Musashi no kimochi

di Lucenera88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'era una volta... ***
Capitolo 2: *** The Best Damn Thing ***
Capitolo 3: *** Incinta ***
Capitolo 4: *** Innocence ***



Capitolo 1
*** C'era una volta... ***



C’era una volta…

 
C’era una volta in cui tra loro due le cose non erano altro che una fraterna amicizia, e forse sarebbe stato meglio se il tempo si fosse fermato allora.

Non che lui non provasse nulla, perché un qualcosa covava nel suo cuore mentre si premuniva accuratamente
di soffocare il tutto nel nome di una semplice stabilità;


Lei d’altro canto l’aveva visto come una sorta di spalla da maltrattare,
      fino a quando aveva potuto escogitare la terrificante idea di utilizzare il magnetismo di cui era
      consapevole ancora di più come divertimento personale.
 
Jessica Isabelle Musashi Morgan Thomps e James Kojirō Joseph Mcgrannigham. Due nomi che per chiunque, perfino per loro stessi, sarebbero stati identificativi di estranei, dal momento che per sé e per il mondo essi erano semplicemente Jessie e James del Team Rocket, la famosa banda criminale la cui specialità era lo sfruttamento di Pokémon per trarne profitto in vari campi. Il Boss di questa mafia era conosciuto solamente con l’anonimo Giovanni, e di lui era nota la passione innata per la collezione degli animali dalle fantastiche potenzialità.
Dopotutto, Giovanni li aveva tolti dalla strada, sebbene non fosse stato direttamente la causa del loro primo incontro.   
I due erano cresciuti in una gang di teppisti fino ai quattordici anni, e in una comitiva tale si veniva su abbastanza presto. Quando entrarono a far parte di quella famiglia, che in qualche maniera era migliore di quella da dove erano fuggiti, James era un bambinetto che si portava più piccolo degli anni che aveva. Non sapeva neppure andare in bicicletta, e la cosa era motivo di scherno in una banda di ragazzi che fondava la propria malavita sul mezzo a due ruote.
James fu inizialmente in qualche modo disprezzato e, se non fosse stato per Jessie, sarebbe finito in mezzo alla strada alle porte dell’inverno.
Avevano dodici e tredici anni. Jessie, da peste che era, da quell’esperienza apprese che solamente con la vera cattiveria si poteva ottenere ciò che si voleva per gente come lei, che nulla le sarebbe stato regalato e che nemmeno faticando onestamente avrebbe raggiunto i suoi obbiettivi. James invece, dalle comode e soffocanti stanze dell’alta società, dovette imparare a vivere davvero, con sudore, ma il suo carattere era facile da influenzare: in breve tempo si rese amico di tutti, abbracciando la libertà dell’anarchia come un malsano divertimento.
In un ambiente del genere, in cui ogni giorno il cibo era rubato ed i soldi erano sporchi, non poteva stupire che avessero avuto le loro prime esperienze. I ragazzi andavano dalle prostitute, e ci portavano i nuovi come una sorta d’iniziazione; le femmine andavano in discoteca ed ai festini, si mettevano in appostamento a cercare un gruppo di giovani che si avvicinasse, offrisse loro da bere e desse loro da divertirsi. Tanto meglio se si riusciva ad arraffare qualcosa come soldi o un cellulare, facessero un viaggio in auto. Alcuni di loro finivano al riformatorio di tanto in tanto, ma non era mai un grosso problema. Era nonostante tutto un gruppo unito perché, tutti soli, si consideravano una sgangherata famiglia di incompresi la cui passione erano i Pokémon, la bicicletta e la faccia tosta che li accomunava.
Si diceva che solo i migliori potevano essere presi nella malavita organizzata, quella vera, ed il fatto che Grande Jessie e Piccolo Jim fossero stati inclusi nel programma di addestramento del Team Rocket poteva rilevare la bontà di fondo di tutta la gang della Small Sunny Town.
Passarono alcuni anni dopo la fine della loro vita nella baby gang; anni in cui si dimenticarono a vicenda, o finsero di dimenticarsi, fino a quando non furono rimessi l’uno di fianco all’altra a quell’accademia che, sola tra i tanti posti che avevano visitato, avevano avuto il coraggio di chiamare “casa”.
Jessie e James erano una coppia strampalata, non c’era un giorno in cui non si litigasse anche per una sciocchezza, eppure si conoscevano più di chiunque altro ed erano in sintonia. In alcune cose avevano gli stessi gusti, in altre si completavano ed il loro egocentrismo era comico perché doppio.
Tuttavia, nei giorni di ferie avevano preso l’abitudine di comportarsi da perfetti sconosciuti: l’una ignorava l’altro e, se possibile, cercavano di evitare di incontrarsi. Se fossero usciti insieme si sarebbero danneggiati reciprocamente, perché non avrebbero trovato nessuno che si sarebbe avvicinato credendoli una coppia e poi, con tutto il dover tollerarsi a vicenda, un venerdì sera sarebbe stato gradito senza aversi sotto lo sguardo.
Jessie aveva piuttosto successo con gli uomini, ma era il tipo che preferiva non legarsi e amava le avventure: perciò prendeva sempre le dovute precauzioni per farsi dimenticare in fretta. Sebbene non lo desse a vedere, era una ragazza romantica in attesa del principe azzurro che l’avrebbe rapita con galanteria, totalmente diverso dalla consueta notte di passioni solo per il piacere dei sensi. James aveva avuto due o tre storie, ma il suo contributo era stato più o meno passivo, come se in qualche modo obbligato dalle circostanze piuttosto che invaso d’amore. Non era mai stato innamorato veramente di nessuno, solamente attratto fisicamente. Quando le ragazze cominciavano a divenire più pressanti circa le sue faccende personali, lui mandava Meowth a mollarle al posto suo.
 
