Broken

di Cla90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Broken ***
Capitolo 2: *** Upset ***
Capitolo 3: *** Hopeless (1° parte) ***
Capitolo 4: *** Hopeless (2° parte) ***



Capitolo 1
*** Broken ***


Ecco una serie di shots sulla meravigliosa puntata 2x13...

I pensieri di Chuck dopo il funerale e qualche missing moment...

Spero che vi piaccia...xD  Commentate, please...


Broken


...I’m falling apart, I’m barely breathing
With a broken heart, that’s still beating...


Questa volta Chuck Bass era distrutto ed era abbastanza sicuro che non sarebbe riuscito ad aggiustare le cose.

La situazione era a dir poco più grande di lui, così fece quello che gli era sempre riuscito meglio: allontanare tutte le persone che gli erano vicine, scappare, rifugiarsi nell'oblio e, non meno importante, alzare ancora più in alto i muri intorno al suo cuore.

Spezzato.

Si sentiva distrutto in milioni di pezzi. Piccole schegge di vetro che infierivano senza pietà in quello che era rimasto della sua anima. Se mai ne avesse avuta una.

In realtà pensava che quando fosse arrivato quel momento, si sarebbe sentito sollevato. Sollevato dal fatto che non avrebbe più sentito quella vena di disprezzo e delusione ogni volta che suo padre gli rivolgeva un rimprovero e gli faceva intendere non troppo sottilmente che lo considerava il solo responsabile. Colui che gli aveva portato via la compagna della sua vita. Non riusciva neanche a guardarlo negli occhi.

E ora che finalmente era arrivato quel momento, che cosa faceva?

Non poteva fare altro che rimpiangere il tempo che aveva passato ad odiarlo.

Se solo lo avesse ascoltato...se gli avesse detto...avesse fatto...

Se solo non lo avesse chiamato per dirgli di venire subito al Ballo del Fiocco di Neve...

Se...se...se...

Si prese la testa tra le mani, inspirando profondamente, cercando quel minimo di controllo prima di scendere le scale per andarsene dal rinfresco, che era stato organizzato dopo il funerale.

Inspirò ancora, ogni passo che faceva per scendere quelle scale era un passo verso il baratro.

Doveva andarsene, non riusciva a respirare, non riusciva a guardare in faccia i suoi amici, con quegli occhi rossi segnati da pesanti occhiaie.

Richiese il cappotto alla cameriera e premette il pulsante per chiamare l'ascensore.

-Dove pensi di andare?

La voce di Blair lo riportò alla cruda realtà.

Già, Blair...

Blair, con la quale fino ad ora aveva giocato al gatto e al topo, divertendosi entrambi a rincorrersi a vicenda...

Blair, con la quale aveva temporeggiato fin troppo, giocando più volte con i suoi sentimenti, fino a vederla piangere per colpa sua...

Blair, che aveva abbandonato all'eliporto, tradendola con quella esperta d'arredamento di cui non ricordava più neanche il nome...

Blair, che nonostante tutto continuava a tornare da lui ed ora stava cercando di fermarlo...doveva allontanarsi anche da lei, soprattutto da lei, per impedire che soffrisse ancora accanto alla pallida ombra del ragazzo che era stato.

-Tutti quelli che conosci sono in questa stanza.-cercò di convincerlo, dolcemente.

Inclinò la testa di lato, giusto per non vedere la sua espressione sofferente.

In lontananza sentì la voce spezzata di Eric implorarlo di non lasciarli, non voleva perdere anche lui e sentì se stesso rispondergli rabbiosamente che non era suo fratello, infondo non erano mai stati veramente una famiglia...

Lui non aveva più una famiglia...

Dimentico del cappotto e di qualsiasi altra cosa, entrò rapidamente nell'ascensore, le cui porte di metallo tagliarono fuori Blair e tutto il resto.

Sospirò quasi di sollievo, lasciandosi cadere stancamente sul pavimento e schiacciando le ginocchia contro il petto.

Stava tremando. Dannazione.

Trattenne il respiro in attesa di calmarsi. E l'unica cosa che si concesse fu un singhiozzo strozzato. Non poteva, non doveva, piangere...


*


In strada cercava di arrivare in fretta alla sua limo, anche se il suo passo incerto e traballante suggeriva il contrario.

Inconsciamente sapeva di volere solo aspettare che qualcuno lo seguisse, giusto per vedere se a qualcuno importava veramente di lui.

Ma non lo avrebbe mai ammesso a se stesso, perchè lui era Chuck Bass.

Pretendeva di farsi scivolare addosso il dolore, quando invece gli si faceva strada fino al cuore, riempiendolo di rancore, rimorsi e solitudine.

Tanta, tanta solitudine...

-Chuck!! Fermati!!

Il suo cuore gli saltò nel petto, al suono di quella voce, mentre inconsapevolmente si era voltato come per accertarsi inutilmente che fosse davvero lei.

Ovvio che era lei...

Lei non si dava mai per vinta.

La vide correre verso di lui, il suo viso perfetto macchiato da un sottile strato di sofferenza...sofferenza di cui era responsabile.

-Non andare.-bisbigliò Blair, avvicinandosi lentamente.

