Awareness of Us

di YuGiesse
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Old and New knowledge ***
Capitolo 3: *** Elections ***
Capitolo 4: *** He's like a shadow ***
Capitolo 5: *** True Friends. -1 ***
Capitolo 6: *** True Friends. -2 ***
Capitolo 7: *** Pumpkin pie ***
Capitolo 8: *** Like father like son ***
Capitolo 9: *** Unknown ***
Capitolo 10: *** Blow me a kiss before she goes ***
Capitolo 11: *** I think that I like you ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


PROLOGO.
 
"Non poteva capitare giornata peggiore, merda.
Solita strada, ogni giorno la percorreva correndo per paura d'arrivare in ritardo a lezione, beh, in effetti tutto questo faceva parte del suo carattere, essere nauseamente perfetto.
 
Non posso permettermi di arrivare in ritardo, è inaccettabile! oggi è il giorno delle elezioni, devo vincere ad ogni costo.
 
Teneva a quella carica più di qualsiasi altra cosa, un po' esagerato in effetti, ma non poteva farci niente, questo era lui, non gli interessava nulla il suo unico scopo era eccellere in tutto.
 
C'è l'ho fatta! Salgo in classe e preparo il discorso così non avrò rogne attorno a disturbarmi.
Posó le cose nel suo armadietto e sali le scale di corsa. A quell'ora non c'era mai nessuno, solo i custodi e qualche professore con del lavoro arretrato.
Queste scale a quest'ora sembrano sempre troppe.
 
Un ultimo gradino, un ultimo sospiro ed entro nel corridoio, era tutto così calmo, quasi inquietante.
Mi sembra di essere osservato, merda, questa scuola delle volte sembra uscita da un romanzo horror
In realtà non aveva per niente torto, i veterani della scuola erano soliti raccontare alle ragazzine dei primi corsi delle storie terrificanti su quell'istituto, persone uccise, anime in pena, cose poco credibili ma che nonostante tutto facevano la loro figura. Tutte balle. alzo lo sguardo al soffitto. Non pensare a queste cazzate Johnatan, hai un discorso da ripassare, ne vale il tuo orgoglio.
 
Si avviò per il bagno per lavarsi le mani; era stanco, aveva dormito pochissimo quella notte, metà del tempo l'aveva passato a decidere i vestiti, voleva essere elegante anche se diciamo che non c'aveva azzeccato molto.
Sono ridicolo, anche se la camicia mi dona. Si guardò allo specchio e passo un po d'acqua tra i capelli. Una camicia bianca, dei jeans e le solite converse rosse, insomma niente di che. Uscì dal bagno e si avviò nuovamente verso la sua classe.

Che ansia, mi sento tremendamente osservato, ho bisogno di rilassarmi

Effettivamente solo non era, il suo intuito aveva ragione, Qualcuno dall'aula magna lo osservava, chi poteva mai essere li a quest'ora? Si avvicinò lentamente senza farsi notare. Era un ragazzo mai visto, aveva un'aria da menefreghista, sedeva su un'antica sedia di legno con le gambe incrociate sul tavolo, i suoi occhi profondi riuscivano a mettere in soggezione anche con un solo sguardo, quel tipo di ragazzi che lui odia.
Sarà un ragazzo di un gemellaggio o qualcosa del genere, più tardi passeró a dare un'occhiata, sicuramente è un tipo che se la tira troppo, non posso distrarmi.
Corse verso la sua classe continuando a fissarlo, non gli diede molta importanza, almeno per ora."

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Capitolo 2
*** Old and New knowledge ***


“… ed è per queste ragioni, e per la mia determinazione che dovreste eleggermi come rappresentante d’istituto.”
Finalmente era finita, aveva enunciato il suo discorso con tutta la calma e la compostezza che lo distingueva dagli altri; fin dall’età più tenera fu costretto dalla sua famiglia, una tra le più importanti d’Inghilterra, a seguire lezioni d’etichetta.

Dopotutto a qualcosa sono servite malgrado non le abbia mai sopportate.

Era talmente immerso nei suoi pensieri da non rendersi conto che qualcuno l’aveva seguito fuori dalla sala conferenze.
“Johnatan Brown,discorso magnifico, sei degno del cognome che porti.” Disse la ragazza che Johnatan identificò subito come Adeline Harvey, insopportabile figlia di papà.

 Sai benissimo che odio il mio cognome, stronza.
“Ti ringrazio, Harvey” Rispose seccato.

Si concesse solo in quel momento di voltarsi verso di lei e ciò che vide fu una ragazzina con dei vestiti sciatti, nonostante la disponibilità economica della famiglia, capelli castani a caschetto e anonimi occhi nocciola.
Lei fece un ghigno, più un mostrare i denti che un vero sorriso e parlò con voce velenosa:
“Magari sarà la volta buona in cui tuo padre sarà minimamente fiero di te.”
Dicendo questo gli voltò le spalle lasciandolo con l’amaro in bocca, ma non ebbe modo di impensierirsi ulteriormente perché in quel momento arrivò Anthony, il suo migliore amico.
“Sei stato fantastico, fratello. La vittoria è già tua.” Affermò dandogli un’amichevole pacca sulla spalla.

 Almeno ci sei tu che credi in me…

E continuò dicendo: “Perfino il gruppo della mia ragazza, con il quale solitamente ti scontri, non ha avuto nulla da ridire. Questa volta hai fatto centro.”
John scoppiò a ridere ed esclamò: “Ma non mi dire! La prima volta dopo quattro anni, cos’è una specie di tregua?”
L’amico sbuffò e considerò, con quella che lui definiva ‘saggezza’: “Come la fai tragica, loro non ti odiano e lo sai, avete solo idee differenti.”
Si passò una mano tra i ricci corvini e disse: “ Ti ricordo, Little Tony, che siamo arrivati al punto di discutere addirittura sul meteo del giorno dopo in quanto avevamo app diverse sul telefono.”
Sentendosi chiamato con quell’appellativo ridicolo Anthony ribattè deciso: “ Allora il sestetto non ha tutti i torti a considerarti  rompi palle, lo sai che quel soprannome non lo sopporto.”
“Ancora mi chiedo come fai a stare con una di quelle.” Dichiarò il neocandidato all’amico.

In quel momento, nemmeno fossero state chiamate, arrivarono Loro.

 Parli del diavolo ed ecco che spuntano le corna.

Il sestetto altro non era che un gruppo di sei ragazze le quali frequentavano il penultimo anno;
Alison Evans : la troia;
Sophie Holmes : la santa;
Iris Rivers : la bugiarda;
Bethany Turner : la manipolatrice;
Julia Phillips : la schiva;
Cleo Potter : la stronza.

Sophie corse incontro al suo ragazzo e le sue amiche furono costrette a seguirla.

“Ma guarda un pò chi si degna di fare un giretto tra noi comuni mortali!”
Disse in tono alquanto altezzoso Johnatan.
Sophie, dopo aver dato un bacio a fior di labbra ad Anthony, si voltò e gli fece la smorfia.
“Abbassa la cresta, Brown, noi dobbiamo ancora votare.” Gli ricordò Bethany con voce serafica.
“I tuoi giochetti non funzionano con me, Turner.” Ribattè piccato il ragazzo.
Iris gli lanciò un’occhiata di fuoco e disse: “Ti ricordo che dovrai lavorare con noi nel caso in cui riuscissi a vincere.”
“Nel caso remoto, non dargli false speranze. Non sopravvivrebbe.” Continuò Cleo in tono velenoso.
 
A sedare la discussione in corso arrivò la vicepreside, la professoressa Suzan Hamilton, la quale entrò in scena dicendo in tono bonario: “ Suvvia ragazzi, non date cattivo esempio ai ragazzi più piccoli.”
Solo in quel momento lo strano gruppo venutosi a formare si rese conto che intorno a loro si era radunata mezza scuola.
Julia sussurrò: “Ecco, come sempre attiriamo l’attenzione.”
“E di che ti lamenti?!” Le chiese Alison con un sorriso soddisfatto.
La vicepreside scoccò alle ragazze un’occhiata fulminante e riprese a parlare dicendo: “Vi ho cercato perché devo farvi conoscere un nuovo studente, si chiama Caesar Jackson.”
Così dicendo indicò il nuovo arrivato. Un ragazzo abbastanza alto, con occhi e capelli scuri, li squadrava con aria annoiata e parlò: “Se avete finito con questa sceneggiata direi di andare dritti al punto quindi sbrighiamoci così posso uscire da questa gabbia.”

Ma quello è il ragazzo di stamattina, non sbagliavo a definirlo menefreghista, è anche molto maleducato, ma chi si crede di essere?!

La Hamilton nemmeno sentì l’affermazione del ragazzo in quanto impegnata a guardare il sestetto e disse con voce leggermente alterata: “ Mi è stato riferito che qui qualcuno ha fatto uso di un linguaggio scurrile nei confronti di un professore quindi, voi sei, venite con me.”
Detto ciò si volto verso Johnatan sorridendo amabilmente e chiese dolcemente: “ Brown, caro, potresti prendere il mio posto e portare Caesar a fare il giro della scuola?”
Seppur riluttante il ragazzo si trovò costretto ad annuire ed intercettò un’occhiata di fuoco da parte di Alison.
Dopodiché, riuscì a sentire prima che il sestetto voltasse l’angolo con la vicepreside  la battuta nemmeno tanto velata di Julia che disse: ” A nostra discolpa posso dire che il professor Saladin è un vero bastardo.”
“Ci ha prese di mira solo perché siamo un gruppo affiatato” le diede manforte Bethany.
“Anche perché siamo decisamente belle.” Affermò Iris.
“E intelligenti” continuò Sophie.
“E fottutamente popolari” finì, con la solita eleganza, Cleo.

Solo allora si girò verso il nuovo arrivato e con tutta la calma che riuscì a trovare disse: “Pronto per il tour?”
Caesar fece schioccare la lingua e roteò gli occhi: “Prima finisce meglio è.”

Qualcosa mi dice che sarà una giornata molto lunga.
 
 

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Capitolo 3
*** Elections ***


"Ne hai ancora per molto?"
 
Il tour della scuola era iniziato da qualche minuto eppure il nuovo arrivato aveva già espresso il desiderio di fumarsi una sigaretta, così adesso Johnatan più che una guida turistica scolastica si sentiva una sentinella.
Teneva sotto totale controllo sia il corridoio che il ragazzo, il quale era intento a fumare la sua sigaretta, con la tutta la tranquillità del mondo.
 
Se mi scoprono adesso posso dire addio a tutto. Cancelleranno il mio nome dalla lista dei candidati, abbasseranno i miei voti e mio padre mi farà fuori.
 
Rabbrividì al pensiero del trovarsi davanti la faccia del padre dopo avergli detto: "Ehi papà ho mandato tutto a puttane solo per accontentare il nuovo arrivato di turno."
Non poteva, non doveva.
Pensare alla sua famiglia lo innervosiva ogni volta.
Soliti parenti ricchi sfondati, madre disinteressata, padre perfezionista ed immerso nel lavoro e una sorella maggiore migliore in tutto.
Scosse la testa come per scacciare un moscerino e decise di parlare:
 
"Se non ti muovi giuro che ti lascio qua fosse l'ultima cosa che faccio."
  
Caesar lo guardò sogghignando e disse: 
 
"Non mi sembri un tipo intraprendente, come mai questo coraggio?"
 
 Detto ciò gli alitò il fumo sul viso.
 
"Vuoi fare un tiro?"
Chiese porgendogli la sigaretta quasi consumata.
 
"Non sono come voi altri stolti che intendete rovinarvi la vita con questo vizio così stupido." Affermò in modo altezzoso, guardandosi ancora intorno sperando che nessun professore o controllore li stesse guardando.
"Mi sembri teso, rilassati. Brown giusto?"
Mentre pronunciava queste parole si avvicinò a lui e si appoggiò al muro. 
Così da vicino sembrava ancora più alto, aveva un fisico asciutto e spalle larghe. Indossava una T-shirt dell'hard rock cafe e sopra un giubbotto di pelle, il tutto con dei jeans e delle Vans nere.
Un look piuttosto trasandato se paragonato a quelli che si vedevano in giro per quel college, ma piuttosto interessante.
 
"Si, giusto."
Rispose John in tono alterato, piú passavano i minuti e più aveva la sensazione che qualcuno li avrebbe beccati. 
In quel momento iniziò a piovere e dato che si trovavano in un cortile alcune gocce iniziarono a cadergli addosso. 
Caesar borbottò più a se stesso che all'altro: " Che tempo di merda."
Poi si voltò verso Johnatan e gli chiese: " Ma quì il tempo è sempre così?"
"Per la maggior parte del tempo." Rispose il riccio.
Poi rifletté un attimo e domandò: " Non sei di quà, vero?" 
Il moro alzó un sopracciglio:" Secondo te? Non lo senti il mio accento?"
Brown aprì la bocca per rispondere, ma lui lo bloccò e continuò :" Sono del New Jersey. Adesso fammi vedere questa cazzo di scuola."
 
Mentre si avviavano per i corridoi Johnatan riflettè sul fatto che a breve sarabbero stati resi pubblici i risultati delle votazioni.
"In che classe sei?" Chiese per smorzare la tensione.
"5ªD." Dichiarò lui.
John sbattè un paio di volte gli occhi e poi disse: "Oh! Allora siamo in classe insieme."
Jackson lo guardò insofferente e con un sorriso di scherno disse: "Sti cazzi."
Johnatan non ebbe il tempo di rispondere, perché gli si presentarono davanti Sophie e Bethany sorridenti. 
 
"Ciao!! Non abbiamo avuto il tempo di presentarci, io sono Bethany Turner e lei è Sophie Holmes. Facciamo parte del consiglio d'istituto, per qualsiasi problema puoi rivolgerti a noi."
 
Johnatan le sfidò con lo sguardo e disse: " Se dovesse mai avere un problema potrà rivolgersi a me, dato che presto sarò rappresentante."
 
Caesar li fissó a lungo e alla fine affermó in un tono che non ammetteva repliche: " Non mi rivolgerò a nessuno perché non avró problemi."
Allora, Sophie sorrise comprensiva e con tono dolce si rivolse al nuovo arrivato: " Non farci caso, fanno sempre così. É una specie di guerra fredda, ma infondo si vogliono bene."
Le facce dei due in questione erano indescrivibili, nel frattempo l'americano si concesse qualche momento per elaborare ciò che gli stava accadendo troppo in fretta.
Era stato costretto a cambiare addirittura continente, la nuova casa gli faceva cagare così come quella nuova città e scuola.
Tutti sembravano essersi messi d'accordo per farlo innervosire.
Venne riscosso da quei pensieri a causa della voce del candidato, il quale guardando la biondina, Bethany, le chiese il motivo per cui lei e la ragazza gentile, Sophie, si trovassero fuori dalla classe durante l'orario di lezioni.
 
"Stavamo tornando dal bagno." rispose prontamente Sophie, evitando così a Bethany di rispondere in malo modo a Jonathan.
In quel momento suonò la campanella, quella giornata era finalmente finita!
 
"Ci si vede all'apertura delle buste, Brown!" Sì congedò in questo modo Bethany  trascinando con sé la sua amica castana 
"Ah, dimenticavo, ciao moretto."Ammiccò un'ultima volta verso Caesar e salì le scale.

 Ho pochissimo tempo!
Jonathan Brown poteva essere descritto in tre parole quel lunedì mattina, giorno delle elezioni.
Agitato, agitato, agitato.
 
Solitamente il percorso dalla scuola a casa sua era brevissimo, adesso invece sembrava non terminare più.
Finalmente sono arrivato! 
Entrò in cucina praticamente correndo e, come al solito, non c'era nessuno, perciò doveva cucinare lui.
 
Questa cucina è troppo grande!
 
Ma si sa, quando sei di fretta accadono sempre imprevisti ed infatti, quando John aprì il freezer per prendere qualche cosa da riscaldare, erroneamente fece cadere una busta di piselli surgelati per terra.
 
"No! No! No!" Iniziò a borbottare il ragazzo mentre si chinava a raccoglierli.
La colf sarebbe arrivata almeno tra due ore, perciò non poteva lasciare la cucina in quello stato.
Striscio per tutto il pavimento cercando di eliminare qualsiasi prova di quel disastro.
 
Ok! Finalmente ho finito.
 
Si alzò e diede un'ultima occhiata a quella stanza che in quel momento di solitudine sembrava più grande del solito.
 
"Ora pensiamo a mangiare"
 
Decise di allontanarsi dal freezer, prese qualcosa di pronto che trovó nel frigo e si buttò sul divano a mangiare stendendo le gambe sopra il tavolino di vetro sul quale posava il telecomando. Gli diede uno sguardo e lo ignoró, preferiva godersi la tranquillità di quel momento, senza i continui squilli del telefono della madre o altro che potesse infastidirlo.
 
Ma la sua tanto agognata tranquillità fu presto interrotta dall'arrivo di qualcuno.
 
Proprio ora che mi stavo, per una volta, rilassando.
 
"JOHNATAN MATTEW BROWN JUNIOR. Cos'è questo disordine?"
 
Il rumore di quei passi facevano capire subito quanto terribile fosse quell'uomo.
Era vestito di punto, giacca bianca e cravatta viola e degli orribili mocassini di pelle. Aveva i capelli anche lui ricci e brizzolati. Infondo era un bell'uomo, terribile ma bello.
 
"Niente papà, sono di fretta, sto uscendo."
 
Mentre le sue parole risuonavano nella stanza prese la sua giacca e si avviò verso la porta.
 
"Dove stai andando?"
Chiese il padre con tono autoritario.
 
"A scuola."
Detto ció, uscì di corsa sbattendo la porta.
 
"Appena torni facciamo i conti."
Dopo aver sentito le parole dell'uomo provenire da dietro la porta, accelerò il passo verso la scorciatoia che portava alla scuola.
Quella scorciatoia altro non era che il retro del grande parco pubblico del quartiere.
Allungó il passo e, superate due traverse, arrivó davanti il portone del college.
 
O la va o la spacca 
Note Autrice- Salve a tutti! Vi ringrazio infinitamente per aver letto questo nuovo capitolo ed anche per quelli precedenti. Ringrazio soprattutto NobodyunderstandsMe per essere stata tra le prime persone a seguire la mia storia!Cercherò di aggiornare settimanalmente così da rendere le cose veloci e vi anticipo che dai prossimi capitoli entreremo nel vivo della storia. Grazie ancora a tutti e lasciate qualche recensione. A presto! YuGiesse~

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Capitolo 4
*** He's like a shadow ***


Questa volta ci rimango secco me lo sento.


Correva in modo talmente agitato che non poteva neanche permettersi di pensare. Jonathan Brown, futuro, forse, rappresentate di uno dei college più importanti di Londra era terribilmente in ritardo il pomeriggio nel quale sarebbe stata segnata la sua carriera scolastica.
Il cielo cupo che poteva vedere ,mentre bruscamente saliva le scale, attraverso le finestre che davano al cortile del piano inferiore non faceva altro che peggiorare la sua situazione, nelle sue vene in quel momento al posto del sangue scorreva una miscela di ansia, agitazione ed anche paura.

Se sono già tutti lì ci farò una figura tremenda. 

In situazioni come queste salire le scale correndo non è una buona soluzione. Ne è la prova il fatto che due secondi dopo aver finito la prima rampa di scale vide rotolare sotto i suoi occhi il suo zaino.

"E DAI! Anche questo adesso no!"

Scese le scale rincorrendo lo zaino calandosi per terra per assicurarsi che il contenuto non ne fosse uscito fuori.

"Appena il signor forse rappresentante avrà tempo mi dovrà spiegare perché si porta lo zaino a scuola anche il pomeriggio"
Riconobbe subito quella voce, quel ragazzo era come un'ombra per lui, sembrava quasi essere ovunque andasse. Mentre raccoglieva lo zaino da terra cercò di non fissarlo troppo, si fermò al suo fianco e disse:
"Ci sono documenti importanti dentro, piuttosto, tu cosa ci fai a scuola anche il pomeriggio? Sbaglio o ti turbava stare qui?"
Il ragazzo si girò a fissarlo, Caesar aveva uno sguardo terribilmente magnetici. Come potevano degli occhi così anonimi attirare così tanto l'attenzione di qualcuno?

"Sono qui per te, per vedere il tuo trionfo, no?"

Gli sussurrò quelle parole all'orecchio con un tono tremendamente eccitante.
Il riccio ebbe un sussulto ed arrossì leggermente in volto.

cosa cosa cosaaa? Seriamente? Sta scherzando vero?

Non ebbe il tempo di rispondere che il moro scoppio in una grande risata.
"Dovresti vedere la tua faccia! Cosa ti aspettavi? Non sono mica gay! Sto solamente sbrigando le ultime rotture con la Hamilton."
Disse ridendo Caesar.

"Sei patetico. Ora scusami, vado di fretta."
Detto questo John salì gli ultimi gradini rimasti lasciandosi alle spalle Caesar, il quale rimase a guardarlo.

Come osa?! Per chi mi ha preso? Cazzo, il destino proprio oggi deve accanirsi contro di me?!.

Arrivato al piano John si concesse un minuto per dare una sbirciata al l'aula magna dove si sarebbe tenuta l'apertura delle buste. C'era già tanta gente, non era l'ultimo ma era lo stesso in ritardo. Prese coraggio ed entrò.

"Salve! Il rappresentante è arrivato!"
Nell'intera aula cadde il silenzio.
"Te la sei presa comoda Brown, non è da te. Siediti, gli altri stanno sostando alle macchinetta a prendersi un caffè"

Cazzo. Allora sono davvero in ritardo.

Si sedette elegantemente accanto al ragazzo che qualche minuto prima l'aveva rimproverato per il ritardo.
L'aula magna era davvero bella, i candidati e gli scrutinatori stavano seduti lungo un tavolo di legno antico, il pianoforte del XX secolo era appena stato lucidato e le grandi finestre aperte facevano entrare una piacevole brezza.
John passò i minuti prima dell'arrivo degli altri ragazzi toccandosi continuamente i capelli.

"Eccoci!"
Finalmente entrarono due ragazzi e i quasi rappresentanti si strinsero la mano. 

"Finalmente ci siete tutti!" Disse il professor Way in tono pratico.
Poi continuò: "Non dilunghiamoci oltre: ha vinto con ben 70 voti in più ... Jonathan Brown!" 

John saltò letteralmente dalla sedia e andò verso il professore che gli tendeva la mano per fargli i complimenti.

