HUMANS

di OmegaHolmes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Epilogo. ***
Capitolo 2: *** Sherlock. ***
Capitolo 3: *** 221B Baker Street ***
Capitolo 4: *** Incubi. ***
Capitolo 5: *** L'ambulatorio. ***



Capitolo 1
*** Epilogo. ***


Nota dell'autrice: Salve a tutti è Omega Holmes che vi parla! Sto per addentrarmi in un'avventura che non so come andrà a finire con questa storia, ma sono pronta ad ogni evenienza.
La serie "HUMANS" è una serie irlandese uscita questo giugno che ha avuto un imminente successo. Consiglio vivamente di vederla, perchè tratta temi molto interessanti.
Numerosi degli attori presenti nella serie sono anche attori che hanno recitato in "SHERLOCK", quindi per i più curiosi la consiglio.
Che dire, è un'impresa folle, ma dal primo istante che ho visto un Synth, non ho potuto fare a meno di immaginarmi Sherlock-automa.
Con ciò, vi lasciò al trailer della serie "HUMANS" https://www.youtube.com/watch?v=_94sQiXlPtE (così vi fate un'idea di cosa sia un synth) e vi auguro un ottima lettura!
O_H




-Come va il suo blog?-
-Sì…bene, molto…bene.-

La terapista lo guardò intensamente, continuando a parlare con calma, prendendo appunti di tanto in tanto sul block notes appoggiato sulle ginocchia.

-Non ha scritto una parola.-
-Ha appena scritto “ha un problema di fiducia”.-
-E lei sta controllando cosa scrivo….ecco cosa intendo. John, è un soldato e ci vorrà qualche tempo prima che si riabitui alla vita civile. Scrivere un blog su quello che le succede, le sarebbe molto utile.-
-Non mi succede niente, mi creda.-

Nella stanza, arredata con cura, tanto da sembrare appena uscita da una rivista, cadde il silenzio.
John continuava a deglutire, con lo sguardo basso, massaggiandosi la gamba dolorante con il palmo della mano.
La donna lo fissava intensamente, coltivando quel silenzio, contraddistinto da profondi pensieri, poi disse:
 
-Ha pensato di prendersi un Synth, come le ho consigliato?-

L’ex medico militare emise una risatina acuta e nervosa, facendo cenno negativo con il capo:
 
-Io non ho bisogno di una bambola che si prenda cura di me.-
-Credo che invece ne avrebbe davvero bisogno, John. Questo la aiuterebbe ad inserirsi più facilmente nella società, con l’aiuto di un synth programmato appositamente per aiutarla.-
-Non ho una casa..! – rispose piuttosto irritato –come potrei permettermi un robot di ultima generazione, mh?-
-Lo stato ne ha messi a disposizione alcuni a scopo riabilitativo. Essendo un ex militare in congedo, l’esercito pagherebbe le rate per lei.-
-Non sono malato e… non voglio avere a che fare con quei cosi.-
-Ci pensi e mi faccia sapere. La nostra ora è terminata.-

 

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Capitolo 2
*** Sherlock. ***


“Che spreco di tempo”, pensò John Watson, mentre attraversava nervosamente il parco.
L’aria fredda si infilava sotto alla sua giacca verde, troppo leggera per la stagione, con insistenza, senza dargli tregua. Il freddo gli provocava maggior dolore, innervosendolo maggiormente.
Odiava la sua vita, odiava il fatto che l’avessero congedato così dall’esercito. Sarebbe potuto essere ancora utile, continuare a salvare delle persone, ma no, ora lo Stato poteva permettersi i Synth, che lavoravano il doppio di un normale chirurgo, senza inutile dispendio di vite umane nel caso una bomba fosse stata inserita all’interno di un ospedale militare e senza retribuzione.
Anche Londra era cambiata, quando era tornato, la prima cosa che aveva notato, erano i numerosi cartelloni pubblicitari in Piccadilly Circus, ormai del tutto dominati dall’immagine dell’ultimo modello di sintetici: Persona 8.
Anche lì, nel parco, appena si voltava, poteva vedere i loro volti nivei, perfetti, fissarlo intensamente con quegli occhi vitrei, mentre passeggiavano con vecchiette, spingevano carrozzine e portavano a passeggio i cani.
Lui non voleva fare quella fine, non voleva affezionarsi a un oggetto che per quanto simile d’aspetto a lui, non avrebbe mai potuto essere come un essere umano.
Eppure, vi erano momenti in cui si sentiva così solo e pensava che in fondo, non ci sarebbe stato nulla di male nel prendersi un sintetico, con cui parlare, dopo tutto… tutti ne avevano uno.
Scrollò le spalle, come se quel gesto potesse all’improvviso scacciare tutti i pensieri e il freddo che gli arpionava le ossa.