Chuck aveva già la mano pronta ad aprire la portiera della limo, quando lei era arrivata per fermarlo. A che scopo, poi? Di certo sarebbe stata molto meglio senza di lui...Restò ancora un attimo in silenzio, mettendo a fuoco la sua figura attraverso gli occhi che gli bruciavano.

-O se proprio devi andartene...-continuò Blair avvicinandosi inesorabilmente, lo sguardo legato al suo-...lasciami venire con te.

Perchè gli stava rendendo le cose così fottutamente difficili?!?

Non poteva semplicemente fare finta di niente, lasciarlo perdere come meritava?

Decise di tagliare in fretta quella conversazione che non avrebbe nemmeno dovuto iniziare.

-Apprezzo il tuo interessamento.

Rispose con finta indifferenza, voltandosi subito per salire nella limo, non riuscendo più a guardarla negli occhi.

-No, non è vero.- affermò lei determinata.

Chuck intanto aveva aperto la portiera, ma si era comunque voltato di nuovo verso di lei, cercando di capire dove volesse arrivare.

-Non apprezzi nulla oggi.-continuò Blair, dicendo soltanto come stavano le cose, non aspettandosi realmente una risposta da lui.-Ma non mi importa.

Chuck si sorreggeva alla portiera, trovando un supporto al quale aggrapparsi, qualcosa che non fosse Blair, cercando almeno di sopravvivere a quella maledetta conversazione. Aveva bisogno di andarsene ed in fretta.

-Qualsiasi cosa tu stia passando...-gli disse dolcemente, avvicinandosi sempre di più- Voglio esserci per te.

Il suo battito accelerò all'istante, sentite quelle parole.

Ma per quanto volesse darle retta, non voleva, non poteva, trascinarla in quell'inferno con lui. Aveva soltanto bisogno di allontanarla, ancora una volta.

Ormai era un esperto in questo.

Prese un respiro, cercando le parole giuste, che l'avrebbero ferita definitivamente.

-Ne abbiamo parlato- esclamò, con voce quasi alterata; poi scelse ogni parola con estrema cura, mettendo l'accento su ognuna di quelle- Non. Sei. La. Mia. Ragazza.

Sapeva di averla scossa. Avrebbe dovuto esserne orgoglioso, ma sentiva solo un enorme, gigantesco peso che gli premeva alla bocca dello stomaco.

Blair lo guardò fisso per un attimo, poi gli si avvicinò ulteriormente.

-Ma io sono io...-un passo ed un altro ancora. Chuck la fissava sconvolto, i battiti accelerarono ancora, il respiro si fece quasi affannoso, mentre un rumore gli martellava nella testa, impedendogli di pensare coerentemente.

Non doveva farla avvicinare ancora, non poteva, non voleva...

Troppi pensieri gli annebbiavano la vista e gli attraversavano il cervello a velocità supersonica.

-...E tu sei tu...-continuò con voce rotta.- Siamo Chuck e Blair...

A quel punto gli prese la mano tra le sue, portandola verso di sé, e per poco Chuck non cadde a terra in ginocchio. Voleva solo...piangere e piangere e abbracciarla e nascondere il viso tra i suoi capelli e...correre il più lontano possibile.

-...Blair e Chuck...- gli strinse forte la mano, come per infondergli coraggio-...la cosa peggiore che tu abbia mai fatto...

Chuck la stava ancora guardando fisso, la bocca socchiusa dalla quale non usciva nessun suono, ormai respirava a malapena.

-...il pensiero più cupo che tu abbia mai avuto...- la voce di Blair si alzò di un ottava, a segnalare che anche lei era ormai sull'orlo delle lacrime-...io ti starò accanto, in ogni momento.

Ecco che ritornava la sua determinazione, il suo controllo per convincerlo a non gettare la spugna, solo per fargli sapere che ci sarebbe stato qualcuno con lui nel momento in cui avesse deciso di rimettere insieme i pezzi della sua vita.

-E perchè lo faresti?

Improvvisamente aveva ritrovato la voce.

Ma da dove diavolo gli era uscita quella domanda? Doveva soltanto andarsene di lì...

Oppure, probabilmente, era solo un masochista che voleva farsi ancora più male, solo per sentire qualcosa, in fondo, quando ormai aveva esaurito tutte le energie per combattere.

-Perchè...

Un secondo di silenzio.

Per tirare fuori il coraggio di dirlo.

Per accantonare dalla mente quella stupida sfida tra di loro.

Non c'era più tempo per giocare, non più. Si era esaurito.


Un secondo di silenzio.

Per sperare ancora una volta che non lo dicesse.

Non ora, non in quel modo.

Non quando lui non poteva fare altro che deluderla per l'ennesima volta.

-...io ti amo.-disse in un sospiro.

Era finita. Game Over.

Era il momento in cui i due attori sulla scena si baciano e il sipario si chiude, tra scrosci di applausi.

Ma qui non ci sarebbe stato nessun bacio, nessun applauso.

Solo un sipario. Che calava tra di loro, separandoli inesorabilmente.