Ce l'ho fatta!!

L'aula magna si riempì di applausi e molti ragazzi gli si avvicinarono per complimentarsi, anche chi non si sarebbe mai aspettato : 
Iris Rivers, Julia Phillips e Cleo Potter.
“Complimenti Jonathan, non deludere le nostre aspettative.” Esclamò la Rivers.
“Che già sono abbastanza basse.” Sogghignò Cleo.
Iris si rivolse al neoeletto: “Comunque siamo qui per fare una tregua. Dato che ora sei rappresentante dovremo collaborare.”
Jonathan annuì e rispose: “Mi sembra giusto, spero che questa tregua duri.”
Detto ciò lanciò un’occhiata eloquente a Cleo, lei sbuffò.
Fu in quel momento che lo vide: appoggiato alla porta a braccia conserte stava Caesar Jackson.
Rimase interdetto dal suo sguardo ma non ebbe tempo di impensierirsi ulteriormente perché in quel momento arrivò la Hamilton.
“In cuor mio lo sapevo che avresti vinto! Sono così felice per te.”
“La ringrazio infinitamente professoressa.” E si abbracciarono.
Qualcuno sbuffò e una voce disse:
“Diabetici.”
“Non mi aspetto che tu comprenda il valore del rispetto reciproco, Jackson.” Affermò il riccio con voce stizzosa.
La Hamilton parlò con voce dura: “Mi aspetto signor Jackson che da domani in poi lasci a casa questo suo tono alquanto arrogante.” Detto questo andò verso gli altri professori.
Le tre ragazze che stavano osservano la scena ridacchiarono.
Julia squadrò Caesar da cima a fondo e sussurrò qualcosa all'orecchio di Cleo la quale prese parola:
"Beh, noi adesso dobbiamo andare, si è fatto tardi. A domani, novellino."
La ragazza prima di andare si fermò per fare l'occhiolino al riccio, dopodiché avanzò verso l'uscita seguita dalle due amiche.
Il moro le seguì con lo sguardo e disse
"Spero solo di non dover avere quelle ragazze tra i piedi tutto l'anno."
"Ti ci abituerai presto, tranquillo."
Enunciò John guardandosi intorno.
I professori stavo già per andare tutti via, era probabilmente l'ora di tornare a casa. Arrivato avrebbe subito detto tutto a suo padre, così l'avrebbe reso fiero.
"Non voglio abituarmi."
I suoi pensieri furono interrotti da Caesar che, come al solito, si mostrava disinteressato da tutto.
Il riccio roteò gli occhi.
"Come vuoi, io vado, a domani."
"Che frettoloso, vai a festeggiare?"
Jonathan si innervosì per il tono usato da Caesar ma decise di ignorarlo ed avviarsi verso casa.
Ovviamente non aveva pensato alla testardaggine del moro, egli infatti lo stava seguendo senza sforzo giù per le scale.
"Ma che diavolo vuoi?!" Sbottò il rappresentante senza riuscire a trattenersi oltre.
"Voglio vedere dove abiti, devi essere un riccone." Rispose semplicemente l'altro.
Riuscendo, se possibile, a farlo alterare ancora di più.
John decise di ignorarlo e prese la solita scorciatoia. Nel parco durante tardo pomeriggio si sentiva solo il cinguettio degli uccellini che tornavano nei propri nidi. Sarebbe rimasto volentieri li, seduto sotto un albero a riposarsi ma con quella seccatura dietro non ci sarebbe mai riuscito.

Mi sento pedinato. 

"Insomma vuoi lasciarmi stare?" Chiese al limite della sopportazione John.
Il moro si finse offeso e disse con voce quasi tenera: "Perché mi tratti così?" 

Ma che problemi ha? Prima è intrattabile e poi mi segue per il parco e vuole pure parlarmi.

"Per caso ti droghi?" Domandò Il riccio sarcastico.
"Forse, chi lo sa." Mentre pronunciava queste Parole Caesar si accese una sigaretta e allungò il passo per finire al fianco di Jonathan.
"Che palle, non hai niente di meglio da fare che fumare sempre?" Dicendo ciò accelerò il passo, cercando di lasciare il compagno indietro. Caesar fece lo stesso, non ribatté e lo guardò soltanto. Aveva uno sguardo accattivante e dai suoi occhi non potevi capire nulla.
Sembrava terribilmente lunatico, un ragazzo di quelli che potrebbero cambiare idea in un attimo. Si concentrò soprattutto sui lineamenti del viso, erano piuttosto dolci, guardandolo così poteva sembrare un bravo ragazzo.
Ma lui non la pensava per niente così, per lui era solo un ragazzetto irritante che si divertiva a prenderlo in giro.

Ed infatti in quel momento parlò: "Ma tu sei perennemente mestruato, Brown?" e ghignò.
"Se ti do tanto fastidio perché mi stai seguendo?" Chiese sempre più preoccupato.
Erano a qualche metro dal cancello di casa sua e non poteva rischiare che suo padre lo vedesse con un ragazzo che sembrava gridare "poco raccomandabile" ad ogni suo gesto.
Era sempre stato molto duro sulla scelta dei suoi amici, nessuno sembrava all'altezza di un Brown.

Se fosse per lui dovrei smettere di frequentare addirittura Anthony! 

"Beh, sono curioso, lo ammetto." rispose Caesar evasivo.
"Curioso riguardo cosa?" Chiese confuso il riccio.
Ma non seppe mai la risposta perché proprio in quel momento suo padre uscì fuori dal cancello, sembrava terribilmente arrabbiato.

"È per caso il tuo maggiordomo quello?" Disse Caesar soffocando una risata.
"No idiota, quello è mio padre."
John iniziò a sudare freddo.

Dio, fa che si comporti come un normale ragazzo.

"È brutto! Condividendo metà del suo DNA fossi in te inizierei a preoccuparmi, tra qualche anno potresti diventare come lui"
Il riccio diede una spallata a Caesar e disse a voce bassa:
"Comportati nel migliore dei modi o giuro che ti ammazzo, spegni la sigaretta soprattutto"
Il moro sbuffò e buttò la sigaretta a terra.
"Uffa, l'avevo appena accesa."
Si trattenne dal ribattere ed avanzò verso suo padre lasciandosi il ragazzo alle spalle.
"Chi è quel ragazzo Jonathan?"
"Un compagno di scuola, mi ha voluto accompagnare fino a casa."
Rispose tentando di mantenere i nervi saldi.
"Cosa sei una ragazzina che passeggia con il ragazzo? Non voglio..."
Le dure parole del padre furono interrotte dall'interpellato che tranquillamente si mise dentro al discorso.
"Salve, è stata una scelta mia accompagnare Jonathan."
L'uomo fece una smorfia di rabbia.
"Se fa sempre quella faccia le rughe le spunteranno più velocemente, io sorriderei un po’ fossi in lei."
il riccio rabbrividì. Quel ragazzo aveva appena mandato a puttane la pazienza del padre, il quale non riuscì a ribattere.
"Beh, io devo andare, ci vediamo domani rappresentante."
Detto questo giro i tacchi ed entrò nel parco dal quale erano arrivati.
"Papà, posso spiegarti."
"Come si chiama."
"Caesar Jackson."
"L'hai fatto venire mai qui?"
"No, perché?"
"Mi sembra un viso familiare, non farlo più avvicinare a questa casa o sarà peggio per te."
Dopo questo freddo scambio di frasi l'uomo entrò in casa sua, sbattendo la porta.

Cosa ho fatto di male per meritarmi questo?!

Angolo Autrice-

Salve a tutti! Rieccoci con un nuovo capitolo. Devo ammettere che scriverlo è stato un po' come un parto ma alla fine ce l'ho fatta e spero che sia di vostro gradimento! Voglio ringraziare Cleo e Julia per avermi aiutata tantissimo questa settimana e soprattutto coloro che recensiscono e mettono la mia storia tra le seguite. Alla prossima!
YuGiesse
 

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Capitolo 5
*** True Friends. -1 ***


Una settimana dopo..
 

“Caesar ,sei ancora a letto? Così farai tardi!”
“Non preoccuparti zia, mi sto preparando.”
Era passato appena un mese dal giorno in cui la sua vita aveva preso una piega completamente inaspettata.

Bella merda.

Tre settimane che stava in quella casa e continuava a sentirsi come un estraneo. A volte pensava che quella sensazione non se ne sarebbe mai andata definitivamente.
Certo, sua zia faceva di tutto per farlo sentire al suo agio, complice il fatto che non aveva mai avuto figli.
 
Ok, prepariamoci sul serio.
 
Era già sveglio da almeno un'ora. La mattina era solito alzarsi presto, lavarsi subito in modo da ributtarsi sul letto e riposarsi qualche altro minuto, per poi iniziare a vestirsi non appena sua zia non l'avrebbe chiamato come al solito.
Si alzò dal letto ed aprii la finestra alla ricerca di un po' di luce, tutto ciò che trovò però non fu altro che il solito clima grigio; il sole timido faceva capolino tra le grandi nuvole che sembravano annunciare un imminente pioggia. Il clima autunnale Londinese era più un inverno bello e buono, quasi come descritto in tutti i libri o i film.
 
Non riuscirò mai a capire cosa ci trova di bello la gente in questo posto.
 
Abbandonando il desiderio di trovare un po' di luce si infilò la felpa, fece il letto alla svelta ed uscii dalla sua stanza. Nonostante l'orario, si concesse tutta la calma del mondo per scendere al piano di sotto,dove, lo stava aspettando la colazione. La scala che suddivideva la casa in parte di Caesar e parte del resto della famiglia era di legno ed affiancata da un'elegante scorri mano in ferro. Durante i suoi primi giorni in quella casa aveva preso l'abitudine di sostare per ore su quelle scale, ascoltando musica, fino ad arrivare al punto di addormentarsi.
Fece uno sbadiglio e si diresse verso la cucina dove con un sorriso lo accolsero i suoi zii.
"Buongiorno." Disse con tono assonnato passandosi una mano tra i capelli.
"Sto preparando la colazione, cosa preferisci?" 
A pronunciare quelle parole fu sua zia Margaret, una donna solare sulla quarantina con gli stessi tratti del ragazzo. Stava preparando del caffè ed era già vestita di punto per andare, probabilmente, al lavoro.
"Niente zia, grazie." Mentre parlava si sedette al tavolo accanto all'altro membro della famiglia, che tranquillamente leggeva il giornale, suo zio.
"Caesar, bisogna fare colazione se no arriverai a fine giornata senza energie. Margaret è pronto il caffè?"
"Ancora qualche minuto ed é pronto. Accidenti, sono in ritardo! A più tardi!"
Affermò la donna che di corsa diede un bacio sulle labbra al marito, uno in fronte al ragazzo ed uscì dalla casa.
"Sempre di corsa quella donna."
Suo zio aveva un portamento davvero goffo, il viso tondo e pochi capelli sulla testa lo rendevano davvero un uomo dall'aspetto simpatico.
L'odore del caffè era una cosa davvero meravigliosa, lui adorava il caffè più di qualsiasi altra bevanda.
Suo zio, consapevole del fatto, gli posò davanti una tazza che lui non rifiutò di certo.
"Il caffè della zia è sempre fantastico, mi sveglierei pure all'alba pur di berlo." Disse Caesar accennando una piccola risata.
"È anche merito mio che l'ho comprato, eh!" affermò lo zio con tono simpatico.
Il moro sorrise per voler compatire il simpatico omone ed avvicinò la tazza alle labbra, che si scottarono appena a contatto con la bevanda. 
"Cazzo, è bollente!" Gridò il ragazzo  tastandosi il labbro inferiore.
Lo zio lo guardò divertito.
"Dovresti smetterla di berlo subito, non scappa mica. Beh ragazzo io vado al lavoro, buona scuola!" Detto questo prese le sue cose e andò fuori. Infondo i suoi zii erano delle persone davvero fantastiche, un po' indaffarati e presi dal lavoro ma erano un'accoppiata forte.
Il ragazzo finì il suo caffè e posò le tazzine con non curanza nel lavabo
 
Non ho tempo per lavarle, scusa zia. Che rottura la scuola, stavo così bene con il mio caffè.
 

Abbandonò la cucina e prese lo zaino che si trovava accanto all'ingresso, se lo mise in spalla e si infilò di corsa un paio di Nike bianche. 
Prese le chiavi, chiuse la porta e le mise in tasca, diede uno sguardo al pacchetto di sigarette quasi vuoto ma decise di ignorarlo, infondo era mattina. Prese per  la via che portava direttamente alla scuola. Quella strada era sempre molto trafficata, gente che correva nei propri uffici, madri che accompagnavano bambini a scuola e roba così.

Madri...

Una leggera malinconia si fece largo nella sua mente, ma decise di ignorarla, scacciò una pietra fino ad arrivare al portone ed entrò.
 
Che scocciatura.
 


*****

 
Non odiava la scuola, lo annoiava e basta.
Detestava sentire degli uomini fare prediche sull'economia e sullo stato, fare esercizi inutili ed avere delle valutazioni. 
Si, Caesar Jackson odiava essere valutato.
Non poteva concepire che un uomo uguale a qualsiasi altro uomo al mondo potesse dire quanto lui valesse, per questo, già dalle prime settimane della sua permanenza i professori lo avevano segnalato come "il ragazzaccio disadattato con mille problemi"
Il suo posto era accanto alle finestre, il ragazzo che sedeva al suo fianco era un normale ragazzino con l'acne ed i capelli poco curati al quale non dava molto importanza.
 
Qualcuno mi salvi. ADESSO.
 
La lezione corrente era quella di Diritto. Il professore era un tipo abbastanza strano, altezza media, occhiali e probabilmente portava il parrucchino o aveva fatto recentemente un trapianto ai capelli,  si divertiva a fare battute strane e a sbagliare volontariamente i nomi di ogni alunno. Insomma, un soggetto che lo infastidiva, ma uno dei pochi che faceva parte della lista delle persone conosciute.
 
"Jacob! Vuole per caso essere interrogato?"
Tutta l'aula si girò verso Caesar il quale roteò gli occhi e disse:
"Mi chiamo Jackson, se vuole la interrogo un po' io sui nomi di tutti noi."
L'intera aula scoppiò in una risata alla quale non si trasse nemmeno lo strano uomo. Nella sua nuova classe sembrava essere diventato già abbastanza popolare, le ragazze pendevano dalle sue labbra ed i ragazzi lo invitavano a qualsiasi genere di party.
Nonostante questo, sentiva di non essersi ambientato del tutto: si sentiva ancora completamente un estraneo, si era perfino fatto eleggere come rappresentante di classe per cercare di abolire un po' la monotonia ma non ottenne niente.
Dopo 4 anni fantastici nella Sua scuola nel New Jersey quel posto gli sembrava solo una grande seccatura piena di gente strana.
 
"Dunque, visto che il nostro Cesare non vuole accomodarsi alla cattedra, Brown, che ne dice di deliziarci con un'interrogazione?"
 
Non è quello il mio nome, idiota.
 
Ah giusto, nella lista delle persone strane della sua scuola con le quali aveva, forse, un po’ più di rapporto c'era anche lui. Jonathan Brown, il rappresentate d'istituto. Dalla prima volta che si erano incontrati quel ragazzo sembrava averlo già messo nella sua lista nera. Qualsiasi cosa dicesse o facesse, lui era sempre lì pronto a fissarlo con un'espressione terribilmente schifata in volto. 
Infondo lui non aveva fatto niente di che, gli aveva dato indirettamente del gay, lo aveva seguito fino a casa e lo aveva fatto, probabilmente, litigare con il padre.
 
"Certo Professore."
Il ragazzo detto questo si alzò e mentre si dirigeva verso il fianco dell'uomo mandò un'occhiata glaciale al moro, il quale rispose con una smorfia.
In quel preciso istante la campanella suonò come per interrompere quel bel siparietto.
 
Finalmente ricreazione!
 
Non ebbe nemmeno il tempo di formulare quel pensiero che Jonathan gli disse con voce antipatica: "Dopo scuola c'è il comitato studentesco, sei pregato di non mancare."
Annuì stancamente e si avviò verso il corridoio.
Dormiva pochissimo e male la notte perciò di giorno era molto spossato.
 
Fantastico, ci mancava solo il comitato. Ma poi chi cazzo l'ha votato quel Brown?!
 
Durante la ricreazione l'istituto diventava una sottospecie di piazza affollata di gente che parlava, mangiava e non si faceva i cazzi propri. Decise di fare il solito giro che ormai era diventato un rituale:
Bagno, piano terra, caffè, cortile, scale, classe.
Si avviò verso la prima tappa sperando di non trovare casino.Aprii la porta del bagno e la richiuse nuovamente dopo aver osservato accuratamente la gente che stava lì dentro. Troppa. Decise dunque di passare alla prossima tappa, scendeva le scale tranquillamente tenendo le mani nelle tasche ed evitando che i ragazzi del primo anno gli sbattessero addosso mentre scendevano le scale correndo. Arrivato alla fine delle scale si diresse subito alla macchinetta per il caffè pronto a farsene uno subito, ma la visione che si trovò davanti fu la peggiore di tutte:

 -Guasto-.
 
Porca puttana.
 
Roteò gli occhi e tirò un calcio a vuoto. Bene, le sue prime tappe erano fottute ma, soprattutto, era senza il suo adorato caffè.
 
"Non pensavo di essere così sfigato, Dio."
 
Pensò a voce un po’ troppo alta mentre camminava verso il cortile del piano inferiore. Alta a tal punto da attirare l'attenzione di qualche seccatura.
 
"Ciaaao moretto! Come stai?" 
Era Alison Evans, una di quelle strane ragazze che si divertivano a rompergli le palle.
 
Ah giusto, nella lista c'erano anche loro. Il gruppetto delle ragazze che se la tiravano un po' troppo per i suoi gusti.
 
"Ciao, scusa potresti staccarti dal mio collo?!"
Stava su di lui come un koala, il profumo emanato dai lunghi capelli rossi lo stava soffocando, come le sue braccia.
"Alison, per l'amor di Dio, lascialo stare!" Pronunciò un'altra ragazza, era Sophie Holmes. La più normale, forse.
"Uffa Sophie! Non dire così! Il mio tesoro mi adora!"
 
Se non fosse una ragazza la picchierei, giuro. 
 
Mentre cercava di mantenere il più possibile il controllo arrivò a salvarlo puntualissima, la campanella che segnava la fine dell'intervallo.
 
GRAZIE.
 
Sophie tirò giù l'amica, la quale sbuffò. Caesar guardo la buona come per dirle grazie, mentre all'altra diede un'occhiata vuota di interesse, lei rispose con un bacio.
 
"Beh noi andiamo, faresti meglio ad andare anche tu! Ciao Moretto."
Pronunciò Alison prima di andare via.  
Entrambe lo salutarono con un gesto e sparirono dietro un corridoio.
 
Fantastico! Per colpa della troietta anche la mia sosta al cortile è andata a farsi fottere, Grazie.
 
Sospirò come per recuperare quel poco di calma che gli rimaneva e si avviò verso l'aula di scienze. Le lezioni di quella materia si tenevano nel laboratorio. Il professore spiegava, faceva dimostrazioni con cose strane e se, malauguratamente, si innervosiva iniziava ad interrogare.
Roteò gli occhi.
Gli piaceva la scienza ma odiava decisamente il professore, era un uomo che pretendeva troppo.
Arrivato davanti l'aula trovò solo qualche suo compagno già pronto a prendere posto, Lui ne scelse uno ben nascosto, per evitare di essere visto. 
 
Altre due ore e sono a casa. Ah no, il comitato.
 
Stese le gambe e sbuffò, senza rendersi conto che tutti i suoi compagni avevano preso posto è che il professore era appena entrato.
 
"Buongiorno, oggi abbiamo due ore? Fantastico! Un'ora si spiega e una si interroga. Iniziamo a spiegare."
 
Fantastico proprio!
 
Il professore iniziò a blaterare ma Caesar nemmeno gli dava ascolto, era intento a riflettere guardando fuori dalla finestra il cielo, ovviamente, nuvoloso.
Non ne poteva più di quel posto, di quelle persone, di quell'accento!
Ma non poteva nemmeno tornare nel New Jersey, nessuno sarebbe stato lì ad accoglierlo.
Il solo pensiero gli provocò un dolore terribile al petto ma non avrebbe pianto, non lì.
Così si affrettò a rimettere la sua maschera d'indifferenza che, oramai, non toglieva più.
Ma andava bene così, si disse, nessuno gli avrebbe fatto provare più quella sensazione di dolore se non avesse fatto avvicinare nessuno.
Che poi lì erano tutti insopportabili, quindi il problema nemmeno sussisteva.
 
"Signor Jackson, potrebbe ripetere quello che ho detto, cortesemente?" Il professore lo distolse dai suoi pensieri.
 
Appunto.
 
"Perché, per caso soffre d'Alzheimer e se l'è già scordato? Certo che qui assumono proprio chiunque."
 
Tutti scoppiarono a ridere, ma si zittirono subito quando notarono lo sguardo rabbioso del professore.
 
Com'è che si chiama? Salatino?
 

L'uomo incominciò a parlare in modo brusco: "Dato che si crede tanto simpatico, mi dica cosa sono le evaporiti. E nel caso se lo stesse chiedendo sono l'argomento di cui stavo trattando con la classe, eccetto lei naturalmente."
 
"Non ne ho idea." Rispose schiettamente.
 
Il professore ghignò: "Bene, allora si accomodi fuori dalla mia classe e le metterò una nota per la sua insolenza."
 
 
Saladin! Ecco come si chiama!
 
Si alzò dal suo posto e, seguito dagli sguardi di tutti i suoi compagni di classe, andò fuori dall'aula come ordinatogli.
 
Proprio ora che mi stavo divertendo.
 
Camminò lungo il corridoio e si sedette su una sedia girevole, dove spesso sostavano i bidelli. In vita sua non era mai stato buttato fuori dalla classe, sì, qualche litigio con i professori c'era stato ma mai fino ad essere cacciato via.
 
Probabilmente, per questo qui è ora di andare in pensione.
 
incrociò le gambe sulla sedia e scrutò una figura che si stava avvicinando verso di lui.
 
No anche lui no. 
 
Preso dal panico di trovarsi a chiacchierare in un momento come quello, si tirò su il cappuccio e si chinò chiudendo gli occhi.
 
"Che ci fai fuori dall'aula, su una sedia e in quella posizione?"
Disse la persona che sostava davanti a lui.
 
