è bisogno di lui per difendere la rocca."

Thorin considerò l'informazione per un momento, e poi disse: "Sarebbe molto comodo se potessero sorvolarci su Bosco Atro."

Bilbo sbuffò con poca eleganza. "Sono aquile, non cavalli da soma," disse Bilbo, cercando di non essere irritato. "E poi non possono. Bosco Atro è troppo pericoloso da sorvolare."

"Troppo pericoloso perfino per un'aquila?"

"C'è qualcosa nella foresta che impedisce loro di sorvolarla. Deas mi ha detto che suo fratello, Solas, si è ammalato per averci volato troppo vicino."

"Questa è una cattiva notizia," commentò Thorin mestamente.

"Sì," disse Bilbo, "Lo è."

Caddero in un silenzio che, dopo qualche minuto, cominciò ad essere sgradevole.

"Ti senti bene?" chiese Bilbo, non solo per rompere la quiete - era ancora preoccupato per le ferite di Thorin.

"Sì. Oin mi ha controllato le ferite ieri notte, e qualunque magia abbia fatto lo stregone ha fatto il suo lavoro. Sono quasi guarite."

"Bene," disse Bilbo. Il silenzio imbarazzante tornò, ma per fortuna non a lungo. Thorin decise di spezzarlo stavolta.

"Fammi dare un'occhiata alla tua lancia." Disse.

Bilbo lo guardò, divertito. "Penso che ci dovesse essere un "per favore" lì, da qualche parte," disse, ma acconsentì e gli passò la lancia.

Thorin la scrutò per qualche passo e mormorò pensieroso. "È una lama insolita, di certo. Il legno dell'asta è frassino…" Bilbo decise di non menzionare il fatto che lo sapeva già, "… e probabilmente è stato cambiato un paio di volte. E la punta è… vecchia, e molto affilata. È di buona fattura." Sembrava sorpreso. "È molto vecchia" ripetè, quasi tra sé e sè. "Non usiamo più questi rivetti," toccò qualcosa vicino alla punta che Bilbo non riuscì a vedere. "Non dalla Seconda Era.

"È nanica?" chiese Bilbo, incredulo.

"Sì," Thorin sembrava stranamente compiaciuto. "Anche se non sono certo da quale clan provenga."

Thorin riconsegnò la lancia a Bilbo. "Come l'hai trovata?"

"È stato Tuit," disse Bilbo, fissando ancora la lancia. Gli sembrava di vedere l'arma sotto una luce totalmente nuova. "È un po' una gazza - me l'ha regalata per la mia maggiore età, anche se per gli hobbit funziona al contrario." Allo sguardo interrogativo di Thorin, aggiunse: "Tra noi hobbit è il festeggiato a fare regali agli altri."

Thorin fece cenno di aver capito. Il silenzio, quando scivolò di nuovo su di loro, fu un po' meno spiacevole.

Dopo qualche istante, Bilbo scorse Kili e Fili più avanti. I fratelli stavano tentando di reprimere le risate, fallendo completamente, e ora Bilbo riuscì a vedere perché. Apparentemente stavano facendo un gioco che consisteva nel vedere quanti fiori e ciuffi d'erba - era una pigna quella? - riuscivano a mettere nel cappuccio di Oin senza che il nano se ne accorgesse. Il povero Oin, che camminava poco più avanti di loro, non aveva idea di cosa stesse accadendo.

"Sono proprio pestiferi, eh?" commentò Bilbo affettuosamente.

"Ebbene sì," concordò Thorin, e Bilbo pensò di aver sentito una sfumatura di calore nelle sue parole. "La loro madre - mia sorella - è l'unica che riesce davvero a metterli in riga."

"Tua sorella? Oh, ma certo, sapevo che sono i tuoi nipoti, ma non ti ho mai sentito parlare di lei."

"Sì, mia sorella minore. Si chiama Lady Dis, ed è piuttosto formidabile."

"Beh, lo deve essere, con quei due come figli!" rise Bilbo. "Vive nei Monti Azzurri, giusto?"

Thorin annuì. "Le chiederò di dare uno sguardo alla tua lancia, la prossima volta che la vedo. È sempre stata più brava di me a identificare l'origine di un'arma."

"Si unirà a te, quando Erebor sarà riconquistata? Tornerà alla montagna?"

"Sospetto di sì, e nessuno sarà capace di persuaderla del contrario, anche se volessero. Manderemo la notizia al nostro popolo quando riprenderemo Erebor. Penso che molti sceglieranno di tornare. Avrò bisogno di nani da governare se devo essere re, dopo tutto."

"E poi cosa?" chiese Bilbo. Si era sempre chiesto cosa sarebbe successo dopo che Erebor fosse riconquistata, e ora aveva la possibilità di scoprirlo.

Thorin sembrò colto alla sprovvista dalla domanda, come se non ci avesse davvero mai pensato. "Suppongo… suppongo che riaprirò le miniere per prima cosa, così possiamo commerciare. C'erano voci di una vena di mithril, nei giorni prima dell'arrivo del drago."

"E questo è… un bene, giusto?"

Thorin non sembrava sapere cosa fare delle sue sopracciglia - si accigliò, poi le sollevò entrambe, poi si accigliò di nuovo. "Non sai cos'è il mithril?" disse, lentamente. "Mastro Baggins, mi stai prendendo in giro. Permettimi di educarti."

Bilbo ebbe la netta sensazione di dover assistere ad una lezione su metalli e minerali che gli piacesse o no.  

Mentre camminavano, Thorin disse a Bilbo delle abilità artigianali dei nani, di come sapevano trasformare i metalli più preziosi in qualcosa di ancora più meraviglioso. Di come sapevano estrarre blocchi di roccia dalla terra e scalpellarli fino a trovare la scintillante pietra nascosta all'interno, come fosse un regalo da Mahal stesso che aspettava solo di essere trovato. Thorin parlò delle profonde e oscure miniere, tunnel nell'abbraccio della terra, la rivelazione che era trovare il bagliore dell'oro nel buio pesto, la luce alla fine del tunnel. Nonostante non provasse alcunché per rocce inanimate o oro, Bilbo si ritrovò ad ascoltare rapito tutto ciò che Thorin aveva da dire. La sua voce si era riempita di passione per la sua arte, e per la prima volta il flusso della conversazione scorse senza intoppi tra di loro, finché non arrivarono da Beorn.

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La giornata aveva continuato ad essere estremamente calda e umida, e quando Gandalf fermò la Compagnia, erano tutti appiccicosi di sudore. Gandalf annunciò che si trovavano sul confine del territorio di Beorn, e che sarebbero dovuti essere cauti nell'avvicinarsi. Il paesaggio aveva iniziato a cambiare nell'ultima mezz'ora di tragitto, e davanti a loro si stendevano quelle che sembravano essere miglia infinite di campi fioriti, con api enormi che svolazzavano in quel tripudio. Luaithre atterrò poco dopo che Gandalf ebbe indicato loro di entrare a due a due, a intervalli di cinque minuti.

"Qui è dove ci separiamo," disse lei alla Compagnia. Gli altri tre giovani uccelli volavano ancora nel cielo sopra di loro. Poi, a livello più personale, si rivolse a Bilbo: "Ci vediamo dall'altra parte. Stai attento, Bilbo. La strada che hai d'avanti è infida."

"Così continuano a ricordarmi tutti." Sospirò Bilbo.

"Vi ringraziamo per l'aiuto e non lo dimenticheremo," disse Thorin, "quando riprenderemo Erebor, vi ricompenseremo con dell'oro, lo giuro."

Gli occhi dorati di Luaithre si posarono su di lui con freddezza. "La tua offerta è gentile, lo so perché i nani tengono al loro tesoro. Ma le aquile non hanno bisogno di ninnoli. Qualunque cosa abbiamo fatto e qualunque cosa faremo nel futuro è per amicizia. Non abbiamo bisogno di essere ripagati in oro e gemme."

Thorin aveva l'aria di voler ribattere con qualcosa di pungente, così Bilbo si intromise e deviò l'attenzione di Luaithre sui saluti. La abbracciò, e con un ultimo cenno, lei si riunì ai suoi simili nel cielo. Gli altri nani gridarono i loro saluti mentre se ne andava, ma Thorin rimase cocciutamente in silenzio.

"Ora, vieni con me Bilbo," disse Gandalf, "Noi andremo per primi, anche se penso che dovresti toglierti quella tua tunica."

"Perché?" disse Bilbo.

"Perchè, mio caro hobbit, Beorn potrebbe essere avverso alle piume di aquila che ci hai cucito sopra tanto abilmente."

Bilbo si accigliò, "Ma perché? Non sapevo che si preoccupasse tanto della moda, questo Beorn."

