Faceless

di TheDoctor1002
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Buone maniere ***
Capitolo 2: *** Estremi rimedi all'Inferno ***
Capitolo 3: *** Ouverture ***
Capitolo 4: *** Fin nel cuore ***
Capitolo 5: *** "I live, I die, I live again." ***
Capitolo 6: *** Fino alla fine dei giorni ***
Capitolo 7: *** Voti (parte 1) ***
Capitolo 8: *** Voti (parte 2) ***
Capitolo 9: *** Casa è dove si trova il cuore ***
Capitolo 10: *** La terra dei Santi ***
Capitolo 11: *** "Non è più come ai vecchi tempi" ***
Capitolo 12: *** Para Bellum (parte 1) ***
Capitolo 13: *** Para Bellum (parte 2) ***
Capitolo 14: *** Il Richiamo ***
Capitolo 15: *** Un buon giorno per morire ***
Capitolo 16: *** KO tecnico ***
Capitolo 17: *** L'orologio dell'Apocalisse ***
Capitolo 18: *** Il nome che ci lega ***
Capitolo 19: *** Playfair ***
Capitolo 20: *** Fede ***
Capitolo 21: *** Dissonanze ***
Capitolo 22: *** Ikigai ***
Capitolo 23: *** La catarsi del sangue ***



Capitolo 1
*** Buone maniere ***


Capitolo 1: Buone Maniere


Il bar sul viale principale del grove 45 era affollatissimo.
Come sempre, d'altronde.
Non che loro fossero lì per un cocktail, ma certamente un posto a sedere avrebbe offerto una copertura migliore.
Nascosto dall'incessante viavai di pirati e comuni turisti, Kidd rivolse uno sguardo sospettoso alla figura mascherata che, da qualche tempo a quella parte, era diventata il fulcro delle ricerche di Killer e Heat, compito che non si era rivelato affatto facile.
Era stranamente composta, rispetto agli altri presenti.
Sembrava impegnata in una conversazione con quello che chiamavano il Mago e, per qualche strana ragione, dava una sensazione di alieno, di estraneo, come se quello non fosse il suo posto.
"E quella maschera? È quella di cui parlano? La Senza-faccia che sta con il Chirurgo?"
"O è lei o una con la stessa maschera" commentò Heat, squadrandola allo stesso modo del suo capitano "ma nessuno sarebbe folle abbastanza da voler prendere il suo posto.
Ad ogni modo, mi sorprende non poco il fatto che sia sola.
Non trovi curioso che non ci sia nessuno della sua ciurma a farle da scorta?"
Eustass la osservava, non le toglieva gli occhi di dosso un istante.
Prestava attenzione ai movimenti leggeri delle sue mani mentre gesticolava appena o rimescolava con la cannuccia il ghiaccio del suo drink.
La maschera rigida era appena sollevata e mostrava le labbra, talvolta contratte in un sorriso rilassato, altre volte impegnate a tessere parole capaci di incatenare l'attenzione di chiunque, o almeno così si diceva in giro.
"Quanto vale la sua testa?" Chiese Kidd con freddezza.
"Duecentocinquanta milioni, stando ai manifesti più recenti.
Ho sentito voci strane su di lei. La sua fedina penale, rispetto alle altre supernove, è praticamente in bianco: si dice che il suo capitano non le permetta di combattere.
Tuttavia, mi ricordo di aver sentito che tempo fa le venne attribuita la responsabilità di tre omicidi avvenuti in un arco temporale minore di dodici ore e in punti diametralmente opposti della Grand Line, ma il governo non ha mai dubitato che fossero opera sua."
"Moltiplicazione del corpo?"
"Non si sa per certo." Intervenne Killer "C'è chi dice che i suoi poteri abbiano a che fare con la ruggine, altri giurano di averla vista mentre con un leggero tocco faceva sparire persone. Sono solo voci, ma cose simili fanno pensare che abbia venduto l'anima per ottenere poteri che nessun Fruttato potrebbe contenere tutti insieme. Tra tutte quelle che ho sentito, sarebbe la spiegazione più logica."
In quel momento, lei lasciò il suo posto, congedandosi da Hawkins e dirigendosi verso il crocchio di pirati sul ciglio opposto del viale.
Quando lo sguardo di lei incrociò quello del Capitano attraverso la maschera, lui le rivolse un'occhiata minacciosa, spavalda, ma che non sembrò turbarla.
"È piuttosto scortese pianificare l'omicidio di qualcuno in maniera così poco discreta, Eustass" sorrise lei.
"Signorina Senza-faccia. Un onore essere degnati della tua presenza.
Dov'è il tuo capitano? Rintanato come un topo spaventato nel suo sottomarino?"
"Per quanto riguarda il capitano Trafalgar, mi raggiungerà a breve e, se davvero fremete tanto per uno scontro, dubito si tirerà indietro. A meno che, ovvio, non vi consideri avversari noiosi. È davvero un bambino, sotto questo punto di vista."
"E tu che dici, invece?" Replicò Kidd, facendo scorrere la punta delle dita lungo l'ovale del viso di lei "Anche la tua testa vale un bel gruzzolo."
Una risata argentina incurvò le labbra della giovane in un sorriso "Mi dispiace deluderti, ma per ordini del mio capitano, non mi è concesso combattere senza il suo esplicito consenso."
"E io che speravo in un combattimento come si deve. Scommetto che è davvero un guastafeste, questo Trafalgar Law di cui tanto parlano. Peccato, sembra che io debba accontentarmi di toglierti di mezzo."
Lei scrollò le spalle e sparì da sotto i loro occhi allibiti in un battito di ciglia, dissolvendosi in faville arancioni come fosse stata fatta di fuoco.
"Che cazzo di scherzo... ?"
"Non è uno scherzo" Interruppe Artemis, comparendo appoggiata ad un muro alle loro spalle "ma sappi che non mi prenderai mai, a meno che io non voglia essere catturata. Ora, se non vi dispiace, ho un appuntamento al grove numero uno e non vorrei fare tardi per l'asta. Ci rivedremo presto, Eustass-chan."
Un altro sorriso comparve sul volto della giovane che, dopo aver lanciato un bacio ai suoi interlocutori, calò la maschera sul viso e si incamminò verso la casa d'aste, sparendo tra la folla. L'ultima traccia di lei era lo scintillio dei suoi capelli fini e neri che si mescolava a decine e decine di altre teste, rimanendo impresso a fuoco nella mente di Kidd.


"Sei in ritardo" commentò Law, vedendo avvicinarsi la donna con il suo Jolly Roger a coprirle il volto.
"Ho avuto da fare." rispose lei, ricambiando i cenni di saluto del resto della ciurma e sollevando la maschera abbastanza da scoprire appena gli occhi "Avete già parlato con il rivestitore?"
"Torniamo da lì, dice che ci prenderà una settimana. Hai qualche informazione importante su questo posto?"
Artemis sembrò fare mente locale, sedendosi tra i banchi della casa d'aste e dando la schiena al palco, così che anche Bepo, Shachi e Penguin potessero sentire.
"Ho incontrato quasi tutte le altre Nuove Leve, ma nessuna mi sembra particolarmente degna di nota. Nessuna tranne Kidd, a dire il vero. Lui ha intenzione di ucciderci più di quanto non vogliano farlo tutti gli altri."
"Parlare di qualcuno che non è presente è davvero sgarbato" la interruppe una voce familiare alle sue spalle "Credevo lo sapessi, signorina Senza-faccia."
Sulla cima della gradinata, in disparte, affiancato da pochi suoi prescelti e avvolto nella sua inconfondibile pelliccia rossa, stava Eustass Captain Kidd.
Sorrideva ferino alla ciurma ricomposta e sembrava ignorare chiunque, tranne due individui: il Chirurgo della Morte e la Senza-faccia.
L'espressione tranquilla di Law non accennò a mutare, sennonché l'angolo delle sue labbra sembrò puntare un po' di più verso l'alto.
"Eustass-ya" esordì "Hai forse problemi con il mio primo ufficiale?"
"Oh, nessuno" rispose sarcastico "Salvo il fatto che questa ragazzina ha avuto l'ardire di provare a mettermi in ridicolo. Nessuno ha mai avuto la fortuna di sopravvivere una volta commesso un errore simile e lei non sarà da meno."
"Te lo ripeto, Eustass-chan, non mi è concesso combattere." Rispose lei, annoiata "Se vuoi davvero sfidarmi, devi chiedere che mi venga revocato il divieto di partecipare ai combattimenti."
"Permesso negato." Intervenne Law.
"Ecco, visto? Non puoi."
"Credi che mi interessi qualcosa delle tue stupide regole?" ringhiò lui in risposta "Non ho bisogno di nessun tipo di permesso per staccarti la testa dal collo, nè da te nè dal tuo capitano. "
"Suona quasi ironico. Tu, con il tuo proverbiale odio verso le istituzioni, che in pratica consegni loro il mio cadavere come un bravo cane da riporto. Il tutto completamente gratis, visto che non daranno nessun premio di taglia ad una canaglia come te."
Una fiamma sembrò accendersi negli occhi di Kidd e una certa elettricità percorse i membri della sua ciurma, i quali presero a scambiarsi occhiate rapide come fulmini.
"Prova a ripeterlo, Senza-faccia." la sfidò, il volto distorto in una maschera di rabbia.
"Cane-da-riporto." scandì lei, rispondendo con un sorrisetto malizioso alle provocazioni del rosso.
Bepo borbottò preoccupato, mentre Shachi e Penguin sghignazzavano sotto i baffi.
"Che farai ora, Eustass-chan? Hai intenzione di strapparmi la testa qui, macchiando di sangue tutta questa costosa moquette?"
La ragazza intercettò velocemente lo sguardo di Law, sottoponendogli un'unica richiesta "Andiamo, capitano, lasciami fare: stanno pianificando il mio assassinio già da prima, al grove 45. Non vorrai rovinare i loro piani per uno stupido cavillo, no?"
Un breve cenno del capo fu tutto ciò di cui lei aveva bisogno: scomparve ancora da sotto i loro occhi, comparendo appoggiata ad una delle colonne nell'ampio ingresso.
"Che aspetti, Eustass-chan?" lo chiamò "Se ci metteremo troppo l'asta comincerà senza di te, non vorrai perdertela"
Colui che chiamavano "il Capitano" attraversò la navata come una furia, scacciando con gesti carichi di rabbia i suoi sottoposti e facendosi largo fino al grande spazio antistante la casa d'aste.
Artemis, dal canto suo, continuava a sorridere divertita dalle reazioni di lui, abile a sfiorare le giuste corde come una brava musicista e ricevendo in risposta l'esatto suono che aveva pianificato.
"Seguitela." ordinò Trafalgar sottovoce "Tenetela d'occhio e, se dovesse succederle qualcosa, ditele che glielo avevo detto e portatela qui."
Shachi annuì in risposta e lasciò la sala, subito imitato da Penguin e Bepo.
Quando i tre raggiunsero il cortile, il combattimento non era ancora iniziato.
Artemis e Kidd sembravano semplicemente impegnati in una gara di sguardi, finché lei non iniziò ad avvicinarsi, sfiorando col palmo i capelli rasati sul lato sinistro della sua testa con aria sicura.
Quando fu vicina abbastanza caricò un pugno, ma questo quasi rimbalzò quando andò ad impattare contro il petto possente del pirata.
"È tutto qui quello che sai fare, Senza-faccia?" La beffeggiò "Non servirà neanche usare i poteri, con te."
Estrasse la pistola che portava vicina al cuore, puntandola verso di lei con un mezzo sorriso. Penguin strinse i pugni lungo i fianchi mentre Shachi gli posava una mano sulla spalla per trattenerlo.
"Vuoi spararmi?" Chiese lei quasi incredula "E io che credevo che, avendoti mostrato il mio asso nella manica, sarei partita svantaggiata. Avanti, Eustass-chan, premi il grilletto: aspetto la tua mossa."
Non si fece ripetere l'invito: si sentì solo il rumore sordo di tre spari.
Echeggiarono uno dietro l'altro, divorando con la loro energia la distanza tra i due pirati.
Bepo si coprì gli occhi, mentre Shachi e ora anche Penguin sorridevano, una sottile venatura d'orgoglio a increspare le loro labbra.
Perfino Trafalgar uscì dalla casa d'aste per vedere, mentre gli ospiti che già avevano preso posto iniziavano a parlottare tra loro.
Quando il rumore smise di annebbiare i suoi sensi, Kidd la vide ancora davanti a sé, con la maschera gialla calata sul volto e la posa più sfacciata che potesse assumere.
Sulla sua pelle non c'era neppure l'ombra di un graffio: non poteva averla mancata, non da quella ridicola distanza.
"Esisto al di fuori del tempo, dolcezza" spiegò lei "i tuoi proiettili non mi fanno neppure il solletico."
Spiccò un balzo e in un istante fu alle spalle di Kidd.
"Third Time Shock!"
Prima ancora che il pirata avesse il tempo di reagire, lo stinco di lei andò ad impattare contro la sua nuca, facendolo piombare al suolo.
Lo stupore si dipinse sul viso di Eustass in maniera sempre più nitida e, lentamente, si voltò verso la donna, tenendo il dorso della mano premuto contro la narice destra per fermare l'emorragia.
"Dannata strega, come hai fatto?" imprecò.
"È il mio potere. Il calcio di poco fa è la sovrapposizione di tre linee temporali. L'impatto è tre volte un colpo normale. Anche solo il fatto che parli ancora dimostra che solo i migliori arrivano fin qui. Inoltre, nel caso dovesse interessarti, il pugno che ti ho scagliato all'inizio era per calibrarti. Dovevo vedere che peso avessi sulle linee temporali che ho usato in modo da non rovinare completamente il continuum spazio-temporale per una rissa. Dopotutto, non ne sarebbe neppure valsa la pena. Peccato, speravo saresti stato più interessante."
Con alcuni rapidi gesti delle mani, fece comparire davanti ai suoi occhi un diagramma fatto di fili di luce arancione, studiandolo con attenzione per qualche istante.
"Qualche problema?" Chiese Law, unendosi alla discussione.
"Ho perso davvero troppo tempo" borbottò lei in risposta "devo arrivare ad Impel Down tassativamente entro una settimana."
"Impel Down? Partirai ancora?"
"Quell'idiota si farà ammazzare prima ancora di vedere Dressrosa in cartolina, se lo lascio solo." sospirò, sollevando la maschera per stampare un bacio sulle fronti di tutti i membri della sua ciurma "Non aspettatemi alzati, non preoccupatevi e state lontani dai marines, intesi?"
Questi risposero con un mugugno alle attenzioni di lei, tuttavia nessuno si tirò indietro e nessuno sembrò intenzionato ad ignorare quelle raccomandazioni.
"Aspetta!" Ruggì Eustass, provando a rialzarsi "Dove credi di scappare? Non ho ancora finito con te!"
"Non hai neppure mai iniziato" puntualizzò lei "e io devo far sì che la guerra che sta per scoppiare abbia il minor numero di vittime possibili. Non ho tempo per giocare."
"Prenderò la tua dannata testa, Senza-faccia, dovessi morire per farlo!"
Un tintinnio metallico iniziò a diffondersi nell'aria, dapprima leggero come il suono di monetine che cadono da un portafogli, poi sempre più intenso, fino a diventare un lamentoso e profondo cigolio cupo.
"Attenta!" Chiamò un suo compagno, mettendosi in mezzo tra lei e il pirata.
"Stai indietro, Bepo!"
Le dita esili della Senza-faccia si strinsero sull'enorme pugno meccanico che stava per piombare addosso ai due.
La sola nocca dell'indice era grande quanto il palmo della sua mano, eppure Artemis non sembrava nemmeno sforzarsi.
"Non si colpisce un avversario alle spalle, Eustass-chan" sorrise lei.
Una luce arancione si diffuse dalle sue dita, tessendo una rete di fili simili a quelli che componevano il diagramma e avviluppando l'intero arto metallico di Kidd, ancora più sorpreso dalle abilità della donna mascherata.
"Time deadlock!"
Con uno stridio agghiacciante, simile ad un grido, le piastre che componevano l'avambraccio collassarono su loro stesse, frantumandosi in un'esplosione di polvere ramata.
"Era di questo che parlava Killer" realizzò il Capitano, mentre sottili fiocchi di ruggine piovevano sui capelli della sua avversaria.
Lei gli si avvicinò, sollevando la maschera e mostrandogli completamente il suo volto.
C'era l'orgoglio della vittoria, nei tratti morbidi del suo viso, la fierezza di una regina nel taglio stretto degli occhi.
Sorrideva, la signorina de la Rose, guardando il suo avversario sconfitto e, per la prima volta in vita sua, Kidd fu costretto a distogliere lo sguardo.
Era bella, dopotutto.
Sotto quella maschera si nascondeva una vera donna, non solo una formidabile macchina da guerra.
Era come se per, ogni istante che i suoi occhi incontravano la figura davanti a lui, questa si incidesse nelle sue palpebre, saldando nei suoi ricordi le forme esili, l'antracite dello sguardo di lei, il mezzo sorriso che le attraversava il volto, perfino un dettaglio stupido come il cerotto che nascondeva il suo zigomo sinistro.
"Davvero prenderai la mia testa, Eustass-chan?" Chiese in un sussurro, sfiorando l'orecchio del pirata con le labbra, inebriandolo del profumo della sua pelle "Converrà che tu inizi ad allenarti subito, se vuoi riuscirci: io non starò certo con le mani in mano ad aspettarti."
Artemis si allontanò divertita dal rossore sulle guance di Kidd, il quale cercava, con scarsi risultati, di sembrare infuriato.
"Forse godrai ancora della compagnia della mia ciurma, ma le nostre strade si dividono qui. Ci rivediamo nel Nuovo Mondo. Sempre che entrambi sopravviveremo abbastanza a lungo."
Con un ultimo cenno di saluto, Artemis si separò dalla sua ciurma e sparì su due piedi in una nube di scintillii color fiamma, improvvisamente com'era arrivata.


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Ed eccomi, alla fine ci ho provato.
Tutta colpa del mio fantabolante, meraviglioso beta Aven90 che sta avendo una pazienza degna di personaggi biblici e mi sta assecondando in questa follia. 
Non penso di avere molto altro da aggiungere se non che spero che il finale questa long veda la luce.
E che, possibilmente, questa luce non sia un treno. 
Alla prossima!

 

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Capitolo 2
*** Estremi rimedi all'Inferno ***


Capitolo 2: Estremi rimedi all'Inferno

"Ti prego, Iva-sama!" ripetè la donna con un sorriso "Lo sai che la tua amicizia è un onore, ma non posso davvero accettare."
"Andiamo, splendore, pensaci bene!" Incalzò lei "Non è necessario che diventi una Newkama! Ti adoreranno lo stesso, saresti un idolo!" 
"Ne abbiamo parlato tante volte, è impossibile che io ti segua a Kamabakka" spiegò l'altra "Ho una ciurma e un capitano, ho dei doveri nei loro confronti! Cosa direbbero di me se non tornassi?"
"Quando ti metti in testa una cosa è davvero impossibile smuoverti, non è così? Non credevo di arrivare a dirlo, ma ci rinuncio: tu avrai pure a disposizione tutto il tempo del mondo, ad ogni modo per me non vale lo stesso e finirei per invecchiare prima di riuscire a convincerti. Cambiando discorso, ho appena realizzato che, in una settimana, ancora non hai mai risposto ad una mia domanda: cosa ci fai quaggiù? Un carcere di massima sicurezza non è certo il luogo migliore per una vacanza."
"Oh, non sono in vacanza. Anzi, oserei dire che non sono mai stata più impegnata, anche se è difficile a dirsi."
"Forse per qualcuno che non ti conosce, caramellina." rimbeccò Iva "Arrivi qui e dopo pochi giorni Impel Down cade a pezzi. Una coincidenza piuttosto insolita, non credi? Inizio a pensare che, durante i tuoi viaggi, ti porti dei guai per non annoiarti lungo la strada."
Artemis rise appena "Non c'è bisogno di portarmeli, sono loro a cercare me. Questi guai in particolare, ad essere sincera, sono effetti collaterali di cui non sapevo nulla. Credimi o no, sono venuta fin qui per Luffy dal cappello di paglia, per lui e nessun altro. Quel ragazzino per cui scalpitano nella sala affianco sarà la chiave di volta di processi inimmaginabili. Finora non ho mai incontrato nessuno di talmente importante. Credimi se ti dico che la storia verrà segnata dalla sua presenza. Se sia un bene o un male, ancora non so dirtelo, staremo a vedere, ma ho un buon presentimento."
"Potrei chiamarlo presentimento, ma sarebbe più corretto chiamarlo Time-time no mi, mi sbaglio?"
"In effetti, non ti sbagli" ammise la mora, portando alle labbra il bicchiere di vino che le era stato offerto poco prima.
La porta della stanza privata di Ivankov fu spalancata all'improvviso e Inazuma entrò, troncando a metà il discorso di Artemis.
"Iva-sama! Lui è qui!"
Il regino dei Newkama rivolse uno sguardo di intesa alla sua ospite, convinto che sapesse di quella comunicazione fin dall'inizio.
Normalmente, Artemis sarebbe stata felice di ricevere una notizia simile, se non altro perché confermava ancora una volta come le sue previsioni fossero sempre inequivocabilmente e indiscutibilmente giuste.
Tuttavia l'elettricità nell'aria, il sangue sulla giacca dell'uomo-forbice e quella sua vocina interiore di cui andava tanto orgogliosa, le dicevano che stava andando tutto inequivocabilmente e indiscutibilmente male.
Certo, come se un'insurrezione a Impel Down, Barbabianca che si aggirava come un falco sopra Marineford e un combattimento tra due dei quattro imperatori non fosse una situazione da definire inumanamente difficile.
"Dispiace se dò un'occhiata?" Si limitò a chiedere timidamente "Me la cavo abbastanza bene con le medicazioni, potrei dare una mano."
"Vieni pure, caramellina." Sospirò Ivankov, lasciando con riluttanza la sua poltrona e avviandosi verso l'uscita della stanza "Ultimamente questo posto si sta facendo fin troppo affollato."
Il regino Newkama chiuse la porta alle sue spalle, non senza qualche borbottio, e i tre si avviarono così lungo le strette scalinate che portavano all'imboccatura del livello cinque. 


Artemis fissò interdetta i due corpi insanguinati che giacevano ai suoi piedi. 
"Wonder-boy sembra coperto di...cos'è quel liquido? Acido? Ha l'aria corrosiva."
"È il veleno di Magellan" spiegò Inazuma "beh, uno dei tanti, perlomeno."
"Non sembrano neppure vivi" continuò lei, rivolta all'imponente figura avvolta in succinti abiti rosa e al suo secondo "Ma questo col cappello è sicuramente quello di cui parlavo poco fa. Potrei provare ad occuparmene io, se non ti andasse di darmi una mano, ma dovresti comunque ospitarmi per un altro giorno o due. Credimi, è davvero importante."
All'improvviso, quello avvelenato strinse la sua mano sulla caviglia di Artemis, attirando la sua attenzione.
Era una presa davvero forte, per qualcuno in quelle condizioni.
Lei gli si avvicinò, portando l'orecchio vicino alle sue labbra così che non si sforzasse troppo.
"Von-chan" riuscì appena a pronunciare con la gola riarsa dai gas del direttore della prigione "Lui si è battuto con i lupi per me. Dovete aiutarlo."
La figura al suo fianco sembrava priva di sensi, ma non c'era traccia di veleno sulla sua pelle.
Nonostante il level five fosse una tundra gelata, l'uomo che Artemis aveva identificato come Mr. Two Von Clay era nudo dalla vita in su.
La pelle in molti punti era livida e il freddo ed i lupi avevano aperto diversi tagli. 
"Aiutatelo, vi supplico" ripetè Luffy con determinazione. 
Iva-sama sembrava sorpresa, rivolse loro uno sguardo interdetto.
"L'altro se la caverà ma, senza il tuo aiuto, Cappello di Paglia non supererà le prossime tre ore. Dipende tutto da te, Iva."
Per un istante, il regino tacque, rivolgendo ad Artemis uno sguardo indagatore, cercando consiglio in quella figura che, con gesti delicati, studiava un modo di trasportare Mugiwara senza ferirlo ulteriormente o restare bruciata dai veleni.  
"Portateli giù" sentenziò infine "Qualcuno si occupi di Von-boy. Per quanto riguarda l'altro, ci penseremo io e te, Artemis. L'unica possibilità sarebbe quella di un'infusione curativa, ma sono ormoni pericolosi: anche nella possibilità che riuscisse a sopravvivere, perderebbe dieci anni della sua vita e non sappiamo se guarirà del tutto."
Artemis sorrise, sollevando Luffy di peso come se fosse un fuscello. Lui non sembrò nemmeno accorgersene, ma un barlume di lucidità lottava ancora per non abbandonare il suo sguardo. 
"Non preoccuparti. È una roccia: con il nostro aiuto se la caverà"
Solo una cosa sembrò oscurare per un istante il volto di Artemis: una sola parola che Luffy sussurrava tra i denti, quasi un riflesso condizionato.
Lei sapeva bene a chi appartenesse quel nome, quella manciata scarsa di lettere.
Lo ricollegava alle fiamme, al fuoco e alla lava.
Lo ricollegava alla morte, alla perdita e al dolore.
"Ace."

-//-//-//-

"Non per essere scortese, ma posso sapere chi sei? E, soprattutto, cosa ci fai sulla mia nave?"
Il ragazzo fissava perplesso la figura che era comparsa sul ponte all'improvviso.
Lei, avvolta in una tuta da meccanico bianca e con il volto nascosto da una maschera gialla, non sembrava disorientata né preoccupata dalla reazione che il suo ospite avrebbe potuto avere alla vista di una sconosciuta sulla sua imbarcazione. 
"Sono un tecnico." Si giustificò con voce calma, quasi stesse spiegando un concetto ovvio "Ho sentito che ti serve una mano con il tuo monoposto. Vorrei darci un'occhiata, se non ti dispiace."
L'espressione sul viso di Ace si fece ancor più confusa, per quanto fosse possibile, ma constatò presto che Artemis non intendeva rappresentare una minaccia. 
"Uh, capisco." Affermò quasi sovrappensiero, avvicinandosi alla sua inattesa ospite "E qual è il tuo nome?" 
"Mi chiamano la Senza-faccia. Dubito che qualcuno mi conosca con un nome diverso, quindi penso dovrai accontentarti di questo. Allora, ti interessa?"

Il guasto era una bazzecola, solo un pezzo sbeccato e semi-nascosto che sistemò in pochi istanti.
Pugno di Fuoco insistette perché prendesse i soldi della riparazione, ma lei continuò a rifiutare. 
"Ace" gli aveva detto, parlando col tono di una madre apprensiva "non mi interessano i soldi: l'ho fatto perché stai a cuore a uno che conosco. È un favore, accettalo. C'è solo una cosa che voglio in cambio: promettimi che starai attento. Questo mare è più pericoloso di quanto sembri e, per quanto tu sia forte, non devi mai permettere che questo ti impedisca di vedere la forza nei tuoi nemici. Non sottovalutare chi ti trovi davanti, mai. Promettimelo."
Per la prima volta, lui sembrò serio.
Ascoltò quelle parole con attenzione, sentendo la preoccupazione nella voce della misteriosa figura comparsa dal nulla.
"Ho capito!" Realizzò all'improvviso, incurvado le labbra in un mezzo sorriso "Devi essere amica di mio fratello Luffy, non è così?"
"Una specie" rispose "E sono venuta fin qui apposta per avvertirti: non sottovalutare Teach. Quell'uomo ha dei poteri che potrebbero reggere il confronto perfino con i tuoi e i miei: non prenderlo alla leggera."
"Quel ragazzino è sempre stato così assurdamente apprensivo" sorrise Ace, quasi senza ascoltarla "Ma anche io gli ho dato motivi per esserlo."
Oh, nemmeno immagini. 
"Non dovrei dirtelo." Ammise  Artemis "Sto infrangendo una delle più importanti regole dei viaggi temporali e interdimensionali, ma devi sapere: nell'ultima linea temporale, hai deciso di restare ad Alabasta insieme a tuo fratello fino alla fine. Proseguendo il tuo viaggio, Barbanera ti ha catturato e portato a Marineford. Se davvero non ti importasse di te, se per caso dovessi ancora sentire che quegli stronzi hanno ragione a dire che il figlio di Roger sta bene morto, almeno pensa a Luffy. Non fare idiozie: lui ha bisogno di te."

-//-//-//-

Gli aghi di Ivankov ebbero qualche difficoltà a trapassare la pelle di gomma di Luffy.
Il leggero sussulto del ragazzino, che parve accorgersi appena della puntura, spinse Artemis a dubitare che l'infusione stesse andando a buon fine . 
Non passarono che pochi istanti prima che un grido potente e nero di dolore squarciasse l'aria umida della Grotta.
Dalla gola di Cappello di Paglia scaturì un verso quasi animalesco, manifestazione di una sofferenza che pochi sarebbero stati in grado di sopportare.
"I-io devo farcela" Gridava lui "Io salverò Ace!"
Aveva mentito, al largo delle coste di Alabasta.
Artemis aveva visitato il mondo dopo la Guerra decine di volte  in altrettante linee temporali e, per quante raccomandazioni potesse avergli fatto, Ace, quel mondo, non era mai riuscito a vederlo.
Erano quelli che in gergo si chiamavano Eventi Fissi: tratti di storia definiti ed immutabili, incisi nell'esistenza.
A volte gli studiosi li chiamavano Crocevia del Tempo perché, per quanto diverse tra loro potessero essere le realtà alternative, quelli erano passaggi obbligati che le accomunavano tutte. 
Credi davvero di riuscire a opporti a una storia già scritta, Wonder-boy? 
"Lo salverò, torneremo indietro insieme!"
"Va' pure, Iva-sama. Da qui me ne occupo io."
Ivankov non poté fare a meno di notare la corazza di ghiaccio che la ragazza aveva indossato.
"Fai attenzione, caramellina" si raccomandò prima di lasciarla "e cerca di non strafare: il tuo capitano mi farebbe a fettine se ti succedesse qualcosa. O FORSE NON MI FAREBBE NIENTE!" 
Un fugace sorriso percorse le labbra della ragazza, alleggerendo appena il cuore di Iva, che uscì dalla stanza appena rincuorata. 
In verità, ciò che aveva generato quel sottile raggio di sole era stata la parola "Capitano", che l'aveva fatta ritornare nel rassicurante metallo del sottomarino, circondata dal calore opprimente delle macchine di cui si era sempre presa cura, affiancata da quei compagni che, dopo tanto tempo, erano per lei come dei figli.
Le mancava, quella sua famiglia.
Anche Luffy ha una famiglia ad aspettarlo. Non permetterò che ritorni in una bara. 
Lo sguardo folle di Cappello di Paglia si aggrappò disperatamente al sorriso dipinto di nero sulla maschera gialla di Artemis, quasi fosse l'ultimo brandello di una nave dopo un naufragio.
Lei lo osservava con distaccata professionalità, lasciando scorrere le mani sul petto ferito di lui, posizionandosi in corrispondenza del cuore. 
"Allaccia le cinture, Wonder-boy: non sarà affatto una passeggiata. Accelerated Timelapse."
Quando quelle parole scaturirono dalle labbra di lei, fu come se le avessero estratto l'anima dal corpo, trasformandola in cavi di luce che si strinsero attorno al torace di Luffy.
Sentiva il corpo di lui sgretolarsi come gesso nella sua presa e riforgiarsi frammento per frammento.
Le urla si fecero più assordanti che mai e Artemis iniziò a percepire sulla lingua il sapore stomachevole del sangue.

Passarono dieci ore.
Dieci ore di lavoro ininterrotto e grida, non si era mai sentita così sfibrata.
Fuori dalla grotta, le voci dei Newkama urlavano a Luffy di non arrendersi. 
Con una certa riluttanza, Artemis ruppe i legami e si allontanò dal ragazzino, trascinandosi fino ad una delle pareti e lasciandosi scivolare fino a sedersi sul pavimento. 
Sollevò appena la maschera e col dorso della mano tolse dalla guancia alcuni residui di sangue, rivolgendo a Cappello di Paglia uno sguardo. 
"Adesso tocca a te, Wonder-boy. Non posso davvero fare nient'altro."
Dalla superficie su cui era steso, Luffy emise un sospiro. 
"Qualcosa...qualcosa c'è."
"Già parli? Certo che sei un osso duro. Di cosa hai bisogno?"
Il ragazzino tacque per un momento, doveva riprendere fiato.
Sospirò ancora, come per prepararsi ad urlare, infine ebbe quella che Artemis scoprì essere la sua più comune reazione a praticamente qualsiasi cosa:"SANJI! CIBO!"
La voce infantile di lui quasi le perforò i timpani.
Si decise ad aprire la porta, percependo chiaramente la tensione dalla sala affianco. 
"È tutta insanguinata!" Commentarono gli Okama vedendola "Io dico che il ragazzino non ce l'ha fatta!" 
"Ma non l'hai sentito prima? Quel grido non può certo averlo tirato lei! No, no: cento berry che invece s'è salvato!" 
"D'accordo, ma lei come diavolo ha fatto a ridursi in quello stato?" 
Solo allora Artemis realizzò le condizioni in cui versava.
Il frutto aveva aperto numerose lacerazioni, crepando la sua pelle e lasciando trasparire frammenti di muscolo da fori grandi quanto un'unghia sparsi su braccia e gambe.
Man mano che l'adrenalina andava scemando, iniziava a percepire il bruciore delle ferite e le sembrava di  sbriciolarsi come intonaco ad ogni singolo movimento. 
Law si sarebbe infuriato a morte, vedendola così.
Senza dubbio, l'avrebbe curata e le avrebbe girato intorno con un'espressione di biasimo dipinta in faccia per giorni, senza mai rivolgerle la parola. 
"Allora?! Non avete sentito che ha detto?" Il tono autoritario che aveva sviluppato dopo lunghi anni nella sua ciurma riuscì a sovrastare il vociare di tutti i presenti.  "Portate tutto il cibo che avete: crudo, cotto...conoscendolo non ha importanza, basta che sia energetico. Deve rimettersi in forze."
I Newkama sfrecciarono come saette verso le dispense, dando il via ad una trafila che sarebbe continuata per diverso tempo.
Appena riuscì a liberarsi, Artemis si trascinò fino ad Ivankov. 
"Sai, penso di aver bisogno di un po' di riposo anche io..." ammise. 
"Hai...accelerato i processi? È perfettamente guarito?"
"Per guarire da un avvelenamento simile potrebbero servire mesi, ma sicuramente sta meglio di prima" rispose con un debole sorriso "perfino il Dottorino non avrebbe saputo fare di meglio in così poco tempo."
"Giusto parlando di lui, guarda in che stato sei ridotta." L'ammonì Iva "Se non ti rimetto in sesto mi ucciderà. E stavolta non sto scherzando." 
Artemis restò in silenzio, mentre Ivankov dava alcune disposizioni e continuava nel frattempo a parlarle.
Non che riuscisse a capire cosa stesse dicendo, ma dalle parole che riuscì a cogliere, si trattava quasi certamente di un rimprovero.
Tutto sembrava ovattato ed estraneo.
"Promettimi che mi porterai" chiese lei, di punto in bianco, fissando un punto imprecisato tra la folla "promettimi che mi farai arrivare fino a Marineford" 
"A Ma-Marineford?" Balbettò Iva "Sei uscita completamente di senno? A stento ti reggi in piedi, come puoi pretendere di arrivare fino a-" 
"Promettimelo, Iva. Faccio totale affidamento su di te: devo arrivare lì e proteggere Wonder-boy, qualsiasi cosa accada. Posso fidarmi?" 
Ivankov fece per ribattere, ma non aveva il tempo nè le energie per discutere.
Inoltre, c'era il rischio che lei si infervorasse, peggiorando ancora di più la sua situazione.
"E sia, signorina Testa Dura, ti porterò fino a Marineford. Contenta?" 
Un debole sorriso illuminò il volto di Artemis, la quale ebbe appena la forza di pronunciare un "Si, molto" prima di crollare per il sonno.

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Ancora una volta mi trovo a ringraziare il pazientissimo Aven90, il mio beta che, davvero, contando gli errori che c'erano in bozza, mi chiedo come mai non mi abbia ancora scaricata :')

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Capitolo 3
*** Ouverture ***


Capitolo 3: Ouverture

Che la capigliatura di Ivankov fosse strana, Artemis lo sapeva bene.
Sapeva anche che poteva contenere facilmente una grande quantità di oggetti, principalmente armi o simili, molti dei quali finivano per disperdersi nei ricci e/o sparire per sempre.
Ciò che non sapeva è che, una volta "svuotati" del loro contenuto, potevano ospitare la bellezza di due persone addormentate e convalescenti.
Fu così che, quando Artemis si svegliò, si ritrovò abbracciata ad un'Inazuma molto più femminile e fasciata di quanto non ricordasse e avvolta in una coperta di boccoli viola. 
Dovette quasi nuotare per emergere in superficie e, quando la raggiunse, una frusta per poco non le tranciò la testa di netto. 
"Non è davvero il momento, caramellina, torna al tuo posto!" 
Anche la voce di Iva era diversa da come la ricordava: oltre che molto più suadente, sembrava piuttosto affaticata.
Se Artemis non aveva interpretato male quei segnali, quasi certamente si trovavano nel mezzo di un combattimento, tuttavia nè lei nè la bella addormentata dalle mani di forbice sembravano essersene rese conto. 
Le fu concesso di rivedere la luce solo diverso tempo dopo, a seguito di una discreta serie di sonni dalla durata non esattamente definita che, se potevano definirsi un ulteriore colpo al suo dubbio senso del tempo, erano anche un toccasana per le sue ferite.
Queste ultime si erano rimarginate quasi completamente quando Iva svuotò la sua acconciatura sul ponte della nave che avevano rubato per scappare. 
Era un'imponente nave ammiraglia, con un ponte vasto e molto più affollato di quanto Artemis non immaginasse.
All'inizio il sole quasi la abbagliò, poi i suoi occhi si abituarono all'improvvisa luminosità e riconobbe le figure che occupavano gradualmente il suo campo visivo.
Alcuni erano Newkama, altri sembravano detenuti e tutti insieme formavano un piccolo esercito.
Il Cavaliere del Mare, Jimbe, governava la nave in tutta la sua imponenza mentre Crocodile sembrava parlargli.
Mr Three della Baroque Works stava litigando con quello che lei riconobbe come Buggy il clown dalla ciurma di Gol D. Roger e Luffy fissava con aria preoccupata un punto alle loro spalle. 
"Chi dovrebbe essere tutta questa gente?" Borbottò infine tra sé e sé. Non si aspettava che qualcuno l'avesse sentita nè si aspettava di ricevere una risposta, ma questa, ad ogni modo, arrivò da Ivankov. 
"Sono successe molte cose ad Impel Down, caramellina. I detenuti, Croco-boy e Jimbe ci hanno aiutati contro Magellan e Hannibal e ci hanno permesso di fuggire. L'unico a non avercela fatta è stato Von-boy, che si è sacrificato per aprire i cancelli. Se siamo qui lo dobbiamo a lui."
Il "qui" era un concetto estremamente relativo, ma Artemis constatò che già il trovarsi ancora in questo mondo poteva considerarsi un buon punto di partenza.
Voltandosi, riusciva ancora ad intravedere le Porte della Giustizia, quindi poteva volerci ancora un po' di tempo prima del loro arrivo.
Fece per avvicinarsi a Luffy, ma subito delle fitte le fecero tremare paurosamente le gambe. 
"Che hai intenzione di fare, caramellina? Ti sei appena ripresa, non puoi scorrazzare in giro come se niente fosse!" 
"Sto bene." Borbottò lei in risposta, allontanando alcuni Newkama che erano intervenuti a darle soccorso.
Così parlava, tuttavia dovette aggrapparsi al parapetto della nave per reggersi in piedi. "Sto bene. Starò meglio per quando saremo arrivati, ma sto bene. Sono solo un po' indolenzita, che diamine, nemmeno fossi sul mio letto di morte. Chi mi ha messo queste bende? Devo parlargli." 
Dal gruppetto di prima, si distaccò un uomo poco più alto di lei, con delle calze a rete, un cappello a cilindro e uno stetoscopio al collo. 
"Sono stato io." Dichiarò con fermezza, scuotendo gli spessi mustacchi ad ogni sillaba. "E in qualità di medico, ti proibisco di togliere quelle fasciature. Hai perso molto sangue, ho già mandato due miei assistenti a cercare il materiale per una trasfusione. È incredibile che tu voglia andartene a combattere a destra e a manca conciata come sei." 
"Non ci sono lesioni interne, vero? Nemmeno minuscole?"
"Non ne ho riscontrate" rispose il dottore con freddezza, mentre esaminava attentamente una busta che gli veniva porta da un altro Newkama di ritorno dalla stiva.
La sacca trasparente conteneva un gelatinoso liquido rosso vivo e aveva un'etichetta su un lato. "Da quanto ho visto, il tuo gruppo é AB positivo, giusto? Una bella fortuna."
"Ne è sicuro?" Insistette lei senza prestare attenzione alle sue ultime parole
"Non ci sono lesioni interne." Scandì l'altro, esasperato "L'unico problema, potrebbe essere una vecchia ferita nel basso addome. Se ti sforzassi troppo finirebbe per riaprirsi, allora avremmo davvero dei problemi." 
Il medico la fece sedere sul ponte e inserì nel suo avambraccio destro un ago piuttosto spesso, collegato tramite un tubicino alla sacca che stava esaminando poco prima. 
"E levati quell'aria preoccupata dalla faccia, non sei la prima a cui faccio una trasfusione!"
Non era quella bazzecola a preoccuparla, ciò che davvero la metteva in ansia erano quelle che Law chiamava "questioni da Signora del Tempo" e, certamente, non si aspettava che gli altri capissero. 
Cercò di ricordare gli eventi fissi di quella guerra: l'onda, il ghiaccio, Ace.
Non era stato scritto nient'altro.
Non aveva ancora trovato un modo per liberare la barca dal blocco in cui si sarebbe trovata al suo arrivo a Marineford, ma sapeva che, in un modo o nell'altro, il problema sarebbe stato risolto.
La sua attenzione si spostava sulla vera ragione di quell'inutile epopea: Ace. 
Era spacciato, inutile girarci intorno o fingere che le previsioni di lei fossero sbagliate: non c'era possibilità di errore.
Si chiese cosa sarebbe successo se, per una coincidenza o per qualsiasi altra ragione, Luffy avesse scoperto che suo fratello doveva inevitabilmente morire.
In altre linee temporali, lei gliel'aveva rivelato e lui aveva finito per gettarsi contro i marines senza badare ad alcun tipo di conseguenza, finendo col restare ucciso. 
"Non posso permettermelo" pensò lei "Non posso lasciarlo morire, non dopo essere arrivata fin qui."
"Oi, Senza-faccia" la chiamò ad un certo punto una voce infantile.
Lei sollevò gli occhi e si trovò di fronte Cappello di Paglia in persona.
"Tu sei quella che mi ha salvato e curato a Impel Down, vero?" 
Lei annuì appena, il solo ricordo di quella fatica le faceva tornare il fiatone.
Prima ancora che potesse fermarlo, si ritrovò a barcollare, travolta da un abbraccio inatteso di Luffy. 
"Grazie infinite" continuava a ripetere lui "Grazie infinite, è solo per merito tuo e di Iva se ho ancora qualche possibilità di salvare Ace!"
"Grazie per avermi voluto bene."
A quelle parole, il viso di Artemis si indurì, i sensi di colpa rendevano vuoti i suoi occhi grigi.
Lui ci credeva, tutti su quella nave erano certi di potercela fare, nessuno aveva idea di quanto quella missione fosse un suicidio inutile.
Nessuno tranne lei.
Una profonda vergogna la fece avvampare e mai come in quel momento fu lieta di indossare quella maschera. 
"Ho avuto modo di conoscere tuo fratello durante i miei viaggi." Spiegò lei con la voce più calma possibile "Tuttavia non mi farei troppe illusioni, fossi in te: ci saranno decine di migliaia di marines e i tre Ammiragli, nonchè Sengoku. Una scelta troppo impulsiva e nessuno di noi tornerà a casa." 
"Sei incoraggiante." Intervenne una voce dura e velata di sarcasmo dal ponte di comando.
Artemis sollevò appena la maschera e lanciò un'occhiata torva in quella direzione, cosa che le riuscì sorprendentemente bene nonostante le ferite. 
"Sono realista, Crocodile. Problemi?" 
"Il tuo tono in primis, Senza-faccia. Non mi piace che qualcuno si rivolga a me con tanta insolenza. In secondo luogo, mi chiedo cosa tu ci faccia qui se hai così poca fede nell'esito della missione. Non sembri in ansia per quanto riguarda l'esecuzione, nè interessata alla testa di Barbabianca. È ovvio che il motivo che ti muove è un altro. Illuminaci."
Le parole di Crocodile erano taglienti come lame.
Per qualche secondo, il fatto che qualcuno fosse riuscito a scoprire che le sue azioni non erano completamente trasparenti riuscì a spiazzarla, ma fece di tutto pur di non darlo a vedere. 
"Le mie ragioni non sono affar tuo." Tagliò corto lei "Ma ho i miei motivi e nessuna ragione valida abbastanza da convincermi a dirteli." 
"Devono essere davvero dei motivi importanti per farti fare una pazzia simile." Commentò lui, estraendo dalla sua giacca una scatolina di fiammiferi e accendendosi un sigaro "Nessuna persona sana di mente si butterebbe nell'inferno di Marineford per puro buon cuore, tantomeno qualcuno nelle tue condizioni. Sembri uscita da una guerra e non siamo nemmeno vicini al campo di battaglia, anche solo stare su questa nave potrebbe ucciderti, senza cure adeguate. Ma tu non te ne vai, no. Tu resti e vuoi a tutti i costi arrivarci. Si può sapere per quale dannata ragione? Sono ordini del tuo capitano?" 
"Certo che lo sono" mentì lei "altrimenti non sarei qui, non credi?"
La risata che proruppe dalla gola di Crocodile fu cupa e sincera.
Artemis non aveva dubitato nemmeno per un secondo che la trovasse, secondo qualche suo criterio, divertente. 
"Allora ci sono due possibilità: il tuo capitano vuole liberarsi di te o è veramente un grandissimo pezzo di idiota. Non mi sembri troppo stupida, penso che tu sappia meglio di me quale escludere: dei poteri come i tuoi fanno gola a tanti, un pirata con un pizzico di sale in zucca non ti lascerebbe mai correre pericoli simili. Se lo sciocco Trafalgar Law è uno sciocco fortunato, forse riuscirà a vedere il Nuovo Mondo con un buon binocolo, prima di raggiungere il patibolo."
"Sta zitto." Rimbeccò lei, con una nota di rabbia nella voce "Non hai neppure idea di chi sia l'uomo di cui parli, nè le ragioni che lo spingono ad agire. Certo che è in pensiero sapendomi qui, ma lui ha fiducia in me e io in lui. Non accetterò di sentire una sola parola in più riguardo al mio capitano da parte tua."
"Non prendo ordini da una ragazzina che non ha nemmeno il coraggio di mostrare il suo volto."
Lei fece per alzarsi, staccandosi la flebo e avvicinandosi a lui, ma a metà strada sentì una mano stringersi sul suo avambraccio. 
"Lascia perdere, caramellina." Disse Ivankov, fermandola "Sono sicura che dicesse tanto per dire, non è così, Croco-boy?" 
Lui rispose con un'occhiata torva, sbuffando una grossa nuvola densa mentre Iva tornava a rivolgersi ad Artemis. 
"Dobbiamo parlare." disse con un'espressione seria. Il suo corpo si era rimpicciolito, notò l'altra, e aveva ora l'aspetto di una donna normale, mentre la invitava a seguirla in un luogo meno affollato. 
Le due entrarono nella cabina dell'ammiraglio che doveva aver comandato quella nave prima di loro, chiudendo la porta alle loro spalle e allontanando curiosi e rumore. 
"Immagino di sapere cosa stai per dirmi" disse Artemis, rannicchiandosi su una poltroncina in feltro rosso.
"Oltre agli ammiragli e ai marines, sono stati convocati anche gli Shichibukai" rivelò Ivankov, rivolgendo uno sguardo apprensivo alla sua interlocutrice " e l'unico a non aver risposto è stato Teach. Quindi..."
"...quindi Lui ci sarà." concluse l'altra.
Strinse gli occhi per un istante, quasi sentisse il suo fiato sul collo.
Il suo era un nemico da non sottovalutare, ma con i suoi poteri forse sarebbe riuscita a tenergli testa. 
"Sei ancora convinta di voler combattere anche tu?"
"Senza dubbio." rispose senza esitare "Il fatto che Mugiwara sopravviverà non è certo e io ho bisogno di lui. Non posso far altro che proteggerlo, costi quel che costi."
Continuando a fissarla, Iva sospirò "Non è saggio correre rischi simili, Artemis. Croco-boy ha ragione, ci deve essere una ragione importante dietro tutto questo. Perché stai rischiando la tua vita così?"
"Ho fatto delle cose orribili, prima di diventare l'Artemis che hai conosciuto" raccontò "E sai bene sotto quale bandiera fossi costretta a nascondermi. C'è un'isola che ha pagato un prezzo fin troppo alto e ho un debito nei loro confronti. Secondo le mie visioni, senza Luffy, io e Law non possiamo fare niente." 
L'espressione sul viso di Ivankov era quasi shockata "Stai...stai usando questa missione per incastrarlo?"
Uno scossone terribile impedì ad Artemis di rispondere, generando il panico sul ponte. 
"Dannazione, Barbabianca, tu e il tuo dannato frutto." imprecò lei tra i denti, uscendo e dirigendosi verso il ponte di comando. 
Jimbe stava avendo difficoltà a governare la nave e un'onda cresceva ad ogni metro, avvicinandosi a loro.
L'ex-Shichibukai le rivolse uno sguardo preoccupato mentre Artemis correva verso la prua. 
"Scendi da lì, Senza-faccia, finirai in mare!" Le gridò l'uomo-pesce. Per tutta risposta, lei agitò una cima che finiva legata alla sua vita e proseguì la sua corsa fino al limite estremo della nave.
Luffy allungò il braccio per riprenderla, ma lei riuscì a divincolarsi.
"So quel che faccio!" gridò loro, coprendo il suono dell'onda che era diventata tanto alta da sovrastarli. 
Si sedette a cavalcioni del bompresso e cercò di riunire quante più energie potesse.
L'onda continuava ad avvicinarsi, mentre le mani di lei emettevano una calda luce arancione. 
"Jimbe!" Gridò, sperando che la sua voce fosse potente abbastanza "Mantieni dritto il timone, non farti spaventare dall'onda!" 
Con gli stessi rapidi gesti che aveva compiuto alla Casa d'Aste, disegnò un complicato intreccio di cavi e prese a scorrere lungo gli eventi passati e futuri.
Cercò delle porzioni della loro linea temporale in cui quel tratto di mare fosse calmo.
Cercò un'immagine di tranquillità, di pace: attraverso quelle finestre sul tempo riusciva a vedere Marineford in tutta la sua imponenza.
Un brivido le percorse la schiena vedendo l'immenso quartier generale.
Tuffò le mani verso quei brandelli di mare calmo e li strappò alla loro legittima posizione per usarli come ponte attraverso lo tsunami. 
"Stolen Timelapse!" 
Sotto lo sguardo stupito di quell'eterogenea ciurma, la nave bucò il muro d'acqua senza conseguenze, perfino Crocodile parve sorpreso.
Quando l'effetto svanì, l'ammiraglia tornò nell'impervia rotta governativa dove un'altra onda andava ingrossandosi.
Artemis impiegò qualche secondo per riprendersi e, appena fu lucida abbastanza da rendersene conto, notò che la pelle delle sue mani si stava sgretolando, tracciando sui suoi avambracci una ragnatela purpurea. 
"Non posso rifarlo" gridò a Jimbe "pensi di riuscire a superarla ugualmente?"
"Conta su di me!" Rispose deciso, modificando la rotta della nave in modo da cavalcare lo tsunami.
Con uno sforzo, Artemis tornò sul ponte dove Iva le medicò le ferite più recenti.
Un sottile rivolo di sangue aveva disegnato una linea rossa lungo il collo di lei, finendo per impregnare il bordo della canotta grigia che indossava.
Sapeva bene cosa significasse: quando le prime lesioni interne iniziavano a manifestarsi, di solito prediligevano la bocca o, come in quel caso, il naso.
Una semplice epistassi poteva rappresentare un importante segnale sul suo stato e fare troppo affidamento sui suoi poteri durante la battaglia l'avrebbe condotta a morte certa. 
Strinse le dita a pugno per saggiare le medicazioni e, pochi istanti dopo, sentì la nave inclinarsi sotto i suoi piedi, trovandosi costretta ad aggrapparsi ad uno degli alberi dell'imbarcazione.
Quando aveva viaggiato con gli Heart Pirates, erano stati previdenti e fortunati abbastanza da evitare la Knock Up Stream, ma Artemis aveva sentito molti racconti a riguardo ed era certa che l'effetto fosse circa simile: la nave sembrava volare, sconfiggendo le leggi della fisica come fossero uno scherzo, governata dall'ex Shichibukai.
Si ritrovarono sulla cresta dello tsunami, alcuni più scossi di altri, mentre il secondo punto tornò ad affacciarsi alla sua mente: il ghiaccio. 
Sporgendosi appena oltre il parapetto, Artemis vide Aokiji scattare dalla sua posizione.
"Ice age" mormorò quasi in contemporanea con l'ammiraglio, mentre il ghiaccio prendeva all'improvviso il posto dell'acqua. 
"Che succede?" 
"Cosa diamine...?"
"Ghiaccio? A Marineford?!" 
Le voci si susseguivano in un trantran di supposizioni e dicerie, mentre la nave si trovava bloccata a quasi trenta metri sopra la piazza del quartier generale. 
Crocodile fu tra i primi a scendere, mentre Luffy suggeriva di spingere la nave e aggirare la muraglia dell'onda. 
Dall'alto, Artemis vide lo scintillio della lama una falce immensa: ad impugnarla c'era un vice ammiraglio della divisione dei giganti. 
Il suo sguardo si spostò e riuscì a distinguere Barbabianca che torreggiava sull'intera piazza da una delle navi della sua flotta.
Al suo fianco, avvolto da un alone cianotico, stava Marco, il suo figlio prediletto.
Un'immagine attraversò rapidamente la mente di lei, che con un cenno invitò Luffy ad avvicinarsi. 
"Ho trovato un modo di liberarci da qui" rivelò in un sibilo "ma tu devi fare una cosa per me: appena scendiamo voglio che tu abbia il Gear Second pronto all'uso e un occhio su Barbabianca. Lo riconoscerai: è quello sulla nave." 
"Perché proprio quel vecchio?" Chiese Luffy, sporgendosi per vedere meglio "Io sono qui per salvare mio fratello!" 
"Quel vecchio, per tua norma e regola, è uno dei quattro Imperatori."
Le parole di lei sembrarono solo confonderlo.
Artemis si chiese come fosse possibile che quel ragazzino inappropriato potesse essere l'unica persona in grado di aiutarli. 
"È un vecchio a cui Ace tiene molto"
Tagliò corto, sbuffando: non c'era tempo per spiegargli come fosse strutturata la gerarchia dei poteri.
Che si informasse, dannazione: nessun re dei pirati può solcare i mari senza avere idea di chi siano i suoi alleati e rivali. 
"D'accordo, se a Ace importa lo terrò d'occhio" rise lui.
Non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato così semplice.
Scosse le spalle e agitò un braccio, invitando tutti a tornare sulla nave. 
"Tutti a bordo, signori, o da qui non ci si muove."
Iva fu l'ultima a prendere posto.
Rivolse uno sguardo ad Artemis e questa ricambiò con un occhiolino. 
"Abbi fiducia in me, Regina Ivankov, ho un piano!" 
Corse oltre la poppa della nave, caricando un pugno e scagliandolo contro la superficie di ghiaccio. 
"Fifth Timeshock!"
Quando il gancio impattò contro l'onda, finì per crepare la piattaforma su cui si era incagliata la nave. 
Lo tsunami si frantumò con uno stridio, quasi completamente coperto dalle urla della ciurma che si ritrovò a precipitare in caduta libera, piombando tra le braccia armate dei Marines.


"Slowed-down timelapse!" 
Senza quell'ultima invocazione, la nave sarebbe finita in mille pezzi. Artemis cercò di salvare il salvabile, riuscendo a rendere l'atterraggio più morbido, ma non per questo meno shoccante. 
Quando superarono il trauma dell'arrivo, nessuno seppe come né perché fosse sopravvissuto a circa trenta metri di caduta libera.
Dopo pochi secondi, il tempo necessario a fare un rapido conteggio dei cadaveri che occupavano la piazza, tutti iniziarono anche a chiedersi se non fosse stato meglio schiantarsi. Appena Artemis riuscì a rimettersi in piedi, cercò Luffy tra i frammenti di nave, la quale aveva finito per incagliarsi con la poppa nel ghiaccio, fornendo una certa protezione ai fuggitivi. Tutto sommato, lei non aveva subito troppi danni: gran parte dei coloro che incrociava sul suo cammino erano ancora privi di sensi nel migliore dei casi.
Tra le divise del carcere e gli abiti stravaganti dei newkama, Artemis scorse la casacca gialla di Luffy e cercò di svegliarlo con leggeri buffetti. 
"Prendeteli, presto, potrebbe esserci ancora qualcuno di vivo!" 
Le voci dei marines rimbombarono sul ponte distrutto, mentre lei afferrava con quanta più cautela potesse un pezzo della ringhiera di legno in modo da non trovarsi completamente disarmata. 
Tra quelle voci, tuttavia, Artemis ne udì una più flebile e vicina. 
"A-ace..." 
"Sveglia, Wonder-boy, non è il momento di dormire!" Cercò di spronarlo, scuotendolo per le spalle e cercando di farlo rinsavire "Ce l'abbiamo fatta, siamo a Marineford!" 
Alle parole di lei, scattò subito seduto, come alimentato da elettricità a voltaggi vertiginosi. 
"M-Marineford?! Vuoi dire che possiamo ancora farcela!" 
"Mi dispiace" avrebbe voluto dirgli "mi dispiace, ma non c'è niente in quest'universo che possa salvarlo."
"Ti avevo detto che ci saremmo arrivati, no? Ora sbrigati, ti starà aspettando" 
Prima ancora che Artemis finisse la frase, il ragazzino aveva iniziato a correre contro chiunque e qualsiasi cosa, ignorando ogni tipo di collisione quasi fosse un fantasma e gridando a pieni polmoni il nome di suo fratello. 
Dove trovasse tutto quel fiato, Artemis non sapeva spiegarselo, ma appena si riprese iniziò a seguirlo, spazzando via chiunque si avvicinasse troppo a Cappello di Paglia.
Raggiunsero la prua e, da lì, ebbero sotto i loro occhi l'intero campo di battaglia.
Presto dalle macerie emersero anche Ivankov e Crocodile, seguiti da Jinbe, Buggy e i vari componenti dell'armata di evasi.
Per qualche istante, la battaglia sembrò fermarsi e osservarli. I marines imprecarono tra i denti, mentre identificavano uno ad uno tutti i fuggitivi. A un centinaio di metri da loro, Barbabianca li fissò con sospetto, passando al setaccio l'armata con lo sguardo.
Ancora una volta, Luffy chiamò suo fratello con tutto il fiato che aveva in gola.
Shirohige sorrise riconoscendoli come alleati e si sorprese nel sentire una risposta a quel grido: dal patibolo, distante circa cinquecento metri da loro, una lontana e indistinta macchiolina nera ricambiò il richiamo.


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Anche questo capitolo è stato pazientemente e diligentemente betato da Aven90.
Davvero, man. Come. Fai. Me lo dici?

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Capitolo 4
*** Fin nel cuore ***


Capitolo 4: Fin nel cuore

"Sables!" 
L'evocazione del rogia della sabbia risuonò chiara alle loro spalle e, quando si voltarono, Crocodile era già sparito.
Ivankov imprecò tra i denti mentre l'ex tiranno di Alabasta puntava dritto verso Barbabianca, ma realizzò presto che non era l'unico ad aver abbandonato la formazione. 
Prima che riuscisse ad andare a segno, Luffy si era già gettato a difesa di Newgate, il Gear Second pronto e la pelle inumidita dall'acqua gelida della baia. 
Ancora una volta, le previsioni di Artemis non si erano rivelate sbagliate: senza quel preavviso, forse Crocodile sarebbe riuscito a colpire. 
Nessuno vi prestò attenzione, ma appena Mugiwara atterrò ai suoi piedi, Newgate distese appena le labbra, rivolgendo un sorriso sottile ad Artemis, la quale ricambiò con un impercettibile cenno del capo.
Lui e Luffy parlarono fitto per qualche secondo, la sfida e la decisione dipinte sui loro volti con le stesse tinte decise. 
Lei non potè fare a meno di pensare che, dopotutto, la pasta di Mugiwara non era poi così diversa da quella dell'Imperatore.
Dalla loro posizione, era difficile capire cosa stessero dicendo e l'unico che riusciva effettivamente a sentire qualcosa era Mr. Three, la cui espressione terrorizzata non faceva presagire niente di buono. 
"Ha...ha chiamato Barbabianca...vecchietto." Balbettò, quasi perdendo i sensi. 
Artemis avrebbe voluto togliersi la maschera per passarsi le mani sul volto.
Prima o poi, un'uscita di quelle l'avrebbe fatto uccidere, ne era certa.
Ad ogni modo, Shirohige non sembrava essere dell'umore giusto per farlo fuori, un po' perchè quel genere di testardi gli era sempre piaciuto, un po' perchè si trattava del fratello di uno dei suoi figli e si era dimostrato pronto a gettarsi nel fuoco e in luoghi peggiori pur di salvarlo.
Pochi minuti dopo la loro conversazione, ad un cenno di assenso di Newgate, il ragazzino schizzò veloce come il fulmine nel cuore della battaglia, verso Ace. 
Sia Barbabianca che Artemis lo guardarono sparire, infine lei chinò leggermente il capo verso l'Imperatore in un reverenziale saluto. 
"Parlo a nome mio, di Emporio Ivankov e della sua armata, quando affermo che siamo qui per la vostra stessa ragione." annunciò lei, alzando la voce per sovrastare la battaglia "Se c'è un piano lo seguiremo, altrimenti ci limiteremo a sostenere Monkey D. Luffy nel suo intento secondo il nostro personale criterio." 
La risata profonda di Newgate quasi scosse il ghiaccio sotto la loro nave, dandole i brividi.
"Mi era giunta voce dei tuoi poteri, Senza-faccia, ma non avevo idea fossi diventata capitano di una flotta." 
"Non lo sono" rispose lei "non sono altro che un'umile ambasciatrice e, se necessario, un paio di braccia in più per la vostra armata in questa guerra. Datemi degli ordini e provvederò a comunicarli perché siano eseguiti. Inoltre, ci tengo a scusarmi per qualsiasi cosa Luffy possa aver detto: le parole non sono il suo mestiere." 
"Le parole non sono il mestiere di un pirata, Senza-Faccia: un pirata è ciò che sono le sue azioni e, se le tue sono a sostegno di mio figlio Ace, allora ti considererò mia alleata e accetterò il tuo intervento. Ma prima che tu parta, voglio solo una risposta da te: parli a nome di Ivankov e del suo esercito, tuttavia non siete i soli ad essere sbarcati. Quale allineamento hanno scelto gli evasi di Impel Down?" 
"Lo ignoro." ammise Artemis "Temo che i loro intenti siano diversi dai nostri: se si riveleranno d'intralcio o dannosi, noi non li difenderemo." 
Alle spalle di lei, Buggy borbottò. 
"È così che ci ripaghi per averti portata con noi, donna ingrata?"
Artemis voltò appena la maschera verso di lui e il volto del clown fece trasparire chiaramente quanto desiderasse rimangiarsi ogni parola.
"Stanne fuori, avanzo di galera. Questa storia è più importante dei tuoi giochetti e qui nessuno ha tempo da perdere. Segui ciò che ti dico o farai meglio a sparire dall'isola. Chiaro?"
"Trasparente" si affrettò a rispondere l'altro con un sorriso forzato, subito imitato da quell'ammasso di uomini che avevano preso a venerarlo senza un'apparente ragione. 
"Il tuo supporto è gradito, Senza-faccia." Concluse Barbabianca, mettendo fine a quel battibecco "Ora raggiungi Cappello di Paglia o finirà per perdersi in quel marasma." 
Artemis impiegò qualche secondo a identificarlo tra i combattenti, infine lo riconobbe, circondato da gruppi sempre diversi di Marines che sconfiggeva con una facilità impressionante. Era già piuttosto lontano, quindi lei chinò un'ultima volta il capo verso Newgate e si lanciò all'inseguimento, bruciando sotto le suole dei suoi stivali la distanza tra lei e Mugiwara. 
Si tastò i fianchi, ma si trovò ad afferrare solo aria. 
"Dannazione, che razza di fine hanno fatto?!" 
Imprecò tra sè, cercando di ricordare l'ultima volta in cui aveva avuto i pugnali con lei.
Quasi certamente, erano rimasti alla Casa d'Aste, quando li aveva depositati all'ingresso.
Aveva scoperto solo dopo che, in realtà, infiltrare armi era tanto semplice da essere diventata una prassi. 
"Shachi sarà furioso, se gli chiederò di forgiarmi un'altra coppia di lame gemelle."
Avrebbe volentieri aperto a Luffy una via verso il patibolo, ma era più che certa che, senza le sue armi, non sarebbe poi riuscita a fare più di quanto non stesse facendo già egli stesso. Ad ogni modo, anche volendo, solo tenere il suo passo era una missione da non sottovalutare: tenergli testa sarebbe stato impossibile.
Disarmata, prese a farsi largo sfruttando serie su serie di pugni ben assestati.
I colpi di lei, sebbene non facessero ricorso ai suoi poteri, risultavano forti abbastanza da mettere al tappeto coloro che tentavano di creare un cordone di sicurezza, di conseguenza fece il possibile per aprire un varco almeno al resto dell'esercito. 
Si voltò indietro un paio di volte e vide che i Newkama e perfino i detenuti reggevano il suo ritmo. 
"Muovetevi, da solo non ce la farà contro tutta quella gente!" Ordinò Artemis, rivolta all'eterogenea armata che la seguiva "Superate il cadavere di Oars e andate a sostenere gli alleati: ad Ace penseremo io e Ivankov." 
"Agli ordini!" 
Il blocco che la seguiva finì disperso e mescolato agli uomini di Barbabianca e degli altri capitani mentre, con la coda dell'occhio, Artemis vide Mugiwara proseguire inarrestabile nella sua folle corsa.