"Sono morto."
 
Riconobbe subito la voce poco mascolina del ragazzo che stava davanti a lui: il suo caro compagno Brown.
 
"Se il professore ti trova fuori non te la farà passare liscia."
Disse il ragazzo.
"Pensa per te e torna tu in classe."
"Stavo chiedendo alla Hamilton il permesso per avere l'aula magna libera questo pomeriggio. Ti sei fatto buttare fuori, vero?" 
"Forse."
Alzò un attimo il viso e si soffermò suo ragazzo che accennava una risata.
Solo allora si rese conto che dietro di lui c'era un'altra ragazza, era la bionda del sestetto, Bethany.
Lei si avvicinò e Caesar si appuntò mentalmente di evitare il più possibile lei e la ragazza rossa, Alison.
 
"Ciao Caesar, chi ti ha buttato fuori?" Chiese con voce gentile.

 Eh? Ma non era Sophie quella dolce?

"Saladin" rispose semplicemente.
 
La ragazza fece una smorfia, evidentemente anche lei aveva avuto problemi con lui.
Infatti disse: "Quello è uno stronzo, ama mettere in soggezione gli alunni e poi ha anche un ghigno malefico, è il peggiore di tutti qui."
 
Jonathan ovviamente non la pensava come lei perché affermò in modo antipatico: " Non parlare di un professore in questo modo, Turner. E poi da quando in qua sei gentile con qualcuno? Ti piace Jackson? Mi era parso che piacesse pure alla tua amichetta Evans, che c'è fate a turno? Siete arrivate a questi livelli?"
Bethany divenne di un colore indefinito e digrignò i denti.
Evidentemente era il tipo di persona che non teneva le cose dentro infatti parlò con voce carica di risentimento e rabbia.
"Ma come ti permetti?! Tu non sai nulla di noi eppure ti metti a giudicare. Non sai niente né di me né di Alison  né delle altre, però parli a sproposito. Non pensare di poter comprendere un libro solo dalla copertina, Brown. Devi leggere l'interno. E ti assicuro che se la gente come te, che parla senza sapere di cosa, lo facesse allora molti dissapori sparirebbero. Noi eravamo pronte a sotterrare l'ascia di guerra ma evidentemente tu NO."
Detto ciò fece un brusco cenno di saluto a Caesar, il quale stavolta la salutò  davvero interessato.
 
"Perché devo avere a che fare con gente così? Quelle ragazze sono tutte schizzate, come si permette lei di parlarmi con quel tono?"
Il moro osservava la ragazza che camminava verso la sua classe senza badare al ricco, che stava andando su tutte le furie.
Con il suo discorso era riuscita ad attirare l'attenzione del nuovo arrivato, il quale scosse la testa e volse i proprio sguardo sull'altro.
 
"Non la penso così."
"Come?"
"Secondo me è interessante"
Scostò la sedia e si alzò per stirarsi un po' la schiena.
"Se per te una ragazzina che urla frasi fatte al vento è interessante sei davvero superficiale." Disse John roteando gli occhi.
Caesar addrizzò gli occhi e si avvicinò al viso del riccio quasi a farsi toccare, fece un sorriso malizioso e disse:
"Geloso?"
Il riccio arrossì e scostò l'altro spingendolo con le mani.
"IDIOTA." 
Detto questo gli lanciò un'occhiata glaciale e si incamminò verso la classe.
 
Idiota lui semmai. 
 
Fece spallucce ed accennò una risata volgendo un altro sguardo verso la classe della ragazza.
 
Forse non è poi così male
 


Angolo autrice-
Salvee! Eccoci qui con il quarto capitolo. Questa volta ho voluto provare a mettermi in gioco scrivendo dal pov di Caesar e devo dire che è stato moolto difficile ma mi sono anche divertita tantissimo. Questo capitolo darà diviso in due parti, quindi per ora è solo un capitolo di passaggio, nel prossimo entreremo un pò più nel vivo della storia.
Voglio ringraziare sempre coloro che mi seguono e chi recensisce, NobodyUnderstandsMe e FRAMAR. Grazie anche alla mia Cleo che mi ha aiutata tantissimo anche questa volta. Continuate a seguirmi e a recensire! Alla prossima!
-YuGiesse
 

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Capitolo 6
*** True Friends. -2 ***


Finalmente la giornata era finita.
Per gli altri, naturalmente.
Si diresse con calma verso l'aula magna, dove si sarebbe tenuto il comitato.
 
Ma poi di che cazzo dobbiamo parlare solo lui lo sa.
 
Era quasi arrivato quando vide delle ragazze litigare animatamente.
Iris Rivers, Cleo Potter e Bethany Turner discutevano con altre due studentesse : una bassissima coi capelli ricci ed un'altra che riconobbe come quella rompiscatole di Adeline Harvey.
Quest'ultima aveva passato due giorni ad andargli dietro come cagnolino, una terribile scocciatura.
 
Avrebbe evitato volentieri altre ragazze petulanti per quel giorno ma ,evidentemente, Dio non la pensava così.
 
"Oh ciao Caesar" lo salutò Iris, educatamente.
Tutte si girarono verso di lui, Adeline fece un urletto stridulo.
"Oh mio Dio! Anche tu rappresentante di classe?! Questo significa che potremo stare molto più tempo insieme!"
 
OH CAZZO!
 
"Potresti finire il discorso che avevi iniziato, per cortesia?" Disse Cleo, con una faccia che tradiva tutto il suo risentimento nei confronti dell'altra.
"Dicevo che non potete partecipare tutte e sei al comitato, devo farti un disegnino?" Rispose la Harvey.
L'interessata fece una smorfia prima di rispondere, dicendo: "Non ti preoccupare, io non ho bisogno né di disegnini né di croccantini, né di attenzioni. Possiamo partecipare tutte al comitato  perché ne facciamo tutte parte."
Detto questo entrò in aula magna seguita dalle sue amiche. 
 
Caesar si affrettò a seguirle e si sedette proprio accanto a Bethany.
"Che problemi avevano quelle due?" Le chiese, intavolando un discorso.
La bionda sospirò e disse: "Antipatie reciproche."
Il moro annuì e le chiese se pensasse veramente quello che aveva detto poco prima a Jonathan.
Lei lo guardò stupita e gli disse: "Non pensavo avessi prestato attenzione, comunque sì lo penso davvero. Lo ammetto, non siamo delle sante ma nemmeno come ci descrive la maggior parte della gente." 
Caesar la fissò a lungo ma non ebbe tempo di rispondere, perché in quel momento arrivo il rappresentante.
 
"Buonasera a tutti, siamo qui per decidere cosa fare per Halloween. Qualcuno ha delle idee?" 
Una ragazzina che poteva essere del primo anno si alzò e disse: "Organizziamo un ballo con tema Halloween! Sarà spettacolare!" 
"Ricordo a tutti che, nonostante questa non sia una scuola religiosa, bisogna rispettare il credo di tutti e non esagerare." Affermò Jonathan, piccato come sempre. 
Si alzò un coro di lamentele, quelle più pesanti provenivano proprio da Iris, che iniziò addirittura a sventolare il dito medio a mo di bandiera.
 
Ma che cazzo di festa di Halloween vuole fare questo? Una cosa da cristiani?
 
"Appunto perché siamo un istituto in cui non si parla di religione questi moralismi dovrebbero essere messi da parte. Chi non vuole festeggiare Halloween alla giusta maniera se ne può stare a casa!" Sbottò l'americano punto sul vivo.
 
Eh no, Halloween non me lo dovete toccare.
 
Amava Halloween fin da bambino, era la sua festa preferita. 
Si disse che, magari festeggiando come faceva in New Jersey, si sarebbe sentito maggiormente a suo agio in quel posto.
 
"Ti piace davvero molto Halloween, eh?" Domando Bethany, accennando un sorriso.
Annui semplicemente, ricambiando il sorriso. Si rese conto solo dopo che gli occhi di tutte le altre del sestetto erano puntati su loro due.
 
"Non possiamo fare a votazioni?" Un ragazzo del quinto anno alzò la mano per proporre l'idea che, a quanto pare, andò bene a tutti. La maggioranza era favorevole.
"Ragazzi, il ballo è un'ottima idea, ma vorrei evitare che veniste vestiti in modo da urtare il pensiero altrui, capite che intendo?"
"Ma questo c'è l'ha mandato il Papa?!" Sussurrò Caesar all'orecchio della bionda, la quale rise. 
Si trovava a proprio agio con quella ragazza, gli piaceva molto il suo modo di pensare ed era anche carina, decisamente.

"Jackson, che ne pensi della nostra idea?" Disse il rappresentate a voce abbastanza alta ed alterata.
Il ragazzo si limitò a fare spallucce.
"Invece di pomiciare con la Turner potresti benissimo ascoltare di cosa stiamo discutendo, mi dovevo proprio aspettare tutta questa maleducazione da un Americano."
"Hai origini americane anche tu, allora." Affermò il moro cercando di nascondere la rabbia.

Nessuno doveva parlare male della sua America, tanto meno un figlio di papà perennemente mestruato.
 
"Assurdo! Ti sembra modo di rispondere? I tuoi genitori non ti hanno insegnato come ci si comporta a scuola? Che gente .."
In aula magna scese il silenzio, tutti osservavano Caesar in attesa della sua risposta. Dall'altro canto il ragazzo, che fino a qualche minuto fa stava cercando di mantenere  la calma, diventò scuro in volto.
 
Questa proprio no
Nessuno.
Si.
Deve.
Permettere.
Come osava quel bambino viziato offendere i suoi genitori?!
 
"Vedi di chiudere quella cazzo di bocca, Brown. Non ti conviene farmi incazzare." Disse con voce tremante di rabbia, alzandosi dalla sedia ed avvicinandosi pericolosamente al rappresentate.
Ma evidentemente l'altro non aveva capito quanto si era spinto oltre perché continuò dicendo: "Ma certo! Scommetto che mammina e papino ti hanno portato qui perché non ce la facevano più ad avere un figlio maleducato e irrispettoso come te. Quasi li compatisco, ma la colpa è solo loro." 
Fu allora che Caesar emise un ringhio quasi animale e si avventò sul riccio, colpendolo in viso con un pugno ben assestato.
L'altro non ebbe nemmeno il tempo di capire cosa stava avvenendo che si ritrovò steso a terra con il labbro sanguinante e il moro che continuava a picchiarlo sopra di lui.
 
Il moro si sentì sollevare da numerose braccia e solo allora si fermò.
Anthony lo guardava scioccato mentre tentava di rimettere in piedi il suo amico Jonathan.
"Ma che problemi hai, Jackson?!" Strillò il rappresentate tastandosi lo zigomo sinistro.
Caesar vibrò di rabbia e disse con voce bassa: "Sei solo un bastardo. Non parlare di cose che non sai, i miei sono morti un mese fa. Non ti azzardare a parlare più di loro e di come mi hanno educato senza prima sciacquarti la bocca!"
Detto questo uscì dall'aula magna con un macigno nel petto.
Era la prima volta in cui  ammetteva a voce alta che i suoi genitori non c'erano più.
Sentiva le lacrime pizzicare  e il dolore al petto farsi sempre più intenso ma non vi badò.
 
Voglio solo un po’ di serenità. Ne ho bisogno.
 
Asciugò le lacrime con la manica della felpa e corse giù per le scale, arrivando al suo cortile.
Se prima non reggeva quel posto adesso lo odiava con tutto il suo cuore, avevano offeso i suoi genitori e lui aveva mostrato le sue emozioni.
Non solo, aveva anche sbandierato la storia della sua vita a tutti e, come se non bastasse, stava piangendo come un bambino.
Arrivato fuori si sedette per terra, avvicinando le ginocchia al petto sulle quale poggiò la testa. Non voleva arrivare a questo punto, sul serio. Aveva giurato a se stesso che non avrebbe pianto mai più per loro, ma che li avrebbe ricordati per sempre col sorriso sulle labbra.
Ma non era colpa sua.
Era tutta colpa di uno stupido ragazzo al quale aveva dato troppa confidenza.
Alzo gli occhi e si guardò il pugno, non doveva usare la sua bravura per questo, era contro la sua morale, ma non se ne pentiva.
Sospirò, non appena si rese conto che le lacrime non cessavano di scorrere. 
 
Quel che fatto è fatto.
 
Strizzò gli occhi e si accese una sigaretta, una sola, non poteva fumare, lo sapeva, ma non riusciva a smettere. La poggiò sulle labbra ed iniziò ad aspirare. Il vento iniziava a soffiare più forte, tra poco doveva rientrare a casa ma se sua zia l'avesse visto in queste condizioni sarebbe scoppiata a piangere anche lei e poi, sicuramente, dopo aver picchiato a sangue un suo compagno  non l'avrebbe passata così liscia.
Un'altra lacrima scese sulle sue guance, seguita da un colpo di tosse.
 
Non posso fumare così, porca puttana.
 
Preso dalla rabbia butto via la sigaretta appena accesa e si strinse il petto.
 
"Ti prendi sempre i migliori, eh? Cosa ti avevano fatto di male, avevano ancora tutta la loro vita davanti, bastardo."
 
Urlò quelle parole piene rabbia al cielo singhiozzando.
La consapevolezza che quel dolore non sarebbe mai andato via gli fece mancare il fiato.
Perché il mondo andava avanti mente lui era rimasto indietro? Era rimasto fermo a quel giorno.
 
"Ciao, scusami posso sedermi?" Quella voce...
Si voltò per guardarlo in viso, Jonathan Brown aveva uno zigomo ormai completamente nero e il labbro gonfio.
Si fissarono per un po’, Caesar aveva smesso di piangere ma si rese conto che il riccio aveva gli occhi lucidi.
 
Avrà pianto per il dolore? Forse ho esagerato.
 
Scosse la testa. No, non aveva esagerato, era lui quello che aveva sbagliato.
Abbassò lo sguardo e strinse i pugni, cercando di ignorare la sua rabbia ed il ragazzo che, senza aspettare risposa dell'altro, si era già accomodato al suo fianco.
 
 Vattene, ti prego.
 
Non poteva rimanere lì. La sua calma l'avrebbe tradito e non poteva permettersi di rompergli l'altro zigomo. Decise di alzarsi, non stava bene, il malditesta lo stava distruggendo, aveva bisogno di buttarsi nel suo letto e dormire fino all'indomani.
 
"Sai che potresti essere sospeso?"
 
Si girò di scatto verso il riccio che pronunciò quelle parole a voce bassa. Lo degnò solo di uno sguardo, paragonabile a quello che aveva quando gli stava spaccando la faccia. Non gli importava di essere sospeso, tanto meglio, non avrebbe più visto quello schifo di gente, eccetto Bethany, lei era l'unica che si salvava in quel momento. Jonathan aveva proprio l'espressione di un cane abbandonato, bisognoso, di un abbraccio. Ma se in quel momento Caesar l'avesse abbracciato l'avrebbe fatto solo per fargli esplodere gli occhi. 
Scosse la testa.
Non doveva pensare a queste cose, non era lui, non doveva essere violento. Strinse i denti maledicendo ancora il ragazzo nella sua mente.

"Ho parlato senza pensare e di questo me ne pento. Tu però dovresti cercare di contenere la rabbia, se invece di me fosse stato qualcun altro  avresti potuto fargli provare molto più dolore di quello che sto provando io." Disse con un certo contegno.
Caesar non ci vide più. 
"DOLORE?! COSA NE SAI TU DEL DOLORE?" 
Evidentemente Brown capì il suo sbaglio perché si alzò e mise le mani avanti.
"Senti, davvero non volevo, scusami. A volte parlo senza riflettere, ero solo un pó offeso perché non ascoltavi e facevi comunella con Bethany. Ho sbagliato, non so niente di te e ho detto cose che non penso davvero." Parlò tutto d'un fiato.
Il moro lo fissò per qualche istante, poi si allontanò a grandi passi verso l'uscita della scuola.
 
Devo tornare a... casa.
 
Arrivò davanti al cancello senza voltarsi indietro nemmeno una volta, il sole stava già calando, diede un'occhiata in giro sperando di essere solo, non voleva parlare con nessuno, Avrebbero fatto sicuramente domande scomode e lui non le avrebbe rette. Ma, purtroppo, forse, non era solo. Scorse in lontananza una figura femminile seduta su una panchina a gambe incrociate. Riconobbe subito quei capelli biondi, era Bethany.
Gli venne un groppo alla gola. Cosa pensava di lui adesso? Lei era lì quando si è messo a fare scena davanti a tutti, sarà rimata schifata, sicuramente.
 
Chissà cosa penserà di me adesso. Cazzo.
 
Scosse la testa, si stava preoccupando di cose così inutili in un giorno come quello. Quel posto lo stava rimbambendo completamente. 
Decise di continuare a camminare normalmente, quando notò che la bionda già lo stava osservando da un po' sorridendo.
 
Mi sorride?
 

Non ebbe il tempo di pensare che la ragazza si precipitò subito da lui a passo svelto. 
 
"Ciao..."
"Ciao Caesar, ti stavo aspettando, non ti abbiamo più visto dopo, ehm.. Il comitato e quindi ero cioè eravamo tutte un po’ preoccupate."
 
Deglutì, non si trovava così faccia a faccia con una ragazza da troppo tempo, e nessuna di quelle con le quali era stato era così carina. 
Non gli interessavano molto cose tipo l'amore, lo dimostrava il fatto che ogni sua relazione non durava più di un mese. Il New Jersey era pieno di ragazze fantastiche, belle e forti, ma nessuna, nessuna lo aveva mai colpito subito come lei. 
Scosse la testa.
 
"Io... Sono andato nel cortile a rinfrescarmi un po' la mente e adesso dovrei tornare a casa che i miei zii mi aspettano sicuramente."
 
Che cazzo sto dicendo?! No cazzo no, non è vero, non devo tornare a casa.
 
"Sto tornando a casa anche io, ti va di fare la strada insieme?"
"Certo."
 
Iniziarono a camminare per un po’, dopodiché Bethany iniziò a parlare, rompendo il ghiaccio che si era creato.
"Allora... Tu dove abiti esattamente?" 
"Qua vicino, ci vogliono 5 minuti a piedi." Rispose in modo brusco. 
Lei si zittì subito dopo.
 
Sto esagerando, devo comportarmi in modo normale. Devo averla spaventata.
 
Il moro fece un lungo respiro e disse: "Senti, so cosa stai pensando. Devi avermi preso per un animale poco fa ma ti giuro che non ho mai fatto una cosa del genere prima d'ora. Mi dispiace tantissimo se ti ho spaventata." 
Lei scosse la testa sorridendo e fissandolo negli occhi in modo normalissimo, tanto da fargli sentire un senso di tranquillità.
 
Da quando sono morti i miei tutti mi guardano con compassione.
 

"Se avessi paura di te avrei proposto di fare la strada insieme?" Domandò.
Il ragazzo sembrava colpito.
"Effettivamente non ci avevo pensato" Disse solo, facendo ridacchiare la bionda.
"Sei strano Caesar, però sei molto interessante."
"E tu sfidi la sorte, hai visto, no? Sono una bomba ad orologeria. Posso esplodere da un momento all'altro." Disse lui nervosamente.
"So per certo che non lo farai." Affermò risoluta.
 
Si fermarono davanti a casa degli zii di Caesar, non erano ancora tornati dal lavoro.
 
"Penso che dovremmo frequentarci." Ammiccò lui.
Sembrava che tutto ciò che fosse successo nella mezz'ora prima fosse solo un ricordo offuscato.
C'erano solo loro due in quel momento.
 
"Sì, lo penso anche io."
 
Si sentiva confuso, strano. Non capiva bene cosa gli stava succedendo, guardava quella ragazza davanti a lui, con lo sguardo basso e arrossata in volto e non sapeva cosa fare. Doveva dire assolutamente qualcosa, qualcosa di intelligente, ovvio, ma almeno qualcosa.
Ma, per la seconda volta, fu la ragazza a spezzare il silenzio.
 
"Io abito qui vicino, se ti va domani passo da qui e andiamo a scuola insieme.." 
 
"Certo!"
Sorrise, era felice di aver trovato qualcuno con cui parlare e passare la giornata, però non doveva andare troppo oltre, assolutamente; ogni volta che cominciava ad affezionarsi troppo a qualcuno rivedeva davanti ai suoi occhi il dramma della sua famiglia, i suoi amici, la sua casa, la sua vera vita, di tutte le cose che amava di più.
Scosse la testa, rendendosi conto che era calato nuovamente il silenzio. Non poteva continuare così.
 
"Caesar, io devo andare adesso.. Ci vediamo domani mattina, ok?"
La ragazza spezzò il silenzio, di nuovo, ma sta volta in un modo inaspettato. Doveva andare via e lui si era comportato da rimbambito, non poteva lasciarla andare così.
Fissò la bionda, che si stava allontanando da lui salutandolo con la mano, avanzò verso di lei con passo svelto afferrandole il polso facendola girare verso di lui. 
Osservò i suoi occhi azzurri. Non amava molto le ragazze dal suo aspetto, ma Bethany era diversa. Allungò le mani verso di lei posandole dietro la sua testa toccandole dolcemente i capelli, avvicinando il suo viso verso di lui. Poteva sentire benissimo il battito del cuore della ragazza che nel frattempo era diventata totalmente rossa in volto. Le fece un sorriso posando le sue labbra su quelle della ragazza staccandosi subito dopo. 
 
"A domani.."
 
Bethany corse via, ancora rossa, lasciandolo li, da solo a fare i conti con se stesso. Si tastò il labbro, tenendo lo sguardo basso. 
Sospirò.
 
"Cosa c'è di sbagliato in me?"


Angolo Autrice-

Salve a tutti! Eccoci all'ultima parte di questo capitolo pov. Caesar. Mi scuso in anticipo per la lunghezza, ridotta rispetto a quello precedente, ma, spero comunque, che sia di vostro gradimento! Stiamo entrando nel vivo della storia e d'ora in poi le cose avranno tutte un senso, eheh.
Come sempre voglio ringraziare chi recensisce, chi mette tra le seguite/preferite e chi solamente lette. Mi scuso anche per non aver potuto rispondere alle recensioni, è stata una settimana pienissima e non ho avuto tempo, ma sappiate che mi state dando una forza incredibile e che vi ringrazio infinitamente! Grazie anche a tutti coloro che mi hanno aiutato per la fine di questo capitolo, Alla prossima!
-YuGiesse
 

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Capitolo 7
*** Pumpkin pie ***


Due settimane dopo..