"Non fa niente," sospirò rassegnato Gandalf, "Sta solo più che puoi in silenzio, ma soprattutto: sii educato."

Finito quello strano scambio di frasi, Gandalf e Bilbo fecero il loro ingresso. Il campo divenne sempre più fitto man mano che si addentravano, e Bilbo scorse due cavalli ad osservarli da lontano.

"Probabilmente diranno a Beorn che ha visite," Gandalf disse a Bilbo quando i due cavalli corsero via.

Non dovettero aspettare a lungo per conoscere Beorn. Presto screstarono una collina e un'enorme casa di legno fu loro rivelata, il suo abitante in piedi davanti ad essa, appoggiato alla sua ascia. Quella montagna d'uomo li salutò.

"Buon pomeriggio," disse Gandalf, e procedette a spiegare la loro ardua situazione, anche se Bilbo notò che lo stregone si riferiva solo a loro due, non alla Compagnia che aspettava di raggiungerli.

"Posso offrirvi aiuto, se mi racconterete la vostra storia," disse burbero Beorn dopo che Gandalf finì di spiegargli, "ma chi è questo piccoletto? Sei grosso come il mio pollice e hai piume sui vestiti."

Bilbo si offese, anche se in verità a stento arrivava al ginocchio di Beorn. Ma c'era una tensione nel tono di Beorn quando si era riferito alle piume che rese Bilbo circospetto. Decise di essere onesto e sperare che sarebbe stato soddisfacente, ma Gandalf lo interruppe prima che potesse aprire bocca.

"Oh, è un'usanza hobbit, vedi," disse, "a nessun animale è stato fatto del male."

"Un'usanza?" ripetè lentamente Beorn.

Stavolta Bilbo riuscì a parlare prima che Gandalf potesse dare il via a qualsiasi ridicola menzogna stesse pensando. "Sono dei miei amici," disse Bilbo, "mi sono state date in dono. Faccio parte della popolo delle Aquile di Manwë."

"Tu, parte del loro popolo?" sbuffò incredulo Beorn.

"Sì," disse Bilbo, piano ma con fermezza.

Beorn lo fissò ferocemente, ma Bilbo aveva vissuto con le aquile per anni, e le aquile hanno lo sguardo più feroce di tutti. Non distolse gli occhi.

"Hmm," disse Beorn dopo una lunga pausa. "Non ho mai incontrato le Aquile di Manwë, ma si sono sempre mantenute a rispettosa distanza dalle mie terre, e non hanno mai preso animali da me." Sorrise all'improvviso, rivelando una bocca piena di grossi denti bianchi. "Brave a uccidere goblin, pure. Venite dentro, su, e sbrigatevi a raccontarmi questa storia."

Gandalf e Bilbo ripresero fiato e seguirono il mutevole Beorn all'interno.

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Dopo i ridicoli eventi che seguirono e dopo che Gandalf fu riuscito - con racconti e arguzia - a far entrare l'intera Compagnia nelle sale di Beorn, fu servita loro la cena. L'intera Compagnia fu scioccata nello scoprire che sarebbero stati serviti da animali. Beorn aveva detto qualcosa ai vari cani e pecore che aiutavano a servire, qualcosa in una lingua che fece rizzare le orecchie affinate di Bilbo. Stranamente, riuscì a capire tratti degli ordini di Beorn, e riconobbe qui e là alcune parole della lingua delle aquile. Ma quando provò a parlare alla pecora che lo stava servendo nella lingua delle aquile, ricevette solo un "bee" confuso per risposta, insieme ad una strana occhiata da Nori, e non ci provò di nuovo.

Beorn si congedò mentre la Compagnia banchettava - non c'era carne sfortunatamente, ma ci diedero dentro comunque senza lamentarsi come avevano fatto a Granburrone. Dopo il pasto e quando tutti si furono accomodati con le pance piene, fumando le pipe e rilassandosi al focolare, Thorin annunciò che sarebbero ripartiti il pomeriggio seguente, appena Beorn gli avesse fornito le scorte. Nessuno era ansioso di procedere, e la dichiarazione di Thorin aveva attenuato la soddisfacente sensazione di essere sazi, al caldo e al sicuro. Bilbo si infilò nel sacco a pelo quella notte e ripensò alle parole di Luaithre e Deas. Per quanto entusiasti fossero i nani di procedere oltre e arrivare a casa, c'era un sentiero oscuro davanti a loro; quando finalmente riuscì ad addormentarsi, l'inquietudine per il viaggio che li attendeva seguì Bilbo nei sogni.

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Con gran frustrazione di Thorin, non potettero andarsene il giorno dopo. Gandalf li aveva informati a colazione - di nuovo servita dagli animali - che Beorn si era allontanato per controllare la veridicità della loro storia, e non sarebbe tornato prima di pranzo. Senza nulla da fare, la maggior parte della Compagnia si spostò fuori, per sedersi nel portico di Beorn o sull'erba soffice del giardino. Kili, Fili e Ori si erano inventati una specie di gioco che prevedeva un gran correre in giro e saltare addosso ad Ori per buttarlo a terra a caso. Bilbo poteva sentire le proteste di Ori da dove era seduto, il giovane nano insisteva che gli venissero ripetute le regole, o almeno potevano smetterla di andargli addosso?

"Sembrano degli adolescenti," commentò Bilbo quando Thorin si sedette a fianco a lui.

"Non sono molto più grandi di così," disse Thorin, "anche se, da quanto ho capito, hanno probabilmente il doppio dei tuoi anni."

"Oh?" disse Bilbo, "quanti anni hanno allora?"

"Kili settantasette, Fili ottantadue. Non sono certo riguardo a Ori - penso che ne potrebbe avere settantacinque."

"Ha! Sapevo che i nani vivono più a lungo degli hobbit, ma è straordinario. Devo sembrarvi un bambino, a soli cinquant'anni."

"Non molto," disse Thorin, "il tuo brontolare tradisce la tua maturità."

Bilbo sputacchiò. Thorin aveva appena fatto una battuta? Cercò di non fissarlo a bocca aperta, accontentadosi di una risatina. "Disse il nano più brontolone di tutti," ribatté, e per tutta risposta, un angolo della bocca di Thorin si sollevò.

Caddero in silenzio per un po', osservando Ori riuscire ad avere la sua rivincita, placcando spettacolarmente Fili con un ruggito di guerra.

"Forse, ora che abbiamo tempo da perdere," esitò Bilbo, "puoi continuare la tua lezione su Erebor?"

L'attenzione di Thorin si riportò su Bilbo.

"Intendo," si affrettò di chiarire Bilbo, "Non ho idea di come sia Erebor. Non l'ho nemmeno mai vista illustrata in un libro, e ho solo visto la montagna di sfuggita, a grande distanza."

Thorin si strofinò le nocche sulla bocca. "È difficile da descrivere," ammise, "e io non sono bravo a raccontare storie. Ma penso di poter provare in un altro modo. Ori!"

Ori si voltò al suono del suo nome, schivando con grazia la carica di Kili. "Sì, Signor Thorin?"

Thorin gli fece cenno di avvicinarsi. "Hai carta e una matita?" chiese quando Ori si fu avvicinato, e lui annuì, rovistando nella parte davanti della sua giacca. Una matita e un pezzo di carta furono presto tirati fuori e consegnati a Thorin.

Bilbo alzò le sopracciglia, divertito. "Hai carta e penna con te tutto il tempo?" chiese.

"Non si sa mai quando può servire," Ori scrollò le spalle, e fu richiamato nella mischia.

Bilbo scosse la testa. Pratici i nani, pensò con affetto. Thorin stava già abbozzando qualcosa sulla carta, aggiungendo linee spesse e indicazioni per i dettagli.

"Tutti i nani sanno disegnare?"

"No," disse Thorin, senza alzare gli occhi dal lavoro. Persino a quel primo stadio, Bilbo riusciva a distinguere un contorno emergente. "Ori è un artista, ma la maggior parte dei nani imparano a disegnare per il loro lavoro. Può non essere piacevole agli occhi come qualcosa prodotto da Ori, ma va bene per il lavoro."

Bilbo rimase in silenzio dopo di quello, osservando Thorin disegnare. Era affascinato dal modo in cui il disegno emergeva, con Thorin che aggiungeva linea dopo linea finché Bilbo non riuscì a distinguere il soggetto della sua matita. I cancelli di Erebor erano stati trasportati su carta - enormi e imponenti, fiancheggiati da due colossali statue di nani. Un fiume si faceva strada fuori dai cancelli frontali e forniva un senso della misura.

"Fantastico," sussurrò Bilbo, prendendo il disegno che gli veniva offerto, "sia la tua illustrazione che i cancelli. Sono enormi - non riesco nemmeno ad immaginarli."

