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Bucky non si era dato alla macchia dopo essersi allontanato di nascosto
dall’appartamento che condivideva con Steve nell’edificio di proprietà di Tony
Stark
Long way to happy(prima parte)
I’ll keep on running
down this road
But I’ve got a bad,
bad feeling
It’s gonna take a long
time to love
It’s gonna take a lot
to hold on
It’s gonna be a long
way to happy
Left in the pieces
that you broke me into
Torn apart but now
I’ve got to
Keep on rolling like a
stone
‘cause it’s gonna be a
long long way to happy.
(“Long way to happy” –
Pink)
Bucky non si era dato alla
macchia dopo essersi allontanato di nascosto dall’appartamento che condivideva
con Steve nell’edificio di proprietà di Tony Stark. Non era certo sua
intenzione fuggire chissà dove e cadere di nuovo nelle mani dell’Hydra.
Era rimasto ferito dalla reazione
di Steve alla rivelazione del suo vecchio legame con Natasha Romanoff, si era
sentito giudicato dalla persona a cui teneva di più al mondo e, soprattutto,
aveva compreso qualcosa che lo aveva lacerato nel profondo. Steve,
probabilmente, non se ne era nemmeno reso conto, ma il grande turbamento che
aveva mostrato nel venire a sapere di quella relazione ormai morta e sepolta
aveva chiarito a Bucky che cosa provasse per lui in realtà.
Certo, Steve lo amava ed era
anche comprensibile che potesse essere geloso; magari temeva che lui non gli
avesse detto tutta la verità e che, in fondo al cuore, provasse ancora qualcosa
per la ragazza. Ma non era quello il vero problema.
Steve non aveva accettato
qualcosa che Bucky aveva fatto negli anni in cui era il Soldato d’Inverno.
Steve tendeva a dimenticare che
lui non era, e non sarebbe mai più potuto essere, il Bucky di Brooklyn, il
ragazzo gentile e scanzonato che lo proteggeva e che era sempre al suo fianco.
Steve, in fondo al cuore, non
voleva accettare il Soldato d’Inverno.
Steve voleva illudersi che
entrambi fossero stati inghiottiti da una bolla spazio-temporale che li aveva
trasportati dal 1944 al 2014, lasciandoli però esattamente com’erano allora.
Invece non era così e nessuno
meglio di Bucky poteva saperlo.
Bucky doveva fare i conti tutti i
giorni con ciò che era stato e che aveva fatto, con i ricordi atroci che lo
straziavano, con i rimorsi e i sensi di colpa. In lui c’era molto del vecchio
Bucky Barnes, certo, ma gli anni terribili trascorsi come Soldato d’Inverno lo avevano, com’era naturale, portato a crescere e ad evolversi
in modo molto diverso da come sarebbe stato senza quell’esperienza devastante.
James Buchanan Barnes era un giovane che aveva conosciuto la solitudine più
spaventosa, le torture più strazianti e le violenze più abiette che si possano
immaginare; era riuscito a ribellarsi a tutto questo e a rinascere dalle
proprie ceneri, ma il passato restava impresso in lui e non si poteva
cancellare, non più di quanto si potesse nascondere il suo arto di vibranio o
le cicatrici sul suo corpo.
La sua storia con Natasha era
stata appunto frutto di quelle tremende esperienze, in lei aveva ricercato un
appiglio per non perdere completamente la ragione, un po’di calore e umanità in
una realtà fatta solo di orrore e violenza.
Il Barnes attuale era una persona
nuova, non il naturale proseguimento del Bucky degli anni Quaranta.
Era questo che Steve non pareva
né capire né accettare.
Ed era questo il motivo per cui
Bucky se n’era andato.
Aveva camminato per tutto il
resto della notte per giungere a Brooklyn, ricercando i quartieri nei quali
aveva vissuto la sua infanzia e adolescenza felici accanto a Steve. Non sapeva
ancora cosa avrebbe fatto, dove avrebbe dormito, come sarebbe sopravvissuto…
sapeva soltanto che aveva bisogno di tornare nei luoghi che avevano visto il
Bucky spensierato e allegro. Desiderava vivere di nuovo da quelle parti e
imparare a conoscere il giovane uomo che era diventato, senza nessuno che lo
giudicasse o lo confrontasse con quello che era prima.
Erano le sette di mattina quando
Bucky si trovò a passare davanti a un piccolo negozio di frutta e verdura. Il
proprietario era un uomo corpulento di mezza età e stava faticosamente
riordinando le cassette di frutti e ortaggi che il fornitore gli aveva portato
poco prima. Lo sforzo era evidentemente eccessivo per l’uomo, che continuava a
sbuffare e ad asciugarsi il sudore con un grosso fazzoletto; alla fine,
desolato, si lasciò cadere su un mucchio di cassette di legno vuote.
“Ha bisogno di una mano?” chiese
Bucky, avvicinandosi a lui.
“Magari” ansimò l’uomo, senza
nemmeno alzare il capo. “Stamattina Sam, il fornitore, aveva fretta e non mi ha
aiutato a sistemare le cassette… ma io da solo non ce la faccio!”
“Ci penso io, lei resti pure
seduto e si limiti a spiegarmi dove devo mettere le cassette” fece sbrigativo
il giovane.
Il fruttivendolo non si fece pregare,
lieto di poter usufruire di un aiuto giunto così insperato. In pochi minuti le
cassette furono tutte disposte per la vendita e l’uomo rimase a fissare Bucky
con un certo stupore: la forza del giovane, la sua velocità nello sbrigare un lavoro
tanto pesante e, soprattutto, il suo arto meccanico, non erano cosa che si
vedesse tutti i giorni.
