L'isola dei lupi

di Ega
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
Peter camminava avanti e indietro nella sala d’attesa mentre sentiva sua moglie urlare dal dolore. Loro figlio stava nascendo e lui stava andando le panico più totale, si passò una mano nei capelli biondi perennemente spettinati ed emise un gemito di frustrazione. Mentre stava per spalancare la porta della sala parto, essa si aprì da sola facendo uscire un’infermiera sorridente, che gli fece segno di entrare. Sua moglie Wendy era sdraiata su un letto bianco, con le lenzuola complete mante alla rinfusa. Aveva il volto imperlato di sudore,come i capelli castani dorati e una pezza bagnata sulla fronte, in mano portava un minuscolo fagottino rosa.
  • È una femmina…- gli sussurrò dolcemente incontrando gli occhi color cielo con i suoi nocciola.
  • È meravigliosa amore, come si chiama?
  • Keira, ti piace?
  • Moltissimo, ma ora ti conviene riposarti – e così dicendo le stampò un bacio a fior di labbra  e prese la piccola, avviandosi verso la poltrona nella stanza, mentre Wendy cadeva nel sonno più profondo .
Si mise ad osservare sua figlia: aveva i capelli simili a quelli della madre, invece gli occhi erano azzurrissimi presi dal padre , con delle pagliuzze nere dalla provenienza sconosciuta. Il nasino sottile era anch’esso come quello di Peter, ma la carnagione e le labbra erano di Wendy. Era il perfetto mix tra loro due.
Passarono delle ore prima che la ragazza si svegliasse, la prima cosa che vide fu il marito che parlava teneramente con loro figlia, descrivendole una delle sue magnifiche avventure al fianco dei bambini sperduti. Peter notò il fatto che fosse sveglia dopo poco tempo guardandola colpevole con un sorriso sghembo, furbetto. 
  • Senti Pet, non dovremmo farle il marchio?
  • Cavoli men’ero dimenticato! Certo! – il marchio era il simbolo di appartenenza alla famiglia ed il proprio nome. Quello di Peter e Wendy era un piccolo pugnale con una piuma intrecciata. Si doveva imprimere come un tatuaggio, esso donava al componente della famiglia la capacità che la caratterizzava. Perciò presero la bambina e sul polso le incisero il nome KEIRA affiancato dal simbolo. L’inchiostro era mischiato a polvere di stelle resa liquida. Il dono che questo segno comportava, per la famiglia Pan, era il volo, ma non un volo normale, era più un’agilità spettacolare innata e la capacità di spiccare salti impossibili a persone comuni. Se educato, il bambino, sarebbe poi stato in grado di volare. La piccola non pianse nemmeno quando l’ago le pungeva la pelle, segno di grande forza interiore, la stessa che non aveva fatto demordere la madre quando Peter l’aveva lasciata in balia dei pirati anni addietro. Ora lui si era deciso a crescere, infatti dimostrava 21 anni e Wendy 19.
 
 
 