Il primo bacio i due se lo scambiarono intorno ai diciotto anni. Jessie non era mai stata una santerellina, ed il modo in cui sfoggiava con orgoglio la propria cattiveria risultava quasi squallido.
 
Quando Jessie baciò James per la prima volta, lo stomaco del ragazzo prese a girare. Perfino un ottuso come lui ne aveva avvertito l’unicità disarmante e quasi magica, e dentro il suo cuore emerse caldo quel sentimento che nel frattempo era cresciuto nascostamente nelle ombre candide dell’ingenuità.
Come fu brutta la consapevolezza di essere innamorato di lei, ma di dover ributtare giù di nuovo le parole in fondo allo stomaco, ora che erano risalite in bocca.
Lo vide dal suo sguardo: Jessie l’aveva baciato per una sorta di insolita carineria, per via dell’ingordigia di una ragazza a cui un bacio ormai non faceva più la differenza, avendone concessi tanti a tanti volti estranei. Il fatto che qualche volta si scambiassero dei baci da buoni amici veniva a tormentarlo quando si metteva le coperte sopra la testa fingendo di dormire, mentre Jessie passava la notte fuori chissà dove. Non si creda che piangesse, e perché avrebbe dovuto allora? Era un’abitudine di Jessie trattarlo uno straccio. Inoltre, se lei se la prendeva comoda, perché non avrebbe dovuto lui?
Intanto era sicuro che col tempo la stupida sbandata che si era preso sarebbe andata scemando, dal momento che non poteva ancora credere accettabile di essersi innamorato proprio di lei, di Jessie, tra tutte le persone del mondo.
Quando ne aveva l’occasione, James la beccava con frasi tipo: “sei troppo megera, faresti fuggire tuo marito il giorno delle nozze se ci arriva intero”, mentre si ritrovava a pensare senza volerlo a cosa sarebbe successo se il marito fosse stato lui.
 
 
E così, in quel mondo strampalato c’erano loro, che per lo meno si ritenevano una famiglia.
 
 
 
 
Nota dell’autrice:
Salve a tutti! Esordisco con questo primo capitolo, anche se in effetti non si mostrano tanto i sentimenti di Jessie quanto quelli di James. Il titolo “Musashi no kimochi” (“I sentimenti di Jessie”) è in verità un tantino ingannevole, perché troveremo anche descritti i sentimenti di James.
Ammetto di avere l’80% del testo già pronto da una vita, ed è per questo che lo posto ora. Non ho ancora finito la ff “Sangue Fuoco”, e dopo di quella ce n’è un’altra per collegarsi poi a questa, ma ho ritenuto inutile far marcire ancora la storia nel mio computer visto che in questo periodo sono davvero molto indaffarata e non riuscirò a pubblicare tutto tanto presto. Questo capitolo-preambolo è stato scritto in originale nel 2006 (o anche prima), ovviamente ripreso, e ho cercato di collegare un po’ tutti gli eventi del passato di Jessie e James riprendendo l’episodio della bike gang nella prima stagione e creando un nesso con la puntata Training Daze! (“l’Accademia del Team Rocket”). Per maggiori informazioni, date un’occhiata alla mia ff “Sangue Fuoco” che è piena di riferimenti più dettagliati ;-)
Vi annuncio già che questa storia è molto in avanti nel tempo rispetto a “Sangue Fuoco”. Chi ha letto la one-shot “Il Team Rocket si ritira e se la gode” avrà le idee leggermente più chiare… seguire per capire!
Ps. Small Sunny Town è il nome che ho dato alla cittadina della bike gang. Nell’episodio non viene fatto il nome della città, bensì si dice che è in costruzione un ponte per Sunny Town. Ho quindi pensato di chiamarla “Small Sunny Town”, ovvero “piccola Sunny Town”. Fantasia zero!!