Gli piacevano le feste, ma Halloween decisamente no. Essendo di famiglia molto cristiana, i suoi non gli avevano mai permesso di festeggiarlo. Fosse stato per lui non avrebbe mai organizzato questa stupida festa a scuola. Ma doveva, glielo doveva.
 
"Eliza, Non c'era alcun bisogno che mi accompagnassi con la macchina, potevo andare a piedi."
 
Guardava fuori dal finestrino, più che guadare l'esterno si specchiava, per controllare se il suo aspetto fosse ridicolo. Sua sorella lo aveva costretto a truccarsi e vestirsi da scheletro, non era il suo genere ma tutto sommato si sentiva bello. 
 
"Ma smettila! Il rappresentante deve avere la sua entrata trionfale!"
 
Vedeva sua sorella pochissime volte l'anno e le voleva bene, nonostante i suoi genitori facessero confronti continuamente con lei. Ed oggi aveva deciso di accompagnarlo a quella stupida festa.
Si girò a guardarla, era la sua copia, più grande di qualche anno, dotata di capelli lunghi e tette. Sentendosi fissata si girò a guardarlo, accennando un sorriso.
"Vedi di divertirti, sei stato un po' giù in questi giorni."
 
Si notava così tanto?
 
"Ok, stiamo arrivando, puoi lasciarmi qui."
Sbuffò. Quella settimana era stata la peggiore di tutta la sua carriera scolastica. Era arrivato al punto di non riuscire più a prendere il massimo in matematica, il suo forte. Scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli.
 
"Non vuoi che ti lascio davanti?"
 
"No, grazie."
Fece un sorriso alla sorella e scese dalla macchina, avviandosi verso l'entrata della palestra, dove all'interno si stava svolgendo la festa.
Deglutì, doveva divertisti e basta, senza pensare a niente. Appena entrato nella stanza si guardò intorno,  era tutto nero e arancione, c'erano tantissime zucche. Si avvicinò al tavolo del buffet dove riconobbe il suo amico Anthony, impegnato a parlare con altri compagni. 
"Heei, John! Finalmente ti sei deciso a farti vivo!"
Gli corse incontro, era vestito da Jack o' Lantern, un'idea fantastica, perché non ci aveva pensato lui?!
Si diedero il cinque.
"Sophie non c'è?" Domandò il riccio guardandosi intorno.
"Ah si, l'ho mollata." Rispose l'altro facendo spallucce.
"Cosa?! Ma sei idiota? Che è successo?" Non poteva crederci, quei due erano la personificazione dell'amore vero.
"Non scaldarti! Era diventata troppo assillante, tutto qui."
"E ti sembra un buon motivo per lasciare la tua ragazza?Non ti credevo così."
"Non iniziare anche a tu a farmi la predica, inizia a divertirti un po' piuttosto."
Detto questo lo salutò con un cenno e si buttò nella mischia. Quella serata non annunciava niente di buono.
Si girò verso un tavolo dove erano raggruppati tanti ragazzi, probabilmente quello degli alcolici, si diresse lì, sperando di trovar qualcosa da fare o qualche professore con il quale chiacchierare. Il sestetto aveva fatto un bel lavoro con l'organizzazione, anche la musica era fantastica, un po' troppo movimentata ma bella.
 
Dovrei andarmi a complimentare con loro...
 
Sospirò e decise che era la cosa migliore da fare, ma prima avrebbe preso qualcosa da bere.
Arrivato al tavolo prese un bicchiere e lo riempì di Vodka, volse il proprio sguardo su un divanetto dove vide seduta Sophie Holmes, stranamente, senza la compagnia del resto del gruppo.
Senza pensarci troppo si sedette accanto a lei. 
"Ciao Sophie." 
"Ma guarda chi abbiamo quiii." Lei si alzò in piedi e lo abbracciò barcollando.
 
"Volevo ringraziare te e le altre per l'organizzazione della festa, siete state proprio brave."
La spinse leggermente all'indietro per staccarsela di dorso e le diede un'occhiata. Era vestita in modo delizioso nonostante fosse Halloween. Ma il suo alito puzzava d'alcool ed aveva uno sguardo strano.
"Ma di cooosa! Ci siamo divertite tantissimo! Andiamo a bere un po', dai!"
"Cos-. Aspetta!"
Nemmeno il tempo e nel giro di due minuti si trovava seduto accanto a Sophie con il bicchiere pieno di birra. L'altra, nel frattempo, era arrivata al terzo bicchiere. 
"Senti, dovresti smetterla Sophie, vado a cercare le ragazze, rimani qui."
Cercò di alzarsi per trovare aiuto ma lei lo tiro dalla manica della camicia, costringendolo a sedersi.
"Dai, tranquillizzati un po'! Deprimiamoci insieme, so che anche tu hai il cuore spezzato come me!"
Si girò di scatto verso la ragazza che pronunciava quelle parole interrotta dalle continue risate, era evidentemente ubriaca.
"Di cosa stai parlando?!"
Lo tirò verso di lei indicandogli qualcosa.
"Per quello, ovvio!"
Ebbe un sussulto, stava indicando una coppia che ballava un lento sulla pista.
Caesar e Bethany.
Il respiro gli si fece pesante, stavano davvero insieme? 
Non che gli interessasse ma era come se gli desse fastidio, tanto fastidio.
"Su riprenditi! Bevici su! Che dovrei dire eh? Quello stronzo mi ha abbandonata come se fossi spazzatura."
La guardò, aveva iniziato a piangere e ridere nello stesso tempo. Bevve un sorso.
"Mi dispiace."
"Ascoltami.. Non sei il primo a dirmi che gli dispiace."
Un altro sorso.
"Piuttosto, prendimi ancora da bere."
Senza farselo ripetere una seconda volta si alzò per riempire il suo bicchiere e quello della ragazza, quella musica troppo romantica lo irritava terribilmente, cosa cazzo c'entravano i lenti con Halloween?!
Ritornò da Sophie, che lo aspettava mezza sdraiata sul divanetto. Si sedette al suo fianco, porgendole il bicchiere. Iniziò a bere il suo, volgendo lo sguardo sulla coppia che tanto lo aveva scosso. Si concentrò sul ragazzo, era perfetto, probabilmente rappresentava un vampiro, si poteva capire benissimo dai canini che metteva in evidenza quando sorrideva. La pelle era leggermente biancastra ed i capelli portati all'indietro con il gel.
Poteva fare benissimo il modello.
Arrossì 
 
Che cazzo sto guardando?!
 
Scolò tutta la sua bibita rendendosi conto che sia lui che Sophie erano stati accerchiati dal resto del sestetto, eccetto Bethany, lei era troppo impegnata a infilare la propria lingua dentro la bocca di Caesar.
 
"Ma guarda chi abbiamo qui!" Riconobbe subito il tono antipatico di Cleo, doveva scappare. 
Cercò di strisciare furtivamente fuori da quel posto quando i suoi tentativi di fuga furono mandati in fumo da Sophie che si avvinghiò al suo collo, quasi al punto di strozzarlo.
 
"Heii non toccate il mio amichetto! Lui si che mi vuole beeeene!" Disse la ragazza ridendo. Era fuori.
 
"È ubriaca." Affermò Julia in tono sapiente.
"Decisamente." Le rispose Iris, osservando il riccio.
 
DEVO SCAPPARE.
 
Ma, a quanto pare, il destino non era dalla sua parte, infatti poco dopo si ritrovò a bere il suo quinto bicchiere della serata in compagnia di quelle ragazze che cercava di evitare il più possibile.
 
"Non sei poi così rompipalle, Brown!" Disse Iris, mentre si scolava anche lei l'ennesimo drink della serata.
"Non dirgli così che poi si monta, su!" La rimproverò Cleo. 
Le altre risero, John non sapeva come comportarsi con loro.
Dopo quattro anni di litigi si poteva ricominciare da capo?
Sophie si stringeva al suo braccio mentre rideva in modo isterico, Iris e Julia parlavano tra loro, Alison e Cleo indicavano qualche ragazzo nella sala.
 
 Visti da lontano possiamo sembrare un gruppo di amici.
 
Si voltò e guardò per l'ennesima volta la coppia che adesso ballava in modo strano, la musica era diventata più forte.
Iris probabilmente intuì dove stava guardando perché gli si avvicinò e disse: "Ormai sono due settimane che stanno insieme, non lo sapevi?"
Il ricco scosse la testa, era stato talmente tanto preso a crogiolarsi nei sensi di colpa che non si era reso conto di cosa accadeva attorno a lui.
Alison sembrò oscurarsi in viso, a quanto pare non le era andato giù il fatto che Caesar avesse preferito un'altra a lei.
Poi sembrò ricordare che quella era sua amica, allora diede un ultimo sorso al cocktail e si avvicinò ad un ragazzo dell'ultimo anno.
 
"Beh, non lo conosciamo molto bene, ma Bethany sembra felice." Rifletté Julia.
Cleo appoggiò il bicchiere sul tavolino con forza.
"Devo forse ricordarti la scenata in aula magna?! Lo stava ammazzando!" Strillò indicando Jonathan.
Il ragazzo in questione restò un attimo senza parole, a bocca aperta.
Lei gli lanciò un' occhiataccia e disse: "Non so che strane idee ti stai facendo ma non lo dicevo per te. Sono preoccupata per Bethany." 
Iris, Julia e Sophie risero, sembrava stessero pensando tutte alla stessa cosa.
Infatti Iris parlò: "Certo Cleo, certo. Eppure noi tutte ricordiamo che ti sei precipitata a prendere il ghiaccio quando Caesar l'ha picchiato." 
Lei arrossì.
"Odio quando la gente capisce che ho un cuore." Disse la mora in questione.
Dal suo canto John era sempre più confuso, non sapeva fosse stata lei a prendere il ghiaccio.
 
"Beh, grazie Potter." 
"Di nulla, Brown." Rispose l'altra semplicemente.
Julia si allontanò e andò a ballare con il suo ragazzo.
 
"Uffa, siamo rimasti in quattro." Borbottò Sophie.
 
Continuarono a parlare, bere e scherzare per altro tempo, il ragazzo si stava divertendo e aveva dimenticato la tristezza che l'aveva accompagnato fino a quel momento.
 
"Guardate chi si degna di farci un po' di compagnia!" Quell'atmosfera, stranamente felice, fu spezzata da Iris che si alzò per andare incontro a qualcuno. 
"Heeeei john! Non preoccuparti, se ti colpisce di nuovo ci penso io a proteggerti." Scosse la testa guardando Sophie cercando di capire cosa stesse dicendo.
"Come scusa?" 
"Ciao ragazze! Vi state divertendo?" Riconobbe all'istante Bethany senza neanche dover alzare lo sguardo verso di lei.
 
Dio, fa che non ci sia anche lui.
 
"Siii! Il nostro nuovo migliore amico ci ha fatto divertire tantissimo!"
Affermò Sophie stritolando, ancora, il braccio del ragazzo.
"Non allarghiamoci troppo adesso." Le rispose Cleo accennando una risata.
"Ciao Jonathan."
"Ciao Bethany." Posò il suo sguardo sulla ragazza per poi guardare intorno. Non c'era traccia di Caesar.
"E lui dove l'hai lasciato?" Domandò Iris accennando uno strano sorriso.
"È andato a prendere da bere, sta arrivando." Le rispose la bionda.
 
Nemmeno il tempo di dirlo che arrivò, teneva in mano due bicchieri: uno per sé ed uno per la sua fidanzata.
 
"Ciao ragazze! Bellissima festa!" Disse allegramente.
A quanto pare non si era accorto che John si trovava lì con loro.
Improvvisamente si voltò e i loro sguardi si incrociarono.
 
"Ciao Caesar." 
Non rispose.
Non sapeva cosa dire, non voleva incontrarlo, non in quel momento e non con Bethany al suo fianco. Voleva alzarsi, non avrebbe sopportato quell'atmosfera ancora per molto.
Ma a quanto pare era l'unico che se ne preoccupava veramente, l'altro ragazzo se ne stava tranquillamente a chiacchierare ignorando completamente la sua presenza.
Allungò la mano verso il tavolino prendendosi un altro drink.
Era irritato, ma non poteva dargli torto. Infondo avrebbe reagito così anche lui, ma, nonostante tutto, non riusciva a non guardarlo. 
Era bellissimo, i ragazzi americani avevano il loro fascino. 
Scosse la testa
 
Smettila di guardarlo, cazzo John!
 
Osservò il bicchiere che teneva in mano, forse doveva chiudere con l'alcool per quella sera. 
 
"Vado a salutare degli amici, a dopo." 
Le parole del moro attirarono la sua attenzione.
 
Era ora.
 

"D'accordo, a dopo." Disse Bethany lasciando un timido bacio sulle labbra a Caesar.
Face una smorfia.
Si alzò dal suo posto per prendersi nuovamente da bere, seguendo il ragazzo con lo sguardo. doveva parlare con quelle ragazze, non riusciva a togliersi quel chiodo dalla testa. Cosa pensava adesso Caesar di lui?
Sapeva già la risposta, ma, per la prima volta in vita sua, voleva non aver ragione.
 
"Ragazze, devo chiedervi una cosa."
Riprese il suo posto accanto a Sophie e fece un respiro.
"Cosa ne pensa il vostro amico Caesar di me?"
Silenzio.
Le ragazze cominciarono a scambiarsi sguardi strani, mentre Sophie continuava a ridere, come sempre.
Non ricevendo una risposta, il ragazzo continuò: "Ce l'ha ancora con me?" 
Finì la frase ridacchiando in modo strano.
Non c'erano dubbi, era ubriaco anche lui.
Bethany sospirò e disse: "Bisogna fargli metabolizzare la cosa."
Jonathan si indispettì: "Wow, dopo nemmeno due settimane giá ti atteggi a ragazza che lo conosce come le sue tasche?!"
Rise.
"Sicuramente lo conosco meglio di te."
Il riccio per tutta risposta prese un altro drink e ricominciò a ridere.
Sophie invece si accigliò.
"Non parlargli così! Lui mi ha aiutata più di tutte voi." Disse improvvisamente arrabbiata.
John si avviò verso il banco degli alcolici più forti, doveva dimenticare quella serata.
 
Dopo un tempo indefinito si rese conto che la stanza iniziava a girare, così si alzò barcollando e si avviò verso l'uscita.
Aveva bisogno d'aria.
Uscito, sedendosi sull'erba fresca, non si accorse subito della persona che stava dietro di lui.
 
Poi si voltò e vide che c'era Caesar, stava fumando.
"Ti sei incazzato senza che io sapessi niente della tua storia. Ti atteggi a idolo della scuola e sei qua da meno di un mese, mentre io mi sono fatto il culo per essere apprezzato. Ora ti sbatti la Turner ed io convivo con questa sensazione, è un fastidio che non so nemmeno descrivere ma che non ho mai provato prima."
 
Concluse questa frase iniziando a ridere, buttando la testa all'indietro. Aveva gli occhi annebbiati dall'alcool.
 
"Ma quanto hai bevuto?" Chiese il moro, abbassandosi alla sua altezza e guardandolo in faccia per la prima volta dopo tanto tempo. 
 
"Giusto un po'."
Affermò, facendo uno strano sorriso. Ma non durò a lungo, perché improvvisamente ebbe un conato di vomito e rigettò tutto per terra.
Si asciugò le labbra con la manica.
Non poteva reggersi in piedi, non lo avrebbe fatto mai più.
Guardò Caesar che, senza dire una parola, si sedette dietro di lui,  continuando a fumare.
"Continua pure."
"Va via."
Si portò le mani davanti la bocca, non ragionava, ma non voleva comunque che lo vedesse in quello stato.
Non riuscì a trattenersi, ributtò fuori tutto ciò che aveva bevuto, ed anche le lacrime cominciarono ad uscire,  pizzicandogli le guance.
Sentii il suo tocco, il moro si era avvicinato a lui tenendogli la fronte,  senza un motivo logico.
"C-cosa stai facendo?"
"Non so, mia madre lo faceva sempre con me quando ero piccolo."
Finalmente finì di vomitare, era a pezzi.
Si mise in una posizione fetale, non voleva guardare il moro.
Aveva fatto una figura terribile e, nonostante ormai la quantità di alcool nel suo sangue fosse ridotta, pensava con poca lucidità. 
 
Cercò di schiarirsi la gola, aveva un sapore terribile in bocca.
"Vuoi fare un tiro? Almeno non ti resta il sapore di vomito in bocca per tutta la sera." Disse Caesar tranquillamente.
Sembrava che tutti i fatti delle settimane precedenti fossero stati cancellati.
"Sì, grazie."
In una situazione normale avrebbe risposto negativamente, come faceva sempre.
Così il ragazzo gli offrì la sigaretta e John aspirò.
Iniziò a tossire.
No, decisamente. Le sigarette non erano cose per lui. 
Caesar rise, probabilmente se lo aspettava.
"Ti faccio ridere?" Domandò il riccio.
Non era arrabbiato o offeso, solo stanco.
"Sembri tanto un cucciolo ferito in questo momento. Ed io sono il cattivo che ti fa cadere in tentazione con la sigaretta, approfittando di un tuo momento di debolezza."
 
Sorrise, ma ripensò ai motivo per cui aveva iniziato a bere e si rabbuiò.
"Comunque, per quello che conta, ho esagerato durante il comitato. Ero solo molto arrabbiato."
"Scuse accettate." Il sorriso tornò.
 
Arrivarono le ragazze del sestetto più Alex, il fidanzato di Julia.
"Cavolo, Brown. Sei ridotto uno schifo!" Disse quest'ultimo ridendo.
"Jonathan, stai bene?" Chiese invece la sua ragazza, dando una gomitata sulle costole all'altro.
"Ma se la puzza di alcool che fa si sente praticamente a 10 metri di distanza!" Disse Cleo.
Bethany e Iris, nel frattempo, trasportavano una barcollante Sophie. 
Anche lei, forse per il movimento fatto nel tentare di camminare sui tacchi, si rannicchiò e vomitò anche l'anima.
 
"Stasera Sophie dorme da me, non può tornare a casa in queste condizioni." Dichiarò Bethany.
"Ragazze, aiutatemi a portarla al letto." Concluse rivolta alle sue amiche.
 
"A lui chi lo mette a letto?" Chiese Alison arrivata da chissà dove, indicando il riccio che, a fatica, tentava di rimettersi in piedi.
 
"Posso tornare a casa da solo." Rispose John con quel poco di voce che gli rimaneva.
"Non puoi tornare a casa così, i tuoi ti ammazzerebbero!" Affermò Iris guardandosi in giro.
"Andate pure, ci penso io."
Non capiva cosa gli stava succedendo, si sentii sollevare da terra e preso sotto braccio.
"Non mi sembra una buona idea." Disse preoccupata Bethany.
"So cosa faccio, buonanotte."
Avanzò barcollando, ma con il sostegno di Caesar, che, a quanto pare, lo stava portando a casa sua. 
"Lasciami, non posso non tornare a casa." Gli si chiudevano gli occhi, era distrutto.
Sfortunatamente, casa di Caesar sembrava lontana anni luce.
"Ti prego, devo tornare a casa. Tu non sai come sono i miei!" 
"Molto simpatici devo dire. Ma non hai nessuno che ti può coprire?" Chiese il ragazzo americano.
Jonathan cercò di collegare il cervello e disse: "Sì, mia sorella. Aspetta le scrivo un messaggio."
Appena finì, ricominciarono a camminare.
"Coraggio, stiamo arrivando" Disse Caesar ad un certo punto.
"Perché lo fai?" Domandò Jonh, voleva capire  cosa passasse per la testa dell'altro.
"Nessuna persona avrebbe mai lasciato qualcuno steso per terra. Nemmeno un americano." Ammiccò. 
Il riccio arrossì e non rispose.
Ricordava bene cosa gli aveva detto riguardo la sua maleducazione.
"Comunque mia madre era inglese, quindi."
 
Nuovamente non rispose. Era completamente privo di forze.
Entrarono in casa cercando di fare silenzio e per salire le scale Caesar praticamente se lo caricò in spalla.
Effettivamente John a suo confronto sembrava molto più magro.
 
Lo adagiò sul letto e fece per ringraziarlo ma l'altro lo zittì mettendosi un dito sulle labbra.
"Shh, non dire niente. Dormi, tranquillo."
 
Uscì dalla stanza ed iniziò a parlare con qualcuno.
"Perchè ti sei ritirato così tardi? E cosa è successo al tuo amico?" Chiese una donna in tono preoccupato 
"Ragazzo, anche tu devi rispettare le regole di questa casa." Affermò alterato un uomo.
 
Queste furono le ultime parole che udì Jonathan, poi si addormentò.
 


Angolo autrice-

Saaalve! Eccomi qui con il nuovo capitolo! Mi sono divertita molto a scriverlo anche se questa settimana è stata abbastanza impegnativa. Ringrazio tutti come sempre e ringrazio anche le mie ragazze che ci sono ma non si vedono! Continuate a seguirmi e alla prossima!
Yugiesse-
 

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Capitolo 8
*** Like father like son ***


"Mmh" 
 
Oddio, che mal di testa terribile.
 

Sentì qualcosa muoversi accanto a lui, così aprì gli occhi.
Ciò che vide lo lasciò un attimo senza fiato: accanto a lui, in una stanza e su un letto sconosciuto dormiva Caesar.
 
Improvvisamente, come un flash, gli tornarono in mente gli avvenimenti della sera precedente.
Halloween, la festa, Anthony, Sophie, Bethany, Caesar, l'alcool e basta.
Non ricordava tutto e questo lo spaventava.
Scosse la testa. 
 
Mio padre mi ucciderà sul serio questa volta.
 
Posò gli occhi sul ragazzo, che, al suo fianco, dormiva beatamente. Probabilmente se si fosse alzato, lo avrebbe svegliato, non voleva.
Restò a fissarlo per qualche secondo.
Non lo aveva mai guardato così da vicino. Quando non parlava dimostrava molti meno anni di quelli che aveva e, sì, sembrava dolce.
Stava a pancia sotto, con il viso rivolto verso di lui illuminato dai pochi raggi di sole che penetravano dalla finestra socchiusa. Aveva lo sguardo sereno, nonostante si muovesse continuamente.
 
 
"Mmh.." Mugolò. 
Probabilmente si stava finalmente svegliando.
"Cos-"
Contro ogni previsione invece si ritrovò il ragazzo sdraiato sulla parte destra del suo petto.
Arrossì.
 
