14 years later

di Kilian_Softballer_Ro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I was here ***
Capitolo 2: *** The sound of silence ***
Capitolo 3: *** Young love ***
Capitolo 4: *** Don't you worry child ***
Capitolo 5: *** You're my best friend ***
Capitolo 6: *** Thanks for my child ***
Capitolo 7: *** Papa don't take no mess ***
Capitolo 8: *** Raindrops keep fallin' on my head ***
Capitolo 9: *** Sleep tonight ***
Capitolo 10: *** Return to the past ***
Capitolo 11: *** What the hell ***
Capitolo 12: *** Where are you now? ***



Capitolo 1
*** I was here ***


Shadow non guidava così veloce da quando, ai tempi del liceo, aveva avuto la sua prima moto. Ma raramente da allora era stato così felice di raggiungere la sua meta. La lunga Spider nera filava come un razzo nella notte di Mobius, mentre il suo guidatore sogghignava dietro il volante.
Al suo fianco, Rouge si fingeva seria, implorandogli di rallentare (anche se il riccio nero era sicuro che pure lei si stesse godendo il viaggio), mentre sul sedile posteriore un bambinetto sugli otto anni rideva eccitato. Fu proprio a lui che Shadow si rivolse.
-         Che dici, Night, acceleriamo?
-         Sì, papà, più veloce, più veloce! – Urlò lui in risposta. Nella sera illuminata solo da pochi lampioni, dava l’impressione di essere identico al padre, un piccolo riccio nero con strisce colorate sugli aculei. Ma gli occhi che adesso spalancava dall’eccitazione erano verde acqua, le strisce sulla pelliccia bianche, e quelle che ora nascondeva fra gli aculei sulla schiena erano ali da pipistrello.
-         Non ci pensare neppure, Shadow the Hedgehog! – Si intromise Rouge. – Saremo anche in ritardo, ma preferisco arrivare laggiù un’ora dopo che non finire schiaffata sull’asfalto!
Aveva ragione, e Shadow lo sapeva. Ma sapeva anche che luogo fosse quel “laggiù”, e questo lo rendeva forse più eccitato ancora di suo figlio.
Quando un paio di giorni prima aveva ricevuto quella mail inviata da un indirizzo sconosciuto, aveva pensato a uno sbaglio di persona. Invece, scorrendola, un sorriso si era allargato sul suo volto.
Salve Shadz! Qui è Sonic che parla. Ti ricordi ancora di me?
So che 14 anni sono lunghi senza incontrarsi, e forse tu e Rouge vi starete anche chiedendo l’utilità di questa proposta, ma pensavo di organizzare una rimpatriata. Sì, una di quelle che nei film si fanno dopo vent’anni. Solo che aspettarne altri sei mi sembrava un po’ eccessivo, quindi vi faccio questa proposta: sabato sera, alle 8, a casa mia Ho invitato tutta la truppa, quindi non fare l’idiota e non mancare. E porta anche Rouge e i tuoi figli, se ne hai. C’è posto.
Comunque, ho scoperto per caso che abitiamo ancora nella stessa città ( e perché non ci siamo mai incontrati? Mistero) quindi spero che tu o tua moglie sappiate dove si trova Neibolt Street. Casa mia è al numero 20. In ogni caso, mandatemi un e-mail di conferma, e se avete qualche problema a venire lo risolveremo. Non dimenticatevi, Sonic the Hedgehog risolve tutti i problemi!
A presto, anzi, a sabato (spero)!
                                                                          Sonic.”
Nonostante non avesse soltanto bei ricordi di quel periodo passato con Sonic, Silver, Knuckles e gli altri ( anzi, ce n’erano alcuni veramente pessimi), aveva deciso di accettare. E con lui Rouge e, seppur di malavoglia, Night. Per questo ora guidava come un pazzo cercando di diminuire il ritardo.
Finalmente imboccò Neibolt Street, trovò il numero 20 e ci parcheggiò davanti. Night, senza ascoltare minimamente le proteste della madre, saltò la portiera e si fermò sul marciapiede.  – Per la miseria!
-         Sì, è il commento adatto – convenne Shadow prendendo per mano lui e la moglie e avviandosi lungo il vialetto verso la casa.
Beh, casa non era il termine più adatto. Più preciso sarebbe stato villa gigantesca.
Era una grande villa , che occupava lo spazio di una trifamiliare, dipinta interamente di azzurro. Il giardino intorno ad essa era quasi altrettanto immenso. Mentre percorrevano il vialetto, Rouge si guardava intorno, colpita.
-         Dev’essere qualcosa come il doppio di casa nostra….Ma quanto è diventato ricco?
-         Non ne ho la minima idea – rispose Shadow con sincerità.
Finalmente arrivarono davanti alla porta. Il riccio nero bussò. Neanche pochi secondi, e questa si spalancò.
Sonic era appoggiato allo stipite con un largo sorriso sul volto. – Buonasera, Shadow. Rouge….
-         Buonasera, Blu. Mi dicono che non sei cambiato.
Shadow osservò i jeans e la camicia dell’altro. Sonic scrutò la giacca di pelle del nero. Trascorsero un paio di secondi così, a fissarsi, poi inaspettatamente scoppiarono a ridere insieme e si abbracciarono, dandosi pacche sulle spalle.
-         Neanche tu sei cambiato, Shad – sogghignò il riccio blu quando si separarono. Poi si voltò verso Rouge, le prese la mano e la baciò. – E nemmeno tu, se per questo.
La pipistrella sorrise, lisciandosi il lungo vestito nero. – Scusa il ritardo, Night non voleva saperne di salire in macchina.
-         Night? – Sonic osservò il ragazzino in piedi accanto a Shadow. – Ah…Amico, hai avuto un piccolo clone. Me l’aspettavo.
-         Taci, tu. Non dirmi che non hai prodotto niente.
-         Oh, aspetta e vedrai. Entrate, ci sono già tutti.
 
Neanche una mezz’ora dopo Shadow era seduto intorno a un tavolo affollato, con un sorriso vagamente ebete sul volto, a guardarsi intorno con un bicchiere di vino in mano.
Temeva che molti del gruppo si fossero dimenticati a vicenda, o che avessero scordato quello che era successo anni prima, ma decisamente non era stato così. Gli uomini si erano salutati come al liceo, insultandosi e provocandosi, e le signore si erano salutate con i dovuti urletti a commento dei vestiti. L’unica differenza era che adesso i fratelli minori erano diventato dei ragazzoni altissimi, e c’erano bambini ovunque.
Il riccio nero osservò le persone intorno a sé. A destra aveva sempre Rouge, ma alla sua sinistra Aster stava cercando di convincere due riccetti bianchi identici a non fare la lotta delle forchette, mentre Denise e una piccola gatta che le somigliava molto ridevano divertite. La riccia gli aveva presentato i figli come Louis ed Emmett, e la bambina Desirée.
Davanti a loro, Knuckles e Tikal sedevano ai lati di un’ echidna davvero minuscola, arancione scuro, che gli avevano detto chiamarsi Itza. A destra di Tikal Sonic e Silver erano impegnati in una discussione apparentemente complicatissima, Amy e Blaze li guardavano preoccupate e di tanto in tanto buttavano un occhio sul gruppetto di bambini al loro fianco: Night, un riccio sui sei anni e una gatta sui nove (Silver ogni tanto li richiamava coi nomi di Iron e Beverly) e infine due piccoli ricci, uno identico a Sonic ma viola e la femmina rosa con i codini. A parere di Shadow, erano stati il culmine delle presentazioni di nomi strani, dato che si chiamavano Shinichi e Misa.
A sinistra di Knuckles, persi del tutto in alcune discussioni adolescenziali, c’era il gruppo dei “giovani”.
Roxy, Meike e Cream confabulavano, da quanto si capiva, qualcosa a riguardo dei ragazzi. Nonostante le prime due avessero solo diciotto anni e la coniglia venti, erano già alte e slanciate come adulte, ed erano cambiate moltissimo dai tempi  dell’asilo: sfoggiavano tutte infatti, per usare un termine che Shadow aveva sentito proprio da loro, una gran bella carrozzeria.
Al loro fianco, Dodgeball, Charmy e Tails, altrettanto cresciuti, scherzavano e stuzzicavano le ragazze.
Ecco. Di tutte le persone che aveva rincontrato, Dodge era quello che l’aveva stupito di più. Quando Silver gliel’aveva presentato, il riccio non poteva credere che il bambino piagnucoloso che tutti prendevano in giro fosse diventato un ragazzo più alto di lui, ben piantato e del tutto identico a suo fratello.
Fu proprio quest’ultimo ad attirare l’attenzione generale, alzando il bicchiere. – Beh, signori, io proporrei un brindisi a questa rimpatriata.  – Disse Dodgeball con gli occhi che tradivano la voglia matta di ridere di sé stesso.
Roxy fu la prima ad imitarlo. – Già. Al passato, al presente…E al futuro. – Sogghignò fissando il riccio.
-         Cos’ho fatto di male per avere una sorella così? – Borbottò Knuckles mentre tutti facevano toccare i bicchieri.
Dopo ciò, le conversazioni si fecero più rilassate e si aprirono.
-         Dì un po’, Aster – chiese Shadow – io me ne sono andato subito dopo il diploma, quindi del tuo ritorno non so niente. Da dove sei spuntato?
-         E’ una storia lunga – replicò lui sorridendo.
-         Vuol dire che non ha niente voglia di raccontarla. – Si intromise Denise. – Ma se non lo fa lui, la racconto i…Lou! Em! Adesso basta!
I due ricci bianchi  con le ciocche bionde fra i capelli la guardarono con due paia identiche di occhi blu e esclamarono in coro: - Ma ha iniziato lui!
- Non mi interessa chi ha iniziato! Finitela!
- Forse è meglio che la racconti io sul serio…- Sospirò il gatto. –Beh, in realtà non c’è molto da dire. Un paio di anni dopo che eravamo tornati in Norvegia, mio padre ci seguì e convinse mia madre a ricominciare tutto da capo. Io ovviamente non lo sopportavo, perciò ho preso Meike e sono venuto di nuovo qui. Solo che non sapevo dove andare.
- Allora è venuto da me – continuò Denise. – E siccome casa mia era mezza vuota, per colpa di mia sorella che si era fatta mettere incinta e aveva sposato quel genio del suo ragazzo, i miei genitori li ospitarono. E qualche anno dopo….
- Ci siamo sposati noi.
- Che cosa romantica. – Sospirò la piccola Desirée. Evidentemente, per quanto fosse del tutto simile a Denise, il suo carattere era totalmente diverso.
- Ma adesso è il tuo turno, Shadz – lo imbeccò Sonic. – Nessuno di noi sa che fine abbia fatto tu. Dopo il diploma non ti ha più visto in giro nessuno. E neanche a Rouge.
- Diciamo che ho avuto il mio bel daffare a cercare un lavoro, una casa più grande, i soldi per sposare questa bella signora…. – E sorrise alla moglie. – Quindi ho dovuto cambiare città. Sono tornato qui solo qualche anno fa, per…chiamiamola nostalgia. Però non avevo la più pallida idea di come trovarvi.
- Oh, per noi sarebbe stato facile – sogghignò Silver. – Io e tutti gli altri ci siamo dovuti tenere in contatto per…..chiamiamole cause di forza maggiore.
- Un modo gentile per definirci dei rompiballe, fratellone… - Borbottò Dodge.
- Mi state dicendo che voi giovincelli eravate tutti in compagnia?
- Puoi giurarci! – Esclamò Meike. – A parte Tails, che già si stava laureando, andavamo tutti a scuola insieme. Io, Ro, Dodge, Cream e Charmy.
- E ne abbiamo fatte, di cose…. –Aggiunse l’echidna nera.
- Assolutamente sì. Che bei tempi….
- Nessuno vuole ricordarle, ragazze…. – Supplicò Charmy. – Per favore….
- Oh, ma c’eri anche tu! – Lo bloccò Cream. – C’eri e hai fatto più stupidaggini tu di me. Quindi non fare il santarellino!
- Fanno questa discussione ogni volta. – Sospirò Amy alzandosi per andare a prendere il primo piatto seguita da Blaze. – Ogni. Singola. Volta. Da quando si sono messi insieme, e mi sa anche da prima.
- Aspetta aspetta aspetta….- Rouge si voltò verso la coniglia. – Davvero state insieme? Da quando?
- Presto saranno due anni. E per Roxy e Dodge quattro.
- Fatemi capire bene…State dicendo che quelle assurde promesse di matrimonio che facevate da piccoli….le state mantenendo?
- Le MANTERREMO. – Precisò Roxy sfiorando la mano del riccio argentato. – Ci sposeremo l’anno prossimo, se non ci sono inconvenienti.
Knuckles borbottò qualcosa di impercettibile che suonava tanto come “lo creo io un inconveniente”. La sorella finse di non sentirlo, e Shadow disse, ridacchiando: - Mi pare di capire che tu non sia così felice di tutto ciò….
-         Oh, lui! – Esclamò Tikal, aiutando la figlia, la piccola echidna arancione dagli occhi blu mare,  a spezzare la propria pagnotta. – Non ne era felice quando andavano all’asilo e non lo è ora che vivono insieme. Come disse Denise tanto tempo fa, essere idioti è come andare in bicicletta: non si disimpara mai.
E una sonora risata coprì tutte le proteste di Knuckles, mentre Amy e Blaze rimanevano sulla soglia della stanza, indecise se unirsi o no a quell’allegria .
- Ragazzi, la cena!

E......sono tornata!! Vi sono mancata??
Coro generale: NO.
-.- lo sapevo....tanto sono tornata lo stesso =D e con tutta la compagnia!
Roxy: me compresa u.u
Che ci fai tu qui?
Roxy: Denise è inv....cresciuta troppo per restare ancora in questo angolino, quindi ho preso il suo posto. Fattene una ragione u.u
....quasi quasi mi pento di aver fatto crescere quella gente.
Beh, che resta da dire? Recensite, e ci vediamo al prossimo capitolo! Ciao ciao!
Ro =)

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Capitolo 2
*** The sound of silence ***


Mentre ammirava il figlio che smantellava il proprio piatto di pasta, Shadow commentò: - Mi sembra strano però che tu non abbia incontrato nessuno di questi bambini a scuola….
Night alzò lo sguardo, sconcertato. – Io non ho mai detto di non conoscerli! Shin e Misa li conoscono tutti a scuola! E lui – aggiunse puntando il dito verso il riccio grigio alla sua destra – lui è quello che ha dato fuoco alla palestra!
Il piccolo Iron abbassò gli occhi, vergognoso. Somigliava davvero molto a Silver, con gli occhi gialli e il ciuffo sopra la testa, ma gli mancavano le strisce nere ai lati degli occhi e, a quanto si poteva intuire sotto la maglietta, anche il ciuffo di pelliccia bianca del padre.
Shadow si ricordava di quell’”incendio”. A quanto pareva, qualcuno aveva acceso un fuocherello nella palestra, che non si era esteso molto, ma aveva fatto scattare gli allarmi e provocato un pandemonio in tutta la scuola. Niente di grave, ma…
-         Oddio…. – Blaze si coprì gli occhi con la mano. – Quanto vorrei che avesse preso i poteri da suo padre e le capacità da me….Sei anni e ha già combinato più disastri di Silver…
-         Mamma, perché ti preoccupi? – Replicò Beverly. Lei, a differenza del fratello, somigliava molto alla madre: una gatta lilla, sui nove anni, dagli occhi gialli. Da Silver aveva preso soltanto le strisce intorno agli occhi, e dalla fronte le partivano tre aculei,  certamente non ereditati da Blaze. – Tanto ormai ci siamo abituati.
-         Quanto amore….. – Rise Meike accavallando le lunghe gambe, del tutto visibili sotto il miniabito. – Vedere una sorella e un fratello che si vogliono così bene mi scalda il cuore.
-         E tu ne sai qualcosa, vero, Memé?
-         Stai zitto, As.
-         Bene bene….Suppongo quindi che…Iron, giusto? Abbia preso i poteri di Blaze, e Beverly quelli di Silver. – Sorrise Rouge. – Qualcun altro ha ereditato di queste cose fantastiche?
Un silenzio innaturale calò sulla tavola. La pipistrella si guardò intorno confusa, chiedendosi cosa potesse aver detto di sbagliato, finché Sonic con tono imbarazzato disse: - Di questo dovremo parlare più tardi.
Roxy sogghignò da dietro il proprio bicchiere. – La vecchia abitudine di non parlare davanti ai bambini è rimasta, vedo….
-         Avranno le loro ragioni. – Ribatté debolmente Tails.
-         Oh, le sappiamo tutti le loro ragioni! – Lo rimbeccò Meike. – Ro stava solo cercando di sdrammatizzare la questione. Tanto lo sa che sono d’accordo con lei…Potere ai piccoli!
-         E alle piccole! – Saltò su Desirée, fissandola rabbiosamente con gli occhi verde scuro. Il suo intervento scatenò una risata generale.
-         Non ci credo….Denise 2 La vendetta! – Esclamò Knuckles, tenendosi la pancia.
-         Papà, pecché ridi così? – Domandò Itza meravigliata.
-         Niente, tesoro, niente. – Sorrise lui accarezzandole la testolina arancione.
-         Certo che mi fa ancora strano sentirti chiamare papà, Knux….
-         Perché, Deni, sentire chiamare te mamma?
E sulla scia di questo discorso la cena continuò con allegria.
Circa un’ora dopo, mentre tutti si rilassavano dopo la frutta, Sonic richiamò i figli con un fischio. – Misa? Shin? Accompagnati gli altri bambini in camera vostra, su. Andate a giocare.
-         Ma papà! – Protestarono i due in coro, il riccio viola e la riccia rosa, entrambi dagli occhi verde smeraldo.
-         Niente ma! Dobbiamo parlare di cose da grandi. Il dolce lo mangeremo dopo.
-         Sempre così, quando succede qualcosa di interessante ci buttano fuori. – Borbottò Shinichi mentre si alzavano. Poi, in un lampo, i due gemelli sparirono oltre la porta di corsa. Tutti stavano ancora fissandola, sbalorditi, quando Misa tornò indietro. – Beh, cosa aspettate? Siete così lenti?
-         Te lo faccio vedere io chi è così lento! – Night si precipitò fuori, seguito dai bambini rimasti. Tutti risero di nuovo, ma c’era qualcosa di diverso. Una sorta di tensione era piombata sul gruppo, come prima, quando era calato il silenzio.
Non appena la porta si richiuse per l’ultima volta, Sonic si schiarì la voce e disse: - Ora che siamo qui soli, è bene cominciare a parlare del vero motivo per cui vi ho fatti venire tutti.
Ogni paio di occhi era puntato verso di lui. Il riccio mandò un sospiro e continuò.
-         Come avrete notato, quasi tutti i nostri figli hanno ereditato i propri poteri dai genitori. Voglio dire, Bev e Roy ne hanno parlato prima, e i miei bambini li avete visti. Quanto a Itza…
-         Lasciamo fuori questa parte, per cortesia.  –Borbottò Knuckles.
-         Che vuoi dire? – Chiese Shadow.
-         Sai, Shadz, la bambina di Knux non è così angelica e delicata come sembra…..Tu prova a chiederle di tirare su quella sedia, o uno degli altri bambini. Lei ci riesce. – Rispose Denise.
-         Esattamente. Itza ha preso la forza…”particolare” di suo padre. E così via. Fin qui è tutto normale, si tratta di eredità genealogica.
-         Genetica. – Lo corressero Meike e Tails contemporaneamente, per poi arrossire di botto rendendosi conto di aver parlato insieme.
-         Come preferite. Il punto è che alcuni di quei bambini non hanno soltanto questi poteri. Hanno, diciamo…delle aggiunte.
-         Spiegati meglio. – Rouge aveva la fronte aggrottata.
-         Te lo spiego io, Rou. – Aster si appoggiò allo schienale della propria sedia. – Un paio di anni fa, stavo preparando il bagnetto a Daisy. Riempio la vasca, metto la schiuma, spoglio la bambina…che non aveva nessuna voglia di fare tutto ciò….e poi mi accorgo di aver dimenticato l’asciugamano. Sono sceso a prenderlo, e quando sono tornata Daisy era in un angolo tutta raggomitolata che fissava la vasca. E la vasca era piena di fiamme.
-         Non ci credo….
-         Credici. Ma la cosa più….strana…è stato che quando mi sono messo a urlare a Desirée di uscire, lei si è voltata verso di me, e non appena ha tolto gli occhi dalla vasca le fiamme si sono spente. Poi lei è scoppiata a piangere e ho dovuto distrarmi per calmarla, ma dopo ho guardato nella vasca. Non c’era più un goccio d’acqua, ma non c’erano neanche tracce dell’incendio. Era bianca e intatta come prima.
-         Beh, è una cosa ben strana, ma non capisco cosa…
-         Un attimo, Shad. – Lo interruppe Sonic. – Anche a noi è successa una cosa simile.
-         Sei anni fa, quando i gemelli avevano circa un anno – cominciò Amy – li ho lasciati nel loro letto per il riposino. Ovviamente nessuno dei due aveva intenzione di farlo, ma li lasciai lì lo stesso, con una lucetta appesa sopra il letto. E’ successo come per Aster, dopo un po’ sono tornata nella loro stanza e ho trovato Misa in piedi, aggrappata alle sbarre del letto, che cercava di afferrare la luce. Prima che riuscissi a fermarla, ha sfiorato la lampadina, e in quel momento tutte le luci si sono spente. Aveva mandato in cortocircuito tutta la casa. E in seguito, altre volte, sia mia figlia sia quella di As, hanno fatto succedere cose strane di questo genere.
-         Non si può dire certo che sia tutto normale, ma cosa c’entriamo noi con queste cose? – Shadow cominciava a innervosirsi.
-         Ci sto arrivando. – Il riccio blu riprese la parola. – Vedi, questo discorso tutti insieme non l’abbiamo mai fatto. Sapevamo tutti di questi strani poteri, ma da lì a collegarli…Io e Tails, però, abbiamo fatto alcuni ragionamenti e ricerche e abbiamo trovato una spiegazione possibile. L’unica origine poteva essere solo quell’esperimento.
Il gelo era calato di nuovo. Si potevano avvertire persino i brividi, mentre tutti ricordavano quell’avvenimento di tanto tempo prima.
“ L’esperimento…” Pensò Shadow. “ Non ne abbiamo più parlato da quando è successo …Eggman fece quella bastardata, ma noi andavamo avanti, come se non fosse successo nulla…Eravamo giovani, non pensavamo ancora ai nostri figli,e poi eravamo persi nei nostri problemi di allora. Però…sono sicuro che nessuno se lo è dimenticato”. Tornò a puntare l’attenzione sul gruppo di amici.
Sonic si voltò verso il gruppo dei più giovani. – Voi cosa sapete di tutta questa storia?
Roxy sospirò, stringendo la mano di Dodgeball. – A noi due hanno raccontato tutto quando è nata Beverly. Eravamo piccoli, pensavano che ci saremmo spaventati se in lei o negli altri futuri nipoti ci fosse stato qualcosa di strano.
-         Lo stesso vale per me – replicò Meike.
-         Vorremmo poter dire la stessa cosa. – Disse Cream sdegnata indicando sé stessa e Charmy. – A noi nessuno ha raccontato niente! Cos’è questa storia?
-         Mi dispiace. Pensavamo di proteggervi. – Si scusò Amy. – Ma Espio…Non ha detto nulla neanche lui?
-         Espio? Figuriamoci! E’ partito anche lui appena è finito il liceo, vi ricordate? Si vergognava di tutte le idiozie che aveva fatto. Quindi non mi ha mai detto nulla di voi neppure quando è tornato. – Sbuffò l’ape.
-         Bene, non importa, vi spiegherò in breve. – Li interruppe Sonic. – Quattordici anni fa Eggman riuscì a catturarci tutti con un inganno e fece su di noi un esperimento, iniettandoci uno strano liquido. Quando riuscimmo a liberarci, lui e la sua base erano spariti, e per terra c’era questo.  – Tirò fuori dalla tasca un foglietto appallottolato e sgualcito.
-         L’hai…l’hai conservato? – Tikal era impallidita a vista d’occhio. Knuckles le mise un braccio intorno alle spalle.
-         Certo. - Rispose il riccio, poi cominciò a leggere.
- “  12 Ottobre. Oggi ho finalmente portato a termine la miscela di Chaos e MD40. L’ho perfezionata per il mio scopo, e l’ho chiamata…..Miscela X !
La Miscela X, iniettata in un essere vivente, ne modifica le caratteristiche cromosomiche. Sostanzialmente, non varia l’aspetto né la parte psicologica, ma in caso di accoppiamento dell’essere viene trasmesso come un vero e proprio carattere. Quindi, non Sonic e i suoi amici diventerebbero utili ai miei scopi…Ma i loro figli.” – Sonic si rimise in tasca la pagina di diario. – E’ tutto. Eggman non si fece più vedere dopo quel giorno.
Di nuovo il silenzio, stavolta venato di paura. Tutti si guardavano negli occhi, pallidi e spaventati. Denise fu la prima a riprendere parola.
-         Ma….siamo sicuri che…
-         Sicurissimi. Non c’è altra spiegazione. Per questo vi abbiamo convocati tutti, tranne Espio che è introvabile. Volevamo sapere se anche i vostri bambini avevano qualche potere strano, e comunicarvi cosa abbiamo scoperto. Volevamo….che lo sapeste tutti.
Le donne sembravano tutte sul punto di piangere, gli uomini guardavano da altre parti, pensando. Quel silenzio che continuava a piombare a tradimento li avvolgeva come una nebbia fittissima, e quasi sobbalzarono al sentire la voce di Blaze.
-         La domanda a questo punto è una sola. – Le mani della gatta tremavano, ma si costrinse a fermarle. – Se è vero quello che dite…Cosa possiamo fare?


