Saving each other - How to save a life.

di _LilianRiddle_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I. ***
Capitolo 2: *** Capitolo II. ***
Capitolo 3: *** Capitolo III. ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV. ***
Capitolo 5: *** Capitolo V. ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI. ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII. ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII. ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX. ***
Capitolo 10: *** Capitolo X. ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI. ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII. ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII. ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV. ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV. ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI. ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII. ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII. ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX. ***



Capitolo 1
*** Capitolo I. ***


Saving each other – How to save a life.

 
 
Capitolo I.
 
 

E’ il mio ultimo anno…
Pensò Hermione Granger con un po’ di malinconia, mettendo il libro di Aritmanzia in pila sopra agli altri volumi di scuola, nel baule.
Ecco, dovrei aver finito.
Diede un’altra occhiata alla sua stanza per controllare di aver preso tutto: l’armadio aperto era praticamente vuoto, il letto rifatto e dalla finestra spalancata entrava un venticello fresco di fine estate. Sotto la finestra c’era la scrivania su cui erano posati disordinatamente fogli di tutti i tipi e alcuni articoli della Gazzetta del Profeta. Il portapenne era in bilico tra due vecchi libri di favole e… cavolo, se ne era quasi dimenticata. Tra tutti quei fogli era rimasto un unico libro, o meglio, un diario. E non un diario qualunque. A prima vista, sembrava un anonimo e semplicissimo libretto rilegato in cuoio marrone, con una linguetta di pelle e un bottone a pressione a racchiudere le preziose pagine ormai ingiallite dal tempo. A renderlo speciale non era di certo l’aspetto, ma il nome impresso a caratteri dorati sulla pelle consunta.
Lily.
Hermione si affrettò a riporlo nel baule, nascosto sotto una pila di vestiti. Poi, però, parve ripensarci e buttò il diario nella borsetta di perline che portava sempre con sé.
Non l’aveva ancora detto a nessuno. Erano passati quasi quattro mesi dalla fine della guerra e si era ripromessa diverse volte di parlare del diario a Harry. Dopotutto si trattava di sua madre. Ma non ci era mai riuscita, nonostante sapesse alla perfezione che non avrebbe potuto nasconderglielo per molto e che dirglielo era la cosa giusta - come continuava a ripeterle quell’irritante vocina nella sua testa -. Si vergognava ad ammettere di avere un po’ paura della reazione che l’amico avrebbe potuto avere.
Rimase un attimo a guardarlo mentre il ricordo di come l’aveva trovato, e soprattutto di quello che era successo dopo, tornava nitido.
I capelli bianchi e gli occhi offuscati dalle cataratte, l’odore penetrante di vecchiaia, polvere e cibo stantio, lo sporco che permeava l’intera casa. Poi Bathilda aveva guidato Harry al piano di sopra e lei si era messa a curiosare tra le pile di libri abbandonati sul pavimento. L’aveva trovato lì, coperto da uno spesso strato di polvere, come tutto del resto, ed era rimasta incantata da quel piccolo libricino di cuoio marrone: il diario di Lily Potter. In casa di Bathilda Bath! Ma cosa ci faceva lì? In alcuni punti era macchiato di una strana polvere nera, molto simile alla fuliggine e, in due degli angoli, era sfregiato, come se fosse resistito ad un incendio. Sembrava quasi che Bathilda avesse scoperto il diario tra le macerie della casa dei genitori di Harry. I suoi pensieri furono poi fermati dal trambusto che proveniva dal piano di sopra, aveva infilato velocemente il diario e il libro di Rita Skeeter nella borsa ed era corsa ad aiutare Harry.
Si riscosse improvvisamente dai suoi pensieri, sapendo perfettamente che cosa era successo subito dopo e non volendo ricordarlo. Non voleva ricordare la paura quando aveva visto il serpente, la sensazione che non ce l’avrebbero fatta, il terrore quando sentì che lui stava arrivando. Chiuse il baule e si buttò sul letto. Non aveva ancora letto neanche una parola del diario. Dopo l’attacco a Godric’s Hollow se n’era completamente dimenticata e il libretto era rimasto in fondo alla borsetta di perline fino a qualche settimana prima. Be’ non c’era da stupirsi con tutto quello che era successo: la caccia agli Horcrux, la guerra, il ritorno di Ron. Ron…Un leggero sorriso schiuse le labbra di Hermione. Quando la guerra era finita Hermione era rimasta per qualche tempo alla Tana, Molly era stata felice di ospitarla e, anche se non le andava a genio che dormisse nella camera di Ron, sapeva di potersi fidare. All’inizio era andato tutto benissimo, credeva davvero di amarlo, ma poi i suoi sentimenti, mano a mano che il tempo passava, cambiarono. A parte qualche bacio, tra di loro non era cambiato molto e alla fine si comportavano sempre allo stesso modo. Così, dopo poco tempo, avevano deciso di lasciarsi e di restare migliori amici.
- Hermione! E’ pronta la cena! - La chiamò dal piano di sotto la madre. La ragazza si alzò, chiuse la porta della camera e scese le scale.
Davanti alla porta della cucina c’era sua madre con un sorriso dolce, ma un po’ forzato e una nota di apprensione negli occhi. Dopo il periodo alla Tana, quando era tornata a casa, prese seriamente in considerazione l’idea di lasciare i suoi genitori in Australia: c’erano, infatti, ancora molti Mangiamorte liberi e il pericolo non era ancora passato del tutto. Star sola, però, nella sua casa vuota, senza i suoi genitori, era una tortura, cosicché, un giorno, decise di partire per l’Australia. Ridiede i loro ricordi ai suoi genitori e, senza scendere in complicati dettagli magici, gli aveva raccontato tutto: dove era stata negli ultimi mesi e la guerra a Hogwarts. I signori Granger erano rimasti sì sbalorditi dal coraggio e dalle imprese della figlia, ma anche molto spaventati per quello che aveva dovuto affrontare in quel mondo a loro precluso.
- Perché non ce l’hai detto? - Aveva chiesto la signora Granger con gli occhi spalancati dalla paura.
Da quel momento ogni volta che Hermione aveva incrociato gli occhi della madre aveva visto quella punta di preoccupazione attraversarle lo sguardo, come se la ragazza, per chissà quale motivo, avrebbe potuto di nuovo cancellarle i ricordi.
Quando era arrivata la lettera da Hogwarts si era scatenato il caos: i suoi genitori non volevano assolutamente che la loro unica figlia tornasse in un luogo così pericoloso, ma Hermione non avrebbe mai rinunciato alla sua istruzione, così aveva mantenuto la calma e spiegato chiaramente ai suoi genitori che Hogwarts era un luogo sicurissimo, che per lei fare l’ultimo anno era fondamentale e aveva ripetuto più volte che la guerra era finita e quindi non avrebbe corso alcun pericolo. Dopo innumerevoli discussioni, i signori Granger avevano, a malincuore, capitolato.
Hermione abbracciò leggermente la madre e si sedette al tavolo rotondo che suo padre aveva costruito tanti anni prima. Un sorriso stanco aleggiò sul viso della ragazza. La verità è che aveva paura. Una fottutissima paura di non sapeva neanche lei che cosa. Il problema era che era cambiato tutto. Il mondo intorno a lei stava cercando di rialzarsi da quella guerra che lo aveva messo in ginocchio, le persone stavano cercando di rifarsi una vita nonostante le perdite, nonostante il vuoto che i loro cari uccisi avevano lasciato dentro di loro. E questo da tutte e due le parti: buoni e cattivi. Che poi, questa grande distinzione non c’era: tutti avevano ucciso, tutti avevano distrutto.
La mattina arrivò velocemente, nonostante la notte in bianco: King’s Cross era affollata come sempre, bambini di tutte le età si rincorrevano giocando tra la gente.
Hermione attraversò la barriera tra il binario 9 e 10, ritrovandosi per l’ultima volta nell’affollatissima stazione. Cercò con gli occhi i suoi amici, ma ancora non si vedeva la massa rossa dei Weasley. Condusse i suoi genitori, che si guardavano attorno un po’ preoccupati, su di una panchina ai margini della stazione.
Passarono i minuti e, quando aveva deciso che avrebbe iniziato ad avviarsi verso il treno, una massa di capelli rossi l’avvolse.
-Herm!- esclamò Ginny, stringendola in un abbraccio soffocante. –Mi sei mancata!-
-Anche tu, Ginny!- rispose la ragazza.
Anche gli altri Weasley si avvicinarono, salutandola gioiosamente. Harry e Ron abbracciarono l’amica stringendola, consapevoli che niente sarebbe stato più come prima: la mancanza di Fred pesava sugli animi di tutta la famiglia.
Caricarono i bauli sul vagone e salirono sul treno, naturalmente dopo essere stati soffocati dall’abbraccio di Molly. Girarono per un po’ alla ricerca di uno scompartimento libero, finché non ne trovarono uno quasi alla fine del treno, che partì con uno sbuffo poco dopo. Un debole sorriso aleggiava sulle labbra dei ragazzi, che si accingevano a intraprendere il loro ultimo viaggio verso Hogwarts. Nonostante il sollievo dato dalla fine della guerra, molte cose, forse troppe, erano cambiate. Ognuno aveva perso qualcuno di caro, anche chi era dalla parte sbagliata. Anche i Serpeverde. Non c’erano più ragazzi che urlavano e correvano lungo i vagoni, non c’era più il solito chiacchiericcio. Ognuno preferiva rimanere nel proprio scompartimento, e si aspettava di arrivare ad Hogwarts per andare a salutare gli amici delle altre case. Ma Hermione sapeva che, prima o poi, tutto sarebbe tornato alla normalità. Bisognava solo decidere con che criteri si misura la normalità.
Iniziò a chiacchierare con la sua migliore amica, Ginny, visto che sia Ron che Harry e Neville, si erano cimentati in una noiosissima discussione sul Quidditch. I ragazzi non sapevano parlare d’altro. Ed è stato proprio allora che alla ragazza venne in mente che avrebbe potuto parlare del diario con Ginny. Tanto la piccola di casa Weasley ne sarebbe venuta a conoscenza lo stesso, considerato quanto bene conosceva Hermione.
-Ginny, ti va se andiamo a cercare Luna? Non sono riuscita a vederla alla stazione e volevo salutarla prima di arrivare a Hogwarts- chiese.
L’amica la guardò un po’ incerta, ma poi sorrise: anche lei aveva voglia di rivedere Luna.
-Certo, Herm!- rispose alzandosi.
I ragazzi non le degnarono neanche di uno sguardo, troppo presi a litigare su quale squadra di Quidditch fosse la migliore, così uscirono indisturbate dallo scompartimento.
Subito Hermione, si avvicinò all’amica.
- Ginny, ascoltami. Sai quando io ed Harry siamo andati a Godric’s Hollow e siamo finiti in quell’agguato a casa di Bathilda Bath? - chiese la riccia.
- Ovvio, ci siete quasi rimasti secchi! –
- Sì, esatto. Vedi, prima che tutto precipitasse e prima che, inizialmente Nagini e poi Voldemort, ci attaccassero, ho trovato un diario molto particolare nella casa di Bathilda. –
- E qual è il problema, Hermione? –
- Il problema è che il diario è di Lily Potter, Ginny! La madre di Harry! –
La rossa guardò l’amica spalancando gli occhioni ambrati.
- Davvero?! – esclamò entusiasta, ma poi guardò Hermione. La ragazza teneva gli occhi bassi e aveva un’aria così afflitta che ti veniva voglia di abbracciarla e di dirle che andava tutto bene.
- Oh, Herm! Harry non lo sa, vero? Non hai avuto il coraggio di dirglielo! Ma perché? –
- Come perché, Ginny! Insomma, è il diario di sua madre, il diario di sua madre adolescente, per di più! Non so come la prenderebbe a leggere quello che c’è scritto dentro… e poi, con tutto quello che è successo negli ultimi mesi, me ne ero completamente dimenticata.-
- Tu che ti dimentichi di qualcosa?! Andiamo, Hermione, ti aspetti che io mi beva un’affermazione del genere?! –
La ragazza fece per rispondere, ma fu bloccata dalla signora che portava il carrello dei dolci.
- Qualcosa dal carrello, ragazze? – chiese gentile.
- Un pacchetto di cioccorane, grazie. – disse una voce alle spalle di Ginny.
Le due ragazze si irrigidirono: conoscevano bene quel tono sprezzante e canzonatorio. Draco Malfoy era appena spuntato dall’ultimo vagone del treno e sembrava apparentemente solo. Solo, senza Tiger e Goyle. Solo con il Marchio Nero che si intravedeva dalla camicia candida come la sua pelle troppo tirata.
- Cos’è, Malfoy, la colazione a pane e Cruciatus ti ha stufato? Sei passato alle cioccorane? O preferisci un pacchetto di api frizzole? – domandò Ginny acida. Non aveva ancora accettato il fatto che Fred fosse morto a causa di Bellatrix Lastrenge, sua zia.
Hermione, nel corso dell’estate, l’aveva vista cambiare sempre di più. Subito dopo la guerra, la piccola di casa Weasley si era chiusa in un assoluto mutismo. Non parlava, non mangiava. Passava le ore al negozio dei gemelli Weasley, che adesso gemelli più non erano. Era come un fantasma seduto ad osservare la vita degli altri. Tentarono di tutto, tutti. Molly e Arthur le offrirono tutto l’aiuto possibile, Ron ed Harry le stettero vicino ogni giorno, cercando di distrarla e distraendosi loro stessi, ma Ginny non dava segni di vita. Solo George sembrava suscitare in lei una qualche emozione, un seppur minimo accenno di vita. Hermione, dal canto suo, aveva provato a far ragionare l’amica. Ogni tramonto, la portava a fare un giro per il giardino dei Weasley, fino a che non le cedevano le gambe dalla stanchezza. Allora si sedevano tutte e due e guardavano il sole tramontare, fino a che il buio non inghiottiva ogni cosa. Stavano semplicemente lì, ferme e zitte, e molto spesso si univa a loro George. Le faceva bene, stare lì fuori, si vedeva, ma la piccola di casa Weasley non aveva ancora assorbito il colpo della morte del fratello. Fino a che, in un magnifico tramonto di mezza estate, Fred non si ripresentò alla porta di casa come fantasma. La signora Weasley svenne quattro volte prima di riprendersi completamente e iniziare a piangere. Tutti erano felici, ma Ginny fu l’ultima a saperlo perché al momento dell’arrivo di Fred, era seduta sul prato insieme ad Hermione. Quando la ragazza vide il fratello, calde lacrime le scivolarono lungo le guance e allungò una mano come per toccarlo. Il fantasma del fratello allungò anche lui il braccio e, per un momento, parve che i due si toccassero davvero.
“Sapevo che non ci avresti abbandonati”. Queste furono le parole di Ginny. Le prime parole di Ginny.
- Taci, Weasley. Taci. – sibilò Malfoy, glaciale, distogliendola dai suoi pensieri. Qualcosa, nei suoi occhi, le diceva che non era il momento di scherzare.
- Non osare dirmi di stare zitta, Mangiamorte! – rispose irosa Ginny.
Quello che vide negli occhi di Malfoy, di Draco, poteva essere solo dolore.
- Ginny. - sussurrò. – Smettila. –
La rossa la guardò allibita.
- Sei dalla sua parte? Lo difendi nonostante tutto quello che ci ha fatto? Che ti ha fatto? –
- Già, Mezzosangue, non ho bisogno di essere difeso dalla feccia. – disse cattivo, andandosene con le sue cioccorane.
- Allora ragazze, volete qualcosa dal carrello? – chiese la signora.
- Un pacchetto di cioccorane, grazie. – bisbigliò Hermione.
Ginny la guardò stralunata.
- Ma che ti prende?! – esclamò.
- Potrei farti la stessa domanda - rispose.
- No, guarda, sei tu quella strana! No, dico, hai difeso Malfoy! Draco Malfoy! Hermione, se non ti conoscessi penserei che tu sia matta! –
In realtà, Hermione non era affatto matta. Era, semplicemente, distrutta e devastata dalla guerra e, come tutti i distrutti, riusciva a vedere chi era come lei. E Malfoy, forse, era anche più distrutto e devastato di lei. Aveva perso tutto. E non per volere suo. In fondo, non era colpa sua se era nato Malfoy. Non era colpa sua se suo padre era un Mangiamorte convinto delle sue idee e dei suoi pregiudizi. E non era colpa sua se il sopracitato avesse poi trasmesso le sue stesse convinzioni al giovane Malfoy. Certo, lui avrebbe potuto essere un po’ più coraggioso accettando l’aiuto di Silente, entrando nell’Ordine, ma, infondo, chi era lei per giudicare? Lei che pur di proteggere la sua famiglia era arrivata a cancellare loro la memoria e a spedirli a chilometri di distanza, non poteva certo biasimarlo se si era fatto marchiare per proteggerla. Perché su questo era certa: Draco Malfoy si era fatto imprimere sul braccio il Marchio Nero solo per proteggere i suoi genitori. Non sapeva perché ne era convinta, ma qualcosa dentro le diceva che era così. Che poteva ancora essere salvato. Rimaneva lo stronzo che le aveva fatto passare sei anni d’inferno. Rimaneva il codardo che si era fatto prendere a pugni, al terzo anno. Rimaneva il raccomandato che aveva comprato il suo ingresso nella squadra di Quidditch, al secondo anno. E certo, rimaneva l’idiota che al sesto anno aveva fatto entrare i Mangiamorte a Hogwarts e aveva causato la morte di Albus Silente. Il grande Albus Silente ucciso dall’incapacità di decisione di un idiota. Ma Hermione sapeva, sperava, che sotto tutto questo ci fosse qualcos’altro, qualcosa di diverso.
Le ragazze ripresero a camminare: in fondo, volevano davvero andare a trovare Luna.
- Ginny, cosa devo fare con il diario? – chiese.
- Non lo so, Herm. Io lo leggerei prima di darlo a Harry. Metti che sua madre ci ha descritto dettagliatamente la sua prima volta con James! Insomma, a Harry verrebbe un colpo. Sarebbe la volta buona che il Ragazzo-che-è-sopravissuto-a-ben-due-Avada-Kedavra ci lasci le penne! –
Sorrise all’appellativo che la ragazza aveva dato al Salvatore del Mondo Magico.
- Già, forse hai ragione. – sussurrò appena prima di entrare nello scompartimento di Luna.
La ragazza aveva uno strano ciondolo al collo e stava leggendo il Cavillo all’incontrario.
- Ciao Luna! – esclamarono in coro Hermione e Ginny.
- Oh, ciao ragazze. Passate bene le vacanze? – salutò lei con la sua voce trasognata.
– Che stai facendo, Luna? Perché leggi il Cavillo all’incontrario? – chiese curiosa Ginny.
La ragazza scoppiò a ridere. Una risata cristallina, che riportava la mente a vecchi ricordi.
- Sto facendo un test, Ginny. Se vuoi lo faccio anche a te. –
- Volentieri. – sorrise lei sedendoglisi accanto.
Hermione guardò lo spettacolo, malinconica, poi si sedette di fronte alle due ragazze.
La ragazza sospirò.
Non riesco più neanche a comunicare. La guerra, ormai, fa parte di me come l’aria che respiro.
Spostò lo sguardo fuori dal finestrino, cercando un modo per dimenticare, per annullare il dolore che le attanagliava il petto, o anche solo per dormire dieci minuti.
Nulla di tutto ciò arrivò e, quando anche Luna e Ginny crollarono nelle braccia di Morfeo, uscì dallo scompartimento. Camminava lentamente per il lungo corridoio quando, in lontananza, scorse una figura appoggiata al finestrino, intenta a fumare una sigaretta. Si avvicinò, sapendo benissimo di chi si trattava e si appoggiò al muro di fronte a lui.
- Non si fuma. – sussurrò.
Lui la guardò e un ghigno alla Malfoy gli deformò il viso.
- Cos’è, sei venuta per punirmi? – chiese maligno.
- Sono venuta per leggere. E levati quel ghigno dalla faccia, Malfoy, tanto lo so che è solo una maschera. – rispose con più cattiveria di quanto avesse voluto.
Il ghigno si spense sul volto del ragazzo, colpito e irritato dalla perspicacia della ragazza. Hermione, ignorando gli insulti borbottati che Malfoy le stava lanciando, tirò fuori dalla borsetta di perline il diario di Lily Potter.
Con un po’ di timore lo aprì e lesse la pagina iniziale.
 

Questo è il diario di Lily Potter
Strega,
Nata Babbana,
Settembre 1977.
 

Sospirò, consapevole che se avesse iniziato a leggerlo, non si sarebbe più fermata. Sentiva gli occhi indagatori di Malfoy su di sé, ma non alzò lo sguardo. Girò la pagina.
 
Caro diario,
finalmente sto tornando ad Hogwarts. L’estate è stata difficile, mia sorella mi odia. Petunia adesso ha paura di me, dei miei poteri. Posso capirla, tra i Babbani le streghe e i maghi e tutto il mio mondo sono solo leggende e favole per bambini. Mi fa male, perché io le voglio bene, rimane mia sorella, la mia sorellona. All’inizio, quando mi arrivò la lettera da Hogwarts, solo gelosia permeava i suoi gesti. Anche per colpa dei miei genitori, che non smettevano di idolatrarmi. A me faceva piacere, ma vedendo la reazione di Petunia, sperai che il loro entusiasmo non durasse a lungo. Sperai, vanamente, che si abituassero, un giorno. Invece no. Mi chiamano ancora “La nostra streghetta”, nonostante io stia per affrontare il mio ultimo anno ad Hogwarts e abbia la veneranda età di diciassette anni. Per il mondo magico, ormai, sono una persona adulta.
Una volta parlavo di tutto questo con Severus. Lui è sempre stato il mio confidente, il mio migliore amico. È stato l’unico ad Hogwarts che parlava con me, quando fui ammessa. E ora… ora sento di star perdendo il mio amico, il mio migliore amico. Quei suoi amici… quelle loro parole malvagie, quei sogni di gloria votati alla distruzione dei Babbani… loro lo stanno cambiando. È sempre più agitato, sempre più cattivo. Neanche i miei baci sembrano calmarlo. Niente sembra calmarlo.
Sono preoccupata. So, so che lui non è cattivo, ma a volte mi chiedo: “La cattiveria si può definire tale solo se è una persona notoriamente cattiva a compierla? Se la cattiveria la fa una persona che è sempre stata buona, questa perde di significato in quanto tale? Diventa solamente un errore di percorso o resta cattiveria?”
 
Lily.
 
Hermione sospirò e chiuse il diario.
Lily aveva una storia con il professor Piton, quindi. Pensò, inquieta. Alzò lo sguardo e si stupì di incontrare gli occhi indagatori di Malfoy che ancora la osservavano, nonostante la sigaretta fosse finita da un pezzo. Con una curva, il treno mostrò il panorama familiare dei prati intorno ad Hogwarts. In lontananza si potevano già scorgere il lago e la foresta.
- Sarà meglio andare a prepararsi. – sussurrò più a sé stessa che al ragazzo.
Si alzò silenziosa e fece qualche passo per raggiungere il vagone dove Harry e gli altri erano ancora intenti a parlare di Quidditch.
S’infilò dentro senza far rumore e si sottrasse allo sguardo di Draco, che sembrava perforarle la schiena, tanto era profondo.

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Capitolo 2
*** Capitolo II. ***


Capitolo II

 
 

- Sei sicuro, Draco? – chiese apprensiva Narcissa.
- Sì, madre. – rispose il ragazzo.
- Non sarà facile. Non sarà come prima. Ti parleranno alle spalle, non ti rispetteranno. La tua stessa incolumità sarà messa a repentaglio. Vuoi davvero tornare ad Hogwarts, figlio mio? –
- Sì. Questo è quello che voglio, madre. –
- Così sia, allora. – sussurrò Narcissa, congedando il figlio. Una minuscola lacrima scese lungo lo zigomo regale, ma nulla si leggeva dalla maschera imperturbabile del suo viso. Era stata abituata a celare le sue emozioni a chiunque, perfino a se stessa. E per quanto ora la guerra fosse finita e non c’era più motivo di fingere, non riusciva ad allontanarsi da quello che suo padre e dopo suo marito le avevano insegnato.
Sorrise amaramente pensando al marito, ora rinchiuso ad Azkaban. Il grande e invincibile Lucius Abrax Malfoy imprigionato dietro alle celle sporche della prigione migliore del Mondo Magico, come un comune Mezzosangue. Niente restava dell’uomo che aveva sposato. Nonostante ciò, l’amore verso di lui la portava ad andarlo a trovare ogni giorno della sua esistenza. E questo sembrava giovare a Lucius, che tornava l’uomo,il ragazzo, di cui si era innamorata anni fa e da cui aveva avuto un figlio meraviglioso.
Era seriamente preoccupata per Draco. Gli errori di suo padre erano appesi sopra la testa di Draco come la spada era appesa sopra il capo di Damocle, come monito per ricordare a suo figlio che lui non era diverso da Lucius. In realtà, Draco era molto più Black che Malfoy. Caratterialmente, era molto più simile a Narcissa che a Lucius, per quanto lei e suo figlio fossero completamente diversi. C’era qualcosa, nel ragazzo, che lo portava ad essere diverso da qualunque Malfoy o Black che avesse mai solcato questa terra. La gente, nonostante tutto quello che Harry Potter ed Hermione Granger avevano fatto per lui, continuava ad apostrofarlo come Mangiamorte e non passava giorno che lettere minacciose arrivassero a Malfoy Manor. Un soffio di vento distolse la donna dai suoi pensieri e si voltò verso la fonte di quello spostamento d’aria. Una ragazza troppo bella per essere solo una normale strega la guardava dal vano della porta.
- Mi prenderò cura io di lui, Cissy. – disse.
- Lo so, Ashling. Lo so, ma sono sua madre. Sono preoccupata per lui, non posso farci niente. Sarà difficile, lo sai. Sarà difficile anche per te. Avranno paura di una come te. Sarai esiliata come lui. – sospirò. – Non doveva andare così. Draco non dovrebbe pagare per quello che ha fatto Lucius. –
- Vedrai che ce la caveremo. Hogwarts è cambiata, Narcissa, così come i suoi abitanti. –
L’affermazione della ragazza colpì la donna che guardò intensamente in quegli occhi scuri e insondabili. La massa di capelli rosso scuro le copriva parte del volto e lei se li tirava indietro con un gesto stizzito della mano. Sembrava la più nobile delle purosangue, con quei tratti delicati e gli zigomi pronunciati, ma la pelle candida era incorniciata da lentiggini che spezzavano la perfezione dei lineamenti, come a dire che nessuno è perfetto. Era minuta, alta appena 1.65, ma era magra, nonostante le forme generose del seno e dei fianchi. Le gambe affusolate avrebbero fatto girare molte teste, ad Hogwarts.
Ma pur essendo così bella, la gente la evitava. Per via delle sue origini, per via di ciò che era. Stanca, Narcissa si congedò dalla ragazza e si trascinò sulla lunga scalinata, recandosi solitaria nelle sue stanze.
Ashling guardò la donna salire le scale e pensò che, nonostante gli anni e tutto quello che aveva fatto e subito, rimaneva una bellissima nobildonna. Era preoccupata, però, per la sua salute, che peggiorava ogni giorno di più. Rimuginando su come poteva aiutare Narcissa, salì le scale, diretta alla sua stanza. Passando davanti alla camera di Draco, si fermò, indecisa se entrarci o meno. Senza pensarci oltre, aprì piano la porta di legno pregiato e si affacciò. La camera era enorme, come enorme era il letto a baldacchino che troneggiava sotto la grande finestra al centro della stanza. La luna illuminava tutto, gettando luce sulla scrivania di noce e sull’armadio. Niente lasciava intendere che fosse la stanza di un Serpeverde: niente stendardi verdi e argento, niente mobili scuri e tetri, come la maggior parte della gente pensava. Al contrario, chi aveva arredato la camera aveva avuto molto gusto nel renderla il più luminosa possibile utilizzando legni chiari.
- Lo so a cosa stai pensando, Ashling. – disse Draco spuntando dal bagno, in vestaglia.
- Ah sì, giovane Malfoy? Dica pure, allora. A cosa pensi che io stia pensando? – rispose sedendosi sulla poltrona a destra del letto.
Il ragazzo sorrise un sorriso triste e la guardò scuotendo la testa.
- Forse ha ragione mia madre, Lin. Non abbiamo nessuno ad Hogwarts, adesso. –
- Perché, prima avevamo qualcuno? Tu non hai mai avuto amici, Draco, solo tirapiedi. –
- Ma Goyle non tornerà e Tiger è morto anche per colpa mia. E tanti altri ragazzi se ne sono andati. Tanti Serpeverde figli di Mangiamorte hanno dovuto combattere una guerra che non era la loro e sono morti. Perché non sono morto anch’io, Lin? Che cosa ha impedito a Potter e ai suoi amici di farmi fuori? –
- Io, per prima cosa. Non avrei mai permesso che ti facessero del male più di quanto già tu non ti stia facendo da solo. E poi, Potter ha evitato, quando poteva, di colpire qualsiasi ragazzo Serpeverde che incontrava. Lui ha avuto compassione, al contrario di molti altri. E Tiger è morto perché era un idiota, non per colpa tua. Se non avesse chiamato quell’Ardemonio potrebbe ancora essere tra noi. –
- Questo non mi conforta e le tue parole sono dure. –
- Le mie parole sono realiste. – sospirò e addolcì il tono. – Perché non ti perdoni, Draco? Come puoi pretendere che gli studenti di Hogwarts ti perdonino e accettino nonostante gli errori, se tu per primo ti odi? Pensa alle mie parole, e cerca di dormire. Domani sarà una giornata lunga e faticosa. –
Ashling lo abbracciò stretto e uscì dalla camera, chiudendo piano la porta.
Draco sospirò, coricandosi. Quella ragazza riusciva sempre a fargli vedere le cose in modo diverso. Non che rispondesse mai alle domande esistenziali che il ragazzo le poneva, ma gli dava sempre spunti per trovare altre domande.
Aveva una gamma di emozioni, dentro sé, che gli impedivano di dormire. C’era rabbia, certo, dubbio, risentimento, paura. Paura, soprattutto, anche se non voleva ammetterlo. Paura del giudizio della gente, ma soprattutto del suo. Perché lui sapeva che, fino ad un certo punto, quello che aveva fatto l’aveva fatto perché era convinto di tutto quello che gli diceva suo padre. Gli insulti alla Granger, la Mezzosangue Dentona, quella che lo aveva salvato da un Avada Kedavra che non aveva visto, lanciato dalla sua amata zia Bellatrix, li pensava davvero. Tutt’ora gli era difficile accettare che i Purosangue e i Nati Babbani fossero uguali.  Non ci poteva fare niente, era stato educato così e aveva paura a rivoluzionarsi troppo. Ci sarebbe voluto tempo, forse tutta la vita. E non era sicuro di voler cambiare. Quello che lo bloccava era la pura e semplice paura. La sua amica più cara.
Dormi, Malfoy.
Disse la voce melodica di Ashling. Sorrise.
Esci dalla mia testa, Lin.
Devi dormire.
Anche tu.
Un lungo silenzio gli fece pensare che la strega finalmente si fosse addormentata. Sapeva che cosa faceva invece di dormire. Le occhiaie e i tagli parlavano da soli. Nonostante ciò si preoccupava più per lui che per lei. Per quanto fosse diversa da qualunque essere avesse mai camminato sulla Terra, Ashling rimaneva pur sempre una donna. E una donna si preoccupa per tutti tranne che per se stessa.
Draco, dormi.
Sentiva la sua magia cancellare tutti i suoi pensieri e sorrise. Un sorriso vero, che mai nessuno aveva mai visto. Tranne Ashling. Ma Ashling vedeva sempre tutto.
Finalmente scivolò fra le braccia di Morfeo, proprio mentre la Luna cominciava ad abbassarsi nel cielo stellato fuori Malfoy Manor.
 

***

 
Arrivarono a King’s Cross molto prima di tutti gli altri studenti. Nessuno si aggirava tra le carrozze del treno, nessuno gridava, correva, chiamava. Nulla. Sembrava che non ci fosse ancora neanche l’autista.
- Allora, ragazzi. Mi raccomando. – disse Narcissa con un filo di voce, abbracciando Ashling. – Non cacciatevi nei guai. – aggiunse accarezzando la guancia ruvida di Draco.
- Non ti preoccupare, Cissy. Terrò questa testa calda al sicuro. – rispose sorridendo lievemente Ashling.
La donna annuì e li aiutò a issare i bauli sul vagone.
- State attenti. – disse ancora prima che i due ragazzi sparissero sul treno.
Ashling e Draco si infilarono sul primo vagone. La ragazza stava già per aprire una cabina quando Draco esclamò:
- No! Non lì. Non mi piace. – e iniziò a trascinarla per il treno.
- Uff, dai Malfoy! Non puoi scegliere un fottutissimo vagone qua davanti?! Mi devi far arrivare fino alla fine del treno? Cosa cambia se lo prendiamo qua o là? –
- Cambia che se lo prendiamo in fondo, nessuno verrà a disturbarci, Lin. –
La ragazza sbuffò, contrariata, ma lo seguì fino all’ultimo vagone prima del vagone bagagli.
- Qui va bene? O dobbiamo chiedere all’autista di creare un vagone di tuo gradimento?! – chiese sarcastica Ashling.
Draco la ignorò ed entrò nell’ultima cabina. Si sedette di fianco al finestrino, pensieroso.
- Guarda, hanno ancora paura a lasciare i bambini da soli. – sussurrò Ashling.
- Non c’è da stupirsi. Molti sono ancora i Mangiamorte che girano per Londra. Al Ministero avranno un sacco di lavoro da fare. –
- Già. Perché non hai accettato l’offerta del Ministro, Draco? –
Il ragazzo non rispose subito, tanto che Ashling pensò che si fosse addormentato o che non avesse sentito la domanda.
- Perché, proprio come a tutti gli altri a cui è stata offerta l’opportunità di diventare Auror, non ho nessuna voglia di ritornare a combattere così presto. Non ce la farei, penso. E poi, non voglio bloccarmi tutte le alternative. –
- Non ti piacerebbe fare l’Auror, Draco? –
- Sì, certo. Non adesso, però. Come potrei fare un lavoro del genere quando la notte sogno tutte le persone che ho ucciso o che sono morte per causa mia? No. Farò l’Auror solo quando sarò pronto e avrò completato la mia istruzione. –
Rimasero in silenzio fino a quando, all’improvviso, un boato di grida esplose all’esterno. I due ragazzi scattarono in piedi con le bacchette sguainate e i sensi all’erta, guardando fuori in cerca del pericolo e i cuori che battevano a mille. La porta della cabina si aprì mostrando un Neville Paciock scuro in volto.
- Oh.. scusate, il disturbo. – disse appena vide Draco e Ashling voltarsi di colpo verso di lui, le bacchette pronte a colpire.
- Cos’è successo? – esclamò Malfoy, sgarbato.
- Qualche Mangiamorte ha attaccato il treno? Stanno combattendo? – chiese agitata Ashling.
Neville sorrise triste.
- No, no. non vi preoccupate. – disse guardando stranamente Malfoy e rivolgendo uno sguardo indecifrabile ad Ashling. – È solo arrivato Harry Potter. -
Si fermò ancora un attimo, poi si voltò e chiuse la porta della cabina, sparendo.
Nonostante sapessero che non c’era nulla di cui preoccuparsi, sia Draco che Ashling non riuscirono a fermare i battiti del cuore troppo veloci e rimasero allerta fino a che il treno non partì.
Quando finalmente si sedettero, i muscoli erano così contratti che fecero fatica a piegare le ginocchia. Draco guardò preoccupato Ashling, che respirava profondamente, tremando. L’adrenalina della battaglia, a battaglia conclusa, le faceva sempre un brutto effetto. Era così debole, pur essendo magia pura. I suoi poteri erano la sua più grande fortuna e la sua maledizione costante. Si stupì, come sempre, di quanto senso di protezione gli ispirava in lui quella ragazza. Mai nessuno l’aveva fatto preoccupare come quella creatura che, teoricamente, avrebbe dovuto essere in grado di cavarsela sempre da sola.
- Ashling. – disse.
Lei scosse la testa.
- Un attimo. – rispose ansimando.
- Vuoi che…?
- No… uff, davvero.
- Esco, okay? Vedo se c’è la signora col carrello, okay? Prendo le cioccorane. Tu respira, però.
Sorrise debolmente, annuendo, mentre Draco usciva dalla cabina. In lontananza vide arrivare la signora col carrello e, proprio davanti a lui, vide la Granger e la Weasley che confabulavano tra loro su non so che cosa, andando proprio verso il carrello. Accelerò il passo, sperando di poter oltrepassare le due ragazze, ma arrivò al carello proprio quando la signora chiedeva alle due se volessero qualcosa.
Prima che le due decidessero che cosa prendere, Draco lanciò i galeoni sul carrello.
- Un pacchetto di cioccorane, grazie. – sussurrò, quasi che non volesse farsi riconoscere.
Ovviamente la risposta della Weasley arrivò subito, acida e cattiva come sempre. E neanche la sua si fece attendere. Sarebbe scoppiata la rissa, lo sapeva, se la Granger non avesse fermato i due difendendo Draco.
Chissà che le è preso. Pensò Draco andandosene stizzito con le cioccorane per Ashling. Mai nella storia di Hogwarts si è visto che la Granger difendesse un Serpeverde. Tantomeno me.
Perso in tetri pensieri, ritornò al suo vagone. Ashling non ansimava più, ma  le tremava ancora il corpo. Le porse le cioccorane, prendendone una a sua volta. Una volta finito di mangiare, alla ragazza sembrava tornato un po’ di colore.
- Come stai, ora? –
- Meglio, grazie. Il cioccolato fa miracoli.- poi s’incupì. – Il professor Lupin ne aveva sempre una barretta per me… - sussurrò.
Draco annuì. Si sentiva solo più che mai. Quasi tutti quelli della sua famiglia erano morti o sarebbero morti presto. I suoi genitori erano ancora vivi, certo, ma Lucius non sarebbe durato ancora molto ad Azkaban, nonostante sua madre. E una volta che lui sarebbe passato a miglior vita, sua madre lo avrebbe seguito a ruota, morendo dal dolore. Così sarebbe rimasto definitivamente solo. Zia Bella e suo marito erano morti, i suoi nonni anche. Non che gli dispiacesse, anzi. Sua cugina e suo marito erano morti a causa sua, così come il padre di Ninfadora. Solo sua zia Andromeda e il figlio di sua cugina, Teddy, erano ancora in vita. E che lui sapesse, non avevano alcuna intenzione di incontrarlo.
Soffocato da un senso enorme d’impotenza, cercò di distrarsi dalla sua vita parlando ad Ashling di quello che aveva fatto la Granger appena pochi minuti prima.
- Draco, come ho già detto a tua madre, Hogwarts e i suoi abitanti sono cambiati. E anche chi è stato sempre nemico, adesso può diventare amico. Avete appena finito di combattere una guerra non vostra e penso che tu ed Hermione, più di tutti, siate distrutti. -
- Addirittura più di Potter? Sai i complessi che ha quel… ragazzo. – pronunciò “ragazzo” schifato, come se Harry non fosse degno neanche di essere chiamato ragazzo.
- Leva quel tono sprezzante, Malfoy. Harry ha molti complessi, è vero, ma proprio tu parli di complessi? Andiamo, Draco. Smettila di giudicare qualcuno che è molto più simile a te di quanto tu non creda. -
- Ma perché, allora, pensi che la Granger e io siamo quelli più distrutti? -
- Perché voi siete quelli che ci pensate. Che non vi distraete. Che non avete distrazioni. Harry ha Ginny e Ron ha la sua famiglia. Voi due chi avete? Nessuno, e ne siete consapevoli entrambi, anche se non lo ammettete. Per questo penso che siate i più distrutti. Siete pezzi unici, Draco. -
Il ragazzo rimuginò sulle sue parole a lungo.
- Io ho te. – disse piano, per non disturbare Ashling che, finalmente, si era addormentata.
Uscì dalla cabina, ansioso di tornare per l’ultima volta ad Hogwarts.

















Angolo dell'Autrice.
Allora, che dire? Lo so che ho ancora una storia in sospeso (Lu, rassegnati <3), ma l'ispirazione è arrivata e, questa volta, (finalmente), sono riuscita a catalizzarla su questa Dramione che avevo in mente di scrivere già dall'estate scorsa. Era già tutto pronto, il primo capitolo quasi finito, ma ancora non riuscivo a creare una storia decente. Finalmente, quest'anno sono riuscita a trovare l'ispirazione e il momento giusto per scrivere di qualcosa di almeno, almeno accettabile. Ed ora, qui seduta alla mia minuscola scrivania (come d'altronde sono minuscola anch'io), ascoltando Max Pezzali e mangiando una pizza alla nutella, devo ringraziare egregiamente una persona davvero speciale. Quindi. Questa persona in realtà è il Grillo Parlante della mia vita, che sa essere estremamente rompipalle quando vuole, e che se non ci fosse, la maggior parte delle mie storie non sarebbero mai state pubblicate, prima fra tutte questa. Il primo capitolo è stato scritto da lei l'estate scorsa, ma, siccome non sa mai come continuare le storie, ha affidato a me l'ingrato compito di scrivere il resto. Quindi, le recensioni per quel capitolo sono tutte per lei. Non so che altro dirti, Gioggi del mio cuor, se non che ti voglio bene e che, ancora una volta, sei fondamentale per la riuscita delle mie storie. Spero che tu sia contenta di questo angolo autrice tutto dedicato a te, come è dedicata a te anche questa mia prima Dramione. Un bacio enorme, Gio <3
Finiti i ringraziamenti, spero che anche questo secondo capitolo vi sia piaciuto. Recensite o leggete solamente, a me va bene tutto. Pur di non essere ignorata (ho manie di protagonismo). 
Al prossimo cap,
Lily <3

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Capitolo 3
*** Capitolo III. ***


Capitolo III
 

Vorrei dedicare questo capitolo ad una persona veramente speciale per me: la mia Lu.
Questo capitolo è per te che finalmente hai quasi finito la tua meravigliosa storia <3



Hermione era ferma, davanti alla lapide nera sui cancelli di Hogwarts. I ragazzi passavano e non la guardavano neanche, forse troppo presi da se stessi, forse spaventati nel vedere il nome di un proprio amico tra quelli che erano morti. Qualcuno si fermava pochi secondi, cercando il nome che tanto gli premeva di trovare, come ad assicurarsi che quella era la realtà e che era davvero successo tutto quello che aveva sconvolto Hogwarts e poi tornava sui suoi passi, magari asciugandosi una lacrima, magari respirando più pesantemente. Nessuno, però, si fermava a leggere.
Hermione era ormai lì da molti minuti. La sfilza di nomi era impressionante, alcuni non li aveva mai sentiti nominare, leggendo altri, invece, sussultava. Come quando a metà di una lunga colonna, lesse il nome di Colin Canon. Gli avevano detto di andarsene, lo avevano costretto ad andare nel tunnel che portava alla Testa di Porco insieme a tutti gli altri ragazzi troppo piccoli, ma aveva trovato il modo di tornare indietro ed era morto. Morto, così giovane. Si sentì in colpa, ripensando a tutte le volte che, stupidamente, gli aveva urlato contro o quando sperava che inciampasse e spaccasse la sua macchina fotografica, che non abbandonava mai, quando le dava fastidio scattando foto su foto che poi creavano un sacco di casini che lei doveva andare a sistemare.
Una lacrima le scese lungo la guancia, mentre qualcuno le si affiancava. Si girò, guardando Neville. Non era più il ragazzino paffuto che al primo anno si era presentato dicendo che aveva perso Oscar, il suo rospo. Anche lui leggeva. Leggeva quei nomi e il suo corpo era scosso dai singhiozzi, proprio come quello di Hermione. Stettero vicini così finché le loro emozioni non si calmarono.
- Andiamo, Herm. Gli altri si staranno chiedendo dove siamo finiti, e io non voglio in alcun modo destare dei sospetti, no? – disse sorridendo lievemente.
Una risata spenta proruppe dalla gola di Hermione.
- Hai ragione, Neville. Andiamo. –
Senza guardarsi indietro, s’incamminarono verso il castello.
Lo Smistamento dei nuovi studenti era appena iniziato quando Hermione e Neville entrarono in Sala Grande. Tutti gli sguardi, per molti minuti, furono rivolti a loro. Erano eroi, eroi della Guerra Magica. Tutte le ragazze volevano essere come Hermione, e i ragazzi sognavano di diventare coraggiosi come Neville, Ron ed Harry. Non sapevano, non sapevano che cosa voleva dire partecipare a una guerra.
Lo sguardo di Hermione vagò per la Sala, fino ad incontrare gli occhi tristi di Malfoy. Sedeva impettito in mezzo al suo tavolo, ma l’unica persona che sembrava avvicinarsi a lui era Blaise Zabini, oltre ad Ashling, ovviamente.
Strano. Pensò Hermione. Che Blaise sia suo amico?
- Herm. Herm! Ci sei? Cosa stai guardando? – domandò Ginny seguendo lo sguardo della ragazza. Sospirò, notando chi stava osservando.
- Ma che ti prende oggi, Hermione? Che cosa c’è che non va? – chiese con voce stanca.
La ragazza rimase senza parole, applaudendo ad una bimba bionda che veniva assegnata a Grifondoro.
- Non lo so, Ginny. Non lo so proprio. – sussurrò.
Finalmente anche l’ultimo bambino venne smistato e la preside si alzò per fare il discorso. Fu strano vedere alzarsi la professoressa McGranit e non il professor Silente.
- Non voglio annoiarvi con un lungo discorso, ragazzi. – esordì la professoressa. – Una sola cosa vi voglio ricordare: Hogwarts è cambiata. Ma sarà sempre la nostra casa. Rendiamole onore, quest’anno. Buon appetito. –
E con un battito di mani, le pietanze apparvero sui quattro tavoli della Sala Grande. L’odore meraviglioso dei cibi riportarono Hermione indietro negli anni, al suo primo banchetto, a come si era sentita felice in mezzo a tutti gli altri ragazzi, anche se il suo essere Mezzosangue l’aveva sempre portata a non sentirsi mai completamente a proprio agio ad Hogwarts, nonostante considerasse la scuola la sua casa e fosse fiera di quello che era diventata.
Mangiando, i suoi occhi si posarono su Neville. Sedeva lontano da tutti, allontanando tutti quelli che si avvicinavano. Aveva il piatto pieno, ma non aveva toccato ancora nulla. Sedeva dando le spalle al tavolo di Serpeverde, ma Hermione notò che Ashling guardava intensamente le spalle del ragazzo. S’incupì, guardando Ashling. Quella ragazza era un mistero. Si era distinta subito, fin da quando arrivò ad Hogwarts. Era una Serpeverde, ma non come gli altri. Era allegra, brillante, divertente. Faceva amicizia con tutti, senza distinzioni o paranoie sul sangue puro. Eppure, c’erano giorni in cui la sua parte oscura veniva fuori. Diventava scontrosa, lunatica, cinica, quasi cattiva. Allora sembrava la peggiore dei Serpeverde.
Neanche lei mangia notò Hermione. Come notò anche gli sguardi preoccupati che Malfoy le lanciava di tanto in tanto. Sembrava che Ashling fosse l’unica a tirar fuori il lato nascosto, il lato umano, di Malfoy, che cercava sempre di essere ciò che non era e che non sarebbe mai stato.
- Signorina Granger, quando ha finito, la pregherei di venire nel mio ufficio. – disse la professoressa McGranitt, comparendo all’improvviso. Hermione fece un balzo e si alzò in piedi, guardandosi intorno all’allarmata, fino a che non capì che non c’era alcun pericolo e che era solo la professoressa McGranitt.
Cercando di respirare più lentamente, si sedette e annuì.
- Ma certo, professoressa. Arrivo subito. –
Quando la McGranitt ebbe finito di girare per i tavoli in cerca dei Caposcuola delle altre case, si avviò verso il suo ufficio, altera come sempre.
Hermione salutò gli altri, avviandosi dietro la professoressa, diretta all’ufficio del preside, che una volta era stato di Silente.
- Ma Herm, non hai mangiato quasi niente! – esclamò Harry.
La ragazza cercò di sorridere, mostrando che andava tutto bene.
- Non ho molta fame, Harry. Non ti preoccupare, magari dopo faccio un salto nella cucine. – rispose incamminandosi.
- Ma che le succede? – chiese Ron.
- È quello che mi chiedo anch’io, ragazzi. Non è la stessa Hermione degli altri anni. La guerra l’ha cambiata, in un modo completamente diverso da come ha cambiato noi. – rispose Harry, serio.
- Lei è bloccata, Harry. Lei è bloccata da qualche parte dentro la sua mente e non riesce a venire fuori. Avrebbe bisogno di qualcuno accanto. – disse Ginny.
- Ma ha noi, Ginny! Siamo i suoi amici! Le vogliamo bene, no? Di che altro ha bisogno per essere felice? – domandò Ron.
- Lo so che ha noi, Ron, ma non bastiamo. Ha bisogno di una persona accanto che la ami e la protegga. Perché io ho Harry e Harry ha me. E tu hai un sacco di ragazze che ti trovano interessante e cerchi di venire fuori dalla guerra grazie a loro. Ma lei chi ha? Lei non ha nessuno, per questo è bloccata. – rispose Ginny.
- E cosa possiamo fare per salvarla? – chiese ancora Harry, preoccupato.
- Noi niente. Possiamo starle accanto e darle tutto il nostro appoggio e sostegno, ma dovrà salvarsi da sola, se non trova qualcuno. – rispose Ginny.
I ragazzi rimasero in silenzio, valutando le parole di Ginny. I sensi di colpa attanagliavano Harry, ma cercò di rilegarli in un cassetto della mente, aspettando la notte per tirarli fuori.
 
***
 
Hermione fu la prima ad arrivare davanti ai gargoyle che separavano l’ufficio della Preside al resto di Hogwarts. Era indecisa se salire o aspettare gli altri. Dopo vari ragionamenti, decise che non ci sarebbe stato nulla di male a salire per prima.
- Api frizzole – sussurrò.
I gargoyle si girarono mostrando una scala a chiocciola lunghissima, che l’avrebbe portata dalla McGranitt senza il minimo sforzo. Salì sul primo gradino e la scala cominciò a girare, salendo sempre di più, fino a fermarsi davanti a una porta di legno scuro. Bussò, cauta. Da dietro la pesante porta la voce forte della professoressa esclamò: - Avanti! –
Senza altri indugi Hermione entrò nella stanza. L’ufficio era rimasto tale e quale dall’ultima volta che l’aveva visto, pieno di oggetti magici e potenti, di libri e pergamene importanti, dei ritratti di tutti i presidi che si erano succeduti ad Hogwarts. Appena questi la videro, un coro di esclamazioni estasiate proruppe da ogni ritratto appeso alla parete, tranne quello di Phineas Nigellus, che era ancora offeso dal trattamento che gli aveva riservato Hermione durante la caccia agli Horcrux.
- Buonasera, professoressa McGranitt. – disse, cercando di farsi sentire in mezzo al fracasso che facevano i vecchi presidi.
- Buonasera a lei, signorina Granger. – rispose la donna, lanciando sguardi severi contro chi ancora stava parlando. – Com’è andato il viaggio? –
Hermione ripensò a quello che era successo. A Malfoy e alle cioccorane e al diario di Lily Potter.
- È stato un viaggio molto interessante, non c’è che dire. Sono contenta di essere tornata ad Hogwarts. –
La professoressa sorrise dolcemente.
- E tu come stai, Hermione? – chiese. Era da sempre la sua studentessa preferita, anche se cercava di non fare favoritismi. Hermione eccelleva sempre in tutto e non a caso era considerata la strega più brillante del suo secolo.
La ragazza abbassò gli occhi, meditando.
- In guerra, professoressa. Sono in guerra. –
La donna non fece in tempo a replicare che qualcuno bussò alla porta.
- Avanti! – esclamò la professoressa.
La figura alta e longilinea di Malfoy si stagliò sulla porta dell’ufficio. Per una frazione di secondo, Hermione lesse lo stupore sul viso del ragazzo, che però tornò subito imperscrutabile come sempre.
- Pensavo di essere il primo. – sussurrò più rivolto a se stesso che alle altre due.
- Buonasera, signor Malfoy. Si accomodi pure di fianco alla signorina Granger. – disse la McGranitt.
Il ragazzo fece una smorfia, ma obbedì alla donna e prese posto accanto alla ragazza, seppur a distanza di sicurezza.
- Come è andato il viaggio, signor Malfoy? – chiese.
- Tutto bene, professoressa. – disse con disgusto. – Ma Ashling ha avuto una delle sue solite crisi. Adesso sta bene. –
La donna parve preoccupata, ma non indugiò oltre sul pensiero di Ashling.
- E tu come stai, invece? – domandò.
Malfoy la guardò come se avesse appena visto uno schiopodo sparacoda ballare il can can, ma qualcosa parve muoversi dentro di lui, che disse: - In guerra, professoressa. Come sempre.
Minerva guardò prima Malfoy, poi Hermione, intensamente. I due ragazzi erano così diversi, e si erano odiati così tanto, che quasi si era aspettata che dessero la stessa risposta alla sua domanda. Hermione era cresciuta nell’ultimo anno come solo una guerra può far crescere. Aveva abbandonato i tratti dolci tipici dei volti dei bambini, per rimpiazzarli con tratti decisi, seppur delicati. La massa informe di ricci adesso non era più così informe, tenuta a bada da qualche incantesimo che sicuramente la ragazza aveva imposto ai capelli. Gli occhi erano contornati da profonde occhiaie, segno che aveva dormito molto poco negli ultimi mesi. Anche nei movimenti era cambiata: sempre all’erta, sempre pronta a scattare e combattere, come se fosse ancora in guerra.
Draco, allo stesso modo, aveva lasciato i tratti di bambino per ritrovarsi i tratti di un uomo molto bello e molto simile a Lucius. Eppure gli occhi segnati di nero erano identici a quelli di Narcissa, seppur di una tonalità di azzurro più chiara. Era sempre stato magro, ma adesso lo era particolarmente, nonostante il fisico scolpito che anni di Quidditch donavano a chiunque. Sotto la camicia candida s’intravedeva il Marchio Nero, un segno che non avrebbe mai dovuto deturpare il braccio di un ragazzo giovane come lui. C’era paura dietro ogni suo movimento, dietro ogni sua frase. La stessa paura che si celava dietro agli occhi di Hermione, quella paura che ti blocca la mente e ti impedisce di dormire. Quella paura che li portava a chiedersi – Minerva ne era sicura, - che cosa ci facessero ancora vivi quando tutti gli altri erano morti, chi nel tentativo di proteggere Hermione, chi nel tentativo di colpire Draco. Erano due pezzi unici che avrebbero avuto difficoltà a tornare a vivere normalmente. Forse non ci sarebbero mai riusciti e sarebbero rimasti nel loro limbo di paura e guerra.
I pensieri della professoressa furono interrotti dall’arrivo degli altri due Capiscuola, Ernie Macmillan e Luna Lovegood.
- Benvenuti, signor Macmillan e signorina Lovegood. –
- Buonasera, professoressa. – esclamò con la sua solita aria trasognata, Luna.
- Come mai ci ha convocati tutti qui? – chiese invece Ernie, senza troppi indugi e convenevoli.
La professoressa sorrise.
- Volevo parlare con voi del nuovo anno scolastico appena iniziato. È un periodo difficile per tutto il Mondo Magico, ma soprattutto per voi che avete partecipato alla Seconda Guerra Magica e che adesso dovete tornare alla vita di tutti i giorni. Voi comprendete la gravità della situazione in cui ci troviamo. Se permettiamo all’odio e alla violenza lasciata da Voldemort di attecchire negli animi di chi ha subito qualche perdita, possiamo dire addio alla tranquillità che sembra regnare in questo momento. Dobbiamo impedire, quindi, che manifestazioni di odio contro chiunque, soprattutto i Serpeverde, siano portate avanti dagli studenti degli ultimi anni, che trascinerebbero di certo quelli più piccoli. Partendo da voi, che siete di riferimento alle vostre case. Voi quattro dovrete collaborare tutti insieme per riportare la pace ad Hogwarts. È vero, la rivalità fra le case ci sarà sempre e non voglio abolirla. Ma non tollererò atti di discriminazione e odio verso coloro che erano dalla parte sbagliata in questa Guerra, intesi? – concluse la professoressa.
- Io non collaborerò mai con un Mangiamorte! – esclamò Ernie. – Come ci può chiedere di fare questo? Dovrebbero essere tutti espulsi da Hogwarts, a mio avviso. – aggiunse, guardando schifato Malfoy. Sia Hermione che Draco fremettero di rabbia, e anche la stessa professoressa McGranitt fu scossa da un fremito di ira, ma prima che chiunque potesse dire qualcosa contro Ernie, Luna scoppiò a ridere.
- Oh, quanto sei ottuso, mio caro Ernie! – disse. – Non capisci proprio? Se noi permettiamo all’odio di attecchire nei nostri cuori, tutti i nostri amici saranno morti invano perché Voldemort sarà ancora tra noi. Se noi permettiamo ad un odio stupido come questo di guidarci, Voldemort avrà vinto e noi avremo combattuto per nulla. – rispose con quella sua solita aria sognante.
La professoressa McGranitt guardò riconoscente Luna.
- Grazie, signorina Lovegood, per aver spiegato così egregiamente al signor Macmillan il motivo del vostro essere Caposcuola. Questi sono i vostri programmi per le ronde, che inizierete subito questa sera. Potete andare. – disse la professoressa, dando un foglio con il programma a tutti.
I ragazzi si alzarono all’unisono.
- Ah, ricordatevi che le ronde iniziano alle dieci in punto. Non tollererò ritardi da parte di nessuno. – aggiunse guardando intensamente tutti gli studenti. Con un gesto della mano, poi, li congedò e tutti uscirono dall’ufficio.
 