-John! John Watson!-
 
Una voce alle spalle parve chiamarlo, ma lui continuò per la sua strada.
 
-John Watson! Sono Mike, Mike Stamford!-

L’uomo lo raggiunse e non potè fare a meno di voltarsi e tendergli la mano in gesto di saluto.
 
-Oh, Mike. Non ti avevo visto.-

In qualche strano modo, dopo un paio di minuti, si trovarono seduti su una panchina a parlare delle loro vite, del loro passato, cingendo un caldo bicchiere di caffè tra le dita sottili.
 
-Allora è vero, ti sei fatto sparare.-
-Mi hanno sparato.- corresse amaramente John.
-Beh, cosa intendi fare?-
-Credo…credo che presto dovrò lasciare Londra… è troppo cara per me.-
 
Mike lo osservò con gli occhi da furetto affondati nel suo volto paffuto:
 
-Perché non ti prendi un Synth? Se ne hai uno, lo stato ti assegna un appartamento.-
-…davvero?-
-Sì. Sai io sono responsabile, al Bart’s Hospital, dell’assegnazione di Synth a soggetti con problemi motori. So che l’esercito ne ha messi alcuni a disposizione per i soldati in congedo e credo di averne uno che faccia proprio al caso tuo.-
 
John abbassò lo sguardo, osservando attentamente il tappo bianco del proprio caffè.
Aveva davvero bisogno di una casa e Londra era sempre stata la sua città, insomma era cresciuto lì, tra i sobborghi pulsanti di una delle più grandi città del mondo. Forse, quella era l’unica vera soluzione, prendere un Synth. Poi, nel caso non gli fosse piaciuto, l’avrebbe tenuto spento.

-Avete solo donne o anche…uomini?-
-Abbiamo tutto quello che vuoi.- sorrise sghembo l’ex compagno di studi.
-Perché sai…non vorrei rischiare di innamorarmi di un Synth.- sorrise timidamente John.
Stamford gli diede una pacca amichevole sulla spalla: -“John-cinque-continenti-Watson”, eh amico? Tranquillo, quello che mi è arrivato questa mattina fa proprio al caso tuo.-

* * *
 
Nel vedere la facciata grigia del Bart’s Hospital stagliarsi verso il cielo tumefatto di nubi che minacciavano pioggia, il cuore del ex medico militare ebbe un tuffo nel petto.
Era passato così tanto tempo da quando si era laureato ed ora era nuovamente di fronte a quell’edificio che lo portò ad affondare per alcuni istanti nel suo passato felice da matricola.

-Da questa parte, John.-

La voce brillante di Mike lo fece trasalire, portandolo a seguirlo zoppicante, all’interno della struttura ospedaliera.
L’interno, però, era del tutto diverso dai suoi tempi: macchinari di ultima generazione, pareti candide come la neve, ma soprattutto… infermieri Synth.
Alla reception, in ogni stanza, in ogni reparto, i Synth pullulavano, volgendogli sempre quello sguardo vitreo e un sorriso falso, come quello di una bambola.
John rabbrividì, accelerando il passo.
“Dio mio…” pensò “Dovrò vivere con uno di questi cosi in casa..”.
Arrivati alla fine di un lungo corridoio, Mike aprì una porta blu elettrico a doppie ante che si affacciava su un enorme salone luminoso, dove erano esposti un centinaio di modelli di Syth – Persona.
Gli occhi di John viaggiarono impressionati e affascinati lungo le pareti, dove erano impacchettati i sintetici di ultima generazione.


-Santo cielo…- gli sfuggì dalle labbra sottili. Per troppo tempo era vissuto in accampamenti di terra battuta e tende anguste. Questo era fantascienza per lui.
-Benvenuto nel ufficio “Persona” del Bart’s. Quello laggiù in fondo è il modello di cui ti ho parlato.-
John deglutì, seguendolo imperterrito, con il coraggio di un soldato su un campo di battaglia.

Mentre camminava tra quei centinaia di sintetici inermi, si sentiva incredibilmente fragile e piccolo, così mortale, mentre loro erano il futuro.

-Ecco qui.- enunciò Stamford, tirando giù la cerniera dell’enorme confezione trasparente dov’era avvolto il Synth.
Lo stomaco di John ribolliva come una pentola d’acqua calda, mentre la sua mano stringeva con maggior impeto la stampella che lo sorreggeva.
Compiuta la sua azione, Mike Stamford lo guardò con aria soddisfatta, dopo aver visto l’espressione di stupore dipinta sul volto del biondo.
Se ne stava letteralmente a bocca aperta, senza parole a fissare la sagoma candida che si stagliava inerme di fronte a sé.
Gli venne in mente il tempo in cui studiava storia dell’arte alle superiori ed era rimasto affascinato dalle incredibili opere di Michelangelo, Canova e Bernini.
In quell’istante, gli parve di averne una di fronte, che attendeva di prendere vita.


