Fantasmi della notte

di Fenix_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La mente deve essere più forte ***
Capitolo 3: *** La forza di andare avanti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Attenzione, questa Fan Fiction si colloca come periodo di tempo durante la quarta stagione di Criminal Minds (quando Spencer aveva i capelli lunghi per intenderci)
N.B. essendo la quarta stagione, l’episodio del rapimento di Reid (Raphael episodio 1 e 2) è già avvenuto.
Detto questo, buona lettura.
 
- Prologo -
 
La fronte bagnata dal sudore, i capelli ambrati e ricci gli incorniciavano il viso stravolto e arrossato.
«Hei piccoletto, sei già stanco? Avremmo fatto si e no solo tre giri di campo» lo richiamò una voce in lontananza,
Spencer Reid era seduto per terra con le mani appoggiate al suolo rosso della pista da corsa, per mantenere il peso del suo corpo sfinito tentando di regolarizzare il respiro.
Stava mentalmente maledicendo il giorno in cui aveva chiesto al suo amico, non che collega Derek Morgan, di dargli una mano per passare il test fisico annuale del FBI.
«Sai che non sono fatto per gli sport, io sono un tipo da libri e divano.» riuscì a dire tra un respiro e l’altro «L’unico sport che pratico sono gli scacchi» aggiunse.
«Lo so piccoletto» rispose Derek accennando un sorriso e passando la mano sui ricci del dottore scompigliandoglieli.
Ad un tratto il cellulare del maggiore iniziò a squillare.
Derek estrasse dalla tasca il cellulare, ma prima di rispondere lesse il nome sul display.
«Pronto capo». Spencer alzò lo sguardo verso il collega e si alzò in piedi tentando di assumere una posizione pressoché normale.
«C’è stato un rapimento a Denver. Partiamo tra un’ora, chiama Reid. Vi aggiorneremo sul jet.» la voce dell’agente Hotchner risuonò nelle orecchie di Morgan.
«Arriviamo immediatamente» rispose chiudendo la chiamata. «Dobbiamo andare, il dovere ci chiama. Riprenderemo con gli allenamenti appena torneremo a casa» aggiunse voltandosi verso Spencer.



Il jet privato del FBI volava sui cieli degli USA.
Spencer era seduto accanto al finestrino, al suo fianco era seduta J.J. mentre di fronte si era seduto l’agente Rossi.
Hotch era in piedi, semi seduto sul bracciolo di una delle poltrone del jet.
«Lucy Evans ventisei anni. Trovata morta un mese fa in un vicolo malfamato di Denver. La causa della morte è soffocamento per strangolamento. I genitori di Lucy ne avevano denunciato la scomparsa esattamente una settimana prima del ritrovamento del cadavere.» Disse porgendo ai colleghi le foto della prima vittima, «La seconda vittima si chiamava Mary Mcgee, ventidue anni, lavorava part-time in un caffè per permettersi di potersi pagare gli studi di medicina. Il cadavere è stato ritrovato esattamente sette giorni dopo che fu vista per l’ultima volta a lavoro. Causa della morte, soffocamento per strangolamento.»
«Quindi dobbiamo dedurre che S.I. rapisce le sue vittime e le tiene prigioniere per una settimana, le tortura prima di ucciderle strangolandole» intervenne Prentiss, che era seduta accanto a Rossi.
«Esatto.» affermò Hotch. Morgan prese i fascicoli con i dettagli sulla morte delle due vittime sfogliandoli velocemente «Allora perché la polizia di Denver ci ha chiamato proprio ora se le due vittime sono state uccise un mese fa circa?» chiese.
«Perché ieri è stata denunciata la scomparsa di Annie Johnson. Una ragazza di ventiquattro anni.» rispose Hotch porgendo a Morgan la foto dell’ultima ragazza scomparsa.
Reid prese le foto delle vittime che erano state appoggiate sul tavolino e le osservò attentamente.
Lucy era una ragazza bionda, alta e snella dalla carnagione chiarissima. La foto però la ritraeva sdraiata per terra, con dei lividi su braccia, collo e gambe. La ragazza era stata ritrovata solo con una vestaglia bianca addosso, senza scarpe, calze od oggetti personali. L’identificazione era stata possibile grazie al confronto delle impronte dentali e dal riconoscimento da parte dei parenti.
Mary, la seconda vittima, aveva i capelli castano chiaro. Anche lei era stata ritrovata con addosso solo una vestaglia bianca. Sulle braccia, sul collo e sulle gambe portava i segni di lividi.
Spencer strinse leggermente le due foto tra le mani e assorto nei suoi pensieri continuava ad osservarle accarezzando le foto con il pollice della mano destra.
Ormai era passato un’ anno da quando era stato rapito e torturato da Raphael, ma rivedere le foto di quelle ragazze, i loro lividi sul corpo a causa delle torture gli faceva risvegliare ricordi dolorosi. Spencer sapeva come si erano sentite quelle ragazze, la paura, il panico di una nuova tortura, il sapere di essere soli e abbandonati al triste destino della morte. Avere la consapevolezza di essere in mano ad un pazzo killer disposto a tutto pur di appagare i suoi piaceri.
Il senso di disgusto, la paura, le lacrime versate nel tentativo di cercare un briciolo di pietà, ed infine le botte, le torture. Il dolore sulla pelle.
Jennifer vedendo lo sguardo assente di Reid, lo scosse un po’ per il braccio interrompendo così il flusso di pensieri che affollavano la mente del dottore riportandolo alla realtà.
«Tutto bene?» chiese J.J. sfoggiando uno dei suoi più bei sorrisi, «S…si» rispose Reid accennando un sorriso e appoggiando le foto sul tavolino di fronte a lui. Morgan che nel mentre era rimasto in piedi appoggiato al sedile di Prentiss assistette alla scena.