"Pensavo che fosse questo il motivo per cui li ho disegnati," disse Thorin seccamente, "ma se sei sorpreso da questo, mi chiedo che faccia farai quando vedrai che questo è solo uno di tre cancelli."

"Tre?" la mente di Bilbo non poteva comprendere tre cancelli, tutti di dimensioni simili a questo. Guardò il disegno più da vicino, notando che Thorin aveva persino incluso alcuni dei complessi disegni architettonici che decoravano le colonne del cancello. "Penso di riconoscere questo schema," disse Bilbo senza pensarci, "è sorprendentemente simile a qualcosa che ho visto a Granburrone…"

Thorin gli lanciò un'occhiataccia.

"… un disegno che gli elfi hanno ovviamente rubato ai nani! Infidi elfi!" Concluse Bilbo elegantemente. Il mezzo sorriso di prima non era nulla in confronto a quello che ora si spandeva sul viso di Thorin, come se non potesse reprimerlo. Thorin abbassò la testa un poco, cercando di nasconderlo e riordinando l'espressione con attenzione - ma Bilbo colse un accenno di denti prima che lo facesse. Gli sembrò che qualcuno gli avesse stretto il cuore, e cercò di reprimere il senso di vittoria per aver tirato fuori da Thorin un vero sorriso.

"Ma a parte gli elfi infidi - tre? Non è un po' eccessivo?"

"Quando mai hai visto i nani non essere il più preparati possibile?" l'espressione di Thorin si scurì improvvisamente, "anche se nessuno può prepararsi ad un drago."

"Quindi come sono gli altri due?" chiese velocemente Bilbo, cercando di deviare la conversazione da discorsi sui draghi. "Sono simili a questo?"

"No, sono molto più decorati," disse Thorin, il cipiglio meno evidente. "Si chiamano i cancelli del Sole e della Luna, perché uno è decorato d'oro e l'altro d'argento. Ma come dimensioni sono simili." Lo sguardo di Thorin si fece distante, "Il cancello della Luna è particolarmente famoso, perché fu un regalo del mio bisnonno a mia bisnonna."

Bilbo sbatté le palpebre. "Scusa, hai appena detto che è stato un regalo?"

"Sì, un regalo. Mio bisnonno fu molto orgoglioso di aver disegnato e commissionato il cancello, e partecipò anche alla maggior parte della costruzione"

"Un intero cancello. Per regalo," ripeté Bilbo, incapace di comprendere la cosa.

"Sì," ripeté Thorin, divertito dalla sua sorpresa. "Provocò parecchio entusiasmo, come puoi immaginare. Mio bisnonno stava corteggiando mia bisnonna all'epoca, e i nani sono conosciuti per fare doni grandi e calcolati ai loro promessi prima della proposta di matrimonio."

"E'… beh, è un gran gesto," disse Bilbo, senza parole.

"Lo fu. Lei rispose facendogli un intero set di armatura - la migliore armatura mai creata a Erebor. Non era ricca come lui vedi, ma era un fabbro molto abile, e riversò tutta la sua conoscenza e amore nel creare un'armatura meravigliosa. Quindi vedi, ognuno fece all'altra un regalo che l'avrebbe protetto. Lo scambio fece battere i cuori di molti nani e la storia viene raccontata ancora oggi."

"Non avrei mai immaginato," ridacchiò Bilbo, "che i nani fossero dei tali romanticoni."

"Possiamo esserlo, se ci viene l'impulso," disse Thorin, alzando le spalle. "Sono certo che molti altri condividono la tua opinione - le altre genti di questo mondo sembrano considerarci freddi e senza cuore come i metalli che lavoriamo. Ma qualunque idiota che passa un po' di tempo con un nano si renderebbe conto che non è vero."

"Beh, questo idiota è contento di essersi sbagliato," disse Bilbo. Poi le sue labbra si arricciarono in un sorriso beffardo e rivolse a Thorin uno sguardo di sbieco. "E tu, Thorin? Sei uno di quei nani a cui è palpitato il cuore per questa storia?"

"Molti pochi nani non si sono emozionati per questo racconto, e molti visitano il Cancello della Luna specificatamente per ammirarne il disegno." Disse Thorin, anche se questa non fu affatto una risposta. Bilbo non lo avrebbe mai preso in giro prima, ma sentiva di poterlo fare con questo nuovo e più avvicinabile Thorin - che lo degnava di sorrisi.

"Tutta la stirpe dei Durin è così? Siete tutti segretamente romantici?" incalzò Bilbo, cercando di non gioire dello sbuffo indignato che risultò.

"È considerato un tratto virtuoso, sai, essere romantici," disse Thorin altezzosamente. "Ecco perché la storia è stata raccontata così tante volte,"

"Sei uno di quei nani, vero? Uno di quelli che sospiravano felicemente per il gesto di tuo nonno e sono andati a visitare il cancello."

Thorin aveva apparentemente scelto di ignorare il largo sorriso di Bilbo. "No," disse, "Non lo sono. E anche se lo fossi, la storia perde il suo effetto dopo che tuo nonno l'ha ripetuta per la centesima volta a cena."

Ci fu una pausa.

 "E se avessi visitato il cancello, è stato solo per ammirare le abilità del mio bisnonno," aggiunse Thorin, e Bilbo non riuscì più a trattenersi. Scoppiò a ridere. Sentire Thorin, tutto orgoglioso e solenne, dire quest'ultima parte fu troppo, anche se sospettava che l'avesse fatto solo per farlo ridere.

Thorin attese pazientemente che la risata di Bilbo si spegnesse, ma il sorriso seminascosto era tornato, rassicurando Bilbo di non essere il solo ad essere divertito.

"Grazie, Thorin," disse Bilbo, e non era certo se stesse ringraziando il nano per il disegno, la spiegazione o la risata. Forse tutte e tre le cose.

"Prego, Bilbo," disse Thorin. Esitò - una novità per Thorin. Bilbo non l'aveva mai visto esitare prima: sembrava sul punto di chiedergli qualcosa quando Fili lo interruppe, richiedendo a gran voce la competenza di Bilbo nell'identificare qualcosa.

Bilbo lanciò a Thorin un'occhiata di scuse. Fili sembrava essere molto insistente.

Thorin alzò gli occhi al cielo. "Vai. Fili e Kili non la smetteranno fin quando non ti avranno trascinato in qualsiasi cosa stiano facendo. Ma sii pronto a partire l'istante in cui Beorn torna."

 

Bilbo annuì e si congedò, correndo verso dove Kili, Ori e Fili erano accovacciati intorno a qualcosa. Thorin lo guardò andare, e poi tornò al suo foglio, girando il disegno finito per avere nuovamente carta bianca. Mentre il gruppetto di giovani nani e uno hobbit ispezionava le piante di Beorn, Thorin si ritrovò a schizzare qualcosa senza pensarci. Le linee abbozzate rivelavano gradualmente il pettorale di un'armatura sulla pagina. Thorin lanciò un occhio critico a dove Bilbo era accucciato - riusciva a vedere chiaramente la porzione troppo esposta di collo dello hobbit persino da dove era seduto. La tunica che indossava avrebbe fatto ben poco per proteggerlo, e lo hobbit non aveva nemmeno una cotta di maglia sotto di essa. L'armatura da indossare sarebbe dovuta essere leggera, considerò Thorin, approvando l'idea e aggiustando il disegno del pettorale. Qualunque protezione avrebbe dovuto adeguarsi allo stile di combattimento di Bilbo: veloce, flessibile e basato su colpi veloci. Gli spallacci erano fuori questione, a meno che Thorin non riuscisse ad assicurarsi che non avrebbero ristretto i movimenti di Bilbo, ma dei parabracci potevano essere utili. Li aggiunse al foglio. Magari avrebbe potuto disegnare una gorgiera flessibile per proteggergli il collo. Come decorazione, per Thorin fu naturale disegnare piume sovrapposte sull'armatura, che abbracciavano le spalle e il petto. Il metallo sarebbe stato dorato, con inserti d'oro più chiari per le piume. Avrebbe potuto continuare il disegno di piume sui parabracci, ma le piume avrebbero potuto tramutarsi in foglie a metà, con qualche fiore intorno ai polsi, ad indicare le origini hobbit di Bilbo.

In qualche modo però, il foglio non finì nel fuoco, ma nella tasca del cappotto di Thorin.

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La conversazione tra Thorin e Bilbo non era passata inosservata. Balin aveva assistito alla loro interazione con occhio acuto e un sorriso divertito. Si tamburellò la pipa sul labbro, ponderando la situazione, e fermò Ori quando il giovane nano gli provò a passare accanto.
"Ori, ragazzo," gli disse, "Ho un compito per te, se sei disponibile."

"Cosa c'è, Signor Balin?" chiese Ori educatamente.