Dei riccioli neri, lucenti ricadevano ordinati e controllati sulla fonte candida e ampia del sintetico. Gli occhi del dottore solcarono affascinati ogni centimetro del suo volto, così spigoloso e irregolare, eppure così armonioso nell’insieme. Il taglio degli occhi pareva leggermente a mandorla nel vederli chiusi e John percepì, all’improvviso, un irresistibile curiosità di scorgerli, sperando disperatamente che non fossero come tutti quelli degli altri, ovvero verdi e vitrei.
-Allora, cosa ne pensi?-
-Santo cielo…è… -- “bellissimo” pensò -- …fantastico.- disse correggendo il pensiero formulato dalla sua mente.
-Sapevo ti sarebbe piaciuto.- sorrise complice Stamford – questo mi è arrivato questa mattina e ha già affascinato molte fanciulle, ma per il prezzo troppo elevato hanno dovuto rinunziarvi.-
John si morse un labbro – Allora…credo dovrò farlo anche io. Se è troppo costoso, non me lo posso permettere, Mike.-
-Ma tu hai l’esercito che te lo paga! Ascoltami, è un offerta da non perdere!-
Il biondo sospirò, passandosi una mano sul volto. Santo cielo, lo stava davvero per fare? Introdurre nella sua vita già abbastanza dannata uno di quei robot inquietanti?
Si schiarì la voce e guardò i suoi vestiti: indossava una divisa da infermiere, come tutti gli altri lì attorno.
-Non si potrebbe…non si potrebbe dargli altri vestiti?-
-Per quello devi aggiustarti, John. So che da Selfridges in centro c’è un negozio che vende abiti appositamente per Synth. Allora… lo prendi?-
Sospirò nuovamente: -Che tu sia dannato, Mike…sì, lo prendo. Dove devo firmare?-
-Magnifico! Vado a prendere le carte, aspettami qui.-

John rimase immobile, riprendendo così a contemplare il corpo statuario di quel Synth di alta classe. Il suo sguardo scivolò sulle sue mani sottili e candide, come tutto il resto della sua pelle.
“Quelle sono dita da violinista o pianista” pensò, fissandole a lungo.

Quando Mike fece ritorno, porse al biondo un tablet e una scatola, simile a quella di un I pad, con all’interno tutte le istruzioni ed estensioni per la memoria e la personalità del Synth.
John guardò titubante il tablet con la penna che Stamford gli porgeva.
-John…- lo richiamò- è la cosa migliore che tu possa fare per te stesso.-
Con un sospirò profondo, prese in mano il necessario:
-Dove devo firmare?-
-Segui le istruzioni e sarà configurato in un batter d’occhio.-
-Va bene…-
Mentre il biondo scorreva lo schermo, Mike accese il modello Persona 8.
La musica di accensione catturò la sua attenzione, portandolo ad alzare lo sguardo sul sintetico. I suoi occhi vennero attratti immediatamente dagli occhi verde smeraldo e vitrei, eppure con un qualcosa di  “tenero” pensò John, ammirando la forma che ricordava gli occhi dei felini.
-Incredibile…- mormorò.
-Su questo modello, unico nel suo aspetto e design, sono state installate tutte le caratteristiche standard per la riabilitazione al tuo problema, con possibilità di terapia, aiuto motorio e tutti i tuoi bisogni verranno eseguiti ed effettuati, senza problemi. Se non ti piacesse, hai 30 giorni per riportarlo indietro.-
John sorrise amaramente –Lo sai a memoria, non è così?- ridacchiò.
-E’ la procedura.- disse alzando le spalle bonariamente Mike. –Ti lascio solo, così fate conoscenza.-
-Okay…- John fece un passo avanti, rendendosi conto quanto fosse piccolo confronto al Synth.
Sul tablet lesse le parole d’ordine per attivarlo:
-Dente di leone tre, cascata due, colibrì uno, conchiglia…-
Il synth abbassò lo sguardo su di lui, facendo rabbrividire l’ex soldato.
 
-Salve, sono in modalità di set-up, pronto per essere collegato con l’utente primario.-
 
John rimase alcuni istanti a bocca aperta, fissando quell’oggetto che gli aveva appena parlato.