“Ho perso il braccio in guerra,
il furgone che guidavo è saltato su una mina” si affrettò a spiegare Barnes per
evitare domande inopportune.
L’uomo annuì con aria
comprensiva.
“Eri in Iraq?”
“Sì” rispose il Soldato
d’Inverno, senza neanche scostarsi troppo dalla verità. In Iraq ci era stato,
in effetti, anche se… in missione per l’Hydra.
“Anche mio figlio è stato laggiù”
disse con orgoglio. “E’ in marina, il mio Ryan. Io e mia moglie Maggie abbiamo
vissuto anni d’inferno quando lui era in missione in quei posti, ma, per
fortuna, è tornato sano e salvo. Ora lavora a Washington. Mi dispiace per
quello che è accaduto a te, chissà che strazio…e il dolore dei tuoi genitori…”
“I miei sono morti anni fa e per
il braccio… beh, tutto sommato funziona bene anche così e, comunque, non sono
mancino” minimizzò Bucky, cercando di sviare l’attenzione del negoziante su
qualsiasi cosa che non riguardasse il braccio di vibranio.
L’uomo sembrava non trovare il
modo di esprimere quello che aveva in mente. Alla fine, prese un lungo respiro
e si rivolse nuovamente a Barnes.
“Senti, ragazzo, sono stato in
guerra anch’io, la sporca guerra del Vietnam per la precisione” buttò fuori, “e
so cosa vuol dire tornare da reduce, solo, con gli incubi delle cose terribili
che hai visto e che hai dovuto fare, senza un lavoro né un posto dove andare.
All’epoca sarei stato contento se qualcuno mi avesse dato una mano…”
Bucky lo fissava senza capire
bene dove volesse arrivare.
“Non offenderti, ragazzo, ma tu…
ecco, non sembri proprio messo bene, per dirla semplice. Ce l’hai un lavoro e
un posto dove stare?”
“A dire il vero… no” ammise
Bucky. “Sono venuto da queste parti perché era qui che abitavo prima.”
“Beh, come vedi io sono vecchio
per portare avanti il negozio da solo. Avevo un ragazzo che mi aiutava, ma si è
licenziato un paio di settimane fa perché… insomma, perché lo pagavo poco”
disse l’uomo. “E non aveva torto, ma io non faccio grandi affari e non posso
permettermi un aiuto fisso, anche se ne avrei bisogno.”
“Mi sta offrendo un lavoro?”
chiese Bucky.
“Solo se ti va… te l’ho detto,
non posso assicurarti una paga sostanziosa, però, se non hai un posto dove
stare, potresti vivere con me e la mia Maggie e aiutarci in negozio in cambio
di vitto, alloggio e… qualcosa di più quando le cose vanno meglio. Noi abitiamo
nell’appartamento sopra la bottega e abbiamo una stanza in più, quella di Ryan.
Insomma, sempre se va bene a te.”
Il Soldato d’Inverno era incredulo.
“La ringrazio, per me sarebbe
l’ideale ma… lei è sempre così ospitale con gli sconosciuti?”
“Non sei uno sconosciuto, sei un
soldato come mio figlio, come me prima di lui e come mio padre prima di me… lui
ha partecipato al D-Day” replicò commosso il negoziante. “Conoscerai anche lui
se vieni da noi, ormai ha novantadue anni ma è più in gamba di me, pensa che
non vuole assolutamente venire a vivere con me e Maggie ed è rimasto nel suo
appartamento, vicino al nostro, perché vuole
la sua libertà, dice.”
Bucky rimase colpito da questa
notizia… paradossalmente, lui era un quasi coetaneo del padre dell’uomo,
chissà, magari si erano anche incontrati in tempo di guerra!
“E comunque, io mi chiamo Tom
Riggins” concluse, tendendo la mano al giovane.
“Io sono James Barnes” rispose
Bucky, stringendo la mano che gli veniva offerta. Nonostante la prudenza che
sfiorava la paranoia, in quel caso sentiva di poter usare il suo vero nome; del
resto, nessuno conosceva il nome del Soldato d’Inverno e l’eroe di guerra celebrato
allo Smithsonian era conosciuto da tutti come Bucky Barnes.
“Molto bene, adesso non siamo più
estranei” esclamò soddisfatto Riggins. “Ora, che ne dici di aprire il negozio,
James?”
Bucky annuì e abbozzò un mezzo
sorriso. In uno strano modo, si sentiva come se fosse ritornato a casa, nella sua Brooklyn e nel suo
mondo.
Intanto, a Manhattan, Steve era
in preda all’angoscia e si trovava da ore nell’appartamento di Tony Stark,
insistendo instancabilmente affinché lui usasse qualsiasi mezzo a disposizione per
ritrovare Bucky.
“Capitano, non stiamo parlando di
un bambino di tre anni che si è perso in spiaggia” protestò Stark, esasperato.
“Da quello che mi hai raccontato, Barnes si è allontanato volontariamente. Ti
ricordo che è stato il Soldato d’Inverno per settant’anni, per cui immagino
sappia benissimo come cavarsela da solo!”
“Lo so benissimo, ma voglio
ritrovarlo ugualmente” ribatté Rogers. “L’ho cercato per mesi, quando l’ho
ritrovato ho creduto che sarebbe andato tutto bene e ora… ora se n’è andato di nuovo
e non so dove sia. Io devo trovarlo,
voglio chiedergli scusa e voglio che… che resti con me.”
“Se avesse un cellulare, potrei
localizzarlo con il GPS, ma mi dicevi che non l’ha voluto” fece Stark, con
l’aria di chi non sa da che parte rifarsi.
“No, temeva che potesse essere
intercettato da quelli dell’Hydra. E… se lo trovassero loro?”