 
A presto! Lucenera. 

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Capitolo 2
*** The Best Damn Thing ***


"The Best Damn Thing"

I hate it when a guy doesn't get the door
even though I told him yesterday and the day before
I hate it when a guy doesn't get the tab
And I have to pull my money out and that looks bad

So di avere un carattere difficile. Che cosa posso farci, sono fatta così.
E se credete che sia troppo facile risolvere le cose con questa frase, smammate.
Non sono una ragazza come tutte le altre, che puoi prendere e conquistare come se fosse così facile.
Sono una persona sofisticata, e non mi lascerò incantare facilmente.
Io sono un’attrice non ancora scoperta, una stella in erba… e come tale merito tutto il rispetto e l’adorazione possibile.

I hate it when a guy doesn't understand
Why a certain time of month I don't wanna hold his hand
I hate it when they go out, and we stay in
And they come home smelling like their ex girlfriends

E dopotutto, perché essere come tutte le altre? A che pro essere dolce e comprensiva?
Se non mi va, non mi va. Se non ho voglia di parlarti, non ti parlo.
E se mi va, ti posso anche schiaffeggiare.
Perché sono irascibile, passionale ed impulsiva come altre non ne hai mai viste.

Where are the hopes, where are the dreams
My Cinderella story scene
When do you think they'll finally see

Un giorno lo troverò. Sì, troverò quello giusto. Esattamente come ho sempre sperato di incontrarlo, perfetto come lo è sempre stato nei miei sogni. Bello, schifosamente bello. E magari anche schifosamente ricco.
Ma, anche solamente qualcuno che io possa amare incondizionatamente sarà più che sufficiente.

 

That you're not not not gonna get any better
You won't won't won't you won't get rid of me never
Like it or not, even though she's a lot like me
We're not the same
And yeah yeah yeah I'm a lot to handle
You don't know trouble, I'm a hell of a scandal
Me, I'm a scene, I'm a drama queen
I'm the best damn thing that your eyes have ever seen

 

“James! Sbrigati, razza di smidollato!”

“A-arrivo!...”

“muoviti, James! Miao!"

 “Sei un insulsa perdita di tempo!...”

 “Se… non dovessi… portare anche… la tua roba!...”

“Oh, andiamo! Per una borsetta fai tutte queste scene!”

“…Borsetta?! E’ un valigione!...”

Cos’è?!

“E’ leggerissima, Jessie! Leggerissima!”

 

Sì, è vero, sono una strega.

Ma ammettilo, un po’ ti piace.


 I'm the best damn thing that your eyes have ever seen!

 

 

Nota dell’autrice:

Salve! Come potete vedere, questo capitolo è molto diverso da quello precedente. Inserirò molti pezzi di canzoni d’ora in poi, quindi sarebbe meglio ritenerla una song-fic… ad ogni modo, E’ il testo di “The best Damn Thing” (La cosa maledettamente migliore) di Avril Lavigne. Userò molto le canzoni di Avril per dar voce ai pensieri di Jessie, non perché ne sia una fan sfegatata (sono affezionata a qualche canzone, ma nulla di più), ma tanto perché inizialmente mi era piaciuta l’idea di utilizzare per quanto possibile la stessa “voce” per il personaggio. So che è buffo, ma a volte il testo è efficace, secondo me :-)
Spero che vi sia piaciuta, a presto!

Lucenera88.