 
SPAZIO AUTRICE:
Mi scuso in anticipo se questo primo capitolo è corto, ma essendo un prologo dovevo introdurre un'attimo la storia. Il prossimo capitolo sarà più lungo.
Grazie per aver letto e commentate se vi va :D
A presto, baci
Fenix_

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Capitolo 2
*** La mente deve essere più forte ***


 La mente deve essere più forte

 

Arrivarono alla stazione di polizia di Denver e vennero accolti dallo sheriffo James Smith, un poliziotto della vecchia guardia, sulla cinquantina d’anni e con un accenno di barba bianca.
«Salve, io sono James Smith lo sheriffo del dipartimento di polizia di Denver» disse presentandosi loro e stringendo la mano ad Hotch «qui al dipartimento siamo tutti a vostra disposizione. Ho fatto preparare una stanza apposta per voi munita di tavolo e tabellone per gli indizi» aggiunse poi, facendo segno ai profiler di seguirlo.
Entrarono nella stanza, che effettivamente era abbastanza spaziosa e accogliente. Reid appoggiò subito la sua solita tracolla sullo schienale di una sedia e si diresse verso il tabellone degli indizi per osservare la cartina geografica. «Morgan e J.J., voi andate sul luogo del ritrovamento delle vittime. Rossi e Reid, voi andate a parlare con il medico legale. Io e Prentiss andremo a parlare con i famigliari delle vittime.»

 

Morgan guidava il SUV nero, accanto a lui era seduta J.J. che era intenta ad osservare le case fuori dal finestrino.
In macchina stranamente non volava una mosca, nessuno dei due aveva accennato un discorso da quando erano saliti in macchina. Entrambi erano troppo presi dai propri pensieri.
Morgan che apparentemente sembrava concentrato sulla strada, in realtà stava pensando allo strano comportamento che Spencer aveva assunto da quando avevano preso in consegna il caso.
J.J. distolse lo sguardo dal paesaggio e lo puntò verso il viso di Morgan. Essendo una profiler non ci mise molto a capire che cosa stesse passando per la testa del collega, ma comunque decise di domandarglielo lo stesso «A che cosa pensi?».
Morgan sussultò appena sentì la domanda dell’amica, non si aspettava proprio la sua domanda, o meglio, essendo che lavorava con dei profiler di certo si sarebbe aspettato una domanda del genere, ma non in quell’istante, cos’ decise di mentire «A nulla» rispose.
«Balle, non cercare di ingannarmi Derek Morgan, tu sei preoccupato per qualcosa» contrattaccò J.J. «e allora visto che sai che sono preoccupato, perché mi hai chiesto comunque che cosa avessi?» «perché volevo essere sicura della mia ipotesi, e visto che ora ho avuto la conferma che sei preoccupato per qualcosa sputa il rospo» «non sono affari tuoi» la interruppe Morgan.
J.J. sospirò «È per Reid, sei preoccupato per lui vero?». Derek ebbe un altro sussulto.
«Anche io sono molto preoccupata per lui» proseguì la ragazza.
«Hai notato anche tu la strana espressione che ha assunto quando ha visto le foto delle vittime?» chiese infine sconfitto Morgan. «Si, ma non penserai mica che...» «Secondo me si» la interruppe Morgan «Secondo me stava ripensando al suo rapimento».
J.J. riportò lo sguardo verso la strada «Ma ormai è passato un anno, Reid ha anche passato il test psicologico per essere riammesso in squadra».
«J.J. queste sono cose che non puoi dimenticare da un giorno all’altro. E ora ho paura per Spencer. Secondo me dovrebbe tornare a casa. Dovremmo parlarne con Hotch» disse Morgan sospirando.