Era quasi arrivata alla muraglia quando un'ombra le passò sopra la testa, distraendola per un istante.
Colse uno scintillio di fiamme blu e non ebbe dubbi su chi potesse avere un simile potere. 
"Yoi, tu devi essere la Senza-faccia! Non viaggi un po' troppo leggera? Dove sono le tue armi?" 
"Fenice!" Sorrise lei sotto la maschera "Un onore incontrarti. Temo di aver lasciato più di un bagaglio all'arcipelago Sabaody, ma ho in mente un piano pulito pulito e, se mi aiuterai, sarà perfino più semplice." 
Guardandola combattere e parlare allo stesso tempo, scansandole qualche nemico per farle prendere fiato, Marco sorrise "Un gentiluomo non si tira mai indietro. Di cosa hai bisogno?" 
"Riesci a vedere il vice-ammiraglio con la falce?" 
Il capitano della Prima Divisione osservò il punto indicato da Artemis per qualche secondo. 
"Donna, quella è alta dieci metri!" concluse infine lui "Sarebbe problematico se non la vedessi affatto!" 
"Ottimo! Mi servirebbe un passaggio sopra la sua testa. Puoi aiutarmi?" 
Marco non riuscì a nascondere la sua sorpresa, nel sentire quelle parole.
La voce di lei era straordinariamente rilassata, mentre i muscoli dedicati al combattimento senza armi vibravano di energia ad ogni pugno e ogni calcio, stretti nell'involucro di pelle che era il suo corpo. 
Ad una rapida occhiata, Artemis vide che le fasciature che Iva le aveva stretto sulle braccia erano già completamente imbevute e la sua pelle in molti punti si era fatta più chiara, facendo trasparire appena le vene violacee. 
"Non ancora, dannazione, è troppo presto." 
"Al tuo servizio, Signora del Tempo" rispose lui "Sono curioso di vedere cos'hai in mente." 
Signora del Tempo.
Law la chiamava così quando riteneva si stesse facendo troppi problemi riguardo ai suoi poteri.
Era stato quasi un vezzeggiativo, fino a quel momento.
Ma non lì, non sui ciottoli e il ghiaccio insanguinati di Marineford.
Quel nome l'aveva letto sulle labbra di Sengoku appena aveva messo piede nel suo inferno e l'aveva sentito sussurrato come un cattivo presagio dagli stessi Marines che cadevano uno dopo l'altro. 
Signora del Tempo.
Dopotutto, le piaceva non poco. 
"Permette?" Chiese Marco, trasformando le spalle in uno spesso mantello di penne di fiamma azzurra e stringendo delicatamente le zampe sulle braccia di lei. 
"Come rifiutare, milord?"
In un istante furono in alto, circondati da brandelli di fuoco freddo che si staccavano con uno scintillio improvviso dalla pelle di lui.
Era bastato un singolo movimento d'ali per farli librare diversi metri al di sopra della battaglia, sulle teste dei giganti. 
Il cuore di Artemis perse un battito: perfino nella distruzione, anche nel momento più nero, la sensazione del volo riusciva a meravigliarla come una bambina.
Marco sembrò percepirlo perché sorrise appena, sentendo il timido sospiro sfuggito alle labbra di lei . 
"Lasciami cadere" chiese Artemis, una volta raggiunto il suo obiettivo "abbi solo fiducia: so quel che faccio." 
"Fai in modo che non ti abbia sulla coscienza!" 
Gli artigli di lui si allargarono all'improvviso e Artemis divenne un vero e proprio proiettile umano: la gravità trasformò il suo peso corporeo in pura forza e il Third Timeshock moltiplicò il colpo: quando il piede di Artemis impattò contro la nuca dell'immenso vice-ammiraglio, la colonna vertebrale del gigante cedette sotto la devastante energia di tre linee temporali, collassando come un castello di carte ad un soffio d'aria.

Una nube di polvere si sollevò, attirando l'attenzione dei combattenti.
Marco volteggiò ancora per qualche secondo sopra l'area dell'impatto, ma Artemis non riapparve.
Non si vide traccia di lei per istanti che parvero ore, infine uno scintillio emerse, trascinando nella polvere altri due Marines della divisione dei giganti. 
Lampi di luce riflessa illuminarono la baia ancora ed ancora, accompagnati da bagliori rossastri fusi al verde dei colpi di Mihawk, che la Fenice aveva visto scendere in campo appena prima di lasciare Artemis.
Dopo pochi minuti, nessuno dei giganti che avevano partecipato riuscì a rialzarsi.
Fu allora che dalle macerie e dai corpi riemerse lei: stretta nella sua mano destra c'era una scintillante falce, spropositatamente alta ma non per questo meno letale.
La sua pelle era diventata un reticolo di sangue e la bocca era invasa da un sapore disgustoso e metallico. 
Una sottile vena di orrore attraversò i guerrieri nella piazza, mentre Ivankov faceva di tutto per liberarsi il prima possibile dei suoi avversari in modo da raggiungerla. 
Ad un comando dei vice-ammiragli, i cannoni ruotarono le loro enormi bocche verso Artemis, facendo fuoco uno dopo l'altro, scandendo i tempi di una sinfonia di morte.
Lei tese una mano per bloccare gli spari con il suo potere, ma realizzò presto che un altro colpo l'avrebbe danneggiata seriamente e con una sferzata della sua nuova arma avrebbe fermato forse tre dei venti proiettili che puntavano su di lei.
Perfino correre sembrava un'opzione impraticabile: sentiva le gambe di piombo e doveva aggrapparsi al manico della falce per stare in piedi. 
"Corri, dannazione" ripeteva Ivankov tra i denti, mentre le si avvicinava correndo a perdifiato.
Arrivò ad urlarlo, ma lei sembrava non riuscire nemmeno a sentirla: fissava un punto davanti a sé come inebetita, incapace di muovere un singolo muscolo.

"Galaxy Wink!" 
Artemis percepì appena la presenza di Iva, che si era piazzata a scudo tra lei e i colpi, respingendoli con il suo attacco.
Quando il regino Newkama si voltò verso la ragazza, notò che tremava visibilmente e che la falce tra le sue mani non era che un sostegno ad un corpo che sembrava sul punto di sciogliersi. 
"Caramellina..."
Prima che una seconda scarica di proiettili si riversasse loro addosso, Ivankov prese Artemis tra le braccia, facendole da scudo con il suo corpo immenso mentre la portava in un luogo più riparato.
La ragazza si rannicchiò quasi istintivamente, stringendo le ginocchia e le braccia al petto e attenuando appena i fremiti che la percorrevano. 
Solo dopo molto tempo, Iva riuscì a distinguere ciò che stava sussurrando. 
"L-Lui è qui" balbettava "C'è, è qui, mi ha guardata." 
Le tolse la maschera dal viso per permetterle di respirare meglio, nascondendola alle Lumacamere e agli altri combattenti.
Non aveva mai visto quell'espressione sul suo volto: gli occhi sembravano fissi nel vuoto, come se l'uomo di cui parlava fosse ancora lì davanti a lei, quasi che solo allungando una mano potesse sfiorarla. 
"Non significa che ti abbia riconosciuta, Artemis! Avevi la maschera, ricordi? Non si sa niente della Senza-faccia, di sicuro nemmeno lui conosce la tua vera identità. Non farti prendere dal panico, caramellina: non puoi mollare ora che sei arrivata qui, devi uscire viva da questo posto." 
L'adrenalina scorreva a fiumi nelle vene di Artemis e il sangue che aveva perso a causa degli attacchi l'aveva indebolita, rendendola pallida come un cencio. 
"I-Iva" chiamò, sollevando la canotta e scoprendo la pelle del fianco, anch'essa fragile come gesso "Fallo. Tanto ho a disposizione tutto il tempo del mondo, no? Dieci anni in meno non cambieranno nulla." 
Un dejà-vû passò davanti agli occhi di Ivankov, veloce come un fulmine.
Rivide un'Artemis più giovane, più fredda verso chiunque avesse intorno.
L'unica eccezione era il bambino che era sbarcato sulle coste di Kamabacca tenendole la mano. 
"È tutto ciò che mi è rimasto" le aveva risposto quando Iva le aveva chiesto  perché tenesse tanto a Law "Farei qualsiasi cosa per lui, qualsiasi." 
"È per Trafalgar che fai tutto questo?" Chiese con aria seria, studiando quale ormone potesse essere in grado di aiutarla. 
"Gliel'ho promesso" sussurrò Artemis "Gli ho promesso che sarebbe andato tutto bene. Che avrei salvato Mugiwara e che sarei tornata da lui tutta intera."
"Con tutte queste Lumacamere, immagino sappia già come stanno le cose." Rispose Ivankov, trasformando le sue unghie in aculei acuminati "Forse è già partito. Anche lui tiene molto a te." 
Quelle sole parole riuscirono a riportarla alla vita quasi più degli ormoni che il regino le stava iniettando.
Si ritrovò a stringere i denti per non cacciare un grido, poi quel dolore che sembrava insopportabile cessò e Artemis si sentì più lucida che mai. 
"Gli conviene tenere il suo culo da medico lontano da qui o provvederò personalmente a dargli una lezione." 
Borbottò, calandosi di nuovo la maschera sul viso e afferrando la falce.
Con una ginocchiata, spezzò il manico per renderla più maneggevole e la fece  roteare con un gesto rapido del polso. 
"Non sei un po' esagerata? È solo preoccupato per te, anche tu lo faresti!" 
"Non difenderlo quando non se lo merita, Iva." L'ammonì lei, acuendo la vista, senza riuscire a scorgere alcun segno di Luffy "E poi chi altri dovrebbe dargli una strigliata ogni tanto? Sono pur sempre sua madre, buon cielo!"
Con un sorriso sconsolato, Ivankov constatò che, in men che non si dica, era tornata l'Artemis di sempre. 
"Ti dispiacerebbe mandare qualcuno dei nostri a dirmi dove s'è cacciato Luffy?" Chiese l'altra all'improvviso, uscendo dal riparo che il regino Newkama le aveva trovato.
Erano molto indietro rispetto al punto a cui erano arrivati e i Marines si erano riorganizzati nel tentativo di prendere almeno la testa della Senza-faccia morente.
"Io ho un discorsetto da fare a questa gente, ma non ci vorrà molto."

"Si può sapere cosa diamine dovrebbe voler dire?!" 
Artemis era assolutamente infuriata e solo Dio sapeva quanto quello sventurato ex-detenuto avrebbe preferito che lei fosse Akainu o Sengoku in persona pronti ad ucciderlo. 
"Non lo sappiamo neanche noi" balbettò, fissando alternativamente la fredda maschera gialla e i cadaveri dei Marines che da pochi minuti a quella parte occupavano la piazza.
Le mani di lei erano strette sul colletto della divisa lacera, tenendolo qualche centimetro sollevato dal suolo "I boia si comportano in modo strano e il Grand'Ammiraglio ha dato degli ordini, ma non abbiamo altre notizie, lo giuro."
Artemis lo lasciò cadere, imprecando: non mentiva, sembrava che le guardie avessero preso a marciare.
Con un'ultima gomitata mandò al tappeto il Marine con cui si stava battendo prima di essere interrotta e lo finì facendo scorrere la lama della falce lungo la sua gola.
D'istinto, il galeotto si tastò il collo, rialzandosi.
"Dov'è Mugiwara?" Chiese lei con voce dura.
L'altro indicò un punto sotto il patibolo "Appena oltre le mura. L'ho visto correre contro gli Ammiragli brandendo un albero maestro. Solo il cielo sa cosa gli passi per la testa."
Senza lasciare che aggiungesse altro, Artemis prese a correre con tutta la velocità che il suo corpo le consentiva, impregnando la punta della falce con i suoi poteri in modo da limitare al minimo scontri e perdite di tempo.
Si arrampicò sul dorso di Oars e quando ebbe raggiunto la sommità riuscì ad avere la visuale completa sulla piazza, ora cosparsa di schegge di legno ghiacciate.
Una vaga sensazione la pervase, come se d'improvviso si trovasse ad essere una mera spettatrice della sua stessa esistenza.
Le lame scintillanti dei boia si levarono sopra la testa di Ace. "Fermatevi!" Gridava Luffy, rialzandosi e riprendendo a correre.
"È così che deve andare, giusto? I cattivi vincono e i buoni muoiono. È sempre così." 
"Fermatevi!" 
La voce di Luffy era disperata, ma nessuno sembrava sentirlo.
Era come urlasse in una stanza vuota, come in un incubo. 
"Dannata me e il mio cuore sensibile." 
Artemis scattò, scivolando giù dall'immenso gigante e affiancando Mugiwara, falciando chiunque si piazzasse davanti a loro per permettergli di raggiungere suo fratello.
Era un'impresa impossibile, avrebbe creato paradossi che le avrebbero potuto causare più di un problema, ma di una cosa era certa: nessun altro avrebbe potuto sfidare così sfacciatamente il destino come quel ragazzino dell'East Blue.
"Fermatevi!" 
Un brivido si diffuse per tutta la piazza, facendo crollare al suolo molti dei presenti, boia inclusi. 
Gli occhi di chi riuscì a tenerli aperti erano puntati su di lui quasi fosse il Messia. 
Artemis si fermò per un istante, osservando Luffy mentre Ivankov e Inazuma raggiungevano la piazza, rivolgendo uno sguardo sconcertato ai corpi ai loro piedi.
Almeno un terzo aveva la testa o un arto tranciato, ma molti altri non avevano neppure un graffio e tutti si accatastavano in maniera disordinata gli uni sugli altri. "Cosa...cosa è successo qui? Sei stata tu?" La voce di Iva tremava, non poteva quasi contemplare quello spettacolo. "Nient'affatto" sorrise fiera Artemis sotto la maschera "È niente di meno di quel che ci si può aspettare da Monkey D. Luffy: è l'Ambizione del Re Conquistatore." 
"Ho sbagliato a dubitare di te, Wonder-boy." Pensò, riprendendo a correre verso il patibolo "Dopotutto, sei l'uomo dei miracoli, non è così?"

"Ooh, fastidiosa, davvero fastidiosa." Mugugnò Kizaru, pulendosi le lenti arancioni sulla manica della camicia.
"Di chi parli, Borsalino?" La domanda di Akainu era quasi più una formalità che vero interesse, ma gli avrebbe fatto comodo saperlo localizzare se si fosse deciso a muoversi.
"Della Senza-faccia, ooovviamente." Rispose l'altro lentamente, con una punta di superiorità nella voce "Quello del Time Time é un potere che non dovrebbe appartenerle e guarda come lo va sfoggiando!" 
"Allora perchè non te ne liberi? Sono sicuro che anche Sengoku abbia una certa antipatia per lei: l'ho sentito parlarne ad una riunione, quando eri alle Sabaody." 
Un sorriso compiaciuto comparve sul volto della Scimmia Gialla, mentre si alzava dal suo posto sulla tribuna d'onore.
Ai suoi piedi, Artemis appariva non più grande di una formica, con la maschera macchiata di sangue suo ed altrui.
Con gesti ampi, sembrava guidare e incitare i Newkama, coordinando l'assalto e partecipandovi lei stessa. Osservava come la seguivano quasi fosse un faro, una luce nella notte buia. Sarebbe bastato spegnerla per farli precipitare nell'oblio.
"Ooh, perfino Sengoku? Allora è proprio il caso che qualcuno le dia una lezione. Mi sto forse sbagliando, Signora del Tempo?"

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Capitolo 5
*** "I live, I die, I live again." ***


Capitolo 5: "I live, I die, I live again."

Artemis sentì il terreno farsi molle sotto i suoi piedi e vide Inazuma sfrecciare accanto a lei e Luffy, tagliando il selciato come fosse seta impalpabile.
Il ragazzino le rivolse uno sguardo perplesso e la Senza-faccia rispose sorridendogli, dimenticandosi di aver il volto coperto.
"Fidati dell'Uomo Forbice, Wonder-boy: arriverai in men che non si dica!"
La ragazza alzò lo sguardo verso l'imponente patibolo, dove altri soldati stavano raccogliendo le armi che i boia svenuti avevano lasciato cadere.
"Bastardi, non demordono." Borbottò tra sé, per poi rivolgersi al suo compagno. 
"Segui il ponte di Inazuma e butta giù chiunque cerchi di farti fuori, okay? Ci vediamo su!"
Sollevò indice e medio in un rapido cenno di saluto e accelerò, attraversando come fosse un fantasma uno sbarramento di Marines e proseguendo nella sua corsa fino alla vetta.
I soldati presero a tastarsi la pancia con un'espressione sconvolta dipinta sul volto, quasi si aspettassero di trovarsi la Senza-faccia appiccicata alle uniformi impolverate, il che fornì a Luffy un ottimo diversivo, facendo sì che il Gatling Gun potesse usufruire anche dell'effetto sorpresa.
"Che forza!" Rise il ragazzino, osservando la sua compagna poco più avanti "Sembra quella strana tizia di Thriller Bark! Oi, Senza-faccia! Entra nella mia ciurma quando avremo finito con questa storia!"
Artemis finse di non sentire mentre, pochi metri davanti a lei, le lame della ghigliottina tornarono a levarsi sopra il collo di Ace.
Nonostante tutto, il condannato sembrava ignorare la sua situazione, gridando a suo fratello di salvarsi.
"Stà zitto, Fiammella!" Gli gridò lei, attirando la sua attenzione "È venuto fin qui per te, dovresti sapere che non mollerà proprio adesso. Per la miseria, ragazzo, e dici di essere il suo fratellastro?!"
Sengoku, che fino a quel momento l'aveva ignorata, le rivolse uno sguardo sorpreso dal suo podio, appena dietro il palco.
Dall'espressione sul suo viso, sembrava  avesse udito quelle parole direttamente dal mondo dei morti.
"Possibile?" 
Si chiese per un istante, cercando di ricordare in quale altra occasione potesse aver sentito quella voce, a quale altro viso potesse essere associata.
Non gli veniva in mente alcuna alternativa.
Solo un nome risuonava nella sua mente, un'ipotesi impossibile, priva di ogni significato, eppure la soluzione più ovvia a quell'enigma.
"De La Rose?"

-//-//-//-

Quando gli fu concesso di entrare nei giardini di Marijoa, scoprì con sua sorpresa che non era il solo ad essere stato convocato.
I freddi sguardi degli Astri di Saggezza si posarono su di lui e non poté negare di sentirsi vagamente intimorito: garantire per una traditrice del genere era nella maggior parte dei casi il più veloce metodo di guadagnarsi un posto sulla forca al suo fianco.
Sengoku lo sapeva bene, non sarebbe stato il primo a fare una fine del genere.
Poteva contare sulle dita di una mano i suoi sottoposti per cui avrebbe compiuto un gesto simile e Artemis De La Rose era, per sua immensa fortuna o sfortuna, tra questi.
"Figure simili ci fanno comodo, finché sono nostre alleate, ma sono un'arma a doppio taglio." Rifletteva tra sé, avvicinandosi al padiglione dove era atteso "E pensare che non è neppure Fruttata. Siamo veramente agli sgoccioli, se una comune ragazzina può  mettere a soqquadro l'ordine mondiale con un paio di scartoffie."
Ma Artemis non era poi così comune, dopotutto.
La sua memoria era formidabile e le sue ricerche impeccabili.
Non importava quanto losca o delicata fosse una questione, avrebbe saputo ottenere tutte le informazioni del caso nel modo più discreto possibile.
Girava voce che avesse una rete di informatori talmente fitta da estendersi in lungo e in largo in tutta la Grand Line.
Erano pur sempre dicerie di poco conto, ma talvolta Sengoku non poteva fare a meno di pensare che ci fosse un fondo di verità.
"Chi sospetterebbe di un semplice comandante, dopotutto?"
Artemis era seduta su una sedia scura, di fattura elegante, posizionata davanti al salottino dove il Gorosei era riunito.
Teneva lo sguardo basso, quasi fosse stata una scolara poco disciplinata.
Era forse vergogna, quella sul suo volto?
Se Sengoku non l'avesse conosciuta, avrebbe detto di sì.
Più probabilmente, si stava solo maledicendo per essersi fatta beccare.
Non alzò il viso nemmeno quando il Grand'Ammiraglio le si affiancò, anzi, cercò di nascondere ancora di più il suo sguardo dietro le corte ciocche di capelli grigi.

"Accetta la nostra proposta e ti sfileremo il cappio dal collo" fu l'offerta dei Cinque Astri di Saggezza.
E cosa poté fare lei, se non accettare?
Sengoku in quegli anni fu il suo protettore, per quanto poté, ma non aveva abbastanza potere sul Governo, che, come la triade delle Parche, teneva stretto tra le dita il filo della sua giovane esistenza.
"Per quanto ancora durerà questa missione?" Chiedeva Artemis, la cui voce era sempre più cupa ad ogni comunicazione. "Perché il Gorosei dice che non è mai abbastanza?"
I suoi rapporti erano sempre curati in maniera quasi maniacale, traboccavano di nomi e traffici, avrebbero potuto mettere in ginocchio metà degli stati del Nuovo Mondo, se fossero stati sfruttati come si deve.
"Finirà. Presto o tardi finirà." rispondeva lui.
E cos'altro poteva dire, dopotutto?
Nemmeno Sengoku aveva idea di quanto il Gorosei l'avrebbe tenuta lì. Probabilmente, il tempo necessario a spezzarla.
Quel giorno arrivò dopo sette anni.
Artemis abbandonò all'improvviso la sua posizione, sparendo per mesi e mettendo in allerta perfino la Chiper Pol.
Quando la ritrovarono, di lei non era rimasto che un cadavere.
O meglio, le tracce di un cadavere: solo poche macchie di sangue sulla neve.
Quasi certamente, dissero, era sparita nei traffici che coinvolgevano un temuto pirata le cui armate erano costituite da non-morti invulnerabili.
Quando l'aveva saputo, Sengoku si era tremendamente dispiaciuto per lei.
E come poteva non esserlo, sapendo che nemmeno dopo la morte sarebbe stata libera?

-//-//-//-

"Accelerated Timelapse!"
Ace sollevò la testa di scatto, rivolgendo prima uno sguardo alla mano che aveva fermato entrambe le spade, poi alla maschera che copriva il volto della donna davanti ai suoi occhi.
Il figlio di Roger sorrise, lieto di vedere che il suo fratellino non era solo e che gli alleati che aveva scelto erano potenti e leali.
"Meccanico? Sei davvero tu?" Chiese lui.
"Salute, Portgas! Fa piacere vederti tutto intero."
Artemis alzò subito la testa, sembrava rivolgersi direttamente al Grand'Ammiraglio alle spalle del condannato.
"Non avete sentito cos'ha detto quel ragazzino laggiù?" Ribadì lei, stringendo le dita sulle lame, sbriciolandole come fossero fatte di sabbia "Fermatevi."
Il boia alla sua destra sfilò un guanto e strinse appena il pugno.
Quando lo riaprì, aveva sul palmo una chiave di cera bianca e, pochi istanti dopo, Ace era libero dall'agalmatolite che bloccava i suoi poteri.
"Ottimo travestimento, Mr Three." Si congratulò Artemis, spingendo con nonchalance l'altro soldato oltre il bordo del palco "Mai pensato al teatro? È una carriera promettente. Dà parecchie soddisfazioni, ho sentito dire.
"Ace!" Gridò una voce alle loro spalle, stavolta velata di una gioia che lei non avrebbe mai neppure immaginato.
Portgas sorrise, voltandosi verso Mugiwara e ricambiando il suo abbraccio.
"Quando ti metti in testa un'idea non c'è davvero modo di fermarti, non è così, Luffy?"
Uno spettacolo di fiamme illuminò il cielo cupo di Marineford e la buona novella si sparse rapida come un fulmine, passando di bocca in bocca fino a raggiungere Barbabianca, che ancora torreggiava sulla piazza: "Ace è libero, la guerra è vinta!"
A quelle parole, perfino il viso severo dell'Imperatore si illuminò di un sorriso.

Per un istante, Artemis ci aveva creduto.
Aveva creduto che fosse possibile un minimo, infinitesimale errore in quell'eterna serie di Eventi Fissi.
Dacché aveva preso a seguire Luffy, l'uomo dei miracoli era riuscito a lasciarla piacevolmente sorpresa più di una volta, prendendo sempre la scelta meno ovvia e giocandosi la vita isola dopo isola.
Per quanto la situazione potesse volgere al peggio, nessuno poteva rimescolare le carte in tavola come faceva lui.
La piazza sembrava terribilmente più ampia, ora che dovevano fuggire.
Sengoku aveva opposto una resistenza talmente debole da far sorridere Artemis, ma le navi erano ancora paurosamente lontane e quasi tutti gli Shichibukai erano entrati in campo.
Lei fece cenno ai due fratelli di andare mentre, aguzzando gli occhi, poteva scorgere delle vele scure che prendevano il posto del candore di quelle della marina, appena oltre l'esercito di Armi Umane di Vegapunk.
"Ma non è così che funziona, dico bene? È ancora troppo facile."
Appena vide Ace avvicinarsi alla ressa, scese per seguirlo più da vicino, in modo da coordinare gli uomini e permettere a quante più persone di scappare.
Non vide nemmeno arrivare il colpo.
All'improvviso sentì un brivido di dolore che iniziava a diffondersi dalla sua gabbia toracica, come se la gravità avesse preso a giocarle un brutto scherzo e si fosse concentrata poco sotto il suo cuore.
Si sentì sbalzata da terra e il suo corpo colpì più volte il selciato, prima di arrestarsi a diversi metri di distanza.
"Senza-Faccia!"
Non riuscì a distinguere se la voce fosse di Luffy o di qualcun altro, nel dubbio gridò un "Proseguite!", sebbene le costole le facessero terribilmente male anche solo respirando.
Sputò a terra un grumo di sangue e si rese così conto del fatto che la metà inferiore della maschera era andato distrutto insieme alla lente sinistra. La falce le era sfuggita di mano e aveva finito per impiantarsi nel terreno per una buona metà della lama.
"Oooh, Senza-faccia." Sospirò pigramente una voce poco distante "Ho aspettato così tanto per incontrarti. Aanche se mi aspettavo qualcosa di piùùù da te, ad essere onesti."
"Kizaru" ringhiò lei con un sorriso, facendo perno sulle braccia per sollevarsi "quale onore. Mi dispiace non essere stata alle Sabaody qualche giorno fa, penso ci saremmo divertiti."
"Oooh, è questo che vuoi? Dopotutto il nostro incontro è stato solo rimandato. Quale posto migliore di un campo di battaglia per sfidarsi?"
Artemis lanciò uno sguardo verso il limite della piazza, vedendo che Ace e Luffy continuavano a procedere spediti.
"Correte più del vento, voi due."
"Già, hai ragione." rispose lei, cercando di sembrare salda sulle sue gambe nonostante le ferite riportare "E poi, ora che l'esecuzione è stata annullata, abbiamo tutto il tempo del mondo, no?"
Kizaru sorrise con aria di sfida: la sua avversaria sembrava aver risentito molto del suo primo colpo e, per quanto cercasse di fargli perdere tempo, Akainu e Aokiji sarebbero certamente riusciti a fermare i fuggitivi.
"Basterà molto meno, Signora del Tempo. Non dovresti sottovalutare i tre Ammiragli della Marina."
Puntò l'indice verso di lei e una luce violentissima ne scaturì, attraversandola e finendo per colpire le macerie alle sue spalle.
"Bel tentativo, lo riconosco" rispose Artemis con la voce velata di sarcasmo "ma avrai bisogno di qualcosa in più per liberarti di me."
Con un rapido movimento, cercò di avvicinarsi alla falce, schivando al contempo i colpi di Kizaru il quale, per contro, non sembrava arrendersi al fatto che la sua tecnica non avesse alcun effetto.
"Devo stabilizzarmi su questa linea temporale o non potrò contrattaccare. Inoltre non credo che gli ormoni di Ivankov mi terranno in piedi ancora per molto."
L'ennesimo laser le attraversò il cranio senza che lei riportasse alcun danno.
"Hai intenzione di scappare ancora per molto, Senza-faccia? Ooh, non ti facevo coosì codarda." Borbottò l'Ammiraglio con tono annoiato.
"Non so di che parli" rispose lei "io non vado da nessuna parte. Ti è davvero così difficile ammettere che nemmeno i tuoi colpi mi scalfiscono?"
"Ooh, tu dici? Se i miei colpi non ti scalfiscono, non vedo ragione di sfruttare altre linee temporali come trincea."
Quelle parole bastarono a cancellare ogni traccia dello sprezzante sorriso che aveva attraversato il volto di Artemis fino a quel momento.
Di riflesso, il viso di Kizaru trasudava soddisfazione.
"Esatto, Senza-faccia: conosco il tuo trucchetto. E so anche che appena tornerai tangibile un laser o magari un calcio alla velocità della luce basteranno a toglierti la poca energia che ti resta."
Era vero.
Ormai Artemis era allo stremo, aveva attinto a tutte le forze a cui potesse fare ricorso, ma ora anche quelle erano sul punto di esaurirsi.
"Vi prego, Newkama, portate Luffy lontano da qui."
"Stabilizzarmi? E perché dovrei? Per far sì che tu mi colpisca?"
"Ooh, ancora ti ostini a bluffare? Deevi farlo perché altrimenti morirai. Ad ogni colpo che schivi le tue condizioni peggiorano, non ci vorrà molto prima che ti accasci al suolo priva di forze. I miei laser possono continuare all'infinito, tu per quanto ancora resisterai?"
Con riluttanza, Artemis tornò nella sua forma tangibile, facendo sorridere l'Ammiraglio.
Rivedere completamente un piano che era sempre stato una garanzia era un'impresa talmente ardua da sembrare impossibile.
L'unica soluzione era mettere la sua vita nelle mani del suo istinto, pregando di far guadagnare a Luffy abbastanza tempo.
Pulì con il dorso della mano un sottile rivolo di sangue che aveva preso a colarle lungo il profilo della bocca e aspettò la mossa di Borsalino, che non tardò ad arrivare.
In un battito di ciglia, l'Ammiraglio le si affiancò, caricando un calcio che mirava a colpirla all'altezza della tempia destra.
Artemis alzò gli avambracci, impregnandoli di Haki per resistere al colpo, il quale riuscì comunque a farle sfuggire un gemito soffocato dalle labbra: gli ormoni di cui Iva l'aveva imbottita avevano una durata limitata e ancora di più questo effetto si applicava al corpo di lei, i cui processi rigenerativi erano sensibilmente più rapidi rispetto alla media dei comuni esseri umani.
Rispose con una ginocchiata, bloccata a sua volta in una sorta di cross-counter.
Non poteva tentare che piccoli affondi, per il resto la sua tattica era quella di incassare e difendersi, arrivando ad attaccare direttamente solo quando Kizaru sarebbe sembrato sul punto di perdere interesse nello scontro.
Per quanto poco Artemis facesse ricorso ai suoi poteri, questi andavano esaurendosi e arrivò presto ad avere solo una minima riserva di energia, appena sufficiente per una manciata scarsa di brevi scatti in caso di difficoltà, quattro se era fortunata ed abile a dosare con attenzione il suo potenziale.
"Non sei male come pensavo, Senza-faccia: riesci a farti onore persino in fin di vita." Commentò l'Ammiraglio dopo pochi minuti di combattimento, all'ennesima parata della sua avversaria. "Ma sei di vedute troppo ristrette: io e te non siamo gli unici pezzi sulla scacchiera, ricordi?"
Artemis subito non capì a cosa si riferisse, presa com'era dalla loro tenzone, poi un grido disumano squarciò l'aria.
Era la voce di Luffy, senz'ombra di dubbio.
"Wonder-boy"
Senza nemmeno prendersi la briga di liberarsi dell'Ammiraglio, Artemis sfrecciò verso il punto da cui proveniva la voce, percependo chiaramente il dolore bruciante di un laser sfiorarle la spalla, prima di sparire tra le macerie.

Si catapultò da Luffy, barcollando incerta sulle ginocchia appena il salto temporale la lasciò a pochi metri da lui.
Senza riflettere, prese Mugiwara tra le braccia, ignorando l'immensa sagoma scura di Akainu e il corpo quasi irriconoscibile di Ace, iniziando a correre verso il porto per sfuggire alla lava.
Corse a perdifiato, stringendo Luffy come fosse un bambino: era talmente leggero che si aspettava le sarebbe scivolato dalle mani come carta velina.
Nei suoi occhi non c'era nemmeno il pallido barlume di una luce.
"Andrà tutto bene, Wonder-boy, non temere." Sussurrò ansimando "Ti tireremo fuori da qui, te lo prometto."
A pochi metri da lei, Jimbe fece loro cenno di proseguire: "Portalo in un luogo sicuro, Senza-faccia, vi copro le spalle!"
Dove fosse, un luogo sicuro, lo scoprì solo pochi istanti dopo: vide l'acqua della baia incresparsi e una sensazione simile al panico diffondersi tra i combattenti che ancora si sfidavano.
"Un'altra nave rivestita?!" Esclamò Buggy che, dopo aver raccolto il cappello di Luffy, le si era affiancato "Possibile che Barbabianca non abbia ancora giocato tutte le sue carte?"
"No, quella non è una nave rivestita." Sorrise Artemis con un certo orgoglio nel vedere la familiare verniciatura gialla e il simbolo del suo capitano dipinto sulla fiancata "Quello, clown, è un fottuto sottomarino. Ed è il fottuto sottomarino del mio capitano."

Intorno a lei, percepiva a stento ciò che stava accadendo.
Sentiva il corpo di Mugiwara ancora tra le sue braccia e il suo petto scosso da leggeri tremolii, segno che non aveva smesso di respirare.
Un sollievo ancora maggiore la pervase quando, appoggiando parte del suo peso su una mano, sentì sotto i polpastrelli il legno familiare del ponte del sottomarino.
"Bepo, porta il signor Cappello di Paglia in sala operatoria, non c'è tempo da perdere" ordinò una voce familiare "Shachi, Penguin, aiutate mama-Rose, anche lei ha bisogno di cure urgenti."
Un "Aye, Captain!" venne ripetuto quasi all'unisono da tre voci che Artemis conosceva fin troppo bene e presto si sentì sollevata sia del peso di Luffy che del suo, mentre le braccia dei suoi compagni l'aiutavano a sollevarsi.
Con un sospiro, la ragazza aprì gli occhi e vide davanti a sé Trafalgar, i cui tratti del volto erano appena addolciti da un malcelato sollievo.
"Fermi un attimo, ragazzi" chiese lei, scostandosi con delicatezza dai due pirati.
Constatò presto che riusciva ancora a camminare e, con un movimento quasi istintivo, strinse Law nascondendo il volto contro la sua spalla.
"Trafalgar D. Water Law" sibilò Artemis "Considerati in punizione per il resto dei tuoi giorni."
Lui, sorprendentemente, ricambiò l'abbraccio e sorrise appena.
"Ne riparleremo quando ti sarai rimessa in sesto, okay, mama-Rose?"
Lei annuì e fece per entrare nel sottomarino, quando appena al limite del suo campo visivo ricomparve Borsalino.
"Dottorino, immergetevi prima di subito" ordinò con improvvisa lucidità "Troverò il modo di raggiungervi, ti affido Wonder-boy. Sparite."
"Aspetta, si può sapere che diamine..."
Artemis non riuscì a sentire il resto della frase: usando il parapetto come trampolino, spiccò un balzo in direzione dell'Ammiraglio.
"Fifth Timeshok!"
Il pugno di lei impattò con forza contro lo stomaco di Kizaru, rallentando la sua corsa quanto bastava a permettere alla sua ciurma di scappare.
In quell'istante, le forze la abbandonarono e la gravità prese il sopravvento.
Sentì l'aria sfiorarle i capelli e la schiena mentre iniziava a precipitare verso la piazza, poi le voci sottostanti si fecero nitide, distinguendosi in ovazioni per il Chirurgo della Morte e esclamazioni di rabbia dei Marines.
Lontana, sfuocata, Artemis riusciva ad individuare la sagoma gialla del sottomarino che spariva tra le onde quasi indisturbata.
"Ben fatto, dottorino. Davvero un ottimo lavoro."
Un sorriso pieno d'orgoglio si dipinse sul volto di lei, infine non sentì più niente.

Il caos della battaglia aveva smesso di saturare l'aria grave di Marineford già da diverse ore, ma il luogo in cui si era smaterializzata era lontano dal vero fulcro degli eventi e ancora relativamente sicuro.
Quando iniziò a riprendere conoscenza, si rese conto che il salto temporale non era andato bene e non sentiva più la gamba sinistra né il braccio destro fino all'altezza del gomito.
O, per meglio dire, li sentiva eccome, per quel che restava, e facevano un male cane.
Voltando appena il collo, altro movimento che le provocò diverse fitte, rivolse uno sguardo veloce alla sua destra e vide che l'avambraccio era completamente assente, quasi le fosse stato strappato via a morsi da una bestia feroce.
La pelle e i muscoli sfrangiati erano illuminati di una pallida luce arancione e, seppur lentamente, si stavano ricomponendo, cellula dopo cellula, un frammento dopo l'altro.
Bruciava terribilmente, quasi quella luminescenza fosse una fiamma intenta a consumarla anziché a risanarla.
Appena Artemis percepì la presenza al suo fianco, le sue labbra emisero un sospiro sottile.
"Immagino che Portgas non ce l'abbia fatta, mi sbaglio?"
"Credevo fossi morta" borbottò una voce rude.
"Ti piacerebbe" rispose lei "la mia vecchia pelle è più dura di quanto non sembri. Tuttavia, non è la risposta che cercavo."
"Morto" rispose l'altro "E con lui anche Barbabianca."
"Anche il Vecchio? Come se queste acque non fossero già abbastanza agitate. E Mugiwara?"
"È la domanda che si pone il mondo intero. Non si sa niente di lui da giorni."
"Giorni? È già passato così tanto tempo?" Artemis scrollò appena le spalle "Oh, fa niente, almeno lui dovrebbe essere al sicuro."
"Perchè sei tornata indietro? Cosa ci fai ancora qui?" La domanda fu così inattesa e diretta da spiazzarla.
Lui non era il genere di persona che si preoccupasse per gli altri e, sebbene le sue intenzioni non fossero chiare nemmeno a lei, difficilmente si trovava lì per puro buon cuore.
"Aspettavo" La voce di Artemis, per quanto si sforzasse di sembrare incurante della situazione intera, tradiva la fatica della battaglia.
Con la mano integra, cercò di raggiungere la tasca posteriore degli shorts e prese un pacchetto di carta tanto malandato da sembrare sul punto di dissolversi.
Estrasse una sigaretta e la strinse tra i denti.
"Ti dispiace?" Chiese, alludendo al fatto che fosse ancora spenta.
Quasi con riluttanza, il suo interlocutore sfregò la capocchia di un fiammifero su un frammento di muro poco distante da loro.
"E si può sapere che diamine aspetti in un posto simile?" Chiese, accostando la fiamma all'estremità della cicca e offrendo ad Artemis una soddisfacente boccata di fumo.
Lei si sfilò la maschera, rivolgendole un'occhiata nostalgica: era completamente distrutta, la vernice era scrostata e la stessa base era attraversata da profonde crepe.
La lasciò appoggiata ad un muretto poco distante quasi a monito, come a voler ricordare al mondo che la Senza-faccia a Marineford c'era e, perdio, aveva combattuto e aveva protetto Monkey D. Luffy con la sua stessa vita.
Un leggero fremito scosse le sue spalle quando ridacchiò appena alla domanda che l'uomo seduto accanto a lei le aveva rivolto.
"Che hai da ridere, adesso?" Si lamentò l'altro "Non hai sentito che ho detto? Il vostro piano per salvare Pugno di Fuoco è fallito, il vecchio Newgate è morto e quel bastardo di Teach ha fottuto il Gura-Gura da sotto il naso al mondo intero e tu… cazzo, te ne stai qui più morta che viva a ridere come un'idiota?"
"Perdonami" continuò lei soffocando un'altra risata "È che a volte sei così deliziosamente ingenuo, sei adorabile."
Gli ingranaggi di una pistola scricchiolarono in un'implicita minaccia vicino all'orecchio di Artemis.
"Parla, Senza-Faccia."
"Artemis" lo corresse lei "È il mio vero nome, credevo ti interessasse saperlo. E, per la cronaca, tu stesso mi hai fatto notare che sono qui da giorni. Potresti essere un po' più gentile, dato che se non me ne sono andata prima è stato solo perché aspettavo te, non credi, Eustass-chan?"

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Capitolo 6
*** Fino alla fine dei giorni ***


Capitolo 6: Fino alla fine dei giorni

Lentamente, Artemis cercò di connettere ogni parte del suo corpo, ma con scarso successo.
Si sentiva spaccata, come se i suoi arti fossero scollegati, lontani chilometri l'uno dall'altro.
La gamba sinistra le faceva ancora male, ma quasi certamente era guarita, sebbene le sarebbe servito qualche giorno per riprendere a camminare come si deve.
Anche la mano destra si era ricostruita, riusciva a muovere tutte le dita e percepiva sotto i polpastrelli una stoffa spessa e morbida. 
Sentiva un leggero rumorio intorno a sé, come un tintinnare di boccette che ad un certo punto cessò, spegnendosi nel cigolio di una sedia e in uno sbuffo. 
"Beh, prima o poi ti sveglierai, no?" Sospirò con voce esausta la figura seduta accanto al letto, passandosi una mano tra gli spessi capelli azzurri.
Le rivolse uno sguardo sconsolato e chiuse gli occhi, reclinando la testa. 
La porta dell'infermeria gracchiò quasi nello stesso istante, annunciando l'ingresso di qualcuno seguito da una folata di aria gelida. 
"Novità?" Chiese Kidd a mezza voce, avvicinandosi a Heat e storcendo il naso appena iniziò a respirare l'aria satura e carica di un certo senso di malattia. 
"Niente di niente" affermò l'altro mestamente "è stabile: se è vero che non peggiora è altrettanto vero che non migliora. Si ricostruisce lentamente e...Dio, Capitano, è inquietante. É come vedere un cadavere che si decompone al contrario." 
"Allora non c'è che da aspettare che torni a vivere, no?"
Una pausa carica di incertezza piombò come un macigno su quella conversazione: Heat non ne aveva alcuna idea.
Niente suggeriva che potesse svegliarsi in tempi brevi o che potesse farlo affatto.
"Aspettare e sperare." Concluse dubbioso "Ho appena finito di somministrarle gli antibiotici. Va' pure a dormire, Capitano: ti manderò a chiamare se ci saranno novità." 
Quelle parole avrebbero dovuto rassicurare Kidd, ma il medico era certo che quella notte non sarebbe stata diversa dalle tre precedenti: Eustass avrebbe continuato a camminare con fare nervoso lungo il ponte, fingendo di tanto in tanto di controllare la rotta, mentre lei avrebbe continuato a starsene lì immobile, come cristallizzata. 
Kidd scosse impercettibilmente la testa.
"Lascia stare, Heat: hai già fatto abbastanza per lei." 
Lui fece per ribattere, ma realizzò presto che cercare di smuovere il Capitano sarebbe stato inutile. 
"Cerca di riposare: perderci il sonno non l'aiuterà a riprendersi più in fretta." Si raccomandò l'altro, lasciandogli una pacca sulla spalla e avviandosi verso l'uscita.
Eustass fu sul punto di ruggirgli contro che non gli importava se lei ce l'avrebbe fatta o meno.
Stava per gridargli che se Artemis si trovava lì era solo per togliere alla Marina la soddisfazione di averla presa.
L'aveva promesso, no?
Lui e nessun altro avrebbe messo fine alla vita della Senza-faccia.
Avrebbe mostrato al mondo intero che nessuno si prende gioco di Eustass Kidd, né lei, né i Marines. 
Ma non fece nessuna di queste cose.
Si limitò ad un sommesso "Chiudi il becco" e prese il posto di Heat, incrociando le braccia sul petto e rivolgendo ad Artemis un'occhiata di traverso mentre il suo compagno lasciava la stanza. 
Era pallida come uno spettro, notò, e il suo viso era rilassato.
Non c'era traccia del dolore delle ferite o segni troppo evidenti del sarcasmo che velava il suo volto ogni volta che voleva che le sue parole arrivassero dritte a segno.
Sembrava quasi indifesa.
Quasi innocente.
Nulla che fosse anche solo vagamente riconducibile a quel che era stata a Marineford. 
All'improvviso, gli parve di vedere le labbra di lei tremare appena.
Si passò una mano sul volto e ebbe l'impressione di sentirla ridere, quasi a prendersi gioco di lui con quel suo fare malizioso, come aveva fatto all'arcipelago Sabaody tempo prima. Quando rivolse di nuovo il suo sguardo verso di lei, Artemis era ancora terribilmente immobile, impassibile, con le garze di Heat a tenere saldati i pezzi nei quali aveva finito per sgretolarsi. 
"Ci rivediamo nel Nuovo Mondo" borbottò lui "L'avevi promesso, no?"
Nessuna risposta. Che si aspettava, dopotutto? 
Si tastò il petto: quel fastidio aveva ripreso a tormentarlo.
Era una sensazione disgustosa che aveva iniziato ad attanagliarlo da poco tempo a quella parte e con cui non aveva ancora familiarizzato.
Heat diceva che la sua salute era ottima, ma lui faticava a credergli.
Era come un minuscolo cancro, gli si era aggrappato addosso dal nulla e lo sentiva crescere giorno dopo giorno, portandogli sensazioni che non gli piacevano, come un malessere che rendeva tutto schifosamente orribile, banale, privo di senso.
Aveva iniziato a cambiare, perfino i suoi compagni l'avevano notato. 
"Ohi, capitano! Non ti sarai mica innamorato, eh?"
"Doveva essere davvero uno schianto, quella Senza-faccia. Beh, non che quel che si vede non lo lasci immaginare..."
"Finitela, idioti: vi pare che perché una mi fa gli occhi dolci mi rammollisco così?" 

Le discussioni, prima o poi, finivano per vertere sempre su quell'episodio: il grande Eustass Kidd, la più promettente e spietata tra le nuove leve, messo al tappeto dal primo ufficiale di una ciurma avversaria.
La notizia non aveva circolato troppo, ma non tutti i suoi uomini avevano assistito al combattimento e tutto ciò che sapevano era stato riferito loro da Shachi e Penguin, vanitosi e orgogliosi oltre ogni misura del loro primo ufficiale, nonché abilissimi a tessere un merletto di dettagli e particolari reali, fittizi o veri solo in parte.
Quella breve zuffa era stata ingigantita al punto da sembrare la guerra dei Vertici. 
Prenderò la tua testa, Senza-faccia, dovessi inseguirti fino alla fine dei giorni. 
Dall'arcipelago dove si stavano ancora leccando le ferite di Kizaru, aveva deciso di prendere tutto e andare a Marineford. 
Per cosa poi? Quando erano arrivati era già tutto finito. 
C'era solo lei, gettata tra le macerie come una bambola rotta.
Avrebbe potuto ignorarla o finirla, sarebbe stata la cosa più logica da fare.
Uno dei suoi avversari più diretti avrebbe perso un elemento importante della sua ciurma e questo significava essere un passo più vicino al One Piece.
L'aveva osservata per qualche secondo, prima di realizzare che non aveva quasi il coraggio di puntarle contro una pistola.
Lui, Eustass Kidd, aveva paura di uccidere.
E da quando? 
Più passavano i secondi e più una singola idea si faceva nitida nella sua mente: lei sarebbe dovuta essere insieme a quel capitano che tanto le stava a cuore, ma Law non c'era. Dov'era? Era sparito con Cappello di Paglia, lasciando indietro un suo compagno morente, ecco dov'era. 
Che razza di pirata farebbe una cosa del genere?
"Parla." Le ordinò esasperato per l'ennesima volta da quando era arrivata, stringendole appena la mano fragile nella sua. 
"Mi senti, maledetta? Dì qualcosa! Qualsiasi fottuta cosa, dannazione, fammi capire che ci sei. Non puoi tirarti indietro adesso. Ci sono idioti ben più deboli di te che sono arrivati al Nuovo Mondo, non puoi non farcela." 
Ma lei non rispose, come non aveva risposto le notti precedenti.
Restava immobile, fredda come il marmo e altrettanto impenetrabile mentre quella strana sensazione continuava a farsi sempre più gravosa nel cuore di Kidd ad ogni sua supplica rimasta inascoltata. 

Il miracolo era avvenuto dopo quattro notti e quattro giorni: la Senza-faccia era sopravvissuta.
Artemis notò che si respirava un'aria particolare sulla nave, come se tutti avessero tirato un gran sospiro di sollievo, anche se dubitava fossero preoccupati per lei.
Da quando era riuscita a rialzarsi, era sempre stata sul ponte, in attesa di un giornale o qualsiasi cosa potesse metterla in contatto con l'esterno: si sentiva cieca e vulnerabile, tanto lontana dalla ragnatela di fili rossi che intarsiava il suo studio, senza alcuna notizia riguardo alle posizioni dei Poteri, ignara delle ripercussioni politiche della Guerra dei Vertici.
Si aggrappava a supposizioni e previsioni, era tutto ciò che le restava. 
"Qui si gela" borbottò Kidd una sera, stringendosi nella sua pelliccia e rivolgendole la parola per la prima volta da quando avevano lasciato Marineford "Heat ha lavorato sodo per rimetterti in sesto, finirai per avere una ricaduta."
Quelle parole le entrarono da un orecchio e uscirono dall'altro, impegnata com'era a ripensare a come era rimasta paralizzata nel caos della battaglia.
Si era ritrovata spesso a pensarci, in quegli ultimi giorni: se non fosse stato per Ivankov, lei sarebbe morta e lo sapeva bene.
Era migliorata dall'ultimo incontro che aveva avuto con la ragione del suo shock, sapeva usare il frutto e anche la sua resistenza era aumentata, ma non era possibile che non avesse ancora superato quell'ultima barriera. 
"Sono tutti sintomi da stress post-traumatico, Artemis: accettalo. Se mi darai ascolto posso trovare un modo di fartelo superare."
Law era stato categorico: quell'ultimo incontro l'aveva resa pazza.
Aveva popolato la sua testa di mostri e incubi che le stavano lentamente distruggendo il cervello, ma lei non l'avrebbe mai ammesso. 
"Heat mi ha anche detto che ha trovato delle ferite più vecchie e che si erano riaperte." Riprese Kidd distrattamente "Stavano per ucciderti come rischiavano di farti morire quando ti sono state fatte. Chi è stato?"
Lei non rispose, continuò a fissare lontano, scuotendo la testa.
Le stelle che guidavano la nave lungo la sua rotta si riflettevano nei suoi occhi assenti, quasi si trovasse davvero in mezzo a quei soli, lontana miliardi di chilometri da Kidd. 
"Lascia stare, Eustass." 
"Dovrei?" Chiese lui scettico "Dovrei ignorare che qualcuno ti ha trapassata da parte a parte in quel modo? Dovrei ignorare che qualcuno è quasi riuscito ucciderti?" 
"È troppo in alto" spiegò "Anche se ti dicessi chi è, non potresti fargli nulla."
"Non mi interessa di quanto in alto possa essere, voglio il suo nome. Voglio sapere chi è il bastardo che ti ha lasciato quelle cicatrici."
Le parole di Eustass risuonarono per qualche istante nella sua mente, martellanti, disturbanti come un tarlo o un incubo ricorrente. 
"Donquixote Doflamingo." 
Sputò quel nome con uno sforzo che parve quasi disumano.
La voce di lei faticò ad uscire dalla sua gola, mentre con lo sguardo continuava a perdersi lungo la rotta che l'avrebbe portata chissà dove, lontano da Marineford.
Scuotendo la testa, cercò di allontanare dalla sua mente tutti i ricordi legati a quel nome che stavano lentamente invadendo il suo cervello e prese ad accarezzare inconsciamente i segni sull'addome che l'avrebbero deturpata per sempre, ripercorrendo i contorni di quelle cicatrici con le dita. 
Kidd sembrò improvvisamente a disagio.
Uno strano sguardo comparve sul suo volto, simile a quello di qualcuno che si trovi di fronte a qualcosa di misterioso: affascinato e allo stesso tempo spaventato da quello che gli occhi grigi di Artemis potevano aver visto. 
"Non è colpa tua." Lo rassicurò Artemis, quasi leggendogli nella mente "È una storia un po' lunga, dubito ti piacerebbe." spiegò lei quasi con scetticismo, come a voler minimizzare.
"Dev'essere stato qualcosa di davvero singolare, per far tremare un cuore come il tuo."
"Non sono sempre stata quella che hai visto all'Arcipelago Sabaody, Eustass." sorrise lei "Sono stata molto più fragile. E anche di gran lunga peggiore." 
"Se è l'unico modo per capirti, Senza-faccia, raccontami della vecchia te" 
"Vuoi davvero sentire la mia storia?" 
Lui scosse le spalle, sedendosi sul ponte accanto a lei "Perchè no? Abbiamo parecchie altre ore di navigazione, in qualche modo dovranno pur passare." 
"E la ascolteresti anche se ti dicessi che non è una storia bella?" 
"Nessuno che sia giunto fin qui ha una storia bella" constatò "Casomai posso sempre fermarti, no?" 
Un mezzo sorriso attraversò il volto di lei, prima che i suoi occhi tornassero a perdersi lungo la sottilissima linea che separava il cielo e il mare neri come ossidiana. 
"Andata"

-//-

Marineford.
Distese e distese di rovine, pile di cadaveri. 
Barbabianca, i capitani di divisione, le flotte alleate.

Quanto caos, quanta distruzione, quante vite che si dibattevano in quell'oscurità cercando di sopravvivere o inseguendo la chimera della gloria eterna degli eroi.
Uno spettacolo irripetibile ed impagabile al quale aveva potuto assistere dalla prima fila e senza dover nemmeno pagare il biglietto.
Continuava a rivedere quelle scene ancora e ancora nei suoi sogni ed erano quelli che più lo appagavano, lasciandogli allo stesso tempo la sensazione amara del rimpianto.
Era passata quasi una settimana e già da qualche giorno, all'improvviso, le acque si erano calmate, facendo ripiombare la sua vita nella schiacciasassi della routine. 
I sogni tornavano ad essere l'unica cosa che desse un brivido vero alla sua esistenza.
Talvolta rivedeva i suoi genitori, la sua vecchia casa a Marijoa, Corazon.
Quei sogni lo facevano svegliare di soprassalto e con una sensazione orribile a chiudergli lo stomaco, facendogli rimpiangere di essersi addormentato. 
A volte, invece, sognava lei. 
Tutto iniziava con un paesaggio idilliaco, spesso una spiaggia.
Lei amava il mare, era lì che si rifugiava appena i suoi impegni glielo concedevano.
Nella scena deserta, era la sola minuscola, esile figura che si muovesse.
Le corte ciocche argentee e ricce le coprivano gli occhi, mentre ballava con le onde ad infrangersi contro i suoi polpacci.
Canticchiava tra i denti una canzone da pirati riguardo il liquore di un certo Binks. 
Sarebbe potuto restare lì a guardarla per sempre.
La preferita del re.
Sua, sua soltanto e di nessun altro.
Era bella, innocente, pura.
Forse era questo che gli piaceva tanto della sua Artemis: il fatto che, lontana dalla folla, fosse così diversa da tutti quelli che l'avevano sempre circondato. 
La sua risata era leggera, talvolta scuoteva appena gli angoli delle sue labbra quando meno se lo potesse aspettare. 
Sua, sua, sua, con quegli occhi luminosi ed emotivi, specchi limpidi dei complicati processi che si alternavano nel suo cuore.
Lei compariva sull'uscio della sua stanza ogni notte, avvolta nella seta delle sue vestaglie.
Tra le mani di lui, sembrava ancora più piccola di quanto non fosse.
Brividi leggeri increspavano la sua pelle morbida ad ogni tocco, ogni volta che il suo respiro si infrangeva contro il suo corpo. 
Ma infondo, non c'era niente di vero, in quelle notti.
Non era il suo, il nome che lei voleva sussurrare, non erano quelle le braccia in cui voleva addormentarsi, non c'era pace nel suo sonno e, quando solo Rocinante la vedeva, calde lacrime arrugginivano le sue belle guance. 
Quello smidollato di suo fratello, come era possibile?
Era stata lei ad addestrarlo, quando il figliol prodigo era tornato a casa.
Era la prima a sapere quanto distratto ed incapace fosse.
Riusciva ad immaginarlo, mentre allungava le sue dannate mani su di lei, mentre le baciava la linea morbida del collo, mentre stringeva la sua donna, la sua Artemis. 
Corazon non la meritava.
Non aveva ambizione nè carattere, proprio come suo padre.
A lei non spettava niente meno che un re e suo fratello non lo sarebbe mai stato.
Si era ripetuto tante volte che doveva averla ingannata in qualche modo, quando erano salpati senza dare notizie e portando con loro il piccolo Law.
Sicuramente stava cercando di tornare indietro, a Spider Miles, a casa, dalla sua famiglia, da lui.
Continuò a raccontarsi la stessa bugia per sei mesi, finchè non li ritrovò a Minion Island e tutta la messinscena di Rocinante venne rivelata. 
All'improvviso, la figura controluce sulla spiaggia smise di ballare e si accasciò sulle ginocchia.
Quando corse da lei, rivide la stessa identica espressione dipinta sul suo viso a Minion Island, lo stesso sangue a macchiarle le mani e i vestiti, tingendo l'acqua intorno a lei di porpora. Quella era l'ultima Artemis che aveva conosciuto, il suo ultimo ricordo di lei.
Il viso sciolto dal pianto per la perdita di un altro uomo.
"Come puoi chiedermi di tornare dopo tutto questo?" Sussurrò lei con voce tremante. 
Non di nuovo. Non ancora, per pietà. 
La spiaggia tropicale si infranse contro le lenti dei suoi occhiali e la neve ed il ghiaccio presero il suo posto con prepotenza. 
Davanti a lui c'era un Doflamingo più giovane, colmo di una rabbia cieca e incontrollabile. 
Non farlo, fermati, idiota!
"Io non sono tua. Non voglio esserlo, nè voglio il tuo perdono. Io rivoglio indietro il padre di mio figlio." 
Continuava a sentire la voce di lei, così fragile e così forte.
Quelle erano state le ultime parole che le aveva sentito pronunciare.
Aveva minacciato di strapparle tutto, Law compreso.
Aveva minacciato di toglierle il sonno per il resto dei suoi giorni.
L'aveva minacciata.
Come era arrivato a tanto?
Quanto stupido ed impulsivo era stato undici anni prima?
Si vide usare l'Ito Ito No Mi per attraversare il ventre di lei con una serie di fili, distruggendo il frutto di quell'amore che tanto gli faceva male.
Il viso di Artemis si fece sempre più pallido, di un candore talmente intenso da far sfigurare la neve appena caduta.
Quando si accasciò al suolo, aveva ancora il nome di suo fratello scritto sulle sue labbra.

Aprì gli occhi e la luce violenta del mattino inoltrato quasi l'accecò.
Dalla stanza affianco sentiva l'acqua scrosciare e una voce di donna che canticchiava le note della canzone di Binks. 
Che deja-vû. 
Aspettò che lei uscisse, pregando di riconoscere Artemis, ma la figura che comparve poco dopo aveva dei tratti molto più aspri ed era decisamente più alta di lei.  
Non ricordava il suo nome nè quando si fossero conosciuti e, quando lei si dileguò fuori dalla stanza, la salutò appena con un cenno distratto. 
Sentiva la testa pulsare, ma dubitava fosse colpa degli alcolici della sera prima.
Non importava di quante donne si circondasse, era come se lei fosse sempre lì.
Continuava a sentire la sua presenza fin nelle ossa e, dopo tanti anni, ancora rifiutava l'idea che la mano macchiata del suo sangue fosse la sua.
Odiava come quella donna potesse ancora essere nel suo cuore. 
"Se ancora fa male, vuol dire che ancora esiste."

"Avanzate! Usate Oars per superare la muraglia, riversatevi nella piazza!" 
Tra tutti i combattenti della guerra dei Vertici, la Senza-faccia era colei che gli era rimasta più impressa.
Aveva sentito parlare di lei, ma non aveva mai avuto ragione di cercare informazioni a riguardo.
Sapeva che era nella ciurma di Trafalgar e che aveva ottenuto i poteri del Time Time No Mi dopo che Artemis li aveva persi, ma non gli era mai importato di scoprire di più.
Tuttavia, dopo l'ultima battaglia, non riusciva a togliersela dalla testa.
Forse perchè si trovava lì senza il suo capitano, forse per la sicurezza con cui dirigeva i coloro che si rivolgevano a lei, non avrebbe saputo dirlo.
Certo, non che il vederla rubare ed usare la falce di un gigante fosse cosa da poco.
Aveva mietuto un gran numero di vittime, doveva essere per quello che le era rimasta così impressa.
Senza dubbio era un elemento parecchio forte, per aver sopportato il frutto e averlo usato in battaglia per tanto tempo.
Il suo pupillo si stava circondando di compagni formidabili, dopotutto. 
Law. 
Una donna capace di controllare il tempo al fianco di Law. 

Collegò tutto in quel momento, come se all'improvviso quella maschera gialla con la quale si era guadagnata il suo epiteto si fosse sciolta, mostrando il viso di Artemis, limpido e chiaro come l'acqua. 
"Signorino, ci sono problemi?" Chiese Monet, vedendo il volto di Doflamingo sbiancare e un'espressione grave prendere il posto del suo perenne sorriso
"Chiama immediatamente Vergo." Ordinò lui freddo, cercando la copia del quotidiano che aveva lasciato sul tavolino accanto alla sua poltrona.
Eccola, la Senza-faccia.
Il suo avviso di taglia era stato rivisto, facendo salire la ricompensa a 280 milioni.
Anche la foto era stata cambiata: era stata scattata sicuramente a Marineford e la maschera era spaccata sul lato inferiore, mostrando le labbra e lasciando intravedere un cerotto sulla guancia, dove Artemis si era fatta tatuare un cuore nero quando era entrata a far parte della Family.
"Non mi importa dove sia o cosa stia facendo, lo voglio qui subito." 
"E cosa gli dirò se vorrà sapere di cosa si tratta?" 
Il sorriso di Doflamingo tornò ad allargarsi sul suo volto, mentre spingeva gli occhiali sul naso. 
"Riferiscigli solo che la colombina tornerà presto al nido. Non gli servirà sapere di più."
Monet chinò appena la testa sorridendo e lasciò la stanza, diretta verso la sala comunicazioni poco distante dove avrebbe trovato la linea di collegamento diretto con Vergo. 
"Tornerai, non è vero, colombina mia?" Pensò lui, di nuovo solo in quella stanza tanto grande, analizzando ancora e ancora la minuscola foto sul volantino e riconoscendola in ogni tratto della Senza-faccia. "Ti ho aspettata così tanto. Ma adesso è finita: io sarò di nuovo tuo e tu sarai mia. Sarà come ai vecchi tempi: fino alla fine dei giorni."