 

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Capitolo 3
*** Incinta ***


Incinta

James la guardò. Una palletta si intravedeva sotto il maglione scuro, portato apposta per nascondere quello che stava accadendole in grembo. Jessie non ne sembrava entusiasta, e James non riusciva a capirne in perché: a lui, quella graziosa pancina rotonda appariva quantomeno adorabile.
La osservò mentre si cuciva una salopette più comoda sfruttando stoffe di mercato e pezzi di vecchi travestimenti, e si accorse che era cambiata. Si chiese se era vero, che la gravidanza la stava trasformando come si dice delle donne in quello stato, o se era frutto della sua immaginazione.
Jessie era ormai quasi al settimo mese, e la pancia non si poteva più occultare più di tanto. Doveva aver preso qualche chilo, oltre a quelli del bambino: le gambe erano più piene e la faccia si era leggermente arrotondata. Le sue guance si arrossavano addirittura, cosa insolita per lei che era sempre colorata da un pallore di morte che le inaspriva i tratti del viso. Tutto sommato, stava molto meglio ora che aveva messo su un po’ di carne su quel corpo magro come un fuscello.
Tornò in sé quando Jessie lo chiamò:
“Ehi, ti sei incantato?”
“No!” James divenne rosso fino alla punta dei capelli, e di rimando anche Jessie arrossì di imbarazzo.
“Invece di stare qui con le mani in mano, perché non ti rendi utile alla società e dai da mangiare ai Pokémon?”
James ritornò in sé: “ma certo” mormorò, alzandosi in piedi e prendendo entrambi i marsupi che contenevano le sfere sue e di Jessie. Con gesti lenti rilasciò un Pokémon alla volta, e senza nemmeno sistemarle nelle borsette, lasciò che le Pokéball ingradite e vuote si sparpagliassero sul tavolino. Una cadde sul pavimento.
Tutti i Pokémon erano visibilmente affamati… d’altronde, chi non lo era in quel gruppo miserando?
Anche Meowth, sentito il trastuono dei suoi simili, si svegliò dal giaciglio e stiracchiandosi in una delle sue rare mosse feline, si diresse verso James intento ad aprire una busta di crocchette secche.
“Miao, James, ancora quella robaccia?” si lamentò. Entrambi forse si aspettavano una risposta pronta di Jessie per metterlo a tacere, ma non arrivò. Allora quasi contemporaneamente levarono lo sguardo verso di lei, che seguiva a cucire, completamente presa dal lavoro.
James esitò ancora un secondo su quella figura piegata su se stessa, dallo sguardo corrucciato e allo stesso tempo rassegnato, poi reagì.
“Questo abbiamo e questo ti tocca, Meowth” disse, pensando che quelle sarebbero state le parole opportune che avrebbe detto Jessie.
Meowth sbuffò disgustato, mentre tutti gli altri Pokémon si accanivano sulle ciotole di cibo. “Mah… e voi invece che cosa pensate di mangiare per cena?”
“Aria fritta” rispose Jessie senza staccare gli occhi da quello che stava facendo.
James si ficcò una mano in tasca, e ne cacciò fuori qualche moneta. Le contò pensando che poteva andare a prendere qualche onigiri da poco al kombini[1] più vicino… ma pensò a Jessie, e alla palla misteriosa che portava in grembo, quindi prese il portafogli sul tavolino facendo cadere altre Pokéball.
“Tranquillo, Meowth” disse controllando le banconote che aveva a disposizione, “stasera andiamo fuori a mangiare pizza”.