Balin diede ad un esitante Ori una lista di istruzioni piuttosto confusa, ma Ori accettò comunque. Fatto quello, Balin si mise comodo e si chiese dove fosse finito suo fratello, e se Nori avesse già imbastito una scommessa.

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Beorn ritornò poco dopo pranzo con un umore molto più allegro: aveva trovato il loro campo di battaglia e sapeva che la loro storia era vera. Trasse molta gioia dal mostrar loro il mannaro e il suo cavaliere in cui si era imbattuto sulla via del ritorno. Il pelo del mannaro era inchiodato ad un'asse del recinto, e la testa dell'orco su un palo. Fu anche, fortunatamente, molto più incline a fornirgli le scorte per la strada, e consigli riguardo Bosco Atro. Gli fu raccomandato di non lasciare assolutamente il sentiero, e che molto probabilmente non avrebbero trovato nulla da mangiare nella foresta. L'acqua era anch'essa un problema, perché persino il fiume che attraversava il sentiero era inquinato e furono avvertiti di non bere da esso, neanche se disperati.

Ad ognuno di loro fu dato del cibo, un grande otre d'acqua e un pony da cavalcare fino al limitare della foresta, ma nonostante fossero molto più preparati ad affrontare il sentiero attraverso Bosco Atro, fu una Compagnia mesta quella che si mise in sella per lasciare la tenuta quel pomeriggio. I nani promisero di ripagare la gentilezza di Beorn, cosa che Beorn rifiutò con loro gran sorpresa. Rimase vicino al cancello, nello stesso preciso punto in cui Bilbo l'aveva visto per la prima volta, e li guardò andarsene, senza nessun addio o augurio di buon viaggio.

Beorn aveva detto loro che sarebbero serviti quattro giorni a cavallo per raggiungere Bosco Atro, ma non volevano sprecare più provviste del necessario fuori dalla foresta, e così spinsero le cavalcature e riuscirono ad arrivare ai confini della foresta la sera del terzo giorno. Si accamparono all'ombra di Bosco Atro, cercando di non guardare il sentiero che serpeggiava tra gli alberi. Bilbo era innervosito nel notare che il sentiero sembrava scomparire completamente solo pochi piedi all'interno, e sebbene fosse rimasto a fissarlo per parecchio tempo, non riuscì a distinguere nemmeno la  sagoma di un ramo nel tunnel nero pece che si apriva la strada tra gli alberi.

La mattina successiva Gandalf annunciò che non poteva proseguire con la Compagnia. Questo, e il fatto che avrebbero dovuto rimandare i pony da Beorn, provocò molto sgomento e rabbia nella Compagnia, ma Gandalf non si lasciò convincere in alcun modo. La minaccia dell'ira di Beorn li fece desistere a rilasciare i pony, ma i nani furono più testardi riguardo la faccenda dell'apparente abbandono da parte di Gandalf al momento più cruciale e pericoloso del loro viaggio. La discussione ebbe fine quando Gandalf sbottò e accennò a doveri a sud che non aveva altra scelta che svolgere. Riluttanti, i nani lo lasciarono andare.

"Ci vedremo di nuovo, Bilbo," disse Gandalf, montando sul suo cavallo. "Sii prudente, date ascolto ai miei avvertimenti e riemergerete dalla foresta sani e salvi prima di potervene accorgere."

"Addio, Gandalf." Disse Bilbo.

"Non essere così tetro! C'è solo una strada e ci sei davanti. Ma ti chiedo, Bilbo Baggins, di tenere a bada questi nani e impedirgli di vagare nel pericolo."

"Ci proverò," disse Bilbo dubbioso, e con un ultimo saluto Gandalf se ne andò.

Lentamente, come se potessero evitare di avventurarsi dentro Bosco Atro, la Compagnia smontò il campo e si avviò sul sentiero. Gli alberi, nodosi e contorti e stretti dall'edera, erano sempre più fitti con ogni passo, le grandi chiome che bloccavano il sole, finché la Compagnia si ritrovò a camminare in una strana luce soffusa. Ma il sentiero sembrava diventare persino più buio, e si avvilirono quando si resero conto che sarebbe stato così per tutto il tempo necessario ad attraversare il Bosco.

Bilbo si fermò sulla soglia - a metà tra luce e ombra - e si guardò indietro un'ultima volta. I prati verdi, inondati dal sole, sembravano già così lontani. Poteva ancora sentire un po' del calore dell'estate sul viso, e lo assaporò per un istante prima di raggiungere i nani nella loro ininterrotta marcia in avanti, nel freddo e nelle tenebre.

Sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto il sole per molti, molti giorni.

 

 

Continua...


Note della Traduttrice - reprise

SCUSATEMI ANCORA TANTISSIMO ;;;;;;A;;;;;;

KuroCyou

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Il sole scompare ***


Note della Traduttrice
Eccomi qui! Praticamente come regalo di Natale, eccovi l'undicesimo capitolo :D Penso di poterla smettere di scrivere giustificazioni in apertura perchè tanto l'avete capito che ormai mi è impossibile mantenere una costanza >.< Ma sono qui! Si ringrazia sempre mia madre per il betaggio che mi impedisce di pubblicare orrori xD 
Un'altra cosa e poi vi lascio: mi dispiace tantissimo di non essere riuscita a rispondere ai vostri commenti lo scorso capitolo. Sappiate però che mi ha fatto un immenso piacere vedere che siete ancora così tanti a seguire la storia!
Buona lettura! ♥


- Capitolo 11 -
Ai confini delle terre selvagge

Bilbo non riusciva ad immaginare che ci fosse stato un tempo in cui Bosco Atro fosse conosciuto come Boscoverde. Nulla che cresceva sotto la cupola degli alberi poteva definirsi verde, e cercò invano tracce di una singola pianta che non fosse malata; la sua anima di giardiniere era offesa dalla vista di alberi e vegetazione così distorti da essere irriconoscibili, ma la cosa peggiore era la mancanza di qualsivoglia brezza. L'aria nel sentiero ombroso era densa e fastidiosa, senza il minimo alito di vento, e Bilbo si ritrovò velocemente a desiderare di sentire una qualsiasi brezza sulla pelle e nei capelli. La cosa lo rendeva inquieto, e aveva la costante sensazione di essersi dimenticato qualcosa di molto importate. L'udito fine non aiutava - Bosco Atro era incredibilmente quieto, e senza il vento a scuotere le foglie la foresta era ferma e immobile. Non c'erano versi di animali, né canto di uccelli – un colpo particolarmente duro per Bilbo, così abituato ai rumori naturali dei boschi da iniziare ad immaginarli, ed ogni volta si voltava verso il cinguettio di un uccello per rendersi conto che non era reale. E succedeva troppo frequentemente perché non se ne preoccupasse.

I nani almeno se la cavavano un po’ meglio. La mancanza di luce e la sensazione di essere in uno spazio chiuso rendevano Bosco Atro non troppo dissimile da una miniera, ma i nani condividevano il senso di disagio di Bilbo, perché persino nella miniera più profonda e oscura c’era sempre il suono dell’acqua gocciolante o una brezza che sibilava attraverso il tunnel e le crepe nella roccia.

Avevano presto scoperto che anche il bagliore confortante di un fuoco era loro precluso; la linea di Bosco Atro bruciava con una fiamma malata che sbuffava e moriva velocemente, non importava quanto Gloin cercasse di mantenerla accesa. Il tramonto portò con sé un nuovo problema, perché quella poca luce, che riusciva a passare attraverso le fronde fitte, sbiadiva e svaniva totalmente, facendoli sprofondare in un’oscurità completa. Questo era snervante per Bilbo, che scoprì come la sua visione notturna, nonostante fosse superiore alla media, fosse inutile e lui praticamente cieco. Quella prima notte fu piena di urti e imprecazioni, dato che persino l’eccellente vista dei nani era messa alla prova. Bilbo non era riuscito a dormire molto, perseguitato dalla strisciante sensazione di occhi che osservavano in attesa tra gli alberi.

Il cattivo umore di Bilbo peggiorò soltanto quando si ritrovò a starnutire il quinto giorno. Maledizione, prendersi ora un raffreddore! Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che era stato male – dopo averci pensato un po’ si rese conto che l’ultima volta che aveva avuto il raffreddore era stato il primo inverno al Nido. Bilbo sbuffó divertito; era così vulnerabile all’aria di montagna all'epoca. Era stato miserabile con il naso tappato per due settimane prima di stringere i denti, scrollarsi il raffreddore di dosso e iniziare a godersi il clima aspro. Avrebbe fatto lo stesso con il malanno del momento, decise.  Non fare caso alla cosa.

Ci fu una breve esplosione di suoni quando qualcosa si mosse nel sottobosco, poi la foresta ritornò alla sua calma innaturale.