Bene bene, si entra nel vivo....E nella depressione....D'altronde se vi ricordate non sono mai stata molto allegra....Serve più Nutella in questo mondo!
Roxy: confermo u.u
In ogni caso, spero che l'inizio della fine (?) non vi faccia così schifo. Mi raccomando, recensite!!
Ro =)

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Capitolo 3
*** Young love ***


Shadow ora guidava con più calma, a velocità di crociera, mentre ritornava a casa. L’euforia del viaggio di andata si era dissolta, il riccio non si sentiva più come un adolescente. Ora si sentiva più che mai adulto e padre.
Sul sedile dietro, Night era crollato, e adesso dormiva tranquillo. Rouge aveva voluto sedersi al suo fianco, e lei e il marito non si erano scambiati una parola da quando avevano lasciato la casa di Sonic, solo qualche sguardo. D’altronde non c’era bisogno di parlare, sapevano di stare pensando alla stessa identica cosa. E non solo loro. Shadow supponeva che chiunque, dopo quella serata, stesse rimuginando allo stesso modo.
Certo, avevano concluso la serata nella migliore delle tradizioni delle rimpatriate. Quando i bambini erano tornati in sala da pranzo per il dolce, avevano tutti finto di avere sempre avuto una conversazione normale, e in loro presenza si erano lanciati in dialoghi quasi ovvi: la scuola dei più giovani ( - Oh, sì, Tails è l’unico che abbia un po’ di buonsenso qui, lui e le sue tre lauree! ), la spudorata ricchezza di Sonic (- Che ci vuoi fare, amico mio? Un giorno supereroe, il giorno dopo direttore d’azienda. Così è la vita) e altri. Ma l’ultima domanda di Blaze era rimasta senza risposta, e tutti avevano lanciato occhiate nervose ai propri figli, nervose e visibilmente preoccupate.
E adesso, il riccio poteva scommetterci, dovunque stessero puntando gli occhi questi dovevano avere lo stesso sguardo.
 
Tikal aveva davvero un velo di preoccupazione negli occhi, perfino adesso che era ritornata a casa ed era sdraiata nel proprio letto, al fianco della figlia. Itza, come spesso faceva, si era intestardita a voler dormire nel lettone, in mezzo ai genitori, e la madre non era riuscita a negarglielo, non dopo quello che aveva sentito a cena. La sua opinione, che non osava ammettere, era: “Se davvero mia figlia ha qualcosa di strano, allora voglio godermi tutte le cose normali che succedono”. Ma ora non si stava precisamente godendo quel momento. Era semplicemente lì, con la testa appoggiata al cuscino senza riuscire a prendere sonno, a guardare la sua bambina che al contrario dormiva tranquilla. Knuckles era ancora in cucina (vedeva la luce filtrare da sotto la porta), e proprio come Shadow e Rouge, i due non si erano ancora scambiati una parola.
Badando a non svegliare la figlia, Tikal si alzò scostandosi le lenzuola dalle gambe e camminando in punta di piedi uscì dalla camera per raggiungere il marito.
 
-         Non vieni a letto?
Knuckles, seduto a tavola con gli occhi fissi su una tazza di caffè, alzò lo sguardo al sentire la voce della moglie e sorrise. A vederla così, immobile sulla porta nel suo pigiama,con il timore di disturbare, gli sembrava una bambina.
-         Non ho sonno – rispose. – E suppongo neanche tu.
Tikal si staccò dallo stipite e andò a sedersi sulle sue gambe, appoggiata con la schiena al petto dell’echidna. Knuckles la circondò con le braccia.
-         Itza?
-         Dorme, beata lei. – L’echidna arancione alzò gli occhi per incrociare quelli viola che la sovrastavano. – Knux, ho paura.
-         Di cosa? – Chiese lui accarezzandole la testa.
-         Di quello che ci hanno raccontato stasera.
-         Lo so…..Anch’io sono preoccupato. – Sospirò Knuckles.
-         Non si tratta di essere preoccupati. – Tikal si allontanò, restando in bilico sulle ginocchia del marito. – Ho davvero paura di quello che ha detto Sonic. Pensaci, Knux. Le loro figlie avevano questi…poteri…Ma se agli altri facesse effetti diversi? Se facesse loro qualcosa di peggio? Sai quanto funzionavano bene gli esperimenti di Eggman. E se…se qualcosa fosse andato storto?
-         Ssssh…. – Il rosso la attirò di nuovo a sé, cullandosela fra le braccia. – Non essere così pessimista. Potrebbe non avere avuto effetto sulla nostra bambina. Dopotutto Daisy e Misa si sono mostrate quando erano più piccole. L’hai detto anche tu che gli esperimenti dell’uovo non hanno mai funzionato bene. Potrebbe averne mancato un pezzo.
-         Lo spero….- Anche lei lo strinse fra le braccia, completando l’abbraccio. – Lo spero proprio tanto.
E rimasero così, l’uno nelle braccia dell’altra, finché una vocina dall’altra stanza non li fece tornare al presente.
- P-papà!
Knuckles sobbalzò, poi con un sorriso di scuse fece alzare la moglie e si diresse verso la camera da letto. Tikal, sedutasi al suo posto, lo sentì dire: - Che succede, tesoro? Un brutto sogno? – Ma in realtà non lo stava davvero ascoltando. Fissava il caffè che vorticava nella tazza, quasi in trance, cercando di convincersi che aveva ragione lui, che sarebbe andato tutto bene…senza crederci davvero. Nel profondo, sentiva di sapere che non poteva andare così bene.
Sarebbe stato troppo semplice.
 
Alcuni giorni dopo, la cappa di cattivi pensieri si era già quasi del tutto dissolta, ma una piccola nuvoletta era rimasta nella testa dell’echidna e ogni tanto era come se le desse delle spintarelle, invitandola a ricominciare a temere il peggio. Tikal si era imposta di distrarsi, ma non sempre ci riusciva, perciò quando ricevette la telefonata pensò che capitasse davvero a proposito.
-         Senti, Tiki – la voce di Denise era come al solito squillante perfino attraverso la cornetta – sai che l’altro giorno ci siamo reincontrati tutti, è vero, ma è stato allegro come una veglia funebre. Che ne dici di un bel giro di shopping, solo fra donne? Così che ci divertiamo.
-         Mi piacerebbe, sul serio, ma Knux deve fare il suo turno di guardia al Master Emerald e non posso lasciargli la bambina.
-         L’ho già sentita questa…- Tikal sogghignò fra sé. Sì, anche a lei ricordava quando aveva usato la stessa scusa, anche se quella volta si trattava di Roxy e non di Itza. – E poi, perché non può tenerla? Scusa, ma che deve fare?
-         Deve “proteggere” lo Smeraldo….e non può farlo con una bambina di tre anni intorno, a detta sua.
-         Oh, senti, ce la faceva con sua sorella e ce la fa anche adesso. Comunque, non è un problema. Portala con te. Anch’io avrò Daisy al seguito, e credo che pure Ames e Blaze saranno messe come noi.
-         D’accordo…Ascolta, chiamiamo anche le tre giovani? Al limite, le bambine le lasciamo a loro e ci godiamo la NOSTRA rimpatriata in santa pace.
-         Questa è un’idea degna di te, ragazza mia…..Hai ancora qualcosa in quel cervelletto, a quanto pare.
-         Oh, Deni, non cambi mai.
-         Faccia tua e culo mio, signorina.
 
Non era esattamente come quando erano adolescenti, ma quasi. Anche ora c’erano delle bambine da portarsi dietro, e idee folli da reprimere, pure se ora queste ultime venivano da Roxy Meike e Cream.
-         Io propongo di passare prima da un negozio di abiti da donna, questa ragazza ha sbagliato armadio. – Sogghignò la gatta additando Roxy. L’echidna portava una maglietta enorme con scritto ECHIDNA GIRLS DO IT BETTER, una bandana nera e dei cargo giganteschi che palesemente appartenevano al suo ragazzo.
-         Ma cosa vuoi? – Esclamò lei. – Io a te dico di comprarti delle scarpe col tacco? – Alludeva ridendo agli anfibi militari dell’amica, allacciati fin quasi al ginocchio.
-         Quantomeno questi sono miei! Io non frego gli abiti a Dodge!
-         Anche perché se li fregassi a lui ti spaccherei per lo meno il naso….
-         Quanto amore…
Scherzavano, ovviamente. Come scoprì Rouge, l’unica ignara, le due ragazze erano amiche per la pelle fin da quando Meike era tornata dalla Norvegia. Anche Cream faceva parte della compagnia, ma avendo due anni di più, frequentava più spesso Charmy e i suoi coetanei che non loro. Ma quel pomeriggio erano presenti tutte e tre, più in qualità di zie accompagnatrici che altro, ma c’erano.
-         Bene, signore – esclamò Roxy prendendo in spalla Itza – dove si va ora?
Ovunque. Una cosa che Tikal aveva imparato col tempo era che peggio di un gruppo di adolescenti che vanno in massa a fare shopping c’è solo  un gruppo di adolescenti, donne e bambine che fanno la stessa cosa. Ancora prima di essere cariche di borse, si erano lasciate alle spalle almeno tre commesse con gli occhi fuori dalle orbite.
Mentre passavano davanti a un bar, dirette al negozio successivo, Desirée si aggrappò alla mano della madre. – Mamma, gelato!
-         Anche io voglio il gelato! – Si unì Misa
-         ‘nch’io, ‘nch’io! – Itza si attaccò alla gamba di Tikal. Beverly, seria e posata, non si unì al coro, ma anche lei aveva l’aria interessata.
-         Se non volete, glielo prendiamo noi. – S intromise Cream cogliendo l’occhiata esasperata che si erano scambiate Amy e Blaze. – Però avrei bisogno di un contributo….
-         Piuttosto che lasciare i miei soldi in mano tua li spendo tutti in gelati. -  Rise la riccia. – Forza,  ragazze, entriamo. Facciamo una pausa.
Non appena ebbero messo piede nel bar, occupando oltretutto tre tavolini, la voglia di gelato si diffuse rapidamente. Tutte guardavano concentratissime i menù,soprattutto Denise.
-         Ma tu pensa… - Mormorò. Poi alzò lo sguardo, battendo un dito sul foglio. – Ragazze, il panino “de la muerte” vi ricorda qualcosa?
-         De la…Aspetta…. – Blaze aggrottò la fronte. – Non è quello che servivano al nostro bar quando eravamo al liceo?
-         Esatto, quello della scommessa fra me e Shadow. Non ci credo….Signore, credo che il nostro bar sia proprio questo.
-         Ma non è possibile – protestò Tikal. – Era tutto diverso quando ci son venuta l’ultima volta…Anche se la zona dovrebbe essere più o meno questa.
-         Avranno rimodernato. Capita, sai?
-         Non sapevo fosse anche il vostro punto di ritrovo – commentò Meike divertita. – Fino a pochi mesi fa ci venivamo anche noi.
-         Credo che tutti i liceali siano passati di qui, Memè.
Passò il barista a prendere gli ordini, salutando le tre ragazze di cui, miracolosamente, si ricordava ancora. Denise pareva intenzionata a dirgli qualcosa perché si ricordasse anche di lei e delle sue vecchie compagne, ma una pedata di Blaze la convinse a non farlo.
Mentre aspettavano i propri gelati, Meike domandò: - Dopo dove andiamo?
-         Al parco! Al parco! – Fu il coro delle bambine, già stanche dello shopping.
-         Concordo con loro…. – Roxy sbadigliò. – Andiamo al parco, Merry?
-         Con piacere, Pipino. – La gatta le batté una mano sulla spalla.
-         No eh! Ragazze, quei soprannomi NO.
-         Eddai, Cream…Tanto lo sappiamo che tu vuoi continuare a fare il giro dei negozi, le portiamo noi le signorine al parco….
-         Sempre ammesso che ve le lasciamo portare…Anche le “signorine” hanno bisogno di vestiti nuovi vero, Misa?
-         Uffa, mamma! – Sbuffò la riccetta.
-         Non me ne parlare….Roy ha dato fuoco a metà degli abiti di sua sorella…. – Blaze si appoggiò al tavolo su un gomito, coprendosi gli occhi con la mano. – Gesù…E Silver non ha di meglio da fare che arrabbiarsi, lo sa benissimo che è troppo piccolo per sapere come controllarsi.
-         Quasi quasi ti invidio…Knuckles è così maledettamente orgoglioso di lei… - Disse Tikal accennando a Itza, che stava ingaggiando una battaglia di cannucce con Daisy. – E’ felice, fin troppo….Non sperava altro che di avere una figlia con la sua stessa forza!!
-         Io vi invidio entrambe…Se sapessi che Desi ha preso quelle cose da Aster, sarei felice come una pasqua… - Mormorò Denise. Le altre tacquero, tese. Fortunatamente il barista scelse quel momento per portar loro i gelati,  e il pericoloso discorso dei poteri fu dimenticato.
In realtà restarono in silenzio per parecchi minuti, finché un trillo inaspettato non le fece sobbalzare tutte.
Where there is desire
There is gonna be a flame
Where there is a flame…”
-         Scusate, è il mio. – Roxy estrasse il cellulare e lo contemplò con aria perplessa. – Ma cosa vuole…adesso? – Premette un tasto e se lo avvicinò all’orecchio. – Dodge? Che vuoi? Sì sono in giro….Come sarebbe a dire che non ti ho avvertito? Ma se ti ho lasciato un cartello grande come un paracarro attaccato al frigo! Pensavo che lì non potessi non vederlo! Sì, vacci anche tu! Cosa? O-okay, grazie dell’avvertimento. – Si lasciò andare a un lieve sorriso. – No, riccio di poca fede, non sto esagerando con il cibo – continuò mescolando col cucchiaino nel bicchiere di gelato triplo cioccolato. – Sì, anch’io. Ciao. – Ributtò il cellulare nella borsa.
-         Era Dodgeball? – Si informò Tikal.
-         E chi altro vuoi che fosse? Ah, Blaze, tuo marito ha ceduto. Dodge mi ha detto che gli ha affibbiato Iron.
-         Non ci credo…. Diamine, doveva badargli per due ore! Due maledettissime ore!
-         Mamma, vuol dire che Roy stasera non c’è? – Beverly aveva un sorriso furbetto.
-         Se non ho capito male, sì. Quel pirla del mio ragazzo mi ha avvertito che troverò un gran casino a casa, vogliono cucinare insieme. – Rispose l’echidna nera.
-         Evviva! – La gattina alzò un pugno in aria, attirando su di sé gli sguardi di tutto il bar e le risate della compagnia.
-         Questo sì che è amore fraterno – sghignazzò Meike.
Tikal sorrise appena. Aveva avuto ragione, era impossibile sentirsi tristi con una compagnia del genere, anche sforzandosi. Era un gruppo che non voleva perdere.
Non più.

Il ritorno dei miei capitoli depressamente inutili :3 perdonatemi, ma domani parto per una gita e su PRESSANTE richiesta di Melly_SBSASR, ho deciso di pubblicare prima...Anche se casco dal sonno.
Comuuuuunque....L'allegria di questi ragazzi mi comuove....
Roxy: a me no...
Tu non hai voce in capitolo.
Roxy: in QUESTO capitolo sì! Tiè!
-3- cos'ho creato...bene, gente, vi lascio alle recensioni. Kalispera!
Ro =)
P.S. Tornerò fra quattro giorni e poi ho un torneo di due, perciò per il prossimo capitolo abbiate pazienza. Moooolta pazienza. <3

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Capitolo 4
*** Don't you worry child ***


Dodgeball seguiva un’unica regola cucinando: non lasciare mai i fornelli incustoditi. Era abituato ad avere bambini per casa, visto che lui e Roxy erano spesso presi per zii tuttofare. Per questo in quel momento era concentrato solo sugli hamburger che cuocevano nella padella, mentre Iron era sul piccolo terrazzo della casa con il compito di apparecchiare il tavolino all’aperto. Avevano fatto quella scelta complice la serata calda e serena, e adesso attendevano soltanto…la zia.
Il riccio spense il fuoco sotto la pentola, la prese e si avviò verso il terrazzo. – Roy, è pronto! Hai finito con la tavola?
Silenzio. Era difficile che non lo avesse sentito, visto che l’appartamento era decisamente piccolo, però… - Roy?
Si affacciò finalmente dalla portafinestra e rimase impietrito. Gli occhi gialli gli si allargarono dallo stupore e dallo spavento.
Iron era in piedi nel bel mezzo del terrazzo, con i palmi delle mani puntati verso terra. Attorno a lui, dai vasi di fiori appoggiati negli angoli e sulla ringhiera uscivano torrenti di terriccio marrone che andavano a raccogliersi in una montagnola ai suoi piedi, la quale pulsava, esattamente parallela alle sue mani. Dodgeball si aspettava quasi di sentire untump tump tipo battito di cuore vedendo quel movimento, ma la scena avveniva nel più completo silenzio.
La padella gli sfuggì di mano, cadendo a terra con un rumore assordante che spezzò l’incanto. Iron ritrasse le mani di scatto, le cascate di terra si fermarono, il mucchietto sul pavimento rimase fermo così come doveva stare. Il riccetto alzò gli occhi e incrociò quelli dello zio che ancora lo fissavano. A quel punto scoppiò in lacrime e gli si precipitò addosso.
-         Roy, Roy, stai calmo. – Balbettò Dodge stringendo fra le braccia il nipote. – Va tutto….Va tutto bene, non piangere, non è successo niente! – Ma allo stesso tempo non era così sicuro di quello che stava dicendo. Più che altro, non poteva dire niente di quello che stava pensando, non davanti a un bambino di sei anni che piangeva e tremava terrorizzato.
-         Io non volevo – piagnucolò.
-         Sssh, lo so, lo so, non piangere.
In quel momento arrivò loro dall’ingresso una voce femminile. – C’è nessuno? Dodge? Roy? – Chiamò Roxy. Il riccio più grande guardò il nipote negli occhi.
-         Non dire niente alla zia. – Intimò.
-         Ma…
-         Non finirai nei guai, ma non raccontarle niente. Capito? – Fortunatamente Iron annuì. Dodgeball alzò le mani e la terra, avvolta da una luce verde, tornò al suo posto nei vasi, perfettamente in ordine. A volte la telecinesi era davvero utile.
L’echidna nera spuntò dalla portafinestra  con un’espressione preoccupata. – Che diavolo è successo? C’è un lago di sugo qui dentro!
-         C-ciao tesoro….- Il riccio argentato si alzò con il più piccolo fra le braccia. – Non ti preoccupare, è stato solo un incidente…Roy ha cacciato un urlo, io che stavo arrivando mi sono preso un colpo e mi è caduta la pentola. Tutto qui.
-         Che due… - Roxy si avvicinò e accarezzò la guancia del nipote. – Perché hai urlato, che era successo?
-         U…un pipistrello. Mi è volato vicino e mi sono spa-spaventato. – Dodgeball tirò un segreto sospiro di sollievo. Almeno Roy aveva la bugia pronta.
-         Sei veramente della famiglia di tuo zio… - Sospirò l’altra prendendolo sotto le ascelle e appoggiandolo per terra. – D’accordo, non importa. Che ne dici di andare a preparare qualcosa per cena, mentre chi ha sporcato pulisce?
-         Sìii! – Il riccetto la prese per mano e insieme si avviarono verso la cucina, ma all’ultimo momento Roxy si voltò e lanciò da sopra la spalla uno sguardo rivolto al fidanzato, uno sguardo che stava a significare “non credo a una sola  parola”, poi entrò in casa.
Dodge sospirò di sollievo ancora una volta, ringraziando il cielo che l’echidna non avesse espresso i suoi dubbi ad alta voce. Poi entrò anche lui, si inginocchiò e si accinse a pulire la macchia.
 