Jessie si sentiva finalmente sazia, forse non provava questa senzazione da un po’. Erano stati ad un all you can eat di pizza, uno di quelli dove paghi un fisso e ti mangi mezzo ristorante, bibite non alcoliche gratis. L’atmosfera colorata e calda del family restaurant rendeva anche lei stessa un po’ più di buonumore, come se potesse essere per un po’ una bambina che va con i genitori a mangiare in un fast-food tutto palloncini e pagliacci.[2]
“Ah! Adesso sono piena! Come sto bene!” esclamò ad alta voce, e sebbene dentro di sé la coscienza le faceva notare di dover ringraziare James per aver pagato al posto suo, avrebbe preferito crepare che dirgli grazie. Ma non importava; era contenta e piena, la pizza e gli zuccheri che aveva ingerito quasi la inebriavano e si sentiva abbastanza di buon umore da godersi un po’ di chiacchiere serene con i suoi due compagni di sventure, quasi come gente normale che esce in un weekend normale parlando di sciocchezze.
Stettero lì a chiacchierare e a prendersi in giro abbondantemente prima di decidersi a uscire, e godersi una passeggiata per la galleria gremita di negozi. C’erano saldi di tutte le maniere, e sarà stato il fatto che aveva potuto permettersi da mangiare, all’improvviso Jessie si sentiva piena di soldi e vogliosa di acquistare. Così, muovendosi svelta e leggera quasi come se la pancia le fosse scomparsa, iniziò la sua ricerca all’ultimo affare, negozio per negozio, trascinandosi dietro James e Meowth appensantiti dal cibo poco salutare che avevano consumato in quantità spropositate.
“Ah! Guarda questo rossetto!” Jessie aprì il tubetto tester del lip-stick rosso fuoco, e guardandosi allo specchio del negozio si era appena tinta un punto delle labbra, quando si fermò.
Riflessa, vi era una figura che stentava a riconoscere: una donna più grossa di quello che era abituata a vedere, con indosso un abito largo da cui spuntava un bozzo in avanti. Si passò la mano sulla pancia e si domandò se fosse davvero tutto reale. E, come spesso le accadeva, tutta una serie di sentimenti le si riaffacciò dai suoi occhi riflessi nello specchio.
Chi è questa donna? Sono veramente io? Come ho fatto a finire in questo modo? Colpa di James…
Si guardò, così frivola con la pancia grossa ed un rossetto fra le mani. Un rossetto che, tra l’altro, le costava di più di quanto potesse permettersi. Per adesso mi salvo ancora, ma fra un paio di mesi non potrò fare sprechi con il denaro… e accavallandosi a questo pensiero, un altro: ma se fino ad ora non ho mai avuto il becco di un quattrino, come farò quando avrò questo bambino?
Una mossa di angoscia le premette sullo stomaco, e lei non sapeva bene se era il bambino che si muoveva o era l’ansia che le torceva le viscere. Io non mi riconosco, non sono io, si disse; e la mente le suggerì di disfarsi di quel coso ad ogni costo, morte o adozione, di tutto perché quell’incubo finisse presto e non dovesse parlarne mai più.
“Jessie, lo compri quello?” James le si avvicinò, e la ragazza riemerse da quel suo stato di trance.
Jessie fissò il rossetto pulendosi le labbra. “Macché! A parte che non ho mai dovuto comprarli i rossetti, io! Solo non ne ho bisogno, questo colore non mi piace” rispose riponendo il tester al suo posto.
“Usciamo di qui, mi sono stancata”.
Così i tre iniziarono a scendere in scala mobile i vari piani del negozio, diretti all’uscita. Al piano terra furono però colti da un numero di persone ammassate e confuse, e da una nuvola di fumo che toglieva la vista delle porte di uscita.
“Ma che?!” disse James, quasi inciampando sulla scala mobile.
“Sarà un incendio! Lo sapevo che questo posto fa schifo!” strillo Jessie isterica.
“Un incendio? Ma qui non c’è un acquario di Pokémon d’acqua, da qualche parte?” Meowth colse che qualcosa era strano. Senza stare ad ascoltarlo, Jessie si mise a dare gomitate alla gente andando alla cieca nel fumo, seguita a ruota da James e dal Pokémon-gatto.
“Non mi interessa se è un incendio o se hanno esagerato con l’incenso, voglio uscire di qui!” gridò spingendosi in avanti fino ad accorgersi che qualcosa ostacolava l’uscita.
Fu proprio in quel momento che due sagome comparvero dalla coltre di fumo sfoggiando un’aria trionfante.
“Ma quelli non sono…?”

“Preparatevi a passare dei guai!”
“Dei guai molto, molto grossi!”

