:: senza sbarre si è comunque prigionieri ::

di mizuriko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** asso nella manica ***
Capitolo 2: *** Non morire ***



Capitolo 1
*** asso nella manica ***


Non gli era mai capitato di non riuscire a risolvere un caso, anzi, di non riuscire neanche a pensare ad una possibile pista da seguire. Kira era astuto e si stava prendendo gioco di lui, se lo sentiva. Se ne stava tutto il giorno seduto nella sua solita posizione, osservando più e più volte il monitor del computer. Aveva imprigionato Light Yagami e Misa Amane per più di cinquanta giorni perché pensava davvero che loro fossero i responsabili degli omicidi, in verità, era sicurissimo che fossero loro e aveva la netta sensazione che fossero riusciti a fargliela sotto il naso. In qualche modo gli omicidi erano ripresi e questo scioglieva, almeno in parte, tutti i sospetti che nutriva sugli indiziati. “Proprio nel momento in cui sono stati isolati, gli omicidi sono aumentati, distruggendo in poco tempo tutte le mie teorie. C’è qualcosa che mi sfugge” pensò tra sé e sé.
I capelli corvini gli ricadevano davanti agli occhi, completamente scarmigliati. Il pollice era costantemente premuto sulle sue labbra e le sue pozze nere erano contornate da occhiaie sempre più accentuate, soprattutto in quei giorni. Non aveva la voglia e la forza di dormire, il caso Kira lo andava a trovare anche nel sonno, non lo lasciava respirare. Proprio quando pensava di essere riuscito a rilassarsi, eccolo che ricompariva e lo lasciava sveglio notti e giorni interi.
Subito dopo aver liberato Light e Misa, comparve un nuovo Kira che poi si scoprì essere Kyosuke Higuchi, un uomo troppo occupato a far salire le azioni della sua azienda per accorgersi che ormai, la Task Force, lo aveva intercettato. Prenderlo non era stato facile ma con un piano ben studiato, riuscirono comunque ad arrestarlo.
“Avremmo potuto estorcergli ogni tipo di informazione utile al caso, peccato che sia morto così in fretta. Ma , dopotutto, non è andata così male, ora siamo a conoscenza del mezzo con il quale, Kira, riesce a commettere quegli omicidi”.
Era riuscito a parlare con lo Shinigami Rem ma non aveva ancora scoperto se quella maledettissima regola dei 13 giorni fosse vera oppure no. Sarebbe bastato venire in possesso del secondo quaderno e una volta confrontate le regole di entrambi, il caso sarebbe stato risolto in men che non si dica.
“E invece siamo ad un punto morto. Non so che pesci pigliare e non mi resta che una cosa da fare …”
Prese il cellulare nella sua tasca.
-Watari … contatta il carcere di massima sicurezza di Tokyo … sì, neanche io vorrei ma è l’ultima carta che mi resta da giocare .. domani stesso, grazie.
***
Il carcere puzzava, un odore stagnante di sudore che emanavano i condannati, eppure lei non si trovava così male. Ovviamente cercava in tutti i modi di fuggire da quella lugubre cella. La divisa non le dispiaceva, diciamo che le avevano riservato un trattamento speciale. Tutti gli altri erano costretti a dormire sopra delle brande scricchiolanti e scomode mentre per lei era stato portato a posta un comodissimo materasso francese da una piazza. Le era permesso fumare in cella e le sigarette le erano procurate tutti i giorni dalla guardia carceraria di turno.
Era sdraiata sulle coperte maculate mentre aspirava la sua chesterfield blu, il sapore dolce amaro del tabacco la distraeva e le faceva distendere i nervi. Le sue “vicine” erano quiete ultimamente ma non era sempre stato così. Appena arrivata in carcere avevano cercato di ammazzarla un paio di volte, il lupo perde il pelo ma non il vizio ma lei era riuscita ad ottenere il loro rispetto e il loro timore, come? Aveva riempito di botte il “capo” della banda, le aveva infilzato un braccio con una forchetta e spento una sigaretta proprio in mezzo alla fronte.
-Statemi a sentire, troglodite che non siete altro, sono molto più scaltra, intelligente e pericolosa di tutte voi messe insieme, quindi da oggi in poi non mi darete noia, in caso contrario, vi conviene cominciare a mangiare con le mani se non volete ritrovarvi con una forchetta in mezzo agli occhi.
Da quell’episodio nessuno provò più ad ucciderla, né tantomeno ad infastidirla.
I lunghi capelli castani e ricci erano legati in una morbida coda alta, i grandi occhi ambra osservavano il soffitto. I suoi pensieri vennero interrotti da passi lontani che pian piano si fecero più vicini.