La casa di Silver non era molto distante dall’appartamento, perciò il riccio decise di riportare il nipote a piedi, e ne era contento, nonostante dopo un po’ Roy si fosse fatto prendere in braccio e si fosse addormentato appoggiato alla sua spalla. Era contento perché quel tratto di camminata gli dava il tempo di pensare a cosa raccontare al fratello, e anche alle domande da porgli.
Riuscì a prendere una decisione prima che la villetta di pietra grigia arrivasse nel suo campo visivo, così percorse in fretta il vialetto d’accesso e bussò alla porta.
Silver aprì e sorrise al trovarsi davanti il fratello e il figlio addormentato. – Serata dura?- Domandò.
-         Non più del solito. – Rispose Dodgeball entrando e chiudendosi la porta alle spalle. – Silv, devo dirti una cosa.
Il maggiore aggrottò la fronte nel sentire il suo tono. – Bella o brutta?
-         Davvero non lo so.
-         Aspetta qui. – Gli tolse Iron dalle braccia e sparì, per tornare pochi minuti dopo da solo. – L’ho lasciato a Blaze. Ora dimmi cos’è questa storia.
Così Dodge gli raccontò in fretta quello che era successo sulla terrazza, cercando di essere il più preciso possibile. Non era un grande esperto di poteri, eccetto il suo, e voleva che il fratello sapesse tutto in modo da dargli una spiegazione razionale. Possibilmente, migliore dell’idea che si era fatto.
A mano a mano che lo ascoltava, l’espressione di Silver diventava sempre più scura, e alla fine chiese: - Non è possibile che si tratti di telecinesi? Voglio dire, so che ha ereditato già il fuoco di Blaze, però…
- E’ quello che ho pensato anch’io, però non c’era la….la…
- La luce?
- Ecco, e poi sia io che te che Beverly abbiamo mostrato il nostro potere molto prima. Se ti ricordi a sei anni io già combinavo disastri.
- E come faccio a dimenticarmeli? – Replicò l’altro con un lieve sorriso. – Se non si tratta di quello, allora, c’è solo una spiegazione possibile..
Era quello che Dodgeball temeva. – Intendi quello di cui ha parlato Sonic l’altro giorno? – Silver annuì. – Merda. Speravo di essermi sbagliato.
-         Anch’io spero di sbagliarmi, fratellino. Non sappiamo se questi poteri abbiano delle controindicazioni, né se i bambini sarebbero in grado di controllarli…
-         Fai prima a dire che non sappiamo niente. – Il più giovane si passo una mano fra gli aculei sospirando. – Senti, devo scappare. Roxy mi aspetta e devo raccontare tutto anche a lei.
Silver sorrise di nuovo. – Ma certo, vai pure. Io ne parlerò agli altri e se scopriremo qualcosa di nuovo, lo faremo sapere anche a voi.
-         Ci conto. Notte, Silv. – Replicò l’altro infilando la porta.
-         Buonanotte, Dodge.
 
Non fu esattamente una buona notte. Nonostante Roxy si fosse fatta trovare senza nemmeno la biancheria nel letto e dopo averlo ascoltato e confortato avesse fatto tutto il possibile per distrarlo, nel cuore della notte era ancora sveglio a rimuginare su quello che era successo mentre lei al suo fianco dormiva profondamente.
Non riusciva a chiudere gli occhi, che subito un milione di pensieri negativi gli affollavano il cervello. Si sforzava di scacciarli, magari concentrandosi sulla notizia che la sua Ro gli aveva dato tempo prima, o sui progetti per il matrimonio, oppure…niente. Non ce la faceva.
 
L’insonnia serpeggiava, in quell’estate, perché anche Silver si rigirava nel letto e pensava, e più pensava più non sapeva cosa credere. Anche lui aveva raccontato tutto alla sua compagna; Blaze ne era rimasta impietrita, e ora fingeva di dormire perché il marito non le facesse domande. Questo almeno lui supponeva. Di sicuro non stava piangendo, la gatta non piangeva mai con qualcuno intorno, ma era quello che di più vicino al pianto faceva in situazione di stress.
Il mattino dopo la tensione si faceva ancora sentire. Iron era vagamente cosciente di esserne la causa, e si era ritratto tanto sulla sedia da vedersi appena oltre il bordo del tavolo. Beverly, d’altro canto, non riusciva a capire il perché del silenzio dei suoi familiari e faceva il diavolo  a quattro.
Questa situazione durò finché Silver non si alzò da tavola, attirando su di sé gli sguardi degli altri. – Vado da Knuckles – disse. Non sapeva bene perché avesse scelto di parlare a lui per primo. Forse perché l’echidna era un tipo pratico che di solito trovava soluzioni pratiche anche e problemi che di pratico non avevano niente.
-         Certo – replicò Blaze. – Portati i bambini, ti va?
Il riccio annuì e spedì i figli a mettersi le scarpe. Mentre era nell’ingresso ad aspettarli, sentì un fruscio e si ritrovò circondato da due braccia calde e dolci.
-         Mi dispiace – gli sussurrò la gatta all’orecchio. – Non volevo reagire così. Ero solo….
-         Spaventata? Lo so. Anch’io. – Le prese le mani. Avrebbe voluto dirle molte altre parole, parole di conforto, ma Bev e Roy scelsero quel momento per arrivare, così si sciolse dall’abbraccio della moglie e dopo averle dato un veloce bacio sulle labbra uscì accompagnato dai figli.
Mentre attraversavano la città, diretti verso Angel Island, Bev correva avanti e indietro, esuberante e incurante di tutto, mentre Roy restava al fianco del padre, guardandolo ogni tanto preoccupato. In un momento in cui la sorella gli sembrava abbastanza distante, lo costrinse a chinarsi e gli mormorò all’orecchio: - Lo zio Dodge ti ha detto tutto, vero?
Silver sospirò. – Sì. – Prese in braccio il figlio e gli sorrise. – Ma non ti devi preoccupare, cucciolo. Non hai fatto niente di male.
-         Ma…Stamattina tu e la mamma eravate arrabbiati
-         Stai tranquillo. Nessuno è arrabbiato con te, non hai fatto niente di sbagliato.
Iron tacque, e il riccio si ritrovò a pensare a quanto quel bambino somigliasse a suo fratello alla stessa età. Stesso senso di colpa perenne, stessa ingenuità, stessa paura di usare i propri poteri. A ben pensarci, forse era un piccolo clone di Dodgeball quello che teneva fra le braccia.
La gattina che ogni tanto (ma solo ogni tanto) tornava da loro invece aveva decisamente preso dall’altra parte della famiglia: scontrosa, orgogliosa, una piccola finta dura. E assolutamente disinibita riguardo a i poteri, visto come ora un piccolo sasso volteggiava sopra il palmo della sua mano destra, illuminato da una luce rossastra. La pietra volteggiava, e Beverly se la passava da una mano all’altra, continuando così finché non raggiunsero l’Isola Fluttuante.
Appoggiato al muro della casa di Knuckles, Silver non fu sorpreso di trovare anche Aster, insieme al proprietario. I due erano stati parecchio amici al liceo,  e anche in seguito, e si scambiavano spesso visite. Nell’erba lì davanti, Itza giocava insieme ai tre figli del gatto.
-         Guarda chi si vede….Un essere inutile. – Fu il colorito saluto dell’echidna.
-         La tua gentilezza mi commuove – Rispose il nuovo arrivato, lasciando scivolare a terra Iron. – Forza, ragazzi, andate a giocare.
-         Cosa ti spinge fin qui, giovane mastro Silver? – Chiese Aster quando il riccio si avvicinò a loro. – Qualche  buona novella?
-         Buona è un’altra cosa. – La sua espressione li fece diventare seri di colpo.
-         E’ qualcosa riguardo a….? – Chiese Knuckles con un cenno vago ai bambini che ora erano in cerchio a decidere il prossimo gioco. Silver annuì. – Bene. Questo è il genere di discussione che va fatta davanti a una lattina di birra.
-         Direi di sì. – Convenne Aster. I tre entrarono in casa.
Non era grande come quelle di Shadow, Silver o Sonic. Somigliava piuttosto a un insieme didue piani di un condominio, più alta che larga, e nemmeno intonacata. Silver ricordava che quando Dodge l’aveva vista per la prima volta sei o sette anni prima, dopo che la famiglia di echidna ci si era trasferita, l’aveva paragonata a un enorme mattone bucato dai vermi. Non una definizione molto gentile, forse, ma di sicuro efficace.
In realtà l’interno non somigliava affatto a una tana di vermi; era dipinto di bianco,e pulito. Knuckles li portò in cucina, da dove una finestra permetteva di controllare i bambini all’esterno, e tirò fuori tre lattine di birra dal frigorifero. – Tikal? – Chiese il riccio, mentre apriva la sua e ne buttava giù un sorso.
-         Dovrebbe star facendo la guardia al Master Emerald, ma credo che Denise sia andata a importunarla. – Sogghignarono tutti. Sapevano benissimo quanto la riccia bionda potesse essere esaltata. – Bene, cosa diavolo volevi dirci?
Così Silver raccontò la storia quasi esattamente come l’aveva sentita dal fratello. Parlò quasi senza prendere fiato, e quando si fermò, gli altri due lo fissavano, allo stesso tempo corrucciati e sbalorditi. Ci fu un lungo momento di silenzio.
-         Silv…Tu sai che queste cose….dovremmo raccontarle anche agli altri,vero? – Disse alla fine Aster. Lo so. Ma speravo di trovare un’altra  soluzione. Non è tanto allegro realizzare di avere un figlio contagiato, e lo sai quanto me.
-         Ovvio. - Il gatto aveva stritolato la lattina nella mano per la tensione.
-         Non so che dire. – Sospirò Knuckles. – Però non c’è alcun dubbio che di quello si tratta. A mio avviso però non dovremmo preoccuparci. Finché sono semplici poteri, noi non….
Si udì un crash e poi la  risata di una bambina. – Itza! – L’echidna mollò la birra e si precipitò fuori. – Se hai tirato di nuovo  un sasso contro i vasi della mamma, io ti….
I due lo sentirono bloccarsi. Tesi, lo seguirono e lo trovarono immobile sulla soglia di casa, che fissava sbalordito qualcosa nel gi ardirono. Sbirciarono, ognuno da sopra una sua spalla, e sgranarono gli occhi.
C’era un vaso rotto, effettivamente. Solo che era nel mezzo di un cerchio di bambini, tutti eccitati e silenziosi. Tutti erano a debita distanza, tranne Iron, inginocchiato sul terriccio sparso, e Itza, che accarezzava la piantina. O meglio, l’ex piantina.
Quella che doveva essere stata una comunissima pianta da vaso ora  cresceva in altezza sotto il tocco della bambina, metteva fiori e foglie, si colorava di un verde troppo brillante per essere naturale. Ai suoi piedi, Roy aveva i palmi rivolti verso il mucchietto di terra, che pareva gonfiarsi e sgonfiarsi come se respirasse. Come nel racconto di Dodgeball. Niente luci, o aure, niente.
-         I-itza – balbettò Knuckles – cosa stai facendo?
-         Lui mi AIUTA – disse la piccola candidamente, con un enorme sorriso. – Così la pianta, cresce, e fa i fiori…
Nessuno dei tre adulti sapeva  cosa fare, o dire, o pensare.
-         Cosa dicevi a proposito del non preoccuparsi, Knux? – Bisbigliò Aster, pallido in volto come un fantasma.


Bene. Non so se sia un capitolo migliore dell'altro, ma quantomeno succede qualcosa XD anche se forse non è un qualcosa tanto bello.
Roxy: a parte quel che succede nel letto :3
*la censura* -.- taci. Comunque, devo fare un paio di comunicazioni.
Innanzitutto chiedo scusa ad Astrid the Cat per essermi dimenticata di ingrandire il capitolo precedente. Mi dispiace, ero presa da tutti i preparativi della gita e mi è davvero passato di mente :/ stavolta però ho fatto in modo di ricordarmelo!
In quanto a Shin e Ran amore, che non riusciva a ricordarsi tutti i nomi dei figli (e ho il forte sospetto che non sia  il solo....non preoccupatevi:faccio confusione anch'io XD) e mi aveva chiesto una sorta di riassunto, ecco qui: spero che vada bene.
Sonic + Amy = Shinichi "Shin" the Hedgehog, Misa Rose the Hedgehog
Shadow + Rouge = Night the Hedgebat
Silver + Blaze = Beverly "Bev" the Cat , Iron "Roy" the Hedgehog
Knuckles + Tikal = Itza the Echidna
Aster + Denise = Desirée "Daisy" Kennington the Cat, Emmett the Hedgehog, Louis the Hedgehog.
A presto!
Ro =)

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Capitolo 5
*** You're my best friend ***


Aster, Denise e Silver si ritrovarono a percorrere la stessa strada per tornare a casa. Non che fosse successo proprio per caso. Allo stesso modo di quando al liceo dovevano assecondare i desideri dei fratelli più piccoli, ora si trovavano ad assecondare quelli dei figli. E Daisy aveva fatto presente in modo MOLTO pressante che avrebbe voluto tornare a casa con il suo nuovo amichetto Roy.
I due trotterellavano allegramente tenendosi per mano, come se fossero amici per la pelle, mentre intorno a loro Louis ed Emmett provvedevano a fare la lotta per bene, per non perdere le buone abitudini ,e Beverly li guardava tutti con aria di incomprensione, come se si sentisse diversa da loro.
Alle loro spalle, i tre genitori camminavano lentamente, senza scambiarsi una parola.
Ognuno stava rimuginando sulla stessa cosa, e Denise più di tutti. Da madre che aveva già visto cosa accadeva in quei casi, stava pensando alla reazione di Tikal, ed era giunta alla conclusione che non c’era niente di strano in come si era comportata. Certo, lei non aveva reagito così quando aveva scoperto che la sua piccola Desirèe era in realtà un drago in miniatura, ma Tiki era esattamente come alle superiori: emotiva e paurosa. Non c’era da stupirsi se fosse terrorizzata all’idea di un potere del genere.
Mentre i bambini mangiavano seduti al tavolo della cucina, Knuckles, Aster e Silver avevano continuato la loro discussione, senza ovviamente venire a capo di niente. La riccia aveva preferito restare accanto a Tikal, che non sembrava soltanto spaventata. Pareva proprio disperata. E nonostante tutta la confusione del momento, Denise ancora non riusciva a capire perché.
Intanto aveva prestato orecchio al discorso in cui era coinvolto suo marito. A quanto aveva capito, per il piccolo riccio non era stata la prima volta con quel potere, mentre per Itza….Ovvio che era la prima volta. Dopo quattordici anni di amicizia più stretta che si poteva, si sentiva in grado di dire che Tikal gliel’avrebbe detto se fosse già accaduto.
Il gruppo si separò davanti a casa Kennington (che si chiamava così lo dichiaravano due cartelli: uno che recitava appunto, “Casa Kennington” e la sua postilla, “Qui comandano le donne”), e Denise allungò una mano per accarezzare la testa della figlia.
-         Daisy, credo che ora tu debba lasciare il tuo amico.
La gattina arrossì e guardò timidamente Iron negli occhi. – Ciao. – Mormorò.
Lui spostò lo sguardo sulle proprie scarpe. – C-ciao.
Silver sospirò. – Dai, Roy, dobbiamo andare a casa. La mamma ci aspetta per pranzo.
Il riccio staccò bruscamente la mano da quella di Desirée. – Scusa, papà. – Mentre i due palmi si separavano fra di loro brillò una fiammella minuscola, che sparì rapidamente come era apparsa davanti agli occhi di Denise.
La donna era convinta di aver superato quella fase della pazzia dove si hanno le allucinazioni, e credeva a quel che aveva appena visto, ma allo stesso tempo non ne era sicura. Né Aster né Silver avevano dato segno di aver notato quel fuoco in miniatura che si era acceso e spento a velocità record.
 
Poco dopo, mentre preparava il pranzo, decise che la cosa migliore era parlarne con la diretta interessata. D’altronde non avevano mai fatto mistero dei poteri che la bambina sembrava avere. Ne parlavano con la stessa naturalezza con cui a casa di Silver si parlava di telecinesi.
Perciò si affacciò in salotto, dove i tre bambini stavano guardando i cartoni animati. – Daisy? Vieni un secondo? – Chiamò. La gattina apparve sulla soglia, con aria scocciata.
-         Mamma, è appena iniziata Peppa!
Denise sorrise fra sé, pensando che era a un’età in cui perdere una puntata di Peppa Pig era ancora il problema più grosso. – Un minuto, tesoro. Devo chiederti una cosa.
Si piegò sulle ginocchia per trovarsi alla stessa altezza della figlia.  – Ascolta, Desi….Prima, quando hai lasciato la mano di Iron…Perché hai fatto quella fiamma? Gli volevi fare male?
-         No! – Le guance della bambina diventarono subito rosse. -  Non gli volevo fare male! E non l’ho fatta io! Beh… - Guardò in basso. – Non solo…L’ha fatta anche lui…L’abbiamo fatta insieme….
-         E perché?
-         Perché….non lo so. – Rialzò gli occhi per incrociare i suoi. – Però era un perché bello!!
Denise avrebbe voluto farle altre domande, ma fu interrotta dallo squillo del telefono. – Aster, vai tu?
-         Certo amore! – Sentirono i passi del gatto che si avvicinava all’apparecchio e rispondeva. – Pronto?
Il suo tono cambiò subito. Da allegro diventò subito cupo.– No. No, certo che no. Forse. Devo parlarne con Denise. Certo. Sì. Ciao. – Riattaccò e si avvicinò alla moglie, con aria tesa e rabbiosa.
-         As? – Denise si alzò e gli prese una mano. – Chi era?
-         Un attimo. – Il gatto guardò la figlia. – Daisy, vai a guardare i cartoni, piccola.
La bambina annuì e arretrò. Quando scomparve Aster rialzò gli occhi.
-         Insomma, As, chi era?
-         Mio padre – rispose lui con voce atona. – Lui e mia madre sono in città, e vogliono vedere i bambini. Devo dar loro una risposta.
-         Oh. – Il padre di Aster non era mai stato un tipo così divertente da incontrare. L’ultima volta lo avevano visto alla nascita dei gemelli, quattro anni prima, e non si erano lasciati in modo molto amorevole . – Cosa pensi di fare?
-         Non lo so. Credo che chiamerò Meike e le chiederò cosa ne pensa lei.
-         Sai cosa ti dirà, vero?
-         Sì… - Mestamente, Aster ritornò al telefono, facendole cenno di seguirlo. Denise lo guardò comporre il numero e spiegare alla sorella la situazione. Dopo pochi secondi, si staccò precipitosamente la cornetta, da dove uscivano suoni acuti e furibondi,  dall’orecchio. – Okay, okay, Mè, ho capito, ciao. – Riattaccò. – Sì, ha detto esattamente quel che mi aspettavo.
-         E cosa volevi aspettarti, scusa? Ricordati cos’è successo l’ultima volta. – Quando i genitori di Aster erano venuti in visita per conoscere i bambini, Meike aveva quattordici anni, e aveva urlato al padre tutto quello che un’adolescente avrebbe potuto urlare. E alla fine di tutte le urla, in breve, aveva dichiarato che non avrebbe più voluto vedere suo padre. Secondo il modesto parere che Denise riteneva di poter esprimere, non aveva tutti  i torti. – Quindi? Cosa dirai ai tuoi?
-         Non lo so. – Il gatto si passò una mano fra i capelli. – Davvero, non lo so.
 
-         Lo sai cosa gli dico io a questo? Io gliene dico di tutti i colori! Ma si può?
Roxy succhiò un sorso di frappé dalla cannuccia del suo bicchiere. – No, Mè, non si può.
-         Ma io….Ma questo….Ma questo è scemo! Ma puoi? Io non lo farei avvicinare a dei bambini a più di mezzo chilometro di distanza, lo capisce o è completamente rincoglionito?
Meike sbatté la mano sul tavolo della cucina per accompagnare le proprie parole. L’echidna sospirò. Aveva chiamato la sua migliore amica perché la aiutasse con il computer, e l’aveva trovata in una crisi di rabbia tale che aveva preferito invitarla a casa sua e lasciarla sfogare, prima che mettesse le mani sul monitor e glielo sfasciasse definitivamente. Lei le era praticamente piombata in casa, bestemmiando qualcosa a proposito di suo padre, ed era stato compito di Roxy costringerla a stare ferma. Così adesso erano lì, sedute in cucina, davanti a due bicchieri di frappé che ondeggiavano ancora per il terremoto che la gatta aveva scatenato mentre le spiegava, con frasi colorite, che suo padre voleva incontrare i nipoti e lei non glielo avrebbe permesso per nessuna ragione al mondo.
-         Cosa diavolo avrà in testa, segatura? E anche Aster, che mi chiede cosa ne penso. Ma cosa vuole che ne pensi? Te lo ricordi com’era finita l’ultima volta, no?
-         E  come faccio a non ricordarmelo? – No, non poteva certo scordarselo. Non di un momento in cui la quattordicenne Meike le era piombata in camera esattamente come adesso. All’epoca, essendo così legate, era stato naturale che la gatta arancione si rifugiasse da lei. E una volta lì, le era praticamente scoppiata a piangere fra le braccia. E Roxy non poteva darle torto. Lei, ogni volta che aveva rivisto il padre dopo il loro secondo spostamento dalla Norvegia alla città attuale, si era presa botte su botte. E quando abitavano insieme…Meglio non ricordare quella parte. Era quindi perfettamente naturale che lo volesse tenere lontano dai suoi nipoti. – Mi hai allagato la stanza quel giorno, Merry.
-         Ecco appunto. Non voglio che ricominci tutto daccapo per Daisy, o Lou…O Em…. – La ragazza riccioluta bevve d’un fiato tutto il frullato rimasto nel suo bicchiere, che poi calò sul tavolo di botto. – Sa, io non ero venuta qui per lamentarmi teoricamente. Avevi qualche problema pure tu, o sbaglio?
-         Ma figurati. Sai che qui ti puoi sempre sfogare.
-         Sì ma so anche che posso anche farti da consulente informatico. – Si alzò. – Allora dimmi, qual è il problema?
-         E va bene…. – Anche l’echidna si alzò. – Vedi, il mio portatile sta facendo un sacco di casini…
Cinque minuti dopo erano sdraiate sul letto matrimoniale, davanti al piccolo computer di Roxy.
Meike parlava e parlava di come sistemare il problema, aprendo e chiudendo icone sullo schermo occupato dall’occhio di Sauron, e l’echidna annuiva fingendo di capire. Era sempre stato così, fin dalle elementari. Memé era la tipa pratica, razionale, che organizzava tutto anche se poi faceva casini lo stesso e prendeva dieci di informatica. Roxy era l’artista, la sognatrice, che viveva nel suo piccolo mondo su una nuvoletta rosso sangue (il colore l’avevano deciso insieme: erano troppo fan di manga sanguinolenti per preferire il rosa) e amava disegnare anche quando non era opportuno. Ad accomunarle erano, oltre al fatto di essere state cresciute entrambe dai fratelli, la passione per il Signore degli Anelli, cresciuta quando avevano dieci anni o giù di lì, e per manga e anime come aveva insegnato loro Denise. E anche il fatto di essersi conosciute fin dall’asilo aiutava. Insomma, erano inseparabili.
In quel momento si stavano comportando di nuovo da adolescenti impazzite, insultandosi e ricordandosi la reciproca ignoranza, quando sentirono  aprirsi la porta. Roxy scese dal letto con un balzo e si affacciò nell’ingresso seguita dall’amica. – Dodge, sei tu?
Era Dodgeball, ma non era solo. Alle spalle del riccio Tails sbirciava la scena, rosso come un peperone per qualche strano motivo.
-         Ciao tesoro….Scusa se piombo in casa così, ma visto che il tuo pc non funzionava ho pensato di portarti un tecnico.
-         Ma che strano, anch’io avevo avuto la stessa idea. – L’echidna si voltò verso la gatta, che ( ma perché poi?) era rossa in volta quasi quanto la volpe e cercava di sistemarsi i riccioli disastrati dal rotolarsi sul letto con lei. – Meike mi stava giusto spiegando come fare, ma non credo di averci capito granché.
-         Questo perché sei un’idiota. Tails, mi daresti una  mano a sistemare quel maledetto arnese? Così me ne vado e non vedo più questa brutta faccia per un po’. – La ragazza assunse un’aria sbruffona, mentre l’altro pareva interdetto.
-         Ma…certo! Senz’altro! Dov’è il computer?
I due “smanettatori”, come li definiva Dodge, si sistemarono sul tavolo della cucina mentre i padroni di casa preparavano il caffè.
- Novità, Ro? – Chiese il riccio cercando il barattolo dello zucchero.
- Niente di buono… - Sussurrò lei passandogli il barattolo. – Ha chiamato mio fratello.
- E…?
- Dice che hanno scoperto il potere di Itza. Stamattina lei faceva crescere una piantina solo toccandola mentre Iron muoveva la terra come da noi. – Tirò su col naso e si voltò dall’altra parte.
- E allora? Non vedo perché ti debba preocc…Aspetta…..Tu hai parlato con Tikal , non con Knuckles, vero? – Dodgeball sospirò e la prese per le spalle, costringendola a girarsi verso di lui. – Non devi farti attaccare le preoccupazioni da lei. Non c’è niente di cui aver paura, okay? E’ un potere come un altro. Come il mio. Capito?
Roxy annuì e alzò la testa. – Grazie. – Disse con un sorriso, e lo baciò leggermente sulle labbra.
-         Eeeee voi due piccioncini! Non siamo costretti a vedervi , sapete? Potete anche svolazzare un po’ più in là.
La voce era ovviamente quella di Meike, che insieme a Tails aveva alzato la testa dal monitor. I due fidanzati si staccarono, ridendo.
-         Questa è casa nostra, ti ricordo. – Disse il riccio sedendosi sul tavolo.
-         Se vi pago l’affitto ve ne andate?
-         Naturalmente – rispose Roxy con un ghigno. – Ma non prima di…Tu-Sai-Cosa.
-         Oh, giusto. La Cosa Che Non Deve Essere Nominata. Quand’è che la renderete nota al grande pubblico?
-         Molto presto. – Le due ragazze si scambiarono un ghigno privato. Di tutto il gruppo, solo tre persone erano a conoscenza di ciò che avevano in mente, e quelle tre persone erano sedute in quel momento in quella cucina con una volpe assolutamente ignara.
-         Si può sapere di cosa state parlando? – Chiese infatti Tails, girando lo sguardo dalla gatta alla coppia e viceversa.
-         Certo. Ma fra un po’. – L’echidna sorrise fra sé. – Devono prima saperlo alcune persone con più diritti, e poi lo diremo a tutti quanti.
-         Sempre che prima queste persone dai tanti diritti non vi uccidano! – E i tre cospiratori scoppiarono a ridere, mentre Tails sorrideva in modo vacuo, chiedendosi cosa mai fosse successo….E perché li facesse ridere tanto.