Una settimana dopo la famiglia felice si trovava nel rifugio nel bosco, il papà giocava allegro con la piccola in soggiorno, mentre la mamma cucinava il pranzo. Ad un certo punto si sentì un rumore assordante, Wendy spense i fornelli e corse dalla figlia mentre Peter afferrava il pugnale dalla cintura e si avviava all’esterno.
  • Ci si rivede Pan.. – la voce di uncino risuonò rauca nella cavità dell’albero che portava i superficie. Uncino era un uomo alto e muscoloso ma dal fisico asciutto, il taglio degli occhi era a mandorla di un colore più scuro del nero, essi diventavano gialli con la pupilla di un gatto quando acuiva i suio sensi in mare, capacità della famiglia Hook.
  • Wendy! Nascondila! – urlò prima che i pirati iniziassero ad attaccare. La donna non se lo fece ripetere due volte, che prese la bambina e, mettendo delle coperte in una cesta, ce la infilò. Uscì dal retro e nascose la cesta dietro a dei cespugli. Solo allora arrivarono altri pirati che portarono via la ragazza.
I pirati fecero prigionieri Peter e Wendy per due giorni, ma quando riuscirono finalmente a scappare e tornarono sul luogo della battaglia la loro bambina era scomparsa. La cercarono per anni, ma di lei nessuna traccia.
Peter giovane      Wendy giovane     Uncino giovane
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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
17 anni dopo…
La preda era vicina, potevo sentire le zampe sulla terra, il suo respiro pesante dovuto alla corsa ed il battito accelerato del suo cuore. Mi avvicinai lentamente al cinghiale, che non mi aveva ancora notato, ma d’altronde come avrebbe potuto? Nessuno mi notava mai. A meno che lo volessi io. Ero a caccia da due ore con il mio parabatai, Roiben. Parabatai è il nome dato ad una coppia di guerrieri che combattono insieme come partner per tutta la vita, uniti da un giuramento, indifferentemente dal loro genere. Il loro legame non si riflette solo nella loro vicinanza e nella volontà di dare la vita per l'altro, ma anche nel giuramento, espresso di fronte al Consiglio, indicato da un tatuaggio dietro al collo. Non tutti i guerrieri devono avere un parabatai; anzi è più comune non averne uno. Un guerriero ha solo diciotto anni per trovare un parabatai; una volta superata l'età massima, il rituale non è più praticabile per quella persona. Io avevo trovato il mio quando ero stata trovata nel bosco della morte da uno dei nostri. Avevo meno di un anno, Roiben ne aveva due e, quando abbiamo iniziato l’addestramento (i maschi iniziano dopo), ci siamo trovati in perfetta simbiosi. Io avevo cinque anni e lui sette, riesce a capire parte delle mie emozioni,  sa quando sono ferita o quando mi serve aiuto e viceversa. Infatti sentii un leggero pulsare alla tempia destra, segno che dovevo attaccare. Saltai da un albero all’altro senza alcuna difficoltà ed arrivai esattamente sopra il cinghiale. Scesi e lo bloccai da dietro mentre un pugnale gli trapassava il cranio passando dall’occhio. Questa era la capacità di Roiben, se io ero agilissima ed una grande saltatrice, lui aveva la mira perfetta. Certo, non che io tirassi male, anzi raramente sbagliavo, ma lui era nato così. Era il lanciatore di coltelli migliore dell’isola. Centrava alla precisione millimetrica tutto quello che desiderava. Era un ragazzo di diciannove anni, alto e muscoloso, ma senza troppa massa ingombrante, carnagione olivastra abbronzata, capelli neri ricci e occhi verdi. Mi venne incontro ridacchiando, rigorosamente a torso nudo con dei pantaloni di pelle di lince. Io portavo una fascia di stoffa e cuoio sul seno ed un paio di minuscoli pantaloni di pelle di orso per lasciare le gambe più libere, avevamo anche i para avambracci per l’arco e varie fascette in pelle su braccia e gambe, per tenere coltelli e armi da lancio. Era truccato da caccia come me, entrambi portavamo i tatuaggi blu sul corpo ed eravamo ricoperti da cenere, degli alberi della polvere fatata che aiutava il nostro corpo ad essere più leggero. Mi tese la mano per alzarmi, che presi e tirai verso di me, facendolo cadere.  Risi sguaiatamente e mi feci aiutare a pulire la preda.
  • Senti Keira.. ma tu hai già pensato a come muovere le truppe nel caso i pirati attaccassero?
  • Beh, in realtà si, ma non nel caso attaccassero, voglio attaccare per prima.
  • Cosa?? Sai che sarò sempre con te, insomma siamo i due comandanti in carico della legione, ma perché vorresti attaccare?
  • Per prevenirne uno loro eventuale, praticamente certo e coglierli di sorpresa. Così saremmo preparati e avremmo una strategia ben precisa, loro no; solo che mi servirebbe la mappa dettagliata della nave..
  • Oh non ci pensare nemmeno signorina! Non ti lascerò andare in ricognizione su quella nave!
  • Ma sono la più agile e silenziosa!
  • Ma sei una! Loro decine! Sei testarda, impulsiva e soprattutto, sei la mia migliore amica e parabatai. Non intendo lasciare che ti uccida. A meno che sia per me, allora te lo lascerei fare perché io sono fantastico..- sbuffai divertita.
  • E modesto..
Gli diedi un pugno sul braccio e mi alzai con la mia metà di cinghiale in spalla e ci avviammo verso il villaggio. Mentre camminavamo parlammo del più e del meno, io adoravo Roiben, era la mia metà. Potevo dirgli tutto e lui poteva con me. Abitavamo insieme, io ero stata adottata da un lupo adulto, quando mi hanno trovata, è morto ai miei 13 anni, ma allora ero già in grado di cavarmela, Roiben che a 15 voleva andarsene da casa di suoi ha deciso di venire da me. Nella società in cui vivo ci sono uomini guerrieri, donne e lupi super-intelligenti in grado di comunicare con noi senza problemi. A governare c’è un consiglio composto da dodici membri anziani, lupi e umani, più i due capitani della guardia, ovvero io e Roiben. Esso aveva il compito di creare le leggi, farle rispettare, presiedere ai giuramenti, matrimoni e cerimonie di  vario tipo. Noi di solito non intervenivamo mai se non in caso di conflitti interni, per sedare le risse o in caso di guerra. I nostri peggiori nemici erano i pirati, capitanati da Uncino, avevo combattuto contro di lui e il suo esercito già più volte al fianco del mio parabatai ma mai sotto il ruolo di capo e la cosa mi terrorizzava e gasava allo stesso tempo. Arrivarono al villaggio e vendemmo metà dell’animale, con il ricavato, comprammo della farina, ghiaccio e del vino. Poi ci avviammo verso casa nostra. Non era una casa particolarmente grande, era ricavata scavando dentro il tronco di una grande quercia, al paino terra si trovava la cucina ed il salotto, al primo piano la nostra stanza con il bagno e al secondo lo studio di guerra. In più eravamo dotati di un grande balcone. Mi tolsi parte delle armi e andai in cucina.
  • Roibs, mi faresti un favore?
  • Cosa ti serve?
  • Vai a prendermi le noci all’albero qua in parte?
  • Vado e torno
  • Non farti beccare però.. – Roiben mise la testa dentro la cucina e alzò un sopracciglio
  • Ma secondo te mi faccio beccare?
  • Pff.. non si sa mai
  • Guarda che mi offendo. – mi girai e gli feci la linguaccia. In tutta risposta, si tolse un coltello dalla cintola e lo lanciò, colpendo il frutto che tenevo in mano e attaccandolo al muro. Lo guardai innervosita e con un solo balzo, di tre metri, fui sopra di lui, mentre lo tenevo per la gola. Sorrise e mi prese l’altro braccio con le mani, girandomelo tra le scapole, lasciai il suo collo e con una trazione, mi liberai, mentre contemporaneamente gli tiravo un calcio in faccia che parava con l’avambraccio. Cercò di attaccare ma paravo ogni sua mossa, lui faceva lo stesso con me. Ci ritrovammo alla fine uno di fronte all’altro ansimanti e sorridenti.
  • Ora, vai a prendermi le noci per favore.
  • Subito mia signora. – rise e mi diede un buffetto sulla guancia uscendo dalla porta.
Nel frattempo io andai a prendere il ghiaccio. Lo misi in cantina, nella tinozza, insieme alla carne per conservarla. Presi le pelli di cinghiale e le misi in ammollo nell’acqua e cenere per pulirle. Andai al torrente fuori casa e riempii due secchi e  tornai in cucina.
 Con l’acqua olio e farina preparai l’impasto, mentre in una padella facevo cuocere una zuppa di legumi. Roiben arrivò di lì a poco con le noci, che sgusciai e aggiunsi all’impasto di prima. Lo feci cuocere ed ebbi pronto il mio pane alle noci.  Intanto il mio amico aveva lucidato e pulito tutte le armi, quando mi vide, liberò il tavolo e mise due scodelle, i cucchiai ed i bicchieri. Io nello stesso momento avevo messo la zuppa in tavola, i due pani ed il vino. Passammo la serata a parlare di come aveva eroicamente salvato le noci da due scoiattoli affamati. Alle dieci e mezza ci dirigemmo della nostra stanza, composta da due letti singoli, un tappeto con la pelle di un puma e le pareti ricoperte da armi appese o da librerie stracolme. Misi il mio pigiama, ovvero un completino intimo, un reggiseno e dei mini pantaloncini  in tela di lino sottilissima  e semi trasparente lo avevo comprato qualche giorno prima da una vecchia disperata. Non mi piaceva molto ma dovevo pur usarlo ogni tanto. Roiben entrò subito dopo e strabuzzò gli occhi boccheggiando.
  • Che c’è? – chiesi seccata e stupita.
  • Da quando metti questo tipo di indumenti?
  • Oh, da mai, ma l’ho comprato giovedì e volevo provarlo.. sto così male?
  • No, anzi sei bellissima, ero solo sorpreso.- detto questo mi si avvicinò e mi diede un bacio sulla testa e disse:
  • Notte key.
  • Notte Roibs
E caddi nel sonno.