"Fa venire i brividi, eh?" commentò Bofur, notando lo sguardo circospetto che Bilbo rivolgeva a ciò che si trovava oltre il sentiero.

"Solo un po'", disse Bilbo, "è che non è naturale, e io-" il resto della frase si perse in uno starnuto.

"Oh no," disse Bofur solidale, "non ci stiamo prendendo un raffreddore, vero?"

"Ebbene sì. Un bell'inconveniente." Bilbo tirò su col naso. Infilò una mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un quadrato di stoffa.

Bofur sgranò gli occhi. "Ma è…"

"Già," sorrise Bilbo, usando quella che una volta era stata la tasca del cappotto di Bofur per soffiarsi il naso. "Funziona bene come fazzoletto."

Bofur ridacchiò e scosse la testa, facendo scuotere i paraorecchi del cappello con il movimento. "Non posso credere che l'hai tenuto."

Bilbo fece finta di indignarsi. "Certo che sì," disse, "è diventato un portafortuna ormai - è sopravvissuto a orchi, goblin e mannari e ne è uscito illeso. A differenza di me."

Bofur rise e raggiunse i suoi, ma era rimasto in egual misura toccato e divertito dal gesto. Ciò fese sorridere Bilbo, finché non starnutì ancora e la testa cominciò a martellargli. Mentre faceva per soffiarsi il naso, lo sguardo gli cadde su quella che sembrava acqua che gocciolava giù per la corteccia dell'albero più vicino. Avevano razionato l'acqua da quando erano entrati nella foresta, quindi quella vista lo rincuorò un po'. Senza pensarci troppo, allungò una mano per toccarla, solo per ritrarla subito dopo con un'esclamazione di dolore - non era affatto acqua, ma una sostanza nera e viscosa che aveva lasciato una bruciatura scolorita sulla punta del dito indice. Bilbo resistette all'impulso di succhiarsi il dito, invece avvolgendolo in un lembo di stoffa strappatosi dalla camicia.

Quella notte iniziarono gli incubi. Bilbo si svegliò, boccheggiando tremante, gli occhi fissi sull'oscurità mentre stringeva le lenzuola così tanto che gli facevano male le dita. Gli sembrava di sentire ancora il morso del freddo e gli ululati dei lupi, fauci evanescenti che si chiudevano sulle sue gambe e sul collo. Sperava di aver lasciato gli incubi nella Contea, ma il luogo aveva chiaramente risvegliato i ricordi terribili e le paure recondite che pensava di aver seppellito a fondo nella sua mente. Bilbo regolarizzò il respiro - che era un po' rauco, perché a quanto pare per il suo corpo avere la tosse oltre che il raffreddore era una buona idea - e cercò di capire se qualcuno l'avesse sentito. Dori era di guardia, e non diede segno di essersi accorto del tormento di Bilbo, e sembrava che tutti gli altri fossero beatamente addormentati. L'incubo gli era ancora avvinghiato però, rendendolo teso, rannicchiato in attesa di qualunque segno di un attacco imminente.

Gli incubi divennero un evento regolare. Era fortunato di non avere la tendenza ad urlare o gridare quando era in preda ai sogni, o qualcuno avrebbe finito per sentirlo. Si svegliava una volta o due per notte - sembrava che la frequenza fosse in aumento - e non riusciva ad addormentarsi per molto tempo. Non permetteva che la mancanza di sonno lo facesse rimanere indietro - teneva il passo con la Compagnia e non mostrava segni di insonnia, a parte i cerchi scuri sotto gli occhi. Ma il raffreddore sembrava essere sul punto di trasformarsi in qualcosa di peggio, scuotendo il suo corpo di brividi e facendogli dolere le articolazioni. Inoltre, ogni giorno che passava gli era più difficile svegliarsi la mattina, e a volte respirare era una fatica. I nani erano comprensivi, ma c'era poco che potessero fare per un semplice raffreddore. Tutto questo lo rendeva uno hobbit miserabile e molto irritabile.
Ma va detto che non era tutto nero. La Compagnia si rallegrava a vicenda sulla strada, cantando canzoni e tirandosi su di morale più che potevano, e Bilbo era abbastanza distratto dai suoi problemi la sera del settimo giorno quando Ori lo avvicinò dopo cena.

Il giovane nano aveva l'aria molto nervosa e si avvicinò esitante a Bilbo. Bilbo era confuso da questo comportamento - non c'era ragione perché Ori esitasse intorno a lui a quel punto, specialmente ora che erano amici.

Ori non disse nulla e rimase fermo in silenzio, il libro stretto al petto. "Stai bene, Ori?" chiese Bilbo.

"Sì, sto bene, grazie Bilbo!" si affrettò a dire Ori. Poi, con una voce più ferma: "Mi chiedevo, se non ti disturba, se potessi farti domande sugli hobbit?"

Bilbo sbatté le palpebre. "Ma certo!" disse, "ma non siamo così interessanti, davvero. Non c'è molto da sapere. Come mai chiedi?"

"È per il... libro," disse Ori, "e sono certo che siano cose... molto interessanti! Siete così diversi dai nani, vedi, quindi pensavo che sarebbe bene aggiungere qualcosa. Un po' di… informazioni pregresse."

"Puoi chiedermi quello che vuoi, Ori. Non startene lì, vieni a sederti," disse con gentilezza, "e lascia che ti annoi  con cose sugli hobbit."

Ori sorrise sollevato e si accomodò, aprendo il suo libro e armandosi di penna e inchiostro.

"Da cosa vorresti iniziare?"

Ori si rigirò la penna tra le dita, pensieroso. "Vediamo… beh, qual è la cosa più importante per gli hobbit?"

"Ci sono varie cose," disse Bilbo con un sorriso sardonico, "incluso cibo, giardinaggio e pettegolezzi. Ma anche la famiglia è piuttosto in alto sulla lista."

"Credo che condividiamo la prima e l'ultima di queste cosa," disse Ori mentre scribacchiava sul libro.

"Sì, cibo," Bilbo scosse la testa con una certa disperazione, "a voi nani piace la carne, ma non c'è nulla di paragonabile ad un hobbit e il suo pasto. È molto importante per noi. Ho provocato un certo scalpore quando mio cugino ha scoperto che mangiavo solo quattro volte al giorno, non sette."

Ori smise di scrivere. "Sette?" disse, elettrizzato.

"Sì, sette," disse Bilbo, divertito dall'espressione di Ori. "È la norma. Ma dopo aver passato anni con le aquile ho scoperto di non sopportare più di quattro pasti. La mia famiglia non riusciva a gestirlo. E il fatto che gli hobbit regalano e si godono il cibo come segno di affetto non aiuta."

"Anche… in amore?"

Bilbo alzò le sopracciglia. "Beh, sì. Negli stadi più avanzati del corteggiamento è usanza preparare qualcosa per l'altra persona."

Ori aveva ricominciato a scrivere, gli occhi fissi sulla pagina. "E riguardo gli.. gli stadi iniziali? Come inizia un corteggiamento hobbit?"

Le sopracciglia di Bilbo salirono perfino più in alto. "In modo abbastanza diretto, davvero," disse, notando il rossore sulle guance di Ori, "ci si parla per conoscersi meglio, e poi, per rendere le cose ufficiali, si regala un fiore all'altro in presenza di un testimone. Di solito ad una festa. Per accettare l'offerta, ricambi con un altro fiore, o chiedi di ballare - ciò che è più adeguato al momento."

Ori annotò tutto in silenzio.

"Il fiore che scegli è importante," continuò Bilbo, "ma… è così che si fa." Prese un respiro profondo e disse, con prudenza. "Ori, c'è una ragione precisa per cui mi stai chiedendo del corteggiamento hobbit?"

Il rossore era molto evidente ora. "No, nessuna ragione!" squittì Ori con una risatina nervosa, "Solo interesse accademico."

"Ori, per quanto sia lusingat-"

"Grazie, Bilbo!" esclamò Ori prima che Bilbo finisse la frase. "Sei stato di grande aiuto," chiuse il libro di scatto e si alzò. "Davvero, grazie mille! Penso che possa bastare questo. Buonanotte!"

"Buonanotte, Ori," rispose Bilbo confuso. Osservò Ori tornare dai suoi fratelli con una crescente trepidazione. Sperava che Ori fosse davvero solo curioso e imbarazzato di tali domande, e non l'altra opzione che gli era passata in testa. Non è che lo infastidiva la possibilità che Ori provasse qualcosa per lui, ma voleva assicurarsi di chiarire di non essere interessato al nano oltre l'amicizia. Bilbo fece mentalmente spallucce. Ah, beh - Ori era giovane. Anche se avesse avuto inclinazioni romantiche per Bilbo, gli sarebbe passata presto.