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Capitolo 7
*** Voti (parte 1) ***


Capitolo 7: Voti (parte 1)

Artemis non si sarebbe mai aspettata di ritrovarsi in quella situazione quando, dopo Marineford, aveva scelto di restare.
Fuggire ancora avrebbe comportato un ricovero più lungo, ma grazie alle cure di Law non avrebbe avuto nulla da temere: riprendersi sarebbe stato un gioco da ragazzi. 
"Ci rincontreremo, Eustass-chan" gli aveva promesso e così aveva deciso fin da Impel Down quando, durante il suo delirante sogno seguito all'intervento su Luffy, aveva scoperto che Kidd sarebbe certamente arrivato una volta finita la guerra dei Vertici.
La ragione della sua presenza poteva essere facile da indovinare: la testa di Barbabianca era senza dubbio tra le ipotesi più gettonate, tuttavia lei non sapeva per quale ragione avrebbe finito per trovarsi lì quando tutti ormai avevano abbandonato il campo di battaglia.
Voleva sapere per quale ragione il destino aveva scelto di farli incontrare proprio a Marineford, proprio alle pendici dell'Inferno. 
"Curioso come il nostro incontro sia dipeso solo dalla mia scelta di restare: seguendo la rotta per raggiungere la mia meta ho finito per tracciarla io stessa."
Trasse un respiro e lasciò che quel che aveva già vissuto prendesse a scorrerle addosso come una pioggerella fine, cercando le parole per descrivere a Kidd i frammenti di tempo che aveva attraversato per giungere a lui, su quella nave e in quella notte. 
"L'isola da cui provengo è l'isola di Artoj." Iniziò lei "Se le informazioni che ho su di te sono corrette, dovrebbe essere poco distante dalla tua terra natale, quindi presumo tu la conosca"
"É l'isola degli artisti, giusto?"
"Proprio lei. I miei genitori erano scultori piuttosto famosi nell'ambiente e mia sorella Helene era un'abile pittrice, prima di entrare in Marina. Io non me la cavo bene con le arti, sono più portata per cose legate alla logica e alle scienze. Non che i miei genitori mi biasimassero, ma sapevano che nella mia terra natale non c'era posto per me e accettarono la mia idea di seguire le orme di Helene. Lei tornò in una bara due anni dopo. Fu un colpo per tutti, soprattutto per mia madre. Non superò mai del tutto la cosa e mi proibì di entrare in Marina. Fu l'unica volta in vita mia in cui le disubbidii: stravedevo per mia sorella, era il mio idolo. Era sempre stata brillante, aveva ereditato la bellezza di nostra madre e la gentilezza di nostro padre. Lei voleva proteggere gli indifesi, per questo si era unita al baluardo della giustizia e io avrei dato qualunque cosa per essere un decimo di ciò che era lei. Dopo i funerali, chiesi a Sengoku in persona di arruolarmi. Dovevo essere la quattordicenne più determinata che si fosse mai messa sulla sua strada, perchè perfino lui non sapeva che dire, sembrava spiazzato. Sentivo che prendere il posto di Helene era il mio compito, il solo modo di riuscire a fare qualcosa di buono con la mia vita. 
Mi allenai, lavorai sodo per reggere il passo con gli altri cadetti e riuscii a farmi un nome. Sengoku aveva grandi aspettative riguardo a me e Tsuru mi prese sotto la sua ala poco dopo il mio arrivo. Iniziai a partecipare a missioni con Marine più grandi di me e mi convocarono perfino al quartier generale per qualche missione. Raggiunsi il ruolo di Comandante, tuttavia la mia carriera non durò poi tanto. Per qualche anno riuscii a portare avanti delle ricerche sul Secolo Buio, scoprendo poche informazioni per volta e cercando di collegarle per ottenere qualcosa, ma con scarso successo. Ad ogni modo, alle Alte Sfere la mia curiosità non piacque e il solo tentare di scoprire la verità fu considerato come il peggiore dei reati: distrussero tutti i miei appunti e mi convocarono dinnanzi al Gorosei, a Marijoa. Mi dissero che sapevano del ruolo che avevo giocato in alcune missioni e che potevo scegliere se morire o collaborare con loro. Ovviamente scelsi di aiutarli, ma dovetti dire addio alla mia famiglia: per non compromettere la mia copertura, venni dichiarata deceduta in azione e nessuno tranne Sengoku e il Gorosei seppe più nulla di me."
Artemis fece una pausa, prendendo un respiro profondo
"Credo di essere l'unica persona al mondo a poter dire di aver assistito al suo stesso funerale. C'erano fiori, frasi di circostanza e un sacco di ufficiali che neppure conoscevo. I miei genitori non erano lì. Ancora oggi, non riesco nemmeno ad immaginare il dolore che deve aver provato mia madre quando le fu riferito che anche la sua seconda figlia era morta. Partii per la mia missione subito dopo la funzione: mi mandarono su un'isola chiamata Spiders Mile. Un criminale stava riunendo un bel po' di potere, a detta di Sengoku, e il mio compito era passare ai Marines tutte le informazioni che riuscivo a raccogliere. Quando chiesi di entrare nella Donquixote Family, mi fecero combattere contro alcuni dei loro sottoposti. Ad assistere era venuto perfino Doflamingo, il capo di quell'organizzazione nella quale mi sarei dovuta infiltrare. Era accompagnato dai suoi ufficiali: Vergo, Trebol, Diamante e Pica. In qualche modo, riuscii ad impressionarli, ma mi giocai tutto quando l'ultimo parlò: era un omone immenso, ma aveva una vocina stridula che non c'entrava nulla con la sua corporatura. Non sapevo che ridere di lui potesse costarmi la vita e Vergo mi trovò impreparata quando si lanciò contro di me per uccidermi. Tuttavia Lui lo fermò. A quanto pare ero riuscita a fare davvero una bella figura, perché decise che meritavo di essere perdonata e riuscii ad entrare nella Family. 
Vi trascorsi sette anni. In quei sette anni passai alla Marina tutte le informazioni di cui entravo in possesso, ogni spostamento, ogni patto, ogni persona intrattenesse relazioni con noi, tutto. Ma non era mai abbastanza. Dopo poco tempo dal mio arrivo, ritornò il fratello di Doflamingo, anche lui una spia della Marina. Aveva il mio stesso compito: temevano che da sola non ce l'avrei fatta e così mandarono anche lui, che era sparito quasi quindici anni prima. Lo odiavo a morte, ma iniziammo a collaborare dopo che si prese cura di me quando mangiai il Time Time No Mi e i suoi poteri quasi mi uccisero. Furono tre settimane d'inferno, ma Rocinante non mi lasciò mai e capii che in lui non c'era nulla che lo rendesse anche solo simile al fratello. 
Un'altra persona che detestavo era il marmocchio della Città Bianca che arrivò poco dopo. Law non era nulla di chi è oggi: era un bambino malaticcio e violento, con un'ingiustificabile sete di sangue. Era portatore della sindrome del Piombo Ambrato dalla nascita e sapeva che gli rimanevano solo tre anni, perciò decise che voleva uccidere chiunque gli capitasse a tiro, marines, civili o pirati che fossero."
"Mi sarebbe sicuramente piaciuto di più, se fosse ancora così" ridacchiò Kidd "Doveva essere davvero un bel tipino"
"Già, era un incubo di bambino. Mi rifiutai di allenarlo finchè avesse mantenuto quei propositi e questo lo portò a ricambiare il mio astio. Quando scoprii la sua storia iniziai a capirlo e cercai di fargli capire che agendo da pazzo suicida non avrebbe ottenuto niente. Feci del mio meglio per salvarlo da se stesso, tuttavia, come spesso capita nelle storie come la mia, fu lui a salvare me."

-//-//-//-

"Corazòn!" 
La sua voce risuonò come un ruggito fin nella stanza in cui Buffalo e Baby 5 erano impegnati in una partita a carte.
Nello stesso salottino, Rocinante stava dormendo un sonno pacifico, almeno finchè non fu svegliato da quel grido, rischiando di cadere dalla sua poltrona tanto era stato colto alla sprovvista. 
"Artemis-sama sembra davvero arrabbiata!" ridacchiò la bambina "Sei in un bel guaio Cora-san!"
Artemis entrò come una furia, avvolta nel suo mantello di piume bianche mentre lampi d'ira sprizzavano dai suoi occhi grigi.
Teneva tra le braccia una figura minuscola e anch'essa piuttosto risentita.
Il bambino, perché di ciò si trattava, aveva una vistosa fasciatura alla caviglia e un gran numero di lividi lungo le braccia.
Sulla fronte, un cerotto nascondeva ciò che restava di una ferita che Artemis stessa si era presa la briga di medicare.
"Donquixote Rocinante, come osi?!" continuò, strappando con un gesto rabbioso gli occhiali dal volto del suo interlocutore, per essere certa di avere la sua attenzione "Come osi gettare un mio subordinato fuori da una finestra per la quinta volta in tre giorni?!"
Lui non sembrava impressionato da quella sfuriata e sicuramente non era spaventato come lei aveva sperato.
Mentre Artemis posava Law su un divanetto, il più lontano possibile da Corazòn, lui estrasse dalla sua giacca un blocco e una penna, scribacchiando una frase piuttosto breve.
"Mi intralciava."
"Io non ho fatto niente!" rimbeccò il bambino "Ero per i fatti miei quando questo stro-"
"Law, contegno." Lo zittì lei, tranciando a metà la sua frase "E tu, signorino, faresti meglio ad entrare in quest'ottica: lui è sotto la mia protezione e responsabilità e non permetterò che tu alzi un solo dito su uno dei miei soldati più promettenti."
"Non darmi ordini." scrisse lui "Sono un ufficiale e sono il fratello di Dofli. Avrai anche il tuo drappello di uomini, ma non hai alcun potere su di me."
"Fagli ancora del male e giuro che mi dimenticherò del Patto di Sangue, Corazòn. É il mio ultimo avvertimento."
Si girò con un sospiro verso il bambino con cui era entrata, il quale continuava a lanciare a Rocinante occhiate traverse. 
"Law, Baby5, Buffalo. Venite con me, tesori miei: la cena sarà pronta tra poco, non vorrete che si freddi"
I tre lasciarono subito la stanza, avviandosi verso la grande sala dei banchetti della Family.
Artemis uscì per ultima, chiudendo la fila e lanciando un ultimo sguardo a Corazòn, prima di accostare la porta alle sue spalle.


"Lo odio." dichiarò Law mentre Artemis gli rimboccava le coperte
"È fatto così, dottorino, che vuoi farci? Non possiamo cambiarlo."
"Lo stai difendendo? Pensavo che anche tu detestassi Corazòn!"
Un sorriso velato di una certa tristezza accarezzò il volto di lei.
Sembrava nascondere qualcosa, ma il bambino non seppe spiegarsi cosa potesse essere.
"Ti vuole bene, Law. So che sembra impossibile, ma un giorno saprai. E allora capirai anche tutte le cose che adesso non sembrano avere un senso ai tuoi occhi."
Quella spiegazione non lo soddisfò affatto, anzi, l'aveva lasciato con più domande di quante non ne avesse all'inizio.
Artemis posò un bacio veloce sulla sua fronte, facendo sparire per qualche istante la sua espressione perplessa.
"Non farti troppe domande adesso, dottorino: non puoi capire un disegno finchè non lo guardi dall'esterno. Devi solo avere un po' di fiducia in me, okay?"
Lui annuì, posando la testolina sul cuscino e addormentandosi quasi nello stesso istante in cui Artemis spense le luci e chiuse la porta della sua stanza. 
Fuori, una figura alta e snella aspettava, con la schiena appoggiata al muro del corridoio.
L'uomo sembrava assonnato, ma in realtà lei sapeva bene che la sua era solo preoccupazione malcelata.
Appena la vide, estrasse dalla tasca un piccolo foglietto scribacchiato.
"Dorme?"
Artemis annuì e con alcuni rapidi gesti, fece capire a Corazòn di seguirla.
I due camminarono lungo i corridoi vuoti dell'immensa magione, passando accanto alle stanze degli altri ufficiali senza fare rumore, silenziosi come fantasmi, finchè non raggiunsero il giardino esterno.
La sola fonte di luce, unica loro guida nel buio, era la luna, la quale con i suoi pallidi raggi tingeva d'argento l'erba umida di rugiada.
In un angolo nascosto del palazzo, una parte dimenticata sul retro della sala degli allenamenti, c'era un promontorio.
Nessuno vi andava mai e perfino Artemis l'aveva scoperto dopo molto tempo dal suo arrivo.
Su quel promontorio cresceva una magnolia solitaria, forte e sconosciuta ai più.
Lei si sedette sulle sue radici, osservando inquieta le acque nere del mare di Dressrosa.
Quel posto, anche dopo anni, le restava estraneo. 
"Mi dispiace per quello che è successo stasera" disse Corazòn, rompendo il silenzio. 
"Nemmeno io volevo essere così aggressiva" rispose lei "ma non mentivo. Non se ne andranno, Corazòn. Ormai sono parte della Family e tutto ciò che possiamo fare è difenderli."
"Ora sono solo dei marmocchi, ma cresceranno, Artemis. Prima o poi Doflamingo li farà partecipare ai combattimenti, assegnerà loro delle missioni. Cosa faresti se un giorno arrivasse dal Quartier Generale l'ordine di ucciderli? Saresti in grado?"
Artemis pensò a quei tre bambini, a come le ronzassero sempre intorno.
Erano cresciuti parecchio da quando erano arrivati e le si erano affezionati come ad una madre.
Era questo che lei era per loro: una figura materna, un brandello di umanità in quel mondo crudele in cui erano stati sbalzati troppo presto. 
"Non penso riuscirei" ammise lei con voce triste "ad ogni modo, è un rischio che non corro. Ho sentito Sengoku, qualche tempo fa. Sapeva dell'annuncio di Doflamingo già da qualche mese, ma ha detto che non può fare assolutamente nulla. Fai qualsiasi cosa serva a preservare la copertura, ho le mani legate, queste sono state le sue esatte parole." 
"Ma non può farlo!" Scattò Corazòn in un moto di rabbia "E tutte le informazioni che hai passato loro? Non hanno importanza? Loro devono fare qualcosa, non possono lasciarti qui a..."
La frase gli morì in gola.
Aveva visto fin troppe volte i graffi sulla schiena di lei, una volta uscita dalle stanze di suo fratello.
Aveva asciugato le sue lacrime e l'aveva aiutata a mantenere in piedi una facciata che sarebbe stata troppo pesante per chiunque. 
"Il Gorosei dice che non basta" rispose Artemis, dopo una pausa "Vogliono farmela pagare per le ricerche sul Secolo Buio che ho fatto ai tempi della Marina. Volevo sapere troppo e il Governo Mondiale cerca sempre nuovi metodi di sbarazzarsi di quelli come me. Sanno già che il matrimonio può portare solo in tre strade diverse: mi ucciderò, Doflamingo scoprirà della congiura e mi ucciderà o scapperò, venendo meno ai miei doveri e diventando ufficialmente una disertrice. Semplicemente, non saranno felici finchè non avranno il mio cadavere."
Rocinante le rivolse uno sguardo, sentendosi terribilmente impotente dinnanzi agli eventi che li stavano travolgendo ormai da diversi anni.
Come poteva il Governo Mondiale decidere della vita di qualcuno in quel modo?
Avevano scritto il suo destino fin da quando lei aveva iniziato quelle ricerche: morire troppo giovane o passare la sua vita nel vano tentativo di fermare un folle. 
"Non è così che doveva andare" Ammise Artemis, prendendosi il viso tra le mani "Non era questo che dovevo diventare dopo la morte di Helene. Lei aveva degli ideali, pensavo che lavorasse per gente che voleva che noi fossimo al sicuro. Per cosa è morta? E per cosa morirò io? Non fermeranno Doflamingo, hanno paura di lui. Anche se glielo consegnassi, finirebbero per liberarlo. È comunque un Tenryubito, per quanto dicano che è decaduto. E il Governo Mondiale non è che un manipolo di codardi: si nascondono dalle loro stesse azioni, temono il loro stesso passato. Non voglio morire per loro. Non posso farlo, c'è ancora troppo della mia vita che non ho vissuto."
"La vivrai, Artemis." dichiarò Corazòn. 
Lei sollevò lo sguardo, incrociando quello di lui.
Poteva essere maldestro, ma quando qualcosa lo infiammava, diventava una persona completamente diversa. 
"Salpiamo quando vuoi. Mi procurerò una nave e ce ne andremo insieme lontani da quest'inferno. Nessuno saprà più niente di noi, nè Doflamingo nè il Governo: spariremo e potremo vivere in pace per il resto dei nostri giorni."
"Non posso andarmene" disse lei a mezza voce "Non posso lasciarlo qui."
Capì subito quel che intendeva.
Dopo che il Frutto del Diavolo l'aveva quasi uccisa, non aveva mai avuto il coraggio di provare i suoi poteri.
Tuttavia, aveva iniziato ad avere sogni incredibilmente vividi e, presto o tardi, si erano avverati tutti.
"Hai avuto delle visioni, Artemis?"
Lei annuì "Ho visto Law. Piangeva e i segni del Piombo Ambrato erano talmente evidenti da farlo sembrare un fantasma. Quel bambino non ha mai pianto, Corazòn, eppure in quelle visioni era disperato. Gridava, ma non sono mai riuscita a capire cosa."
"Tieni molto a lui, non è così?"
Un sorriso si dipinse sul volto di lei "Quel bambino è il mio punto debole. Ne ha passate troppe e non voglio che diventi come Doflamingo. Quel genere di forza è alimentata solo da odio e rancore, finisce per consumare chi ne fa uso. Non voglio che Law soffra ancora."
Quasi avesse sentito uno sparo, Artemis sollevò la testa, troncando il discorso a metà 
"Ho percepito qualcosa..." spiegò in un sussurro "Si è svegliato. Qualcosa non va."
Sotto lo sguardo ancora stupito di Corazòn, corse di nuovo dentro il palazzo, sparendo nell'intrico di corridoi delle stanze con una velocità impressionante.
Quando la raggiunse, lei era già da qualche tempo nella stanza di Law.
Sentiva la voce dolce di Artemis pronunciare parole rassicuranti e si appiattì contro lo stipite per ascoltare senza farsi vedere. 
"Va tutto bene, non preoccuparti" sussurrava lei, stringendo il bambino tra le sue braccia e accarezzando i suoi capelli arruffati.
Corazòn non potè fare a meno di notare che c'era qualcosa di infinitamente materno nei gesti di lei, naturali come non avesse mai fatto altro in vita sua. 
"Incubi" sillabò lei con le labbra, quando l'altro si decise ad entrare.
Law si era già riaddormentato, aveva un'espressione tranquilla sul volto e la testa posata sulle gambe di Artemis.
Lei continuava a far scorrere le dita tra le ciocche scompigliate e sempre più intrise di fili bianchi.
Per un attimo, Rocinante fu certo del fatto che sarebbe stata un'ottima madre e avrebbe dato qualsiasi cosa perché il bambino che riempiva d'attenzioni fosse il loro.
"Domani ci sarà la prova dell'abito da sposa" sussurrò lei con una certa tristezza, riportandolo alla realtà "Verrai anche tu?"
Nella sua voce non c'era la gioia che avrebbe dovuto accompagnare una domanda simile e i suoi occhi erano fissi al pavimento. 
"Anche... anche io devo provare il mio completo, quindi penso che sarò lì." borbottò in risposta, con un'espressione seria dipinta in volto. 
Artemis sorrise debolmente, allungandosi verso di lui per carezzargli la guancia con la mano minuscola, quasi a scacciare quell'aria gravosa che ormai aveva permeato la stanza.
"L'emergenza-incubi sembra finita...resto ancora un po', ci vediamo domani mattina" 
Sporgendosi appena verso di lei, Corazòn le diede un leggero bacio, macchiandole le labbra con il suo rossetto. 
"Non fare tardi" 
Si scambiarono un ultimo sorriso complice, infine Rocinante lasciò la stanza, mentre Artemis tornava a rivolgere le sue attenzioni al piccolo Law, ancora addormentato tra le sue braccia.

"Artemis-sama è pronta!" Annunciò Buffalo, entrando nel camerino dove Corazòn stava appuntando il fiore al suo occhiello.
Il bambino gongolava nel suo abito elegante e il suo sorriso si fece ancora più largo quando si rese conto di essere riuscito ad attirare l'attenzione dell'ufficiale. 
Con pochi gesti, lui gli fece capire che sarebbe arrivato presto e Buffalo si decise così ad uscire dalla stanza, lasciandolo solo. 
Da qualche minuto a quella parte, Rocinante aveva fissato in continuazione il suo viso truccato nello specchio.
Le ciocche bionde, senza il suo cappello, gli finivano costantemente davanti agli occhi, come quand'era piccolo e sua madre gliele spostava in continuazione. 
"Oh, mamma, se solo fossi qui." pensò "Forse saresti l'unica in grado di fermarlo. Lui ha sofferto anche più di me." 
"Sbrigati, Cora-san, voglio vedere il vestito di Artemis!" Borbottò Buffalo da dietro la porta, facendolo tornare alla realtà
Controllò per l'ennesima volta che il fiore fosse appuntato bene, infine si decise ad uscire.

"No, Jora ha detto che senza il suo permesso non può entrare nessuno!" Affermò ostinata Baby5, ritta davanti alla porta e con le braccia spalancate, come a difenderla. 
"Andiamo, non fare i capricci" ridacchiò Doflamingo "Sarò suo marito, ho tutto il diritto di vederla!"
"Ho detto di no, porta sfortuna vedere la sposa prima del matrimonio!"
"Oi, Corazòn! Hai sentito la novità?" scherzò lui, rivolgendosi alla figura che percorreva lentamente il corridoio fino a raggiungerli "Adesso non posso nemmeno vedere mia moglie!" 
Quella parola gli fece venire i brividi, pronunciata da suo fratello, ma fece di tutto per non darlo a vedere. 
"La bambina ha ragione, Signorino!" La voce squillante di Jora precedette la sua apparizione.
Anche lei vestita a festa, aprì la porta oltre la quale si celava Artemis quel tanto che bastava a vedere chi si apprestasse ad entrare.
"Lo sposo non può vedere il vestito della sposa. Fine della discussione. Corazòn, bambini, voi invece potete entrare."
Sia Buffalo che Baby5 corsero dentro la stanza come saette, facendo cadere Rocinante, il quale si rialzò mordendosi la lingua per non imprecare e infine li seguì, lasciando suo fratello sull'uscio e con un'espressione risentita sul volto.

"Artemis-sama! Sembri una principessa!" Commentò Baby5 meravigliata "Anche io voglio un bel vestito come il tuo!"
"Prima devi trovare qualcuno che ti sposi" la canzonò Buffalo.
Il che, come prevedibile, diede il via ad un battibecco che solo Jora fu in grado di placare. 
Artemis fece qualche passo, avvolta nel lungo abito bianco e intarsiato di pizzo.
I capelli allora argentei erano stati raccolti in un'acconciatura semplice e lasciavano completamente libero il suo volto mentre sorrideva alla bambina, ancora in ammirazione. 
"Sei un amore, Artemis!" Esclamò Jora "Il Signorino non crederà ai suoi occhi quando ti vedrà! Eppure manca...giusto, il velo! Vado a prenderlo!"
"Però glielo metto io!" Si intromise Baby5, rincorrendo la donna fuori dalla stanza, seguita da Buffalo. 
Corazòn non aveva ancora dato nessun segno che facesse intuire la sua opinione, da quando era entrato. 
"Che ne pensi?" Chiese infine Artemis, arrossendo appena.
Lui si guardò in giro, poi schioccò le dita e il vociare lontano dei bambini sparì del tutto. 
"Ha ragione, sembri davvero una principessa" rispose lui con un sorriso. 
"Ho pensato a quello che mi hai detto ieri sera" rivelò lei "e ho preso una decisione: salpiamo tra un mese esatto. Dovrebbe bastare per raccogliere tutto ciò che serve per il viaggio e prendere contatto con qualche ospedale senza che tuo fratello si insospettisca." 
"Ospedale?" Chiese Rocinante preoccupato "c'è qualcosa che devi dirmi, Artemis? Stai forse male oppure..."
"Porteremo anche Law. E troveremo una cura alla sua malattia. Dovremmo avere ancora un anno di tempo e, se ci muoviamo in fretta, possiamo ancora fare qualcosa." 
La voce di lei era così decisa che Corazòn ne rimase quasi scioccato. 
"Pensi che si farà aiutare, Artemis? Mi odia, lo sai." 
"Forse, se glielo chiederò io, accetterà. Senza di lui non mi muovo." 
Un sorriso comparve sul volto di lui 
"Di testarde come te ce ne sono poche, grazie al cielo" 
"C'è un'altra cosa che voglio chiederti." aggiunse Artemis con un ampio e luminoso sorriso, facendo tremare per un istante il cuore di Rocinante "Quando avremo finito di scappare, quando avremo trovato un posto da chiamare casa e Law sarà guarito...mi sposerai?" 
Corazòn la strinse, facendole fare una piroetta e prese il volto di lei tra le mani.
I suoi occhi castani si erano fatti appena più lucidi "Sarei l'uomo più fortunato della Grand Line, se scegliessi me"

 

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Capitolo 8
*** Voti (parte 2) ***


Capitolo 7: Voti (parte 2)

"Saremmo dovuti salpare a metà giugno, tuttavia la malattia di Law peggiorava più velocemente del previsto e scoprimmo un dettaglio non esattamente irrilevante sul suo conto. Fummo costretti ad andarcene a fine maggio, portando con noi un bambino tutt'altro che collaborativo. Corazòn non aveva torto: Law provava del risentimento nei suoi confronti, ma riuscii a farlo ragionare, il rapporto tra i due si appianò e diventarono inseparabili. Eravamo una bella famiglia, ma sapevo che non era destinata a durare. Nessuno dei dottori prese mai in esame il nostro caso: erano terrorizzati dal Piombo Ambrato. Io mi prendevo cura di lui come potevo, ma i medicinali non l'avrebbero tenuto in vita ancora molto e peggiorava ogni giorno di più. Circa cinque mesi dopo la nostra partenza, scoprii di essere incinta. Ovviamente, il bambino non era del mio promesso sposo. Law lo capì da sè, era un ficcanaso fin da piccolo, ma gli feci promettere di mantenere il segreto finchè non ci fossimo stabiliti. Tra l'altro, ci era appena giunta notizia di un Frutto del Diavolo che avrebbe potuto salvarlo. La Marina aveva aperto le trattative con un certo Barrels per il frutto Ope Ope e anche Doflamingo aveva iniziato a interessarsi. Ci ritrovammo a Minion Island, noi tre contro il governo e due ciurme. Nel periodo che intercorse tra il nostro arrivo e quello delle parti interessate, le mie visioni erano sempre più frequenti e nitide e Law era allo stremo. Sentivo tutto scivolarmi dalle dita, avevo una paura atroce." 
Kidd notò che la voce di Artemis si era fatta più ruvida e le dita di lei si erano strette sul parapetto della nave come ad ancorarsi.
"Quando decidemmo di muoverci," riprese lei "io restai a valle con Law, mentre Corazòn andò da solo a prendere il frutto. Non mi andava che corresse pericoli simili, ma non ci fu verso di farlo ragionare. Tornò poco dopo con il frutto e Law lo mangiò. Pensavamo fosse finita. Avevamo vinto, non ci restava che scappare se non fosse stato per le ferite che Corazòn si era procurato nel recuperare l'Ope Ope. Law provò a fare ricorso ai suoi poteri, ma senza successo, allora andò a chiamare un Marine perché ci aiutasse. Fu in quel momento che scoprimmo che la missione di Vergo era esattamente speculare alla nostra. Provai a difendere Corazòn, ma non sapevo gestire il Time Time No Mi e finii per farmi più male di quanto non ne abbia fatto a Vergo, il quale non si risparmiò nel contrattacco. Persi i sensi e quando rinvenni alcuni uomini della Chiper Pol mi stavano portando lontana dall'isola. Sarei finita ad Enies Lobby, se non fosse stato per un'esplosione dei miei poteri: mi indebolì molto, ma fermò i cuori di tutti i presenti all'istante e mi permise di raggiungere il punto dove ci eravamo divisi. Non feci in tempo. Avevo sentito gli spari mentre risalivo il versante della collina e, quando raggiunsi la vetta, trovai solo Doflamingo con la pistola ancora in mano e il corpo di suo fratello riverso nella neve. Feci in tempo solo a vedere il suo ultimo sorriso. Non ha mai neanche saputo di essere padre. Sentivo la luce di Law grazie al mio Haki e non avrei mai pensato che un cuore così piccolo potesse contenere tutto quel dolore. Doflamingo mi guardò con sufficienza da dietro i suoi occhiali e mi chiese di tornare. Voleva fossi sua di nuovo, che dimenticassi quegli ultimi sei mesi e riprendessi la mia vecchia vita, ma non potevo: accecata dalla rabbia, gli rivelai che ero incinta e che Corazòn era il padre. Per tutta risposta, mi trafisse da parte a parte con i suoi fili. Ho riunito tutta la tua bella famigliola nell'aldilà, mi canzonò, ora non ti resta che raggiungerla. Se sono ancora qui, lo devo a Law: fui la sua prima operazione. Riuscì a salvare me, ma per il bambino non ci fu nulla da fare. Entrambi avevamo perso tutto, così diventammo l'uno la famiglia dell'altro. Scoprii che, secondo i rapporti della Marina, io ero morta, quindi presi ad indossare questa maschera e cercai un modo di procurarmi il denaro per sostenerci. Fortunatamente, finchè ci sono almeno due persone sul pianeta, qualcuno vorrà qualcun altro morto ed è un lavoro che paga bene. Riuscivo a comprare cibo sufficiente per entrambi, potevo permettermi di affittare una stanza e compravo a Law tutti i libri che potessero servirgli. Lui, tuttavia, detestava che lavorassi da mercenaria e talvolta cercava di impedirmi perfino di uscire. Odiava sapere che la mia vita era in pericolo e si sentiva quasi in colpa ogni volta che mi sapeva in missione. Andai avanti così per un po', finchè il mio nome non diventò famoso abbastanza da giungere alle orecchie di Ivankov dell'Armata Rivoluzionaria. Con quest'ultima nacque un rapporto d'affari che si trasformò col tempo in vera e propria amicizia. Offrì a me e a Law un luogo sicuro in cambio dei miei servigi e presi a lavorare unicamente per lei. Devo ad Ivankov molto più di quanto non sarò mai in grado di ripagare. E non parlo solo dell'accettare che un orso parlante circolasse libero per Kamabakka: mi sostenne sia fisicamente che psicologicamente durante il mio allenamento per imparare a gestire il Time Time No Mi, mi aiutò quando i rapporti con Law sembravano vacillare e i migliori medici di Kamabakka gli permisero di iniziare il suo praticantato, aiutandolo a diventare un dottore a tutti gli effetti. Quando ritennero che non potesse imparare più nulla, lui mi disse che voleva lasciare l'isola e diventare un pirata. Inizialmente mi rifiutai categoricamente di aiutarlo, ma la mia posizione non sembrava sufficiente a fermarlo: più volte ho passato notti insonni per cercarlo in squallidi bar, mentre attaccava briga con la feccia più disgustosa pur di iniziare a farsi un nome. Se tale madre tale figlio vale anche per i figli adottati, avrei dovuto ben immaginare a che genere di grana andavo incontro: più lo rimproveravo, più scappava, più tornava a casa coperto di lividi. Volevo aiutarlo, ma il suo metodo non l'avrebbe portato da nessuna parte, era come un pesce rosso che andasse continuamente a sbattere contro il vetro dell'acquario pur di raggiungere l'esterno. Iniziai a viaggiare nel tempo e in due settimane avevo accumulato le nozioni di fisica e meccanica che un uomo normale assimila in vent'anni, così progettai un'imbarcazione che fosse unica in tutto e per tutto e io stessa presidiai i lavori per la sua costruzione."
"Aspetta, ferma un attimo" la interruppe Kidd "vuoi dirmi che quel sottomarino l'hai fatto tu?" 
"L'ho progettato, se è questo che intendi" puntualizzò lei "per quanto riguarda la costruzione pratica, mi rivolsi a dei carpentieri del North Blue, molto più facile da raggiungere di Water Seven. Nella loro squadra, in particolare, mi affezionai a due di loro: Shachi e Penguin, che ora sono parte della ciurma. Impiegammo sette mesi per costruirlo e, per quanto poco me ne intenda di cantieri, posso assicurarti che si tratta di un tempo da record. Consegnai le chiavi a Law solo in cambio della promessa che sarei stata il primo ufficiale in comando, lui accettò e ora eccoci qui." 
Kidd riflettè un secondo su ciò che aveva sentito, un'espressione seria e determinata dipinta sul suo volto. 
"Quindi è stato quel Doflamingo" borbottò "Buono a sapersi, gli porterò i tuoi saluti, prima di tagliargli la testa." 
"Tieniti fuori, Eustass" Le parole di Artemis giunsero come uno sparo: inattese e veloci, troncarono quelle di Kidd "Non è destino che sia tu a dargli la lezione che merita. Tra due anni e due mesi sarà tutto finito già da qualche giorno. Solo due anni, non sono niente: ne ho passati undici sapendolo lì fuori a darmi la caccia."
Fu solo dopo quelle parole che Kidd fece qualcosa di insolito, per lui: rinunciò.
Cedette il passo ad Artemis nella folle corsa a quella preda tanto irraggiungibile, accettò semplicemente il fatto che quello scontro aveva radici ben più profonde di quanto non potesse contrastare. 
"Se sei tanto sicura di farcela, aspetterò di vederti trionfare." 
"Oh, ma io non ho detto di sapere come finirà." Specificò lei con fare quasi malinconico "Ho detto solo che sarà finita: sarà il destino a scegliere chi vincerà. C'è già del sangue sulle mie mani, Eustass, solo che non so di chi sia: di Doflamingo? Di Law? Mio? Chi può dirlo? Io so solo ciò che vedo e il mondo che vedo è talmente diverso da quello che conosciamo che a stento riconosceresti quel cielo e questo come lo stesso." 
Kidd era stupefatto, come sempre quando lei manifestava i suoi poteri in qualche forma.
Non riusciva a spiegarsi come, ma Artemis diventava sempre magnificamente aliena quando parlava del futuro.
Scrutava distante come se potesse vedere quelle scene dipinte sulla linea dell'orizzonte e le descriveva, facendo si che esse prendessero forma nella mente del suo interlocutore. All'improvviso lei cancellò dalla sua mente quei pensieri cupi e sorrise di nuovo, prendendo il volto di Eustass tra le sue mani, disegnando assorta con le dita leggere le cicatrici che di lì a poco avrebbero marchiato il suo viso. 
"Il sole sta per sorgere, Capitano Kidd, e presto dovrò andarmene. E quando me ne andrò non ci rivedremo per molto, molto tempo. Io avrò i miei nemici da combattere e tu i tuoi. Le nostre vite proseguiranno ignorandosi come prima del nostro incontro."
"E devi per forza andare?" chiese lui in un sussurro, ora sfacciato abbastanza da lasciar scorrere il suo sguardo su di lei, posando con incertezza le mani sui suoi fianchi.
Un'espressione a metà fra il dolce e l'amaro si dipinse sul volto di Artemis, felice di riscontrare una reazione da parte sua e allo stesso tempo consapevole della distanza che li avrebbe separati. 
"È così che dimostri di volermi uccidere, Eustass-chan? O continuerai a raccontarti che sono il tuo chiodo fisso solo per quella storiella di Sabaody? Ho sentito dire che, quando una persona ripete continuamente una bugia, dopo un po' inizia a prenderla per vera. Ma qualsiasi cosa tu pensi, non cambierà le cose. Parli e agisci come se io non fossi il secondo del tuo principale avversario, dimenticandoti o ignorando che siamo nemici e che, finché continuerà questa corsa al One Piece, rimarremo tali." 
"E tu parli come se le mie attenzioni ti dispiacessero, Senza-faccia. Quanti bugiardi riesci a contare sul ponte di questa nave?" 
Per tutta risposta, lei contrasse le labbra in un mezzo sorriso, quasi ad ammettere di essere stata scoperta mentre le prime luci dell'alba iniziavano ad allungare le loro dita sulle onde sottili di un mare fin troppo calmo.
Il gracchiare sgraziato di un News Coo giunse alle sue orecchie e vide la sagoma di un gabbiano sfrecciare sopra le loro teste, lasciando cadere una copia del giornale. 
"Finalmente" sospirò lei, sfogliando le pagine e leggendo avidamente le notizie.
Un'espressione di incredulità si dipinse sul suo volto, virando poi verso un misto di disgusto e rabbia "Dannato Cappello di Paglia, perchè sei sempre così schifosamente imprevedibile?"
"Di che parli, Senza-faccia?" 
Per tutta risposta, lei indicò una fotografia in prima pagina.
Ritraeva Cappello di Paglia in un atteggiamento compunto e avvolto in uno stretto bendaggio quasi da capo a piedi.
Sullo sfondo, la campana di Ox scintillava nel suo meraviglioso argento che da sempre incantava gli abitanti dell'intera Grand Line. 
"È tornato a Marineford." Constatò Kidd "Perchè? Non gli bastava rischiare di crepare la prima volta che ci è andato?" 
"Mi deludi, Eustass: punto alla luna e tu fissi il dito. Parlo della scritta: 3D2Y. Mi segui? Non tre giorni ma due anni. Sta rimandando qualcosa." 
"E con questo?" 
"Non sei nemmeno un po' curioso di quel che fanno o non fanno i tuoi nemici? Io si. Tantissimo."
Cercando di essere il più delicata possibile, strappò l'articolo dalla pagina, piegandolo e infilandolo in tasca
"Sembra che la ragnatela non smetta mai di crescere. Ora è giunta davvero l'ora: se Law non era con lui di certo sono ripartiti. Devo ammettere che un po' mi dispiace, mi sarebbe tanto piaciuto visitare Amazon Lily. " 
"Prima che tu vada, Senza-faccia, ricorda che ho fatto una promessa." la richiamò, accarezzando con una mano i suoi capelli corvini e proseguendo lungo l'ovale del viso "Se qualcuno prenderà la tua testa, stai pur certa che sarò io" 
"Sembri fin troppo sicuro di te. Eppure la tua mira lascia molto a desiderare: se il tuo obiettivo è la testa, dovresti puntare almeno una spanna più sopra" constatò lei, sollevandogli appena il mento con la punta delle dita per convincerlo ad alzare gli occhi "Sguardo in alto, soldato." 
Artemis prese a strofinare tra loro le mani, illuminando appena le punte delle sue dita per saggiare lo stato del suo corpo prima del salto.
Provò a visualizzare Law, cercando la sua in mezzo alle luci di tutti gli abitanti del Paradise finchè non lo vide, ormai poco distante dall'Isola degli Uomini-Pesce.
Sorrise, già pregustando l'accoglienza che la sua ciurma le avrebbe riservato, le domande che le avrebbero fatto e le serate che avrebbe passato raccontando loro ogni evento: di come aveva incontrato e salvato Cappello di Paglia, di Barbabianca e di quel che era successo dopo che avevano portato Luffy in salvo. 
Un solo pensiero la motivava: presto sarebbe tornata al posto che le spettava, il sottomarino che da due anni a quella parte aveva preso a chiamare casa. 
"Aspettatemi, ragazzi miei. Sto arrivando." 

 

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Capitolo 9
*** Casa è dove si trova il cuore ***


Capitolo 8: Casa è dove si trova il cuore

" 'Giorno Shachi" sbadigliò Artemis entrando in sala comandi con espressione assonnata.
"Ben svegliata, mama-Rose." Rispose lui, gettando un rapido sguardo ai radar.
Il mare era una tavola completamente sgombra "Sono le tre del pomeriggio! Il capitano ha ragione, dovresti sistemare il tuo orologio biologico: ti farà male dormire così." 
Lei scrollò le spalle, sedendosi alla postazione del copilota e stropicciandosi gli occhi. 
"Non preoccuparti, sto bene. Qui, piuttosto? Stiamo navigando in superficie o i sensori danno i numeri?" 
"Bepo dice che il fondale è accidentato e insidioso da queste parti: una nave può cavarsela bene, ma è meglio se noi avanziamo a pelo d'acqua."
Artemis sorrise, dando una pacca sulla spalla al suo compagno e spostando lo sguardo verso le carte nautiche stese su di un bancone dietro i sedili.
Nella penombra e nelle luci tremule dei monitor, i contorni delle isole e le curve sottili delle linee altimetriche si delinearono lentamente, man mano che i suoi occhi si adattavano alla semioscurità e le due dita sottili le percorrevano.
Calcolò a spanne la loro posizione e chiese conferma. 
"Manca poco alla prossima isola, vero?"
"Qualche ora e ci siamo. Penguin dice di essere riuscito a vederne il profilo già da un po' e, considerando quant'è limpido il cielo, non fatico a credergli. A volte rimpiango di averti dato retta quando ho firmato quel progetto: su di una nave ci saremmo goduti questa giornata in maniera completamente diversa." 
La ragazza sorrise, facendo cenno a Shachi di cederle il posto. 
"Vai, corri sul ponte e rilassati un po', te lo meriti. Io sono perfettamente vigile, posso gestire la navigazione senza problemi." 
Per tutta risposta, lui le rivolse velocemente un'occhiata dubbiosa. 
"Dai, su!" Insistette lei "Non sei l'unico che freme per pilotare ed è da quando sono tornata che voglio guidare un po'" 
"Se la metti su questo piano, mama-Rose..." Sorrise lui, lasciando il timone e cedendo il posto al secondo ufficiale "dirò al capitano di tenerti d'occhio, sai com'è: donne e motori..." 
"Dissolviti" sibilò lei "e ricordati che più tardi abbiamo dei test da finire." 
Con un cigolio, la porta della sala comandi si richiuse, lasciando Artemis sola con le sue macchine. 
"Donne e motori...tsk."

La navigazione procedette tranquilla e l'isola si avvicinava a vista d'occhio.
Sembrava un luogo pacifico, di quelli che lei si era quasi disabituata a vedere.
Certo, trovava strana l'idea di esitare nel Paradise, ma mettere in discussione i piani di Law non era da Artemis né da nessuno dei Pirati Heart: se aveva scelto quella destinazione, evidentemente pensava non fossero ancora pronti per il Nuovo Mondo. 
"Beh, poco male: ho comunque trovato un buon modo di tenermi impegnata."
Diede un ultimo sguardo soddisfatto alle carte che aveva sottomano: decisamente, era un traguardo da festeggiare. 
"Sai, mama-Rose, per quanto tu ci sia mancata, rimpiango i tempi in cui qui c'era una parvenza di ordine." Borbottò il capitano entrando. 
"Dovresti essermi grato." Rispose lei, sventolando il fascicoletto che si era rigirata tra le mani "Sai cosa vogliono dire?" 
Law afferrò quasi al volo i fogli pinzati, gettandosi di traverso sulla poltrona del copilota, facendo dondolare le gambe oltre i braccioli. 
"Armi... Steroidi... Agenti chimici... Mercenari... Uomini-pesce... Perfino umani..." Sussurrò, scorrendo le righe con l'indice "È simile al tariffario dell'asta alle Sabaody, ma più ampio." 
"Non ha nulla di diverso, infatti." Spiegò Artemis "Sono le basi d'asta dei principali prodotti attorno ai quali verte il mercato nero."
Lui lesse con aria corrucciata i documenti ancora per qualche minuto, infine li restituì ad Artemis. 
"Affascinante, in un certo senso, ma non vedo a cosa potrebbero servire." 
L'ombra di un sogghigno comparve sul volto della sua compagna, che si rivolse per un istante alle carte nautiche prima di tornare da lui. 
"Sai cos'ho imparato a Dressrosa, Law?" Chiese, posando i documenti appena oltre il segno della Red Line "Che nel mercato nero, salvo rari casi, nessuno sa chi sei. Tutti hanno almeno una buona ragione di nascondersi e comprendono se le proprie controparti non vogliono rivelare la loro identità." 
"Spiegati meglio" chiese Law sporgendosi in avanti. 
"Noi non andremo lì per comprare. A dirla tutta, non andremo nemmeno lì e non compreremo niente. Il nostro obiettivo è una manovra molto più semplice: pura speculazione. Faremo soldi e, grazie alla natura stessa del sistema, nessuno lo verrà a sapere." 
"Mi sembra troppo semplice. E poi perchè proprio ora?" commentò lui "Non dico che sia un brutto piano e sai che mi fido ciecamente di te, ma deve esserci un rischio." 
"Naturale: il rischio di impresa. Un passo falso e potremmo trovarci nei casini. Tuttavia, seguendo passo passo Doflamingo nella costruzione del suo impero,  ho imparato qualcosa sul come investire, quando farlo e, soprattutto, come far perdere le proprie tracce, da questo punto di vista siamo al sicuro." Spiegò con voce calma "E non è tutto. Anche nella remota possibilità di uno sbaglio, riusciremmo ad avere un elemento di importanza cruciale: paradossalmente, con le chiavi di lettura giuste, nell'oscurità è tutto chiaramente visibile. Inclusi i traffici di Doflamingo: ho avuto la piena conferma dei nostri sospetti. Lui ha effettivamente degli affari a Punk Hazard e questi sono connessi con Kaido.  Se riuscissimo a tagliare o aggrovigliare qualcuno dei suoi fili potremmo ottenerne vantaggi inimmaginabili, saremmo tre passi davanti a lui. Il tutto, ovviamente, se me lo concederai." 
Law riflettè sul piano di Artemis, sembrò sul punto di dire qualcosa, ma si trattenne.
L'espressione sul suo volto era corrucciata, assente. 
"Sono sicuro che riuscirai a gestirlo" concluse. 
"...ma?" Proseguì Artemis.
"Ma cosa? Non c'è nessun ma"
"Conosco quel viso, Law: cosa nascondi?" 
"Nulla" borbottò uscendo "Nulla, non farci caso." 
Lei fece per fermarlo, ma non fu lesta abbastanza: un istante dopo aver chiuso la porta, era già sparito, suscitando le ire della sua interlocutrice. 
"Trafalgar D. Water Law" chiamò con una voce possente che in rari casi sfoderava "Hai tre secondi per palesarti in cucina, dopodiché inizierò a smantellare il sottomarino pezzo per pezzo e, quando ti avrò trovato, saranno problemi tuoi."

Il borbottio profondo e rassicurante della moka iniziò a farsi sentire, scuotendo Artemis da un certo torpore che aveva iniziato a calare su di lei.
Spense il fornello, senza dire una parola e rivolgendo uno sguardo traverso al suo figlioccio, che sollevò appena la testa dal bancone.
Nonostante cercasse di dissimularlo, sapeva che non aveva via di scampo dal discorso che Artemis stava per intavolare: la conosceva fin troppo bene. 
"Sono tornata ormai da qualche settimana e non ti sei ancora deciso a fare il grande salto" Iniziò lei " nè mi hai spiegato il perché di tutta questa esitazione. Sento che qualcosa non va, non mi hai mai esclusa così tanto dalle tue macchinazioni, è la prima volta che non ho davvero idea di cosa ti frulli in testa. Ecco, penso...penso solo che dovremmo parlarne, da madre a figlio. Shakerato?" 
Lui annuì appena e Artemis si avviò a prendere il ghiaccio.
La cella frigorifera era una sorta di baule e, in rapporto agli altri membri della ciurma, era di dimensioni accettabili.
In rapporto a lei, risultava essere una sorta di pozzo senza fondo ed era costretta a gettarsi di testa al suo interno per raggiungere ciò che ne occupava la base.
Quando emerse dopo una lunga ricerca, mezza infreddolita, stringeva nella mano destra un cuore ancora pulsante. 
Osservò quello strano reperto per qualche secondo con un'aria a metà tra il perplesso e l'esausto, prima di giungere ad una sua conclusione: "Devo essermi persa qualcosa, è semplicemente fin troppo sbagliato." 
Law provò a strapparglielo di mano, con risultati piuttosto scarsi.
Si arrese alla realtà, realizzando che tentare di battere una signora del tempo con delle finte sarebbe stato un inutile spreco di energie, quindi tentò di farla ragionare. 
"Non farò una room per riprendermelo, ma ridammi quel cuore, mi serve." Le ordinò, appoggiandosi al bancone con le braccia conserte.
Non che un cuore umano e ancora funzionante sembrasse servire a molto, sul momento. 
"Nel nome della scienza e dell'umano buonsenso, ti proibisco di tenere qualsivoglia tipo di organo nello scomparto del pesce surgelato." Dichiarò lei "come se per gli stessi criteri non fossi costretta a tenere sotto chiave il piccolo Alonso." 
"Alonso?" Chiese lui, allungandosi nel freezer per prendere la vaschetta del ghiaccio e scambiandola con il muscolo che sua madre teneva ancora stretto in mano. 
"Io e Shachi abbiamo trovato un uso alternativo ai materiali dei Pacifista che sono riuscita a comprare all'ultima asta." Spiegò Artemis, la voce appena vibrante della sua tipica emozione "Sai, no? La storia del...business e del mercato nero di cui ti parlavo."
Fece scivolare il bicchiere con ghiaccio e caffè attraverso il bancone fino a Law, che lo afferrò praticamente al volo. 
"Ma non è di Alonso che dovevamo parlare, dopotutto. É la quarta o quinta volta in un mese che trovo cuori palpitanti in giro per casa e, per quanto apprezzi i tuoi macabri modi di dimostrarmi il tuo affetto, dubito sia quella la loro utilità finale."
Law sospirò.
Aveva un'aria esausta e sembrava essere alla ricerca delle parole migliori.
Si passò le mani sul volto, trasse un respiro profondo e, infine, si decise a parlare. 
"È una cosa a cui sto pensando da un po'. Solo, non so quanto potresti approvare." Rivelò, assumendo di nuovo la sua aria un po' distaccata, ma tradendo un sottile imbarazzo, distogliendo lo sguardo "Voglio entrare nella Flotta dei Sette." 
Per poco non le scivolò il bicchiere di mano.
Artemis non aveva mai avuto rapporti troppo buoni con il Governo, soprattutto dopo che lei e Rocinante erano stati praticamente abbandonati al loro destino a Dressrosa. 
Ma quella era un'altra Artemis.
Lei era morta a Minions Island undici anni prima.
Non esisteva più.
Esisteva solo la Senza-faccia, secondo in comando dei Pirati Heart, braccio destro del Chirurgo Della Morte.
Tutto il resto era morto e sepolto, per il bene di tutti.
"Non è una scelta che spetta a me" rispose lei dopo una pausa "Non penso di voler sapere per quale ragione tu stia cercando di farlo, credo che la risposta non mi piacerebbe" 
"Ti ricordi perché abbiamo iniziato, vero, mama-Rose? Abbiamo la forza per sconfiggerlo, lo sai meglio di me."
"Doflamingo è astuto e ha alleati potenti. I traffici che intrattiene con Kaido sono ad un livello che nessuno finora era mai riuscito a raggiungere. E non parlo di armi comuni, dicono che se qualcuno scoprisse davvero di cosa si tratta, la Grand Line sarebbe in pericolo molto più di quanto non lo sia già. Per quanto i nostri poteri possano essere formidabili, non riusciremmo mai a fronteggiare Doflamingo nè tantomeno un imperatore." 
"Non da soli."
Il disegno di suo figlio iniziò a delinearsi sotto i suoi occhi frammento per frammento, come fosse un puzzle.
Un puzzle da 5000 pezzi e a tinta unita. 
"Hai intenzione di fomentare il resto degli Shichibukai contro di lui?" mormorò, strofinandosi gli occhi con indice e pollice come spesso faceva quando qualcosa la preoccupava. 
"Punta più in alto." Sorrise Law con la sua aria enigmatica, appoggiando il mento al dorso tatuato delle mani. "Io, te e la ciurma di Mugiwara-ya bastiamo, ma sarà molto più facile se avremo il Governo a guardarci le spalle."
"Wonder-Boy è uno degli uomini con la taglia più calda della Gran Line ed è al momento disperso. Sarà meglio lasciarlo tranquillo per un po', da quanto so Rayleigh si sta occupando di lui, gli farà bene. Ma quando verrà il momento, il mondo intero sarà in fibrillazione: tutti vorranno sapere dell'uomo che ha sfidato così apertamente il governo. Credi davvero che se garantiremo per lui ce lo faranno tenere?" 
"Non potranno fare altrimenti. È questo il bello di essere uno Shichibukai."
"E come li convincerai a prenderti con loro? Non siamo certo stinchi di santo e il nostro intervento a Marineford è stato determinante." 
"È qui che entrano in gioco questi" rivelò Law, mostrandole il cuore ancora coperto da una sottile pellicola di brina "Questo è di un ricercato la cui taglia vale non meno di 70 milioni. Gli altri valgono 60,45,37 e 13 milioni e sono tutti membri della ciurma del primo." 
"Decisamente un gran mucchio di Berry, ma dubito che consegnandogli cinque cuori riuscirai a conquistarti la loro fiducia." 
"E se si trattasse di cento?"
"Cento cuori?!" 
"Non rifiuterebbero mai. E, una volta ottenuto il titolo, la nostra prima meta sarebbe Punk Hazard." 
"È zona interdetta" gli ricordò  "E ad essere sincera non so nemmeno cosa ci troveremo. So solo che faremmo meglio ad esserci, tutto qui."
"Stavolta ho fatto io alcune ricerche per conto tuo." Sorrise Law nella sua tipica maniera "C'è una sola persona da cui dipende l'intero equilibrio dei traffici di Doflamingo."
"Ceasar Clown, lo so. Si sente molto parlare di lui, alle aste. Fino a pochi anni fa era il secondo di Vegapunk, ma a seguito di un brutto incidente sembra essersi...messo in proprio. Girano voci davvero orribili sul suo conto, non è quella che si direbbe essere una brava persona." 
"Neppure noi lo siamo."
"Ci sono cattive persone e cattive persone. E immagino che noi siamo cattive persone che vogliono far sì che Caesar smetta di fare qualsiasi cosa stia facendo per mettere nei casini Doflamingo con un Imperatore, non è così?"
"Ecco che gli ingranaggi girano nel verso giusto." Commentò Law con un sorrisetto. 
Quella sua smorfia, che aveva il retrogusto della sfida, riusciva sempre a rassicurare Artemis: era come se le dicesse che tutto sarebbe andato a finire bene. 
"Ti fidi di me, mama-Rose?" 
I piani di quel marmocchio erano sempre stati folli ma, per quanto sembrasse impossibile, avevano sempre portato alla migliore conclusione possibile.
E poi era il suo capitano: l'avrebbe seguito fin all'altro mondo, fosse stato necessario. 
Le labbra di lei si incurvarono in un'espressione quasi  rassegnata e allungò il bicchiere verso quello del suo figlioccio in un tardivo brindisi. 
"Come potrei non fidarmi?"

"Turno tuo" chiamò Artemis, dopo aver mangiato un pedone di Law con il suo alfiere. 
I giorni erano trascorsi tranquilli da quella loro conversazione e da quel disegno scellerato: avevano abbordato più navi in quei cinque mesi di quante ne avessero attaccate dalla loro partenza e i tabloid avevano già coniato un nuovo nome per il Chirurgo della Morte: Dr. Heartstealer
La fama dei Pirati Heart cresceva a vista d'occhio e quella del loro capitano ancor più velocemente. 
"Quanto tempo è passato da quando gli hai portato i cuori?" Chiese lei di punto in bianco. 
"Tre giorni...turno tuo." Rispose, conducendo la regina nera in posizione di scacco. 
"Allora è solo una questione di ore prima che..."
"CAPITANO!" La voce di Bepo risuonò attraverso i corridoi, fin sul ponte scoperto "CAPITANO, UNA COMUNICAZIONE!" 
Un mezzo sorriso si dipinse sul volto di Artemis così come su quello di Law.
I due si scambiarono uno sguardo di intesa e interruppero la loro partita, pronti a ricevere dal navigatore la conferma ai loro sospetti. 
Quando arrivò sul ponte, seguito da Penguin e Shachi, sembrava pieno d'orgoglio oltre ogni misura. 
"Capitano, ha funzionato!" Annunciò "Ti hanno convocato nella terra sacra di Marijoa per confermarlo: vogliono che tu entri nella Flotta dei Sette al posto di Barbanera!" 
"Gli altri non vedranno l'ora di saperlo!" Aggiunse Penguin, passando al suo capitano il telegramma appena ricevuto. 
"Abbiamo il nostro lasciapassare, quindi." Sorrise Artemis "Quando sarà la riunione?"
"Tra dieci giorni esatti. Per raggiungere la Red Line impiegheremo al massimo tre giorni dalla posizione attuale." Intervenne Shachi "Ho già tracciato la rotta, devi solo dare l'ordine." 
Law rivolse uno sguardo alla sua compagna, quasi a volerle chiedere conferma di quel che stava per comunicare ai suoi sottoposti più fidati.
Artemis, rispose con un breve cenno "C'è una cosa che il capitano dovrebbe dirvi, tuttavia." Aggiunse.
Quelle sole parole bastarono ad attenuare le tinte gioiose che quella giornata aveva assunto. 
"Dovete sapere che questa comunicazione porterà molti più cambiamenti di quanti non vi aspettate" esordì Law con tono serio "Una volta giunti a Marijoa, ci separeremo. Io e mama-Rose, ci dirigeremo a Punk Hazard."
A quelle parole, calò un silenzio di tomba. 
"P-punk Hazard?" Balbettò Bepo con tono allarmato "Come? E-e perché? Cosa significa?" 
"É così. Io e Artemis abbiamo deciso che è giunto il momento di muoversi contro Doflamingo e che inizieremo da quell'isola. Ad ogni modo, é una questione che riguarda noi soltanto e per nessuna ragione voglio che ne restiate coinvolti." 
"Ma, Capitano, noi siamo la tua ciurma!" Intervenne Shachi, interrompendolo.
C'era una punta di rabbia nella sua voce, forse frustrazione. "Ti abbiamo sempre difeso e sostenuto, perché adesso dovrebbe essere diverso? E noi cosa dovremmo fare mentre voi siete impegnati in questa missione?" 
"Voi aspetterete a Zou. Vi darò una Vivre Card con le nostre posizioni, così saprete sempre come vanno le cose e, una volta finito tutto, ci ritroveremo." 
"Ma Capitano..." Fece ancora Shachi, prima che Penguin posasse una mano sulla sua spalla. 
"Voglio che voi vi occupiate della ciurma, mentre saremo assenti. So che posso contare su di voi e su di te in particolare, Bepo." 
"A-aye Captain." Rispose lui. 
Nessuno sembrava essere almeno vagamente felice della fiducia che Law aveva riposto in loro tre, era come se la notizia avesse completamente assorbito la loro gioia. 
"Penguin?" Chiamò Law "Ti dispiacerebbe fare rotta per Marijoa? È importante che siamo puntuali, se non perfino in anticipo." 
"Agli ordini, capitano." 
Con quelle parole, pronunciate con tono mesto e assolutamente inusuale per loro, i tre tornarono sottocoperta e i motori si rianimarono con un ringhio cupo e profondo. 
Neppure Artemis riusciva completamente ad accettare la loro partenza e il chirurgo se ne rese subito conto. 
"Non se l'aspettavano" spiegò lei, quasi percependo i pensieri di lui, sul punto di chiederle cosa non andasse "Voglio dire, sapevano che prima o poi avremmo dovuto separarci per affrontare Doflamingo e che sarebbe stata una missione solo nostra, ma per loro è stato inatteso. Avremmo dovuto coinvolgerli di più o quantomeno mettere loro la pulce nell'orecchio." 
"Credi che non mi dispiaccia lasciarli?" 
"Io so che ti dispiace. Ti conosco e so che vuoi bene alle persone di cui ti circondi pur dandolo poco a vedere, ma in questo momento loro hanno bisogno di noi. Si sentono abbandonati, Law. Devo parlare con loro."
Il chirurgo prese la sua mano, come era solito fare da bambino. 
"E dovresti farlo anche tu" aggiunse lei. 
"Come faccio?" Sospirò in risposta, appoggiando la fronte contro la spalla di Artemis, esasperato "Come faccio a rassicurarli che andrà tutto bene quando non ho certezze che riusciremo a tornare?" 
"Semplice: sii certo che tornerai." Affermò lei con sicurezza "Quello é un rischio che non va preso neanche in considerazione: sai bene che non permetterò mai che ti succeda qualcosa. Oh, a proposito..." Lanciando un veloce sguardo alla scacchiera, lei ribaltò la situazione, mangiando la regina nera e portando il suo re sotto la minaccia contemporanea di alfiere e cavallo, bloccandogli ogni via di scampo. "Il re é caduto."

Un leggero picchiettio sullo stipite della porta riuscì ad attirare l'attenzione dei tre pirati seduti attorno al bancone della cucina.
Questi sollevarono appena la testa, senza mormorare nemmeno un saluto. 
"Se voi siete qui, chi guida?" Chiese Artemis rivolgendo uno sguardo preoccupato alla sala comandi. 
"Se ne sta occupando Jean Bart" spiegò Bepo quasi con freddezza, dopo una leggera pausa "sta imparando in fretta."
Un leggero sorriso attraversò il volto di lei "Non ne dubito, ha degli ottimi maestri." 
Non ricevette risposta.
Nemmeno un mugugno o un cenno che testimoniassero che avevano sentito le sue parole.
Con un sospiro, si sedette su di uno sgabello, allargando le braccia. 
"Venite qui, su" li invitò "O siete troppo delusi perfino per dare un abbraccio alla vostra mama-Rose?" 
Nessuno si mosse per diversi secondi.
Bepo alzò appena lo sguardo verso i suoi compagni, quasi a proporre loro una mediazione, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a transigere. 
Rivolse a loro un'ultima occhiata, infine borbottò un sommesso "Al diavolo" e ricambiò l'abbraccio di Artemis facendo sbocciare un sottile sorriso sul suo volto.
"Grazie Bepo" sussurrò lei, con la guancia premuta contro la stoffa spessa della sua divisa.
Presto altre braccia si unirono e sentì le teste di Shachi e Penguin posarsi sulle sue spalle. 
"Non vogliamo che partiate" spiegò Penguin "ce la siamo vista brutta a Marineford e tu...giorno dopo giorno avevamo sempre più paura che non tornassi. Quando sei ricomparsa è stato un sollievo immenso e dopo pochi mesi vuoi già ripartire." 
"Lo so" ammise lei "anche io ho avuto paura e non vi lascio certo a cuor leggero. Ma sapete quanto importante sia per lui e quanto tenga a voi. Law vede tutto questo come un suo pericoloso capriccio: sa bene che potrebbe costargli caro ed è per questo che vuole essere solo, tuttavia sente di non poter rinunciare. È il suo voto, la sua promessa. Non possiamo negarglielo." 
Un silenzio perfetto calò nella stanza, carico di sensazioni: c'erano tristezza, impotenza ma anche senso di colpa e accettazione. 
"Vi prometto che non gli succederà niente" concluse Artemis in tono solenne "Farò qualsiasi cosa sia necessario, come ho sempre fatto. Se non ci sarete voi, dopotutto, la sua ombra dovrò essere io." 
"E tu, mama-Rose?" Chiese Shachi che, a differenza di Bepo, non si era fatto commuovere. 
"Io cosa?"
"Devi prometterci che anche tu tornerai. Dovete tornare entrambi, costi quel che costi. Hai detto che quella di Law è la sua promessa, giusto? Quello che ti chiediamo è di tornare e di avere il Capitano al tuo fianco. Lo farai, mama-Rose?" 
Lei li strinse ancora in un abbraccio, nascondendo il volto e percependo i battiti dei loro cuori e il vigore dei loro muscoli nel ricambiare.
Ripensò a quanto erano diversi quando li aveva incontrati, a quanto tempo aveva trascorso con loro, i compagni del suo figlioccio, parte del cuore di Law come del suo.
Aveva trascorso quei mesi pensando che, nella peggiore delle ipotesi, avrebbe ritrovato Corazòn ed Helene dall'altra parte ad aspettarla e che, dopotutto, quella sorte non era poi tanto orribile come la gente diceva.
Ma non aveva tenuto conto dei suoi doveri: casa non era solo un porto sicuro dove tornare, ma anche un nucleo da proteggere ad ogni costo. 
"Tornerò sempre, Shachi. Dovessi percorrere in barca a remi l'intera Grand Line, Nuovo Mondo incluso. Non posso lasciarvi. Dopotutto, che razza di madre lo farebbe?"

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Capitolo 10
*** La terra dei Santi ***


Capitolo 9: La Terra dei Santi

Gli spessi ricci della donna comparvero improvvisamente sulla soglia dell'officina, affacciandosi timidamente.
"Shachi, hai un momento?" chiamò piano.
Il suo compagno a stento la sentì: la sua voce era coperta dallo stridio del ferro e calde scintille inondavano la maschera da saldatura.
Appena lui sollevò il volto, riconobbe i tratti morbidi e le lentiggini di lei e le sorrise, accantonando gli attrezzi del suo lavoro.
"Ikkaku, benvenuta!" La salutò "Posso esserti utile?"
"A dire il vero, si" ammise, entrando nella stanza facendo slalom tra i lunghi metri di cavi che si snodavano sul pavimento spoglio "Vedi, stavo leggendo il giornale e ho notato una notizia strana."
La ragazza gli passò un articolo fresco di stampa, la cui carta era ancora liscia e i caratteri di un nero vivido e lucido.
Shachi strinse gli occhi, man mano che scorrevano tra le righe "Non è possibile" sussurrò "Voglio dire, un evento del genere dovrebbe averlo previsto!"
"Sai com'è mama-Rose" sospirò Ikkaku "nemmeno lei può vedere ogni cosa. Spero solo che vengano a saperlo in tempo..."
"Certo, sarebbe un bell'inconveniente, ma sono certo che la notizia sarà già arrivata a Marijoa"
Lei sembrò rincuorata e sfoderò uno dei sorrisi più genuini e sollevati che Shachi avesse mai visto "Già, hai ragione. Ti lascio al tuo lavoro. Oh, a proposito!"
Shachi le rivolse un ultimo sguardo, osservando l'oggetto che gli porgeva e nascondendo poi il volto tra le mani.
"Non è possibile." Sospirò "Che ha quella donna di sbagliato?"
"Non ne ho proprio idea" rise lei uscendo e rigirandosi ancora la maschera di Artemis tra le mani "ma certamente deve essere stata parecchio nervosa per dimenticarsela. Dici che riusciamo a spedirgliela?"
"Nah, sono sicuro che si è già arrangiata...ma, dannazione, com'è possibile?!"