Era tutto sbagliato. Che cosa non avrebbe dato, un mese prima, per sentirle dire quelle parole. Ma ora non c'era più posto per questo...

Eppure guardandola...Aveva uno sguardo così perso, aspettava solo che lui dicesse...

Chuck degludì a vuoto un paio di volte e, non si sa come, riuscì a tirare fuori la voce.

-E' un vero peccato!

Ecco fatto. Era stato talmente semplice. E non faceva neppure così male, ma ormai non sapeva più distinguere il dolore per la perdita di suo padre e quello per Blair.

Si risolveva tutto in fischio sordo nella sua testa.

In fretta si liberò dalla sua stretta ed entrò rapidamente in macchina, prima che lei avesse il tempo di realizzare ciò che lui aveva detto.

Non si guardò indietro. Neanche una volta, mentre l'autista lo riportava alla sua vecchia suite al Palace. Non avrebbe sopportato di vederla lì, sul marciapiede.

Da sola.

Ancora una volta.

Così non potè vedere Blair che si asciugava una lacrima sfuggita al suo controllo e nemmeno quando, senza perdere tempo, chiamò un taxi per seguire la limousine, dentro la quale Chuck si era accasciato esanime.

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Capitolo 2
*** Upset ***


Upset


...In the pain, there is healing

in your name, I find meaning...


Con uno scatto spalancò la portiera della limo, non appena questa si fermò davanti al Palace e con quello che pretendeva essere un passo deciso, Chuck si affrettò verso l'entrata, doveva soltanto mettere in fretta un piede davanti all'altro per raggiungere la sua suite e dimenticare, dimenticare...

A mala pena vide un usciere dalla divisa distinta che si toglieva il cappello e gli sorrideva timidamente, aprendogli la porta per farlo passare.

Chuck tirò dritto per la sua strada senza degnarlo di uno sguardo, aveva ben altri pensieri per la testa, finchè non sentì la sua voce:

-Buon pomeriggio, Mr. Bass.

Era quasi entrato quando aveva sentito il saluto dell'usciere.

Aveva capito bene?!?

Si voltò lentamente verso l'uomo di mezz'età che si sporgeva a tenergli aperta la porta. In un attimo il sorriso scomparve dalle labbra dell'uomo, constatando l'occhiata glaciale che Chuck gli aveva appena lanciato, carica d'odio e disperazione.

Chuck cercò di controllarsi.

Strinse i pugni a tal punto che le nocche gli diventarono bianche, finchè non sentì le unghie che gli ferivano la carne, per lasciare poi piccole mezze lune rosse sulla pelle.

In fondo sapeva che stava avendo una reazione esagerata, ma non poteva farne a meno. Non quando aveva sentito pronunciare quelle due parole.

Mr. Bass.

L'avevano chiamato così anche in precedenza, ma non vi aveva mai prestato molta attenzione.

In fondo cosa c'era di strano? Era il suo cognome.

Ma ora che suo padre era morto, sentiva in quel cognome tutto il peso, le responsabilità che comportava.

Onore. Rispetto. Lealtà. Sincerità...

Erano tutti valori che suo padre aveva tentato, apparentemente invano, di trasmettergli. Ed ora, sentirsi chiamare in quel modo, era un boccone amaro che non voleva andarsene giù.

Tutto quello che sarebbe potuto essere.

Tutto quello che non sarebbe mai stato.

Per questo non poteva sentirsi chiamare con quel cognome.

Semplicemente non gli apparteneva.

Degludì, prima di parlare:

-Mr. Bass era mio padre.- gli urlò contro, digrignando i denti- Non si azzardi mai più a chiamarmi in quel modo o sarò costretto a farla licenziare.

L'uomo di fronte a lui impallidì all'improvviso e piccole gocce di sudore gli imperlarono la fronte. Non potè far altro che annuire alla svelta.

-C-certo, come vuole, Mr.- fermò il suo balbettio, non sapendo come chiamare il ragazzo.

-Chuck.-sussurrò lui,ormai privo di forze, prima di entrare nell'hotel- Sono solo Chuck.


*


Con un rumore sordo, la porta della suite 1812 si chiuse sbattendo.

Chuck si guardò lentamente intorno, come se vedesse la camera per la prima volta.

C'era troppa luce. Gli dava decisamente fastidio agli occhi.

Tirò tutte le tende con forza, finchè l'intera stanza non fu immersa nella penombra.

Ancora un altro sguardo in giro e adocchiò una bottiglia di whisky mezza vuota, sul bancone, resto di quella mattinata passata a bere, mentre da Nate si lasciava aggiustare la giacca e Blair gli strappava dalle mani la fedele bottiglia.

Ripensare a quel nome, a quel dolore impresso a fuoco nella sua mente, gli fece pulsare la testa a ritmo del suo cuore.

No, non poteva sopportarlo.

Un tale dolore, una tale sofferenza che faticava anche a concepire, gli premevano sul cuore, che sembrava stesse per uscirgli dal petto in ogni momento.

Prese un lungo respiro ed espirò forte, allungando la mano verso quella bottiglia, unica fonte di sollievo che conosceva.