***
Hermione sedeva scomposta contro il muro della sua camera singola, uno dei vantaggi che più amava della sua carica da Caposcuola. Non che condividere la stanza con Ginny e le altre ragazze le fosse mai dispiaciuto, anzi, ma nell’ultimo periodo solo con la piccola di casa Weasley si sentiva a proprio agio. Anche Harry e Ron, a volte, erano troppo soffocanti. Perché tentavano in tutti i modi di accontentarla e di renderla felice, non le rispondevano più male e Ron aveva imparato a non ingozzarsi più a cena. Ma questo non l’aiutava affatto. Lei aveva bisogno dei bisticci con Ron e delle chiacchierate con Harry. Ma sia lui che Ron erano cambiati. Harry aveva Ginny e questo era un bene per lui. Lei era la sua giusta metà. Sapeva come prenderlo e lo tranquillizzava quando i suoi cupi pensieri avevano la meglio su di lui. Ma sembrava che, per quanto le volesse bene, non riuscisse più ad aprirsi con Hermione come una volta, come tanto tempo prima. E Ron, beh, Ron rimaneva sempre il leale ragazzo dai capelli rossi che aveva accompagnato lei ed Harry in tutte le loro avventure, ma non c’era più niente della sua dolce ingenuità, sostituita da un duro realismo dovuto sicuramente alla morte del fratello. E il fatto che Fred fosse tornato sotto forma di fantasma, per quanto avesse risollevato gli animi di tutta la famiglia e avesse ridonato la vita a Ginny, aveva solo fatto in modo che Ron comprendesse che suo fratello era veramente morto. Quindi tendeva a rimanere molto, forse troppo, tempo nella sua camera singola, parlando veramente solo con Ginny.
Hermione alzò gli occhi e guardò l’orologio: erano le ventidue meno dieci di una fresca serata di settembre. Le stelle stavano spuntando nel cielo limpido sopra Hogwarts e presto la luna sarebbe stata alta nel cielo. La ragazza decise che era tempo di muoversi e si alzò, uscendo dalla stanza. Camminò veloce, cercando di non fare rumore e, in anticipo come sempre, arrivò davanti all’ufficio della McGranitt. Subito dopo scorse, in lontananza, la figura longilinea di Malfoy che, stranamente, era in anticipo anche lui. Il ragazzo, appena la vide, sbuffò e si appoggiò all’altra parte della parete, accendendosi una sigaretta.
- Dannazione, Granger! Non puoi lasciarmi un po’ in pace? – esclamò.
La ragazza lo guardò stralunata.
- No dico, sei impazzito, Malfoy?! Se non sbaglio, quella che è arrivata prima sono io! –
- Questo è perché tu devi fare meno strada per arrivare all’ufficio della McGranitt! –
- Ma che cosa c’entra questo, di grazia?! –
Hermione non si capacitava della cattiveria nella voce del ragazzo e del fatto che l’avesse attaccata senza che lei avesse fatto nulla. Certo, era abituata a questo tipo di scontri, nel giro degli ultimi sei anni ne avevano avuti anche troppi, ma pensava che con la fine della guerra e tutto quello che essa aveva portato nei loro animi, le cose sarebbero migliorate fra loro. Speranze vane, perché Malfoy rimaneva sempre il solito stronzo e arrogante.
- Quando cazzo arrivano gli altri? – esclamò poco dopo.
- Se lo sapessi, Malfoy, saresti il primo che avviserei. – rispose acida Hermione.
Il ragazzo sbuffò e prese a camminare avanti e indietro, borbottando.
Hermione lo osservò. Si era alzato dall’anno appena passato, ma era anche dimagrito molto, forse troppo. Aveva notato che quella sera non aveva mangiato, ma sperava che fosse solo la stanchezza del viaggio ad averlo indotto a digiunare e non altre cose, altri pensieri, come invece succedeva a lei.
- Smettila di fissarmi. – sussurrò Draco guardandola. – O non riesco a concentrarmi abbastanza. –
Hermione rimase interdetta e stava per rispondergli quando da dietro l’angolo arrivarono Luna ed Ernie.
- Oh, bene, siete già qui! – esclamò Luna, ignorando volutamente la tensione che permeava l’aria.
- Come ci organizziamo, allora? I prefetti ancora non sono arrivati? – chiese Ernie, salutando Hermione e ignorando volutamente Malfoy.
- Non ancora, gli ho detto di dormire, ‘sta sera, perché ancora noi non abbiamo deciso niente per quanto riguarda i turni di ronda. Per questa sera, siamo solo noi quattro. Come preferite organizzarvi? Questo mese siamo Grifondoro e Tassorosso e Corvonero con Serpeverde. – rispose Hermione.
I ragazzi si guardarono.
- Io ed Hermione facciamo l’ala ovest del castello, che ne dite? – affermò Ernie.
Malfoy alzò le spalle, noncurante di quello che diceva il ragazzo, e Luna annuì, entusiasta.
- Per me va bene! Andiamo, Malfoy! –esclamò avviandosi verso l’ala est del castello.
Malfoy, sbuffando svogliato, la seguì a ruota, accendendosi un’altra sigaretta.
- Meno male che per questo mese sarò in tua compagnia. Non potrei sopportare un mese di ronde con quel Mangiamorte di Malfoy, né tanto meno con quella svitata della Lovegood. – esordì Ernie.
- Macmillan, modera i termini. Luna è una mia cara amica e ti ricordo che non mi farò scrupoli a riferire alla professoressa McGranitt le tue parole, se le pronuncerai un’altra volta. – rispose lapidaria Hermione, troncando ogni genere di discorso con Ernie.
I minuti passavano lenti, mentre i due ragazzi setacciavano le aule al sesto piano. Le ore, incredibilmente, andavano più veloci di quanto entrambi si fossero aspettati.
- Non c’è nessuno neanche qui. – disse Ernie, chiudendo di scatto un’altra aula. – Dici che possiamo andare? Non manca molto alle sei. –
Hermione stava per rispondere quando un urlo lontano, appena udibile, lacerò la quiete notturna. Hermione alzò la bacchetta, ricordando fin troppo bene tutti gli urli uguali che aveva sentito durante la Seconda Guerra Magica.
- Hermione, che facciamo? – esclamò Ernie, all’erta quanto lei.
Un altro urlo, uguale al primo, riecheggiò ancora, e fu allora che Hermione sentì anche i colpi, presumibilmente di una lotta, che provenivano dal piano di sopra.
- Corri a chiamare la Professoressa McGranitt, Ernie! Io vado a vedere cosa succede. – disse Hermione, lanciandosi sulle scale.
Corse a perdifiato, più veloce che poteva, fino a che in lontananza, non vide un gruppo di persone muoversi, quasi alla fine del corridoio. Accelerò ancora di più, ma nel modo più silenzioso possibile, in modo che nessuno la notasse. Purtroppo il rimbombo dei sui passi arrivò alle orecchie del gruppo di ragazzi che, voltandosi allarmati, cercarono con lo sguardo chi stava arrivando dal corridoio buio. Hermione avvampò di rabbia notando nel gruppo parecchi dei Grifondoro più giovani, ma anche Seamus Finnigan e altri ragazzi delle altre case che avevano partecipato alla guerra. Lanciò un incantesimo di scudo tra loro e la figura riversa a terra così potente che vennero sbalzati via di molti metri. Appena si riebbero e notarono che Hermione ormai li aveva raggiunti, si diedero ad una fuga disperata, tentando di non farsi vedere dalla Caposcuola. La ragazza, però, dimenticò subito i ragazzi, notando Malfoy riverso per terra.
- Maledizione! – esclamò, preoccupandosi ancora di più vedendo Luna poco lontano da lui, priva di sensi.
S’inginocchiò accanto al ragazzo, che stava tentando, invano, di alzarsi.
- Fermo Malfoy, fermo. – cercò di trattenerlo Hermione, con le mani tremanti e le lacrime agli occhi, troppo preda delle sue emozioni per riuscire a formulare anche il più semplice degli incantesimi di cura.
Il ragazzo la scacciò malamente, tentando ancora una volta di alzarsi.
- Non ho bisogno del tuo aiuto, Mezzosangue. Ce la faccio da solo. – disse tentando di suonare cattivo e minaccioso, respingendo le sue mani.
- Zitto, Draco, zitto. – sussurrò Hermione. Il ragazzo sussultò sentendo il suo nome pronunciato proprio da lei, proprio da quella che avrebbe dovuto insultarlo e picchiarlo come avevano fatto quei ragazzi. E ne avrebbe avuto tutto il diritto, di questo era sicuro.
- Io non mi sono difeso, Hermione. – bisbigliò lui, prima di svenirle tra le braccia.

***


Minerva McGranitt guardava Hermione e Draco dal fondo del corridoio. Un’ombra scura le adombrava lo sguardo e l’ira non tardò ad arrivare, guardando le condizioni in cui erano ridotti il signor Malfoy e la signorina Lovegood. Era turbata dal fatto che i ragazzi fossero già stati attaccati ma, per quanto sapesse che doveva andare a soccorrerli al più presto, non riusciva a muoversi, per non disturbare i due ragazzi che, bisbigliando, cercavano di aiutarsi ed essere aiutati.
I riccioli castano chiaro di Hermione erano sfuggiti alla crocchia che si era fatta quella sera e ricadevano scomposti sulle sue spalle e sul petto di Malfoy. La ragazza gli teneva una mano dietro la testa e una sul petto, con la quale stringeva convulsamente quella di Draco.
Non sanno neanche loro quello che li lega così profondamente, pensò con dolcezza la donna, decidendo di avvicinarsi appena vide Draco svenire.
In quel momento sentì i passi dei suoi colleghi che arrivavano di corsa, richiamati dal signor Macmillan, che aveva mandato nei vari uffici a svegliare i professori.
Si avvicinò alla sua allieva preferita e le mise una mano sulla spalla.
- Ed è solo il primo giorno, professoressa. – disse triste Hermione Granger, guardando il corpo scosso dai tremiti di Draco Malfoy.





















Angolo dell'Autrice:
Ebbene, ecco un nuovo capitolo. Nonostante tutte le storie che ho scritto, ancora non so scrivere un Angolo Autrice decente. Per iniziare vorrei ringraziare le fantastiche 7 persone che hanno messo la mia storia tra i preferiti e tutti quelli che l'hanno messa tra le seguite/ricordate.

Tutta questa Dramione è dedicata esclusivamente a PhoenixFelicis, il mio Grillo Parlante che si sta subendo tutti gli scleri possibili e immaginabili di questo mio periodo di profonda ispirazione.
Grazie mille <3
Che altro dire? Spero che continuate a leggere e recensire questa storiuccia da niente, anche se so che ce ne sono molte di migliori. 
Alla prossima,
Lilian <3

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Capitolo 4
*** Capitolo IV. ***


Capitolo IV.
 
Draco prese lentamente coscienza di sé dopo un tempo che parve infinito. Uno strano profumo permeava l’aria -come di mandorle e menta- che gli entrava nelle narici e si aggrappava da qualche parte vicino al cuore. Cercò di alzarsi, nonostante il mondo girasse vorticosamente, ma un peso caldo all’altezza dello stomaco lo bloccava. Abbassò gli occhi, notando solo in quel momento i ricci ribelli, e crespi,  della Granger. Che si era addormentata sul suo stomaco senza permesso. Uno strano senso d’inquietudine e di un qualcosa che non riusciva a decifrare, lo pervase, guardando la figura minuta della Grifondoro appoggiata a lui. Chissà da quanto tempo è qui, si chiese. Poi, come tornato in sé, si schifò all’idea che la Mezzosangue avesse dormito appoggiata a lui. Insomma, che le prendeva?!
- Granger! Alzati subito da lì! – urlò.
La ragazza alzò la testa di scatto e lo guardò con gli occhi spalancati.
Che cazzo ci faccio, qui?!, pensò scandalizzata. La sera prima si era precipitata a soccorrere Malfoy, vittima di un pestaggio, e si era premurata di portarlo in infermeria e di assisterlo mentre Madama Chips curava le ferite che gli avevano inferto quelli che avrebbero dovuto essere delle persone civili e rispettose. E si ricordò che si era anche ripromessa che se ne sarebbe andata appena l’infermiera della scuola avesse finito di curarlo. Eppure una sensazione strana all’altezza dello stomaco le aveva fatto dimenticare tutti i suoi propositi di tornare in camera, magari dai suoi amici che di certo erano stati svegliati ed ora erano in pensiero per lei. Vedere Malfoy addormentato l’aveva indotta a sedersi su quella sedia vicino a lui, per guardarlo, per osservarlo come quando era sveglio non poteva fare. E non voleva fare. Ma, dopo quello che era successo quella notte, non se la sentiva di lasciarlo così solo e indifeso. Qualcosa di ancora sano nella sua mente si ribellò a quel pensiero, affermando a gran voce che Malfoy non era certo indifeso, ma lei la confinò in fondo alla sua testa: la sua vena da crocerossina e una buona dose di tristezza la portava a pensare che Malfoy fosse solo ed indifeso. Soprattutto solo.
Comunque, non si doveva far distrarre dalla sua mente che, come sempre, lavorava troppo e faceva pensieri poco adatti alla situazione da cui doveva tirarsi fuori. Come spiegare a quel maledetto e borioso ragazzo come mai proprio lei si era addormentata sul suo stomaco.
- Scusa se ti ho salvato, ieri sera, Malfoy! – gli rispose, astiosa, alzandosi.
Il ragazzo la guardò schifato.
- Non te l’ho mica chiesto io di salvarmi! Io avevo tutta la situazione sotto controllo! Non avevo certo bisogno di una come te per tirarmi fuori da quella rissa. – disse cattivo.
- Non mi sembravi così sicuro di te, invece. Considerando che non ti sei difeso. – sussurrò, mettendo a tacere il ragazzo.
Hermione girò i tacchi e se ne andò, salutando con un cenno Zabini, appoggiato al letto davanti a quello di Malfoy.
- Non avresti dovuto trattarla così, in fondo, è stata qui tutta la notte a vegliare su di te. – disse Blaise Zabini, avvicinandosi.
- Non sono affari tuoi quello che faccio, Zabini. Che ci fai qui? -
- Ero preoccupato. Cos’è questa cosa di non ridarle, Draco? –
- Vattene, Zabini. C’è già la Granger che rompe, non ho bisogno anche di te. –
Il ragazzo scosse la testa. Draco pensò che avevano un’espressione stranamente simile. Era la persona che più sentiva vicina in quella scuola, perché Blaise aveva il Marchio Nero, perché Blaise era un reietto come lui, perché Blaise si preoccupava. Ma era superfluo aggiungere che neanche sotto tortura gli avrebbe confessato una cosa del genere.
Nonostante lo sguardo triste, un sorriso che sembrava sincero affiorò sul volto di Blaise. Stava per dire qualcosa, quando la porta dell’infermeria si aprì di scattò, facendo rimbombare dolorosamente la testa di Malfoy. Un’agitatissima e incazzata Ashling lo raggiunse a passo di marcia, incenerendo con uno sguardo la povera Madama Chips, venuta a controllare che cosa fosse successo alla sala prima silenziosa.
- Malfoy! – esclamò ringhiando la ragazza dai capelli rossi.
- Buongiorno anche a te, Lin. – rispose ostentando sicurezza.
- Ti pare il modo di affrontare il primo giorno, questo?! –
Draco pensò che la sua povera testa sarebbe di certo scoppiata e che la nota isterica nella voce di Ashling non prometteva niente di buono.
- Ashling, sto bene. Non ti ci mettere anche tu, ti prego. –
Lo sguardo della ragazza si assottigliò ancora di più.
- Tu non ti difendi e io dovrei starne fuori, Draco? – sibilò. In quei momenti, capiva perché Voldemort l’aveva tanto temuta. E aveva paura. Eccome se aveva paura.
- E ho parlato con Hermione. – aggiunse Ashling.
Maledetta Granger!, pensò stizzito. Possibile che non si facesse mai i fatti suoi, quella dannata ragazza?!
Continuò a guardare Ashling, convinto che qualunque cosa avrebbe detto, sarebbe stata sbagliata. Quindi meglio rimanere zitti.
- È grazie a lei se adesso non sei solo un ammasso di ossa, Malfoy. Quindi, la prossima volta, perché ci sarà una prossima volta, vedi di essere più gentile con lei. E di ringraziarla. –
Detto questo si voltò e, veloce come era arrivata, uscì dall’infermeria. Appoggiato al letto davanti a lui, Blaise sghignazzava vistosamente, tanto che Draco gli lanciò un cuscino e un’occhiata ammonitrice.
 
***
 
Hermione guardò la ragazza rossa che si stava avvicinando a passo di carica.
Ashling deve tenere molto a Draco, pensò, se no non sarebbe così arrabbiata.
Si fermò ansimante davanti a lei.
- Cos’è successo, Hermione? – chiese.
- Un gruppo di… idioti, - e pronunciò la parola con particolare schifo, - hanno attaccato lui e Luna, questa notte. Non so come sia andata esattamente, ma quando l’ho visto riverso per terra… c’era sangue, Ashling, il suo sangue. Ed era uguale al mio, e a quello di chi lo stava pestando e io mi sono fatta prendere dal panico. Era riverso per terra nel suo sangue e non si difendeva. Per chissà quale ragione, poi. Ma io non sarei dovuta rimanere, questa notte. È stato un terribile sbaglio. –
Ashling la guardò a fondo, scandagliandole l’anima.
- Ci sono un sacco di errori che tu puoi aver fatto, Hermione. Ma questo non è il peggiore e non è terribile. Vai a riposare, adesso ci penso io a lui. – disse sorridendo. E la rabbia che, fino a pochi attimi prima, sembrava essersi sopita dentro Ashling, ora era riemersa, forse ancora più violenta di prima, dando alle sue parole una non tanto lieve vena di minaccia.
Povero, povero Malfoy, pensò sorridendo alla ragazza. Avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere la faccia che avrebbe fatto quando Ashling si fosse catapultata nell’infermeria.
Superò la rossa, facendo appena in tempo a sentire l’urlo spaventato e arrabbiato di Madama Chips quando Ashling varcò le soglie dell’infermeria forse con troppa poca finezza, e non riuscì a trattenere una risata. Quella ragazza avrebbe potuto appallottolare Malfoy e spedirlo a calci fino alla fine del mondo, altro che. Continuando a sorridere lievemente, s’incamminò verso la torre dei Grifondoro. Arrivata davanti al ritratto della Signora Grassa, si fermò, indecisa. Non era sicura di voler affrontare i suoi amici. Le loro facce preoccupate, il loro dolore, la loro ansia. Non sapeva se avrebbe retto a tutto quello. Eppure, doveva entrare. Lo doveva a tutti loro. Glielo doveva come amica, come persona, come essere umano. Sussurrò la parola d’ordine e il quadro la fece entrare. Non fece in tempo a mettere un piede in sala comune che Ginny la travolse, abbracciandola stretta e tremando vistosamente.
- Hermione! Dannazione, Hermione! – esclamò Harry, andandole incontro.
- Miseriaccia. Miseriaccia! – disse invece Ron, avvicinandosi lui stesso.
Neville la guardava dal fondo della sala comune, e il suo sguardo sembrava leggerle dentro. Si chiese quando quel Neville adulto e triste avesse preso il posto del Neville pasticcione e timido.
Ginny si staccò da lei, scrutandola con quei suoi occhi così simili a quelli di Molly.
- Sei stata con lui, vero? – sussurrò appena al suo orecchio, in modo che Harry e Ron non sentissero. Hermione annuì impercettibilmente, cercando di guardare l’amica negli occhi, cosa che non le riuscì.
- Dove sei stata? – esclamarono in coro Harry e Ron.
Hermione guardò i due ragazzi, valutando se dirgli la verità o mentire. Aveva paura della loro reazione, perché sapeva che il vecchio rancore verso i Serpeverde, e in particolare verso Malfoy, non si era affatto sopito, anche se non arrivava ai livelli degli idioti che ieri lo avevano picchiato.
Sospirò, sedendosi sul divano, di fianco a Neville.
- Sono rimasta in infermeria tutta notte. So che la McGranitt vi ha informati di quello che è successo. – disse.
- In realtà, sappiamo solo che c’è stato un pestaggio, ma non sappiamo chi è rimasto coinvolto quindi, non vedendoti arrivare, ci siamo preoccupati. E non poco. – la interruppe Ron.
Annuì, irrigidendo la schiena.
- Hanno attaccato Luna e Malfoy. L’obbiettivo principale era Malfoy, ovviamente. Dovevate vedere come l’hanno ridotto. – represse un conato di vomito, ricordando il sangue e i  tagli e i lividi sul corpo del ragazzo. – Se non fossi arrivata io, non si sarebbero fermati. Lo avrebbero ucciso, e siamo solo al primo giorno. Non è neanche passata una settimana. – scosse la testa. – A Luna è andata meglio, l’hanno solo schiantata. Una volta messa K.O, non l’hanno più toccata. –
- Hai visto chi erano? – chiese Harry.
- Alcuni non so neanche chi sono. Erano ragazzi piccoli, forse del secondo, massimo terzo anno. Ma c’erano anche alcuni del sesto e del settimo, Harry. Alcuni sono nostri amici. – rispose Hermione, scuotendo la testa, sperando di calmarsi. Non capiva perché tutta quella situazione l’aveva turbata tanto. Forse per l’espressione che aveva Malfoy quando l’aveva trovato. Forse perché le aveva ricordato la guerra che con tutta se stessa stava cercando di dimenticare.
Ginny notò che l’amica tremava vistosamente e la prese per mano.
- Vieni, Herm. Andiamo a farci una doccia prima di andare a lezione. – disse dolcemente la ragazza, trascinando Hermione nella sua stanza.
Chiuse a chiave la porta e insonorizzò tutto.
- Che cos’hai, Herm? – chiese.
Hermione la guardò, soppesando le sue parole.
- Non lo so, Ginny, non lo so. Io… Quei ragazzi… lo picchiavano, gli lanciavano incantesimi e lui non reagiva, Ginny. Hai mai visto Malfoy non reagire? Se loro avessero voluto ammazzarlo, lui non avrebbe fatto niente per fermarli. E credimi quando ti dico che quegli idioti, quegli animali non si sarebbero fermati. So, so che lui ha sbagliato. Sarebbe da ipocriti negarlo. Ma, dimmi, chi avrebbe avuto il coraggio di farsi marchiare per proteggere la propria famiglia? – Hermione alzò una mano, bloccando sul nascere le obiezioni di Ginny. – So che cosa stai per dirmi: io ho tolto i ricordi alla mia famiglia, una magia difficile, che avrebbe potuto strapparmeli via per sempre, che per me è stato doloroso e difficile, forse troppo. Ma, Ginny, i ricordi si possono ridare. Una formula, un movimento della bacchetta, e i miei genitori hanno ricordato. E i miei genitori sono tornati da me. Lui è marchiato. Il Marchio Nero resterà impresso sul suo braccio per tutta la vita. Per tutta la vita sarà un reietto, perché persone stupide come Seamus lo picchiano, invece di provare a capire. Provare a capire che non tutti avrebbero fatto una cosa del genere per la propria famiglia. Non tutti. Ginny, tu dovevi vedere il suo sguardo, i suoi occhi. Non posso lasciarlo morire così. Non posso. Non potrei mai perdonarmelo. – la ragazza prese fiato, cercando di ricacciare indietro le lacrime che ormai scendevano copiose sul suo volto.
Ginny la guardò e sperò con tutta se stessa che quell’anno finisse in fretta. Vedere Hermione in quello stato, la stessa Hermione che senza paura aveva affrontato Voldemort, la faceva stare male, così male che il respiro andava e veniva, incagliato in qualche parte in fondo ai suoi polmoni.
- Vai a farti la doccia, Herm. – disse abbracciandola. – Ti voglio bene, lo sai. –
 
***
 
Erano sedute sotto un grande salice, sulla riva del Lago Nero. Quella mattina era stato stremante per Ginny andare a lezione, ed Hermione ancora si chiedeva con che coraggio si era trascinata fino alla classe di Trasfigurazione, dove la McGranitt aveva fatto una bella paternale a tutti su quanto era successo quella sera. Paternale che di certo si sarebbe riversata su tutta la scuola all’ora di cena. Né Draco né Luna avevano frequentato le lezioni, quel giorno. Hermione ringraziò mutamente il cielo quando non vide il Serpeverde entrare nelle Serre, quella mattina. Non sapeva come comportarsi con lui: da una parte, il desiderio di prenderlo a schiaffi per tutto quello che le aveva fatto in passato e che le continuava a fare era diventato quasi un bisogno; dall’altra i suoi occhi, quegli stessi occhi che aveva scrutato in cerca di una motivazione a quello che si stava facendo fare quella notte, cercando una motivazione alla rassegnazione, al dolore che ci aveva letto dentro. E quella frase sussurrata le rimbombava in testa da ore: “Io non mi sono difeso, Hermione”. Lui non si era difeso. Era una richiesta d’aiuto che girava per la sua testa da quando quella mattina l’aveva scacciata in così malo modo, con la paura negli occhi. La stessa paura che, ne era certa, c’era anche nei suoi. Ma non poteva continuare a rimuginare su quello che era successo o, lo sapeva, sarebbe impazzita. Decise così di tirare fuori il diario di Lily. Nessuno, tanto, sarebbe venuto a disturbarla, in quel momento, e Ginny poteva anche leggerlo, quel diario.
- È questo il diario di Lily, Herm? – chiese vedendo il libricino marrone che Hermione teneva delicatamente tra le mani. A Ginny non erano più piaciuti i diari da quando, al secondo anno, era stata posseduta da quello di Tom Riddle. E non si poteva di certo darle torto. Era quasi morta, quell’anno.
Hermione annuì, aprendolo alla terza pagina.
- Ti va se lo leggiamo insieme? – chiese. La rossa annuì, emozionata.
 
Caro diario,
sono a scuola da pochi giorni e non so già più cosa pensare. Hogwarts non è più la stessa degli anni scorsi e a nulla servono i discorsi dei professori per farci star tranquilli, perché noi sappiamo che la guerra si sta avvicinando. Lo vediamo in tutti i ragazzi che, sempre più spesso, vengono presi di mira per il loro sangue, perché definiti inferiori da ragazzi che, sinceramente, non trovo affatto migliori di tutti gli altri. Anzi. Sono un gruppo di Serpeverde che si fa chiamare Mangiamorte e, con mio sommo dolore, sto notando che il mio amato Severus si sta avvicinando a loro troppo. Sembra credere in quello che dicono e la cattiveria che a volte gli leggo negli occhi mentre sta con loro, non gli si addice. Non è da lui. Non è del ragazzo di cui mi sono innamorata. Non dimentico quello che mi disse due anni fa, quella frase pronunciata con così tanto odio, quella “Schifosa Mezzosangue” urlato davanti a tutti, mi tiene sveglia la notte e mi fa piangere di giorno. Esatto: piangere. La forte e intelligente Lily Evans, migliore pozionista della scuola, abbattuta da una sola frase pronunciata anni prima. L’altra sera, Potter mi ha trovata in un momento di sconforto più totale. Non riuscivo a trattenere le lacrime, era inutile. Provai a distrarmi in qualunque modo, ma nulla sembrava fermare quelle piccole gocce che dal mio cuore finivano sul davanzale della finestra cui ero appoggiata, in un corridoio del sesto piano. Improvvisamente, dal nulla, apparve Potter, che si appoggiò di fianco a me.
“È bella la luna, questa sera, Evans.” – mi disse, guardando fuori. Non mi guardò, lasciandomi il tempo di calmarmi. Stranamente quella notte, in piedi di fianco a lui, non provai la tentazione di allontanarlo. In quella settimana aveva dato prova di non essere più il ragazzino viziato ed estremamente antipatico che mi aveva importunato per tutti quegli anni. Sembrava che in quell’estate fosse, finalmente, diventato uomo.
“Cosa ci fai in giro a quest’ora, Potter?” – chiesi.
Lui alzò un sopracciglio, guardandomi di sottecchi.
“Paura, Evans.” – rispose.
Lo guardai, un punto di domanda  evidente nei miei occhi verdi. Paura, Evans. Che voleva dire, con questo? Che cosa dovevo rispondergli? Come dovevo comportarmi? Non avevo mai visto Potter così… umano. Si era sempre mostrato per quello che i sentimenti non sapeva neanche che fossero. Lui era l’arrogante, il figlio di papà, il Purosangue. E James Potter non aveva paura. Mai.
Vedendo che non rispondevo, troppo persa nelle mie elucubrazioni per formare una risposta di senso compiuto, riprese lui la parola.
“E tu? Cosa ci fai qui tutta sola a quest’ora della notte?”
“Dolore, Potter.”
Questa volta fu lui a guardarmi, gli occhi sbarrati e un’ombra ad oscurargli il volto. Rimanemmo a quella finestra tutta la notte, in lontananza nuvole cariche di pioggia e dietro una colonna gli occhi pieni di dolore di Severus.
 
Lily.
 
***
 
La cena si rivelò lunga ed estenuante ed Hermione, Ginny, Harry e Ron si pentirono di non essere rimasti in Sala Comune così come avevano organizzato. Alla fine, però, uno spiccato senso del dovere aveva impedito a tutti, nonostante la stanchezza, di rimanere rintanati e li costrinse ad arrancare fino alla Sala Grande. Mai decisione si rivelò più sbagliata di questa: la McGranitt attaccò subito con una bella paternale sul senso del dovere, sul rispetto e sull’amicizia, parlando della guerra e facendo sentire tutti in colpa, chi più chi meno, per quello che era successo quella notte “al povero signor Malfoy e alla povera signorina Lovegood”, testuali parole. Luna non fu troppo turbata da quelle parole, ma il biondo Serpeverde, avrebbe preferito che il pavimento della Sala Grande si aprisse sotto di lui e lo inghiottisse, precipitandolo nelle viscere della Terra, piuttosto che subire tutti gli sguardi che la gentilissima professoressa McGranitt aveva fatto in modo che gli venissero lanciati, con grande divertimento di Blaise e Ashling che, ai suoi fianchi, ridevano così tanto da farsi venire le lacrime agli occhi. Il fatto, poi, che tra tutta quella gente che lo osservava insistentemente, chi schifato, chi impaurito, gli occhi della Mezzosangue non lo lasciassero un secondo, aumentava solo il suo desiderio di voler sparire. Preferibilmente per sempre.
Finita la sua paternale, durata più di un’ora, la preside decise che era giunto il momento di iniziare la cena, che fu accolta con un boato quanto mai caloroso da tutti gli studenti. Finito di mangiare quel poco che Ginny l’aveva costretta a mettere nel piatto, Hermione sospirò, pensando che, anche quella sera, avrebbe dovuto fare la ronda. Per fortuna aveva il turno dalle dieci alle tre, che le permetteva di recuperare un po’ di sonno prima di andare a lezione. I tassi, Caposcuola e Prefetti, erano già fuori dalla porta, quando Hermione, Ron e Ginny arrivarono davanti all’ufficio della McGranitt. Si divisero in tre gruppi e iniziarono la ronda. Non era neanche mezzanotte quando il rumore di una rissa interruppe la quiete della scuola. Hermione pregò con tutta se stessa che la vittima di quella follia non fosse ancora Draco.












Angolo dell'Autrice:
Buon pomeriggio a tutti, cari/e :33
Fa caldo, qui a Milano e io ho deciso di pubblicare questo capitolo di cui non sono troppo sicura, in realtà. E' un po' un capitolo di passaggio, mi serve per far capire alcune cose e per creare un passaggio tra il capitolo prima e il prossimo.
Ringrazio tutti quelli che leggono, che spendono un po' di tempo anche per la mia storia e che magari recensiscono!
Grazie mille anche al Grillo Parlante (anche se non se lo merita) <3
E alla Lu che, stranamente, adora questo capitolo.
Un bacio a tutti,
Lilian <3

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Capitolo 5
*** Capitolo V. ***


Capitolo V.
 


Il tempo passò in fretta e la fine di novembre arrivò inaspettata, così come la neve e il vento freddo che presero a imperversare sul castello. Il clima a scuola era direttamente paragonabile allo stato d’animo dei ragazzi che, al posto di studiare e prepararsi per i vari esami che avrebbero dovuto affrontare all’inizio di giugno, preferivano riversare la loro frustrazione su altre cose, fossero queste le palle di neve, l’alcol o le retate. I ragazzi di Hogwarts, infatti, avevano deciso di indire vere e proprie – e illecite – retate contro chiunque fraternizzasse col nemico. In questo caso Malfoy e chiunque si avvicinasse a lui. L’altero Serpeverde, d’altro canto, cercava di farsi vedere in giro il meno possibile, in modo da evitare gli idioti che cercavano di picchiarlo – e tanti cari saluti alla paternale che la Preside di Hogwarts aveva rifilato a tutta la scuola quella lontana seconda sera di settembre. Draco Malfoy, però, non scappava solo per le retate che, a quanto pareva, non lo disturbavano così tanto, considerato che ancora non accennava a difendersi. No, l’amatissimo figlio di Narcissa e Lucius Malfoy scappava dagli occhi troppo penetranti della Mezzosangue Granger che, appena incrociavano i suoi, sembravano andare a toccare luoghi dentro di sé che neanche lui sapeva di avere. Non capiva quella ragazza. Probabilmente il cespuglio di rovi che aveva in testa al posto dei capelli si era fatto spazio dentro la calotta cranica della ragazza, intaccando il brillantissimo cervello di quest’ultima. Così, in mancanza d’altro, passava le sue giornate nell’angolo più buio e isolato della biblioteca. Studiava, Draco Malfoy, affogando nei libri per evitare di affogare in se stesso.
E, esattamente dall’altra parte della biblioteca, Hermione Granger cercava insistentemente di tenere la mente impegnata affondando sempre di più nel libro di Trasfigurazione Avanzata. Perché la giovane Salvatrice del Mondo Magico, in quel periodo, aveva la mente in tumulto. Non erano solo le lezioni estenuanti e i suoi due migliori amici che si cacciavano sempre in qualche guaio, che la portavano spesso all’esaurimento. No, la mora Grifondoro aveva in testa due occhi grigi che le bloccavano i pensieri e la lasciavano sempre più esaurita e nervosa. E non capiva perché fosse così preoccupata per quell’odiosissimo idiota di Malfoy. Forse, aveva paura che, durante uno dei tanti pestaggi, Malfoy avesse sbattuto la testa troppo forte e che, quindi, il suo cervello si fosse definitivamente spappolato.
I due ragazzi, stessa espressione corrucciata e stessa ansia mal celata, aspettavano inquietamente l’ora di cena e l’inizio delle ronde. Quella sera, infatti, Grifondoro e Serpeverde erano costretti a fare ronda insieme. Draco maledisse forse un po’ troppo forte la tanto amata preside, seguito a ruota da Hermione, che questa volta non poteva perdonare la McGranitt per averle fatto chiaramente intendere che non avrebbe potuto saltare neanche una ronda. Mani nei capelli, sbuffi e insulti mezzi borbottati mezzi urlati, i due ragazzi erano tenuti d’occhio da un’attentissima Madama Pince, che non riusciva a capacitarsi dell’affinità contrastante che notava nei due giovani. Sembravano quasi sincronizzati, anche nel perdere il controllo dei loro sentimenti. A volte, infatti, durante quello studio tormentato e quasi morboso, i loro occhi si perdevano fuori dalla finestra, e guardavano con lacrime che non sarebbero mai più sgorgate scavando solchi indelebili e invisibili sul loro viso, la lapide nera alle porte di Hogwarts forse chiedendosi, ancora una volta, perché anche il loro nome non fosse scritto tra quelli che erano morti. E vedeva distintamente il dolore impossessarsi di loro due, così simile, così totalizzante, così palese. E con la stessa rapidità con cui quei pensieri invadevano le menti distrutte di Draco ed Hermione, la loro mano passava nei capelli o sul viso, riportandoli ancora una volta a sbuffare sui propri libri.
Madama Pince non si stupì neanche di vedere scaraventati i suoi amatissimi libri per terra dal delicatissimo signor Malfoy, che avrebbe volentieri cruciato, se la legge glielo avesse permesso. E non si stupì quando la sua amatissima Hermione si alzava e andava a raccogliere i libri sparsi per terra, prendendoli con gentilezza fra le sue mani sottili. Ma quando vide Draco Malfoy tornare indietro borbottando epiteti poco carini verso non si sa chi, la bibliotecaria di Hogwarts si stupì non poco vedendolo abbassarsi e aiutare Hermione a sistemare i libri che lui, poco prima, aveva fatto cadere sgarbatamente. E, vedendo quei due ragazzi studiarsi e aiutarsi a vicenda, senza pronunciare parola, sorrise inconsciamente a se stessa.
Era vero. Madama Pince, bibliotecaria della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, non si stupiva mai di niente. O quasi.
 
***

Hermione lo cercava, non poteva farne a meno. Cercava quel ragazzo biondissimo che la stava facendo preoccupare da morire. Ginny se ne accorse, come sempre, e iniziò a cercarlo anche lei.
- Non lo vedo, Herm. Che gli sia successo qualcosa? – chiese all’amica.
Nonostante l’avversione che la piccola Weasley, che tanto piccola più non era, provava nei confronti dei Malfoy, in particolare di Lucius, doveva ammettere che Hermione aveva ragione. Quelle retate contro di lui non solo erano cattiveria gratuita, ma confermavano appieno l’idea d’odio che Voldemort aveva inculcato in tutti. Doveva, a malincuore, ammettere che, se davvero il Mondo Magico avesse voluto rialzarsi da quella Guerra, quella malvagità dilagante doveva finire. Perché picchiare un ragazzo che neanche si difende e che comunque, nonostante il suo passato, non ha fatto niente di male a nessuno, è pura e semplice cattiveria.
“Voldemort sarebbe fiero di voi!” aveva urlato un’Hermione forse un po’ troppo agitata nei confronti di un gruppo di ragazzi che avevano beccato a fare un piano per massacrare Malfoy il più possibile. Chi erano loro per decidere che Malfoy fosse cattivo e andasse eliminato? Neanche sapevano se aveva ucciso o no, come invece tutti ad Hogwarts affermavano. “Più di cento persone, tra uomini, donne e bambini!” aveva esclamato Calì una sera, annuendo con vigore. Per tenere ferme lei ed Hermione c’era voluta tutta la forza di Harry, Ron e Neville messi insieme, per quanto anche loro avessero voglia di scartavetrare la faccia della dolce e languida Patil. Come fa quella arpia a conoscere così bene Malfoy, quando sembra che neanche lui si conosca così bene? Pensò Ginny con un moto di rabbia, guardando storto la Patil, pochi posti più in là.
- Non so se gli è successo qualcosa, Ginny. Ma giuro che se gli hanno fatto ancora male, io… - non finì mai la frase, Hermione. Rimase ferma a bocca aperta a guardare Malfoy entrare lesto in Sala Grande. Il suo passaggio non rimase inosservato, così come non passarono inosservati a Hermione tutti i lividi che solcavano il corpo pallido e magro di Draco, ben visibili sotto la camicia candida. Uno in particolare attirò la sua attenzione. Una macchia violacea spuntava sotto l’occhio sinistro di Malfoy, rovinando la perfezione dei suoi lineamenti aristocratici. Sapeva che se Narcissa Malfoy avesse visto come era conciato il suo amatissimo figlio, sarebbe venuta ad Hogwarts per riscuotere la sua vendetta.
E io sarei ben felice di aiutarla, pensò la ragazza, guardando con astio un gruppo di ragazzi che si vantavano di averlo preso a pugni. Alzò la bacchetta, per punirli di quello che avevano fatto, ma la mano gentile di Harry la fermò.
- Non ne vale la pena, Hermione. Non scendere al loro livello. Oggi abbiamo lezione di pozioni con alcuni di loro. Troveremo il modo di fargliela pagare. – disse serio, mentre Ron annuiva convinto. La ragazza rimase sorpresa dalla reazione dei sui migliori amici, ma ringraziò il cielo che c’erano loro e Ginny, che lanciava epiteti ben poco femminili ai ragazzi che avevano picchiato Malfoy.
Hermione tornò a guardare il ragazzo, notando che anche lui la stava guardando. Fu un attimo, i loro sguardi si incrociarono, ma poi lui sfuggì al suo sguardo, rispondendo svogliato ad un’adirata Ashling.
Si chiese che cosa gli frullasse per la testa. Si chiese dove voleva arrivare. Se voleva davvero farsi uccidere. Ma soprattutto, Hermione non capiva il perché di tutto quello. Si voleva forse punire? Per essere stato un Mangiamorte?
Dal suo posto sentì Calì che sussurrava ancora una volta che Draco Malfoy era un assassino. Con uno scatto, Hermione si alzò dal tavolo, seguita a ruota dai suoi amici.
 
***
 
Hermione camminava rapida per i corridoi, sapendo di essere in ritardo. Si era messa a leggere e, come sempre quando lo faceva, aveva perso la cognizione del tempo.
Malfoy mi ammazza, pensò accelerando il passo. Anzi, prima mi tortura, poi mi ammazza.
Correva, quasi, Hermione, spinta dal suo sesto senso. Sentiva che se fosse arrivata in ritardo, qualcuno avrebbe potuto avvicinarsi e fargli del male e lei, di vedere il suo sangue sul pavimento, era stufa. E, mentre correva, capiva anche che i pensieri che aveva fatto prima non si sarebbero avverati.
Girò l’angolo, e lo vide, appoggiato alla finestra, che fumava una sigaretta come se fosse stata la sua ancora di salvezza. Non fermò la sua corsa e gli arrivò alle spalle, ansimando leggermente. In quello stesso istante, Malfoy si voltò, guardandola stizzito.
- Era ora, Granger! – esclamò acido, iniziando a camminare. Fu costretto a fermarsi, però, quando si accorse che la ragazza non aveva intenzione di muoversi. Era ferma, le guance arrossate e lo sguardo preoccupato che gli faceva la radiografia. La guardò perplesso, domandandosi che consistenza poteva avere quel ricciolo che, sfrontato, le scendeva a coprirle gli occhi. Se era davvero così aggrovigliato come sembrava. Cercava accuratamente di evitare i suoi occhi, ma sentiva il suo sguardo ovunque, consapevole che si stava mangiando la sua figura per chissà quale motivo. Incrociò le braccia al petto, guardando fuori la luna alta nel cielo.
- Che c’è? – borbottò.
- Sei ancora vivo. – rispose lei in un sussurrò.
Si girò di scatto. Era preoccupazione quella che c’era nella sua voce?
- Ne sei delusa? – Era sconforto quello che Hermione sentiva nella voce di Draco?
- Non voglio vedere il tuo nome su quella lapide nera. – quello che Draco sentì nella voce di Hermione poteva essere solo paura.
Si guardarono, avvicinandosi. Draco sfiorò quel ricciolo ribelle che, effettivamente, era così aggrovigliato come sembrava, mentre Hermione sfiorava una leggerissima cicatrice sulla suo guancia, gentile ricordo di una delle risse che aveva subito.
- Perché continui a non difenderti, Draco? – chiese.
Il ragazzo si riscosse all’improvviso, allontanandosi di scatto, come se fosse stato scottato. Ed, effettivamente, quello era successo: il suo nome pronunciato da Hermione sembrava quasi spogliato di tutto il male e la cattiveria di cui era rivestito, come se quella ragazza potesse togliere tutto il male impregnato in lui per guardare sotto, per guardare dentro, forse per scoprire che non era come appariva.
- Dobbiamo fare la ronda, Granger. – disse, incamminandosi.
Hermione sospirò. Aveva letto chiaramente lo sconforto negli occhi di Malfoy. Sconforto nell’essere quello che era e di essere stato quello che era stato. Allungò il passò, per riuscire a seguire la sua lunga e agile falcata. Nessuno parlò per un po’.
- Mezz… Granger, ti va di fare un gioco? – chiese, cauto.
La ragazza lo guardò sgranando gli occhi. Un gioco? Dev’essere impazzito, decise sicura Hermione aprendo la porta di un’aula e richiudendola subito, trovandola vuota.
- Malfoy, hai picchiato troppo forte la testa. – rispose, ma non riuscì dal trattenersi dal chiedere: - Che gioco? –
Draco sorrise lievemente, aspettandosi la curiosità della ragazza.
- Mia madre lo faceva quando stava per partire per una missione particolarmente pericolosa e voleva assicurarsi che io capissi appieno quello che dovevo fare nel caso che lei non fosse tornata. Successivamente mio padre lo cambiò in modo tale da farmi dire quello che lui voleva sentirsi dire. È un semplice vero falso, dove non si può mentire. –
- Perché, cosa succede se menti? –
- Non lo so. Cosa succede se mentiamo? –
La ragazza parve pensarci.
- Niente. Dai, Malfoy, vuoi davvero continuare? –
Il ragazzo non rispose. Per un po’ si sentì solo lo scricchiolio e lo sbattere delle porte aperte e chiuse, e i loro respiri si ridussero a flebili sospiri.
- Granger, si dice che anche tu sia ancora in guerra. Vero o falso? –
Hermione guardò Malfoy, indecisa sul da farsi. Che cosa avrebbe potuto dirgli? In fondo, lui non sapeva della risposta che aveva dato alla professoressa McGranitt, tre mesi prima. Eppure, guardandolo, avrebbe potuto affermare con sicurezza che quella domanda gli frullava per quella sua mente bacata già da un po’.
- Vero. –
- Perché? –
Hermione sorrise, e con lei Draco, che sapeva già cosa la ragazza gli avrebbe detto.
- Non è un vero o falso, questo. –
Touché, pensò il ragazzo. Era da tempo che voleva porle quella domanda. Da quando quella notte lo aveva soccorso, dopo che lo avevano pestato. Aveva letto la guerra, in quegli occhi così banali, ma così espressivi, così pieni di cose da dire.
Il silenzio dilagò ancora fra i due, ma questa volta li teneva uniti, li teneva vicini, come se non volesse fargli perdere i battiti dei loro cuori che, in quella calma surreale, erano l’unica cosa che potevano sentire.
- Malfoy, si dice che hai ucciso qualcuno. Vero o falso? – chiese piano Hermione.
Draco rimase fermo, con la mano sulla maniglia della porta che stava per aprire. Immobile, con il capo abbassato e i capelli chiarissimi che gli nascondevano il volto raffinato. Hermione, si appoggiò ad una delle tante finestre, aspettando che lui parlasse.
- Si dicono tante cose, Granger. – bisbigliò lui, affiancandosi.
- Vero o falso? – ribatté piccata lei.
Lui sospirò.
- Falso. –
Hermione sorrise. Sapeva che Draco non aveva ucciso nessuno, ma i pettegolezzi e le voci malevole che giravano su quel ragazzo troppo fragile avevano insinuato una vocina cattiva anche a lei, che le urlava “Assassino!”, ogni volta che incrociava il ragazzo.
Poi Malfoy riprese a parlare.
- Ma ho torturato un uomo, una volta. – fece una pausa, passandosi una mano nei capelli rabbiosamente, come a voler strappare via dalla sua testa quei ricordi troppo dolorosi. – Lo ricordo come se fosse ieri. Voldemort ormai aveva preso Malfoy Manor come suo quartier generale e ed era lì, come sai, - aggiunse lanciandole un’occhiata strana, - che lui si divertiva a torturare e uccidere chiunque gli venisse portato dai Ghermidori. Un giorno arrivò alla villa quest’uomo che io non riconobbi, mi era familiare, ma ti giuro che non avevo capito chi era. Mia madre iniziò ad urlare, cercò di fermare il Signore Oscuro, cercò di barattare la vita di quell’uomo con la sua, qualsiasi cosa, pur che questo non venisse ucciso. Dovevi vedere le sue risate, Hermione, io… - strinse così tanto forte le mani, che le nocche sbiancarono ancora di più e le unghie gli si conficcarono nel palmo pallido. Hermione, dolcemente, gli posò una mano sulla sua, cercando di riscaldare quel ragazzo che sembrava morto, da quanto era freddo. Draco non si ritrasse come si era aspettata. Accettò quel contatto molto più intimo di qualsiasi bacio e andò avanti, osservando la Luna.
- Ricordo ancora lo sguardo raggelato di mia madre quando Voldemort le puntò la bacchetta alla gola.
“E così, non vuoi che muoia.”, disse l’Oscuro Signore, in un sibilo. “Bene, bene, bene. Ma forse, ci possiamo divertire lo stesso, non trovi?”. Io non ho mai visto mia madre così spaventata. Si vedeva che gli voleva bene. Così, il caro vecchio Tom si avvicinò a me, sibilandomi: “Scagliagli una Maledizione Cruciatus, Draco. E lascerò vivere tua madre. In caso contrario…”. Non potevo tirarmi indietro. Non potevo. Mia madre era lì, che guardava e piangeva, proprio come quando mi avevano fatto il Marchio Nero e io non capivo, ma non potevo disobbedire ad un suo ordine. Così alzai la bacchetta e lo cruciai. Lo cruciai a lungo, e Voldemort rideva. Non so quanto passò, esattamente. Ad un certo punto, l’uomo urlò più forte di prima e io non ce la feci più. Abbassai la bacchetta e mi accorsi che Voldemort se ne era andato. Mia madre si avvicinò, piangendo, cercando di curare quell’uomo che non aveva vie di fuga, a parte la morte. Mi raccontò tutto sulla sua vita, mi raccontò che si chiamava Ted Tonks, che era il marito di sua sorella Andromeda e padre di Ninfadora Tonks. Io… - sospirò, tremando. – io sento ancora le sue urla. Le sento tutte le volte che chiudo gli occhi e cerco di addormentarmi. Così come sento le tue, di urla, di quando Bellatrix ti ha torturata e io non ho potuto fare niente. – tremava sempre di più, scosso da emozioni così forti che Hermione si chiese come facesse a stare ancora in piedi. Così fece l’unica cosa che poteva fare in quel momento: gli si avvicinò e si avvinghiò a lui, abbracciandolo più stretto che poteva. Draco resistette per un po’, ma poi qualcosa parve rompersi definitivamente dentro di lui e i suoi sentimenti logoranti uscirono a fiumi dai suoi occhi grigi, sotto forma di lacrime. Affondò la testa nei suoi ricci e pianse tutto quello che non aveva pianto in quei mesi, cullato da quella donna che non gli arrivava neanche al mento.
 










Angolo dell'Autrice:
Eccomi qua, altro finesettimana, altro capitolo. 
Avrei voluto pubblicare ieri, il giorno prestabilito è il sabato, ma per una serie di sfortunati eventi - Lu, tu centri sempre :') - non ho potuto pubblicare ieri. Così, vi propino questo mio capitolo in questa domenica uggiosa (qui a Milano c'è brutto tempo :33).
Il capitolo parla da solo, Draco non è più lo stesso Draco ed Hermione non è più la stessa Hermione. Sono molto fiera di questo capitolo, soprattutto dell'ultima scena e spero che piaccia a voi come è piaciuto a me. 
Ringrazio tutti quelli che recensiscono e mettono la mia storia tra le preferite/seguite/ricordate. Mi rendete incredibilmente felice <3
Nei miei pensieri ci sono sempre il mio Grillo Parlante (Gio <3) e quella disgraziata Nutella che non si merita questo capitolo, VISTO COME STA ANDANDO LA FINE DELLA SUA STORIA! (A proposito, questa me la paghi *ghigno sadico*).
Un bacio a tutti,
Lilian.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI. ***


Capitolo VI.
 