-S-sì…- dalle istruzioni lesse: - sono l’utente primario John Hamish Watson…John.-


-Ora prenderò un campione di DNA per ragioni di identificazione e sicurezza. Queste informazioni non saranno mai rilevate a terza parti- dicendo ciò, il Synth gli porse la mano; John la osservò, cercando di far diminuire il battito accelerato nel suo petto, che al suono della voce del sintetico, accelerava a dismisura. Non aveva mai sentito una voce tanto bassa e calda allo stesso tempo.
Titubante, gli cinse la mano, rimanendo sorpreso per la delicatezza e il calore di quel palmo, che pareva incredibilmente umano.
Gli occhi del Synth si illuminarono, divenendo di un verde più scuro.


-Salve John- esordì il sintetico, con voce quasi senza espressività –ora sono collegato con te come utente primario. Sono molto felice di conoscerti.-
Alla fine del discorso, il Synth gli sorrise appena, con le labbra, in un modo che a John parve molto inquietante.


-O-okay…piacere…mio.- disse lentamente.-Come ti chiami?-
-E’ compito dell’utente primario scegliere un nome appropriato per i propri Synth, John.-
-Oh…ma- -
 
Mike tornò, interrompendolo: -Allora, ti piace?-
-Sì, beh…sembra molto…costoso.-
Stamford gli diede un’altra pacca sulla spalla, insieme ad un fascicolo.
-Ora è tutto tuo.-
-Okay…grazie Mike.-
 
John guardò il Synth che con sguardo indecifrabile osservava l’orizzonte.
-Allora…andiamo?-
Il sintetico annuì, seguendo i suoi passi:
-Oggi la temperatura a Londra è di 19 °C. Il tasso di umidità è del 27%, con il 50% di possibilità di pioggia. Attualmente la nostra posizione è quella del St. Bartolomeow Hospital di Londra. Vuoi che guidi la tua auto, John?-
L’ex militare si era fermato, rimanendo a bocca aperta, alcuni passi indietro, sconvolto.
-Non ti senti bene, John?- domandò il sintetico, voltandosi a fissarlo inespressivo.
-Quello che hai fatto…è fantastico.-  mormorò con un filo di voce, incredulo.
-Vuoi che guidi la tua auto, John?- domandò ancora, con lo stesso tono.
-Ah…n-no…no, io..io non ho un auto.-
-A 500 m da qui passa la fermata 68 dei pullman. Mancano 5 minuti al prossimo autobus, John.-
-Non prenderemo l’autobus…- John aprì il fascicolo che gli aveva consegnato Mike Stamford e lesse l’indirizzo ad alta voce. -…221 B Baker Street…-
-La linea per arrivare a Baker Street con la metropolitana è quella gialla. La stazione più vicina è quella di…-
John lo interruppe: -Non andiamo a Baker Street…non ancora. Prima…- lo guardo imbarazzato –prima andiamo a comprarti dei vestiti nuovi.-

Il sintetico camminava silenzioso ed atletico al suo fianco, facendolo sentire incredibilmente basso. In quell’istante, John si ricordò di non avergli ancora assegnato un nome.
-Come ti piacerebbe che io ti chiamassi?-
-Esistono più di un milione di nomi. Nella nomenclatura Inglese i 100 nomi più utilizzati sono: Aaron, Abe, Abel, Abner, Abraham, Absalom, Ace, Adam, Adolph….-
-Oh Cristo..- imprecò John, portandosi una mano agli occhi – Non…non devi elencarmeli tutti….trova il più particolare e dimmi se ti piace.-
Il sintetico si ammutolì, continuando a seguirlo silenziosamente, poi dopo alcuni secondi affermò: -Sherlock.-
Il biondo sorrise, guardandolo divertito: -Sherlock? Esiste davvero un nome del genere?-
-Significato di Sherlock: colui che ha dei bei capelli, origine del nome: anglosassone.-
-Ti piace come nome?- domandò John, alzando lo sguardo su di lui.
Il sintetico fece lo stesso, inclinando appena il capo:
-Presumo di avere dei bei capelli, John.-
L’umano ridacchio:
-Hai dell’umorismo, non c’è che dire. Allora ti chiamerò Sherlock. Sì…mi piace. Ti si addice.-
Il synth annuì accennando un lieve sorriso: -Ottima scelta, John.-



Nota dell'autrice: ecco qui il primo vero capitolo. Non so quando aggiornerò, ma sarei davvero felice se recentiste e mi diceste cosa ne pensate! Grazie :)
O_H

 

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Capitolo 3
*** 221B Baker Street ***