Keira
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Roiben
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Capitolo 3
*** capitolo 2 ***


Capitolo 2
POV Drow
Quella vita faceva schifo. Odiavo zio Uncino, odiavo la sua maledetta nave, odiavo l’sola che non c’è, odiavo il mare, odiavo i pirati, odiavo il cibo dei pirati, ma più di tutto odiavo me stesso. Mi odiavo perché quella sera avevo deciso di uscire e Loro erano morti. Non avrei dovuto permettere che accadesse.
  • Drow! Trascina quel tuo culo marcio fino alle cucine, oggi hai il turno da mozzo!
Oh, ma certo. Non solo mi obbligano a stare su sta cavolo di nave, devo pure lavorare, nelle cucine, dove c’è vapore, sudore e sporco ovunque. Raccattai i miei pantaloni, la mia ridicolissima camicia da corsaro e il giubbino di pelle. Almeno quello potevo tenerlo. Andai al lavoro di malavoglia e mentre camminavo incontrai Spugna, il secondino. Era forse l’unico che mi piacesse su quella bagnarola. Era un ometto alto poco più di un metro e sessantacinque, con i capelli castani, stempiato. Gli occhi erano chiari, ma perennemente appannati dall’alcool, aveva un sorrisetto sghembo in volto e trascinava si e no tre parole su quattro. Insomma, tutti i pirati bevevano, ma lui aveva il vino come carburante.
  • Signoourino Drow, douve sta andando?
  • Ho il turno in cucina Spugna.
  • Ohukay, doupo suo zio vuole paurlarle.
Era l’unico che rispettava il mio grado di parentela con il capitano, ritenendomi rispettabile, la cosa non mi sarebbe importata un granché di norma, ma ciò voleva dire che era l’unico ad essersi preso la briga di chiedersi chi fossi. E gli ero grato per quello.  Stavo camminando quando inciampai sullo straccio bagnato per pulire il ponte, stavo per fare un rovinosa caduta a terra, quando sentii tutto rallentare, prima di toccare il suolo feci una capriola all’indietro e mi ritrovai in piedi, potevo sentire ogni minimo movimento:  il vento sulle vele, le onde muoversi, le unghiette dei topi grattare la stiva… Corsi in bagno, traumatizzato da quello che mi stava accadendo. Mi sciacquai il viso con dell’acqua fresca e mi guardai allo specchio. Per poco non svenni. Il mio viso era pallido, ero sudato ed i capelli rossi tinti erano spettinati, ma la cosa più sconcertante erano i miei occhi, sono sempre stati color verde acqua, come il mare ma adesso avevano la pupilla allungata come quella di un gatto ed erano uno blu e l’altro giallo! Corsi immediatamente dallo zio, ma sulla mia strada beccai Jonnie, ecco, odiavo anche Jonnie. Era stupido e troppo muscoloso. Anche io avevo un bel fisico, con tanto di pettorali e tartaruga, ma non ero alto due metri e mezzo e largo uno.
  • Hei, pulce, guarda dove vai.
  • Scusa idiota ma ora devo andare.
  • Chi hai chiamato idiota?
Così mi prese per il braccio e cercò di colpirmi al viso. Stupendomi di me stesso, schivai, girai il mio corpo e mi liberai, gli passai sotto le gambe colpendolo ai gioielli con un pugno e corsi via.
Arrivai alla cabina del comandante per niente stanco, nonostante avessi percorso l’intera nave di corsa. Bussai furiosamente alla porta fino a quando non si aprì.
  • Che hai da bussare con tanta violenza moccioso?!
  • Ho 19 anni..
  • E allora? Sei un moccioso per come ti comporti non per l’anagrafe.
  • Comunque volevo parlarti di questo - dissi indicandomi la faccia
  • Beh si, dovresti prendere un po’ di sole, ma se stai sul ponte un’oretta al giorno..
  • No! Intendevo gli occhi!- mi si avvicino e spalancò gli occhi
  • Hai la dote!
  • La che?
  • La dote, tutti gli Hook ce l’hanno, ma credevo che avessi saltato una generazione come tuo padre.  In realtà ne hai presa metà da lui e metà da tua madre. Si tratta della capacità di acuire i propri sensi in mare, diventi più agile e più sveglio. Dovrai allenarla parecchio ma potresti diventare come me un giorno. – detto questo anche i suoi occhi diventarono felini, si tolse  un coltello dalla manica e senza guardare, colpì una mela dall’altra parte della stanza.
  • Come diavolo hai fatto?
  • Sono il capitano ed ho la dote. Quando avrai una nave tua ne sarai in grado. Ma ti avverto, è sfiancante se sei capitano, per questo la uso poco. Ma ora che ho te posso proteggermi. Devi solo immaginare nella tua mente una porta, se è chiusa, la dote dorme, se è aperta la dote veglia. È difficile che ti stanchi di usarla perché non hai controllo sulla nave, ma se impari ad usarla a dovere potrai informarmi di ogni intruso nella zona.
Provai ad immaginarmi la porta chiusa per qualche minuto fino a quando non sentii tutti i sensi farsi più goffi e la mia mente ebbe pace.
  • Voglio che ti alleni, sei sospeso da tutti i tuoi incarichi, nemmeno immagini i poteri che avresti se imparassi ad usarla a dovere.
  • D’accordo zio. Ah, comunque cosa volevi chiedermi prima?
  • Ah, si volevo chiederti di andare più d’accordo con Jonnie, non è molto sveglio, ma esegue gli ordini.
  • Uhm.. ok ci proverò..
Uscii dalla cabina frastornato ma con un barlume di speranza. Se fossi riuscito a controllarla al massimo, sarei potuto scappare da quella prigione galleggiante.