Artemis starnutì di punto in bianco, interrompendo per un attimo il suo estenuante ciclo.
"Visto? Hai preso freddo." La rimproverò Law.
Lei, d'altro canto, riprese a tracciare lo stesso percorso tra la specchiera e la parete opposta. Osservò con espressione perplessa la maschera che lui le aveva portato e l'avvicinò al volto per qualche istante, solo per riprendere quella logorante routine dopo pochi secondi.
"Farai il solco, a furia di continuare" sospirò "Si può sapere che hai?"
"Ho che non è la mia!" Sbottò Artemis.
"La Kitsune è l'unica maschera che ho trovato in tutta la città. Se non ti va bene, puoi sempre metterti gli occhialoni con cui sei arrivata."
Artemis si fermò, guardò prima gli occhiali dalle lenti tonde e rossastre posati sul comò, poi Law e il muso di volpe dipinto a bei tratti rosso vivo sulla mezza maschera bianca, infine scosse con convinzione la testa "No, no, sono troppo esposta!"
"Avresti dovuto pensarci prima di lasciare la tua a casa. Come hai fatto a dimenticartela?"
"Che ne so? Speravo che le lenti fossero sufficienti. E ho messo in valigia quel che serviva e basta, non ha senso portarsi scorte inutili."
"Hai messo in valigia un numero esiguo di cambi estivi. Se non fosse stato per me non avresti neppure una felpa o qualcosa di caldo."
"E con ciò?" Chiese risentita, gettandosi sul letto della minuscola stanza d'albergo "Dobbiamo andare a Punk Hazard, è un'isola tropicale!"
"Non sei previdente" la rimproverò "e se dovessimo andare anche altrove?"
"Mi sarei arrangiata, come sempre"
Il Chirurgo sospirò ancora, aprendo una delle valigie e lanciando verso Artemis una sorta di giacca da camera.
"Non mi serve, adesso."
"Sì che ti serve, hai starnutito."
Lei strinse gli occhi, infilando la vestaglia più per far finire quella disputa che per vera convinzione.
"Non sono raffreddata." Concluse e, detto ciò, uscì in terrazzo, lasciando che il suo sguardo spaziasse sulla città.
Quando Law la seguì, lei aveva indossato la maschera e stringeva tra le dita una sigaretta con fare nervoso.
"Scusa, non sono in me. È che manca così poco e sono così nervosa. Ho paura di finire per rovinare tutto."
"No, tu non hai paura di rovinare tutto." La corresse "Tu hai paura di ritrovare il tuo passato seduto a quel tavolo, non è così?"
"Anche" ammise. "Loro potrebbero non riconoscermi, ma io conosco loro e mi basta. Ho bisogno di bere qualcosa, qualcosa di forte e che mi dia abbastanza coraggio."
"Ho visto un locale che non pareva male, tornando dal centro. Ti va bene?"
Lei sorrise appena e prese il braccio che Law le offriva "Andata, dammi un secondo per vestirmi."

-//-//-//-

Quando Artemis guardò verso lo specchio, questo le ritornò l'immagine di una figura slanciata, le gambe coperte da un vestito lungo e aderente abbastanza da farne intuire le forme, la pelle ambrata del petto ben più esposta di quanto non volesse e un'espressione vagamente infelice.
"Fufufu" rise deliziato il suo accompagnatore, sollevandosi dallo stipite al quale era appoggiato, avvicinandosi a lei e affondando il viso nella nuvola di capelli argentei che le circondava il volto.
"Non mi piace, quest'abito" si lagnò lei, cercando di sistemare le pieghe in modo da nascondere il seno "è troppo...troppo, ecco."
"Io trovo ti stia benissimo" respirò il Joker contro il suo collo, spostandole le mani intente a coprire tutti quei brandelli di pelle scoperta per poi lasciare scorrere le sue lungo la schiena nuda fino a raggiungere la vita.
"Perché nascondere un dono simile? La natura non ti ha certo donato queste curve affinchè tu le disprezzassi, non credi?"
Quasi istintivamente, Artemis si irrigidì in risposta a quelle attenzioni, scivolando via dalla presa di lui che rise ancora.
"Nervosa, colombina mia?" La apostrofò con il suo strafottente sorriso a smuovergli il volto.
Lei distolse lo sguardo, uscendo sul balcone e prendendo una boccata della fresca aria di Marijoa, tanto diversa da quella concessa ai comuni mortali.
La città era in fermento, la convocazione era davvero importante e i cittadini aspettavano trepidanti l'arrivo degli altri Shichibukai, pronti per accogliere anche Doflamingo sotto il loro nome.
Lui la raggiunse subito, appoggiando i gomiti sul parapetto e dando le spalle al panorama per concentrarsi su di lei.
"Sono personalità molto importanti, è normale che sia un po' in agitazione." Si giustificò Artemis freddamente, mantenendo lo sguardo sul selciato diverse decine di metri sotto la balconata e calcolando mentalmente quanto male avrebbe potuto fare, se avesse deciso di gettarsi.
"Ma non hai nulla da temere, colombina mia: ci sono io con te. Ti sarò sempre accanto, tutto il tempo e, se qualcuno avesse commenti da fare...fufufu, troveremo il modo di rispondere loro a tono, non credi?"
Lei forzò un sorriso. "Come sempre." Aggiunse, ricambiando un veloce bacio a fior di labbra, ma era certa non ci sarebbe stato bisogno di ricorrere a quel genere di misure: nessuno osava mai sparlare della Regina Bianca.

-//-//-//-

Quando Law tornò con il vassoio in mano, l'espressione sul viso di Artemis era già completamente diversa.
Era seduta a gambe incrociate su uno dei bassi divanetti della veranda e gli ultimi raggi del sole estivo di Marijoa sembravano dipingerla come un dettaglio su una tela.
Lui posò i due drink sul tavolino, passandole poi quello più ambrato mentre lei gli sorrise rilassata.
"Ha aiutato, sai?"
"Non ne hai ancora bevuto un sorso"
"No, non parlo del rum" spiegò assaggiandolo "parlo in generale. È la terza volta che torno qui e non mi ero mai resa conto di quanto questo posto fosse incantevole. Beh, non che abbia avuto molte occasioni di godermelo."
Non poteva certo darle torto: un basso parapetto verniciato di bianco era l'unica separazione tra loro e la città, parecchi metri sotto di loro: le minuscole case e le vetrine dei negozi iniziavano ad illuminarsi appena delle luci artificiali che si spandevano a macchia d'olio sull'intero panorama, fino alla costa oltre la quale si intravedeva a tratti l'oceano violaceo che avevano appena lasciato.
"Hai ragione, qui non è affatto male" commentò lui, sedendolesi accanto "ma c'è sempre un dettaglio a rovinare l'idillio. Sul bancone ho visto un'edizione straordinaria del giornale: sembra che Kuzan e Sakazuki si siano dati battaglia. Indovina dove?"
"Una delle prime isole del Nuovo Mondo, non troppo distante e nominalmente disabitata." Sospirò lei "Questo rallenta le cose. Farò dei sopralluoghi e, appena avremo abbastanza notizie da muoverci, lasceremo Marijoa."
Uno strano fermento parve diffondersi intorno a loro e, poco dopo, un cameriere si avvicinò al loro tavolo.
"Sono desolato, signori" esordì "ma sono costretto a chiedervi di lasciare la veranda."
"E per quale ragione?" Chiese Law con sorprendente freddezza, alzando appena lo sguardo.
Pur di non incrociare i suoi occhi, il ragazzo chinò il capo "È giunto Saint Charloss, signore, e ha comunicato il suo desiderio di trascorrere del tempo qui. Saremo lieti di ospitarvi nuovamente in futuro. A nostre spese, ovviamente."
Law fece per ribattere, ma Artemis fu più svelta di lui "Scuse accettate" sorrise pacatamente "Lasceremo la veranda al più presto."
"Mille grazie, signorina, siete incredibilmente ragionevole." Rispose il cameriere evidentemente sollevato, allontanandosi dal loro tavolo.
"Lascia perdere" fece lei, invitando il Chirurgo a seguirla fuori "Giocano in casa, non ci conviene creare rogne. Soprattutto non ora, futuro Shichibukai: potrebbero mandare in fumo tutto con un solo cenno. Ci godremo la serata da qualche altra parte."
Lui scosse appena le spalle, neppure completamente convinto e sbuffò appena.
"Forse quel Kidd non aveva tanto torto, alle Sabaody."
All'improvviso, lei gli assestò una gomitata tra le costole e abbassò appena la testa.
"Non è il luogo per certi commenti." Sibilò mentre lui la imitava.
Riuscirono a scorgere appena il bavero della lunga tonaca bianca: appena Charloss li superò, la donna tornò in posizione eretta, rivolgendogli uno sguardo con la coda dell'occhio.
Sul suo volto, erano ancora visibili i segni di un intervento.
"Mi sarebbe piaciuto vederlo in diretta" rise sommessamente uscendo "pagherei qualsiasi cifra per vedere le vostre facce quando Wonder-boy ha scagliato quel pugno."

"Stai fermo un secondo, dannazione, fatti guardare!"
Lo bloccò a stento sulla porta della loro stanza d'albergo.
Lui, in risposta, allargò appena le braccia.
"Mi avrai controllato almeno una dozzina di volte solo negli ultimi cinque minuti!" Borbottò, spostando alcune ciocche di capelli corvini con le dita.
"Già, e questa cravatta non vuole saperne di stare al suo posto."
Commentò Artemis, stringendo la seta scura di qualche centimetro.
Law la riallargò immediatamente facendo fare ad indice e medio il giro del colletto.
"Tu, piuttosto, chiuderai mai quella giacca?"
"Non credo" ammise lei, facendo una piroetta e rimirando la stoffa rossa e le nuvole dorate cucite sulla sua haori "Dà un'aria rilassata ma elegante al tutto. Sta piuttosto bene, se vuoi il mio parere."
"Perchè tu puoi avere un'aria rilassata e io devo portare questa cravatta infernale?"
"Pfft, ti prego, dottorino! Sei l'ospite d'onore." Sentenziò lei, stringendogli nuovamente il nodo "Nessun ospite d'onore ha un'aria rilassata!"
Con uno sbuffo infastidito, Law chiuse la porta della stanza dietro di loro e subito si incamminarono verso il palazzo reale.

-//-//-//-

"Congratulazioni per il suo ingresso, signor Donquixote" esordì Sengoku, emergendo dalla densa folla danzante che occupava il centro della sala.
Il Grand'Ammiraglio porse un calice di champagne al nuovo Shichibukai e chinò appena la testa per posare un leggero bacio sul dorso della mano di Artemis "spero di poter rubare la vostra dama per un ballo"
Lui le rivolse un'occhiata, sorridendole, e lei ricambiò quello sguardo di intesa "Se acconsente, io non ho nulla in contrario"
Artemis già immaginava che non potesse essere altro che un pretesto per una conversazione privata, così come lo era stato diverse altre volte in passato.
Trovava curioso che il Joker ancora non si fosse insospettito di tutte quelle scuse, ma certamente quella distrazione le tornava utile.
"Come potrei rifiutare un invito tanto galante?" replicò con un leggero inchino.
"Faccia attenzione a non sciuparla, Grand'Ammiraglio!" Si raccomandò Doflamingo, ma non ricevette risposta: i due vennero subito inghiottiti dalla fiumana di abiti e chiome riccamente acconciate, bagnati dalla luce dorata dei lampadari che rifulgevano le fiamme delle candele come gocce di fuoco.

"Immagino sappia già perché l'ho sottratta al suo accompagnatore" sussurrò Sengoku, la voce appena percettibile rispetto alle languide note delle viole e dei violoncelli.
"Ho già ricevuto la comunicazione del Gorosei" replicò seria, senza neppure sforzarsi di amalgamarsi agli altri ballerini, senza neppure forzare un sorriso "Farò di meglio la prossima volta."
"Non farà, De La Rose: farete. È imperativo che conosca una persona. Ci sta già attendendo fuori dalla sala, nei giardini."
"Qual è il suo nome?"
Il Grand'Ammiraglio non poté non ridacchiare a quella domanda "È meglio che prima lo veda con i suoi occhi, mi creda."
Con quelle parole, la musica finì ed un'altra sinfonia prese il posto di quella vecchia.
Prima ancora che un vivace valzer cominciasse ad agitare di nuovo gli instancabili ospiti, i due sgattaiolarono verso le ampie vetrate che conducevano all'esterno, tuffandosi nella notte più nera.
La sola Luna permetteva di individuare i contorni indistinti delle statue marmoree e delle siepi ben potate.
In quella calma, emerse dalle ombre la sagoma di un uomo molto alto, dalla corporatura simile a quella di Doflamingo o forse appena più esile e con indosso l'austera divisa dei Marines.
Si avvicinò ad Artemis e rivolse un cenno di reverenziale saluto a Sengoku, il quale posò lui una mano sulla spalla con fare quasi informale.
"De La Rose, le presento il suo futuro collaboratore: Donquixote Rocinante."
Nonostante la luce fosse scarsa, fu evidente il pallore che colse la ragazza.
"Non è possibile" sussurrò lei "Donquixote..."
"Il fratello di Doflamingo" completò il giovane, costretto dalla sua altezza a guardarla dall'alto al basso "Sì, sono io."
Un silenzio quasi tombale cadde sulla conversazione, finché lei non riprese il pieno controllo di sè.
Non c'erano dubbi che fosse un Donquixote, ogni tratto del suo viso sembrava urlarlo, ma c'era qualcosa in lui che in Doflamingo non aveva mai visto.
Umanità, forse.
Empatia.
Era come se cercasse di leggerle dentro, come se con un solo sguardo stesse provando a creare un legame.
Fin da quel primo istante, ad Artemis risultò chiaro che Rocinante era diverso da chiunque avesse mai incontrato e che difficilmente avrebbe mai potuto incontrare qualcuno a lui anche solo vagamente simile.
"Non ho bisogno di un collaboratore, Grand'Ammiraglio." Concluse lei "So cavarmela: sebbene la missione sia complessa riuscirò a gestirla da sola."
"Non ne dubito" replicò con freddezza "Ma Rocinante è uno dei nostri uomini più fidati e i suoi precedenti legami potrebbero accelerare le cose. Non le sto chiedendo se vuole essere affiancata, De La Rose: è un ordine. Sono certo che imparerete a fare squadra."
Riservando un ultimo sorriso ai suoi pupilli, lasciò la conversazione e il giardino per ritornare nell'affollata sala da ballo.
I due rimasero a scrutarsi senza dire una parola per diversi secondi, finché Rocinante non ruppe il silenzio.
"Quindi ecco la Regina Bianca di cui si parla." Affermò, esitando appena e incrociando il suo sguardo solo per brevissimi istanti.
"Sembra che la mia fama mi preceda." Sospirò Artemis.
"Già, è così." Confermò l'altro.
Il vago distacco nella sua voce le diede un leggero brivido.
Sembrava impossibile: nulla era mai riuscito a farla esitare.
"Immagino dunque tu abbia già un'idea su di me."
Lui parve riflettere, infine scelse di accendersi una sigaretta.
"Fai il tuo lavoro con dedizione, ma pare che il tuo fine giustifichi ogni mezzo. Sei entrata talmente nella parte da spingere persino me a dubitare di Sengoku, quando mi disse che eri dei nostri. Se non me l'avesse assicurato lui, ti avrei scambiata per una di loro."
Un mezzo sorriso le accarezzò il volto: era la stessa espressione che aveva più volte mostrato ai trafficanti d'armi quando era giunto il momento di far capire loro che la famiglia Donquixote non scherzava mai con le questioni d'affari.
"Se parli così, dubito che Sengoku ti abbia detto tutto su di me. E, francamente, spero davvero sia così. Tuttavia, se ha scelto di mandarti a Spiders Mile sono l'ultima persona a poterne discutere, come hai potuto constatare. C'è solo un patto che voglio fare con te."
"Di cosa si tratta?"
"Ho un mio metodo di lavoro." Spiegò lei con tono aspro "Ho impiegato anni a costruirmi la reputazione che ho e per nessuna ragione al mondo manderò tutto alle ortiche, tantomeno per te. Devi fare il tuo lavoro? Fallo pure, ma vedi di non intralciare o mettere in discussione il mio. D'accordo, soldatino?"
Con il più candido dei sorrisi, si voltò verso la sala da ballo, senza nemmeno lasciare lui il tempo di rispondere.
"Spero non me ne vorrai a male, ma ho promesso a tuo fratello che sarei sparita per il solo tempo di un ballo. Ci rivedremo all'inferno, Rocinante."

-//-//-//-

"Questo posto non è cambiato di una virgola" sussurrò sovrappensiero Artemis, lasciando scorrere lo sguardo appena oltre le vetrate.
La sala candida delle riunioni affacciava su un panorama splendido, lo stesso di quando era stata lì quasi sedici anni prima.
Accanto a lei e attorno all'intera circonferenza del raffinato tavolo bianco già le pareva di intravedere volti a lei familiari: per una ragione o per l'altra, aveva avuto modo di conoscere tutti i Sette, prima che molti di questi fossero deposti o rinunciassero al proprio titolo.  
Quasi metà dei posti, tuttavia, risultavano vuoti e dei loro proprietari non restava nulla se non l'eco dei loro nomi, borbottati con sdegno per i corridoi da chi ancora non si capacitava del perchè non fossero lì. 
"Buggy non si è presentato, così come Gekko Moria. E nemmeno Doflamingo è presente." sussurrò Law vicino a lei "Non mi piace, potrebbe avere in mente qualcosa." 
"Lo pensavo anche io, ma ho sentito da alcuni inservienti che la nave dei Donquixote è stata avvistata sulla rotta per Thriller Bark. L'assenza di Moria non può che darmi un brutto presentimento. Buggy, invece, l'avevo contato come assente appena abbiamo ricevuto la lettera. Stranamente, non ha deluso le mie aspettative."
I tre Shichibukai presenti rientrarono dalla veranda quasi ignorandosi l'un l'altro e notarono subito le due figure sedute al tavolo.
Artemis alzò d'istinto la testa, come cercando lo sguardo di Bartolomew solo per abbassare nuovamente gli occhi: ricordava ancora bene quanto poco di lui fosse rimasto a Marineford e poteva appena immaginare come il Governo dovesse aver continuato in quei sei mesi. 
Mihawk rimase impassibile e scostò appena la coda della lunga giacca, sedendosi poi al tavolo e prendendo a tamburellare con le dita un sommesso motivetto simile ad una marcia. 
L'unica a rivolgere loro parola fu l'Imperatrice pirata.
Certo però, il suo sguardo non era meno freddo degli altri. 
"Trafalgar Law" esordì, quasi sforzandosi di trattenere il suo tipico tono di comando "E tu devi essere la Senza-faccia. Ti ho vista in azione, a Marineford."
"Temo non sia il luogo adatto ad una simile conversazione, Hebihime." Rispose Artemis, volgendo la sua maschera da volpe verso di lei "Immagino, tuttavia, che la guerra dei Vertici non sia ciò che più vi interessa: gli occhi di una donna innamorata non mentono mai." 
Un vago rossore salì alle guance dell'imperatrice pirata, la quale distolse lo sguardo quasi sdegnata "Speravo che Rayleigh avesse parlato almeno con voi: non si è degnato di rispondere a nessuna delle mie lettere, quello svergognato."
Artemis non potè trattenere una leggera risata "Immaginavo fosse così. Tuttavia, ha deciso che nessuno potrà immischiarsi nell'allenamento e noi non facciamo eccezione." 
"Se gli fosse capitato qualcosa, sicuramente ce l'avrebbe fatto sapere" intervenne Law con un mezzo sorriso "Consideri il suo silenzio come una buona notizia. Per ora."
Quell'ultima considerazione la fece infuriare non poco e, se fino a quel momento aveva tentato di mantenere la calma, il suo sguardo sembrò emanare lampi di rabbia.
La tempesta, tuttavia, si placò appena le doppie porte bianche si aprirono, permettendo l'ingresso delle uniche due personalità ancora assenti.

-//-//-//-

Il fuggitivo rivolse una rapida occhiata alle sue spalle: neppure un'ombra.
Sembrava fosse riuscito a seminarli, quella rete di cunicoli e passaggi nascosti che aveva scoperto gli era tornata più utile di quanto avesse mai sperato e conduceva direttamente ai piedi del palazzo reale.
Sollevò lo sguardo sull'immensa facciata laterale adornata da colonne e capricci architettonici che rifulgevano d'argento, chiusi tra la luna e il mare nero di Kamabakka.
L'aveva trovata estremamente pacchiana, la prima volta che l'aveva vista, ma ora non poté fare a meno di riscontrare che arrampicarvicisi sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Per avere notizie su Nami o Robin avrebbe fatto quello e molto di più.
Tirò un'ultima boccata di fumo dalla sua sigaretta e la spense sotto la suola delle scarpe, prima di iniziare la sua impresa.
Giunto poco sopra la finestra del quarto piano sentì un leggero e sgraziato vociare sotto di sé e il suo cuore perse un battito, riconoscendo le voci dei suoi inseguitori.
"L'avete trovato?" Intervenne uno di loro: il gruppo a cui si rivolgeva era composto da altri tre Newkama.
"Assolutamente no, sembra essersi volatilizzato!" Intervenne una seconda persona
"Quanto tempo fa è stato visto l'ultima volta?"
"Una decina di ore, poco più." Riferì un terzo.
"Allora non c'è ragione di darsi per vinte, ragazze! Ricordate quella volta in cui è sparito per quasi tre giorni?"
"Già, temevamo fosse riuscito a scappare!"
"Impossibile, la Regina non lo permetterebbe mai!"
"La vedremo, maledetti." Imprecò tra i denti, continuando la sua scalata.
Di certo prima o poi sarebbe riuscito ad andarsene, magari sfruttando una delle navi con cui Ivankov partiva per dedicarsi agli affari che gli venivano affidati dall'Armata Rivoluzionaria.
Al sesto piano, il balcone era aperto e le tende chiare si affacciavano, gonfie di aria, accarezzando il parapetto come fantasmi.
Con un balzo, Sanji raggiunse il terrazzo e si appiattì contro la parete esterna, cercando di percepire voci o suoni dall'interno: la stanza pareva deserta.
Aveva già avuto modo di avventurarsi fin laggiù e, sebbene la camera privata di Ivankov fosse il luogo più pericoloso dell'isola, era l'unico modo avesse per reperire informazioni.
Non aveva letto più nulla di rilevante, dopo il messaggio che Luffy gli aveva lasciato a Marineford, tuttavia gli era capitato di scorgere una donna simile a Robin tra le fila dell'Armata Rivoluzionaria, notizia che l'aveva rassicurato non poco.
Come sempre, il giornale era ripiegato sul tavolino di marmo al centro della sala, quasi ad aspettarlo.
Sfogliando velocemente le notizie non riuscì a scorgere nulla che potesse riguardare la sua ciurma, eppure la notizia in prima pagina catturò la sua attenzione al punto da spingerlo a trattenersi, osservando con attenzione le immagini.
"Trafalgar Law entra nella Flotta dei Sette. Marijoa blindata per l'arrivo del Chirurgo. Con lui anche la ricercata da...280 milioni?!" Lesse piano, lasciando che le parole fiorissero in piccoli sussurri sulle sue labbra mentre il suo sguardo era fisso sui due avvisi di taglia: sopra entrambi i nomi, una scritta rossa indicava "revocato".
Osservò con attenzione i manifesti dei due: dunque erano loro che avevano salvato Luffy a Marineford.
Erano stati loro a proteggere il Capitano che si era votato a difendere, pirati di una ciurma avversaria.
All'improvviso, una voce dietro di lui lo fece scattare: "Non guardare quelle foto troppo intensamente, Candy-boy: non vorrai sciuparmele."
Senza neppure avere il tempo di pensarlo, Sanji volò veloce come la folgore verso la portafinestra ancora spalancata, ma neppure lui fu lesto abbastanza: il Death Wink della padrona di casa spazzò l'intera camera, facendo sbattere i vetri il cui riverbero risuonò in tutta la stanza.
"N-non mi avrete mai, maledetti Newkama!" Affermò lui con tutta la decisione che riuscì a racimolare, per quanto poca essa fosse "Non ho alcuna intenzione di restare qui, stapur certa che riuscirò a tornare da Nami e Robin. E anche dal mio Capitano."
Lo sguardo di Ivankov si riempì di interesse.
"Perché tutta questa ostilità, Candy-boy? Lo sai che più continuerai a fuggire, più ti daranno la caccia? Non ti lasceranno: stai sicuro."
"Si può sapere per quale motivo insistete tanto? Non voglio diventare un Newkama, sono un uomo tutto d'un pezzo e amo le donne! Non ho niente a che fare con i vostri...trucchi."
La regina strabuzzò gli occhi, scoppiando poi in una risata tanto fragorosa da rischiare di svegliare l'intero palazzo "HEYHAHAHAHA, credi davvero lo facciano per trasformarti in un Newkama? È la cosa più assurda e divertente che io abbia mai sentito: sei uno spasso, Candy-boy! E pensare che potrei fermare tutto con un semplice gesto...MA INVECE NON LO FARÒ! HEEY-HA!"
"Sei pazza, Ivankov." Sibilò Sanji, il cui sangue si era congelato a quelle parole: nessuna prospettiva era peggiore di un giorno in più nell'isola degli Okama.
"Sei proprio un bell'ingrato, lo sai? Pensaci bene: cosa hai ottenuto da questi sei mesi in fuga? Sei riuscito ad entrare nella camera privata di una regina senza che nessuno se ne accorgesse e ora riesci a seminare ed affrontare eserciti di uomini lanciati all'inseguimento! Eri in grado di fare tutto questo, all'Arcipelago Sabaody? Ti dirò una cosa: il tuo te di oggi potrebbe sconfiggere un Pacifista ad occhi bendati. E più il tempo passerà, più i Newkama si faranno agguerriti, più dovrai migliorare: neppure Wonder-boy crederà ai suoi occhi, quando vi ritroverete."
"Tu lo stai...Voi lo state facendo per il mio bene?"
"Frena, adesso cadi nell'egocentrico: ti devo ricordare che il tuo capitano è figlio di Dragon?"
Quella frecciatina fece salire un vago imbarazzo alle guance di Sanji, che sbottò un "Si, certo, Dragon. Ovvio."
"Si può sapere che fai ancora qui? Vai, torna ad allenarti: non sarò così clemente la prossima volta."
Sanji si avviò nuovamente verso la finestra, rivolgendo un ultimo sorriso riconoscente alla figura alle sue spalle.
"Grazie di tutto" sussurrò e, così com'era arrivato, sparì inghiottito dal manto avvolgente della notte.

 

 

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Capitolo 11
*** "Non è più come ai vecchi tempi" ***


Capitolo 10: "Non è più come ai vecchi tempi"

NDA: Chiedo scusa un po' a tutti, ma nella trasposizione da Wattpad a EFP ho notato che mi ero persa un capitolo. Se vi foste persi qualche pezzo, sapete perchè TvT
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Un lontano istinto nella mente di Artemis le suggerì di alzarsi in piedi appena le enormi porte della sala si aprirono per il Grand'Ammiraglio.
Fu disgustata dal suo subconscio, non credeva avrebbe mai dovuto ricordare a se stessa che non era più un Marine, che quelle vesti logore non facevano più per lei da troppi anni. Forse non si era mai davvero scrollata di dosso il candore di quelle uniformi, tanto simile a quello dell'intera stanza, con le sue colonne scanalate ad adornare le ampie vetrate.
Anche anni prima, l'avevano incantata quelle finestre inondate di sole e di quel mare che si erano lasciati alle spalle, con il verde delle foglioline minuscole dei ligustri già in fiore a nascondere la balaustra chiara, ai limiti dell'ampio terrazzo.
Artemis voltò appena la testa verso il tavolo alle sue spalle, dove erano collocate bottiglie pregiate in lucidi secchi ricolmi di ghiaccio su di una lunga tovaglia in broccato panna.
I due steward erano pronti a servire da bere appena avessero ricevuto un cenno, nei loro eleganti doppiopetti gessati.
La ragazza li vide irrigidirsi d'improvviso, appena Sengoku varcò la porta e lei fissò il suo sguardo su di lui come tutta la stanza aveva già fatto. 
Nei giorni precedenti aveva riflettuto su che reazione avrebbe potuto avere alla sua vista e si era scoperta certa del fatto che avrebbe distolto lo sguardo, invece si ritrovò a rispondere all'occhiata che Sengoku le lanciò con un coraggio sorprendente e lo stesso gelo che riservava alle sue prede. 
"Bentrovati" esordì lui, seguito da Borsalino che si sedette alla sua destra.
Nello stesso istante, Artemis avvertì un colpetto sul polpaccio sotto il tavolo, seguito da un sottile belato.
Il Grand'Ammiraglio si interruppe e si guardò intorno, infine, vedendo la Senza-Faccia chinare appena il busto, capì che la terza figura che aveva fatto il suo ingresso poco prima non poteva essere che lì.
Così richiamò a sé la sua capretta con un cenno e questa si allontanò da Artemis trotterellando attraverso le gambe delle sedie.
"Sono lieto che abbiate risposto alla chiamata." Riprese, cercando di recuperare il filo di un discorso neppure iniziato "É un onore per noi che abbiate accettato la nostra offerta, Trafalgar Law. Un nome forte come il vostro è un alleato prezioso per il Governo: agire in suo nome fa di voi un uomo migliore ed è un nuovo passo sul cammino della Giustizia.  Benvenuto nella Flotta dei Sette."
Lui si alzò in piedi, mentre nella sala si diffondeva un freddo applauso di circostanza: Artemis realizzò presto di non essere l'unica ad odiare quella situazione. 
Law sentì il suo cuore accelerare di un battito e le rivolse un'impercettibile occhiata.

"È tutto o niente" gli aveva ricordato prima che lui spedisse la risposta alla convocazione "E cambierà le nostre vite in maniera radicale. Saremo parte di un'istituzione del Governo e siederai ai loro stessi tavoli. La mia fiducia in te è totale, ma ho l'obbligo di chiedertelo: sei certo di ciò che stai per fare?" 
"È la soluzione migliore" le aveva risposto lui con tono deciso.
Il Capitano aveva parlato e la parola del Capitano è legge, tuttavia con quell'ultimo sguardo lui parve chiederle conferma, quasi come se lei potesse fermare tutto con un cenno.
Ma Artemis non lo fece: lei annuì e osservò il suo figlioccio percorrere un mezzo giro di tavolo fino a raggiungere il Grand'Ammiraglio al capo opposto per stringergli la mano.
Pochi istanti dopo, Sengoku stracciava uno degli avvisi di taglia del Chirurgo in maniera simbolica.
Per un secondo, appena una spanna sopra il nodo allentato della camicia di Law, Artemis scorse lo stesso sorriso compiaciuto che aveva smosso il volto di Doflamingo quando fu al suo posto.

"E cooosì ci rivediamo, Senza-Faccia?" 
La voce di Borsalino la scosse dai suoi pensieri: era già finita, ce l'avevano fatta, erano dentro.
Nemmeno aveva fatto in tempo a rendersene conto, tanto era preoccupata.
Osservò l'ammiraglio, in piedi accanto a lei con due calici di champagne in mano. 
"Pare che i brindisi da queste parti siano dichiarazioni di guerra" pensò alzandosi come gli altri invitati avevano già fatto poco prima e accettando il bicchiere.
Kizaru la squadrò apertamente con una certa curiosità, ma la cosa non parve metterla in soggezione come avrebbe dovuto. 
"Sembrate esservi rimessa in fooorze dopo l'ultimo nostro incontro." 
"Temo di poter dire lo stesso di voi" rispose lei "Ma non è il momento di riparlare di Marineford, mi sbaglio? Quel che è stato è stato: ora siamo dalla stessa parte, a quanto pare." 
"Ciò che paaare non sempre è, pirata. Il tuo capitano potrà essere tra i Sette, ma la tua situaziooone non cambia: non passerai dall'infeeerno alle sfere angeliche solo per una taglia stracciata." 
Lei sistemò la maschera con fare appena accigliato. "Non è mai stata mia intenzione farlo: seguo solo gli ordini." 
"Sapete, prima stavo riflettendo su questo vostro cambio di stiiile così radicale ed improvviso." Commentò Borsalino, ignorando la conclusione del precedente discorso per intavolarne uno nuovo. "La maschera che indossaaate, in particolare, mi ha affascinato: la volpe ha molti significati. È la creatura dell'inganno. È quasi profeeetica come scelta, non trovate? Dopotutto, la Kitsune non è la sola maschera che indossate, ma rappresenta beeene i vostri segreti. E so che ne avete davvero mooolti, non è così? Per quanto credete che riuscirete ancooora a scappare? Mi dispiace Senza-Faccia, ma con le vostre azioni avete solo confermato ciò che avevo intuito a Marineford: siete una codaaarda e tutto ciò che fate è nascondervi."
Artemis sentì il suo battito cardiaco accelerare, le sue vene fremevano e si trattenne a fatica dal serrare i pugni per attenuare il tremolio che dai polsi arrivava alle punte delle dita. 
Sfoderò il più candido sorriso dal repertorio della Regina Bianca e bevve un sorso di champagne: ciò bastò a spiazzare per qualche frazione di secondo Kizaru.
"Non so assolutamente di cosa stiate parlando. Ma se vi fa piacere credere che l'aura di mistero che ho creato attorno alla mia persona abbia ragioni che vanno oltre la vile fama, fate pure: la cosa non è problema che mi riguardi."
Un mezzo sorriso illuminò di una luce minacciosa l'espressione di lui, mentre allungava una mano verso il viso di Artemis. 
"Allora immagino non avrete alcun problema a mostrare a tutti il vostro vooolto, non è così?"
Lei non disse una parola, ma quando le falangi di Borsalino arrivarono al bordo della maschera per sollevarla, tutto ciò che sfiorarono fu aria.
Gli sguardi degli altri presenti, fino a quel momento distratti dal rinfresco, furono dirottati verso di loro. Una vaga espressione di sorpresa si dipinse sui loro volti nel vedere le dita dell'ammiraglio per metà seppellite nello zigomo di lei, quasi non ricordassero i suoi poteri.
Law, in particolare, sembrava allarmato. 
"Non toglierò la maschera né per voi né per nessun altro io non ritenga degno, Borsalino. Quando ne avrò avuto abbastanza della mia identità di Senza-Faccia, vi assicuro che sarete il primo a saperlo." 
Detto ciò, Artemis si voltò verso Law, percorse pochi passi nella sua direzione e prese le mani del Chirurgo nelle sue, rassicurandolo con lo sguardo "Sono un po' stanca. Torno in hotel, seguimi pure senza fretta, resta quanto vuoi." 
Lui annuì e la osservò incamminarsi, emettendo un sospiro quando l'ultimo lembo della sua haori rossa sparì oltre le porte della sala.

"Di certo il primo ufficiale degli Heart Pirates è una persona...eccentrica." Commentò Sengoku. 
Trafalgar scosse appena le spalle in risposta "É un'ottima combattente e una guida preziosa per i miei uomini." 
"Avete un'alta opinione di lei."
"Non ho motivo per non farlo." 
La capretta di Sengoku gli camminò accanto stringendo tra i denti quella che sembrava una tartina e che le aveva sporcato il naso di maionese. 
"Sapete una cosa, Trafalgar?" Sorrise enigmatico il Grand'Ammiraglio, osservando il suo animaletto esaminare blandamente gli ospiti per poi tornare dal suo padrone "È successo un fatto bizzarro, quando sono entrato: lei ha lasciato il mio fianco ed è corsa dalla Senza-Faccia. È bizzarro perchè detesta gli estranei: normalmente non si sarebbe mai avvicinata a qualcuno senza essere pienamente certa di chi sia."
"Il mio primo ufficiale ci sa fare con gli animali" mentì Law, ostentando una noncuranza che mai come allora sentiva lontana "deve averlo percepito."
"Non ne dubito." concluse Sengoku "Sembra davvero una donna straordinaria, da come la descrivete: sono certo sarà in grado di riservare a tutti noi molte sorprese." 
"Dopotutto, è ciò che la rende così interessante, no? Il fatto che così pochi conoscano chi veramente sia e cosa abbia in serbo." 
"E voi siete tra quei pochi eletti, immagino." 
"Ho più di un motivo per crederlo. Non dimentichi che sono il suo capitano." 
Un altro sorriso, ancora più enigmatico del primo, si dipinse sul volto di Sengoku, prima che questi concludesse il discorso. 
"Spero non abbiate mai motivo di dovervi ricredere, Trafalgar Law. Non c'è nulla di più doloroso che essere traditi da chi si trova sotto la nostra ala: dopotutto, sono loro che si trovano più vicini al cuore."

"Oh, Artemis! Mi fa piacere sentirti" rispose la voce dall'altro capo del DenDen Mushi "Dicono che il tuo capitano è entrato nei Sette, dobbiamo preoccuparci?" 
"Niente panico, ho già mandato un messaggio per rassicurare anche Iva: le cose non sono cambiate" la voce stanca di Artemis, gettata a pancia in su sul letto fin troppo comodo della stanza, giungeva ovattata al ricevitore "Come vanno le cose laggiù? Ho sentito che la Regina non si vede da un po', il suo regno la tiene così occupata?" 
"Sta allenando un uomo." Borbottò il ragazzo dall'altro capo.
Sembrava essersi rabbuiato d'un tratto, come se la sua mente fosse diventata di quel nero intenso che prende il cielo prima dei temporali estivi.
"È uno di quelli della ciurma di Luf...Luffy dal cappello di paglia"
La voce dall'altra parte del ricevitore si incrinò appena pronunciando quel nome e Artemis poteva facilmente intuirne il motivo.
Le avevano detto come aveva reagito a quelle notizie, come quel ragazzo senza memoria avesse recuperato all'improvviso tutta la sua infanzia, realizzando quanto di questa aveva perso.
Lei a stento trovò le parole per proseguire. 
"Ho sentito che hai saputo di Ace...io..." abbozzò "Mi dispiace. Ero lì e avrei voluto fare di più. Non immaginavo nemmeno che tu..."
Stupida.
Si sentì così orribilmente, schifosamente stupida, pronunciando quelle parole.
"Avrei voluto, avrei potuto." Pensò con una certa amarezza "Il mondo non va certo avanti a condizionali." 
"Posso...posso sapere una cosa?" Chiese il ragazzo dall'altro capo "Iva mi ha detto che tu puoi prevedere gli avvenimenti immutabili...era uno di quelli? Voglio dire, era inevitabile che morisse?" 
"Lo era" rispose lei con voce mesta "Ho provato ad avvisarlo, ma non ha funzionato, era già troppo tardi." 
"Quindi sapevi che la spedizione sarebbe stata un fallimento? E non lo hai detto a nessuno?" 
"Non potevo. Se Luffy lo avesse scoperto o non avesse avuto tutte quelle persone al suo fianco...la sua storia non sarebbe stata l'unica a cambiare. Avrebbe scatenato un effetto farfalla dalle conseguenze imprevedibili."
"Mi dispiace, Sabo. Lo so che c'erano tanti dei vostri, lo so che molti tra i caduti erano volti familiari a Baltigo, ma non ho avuto scelta. Potrei dirti che sono state perdite necessarie, forse mi capiresti. No. No, che sto dicendo, certo che non capiresti: tu vuoi salvare tutti, non è così? Sei il genere di persona che ha ancora abbastanza cuore da credere in un felici e contenti. A volte mi chiedo davvero come tu faccia. Sono stata un'opportunista, un'egoista, una stronza, dimmelo: ti darei ragione. Ho giocato a fare il giudice della vita e della morte come se davvero fosse un compito che mi spettasse, come se ne avessi il diritto. Mi odieresti, vero, Sabo? Tu le detesti, le persone come me, le combatti. Nemmeno mi arrabbierei, se decidessi di puntarmi contro una pistola: forse sto davvero esagerando e i miei poteri stanno bene sepolti in fondo all'oceano o in mano ad uno troppo timorato di Dio per usarli." 
"Hai fatto del tuo meglio" rispose lui all'altro capo del ricevitore "almeno sei riuscita a salvare lui: ti devo molto anche solo per questo." 
"Già, e per cosa l'ho salvato? Per ributtarlo in un inferno peggiore. Lascia stare, Sabo-kun: non c'è modo di giustificarmi." 
"Grazie davvero." Sussurrò lei invece "Avere te dalla mia parte è già molto più di quanto potessi sperare, sebbene prima o poi dovrò affrontare anche Luffy."
"E lui? Hai sue notizie?" 
Artemis scosse la testa, ricordando solo dopo che il suo interlocutore non poteva vederla "No, Rayleigh non mi ha fatto sapere nulla. Non immagini quanto sia snervante. Posso farti una domanda?"
"Se posso aiutarti, con piacere" 
"Avete notizie da Punk Hazard? Ho sentito di una battaglia, ma sai quanto siano affidabili i giornali."
"Prova a dirmi quanto sai: abbiamo già mandato qualche vedetta e i loro rapporti sono freschi di stampa sul tavolo di Dragon." 
Artemis sospirò "Non molto, in realtà. So che riguarda Akainu e Aokiji, ma non il motivo. Inoltre so che ha avuto conseguenze disastrose, ma non quali esse siano." 
"È ben poco" commentò Sabo "È davvero tutto qui quel che dicono i giornali?"
"Francamente, mi stupisco ne parlino, conoscendo il Governo. Ne deduco che tu sappia molto di più."
"Su questo hai ragione: i due si sono scontrati per ragioni ignote anche a me, ma è stato Kuzan ad uscirne sconfitto. Ha abbandonato la Marina."
"E tu ci credi?"
"Nemmeno un po'. È facile che si tratti di una montatura: Aokiji non è il genere di persona da dare grandi dimostrazioni, se avesse avuto problemi con il Governo se ne sarebbe andato senza dire una parola e non si sarebbe fatto trovare. Tuttavia, queste sono solo supposizioni. Perchè tanto interesse per Punk Hazard?" 
La domanda la spiazzò, ma si sforzò di rispondere.
I Rivoluzionari erano uno dei pochi corpi con cui era stata onesta dall'inizio alla fine e tradire la loro fiducia era fuori discussione: il solo fatto che passassero simili informazioni a lei, che non era più nulla per loro, bastava a renderli degni della più totale trasparenza. 
"So che c'era una base scientifica sulla sua superficie."
"Quella di Vegapunk, vero." Confermò lui "Prima dell'incidente era abitata da una sua equipe di ricercatori. Ufficialmente non è sopravvissuto nessuno, ma noi siamo certi che ci siano dei superstiti: prima della guerra c'erano uno scienziato e una donna nell'area settentrionale e qualche decina di uomini nell'area meridionale. Non so quanto sappia il Governo, ma sembra lasciarli agire indisturbati. Forse hanno affari sottobanco o più semplicemente ne ignorano l'esistenza." 
"È proprio dello scienziato che mi interessa. Sai se è rimasto coinvolto?"
"I rapporti non parlano di cadaveri di alcun tipo: in un modo o nell'altro, chi c'era prima è chi dovrebbe esserci ora, tuttavia..."
"...tuttavia?"
Si sentì un frusciare di carte dall'altro capo del DenDen Mushi, Sabo borbottò appena, confuso.
Chiamò perfino Hack e gli chiese conferma, ma lui rispose che non ne sapeva niente e che difficilmente i ricognitori si erano sbagliati. 
"Qui c'è scritto che l'isola è stata spaccata in due. Metà è coperta di lava e l'altra metà di ghiaccio e sembra...sembra non accennino a spegnersi o sciogliersi. Non riesco davvero a capire. Siete davvero intenzionati ad andarci?" 
"Non abbiamo scelta, temo." Sospirò lei "Pare debba essere sempre e comunque un passaggio obbligato, non importa quale strada prendiamo." 
"Se una squadra dei nostri potesse aiutarvi ad aggirare l'ostacolo, basta una chiamata, lo sai. Inoltre, dubito che raggiungere una zona interdetta come Punk Hazard con il vostro sottomarino sia un'idea saggia. Mando Koala a prendervi? Aveva degli affari da sbrigare in zona e sono sicuro che le farà piacere conoscerti." 
"Non voglio cacciarla in simili guai, meno persone restano coinvolte in questa storia meglio è. Perfino la nostra ciurma è andata avanti." 
"Credi che sia una bambina? Fidati, lei sa come muoversi: siamo cresciuti un bel po' dalla tua ultima visita, adesso siamo grandi e vaccinati." 
"Ne sei davvero sicuro? Non avete cose da rivoluzionari da fare? Che ne so: rovesciare governi, prendere informazioni..." sospirò Artemis, soffocando una risatina.
La maniglia della stanza scattò in quell'istante e la figura di Law si trascinò fino all'ingresso.
Pareva esausto, perfino le sue occhiaie sembravano più accentuate. 
"Già li odio tutti." borbottò, sparendo poi in bagno. 
"Era lui?" Chiese Sabo al ricevitore. 
"Ovviamente. Dì a Koala che faccia attenzione, prima di chiamare: è fondamentale che le linee siano pulite e ci sono fin troppi avvoltoi a Marijoa." 
"Non preoccuparti, Senza-Faccia: ci guarderemo le spalle. Fai altrettanto, mi raccomando."

"Sì, ho capito." Sbuffò la ragazza con tono annoiato "Massima discrezione, non serve che lo ripeti migliaia di volte: non sono te."
"È un velato insulto ad un tuo superiore, Koala?" 
"No, Sabo-kun: è un esplicito insulto ad un mio superiore."
Sabo sbuffò talmente forte da rischiare di spaventare il DenDen Mushi di lei, troppo impegnata a virare verso Marijoa per tenere il ricevitore in mano.  
"Sono troppo buono con te."
"Come se sopportarti fosse una passeggiata: consideralo un risarcimento." 
"Tra quanto arriverai?" 
"Prestissimo, in realtà: penso che tra due ore sentirai la voce di Artemis da questo stesso ricevitore."
"Evita le vie convenzionali."
"Abbi fiducia in me, so quel che faccio! Li passo a prendere e fine, niente comunicatori, niente biglietti, niente intermediari." 
"Ah, un'altra cosa.."
"Che hai ora?"
Sabo esitò appena, infine scosse la testa e balbettò al ricevitore un confuso "Niente. Stai solo attenta."
All'altro capo, Koala non potè che sospirare, mentre già sotto i suoi occhi iniziava a comparire l'immensa e scoscesa parete di pietra rossa da cui la Città dei Santi vegliava sulla Grand Line.

"Chi era?" Chiese Law, ruotando la sedia della scrivania verso Artemis e sedendovisi ancora avvolto nell'asciugamano e con i capelli gocciolanti. 
"Oh, non credo tu lo conosca" minimizzò lei sorridendo appena ed estraendo un asciugacapelli da una delle valigie "era un bambino che gironzolava per l'ufficio di Dragon. Mi portava i suoi messaggi e si occupava di trasmettergli i miei, era davvero un ragazzino sveglio. Pare abbia fatto strada. Mai sentito parlare di Sabo?" 
"Sabo?! Il numero due dell'armata rivoluzionaria?!" 
"Ha detto che ci manda a prendere. Ci faranno sapere in serata."
Il fischio del phon coprì per diversi minuti le loro voci, mentre le dita di Artemis gli arruffavano le ciocche nere. 
"Hai i capelli eccezionalmente lunghi, fossi in te li accorcerei." Commentò infine lei, riavvolgendo il filo. 
Lui scosse le spalle "Non che Ikkaku sia qui per tagliarli" 
"L'ho sentita poco fa" rivelò Artemis "stanno bene, ma sono stupiti del fatto che io abbia dimenticato la maschera."
"Come fossero gli unici, avevi costruito quella replica apposta." 
"E Punk Hazard è entrata nel loro campo visivo verso le sette di questa sera. Confermano quello che ha detto Sabo: metà in fiamme, metà coperta di ghiaccio."
Un picchiettio alla porta li distrasse dalla loro conversazione.
I due si scambiarono un'occhiata confusa per un attimo, certi che nessuno aspettasse visite. 
"Un...secondo" gridò Artemis per niente convinta, facendo cenno a Law di nascondersi in bagno.
Lui le rispose con un'espressione vagamente risentita e strinse ancora di più le spalle nell'asciugamano, senza dare l'impressione di volersi schiodare dalla sedia, così lei si alzò bofonchiando un "pfft. Moccioso.", indossò la maschera e aprì la porta.
Oltre la soglia, stava una ragazza in un elegante frac.
In tutta onestà, per quanto il tessuto fosse lucido e le cuciture perfette, sembrava caderle addosso in maniera piuttosto grossolana, come fosse stato preso in stock e mai adattato. 
"Posso fare qualcosa per lei?" Chiese Artemis con una certa esitazione, ricordando come, al contrario, tutti i camerieri e perfino le addette alle pulizie indossassero le loro divise come fossero state disegnate loro addosso. 
La ragazza non rispose, sorrise tra sé e basta: aveva fatto centro pieno, le indicazioni di Sabo erano state precise e corrette fino all'ultima virgola: nessun'altra donna nel raggio di chilometri avrebbe avuto bisogno di nascondere il proprio volto perfino ad un'inserviente e i lunghi capelli neri rasati su un lato erano senza dubbio inconfondibili. "Sono Koala dell'Armata Rivoluzionaria:" si presentò, avvicinandosi ad Artemis perchè nessun altro sentisse "Mi manda Sabo: la vostra carrozza per Punk Hazard vi aspetta."

 

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Capitolo 12
*** Para Bellum (parte 1) ***


Capitolo 11: Para Bellum (parte 1)

Il nero della notte di Marijoa aveva offerto un'impagabile cortina ai tre pirati.
La loro partenza non aveva avuto ostacoli di sorta e, mentre la minuscola imbarcazione dell'armata rivoluzionaria faceva rotta verso Punk Hazard, il mare d'inchiostro inghiottì anche le fioche luci della città in lontananza.
Nonostante le notevoli difficoltà che raggiungere un'isola fuori dalle mappe poteva comportare, Koala aveva provato ad intrattenere una piccola conversazione con Artemis.
Le raccontò brevemente di cosa si era persa, del fatto che avevano individuato Robin sul lungo ponte in costruzione e avevano trovato anche Zoro, Nami e Sanji, quest'ultimo a Momoiro, con enorme sorpresa generale.
Sabo le aveva riferito quanto la Senza-Faccia si interessasse dei movimenti di tutti, ma non ebbe grandi soddisfazioni dalla sua interlocutrice.
Spesso rispondeva solo a monosillabi, con un "Cosa, scusa?" o un "Perdonami, ero distratta.".
Law non era certo una compagnia migliore: aveva un'aria concentrata e lontana, quasi stesse meditando mentre osservava la ragazza pilotare il peschereccio che li avrebbe condotti al crocevia.
Il silenzio in cabina si fece man mano totale e asfissiante, salvo che per gli sporadici telegrammi dello stesso Sabo: brevi lingue di carta, spesso imbrattate di solo una manciata di lettere in sigle che nemmeno Artemis era in grado di decifrare e che, ad ogni modo, non sembrava interessata a spiare.
Koala capiva i suoi compagni di viaggio, dopotutto: perfino la sua parlantina si esauriva prima di una missione importante o di un compito rischioso, tuttavia non si aspettava che anche due figure del genere potessero sentire perlomeno il peso della tensione.
Non Trafalgar Law, che nonostante la sua giovane età era entrato senza difficoltà negli Shichibukai.
Lui, che aveva avuto il coraggio di farsi beffe del governo con un doppio gioco da cui aveva più da perdere che da guadagnare.
E, di certo, neanche la Senza-Faccia, della quale aveva sentito parlare con ammirazione fin da bambina, la stessa che tante volte era stata accolta da sussurri stupiti a Baltigo.
L'unica persona che potesse sparire oltre le porte dell'ufficio di Dragon senza che ci fosse neppure il bisogno di annunciarla.
Tirò l'ennesimo sospiro.
Sentiva la stanchezza pesarle sulle spalle e né la pallida luce della luna, né il sentiero che le stelle tracciavano sopra la sua testa sembravano in grado di alleviarla.
"Spero che se la cavino." Scrisse rapida a Sabo, mentre, silenziosa come un'ombra, Artemis scivolava verso il ponte.

 

Tamburellando appena le punte delle dita sul parapetto della nave, si chiese se quella che stava per prendere fosse la scelta migliore.
Aveva scandagliato il tempo in lungo e in largo per scovare imprevisti, cambi di programma o variazioni e, fin dove poteva vedere, tutto sembrava destinato a filare stranamente liscio. C'era solo un momento che risultasse davvero cruciale, uno solo.
Un testa o croce, poco distante per tempo e chilometri dagli eventi di Dressrosa.
Aveva visto la moneta volteggiare in aria e sparire, era riuscita a ricostruire la mano che l'aveva lanciata e l'uomo a cui essa apparteneva.
Si chiedeva solo cosa l'avrebbe spinta ad allontanarsi da Law in un momento tanto cruciale, che giustificazione potevano avere trecentocinquanta miglia per quella manciata di secondi.
Un vago senso di colpa l'attanagliò mentre, con un rapido giro d'occhi, si guardò intorno con riluttanza, assicurandosi che nessuno dei suoi due compagni di viaggio la vedesse sparire per un solo impercettibile istante.

 

-//-//-//-

 

"Eccovi finalmente", sospirò l'anziano marine, sentendo il rumore dei suoi passi nell'erba. "In ritardo, per giunta."
Tirava un vento gelido e, per assurdo, Artemis non percepì alcuno sbalzo termico passando dal ponte della nave a quella remota isola.
"In anticipo, vorrete dire" lo corresse lei, "sono arrivata da quando non eravate ancora ammiraglio. Converrete che è un bel viaggio, Issho-san."
Una sottile crepa si fece largo attraverso il suo volto rugoso: Artemis riuscì a scorgervi un sorriso divertito.
"Già, un gran bel viaggio. Lungo e pericoloso. Dovete aver visto qualcosa che vi ha terrorizzata, per avere tanta fretta. Trasudate paura. Vi remate contro, agitandovi così, non sapete che la fortuna assiste gli audaci?"
"Venite al dunque." Sospirò la donna, certa che Fujitora, oltre che la sua paura, fosse riuscito a captare anche la sottile scossa di rabbia che l'attraversò nel vedersi leggere dentro in maniera tanto sfacciata. "Qual è la posta? Per crimini regolari non scommettete mai. Cosa c'è di diverso?"
L'uomo si prese il suo tempo per rispondere, quasi dovesse trovare le parole giuste per farlo.
"Io non sono stato chiamato ad arrestarvi." Rispose lui, ora con un tono molto più mesto.
Doveva essersi reso conto che l'intero disegno ancora sfuggiva agli occhi di Artemis. "Immagino non abbiate idea di cosa sto per dirvi, non è così?"
Il respiro della donna si bloccò a metà trachea.
Scosse lentamente la testa, lo sguardo perso nel vuoto, quasi fosse in trance.
"No, non lo so." Specificò, ricordandosi solo in un secondo momento della debolezza di Fujitora.
"Si tratta di Santana.", rivelò l'ammiraglio.
E se l'aria che circolava nei polmoni di Artemis era stata poca, con quelle poche sillabe svanì del tutto.
Qualsiasi emozione ci fosse in lei, paura, rabbia o superbia che fossero, sparirono per lasciare il nulla al loro posto.
Un nulla annichilente e terribile.
"Santana?" Riuscì a sussurrare con un flebile filo di voce "Santana ha parlato con voi? Cosa vuole? Perché vi ha contattato?"
"Ha parlato con tutti noi ammiragli, in realtà. Ci ha affidato una missione: vuole vedervi. Insiste per farlo dagli eventi di Marineford."
Artemis calciò con rabbia uno dei ciottoli ai suoi piedi giù dalla scogliera, guardandolo venire inghiottito dalla spuma di un mare infuriato quasi quanto lei.
"Non può volerlo adesso. Ho cose più importanti da portare a termine, non ho tempo per lei. Troverò una scusa, se ha aspettato per tutti questi anni può aspettare ancora."
"Temo che voi non stiate cogliendo la gravità della cosa." specificò l'uomo, respirando a pieni polmoni lo iodio e la salsedine che il mare in burrasca portava fino a loro. "Ha insistito per vedervi e ha mobilitato la marina tramite un ordine diretto ai suoi vertici. Ormai non c'è altra via: Santana non si arrenderà finché non accetterete. Immagino saprete com'è fatta."
Una pioggia sottile iniziò a posarsi sulle spalle dei due, affiancando l'umidità al freddo di quella giornata uggiosa.
"In realtà non ho mai avuto l'onore e speravo di non averlo mai. Inutili bambini viziati, non la piantano finché non li soddisfi." Imprecò tra i denti Artemis "Ma è davvero la questione più importante della mia vita, ammiraglio. Dovreste saperlo, so che avevate l'abitudine di leggere sempre i rapporti che stilavo da Spiders Miles e Dressrosa. Sono vent'anni che pianifico questa guerra. Venti, non uno di meno: da quando ho messo piede nella sua casa. Non lascerò tutto ora. Law ha bisogno di me, questo intero dannatissimo mondo ne ha bisogno: dobbiamo toglierlo di mezzo, sapete meglio di me i danni che può fare."
Il cieco sospirò, ascoltando le gocce ricongiungersi al mare: non riusciva a dire chi fosse più ostinata tra le due.
L'argomentazione di Artemis era sensata e convincente, ma comunque nulla rispetto a qualsiasi parola proferita da una donna come Santana.
"Il piano di Kaido non è ancora completo, possiamo fare in tempo a fermarlo." proseguì Artemis "Ma ho un disperato bisogno di tempo: senza di me, non so quante speranze gli restino."
Per quanto attendesse una risposta da Fujitora, questa non arrivava.
L'uomo sembrava essere altrove, completamente assorto da altre questioni, mentre il cuore di lei pulsava fino a farle fischiare le orecchie e a farle mancare il fiato.
Si trovò vicina a pregarlo, pur con quella sua scorza di militare fermezza a sorreggerla.
"Dite qualcosa. Qualsiasi cosa, sapete di essere l'unico a potermi aiutare. Datemi almeno una possibilità di risolverla alla vostra maniera!" Propose d'impeto, lasciando intravedere per pochi istanti la disperazione che aveva preso ad attanagliarla. "Era questo che dovevate decidere, no? Testa o croce. Se vinco io ottengo altri dieci giorni, altrimenti vi seguirò qui e ora senza discutere."
Un profondo silenzio inghiottì la conversazione.
Le mani di Artemis tremavano appena, tanto era impaziente.
"Forse posso fare qualcosa, se i kami mi assisteranno." Rivelò finalmente l'ammiraglio, estraendo una moneta dalle pieghe della sua tunica. Era lo stesso minuscolo e vecchio berry arrugginito della sua visione: una patina verdastra permetteva a stento di leggerne il valore, appena in rilievo. "Dovete sapere che, se fosse per me, questo lancio non sarebbe nemmeno necessario: non esiste giustificazione nè giustizia in ciò che chiede Santana, nemmeno in forza del suo ruolo. Il governo vi ha già inflitto abbastanza torti per chiedere ancora qualcosa da voi. Ad ogni modo, un uomo non è solo ciò in cui crede, ma anche ciò che deve. Immagino capirete."
"Non potete assicurarmi nulla, non è così?" Chiese Artemis, con una leggera delusione.
"Temo di no. Tuttavia, il destino è tanto imprevedibile quanto perentorio. Se la fortuna sceglierà di assistervi, non sarò io a contraddirla. Quindi, figliola? Testa o croce?"
La ragazza impiegò qualche istante a realizzare e prendere una decisione.
Non seppe perché, ma sentiva che scegliere testa non le avrebbe portato fortuna.
"Croce." Rispose infine.
L'uomo sorrise, lanciò in aria la moneta e, senza nemmeno aspettare che questa cadesse, si voltò per andarsene.
"Aspettate, Fujitora!" Lo richiamò incredula "Dove state andando? Non volete sapere l'esito?"
"So già l'esito." Rivelò, salutandola appena con la mano "Sapevo che sarebbe uscito croce. Pensa te, non avete nemmeno dovuto barare: gli dei tengono davvero un occhio su di voi. Spero continueranno a farlo in futuro."
Senza sapere cosa replicare, Artemis spostò appena con la punta dello stivale i sottili ciuffi d'erba che nascondevano la moneta caduta: il flebile luccichio emergeva dal fango e mostrava la croce al cielo piovoso.

 

-//-//-//-

 

Il profondo sospiro che Artemis tirò non passò inosservato a Law, che la raggiunse sul ponte con fare quasi distratto.
Un ruolo interpretato talmente male che lei se ne accorse da qualche metro di distanza.
"Prima che me lo tiri fuori con qualche giochetto: sì, sono sparita un attimo." ammise quasi senza guardarlo.
"Non l'avevo notato," mentì lui spudoratamente, "ma sembri piuttosto alterata. Si può sapere dove sei stata per agitarti così? Dobbiamo restare lucidi, se vogliamo che tutto vada bene."
"Sono la prima a saperlo. Ma avevo una faccenda da sistemare e non sono riuscita a farlo prima. D'altro canto, non ero nemmeno sicura che sarei riuscita a farlo dopo."
L'espressione sul volto di Law si illuminò appena di curiosità.
Passò gradualmente al setaccio tutte le sue conoscenze, ma non gli venne in mente nessuno che potesse essere tanto importante e che potesse turbarla così.
"Con qualcuno che conosco?" Chiese infine, arrendendosi davanti a quel gioco stupido.
"Nì," sospirò Artemis con una punta di delusione nella voce, "ho scoperto che una persona che sto evitando da un po' mi sta tenendo il fiato sul collo."
"Di chi si tratta? Qualche marine? Uno degli ammiragli?"
"No, no" sbuffò, riprendendo a torturarsi il labbro inferiore con i denti.
Artemis continuava a camminare avanti e indietro per i pochi metri del ponte, sbuffando come un cavallo sul punto di scatenare l'inferno.
Sembrava troppo concentrata a mettere un piede dietro l'altro per notare l'espressione incredula di Law.
"Non starai parlando di un..." la voce di Law si strozzò prima che riuscisse a pronunciare il resto della frase, ma quel frammento di domanda bastò a fermare Artemis.
Bloccò quella sua frustrante passeggiata in un istante, quasi fosse la parola chiave di un bravo illusionista.
"Sto parlando di controllare gli ordigni" cambiò discorso lei, "domani non possiamo permetterci errori: se qualcosa andasse storto, dovremmo usare le nostre forze e sarebbe energia in meno per difendersi. Non sappiamo quanta resistenza opporrà."
Seguendo un suo leggero cenno, Law la seguì fino in cabina, dove Koala continuava imperturbabile a navigare.
Sventrarono per l'ennesima volta una delle borse da viaggio e controllarono ancora lo stesso esplosivo che avevano già ispezionato almeno un centinaio di volte.
Osservando appena i movimenti di lei, Law non poté fare a meno di notare la leggera contrattura della sua mandibola.
Aveva visto quel suo tic molte volte: prendeva a farlo sempre, quando diceva una parola di troppo.