Nota dell'autrice: Salve! Ecco qui il terzo capitolo! In questi giorni riesco ad aggiornare piuttosto velocemente, ma credo che più in là sarà molto difficile. Ringrazio infinitamente tutti coloro che hanno recensito e letto la storia.
Detto ciò, vi auguro buona lettura e se vi va di lasciare una recensione alla fine, ne sarei molto lieta!
O_H



John decise di prendere un taxi per dirigersi in centro, sentendosi in colpa per avere addossato allo Stato una spesa tanto elevata con l’acquisto di un sintetico di alta classe.
Per tutto il tragitto, Sherlock era rimasto seduto composto, al suo fianco, osservando la città che gli passava affianco, rispecchiata nei suoi occhi vitrei.
L’umano iniziò a fissarlo intensamente, chiedendosi se non pensava davvero nulla in quell’istante, se fosse davvero senza sentimenti, se, insomma, fosse stato possibile avere un esistenza senza sofferenza, amore, gioia, amici, bensì “vivere” in modo così sterile, freddo, vuoto.

-Posso fare qualcosa per te, John?-
 
Domandò Sherlock, senza nemmeno voltarsi a guardarlo, rimanendo immobile a fissare la città fuori dal finestrino.
John sobbalzò, arrossendo dall’imbarazzo nell’essersi fatto percepire mentre osservava con tanta insistenza il suo synth.
 
-N-no…va bene così.- si schiarì la voce e decise di affondare il volto nel proprio petto, pensando a quanto fosse diventata triste la sua vita.
Aveva sempre pensato che arrivato all’età di 33 anni si sarebbe già trovato con una famiglia, una bella moglie, due bambini, una casetta non troppo grande poco fuori da Londra e un lavoro da medico generico in un piccolo ambulatorio.
Invece, si trovava mezzo storpio, senza una casa, con una pensione minima e un sintetico come…. Che cosa? Amico? Servo? Coinquilino? Come poteva definire, ora, Sherlock per la sua esistenza?
Non riusciva davvero a vederlo come un oggetto, per quanto si sforzasse, per lui… era solo un ragazzo.
Si voltò nuovamente ad osservarlo e si rese conto che aveva le fattezze di un ragazzo di all’incirca 23 anni, se non di meno.
Pareva un adolescente imbronciato che ha litigato con il mondo, che non riesce ad accettare se stesso per quello che è.
Sul volto del biondo si dipinse un sorriso gentile, perché a differenza degli altri sintetici, Sherlock gli dava un gran senso di tenerezza.

Il tassista si fermò sul bordo del marciapiede, poco lontano dal centro. John gli sporse il denaro (“50 sterline buttate all’aria” pensò) ed insieme a Sherlock scese dalla vettura.
Il sintetico si guardava attorno curiosamente, voltando lentamente il volto felino prima da un lato e poi dall’altro. I suoi occhi viaggiavano curiosi su ogni cosa che gli si incontrasse di fronte.
John non riusciva a smettere di guardarlo, perché quel modo di camminare, la sua voce, il suo aspetto, lo affascinavano moltissimo.


-In questa strada sono presenti ben 69 negozi per uomo, 56 per donna e 35 per bambino. Dove vuoi andare, John?- il synth posò il suo sguardo su John.
L’altro lo guardò, imbarazzato, non ancora abituato a parlare con Sherlock e la sua voce così profonda.
-Ecco…io pensavo di andare in qualche  negozio elegante, ma non troppo costoso. Non ti vedo indossare maglioni di lana… sei troppo costoso per indossarli.-
-La lana è una fibra tessile naturale che si ottiene dal vello di ovini (pecore e di alcuni tipi di capre), conigli, camelidi (cammelli) e alcuni tipi di lama. Essa si ottiene attraverso l'operazione di tosatura, ovvero taglio del pelo, che per le pecore, avviene in primavera. La lana che si viene ad ottenere viene definita lana vergine. Fonte: Wikipedia. Il maglione che indossi, però, è composto solo dal 20% di lana vergine. Il restante è 50% cotone e 20% poliestere.-
John continuò a guardarlo estasiato: -Come….come fai? Insomma, va bene, avrai un computer gigante al posto del cervello, ma…-
-Io osservo, John .- rispose Sherlock, guardandolo.
Immobile, il biondo si ritrovò a fissarlo intensamente negli occhi, senza riuscire a staccarsi da quegli specchi verdi smeraldo, ma la cosa più incredibile era che il sintetico ricambiava lo sguardo, come se lo stesse leggendo dentro.
John rabbrividì, trasalendo: -Meglio muoversi…non ho tutto il giorno.-
 