Drow
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Uncino
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Spugna
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Capitolo 4
*** capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Occhi. Quegli occhi. Un corridoio in legno con delle lanterne alle pareti. E salsedine, salsedine ovunque. Gatto. Gatto giallo. No. Gatto con gli occhi gialli. Gatto bellissimo. Mi guida all’interno del labirinto. Ha libero accesso al mio cuore. Ma non è pronto ad entrare. Il gatto aspetta, nel frattempo mi porta al centro dell’inganno. Il gatto che taglia la gola a Roiben. Il gatto ride, ma con una risata colma di tristezza. Ha capito che poteva entrare, ma è tardi. Infine si butta in mare e annega. Un urlo. Il mio.
 
Mi svegliai di soprassalto con un pugnale in mano in posizione di attacco. Di fonte a me, il mio migliore amico che mi guardava con aria preoccupata.
  • Tutto ok?
  • Solo un incubo
  • Il solito sulla donna dai capelli castani e gli occhi nocciola?
  • No, questo è nuovo. – si mise nel mio letto e prese ad accarezzarmi i capelli, mi rilassai subito e mi appoggiai al suo petto.
  • Ti va di raccontarmelo?
  • Ad una condizione
  • Spara
  • Mi seguirai, sempre.
  • Non lo faccio già? – sorrisi contro la sua pelle.
  • Dobbiamo andare. I pirati progettano un attacco e dobbiamo essere più furbi. Hanno un’arma segreta, ma non è pronta. So solo che dobbiamo ben guardarci da un gatto con gli occhi gialli.
  • Keira..
  • Io sta notte vado, sarai con me? – sospirò sconsolato.
  • Come sempre. Ora però sono le cinque. Se vuoi partire sta notte ci conviene riposare.
 
Della battaglia adoravo l’adrenalina, il sangue che ti pompava nelle vene e il dolore ridotto al minimo, adoravo sentire le mie rotelle girare freneticamente per ideare una strategia alternativa, mentre comunicavo telepaticamente con il mio parabatai. Non comunicavamo a parole, ma ad impulsi. Era come se sentissi una leggera pressione alla testa e subito capissi quello che intendeva. Eravamo una coppia perfetta, io ero impulsiva, preparavo velocemente la strategia nella mia mente e gliela mostravo. A lui spettava il compito di trovarne i punti deboli e farmeli notare, così che io potessi modificarla. Era lui il riflessivo dei due; io ero più brava nel corpo a corpo e negli scontri ravvicinati, mentre lui si mimetizzava tra le fronde e faceva strage con i coltelli. Era bravissimo anche lui nella lotta, ma nessuno era come me. Persino io ero molto brava con l’arco, ma mai avrei avuto la sua mira. Ci completavamo, non avevamo mai perso uno scontro.
Ma, ancora più di tutto questo adoravo prepararmi alla battaglia, poter sentire la tensione attorno a me e la frustrazione che mi prendeva il corpo mi eccitava. Fosse stato per me sarei partita senza esitare, ma si da il caso che, qualcuno mi fermasse sempre in tempo. Prima di tutto si pensava a come penetrare all’interno della base nemica. A me sarebbe bastato legare una corda alla freccia e tirare con l’arco fino alla nave, con un paio di salti poi, sarei arrivata. Roiben mi avrebbe seguita utilizzando il passaggio alla marinara. Arrivati, saremmo andati in coppia per tutta l’imbarcazione, lui avrebbe tracciato la mappa ed io lo avrei coperto. Operazione di routine, un drappello di uomini sarebbe stato invadente, ma noi due eravamo i più silenziosi di tutti. Nessuno ci avrebbe notato.
In seguito c’era la preparazione fisica. Si riposava molto in precedenza, si faceva un bagno freddo e poi, con tutti i muscoli tesi si faceva una corsa di qualche chilometro, stretching intenso e qualche peso. Un bagno caldo per lavare il sudore e rilassare i muscoli e si passava al vestiario. Prima di tutto, si facevano i tatuaggi blu rituali: simboli della nostra tribù per identificarci tra di noi e infonderci coraggio e protezione, una serie di linee  sulla schiena e sulle braccia. Per indicare il mio ruolo avevo delle forme leggermente circolari sopra le sopracciglia e sulle guance, Roiben una linea blu che copriva la striscia degli occhi fino alle tempie. Ci cospargemmo di cenere, indossammo i nostri abiti da caccia e le nostre armi. Non avevo mai notato quanto il mio compagno potesse essere bello. Beh, meglio così.
 Calò la sera ma, prima di partire, andammo all’albero della vita, il luogo dove si credeva risiedessero le anime dei nostri morti. Bastò una piccola incisione sulla mano per far uscire delle gocce di sangue, con le quali sporcai la corteccia.
  • Padre, Maestro. Veglia su di me ed il mio compagno durante questa nostra impresa e donaci la capacità di prendere le giuste decisioni. – Pregavo per il lupo che mi aveva adottato: Telkiar. Gli feci un’offerta con del pane e della carne secca, che bruciai ne fuoco davanti all’albero. Dopodiché partimmo.
La riva sulla quale saremmo dovuti arrivare distava un’ora di corsa dal villaggio. Ma se fossimo passati saltando di albero in albero ci avremmo impiegato metà del tempo. Roiben era più lento di me, ma non se la cavava affatto male. Arrivammo all’orario previsto e, sull’albero più vicino, legai una delle nostre corde magiche al tronco ed incoccai la freccia. Mi presi il mio tempo per mirare, da lontano non ero così brava, e scoccai. Colpì esattamente il punto desiderato.
  • Sei lenta. Ti serve un po’ di ripasso?
  • Sbruffone. – gli feci la linguaccia e saltai, in meno di dieci secondi ero arrivata sul ponte. Il mio compagno arrivò un minuto dopo.
  • Sei lento. Ti serve un po’ di ripasso? – chiesi facendogli il verso sotto voce.
 Lui si limitò a scuotere la testa sorridendo. Non c’erano guardie, probabilmente perché non si aspettavano attacchi in mezzo al mare, si sentiva solo il rumore delle onde ed il russare dei marinai. Percorremmo il perimetro di tutta la nave, compreso sotto coperta, ora avevamo una mappa.
 Stavamo per andarcene, quando lo vidi. Nascosto dietro lo stipite di una porta, un ragazzo, avrà avuto circa l’età di Roiben, alto e muscoloso, la carnagione abbastanza chiara  ed i capelli rossi, ma non pel di carota, erano di un rosso finto, tinti, con delle sfumature nere. Gli occhi erano verde acqua, come il mare quando il cielo è limpido. Indossava una casacca leggera, i pantaloni neri ed un giubbino di pelle. Era il ragazzo più bello che avessi mai visto, ma era un pirata.
 Mandai un impulso a Roiben ed attaccai. In un balzo fui davanti a lui, lo spinsi al muro, premendogli il corpo contro il mio per immobilizzarlo, puntandogli un coltello alla gola.