Ci ho messo un sacco a scrivere questo capitolo e lo so. Chiedo venia. E' stato un periodo piuttosto complicato. Ma comunque....Ora sono di nuovo qui con i miei capitoli inutili =D e sono tornata aprendo un sacco di domande. Del tipo....
Cosa significa quella fiamma fra Daisy e Iron? Perché il padre di Aster vuole vedere i suoi figli? Cosa mai nasconderanno Roxy e Dodgeball?
Roxy: *saltellando* io lo so, io lo so!
Ma grazie che lo sai, lo stai nascondendo tu! Uff....Bene, ragazzi, ora vi lascio, e mi raccomando ancora, se vi è piaciuto il capitolo, recensite! Ciao ciao!
Ro =)

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Capitolo 6
*** Thanks for my child ***


Chi non rideva invece era Amy. Anzi, non aveva assolutamente voglia di ridere.
La ragione era davanti a lei in quel momento: una montagna di tovaglioli di carta e resti di salsa, che stava a poco a poco invadendo il tavolo.
Sonic era riuscito a convincerla a organizzare un pranzo “solo hot-dog”, e fin lì non aveva avuto niente da ridire.  O quasi. Il vedere i suoi due figli riempirsi di salsa a vicenda non era stato uno spettacolo così piacevole, ma poteva sopportarlo.
E infatti lo aveva sopportato, almeno finché Sonic non era scappato via, trascinandosi dietro i bambini con la scusa di fare una corsetta. Lasciando, ovviamente, tutti i piatti sporchi lì dov’erano.
Sospirando, la riccia si diresse verso la sua occupazione per, probabilmente, le due ore seguente, ma lo squillo del telefono la distrasse. Felice di avere una scusa per ritardare il momento di pulire, si affrettò a rispondere.
-         Casa Rose?
-         Ames, sei tu? Sono Denise.
E chi altro poteva essere? Amy cominciava a pensare che a casa della bionda pagassero più soldi in bolletta del telefono che non in cibo. Erano tre o quattro giorni  che non la sentiva, comunque, da quando l’aveva chiamata per parlarle di suo suocero che stava combinando casini e dei figli di Knuckles e Silver che ne stavano combinando di più.
- Salve, Deni, com’è?
- Non c’è male, ho abbandonato a sé stessi mio marito e i bambini.
- Beata te…. – Sospirò Amy incastrando il telefono tra la spalla e l’orecchio e iniziando a lavare i piatti. – Sonic ha lasciato un disastro in questa casa e se ne è uscito coi ragazzi.
- Voglia di fare zero, vero?
- Già. Qualche novità sul fronte padre di Aster?
La sentì sbuffare nella cornetta. – Vuoi scherzare? Sempre allo stesso punto sono. As è lì lì per chiamare i suoi e dirgli di passare a trovarci, poi lo comunica a Meike e lei gli urla in faccia. Sostiene che dev’essere pazzo a lasciarlo avvicinare a Desi, Em o Lou.
-         E tu che ne pensi?
-         La verità? Per me ha ragione lei. Non voglio quel gatto nemmeno a venti chilometri dai miei bambini. Me lo ricordo ancora come veniva a scuola As, tutto lividi e ferite.
-         Ma magari è cambiato. Non mi hai detto tu stessa che non lo vedi da quattro anni e l’ultima volta non ha fatto nulla?
-         Sì, però…..E’ difficile scordarsi certe cose. – Ci fu una pausa. – Cambiamo argomento, Ames, ti va?
-         Okay. Ad esempio mi piacerebbe capire perché mi hai chiamata.
-         Ah giusto. Beh, vedi, si da il caso che io abbia vinto a non so più che concorso quattro biglietti per lo spettacolo della scuola di danza della città. I posti sono per due adulti e due bambini. Ora, è meglio che eviti di portarci mio marito, quindi…Ci verreste tu e Misa?
-         Fantastico…- Amy ricordava che Cream, che prendeva lezioni in quella scuola, le aveva parlato dello spettacolo di fine anno, ma ammetteva che le era passato di mente. - Grazie dell’invito, Deni, penso proprio che verremo. Ma, hai provato a chiamare anche le altre?
-         Certo. I biglietti  non costano neanche poi tanto, avremmo potuto farci una serata tra donne. Ma Blaze dice che Beverly piuttosto di guardare della danza classica si chiuderebbe nel congelatore, e Tikal non vuole perché Itza è troppo piccola per apprezzare. E Rouge non ha figlie da portarsi dietro.
-         Oh…E le ragazze? Cream sarà nello spettacolo, ma le altre due?
-         Ho tentato anche con loro, ma ora come ora è impossibile parlare insieme a Meike, e quando ho chiesto a Roxy se sarebbero venute anche senza bambine dietro è scoppiata a ridere e non ha smesso per un quarto d’ora. Quella ragazza è abbastanza su di giri, ultimamente.
-         D’altronde non è che suo fratello sia mai stato meglio.
-         Questa era buona, Rose, davvero buona!
-         E smettila….
Andarono avanti a punzecchiarsi finché la pila di piatti sporchi non fu quasi esaurita, e un millisecondo dopo aver chiuso la chiamata Amy si rese conto di aver dimenticato di chiedere a Denise due o tre cose fondamentali: dov’era lo spettacolo, quando era, a che ora. Sogghignò.
Mai una volta che riuscisse a concludere una telefonata con la riccia senza scordarsi qualcosa…E senza ridere.
 
Knuckles tirò un sospiro di sollievo. Era riuscito a spingere Tikal fuori di casa, subito dopo il pranzo, perché distogliesse il pensiero da ciò che era successo alcune mattine prima. Le aveva messo in braccio Itza e gentilmente, ma con fermezza, l’aveva invitata a farsi un giro e a distrarsi. Erano giorni che vagava per la casa con gli occhi persi. Ancora un po’ e sarebbe impazzita.
E lui ancora non capiva perché si comportasse così. Era vero, anche lui era preoccupato dall’idea della sua piccolina con qualcosa di “strano”, ma da lì a uscire di senno…
Stava quasi per rilassarsi, quando  qualcuno bussò alla porta. “Se è tornata indietro…” Pensò.
Ma non era Tikal. Era Roxy.
L’echidna si sorprese. Non sentiva la sorella da quando l’aveva chiamata per comunicarle la novità su Itza. Cosa ci faceva lì?
-         Salve, ragazzina. Come mai questa improvvisata? – Disse aprendo la porta.
-         Una non può venire a trovare suo fratello quando vuole? – Replicò lei entrando con un saltello.
A Knuckles spuntò un sorriso sulle labbra. Era sempre la solita. Letteralmente.
Come ogni volta da mesi, indossava abiti larghi tre o quattro volte lei, una tuta da ginnastica che sicuramente non era uscita dal suo armadio. Evidentemente godeva del fatto di avere un ragazzo alto almeno una spanna più di lei. – Comunque, cosa diavolo ci fai qui?
-         Mi serve un libro che ho lasciato in camera. Posso andare a prenderlo?
-         Certo.
La seguì con lo sguardo mentre saliva con passo pesante le scale che portavano alla sua vecchia stanza e sogghignò di nuovo. Era davvero, sempre, la solita Roxy, delicata come un elefante e sempre pronta a chiedere il permesso per fare qualcosa. La rivedeva ancora, una ragazzina di dieci anni che usciva di casa correndo con il suo skateboard e poi ritornava in lacrime perché un ragazzo più grande l’aveva spinta giù dalle piattaforme…Nell’adolescenza l’aveva portata più al pronto soccorso che non alle feste, anche se preferiva dimenticare quella parte….
Roxy tornò giù, scivolando sul corrimano, e gli si parò davanti. Knuckles sbirciò il titolo del libro che stringeva fra le mani. Leggende romantiche di Mobius.- Che ci devi fare  con quello?
-         Niente d’importante. – Si guardò intorno. – Tikal? Itza?
-         Sono in giro. Hai bisogno di loro?
-         Oh, no, no…- D’improvviso appariva nervosa. – Knux, devo dirti una cosa.
-         Sentiamo.
L’echidna nera lo guardò, con un sorrisetto. – Io…sono incinta.
Knuckles sbarrò gli occhi. – Tu… - Rimase un attimo interdetto, poi scosse la testa come per svegliarsi e parse capire solo allora cosa aveva detto. – Tu sei cosa?
-         Incinta. Aspetto un bambino. – Fece una pausa. – Da Dodgeball.
-         E certo. – All’echidna rosso girava la testa. – Voi…Voi due…Ma siete impazziti?! Di quanto sei?
-         Quasi quattro mesi. Dovrebbe nascere verso Natale.
-         Ah, fantastico! Quindi ti ritroverai a diciotto anni ragazza madre?
-         Non sarò una ragazza madre, caro il mio fratello. – La voce di entrambi si era alzata di tono. – Sarò una MAMMA. Punto. La mamma di un bambino che avrà un papà come tutti gli altri.
-         E chi ci assicura che non se la darà a gambe?
-         Oh, per l’amor del cielo! – Roxy sbuffò. – Lo sai benissimo che Dodge non è  il tipo. Lo sai tu e lo so io. Lui vuole questo bambino tanto quanto me.
-         E tu lo vuoi?
La ragazza si aprì in un lieve sorriso. – Sì. Francamente non vedo l’ora che nasca. E’ abbastanza complesso essere incinta, anche se il piccolo è un mezzosangue.
-         Un….che?
-         Mezzosangue. Il dottore mi ha spiegato che se il bambino è un misto di due razze diverse, ad esempio di un riccio e un’echidna, la gravidanza ha alcune differenze. Ad esempio non viene la nausea nei primi mesi. Per questo non vi siete accorti di niente.
-         Vero. Quindi, è per questo che vesti così largo…voglio dire….
-         Sì – rise lei.  – E’ per la pancia. Non si vede ancora granché, ma non volevo che lo scoprissi prima che te lo dicessi io. Dopotutto sei il primo a cui lo diciamo… - Ci rifletté un attimo su. – Beh, forse il secondo. Scusa, ma quando ho visto Meike subito dopo averlo saputo…
-         Non sei riuscita a tenere la bocca chiusa. – Si ricordava benissimo come fossero le conversazioni fra ragazze, soprattutto se si parlava di quella ragazza che era sua sorella.
-         Già. – Roxy alzò le spalle.
-         Bene. Wow. – Knuckles scosse la testa. Era ancora abbastanza intontito dalla novità, ma cercava di non darlo a vedere. – Sapete già cos’è? Maschio, femmina, altro…
-         Non si è ancora lasciato vedere. Dodge vorrebbe un maschio, io una femmina. E’ sempre così. Ma io sono sicura che la mia piccola Kay sia qui dentro che se ne nuota tranquilla.
-         Kay?
-         Sì. Dodgeball mi lascerà scegliere come chiamarlo. Dice che nella sua famiglia non sono bravi a dare i nomi ai bambini. – Il fratello si ritrovò ad ammettere che era un pensiero quasi ovvio da parte di qualcuno che aveva il nome di un gioco con la palla. – Comunque, il nome lo sceglierò io, e voglio che inizi con la kappa. Come te. – La ragazza sorrise.
-         Eddai, sorellina, così mi commuovi. – Neanche Knuckles poté fare a meno di sorridere.
-         Finalmente ci riuscirei, dopo quattordici anni che ci provo. – Inaspettatamente, Roxy gli saltò al collo. – Oh, Knux, sono così contenta! Avrò un bambino!
-         E sarà anche un gran bel bambino, se somiglierà alla sua mamma. – L’echidna le accarezzò la schiena. – Ora, saresti così gentile da smettere di strozzarmi? Non vorrai che….”Kay” resti senza zio.
-         Hai ragione. – La nera sciolse la stretta e lo guardò con un sorriso gigantesco. – Ora devo scappare, ho detto a Dodge che sarei tornata in fretta.
-         Ah, ecco, come mai non è venuto qui anche lui?
-         Gli ho detto io di stare a casa. Avevo paura che ti saresti sconvolto tanto da prendere a pugni qualcuno. E visto che non toccheresti mai la tua sorellina e il tuo nipotino….
-         Oh, andiamo, faccio così paura?
-         Puoi giurarci. – Roxy si alzò sulla punta dei piedi e gli diede un piccolo bacio sul naso, per poi scappare fuori dalla porta. – A presto….Zio Knuckles!
-         Vai, vai. – Sogghignò lui. La porta si chiuse con uno SLAM degno di una bomba atomica, e l’echidna rimase solo a godersi il sapore della buona notizia. La sua Roxy. La sua sorellina….incinta. Si rendeva conto di doverlo dire a Tikal, e in quel momento non sapeva cosa gli sarebbe uscito dalla bocca, se insulti o allegria. Scosse la testa e decise che, prima di tutto, ci voleva un sorso di birra per trovare la calma.
Mentre si dirigeva verso la cucina, chiunque gli si fosse trovato vicino l’avrebbe sentito sussurrare: “Zio Knuckles…..Bah”.
 
Non si capiva chi fosse più allegro quella sera, se le bambine o le madri.
Amy e Denise si tenevano a braccetto, ridendo come se fossero ancora due ragazzine, mentre Misa e Desirée erano irrefrenabili. Sgomitavano, si spingevano, correvano ovunque si posasse la loro attenzione…Almeno finché non crollarono per la stanchezza in braccio alle mamme.
Lo spettacolo era stato un successo. Tutti gli allievi della scuola di danza, dalle bambine di tre anni fino ai ragazzoni di venti o più, avevano ballato insieme dietro un telo bianco, in modo che si vedessero solo giochi di ombre. Le quattro erano rimaste affascinate.
Cream ne era uscita affaticata ma entusiasta. Avrebbero voluto proporle di tornare con loro, ma poi avevano visto Charmy farsi avanti con un mazzo di fiori in mano e si erano dileguate con una scusa.
E ora tornavano a casa in quattro come erano partite.
L’abitazione più vicina era la villa di Sonic ed Amy. Le due ricce madri si fermarono lì davanti, ognuna con la figlia in braccio. Non riuscivano a esaurire l’argomento della conversazione, ovvero “come badare a dei figli gemelli”.
-         E quando sono uguali, poi…Uh!Santiddio! Nessuno li distingue mai! Mi tocca comprare tutto doppio.
-         Almeno son dello stesso sesso….Questi due hanno litigato dal primo momento in cui si sono visti.
-         Perché, Em e Louis no? – Denise guardò l’orologio. – Diamine se è tardi! Ames, devo andare, Aster si starà chiedendo dove diavolo sono finita.
-         Già, anche mio marito. – Amy si passò Misa ad appoggiarsi sull’altra spalla. – Beh, buonanotte, Deni. Grazie di averci invitato.
-         Non c’è di che. Al primo squillo, coccodrillo!
-         Come? Oh, già…A tutte l’ore, alligatore! – E così salutandosi, si volsero le spalle e si diressero ognuna verso casa propria.
Misa si svegliò non appena sua madre ebbe messo piede in casa. Si stropicciò gli occhi, mentre Amy contemplava la scena che aveva davanti: Sonic e Shinichi addormentati sul divano, in uguale posizione, con davanti la tv accesa e una ciotola di popcorn. Russavano persino a ritmo.
La riccia toccò piano la spalla del figlio, che si svegliò intontito. – Su, bambini, adesso andate a lavarvi e poi a letto. E’ tardi.
-         E’ finito il film? – Mugugnò Shin.
-         Sì – mentì lei, coprendogli la visuale dello schermo. I due bambini si diressero lentamente e un po’ ciondolanti verso le loro stanze. Amy era quasi sicura che non si sarebbero lavati neanche un po’, ma…pazienza.
Si chinò sul riccio blu che ancora ronfava beatamente e lo baciò lieve sulle labbra. Lui borbottò.
-         Mmh…No prof, non stavo dormendo, ho sentito tutto.
Amy sorrise. – Su, Hedgehog….La lezione è finita.
Sonic aprì gli occhi e sorrise a sua volta nel vedere la moglie. – Peccato che sia finita…Una prof così è una delizia per gli occhi.
-         Ti risulta che tutte le professoresse bacino i loro alunni?
-         No, ma nessun alunno è come me. – E così dicendo la attirò fra le sue braccia sul divano, dove finirono per baciarsi appassionatamente.
D’un tratto tutto si fece buio. Le luci, il televisore, tutto si spense lasciandoli nell’oscurità completa.
Dal piano di sopra giunse una voce furibonda.
-         Misa, e  che cavolo! E mo come lo trovo il mio letto?
-         Non urlare, stupido! Tanto il tuo letto lo trovi ogni notte a occhi chiusi!
I due genitori scoppiarono a ridere. – Ha il senso dell’umorismo, quella bambina. – Mormorò Sonic.
- E’ tutta suo padre, in questo.
- Grazie al cielo.
La riccia rosa avvertì una mano che piano piano le sfiorava la schiena sotto il vestito. – Dici che dovremmo arrischiarci a cercare il nostro letto, con questo buio?
-         Nah….E’ meglio restare qui, bimba. Non voglio chiudere gli occhi tanto presto.
Mentre si lasciava andare ad un altro bacio, Amy pensò con un sorriso che forse avere una figlia dotata di poteri non era così male….Ogni tanto.


....Ehm......TA-DAH!
Roxy: -.- tu mi usavi come strumento per la suspence?
Sì ^^"
Roxy: SEI UN'IDIOTA.
Grazie lo so u.u comunque.....Esattamente! Ho risposto ad almeno una delle domande lasciate nell'ultimo capitolo u.u e il capitolo com'è uscito?
Roxy: PESSIMO. Come sempre.
Lo zo ç_ç ma spero che qualcuno lo apprezzi. Soprattutto una certa persona che non può recensire ma a cui ho lasciato il momento Sonamy....Prime, quello era tutto per te! :3
Bene, dopo questa, mi rimetto a voi sperando che se mi recensirete non mi  tirerete niente (pomodori? Banane? Mattoni?)...
A presto!
Ro =)

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Capitolo 7
*** Papa don't take no mess ***


Qualche giorno dopo, l’intera truppa femminile si ritrovò a casa di Rouge davanti a una tazza di tè. Non avevano in programma altre rimpatriate fra sole donne, ma la pipistrella aveva tirato fuori la scusa che nessuna delle altre aveva ancora visto la sua casa e perciò le aveva invitate tutte. E dopo i canonici giri della villa (che come grandezza non aveva nulla da invidiare a quelle di Silver e Blaze e Sonic e Amy), erano finite come sempre a fare pettegolezzi.
La novità del bambino di Roxy fu al primo posto per gran parte del discorso.
-         E tuo fratello come l’ha presa? – Chiese Blaze. L’echidna sorrise da sopra la sua tazza.
-         All’inizio non tanto, ma poi si è addolcito. Sai che in fondo-molto in fondo-ha un cuore tenero. -  Si girò verso Tikal. – Scusa se non ho aspettato te ed Itza per dirlo, ma ero talmente nervosa che avevo paura di non avere più il coraggio di parlarne.
-         Non preoccuparti. Vedere la faccia di Knuckles quando ci ha dato l’annuncio mi ha ripagato di tutto.
-         Perché, com’era? – Si incuriosì Rouge.
-         Devastato. – La risposta le fece scoppiare a ridere tutte.
-         Comunque, Roxy – riprese il discorso Denise – sapete già che cos’è?
-         Non ancora. Non si lascia vedere. Ma io voglio una femmina a tutti i costi.
-         E se è un maschio? – Chiese  Amy.
-         Allora Dodge dovrà darsi una mossa e ricominciare la produzione. – Nuova risata collettiva.– Non scherzo! Io voglio una bambina!
-         Ah ma non farti tante illusioni, le bambine non sono più facili da gestire dei maschietti. – Sospirò Denise. – Bada solo a non farne due in una volta, è un disastro.
-         Ha ragione – confermò Amy. – Io adoro Shin e Misa, ma ci sono stati dei momenti quando erano appena nati in cui avrei voluto fonderli e farli diventare uno solo.
-         Eh sì, perché tu non avevi…quanti anni quando hai avuto i gemelli? Non molti più di me – si incuriosì Roxy.
-         Ne avevo diciannove, sì.
-         Fantastico! Posso tirarti in ballo, se Knuckles ricomincia con la sua storia del “hai solo diciotto anni, non andrà a finire bene” eccetera eccetera?
-         Se proprio vuoi… - Rispose la riccia sogghignando.
-         Se serve cita anche me, avevo la stessa età quando è nata Beverly.
-         Giusto, Blaze, me l’ero quasi dimenticata. Grazie.
-         Comunque, tornando al discorso di prima, fai un figlio per volta – disse Denise. – Non so come ho fatto a resistere fin qui con due pesti come Em e Lou.
-         Uh, a proposito – commentò Rouge. – Ci sono novità riguardo al padre di Aster? Mi avevi detto che voleva incontrare i suoi nipotini. Avete poi deciso?
Meike poggiò sul tavolino la propria tazza, incrociò le braccia e fissò ostentatamente lo sguardo  sul muro. La riccia bionda le diede una rapida occhiata, poi sospirò.
-         Sì, abbiamo deciso. I genitori di As verranno a casa nostra dopodomani.
-         Follia – borbottò la gatta arancione.
-         Non sei costretta ad esserci, Meike. Te l’ho detto. Nessuno ti obbliga a vedere i tuoi genitori, se non vuoi.
-         Ma vorrai scherzare?! – La giovane si alzò in piedi. – E’ ovvio che  ci sarò, si tratta anche dei miei nipoti. Quello là bisogna tenerlo d’occhio.
Calò un silenzio imbarazzato, rotto da Roxy che tirò l’amica per la maglietta. –Siediti, Mè.
La gatta riprese posto sul divano fra lei e Cream. – Che c’è? Te l’ho detto, si tratta dei miei nipoti. Tu faresti lo stesso per Itza.
-         Non ne dubito, ma stai traumatizzando il tuo nipote qui – e l’echidna si tamburellò la pancia con le dita.
Meike sembrò placarsi. Denise sogghignò fra sé: quelle due erano abbastanza amiche da riuscire a calmarsi a vicenda ogni volta.
La gatta si rivolse alle altre donne. – Ha detto che posso essere la sua madrina!
-         Sul serio? – Fu il commento stupito di Rouge. La gatta era molto giovane per fare la madrina.
-         Già – confermò Roxy. – Ho organizzato tutto per bene: il primo avrà lei e Knuckles, il secondo Cream e Silver, il terzo Tikal e Charmy. E avanti così.
-         Non state correndo un po’ troppo? – Rise Amy. – Siete solo al primo.
-         Vogliamo una grande famiglia, visto che cominciamo presto. Tre è solo il numero base.
-         E…Knuckles è al corrente di questo progetto? – Si informò Tikal.
-         Ovviamente no. Gli verrebbe un infarto. – Tutte risero. Si interruppero quando videro il piccolo Night che si avvicinava a loro, sporco di grasso.
-         Mamma?
-         Che c’è tesoro? – Chiese Rouge.
-         Papà ha detto che gli serve una chiave inglese, ma non riesco a trovarla. Dov’è?
-         Nella cassetta degli attrezzi, Night. Nel ripostiglio. E’ un bastoncino lungo con una specie di pinza e un buco.
-         Oh. – Il bambino aggrottò la fronte. – Pensavo fosse nel cestino delle chiavi. – Scappò via, seguito dalle risate delle donne.
-         Che stanno facendo? – Chiese Blaze.
-         Shadow ha ritirato fuori la sua vecchia moto, quella del liceo. Credo che voglia ricominciare ad andarci.
 