* * *
 
-Questa è una delle camice più alla moda, con tema floreale dei colori alla moda, come azzurro, verde e giallo.- la commessa parlava con un tono simile a quello di un Synth, ma era evidente che avesse solo detto a memoria quello che diceva a un centinaio di clienti. Nonostante la sua voce fosse più acuta di quanto l’udito di John potesse sopportare, la trovò molto carina e ben fatta: aveva dei lunghi capelli castani che ricadevano morbidi sulle spalle e il viso era molto gentile e non troppo truccato.
In quell’istante si rese conto che era da più di 5 anni che non aveva un rapporto completo con una donna ed il pensiero lo fece sentire incredibilmente frustato “Cazzo, avrei proprio bisogno di una bella scopata” pensò, sospirando pesantemente.
-Senta…- si rivolse alla commessa: -Non ha nulla di più classico o elegante?-
Sherlock camminava con passo leggero e misurato (come quello di ogni Synth) tra i corridoi stracolmi di vestiti, che osservava con espressione indecifrabile.
“Chissà cosa starà pensando in quella sua testolina robotica…” riflettè nuovamente John, mentre voltando lo sguardo notò che la commessa si era piegata a raccogliere un abito da terra e, nel vedere il suo fondoschiena, il dottore dovette fermare il riflesso di toccarla.
 
-E’ fidanzata da 6 mesi, John.-

John sobbalzò, arrossendo e voltandosi di scatto a guardare il volto impassibile di Sherlock: -Cristo! Mi hai fatto venire un infarto! Non—non puoi fare così! E poi…io non-- -
-L’ho notato dal modo in cui l’hai guardata. A 1km da qui è aperta una casa chiusa con sintetiche per umani. Vuoi che ti fissi un appuntamento, John?-
Il biondo divenne viola dall’imbarazzo, cercando di tappare la bocca a quel dannato sintetico che riusciva, in qualche strano modo, a leggere il flusso dei suoi pensieri.
La commessa, che li stava osservando, gli lanciò uno sguardo accigliato e disgustato.
-S-senta…lasci stare. Ci penso ancora…Sherlock, andiamo…A-arrivederci.-
Trascinò il sintetico fuori dal negozio, furibondo dall’imbarazzo:
-T-tu non puoi fare così, Sherlock…c-come diavolo fai—insomma…lascia stare! -
Arrabbiato e ancora più frustato, si incamminò lungo la strada, seguito da Sherlock.


-Sei arrabbiato con me, John?- domandò apatico l’automa.
-No…no! Non sono arrabbiato con te…sono arrabbiato con me stesso. Muoviti, sta per mettersi a piovere…-

Sherlock lo raggiunse e dopo un quarto d’ora si trovavano insieme in un grosso outlet, con marche firmate ad un prezzo accessibile per le tasche del povero ex militare.
John trovò una camicia viola, molto sottile e di un tessuto molto morbido:
-Ehi, Sherlock! Questa ti piacerebbe?-
Il synth abbassò lo sguardo sul capo d’abbigliamento: -Il viola è un colore che dona molto agli individui dai capelli scuri.-
-E’ un sì?-
-Sì, John.-
-Bene…e cosa mi dici di quel completo laggiù?-
-E’ un “Spencer Hart”. Prezzo di listino: 495£. Prezzo di outlet: 99,99£. E’ un bel colore, John.-
-Perché non vai a provarteli?- disse John, porgendogli la camicia.
Sherlock parve osservarlo quasi stranito, ma infine prese il capo e si diresse verso la cabina, con il completo nero nell’altra mano.

John gironzolò per alcuni istanti, poi si diresse alla cabina dov’era entrato Sherlock.
Quando vi si trovò di fronte, percepì un irresistibile curiosità di vedere come fosse il suo corpo. Sapeva davvero molto poco a proposito di sintetici ed era curioso di sapere se il loro corpo era simile a quello di un uomo o se avessero avuto qualche strano sportello sotto i vestiti, dal quale si poteva controllare il “motore” come le automobili.
L’umano scostò appena la tenda, cercando di non farsi vedere.
Una schiena magra ed esangue si mostrò di fonte ai suoi occhi blu cobalto, lasciandolo senza parole. Il modo con il quale l’orizzonte dei capelli corvini incontrava la pelle nivea, avrebbe fatto uscire il sangue al naso a tutte le ragazze del mondo.
Il suo sguardo venne poi attratto dagli occhi del sintetico riflessi nello specchio, che non poteva scorgerlo da dove si era messo a osservare, gli parvero improvvisamente tristi, mentre si fissava intensamente.
John percepì come una fitta al cuore nel intravedere quello sguardo, che dopo alcuni secondi svanì del tutto e il biondo si chiese se lo avesse solo immaginato.