Ronald Weasley camminava lento per i corridoi del settimo piano, i più devastati dalla guerra. Non essendoci classi, lassù era rimasto tutto come prima, in attesa che qualcuno lavasse via il nero di sangue e morte da quelle pietre che per troppo tempo avevano retto la sua scuola. Navigava con la mente, ricercando il posto della morte di Fred. Il suo fantasma era tornato per tormentarlo ancora, ma lui sapeva che in realtà non era giusto. Fred doveva essere morto. Morto e basta, rimanere a metà era una pura follia. Non che non rivolesse suo fratello indietro. Per quanto avesse potuto detestarlo per tutti gli scherzi che lui e George gli avevano riservato fin dalla nascita, non lo avrebbe cambiato per nulla al mondo. Ma niente avrebbe potuto riportarlo indietro, in carne e ossa. Avrebbe voluto sfogare tutta la sua rabbia – tutto il suo dolore – su Rookwood, ma non poteva, perché ormai quell’essere infame era ad Azkaban a scontare la sua pena. E lui non avrebbe più potuto toccarlo. Odiava, odiava sentirsi così. Sentirsi così vuoto e così pieno, non sapeva come comportarsi, non sapeva cosa dire. Ne aveva parlato con Harry e lui lo aveva capito più profondamente di chiunque altro. Ma non poteva aiutarlo. Harry aveva i suoi problemi. Però era stato fortunato, come sempre: lui aveva Ginny. Ginny era quello di più meraviglioso che poteva capitare nella vita di Harry ed Harry lo sapeva. E si fidava di lui, anche se non gli andava a genio il fatto che toccasse sua sorella. Ma, dopo che anche con Hermione non era andata bene – troppi pensieri, troppo dolore -, a lui non era restato nessuno. Non aveva qualcuno che lo amasse, che lo accettasse con tutto il suo dolore e la sua rabbia. Forse era per questo che si era buttato sulle ragazze. Quell’universo che prima lo spaventava a morte, adesso era diventato la sua ancora di salvezza.
Alzò lo sguardo, cercando con gli occhi chissà che cosa, quando vide una ragazza, parlare gentilmente con la Dama Grigia, i lunghi capelli mossi dal vento. Era così presa dalla conversazione, che per poco andò a sbattere contro Ron, rimasto a bocca aperta a guardarla arrivare. Ripresosi da quell’attacco di catatonicità acuta, si piego, prendendole i libri che le erano caduti.
- Scusa. Non ti avevo proprio visto. – disse lei con un sorriso di scuse.
 Ron scosse la testa.
- Non ti preoccupare, anche io ero sovrappensiero. – le rispose sorridendo.
La Dama Grigia, sentendosi tristemente di troppo, sparì in un soffio e i due si ritrovarono soli.
- Quindi tu sei il Prefetto di Grifondoro. – disse la mora, additando la spilla con la P che Ron mostrava fieramente sulla divisa.
- Sì. Quasi tutti i miei fratelli sono stati Prefetti. – le rispose con un velo di tristezza, pensando a Fred. – Vedo che anche tu sei Prefetto. Corvonero? -
- Si, sono al sesto anno. –
- Strano, non ti ho mai vista prima. Vieni da Beuxbatons? –
La ragazza rise, tornando a camminare.
- Oh, no. Ti sembro una delle bellezze eteree di Beuxbatons? No, io vengo dall’Egitto. Sono nata ad Alessandria d’Egitto e sarei volentieri rimasta lì, ma in questo periodo ci sono un po’ di casini e i miei hanno deciso di trasferirsi. Così, eccomi qua a Hogwarts. –
Il ragazzo annuì. Era la ragazza più bella che Ron avesse mai visto. I capelli neri, riccissimi, le arrivavano alla vita e gli occhi scuri brillavano di una grazia e di un’intelligenza non comune. Anche se era Corvonero, non sembrava una dei soliti secchioni degli ultimi anni. Anzi, pareva simpatica e divertente.
- Come ti chiami? – chiese la ragazza.
- Oh, sì… ehm… io sono Ron. Ron Weasley. Sai, capelli rossi e un sacco di fratelli… - sorrise, mesto.
- Quel Ron Weasley? Quello del Trio? Il fratello di Ginny? – chiese con una scintilla di curiosità negli occhi.
- Sì, proprio io. Conosci mia sorella? –
- Certo, siamo nello stesso anno e abbiamo lezione insieme quasi tutti i giorni. – si fermò davanti alle scale. – Io vado di qua. – disse indicando dispiaciuta la scala di destra.
Ron annuì.
- E io di qua. - Sorrise alla ragazza e fece per girarsi quando si accorse che, con tutti i pensieri che gli aveva procurato, non le aveva neanche chiesto come si chiamava.
- Non mi hai detto come ti chiami! – urlò alla ragazza, che già era a metà della rampa.
Lei si girò, con un sorriso bellissimo e luminoso.
- Io sono Samia. - lo salutò, promettendogli che si sarebbero di certo rivisti.
Trasognato, Ronald Weasley tornò alla torre di Grifondoro, forse più leggero di prima.
 
***
 
Draco Malfoy camminava per il parco di Hogwarts, dopo essere andato a schiarirsi le idee volando a parecchi metri da terra sulla sua scopa. Nessuno lo aveva voluto nella squadra di Quidditch di Serpeverde, nonostante tutti sapessero che lui, insieme a Potter, era uno dei più bravi cercatori di tutta Hogwarts. E nulla aveva cambiato il fatto che Serpeverde fosse riuscita a perdere addirittura contro Tassorosso, senza di lui. L’importante era non avere il Mangiamorte in squadra. Se solo lo avessero ascoltato. Non voleva la loro amicizia, non gli importava proprio di farsi degli amici, tantomeno idioti come quelli, ma avrebbe davvero voluto giocare ancora a Quidditch. Invece si ritrovava a dover volare da solo a notte fonda con il rischio di farsi beccare da Gazza e ricevere una punizione esemplare che avrebbe soltanto aggravato la sua situazione, aumentando il numero già elevato di retate contro di lui. Avevano provato anche a picchiare Blaise o Ashling. Nel primo caso ne avevano prese così tante che non si erano più azzardati a toccare il moro. Nel secondo, beh, Ashling sa essere estremamente convincente quando vuole. Soprattutto incazzata e con una bacchetta in mano. Le retate contro di lui non erano di certo diminuite. Anzi. Sembravano aumentare giorno per giorno. Viveva nell’ansia che qualcuno lo beccasse. Voleva solo essere lasciato in pace. Essere odiato, disprezzato, tutto quello che gli altri volevano. Ma voleva essere lasciato in pace. E non riusciva proprio a difendersi, nonostante le urla di Ashling e le frasi gentili di Blaise. Draco Malfoy pensava che, essendo scampato ad Azkaban per la bontà di altri, quello sarebbe stato un ottimo pegno in cambio della libertà. In fondo facevano bene a picchiarlo. Se l’era meritato. Era stato un ipocrita, un falso, un codardo. Un Malfoy. E odiava ammettere con se stesso che, per quanto fosse nato in una famiglia tutt’altro che dalla parte giusta, le scelte erano state sue e solo sue. Aveva liberamente scelto di farsi marchiare come un animale. Per proteggere sua madre e suo padre. Perché, nonostante il freddo distacco e lo sfarzo in cui era vissuto, l’amore dei suoi genitori non gli era mai mancato. E lui si sentiva in dovere di fare qualcosa. E, per un ragazzino di quindici anni, un Marchio non sembra così terribile rispetto alla perdita della sua famiglia. E adesso non aveva più niente. Ed era finito addirittura a confidarsi con la Granger. La Granger. Aveva ancora nelle narici il suo profumo di mandorle e menta e questo era male. Non si aspettava proprio che lo abbracciasse. Insomma, non lei, non dopo quello che le aveva fatto per così tanti anni. Era assurdo. Di tutte le reazioni che aveva pensato quando aveva iniziato a raccontare alla ragazza di quel particolare episodio della sua vita, insomma, di tutte le cose, non si aspettava proprio che lei lo abbracciasse. Perché un abbraccio sa essere molto più intimo di un bacio. Con le labbra puoi mentire. Ma con il corpo no. con le braccia, con il petto, con il cuore che tamburella sul tuo costato inseguendo quello di lei… no, non si può mentire con un abbraccio e lui si era scoperto troppo. Quella sera aveva finto di stare male e aveva mandato solo Blaise ed Ashling a fare la ronda, abbandonando la Granger. Non poteva proprio vederla, quella sera, aveva troppi pensieri in testa e non voleva cadere in discorsi come quelli della sera prima. Che, tra l’altro, aveva introdotto lui. Stupido. Incredibilmente stupido. Che cosa gli era saltato in mente di fare il vero o falso con lei? Sapeva che si sarebbe cacciato in qualcosa che non sarebbe stato capace di gestire, ma aveva comunque deciso di giocare con lei. Giocare. Dio, quanto era stato stupido! Erano ore che si insultava, cercando di incastrare i suoi sentimenti contorti in un angolo della mente.
- Draco. – disse una persona, dietro di lui.
Si girò di scatto, la bacchetta in pugno. Respirò più profondamente vedendo che era solo Ashling.
- Ciao Lin. Blaise? –
- Quel disgraziato mi ha abbandonata all’ultimo momento. Non aveva neanche iniziato la relazione che la McGranitt ha assegnato l’altro giorno e, come sai, sei fogli di pergamena non si scrivono da soli. Quindi mi ha lasciata da sola. – disse affiancandosi al ragazzo.
Draco rise, teso. Sapeva che Ashling avrebbe notato subito che c’era qualcosa che non andava in lui, già quella mattina lo aveva sommerso di mille domande silenziose, solo scrutandolo negli occhi. Questa volta, fragile e bagnato, avrebbe capitolato senza troppa fatica.
- Allora, Malfoy? Che ti prende? – eccola lì, la domanda che tanto temeva, uscita dalle belle labbra della sua migliore amica, anche se mai, per nessuna ragione al mondo, lo avrebbe ammesso davanti a lei.
Ashling lo guardava, sapendo benissimo di aver mandato il giovane rampollo dei Malfoy nel panico. Beh, non gli avrebbe posto quella domanda, se fosse stato altrimenti.
- Ashling, cosa vuoi sapere? – chiese sospirando.
- Voglio sapere che cosa ti passa per quella testa bacata, Draco. E so per certo che c’entra Hermione. Che cosa è successo ieri sera? –
Draco non sapeva che cosa risponderle. Che cosa era successo, ieri sera? Perché era successo? Proprio non se lo sapeva spiegare.
- Ho pianto, dopo averle raccontato del giorno in cui ho torturato Ted Tonks. E potrei anche averla abbracciata. – aggiunse abbassando la voce a un sussurro.
Ashling lo guardava stralunata.
- Di tutte le cose… di tutto quello che… - scosse la testa. – Okay, Draco. Ci stai ancora pensando? –
- A cosa? –
Ashling alzò il sopracciglio.
- Ad Hermione, Draco. A quello che è successo. –
- No. Certo che no. – nega, nega, nega.
Ashling sbuffò, spostandosi i capelli rossi dietro l’orecchio.
- Andiamo, pensi che me la beva in questo modo? Draco, guardami e dimmi che non ci stai pensando. – disse fermandosi.
Il ragazzo sapeva di essere fregato. Già non riusciva a mentire ad Ashling quando non la guardava, figurarsi se lei avesse puntato le sue iridi scure su di lui. Si girò, controvoglia, verso la rossa. Tanto sapeva perfettamente che non gli avrebbe dato tregua finché non avesse parlato. E, nel remoto caso in cui lui fosse resistito, sarebbe andata dritta filata a parlarne con la Granger. Cosa che doveva assolutamente evitare.
- Lin, perché mi ha abbracciato? – chiese, evitando di rispondere alla domanda di prima, ma dimostrando di starci pensando comunque, ad Hermione.
- Beh, che ti aspettavi? È Hermione, Draco. – rispose guardandolo. – E ora, se permetti, vorrei tornare alla mia ronda. –
E lo lasciò lì, a fissare ebete il punto in cui la sua compagna di casa era sparita.
 
***
 
Harry Potter aspettava la sua ragazza, con la paura atroce di non vederla arrivare. Non poteva fare niente per fermare l’ansia che, automaticamente, saliva nel pensare a Ginny. Perché la sua mente era ancora bloccata in Sala Grande, con tutti i corpi morti disposti in fila. Le persone che piangevano, cuori che, battendo troppo velocemente, smettevano di battere, corpi distrutti e menti ancora di più. E il rosso dei capelli Weasley. La paura che, di fianco a Fred, ci fosse qualcun altro. Che ci fosse Ginny, di fianco a Fred, ferma e immobile, eterea, immortale, morta. L’immagine di lei morta gli appariva negli incubi che faceva di notte, quelli in cui vedeva la sfilza di persone che erano morte, volenti o nolenti, a causa sua.
Si sentiva in colpa per quelle vite spezzate che erano finite in tutti quegli anni per proteggere lui e solo lui. Si sentiva in colpa per i suoi genitori, primi tra tutti, per il Professor Raptor e per Barty Crouch, finiti tra i piedi dell’Oscuro Signore e trucidati barbaramente.
Per Cedric Diggory, che pur non c’entrando niente, era morto a causa sua, trovandosi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Per il suo padrino Sirius, per Malocchio Moody e per la sua Edvige.
Per il suo amico Dobby, elfo libero e forte.
Per Tiger, che aveva creato quel maledetto Ardemonio, nella Stanza delle Necessità.
Per Lavanda Brown, uccisa da quel mostro di Fenrir, lo stesso che aveva sfigurato anche il bellissimo Bill Weasley.
Per Severus Piton, il suo tanto odiato professore di Pozioni, che si era rivelato l’uomo più forte e coraggioso di tutti.
Anche per la spietata Bellatrix Lestrange, stava male. Anche per lei.
E per Tonks e Lupin, e ancora di più per il piccolo Teddy, che sarebbe cresciuto senza l’affetto dei suoi genitori.
Per Fred, e ancora di più per la famiglia Weasley, che aveva distrutto.
Per Colin Canon, che non sarebbe mai diventato maggiorenne, che non sarebbe mai diventato il famoso fotografo che sperava di essere da grande. Lui non sarebbe mai stato grande e Dennis Canon, il suo piccolo fratellino, sarebbe diventato l’ombra di sé stesso, senza il fratello a sorvegliarlo.
Stava male per la scia di sangue che si portava dietro sin da quando era piccolissimo. E sapevano che queste erano manie di grandezza degne del vecchio Tom. Sapeva che non avevano combattuto per lui, ma per qualcosa in cui credevano. Avevano combattuto per un Mondo Magico migliore, per le loro famiglie, per i loro amati. Ed erano morti facendolo, donando un mondo migliore a tutti. Ma, nonostante sapesse ciò, la sua mente si era come bloccata sulla convinzione che fosse colpa sua. Nonostante tutto, nonostante tutti. Era così, ne era convinto. Non poteva essere altrimenti. Quel vuoto dentro che sentiva dalla morte di Tom Riddle non gli aveva lasciato spazio di pensare ad altro. Oltre alla paura che se Ginny fosse rimasta con lui, sarebbe morta. Come tutti quelli che lo avevano amato. Come tutti quelli che avevano provato ad essere qualcosa per lui. Harry Potter, Salvatore del Mondo Magico, doveva in tutti i modi allontanare la sua ragazza da lui. Ginny lo avrebbe odiato, era vero, ma almeno sarebbe stata al sicuro. Da non si sa bene che cosa. Forse da se stesso. Temeva che il suo problema più grande fosse proprio lui.
Avrebbe dovuto parlarne con qualcuno. Non sapeva chi. Beh, c’era Ron, ma sapeva che il suo rosso amico non avrebbe saputo dirgli quello che aveva bisogno di sentirsi dire. Forse Hermione, in un momento migliore, avrebbe potuto aiutarlo. Lei di certo avrebbe saputo cosa fare per farlo stare meglio. Fosse anche affatturarlo. Ma Hermione doveva pensare a sé stessa, non poteva assillarla come aveva fatto in tutti quegl’anni. Rimaneva solo una persona e lui sapeva bene chi era. Era esattamente la persona che voleva allontanare che avrebbe potuto aiutarlo da quella sua fobia della gente che gli era presa. Rischiava di avere un attacco di panico ogni volta che vedeva un parente delle vittime che quella guerra aveva mietuto. E avere in giro per il dormitorio un Ron distrutto e una Ginny che era dovuta crescere troppo in fretta a causa della perdita di suo fratello, non giovava certo alla sua salute mentale. Né ai suoi polmoni. Che la suddetta ragazza, poi, fosse incredibilmente bella, sensuale e profumata, non lo aiutava affatto.
Il profumo di Ginny gli rimbalzò in testa come una dolcissima stilettata di dolore. Ricordava ancora quando lo aveva sentito, in quella prima lezione col professor Lumacorno, al sesto anno. Fiori di campo, sapone e biscotti. Ecco l’odore che aveva sentito. Il suo, quello che sentiva ogni volta che le scostava i capelli, o la baciava. Ed era quello che sentiva farsi strada prepotentemente nel suo cuore, ogni volta che faceva l’amore con lei. Quando sentiva il suo profumo tutte le paure sparivano, in un attimo tutto sembrava svanire. Il mondo non era più bianco o nero, ma solamente di tante sfumature di grigio. Quando sentiva il suo profumo riusciva quasi ad accettare quello che era successo. Riusciva quasi ad ammettere con sé stesso che non era colpa sua.
Una mano gli sfiorò piano la guancia.
- Harry, guardami. – sussurrò Ginny ad un centimetro dalle sue labbra.
Il ragazzo puntò i suoi occhi assurdamente verdi in quelli nocciola di lei e si sentì a casa. Più che a Hogwarts, più che a Grimmauld Place, più che alla Tana. Ginny era la sua casa e questo non poteva cambiare. E non poteva allontanare da sé la sua casa.
- Ti amo. – sussurrò Harry, stringendola a se.
- Anche io. – rispose Ginny, baciandolo dolcemente.
Harry la trascinò su per il loro dormitorio, chiudendosi la porta della sua stanza con un fluido movimento della bacchetta.
Ora andava molto meglio.
 
***
 
Hermione aveva iniziato la ronda da sola quando, all’alba di mezzanotte e mezza, Malfoy non si era ancora presentato. Eppure aveva capito da Ashling che quella sera quel maledettissimo rampollo Malfoy, testuali parole, si sarebbe presentato. La rossa Serpeverde, infatti, aveva beccato Lumacorno a fare la ramanzina a Draco, quella mattina, dicendo al ragazzo che se non si fosse presentato alla ronda di quella sera, sarebbe incappato in una punizione esemplare.
A quanto pare, pensò Hermione, non gli importa più di tanto della punizione esemplare che gli avrebbe inferto Lumacorno.
Era dieci giorni che non si presentava alle ronde. Precisamente dalla sera in cui le aveva parlato di quando aveva torturato suo zio Ted. Un Babbano. Ma Hermione era convinta che non fosse per averle raccontato ciò che lui si era allontanato così. La ragazza era convinta che quello che più lo aveva destabilizzato fosse stato l’abbraccio e, ancora di più, l’aver pianto davanti a lei. Malfoy, in fondo, non piangeva mai. E quando lo faceva, veniva torturato da Harry con un Sectumpsempra. Magari si aspettava una cosa del genere anche da lei. Ma lei non era Harry e non avrebbe mai usato una maledizione contro qualcuno. Mai più. Aveva deciso che non poteva diventare un’Auror, perché ne sarebbe morta. Aveva deciso che avrebbe impugnato la bacchetta solo per curare, per fare del bene. Aveva deciso di diventare Medimaga per sfuggire dalla guerra. E fiondarsi nella morte. Perché sapeva che se avesse scelto quella professione, la morte sarebbe stata la costante della sua vita. Perché non sempre si riesce a guarire. Non sempre le persone ce la fanno. Anche per questo voleva fare quel tipo di lavoro. Per rendersi conto di quanto fosse fortunata lei ad essere sana, senza problemi. Beh, dei problemi ce li aveva. E pure grossi. Uno era addirittura una persona, e forse era anche il suo problema più grande. Ma questo, per il suo lavoro, era irrilevante. Quello che voleva fare le avrebbe fatto capire che poteva ancora fare del bene, nonostante tutto. O almeno, così sperava.
Imprecò a mezza voce quando, per l’ennesima volta, la scala su cui stava salendo si spostò. Non ne poteva più. Era la terza nel giro di due piani. Si sedette di schianto, ritrovandosi in un corridoio sconosciuto del sesto piano. Si era allungata la strada ancora di più, avrebbe aspettato che la scala tornasse indietro, al posto di vagare in corridoi che non aveva mai neanche visto.
Appoggiò la testa sulle ginocchia, aspettando paziente. Ad un certo punto sentì rumore di passi. Guardò in giro, ma non vide nessuno, così riappoggiò la testa alle ginocchia. Eppure era convinta di aver sentito qualcuno. Magari era Gazza. Aspettò cinque minuti poi, sentendosi osservata, rialzò la testa. Malfoy la guardava in tralice, dall’alto del suo metro e novanta. Aveva la testa leggermente inclinata di lato e un ciuffo di capelli biondi gli ricadeva sull’occhio, donandogli un’espressione più dolce del solito e coprendo un vecchio livido ormai quasi svanito.
La studiava, Draco, come se fosse stata la prima volta che la vedeva. Come se si trovasse davanti ad una creatura mitologica e assai pericolosa. Come se stesse cercando di fare amicizia con una chimera.
- Sei in ritardo. – sussurrò Hermione.
- Non ti trovavo. – rispose lui con un mezzo sorriso. – Si dice che ti sei persa. Vero o falso? – disse poi, aiutandola ad alzarsi.
La ragazza sorrise.
- Vero. Le scale hanno fatto le birichine, questa sera. – rispose.
Draco l’accompagnò lungo quel corridoio a lei, stranamente, sconosciuto. La fece girare per vicoli strettissimi e bui, che le mettevano i brividi. Finalmente, all’ennesima svolta, apparvero nel corridoio del settimo piano, il quadro di Barnaba il Babbeo in bella mostra davanti al muro dove, forse, c’era ancora la Stanza delle Necessità.
Iniziarono ad aprire le porte delle aule, in rigoroso silenzio e a distanza di sicurezza.
Sia mai che mi venga da abbracciarlo ancora, pensò Hermione.
Non poté impedirsi di osservarlo, però. La camminata tesa e nervosa, parecchi lividi sul viso e sulle braccia, il Marchio Nero che svettava sulle maniche della camicia arrotolate, la giacca su una spalla. Per essere bello era bello. Hermione si stupì di quel pensiero, distogliendo subito lo sguardo dal biondo e puntandolo sull’aula che aveva aperto almeno cinque minuti fa.
- Granger, smettila di guardarmi. – disse, girandosi con le braccia incrociate, cupo.
Hermione passò dal suo colorito roseo al rosso vermiglio nel giro di dieci secondi.
- Perché, non riesci a concentrarti, altrimenti? – chiese, memore delle parole che lui stesso le aveva rivolto all’inizio dell’anno.
Draco spalancò gli occhi e per una frazione di secondo il suo viso imperturbabile fu attraversato dalla sorpresa e da un altro sentimento, che Hermione non riuscì a decifrare.
Il ragazzo sbuffò, si passò una mano nei capelli, scompigliandoli, e tornò a fare quello che stava facendo prima. Hermione gli si affiancò svelta, per non rimanere sola in quel corridoio buio, e fu quasi costretta a correre per tenere il passo con la falcata svelta del biondo. Il quale rideva sommessamente, guardando la sua compagna arrancare verso di lui. Hermione, allora, con un mezzo sorriso, si fermò in mezzo al corridoio, costringendolo a tornare indietro. Andarono avanti così a lungo, ridendo come due bambini.
All’improvviso, da una vetrata, fece capolino il pallido sole di dicembre e, incantati, i due ragazzi si fermarono a guardare l’alba.
Le mani che si sfioravano e il cuore che batteva all’unisono, mentre piccoli fiocchi di neve iniziavano a cadere dal cielo plumbeo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 Angolo dell'Autrice:
Ho davvero pochissimo tempo, quindi scusate la fretta. 
Ringrazio tutti quelli che leggono, recensiscono o mettono la mia storia tra le preferite, seguite o ricordate.
Ringrazio la mia Lu che finalmente ha finito la sua meravigliosa storia (che consiglio veramente di leggere, nonostante la fine che ti lascia l'amaro in bocca.)
Ringrazio la Gio, il mio Grillo Parlante, che in questo periodo è incasinato quanto me.
Alla prossima,
un bacio,
Lilian.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII. ***


Capitolo VII.
 
 
Mancava una settimana a Natale. Ashling aveva amato il Natale fino a che i suoi genitori non erano stati uccisi la notte tra la vigilia e il 25 dicembre, quando aveva appena dodici anni. Dei comunissimi ladri erano entrati una notte nella sua bella casa sulle rive del Tamigi e avevano ucciso i suoi genitori mentre lei dormiva aspettando Babbo Natale. La mattina li aveva trovati riversi in una pozza di sangue sotto l’albero di Natale, insieme ai regali. La casa sottosopra, la cassaforte aperta, tutti i soldi spariti. Non aveva sentito niente. Non sapeva proprio che fare e quel senso di impotenza vedendo i suoi genitori morti ancora la accompagnava. Frequentava già Hogwarts, e corse dalla prima famiglia che le venne in mente: i Malfoy. Apparse la sera del 25 in lacrime e in preda ad un attacco di panico, senza bacchetta e ancora in pigiama. Quella fu la prima volta che vide Narcissa Malfoy togliere la sua maschera d’indifferenza dal viso. La fece entrare e, dopo aver chiamato Lucius, si fece raccontare che cosa era successo. Ashling dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà per raccontare quello che aveva visto e che pensava fosse successo. I coniugi Malfoy corsero subito a casa sua, lasciandola sola con Draco. Lei piangeva ancora e il piccolo Malfoy l’abbracciò stretta. Non la lasciò andare fino a che non tornarono Narcissa e Lucius. Da allora era sempre vissuta a Villa Malfoy.
Persa nei sui pensieri, Ashling non si accorse di essere arrivata fino alle rive del Lago Nero. In pieno inverno. Senza mantello. Non che le importasse molto, amava il freddo. Sperava solo di non ammalarsi. Non seppe per quanti minuti, od ore, rimase lì a prendere freddo. Improvvisamente, però, sentì una piacevole sensazione di calore all’altezza delle spalle. Si girò, incontrando gli occhi scuri di Neville. Il suo sguardo profondo le entrava dentro scoprendo parti di se stessa che neanche lei pensava di avere.
- Prenderai un malanno se stai qui fuori senza mantello. – disse, guardandola.
Distolse lo sguardo, Ashling, più per evitare che Neville vi leggesse troppe cose che per imbarazzo vero e proprio.
- Così lo prenderai tu. Non ho bisogno del tuo mantello. – sussurrò togliendoselo dalle spalle e porgendoglielo.
Lui alzò un sopracciglio, senza riprendersi il mantello che gli porgeva la ragazza. Ashling lo guardò accigliata, rimettendoselo su. Stava gelando.
- Allora, manca poco al Natale. Che farai? Hai già preso i regali? – chiese, dopo alcuni minuti di silenzio.
Ashling puntò gli occhi dentro le acque ghiacciate del lago.
- Odio il Natale da troppo tempo, ormai, per fare regali o per progettare feste. – rispose, malinconica.
- Perché? –
- I miei genitori sono stati uccisi la notte della vigilia. Stavano mettendo i regali sotto l’albero e si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Li ho trovati la mattina dopo. –
Neville rimase in silenzio, rimuginando su quello che gli aveva detto Ashling. La ragazza si morse un labbro, agitata. Non aveva raccontato mai a nessuno della sua storia, del suo passato. Solo Draco sapeva che cosa era successo. Perché si era aperta così con lui? Non avrebbe dovuto. Non voleva la sua pietà.
- Quanti anni avevi? – domandò ancora Neville, senza pietà e senza uscirsene con quelle frasi odiose della serie: “Mi dispiace”. Non è che ti dispiace, è che non si sa mai cosa dire in quelle situazioni. E lui se n’era uscito con una domanda.
- Ne avrei compiuti dodici a gennaio. –
- E dopo? Dove sei andata? Hermione mi ha spiegato, tempo fa, che quando succedono queste cose è un casino. Servizi sociali, mi sembra che li abbia chiamati. –
- Oh, sì. Ma io mi sono presentata a casa dei Malfoy. Vivo con loro da allora. –
- Anche se sei Nata Babbana? –
- Sì, certo. Sapevano dei miei poteri, avevo legato con Draco fin dal primo giorno a scuola e lui aveva parlato di me a loro. Hanno sistemato tutto, adesso risulto davvero loro figlia, se guardi nell’albero genealogico dei Malfoy. Sai… loro non sono così male come sembrano. Lucius… beh, lui ha davvero un carattere di merda, ma in fondo è solo un uomo che ha sbagliato tutto nella vita. Ha sbagliato scelte, ha sbagliato parte, ha sbagliato ad allevare suo figlio. E Narcissa,  lei non è così fredda come sembra. È solo che non sono abituati a mostrare le loro emozioni. –
- Tu non sei come loro. –
- Io non sono una Malfoy. –
Sospirò, annuendo. Lo osservò bene, come in Sala Grande non ero mai riuscita a fare, lontana com’ero e con tutte le teste in mezzo. Si era alzato molto e al posto del fisico da bambino che mostrava fino a pochi mesi prima, adesso dava sfoggio di un corpo tonico e non troppo muscoloso. Teneva i capelli corti, ma un ciuffo riusciva sempre a finirgli sull’occhio destro, dandogli un’aria molto affascinante, accentuata anche dal fatto che portava la barba corta. La guerra lo aveva reso uomo, lo aveva temprato, e non rimaneva più niente del Neville Paciock che al primo anno perdeva il suo rospo un giorno sì e l’altro pure. A guardare bene, però, un certo tratto nel suo atteggiamento, quella timidezza velata, le faceva ricordare quanto ancora era giovane. Quanto ancora erano piccoli, tutti e due. Entrambi avevano perso i genitori, entrambi avevano combattuto da soli, più per proteggere i loro amici che per se stessi. Ashling si stupì a pensare che sapore potessero avere le sue labbra piene.
- Lui a chi somiglia? – chiese all’improvviso Neville, facendo sobbalzare la ragazza.
- Lui chi? –
- Malfoy. Draco. Assomiglia di più a Narcissa o a Lucius? –
- Perché lo vuoi sapere? –
- Voglio capirvi. A voi che eravate dall’altra parte. A voi che avete il Marchio Nero. E sono anche curioso. –
Ashling si passò una mano sull’avambraccio sinistro, proprio lì dove sapeva esserci il Marchio. Il suo Marchio personale.
- Io non ho mai avuto il Marchio Nero. –
- Tu hai un altro tipo di Marchio. Sempre di Marchio si tratta, non trovi? Quelle cicatrici non verranno più via. –
Lo guardò. Solo un attimo, poi tornò ad osservare lontana, persa in qualche pensiero.
- Draco bisogna osservarlo bene per capire a chi somiglia. A prima vista, da come si mostra, sembra la copia sputata di Lucius. Per questo è odioso. Ma adesso. Quello che stai vedendo adesso, per quanto distorta, è un’immagine molto più simile al vero Draco rispetto a quella che hai visto fino ad adesso. Lui non è solo Malfoy, è anche Black, ed è molto più simile a Narcissa che a Lucius. Penso che questo sia un bene. –
Neville non rispose, pensando a quello che la ragazza gli aveva detto.
- Non dovresti parlare con me, sai Neville? –
- E perché mai? –
- Beh, le solite cose. La gente ti eviterebbe. Hai parlato con una Serpeverde, amica di Malfoy, forse strega più brillante del secolo, peccato che ero dalla parte sbagliata. Beh, dopo Hermione, comunque. Quella donna è veramente qualcosa di assurdo. Non potrei mai eguagliarla. –
- Non mi importa quello che dirà la gente. Io voglio conoscerti. –
Ashling sorrise, il primo vero sorriso dopo un sacco di tempo.
- Dovrà faticare per tirarmi fuori quello che ho dentro, signor Paciock. – disse con un mezzo sorriso.
Anche Neville sorrise, illuminando i suoi occhi marroni.
- Sono sempre stato un instancabile lavoratore, signorina Lloyd. –
La ragazza sorrise, compiaciuta.
- E ora, se non ti dispiace, vorrei fare un salto con te nelle cucine, visto che ci siamo saltati la cena. – riprese Neville.
- Io… io non ho molta fame. – bisbigliò Ashling, avviandosi verso il castello.
- Non puoi continuare a non mangiare. Quindi, ora vieni con me. Forza. – disse prendendola per mano e trascinandosela dietro.
Ashling rise. Rise tanto, come non faceva da troppo tempo. E Neville con lei, sostenendosi a vicenda. Forse le cose non andavano così male.
 
***
 
22 dicembre 1999.
Draco Malfoy guardava sua madre. Ashling, di fianco a lui, andava avanti e indietro fumando come un mantice. Erano appena tornati a casa con l’Espresso di Hogwarts per le vacanze di Natale. Non avevano fatto in tempo a mettere piede a Malfoy Manor che su di loro si era abbattuta la catastrofe.
“Quest’anno festeggeremo il Natale con mia sorella Andromeda”, aveva affermato Narcissa Malfoy, facendo entrare in casa i due giovani. Quella frase, già da sola, aveva mandato in panico Ashling e, soprattutto, Draco.
“Madre, ne siete proprio sicura?” chiese un Draco decisamente a corto di ossigeno. Avrebbe passato le vacanze con sua zia. Sua zia che era stata ripudiata dalla famiglia perché aveva sposato un Babbano. Che lui aveva torturato e che il Lord Oscuro aveva ucciso. Sua figlia era morta. Suo genero anche. Le rimaneva solo il nipote. Bene.
“Ci sarà anche Harry Potter”, proseguì la donna, senza notare il panico in cui stava mandando i due ragazzi. “E anche i Weasley. E i Granger, penso. E probabilmente saremo a Grimmauld Place”. Al che i due ragazzi si erano definitivamente fermati boccheggianti, cercando un po’ di ossigeno e costatando che i polmoni non avevano intenzione di funzionare a dovere.
E come dargli torto. A certe notizie ti va in palla pure il cervello, figurati i polmoni. Pensò sgomento Draco.
- Narcissa, no dico, hai sentito quello che hai appena detto? Insomma… è Natale. Natale, zia Cissy. Sai che cosa significa il Natale, per me. Non puoi chiedermi una cosa del genere. Piuttosto rimango qui al Manor da sola per tutte le feste. E poi, insomma, tu vuoi passare le vacanze natalizie con Potter, i Granger e gli Weasley?! – sbottò Ashling accendendosi l’ennesima sigaretta.
- Lin, proprio tu mi vieni a dire questo? Me lo aspettavo da Draco, un ragionamento del genere, ma speravo che almeno tu mi capissi e mi appoggiassi! – esclamò esasperata Narcissa Malfoy, perdendo un po’ del contegno e della freddezza che tanto la rappresentavano.
Ashling abbassò gli occhi. Non era tanto la compagnia che la metteva a disagio. Al contrario di quel testone di Draco, lei non aveva problemi a parlare con i Salvatori del Mondo Magico e, dopo un po’ di imbarazzo, poteva dire che Hermione e Ginny erano diventate sue care amiche, nonostante fossero Grifondoro convinte. Il problema era il periodo dell’anno. Non era molto in sé durante il Natale. Non le piaceva stare in mezzo alla gente quando era così vulnerabile. La vigilia di Natale, quando tutti erano svegli aspettando la mezzanotte per aprire i regali, lei era in camera sua a maledirsi e a tagliarsi, punendosi per quello che era successo ai suoi genitori e pensando che sarebbe stato molto meglio se i ladri avessero ucciso anche lei. Non era proprio il caso, quindi, passare il Natale con qualcuno che non fossero i Malfoy. Proprio no.
- Ne siete proprio sicura, madre? – chiese debolmente Draco, trovando che i suoi polmoni fossero proprio da buttare via.
- Sì, ragazzi. Non disfate neanche i bagagli, tra un’ora andiamo. – la donna guardò i due ragazzi intensamente, sfidandoli a contraddirla ancora.
Ashling stava per aprire bocca ancora una volta, ma Draco la precedette.
- Come vuoi, madre. – disse.
Narcissa annuì e un ghigno di vittoria le apparse sul volto. Dopodiché, girò i tacchi, e se ne andò, rigida e altera come sempre.
- Ma come?! Sei d’accordo con lei?! – chiese avvicinandosi pericolosamente al ragazzo.
Draco alzò un sopracciglio, per nulla spaventato.
- No. Semplicemente, so quando ho perso una battaglia ancora prima di combattere. Se mia madre si è messa in testa di passare le vacanze di Natale a Grimmauld Place con sua sorella, suo nipote, e tutti i Salvatori del Mondo Magico, beh, niente le farà cambiare idea. E tu lo sai benissimo. Solo, ami combattere guerre perse in partenza. –
Ashling sospirò, abbassando gli occhi.
- Ma è Natale, Draco. Natale. – il dolore che c’era nella sua voce fece scattare quello strano istinto di protezione che lo prendeva sempre nei confronti di quella ragazza speciale.
- Vieni qui. –disse, concedendole l’abbraccio che Ashling non gli avrebbe mai chiesto.
 
***
 
Andromeda Tonks aprì la porta di casa sua con in braccio il piccolo Ted. Era stata sorpresa dalla richiesta della sorella di passare il Natale con lei e ancora di più quando aveva accettato di andare a Grimmauld Place insieme a lei, dove ci sarebbero state tutte quelle persone che Narcissa e la sua famiglia avevano odiato tanto per tutti quegli anni. Narcissa l’abbracciò di slancio, con le lacrime agli occhi.
- Andy. – sussurrò con la voce rotta.
Dietro di lei, fermi e imbarazzati, c’erano Draco e una ragazza molto bella, probabilmente Ashling. Li fece entrare, il clima in quel periodo dell’anno era terribile in Inghilterra e se fossero rimasti fermi là fuori ancora un po’ si sarebbero gelati.
- Sono così felice di vederti. – disse Narcissa. – L’ultima volta non me la ricordo neanche. –
- Dev’essere stato quando Draco ha compiuto un anno. Era così piccolo allora. Guarda invece adesso com’è diventato grande. – aggiunse poi guardando il ragazzo incredibilmente biondo che tentava in tutti i modi di non incontrare il suo sguardo. Andromeda sospirò, mentre Ted iniziò a scalciare per farsi mettere giù.
- Ragazzi, le vostre camere sono le prime due sulla destra, appena salite le scale. Andate a mettere giù i  bagagli e a sistemarvi. – disse guardandoli.
I due annuirono e, con un colpo di bacchetta, alzarono i bauli e li portarono al piano di sopra, dove si chiusero nelle loro stanze. Andromeda fece sedere Narcissa sul divano.
- Si sente in colpa, vero? – chiese alla sorella.
La donna annuì.
- Sì, per tutti quelli che sono morti. Soprattutto per Tonks. Si distrugge pensando che non l’ha mai conosciuta. E anche per suo marito… Sei sicura che gli farà bene tutto questo? –
- Secondo me sì. Harry fa i suoi stessi pensieri, e sospetto che anche Hermione provi i suoi stessi sentimenti. Deve capire che non è l’unico che soffre a causa di questa guerra. E che non è l’unico che deve pagare un prezzo troppo alto per le sue scelte. E la ragazza, invece? È lei Ashling? –
Narcissa annuì.
- Perché ha quello sguardo triste? –
- I suoi genitori furono uccisi proprio la notte della vigilia di Natale. Da allora il Natale è un giorno difficile per lei. Anche lei è perseguitata dal passato. Voleva rimanere a Malfoy Manor da sola. –
- Faremo cambiare idea anche a lei, Cissy. Sistemeremo tutti questi giovani distrutti, vedrai. –
Narcissa guardò la sorella, sorridendo serena dopo tanto tempo. Andromeda era la copia più giovane e dolce di Bellatrix. Stessi tratti, stessi capelli ricci e castani, anche se quelli di Andromeda erano più morbidi e molto più chiari di quelli di sua sorella Bellatrix. Niente legava Andromeda a Bellatrix, oltre all’aspetto. Erano l’opposto l’una dell’altra. Narcissa aveva sempre preferito la compagnia di Andromeda a quella di Bellatrix, che dava segni di pazzia anche quando erano giovani. Ma per uno scherzo del destino si era dovuta separare proprio dalla sua sorella preferita.
- È vero quello che si dice sui poteri straordinari di Ashling? – chiese Andromeda, alla sorella assorta nei suoi pensieri.
- Dipende da quello che hai sentito su di lei. Sono false tutte le voci che girano sul fatto che lei sia una parente di Voldemort. È nata da due comunissimi Babbani, solo lei ha ereditato i poteri magici in quella famiglia. Generazioni e generazioni di Babbani e lei l’unica strega. Forse è per questo che ha quegli attacchi di magia. È un po’ come quella dei draghi. Ti ricordi? L’avevamo studiato a Hogwarts: per proteggere qualcuno che amano particolarmente, o in occasioni speciali o di estremo pericolo, i draghi sprigionano una quantità enorme di energia. A lei succede esattamente lo stesso. Non può controllarlo, succede e basta. E, con la giusta dose di magia e l’incantesimo giusto, qualcuno potrebbe anche riuscire a controllare il fiume impetuoso e instabile dei suoi poteri. Per questo Voldemort aveva paura di lei e desiderava possederla. Ed è per questo che io ho sempre tenuto lontana Ashling da Lucius e dal Signore Oscuro, per quanto ho potuto. Ma per il resto del tempo rimane una comunissima strega. –
- Comunissima? – chiese Andromeda, con un sopracciglio alzato.
- Si, beh, non è una comune strega. Sa fare magie che forse solo Hermione Granger è in grado di fare. Ha capacità veramente straordinarie, ma come qualsiasi altro mago. Lei è solo riuscita a sfruttarle meglio. Senza di lei penso che a quest’ora Draco sarebbe morto da un pezzo. Conosce una quantità enorme di incantesimi di protezione. Non hai idea di quanti ragazzi abbia salvato, quella sera. –
- Mi hanno detto che provò a salvare anche Ninfadora. –
- Sì, ma il suo incantesimo scudo è arrivato troppo tardi. –
Le due donne rimasero in silenzio per un po’, finché Draco ed Ashling non tornarono in salotto e Ted decise che avrebbe fatto diventare i suoi capelli dello stesso colore di quelli di Draco.
Fuori la neve cadeva lieve, incantando il paesaggio intorno alla casa di Andromeda Tonks.
 
***
 
23 dicembre 1999.
Hermione Granger scese le scale di Grimmauld Place canticchiando un allegro motivetto di Natale. Si sentiva stranamente euforica, non vedeva l’ora del giorno dopo. Aprire i regali a mezzanotte insieme ai suoi amici e ai suoi genitori era una cosa che amava da morire. Erano arrivati il pomeriggio prima insieme alla famiglia Weasley e da allora aveva passato le ore a riportare Grimmauld Place ad un posto vivibile. Avevano tirato via le teste degli Elfi Domestici della famiglia, più o meno tutti i quadri – la cara e vecchia Walburga rimaneva imperterrita attaccata al muro e chi le passava davanti cercava di fare meno rumore possibile – e avevano pulito da cima a fondo la casa, che adesso aveva un aspetto decisamente più accogliente.
Facendo l’ultima rampa di scale, Hermione si stupì del silenzio che aleggiava nella casa.
Strano, pensò la ragazza. È vero che io mi alzo presto, ma di solito sono già tutti svegli. A parte Ron.
Scese l’ultimo gradino con un piccolo balzo e aprì la porta della cucina.
Hermione Granger, forse per la prima volta in vita sua, era rimasta senza parole. Draco Malfoy aveva appena voltato i suoi occhi grigi verso di lei, lanciandole uno sguardo tra lo schifato e l’esasperato. Davanti a lei la cucina era divisa in due fazioni: da una parte, i Weasley, Fred compreso, ed Harry, che guardavano schifati Draco Malfoy e Narcissa Black, dall’altra parte della cucina. In mezzo c’erano Andromeda Tonks e Molly Weasley. Ginny e Ashling, che teneva in braccio Ted, il quale si divertiva a tirarle i capelli lunghi per cercare di eguagliare il suo colore acceso, stavano nell’angolo più lontano della cucina, facendo giocare il bimbo.
Harry teneva i pugni serrati e poteva sentire i denti di Ron scricchiolare rabbiosamente, dietro le labbra strette. I gemelli, uno in carne ed ossa e l’altro semi-trasparente, avevano un’espressione identica sul volto, un po’ schifata un po’ irata. D’altro canto, Malfoy era così teso che Hermione temette che si spezzasse da un momento all’altro.
- È la settimana di Natale, non osate rovinarmi il buon umore o vi schianto tutti e cinque. – disse Hermione guardando alternativamente Malfoy, Harry e gli Weasley.
- Deo gratia! Hermione, non hai idea di quanto ti sia grata per quello che hai detto! Abbiamo dovuto usare il “Silentium” contro di loro per farli stare zitti, ma se anche tu fossi stata dalla loro parte non avremmo più saputo cosa fare! – esclamò Ashling, abbracciandola di slancio con ancora Ted in braccio.
- Andy, Molly, dite che possiamo fargli tornare la voce o li lasciamo così fino a quando ritornano ad Hogwarts? – chiese Narcissa alle due donne che, guardandosi, ghignarono, valutando l’idea di far rimanere zitti tutti i ragazzi. Molly si mise le mani suoi fianchi e, guardando i suoi figli, Harry e Draco, assunse il suo solito cipiglio severo.
- Non tollererò altri litigi in questa casa finché ci sarò io. Ormai siete persone adulte, avete combattuto una guerra e non sopporterò più nessun insulto come quelli di questa mattina. Cercate di convivere in pace o saranno guai grossi. – i ragazzi deglutirono, tentati di mettersi sull’attenti e rispondere “Signorsì, signora!” alla cara e dolce Molly Weasley.
Hermione si avvicinò a Ginny ed Ashling, che stavano facendo giocare il piccolo Ted, che momentaneamente aveva i capelli di una sorta di rosso corallo, un incrocio tra i capelli rosso chiaro di Ginny e quelli rosso scuro di Ashling.
- Che cosa è successo? – chiese sedendosi e afferrando un pancake pieno di sciroppo d’acero.
- Il solito. Appena siamo entrati in cucina e Harry, Ron e i gemelli hanno visto mamma e Andromeda parlare tranquillamente con Narcissa hanno dato di matto. E quando anche Malfoy è apparso in cucina, svegliato dalle urla, si è scatenato il caos. Una lite così non la vedevo dal quinto anno, davvero. Non so perché si sono accaniti tanto contro di lui. – le rispose Ginny, cercando di staccare le manine paffute di Teddy dai suoi capelli.
- Sono degli idioti. Tutti e cinque. Non si può essere più stupidi di così! Insomma, pensavo che avessero superato la cosa. – affermò contrariata Hermione, che non tollerava che i suoi amici si accanissero su Draco. Poteva aspettarselo da Ron, forse anche dai gemelli, ma non proprio da Harry! Hermione pensava che il Bambino Sopravvissuto avesse capito che il giovane rampollo Malfoy non avesse tutta la colpa che gli altri gli addossavano. Che era un ragazzo nato dalla parte sbagliata, ma non sbagliato, che se aveva il Marchio un motivo c’era, e anche nobile, che non era solo un Malfoy, ma era soprattutto Draco, e Draco era dannatamente distrutto, maledettamente umano.
- Sono uomini, Herm. Loro non si fanno tutti i nostri problemi. La loro mente è semplice, lineare. Anche se ammetto che quella dei ragazzi in questione sia abbastanza anomala, considerando la mole di seghe mentali che si fanno tutti. In qualunque caso, sospetto che Harry e gli Weasley si siano sentiti minacciati dall’ingresso di Draco nel loro “branco”. Un po’ come quando un giovane lupo solitario si avvicina troppo ad un branco con molti maschi: all’inizio ringhiano contro il nuovo venuto per allontanarlo, ma se lasci trascorrere il tempo, vedrai che alla fine inizieranno a fidarsi di lui e ad accettarlo. Vedrete, lasciate passare un po’ di tempo e tutto si sistemerà e loro capiranno. Nel frattempo, affidiamoci a Molly. – disse con un sorriso spento Ashling, sparando scintille colorate per divertire Teddy.
Hermione guardò meglio la ragazza: sembrava stremata, come se qualcosa la logorasse da dentro. Sentiva che aveva bisogno di qualcuno con cui parlare, anche se probabilmente Malfoy sapeva che cosa le passava per la testa. Ashling, però, non sembrava la tipica ragazza che si confida con il migliore amico, soprattutto se il migliore amico in questione era Malfoy, un tipo tutt’altro che espansivo.
- Stai bene, Ashling? Hai bisogno di parlare con qualcuno? Io sono qui, se vuoi sfogarti. – disse Hermione, senza guardarla.
Con la coda dell’occhio vide la ragazza sobbalzare e passare Ted a Ginny, volgendo lo sguardo al paesaggio fuori dalla finestra e forse ancora più oltre. Gli occhi vacui e i capelli davanti al viso le donavano molti anni in più di quelli che realmente aveva. La sua storia e il suo passato, forse anche i suoi poteri, le pesavano sulle spalle da così tanto tempo che era dovuta crescere in fretta. Troppo.
- No, no. Sto bene. – un sorriso amaro comparve sulle labbra di Ashling e, anche se sapeva benissimo che la ragazza le aveva mentito, non disse altro. Hermione non voleva forzarla.
Finì di fare colazione e mise il piatto nel lavandino, avvicinandosi alla signora Weasley.
- Signora Weasley… -
- Molly, cara. – Hermione sorrise.
- Molly, quando facciamo l’albero di Natale? –
- Appena gli uomini si decidono a convivere pacificamente e ad andare a prenderlo. Le decorazioni sono tutte in soffitta, manca solo l’albero. –
La ragazza sbuffò, contrariata. Li avrebbe affatturati tutti, uno per uno. Si poteva essere così stupidi? Non credeva che fosse possibile. Il piccolo Ted le corse dietro, districandosi dai tanto amati capelli di Ginny, urlando qualcosa come “Paiine”. Hermione rise, rincorrendolo e cercando di afferrarlo. Grimmauld Place non le era mai sembrata così grande ed enorme come adesso che correva dietro a quel bambino scalmanato: ogni angolo, ogni spigolo, poteva rivelarsi un enorme pericolo per quella piccola peste che, quando era stanco di correre o cadeva, gattonava più veloce di un gatto. Era così presa dal piccolo che si stupì non poco quando questi venne alzato da due braccia pallide come la luna, ma cangianti come la neve. Alzò gli occhi stupita, ritrovandosi a guardare Draco Malfoy che, con un sorriso dolcissimo in volto, teneva tra le braccia l’ultimo brandello di famiglia che aveva. Ted si mostrò piuttosto offeso dalla presa di posizione del ragazzo e, con il broncio, tirò i capelli di Draco, diventando di un biondo terribilmente simile a quello del Serpeverde. Poteva essere suo figlio, da quanto si somigliavano. Giocava con le ciocche dei capelli di uno dei suoi ultimi parenti, Teddy Lupin, e scompigliare la chioma bionda di quel ragazzo così diverso dal solito sembrava dargli soddisfazione molto più che tirare i capelli di Ashling e Ginny.
Ma l’attenzione del biondo ragazzo era passata dal bambino che lo usava come un giocattolo alla ragazza che guardava estasiata quello spettacolo che, effettivamente, aveva dell’incredibile anche per Draco. È che si sentiva responsabile di quel bambino. Infondo, i suoi genitori erano morti per colpa sua. A ben pensarci, avrebbe dovuto allontanarlo da sé, tenerlo il più lontano possibile, per evitare che, prima o poi, finisse anche lui vittima delle sue scelte sbagliate. Fu distratto da un movimento improvviso della Granger. Un momento prima stava guardando affascinata lui e Teddy e l’attimo dopo allungava una mano verso di lui. Sapeva che la doveva fermare, che si doveva ritrarre, che doveva essere schifato dall’essere toccato da una sporca mezzosangue, ma in quel momento sembrava così giusto che non si sarebbe mosso neanche se gli avessero puntato contro una bacchetta. La Granger, intanto, inconsapevole di quello che stava causando in lui quel gesto all’apparenza innocuo, continuò la corsa verso una ciocca di capelli fastidiosa che continuava a cadere sugl’occhi del ragazzo. Le sue dita, sfiorandolo appena, la spostarono in modo che non desse fastidio, soffermandosi forse un momento di troppo sulla sua fronte scoperta, accarezzando lieve la pelle nuda.
Sul vano della cucina due donne apparentemente diverse, una Babbana e una Purosangue, guardavano la scena dolcemente, sospirando pensando a quello che i ragazzi dovevano, confusamente, provare. La Babbana guardava  il figlio della Purosangue amabilmente, scorgendo con i suoi occhi così simili a quelli della figlia molto più di quel che il ragazzo dava a vedere; allo stesso modo, la Purosangue guardava quella ragazza Mezzosangue pensando che nessun altro avrebbe mai potuto osservare, capire, a quel modo suo figlio. Perché sapeva che Hermione Granger, strega più brillante del suo anno, ma disprezzata da quelli come lei, avrebbe capito Draco in un modo che neanche Ashling poteva eguagliare.
- Sono belli insieme. – disse Jean Granger, guardando Narcissa Malfoy aprirsi nel suo stesso dolce sorriso, le braccia incrociate, lo sguardo perso in quei due ragazzi. I quali, passato l’attimo di stupore che avevano avuto, avevano ripreso a battibeccare, Hermione affermando che Malfoy, nolente o volente, sarebbe andato a prendere l’abete di Natale insieme a lei e ai suoi amici, Draco urlando che sicuramente non si sarebbe sporcato le mani andando a prendere uno stupidissimo albero di Natale con altrettante stupidissime persone.
I due giovani andarono in salotto, per decidere con gli altri, continuando a litigare.
Draco teneva ancora in braccio Teddy. Teddy stringeva con una manina paffuta la mano delicata di Hermione, legando due ragazzi in una catena di corpi forse indissolubile.












Angolo dell'Autrice:
Altro sabato, altro capitolo!
Buon pomeriggio a tutte, care. Finalmente è arrivato il Natale anche a Hogwarts! 
Mi è piaciuto scrivere questo capitolo, perché finalmente si capisce un po' di più sulla storia di Ashling e su quello che le è successo. Spero che vi piaccia.
E poi, la sorpresa: Draco a Grimmauld Place :')
Il mio sadismo è salito alle stelle, con questi capitoli sul Natale.
Ringrazio Fyre97, che mi segue sempre e recensisce sempre, e la mia Gio, a cui dedico tutta questa storia <3
Vi aspetto sabato prossimo,
un bacio, 
Lilian :)

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII. ***


Capitolo VIII.
 
