Amnesia

di DanielasCorner
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** 1 ***




1


Quando mi sveglio, mi sembra di aver dormito per cento anni. Le palpebre fanno fatica ad alzarsi, e tutti i suoni arrivano ovattati alle mie orecchie, come se fossi lontana anni luce dalla vita reale. Lentamente, percepisco dei suoni di macchinari, tanti bip diversi. Metto a fuoco ciò che mi sta intorno: sono in una stanza luminosa e asettica. Le pareti sono bianche, come le lenzuola che mi ricoprono. Sono in una stanza d'ospedale. Inspiro profondamente, e sento tutto il corpo addormentato. Faccio fatica a concentrarmi su qualcosa in particolare, sento la mente completamente svuotata. Cosa ci faccio qui?
Tento di mettermi a sedere, ma un tubicino trasparente appena sotto le mie narici mi blocca i movimenti. Alzo le mani e mi guardo le braccia: sotto ogni polso è infilato un ago, e il solo pensiero mi fa girare la testa, che sento stretta in una benda.
Improvvisamente, la porta della camera si apre, facendo entrare due persone: la prima è un uomo dall’aspetto diplomatico, sulla quarantina, con i capelli brizzolati e già qualche accenno di vecchiaia sul viso abbronzato. Sul naso importante poggia un paio di occhiali dal taglio minimalistico; la seconda è una donna, sulla trentina, con qualche chilo in più del dovuto e i capelli castani legati in una crocchia sulla nuca, che scopre il suo viso paffuto ma bello. Tiene in mano una cartellina, e parla vivacemente con l'uomo, ma non riesco a capire di cosa. Vorrei solo chiedere ‘Ehi, che cosa ci faccio qui?’ ma dalla mia bocca non esce alcun suono. L’infermiera mi lancia un’occhiata distratta, ma, forse accorgendosi che la stavo guardando, torna con lo sguardo su di me, questa volta molto più attenta di prima. Smette di parlare con quell’uomo e si fionda su di me, dicendo solo: ‘E’ sveglia’. Grazie mille, so di essere sveglia, penso, ma lei non si sta rivolgendo a me. Infatti, sentendo queste parole, anche l’uomo si avvicina a me, guardandomi attentamente. Il suo sguardo, inizialmente attento e sorpreso, diventa serio, ma non rigido.
- Ciao – dice semplicemente, e questa volta è rivolto a me.
- Salve – provo a dire di rimando, ma dalle mie labbra non esce che un suono strozzato, allora mi schiarisco la gola e provo a ripeterlo, ma la mia voce sembra quella di un’estranea. – Dove sono? – chiedo.
- Ti trovi al White Grace Hospital, Charlotte. Come ti senti? –
White Grace Hospital? Che sta succedendo? Perché non ricordo niente?
Sento l’ansia farsi strada dentro di me, e inizio a sudare freddo. Il macchinario che tiene traccia della mia frequenza cardiaca emette bip sempre più veloci. Probabilmente il medico lo nota, allora si poggia sul lato del mio letto e mi guarda negli occhi: - Charlotte, due settimane fa sei rimasta coinvolta in un incidente stradale, e sei rimasta incosciente da allora – Fa una pausa, forse aspettando che assimili la cosa, o attendendo una mia reazione, che però non arriva. Non ricordo niente. L’uomo sospira, poi aggiunge: - C’e’ una persona che vuole vederti – poi si alza ed esce dalla stanza insieme all’infermiera, che era rimasta tutto il tempo a guardarmi con un’espressione compassionevole sul volto. Faccio un respiro profondo e mi metto a sedere come meglio posso. Non vedo l’ora di togliermi tutti questi tubi dal corpo. Mentre sistemo il cuscino dietro la mia schiena, nella stanza entra una donna. La osservo a lungo: sembra che non dorma da giorni, profonde occhiaie viola le segnano il viso, mettendo in risalto i grandi occhi azzurri; ha i capelli biondo cenere, disordinati e raccolti in una coda fatta frettolosamente. La sua espressione e’ dolce, ma stanca e fragile, come se potesse scoppiare a piangere da un momento all’altro. Entra nella stanza, con lo sguardo incatenato al mio. – Ciao, Charlotte – mi dice con un filo di voce, come se avesse davvero appena smesso di piangere. – Salve – le rispondo, cercando di avere una voce più squillante e … viva di prima. Tuttavia, non appena la saluto, lei si porta una mano alla bocca e i suoi occhi si velano di lacrime. Cosa ho detto di sbagliato? Anche lei si siede sul lato del mio letto, caccia via le lacrime - senza riuscirci completamente – e si porta le mani in grembo, sospirando. Resta in silenzio a guardarmi per un lungo istante.
– Tu non sai chi sono, vero? – dice solamente, e in quel momento mi si stringe lo stomaco. So che dovrei conoscere questa donna; dopotutto, non credo che degli sconosciuti entrino piangendo nelle stanze d’ospedale della gente. Scruto il suo viso: la pelle candida, le rughe agli angoli degli occhi e vicino alla bocca, lo sguardo penetrante e amorevole… Dovrebbero dirmi qualcosa, dovrei collegare questa persona a qualcuno che conosco, ma la testa mi fa così male, la sento pulsare sempre più forte… - Mi dispiace, no – le rispondo infine, facendo una smorfia per far passare quel tremendo dolore alla testa. Quella benda e’ davvero troppo stretta. A quel punto mi aspetto di vederla scoppiare in un pianto isterico, per quanto i suoi occhi sono lucidi, ma lei sospira ancora una volta e, con la voce rotta, dice semplicemente: - Sono tua madre. –
Solo queste tre parole, e la stretta allo stomaco che sentivo prima si chiude ancora di più, facendomi mancare il respiro. Mormoro un “Che cosa?” ma non sono sicura che lo senta. Come posso non ricordarmi di mia madre? Della donna che mi ha messo al mondo e che mi ha cresciuto.. Almeno credo. Solo in quel momento mi accorgo che non ricordo niente. Cioè davvero niente. Non ricordo nessuna persona, nessun avvenimento, nessun compleanno, niente. E la donna che e’ seduta di fronte a me mi guarda non in maniera comprensiva, ma in maniera consapevole. Lei sa che non la ricordo, sa che non ricordo niente. E probabilmente sa anche cosa mi e’ successo.