-Salve, John.- salutò apatico Sherlock, continuando a fissarsi nello specchio, mentre si infilava la camicia.
Il biondo sobbalzò, arrossendo nuovamente. Come diavolo aveva fatto a percepirlo?
-Il tuo battito cardiaco. E’ fastidioso, John.- rispose quasi seccato il sintetico.
Seccato? Com’era possibile che un automa si sentisse “seccato”?
“E’ un modello costoso” pensò John, “avranno perfezionato la simulazione emotiva”.
 
Quando Sherlock tirò la tenda, mostrandosi vestito, l’ex soldato rimase per l’ennesima volta a bocca aperta: era bellissimo ed incredibilmente affascinante con quei vestiti.
 
-Questi abiti sono di tuo gradimento, John?-
-Ti..ti stanno molto bene…a te piacciono?- rispose con un sorriso dolce John.
-E’ compito dell’utente primario dare al proprio Synth ciò che è necessario.-
-Sì…ma a te piacciono?-
Sherlock parve ragionarci su, fissandosi intensamente nello specchio, mentre John, incoraggiante gli sorrideva alle sue spalle.
-Trovo che questo stile mi doni, John.-
-Ottimo, allora è fatta.-

John si voltò e andò a pagare, mentre Sherlock parve rimanere ancora alcuni istanti a fissarsi nel riflesso, come se stesse davvero pensando.

* * *
 
-Sono 150£, signore.-
John imprecò mentalmente, dando alla commessa il proprio bancomat.
Sherlock se ne stava silenzioso al suo fianco, fissando il vuoto di fronte a sé.
Appena la donna mise i vecchi indumenti nel sacchetto, il sintetico prese prontamente la borsa, uscendo e salutando all’unisono dell’altro.

Piuttosto irritato, l’ex soldato camminava con le mani affondate nella tasca dei jeans, affiancato da Sherlock, che pareva la sua ombra.
 
-Dove andiamo, John?-
-Andiamo nella mia vecchia pensione. Devo prendere alcune cose prima di andare all’indirizzo che ci hanno assegnato.-
 
* * *
 
Aperta la porta della sua stanza angusta, un odore di umido li travolse. John entrò zoppicante nella stanza, dirigendosi subito verso il bagno a prendere le medicine.
Sherlock si guardava attorno apatico, analizzando con gli occhi vitrei ogni angolo di quella stanza.
 
-Hai davvero vissuto in questa stanza, John?-
-Sì..- rispose il dottore, mentre buttava rumorosamente la valigia sul letto: -Non ti piace?-
-No.- rispose seccamente:-Il tasso di umidità in questa stanza è del 34%, nell’angolo superiore del soffitto vi è una dose consistente di muffa che potrebbe aver danneggiato le tue vie respiratorie.- disse puntando il dito verso l’alto.
John sbiancò:-Sei serio?- guardò in alto dove puntava il dito:-Cristo… c’è altro che dovrei sapere?-
-C’è un nido di topi oltre la parete dove poggia il tuo letto. In questa stanza sono avvenuti anche 3 omicidi.-
-Cos-? Come fai a sapere degli omicidi?-
Sherlock rimase in silenzio fissandolo, poi dopo alcuni secondi rispose: -Non capisco la tua domanda, John.-
Il biondo si accigliò: come poteva non capire? Aveva chiesto cose più complicate e gli aveva risposto… scrollò le spalle, e prese la valigia: -Andiamocene. Non voglio rimanere più un solo istante in questo posto.-
 
* * *

Arrivarono al 221B di Baker Street in metropolitana, dato che per John quel giorno aveva già portato troppe spese per i suoi gusti. Non che fosse avaro, semplicemente la sua pensione minima non gli permetteva grandi spese.
Sherlock si era offerto a portare la valigia e lo aveva lasciato fare, sentendosi per la prima volta felice di aver preso un sintetico.
 
-221..B…Baker Street…dovrebbe essere questo portoncino verde.- John rimase alcuni istanti titubante a osservare il quartiere e il portoncino, poi decise di suonare.
Fece un passo indietro e dopo alcuni minuti una signora anziana venne ad aprire la porta.
-Salve, sono…sono il Dottor John Watson…mi è stata assegnata questa casa in quanto ho acquistato un Synth…insomma, l’esercito lo ha pagato per me.-
-Oh…lei è il dottor Watson! Mike Stamford mi ha chiamato e mi ha avvisato. Venga, venga o si prenderà un accidente.-
Entrò e rimase sorpreso dalla bellezza di quell’entrata così accogliente. Sherlock lo seguì, silenzioso.
-Oh…questo è il suo Synth? Che bel fanciullo!- civettò la signora.
-Scusi, ma…non mi ha ancora detto il suo nome, Signora…- intervenne John.
-Oh, che sbadata! Sono la signora Hudson e vivo al 221 A, vede quell’appartamento lì sotto…ed ecco il mio synth! Vieni Vera, saluta i nostri nuovi coinquilini!-
Una donna con indosso una divisa da infermiera si fece avanti, fissando i nuovi arrivati con un espressione dura in volto, che fece gelare il sangue nelle vene all’ex medico militare.
La sintetica fissò Sherlock e disse: -Perché non condividi?-
John si volse accigliato al proprio synth che rimase immobile rispondendo:-Porto i tuoi bagagli al piano di sopra, John.-
-S-sì…va bene.-
 