“Barnes avrà i suoi modi per non
farsi trovare, di questo sono più che certo” lo rassicurò Tony.
“E tu non hai i tuoi modi per
trovarlo, anche se lui non vuol farsi trovare?” ripeté ostinato Steve.
“Ce l’ho” ammise l’uomo, “ma
forse farei più in fretta se tu non fossi qui ad alitarmi sul collo. Mi metti
ansia! Perché non te ne torni nel tuo appartamento? Non appena avrò localizzato
Barnes ti chiamerò.”
Con un sospiro rassegnato, il
Capitano annuì.
“Come preferisci. Mi fido di te”
rispose.
Pochi minuti più tardi, solo nel
suo appartamento, Steve guardava fuori dalla finestra sentendo un vuoto immenso
e indescrivibile nel cuore.
Era in pena per Bucky, sì, ma non
era quello ad angosciarlo tanto; in fondo sapeva che Tony aveva ragione e che
il suo amico era perfettamente in grado di cavarsela.
Il problema era che Bucky gli
mancava.
Era pentito della reazione avuta
la notte precedente, sapeva di averlo ferito e voleva solo riaverlo accanto a
sé.
Anche quando non avevo niente, avevo Bucky… e ora che non ho Bucky, è
come se non avessi più niente, neanche una ragione per andare avanti.
Perché era finita così? Sembrava
che tutto andasse bene, si erano ritrovati, Bucky aveva iniziato a ricordare
sempre di più, avevano fatto l’amore e adesso…
Steve trasalì.
Ma certo! So dov’è Bucky! C’è un solo posto dove può essere andato…
A Brooklyn, nel quartiere dove abitavamo da ragazzi!
Sì, Steve ne era sicuro, Bucky
non poteva che essere andato là.
Afferrata in fretta la giacca di
pelle, il Capitano uscì dal suo appartamento, diretto verso il garage dove
teneva la moto.
Doveva recarsi immediatamente a
Brooklyn, avrebbe chiamato Stark col cellulare per avvertirlo mentre era per
strada, non voleva perdere nemmeno un minuto.
Aveva troppo bisogno di ritrovare
il suo Bucky e stringerlo tra le braccia.
Steve Rogers arrivò nel suo vecchio quartiere di Brooklyn verso
mezzogiorno, ma subito si rese conto che non sarebbe stato affatto facile
rintracciare Bucky, a meno che non gli fosse capitato un grosso colpo di
fortuna
Long way to happy (seconda parte)
Steve Rogers arrivò nel suo
vecchio quartiere di Brooklyn verso mezzogiorno, ma subito si rese conto che non sarebbe stato affatto facile rintracciare Bucky, a meno
che non gli fosse capitato un grosso colpo di fortuna. Di certo non poteva
mettersi a fermare la gente per strada e chiedere se qualcuno avesse incontrato
un ragazzo dai capelli scuri… e di certo Bucky non avrebbe mostrato il suo
attributo più caratteristico, ossia l’arto di vibranio!
Con sgomento, Steve ricordò in
quel momento che non possedeva nemmeno una foto di Bucky da far vedere in giro.
Non gli era mai venuto in mente di fotografarlo col cellulare, anche se sapeva
che era una moda molto diffusa nel presente in cui si trovava a vivere; adesso,
però, se ne pentiva.
Aveva una foto di Bucky, sì, ma
era la foto che aveva trovato nel suo fascicolo riservato e che lo ritraeva
come sergente Barnes, risalente al 1943… non poteva mostrare in giro proprio
quella!
Mentre decideva il da farsi,
pensò di andare a tentare la fortuna nella sua vecchia casa di Brooklyn,
proprio dove Bucky aveva iniziato a ritrovare i suoi ricordi: chissà che il
giovane non si fosse recato là, in memoria dei vecchi tempi felici?
In pochi minuti giunse alla
vecchia casa abbandonata e parcheggiò la moto dove l’aveva sistemata quando era
andato lì con Bucky… quando? Sembravano passati mesi, ma in realtà era stato
poco più di due settimane prima. A quel ricordo, Steve sentì il cuore
stringersi in una morsa di dolore: era stato così bello ed emozionante quel
giorno con Bucky, il primo in cui aveva sentito veramente che il suo amico, il
giovane che amava, era vicinissimo a lui; aveva cominciato a ricordare, a
mostrarsi più disinvolto, più simile al ragazzo che era stato e poi…
Possibile che fosse tutta una mia illusione? Adesso Bucky è fuggito di
nuovo e io non so dove sia…
Entrare in quel cortile fu
straziante per Rogers. Da un lato gli si affollarono alla mente tutti i ricordi
lontanissimi della sua infanzia e adolescenza felici assieme a Bucky, dall’altro
rivisse l’esperienza di due settimane prima e che si era conclusa tanto
felicemente da fargli pensare che il peggio fosse ormai alle loro spalle. Quel
cortile, quella scalinata, erano ricolmi di memorie insieme dolcissime e
laceranti… ogni passo, ogni angolo gli rammentava Bucky.
Steve esplorò dappertutto,
sperando contro ogni speranza che il suo Bucky avesse deciso di nascondersi lì,
cercando nelle stanze vuote di appartamenti abbandonati ormai da decenni,
osservando attentamente ogni eventuale traccia che il Soldato d’Inverno poteva
aver lasciato…
Erano ormai le due passate quando
il Capitano dovette arrendersi: Bucky non era mai stato là.
La delusione e lo strazio furono
così atroci da piegare per la prima volta l’incrollabile ottimismo del giovane.