Bilbo non era coinvolto in affari romantici da quando era un ragazzino. Aveva avuto le ordinarie avventure con altre e altri della sua età, cosa che era considerata perfettamente normale e innocua, ma dopo essere tornato nella Contea , Bilbo non era stato interessato a cercare un partner, e non era stato esattamente inondato da spasimanti. Coloro che potevano aver pensato di corteggiarlo erano stati certamente dissuasi dalla sua reputazione di persona eccentrica, incline all'avventura.

No, le strane domande di Ori non erano nulla di cui preoccuparsi, pensò Bilbo tra sé e sé, srotolando il sacco a pelo. In un certo senso era rassicurante, perché anche in un posto tanto orribile come Bosco Atro, la Compagnia riusciva ancora ad avere conversazioni normali e imbarazzanti.

 

"Ebbene, Mastro Ori, cosa hai scoperto?" chiese Balin il giorno seguente, dopo che la Compagnia si fu rimessa in marcia.

Ori lanciò un'occhiata alla testa della fila, dove Thorin e Bilbo conversavano piano. Si avvicinò a Balin con tutta l'intenzione di riportare l'informazione, ma fu fermato prima di poter pronunciare parola.

"Di cosa state spettegolando voi due?" si intromise Dwalin.

"Ah, Dwalin, dovresti ascoltare anche tu. Ori mi stava giusto per rivelare alcune informazioni vitali che dovrebbero aiutare con la situazione di Thorin e Bilbo.

"Quale situazione? Vanno d'accordo ora."

"Ma ovviamente. Non parliamo di quello! Parliamo di… sai, la situazione." Siccome Dwalin continuava ad avere uno sguardo vacuo, Balin sospirò e gli lanciò uno sguardo significativo da sotto le sopracciglia.

 Il volto di Dwalin si accese di comprensione. "No," disse incredulo, "no."

"Sì," disse Balin, grato che tutti fossero aggiornati.

"Quei due? No. Davvero?" Se non stava attento, Dwalin si sarebbe fatto venire il torcicollo a forza di spostare lo sguardo da suo fratello, Thorin e Bilbo così velocemente.

"È abbastanza evidente," disse Ori, "una volta che hai visto il modo in cui si parlano."

Dwalin sospirò. "Beh, non evidente per me. Per la mia barba, non me l'aspettavo."

"Non ti aspettavi cosa?" si aggiunse un'altra voce. Era Fili, seguito da Kili, che affrettava un po' il passo per unirsi a loro.

"Oh, io so di cosa parlano, "disse Kili. "riguarda zio che è cotto del nostro scassinatore?"

"Voi sapevate di questa cosa?" sputacchiò Dwalin.

"Siamo giovani, non stupidi," ribattè Fili.

"O ciechi," aggiunse Kili.

"C'è qualcuno che vuole sentire quello che ho scoperto?" disse Ori al mondo.

"Scoperto su cosa?"

"Se gli dessi la possibilità di parlare, Kili," lo rimproverò Balin, "allora Ori potrebbe spiegarci."

"Scusa, Ori," disse Kili, senza ombra di rimorso.

Ori sbuffò e infine disse: "Ho trovato informazioni sulle abitudini di corteggiamento degli hobbit, come da istruzioni del Signor Balin. Gli hobbit si scambiano fiori come noi ci scambiamo le perle, e lo fanno in pubblico. E cucinano per l'altro, ma quello è più avanti.

Balin gli diede una pacca sulla schiena. "Bel lavoro, ragazzo, è esattamente quello che ci serviva per iniziare. Il signor Baggins sospetta di nulla?"

"No," disse Ori, distogliendo lo sguardo, "Sono piuttosto sicuro di no. Lui-lui ha pensato che stessi chiedendo perchè ero interessato io - smetti di ridere Kili! - quindi penso che fosse distratto da quello."

"Eccellente," disse Balin, "Però magari assicurati di chiarire la situazione con Bilbo e di rassicurarlo che era solo per scopi accademici? Non possiamo avere a che fare anche con un triangolo amoroso qui."

"Quindi sappiamo che agli hobbit piacciono i fiori. E quindi?"

"Quindi, fratello," disse Balin pazientemente, "possiamo dare consigli a Thorin sul metodo giusto di corteggiamento semmai si decida a svegliarsi e rendersi conto di ciò che sta accadendo." Balin si stirò le punte della barba pensieroso. "È un peccato però che Bilbo non potrà contraccambiare la proposta di Thorin con il suo sanbuzra sankherum." Disse. I nani più giovani annuirono, comprendendo perfettamente, ma Dwalin strabuzzò gli occhi.

"Non stiamo andando un po' troppo veloce?" disse, stupefatto.

"Quando mai hai visto Thorin non portare a termine qualcosa fino alla fine, una volta che ci si mette?" disse Balin, e Dwalin non poté contraddire. "No, penso che ci sarà una doppia celebrazione quando riprenderemo Erebor - una di incoronazione, e una per un matrimonio regale. Dammi retta."

"E a voi due questa cosa sta bene?"

Fili e Kili fecero spallucce. "Ma certo," disse Fili.

"È un sacco di tempo che non vediamo zio così felice," disse Kili. "L'ho persino visto sorridere ieri. Sono quasi inciampato dalla sorpresa.

"Quindi ora che abbiamo sistemato questa faccenda," disse un'altra voce ancora, "c'è qualcuno che vuole rivedere le sue puntate?"

Si voltarono per trovare Nori che ciondolava al margine della loro riunione spontanea.

"Nah, confermo la mia."

"Anche io."

"Come volete," disse Nori.

"State scommettendo su questa cosa?" si accigliò Dwalin.

Nori lo guardò senza speranza. "Da un po'. Gloin ha puntato un bel po' di soldi su una confessione di eterno amore il Dì di Durin. Molto romantico, ma completamente stupido. È quasi certo che mi prenderò i suoi soldi." Norin fece un ghigno tagliente. "Lavoro duro, ma qualcuno deve pur farlo. Comunque, non potreste essere più sospetti se ci provaste - meno male che quei due sono distratti."

"Sono l'unico qui che non ne sapeva niente?" disse Dwalin, ormai completamente esasperato. Fu ignorato da tutti tranne Ori, che gli diede dei colpetti consolatori su una delle sue enormi braccia.

A capo della fila, Bilbo stava facendo quello che faceva meglio: starnutire.

"Questo tuo raffreddore è andato a lungo decisamente troppo," lo informò Thorin.

"Sto bene," disse Bilbo, irritato. "Passerà presto, se sa cos'è meglio per lui. La colpa è interamente della foresta. È così strana."

"Pensavo che agli hobbit piacesse la natura?"

"Non ci piace particolarmente quando sembra che un mannaro ci abbia vomitato sopra," disse Bilbo, asciugandosi il naso dolente con il fazzoletto. Guardò le fronde sopra di loro con un gemito. "Voglio rivedere il cielo. Anche solo un pezzetto."

"Immagino che tu sia abituato a spazi aperti," considerò Thorin, "ma se tu non riesci ad immaginare Erebor, io non posso immaginare come sia stato vivere in un Nido delle aquile."

"Ah! Sono certo che lo odieresti," disse Bilbo, "Il Nido è su in alto, nel punto più alto delle Montagne Nebbiose, tra rocce e picchi che sembrano schegge di vetro da lontano. Ci sono molti pochi posti dove ripararsi. Il paesaggio è aspro, e il clima implacabile."

"Me lo stai proprio vendendo."

Bilbo sogghignò: "Vedi, te l'ho detto che l'avresti odiato. Ma ha una certa bellezza." Sorrise, perso tra i pensieri. "Non c'è niente di meglio che raggomitolarsi al calduccio nel nido, mentre il vento ulula intorno a te e la pioggia sferza."

"Un nido?" disse Thorin.

"Beh, dove altro pensavi che dormisse un'aquila? Ammetto che è stato strano all'inizio, ma dormire sotto l'ala di Luaithre…"

"Dormivi sotto la sua ala? Perdonami, Mastro Baggins, non sapevo fossi tipo da coccole." Thorin sogghignava deliziato.

Bilbo si sentì arrossire ferocemente. "No-"

"Ti abbiamo privato di questo per tutto il tempo? È per questo che eri così scorbutico ultimamente-"

"Non è ver-"

"Potrei chiedere alla Compagnia se qualcuno vuole coccolarti stanotte. Magari possiamo fare a rotazione."

"Non lo farai-"

Thorin stava ridendo di lui - un basso suono proveniente dal profondo del suo petto - nulla più di una risatina, davvero  - con un certa nota rauca, come se non fosse stata usata da molto tempo.

Bilbo sbuffò indignato, il rossore che recedeva. "Se lo vuoi sapere, Luaithre è stata molto gentile a permettermi di dormire sotto la sua ala. Così non sono morto congelato nel cuore dell'inverno."