Shadow era più felice che mai. Non ricordava di aver più messo mano alla moto da quando aveva diciannove o vent’anni, e adesso che aveva incontrato persino i suoi vecchi amici del tempo gli era venuta voglia di tirarla di nuovo fuori. Sperava di contagiare il figlio con la sua passione. Night non sembrava ancora molto interessato a quel mezzo di trasporto, anzi ne era quasi spaventato Ma forse era ancora troppo piccolo. Aveva ancora quell’età in cui le moto, le macchine e le cose simili fanno paura, finché non ci si saliva sopra.
Il riccio era inginocchiato di fianco al suo vecchio cavallo a motore, ma alzò lo sguardo quando sentì entrare il figlio. Night barcollava sotto il peso dell’intera cassetta degli attrezzi.
-         Papà, non sapevo quale chiave prendere!
Shadow sorrise e gliela tolse dalle mani. – Sei stato bravissimo. Credo che le userò un po’ tutte. – Prese il bambino da sotto le ascelle e lo piazzò sul sellino della moto. – E questo vecchio arnese tornerà a funzionare come nuovo.
I piedi del piccolo riccio non toccavano il pavimento, e lui si reggeva sulla motocicletta in diagonale sul cavalletto con un certo nervosismo, stringendo il manubrio. – Secondo me cade.
- Ma no, stai tranquillo, si regge benissimo.
- Secondo me cade – ripeté il bambino. Aveva un tono impaurito. – Papà, posso scendere?
- Uh, oh, certo.  –Shadow era sbalordito, ma lo aiutò a tornare con i piedi per terra. – La proveremo un’altra volta sulla strada, okay?
Night annuì lentamente, poi lo guardò incuriosito. – Cosa devi fare con la chiave inglese?
Il riccio, felice che quell’attimo di nervosismo fosse passato, gli fece cenno di avvicinarsi. – Vieni a vedere. – Si inginocchio nel punto dove si trovava prima e il figlio lo imitò, anche se lui notò che si teneva a una certa distanza dal mezzo.
Shadow prese una chiave inglese dalla cassetta e iniziò ad armeggiare sotto la moto. – Ho controllato prima, e c’è una guarnizione che non reggerebbe se provassi a guidare su strada. Poi ci saranno altre riparazioni da fare, e dovremo ridipingerla, perché è un po’ scrostata, ma prima di tutto dovremo togliere quell’affare. Avresti dovuto vederla, Night. Avevo qualcosa come dieci anni più di te quando l’ho presa, e filava come il vento.
-         Sei mai caduto quando la guidavi?
-         No, certo che no, ero bravo. Ma perché oggi ti preoccupano tanto le cadute? Stai bene?
-         Sì, sì. Cosa dobbiamo fare poi con la guaranizione?
-         Guarnizione, giovanotto. Guarnizione. Comunque, dovremo toglierla. Ah, ecco! – Si udì un sordo tlack e Shadow tirò fuori un piccolo pezzo di metallo. – Poi dovremo cercarne una nuova e sostituir…
-         Attento, papà!
Fu un attimo. Night con una forza insospettabile lo spinse via ed entrambi caddero poco più in là, mentre la moto oscillava e rovinava per terra a sua volta. I due ricci si tirarono a sedere e si guardarono, il più piccolo spaventato, il più grande sbalordito.
-         Tu….come facevi a sapere che sarebbe caduta? – Balbettò Shadow.
-         Non lo so, io, io avevo un come si dice, un peresentimento che cadeva, l’ ho vista che cadeva e…e non volevo che ti cadeva addosso! – Piagnucolò il bambino. Sembrava sull’orlo delle lacrime e del panico, un fatto assolutamente nuovo. Night di solito sfoderava l’orgoglio di suo padre. – L’ho vista, papà, l’ho vista che cadeva!
-         Ehi, ehi, calma. – L’adulto gli si inginocchiò davanti e gli accarezzò la testa, cercando di restare presente a sé stesso. L’aveva “vista”? – Va tutto bene. La moto non ci è caduta addosso, non è successo nulla.
-         Io l’ho vista che cadeva – ripeté il riccetto. Mentre lo osservava asciugarsi gli occhi, Shadow notò che si era sbucciato almeno un gomito e un ginocchio, finendo per terra.
-         Okay, okay, stai tranquillo. Ora  che ne dici di andare a medicare quelle ferite? La moto può aspettare.
Night annuì e prese la mano del padre. Mentre uscivano dal garage, Shadow si disse di non preoccuparsi di ciò che diceva di aver fatto suo figlio e dell’idea che tentava di formarsi nella sua mente. Night non aveva predetto visto un bel niente. Era solo terrorizzato dalla moto, e nella sua immaginazione il più piccolo movimento del mezzo gli aveva fatto credere che stesse per cadere. E solamente PER CASO la moto era caduta davvero. Non era il caso di preoccuparsi…
Però, come diceva Night, aveva il peresentimento che fosse il caso.
 
Denise si impose di restare calma, mentre si legava i capelli in una coda davanti allo specchio, che le rifletteva l’immagine di una riccia tesa e preoccupata. Doveva tranquillizzarsi, prima che arrivassero i genitori di Aster.
Si ripeteva di essere una donna adulta, ormai, di non dover avere più paura di nessuno, ma non riusciva a convincersi. Non l’avrebbe ammesso mai con nessuno, ma ogni volta che rivedeva il suocero si sentiva ancora come una ragazzina di quattordici anni chiusa in una stanza col suo ragazzo e il padre di lui infuriato:terrorizzata.
Uscì dalla camera da letto e si diresse in salotto, dove la aspettava il resto della famiglia. Meike e i bambini occupavano l’intero divano, mentre Aster era appoggiato al muro, con la sua solita aria da dannato con i capelli sugli occhi. Il gatto le venne incontro con un sorriso.
-         Ehi, tesoro, non essere così agitata. E’ solo una riunione di famiglia. – Scherzò, ma anche lui aveva un’aria preoccupata.
-         Sono calmissima - mentì la riccia, sorridendo a sua volta ,  ben consapevole che non era un sorriso convincente.
-         Oh, certo. – Aster la strinse a sé e le sussurrò in un orecchio: - Ascolta, Deni, sono nervoso anch’io. E ti capisco. Ma se ci facciamo vedere così dai bambini, loro capiranno che c’è qualcosa che non va,  si agiteranno e sarà peggio. Ti prego  sorridi e stai tranquilla. Pensa positivo come sempre, pensa che potrebbe essere cambiato. Fallo per me.
-         Ci proverò – rispose lei con lo stesso tono, e gli diede un leggero bacio sulle labbra.
-         Ehi, ehi, niente spettacoli del genere, ci sono dei minori – li ammonì Meike con un sogghigno. I tre bambini risero, ma si interruppero sentendo suonare il campanello. La gatta inarcò un sopracciglio e lanciò un’occhiata al fratello, ma sembrò costringersi a restare calma. – Ci starebbe bene un “Lui è qui” da film fantasy.
-         Smettila, Mè. – Aster si sciolse dall’abbraccio e uscì dalla stanza. Denise cercò di mostrare un sorriso più convincente e si rivolse ai figli. – Bambini, sono arrivati i nonni.
-         Che gioia – borbottò Meike. La riccia avrebbe tanto voluto mandarle un messaggio telepatico (“Smettila che spaventi i piccoli”) ma per fortuna Daisy, Em e Lou non avevano sentito, presi com’erano dal saltare giù dal divano.
Aster tornò, seguito da due figure familiari. Denise allargò il proprio finto sorriso, ma si accorse  con la coda dell’occhio che la gatta non l’aveva imitata, anzi aveva un’espressione ancora più corrucciata mentre si alzava. Decise di non badarci e tornò a osservare i suoceri.
Non erano molto cambiati dall’ultima volta che li aveva visti. Gary somigliava molto al figlio, con il pelo bianco e gli occhi color ghiaccio, ma era più massiccio (ora che stava invecchiando aveva anche una gran pancia) e portava i capelli rasati a zero, invece che lunghi e arruffati come Aster. Di fianco a lui sua moglie, Svetlanyka (un nome impronunciabile che lei e Meike avevano sempre abbreviato in Svenja ) sembrava minuscola. Era una gatta bassa, con i capelli biondo ramato che cominciavano a ingrigire e gli occhi verde acqua, e come sempre dalla prima volta che Denise l’aveva vista, scrutava preoccupata il marito sperando che non si infuriasse di nuovo, ma fece un largo sorriso quando vide la nuora.
-         Denise, come sei cambiata! Ti trovo bene, cara, molto bene.
-         Anche tu sei sempre splendida. – Le due si abbracciarono, ma Denise sapeva che entrambe mentivano. Lei non era cambiata affatto, e Svenja aveva sempre l’aria spenta di un fiore appassito. Ma non era necessario dire certe cose ad alta voce.
-         Papà, questi sono i vostri nipoti – disse Aster. – Loro sono Desirée , Emmett e Louis.
-         Sono cresciuti – considerò suo padre, abbassando appena lo sguardo. Poi puntò gli occhi su Meike. – E anche qualcun altro è cresciuto, vedo.
-         Ciao. – La gatta lo fissò duramente, incrociando le braccia. Liberò i capelli ricci dall’elastico in cui erano trattenuti e li scosse, mostrandone la nuvola arancione. Era un chiaro gesto di sfida, e Gary strinse le labbra: aveva sempre intimato alla figlia di tagliarsi i capelli. – Dov’è la divisa da poliziotto, pà?
Il gatto adulto non rispose , ma si voltò verso il figlio con un falso sorriso sulle labbra. – Vivete ancora insieme, voi?
-         No, Meike ha una casa sua adesso. – Rispose Aster.
-         Oh. Con un…ragazzo?
-         No, pà. – Meike fece un passo avanti e si fermò davanti al suo naso. – Nessun ragazzo resta in casa mia per più di qualche giorno.
Questa era una provocazione bella e buona, e Svenja cercò di interromperla. – Andiamo, tesoro, non scherzare – disse mettendo una mano sulla spalla della figlia.
-         Non sto scherzando. – La ragazza fissò il padre negli occhi. – Non sto assolutamente scherzando.
Denise si rese conto di quanto stesse diventando pericolosa la situazione. Gary fissava la gatta arancione con espressione furiosa, stringendo i pugni, come se cercasse di controllarsi. I bambini si erano raccolti intorno alle gambe della madre, probabilmente perché avvertivano anche loro quella tensione, mentre Aster e sua madre erano in disparte, lei tesa e preoccupata, lui vigile e pronto a intervenire.
Ma nonostante tutto, decise di essere lei a intervenire. Aster era troppo drastico, perché per quanto imponesse alla sorella di stare calma, odiava anche lui il padre. Una  volta tanto, si fidava più di sé stessa che del suo calmo marito.
-         Credo che sia ora di un bel caffè – disse intromettendosi fra di loro – Meike, Svenja, verreste ad aiutarmi? Credo che dovrò fare diverse caffettiere.
La gatta adulta sorrise, grata della scusa per uscire, e afferrò la mano della figlia. – Certo.
Denise le trascinò via e chiuse la porta della cucina. Non appena sentì il clak della serratura, si girò verso la cognata. – Memé, ma sei impazzita? Ci manca solo che sia tu a farlo incazzare, oggi! Non dargli una scusa per alzare le mani!
-         Mi dispiace – borbottò la ragazza, con le braccia incrociate e gli occhi fissi sul pavimento.
Svenja sospirò. – Non dovete preoccuparvi per lui – disse con il suo sottile accento norvegese – è cambiato, non picchia più nessuno da anni. – Denise avrebbe voluto crederle, ma la donna si rifiutava di guardarla negli occhi mentre pronunciava quelle parole. Che stesse mentendo?
Meike pareva avere lo stesso dubbio. – Come faccio a crederti? – Chiese, alzando la testa ( non più di tanto: le superava entrambe in altezza ) e fissando la madre.
-         Cosa?
-         Come faccio a credere a quello che mi stai dicendo? Come posso fidarmi di TE?
-         Ma…Meike, come ti permetti!
-         Mi permetto finché voglio! Fin da quando ero piccola non hai fatto altro che mentirmi! Quando ero bambina, era tutto un ripetere “stai tranquilla tesoro, non lo farà più, è l’ultima  volta”. Poi siamo partiti, e tu mi dicesti che non ci avrebbe mai seguito in Norvegia. E quando invece lo fece, ricominciasti con “ oh, è cambiato, non alzerà più un dito”, e ora siamo qui, lui è nell’altra stanza ed è tutto ricominciato daccapo! Ti ha picchiato ancora, non è così? Ti picchia da allora!
-         Meike, come osi! Sono tua madre!
-         Tu non sei mia madre! – Urlò la giovane, fuori di sé. – Denise è stata mia madre più di quanto lo sia stata tu! Lei e Aster mi hanno cresciuto come avrebbero dovuto fare dei genitori, senza picchiarmi o mentirmi!
Denise si morse le labbra, dandosi della stupida. Cercando di mettere fine a un litigio ne aveva fatto iniziare un altro, e questo la riguardava in prima persona. Le cose che Meike stava dicendo per lei erano stupefacenti, ma per Svenja dovevano essere terribili. La donna aveva gli occhi spalancati e lucidi, le labbra tremanti.
-         Meike, per favore, basta… - Cercò di fermarle la riccia.
-         No! – La ragazza aveva le lacrime agli occhi a sua volta, come se le avesse rattenute insieme a quelle parole per troppo tempo. – Deve capire come mi sono sentita! Per ogni singolo istante degli ultimi quattordici anni, ho odiato lei e mio padre per avermi messo al mondo in mezzo a tutte quelle bugie. Non sono la mia famiglia!
-         Tesoro… - Mormorò Svenja. - Min kjære...Datter min….(Tesoro mio…Figlia mia…)
Meike scosse la testa, in una nube di riccioli arancioni, al sentire quelle parole nella sua lingua. - Jeg er ikke din datter. Ikke nå lenger. (Non sono tua figlia. Non più.)
Denise sbarrò gli occhi. Conosceva abbastanza il norvegese da capire le loro parole, ed esse suonavano come una condanna definitiva. Guardando ora l’una ora l’altra gatta, aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu interrotta da un grido proveniente dall’altra stanza. Alzò di scatto la testa, insieme alle altre.
Un bambino. I suoi bambini.
Con Meike alle calcagna (Svenja rimase dov’era, piangendo e fissando il muro come se non potesse credere a ciò che aveva sentito ), si precipitò in salotto e rimase basita vedendo la scena che le si presentava davanti.
Aster stava tenendo bloccate le braccia del padre, costringendolo a stare fermo contro un muro, mentre lui fremeva di rabbia e digrignava i denti, fissando un punto di fianco al divano. Seguendo il suo sguardo, Denise vide che dietro al bracciolo si erano nascosti i suoi tre figli, appiccicati l’uno all’altro pieni di paura. Sulla guancia di Louis si stava formando il segno rossastro di un ceffone.
Fissò prima Aster, poi Gary, poi si voltò verso Meike. La ragazza aveva lo sguardo vacuo, freddo, come se tutto ciò fosse qualcosa che si era aspettata, ma che la colpiva lo stesso nel profondo.
-         Non voglio saperne niente – mormorò la gatta.
Poi, prima che chiunque potesse fermarla,  uscì dalla stanza, aprì la porta d’ingresso e se la sbatté alle spalle, mentre correva via dalla casa.


Sia lodato San Crispino. Ce  l'ho fatta.
Okay, scusate per il ritardo. Ho avuto non pochi problemi, fra scuola e ispirazione, a andare avanti, e la prossima volta cercherò di aggiornare più in fretta. Sempre sperando che a qualcuno importi ancora di questa storia oltre che a me, e che non mi boccino ( cosa alquanto probabile ).  Chissà. Si vedrà :)
Intanto vi saluto. Per favore, recensite! ç_ç
Ciao ciao!
Ro =)

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Capitolo 8
*** Raindrops keep fallin' on my head ***