Oh cazzo. 
 

Doveva spostarlo, non poteva rimanere così.
Se si fosse svegliato e avesse visto la posizione in cui si trovava, sarebbe successo il finimondo. Nonostante non fosse, ovviamente, colpa sua.
Continuò a guardarlo.
Non poteva muoverlo, era così tranquillo, sarebbe stato come rubare una caramella ad un bambino.
Sospirò.
 
Appena si sveglierà gli spiegherò tutto e scapperò a casa, ovviamente.
 

Poggiò la testa sul cuscino chiudendo gli occhi, in attesa del risveglio del dolce Caesar.
In quella posizione poteva sentire benissimo il suo calore ed il suo respiro. 
Si irrigidì.
Senza riuscire a controllare i suoi gesti allungò la mano sinistra, posandola sui capelli del moro, erano morbidissimi. 
Gli accarezzò la testa, arrivando fino alle orecchie delle quali sfiorò delicatamente i lobi.
Erano calde.
Gli piaceva quel calore, sarebbe rimasto volentieri altre ore in quella posizione, si sarebbe anche potuto riaddormentare da un momento all'altro. 
Non sapeva cosa provava esattamente, non riusciva proprio a capirlo, sapeva solo che c'era qualcosa che lo spingeva a fare questo. 
 
Che sia ancora ubriaco? 
 
No, era lucidissimo.
Improvvisamente provò una strana sensazione al petto e, finalmente, realizzò in che situazione era finito. 
Il suo riflettere fu interrotto da un brusco movimento del ragazzo che fino a qualche secondo fa dormiva sopra di lui.
 
"Come cazzo sono finito sopra di te..?"
 
Gli si bloccò il cuore. 
Adesso era morto sul serio.
Se non lo avesse ucciso suo padre lo avrebbe fatto sicuramente lui.
Si alzò bruscamente, mettendo le mani in avanti come per giustificarsi.
 
"Non c'entro niente! Lo giuro! Posso spiegarti."
Si tappò la bocca quando si rese conto che balbettava come uno stupido.
 
"E come spieghi la tua mano sopra la mia testa?!"
Disse Caesar, con uno sguardo che era un miscuglio di imbarazzo e confusione.
 
"Io.."
Non sapeva cosa rispondere. Qualsiasi cosa avesse detto lo avrebbe messo al muro, gira la come al solito. Non c'era via di fuga.
"Mi ci vorranno anni di terapia adesso." Affermò l'altro, passandosi una mano tra i capelli e stirandosi la schiena.
"Comunque, adesso rivestiti. Ti presterò qualcosa di mio."
Disse alzandosi dal letto. 
 
"Emh, grazie." Disse timidamente John.
Solo allora notò come fosse ridotto: indossava la maglia nera che stava sotto il costume da scheletro e un paio di pantaloni per dormire.
 
Io non ricordo di aver mai tolto i pantaloni!
 
Caesar parve intuire i suoi pensieri perché parlò. 
"Sì, ti ho dovuto cambiare perché non potevi dormire con quei vestiti scomodi. Mi ci vorranno anni di terapia anche per questo." Ridacchiò. 
Il riccio arrossì fino alla punta dei capelli.
Non si era mai trovato in una situazione così, voleva solo scomparire.
"Su, non fare quella faccia. Non credevo ti dispiacesse. In fondo tu provi una sensazione, un fastidio che non sai spiegare nel vedere me e Bethany insieme, no?" Ammiccò il moro.
Jonathan ormai era di un colorito cadaverico, non sapeva cosa ribattere.
La sera precedente si era rovinato.
"Ero ubriaco."
"Mh, si ho notato." 
 
Prese i vestiti che l'altro gli offriva e andò a cambiarsi in bagno.
Era in uno stato pietoso, i capelli erano un groviglio indefinito e aveva delle occhiaie spaventose.
Quando si vestì, notò la differenza di misura tra lui e l'americano.
Gli abiti gli stavano molto larghi e dovette svoltare più volte le maniche.
Fuori dal bagno c'era lui che lo aspettava, appena lo vide gli fece l'occhiolino.
"Come sei carino! Su scendiamo che a breve arrivano le ragazze."
"Cosa?! Perché?" Chiese diventando improvvisamente nervoso.
"Vogliono essere sicure che non ti abbia fatto niente mentre dormivi."
Rispose l'altro gesticolando, mentre si avviava verso delle scale.
Non parlò.
Era, decisamente, il giorno più imbarazzante della sua vita.
Scese le scale seguendo il ragazzo, quella casa era graziosa, molto più accogliente rispetto alla sua.
Finite le scale, il moro gli fece cenno di fermarsi ed entrò dentro una stanza.
Cominciò a guardarsi un po' in giro.
 
Devo cominciare a preparare un discorso per mio padre..
 
Era curioso di sapere come sua sorella lo avesse coperto, doveva delle spiegazioni anche a lei. 
Fece spallucce.
Ormai non poteva farci niente.
 
"Pss, stai ancora dormendo?"
Scosse la testa 
"Senti, di la c'è mia zia, ieri notte le ho raccontato tutto."
Sbarrò gli occhi.
"CHE COSA?!" Disse, alzando il tono della voce.
"Oh, non urlare di prima mattina ti prego. Mi farai scoppiare la testa." Borbottò il moro, grattandosi dietro la nuca.
"Fottiti. Io non ci entro li dentro."
L'idea di incontrare gli zii di Caesar lo innervosiva terribilmente, non era mai stato preparato a questo genere di situazione. Non era mai successo!
"Che sei problematico! Comportati naturalmente e andrà tutto bene."
 
Mi sta mettendo coraggio?
 
"E per l'amor del cielo, non urlare più."
 
Come non detto.
 
A malincuore avanzò verso la stanza, probabilmente la cucina.
 
"Buongiorno ragazzi! Accomodatevi!" A parlare fu una donna quasi identica a Caesar, probabilmente era su zia.
Deglutì.
 
Sii te stesso, Jonathan!
 
"Buongiorno signora, grazie per l'ospitalità." Disse senza muovere un muscolo. 
La donna, percependo il disagio del ragazzo, gli sorrise:
"Quindi, qual'é il tuo nome?" Chiese, tenendo sempre il sorriso sulle labbra.
Quando sorrideva era ancora più identica a Caesar, anche se, a dirla tutta, lo aveva visto sorridere pochissime volte.
"Jonathan." Rispose semplicemente.
"Non vedo lo zio, è già andato via?" Li interruppe Caesar, che, nel frattempo, si stava accomodando a tavola.
"Si, oggi aveva da fare. Caffè?" Chiese la donna mentre versava la bevanda al moro, che stava per saltare dalla gioia.
"Fortuna che oggi non avete scuola, potete fare tutto con calma." Continuò.
Il nipote annuì, e disse "Fortuna che c'è il tuo caffè zia dopo una nottata come questa."
Lei sorrise "Non sarò così indulgente la prossima volta, ricorda."
Caesar le rispose: "Sei la zia migliore del mondo." E le diede un tenero bacio sulla fronte.
 
Jonathan rimase un attimo interdetto.
Non sembrava nemmeno lui in quel contesto, era molto più umano.
Naturalmente, perdere i genitori così presto doveva averlo cambiato, in peggio.
La dolcezza con la quale si rivolgeva a sua zia gli fece capire quanto in realtà quel ragazzo fosse bisogno d'affetto. Forse anche per questo stava con Bethany, magari voleva solo consolarsi tra le braccia di qualcuno. Doveva essere per forza così, voleva che fosse così.
 
"Tra poco arrivano le ragazze, così conoscerai Bethany." Disse il moro.
Ecco. Di nuovo la Turner.
"Oh, finalmente" Rispose la donna, sempre con il sorriso sulle labbra.
Poi si rivolse a Jonh "Tu abiti vicino? Appena le ragazze andranno via vuoi un passaggio?" 
"No, grazie signora. Abito proprio all'angolo." 
"Sì zia, lo accompagno io, tranquilla."
"All'angolo?"
"Si, mio padre è William Brown."
Lei sembrò un attimo sbigottita, poi si riprese e disse: "Ah sei il figlio di William e Donna."
Annuì.
"Come fa a conoscerli?"
La donna diventò improvvisamente scura in volto.
"Nulla, vecchie conoscenze."
Il suono del campanello interruppe quella strana conversazione.
Caesar si alzò.
"Saranno le ragazze, vado ad aprire io!"
Sospirò. Non avrebbe sopportato un altro siparietto sdolcinato tra lui e la Turner.
"Buongiorno a tutti!" La prima a parlare fu Julia.
"Ciao Jooohn, come stai?" Aggiunse Sophie, correndo incontro al riccio abbracciandolo.
"Bene, grazie." Rispose semplicemente.
 
Dove sono loro?

 
"Buongiorno ragazze, accomodatevi pure, sono la zia di Caesar."
 
"Salve." Dissero le ragazze in coro
 
Dopo qualche istante entrò la coppia nella stanza.
"Zia, lei è Bethany."
La donna le sorrise.
"Ciao cara, è un piacere conoscerti, Caesar mi ha parlato tanto di te."
 
 Smettetela, vi prego.
 
"Piacere mio." Rispose la bionda stringendole la mano.
Il moro era al suo fianco e le teneva la mano.
Sophie si girò verso John intuendo quasi il suo malessere. Gli posò una mano sulla spalla, sorridendo.
Ricambiò quello sguardo, volgendolo a sua volta verso Bethany.
Cosa ci provava di bello in quella ragazza? Certo, era carina, ma non aveva niente di particolare.
"Andate già via? Ragazze non volete fare colazione?" Domandò la zia del moro.
Risposero tutte negativamente, evidentemente avevano già mangiato.
"Dobbiamo proprio andare oppure non finiremo mai entro oggi. Caesar tu poi ci raggiungi?" Chiese Bethany.
"Sì certo. A dopo." Rispose lui, dandole un bacio.
"Dai John, andiamo." Disse al riccio che, di malavoglia si alzò dalla sedia.
"Grazie ancora, signora."
"Di nulla caro, mi raccomando salutami tuo padre."
Annuì e uscì dalla stanza seguito dalle ragazze, che salutarono educatamente la donna.
 
Chissà come si sono conosciuti.
 
Iniziò a camminare con Caesar verso casa sua, in silenzio. 
"Lo sapevi che tua zia e i miei si conoscevano?" 
"Proprio no, infatti sono rimasto sorpreso come te."
"Proverò a chiedergli qualcosa."
"Ah, quindi è possibile parlare con lui?"
"Non è come pensi, quando l'hai incontrato era solo un po' nervoso"
"Tale padre, tale figlio."
Si limitò a sorridere senza rispondere.
Percorrere quella strada quel giorno gli metteva un'ansi terribile. Avrebbe  preferito rimanere a casa di Caesar per sempre, ma doveva riuscire ad affrontare suo padre.
"Su, non preoccuparti. Non sarà mica la prima sgridata che ti prendi, no?"
Disse Il moro spezzando la tensione.
"No, ma mai per questi motivi."
"Beh, puoi dire che era un pigiama party."
Aggiunse facendo spallucce.
In quel momento voleva avere almeno un goccio della calma di quel ragazzo.
Continuarono a camminare senza dire più di due frasi prive di ragione fino ad arrivare davanti la villa di Jonathan.
Suonarono al campanello e, fortunatamente, aprì Elizabeth.
"John! Finalmente! Non sai quanto ci ho messo a convincere papà che tu stessi bene!"
Solo allora si accorse che con lui c'era anche Caesar e lo squadrò.
"Tu devi essere Caesar, piacere di conoscerti. Veloce entrate così vi spiego cosa ho detto a papà." Disse velocemente e aprendogli la porta.
 
Il moro rimase un attimo interdetto dalla grandezza della casa. Effettivamente era grandissima.
Entrarono in cucina e si sedettero su un divano a penisola.
La ragazza parlò: "Allora, gli ho detto che siccome lui è qui da poco, tu e Anthony siete rimasti a dormire da lui, anche considerando la sua situazione familiare." Spiegò lei velocemente.
"Grazie Lizzie, sei la migliore." 
La abbracciò di slancio, poi sentirono dei passi provenienti dalle scale: era suo padre.
Volse il proprio sguardo verso Caesar, che roteò gli occhi.
"Finalmente ti sei deciso a tornare."
Disse il padre, entrando nella stanza.
"Ciao papà."
"Tu devi essere il ragazzo, ti ho già visto da qualche parte."
"Effettivamente ci siamo già incontrati."
"Mhmh"
L'atmosfera era tremendamente tesa, tutti si scambiavano sguardi senza far uscire una parola dalla bocca, eccetto l'uomo.
"Anthony dov'è?"
Dopo qualche istante di silenzio John parlò:
"Se n'è andato subito a casa, aveva da fare."
Senza aspettare altre risposte posò gli occhi su Caesar, il quale si alzò dicendo: 
"Detto questo, credo che potrei pure andare."
L'uomo lo squadrò da capo e piedi per qualche secondo e finalmente si decise a parlare.
"Dove abiti?" Chiese.
"Qui dietro. Piuttosto, mia zia le porta i suoi saluti, per quanto mi possa importare." Disse con tono di sufficienza 
"Qual è il suo nome?" Chiese ancora.
"Margaret Smith." Rispose semplicemente.
L'uomo spalancò gli occhi.
"Sei nipote di Margaret?" 
"Secondo lei?"
John guardò il padre, che sbiancò.
Che rapporto c'era tra le loro famiglie?
"Allora, suppongo che tu sia figlio di Rose." Gli si spezzò la voce. 
Il riccio notò subito lo sguardo di Caesar riempirsi di malinconia.
"Si, esatto. Posso andare adesso?"
Dicendo ciò fece per andare verso la porta ma l'uomo lo bloccò afferrandolo per il polso.
"Aspetta! Com'è successo? Ti prego, ho bisogno di saperlo."
L'americano spalancò gli occhi, improvvisamente preso dall'ira.
"Ha BISOGNO di saperlo?! Ma innanzitutto lei chi cazzo è? Come fa a conoscere mia madre?!" 
L'uomo si pietrificò, come se non sapesse cosa dire. Come se fosse troppo doloroso parlare.
 
John si riscosse in quel momento, non capiva cosa stava accadendo.
 
Non ho mai visto mio padre in questo stato.
 
"Papà, lascialo stare. È da poco più di un mese che ha perso i genitori. Come puoi essere così insensibile?"
Strillò Elizabeth, forse non si era resa conto dello stato in cui si trovava il padre.
 
"Lizzie non capisci? Era mia amica.  E lui, è la sua copia." Concluse indicando Caesar con mano tremante.
 
Il ragazzo schioccò la lingua e si liberò facilmente dalla presa dell'uomo.
"Mi lasci in pace per una buona volta."
Detto questo apri la porta e uscì fuori sbattendola.
 
Calò il silenzio. John non riuscì a mantenere la calma ed esplose:
"Sei un bastardo."
Urlò quelle parole precipitandosi fuori dalla casa.
"Fermati, ti prego."
Si sentiva tremendamente in colpa per averlo messo in quel casino, aveva già fatto troppi danni, doveva risolverli.
"Mi dispiace."
Il moro si voltò verso lui. Il suo sguardo lo lascio di stucco. I suoi occhi lucidi erano sul punto di piangere. Il labbro stava sanguinando, talmente era stressato dai suoi denti e tutto, nell'insieme, era magnifico.
"Lasciami in pace, per favore."
Non rispose, lo lasciò andar via senza commentare ulteriormente.
Avvicinò la mano al petto rendendosi conto che il suo cuore batteva più del normale.
Sospirò. 
 
Che giornata..



Angolo Autrice-

Rieccomi! Sì, ho fatto un ritardo allucinante. Perdonatemi! Ma la scuola non mi ha dato proprio tregua ç-ç Comunque sia, eccomi qui con il capitolo! E' un altro di passaggio quindi non è un granchè ma spero che lo apprezziate lo stesso! Grazie a tutti come sempre per le recensioni e per il vostro sostegno.
Alla prossima!
YuGiesse-

 

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Capitolo 9
*** Unknown ***


"Brown? Mi stai ascoltando?"
Scosse la testa. 
"Mi scusi."
"Cerca di prestare attenzione, non voglio più trovarti con la testa fra le nuvole."
"Non succederà mai più."
"Lo spero. Ricominciamo."
 
Spero solo che il cervello non mi abbandoni adesso.
 
Già il terzo richiamo in sole tre ore di lezione, quella giornata era iniziata nel peggiore dei modi.
Tutta colpa della notte precedente. Dopo tutto quel casino con Caesar e suo padre non era riuscito a chiudere occhio se non per meno di un'ora, e adesso non era capace di prestare un minimo di attenzione alle parole del professore, che stava facendo un monologo sul diritto.
Prese la penna, cercando di copiare qualche appunto sulla parte di lezione che aveva perso a causa del suo pensare.
"Di cosa parlavamo?" Sussurrò John ad Anthony, seduto al suo fianco.
"Come mai sei così distratto oggi? Stai diventando ribelle oppure pensi a qualcuno?" Chiese il ragazzo, cambiando discorso.
"Niente di tutto ciò, ho solo dormito poco." 
"Tu mi nascondi qualcosa." Affermò l'amico, accennando uno strano sorriso.
"Seriamente, nulla di importante, solo stanchezza." Rispose il riccio sospirando. Non stava mentendo, non del tutto.
Scrollò le spalle e girò la testa al lato opposto del compagno accorgendosi, forse troppo tardi, che tutta la classe, professore incluso, lo stavano fissando.
 
Fantastico...
 
"Dunque, visto che la mia lezione ti interessa tanto, che ne dici di prendere il mio posto?"
John roteò gli occhi.
"Perché no? So così tante cose di diritto che potrei laurearmi adesso, se volessi." Affermò soddisfatto.
La classe scoppiò a ridere senza curarsi del professore.
Per fortuna, puntuale come sempre, suonò la campanella dell'intervallo.
"Per questa volta sei salvo, ti conviene frenare la lingua la prossima volta Brown, essere il migliore della classe non ti permette di fare tutto quello che vuoi." Detto questo si liquidò.
 
 Certo...
 
"Attenzione, il cocco dei professori di ribella!" Disse Antony dandogli una pacca sulla spalla.
"Ma fammi il piacere..." Si piegò , appoggiando la testa sul banco.
Mettersi contro un professore non era cosa di lui.
 
 Mi sto comportando alla Caesar.
 
Si girò di scatto verso il lato della classe dove stava il suo banco.
 
 Sarà andato da Bethany.
 

Sospirò.
Dalla sera precedente non si erano scambiati neanche una parola se non un timido saluto. Probabilmente stava cercando di allontanarsi da lui.
Decise di non pensarci e di fare un giro al piano di sotto, per schiarirsi la mente. 
Scese le scale e vide il sestetto in un angolo, stavano parlottando. 
"E quindi, com'è andata?" Sussurrò Cleo a Bethany. 
"Beh, eravamo soli a casa sua, una cosa porta l'altra e..."
"Beth, lo sappiamo come si fa sesso. Vogliamo i dettagli su!!" Sbraitò praticamente Alison. 
Iris annuì convinta e disse "Dai dicci, è bravo?" Chiese alla bionda.
"Abbassate la voce! Ehm, è stato molto dolce. Lo sapeva che era la mia prima volta, quindi c'è andato piano. Tra un bacio e l'altro ci siamo ritrovati nudi e mi ha fatto tantissimi succhiotti, sapete è fissato con i nei, guardate."
Abbassò la sciarpa e lì dove stava un neo si trovava il livido di un succhiotto, anche da lontano erano ben visibili i segni dei denti. 
 
Non ci credo.
 
Allungò la mano verso il petto stringendolo. Continuò a fissare le ragazze che parlavano con tanta leggerezza di una cosa che lo aveva scosso terribilmente, senza alcun motivo. Deglutì. Non erano fatti suoi, ma sentiva ugualmente una morsa al cuore, quella che provava ogni volta in cui vedeva Bethany e Caesar insieme. Si sentiva fottutamente deluso, come se lo avesse tradito. Era una cosa normalissima, perché prendersela così tanto?! Stava diventando come una ragazzina lunatica.
Prese coraggio e si avvicinò alla ragazze, salutandole con un gesto.
 
"Le questioni private dovresti lasciarle fuori dall'istituto Turner, o perlomeno dovresti evitare di urlarle."
Affermò, cercando di dosare il nervosismo.
Le ragazze accennarono una risata,  eccetto l'interessata che rispose subito:
"Ti metti anche ad origliare ora? Se volevi non sentivi."
Strinse i pugni ed avanzò verso il corridoio, ignorando le parole della ragazza ma , di colpo, si sentì afferrato per la maglia.
"Aspetta, John!" Era Sophie.
"Dimmi" rispose, tenendo lo sguardo basso.
"Non te la sei presa per quello che ha detto Beth, vero? Sai com'è fatta..." Chiese con voce dispiaciuta. Quella ragazza era un angelo.
"No, tranquilla." Rispose sorridendole.
"Allora sei infastidito per quello?" Diventò di colpo seria.
 
 Cosa?!
 
"Non so di cosa tu stia parlando."
Stava cominciando a sudare freddo. Non era infastidito per quello, decisamente no.
"È già da un po' che penso di aver capito cosa ti passa per la mente."
Affermò Sophie, mettendosi davanti a lui ,in modo da non farlo passare.
"Cosa pensi di aver capito? Non c'è niente da capire." Disse alzando la voce.
Restò disorientato da questa affermazione, non capiva e questo gli dava tremendamente fastidio.
"Ti piace?"
"Chi?"
"Sai di chi sto parlando".
"No, devo tornare in classe."
"Caesar."
"Stai scherzando, vero?"
"No."
Arrossì, assumendo un'espressione di sgomento. La ragazza davanti a lui continuava a parlare, ma lui non riusciva a sentire altro che il suono del suo respiro. Caesar? Lui, seriamente?
Ok, era un bel ragazzo, bellissimo, ma non provava interesse verso i maschi.
 
"Sono etero, mi dispiace."
 
Dopo questa affermazione, voltò le spalle alla ragazza e cominciò a camminare verso la sua classe.
 
L'intervallo era già finito da un pezzo e, probabilmente, già era iniziata la lezione di chimica che si teneva in laboratorio.
 
Almeno la chimica mi terrà la mente occupata.
 