 

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Capitolo 13
*** Para Bellum (parte 2) ***


Capitolo 11: Para Bellum (Parte 2)

"Eccola, quella è la base!" Indicò Artemis, rivolta verso un punto a poche centinaia di metri.
La neve arrivava loro alle ginocchia, facendoli sprofondare ad ogni passo.
Law era stato previdente abbastanza da comprare delle giacche pesanti, prima di lasciare Marijoa, ma nemmeno quelle sembravano bastare a tenerli al caldo: il gelo si insinuava attraverso gli spessi strati di vestiti, come se la neve che fioccava ancora davanti ai loro occhi riuscisse a posarsi sui loro polmoni.
Dense nubi di condensa si formavano dalle loro labbra ad ogni parola e dai loro nasi ad ogni respiro. 
"Con un tempo del genere dubito che Doflamingo abbia inviato qualcuno a controllare, non sarebbe da lui: una chiamata basta e avanza. Dovremmo trovare solo Caesar e la ragazza." 
"Pensi opporranno resistenza?" Chiese Law, riprendendo a marciare: non si sentiva più le dita dei piedi.
Per quanto il suo stoicismo e il suo incredibile orgoglio gli impedissero di ammetterlo, si sarebbe intrufolato nella stazione scientifica a prescindere dal ruolo più o meno strategico che questa potesse avere. 
Artemis si limitò a scuotere le spalle: "Non ne ho idea, francamente. Immagino non abbiano Pacifisti a difenderli, ci avrebbero già individuati e raggiunti. Potrebbero avere qualche arma, ma non sembrano troppo pericolosi. Forse solo il potere di lui..." 
"Potere? Non sapevo che anche Caesar fosse fruttato."
"Gas Gas No Mi," commentò Artemis, sfilandosi i guanti invernali e mettendosene un paio da lavoro, robusti e logori. "Controlla le sostanze gassose, potrebbe crearci problemi. O, beh, perlomeno potrebbe farlo se io non sapessi controllare il tempo e tu lo spazio. Se le cose dovessero andare storte vedrò di isolarci, la tua room farà il resto, ma spero non sarà necessario. A proposito, lascia qui armi e bagagli." 
"Qui? Nel bel mezzo del niente?"
Artemis annuì distrattamente, controllando l'orologio. 
"Cerca solo di tenere la spada e la falce in alto, okay? Non sai mai quando possono servirti." 
Seppur con una certa perplessità, Law abbandonò le loro valigie in quello che sembrava il centro del nulla, accatastate le une sulle altre a formare una piccola montagnola su cui le loro lame svettavano come bandiere.
Per quanto le richieste strane ed improvvise di Artemis fossero ormai la consuetudine da anni, il Chirurgo non riusciva ancora a farci l'abitudine e, lasciandosi i loro averi alle spalle, si ritrovò a pensare che forse non ce l'avrebbe mai fatta davvero. 
Continuando a camminare nella tempesta, i due non poterono fare a meno di rimpiangere la metà di isola su cui erano sbarcati: al gelo di quel luogo entrambi avrebbero preferito mille volte il caldo infernale che avevano attraversato solo poche ore prima, drago sputa-fuoco compreso. 
Una volta raggiunto l'ampio portone della base, i viaggiatori si guardarono intorno perplessi per qualche secondo.
Era una pesante porta d'acciaio, su cui si intravedeva ancora il nome del vecchio proprietario a grandi caratteri scrostati dalle intemperie: Vegapunk. 
Richiamava, in un certo senso, lo stile austero e pratico dell'intera base, il cui rivestimento lucente e ormai seppellito nel ghiaccio aveva salvato i suoi inquilini dal disastro chimico di quattro anni prima.
Notarono, inoltre, quello che doveva essere una sorta di campanello e presero a osservarlo incerti come qualcuno scruta il frigorifero alle tre del mattino, chiedendosi cosa l'abbia portato fin lì.
Fu solo dopo una certa esitazione che Artemis si decise a premere il pulsante, ma Law le fermò il braccio a mezz'aria prima che potesse anche solo sfiorarlo. 
"Hai intenzione di entrare dalla porta principale? Suonando, per giunta?" Le chiese accigliato. 
"Certo che sì." Fu la risposta pacata di lei, in totale contrasto con l'espressione preoccupata che si andava dipingendo a tinte tenui sul viso di lui "In quale altro modo dovremmo entrare in una base sigillata?" 
Praticamente nello stesso istante, le pesanti porte di metallo della stazione scientifica si schiusero per farne uscire un minuscolo drappello di strane figure.
Indossavano tutti un'uniforme gialla simile ad una muta ed erano equipaggiati con dei fucili che i due intrusi si trovarono presto puntati addosso. 
Girandosi lentamente, accerchiati da una decina di questi soldati, si trovarono schiena contro schiena.
Pur non vedendosi in volto, Artemis riuscì a percepire il profondo sospiro di Law e lui il sottile sogghigno di lei. 
"Sì, sono davanti a noi." Riferì uno degli uomini in giallo ad un Den Den Mushi "Non sembrano armati. Sì, lui è il nuovo Shichibukai, ma lei non sappiamo chi sia, mai vista." 
Con la massima discrezione, la ragazza cercò la mano del capitano, intrecciando appena le punte delle dita con le sue. 
"Devono essere le guardie di Caesar: immaginavo ne avesse. Cinque a testa, non barare. Stolen Timelapse." sussurrò in un lampo, squarciando l'aria davanti a sé ed estraendone la spada di Law e la sua falce. 
La paura o il dolore non fecero nemmeno in tempo a sostituirsi allo stupore, di fronte a quella dimostrazione: la velocità delle due lame fu tale che i corpi dei soldati finirono a circondarli nel giro di pochi istanti.
Un singolo fendente a testa fu sufficiente a liberarli da quel primo impiccio. 
Mentre si avviavano verso l'interno della base, con un'espressione soddisfatta sul volto, Artemis estrasse da qualche minuto prima anche la borsa con gli esplosivi: erano ormai molti anni che non si trovava a dover adottare le maniere forti in una contrattazione, ma era certa di non essersi dimenticata come fare e che Law avrebbe saputo farlo altrettanto bene.

-//-//-//-

"Allemand!" Sorrise Artemis, mentre la sua schiera di guardie in nero si riversava lungo il perimetro dell'austero salottino dell'uomo, facendole ala.
Tra loro, ora, si trovava anche Corazòn.
Così impacciato, così ingenuo, come una cornacchia nella schiera dei suoi impeccabili Corvi.
Doflamingo aveva insistito molto affinché lo portasse con sé.
Voleva che gli mostrasse come funzionava la Family e, dopo molte pressioni, lei aveva finalmente accettato, seppur a malincuore. 
L'uomo che lei aveva salutato, Allemand Goya, sembrava estremamente scosso dalla sua presenza.
A Rocinante parve di vederlo tremare nel porgere il baciamano alla donna e, senza dubbio, le sue due guardie del corpo sfiguravano al confronto con le sette che Artemis aveva portato con sè. 
"Che grande onore questa visita, Reina Blanca" balbettò l'uomo, sedendosi su uno dei due divanetti come se fosse stato ricoperto di spine "A...a cosa è dovuta, se mi è concesso chiederlo?" 
Lei guardò appena in giro, per poi rivolgersi a lui con un'espressione addolorata sul volto.
"Pensavo all'amicizia, Allemand. A quanto sia un sentimento importante e prezioso." 
L'uomo riuscì a versare due tazzine di sakè quasi per miracolo, porgendone una alla sua ospite.
Mentre lei non ne bevve una goccia, lui lo buttò giù tutto d'un fiato. "È...è una gran cosa, mia Reina, sì..." concordò. 
"E noi non siamo solo soci. Noi siamo amici, vero Allemand?" 
"Il privilegio della vostra amicizia è un dono immenso, mia Reina" le assicurò lui, mentre il suo volto paffuto si tingeva di un rosso sempre più vivido. 
"E anche il Joker è vostro amico, suppongo." Proseguì lei, "Dopotutto, vi ha offerto un contratto quasi di monopolio per la Family. È stato per voi un ottimo affare, no?" 
"Certamente, il migliore!" Assicurò Allemand, annuendo cinque o sei volte di fila, quasi stesse perdendo contatto con la realtà, annaspando appena "Voi e Joker siete...siete i miei amici più cari."
Un ampio, dolce sorriso si dipinse allora sul volto di lei. 
"Che gioia sentirvelo dire" mormorò "temevo davvero che foste stato voi a giocarci quell'orribile tiro mancino..." 
Richiamando a sè una delle sue guardie con uno schiocco di dita, Artemis si fece passare la sua falce e prese a trascinarsela quasi fosse un bastone pastorale mentre percorreva la sala in lungo e in largo come uno squalo. 
"Immagino che abbiate saputo dell'assalto che Pizarro ha teso al nostro ultimo carico di armi. Era parecchio importante: valeva sessanta milioni di berry, non uno di meno. Ma dovreste saperlo bene, visto che siete stato voi a calcolarlo. Ci abbiamo riflettuto molto e, pensandoci, mi sono ricordata di un dettaglio: quando ho ricevuto la comunicazione della rotta che la nave avrebbe seguito non c'era nessun altro nella stanza. Voi, che l'avete fatta partire, siete l'unico che potesse sapere quale imbarcazione e tratta stessimo utilizzando e solo voi avreste potuto comunicarglielo." 
Senza che le fosse necessario muovere un muscolo, due dei corvi di Artemis impugnarono i fucili che tenevano in spalla e spararono alle guardie di Goya in pieno petto, mentre lei portava il suo viso a pochi centimetri da quello dell'uomo. 
"Ditemi la verità, Allemand." Soffiò, scrutandolo con le sue iridi grigie come se stesse leggendo ogni più insignificate dettaglio la sua mente nascondesse "Non siamo forse amici?" 
"Certamente, mia Reina, perdonatemi" implorò lui, gettandosi in ginocchio "perdonatemi, è stato un errore, una debolezza. Se solo sapeste le pressioni di Pizarro, le sue minacce, il terrore! Ma giuro che non si ripeterà mai più. Lo giuro, lo giuro su ciò che di più caro ho al mondo, datemi un'altra occasione e ve lo dimostrerò. Vi scongiuro, Reina: ho una famiglia." 
Artemis indietreggiò di un passo.
Si muoveva come un'attrice sul palcoscenico, indossando una maschera dopo l'altra.
Era protagonista, antagonista e narratrice, si muoveva agile sui fili di trama che tesseva come un ragno danza avvinghiando una preda morente.
Corazòn poteva leggere tra le righe del suo copione e sapeva che ora interpretava una donna mortalmente ferita.
Si chiedeva se tutto ciò fosse così palese anche agli occhi di chi la proteggeva. 
"E così anche voi credete che io sia un mostro, Allemand, amico mio?" 
Corazòn vide chiaramente la speranza illuminare il volto di Goya e quella stessa luce venire stroncata un istante dopo. 
"Siete sempre stato un pessimo bugiardo, ma stavolta vi siete dimostrato anche schifosamente presuntuoso." Gli rivelò lei, con una durezza nuova ad inasprirle la voce, "Credete davvero che i miei Corvi non vi abbiano visto accettare denaro da Pizarro?"
L'uomo provò ad alzare lo sguardo terrorizzato verso la donna, ma non ci riuscì: il peso della lama della falce di lei si incuneò tra le sue scapole, trapassandolo da una parte all'altra.
Poi, mentre ancora un barlume di vita albergava negli occhi sbarrati di Allemand, la donna estrasse l'arma e il corpo dell'uomo colpì il pavimento con un tonfo molle. 
Davanti a quello spettacolo raccapricciante, al sangue che si spargeva sul pavimento in legno e ai Corvi che si operavano per far sì che l'immacolato abito di Artemis non si sporcasse, Rocinante si sentì sul punto di svenire. 
Senza ulteriori cerimoniali o convenevoli, Artemis lasciò il luogo dell'omicidio trasportata dai suoi uomini come in trionfo, ma si arrestò prima di varcare la soglia. 
"Corazòn!" Lo richiamò con una certa dolcezza "Potresti gentilmente inviare la testa di Goya a Pizarro? E mettici anche queste, se non ti dispiace." 
Con una delicatezza estrema, staccò due piume bianche dalla sua pelliccia e le adagiò sul palmo della mano di lui.
Nonostante l'impassibilità che si era imposto di mantenere, nello sguardo che le lanciò doveva esserci molta più rabbia di quanta non avesse voluto. 
"Meritate solo morte, strega maledetta!" 
La voce che aveva proferito quella minaccia era acerba e sconvolta.
Come colpita dalla folgore, Artemis fece cenno ai suoi di posarla, incurante del sangue che schizzava sulle sue scarpe e sulle punte del mantello ad ogni passo.
La donna si fermò solo a pochi passi dal cadavere, rivolgendo uno sguardo di sufficienza alla figura accartocciata ai suoi piedi.
Si trattava di un ragazzino, notò: corti capelli a spazzola e negli occhi tutto l'impeto che i suoi sedici anni potevano dargli. 
"Potete ripetere?" Domandò glaciale.
Data la forza dei singhiozzi che scuotevano la gabbia toracica di lui, non si aspettava fosse in grado di risponderle.
Una vaga, divertita espressione di sorpresa si dipinse sul suo volto quando egli parlò: "Voi meritate solo morte, Reina Blanca." 
"E, fammi indovinare," sorrise sarcastica Artemis, "scommetto che a darmela sarai proprio tu, non è così? L'oceano è pieno di criminali sanguinari oltre ogni immaginazione, ma colui che porrà fine alla mia esistenza sarà un ragazzino arrabbiato che non ha mai impugnato un'arma. Suona ancora più patetico detto a voce alta, non credi?" 
"Non parlo della vostra morte." Sputò fuori il ragazzino, ancora scosso dal pianto.
Fissò gli occhi arrossati in quelli di Artemis e dovette stringere i denti per far scendere il nodo che gli si era formato in gola. "E non è solo per mio padre, ma per tutti quelli che avete ucciso. Raccoglierete tutto il sangue che avete seminato." 
A quelle parole, due dei corvi scattarono al fianco di lei, ma li fermò con un cenno della mano.
Una minaccia simile da un ragazzino così giovane riusciva a darle i brividi, ma voleva sentire fin dove la rabbia potesse spingerlo. 
"Perderete tutti, Reina Blanca. Chiunque voi amiate, meritate di vederlo morire sotto i vostri occhi come è successo a me. Meritate il tormento, di non avere mai pace! E succederà, credetemi. Sarò giovane, ma ho visto come agisce il destino: tornerà a presentarvi il conto."
Era incredibile l'effetto che quelle parole ebbero su di lei.
Riusciva a sentirsi cambiata, dovevano essere quelli gli effetti del Time Time No Mi: ad ogni sillaba, ad ogni evento descritto da quel moccioso, una scena diversa le si proiettava in mente.
Questo succederà, quest'altro invece no..., riusciva a vederlo, era tutto lì, a portata di mano.
Istintivamente, si girò per un impercettibile istante verso Corazòn, per poi tornare a fissare quel piccolo uomo ancora tremante d'adrenalina e furore. 
"Tutto qui?" Domandò delusa "Mi aspettavo di più, onestamente.
La prossima volta che fai un discorso del genere, fai in modo di agire di conseguenza: la gente odia quando non soddisfi le aspettative."
Davanti agli occhi sbarrati di vittime e complici, Artemis si voltò per dirigersi di nuovo verso l'uscita e richiamò i suoi uomini con un cenno. 
"Spero che almeno mi farai il favore di riferire tu stesso a Pizarro dell'accaduto." aggiunse, senza nemmeno guardare il suo giovane interlocutore, "Corazòn, per favore, lascia perdere la faccenda della testa: ho perso la voglia di fermarmi a comprare i francobolli."

 

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Capitolo 14
*** Il Richiamo ***


Capitolo 12: Il Richiamo

Le grandi navi ammiraglie fendevano l'acqua con risolutezza.
Era stato furbo da parte della Senza-Faccia dirigersi verso un'isola fuori dalle mappe, ma Borsalino si era assicurato di non viaggiare da solo proprio per un'eventualità simile. 
Mentre attendeva pazientemente di intravedere le coste di Punk Hazard, riusciva a percepire la concentrazione della donna al suo fianco come avrebbe fatto un telepate.
D'altro canto, solo il titolo di Drago Celeste di lei gli impediva di porle tutte le domande che aveva custodito per anni. 
Kizaru aveva infatti seguito con enorme interesse le vicende che avevano portato all'esilio di Artemis, un po' perché la sua straordinaria ascesa la poneva facilmente in lizza per la posizione di Ammiraglio, un po' perché era un uomo tanto curioso quanto il suo soprannome lasciava immaginare. 
Aveva goduto non poco quando aveva ricevuto la notizia che una tra i suoi principali rivali era finita nei guai con il governo.
Guai grossi, aveva sentito: era andata a ficcare il naso nell'ufficio di Sengoku in persona. 
Si diceva fosse una di quelli a cui la guerra aveva strappato il senno.
Era sempre stata, a detta di molti, un po' troppo interessata alla storia, ma non tutti erano convinti che una vaga curiosità potesse essere la vera ragione delle sue vicende.
Di ritorno da una missione, qualche anno prima che la guerra di Flevance devastasse la patria del piombo ambrato, aveva pubblicamente accusato gli allora ammiragli di avere contraffatto dei documenti ufficiali.
Sosteneva, in particolare, che avessero insabbiato ogni notizia riguardo uno speciale tipo di proiettili che aveva contagiato con un misterioso morbo gran parte della sua squadra.
Qualcuno di loro non era nemmeno sopravvissuto per raccontarlo.
Lei stessa aveva riportato una lieve ferita e sembrava molto più pallida di quando era partita.
Kizaru aveva trovato bizzarro che una persona sagace come la sua avversaria non capisse i semplici meccanismi che reggevano la facciata della marina. 
Un bel giorno, poco dopo, se la vide sfilare davanti ammanettata e circondata da guardie.
Era certo che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui i loro sguardi si sarebbero mai incrociati.
Gli esiti di quel processo, tuttavia, lo stupirono: in primo luogo, fu colpito dal fatto che un processo si tenne davvero e per le sole accuse relative alle sue ricerche.
In seguito, non poté credere alle sue orecchie quando sentì che Sengoku non si era fatto coinvolgere come parte lesa ma come difensore.
Come ogni pettegolezzo, le informazioni - più o meno credibili che fossero - se ne andarono come erano arrivate e nessuno ne parlò più.
Opinione comune era che fosse morta come molte altre figure scomode prima di lei.
Salendo di grado e ottenendo accesso ai documenti più riservati, Borsalino scoprì che De La Rose era sì morta, ma quasi cinque anni dopo, a Minion Island, dopo aver intrattenuto una fitta corrispondenza circa i piani che il Joker stava man mano mettendo in atto.
Il cadavere della donna era stato riconosciuto ma mai recuperato, per evitare riconnessioni.
La causa del suo decesso era stata associata al fatto che la sua copertura dovesse essere saltata.
E poi ci fu Marineford e quella convocazione così frettolosa: se Sant'Ana era convinta che De La Rose e la Senza-Faccia fossero la stessa persona, doveva trattarsi di sospetti fondati. 
Dopotutto, lei non sbagliava mai. 
"Siete pensieroso, Ammiraglio." Constatò la donna, esaminando con attenzione una carta nautica che si delineava in piccoli tralicci di luce sul palmo della sua mano. 
"Ricordavo i tempi paaassati, Vostra Altezza. Vecchie storie, diceriiie. Il processo a De La Rose fece scalpooore, sapete?" 
"Come dimenticarlo." rispose disgustata "L'ennesima grana che mi sarei facilmente risparmiata. Ma farò in modo che situazioni così incresciose non ricapitino.'
Borsalino rabbrividì, vuoi per il freddo intenso che soffiava dalla landa ghiacciata, vuoi perché la compostezza di quella donna non lasciava spazio a repliche.
"Spero comprenderààà che le questioni che il Governo Mondiaaale ha in sospeso con la Senza-Faccia non la riguardano in alcun mooodo." specificò, stringendosi nel mantello, "Si tratta sooolo di formalità."
"Oh, vi prego, non usate quel nomignolo: è imbarazzante." Replicò lei velenosa, " ad ogni modo, vi assicuro che il Governo non avrà più grane da parte di Artemisa, su questo avete la mia parola." 
Con uno scatto nervoso, Sant'Ana chiuse le dita sottili in un pugno, facendo scintillare gli ultimi bagliori del suo navigatore lungo le unghie smaltate.
I motori vennero fermati e nessuno proferì parola finchè la nave non fu ferma su uno specchio d'acqua perfettamente integro.
"Lei pesca, ammiraglio Kizaru?" domandò di punto in bianco, infilandosi il guanto della sontuosa uniforme. 
"Qualche vooolta
Un sorriso sottile si dipinse sul volto della donna, evidenziandone appena gli accenni di rughe.
Con una naturalezza estrema, lasciò che onde rossastre le smovessero i capelli perlati, attraversassero il legno, il ferro, i marines, Kizaru e poi l'oceano, la terra e il ghiaccio, la Red Line e Marijoa, per poi tornare da lei come un respiro. 
"Allora capirà quanto è importante lanciare bene l'amo. La percepisco vicina, sono certa che non tarderà ad arrivare."

Mentre faceva per radunare gli ordigni e i bagagli, Artemis si fermò, bloccata sulla soglia della base. 
Nel corso degli anni si era chiesta tante volte come sarebbe stato.
Avrebbe sentito una scossa?
Un fremito?
O solo una sensazione nefasta, come una nuvola nera addensatasi troppo in fretta sopra la sua testa?
Quasi si stupì nel realizzare che non era stato nulla di eclatante o plateale, ebbe solo la chiara consapevolezza che il suo potere era stato usato. 
"L'hai sentito?" sussurrò a Law, restando immobile e china sulle borse, quasi temesse che la spessa coltre di neve stesse per inghiottirla.
Lui alzò la testa come per sentire un qualche tipo di suono, poi la scosse, arreso e preoccupato.
"Sentito cosa?" 
"Il Time Time. È stato..." abbozzò Artemis "un eco. Ma un eco diverso, come se una voce estranea ripetesse le mie esatte parole, ma con un tono più cupo. Non credevo sarebbe stato così, speravo di avere più tempo."
Il chirurgo le tese la mano, come aveva fatto mille altre volte: la luce che intravedeva negli occhi di lei era qualcosa di completamente nuovo.
Non era la paura lacerante di Doflamingo, non era la rabbia, la sua scintilla, la sua forza.
Erano rassegnazione e una profonda tristezza. 
"Andiamo" la incoraggiò con voce pacata "sanno che siamo qui, abbiamo poco tempo."
"Law, io non posso." Spiegò Artemis con una nuova consapevolezza, mente il mondo oltre le sue retine si faceva sempre più sbiadito. "Non posso metterti in pericolo, è stato un azzardo perfino pensare che sarei riuscita ad arrivare fin qui."
Lui le si avvicinò lentamente, avanzando un passo incerto dopo l'altro come si fa con le bestie ferite, e si chinò per essere alla sua altezza.
Quando le mise le mani sulle spalle per riportarla alla realtà, lei scattò come un pupazzo a molla. 
"Dimmi cosa succede, mama Rose."
Persino la sua voce arrancava, mentre lei estraeva dal tempo i bagagli e li esaminava frenetica.
Da una delle borse, riuscì a ripescare un foglio di carta immacolato, poco più grande di un biglietto da visita. 
"Tieni questo, non perderlo mai" annaspò Artemis, strappandone un angolo e stringendo la mano di lui su ciò che avanzava. "Santana è riuscita a trovarmi. Se avrò una via di scampo, sarà l'unica cosa che potrà riportarmi da te." 
Con la punta della sua falce, Artemis incise la suola gommata del suo stivale e inserì il suo brandello nel taglio.
Law impiegò molto più tempo di quanto avrebbe mai ammesso nel realizzare che era un addio.
Avrebbe voluto dire tante cose, talmente tante che le sue labbra si dischiusero, ma non riuscì ad emettere un fiato.
"Non esiste." riuscì a formulare, dopo un attimo di smarrimento "Portami con te, possiamo sconfiggerla e fare in modo che non ritorni mai più, chiunque essa sia." 
"Dannazione, Law" sospirò lei con una vena di esasperazione, stringendolo in un abbraccio talmente impulsivo che riuscì a sentire il suo cuore strepitare attraverso le giacche e la carne "Non fare come Cappello di Paglia. Credi non ci abbia pensato? Se mi seguissi non torneremmo in due, non sconfiggi una come Santana. Devi lasciarmi andare, fallo per la ciurma. Ti prego, se mi hai mai voluto bene non seguirmi, non cercarmi, dimenticati che sono mai esistita. Ti ucciderei con le mie stesse mani piuttosto che darle la possibilità di avvicinarsi a te." 
Lui fece per rispondere ma la replica gli morì in gola, concedendole il tacito accordo su cui si erano sempre basati e ricambiando l'abbraccio, facendo il possibile per imprimere quella sensazione nei suoi ricordi.
"Come faccio a lasciarti andare?" Artemis avrebbe giurato di averlo sentito esitare lievemente, nel pronunciare quelle parole.
"Mi sto facendo la stessa domanda." Ammise mesta. 
Si strinsero per tutto il tempo che riuscirono a rubare, senza dirsi un'altra parola, disperati come naufraghi, orgogliosi com'erano sempre stati. 
"Perdonami, Law. Ti voglio bene, fino a Raftel e ritorno." Soffiò lei infine.
Quando l'ultima sillaba aveva smesso di risuonare, le braccia del pirata stringevano solo aria.

Sant'Ana fece un passo indietro per nascondersi, quando vide la nube di luce arancione illuminare il ponte della nave ammiraglia.
I marines circondarono la figura prima ancora che finisse di materializzarsi, poi pian piano distinsero la sagoma di Artemis, immobile, le mani alzate in segno di resa.
"Non è un po' troppo presto per la nostalgia, Ammiraglio Kizaru?" provocò la donna, sfoggiando un sorriso sul volto fiero, nonostante gli occhi fossero palesemente arrossati. "Avrei potuto lasciarvi una foto, se l'aveste chiesto." 
"De La Rooose, che piacevole sorpresa. Non c'è più bisogno del 'voooi' a questo punto, converraaai." commentò Borsalino, superando lo scudo dei soldati e avvicinandosi. "Scommetto che erano diversi aaanni che nessuno ti chiamava più cosììì." 
"Chi lo faceva o voleva soldi o mi voleva morta." ringhiò lei "E tu non sembri uno con le mani bucate. Se sei qui per il discorso che abbiamo iniziato a Marijoa, io non mi sono certo tirata indietro." 
"La vera domaaanda" sogghignò lui "È cosa tuuu faccia qui. Il ritorno dal regno dei mooorti per ben due volte è di certo impressionaaante, ma io sono intervenuto perché qualcuuuno aveva preso ad aggirarsi per una zona interdeeetta. Si trattava forse di teee?"
"Il servizio d'ordine è proprio veloce. Ero solo molto curiosa di sapere qualcosa in più sullo scontro. Ne parlano tutti i giornali, non vorrai biasimarmi. Tu saprai di certo cosa abbia spinto Aokiji e Akainu a litigare così."
"Chiamiamole 'divergeeenze'. Kuzan si è dimostrato troppo mooorbido ultimamente."
"Dovevo aspettarmelo" rispose caustica, prendendo ad osservare distrattamente il legno solido e luccicante del ponte e lanciando lunghe occhiate traverse al suo interlocutore "dopotutto, è sempre stato un uomo di principio, sbaglio? Mi chiedo come abbia retto per così tanti anni. E dimmi, su cosa 'divergevano' in particolare?"
Borsalino sembrò glissare su quella frecciatina, 
"Le ragioooni non ti riguaaardano. Non piùùù, da quando hai disertaaato. Devo fooorse ricordarti che a Minion IIIsland sei venuta meno al tuo doveeere?"
"Non mi riguardano, dici? Perchè io una teoria ce l'avrei." Chiese improvvisamente, ad un volume molto più alto.
I fucili scattarono all'unisono, di fronte a quella dimostrazione di aggressività, ma Artemis non sembrava interessata alle doppiette puntate su di lei.
Il suo sguardo tentava di farsi strada tra i soldati, come cercasse di intravedere qualcuno in una calca.
"Forse, " proseguì lei "tiro a indovinare, a Kuzan non stava bene dover sottostare agli ordini diretti di un Drago Celeste. Voi che dite, Sant'Ana? Ci avete parlato, avrete sicuramente un'opinione a riguardo." 
Chiamata in causa, la donna si fece avanti, spazzando il ponte con il lungo strascico della candida tunica regale.
Con un gesto fulmineo, uno dei marines bloccò un collare addosso alla piratessa, facendola accasciare sotto l'influenza dell'agalmatolite.
Lei riconobbe subito quello strumento pur non riuscendo a vederlo chiaramente: doveva trattarsi di una variante di quello indossato dagli schiavi alla casa d'aste delle Sabaody.
Quando le due donne si trovarono faccia a faccia, Borsalino si maledisse per non averlo notato prima, attraverso quel sottile strato di vetro: sui loro visi c'erano gli stessi tratti delicati, le stesse labbra piene, lo stesso taglio degli occhi grigi.
Erano come gocce d'acqua.
L'unico dettaglio che le distingueva erano i capelli: se quelli della nobile erano grigi e soffici, la più giovane li aveva di un nero intenso e dalla trama più crespa, i caratteri dominanti dell'altro tassello coinvolto: l'ex Grand'Ammiraglio Sengoku. 
L'adrenalina nelle vene di Artemis scorreva a fiumi, i suoi sensi sembravano urlare.
A stento sentì le parole che le venivano rivolte.
"È stato saggio da parte tua arrenderti, Artemisa."
"Non saresti dovuta arrivare per almeno un altro anno. Avevi fretta di rivedermi?"
"Hai una bella faccia tosta a cercare di ostacolarmi. Ma forse percepirti fare un salto così disperato è stata la scossa che mi serviva a decidermi. E poi è passato così tanto tempo" Rise la donna "Un anno, due, cosa importa? Era inevitabile, per questo sei qui." 
"Tu l'hai reso inevitabile." Ruggì Artemis in risposta , facendo perno sulle ginocchia per cercare di alzarsi e pentendosi appena realizzò che il suo fisico non reggeva quello scatto d'ira.
"È da un po' che volevo conoscerti" Commentò Sant'Ana studiandola, osservando come la schiena dell'altra fosse dritta e quanto si stesse sforzando per mantenerla tale. "Probabilmente è vero che il sangue non è acqua. Guardati: perfino partendo dal nulla sei riuscita a farti un nome. Sei diventata una dolorosa e purulenta spina nel fianco perfino come figlia di nessuno. Anzi, mi correggo: tuo padre non è proprio riuscito a starti lontano."
"Non è mio padre." sputò Artemis, riprendendosi il fiato che quel collare infernale le rubava a ogni respiro.
"Eppure continui a raccontare quelle puttanate sul secolo buio." la smontò sua madre, facendo illuminare il volto di Kizaru "I report non contengono una parola riguardo la vera vicenda. E grazie al cielo, direi. Ma tu continui a proteggerlo, a proteggere entrambi, nascondendo cosa si trovava in quei documenti."
"A nessuno interessa la verità" constatò con amarezza "O tu non saresti qui."
Un moto di rabbia corrucciò l'espressione perfettamente impassibile di Sant'Ana. 
"E cosa te ne farai dell'ennesima schiava?" chiese ancora Artemis, senza nascondere un profondo disprezzo. 
"Schiava?" sbottò stupita Sant'Ana "Credi che io abbia intenzione di riscattarti? Ne ho così tanti che solo gli dei sanno dove ti andresti a cacciare. So bene quanto sguazzi nelle folle e nel caos: voglio che torni al posto che ti spetta. Dopotutto, sei già stata in una corte."
Quell'ultima frase fu un colpo talmente basso che Artemis non riuscì a nascondere uno spasmo di disgusto.
"Prenditela con tuo padre, se Dressrosa ti ha lasciato ricordi tanto spiacevoli." sentenziò il Drago, facendo un rapido cenno per sgombrare il ponte, avviandosi verso la sua cabina "Ha avuto più di un'occasione per liberarti, ma ha preferito imbastire quei pietosi teatrini invece che farlo come si deve."
"Tira fuori le palle e fallo tu, allora!" Latrò Artemis, divincolandosi dalla presa dei marines  e guadagnandone un calcio nello stomaco forte abbastanza da stordirla. 
"Vi prego, Ammiraglio," ordinò la donna, osservando con sufficienza il corpo stanco mentre veniva risollevato di peso "portatela via, prima che si renda ancora ridicola. E dovremo anche fare qualcosa per quella sua... estetica. In queste condizioni non sarebbe degna nemmeno come passatempo."

 

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Capitolo 15
*** Un buon giorno per morire ***


Capitolo 13: Un buon giorno per morire

I soldati non dovettero nemmeno faticare troppo per contenere Artemis. Contrariamente a quanto tutti si sarebbero aspettati, quella fu l'unica rimostranza che lei ebbe e si fece condurre presso la cella presente a bordo sulle sue gambe, senza che vi fosse neppure bisogno di sfiorarla. Borsalino seguì ogni passaggio con lo sguardo, tenendosi sempre qualche passo indietro, pronto a scattare al primo segnale di pericolo. 
Quando scese sottocoperta, trovò la donna seduta sul pavimento consumato da molti altri ospiti prima di lei, i quali non avevano evidentemente avuto la stessa flemma nel gestire il loro arresto. Sembrava pensierosa, più che preoccupata. Avrebbe addirittura azzardato di aver colto un'ombra di sollievo, quando lo vide aprire la porta che conduceva alla minuscola sala. Sulla scrivania davanti alla parete di sbarre, individuò i pochi effetti personali di lei: un pacchetto di sigarette mezzo vuoto, un fiammifero per ognuna e un minuscolo portacenere da tasca. 
Sussurrava un motivetto tra i denti, una canzone che lui conosceva bene.
"Non devo temere, perché i miei compagni mi attendono." la completò Borsalino, con una punta di divertimento "Dobbiamo avanzare verso l'azzurro orizzonte. Se non fosse cooosì grottesco, sentire una piraaata cantare una canzone da Marines, lo definireeei perfino oltraggioooso." 
"Però ti ha portato da me." puntualizzò lei, girando appena la testa, con un eterno mezzo sorriso stampato in volto.
"E, sentiaaamo, perché ci tenevi taaanto a vedermi?" 
"Perché vorrei una di quelle, se non è chiedere troppo." Rivelò pigramente, allungando le dita attraverso le sbarre, verso la scrivania. 
Borsalino la fissò, fissò le sigarette e poi ancora il suo indice a mezz'aria.
"Oh andiamo." Protestò debolmente Artemis "Sei sempre stato uno stronzo, ma non negheresti a nessuno un ultimo desiderio così banale." 
Senza levarle le lenti giallo vivo di dosso, chiamò con uno schiocco di dita uno dei soldati, prese una sigaretta e un fiammifero e glieli consegnò, indicandola. 
Il ragazzino da cui prese quella semplice offerta, poco meno di un uomo fatto e finito, con grandi occhi scuri, aveva le mani che tremavano nel consegnargliela. 
"Grazie" rispose stupita, ma sincera, per poi rivolgersi all'ammiraglio "Non credevo l'avresti fatto davvero. È la prima volta che mi fai un favore." 
"Consideralo un preeemio per aver saldato il tuo deeebito con la Giustizia." Rise appena lui.
"Giustizia" gli fece eco Artemis "Smettiamo di raccontarci balle. Sarò pure una pirata, ma sono obiettiva: se fosse Giustizia, saremmo diretti a Impel Down e io me ne starei buona buona. Dimmi, hanno mai fatto esecuzioni a Marijoa? Sarei la prima di un genere, sarebbe carino. Beh, relativamente parlando." 
"Farneeetichi, Senza-Faccia." La riprese lui.
"Forse, ma non mi hai dato torto." 
Un silenzio carico di domande calò sulla conversazione, scandito solo dai pigri sbuffi di fumo di lei.
"Quindi Sengoooku, eh?" chiese Borsalino dopo un po', svelando finalmente l'elefante nella stanza. 
"Sono informazioni classificate." soffiò l'altra controvoglia. "Conoscendola, Sant'Ana potrebbe uccidere chiunque sia in questa stanza solo per averti sentito." 
"Ma non può essere che luuui, il tassello mancaaante." sussurrò ora l'ammiraglio, portandosi a un palmo da Artemis, sezionandola con lo sguardo mentre con indice e pollice accarezzava la rada barba. "L'esserti arruolata così giooovane, tutte le volte in cui sei riuscita a spariiire..."
"Solo una volta" specificò lei.
"Cooome, prego?"
"A Minion Island non ha fatto nulla" spiegò, con una certa tristezza "Non hanno recuperato i nostri corpi, non potevano ammettere pubblicamente di avere infiltrati come noi, le altre coperture ne avrebbero risentito. Non credo sappia di me." 
Borsalino sorrise appena. 
"E fooorse non lo saprà mai, né luuui né il resto del mooondo: questa vooolta non ci saranno miraaacoli." 
"Non hai imparato niente da Marineford" constatò Artemis, mentre dal ponte un giovane soldato lo richiamava per l'attracco. 
Ad un gesto, quattro altri marines si riversarono nella sua cella, facendola alzare e puntandole i fucili, mentre quello della sigaretta portava con sé delle pesanti manette. Gliele fissò ai polsi senza alzare lo sguardo, cosa che sembrò divertirla molto. 
Quando la condussero sul ponte, rimase quasi accecata dalla luce prepotente del pomeriggio. L'unico suono a provenire dall'imbarcadero privato era lo sciabordio delle onde e il gracchiare dei gabbiani. La sua guarnigione le incassò la testa tra le clavicole, incalzandola per percorrere il breve tragitto che dal pontile conduceva oltre i cancelli blindati della residenza. Fu un trip di luce e caos di cui, col senno di poi, ricordava poco o nulla. 
Temeva ci sarebbe stata una densa folla di giornalisti ad accoglierli, ma chiaramente Sant'Ana aveva il potere di far passare inosservata perfino una spedizione simile. Ringraziò il cielo: tra quelle parole scribacchiate su un taccuino o telegrafate alle redazioni, ci sarebbero potute essere quelle con cui la ciurma avrebbe saputo che mama-Rose non sarebbe più tornata.

Pochi altri ricordi affollavano la testa di Artemis. Non ricordava nulla di preciso, aveva solo dei vaghi volti dipinti nella memoria. Nobili Mondiali avrebbe detto, li aveva visti nei giornali, nelle notizie, in quei ritagli che tanto accuratamente aveva sempre conservato. 
Tra queste immagini sbiadite c'era una stanza da letto. Un'immensa sala bianca, semplice, essenziale. Un grande baldacchino ne occupava una parete, uno spesso tappeto nascondeva a tratti un ricco parquet di legno rosso mentre tende vaporose le sfiorarono le guance,  gonfiandosi al vento. Appena Ana entrò, ordinò indispettita a una domestica di chiudere le finestre. Oltre quelle, Artemis riusciva ad intravedere lo scintillio di un mare chiaro, familiare, il cui nome le sbocciò sulle labbra: Paradise
Di quel giorno, ricordava anche la prima volta in cui vide Tamatoa, la sua ombra. Non le era sembrata neppure umana, aveva creduto fosse una di quegli androidi che Vegapunk si era tanto prodigato a creare. Era puro gelo, la pelle color caramello andava a ricoprire i tratti spigolosi del suo volto e pareva quasi potesse lacerarsi sugli spigoli aguzzi dei suoi zigomi. Gli occhi erano piccoli, incavati, ma scuri e luminosi come perle. Non avrebbe saputo attribuirle un'età precisa, sembrava una ragazzina troppo calata nel ruolo di una vecchiaccia severa. I lunghi capelli neri le ricadevano come un velo fino a metà schiena, avvolta in un'austera uniforme blu. 
"É tutto pronto Sant'Ana." Comunicò precisa. Aprì una porta con un leggero giro di maniglia e, con grande stupore di Artemis, questa nascondeva un'altra stanza talmente grande che temeva di perdersi. 
La sola toilette era più ampia del suo cubicolo nel sottomarino e le dava un profondo senso di vuoto, come se migliaia di fantasmi potessero nascondersi dietro ogni angolo. 
Un alto paravento traforato nascondeva quella che, dalla sagoma, sembrava una vasca. Nuvole di vapore denso attraversavano i minuscoli decori sul legno scuro. 
Artemis non seppe nemmeno dire come, ma i suoi polsi diventarono molto più leggeri e il suo collo prese a pesare molto di meno. 
"Non sono più una minaccia?" chiese sarcastica a sua madre, con le poche forze che riusciva a mettere insieme. Si sentiva come durante una lunga sbronza, con istanti di lucidità alternati a momenti completamente privi di una spiegazione logica.
Sant'Ana sorrise "Non così vicino a me. Se decidessi di scappare, di andare in qualsiasi posto nel mondo, in qualsiasi tempo del mondo, ti troverei. Lo sai meglio di me."
"Touché" 
"Ora, da brava, entra nella vasca" la invitò. "Di sicuro è stata una lunga giornata. Ti farebbe bene sciogliere un po' di tensione." 
Artemis non poté fare a meno di scoppiare in una fragorosa risata. 
"Scusami," abbozzò, lottando contro i singhiozzi che le risalivano la gola "é solo che é una cosa molto buffa da dire a qualcuno che sta per morire".
Anche a questa allusione, nessuno parve rispondere.
I marines lasciarono immediatamente la stanza ad un rapido cenno di congedo di Tamatoa. Con una pigra scrollata di spalle, Artemis prese a levarsi gli abiti, rivelando un equilibrio invidiabile date le sue condizioni, e raggiunse la vasca.
"Vediamo dove porta, questo tuo bel giochino." 
Gli occhi di Sant'Ana si posarono su tutte le cicatrici che costellavano il corpo della pirata. Era come se riuscisse a leggere la storia dietro ognuna. A seconda di come si erano rimarginate, poteva individuare i progressi di chi le aveva suturate tutte a partire dallo sfregio sul ventre.  
Senza che le fosse dato comando, Tamatoa raggiunse la parte posteriore della vasca, come dovesse sorreggere Artemis mentre entrava nell'acqua perlata. 
Lei ridacchiò per poi imprecare stupita quando si rese conto di avere effettivamente bisogno di quell'aiuto. Sembrava che l'acqua la trascinasse giù, che le sue gambe non fossero più in grado di sostenerla. Dimostrando una forza incredibile, la cameriera riuscì ad adagiarla con grazia sul fondo della vasca.
"Di che maledizione si tratta?" ringhiò Artemis, faticando perfino a prendere fiato.
Sant'Ana sembrò molto soddisfatta da quella domanda. "È un piccolo vizio. L'ho chiamata 'vasca di deprivazione'. Può aiutarti, nel caso in cui la vita diventasse troppo difficile. Ti basterà scivolare nelle sue acque per toglierti un po' di quel peso di dosso." 
"Acqua di mare?" Chiese Artemis, mentre la salsedine si faceva largo nelle sue narici. Si sentiva completamente soggiogata, come se le parole del Drago Celeste la potessero cullare.
"In perfette dosi" sussurrò Sant'Ana, accarezzandole i capelli corti alla sua sinistra, rigenerandoli e moltiplicandoli, andando a mischiarli al resto della sua chioma "Per un fruttato, è meglio dell'oppio, non trovi?" 
Artemis non trovava, non aveva le forze per avere opinioni. Sentì di nuovo le dita della donna esitare sulla sua guancia, avvertì in corrispondenza del tatuaggio lo stesso pizzicore di quando lo aveva fatto. Lo sentì strappato via dalla sua pelle, senza che avesse diritto di parola. 
"Hai visto così tanto" la blandì Sant'Ana sottovoce "Perché fuggire ancora? Perché non fermarsi? Perché inseguire quei pirati per tutti questi anni? Potresti vivere serenamente fino alla fine dei tuoi giorni." 
Volti scuri comparvero nella grande sala dal soffitto alto. Riconosceva le mascherine e i camici che indossavano, li aveva messi anche lei quando Law aveva avuto bisogno di assistenza nelle sue operazioni. 
"Che diavolo significa?" riuscì a chiedere. 
"Non ho nessuna fiducia nella tua resa, Artemisa." rispose Sant'Ana distante chilometri o forse solo una manciata di passi "Farò tutto ciò che è in mio potere per tenerti qui: semmai avessi la sciagurata idea di lasciare Marijoa, almeno avrai una strada sbarrata." 
La donna sentì un guanto di lattice reclinarle la testa esponendo il collo, poi il freddo metallo. Istintivamente tentò di alzarsi, vide l'acqua opaca tingersi di rosso, solo per pochi istanti. Poi la mano tornò con fermezza a rimetterla in posizione e il bisturi riprese ad incidere.

L'uncinetto di Tamatoa viaggiava rapido e preciso tra le sue dita ossute ormai da diverse ore. Il decoro a cui lavorava aveva assunto un'area ed una complessità notevoli, il tutto senza che Artemis desse segni di vita. 
Non era preoccupata: ogni ora, puntuale come un orologio, misurava ed annotava i suoi parametri vitali e, dopo un lieve transitorio, si erano presto stabilizzati. Interruppe definitivamente il suo maneggio solo quando la luce del sole non fu più sufficiente a distinguere bene le maglie, quindi accostò le imposte, accese le luci giallastre della stanza e chiuse per qualche istante gli occhi. 
Solo pochi minuti dopo, percepì il ritmo del respiro della sua protetta farsi irregolare, forzato, infine la sentì tossire e sibilare parole irripetibili. 
"Ben svegliata, signorina Artemisa." La salutò, professionale "Sono le 20:17, avete dormito per circa 27 ore. Avete un po' di febbre, la vostra temperatura, alle 19:30 era di 38.2, perfettamente in linea con le previsioni." 
Quella quantità di informazioni travolse Artemis come una sassaiola. Non riuscì a interpretare nemmeno uno dei dati che aveva ricevuto, lei che di numeri era sempre vissuta. Capiva però che aveva un forte mal di gola e che le risultava quasi impossibile parlare. Quando fece per portarsi una mano al collo, Tamatoa la scostò con un gesto fermo ma delicato. 
"I punti sono ancora freschi, se s'impigliasse potrebbero sorgere complicazioni." 
"Mi gira la testa. E mi viene da vomitare." mormorò con voce roca.
"Perfettamente normale, signorina, è l'agalmatolite. Potrebbe durare ancora qualche tempo."
Artemis non capì. Provò a muovere appena il collo, sentendo solo le medicazioni tirare. Si guardò i polsi, ribaltò il lenzuolo sottile per vedere se ci fosse qualcosa alle caviglie e l'unica cosa inusuale che notò fu la semplice maglia della salute smanicata e le coulotte che a un certo punto qualcuno le aveva fatto indossare. 
"Ma io non ho agalmatolite addosso." 
Finì quella frase per inerzia: già a metà aveva capito che si sbagliava. Ricordò alcuni flash: la vasca, i chirurghi. Fu talmente stupita che non riuscì a trattenere un lieve: "Oh." 
"È sottopelle, signorina." spiegò la sua aiutante con tono pacato, quasi stesse parlando a una bambina o a una matta "Per non rischiare, sapete, a Sant'Ana non piacerebbe se andaste via."
"E si può sapere cosa vuole?" ringhiò, ora più ostile "Cosa piacerebbe a Sant'Ana? Vuole che incontri il Gorosei? Sta aspettando un momento propizio per allestire un patibolo? Cosa?!"
Appena si infervorò, la gola prese a bruciarle e un forte colpo di tosse la costrinse a calmarsi. 
"Nulla di tutto ciò, signorina." La rassicurò Tamatoa, assistendola "Ho modo di credere che non abbia intenzione di uccidervi." 
"Allora perché sono qui?" 
La voce di Artemis era stanca: le sembrava di aver ripetuto quella domanda milioni e milioni di volte, nella sua vita. 
"Questo, invece, temo di non saperlo." rivelò l'altra, con solo un accenno di tristezza.
"Al diavolo" sputò la pirata, scostando con rabbia le lenzuola "Non ho tempo da perdere." 
Alzandosi cautamente, mettendo un piede dietro l'altro, percorse una manciata di passi instabili e si arrestò, aggrappandosi a una delle colonne decorate del baldacchino. Avanzava incerta come un'equilibrista, tracciando mentalmente e a fatica un percorso, facendo slalom tra i capogiri e una debolezza a cui non era più abituata. 
Riprese fiato e, con determinazione, puntò verso la porta. 
"Dove pensate di andare?" chiese Tamatoa, alzandosi dalla sua sedia, dopo averla seguita con lo sguardo.
"Al posto che mi spetta. Me ne vado, ho una ciurma a cui badare." 
"Siete scalza e ferita. E la Signora mi ha autorizzata a fermarvi ad ogni costo."
La voce di Tamatoa si era fatta risoluta, anche la sua espressione era mutata.
Se era vero che Ana non intendeva ucciderla, Artemis si chiedeva di quali mezzi avrebbe potuto disporre. Un'espressione dura si dipinse sul suo volto emaciato, mentre ormai era giunta sulla soglia. "Ho stretto d'assedio una nazione mentre il Piombo mi corrodeva gli organi. Se quella che mi deve fermare sei tu, cazzo, ti auguro buona fortuna." 
La maniglia ruotò nello stesso istante, sua madre comparve sull'uscio e non dovette nemmeno proferire parola per farle cambiare espressione.
"Buonasera, fanciulle. Stavate parlando di ciurme?" chiese disinvolta, per poi squadrare la figlia. "Tu eri in una, giusto? Che sgarbata, non ti ho nemmeno chiesto se i tuoi figliocci hanno raggiunto Zou. Spero che il viaggio sia andato bene, sarebbe un peccato se qualche incidente li mettesse in pericolo. Tutti soli, senza la loro Mama-Rose e con il loro capitano in quella trappola di Punk Hazard. Devono sentirsi persi, poverini." Il drago non poté trattenere un sincero sorriso, di fronte all'espressione vuota e vagamente stupita di Artemis. "Prendiamo un tè?" 

 

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Capitolo 16
*** KO tecnico ***


Capitolo 14: KO tecnico

Dopo che Artemis poté vestirsi, Tamatoa le offrì il braccio e insieme si diressero alla sontuosa sala da pranzo. L'ampio lampadario ancorato al soffitto dipingeva di oro gli eleganti stucchi sul muro e faceva risaltare il rosso vivo delle pareti e le venature dell'enorme tavolo. A un capo, Sant'Ana l'aspettava insieme a due tazze vuote e a una teiera fumante. 
"Gli abiti normali ti donano" esordì, alludendo alla ricca tunica bianca da Drago Celeste che Tamatoa aveva scelto per lei. Gli strati di tessuto le pesavano sulle spalle in modo insopportabile e meno ancora gradiva le croci blu del Governo Mondiale cucite sul cuore e sulla schiena: li sentiva attraverso la stoffa come bruciature sulla pelle nuda.
Artemis rispose con un breve sorriso che, più che di ringraziamento, sapeva di scherno. Appena si fu seduta, la sua assistente abbandonò immediatamente la sala, lasciando che madre e figlia sprofondassero in un asfissiante silenzio. 
Ana versò poi il tè a entrambe. 
"Avrai domande, immagino." intavolò.
"In primo luogo, come sai della mia ciurma e quanto ancora sai di loro." Replicò l'altra, decisa e schietta.
La donna inarcò un sopracciglio da dietro l'orlo della sua tazza. 
"Altre domande?" Chiese posandola delicatamente sul piattino.
"Queste non vanno bene?" rise appena Artemis, girando lentamente il liquido ambrato con delicati gesti del polso. 
"La risposta è ovvia."
"Il Chiper Pol, immagino." 
"Visto? Non voglio perdere tutto il tempo del mondo, sfrutta bene quello che hai." 
"Perchè adesso?" chiese allora schematica, fissando con attenzione i riflessi del liquido come avrebbe fatto un alchimista "Perché mi vuoi qui adesso?" 
"Stavi iniziando a prendere una brutta strada, qualsiasi brava madre ti avrebbe fermata." 
Artemis prese un profondo respiro, come se dovesse collezionare tutta la sua forza interiore per condensarla in un forzato sorriso.
"Possiamo evitare? Non c'è nulla di vero in queste parole. Lo so io, lo sai tu." 
L'altra rimase per un istante spiazzata, poi parve imitarla: se ci fosse stato uno specchio a dividerle, non si sarebbe notata differenza.
"Disgustosamente intuitiva. È proprio vero che la genetica non mente."
"Dunque?" 
"Tu e il tuo figlioccio stavate ficcando il naso in affari che non vi competono. Finché si trattava di quello stupido gioco da pirati avrei potuto ignorare. Ma questo..." 
Artemis inclinò appena la testa, come a richiedere spiegazioni.
"Un'evasione di massa, un attacco a una delle roccaforti del Governo Mondiale e ora un'intrusione in un sito scientifico interdetto. Sembra quasi che tu stia implorando di finire arrestata."
"Sono il primo ufficiale di una ciurma" rise appena "Per essere precisi, della ciurma di uno Shichibukai. Come pensi di giustificare questi tuoi capricci?"
"Giustificare? Cosa ti fa pensare che io debba farlo? Ricorda con chi stai parlando. E poi, tu hai qualcosa che mi appartiene."
La donna si alzò, avvicinandosi lentamente ad Artemis e lasciando scorrere con delicatezza un dito sui punti ancora freschi. "Proprio qui dentro."
La pirata, come in un duello, non le toglieva gli occhi di dosso. "Non possono esistere due portatori di uno stesso frutto. Eppure eccoci qui. Un paradosso dall'inizio alla fine." 
"Pensi di conoscere la spiegazione?" La interrogò girandole intorno, squadrandola. 
"Un frutto torna in circolazione alla morte del suo portatore. Quindi immagino che qualcuno, in questa stanza, abbia tirato un brutto scherzo al mietitore." rispose Artemis, lanciandole eloquenti occhiate.
"Più di qualcuno" la corresse Ana "immagino tu sappia che noi due non siamo le uniche persone ad aver avuto questa benedizione." 
"La Mangiona, presumo." Ricordò l'altra "Membro della Generazione Peggiore, era alle Sabaody ai tempi dell'ennesimo exploit di Cappello di Paglia. Però ora non è qui." 
"Per Jewelry Bonney è già stato riservato un posto a Impel Down. Ha solo scalfito la superficie." spiegò, vagamente delusa, "Ma tu no: strappare brandelli di eventi, sovrapporre linee temporali, saltare tra le varie istanze del Tempo. Tu non ti sei accontentata di giocare con l'età. Sei come me." 
"Perché ci sono tre frutti?" 
"È un piccolo dono del Time-Time" raccontò Ana "Un jolly, se così vogliamo chiamarlo. Gli animali funzionano in modo molto semplice e gli umani non fanno eccezione. L'inconscio esiste per attuare quello che definiscono istinto di conservazione: quando il portatore sente la morte vicina per la prima volta, cerca di creare un interlacciamento con altre linee temporali. Più lenta è tale causa, più tempo ha la consapevolezza per sedimentare, più probabilità di salvarsi ottiene. Quando poi giunge l'ora, il frutto torna in circolo. Per me fu l'età a generare la biforcazione. Riesci a immaginare cosa sia stato per te?"

-//-//-//-

Doflamingo si accorse molto presto delle curiose macchie che costellavano il corpo della sua nuova amante. Se il trucco e gli abiti potevano fare molto per nasconderle, nella penombra della camera padronale queste sbocciavano come velo di sposa sulla sua pelle. 
Ricordava quanto fosse terrorizzata, la prima volta in cui lui li aveva notati. Quel che più gli pesava, mentre lei tesseva frenetica tutte le caratteristiche di quella condizione, era che si fosse sentita in dovere di nasconderglielo. 
"Non volevo essere ripudiata." ammise infine, ansimando come se avesse corso una maratona "la protezione della vostra famiglia è l'unica cosa che può salvarmi dal patibolo. Sono disposta a restare fino alla fine dei miei giorni, ma vi prego, non consegnatemi ai marines."
"Non potrei mai chiedere nulla di più prezioso di tutto il tempo che ti resta, colombina." le aveva sussurrato Doflamingo, accarezzando con dolcezza i focolai bianchi sulla sua schiena e cercando di calmare quel respiro così dolorosamente irregolare "Perché il nostro scambio sia equo, ti prometto che farò tutto ciò che è in mio potere per trovare una cura e che nel frattempo la famiglia ti proteggerà. La tua famiglia, se lo vorrai."

Molto tempo dopo, quando ormai Artemis era diventata un pilastro di quella ciurma e aveva quasi dimenticato la promessa, lui riuscì a rientrare a Spiders Mile con un frutto speciale. Sembrava un bizzarro lichi azzurrognolo, ricoperto di ghirigori. Un frutto maledetto, si diceva, i cui portatori erano destinati a morire giovani. Un potere scambiato a un prezzo talmente alto che era considerato più una rarità che un'arma, ma anche l'unico filo di speranza che fosse capitato tra le loro mani.
Il Signorino, che non aveva mai creduto alla sfortuna, offrì alla sua Artemis quel dono insieme al Seggio di Cuori, da poche settimane reso vacante da Vergo. 
Tutto, finalmente, andava bene.
Il Time Time avrebbe curato il suo male e, con quel potere dalla loro, Dressrosa sembrava così vicina da poterla sfiorare. Persino le battutine di Diamante sul mettere in cantiere un Piccolo Signorino non gli suonavano più tanto assurde. 
Sulla nave che li conduceva in quella terra lontana, nel suo regno, talvolta si perdeva ad osservare l'attenzione con cui Artemis discuteva insieme a Pica delle formazioni e i suoi controlli precisi sulla rotta. Lei gli sorrideva in risposta, facendo slalom tra le corse di Buffalo e Baby5. Gli lanciava baci da un capo all'altro del ponte in fermento: era talmente occupata che a stento lui notò che il fiato le si era accorciato e che il suo trucco necessitava di ritocchi sempre più frequenti.
Gli fu tutto più chiaro quando la vide crollare di peso sul selciato del palazzo reale, dopo cinque giorni di assedio. 
Il sangue che le macchiava le balze dell'abito sembrava provenire solo dalle guardie reali che aveva prontamente respinto, come da copione. Quindi pensò che a stroncarla dovesse essere stata la fatica, ma il calore che la sua fronte emanava raccontava una storia ben diversa.
Aveva dato l'ordine di portarla al sicuro. L'aveva affidata a Señor e Jora come avrebbe fatto con la sua stessa vita e non aveva voluto attendere un solo secondo per vederla, una volta terminata la finta liberazione della città.
Tutti i membri della sua famiglia gli rivolsero occhiate colme di apprensione mentre si faceva strada lungo i corridoi sconosciuti del castello. I due soccorritori erano il centro di un piccolo capannello nella Sala Grande. Jora, consolata da Machvise e Lao G, faticava a mettere le parole in fila e continuava spasmodica a farsi aria con la mano, forse per asciugare le lacrime. 
"Povero Signorino", gli sembrò di sentirla mormorare.
Señor completava le frasi che lei faceva naufragare in singhiozzi, gli occhi ben nascosti dalle sue lenti a specchio.
Trebol e Pica furono i primi a intercettare Doflamingo, implorandolo di non entrare nella stanza adibita a infermeria, tentando inutilmente di fermarlo ma partendo già con poche speranze di riuscirci. Dopotutto, conoscevano bene il testardo che avevano cresciuto. Fu Diamante a terminare il placcaggio, tendendo il braccio davanti ai suoi colleghi e lasciando che l'altro proseguisse. Oltre l'ombra del suo tricorno, era possibile scorgere un'espressione carica di rassegnazione. "Fategliela vedere" sibilò, con una voce così triste che dal palco non si sarebbe udita "chissà se potrà farlo più, a questo punto." 
Davanti all'uscio di una delle stanze da letto si erano radunati, irriducibili, i bambini. Baby5 aveva gli occhietti arrossati ed era seduta sul pavimento, abbandonata contro un Buffalo catatonico. Il cuore di Doflamingo sussultò: non li aveva mai visti così.
Law non alzò lo sguardo dal suo libro, ma nemmeno tutte quelle pagine riuscivano a nascondere la paura che lo mangiava vivo. Aveva riconosciuto quelle scene: erano frequenti nell'ambulatorio di suo padre, soprattutto prima che arrivassero i marines. Le dava 48 ore, 72 al massimo. Poi, un giorno, sarebbe stato il suo turno, il cielo sapeva quando.
Da oltre la porta proveniva un trambusto angosciante, talvolta qualche lamento. Gladius e Corazòn si alternavano al capezzale come se fossero stati nel mezzo di un travaglio. I sottoposti della Reina non erano riusciti ad abbandonarla, anche se in realtà non c'era poi molto da fare. Potevano solo asciugarle la fronte e portarle i medicinali che il bambino di Flevance aveva ripescato dalla sua memoria. Tutte cure palliative, come quelle che venivano somministrate ai malati in fin di vita per concedere loro un trapasso meno doloroso. Niente sembrava funzionare.
Tra gli spiragli che i loro corpi indaffarati lasciavano, il Joker intravedeva il volto contratto, il trucco ormai sciolto lungo le guance e quelle che sembravano crepe costellarle il corpo.
"Mi dispiace, Signorino" si era scusata tra un respiro affannato e l'altro, fermando all'istante il tran tran, mentre anche i suoi assistenti si erano voltati verso il viso sconvolto di Doflamingo. Quando non sorrideva erano guai, ma quell'espressione era una novità. Non era certo rabbia, c'era dell'altro. Un qualcosa di impenetrabile, complesso, come un puzzle ricostruito male. Rocinante intuì che doveva trattarsi di impotenza: gli ricordò quando dovettero dire addio alla loro cara madre.
"Non puoi morire, madre! Io...io ordino alla tua malattia di andarsene! Almeno lei deve obbedirmi, deve farlo!"
Doflamingo avanzava come mosso da una forza invisibile, indipendente da lui. Le accarezzò i capelli sparsi sul cuscino, accovacciandosi accanto al letto senza dire una parola.
"Non avrei dovuto mostrarci deboli, mi dispiace: ho mandato tutto a puttane." sibilò lei ancora, febbricitante. Il bagliore rossastro del Time-Time faceva capolino tra le fessure sulla sua pelle e ogni suo pensiero era orientato verso un'unica, inattesa direzione: "Non voglio morire", sussurrò terrorizzata. Aveva sempre confidato in qualcosa di più grande per prendere la sola decisione che l'avrebbe allontanata da lì. Invece si trovò a rivelare il suo timore all'ultima persona che avrebbe voluto al suo fianco in quel momento. 
Rocinante notò che il costato di suo fratello aveva assunto un ritmo irregolare e tremulo, mentre posava minuscoli baci sul dorso della mano di lei, quasi che così facendo potesse chiudere quelle ferite. 
"Non voglio morire, Dofli."

-//-//-//-

"Era tuo il frutto che ha rubato Doflamingo?"
chiese Artemis dal nulla, mentre quei ricordi sembravano appesantirle il diaframma. 
"Non esattamente." Spiegò Ana "Ho fatto un'enorme fatica per eliminare il precedente portatore, dopo la ricomparsa del mio Time Time. Sfortunatamente, è finito prima nelle vostre mani che nelle mie e tu eri sempre così dannatamente in vista che avresti esposto anche me. Non ho trovato un singolo istante propizio, finché poi non è morta anche la Reina Blanca, a seguito di una disastrosa spedizione a Swallow Island. Ho ripreso a cercare quel dannato frutto in lungo e in largo, ma non avrei mai immaginato che l'avessi sempre avuto tu. Che destino beffardo, non trovi?" 
"Difficilmente il destino è pigro abbastanza da concedersi coincidenze. E qui ritorniamo alle frecciatine che ho lanciato dal primo istante in cui ci siamo viste. Quando ci ucciderai per riprenderteli?"
"Ebbene, qui sta l'inghippo." Commentò mesta.
La pirata si voltò lentamente, prendendosi il tempo di osservare l'orrore che era riuscito a svuotare lo sguardo di Sant'Ana. 
"Tu non puoi." Realizzò, mentre un brivido di soddisfazione ingrandiva il suo sorriso beffardo "Mi avresti lasciata a marcire in culo al mondo, fosse stato per te. Ma ti sei sentita così minacciata dal fatto che ho il tuo stesso potere da scomodarti a strapparmi alla mia ciurma senza nemmeno sapere come fare. Dio, sei terrorizzata."
"Da che pulpito" replicò indignata "come se tu non temessi per la vita di quei buoni a nulla e di quel moccioso che ti trascini. Abbiamo entrambe molto da perdere, mi pare. Resta a Marijoa e non avrai di che temere." 
Ad Artemis fu chiaro che il salto che aveva compiuto a Punk Hazard era una strada senza uscita. Al contrario suo, Sant'Ana aveva a immediata portata di mano ogni strumento per mettere in atto quelle minacce. Ricordò una frase che le era capitato di sentire durante il suo addestramento in Marina: "Se può salvare il salvabile, in condizioni disperate, anche la resa è una strategia."
"Se devo restare qui, voglio poter accedere a una biblioteca." Dichiarò "Mi servono libri, mappe e giornali per proseguire i miei studi personali." 
"La libertà per la conoscenza?" sorrise la nobile "Uno scambio interessante, ma equo."
"E vorrei essere autorizzata a partecipare al Reverie." 
Sant'Ana fu costretta a fermarsi, per ripristinare il suo solito contegno.
"Un'altra richiesta singolare." Commentò "Affiancarmi al Reverie ti esporrebbe notevolmente. E, dopotutto, quali affari avresti da condurre? Non posso accettare questa condizione." 
"E se fossi io a non accettare?" bluffò Artemis, giocherellando distrattamente col suo cucchiaino "Se non stessi al tuo gioco? Cosa vorresti fare, uccidermi due volte? Perdere ancora il frutto?" 
Ana socchiuse gli occhi, quasi quel gesto la potesse aiutare a leggere tra le righe di quella velata minaccia. 
La sua Artemisa, dopotutto, era riuscita più volte a dimostrare una determinazione invidiabile.
Forse non avrebbe dovuto stupirsi, se avesse avuto il fegato di trovare una strada più estrema per liberarsi da quel vincolo. 
"Mi assicurerei che non si tratti di una morte rapida." concluse, sempre con quel suo veleno a farle guizzare la lingua "E farei in modo di costringere i tuoi compagni a seguirti. Il nostro patto è la tua vita per quella della tua ciurma, nulla di più semplice. Forzalo o violalo e loro ne pagheranno le conseguenze. Quando potrò riottenere il Time Time, il nostro legame sarà sciolto. Abbiamo un accordo?" 
La pirata rifletté. La Regina Bianca, in verità, non aveva mai saputo trattare perché non le era mai servito. Si era sempre potuta permettere di decidere delle vite degli altri solo perché la forza, l'intelligenza o anche semplicemente il caso l'avevano posta al di sopra dei suoi avversari. Le parole che l'avevano guidata allora le risuonarono nella mente: "I deboli non scelgono nemmeno come morire." 
"E sia" sospirò, alzandosi a fatica per stringere la mano a sua madre. Avvertendo la presa decisa e le dita sottili sulla sua mano forgiata dall'esigente manutenzione del Polar Tang, Artemis ebbe l'inconfutabile sensazione di aver appena siglato un patto col diavolo.