-Numero 7560, hai visite.-
La guardia si scostò e rivelò un ragazzo curvo e magro, le mani pallide nelle tasche dei larghi jeans, la maglietta bianca era di almeno tre taglie più grandi, i capelli scarmigliati e gli occhi neri contornati da profonde occhiaie. Trascinò le scarpe logore, fino ad arrivare davanti alle sbarre.
Gli occhi ambra della donna lo studiarono a fondo, buttò fuori il fumo della sigaretta e inclinò gli angoli della bocca in un sorriso divertito.
-Grazie, ora può andare-
-Sì, mi chiami per qualsiasi cosa-
Così dicendo la guardia carceraria si allontanò, lasciando i due giovani, soli. La bruna si alzò di scatto dal morbido materasso, spense la cicca sotto le scarpe di gomma e si avviò verso le sbarre con fare sicuro.
-Davvero un gesto premuroso da parte tua portare il tuo culo pallido qui, caro il mio L - sputò fuori con fare provocatorio.
-Anche per me è un piacere rivederti, Sara- disse con la sua voce atona.
-Non ti è bastato smascherarmi e mandarmi in galera? Sei anche venuto a trovarmi, che c’è? Non puoi starmi lontano piccolo bastardo?-
I suoi occhi erano fissi in quelli del moro.
-Non sono venuto ha trovarti, mi serve il tuo aiuto per risolvere un caso ma di questo ne parleremo dopo-
-Tu mi sbatti al fresco e io dovrei aiutarti?-
-Sara, sai anche tu che dovevo farlo, il tuo fidanzato non si è squartato e sotterrato sotto la tua casa da solo-
-Questo lo dici tu- disse lei sprezzante.
Si avvicinò sempre più alle sbarre e ne afferrò una con la mano sinistra mentre con la destra afferrò il colletto di L, portandolo più vicino alla cella. I loro occhi erano come incatenati, lo erano sempre stati dopotutto. Gli angoli delle labbra carnose di Sara si inclinarono nuovamente, stavolta in un sorriso strafottente.
-Dì la verità, L, avevi preso il mio caso così seriamente solo per potermi studiare da vicino, non mi hai creduta neanche per un secondo, non perché non fossi sincera ma perché non ti piaceva affatto vedermi come la donzella malmenata dal proprio ragazzo che era riuscita a liberarsi. A te piaceva vedermi come l’assassina che aveva ucciso brutalmente e nascosto sotto le fondamenta della propria casa il suo uomo. Ti piaceva l’idea di essere il buono e di esserti innamorato della cattiva ragazza, non è vero?-
Si era avvicinata ancora un po’ al viso del moro che non aveva distolto lo sguardo dai suoi occhi neanche per un momento. Poi sorrise, anche se impercettibilmente. Era rimasto nella stessa posizione precedente e il lembo stropicciato della sua maglia bianca era ancora nella forte morsa della mano ambrata della donna.
-Non darti tante arie, non essere così sicura di te, se ti ho sbattuto dentro è solo perché te lo meritavi, non avrei voluto, è vero, ma dovevo. Se adesso sono qui è solo perché ammetto che hai un’ intelligenza molto elevata che mi sarà utile nel nuovo caso, tutto qua. Inoltre la tua collaborazione sarà ripagata-
-Con cosa?-
-Se mi darai una mano con le indagini, al termine, sarai rilasciata. Ma non elettrizzarti troppo, non solo ci vorrà molto tempo prima che accada ma la tua fedina penale resterà comunque sporca-
-Accetto-
-Ora esci di lì, so che hai una copia della chiave della cella nelle scarpe-
La donna lasciò andare il collo della sua maglia per poi alzare le spalle e sorridere con fare innocente.
-Non so di cosa tu stia parlando, piccolo bastardo-
L le lanciò uno sguardo gelido e un brivido attraversò la schiena della bruna. Si abbassò e estrasse le chiavi dall’interno della scarpa destra, le infilò nella serratura ed uscì.
-Contento?- disse lei sgranchendosi le braccia.
-Molto, hai dimostrato che non mi sbagliavo e mi basta, ora andiamo ma prima di tutto cambiati, non puoi uscire così-
Sara osservò l’uniforme arancione e sorrise.
-Ma come? Non sai che è un capo d’alta moda?-
Lo sentì ridere silenziosamente e prendere il cellulare dalla tasca.
-Watari, sono con lei … portale tutto-
***
Dopo aver indossato un paio di shorts strappati, una maglia bianca a maniche lunghe ed un paio di anfibi neri, la donna si guardò allo specchio del bagno del carcere.
“Questa è l’ultima volta che vedrò questo posto di merda”
Fece un grande respiro ed uscì, trovandosi davanti il detective nella sua solita posizione ingobbita.
-Bene, ora possiamo andare-