***

- Era venerdì sera. Tu volevi andare a questa festa, ma io non ero d’accordo. C’erano persone più grandi, girava di tutto, e io lo sapevo. Abbiamo litigato tanto, e alla fine tu hai preso la mia macchina e sei andata lì da sola. Dovevi andarci, mi hai detto, perché lì c’era anche il tuo ragazzo. Sono passate ore, era notte fonda e tu non eri ancora tornata a casa. Hai fatto un incidente con un’auto sull’altra corsia. Lui ne e’ uscito relativamente bene, ma tu.. – Mia madre si ferma, forse perché aspetta che assimili tutto, o forse perché la sua voce è troppo spezzata. La vedo deglutire, poi continua: - Hai battuto molto forte la testa e sei entrata in coma praticamente all’istante. Non ti sei mai svegliata fino ad oggi. Il trauma ti ha provocato un’amnesia retrograda, il che vuol dire che non ricordi niente di ciò che e’ successo prima dell’incidente. Persone, avvenimenti, ricordi … niente – fa un sospiro e si guarda le mani, sul suo viso un’espressione sofferente.
- Credevo che non ce l’avresti fatta – dice poi, mettendosi le mani sul viso per nascondere le lacrime, ma il dolore traspariva dalla sua voce. – Credevo che la nostra ultima conversazione sarebbe stata un litigio – continua, e adesso il suo e’ davvero un pianto disperato. Prima che possa aggiungere altro, le metto una mano sulla spalla e la accarezzo lentamente, cercando di confortarla. – Ma ce l’ho fatta. Sono qui, mamma, sono viva – Mi dispiace davvero per questa donna, nonostante ormai non la conosca più. Faccio un respiro profondo e cerco di alleggerire la conversazione: - Il medico ha detto quando posso tornare a casa? – chiedo. Lei mi guarda, e dopo il pianto i suoi occhi sono ancora più azzurri. Tira su col naso e si asciuga le guance velocemente: - No, non gli ho ancora parlato. Ma spero presto – dice. Poi si alza e propone di portarmi qualcosa da mangiare, e io le rispondo di sì, nonostante il mio stomaco sia chiuso ermeticamente. Quando mia madre esce dalla stanza, mi butto sul letto e guardo il soffitto. E’ come se la mia vita fosse stata completamente cancellata. Forse qualcuno lassù mi ha voluto dare una seconda occasione di vita.
Ma perché?
Chi ero prima?


Angolo autrice:

Ciao a te che leggi! Mi chiamo Daniela e questo è l'inizio di una nuova storia. Al momento non dice molto, ma è solo l'inizio. Se leggi, per favore, per favore, PER FAVORE, lascia una recensione, ti farà perdere solo un minuto, ma sarà molto importante per me. Anche se non ti piace, dimmelo okay? Sto anche lavorando sul trailer di questa storia, quindi presto potrete sapere meglio la trama. E niente, ci vediamo al prossimo capitolo :) Byee xx

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Capitolo 2
*** 2 ***


2


Il medico ha detto a mia madre che sarei stata dimessa tre giorni dopo, quindi nell’attesa lei mi ha portato vestiti, cibo e un po’ di compagnia. Sento che c’è dell’imbarazzo tra di noi, perché per me è praticamente una sconosciuta, e lei lo sa, quindi il tutto ci mette abbastanza a disagio. Tuttavia, questa donna mi piace. E’ simpatica e gentile, ma non in maniera fastidiosa.
I tre giorni passano lentamente, ma finalmente mi dimettono. Aiuto mia madre a mettere le poche cose che ho all’ospedale in un borsone, insieme a dei farmaci che mi hanno detto di prendere, e usciamo da quelle mura che mi hanno tenuta lontana da tutto per due settimane.