Si gettò di peso su quel divano, dove tante di quelle volte aveva dormito il suo migliore amico ed avvicinò la bottiglia alla bocca, inclinandola di quel tanto che bastava perchè il liquido ambrato gli scivolasse direttamente nella gola, bruciandolo lungo il suo passaggio.

Calde lacrime ustionarono la sua pelle, mentre ad ogni sorso la realtà si faceva più sfocata e scolorita.

In un batter d'occhio finì la bottiglia e quando si alzò per prenderne un'altra, barcollò un attimo e si sorresse al bracciolo del divano, poi qualcosa attirò la sua attenzione.

Una foto di suo padre in bella vista accanto allo specchio e ad un mazzo di fiori.

Le lacrime continuarono a cadere imperterrite, incuranti di mostrare al mondo l'umanità di Chuck Bass.

Chuck chiuse gli occhi, stringendoli forte, come per fermare quella semplice espressione di debolezza.

Perchè lui non era debole. Non doveva esserlo.

Con tutta la forza di cui disponeva, scagliò la bottiglia vuota contro il muro, frantumandola in milioni di pezzi.

Ed urlò.

Urlò con tutto se stesso, con tutta la voce che aveva in gola, come se suo padre lo avesse potuto sentire, ovunque si fosse trovato in quel momento.

Perchè era arrabbiato. Con la morte che gli aveva portato via l'unica famiglia che possedeva. Ma soprattutto con se stesso, per essere solo stato capace di deludere tutte le persone che conosceva.

Afferrò la foto incorniciata d'argento e la gettò a terra, insieme a tutto quello che si trovava sul tavolo. Compreso il vaso di fiori, che finì sul tappeto, bagnandolo.

Strappò con ferocia i biglietti di condoglianze che gli erano arrivate, per la maggior parte da clienti o collaboratori di suo padre.

Si passò le mani tra i capelli, spettinandoli.

Poi cadde in ginocchio. Ma non sapeva più come rialzarsi.

Sospirò quando sentì un rapido ticchettio di tacchi lungo il corridoio che portava alla sua camera.

Sapeva fin troppo bene a chi appartenevano quei passi, così cercò inutilmente di prepararsi all'inevitabile.

-Chuck!!-sentì urlare il suo nome appena fuori dalla camera- Apri questa dannata porta!! So che sei lì dentro!!

Appoggiando una mano a terra si rialzò, e si asciugò la faccia con una manica della costosa giacca.

Sembrava che qualcuno stesse per buttare giù la porta, che veniva puntualmente colpita da pugni, intervallati da imprecazioni.

Chuck sospirò, appoggiandosi alla porta che vibrava sotto i colpi.

Poteva semplicemente far finta di niente e se ne sarebbe andata .

Magari avrebbe tentato ancora un po', poi però avrebbe gettato la spugna e si sarebbe allontanata. Come facevano tutti gli altri.

Ma chi stava tentando di prendere in giro?

Sarebbe stata anche capace di chiamare un fabbro per fare smantellare la serratura, pur di entrate in quella maledetta stanza.

Poggiò la mano sulla maniglia fredda, per poi farsi coraggio ed applicare la pressione necessaria ad aprire la porta.

L'aprì quello spiraglio che bastava per farsi vedere, non aveva assolutamente intenzione di intavolare una nuova conversazione strappalacrime con lei.

Era l'ultima cosa di cui aveva bisogno.

Non le era bastato quello che le aveva sbattuto in faccia, sul marciapiede, appena dieci minuti prima?

Desiderava che non lo avesse mai seguito fino a lì, non voleva farle ancora del male.

Tuttavia aveva bisogno che capisse che con lui non aveva futuro.

Bastava guardare come si era ridotto.

Non aveva più il controllo delle sue azioni.

D'altra parte però, per quanto lottasse, per quanto lo volesse con tutta l'anima, non riusciva a starle lontano. Come lei da lui, a quanto pareva.

Doveva pur significare qualcosa, no?

Rincorrersi, ferirsi, amarsi forse?

Ad un tratto smise di analizzare la situazione, smise di tentare di darsi delle risposte ed tornò al suo intento iniziale. Allontanarla.

-Cosa vuoi ancora, Blair?-le chiese stancamente, evitando di guardarla negli occhi, altrimenti tutto il suo piano sarebbe andato a farsi benedire.-Non abbiamo più niente da dirci, mi pare.

Blair aveva ancora il pugno alzato pronto a colpire di nuovo la porta e Chuck, per un momento pensò che invece avrebbe colpito lui. E non avrebbe avuto altro che ragione.

-Io invece non ho ancora finito.-gli disse risoluta e facilmente riuscì a farsi spazio tra lui e la porta e ad entrare nella camera.

Finse di non essere scioccata dalle condizioni in cui versava la suite e si voltò verso di lui, le mani sui fianchi.

-Perchè ti ostini a tormentarmi? Lasciami in pace.- le chiese con fare indifferente- Non ho bisogno di nessuno. Tanto meno di te.

Farsi odiare a tal punto da scappare nella direzione opposta alla sua, da cancellarlo dalla sua vita e dai suoi ricordi. Questo era il suo obiettivo.

In fondo lo faceva solo per il suo bene.