Alla fine quella piccola battaglia la spuntò Hermione. Draco accettò di andare con lei, Harry e gli Weasley a prendere l’abete di Natale, non senza brontolare per tutto il tragitto e disdegnare l’abete che alla fine avevano scelto, avanzando storie assurde sulla piccolezza dell’albero. Peccato che Malfoy non avesse capito che se lo dovevano portare a casa da soli e senza magia, perché erano in mezzo ai Babbani. Quando il giovane Malfoy apprese della cosa non ne fu per niente contento anche se, ricordandosi delle parole minacciose della signora Weasley, non si arrischiò a tirar fuori ancora la bacchetta come quella mattina. Fu ancora più irritato quando scoprì che quelle tre arpie della Granger, della Weasley e di Ashling, che avevano fatto comunella a suo discapito, non li avrebbero aiutati a portare quel maledettissimo abete perché, come avevano esclamato in coro: “Noi siamo ragazze!”. Sembrava, però, che anche agli altri ragazzi questa cosa non andasse a genio. La cosa degenerò quando, arrivati davanti a Grimmauld Place, l’abete scivolò accidentalmente dalle mani dei ragazzi e travolse le ragazze che, troppo impegnate a chiacchierare, non si erano accorte dello scherzo che i cinque avevano ideato per loro. Ci fu un attimo di stordimento generale, dettato dal prorompere della risata cristallina di Draco, seguita poi dalle risate di tutti gli altri. Non c’era cattiveria, né malizia, in quelle risa. Draco Malfoy stava tranquillamente ridendo con i ragazzi che aveva sempre odiato. Inaspettatamente una palla di neve lo colpì. Guardò alternativamente tutti gli altri, che si erano zittiti aspettando la sua reazione. Hermione, però, non trattenendosi scoppiò di nuovo a ridere, tirando un’altra palla di neve a Harry. Il biondo Serpeverde e il moro Grifondoro non ebbero neanche bisogno di guardarsi, che un ghigno divertito quasi identico gli si formò sulle labbra, e iniziarono a lanciare palle di neve alle ragazze, seguiti dagli altri Weasley. Inutile dire che gli uomini erano nettamente in vantaggio sulle donne, ma queste, dalla loro, avevano una grande fantasia e un’intelligenza enorme, senza parlare dell’orgoglio femminile che in quel momento diceva loro soltanto di continuare a sommergere i ragazzi di neve. Hermione, tentando un’imboscata ad Harry, mentre Ashling la tentava ai gemelli e Ginny a Draco e Ron, fu atterrata da Draco che le saltò addosso prendendola alle spalle e la buttò a terra. Allo stesso modo, i ragazzi si buttarono sulle ragazze, sopraffacendole con la semplice forza bruta.
Rideva, Hermione, intrappolata tra la neve e Draco Malfoy in una posizione tutt’altro che piacevole. Ma non poteva fare a meno di ridere. Ridere liberamente, come non faceva da troppi mesi. Ridere serena, come prima della guerra, come tanti anni prima. Ridere tra le braccia di quello che era sempre stato un suo nemico, ma che adesso la guerra aveva trasformato in una persona diversa, quasi amica. E ridere con lui la faceva ridere ancora di più, perché la risata di Draco, che Hermione non aveva mai sentito, era davvero meravigliosa. Si appuntò mentalmente di farlo ridere più spesso, perché veniva fuori quella parte umana che lui nascondeva così strenuamente. Ancora scossa dai singhiozzi tentò di alzarsi, ma facendolo lanciò ancora altra neve a Malfoy, che la sommerse ancora una volta di quella magica essenza candida.
- Ragazzi! – esclamò la signora Weasley con una nota di panico nella voce, - Vi congelerete se rimarrete là fuori ancora un po’. Tornate dentro, forza. Dov’è l’abete? Oh, andiamo, muovetevi! –
Ridendo convulsamente e alzandosi a fatica, i ragazzi ripresero l’abete sulle spalle ed entrarono in casa, facendo il più in fretta possibile per appropriarsi del bagno per fare una bella doccia calda. Inutile dire che le tre docce disponibili furono occupate in fretta e furia da Ashling, Ginny ed Hermione, che ancora ridevano come bambine. Ed inutile dire che i ragazzi si adoperarono in tutti i modi per rendere la loro doccia, se non veloce, almeno divertente per loro.
La signora Weasley guardava il tutto esterrefatta, più per il repentino cambiamento che i suoi figli ed Harry avevano avuto nei confronti di Draco che per quello che effettivamente stava succedendo. Solo la mattina erano in cucina a tentare di farsi male a vicenda e, dopo un paio d’ore, erano tutti uniti per trovare un modo di far uscire le ragazze dal bagno. E si stupiva anche di Draco stesso, così sereno, così tranquillo. Da quando era arrivato non aveva mai avuto un’aria così rilassata e serena. Non erano di certo diventati migliori amici tutto di un colpo. Le battute taglienti volavano sempre e Ron provava una profonda antipatia per il Serpeverde, ma vedere che ridevano per le sue battute o accettavano i consigli che il ragazzo dava loro per fare uno scherzo alle ragazze, le riempiva il cuore di gioia. Sapeva che Draco non era un ragazzo espansivo né tanto meno socievole, Narcissa glielo aveva detto. Era sempre stato chiuso, non soltanto con loro che, fino a questo momento, aveva sempre odiato, ma anche con quelli che riteneva suoi amici. Non si era mai aperto con nessuno e quello che Narcissa sapeva di suo figlio lo veniva a sapere da Ashling, che lo scopriva chissà come. Narcissa le aveva anche raccontato perché Ashling non mangiava e perché sembrava così triste, in quel periodo dell’anno. Perché aveva fatto una smorfia quando parlavano di decorare l’albero e perché era sbiancata sapendo che avrebbero messo i regali sotto di esso, in attesa della notte della vigilia. Sapeva che quei due ragazzi, Draco ed Ashling, non erano soliti fare dimostrazioni di affetto in pubblico, né giocare liberamente come tutti i giovani della loro età. Per questo era così contenta di vederli quasi felici, l’uno che chiudeva l’acqua calda che arrivava alle docce e l’altra che urlava a squarcia gola minacciando tutti e imprecando come uno scaricatore di porto. Rise anche lei, preda dell’euforia generale, tornando in cucina e mettendo in riga i cinque ragazzi che progettavano qualche incantesimo contro sua figlia, appena uscita dalla doccia.
Canticchiando, Molly Weasley si mise a cucinare, più abbondantemente e con più amore del solito, perché doveva sfamare anche quei due ragazzi che continuavano a non voler mangiare.
 
***
 
Hermione, sotto la doccia, pensava a quello che era appena successo. E, improvvisamente, le venne in mente quello che aveva letto nel diario di Lily, qualche settimana prima.
 
Caro diario,
Nevica. È la fine di dicembre e nevica. È arrivato il Natale e non me ne sono neanche accorta. Mi piace stare appoggiata alla finestra della mia stanza e osservare la campagna colorarsi di bianco. In lontananza vedo il campo di Quidditch. Nessuno vola sulle scope, da qui si vede bene che è vuoto, eppure Severus non è a vedere gli allenamenti con i Serpeverde, come mi aveva detto questa mattina, salutandomi. A lui non è mai importato di sport, tanto meno di Quidditch.
So dov’è. Come potrei non saperlo? Lo so che è in qualche affranto buio a tramare e studiare incantesimi proibiti insieme ai suoi amici Mangiamorte. Lo so che lo sto perdendo, ma cosa posso fare? Più che donargli me stessa, che cos’altro posso fare? Ieri sera abbiamo fatto l’amore. Dopo tanto tempo, finalmente. Mi sento sempre completa quando sono con lui, perché non lo capisce? Perché non gli basto? Mi ha detto che mi ama, me lo dice tutte le volte, eppure ritorna sempre da quei suoi amici Serpeverde. Mi fa male, questo. Così tanto che a volte penso di andare a prenderlo e lasciarlo. Dirgli chiaro e tondo che mi fa troppo male rimanere con lui, che l’attesa è troppa, che mi mette sempre in secondo piano. Che lo amo, ma ci stiamo allontanando e arrivo addirittura ad aprirmi con Potter, odiato fin dalla prima occhiata, da quanto sono sola. Così sola che quando il professor Lumacorno ci ha spiegato l’Amortentia, settimana scorsa, mi sono sentita morire. E ancora di più quando ha detto che oggi dovremo prepararla.
Ma tu che cosa hai sentito quando ti sei avvicinato a quel pentolone colmo di pozione, l’altra volta? Io ho sentito te. Ho sentito l’odore dei tuoi libri di pozione, di muschio e di neve. E tu? Hai sentito il mio profumo? Non posso credere che tu abbia sentito l’odore di un’altra, l’ho visto come ti sei irrigidito quando il professore ti ha chiesto di avvicinarti di più al pentolone. Lo so che tu cercavi di starci a distanza, come stavo cercando di farlo io. Poi, improvvisamente, ho sentito gli occhi di Potter sulla mia schiena, mi sono girata verso di lui e ho sentito anche un altro odore: quello dei ciocchi di legno che bruciano nel camino della sala comune ogni sera, emanando il loro profumo di legna, bosco e caldo. Sapevo a chi si riferiva quell’odore. Era lo stesso che avevo sentito quella sera di tante settimane prima, parlando con James davanti alla finestra di quel corridoio abbandonato al sesto piano. E l’ho visto il tuo sguardo, Sev, l’ho visto. L’ho visto il dolore e le lacrime che cercavi di trattenere, capendo quello che stavo capendo io: ci stiamo perdendo e non sappiamo come evitare di uscire indenni da questa situazione. Ma non si può uscire integri da storie del genere. Non sono neanche sicura che ci stiamo uscendo. Esco dalla classe appena la campanella suona, non potrei resistere un momento di più. Tu cerchi di fermarmi, mi dici che mi vuoi parlare, che hai bisogno di me. Adesso siamo fermi in mezzo al corridoio, e le lacrime ti escono dagli occhi, traditrici, come quando ti sei scusato per quella frase cattiva che mi urlasti al quinto anno. Nessun suono si sente nell’aria, solo i nostri cuori impazziti e il dolore, quello lo posso sentire perfettamente, perché so che è uguale a quello che sento io dentro al petto e, credimi, preferirei mille volte ricevere una maledizione senza perdono che continuare a sentire il mio cuore dilaniato dall’amore – sbagliato? – che provo per te. Tu ti avvicini, mi sfiori una guancia, catturi una mia lacrima tra le tue dita sottili, macchiate d’inchiostro. Sposti i miei capelli dietro l’orecchio, ti sono sempre piaciuti i miei capelli rossi e mi hai aiutata ad accettarli quando, da piccola, tutti mi prendevano in giro per quell’assurdo colore.
Mi hai superato in altezza, ormai mi stacchi di almeno dieci centimetri, mi sovrasti completamente. Mi sfiori le labbra con una bacio, casto, dolce e malinconico. Sembra un addio, un addio di quelli terribili, di quelli che dai quando sai che non tornerai mai dal posto in cui stai andando. Non tornerai, Severus? Mi abbandonerai, proprio ora che ne ho più bisogno? Lo sai cosa penso di questa guerra imminente. Se ci sarà da combattere io combatterò. Dalla parte dei buoni, dalla parte giusta. E tu? Come posso pensare di combattere una guerra quando so che la persona che amo è nell’altro schieramento? E se ci dovessimo scontrare? Come potremmo lanciarci contro qualche incantesimo mortale dopo tutto quello che è successo? Dopo tutto quello che siamo stati? E che siamo e che saremo ancora, se tu resterai con me.
Con questi pensieri, mi trascino a Pozioni. L’amore per questa materia m’impedisce di trovare una scusa per rimanermene in infermeria e saltare la lezione.
“Forza, Lily”, penso. “Ce la puoi fare”.
Non ne sono tanto sicura. Non sono sicura di riuscire a preparare quella pozione con te in classe. Ma devo andare, Lumacorno si offenderebbe se non andassi alla sua lezione e io non posso perdermi una pozione così importante come l’Amortentia per i miei problemi da adolescente innamorata. Arrivare nei sotterranei si rivela più lungo del previsto, sono in ritardo e questo non è mai successo. Appena entro mi accorgo che l’unico posto libero è quello accanto a Severus. Sono tentata di far finta di star male – tanto male ci sto comunque – e di andare via. Ma non posso, devo avvicinarmi a lui, devo fare questa pozione con lui. Non posso evitarlo e devo dimostrarmi di essere forte. Appoggio la cartella di fianco alla sedia e ascolto il professore  elencare gli elementi e i procedimenti per preparare al meglio la pozione. Tra me e Severus non so chi sia il più bravo in pozioni. Io sono la preferita di Lumacorno, non c’è dubbio, ma lui ha una propensione tutta particolare nel creare nuove pozioni. Ha fantasia, non ha paura di rischiare. Ci mettiamo al lavoro, stando ben attenti a non sfiorarci. Per fortuna la pozione è così complicata che ci assorbe completamente, ma io lo noto lo stesso che siamo così perfettamente coordinati che non abbiamo neanche bisogno di parlare per passarci gli ingredienti o per aggiungerne di altri. Se questo non è amore, Severus, che cos’è? Vorrei tanto saperlo. Finiamo prima degli altri, il risultato è perfetto. E lo sento ancora. Il tuo odore, ma più debole. Il tuo odore di muschio viene sopraffatto da quello di legna di James. E capisco che ci stiamo imbarcando in una cosa che non ha futuro. Sono stremata. Voglio solo tornare nella mia stanza e non uscire mai più. Consegno la pozione, poi chiedo al professore se posso tornare nella mia camera di Prefetto, perché non mi sento bene e mi reggo a stento in piedi. Lui annuisce, preoccupato, e mi assicura che parlerà lui con la professoressa McGranitt. Finalmente esco da quella classe che mi crea solo problemi e mi fiondo alla torre. Entro in camera e chiudo la porta, ringraziando il cielo di essere un Prefetto e di poter avere una camera singola. Mi sdraio sul letto e rimango ferma a guardare il soffitto, senza pensare a niente. Solo a quello che sento, solo quello conta. Peccato che io non riesca a decifrare quello che il mio cuore vuole dirmi. E la mia mente non mi aiuta affatto. Passano minuti, ore, non ricordo. Non m’importa. Forse mi addormento, chissà. Ad un certo punto sento dei rumori. Ci metto un po’ per capire che qualcuno sta bussando alla porta. Mi alzo, sentendo un groppo in gola. Apro e mi ritrovo davanti James, con dei quaderni in mano.
“ Ti ho portato gli appunti, Evans.” – mi dice indicando i quaderni.
Lo guardo e mi sento morire. Qualcosa si rompe dentro di me, sale fino agli occhi ed esce sotto forma di lacrime. Lacrime traditrici, che avrebbero dovuto scendere prima quando ero da sola, o in presenza di qualcun altro. Non di certo davanti a Potter. Ma non posso fermarle, non posso proprio bloccarle, ne morirei. James non dice nulla, entra e fa scattare la serratura con un colpo di bacchetta. Appoggia i libri sul comodino, in bilico in un angolo, e mi abbraccia. Senza parlare, senza fare domande. Mi abbraccia cercando di donarmi tutto il suo calore. Io mi faccio cullare, e piango. Mi solleva come se non pesassi nulla e mi sdraia sul letto.
“Evans… Lily… sono Potter. Tu mi odi.” – mi dice, fermo sul bordo del letto, io che piango ancora e che gli stringo la mano.
“Non… non abbandonarmi.” – gli sussurro.
Lui mi guarda, mi asciuga una lacrima e si sdraia di fianco a me, stringendomi forte. Quasi mi soffoca, ma va bene così, sto bene così. Rimaniamo abbracciati per ore, e alla fine mi addormento.
Per la prima volta tranquilla. Per la prima volta al caldo. Per la prima volta amata.
 
Lily.
 
Ricordava che le pagine erano tutte rovinate, aloni gialli macchiavano la carta in più punti, come se Lily avesse pianto mentre scriveva quello che era successo. E come darle torto, doveva essere stato terribile ritrovarsi in una situazione del genere. Chissà come mai le era venuta in mente proprio quella pagina. Forse perché si rivedeva in James, quando stava con Draco. Preoccupata, sempre attenta a quello da dire e da fare in sua presenza, ma pronta ad aiutarlo in qualsiasi momento, per qualsiasi cosa. Chissà perché. Hermione non capiva quel senso di protezione che provava nei confronti di quel ragazzo chiuso. Il suo spirito da crocerossina si risvegliava sempre quando lo vedeva allontanarsi di corsa dalla Sala Grande, cercando di evitare ragazzi che l’avrebbero picchiato comunque. Aveva saputo dalla McGranitt che una sera una sortita era riuscita ad entrare nei dormitori Serpeverde, aiutati da alcuni ragazzi del quinto anno, per sorprenderlo nella sua stanza. E così avevano fatto, lui cercava di dormire e loro lo avevano picchiato nel suo letto. Per neanche due minuti, ma era bastato per creare un casino. Ashling era così arrabbiata che l’avevano sentita urlare perfino dalla Torre di Grifondoro. All’arrivo degli insegnanti, Blaise stava pestando a sangue il capo della spedizione ed Ashling aveva imprigionato tutti gli altri al soffitto, con una particolarissima magia che toglieva l’ossigeno intorno ad una persona e che aveva imparato anche Hermione nella sezione proibita della Biblioteca. Insomma, la mattina dopo, dopo aver passato la notte in infermeria, tutti i ragazzi che avevano sorpreso Malfoy, adesso in infermeria con un attacco di panico che si poteva paragonare solo a quelli che Harry aveva al terzo anno con i Dissennatori, nella sua stanza erano finiti nell’ufficio della McGranitt, e poi, usciti i ragazzi dopo una paternale degna della McGranitt e con una punizione probabilmente a vita con Gazza e il professor Piton, erano entrati Ashling e Blaise, che avevano tolto così tanti punti alle case, anche alla propria, che adesso tutte le case avevano la bellezza di dieci punti a testa. La McGranitt, glielo aveva confessato, non avrebbe dato nessuna punizione ai due Prefetti di Serpeverde, in fondo avevano ragione. La loro sarebbe stata dichiarata “legittima difesa” da un avvocato Babbano. Forse un po’ troppo violenta, ecco, ma avevano agito pur sempre per difendere Malfoy, che non aveva fatto proprio niente per meritarsi quello che era successo. Dopo una paternale lunghissima da parte della professoressa, i due ragazzi sembravano pronti a ritornarsene in dormitorio, ma quella non aveva ancora finito: voleva che si scusassero con la famiglia di un certo Wayne Hopkins, il ragazzo che per colpa di Blaise era finito in Infermeria. Era scoppiato il caos. Blaise aveva iniziato ad urlare, gridando che quello spregevole ragazzo non si meritava neanche le botte che gli aveva dato e che non gli importava un accidente delle sue nobili origini, che nel mondo Babbano era un conte, e ad altre stronzate del genere. Minerva non poteva che dare ragione al signor Zabini, ma sia lui che la signorina Lloyd, Ashling, avevano sbagliato a reagire così. Anche se il ragazzo si era ripreso quasi del tutto, grazie a Madama Chips.
- Sono già qui? – aveva chiesto Blaise, fermandosi di scatto ad osservare la sua professoressa.
La donna annuì e lui imprecò a fior di labbra.
- Professoressa. – sussurrò Ashling.
- Signorina Lloyd, lo so che è chiedervi troppo, ma vi prego di mantenere un atteggiamento adeguato alla situazione. –
La ragazza distolse lo sguardo e Blaise si sedette di schianto sulla poltrona. In quel momento, accompagnati dalla professoressa Sprite, rappresentante della casa di Tassorosso, entrarono due Babbani che somigliavano in modo incredibile a qualunque coppia di coniugi Purosangue che si erano presentati alla sua cattedra nei tanti anni di insegnamento. Minerva McGranitt tentò di reprimere la stizza di fronte ai due che arricciavano il naso in quel posto così pacchiano, e gli porse la mano.
- Buongiorno, signori Hopkins. –
- Non penso proprio che sia un buongiorno, professoressa. Voglio delle spiegazioni per quello che è successo al mio povero angioletto. – Ashling dovette trattenere Blaise dal tirare un pugno anche alla madre del tenero angioletto che solo poche ore prima aveva cercato di torturare il suo – migliore? - amico.
La professoressa McGranitt li fece accomodare, facendo apparire due poltrone anche per loro, con uno svogliato movimento della bacchetta.
- Vostro figlio, - cominciò, - è stato malmenato dal qui presente signor Zabini… - non fece in tempo a finire che il padre prese la parola.
- Spero che verrà espulso per quello che ha fatto. – disse con aria superiore, squadrando i due e riconoscendo Ashling. – Signorina Lloyd! Ma lei è la figlia dei coniugi Lloyd? I due famosi astronauti? Quelli che hanno ucciso sei anni fa? Spero che lei non c’entri con tutta questa storia! – disse porgendole la mano.
La ragazza alzò gli occhi scuri su di lui, squadrando schifata la mano che l’uomo le porgeva, in un’ottima imitazione dei modi dei Malfoy. Quello, imbarazzato, abbassò il braccio, ritornando seduto.
- Come stavo dicendo, - riprese la professoressa, con una punta di stizza nella voce, - vostro figlio è stato malmenato dal signor Zabini dopo che lui stesso ha infranto le regole della scuola ed è entrato nel dormitorio di un’altra casa con l’esplicita intenzione di picchiare un altro ragazzo. Non solo questo fatto lo mette nella posizione di ricevere una punizione per i restanti anni in cui dovrebbe frequentare la scuola, ma è anche uscito dal suo dormitorio dopo il coprifuoco, ha messo in giro voci che non sono per niente vere sul ragazzo che ha picchiato e ha tirato altri suoi compagni, per la maggior parte più piccoli, in questa vera e propria retata. Senza contare che questa non è la prima volta che organizza cose del genere. È già finito nel mio ufficio parecchie volte, in questi mesi. –
Silenzio. Le parole della McGranitt avevano fatto centro, forse il figlio non aveva detto ai genitori tutto quello che era successo.
- C-come? – balbettò la madre.
- È così, signora Hopkins. Ci sarebbe tutto il motivo di espellere vostro figlio, non il signor Zabini, che comunque riceverà una punizione adeguata alle sue azioni. –
- Chi era, questo ragazzo di cui parla? – chiese il signor Hopkins.
- Draco Malfoy. – rispose al suo posto Ashling, guardando dritta negli occhi l’uomo, che sospirò, sollevato.
- Quel Mangiamorte, dici, cara Ashling? Ma allora non c’è problema. Insomma, ha fatto bene, no? Non capisco proprio come possa accettare che frequenti ancora questa scuola, professoressa, ma comprendo che deve averla minacciata o comprata con i soldi che gli rimangono. – disse.
Se solo quei due Babbani avessero conosciuto la professoressa McGranitt, avrebbero saputo che quello era tempo di levare baracca e burattini e darsela a gambe. Peccato che rimanessero lì a gongolare come se avessero appena vinto al “Supergaleone”. Blaise ghignò guardando la professoressa irrigidirsi e raddrizzare la schiena, il volto impassibile e gli occhi che lanciavano lampi.
- Signori Hopkins. – disse, gelida. – Vi prego di lasciare la scuola insieme a vostro figlio, espulso in maniera improrogabile dalla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Vi prego di lasciare i vostri pregiudizi stupidi fuori da questa scuola, che è votata alla comprensione reciproca. Non abbiamo bisogno di persone come voi, qui. E so già cosa vuole dirmi. – aggiunse, alzando la mano per bloccare il signor Hopkins, che stava per parlare. – so benissimo cosa vuole dirmi, signor Hopkins, e mi lasci dire che non m’importa se la sua famiglia è ricchissima e potentissima, che ha agganci di persone illustri sia nel mondo Magico che in quello Babbano. Non m’importa. Piuttosto, m’importa molto di più del ragazzo che adesso è in infermeria a causa di vostro figlio, che è stato svegliato nel cuore della notte per essere picchiato per cose che non ha commesso e che è molto migliore di gente come voi. Quindi, vi prego di lasciare questa scuola per la salvaguardia di tutti i miei studenti. Mi hanno informata che il signor Hopkins può già camminare, disporrò che sia subito preparata una passaporta per voi e vostro figlio. – e con un gesto, li congedò.
I due si alzarono, impettiti, e il padre minacciò la professoressa che “non sarebbe finita qui”, molto stile gangster. La donna annuì, senza dargli credito, e congedò anche Blaise ed Ashling, che si fiondarono in Infermeria. Senza alcuna punizione.
Hermione fremette ricordando la rabbia che ancora pervadeva la professoressa quando le aveva raccontato per filo e per segno dell’episodio, qualche giorno dopo. Se lo avesse saputo prima, avrebbe provveduto lei stessa a portare il ragazzo dalla Preside. E neanche troppo delicatamente. Delle grida la svegliarono dai suoi pensieri e si accorse che qualcuno bussava alla porta.
- HERMIONE! – esclamò adirato il Bambino Sopravvissuto, rivolgendosi puoi ad un’altra persona. – No, Malfoy, non rompere i coglioni, ci vado io in doccia, adesso. –
- Assolutamente no, Potter! Se la Mezzosangue si MUOVESSE, - ad Hermione scappò una risata, mentre usciva dalla doccia, - ci andrei io a fare la doccia! Io ho la precedenza! –
- La precedenza?! E in base a cosa, di grazia? –
- Sono più bello! –
Hermione sentì chiaramente le parolacce che Harry stava dicendo a Malfoy e decise che avrebbe risparmiato altri minuti di agonia ai due ragazzi. Così si asciugò i capelli con un colpo di bacchetta e si mise l’accappatoio, uscendo dal bagno. Non fece in tempo ad aprire la porta, che Harry ci si fiondò dentro e la lanciò fuori veramente poco garbatamente, chiudendosi dentro con un colpo di bacchetta e lasciando Malfoy a bussare alla porta e ad insultare il Bambino-Sopravvissuto-ancora-per-poco.
- Io ho freddo! – esclamò alla fine di tutti gli insulti indirizzati ad Harry, e mise il broncio, incrociando le braccia al petto.
Hermione non poté evitare di scoppiare a ridere, trovando la sua espressione incredibilmente simile a quella di Teddy quando Andromeda gli toglieva un giocattolo dalle mani.
- Che c’è? – esclamò il ragazzo stupito.
- Niente, niente. – biascicò Hermione dirigendosi nella sua stanza.
Draco Malfoy la guardò come si guarda un gorgosprizzo e poi alzò le spalle. Non avrebbe mai capito quella ragazza. Più confuso di quanto avesse voluto, ricominciò a tirare pugni alla porta del bagno, insultando Potter e tutti quelli che gli venivano in mente, lui compreso.





Angolo dell'Autrice:
Altro sabato, altro capitolo!
Buon pomeriggio e buon natale a tutti :33 (?)
Ho pochissimo tempo, come sempre, e spero che apprezziate questo capitolo di cui non sono molto convinta.
Una bacio a tutte,
Lilian <3

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Capitolo 9
*** Capitolo IX. ***


Capitolo IX.
 


24 dicembre, 9:30 di mattina.
Ashling guardava i suoi pancakes con sguardo vuoto, provando un forte senso di abbandono e di solitudine. Gli altri le lanciavano mezzi sguardi preoccupati, non osando però parlare. Densa era l’aria che si respirava quella mattina alla Tana.
- Cara, mangia. – disse Molly, non riuscendo a trattenersi.
Ashling la guardò, vuota, e prese forchetta e coltello, tagliando un pezzo di pancake e ficcandoselo in bocca. Appena lo ebbe mandato giù però, la nausea salì prepotente per la sua gola, e fu costretta a correre in bagno, sicuramente a vomitare tutto quel poco che la signora Weasley le aveva fatto mangiare in quei giorni.
Draco balzò in piedi e la seguì, preoccupato.
Molly sospirò, tristemente, mentre suo marito le poggiava un braccio sulle spalle, confortandola.
- È per quello che è successo ai suoi genitori? – chiese Harry, sistemandosi gli occhiali.
Narcissa annuì.
- Scusatela. Non lo fa apposta. È che questa è la giornata più difficile dell’anno, per lei, più di tutte quelle che ha passato fino adesso. Per questo voleva restare a casa. Non sopporta di farsi vedere così debole. – gli rispose Narcissa, passandosi una mano sugli occhi, stanca.
Vivendo accanto a quelle persone, Harry Potter, aveva finalmente capito che non era l’unico ad aver avuto una vita difficile e che, tutto sommato, lui era stato fortunato rispetto ad Ashling. E anche rispetto a Malfoy. È vero, lui non aveva avuto i suoi genitori come sostegno, ma aveva trovato dei veri amici ed una famiglia pronta ad accoglierlo come proprio figlio. Aveva trovato l’amore e, anche se con un po’ di fatica, se l’era tenuto stretto. Quei due ragazzi, invece, non avevano avuto tutto questo. Certo, Malfoy aveva avuto i suoi genitori a viziarlo e coccolarlo, per quanto freddamente, ma la sua famiglia era stata distrutta da Voldemort e le sue idee. Ed Ashling si era ritrovata i genitori morti come regalo di Natale, sei anni fa, e questo l’aveva segnata in modo indelebile. Se Harry provava dolore per non essere riuscito ad essere figlio dei suoi genitori, aveva dalla sua parte il fatto che non li ricordava. Fatto che, per quanto doloroso, non era niente in confronto a quello che dovevi provare quando i tuoi genitori ti venivano portati via e tu avevi una valanga di ricordi e sensazioni in loro compagnia. Si sentiva vicino ad Ashling, in quella casa era l’unico che poteva capirla, almeno in parte.
Malfoy tornò dopo mezz’ora, con la faccia scura e senza Ashling, che doveva essersi chiusa in camera. Harry pensò che non aveva mai visto quel ragazzo preoccuparsi per qualcuno. Non si preoccupava di se stesso, figurarsi per un altro essere umano. Eppure sembrava che Ashling risvegliasse in lui il vero Draco, forse rimasto sopito per troppo tempo. Il ragazzo guardò Hermione e i loro sguardi si sfiorarono per un istante, giusto un battito di ciglia, ma ad Harry fu abbastanza per scorgere che Draco si era calmato, dopo quell’occhiata. Sapeva che potere immenso avevano gli occhi di Hermione. Non era una grande bellezza, è vero, e non aveva neanche degli occhi fuori dal comune, almeno non nel colore, di un banalissimo marrone. Eppure, quando Hermione ti guardava, tu rimanevi soggiogato dalla forza del suo sguardo. Da tutti i discorsi che ti facevano, da come ti irretivano nelle loro spire tentatrici di meravigliosa dolcezza, una dolcezza che rivolgeva a tutti, ma soprattutto a lui che da sempre era stato il suo migliore amico. Dolcezza che variava da persona a persona. Che diventava serenità quando guardava Ron e determinazione quando guardava Ginny. Che si velava di tristezza guardando Fred e George e Narcissa, che si trasformava in gratitudine guardando Molly, Arthur, Andromeda e i suoi genitori, ed Harry, era sempre gratitudine quando guardava Harry. Ed era curiosità guardando Ashling e amore guardando Teddy. E diventava qualcosa di completamente diverso, un incrocio di tutte queste cose e ancora di più, quando guardava Malfoy. E questo Harry sembrava capirlo sempre. Perché lo sguardo che leggeva nell’amica era lo stesso che lui vedeva in Ginny tutte le volte che facevano l’amore e tutte le volte che stavano semplicemente insieme, quando lui le accarezzava i lunghi capelli rossi e lei gli appoggiava la testa sul petto. Capiva molte cose, Harry, e adesso capiva che tutti i suoi problemi sull’aver ucciso tutti quelli che erano morti quella notte decisiva ad Hogwarts se li faceva anche Draco e che erano assolutamente stupidi ed insensati. Perché Ninfadora e Remus e Fred e i suoi genitori e Sirius e Colin avevano combattuto per se stessi e per la loro famiglia. Certo, lo avevano aiutato, avevano combattuto per dargli una possibilità, ma non solo. Non era solo quello il motivo della loro morte, loro erano morti combattendo per un mondo migliore e lui non era stato che un piccolo pensiero alla fine della mente, un “Ah, sì, devo anche aiutare Harry!”, ma nulla più. Questo stava capendo, vivendo accanto a Malfoy ed Ashling. Malfoy aveva ancora più problemi di lui, non c’era che dire. Lo leggeva in tutte le battute e le frasi taglienti, nei mezzi sguardi e nei mezzi sorrisi, nell’accanirsi e nell’allontanarsi da coloro che aveva sempre odiato. Per questo provava a convivere civilmente con lui. Certo, Harry Potter sapeva che non sarebbero mai diventati migliori amici, ma sperava che un po’ di rispetto nascesse in tutti e due.
Uscì dalla cucina, accorgendosi che ormai era rimasto solo ed entrò nel salone, notando solo rosso.
Il rosso dei capelli di Ginny, quei capelli che tanto amava baciare e tirare e passarseli tra le dita.
Il rosso dei capelli di Ron e George, così simili, eppure così diversi.
Il rosso del sangue di Malfoy che macchiava la camicetta turchese di Hermione.
Rosso sangue, come tutto quello che aveva visto quella notte ad Hogwarts.
- Dannazione, Malfoy, possibile che tu debba sempre cercare di ammazzarti?! – esclamò Hermione, medicando il taglio che spiccava vivido sul braccio del ragazzo.
- Andiamo, Granger, non è niente, davvero. Mi sono solo tagliato. – rispose imbarazzato Malfoy.
Era la prima volta che Harry vedeva il suo colorito sempre pallido colorarsi di una punta di rosso, spiccando come il sangue sulla neve.
- Oh, ma taci, Malfoy. E lasciati curare, una buona volta. – affermò la riccia Grifondoro, mettendo a tacere il ragazzo per l’ennesima volta.
Harry Potter lesse sul viso del Serpeverde tante di quelle emozioni che pensava che sarebbe scoppiato da un momento all’altro. Inutile dire che Hermione sapeva sempre come rimettere in riga il Serpeverde.
- Herm, Ginny, Molly mi ha chiesto di raggiungerla in cucina per iniziare a preparare il pranzo della vigilia. – disse Harry, interrompendo quel momento.
Hermione finì di medicare Draco e annuì, guardando Ginny.
- E voi uomini cosa farete mentre noi prepariamo? – chiese la rossa, con un ghigno.
- Ovviamente niente. – rispose un sorridentissimo Fred apparso dal petto di suo fratello.
- Non credo proprio. – disse severa, ma con un mezzo sorriso, Narcissa Malfoy. – Voi cinque, te compreso Fred, sistemerete tutta la casa. Trovate il modo di staccare Walburga o sarò costretta a distruggere quel quadro per sempre. E pulirete tutti i piani. – il suo sorriso autoritario fece ghignare le ragazze perché sapevano che mai nessuno avrebbe osato disubbidire a Narcissa.
Infatti, tutti e quattro i ragazzi, seguiti da un fantasma quanto mai triste, salirono le scale strisciando i piedi, cercando la stanza più piccola da pulire. Peccato che il concetto di piccolo i Black non ce lo avessero ben chiaro.
 
***
 
Le risate risuonavano dalla cucina fino alle orecchie di Harry che, fregato dai suoi – ormai ex – amici, si stava arrampicando sulle scale che portavano alla soffitta. Aprì con una spinta la porta. Ormai era ora di pranzo, gli altri erano andati di sotto ad apparecchiare, ma no, lui, doveva pulire la soffitta.
Ma chi diamine ci va in soffitta?! Pensò stizzito. Mai domanda fu più azzeccata, perché davanti a lui, rannicchiata contro il muro, c’era Ashling, con lo sguardo basso e le ginocchia al petto.
Quello che Harry vide fu il rosso. Ancora. Come sempre.
Il rosso scuro dei suoi capelli che si confondeva con quello del sangue che le scivolava dalle braccia.
- Stai cercando di ucciderti? – le chiese il ragazzo, avvicinandosi.
- E anche se fosse? Non sono affari tuoi. – rispose Ashling, con la stessa strafottenza che Malfoy usava quando era ferito.
Harry si piegò alla sua altezza, prendendole il braccio. Ashling provò a scostarsi, ma era così debole che non le riuscì più di tanto e la mano di Harry si spostò solo di pochi millimetri sulla pelle martoriata del suo braccio. Il ragazzo prese la bacchetta e pronunciò uno dei tanti incantesimi che Hermione gli aveva insegnato su come curare le ferite. In un attimo, i tagli sparirono e con loro le cicatrici che sarebbero rimaste. Poi lanciò un “Gratta e Netta” sul pavimento intorno ad Ashling, sporco di sangue.
- Vattene, Harry. – disse strappando il suo braccio dalle mani del Bambino che è Sopravvissuto.
- No. – la ragazza alzò un sopracciglio.
- No? –
- No. –
Stettero in silenzio per alcuni minuti, Ashling che guardava dalla finestrella sul soffitto, Harry che la scrutava con i suoi occhi verdi.
- Perché? – chiese sospirando Ashling.
- Perché lo devi superare. – rispose tranquillo Harry.
La ragazza lo guardò.
- Tu lo hai superato? Il fatto di non aver potuto essere un figlio? Hai superato il fatto di non aver potuto far leggere la lettera per Hogwarts ai tuoi genitori? O il fatto di non aver parlato a tua madre della prima lezione con il professor Piton? Hai superato il fatto che lei avrebbe potuto dirti che il professor Piton non era cattivo, ma solo e innamorato? O il fatto di non aver potuto parlare di Ginny con tuo padre, di non aver ricevuto i suoi consigli, i suoi suggerimenti? Hai superato tutto questo, Harry? –
- Sì. In parte sì. È ovvio, loro mi mancheranno sempre, io sarò sempre segnato dal fatto di aver perso i miei genitori, ma so che sarebbero fieri di me. Mi devo aggrappare a questa convinzione, perché così non posso andare avanti. E so che per te è più difficile, tu hai una marea di ricordi con i tuoi genitori, anche la prima lettera per Hogwarts. E il primo incantesimo. Io questo non ce l’ho. Non posso dire: “Sì, almeno i miei genitori mi hanno visto far levitare qualcosa, prima di morire”. No, io non lo posso dire. Ma tu sì. Puoi dire che gli hai fatto vedere tutti gli incantesimi del primo anno, il primo Natale in cui tornasti a casa da Hogwarts e, se ti conosco almeno un po’, anche tutti quelli del secondo e qualcuno del terzo. –
Ashling annuì, tra le lacrime.
- E puoi dire che loro furono fieri di te, potrai ricordare le loro espressioni orgogliose e felici, potrai serbare nel tuo cuore tutto quello che ti hanno dato. Quello che io ho appreso dai miei genitori l’ho appreso grazie ad uno specchio magico, al primo anno, e ad un album di ricordi che mi regalò Hagrid a Natale. L’ho saputo durante la battaglia, quando utilizzai la Pietra della Resurrezione, e allora li vidi, seppi che mi amavano e che erano orgogliosi di me. In quel momento non ho rimpianto quello che non ho potuto essere con loro perché i miei genitori erano fieri di ciò che ero, di ciò che sono. E credimi se ti dico che i tuoi sarebbero fieri di ciò che sei adesso, Ashling. Tu, i tuoi poteri, tutto. Loro sarebbero fieri di tutto. E solo perché sono morti, non vuol dire che se ne siano andati. Loro sono sempre nel tuo cuore e amano il Natale come sei anni fa. Quindi, tu ora scendi e vai a finire di preparare da mangiare con le altre donne, mentre io finisco di pulire la soffitta. Poi, scenderò, mangerò con tutta la mia famiglia, tu e i Malfoy compresi, e sparecchierò minacciato da Molly. –
- E dopo finiremo di addobbare l’albero di Natale? – chiese Ashling, asciugandosi le lacrime.
- Sì, dopo addobberemo l’albero di Natale tutti insieme e tu sarai felice, perché avrai accettato che non è stata colpa tua la morte dei tuoi genitori, ma di altra gente che adesso marcisce in prigione. –
La ragazza annuì, mentre Harry l’aiutava ad alzarsi. Si guardarono con una nuova consapevolezza negli occhi, con la coscienza di essere più uniti di prima e di aver trovato un nuovo amico su cui contare.
 
***
 
24 dicembre, 11.30 del mattino.
Quando Narcissa vide entrare in cucina Ashling, con gli occhi gonfi di pianto, ma con il sorriso sul volto, sospirò, sollevata.
Aveva temuto che avesse uno dei suoi attacchi di panico tremendi e che fossero costretti davvero a tornare a casa, ma quando aveva visto Harry Potter salire le scale e dirigersi in soffitta, dove sapeva che la ragazza si era rifugiata, si era sentita un po’ più speranzosa. E adesso che lei era qui e con un sorriso chiedeva a Molly se poteva fare qualcosa per aiutarla, beh, doveva ammettere che il Salvatore del Mondo Magico aveva salvato la sua famiglia un’altra volta. Stava diventando un’abitudine. Certo, se fossero stati un’altra famiglia di certo non avrebbero avuto bisogno di tutto quello, dell’amore che Molly e Arthur mettevano in ogni cosa che facevano, di imparare da quelle persone dapprima odiate a essere una vera famiglia.
- Ossa! – esclamò Ted sporco di farina vedendo il suo giocattolo preferito lavorare accanto a lui. – Ossa! – disse di nuovo, agguantando i capelli di Ashling.
- No, Teddy! – e la ragazza scoppiò a ridere, ritrovandosi i suoi bellissimi capelli rosso scuro tutti sporchi di farina. – Teddy! – esclamò di nuovo, continuando a ridere forte.
In quel momento dalla porta della cucina apparve il giovane Paciock, che quasi toccava il soffitto, tanto era alto. E Narcissa Malfoy, che negli anni aveva sempre ricevuto amore celato da odio e freddezza, aveva imparato a riconoscere quel sentimento disarmante così bene che quello negli occhi di Neville poteva essere solo tale sentimento verso quella ragazza ormai completamente sporca di farina che lo guardava con gli occhi spalancati e le mani ferme a mezz’aria.
- Buon Natale. – rispose solo Neville alla domanda implicita che lesse negli occhi di Ashling, che arrossì per la prima volta in vita sua e abbassò gli occhi, mordendosi un labbro.
- Altra feccia! Questa casa è appartenuta alla grande e sempre rispettata casata dei Black! Non siete degni di vivere sotto questo tetto! – aveva preso ad urlare la cara Walburga, appena aveva percepito che un altro traditore del suo sangue aveva varcato la soglia di Grimmauld Place.
- Ora basta! – tuonò Narcissa, andando in corridoio e scagliando un incantesimo sconosciuto contro il quadro, che si zittì e si staccò immediatamente dal muro.
- Come hai fatto? – esclamò Hermione, curiosa come solo lei sapeva essere.
- Oh, cara, essere vissuta per così tanto tempo accanto ad un Mangiamorte ha i suoi pregi. – rispose enigmatica la donna, facendo evanescere il quadro ormai muto.
Finalmente liberati da quella piaga, i ragazzi ritornarono alle loro occupazioni e Neville si affiancò ad Ashling, aiutandola a fare il pane e giocando insieme a lei con Teddy.
Hermione li guardava e pensava che sarebbero stati una famiglia perfetta. Teddy, ormai, era diventato un po’ figlio e fratello di tutti. Era un figlio per Andromeda, Molly e Narcissa, ma anche per Arthur, Ashling e Neville, un fratello per lei e Ginny, e Harry, Ron, Fred e George, e un miracolo per Draco, che sembrava riprendere vita giocando con quel bambino. Sorridendo dolce al ricordo di lui con in braccio Teddy praticamente con il suo stesso colore di capelli, andò a sedersi al tavolo in salotto insieme agli altri, chiacchierando allegra con Fred e George.
 
***
 
24 dicembre, 13:30 del pomeriggio.
Draco finì di sparecchiare, brutalmente schiavizzato da Molly Weasley che, ne era certo, sarebbe potuta benissimo diventare il nuovo Signore Oscuro, se solo avesse voluto. Ormai stremato e in attesa di finire di addobbare la casa, salì le scale per andare nella sua stanza, al terzo piano. Passando davanti ad un salone pieno di libri da loro inutilizzato, sentì la Granger leggere ad alta voce. Incuriosito aprì appena la porta e quello che vide lo lasciò basito: la ragazza, con in braccio Teddy, leggeva un vecchio libro di fiabe che dovevano essere per forza Babbane, in quanto Draco non ne aveva mai sentito quella che Hermione stava leggendo al piccolino. Affascinato dalla voce così espressiva della Grifondoro si appoggiò ancora di più alla porta.
- Si avvicinava l’inverno e faceva molto freddo. – iniziò la Granger girando una pagina. - Un uccellino, che aveva un'ala spezzata, non sapeva dove trovare rifugio.
“Forse gli alberi di quella foresta mi ripareranno durante l'inverno con le loro foglie” pensò il poverino. E a piccoli salti e brevi voli si portò faticosamente fino all'inizio del bosco. Il primo albero che incontrò fu una betulla dal manto d'argento.
- Graziosa betulla, - implorò l'uccellino, - vuoi lasciarmi vivere tra le tue fronde fino alla buona stagione?-
- Ne ho abbastanza di custodire le mie foglie. Vattene da un'altra parte! - rispose la betulla.
L'uccellino saltò fino a un maestoso castagno.
- Grande castagno, - invocò, - permetti che io resti al riparo del tuo fogliame finché il tempo è cattivo? –
- Se ti lasciassi tra le mie fronde, tu beccheresti tutte le mie castagne. Vattene via di qua! - esclamò il castagno.
L'uccellino volò come meglio poté con la sua ala ferita, finché arrivò presso un bianco salice.
- Bel salice, mi ricevi sui tuoi rami durante la cattiva stagione? –
- No davvero! Io non alloggio mai degli sconosciuti! –
Il povero piccolo non sapeva più a chi rivolgersi.
Lo vide allora un abete e gli chiese: - Dove vai, uccellino? –
- Non lo so. - rispose, - gli alberi non vogliono darmi rifugio e io non posso volare lontano con quest'ala spezzata. –
- Vieni qui da me, poverino! - lo invitò il grande abete.
Una notte il Vento del Nord venne a giocare nella foresta. Sferzò le foglie col suo gelido soffio e ogni foglia toccata cadde a terra mulinando.
- Posso divertirmi con tutti gli alberi? - domandò a suo padre, il re dei venti.
- No. - rispose il re. - Quelli che sono stati buoni con i piccoli uccelli possono conservare le loro foglie. –
Così il Vento del Nord dovette lasciare tranquillo l'abete, che conservò le sue foglie tutto l'inverno. E da allora è sempre avvenuto così.
Draco, toccato dalla storia, aprì piano la porta, per paura di disturbare la ragazza che aveva già girato pagina.
- Ucceino! – esclamò Teddy indicandolo.
Draco si guardò le mani imbarazzato, arrossendo leggermente, ed Hermione si appuntò mentalmente che, oltre a doverlo far ridere, doveva anche farlo arrossire più spesso.
- Sì, Teddy, lui è l’uccellino della storia. Cosa dici, lo facciamo stare al caldo qui con noi? – chiese tranquilla rivolta al bambino.
Draco la guardava allucinato. Lui era l’uccellino. Non c’era che dire, la sua vita era stata perfettamente così: lui solo e con un’ala spezzata – il suo cuore – e tutti quelli a cui chiedeva asilo gli voltavano le spalle. Sua madre non poteva essere la madre che avrebbe voluto e suo padre era troppo preso da mantenere la facciata di Purosangue per occuparsi veramente di suo figlio. Certo, lo avevano viziato e a modo loro, per la famiglia che erano, gli avevano voluto bene, non gli avevano mai fatto mancare niente. Tranne, forse, una vera e propria famiglia. Il Natale a casa Malfoy era solamente una festa fredda e diplomatica dove doveva comportarsi impeccabilmente davanti a tutti gli altri ospiti. Meno male che c’era sempre stata Ashling ad accompagnarlo e a sostenerlo.
Ma Hermione, chi era, allora? La graziosa betulla, la grande quercia o il bianco salice? L’avrebbe allontanato anche lei, come tutti gli altri o sarebbe stato l’abete protagonista della storia?
Draco sperava che lei fosse l’abete. Anche se l’aveva tratta male per tutti questi anni.
Draco voleva che lei fosse l’abete. Perché forse si stava affezionando a lei e un suo rifiuto non avrebbe potuto sopportarlo. Perché sapeva che, contro ogni logica, lei credeva in lui. Aveva sempre creduto che avesse qualcosa di buono, glielo aveva letto negli occhi quella sera che gli aveva raccontato di suo zio Ted ed era crollato davanti a lei.
- Shi! Teniamo ucceino! – esclamò Teddy allungando le braccia verso di lui e diventando improvvisamente biondo.
- Hai sentito, uccellino? Vieni a sederti qui con noi, Teddy ti vuole. – disse con un sorriso Hermione.
Draco la guardò, un poco spaventato.
- E tu? –
La ragazza comprese senza bisogno di spiegazioni.
- Anch’io. –
Draco non riuscì a trattenere un sorriso di felicità – di vera felicità – sedendosi di fianco a quella ragazza dai capelli impossibili e dagli occhi parlanti che si accingeva a raccontare una fiaba al bambino biondo seduto in mezzo a loro con la testa appoggiata alla sua spalla.
 
***
 
24 dicembre, 23:30 della sera.
Tutti erano in agitazione. L’abete era stato decorato, così come tutto in quella casa e mancava solo mezz’ora alla mezzanotte. La tradizione voleva che si aprissero tutti i regali la mezzanotte della vigilia, in modo che il giorno dopo si potesse pensare solo alla famiglia.
Draco ed Hermione quel pomeriggio si erano addormentati. A documentarlo una foto fatta dalla Polaroid di uno sghignazzante Harry Potter, complici una Ginny e un’Ashling che li avevano trovati abbracciati e con Teddy in braccio nella sala dei libri. In realtà, sia ad Hermione che a Draco, piaceva un sacco quella foto, un po’ perché non si muovevano le figure, un po’ perché Teddy sembrava davvero figlio loro, con quel colore di capelli a metà tra quello di Hermione e quello di Draco. Però, avevano un orgoglio enorme tutti e due, e le loro urla si erano sentite per tutto il villaggio. Insomma, c’era mancato poco che lanciassero la macchina fotografica fuori dalla finestra. Insieme ad Harry. E non erano per niente stati contenti di quando Fred e George, in coro, avevano esclamato che sembravano una coppia di amanti colti in flagrante. Ma quando mai.
Fatto sta, che la macchina fotografica era ancora intatta e così il suo proprietario, e la foto era stata duplicata ed era finita sia sul comodino di Hermione che su quello di Draco. Senza che i due fossero minimamente d’accordo, ovviamente.
Finalmente il grande orologio a pendolo suonò la mezzanotte e tutti si fecero gli auguri: baci, abbracci, strette di mano amichevoli e pacche sulle spalle forse un po’ troppo forti. Teddy, svegliatosi ed impaziente di aprire i regali, si fiondò sotto l’albero, afferrando il primo che gli capitava in mano. Meno male che intervenne Andromeda, che lo appioppò a Draco e prese tutti i regali, facendo il giro. Harry ricevette un braccialetto veramente bello da Ginny, la quale si ritrovò un anello in oro bianco e con un diamante enorme tra le mani. Harry non aveva certo intenzione di sposarla, erano troppo giovani, ma la ragazza doveva prenderlo come una promessa. La promessa che lui sarebbe rimasto insieme a lei per sempre.
Ron ricevette un set di pulizia per la sua scopa e, proprio mentre stava per dare il suo regalo ad Hermione, un uccello bussò alla finestra, facendo trasalire tutti. Erano un po’ di giorni che il più giovane uomo dei Weasley riceveva lettere da uno strano pappagallo molto colorato, tipico dei paesi dell’Africa. Il ragazzo quasi si ammazzò per arrivare all’uccello prima di chiunque altro e prese la lettera che l’animale gli porgeva con mani tremanti. Un bellissimo sorriso, un sorriso innamorato, spuntò sul suo volto, mentre correva a rispondere alla missiva, sussurrando Samia come se fosse stato di buon augurio. Magari lo era davvero.
Harry porse ad Hermione un album di foto fatto da lui e Ron con tutte le foto, magiche e non, che avevano scattato nel corso di tanti anni insieme. La ragazza si commosse e abbracciò stretto il suo migliore amico e ripromettendosi di abbracciare anche Ron, appena fosse tornato. Poi porse il suo regalo a Ginny, che praticamente si offerse come sua schiava a vita, vedendo che le aveva regalato una scopa nuova, visto che la sua si era distrutta durante la battaglia di Hogwarts. Poi fu il tempo di Andromeda, Teddy e i signori Weasley, che distribuirono regali a tutti i presenti, compresi Ashling e i Malfoy.
- E questo è per te, Draco. – disse la signora Weasley porgendogli un pacchetto rosso oro tutto bitorzoluto. Il ragazzo lo guardò stralunato, indeciso se lanciarglielo dietro o accettare il loro dono. Optò per la seconda, vedendo gli sguardi omicidi di sua madre e di Ashling. Scartò il regalo con attenzione, ritrovandosi tra le mani un maglione pungente rosso Grifondoro con una bella D verde Serpeverde stampata in petto. Guardando la sua faccia, non riuscirono più a trattenersi, e tutti, che avevano ricevuto un maglione uguale, differente solo nei colori e nelle lettere, scoppiarono a ridere.
- Su, forza Draco, mettitelo! – esclamò, cercando di riprendere fiato, Ashling, indossando un orrendo maglione celeste con una A fucsia al centro.
- Sì, Draco, mettitelo! – rincarò la dose sua madre, nascondendo le risate dietro la mano ben curata.
Vedendo quello che aveva appena indossato Hermione, non poté evitare di chiedersi che razza di scherzo avesse ordito il destino per lui: la ragazza indossava un maglio verde Serpeverde con al centro la H color rosso Grifondoro, proprio il contrario del suo, che aveva i colori opposti.
Con una smorfia, il biondo Serpeverde si infilò il pungente maglione sopra la camicia, facendo ridere ancora di più gli altri.
- Però, Malfoy, ti dona il rosso! – esclamò Ginny, ansimando dalle troppe risate.
Decidendo di non prendersela, Draco scoppiò a ridere con tutti gli altri, che ormai si erano abituati a questi suo momenti di ilarità.
Quando tutti si furono calmati, ripresero ad aprire i regali. Con sua sorpresa, Neville porse un pacchettino ad Ashling, che arrossì fino alla punta dei capelli. Lo aprì con mani tremanti e ci trovò dentro un ciondolo minuscolo, raffigurante un giglio. Un sorriso dolcissimo apparve sul suo volto e una minuscola lacrima scese dai suoi occhi, prima di infrangersi tra i lunghi capelli rossi.
- Grazie. – sussurrò, commossa.
Neville sorrise, felice che il regalo le piacesse.
Narcissa diede una gomitata a suo figlio che, guardando da un’altra parte, porse ad Hermione un pacchetto rettangolare verde e argento. La ragazza guardò prima il pacchettino nelle mani del Serpeverde, poi il Serpeverde stesso, che guardava indifferente fuori dalla finestra. Prese delicatamente il regalo e lo aprì senza strappare la carta. Tra le mani si ritrovò un libro antichissimo, rilegato in pelle. Il titolo, a grandi lettere rosse, recava la scritta: “Le streghe nei secoli: le più importanti e le più famose”. Hermione spalancò gli occhi, non potendo trattenere un sorriso: aveva sognato quel libro per anni, ma trovarlo era praticamente impossibile. Lo aprì, girando la copertina pesante: sul foglio bianco c’era una riga scritta con una calligrafia fine ed elegante, molto vecchio stile.
“Chissà, Mezzosangue, se un giorno ci sarai anche tu in questo libro… D.M.”
Guardò sorridente il ragazzo, che la osservava in attesa della sua reazione.
- Grazie! – esclamò felicissima, tentata di abbracciarlo.
- Sia chiaro che mi ha costretto mia madre. – rispose lui, alzando un sopracciglio vedendo la Granger accarezzare il libro come se fosse un bambino.
- Ovviamente. – rispose, senza distogliere gli occhi dal regalo. Poi parve ricordarsi una cosa importantissima, e alzò gli occhi sul ragazzo. – Io non ti ho fatto nessun regalo!- disse.
Malfoy alzò le spalle, noncurante.
- Fa niente. – rispose.
La ragazza gli regalò un sorriso bellissimo, tornando a cullare quel libro enorme e vecchissimo, e Draco si ritrovò a pensare, per un fugace momento, che, in quel momento, avrebbe tanto voluto essere quel libro.










Angolo dell'Autrice:
Buon pomeriggio a tutte, care mie. Qui a Milano inizia a far freddo e io ne sono immensamente felice :33
Volevo postare questo capitolo la vigilia di Natale, ma mi pareva brutto farvi aspettare così tanto, quindi eccolo qui!
Vi avviso, questo sarà l'ultimo capitolo di calma prima della tempesta - Lu, ti voglio tanto bene, ricordatelo <3 - poi non sarà tutti così semplice tra Draco ed Hermione :33
Non vi siete stufate di questo clima di gioia e armonia? Io sì, non sono abituata a scrivere cose così sdolcinate.
Ho cercato di lasciare spazio a tutti i personaggi, ma anche ad Herm e Draco, che in questi capitoli sono stati un po' trascurati.
Spero che vi piaccia,
un bacio a tutte e a sabato prossimo,
Lilian :33

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Capitolo 10
*** Capitolo X. ***


Capitolo X.
 