 

I due colleghi arrivarono sul luogo del ritrovamento della prima vittima. Essendo che il corpo era stato ritrovato un mese fa, ad attenderli non ci furono i soliti poliziotti, la stampa o il solito nastro rosso e bianco per delimitare la zona del crimine. Solo un vicolo stretto e buio chiuso in fondo da un muro e dei cassonetti.
«Lucy è stata ritrovata esattamente in questo punto» la bionda indicò il centro del vicolo, poi proseguì «Non ci sono tracce di sangue e non sono stati ritrovati altri indizi».
Derek si chinò per osservare meglio il terreno ed iniziò a tastarlo con le mani. Poi alzò lo sguardo e si guardò in torno «Questo è un vicolo abbastanza buio anche di giorno, però per accedervi bisogna passare per la strada principale ed è impossibile non essere visti» «Questo vuol dire che il Soggetto Ignoto ha scaricato la vittima di notte. Probabilmente l’ha trasportata su un furgoncino o qualcosa di simile, che ha parcheggiato all’inizio del vicolo» intervenne J.J. .
«Bhè, qua non c’è più nulla da vedere, io direi di andare sul luogo del secondo ritrovamento» disse Derek alzandosi.

 

Rossi e Reid entrarono nell’obitorio dell’ospedale di Denver. La stanza era ampia e bianca, con due tavoli di metallo freddi posti al centro. Il medico legale si avvicinò ai due agenti del FBI. «Piacere, io sono Lily Williams» disse la ragazza stringendo la mano all’agente Rossi «Io sono David Rossi e lui è il Dottor Spencer Reid».
«Ah, lei è un dottore?» chiese il medico legale «Non esattamente, non sono un medico. Ho solamente quattro lauree...» rispose Spencer grattandosi la testa imbarazzato.
Lily sorrise e si diresse verso una specie di armadio di metallo. Aprì due cassetti ed estrasse i corpi delle vittime. «Loro sono Lucy e May» disse poi spostandosi per fare posto ai due profiler.
Spencer si avvicinò ai due corpi un po’ titubante. Entrambe le ragazze riportavano segni di aggressione su braccia e gambe.
«Dall’autopsia ho potuto constatare che entrambe le vittime hanno subito violenza, inoltre vedete i segni di bruciatura che hanno su polsi e caviglie? Questo indica che sono state legate»
Spencer prese il braccio della seconda vittima e lo guardò con attenzione. Ad un tratto si bloccò, deglutì e domandò al medico legale «Scusi  ma, che cosa sono questi buchi presenti sulle braccia della vittima?» la voce gli tremava leggermente. Spencer sapeva già la risposta, ma non voleva minimamente pensarci, così per scrupolo formulò la domanda. Voleva sentirsi dire quello a cui non stava pensando, ma le uniche parole che il medico legale pronunciò furono la straziante conferma della sua deduzione. «Ah si, le vittime oltre ad essere state torturate, sono state prima drogate».
Le parole del medico legale fecero crollare Spencer, che iniziò a grattarsi il braccio destro nervosamente.
«Grazie per la sua collaborazione, noi ora andiamo» salutò Rossi dirigendosi verso l’uscita della sala autopsie.