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Capitolo 5
*** capitolo 4 ***


Capitolo 4
POV Drow
Ero sdraiato sulla mia branda e mi stavo allenando con la dote per combattere l’insonnia, avevo appena aperto le porte quando sentii una presenza: dei passi quasi impercettibili anche con la mia capacità, seguiti da altri leggermente più pesanti. Li sentivo provenire dal ponte.
 Chiusi immediatamente la porta, per evitare che scoprissero il mio segreto ed andai da loro. Arrivato sul luogo mi nascosi dietro ad una porta ed osservai: davanti a me si trovava la creatura più bella che avessi mai visto.
 Una ragazza con qualche anno in meno di me, alta poco meno di un metro e settanta, magra ma, si vedeva che era un fascio di muscoli. Indossava dei vestiti di pelle animale che le coprivano lo stretto indispensabile. Aveva armi ovunque, per lo più legate alla cintura, ma anche gambe e braccia erano piene di fascette che reggevano coltelli o piccole armi da lancio, l’arco e la faretra erano appesi alla schiena. La carnagione doveva essere chiara, ma era ricoperta da una polvere grigiastra, il corpo era colmo di tatuaggi blu tribali, che andavano schiarendosi. Aveva i piedi nudi, abbastanza piccoli e si muoveva con una tale grazia da sembrare danzasse. I lunghi capelli mossi castano dorato erano raccolti in una crocchia con delle piume, il viso aveva i lineamenti delicati, gli zigomi alti ed il naso sottile. Labbra rosee e leggermente carnose. Gli occhi furono la cosa che mi colpirono di più. Erano azzurro cielo, con delle pagliuzze nere. Aveva uno sguardo sicuro e determinato, metteva quasi soggezione.
Dietro di lei si trovava un ragazzo alto e muscoloso, dai capelli neri e gli occhi verdi. Lo sguardo attento che passava su ogni centimetro della nave. Anche lui era truccato come la ragazza ed era a torso nudo, però portava delle scarpe di fattura simile a quelle indiane. Pure lui era ricoperto di coltelli.
 Mi ero soffermato troppo ad osservarli perché non avevo visto la giovane venirmi incontro, in men che non si dica ero contro il muro con un coltello alla gola ed il suo viso a pochi centimetri dal mio. Aveva le sopracciglia aggrottate e la bocca era aperta in una smorfia simile ad un ringhio.
  • Chi sei? – disse con una voce soave ma dall’aria arrabbiata.
  • Perché mai dovrei dirtelo?
  • Perché non sei un pirata qualunque.. – la guardai accigliato – nessuno sarebbe stato in grado di sentirci e poi non hai dato l’allarme appena ci hai visti. – già perché non l’avevo fatto? Mi chiesi.
  • Giravo sul ponte..
  • No, Roiben ti avrebbe sentito. E comunque non hai dato l’allarme. – non risposi, ma cercai di liberarmi, era minuta, non poteva essere tanto forte.
 La spinsi lontano da me, e feci per colpirla ma, fu svelta e mi prese il polso torcendomelo.  Attivai la dote, tanto ormai era buoi e gli occhi difficilmente si vedevano. Mi liberai di nuovo e cercai di farla cadere ma saltò sopra di me, mettendomi le gambe attorno alla testa, spingendo il suo corpo verso il basso, facendomi cadere. Poco prima che toccassi il suolo misi le mani a terra e mi ribaltai staccandola da me. Prese due coltelli dal corpetto e me li lanciò, li schivai per un pelo. Ne afferrai uno e cercai di ferirla, ma era sempre più veloce di me. Anche se non aveva la dote. Era impressionante la sua agilità. Dopo una serie di colpi andati a vuoto la sentii urlare:
  • Roibs, fai tu!
Vidi il ragazzo sbuffare spazientito, come se fosse un’abitudine, prese un coltello da una fascetta sul braccio, lanciò senza esitare e nemmeno mi accorsi che ero già bloccato al muro con il pugnale attaccato alla manica. Prima di andarsene definitivamente la ragazza guerriera mi prese il colletto della camicia e sfiorò il mio orecchio con le sue labbra mandandomi brividi in tutto il corpo. Disse con voce leggera e profonda:
  • Tu non parlerai.
Mi staccò il coltello dal braccio e nel compiere quel gesto notai un tatuaggio nero sul polso. “Keira” allora era così che si chiamava.. accanto aveva il simbolo di un pugnale con una piuma intrecciata. Non conoscevo la famiglia a cui appartenesse, ma mi sarei documentato. Io avevo un tatuaggio simile, con il mio nome ed un minuscolo vascello.
  • Keira! – le gridai prima che andasse, si girò stupita poi si guardò il polso e parve capire.
  • Io sono Drow. – le dissi, non so perché. Ma la vidi fare con la testa un cenno, forse un saluto, e andarsene.
Passai la notte a pensare a lei. E a quanto fosse bella e pericolosa. Mi intrigava e intimoriva contemporaneamente.
 