Quelle due figure fin troppo familiari erano di fronte ad una bolla gigante colma di acqua e di Pokémon rari, molto probabilmete rubati all’acquario.
“Ma sono Cassidy e Buck!”
“No, non si chiama così… si chiama Ko…”
“Ko… coso”.
Butch stramazzò a terra.
“Ne ho sentite di tutti i colori ma mai che mi chiamassero coso[3]!!!!!”
“Vedo che ci siete anche voi” disse Cassidy compiaciuta. Poi si accorse dello strano abbigliamento di Jessie.
“Da quando è che ti sei data ai vestiti da pagliaccio, Jessie? Vuoi nascondere i tuoi chiletti di troppo? E’ tempo sprecato, si vedono lo stesso!” rise squillante.
“Stai zitta, Cassidy!”
Allora Cassidy si accorse della pancia. Sgranò gli occhi e si accasciò a terra dalle risate.
“Non ci posso credere! Non ci posso credere! Ti sei fatta fregare!” continuava a ridere a squarciagola, sotto gli occhi imbarazzati dello stesso Butch. “Jessie La Frigida[4] alla fine ha aperto le gambe e ci è rimasta anche fregata ahahahahahahaha!”
“Chiudi il becco, brutta strega!” gridò James furente, a difesa della sua compagna. A quel punto Cassidy, che stava per terra dalle risate, lo fissò un attimo e poi scoppiò in un’altra incontenibile risata.
“Non dirmi che è tuo! Hahahahahahah” oramai aveva le lacrime agli occhi. “Te la sei fatta con l’unico che ha avuto lo stomaco di non fuggire a gambe levate!” e continuava a ridere.
Jessie, a quel punto, sembrava trattenere a stento le lacrime di rabbia.
“Basta così!”
Tirò fuori dalla sfera Poké un Hitmonchan, ordinandogli di attaccare con quanta furia avesse in corpo sia direttamente Cassidy sia il Pokémon avversario; allo stesso tempo chiamò in campo un Arbok ordinandogli di mordere il contenitore pieno d’acqua con quanta forza aveva, e approfittando della distrazione di Butch e Cassidy poté travolgerli con un’ondata che ne disperse i Pokémon catturati e mandò all’aria i piani dei due antagonisti.
“Non ti permettere più, strega bionda!” urlò Jessie, soddisfatta e furibonda, mentre richiamava le sue bestie. “Oggi abbiamo mangiato tutti e abbiamo l’energia sufficiente per suonarvele due volte!”
“Ha ragione lei, o volete che mi ci metta in mezzo anche io?” Propose Meowth affilandosi gli artigli.
“Tsé” fece Cassidy riprendendosi dal colpo, “credete davvero che una supermamma, il suo mezzo spermatozoo di compagno e il loro animaletto da compagnia possano spaventarci?”
In quel momento ritirò il suo Pokémon nella sfera.
“Oggi volevamo farci un piccolo extra ma non era giornata; in compenso vi ringrazio della sorpresa: vi auguro una lieta nascita, miei cari!” Ridacchiò mentre spinse Butch fuori dal negozio. Subito saltarono su una specie di mini-jet parcheggiato fuori e sfuggirono alla sicurezza accorsa sul luogo.
Quando si allontanarono, Jessie si sentì all’improvviso tremendamente stanca.
“Ci conviene smammare prima che le guardie ci chiedano i documenti” suggerì Meowth, e così, a passo svelto, il Team Rocket sparì; e nessuno seppe rintracciare la coppia e il loro Pokémon a cui si intendeva offrire una ricompensa per aver salvato i Pokémon rari del grande magazzino.

Tornati nella camera d’albergo, Jessie si fece un bagno caldo, si lavò i capelli, si infilò il pigiama. Cassidy l’aveva urtata talmente che le sembrava di avere il suo odore sulla pelle. Si guardò nel piccolo specchio del bagno dopo essersi lavata i denti, prima frontalmente e poi di profilo, passandosi il dito sulla curva del ventre rigonfio.
Uscendo dal bagno, si trovò James davanti.
“Devi usare il bagno?” gli domandò con un po’ di sfrontatezza. Lui però le si avvicinò, le prese la mano e lei avvertì che le aveva dato un oggetto. Guardò confusa verso di esso, e si accorse che era il rossetto che aveva provato quel pomeriggio.
“Non mi dirai che l’hai comprato, imbecille!” sbraitò lei.
“E come potrei? Me lo sono infilato in tasca” rispose lui candidamente.
“Mah, comunque te l’ho detto che non mi piace. Non me lo metterò mai”.
James le lanciò uno sguardo interrogativo. “Che bugiarda che sei! Hai un rossetto gratis e non te lo provi? Stiamo a vedere”.
“La vedi questa?” disse lei indicandosi la pancia. “La vedi? Già sono un pagliaccio, come dice Cassidy, poi mi trucco pure! Chi vogliamo prendere in giro!” e dopo mezzo secondo: “ è tutta colpa tua, bastardo! Mi hai rovinato la vita!”
Meowth, che guardava la tv seduto sul letto, girò solo la testa per vedere dove sarebbe andata a parare l’ennesima isteria di Jessie. “Se devo iniziare a fuggire dimmelo, Jessie”.
Jessie prese il rossetto e lo lanciò addosso a James.