Ed era proprio perchè l'amava, perchè la sua felicità stava al di sopra di tutto. Non poteva sopportare il fatto di farla annegare insieme a lui.

Lui sarebbe sparito e lei nel giro di pochi mesi lo avrebbe già dimenticato. Questo era il piano.

-Non è vero. Hai bisogno di aiuto.-tentò di avvicinarglisi, ma lui fece un passo indietro.- Anche se non mi dirai mai che mi ami...

Chuck aprì la bocca per parlare, ma non vi uscì nessun suono, tanta era la disperazione.

-...anche se continuerai a respingermi- continuò con voce rotta, afferrando il suo braccio, stringendolo come per evitare che lui sparisse sotto i suoi occhi.- io sarò sempre qui per te.

Con uno scatto, sfuggì alla sua presa e le ringhiò contro.

-Possibile che tu non abbia ancora capito? Mi sono divertito fino ad ora, ma adesso il gioco si sta facendo noioso e mi chiamo fuori. Blair, non sei mai stata niente per me, niente di più di un passatempo...

Seppe di aver raggiunto il suo scopo, quando Blair tra le lacrime lo schiaffeggiò forte.

Ma non era soddisfatto, dal momento che le aveva spezzato il cuore ancora una volta.

-Sei soltanto un bastardo, Chuck.-gli gridò contro, mentre si avviava verso la porta.- Che cos'è questo? Un altro dei tuoi giochi perversi? “Tormentiamo Blair Waldorf fino allo sfinimento per vedere quanto resiste”? Non riesci a chiedere aiuto, quando è evidente che ne hai bisogno, visto in che condizioni di trovi. Non riesci a mettere da parte il tuo orgoglio neanche per un attimo, quando invece io l'ho fatto, soltanto per te. E tu invece cosa hai fatto?

Iniziò a piangere a dirotto, a testa bassa.

Chuck si sentì sprofondare, desiderava solo non essere mai nato.

A cosa era servita tutta la sua esistenza?

Solo a fare del male agli altri...sua madre, suo padre, Blair, Nate erano solo i primi della lista.

-Mi hai umiliata, mi hai rifiutata e quando ti ho detto...-prese un respiro, per farsi coraggio, alzando cautamente la testa per fronteggiarlo, tra le lacrime-...quando ti ho detto che ti amo, sei semplicemente...andato via. Per questo...ho chiuso.

Così se ne andò, lasciandolo lì da solo, in bilico tra la solitudine ed il rimorso.

Quando sentì la porta chiudersi, serrò le labbra, trattendosi dall'urlare la sua frustrazione e la sua sofferenza.

Che diavolo aveva fatto, stavolta?

Era solo l'ultimo di una lunga serie di errori madornali che aveva commesso con Blair.

All'improvviso un'idea malsana gli passò per la mente.

Attraversò la camera velocemente, aprì la cassaforte e tirò fuori una scatola nera.

Cautamente sollevò il coperchio e scostò un panno di velluto che nascondeva una Revolver Smith&Wesson. Era stato uno dei suoi capricci e nessuno aveva mai saputo dell'esistenza di quella pistola. Solo per il gusto di possederla, una delle tante cose che i soldi potevano comprare.

Era piccola e gli entrava in una mano.

Si sedette sul letto, la pistola in grembo.

In fondo dopo tutti i casini che aveva combinato, aveva ragione a voler sparire, sarebbe stato meglio per tutti.

Prese un respiro e continuò ad accarezzare con l'indice il metallo freddo dell'arma.


TBC...


Grazie a tutti quelli che hanno commentato!!!

Al prossimo capitolo!

Xoxo Melian90

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Capitolo 3
*** Hopeless (1° parte) ***


Scusate il ritardo!! *.*

Spero che il capitolo valga l'attesa!!

Buona lettura.


Hopeless


-prima parte-



...So I'm holding on, I'm holding on

I'm holding on...



Erede dell'impero Bass muore suicida in una camera d'albergo”.

Charles Bass decide di farla finita appena dopo il funerale del padre”.

Riusciva a leggere con chiarezza i titoli di testa dei giornali che sarebbero potuti apparire nei giorni successivi...

Successivi alla sua morte.

Poteva addirittura vedersi al suo stesso funerale.

Il prete che pronunciava poche parole di circostanza...

Nostro signore, accogli nella tua infinita misericordia nostro fratello Charles, perdonalo di tutti i suoi peccati e ricongiungilo alla sua famiglia...

Blair, ovviamente non poteva mancare. Impeccabile nel suo formale abito nero, il mento alzato altezzosamente, calde lacrime le colavano lungo il viso.

Sì, forse poteva includere anche Nathaniel, in fondo era stato un buon amico.

Fedelmente al braccio di Blair, cercava di placare i suoi singhiozzi.

Magari si sarebbero sostenuti a vicenda, magari non avrebbero sofferto neanche più di tanto e magari sarebbero finiti un'altra volta insieme...

Solo il tempo avrebbe potuto deciderlo.

Dicono che il tempo curava tutte le ferite. Prima o poi.