Lei annuì seguendolo in silenzio. Lo stava osservando in modo scrupoloso da quando si era presentato davanti alla sua cella. Era cambiato, certo, l’aspetto era sempre lo stesso, a parte le occhiaie ancora più accentuate e le spalle leggermente più larghe. Era molto più sicuro di sé e lo si notava anche dal modo tagliente in cui le aveva risposto.
Si fermarono davanti ad una limousine nera e Watari aprì loro la portiera. Prima di entrare in macchina, L le fermò la mano e con un gesto fulmineo le attaccò un bracciale nero con un piccolo sensore sopra.
-Cerchi di conquistarmi con questi gingilli? Ti facevo meno romantico, Ryuzaki- disse la mora sorridendogli maliziosamente.
-Oh, so bene che non sei una che ama queste sciocchezze. Comunque, aspetto a parte, questo è tutto fuor che un semplice bracciale. All’interno c’è un cip che mi permette di sapere dove sei in qualunque momento e inoltre, ho fatto installare un allarme che è collegato direttamente al mio portatile, se proverai a togliertelo e a scappare, lo farai scattare e io verrò a riprenderti-
-Hai pensato proprio a tutto è?-
-So che sei furba e anche una stronza quindi mi sembrava il minimo. Ah e se stai pensando di fulminarlo immergendolo nell’acqua, sappi che è a prova di proiettile e solo io ho il telecomando per spegnerlo-
La mora alzò le mani in segno di resa.
-Mi hai beccata, allora non sei così inetto-
L ghignò appena e le fece segno di salire in auto.
Durante il tragitto le spiegò il caso, quello che aveva scoperto e infine i due indiziati. Sara in cambio analizzò ogni parola.
-Comunque, prima di dire la mia vorrei conoscere da vicino questi Light e Misa-
-Li incontrerai molto presto, al momento ci stiamo dirigendo al quartier generale, siccome non ho stanze da darti, vivrai con me-
-Per me non ci sono problemi-
All’improvviso l’auto si fermò.
-Watari, va pure, noi vi raggiungeremo tra poco-
Così dicendo, l’anziano scese dall’auto, lasciando soli i due giovani.
L si volto verso la bruna, aveva le ginocchia raccolte al petto e la guardò negli occhi.
-Se proverai a scappare, non esiterò a sbatterti in carcere-
Lei sogghignò e si avvicinò alle labbra pallide del moro.
-Ma smettila, tu vuoi sbattermi e basta-
Prontamente il ragazzo le afferrò con una mano il viso portandolo vicino al suo, i loro respiri erano diventati affannosi e bollenti. I loro occhi si guardavano con lussuria e l’uno bramava il corpo dell’altra.
-Avanti, fallo, dimostrami che ho ragione-
Soffiò sulle labbra sottili del detective che intanto si era perso nei suoi pensieri mentre pian piano si ritrovò a sfiorare le labbra di Sara con le sue, nessun contatto diretto, solo una continua agonia. La bruna inclinò la testa con fare interrogativo, sfiorandolo nuovamente.
-Perché rendi le cose così difficili? Lo hai fatto anche tempo fa, accettalo, ti sei innamorato del lupo e ora non sai come fuggire, cappuccetto rosso- disse lei assottigliando gli occhi ambra.
-Non sono io che le rendo in questo modo, sei tu che non smetti un attimo di provocarmi. Io rispondo solo alle tue provocazioni, Sara. Sai benissimo che sono infantile ed odio perdere e tu sei una continua sfida per me e lo sei sempre stata-
-Quindi baciarmi sarebbe una sconfitta?-
-Esattamente, vorrebbe dire che mi sono arreso all’idea di amarti e in tal caso, tu mi avresti in pugno e avresti vinto-
Così dicendo si allontanò e aprì lo sportello dell’auto, facendole segno di seguirlo. Entrarono all’interno dell’enorme edificio in vetro e salirono nell’ascensore. L’atmosfera era più che tesa, Sara se ne stava con un piede e con la schiena poggiati su una parete di esso e con le braccia incrociate al petto. Lo sguardo fisso sulla schiena di L che intanto non le rivolgeva neanche uno fugace sguardo.
“Che piccolo bastardo, prima mi chiede di aiutarlo e poi mi ignora”.
Le porte dell’ascensore si aprirono e fecero ingresso all’interno di un ampio piano tappezzato di monitor, con luci a led che davano alla stanza un non so che di sterile. Seduti alle loro postazioni c’erano i componenti della Task Force ed un giovane ragazzo dai capelli castano chiaro.
-Benvenuta al quartier generale, Sara-
-Grazie, Ryuzaki-.
__________________________
Angolo autrice:
Salve! Questa è la mia prima FF in questa sezione. Mi sono messa alla prova e spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere se ci sono eventuali errori, in modo da poter migliorare.
Baci,
Mizu <3