Steve si piegò in due, soffocando un singhiozzo disperato, si lasciò cadere in
ginocchio tra la polvere e la sporcizia del vecchio cortile e pianse tutte le
sue lacrime.
Bucky…Bucky, perché mi hai lasciato solo un’altra volta? Dove sei? Io
non resisto più senza di te!
Non avrebbe saputo dire per
quanto tempo fosse rimasto a piangere silenziosamente nel luogo che l’aveva
visto crescere felice. Fu il suono improvviso del cellulare a scuoterlo dalla
sua disperazione.
“Capitano, sono Tony Stark.
Allora, l’hai trovato?”
“Purtroppo no” mormorò Rogers con
voce rotta.
“Me l’aspettavo, sei partito come
una furia e non mi hai neanche dato il tempo di spiegarti come si cerca una
persona scomparsa” replicò l’uomo. “Scommetto che non hai con te neanche una
foto di Barnes!”
“Non ho nessuna foto recente di
lui in ogni caso” rispose Steve, abbattuto.
“Ma io posso aiutarti anche in
questo… se solo me ne avessi lasciato il tempo te l’avrei detto prima! Ho preso
una sua vecchia foto dall’archivio dello Smithsonian e l’ho salvata sul PC, ci
ho lavorato un po’ per farla sembrare più attuale
e mi pare che sia venuta abbastanza bene. Beh, diciamo che potrebbe sembrare
quella di un soldato in missione in Iraq. Te la invio sul cellulare,
d’accordo?”
Steve sentì che il suo cuore si
riapriva a un piccolo bagliore di speranza a quelle parole.
“Grazie, Tony, ti sono davvero
grato” disse, commosso.
Pochi secondi dopo, sul suo
cellulare appariva una delle foto di Bucky che anche lui aveva visto allo
Smithsonian, un Bucky sorridente e spensierato com’era solito i quei giorni
lontani. Stark era riuscito a trasformare la foto d’epoca in un’immagine a
colori che poteva benissimo raffigurare un giovane soldato dei giorni nostri.
L’ora di pranzo era passata da un
pezzo. Rogers non aveva fame, ma pensò che si sarebbe potuto fermare a un bar
per un sandwich e un caffè e ne avrebbe approfittato per chiedere al
proprietario e alle cameriere se avessero visto il ragazzo della foto.
Certo, così avrebbe funzionato!
Rasserenato e di nuovo ottimista,
Steve si spazzolò i jeans dalla polvere e uscì dal cortile per riprendere la
moto. Avrebbe perlustrato tutto il quartiere e mostrato a chi incontrava quella
foto di Bucky; era convintissimo che non potesse essere andato da nessun’altra
parte e, con l’aiuto dell’immagine, questa volta sarebbe riuscito a ritrovarlo.
Tom Riggins chiuse il negozio di
frutta e verdura alle sei del pomeriggio. L’aiuto insperato del giovane James
era stato davvero prezioso e gli faceva piacere poterlo ospitare a casa sua.
L’appartamento dei coniugi Riggins era proprio sopra il negozio e in pochi
minuti i due furono in casa. Maggie Riggins stava preparando la cena e aveva
già sistemato la stanza in cui avrebbe dormito Bucky.
“Sono proprio contenta che Tom
abbia trovato un nuovo aiutante, ero così preoccupata per lui, lavora troppo,
io glielo dico sempre. E poi sono felice che qualcuno occupi di nuovo la stanza
di Ryan” disse la donna, senza smettere un secondo di parlare e senza far caso
al fatto che il giovane non aveva aperto bocca. Lo condusse nella camera che
avrebbe occupato e gliela mostrò, piena di entusiasmo. “Ecco, tu puoi
sistemarti qui e fai come se fossi a casa tua. Il bagno è in fondo al
corridoio, così puoi rinfrescarti e cambiarti prima di cena. Noi mangiamo alle
sette e ci sarà anche il padre di Tom, così lo conoscerai. Spero che ti
troverai bene con noi. Allora, James, ci vediamo a tavola!”
Soddisfatta, la donna lasciò
Bucky sulla soglia della stanza e si recò in cucina per finire di preparare la
cena.
Travolto da tanta disponibilità,
il Soldato d’Inverno restò per un attimo attonito a guardarsi intorno, poi
entrò nella stanza per sistemare le sue poche cose prima di rinfrescarsi e
mettersi una maglietta pulita per presentarsi a tavola.
La camera di Ryan Riggins era
rimasta quella di quando era un ragazzo di scuola superiore: alle pareti
c’erano poster di gruppi musicali che Bucky non aveva mai sentito nominare,
scaffali con libri di avventure e romanzi di Stephen King, un pallone da
football in un angolo e un altro poster, questa volta dei New York Giants. Su
una mensola c’erano diverse fotografie che ritraevano Ryan nelle varie fasi
della sua vita: a pochi mesi, a tre o quattro anni su una piccola bicicletta, al
mare con i genitori, ragazzino con un gruppo di amici e così via fino ad
arrivare a un fiero Ryan con l’uniforme della Marina.
Dopo questa breve ispezione della
stanza, Bucky andò in bagno per lavarsi e sistemarsi i capelli in un codino
basso, poi tornò in camera a prendere una maglietta pulita. Se l’era appena infilata
quando lo sguardo gli cadde su un altro poster, appeso alla parete più lontana,
che non aveva notato prima. Ciò che vide lo lasciò interdetto: il poster
raffigurava nientemeno che Captain America!
Scuotendo il capo, il giovane si
lasciò cadere seduto sul letto con una risatina, colpito dall’ironia della
situazione.
“Non è possibile” mormorò,
“Steve, non vuoi proprio lasciarmi in pace!”