 
“Chi se lo immaginava, vero? Che Jessie sarebbe diventata madre” commentò Butch tamponandosi i capelli con un asciugamani.
Cassidy emise un risolino. “eh già, proprio una bella sorpresa. Ma non sa quella che sto per farle io” commentò, mentre cercava un numero nella rubrica del cellulare.
“…Pronto? Sì, desidero un appuntamento per discutere di una questione urgente. Sì. Devo segnalare una violazione al codice comportamentale da parte di alcuni colleghi”.

 

 

 

Note dell’autrice: dopo anni ed anni sono tornata!

[1] Kombini: contrazione di “convenience store”, minimarket giapponese aperto 24/7. Per info: https://it.wikipedia.org/wiki/Convenience_store

[2] Riferimento a catene tipo Shakey’s (https://en.wikipedia.org/wiki/Shakey%27s_Pizza ) . Nello specifico, il “mio” Team Rocket è stato a quello che si trova nella Sun-road di Kichijoji (http://shakeys.jp/store/KICHIJOJI/ se siete in zona e volete mangiare a sbafo e poco, consiglio). L’immagine che ha Jessie è invece più legata ai miei ricordi quando da bambina costringevo mio padre ad andare al McDonald’s – incredibile che di lì a pochi anni l’avrei ripudiato!. Chi conosce quello sulla tangenziale di Napoli?

[3] Il nome originale di Butch è Kosaburō, ma tutti si ostinano a chiamarlo Kosanji. Io ho giocato sulla prima sillaba Ko per far dire a James “coso”.


[4] Jessie (Musashi in giapponese) nella puntata di Pokémon Chronicles viene chiamata da Cassidy “shinigami Musashi”, dove il suo nickname è collegato con la morte. Ciò perché non riesce a stare con nessuno. Questo particolare, come molte altre parti nella puntata, è stato eliminato e completamente riscritto nel doppiaggio inglese, da cui noi prendiamo riferimento per il doppiaggio italiano. Yamato (ovvero Cassidy) dice chiaramente, nello spogliatoio: “ne, shitteru? Shinigami musashi to yonderu”, cioè “lo sai? Ti chiamano Musashi la Shinigami(? non sono sicura di aver sentito bene)”. Ho voluto tradurre questo nickname come la Frigida.


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Capitolo 4
*** Innocence ***


"Innocence"

Waking up I see that everything is OK
The first time in my life and now it's so great
Slowing down I look around and I am so amazed
I think about the little things that make life great
I wouldn't change a thing about it
This is the best feeling