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Capitolo 2
*** Non morire ***


Mark era appena tornato a casa e lei era in cucina. Prima o poi sarebbe entrato in quella stanza e avrebbe dato in escandescenza, lo sapeva, lo faceva ogni volta, l’avrebbe picchiata e le avrebbe urlato di andarsene in camera, poi l’avrebbe stuprata e picchiata nuovamente. Ma non quel giorno. Questa volta sarebbe cambiato tutto.
Era voltata verso il bancone in marmo bianco e stringeva forte tra le mani ambrate il manico del coltello da cucina. Tremava ma era la cosa giusta da fare, non sarebbe riuscita a sopportare altro, le lacrime le solcavano le guance.
-Sono tornato, cosa c’è per cena?-
Il ragazzo era entrato, sentiva i suoi passi dietro la sua schiena, ogni volta che le sue scarpe colpivano il suolo il suo cuore si fermava.
-Non hai preparato niente? Non sei buona a nulla, eppure io ti do tutto, sei una puttana come tutte-
-No … non è vero … -
Le era sfuggito, più per darsi la forza di agire che per rispondergli sul serio. Aveva addosso ancora i lividi dei pugni della sera prima.
“Non sei capace neanche a farti scopare!” e l’aveva colpita più volte, senza darle il tempo di scappare ed urlare.
-Cosa hai detto?-
La risvegliò lui. Le sue mani sottili si strinsero ancora di più sul manico di plastica nera dell’arma.
-Non è vero che non sono buona  a nulla … -
Si era mossa impercettibilmente.
-Ripetilo se ne hai il coraggio!-
Sta volta si era voltata verso di lui, nascondendo il coltello dietro la schiena e guardandolo negli occhi verdi con rabbia. Tutto il suo disprezzo era racchiusa in quelle sue due pozze dorate.
-Io non sono una buona a nulla e tu non hai il diritto di trattarmi in questo modo! Vuoi sapere una cosa, brutto bastardo? Ogni volta che esci da quella stramaledetta porta io penso a come poterti far soffrire … beh oggi ho trovato un modo-
Disse la bruna sorridendo in modo perverso. Stava perdendo la testa? Forse sì ma non aveva altra scelta.
Così dicendo si tuffò su di lui affondando la lama spessa nel suo stomaco, spingendo sempre più a fondo fino a quando Mark non sputò quel liquido vermiglio che tanto agognava.
-Visto? Alla fine anche la “puttana” è riuscita a fare qualcosa di buono-
 