Thorin alzò una mano in segno di pace. "Ne sono certo," disse rassicurante, seppur ancora con il sorriso sulle labbra. "Ti prego, continua."

"Non ho molto altro da dire." Ammise Bilbo, e poi fece un gran sospiro. "Ma mi manca il cielo. Ci sedevamo nel nido e guardavamo le tempeste scendere sulle montagne e illuminare l'intera valle con i fulmini. Pensavo di conoscere ogni sfumatura del cielo prima di andare con le aquile, ma il tempo passato nelle Montagne Nebbiose mi ha fatto ricredere."

"Non riesco a capirlo," disse Thorin schietto, "il cielo è strano per noi nani."

"Davvero?"

"Sì. Sembri sorpreso, ma è logico. È raro per noi avventurarci fuori dalle nostre montagne a meno che non ci sia altra scelta - non siamo abituati ad avere un enorme spazio aperto sopra la testa. Mi fa sentire esposto."

"Questo non riesco a capirlo io. Ma vivi sulla superficie da molti anni ormai, no?" chiese Bilbo, il più delicatamente possibile.

"Sì. Ma è comunque strano. Crescendo non ho quasi mai lasciato Erebor - non ne vedevo l'utilità, e né mio padre né mio nonno mi incoraggiavano ad uscire. Avevo cinquantacinque anni quando ho messo piede fuori dalla Montagna Solitaria la prima volta, per andare a Dale."

"Cinquantacinque?" fece eco Bilbo, incredulo.

"A parte i commercianti che avevano affari a Dale, molti nani la pensavano come me. Eravamo molto isolati, a quei tempi." Thorin fece una pausa, e poi, con una grande difficoltà, disse: "Penso… penso che fosse a causa di mio nonno. Non guardava mai davvero oltre Erebor, e penso che la nostra gente seguisse la sua guida. Ora penso che sia stato, forse, uno dei suoi fallimenti in quanto re."

Il silenzio cadde su di loro. Bilbo si rendeva conto di che genere di ammissione fosse. Ammettere i fallimenti del suo re, della sua famiglia, non era da poco.

"Forse lo è stato." Disse Bilbo infine, "Non so dirlo. Ma se è vero, allora non pensi… non pensi che ora che hai passato del tempo sulla superficie, sotto il cielo, non ripeterai i suoi errori?"

Thorin si voltò verso di lui, rivolgendo l'attenzione completamente su Bilbo e non sul sentiero.

Bilbo si tirava l'orlo della manica. "Mi sembra che.. che tu sia più equilibrato ora. Hai visto il mondo, viaggiato lontano. Porti un po' di cielo con te, se la vogliamo mettere così. Puoi portarlo nella montagna." Bilbo prese un respiro profondo e disse: "Sarai un buon re."

Lo sguardo di Thorin si ammorbidì. Bilbo quasi osò dire sembrasse affettuoso. Fece uno sforzo di volontà per far rallentare il cuore.

Ovviamente, Thorin doveva rovinare tutto dicendo: "Se pensi che sciorinare gentilezze mi farà dimenticare delle coccole, Bilbo, mi spiace dirti che ti sbagli."

Bilbo gli lanciò un'occhiataccia. "Oh, smettila di prendermi in giro, sto cercando di farti un comp-" si fermò a metà della frase, la gola bloccata, e finì in un attacco di tosse.

Thorin gli diede qualche pacca sulla schiena e aspettò stupito che l'attacco svanisse.

Quando Bilbo riprese abbastanza fiato da parlare, la prima cosa che fece fu imprecare, solo una volta, nella lingua delle aquile. Sentì di esserselo meritato. "Scusa," disse a Thorin in Westeron. "Non te lo tradurrò, era piuttosto maleducato."

"Non avevo intezione di chiedertelo," disse Thorin, "Penso che le tue imprecazioni siano troppo per le mie fragili orecchie."

Bilbo rise.

"Sapevi che 'testa-di-nuvola' è un insulto in Khuzdûl?" disse Thorin.

"Beh se è questo il tipo di insulti a cui sei abituato, decisamente non posso tradurti le parolacce delle aquile."

"Perde un po' il suo effetto in Westeron. Ma penso ti si addica."

Bilbo sorrise. "Ora, questo lo prenderò come un compliemento," disse.

Il sorriso di Thorin che ne seguì fu abbastanza per far dimenticare a Bilbo il posto in cui si trovavano e il raffreddore, anche solo per un momento.

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 Ma il decimo giorno divenne abbondantemente chiaro che non si trattava di un semplice raffreddore.

Qualcuno lo stava chiamando, ma doveva star gridando da molto lontano - la voce era soffocata, e Bilbo riusciva a stento a capire cosa stava dicendo.

"B…Bil…o… Bilbo!"

Sentire il proprio nome lo fece svegliare un poco. Si sentiva il corpo pesante come il piombo. Si rese conto di star respirando, ma molto piano e con grande sforzo. L'oscurità nauseante cercò di trascinarlo di nuovo nel torpore, ma la voce disse di nuovo il suo nome, e Bilbo resistette.

"Bilbo! Per.. Mah…"

Con un grande sforzo, Bilbo combatté il sonno. Le dita della sua mano destra si mossero. Prese un respiro più profondo. Le due cose sembrarono richiedere uno sforzo monumentale. Sforzandosi di prendere un altro respiro, Bilbo si concentrò sull'aprire gli occhi.

La semioscurità di Bosco Atro era comunque troppo luminosa. Gli facevano male gli occhi, ma li tenne aperti. C'erano due figure accovacciate vicino a lui - si concentrò, e si misero a fuoco. Erano Thorin e Oin - i nomi gli tornarono lentamente nella mente annebbiata. Bilbo si chiese perché avessero l'aria cos preoccupata.

"Bilbo!" gli gridò praticamente addosso Thorin. Va bene, pensò Bilbo. Non c'è bisogno di alzare la voce.

Un'altra voce disse: "Si sta svegliando!"

Sbatté le palpebre, una volta, due, riprendendo ancora un po' i sensi usando Thorin come punto fisso. Pensò di vedere qualcosa come il sollievo passare sul viso di Thorin, ma poi Fili e Kili si fiondarono su di loro.

"Sei sveglio!" esclamò Kili, affermando l'ovvio.

"Grazie a Mahal," sospirò Fili.

"Dategli un po' di spazio," sbottò Thorin, e loro si ritrassero un po' con riluttanza.

Bilbo si umettò le labbra e provò a parlare. Era più facile respirare ora che era sveglio. "Cos'è successo?"

"Non ha ferite," diceva Oin, "Non capisco Thorin - se è opera del veleno, non vedo ferite da medicare." Poi, a Bilbo: "hai mangiato qualcosa nella foresta, Bilbo? Qualunque cosa?"

"No," disse Bilbo, scuotendo la testa. Cercò di tirarsi su a sedere, grato per la mano che Thorin gli mise sulla schiena per aiutarlo. "Niente. Ow, la mia testa," gemette, premendosi una mano sulla tempia.

"Non riuscivamo a svegliarti," disse piano Thorin. "Respiravi a malapena."

"Cos'è questo?" Oin prese la mano che Bilbo teneva premuta sulla testa e ispezionò la benda srotolata sulla punta del dito. Bilbo non ebbe altra scelta che lasciarlo fare, e scoprire il dito annerito nascosto al di sotto.

"Bilbo…" disse Fili. Dietro di lui, Bilbo riuscì a vedere l'intera Compagnia ammucchiata con ansia.

"Non ci ho dato molto peso lì per lì," disse Bilbo, "Ho solo toccato questa… sostanza."

"Avresti dovuto dircelo," disse Thorin severamente. Aveva l'aria arrabbiata.

"Davvero, mi sentivo bene prima di stamattina - sembrava solo un raffreddore. Nulla di cui preoccuparsi."

Oin si tirò la barba. "Deve essere opera della magia," disse, "e se è così, posso solo trattare i sintomi, non la causa."

"Mi sento meglio ora," disse Bilbo, e poi aggiunse: "davvero." Quando colse i loro sguardi scettici.

"Sì, sei proprio il ritratto della salute," disse Dwalin, sarcastico.

"Tu ora parli con Oin," ordinò Thorin, "e gli dici tutti i tuoi sintomi così può iniziare a curarti. Dwalin, Balin, con me. Devo parlarvi."

E prima che Bilbo potesse replicare, la mano di Thorin si ritrasse dalla sua schiena e il nano stava marciando via, Balin e Dwalin al seguito.

"Sono certo che tutto questo non sia necessario," disse Bilbo, ignorando caparbiamente il fatto che gli mancava il fiato.