Draco Malfoy cercò di fare meno rumore possibile quando, insieme a sua madre, chiuse la porta del numero 12 di Grimmauld Place. Non volevano svegliare nessuno, né tanto meno dare spiegazioni. Non che stessero scappando: non lo avrebbero mai ammesso davanti a nessuno, ma le vacanze insieme alla famiglia Weasley e ai Salvatori del Mondo Magico si stava rivelando migliore del previsto. Solo Ashling si era svegliata ed era scesa in cucina, per quanto non avessero voluto svegliare neppure la ragazza. Draco sospirò, sentendo la serratura scattare lievemente. Ora il giovane uomo e sua madre potevano muoversi più liberamente, per quanto la neve permettesse di farlo. Il ragazzo incredibilmente biondo si trascinava dietro alla donna, sentendo dolore ad ogni passo. E dire che sarebbe dovuto essere incredibilmente felice, infondo era il 25 dicembre, era Natale. Ma nulla, nello sguardo e nei gesti del ragazzo, mostrava felicità. C’era dolore, senso del dovere, e un altro sentimento indecifrabile e contorto, ma non c’era felicità. Sembrava un animale in trappola, il biondo ragazzo, costretto a fare cose che non avrebbe voluto fare.
Allo stesso modo, la bionda donna sembrava ingabbiata tra l’amore e il senso di protezione verso il giovane uomo e l’amore verso quello che, anni prima, era stato l’uomo di cui si era innamorata.
Narcissa portò Draco al limitare del villaggio, in modo di essere certa che nessuno li avrebbe visti, e poi prese per mano il figlio, smaterializzandosi al Ministero. Gli impiegati che già affollavano l’enorme sala dei camini si fermarono un momento, per guardarli. Le occhiate, a cui Narcissa ormai era abituata, atterrivano il giovane Draco, che si sentiva come ad Hogwarts, sensazione che aveva quasi dimenticato, durante quei pochi giorni di vacanza. I bisbigli aumentavano al loro passaggio e le cattiverie erano rivolte a lui, non a sua madre. Perché la gente, per quanto disprezzasse tutti i Malfoy, provava una specie di simpatia per Narcissa, perché lei non aveva il Marchio, non era mai stata una Mangiamorte, era solo una povera donna che aveva sposato l’uomo sbagliato. Ma nessuno giustificava Draco Malfoy. Perché lui aveva il Marchio, lui era stato un Mangiamorte, e poco importavano alla gente le motivazioni delle sue scelte, poco importava quello che lui aveva subito e provato. Perché tutti quelli con il Marchio avrebbero dovuto marcire ad Azkaban e lui era stato salvato dalla bontà di Harry Potter.
Arrivati davanti ai camini, furono costretti a consegnare le bacchette per farle controllare e dovettero chiedere il permesso di andare ad Azkaban. Il mago seduto davanti a loro li guardava torvo e, alla loro richiesta di andare alla prigione dei maghi, li guardò con tutto il disprezzo e l’odio che possedeva. Eppure, né Narcissa né Draco abbassarono gli occhi davanti a lui, tantomeno davanti a tutti gli altri. Riprese le bacchette e, seguiti dai mormorii maligni delle altre persone, si buttarono nel camino.
Quello che più stupì Draco Malfoy fu il silenzio improvviso che gli chiuse le orecchie e gli schiacciò il cuore in una morsa di ferro. La guardia magica davanti a loro guardò curioso Draco, registrando la sua somiglianza a Lucius e rivolse un leggero sorriso a Narcissa.
- Salve, John. – disse la donna, sorridendogli.
- Buongiorno signora Malfoy. Oggi è venuta con suo figlio? – chiese, stranamente gentile.
- Oggi sì. – rispose la donna porgendogli la bacchetta.
Draco la guardò, stranito. Sua madre che dava confidenza a qualcuno? Che la vicinanza con i pezzenti Weasley le abbia dato di volta il cervello? Si chiese.
Narcissa, notando lo sguardo del figlio, sorrise gentilmente.
- John è l’unico che mi tratta come essere umano, quando vengo qui, ed è l’unico che tratta come esseri umani anche i prigionieri, tuo padre compreso, anche se non se lo meritano. –
Il ragazzo annuì. Effettivamente l’uomo aveva quello sguardo buono che aveva anche Potter. Senza ulteriori indugi, gli porse la sua bacchetta e lo seguì lungo il corridoio buio e tetro. Azkaban, se possibile, era ancora più desolata ed opprimente da quando i Dissennatori se n’erano andati. È vero, senza di loro non c’era più freddo e la temperatura era quasi accettabile, ma la paura aleggiava ancora nell’aria, diventando la migliore amica dei carcerati. Al posto dei Dissennatori, da Azkaban aleggiava la Morte. I carcerati sapevano che non sarebbero mai usciti da lì e i carcerieri facevano di tutto per ricordarlo a loro e alle loro famiglie.
Draco era stato abbandonato un’altra volta dai suoi polmoni. Pensare che anche lui avrebbe potuto essere rinchiuso in una di quelle celle gli bloccava il respiro e i pensieri. Nessun suono si sentiva, nessun lamento, nessuna voce. Niente. I prigionieri non lo degnavano neanche di uno sguardo, neanche quelli che lui conosceva. Guardavano semplicemente il muro davanti a loro, forse contando le mattonelle, forse immaginando luoghi e persone che avevano lasciato fuori dalle loro celle.
Appena si fermarono davanti all’ultima cella del corridoio, a Draco salirono conati di vomito. Suo padre era seduto per terra, di fianco al giaciglio che gli serviva da letto, l’ombra di se stesso. Nulla lasciava presagire che quello era stato Lucius Malfoy, uno dei migliori Mangiamorte in circolazione. Si girò, guardando sua moglie entrare senza vederla per davvero, quasi senza riconoscerla.
- Ciao, Lucius. – sussurrò dolcemente Narcissa, abbassandosi ad incontrare gli occhi dell’uomo che amava. Lucius la guardava con la fronte aggrottata, cercando di capire, di ricordarsi, chi fosse la donna meravigliosa inginocchiata davanti a lui.
- Chi sei? – chiese, scrutandola in volto.
- Sono Narcissa, Lucius. La tua Cissy, tua moglie. –
A quelle parole, l’uomo parve riprendere il possesso sui propri ricordi e le accarezzò una guancia.
- Oh, Cissy. Dobbiamo proprio fare quel viaggio di cui abbiamo parlato l’altro giorno in camera mia. – le rispose, sorridendo dolce.
- Certo, Lucius, appena uscirai di qui faremo un viaggio lunghissimo, io, te e Draco. – affermò la donna, continuando a guardare l’uomo come Draco non aveva mai visto.
- Draco? – chiese l’uomo, voltando il viso verso il giovane uomo teso vicino alla porta.
- Salve padre. – sussurrò avvicinandosi.
- Chi è, Cissy cara? – la donna sospirò, triste.
- E’ tuo figlio, Lucius. – l’uomo parve stupito da quell’affermazione, e scrutò Draco con occhi spenti.
- Quell’inetto! Che cosa ci fai qui? – esclamò adirato, ricordando forse per un momento, chi era lui e che cosa ci faceva lì. E che era anche per salvare suo figlio che era finito ad Azkaban.
- Padre, io… - iniziò Draco, ma le parole gli morirono in gola. Cosa si poteva dire al proprio padre, quando questi ti guardava improvvisamente come se fossi stato il peggiore dei criminali, come se tutto quello che lui avesse fatto per Lucius non contasse niente? Era vero, Draco non poteva dare torto a suo padre: Lucius Malfoy aveva affermato di voler scontare anche la condanna riservata al figlio, forse per amore di Draco, forse per amore di Narcissa, che sarebbe morta dal dolore se anche il figlio fosse stato rinchiuso ad Azkaban. Il Wizengamot, alla fine, non aveva accettato la richiesta di suo padre, più che altro perché Draco era già stato scagionato da tutte le accuse. Più o meno. È solo che Lucius Malfoy ormai viveva in un mondo parallelo fatto di vuoto e apatia, di malattia e Alzheimer, di brevi sprazzi di lucidità e giorni di nulla. E quando aveva i suoi momenti di lucidità, la sua mente lo portava più che altro a momenti passati della sua vita, perlopiù prima della nascita di Draco e del suo attaccamento alla causa del Lord Oscuro. Ma, a quanto pare, rivedere Draco lo aiutava a ricordare anche quello che era successo dopo.
Draco guardava suo padre e si stupiva della somiglianza che aveva con esso. Stesso viso stanco e scavato, stesse occhiaie, stessi occhi ormai spenti. Si maledisse con tutto se stesso pensando che, se avesse giocato bene le sue carte al processo, adesso ci potesse essere lui al posto del padre. Perché, in fondo, Draco Lucius Malfoy voleva bene a Lucius Abrax Malfoy. In un modo un po’ contorto, forse, con un po’ troppo senso di colpa, anche, ma in fondo gli voleva bene. Era pur sempre suo padre. Padre severo, a volte cattivo, dal carattere immancabilmente freddo ed egoista, ma pur sempre padre.
- Padre, io… - riprovò Draco, ma fu fermato dallo stesso Lucius.
- Scusa. Ti voglio bene. Vieni qui, dimmi. Come va la scuola? Ti è piaciuta la scopa che ho regalato a te e alla tua squadra? Devi vincere tante partite contro quel miserabile di Potter, mi raccomando. – disse l’uomo, accarezzando la testa del figlio.
Draco capì che suo padre stava rivivendo il suo secondo anno, quando gli aveva regalato la sua Nimbus 2001 e aveva fatto in modo che entrasse nella squadra di Quidditch di Serpeverde, nonostante la giovane età.
Guardò sua madre che, con una sola occhiata, gli ordinò di stare al gioco del padre. Se Lucius pensava di essere ancora nel passato, avrebbero dovuto assecondarlo.
- Certo, padre. – rispose Draco, con il cuore che batteva a mille e il respiro che andava e veniva.
Narcissa mise una mano sulla spalla del figlio.
- Lucius, caro, sai che giorno è oggi? – chiese con un sorriso.
L’uomo la guardò interrogativo, cercando di ricordare che giorno era. Ma in un posto dove neanche il sole sembra più sorgere, come fai a sapere se i giorni passano?
Scosse la testa, l’uomo che una volta era stato freddo ed altero, ma che ora era soltanto un mucchio d’ossa dentro un abito sporco e lacero.
- È Natale, padre. Oggi è il 25 dicembre. – gli disse Draco, tentando un sorriso.
Lucius spalancò gli occhi, sorpreso ma piacevolmente felice della cosa. A confermare le parole del figlio, Narcissa tirò fuori da sotto il mantello una piccola torta al cioccolato, la preferita di suo padre. Chiamarono John, ritornato all’ingresso della prigione, e gli chiesero un coltello. L’uomo tagliò la torta in tre parti uguali e poi se ne andò, lasciandoli di nuovo soli e in silenzio.
Mangiarono lentamente, ma ogni boccone era come fiele per Draco, che si sentiva morire ogni volta che guardava il padre. Certo, non poteva dire che era stato un genitore modello, anzi, era comunque stato l’uomo che lo aveva buttato in pasto a Lord Voldemort a soli sedici anni, ma rimaneva il padre che aveva cercato di dargli tutto quello che chiedeva. Aveva solo creduto nella cose sbagliate, accecato dal suo sangue puro e dal potere. Lucius Malfoy era stato deviato dalla sua fame di essere sempre migliore di tutti, di sapere che nessuno avrebbe potuto mai essere migliore o più potente di lui e il Lord Oscuro gli aveva dato, almeno all’inizio, tutto quello che lui aveva voluto. Accecato com’era dai suoi ideali, non si era nemmeno reso conto di seguire un Mezzosangue paranoico con manie di grandezza peggio di quelle dello stesso Lucius. Non si era reso conto che, seguendo i credo di quell’uomo senza scrupoli, stava portando la sua famiglia in un baratro da cui difficilmente si sarebbe potuta rialzare. E, quando tutto questo aveva preteso il suo conto da pagare, dopo la guerra a Hogwarts, Lucius Malfoy aveva perso se stesso ed era impazzito.
Appena finirono di mangiare, John riapparve, seguito da un’altra guardia, che li guardava con sospetto e timore.
- Il tempo è scaduto, signora Malfoy. La prego di uscire dalla cella. – le disse John, aprendo le sbarre.
La donna annuì e si alzò, accarezzando per l’ultima volta il volto del marito e sfiorando le sue labbra con quelle di Lucius. Draco guardava suo padre perdersi nei recessi della sua mente malata e si chiedeva quanto ci sarebbe voluto perché lui diventasse come suo padre.
Sua madre, intanto, si era avvicinata all’altra guardia, che doveva essere in realtà un Medimago, e con un sussurro, quasi che non volesse farsi sentire da Lucius, gli chiese come stesse suo marito.
- Mi dispiace, signora, ma non c’è niente da fare per lui. Non possiamo curare una cosa che si crea da solo. Lui si sta uccidendo volontariamente, estraniandosi dal mondo reale. Non mangia e a stento beve, è sempre perso dietro a qualche ricordo del suo passato e restare in questa prigione non lo aiuta. Non uscirà mai di qui, Narcissa. Non so neanche se arriverà al prossimo Natale, di questo passo. – disse contrito l’uomo.
La donna annuì, guardando prima suo marito, poi suo figlio, che aveva emesso un suono strozzato, sentendo quello che aveva detto il Medimago. Una lacrima scese sulla guancia della donna, guardando suo figlio singhiozzare per quell’uomo che lo aveva reso un reietto della società con le sue malsane idee.
Piangeva, Draco Malfoy, come troppo spesso ormai gli capitava. Doveva essere forte, se lo ripeteva come un mantra, doveva essere un Purosangue modello, e i Purosangue non piangevano, mai. Tantomeno se erano Malfoy. Ma non poteva evitare a quelle lacrime traditrici di solcare il suo viso distrutto, guardando suo padre morire lentamente. Sua madre gli posò una mano sulla spalla, per confortarlo, ma lui la scansò con violenza, girandosi di scatto e quasi correndo verso l’uscita. Non poteva sopportare tutto quello. Un dolore così sordo nel petto non lo aveva provato neanche quando aveva ricevuto il Marchio Nero. E la rabbia arrivò subito dopo il dolore, contro tutti quelli che avevano ridotto la sua famiglia così, contro Voldemort, contro Harry Potter, contro Hermione Granger e tutti i pezzenti, ma anche contro suo padre e se stesso. Una rabbia cieca, senza fine né inizio, che distruggeva tutto il suo essere sotto la forza del suo impeto, che lo consumava più del dolore, che lo avrebbe lasciato agonizzante contro un muro, una volta che se ne fosse andata.
Strappò la bacchetta dalle mani di John e uscì di corsa dalla prigione, scappando da tutto quello che era rimasto lì dentro, dalla sua anima, accasciata contro il muro della cella dove si era perso suo padre. Odiava sua madre per averlo portato lì, odiava aver speso la mattinata di Natale con un uomo che non si poteva più considerare tale. E odiava sapere che doveva tornare a Grimmauld Place, con persone che lo avrebbero guardato con pietà e compassione, con persone che avrebbero fatto domande, con persone che non si sarebbero limitate al silenzio. Non voleva tornare lì. Non voleva andare da nessuna parte. Con uno schiocco si smaterializzò appena prima che sua madre riuscisse a bloccarlo.
 
***
 
Erano le undici e di Draco non c’era nessuna traccia. Narcissa piangeva inconsolabile da ore, ormai, sorvegliata da sua sorella Andromeda ed Ashling non aveva più distolto lo sguardo dalla finestra, da quando aveva appreso da Narcissa quello che era successo.
Hermione camminava avanti e indietro, chiedendosi dove fosse finito quel maledettissimo ragazzo e perché non tornasse, e soprattutto perché fosse così agitata. Perché si sentiva legata a quel ragazzo, perché proprio lui, perché, perché, perché. La sua vita era stata caratterizzata solamente da domande, mai da risposte. Con uno scatto salì in camera, aprendo il diario di Lily, per cercare di calmarsi e impegnare la mente.
 
Caro diario,
Lo sto aspettando davanti al mio dormitorio, ma di Severus ancora non c’è traccia. Sono arrabbiata, addolorata, stanca. Non ce la faccio più, non posso più andare avanti così. L’amore non può niente contro l’odio e addio alle belle parole che Silente continua a propinarci. Severus, ormai, ha deciso che strada prendere. Ed io ho deciso la mia: nulla potrà mai farmi cambiare idea.
Finalmente l’eco dei suoi passi raggiunge le mie orecchie. Eccolo, il mio Sev, che mio più non sarà. Non mi muovo dalla mia posizione, non sono certa che le mie gambe reggano il mio peso esiguo.
Lui si avvicina lentamente, con quella sua camminata che riconoscerei tra mille, col suo profumo di muschio e neve che mi solletica le narici, ma che ormai non mi fa sentire più niente.
“Ciao, Lily.”  – mi dice.
“Ciao, Sev.” – rispondo.
Ci guardiamo, nessuno dei due si avvicina, nessuno dei due si allontana. Siamo due storie che si sono unite, intrecciate, che qualcuno ha voluto che si incrociassero, ma non siamo mai stati una sola storia, un noi. Siamo sempre stati Lily e Severus, una Grifondoro e un Serpeverde, un membro dell’Ordine della Fenice e un Mangiamorte, ma mai un noi. Non siamo mai stati uno solo. Con i caratteri che abbiamo, non avremmo mai potuto esserlo, ma mi chiedo se tutto questo abbia valore. Il nostro è stato amore, poteva essere ancora amore e sarà per sempre amore. Ma nel presente io e lui non ci potremo mai essere. Noi non ci saremo, nel presente. Saremo un noi nel passato e anche nel futuro che non avremo, ma adesso noi non ci siamo.
“Dobbiamo parlare.” -  Dissi, atona.
Lui annuì, avvicinandosi timoroso. Si chinò per baciarmi, ma io mi voltai. Non potevo. Non ci riuscivo. Alla fine, aveva vinto il mio cuore sulla mente che mi diceva di non abbandonare Severus. Ma non potevo dare retta al mio intelletto, non questa volta.
Sospirò, Severus, irrigidendosi.
“Cosa c’è, Lily?” – chiese, triste.
“Non possiamo più andare avanti così, Severus. Dobbiamo smetterla. Lo sappiamo entrambi che ormai i nostri destini si sono divisi.” – vado dritta al punto, è inutile indugiare in discorsi che tanto ci avrebbero fatto male più del dovuto.
“Ma che dici, Lily. Noi possiamo ancora stare insieme. Non c’è nessun problema, è tutto come prima…” – celia Severus, lui stesso poco convinto delle proprie parole.
Scuoto la testa.
“Non cercare di negare la realtà, Severus. Abbiamo deciso entrambi da che parte stare, abbiamo scelto la nostra via e il nostro destino. Non potremo stare insieme. Non più.”
“Mi stai lasciando, quindi, Evans?” – quel sibilo cattivo mi scava un solco profondo nel petto, dritto al cuore, che stringe in una morsa d’acciaio.
“Sì.” – non posso indugiare ancora, o non riuscirei più a lasciarlo.
Perché in fondo lo amo, lui è il mio primo amore e questo non lo potrei mai dimenticare. Non potrei mai dimenticare il tempo passato con lui, le emozioni, i sentimenti. Non potrei mai dimenticarmi di lui. Ma a volte, bisogna lasciare andare un amore che ti consuma e che ti fa male. Bisogna imparare ad essere coraggiosi ed egoisti più di quanto già non si sia.
La cattiveria che lo prende è paragonabile solo al dolore che provo nel vederlo diventare quello che i suoi amici Mangiamorte vogliono che sia.
Mi sbatte al muro, arrivando a pochi centimetri dal mio viso.
“ Non hai il diritto di lasciarmi, sporca Mezzosangue.” – mi sibila.
Le lacrime arrivano veloci come la mia rabbia e il mio dolore e gli tiro uno schiaffo, potente e bruciante quanto le emozioni che mi logorano il cuore.
Lo vedo indietreggiare, tornare in sé, ma ormai è troppo tardi. Non avrebbe più potuto scusarsi. Non adesso. Continuo a piangere, vedendo che lui capisce la portata delle sue azioni. Tenta di avvicinarsi di nuovo a me, ma mi allontano. Il dolore è troppo. Allunga una mano, come per sfiorarmi la guancia, ma non mi tocca neanche. Allungo una mano anch’io, e quasi sfioro la sua. Ma nulla avrebbe più potuto avvicinarci.
Con le scuse negli occhi, Severus si volta e se ne va.
Guardo il corridoio buio con un dolore sordo nel petto e mi stringo convulsamente le braccia al seno, piangendo sommessamente. Ad un certo punto le gambe mi cedono e mi accascio al suolo, senza fiato, senza niente, solo con il mio dolore.
Sento dei passi, ma non mi preoccupo di chi possa essere. Non m’importa se qualcuno mi trova così, io non ho la forza di mentire. Non più. Non ancora.
Potter appare dal corridoio con la scopa sulle spalle e la divisa di Quidditch. È stranamente solo e stranamente triste. Sirius non è accanto a lui come sempre, e senza il suo migliore amico, Potter sembra più vecchio di quello che è.
“Lily.” – il mio nome pronunciato da lui sembra trovare un posto nel mondo. Sembra bello, magico. Ma io ormai non sento più niente. Mi limito a guardarlo, piangendo e stringendomi le braccia al petto.
Lui si inginocchia, mi asciuga le lacrime e mi prende in braccio. Entriamo nel dormitorio, non c’è nessuno. Mi porta in camera sua, mi spoglia e mi fa infilare una delle sue magliette enormi. Si spoglia anche lui, rimanendo in boxer, e si infila in bagno per una doccia. Guardo la porta del suo bagno, senza smettere di piangere, senza smettere di soffrire, ma sentendomi meno sola.
Quando torna ho quasi smesso di piangere, e noto quanto sia bello. Quanto i suoi occhi catalizzano i miei, quanto riesca a sentirmi al sicuro con lui, quanto riesca a sentirmi donna.
“James.” – sussurro.
I suoi occhi si accendono di dolcezza, mentre si stende di fianco a me.
“Lily, perché lo hai lasciato, se lo ami?” – scuoto la testa.
“Non più. È stato il mio primo amore e una parte di me lo amerà sempre. Sentirò sempre il suo odore, quando sarò davanti all’Amortentia, ma lui non è più il ragazzo di cui mi sono innamorata. Lui non è più l’oggetto del mio amore.”
James mi sorride dolcemente, sfiorandomi le labbra. Si ferma proprio quando chiedo di più, e prende a coccolarmi, accarezzandomi per farmi addormentare.
Appena prima di cedere al sonno, mi sussurra all’orecchio: “Buonanotte, Lily”. Sorrido.
“Buonanotte, James”.
 
Lily.
 
Hermione chiuse il diario, senza essersi per niente calmata. Quello che era successo a Lily non l’aveva di certo calmata, ma corse giù di sotto appena sentì la porta di Grimmauld Place sbattere.
Arrivata nell’atrio si trovò davanti Draco. Finalmente. Era quasi mezzanotte.
Lui guardava tutti gli altri, cercando di evitare i suoi occhi. Perché era scappato? Perché aveva reagito così? Sapeva che era andato a trovare suo padre. Che fosse per quello? Hermione ne era quasi sicura. Lo guardò con tenerezza e questo sembrò far scattare qualcosa in lui.
- Non guardarmi così! – urlò.
La ragazza sussultò, spaventata da tutta la cattiveria presente nella sua voce. Una cattiveria che sembrava essersi sopita in lui, in tutti quei mesi. Una cattiveria che forse era morta con lui durante la battaglia finale. Una cattiveria che giaceva con la vita di entrambi, distrutta.
- Fatti curare, Malfoy. Sanguini. – tentò Hermione.
Un lampo, e il Serpeverde l’addossò al muro. Tutti sembrarono volerlo fermare, ma nessuno lo fece.
- Non ho bisogno della tua pietà. – le sputò addosso, sibilando.
- La mia non è pietà, Draco. – adesso anche lei era cattiva, e con cattiveria pronunciò il suo nome, che era stato detto in tanti modi, ma mai così.
E questo lo ferì. Lo ferì più di quanto Draco potesse pensare e si ritrovò costretto a riversare su di lei la sua rabbia e il suo dolore. Ingiustamente.
- Non osare, sporca Mezzosangue. – e vede i muri negli occhi di Hermione crollare, e il suo cuore fare capolino in quelle iridi banali, ma uniche, colpito e forse ferito a morte, proprio come il suo.
Fu un attimo, pensava di averla zittita, pensava di aver vinto almeno una delle loro tante lotte, che ultimamente vinceva sempre lei, con quell’arma letale che era il suo sguardo parlante, e invece si ritrovò costretto a capitolare ancora una volta, l’ennesima volta. Perché la ragazza gli poggiò la mano proprio all’altezza del suo cuore e questo perse un battito – o forse mille? – come se già conoscesse la posizione di quell’organo che già troppe volte era stato ferito. E rimase lì, ad imprimere la sua presenza, e a spingersi oltre, dentro, allontanandolo e avvicinandolo al tempo stesso, con la rabbia, il dolore e la dolcezza che l’avrebbero sempre caratterizzata. E lui si sentì perduto, eppure a casa, inconsapevole di quello che stava succedendo, eppure in qualche modo, arrendevole. Come se tutto fosse già stato deciso. Come se loro fossero nati per stare in quella posizione, arrabbiati, distrutti, morti. Innamorati.
Innamorati? Draco scosse la testa, allontanandosi con rabbia, spingendola via, e scappando da tutto e tutti, senza ascoltare la parole di sua madre, né gli insulti di Weasley e gli sguardi tristi e arrabbiati di Potter. Solo due paia di occhi catalizzavano la sua attenzione: uno che cercava di evitare, pur essendone soggiogato, l’altro che apparteneva alla persona che più di tutti lo conosceva e che lo avrebbe raggiunto in camera sua, per farlo ragionare. In qualunque modo.
Corse in camera sua, per nascondersi dagli altri, ma forse più da se stesso. E distrusse camera sua, come voleva distruggere se stesso. Libri, ampolle, sedie, tutto finì sotto la sua furia, la sua rabbia. Il suo dolore. E quando finirono le cose da distruggere, iniziò a tirare pugni al muro, per distruggere finalmente se stesso. E il suo sangue si addensava ai suoi piedi insieme alle sue lacrime, incapace di fermarle, incapace di fermarsi. Quando alla fine, stremato, appoggiò la testa al muro, non si sentì meglio. Solo vuoto.
- Hai finito? – chiese una voce, e lui neanche si voltò per vedere chi era. Sapeva che sulla soglia di casa sua, a braccia incrociate, c’era Ashling.
Non le rispose, neanche quando la sentì sistemare il disastro di camera sua, neanche quando iniziò a sistemare lui, il disastro più grosso.
- Draco, perché? –
Il ragazzo rise. Rise cattivo, rise ferito, rise dolente.
Perché?
La domanda da un milione di galeoni.
Perché?
La sua mente non lo sapeva. Il suo cuore forse sì.
Perché?
- Lucius sta morendo. – disse in un sussurro.
- E lei che c’entra? – gli rispose Ashling, evidentemente arrabbiata.
Draco la guardò. Ashling capì. Ma non si sarebbe arresa. Amava le battaglie perse.
- Mi guardava. Mi guardava. –
- Malfoy, che cazzo vuol dire che ti guardava? Tutti ti guardavamo! Sei sparito per tutto il giorno, era normale che ti guardasse. –
- Ma non come gli altri. – sputò fuori ancora lui, come se gli costasse una fatica enorme.
- E allora come? –
Draco la guardò. E si chiese se il destino si stesse facendo beffe di lui.
- Vattene, Ashling. Sono stanco. –
Ashling lo guardò. E si chiese se Draco si stesse prendendo gioco di lei.
- Con me non attacca. Come ti guardava, Draco? –
Silenzio. Bianco, vuoto, carico di frasi capite, ma non dette, difficili anche solo da accettare, logoranti, come tutto in loro due.
- Lo sai. –
- No, non lo so. Non lo so cosa ti passa per quella tua testa, in questo periodo. Posso ipotizzarlo, certo, ma non lo so. –
- Ashling, lo sai. –
Una sfumatura della sua voce fece scattare un collegamento in Ashling, che improvvisamente comprese quella frase sussurrata con tanta forza e insieme tanta debolezza.
Lo sai.
E lei lo sapeva. L’aveva intuito già da mesi, ma solo ora lo comprendeva veramente.
- E allora perché? – chiese, prima di uscire dalla stanza, lasciando dietro lei un ragazzo vuoto fuori e con un uragano devastante dentro. 











Angolo dell'Autrice.:
Bene, eccovi il capitolo come promesso! 
Ho davvero, davvero adorato scriverlo e, per adesso, penso che sia il mio preferito.
Spero davvero che vi piaccia anche se è triste e anche se succedono un po' di cose brutte. 
Vi avviso già che questo è l'ultimo capitolo pronto che avevo, quindi può darsi che non riuscirò a pubblicare ogni settimana come ho fatto fin'ora :C
Un bacio a tutte,
Lilian :3

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Capitolo 11
*** Capitolo XI. ***


Capitolo XI.
 
I giorni erano passati. Hogwarts era triste, fredda e desolata, in quelle prime settimane dopo Natale. Natale che aveva provocato vittime proprio come la guerra di Hogwarts. Due le vittime principali, una Grifondoro e un Serpeverde, che come anime perdute cercavano di andare avanti, nonostante il dolore, nonostante la vita.
L’uno, pieno di lividi e tagli, la pelle tirata e le occhiaie pronunciate, camminava come se stesse scappando dal mostro più spaventoso di tutti.
L’altra, piena di lividi e tagli, invisibili ma ben visibili sul suo cuore, faceva dell’orgoglio la sua forza, camminando sicura in mezzo agli altri.
Non si erano più parlati, Draco ed Hermione, da quando si erano confrontati così intimamente il 25 dicembre. Facevano di tutto per evitarsi, per incontrarsi il meno possibile. Inutile dire che le loro strade si incrociavano sempre, come se il destino si divertisse a farsi beffe di loro.
I professori, severi e più sadici che mai dopo le vacanze di Natale, erano ripartiti in quarta, assegnando una mole di compiti che metteva in crisi persino Hermione. Avevano deciso di preparare i ragazzi dei M.A.G.O e dei G.U.F.O proponendo una serie infinita di prove scritte e pratiche, al fine di far esercitare gli studenti per gli esami. E forse per portarli al crollo fisico e mentale.
Draco ed Hermione non si parlavano da quindici giorni esatti. Cercavano di evitarsi, anche, ma con scarso successo. Si erano, a malincuore, accorti, che qualcosa li legava molto più profondamente di quanto pensassero. E i due, nell’ultimo periodo, pensavano molto, forse troppo. Hermione pensava al suo gesto e al cuore di Draco. Quello stesso cuore che aveva sentito battere sotto il palmo della sua mano, lo stesso cuore che così tante volte era stato ferito, ma che continuava a battere. Quello stesso cuore che aveva visto crollare quella mattina, appena al ragazzo era arrivata una strana lettera, in una candida busta bianca. Perché se c’era una cosa che Hermione sapeva fare bene, con gli occhi parlanti che si ritrovava, era osservare le persone e capire, dalla più minima espressione, che cosa provavano in quel preciso istante di vita. E quello che la ragazza aveva visto sul viso di Malfoy, poteva essere solo ed esclusivamente dolore. Puro e semplice dolore.
Ma si era ripromessa che non si sarebbe più preoccupata per lui, neanche se lo avesse visto agonizzante a terra. Ovviamente, si sbagliava di grosso.
Draco, dal canto suo, sopravviveva solo grazie ad Ashling e Blaise, che si prendevano cura di lui nonostante il fiele che gli riversava addosso. Alla mattina, Blaise si assicurava che si alzasse dal letto, si lavasse e si vestisse. Poi arrivava Ashling, che si univa a Blaise e trascinava Draco in Sala Grande, nella vana speranza che il ragazzo mangiasse qualcosa. Successivamente c’era la routine delle lezioni, i compiti, lo studio e il Quidditch solo lui e Blaise. Cercavano di non lasciarlo mai da solo e Draco si faceva trasportare apatico nella corrente della vita. C’era un momento, però, in cui il ragazzo spariva. Ashling e Blaise non sapevano come, ma dopo cena Draco sfuggiva al loro serrato controllo e svaniva chissà dove, tornando da loro a notte fonda, il più delle volte pieno di lividi a causa di un altro pestaggio.
Era domenica, e quel giorno tutti erano in febbricitante attesa per l’agognata uscita ad Hogsmade. Anche Draco, quel giorno, era stato costretto da una imperturbabile  Ashling ad uscire dalla scuola per svagarsi un po’, per godersi un po’ la neve.
Allo stesso modo, Hermione era stata costretta da Harry e Ginny ad abbandonare i libri per  distogliere la mente dallo studio. La ragazza, infatti, pur di non pensare a quello che era successo tra lei e Draco, a quello che erano diventati lei e Draco, ai sentimenti confusi che provava per lui, era annegata nei libri e non ne era più venuta a galla. Perché poteva mentire a tutti, ma dentro di lei sapeva che per quel ragazzo sbagliato, distrutto, solo, provava qualcosa di più del semplice rispetto o della semplice amicizia. Non capiva ancora che cosa fosse quel sentimento strano, ma lo aveva sentito appena aveva appoggiato la mano sul cuore del ragazzo. Ed esso non se ne era più andato, incagliato inesorabilmente all’altezza della sua gola. Là dove si fermano tutti i sentimenti più profondi.
Ed ora, a pochi passi l’uno dall’altra, Draco Malfoy ed Hermione Granger cercavano di evitarsi. I ragazzi più piccoli giocavano a palle di neve, ridendo e rincorrendosi. Le ragazze parlavano fitte fitte a capannelli di quattro o cinque e i ragazzi più grandi cercavano di attirare la loro attenzione in tutti i modi possibili, leciti e non, nell’attesa che Gazza si decidesse a farli uscire dalla scuola. E Draco ed Hermione, fermi in quel casino, si guardavano, inevitabilmente attratti, immancabilmente respinti. Un battito di ciglia, un movimento improvviso, e le carrozze arrivarono davanti al cancello, tutti ci si fiondarono sopra, spingendo, urlando, e i due ragazzi, i respiri mozzati e le mani tremanti, vennero trascinati inerti, noncuranti di tutto, delle parole, della neve, delle urla. Gli occhi si lasciarono, Draco ritornò a respirare, Hermione si morse le labbra. Blaise sfiorò la spalla di Draco, donandogli un po’ di calore, Ginny accarezzò leggera la guancia di Hermione, parlandole con gli occhi come solo lei sapeva fare. Ashling camminava nervosa, Neville le prese la mano e allora lei riuscì a calmarsi, loro riuscirono a calmarsi, e rallentarono, facendosi spintonare. Ron si avvicinò a Samia, gli passò un braccio intorno alle spalle, lei sorrise e anche lui, forse per la prima volta veramente felice. E a guardare tutto, come un angelo custode, Harry, dietro tutti, preoccupato come solo un migliore amico, come solo un fratello, può essere.
Salirono sulle carrozze, soli o con qualcuno al fianco, tutti distrutti, tutti irrimediabilmente innamorati, e nel giro di pochi minuti arrivarono ad Hogsmade che, sotto la neve, sembrava uno dei villaggi raffigurati nelle banalissime cartoline natalizie che i Babbani erano soliti mandarsi.
Harry aiutò galantemente Ginny ed Hermione a scendere dalla carrozza, mentre ridendo Ron e Samia rotolavano giù spingendosi come due bambini.
- Dove avete voglia di andare? – chiese Harry, guardando apprensivo lo sguardo vuoto di Hermione, che ansiosa guardava Draco allontanarsi con Blaise.
- Io volevo passare in libreria. – sussurrò Hermione, attirando lo sguardo stupito di tutti.
- Ma Herm! Non ti abbiamo portata a Hogsmade per farti rinchiudere in libreria! Non possiamo passare da Zonco? Ho saputo che sono arrivati degli scherzi nuovi. – esclamò Ron, beccandosi le gomitate della sua attuale ragazza e della sorella, che lo guardavano malissimo.
- Facciamo così, - disse Samia, - adesso andiamo tutti a riscaldarci ai Tre Manici di Scopa, poi noi ragazze ci rifugiamo in libreria e voi uomini andate da Zonco, okay? –
Il sorriso luminoso e gentile di Samia sapeva rallegrare anche il più triste ed Hermione si ritrovò a sorridere di rimando a quella ragazza bellissima. Ron aveva proprio fatto centro. Samia era intelligente e una delle migliori a scuola, superata solo da Hermione ed Ashling, senza contare il fascino e la grazia che accompagnava ogni più piccolo gesto. E accanto a lei, Ron diventava l’uomo che non era riuscito ad essere fino a quel momento, fiero e orgoglioso accanto alla sua bella.
I ragazzi si avviarono tranquilli verso il locale, facendosi bagnare dai fiocchi di neve che, subdoli, s’infiltravano tra i capelli e sotto le sciarpe, diventando acqua, inzuppando i vestiti. Ed Hermione non poteva fare a meno di pensare come, poche settimane prima, aveva amato quei fiocchi di neve che si confondevano con i capelli biondi di Draco. Come avesse amato il loro sciogliersi a contatto delle sue labbra rosse, della sua risata cristallina.
- Herm… - Ginny la chiamò e solo allora Hermione si accorse che era rimasta ferma davanti alla porta, senza saper entrare nel locale.
- Oh, sì. Eccomi. – disse con un sorriso.
Ginny le prese la mano e dolcemente l’accompagnò al tavolo, con gli altri che chiacchieravano allegri davanti alle loro burrobirre.
Hermione guardava i suoi amici e un sorriso triste le nacque sul volto, inevitabile, indelebile. Ron cingeva le spalle a Samia, mentre illustrava a tutti come avrebbe fatto a copiare durante i M.A.G.O; Harry accarezzava i lunghi capelli di Ginny che, scomposti, le ricadevano come seta sulle spalle. E lei era lì, sola, con la sua burrobirra in mano, senza nessuno che le cingesse le spalle, senza nessuno che le accarezzasse i capelli. Ma scosse la testa, Hermione, pensando che era inutile indugiare in certi cupi pensieri e che, come aveva detto Ginny la sera prima, doveva godersi questi pochi attimi di tranquillità, prima di tornare alla routine massacrante di Hogwarts.
- Che ne dite, ragazze, ci avviamo verso la libreria? – chiese sorridendo Hermione.
Le altre due annuirono, alzandosi.
- Dove ci troviamo? – chiese Harry.
- Tra mezz’ora davanti a Mielandia. – rispose Samia, prendendo per mano Ginny ed Hermione e trascinandole fuori dal locale, impaziente di entrare nella libreria.
Appena fuori, un brivido corse sulla schiena di Hermione, che voltò la testa verso la strada che portava alla Stamberga Strillante.
- Che c’è, Herm? – chiese Ginny, guardando nella sua stessa direzione, preoccupata.
La ragazza scosse la testa, distogliendo lo sguardo.
- Niente. – rispose con un sorriso. – Andiamo? –
 
***
 
Draco era finalmente riuscito a seminare Blaise ed Ashling che, come due ombre, lo avevano seguito per tutto il tempo. Non che non apprezzasse quello che i due ragazzi stavano facendo per lui, ma non gli lasciavano nemmeno un momento per pensare. Forse era proprio quello che volevano evitare: permettergli di pensare e, quindi, di farsi uccidere dalla sua mente. Ma non poteva permettersi di rovinare la giornata a quelli che, suo malgrado, erano le due persone più importanti della sua vita. Perché il biondo Serpeverde aveva visto lo sguardo lievemente triste che Ashling aveva lanciato a Neville, decidendo di non passare il pomeriggio sola con lui, ma insieme a Draco. E aveva visto lo sguardo amareggiato di chi voleva salvare qualcuno ma che, nonostante tutti gli sforzi, non ci riusciva, negli occhi di Blaise. Così, con un enorme sforzo e innumerevoli tentativi, era riuscito a convincere Blaise a lasciare soli Ashling e Neville e, giocando d’astuzia, era sfuggito allo sguardo attento del ragazzo infilandosi nella folla di Mielandia.
Ora, camminando tranquillo per la via deserta a lato del paese, pensava all’unica persona a cui non avrebbe dovuto pensare in quel momento: Hermione. Hermione, a cui avrebbe voluto dire che cosa gli passava per la testa. Hermione, che era rimasta nei suoi pensieri da quando aveva trovato e risvegliato il suo cuore, quella notte di Natale. Hermione, che non era più la Mezzosangue Zannuta, e neanche la Granger, ma solo Hermione e questo era male. Forse. Non distingueva più molto bene la differenza tra bene e male. Prima, il male erano i Babbani e i Mezzosangue, che infettavano il mondo e non erano degni della magia. Poi, il male erano diventati i Mangiamorte e Voldemort, che pezzo dopo pezzo stavano distruggendo la sua famiglia e la sua vita. Infine aveva pensato che fosse lui e solo lui il male. Adesso, non lo sapeva più, non aveva neanche più la certezza di chi fosse. Non si accorse di essere arrivato davanti alla Stamberga Strillante finché non sbatté contro il cartello che la precedeva. Una cartello bianco, candido, vuoto. Un cartello che non esprimeva tutto quello che quel posto era stato. Che non esprimeva niente del dolore che aveva provato il professor Lupin lì dentro, da ragazzo. Che non esprimeva niente dell’amicizia nascosta dietro tre sagome di animali. Che non esprimeva niente della paura di Piton quando era morto lì dentro, di suo padre, quando ne era uscito, adesso morto anche lui. Morto. Non riusciva ancora a dirlo. Lentamente, come in trance, riprese la lettera bianca che gli era arrivata quella mattina a colazione e, delicatamente, l’aprì.
 
Gentile signor Malfoy,
siamo spiacenti di comunicarle che suo padre Lucius Abrax Malfoy è morto ieri sera alle 23.23.
Vogliamo ricordarle che lei e sua madre siete invitati a ritirare il corpo per il funerale entro ventiquattr’ore.
In caso contrario, lo seppelliremo nel cimitero comune della prigione.
 
Ossequi,
Capo della Sicurezza Magica.
 
La prima volta che aveva letto quella lettera, poche ore prima, non aveva sentito niente. Aveva visto bianco, aveva sentito bianco, e tutto quello che aveva intorno, tutto quello che era, era stato inglobato dal bianco. Non sapeva per quanti minuti era rimasto così, fermo, bianco. Ma, all’improvviso, dal bianco era uscito il rosso. Un rosso profondo come il sangue e altrettanto denso. Un rosso che si muoveva, che era suddiviso in tante spirali, che era capelli. Capelli che incorniciavano un viso pallido, pieno di lentiggini e di amore e di occhi scuri, neri come la pece ma bianchi, bianchi come dovevano essere anche i suoi di occhi.
E poi anche il tatto si era risvegliato dal bianco e aveva sentito il braccio di qualcuno intorno alle sue spalle e la sua mano che stringeva convulsiva quella nera del ragazzo seduto accanto a lui. Anche gli occhi di Blaise erano bianchi, mentre leggeva la lettera appena arrivata. Il vuoto inglobava tutto, piano piano.
E dopo il tatto tornò anche il gusto. Sangue, sangue ovunque nella sua bocca, da quanto si mordeva il labbro. Sangue puro, sangue sporco, sangue comunque.
E l’olfatto colpì forte, come sempre. E l’odore familiare di Hogwarts lo colpì come un macigno, caldo, penetrante. E subito dopo l’odore di Blaise, un poco dolce, come di miele, come di sole. E poi l’odore di Ashling, freddo, intenso, misterioso. L’odore arcaico della sua famiglia. E, in lontananza, poteva sentire anche l’odore di Hermione, che racchiudeva tutti gli odori che amava della sua vita e ne inventava di altri sempre nuovi.
E per ultimo si risvegliò anche l’udito. Prima c’era solo un ronzio, ma poi le voci iniziarono a riempire le sue orecchie, forse troppo rumorose, forse troppe. Voci sconosciute, voci nemiche, voci indifferenti. Ma dentro di lui il bianco aveva inglobato le corde vocali e il cervello, il bianco della lettera si era unito al suo e, come una macchia d’inchiostro, si era propagata fino ad inglobare le corde vocali e i cervelli di Blaise ed Ashling. E nulla sembrava smuovere la situazione.
Perso nei suoi pensieri, Draco si era estraniato dal mondo un’altra volta, abbandonandosi al bianco dentro la sua testa, sperando che questo uscisse fuori e inglobasse anche il suo corpo, facendolo mimetizzare con la neve. Non si accorse, quindi, dei ragazzi che, silenziosi, gli si erano avvicinati.
- Cosa ci fai qui da solo, Malfoy? – aveva sputato disgustato un ragazzo pieno di brufoli, probabilmente del quinto anno.
- Non sono affari tuoi. – rispose il Serpeverde, ripiegando la lettera e mettendola nella tasca interna del giubbotto. Ma non fece in tempo ad aprire la zip che un pugno lo colpì proprio alla bocca dello stomaco, bloccando ogni suo movimento.
- Risposta sbagliata, Mangiamorte. – disse il ragazzo pieno di brufoli, che doveva essere il capo della banda.
E gli furono addosso tutti in un momento. Erano dieci, quindici, forse di più. Non molto leale. Draco provò ad alzarsi, ma non ci riusciva. I colpi erano troppi, troppi gli arti da cui districarsi. E gli insulti volavano, sempre uguali, sempre gli stessi.
Sei un Mangiamorte, non hai diritto di vivere.
Non dovresti essere libero di impestare l’aria che respiriamo.
Abbiamo saputo che il paparino è morto, quand’è che tu e la tua mammina lo raggiungete?
Questo era nuovo. L’insulto del giorno. Che lo avrebbe perseguitato durante quella notte, se mai fosse uscito vivo dal pestaggio.
Un colpo particolarmente forte alla testa lo sbatté gambe all’aria tra la neve, stranamente sporca di sangue.
Sangue di chi? Si chiese, ma la lucidità andava e veniva, e il dolore aumentava, e i suoni iniziavano ad affievolirsi e lui voleva solo perdersi nel bianco e mimetizzarsi con la neve.
Chiuse gli occhi, sarebbe stato bello riuscire a dormire un po’.
 
***
 
Hermione correva, con la voce spaventata di Blaise ancora nella orecchie.
“L’ho perso e ho un brutto presentimento. E non riesco a trovare Ashling.”
Il brutto presentimento l’aveva avuto anche lei, mezz’ora prima, uscendo dai Tre manici di scopa. Eppure l’aveva ignorato, per la prima volta in vita sua anche se, prima e durante la guerra, i presentimenti, soprattutto quelli brutti, erano diventati i fondamenti delle ricerche sue, di Harry e di Ron. Ma, forse per speranza, forse per menefreghismo, aveva deciso di non ascoltare quello che il suo sesto senso le urlava ed era andata avanti convinta nella sua strada. E adesso, l’unica cosa che le rimaneva da fare era correre come non aveva mai fatto in vita sua. Come non aveva fatto neanche quando si era ritrovata faccia a faccia con il Basilisco, al secondo anno. Come non aveva fatto neanche quell’estate a Godric’s Hollow, quando si era ritrovata davanti Voldemort. Come non aveva fatto durante la Battaglia di Hogwarts, vedendo morire le persone che amava. Ma adesso Hermione doveva correre. Correre alla Stamberga Strillante, perché era lì che il suo sesto senso le diceva di andare. Perché era lì che avrebbe trovato Draco.
Girò l’angolo, Hermione, ed estrasse la bacchetta, inorridita dallo spettacolo che le si parò davanti. Draco, o almeno ciò che rimaneva di lui, era riverso nella neve, rossa. Troppo rossa. Quindici ragazzi, in cerchio sopra di lui, continuavano a picchiarlo, nonostante il ragazzo non si muovesse. E il vento, impassibile, continuava a soffiare forte, diluendo sapori, odori, rumori. Una lettera bianca attirò per un attimo l’attenzione di Hermione, vicina ai suoi piedi. La prese tra le mani: quello che vi lesse le fece crescere una rabbia che non sapeva di possedere. Alzò la bacchetta, gli occhi freddi, il cuore in subbuglio. Sentiva la magia ribollire dentro di lei, forte come un torrente, ma non fece in tempo a pronunciare l’incantesimo che un’esplosione la mandò a terra. La bacchetta le volò via da qualche parte, ma non era quello che la preoccupava: il vento adesso non soffiava più, forse accortosi dello scempio che in mezzo a lui si stava compiendo, e la banda di teppisti era ferma immobile, a guardare spaventati la figura che si era materializzata accanto ad Hermione. La ragazza non aveva mai visto Ashling così arrabbiata, così spaventosa. Non le aveva mai visto perdere il controllo, non aveva mai visto quello di cui Voldemort aveva così paura. Ora lo capiva. Ora che vedeva la ragazza tremare e la Terra con lei, come se fossero una cosa unica, ora che vedeva la magia con i suoi occhi, quella magia così totalizzante e instabile che la caratterizzava, ora che vedeva ciò che era veramente, Hermione capiva perché Voldemort aveva avuto paura di Ashling.
- Ashling. – sussurrò, cercando di attirare la sua attenzione.
Non voleva che la ragazza facesse qualcosa di cui poi, una volta tornata in sé, si sarebbe pentita. Ma era come se nulla potesse smuovere i suoi occhi e la sua mente da quella dei ragazzi. Ashling sussurrava parole, incantesimi, uno dietro l’altro. E i ragazzi, prima immobili, adesso si contorcevano a terra, piangendo, implorando la ragazza. Hermione si mise faticosamente in ginocchio e poi si alzò. Non aveva niente di rotto, ma sanguinava da qualche parte dietro la gamba. Doveva raggiungere Ashling per provare a fermarla, per mettere fine a quello che stava facendo.
- Hermione! – esclamò una voce dietro di lei.
Si voltò e vide arrivare Neville con Harry, Blaise e Ron.
- Harry! Ashling è incontrollabile! – urlò la ragazza.
Neville, sentendo quelle parole, si slanciò contro Ashling, prendendola per le spalle e spostandola dalla sua posizione. La ragazza scalciava, urlava e lanciava incantesimi a destra e sinistra, cercando di colpire quante più persone poteva, amici o nemici che fossero, e poi all’improvviso si accasciò contro il petto di Neville, pallida come se fosse morta, respirando appena.
Blaise ed Harry si slanciarono sui ragazzi che, cercando di riprendersi dall’incantesimo di Ashling, stavano tentando di scappare. Hermione, invece, incespicò fino a Draco.
- Draco… Draco… - chiamava il ragazzo come in  una preghiera, come quando vuoi che qualcosa vada bene ma sai già che andrà nel peggiore dei modi.
Lo girò supino, spostandogli i capelli un poco lunghi dal viso tumefatto: a stento si riconoscevano i lineamenti.
- Draco, maledettissimo idiota, che cazzo ci facevi da solo, come se non sapessi che ti picchiano appena ti allontani da Ashling o Blaise… stupido, stupido, stupido che non sei altro. – Hermione lo insultava, mentre cercava in tutti i modi di fermare il sangue che copioso gli usciva da una ferita alla testa e da altre innumerevoli ferite per tutto il corpo.
Mentre la ragazza mormorava l’ennesimo “Ferula” il ragazzo aprì gli occhi, piano, non del tutto.
- Idiota. –
Draco sorrise debolmente.
- Volevo… volevo mimetizzarmi con la neve. –
La ragazza scosse la testa.
- Non ci sei riuscito, Draco. Sei rosso. –
Il ragazzo annuì.
- Hermione. –
E chiuse gli occhi.
In quel momento, una carrozza con la McGranitt, Ginny e Samia si fermò accanto a lei.
- Che cosa è successo? – domandò la professoressa guardandosi attorno.
- È successo di nuovo, professoressa. Lo hanno quasi ucciso. Ed Ashling ha perso il controllo. È lì con Neville, sembra morta. –
La McGranitt annuì, dura.
- Signorina Granger, signor Paciock, salite sulla carrozza e portate il signor Malfoy e la signorina Lloyd da Madama Chips. Per quanto riguarda gli altri, datemi una mano con questi teppisti. Non la passeranno liscia, questa volta. –
 
***
 
Draco aprì lentamente gli occhi. Tutto girava e la nausea era troppa anche solo per muoversi. Ma non poté non sentire il suo odore. Quell’odore che gli era entrato dentro in un qualche modo e che non se n’era più andato. L’odore di Hermione.
Con una forza di volontà che pensava di non avere, girò piano la testa verso di lei. Era seduta con le gambe incrociate su una grossa poltrona di pelle con in mano un libro enorme che avrebbe slogato le giunture a qualunque essere umano che mai avesse avuto l’ardita e pazza idea di leggerlo.
- Due giorni. – disse lei, chiudendo di scatto il manoscritto e guardandolo dritto negli occhi.
- Du…e… gior…? – Draco non riuscì a finire la frase, il dolore era troppo intenso.
- Sì, due giorni. Sei rimasto fermo lì per due giorni. Ah, sei un’idiota. –
Il ragazzo sorrise.
- Perché… - sospirò, prendendo fiato. – Perché sei qui HermMione? –
Hermione alzò lo sguardo e puntò i suoi occhi parlanti dritti in quelli di Draco.
- Perché, qualcuno, si è fatto pestare a sangue senza reagire per svariati minuti e i danni riportati sono stati così estesi e alcuni così profondi che abbiamo creduto che avremmo dovuto portarti al San Mungo. Ecco perché. –
- Non ho… bi… bisogno di qualcuno che mi… protegga. Me la cavo… benissimo anche da solo. –
- Sì, certo. Vedo. Così bene che c’è mancato poco che finissi in coma. Draco, perché non ti difendi? –
Il ragazzo distolse lo sguardo. Non se lo meritava, ecco perché non si difendeva. Non si meritava nulla di quello che gli era stato dato. Non si era meritato l’amore di suo padre, tantomeno quello di sua madre. Non si era meritato l’amicizia di Blaise, senza parlare di quella di Ashling. E adesso, non si era meritato quello che leggeva negli occhi di Hermione. Non si era meritato tutto quello che vedeva dentro quegli occhi parlanti.
- Dov’è Ashling? – chiese cercando inutilmente di guardarsi intorno.
Hermione sospirò.
- In quel letto laggiù, con Neville. Ha perso il controllo, quando ha visto in che condizioni eri. La maggior parte dei ragazzi che ha colpito con il suo incantesimo è ancora in infermeria. Non sanno come curarli, e lei non accenna a svegliarsi. – sussurrò.
Il ragazzo chiuse gli occhi.
- Vedi? Distruggo tutti quelli che mi stanno vicino. Per questo non mi difendo. –
Hermione scosse la testa e si alzò dalla sua poltrona. Si avvicinò a Draco che, con gli occhi chiusi e i pugni serrati, sembrava un bambino spaventato dai suoi incubi. Chissà quanti pensieri devastanti infestavano la sua testa bionda. Hermione si ripromise di cancellarglieli tutti.
Si abbassò, piano, lentamente. E poggiò le sue labbra sulla fronte del ragazzo.
Draco spalancò gli occhi, guardandola spaventato.
- Tu. Non sei. Sbagliato. – aveva fatto una pausa dopo ogni parola, Hermione, per fare entrare bene il concetto nella testa del biondo.  - Ora, vado a chiamare Blaise, che è andato a riposarsi un po’. Io vado a farmi una doccia. Poi torno. –
- Poi torni? Davvero? – la faccia di Draco era così innocente, così simile a quella di Teddy quando si meravigliava di qualcosa, che Hermione non poté fare a meno di sorridere dolcemente.
- Sì, davvero. –






Angolo dell'autrice:
Non uccidetemi, vi prego! Lo so, lo so che sono in supermega ritardo e il fatto che ve l'avevo detto non cambia le cose, ma succedono tante cose in questo capitolo, che amo particolarmente.
E' stato difficile scriverlo, ma il risultato è abbastanza soddisfacente.
Spero che quelle poche anime che leggono e recensiscono mi seguano ancora. Vi ringrazio tutte <3
Alla prossima (sospetto che ci vorrà ancora un sacco di tempo T.T)
Un bacio,
Lilian :33

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Capitolo 12
*** Capitolo XII. ***


Capitolo XII.
 