 

Erano tutti rientrati alla stazione di polizia. Hotch si trovava in piedi di fianco al tabellone, Spencer era seduto sulla sedia girevole intendo a dondolarsi nervosamente, ormai erano anni che non si dondolava più sulle sedie, infatti Derek se ne accorse. Il profiler era appoggiato con la schiena alla finestra e fissava il suo collega più piccolo dondolarsi sulla sedia e torturarsi leggermente il labbro inferiore con i denti. Gli altri colleghi erano seduti attorno al tavolo e stavano ascoltando Hotch attentamente.
«Direi che siamo pronti per il profilo» disse il capo facendo cenno allo sheriffo di chiamare i poliziotti.
Quando finalmente tutti i poliziotti si riunirono nella stanza Prentiss prese parola.
«Cerchiamo un maschio bianco, sulla trentina d’anni. Possiede un furgoncino o una jeep con il quale trasporta il corpo delle sue vittime» Rossi prese parola e proseguì «Inoltre il nostro S.I. è all’apparenza una persona molto calma e gentile, in grado di ingannare le sue vittime per rapirle. Forse addirittura le vittime lo conoscevano» «Abbiamo chiesto al nostro tecnico informatico di fare una ricerca incrociata sul passato delle vittime e abbiamo scoperto che entrambe hanno studiato nella stesso liceo, magari il nostro S.I. lavora proprio li» intervenne J.J.
Spencer fece un profondo sospiro e prese parola «I…inoltre entrambe le vittime sono state drogate, quindi per scoprire qualcosa di più sul killer dobbiamo scoprire come ha fatto per procurarsi la droga».
«Per ora è tutto, potete andare» concluse Hotch.
Spencer si alzò dalla sedia ed uscì dalla sala. Morgan seguì con lo sguardo preoccupato il giovane dottore e decise di seguirlo.
Il ricciolino entrò nel bagno e richiuse la porta a chiave. Andò verso il lavandino e vi appoggiò le mani.
Alzò lo sguardo e si guardò allo specchio, era pallido, come se avesse appena visto un fantasma. Reid si passò una mano tra i capelli per tirarli leggermente indietro e si asciugò il sudore dalla fronte. «Non posso, devo resistere» si ripeteva ad alta voce mentre guardava la sua immagine riflessa nello specchio. I suoi occhi erano spenti e lo sguardo abbattuto.
Si alzò la manica del maglioncino e si scoprì il braccio destro. Fissò la sua pelle bianca e con lo sguardo seguì il tragitto della vena che partiva dal polso fino alla giuntura del gomito. Istintivamente iniziò a grattarsi il braccio fin quando non diventò rosso. Fortunatamente un rumore lo riportò con i piedi per terra, Morgan dall’altra parte della porta stava bussando e chiamando il suo nome. Spencer si ritirò giù la manica del maglioncino, si diede una sistemata e come se nulla fosse accaduto aprì la porta del bagno ed usci.
«Cosa c’è?» chiese il giovane. «Sono preoccupato per te, secondo me dovresti tornare immediatamente  a casa, non ti fa bene stare qua» disse Morgan mentre seguiva da dietro il giovane genietto che si stava dirigendo verso la macchinetta del caffè.
«Tu non sai cosa è giusto per me» lo interruppe Spencer voltandosi verso l’amico.
«E invece insisto, penso sia meglio per te se per questa volta lasci perdere il caso. Hotch capirà.» «No» lo interruppe Spencer «Non posso mollare, non posso lasciare che un pazzo psicopatico vaghi per la città. Io ci sono passato, so come agisce questa tipologia di S.I. io posso salvare la ragazza». Spencer stringeva nelle mani il bicchierino del caffè bollente, le sue guance stavano diventando rosse per la rabbia, così Morgan decise di rinunciare, «e va bene genietto, fa come vuoi» disse lasciando solo Spencer con il suo caffè.

 

Era ormai scesa la notte e la squadra decise di dirigersi verso l’hotel, avrebbero ripreso ad indagare sul caso il giorno successivo. Spencer però quella notte non riuscì a chiudere occhio, gli incubi tornarono ad impossessarsi della sua mente e non lo fecero dormire. Ogni volta che richiudeva gli occhi rivedeva Raphael che gli puntava la pistola alla tempia, ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva la casetta di legno buia dove era stato rinchiuso e rivedeva i monitor sul quale il suo rapitore sotto minaccia gli faceva scegliere la prossima vittima.
Era ormai da qualche mese che aveva ricominciato a dormire sogni tranquilli senza svegliarsi nel cuore della notte tutto sudato e urlando a causa degli incubi frequenti che alloggiavano nella sua mente. Spencer passò la notte seduto sul letto ripensando alla discussione avuta con Morgan, forse doveva davvero tornarsene a casa e lasciare il caso per questa volta.