Quella sera, a cena, tuttavia,
Bucky capì che le cose erano ben più preoccupanti di un semplice poster nella
stanza di un ragazzo… la famiglia Riggins al completo, infatti, sembrava essere
una grande fan del supereroe!
“Captain America, certo!” rise
Tom Riggins, quando Bucky ebbe accennato al poster che aveva visto nella stanza
di Ryan. “La nostra famiglia è molto legata alla figura di quel supereroe, per
più di un motivo.”
Bucky non era certo di voler
sapere quali motivi…
“Lo conoscete… personalmente?”
chiese, cominciando a pensare di essere finito nella famiglia meno adatta.
“Magari! Sarei stato felicissimo
di conoscerlo quando anch’io combattevo durante la Seconda Guerra Mondiale”
intervenne il vecchio Joe Riggins. “Era l’eroe di tutti noi, le sue imprese ci
davano la forza e il coraggio di resistere… purtroppo, a quei tempi non ebbi
l’onore di incontrarlo.”
“Papà ha cresciuto sia me sia
Ryan con il mito di Captain America” continuò Tom Riggins, fiero. “E poi… pensa
un po’, James? E’ stato proprio Ryan a farcelo incontrare, circa un anno fa.”
Bucky trasalì: le cose si stavano
mettendo piuttosto male. Riggins, però, scambiò il suo sbalordimento per
interesse e continuò a raccontare con orgoglio.
“Il nostro Ryan lavora da due
anni a Washington, fa parte dell’ NCIS, l’Unità Investigativa della Marina. Non
appena ne ha avuto l’occasione, ha regalato ai suoi genitori e al nonno una
bella visita al Museo Smithsonian… è davvero un ragazzo d’oro, nostro figlio!”
“Che emozione è stata per noi
scoprire che Captain America era cresciuto proprio nel nostro quartiere!”
aggiunse Maggie, sorridendo.
“Ma una bellissima sorpresa ci
attendeva al Museo: Ryan aveva organizzato per noi un incontro con il Capitano
in persona… ho creduto mi venisse un colpo!” ridacchiò l’anziano Joe. “Avevo
tanto desiderato incontrarlo quando ero un soldatino e quando me lo sono
ritrovato davanti… Beh, io ero questo vecchio catorcio che vedi adesso e lui è
ancora un bel pezzo di ragazzo, come settant’anni fa!”
Bucky quasi si strozzò col
bicchier d’acqua che stava bevendo.
“Tutto bene, James?” chiese
premurosa Maggie.
Non andava bene per niente, ma
Bucky si sforzò di annuire.
“Il Capitano è stato molto
gentile con noi” continuò a raccontare Tom, “sebbene fosse uscito da poco
dall’ospedale dopo lo scontro sull’Helicarrier con il terrorista noto come il Soldato d’Inverno.”
Ecco. Ora le cose cominciavano
davvero a precipitare. Bucky si sforzò di fingere una sovrana indifferenza, ma
non era per niente facile.
La famiglia Riggins sembrò non
notare il disagio del giovane. Maggie intervenne con voce commossa.
“Pensa, Captain America aveva
addirittura scoperto che questo terrorista era in realtà il suo amico
d’infanzia, cresciuto anche lui a Brooklyn e creduto morto in guerra… come si
chiamava, Tom? Ora mi sfugge…beh, mi tornerà in mente, comunque. In realtà lo
avevano rapito e gli avevano fatto cose orribili per farlo diventare un killer,
però poi sull’Helicarrier pare avesse ricordato e che fosse stato proprio lui a
salvare la vita al Capitano, alla fine. Non è una cosa straziante?”
“E… sarebbe stato Captain America
a raccontarvi tutte queste cose?” s’informò Bucky, con aria tetra.
“Ah, no di certo! Lui ci disse
solo che era appena uscito dall’ospedale dove l’avevano ricoverato per i fatti
accaduti sul Triskelion, ovviamente” precisò Tom. “E spiegò che presto sarebbe
partito per un’altra missione e che avevamo fatto appena in tempo a incontrarlo
perché non sapeva quanto sarebbe stato via. Tutto il resto ce lo ha detto poi
Ryan, compreso il fatto che la missione del Capitano era del tutto personale:
andava a cercare il suo amico perduto.”
“Saranno contenti all’ NCIS che vostro figlio divulghi così tranquillamente
informazioni che dovrebbero essere top secret” fece caustico Bucky, piuttosto
innervosito dalla piega che aveva preso la conversazione.
I Riggins scoppiarono a ridere.
“Ma no, certo che non lo fa!”
rispose Maggie. “Questa, però, era una questione personale di Captain America e
noi ci sentiamo… come dire… un po’ parte della sua famiglia, ecco.”
“Chissà se poi l’avrà ritrovato”
buttò là Tom.
“Beh, immagino che, quando
accadrà, Ryan ve lo farà sapere in tempo reale!” mormorò Bucky, sarcastico.
“Qualcosa non va, James?” domandò
Maggie, vedendo che il giovane faceva per alzarsi da tavola.
“Va tutto benissimo, grazie”
rispose lui. “Sono soltanto stanco e… preferirei andare a dormire, visto che
domattina inizieremo a lavorare molto presto.”
“Eh, sì, hai proprio ragione!”
esclamò Tom. “Allora buonanotte, ragazzo!”
Bucky uscì dalla stanza più in
fretta che poté senza che la sua potesse sembrare una fuga. Fece però in tempo a sentire un ultimo commento di Maggie
Riggins.
“Che bravo ragazzo, non è vero? Un po’ introverso, ma alla fin fine di buon cuore.”
Due ore dopo, Tom Riggins chiamò
il figlio a Washington.