Meike corse e corse, fino a non sentire altro che i tonfi dei piedi sull’asfalto e il battito sordo del cuore nel petto. Mentre correva, piangeva, e le lacrime le riempivano le guance.
Andò avanti fino a che non ce la fece più, poi si lasciò cadere su una panchina scrostata e si raggomitolò su sé stessa. Non sapeva nemmeno dove fosse, ma non gliene importava niente.
Continuò a piangere, con la fronte appoggiata alle braccia che stringevano le gambe.
Si sentiva la testa in tumulto. Non era il semplice sfogo di un’adolescente contro i suoi genitori, come tanti, oh no. Era di peggio.
Aveva odiato i suoi davvero. Le balle della madre e le botte del padre l’avevano ferita sia dentro che fuori. Da bambina e da ragazzina li aveva odiati, ma ora? Li detestava ancora?
Suo padre sì, senza dubbio. Se anche aveva pensato per un attimo che potesse essere cambiato, ora si dava della stupida. Era sempre lo stesso. Ma sua madre? La sua mamma? Lei, la odiava?
Un po’. Non riusciva a darsi una risposta migliore. Aveva rinunciato a lottare, nonostante avesse due figli che dipendevano da lei. Però ci aveva provato, no? All’inizio. Non molto, ma aveva provato a difendersi. Solo che poi ci aveva rinunciato. Ecco, non sapeva davvero cosa pensare della madre.
Era così persa in questo miscuglio di domande e mezze risposte da non accorgersi che non tutta l’acqua che la stava bagnando veniva dalle sue lacrime. Si era messo a piovere, no meglio, a diluviare. Il solito temporale estivo inaspettato. Non si era nemmeno resa conto di essere fradicia, né che c’era qualcuno davanti a lei.
-         Meike? Stai bene? – Era Tails. Sotto un ombrello. La volpe aveva un’aria preoccupata.
-         Oh…Ciao Tails…. – La ragazza si schiarì la voce, quando si rese conto di averla così rauca. – Sì, credo…Credo di sì. Sto bene.
-         Sicura? Hai…Hai l’aria di una che ha pianto per secoli.
Per qualche ragione tutta quella preoccupazione la fece infuriare. Chi era lui per farsi gli affari degli altri? – Sto bene, okay? – Esclamò schizzando in piedi. Lui si ritrasse intimorito.
-         Okay, okay…Stavo solo….Cercavo solo di aiutarti…
La rabbia della ragazza si sgonfiò in fretta com’era venuta. In quegli occhi azzurri c’era davvero preoccupazione. All’improvviso le venne di nuovo voglia di piangere. – Scusa, è…E’ una giornata di merda.
-         Vedo. – Tails le tese la mano libera. – Ascolta, non so se posso fare qualcosa per aiutarti, però non voglio lasciarti qui sotto la pioggia. Ti verrà un accidente. Posso riaccompagnarti a casa?
-         Penso…Penso di sì. – Meike tastò intorno al suo fianco e sulla panchina bagnata. – Merda. – Disse fra sé.
-         Che succede?
-         Ho lasciato la borsa a casa di mio fratello.
-         Oh, capito. Vuoi che andiamo da…
-         Non posso andare da lui. E’ lì tutta la merda di questa giornata. Capito? – Sentì che si stava di nuovo innervosendo e si costrinse a calmarsi. Tails non era tenuto a sopportare tutti i suoi sbalzi d’umore.
-         Capisco. – La volpe si strinse nelle spalle, facendo dondolare la borsa da lavoro che aveva a tracolla. – Beh, magari penserai che sono pressante, ma se non hai un posto migliore dove andare, vorrei che venissi a casa mia. Non è il massimo,ma almeno è asciutta.
Meike ci rifletté su un attimo. Effettivamente, posti migliori dove andare non ne aveva. E poi Tails era un amico. Si stava comportando davvero gentilmente. Non era una brutta idea.
-         Okay – disse alla fine. – Sempre se non rompo….
-         Ma va. Sono sempre solo in casa.
-         Andata.
La gatta si infilò sotto il suo ombrello e lo seguì. Mentre camminavano, rimasero più che altro in silenzio. In realtà nessuno dei due sapeva cosa dire. Non erano mai stati molto legati, vuoi per la grande intelligenza di Tails che lo separava sempre un po’ dagli altri ragazzi, vuoi perché avevano due gruppi di amici diversi, insomma, si conoscevano troppo poco per cominciare una conversazione. Però in quel momento Meike era molto grata della compagnia, anche se notava che le guance del ragazzo erano stranamente rosse…Si chiese come mai.
Camminarono a lungo, fino alla periferia della città, finché non capitarono davanti a una piccola casa sbilenca. – Siamo arrivati – disse Tails.
Meike la guardò incuriosita. Sembrava costruita in due mondi diversi. La metà di destra era moderna, di cemento, mentre quella di sinistra era stata costruita alla buona, con travi di legno.
La volpe la guidò verso la metà di destra, aprendole una porticina. – Benvenuta a casa Prower – scherzò.
Beh, chiamarla “casa” era un po’ esagerato. Era più che altro un’unica stanza. In un angolo c’era un letto con le coperte buttate all’aria, nel mezzo un divano e un televisore, separati da un tratto di pavimento pieno di fogli di carta scarabocchiati, e all’angolo opposto una minuscola cucina con in mezzo un tavolo di legno sormontato da una pianta in vaso. Su questa stanza si aprivano tre porte, di cui una era quella di ingresso.
-         Mettiti comoda – disse Tails chiudendo l’ombrello. – Anzi, anche se suona un po’ ridicolo, fai come se fossi a casa tua. Anche se… - La squadrò da capo a piedi – Ti servono dei vestiti asciutti?
Meike abbassò lo sguardo sui suoi abiti. Erano fradici. Una piccola pozza d’acqua si stava formando intorno ai suoi piedi. – Oh.
-         Sì, direi che ti servono. – Il ragazzo arrossì e le indicò una delle porte. – Vai di là, io..ecco..ti porto qualcosa da metterti.
La gatta annuì e si infilò dove lui le aveva indicato. Era un piccolo bagno, dove si sfilò la maglietta e i jeans bagnati e li lasciò cadere a terra.
Dopo pochi minuti, la porta si aprì di pochi centimetri e una mano si infilò dentro, reggendo alcuni vestiti che finirono anch’essi a terra. – Fai con calma.
Meike scovò un asciugamano e si strofinò sommariamente i capelli e la pelliccia, poi si infilò gli abiti di Tails. I bermuda e la maglietta dei Transformers le andavano piuttosto larghi, ma pazienza.
Uscì dal bagno a piedi scalzi e trovò la volpe intenta ad accendere il fornello sotto un bollitore. – Ho pensato di preparare un po’ di tè – disse a mò di spiegazione.
-         Hai pensato bene. – La ragazza si sedette al tavolo di cucina. Cadde un altro momento di silenzio, durante il quale non trovò di meglio da fare che giocherellare con le foglie della pianta. Non en aveva mai vista una simile. Tre grandi foglie si aprivano alla base, mentre una specie di piccolo bocciolo si trovava proprio nel mezzo. – E’ molto bella – mormorò tanto per dire. – Dove l’hai trovata?
Tails appoggiò una tazza sul ripiano, più bruscamente di prima. – Me l’ha data…un’amica – borbottò. La gatta non sapeva cosa avesse detto di così sbagliato, ma decise di non insistere. Si limitò a prendere la sua tazza quando lui gliela porse, e bevvero insieme in silenzio per qualche minuto. Poi fu la volpe a riprendere il discorso.
-         Dimmi…Cosa facevi in giro con questo tempaccio? -  Non appena ebbe pronunciato queste parole incrociò lo sguardo scazzato dell’altra e si affrettò a continuare. – Voglio dire, so che non sono affari miei, però non mi sembra la giornata ideale per andarsene in giro o….starsene seduti su una panchina….
Meike sospirò. – Ho avuto….dei problemi con la mia famiglia.
-         Tuo fratello?
-         I miei genitori.
-         Pensavo fossero in Norvegia.
-         Senti, ma a te che te ne frega? – Sbottò lei, dando una manata sul tavolo – Okay, ti ringrazio per avermi ospitato e dato dei vestiti asciutti e tutto il resto, ma se io non avessi voglia di raccontarti ogni fottuto briciolo della mia vita?
-         Il punto è che hai voglia. –Tails le mise una mano sulla sua, contatto che li fece arrossire entrambi. – E se anche non ne avessi voglia, ne hai bisogno. Tenersi tutto dentro non fa bene.
-         E tu che ne sai?
-         Stai tranquilla che ne so.
E andò a finire che gli raccontò tutto. Non appena aprì bocca, la gatta cominciò a parlare senza praticamente prendere fiato e non riuscì più a fermarsi. Non era mai riuscita a dire tutto in una volta cosa provava, nemmeno a Roxy, ma adesso lo stava facendo.
Tails la ascoltò in silenzio, e quando lei terminò, ansante, le strinse la mano che ancora teneva. – Hai visto? Va meglio ora?
-         Sì – ammise lei. – Va molto meglio.
-         Bene. Funziona parlarne, sai? Io mi tenevo dentro tutto, e ogni giorno era peggio.
-         E’…successo qualcosa di brutto anche a te?
Lui distolse lo sguardo. – Un po’ di tempo fa, sì.
-         Ne vuoi parlare?
-         Suppongo che te lo debba, dopo che tu ti sei confidata con me. Giusto?
-         Possibile. – Meike girò la mano e stavolta fu lei a stringere la sua. – Se però non vuoi…
-         No, hai ragione. Bisogna che ne parli anch’io, prima o poi. – Prese fiato, poi continuò.
-         Vedi, qualche tempo prima che tu venissi qui per la prima volta, quando eravamo piccoli…Io, Sonic e gli altri ci ritrovammo a combattere contro dei nemici, i Metarex. Con noi c’era anche un ragazzino umano, Chris….E Cosmo, che invece era una Seedrian.
-         Una…Seedrian?
-         Una pianta che cammina e parla. Probabilmente non ne hai mai vista una, lei era l’ultima della sua specie a quell’epoca. Aveva la mia stessa età ed eravamo….molto amici.
-         Eravate innamorati?
-         Chi può dirlo? Sì, probabile. Dopo aver passato tanto tempo insieme, forse lo eravamo. Comunque, ti risparmio tutta la storia. In sostanza durante la battaglia finale contro questi Metarex Sonic e Shadow non riuscivano a sconfiggerli, e Cosmo aveva questo potere che invece le avrebbe permesso di riuscirci, così……si sacrificò. – Tails continuava a parlare con voce atona, gli occhi fissi sulla pianta, come se stesse solo riportando ciò che era successo senza provare sentimenti. Doveva essersi abituato a quel dolore, pensava Meike, in…quanti erano? Quattordici, quindici anni? – Più di preciso esplose,e, in un modo che non so, spedì migliaia di semi della sua specie in tutto l’universo. E a me di lei è rimasto solo un seme, quello di questa pianta.
-         E’…è una storia molto brutta – mormorò lei. Intuiva che la volpe non le avesse raccontato tutto, ma andava bene così. Non voleva mica costringerlo. – Pensi spesso a lei?
-         Fino a poco tempo fa sì…Però ultimamente ho conosciuto un’altra ragazza, e adesso riesco a pensare più spesso a lei e a conservare Cosmo come un ricordo.
Meike si chiese da dove venisse quella velocissima fitta di gelosia che aveva provato. Tails era rimasto solo per un sacco di tempo e poteva essere solo felice che finalmente avesse trovato qualcuna….no? No?
Un bip ripetuto li tirò entrambi fuori dai loro pensieri. Tails si alzò di scatto e attraverso la stanza di corsa. – Finalmente!
-         Finalmente cosa? – Meike si alzò a sua volta e lo seguì. Il ragazzo si era inginocchiato vicino al mucchio di fogli di carta e ora ci frugava dentro, alla ricerca di qualcosa. – Che succede?
-         Ma dove cazzo….Ah! – Con un verso di trionfo, Tails estrasse dal cumulo un computer portatile, acceso. – Ecco! I parametri!
-         Che parametri? – La gatta gli si sedette di fianco, interessata come sempre a ogni questione informatica.
-         I parametri relativi alla zona del fiume Mercury e a quelle circostanti.  Risultati dalle analisi dei satelliti, riscontri delle onde radio….
-         Anche analisi del suolo?
-         Già. – Tails si mise a ticchettare freneticamente sui tasti. – Da qualche tempo nessuno di questi parametri è più in regola.
-         Come mai?
-         Non lo so. E’ come se ci fosse un campo di forza che devia le onde radio e allo stesso tempo cambia le caratteristiche del territorio. Volevo andare a fare una ricognizione oggi che pioveva e non ci sarebbe stato nessuno al fiume, ma poi…
-         Ma poi hai incontrato me e ti ho sballato tutti  i piani. – Meike gli appoggiò la testa sulla spalla, gli occhi sempre fissi sullo schermo. – Vorrà dire che quando smetterà di piovere ti accompagnerò lì. Sarò la tua schiava fedele.
E non notò, o finse di non notare, quanto diventarono rosse le guance di Tails a quella proposta.
 
Blaze si ripromise di spedire i bambini a casa degli zii la prossima volta che avesse piovuto nel bel mezzo dell’estate.
L’intero pomeriggio era stato un disastro. Prima Beverly e Iron avevano deciso di fare a botte in camera da letto ( ovviamente aveva vinto Bev: Roy era più piccolo e aveva ereditato la capacità di combattere corpo a corpo di Silver, ovvero una capacità praticamente inesistente), dopodiché dopo essere stati costretti a fare la pace si erano separati. Adesso il minore faceva più fracasso di prima, chiuso in camera con un trenino elettrico, mentre Beverly era semplicemente appoggiata al davanzale della finestra a guardare la pioggia che cadeva.
In realtà Blaze era un po’ preoccupata per la figlia. La gattina era sempre stata più seria e tranquilla del fratello, anche se più coraggiosa. In questo somigliava più che altro a lei che non a Silver. Ma negli ultimi tempi sembrava essersi chiusa ancora di più in sé stessa. E la madre non voleva sbagliare, ma questo era cominciato a succedere più o meno nei giorni in cui avevano scoperto del potere di Iron.
Fu con questi pensieri che le si avvicinò sorridendo. Doveva finalmente capire il perché di questo cambiamento. – A che pensi tesoro?
-         Penso – fu la laconica risposta. Beverly non aveva nemmeno distolto lo sguardo dalla finestra.
-         Oh. E….sono pensieri belli o brutti?
-         Non lo so.
-         Capisco.
Ci fu una fase di silenzio, e Blaze stava quasi per rinunciare al suo intento, ma poi fu proprio la figlia a ricominciare.
-         Mamma?
-         Sì tesoro?
-         Tu e papà siete arrabbiati per quella cosa che ha fatto Roy con la terra?
-         Cosa? – La gatta spalancò gli occhi, poi si affrettò a continuare. – Oh, no, no, Bev. Non siamo affatto arrabbiati. E’ solo…un potere in più, come quelli che sapevate già di avere. – Si sentiva sollevata dal fatto che il problema fosse solo quella preoccupazione…Ma era davvero solo quello?
-         Oh. – Seguì un altro minuto di silenzio,poi: - Quindi non c’è niente di male ad avere quei poteri?
-         No, piccola. Assolutamente no. – Adesso le stava crescendo un sospetto, un sospetto a cui non avrebbe voluto dare voce. – Perché me lo chiedi?
Beverly non rispose, ma si limitò a fissare ancora la finestra. Blaze seguì il suo sguardo e rimase paralizzata.
Le gocce di pioggia sul vetro non scivolavano in verticale come al solito, ma seguivano il contorno del viso della bambina, lasciando uno spazio vuoto al centro, come un oblò. Un oblò fatto apposta per lei.
O da lei.

Okay. Qui c'è un sole che spacca le pietre e io faccio piovere. Senza senso.
Questa settimana per una volta non ho niente da dire...Anche perché scopro oggi se mi bocciano oppure no, quindi su quel fronte non ho novità.
A presto!
Ro =)

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Capitolo 9
*** Sleep tonight ***


-         Dodgeball? Cribbio, Dodge, svegliati – disse Silver.
La solita storia. Una riunione fra uomini, dove finalmente ci si poteva divertire lontano da mogli e fidanzate, e il suo fratellino non si godeva proprio niente. Di più: si addormentava.
Tutti i compagni, riuniti intorno al tavolo a casa di Shadow, scoppiarono a ridere mentre il giovane riccio apriva gli occhi e alzava la testa dal tavolo, cioè da dove era crollato poco prima sulle braccia conserte.
-         Che hai fatto ieri sera, ragazzino? – Chiese Sonic fra le risate. – Sei andato a farti due pinte di birra?
-         Oppure la tua ragazza ti ha tenuto sveglio tutta la notte con le sue voglie da donna incinta? – Rincarò Aster. – Denise lo faceva sempre.
-         Tikal ha passato metà della gravidanza a dirmi che aveva voglia di  kebab. Gesù! Non ho dormito per almeno quattro mesi. – Aggiunse Knuckles.
-         Nah, magari fosse solo quello. – Dodgeball si stirò. – Fra parentesi ci sono delle giornate in cui straccia i maroni a parlarmi della sua voglia di Nutella, ma la notte dorme. Cioè, dormiva. Questa gravidanza la sta facendo penare. Ha sempre dolori alla schiena e alla pancia, e anche se il dottore dice che è normale quando il bambino cresce, non mi convince. Cribbio, è solo al quinto mese! Non mi ricordo che Blaze fosse stata così male quando aspettava i suoi.
-         Effettivamente… - Ammise Silver. Non voleva dirlo, ma era piuttosto preoccupato per la sua piccola cognata, e ancor di più doveva esserlo Knuckles. – Va bene, allora sei perdonato. Stai lì e prova almeno a stare sveglio, però, diamine, e non scassare.
-         E chi scassava? Sei tu che svegli la gente che dorme in pace.
-         Taci.
-         Su, su, calmi. Datevi una regolata o non vi porto le birre. – Cercò di placarli Shadow.
-         Uuuuuh, che minaccia.
-         Stai zitto, As.
Dopo che le lattine di birra furono arrivate sul tavolo, la conversazione cambiò argomento.
-         Ehi, Aster, com’è andato l’incontro con i tuoi? – Chiese Sonic.
Il gatto sospirò. – Male. Uno schifo. Non si è trattenuto un cazzo e ha colpito Lou. Li ho buttati fuori di casa entrambi, ma intanto Meike se n’era scappata… - si voltò verso Tails - ….a casa sua.
-         Oh-ohhhhh Tails, hai fatto colpo?
-         Ma no, certo che no – disse la volpe, arrossendo. – E’ solo che l’ho incontrata sotto la pioggia, non aveva l’ombrello e le chiavi e allora l’ho ospitata. Non pensare subito male, Sonic.
-         Se se, tu non me la racconti giusta.
-         Stai zitto.
-         Oi, gente – si intromise Knuckles – sapete chi ho incontrato l’altro giorno mentre ero al mercato? Quel coglione di Scourge! Aveva dietro una bella bionda e due ragazzini. Qualcuno sapeva che fine avesse fatto?
-         Lo sapevo io. – Era stato Aster a parlare. La sua voce era diventata strana, atona. – Avete presente quando vi ho detto che la sorella di Denise si era fatta mettere incinta da un tizio e che se lo era sposato?
-         Sì, ma che centra?
-         Quel tizio era Scourge. Hanno avuto un bambino e si sono sposati e credo che stiano anche bene insieme, visto che hanno avuto un’altra figlia qualche anno fa, ma non li vedo spesso. I genitori di Deni non hanno buoni rapporti con loro.
-         Santa miseria – commentò Knuckles. Tutti gli altri si erano ammutoliti. – Come mai non ce l’hai mai detto?
-         Era importante  che lo sapeste? No. Non è una parte di famiglia di cui io e Deni andiamo molto fieri, sai com’è.
Ci fu un momento di silenzio alquanto imbarazzato, poi Sonic prese la parola. – Okay, ragazzi, non ci credo che quel vecchio pirla di Scourge sia riuscito a farci incazzare persino dopo secoli. Dimentichiamo questa storia, vi va?
Tutti mormorarono il loro assenso, in cerca di un argomento con cui cambiare quello del momento. Shadow bevve un sorso dalla sua lattina, poi la puntò verso Silver. – Dì un po’, Silv, ho saputo che anche tua figlia si è unita alla banda dei poteri.
Il riccio argentato sospirò. – Purtroppo sì. Ha fatto non pochi giochini con l’acqua in questi giorni. Spostarla, lanciarla in giro…Il punto è che era da diverso tempo che sapeva di avere questo potere, ma non l’avevamo mai notato perché ce lo teneva nascosto. Aveva visto quanto ci fossimo preoccupati per quello di Roy e aveva paura che ci arrabbiassimo. Quella bambina è imprevedibile.
-         Tutta suo padre – biascicò Dodgeball fra uno sbadiglio e l’altro.
-         Senti chi parla.
-         Quindi ora siamo già a un bel numero – disse Aster interrompendo la discussione dei due fratelli. – Chi manca ancora?
-         Beh, abbiamo i due di Silver, quella di Knuckles, Misa, la tua Daisy, Ni…No, nulla. – Shadow si era bloccato di colpo nel pronunciare il nome del figlio.
-         Che c’è Shadz? Night ha fatto qualcosa di strano? – Chiese Sonic.
-         No, no, niente. Non ha fatto…niente.
-         Se lo dici tu….quindi mancano lui, il mio Shin e i due gemelli di Aster. E non so più se dobbiamo preoccuparci.
-         Se non lo sai tu, che ti sei tenuto informato per tutto questo tempo…- Cominciò Knuckles, ma fu interrotto da Charmy.
-         Io magari non ne capisco niente, ma non penso  che dovremmo preoccuparci. Voglio dire, Eggman non ha più fatto nulla dopo che vi ha iniettato quella porcheria, e questi assurdi poteri non hanno provocato nessun danno. Può darsi che quello stupido dottore volesse solo combinarvi qualche brutto scherzo e non ci sia riuscito.
-         Sai che speriamo tutti che sia così, ragazzo – disse Aster in tono filosofico – lo sai.
 
-         La prossima volta faccio restare incinto a Dodgeball, lo giuro su tutto!
-         Ro, lo sai che quando parli così sembri completamente ubriaca?
-         Non potrò ubriacarmi fino a dopo Natale, Mé, dimmi come faccio.
Cream scosse la testa. – Ti correggo, Meike, non sembra ubriaca. Sembra completamente fatta. E tu anche.
-         Grazie, ragazza mia.
La coniglia sospirò. Non sapeva nemmeno perché fosse ancora lì ad ascoltare quelle due fuori di testa, ma c’era. E si stava anche divertendo.
Erano tutte e tre accampate sul letto matrimoniale di Roxy. La padrona di casa era appoggiata su quattro o cinque cuscini, e le altre due si ritrovavano a sopportare le sue lamentele da donna incinta.
-         Come va la schiena? – Chiese Meike.
-         Come al solito. Passami quella Nutella.
La gatta le allungò il barattolo, e Roxy ci intinse un Ringo. Cream capiva le voglie da donna incinta, ma non come l’amica potesse mangiare così tante schifezze.
-         Ma il medico non ti ha dato una dieta da seguire? – Chiese.
-         Scherzi? Dice che devo mangiare di più. Che ho troppo poca pancia per essere di sei mesi, ed è per questo che ho così male alla schiena.
-         E tu ci credi?
-         Nah. Però, visto che mi da la scusa per mangiare così…- E intinse un altro biscotto nella Nutella.
La coniglia sogghignò. Non poteva aspettarsi nient’altro da quelle due, se non follia e cibo spazzatura.
Non erano mai state davvero amiche per la pelle. Sì, si conoscevano, ma solo perché i loro fratelli maggiori e simili erano amici, non per altro. Soprattutto quando erano adolescenti e loro erano abituate a combinare disastri insieme, mentre lei si faceva più matura e usciva con quelli della sua età o più grandi, come Charmy. Fra l’altro avevano avuto tutte gusti piuttosto diversi, una volta cresciute. Meike e Roxy erano (ed erano sempre state) noncuranti degli abiti che indossavano o della moda, mentre la coniglia girava in minigonna e top fin dalle medie.
Però adesso erano quasi adulte. Cominciavano ad andare più d’accordo. E poi Roxy era incinta. E anche se non riusciva a capire cosa ci fosse di bello nell’avere un bambino a quell’età, non voleva perdersi la possibilità di far da zia a un altro mostriciattolo.
-         Credo che anche io e Charmy avremo un bambino – commentò girandosi sulla schiena – ma più avanti. Fra molto, moooolto tempo. Non abbiamo fretta.
-         Noi volevamo avere il primo il più in fretta possibile, così ne potremo avere tanti altri.
-         Ma uno non basta?
-         Sai quanto sono stati importanti per me e Dodge i fratelli maggiori. Volevamo che anche i nostri figli potessero averne.
-         Io non voglio bambini – disse Meike, cupa.
-         Perché no, Mé?
-         Perché immaginati che nomi assurdi finirei per dare loro!
Le tre ragazze scoppiarono a ridere, poi Roxy guardo la sua migliore amica. – Non è un grosso problema. Io tanto finirò per fare lo stesso. Piuttosto, per fare dei figli ci va un ragazzo….
-         Appunto.
-         Appunto un corno! Cos’è questa storia di Tails?
-         Quale storia? – Replicò la gatta arrossendo.
-         Ah, Memé, io so tutto. Cosa avete fatto a casa sua? Eh? Eh?
-         Niente! Cosa vuoi che abbiamo fatto?
-         Da te mi aspetto tutto. Allora, cosa? L’hai cotto a fuoco lento? Oppure...fuochi d’artificio?
-         Roxy! Piantala!
-         Ah! Ti stai incazzando! Questo vuol dire che ho ragione i….Ahi! – L’echidna, che aveva cercato di sporgersi verso Meike, si ritrasse di scatto portandosi le mani alla schiena.
-         Ro! – Le altre due le furono subito attorno, preoccupate. – Che succede?!
-         Niente, niente….Le solite fitte…. – Roxy era pallida come un lenzuolo. Fece alcuni respiri profondi.
-         Dobbiamo chiamare un dottore? – Chiese Cream.
-         No, no, va sempre così, dopo un po’ passa. – L’echidna respirò ancora due o tre volte molto profondamente, poi si lasciò ricadere sui cuscini. – Ecco. Tutto….tutto finito.
-         Sicura?
-         Certo che sì. Smettetela di fare quelle facce. E’…normale.
-         Normale un cazzo – sbottò Meike – per me dovresti andare da un medico.
-         Già fatto. Ci torno una volta a settimana e continua a ripetermi sempre le stesse cose…Ormai è inutile. Se continuo con questo ritmo finirà per darmi degli antidolorifici, e non voglio prendere niente che possa danneggiare il bambino. – Si appoggiò una mano protettiva sul pancione.
-         Ma che razza di medico hai?
-         Un incompetente, Cream, definito amichevolmente stronzo a forma di opossum.
-         Sento la solita voce fine di mia cognata – esclamò qualcuno nell’ingresso. Dalla porta della camera da letto entrarono Silver e Dodgeball, quest’ultimo con la faccia da morto di sonno. Dietro di loro si vedeva fare capolino Charmy.
-         Salve, non vi avevamo sentito entrare – disse Roxy, con un enorme sorriso sul volto.
-         Il tuo futuro marito stava crollando dal sonno, così ho deciso di accompagnarlo a casa io per evitare incidenti. E anche per riaccompagnare questo sbarbato qui dietro e le tue amiche a casa loro, se vogliono tornare ora.
-         Oh, Silver, grazie. Mi sa che ho tenuto sveglio questo individuo troppo a lungo. – L’echidna allungò le braccia e le avvolse intorno a Dodge, che calò a baciarla appassionatamente. Meike e Cream si scambiarono uno sguardo eloquente.
-         Credo che accetteremo la tua offerta, Silver – disse la gatta.
 