 
 
 
 
Passarono due settimane ma non mi ero dimenticato di Keira, semplicemente avevo paura di cercarla. Avevo paura che nascondesse qualcosa dietro quegli occhi duri, che ci fosse un lato troppo oscuro o che ce ne fosse uno troppo buono. Avevo paura che stesse con il ragazzo che l’aveva accompagnata, non so nemmeno perché. Certo, era bella e determinata, ma non la conoscevo.
Così misi da parte il mio allenamento e andai alla biblioteca della nave dove trovai il vecchio manuale delle famiglie. Cercai il suo simbolo e scoprii che apparteneva alla famiglia Pan. Cazzo. Era il peggior nemico dello zio. Ed aveva il potere del volo, come i suoi discendenti, ecco perché era così agile. Ma perché allora non era volata via? E poi, perché era vestita e truccata così? Cercai per delle ore ma non trovai alcuna risposta. Mentre tornavo sconsolato alla mia cabina incontrai Bumper, l’uomo più vecchio sulla nave, era un indiano convertitosi alla pirateria, magari lui sapeva.
  • Hei, Bumper
  • Dimmi ragazzo..
  • Tu sai qualcosa di uomini guerrieri vestiti con pelli animali e truccati con tinture grigie e blu?
  • Oh, stai parlando del popolo dei lupi. È una tribù antichissima, più degli indiani. Vivono all’interno dell’isola, i loro figli vengono addestrati fin da bambini alla lotta e ad uccidere, sono intelligentissimi. La loro è una società formata da uomini e donne guerrieri, lupi intelligenti e coltivatori. Sono governati da un consiglio di dodici anziani e due capitani della guardia, caratterizzati da tatuaggi particolari, uno ha una striscia blu sugli occhi e l’altro dei disegni circolari su fronte e guance. Sono parabatai, ovvero partner  per la vita, ma in senso bellico. Solitamente migliori amici, non necessariamente amanti, ma può capitare. Sono i due guerrieri più spietati e intelligenti. Capita ogni tanto che un lupo decida di adottare i bambini trovati nella foresta, ma è raro. Sono il popolo che è di gran lunga più nemico di tuo zio. Più di Pan, con il quale ha stipulato una tregua da quando ha ucciso sua figlia.
  • Grazie Bumper
  • Come mai volevi saperlo?
  • Ero curioso..
Allora era stata adottata e addestrata. In più era capo della guardia come il suo amico Roiben.. i guerrieri più spietati.. allora perché non mi ha ucciso? 

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Capitolo 6
*** capitolo 5 ***


 
Capitolo 5
 
  • Keira! Piantala di guardare quella mappa. Il piano è perfetto, tra sette mesi attaccheremo. Quando la luna sarà propizia. E la guerra inizierà.
  • Si si, scusa..
  • Non mi sembri convinta, perché non vai a farti un bagno alle sorgenti?
  • Da sola?
  • Non vorrai mica farti vedere nuda? Per carità, non è un problema per me ma.. – gli lanciai una biro e risi quando fece finta di essere stato colpito, con tanto di smorfie e spasmi. Che idiota.
  • Ok allora io vado..
  • Adieu!
  • Non distruggere nulla! – mi fece l’occhiolino e mi spinse fuori di casa.
Corsi fino alle sorgenti, il luogo dove ero solita rilassarmi. Si trattava delle sorgenti del fiume lì vicino. Erano due grandi pozze, una più profonda l’altra meno. Ma per una causa a noi sconosciuta l’acqua di una era bollente, la meno profonda. A me non piaceva lavarmi nell’acqua calda, trovavo che mi appannasse i pensieri, perciò mi spogliai e mi tuffai senza esitare in quella gelata. Rimasi in apnea fino al limite, per poi riprendere fiato ed immergermi di nuovo, pensavo; pensavo a come mai mi sentivo poco sicura del piano, nonostante sapessi molto bene che era perfetto. Le acque erano sicuramente benefiche, perché dopo cinque immersioni arrivai alla soluzione: io non mi sentivo insicura del piano, avevo paura di Drow. Il ragazzo che avevo trovato sul vascello, non solo perché era il più bel giovane che avessi mai visto. Ma perché era diverso, apparteneva ad un’altra realtà. Come se non vedesse la rivalità tra il popolo dei lupi e i pirati, come se vedesse con gli occhi di un bambino, un mondo di mille colori e non solo in bianco o nero. Nei suoi occhi, prima dello stupore, della rabbia o della paura, avevo visto curiosità e dolore. La curiosità di fronte a me e a Roiben, il dolore accuratamente celato, ma che risiedeva dentro di lui ormai da tempo. Lo capivo, in fondo io non sapevo chi ero, perché ero diventata un’uwha (guerriera dei lupi) o perché la misteriosa donna dagli occhi nocciola mi avesse abbandonato. So solo di essermi spaventata a morte quando mi ha guardato il polso. So nascondere benissimo le mie emozioni, ma ero terrorizzata. Ero arrivata qui con quel tatuaggio e mi avevano chiamata con il nome inciso sopra. Ma come faceva lui a sapere che la scritta sul mio polso era il mio nome? E poi un’altra cosa che mi aveva stupito era come, durante la colluttazione avesse completamente cambiato tecnica, da goffo e mal allenato era passato ad agile e preciso. Non quanto me, ma era cambiato. Io volevo conoscerlo. Volevo capirlo, imparare da lui qualsiasi cosa, pur di farmi trasmettere la sua curiosità e freschezza. I miei pensieri mi spaventavano, ma avevo preso una decisione. Quella notte sarei andata da lui. Senza il mio parabatai.
 