Voleva dormire, Draco, ma per dormire avrebbe dovuto perlomeno rilassarsi, cosa che non riusciva a fare.
Il fatto, poi, che non riuscisse a muovere la gamba sinistra, lo aveva sgomentato più di ogni altra cosa. Aveva provato a tirarsi a sedere per vedere che cosa era successo alla sua amatissima gamba, ma anche tutto il resto del suo corpo sembrava fuori uso.
- Ssh, zitta. Non parlare, o ti stancherai. – sussurrò una voce al di là della tenda del letto accanto, quello di Ashling.
Draco drizzò le orecchie, cercando di capire quello che l’amica debolmente stava tentando di dire al ragazzo.
- Vado a farmi una doccia, Lin. Poi torno, okay? Tu, stai ferma e riposati. È un ordine. – il tono della voce di Neville, così fermo, così pieno d’amore, fece tremare Draco, che ripensò al tono con cui sua madre era solita parlare con suo padre durante quei lunghi mesi di malattia e prigionia.
Vide il ragazzo allontanarsi dal letto di Ashling e sparire oltre la pesante porta dell’infermeria.
- Lin? –
- Draco… l’amore… l’amore ti frega sempre. - disse debolmente la ragazza, mentre spostava la tendina che la nascondeva alla vista del ragazzo.
Draco rise lentamente, tossendo.
- Dici? –
- Certo. Tu… guardati: sei salvo per amore. –
Il ragazzo la guardò male, voltando la testa dall’altra parte, per non dover incontrare gli occhi troppo perspicaci di Ashling.
- Come stai? – chiese, tentando di tergiversare.
- Draco, perché non accetti il fatto che sei innamorato di lei? Arrenditi. Lei, tanto, ti salverà comunque. –
- Ashling, smettila. Non siamo in grado di portare avanti un discorso del genere in queste condizioni. Ne riparliamo un’altra volta, eh? –
- No, adesso è perfetto. Posso manipolarti come voglio, sei troppo debole per poter ribattere con coerenza e raziocinio. -
Rise ancora, Draco, tossendo anche l’anima, ma non rispose alla ragazza. Si limitò a guardarla.
- Siamo fregati, eh? – gli disse Ashling.
- Siamo fregati. –
 
***
 
Erano passate due settimane da quando Draco era uscito dall’Infermeria. Più nessuno aveva osato avvicinarsi a lui, più nessuno aveva osato picchiarlo, da quando Ashling aveva compiuto la sua magia su quella squadra punitiva a fine gennaio. Certo, le cattiverie e le male parole non erano scomparse, ma le acque, per il momento si erano calmate. In compenso, i suoi incubi erano peggiorati. Non passava notte in cui non si alzasse urlando al mondo quanto il suo corpo, la sua mente, fosse distrutta. E le voci giravano veloci, in quella scuola maledetta, benedetta, e sapeva, sapeva, che anche la Granger era venuta a conoscenza dei suoi incubi, delle sue paure. Glielo aveva letto negli occhi una sera, facendo la ronda.
- Che c’è, Malfoy, vuoi diventare un vampiro? Non ti donano per niente, quelle occhiaie. – gli aveva detto guardandolo sorridendo. L’aveva messa sul ridere, Hermione, per sdrammatizzare, perché sapeva che c’era dell’altro, dietro.
Non le aveva risposto, Draco, aveva lasciato che fossero i suoi occhi all’apparenza inespressivi a dire tutto quello che c’era bisogno di sapere. E come sempre, Hermione aveva capito, come solo lei sapeva fare.
Una strana inquietudine le attanagliava il petto, quella mattina, ed Hermione non riusciva a capire perché. Aveva dormito male, uno strano incubo l’aveva perseguitata per tutta la notte e ancora adesso l’angoscia non l’abbandonava. Vedeva la guerra ovunque, ogni angolo che girava aveva paura d’incontrare un Mangiamorte con la bacchetta in mano, il suo istinto le diceva di correre, scappare il più lontano possibile dal quel posto e il suo cuore aveva preso a batterle nel petto veloce, troppo veloce.
- Hermione. – disse una voce lontana, alle sue spalle e lei crollò, troppo spaventata, preda della sua brillante mente che quella mattina le giocava brutti scherzi.
Due occhi catturarono la sua attenzione per un solo istante, quanto bastava per leggervi dentro la stessa paura, la stessa debolezza, la stessa forza. Iniziò a correre, Hermione, estraendo la bacchetta, con la paura che le bloccava la gola e il respiro che non c’era. Quando si fermò non aveva idea di dove fosse, vedeva solo nemici, nemici ovunque, e persone morte, in un angolo c’era Fred, davanti a lei gli occhi vuoti di Ninfadora la guardavano impassibili, il professor Lupin era accasciato da qualche parte contro una finestra. La testa le girava vorticosamente e lei lanciava incantesimi a nemici immaginari, piangendo lacrime che pensava di non avere più.
- Granger! – esclamò una voce conosciuta. Hermione girò la testa, ma non riusciva a vedere chi la stesse chiamando, chi la stesse cercando.
- Granger, che ti succede? – la voce era più vicina, ma ancora non riusciva a vedere di chi fosse. Davanti a lei c’era Bellatrix e lei non riusciva più a respirare, non sentiva più il corpo, solo i suoi polmoni bruciare e la sua testa girare. Lanciò un incantesimo a Bellatrix, ma la donna non scomparve, rimase lì a ridere di lei, del suo dolore, della sua follia.
- Granger, ferma. – due braccia l’avvolsero e lei sentì un chiaro odore d’inverno e di neve e di sole.
Il suo corpo iniziò a tremare, la mancanza di ossigeno si faceva sentire e le figure erano sempre più vicine a lei, tutti i morti, tutti morti. Sentì un’altra voce, oltre all’altra. Le ci vollero parecchi secondi per capire che era la sua voce. Una voce che non le apparteneva, una voce straziata, stroncata dal dolore. Una voce priva di colore, una voce bianca.
Bianca, come i cadaveri che vedeva intorno a sé.
Bianca, come i nemici che la torturavano ridendo.
Bianca, come le braccia che l’avvolgevano e che la portarono via da tutto quello.
Hermione non sapeva quanto tempo restò preda della sua mente. Ad un certo punto, però, ritornò a vedere la realtà. Era sdraiata in un letto a baldacchino simile al suo, ma dai colori opposti, verde e argento. Girò la testa e intorno a lei notò solo disordine e rosso. Si alzò di scatto, cercando la vittima di quello scempio e si stupì d’incontrare gli occhi preoccupati di Malfoy.
- Che… - tentò di dire, ma la gola le faceva così tanto male che le vennero le lacrime agli occhi.
- Zitta, Granger, hai urlato come un’ossessa per più di un’ora. – le rispose il ragazzo, avvicinandosi.
- Che… che è successo? – sussurrò Hermione, nonostante il dolore.
Draco scosse la testa.
- Non lo so che hai avuto, Granger. Un attacco di panico, un crollo nervoso, non lo so. So solo che mi hai spaventato a morte. –
- Io… - la ragazza stava cercando di recuperare i ricordi di quello che era successo, delle cause, delle conseguenze, ma il suo cervello non andava. L’aveva abbandonata. E il terrore s’impossessò nuovamente di lei.
- Granger, Granger, ritorna da me. Guardami. – esclamò Draco, prendendole il viso tra le mani e scuotendola.
Ci volle un po’ perché la ragazza recepisse il messaggio, ma poi ritornò, ancora una volta, alla realtà.
- Che ti succede, Hermione? –
La ragazza si passò una mano nei capelli ricci.
- Non lo so. Io… Io ho paura. –
Il ragazzo sospirò.
- E c’è bisogno di tutte queste scene? Bastava dirlo, sai? – Draco sorrise e lei con lui.
Restarono un minuto in silenzio, metabolizzando.
- Che cosa vedevi? – chiese Draco.
- Di chi è il sangue? – rispose Hermione.
- Rispondi prima alla mia domanda. –
La ragazza lo guardò in silenzio e Draco sospirò.
- Tuo, mio, non saprei dire. Sei diventata particolarmente violenta, ad un certo punto. –
- Pensavo fossi un nemico. –
- Io sono il nemico. –
Hermione scosse la testa.
- Ti ho fatto male? – chiese.
- Nulla che non sia riuscito a curare. Non hai ancora risposto alla mia domanda. –
- Ero in guerra. Vedevo i nemici intorno a me, i Mangiamorte, c’era Bellatrix e Fenrir Greyback e i morti, tanti morti, Ninfadora, il professor Lupin, Fred, persone sconosciute. Morti.
Draco la guardò. Non pensava che la Granger si potesse fare di questi problemi. Insomma, lei era quella forte, quella invincibile, quella nel giusto. E invece si sentiva in colpa proprio come lui, lui che era cattivo. E lei era buona e non poteva stare così male. Non lo avrebbe permesso.
- Andiamo, Granger. –
- Dove? –
- A farci una doccia, Granger. Guardati.
Hermione si guardò allo specchio di fianco all’armadio del giovane e constatò che non aveva un bell’aspetto. Grumi di sangue le sporcavano i capelli scompigliati, la camicia era strappata in più punti e della giacca restava ben poco.
- E perché devi fare la doccia con me? – chiese innocente.
Draco alzò un sopracciglio e le porse un bigliettino sgualcito.
- Per questo. –
Hermione lesse ad alta voce.
 
Malfoy, ho visto Hermione correre via sconvolta e so per certo che è lì con te.
Suppongo che tu sappia meglio di me cosa fare in questi casi (siete così dannatamente simili), perciò non verrò a cercarla. In qualunque caso, eccoti una lista di cose da fare appena si sveglia:
1- Tranquillizzarla se è spaventata.
2- Rassicurarla.
3- Curare eventuali ferite (psichiche e non).
4- Evitare di scannarsi a vicenda (ne dubito, sarà troppo stanca e fragile).
5- Fare una doccia.
6- Evitare di farle del male in qualunque modo (fisico e non) e, cosa più importante,
NON LASCIARLA MAI DA SOLA.
Spero di essere stata abbastanza chiara e che le conseguenze qualora scoprissi che hai saltato anche uno di questi punti siano lampanti nella tua mente.
 
Ginny Weasley.
 
Hermione sorrise. La sua amica sapeva il fatto suo, non c’era che dire.
- Penso che la doccia possa farla anche da sola, Draco. – disse.
- Non mi fido troppo di te e so di che cosa è capace la rossa. – le rispose il ragazzo, ghignando.
Non sapeva neanche lui che cosa gli stesse succedendo. Vedere la Granger in quello stato, così vulnerabile, eppure così forte, preda della sua mente che, cattiva, le faceva rivivere la guerra anche adesso che solo la pace doveva preoccuparli, lo aveva destabilizzato. Hermione lo aveva aiutato. Lo sapeva benissimo, anche se non voleva ammetterlo. Lei aveva creduto in lui, lei lo aveva curato, noncurante di quello che i suoi amici avrebbero potuto pensare. Questo non era normale.
- Malfoy… -
- Granger, perché l’hai fatto? –
Hermione capì subito dove voleva andare a parare Draco.
- Per lo stesso motivo per cui lo hai fatto tu. –
Eccola, la risposta. Risposta infida, che lo portava a farsi una domanda a cui non sapeva, voleva, rispondersi: “Perché l’hai fatto, Draco?” gli chiedeva la sua mente, subdola, perché la sua mente sapeva perfettamente perché l’aveva fatto.
- Perché sono fregato, Granger. –
Hermione sorrise e, lentamente, si alzò dal grande letto a baldacchino. Le girò la testa e per un momento non seppe più come si stesse in piedi, ma in un attimo le braccia pallide di Malfoy l’avvolsero, le mani ghiacciate.
- E tu vuoi fare la doccia da sola? – non la smetteva di ghignare e questo indisponeva troppo Hermione.
- Io ho intenzione di tornare nella mia stanza, Malfoy. – disse districandosi dall’intreccio di braccia e pelle.
- Penso che questo sia impossibile, Granger. Hai idea di che ore siano? –
Suo malgrado, la ragazza dovette scuotere la testa riccia.
- Bene, sono quasi le 14:00. Sai che vuol dire questo? –
- Che tutti gli studenti sono in Sala Comune dopo aver pranzato, in attesa di riprendere le lezioni, lo so. – rispose sbuffando lei.
- Forza, Granger… - ma il ragazzo non finì mai la frase, bloccato dalla figura ghignante di Ashling, appena entrata nella sua stanza.
- Oh! – esclamò stupita. – Scusatemi! Non pensavo che Draco ti avesse portato qui, Herm, di solito non fa mai entrare nessuno nella sua stanza… Ma dovevo immaginarlo quando Ginny mi ha detto che eri con lui. Come stai, ora? –
La riccia sorrise.
- Abbastanza bene, grazie, ma ho ancora dei problemi con l’equilibrio. –
- Sì, non sta in piedi e vuole fare la doccia da sola! – esclamò il ragazzo scuotendo la testa.
- Ah, e fammi capire, tu ti sei offerto di aiutarla a lavarsi, eh? Che gesto magnanimo e generoso! – rispose Ashling, scuotendo la testa.
- Forza Malfoy, fuori di qui. Aiuto io Hermione a farsi la doccia, tu vai da Blaise. – ordinò la rossa, spingendo fuori dalla sua stanza il ragazzo.
- Ma…! – Draco non finì mai la sua frase, ritrovandosi con la porta chiusa a pochi centimetri dal suo naso.
- Questa è la mia stanza! – esclamò picchiando forti colpi sulla porta di legno.
- Draco, non riusciresti ad entrare lì dentro neanche se lanciassi contro la porta una “Bombarda Maxima”, lo sai. – disse la voce di Blaise, dietro di lui.
- Ma è la mia stanza, Blaise! – sussurrò esterrefatto il biondo Malfoy.
Zabini non poté far altro che ridere fino a farsi venire le lacrime agli occhi, portando Malfoy nella sua stanza in fondo al corridoio.
 
***
 
Hermione era rimasta stupita dall’offerta della ragazza rossa che adesso le stava pettinando i capelli bagnati.
- Sai, per tenerli a bada, io uso una crema babbana che mi ha consigliato Narcissa qualche hanno fa. – disse Ashling.
- Narcissa ti ha consigliato una crema babbana? – chiese stupefatta Hermione.
La rossa sorrise.
- Quella donna sa sempre sorprenderti. Certo, ha creduto in quello che, prima suo padre e poi Lucius, le avevano insegnato, ma è sempre stata una creatura estremamente curiosa e non ha avuto problemi a provare cose del mondo Babbano. Gli ultimi anni di questa guerra sono stati devastanti per lei. Tu non sai com’è stato, dalla nostra parte. Soprattutto per i Malfoy. –
- Raccontami, allora. Sono curiosa. –
- Non penso  di essere la persona più adatta per raccontarti ciò. La mia storia è stata completamente diversa da quella dei Malfoy, da quella di Draco. Io, il Signore Oscuro, l’ho visto pochissimo e non ho il Marchio Nero, Narcissa non ha mai permesso che si avvicinasse a me. Quindi, non posso parlare di quello che si prova perché io stessa non l’ho provato. Però ti posso parlare di quello che ti è successo oggi. Posso aiutarti. –
Hermione scosse la testa.
- Quello che è successo oggi non è niente, Lin. -
- Niente, dici? Hermione, tu non lo hai visto, ma hai quasi distrutto il corridoio in cui ti ha trovata Draco. Lanciavi incantesimi a persone che erano soltanto nella tua testa. Questo non è niente. –
Ci fu silenzio, per un po’. Ashling stava ancora spazzolando i capelli di Hermione ed Hermione, intanto, pensava. Che cosa era successo, esattamente, non lo ricordava bene neanche lei. Ricordava la paura, i nemici, i morti e tanta confusione e due braccia, poi, che l’avevano portata via dal limbo in cui era caduta e in cui era ricaduta appena quelle due braccia l’avevano lasciata. Ricordava la rabbia e il dolore, tanto dolore e poi il nulla, il vuoto, fino a che non si era risvegliata nella stanza di Draco Malfoy, troppo stanca per stupirsi della cosa.
- Hermione, hai mai parlato della guerra con qualcuno, hai mai tentato di tirare fuori quello che hai dentro, lo hai mai fatto? – chiese Ashling, asciugando con un colpo di bacchetta i ricci adesso non più crespi di Hermione.
La ragazza scosse la testa. No, non aveva mai parlato a nessuno di quello che provava lei, di quello che pensava riguardo quella maledettissima guerra. Non ne aveva parlato con Ginny, perché allora Ginny era troppo fragile, perché allora Ginny non parlava, perché Fred era morto e sembrava che Ginny fosse morta con lui. E non ne aveva parlato neanche dopo, quando Fred era tornato come fantasma e Ginny aveva ripreso a vivere, perché pensava che non avesse bisogno di altri tormenti da aggiungere alla sua anima. E no, non ne aveva parlato con Harry, né con Ron, perché vedeva quanto i due ragazzi poco sopportassero tutti i discorsi sulla guerra, tutte le confidenze, tutti gli “Io ho avuto paura”. Non poteva parlarne con loro prima e non poteva parlarne adesso, perché non voleva assillarli, perché non voleva farli preoccupare. E così i mesi erano passati e lei non aveva parlato della guerra con nessuno. Non aveva parlato di lei, di quello che aveva provato, di quello che provava, semplicemente per l’amore che provava verso quella che era in tutti gli effetti la sua famiglia. Quindi no, Hermione non aveva parlato della guerra con nessuno.
- Ecco perché sei crollata, oggi. Tenerti tutto dentro per tutto questo tempo, aiutare Ginny, e Harry, e Ron, e adesso Draco, ad andare avanti ti ha fatto dimenticare dell’unica persona di cui dovevi preoccuparti: te stessa. –  disse la rossa, guardando negli occhi l’immagine di Hermione riflessa nello specchio.
- Io… io forse non ho bisogno di parlarne, Ashling. Io sto bene così. –
La ragazza scuote la testa.
- Da quant’è che non dormi come si deve, Herm? Da quant’è che non mangi almeno la metà di quello che hai nel piatto? Solo a Natale, solo fuori da questa scuola, tu sembravi essere tornata in te. Ma questa scuola - questa pietra, queste mura - è la tua casa. Quanto ancora credi di poter scappare? Quanto ancora credi di poter ignorare il problema? –
Hermione abbassò gli occhi, distogliendoli da quelli della Serpeverde.
- Io non so qual è la mia casa, Lin. I miei genitori mi guardano con lo sguardo di chi ha paura di perdere la propria figlia ancora, con la vaga consapevolezza che forse la propria bambina l’hanno persa appena hanno capito che questa era diversa, una strega, appena questa è entrata in un modo per loro inaccessibile. Non ho amici nel Mondo Babbano, non conosco più nessuno. E qui. Questo non è più il mondo magico che ho conosciuto io, quello che ho imparato ad amare. È un mondo magico devastato dalla guerra appena finita, un mondo magico che ancora non ha capito come fare a rimettersi in piedi, a ricominciare. E neanche io posso essere la mia casa, perché non mi conosco più. Perché ero così abituata alla guerra, così assuefatta alla paura, all’incertezza, all’avere uno scopo, che adesso mi ritrovo dispersa in una calma che non è più la mia, in una normalità che forse non ho mai avuto. Non ho più uno scopo e quella che un tempo chiamavo “casa” adesso mi mostra solo immagini di persone morte anche a causa mia. –
Le mani di Ashling scivolarono lentamente via dalle spalle della ragazza, lasciando solo un grande freddo.
- Hermione. Tu devi capire che quel cartello nero affisso all’entrata di questa scuola, questa scuola che è la più prestigiosa di tutte, la più ambita, serve a ricordare al mondo che la vita esiste e che a volte viene stroncata, ma che non per questo essa è meno vita. Loro hanno scelto. Tutti quei nomi, tutte quelle persone hanno scelto. Ed è inutile continuare a pensare cosa come: “Se fossi stata più gentile, se solo avessi risposto bene quella volta, se avessi pensato di più a loro”. Loro sarebbero morti comunque, con o senza quei piccoli gesti. Certo, sono la prima a dire che i dettagli sono le cose che contano, ma in questo caso, solo in questo, i dettagli non avrebbero cambiato niente. Perché loro sarebbero morti comunque, per ciò in cui credevano maggiormente: un mondo migliore, libero da Voldemort, libero dal male. E certo, questa è un’utopia, non ci sarà mai un mondo totalmente privo di male, come non ci sarà mai un mondo totalmente privo di bene, ma sono morti credendo in qualcosa di migliore, sperando in qualcosa di diverso per i loro cari. E sì, forse erano troppo giovani, forse sarebbe potuta andare in un modo diverso. Ma questo noi non potremo mai saperlo, magari in un altro mondo loro sono vivi e quelli morti siamo noi. Ma non possiamo saperlo e non possiamo crogiolarci nel dolore di chi imperterrito continua a non voler capire che la colpa non è sua. Perché sentirci in colpa ci fa sperare che forse, in questa vita, un minimo di libero arbitrio ce lo abbiamo anche noi. Ma la realtà è che quello che doveva succedere è successo e che noi non possiamo farci niente, se non accettarlo e fare in modo che in futuro non ci debbano essere altri ragazzi come loro, morti forse prima del tempo, e come noi, distrutti ancor prima di diventare adulti. –
Hermione annuì, guardandosi le mani.
- Io mi sento in colpa per tutte le persone che non sono riuscita a salvare quella notte. –
- E pensi mai alle persone che hai salvato dopo, invece? Quando sei andata in giro a curare i feriti, nonostante il dolore per la perdita di Fred? Quando hai dimenticato te stessa per curare prima Ginny, poi Harry, Ron, Draco, o chiunque chiedesse il tuo aiuto? Non pensi alle cose belle che hai fatto? Non vedi la bellezza che c’è dentro ai tuoi occhi? –
La ragazza alzò lo sguardo e si guardò allo specchio. Quello che vide fu un’immagine sfuocata di lei. I capelli ricci, lunghi e ancora crespi, le ricadevano morbidi sulle spalle, creando giochi e grovigli degni delle onde di un mare in burrasca. Il viso era più scavato rispetto all’ultima volta in cui si era veramente guardata allo specchio, mesi fa e gli occhi erano solcati da pesanti occhiaie. Una luce, però, brillava in fondo ad essi, una luci che mesi fa ormai si era spenta, abbattuta da tutto quello che le era successo. Adesso era lì, nascosta da qualche parte in fondo alla cornea, debole, forse, ma c’era e ridonava ai suoi occhi quel fascino che, nonostante il colore banale, avevano sempre avuto.
Hermione sorrise al suo riflesso, pensando che, forse, qualcosa di buono lo aveva fatto anche lei.
Che, forse, un motivo per stare al mondo ce lo aveva.
Che, forse, la bellezza dentro di lei non era andata persa nella battaglia.
Che, forse, si era solo nascosta un po’, perché le cose che si trovano dopo tanto tempo si apprezzano di più.
Si amano di più.








Nota dell'autrice:
*annuisce* Lo so.
Lo so, credetemi. Se volete uccidermi, potete farlo. Sono mesi che non mi faccio più sentire, che non scrivo più niente e che non mando avanti questa storia. Lo so, credetemi. Ma sappiate, prima di trucidarmi, che io vi ho voluto bene e che questo capitolo è dedicato a tutti i quattro gatti meravigliosi che (forse) mi seguono ancora. E soprattutto a Fyre97 che sta sclerando davanti allo schermo. Vi ho voluto bene.
*si lascia aggredire dalla folla inferocita*

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII. ***


Capitolo XIII.
 


Caro diario,
la scuola è quasi finita e i M.A.G.O si avvicinano. Le settimane senza Severus passano lentamente, ma io mi sento molto più leggera. Mi sento più leggera, ma forse anche più pesante. Non posso smettere di pensare che tutto questo non sarebbe mai successo se io avessi dato anche solo una possibilità in più a Severus. Se io avessi aspettato ancora un poco, se avessi resistito qualche giorno in più, magari adesso sarebbe con me e non con quei suoi amici delinquenti. Eppure, non so pentirmi della scelta che ho fatto. Sono una donna forte e ho preso la decisione migliore per me. Non posso sempre pensare agli altri, in questi anni mi sono messa fin troppo da parte. È arrivato il momento di pensare a me, di pensare a quello che voglio io.
Il problema, appunto, è che non so che cosa voglio veramente. Perché Potter si sta comportando bene, è comprensivo, sa essere simpatico (mi stupisco anch’io di queste mie parole, si), ma… ma rimane pur sempre Potter. Rimane il ragazzo che per sei anni della sua vita ha tormentato Severus, forse al punto da farlo allontanare da me. Rimane il ragazzo che per sei anni della sua vita mi ha irritata con il suo comportamento arrogante e borioso, maledettissimo purosangue figlio di papà e viziato.
Eppure.
Eppure lui, James Potter, sta tirando fuori me, Lily Evans, dal baratro e dalla confusione in cui sono caduta in questi mesi di tensioni e di incomprensioni, di sentimenti repressi e frasi non dette. Inutile negarlo, controproducente ammetterlo (forse). Perché, ragioniamo. Ammettere che Potter, proprio lui in carne ed ossa, mi stia aiutando manderebbe la mia mente in tilt. Eppure il corpo parla chiaro: l’odore che sento nelle vicinanze dell’Amortentia è inconfondibilmente quello di Potter, è al contatto lieve delle sue labbra sulle mie che il mio corpo s’è sciolto e la razionalità ha abbandonato la mia persona, non con Severus. Con Severus non è mai successo che il mio corpo fosse così… incontrollabile. Era sempre sotto il ferreo comando della mia mente. E invece ora… ora sembro quasi un’altra persona. Irritabile, inavvicinabile, quasi cattiva con chiunque mi si avvicini che non sia James Potter. E questo, se possibile, mi fa andare in bestia anche di più di James stesso.
Non posso permettere di credere che, alla fine, io mi sia… mi sia cosa, innamorata? La mia mente stenta a crederlo. Eppure non può essere altrimenti, i fatti sono questi e prima o poi dovrò venire a patti con me stessa.
“Evans!” – esclama una voce alle mie spalle. Sospiro.
Parli del diavolo…
“Buon pomeriggio, Potter. A cosa devo il così grande piacere della vista della tua meravigliosa presenza?” – si sente il sarcasmo nella mia voce fino a Hogsmade.
“Su, donna, non fare così con me. Cos’hai?” – chiede sedendosi davanti a me.
Sospiro ancora.
“Cosa vuoi, Potter?”
“ Tu dimmi che cos’hai e io ti dico che cosa voglio da te.”
Subdolo bastardo. Sa come farmi dire quello che vuole. Non posso restare senza sapere quello che vuole dirmi, la mia curiosità reclama un’adeguata risposta.
Sospiro ancora, e ancora, e ancora, valutando se andarmene o no. Potter sorride, sleale come un Serpeverde, sapendo già di avermi in pugno. Non posso non sapere, non posso proprio.
“Non ho niente, Potter, solo non capisco. E non capire mi irrita”
“Non capisci che cosa, Lily?”
Un brivido mi percorre la schiena. Merlino, il mio nome detto da quelle maledette labbra, con quel tono, con quella voce… dovrebbe essere illegale.
“Questo non era nei patti, Potter.”
Il ragazzo sorride, annuendo.
“Hai ragione, Lily” – altro brivido – “I patti sono i patti. Sono qui, perché volevo invitarti ad uscire con me. A Hogsmade. Questa sera”
Lo guardai sbalordita.
“Questa sera.” - Non era una domanda. Solo… un’affermazione stupita.
“Esatto.”
“Di mercoledì.”
“Proprio così.”
“Illegalmente.”
“Evidenzi l’ovvio, mia piccola Evans.”
Un moto d’irritazione mi trapassa la mente. La mia razionalità e la mia intelligenza reclamano vendetta per questo stupido affronto. Uscire illegalmente dalla scuola per un appuntamento romantico con lui?! Ma siamo impazziti? No. No, no, no e ancora no.
Eppure. Eppure, non posso rifiutare. Non ora, non con lui. Non posso negarmi quest’uscita, non posso negarmi quest’assurda follia.
“Va bene, Potter.”
Sussulta. Sapevo che non si aspettava una risposta del genere, soprattutto non così facilmente. Sapevo che si era preparato per uno scontro che sapeva di perdere. E invece, per una frazione di secondo, la maschera strafottente cucita sulla sua faccia ha lasciato il posto alla pura sorpresa e a non so bene cosa. Forse felicità.
Si alza di scatto, fa per andarsene. Poi pare ripensarci e si gira verso di me.
“Perché, Lily?”
Lo guardo negli occhi.
“Perché non siamo una storia triste, James.”
Sorride, annuendo.
“Ci vediamo a mezzanotte, Evans.”
 
- Granger! –
- Zitto un attimo, Malfoy. Siediti e non ti muovere. –
- Ma… -
- Ssh! –
 
A mezzanotte sono in sala comune. Non mi sono messa niente di che, un semplice vestitino verde chiaro. Non sono neanche truccata. Eppure James mi guarda come io guardo un libro rarissimo appena scovato in biblioteca: con amore e ammirazione.
- Sei bellissima, Lily. – mi dice.
Non posso fare a meno di arrossire, non posso proprio. Mi porge il braccio e ci incamminiamo verso un passaggio segreto che io non conoscevo.
Mi porta dietro la statua della Strega Orba e da lì scendiamo infinite scale e attraversiamo infiniti corridoi fino ad arrivare a quella che sembra proprio la cantina di Mielandia. Prima, però, che potessi accertarmene, Potter mi fa chiudere gli occhi. Feci pochi passi, inciampai contro qualcosa, sfiorai il bordo di una sedia. Poi, aprii gli occhi. Davanti a me c’era uno scatolone adibito a tavolino, con una tovaglia candida sopra. C’erano piatti, bicchieri, posate, addirittura una candela ed una rosa rossa.
“E tutto questo?” – domando stupita.
“E tutto questo è il nostro primo appuntamento.” – risponde lui.
Scuoto la testa.
“ Sarà un primo appuntamento solo quando lo deciderò io, Potter!”
Scoppia a ridere e io con lui. Ho riso tanto, quella sera, con quel ragazzo. Risi come mai avevo fatto in vita mia, risi come dovrebbe ridere ogni ragazza della mia età.
La prima portata consisteva in una manciata di api frizzole offerte gentilmente dal ragazzo. Il secondo, da gelatine tutti i gusti + uno. E il dolce, ah, il dolce. Il dolce è stato il mio piatto preferito in assoluto: cioccorane, tantissime cioccorane. Adoro le cioccorane, sono da sempre il mio dolce preferito.
Passammo nella cantina di Mielandia un’eternità durata solo un paio d’ore, poi corremmo via, tornando in quella scuola che più di tutto potevamo chiamare casa.
Mi diede un bacio, davanti alla mia camera. E un altro bacio, e un altro ancora. Mille e mille baci, mille e mille carezze. Rimase con me tutta la notte e io, addormentandomi nuda abbracciata a lui, pensai che, forse, sarei potuta andare avanti. Che, magari, potevo essere una storia felice anch’io.
Almeno un po’.
 
Lily.
 
Hermione chiuse il diario di Lily Potter e lo ripose nella borsa insieme a tutti gli altri libri, senza riuscire a togliersi quel sorrisino scemo che le era affiorato sul viso.
Si prese un colpo quando, alzando gli occhi, notò quelli tristi del ragazzo seduto di fronte a lei. Si era completamente dimenticata di Malfoy.
- Malfoy, che vuoi? –
Già, bella domanda.
Cento punti a Grifondoro.
Che voleva?
Era fregato.
- Io… io non capisco, Hermione. –
La ragazza incrociò le braccia, come per difendersi.
- Non capisci cosa, Draco? -
Aveva delle ipotesi.
Non voleva credere a nessuna.
Il Serpeverde sospirò.
- A Natale mi hai… perché tu fai tutto questo? Tu.. è come se… come se, insomma, come se volessi salvarmi. E io non riesco a capire il perché. –
Hermione lo guardò, sperando che quello che non riusciva a dire a parole, forse, glielo avrebbero detto i suoi occhi parlanti.
Lo guardò per pochi secondi, giusto il tempo di sfiorarsi l’anima, leggeri. Giusto il tempo di capire.
Hermione prese fiato, tentando di tirare fuori quello che doveva, voleva, dire. Non capiva perché una cosa che le era sempre venuta bene – parlare – ora le sembrava così difficile.
Non doveva essere così difficile dirlo.
Perché io mi sono innamorata.
Di te.
Poteva farcela.
Forse.
- Draco, io. Io non so dirtelo. –
- Cosa? Cosa non sai dirmi? –
- Quello che sai. –
Si guardarono.
Sapevano entrambi quello che volevano sentirsi dire. Sapevano entrambi quello che leggevano negli occhi l’uno dell’altra. Eppure.
Eppure sentirlo a parole sarebbe stato diverso. Magari, sentirselo dire, avrebbe dissipato tutti i dubbi che scavavano dentro le loro menti. Menti che non si convincevano del sentimento che i loro corpi sentivano così forte. Menti distrutte da una paura che si trascinavano dietro da quando Voldemort era tornato, anni prima, e che si era radicata in loro in modo permanente l’anno passato.
Sapevano che si stavano curando. Che, in qualche modo, stavano riuscendo a trascinare in salvo le loro vite, lontani da una guerra che li aveva resi troppo grandi. Eppure.
Eppure non riuscivano a convincersi che fosse la cosa giusta. Sapevano, sapevano, quello che provavano l’uno per l’altra. Avevano decifrato i segni, li avevano capiti, li avevano accettati. Ma qualcosa, all’altezza della gola, li bloccava. Li lasciava inesorabilmente inermi l’uno di fronte all’altra, incapaci di fare quello che, in fondo, sapevano che dovevano, volevano, fare. Si erano cercati, inconsapevoli. Si erano riconosciuti, in mezzo a tanto dolore. E adesso non sapevano aggrapparsi l’uno all’altra, non sapevano fare quello che volevano. Proprio ora, finalmente liberi di essere quello che erano, proprio ora, non riuscivano a decidersi ad amare ed a lasciarsi amare.
L’unico modo che avevano per tentare di tenersi, era guardarsi negli occhi. Perché quelli non riuscivano a mentirsi. E fu continuando a guardarsi che si alzarono ed andarono ognuno per la propria strada. Senza voltarsi mai.
 
***
 
- Ginny… -
- No, Hermione. –
- Ginny, io… tu… -
- Hermione. –
La ragazza si fermò.
- No. –
Hermione sospirò. Sapeva che Ginny non si sarebbe accontentata di sentirsi raccontare cos’era successo, sapeva che sarebbe arrivata alla verità prima di lei, sapeva che gliela avrebbe fatta capire, questa maledetta verità. Solo, sperava che lo facesse un po’ più delicatamente.
- Ginny, io che cosa potevo dirgli? –
- La verità, ad esempio? –
- Io non so qual è la verità. Non so qual è la verità tra me e lui. –
- Invece si che la sai. E penso che lui ci sia arrivato. Malfoy ci è arrivato prima di te, Hermione! Come puoi non aver detto niente? Come puoi non esserti fidata? –
- Ma è Malfoy, Ginny. È Malfoy.
- Non regge più la storia di “è Malfoy”, Hermione. Non da te. Andiamo, lo sai benissimo quello che provi per lui. Te ne sei accorta mesi fa! Lo sai benissimo l’effetto che quel ragazzo fa su di te, lo sai. Perché non vuoi accettarlo? Pensavo che l’avessi fatto, pensavo che fossi scesa a patti con te stessa quando lui ti ha salvata dalla guerra dentro di te, settimane fa! –
- Ma l’ho fatto, Ginny, l’ho fatto! Io ho accettato di essere innamorata di lui, l’ho accettato da quando ho visto i suoi occhi, la prima sera, e il suo sangue tra le mie mani. L’avevo accettato già allora, sapevo già allora che sarebbe diventato come una droga, lo sapevo e l’ho accettato. È solo che non riesco a dirlo, Ginny. Io non sono una persona facile e lui non mi ha dato… lui non me lo ha detto e io… io ho avuto paura. –
Ginny si avvicinò all’amica, guardandola fissa negli occhi.
- Herm, Draco è già tanto se ha riconosciuto che era amore, questo. Ed è praticamente un miracolo che lui, nonostante tutto, abbia avuto il coraggio di accettarlo. E di provare a capire, in qualche modo. La sua era una richiesta d’aiuto, Hermione. Ha fatto tutto quello che poteva, che era in suo potere. Ha fatto quello che il suo passato e la sua storia potevano permettergli: ti ha chiesto perché. Il perché di tutto quello che è successo in questi mesi, il perché del suo, del tuo, stare meglio. E non perché lui non sappia cosa sia quello che sente. Ma solo per esserne sicuro, solo per darsi la forza necessaria per provare a sperare in qualcosa, dopo così tanto tempo. Io lo so che le cose fra voi non saranno mai facili. Che cercherete di prevalere l’uno sull’altra, che litigherete, che non vi lascerete mai in pace. Io lo so che sarà così. Che non ci sarà niente di facile. Ma so anche, e questo lo sai pure tu, che solo un uomo così potrebbe essere degno di te. Lui ti fa sentire viva, lui e il suo caratteraccio e la sua storia triste. Così come tu fai sentire vivo lui, tu e il tuo caratteraccio e la tua storia triste. Per questo, per questo non capisco come hai potuto non dirglielo. –
- Dirgli cosa? –
Hermione aveva solo un’ipotesi sulla risposta che le avrebbe dato l’amica.
E sapeva che sarebbe stata la pura, semplice e incontaminata verità.
- Che non siete una storia triste.
 
***
 
Così Hermione glielo aveva detto. Forse in un modo poco ortodosso, forse con meno delicatezza di quanto avrebbe voluto. Ma glielo disse.
Prese tutto il coraggio Grifondoro che le era rimasto, stoicamente sopravvissuto alla guerra, e glielo aveva detto. Aveva fatto i salti mortali, Luna non voleva cambiare il turno di ronda, a lei Malfoy stava simpatico, lo trovava buffo, e col tempo anche Draco si era abituato alla dolce stranezza della Corvonero. C’era voluto un po’, e non c’era neanche riuscita. Luna non aveva fatto cambio con lei. Così si era rassegnata. Se non che, in un momento imprecisato della notte, ebbe così paura di perdere il suo coraggio superstite, aveva così voglia di donarlo a lui, di donargli tutto di lei, tutto quello che poteva prendere, che iniziò a correre. Iniziò a cercarlo, a gridare il suo nome, presa da un’euforia e una paura che non aveva mai provato.
Corse per Hogwarts, Hermione, come tante volte aveva fatto in quegli anni. Corse affannate verso un destino incerto: quella era stata la sua vita ad Hogwarts. I primi anni era stata una corsa piena di gioia, insieme ai suoi migliori amici. Piano piano era subentrata la paura, ma quella gioia di correre con le persone che più amava al fianco non l’aveva mai lasciata del tutto.
Poi era arrivata la guerra vera e propria. E, come tutte le cose brutte, s’era impossessata della sua corsa in un modo che l’aveva cambiata per sempre. Aveva smesso di correre. Perché adesso, correre, aveva il sapore della paura. E lei non voleva più averne. Così, mentre tutti gli altri, dopo una breve pausa, ricominciavano a correre, lei a stento trovava la forza di camminare. E poi, sul suo cammino aveva trovato Draco. La prima volta che lo aveva visto davvero era riverso per terra in una pozza di sangue. Anche lui aveva smesso di correre, forse per i suoi stessi motivi. Eppure lui era ancora più distrutto di lei, lui non riusciva neanche a camminare. Così aveva trovato una forza, dentro di sé, che non sapeva di avere. Che forse non c’era veramente, ma finché la sentiva andava bene. Iniziò a trascinare anche lui verso quella luce in fondo al tunnel, verso quel destino che tanto si stava facendo attendere. E sapeva che avrebbe fatto meglio a lasciarlo dov’era. Sapeva che sarebbe andata oltre. Lo sapeva, certo. Eppure lo aveva curato lo stesso. E quando lui era stato abbastanza forte, aveva curato lei. Si erano curati ed erano andati oltre tutti e due.
Curioso che il primo ad accorgersene fosse stato lui, e non lei. Veramente, veramente curioso. Ma le persone ti stupiscono sempre e questo Hermione lo sapeva bene. Per questo stava correndo, cercandolo. Per stupirlo.
Lo trovo nello stesso posto in cui lo aveva trovato, mesi e mesi prima, in una pozza di sangue.
Stava chiacchierando con Luna, non si era accorto di lei.
Gli arrivo alle spalle.
- Draco. – sussurrò.
Lui si voltò, mentre Luna le sorrise, facendole l’occhiolino e sparendo in un corridoio più avanti.
- Draco. – disse ancora Hermione.
- Sì? –
Hermione si avvicinò alle sue labbra. Voleva che il concetto gli entrasse bene in testa.
- Noi non siamo una storia triste. –
Il ragazzo annuì, prima di congiungere le sue labbra con quelle di lei.






Note dell'Autrice:
*si sente un coro di angeli scendere dal cielo*
Ebbene sì, finalmente *il coro si intensifica* è successo qualcosa tra Draco ed Hermione!
Sinceramente? Non lo credevo possibile. Avevo perso le speranze, davvero.
E invece, ecco che le mie piccole manine grassoccie hanno avuto l'illuminazione!
Ora, so che sto aggiornando un po' come capita, me ne rendo conto e so che mi odiate per queste, MA (perché c'è sempre un "ma") ora potrei aggiornare molto più in fretta. 
Quindi, alla prossima,
un bacio enormissimo a chiunque legga questa storia, 
Lilian <3

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV. ***


Capitolo XIV.
 

Samia guardava Ron sbuffare sopra la sua pergamena. L’indomani dovevano consegnare alla McGranitt una pergamena di almeno due fogli su un argomento particolarmente importante per i M.A.G.O, che si sarebbero tenuti tra pochi mesi, e Ron aveva scritto appena mezzo foglio. Avrebbe voluto aiutarlo, avrebbe voluto scriverglielo lei, quel maledetto tema, ma sapeva che non poteva. Sapeva anche, però, che Ron non lo avrebbe mai finito da solo. Perché, per quanto fosse diventato bravo nella pratica, la guerra gli aveva fatto imparare tante cose, lo stesso non si poteva dire nella teoria, che rimaneva il suo tallone d’Achille.
Fece l’errore di guardarlo negli occhi: il suo sguardo sconsolato da cucciolo abbandonato le stringeva il cuore.
- Ti prego, cucciola, scrivimi almeno un pezzettino! – supplicò Ron.
La ragazza assottigliò gli occhi scuri. Lo sguardo sconsolato da cucciolo abbandonato non le stringeva il cuore così tanto.
- Ai M.A.G.O ci sarete solo tu e una pergamena! Lo devi fare da solo, impegnati! –
Inutile dire che l’amicizia della sua ragazza con Hermione non aveva giovato al giovane rampollo Weasley, che i compiti doveva continuare a farseli da solo.
Nonostante questo, Samia dovette ammettere che avevano praticamente passato tutto il pomeriggio in biblioteca a studiare, e che era assolutamente ora di una pausa.
Sospirò.
- Forza, Ron. Andiamo. – disse alzandosi.
Il ragazzo la guardò confuso, ma non si oppose di certo alla decisione della ragazza di interrompere lo studio. Presero le loro cose e uscirono tranquilli dalla biblioteca.
Samia prese la mano del suo ragazzo e gli sorrise.
Era bello, Ron, diverso dai ragazzi che era solita frequentare in Egitto. Non pretendeva, ma chiedeva gentilmente. Non si imponeva su di lei, affermando di essere superiore, ma la trattava come sua pari, adorandola e venerandola come la più bella di tutte le dee. Samia non aveva mai conosciuto un ragazzo così.
- Raccontami un po’ di te. – gli disse accompagnandolo verso le cucine.
Il ragazzo la guardò alzando le sopracciglia.
- Raccontarti di me? –
- Sì, di te, della tua famiglia. Sono curiosa. –
Gli sorrise, incoraggiante, mentre lui cercava le parole adatte al racconto.
- Siamo… eravamo… oh, miseriaccia, Fred è un fantasma, quindi, siamo in nove nella mia famiglia. Mamma, papà, Bill, che lavora come cacciatore di tesori per la Gringott, Charlie, allevatore di draghi in Romania, Percy, segretario del Ministro, Fred e George, loro li conosci, cioè, tu conosci George, ma Fred è uguale a lui in tutto, se non contiamo il fatto che sia un fantasma. –
Ron rabbrividì e Samia si fermò a guardarlo.
- È tornato indietro, quindi? –
- Sì, diceva che non avrebbe potuto lasciarci soli che se no chissà cosa avremmo combinato in sua assenza. È stato uno shock talmente grande che ha fatto tornare a vivere addirittura Ginny. Però… -
- Però non ti sembra giusto. –
- Esatto. Non fraintendermi, voglio bene a mio fratello e sono contento che possa parlarci ancora, sono contento di poter scherzare con lui e di farmi prendere in giro. Ha risollevato il morale di tutta la famiglia, certo, ma… ma non trovo giusto che sia tornato. Vederlo in quel modo, vederlo fantasma, ci fa capire quanto questa guerra ci abbia tolto, quanto abbiamo perso. Ci ricorda in ogni momento che lui è morto e che non tornerà, non tornerà più come prima. Ti fa sentire impotente, perché non puoi fare niente per cambiare le cose. –
Rimasero in silenzio, mentre Samia trafficava in cucina, aiutata da alcuni Elfi domestici.
- Mi dispiace molto, Ron, io… -
- Oh, non ti preoccupare ‘Mia. – disse sfiorandole la mano. – Piuttosto, tu? Raccontami qualcosa di te. –
La ragazza lo guardò e gli porse la cioccolata calda che aveva preparato. Che cosa raccontare di sé? Non aveva niente d’interessante. Non aveva fratelli che facevano lavori strani, non ne aveva proprio, di fratelli.
- Come avete affrontato, voi, la guerra? – domandò all’improvviso Ron, notando il silenzio distaccato della ragazza.
- Non l’abbiamo affrontata. –
- Non l’avete affrontata? –
- No. – un sospiro. – Quando Voldemort è tornato al potere, in Egitto si stava relativamente bene. Lì non c’è tutta questa cosa delle classi, Purosangue, Mezzosangue, Nati Babbani. Importa ben poco, alla gente. È vero anche che si sente molto la differenza tra ricchi e poveri. Non c’è una via di mezzo. O si è ricchissimi, come i miei genitori, o si è poverissimi. Quindi, quando le avvisaglie del potere di Voldemort sono arrivate fino a noi, le sue idee hanno avuto gioco facile tra le persone più povere, che vedevano nelle promesse di quel pazzo la risposta ai loro problemi. Molti sono passati dalla sua parte e quando si è sentito odore di guerra, i miei genitori hanno fatto i bagagli e se ne sono andati. Così ci siamo trasferiti in Grecia, ma quando abbiamo capito che anche lì la guerra era prossima, ci siamo trasferiti di nuovo, aspettando che le acque si calmassero. Non fare quella faccia, Ron. Non puoi giudicarli. Loro hanno fatto una scelta. –
- Ma non si sono schierati! –
- Esatto. Li devi, ci devi, capire. Non avevamo nulla per cui combattere. Voldemort non ci aveva fatto nulla, a stento sapevamo chi fosse. Harry Potter e tutta la sua storia era solo una leggenda, per noi. Voi tutti eravate solo una leggenda. E i miei genitori, da sempre calmi affaristi, hanno preferito salvare la pelle e il patrimonio, piuttosto che spendere soldi e magari farsi ammazzare in una guerra che non ci aveva mai colpiti direttamente. Per noi è stato diverso che per voi. Voi avete visto i vostri amici morire in battaglia, morire per un ideale, per un mondo migliore. Li avete visti morire per vendicare torti subiti e morti innocenti. Noi non avevamo un motivo per combattere. Il nostro mondo non era in guerra. –
- Ma se noi non avessimo sconfitto Vol… Voldemort, di certo ora anche il tuo mondo sarebbe in guerra a causa sua. –
- Sì, certo, e allora ci saremmo schierati e avremmo combattuto per il nostro mondo. Ma non è successo, voi lo avete sconfitto prima che potesse distruggerci tutti e avete subito troppo, per essere solo dei ragazzi della mia stessa età. Io non so se sarei stata abbastanza forte da sopportare tutto quello che avete sopportato voi, la ricerca degli Horcrux, la paura, la separazione dalle vostre famiglie. Io non lo so se sarei stata capace di tanto, per una guerra voluta da altri. Avete avuto un coraggio e una stupidità enormi. Dei ragazzi che hanno combattuto un mago di cui anche gli adulti avevano paura. –
Ron sorrise, ammiccando al suo indirizzo.
- È per questo che mi ami. Per il mio incredibile coraggio! –
Samia rise.
- O forse per la tua indiscutibile stupidità! –
- Ehi, ragazzina! Non si scherza con gli uomini! –
Samia, fintamente stizzita, si alzò e andò a sedersi sulle sue ginocchia.
- Ah, e cosa si fa allora, con gli “uomini”? –
Il sorriso malizioso che si dipinse sul volto di Ron fece ridere Samia.
Tornata seria, lo guardò negli occhi con un sorriso dolcissimo.
- Se ti avessi conosciuto prima, avrei combattuto al tuo fianco. –
- Se ti avessi conosciuta prima, non te lo avrei permesso. –
Samia sorrise.
- Sei sporco di cioccolato. – disse, prima di donargli un bacio dolcissimo.
 
***
 
Se Ginny pensava a quanto aveva aspettato Harry Potter le veniva quasi da ridere. Con tutta la fatica che aveva fatto per avere il ragazzo che amava, le sembrava che niente avrebbe più potuto sconfiggerla. La loro storia sembrava un’imitazione di quello che era successo ad un certo Enzo e Lucilla… o forse Lucio ed Enza…* insomma, a due protagonisti di un libro babbano di cui le aveva parlato Hermione.
Essere posseduta da un giovane e pimpante Signore Oscuro in crisi adolescenziale e quasi morire ammazzata durante il suo primo anno? Ce l’aveva.
Pulire il sangue dal viso di Harry Potter praticamente ogni primo giorno di scuola? Aveva anche questo.
Essere baciata dal suddetto Ragazzo Sopravvissuto e poi essere rifiutata in nome di non si sa bene cosa? Dannazione, aveva pure questo.
Aspettare per un anno intero il ritorno di quell’idiota di suo fratello che aveva accompagnato ancora il più idiota Harry Potter nella ricerca di solo Merlino sa che cosa? Sì, poteva dire che aveva anche questo. E meno male che c’era Hermione con loro, se no dubitava che il fratello e il ragazzo moro in ritardo che stava aspettando sarebbero tornati vivi.
Certo, una volta tornati, avevano affrontato Voldemort e la compagnia di invasati che si portava dietro, avevano visto morire tante di quelle persone che una vita intera non gli sarebbe bastata a contare, avevano visto suo fratello morto e poi, come se nulla fosse, tornato alla vita come fantasma e avevano assistito, chi più chi meno, alla totale perdita di senno di Harry Potter, che si incolpava di tutte le persone morte dal 1970 ad oggi. E che si rifiutava di stare con lei.
Ora, Ginny ringraziava di aver preso la pazienza della madre e la pacatezza del padre, perché se no avrebbe sicuramente fatto ciò che il Signore Oscuro non era mai riuscito a fare: ammazzare Harry Potter. Violentemente. Le ci era voluta tanta pazienza e tanta forza di volontà per far capire al ragazzo che non correvano alcun pericolo, che la guerra era finita, che quelle persone non erano morte a causa sua e che insieme avrebbero potuto farcela. Ne era quasi uscita pazza. Eppure, quello che aveva ottenuto, dopo tanta fatica, non era neanche lontanamente paragonabile a quello che si era immaginata, perché era sicuramente molto più bello.
Da lontano vide una massa spettinata di capelli neri. Sorrise.
- Ciao Harry. – disse andandogli incontro e posandogli un leggero bacio sulle labbra.
Appena accennò a spostarsi, però, Harry la bacio di nuovo, con passione e trasporto, come non aveva mai fatto. O, per lo meno, come non aveva mai fatto davanti a tutti. Il Bambino Sopravvissuto, infatti, era sempre molto restio a lasciarsi andare in pubblico, non voleva dare spettacolo né attirare troppe attenzione su di lui, su di loro.
- A cosa devo tutta questa passione? – chiese appena il moro la lasciò parlare.
Il ragazzo non parlò, perso in pensieri che, Ginny ci avrebbe scommesso le sue mutande preferite, gli facevano più male che bene. Presero a camminare mano nella mano per il parco interno di Hogwarts, che qua e la mostrava ancora i segni delle magie lanciate durante la battaglia svoltasi tra quelle mura.
- Pensavo che i Malandrini sono tutti morti. Mio padre e Peter Minus morti per mano di Voldemort. Sirius ucciso da Bellatrix, il professor Lupin probabilmente ucciso da Dolohov. Insomma, loro sono morti e con loro sono morte anche le loro mogli. Mamma è morta subito dopo mio padre, Tonks subito dopo il professor Lupin. Io… non so spiegarmelo, Ginny. –
- Non sai spiegarti cosa, Harry? –
La ragazza sapeva che cosa le stava per dire Harry, era un discorso che avevano fatto mille e mille volte, avvolti da un passato che non voleva cedere il passo al futuro.
- Non so spiegarmi come il loro amore possa essere ancora qui. Come esso possa rispecchiarsi in me e in Teddy. Come mai noi siamo sopravvissuti e loro no. Non so spiegarmelo. -
Ginny sospirò.
- Abbiamo fatto questo discorso così tante volte, Harry, che penso tu sappia alla perfezione quello che penso. –
- Sì, lo so. Ma è una cosa così strana. Quanto può essere forte l’amore, Ginny, se riesce a sopravvivere anche alla morte? –
- L’amore non sopravvive alla morte, Harry. L’amore e l’affetto che Sirius e i tuoi genitori provavano nei tuoi confronti, è morto con loro. Però viene ricordato dal tuo amore e dal tuo affetto nei loro confronti che continua nonostante la morte. Anche l’amore muore, se così vogliamo dire. Ma non muore il ricordo di esso. È quella la nostra forza. Se Voldemort avesse ricordato di aver ricevuto un po’ di amore nella sua vita, dubito che sarebbe diventato quello che era. –
Il ragazzo rimase silenzioso a lungo. Ginny si chiese se sarebbe mai tornato a parlarle, a volte i suoi silenzi erano così lunghi che quando poi Harry tornava a parlare la sua voce era roca e bassa. Era rimasto stupito da quello che gli aveva detto, era stupita anche lei dalla verità delle sue parole. Non si era mai resa conto di quanto esse potessero essere potenti, prima della guerra. E dopo, per un certo periodo, avevano perso del tutto il loro valore, per lei, troppo spaventata da esse anche solo per dire banalità. Ora, ora che poteva parlare senza aver paura di pronunciare un nome – Tu-Sai-Chi, Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, Voldemort – che ti avrebbe portato di sicuro alla morte, solo ora capiva quanto le parole, una parola, potesse uccidere. Uccidere di gioia, di amore, di dolore, di indifferenza. Le parole, o la mancanza di esse, uccideva. E solo ora lo capiva.
- Hai paura della morte, Ginny? –
Sapeva che Harry non aveva paura della morte. Non ne aveva mai avuta, malgrado tutto.
- Hai paura di amare, Ginny? – le chiesero i suoi occhi verdi.
- No. L’amore è l’unica costante dell’uomo, Harry. Tutto il resto… tutto il resto, anche l’odio, alla fine se ne va. Penso che, in fin dei conti, Voldemort non ti odiasse più come una volta. Certo, sei stato un’odiosa spina nel fianco, ma, alla fine, era solo paura quella che ha guidato tutte le sue azioni. Una paura che, se lui fosse stato amato e avesse a sua volta amato, non avrebbe avuto. –
- Anche tu hai avuto paura. Io ho avuto paura quando ti ho sentita urlare e tentare di correre incontro ad Hagrid che mi portava in braccio. Ma dico, che cosa ti è saltato in mente?! –
Lo sguardo allucinato che Harry regalò a Ginny indispettì incredibilmente la ragazza.
- Che cosa mi è saltato in mente?! A me?! Che cosa è saltato in mente a te! Per la barba di Merlino, Harry, sei andato consapevolmente a farti ammazzare da quel pazzo Mezzosangue senza neanche dirmi addio e mi chiedi che cosa è saltato in mente a me quando ti ho visto inerme tra le braccia di Hagrid?! –
Il ragazzo ridacchiò, sistemandosi gli occhiali.
- Sei sempre molto bella quando ti arrabbi. –
La ragazza sbuffò.
- I complimenti non mi faranno cambiare idea su ciò che penso di te. –
- Ah. E che cos’è che pensi di me? –
- Penso che tu sia un idiota! –
Lo sguardo sconsolato che il moro le rivolse avrebbe fatto sciogliere anche il ghiaccio più duro. Il Ragazzo Sopravvissuto aveva imparato tanto su quell’arte da suo fratello, da quanto le riferiva Samia.
- E non guardarmi così, Harry Potter! È l’epiteto che ti meriti dopo tutto quello che mi hai fatto passare! – esclamò ridendo Ginny.
- Mi dispiace. –
L’altra alzò le spalle.
- Ti amo. –
- Ti amo anch’io. – le disse Harry prima di avvicinarsi per un bacio carico di promesse.
 