Il professore era solito fargli fare pratica con le sostanze chimiche, cosa che lui adorava.
Corse verso la classe per recuperare il libro, non poteva essere richiamato un'altra volta.
Arrivato davanti la porta cadde sulle ginocchia, per recuperare il fiato che aveva perso a causa di quella corsa.
 
Qualcuno aprì:
Era Caesar.
 
Portava una felpa nera di due taglie in più rispetto alla sua, dei jeans abbastanza stretti e delle vans, anch'esse nere. Stava benissimo.
John sussulto. Perché tra tanti doveva spuntare proprio lui?
 
"Cazzo.." Esclamò.  
"Ma che problemi ti affliggono..?" Chiese sarcasticamente il moro, fissando l'altro con una strana espressione.
"Non mi aspettavo che qualcuno aprisse la porta di colpo." Disse alzandosi ed aggiustandosi i capelli con un gesto.
"Non pensavo di essere così bello da far paura." Affermo Caesar, assumendo un sorriso malizioso.
John roteò gli occhi e andò a prendere il libro.
"Rimani nella tua convinzione." Replicò.
"Vorresti negarlo?"
Arrossì.
"Non sono cose che mi riguardano." Rispose semplicemente, accomodandosi fuori dalla classe.
"Allora non lo stai negando." Pronunciò seguendolo.
"Lo prendo come un si." Aggiunse.
 
Non ebbero modo di dire altro, perché una furia dai capelli scuri si buttò, letteralmente, sopra Jonathan.
Appena il riccio si rese conto di chi fosse restò un attimo perplesso, ma dovette riprendersi subito per tenere la ragazza.
 
Cleo Potter si trovava attaccata sopra di lui come un koala.
 
"John! Guarda i miei capelli!" Gli disse, talmente vicina che i loro nasi si toccavano.
"Dovresti scendere, Potter. Non sei mica un peso piuma." Parlò Caesar, la voce era stranamente senza alcuna emozione, piatta. 
Per tutta risposta la mora si attaccò ancora di più a John, rendendogli così ancora più difficile il compito di reggerla senza toccare niente di ... inappropriato. 
"Oh dai Caesar, non fare sempre il guastafeste!" Affermò Cleo, stranamente troppo su di giri.
"Ti sei fatta di qualcosa?" Chiese invece il moro.
"Scusate, qualcuno qua si è dimenticato che ci sono anche io?! Cleo per favore scendi. Non penso ti andrebbe bene di essere toccata da me ." Chiese con tono di supplica il riccio
"Ma che avete tutti oggi! Volevo che mi facessi i complimenti per i miei nuovi capelli!" Rispose lei, rimettendosi al posto.
"Ti stanno ben-."
 Non fece in tempo a finire la frase che Caesar lo afferrò per il polso, trascinandoselo dietro.
"Ci vediamo." Le disse mentre continuava a camminare tenendo il ragazzo.
"Ma che ti prende? È maleducato andarsene così!" Lo rimproverò John, staccandosi dalla sua presa.
"Odio la gente appiccicosa." Disse mettendosi le mani in tasca.
"Dovrebbe essere un mio problema, non tuo" rispose.
Caesar si girò a fissarlo, aveva uno sguardo terribilmente bello. Pensò a quando tracciò il suo viso con le sue dita il giorno prima, adorava i suoi tratti, e soprattutto i suoi occhi.
Arrossì di colpo.

 Che cazzo sto pensando?!
 
Avanzò velocemente, superando l'altro, tenendo lo sguardo basso e
Dicendo: "Sbrigati, dobbiamo andare in laboratorio, Saladin ci ucciderà."
"Mal che vada ci butterà fuori."
Affermò il moro facendo spallucce.
Arrivati di fronte l'aula, John apri la porta con disinvoltura.
"Salve, scusate il ritardo." 
Tutti già avevano occupato i banchi,anche il suo amico Antony l'aveva rimpiazzato con un'altra compagna.
 
Che bastardo.
 
"Alla buon'ora, l'intervallo è già terminato da un pezzo, siete rimasti chiusi in bagno tutto il tempo?" Disse il professore, accennando un ghigno.
Tutta la classe inizio a ridere, eccetto i due ragazzi.
"Possiamo andare a sederci adesso oppure deve ancora continuare con le sue solite battute?"
"Si sieda Jackson ed anche lei Brown, non ho voglia di discutere oggi."
I due ragazzi seguirono i comandi del professore e si accomodarono nell'ultimo banco disponibile.
"Potevi evitare di rispondere" sussurrò John, mettendosi gli occhiali.
Caesar accennò una risata, probabilmente, dovuta alla vista del ragazzo.
"Che c'e?!" Chiese alterato l'altro.
"Niente niente, non urlare." Rispose tornando serio.
"Dunque, cosa dobbiamo fare?" Aggiunse.
"Faccio io, non preoccuparti. Tu limitati a prendere appunti." 
Iniziò a seguire le istruzioni del professore con molta cura, finalmente si stava stranamente rilassando.
Prese la matita e se la avvicinò alle labbra, iniziando a morderla.
"Sei adorabile."
Ebbe un sussulto. 
Seriamente?! 
 
No ti prego..
 
Abbassò lo sguardo cercando di coprirlo con i capelli ma, purtroppo, forse, gli occhiali gli scivolarono per terra.
"Cazzo!" Sussurrò.
"Li prendo io non muoverti." 
Con agilità si alzò e prese gli occhiali da terra.
Dopodiché con disinvoltura avvicinò la montatura al suo viso e si sporse verso di lui, come aveva fatto Cleo poco prima.
"Direi che la Potter si è attaccata un po' troppo, non credi?" Domandò.
John poteva sentire il suo fiato sulla pelle.
 
 Non capisco più niente. 
 
"Allora? Non sono molto più eccitante io da vicino?"
 
Il moro continuava a guardarlo, come in attesa di una sua risposta ma, per una volta, era rimasto senza parole.
Si trovavano all'ultima fila, nessuno si era accorto di niente eppure, in quel momento, John era in un mondo a parte.
Nel frattempo, Caesar si era spostato verso il suo orecchio, e sussurrò: "Lo sento come fremi ogni volta che ci sono io, vedo il modo in cui mi guardi, tu sei attratto da me."
La sua voce, così vicina ad una zona erogena come quella, gli fece venire i brividi, come a confermare quello che aveva appena detto.
Infatti il ragazzo si allontanò di scatto, con un sorriso strafottente sulle labbra.
 
"Ti diverti a prenderti gioco di me?" 
Finalmente era riuscito a parlare ma la voce gli era uscita roca, ciò dovuto al fatto che aveva la gola secca.
L'altro scosse la testa ancora sorridendo.
"Non c'è niente di male ad ammettere di essere attratto da me, sai."
 
 Attrazione. Eccitatone. Gelosia.
 
Non poteva stare in quel posto un secondo di più così si alzò di scatto e corse fuori dalla classe, ignorando le grida del professore.
Correva senza una meta, aveva solo bisogno di capire.
 
 Non è possibile.
 
Eppure, non aveva mai fatto niente che non fosse qualche bacio, era come se non gli interessasse delle attenzioni che le ragazze gli rivolgevano.
Lo avevano definito snob proprio per questo, ma per lui era una cosa normale.
Da quando Caesar era arrivato nella sua vita era cambiato tutto.
Poteva continuare a negare l'evidenza?
Pensava a lui in continuazione e quando si trovavano vicini...
 
 Ma lui ha fatto sesso con la Turner. Non è interessato a me. 
 
Bethany era tutto ciò che lui non avrebbe mai potuto essere: una donna.
 
 Perché mi diceva tutte quelle cose? Si stava prendendo gioco di me? Dei miei sentimenti? 
 
Sentimenti.
 

No, non credeva che fosse così cattivo.
Caesar aveva un personalità ambigua, non si capiva mai cosa pensasse realmente.
Ma la cattiveria non faceva parte del suo essere.
 
Nel frattempo John era arrivato nel cortile della scuola, si mise in un angolo in disparte con le mani tra i capelli.
Dei passi lo fecero sussultare. 
Vide il sorriso di Sophie e si tranquillizzò.
"Come stai?" Gli chiese direttamente.
Lui faticò a trovare le parole giuste.
"Come qualcuno che ha appena scoperto di essere innamorato di un ragazzo." Disse infine, schiettamente. 
Quella ragazza emanava un senso di tranquillità, sentiva che poteva fidarsi di lei.
Sophie sorrise ancora di più e lo abbracciò.
Lui scoppiò a piangere e si aggrappò alle sue spalle.
 
 Da quanto tempo non piangevo? 
 
Appena si staccarono lo guardò negli occhi dicendo: "Per prima cosa, non pensare MAI, nemmeno per un secondo che c'è qualcosa che non va in te. Tu sei perfetto, non devi cambiare."
Si sedettero e continuò: "Non c'è niente di sbagliato, non piangere. Sono sicura che a Caesar importa molto di te." 
John ricominciò a singhiozzare. 
"Mi ha preso in giro poco fa, ha capito che provo qualcosa per lui. Non potrò più guardarlo in faccia!" 
Lei scosse la testa. 
"Non sono d'accordo. So com'è fatto e so come farlo ragionare. Devi solo avere pazienza. Ora alzati su! Torniamo dentro."
Si asciugò gli occhi con la manica della maglia e si mise in piedi. Doveva affrontare quella situazione, non poteva farsi buttare giù da una cosa del genere. Doveva capire cosa voleva veramente.
"Tra qualche minuto finiranno le lezioni, vuoi che ti accompagno in classe?" Chiese Sophie, alzandosi anche lei.
"Ma voi state sempre fuori dalla classe?" Rispose portandosi i capelli all'indietro.
"Forse. Meglio no?" Disse lei, accennando una risata.
Si diressero verso la classe  cercando di non parlare di tutto quello che era successo qualche minuto fa, ma ciò che si trovò davanti lo colpì nuovamente.
 
"Che ti è successo? Sei corso via come un pazzo." 
Caesar, davanti la classe, lo aspettava con il suo zaino sulle spalle.
Rimase senza parole, ma fu svegliato in tempo da Sophie che si avvicinò a Caesar salutandolo.
"Tieni, andiamo."
Continuò passandogli le sue cose. 
Si girò di scatto verso la ragazza che lo salutava con un cenno. Lo aveva appena lasciato solo con Lui dopo tutto quello che era successo.
 
 Me la pagherai.
 
Seguiva il ragazzo stando dietro di lui, per non far vedere come era combinato. Continuava a strofinarsi gli occhi arrossati per colpa delle lacrime che, probabilmente, già  erano state notate da Caesar. 
alzò lo sguardo su di lui. 
La camminata da menefreghista era una della cose più belle di quel ragazzo.
Fu frenato dal moro che si girò avvicinandosi di nuovo pericolosamente al suo viso, fissandolo negli occhi.
 
 Di nuovo NO
 
John arrossì. Chiuse gli occhi voltandosi velocemente dal lato opposto. Voleva evitare a tutti i costi il contatto visivo con lui.
 
"Come pensavo."
 
 Cosa?..
 
Ricominciò a camminare diritto, nel frattempo Caesar si dirigeva verso l'uscita.
Com'era Arrivato a tutto questo? Lo conosceva da appena un mese, era un completo sconosciuto, eppure non poteva farsi torto, quel ragazzo, a differenza sua, avrebbe fatto impazzire chiunque.
Non era perfetto al contrario della due precedenti ragazze, ma nella sua imperfezione trovava qualcosa di tremendamente speciale.
"Guarda dove vai, rincoglionito!" Una voce femminile interruppe i suoi pensieri.
Era Cleo, di nuovo.
"Oh! Ma sei tu! Ti stavo giusto cercando!" Disse lei, prendendolo sotto braccio. Lui barcollò per la troppa forza usata dalla ragazza ma fu sorretto da Caesar che nel frattempo, stranamente, stava fulminando la mora con lo sguardo.
"Perdonami, ti porto via il tuo amichetto solo per un po'" disse lei con voce squillante.
John si sedette su una panchina, seguito da Caesar.
Cleo, nonostante ci fosse ancora posto, si appallottolò sopra il riccio.
"C'è posto lì" affermo il moro con tono infastidito
"Sto bene qui." Rispose lei, avvinghiandosi a lui e scombinandogli i capelli.
 
 Di che cazzo si sono fatti tutti oggi?!
 

Cercò di liberarsi dalla presa della ragazza che continuava a non voler scendere.
"Dunque, dimmi, quand'è il prossimo comitato?" Chiese lei attaccando discorso.
"Queste cose penso che potresti chiedergliele anche senza saltargli addosso." Disse Il moro, senza lasciar parlare l'altro.
"Per quale motivo adesso intervieni tu? Non posso toccarlo?" Affermò, stringendosi ancor di più a John, che nel frattempo stava cercando ancora di liberarsi.
"Fa come ti pare."
Detto questo si liquidò senza salutare nessuno.
 
 Perché adesso si comporta così?!
 
Prese forza e scostò la ragazza, che si lasciò cadere di spontanea volontà.
"Seguilo, su." Solo una frase, aveva capito tutto. Gli stava offrendo su un piatto d'argento la possibilità di capire cosa c'era da parte di Caesar.
Fece un cenno alla mora, prese lo zaino in spalle e corse verso di lui.
"Tu puoi farti la Turner e io non posso stare con Cleo? Chiese tono alterato. Il comportamento di tutti oggi lo stava confondendo più quanto già non fosse. 
"Cosa ti fa pensare che tu non possa? E poi chi ti ha detto che mi sono fatto Bethany?" Rispose l'altro, girandosi ed avvicinandosi a lui, tenendo le mani in tasca.
"Il fatto che te ne sia andato via in modo così maleducato." Cominciò ad indietreggiare, tenendo lo sguardo basso per nascondere che stava nuovamente arrossendo.
"Ripeto, chi ti ha detto che mi sono fatto Bethany?" Avanzò verso di lui, mettendolo a muro e bloccandolo con una mano .
"Rispondi"
Deglutì. I loro visi erano talmente vicini che poteva notare benissimo ogni imperfezione. Si concentrò sul suo sguardo, non riusciva a capire cosa gli passasse per la mente, sapeva solo che non poteva sprecare quel momento. 
Agì d'impulso, chiudendo gli occhi e spostando la testa indietro.
Per qualche secondo sentì solo il rumore del proprio respiro mischiato a quello del ragazzo che gli stava di fronte.
Poi, con uno scatto, Caesar si allontanò.
John sentendo rumore di passi riaprì gli occhi.
 
 Cosa...
 
"Ci vediamo domani." Disse semplicemente allontanandosi da lui.


Angolo Autrice-

Saaalve! Eccomi qui con un nuovo capitolo! Devo dire che mentre lo scrivevo lo amavo sempre di più. Esce fuori un po' di più anche il caratte dei personaggi secondari e, finalmente, qualcosa tra i due sta per succedere! Grazie sempre a tutti per il vostro sostegno e per le vostre recensioni e spero di riuscire a mantenere questo ritmo di pubblicazione. Alla prossima! 
 

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Capitolo 10
*** Blow me a kiss before she goes ***





"Dove stai andando?" Non c'era modo migliore per iniziare il pomeriggio.
"A scuola, ho il comitato studentesco."
"Vedi di non tardare, abbiamo ospiti a cena." 
"Ok, a sta sera mamma."
 
 Perché devono esserci sempre ospiti?!
 
Si dirigeva, passo dopo passo, verso la scuola, dove si sarebbe tenuto il comitato di quel mese.
L'inverno era quasi alle porte e l'aria cominciava ad essere più fredda. 
In quell'orario la strada che era solito prendere per arrivare a scuola era colma di gente, famiglie, anziani e coppie.
Sospirò. Dal giorno precedente non aveva smesso di pensare al caso Caesar nemmeno per un secondo. 
Le parole di Sophie non gli davano pace. Perché mai doveva provare interesse per un ragazzo? Non lo sapeva, odiava non sapere le cose, ma di una cosa era certo:
doveva arrendersi a quei sentimenti. 
 
 Una cotta normale no eh?!

A furia di pensare si rese conto di essere arrivato.
Probabilmente era in anticipo, i rappresentanti di ogni classe sarebbero stati lì tra non molto. Decise quindi di aspettarli in aula magna.
Salì al piano superiore.
 
 Queste scale sono decisamente troppe.
 
La scuola deserta gli ricordò il giorno in cui diventò rappresentante.
 
 Quanto sarà passato... Un mese?
 
Appena entrò nell'aula magna rimase interdetto. Quel giorno, come allora, vide lui. 
Seduto su quell'antica sedia di legno, con le gambe incrociate sul tavolo e la testa piegata sullo schienale. 
Deglutì. Perché?!
Si avvicinò velocemente al ragazzo, pronto a sbraitargli contro per via della sua posizione poco adatta a quel contesto.
"Scendi immediatamente i piedi da lì! Sei comodo Jackson?!" Affermò con tono stridulo.
Si avvicinò al ragazzo che a sua volta si girò verso di lui aprendo gli occhi pigramente. 
"Ma tu urli sempre?" Rispose stirandosi la schiena.
"Se non vuoi sentirmi urlare cerca di tenere un comportamento serio..." Disse posando le sue cose sul tavolo
"...E soprattutto di non dormire a scuola." Aggiunse.
"Non credo che ti dispiaccia così tanto vedermi dormire" Rispose Caesar, accennando un sorriso malizioso.
"Cosa intendi?!" Arrossì 
"Sei di memoria corta, eh?" Disse passandosi la punta delle dita sulla guancia .
 
 Che bastardo.
 
"Può essere." 
Improvvisamente la porta si aprì.
"È qui il comitato?"
John rispose con un cenno ed un ondata di ragazzi iniziarono ad entrare incluso il sestetto.
Seguì il moro con lo sguardo che si stava sedendo accanto a Bethany 
 
 Ah giusto, loro due stanno insieme.
 

Rimise in riga e pensieri e parlò;
"Perfetto, direi che possiamo iniziare."
"Una cosa veloce Brown, ho da fare" urlò un ragazzo del quarto anno.
"Non sei l'unico ad avere da fare." Rispose l'altro con il solito tono.
"Certo, li conosciamo tutti i passatempi del rappresentante." Dicendo ciò Caesar si sporse ed ammiccò verso Cleo.
"Ok, possiamo iniziare adesso?!" Disse alzando la voce, guadagnandosi l'attenzione di tutti.
"Avete qualche lamentela? Se non c'è nessun problema la chiudiamo qui."
Un ragazzino di prima si alzò in piedi e disse:
"La professoressa di Lettere, la Grimm, assegna troppi esercizi."
John roteò gli occhi e si tolse gli occhiali.
"Questa è la scuola, ognuno ha i suoi metodi di insegnamento. Il prossimo?"
Caesar alzò la mano.
 
 Fantastico. 
 
"Credo che la Hamilton sia troppo poco professionale."
John arricciò il naso.
"Come mai, Jackson?"
"Intuito." 
Detto questo si alzò e si andò a sedere nel posto spettato a John
"Possiamo parlare di cose serie?!"
L'intera aula cominciò a ridere. Si girò alla sua destra e vide Caesar in piedi, accanto a lui, con indosso i suoi occhiali.
"Mi sarei dovuto candidare io." Disse il moro, atteggiandosi come John.
"Smettila! Ridammeli subito!"
Si allungò verso il viso del ragazzo, cercando di afferrare la montatura senza riuscirci. 
Nel frattempo l'intera aula non prestava minimamente attenzione a tutto ciò, eccetto il sestetto che guardava la scena divertito. 
"Credo che dovresti chiudere qui il comitato John, ormai sta degenerando." Affermò Iris divertita.
Il riccio roteò gli occhi strappando gli occhiali dal viso del ragazzo che se ne tornò al suo posto.
"Beh, vista la situazione credo che possiamo finire qui la giornata."
Riuscì ad attirare l'attenzione di tutti.
"Quindi possiamo andare?" Chiese una ragazza.
"Si, andate in pace." Disse utilizzando la solita frase.
Improvvisamente tutti si alzarono affollandosi fuori dall'aula.
Dopo essersi fermato a parlare con delle ragazze del primo anno uscì anche lui.
 
Finalmente era finito, ogni volta in quelle situazioni Caesar faceva uscire il peggio di se, come se trovasse gusto a farsi odiare. Avanzava verso la presidenza dove doveva svolgere gli ultimi noiosi compiti da rappresentante 
 
 Ma chi me lo ha fatto fare...
 

Si fermò un attimo, appoggiandosi al muro.
 
 Certo che è proprio uno stronzo, che ci trova di bello nel mettermi a disagio davanti a tutti?!
 
Lo odiava in quel momento, odiava il suo modo di parlare. Riusciva a fargli fremere il cuore e perdeva totalmente il senso della realtà.
Aveva carisma, troppo.
"Al signor rappresentante stanno dietro tutte le ragazzine, eh? Potrebbe darmi molto fastidio, sai?"
Ecco, parli del diavolo e spuntano le corna
Quella frase arrivò da Caesar che, puntuale come sempre, lo aveva raggiunto nel corridoio.
"Cosa stai dicendo?" John si fermò a guardalo, diventando rosso in viso dopo aver realizzato cosa aveva appena detto. Stava ricominciando, lo stava facendo di nuovo. Aveva quel sorriso strafottente che lo urtava da morire. Sapeva cosa pensava, perché continuare a prendersi gioco di lui?
"La gente non deve toccare ciò che è mio" lo bloccò al muro e si spinse verso di lui.
"Quando arrossisci sei più tenero di una ragazza." 
Non ebbe il tempo di rispondere perché il moro lo zittii in anticipo premendo le labbra sulle sue. 
Sbarrò gli occhi, cercando di spingere l'altro dalle spalle senza successo. 
Caesar era molto più forte di lui, riuscì a pressarlo al muro, prendendogli il volto tra le mani.
Stava accadendo tutto troppo in fretta.
Approfondì il bacio, mordendogli il labbro inferiore con forza, in modo tale da infilare la lingua nella sua bocca.
Fu troppo.
John si lasciò andare, attaccandosi alle spalle del ragazzo, come se esistesse solo lui. 
Aveva raggiunto il limite, era sbagliato, era tutto completamente sbagliato. 
Idiota, Idiota, Idiota.
Non riusciva a controllare il suo corpo, tutto era gestito da Caesar. 
"Sbrigati! Mio padre ci sta aspettando fuori!" 
Una voce li interruppe.
Caesar si staccò bruscamente dal ragazzo voltandosi dal lato opposto. 
Era rosso in volto, anche lui. 
John continuò a tenere lo sguardo basso, cercando di calmare il suo respiro.
Due ragazzine del secondo anno correvano verso l'uscita 
 
 Giusto in tempo...
 