Guardava le sue manine stringersi e aprirsi meccanicamente. Il suo viso era attaccato al seno, ma invece di succhiare dormiva. Si sorprese di quanto potesse essere peloso un neonato, con tutti quei capelli d’un rosso vivo che stavano ritti sulla sua testa, quasi avesse preso la corrente.
A dispetto delle preoccupazioni, era un bambino perfettamente sano. Lo vedeva da quella sua pelle, piena di chiazze rosse, che non lasciava spazio ai dubbi: lei era certa che sarebbe stato un bambino forte.
Per gran parte del tempo in cui l’aveva tenuto dentro, aveva temuto di rigettare a vista quell’esserino una volta resosi conto che proveniva dal suo ventre. Soffriva la paura, segreta e inconfessabile, di odiare quel bambino da ancora prima che venisse al mondo. Non sapeva di preciso perché. Lo soffrì come un virus che la stava divorando dentro, quando si era accorta che oramai esisteva dentro di lei. Non ne aveva nutrito alcun sentimento che non fosse una forte repulsione. E il suo timore era che quella repulsione, repressa successivamente, fosse potuta esplodere alla vista di chi aveva occupato il suo corpo per nove mesi.
Ed invece, si accorse che non fu così. Non appena l’infermiera del reparto maternità gliel’aveva porto, le sue braccia si allungarono automaticamente, quasi come se in quel momento non potesse fare altro che amare quella creatura. Lo sentiva agitarsi tra le braccia deboli; e avvertì immediatamente che lui, sangue del suo sangue, era e sarebbe stato sicuramente molto più forte di lei, e che era dotato di una indole che le apparteneva.
Si sentiva impedita, ma grazie all’aiuto dell’infermiera riuscì a nutrire quella piccola bestia affamata, la quale si attaccò al seno con una voracità che lei scambiò per attaccamento disperato alla vita.
Era sera, oramai; il travaglio era stato più lungo di quanto avesse immaginato. Ed anche più doloroso, nonostante gli anestetici che le avevano somministrato. Altra paura scampata, però: nessun parto cesareo, e quindi nessuna cicatrice. Solo una settimana più tardi avrebbe cominciato a preoccuparsi di smagliature (immaginarie) sul suo corpo.
“Si può?...”
La voce di James si era accompagnata ad un bussare di nocche sulla porta. In quel momento, Jessie si affrettò a coprirsi, e lo fece entrare.
James sembrava più distrutto di quanto lo fosse lei stessa, eppure era invasato da una timida eccitazione. Non aveva assistito al parto; l’aveva concordato prima con Jessie, che ne aveva ritenuto la presenza troppo invadente. Eppure in quel momento aveva pianto di terrore, e si era maledetta cento volte per non aver lasciato che lui entrasse a stringerle la mano, invece che farsela tenere da un’aiuto-ostetrica.
Al solo vederlo due lacrime le salirono agli occhi, ma fu abile a ricacciarle in dentro sbattendo le palpebre al cielo. La sua comparsa le aveva provocato un allentamento di tensione.
Anche Meowth era presente. Il Pokémon gatto era stato visibilmente in ansia per tutto il tempo, ansia le cui tracce trasparivano ancora nei suoi grandi occhi felini.
James era entrato con un mazzo di rose rosse misto a fiorellini di campo, ma in quel momento nessuno di loro diede importanza al dono. Lui semplicemente lo poggiò sul comodino, e sembrava incapace di dire una sola parola. Anche Jessie avrebbe voluto mostrargli il bambino, ma non sapeva da dove cominciare.
“Ciao, piccolino…” miagolò Meowth, guardandolo dal bordo del letto.
Il bambino, svegliatosi quando la madre l’aveva staccato da sé, si stiracchiava, le sue braccia già molto lunghe. Fu in quel momento che James riuscì a tirare fuori le parole.
“Posso… posso vederlo?” esordì timidamente.
Jessie glielo porse. James sembrava spaventato, e cercò di tenerlo quanto meglio era possibile.
“Si agita troppo!” esclamò, con una strana nota nella voce da cui non si capiva se fosse estremamente eccitato o se stesse trattenendo la commozione. Si abbassò leggermente, seduto sulla sedia, per farlo vedere meglio a Meowth.
Il neonato aveva grandi occhi grigi e si agitava prepotentemente, con una energia insolita per un essere così piccolo.
“ Ha i tuoi stessi occhi, Jessie!” commentò Meowth. “Anche azzurri!”
In quel momento era ancora troppo presto per poterne vedere il colore. In seguito, infatti, sarebbero divenuti di quello stesso verde intenso del padre che lo osservava rapito.

This innocence is brilliant
I hope that it will stay
This moment is perfect
Please don't go away
I need you now
And I'll hold on to it
Don't you let it pass you by

Guardando James, Jessie realizzò senza rancori né sentimenti di sorta  - per la prima volta in nove mesi, forse - che quello era anche figlio suo.
“Senti…” cercò di sembrare quanto più disinteressata possibile. James le rivolse la sua attenzione.
“Il cognome” disse lei, senza guardarlo negli occhi.
“Il cognome, dagli il tuo”.
James sembrava piacevolmente incredulo.
“Sei sicura, Jessie? Ne abbiamo parlato” disse lui. “Non ti preoccupare, per me va benissimo se…”
“Sono sicura” tagliò corto lei. “Sempre se vuoi”.
James non lasciò passare nemmeno un secondo da quell’affermazione.
“Certo che lo voglio”.
Si fermò un attimo con gli occhi su quel neonato, che alzava le braccia in aria come se stesse cercando di prendere il controllo del proprio corpo.
“Certo che lo voglio”.

 

 

Nota dell’autrice:
Finalmente Johnny è nato, il figlio di Jessie e James avuto da una gravidanza non desiderata. Il capitolo era pronto da anni, e mi scuso per averlo postato solo ora!
La canzone, come forse si è capito, è “Innocence” di Avril Lavigne.

Alla prossima!

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