***
 
La ragazza alzò gli occhi.
- Che cosa leggi, Lin? – chiese Neville accarezzandole i capelli rossi.
- Favole babbane. – gli rispose facendogli posto affianco a lei sul telo che aveva steso sul prato davanti al Lago Nero.
- Non fa propriamente così caldo da potersi mettere seduti all’aperto a leggere favole babbane, Ashling. –
- Su, Neville. Non rompere. Si sta bene, c’è fresco, al contrario del vostro dannatissimo dormitorio, dove c’è da sperare di non morire arrostiti! –
- Eppure ‘sta notte non ti lamentavi del caldo del dormitorio, mi pare… - lo sguardo carico di malizia che il ragazzo riservò ad Ashling la fece avvampare fino alla punta dei capelli e abbassare gli occhi sul libro che teneva in mano.
Il ragazzo rise e le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
- Ti va di leggermi qualcosa? –
- Hai mai sentito la storia del “Tenace soldatino di stagno” di Andersen? –
- No. –
La ragazza sorrise.
- C'erano una volta venticinque soldati di stagno, tutti fratelli tra loro perché erano nati da un vecchio cucchiaio di stagno. Tenevano il fucile in mano, e lo sguardo fisso in avanti, nella bella uniforme rossa e blu. La prima cosa che sentirono in questo mondo, quando il coperchio della scatola in cui erano venne sollevata, fu l'esclamazione: "Soldatini di stagno!" gridata da un bambino che batteva le mani; li aveva ricevuti perché era il suo compleanno, e li allineò sul tavolo.
I soldatini si assomigliavano in ogni particolare, solo l'ultimo era un po' diverso: aveva una gamba sola perché era stato fuso per ultimo e non c'era stato stagno a sufficienza! Comunque stava ben dritto sulla sua unica gamba come gli altri sulle loro due gambe e proprio lui ebbe una strana sorte.
Sul tavolo dove erano stati appoggiati c'erano molti altri giocattoli, ma quello che più attirava l'attenzione era un grazioso castello di carta. Attraverso le finestrelle si poteva vedere nelle sale. All'esterno si trovavano molti alberelli intorno a uno specchietto che doveva essere un lago; vi nuotavano sopra e vi si rispecchiavano cigni di cera. Tutto era molto grazioso, ma la cosa più carina era una fanciulla, in piedi sulla porta aperta del castello; anche lei era fatta di carta, ma aveva la gonna di lino finissimo e un piccolo nastro azzurro drappeggiato sulle spalle con al centro un lustrino splendente, grande come il suo viso. La fanciulla aveva entrambe le mani tese in alto, perché era una ballerina, e aveva una gamba sollevata così in alto che il soldatino di stagno, non vedendola, credette che anch'ella avesse una gamba sola, proprio come lui. "Quella sarebbe la sposa per me!" pensò "ma è molto elegante e abita in un castello; io invece ho solo una scatola e ci abitiamo in venticinque, non è certo un posto per lei! comunque devo cercare di fare conoscenza!" Si stese lungo com'era dietro una tabacchiera che si trovava sul tavolo; da lì poteva vedere bene la graziosa fanciulla che continuava a stare su una gamba sola, senza perdere l'equilibrio.
A sera inoltrata gli altri soldatini di stagno entrarono nella scatola e gli abitanti della casa andarono a letto. Allora i giocattoli cominciarono a divertirsi: si scambiavano visite ballavano, giocavano alla guerra. I soldatini di stagno rumoreggiavano nella scatola, perché desideravano partecipare ai divertimenti, ma non riuscirono a togliere il coperchio. Lo schiaccianoci faceva le capriole e il gesso si divertiva sulla lavagna, facevano un tale rumore che il canarino si svegliò e cominciò a parlare in versi.
Gli unici che non si mossero affatto furono il soldatino di stagno e la piccola ballerina; lei si teneva ritta sulla punta del piede con le due braccia alzate, lui con pari tenacia restava dritto sulla sua unica gamba e gli occhi non si spostavano un solo momento da lei.
Suonò mezzanotte e tac... si sollevò il coperchio della tabacchiera, ma dentro non c'era tabacco, bensì un piccolissimo troll nero, perché era una scatola a sorpresa.
"Soldato!" disse il troll "smettila di guardare gli altri!"
Ma il soldatino fìnse di non sentire.
"Aspetta domani e vedrai!" gli disse il troll.
Quando l'indomani i bambini si alzarono, il soldatino fu messo vicino alla finestra e, non so se fu il troll o una folata di vento, la finestra si aprì e il soldatino cadde a testa in giù dal terzo piano. Fu un volo terribile, a gambe all'aria, poi cadde sul berretto infilando la baionetta tra le pietre.
La domestica e il ragazzino scesero subito a cercarlo, ma sebbene stessero per calpestarlo, non riuscirono a vederlo. Se il soldatino avesse gridato: "Sono qui!" lo avrebbero certamente trovato, ma lui pensò che non fosse bene gridare a voce alta perché era in uniforme. Cominciò a piovere, le gocce cadevano sempre più fitte e venne un bell'acquazzone: quando finalmente smise di piovere arrivarono due monelli.
"Guarda!" disse uno "c'è un soldatino di stagno! adesso lo facciamo andare in barca."
Fecero una barchetta con un giornale, vi misero dentro ii soldatino e lo fecero navigare lungo un rigagnolo; gli correvano dietro battendo le mani. Dio ci salvi! che ondate c'erano nel rigagnolo, e che corrente! Tutto a causa dell'acquazzone. La barchetta andava su e giù e ogni tanto girava su se stessa così velocemente che il soldatino tremava tutto, ma ciò nonostante, tenace com'era, non batté ciglio, guardò sempre davanti a sé e tenne il fucile sotto il braccio.
Improvvisamente la barchetta si infilò in un passaggio sotterraneo della fogna; era così buio che al soldatino sembrava d'essere nella sua scatola.
"Dove sto andando?" pensò. "Sì, tutta colpa del troll! Ah, se solo la fanciulla fosse qui sulla barca con me, allora non mi importerebbe che fosse anche più buio."
In quel mentre sbucò fuori un grosso ratto, che abitava nella fogna.
"Hai il passaporto?" chiese. "Tira fuori il passaporto!" Ma il soldatino restò zitto e tenne il fucile ancora più stretto. La barchetta passò oltre e il ratto si mise a seguirla. Hu! come digrignava i denti e gridava alle pagliuzze e ai trucioli: "Fermatelo! Fermatelo! non ha pagato la dogana! non ha mostrato il passaporto!."
Ma la corrente si fece sempre più forte e il soldatino scorgeva già la luce del giorno alla fine della fogna, quando sentì un rumore terribile, che faceva paura anche a un uomo coraggioso; pensate, il rigagnolo finiva in un grande canale, e per il soldatino era pericoloso come per noi capitare su una grande cascata.
Ormai era così vicino che gli era impossibile fermarsi. Si irrigidì più che potè, perché nessuno potesse dire che aveva avuto paura. La barchetta girò su se stessa tre, quattro volte e ormai era piena di acqua fino all'orlo e stava per affondare. Il soldatino sentiva l'acqua arrivargli alla gola, e la barchetta affondava sempre più; la carta intanto si disfaceva. L'acqua gli coprì anche la testa -allora pensò alla graziosa ballerina che non avrebbe rivisto mai più, e si sentì risuonare nelle orecchie:
Addio, bel soldatino morir dovrai anche tu
La carta si disfece del tutto e il soldatino di stagno andò a fondo, ma subito venne inghiottito da un grosso pesce.
Oh, com'era buio là dentro! ancora più buio che nella fogna, e poi era così stretto; ma il soldatino era tenace e restò lì disteso col fucile in spalla.
Il pesce si agitava in modo terribile, poi si calmò e fu come se un lampo lo attraversasse. La luce ormai splendeva e qualcuno gridò: "Il soldatino di stagno!." Il pesce era stato pescato, portato al mercato, venduto e portato in cucina dove una ragazza lo aveva tagliato con un grosso coltello. Prese con due dita il soldatino e lo portò in salotto dove tutti volevano vedere quell'uomo straordinario che aveva viaggiato nella pancia di un pesce; ma lui non si insuperbì. Lo misero sul tavolo e... oh, che stranezze succedono nel mondo! il soldatino si trovò nella stessa sala in cui era stato prima, vide gli stessi bambini e i giocattoli che erano sul tavolo, il bel castello di carta con la graziosa ballerina, che ancora stava ritta su un piede solo e teneva l'altro sollevato; anche lei era tenace e questo commosse il soldatino che stava per piangere lacrime di stagno, ma questo non gli si addiceva. La guardò, e lei guardò lui, ma non dissero una sola parola.
In quel mentre uno dei bambini più piccoli prese il soldatino e lo gettò nella stufa, e proprio senza alcun motivo, sicuramente era colpa del troll della tabacchiera.
Il soldatino vide una gran luce e sentì un gran calore, era insopportabile, ma lui non sapeva se era proprio la fiamma del fuoco o quella dell'amore. I suoi colori erano ormai sbiaditi, ma chi poteva dire se fosse per il viaggio o per la pena d'amore? Il soldatino guardò la fanciulla e lei guardò lui, e lui si sentì sciogliere, ma ancora teneva ben stretto il fucile sulla spalla. Intanto una porta si spalancò e il vento afferrò la ballerina che volò come una silfide proprio nella stufa vicino al soldatino. Sparì con una sola fiammata, e anche il soldatino si sciolse completamente. Quando il giorno dopo la domestica tolse la cenere, del soldatino trovò solo il cuoricino di stagno, della ballerina il lustrino tutto bruciacchiato e annerito. –
- Il soldatino e la ballerina sono morti insieme, perché erano innamorati. –
Ashling annuì.
- È sempre stata la mia storia preferita. –
- Tu moriresti per amore? –
La ragazza parve pensarci su.
- Non lo so. Sai, a parlarne così siam tutti fieri e coraggiosi, impavidi paladini della giustizia, difensori dell’amore. È che quando ci sei dentro, quando puoi davvero morire per amore, lì le cose si complicano. Io ho visto tanti combattere e morire per amore, Neville, ma continuo a pensare che quello che ha fatto Draco, quel marchio che per sempre rovinerà la sua bella pelle, penso che quello sia stato il miglior gesto d’amore che qualcuno avrebbe mai potuto fare per me. Voi Grifondoro vi sareste immolati per i vostri cari, andando incontro alla morte senza paura, non vi saresti fatti marchiare, no. Lui ha preferito salvarsi la pelle, farsi marchiare e sottostare ad un pazzo, piuttosto che abbandonarci a noi stessi. Mi sarei fatta marchiare anche io, per proteggere la mia famiglia. Lo avrei fatto, per l’amore che porto loro. Eppure. Eppure c’è anche un altro tipo di amore, che non è amore filiale o fraterno, ma è quell’altro tipo di amore che è come una malattia grave, quando arriva o rimane per sempre o ti lascia il segno. Ti cambia. Per quell’amore lì, quell’amore che ha portato zia Cissy ad amare lo zio Lucius fino alla fine, quell’amore che ha ucciso Ninfadora Tonks e Remus Lupin, quell’amore che molto probabilmente è quello che stiamo provando io e te adesso, beh, per quell’amore penso che si possa anche morire. Perché va oltre qualsiasi cosa. Va anche oltre al tempo, come l’amore del professor Piton per la madre di Harry. Per quell’amore si muore anche senza lasciare la Terra. Per quell’amore, anche una parola può uccidere. –
Neville annuì.
- Quindi tu dici che il nostro è quel tipo di amore? –
- È una dichiarazione quella che vuole, signor Paciock? –
- Sì, gradirei molto volentieri una sua dichiarazione, signorina Lloyd. –
- Te lo dimostro sempre, le parole non servono. –
- Ma mi piace sentirmelo dire dalla tua bella voce. –
La ragazza si avvicino al Grifondoro.
- Visto che ti piace la mia voce, ti farò una promessa. –
Neville annuì.
- Ti prometto che, finché morte non ci separi, ti leggerò tutte le fiabe che vorrai. –
- Le leggerai anche ai nostri futuri bambini? –
- Futuri bambini? Non ti stancherai di me prima di avere dei bambini? –
- No. –
Ashling sorrise, sfiorandogli lo zigomo.
- Allora leggerò le fiabe anche ai nostri futuri bambini. – 
















Note dell'autrice:

*riferimento al libro de "I Promessi Sposi" di Alessandro Manzoni, che tutti di sicuro conoscono :33

Buonsalve a tutte voi, anime buone!
Ecco un altro capitolo della Dramione ed è inutile che mi diciate che non c'è neanche un minuscolo momento Draco/Hermione, questa rimane una Dramione a tutti gli effetti u.u
Non potevo mica dimenticarmi gli altri personaggi, no? E poi, devo capire bene cosa far fare a quei due testoni di Draco ed Herm.
In qualunque caso, il capitolo è stato un parto, ma il prossimo dovrebbe arrivare in tempi leggermente più brevi del solito, quindi...
Un bacio a tutti voi che mi leggete e che non vi siete ancora stufati di me,
alla prossima,
Lilian <3


 

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Capitolo 15
*** Capitolo XV. ***


Capitolo XV.
 


- Sai cosa? Non ne sono stupito. Proprio per niente. Tu che dici, Lin? –
- Che non avrei potuto aspettarmi altro da Narcissa Malfoy dopo la pazzia di Natale. –
- Già, concordo. È impazzita. –
- Decisamente. –
Uno sbuffo.
- Avete finito, voi due? Sembrate due vecchi scorbutici. Come se la cosa vi dispiacesse, poi! –
- Pensavamo di passare le vacanze fra noi, madre. –
- Suvvia, Draco. Sapete benissimo tutti e due che il Manor è troppo grande per noi e che voi avete bisogno di distrarvi. E che preferite decisamente passare queste vacanze con una compagnia diversa dalla mia. –
Due sbuffi, quasi in sincrono.
- Chi ci sarà? – chiese Draco.
- No, aspetta! Fammi prima indovinare! – rispose Ashling. – Dunque, sono sicura che ci sarà la zia Andromeda e il piccolo Teddy. Perciò, se c’è Teddy, c’è anche Harry Potter. E dove c’è Harry Potter ci sono anche Hermione Granger e Ron Weasley. A questo punto potrei supporre che vengano anche Ginny e Samia, ma non penso che ci sarà tutta la famiglia Weasley, se non sbaglio Ginny mi aveva accennato ad un viaggio in Romania dal fratello maggiore, Charlie. –
Narcissa sorrise, annuendo.
- Ci sarà anche il giovane rampollo Paciock. –
La ragazza spalancò gli occhi e iniziò a tossire, quasi piegata in due dalla forza della tosse, attirandosi lo sguardo preoccupato di Draco, che si alzò avvicinandosi. Lei lo respinse.
- Va tutto bene. – disse sorridendo prima di uscire dalla stanza.
 
 
***
 
- Che ci fai qui da solo, Draco? – chiese Narcissa al figlio seduto sulla panchina, nascosto agli occhi poco attenti degli altri occupanti della casa.
- Niente, pensavo. –
- A chi? –
Draco sorrise.
- Perché pensi che stia pensando a qualcuno, madre? –
La donna scosse il capo.
- Io non penso che tu stia pensando a qualcuno. Io so che tu stai pensando a qualcuno. E penso anche di sapere a chi stai pensando. –
- Ah, davvero? E secondo te chi è la persona al centro dei miei pensieri? –
- Hermione Granger. –
Draco sfuggì lo sguardo della madre, posando gli occhi su orizzonti lontani. Non aveva alcuna voglia di parlare con Narcissa Malfoy di quello che lo legava alla Granger. Al loro rapporto. Alla loro storia, che non sarebbe stata mai più una storia triste.
- Draco. – lo chiamò sua madre.
- Che c’è? –
- Voglio che tu mi ascolti. E mi parli. –
- Ascoltarti? Per sentirmi dire che lei non è la donna giusta per me? Per sentirmi dire che preferiresti una Purosangue che non mi ama, per la quale contano solo i miei soldi e la mia posizione sociale? Che mi darà eredi e non figli? Se mi devi dire questo, non voglio ascoltarti. –
Narcissa sospirò.
- Non voglio dirti niente di tutto questo, Draco. Ma ti vedo in difficoltà e non capisco perché. Sono anni che leggo l’amore in ogni piccolo gesto di tuo padre, celato dietro una maschera d’indifferenza che sembrava vera, ma che rimaneva pur sempre una maschera. Perciò, riconosco l’amore quando lo vedo. E quello che leggo negli occhi di Hermione, Draco, è solo amore. Penso che lei l’abbia capito, è una ragazza sveglia. Ma vedo anche che ha paura, che si muove a scatti e che è sempre allerta, come se fosse ancora in guerra. Io lo vedo quello che vi lega. E voglio che tu sia felice e se il prezzo della tua felicità è quello di sporcare la linea di sangue, va bene. Non mi interessa. Solo, non voglio che tu te la lasci scappare. Lei è quella giusta per te. Lo vedo da come sa curarti e tenerti testa. E non capisco che cosa vi blocca. –
- Che ne so, mamma? Lei era dalla parte del giusto, lei e i suoi due stupidi amici, tutti con la stessa tara mentale di morire prima dei vent’anni, tutti con la stessa tara mentale di salvare e proteggere il mondo. Lei è una dei buoni, lo sai anche te. Mentre io… io ho il Marchio e anche se l’ho fatto per proteggere la mia famiglia, ero comunque dalla parte sbagliata. Ho fatto la scelta giusta, neanche Silente avrebbe potuto fare qualcosa, eravamo tutti troppo compromessi. E mentre io ero relativamente tranquillo a Hogwarts, lei e Potter e Weasley erano chissà dove a cercare il modo di uccidere quel pazzo di Voldemort. E questo l’ha segnata. E io non so se sono abbastanza calmo e forte e giusto per poter stare accanto a lei e renderla felice. –
- Draco, hai sempre fatto quello che era giusto per salvare la vita e dare un futuro e una speranza agli altri, non sei più il bambinetto viziato che eri. Hai corso rischi, hai fatto scelte che non ti hanno fatto bene. Che ti turbano il sonno e ti perseguiteranno forse per sempre. Ma non hai mai fatto niente per te, se non preservarti in vita. Ora che la guerra è solo un passato sì doloroso, ma pur sempre passato, non negarti la possibilità di essere felice. Di vivere accanto ad una persona che probabilmente ti darà dei figli, con cui potresti crearti una quotidianità ed una tranquillità che ti renderà un uomo felice. Non negarti Hermione solo per paura. Se pensi che lei sia la donna che potrà renderti felice, se pensi che stare con lei possa aiutarti a superare tutto quello che è successo, stai con lei. Anche se questo non finirà in un matrimonio. Abbi il coraggio di sceglierla. Sii egoista. –
Draco annuì, guardando la madre in modo distratto. Narcissa Black in Malfoy era una continua sorpresa. Non si poteva certo dire che fosse una donna ancorata ai suoi principi, Lucius era sempre stato più chiuso di lei. Sua madre, invece, da ottima Black, era guidata dalla passione e dalle emozioni forti, nonché molto più aperta di suo padre. Non aveva mai aderito pienamente alla causa di Voldemort. Certo, era stata cresciuta secondo certe credenze e tradizioni, ma sottostare ad un padrone non era nel suo carattere. Era arrivista e pensava prima alla famiglia e al patrimonio e poi al resto.
- Non lo so, mamma. Io non sono Ashling. Lei si è innamorata di Paciock e glielo ha detto. Senza tanti giri di parole, l’ha scelto e si è fatta scegliere, anche se lui è un Grifondoro, anche se lei è una Serpeverde. E non sono neanche Samia, la ragazza di Corvonero. Anche lei si è innamorata e i suoi genitori non erano pienamente d’accordo, sai, sono come eravamo noi. Anche lei ha avuto lo stesso coraggio di Ashling di prendersi quello che desiderava. Io sono più come la Weasley, anche se mi costa uno sforzo enorme ammetterlo. – fece finta di reprimere un conato di vomito. – Lei ha aspettato Potter per tanti di quegli anni che non so come abbia fatto a non lasciar perdere, considerato anche quanto sia sfigato il tipo poi… -
- Draco… - lo ammonì la madre.
- Scusa. Solo che io ho questa paura all’altezza della gola che mi blocca. Hermione dice che non siamo una storia triste. Io non capisco, lo sono sempre stato una storia triste o, per lo meno, dai sedici anni in avanti. E lei mi ha detto questo, con chissà quanto sforzo poi, che paura so che ce l’ha anche lei, e io non capisco come possa cambiare le cose, il fatto che non siamo storie tristi. Non lo so proprio come possa essere rilevante questo contro la paura che ci spinge ad allontanarci l’uno dall’altra. Che poi, l’ho anche baciata. Baciata, ma ti pare? Se me lo avessero detto giusto qualche mese fa penso che avrei riso tanto da farmi venire le lacrime agli occhi. –
- E ti è piaciuto? –
- Cosa? –
- Il bacio, Draco. Il bacio. –
- Ma che domanda è, mamma? Ma dico, ti pare da chiedere? Io è già tanto se ti sto dicendo tutto questo, quando mai ci siamo parlati così apertamente? Mai. E tu mi fai una domanda del genere? Insomma. – disse il ragazzo borbottando.
Un lungo silenzio seguì le parole un po’ imbarazzate del Serpeverde. Non aveva mai, mai, parlato così apertamente a sua madre di una ragazza che gli piaceva. Tantomeno se questa ragazza è una mezzosangue. Migliore amica di Harry Potter, tra l’altro. Per non dimenticare anche del fatto dell’eroina di guerra. Ma non avrebbe parlato di nessuna ragazza con lei, se non fosse stato che lei stessa avesse tirato fuori il discorso. Era rimasto stupito. In tanti anni che le viveva vicino, sua madre non aveva mai affrontato nessuna cosa di petto, apertamente, come si conviene ad ogni Black, d’altro canto. Era arrivata addirittura a stringere un Voto Infrangibile con Severus Piton, pur di proteggerlo, ma lo aveva fatto nell’ombra e alle sue spalle. Vederla così disponibile, adesso, vederle abbassare la facciata indifferente da Purosangue per pochi minuti, essere semplicemente sua mamma, e non una madre, era una cosa che aveva destabilizzato Draco Malfoy forse più del bacio con la Granger. A cui non poteva ancora pensare, che se no si sarebbe confuso ancora di più. Che cosa significava? Era importante per lei? Era importante per lui?
Evidentemente era importante per tutti e due, visto che avevano risposto al bacio con un entusiasmo disarmante, gli fece notare il cervello.
Già. Lei aveva risposto al bacio, quindi voleva dire che, almeno un po’, a lui ci teneva. Forse. Non era mai stato così insicuro su una cosa, neanche quando aveva deciso di farsi marchiare. Perché questa cosa lo riduceva a un maledetto ragazzino in piena crisi ormonale?
- Draco. –
- Non lo so. Lei è indisponente, ha dei capelli impossibili e deve sempre fare la So-Tutto-Io. Eppure mi rende, in qualche modo, vivo. Mi rende me. Con lei ci litigo la maggior parte del tempo, la deve sempre avere vinta, ma alla fine della giornata, quando ci salutiamo dopo la ronda, quella dolcezza che le leggo dentro agli occhi, mischiata a tutti gli altri sentimenti che ci passano attraverso, mi rendono vivo come non lo ero mai stato prima. A volte mi viene da strozzarla, ma alla fine mi devo arrendere alla verità dei fatti: lei è la donna giusta per me. Non c’è altra spiegazione a tutto questo casino che sento dentro. –
- Penso che dovresti dirlo anche a lei. –
- Tutto questo? –
- Sì, tutto questo. –
- Secondo me mi schianta. Non le piacciono le romanticherie. Non dopo la guerra, almeno. –
- E tu come fai a saperlo? –
Silenzio.
- È Hermione Granger. Io la conosco. -
 
***
 
Non vedeva Draco da un po’, sparito chissà dove. Da quando lo avevano picchiato fino a farlo svenire, quella volta ad Hogsmeade, non stava tranquilla finché non se lo ritrovava davanti. Fosse anche per litigare. Aveva l’ansia che qualcuno gli facesse ancora del male, che il suo sangue sporcasse ancora le sue dita bianche. Sapeva, però, che stava bene. Per lo meno fisicamente. Psicologicamente era tutta un’altra storia. Com’era un’altra storia quello che c’era tra loro. Che cosa c’era tra loro? Avrebbe dovuto chiederglielo. Lei gli aveva detto che non erano una storia triste, che di per sé non conta niente, e lui l’aveva baciata. Poi non c’era stato più nulla, Hermione lo aveva evitato come se avesse la peste, troppo impaurita per mettere le cose in chiaro una volta per tutte. Avrebbe anche dovuto dirlo ad Harry e Ron, prima o poi. La cosa la spaventava, e non poco.
Da lontano vide Ginny sbracciarsi verso di lei.
- Che c’è? – chiese avvicinandosi.
- Un casino. Un casino enorme. – rispose la rossa guardando Hermione.
La riccia sospirò.
- Harry e Ron hanno litigato un’altra volta con Draco? –
Ginny scosse il capo.
- No, vogliono parlare con te. –
Hermione inclinò leggermente la testa di lato, senza capire.
- Di Draco. – chiarì la rossa.
La riccia Grifondoro spalancò gli occhi, boccheggiando come un pesce fuor d’acqua.
- Dici che sospettano…? Cioè, di me e Draco e…? –
- No, Herm, non penso che sappiano del bacio, ma a quanto ho capito hanno sentito Draco parlare con Narcissa e, a quanto pare, l’argomento principale eri tu! –
- Harry e Ron hanno origliato un discorso privato tra Malfoy e sua madre?! – la rabbia nella voce di Hermione era a stento trattenuta dal suo autocontrollo.
- Ebbene. I due codardi sono venuti prima da me cercando di avere informazioni, come se non mi conoscessero. - le due ragazze scossero la testa contemporaneamente, sorridendo.
- E ora che faccio, Ginny? – chiese Hermione.
- Penso che dovresti parlargli chiaramente. Non mi sono sembrati arrabbiati, loro malgrado si sono dovuti ricredere su Draco, ma erano parecchio stupiti, ecco. E confusi. Usa frasi semplici e lineari e non divagare troppo su quello che pensi, che se no li incasini. Per il resto, puoi dirgli tutto. E  chiamami se iniziano a fare discorsi stupidi. –
La riccia annuì, convinta.
- Hermione! – la chiamarono Harry e Ron.
La ragazza incrociò le braccia al petto, alzando lo sguardo.
- Mi raccomando. – le sussurrò Ginny, prima di scomparire chissà dove.
- Hermione… ehm… io e Ron volevamo parlarti. – incominciò Harry, guardando Ron. Il rosso annuì, deglutendo.
- Di cosa, ragazzi? – chiese innocente. – Va tutto bene? – domandò poi, vedendo le facce pallide dei suoi migliori amici.
I due annuirono, Harry si sistemò gli occhiali.
- Bene, lo sai che non siamo molto bravi in queste cose. – disse sedendosi su una panchina e facendole gesto di seguirlo.
- Però volevamo chiederti se tra te e Malfoy c’è qualcosa, ecco. – concluse Ron, sedendosi accanto a Hermione e prendendole una mano.
- Sappiamo che Malfoy è cambiato, anche se rimane il solito arrogante e testardo Serpeverde. Però, insomma, non dico che siamo preoccupati, nel caso in cui ci fosse qualcosa, – sguardo d’intesa all’amico, - ma… mh, ecco… diciamo che saremmo per lo meno stupiti. – concluse Harry.
- Sconcertati, miseriaccia! – esclamò Ron. – Insomma, lui sarebbe Malfoy… -
- E tu… -
- E io sarei Hermione. – la ragazza fece un sospiro e guardò i suoi due amici. – Sentite, neanche io so di preciso che cosa c’è fra me e Malfoy. So che con lui sto bene, anche se litighiamo. So che mi ha aiutato a superare il trauma della guerra. So che se non lo vedo anche solo per cinque minuti mi prende il panico, perché sono stufa di vedere il suo sangue per terra. So che possiamo essere una storia felice, insieme. So questo. E so che anche lui pensa queste cose. –
- Ma siete innamorati? – chiese Harry, guardando l’amica con i suoi occhi verdi.
Hermione spostò lo sguardo verso orizzonti lontani e aspettò così tanto prima di rispondere che Harry e Ron pensavano che non avrebbero più sentito la sua voce.
- Non lo so. Ginny dice di sì, pensa che sia così palese e che sia assolutamente ridicolo che io e lui ci ostiniamo ad avvicinarci ed allontanarci in questo modo. Penso che abbia ragione, quando mai non ne ha, lei? Solo che… solo che dopo la guerra è cambiato tutto e io non sono più sicura di niente. Adesso che tutto è al sicuro, adesso che non c’è più pericolo, penso di essere ancora più fragile di prima. La tranquillità non mi si addice più. –
Ron sorrise.
- Hermione, tu e la tranquillità siete sempre state due cose diverse. Tu sei sempre corsa qua e là, finendo in bagni zeppi di Troll di montagna, facendoti pietrificare dal Basilisco, correndo in aiuto di me ed Harry al primo grido di pericolo. Tu non sei mai stata calma e tranquilla, neanche quando eravamo implicati in qualche nostra avventura. Se non c’era qualche nemico da sconfiggere, tu correvi per la marea di compiti che dovevamo fare, per gli impegni. Non ti sei mai presa un attimo di respiro. Neanche quando stavi con me eri tranquilla, sempre in cerca di chissà che cosa da fare. Mentre ora, ed Harry concorderà con me, sembri più… -
- Tranquilla? – chiese Hermione con un sorriso.
- Sì. E se la persona che riesce a spegnere quella tua mente brillante è Draco Malfoy, beh, mi dovrò mettere il cuore in pace e accettarlo come possibile tuo compagno per il resto della mia vita. –
- E io concordo con lui. Hermione, io non so cosa passa per quella tua testa riccia, io e Ron non lo abbiamo mai saputo, ma se Malfoy è quello che ti serve per stare bene ed essere felice, ben venga. Magari riuscirai anche a fargli abbassare la cresta, un giorno o l’altro. –
Hermione rise e con lei anche Harry e Ron.
- Non riuscirò mai a fargli abbassare la cresta. –
- E perché no? – chiesero in coro Harry e Ron.
- Perché è Draco Malfoy. Io lo conosco.
 
***
 
Caro diario,
è passato un po’ di tempo dall’uscita a Mielandia con James. Stiamo bene, insieme. Da soli ci perdiamo nei nostri pensieri, nelle nostre storie tristi. Forse siamo fatti per stare l’uno con l’altra, un quesito interessante, considerato quanto io abbia detestato James con tutta me stessa. Certo, lo tengo ancora in riga, ma si vede che sono cambiata. Per questo mi rifugio in biblioteca, mai nessuno osa venirmi a disturbare qui.
Alzo gli occhi dal testo di pozioni avanzate che sto leggendo e incontro gli occhi di Mary. Mai nessuno osa venirmi a disturbare tranne Mary, ovvio. È la mia migliore amica, se lo può permettere.
“Allora?” – mi chiede alzando le sopracciglia.
“Allora cosa?” – tento di tergiversare io, tanto so che non funziona.
“Lily, lo stai evitando da giorni. James si aggira come un’anima in pena e anche tu. Quando la finirai di allontanarlo?”
“Non è che lo sto allontanando, Mary, è solo che…”
“È solo che hai paura, sì, questo si sapeva già. A cosa è dovuta questa paura, se posso chiedere?”
Sospiro. So che sa già quello che mi passa per la testa, ma lei dice che sentirselo dire è molto più gratificante che ipotizzarlo e basta.
“Non è che la mia ultima relazione sia finita proprio bene, Mary. Io e Severus siamo sempre stati insieme, lui era tutto per me. Ed improvvisamente mi sono ritrovata a combattere per due, a dare amore per due, perché lui è troppo preso a giocare a fare il cattivo per pensare anche a me. E perché è troppo debole per pensarla in modo diverso dagli altri. Che cosa dovevo fare? Lo sai benissimo anche tu che così non potevo andare avanti, ma ho dovuto strappare via una parte di me per lasciarlo andare. Per ammettere che non ce l’avremmo fatta, che non avremmo superato tutto questo. Non so neanche se mi sono comportata da vera Grifondoro, forse no, a volte mi chiedo cosa sarebbe successo se io non lo avessi lasciato, se avessi ignorato Potter, se non avessi fatto in modo che l’Amortentia cambiasse odore. Forse non sarei in questa situazione.”
“Forse non saresti innamorata.”
“Io non sono innamorata, Mary.”
Mary sospira, congiungendo le mani sotto il mento.
“Lily, ti prego, ragiona. Spegni quel tuo brillantissimo cervello e non mentire a te stessa.”
“Io non sto mentendo a me stessa, Mary, ma…”
“Ma, niente, Lily. Tu sei innamorata e lo neghi perfino con te stessa e sai perché? Perché hai paura che succeda la stessa cosa che è successa con Piton. Ma Piton e Potter non sono la stessa persona e le due situazioni sono differenti. Ma possibile che non lo vedi? Gli occhi brillanti, vivi, i gesti più rilassati, la testa spesso altrove. Tu sei innamorata di Potter, Lily, e devi capire che questo non è un male. Devi capire che davvero potete essere una storia felice, una storia straordinariamente felice. Siete fatti per essere felici, insieme. Con Severus non era così. Lui sarà per sempre il tuo primo amore, ma non è mai stato travolgente come quello che stai provando adesso. Non negare a James la possibilità di farti felice. Spegni il cervello e vivi questa cosa così come viene, tranquilla. Datti una possibilità.”
Si, Mary è sempre stata brava in discorsi di questo tipo. Di norma non l’ho mai ascoltata troppo, ma questa volta ammetto che ha ragione. Lo so. So che tutto quello che ha detto è vero. Ma non ho intenzione di fare dichiarazioni d’amore ufficiali o pubbliche. Non sono così. Però appena vedo James lo bacio. E quel bacio si trasformerà in mille altri baci e in carezze e in sospiri e io starò bene ancora, insieme a lui. Non sarò mai più sola. Avrò un uomo che pensa a me e che mi fa sentire donna, che mi fa sentire bene. Che allontana tutta la tristezza di questi mesi e la paura per questa guerra che è sempre più vicina e che spazzerà via il mondo che conosco.
Ma io avrò James. E lui avrà me. E saremo una storia felice, insieme.
 
Lily.
 
***
 
 - Malfoy, maledizione, non farmi perdere la pazienza. Io sono la fidanzata di Teddy, vero piccolo? –
Il bambino guarda con occhioni sognanti Hermione, tendendo le braccia verso di lei.
- Che guardi, pulce?! Quella non si tocca, giù le mani. – esclamò Draco tirando indietro il bimbo, che gli tirò i capelli contrariato.
- Malfoy, ma dico, che cosa ti sei fumato? Sei sparito per mezz’ora e poi pretendi che io balli con te? Ma non ci penso neanche! –
Il biondo sbuffò contrariato, cercando di staccare le manine di Teddy dai suoi preziosissimi capelli. Fulminò con lo sguardo quell’arpia di sua madre che se la rideva in fondo al gazebo, parlando con sua zia Andromeda.
- Bene, Granger, visto che tu sei la fidanzata di Teddy e io voglio ballare con lui, possiamo ballare tutti e tre insieme. –
Hermione spalancò gli occhi, ma quando vide Teddy saltellare sulle ginocchia di Draco tutto contento, non ebbe cuore di dirgli di no. Maledettissimo spirito Grifondoro!
- Un ballo solo, Malfoy! Sia chiaro. –
Il ragazzo prese per mano Teddy, mentre con l’altra stringeva la mano di Hermione. Il bambino iniziò a girare intorno tutto contento, ma quando la musica cambiò, fu distratto da Harry che tentava di sistemare i suoi tanti giochi sparsi per il cortile. Così lasciò di colpo la mano ai due ragazzi e corse verso il Grifondoro. Hermione non notò il movimento fulmineo di Malfoy e si ritrovò imprigionata tra le sue braccia.
Lo guardò alzando un sopracciglio.
- E questo cosa significa? –
- È una presa di posizione. Un po’ come il tuo bacio. –
- A me è sembrato che fossi tu a baciare me. –
- Dici? Non mi pareva che ti avesse fatto così tanto schifo, comunque. –
Il colore di Hermione passò velocemente dal rosa al rosso vermiglio. La ragazza sbuffò, ma non riuscì a trattenere un sorriso.
- Smettila, Malfoy. –
- Se no? –
- Se no ti bacio un’altra volta. Il tuo cuore potrebbe risentirne. –
Fu il turno di Draco di arrossire. Come c’era finita la mano di Hermione sul suo cuore? Che fosse sempre stata lì?
- Sei così indisponente. Cerchi sempre il modo di farmi fuori. –
La ragazza rise, mentre lui le faceva fare una giravolta e un casquè. Draco si avvicinò lentamente alle labbra della Grifondoro, ma prima che potesse toccarle Teddy gli diede un calcetto sulle caviglie urlando “Miaaa!” e si attaccò alla sua gamba finché il Serpeverde, indispettito fino all’inverosimile, lasciò andare Hermione che, ridendo, prese tra le braccia Teddy.
Narcissa guardava la scena insieme a sua sorella e non potevano non guardarsi sorridendo.
- Ti ricordi cosa avevamo detto a Natale? Che li avremmo salvati tutti? Penso che ci siamo, riuscite, Cissy. –
- Lo penso anche io, Meda. Ma c’è una cosa che mi spaventa tantissimo. –
Andromeda guardò sua sorella aggrottando le sopracciglia.
- Guarda. – disse Narcissa indicando un punto nascosto del giardino.
Ashling, piegata in due dal dolore, sembrava tossire anche l’anima. Il fazzoletto che teneva davanti alla bocca sembrava rosso.
- Magari non è niente, Cissy. Siamo lontane, può essere solo tosse. –
- Non lo so, ‘Meda. Io… ho un brutto presentimento. –
Le due donne si guardarono a lungo, prima di tornare a controllare i ragazzi che, giocando a Quidditch, sembravano stare bene davvero.
















Note dell'Autrice:

Buonsalve, gente!
Mi dispiace un sacco farvi sempre aspettare un'eternità prima di pubblicare un capitolo, ma sono in balia della mia ispirazione che va e viene e che a volte c'è, ma fa un po' schifo (come questo capitolo, che personalmente trovo abbastanza pessimo). 
Comunque, ringrazio tantissimo chi legge ancora la mia storia, chi la recensisce o la mette fra le preferite/ricordate/seguite. Vi voglio un sacco di bene, anche se la fila di serial killer fuori da casa mia ve la potevate risparmiare ahahahahahaha!
Alla prossima, 

Lilian.

P.S: Vorrei far notare a Fyre97 e PhoenixFelicis che sono riuscita ad inserire (finalmente) un "Suvvia" nella storia. Potrei piangere solo per questo :')
 

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI. ***


Capitolo XVI.
 

L’aveva trovata inginocchiata nel bagno che sputava sangue. Le era corsa affianco spaventata e l’aveva vista pallida come solo i morti possono essere.
Le aveva preso la fronte, le aveva accarezzato i capelli e l’aveva aiutata a lavarsi. L’aveva asciugata, vestita e messa a letto, come faceva quando da piccola aveva la febbre. Ashling non si reggeva neanche in piedi e continuava a tossire nel suo fazzoletto, che ora era completamente ricoperto di sangue.
Le aveva dato una pozione per farla riposare, le aveva posato un bacio sulla fronte e poi aveva sceso le tante scale che la separavano dal salone in cui i suoi ospiti e suo figlio chiacchieravano tranquillamente. Aveva indossato la sua maschera migliore e aveva annunciato che Ashling si sentiva poco bene e che era andata a riposare. Evitò gli occhi del giovane Paciock, che la scrutavano senza crederle, sospettando che ci fosse qualcosa di più e aveva rassicurato Draco che andava tutto bene. Un po’ ci credeva anche lei che sarebbe andato tutto bene.
Avevano cenato, parlato e lasciato che gli elfi sistemassero la tavola e i piatti. Si era recata in cucina per prendere un po’ di Vino Elfico da offrire, quando si era ritrovata Harry Potter con una pila di piatti in mano.
- Dove li metto, questi, signora Malfoy? –
- Appoggiali lì, Harry. Quante volte ti devo dire di chiamarmi Narcissa? Come mai stai sistemando i piatti? Ci sono gli elfi per questo. –
- Oh, lo so, signora…ehm, Narcissa. Volevo chiederle una cosa in privato, se non sono troppo indiscreto. –
La donna gli fece cenno di andare avanti, continuando a scrutare le bottiglie di Vino Elfico che suo marito amava così tanto.
- Ashling non è solo stanca, vero? Oggi… - il ragazzo preso un respiro profondo. – Oggi pomeriggio l’ho vista tossire sangue, in giardino. Io sono preoccupato. E da come evitava lo sguardo di Neville, penso che sia preoccupata anche lei. –
La donna annuì.
- Non so che cos’abbia Ashling. Anche io ho visto quello che hai visto tu, ma non so come interpretarlo. O forse lo so e non voglio accettare la realtà. – Narcissa sospirò. – Per adesso non preoccupiamoci. Magari non è niente, come ha detto Andromeda. Anche se conoscendola… -
La donna non finì la frase, prese una bottiglia a caso e fece un sorriso tirato ad Harry, che si sistemò gli occhiali e la seguì nel salone dove avevano cenato.
Nessuno era tranquillo, quella sera. Tutti cercavano di non farlo vedere e la maggior parte della compagnia si ritirò nelle loro camere più presto del solito.
Quando anche Andromeda fu andata a dormire, Narcissa tornò nella stanza di Ashling. La ragazza era sveglia e leggeva, ma appena la donna entrò nella camera, chiuse il libro e lo nascose nel cassetto del comodino.
Narcissa si sedette di fianco a lei e la guardò. Era dimagrita molto, da quando l’aveva vista a Natale, ma anche allora le sembrava più magra di quanto ricordasse. Era pallida, un velo di sudore le ricopriva la fronte e i capelli sembravano aver perso la loro lucentezza.
- Ashling, dobbiamo parlare. –
La ragazza distolse lo sguardo.
- Io so che qualcosa non va. Fatti aiutare. Che succede? –
- Non puoi aiutarmi, zia Cissy. Nessuno può, a quanto pare. –
La donna irrigidì la schiena.
- Perché tossisci sangue, Lin? –
- Perché sono malata. –
La donna accusò il colpo senza battere ciglio.
- Penso che questo avrei potuto dirtelo anche io. Che cos’hai? –
- Non lo so di preciso. – la ragazza allungò un braccio e riprese il libro dal cassetto. – Ho i sintomi tipici di quella che i Babbani chiamano Tisi. Stanchezza, febbre, pallore. Perdita di peso e di appetito. Adesso tossisco sangue, tra un po’ lo vomiterò addirittura. Eppure al San Mungo hanno detto che è qualcosa di diverso. Di specifico. –
- Di specifico? In che senso? –
- Nel senso che è una malattia che potrebbe venire solo alle persone come me. Che forse è una malattia derivata dai miei stessi poteri. Dalla mia forza magica. –
Gli occhi della donna si riempirono di lacrime.
- Dimmi che ti hanno detto che c’è un modo per contrastarla. – sussurrò.
La ragazza abbassò gli occhi.
- Ashling, quando avevi intenzione di dircelo, eh?! – la donna la guardò spalancando gli occhi. – Tu non ce lo avresti detto! Non lo avresti detto a me, a Draco, a Neville… non lo avresti detto a nessuno! Saresti morta e basta, all’improvviso, sperando che nessuno collegasse mai i segnali! Dannazione, Ashling! –
Narcissa era passata dai sussurri alle urla. La rabbia aveva fatto cadere la sua composta maschera di Purosangue e aveva mostrato i sentimenti che una donna, una madre doveva provare in una situazione del genere. Il senso di perdita era già forte dentro di lei, aggiungendosi a quello che aveva lasciato Lucius.
- Quanto ti manca, Ashling? –
- Secondo il Medimago che ho consultato, non arriverò ai M.A.G.O –
- Un mese. –
- Forse meno, zia Cissy. –
Una lacrima solitaria sfuggì agli occhi chiari di Narcissa, ma la donna ricostruì come meglio poté la maschera d’indifferenza che l’aveva sempre caratterizzata.
- Dobbiamo dirlo a Draco. –
- No! – esclamò la ragazza. – Ti prego, lascia Draco fuori da tutto questo. È troppo fragile, Lucius è morto da pochi mesi… non può sopportare anche questo. –
- Ashling non puoi lasciarlo fuori da questa cosa. Tu peggiorerai e lui spererà che tutto questo non stia succedendo e che presto migliorerai e guarirai. Spererà. E quando morirai farà male il doppio. Devi spiegargli adesso che non c’è nessuna speranza. Che non c’è mai stata nessuna speranza. –
La voce della donna si era spezzata sull’ultima frase, costringendola a voltare il viso verso la finestra, per non mostrare i sentimenti che la stavano dilaniando.
- Zia Cissy… lui non lo accetterebbe comunque, ci spererebbe in qualunque caso. E poi c’è Hermione, lei saprà curarlo, si prenderà cura di lui in un modo che né io né te potremo mai uguagliare. Fosse anche dargli un po’ di speranza. Dobbiamo fargli vedere che c’è ancora bellezza, se gli dicessimo che sto morendo… - la ragazza scosse la testa. – Non glielo dirò. Non posso fargli anche questo. –
- Prima o poi lo verrà a sapere lo stesso, Ashling. Non credere che non abbia già notato che c’è qualcosa che non va. Hai iniziato a peggiorare molto velocemente, dopo Natale. –
- Dopo che ho perso il controllo sui miei poteri, sai, quando l’hanno picchiato… penso che quello sia stato il fattore scatenante di… tutto questo. –
Le due donne stettero in silenzio per lungo tempo, ognuna persa nei propri pensieri, finché Narcissa non si voltò di nuovo verso la ragazza, lo sguardo un poco più spento.
- Lo hai detto a Neville? –
Ashling abbassò gli occhi.
- Ashling, dimmi che non farai quello che hai intenzione di fare! – esclamò allora Narcissa, esasperata. – Non ci puoi allontanare tutti solo perché stai morendo! Cosa pensi, che così sarà più facile per noi? Pensi che in questo modo soffriremo di meno? Sei una povera illusa, se pensi una cosa del genere. –
- Lo sai che ho sempre combattuto battaglie già perse in partenza. –
- Glielo devi. Almeno a lui devi dire la verità. Gli hai fatto promesse che non potrai mantenere. –
La ragazza spalancò gli occhi, scuri e malinconici, e li puntò in quelli azzurri della donna che le aveva fatto da madre per tutta la sua travagliata adolescenza.
- È proprio per quelle promesse che sarebbe stato meglio che io e lui non ci fossimo mai conosciuti. –
- È proprio per quelle promesse che sarebbe stato meglio che entrambi aveste messo da parte l’orgoglio e la paura e aveste accettato prima l’amore che avreste potuto darvi. –
Detto questo, la donna si alzò, le rimboccò le coperte, le posò un bacio sulla fronte ed uscì dalla stanza, scappando dal destino crudele che continuava a punirla per gli errori che aveva commesso nella sua vita.
 
***
 
Dopo le brevi vacanze di Pasqua, passate per lo più a studiare, i ragazzi tornarono ad Hogwarts stanchi ed agitati e i professori non aiutavano di certo, soprattutto con i M.A.G.O così vicini. E i ragazzi così poco pronti. Beh, tutti tranne Hermione, lei era pronta per i M.A.G.O da anni, ormai. E poi, dopo aver affrontato Voldemort, niente le faceva più paura. O quasi.
Le faceva paura il colore pallido di Ashling e il suo tossire sangue. Aveva fatto qualche ricerca, aveva parlato con lei. Avevano convenuto che dire a Draco della sua malattia non era la cosa giusta. Dentro di sé si era data della codarda, ma non aveva il cuore di dire una cosa del genere ad un ragazzo che pochi mesi prima aveva perso suo padre. Ma Draco era tutt’altro che scemo e aveva iniziato a preoccuparsi. A domandare, pur sapendo che non avrebbe ricevuto risposta. O almeno, che nessuno gli avrebbe detto la verità.
Ma la verità trova sempre il modo di venire fuori e di fare male. Era lunedì e loro avevano due ore di lezioni con Lumacorno. Come sempre, Grifondoro e Serpeverde erano accoppiati. Improvvisamente, Ashling iniziò a tossire e a vomitare sangue dentro al suo calderone. Appena tentò di chiedere a Lumacorno se potesse andare in Infermeria, svenne, pallida come un lenzuolo, troppo debole anche solo per parlare. Draco balzò verso di lei, afferrandola appena prima che la sua testa battesse sul pavimento, la prese tra le braccia ed iniziò a correre verso quell’infermeria che quell’anno l’aveva visto così tante volte da aver ormai perso il conto.
- Madama Pince! – urlò, aprendo con un calcio le porta dell’infermeria.
- Oh, la signorina Lloyd. La stendi qui, per piacere. Sapevo che sarebbe peggiorata velocemente, gliel’avevo detto di non stancarsi troppo. Ovviamente non mi ha dato ascolto… - la donna scosse la testa, muovendo la bacchetta sul corpo della fanciulla, ora addormentata.
- Che cos’ha, Madama Pince? –
La donna lo guardò, accostandogli una sedia.
- È una cosa delicata, signor Malfoy. Se la signorina Lloyd non le ha detto niente, io non posso riferirle nulla, mi dispiace. –
Il ragazzo non provò neanche a ribattere. Non ne aveva la forza. Guardò in tralice la ragazza, mentre una mano si appoggiò sulla sua spalla.
Hermione e gli altri lo avevano raggiunto appena avevano avuto il permesso dal professore. Neville, scuro in viso, si mise di fronte a Draco, dall’altra parte del letto.
- Tu sai che cos’ha? – chiese al biondo Serpeverde.
Draco scosse la testa, parlare gli risultava difficile.
Nessuno fiatò, nessuno si mosse per molti minuti. Madama Chips si affaccendava intorno alla ragazza, ma non mandò via tutti come avrebbe fatto di solito. Come avrebbe fatto se fosse stata una cosa da nulla. Continuava a somministrarle la Rimpolpasangue, nella vaga speranza che servisse qualcosa. Sapeva che non c’era nulla da fare, ma tra i Babbani si raccontava che la speranza è sempre l’ultima a morire.
Hermione guardava Draco, triste. Avrebbe voluto dirglielo prima, ma non ne aveva avuto il coraggio. Sapeva che il ragazzo aveva compreso che la situazione era più grave del previsto e aveva paura di destarlo dai suoi pensieri.
Lentamente Ashling riaprì gli occhi. Li teneva socchiusi, come se la luce che illuminava la stanza fosse troppo forte per i suoi occhi stanchi.
- Cosa… cosa ci fate qui? – domandò guardandosi stancamente intorno.
- Che cos’hai? – chiese Draco.
Ashling girò la testa verso di lui. Non avrebbe voluto dirglielo. Aveva lottato tanto per lui, per farlo stare bene. Lo aveva visto soffrire, gli aveva dato una spalla su cui piangere, su cui appoggiarsi. Era stata la sua migliore amica, era stata la migliore sorella che era riuscita ad essere. Era entrata nella sua vita all’improvviso, una vigilia di Natale. Aveva sempre pensato che se ne sarebbe andata altrettanto all’improvviso. Ma non in questo modo. Non avrebbe mai pensato che un giorno, dopo aver tanto lottato per avere un’esistenza felice, quando tutto sembrava essersi sistemato, avrebbe scoperto di essere malata di una malattia incurabile. Di una malattia pressoché sconosciuta.
Qualcosa dentro di lei l’aveva capito molto prima della sua mente. Aveva letto i segnali, riconosciuto i sintomi. Ma era qualcosa di così esponenzialmente impossibile che non ci aveva creduto. Finché non c’era stato niente da fare, finché non aveva avuto altra scelta che accettare la sua imminente morte.
“Non arriverai ai M.A.G.O, se decidi di non provare una qualche cura sperimentale.” Aveva detto il Medimago a cui si era rivolta.
“Se decidessi di provare una di queste cure sperimentali, potrò guarire?” aveva chiesto lei.
“Non lo sappiamo. C’è una discreta possibilità…”
“Dottore. Non sono una stupida. Quanto resisterei se provassi a curarmi?”
Il Medimago aveva sospirato.
“Sei mesi. Un anno, forse, ma stai peggiorando in fretta a quanto ho capito.”
“Soffrirei?”
“Molto.”
La ragazza aveva abbassato gli occhi.
“Non voglio provare nessuna cura, dottore.”
Il Medimago aveva annuito, abbassando il capo sui moduli da compilare.
Ripensandoci, avrebbe potuto perlomeno provarci. Soffrire, per dare alla sua famiglia e ai suoi amici il tempo di abituarsi all’idea della sua morte. Ma sapeva che sarebbe stata solo una tortura per tutti, male gratuito che nessuno meritava. Nessuno si sarebbe abituato al fatto che lei non ci sarebbe stata più, il dolore sarebbe stato lo stesso comunque.
Non riusciva a sopportare il dolore che leggeva negli occhi di Draco. Ma non osava voltare il capo verso Neville. Sapeva che sarebbe stato troppo difficile dire quello che doveva dire guardando Neville.
Così volse i suoi occhi al soffitto e sussurrò:
- Tisi. Morirò, Draco. –
L’ultima cosa che sentì prima di riaddormentarsi fu una sedia caduta e una porta che sbatteva.
 










Note dell'Autrice:
Buonsalve, lettrici di EFP!
Sono abbastanza stupita da me stessa, considerata la velocità disarmante con cui ho postato il nuovo capitolo (insomma, potrebbe sembrare un tempo comunque lungo, ma considerati i miei tempi ho battuto ogni record!)
Che dire, è più breve rispetto agli altri, ma conoscendomi, non volevo caricare troppo la mano, perché, insomma, è una capitolo piuttosto pesante.
E a proposito di questo, la lunga fila di assassini e cecchini che troverò fuori dalla porta domani mattina non fermerà il mio sadismo in alcun modo :33
Spero che vi piaccia, davvero!
A presto, carissime/i
Un bacio,
Lilian.

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII. ***


Capitolo XVII.