E’ una bella giornata di ottobre, il sole splende, ma l’aria è fresca, perciò mi stringo nella felpa grigia che ho addosso. Nel viaggio ospedale-casa resto tutto il tempo con il naso appiccicato al finestrino. La mia città, le case, i negozi… mi sento come un cieco che vede per la prima volta il mondo. Dopo circa un quarto d’ora mia madre entra nel vialetto di quella che deve essere casa mia: è grande, a due piani. C’
è un portico bianco che circonda tutto il piano di sotto e delle grandi finestre al piano di sopra. Dal vialetto si arriva al giardino sul retro, che sembra ben curato, da quello che posso vedere. Entriamo, e nonostante non ci sia niente di familiare in ciò che vedo, la casa è molto accogliente. I mobili sono chiari, la casa è luminosa e spaziosa. Mi piace. Mentre mi guardo intorno, dalle scale che portano al piano di sopra scende un ragazzino, che può avere massimo quindici anni: è più basso di me, magrolino, con i capelli biondo cenere e dei grandi occhi scuri, decorati da una spruzzata di lentiggini sul naso. Appena nota la mia presenza, si ferma di botto, proprio alla base delle scale, e mi guarda fisso negli occhi, come se stesse cercando qualcosa al loro interno.
- Ehi, Matt. Hai fatto quella commissione che ti ho chiesto? – mia madre rompe il silenzio, poi guarda prima lui e poi me. – Charlie, questo è.. tuo fratello Matthew – dice lei, un po’ impacciata. Essere presentati al proprio fratello non è esattamente una cosa normale. Lo guardo e gli faccio il sorriso più gentile che mi riesce: - Ciao, Matthew. Io sono Charlotte … Ma probabilmente già lo sai. Mi dispiace, ma non mi ricordo di te, come di nessun altro, quindi spero  che mi aiuterai a conoscerti come prima – mentre pronuncio queste parole, sento che le ripeterò all’infinito in questi prossimi giorni, a tutte le persone che conoscevo.
Mio fratello mi guarda, scrolla le spalle e mi risponde: - Come vuoi. Tanto non c’è molto da ricordare – per poi scansarmi e andare in cucina. Lo seguo con gli occhi fino a quando non scompare dietro la parete, un po’ disorientata. Non che mi aspettassi chissà cosa, ma tua sorella resta in coma per due settimane e tu ti comporti così? Mi obbligo a pensare che sia solo di cattivo umore, prendo il borsone con le mie cose e mi faccio dire dov’è la mia stanza. Salgo le scale e giro a destra, verso l’ultima porta.
La mia stanza è illuminata da una delle grandi finestre che ho visto dall’esterno. C’è un grande letto addossato alla parete di fronte alla porta, ricoperto di cuscini di tutte le forme e colori. I mobili sono di legno scuro e ci sono moltissimi scaffali ricoperti di libri: persino a terra ne trovo alcuni. Dovevo essere una grande lettrice. Mentre mi guardo intorno, sento gli occhi diventare lucidi, pensando che ho letto così tanto, ma non ricordo niente delle storie che ho vissuto, dei personaggi che ho conosciuto, dei posti che ho visitato. Mi avvicino alla cassettiera accanto alla porta e prendo un libro a caso. Sulla copertina c’è una coppia, e sopra di essa il titolo Orgoglio e Pregiudizio. Sfoglio velocemente le pagine, che mi inebriano con il loro profumo di carta e inchiostro, e chiudo gli occhi. Faccio un respiro profondo, poso il libro e inizio ad esplorare i cassetti alla ricerca dell’intimo e di qualcosa da mettere. Una volta trovato, vado in bagno e mi faccio una doccia.
L’acqua scorre sulle mie palpebre, sulle guance, sulle spalle. Resto a lungo lì dentro, mi lavo i capelli con uno shampoo ai frutti di bosco e il corpo con un bagnoschiuma al latte. Quando esco dalla doccia, il bagno è pieno di vapore, e lo specchio e’ tutto appannato. Ci passo una mano sopra, e mi trovo faccia a faccia con il mio riflesso: i capelli scuri mi gocciolano bagnati lungo le spalle, arrivando fino alla vita, la mia pelle e’ bianca come la neve. I miei occhi sono grandi e castani, e sul mio zigomo destro c’e’ un livido violaceo, ormai quasi scomparso, probabilmente un residuo dell’incidente. Trovo una minima somiglianza con mia madre, ma per la maggior parte siamo molto diverse.
Mi tampono i capelli con l’asciugamano e mi infilo i pantaloncini di stoffa e la canotta che ho preso dalla mia stanza.
Tornata lì, decido che e’ ora di ricominciare a leggere.
 