-//-//-//-

L'impietoso cigolio di una portella interruppe per un breve istante la placida calma di quella notte. Come guidato da un riflesso inconscio, Law mise da parte i suoi appunti e si affacciò rapidamente al cucinino a fianco del grande laboratorio deserto: nel buio della stanza, intravide solo la luce del frigorifero dipingere i contorni dei pensili chiari e i tratti aspri di Monet. Sentendosi scoperta, lei strinse a sè la ciotola di uva che aveva razziato e gli rivolse un sibilo ostile, prima di sparire di nuovo nella sua stanza. 
Lui sospirò scocciato, rimproverandosi che quell'assenza gli potesse pesare in tal modo.
"Dai, dammi tregua, dottorino: ho appena staccato!"
"Non puoi cibarti solo dei rimasugli che trovi nel frigo: devi dormire come una persona normale e mangiare come una persona normale."
"Ma sai che non mi concentro di giorno! E poi Bepo me li lascia apposta!
"Parlerò anche con lui: siete un'associazione a delinquere. Da oggi sei sotto stretto controllo medico, parola mia.
Ogni tanto gli sembrava di scorgere la sua sagoma oltre l'orlo di luce che la lampada da scrivania gli concedeva. Se la rivedeva con quell'espressione imbronciata, rannicchiata su una delle sedie della cabina di comando con in grembo un piatto di spaghetti tiepidi. Dopo quelle discussioni, Artemis prendeva sempre a fissare i sonar, le mappe o, a onor del vero, qualsiasi cosa non fossero gli occhi del suo figlioccio, pur di non dargli la soddisfazione di un implicito: "Hai ragione."
Il grande computer sulla parete opposta della stanza lampeggiava mite un orario improponibile, sul verde dello schermo al fosforo. Quelle sudate ore di pace non l'avevano aiutato a ricostruire il puzzle di Mama Rose. Le taglie e le note giacevano sparse su una bozza della Grand Line ed i collegamenti erano praticamente incomprensibili. Frasi scritte a metà, rimandi, frecce che lasciavano un foglio e altre che spuntavano come germogli in un campo fertile. Anche vivisezionando i suoi diari, non aveva trovato riferimenti alla Santana di cui gli aveva parlato. Nemmeno ricordava di aver mai sentito quel nome, nè nelle vecchie discussioni nè in quelle origliate sotto le porte tra Spiders Mile e Dressrosa. L'imponente nave ammiraglia era partita senza colpo ferire, come se si fosse trovata lì per caso. L'aveva scorta da un promontorio sulla costa, una corsa forsennata dopo, ed era già troppo lontana per riconoscere chi vi fosse a bordo. 
L'assenza di Artemis durante le trattative con Ceasar, poi, l'aveva tenuto in una insopportabile tensione costante: la sua tipica flemma, almeno dall'interno, era stata spazzata via. Sentiva i muscoli della sua lingua già pronti ad arricciarsi, a invocare la sua Sala Operatoria al primo, vago, segnale di pericolo. Si era sentito schifosamente esposto e la sensazione non si era alleggerita col tempo. Il cuore di quel Clown era fastidioso da tenere in petto. Aveva una densità diversa, sbagliata, fumosa
Fumo.
"Smoker a capo della prima divisione del G5", ecco il ritaglio che cercava. Era relativamente nuovo, le pieghe della carta non avevano ancora iniziato a erodere l'inchiostro. Lo collocò avanti, nel Nuovo Mondo, dove il quartier generale della divisione speciale della Marina era stato spostato. C'era un articolo anche su quello. Nella piccola foto allegata, un uomo era incircolato in rosso. "Vergo", recava la scritta a cui puntava una freccia. Non che gli servisse: ricordava bene il suo volto e non era praticamente cambiato. Con un filo di cotone, lo collegò a Doflamingo. 
Forse, quella rete iniziava a sembrargli più chiara.

-//-//-//-

"Non verrà."

Eustass si strinse nella sua pelliccia bofonchiando. 
Killer intuì dovesse aver sbuffato dalla sottile linea di condensa che sfuggì dalla sua sagoma, appoggiata al parapetto del palazzone che avevano conquistato e scelto come base.
"Non so di chi parli." concluse lapidario il Capitano "Sto solo prendendo un po' d'aria." 
Erano quasi tre mesi che, ogni notte, Kidd sentiva il bisogno di "prendere un po' d'aria". Poco importava che piovesse, che facesse caldo o freddo o che , come quella sera, l'aria fosse talmente pregna di umidità e salsedine da depositare un sottile strato d'acqua sul suo viso sfregiato.
"Sai che non mi intrometto, Kidd" iniziò Killer con fare diplomatico, dopo qualche istante di pausa "ma finirà male. Questa storia finirà male, se non l'ha già fatto. Dimmi, quando é stata l'ultima volta che vi siete visti?"
Il rosso non replicò, ma perlomeno smise di negare. 
"Gli altri sanno?" chiese in un borbottio roco. Non ne era orgoglioso, ma di certo non gli andava di mentire, non al suo migliore amico. Dopotutto, non era mai stato in grado di dire bugie.
Killer scosse le spalle. "Qualche voce circola. Non sei granché come spia." 
Quella rivelazione si aggiunse a un già corposo carico di stress. 
"Fantastico" grugnì "lasciamo che la ciurma creda che me la faccia col nemico. Tanto, a questo punto, cosa può andare peggio?" 
Era diverso tempo che la sorte girava storta, per i Kidd Pirates. L'ingresso nel Nuovo Mondo era stato turbolento a dir poco. Si erano trovati soli in quel mare enorme, mentre tutti sembravano così fottutamente indaffarati ad avanzare, migliorare, crescere
Il loro tentativo di emergere, invece, era stato un fallimento totale. 
Aveva condotto la sua ciurma in bocca a quel barracuda di Shanks e ancora non riusciva a spiegarsi perché non l'avessero abbandonato. O come avessero fatto a uscirne vivi, a dirla tutta.
Si massaggiò il moncone del braccio sinistro con fare sfastidiato.

"Lo sapevi, vero, maledetta strega?" le aveva ringhiato contro, durante uno dei loro incontri.
"So tante cose" aveva ammesso Artemis candidamente, scrollando le spalle nude nella penombra di una cabina della Victoria Punk "Non posso mica dire tutto a tutti. Però, Akagami? Davvero? Non sei certo uno che perde tempo."
"Le avevi disegnate una ad una" si era ricordato Kidd, cercando di distillare abbastanza lucidità per infuriarsi, attraverso una nebbia di libido "Avremmo potuto vincerla, cazzo! Perchè non mi hai detto niente?" 
"Perchè devi imparare, zuccone!" lo aveva zittito con durezza "E l'unico modo in cui tu impari qualcosa é prenderle, quindi ti ho lasciato fare. Adesso dimmi, ti pare ancora sensato un uno-contro-uno a un fottuto Imperatore?"

Capitava spesso che, i loro, finissero ad essere dei match più che degli appuntamenti. Tuttavia, Kidd trovava desse un arrangiamento diverso al sesso che ne seguiva. Amava sentire un tocco di rabbia nei gesti di lei. Amava poterne mettere un pizzico nei propri. 
Amava vederla sorridere, fiera e sfinita sulle sue lenzuola, anche se significava lasciarla andare via, talvolta per settimane. 
L'unica certezza che aveva era che non sarebbe potuta durare.
"Temo che tu ti stia facendo coinvolgere troppo" gli aveva rivelato Artemis l'ultima volta "Credo che il picco di questa relazione sia finito. Le uniche due strade che possiamo prendere sono dividerci o... Beh, l'altra sarebbe certamente impraticabile.
La sua voce era diventata fredda e pragmatica, come se stesse parlando di strategia o di una di quelle sue bizzarre scienze, ma lui non le aveva dato torto. Era stato troppo orgoglioso per ribattere a quella muraglia di fatti.
"Fai come credi." l'aveva liquidata, cercando di darsi il suo stesso contegno "Senza amore e senza rancore, dico bene?"
Poi, però, quasi senza rendersene conto, si era ritrovato a cercare quei bagliori arancioni nel cielo notturno.

"Concentrazione, Capitano" lo richiamò Killer con fare serio, posandogli una mano sulla spalla "Il Nuovo Mondo non é il posto adatto per un cuore esposto."

 

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Capitolo 17
*** L'orologio dell'Apocalisse ***


Capitolo 15 - L'orologio dell'Apocalisse

Tamatoa perse un battito quando, al mattino seguente, trovò la stanza di Artemis assolutamente vuota e il letto ancora integro.
Il suo sguardo corse febbrile al balcone e fu presto seguito dai suoi passi. I tacchi risuonarono rumorosi, mentre attraversava la camera con così tanto slancio che quasi si sentì cadere oltre la balaustra, una volta fuori.
"Buongiorno Tamatoa" la salutò pacata una voce alle sue spalle. 
Si voltò con ancora il cuore in gola, sentendo il suo ritmo rallentare e la nebbia dell'ansia dissolversi: la sua protetta era rannicchiata su una sedia del piccolo salotto esterno, già vestita per la giornata. I lunghi capelli corvini le ricadevano addosso quasi fondendosi con la coperta che aveva sulle spalle e le profonde occhiaie erano l'unico punto di colore su un volto molto più grigio del giorno precedente. 
"Buongiorno signorina" sospirò, riportando dietro alle orecchie alcune ciocche scure che erano sfuggite dalla elegante coda bassa "Non avete dormito? Se mi aveste chiamata avrei potuto procurarvi della valeriana. O qualcosa di più forte, magari."
"Certo che ho dormito" rispose Artemis con voce stanca, stiracchiandosi appena "Poco e male, ma l'ho fatto."
"Avete dormito qui fuori?" domandò l'altra, chiaramente confusa.
"No, nel letto, ovviamente." ridacchiò la pirata, studiando l'espressione perplessa di lei.
Tamatoa rivolse di nuovo lo sguardo alla stanza, oltre le spalle di Artemis.
"Non avreste dovuto risistemare." dichiarò, quasi risentita "Né avreste dovuto prepararvi da voi: é compito della servitù. Dovete imparare a vivere come i nobili." 
L'altra scosse le spalle, tornando a fissare la nebbia che si sollevava dal mare, nella luce pallida del mattino. 
"Cosa posso portarvi per colazione, signorina?" 
"Non faccio mai colazione" rivelò, alzandosi dalla sedia ma trascinandosi la coperta sulle spalle a mo' di mantello, rientrando. "Sant'Ana mi ha detto che avresti avuto qualcosa per me." 
"Certamente" confermò la dama, "é tutto sul tavolino all'ingresso."
Artemis non l'aveva quasi notato. Era più una sorta di piedistallo che un vero e proprio tavolino, tatticamente collocato dietro alla porta della stanza, accanto a una sedia su cui erano adagiati gli abiti con cui era arrivata e pochi dei suoi effetti personali. Sopra di esso, c'era un vassoio argentato, più probabilmente di vero argento, che radunava una copia ripiegata del giornale e una chiave d'ottone.
Artemis controllò rapidamente la data e si strinse il quotidiano al petto, accettando il braccio che la sua aiutante le porgeva.

"Dobbiamo uscire?" chiese incuriosita la pirata, mentre Tamatoa la guidava verso una delle porte vetrate che conducevano ai giardini. Minuscoli dipinti verdi e bianchi si affacciavano sul telaio chiaro dell'enorme infisso inondato di luce. 
"Certamente, la Biblioteca si trova nel castello Pangea." spiegò la donna con il rigore che ormai la distingueva "Ma non dovete preoccuparvi, il collegamento è diretto."
Dopo aver sceso con fatica una manciata di gradini, che ad Artemis parvero molti più di tre, il sentiero in pietrisco conduceva verso un delicato tunnel di rose rampicanti. Fiori grandi come un palmo adornavano i grandi archi in ferro, perdendosi in quel mare di foglie sottili. 
Il percorso si apriva in un altro cortile non troppo diverso da quello da cui partiva, con larghe pozze di erba impeccabile separate da sentieri di selciato talmente perfetto che sembrava ognuno di quei ciottoli fosse stato scelto individualmente.
Oltre di esso, il castello Pangea si stagliava in tutta la sua terrificante imponenza. Sembrava troppo ampio per entrare tutto in un singolo sguardo e probabilmente era quello lo scopo con cui era stato progettato: dare a un qualsiasi visitatore la consapevolezza che l'estensione di quell'istituzione non conosceva confini. 
Ad Artemis fece uno strano effetto, accedere dal portone principale anzichè da quello riservato agli ospiti. Ebbe quasi l'impressione non fosse lo stesso posto in cui era già stata tante volte, come se si stesse affacciando su di un quadro astratto o una strana dimensione specchio. Dopotutto, non si sarebbe stupita se la tremenda emicrania che le provocava l'agalmatolite stesse giocando brutti scherzi al suo senso della realtà. 
La sua guida era premurosa e comprensiva, attendeva i suoi tempi con più pazienza di quanta non riuscisse ad avere lei stessa. Avanzavano come in processione, attirando brevi sguardi dei funzionari attraverso gli usci socchiusi. 
All'improvviso, di fronte ad una delle molte porte incontrate sul loro cammino, Artemis sentì i capelli rizzarsi sulla nuca. Si fermò di colpo, come fosse stata attirata dal canto delle sirene.
"Signorina, si sente male?" chiese Tamatoa, mentre lei lasciava lentamente la presa sul suo braccio, avvicinandosi ai battenti come ipnotizzata.
"Che posto é questo?" domandò sottovoce, con un tono grave. La mano di Artemis esitò prima di sfiorare il legno scuro, come se temesse di bruciarsi.
"É la sala del Trono Vuoto, signorina." Rispose, con la sua pragmatica precisione incrinata da quello che alla pirata parve un reverenziale timore. 
Artemis aveva letto molto di quell'antico monumento, talmente tanto che sarebbe stata in grado lei stessa di descrivere l'alta seduta e i simboli del Governo Mondiale incisi nell'oro. Due rampe di scale conducevano allo scranno del mondo, di fronte a cui venti re di venti famiglie avevano gettato le armi in nome di un mondo più giusto e mai più devastato da fame, guerra o malattia. Un'utopia che non era mai riuscita a vedere la luce. 
"É accessibile?" domandò con voce vuota.
"La porta é sempre aperta" spiegò Tamatoa, senza comprendere a pieno il motivo di quell'accanimento "ma nessuno vi entra mai. É solo una stanza vuota con una grande sedia. Il suo valore é solo simbolico."
Senza neppure ascoltare quelle ultime parole, Artemis ruotò la maniglia ed entrò nel salone deserto, mentre una sensazione indecifrabile le stringeva lo stomaco.
Dava l'idea di un posto sospeso nel tempo, una sorta di non-luogo. La penombra era tagliata solo da lame di luce solare che fendevano attraverso le finestre ai lati del trono. Minuscole particelle di polvere fluttuavano davanti ai suoi occhi, mentre tentava di riconoscere i gradini. Il perfetto, religioso silenzio fu rotto solo quando la pirata riuscì a dare un nome a quello strano sentimento, che risuonò attraverso le colonne scanalate ai lati del corridoio che stava percorrendo: "Trompe-l'œil"
"Come dice, signorina?"
"Me ne ha parlato l'uomo che mi ha cresciuta." Spiegò, mentre la sua voce riverberava nella sala vuota "Si traduce letteralmente come inganna l'occhio, è una tecnica pittorica." 
Tamatoa guardò confusa le pareti immacolate della stanza, senza superare l'uscio "Temo di non comprendervi."
"Riguarda il dipingere su due dimensioni qualcosa di talmente realistico che pare si trovi su tre. È una simulazione, un effetto ottico. In alcune ville antiche veniva usato per dare alle stanze un aspetto più ampio. Ma il trompe-l'oeil funziona solo da una certa distanza. Da vicino, tutto diventa confuso e l'inganno cade." 
La dama faticava a identificare quello che vedeva la sua protetta. Era come fosse in grado di leggere una lingua straniera o di vedere attraverso un filtro. "Ma, Signorina, qui dentro non c'è nulla di simile." azzardò, quasi sovrappensiero.
Artemis fece vagare un'ultima volta lo sguardo sulla stanza, camminando all'indietro verso l'uscita fino a circa metà strada, come se temesse che un nemico invisibile dovesse piombare dall'alto. Non riusciva a darsi una spiegazione, ma quel terribile senso di inganno non si spense del tutto. "Lo so" mormorò, chiudendosi la porta alle spalle "Eppure ti assicuro che la sensazione è la stessa."

Appena Artemis giunse alla biblioteca, i monumentali scaffali invasero il suo campo visivo con prepotenza e solennità. Le librerie in legno ramato costituivano un corridoio su cui i dorsi dei libri scintillavano lucidi. Non c'era paragone con gli antiquari di paese a cui era abituata: nemmeno tutte le isole del Paradise avrebbero potuto mettere in scena uno spettacolo simile. 
Il suo primo pensiero fu che sarebbe stato complicato, in quelle condizioni, raggiungere i tomi più in alto, quasi due metri al di sopra del suo naso. Lo sguardo di Artemis proseguì poi lungo la grande parete circolare in fondo alla sala e lambì il mastodontico rosone decorato da mosaici di luce filtrata da vividi pigmenti. A una postazione dell'elegante tavolata rotonda, un calamaio, alcune matite e una risma di fogli parevano attenderla. 
Accarezzò con cautela il dorso di una delle sedie di broccato verde, colore che un occhio attento aveva rubato dalla boiserie dell'intera stanza, dandole un'atmosfera d'inviolabile calma. Notò che, oltre gli scaffali, una vetrata più piccola conduceva a un terrazzo intarsiato di gelsomini che oscillavano eterei, facendo danzare le loro ombre sulla pietra chiara e ruvida.
Per un attimo, Artemis si sentì quasi in pace.
"Ti prego, Tamatoa, potresti farmi un favore?" si voltò appena con fare cordiale, quasi temesse di disturbarla "Cerco un manuale di elettronica dial, immagino che con la giusta dose di fortuna potrei trovarne uno. Potresti portarmi alla giusta sezione?"
"Posso farlo io."
La voce alle sue spalle, chiaramente quella di un uomo, fu sufficiente a farla trasalire. 
Portandosi una mano al cuore malandato, Artemis si voltò verso la porta, nel cui vano stava la figura di un Drago Celeste. 
Aveva qualcosa di strano, osservò. Non erano certo i capelli verdi, raccolti nel loro bizzarro ricciolo sulla sommità del capo, nè i tratti spigolosi del viso o la normalissima tunica candida orlata di viola. Era qualcosa di più legato alla sua sagoma, ragionava, mentre egli avanzava lungo il corridoio. Lo realizzò solo quando gli fu vicino abbastanza da udire distintamente i suoi passi: a differenza di molti altri, i suoi non si alternavano al cigolio di catene nè ad altri calpestii. Non aveva schiavi con sè, nè assistenti. Era solo. 
"Donquixote Mjosgard" si presentò con un tiepido sorriso "È bello vedere finalmente un altro paio di occhi in questa stanza. Soprattutto se sono familiari come i vostri." 
Se lo sconvolgimento per la presenza un'altra figura era passato, era stato solo per lasciare il posto a quello legato al suo cognome e dopo ancora alle sue parole. 
"Come sapete chi...?" le parole sembravano inciamparle tra i denti, mentre lui le faceva strada attraverso i corridoi e le rilegature preziose.
"Ero alla proclamazione di Doflamingo come Shichibukai, forse però non vi ricordate di me." Rievocò, salendo con prudenza una scala a ruote, fino al penultimo ripiano di una delle librerie. "Non abbiamo parlato, sono solo passato dai festeggiamenti per vedere cosa fosse stato di lui."
"Sarete stato orgoglioso di vedere quanti dei vostri valori gli sono rimasti." Borbottò Artemis, generando uno sguardo sconvolto nella muta Tamatoa e maledicendosi per quell'uscita così impulsiva. Contrasse spasmodicamente la mandibola, vedendo l'ombra che oscurò per un breve secondo il volto di lui.
"No, in realtà per niente." sospirò Mjosgard con aria rassegnata ma sempre cortese, posandole in mano tre volumi prima che lei potesse scusarsi "Non io, perlomeno. Voi, in compenso, siete cambiata molto: la prima volta in cui vi ho vista sembravate un fantasma."
"Forse non lo sapete, ma stavo superando una malattia. Immagino dipenda da questo." specificò Artemis, riprendendo a seguirlo in quel dedalo di conoscenza.
"Non parlo dell'aspetto" rise di gusto, ritornando al tavolo rotondo al centro della sala "Me lo ricordo ancora, sapete? Eravate davvero incantevole. Ma era come se non foste davvero lì. Ora c'è una forza diversa nella vostra voce, anche se non lo definirei il vostro zenith. E quelli che avete davanti, per la cronaca, sono i miei spartiti. Vi sarei molto grato se poteste lasciarli." 
Artemis alzò istintivamente le mani dai fogli che aveva individuato al suo ingresso, quasi la carta l'avesse scottata. Si chiese, infatti, come fosse possibile che non avesse notato la partitura stampata sulle pagine e le note a matita che le ricoprivano. 
"Non oserei mai" dichiarò, spostando i suoi libri a un paio di sedie di distanza. 
Si sedette con cautela e prese a sfogliare l'indice del primo tomo per recuperare gli argomenti in sospeso. Mjosgard, poco distante, sembrava sorridere mentre si immergeva anch'egli nella sua materia e lei non poté fare a meno di ricambiare.

La mattinata trascorse tranquilla. Artemis scoprì presto che quello che credeva un comune mobile da esposizione posto sotto al rosone era in realtà un pianoforte verticale e che il suo compagno di studi era un provetto musicista. Mentre lei studiava, Mjosgard si esercitava, cullando i suoi processi mentali su componimenti scritti pazientemente, una nota per volta, fin quando il tramonto non invase la stanza col suo bagliore dorato. Allora le dita sui tasti bianchi e neri rallentarono e il Drago Celeste la salutò, augurandosi di ritrovarla il giorno seguente, se le avesse fatto piacere.
Dopo quel commiato, il silenzio si fece subito totale, scandito solo dal fruscio delle pagine e dal respiro lieve di Tamatoa, accomodata su una poltrona ma con lo sguardo sempre vigile.
"A cosa lavorate?" chiese la dama a un certo punto, notando quanto ampi si fossero fatti gli appunti della sua protetta. 
"Traccio una mappa" sospirò lei, con lo stomaco appoggiato al bordo del grande tavolo, mentre le mani spostavano con grande attenzione stecche e compassi "Non é precisa, ma basterà a darmi un'idea."
"É un regno di fantasia? State scrivendo un romanzo?" domandò Tamatoa, mentre i suoi occhi si perdevano a contare tutte le isole che Artemis aveva seminato nel Grande Blu. 
"Cosa?" rise appena la sua interlocutrice "No, é la Rotta Maggiore! Non la riconosci?" 
"Esistono tutte? Voglio dire, questi territori sono reali?" 
Artemis impiegò qualche secondo per comprendere il senso di quello stupore. 
"Tu non... Non sai com'è fatto il mondo?" 
Tamatoa non riusciva a scollare lo sguardo da quel raffazzonato atlante. Non lo fece nemmeno per mormorare un "No, non mi é mai servito saperlo." 
"E tu le hai visitate tutte?" Chiese poi, arrossendo appena e correggendosi subito. "Volevo dire voi. Voi le avete visitate tutte?"
"No" sospirò Artemis "Ma mi sarebbe piaciuto. In ognuno di questi brandelli di terra ci sono popoli straordinari e luoghi incredibili. C'è così tanto che avrei voluto conoscere. A te non piacerebbe? Non vorresti viaggiare?" 
Quelle parole bastarono per far tornare Tamatoa in sé. 
"Marijoa é il mio posto, signorina." dichiarò, senza emozione "Sempre lo é stata e sempre lo sarà."
Artemis non disse più una parola per tutto il tempo. Continuò a lavorare in religioso silenzio finché Tamatoa non insistette per farla cenare. 
In tutto quel tempo, però, non poté fare a meno di pensare di non essere la sola chiusa in quella prigione.

"Oh, entra, entra pure cara." La invitò la figura accomodata sul trono in fondo alla sala. Le sue dita si agitavano lunghe e affilate come coltelli nella penombra, mentre richiamava Sant'Ana a sé.
La donna entrò in silenzio nella stanza chinando appena il capo, avendo ben cura di chiudere la porta alle sue spalle.
"Ho visto tua figlia oggi." continuò l'altro con fare affabile "É carina, avevi ragione, ti assomiglia un sacco." 
"Artemisa é venuta qui?" chiese Ana allarmata, guardandosi intorno come se si aspettasse di vederla spuntare da una delle colonne. 
"Sì, avresti dovuto vedere come si guardava intorno, piccina! Magari il tuo doppiofondo ha qualche crepa, farei un controllo se fossi in te: non vogliamo che si scopra che il Trono Vuoto é occupato, vero?" 
"Il Doppiofondo é sicuro." dichiarò la donna " E piccina non é l'aggettivo che userei per definirla."
"Ah, quando hai tutti i miei anni sembrano tutti piccini." replicò annoiato il suo interlocutore "Che ci fai qui?" 
Ana chinò ancora la testa nel pronunciare la sua domanda. 
"Volevo sapere se ci fossero aggiornamenti, saggio Im." 
Lui sembrò rifletterci, poi concluse con un: "No, non direi, niente di significativo." Una punta di delusione si fece largo su quel suo volto indecifrabile. "L'orologio ticchetta ancora. Hai fatto bene a iniziare a chiudere i tuoi conti in sospeso. Lo farei anch'io, se ne avessi." 
"Quindi il mondo é destinato a finire ugualmente? Anche dopo aver fermato l'altro frutto?" 
"No, no no, che visione catastrofista!" rise lui, agitando le mani come a scacciare quei pensieri così tetri "Questo mondo é destinato a finire! E a ricominciare, se é per questo. Chi mai vorrebbe una bozza rovinata di una realtà in pezzi? Siamo agli sgoccioli ormai. Ma voglio dare ancora qualche mese di speranza a questa versione. Se continuerà a non piacermi..." 
"Via questa realtà, dentro un'altra." 
"Oh, brava!" applaudì Im "Vedi perché mi piaci? Con quei cinque vecchiacci non si può parlare, non afferrano i concetti come te!" 
L'espressione sul viso della donna si fece livida e rassegnata. Lui non poté fare a meno di notarlo. 
"Perché questa faccia lunga, Ana? Perché tutta questa negatività? Non te ne accorgerai nemmeno, tornerai ad esistere subito dopo in un mondo riparato, qual é il problema, cara?" 
"É pur sempre la mia realtà." ammise, con una punta di dispiacere "Ci ho lavorato così tanto." 
"Oh, siamo sentimentali! Dispiace anche a me, credimi! Ma questo mondo é finito, non c'è niente da fare. Riavviarlo é solo un gesto di compassione." 
"Perché attendere?" chiese allora la donna, rimpiangendo solo dopo di aver posto una domanda tanto insolente a una creatura così superiore. 
"Forse non ci crederai, ma sono curioso." ammise, gongolando appena "Nessuna delle mie realtà ha mai avuto degli esiti tanto catastrofici, voglio vedere quanto male può andare. Abbiamo finito?" 
"Certamente, saggio Im." concluse Sant'Ana con un sorriso di circostanza, mentre quell'ammissione alimentava le sue paure come benzina su un incendio "Perdonate la mia invadenza, vi lascio ai vostri doveri." 
"Quando vuoi, cara" la salutò. 
La donna percorse rapidamente il corridoio e, appena varcò la porta, un totale silenzio tornò a riempire la sala.

"Buongiorno, Mjosgard!" salutò una voce euforica appena il nobile varcò la soglia della biblioteca. 
"Buongiorno, signorina Artemisa!" replicò cordiale, per poi pietrificarsi nel mezzo del corridoio. Gli appunti della donna erano stati spostati dal tavolo al pavimento, costituendo un enorme tappeto candido fatto di fogli rattoppati. 
Sembrava aver letto molto durante la notte e aveva creato pile di libri ai lati del suo schema, come totem dedicati a divinità dimenticate. Si era liberata della tunica e ora circolava per la sala in pantaloni, canottiera e calzini, fermando i capelli con una penna. 
"Signorina Artemisa, è arrivato il giornale" annunciò Tamatoa entrando, aggirando l'uomo come fosse stato un mobile.
Senza proferire parola, Artemis raggiunse la dama in pochi istanti e prese frenetica ad esaminare le pagine.
Si muoveva velocemente, parlava velocemente, pensava velocemente, al punto da risultare inquietante. 
"Che avete, Mjosgard?" chiese alzando di scatto la testa dai suoi articoli. 
"Avete un aspetto terribile. State bene?" chiese lui schietto, ottenendo da Tamatoa un'occhiataccia per la sfacciataggine di quella domanda. 
L'interpellata sembrò dover prendere qualche secondo per capire cosa intendesse. Fissò Mjosgard con aria interrogativa, infine concluse con un: "Certo, che domande."
"Sembrate stanca. Avete dormito bene stanotte?"
"Non ho dormito." replicò lei, scribacchiando una nota e ansimando per quanto rapidamente accodava una parola a quella seguente "Credo sia il decorso operatorio: l'agalmatolite e gli antibiotici mi stancano, quindi devo prendere degli energizzanti per compensare e tenere un ritmo normale, ma credo abbiano dei trascurabili effetti collaterali" 
"Buon cielo." sospirò l'uomo, faticando a seguirla con lo sguardo mentre faceva da spola tra punti opposti del suo schema "Tamatoa, per piacere, porta della camomilla per la tua signora. Credo che a qualcuno farebbe bene fermarsi." 
"A chi? Di chi parlate?" chiese Artemis, che aveva avvicinato una sedia ad uno degli scaffali per recuperare l'ennesimo volume. 
Appena scese, due mani le presero le spalle, facendola sedere prima che potesse riprendere a correre per la stanza. 
"Voi, Artemisa. Avete bisogno di fermarvi." dichiarò l'uomo, togliendole il libro e posandolo sul tavolo. Notò che tremava lievemente, non riusciva a stare ferma. 
"Non voglio" dichiarò lei, senza perdere contatto visivo con la sua opera come se temesse di vederla sparire "Se mi fermo l'adrenalina cala, se l'adrenalina cala non riesco a fare le cose."
"Che cose dovete fare?!" la interrogò "Siete in un palazzo, ci sono squadroni interi di persone che fanno a gara per fare le cose al posto vostro." 
"Devo capire cosa succede!" 
sbottò Artemis "Se non vivo gli eventi non li assimilo e perdo pezzi. Non riuscirò mai a seguire tutto con una base così frammentaria."
"E a cosa dovrebbe portare tutto questo?" chiese il nobile, allontanandosi "Spiegatemelo, vi prego: non capisco. Cosa merita il sacrificio della vostra salute?" 
Lei si alzò, riprendendo il suo ritmo. 
"Qualsiasi evento ha conseguenze. Azione e reazione, Mjosgard: la legge più vecchia del mondo. Le notizie sono solo la punta dell'iceberg. Prendiamone una qualsiasi."
Propose, aprendo il giornale in un punto a caso. Scelse una notizia dal mucchio e subito riconobbe un nome familiare, che le si incastrò in gola come una spina. 
"Siglata un'alleanza tra Eustass 'Capitano' Kidd e i pirati On-Air." 
"Signorina?" irruppe Mjosgard nei suoi pensieri, facendole realizzare di aver aperto la bocca ma non aver pronunciato una singola parola. 
Artemis sospirò profondamente, mentre una orribile sensazione le attraversava lo stomaco. Era certa che un giorno si sarebbero scontrati per davvero, solo non si aspettava sarebbe stato così. Non in un'alleanza con Apoo, da cui aveva probabilmente ricavato più di un coltello già pronto a perforargli la schiena. 
Affezionarsi a qualcuno con così poco criterio era stato un errore di valutazione imperdonabile. O peggio, forse in quella trappola l'aveva spinto lei, con quei suoi stupidi discorsi sulle alleanze. Tornò a galla quella voce, in un angolo buio della sua mente, che le diceva che era in grado di lasciarsi alle spalle solo cadaveri e macerie. E sperava profondamente che lui contasse solo nel secondo gruppo.
"La ciurma di Kidd si è alleata con gli on-Air" annunciò con improvvisa lucidità, come se stesse tenendo una lezione "Nel quadrante 14-AD sono riportati loro asset. Apoo, il capitano dei secondi, si è dimostrato un simpatizzante di Kaido. Non ci sono notizie ufficiali su di lui, ma la sua natura approfittatrice rende facile immaginare che cederà all'annessione, se si presenterà l'occasione. Kidd, invece, è guidato da un orgoglio cieco che, senza dubbio, porterà alla rottura della sua alleanza. Kaido non accetterà uno smacco simile. Potrebbe ucciderli, certo, ma non perderà l'occasione: circolano voci sul fatto che stia aumentando le sue forze e i Kidd Pirates hanno più di un elemento degno d'interesse. Se la mia ciurma puntasse a muoversi contro di lui, probabilmente potrebbe dover fronteggiare anche alcuni di loro, volenti o nolenti. Nei quadranti 14-AE e 15-AE ci sono le schede di tutti, da Kidd a Killer, passando per Heat e Wire, fino ai mozzi. Questa è solo una delle possibilità, ci sono almeno tredici punti cardine che potrebbero cambiarne gli esiti e io devo esplorarli tutti per evitare che i miei finiscano ammazzati." 
Terminata quella dissertazione, ancora inginocchiata accanto alla sua mappa, Artemis riprese a percepire il mondo intorno a sé. Vide i collegamenti nuovi che aveva tracciato, la scrittura istintiva e confusa delle sue note, fino allo sguardo sbalordito di Mjosgard e Tamatoa, che l'avevano persa dopo i primi trenta secondi.
Ma sentiva che le mancava ancora qualcosa, una consapevolezza che si manifestò nelle realiste parole di Mjosgard: "Ma come farete a guidarli?" 
Realizzando quanta verità ci fosse in quella considerazione così semplice, i suoi sensi inchiodarono, lasciando che il suo corpo andasse avanti da solo, per poi cadere come un involucro vuoto al suono di una flebile ammissione: "Avete ragione."

Si svegliò diversi minuti dopo su un divanetto della biblioteca, ancora intontita e con un sapore terribile in bocca. 
"Che é successo?" Formulò a fatica. 
"Vi ho sedata mentre parlavate, signorina." rispose Tamatoa con precisione "Non potevo lasciare che il vostro atteggiamento autodistruttivo proseguisse, sarebbe stato deleterio per voi." 
"Mi fa male la testa" si lamentò l'altra.
"Riposate e vi passerà." 
Sollevando con gran fatica le palpebre, Artemis contò le figure attorno a lei: una, due, tre. 
"Prima erano due" constatò tra sè, ricontandole. Erano sempre tre. 
Allora sollevò un dito verso quella che gli sembrava più estranea, chiedendo: "È un'allucinazione?" 
"Assolutamente no, signorina." 
Riconoscendo Sengoku, la pirata si alzò. Le era sembrato impossibile che non fosse stato annunciato. Forse l'aveva più semplicemente ignorato. 
"Grand'Ammiraglio." lo salutò, con una distaccata cantilena, faticando per metterlo a fuoco. 
"Artemis." 
Lui pronunciò il suo nome come se fosse stato un sollievo. Aveva un qualcosa di diverso da tutte le altre volte in cui si erano incontrati. Le ricordò quando la scoprì a leggere le sue lettere. L'uomo fece per avvicinarsi, ma lei replicò con un mezzo passo indietro che arrestò la sua avanzata. 
"Era Comandante De la Rose, l'ultima volta." ricordò con dolore "Perché siete qui?" 
"Perché non abbiamo mai potuto parlare." disse l'uomo.
"Non ho nulla da dire." replicò severa "I pirati Heart non sono come la famiglia Donquixote e io non sono più dei vostri." 
"Mi riferisco alla nostra vicenda" specificò lui, osservando gli altri due ospiti nella stanza. "Potremmo andare in un luogo meno affollato?" 
Dopo un attimo di tentennamento, Artemis annuì e seguì il Grand'Ammiraglio verso il terrazzo della biblioteca deserto.

 

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Capitolo 18
*** Il nome che ci lega ***


Capitolo 16: Il nome che ci lega

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"Che cos'è questo?" Chiese Sant'Ana, battendo l'indice ossuto su una pagina di giornale.
Sengoku era certo che sarebbe stato convocato per quell'articolo. Lo aveva immaginato nel preciso istante in cui il flash di quell'uccellaccio di Morgans era entrato nel suo campo visivo.
Aveva sperato che sarebbe passata inosservata, in mezzo a tutti gli altri.
Invece il dito della donna si alzava e si abbassava ritmicamente su un solo, specifico volto, sul basso tavolino del salotto.
"Sono i nuovi comandanti." spiegò lui "La cerimonia è stata pochi giorni fa, hanno già preso in carico le loro mansioni."
"Non parlo della marmaglia." replicò velenosa la donna "Parlo di quel soldato."
"È un elemento estremamente valido." Dichiarò lui con freddezza, intransigente sulla sua capacità di valutare quella che, più che attitudine, avrebbe definito talento.
De la Rose, in particolare, ne aveva da vendere, come ci si sarebbe aspettati se si fosse conosciuta la sua stirpe.
"È me." replicò Ana, stressando talmente tanto quelle poche lettere che sembrava volesse usarle per pugnalarlo. "Avevi giurato, Sengoku!"
C'era ben poco di regale, nella rabbia isterica di lei. Se avesse saputo che genere di donna era, quasi vent'anni prima non solo non avrebbe ceduto a quelle continue, subdole provocazioni, ma sarebbe andato via di corsa. Avrebbe ascoltato le parole dei suoi superiori, che tanto si erano premurati di raccontargli quanto Marijoa fosse un covo di serpi e quanto fosse importante che la sua integrità non finisse intaccata, mai e poi mai.
Invece era stato stupido e incosciente come solo i giovani sanno esserlo: aveva accettato e si erano amati, una sola, incresciosa volta.
"É solo un soldato" la rassicurò lui "e non ha dubbi sulla sua famiglia. É una persona felice."
"C'era stata una sola condizione che mi aveva fatto fare un passo indietro." Gli ricordò Ana "Far vivere la bambina se non avessi mai più rivisto il suo volto. Giurasti che non avrei mai più saputo nulla di lei! Deve sparire, deve essere cancellata dalla faccia della Terra!"
"Non ti permetterò di parlare così di nostra figlia." dichiarò perentorio, affidandosi a tutta la forza interiore di cui poteva disporre. Sengoku detestava dover far ricorso al pugno di ferro.
Aveva fatto del puro ragionamento la sua arma e del compromesso un'arte. Quella volta, però, mise da parte i suoi preziosi strumenti: quello che più aveva desiderato e inseguito, nel corso della sua vita, era essere un uomo giusto. E di giusto, in quella vicenda, non c'era neppure il principio.
"É mia figlia." ringhiò Ana in risposta, con un tono profondo e minaccioso che mal si abbinava alle sue parole "E stavolta sono io, a giurarti qualcosa: come l'ho messa al mondo, sono pronta a levarcela. Non importa come o quando, io non avrò pace finché quella minaccia girerà libera."
"Non credere di poter contare sui Marines per questo." Replicò lui, in quel tono austero che bastò a ricordarle il titolo del suo interlocutore "Respingeranno qualsiasi affondo tenterai nei confronti di uno di loro."
"Non é un soldato qualsiasi, maledizione, lo sai!"
"Ma lei no, Ana. É un'innocente e non permetterò che paghi."
Lei gli si avvicinò lentamente, finché non fu a un palmo dalla sua divisa, sezionandolo con lo sguardo.
"Non potrai nasconderla per sempre." Lo minacciò, cantilenando appena le parole e sistemandogli la cravatta con gesti attenti, mentre un timido sudore freddo gli imperlava il volto "E io non permetterò che Marijoa cada per una sola voce: prima che pronunci una sola sillaba, la farò tacere."

-//-//-//-

La luce tiepida che guidò i loro passi investiva la pietra naturale, rendendola tiepida e luccicante.
Ci volle del tempo prima che i due iniziassero a parlare: procedevano a scambiarsi sguardi come timidi affondi, quasi che ogni parola potesse essere di troppo.
Sengoku ricordava quando la osservava da lontano, mentre saltellava tra le assi del molo di Artoj, coi suoi stessi ricci neri a incorniciare gli occhi vispi.
"Hai visto Helene?"
"Ehi, conosci Helene De la Rose?"
"Sai quando torna mia sorella?" chiedeva a ogni marine che passasse, senza vergogna.
L'aveva vista crescere, cambiare, poi sfiorire pian piano, ma mai si sarebbe aspettato di vederla tanto emaciata, con quegli occhi arrossati e gonfi, i capelli increspati sulle spalle e le fasciature sulla gola.
"Borsalino era convinto che non avreste mai nemmeno saputo di me." rivelò Artemis, perdendosi a esaminare i minuscoli fiori bianchi che circondavano il balcone "Francamente, non mi era difficile credergli."
"È stata Ana a convocarmi." spiegò l'uomo, sedendosi su una panchina e togliendosi il cappello da marine, lasciando che il sole investisse il suo volto. "Diceva che le spezzava il cuore averci diviso tanto a lungo. Sono piuttosto sicuro fosse sarcasmo."
"Mi avevate riconosciuta, a Marineford?"
"Era più una speranza. Quello che mi ha fatto dubitare é stato non sentirti sbandierare ogni cosa, soprattutto dopo Sparrow Island."
"Non sarebbe stato giusto." Sussurrò con riluttanza "Voi avete rischiato tutto proteggendomi. Era il minimo che potessi fare."
"Anche se significa nascondere Sant'Ana?"
"É stato solo un effetto collaterale." specificò Artemis, sedendosi al suo fianco "Non sarebbe stato onorevole smascherarvi in quel modo."
"Non hai mai parlato a nessuno della vicenda? Nemmeno il tuo figlioccio la conosce?"
"Mi credereste se vi dicessi che non ho mai avuto il tempo?" rise appena, con una certa amarezza. "O meglio, non ho mai avuto il coraggio, come se menzionandovi avessi potuto evocarvi entrambi. La sua missione é già abbastanza complessa così com'é, senza che si faccia carico anche delle mie croci. Ne ho parlato solo a una persona e ho sepolto il mio segreto con lui. E voi?"
"Il processo mi ha segnato profondamente" sospirò l'uomo "Ma non ho mai rivelato l'intera storia. O meglio, soltanto uno conosceva alcuni frammenti. Una persona di cui mi fidavo ciecamente e di fronte al quale non avrei mai potuto fingere."
I due si scambiarono sguardi indagatori, finché non fu chiaro a entrambi che il nome sulle punte delle loro lingue era lo stesso.
Un sorriso nostalgico si dipinse sulle labbra di Artemis, quasi un riflesso involontario al solo pensiero di lui.
"Devo dirlo io o preferite farlo voi?"

-//-//-//-

Riparata contro un mobile della grande cucina, fuori dal cono di luce che oscillava sopra il tavolo, Artemis ebbe pochi dubbi su chi potesse essere, quando sentì dei passi mal coordinati raggiungerla.
"Credevo fosse entrato qualcuno" sospirò Rocinante, insonorizzando la stanza con uno schiocco di dita.
"E chi, qualche cittadino troppo felice del nuovo re di Dressrosa?" chiese sarcastica, stringendo più forte la sua tazza. "Sono tutti così fottutamente entusiasti di tuo fratello. Chi mai vorrebbe far del male a un liberatore?"
"Poteva essere chiunque" sbuffò lui, risentito "Ma trovarti qui nel cuore della notte non mi rassicura. Problemi d'insonnia?"
"No, sto solo facendo delle prove" rispose evasiva, ruotando il polso come a testarne le giunture. Solo allora Rocinante notò l'aura giallastra che lo circondava.
"Prove di cosa?" chiese preoccupato, sgranando gli occhi ambrati.
"Sto usando il potere per rompere e ricostruire piccole porzioni del corpo. Roba piccola, millimetri quadrati per volta." spiegò pragmatica, saggiando i tendini delle dita.
"E non hai paura?" Le chiese, gli occhi calamitati da quel paradosso che si svolgeva tra le sue mani.
"Un paio di giorni fa ho sbagliato a rifare un pezzo di fegato, ma me ne sono accorta subito. Procedendo poco per volta, sembra non essere troppo rischioso e dare risultati: ossido le parti intossicate dal piombo e le rifaccio nuove, funziona meglio che cercare i cluster."
"Pensi di provare anche sul piccolo?"
"Law? Cielo, no!" replicò sconvolta "Sarebbe come cercare di operare bendata. La probabilità di sbagliare è praticamente una certezza matematica, su un corpo che non sia il mio. Ho il frutto da troppo poco tempo, non ho abbastanza dimestichezza."
"Ed è solo questo? Ne sei sicura?" Incalzò insistente.
"La pianti di tampinarmi così, mamma chioccia?" Replicò lei scocciata, interrompendo infine la rigenerazione "Cos'è, credi ancora che non sappia fare il mio lavoro?"
Rocinante non rispose a quella provocazione se non con un respiro marcato e stanco.
"Piantala di preoccuparti, sto bene." concluse la donna con fare lapidario.
"Non prendermi in giro, De la Rose." la rimproverò, sedendosi al grezzo tavolo in legno "Hai la pelle d'oca. A cosa stavi pensando? Venticinque gradi di minima sono pochi per madamigella o vuoi finalmente ammettere di avere anche tu dei limiti?"
Lei si strofinò il braccio incriminato e lanciò a Rocinante uno sguardo indignato, come se l'avesse appena offesa.
"Abbiamo tutti vecchie storie da marines, no? Se non devi mai farci i conti, magari non hai fatto bene il tuo lavoro."
L'ostilità nella voce di Artemis, unita a quell'insinuazione, gli fecero cambiare tono e mettersi in posizione d'ascolto, poggiando il volto struccato ed esausto tra le mani.
"Erano civili?" Chiese con un fare che di accusatorio non aveva più nulla. C'era solo comprensione, ancora quella sua dannata empatia che non sembrava crollare mai, non importava quanti colpi ricevesse.
Artemis scosse la testa "Miei uomini." mormorò, fissando un punto imprecisato sul tavolo, poco distante da dove si era seduto. "Era una delle mie prime missioni da comandante. All'inizio mi affidavano compiti semplici, poi un giorno arrivò una convocazione diversa. Hai mai sentito parlare dell'incidente della Lead Valley?"
Lui sembrò dover ripescare quel nome da un cassetto sepolto della sua memoria, infine annuì.
"Non si sa da chi partì la richiesta. Qualche nobile, dicevano. Vuoi per ingenuità, vuoi per avere un passatempo di cui discutere, pensarono fosse una buona idea mandare qualcuno che non sembrasse minaccioso a controllare le rivolte nelle fabbriche di Piombo. C'era tutta la vallata ad aspettarci. Erano armati fino ai denti e ci riversarono addosso una pioggia di proiettili talmente improvvisa che due terzi delle perdite furono entro la prima mezz'ora dal nostro arrivo."
"Hai perso una ritirata?"
"No. La ordinai immediatamente e fu l'unico brandello di successo di quell'operazione." ammise "Ma al campo medico notammo che i più gravi avevano ferite diverse dal solito. Una sorta di schiuma solida aveva cauterizzato le loro ferite. La febbre saliva nel giro di ore e sulla pelle comparivano..."
"Delle strane macchie bianche" completò Corazòn, mentre il suo sguardo intercettava quelle di lei.
"Nessuno di loro era menzionato nei report. Contavano tutti come dispersi in azione. Io fui allontanata subito, facendo subentrare un superiore più competente. Liquidarono la vicenda come un errore di valutazione. Nel giro di una settimana il campo base fu smantellato, ma non vidi più nessuno dei feriti. Quel che è peggio è che, come vedi, il Piombo d'Ambra non uccide nel giro di giorni. Temo sia stato qualcos'altro a non farli tornare."
"E tu?"
"Nascosi i sintomi" rivelò "E iniziai a cercare negli archivi. Se non nei report, forse avrei trovato qualcosa nei documenti dei medici. O nelle sezioni private. Nella corrispondenza."
"Trovasti nulla?"
Artemis sembrò tornare in sé a quella domanda, concentrando improvvisamente lo sguardo. "No, niente su di loro." Concluse lapidaria, mentre Rocinante la sezionava con lo sguardo.
"Ma?"
"Che ma dovrebbe esserci?"
"Sei stata processata, no?"
Artemis roteò gli occhi, facendo per andarsene quasi con una certa rabbia "Non parlerò di questa storia."
"Perché Sengoku si espose così tanto per te?" chiese lui, congelandola.
"Sengoku?" Domandò, allontanandosi dalla porta per riavvicinarsi al suo interlocutore "Quindi é lui, la ragione di tutto questo? Tutte quelle tue attenzioni, il tuo volermi scavare dentro ad ogni cazzo di costo. Il sommo Sengoku non te l'ha detto, quindi devo farlo io?"
"So che c'entrano i Draghi Celesti e delle lettere personali." spiegò "E mio fratello da piccolo mi raccontava sempre la storia di quando i Marines rubarono qualcosa a Marijoa. I grandi dicevano si trattasse di un tesoro nazionale, lui sosteneva che fosse un bambino, un neonato. Avevo circa due anni quando accadde. Gli stessi che ci passiamo io e te."
"É un gran bel volo pindarico, il tuo." Lo accusò Artemis, con voce dura.
"E tu sembri nervosa."
"Perché non é roba di cui dovrei parlare." replicò velenosa "Fattelo spiegare da lui, magari ti dice anche che cazzo ci facciamo qui."
"Siamo qui per garantire il bene superiore. Lo sai."
"Un cazzo." replicò lei, soffocando un urlo in un sussurro e puntandogli contro un indice con fare minaccioso "Tu sei qui per il bene superiore, io sono solo una stronza che il governo ha mandato a morire."
"Allora perché non lo riveli al mondo? Perché non ti unisci davvero alla Family e ti prendi la vendetta che ti spetta?"
"Perché gli devo la vita, maledizione!"
Allora urlò davvero. E ringraziò il cielo che l'inutile potere di Rocinante avesse impedito all'intero castello di sentirla, mentre premeva le dita sulle labbra per sigillarle per sempre. Non aveva mai sentito quelle parole pronunciate ad alta voce. Sembravano avere un suono talmente strano.
Lui, nel frattempo, combatteva tra la stessa soddisfazione di un rompicapo risolto e la straniante sensazione di vedere quella specie di sociopatica piangere come una bambina.
Non disse una parola. Neppure il: "Lo sapevo" che scalpitava sul fondo della sua gola per venir pronunciato.
"Sei un figlio di puttana, Donquixote." Riuscì a formulare lei, sedendosi per riprendere fiato "Non volevo dirlo. Non dovevo. Non deve saperlo nessuno, nessuno al mondo, cazzo, capisci quanto é grave?!"
"Ti prego, dimmi il resto." la implorò, inginocchiandosi vicino a lei, come se non avesse sentito una parola, preso com'era "Ormai hai iniziato, no?"
Lei scuoteva la testa, oscillava così tanto che sembrava se la stesse svitando dal collo.
"Dimmelo, ti prego" la implorò ancora. "Sengoku é stato il mio mentore. Mi ricordo il periodo del processo, mi ricordo quanto ha sofferto e ora per la stessa ragione stai soffrendo anche tu. Ho bisogno di capire, solo così potrò aiutarvi."
"Tu non puoi aiutarci" singhiozzò Artemis, riuscendo appena a scrivere quelle parole in un labiale "E io non posso farti questo. Non posso metterti in un pericolo simile, non te lo meriti. Non é vero che sei un figlio di puttana: sei un uomo buono, Rocinante. Non ti meriti niente di tutto questo. Non meriti un fratello come Doflamingo, non meriti di dover aiutare un'ingrata come me, non meriti di soffrire. E, soprattutto, non meriti di sapere nulla su questa vicenda: ha portato solo dolore a chiunque fosse coinvolto. Ti prego, non farmi diventare quella che ti ci ha trascinato dentro. Non farmi questo."
A quelle parole, lui non poté fare a meno di distendere le labbra in un sorriso. Era talmente sincero e limpido da fare male, come un'incantevole pioggia di luccicanti frammenti di vetro.
"Che hai da ridere?" chiese, confusa e disabituata ad un modo di fare così innocente.
"É una bella cosa, quella che mi hai appena detto." ammise Rocinante, il volto ravvivato da un tocco di porpora "Non l'avevi mai fatto prima."
"Allora non mi ascolti? Vattene, dimenticati che quella storia sia mai successa." soffiò esausta, realizzando quanto si fossero avvicinati, scambiando quelle poche frasi. Sentiva il suo fiato infrangersi sui boccoli dorati di lui e sulle sue lunghe ciglia, mentre le sue labbra tremavano di esitazione
"Esci da quella porta e odiami, ti prego. Non voglio farti del male."
"Non mi farai niente" la rassicurò in un sussurro, stringendo le sue spalle in un abbraccio e oscillando piano "Vedi? Non mi fai niente. Non mi succederà niente, non andrò da nessuna parte. Tieniti i tuoi segreti, se ti servono tanto: il mio compito è coprirti le spalle e lo farò, senza chiedere altro. Non sei sola, Artemis."
La donna non combatté quel contatto.
All'inizio non capì nemmeno di cosa si trattasse, poi provò a ricambiarlo: sentì la densità del suo corpo occupare il vuoto tra le braccia e ogni muscolo cedere, ogni tendine liberare la tensione nello schiocco di una rottura.
Le pareva fossero passati secoli dall'ultimo abbraccio che aveva dato senza temere di finire pugnalata.
Quella consapevolezza la fece ricominciare a piangere più della promessa che l'aveva preceduta, silenziosamente, contro il ruvido tessuto a cuori della sua camicia.
Rocinante continuava a stringerla, posando il viso tra i capelli bianchi di lei, sussurrando come un mantra: "Non ti lascio."
Questa volta, però, non suonava come una minaccia.

-//-//-//-

"Non ha mai più insistito per sapere altro" rivelò Artemis "Si é sempre sentito tremendamente in colpa per i brandelli che mi ha strappato quella sera."
"Maledizione, era sveglio." sorrise Sengoku con malinconia.
"E bravo a far confessare" puntualizzò lei "Dopotutto, era una spia scelta. La gente sembrava dimenticarselo in continuazione. Era solo troppo buono, per quel lavoro."
"Mi dispiace" concluse l'uomo dopo un breve silenzio "Mi dispiace per tutto. Se non fossi stato troppo egoista per lasciarti ad Artoj, immagino avreste avuto entrambi una vita molto diversa."
"Ma non l'avrei conosciuto." puntualizzò Artemis "Nè Law. Nè gli Heart. Avrei perso tutto ciò che abbia reso la mia vita degna di essere vissuta. Ciò che è stato non può essere riscritto, credetemi, ci ho provato. Non ho potuto fare altro che imparare ad amare l'eredità del suo sacrificio e sono disposta a fare qualunque cosa per difendere quello che resta."
Sengoku sospirò, trattenendosi dal cercare di accarezzare il volto di sua figlia con la grande mano ruvida. Per la prima volta, gli sembrò di capire la cocciutaggine di Garp nel difendere quei criminali dei suoi nipoti, anche a costo di sfumare i confini della giustizia.
C'era tanto di sé, in quella pirata. Abbastanza da fargli desiderare di sapere tutto di lei. Il suo piatto preferito, il suo libro preferito, cosa la rendeva felice e cosa amava fare nei pomeriggi di pioggia. Avrebbe pagato a peso d'oro tutti quei dettagli banali che la foga dei conflitti gli aveva sempre strappato. Avrebbe dato l'impossibile per poterli condividere con lei.
"E poi, anche io ho dei rimpianti. Mi dispiace per l'odio che ho provato." gracchiò Artemis, attraverso una voce appena spezzata "Ho sempre creduto che foste stato debole con mia madre, invece sono stata io ad essere cieca e presuntuosa. Mi dispiace."
"Non potevi immaginare. Dal canto mio, avrei preferito tenermi quell'odio." commentò, alzandosi e cercando di memorizzare ogni dettaglio di lei "Meritavi di meglio, figlia mia. Meritavi il meglio."
"Parlate come se non dovessimo vederci mai più" notò lei.
"Dubito che avrò altro modo di avvicinarmi. Ana ti controlla a vista e questi palazzi sono delle fortezze."
"Ma siete un Grand'Ammiraglio. La vostra parola dovrà pur contare qualcosa."
"Lo ero" mormorò l'uomo "Il mio mandato si è convenientemente concluso pochi giorni fa. Akainu ha preso il mio posto e ha già accettato che tu sconti la pena per i tuoi reati qui a Marijoa, legittimando la tua presenza. Temo che, se riusciremo a rivederci, sarà perché sei una donna libera."
"Allora dubito ci rivedremo mai." Rise amara lei "Per quel che vale, grazie per averci provato."
Lui sorrise appena, incurvando i grandi baffi neri e calandosi il frontino del suo cappello sul viso. Lo osservò allontanarsi nella sua sagoma bianca, con le mostrine colorate sul petto a tratti nascoste dal mantello.
In un gesto della sua mano, ad Artemis parve di scorgere l'umida luce riflessa di una lacrima.

Mjosgard seguì con lo sguardo la figura di Sengoku attraversare silenziosamente la biblioteca come un fantasma. Poco dopo, Artemis fece lo stesso percorso, deviando verso il tavolo e accasciandosi con un sospiro.
"Ahi ahi, signorina Artemisa" sospirò, avvicinandole una tazza di camomilla che lei fissò con sospetto "Credo che questa vi sarà utile."
"È corretta con qualcosa?" domandò.
"Solo un po' di miele. Mi dispiace deludervi."
La donna scrollò le spalle e ne bevve un sorso, mentre Mjosgard si allontanava dal tavolo per dirigersi al pianoforte.
"Qualche richiesta, madame?" chiese sorridendo, mentre le note iniziavano a fluire dalla cassa di risonanza.
"Forse solo una" avanzò Artemis, allungando lo sguardo per osservare ipnotizzata il movimento morbido delle mani sui tasti.
"Dica pure, sono tutt'orecchi."
"Conoscete Il Liquore di Binks?"
Le dita di Mjosgard incespicarono appena, riprendendo presto il pigro ritmo perduto.
"É una richiesta insolita, da queste parti" rivelò a mezza voce, stirando le labbra "Credo che a qualcuno potrebbe non fare piacere"
Ad Artemis sbocciò un'espressione amara sul volto stanco "Ma certo" rispose pacata "é stato stupido chiedervelo, perdonatemi."
"Sarebbe crudele definirlo stupido" rise appena lui, mentre le note risalivano un'ottava dopo l'altra "Credo significhi che avete ancora speranza. É un dono inestimabile, quello che conservate."
La melodia era ora inconfondibile, così tanto che le parole presero a filare spontaneamente tra le labbra della donna.
"Vento in poppa arriverò e glielo consegnerò" canticchiò a mezza voce, con la testa appoggiata sugli avambracci, sul tavolo della biblioteca "Tutti insieme lo berrem e poi ci divertirem. Quando il sole cala già, gran festa si farà"
Un mare di ricordi sembrò condensarsi in una lamina umida tra le ciglia inferiori di Artemis. Quando Mjosgard si accingeva a chiudere la canzone, la donna aveva smesso di cantare: i suoi occhi erano chiusi e le labbra contratte in un timido sorriso.

-//-//-//-

"Sai anche suonare, adesso?"
Corazòn sobbalzò e stonò, distinguendo nella penombra una sagoma, gettata sul divanetto in fondo al salone.
"Un giorno di questi mi farai venire un colpo, accidenti!" borbottò, allungandosi sullo sgabello del pianoforte per guardarla, mentre una risata le scuoteva appena le costole come un soffio di vento. "Da quanto sei qui?"
"Una mezz'ora, credo." spiegò lei, appena stropicciata da un sonnellino recente "Tanto sono tutti presi a consolidare la posizione o cose così. Con il malore, non mi fanno alzare nemmeno uno spillo. Tu che ci fai qui?"
"Ho intravisto questo piano un paio di giorni fa e mi ha fatto venire voglia di suonare" rivelò candidamente "Dofli non chiede il mio intervento tanto quanto faceva con te, nemmeno in una situazione simile."
"Facciamo passi indietro, eh?" sospirò la donna, giocando distrattamente con una ciocca di capelli e perdendosi nei decori di un soffitto estraneo. "É buffo, non mi importa nemmeno più."
Un silenzio denso e ruvido calò nella stanza.
"Che suonavi?" Domandò Artemis per porvi rimedio.
"Non riconosci la miglior canzone di sempre?"
"Hai suonato tre note di cui due sbagliate" rise appena lei.
"Beh, dovrebbero bastarti." replicò accigliato, mentre riprendeva a suonare "Piccolo indizio: é una canzone da pirati."
"Drunken sailor?"
"No, no, come fai a confondere Il Liquore di Binks con Drunken Sailor?!"
"Mi perdoni, signor Orecchio Assoluto." sbottò Artemis, colma di sarcasmo.
"No, niente perdono stavolta: sono offeso. Dovrai guadagnartelo, se proprio ci tieni."
"E come, sentiamo?" chiese la donna sollevandosi sui gomiti, intercettando le palpebre chiuse di lui.
"Po-tres-ti-can-ta-re" la invitò, canticchiando egli stesso.
"Ma non so farlo!"
"Fa-lo-stes-so."
Artemis gli riservò un'occhiata dubbiosa, a cui lui replicò con un lieve cenno d'assenso del capo.
"Porto il liquore a Binks, fino a quando chi lo sa? Ma pensarci non mi va e non smetto di cantar, la canzone che io so e che mai mi scorderò! Viva Binks e il suo liquor, d'amore un elisir!"
Corazòn intonò le ultime note con una certa soddisfazione, infine le sorrise.
"Per fortuna sei più brava con la falce che con la voce." concluse senza fare complimenti.
"Per fortuna?!" gli fece eco "Ma se hai insistito tu per questa pagliaccia-"
La donna si zittì in un secondo, lanciandosi in avanti dal suo divanetto per coprire la bocca del suo pianista.
Pochi istanti dopo, i due riconobbero le voci di Diamante e Trebol, come misteriose minacce da un regno lontano. Borbottavano tra loro, ignari di quanto vicini fossero a una bomba carica e armata.
Le loro ombre oscurarono per un battito di ciglia la luce che dal corridoio filtrava nella stanza semibuia, infine si allontanarono, lasciando dietro di loro un Rocinante decisamente imbarazzato dall'insignificante distanza tra il suo corpo e quello di Artemis, che non accennava ad abbassare la guardia. Riusciva a sentire le note agrumate del suo profumo, a vedere l'ondulazione regolare delle clavicole e gli impercettibili movimenti dei suoi capelli, sospinti da un respiro accelerato.
"Se ne sono andati" concluse lei, dopo un tempo che avrebbe permesso agli altri di fare il giro del mondo.
Quando realizzò quanto si fossero avvicinati nella foga del momento, la donna non potè fare a meno di arrossire violentemente a sua volta.
"C-c'è mancato poco" balbettò, scendendo dalle gambe di Corazòn e sistemando la crinolina delle sue gonne con cura sospetta. "Dobbiamo stare più attenti, non possiamo permetterci distrazioni simili."
"Forse é meglio che io me ne vada" concluse lui, mentre Artemis annuiva appena alle sue parole.
"Io invece resto qui. Immagino che tuo fratello verrà presto a cercarmi, fingerò di aver dormito tutto il tempo."
"Stai attenta", si premurò, afferrandole con gentilezza le punte delle dita, facendole sollevare lo sguardo vacuo.
"Anche tu." Mormorò la donna. Prendendo un piccolo slancio, Artemis poggiò lievemente la mano sulla guancia destra di lui e la bocca su quella sinistra, lasciando un bacio sui disegni rossi che gli attraversavano il viso.
Quel lieve accostamento di labbra e pelle pietrificò entrambi, lasciandoli senza una parola da dire, percorsi dalla sottile elettricità che si irradiava dal punto di contatto.
"Mi dispiace." riuscì a sibilare la donna in risposta, guardando ovunque pur di non intercettare il volto davanti a lei "Mi dispiace, non so cosa mi sia preso."
"Sarà stato il Liquore di Binks" la prese in giro lui, chinandosi appena per porsi alla sua altezza. Una volta che riuscì a riagganciare le iridi antracite di lei, ebbe un calcio di quella innegabile sfacciataggine che solo il gene dei Donquixote poteva avergli conferito: lasciò scorrere le dita tra le ciocche corte e nuove sulla nuca di Artemis e appoggiò le labbra sulle sue, in un contatto talmente casto e leggero che non avrebbe nemmeno dovuto sforzarsi per allontanarlo.
Ma, in ogni caso, lei non lo fece.
Rimase pietrificata dal suono assordante delle sue stesse palpitazioni, una granata stordente vigliaccamente lanciata sotto i suoi piedi e che le aveva levato gambe, testa, vista, udito. Era tutto assorbito da quel lieve tocco, l'universo intero sembrava avere il gusto cipriato del suo rossetto e la temperatura della sua pelle.
Quando lui fece per scostarsi, riuscì a sentire le sue parole come attraverso il filtro di un sogno.
"Dovresti lavorare sulla mira." Le aveva raccomandato scherzando "Canto e mira, non è difficile. Hai molto margine di miglioramento."
Lo vide uscire, capì che l'aveva fatto solo per la variazione di luce nel quadro della porta. Forse si era anche voltato indietro un'ultima volta, forse aveva riso ancora nel vedere sul viso della Reina Blanca una porpora degna di una ragazzina, ma Artemis non avrebbe saputo dirlo con certezza.
Come un'automa, lei tornò al suo divanetto e vi crollò sopra.
Con ancora il corpo pervaso da quell'ondata di ossitocina, percepì a stento l'ingresso di Doflamingo dall'altro capo del salone, mentre il suo cervello non poteva fare a meno di rimacinare gli ultimi eventi, sussurrandole subdolamente di quanto quell'errore le sarebbe costato.