 

Lo aveva rincorso fino ad un  piccolo giardino interno, dove si era fermato sotto la pioggia. Gli si era avvicinata piano, lentamente, come si fa con gli animali selvatici, feriti. Gli si era fermata alle spalle, l’aveva sfiorato delicatamente.
- Tu lo sapevi. –
Non era una domanda, ma una semplice affermazione, pesante come un macigno.
- Lo sapevi anche tu. –
- Ma a te lo aveva detto, perché? –
- Perché non le ho domandato niente. Sapevo già cos’aveva quando ne abbiamo parlato. –
Il ragazzo non rispose, poi si voltò verso di lei.
- Perché non me lo hai detto? –
Hermione abbassò gli occhi. Che cosa poteva dirgli? Che glielo aveva chiesto Ashling, che era una cosa che avrebbe dovuto dirgli lei? Era vero, certo, ma non sarebbe bastata come risposta. Doveva dirgli che avevano convenuto che fosse meglio aspettare, che tanto il dolore sarebbe stato lo stesso? Era vero anche questo, ma sarebbe stato troppo difficile da ammettere per lei. Lei, l’intrepida Grifondoro che senza paura aveva distrutto Voldemort pezzo per pezzo, aveva avuto paura di dire a Draco quello che affliggeva la sua migliore amica, la sua unica sorella. Era stata codarda, proprio lei che non lo era mai stata, questa volta era stata codarda. E non riusciva ad ammetterlo, non davanti a lui. Non davanti ai suoi occhi grigi che la imploravano di usare il suo formidabile cervello per trovare una soluzione a tutto questo. Come se non l’avesse già cercata una soluzione. Come se ci potesse essere una soluzione.
- Draco, io… lei mi ha chiesto di non dirti niente e io… insomma, era una cosa che avrebbe dovuto dirti lei, io… -
Il ragazzo annuì, passandosi una mano sotto gli occhi.
- E pensi che questo mi abbia fatto bene? Tra pochi giorni, forse oggi, o domani, Ashling morirà e io perderò ancora una volta qualcuno della mia famiglia. Quanto altro dolore dovrò sopportare prima che Merlino o Morgana o chi per loro ritengano che abbia pagato abbastanza per gli errori che ho commesso? Prima ho dovuto vedere la vita di mio padre fatta a pezzi, adesso Ashling. Tisi. Anche i Babbani sanno come curare la Tisi, ma ovviamente lei non ha qualcosa di normale. No. Perché è diversa in tutto quello che fa e deve essere diversa anche in questo. Avrebbe potuto tentare di curarsi, avremmo potuto cercare, inventare… qualsiasi cosa, avremmo fatto in modo che non morisse, che non finisse così, uccisa dalla sua stessa forza magica, senza vie d’uscita. Non abbiamo mai avuto vie d’uscita. Perché deve morire? Perché, Hermione? – Draco ormai stava urlando e piangendo insieme, senza riuscire a controllare il flusso di emozioni che gli spaccavano il cuore e le costole. Aveva creduto che dopo la morte di suo padre la prima a morire fosse sua madre, stroncata dal troppo dolore. Invece avrebbe dovuto combattere contro qualcosa di ancora più grande, contro un vuoto che lo avrebbe avvolto e che lo avrebbe portato con sé. Avrebbe combattuto contro un vuoto che lo avrebbe ucciso, alla fine.
Non sapeva immaginarsi senza Ashling. Tutti i momenti belli, tutti i ricordi felici, le sere terribili con la paura di essere uccisi da qualche Mangiamorte o da Voldemort stesso: lei c’era sempre stata. Era sempre stata accanto a lui a fargli vedere il mondo in un modo che lui nemmeno poteva concepire. Era sempre stata accanto a lui quando aveva bisogno e piano piano aveva lasciato il posto ad Hermione, quando aveva visto che lei sapeva curarlo meglio. Ma c’era sempre stata. Aveva capito prima di lui che era innamorato. Era stata la sorella che non aveva mai avuto, una migliore amica fantastica. E adesso che anche lei poteva essere felice, che tutti loro potevano essere felici, ecco che si ammalava. Di una malattia grave, di una malattia che la stava uccidendo, di una malattia che non avrebbe potuto curare. Aveva sempre pensato che avrebbe dovuto proteggere Ashling  da tutto e da tutti, ma non aveva mai pensato che fosse lei, in realtà, a proteggerlo dal mondo. E da se stesso. Chi lo avrebbe protetto, ora?
Guardò davanti a sé e vide gli occhi grandi di Hermione. Occhi che gli donavano tutto quello di cui aveva bisogno, occhi che non erano particolari, o rari, o strani, che erano occhi banali come quelli di milioni di altre persone, ma che sapevano raccontarti mille storie, che erano limpidi e veri e che non mentivano mai. Occhi in cui leggeva un amore sconvolgente solo per lui, per lui soltanto. Occhi che sapeva che non sarebbe cambiati mai, per nulla al mondo.
La baciò, allora, la baciò a lungo e baciò anche i suoi occhi chiusi, le sue guance, la sua pelle morbida e bagnata dalla pioggia incessante che cadeva.
E finirono nei sotterranei, in camera sua.
E c’erano mani, quelle mani.
Quelle mani sognate così a lungo, così tanto.
Mani, mani lungo tutto il corpo,
affamate,
curiose.
E i capelli, Dio, i capelli.
Quei capelli crespi, che ad infilarci le mani le perdevi.
Quei capelli così bianchi che ti veniva voglia di colorarli, per non lasciarli così vuoti.
Ma mai di rosso.
Loro avrebbero usato solo colori pastello per colorarsi.
Erano troppo forti per rischiare colori accesi.
E gli occhi.
Gli occhi che non riuscivano a lasciarsi andare,
che non si davano tregua.
Occhi che leggevano,
avidi,
tutto quello che passava sul viso dell’altro.
Desiderio.
Paura.
Amore.
Inequivocabile amore.
- Draco… - un sussurro roco nell’aria.
Ancora mani, mani ovunque.
Il tempo di un secondo.
Pelle contro pelle,
labbra conto labbra.
- Lo so. –
Lo sapeva.
L’aveva sempre saputo.
Che quella era la sua prima volta con qualcuno.
Lo sapeva,
che sarebbe stata solo sua.
C’era quella dolcezza, nel suo sguardo pieno di piacere.
C’era quella dolcezza, nelle sue mani che si arrampicavano sulle spalle, che s’impossessavano dei suoi capelli.
C’era quella dolcezza disarmante,
disarmante,
quando entrò in lei.
Lentamente,
come se il tempo non ci fosse.
Come se esistessero solo loro due,
come se non ci fossero stati tutti quegli anni,
a dividersi,
a deridersi,
a odiarsi,
come se non ci fosse stato nulla di tutto quello,
ma,
solo,
loro.
 

***

 
Si abbracciava le ginocchia mentre lo guardava negli occhi, senza paura.
Aveva incrociato le mani sotto al mento mentre la guardava, senza più difese, ormai.
- Dimmi che non l’hai fatto solo perché sei sconvolto per quello che succederà ad Ashling. Dimmi che lo volevi anche tu. –
- Che cosa vedi, Hermione? –
- Vedo il ragazzo che mi ha derisa per tanti anni, vedo il ragazzo che mi ha salvata da me stessa, che con una forza che non aveva mi ha riportato alla vita, facendomi capire la fortuna di essere qui, ora, e di avere la mia storia sulle spalle, che adesso so che non è una storia triste. Vedo l’uomo che vorrei rivedere accanto a me per tutti gli anni che mi sarà concesso vivere, vedo un uomo che adesso è mio e solo mio. – gli sfiorò una guancia ispida per la barba corta.
- Tu cosa vedi? –
- Vedo la ragazza che ho deriso per anni senza capire, senza sapere quello che era. Vedo la Mezzosangue che mi ha rimesso al mondo quando non avevo più nulla per cui combattere, che mi ha salvato dal baratro di vuoto in cui sarei caduto se non mi fossi permesso di conoscerti. Vedo la donna che riuscirà a salvarmi sempre da me stesso e dalla mia testa bacata, vedo la donna che non mi lascerà mai stare e che pretenderà sempre di avere ragione. Vedo la donna che vorrei vedere accanto a me per tutti gli anni che mi sarà concesso vivere, vedo una donna che sarà sempre e solo mia, perché io sarò sempre e solo tuo. –
La baciò, con delicatezza e con delicatezza si sdraiarono uno accanto all’altro. Rimasero così, provando una pace che non avevano mai provato prima, che non era la pace della privazione dei sensi, ma era una pace in cui sentivano tutti quello che potevano sentire l’uno dall’altra.
- Io non voglio sempre avere ragione! – esclamò Hermione, dopo un po’.
Non era più abituata a tanta dolcezza.
Il ragazzo sbuffò.
- Smettila, Granger, non farmi incazzare proprio ora. Vieni qui e dormi. – rispose il ragazzo, avvicinandola a sé.
Non era mai stato abituato a tanta dolcezza.
- Solo per oggi, non credere che te la darò sempre vinta. –
- Dormi, Hermione. Ci pensiamo domani. – 











Note dell'Autrice:
Buonsalve a tutti!
Si, ecco, vorrei far notare che l'idea di far morire Ashling non me venuta da sola, ma me l'ha data PhoenixFelicis, quindi tutti gli assassini appostati fuori da casa mia, inviateli da lei :33 (Lo sai che ti amo tanto <3).
Ora, tornando a noi, la storia non doveva andare così. Io mi ero fatta una scaletta, ma come sempre, non sono riuscita a seguirla. Tengo particolarmente a questo capitolo perché, come avrete di certo notato, è il capitolo 17 e il 17 è il mio numero preferito, quindi **.
Ecco, mi dispiace per tutti il dolore che vi sto causando per la storia di Ashling, questo capitolo è anche un modo per farmi perdonare un po', sono stata anche decentemente romantica, questa volta! 
Vi avviso che ci saranno più o meno altri tre capitoli, epilogo compreso, prima della fine della storia. 
Spero che mi seguirete fino alla fine,
un bacio enorme,
Lilian.

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII. ***


Capitolo XVIII.
 


Neville era entrato in Infermeria. Si era seduto accanto a lei, le aveva preso la mano, l’aveva accarezzata, lievemente, in punta di dita. Ashling aveva aperto gli occhi, piano, quasi abbagliata dalla poca luce che filtrava dalle finestre dietro di lei.
- Ciao. – disse tentando un sorriso.
- Ciao. – le rispose Neville, sfiorandole la fronte.
Gli venne in mente come, solo qualche mese prima, le aveva sfiorato la fronte pattinando sul ghiaccio del Lago Nero. La folle corsa che avevano fatto per non farsi vedere, le risate trattenute tentando di fare silenzio, ma poi esplose sui loro visi per la troppa felicità, per il troppo amore. Alle parole sussurrate, alle piccole ripicche, ai bisticci. Alle promesse.
- A cosa pensi? – gli chiese Ashling.
- A quella volta sul Lago Nero. –
- Quella sera che abbiamo pattinato? –
- Sì. –
- Il giorno dopo ti è venuto il raffreddore. –
Neville rise piano.
- Già. Ti ricordi cosa mi dissi? –
- Sì. Ricordo. –
- Ridimmelo. –
Ashling sospirò.
- Non posso. Sto morendo. Non posso dirtelo. –
- Dillo, Ashling. –
La ragazza lo guardò.
- Ti amerò fino a che il mio cuore batterà, ti amerò per tutti gli anni che mi è concesso vivere. Se ci sarà una vita dopo la morte, ti amerò anche dopo che la vita avrà abbandonato il mio corpo. Ti amerò finché io ci sarò, Neville. Ti amerò. –
Il ragazzo annuì.
- Neville, non… ti prego, non chiuderti in te stesso. Non farti uccidere dalla mia morte. Sii coraggioso. Non dico che sarà indolore. Non penso questo. Non credo neanche che mi dimenticherai. Non voglio che tu mi dimentichi. E penso che sia impossibile che tu smetta di amarmi. Però, se in futuro incontrerai una ragazza che ti piacerà, che ti farà sentire qualcosa, ecco, tu non mandarla via. Insomma, continua a vivere, anche dopo la mia morte. Non sono così importante. –
- Tu sei così importante, Ashling. Io ti amo così tanto… - Neville si fermò, tentando di non far uscire le lacrime che premevano in fondo ai suoi occhi. – Avrei voluto avere più tempo, Lin. Avrei voluto fare tante cose con te, avrei voluto viverti. Sapevo, in fondo, che te ne saresti andata prima di me. Speravo solo che fosse tra molti anni, dopo aver vissuto una vita insieme, dopo aver avuto dei figli, magari anche dei nipoti. Speravo che sarebbe stata una morte indolore, che ti avrebbe presa nel sonno, come una vecchia amica. So che non hai paura di morire. Proprio come Harry, sai? Neanche lui ha paura di morire. Vorrei solamente aver avuto più tempo, come con i miei genitori. Io non ho mai avuto tempo per stare con le persone che amo. –
Ashling alzò il braccio e gli sfiorò la guancia, asciugandogli le lacrime che ormai scendevano senza poter essere fermate.
- Sdraiati, Neville. Non riesco a parlare più forte di così. – sussurrò la ragazza.
Neville si sdraiò accanto a lei, avvolgendola nelle sue braccia.
- Neville, guardami. Io non avrei mai voluto farti questo. Ma non c’è cura al mio male. Forse sarei potuta durare qualche mese in più, ma non sarebbe cambiato nulla. Non si può curare quello che ho. E mi dispiace, mi dispiace così tanto, Neville… io… oh, avrei voluto avere più tempo anche io. Avrei voluto dei figli, dei nipoti. Avrei voluto vivere con te e congedarmi dalla vita ormai pronta per affrontare la morte. Ma non tutte le vite sono lunghe, e ringrazio che la mia sia stata tutto sommato felice e piena d’amore. –
Rimasero in silenzio, per un po’.
- Ashling. –
- Dimmi Neville. –
- Vuoi sposarmi? –
La ragazza lo baciò a lungo, annuendo.
 
***
 
La McGranitt non sapeva se a Hogwarts si potessero fare matrimoni. Lei che sapeva tante cose non sapeva questa, che banale non lo era di certo. Chiese consiglio al ritratto di Silente che le rispose che l’amore non ha limiti. Così, diede la sua benedizione ai due ragazzi.
Una tiepida mattina di maggio, in un’aula in disuso del settimo piano, ancora devastato dai segni indelebili che la guerra aveva lasciato, si celebrò il matrimonio tra Neville ed Ashling.
Non c’erano molte persone – Draco, Hermione, Narcissa, Harry, Ginny, Ron, Samia, la nonna di Neville, la professoressa McGranitt, alcuni professori – perché né Ashling né Neville volevano qualcosa di grande. E perché Ashling non avrebbe retto un matrimonio in grande.
Era bella. Avevano organizzato tutto di corsa, ma alla fine erano riusciti a far avere ad Ashling un abito da sposa e a Neville dei fiori da appuntarsi sul vestito, uguali a quelli che Ashling aveva nel bouquet – Amaranto, Camomilla, Corniolo, Rosmarino -.
La cerimonia era stata breve, ma intensa. Le promesse avevano fatto piangere silenziosamente tutte le ragazze – donne – presenti.
Ashling aveva preso una pozione in modo che non tossisse sangue che avrebbe potuto rovinarle il vestito. Si era fatta forza e aveva sposato Neville. Avrebbe voluto farlo in un altro modo, non con quella spada di Damocle che pendeva sulle loro teste. Avrebbe voluto un matrimonio a Villa Malfoy, organizzato insieme a Narcissa, come madre e figlia. Ma, in fondo, quando la professoressa McGranitt aveva sancito il legame magico che avrebbe dovuto legarla a Neville per sempre, Ashling aveva sentito di essere finalmente in pace. Aveva tutto quello che voleva, tutto quello che aveva sempre desiderato era lì, in quel momento. Amore, amicizia, pace. Aveva tutto. Adesso sarebbe potuta morire in pace.
Gli ultimi giorni furono difficili, per tutti. Draco aveva parlato con Ashling a lungo, non la lasciava quasi mai e quando usciva dall’infermeria, spesso a notte fonda, trovava sempre Hermione ad aspettarlo. Andavano in camera dell’uno o dell’altra – a Grifondoro non erano ben visti, ma nessuno osava fiatare. A Serpeverde nessuno fiatava e basta – ed Hermione curava Draco meglio che poteva. Non cercava di nascondergli quello che stava per succedere. Non cercava di indorargli la pillola, secondo quel che diceva un vecchio detto babbano. Cercava solamente di mostrargli che c’era ancora bellezza, nel mondo. Che c’era ancora qualcosa per cui valeva la pena vivere. Che era giusto provare dolore, ma che non bisognava lasciarsi paralizzare da esso. Hermione cercava di ricordare a Draco che non era una storia triste e che, soprattutto, non era colpa sua quello che stava accadendo ad Ashling. Che si era informata. Certe cose capitano e basta, non è colpa di nessuno.
Draco la stava a sentire. Si aggrappava a lei con tutte le forze di cui disponeva e cercava di essere forte. Il più forte possibile. Non poteva cambiare le cose – non aveva mai avuto molte scelte – però aveva scelto di lasciarsi amare da Hermione. Di lasciarsi curare. Le ci voleva un po’, ma riusciva sempre a rimetterlo in sesto.
“Siamo fregati” gli aveva detto tempo fa Ashling.
Glielo aveva detto ancora.
- Siamo fregati, Draco - aveva sussurrato senza forze.
- L’amore, Ashling.. l’amore ci frega sempre. – le aveva risposto lui, senza voce.
- Non lasciartela scappare per nessuna ragione al mondo, mi raccomando. Sii felice. Non lasciare che il dolore per la mia perdita ti uccida. Non dico di non essere triste. Penso che sarebbe impossibile non esserlo. Ma supera questo dolore. Se c’è una vita dopo la morte ci rivedremo lì. Se non c’è… ci sarà l’oblio, quindi tanto meglio, nulla di cui preoccuparsi. –
- Ashling, io… non so se posso… -
- Ssh. Zitto. Ti voglio bene. Va bene così. Ti voglio tanto bene, Draco. Abbi cura di te e di Hermione. E tieni la testa a posto, okay? –
Il ragazzo annuì.
- L’amore ci frega sempre, Lin. –
- L’amore è l’arma più potente che sia mai esistita. –
- Ti voglio bene. – sussurrò Draco baciandole la fronte e sospirando sonoramente per trattenere le lacrime.
- Ti voglio bene anche io. – rispose Ashling, che chiuse gli occhi e, a poco a poco, non respirò più.
 
***
 
Ashling Lloyd, figlia di Margaret e Jack Lloyd, ma anche di Narcissa e Lucius Malfoy, morì di tisi magica il 17 maggio 1999.
Al suo funerale partecipò tutta Hogwarts, che non avrebbe voluto vedere un altro dei suoi giovani studenti morto prima del tempo. I ragazzi rimasero molto scossi dalla morte di Ashling. Non perché non se l’aspettassero. Più che altro perché ci avevano davvero sperato, che le cose sarebbero andate a posto.
Era una fredda mattina di maggio, ma il sole splendeva alto nel cielo. Narcissa si era stabilita ad Hogwarts da settimane, ormai, per non lasciare la figlia – adottiva, ma pur sempre figlia - sola neanche un minuto.
Aveva parlato, senza versare mai una lacrima.
- Ashling Lloyd capitò nella mia famiglia quasi per caso. I suoi genitori erano stati uccisi e lei non sapeva a chi altro rivolgersi, perché il suo amico era Draco. L’accogliemmo nella nostra famiglia, nonostante fosse una mezzosangue. Draco ci aveva raccontato quello che sapeva fare. Pensavamo di aver trovato un’altra erede, invece abbiamo scoperto una figlia e una sorella.
Non so quanto le abbia fatto bene vivere nella nostra famiglia. Abbiamo vissuto nell’agiatezza, nello sfarzo e poi nella vergogna, nel terrore. Abbiamo visto gente torturata nella nostra casa, sotto il nostro tetto. Abbiamo visto Draco segnato e distrutto da un destino crudele. Abbiamo visto la disfatta di Lucius, la perdita del nostro prestigio. Ma nei momenti più bui abbiamo sempre avuto Ashling. Draco ha sempre avuto una spalla su cui piangere, io ho sempre avuto una figlia con cui confidarmi.
Ashling ha riscoperto l’amore nella famiglia Malfoy. L’ha tirato fuori da sotto secoli di insegnamenti e principi e l’ha riportato alla luce. Non sconvolgendo il nostro carattere, quello che un Malfoy è e deve essere. Insegnando a donarcelo nelle piccole cose, perché i grandi gesti non avrebbero reso l’intensità dei sentimenti. E perché non avremmo potuto fare grandi gesti d’amore, accecati com’eravamo dal seguire un uomo che l’amore voleva distruggerlo.
Ho imparato ad amare Ashling come se fosse stata veramente figlia mia, sangue del mio sangue. Avrei voluto che avesse vissuto una vita lunga e piena, prima di morire. Lei mi ha detto che ha avuto tutto quello che aveva sempre desiderato. Mi ha detto che si riteneva la persona più fortunata del mondo, perché era sopravvissuta ad una Guerra, perché non aveva perso tutta la sua famiglia, perché c’era ancora chi amava e perché era ancora in grado di amare a sua volta.
Mi ha insegnato a sentirmi fortunata in mezzo a tutta questa desolazione. Mi ha insegnato a nascondere i miei sentimenti e a mostrarli un po’ alla volta, piano piano.
E anche se la sua morte ha portato un vuoto enorme nel mio mondo, imparerò ancora a trovare la bellezza in ogni cosa, così come faceva lei.
Così come mi ha insegnato. –
Pianse solo alla fine, Narcissa, quando la bara si abbasso nella terra dietro Hogwarts. Pianse abbracciata a Draco, che piangeva a sua volta, stringendo ossessivamente le mani di Hermione, in una catena umana indivisibile. Anche Harry piangeva, perché Ashling si sarebbe meritata una vita più lunga di quella che aveva avuto. Ma con lui c’era Ginny, che non piangeva, perché sperava, sapeva, che l’amica ora era in un posto migliore. Così come non piangeva Hermione, per il semplice motivo che lo aveva promesso ad Ashling.
- Promettimi che non piangerai, Herm. Draco piangerà. Anche zia Cissy. Tu promettimi che non piangerai, non voglio un funerale triste. Dovete trovare la bellezza anche nel mio funerale. Ci sarà bellezza anche allora, Hermione. –
- Te lo prometto, Lin. –
Neville aveva semplicemente puntato il suo sguardo nel vuoto e non lo aveva più staccato dalle immagini che trovava nella sua mente. Rimanendo lì, in attesa, aspettando che tutto il dolore che sentiva cambiasse, si trasformasse in qualcosa di diverso.
Alla fine della cerimonia, gli studenti di Hogwarts avevano avuto il pomeriggio libero. La McGranitt non si era sentita di far fare lezione a chicchessia. Troppo dolore, troppa stanchezza. Aveva visto Draco allontanarsi verso il Lago Nero. Aveva rilasciato il respiro quando aveva visto Hermione che lo seguiva.
 
***
 
- Cosa leggi? – domandò Draco, abbracciando Hermione con le gambe e appoggiando la testa sulla sua spalla minuta.
- Il diario di Lily. –
- Posso leggere anche io? –
- Basta che poi non ne parli con Harry. –
- Per chi mi hai preso, scusa? Io non parlo con Potter. –
- Taci, Malfoy. Leggi e taci. –
 
Caro diario,
la scuola è finita, ma a noi dell’ultimo anno toccano i M.A.G.O, che si svolgeranno tra qualche settimana.
Io e James abbia ufficializzato la nostra storia. Un po’ perché ci sentivamo pronti, un po’ perché la guerra incombe e non avremmo proprio potuto aspettare. Abbiamo deciso di sposarci appena finiti i M.A.G.O, mi ha comprato un anello a Hogsmade l’ultima volta che ci siamo stati. È bellissimo, fine, di oro bianco, con una piccola pietra del colore dei miei occhi al centro.
Mi piacerebbe avere un figlio. So che sono giovane, ma mi sento pronta a diventare madre. Ne ho parlato con Mary, ma lei mi ha detto di pensare a diventare moglie, che c’era tempo per diventare anche madre.
Ho trovato un ottimo confidente in Remus Lupin. Mi ha raccontato un po’ la sua storia, io gli ho raccontato la mia. Ha detto che secondo lui James sarebbe un padre perfetto e che Sirius impazzirebbe per un bambino da crescere uguale a lui. Ho riso tanto, me li immagino già tutti e tre ad insegnare al piccolo i passaggi segreti di Hogwarts.
Se solo non ci fosse l’ombra di questa guerra imminente, se solo non avessimo questo peso sul cuore. Sarebbe tutto più semplice, tutto più tranquillo. Ma non voglio negarmi la possibilità di essere felice e di avere una famiglia. Tutto si sistemerà per il meglio.
Alla fine i M.A.G.O sono arrivati e sia io che James li abbiamo passati a pieni voti. Gli ho detto che mi piacerebbe avere un bambino, lui mi ha abbracciata stretta, ridendo emozionato. Sono anche preoccupata per la nostra situazione finanziaria. Non abbiamo ancora scelto dove vivere, non abbiamo ancora una casa, non sappiamo che cosa vogliamo fare nel nostro futuro. James ha ribattuto che con tutti i soldi che aveva non c’erano problemi di sorta. Che arrogante pallone gonfiato!
Ci siamo sposati poche settimane dopo i M.A.G.O, una cerimonia intima, con pochi amici. Avrei voluto che ci fosse anche mia sorella con suo marito, ma lei non ha voluto accettare il mio invito. Mi è dispiaciuto molto, in fondo è la mia unica sorella, le voglio bene.
A volte penso a Severus. A come sarebbe andata se fossi rimasta con lui. Se sarei stata felice come lo sono ora. Se ci saremmo sposati anche noi. Se avessimo avuto dei bambini. Un sacco di “se” che non si avvereranno mai. Avevamo fatto dei progetti, quando eravamo bambini. Non abbiamo messo in conto l’imprevedibilità del destino, per questo non ce l’abbiamo fatta, alla fine. Eravamo troppo sicuri di noi due, perché “noi due” c’eravamo sempre stati. Perché “noi due” ci eravamo sempre capiti. Perché “noi due” siamo stati attraversati da un amore che non abbiamo saputo gestire. Siamo stati travolti da eventi che ci hanno trascinati via, lontani, irraggiungibili, divisi.
Non possiamo ricostruire nulla di quello che c’è stato fra noi. Né l’amicizia, né l’amore. Forse se i tempi che corrono non fossero questi qui avremmo potuto fare qualcosa. Forse. Magari in futuro riusciremo ad avvicinarci di nuovo. So che anche lui ha fatto degli ottimi M.A.G.O, cosa che non mi ha stupita affatto, considerato quanto bene conosco il suo modo di pensare e la sua testa brillante.
James una sera mi ha chiesto se l’amassi ancora. Gli ho risposto che per me sarà importante per sempre e che probabilmente avrò sempre il rimpianto di non averci provato abbastanza, ma che non mi pentirò mai di aver scelto James, alla fine. Perché l’amore che porto per James va oltre qualsiasi cosa abbia mai provato in vita mia e non potrei ignorarlo neanche se volessi. Neanche se con Severus fosse andato tutto bene sarei riuscita ad ignorare l’amore che provo per James.
Guardando Hogwarts allontanarsi sempre più sento un’acuta sensazione di malinconia che mi chiude la gola. È stata la mia casa per tutti questi anni, fosse per me non me ne sarei mai andata da lì. James mi stringe con un braccio, mentre parla con Sirius e Remus.
Respiro tranquilla, finalmente. Abbiamo tutta la vita davanti.
 
Lily.
 
- Non hanno avuto tempo neanche loro, Hermione. –
- No, Draco. Non hanno avuto tempo neanche loro. –
- Però erano felici. –
- Anche Ashling lo era, lo sai. Te l’ha detto anche lei. –
- Sì. Lo so che anche lei è stata felice. Vorrei che avesse avuto più tempo. –
- Lo vorremmo tutti, ma è andata così. È inutile pensarci. Non abbiamo potuto fare niente. Non farti paralizzare dal dolore, Draco. Guarda il cielo. –
- Il sole sta tramontando. –
- Mille colori illuminano la superficie del Lago Nero. –
- E c’è ancora bellezza in questo mondo. –
- Esatto. –
Un sorriso sincero illuminò il volto di Hermione.
- Tutta la bellezza del mondo si deve essere concentrata su di me. – affermò Draco, guardandola di sbieco.
- Oh, ma ti prego, Malfoy. Evita. Se tu sei bello, io non sono una strega! – sbuffò Hermione, voltandosi stizzita.
- Quindi non sei una strega? Peccato, avrei giurato di averti vista usare una bacchetta, ma se la metti in questo modo… - rispose lui, alzandosi e facendo alzare la ragazza.
- Suvvia, Malfoy, non farmi incazzare. Se continui così ti mando in infermeria! – rise lei.
- Se io vado in infermeria, vieni in infermeria anche tu! –
- Oppure potrei occultare il tuo corpo nella Foresta Nera, che dici? –
- Proposta allettante, ma ti avviso che tornerei a tormentarti sotto forma di fantasma. Non ti libererai mai di me! –
- Oh, che Morgana me ne scampi! Tutta una vita con te non la faccio. Proprio no. –
- Taci, donna. – un bacio appassionato e un po’ prepotente da parte di lui, le mani di lei fra i suoi capelli.
La vita va avanti per conto suo. Pensò Draco guardando Hermione. Noi non dobbiamo fare altro che seguirla.




Note dell'Autrice:

Hola gente!
Ehm... non mi uccidete (?). Comprendo di essere in mega ritardo e di stare ormai aggiornando un po' a caso, ma la mia ispirazione va e viene un po' a caso, quindi io prendo ciò che mi passa il convento e basta.
Mi dispiace molto per l'attesa (perdonatemi, vi prego).
Che dire, questo è un capitolo importante e ormai siamo alla fine. Non so quanti capitoli ci possano essere ancora prima dell'epilogo. Forse farò l'epilogo e basta, non so proprio.
Fatto sta che, finalmente, Ashling è morta. Già. L'ho fatto succedere, non ho resistito a tutto questo angst ** 
Giuro che ho pensato per una frazione di secondo di non ucciderla. Ma il mio sadismo non ha gradito la proposta, quindi niente. E' morta e spero che non vi dispiaccia troppo. A me devo dire che è dispiaciuto parecchio farla morire. 
Quindi, gente, detto ciò, Buon Natale in ritardo (a me sono arrivati un sacco di bei regali **) e Buon Anno in anticipo (dubito che ci sarà un altro capitolo prima di mesi, ma, come dice il proverbio, "mai dire mai").
Un bacio,
Lilian.

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX. ***


Capitolo XIX.
 
 
Glielo appoggiò accanto, sull’erba verde, mentre Ron si sedeva accanto a lei.
- Che cos’è? – chiese Harry, scorrendo le dita sul nome inciso nella pelle scura.
- L’ho trovato a Godric’s Hollow, quando ci siamo avventurati nella casa di Bathilda Bath. È il diario dell’ultimo anno a Hogwarts di tua madre. –
Harry annuì, prendendolo delicatamente tra le mani.
- L’hai letto? – chiese.
Hermione alzò le spalle.
- Ero curiosa.
Per un po’ i tre ragazzi stettero in silenzio, guardando il sole abbassarsi lentamente nel cielo.
- Avreste mai pensato a tutto questo? – chiese Ron.
- Tutto questo? – rispose Harry aggrottando le sopracciglia.
Ron fece un ampio gesto della mano.
- Guardateci. Siamo ancora qui, vivi. Innamorati. Quella notte a Godric’s Hollow, quelle notti sperduti tra mille pericoli… ci avete mai pensato a tornare qui, a guardare di nuovo il tramonto? A sopravvivere e, addirittura, a tornare a vivere dopo tutto quello che abbiamo passato? –
- In realtà non c’ho mai pensato. Allora tutto quello che dovevamo fare era trovare gli Horcrux e uccidere Voldemort. Non ho mai pensato al dopo. Non ci potevamo permettere di pensare ad un futuro, non noi tre. Davvero, quante possibilità avevamo di sopravvivere tutti e tre? – disse Hermione.
- Non abbiamo mai avuto vere possibilità di vincere. Ci sono un sacco di “se” e di “ma”, di persone che ci hanno aiutato e avrebbero potuto non farlo… se Narcissa non avesse mentito a Voldemort, lui avrebbe vinto. Se l’amore che la legava a Draco ed Ashling non avesse vinto, nessuno di noi tre sarebbe qui, ora. Se Neville si fosse arreso, se non avesse tagliato la testa a Nagini. Se gli altri non avessero avuto la forza di reagire. Se… - Harry scosse la testa. - Però siamo sopravvissuti. Tutti e tre. Chi l’avrebbe mai detto? –
- Nessuno. – rispose Ron.
Allungando il braccio oltre Hermione, il ragazzo afferrò il piccolo diario di Lily Potter.
- Allora, c’è scritto qualcosa d’interessante? – chiese.
Hermione scoppiò a ridere.
- Oh, non ci crederete mai! Tua madre era una donna molto forte, Harry. Ne ha passate tante. Non so come prenderai alcune cose che ci sono scritte, ma penso che valga la pena di leggerlo. È pur sempre qualcosa che ti può far conoscere un po' di più tua madre. –
- C’è scritto qualcosa di tanto compromettente? – domandò Harry.
Hermione arrossì.
- Probabilmente dovrai rivedere molte delle tue idee, Harry… -
- GRANGER! – urlò qualcuno dall’altra parte del parco.
La ragazza alzò gli occhi al cielo.
- Ma che ci trovi in lui, Herm? – chiese Ron, guardando storto il ragazzo biondo che si avvicinava a loro.
- Non lo so, Ron. Se lo sapessi probabilmente non sarei nemmeno innamorata di lui. Fa tutto parte del pacchetto. – rispose Hermione, alzandosi.
- Cos’hai da urlare, maledetto Furetto? – chiese avvicinandosi a Draco, che ormai li aveva raggiunti.
- Dov’eri finita? Mi sono svegliato e tu non c’eri!
- Cos’è, ti mancavo, Malfoy?
- Sì. – rispose il ragazzo, mettendo il broncio come un bambino.
Adorava quando era così arrabbiato che le diceva la verità senza neanche accorgersene.
- Dovrai farti perdonare! – esclamò Draco, prendendola per mano e iniziando a trascinarla lontano dai suoi amici.
- Non ci penso neanche! – rispose Hermione – Ciao, ragazzi. Ci vediamo più tardi. – aggiunse salutandoli e seguendo il Serpeverde davanti a lei.
Harry guardò Ron perplesso. Il rapporto complesso che legava Hermione al loro peggior nemico non l’avrebbero mai compreso.
- Sembra stare meglio, però. – disse Ron.
- Sì. Sembrano stare meglio entrambi. – rispose Harry.
- Chi l’avrebbe mai detto, eh? Hermione e Malfoy… bah! – disse Ron e i due amici scoppiarono a ridere, sentendo un peso sciogliersi e scivolare via dal petto.
 
***
 
Harry guardava la pergamena che aveva in mano, piangendo a diritto. Di gioia o di dolore non lo sapeva.
Aveva aperto il diario di sua madre con tutta l’intenzione di leggerlo, quel pomeriggio, e invece si era ritrovato in mano una vecchia lettera, scritta su una vecchia pergamena, con l’inchiostro sbavato e rovinato in più punti.
E non aveva più smesso di piangere.
 
1 ottobre 1981
 
Caro Harry,
non so se leggerai mai questa mia lettera, ma nel caso in cui Bathilda riuscisse a darti questo diario, e la lettera con lui, volevo che sapessi alcune cose, tutte ugualmente importanti.
Io e tuo padre siamo molto felici di averti avuto. Vi amo entrambi come non ho mai amato nessuno. Ma devi sapere che tempo fa, ci fu un ragazzo che mi fece battere il cuore e che amai molto, troppo forse. Si chiama Severus Piton, ha preso una brutta strada, ma se dovessi incontrarlo nel tuo cammino, non giudicarlo dalla prima occhiata. Lui si scopre piano piano ed ha un’anima bellissima. Dagli una possibilità, saprà volerti bene e, chissà, magari anche tu imparerai a volergli bene.
Non farti mai guidare dalle apparenze, Harry. Sii forte e giusto, soprattutto con i tuoi nemici, e soprattutto se non conosci la loro storia. Impara anche a perdonare, quando ce ne sarà bisogno e abbia pietà, sempre, di chi ha una brutta storia alle spalle.
Probabilmente sarò morta da molto tempo quando leggerai questa lettera, ma spero che tu vivrai ancora con tua zia Petunia, con la mia amata sorella: lei ti vorrà bene, ne sono certa. In un modo o nell’altro te ne vorrà.
Sei la gioia di tutti noi, qui: non ho mai visto tuo padre, Sirius e Remus così felici. Quando tutto questo finirà, saremo una famiglia vera, tutti noi. Ti cresceremo con amore e non ti mancherà mai nulla. Ma se questo non dovesse succedere, se noi dovessimo morire, non disperarti: ti ameremo anche dal luogo in cui si va dopo la morte e ti aspetteremo lì, sorridenti e veglieremo su di te.
Tuo padre aggiunge che sarà orgoglioso di quando entrerai a Grifondoro (so che ti sembra strano che dica una cosa del genere, ma lui non ha la mia stessa fiducia sul fatto che sopravvivremo). Saremo orgogliosi di vederti in qualunque Casa di Hogwarts il Cappello Parlante vorrà smistarti.
Tuo padre si premura anche di dirti che ti vuole assolutamente nella squadra di Quidditch, proprio come lui.
Fa quello che devi per la tua felicità, Harry.
Harry, mamma ti ama.
Papà ti ama.
Sii prudente, Harry, sii forte.
 
I tuoi genitori.
 
Se Harry avesse avuto quella lettera prima, tante cose sarebbero state diverse, forse.
Sua madre innamorata di Severus Piton. Il suo ex professore di Pozioni. Morto per un capriccio di Voldemort.
Scosse la testa.
Quella lettera era ciò che aveva desiderato di avere per anni: la conferma di essere amato dai suoi genitori.
Ginny gli sfiorò le spalle, mentre Harry gli passava la lettera.
- Leggi. – le disse.
La ragazza rimase in silenzio per un po’. Fu Harry a riprendere la parola.
- Guarda la data. –
- 1 ottobre 1981… oh! –
- Già. –
Ginny sollevò il mento di Harry, costringendolo a guardarla negli occhi.
- Tua madre ti ha amato, Harry. Tuo padre ti ha amato. Così come lo hanno fatto Sirius e Remus. E penso che alla fine anche Peter Minus ti abbia voluto bene. Sono tutti morti, è vero. Nessuno te lo può dire a voce, ma te lo hanno dimostrato in molti modi. Il loro amore ormai è perduto, però tu sei vivo, sei qui, ora, davanti a me e il tuo amore nei loro confronti è ancora più vivo che mai. – Ginny fece un sospiro. - E poi ci sono io, che sono viva, qui, davanti a te e che ti amo. Smettila di piangere, loro non avrebbero voluto che tu piangessi per il rimorso. Piangi di gioia, piuttosto, per la fortuna sfacciata che abbiamo avuto, per il futuro che noi potremo vivere. Sii forte, Harry. –
Il ragazzo si asciugò le ultime lacrime e guardò negli occhi la sua ragazza. La forza che vi leggeva dentro rendeva forte anche lui.
Avrebbero avuto una vita insieme, sarebbero stati felici. Avrebbero avuto una casa, un lavoro. Magari dei figli. Avrebbero litigato, oh sì. Sarebbe stato bello. All’improvviso gli venne un’idea.
- Che dici, Ginny, ci sposiamo? – chiese con un luccichio divertito negli occhi.
La ragazza rimase a bocca aperta.
- Chi… quando… eh? – lo guardò confusa, senza capire.
Harry rise della sua espressione, attirandola a sé per un bacio. Lo sguardo di Ginny si assottigliò pericolosamente.
- Mi stai prendendo in giro, per caso, Potter? – chiese mettendosi le mani sui fianchi.
Il ragazzo deglutì, ma non riuscì a togliersi il sorriso che gli illuminava il volto – e gli occhi.
- Perché no, Ginny? 
La ragazza scoppiò a ridere.
Andava tutto bene.
 
***
 
Draco Malfoy accarezzò la schiena nuda di Hermione Granger.
Sorrise.
Affascinante come il destino scompigliasse a suo piacimento le vite degli esseri umani.
Se solo l’anno scorso gli avessero detto che avrebbe amato – parola che gli avrebbe sempre fatto paura – Hermione Granger, So Tutto Io, irritante, testarda, orgogliosa, bellissima, Nata Babbana, avrebbe iniziato a ridere e probabilmente non avrebbe smesso più.
Adesso, invece, stentava ad immaginarsi senza di lei. Lei era tutti i suoi ricordi felici. Non sarebbe mai stato in grado di produrre un Incanto Patronus decente senza pensare a lei.
La ragazza si girò verso di lui e lo guardò negli occhi.
- A che pensi? – chiese sfiorandogli una guancia.
Lui alzò le spalle.
- A quanto sia stato fortunato, alla fine.
- Posso farti una domanda, Draco?
- Dimmi pure.
- Che cosa faremo, una volta dati i M.A.G.O? Dove andremo a vivere, staremo ancora insieme? – Hermione stava per aprire la bocca ancora una volta, ma lui la fermò.
- Una volta dati i M.A.G.O, mi piacerebbe fare una vacanza. Con te, possibilmente. Potremmo invitare anche i tuoi amici. –
- Nostri, Draco. Nostri amici. –
Il ragazzo sbuffò, ma dovette cedere alla verità dei fatti. Stava iniziando ad apprezzare Harry Potter e la famiglia Weasley.
- Va bene, nostri amici, Hermione. E poi pensavo di ristrutturare il Manor… sai, ne parlavamo già da tempo con mamma e A… - Draco fece un respiro profondo. Hermione si avvicinò ancora di più a lui. – e Ashling. È così tetro e grande… e a mia madre non fa bene stare lì da sola, quindi, magari, potevamo andare a stare al Manor, per un po’ e sistemarlo… potremmo chiedere a zia Andromeda se vuole venire a stare lì anche lei, avrà bisogno di aiuto con il piccolo Teddy… - Hermione adorava il modo in cui Draco andava nel panico a parlare di sentimenti e pensieri vari.
Sorrise dolcemente, mentre il ragazzo continuava.
- Poi pensavo che potremmo far venire anche Neville. Non penso che debba stare troppo tempo da solo, lo vedo così perso, da quando Ashling è morta… - Draco abbassò gli occhi e il sorriso di Hermione si ampliò ancora di più.
- Trovo che queste siano ottime idee, Draco. – sussurrò, mentre lentamente lo sfiorava.
Con uno sguardo malizioso, lo stese sotto di sé, guardando divertita il suo sguardo confuso ed eccitato.
- Ma che fai, donna?!
- Non vuoi sapere quello che ho intenzione di fare io quest’estate? – chiese sfiorandogli le labbra con un bacio.
Il ragazzo le posò le mani sui fianchi, annuendo con un sorriso.
- Ho intenzione di mostrarti tutto l’amore del mondo.
 
***
 
24 dicembre, diciannove anni dopo.
 
- Hermione…
- Smettila, Draco.
- Non penso che sia una buona idea.
La ragazza si fermò con le mani sui fianchi.
- Draco.
- Sì?
- Smettila.
L’uomo che la guardava dall’altra parte della camera le lanciò uno sguardo truce. La donna sbuffò, girando intorno al letto che ormai condividevano da diciannove anni.
- Tutti gli anni la stessa storia. Non puoi andare nel panico ancora adesso perché passerai il Natale con quelli che secoli fa erano tuoi nemici. Nessuno ti odia più. Nessuno ti ha mai odiato. Che problema c’è? –
Draco abbassò gli occhi.
- Sai che non mi piace stare in mezzo alla gente. –
Certo che Hermione lo sapeva. Amava quell’uomo da troppo tempo, ormai, per non sapere perfettamente quello che gli passava per la testa.
Scosse la testa, sistemandogli la cravatta.
Alla fine, avevano davvero risistemato il Manor e ci erano davvero andati a vivere.
Solo loro, però. Narcissa si era trasferita permanentemente da sua sorella, contenta di riformare quel rapporto che le era stato strappato molto tempo prima. Teddy, invece, passava sei mesi a Malfoy Manor e sei mesi a Grimmauld Place. Insieme alle sue due famiglie, Malfoy e Potter.
Avevano celebrato il loro matrimonio proprio nel loro giardino, in una fresca giornata di inizio ottobre. Hermione ricordava ancora le lacrime che era riuscita a far versare a Draco. Suo marito. Un mezzo sorriso le incurvò le labbra.
- Ti ricordi il nostro matrimonio, Draco? – chiese.
L’uomo sbuffò.
- So dove vuoi andare a parare, donna. Non te la caverai con la storia del nostro matrimonio.
- Però è una bella storia, quella del nostro matrimonio.
- Noi siamo una bella storia.
I due si sorrisero, innamorati.
Si erano scelti tanto tempo prima e avevano avuto il coraggio di non lasciarsi. Non era stato facile, le liti furiose sfociavano spesso in duelli all’ultimo incantesimo, ma l’amore che li legava li aveva resi una bella storia. Una storia felice.
- Mamma! Papà! – chiamò una voce dal piano di sotto. – Facciamo tardi! –
Hermione si allontanò dal marito, lo prese per mano e lo trascinò al piano di sotto, dove i loro figli li stavano aspettando.
Davanti a lei apparve un bellissimo ragazzo in giacca e cravatta, elegantissimo, con i biondi capelli ricci come quelli della madre e gli occhi marroni screziati, chissà come, d’azzurro. Uno strano e bellissimo miscuglio di Hermione e Draco.
- Antares, dillo a tuo padre che siamo in ritardo, non a me. –
Lui sbuffò guardando storto l’uomo davanti a lui.
- Sei sempre il solito, papà! Cosa avete fatto tutto questo tempo te e la mamma? Possibile che tutte le volte è sempre la stessa storia? Non riusciamo mai ad arrivare in orario! – esclamò.
Draco scosse la testa. Suo figlio era proprio come sua madre. Saccente ed irritante. Lo amava da morire.
- Al posto di lamentarti sempre come al solito, vai a chiamare le tue sorelle.– gli rispose Draco.
- Eltanin! Altair! – urlò di rimando il giovane, beccandosi lo sguardo irritato del padre.
- Non mi sembra che ti sia sforzato molto, anche io avrei potuto chiamarle così! Sei proprio un Corvonero, mai capaci di fare qualcosa di pratico!
Antares stava per aprire bocca, quando Hermione si interpose tra loro con le mani sui fianchi e lo sguardo che non prometteva nulla di buono.
- Mi sembrate due bambini! – esclamò minacciosa.
- Io sono un bambino, mamma! Ho solo tredici anni. – le rispose Antares.
Hermione alzò un sopracciglio.
- Dodici e mezzo, fino a prova contraria. E comunque, sei un bambino solo quando ti fa comodo. E chiedi scusa a tuo padre.
- Ma, mamma…  
- Antares Draco Malfoy! Hai intenzione di non fare quello che ti ho chiesto?
Il ragazzo abbassò la testa e sussurrò: - Scusa, papà.
L’uomo gongolò, soddisfatto.
- Scuse accettate, Antares.
La moglie lo colpì sul braccio.
- Non fare il bambino, Malfoy.
In quel momento, ridendo, scesero le gemelle Malfoy. Una, Altair, corti capelli biondi e sguardo glaciale, era la copia sputata di suo padre. Finita, chissà come mai, a Serpeverde. L’altra, Eltanin, capelli indomabili e occhi scuri, era la versione in miniatura di Hermione. Grifondoro convinta.
I genitori ancora non capivano com’era potuto succedere. Tre figli, tre case diverse. Ricordavano ancora le scommesse tra di loro. Tutte perse da ambo le parti.
- Siamo tutti pronti? – chiese la madre, aprendo la porta di casa e facendo uscire il resto della famiglia.
Si presero tutti per mano e si smaterializzarono, apparendo davanti ad una casa a loro ben conosciuta. Era una tradizione consolidata, ormai, passare il Natale a Grimmauld Place, che non era più la casa tetra e triste in cui era vissuto Sirius Black. Harry e Ginny avevano fatto un ottimo lavoro di ristrutturazione, anni prima, e poi non se ne erano più andati da lì.
I Malfoy entrarono senza bussare.
- Ciao a tutti! – esclamò Hermione, dirigendosi in cucina, dove sapeva di trovare una Ginny molto indaffarata a preparare il pranzo per tutta la loro grande famiglia.
- Ciao Herm! – esclamò la donna, dando un bacio all’amica. – Ciao Draco. – disse poi rivolta al biondo, baciando anche lui.
Erano diventati amici, alla fine. Draco Malfoy e Ginevra Weasley adoravo, l’uno dell’altra, la lingua biforcuta e il sottile umorismo.
Anche Harry Potter fece il suo ingresso nella cucina sovraffollata.
- Buon Natale Herm! – baci. – Malfoy, sempre intorno a ficcare il naso, vedo. – pacca sulla spalla amichevole al suo ex nemico.
- Mai quanto te, Potter. – rispose, ricambiando il saluto.
Negli anni, i rapporti tra i due erano migliorati notevolmente, fino a saldarsi in una forte amicizia.
- Antares, James è su nella sua stanza. – disse Ginny, rivolgendosi al giovane, che sparì contento su per le scale.
- Zio Harry! Indovina in che casa sono finita! – esclamò entusiasta Eltanin. Adorava Harry e Ginevra, che erano il suo padrino e la sua madrina.
- In Grifondoro! Lo sapevo, tesoro. Me l’ha detto tua madre appena l’ha saputo. – le rispose Harry, abbracciandola.
- Siamo i primi? – chiese Hermione.
In quel momento, la porta di casa Potter si aprì ancora una volta e un’orda di Weasley ci sciamò dentro. Bill e Fleur salutarono i presenti, seguiti dalle due figlie, Victoire e Dominique.
Dietro di loro apparvero Ron e Samia, con i loro due figli. Rim Rose Weasley, primogenita, bellissima, stessa età delle gemelle Malfoy, Grifondoro. Capelli riccissimi dal caratteristico color Weasley, sguardo intelligente e penetrante. Aveva un rapporto strano con la prima delle gemelle Malfoy, Altair.
- Malfoy. – disse alzando il mento.
- Weasley. – rispose l’altra alzando un sopracciglio.
I genitori scossero il capo, sorridendo. Sapevano che le due ragazzine si adoravano e che tra loro c’era molto più di una semplice amicizia.
E poi c’era il piccolo Hugo, che corse su per le scale alla ricerca di Lily Luna Potter, la sua migliore amica da sempre.
Gli ospiti si spostarono nel grande salone adiacente alla cucina, dove un alto albero di Natale magnificamente addobbato faceva bella mostra di sé circondato da mille e mille regali.
Seduti in un angolo, con le teste vicine, sussurravano fitto fitto tra loro Eltanin e Albus Severus Potter, che per sua immensa gioia era finito a Grifondoro come tutti i suoi parenti. Sembrava di tornare indietro nel tempo e guardare Harry ed Hermione quando erano piccoli.
Iniziarono a sedersi a tavola quando Kreacher, che ancora serviva Harry e la sua famiglia, annunciò che la cena era quasi pronta.
In quel momento, arrivarono anche Narcissa con la sorella Andromeda e il giovane Ted Lupin, che salutò Victoire con un leggerissimo bacio sulla guancia. Dietro di loro, apparvero Neville Paciock e Luna Lovegood, seguiti dalla loro unica figlia: Ashling Paciock.
C’era voluto del tempo, per Neville, per scendere a patti con tutto il dolore causato dalla morte di Ashling, per assimilarlo e prenderlo per mano, per smettere di combatterlo ed accettarlo. Ma nel suo lungo percorso non era rimasto solo a lungo. Luna, in punta di piedi, era entrata nella sua vita e c’era rimasta. Si amavano. E non avevano voluto sposarsi. Luna aveva affermato che il matrimonio non faceva per loro, che stavano molto meglio così. Poi Luna era rimasta incinta e Neville aveva passato notti in bianco pensando al nome da dare alla sua bambina. Quando Luna, inaspettatamente, aveva affermato che la loro figlia di sarebbe chiamata Ashling, il cuore di Neville s’era quasi fermato sotto la forza dell’amore che sentiva per quella strana donna. Finalmente stava bene, Ashling sarebbe stata contenta di lui.
Si sedettero tutti a tavola, mentre i piatti venivano riempiti di cibi deliziosi.
Tutti erano felici, finalmente.
La cicatrice di Harry non bruciava più da molto tempo.
Andava tutto bene.
 
 
 
Come andò a finire…
 
Hermione e Draco: Draco ed Hermione non smisero mai di amarsi e quando meno se lo aspettavano, Hermione restò incinta del piccolo Regulus Malfoy, scalmanato come pochi, con una vera adorazione per lo zio George Weasley, che gli insegnò tutti i passaggi segreti di Hogwarts, per poi scoprire con sgomento che aveva rivelato i suoi segreti ad un piccolo Serpeverde.
 
James Sirius Potter e Antares Draco Malfoy: restarono sempre migliori amici, anche quando Antares rubò la ragazza a James e lui per ripicca gli fece sparire il materasso per un mese. Adesso, entrambi fuori da Hogwarts, erano diventati entrambi giocatori di Quidditch. Ovviamente in squadre diverse.
 
Albus Severus Potter ed Eltanin Narcissa Malfoy: alla fine si innamorarono, al contrario di quanto successe alle loro copie più grandi. Nulla riuscì mai a dividerli, neanche quando Eltanin, per una scommessa, baciò un altro ragazzo e Albus, geloso, non le rivolse la parola finché non ricevette scuse adeguate.
 
Altair Hermione Malfoy e Rim Rose Weasley: Altair e Rim annunciarono un capodanno, ai loro genitori e parenti, che non erano solo semplici amiche. Al posto di ricevere il disprezzo che si aspettavano, ricevettero le risate dei genitori che affermavano di saperlo già da tanti anni, che loro non erano semplici amiche.
 
Ginny ed Harry: Harry non smise mai di ficcare il naso negli affari di Draco, Ginny non smise mai di adorare la parlantina del Serpeverde. Harry si domandava ancora che cosa avesse fatto di così buono nella sua vita per meritarsi una famiglia come quella. Ginny non perse mai la pazienza col suo Grifondoro preferito.
 
Ron e Samia: andarono a vivere in Egitto, dopo che Ron si fece male sul lavoro e fu costretto alla scrivania. Il camino di casa loro era collegato a quello di casa Potter e, nonostante le proteste scherzose di Ron, anche a quello di casa Malfoy. Non si perdevano nulla della vita mondana Londinese e, nel resto dell’anno, vivevano spaparanzati tra i cammelli.
 
Ashling Paciock: adorava i suoi genitori e i grandi occhi azzurri della madre, abbinati ai capelli neri del padre, la rendevano bella ed affascinante. Si scoprì che era brillante proprio come la strega di cui portava il nome, con cui faceva lunghe chiacchierate grazie al quadro che la ritraeva e che viaggiava tra Malfoy Manor e casa Paciock ad intervalli di sei mesi.
 
 
Finite Incantem.
 
 
 
Angolo dell’Autrice:
Non posso credere di essere arrivata alla fine di questa storia, finalmente. Sono passati quasi due anni da quando l’ho iniziata e non mi sembra vero che sia riuscita a portarla a termine.
Non mi dilungo mai troppo negli “Angoli dell’Autrice”, perché mi imbarazza davvero tanto e non so mai cosa dire.
Spero che questa storia, nonostante tutti i miei ritardi nel postare i capitoli, sia piaciuta come è piaciuta a me scriverla.
Ringrazio di cuore tutti quelli che l’hanno letta e recensita, messa tra le preferite, seguite o ricordate. Mi avete resa una persona felice.
Ricordo che non ho scritto questa storia a scopo di lucro e, come ben sapete, i personaggi appartengono alla nostra amata J.K. Rowling; Ashling è un personaggio di mia invenzione e, come tale, se mai qualcuno dovesse inserirlo in una sua storia ( cosa di cui dubito :’)) è tenuto ad avvisarmi e a chiedermi il permesso.
Rinnovo i miei ringraziamenti a tutti voi.
Alla prossima storia,
un bacio enorme,
Lilian <3

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