Entrai in casa completamente pulita e con i capelli lavati, sentii Roiben che cantava mentre preparava la cena, sghignazzai al pensiero che mi sarei presa gioco di lui per il resto dei suoi giorni. Entrai in cucina e lo vidi ancheggiare di fronte alla padella.
  • Buonasera casalinga dell’anno!
  • Eh? Oh, ciao Key.. – sorrise imbarazzato portandosi una mano sulla nuca.
  • Che cucini?
  • Stavo facendo lo stufato... com’è andata? Stai meglio?
  • Si, ma vorrei avvisarti, sta notte voglio passarla nei boschi. Devo schiarirmi le idee.
  • Sei sicura? Sono anni che non lo fai.
  • Si, è solo che... stanno tornando…
  • Oh, allora vai.
  • Ti adoro. – e corsi ad abbracciarlo. Gli diedi un leggerissimo bacio all’angolo della bocca e lo vidi sorridere con le guance rosse, stringendomi di più a lui.
 
Mangiammo lo stufato che aveva preparato parlando del più e del meno e ridendo come quando eravamo bambini. Discutemmo animatamente  riguardo una tecnica che ero solita utilizzare per disarmare l’avversario, che lui riteneva superata ed io ancora validissima. Calata la sera indossai il mio mantello sugli abiti semplici che indossavo: pantaloni di pelle marroni e corpetto, senza trucco e con i capelli sciolti. Le armi le avevo tutte, tranne la spada che mi intralciava. Non volevo spaventare nessuno, ma non mi fidavo certo dei pirati. Salutai dolcemente Roiben con un bacio sulla fronte ed iniziai a correre. Senza il mio compagno non mi sentivo a mio agio, ma non avrei potuto coinvolgerlo. Mai. Lui era un’anima pura e tale doveva rimanere, la mia era una missione suicida per lo spirito: quello che stavo per chiedere a Drow avrebbe potuto salvarmi, ma anche distruggermi.
Arrivai alla spiaggia, non volevo lanciare la freccia, quindi mi concentrai al massimo, presi un respiro profondo e saltai. Non appena sfioravo l’acqua saltavo di nuovo, senza affondare. Mi sembrava la cosa più vicina al volo che esistesse. Arrivai sul ponte e lo cercai. Ero sicura che non dormiva insieme agli altri marinai, era diverso e si vedeva. Provai nella cabina del secondino ma non lo vidi, poi mi misi a ragionare. Non era il tipo da nave, perciò doveva essere nel punto della barca che stava più vicino alla terra. Provai all’estremità, dove c’erano la biblioteca e la sala musica. Sì era decisamente in un posto del genere che mi sarei aspettata di trovarlo. Infatti mi bastò girare l’angolo e trovai una cabina con la porta chiusa, ma la luce filtrava da sotto. La aprii e lo trovai a torso nudo su di un letto matrimoniale che fissava il soffitto, indossava solo i pantaloni di stoffa neri. Potevo vedere tutti i muscoli tonici, ma la pelle non era abbronzata, segno che non era un uomo di mare. Aveva dei tatuaggi neri sui pettorali e sulle braccia. I capelli erano spettinati e parte gli ricadeva sulla fronte. Mi notò subito, si rizzò in piedi. I suoi occhi diventarono uno blu e l’altro giallo con la pupilla di un gatto ed attaccò schiacciandomi contro il muro, ma fui svelta ad allontanarlo. Mi tolsi il cappuccio e mi riconobbe. Sbatté le palpebre e le iridi tornarono verde acqua.
  • Keira?!
  • Perdona la mia intrusione ma vorrei parlarti.
  • Ehm, certo. Che vuoi?
  • Ecco, prima però...  – mi guardò confuso-
  • Cosa?
  • Potresti mettere la maglietta? – non riuscivo  concentrarmi. Strano, Roiben era a torso nudo di continuo...
  • Oh , d’accordo. Togli pure il mantello se vuoi. – lo feci e lo vidi continuare a fissarmi. Magari le armi lo infastidivano. Allora decisi di levare arco e faretra, ma lo sguardo non cambiò.
  • Cos’ho che non va?
  • Senza trucco sei bellissima. – non mi aspettavo una risposta del genere. Ma non l’aveva detto solo per farmi un complimento. L’aveva detto con una tale innocenza e semplicità, come se parlasse del meteo, che mi faceva credere che lo pensasse davvero.-  Comunque, cosa eri venuta a chiedermi?
Mi misi seduta sul letto a gambe incrociate davanti a lui e presi un respiro profondo. La cosa che aveva fatto con gli occhi prima mi aveva turbata parecchio, ma glielo avrei chiesto in un secondo momento.
  • Vorrei proporti uno scambio.
  • Sentiamo.
  • Tu mi parli del tuo mondo, io ti darò quello che vuoi.
  • Keira, io e te viviamo nello stesso mondo.
  • Della tua visione del mondo.
  • Ah, ok. Lo farò ma voglio una doppia ricompensa.
  • Di cosa si tratta?
  • Io ti parlerò del mio mondo se tu mi parlerai del tuo e mi allenerai.
  • Allenarti? Ma sei un pirata.
  • Il fatto che io viva su una nave colma di pirati mi rende uno di loro?
Silenzio.
  • Andata. – tirai fuori un coltello dalla fascetta sulla caviglia e mi incisi la mano facendo uscire del sangue, poi gli passai la lama. Esitò ma si riscosse subito e si tagliò. Ci stringemmo le mani ferite sigillando il patto. E mi sorrise. Per la prima volta sorrise. Ed era il sorriso più bello del mondo.
  • Quindi.. chi sei Keira?