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Capitolo 3
*** La forza di andare avanti ***


 La forza di andare avanti

Il mattino non tardò ad arrivare, e già di prima mattina i profiler erano in ufficio intenti ad esaminare gli ultimi indizi trovati.
Prentiss e Rossi stavano sfogliando il diario segreto di Mary nella speranza di trovare qualche indizio sul S.I., mentre Hotch aveva richiesto i tabulati telefonici delle due vittime e li stava esaminando.
J.J. entrò nella stanza, teneva in mano un bicchiere di caffè, vide Reid seduto sulla sedia, il viso pallido e un accenno di occhiaie sul volto, segno di chi la notte precedente non ha chiuso occhio. La bionda si avvicinò al collega «Buongiorno Spenc, hai la faccia stravolta, tutto bene?» «Si, non ti preoccupare» rispose il più giovane accennando un sorriso per tranquillizzare l’amica.
Il cellulare di Morgan squillò all’improvviso.
«Hey bambolina, qualche novità?» «Ci puoi scommettere» dall’altra parte dell’apparecchio risuonò la voce squillante di Garcia. «Aspetta un attimo che ti metto in viva voce» disse Morgan appoggiando lo smart phon sul tavolo.
«Bene bambolina, aggiornaci»
«L’oracolo dell’informatica è al vostro servizio o miei prodi cavalieri. Ieri mi avete chiesto di controllare il passato non solo delle vittime, ma anche di amici e parenti. Bene, non indovinerete mai che cosa ho scoperto» «Parla forza» la incitò Rossi.
«Il padre di Lucy e di Annie ed il fratello maggiore di Mary sono stati tutti e tre in cura per diverso tempo in un centro di riabilitazione contro la droga, anche se in anni diversi. Inoltre tutti e tre erano seguiti, oltre che dal personale medico, anche dallo psicologo della struttura Jack Nelson.»
«Ottimo lavoro bambolina» disse Morgan. «Non è tutto» intervenne Garcia dall’altra parte del cellulare, «Mi sono presa la libertà di controllare il passato di questo Nelson, visto che corrisponde al profilo, e ho scoperto che due mesi fa ha perso la moglie e il figlio in un incidente stradale. La persona che ha causato l’incidente era una ragazza si ventisei anni che si era messa alla guida sotto effetto di stupefacenti» «Ecco il fattore scatenante» la interruppe Spencer.
«Grazie Garcia, sei stata molto utile» la ringraziò Hotch «Di nulla, è il mio lavoro. Vi sto inviando i dati di Nelson ai vostri cellulari, buona fortuna, passo e chiudo» disse infine chiudendo la chiamata.