***
 
Aveva pulito ogni traccia e rotto alcune mattonelle per poter nascondere il cadavere nelle fondamenta della sua casa. Il giorno dopo aveva pagato due operai per montare delle nuove piastrelle. Nessuno sospettava nulla, dopotutto lei era sempre in casa sola mentre Mark se la spassava con le sue amanti in giro per la città. Passarono alcuni mesi prima che i vicini si accorsero della sua scomparsa ma in casa non c’era uno straccio di prova. Era stata furba, non aveva gettato il coltello, lo aveva semplicemente pulito e disinfettato, come il resto della casa e lo aveva riutilizzato. Non c’erano macchie di sangue e il pavimento era perfetto, nessuno lo avrebbe mai trovato. Per lo meno non un comune detective.
 
E poi accadde … L aveva iniziato ad indagare sul suo caso e la interrogò. Erano mesi ormai che si trovava seduta in quella stanza buia, legata con le braccia dietro la schiena . teneva la testa bassa perché non aveva la forza di alzare lo sguardo, sapeva che se avesse incrociato quegli occhi neri come il carbone avrebbe riso e sarebbe stata scoperta.
-Sara, sono 60 giorni che sei in quella posizione e ci rimarrai ancora a lungo se non ti decidi a confessare. So benissimo che sei stata tu. Nessuno ha più visto Mark Therrison da quel pomeriggio del 5 ottobre, sei stata l’ultima ad aver avuto un contatto con lui-
-Non hai prove, mio caro L- disse lei sprezzante, alzando di poco il volto.
Gli occhi ambra erano spenti e l’angolo della sua bocca si inclinò appena in un sorriso sghembo.
-Questo è vero ma ho mandato i miei uomini a smantellare la tua casa, quindi, se il corpo si trova lì sotto, lo sapremo a breve. In più, ho capito subito che l’arma che hai utilizzato era ancora in casa, sarebbe stato troppo stupido gettarla via, qualcuno l’avrebbe trovata, analizzata e avrebbe trovato immediatamente le tue impronte. So che l’arma è in casa tua e che hai continuato ad usarla in modo da far scomparire ogni traccia di sangue.-
Sta volta la bruna aveva alzato completamente la testa, guardandolo dritto negli occhi.
-Molto bravo, piccolo bastardo-
-Ora, vorrei sapere il perché di tutto questo, ne ho una vaga idea ma voglio sentirlo da te-
-Pensi veramente che te lo dirò?-
-Così non fai altro che aggravare la tua situazione, lo capisci?-
-E a te cosa importa? Mi hai incastrata no? Ora che aspetti? Sbattimi dentro-
- Voglio sapere … devo sapere-
-Cosa? Se sono solo una povera donzella in pericolo o un’assassina spietata? Smettila di guardarmi con pietà. Chiunque altro mi avrebbe già arrestata e invece tu esiti, esitare è da perdenti … -
L si alzò di scatto, avvicinandosi velocemente a lei, alzandola per il colletto della maglietta. Lei lo osservò di sottecchi, il suo sorriso strafottente non l’aveva abbandonata neanche per un secondo.
-Vuoi picchiarmi? Voi uomini siete tutti uguali, appena sentite che la vostra mascolinità è in pericolo vi arrabbiate e ci picchiate, perché è così che siete, siete deboli … -
L non parlò, semplicemente l’avvicinò ancora di più senza mollare la presa sulla sua maglia, azzerando completamente la distanza tra di loro. Fu un bacio pieno di rabbia. L le aveva appena lanciato una sfida che lei non aveva intenzione di rifiutare.
Prontamente rispose al bacio, mordendogli il labbro inferiore. Intanto il moro abbandonò la sua presa sul lembo stropicciato dell’indumento della donna, per poi scendere ed afferrarla dai fianchi. L’uno cercava le labbra dell’altra, in una danza pericolosa. Il crimine contro la giustizia. Il male ed il bene uniti in una sola volta.
I due si staccarono per prendere aria e si scrutarono a fondo.
-Ora puoi andare-
Così dicendo la fece portare via, finì in un carcere di merda, dove indossava divise altrettanto di merda e dove passò i successivi due anni.
 