“Ryan? Sì, sono papà. Noi tutti
bene, e tu? Ah, sono contento. Senti, sei ancora in contatto con quel
miliardario di Manhattan, Tony Stark, non è vero? Lui sa come rintracciare
Captain America, ne sono certo. Ecco, dovresti chiamarlo appena possibile e
dirgli di informare il Capitano che abbiamo trovato il suo amico, quello che
chiamavano il Soldato d’Inverno. A
proposito, come si chiama? Io e tua madre proprio non siamo riusciti a
ricordarcelo… Ah, già! Oh, beh, se te lo raccontassi… sappi solo che stamattina
gli ho offerto un lavoro e che proprio in questo momento sta dormendo nella tua
stanza! Ma sì, non ti sto prendendo in giro, non scherzerei mai su una cosa
tanto importante. Se sono sicuro che sia lui? Beh, il viso è molto simile a
quello che vedemmo allo Smithsonian, in più ha un braccio meccanico… sì, lui
dice di essere saltato su una mina… ma a chi mai metterebbero un arto così
perfetto? E poi ci ha detto di chiamarsi James
Barnes… eh, sì, magari pensava che noi non conoscessimo il suo vero nome.
Insomma, avverti Stark il prima possibile. Ciao, ci risentiamo presto!”
Tom Riggins riagganciò,
soddisfatto. Era felicissimo di poter fare qualcosa per il suo idolo: chissà
come sarebbe stato contento Captain America quando avesse saputo che il suo
amico era proprio lì, in casa loro!
Intanto, Steve era tornato al suo
appartamento senza aver concluso nulla. Nessuno aveva riconosciuto la foto che
aveva mostrato, ma lui non si sarebbe arreso, sarebbe tornato a Brooklyn il
mattino seguente e avrebbe ripreso le ricerche.
Non immaginava nemmeno
lontanamente la bella sorpresa che una famiglia sconosciuta stava preparando
per lui!
Alle sei e mezzo del mattino
seguente, Bucky era già in piedi e sistemava le cassette di frutta e verdura
appena scaricate dal furgone nel negozio di Tom Riggins. L’uomo guardava il
giovane che lavorava abile e veloce e sorrideva tra sé, pregustando la bella
sorpresa che avrebbe potuto regalare al suo idolo, Captain America.
“Certo, però, che non si direbbe
proprio che quello sia il Soldato d’Inverno” pensava l’uomo tra sé. “Sembra un
ragazzo così perbene, educato e generoso… Somiglia molto di più al Bucky Barnes
di cui parlavano allo Smithsonian. Chissà quante cose tremende gli hanno fatto
per costringerlo a diventare un killer… Meno male che ci siamo noi, Ryan
contatterà Stark e lui farà sapere al Capitano che il suo amico si trova qui, a
casa nostra. Non vedo l’ora di godermi la scena!”
A Manhattan, nel suo
appartamento, Steve non era riuscito a dormire e si era girato e rigirato per
ore nel letto, aspettando ansiosamente l’alba per poter ripartire alla ricerca
del suo Bucky. Erano appena passate le sette quando il suo cellulare vibrò. Il
Capitano, infastidito, avrebbe voluto ignorare la chiamata e precipitarsi a
Brooklyn, ma poi vide che a chiamarlo era Stark e rispose, sperando con tutto
il cuore che l’amico avesse rintracciato Bucky.
“Steve, non sei già partito,
vero?”
“Stavo per uscire proprio in
questo momento, Tony” disse Rogers. “Hai delle notizie per me?”
“Evidentemente lassù qualcuno ti
ama, Capitano” scherzò l’uomo. “Ieri sera mi ha chiamato un agente dell’NCIS,
da Washington, un certo Ryan Riggins.”
“Da Washington?” replicò Steve,
angosciato al solo pensiero che il suo Bucky potesse essere scappato così
lontano.
“Non farti scoppiare una vena,
Capitano” disse ridendo Tony. “Tu non ricordi, vero, una certa famiglia Riggins
che hai incontrato allo Smithsonian alcuni mesi fa, prima di iniziare la tua
ricerca del Soldato d’Inverno?”
“Ho parlato con tante persone che
volevano conoscermi… senti, Tony, non ho né tempo né voglia di giocare agli
indovinelli” fece, amareggiato, il giovane. “Hai qualcosa da dirmi o vuoi solo
prenderti gioco di me?”
“Beh, per questa famiglia Riggins
tu sei veramente una leggenda vivente. Questo ragazzo, Ryan, che lavora
all’NCIS, è cresciuto nel tuo mito e… pensa un po’ la coincidenza… ieri sera suo
padre lo ha chiamato dicendogli che ritiene di avere Barnes in persona ospite a
casa sua!”
“E ci voleva tanto a dirmelo?
Tony, tu vuoi farmi impazzire! Dove abitano questi Riggins? Vado subito da
loro!” esclamò Steve, riprendendo immediatamente tutta la sua vitalità.
“Stanno a Brooklyn, proprio nel
tuo vecchio quartiere… non ti eri sbagliato poi di tanto, Rogers” sorrise
Stark, poi diede l’indirizzo preciso di casa Riggins all’amico e lo salutò.
Certo che non mi sbagliavo… sapevo che Bucky poteva essersi rifugiato
solo a Brooklyn, il luogo in cui ha vissuto tanti anni felici. Lo conosco bene
il mio Bucky…
Rinfrancato dalle buone notizie,
Steve afferrò il giubbotto di pelle e si precipitò a prendere la moto per
recarsi il prima possibile dai Riggins… a riprendersi Bucky.
Il negozio di frutta e verdura di
Tom Riggins aveva aperto da poco quando si presentò un giovane portoricano con
l’aria avvilita e lo sguardo rivolto verso terra.