Nel giro di pochi minuti i profiler erano a bordo dei due SUV neri di retti verso la casa del S.I., seguiti dallo sheriffo e le auto della polizia.
Quando arrivarono scesero dalle auto e fecero irruzione nella casa. Tutti indossavano il giubbotto anti proiettile e tenevano puntate le pistole, pronti a sparare in caso di pericolo. Spencer era rimasto indietro rispetto agli altri, non era mai stato bravo a sparare, ma soprattutto quel giorno qualcosa lo bloccava, un qualcosa che nemmeno lui si sapeva spiegare.
«Libero» disse Morgan entrando in cucina
«Libero» affermò un’agente ispezionando le camere da letto.
Insomma, “libero” era l’unica parola che in quel momento si sentiva pronunciare.
La casa era vuota, non c’era anima viva.
L’arredamento era molto elegante, tendente al bianco e panna.
Prentiss si avvicinò al camino in salotto e prese in mano una fotografia che ritraeva Nelson abbracciato alla moglie e il figlio con in mano un pallone da calcio. Insomma chiunque avrebbe visto quella foto avrebbe pensato al quadretto della famiglia perfetta.
Intanto J.J. stava facendo il giro della casa da fuori, quando trovò una botola vicino al muro sul retro della casa «Ragazzi venite, ho trovato qualcosa» urlò.
Nel giro di pochi istanti erano tutti riuniti attorno alla botola, Hotch la aprì con delicatezza.
Apparirono delle scale che portavano ad uno scantinato. Ad uno ad uno i profiler accesero le torce delle loro pistole ed iniziarono a scendere le scale.
La cantina era semibuia e puzzolente. Solo al centro della stanza c’era una lampadina che pendeva dal soffitto e che emetteva una luce fioca con sfumature arancioni. Al centro della stanza trovarono una sedia con delle corde. Spencer si fece spazio tra i colleghi, le gambe gli tremavano ed iniziò a sudare. Quel posto gli ricordava troppo la casetta di legno dove era stato tenuto prigioniero.
Da in fondo la stanza si sentì il rumore di una pistola che viene ricaricata. Lentamente un ombra avanzò verso i profiler.
«Fermo o sparo» intimò Hotchner. L’ombra avanzò di un altro passo e andò nel punto illuminato della stanza.
Era Nelson che teneva Annie per le spalle e gli puntava una pistola alla tempia.
Annie aveva gli occhi gonfi e il viso pallido, segno di una persona che ha pianto molto e ha versato tutte le lacrime possibili che ha nel proprio corpo.
«Vi prego» furono le uniche parole che Annie pronunciò guardando Reid con sguardo di supplica.
«Sta zitta!» gli urlò S.I. strattonandola.
«Si calmi, la prego» intervenne Reid con la voce tremante. Quello di certo non era il momento di tentennare, la vita di una ragazza era in pericolo.
Reid alzò le mani e lentamente appoggiò la pistola a terra. Poi avanzò lentamente verso l’assassino.
«Noi siamo qui per aiutarla» disse mentre avanzava con passo lento. «Si fermi» urlò l’assassino puntando questa volta la pistola verso il giovane agente del FBI.
I suoi collegi avanzarono di un passo, tutti avevano sotto tiro Nelson, bastava un colpo per far finire tutto, ma non era così facile, lui aveva un ostaggio e gli agenti non potevano rischiare di ferire la ragazza.
«Loro hanno ucciso mia moglie e mio figlio» disse Nelson riportando la pistola alla tempia di Annie.
«No, non è vero. La responsabile della morte di tua moglie e tuo figlio è in galera, lei non c’entra nulla. E nemmeno le altre due ragazze che hai ucciso» disse Spencer deciso. «E invece si, loro si drogano come lei» «No, non è vero» lo interruppe Reid, per un attimo ebbe un tentennamento, ma poi proseguì «Noi possiamo aiutarti. Lascia Annie e ti prometto che ti aiuteremo».
Nelson abbassò la pistola e una lacrima solcò il suo volto «Ormai è troppo tardi» furono le sue ultime parole, in quanto rialzò il braccio e riportò la pistola alla tempia della ragazza.
L’uomo avvicinò la sua testa a quella di Annie e premette il grilletto un’ultima volta.
Un grido di disperazione rimbombò per la stanza.
Il proiettile trapassò sia il cranio di Annie che quello dell’assassino e si andò a fermare contro la parete dalla parte opposta.
Una striscia di sangue iniziò a colare dalla testa della ragazza e in un nano secondo entrambi caddero a terra senza vita.
Reid incredulo si precipitò subito dalla ragazza nel tentativo di salvarla, ma ormai era tutto inutile.
Morgan si inginocchiò di fianco al collega e poggiando le sue mani sulle spalle del più piccolo lo aiutò ad alzarlo da terra.

Il viaggio di ritorno sul jet fu alquanto silenzioso. Hotch e Rossi erano seduti uno di fronte all’altro intenti a leggere ognuno un libro. J.J. si era addormentata sulla poltrona mentre Prentiss ascoltava la musica assorta nei suoi pensieri.
Reid era rimasto seduto tutto il tempo del volo a fissare fuori dal finestrino le luci della città che pian piano si allontanavano sempre di più. Ed infine Derek, con gli auricolari nelle orecchie aveva fissato per tutto il viaggio il volto del giovane amico. Per tutti quello era stato un caso molto difficile, ed avere la consapevolezza di non essere riusciti a salvare l’ostaggio e a fermare l S.I. non è una cosa facile da accettare. Ma soprattutto quello era stato un caso molto difficile per Spencer, perché si era ritrovato ancora una volta faccia a faccia con il suo nemico numero uno, demone che pensava di aver sconfitto.