Ma alcune rimanevano lì, annidate nel profondo, pronte a riemergere a sorpresa in ogni momento ed a farti a pezzi in un attimo, ripiombando nell'inferno che pensavi di esserti lasciato alle spalle. Definitivamente.

Probabilmente nessun altro sarebbe andato al suo funerale.

Ma andava bene così, dopotutto non aveva bisogno di nessuno.


Troppo sangue.

Sangue tra le sue pregiate lenzuola di seta.

Sangue sul pavimento.

Foto scattate da avidi giornalisti in cerca di uno scoop clamoroso che premettesse loro di fare carriera, dopo che la cameriera che era entrata nella suite aveva visto il corpo...

Non voleva che un qualsiasi insignificante Humphrey speculasse sulla sua morte, scrivendovi sopra un articolo da prima pagina.

In fondo sarebbe stato meglio un cocktail di farmaci e alcool. Un lavoretto pulito e indolore, probabilmente.

Scivolare lentamente nell'oblio. Proprio quello che desiderava.

Codardo. Codardo e buon annulla.

La voce severa di suo padre gli riecheggiò nella testa, colpendo un tasto dolente.

Guardò con disgusto l'arma che teneva in mano.

Poi calcolando ogni movimento, la ripose nella scatola e poi nella cassaforte.

Non voleva finire così. Semplicemente non voleva deludere ancora una volta suo padre, Blair d'altra parte ne sarebbe rimasta distrutta.

Ma soprattutto non poteva andarsene senza averle fatto sapere quanto fosse importante per lui. Se mai avesse avuto il fegato per farlo.

Si passò ancora una volta le mani tra i capelli, disfacendoli irrimediabilmente, mentre ormai senza vergogna piangeva silenziosamente.

Singhiozzò un paio di volte.

Semplicemente non sapeva cosa avrebbe fatto della sua vita, ormai.

Non ne aveva assolutamente idea.

Ed era proprio quello che lo spaventava a morte, perchè lui era Chuck Bass e doveva avere sempre tutto sotto il suo completo controllo.

Non sapere cosa avrebbe trovato dietro l'angolo, lo rendeva insicuro e vulnerabile.

Soprattutto quando dietro l'angolo trovava la morte.

Si asciugò distrattamente le lacrime con la manica della giacca, ormai rovinata, ed in fretta prese il cappotto, per poi sbattersi la porta alle spalle, lasciando dietro di sé una scia di sofferenza e distruzione.


*


Vagava ormai da tempo per le strade affollate di New York, le mani in tasca nel vano tentativo di allontanare i brividi di freddo che stavano avendo la meglio su di lui.

I passanti non osavano intralciare il suo cammino, data la negatività che emanava.

Continuò a passeggiare senza rendersi conto di dove stesse andando, di che ore fossero...

Il tempo, lo spazio, tutto era relativo.

Pensò a suo padre. Questa volta solo con rimpianto.

Si sentiva dannatamente responsabile e anche se aveva cercato in tutti i modi di convincersi che fosse stata Lily ad uccidere suo padre, in fondo, in fondo sapeva che non era vero.

Come al solito era colpa sua.

Come al solito combinava disastri.

All'improvviso qualcosa attirò la sua attenzione.

Di fianco a lui si trovava un fioraio. Il negozio esponeva anche una bancarella che occupava il marciapiede con sgargianti fiori variopinti.

Entrò nel negozio e parlando con un filo di voce, acquistò una mezza dozzina di orchidee.

Il fioraio gli lanciò un'occhiata curiosa, chiedendosi che cosa avesse mai da farsi perdonare per avere un aspetto talmente trasandato.

Non ne aveva assolutamente idea.

In realtà aveva un disperato bisogno di perdono. Di amore e di conforto.

Così decise di andare dalla persona, dalla quale aveva un estremo bisogno di perdono.


*


Eveline Clarisse Bass

1965 – 1991

Figlia, moglie, madre amata.


Cautamente si sedette sull'erba umida, poggiando una spalla contro la lapide, mentre tracciava con l'indice le lettere che componevano il nome di sua madre.

Sua madre.

Quella che era morta dandolo alla luce, in un atto estremo di amore nei suoi confronti.

Non si meritava una madre nel genere.

Generosa, altruista e coraggiosa.

No, non la meritava.

Prese un respiro, poi poggiò a terra i fiori, come faceva ogni dannato martedì.

Ogni martedì sgattaiolava fuori dalla sua suite e andava lì, portando orchidee sulla tomba di sua madre.

La maggior parte delle volte non rimaneva più di tanto, giusto il tempo di lasciare un bacio sulla fredda pietra e rimettersi la maschera del diciassettenne sarcastico e bastardo che tutti conoscevano ed odiavano.

-Mi dispiace. Mi dispiace...- ripeté all'infinito in una nenia senza senso.

-Ho fatto a pezzi tutto quello che mi circonda, non ho più nessuno...

Non seppe quanto rimase lì, aveva perso la cognizione del tempo.

Si era fatta sera quando si riscosse. Avevano chiamato il suo nome.

Alzò piano gli occhi e vide che qualcuno gli stava tendendo una mano.

Una mano amica, proprio quello di cui aveva bisogno.

Stringendola forte, si lasciò tirare su in piedi ed abbracciare forte.