“Oh, chi si rivede!” lo salutò
Riggins. “Come va la vita, Pedro?”
“Per favore, non mi prenda in
giro, signor Riggins” rispose umilmente il ragazzo. I suoi occhi scurissimi
sembravano trattenere a stento le lacrime. “Sono venuto per scusarmi con lei e
per chiederle se… se può riprendermi a lavorare qui.”
“Le condizioni non sono cambiate,
giovanotto, tu sai che non posso permettermi di pagarti tanto e che, certe
volte, non posso pagarti quasi per niente” disse l’uomo.
“Perlomeno avrò un lavoro, però…”
mormorò Pedro, mortificato. “Anche una misera paga è meglio di niente.”
“E tutti i tuoi discorsi di due
settimane fa? Sembrava che stessi per trovare lavoro in qualche locale alla
moda…”
“La prego, signor Riggins, sono
stato un idiota e lo so, potrà prendermi in giro quanto vorrà, ma… ma prima
posso riavere il mio lavoro?”
“A dire il vero adesso ho un
altro ragazzo che lavora per me” replicò l’uomo, nascondendo un sorriso. Sapeva
bene, infatti, che il giovane Barnes non sarebbe rimasto a lungo da quelle
parti…
Pedro impallidì e non trovò nulla
da dire. Chiaramente non si era aspettato una risposta del genere e tutte le
sue speranze andavano in frantumi.
Con un tempismo perfetto, quasi
avesse atteso quel momento per la sua entrata in scena trionfale, Steve giunse
al negozio. Aveva parcheggiato la moto poco distante e si era messo a camminare
sul marciapiede, controllando tutti i numeri civici per trovare quello giusto.
“Ma che mi prenda un… lei è il
Capitano Rogers!” esclamò Tom Riggins, vedendolo. “Non mi aspettavo… così
presto… e proprio lei, in persona… Oh, santo cielo, devo correre subito a
chiamare papà e Maggie!”
“Aspetti, non se ne vada, per
favore. Lei è il signor Tom Riggins?” chiese Steve.
“Ma certo che sono io… Capitano…”
l’uomo appariva improvvisamente imbarazzato e intimidito.
Intanto, il giovane Pedro
spostava lo sguardo dall’uno all’altro senza capire un bel niente di quella
scena. Quel giovanotto biondo era Captain America in persona, quello che aveva
salvato New York circa tre anni prima, insieme agli altri Vendicatori? No, di
sicuro stava sognando… Che diavolo ci sarebbe venuto a fare un supereroe come
quello in quel quartiere?
“Tony Stark mi ha detto della
chiamata di suo figlio Ryan… Bucky è veramente qui?” domandò Steve, con la voce
rotta dall’emozione.
“A me ha detto di chiamarsi
James” precisò Riggins, col cuore in gola per la gioia. “Comunque sì, è dentro
il negozio a sistemare le cassette degli ortaggi. Se vuole andare a parlare con
lui… io, intanto, vado a chiamare mia moglie e mio padre… non si ricorda di
loro, vero? Siamo tutti suoi grandi ammiratori!”
E, sotto gli occhi allibiti di
Pedro e lo sguardo commosso di Steve, Riggins si precipitò verso il suo
appartamento, chiamando a gran voce la moglie.
Pedro continuava a fissare il
presunto Captain America, senza trovare il coraggio di chiedergli niente.
Steve si avvicinò lentamente
all’ingresso del negozio e guardò dentro: era vero, c’era un giovane con i
capelli scuri legati in un codino, voltato di spalle, che impilava cassette di
verdura e non aveva fatto il minimo caso al piccolo melodramma che si era
svolto fuori, totalmente concentrato nel suo compito.
“Bucky?” mormorò, con voce
tremante. Era felice di averlo trovato, ma temeva anche che potesse, chissà,
scappare di nuovo. In realtà non aveva nemmeno capito bene perché lo avesse
fatto…
Il giovane trasalì, la cassetta
che teneva in mano sembrò sfuggirgli, ma poi lui la riprese, la sistemò al suo
posto e si voltò lentamente.
“Come hai fatto a trovarmi?”
chiese, cercando di non mostrare quanto fosse turbato. Gli anni come Soldato
d’Inverno gli avevano quantomeno insegnato a restare impassibile di fronte a
qualsiasi situazione.
“Ti ho cercato dappertutto… ma
potevi essere solo qui, nel nostro vecchio quartiere” rispose Steve, commosso,
senza scendere troppo nei dettagli, Non era quello il momento e l’unica cosa
che gli interessava era aver ritrovato il suo Bucky. “Mi sei mancato tanto…”
Bucky fissò con attenzione Steve
e fu allora che notò il volto pallido e tirato del giovane, i suoi occhi pieni
di lacrime trattenute a stento e le occhiaie profonde. Il suo viso esprimeva tutta
la sofferenza e la devastazione che lo avevano tormentato in quei due giorni
scarsi e il Soldato si sentì stringere il cuore in una morsa dolorosa.
Aveva fatto soffrire un’altra
volta Steve, gli aveva fatto del male, lo aveva torturato con la sua fuga senza
senso. Perché lo aveva fatto? Ora gli sembrava che non contasse più nulla, il
motivo che lo aveva spinto si perdeva di fronte alla consapevolezza di aver fatto tanto male a Steve, ancora una volta…
quando Steve era sempre stato dolce e gentile con lui, affettuoso e paziente
anche nei giorni in cui non lo riconosceva quasi…
Bucky restò immobile, impietrito
dal peso del senso di colpa che lo schiacciava come un masso.
“Mi dispiace… io… non so…” riuscì
appena a dire. “Perdonami, Steve, ti ho fatto del male, ti ho ferito ancora,
io… sono una brutta persona!”