Quando scesero dal jet i colleghi si salutarono. Reid però aveva un’espressone assente, per quanto stesse provando di nasconderla, e questo  non sfuggì agli occhi di Morgan.
Spencer aprì la porta del suo appartamento ed entrando appoggiò la tracolla sul divano. Sospirò nel rivedere quel luogo accogliente. Andò in cucina per prendere un bicchiere d’acqua. Quando ebbe bevuto tornò in sala e si sdraiò sul divano portandosi il braccio sinistro sugli occhi per coprirli.
Stava ancora pensando al fatto di non essere stato in grado di salvare quella ragazza. Le immagini del pomeriggio erano vive nella sua mente, ma presto lasciarono spazio ad altre immagini, quelle della casetta di legno e di Raphael.
«Basta!!» urlò Reid alzandosi di scatto e mettendosi seduto. «Basta» ripeté più piano portandosi una mano sulla fronte, il suo respiro si fece più affannoso. D’istinto aprì la tracolla che era accanto a lui ed estrasse una boccettina di vetro che conteneva un liquido trasparente.
Spencer aveva preso quella boccetta di nascosto nella cantina di Nelson.
Quella boccettina conteneva della droga.
Lui che per un anno aveva lottato, lui che per un anno aveva resistito alla tentazione ora si trovava li, seduto sul pavimento con la schiena contro il muro, la manica destra del maglione alzata, il braccio steso sulla gamba, la siringa piena di droga impugnata saldamente nella mano sinistra e le lacrime che gli rigavano il volto.
Stava combattendo con tutte le sue forze contro la tentazione di bucarsi, ma sapeva che non ce l’avrebbe fatta.

Morgan era rientrato a casa e aveva acceso la televisione sul canale sportivo. Quella sera i Miami  Heat avrebbero sfidato i Chicago Bulls.
Si sedette sul divano sorseggiando un bicchiere di birra ghiacciata. Anche se aveva acceso la televisione Derek aveva ancora in mente l’espressione malinconica di Spencer.
Aveva il timore che il piccoletto potesse fare qualche stupidaggine, così si convinse e alzandosi di colpo dal divano, spense la tv e uscì di casa diretto verso l’appartamento di Spencer.
Le strade erano deserte e Morgan tenendo il piede destro perennemente premuto sull’acceleratore non ci mise molto ad arrivare a casa dell’amico. Il cuore gli batteva forte e d era preoccupato per la salute del collega. Lui sapeva quante Spencer ne aveva passate, e sapeva quanto fosse difficile resistere alla tentazione della droga.
Fortunatamente l’anno precedente Derek si era preso la premura di fare una copia delle chiavi dell’appartamento dell’amico in caso di bisogno, così estrasse dalla tasca della sua giacca la copia delle chiavi dell’appartamento ed aprì la porta.
Quando entrò in un primo momento non vide nessuno, la stanza era buia, illuminata solo dalla luce bianca della luna che entrava dalla finestra. Derek accese la luce della sala e si guardò in torno, vide la tracolla del collega aperta sul divano, ma la sala era vuota. Stava per andare a cercarlo in un’altra stanza quando dei singhiozzi attirarono la sua attenzione. Morgan fece dei passi in avanti oltrepassando il divano e finalmente lo vide.
Vide Spencer seduto a terra accovacciato, con in mano una siringa. Stava piangendo.
Vedendo quella scena al più grande gli si strinse il cuore. Subito si buttò verso l’amico che in quel momento aveva un evidente bisogno di aiuto.
Morgan tolse dalle mani di Reid la siringa e lo abbracciò.
«Non… non l’ho fatto» disse il più piccolo tra un singhiozzo e l’altro mentre si stringeva sempre di più al petto muscoloso dell’amico. «Lo so, tu sei più forte» lo rassicurò Morgan accarezzandogli la testa.
«Non ne sono più così sicuro­…» disse Spencer allontanandosi un minimo dall’abbraccio dell’amico per alzare lo sguardo ed incontrare i suoi occhi.
Gli occhi di Spencer erano gonfi dalle lacrime, così si passò una mano per asciugarli.
Morgan lo fissava «Non devi perdere la fiducia in te stesso, quello che è successo è terribile, lo so. Ma sono sicuro che riuscirai a superarlo. E sappi che se hai bisogno di aiuto io ci sarò» disse infine per poi aiutarlo ad alzarsi.
Quella sera Spencer riuscì a non commettere l’errore più stupido della sua vita, e capì che se voleva sconfiggere la droga una volta per tutte, avrebbe avuto bisogno dell’aiuto del suo migliore amico, e che l’orgoglio andava messo da parte.

 

 

 

SPAZIO AUTRICE:

Chiedo scusa se non mi sono molto incentrata sullo sviluppo del caso, ma la Fan Fiction è incentrata su Reid e la sua “lotta” per sconfiggere una volta per tutte la droga.

Un bacio e alla prossima :*

Fenix_

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