 

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Capitolo 19
*** Playfair ***


Capitolo 17 : Playfair 

Ana leggeva il giornale con interesse, nella calma del suo studio.
Non che fosse sua abitudine farlo, ma quel giorno in particolare era quasi certa che sua figlia stesse facendo altrettanto: non aveva avuto alcun dubbio al riguardo fin dal primo istante in cui i suoi occhi si erano posati sul titolo a grandi caratteri pece.
La notizia principale riguardava nientemeno che i recenti disordini nei pressi del sito interdetto di Punk Hazard.
Voci non confermate menzionavano l'intera ciurma di Cappello di Paglia e Trafalgar Law in persona tra le entità coinvolte, al punto che si stava già vagliando l'ipotesi di revocare a quest'ultimo il titolo di Shichibukai.
Proprio per questo aveva convocato Tamatoa appena avesse potuto, in modo da accertarsi che non ci fossero stati atteggiamenti strani da parte della sua protetta.
La donna non tardò a rispondere alla chiamata ed entrò silenziosamente nello studio di Sant'Ana solo pochi minuti dopo.
La nobile abbassò delicatamente le lenti fine e squadrate dei suoi occhiali, intercettando il volto spigoloso di lei.
"Come procede?" chiese, senza preamboli.
"La signorina Artemisa è tranquilla." dichiarò Tamatoa, adagiando una mano sull'altra davanti al suo ventre con fare posato "La situazione sembra essersi notevolmente semplificata, rispetto ai mesi precedenti. Credo sia entrata in una fase di accettazione.
Legge incessantemente e spaziando tra una quantità tale di argomenti che mi è difficile seguirla. Passa dalla geografia alla meccanica, studia trattati di filosofia, libri di fiabe e vecchi standard di comunicazione. La sua predilezione, tuttavia, sembra essere l'elettronica. L'altro giorno l'ufficio tributi accanto alla biblioteca aveva problemi con alcuni dei lumacofoni ed è intervenuta per assisterli."
L'ultima dichiarazione parve accendere un barlume di interesse nei sottili occhi di Sant'Ana. "Ha comunicato con l'esterno?" chiese, come se si trattasse di una blasfemia.
"No, ha lasciato ogni contatto in mano agli impiegati." chiarì la dama "Durante le operazioni ha rinvenuto una vecchia stazione di ricezione, tra ieri e ieri l'altro ha cercato di sistemarla e collegarla alle frequenze dei notiziari. Dice che così non le serviranno più i giornali."
"Assicurati che sia solo un dispositivo di ricezione." Si premurò "Se avessi dubbi, non esitare a richiedere un'analisi."
"Non temete, é già stato sottoposto a controllo: é tutto regolare."
"E quelle sue... crisi?"
Tamatoa sospirò, ricacciando una ciocca corvina dietro le orecchie.
"Ha ancora una forte tendenza ad alienarsi, mentre si occupa delle sue materie." disse "Tuttavia ha acquisito un ritmo sonno-veglia più regolare, anche se non sembra voler prendere l'abitudine di fermarsi per mangiare: spesso continua a studiare anche con il piatto davanti."
"Sono stati necessari altri calmanti?"
"Sempre meno spesso, fortunatamente."
"Ha avuto rimostranze?"
"No, nessuna. Si é lamentata solo quando ha terminato le letture nelle sezioni di suo interesse. Per compensare, ha chiesto un'introduzione al rammendo, che esercita solo sotto la mia personale supervisione, e ha preso ad analizzare anche gli archivi. Come le dicevo, non ha quasi altro scopo al di fuori dei suoi studi. L'unica eccezione pare essere Saint Mjosgard."
"Mjosgard?" le fece eco Ana con una nota di sorpresa, puntandole di nuovo addosso quei suoi occhi gelidi. "Elabora."
"Parlano molto. È l'unica persona con cui l'abbia vista scambiare più parole del necessario."
"Ci ha fatto... amicizia?" L'esitazione su quella definizione fu accompagnata da un'espressione di disgusto mista a scetticismo.
"Non userei un termine simile. Ma hanno sviluppato un'intensa collaborazione intellettuale. Credo che l'interesse di Artemis per le materie umanistiche sia volta ad avere argomenti di conversazione in comune."
"Altri eventi degni di nota? Reazioni insolite al giornale di oggi?"
La donna scosse il capo.
"L'ha a stento preso in mano. Diceva di voler finire una traduzione iniziata ieri. Non ha neppure acceso la radio."
"Allora torna da lei." La invitò la nobile "Non vorrei darle troppo tempo."
Tamatoa inclinò appena il busto in una reverenza silenziosa e abbandonò la stanza con falcate ampie e veloci, come se il demone del dubbio insinuatole da Sant'ana rischiasse di morderle i talloni.

"Sembrate molto presa, Artemisa" Commentò Mjosgard dal suo pianoforte, notando la velocità appena più marcata delle matite sui fogli "Niente radio, oggi?"
"No, non é giornata." Concluse lei, scrivendo rapida lettere su lettere in grafite luccicante, che si adagiava sul lato della sua mano come un guanto d'argento. "Preferisco tenere la mente piena."
"Ma come farete a guidarli?"
Quella domanda non aveva mancato di massacrarle le tempie un solo giorno, in quegli ultimi mesi.
Non aveva, alla realtà dei fatti, alcun modo per guidare i suoi figliocci, né Law né la ciurma a Zou. Poteva solo riservare loro una fiducia assoluta, cieca e irrazionale, contraria ad ogni sano principio di buonsenso. Quella fede era la sua unica arma e per fare sì che potesse ardere, non poteva far altro che soffocare i suoi fondati timori in un mare di lavoro talmente fitto da dimenticare perché lo stesse facendo.
"Caspita, che maestria! Io non ci riuscirei mai." esclamò Mjosgard, seguendo lo sguardo di Artemis che passava da un foglio di brutta copia a uno dei tanti libri della biblioteca, tornare al foglio di brutta e trascrivere rapidamente lettere a manciate su un terzo taccuino.
"È solo abitudine" mugugnò lei con fare concentrato, senza cedere di un battito.
WA. NO. KU. NI.
"Il difficile era trovare algoritmo e chiave. Ma i rapporti dei Marines usano password standardizzate e non più di una decina di algoritmi, anche questi sempre gli stessi. Con così tanta gente da coordinare, cambiare le regole è complicato.
Le chiavi solitamente erano combinazioni di luoghi e date. Questo algoritmo è solo alfabetico e, dato il fascicolo in cui era, il luogo non poteva essere che Wano Kuni. La vera domanda è cosa ci faccia qui una copia cifrata di un documento tanto personale."
Una parola dopo l'altra, le memorie di un vecchio samurai di quel regno lontano si dischiudevano davanti a lei.
Parlava di leggende del calibro di Barbabianca e di Gol D. Roger come fossero suoi vecchi amici, di quanto quelle persone e quei luoghi fossero diversi dalla sua terra, di quanto i confini di Wano avessero un bisogno disperato di essere aperti. Di quanta fame del mondo avesse e di quanto temeva che la sua assenza sarebbe stata una rovina, per tutta quella gente che vedeva in lui il leader che non voleva essere.
"Perché tanta attenzione per il diario di Kozuki Oden?" chiese Mjosgard, che l'aveva vista scervellarsi per giorni su quel singolo, striminzito rapporto. "Volete scoprire se contiene i segreti del One Piece?"
"Temo sarebbe chiedere troppo" rivelò Artemis "ma Wano è uno dei grandi misteri del mondo, conoscere qualcosa al riguardo sarebbe una ricompensa sufficiente. Tuttavia, finora questo diario mi ha molto delusa: parla di persone, di viaggi, ma raramente menziona casa sua, se non esprimendo il desiderio di aprirne i confini. Non apporta nulla di nuovo, sono informazioni a cui si arriva con qualche ricerca storica. In realtà, ho qualche dubbio sulla natura di questo manoscritto: sembra che alcuni passaggi siano totalmente mancanti, in alcune date fa riferimento a eventi di giorni precedenti che non ho letto. Temo sia stato censurato nella fase di cifratura."
"Oh no, niente di tutto questo" raccontò Mjosgard "Da che ricordo, i marines fecero del loro meglio per trascrivere il più possibile, ma quando scoprirono che Oden rivoleva il suo diario dovettero omettere molti passaggi. Questo é ciò che sono riusciti a trascrivere in fretta e furia dall'originale prima che il proprietario se lo riprendesse.
Fu cifrato con tutte le altre prove del suo fascicolo e archiviato alla sua morte, ma sono certo che questo lo sapete già. In effetti, non mi é difficile immaginare da dove venga la vostra familiarità con la crittografia." commentò l'uomo con fare esperto, a sminuire la smorfia infelice sul volto di lei, che chiuse il discorso con un deluso: "Una volta ero più brava."

-//-//-//-

Artemis nascose i fogli uno sotto all'altro con una fretta imprecisa, rendendo vano ogni tentativo di far sparire le tracce del suo lavoro.
Le mani dell'uomo che aveva fatto irruzione nella sua stanza l'afferrarono per le spalle, voltandola verso di sè.
"Cosa stai facendo, De la Rose?" chiese ansimando, mentre la sua angoscia la inondava come per osmosi.
Lei non seppe rispondere, troppo confusa dalla reazione di chi l'avrebbe trascinata allo scoperto e, più probabilmente, condannata a morte per quella pila disordinata di carte.
Non era infuriato, né deluso, non aveva un'aria accusatoria.
Sengoku era disperato. Era spaventato come un bambino e, oltre gli occhiali a pinza, i suoi occhi trasudavano una fragilità che mal si abbinava ai simboli d'onore sul suo petto.
"La Lead Valley" riuscì a formulare la ragazzina "Volevo cercare cosa fosse successo, se qualcuno poteva saperlo non potevate essere che voi. Ho preso queste lettere in fretta e furia, dopo aver sentito dei passi dietro di me."
"Come hai superato le misure di sicurezza?" chiese il Grand'Ammiraglio, stupito nel vedere quanta della sua corrispondenza privata giaceva sul tavolo "Erano in un'area sorvegliata, in una cassaforte a combinazione."
"Con tutto il rispetto, signore, me l'avete insegnato voi." mormorò Artemis, distogliendo lo sguardo e fissando l'orlo ciano del fazzoletto di una divisa conquistata troppo in fretta "Riuscire ad entrare in un'area riservata fa parte del mio lavoro, così come saper cifrare e decifrare messaggi."
"Stavi già lavorando a decifrarli?" domandò Sengoku, riconoscendo schemi di lettere disposte in quadrati filtrare tra le falangi tremanti di lei. "Ci vorrebbero settimane, se non mesi, senza avere piste."
"In realtà ho capito fosse un algoritmo a blocchi notando il lieve scostamento regolare delle lettere. E se la corrispondenza é stata conservata, doveva per forza esserci un modo di riottenere la chiave dal solo contenuto del foglio, dato che sarebbe stato imprudente sfruttare sempre la stessa. Ho notato che alcuni caratteri avevano un serif leggermente diverso e ho provato ad applicarli, tutto qui."
L'uomo la scrutò con stupore, le labbra lievemente socchiuse e gli occhi resi appena vitrei da un'espressione d'incredulità. Quando si riprese, si passò con forza le mani sul volto, accartocciandosi sull'orlo della branda, mentre Artemis restava a fissarlo pietrificata dalla sua scrivania, una mano ancora sui fogli per proteggerli.
"Ma non c'era niente sulla Lead Valley. O almeno, niente che io abbia già decifrato. Alcune lettere le ho accantonate subito, ma altre hanno rallentato il lavoro. Non ho potuto ignorarle: ho decifrato il nome della mia isola e temevo fosse successo qualcosa di irreparabile. Andando avanti ho scoperto che si trattava di aggiornamenti su sua figlia e sulla necessità di nasconderla da una donna chiamata Santana. Ho scoperto che la bambina aveva fatto molte cose che avevo fatto anche io. Aveva partecipato a una recita scolastica insieme a me, aveva avuto il morbillo quando l'ho avuto anche io, compiva gli anni nel mio stesso giorno. E tutte le lettere erano firmate RDR, le iniziali di mio padre."
Il silenzio della stanza era scandito solo dal violento tic dell'uomo, il cui tallone sinistro picchiava forte, ritmicamente, sull'anonimo scendiletto grigio della stanza del comandante.
"Se questo è una specie di test, la pregherei di sospenderlo." Dichiarò Artemis con tutta la fermezza che la soglia delle lacrime poteva concederle. Stringeva i pugni contro il fianco fino a far sbiancare le nocche, ma non bastava a darle neppure un briciolo della forza che le serviva.
"Non è un test." Rivelò Sengoku, senza sollevare il volto dal palmo delle sue mani "È la verità: sei mia figlia." Ammise.
Nel silenzio del dormitorio deserto, ad Artemis parve di sentire il suono del sangue scavare il suo percorso attraverso il corpo, denso come il piombo e altrettanto pesante.
"E non avete altre parole per giustificare tutto questo?"
"Speravo che non avrei mai dovuto farlo." Dichiarò l'uomo, alzandosi e cambiando istantaneamente l'aura che emanava. C'era risolutezza nelle ombre sul suo volto e lei parve accorgersi solo in quel momento di quanto suo padre la superasse in stazza.
"Ora, Artemis, tu dovrai sparire."
Quella sola frase trasformò il piombo in mercurio. Lo fece gocciolare dalle vene, abbandonare il cervello per radunarsi nello stomaco e sulle gambe, in una reazione di attacco o fuga che non prendeva il combattimento neppure in remota considerazione.
"Pensate che i miei uomini non si chiederanno che fine ho fatto?" chiese lei, la gola riarsa da una paura profonda che condensava ogni sensazione in un fischio nelle sue orecchie.
"Non potrei mai fare il tuo male." Replicò lui inginocchiandosi per essere all'altezza di sua figlia, senza riuscire minimamente a nascondere quanto quell'insinuazione lo avesse ferito. "Ma altri sì. È per questo che è necessario che tu sparisca: dobbiamo cancellare ogni traccia delle tue scoperte. La notizia di un'intrusione sarà già arrivata agli Ammiragli e alla Commissione Disciplinare, ma forse riusciremo a nascondere delle lettere."
"Io... Io non capisco."
"Io devo sostenere l'accusa." scandì con chiarezza, guidandola attraverso il panico che le bruciava i sensi "Se mi tirassi indietro sarebbe chiaro che nascondiamo qualcosa e tu saresti in un pericolo da cui nessuno al mondo potrebbe salvarti. I Cinque Astri di Saggezza ti hanno convocata, sanno tutto, é vero, ma nell'interesse di Sant'Ana non parleranno. Tuttavia, se le sfere più basse non vedessero provvedimenti sarebbe come ammettere ogni cosa. Puoi fidarti di me? Puoi credere che farò tutto ciò che é in mio potere per portarti lontana da qui e da chiunque voglia farti del male?"
Le mani di lei tremavano nel grande involucro di quelle di suo padre. Sembrava che non ci fossero due atomi disposti a stare fermi in quella figura minuta, i muscoli vibranti di una paura annichilente, fatta di ombre che riusciva a stento a immaginare, e sfiancati dall'improvviso peso di quella realtà.
"Che scelta ho?"
"Nessuna, temo." Ammise l'uomo, sollevandole il mento come si fa ai cadetti fin dal primo giorno di addestramento. L'ossatura di lei rispose meccanicamente a quel semplice stimolo, impostando una posizione di attenti quasi inconscia "Ho bisogno che sia forte, Comandante De La Rose. Ho bisogno che sia forte per farla uscire da qui. Pensa di riuscirci?"
"Certamente, Grand'Ammiraglio." annuì lei, con la sua solita precisione marziale, ricacciando un nodo alle corde vocali che fece suonare quella risposta come un vinile graffiato.

-//-//-//-

"Ascoltate le parole di questo vecchio pazzo", la invitò Mjosgard, posandole una mano su una spalla con fare paterno "Prendete una boccata d'aria. Uscite. Fatevi del bene, a maggior ragione se quest'oggi é una giornata complessa come dite."
Artemis annuì con poca convinzione, staccando la matita dal foglio ma operando sulle sue conversioni a mente.
"Vado a pranzo, tornerò come sempre dopo il mio sonnellino pomeridiano." La rassicurò con un sorriso e un cenno, già dirigendosi verso la porta "Se per allora non avrete fatto una passeggiata, sappiate che vi trascinerò di peso, parola mia."
Durante la breve dichiarazione d'intenti di Mjosgard, Tamatoa rientrò, riprendendo il suo posto sotto la finestra, non prima di aver dovuto fare i conti con un'eloquente espressione dell'uomo a rimarcare il palese buonsenso delle sue parole.

Ana non nascose neppure il suo disappunto, quando l'alta figura si affacciò al suo studio, bussando sul telaio della porta e rivolgendole un sorriso sornione.
"Per favore, non ti fermeresti nemmeno se ti cacciassi" sbuffò lei "a cosa devo il disturbo?"
"Non posso visitare una vecchia amica?" rise Doflamingo, avanzando con la sua postura ricurva. Senza fare complimenti, trascinò una delle belle sedie per accomodarsi, poggiando la caviglia sopra il ginocchio sinistro in una posa fin troppo rilassata.
"Mi mancava l'aria di questo posto" inspirò con fare teatrale.
"Non hai risposto." Gli fece notare la padrona di casa, accigliata.
"Dovevo spargere un po' di voci" si stiracchiò, allungando lo sguardo sul giornale ripiegato sulla scrivania della donna "Sai no, pubbliche relazioni, cose noiose del genere. Ma non parliamo di me, piuttosto dimmi: come sta la mia nobile preferita, mh? Come sta la mia garanzia?"
"Occupata." ringhiò lei stringata, ricacciando il reflusso che quei nomignoli le davano.
"Occupata? E da quando hai da fare?" sghignazzò l'altro, cercando altri pezzi di quel puzzle iniziato per non cedere ai convenevoli. Ne trovò uno sotto un bicchiere di vetro. L'aveva ignorato perchè a prima vista gli era parso un comune bicchiere, usato per bere e dimenticato o tenuto lì capovolto per ogni evenienza. Ma il pezzo di carta sotto di esso si agitava come mosso da un forte vento, trascinato verso una sola direzione come l'ago di una bussola. Riconobbe a colpo d'occhio il nome scritto sopra. "E soprattutto, da quando nei tuoi affari c'entra Trafalgar Law?"
Quella domanda la pietrificò, spingendola istintivamente ad allontanare la vivre card da lui, mentre osservava la sua espressione soddisfatta spaccargli il volto come una faglia.
"Lei è qui, vero?" chiese Doflamingo sottovoce, ma estatico "Il Tesoro Nazionale. Scommetto che ora ti somiglia ancora di più: ha sempre avuto così tanto di te che non ho mai capito chi fosse il padre."
"Non sono affari tuoi." soffiò la donna, livida in volto, con ancora la mano artigliata sul recipiente.
"Certo che lo sono, mia cara Ana." ghignò, nascondendosi dietro a una muraglia di disgustosi vezzeggiativi "Il nostro piccolo segreto è affare mio quanto tuo. E poi, l'ho quasi sposata, ricordi?"
Un vago, sepolto istinto materno la spinse a pensare che solo un dio benevolo potesse aver fatto in modo che ci fosse un quasi in quella frase agghiacciante. O forse, più probabilmente, era solo il sollievo di non doverlo chiamare genero.
"Toglimi una curiosità: dove l'hai trovata?" Incalzò ancora lui "Perché un'idea ce l'avrei, ma non ho fatto in tempo a verificarla: il moccioso a Punk Hazard è arrivato solo."
"Vattene." gli intimò Ana "Non hai più pretese da avanzare su Artemisa. Fai quel che devi fare e lascia Marijoa."
"Sicuro." replicò, facendosi indietro col busto, vagamente offeso "Non preoccuparti, conosco la strada. Ma tu sorridi un po' o ti riempirai di rughe."
Con quell'ultima, sarcastica raccomandazione, l'uomo si alzò in assoluto silenzio dalla sua postazione. Lo sguardo tagliente di Sant'Ana lo seguì lungo il corridoio e da lì fino a che non sparì dietro a una svolta che conduceva all'esterno.

-//-//-//-

"Passaggi segreti?! Adesso mi stai prendendo in giro!" sbottò Artemis, vagamente risentita.
"Assolutamente no" rise Doflamingo, carezzandole i capelli sparsi sulle sue ginocchia "Chiedilo a Rocinante, se non mi credi: quando eravamo piccoli li conoscevamo come il palmo delle nostre mani. Credo che me la caverei ancora oggi."
"E dove portavano, questi passaggi?" chiese interessata, come ogni volta in cui potesse scoprire qualche frammento della sua vita precedente.
"Ovunque!" spiegò lui, gli occhi appena più lucidi dietro le sue lenti a specchio "Dalle camere blindate alle cucine, dalle torri ai sotterranei. Ma ce n'è uno che credo ti piacerebbe molto."
"Quale?"
"Parte dai giardini, sotto una statua del labirinto, ad est." prese a raccontare lui, tracciando una mappa invisibile sopra la testa della sua donna "Attraversa tutto il palazzo, sale scale, ne scende altre e poi termina con una grande parete di legno. Da lì, attivando un meccanismo a pressione, si sbuca dietro un enorme scaffale della Biblioteca."
"La Biblioteca di Marijoa?!" Esclamò rapita.
"Ti avevo detto che ti sarebbe piaciuto." sorrise compiaciuto Doflamingo "É la più grande, la più bella di tutta la Grand Line. Ci sono scritti dal valore inestimabile, le prime copie dei libri più letti del mondo e testi cifrati misteriosi. Persino tu potresti perderti."
"Avrei dovuto provare a entrare, quando ti hanno nominato Shichibukai" si rammaricò Artemis, mettendosi a sedere sulle lenzuola ferite da un sole già alto "Mi sarebbe piaciuto dare almeno un'occhiata a un posto simile."
"Perché accontentarsi?" avanzò lui, tracciando i contorni dei muscoli sulla sua schiena "Sarà tutta tua, quando ci riprenderemo la Terra dei Santi."
"Non starai sognando troppo in grande?" lo prese in giro, nascondendo dietro la spalla un sorriso rassegnato.
"Sognare in piccolo mi avrebbe reso Shichibukai? Ci avrebbe restituito Dressrosa? Avrebbe fatto di noi la Family che siamo?"
"Touché!" alzò le mani Artemis "Ma ora ci conviene alzarci, altrimenti inizieranno a chiedersi che fine abbiamo fatto. Non ho intenzione di litigare ancora con Diamante: gli ho spiegato troppe volte che non avrà il suo Piccolo Signorino finché questo anulare non avrà un anello."
Osservandola alzarsi e continuare a ridere e gesticolare con la mano sinistra nella luce soffusa della stanza, Doflamingo si ritrovò senza parole, dolcemente spiazzato da quel non-problema.
"Ma a questo si può rimediare facilmente." concluse, seguendola per abbracciarla. Chiuse gli occhi, percependo la struttura minuta di lei tra le sue braccia. Non era mai stato il tipo da prendere simili ipotesi in considerazione. Non aveva mai sentito il bisogno di formalizzare i legami nella sua famiglia, la fedeltà reciproca era sempre stato un collante sufficiente. Per anni interi aveva anche pensato che il matrimonio non fosse cosa per lui, escludendolo dai suoi piani come un ninnolo superfluo e immeritato. Ma erano pensieri fatti prima di conoscere la donna dipinta di bianco, prima che il suono della sua voce diventasse un bisogno. Per questo si sorprese di sé stesso, quando realizzò di non sapere quali fossero le parole giuste in una dichiarazione del genere.
"Artemis de la Rose." improvvisò, mentre il sorriso sulle labbra della sua donna si scioglieva come neve al sole dinanzi a quel tono solenne "Mi Reina. Mi Corazón. Mi vida. Vuoi diventare mia moglie?"

 

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Capitolo 20
*** Fede ***


Capitolo 18: Fede

"Buon pomeriggio Mjosgard" salutò Artemis distrattamente, dando le spalle alla porta per dedicarsi a un'ampia mappa sotto le sue dita. "Tamatoa é appena andata a preparare il té, ho pensato di farne fare una tazza anche per voi. E ho fatto quella passeggiata, ma ho ottenuto solo uno slittamento di 30 minuti sulla tabella di marcia. Per fortuna, li ho già ammortati a 20."
Che non fosse un buon pomeriggio, lo capì dal ritardo della risposta: quando il suo cervello realizzò quei decimi di secondo di troppo, era già tardi.
I polsi e il collo le pesavano, come se i tendini si fossero anchilosati. Poi una zaffata di profumo la investì, insieme a un respiro familiare.
Da soli, ricostruirono una torre di ricordi direttamente dalle sue ceneri. La riportarono in isole lontane, le fecero sentire il tocco ruvido del tulle e quello morbido delle piume: le stesse che ora le solleticavano le braccia, diffondendo orrore ovunque si spingessero i suoi nervi.
"Donquixote sbagliato" cantilenò appena la figura alle sue spalle, tracciando la linea del trapezio con i polpastrelli come fosse fatta di creta. "Ma accetto volentieri l'invito: non credere che io abbia meno voglia di vederti, colombina."
"Come puoi essere qui?" soffiò Artemis, attraverso dei polmoni che non collaboravano. Non poteva essere che un'allucinazione, era la sola spiegazione che riusciva a darsi.
Eppure lo sentì così reale, quando si chinò verso il suo orecchio, senza far cedere di un millimetro i fili che le impedivano di reagire.
"Dovresti dirmelo tu, non credi?" Rise sardonico, mentre Artemis notava le dita di lui maneggiare l'Ito-Ito attraverso i suoi nervi.
Dita sottili, raffinate, niente a che vedere con il sangue che le macchiava. Dei Donquixote aveva preso solo il meglio, la stessa benedizione che era toccata a Rocinante. Per il marcio, invece, ci aveva pensato da sé.
"Una maniaca del controllo come te non avrà certo lasciato al caso il progetto per la mia deposizione. Scommetto che conosci il piano di Law a menadito, sempre che sia davvero il suo." Bisbigliò sicuro, certo di avere il copione già in mano, le battute apprese.
Dio, quante volte l'aveva vista provare? Quante volte le aveva visto costruire il suo personaggio, le sue macchiavelliche trame. Quante volte gliele aveva corrette, prima che le presentasse agli altri, ignaro che tra quegli stessi altri ci fosse anche lui?
Con quale faccia tosta pensava di sorprenderlo, dopo tutti quegli anni?
E Artemis lo percepì, attraverso quell'osmosi forzata, inconscia, che l'aveva spinta per anni a leggergli nel pensiero.
"Non lo so" incespicò, pregando invano di essere stata convincente abbastanza.
"Bugiarda, sì che lo sai. Avanti, colombina, cosa c'era a questo punto?" prese a spronarla, come un tutore con un alunno poco ricettivo "Cosa avrebbe potuto spingermi fino a Marijoa?"
Lei aveva quel piano inciso nella memoria, lo ricontrollava ogni notte e ogni giorno. Mai una volta, mai, si era ritrovata a dimenticarne un passaggio.
"La tua rinuncia alla Flotta dei Sette" rispose controvoglia, reggendogli un gioco al quale non voleva più partecipare.
Lui sorrise a quella ammissione.
"Sempre la prima della classe." si congratulò. "Non immagini quanto mi sei mancata."
"Parole audaci, per qualcuno che ha ancora addosso il profumo di un'altra donna." riuscì a comporre lei, tutto d'un fiato, ottenendo solo un'altra, eloquente risata da Doflamingo.
Percepì una fitta acuta all'altezza del petto, il cuore agitarsi in una rete e impigliarsi sempre di più tra i suoi fili. Le coronarie, doppiate da una trama impalpabile, riuscivano a stento a compiere il loro dovere.
"Parole audaci, per qualcuno con un battito così elevato" soffiò lui tra i suoi capelli, mentre la sua mano andava a sovrapporsi a quella di Artemis sulla scrivania.
Se possibile, le sue pulsazioni aumentarono ancora, tagliandole il fiato. "Ti ho cercata in ogni donna che ho incontrato. La tua arguzia, la tua passione, la tua tenacia. Ma erano tutte pallide ombre, confronto a te."
"Non sarà Viola, vero? Era l'unica che usasse il garofano." riuscì ad azzardare, sarcastica "Non impari mai. Continuerai a portarti serpi in seno finché non ti troverai sgozzato. Se non sarò io, ci penserà qualcun'altra a liberarsi di te."
"Qui ti sbagli, colombina: ho ben conservato la lezione che mi hai lasciato. Separare affari e vita privata è essenziale per un buon equilibrio. È per questo che Violet ha un ruolo tanto limitato. Abbastanza vicina da essere controllata, ma non abbastanza da essere una minaccia. Dividi e conquista, non fosti tu a insegnarcelo? Ma la tua gelosia mi commuove." si avvicinò ulteriormente, abbastanza da percepirne la temperatura corporea, abbastanza da sentire il viso farsi strada tra i capelli per giungere alla pelle morbida del collo. "Potremmo riprovarci, quando questa fastidiosa faccenda di Law sarà finita."
"Non dovresti neppure sapere che esisto." ringhiò Artemis, sollevando la spalla per impedirgli di incunearsi, divertendolo con quel gioco all'inseguimento che suo malgrado aveva allestito.
"Posso rivelarti un mio segreto, se può bilanciare questa disparità." propose, avvolto in una facciata di buone intenzioni. "Per esempio, io non ho affatto rinunciato alla carica. Non lo farei per nulla al mondo, tantomeno per le minacce di quel moccioso. Ho solo fatto in modo di far circolare la notizia. A Law potrei perdonare un simile errore di valutazione, ma mi delude che tu non ci abbia pensato. Parlando di conti sbagliati, tu mi devi ancora un matrimonio, giusto?"
"Non ti devo un solo secondo, dopo quello che mi hai tolto." Ribatté, mentre una serie di spasmi prese ad attraversarle le dita nel disperato tentativo di liberarsi. Gli occhi di lei vagarono febbrilmente sulla superficie del grande tavolo. Cercava qualcosa, qualsiasi cosa potesse liberarla dal peso di quell'ingombrante avvoltoio sulle sue spalle.
"Ti avrei dato il mondo." replicò lui, ora con la voce macchiata di una dolorosa durezza "L'avrei cresciuto come un figlio e, se non credi che l'avrei fatto per mio fratello, sappi che l'avrei fatto per te. Avresti solo dovuto darmi una possibilità."
"Non osare parlare di lui!" Scandì Artemis in cinque colpi di pistola, trovando in quello slancio il coraggio di guardarlo in volto, così orribilmente vicino al suo "Come ti permetti? Credi che avrei mai potuto lasciare il sangue del mio sangue entro il tuo raggio d'azione, fottuto psicopatico?"
A quelle parole, lei avvertì i muscoli di Doflamingo contrarsi tutti d'un colpo, poi la tensione sfociò in una silenziosa risata.
Lei non ne capì la ragione finché non sentì la voce preoccupata di Tamatoa e il tintinnare lieve delle tazze sul suo vassoio.
"Perdonate, signorina. Non era mia intenzione interrompere."
"Non preoccuparti, non hai interrotto nulla." rispose Doflamingo con il suo tipico ghigno dipinto in volto.
Si chinò appena verso Artemis, in un gesto che avrebbe potuto somigliare a un casto bacio sulla guancia, ma che fu accompagnato da un sussurro in grado di darle i brividi: "Sei stata tu a condannarlo, scegliendo Law anziché la tua Famiglia. Quando avrò la sua testa, farò del mio meglio per fartelo sapere."
Con il respiro completamente azzerato, Artemis sentì il volume di lui allontanarsi, un vago commiato rivolto alla nuova arrivata e, infine, l'ito-ito che le cedeva il controllo dei suoi tendini uno dopo l'altro.
Nell'esatto istante in cui riuscì a muoversi, Tamatoa la vide scattare con un urlo disumano e una prontezza fisica assolutamente fuori portata, nonostante l'indebolimento dell'agalmatolite.
Si fermò con un braccio a mezz'aria come bloccata nei contorni di un fotogramma.
Chiusa nel pugno tremante c'era una stilografica, a pochi millimetri dalla pelle del collo di Doflamingo ormai giunto sull'uscio della biblioteca.
Non c'era traccia di raziocinio nei suoi occhi, il suo respiro era un sibilo colmo di rabbia.
"Posa quella penna, Artemis." la invitò lui con fare pacato.
"Dammi una sola ragione per cui non dovrei aprirti la gola qui e ora!" Sbraitò la donna, ancora una volta bloccata dai suoi fili.
"Questi funzionari non sono abituati a una simile violenza, colombina mia. Cosa direbbero alla tua cara madre, vedendoti in questo stato?"
Artemis spostò l'attenzione dal suo obiettivo al resto del corridoio. Da dietro i vetri zigrinati delle porte degli uffici riusciva a scorgere decine di occhi terrorizzati, attratti da quell'orribile incontro con la stessa morbosa curiosità con cui si guardano gli esiti di un incidente stradale, senza poter distogliere lo sguardo.
Lei obbedì: Doflamingo aveva ragione.
Se quegli occhi avessero avuto delle bocche, e se quelle bocche avessero detto ad Ana cosa avevano visto, avrebbe potuto dire addio a quel brandello di libertà.
L'ennesimo sorriso con cui lui constatò quella resa le cavò il cuore dal petto.
"Brava, colombina." lo sentì sussurrare, mentre si allontanava.
L'ito-ito la liberò e, appena vide la sagoma sparire oltre il capo opposto del corridoio, Artemis sentì qualcosa, dentro di sé, spezzarsi.
Quando Tamatoa la raggiunse, la trovò di gesso, con gli occhi vitrei e i denti che mordevano la carne attorno alle unghie fino a farle sanguinare.
Era talmente instabile che temeva sarebbe sparita sfiorandola, come una delle illusioni ottiche di cui le aveva parlato.

Dopo l'incontro con Doflamingo, Artemis riuscì a stento a dedicarsi ad altro.
Accese la radio, si ubriacò delle notizie che filavano, tutte così simili, così futili.
E nel frattempo i suoi occhi viaggiavano tra le parole senza riuscire ad afferrarle.
Picchiettava con il dorso della matita sui fogli, senza scrivere nulla. La testa avvolta in un mare di rumore bianco.
"Signorina" la interruppe Tamatoa dal nulla, la voce che si intersecava al rintocco delle otto. "Spero non vi sia di troppo disturbo, ma ho il dovere di farvi delle domande."
La donna alzò la testa, in attesa.
"Chi era quell'uomo?"
Artemis scrutò il vuoto per qualche istante, poi scosse il capo e riprese a scrivere e cancellare sulla carta ormai consunta.
"Nessuno" biascicò.
"Dovete darmi una risposta" insistette l'altra "Altrimenti avrò modo di pensare che abbiate contatti con l'esterno e sarò costretta a prendere provvedimenti."
"Mi pare strano che non l'abbiate riconosciuto" replicò Artemis con fare accusatorio, ora improvvisamente più concentrata "ma potete riferire a Sant'Ana che si trattava di Donquixote Doflamingo e che certamente non era qui su mio invito."
Tamatoa indietreggiò appena col busto a quella risposta così inaspettata, salvo poi ripristinare il suo contengo.
"Perché sapeva che eravate qui?"
"Questo dovreste dirmelo voi." l'accusò la sua protetta "Potrebbe benissimo essere l'ennesimo esempio della vostra signora che gioca a fare dio, chi può dirlo?"
"Cosa vi ha detto?"
A quell'ultima domanda, Artemis rispose assottigliando le labbra e raccogliendo i suoi appunti.
"Mi ha minacciata." rivelò infine a bassa voce, umiliata da quell'ammissione come fosse stato un peccato mortale "E ora, se permettete, vado a rammaricarmi di non averlo sgozzato nel sonno quando potevo."
Quelle parole tanto aggressive si facevano strada tra i denti di lei a fatica per quanto la sua mascella fosse digrignata.
Tamatoa capiva bene quella sensazione: per tutto il pomeriggio, non era mai riuscita a smettere di chiedersi come avesse potuto permettere un'imprudenza simile.
"Potrei prepararvi la vasca" avanzò la dama, alzandosi per seguire la sua protetta fuori dalla biblioteca, in una notte ormai nera. "Non potete lasciare Marijoa, ma addolorarvi così non vi aiuterà. Inoltre, farò in modo che quell'uomo non possa più avvicinarsi a voi. Avete la mia parola su questo."
"Lo spero" sibilò Artemis "Altrimenti, Sant'Ana o no, giuro che non risponderò di me."
L'altra deglutì. Quella profezia le asciugò la gola e le diede i brividi: aveva ancora chiara nella mente l'immagine del viso stravolto di Artemis mentre si lanciava con un'incontenibile furia cieca contro il suo avversario.

Sul ponte della chiassosa, caotica Thousand Sunny, Law si rigirava tra le dita il piccolo foglio bianco a cui mancava un angolo.
Aveva atteso a lungo prima di tirarlo fuori, nonostante gli prudessero le mani dal primo secondo in cui Monkey D. Luffy e la sua sconclusionata ciurma erano entrati nel suo campo visivo.
Durante il rocambolesco intervento dei Mugiwara per fermare gli esperimenti di quell'idiota di Caesar, Law si era trovato tante volte a cercarla al suo fianco. A intercettare cenni e suoni che non arrivavano, lasciandolo spiazzato.
"Che fai, Tora-o?" gli gridava il ragazzino di gomma, appena l'assenza di lei lo trascinava fuori sincro. E rideva, come se fossero errori che capitano, come se qualcuno con così tante lacune potesse davvero puntare alla testa di Doflamingo e sperare di uscirne perlomeno vivo.
Eppure, almeno in quel frangente, ce l'avevano fatta.
Contro ogni ragionevole dubbio, il distaccamento di Punk Hazard era stato distrutto, portando con sè la giovane vita di Monet e qualsiasi cosa fosse il disgustoso veleno a cui quel pazzo di un Clown lavorava.
"Frutti artificiali" aveva concluso Artemis una sera, settimane prima, picchiettando su un taccuino "O, in realtà, il loro progetto. Il fatto che diano poca documentazione è preoccupante, ma il suo contenuto lo è ancora di più. Non credo sappiano quello che stanno facendo."
"Hanno controindicazioni?"
"Non sono riportate, ma hanno una percentuale di successo raccapricciante" aveva sbuffato lei "Se un 10% di questa roba fa il suo lavoro è tanto. È meno di una roulette russa, chi mai si farebbe comprare da una cosa del genere?"
Col senno di poi, pensò, chissà cosa avrebbe detto, conoscendo il ciarlatano con cui lui aveva avuto a che fare negli ultimi mesi. Una delle instabili chiavi di volta di tutta quella delicata operazione.
Alla luce della luna, svolse le pieghe in cui aveva accartocciato la vivre card e la posò sul palmo aperto, aspettandosi chissà che cosa.
La carta non si mosse, dipingendogli una certa delusione oltre le sue inconfondibili occhiaie.
"Non funziona in quel modo" spiegò Nico Robin con fare pacato, uscendo dall'area delle cabine, sotto un placido cielo stellato "Solo il pezzo strappato punta alla fonte."
Il Chirurgo contrasse il viso in un'espressione amara, mentre la donna si sedette accanto a lui, sull'erba rada che Franky aveva portato su quella nave impossibile.
"Non inizierebbe a bruciare, se l'altra metà fosse in pericolo, vero?"
"No, anche in questo caso non funziona così" replicò lei, con un'aria paziente e calma che la rendeva l'unico membro della ciurma a non metterlo a disagio "Te l'ha lasciata il tuo secondo? Quella con la maschera?"
Il giovane soffocò una risposta aspra in un più diplomatico "Sì", che non fu però seguito da spiegazioni.
"È molto in gamba" rise lei per rassicurarlo "ne ho sentito parlare, tra i rivoluzionari. Sono certa che saprà cavarsela, ovunque sia."
Ovunque sia.
Già quel banale tassello era chiedere molto.
Era quasi certo che fosse a Marijoa, non poteva essere altrimenti se la donna che temeva era davvero un drago celeste.
"Attieniti al piano, abbi fede" si ripeteva lui.
Ma, per quanta fiducia avesse, Law aveva ereditato da Mama-Rose un'obiettività cinica e spesso autodistruttiva: le probabilità che stesse bene erano poche.
Quelle che la vedevano serena, nulle.
Era sicuro che i loro pensieri fossero sintonizzati sulle stesse frequenze, era certo che anche lei stesse rivedendo quel piano che, col senno di poi, si era fatto sempre più scellerato.
Avrebbero raggiunto Green Bit in mattinata e con essa Doflamingo: Artemis aveva già pensato che le trattative non si sarebbero svolte sul suolo di Dressrosa.
Spostando l'attenzione su quell'isolotto, non sarebbe stato difficile distruggere anche la sede principale dei suoi traffici: la fabbrica di frutti artificiali nell'entroterra.
Il difficile era trascinarlo allo scoperto e pregare di resistere alle sue provocazioni.
Perché ce ne sarebbero state, non aveva dubbi. "Priorità al piano, sempre. Qualsiasi cosa lui dica, non credergli." era questo il mantra, l'unica regola.
Il grande dubbio di Law, a quel punto, era se avrebbe avuto l'autocontrollo per rispettarla.
"Allora speriamo di cavarcela anche noi" sospirò il Chirurgo, pregando che la variabile impazzita nel grande schema non fosse il capitano da cui dipendeva quel che restava del piano.

Quella mattina, Artemis si svegliò da un sonno senza sogni, preceduto da una serata ancora più oscura.
Non aveva ricordi successivi al suo ingresso nella vasca, come la prima volta in cui l'aveva, suo malgrado, provata. Ma stavolta ne era felice.
Era sollevata dal fatto che non sentisse più niente e che il suo corpo intorpidito non le facesse avvertire né stanchezza né ansia, tuttavia il suo pensiero era sempre orientato verso la stessa direzione.
"Tamatoa" chiamò delicatamente da sotto le lenzuola, ricevendo subito l'attenzione della dama "Potresti portare la trasmittente nella mia stanza, per favore? Non ho voglia di andare in biblioteca oggi."
Quella strana richiesta la colpì, così come l'aveva colpita l'atteggiamento della sera precedente.
Accertatasi che Artemis si fosse addormentata, infatti, aveva trasmesso a Sant'Ana le sue preoccupazioni e lei le aveva semplicemente accettate, senza nemmeno un vago timore.
Il futuro che aveva visto dinanzi a sè non intersecava crocevia sinistri: qualsiasi cosa turbasse sua figlia, non era destinato a realizzarsi.
A seguito di quegli eventi, tuttavia, Tamatoa considerò che fosse meglio delegare quel semplice compito e non perderla di vista nemmeno un istante.
Poco dopo, due cameriere oltrepassavano le porte della stanza con l'attrezzatura.
In brevi minuti, Artemis collegò il sistema e lo attivò, accoccolandosi sul letto e prendendo ad ascoltare i notiziari.
La donna rimase raggomitolata per l'intera mattinata, fissando il dispositivo che diffondeva con regolarità le notizie, molte delle quali non erano neppure pertinenti.
I bollettini provenienti da ogni parte della Grand Line coprivano argomenti triviali, rimbombavano tra le pareti e nel vuoto del cranio di Artemis.
Intorno a mezzogiorno, arrivarono le prime voci riguardo dei disordini nei pressi di Dressrosa.
Si menzionava un grande torneo a cui partecipanti da ogni parte del mondo avevano aderito per vincere un premio incredibile: il frutto Mera-Mera, nientemeno che l'eredità del defunto Portgas D. Ace.
Appena quella notizia arrivò, la pirata parve svegliarsi dalla sua stasi, prendendo ad annotare dettagli dei frammenti che guadagnava dalla radio, aggiungendoci informazioni che poteva conoscere solo lei, rubate alla concitazione di Marineford.
Il loro piano vacillava ancora.
Quel premio arrivava come un'ennesima cannonata ed era certa che Doflamingo ne fosse ben consapevole.
Dividi e conquista, ancora una volta: Luffy non avrebbe mai permesso che quella reliquia finisse in mani che non fossero le proprie.
Ogni mezz'ora giungeva un nuovo notiziario e portava con sé altre informazioni, come le ritmiche onde di un sonar.
Gli eventi erano confusi, sovrapposti, contrastanti.
Prima il pericolo arrivava da Green Bit, dove non solo si parlava di uno scontro tra Law e Doflamingo, ma anche della presenza dell'ammiraglio Fujitora.
Poco dopo, l'attenzione si spostò al Colosseo di Dressrosa, dove i combattenti sembravano essere pronti alla sommossa.
Poi ancora, voci parlavano di un'intrusione in una delle fabbriche della città da parte di una forza straniera.
Gli scenari si sovrapponevano nella mente di Artemis come in un caleidoscopio, intersecati e lontani anni luce allo stesso tempo.
Tamatoa percepì la frustrazione della donna quando, ormai a pomeriggio inoltrato, scaraventò i suoi appunti giù dal letto in un impeto di rabbia.
"Sta succedendo qualcosa di assolutamente inaudito!" boccheggiò il reporter "L'intera isola è stata ricoperta da una struttura che sembra un'enorme gabbia. Non abbiamo idea di dove cominci, ma pare estendersi fino al cielo."
Inarrivabile. Infinita. Indistruttibile.
"Dalle coste dell'isola dicono che abbia iniziato a muoversi verso l'interno. La popolazione è terrorizzata: questa struttura sta tagliando perfino gli edifici. I danni sono già molto ingenti. È una calamità per l'isola di Dressrosa."
Quindi era quella, la sua strategia: perdere tutto pur di non perdere.
Artemis sbiancò, riconoscendo la descrizione. Aveva portato lo stesso panico ogni volta che Doflamingo l'avesse messa in gioco, tutti la descrivevano con lo stesso confuso terrore.
La Birdcage non avrebbe lasciato scampo a nessuno, finché lui non avesse deciso che ne aveva abbastanza.
"Dov'è?" mormorò Artemis tra le sue dita, completamente catturata dai racconti che provenivano dalla trasmittente "Ti prego, dimmi dov'è."
Ma non riuscì ad avere risposta: il caos aveva inghiottito ogni cosa.

"Law, quali sono le condizioni in cui non si riesce a vedere?"
Non capiva perché quella conversazione gli tornasse in mente proprio in quel momento, nel mezzo di ciò che era quanto di più simile a una riunione strategica potesse chiedere. Il ricordo era vivido, le voci limpide che si alternavano nella sua testa contusa, sovrastando Mugiwara impegnato a fare l'appello.
"Non solo quando la luce é scarsa, ma anche quando é troppa." Aveva risposto Artemis, dopo un estenuante tira e molla di indizi con le sue meningi "Con le informazioni funziona allo stesso modo: non lasciarne alcuna o usale per bombardare. Sfrutta la confusione per nasconderti in piena vista."
E nient'altro che confusione vedeva intorno a lui.
Oltre la schiera di soldati del Colosseo, dei Tontatta e di alleati vari che Luffy aveva  collezionato lungo la via, Dressorsa giaceva in pezzi.
O almeno così riusciva a elaborare, mentre gli effetti delle manette di agalmatolite gli battevano impietosamente sulle tempie.
Col senno di poi, era certo che Artemis gli avesse parlato di quella strategia perché non rimanesse spiazzato dinanzi al comportamento di colui che chiamava l'Uomo dei Miracoli.
Pareva agire in un modo inconfutabilmente casuale, eppure era la più semplice delle persone.
Scattava alle ingiustizie, senza remore o secondi fini, con un senso della giustizia degno di un bambino di cinque anni.
Figurarsi cosa avrebbe significato mettersi a parlare con lui di conseguenze, di scopi più alti o compromessi.
Viveva di assoluti, questo Law l'aveva capito.
Aveva imparato come ragionava e non aveva dubitato per un solo secondo che Luffy non avrebbe mai creduto alla fine dell'alleanza che aveva sbandierato a Doflamingo.
No, quel cocciuto ragazzino era andato di persona fin nel cuore del palazzo reale e gli aveva detto fuori dai denti che se ne infischiava se l'alleanza era finita, che per lui era ancora valida.
L'aveva sollevato di peso per liberarlo dal trono che era stato prima di Artemis e poi di Corazòn.
Il posto che gli sarebbe spettato di diritto, si era sentito dire con tono melodrammatico.
Perché il seggio di cuori era da sempre quello più fragile e quello più forte.
Tutti gli altri semi avevano un ruolo definito, ma il Corazòn era tutto: coordinazione, conoscenza, fiducia, il solo fatto che fosse rimasto vuoto per tutti quegli anni lo provava.
I riflessi dell'ito-ito sezionavano il cielo in un presagio terrificante, quasi la volta celeste dovesse iniziare a crollare sulle loro teste.
I loro volti, nel frattempo, venivano proiettati dalle macerie della fortezza: nomi e taglie elargiti da Doflamingo in persona, gli ingredienti perfetti di una caccia all'uomo tanto malata che solo lui avrebbe potuto metterla in pratica.
"Cosa hai intenzione di fare, Mugiwara-ya?" chiese Law, ormai certo che del piano fossero rimaste a stento alcune linee guida.
"Ritroviamo Doflamingo e gli facciamo il culo!" fu la risposta di Luffy, senza neppure un istante di esitazione, nemmeno il tempo di spostare il pensiero dal cervello alle labbra.
Avrebbe voluto dirgli che era insensato, che muoversi come una scheggia impazzita in un terreno limitato lo avrebbe solo fatto beccare, che necessitavano di cure e un'organizzazione seria, ma Cappello di Paglia non gliene lasciò il tempo.
"Insomma, guarda in che stato é questo paese: non posso mica fare finta di niente!"
Law era rimasto sconvolto, la prima volta che Artemis aveva fatto il suo nome. 
"Perché lui?!" aveva sbottato, insofferente e infastidito dal fatto di aver quasi perso il suo aplomb.
"Perché é la nostra unica opzione. Solo lui può darci la forza che ci serve." aveva risposto lei candida, come se fosse un concetto lampante.
Gli aveva parlato di quella ciurma fino allo sfinimento, analizzava con precisione chirurgica le loro tattiche, anche quando era palese che un piano non ci fosse.
Era solo un idiota fortunato, il Chirurgo non aveva mai avuto dubbi.
Ma la fortuna finisce, mentre lui resisteva a tutto ciò che il destino preparava.
Non cedeva di un passo, non lasciava indietro nessuno.
Nemmeno uno stronzo cinico che aveva perso la bussola del suo stesso piano.
Non capì neppure con quale pretesto, ma Mugiwara se lo rimise in spalla e riprese a correre. "Prima o poi ti leviamo le manette, promesso!" aveva ansimato.
E Law non seppe più cosa rispondere, ma decise che se perfino Mama-Rose era stata comprata da quel ragazzino, forse anche lui poteva concedersi di credere ai suoi miracoli.

Tamatoa allungò l'occhio sugli appunti della sua protetta, approfittando del fatto che aveva scelto di alzarsi per sgranchirsi le gambe.
C'erano dei nomi scritti, alcuni accompagnati da delle cifre, altri cancellati. Venivano ripetuti in schemi, accorpati e sparpagliati.
"Una cazzo di battle royale" sbottò Artemis rientrando, ridendo per il panico come aveva fatto a intervalli regolari per tutto il pomeriggio "una battle royale."
Si trascinava la trasmittente in grembo come se in quel modo le notizie potessero giungerle più in fretta, i fili le facevano da strascico e spazzavano il pavimento e i tappeti che intercettavano.
"Tamatoa, ti prego, portami da bere." Elaborò intorno alle sei. "Scegli tu cosa. No, gin. Portami del gin, per favore. O qualsiasi cosa dal gin a salire, non scendere sotto il gin."
Percepì a stento la dama invocare delle domestiche e queste accostare la porta dopo aver lasciato la bottiglia sulla specchiera. Ma appena il liquido trasparente entrò nel suo raggio d'azione, Artemis versò due bicchieri quasi senza guardare, fissando il vuoto.
"Perché due, signorina?" chiese Tamatoa, incuriosita.
"Non bevo da sola e ho bisogno di bere." decretò, riprendendo la sua marcia e deglutendo il suo in un unico sorso.
La dama provò a far scaturire una debole protesta, ma fu subito zittita con un gesto da Artemis, che sollevò un indice in aria appena la parola "Dressrosa" solleticò il suo orecchio.
"Non é una notizia confermata, ma lo Shichibukai Donquixote Doflamingo sostiene di aver ucciso un suo pari:  l'ultimo ingaggio della Flotta dei Sette, Trafalgar Law. Se così fosse, sarebbe un avvenimento senza precede-"
La voce del giornalista finì inghiottita nello schianto della trasmittente al suolo.
Il suono che provenne dalla carcassa metallica non lasciava presagire niente di buono, ma ciò che più preoccupò Tamatoa fu la quantità di secondi per cui la sua protetta non rispose ad alcuno stimolo.
"Pinzette" mormorò catatonica dopo un tempo che parve infinito "Mi... Mi servono delle pinzette."
Senza comprendere del tutto quella richiesta, la dama le passò l'attrezzo da un minuscolo kit e la osservò armeggiare con la suola dei suoi vecchi stivali, con fare talmente febbrile che impiegò un minuto abbondante solo a trovare l'incisione che aveva fatto a Punk Hazard.
Ma dove aveva collocato con cura la vivre card del suo figlioccio, non era rimasto più nulla.

 

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Capitolo 21
*** Dissonanze ***


Capitolo 19: Dissonanze 

"Che cazzo è successo qui?!"
Il furioso urlo di Sant'Ana ruppe l'irreale silenzio della stanza, sommersa dal sole di una mattina troppo soleggiata per gli eventi che l'avevano preceduta.
Coprì lo strascichio ritmico e instancabile delle spazzole dalla sala accanto e il mormorio delle cameriere. Artemis le aveva sentite sussurrare che non credevano che ci sarebbe sarebbe stato così tanto sangue.  Una si era lamentata sottovoce quando si era tagliata con un frammento di vetro sul pavimento, mentre altre commentavano che non pensavano che quelle macchie fossero così difficili da lavare via.
Lei l'aveva imparato a proprie spese, quando il chirurgo di casa aveva avuto la fase delle dissezioni.
E quando le aveva ricucito le ferite, o quando lei aveva dovuto fare del suo meglio per ricucirgli le sue, beccandosi anche una pioggia di critiche nel processo.
Le bende sulle sue braccia prudevano sopra i lembi arrossati dei tagli. Si diceva che i medici dovevano aver sbagliato qualcosa, perché quelle di Law non lo facevano mai.
Un'altra esplosione di rabbia di sua madre le solleticò appena le orecchie, ma non avrebbe saputo dire di cosa si trattasse. Non afferrava ciò che stimolava i suoi sensi nel modo più eclatante, i dettagli mangiavano ogni brandello di attenzione riuscisse a mettere insieme.
Un velo di gin bagnava il fondo della bottiglia traslucida. Era tutto quello che era rimasto dalla sera precedente, prima che un'ombra la portasse via con un rapido gesto di mano.
"È così da quando si è svegliata, signora." Mormorò Tamatoa, come se temesse di dire una parola di troppo. "Non ha parlato da quando l'abbiamo rimessa in sesto."
Ana fissò sua figlia con sguardo giudice. Non era stata così poco ricettiva neppure subito dopo l'intervento. Osservava gli occhi piatti di lei muoversi lentamente per la stanza, come se stesse seguendo una farfalla invisibile. Si avvicinò, ora più lentamente, parlando con un tono più pacato ma pronunciando parole altrettanto pesanti.
"Hai idea di quanto sia grave quello che hai fatto, sì?" Sospirò esasperata.
Artemis annuì con lo sguardo perso nel vuoto, continuando a torturarsi le garze sulle braccia.
"E vuoi dirmi perché, prima che cancelli la tua ciurma dall'esistenza?"
La giovane, ancora una volta, non rispose. Si portò solo una mano alla bocca, singhiozzando sommessamente nell'incavo del pollice.
"Non ha saputo, signora?" intervenne ora Tamatoa, in difesa della sua protetta "Trafalgar Law è morto. Ne è venuta a conoscenza ieri sera."
La notizia sconvolse la donna, il cui sguardo si svuotò dell'odio che aveva contenuto per lasciare il posto a un'inaspettata pietà.
Era stata lei stessa ad avanzare minacce simili, ma sapeva che il criterio di Artemis non l'avrebbe mai costretta a metterle in pratica. Dava per scontato che sarebbero state solo parole e che lo spauracchio di vedere i suoi cari in pericolo l'avrebbe tenuta al suo posto per tutto il tempo necessario, come era stato per anni prima di allora.
Eppure, si ricordò, quella mattina aveva trovato la vivre card sempre al solito posto. Certo, un po' annerita, ma c'era e cozzava violentemente con la realtà davanti a lei.
Ana si allontanò e prese Tamatoa da parte, mentre il viavai delle domestiche continuava rapido e incessante intorno a loro come se non esistessero.
"Com'è successo?" chiese, infondendo nella voce un dispiacere che celasse i suoi dubbi.
"È stato ucciso da Donquixote Doflamingo la scorsa notte. Purtroppo questo è tutto ciò che sappiamo. La signorina cercava qualcosa, immagino una vivre card, ma non l'ha trovata." rispose la dama, parlando lentamente. Ana notò quanto impegno mettesse nello scandire a forza le parole per attribuirgli un senso. Il suo volto era segnato, ma da qualcosa che suonava fuori posto, rispetto alla difficile notte insonne che le era stata descritta.
"Era qui per questo, quella bottiglia di gin?" Chiese con tono vagamente accusatorio.
"L'ha ordinata la signorina ieri sera."
"E i due bicchieri?"
Tamatoa esitò, la risposta bloccata in gola, limitata ad un incerto "Io..."
"Te lo spiego, nel caso tu abbia dimenticato anche questo." l'accusò la donna, con un fare più aspro "Ti ha chiesto di bere con lei, non è così? Ha sfruttato la concitazione del momento ed è riuscita a farti ubriacare al punto che quando ha raggiunto il bagno non ti sei accorta di niente. Scommetto che quando l'hai soccorsa non eri neppure pienamente lucida. Inoltre, dubito tu ti sia vista, ma hai un aspetto indecente."
Come per un riflesso condizionato, Tamatoa passò rapidamente le dita sottili sulle occhiaie scure che le orlavano gli occhi.
"No" mormorò allarmata "No, signora, le assicuro che sto bene, posso fare il mio lavoro come sempre."
"Non sarà necessario" decretò Ana: "Sei sospesa dall'incarico. Mi occuperò personalmente di Artemisa, d'ora in poi."
"Ma il Reverie è alle porte" avanzò la dama, in un tentativo estremo "Avrete molto lavoro da fare, vi assicuro che un evento simile non ricapiterà."
"Certo che non ricapiterà: non ho intenzione di rinnovarti la possibilità di deludermi. Sei congedata: fatti trovare un'altra mansione e sparisci dalla mia vista." 
La grave accusa fece crollare il suolo sotto i piedi di Tamatoa, facendola sentire sola come mai prima, nonostante la sala fosse gremita. Con un incredulo, rassegnato cenno del capo, sussurrò un mesto "Agli ordini." e lasciò la stanza, non prima di lanciare un ultimo sguardo addolorato alla sagoma della sua protetta.

Seduta su un'elegante sedia bianca, Artemis sentiva le dita grassocce di una dama nuova pettinarle i capelli. Le pareva si chiamasse Estelle, o qualcosa di simile.
Qualunque fosse il suo nome, chiacchierava a ruota libera, sezionava ciocche e le intrecciava, mentre lei, come una bambolina,  osservava Ana muoversi per la stanza. Trovava terribile riconoscere in lei tanto di sè stessa. Non doveva neppure sforzarsi a mappare la Reina Blanca sulla sua figura, mentre la donna faceva la spola in un labirinto di sedie identiche alla sua: mentre passava dalla penombra alla luce delle vetrate ariose di una delle tante sale dei ricevimenti, quasi si stupì di non trovare un cuore nero tatuato sulla guancia. Lei stessa ancora lo cercava nel suo riflesso ogni mattino, giorno dopo giorno, in un volto sempre più estraneo.
"Artemisa!" chiamò sua madre, catturando la sua attenzione "Sii buona, dammi un parere: ocra o lilla per gli inserti?" Chiese, sventolando i tovaglioli come in una partita a ruba bandiera.
Come se avesse mai potuto importarle.
Artemis indicò apatica quello giallo con un lieve cenno della testa, giusto per levarsi quella figura carica di attesa da davanti.
Ana parve lievemente contrariata, "Che colore chiassoso" l'aveva sentita borbottare, prima di riprendere la sua animata discussione con l'omino in doppiopetto che le forniva le stoffe colorate.
Un brivido la percorse quando realizzò che forse anche lei, in un mondo normale, avrebbe dovuto compiere quelle scelte.
Non avrebbe mai voluto il bianco accecante di quella stanza per il suo Law. Avrebbe optato per il nero, magari arricchito da quei dettagli ocra che sua madre riteneva tanto pacchiani, ma che a lui piacevano al punto da renderli il suo marchio.
O forse no, non avrebbe saputo dirlo: allestire un funerale non era mai stato nei suoi piani, non aveva avuto il tempo di pensare anche a quello. Anzi, il pensiero le era balenato in mente tante, tantissime volte, facendola stare talmente male da far temere al resto della ciurma che ci fosse qualche strana malattia a bordo.
Ed era sempre Law a farla stare meglio, solo lui. Non che dicesse nulla che già non sapesse, ma la sua sola esistenza le ricordava che se qualcuno avesse mai dovuto dirgli addio, lei non sarebbe stata tra quelli. Si sarebbe giocata il tutto per tutto per proteggerlo, l'aveva giurato.
Invece la sua vivre card era bruciata fino a sparire, fino a che nemmeno la cenere era rimasta e lei non aveva fatto altro che ascoltarlo cadere e cercare dall'altro capo del loro filo rosso una voce che non c'era.
Invece lei era lì, con una cretina che le tirava i capelli e la incalzava a sorridere, con sua madre che la pregava di mangiare qualcosa, di bere, di reagire, di dare un segno di vita che fosse uno.
Quando Ana e l'omino passarono a discutere i posti, la dama aveva terminato la sua intricata acconciatura ed era passata al trucco. Attraverso le setole dei pennelli e gli scovolini ricurvi, la giovane seguiva distrattamente la spinosa questione.
Roswald e Selena non si soffrivano, Caterina voleva stare solo vicina a Dorian e altre cento inutili pare della stessa risma.
Ana distribuiva i cartellini sul tavolo rotondo e li ridisponeva mille volte, sparendo e ricomparendo da dietro il ridicolo vaso di fiori blu al centro.
"Caspita, signorina, quanto vi lacrimano gli occhi" si lamentò la dama, tamponandole per l'ennesima volta la rima inferiore "non saranno mica le ortensie, vero? Sarà pieno di ortensie, non immaginate quante ortensie ci saranno, Sant'Ana ha insistito tanto perché ci fossero le ortensie! Giusto, signora?"
La fine della domanda fu ingoiata dal rumore sordo del tavolinetto dei trucchi e dal tintinnio delle confezioni al suolo. Le terre e gli ombretti si frantumarono in un tappeto di pigmenti rosati.
Ana si voltò di scatto verso la fonte del tonfo: Estelle si era allontanata per lo spavento, il viso rubicondo nascosto dietro le mani. Artemis, invece, era china sulla sua sedia come se avesse ricevuto un pugnale in petto. Le lacrime trasferivano il trucco sui suoi zigomi e lo appiccicavano alle dita. Non alzò la testa finché non fu sua madre a sollevargliela, con il tocco più dolce di cui fosse capace. Un tentativo migliorabile, vero, ma Artemis riconobbe lo sforzo.
"Pensavo che partecipare al Reverie ti avrebbe resa felice." commentò con delusione, accucciata davanti a sua figlia.
"I morti sono morti, Artemisa. Sai anche tu cosa significa. Il suo tempo era già stato scritto, non avresti potuto fare niente per salvarlo. Ricordi il figlio di Roger? Gli umani non possono niente dinanzi alla Fine, nemmeno con il nostro aiuto. Possiamo solo fare del nostro meglio perché al tempo accada il male minore."
"Avrei dovuto capirlo" pensava "Avrei dovuto vederlo. Non l'avrei mai fatto partire, se avessi saputo. É stata tutta colpa di quei doppifondi, di quelle quinte allestite per farmi compiere salti disperati e previsioni euristiche, solo per farmi arrivare qui. É stata tutta colpa tua, tua e di nessun altro."
"Se ci fossi stata tu, sarebbe comunque morto in qualche altro modo. Un'infezione..."
"Sa curarle tutte"
"...un guasto al sottomarino..."
"Lo tengo sotto una manutenzione maniacale"
"...una ciurma nemica."
"Li avremmo sconfitti, li avremmo sconfitti tutti."
"Non darti colpe che non hai." Concluse infine la donna "Pensa a cosa puoi fare della vita che ti resta, trovati uno scopo. Pensa al Reverie: avevi insistito tanto per prendervi parte. Ora, da brava, sopporta questa prova. Poi ti lascerò in pace fino alla riunione dei Draghi Celesti. Va bene?"
Artemis annuì con rassegnazione, mentre Estelle correva a prendere il necessario per lavare via il vecchio trucco e applicargliene uno nuovo di zecca.