  • Mi chiamo Keira, figlia di adottiva di Telkiar, ho 17 anni, mi hanno trovata appena nata in una cesta nel bosco della morte. Il mio villaggio raramente ammette adozioni esterne, ma io non piangevo,non ho mai pianto. Ho urlato dal dolore più volte, ho ringhiato e addirittura ululato, ma mai una lacrima è stata versata, per questo mi hanno scelta. Ho mostrato di avere una capacità straordinaria: oltre ad un’estrema elasticità so saltare per diversi metri. Il massimo calcolato è stato quattordici in verticale. Sono cresciuta con un lupo anziano ed il mio migliore amico Roiben. A cinque anni ho iniziato l’addestramento militare, mostrando di essere portata particolarmente per la lotta corpo a corpo e la fuga. Il mio parabatai,invece, per le distanze: ha una mira perfetta, e non in senso metaforico, non ha mai sbagliato. Diventammo presto la coppia migliore e fummo assoldati come strateghi. In seguito, l’anno scorso, siamo stati promossi a capo della guardia. Partecipiamo alle cerimonie, sediamo le risse, puniamo e giustiziamo i delinquenti, organizziamo le guerre. Vivo dentro una quercia cava con il mio compagno, adoro la lettura e l’attività fisica. Non amo particolarmente la musica, copre i suoni esterni, non permettendomi di sentire come potrei per essere sicura da eventuali attacchi. Vivo meglio al buio, dove posso nascondermi. Odio gli indiani, ancor più delle sirene o dei pirati. Le sirene sono stupide, i pirati sono rumorosi ed irruenti, facili da gestire. Gli indiani sono pacifici, quindi non li si attacca, ma non essendo sotto la nostra giurisdizione non li controlliamo. Sono molti, e conoscono parecchie tecniche di stregoneria. Ho deciso di dirti tutto per sapere tutto. Perciò ti mostrerò le mie paure, un patto di sangue è sacro e va rispettato. Ho paura, continuamente: ho paura dei miei incubi, di perdere il mio migliore amico, di portare alla rovina il villaggio o di portarlo troppo in alto. Non ho paura del potere, per quello ci sarebbe Roiben a tenermi con i piedi per terra. La mia più grande paura è combattere per la causa sbagliata, contro la persona sbagliata. Ho paura di non sapere abbastanza e di essere manipolabile. Non voglio essere uno strumento da guerra, voglio essere una macchina che porta ordine. Voglio fare del bene agli altri, non per conto di altri. Sono disposta a morire per la giustizia, ma anche a uccidere. È tutto.
  • Dio..
  • Non devi commentare per forza. Tranquillo. Tu chi sei?
  • Mi chiamo Drow Hook, ho 19 anni, vengo da Londra, al di fuori dell’isola che non c’è. Mi sono trasferito su questa nave dopo che i miei genitori sono morti. Mio padre era un uomo squisito – sul volto gli comparve un sorriso triste – lavorava in banca, tornava a casa tutte le sere per cena, dava un bacio sulle labbra a mia madre, donna semplice e sempre sorridente, mi carezzava la testa e si sedeva a tavola, dopo aver mangiato mi mettevano a letto e la mamma mi raccontava una storia. Hanno smesso quando ho compiuto nove anni ed ho chiesto loro di farla finita. Ora pagherei oro riavere un secondo con loro. Assassinati mentre ero uscito, incazzato nero perché loro non mi capivano. Rimasto orfano l’anno scorso mio zio Uncino mi ha preso con se. Ho frequentato le scuole elementari, medie ed il liceo a Londra, avevo qualche amico ma non significativo, lo stesso con le ragazze,ne ho avuta qualcuna ma non ho mai amato nessuno. La mia vita non mi piaceva, ma ora mi piace ancor meno, incastrato qui con quel pirata di mio zio. Lo odio,odio la pirateria, odio quest’isola e tutto ciò che comporta. Il mio unico intento è scappare e andarmene. Ed ora è più facile, se penso che ho ricevuto il dono degli Hook: quando i miei occhi cambiano vuol dire che intensifico i miei sensi, funziona solo in mare o sulla spiaggia. E con il tuo addestramento potrò solo migliorare. Mi piace leggere e guardare le stelle, perché quelle sono le stesse che guardavo dalla terrazza quando ero piccolo, io sono cambiato, loro no. Ho una sola grande paura: ho paura che mio padre sia morto pensando alla mia sfuriata prima di andarmene e che se ne sia andato, deluso da me. – gli misi la mano sul ginocchio per cercare di confortarlo. Mentre parlava aveva tenuto la testa bassa, mentre ora aveva alzato lo sguardo, si era morso un labbro mentre sorrideva grato del mio appoggio e metteva la sua mano sulla mia. Rimanemmo così un tempo indefinito. Poi mi staccai.
  • Quindi, la prima sessione di confronto direi che è finita. Per l’addestramento la nave non è sicura, e vorrei testare anche il tuo dono. Perciò si farà su una spiaggia appartata. Sai tirare con l’arco? – scosse la testa. Sbuffai. Gli porsi il mio, glielo misi in mano e gli porsi anche una freccia. Mi posizionai dietro di lui e come faceva Roiben per spiegarmi, feci aderire completamente il mio corpo con il suo, misi le mie mani sulle sue e come se fossi io a tirare mimai il movimento corretto spiegando le mosse. Questo mi provocò una serie di brividi non indifferenti. Il suo corpo era sodo e tonico come immaginavo, profumava di brezza marina e muschio bianco. Mi sovrastava di almeno dieci centimetri in altezza, respirai profondamente sul suo collo e lo sentii fremere. Ripetemmo un paio di volte i movimenti e poi lo feci provare da solo. Al secondo lancio centrò il bersaglio, non male, sarebbe piaciuto a Roibs.
  • Ora che sai come si fa, ti lascerò arco e frecce, quando potrai lancerai una freccia sulla spiaggia davanti a noi, con inciso giorno e ora, non scrivere ad inchiostro, se si bagnasse andrebbe via.
  • D’accordo.
  • Ora devo andare. Grazie di aver accettato.- Mi rimisi il mantello e prima di calare il cappuccio gli feci un gran sorriso, mi guardò ad occhi sgranati ma non capii perché. Stavo per uscire quando..
  • Keira... – mi girai e lo guardai – hai mai ucciso un uomo?
Mi morsi il labro inferiore indecisa se rispondere o meno, lo sentii sospirare guardandomi, ma alla fine dissi:
  • Questa risposta te la devi meritare, tigre. – mi guardò confuso, ridacchiai ed indicai gli occhi. Ammiccai ed uscii definitivamente di scena.
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