-Sara-
La voce del moro bastò a distrarla dai suoi pensieri, aveva passato un periodo davvero orribile, ogni fottuto giorno ripensava a Mark, alle sue violenze fisiche e psicologiche, al coltello che teneva stretto tra le  mani, al suo sangue viscoso che imporporava il pavimento e all’immensa soddisfazione che aveva provato nell’ammazzarlo.
Eppure i suoi pensieri andavano sempre a finire ad L, la sua figura curva le si parava davanti come un muro. L’aveva sempre trovato un tipo alquanto singolare, affascinante nella sua stranezza. Era l’unico che aveva provato ad ascoltarla ma lei le aveva sbattuto la porta in faccia, come aveva sempre fatto con tutti e così era andata a finire in prigione.
-Mi stai ascoltando?-
Il pollice era premuto sulle sue pallide labbra. Dio, quanto avrebbe voluto morderle e farle sue, sentire ancora una volta quel sapore troppo dolce e quasi nauseabondo.
-Che vuoi?-
Il suo caratterino altezzoso le permetteva di mascherare i suoi pensieri, ed era grata a se stessa per questo.
-Cosa ne pensi?-
-Di cosa?-
-Del quaderno … non mi hai ascoltato neanche per un secondo, vero?-
-Ero immersa nei miei pensieri, scusa-
-Devo ricordarti che l’unico modo per tornare in libertà è risolvere il caso? Se non ti concentri non uscirai di qui prima del tuo quarantesimo compleanno-
La bruna sbruffò per poi guardare nuovamente il quaderno che aveva tra le sue mani ormai da mezz’ora. L’aveva letto e riletto e ogni volta che lo faceva le sembrava tutto più surreale. Shinigami, quaderni che uccidevano persone … si sentì improvvisamente catapultata in un film di fantascienza.
-Secondo quanto mi hai detto, andando per esclusione, l’unica cosa che mi suona strana è la regola secondo la quale se non si perpetua la serie di omicidi entro 13 giorni, si muore-
-Ottima intuizione-
-Sembra quasi che questo Kira voglia fare il paracu ... –
-Non voglio sentire certe parole in mia presenza-
-Scusa “mamma”, sembra quasi che voglia fare il furbetto, va bene?-
-Meglio-
Lo sguardo annoiato della donna si posò in quello spento del moro. Possibile che riuscisse a rimanere distaccato anche di fronte ad un caso del genere? Dopotutto stava rischiando la sua stessa vita. Eppure la cosa non sembrò toccarlo più di tanto.
 
Nel frattempo, Light era seduto alla sinistra di L e osservava la bruna con interesse. Era un ragazzo molto attraente ma non era il suo tipo, con il suo fare da santarellino.
“È tutta la mattina che non spiccica una parola e non appena ho esposto la mia teoria il suo viso si incupito in modo inquietante, pensandoci bene, potrebbe essere proprio lui Kira”.
-L … vado un momento in bagno-
-Fai pure-
Il moro si voltò verso il monitor che aveva davanti e continuò a mordersi il pollice. I suoi grandi occhi scrutavano ogni dato attentamente, senza lasciarsi sfuggire nulla, tanto che non si accorse neanche che Sara si era alzata ed era già uscita dalla stanza.
Quella donna riusciva ad attirarlo come una calamita, nessuna lo aveva mai rapito in quel modo. Era attraente ma non era quello che la rendeva diversa, forse era il suo passato o forse il suo carattere distaccato e strafottente. Tenerle testa era una continua sfida con sé stesso. Non che non avesse voglia di abbassare la guardia ma lasciarsi andare era un rischio che non poteva correre, non in quel frangente almeno.
 