***

Il suono del campanello mi fa risorgere dagli abissi in cui ero immersa. Decido di aspettare che qualcun altro vada ad aprire la porta, non posso smettere di leggere proprio ora. Qualche secondo dopo il campanello suona di nuovo, al che mi ricordo che mia madre è andata a fare la spesa e mio fratello è uscito. Nessuna visita da quando sono tornata a casa, tre giorni fa, e arrivano a rompere le scatole proprio il giorno in cui sto per finire Orgoglio e Pregiudizio. Sbuffo, e mi fiondo giù per le scale: prima vado a vedere chi è, prima potrò tornare dalle sorelle Bennett. Salto giù dagli ultimi due scalini e spalanco la porta. Davanti a me trovo un ragazzo alto, muscoloso, con la pelle abbronzata e i capelli d’oro. Di sicuro non è il postino. Quando mi vede, il sorriso formale che aveva già preparato per mia madre scompare. I suoi occhi verdi si incatenano ai miei.
- Charlie – dice in un soffio, restando con le labbra schiuse, in un’espressione incredula.
- Già, sono io. E tu sei …? – nonostante fosse un bellissimo spettacolo, volevo tornare a leggere. Avevo ancora tanti libri da recuperare.
- Sono.. sono Nick. Sono il tuo ragazzo – dice gesticolando nervosamente. La notizia mi arriva come un pugno nello stomaco. – Oh – non so cosa rispondere.
 
 
***
 
- Ero preoccupatissimo – mi dice Nick, mentre si siede su una sedia nella nostra cucina. Io mi poggio sul piano cottura e incrocio le braccia. Mi sento dispiaciuta per lui, perché nonostante sia il mio ragazzo, non mi sento più legata a lui in nessun modo. – Appena ho saputo che sei stata dimessa sono venuto qui. Ma sono felice di vedere che stai bene –
- Beh, sì, più o meno. Non ricordo niente di niente – gli rispondo afflitta, e mi vado a sedere di fronte a lui. Le nostre ginocchia si toccano. Lui si sporge in avanti, poggiando i gomiti sulle gambe.
- Ti prometto che ti aiuterò a ricordare più cose possibile – mi dice guardandomi negli occhi, e sembra sincero, ma non riesco a credergli. O, quantomeno, non riesco a fidarmi di ciò che ha detto. Annuisco, e lui si alza spazzolandosi i jeans. – Devo andare all’allenamento di basket ora. Inizio col ricordarti che sono il più bravo della squadra – Mi dice con un sorrisetto scherzoso mentre lo accompagno alla porta. Fa sorridere anche me. Quando e’ sulla soglia si gira verso di me. – Pensi che verrai a scuola domani? – chiede, e dal suo tono sembra sperare che dica di sì.
A pensarci, la scuola mi e’ completamente passata di mente. Sarò circondata da persone che non conosco, ma che conoscono me. Dovrò imparare nuovamente i nomi di tutti. Ero una popolare? O non avevo amici?
- Sì penso di venire – rispondo, anche se non ne sono completamente sicura. – Okay, ci vediamo piccola – dice Nick, e si china per darmi un bacio sulla guancia. Mi coglie impreparata, infatti mi sento subito avvampare. Quando si scosta, indugia per un attimo vicino al mio viso, i nostri nasi quasi si toccano. Restiamo a guardarci negli occhi per quelli che sembrano minuti; poi, però, quando temo che possa baciarmi, abbasso lo sguardo e mi allontano un poco. La sua bocca si piega in un sorriso, e se ne va, lasciandomi poggiata allo stipite della porta, rossa come un pomodoro, e ancora il tocco delle sue labbra impresso a fuoco sulla mia guancia. 




Angolo autrice:

Ciao di nuovo, sono sempre io, Daniela! Questo 
è il secondo capitolo della storia (ma va?), dove viene introdotto un nuovo personaggio, Nick. Che ne pensate? Non sappiamo ancora molto di lui, ma qual è la vostra prima impressione?
Grazie se hai letto, al prossimo capitolo! :)

PS: Lo scorso capitolo ha avuto dei lettori ma nessuna recensione, percio' ve lo chiedo di nuovo: se leggete la storia, RECENSITELA. Se non ricevo feedback non vedo il motivo di continuarla. 


 

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