Cream e Meike erano state stranamente silenziose mentre Silver li riportava a casa. Charmy non aveva chiesto niente alla sua ragazza, immaginando che a casa di Roxy fosse successo qualcosa di spiacevole. Non si scambiarono una parola finché la macchina non si fermò davanti al palazzo dove si trovava il loro appartamento.
-         Grazie mille, Silver – disse l’ape.
-         Di niente, ragazzi. Buona serata.
L’auto ripartì e i due si trovarono soli. Charmy mise un braccio intorno alle spalle della coniglia, che gli si raggomitolò contro senza una parola.
Quando l’ebbe finalmente accompagnata nell’appartamento, si osò a sedersi al suo fianco  sul divano e a farle quella domanda. – E’ successo qualcosa di brutto, oggi? Tu e Meike eravate…non so, strane.
-         Qualcosa del genere – rispose Cream in un sussurro. Charmy le appoggiò delicatamente un bacio sulla guancia.
-         Posso saperlo?
-         Non è che sia proprio successo qualcosa, però…- Lei si voltò e lo fisso negli occhi. – A te non sembra che siano tutti troppo calmi in questo periodo?
-         Ma di che stai parlando?
-         In tutto il gruppo ci sono bambini con poteri assurdi e i loro genitori non si preoccupano neanche un briciolo Come se fosse tutto normale. E poi c’è Roxy…
-         Ah, ecco. Spiegami cosa vi ha fatto oggi quella ragazza.
-         Non ci ha fatto niente! Però…Tu sai che quel bambino le sta dando dei problemi?
-         Sì, Dodge ci ha detto qualcosa, oggi.
-         Ecco. Le vengono strane fitte, dolori dappertutto….E lei si comporta come se stesse andando tutto alla grande. Sto impazzendo, non riesco a capire nessuno di loro. Se succedesse qualcosa a nostro figlio, credo che uscirei di testa.
-         Ma noi non abbiamo un figlio.
-         Non ancora.
-         Mi stai dicendo che vuoi avere un figlio? Perché sai che a mettere in moto la fabbrica e a produrne uno ci va un attimo.
-         Quanto sei stupido. – La coniglia gli tirò un pugno sulla spalla, ma finalmente stava sorridendo. – Non lo voglio adesso. Guarda Dodge, sta avendo un figlio alla nostra età ed è distrutto. Però, fra un po’ di tempo….
-         Capito. – Charmy le arruffò i capelli. – Va meglio adesso?
-         Un po’ sì.
-         E cosa posso fare per farti stare meglio del tutto?
Il sorriso di Cream si allargò, malizioso. – Potresti mettere in moto la fabbrica…
L’ape sogghignò. – Allora preparati, ti aspetta un turno di lavoro molto lungo…
Charmy conosceva tutti i metodi sicuri per far tornare il buonumore alla sua ragazza. Quello era uno.
Mentre la baciava si disse mentalmente che l’indomani lei avrebbe ricominciato a preoccuparsi da capo, ma ora era meglio non pensarci.
C’era di meglio da pensare.


Sono abbastanza convinta che mano a mano che vado avanti questa storia peggiori. Però non voglio fermarmi. La speranza è l'ultima a morire, no?
Roxy: e poi muori tu u.u
Metti un'ALLEGRIA...Va bene, spero che comunque non sia un capitolo così pessimo. Recensite =D a presto!
Ro =)

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Capitolo 10
*** Return to the past ***


-         Finalmente è finita! – Esclamò Denise.
Tikal la guardò, divertita. – Una decina di anni fa avresti detto il contrario.
-         Una decina di anni fa non avevo tre figli.
Agosto era passato a una velocità impressionante, nonostante il caldo terribile. E ora era arrivato il giorno più atteso dalle madri: il primo giorno di scuola.
In realtà Tikal non lo aveva atteso così allegramente.
-         Penso che starò in ansia per i prossimi sei mesi – disse a Denise mentre si dirigevano verso l’asilo, dove andavano tutti e tre i figli della riccia e, da adesso, anche Itza.
-         Tu sei in ansia ogni giorno, Tiki.
-         Ma se si trova male? Se piange?
-         Lo fanno tutti, all’inizio. E non mi sembra che tua figlia sia così nervosa.
In effetti, la piccola echidna era entusiasta dell’idea di andare all’asilo. Soprattutto da quando aveva scoperto che ci sarebbe andato anche “’Mmett”, ovvero il suo nuovo migliore amico.
Tikal sospirò. – Mi fiderò.
-         Ti devi sempre fidare di me.
-         Il problema è che ogni volta che lo faccio me ne pento.
Denise vedeva quanto la sua amica fosse nervosa, e per evitarle di tornare a casa da sola a preoccuparsi la convinse a seguirla in un bar, tentandola con una seconda colazione.
L’echidna accettò, e quello rimase il loro piano finché non ebbero consegnato i figli alle rispettive maestre. Mentre si avviavano verso l’uscita, però, la riccia udì una voce familiare chiamare il suo nome.
-         Non ci posso credere…Denise Kennington?
Le due si voltarono. Davanti a una classe poco distante, piacevolmente sorpreso, c’era Espio.
-         Ma guarda chi si vede….Kira! – La riccia bionda si precipitò a salutarlo. Tikal la seguì più lentamente, con un mezzo sorriso.
I due si abbracciarono, mentre il camaleonte si accorgeva anche di lei. – Ah, salve, Tikal.
- Salve. – Era più fredda di quanto avrebbe voluto, ma non poteva farci nulla. Lei non lo aveva mai perdonato del tutto. Non dopo che lui aveva permesso a Julie-Su di appendere la sua foto in bikini nel bagno della scuola.
- Cosa diavolo ci fai qui? Charmy ci aveva detto che eri andato a vivere altrove! – Esclamò Denise sciogliendo l’abbraccio.
- Più o meno è così. Ho girato un po’ il mondo, ma adesso sono qui. Ah, Denise, Tikal, permettetevi di presentarvi mia moglie. Amelia, loro sono due mie vecchie compagne di scuola.
- Piacere di conoscervi. – La donna che si era avvicinata era un’iguana bianca, statuaria, con gli occhi neri e vestita con un tailleur chiaramente firmato. Le altre due la osservarono sbattendo le palpebre.
- P-piacere.
- Tesoro, se non ti dispiace io vado. Ismael mi aspetta per le nove – disse Amelia.
- Ma certo. Buona giornata. – I due si scambiarono un bacio fugace, poi la donna si avviò.
- Wow, Espio, hai fatto davvero un bel bottino – commentò Denise. – Ma che ci fai qui?
- Secondo te? Sono venuto ad accompagnare le mie bambine al loro primo giorno di scuola. – E così dicendo accennò verso la classe. – Voi invece? Figli?
- Senti, sono anni che non ci vediamo e dobbiamo aggiornarci un po’. Che ne dici se invece di stare qui in piedi ce ne andassimo in un bar e le chiacchiere le facessimo davanti a un caffè?
- Okay, andata!
 
Mezz’ora dopo erano seduti intorno a un tavolino, e per qualche strano scherzo del destino, il bar era proprio quello in cui andavano da adolescenti.
-         Così voi siete rimaste con Aster e Knuckles, eh? Chissà perché ci avrei scommesso – commentò Espio.
-         Invece io non avrei mai creduto che tu avessi la vocazione del padre – disse Tikal.
-         Già, anch’io sono stato abbastanza sorpreso di essere così felice. Io e Amelia non avevamo programmato di avere figli…e quando sono arrivate, le piccole sono arrivate in due.
-         Gemelle? – Chiese Denise sorpresa. – Oh, senti, Kira, sto perdendo il filo. Racconta un po’ dall’inizio.
-         Non c’è molto da dire….Quando ho lasciato la scuola ho deciso che avrei girato un po’ il mondo. In realtà, poi, mi sono fermato in Sudamerica. Ed è stato lì che, cinque o sei anni fa, ho conosciuto Amelia. Lei faceva la modella, e io…Beh mi vergogno un po’ a dirlo, ma mi appostavo ad aspettarla dopo ogni sua sfilata. Siamo stati insieme un po’, ci siamo sposati. Poi, quando abbiamo scoperto che lei era incinta, abbiamo deciso che il Sud non era il miglior posto possibile dove crescere un bambino. Così siamo tornati negli USA, e dopo tanto girare ho pensato di venire qui. Volevo che Olivia e Penelope venissero a scuola dove ero andato io, e avere un posto fisso fa bene. Amelia ha aperto un agenzia di modelle taglie forti, e io faccio il casalingo.
-         Tu? Non ti credo neanche se ti vedo.
-         Grazie, Deni. Riconosco la tua solita fiducia.
-         Senti, Espio – si intromise l’echidna – noi siamo rimaste in contatto con tutti quelli del nostro gruppo, però…cioè, con certa gente, non abbiamo mai parlato….insomma, tu sei rimasto in contatto con Julie-Su e simili? – Avrebbe voluto fare quella domanda dall’inizio. Sapeva che era infantile, ma sapeva anche che si sarebbe sentita più sollevata se avesse  avuto la certezza che i suoi nemici di un tempo fossero tutti lontani. Magari in un altro continente.
-         In contatto è una parola grossa, ma sì, più o meno so che fine hanno fatto. Anche loro si sono sposati con i loro fidanzatini dell’epoca, tranne Scourge che…
-         Sì, sì, Scourge ha sposato una bella ragazza bionda dell’università, vai avanti, conosco questa storia – lo interruppe Denise.
Espio era stupito. – E tu come fai a saperlo?
-         Storia lunga, te lo spiego dopo. Va’ avanti.
-         Okay….beh, Sally ha sposato Monkey Khan, e hanno avuto un bambino, quest’anno. Loro vivono ancora in zona, se non ricordo male. Invece Enerjak e Julie-Su hanno avuto tre figli. Li ho incontrati mentre giravo ancora il sud. Abitano in Guatemala, o qualcosa del genere.
Tikal tirò un sospiro di sollievo, cercando di non farsi sentire. Non era proprio un altro continente, ma almeno…
-         Ma il Guatemala non è quel posto assurdo dove c’è una città che si chiama come te, Tiki? – Chiese Denise. – Non devono esserci degli abitanti molto intelligenti se accolgono Julie-Su e danno un nome del genere a una città.
-         Ah. Ah. Ah. Non fai ridere, Denise Kennington.
-         Bene, credo di dover andare. – Espio si alzò dalla sedia. – Devo fare un paio di cose a casa prima che tornino le bambine.
-         Ciao, Kira. Fatti sentire, ogni tanto. – La riccia lo abbracciò di nuovo.
-         Sicuro. Magari organizziamo una rimpatriata. Ciao, ragazze.
-         Ciao. – Quando il camaleonte se ne fu andato, le due si guardarono. – Bene, è stato un incontro inaspettato ma piacevole….no? – Disse Denise.
-         Tanto piacevole che credo di aver bisogno di un altro caffè per riprendermi.
-         Ci avrei scommesso – replicò l’altra scoppiando a ridere. – Non cambi mai Tiki. Sei tale e quale a quando avevi quattordici anni – aggiunse alzando la mano per attirare l’attenzione  di un cameriere.
-         Perché, tu credi di essere migliorata?
-         Io non migliorerò mai. Al massimo peggiorerò.
-         Che qualcuno ci salvi – gemette Tikal per scherzo, ma intanto la sua mente rimuginava: perché né lei né Deni avevano posto la domanda che sicuramente stava a cuore a entrambe? Perché non avevano chiesto a Espio se anche le sue bambine avevano mostrato qualche potere strano?
Perché fingevano che tutto quello che stava accadendo non stesse accadendo?
 
-         E ricorda sempre, Roy, scrivi sempre in due modi diversi le verifiche e i bigliettini. Così non ti scopriranno mai.
-         Dodgeball! – Lo rimproverò Blaze. – Non insegnarli queste cose fin dal primo giorno.
-         Va bene, va bene, stavo solo scherzando.
Erano nella cucina della casa di Silver e Blaze, intenti a preparare il pranzo. Il diretto interessato, il piccolo Iron,  ascoltava le parole dello zio a occhi spalancati, credendo a tutto ciò che diceva. Anche se non lo capiva.
Era stato il suo primo giorno di scuola, e per festeggiare i suoi genitori avevano invitato a pranzo gli zii preferiti dei loro bambini.
-         E cerca di non innamorarti a sei anni, finisci male se cominci così – continuo Dodgeball.
-         Adesso basta, Dodge! – Blaze gli diede un leggero scappellotto sulla nuca e gli piazzò in mano un cucchiaio di legno. – Mescola quella pasta e taci.
-         Sissignora – disse il riccio scattando sull’attenti. La gatta sbuffò, ma sorrideva, e uscì portandosi dietro il figlio. Dodge fece l’occhiolino al nipote e continuò ad occuparsi dei fornelli.
Nel cortile, Bev e Roxy stavano apparecchiando la tavola. L’echidna, stanca a causa della gravidanza, stava seduta e passava piatti e bicchieri alla nipote, che correva da una parte all’altra per sistemarli. Vedendo arrivare Roy, la zia spalancò le braccia. – Vieni qui, disastro di un nipote!
Il piccolo riccio non se lo fece ripetere due volte e le corse incontro. Mentre lo abbracciava, Roxy alzò lo sguardo su Blaze. – Serve aiuto là dentro? – Chiese facendo cenno di volersi alzare.
-         No no, stai tranquilla. – Rispose la gatta. – Come va?
-         Tutto bene. – La ragazza si appoggiò una mano sul pancione di sei mesi. – Oggi la piccola Kay ha deciso di starsene tranquilla.
Nessuna delle ecografie aveva ancora rivelato se il bambino era maschio o femmina. Roxy continuava a parlarne come se fosse sicura di avere una bambina, mentre Dodgeball si riferiva a lui come “il pesciolino” o “il mostriciattolo”.
-         Zia, zia, quand’è che nasce? – Esclamò Iron.
-         Ci andranno ancora un paio di mesi, ragazzino, o forse tre – rispose l’echdina.
In quel momento uscirono dalla casa Silver e Dodgeball, con in mano le pentole e le ciotole del pranzo. – Signori, si mangia!
Il pasto fu lungo e piacevole. I due bambini raccontarono entusiasti della loro mattinata a scuola, e Dodge avrebbe continuato a dare a Iron consigli assurdi su come comportarsi in futuro, se Blaze non lo avesse fissato con uno sguardo di fuoco dicendogliene di tutti i colori. Il riccio incassava, senza offendersi. La gatta era sempre stata quasi una sorella maggiore per lui, lo conosceva fin nel profondo, e lui sapeva che non parlava sul serio. Forse.
Mentre Roy parlava dei suoi compagni di classe, squillò il cellulare di Silver Il riccio rispose, e dopo aver scambiato qualche parola con l’interlocutore alzò lo sguardo verso gli altri.
-         E’ Sonic – disse. – Dice che più tardi porta i suoi figli e quello di Shadow a pattinare e chiede se anche questi due ragazzini qui vogliono venire.
-         Oh, sì, papà, per favore! – Esclamò Beverly. Iron abbassò gli occhi. La sua aria era molto meno entusiasta.
-         Chiede anche – continuò Silver- se qualche grande sarebbe disposto ad andare  con lui per…supporto morale. – Dalla sua espressione si capiva che avrebbe pagato pur di non dover essere lui a farlo. Lanciò un’occhiata eloquente al fratello, che capì al volo.
-         Okay, okay, mi offro io – disse Dodgeball. – Da qualche parte dovrebbero esserci ancora i miei pattini di quando vivevo qui.
Sparecchiarono in fretta, poi il ragazzo accompagnò i nipoti in casa a cercare i pattini. Bev aveva davvero un’aria felice, mentre il fratellino strascicava i piedi e rimaneva indietro.
-         Io non ci voglio venire – borbottò sottovoce, ma Dodgeball lo sentì lo stesso e si voltò verso di lui.
-         Perché no?
Il riccetto alzò gli occhi, sembrando già sul punto di piangere. – Sono tutti più grandi…è più veloci…mi lasciano sempre indietro da solo, io non voglio venire.
Lo zio sospirò e si accovacciò per essere alla sua stessa altezza. – Ascoltami bene – disse – io sono sicuro che non ti lasceranno sempre indietro. Ti aspetteranno.
-         Ma…
-         E se anche ti lasciassero indietro, vengo anch’io, no? Puoi stare con me. E se proprio se ne vanno lontani tu vieni in spalla a me, e vedrai se non li superiamo.
Iron annuì, poco convinto. In quel momento Beverly spuntò stringendo in mano due paia di pattini, e Dodgeball si alzò per andare a cercare i propri mentre i due bambini li infilavano.
La sua camera non aveva cambiato molto aspetto da quando ancora ci dormiva lui. Lo stesso letto, le stesse foto di lui e Roxy adolescenti, gli stessi poster di band e film fantasy, lo stesso casino. Soltanto che adesso probabilmente  adesso Silver lo usava come ripostiglio, contando che c’erano tonnellate di cianfrusaglie in più.
Si mise a frugare sotto un mucchio di vestiti, sperando di trovare i pattini, invece si imbatté in qualcosa di più interessante ancora. Se lo rigirò tra le mani, sorpreso che ci fosse ancora, poi lo rimise al suo posto, sogghignando. L’avrebbe tirato fuori al momento opportuno.
 
Quando finalmente uscirono dalla casa, ognuno con i suoi pattini ai piedi, Sonic era già sul marciapiede ad aspettarli, insieme a Shinichi, Misa e Night. Beverly si precipitò a salutarli, mentre Iron si aggrappava alla mano dello zio. Lui gli accarezzò la testa, incoraggiante, poi si chinò a baciare la sua ragazza ancora seduta.
-         Cerca di non farti investire. – Gli raccomandò Roxy.
-         Sissignora.
-         E di non andare a sbattere.
-         Sissignora.
-         E per l’amor del cielo, i bambini sono loro. Non c’è bisogno che lo faccia anche tu.
-         Ai suoi ordini.
-         E allora vai, scriteriato.
Il riccio la baciò di nuovo, poi, con un saluto al fratello e alla cognata, uscì in strada e si avviò insieme agli altri.
-         Finiranno nei guai – pronosticò l’echidna.
-         Come sei positiva – rise Blaze.
-         Conosco solo i miei polli.
-         Hai ragione.
-         Andiamo, non siate così pessimiste – disse Silver. – Sono solo andati a pattinare. Cosa mai potrebbe succedere?


Buongiorno! Chi si aspettava il ritorno di Espio? :D
Roxy: nessuno, facciamo prima a dirlo.
-.- taci...Ebbene, neanch'io me l'aspettavo. E' stata...un'idea del momento. 
Roxy: io mi preoccupo delle tue idee del momento...soprattutto se riguardano il mio ragazzo. Ad esempio, una storia che finisce con "cosa mai potrebbe succedere" di solito va a finire male.
Sempre più ottimista, vedo...
Roxy: ha parlato Nostra Signora della depressione!
Tanto fai bene in ogni caso a preoccuparti u.u
Roxy: ecco D:
:D ma bisognerà aspettare per sapere...intanto, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Al prossimo!
Ro =)

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Capitolo 11
*** What the hell ***


-          Fate attenzione, voi quattro! – Urlò Sonic.
 
-          Va bene, papà, va bene! – Shin, pochi metri più avanti, non si girò nemmeno a guardarlo.
Il riccio blu scosse la testa. – Quanto credi che faranno attenzione, Dodge?
-          Neanche un briciolo, se li conosco – rispose il ragazzo guardando con un sogghigno i cinque bambini che li precedevano pattinando.
Era andato tutto come previsto. Beverly, Misa, Shinichi e Night, approfittando di supervelocità, telecinesi o ali, avevano continuato ad andare più veloce dei due “vecchi”, ma anche del piccolo Iron, che anche ora stava arrancando dietro di loro.
-          Aspettatemi! – Implorò.
-          Muoviti, Roy, sei lento! – Gli urlò Bev di rimando.
Sonic osservò il piccolo riccio che sembrava sul punto di mettersi a piangere e scambiò uno sguardo eloquente con Dodgeball. I bambini potevano essere crudeli, a volte.
-          Ragazzi, andate più piano! – Esclamò cercando di suonare severo, senza riuscirci. Non era mai stato molto bravo a farsi obbedire, Amy era meglio.
Shinichi e Night si voltarono, e per un momento sembrò che almeno stavolta lo avessero ascoltato, ma così non era: corsero verso i due adulti con aria spensierata, e Iron, incredulo di avere la possibilità di recuperarli, si affrettò  a inseguirli.
-          Papà, possiamo andare al parco? – Chiese il riccio viola, e  l’altro annuì convinto alle sue spalle. Sonic incrociò di nuovo gli occhi di Dodge. Al parco quel gruppetto avrebbe potuto combinare di tutto, ma almeno sarebbero stati tutti più vicini e più gestibili: e magari non avrebbero lasciato indietro il più piccolo, questo era il messaggio. Il ragazzo fece un cenno d’assenso, e il riccio blu tornò a rivolgersi ai bambini.
-          D’accordo, ma non dovete distruggere niente o investire bambini o…o fare qualunque cosa che mi costringa a mettervi in punizione, capito? E andate piano oppure torniamo a casa!
-          Sì! – I due, allegri come prima, ritornarono sui loro passi, costringendosi, a quanto sembrava, ad andare un pelo più lenti. Almeno, abbastanza perché Roy riuscisse a restare qualche passo dietro di loro. Intanto, le bambine avevano attraversato la strada davanti a loro, ma quando i tre maschietti raggiunsero le strisce pedonali, il semaforo passò al rosso e dovettero fermarsi.
-          Molto convincente, Sonic – sogghignò Dodge – se fossi stato al loro posto non ti avrei ascoltato nemmeno con mezzo orecchio.
-          Cosa posso farci? Si stanno divertendo, non mi va di sgridarli. Finirai anche tu per fare così, quando nascerà tuo figlio.
-          Oh, questo è sicuro. Sarà Roxy a fare la severa, non certo io.
Intanto avevano raggiunto le strisce di attraversamento. Il semaforo diventò verde, e Iron fu il primo a farsi avanti per attraversare…
-          Attento! – Urlo Night.
Accadde tutto molto velocemente. Lui e Shin afferrarono Roy per le spalle e lo strattonarono indietro. Nello stesso tempo, una macchina incurante dei semafori  passò loro davanti a una velocità folle, probabilmente molto sopra il limite e in un lampo si allontanò, rivelando Misa e Beverly che dall’altro lato della strada avevano gli occhi spalancati dallo spavento.
-          Idiota del cazzo! – Gli urlò dietro Dodgeball, fuori di sé, precipitandosi a controllare i bambini. I due più grandi avevano tirato talmente forte da cadere a terra, trascinando Roy (che, spaventatissimo, era scoppiato a piangere) con loro. Dodge lo prese fra le braccia, cercando di calmarlo e nello stesso tempo di calmare anche sé stesso.
-          Roy! – Beverly e Misa attraversarono la strada di corsa, senza guardare. Sonic, ancora confuso, non le rimproverò nemmeno. La gattina si avvicinò al fratello, terrorizzata. A quanto sembrava, in tutto quel trambusto aveva creduto che fosse stato investito. Invece la riccetta rosa si affiancò a Night, timidamente.
-          Sei stato bravissimo a salvarlo – gli sussurrò. Lui arrossì.
-          Shin mi ha aiutato – replicò, mentre però gonfiava il petto. Ma diventò ancora più rosso quando Misa lo prese per mano.
-          Però l’hai salvato. E la mamma mi ha detto che chi salva le persone è un eroe.
Sonic non si accorse di quello scambio di battute, troppo occupato a cercare di fare mente locale. Era stato un maledettissimo colpo di fortuna che Shin e Night si fossero accorti dell’automobile in tempo. Già, fortuna. Ma quanta fortuna ci andava perché se ne fossero accorti prima di vederla? No, era impossibile. Dovevano averla notata, anche solo con la coda nell’occhio. Già, doveva essere così.
Ma non riusciva a crederci fino in fondo.
 