Tornati soli, i ragazzi si fissarono senza proferire parola.
Infine ognuno prese una direzione diversa. Tornando a casa.
 
John iniziò a correre, voleva solo tornare a casa e chiudersi nella sua stanza.
Non sapeva ancora quanto si sbagliasse.
Arrivò in casa trafelato, senza nemmeno guardare dove andava si precipitò in bagno.
Entrò e chiuse la porta, si guardò allo specchio, era completamente scombussolato.
Le labbra gonfie, le guance arrossate e i capelli scombinati.
Sentì qualcuno bussare, tentò di ricomporsi e spalancò la porta.
"A diciotto anni hai dimenticato le basi della buona educazione?" Chiese suo padre con tono severo.
Nemmeno si premurò di nascondere il fastidio che gli provocava la vista di quell'uomo, avanzò velocemente verso la sua camera.
Iniziò a cambiarsi, quella sera avrebbero avuto ospiti, purtroppo.
Suo padre si appoggiò allo stipite della porta e lo guardò dicendo: "C'è qualcosa che ti turba?" 
Il riccio alzò lo sguardo dai vestiti poggiati sul letto e parlò: "Assolutamente niente."
"Bene, perché stasera ci sarà la famiglia del tuo amico Jackson a cena."
"COSA?!" Gridò Jonathan scioccato. 
Il padre lo fissò un po' sorpreso da quella reazione.
"Sì, la cosa ti crea disturbo?" Chiese.
Il riccio si limitò a scuotere la testa.
L'uomo annuì e si allontanò dalla stanza.
 
 Non credo che si presenti dopo tutto quello che è successo.
 
Decise di non pensarci per il momento, avanzò verso lo specchio per controllarsi un'ultima volta, non era male. Indossava una semplice camicia bianca e dei pantaloni blu. 
Annuì e si sdraiò sul letto, gli ospiti sarebbero arrivati tra non molto.
Chiuse gli occhi e si addormentò.
 
Un suono acuto lo svegliò improvvisamente. 
 
 Quanto cazzo ho dormito?!
 
Si alzò di scatto dal letto e si precipitò al piano di sotto, dove già stava iniziando una conversazione tra le due famiglie.
"Eccoti, finalmente!" Affermò suo padre andandogli incontro.
"Si, scusa il ritardo." Detto questo si avvicinò allo zio di Caesar.
"Jonathan, piacere di conoscerla." Disse porgendo la mano verso l'uomo
"Piacere mio, ragazzo!" Rispose lui dandogli una pacca sulla spalla.
Si guardò intorno, cercando lui con lo sguardo.
 
 Eccolo.
 
Si era presentato, era lì che conversava con sua madre affiancato da sua zia, molto tranquillamente. Non era per niente elegante, indossava semplicemente una felpa e dei jeans, come al solito. 
Gli venne un groppo alla gola, doveva comportarsi naturalmente. Infondo era soltanto una semplice cena con la famiglia del ragazzo che qualche ora fa stava baciando.
"Salve." 
"Oh, ciao caro!" Lo salutò sua madre.
Erano lì, faccia a faccia. 
Doveva stare calmo.
"Ciao Jonathan!" Disse la donna sorridendogli.
"Vi conoscete?" Chiese sua madre.
Entrambi si guardarono 
"Ehm no, ma Caesar mi ha parlato molto di lui." 
Arrossì e volse il suo sguardo su Caesar che guardava il nulla disinteressato, probabilmente si sentiva a disagio quanto lui.
 
 Poi perché fare questa cavolo di cena insieme?!
 
"Direi che possiamo accomodarci e mangiare"
Dopo una cena lunga 3 portate finalmente si alzarono dal tavolo.
Gli adulti lasciarono la stanza per andare a chiacchierare in veranda, lasciando i due ragazzi completamente soli.
"Che coincidenza eh?" Affermò il moro buttandosi sul divano.
"Non pensi che dovremmo parlarne?" Disse John bruscamente, voleva capire cosa provasse il ragazzo.
L'altro lo guardò stralunato e disse: "A cosa ti riferisci?" 
Il riccio strabuzzò gli occhi.
"Mi prendi in giro?! Mi riferisco al BACIO" 
"Non gridare, Jonathan." Disse con una calma glaciale Caesar.
Sentire pronunciare il suo nome da lui  gli mandò in tilt il cervello, per qualche secondo rimase con un sorriso da ebete sul volto.
Ma si ridestò subito, l'americano sembrava voler negare l'evidenza.
"Che c'è ti sei dimenticato che poco fa la tua lingua era nella mia bocca?" 
Disse alzando un sopracciglio, in un moto di intraprendenza.
L'altro sbuffò, sembrava infastidito da qualcosa.
"Non so cosa mi sia preso. Ti assicuro che non capiterà mai più, non vorrei mai attentare alla tua castità virginale." 
 
 No caro, non voglio ritornare al punto di partenza.
 
"Smettila di fare così, non offendere la mia intelligenza. Ho notato un certo rigonfiamento durante quel bacio."
Dicendo questo John si strofinò sul suo corpo, avvicinando pericolosamente la mano al cavallo dei pantaloni del moro.
Caesar si alzò dal divano bruscamente, cominciando a camminare nervosamente.
"Tu devi ancora spiegarmi chi ti ha detto che io ho fatto sesso con Bethany" 
Disse infilando le mani nelle tasche e prendendo le sue sigarette.
"Non osare fumare qui dentro, comunque non importa, tanto è successo." Rispose John infastidito.
"Perché girano queste voci sul mio conto?" Chiese sospirando
"Esco fuori" continuò.
"Vuoi davvero metterti a fumare davanti a tutti? Seguimi " il riccio fece cenno a Caesar di seguirlo fino al terrazzo del piano superiore.
"Questa casa è più grande di quanto pensassi." Sussurrò Caesar, appoggiandosi al muro e accendendosi una sigaretta.
John si mise accanto a lui 
"Comunque, non so chi abbia messo queste voci in giro, ma non ho fatto niente con Bethany." 
"Davvero?"
 
 Non può essere 
 
Come poteva una cosa che lo aveva turbato così tanto non essere reale? Sembrava tutto un piano contro di lui.
 
"Si, che c'è? Sei deluso?" Rispose Caesar tenendo la sigaretta in bocca.
"No, è che insomma... "
"Wow, ed io che pensavo di vederti felice" Affermò sarcasticamente.
"La Turner non soddisfava i tuoi interessi per caso?" Chiese.
"Non proprio." Rispose, cacciando il fumo fuori.
John accennò un colpo di tosse, senza rispondere.
"Cosa ne pensi di Cleo?" Aggiunse immediatamente.
"Eh?"
Si girò di scatto verso il moro.
"Su, non fammi ripetere, hai capito la domanda" affermò l'altro ricambiando lo sguardo.
"Ha più cuore di quanto si possa credere, bisogna guardarle dentro."
"Solo il cuore? Non le hai guardato nient'altro?" 
Il tono di Caesar cambiò drasticamente, ora sembrava quasi arrabbiato.
Il riccio aggrottò la fronte.
"Ma di cosa stai parlando? Io e lei non stiamo insieme! Dovrei chiedere a TE cosa guardi in Bethany."
 
Il moro gettò il mozzicone con un gesto nervoso.
"Io e Beth ci siamo lasciati."
 
 EEEEH?!
 
Sbarrò gli occhi e contorse le labbra in una smorfia.
Era felice e confuso.
Fottutamente e stranamente felice.
Cercò di schiarire la voce e parlò:
"Come mai?"
Caesar avanzò pericolosamente verso di lui con uno sguardo indecifrabile.
Era paralizzato, non riusciva a distogliere lo sguardo da lui, che intenzione aveva adesso? Il suo unico ostacolo era stato abbattuto, che doveva fare?
Ritornò in se quando il moro lo afferrò violentemente per il polso.
"Che stai facendo?!" Chiese Jonathan, cercando di liberarsi dalla presa.
"È colpa tua." 
Così dicendo si avvicinò lentamente, i loro corpi si sfiorarono e appoggiò la sua bocca a quella del riccio.
Fu un bacio diverso dal primo, le loro labbra si saggiarono poco a poco.
Caesar affondò le mani tra i capelli di John. Con dolcezza fece toccare le loro lingue facendo diventare il bacio più passionale. Condusse il ragazzo che nel frattempo lo seguiva impacciatamente. Improvvisamente Caesar iniziò a stringere i capelli con più forza, senza badarsi dell'altro.
Si sedettero su una panchina, poco lontana senza staccarsi.
Le loro lingue giocavano mentre entrambi continuavano ad assaporarsi, ormai senza più vergogna.
Improvvisamente più eccitati, i loro movimenti divennero più rudi, irruenti.
John mosse le mani nel petto dell'altro mentre i loro corpi erano sempre più vicini.
D'un tratto si sentì staccare con forza, non voleva, ora si sentiva finalmente completo, voleva continuare fino a non avere più fiato.
Ma Caesar decise per entrambi e si allontanò velocemente.
Per un po’ nessuno dei due parlò, si fissarono solamente negli occhi. 
Ora come non mai lo sguardo del moro lasciava trapassare ogni emozione, era confuso, anche lui. 
Voleva parlare, dirgli qualsiasi cosa, ma non riusciva, non era capace di spezzare quella terribile atmosfera.
John allungò la mano verso le sue labbra tastandole, ancora incredulo di ciò che aveva rifatto.
 
"Dimenticati tutto"
Finalmente parlò, ma non come avrebbe voluto.
"Perché dovrei?" Chiese con voce spezzata.
"Perché sono un idiota e tu mi stai confondendo le idee" Rispose tenendo lo sguardo basso.
Jonathan strinse i pugni e assunse un'espressione di rabbia.
"Io ti avrei confuso le idee?! Sbaglio o sei stato tu a baciarmi?" Gli urlò contro con voce roca.
Caesar scosse la testa e si avviò verso l'interno.
"Perché ti ostini a negarlo?" Continuò l'altro seguendolo.
"È stato un errore ok? Chiudiamola qui adesso" Rispose senza voltarsi.
"Sei egoista, hai pensato un po' a quello che sto provando io?" Chiese John fermandosi.
Cercò di mandare giù il groppo alla gola che non gli permetteva di parlare normalmente. 
Si sentiva stupido, stupido come non mai. Si era fatto prendere in giro dal primo ragazzo che passava ed era addirittura arrivato al punto di provare sentimenti per lui. 
Caesar si girò, John abbasso lo sguardo cercando di non ritrovarsi faccia a faccia con lui, non voleva vederlo, avrebbe ceduto ai suoi occhi. 
"Caesar!"
 
 Grazie al cielo
 
"Ci vediamo domani" 
Non rispose, si girò semplicemente e si diresse verso la sua camera.
Era troppo per oggi, un solo giorno e già era cambiato tutto.
Si buttò sul letto, sbattendo violentemente la porta.
Pensava a quel bacio, al fatto che era tutto sbagliato. Ciò che desiderava non era realizzabile, si era innamorato  nel momento peggiore della persona sbagliata.
 
 Innamorato...
 
Chiuse gli occhi, cercando di schiarire la mente eliminando qualsiasi ricordo di quella giornata.
Avrebbe dormito, era troppo.




Angolo autrice-
Buona seraa! Eccomi con il decimo capitolo! Bene, posso annunciarvi che siamo, salvo imprevisti, a metà storia. Aspettavo questo momento da tantissimo e finalmente eccolo*^* mi scuso per il terribile ritardo, ma non riesco a tenere un ritmo regolare. Spero di rimediare con il prossimo capitolo. Grazie sempre a tutti quelli che seguono/recensiscono o solamente leggono questa storia. Alla prossima!
YuGiesse-

N.b. il titolo è tratto da una canzone dei My chemical romance, The sharpest lives.
 

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Capitolo 11
*** I think that I like you ***




Aprì gli occhi e si alzò immediatamente, accompagnato dal suo respiro irregolare e dal sudore che scendeva lentamente.
Il suo membro in erezione contro i pantaloni non gli dava pace, tutto questo per colpa di uno stupidissimo , e bellissimo, sogno.
Si ributtò sul letto maledicendosi.

 Devo smetterla di dormire il pomeriggio

Anzi, realmente doveva smetterla di dormire proprio. Non era la prima volta che faceva sogni così, ultimamente non gli davano pace. Caesar, ogni volta che lui chiudeva gli occhi, puntuale si faceva trovare nella sua mente.

 Deve torturarmi anche quando non ce l'ho davanti.

Nell'ultima settimana lui aveva iniziato a trattarlo come sempre, soliti scontri e solite avance insensate.
D'altro canto Jonathan cercava di ignorarlo il più possibile, ce l'aveva ancora con lui per quella serata dove l'aveva lasciato come uno stupido senza risposta e lui invece sembrava aver dimenticato tutto, come al solito.
Si girò mettendosi a pancia sotto, cercando di evitare di pensare il più possibile a ciò che aveva giù.
Ancora era presto, quella sera doveva andare a casa di Sophie per il suo compleanno al quale era invitato anche Caesar.

 Sembra fatto apposta.

Decise di alzarsi e di farsi una doccia per riprendersi, non avrebbe passato tutto il pomeriggio così. Crogiolarsi nell'ansia per quello che sarebbe successo se lui e Caesar fossero rimasti soli un po' più del dovuto non avrebbe di certo migliorato le cose.
Sarebbe stato decisamente un pomeriggio infinito.
Scosse la testa.

 Basta pensarci adesso

Si avviò ancora assonnato verso il bagno chiudendosi a chiave nonostante a quell'ora non ci fosse nessuno in casa.
Si tolse i vestiti ed entrò dentro la doccia, dove iniziò a far scorrere l'acqua sopra la sua testa.
Uscì prendendosi l'accappatoio e si strofinò i capelli con il cappuccio:
"Dovrei tagliarli"
Si mise alla svelta dei pantaloni e si diresse verso la sua camera.
Mancava  ancora un po' prima della serata e doveva occupare il tempo in qualsiasi modo.
Andò verso l'armadio e lo aprì, posò gli occhi sulle sue camicie e scosse la testa.

 No, oggi no. Fa troppo freddo

Sospirò al pensiero di dover abbandonare le sue adorate camicie e posò i vestiti scelti sul letto con cura. Dopo avergli dato un'altra occhiata se li mise di fretta, si spruzzò un po' di profumo e scese di corsa al piano di sotto.
"Cazzo, si è fatto tardi!" 
Al contrario di ogni previsione il tempo passò fin troppo in fretta. Prese le chiavi della macchina e si precipitò fuori.
Casa di Sophie era non molto lontana da lì, ma di certo andando a piedi non avrebbe fatto la sua bella figura.
Accese l'auto e, dopo nemmeno 500 metri, notò una figura camminare sul marciapiede.

 Caesar?

Rimase un attimo fermo a pensare.
Tornare indietro ed affrontarlo nuovamente prima del previsto rischiando di rimanere soli oppure andare dritto continuando ad ignorarlo? Non era ancora pronto.
Sospirò e, senza ascoltare la mente ma dando retta solo al suo istinto, fece retromarcia fino ad arrivare di fronte a lui che sembrava già aspettarsi questo
"Vuoi un passaggio?" Chiese, abbassando il finestrino.

 Idiota, idiota, IDIOTA.

"Se proprio devo." Rispose e, senza farselo ripetere due volte, si accomodò accanto a lui.
"Dovresti ringraziarmi, a quest'ora saresti a piedi" disse mantenendo la calma.
"Si preoccupa per me! Ma che carino" ribatté Caesar, accennando uno strano sorriso.
Non rispose, sbuffò solamente. Ecco che ricominciava.
Continuarono quel piccolo tragitto, che per John pareva interminabile, in silenzio. Si girava spesso verso Caesar, il quale guardava fuori dal finestrino con aria annoiata. Sembrava quasi essere stato costretto ad uscire di casa. Rare volte incrociò il suo sguardo, al quale il moro rispondeva con un semplice sorriso.
"Eccoci" disse il riccio rallentando.
Poté notare subito l'espressione di stupore nel volto di Caesar
"Quella casa è grande quasi quanto la tua!" Affermò quasi come un bambino 
Dopo aver posteggiato si avviarono verso l'ingresso e suonarono il campanello.
La porta venne aperta da Sophie, che mostrava un enorme sorriso.
"Ciao ragazzi!" Disse, abbracciandoli
"Ciao Sophie, auguri" rispose John staccandosi da lei, lo stesso fece Caesar.
"Dammi la giacca Caesar, che la poso di là" affermo La ragazza con la solita calma.
Ubbidì e si sfilò la giacca di dosso.
Jonathan si fermò a guardarlo. Era perfetto. Indossava dei Jeans stretti che mettevano in risalto le sue gambe, talmente belle da far invidia ad un modello ed una camicia nera, era la prima volta che lo vedeva in camicia ed adorava questa visione. 
Quanta gente avrà mai abusato di questa perfezione? Quante mani avranno stretto quelle grandi spalle?
Quanto sarebbe stato bello sbottonare quella dannata camicia?

Scosse la testa

 Cosa diavolo sto pensando?!

Si diede due colpetti sul viso e si rimise in sesto, notando che il moro lo stava fissando divertito.
"Non guardarmi così, potrei sciogliermi." Disse passandogli accanto e tirando dritto, verso la sala dove stavano il resto degli invitati.
Si girò di scatto verso di lui quasi ringhiando.

 IDIOTA.

Ancora scosso seguì il ragazzo.
Doveva darsi una calmata, non poteva permettersi un attimo di debolezza, non davanti a lui.
Entrato nella stanza salutò tutti, come al solito il sestetto era presente. Improvvisamente qualcuno gli saltò sulle spalle.
"Guarda chi abbiamo qui!" 
"Anthony?! Scendi!!"
"Che c'è non sei felice di vedermi?" Chiese l'altro prendendolo sotto braccio.
"No, è che ..." Rispose, era confuso

 Non si erano lasciati...?

"Siamo tornati insieme" Affermò raggiante Sophie, come se avesse capito cosa stesse pensando.
"Sono contento per voi" disse il riccio ancora confuso
"E tu ancora niente? Quanto devo aspettare per fare un'uscita a quattro insieme a te?" Chiese guardando verso Cleo

 Ma che problemi hanno tutti?!

"Scordatelo!" Disse con tono seccato, staccandosi da lui e sedendosi.
"Mi sa che devo trovartela io la ragazza" affermò l'altro con tono sconsolato mentre si avvicinava a Sophie.
"Aspetta e spera Little Tony" Disse mandandogli una strana occhiata. 
In tutto ciò Caesar osservava la scena seduto accanto a Bethany.
Sapeva che non stavano più insieme, ma ogni volta che li vedeva uno accanto all'altra non poteva fare a meno di innervosirsi.
Era un caso perso.
Passarono i seguenti minuti a conversare del più e del meno, non era solito sentirsi a disagio durante le conversazioni, anzi, di solito era lui a tenere sempre argomento ma stavolta era diverso.
Come sempre, lui, gli rendeva tutto difficile. Non parlava, annuiva soltanto e continuava a fissarlo con la sua solita espressione indecifrabile.

  Che vuole adesso?!

Si soffermò ad osservare la bellezza di quella casa.
Era molto curata, la madre di Sophie doveva essere molto ordinata e con buon gusto.
C'era un tavolo con una Bibbia aperta e un rosario sopra, erano anche fortemente credenti.
Caesar seguì il suo sguardo e ghignò in direzione del libro sacro.
"Avete anche le reliquie di qualche santo? Solo per informazione, eh." Disse pungente.
Anthony ridacchiò mentre la padrona di casa scuoteva la testa sconsolata.
"Bene! Direi che possiamo scegliere qualche film da guardare!"
Casa di Sophie era davvero fantastica, sul piano superiore stava un grande divano circolare e due poltrone.
"Io opto per un film horror" disse Julia, buttandosi su una poltrona  e occupando tutto lo spazio.
"Assolutamente no!" Ringhiarono Bethany e Cleo.
"Che palle, dai!" Sbottò Iris.
John sorrise e si accomodò sul divano. Caesar invece si guardava intorno, probabilmente era rimasto meravigliato da quella casa.
"Caesar! Tu che dici?" Strillò Alison buttandosi sul collo del moro.
"Qualcosa in bianco e nero?" Ammiccò lui, tenendo la ragazza che si reggeva a stento.

 Buttala giù!

"Io vado giù a prendere le patatine!" Affermò Cleo con tono solare.
"Ok, horror! Deciso." Disse Julia prendendo il controllo del telecomando.
"Se guardiamo un Horror però tu dovrai abbracciarmi ogni volta che avrò paura!" Dichiarò Alison senza staccarsi da Caesar.

 Basta.

Si alzò di scatto avanzando con passo nervoso verso il piano di sotto
La casa era talmente grande che vi era una zona giorno ed una notte.
Una porta separava le due aree, dove si trovava un corridoio e molte stanze, tra cui il bagno.

 Non posso continuare così.

Si sciacquò il viso, aveva un colorito tremendo.
Questa situazione lo stava uccidendo.
Sentì dei rumori, qualcuno che parlava, ma riuscì a capire solo che si trattava di un ragazzo e una ragazza.

 Magari ora si appartano in qualche camera da letto lui e Alison.

Invece, inaspettatamente, si aprì la porta.
Si pietrificò.
Non sapeva se gioirne oppure se tirargli la prima cosa che gli passasse tra le mani in faccia. 
Non sapeva niente. 
Perché? 
Quella porta era stata spalancata da un Caesar, con addosso l'espressione più imbarazzata che avesse mai potuto avere.

  Calma...

"Da quando in qua non si bussa?!" Disse John spezzando l'imbarazzo. 
Peccato che pronunciò quella frase con un tono terribilmente ridicolo.
Il moro entrò e chiuse la porta alle sue spalle tenendo ancora lo sguardo basso.
"Insomma, che problemi hai?"
Insisté piazzandosi davanti a lui.
"Dovrei uscire" continuò, senza guardarlo.
Non ricevendo risposta avvicinò la mano alla maniglia ma fu bloccato da Caesar, che in risposta chiuse la porta a chiave 
"Ripeto, fammi uscire!" Strillò John girando la chiave.
Il moro gli bloccò il braccio.
"Mi sono stancato, basta." Sbuffò, facendo ancora forza sulla maniglia.
Il ragazzo lo fermò per le spalle lasciandogli un veloce bacio sulle labbra, dal quale si staccò sorridendo.
"Davvero?"
John scosse la testa senza riuscire a riprendersi e gli lanciò un'occhiata piena di rabbia
"Smettila di prendermi in giro, hai rotto adesso"
"Pensi davvero che ti stia prendendo in giro?"
"Sì"
"Sbagli"
Non sapeva che rispondere, aveva solo voglia di prendere a schiaffi quel magnifico viso che aveva di fronte.
"Non sei l'unico ad essere confuso qua" disse, cambiando espressione.
"fidati." Aggiunse
"Non capisci" rispose John. Lo aveva steso di nuovo, avrebbe nuovamente giocato con lui come aveva fatto le altre volte.