A volte un abbraccio di un amico era la giusta cura.

Una volta tiratosi indietro, accennò un sorriso.

-Come mi hai trovato?

-Avanti, Chuck, come se non ti conoscessi...- rispose Nate, mettendogli un braccio intorno alle spalle.-Su, andiamo.

Chuck chiuse gli occhi e si lasciò trascinare via.

-Nate.-chiamò in un sussurro l'amico, che subito si voltò verso di lui.

-Ho bisogno che tu mi porti da lei.

Nate annuì gravemente.

-Ah, e...grazie, amico.

-Non dirlo neanche, Chuck.-rispose Nate, stringendogli la spalla, per infondergli coraggio.

Gli sarebbe davvero servito.


TBC...

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Capitolo 4
*** Hopeless (2° parte) ***


Ancora un po' di angst, ragazze, prima dell'epilogo...

Ma stavolta parliamo di Blair...

Buona lettura!



Hopeless


-seconda parte-



...I'm barely holding on to you...



Odiava se stessa.

Era disgustata alla sola idea della propria debolezza.

Odiava questa sua insana attrazione verso di lui.

Odiava il fatto che, nonostante tutto il male che lui le avesse causato, lei tornasse inevitabilmente a sbattere contro la sua insensibilità ed arroganza.

E...odiava amarlo così tanto, al punto da poter passare oltre a tutte le sue manchevolezze.

Sapeva che nonostante gli avesse urlato contro e lo avesse schiaffeggiato, nonostante il suo bel discorso, non avrebbe mai smesso di sentire tutto l'amore per lui.


Una volta uscita dal Palace in lacrime, aveva cercato un taxi che la portasse in fretta a casa ed ora si trovava in ascensore, respirando affannosamente in attesa di calmarsi.

Dio, sua madre stasera si sarebbe sposata.

Per un attimo se ne era addirittura dimenticata.

Sospirò sconsolata, scuotendo la testa: sua madre e Cyrus sembravano due adolescenti al primo amore, se non peggio. Tutto quell'entusiasmo...

Avanti, non poteva essere gelosa di quello che aveva sua madre e di cui lei aveva disperatamente bisogno.

E per un attimo ce l'aveva quasi fatta, l'aveva quasi assaporato.

Invece poi le era stato strappato brutalmente proprio davanti ai suoi occhi.

Doveva assolutamente rimettersi la propria maschera, ritornare ad essere la Blair che tutti conoscevano: la Blair sempre con il sorriso sulle labbra, la Blair che aveva tutto sotto controllo.

Cercò invano di indossare il suo sorriso migliore, si applicò del trucco per nascondere le lacrime e coraggiosamente si fece strada fuori dall'ascensore.

Subito le venne incontro la sua fedele Dorota, che le prese il cappotto e la borsa, sempre efficiente, senza fare troppe domande sull'espressione di Blair, lanciandole comunque un'occhiata preoccupata.

Intanto Blair fece qualche passo incerto verso il soggiorno, mentre il respiro le si bloccava in gola.

Tutta la sala era stata ornata da fiori bianchi e nastri d'avorio svolazzanti.

L'intero ambiente emanava una tale armonia ed un profumo nauseante d'amore che subito si sentì pungere ancora gli occhi dalle lacrime.

-Tutto bene, Miss Blair?- Dorota era spuntata all'improvviso al suo fianco.

Blair, lanciatole un'occhiata di sfuggita, corse su per le scale, ordinandole di non voler essere disturbata da nessuno.


Cercò di mantenere un minimo di contegno fino all'arrivo nella sua camera, nella cui privacy poteva finalmente lasciarsi andare, essere veramente se stessa.

Lentamente scivolò a sedere sul freddo pavimento, le gambe ormai troppo deboli per supportarla e la schiena poggiata alla porta.

Un singhiozzo la scosse, seguito subito da un altro.

Stava precipitando.

Riusciva a percepirlo.

Stava precipitando nel baratro, la stessa spirale di oscurità che aveva risucchiato Chuck.

La stava distruggendo e sembrava provare piacere nel farlo, tutte le dannate volte.

E lei che come una stupida, ci ricadeva sempre.

Ma ora era diverso, ormai non aveva più le energie per combattere, per continuare quel gioco infantile tra loro due: si erano spinti troppo oltre.

Non ci sarebbe stato nessun “vissero felici e contenti” per lei, no.

Era stato difficile ammettere la sconfitta dopo Nate, quando per anni era stata convinta che fosse il suo principe azzurro.

Poi era arrivato Chuck...e le cose non avevano fatto altro che peggiorare.

Ma nonostante tutto, pensava ancora che fosse la sua anima gemella.

Il modo con cui si capivano al primo sguardo, con un sorriso, il modo in cui lui la faceva ridere o lei fingeva di essere disgustata dai suoi commenti volgari...

Forse era per questo che tra di loro non funzionava: erano uguali e dal momento in cui era risaputo che due uguali non possono fare altro che respingersi, chi era lei per opporsi alle leggi della fisica?!?

Con la coda dell'occhio si vide riflessa nello specchio: la ragazza che vedeva era solo un ricordo della Blair di un tempo, un guscio vuoto pieno di disperazione.