-          Manca molto? – Chiese Meike alzandosi il cappuccio della felpa.
-          No, non molto.
Tails osservò il piccolo schermo dell’apparecchio che teneva in mano, coprendolo con il braccio perché la pioggia che cadeva fine non lo bagnasse. Sullo schermo verde si vedevano alcune linee distorte in movimento, che la gatta non capiva.
Non si era aspettata la telefonata dell’amico di quel pomeriggio. Aveva cominciato da poco a piovigginare quando Tails l’aveva chiamata a casa.
-          Sei ancora disponibile per…darmi una mano? – Le aveva chiesto. Poi le aveva spiegato che dato il ritorno del brutto tempo aveva deciso di andare a fare quel sopralluogo di cui aveva parlato qualche tempo prima, perché nessuno si sarebbe avvicinato al fiume con la pioggia. Meike aveva accettato, sentendosi stranamente entusiasta. Perché poi? Cosa poteva esserci di così fantastico nell’andare a controllare uno spiazzo di terreno?
Comunque ormai erano lì. Stavano attraversando il bosco non lontano dal fiume, e la pioggia stava aumentando di intensità. Si rallegrò di essersi messa dei vestiti pesanti, nonostante fosse solo metà settembre.
-          Cosa pensi di trovare là? – Chiese.
-          Non ne ho la minima idea – rispose l’altro. – Aspetta…lo senti anche tu?
-          Che cosa?
Tails si appoggiò un dito sulle labbra, facendole cenno di tacere. Poi si chinò e posò una mano sul terreno. Meike si affrettò ad imitarlo.
In effetti si avvertiva una lievissima vibrazione, appena percettibile, accompagnato da un ronzo sommesso, che non si riusciva a udire a meno di non fare completo silenzio.
-          Cosa cazzo è? – Sussurrò.
-          Non lo so – replicò Tails – ma adesso lo scopriremo.
Continuarono a camminare più lentamente e finalmente sbucarono in una piccola radura, proprio accanto al fiume. Come si erano aspettati, non c’era nessuno tranne loro.
-          Non è possibile… - La volpe si immobilizzò, incredula. – Non  qui….
-          Cosa succede?
-          Questo…questo è esattamente il posto dove io Sonic e gli altri siamo stati catturati, anni fa! Dove Eggman aveva la sua base!
-          Ma che….ne sei sicuro?
-          Sì, è dall’altra parte del fiume. Vedi quel lago? La base del dottore era proprio lì, sepolta nel terreno. Il governo poi decise di riempirla di acqua e detriti perché  non si scatenasse il panico.
-          A me sembra uno strano lago. Molto, molto strano. – La gatta corse avanti e attraversò il fiume, che, essendo basso e stretto, non le causò altro ostacolo che un paio di piedi bagnati.
-          Meike, aspetta! – Tails, preoccupato, la inseguì, raggiungendola accanto al lago. – Che cosa hai visto?
-          Guarda dentro. Ti sembra un lago questo?
Scrutarono attentamente la fossa. Sul fondo, lontano chissà quanto, si vedevano strati di sabbia, ghiaia e terra. Ma….non era possibile. Decine di metri di acqua, per quanto limpida, non potevano essere tanto trasparenti da lasciar vedere tutto.
-          Non è profondo, guarda! E’ come se ci fossero solo pochi centimetri di acqua, sopra a un vetro. E’ quasi…quasi come se fra la sabbia e l’acqua ci fosse il vuoto.
-          Ma non è possibile, il vuoto non è solido. Ci deve essere qualcosa. Magari invisibile, ma c’è. – Abbassò lo sguardo sul suo schermo e sobbalzò.
-          Cosa succede?
-          Le interferenze sono aumentate di botto, come se fosse il lago a causarle. E guarda il terreno… - Si inginocchiò e prese una manciata di terriccio. – E’ cambiato dall’ultima volta che l’ho visto, sembra…più arido.
-          Beh, c’è qualcosa che sta provocando tutto questo. E quel qualcosa è qua sotto, oppure non mi chiamo più Meike Svenjassdatter.
-          Cosa?
-          Lascia perdere. – La gatta si tirò su la manica della felpa. – Beh, vediamo cosa cazzo sta succedendo.
-          Meike no!
Troppo tardi. Meike infilò la mano sotto lo strato di acqua e toccò quello che sembrava vuoto.
Si immobilizzò all’istante, tremando. Tails vide, sbigottito, che la mano appoggiata al nulla vibrava come se fosse stata appoggiata a uno shaker.
Poi, con un urlo, la gatta si staccò e ricadde all’indietro. Cominciò ad arretrare, strisciando sul sedere, un’espressione di terrore sul volto. Raggiunto il limitare del fiume, si voltò e cominciò a correre.
-          Meike! – Tails si precipitò dietro di lei, attraverso l’acqua e fin dentro al bosco, riuscendo a fermarla quando erano già nel folto, tirandola per un braccio. – Cos’era? Cosa c’era là sotto?
-          Repello babbanum – balbettò lei. Sembrava completamente fuori di sé, al limite della pazzia. – Incantesimi respingi babbani, protego totalum, oddio no, oddio no!
-          Meike, Meike, è tutto a posto. – Non aveva la più pallida idea di cosa fare con qualcuno così sconvolto, così fece quello che gli diceva l’istinto: la strinse fra le braccia e continuò a sussurrarle nell’orecchio, cercando di suonare calmo. – E’ tutto a posto, va tutto bene, ci sono io qui.
A poco a poco lei si calmò, smettendo di farneticare e cominciando a piangere silenziosamente.
- Che cos’era? – Chiese fra i singhiozzi.
- Non ne ho idea. Cos’è successo?
Ho toccato quella parte vuota e ho sentito che cominciava a vibrare e…e ho cominciato a sentire qualcosa di…brutto, e strano…che cercava di mandarmi via. Era… - Sembrava che non riuscisse a trovare le parole – brutto. – Concluse.
-          Dobbiamo scoprire di cosa si tratta.
-          Voglio tornare a casa – pigolò Meike in una voce da bambina piccola. Tails la guardò attentamente. Qualunque cosa ci fosse in quel buco, l’aveva traumatizzata abbastanza da togliergli la voglia di trattenerla ancora lì.
-          D’accordo, andiamo. – Disse alla fine. – A casa mia. Da lì poi avvertiremo Sonic e gli altri, loro sapranno cosa fare.
Lei annuì. Vederla così remissiva lo spaventava più di tutto, la conosceva come una ragazza distruttiva e allegra praticamente da sempre, e ora sembrava una bambina bisognosa di protezione.
Le circondò le spalle con un braccio e la portò via più velocemente che poteva.
 
Dodgeball uscì dal bagno dopo la doccia con solo un asciugamano avvolto intorno ai fianchi. Si sentiva completamente sfinito, e non era ancora ora di cena. Che giornata.
Lui e i bambini erano tornati da Silver quando aveva iniziato a piovere; solo che stavolta Beverly non si staccava di più due passi dal suo fratellino, come terrorizzata che potessero investirlo di nuovo. Sonic e i suoi figli se n’erano andati per la loro strada, praticamente senza una parola. Night lo avevano lasciato a casa strada facendo.
Lui dal canto suo aveva riportato Roxy a casa, sempre in silenzio. Aveva la testa piena di pensieri che frullavano e sbattevano come in un flipper, e probabilmente gli si leggeva in faccia, visto che la ragazza non gli aveva fatto domande.
Ora era in camera da letto, intenta a leggere ciò che lui aveva ritrovato nella sua stanza: un’edizione della saga di Eragon che le aveva fatto autografare anni prima, quando erano andati insieme a una comic-con. Alzò appena gli occhi da dietro il libro e lo osservò attentamente.
-Hai l’aria di un uovo sbattuto. Non ho idea di cosa sia successo ma vieni qui, voglio fartela passare.
Il riccio sorrise appena e la raggiunse. Si sdraiò appoggiando la testa sulle sue gambe. – Dio che giornata.
-          Non riesco a capire. Ne vuoi parlare?
-          Non credo.
-          Okay…Anche se sai che la penso diversamente su certe cose…Okay…
Andò a finire come al solito. Non era mai riuscito a resistere quando lei gli parlava con quel tono. Finì che le raccontò tutto, ogni cosa che era successa da quando erano usciti dal cortile di Silver. Era successo solo poche ore prima, ma sembravano passati secoli. Roxy ascoltò tutto in silenzio, ma Dodge sentiva che lo stava ascoltando fino in fondo e che capiva.
-          C’è qualcosa che non mi torna, oltretutto. Un dettaglio che mi sfugge.
-          Prova a concentrarti. – L’echidna gli appoggiò le dita sulle tempie e cominciò a massaggiare. – Concentrati solo su quello.
-          Non so se riesco a concentrarmi con te così…
In quel momento squillò il telefono. – Merda. Uno non può neanche avere un momento di pace, eh? – Dodge si alzò a fatica e andò a rispondere. Poi suonò anche il cellulare di Roxy. I due si guardarono.
-          Ma che cazzo succede? – Chiese lei. Poi allungò la mano verso il comodino dov’era appoggiato e rispose. – Meike? Ma cos…Meike stai calma! Non ho capito, Mé, respira, parla lentamente.
-          Ciao Sonic, ma cosa…-  Il riccio nell’altra stanza aggrottò la fronte. - Ah. Capisco. No, no. Arriviamo subito. – Appoggiò la cornetta e tornò in camera, dove anche Roxy aveva chiuso la comunicazione. – Dobbiamo andare da Sonic. Subito. A quanto pare è successo qualcosa di strano.
-          Anche Meike aveva un problema anche se non ho capito quale. Forse io dovrei andare da lei mentre tu…
-          Temo che il problema sia lo stesso – la interruppe Dodge con tono funereo. – Un grosso, grosso problema.

Roxy: cosa avevo detto io alla fine dell'altro capitolo? Non poteva certo finire bene u.u
Ssssssssh -.- tu e le tue previsioni pessimistiche. 
Roxy: tanto tu sai come va a finire, no?
Ma va? Io sono l'autrice u.u
Roxy: Purtroppo...
Taci -.- bene, ai letori e non a questo essere irritante...spero che il capitolo vi sia piaciuto. A presto!
Ro =)

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Capitolo 12
*** Where are you now? ***


Si ritrovarono tutti a casa di Sonic. Tutti, non ne mancava uno, neanche dei bambini, che vennero prontamente mandati a giocare in giardino nonostante l’ora tarda.
Seduti sui divani, appollaiati sui braccioli, in piedi, comunque fossero sistemati, tutti gli adulti stettero immobili, senza emettere suono, mentre Tails e Meike raccontavano la loro storia. Beh, per la verità fu più che altro Tails a parlare. La gatta sedeva nervosamente su un divano, agitata e quasi fuori di sè, mentre Roxy la abbracciava e cercava di calmarla.
- ...E così vi abbiamo chiamati subito tutti – concluse la volpe gialla. Nella stanza calò il silenzio. Tutti stavano riflettendo sul significato di quello che avevano appena sentito.
Fu Knuckles a rompere il silenzio. – Merda – commentò.
- Puoi dirlo forte, amico – replicò Sonic. – E adesso?
- Già, e adesso? – Ripeté Denise. – Se avete idee brillanti tiratele fuori subito.
Tutti tacquero di nuovo. Evidentemente nessuno aveva idee brillanti. Anzi, nessuno sembrava sapere che pesci pigliare.
- Okay. Ricapitolando tutto. – Dodgeball si avvicinò a Tails al centro della stanza. – Nel posto in cui, un secolo fa, un dottore pazzo ha fatto degli esperimenti su di voi...
- Esperimenti che hanno causato mutazioni strane nei nostri figli – aggiunse Shadow.
- Ecco, quello, è tornata una qualche entità misteriosa che sballa tutto il territorio, nello stesso periodo in cui, per chissà quale motivo, in quasi tutti i bambini saltano fuori nuovi poteri. Coincidenza? Io non credo.
- Grazie per questo finale molto da Adam Kadmon, Dodge, ma dimentichi che non si sono manifestati così tanti poteri ultimamente. – Cream sospirò. – Voglio dire, qualcuno sì, ma...
Il giovane riccio guardò Sonic. – Diglielo. Potrebbe aiutare.
E così Sonic raccontò al gruppo cosa era successo mentre loro due e alcuni dei piccoli erano fuori a pattinare. Dopo aver sentito di come Shinichi e Night avevano salvato Iron, molti si fermarono a riflettere, ma le proteste si fecero sentire lo stesso. Dodge e Sonic le ascoltarono senza parlare, ma alla fine il riccio più giovane alzò le mani per interrompere tutti.
- Sentite, potete dire quello che volete, ma prima che Shin e Night tirassero via Roy dalla strada è successa una cosa strana, okay? Una cosa che mi ha fatto rivalutare tutta la scena.
- Cosa?
- Allora, seguitemi. E’ complicato, io non me ne ero reso conto prima, ma riflettendoci sopra ho ricordato e ho capito.
- Senti, non farla tanto lunga – lo spronò Shadow – dì quello che devi dire e basta.
- Ecco, subito prima che arrivasse la macchina, Night ha guardato Shin con gli occhi sbarrati, poi Shin ha spalancato gli occhi a sua volta, ha annuito, e dopo, insieme, hanno tirato via Iron.- Fece una pausa. -  Avete capito? Avevano la faccia spaventata prima di vedere la macchina. Per come erano messi, non avrebbero potuto accorgersi che stava arrivando.
- E....e quindi? – Amy fu l’unica a parlare. Tutti gli altri tacevano, increduli.
- E quindi l’unica possibilità è che uno dei bambini sapesse cosa stava per succedere. – Lasciò che l’idea raggiungesse i cervelli di tutti, poi continuò: - Quale dei due potrebbe essere?
- E’ Night. – Tutto il gruppo si voltò a guardare Shadow. Il riccio aveva un’espressione indecifrabile, ma era stato sicuramente lui a parlare.
- Cosa?
- E’ Night. E’ già successa una cosa del genere. Mentre lavoravamo alla mia moto, lui sentiva che sarebbe caduta e mi ha spinto via prima che mi cadesse addosso. Quindi sì, è lui.
- Oh, Shadow, perché non me l’hai detto? – Chiese Rouge, sconcertata.
- Non volevo farti preoccupare. E poi mi dicevo che doveva essere stata una mia fantasia, un’impressione.
- Okay, va bene, Night prevede il futuro, però come ha fatto Shin ha capire cosa avesse visto, se loro due non si sono parlati? – Chiese Aster.
- Probabilmente Shin legge nel pensiero o qualcosa del genere. Non stupirebbe nessuno, a questo punto – rispose Dodgeball.
Tutti tacquero. Visibilmente stavano analizzando la questione, ma c’erano dei problemi molto più urgenti, e Tails fu il primo a mettere fretta. – Sentite, a questo punto scoprire uno o due poteri in più non fanno differenza. Se Eggman è tornato, e ha qualche legame con cosa sta succedendo ai bambini, dobbiamo scoprirlo subito e trovare una soluzione.
- Non è che possiamo fare molto. Sì, okay, potremmo cercare di entrare nella base di Eggman e sconfiggerlo, ma sono cose che non facciamo più da quando eravamo adolescenti. E se già allora non abbiamo mai annientato del tutto quel tipo, adesso che sono passati tanti anni, siamo cresciuti, siamo meno in forma eccetera....Cosa potremmo fare?
Blaze aveva ragione, naturalmente, così tutti sprofondarono di nuovo nel silenzio, riflettendo sulle loro possibilità. La preoccupazione era palpabile, e ognuno di loro la sentiva. Non tutti, però, erano in grado di sopportarla. Tikal ne era un esempio. Infatti, dopo pochissimi minuti, si alzò dal divano dov’era seduta. – Vado a controllare i bambini. Non mi sento tranquilla, è un po’ che non li si sente.
Nessuno protestò, anche se era probabile che fossero in un punto lontano del cortile e per questo non li si sentisse più fare baccano. L’echidna uscì dalla porta, mentre suo marito si appoggiava allo schienale della sedia, sospirando. – Nessuna idea.
- Idem, Knux. L’unico metodo che abbiamo mai usato è stato attaccare senza pensare, però non possiamo più farlo. Ha ragione Blaze, siamo invecchiati. – Disse Sonic.
- Non solo – interloquì Denise – ma l’ultima volta che siamo partiti all’attacco è finito tutto in un macello e ci siamo ritrovati con una porcheria iniettata nelle vene che ha trasformato i nostri figli in fenomeni da baraccone. Direi che ci serve un piano migliore.
Amy aprì la bocca, forse per replicare o suggerire qualcosa, ma non riuscì a dire nulla, perché prima che potesse emettere un suono Tikal irruppe nella stanza, stralunata e con gli occhi fuori dalle orbite.
- I bambini! – Gridò. – Sono spariti tutti!
 
 
Dieci minuti dopo la situazione era nel caos più completo.
Avevano frugato dappertutto. I piccoli non erano nel giardino, né in garage o in una qualunque stanza della casa. Scomparsi nel nulla. Quando gli adulti si riammucchiarono in una stanza, erano sconvolti e pieni di ansia.
- Non possono essersene andati da soli! – Esclamò Rouge, che continuava a sfregarsi le mani, preoccupata. – Non lo avrebbero mai fatto, sono piccoli!
- Li hanno presi. Qualcuno li ha presi – sussurrò Silver, gli occhi spalancati e persi.
- E’ stato Eggman. O chiunque si sia installato al suo posto. – Tutti si voltarono verso Dodgeball, che aveva parlato. Il giovane riccio era scosso come tutti, ma stringeva i pugni con forza. – Non può essere una coincidenza, se nel momento in cui lo scopriamo i nostri bambini spariscono.
- Ma certo. Dev’essere così. – Sonic digrignò i denti.
- A questo punto dobbiamo attaccarlo. Non c’è altro da fare, ci sono i nostri figli in ballo – disse Shadow.
Il gruppo annuì all’unisono. – Andiamo.
- Siamo pronti.
- Abbiamo anche i giovani con noi, possiamo farcela.
- Facciamolo a pezzi, quel bastardo.
- Sarebbe un rischio andare tutti insieme, però – disse Silver, alzando la voce per farsi sentire sopra le varie esclamazioni di assenso. – Forse qualcuno dovrebbe restare qui, per sicurezza.
- Già. – Lo appoggiò Charmy. – Forse noi dovremmo andare, e le donne...
- Te lo puoi anche scordare, Charmy Bee – gridò Tikal. Era stata la più devastata dalla scoperta, ma ora negli occhi le brillava una luce selvaggia. – Non resterò qui mentre mia figlia è in pericolo.
- Esatto – aggiunse Rouge. – Siamo più leggere e abbiamo meno poteri, è vero, ma non per questo non ci batteremo fino alla fine. Possiamo fare delle squadre che attacchino in momenti diversi, ma nessuna di noi resterà qui.
- La ragazza ha parlato molto bene – concluse Denise. – Ho fatto un parto gemellare, non mi faccio tirare giù da quel tipo.
E così fu deciso. La loro missione di salvataggio cominciava.
 
 
Beverly aveva molta paura. Si diceva di avere coraggio, certo, perché lei era già grande, e la sua mamma non avrebbe avuto paura, ma non ce la faceva proprio.
Non capiva dove fosse. Era accaduto tutto troppo in fretta. Era lì che giocava con i suoi amici nel giardino, quando qualcosa di grosso, nero e molto spaventoso era comparso sotto la luce dei lampioni e aveva iniziato ad acchiapparli. In pochi secondi lei si era sentita afferrare e tutto si era fatto buio. Forse era svenuta, non lo sapeva. Sapeva solo che quando aveva potuto vedere di nuovo qualcosa, era stesa nella stanza dove si trovava ora, una camera tutta bianca, con le pareti coperte di piastrelle di uno strano materiale bianco e luci abbaglianti sempre accese. Non c’era quasi nessun oggetto, a parte un sottile materasso bianco e un specie di vaso. Nel complesso, quindi, una stanza sconosciuta e abbastanza inquietante.
Bev aveva sete. Era capace di manovrare l’acqua, ma non di farla apparire dal nulla, così era persa. E quelle luci le davano un gran fastidio. In più voleva capire dove fosse, e soprattutto dove fossero gli altri. E Roy. Voleva che il suo fratellino stesse bene, ma lo aveva perso di vista nella confusione.
Non sapeva neanche da quanto tempo fosse lì, ma le sembrò che fossero passate ore prima che una parte della parete si muovesse e si spostasse di lato. Quando lo vide, la gattina si drizzò istintivamente in piedi, stringendo i pugni.
Dove prima c’era un pezzo di muro uguale a tutti gli altri era tesa una specie di rete, come una zanzariera, e dietro di essa stava un umano molto grasso e del tutto calvo, con gli occhiali e dei baffi grigi. Sorrideva, ma era un sorriso che non le piaceva. Proprio per niente.
- Salve, piccola – disse lo sconosciuto. – Spero che tu ti sia sentita a tuo agio, finora. Presto avrai da mangiare e da bere, non preoccuparti. Non voglio che i miei ospiti siano a disagio.
- Chi sei tu? – Gridò Beverly. – Dove sono? Dov’è mio fratello?
L’uomo rise. – Quante domande! Saprai tutto quello di cui avrai bisogno al momento giusto.
La gatta non pensò. Voleva che quel tizio le desse delle risposte. Soprattutto voleva andarsene da lì, trovare suo fratello e tornare da mamma e papà. Così alzò le braccia e cercò di usare la sua telecinesi per spostare la rete e il vecchio ciccione.
Con sua grandissima sorpresa, non successe niente. Né l’una né l’altra cosa si mossero. L’uomo rise più forte. – Mi dispiace, signorina, ma queste stanze sono fatte apposte perché i poteri tuoi e dei tuoi amici non abbiano effetto. Né quelli che vi hanno passato i vostri genitori né...gli altri.
Beverly lo fissò. Non capiva più niente. L’altro le strizzò l’occhio. – Non preoccuparti, piccola Beverly. Non ti mancherà niente, finché sei ospite del Dottor Eggman. E voi bambini mi sarete...molto utili.
E con una terza risata se ne andò, lasciandola lì, spaventata e sconvolta, a fissare la parete che tornava al suo posto.

 
*respiro profondissimo* RAGAZZI NON SO COSA IO STIA FACENDO IN QUESTO MOMENTO MA LO STO FACENDO.SONO TORNATA.
Okay, cerchiamo di calmarci. Diamo un senso a queste note.
Sì, ho deciso di aggiornare FINALMENTE 14 years later. L'idea c'era sempre stata: tuttavia non mi ritrovavo più con questa storia e perciò l'ho abbandonata. Ma dato che non mi piace lasciare le cose a metà, che A whole new world era ormai chiusa e finita (a proposito, se la state seguendo, non perdetevi la conclusione; se no amen, mi sono fatta pubblicità gratuita) e che voi fremevate COSI' TANTO all'idea di riavere indietro i vostri amichi e i loro figli, ho deciso di riprenderla. Non è stato facile: mi sono trovata in situazioni veramente assurde (tipo alle undici di sera seduta davanti al computer a ridere istericamente perché non sapevo da che parte girarmi); e oltretutto, siccome il mio stile è cambiato sì, ma non so quanto nè come, non sapevo come fare. Per questo , il capitolo qui sopra e i prossimi saranno probabilmente un misto dello stile che avevo prima e di quello che ho ora. Sta a voi dirmi se vi piace ancora, ma possiamo fare un patto: voi avrete con me un' IMMENSA pazienza e io porterò a termine questa storia, nel bene o nel male. Okay? Okay.
Detto ciò, so che in questo capitolo non viene detto molto, ma almeno ci siamo sbloccati; nel prossimo (che si farà attendere molto meno, spero) ci sarà un po' più di movimento.
A presto (sul serio)!
^Ro

 

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