Emozionato e felice, il Capitano
colmò con pochi passi la distanza che lo separava da Bucky e si precipitò a
stringerlo forte tra le braccia.
“Non c’è niente da perdonare,
Buck” mormorò, abbracciandolo e accarezzandogli i capelli. “Ora ti ho ritrovato
e conta solo questo.”
“Mi dispiace, mi dispiace…”
ripeté il giovane, sciogliendosi in lacrime tra le braccia di Steve. “Io non
merito niente, non ti merito…”
“E’ vero, sei un cretino, ma a
quanto pare io lo sono più di te, perché non ho avuto pace finché non ti ho
ritrovato” sdrammatizzò Rogers, sempre tenendosi stretto il suo Bucky. “Ora
torniamo a casa?”
“Torniamo a casa” disse piano
Bucky, sentendo che, come sempre, tra le braccia di Steve ogni dolore e ogni
sensazione negativa scomparivano per restare solo calore e affetto.
Quando si staccarono
dall’abbraccio, scoprirono che quattro paia d’occhi li fissavano: Tom Riggins
con l’aria soddisfatta e compiaciuta per essere stato l’artefice del ricongiungimento,
sua moglie Maggie che singhiozzava commossa proprio come faceva davanti agli
sceneggiati pomeridiani, il vecchio Joe Riggins con un’espressione
indecifrabile e Pedro totalmente allibito e sperduto.
“Beh, Pedro, credo proprio che
riavrai il tuo lavoro” disse ridendo Tom Riggins, rivolto al ragazzo. “James
sta per tornare a casa, no?”
“Grazie, signore!” esclamò Pedro,
con entusiasmo. Continuava a non capire assolutamente niente di tutto ciò che
era successo, ma almeno sapeva che avrebbe riavuto il suo posto!
“Lei sapeva chi ero” fece Bucky,
rivolto all’uomo. Era più un’affermazione che una domanda.
“Ragazzo mio, un braccio
meccanico come il tuo non lo regalano a un soldato qualsiasi, reduce dall’Iraq!
Tra l’altro, mi hai detto il tuo vero nome e poi… beh, noi eravamo stati allo
Smithsonian poco meno di un anno fa, te l’ho raccontato. Abbiamo visto diverse
immagini e filmati in cui Bucky Barnes compariva poco meno del Capitano…”
spiegò Riggins.
Intanto, Riggins padre si era
avvicinato ai due giovani e li fissava con attenzione.
“Ho desiderato per tanti anni
incontrare Captain America, quando ero un soldatino qualunque” disse. “Lo
scorso anno il mio desiderio si è avverato e adesso ho l’onore tanto più
inaspettato di stringere la mano al sergente Barnes, l’eroico braccio destro
del Capitano!”
Mentre così parlava, allungò la
mano verso Bucky. Il giovane, sconcertato e incredulo, gliela strinse. Era una
sensazione così strana per lui… quell’uomo aveva combattuto la sua stessa
guerra e adesso era onorato di stringergli
la mano, lo vedeva come il sergente James Buchanan Barnes e non come il Soldato
d’Inverno.
Gli sembrava un sogno…
“Beh, a questo punto dovrete fare
una visita allo Smithsonian per spiegare che quei pannelli vanno cambiati”
intervenne Tom Riggins. “Bucky Barnes è vivo è vegeto, ha passato una brutta
esperienza, ma ora è tornato per combattere al fianco del suo amico di sempre,
come ai tempi dell’Howling Commandos, che ne dice lei, Capitano?”
Steve sorrise commosso.
“Era proprio quello che avevamo intenzione
di fare, anche se Bucky temeva che non l’avrebbero accolto tanto bene a causa
dei suoi anni come Soldato d’Inverno” spiegò.
“Sciocchezze!” ribatté Joe,
scandalizzato. “Chi, come me, sa quale eroe sia stato il sergente Barnes negli
anni Quaranta, può solo desiderare che il suo nome venga riabilitato il prima
possibile. Quello che gli è stato fatto è una vergogna e tutti devono saperlo!”
“Te l’avevo detto, Bucky…” fece
Steve, rivolgendosi teneramente all’amico. Poi decise che era arrivato il
momento di tornare a casa e salutare quella famiglia che gli aveva restituito
il suo Bucky, “Ora dobbiamo davvero andare. Signori Riggins, signora, non so
come ringraziarvi per quello che avete fatto per me e per il mio amico…”
“Scherza, Capitano? Per noi è un
onore!” esclamò Tom, quasi scioccato dal fatto che Captain America si sentisse in debito con lui.
“Un onore e un dovere di
cittadini americani!” precisò il vecchio Joe, solenne.
“Sarà il nostro ricordo più
bello… e anche Ryan ne sarà fiero” aggiunse Maggie Riggins, asciugandosi gli
occhi.
Steve e Bucky strinsero la mano a
tutti e uscirono dal negozio, dirigendosi verso la moto che Rogers aveva
parcheggiato poco più avanti.
I Riggins erano rimasti immobili
a fissare i due giovani che si allontanavano, con l’espressione di chi ha
appena avuto un’apparizione celestiale. Fu Pedro a risvegliare tutti quanti
dalla loro estasi.
“Allora, signor Riggins, se mi
vuole ancora, io sono pronto a lavorare nel suo negozio” disse, in tono
pratico. “Quando posso iniziare?”
Tom Riggins si riscosse.
“Anche subito, ragazzo, anche
subito” rispose, ritornando a malincuore alle faccende quotidiane.
Ma quel
giorno sarebbe rimasto impresso nella memoria dei Riggins per tutta la vita!