"Non penso che mettersi in piedi sia una buona idea ora, ragazzo," disse Oin, ma Bilbo lo ignorò, tirandosi su dal suolo della foresta. Ebbe qualche problema, e poi Fili e Kili accorsero ad aiutare, prendendolo ognuno per un braccio. Bilbo ne fu grato, e si aggrappò alle loro spalle una volta in piedi finché il mondo non smise di girare. Si sentiva già molto meglio, ma si sentiva la gola grattare e le gambe minacciavano di cedergli a momenti.

Il resto della Compagnia lo teneva ancora d'occhio, come se si aspettassero che collassasse da un momento all'altro. "Mi sento molto meglio," gli disse con il tono più energetico che riuscì a fare. "Solo un raffreddore." Tolse le mani dalle spalle di Fili e Kili per provare di riuscire a stare dritto senza aiuto. I fratelli rimasero vicini, nel caso avesse ancora bisogno di loro. Bilbo cercò di sopprimere l'irritazione. Davvero, dovevano agitarsi tutti così tanto?

Thorin, Balin e Dwalin erano immersi in una discussione. Bilbo si sforzò di sentire quello che dicevano da sopra le domande di Oin.

"Hai tossito sangue?"

"Uh? Oh, no - niente sangue."

"Tossito qualcos'altro?"

"No," disse Bilbo, senza prestare davvero attenzione. Il suo udito acuto infine colse una singola, infiammata frase, pronunciata da Thorin:

"…rimandarlo indietro."

Oh no non lo fai, pensò Bilbo, oltraggiato. Non mi rimandi indietro, non mentre respiro ancora! Ignorando le proteste di Oin, Bilbo infuriò verso di Thorin e quasi urlò:

"Thorin Scudodiquercia, tu non mi rimandi indietro!"

Thorin fece per dire qualcosa, ma Bilbo era inarrestabile.

"Mi rifiuto," continuò con ferocia, "e sarebbe uno spreco di tempo comunque! Non osare nemmeno pensarlo - non torno indietro ora, non per un ridicolo raffreddore."

Era di nuovo senza fiato quando finì di inveire.

"È esattamente quello che stavo per dire," rispose Thorin pacato, "se mi avessi lasciato parlare." Non c'era rimprovero nella sua voce, solo divertimento.

Bilbo si sgonfiò. "Oh," disse. "Beh. Bene. Vai avanti allora."

"Come Mastro Baggins stava dicendo," disse Thorin alla Compagnia, "non possiamo tornare indietro. Siamo troppo in profondità nella foresta ormai. La nostra unica opzione è andare avanti. Sono certo che i trattamenti di Oin aiuteranno con qualsiasi cosa dia problemi a Bilbo."

Bilbo, per quanto fosse assorto dal proprio imbarazzo, notò comunque le reazioni di Fili e Kili alla decisione. La preoccupazione di Fili fu presto riportata ad un'espressione più neutra, ma Kili non era così controllato. La sua frustrazione e rabbia rimanevano in bella vista sul suo viso giovane.

Nonostante le proteste di Bilbo, Oin insistette per passare la mattinata a rivedere i suoi sintomi. Bilbo era sempre più frustrato al passare delle ore, e quando Oin finalmente gli diede un unguento da spalmarsi sul petto e una tazza d'acqua dall'odore acre da ingerire, si ricordò a stento di ringraziare.

La compagnia smontò il campo e ritornò alla marcia dopo un veloce pranzo. Il respiro di Bilbo era un po' più leggero, e tenne il passo con i nani. E se era un po' più stanco del solito quando si fermarono quella sera, un po' più grato per il riposo, beh, Bilbo non ne fece parola-

Ma il trattamento di Oin non faceva nulla contro gli incubi. Il sogno di Bilbo quella notte fu così violento e terribile che qualcuno finalmente se ne accorse. Bilbo si ritrovò ad essere svegliato, scosso via da un incubo intriso di sangue, per ritrovarsi a fissare il volto preoccupato di Bifur.

Bilbo si ritrasse da lui, imbarazzato e arrabbiato. Bifur gli disse qualcosa piano in Khuzdûl. Bilbo scosse la testa, incapace di comprendere. Bifur riprovò, e questa volta Bilbo colse un tono nella sua voce che non aveva bisogno di traduzioni.

Non hai nulla di cui vergognarti.

Bilbo deglutì, e annuì esitante. Bilbo gli strinse l'avambraccio e andò via, tornando al suo turno di guardia.

Non tutti gli incubi di Bilbo finivano così tranquillamente. Il povero Fili, che dormiva accanto a lui la notte successiva, lo svegliò con la preoccupazione che gli aggrottava la fronte.

"Bilbo-"

Bilbo si girò, si tirò le coperte fino al mento, e lo ignorò.

Almeno non c'erano state altre occasioni come la terribile mattina in cui non riuscivano a svegliarlo. Era stordito al risveglio, e gli ci voleva del tempo per riprendersi, ma nessuno aveva dovuto più scuoterlo per svegliarlo. La medicina di Oin sembrava star aiutando.

La reazione della Compagnia al malore del loro scassinatore sarebbe stata toccante, se non fosse stata un costante promemoria dello stato indebolito di Bilbo. I nani si accalcavano intorno a lui, diffidando di ogni colpo di tosse e starnuto, e molti di loro si offrivano di condividere le razioni di acqua e cibo. Bilbo rifiutava ogni offerta, ed era sempre più irascibile ogni giorno che passava. Si sentiva in colpa, i suoi amici tentavano solo di aiutarlo. Ma si sentiva teso, consumato, esausto prima ancora di aver fatto un passo e a stento capace di riprendere fiato la notte. Era così immerso nella frustrazione per la malattia che non notò come lo sguardo di Thorin era quasi sempre su di lui, gli occhi scuri di preoccupazione.

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Il tredicesimo giorno raggiunsero il fiume.

Le scorte d'acqua erano pericolosamente poche, ma ricordarono l'avvertimento di Beorn  non riempirono gli otri. Il dito indice di Bilbo era una prova lampante che nulla nella foresta era ciò che sembrava - per quanto sembrasse ordinario, non osarono rischiare con l'acqua del fiume.

La compagnia era indecisa su come attraversarlo, finché Bilbo non notò una barca sulla riva opposta. Una corda e un uncino vennero tirati fuori, legati insieme e Kili, con l'aiuto di Bilbo, riuscì a lanciare la corda e agganciarla alla barca. Con un grosso strattone, i nani liberarono la barca dagli ormeggi e la tirarono dal loro lato del fiume. Un'altra corda e un altro uncino furono lanciati su un albero dal lato opposto per creare un sistema a staffetta. Thorin, Dwalin, Oin e Gloin sarebbero andati per primi, seguiti da Bofur, Bifur, Ori e Dori, poi Bilbo e Bombur, dato che Bombur doveva stare con il carico più leggero, e infine Nori, Fili e Kili.

Quasi tutti attraversarono senza troppi problemi, e ora aspettavano che gli ultimi nani attraversassero. Nori entrò per primo, poi Fili. In quel momento tutto andò orribilmente male.

Successe in un istante. Prima arrivò un rumore di zoccoli, poi un cervo spuntò dalla vegetazione, caricando verso il fiume. Colpì Kili prima che il giovane nano potesse voltarsi per capire cosa stesse succedendo, e lo gettò in acqua. Il cervo inciampò per l'impatto, e poi, contro ogni senso, saltò nel fiume.

"Kili!" gridò Fili, correndo verso il fiume, nonostante il fatto che Kili era già scomparso nella corrente, spinto sotto la superficie, il cappuccio l'unica cosa rimasta visibile. Bilbo e il resto della compagnia accorsero subito, ma Thorin arrivò per primo, gettandosi nell'acqua che gli arrivava alla cintola, appena in tempo per afferrare l'orlo del cappotto di Kili.

Dwalin spinse di lato Bilbo, entrando nel fiume per aiutare Thorin, che ora stringeva un Kili inerte al petto. Insieme riuscirono a trascinare Kili fuori dall'acqua e sulla riva fangosa.

Il cuore in gola e incapace di far nulla, Bilbo guardò Thorin togliere i capelli dal volto di Kili, cercando disperatamente segni di vita. Kili rimase inerte, il viso floscio e gli occhi chiusi.

"Kili, Kili," mormorava Thorin.

"Respira ancora," gridò Dwalin agli altri, e il sollievo fu palpabile.

Poi Fili si fece largo, spintonando via Dwalin per raggiungere il fratello.

"Andiamo, fratello, svegliati!" gridò Fili, una mano sul cuore di Kili. Ma Kili non si svegliò, né si mosse, non importa quante volte Fili lo chiamasse. 

 

 

Continua...


Note della Traduttrice - reprise

DUN DUN DUUUUUUUNN 
Pensavate che fosse Bombur come al solito a cadere eh? Pensavate? E invece no, perchè mai una gioia per i nostri Durin T^T
KuroCyou

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