Si tolse il cerchietto e con forza glielo lanciò contro.

Poi con immane fatica riuscì ad alzarsi e fece qualche passo traballante verso la scrivania. Pescò casualmente un cd dalla pila vicino al suo laptop e lo inserì nello stereo, alzando il volume al massimo.

Ben presto l'atmosfera fu riscaldata dal jazz che le piaceva tanto, ma Blair era troppo presa da qualcos'altro.

La porta semiaperta del suo bagno l'attirava come una falena alla luce.

La raggiunse in un attimo e se la chiuse alle spalle, mentre con occhio vigile osservava la stanza.

Meccanicamente si mosse in ginocchio di fronte alla vasca da bagno ed aprì l'acqua, in un gesto che aveva ripetuto decine e decine di volte.

Si sporse leggermente in avanti, fissando il getto d'acqua che scorreva inconsapevole.

Prese un paio di respiri e le dita erano già pronte per incontrarsi con la sua gola delicata, quando di scatto richiuse l'acqua e poggiò la fronte sulla fredda porcellana bianca che un tempo l'aveva accompagnata nei suoi sfoghi, vano tentativo di trovare sollievo da una famiglia ed amici assenti.

Ricominciò a piangere silenziosamente, tremiti incontrollati le scuotevano le spalle.

Non poteva lasciare che la riportasse in quella spirale autodistruttiva.

Semplicemente non poteva.


*


Sembrava felice. Anzi, lo era.

Le brillavano gli occhi nel guardare il suo futuro compagno di vita.

Ti dono il mio amore.

Le promesse matrimoniali di Cyrus e sua madre la stavano commuovendo a tal punto che dovette asciugarsi una lacrima che minacciava di uscire.

Basta con le lacrime.

Basta con i rimpianti e con i ricordi.

Aveva indossato il bellissimo vestito color avorio che sua madre aveva disegnato per lei insieme al suo miglior sorriso, si era truccata ed acconciata i capelli perfettamente.

Almeno era riuscita per un attimo a lasciarsi alle spalle i brutti pensieri.

Tuttavia ora si ripresentavano più forti e insopportabili di prima.

Sua madre e Cyrus che si fissavano con amore.

Serena e Aaron che si tenevano per mano.

Perfino Dorota non riusciva a contenere la sua felicità per la nuova coppia.

Stapparono lo champagne, che tra risate e felicitazioni uscì dal bordo dei calici.

E fu proprio quando Blair stava per essere contagiata dall'entusiasmo generale, che Dorota arrivò al suo fianco, sussurrandole all'orecchio la presenza di un ospite inatteso in camera sua.

Involontariamente strinse le dita attorno al proprio flute, minacciandolo di romperselo tra le mani.

No.

Non poteva essere.

Non poteva rovinarle anche questo momento.

Decise che doveva chiudere con lui, definitivamente, spezzare questo sottile filo rosso che li legava trascinandoli giù insieme, sempre e comunque.

Rivolse un timido sorriso di scuse a Cyrus, mentre di fretta si muoveva verso la sua camera.

-Cosa pensi di fare qui?

Lo disse tutto d'un fiato, appena varcata la soglia della sua stanza, senza realmente prestare attenzione alla sua presenza.

Indifferente e distaccata, si era detta.

Sarebbe stato veloce e indolore, recidere per sempre quel maledetto filo.

Lui non l'avrebbe più cercata ed infastidita con i suoi drammi familiari e le sue sgualdrine che spuntavano da ogni angolo e lei si sarebbe trovata un altro Archibald con cui vivere felice e contenta.

Semplice.

Sì, finchè non si era decisa ad affrontarlo faccia a faccia.

Lo vide seduto sul bordo del suo letto, le spalle incurvate sotto il peso della disperazione, lo sguardo fisso sul pavimento finchè non aveva sentito la sua voce.

Allora si era voltato nella sua direzione.

E Blair aveva gettato tutti i suoi propositi fuori dalla finestra.

Sembrava così sperduto e fuori posto, lì nella sua camera, con i capelli disfatti e gli occhi rossi di pianto e cerchiati dall'insonnia.

Si era perso ed era tornato da lei. Un'altra volta.

Stava gridando silenziosamente aiuto, incapace di chiederlo a parole, aspettando solo una sua mossa, perchè ormai dipendeva completamente da lei.

Senza giochi o secondi fini. Era suo.

Così Blair lo raggiunse sul letto, abbracciandolo stretto da dietro, con un braccio che gli cingeva le spalle, comunicandogli tutto il suo amore.

Chuck si abbandonò totalmente a lei, stringendole quel braccio come se fosse l'unica cosa che lo potesse riportare in superficie, per farlo respirare di nuovo.

Blair era la sua ancora di salvezza.

Vicino a lei, poteva farcela.

Sì, Blair lo stava salvando.


TBC...



Spazio autrice:

Non finirò mai di ringraziare tutte le ragazze che hanno commentato, lo apprezzo davvero molto!! Un bacio a tutte!!

Il prossimo sarà l'epilogo...

Vi aspetto!!

xoxo Melian

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