 E se stesse dicendo la verità?

Scosse la testa. Era impossibile, era come confermare che i suoi sentimenti fossero ricambiati. 
Era inutile sognare. Stava sperando l'impossibile.
Lui era solo un giocattolo, il passatempo del ragazzo che aveva mandato a quel paese tutti i suoi ideali.
"TU non capisci"
"Stai facendo la vittima" Affermò il riccio, ormai arreso.
Il ragazzo fece spallucce e gli alzò il mento con le dita, avvicinandolo a se.
"Forse"
Si piegò leggermente verso il suo viso, facendo sfiorare le loro labbra. Accarezzò con la lingua il suo labbro inferiore, mordendolo. L'altro lo assecondò, non poteva non farlo, era impossibile. Buttò le sue braccia attorno al collo del moro. Voleva maledire quelle terribili labbra che non gli davano più pace.
Caesar si staccò per un secondo, il tempo di spingerlo verso il muro accanto alla porta.
Ritornò tra le sue labbra, facendo pressione verso il suo corpo. Senza riuscire a controllarsi il riccio posò le mani sul suo petto iniziando a sbottonare la camicia, in risposta l'altro scese le mani sui suoi fianchi e li le posò. Si fermò nuovamente. John lo fissò con uno sguardo che chiedeva sempre di più.
Si sentiva stupido a ricascarci ma, ormai, non aveva più niente da perdere.
"Sai perché sono entrato di colpo qui dentro?" Chiese Caesar 
studiando il suo corpo.
"Perché ti sei rincretinito?" Chiese retoricamente John guardando le sue mani che pericolosamente scendevano un po' troppo in basso.
L'altro accennò una risata.
"Perché mi ero fatto degli stupidissimi film mentali su te e Cleo" affermò.
"Me e Cleo?" 
Il moro si avvicinò ancora di più al suo viso, gli accarezzò la guancia e sussurrò: "Pensavo che fossi sceso per pomiciare con lei." Fece un sorriso.
John sorrise a sua volta, come contagiato.
Lui continuò a guardarlo come per studiarlo, lo fece sentire quasi a disagio, nudo.
"Perché ti vergogni di me?" Domandò Caesar con voce dolce.
"Non devi." Continuò.
Il più piccolo si sentì, se possibile, ancora più a disagio e iniziò a guardarsi le scarpe, arrossendo.
"Ehi, mi stai ascoltando? Non devi." Gli alzò con forza il mento e lo fissò dritto negli occhi.
"Sono geloso marcio. Ecco perché ho aperto la porta in quel modo, non posso più resistere senza di te."
John provò a rispondere ma lui lo precedette, stringendogli le mani ai lati del viso con fare possessivo, dicendo: "Fammi finire o non riuscirò a dirtelo più. Sei il mio chiodo fisso, ho bisogno di te. Voglio abbracciarti, baciarti e fare tutto con te"
Jonathan non poteva crederci, aveva paura che cambiasse nuovamente idea e che gli facesse male.
Sospirò.
"Il tuo è solo un capriccio." Affermò, ma la sua convinzione venne meno appena vide lo sguardo del moro. 
Sembrava davvero convinto questa volta di ciò che faceva e di ciò che voleva.
Decise che per una volta nella sua vita poteva correre un rischio, poteva tentare.
Così, si avvicinò alla bocca di Caesar e lo baciò con dolcezza, con amore.
L'altro lo fece appoggiare ancora di più al muro e lo prese per i fianchi alzandolo da terra, facendo entrare in contatto i loro sessi ancora coperti da strati di vestiti.
Iniziò una lenta tortura sul suo collo, lo lambiva e lo succhiava senza controllo.
Il riccio si arcuò e mugolò eccitato, poi mise una mano sotto la maglietta dell'altro e iniziò ad accarezzargli ogni centimetro di pelle.
Si staccavano solo per riprendere fiato e poi ricominciavano a baciarsi, con maggior esigenza.
Come se da quei baci dipendesse la loro stessa sopravvivenza.
D'un tratto il più grande lo mise sopra un ripiano del bagno, a gambe aperte e gli tolse la maglietta.
Poco dopo si trovavano nella stessa posizione ma con solo i pantaloni.
John non era molto a suo agio, non gli era mai piaciuto il suo corpo.
Caesar parve intuire i suoi pensieri perché disse: "Sei bellissimo."
E riprese a baciarlo, toccandolo ovunque.
Il fisico dell'americano era proprio come aveva sempre immaginato, come quello che vedeva nei suoi dannati sogni che si stavano avverando i quei pochi minuti. Era perfetto. Aprì gli occhi e lo guardò per qualche secondo. Ricordò la prima volta che lo vide e al poco peso che diede a quell'incontro, chi l'avrebbe mai detto? Continuava a credere che stava sbagliando, erano due ragazzi e probabilmente quello di Caesar era solo un capriccio, non poteva funzionare, ma lo desiderava, desiderava così tanto che la sua stupida cotta fosse assecondata e stava iniziando a crederci, Lui glielo stava facendo credere. 
Era sbagliato,
Era stupido,
Era fottutamente bello.
Mentre lottava contro la zip dei jeans di Caesar qualcuno entrò nel bagno.
Si staccarono di colpo, ma ormai non c'era più niente da fare.

 Non posso crederci... Abbiamo dimenticato di richiudere la porta...

Julia se ne stava là davanti, come se avesse appena visto una cosa totalmente normale e chiuse la porta alle sue spalle.
"Non sia mai che i genitori di Sophie spuntino proprio ora." Disse con un sorriso malizioso sul viso.
"Sono contenta che finalmente vi siate decisi ma devo andare in bagno, quindi trovate un posto dove scopare in santa pace." Concluse sempre senza peli sulla lingua.
Si rivestirono in fretta e furia e uscirono dal bagno senza sapere cosa risponderle.
John non si era mai sentito così in imbarazzo, perfino Caesar sembrava in qualche modo a disagio mentre si sedeva su un divano del salotto.
Nemmeno il tempo di formulare questo pensiero che lo prese per il sedere e lo costrinse a sedersi sopra le sue gambe.

 Come non detto.

Avvicinò le labbra all'orecchio del riccio e, dopo aver posato un delicato bacio proprio sotto al lobo, disse: "La ragazza ha ragione, dobbiamo trovare un luogo più appropriato per la nostra prima volta. Perciò temo che dovremo pazientare un po’, non credo nemmeno che  tu sia pronto."
Jonathan arrossì tantissimo e borbottò: "Beh, non saprei, poco fa mi piaceva, anche tanto."
Il bel moro gli scoccò un sonoro bacio sulla
fronte.
"Abbiamo tutto il tempo del mondo. Non c'è bisogno di correre."
Poi fece un ghigno ambiguo e gli sussurrò: "Fosse per me non ti potresti più sedere per giorni." 
Prese la mano del riccio e la portò sulla sua erezione ancora molto palpabile.
Fu in quel momento che Julia uscì nuovamente dal bagno.
"Okay, faccio finta di non aver visto niente" Affermò lei avviandosi verso le scale
Il riccio, rosso di vergogna,scese dal divano e si ricompose.
"Credo che dovremmo salire anche noi"
Caesar gli si avvicinò avvolgendogli i fianchi con un braccio.
"Hai ragione" dopo avergli lasciato un leggero bacio sulla guancia  superò il riccio e si diresse verso il piano superiore.
John lo fissò salire le scale era decisamente irreale.

 Chissà cosa gli passa per la mente

Scosse la testa. Per una volta doveva smettere di pensare e di farsi complessi inutili, doveva solo godersi quella serata, diventata ormai fin troppo strana.
"John sbrigati! Ti stai perdendo tutto il film!" 
Fece spallucce come per scacciare ogni pensiero e salì sopra.
La stanza era completamente al buio, illuminata soltanto dalla luce della TV in pausa.
Tutti i posti più comodi erano stati sfortunatamente occupati. 
Antonio e Sophie erano seduti insieme in una poltrona e nell'altra stavano sedute Bethany, Cleo e Iris.
Sul divano invece vide Caesar affiancato da Julia e Alison.
Fece una smorfia.

 Sempre in mezzo alle palle lei, eh?

Agì di istinto e senza pensarci si fiondò accanto a Julia e Caesar.
Entrambi accennarono una risata, eccetto Alison che lo squadrò come al solito.
"Possiamo iniziare adesso? Che se no rischio di addormentarmi" mormorò Antonhy. 
Sophie sbuffò e fece partire il film.

 Che cazzate.

Non amava i film horror, li riteneva stupidi e probabilmente non era l'unico. Anche Caesar, come lui, osservava lo schermo con lo stesso interesse con il quale seguiva una lezione di storia. 
Le altre ragazze invece sembravano divertirsi, soprattutto Alison che con tutta la tranquillità del mondo aveva steso le sue gambe su quelle del moro.

 Scendi quelle gambe, porca miseria.

Stava diventando insopportabile, ma non avrebbe fatto un'altra scenata scappando giù.
"AAAAH!"
Ebbè un sussulto, l'urlo stridulo di Alison lo fece spaventare più del film. 
"Puoi staccarti, gentilmente?!"
Si girò verso di loro e osservò una scena che lo fece rabbrividire.
La ragazza era saltata letteralmente sulle gambe di Caesar e lo stringeva tenendo il viso sul suo collo.
Nonostante il buio, poté notare l'espressione seccata del ragazzo.
"Ma fa paura!"
"Mettendoti sopra lui non ti passerà certo la paura, Ali. Dai accompagnami in bagno." Le disse Iris.
Appena le due scesero al piano di sotto Julia ne approfittò per spostarsi verso Cleo e Bethany, lasciando così ai due ragazzi il divano tutto per loro.
Caesar con indifferenza mise il braccio sulle spalle del riccio. 
Quest'ultimo lo guardò confuso, voleva farsi vedere davanti a tutti?
Il più grande alzò le spalle e gli sorrise.
Aveva un sorriso fantastico, non era più il suo solito ghigno malizioso o irriverente ma un vero sorriso felice.
John si accoccolò sulla spalla del moro, improvvisamente stanco a causa delle emozioni della giornata e, con il ritmo del respiro del ragazzo, si rilassò. 
Nel frattempo il moro aveva preso ad accarezzargli la guancia dolcemente e, poco dopo, iniziò a dargli teneri baci tra i capelli.
"Mi piace il tuo odore." Disse d'un tratto Jonathan, aspirando quasi il profumo del collo di Caesar.
"A me piaci tu." Sentenziò l'altro.

    A me piaci tu

Gli si bloccò il fiato per un secondo.
Lo aveva detto? Seriamente? Le farfalle allo stomaco cominciavano a farsi sentire ancora più insistentemente ed il suo respiro cominciava a farsi più irregolare, ciò attirò l'attenzione del moro.
Lo aveva ammesso, era successo e tutto nel solo giro di una settimana. Da quando? Come lo aveva capito? Era straziante, troppe domande e nessuna risposta.
Aprì la bocca per parlare ma si fermò subito. Non era il momento, sprecare quel momento sarebbe stato da idioti.
Sfortunatamente, Caesar si accorse del modo in cui lo stava fissando.
"Che succede? Ti dà fastidio?" Chiese.
"No no, anzi. Non ho niente." Disse, tornando a mettere il viso sulla spalla dell'altro. 
Ma lui non sembrava del suo stesso avviso perché si staccò leggermente e lo guardò fisso negli occhi.
"Sul serio, non voglio rovinare questo momento." 
L'americano riprese ad accarezzargli la guancia con dolcezza.
"Hai ancora dei dubbi, non pensi che io sia veramente interessato a te."

 Come fa a leggermi dentro così bene?

Proprio in quel momento partirono i titoli di coda e qualcuno accese la luce.
"Direi che è il momento dei regali!" Trillò Cleo emozionata, come se fosse il suo compleanno. 
I due ragazzi si alzarono dal divano e il moro fece segno all'altro che il loro discorso non era finito.
Si avviarono verso il salone al piano di sotto dove su una tavola stavano dei regali e la torta
"Si mangiaaaa!" Affermò contenta Iris.
"No! Prima i regali!" Rispose Sophie prendendo i pacchi per le mani.
John si limitò a guardare la scena sorridendo. Non avrebbe mai pensato di trovarsi a festeggiare il compleanno di una delle ragazze che lo avevano tormentato per tutti gli scorsi anni. 
Era stranamente felice, aveva dei nuovi amici, gente che nel bene o nel male gli riempiva le giornate.
"A che pensi?" Antonhy puntuale come sempre interruppe il suo pensare
"Le avevo sempre etichettate come cattive ragazze..." Rispose John con tono sereno
"...ed invece sono tutto il contrario" continuò l'altro.
Sorrise.
"Adesso Smettila, tutta questa dolcezza mi fa rabbrividire" 
Aggiunse dandogli un colpetto in testa.
"Idiota!" Strillò Lui.
Nel frattempo Sophie si accingeva a spegnere le 17 candeline.
"Ora mangiamo la torta su! Che ho fame" affermò Bethany.
La festeggiata affondò il coltello sulla torta ed iniziò a distribuire le fette.
Ognuno prese la sua, eccetto Caesar che si sedette accanto a John.
"Come mai non ne vuoi?" Gli chiese il riccio.
L'altro si limitò a scrollare le spalle e disse: "Non mi piacciono i dolci."
"Cooosa?? Non si può non amare i dolci! Dai, assaggia è deliziosa." 
Dicendo questo gli offrì una grande forchettata di torta con tanta panna e anche una fragolina.
Il moro sbuffò, ma non obbiettò e avvicinò la bocca alla forchetta, assaggiando la torta.
E, forse volontariamente, si sporcò leggermente il labbro superiore.
Fece un sorriso sghembo e guardò l'altro.
Jonathan accarezzò quel punto con un dito e lo portò in bocca, succhiandolo.
Caesar sorrise ed annuì soddisfatto, allontanandogli la mano dalla bocca.
"Ne gradirei un altro po'"
Il riccio scosse la testa e spostò il piatto quando notò, forse troppo tardi, che Sophie li stava osservando divertita.

 NO.

"Te la sei cercata" Gli sussurrò Caesar all'orecchio mentre si alzava per avvicinarsi alle ragazze.
Alzò gli occhi al cielo. 
Se lo avesse visto Anthony sarebbe stata la fine.
"Bene ragazzi, grazie di tutto siete stati fantastici." Annunciò Sophie.
"Di nulla! Tutto per te tesoro" dissero le ragazze abbracciandola.
"Qualcuno ha bisogno di un passaggio? Caesar non credo che tu conosca molto bene questa zona, ti accompagno?" Chiese Anthony, prendendo in mano le chiavi della sua auto.
"No, Grazie. Vado con lui" Rispose l'altro indicando John il quale distolse subito lo sguardo per non fare notare l'imbarazzo.
"D'accordo! Vi accompagno alla porta" disse la ragazza facendo l'occhiolino al riccio.
La seguirono all'ingresso, dove presero le proprie giacche e le indossarono.
"Grazie ancora di tutto, ragazzi" disse Sophie abbracciandoli
"Grazie a te" risposero, ed uscirono fuori.
"Cazzo, si gela"  affermò il moro avvicinandosi alla macchina.
"Ancora non hai sentito il vero freddo" ammiccò John entrando in macchina.
"Sono in momenti come questi che mi manca l'America" sospirò l'altro facendo lo stesso.
Dopo aver messo in moto si girò a guardare l'americano che stava guardando fuori dal finestrino.
Erano di nuovo soli, sperava con tutto il cuore che Caesar dimenticasse il discorso di poco fa.
Tornò a guardare la strada, il tragitto sarebbe durato pochi minuti ma quel silenzio lo rendeva interminabile.
"Non hai niente da dirmi?" Chiese d'un tratto il moro, rompendo il silenzio. 
John strinse il volante con forza, non sapeva cosa dirgli.

 Dannazione.

Decise di fingere indifferenza, scuotendo il capo.
Il più grande si avvicinò a lui, non indossava la cintura.
"Allaccia la cintura. Subito." Sibilò.
Non poteva staccare gli occhi dalla strada, aveva paura di fare un incidente.
L'altro fece una risata.
"La allaccio solo se mi dici cosa ti passa per la testa, ecco." Dichiarò in falsetto, imitando la voce di un bambino.
Jonathan parcheggiò in un luogo isolato e si voltò a guardare l'americano, il quale sorrideva sfrontato.
Come sempre del resto.
"Beh, non ne ho più bisogno." Mormorò.
Jonh continuava a stare in silenzio, doveva evitare in qualsiasi modo di non perdere la calma, non voleva affrontare il vecchio Caesar dopo una giornata come quella, non ne valeva la pena.
Ma a quanto pare l'altro non era dello stesso parere visto che con un gesto gli slacciò la cintura e abbassò il sedile, mettendosi sopra di lui.
"Che cazzo fai?!" Strillò il riccio rosso dalla vergogna
Il moro gli avvicinò il dito sulle labbra per chiuderle
"Shh, sei insopportabile quando alzi la voce"
Il ragazzo allungò le braccia verso il suo petto spingendolo inutilmente verso il suo posto.
"Insomma, che vuoi?" 
"Non sai spiegarti perché mi comporto così, vero?"
Il piccolo sbarrò gli occhi e distolse lo sguardo dal viso dell'americano, il quale gli prese il viso con una mano e le girò bruscamente verso il suo
Era bellissimo, come sempre.
"Muori dalla voglia di sapere cosa mi ha fatto cambiare idea..."
Sussurrò avvicinandosi al suo orecchio.
"...ma hai una gran paura di scoprire quale sia la verità" continuò abbassando sempre di più il tono della voce.

 La sappiamo entrambi la verità.

"Non sono la tua puttanella, Jackson." Gli disse improvvisamente arrabbiato.
Ci era cascato un'altra volta. Non credeva che Caesar lo volesse solo per una scopata. 
Cercò in tutti i modi di toglierselo da sopra, ma lui riuscì a bloccarlo tranquillamente.
"Non mi hai nemmeno fatto dire niente che già passi alle conclusioni?" Domandò divertito.
"Già da questo capisco le tue intenzioni."
Disse John, riferendosi alla posizione poco casta che aveva preso l'altro.
Aveva il cuore a pezzi.
Voleva solo tornare a casa e piangere.
Si era innamorato di qualcuno che non lo ricambiava e giocava coi suoi sentimenti.
"Lasciami." Sibilò il riccio, tentando di sembrare risoluto ma la sua voce tremava.
Caesar invece non sembrava dello stesso avviso, perché inizio a far vagare le mani ovunque sul suo corpo.
"Hai paura, piccolino?" 
Che diavolo voleva fargli?!
"No! Lasciami!" Gridò John, scalciando.
Improvvisamente Caesar rise.

 Ma che ...

"Dio, Jonathan, hai una stima cosi bassa di me?"
Dicendo questo si staccò leggermente da lui.
Si passò una mano tra i capelli e parlò con voce calma.
"L'ho capito quando vedevo Cleo accanto a te. Quando ogni ragazzina con la scusa del 'rappresentante' ti si avvicinava, quando ti ho baciato. Beh si, ho capito che mi piaci quasi subito ma non volevo ammetterlo. Ma che senso ha nascondere questi sentimenti? Non me ne vergogno più."
John lo fissò con gli occhi quasi lucidi, lo aveva ammesso di nuovo, crederci o no? Sembrava sincero, ma non conosceva ancora bene Caesar, non era un cattivo ragazzo ma non sapeva nulla di lui. Voleva fidarsi ma non voleva stare ancora male.
"Sei libero di non credermi, sai cosa penso adesso"
"Io..."
"Se ti stai chiedendo cosa ne sarà di noi non ti so rispondere" affermò rimettendosi al posto.
"Sono confuso quanto te" disse allacciandosi la cintura.
Il riccio si ricompose.
Non sapeva come comportarsi, era rimasto letteralmente senza parole. Era una situazione nuova, non aveva mai dato peso a cose come l'amore e adesso si trovava nella peggiore delle posizioni. 
Innamorato di un ragazzo ancora troppo sconosciuto che, a detta sua, ricambiava i suoi sentimenti.
Mise in moto e ricominciò a guardare la strada senza staccarne gli occhi.
Non voleva tornare a casa, quella sera era stata fin troppo perfetta e stava finendo così in fretta.
A me piaci tu
Continuava a non crederci, come si sarebbe dovuto comportare d'ora in poi? 
"Ehi, casa mia è qui, svegliati." Improvvisamente Caesar interruppe il suo pensare.
"Ah giusto, perdonami" rispose L'altro accostando
Il moro aprì lo sportello, si slacciò la cintura e lo salutò con cenno.
Continuò a guardarlo mentre si allontanava, probabilmente lo aveva fatto arrabbiare.

 Non così ti prego.

Si slacciò in tutta furia la cintura ed uscì dalla macchina completamente privo di senno

 Ora o mai più.

Si avvicinò velocemente verso Caesar e lo afferrò per la manica della giacca costringendolo a girarsi di colpo. 
Lo guardò, giusto il tempo di fargli intuire le sue intenzioni e si mise sulle punte avvicinandosi al suo viso e poggiando le labbra sulle sue. Fu un bacio veloce ma tremendamente dolce, si staccò immediatamente tenendo la testa bassa sentendosi un completo idiota.
Il più grande gli alzò il viso dal mento sorridendogli. Non si sarebbe mai stancato di vedere quel sorriso. 
"Buonanotte Jackson" sussurrò il piccolo.
"Notte Brown" rispose l'altro.
 


Note Autrice-
Buona sera a tutti! Ecco l'undicesimo capitolo, con un po' di ritardo ma vabbè. Grazie mille a tutti, come sempre, per il vostro sostegno. Ringrazio in particolare FRAMAR e NobodyUnderstandsMe che, puntualmente, recensiscono ogni capitolo. Alla prossima!
YuGiesse-


 

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