Light si voltò verso di lui con un espressione perplessa dipinta in volto.
-Sei sicuro che ci si possa fidare di lei, Ryuzaki?-
L analizzò con attenzione le sue parole, torturandosi il labbro inferiore con le dita. Fissò un punto indefinito del soffitto, mentre giocherellava con le dita dei piedi.
-No, c’è il 65% di possibilità che scappi e che cerchi in qualche modo di ammazzarmi per farlo ma le sue capacità di deduzione sono davvero impressionanti e non posso permettermi di perderla-
-E lo dici con così tanta tranquillità? Certo che sei strano-
-Sì. lo so … -
-Cos’è che ti spinge a tenerla qui? Dico sul serio-
Il moro continuò fissare davanti a sé. Già, cos’era che lo costringeva a tenerla al quartier generale? Certo, la sua intelligenza giovava alle indagini ma … no, non era per quello. La verità non era quella ma non avrebbe di certo detto a Light qualcosa che non aveva detto neanche alla diretta interessata.
-Sono ormai dieci minuti che è in bagno, vado a controllare-
Così dicendo si staccò dal ragazzo per poi ammanettarlo alla sedia. Si affrettò ad uscire dalla stanza lasciando dietro di sé un alquanto spiazzato Light.
 
***
 
Sara se  ne stava appoggiata alla parete del tetto aspirando la sua Chesterfield blu. Non aveva alcuna voglia di tornare dentro e sorbirsi un altro degli sguardi indagatori di L. Lui riusciva a leggerla dentro, come se la denudasse e la lasciasse senza alcuna protezione. Eppure non le dispiaceva, non più di tanto almeno.
-Stupido idiota-
Sbuffò sonoramente lasciando che una nuvola di fumo le uscì dalla bocca.
-Ce l’hai con me per caso?-
L … no, l’aveva trovata?
-Come … Ah-
Guardò il bracciale che aveva legato al polso. Che stupida, non ci aveva pensato.
-Non è grazie a quello che ti ho trovato, so che sei una tipa solitaria e che sei una drogata di nicotina e siccome all’interno del quartier generale non puoi fumare, ho capito subito che saresti venuta sul tetto-
Un sorriso amareggiato si dipinse sul volto della donna che subito gettò la cicca a terra, schiacciandola poi con gli anfibi neri.
-Cosa vuoi?-
Il moro la guardò perplesso, portandosi un pollice alle labbra e spalancando ancora di più i suoi occhi color del carbone.
-Non fare il finto tonto, sai benissimo cosa intendo-
-Sono venuto a cercarti perché è parecchio che non sei a lavoro-
-Solo questo?-
-Solo questo-
Gli occhi ambra si inchiodarono a quelli del detective cercando di captare qualcos’altro, fallendo miseramente. Il suo sguardo vuoto era un muro invalicabile.
Con qualche falcata si avvicinò all’uomo, trovandosi a qualche centimetro dal suo viso.
-Ti chiedo solo una cosa … -
-Cosa?-
La mano abbronzata di Sara si mosse velocemente,  attirando la testa di Ryuzaki verso la propria. I loro respiri erano nuovamente mischiati e le punte dei loro nasi si toccavano, i loro occhi erano ancora incatenati. Solo ora si era resa conto che le sue occhiaie erano fin troppo marcate.
-Non morire-
- … Va bene-
Le labbra carnose di lei si piegarono in un leggero sorriso e lasciò andare la sua presa, allontanandosi dalla sua figura. Si diresse verso la porta, pronta per rientrare all’interno dell’edificio, poi si bloccò e si voltò appena verso il suo interlocutore.
-Non togliermi la soddisfazione di ucciderti con le mie stesse mani-
Poi se ne andò, lasciando il detective solo sul tetto.
I suoi occhi scuri erano ancora fissi sulla porta e solo allora si rese conto che aveva trattenuto il respiro per tutto quel tempo.


_________________
Angolo autrice:
Salve salvino!
Eccoci con il secondo capitolo. volevo ringraziare Psichechan per aver recensito, sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto e ti ringrazio per la critica fatta;
Spero che questo secondo capitolo vi sia piaciuto!
Baci,
Mizu <3

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