Quando Mugiwara aveva urlato "Rotta per Zou!", trascinando in quel coro quel che era rimasto della sua ciurma, Law sentì il suo cuore malconcio strapparsi in due: se da un lato non vedeva l'ora di riunirsi ai suoi compagni, temeva il momento in cui gli avrebbero chiesto perché era da solo.
L'ope ope cuciva incessantemente, generava tessuti e cartilagini, rinsaldava nervi e lo faceva tornare a percepire ogni sensazione: il freddo dell'aria viziata dell'infermeria, il caldo del sangue nelle sue vene, il pizzicore dei muscoli e della pelle in risposta a tutti quegli stimoli concentrati.
Non che la mente fosse in condizioni tanto migliori.
Oltre a essere fisicamente ed emotivamente esausto, più di quanto non avrebbe voluto ammettere ad alta voce, il giorno dopo gli eventi di Dressrosa, Sengoku era personalmente sbarcato sull'isola.
"In vesti informali", assicurava, prendendo in giro ogni singola persona avesse la più vaga egida dei Marines attaccata addosso.
Per favorire la sua guarigione il più possibile, Law aveva realizzato che il miglior modo di evitare stress indesiderato era escludere dalla sua mente le voci più irrazionali attorno a sé, così da non tartassare le molte parti del suo cervello orientate alla logica. Ma il nome dell'ex Grand'Ammiraglio si intrufolò tra le sue sinapsi con la stessa irruenza di un coltello, quando Mugiwara lo pronunciò.
Ferito, indebolito e senza dire niente a nessuno, il Chirugo aveva scelto di sfidare la sua fortuna e tutti i marines dispiegati sull'isola per incontrarlo. Il suo fantasma l'aveva inseguito per tutto il viaggio della speranza che aveva compiuto da piccolo. Portava sempre grandi litigate, le uniche che Corazòn e Artemis avessero mai avuto, le uniche domande a cui lei non avesse mai voluto rispondere.
Quando lo trovò, l'uomo aveva la sua stessa aria indagatrice e si aggirava tra le macerie e quel che restava dei vicoli come in cerca di qualcosa.
Fu un incontro molto diverso da come se l'era immaginato. Parlarono di Rocinante, del grande atto d'amore che aveva compiuto impegnandosi a curarlo. Cercarono delle ragioni, degli interessi, un tornaconto tra le pieghe del suo voto, ma alla fine entrambi convennero che non fosse il caso di farlo. Lo ricordarono a modo loro, con grande affetto e profondi silenzi.
Sengoku non menzionò il suo incontro con Artemis, anzi, fece bene attenzione a evitare di nominarla: temeva che, sapendo di lei, Law avrebbe potuto intraprendere una missione suicida ed era certo che sua figlia non gliel'avrebbe mai perdonato.
Il Chirurgo, dal canto suo, aveva sentito il nome di lui pronunciato con così tanta rabbia, nel corso degli anni, da dubitare che i due fossero in buoni rapporti. Eppure l'uomo che aveva davanti era molto diverso da come gli scatti d'ira di Mama-Rose l'avevano sempre descritto.
Si era trascinato dietro quella discrepanza per giorni, un glitch a sfondo di tutto il resto.
Lo torturava anche in quel momento, mentre si ricontrollava e lasciava che Tony Tony Chopper facesse lo stesso, per assicurarsi che non ci fosse bisogno del suo aiuto.
"La guarigione procede perfettamente!" concluse la renna, facendogli scivolare sul palmo un medicinale distillato in una sfera traslucida "Ti ringrazio per l'aiuto che mi hai dato con il resto della ciurma: l'Ope Ope é un potere davvero straordinario. Mi sarebbe di grande aiuto, avere delle competenze come le tue su cui contare."
Law rispose con un sincero ma stringato "Non c'è di che", poi si avviò verso la stanza che gli era stata assegnata nella Going Luffy-senpai di Bartolomeo. Lungo il tragitto, prese a immaginare le domande che avrebbe ricevuto quando gli Heart si sarebbero riuniti. La quantità di esse che avevano per risposta "Non lo so" lo privava di un coraggio di cui non pensava di avere bisogno.
"Ti vedo bene, per essere morto. Stai quasi meglio di Brook." rise Robin, intercettandolo al capo opposto del lungo corridoio. Law sussultò, ma non comprese il senso delle parole della donna.
"Morto?" le fece eco, stranito.
"A un certo punto é girata la notizia che fossi rimasto ucciso" spiegò lei con un lieve sorriso dipinto in faccia, come ogni volta parlasse di fatti tanto macabri "Ovviamente é stata smentita, ma ci hai fatti preoccupare."
"Mi hanno dato per morto?!" ripeté il chirurgo a volume appena più alto, sgranando gli occhi.
"Sì, é quello che ho detto" confermò ancora, osservando incuriosita il comportamento insolito di lui: si voltò brevemente e sfregò con nonchalance il pomello di una porta, mentre l'archeologa dei Mugiwara capiva il motivo di tanta preoccupazione.
"Ferro? Non ti facevo superstizioso."
"É il mio Secondo" soffiò, ricomponendosi "Impazzisce per queste cose e, di riflesso, ha fatto impazzire un po' tutti"
"Ci credo ancora meno."
"Oh, credici." le assicurò "Avresti dovuto vederla quando ha calcolato male le atmosfere e si sono crepati tutti i vetri del Polar Tang: é rimasta due giorni interi chiusa nella mensa per evitare di riflettersi su una superficie rotta."
"Chi l'avrebbe mai detto" sospirò la donna, notando la vaga malinconia sul volto di Law.
"Puoi parlarne, se vuoi." lo invitò, dopo una vaga esitazione "Per Luffy questo non é solo un gioco di potere. Ti rispetta, crede in te, tutti noi lo facciamo. Sono sicura che gli farebbe piacere aiutarti, se gli dicessi come."
Per un attimo, fu tentato di dirglielo. Arrivò perfino a dischiudere le labbra, ad approntare la richiesta per il suo personale miracolo a quello sconclusionato messia.
Poi si ricordò delle parole con cui era sparita.
"Devi lasciarmi andare, fallo per la ciurma." lo aveva implorato con il cuore a pezzi, raccogliendo tutta la forza di volontà di cui poteva disporre. Gli aveva affidato tutto ciò che era rimasto: la ciurma, la loro vendetta, il sogno di Raftel.
Ma non fu solo quello a tornargli in mente: una voce diversa, pregna di scherno, tornò nitida nel suo cervello come un impulso indesiderato.
"Ancora credi alle sue puttanate?" l'aveva preso in giro un Doflamingo in catene, con gli occhiali spaccati e il sorriso dipinto di sangue. Neppure la muraglia di marines approntata per trascinarlo a Impel Down riusciva ad attutire le sue stoccate.
"Quella donna é una fottuta farsa" insisteva, "Le servivi solo per levarmi di mezzo, il tuo grande sogno é un capriccio. Guardati intorno! Ancora non hai capito che ti ha mandato a morire? La Reina é al sicuro, nei bei castelli di Marijoa, e tu sei vivo per miracolo. Ti ha abbandonato, Law. Benvenuto fra noi: sei solo l'ultimo della sua schiera di illusi."
Con quel pensiero, il Chirurgo deglutì la sua preghiera e il castello di dubbi che Dressrosa gli aveva donato. Un'altra croce sulle sue spalle, che pesava anche se alla vita del sopravvissuto credeva di essersi abituato.
"Atteniamoci al piano" concluse, fregiandosi del suo innato stoicismo "Sarà abbastanza, ne sono certo."

"Su, signorina, sorrida un po'" la incalzò ancora Estelle "Sarà la sua prima apparizione ufficiale, non vorrà essere imbronciata!"
Guardando il suo riflesso nello specchio della stanza di sua madre, Artemis si chiese come avessero fatto le dita grassocce della donna alle sue spalle a trasformarla in quel modo. Le sembrava talmente imprecisa, mentre prendeva i cosmetici dai loro piccoli barattoli e glieli spalmava generosamente sul volto.
Dall'incidente di pochi giorni prima, le era sembrata più guardinga del solito. Gli occhi azzurrissimi custodivano un vago timore ogni volta che le si avvicinava e aveva iniziato a fare attenzione a parlare il meno possibile. Gli incitamenti, invece, avevano continuato a piovere dalle rosee labbra a cuoricino di Estelle fin dalle prime fasi di quella complessa mattinata, dal trucco all'elaborata vestizione che gli abiti cerimoniali dei Draghi richiedevano.
Tuttavia, se non fosse stato per le montagne di correttore che le aveva applicato, Artemis avrebbe distinto chiaramente sul suo volto le rughe intorno alle palpebre e gli antiestetici aloni cinerei al di sotto.
Si sforzò. Sorrise.
Distese le labbra, le guance imporporate di fard si contrassero abbastanza da ingoiare lo sguardo vuoto.
L'illusione durò pochi secondi, ma bastò perché Estelle iniziasse ad applaudire euforica.
"Proprio così, signorina, vedete quanto siete più graziosa? Se vi porrete in questo modo non potranno resistervi, vedrete!"
"Hai ragione, Estelle" convenne Ana, emergendo da dietro un bel paravento in legno scuro, accompagnata da due dame che ancora puntavano spille tra gli strati di tessuto.
Anche lei indossava le vesti d'ordinanza: una sontuosa mantella bianca fluiva in un ricco scollo sul petto e la seguiva con un pesante strascico, lo stesso con cui la stessa Artemis stava lottando. Al di sotto, una casacca viola nascondeva le sue clavicole in un'elegante sovrapposizione.
La donna si avvicinò a sua figlia, facendo emergere la mano affusolata dalle ampie maniche.
"Ma forse queste bende dovremmo toglierle" avanzò, riuscendo a malapena a sfiorare il gancio di ferro sulla nuca della giovane. Artemis si scostò immediatamente, battendo appena le dita sul collo con un'espressione infastidita.
"Se era la cicatrice a preoccuparti, Estelle avrebbe potuto nasconderla." sospirò Ana accarezzandole l'ovale del volto, gli occhi ulteriormente affilati da lunghe ombre di trucco nero "Non importa, non abbiamo tempo di discutere: é ora di andare."
La sua mano si posò aperta sulla spalla di Artemis, guidandola oltre le porte della stanza.
Il corridoio in cui fu catapultata era più luminoso che mai. L'aria essenziale della camera fu rimpiazzata repentinamente dallo sfarzo del palazzo reale.
La luce entrava padrona dagli infissi, le pesanti tende erano state scostate per far sì che il sole di quel primo pomeriggio potesse riflettersi sui preziosi decori oro dei muri intonacati.
Chiunque lavorasse nel perimetro del castello sembrava essersi riversato ai lati del loro percorso. Distanziati e ordinati come tanti soldatini, rivolgevano a lei e a sua madre delle profonde reverenze al loro passaggio.
Artemis, d'altro canto, sembrava non riuscire a perdere le sue vecchie deformazioni. I pensieri più disfattisti e i rimpianti che da giorni si inseguivano tra le sue sinapsi avevano ceduto il posto a una procedura talmente naturale da essere diventata un istinto. Percepiva i pensieri e le intenzioni di chi la circondava, rubandoli al loro linguaggio del corpo.
Contava persone, passi, metri, secondi, le stramaledette ortensie, le vie di fuga e le strade chiuse.
Lasciando le dimore reali per giungere al castello Pangea, la servitù fu rimpiazzata da schiere di Marines, oltre i quali i sovrani di tutti i mari si ammassavano solo per poter dire di aver visto i Draghi Celesti passare.
Distinse le guardie, le divise, ogni minima imperfezione nell'indossarle. Sezionò loro e la loro attrezzatura, il grado, l'età, la corporatura, mettendo un piede dietro l'altro attraverso i giardini e i corridoi, fino a giungere dinanzi alle porte della sala dei ricevimenti che sua madre si era tanto prodigata ad arredare.
L'ultimo soldato ne sorvegliava l'ingresso come il Cerbero e la sua stazza la costrinse ad alzare lo sguardo. Le era bastato l'orlo della camicia fiorita per riconoscerlo. Sebbene ora fosse nascosta da un doppiopetto candido, il taglio della giacca era lo stesso di quella rosso fiamma che indossava a Marineford, sotto il mantello da Ammiraglio.
Rievocando gli stessi momenti, Sakatsuki la scrutò con un astio non ricambiato: l'espressione vuota di Artemis non si era minimamente incrinata durante la sua asettica analisi.
L'aura che emanava era un elettrocardiogramma piatto, non troppo diversa da com'era stata nei giorni precedenti. Avrebbe potuto custodire tutto e niente tra le pieghe di quel suo cervello, sarebbe potuta essere vigile o completamente assorta, presente e assente.
"È una morta che cammina", vociava la servitù da giorni, ben attenta a non farsi sentire. 
Ciò di cui il Cane Rosso era certo, tuttavia, era che quella davanti a lui fosse una persona completamente diversa dalla Senza Faccia che aveva intravisto nella Guerra dei Vertici.
"Sant'Ana, Sant'Artemisa" le salutò guardingo, nella voce lo stesso agghiacciante timbro con cui aveva decretato la condanna a morte di Ace "Benvenute al Reverie. Sono arrivati quasi tutti."
Contrariamente a quanto Artemis aveva creduto, Sakatsuki non entrò, né lo fece alcun marine, impegnati com'erano ad attendere gli ultimi ritardatari. La sala che l'aveva accolta, dopotutto, non ospitava estranei ed era sorvegliata dai migliori uomini che il Quartier Generale potesse dispiegare, tra truppe di terra e tiratori.
Sussultò quando la porta si chiuse dietro di sé, sentiva la tensione pesarle sulle vertebre lombari e cervicali, stringendole lo stomaco in una dolorosa torsione.
Era questione di un respiro, uno solo. Il difficile era scegliere quale. Erano tutti così critici e tutti così indifferentemente uguali.
Fu con quella consapevolezza che portò rapidamente indice e pollice alle labbra, estraendo una sottile lamina metallica da sotto la lingua. Si assicurò di stringerla tra due lembi dell'orlo della manica, spezzando il contatto con il suo corpo.
Senza più l'agalmatolite in circolo, il potere del Time Time diede ad Artemis un capogiro, inebriante come il primo sorso di un liquore esotico e allo stesso tempo familiare. 
Ana si accorse subito di cosa stava succedendo.
Provò a fuggire, perlomeno ad allontanarsi, ma qualsiasi salto compiesse terminava tra le stesse quattro mura, sotto gli sguardi attoniti degli affreschi bucolici e degli altri draghi celesti. Riconobbe i contorni di un loop temporale, rise tra sè, si sentì quasi insultata da un trucco tanto banale.
Ma la risata che le riempì la gola fu umida e metallica, più simile a un gorgoglio.
Quando il loop si svolse, l'unica cosa che entrò nel suo campo visivo fu il volto di sua figlia, sformato dallo sforzo e dalla rabbia. Fiotti di sangue arterioso, scuro e denso, inondavano i suoi bei tratti, al di sotto dei quali alla donna parve di riconoscere un sadico ghigno.
Nella gola, sentiva il freddo della piastra di agalmatolite che si era fatta strada fino alla trachea. Con il pollice protetto dalla stoffa della sua veste, Artemis continuava a fare pressione per approfondire il taglio e moltiplicare i danni ad ogni millimetro, mentre l'altra mano tremava, irrigidita sulla metà opposta del collo. Perfino la Senza Faccia era vagamente orgogliosa del suo lavoro: era stata un'incisone netta, precisa, di cui il suo Law sarebbe stato fiero. Dopotutto, aveva tanto insistito perché imparasse qualche rudimento per fargli da assistente.
Ana realizzò di non avere scampo. Sentiva l'ossigeno venirle strappato dai polmoni, il calore corporeo abbandonarla e il Tempo non rispondere ai suoi disperati richiami. In compenso, ubbidiva fedele alla sua assassina, ancorandola per lei alla struttura della realtà come una falena su una teca. Ne corrodeva la fisionomia, divorava muscoli ed epidermide, trasformando la metà sinistra del volto di Artemis in un doloroso mosaico di tessuti bruciati. Nonostante tutto, non mollò la presa sul collo di sua madre finché non fu certa di sentire la vita abbandonarla.
Le ultime parole del Drago si persero in un suono inarticolato e il tempo parve riprendere a scorrere più rapidamente.
Un fiume di suoni concitati la spinsero a svanire istintivamente. Fu un salto nel buio, un atto di fede per la sua guerra sacra. Non si prese nemmeno la soddisfazione di leggere lo sgomento sul viso di Akainu: quando i marines risposero alle urla terrorizzate dei nobili, trovarono solo il cadavere sfregiato di Ana riverso sul marmo, ai piedi delle tovaglie lilla che tanto stonavano con il borgogna del sangue che le impregnava.

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Capitolo 22
*** Ikigai ***


Capitolo 20: Ikigai

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Il concetto di morte sembrava rimbalzare sulla corteccia cerebrale di Artemis.
Non voleva accettare quel pensiero: lo conosceva bene e sapeva che sarebbe stato un ospite invadente.
Quell'idea corse all'assalto e venne respinta sistematicamente ancora e ancora, per minuti che parvero ore, lasciandola completamente imbambolata, nuda davanti agli asciugamani sparsi attraverso il bagno.
Fissando allo specchio il suo volto eroso da un pianto silenzioso, cercò di raccogliere tutta la concentrazione che le serviva per quel compito scellerato, maledicendosi per aver trovato il coraggio necessario solo in quella disperazione.
Srotolò sul bordo del lavandino l'astuccio degli attrezzi appena rubato dall'uniforme di Tamatoa. La sua scarsa abitudine agli alcolici l'aveva fatta crollare dopo nemmeno un'ora dalla notizia. Per tutto il tempo in cui aveva lottato con l'ebrezza, la dama aveva continuato a mormorare parole confuse e tristi su quanto le dispiacesse per la morte di Law. Si lasciò andare perfino a un abbraccio e ad Artemis, a un certo punto, parve di sentirla piangere.
Lei, d'altro canto, si era spenta come il freddo involucro di un cyborg. Per questo non avrebbe saputo dire di preciso quando e come avesse allestito quella sala operatoria improvvisata, né dove avesse trovato il fegato di deglutire un altro shot e rigirarsi tra le mani i suoi ferri. Li scorse con lo sguardo: forbicine, pinzetta, ago, filo e una piccola boccetta di un disinfettante dall'odore aspro e chimico. Artemis l'agitò controluce, sospirando quando arrivò alla conclusione che fosse davvero poco.
Non era abituata a tutta quella pressione, mentre lavorava. Nessun piano B, nessuna linea temporale di supporto e una ghigliottina pronta a cadere sulla nuca della sua ciurma. Tutto ciò che restava dipendeva drasticamente dalla fermezza della sua mano.
Imbevve un frammento di stoffa spugnosa nell'acqua salata della sua vasca. Afferrandolo con le pinze, tamponò la pelle del collo, perdendo presto la sensazione del tatto mentre cercava il percorso dei chirurghi di Sant'Ana. Una volta trovato, sentì le sue budella stringersi e la mascella serrarsi di riflesso.
Allargò le lame delle forbicine e prese a incidere lo strato di pelle più superficiale, realizzando presto quanto blando fosse l'anestetico che aveva scelto. Un rivolo rossastro e pulsante prese a scorrerle sul petto, ma già a quella profondità irrisoria riusciva a sentire il supporto della placca.
La inseguì per quasi mezz'ora, destreggiandosi tra le ingannevoli simmetrie dello specchio e il tremore che le spostava le mani. Il sangue diventò presto un'unica, enorme macchia sul suo décolleté e sulle dita. Quando riuscì a estrarre l'agalmatolite, si ritrovò tra le estremità della pinzetta pochi centimentri quadrati di un metallo opaco e sporco e sul volto quanto di più simile a un sorriso riuscisse a produrre. L'aveva appoggiata sul bordo del lavabo per poi dedicarsi a riposizionare i punti esattamente dov'erano, nonostante la curvatura che era riuscita a imprimere all'ago da cucito fosse molto più leggera di quanto le servisse. Assottigliò il filo tra la labbra e centrò la cruna, facendo avanzare la cucitura per avvicinare i due lembi di pelle. Disinfettò il suo lavoro con calma, lavando via il sangue con cura e dovizia. Collocò attentamente i bendaggi e una profonda stanchezza si infuse nel suo petto.
La sua opera, tuttavia, non era ancora conclusa. Se essere la Reina Blanca le aveva insegnato qualcosa, era di certo l'importanza dei diversivi: aveva visto molte volte che il delitto perfetto non è quello senza indizi, ma quello che non viene neppure alla luce. Le serviva qualcosa di plausibile, che giustificasse il sangue e la debolezza che l'avevano presa, qualcosa di talmente chiassoso da seppellire la sua paranoica precisione in un raptus.
Raddrizzò l'ago tra i denti, lavò e rinfoderò ogni strumento, avendo cura di tenere la forbicina per sè.
Raccolse la piastrina di agalmatolite e la custodì in bocca, facendo mille prove per nasconderla tra i denti e sotto la lingua, facendola sparire come un'illusionista.
Frantumò la boccetta del disinfettante e poi, nonostante il brivido di rifiuto che la percorse, lo specchio sopra il lavabo. Il pavimento del bagno si riempì di frammenti, minuscole schegge le si conficcarono tra le nocche e le graffiarono i piedi.
Quando il suo piano era quasi concluso, avvertì Tamatoa lamentarsi lievemente nel dormiveglia. Calciando in modo disordinatamente plausibile gli asciugamani, Artemis si avvicinò alla vasca di deprivazione, la forbicina stretta in mano. Pregò che le scienze umanistiche non avessero sovrascritto le sue conoscenze anatomiche e incise in maniera grezza i palmi e i polsi, facendo bene attenzione a evitare il sistema circolatorio principale. Il sangue uscì comunque copioso, terminando di macchiare la stoffa che la circondava. Tese l'orecchio per seguire le fasi del risveglio della sua dama e, appena percepì che aveva trovato il letto vuoto, entrò in acqua, tingendola di porpora.
Il tepore fluidificò il sangue, mentre ogni ormone l'avesse tenuta in piedi fino a quel momento sembrò abbandonarla. Il pensiero razionale si fermò e l'unico delirio che riuscì ad afferrare, avvolta in quel buio, era quanto sporca e imprecisa fosse uscita la maledetta sutura. Anche in un contesto simile, era un lavoro fatto da cani: se il suo Law l'avesse vista, sarebbe andato su tutte le furie. "Dopo tutta la pratica che ti ho fatto fare?" L'avrebbe ripresa "E con un filo così grosso?! Cosa sei, un macellaio?"
La parola "Perdonami." si formò da sola sulle sue labbra, mentre una spallata scardinava la porta e le braccia di Tamatoa ripescavano il suo corpo da un lago vermiglio, puntuali come da copione.

-//-//-//-

Im aveva osservato quegli eventi con un interesse che non provava da anni.
La fine di Ana, dopotutto, non poteva che essere preceduta da qualcosa di eccezionale. Quei piccoli umani trafficoni si impegnavano sempre così tanto ad andare contro i pronostici. Alcuni più di altri.
Quando sentì il salto di Artemis imminente e la sua destinazione vicina, si scoprì appena emozionato all'idea di incontrarla. Non dirottò nemmeno il salto al di fuori del doppiofondo di Ana, per essere certo di non perdersela.

Artemis quasi non riconobbe il marmo della stanza luminosa, impegnata com'era a ricordare al suo corpo di funzionare, al cuore di battere e al cervello di non spegnersi.
Si stese sul pavimento fresco, un'ondata di dolore mista a un vago sollievo si irradiò immediatamente dalle parti del corpo bruciate dal Time Time.
Ringraziò solo che le fosse tornata in mente quell'inutile informazione regalatale da Tamatoa: nella sala del Trono Vuoto non c'era mai nessuno. Avrebbe potuto stabilizzarsi con calma e da lì sarebbe potuta andare ovunque la sua sete di sangue l'avesse condotta.
"Ti stanno cercando in parecchi, là fuori" ridacchiò una voce indecifrabile, come se le avesse letto nel pensiero.
Artemis scattò ciecamente in direzione della fonte, l'adrenalina sfogata in un urlo, i muscoli delle dita contratti per artigliare. Afferrarono il collo aiutati dall'altra mano, la stretta si fece appena più forte quando distinse l'ombra di un sorriso sulla sua vittima.
"Non sfidarmi." gorgogliò, mentre sangue altrui si rapprendeva sulle sue ciglia, dipingendo il mondo di una tinta calda "Sono pronta a rifarlo."
"Non ne dubito." replicò compiaciuto Im, studiandola con i suoi occhi di un rosso violento "Il cadavere di tua madre é ancora caldo. Non credevo l'avresti fatto davvero, ma ti ringrazio: ultimamente avevamo visioni troppo diverse e odio licenziare i miei collaboratori, specie qualcuno fedele quanto lei. Spero vorrai almeno farmi il favore di prendere il suo posto."
Il tono di Artemis si incupì ancora, la testa incassata a minacciare ulteriormente quell'uomo tanto impassibile.
"Di che cazzo parli?" ringhiò.
"Ti va di fare due chiacchiere?" propose lui, alzando le mani ossute "Senza omicidi e spargimenti di sangue, come persone civili?"
Lei ci riflettè su, infine lo scostò con uno scatto rabbioso dei muscoli, se non altro per prendere tempo.
"Ti ringrazio" soffiò la figura, ricomponendosi e sorridendo affabile "Mi presento: io sono Im e sono il guardiano di ogni realtà."
Qualsiasi fosse la reazione che l'essere celeste aveva previsto, non poté fare a meno di rimanere colpito dalla risposta che ricevette, quando udì uno sfacciato: "Hai davvero due palle quadrate, se credi che me ne freghi qualcosa."
"E tu, cara, hai due palle quadrate a rivolgerti a me in quel modo, perciò siamo pari." concluse sorridendo, trascinando la lunga veste fino al Trono Vuoto e scansando ciuffi d'erba e farfalle sul suo cammino. Artemis non ricordava ci fossero, prima. Non ricordava nulla della rigogliosa vegetazione che aveva ricoperto la stanza, attorcigliandosi sulle colonne e trasformandola in una sorta di giardino incantato. Anzi, no: ricordava chiaramente che non ci fossero affatto. In due metà opposte del suo cervello, combattevano l'assoluta certezza di conoscere quel posto e l'altrettanto ferma convinzione di non averlo mai visto.
"Fatto sta che io mi assicuro che i mondi non finiscano, o perlomeno che lo facciano solo se necessario. " Continuò l'uomo, scostando lo strascico per accomodarsi sullo scranno "E per farlo mi sono sempre circondato di creature che fossero in grado di percepire la realtà come la vedo io. Certo, voi signori del tempo la scrutate dal buco di una serratura, ma sempre meglio degli esseri umani, ho ragione?"
La donna non poté contenere l'indignazione con cui lo scrutò, fissandolo dall'alto in basso nonostante la posizione di lui fosse dominante e il tono da commediante con cui aveva concluso l'ultima frase.
"Salvare il mondo?" sputò, come fosse un affronto.
"I mondi. Salvare la realtà, a dire il vero" puntualizzò con un'espressione vagamente infastidita "ma hai ragione, sono formalità inu-"
"No." fu la perentoria, rabbiosa risposta di Artemis, giunta come un treno deragliato a troncare ogni argomentazione. "Salvatela da sola, la maledetta realtà, non ho intenzione di aiutarti. Non ne posso più di questo fardello. Sono stanca di avere un potere che mi strappa ogni cosa dal giorno in cui l'ho preso, stanca di garantire un Bene Superiore che pare proteggere tutti tranne me."
Il volto ferito di lei era arrossato e stravolto. Im riusciva a sentirne il rammarico, il fumo soffocante di una pira di rimpianti, la forza di fare la cosa giusta ormai esaurita da tempo. Aveva visto diversi umani perdere il senno, una volta perso tutto il resto. In fondo, erano tutti piccole creature inclini all'ira. Chissà cosa gli aveva fatto credere che fosse diversa.
"Quanta rabbia." constatò amareggiato, dopo un lieve silenzio. "Gli somigli molto, sai? Al ragazzino di Flevance che giunse sul tuo uscio tanti anni fa. Colmo di odio, talmente tanto da voler vendere il suo futuro per un mare di sangue. Vedo che la matematica continua a non essere un punto forte di voialtri."
"Non osare nominarlo." gli ringhiò contro Artemis "Tu non sai niente di me e non sai niente di lui."
"So più di quanto tu non creda." Sospirò divertito, scendendo nuovamente dal suo trono per avvicinarsi a quella figura tanto inasprita. La sorta di velo candido che gli cingeva la testa oscillava pigramente a ogni passo, sfiorando la stoffa scura sulle sue clavicole. "Guardati, guarda quanto l'odio ti ha accecata. Qual é il tuo piano ora, mh? Attuare la tua ennesima, grande vendetta? Prendere vite su vite finché non avrai ripagato la sua morte, secondo qualche vostro strano sistema di conversione? Nemmeno una strage te lo restituirebbe. Una bella fortuna che sia vivo e vegeto."
Quel barlume di speranza le fece inghiottire ogni improperio, ogni bestemmia stesse per riversargli contro.
"N-non é vero." balbettò, ostentando una sicurezza inesistente "Law é morto, io l'ho visto. Lo so."
Im scosse la testa, afferrando con delicatezza il polso di Artemis.
"Cosa sai?" le chiese, allargando le dita della sua mano senza incontrare resistenza, posando sul palmo un quadrato di carta tremolante, dalla sensazione inconfondibile.
Il nome di suo figlio era scritto in bei caratteri blu di una grafia che non conosceva. La vivre card danzava ipnotica sotto gli occhi addolciti di lei.
"Sono solo g-giochetti mentali del cazzo." razionalizzò "E, se sai davvero così tante cose, dovrebbe risultarti che ho ucciso per molto meno."
"Puoi ridarmela, se non la vuoi." propose lui, allungando la mano e facendo chiudere a tenaglia quella di Artemis di riflesso. Lei se la strinse al petto con tutta la forza che aveva, come se quel piccolo lembo custodisse un universo intero.
Im sorrise, l'alta corona appuntita sulla sua testa oscillò piano nel riconoscere ancora un'incrollabile nocciolo di speranza nella donna davanti a sé.
"Dressrosa é caduta" continuò a raccontarle, con tono rassicurante "Doflamingo ora é su una nave della marina diretta a Impel Down. Re Riku ha ripreso il suo posto sul trono, promettendo di perdonare ognuno di voi. Detto tra noi, credo fosse una frase di circostanza. Nel dubbio, fossi in te non ci tornerei."
Artemis prese un profondo respiro, chiudendo lentamente gli occhi a intervalli regolari e mormorando tra sé una frase che Im riconobbe come: "É solo un delirio."
"Inizio a pensare che tua madre avesse ragione." Rivelò enigmatico lui, facendo scorrere lo sguardo clinico sulle bruciature con cui il Time Time l'aveva marchiata. "La convinzione che l'ha guidata fino alle sue ultime parole era che ci avresti condotti alla fine del mondo. Per questo ci teneva tanto a prendere il tuo frutto. Niente Artemis niente apocalisse, no? Facile, ma inutile. Voleva proteggerci da una fine inevitabile, a modo suo. Ma sotto quel gran manto di difetti, piccina, tu hai una caparbietà rara. Ti ci vedo bene, a guidare questa linea temporale fino al baratro."
"Perché dovrei?"
"Perché un capitano affonda sempre con la sua nave."
"Non sono l'unica signora del tempo." puntualizzò fredda, interrompendo il suo piccolo rituale "Perché proprio io?"
L'espressione sul viso di Im si fece morbida e saggia. Dietro le lievi rughe che gli circondavano gli occhi, c'era la stessa dolcezza con cui Artemis parlava del Tempo a chi fosse disposto a comprenderlo. "Perché so già che sarai l'unica a rispondere all'ultima chiamata." sorrise "Inveisci contro il Bene Superiore, ma sono certo che alla fine farai la scelta giusta. Ora va' da tuo figlio, ma ricordati di questo posto: torna quando il mondo finirà. Mi dispiacerebbe lasciarti indietro."
Il retrogusto di minaccia di quella profezia le riempì le retine di una luce familiare mentre la sensazione della vivre card abbandonava la sua mano.
Quando i suoi occhi si abituarono di nuovo alla semioscurità della stanza, non ritrovò né i fiori né le farfalle che l'avevano adornata.
I rumori concitati di una battaglia le facevano tremare il petto, alternati al respiro concentrato di una figura incappucciata.

"Che ti sei fatta, maledizione?" Sbottò la donna al suo fianco, mentre con la mano sfiorava una a una tutte le bruciature che aveva riportato. Nonostante i modi bruschi con cui l'aveva trascinata nel mondo dei vivi, Artemis era certa che stesse condensando nel caldo bagliore delle sue mani tutta la cura potesse avere. Lo capì dal rammarico con cui la sentì imprecare tra sé un sommesso: "Cazzo, non viene via."
"È il Tempo" ansimò sorridendo la Senza-Faccia, mettendo pian piano a fuoco i capelli rosati che sfuggivano da un grande cappuccio sopra di lei "Tutto il Tempo. Ho usato tutte le linee."
"Hai simulato un crocevia?" Chiese la sua interlocutrice, incredula "Ti sei bevuta il cervello?! Non fare cazzate simili é tipo la regola numero zero."
E normalmente sarebbe stato vero. Artemis aveva sempre fatto grande attenzione a come trattava il Tempo. Sceglieva le linee giuste, si assicurava di non creare paradossi e, in particolare, non ci scriveva mai niente che fosse realmente significativo. Non stava a lei decidere, si era sempre detta, quello era il compito di un dio. Per questo aveva sempre maneggiato il suo potere come se glielo avessero prestato. Eppure, dopo aver incontrato Sant'Ana e aver visto l'uso spregiudicato che ne faceva, una strana idea aveva preso a germogliarle nel subconscio, avvolgendo e zittendo con le sue radici aspre ogni freno inibitore: "Era l'unico modo."
"Sei uscita di testa?" Scandì, temendo che il trauma si fosse portato via tutto il buonsenso che le era rimasto "Hai idea di che cazzo hai fatto? Queste cicatrici non se ne andranno mai, qualsiasi cosa uscirà da questo bordello non se ne andrà mai. Dovremo tenerci queste conseguenze per sempre."
"Dannazione, Bonney, piantala!" tossì Artemis, allontanando le dita che la scansionavano "Se dobbiamo parlare di gente uscita di senno, la vecchia cercava anche te. Che cosa ci fai qui?"
"Cercavo te, Senza-Testa. Quando ho smesso di sentirti trafficare, ho capito subito che doveva esserti successo qualcosa."
Artemis cercò di non sorridere, percependo la vaga preoccupazione nella voce dell'altra piratessa. "Che volevi fare?" Le chiese, mettendosi a sedere sul freddo pavimento di marmo, le ginocchia strette al petto "Ti avrebbe individuata subito, avremmo rischiato in du-" la frase le morì in gola, troncata da una consapevolezza terribile: "Il frutto", mormorò sbiancando.
"Che hai detto?"
"Il frutto di Ana, dobbiamo assolutamente trovarlo" borbottò Artemis, iniziando a traballare in giro per rimettersi in piedi.
"Ce l'ho io" la fermò Bonney, tirandola per la lunga manica della giacca e costringendola a rimettersi a sedere "Calma, ce l'ho io. Si è rimaterializzato in uno dei buffet, nessuno si è accorto di niente."
Il lichi bluastro comparve in una delle mani della Mangiona, che lo posò al suolo, tra loro due, come se stesse dando inizio a un rituale implicito. Il minuscolo oggetto era avvolto nella stessa aura sinistra in cui le due l'avevano visto per la prima volta. Lo scrutavano e si scrutavano l'un l'altra, cercando nel fondo dei rispettivi occhi la risposta a una domanda che faticavano a comporre.
Dopo un breve silenzio, fu la Senza-Faccia a rompere il ghiaccio che si era formato nella stanza del Trono Vuoto: "Cosa facciamo?" interrogò Bonney con fare pratico.
"Potremmo buttarlo in mare", suggerì lei in risposta, con una scrollata di spalle e una smorfia noncurante delle labbra a cuore "l'acqua salata dovrebbe rifiutarlo e consumarlo, sparirà senza lasciare traccia."
"Ne sei sicura?" scandì Artemis "Se non funzionasse sarebbe di nuovo in circolo. Ci sono troppi squali in queste rotte, molti dei quali senza nemmeno un frutto. Hai idea di che succederebbe se raggiungesse un Imperatore? Non voglio prendermi un rischio simile."
La Mangiona sospirò di fronte a quel freno, stuzzicando pensierosa il chewing-gum che aveva già torturato per lunghi minuti e che ormai aveva perso odore e sapore. "Sono abbastanza sicura dell'acqua di mare, ma non so se mi ci giocherei le sorti del mondo." ammise "Hai alternative?"
"Non proprio, ma abbiamo la possibilità di fare una prova, nella mia stanza. Pensi riusciremo a raggiungerla?"
"Non dirlo nemmeno" la rassicurò Bonney, porgendole la mano per aiutarla a rialzarsi.
Artemis seguì il mezzo sorriso di quella sua sorella di sorte e, prima ancora che fosse completamente salda sui suoi piedi, riuscì a riconoscere sotto di essi il legno venato della camera che le era stata destinata. Nel bagno adiacente non c'erano più tracce della sua sala operatoria ormai da diversi giorni. Avanzando con una spinta di urgenza in ogni passo, la Senza-Faccia raggiunse senza esitare la vasca di deprivazione, ruotando al massimo la manopola che regolava l'afflusso di acqua di mare.
L'intensità della salsedine che ribolliva mentre veniva versata a litri tra le pareti di elegante ceramica ricurva, riuscì a dare a entrambe un capogiro anche solo tramite l'odore.
Poco dopo, Bonney adagiò il frutto a pelo della superficie.
Questo galleggiò appena, come un'innocua fragola in una tinozza in piena estate, poi prese a vorticare su sé stesso e l'acqua iniziò a produrre un'effervescenza viva e colorata, prima del blu cianotico della buccia e poi del rosa acceso della sua polpa. L'aria della stanza si riempì di un odore zuccherino, misto a una forte nota di mare. Era talmente pungente da relegare le due donne al davanzale dell'unica finestra presente.
Il frammento di cortile diversi piani al di sotto di loro era attraversato da ondate di corpi a intervalli irregolari, quasi tutti avvolti nelle stesse divise bianche e blu.
"É tutta per me, questa mobilitazione?" chiese la Senza-Faccia, sporgendosi con lo sguardo oltre l'infisso a ribalta.
"Immagino di sì." Masticò Bonney in uno smorto pallone di chewing-gum "Ho visto gente strana, cercando di raggiungerti, ma nessuno dava nell'occhio quanto te. Immagino fossero rivoluzionari."
"Cazzo" soffiò l'altra in una mezza risata, incassata sul suo stomaco. "Abbiamo fatto un bel casino"
"Tu hai fatto un bel casino" specificò la Mangiona.
"Dai, mi sei venuta dietro, prenditi almeno un po' di colpa."
"Nemmeno per sogno, Senza-Testa. A prescindere da come andrà, tu hai tolto di mezzo il Deterrente. É veramente pieno di gente che non ha attaccato Marijoa prima solo perché c'era Ana e i Marines non la prenderanno bene. Questi sono tutti e soli cazzi tuoi."
"Perlomeno ne è valsa la pena, no?" ribatté l'altra, scettica ma incuriosita. "I Draghi Celesti hanno causato danni per secoli. Se qualcun altro subentrasse, non sarebbe poi un dramma."
"I re sono sempre re." constatò Bonney disgustata, facendo scorrere il palmo sopra la superficie dell'acqua ormai ferma. Non rilevò niente, neppure il vago sentore che il frutto fosse stato in quella stanza. "Sarà una faccia diversa, ma non cambierà niente."
"O magari non ci sarà nessuna faccia." avanzò Artemis, osservando l'acqua melmosa venire risucchiata dal tappo strappato alla sua posizione "Sarà solo una caduta, senza niente a sostituire Marijoa."
"Avanti, non dirmi che ci credi davvero." rise amara l'altra, la sua espressione appena visibile sotto il correttore che le nascondeva gli angoli delle labbra. "Il Mondo rifiuta il vuoto, no? Ci sarà per forza qualcun altro. Io il mio l'ho fatto e qui non ci resto, tu fai come vuoi. Addio, Senza-Testa!"
"Vedi di non crepare, Bonney!"
A quell'augurio, lei rispose con una smorfia e un gesto volgare, giusto in tempo prima di sparire, lasciando Artemis di nuovo sola nella sua stanza.
Oltre alle geometrie classiche sul legno della porta candida, attraverso i muri e i vetri che la proteggevano, il suono del conflitto risuonava con quel suo strano ritmo primordiale.
Le picchiava nel petto come una canzone o una vecchia nenia, come un richiamo che svegliava il sangue e lo faceva correre, animandola di una spinta irresistibile.
"Un bagno di sangue non vendica i morti", le aveva detto quello strano sogno. Quindi, almeno per ipotesi, una parte del suo subconscio doveva crederci.
"No, forse no" pensò, spingendo le porte e affilando il sorriso, "ma hai idea di quanto sia catartico?"

 

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Capitolo 23
*** La catarsi del sangue ***


Capitolo 21: La catarsi del sangue

La novità si sparse con una velocità degna delle peggiori catastrofi.
Nel giro di istanti, chiunque fosse sul suolo della Terra Sacra aveva appreso della morte di Sant'Ana e aveva visto attivarsi la procedura di emergenza delle Grandi Occasioni.
I marines di grado inferiore incespicavano, fingendo sicurezza e muovendosi in schemi visti quasi sempre solo sulla carta, mentre gli ordini giungevano loro da capitani incerti.
Solo Akainu sembrava sapere chiaramente cosa stesse facendo, quasi il peso di vite e aspettative non gli fosse grave. Prendersi quelle responsabilità, per lui, era naturale fin da molto prima che competessero al suo ruolo.
Non aveva esitato un istante, trovando il cadavere di Ana: aveva radunato tutti i Draghi Celesti sopravvissuti in un accrocchio e li aveva immediatamente avvolti in un guscio di marines. La processione fu spinta con energia e ordine attraverso i passaggi segreti di Marijoa, sebbene ogni tanto qualche soldato dovesse ricordare ai nobili che ogni esitazione, ogni passo falso, sarebbe potuto costare loro la vita.
Sakatsuki vigilava come un falco su di loro, attento a ogni rumore, ricontandoli a ogni metro, febbrile e metodico, come una chioccia coi suoi piccoli.
Giunsero a un enorme portone blindato a due ante, le cui spesse pareti erano interrotte solo dai grossi cilindri e dai loro alloggiamenti. Il piombo verdastro che le componeva sembrava inghiottire la luce tremula che le torce alle pareti proiettavano su di esse. I due marines che aprirono il bunker non provarono nemmeno a nascondere lo sforzo con cui spalancarono l'ingresso, e il cigolio cupo e profondo che li accompagnò mise i brividi a tutti i coloro che avrebbe dovuto proteggere.
I muri spogli e austeri erano spessi più di una spanna e sembravano fatti per resistere a qualsiasi cataclisma potesse riversarsi su quell'angolo di mondo. Una luce fredda e artificiale pendeva dal soffitto e ronzava al di sotto del fitto vociare.
Tremarono, i nobili, ma nessuno di essi volle rimanerne fuori. Si ammassarono verso il fondo della stanza come vacche al macello, alcuni stringendosi gli uni agli altri, un po' per conforto, un po' per il disperato bisogno di conferma di essere ancora vivi. Akainu entrò per ultimo, seguendo una manciata dei suoi uomini più fidati.
"Colpite per uccidere" ordinò metodico a chi restava, mentre la tensione del momento evidenziava le linee sul suo volto "E non tornate finché non avrete la sua testa."
Sigillato il bunker e zittito con un solo sguardo il lamentoso chiacchiericcio di fondo, il Grand'Ammiraglio si inginocchiò dinanzi alla porta al modo dei samurai.
Aveva letto tanto a riguardo, da bambino. Del loro onore, della dedizione totale e cieca ai loro padroni, delle fini onorevoli, da veri eroi, che inseguivano per loro stessi.
Lui aveva scelto di servire la Legge in tempi talmente remoti che faticava a ricordarli. Non rivedeva tanto il suo voto nella massa terrorizzata alle sue spalle: era il primo a sapere che i Draghi e la giustizia c'entravano ben poco gli uni con gli altri. Difenderli era un effetto collaterale.
Ma anche se la sua vita fosse dovuta finire proteggendo quegli smidollati mocciosi, se fosse bastato per mettere un freno alla valanga di errori che rispondeva al nome di Artemis De La Rose, ne sarebbe comunque valsa la pena.
Poco dopo, anche quegli ultimi pensieri si spensero, mentre la sua mente si faceva fortezza e lui si preparava alla guerra di logoramento che sarebbe arrivata. 

"Questa procedura non era nel programma."
Sabo rimasticava quella scusa tra i denti, mentre cercava di tenere il passo con la sua piccola squadra. O meglio, cercava di tenere il passo del povero diavolo a cui aveva rubato l'uniforme qualche giorno prima, all'imbarco, che era un fatto ben diverso. Per sua fortuna, l'improvvisazione era uno dei suoi molti talenti e, da una rapida analisi dei suoi vicini, la procedura incriminata non pareva essere un argomento troppo in voga nemmeno tra i marines.
Fu così che lui e una confusissima coppia di colleghi seguirono gli ordini del loro Capitano e presero, sostanzialmente, a girare a casaccio finché non avessero trovato qualcuno.
Certo, questo cambiava i piani, ma dato che almeno altre duecento squadre stavano facendo il loro stesso lavoro, si disse, la probabilità che qualcuno notasse l'assenza dei suoi compagni era molto bassa.
Stava ragionando su quando potesse essere il momento più opportuno per liberarsi di loro, quando una porta dell'anonimo corridoio che stavano attraversando esplose in una nube di polvere e schegge di legno.
Si sentirono degli spari, delle urla. Quei suoni gli crearono un vuoto nel petto e lo riempirono di adrenalina, riportandolo nel caos della battaglia, nel suo unico, vero ambiente naturale.
Un uomo con la divisa insanguinata corse scompostamente verso il trio pietrificato. Toccò terra un paio di volte, poi afferrò disperatamente il colletto di Sabo, implorando aiuto.
Risuonarono altri tre colpi, due clamorosamente lontani dal loro bersaglio e uno che dilaniò la schiena del poveretto.
L'obiettivo di recuperare Bartholomew, per il giovane rivoluzionario, perse subito di prospettiva. Aveva già teso i muscoli per darsi a una fuga vigliacca quanto colma di buonsenso, quando intercettò il viso dell'aggressore.
Sul volto sfregiato di Artemis, non c'erano tratti che Sabo potesse riconoscere, eppure non ebbe dubbi: le sue dita si plasmarono nella forma dell'artiglio del drago appena vide i due marines pronti a sparare.
Sentì la donna sbottare scocciata: "Quanta lealtà, per i due spicci che vi danno" e lo scrocchiare doloroso di un radio, sotto la presa ferrea della sua stessa mano.
L'urlo lancinante del soldato ferito distrasse l'altro, che spostò lo sguardo dalla linea di tiro pulita che aveva guadagnato sulla Senza Faccia. L'uomo schivò il proiettile di Artemis per pura fortuna, ma non l'assalto del secondo dell'Armata Rivoluzionaria: il palmo guantato del giovane lasciò il braccio che aveva appena spezzato e si parò esattamente al centro del suo campo visivo, saldo in una presa che pareva la morsa di un coccodrillo. Anch'egli urlò quando la cartilagine del naso si frantumò con un doloroso schiocco, accompagnata da un suono simile in corrispondenza degli zigomi.
Nonappena anche il secondo dei due corpi inermi scivolò a terra nello scroscio della sua uniforme, il freddo bacio di una canna di fucile solleticò le frange inferiori della cicatrice di Sabo.
Impietrito da quel contatto, non mosse neppure le pupille per rivolgerle ad Artemis, accontentandosi di vederla nella macchia di colore sformata che si era addensata nell'angolo del suo occhio. Con le mani ancora contratte nella forma del suo letale attacco e lo sguardo riempito per metà dalla bocca dell'arma, sentiva il respiro irregolare di lei far dondolare il punto di contatto del fucile.
"Se credi che vendermi i tuoi compagni ti salverà, non hai capito un cazzo del gioco." gorgogliò la donna, ansimando appena "Verrete tutti all'inferno con me."
"Io, al caldo, sto piuttosto bene" soffiò piano Sabo, restando perfettamente immobile "Ma ricordavo che tu preferissi i climi freddi, Senza Faccia."
Incerto su che reazione lei avrebbe avuto, il giovane si preparò a dissolversi in una nube di fuoco. La volata del fucile risalì piano la texture frastagliata della sua pelle, poi le ciglia e un ciuffo biondo, scostando con un movimento brusco il cappello dei Marines che aveva calato sul volto.
Le rivolse i grandi occhi chiari solo in quel momento, dritto per dritto. Tremavano appena, notò Artemis, ma non certo di paura. Quella che percepiva in Sabo era una riserva di determinazione a cui sperava chiaramente di non dover attingere. Era una preghiera e una minaccia al tempo stesso.
"Ti imploro, dì le parole giuste," le scandiva muto, "o solo uno di noi due potrà andarsene."
"Cosa ci fai qui?" Sibilò Artemis rivolgendogli un cenno col mento, la presa sull'arma che doveva essere rimarcata a forza ogni pochi secondi, come se l'istinto gliela levasse dalle mani.
"Cosa ci fai tu qui" rise nervosamente, nemmeno gli servissero quei convenevoli "Vestita in quel modo e... sai, no? Coperta di sangue."
La donna non gli rispose, abbassò l'arma e lasciò alla sua mente la cortesia di chiudere il cerchio da sé. Annuì solo quando l'espressione di lui si sintonizzò sull'ipotesi giusta: "Sei stata tu."
"Io devo andare, Sabo. Lo capisci, vero?"
"Andare dove?" le chiese, cercando di ridurre la distanza tra loro con la mano tesa "Che hai intenzione di fare?"
"A levarne di mezzo un po'. Vi farebbe comodo, no?"
"Hai delle brutte ferite" notò, tentando di avvicinarsi ancora, cercando di capire come trattenerla senza peggiorare la situazione "Non puoi andare avanti senza prendertene cura, ti uccideranno."
"Credi che non l'abbia previsto?" rise vuota, come se i suoi pensieri si fossero fatti di elio "Almeno qualcuno ne ricaverà qualcosa."
"Ma ti senti?" sbottò lui, mentre la rabbia e la preoccupazione per quelle parole gli macchiavano il volto di un rossore slavato "Qualcuno ne ricaverà qualcosa. E i tuoi, allora? E Law, a lui non ci pensi?"
"Non provarci, Sabo." tuonò Artemis, minacciandolo con la punta dell'indice rivolta al cielo e la faccia adirata a tratti attraversata da lievi spasmi di tristezza "Non mentirmi anche tu. Non me lo merito, da parte tua."
"Mentirti, perché dovrei?" insistette incredulo, chiudendole la mano tra le sue e sentendo lo scricchiolio della pelle sotto i polpastrelli "Su cosa l'avrei fatto?"
"Lo sai." respirò appena, mentre la furia la abbandonava "Law non... Non c'è più un Law a cui pensare."
I pensieri del giovane furono interrotti solo da un'enorme valanga umana lanciata a tutta velocità su di loro. Nonostante il trambusto, riconobbe Ivankov nella stretta attorno al suo torace e nell'aroma persistente e alcolico del suo profumo.
"Vi sembra il posto per una rimpatriata?!" li rimproverò la regina newkama, lanciando entrambi di peso dentro una delle numerose stanze del corridoio e serrando la porta dietro di sé "Siamo nel mezzo di un assedio! Ricomponetevi, tutti e due. E tu, Artemis: si può sapere come ti é saltato in mente di uccidere un Drago Celeste?"
"Emporio Ivankov, proprio tu, come puoi anche solo chiedermelo?" ruggì lei in risposta, con una rabbia che nessuno dei due aveva mai visto "I vostri uomini non sanno forse tutto? Non ti hanno detto che Law - mio figlio, Iva - é morto a centinaia di miglia da me, senza che potessi muovere un dito per impedirlo, solo per un capriccio di Ana?"
"Morto?" Bisbigliò Sabo, sconvolto "No, dev'esserci un errore, ero con lui fino a pochi giorni fa."
"La sua Vivre Card é bruciata," concluse mestamente Artemis, con quel suo fare metodico che, perlomeno, le risparmiava vane speranze e altro dolore "quelle non sbagliano mai."
Nessuno dei due rivoluzionari trovò parole da aggiungere, ancora increduli dinanzi a una serie di eventi che più venivano analizzati, più parevano uno scherzo di pessimo gusto. Solo la regina ebbe il coraggio di sciogliere il suo cordoglio, dopo qualche istante, in un silenzioso abbraccio.
"Mi fa paura, Iva." Le aveva confessato una notte, dopo aver recuperato Law dall'ennesima zuffa "Spero davvero che diventi un medico e gli passi questa dannata storia dei pirati. É un mondo brutto, cazzo, se gli succedesse qualcosa... Io non ce la faccio a perdere anche lui."
"Non immaginavo di aver coinvolto anche voi. Non preoccupatevi, distrarrò io i Marines" li rassicurò Artemis "cercate di andarvene più in fretta che potete."
"E tu?" chiese Sabo, incerto sul voler davvero sapere la risposta a quella domanda.
"Io ho delle cose da finire, ma me la caverò" garantì lei, ancora con quegli occhi vuoti "Farò in modo di aprire la finestra di opportunità che vi serve. Non voltatevi indietro."
"Ma la tua finestra, chi l'aprirà?" Mormorò Ivankov, facendo eco a ciò che si nascondeva tra gli spazi di quella frase.
"Per me non ce ne sarà bisogno" spiegò lei, con quel tono meccanico che non lasciava spazi a errori di interpretazione "Resterò qui. Proteggerò il Time Time e mi assicurerò di tenere i Marines lontani dalla ciurma finché non si sparpaglieranno e spariranno dai radar. Marijoa é l'unico luogo al mondo in cui potrei farlo."
"Sarebbe un ergastolo, Artemis." cercò di farla ragionare la sua vecchia amica.
"Tanto meglio. Più a lungo ci resterò, meno pericoli ci saranno per tutti. Fidati di me, fammi difendere almeno quel poco che resta. Ti prego."
La mano guantata della regina accarezzò piano la metà di viso ancora intatta.
"Non potrei farti tornare nemmeno portandoti via con la forza, vero?" chiese con una lieve rassegnazione, mentre l'altra scuoteva la testa.
"No, temo di no, ma lo aggiungerò alla lista di cose per cui non potrò mai ripagarti" Sorrise debolmente, accarezzando le dita sul suo volto con le proprie "Ora andate, non c'è tempo."
Con un breve cenno del capo, i Rivoluzionari accettarono il desiderio di Artemis. Li osservò raggiungere lentamente la porta del loro rifugio improvvisato, quasi volessero dilatare quell'ultimo istante il più possibile.
Richiusero le ante alle loro spalle, intravedendo le dita di lei sollevate in un ultimo cenno di saluto, poi i loro passi si fecero sempre più veloci, fino a sparire nell'intricata rete di corridoi.

Un picchiettio ritmico e garbato, come una piccola marcia, risuonò sulla porta della sala che Akainu sorvegliava ormai da più di due ore. Fu seguito solo da un grande silenzio, che stonava terribilmente con i gemiti strozzati e le urla che l'avevano preceduto. Erano stati abbastanza da zittire immediatamente la trafila di lamenti dei nobili, la cui paura era sfumata lentamente in noia e un chiacchiericcio scocciato, condensandosi poi rapidamente in un nuovo, silenzioso terrore.
"Grand'Ammiraglio!" chiamò una voce di donna, formale e ovattata, oltre lo spesso piombo che li divideva "Grand'Ammiraglio, aprite per favore: ci sono questioni di importanza cruciale da discutere."
"Avete massacrato i miei uomini come avete fatto con vostra madre, Saint Artemis?" tuonò Akainu, facendo riverberare di rabbia il portone e le mura "O forse dovrei chiamarti solo Senza Faccia?"
"É esattamente la questione di cui parlavo." urlò la donna, lisciando le macchie di sangue sul suo abito. "Sono qui per discutere la mia resa."
"Non c'è niente di cui discutere." Latrò, imperativo "Il Governo Mondiale non tratta con gli assassini. Sarai condotta a Impel Down e lì marcirai, come tutta la tua gente."
Quell'ultima frase fu seguita da un sussulto generale, seguito da un lieve fruscio e una voce femminile molto più vicina di quanto lo stoico Grand'Ammiraglio potesse aspettarsi.
"Avete un atteggiamento davvero poco costruttivo" lo rimproverò Artemis, materializzandosi a pochi centimetri dal suo volto e spolverandosi poi i frammenti di pelle da quel che restava del suo naso.
"Quello che é successo tra me e la mia defunta madre é un affare interno ai Draghi Celesti. Voi marines non avete voce in capitolo. Non vedo perché dobbiate preoccuparvene."
"Tu non sei un Drago Celeste." gorgogliò l'uomo, alzandosi lentamente per fare da scudo ai nobili e sovrastarla con la sua torreggiante figura "Sei solo una mezzosangue."
"Questo non é ancora stato deciso." Precisò Artemis con fare pratico "Ma tutti i nobili sono qui e sono certa che la loro saggezza saprà illuminarci."
I Draghi si strinsero al fondo della sala, ora che erano certi di essere stati visti e interpellati.
"Non ce ne sarà bisogno." ringhiò ancora Akainu, sempre più determinato a sciogliere nel calore della lava ciò che restava di lei.
"Io credo di sì." replicò la sua avversaria sottovoce "É la legge del vostro Governo a stabilire che la loro parola regna suprema. Se l'ordine che proteggete é santo come dite, non potrà che risultarne la scelta giusta, non credete?"
"Potreste unirvi a noi?" chiamò Artemis, ora rivolta a quelli che reclamava come suoi pari "La discussione vi coinvolge da vicino. Prego, disponetevi in cerchio, come se ci trovassimo a una tavola rotonda."
Dal fitto nucleo, si distaccarono con riluttanza alcune unità, sotto lo sguardo stupito di Akainu. Due divennero quattro, poi sei, otto, fino a che tutti i Draghi Celesti non cedettero alla richiesta di un'Artemis lievemente compiaciuta.
Tutti tranne uno.
"Che fate ancora lì, Saint Roswald?" lo chiamò, la voce intrisa della pazienza con cui si negozia coi bambini "Stiamo aspettando solo voi."
L'uomo, un volto che non le era troppo nuovo, era comparso spesso sui giornali. Ma, in particolar modo, ricordava di aver visto la sua barba e gli inseparabili occhiali neri strisciarle davanti mentre trascinava Law fuori dalla terrazza di un locale di Marijoa. A giudicare da come se ne parlava, poteva essere un uomo sfacciato e infinitamente pieno di sé, ma di certo non un eroe.
"Non ti dobbiamo niente." replicò velenoso, senza schiodarsi dalla parete "Il Grand'Ammiraglio ha ragione, sei una mezzosangue e un'assassina."
"È una presa di posizione parecchio forte." constatò, imperturbata "Può unirsi a noi per discuterla o ha intenzione di nascondere il punto da cui i marines verranno a prendervi ancora per molto? Potrebbe volerci un'ora abbondante prima che il passaggio murato venga aperto, fossi in voi mi metterei comodo."
Quell'analisi lasciò Sakatsuki come una statua di sale: nemmeno l'asprezza dei suoi tratti riuscì a nascondere un vago stupore.
"Non fate quella faccia: era piuttosto ovvio che non li avreste mai chiusi in un bunker se non ci fosse stata un'altra uscita. Ma ora che anche Saint Roswald è dei nostri proporrei di discutere l'ordine del giorno."
"Non c'è nessun ordine del giorno nè nessuna dannata riunione: quello che hai fatto a Sant'Ana è sotto gli occhi di tutti." sbraitò il Grand'Ammiraglio.
"Il vostro ostruzionismo é poco produttivo." considerò con tono posato, facendo scivolare lo sguardo sulla consistenza fluida che il guanto di Akainu stava acquistando "Credo che non stiate apprezzando il fatto che io abbia scelto di giocare sul vostro campo, secondo le vostre regole. D'altro canto, immagino che voi non vogliate avere a che fare con le conseguenze delle mie, giusto?"
"Perché mai dovremmo accettarti tra noi?" avanzò Saint Roswald, accusatorio.
Artemis lo squadrò brevemente con sorpresa, come se, alla fin fine, non si aspettasse che l'uomo potesse prendere parte alla conversazione.
"Ciò che dite voi e che dice anche il Grand'Ammiraglio è corretto: come avete potuto constatare voi stessi, ho ucciso a sangue freddo non solo un Drago Celeste, ma anche una Signora del Tempo, nonché mia madre biologica." ammise la donna.
La pausa che seguì quell'affermazione parve durare secoli. Il silenzio sembrò trasformare l'aria viziata della stanza in sabbia, che scandiva lentamente lo scorrere dei secondi scivolando nei polmoni di tutti gli astanti, togliendo loro il fiato.
"E non avete intenzione di controbattere?" chiese Roswald, cercando di dare struttura al fil di voce che gli era rimasto.
"Mi pareva stessimo parlando di fatti, no?" gli ricordò Artemis, l'orbita oculare scrostata che lasciava trasparire una sottile minaccia anche senza le palpebre a trasmettere emozioni. "Tutto ciò che è stato detto è corretto. Fate di queste informazioni ciò che volete."
"Non osare minacciarli." si scagliò Akainu, avvicinandosi pericolosamente alla donna. Dal lieve sforzo che comparve sul volto di Artemis, capì che aveva tentato di proteggersi dal potenziale colpo che ne sarebbe seguito.
"Ho solo esposto dei fatti, gli stessi che avete portato voi." argomentò infine "Dopotutto, la fedina penale non ha mai avuto niente a che fare con il titolo che mi sto giocando, sbaglio? Altrimenti ci sarebbero molte altre persone a rischiare, oltre me: schiavitù, contrabbando, omicidio... La lista é lunga e fitta di nomi. Siete sicuro di voler aprire questo capitolo? Inoltre, ci terrei a farvi presente che senza il vostro Deterrente siete esposti e che io sono l'unica con il potere e l'intenzione di prendere il suo posto."
"Sono solo bugie!" l'attaccò ancora Saint Roswald, cercando di mettere insieme le briciole del fervore con cui aveva iniziato "Ci venderai tutti alla prima occasione!"
"Assolutamente no" garantì Artemis con una trasparenza raggelante "Vendendovi mi esporrei anche io: siete il mio scudo umano. Ho tutto l'interesse a proteggervi. Se non avete altre domande, lascerei il tempo alle votazioni, senza interferire."
"Ci riuniremo per votare." Annunciò una giovane, avvicinandosi all'altro nobile. A giudicare dalla protezione che mise nell'appoggiare la mano sulle sue spalle, poteva trattarsi della figlia. Artemis ricordava ne avesse una chiamata Shalria "Avrete una risposta al più presto."
"Tutto il tempo che serve" rispose, squadrando il Grand'Ammiraglio. Sentiva bene di star danzando sul filo del rasoio e il vuoto sotto di sé la prendeva allo stomaco ogni volta che i suoi occhi intercettavano i tic di rabbia del suo avversario.
Akainu sembrava faticare terribilmente nel tenere insieme i pezzi in cui un'ira cieca lo stava spezzando, ma nonostante tutto fece mezzo passo indietro quando riconobbe un funesto bagliore dorato nella pupilla sinistra e nei muscoli che la circondavano.
I due continuarono a fissarsi da un capo all'altro del bunker, separati dal capannello di draghi celesti che parlavano fitto, riempiendo la stanza di un indistinguibile brusio.
I nobili discussero, avanzarono ipotesi e controipotesi imperscrutabili per lunghissimi minuti e infine si voltarono. Alcuni guardarono Akainu con uno sguardo di rammarico, altri si abbracciarono in un gesto di affetto che sembrava celare un enorme dolore, infine la donna che aveva preso la parola all'inizio chiuse il cerchio.
"Siamo giunti a una conclusione" mormorò, rapida come se si stesse strappando un cerotto "Artemis De La Rose, in cambio della sicurezza di tutti noi e dei nostri cari, ti garantiamo il titolo di Drago Celeste. Che il Cielo abbia pietà di noi."

 

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