La signora Hudson lo invitò a prendere un the, ma John volle prima assicurarsi che lo Stato avrebbe pagato tutto quanto.
-Dottor Watson, lei dovrà soltanto pagare le bollette. Sa, è una vera fortuna che lei sia un dottore! Spesso ho certi dolori alla mia anca!-
-Ah…capisco. Allora…posso andare a vedere l’appartamento?-
 
Quando arrivò al piano di sopra, notò che Sherlock aveva già posato i bagagli e stava sistemando le cose di John nel salotto illuminato da due ampie finestre che davano sulla strada.
Il suo sguardo vagava gioioso sulle pareti, sui soprammobili, trovando il tutto molto adorabile.
-Davvero un bel posto…molto accogliente. Quindi è sicura, signora Hudson, solo le bollette?-
-Sicurissima! Sa, John…- disse la signora fissando il synth dell’uomo:-il suo sintetico mi ricorda qualcuno,ma…non riesco a ricordare chi. Comunque sopra ho anche una stanza nel caso vi dovesse servire.-
John la osservò accigliato:-Ma se c’è una stanza qui…perché dovrei prendere quella al piano di sopra?...Sherlock…di notte si ricaricherà su una sedia, è così che funziona, no?-
-E’ che se ne vedono di tutti i colori in giro…per esempio, Mrs Turner, preferisce quelli sposati..!-
-Con…i synth?-
-Esatto!-
-Okay…- disse fissandola preoccupato:-Ma noi non-- -
-Vivi e lascia vivere, questo è il mio motto!- disse la signora scendendo le scale:- The?-
-Sì grazie!!!- urlò irritato dopo essersi buttato sulla poltrona rossa.
Sherlock, a sua volta, si sedette su quella di fronte in pelle verde.
 
-Allora…cosa ne dici, ti piace?- domandò il medico.
-E’ molto accogliente, anche se la maggior parte dei mobili risalgono al design di moda negli anni ’70.- rispose prontamente Sherlock.
-Okay…- rispose pazientemente- ..ma ti piace?-
L’altro lo fissò quasi con sguardo sospettoso, ma John fu convinto che anche questa volta doveva trattarsi solamente di una sua impressione.
-Sì, mi piace, John.-
 



 

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Capitolo 4
*** Incubi. ***


Nota dell'autrice: Salve a tutti e grazie ancora per aver recensito e letto! Questo capitolo sarà leggermente più breve, ma credo che il prossimo sarà forse un po' più intricato.
Spero vi piaccia :) Detto ciò, buona lettura!
ps: continuate a dirmi cosa ne pensate, perchè è fondamentale per me.
O_H


Non riusciva ancora a comprendere completamente il modo nella quale la sua vita era cambiata nel giro di 24 ore.
Mentre faceva queste constatazioni, se ne stava comodamente seduto nella cucina di Mrs Hudson, mentre la sua synth, Vera, serviva la cena ad entrambi.
 
Sherlock aveva preferito starsene al piano di sopra, dato che “aveva la carica residua del 33%”.
Per tutta la cena John parlò con gioia alla signora, che pareva molto più giovane della sua età, anche se amava continuare ad affermare che per lei il dottore e il sintetico erano una coppia.
Un paio di volte l’uomo porse alla synth alcune domande, come per esempio “Ti piace qui?” ,ma lei rispondeva sempre “Non capisco la sua domanda.”
Perciò si era ulteriormente convinto che il sintetico che Mike gli aveva venduto era davvero caro e si sentì ancora una volta in colpa per tutti i soldi che aveva fatto spendere all’esercito.
Ma “Dopotutto” pensò “Mi hanno buttato fuori…quindi è solo un piccolo regolamento dei conti.”

La cena finì e lui si ritrovò con un incredibile stanchezza addosso, che lo portò ad andare a dormire.
Sherlock se ne stava seduto sulla sedia della cucina, collegato ad una presa, con gli occhi chiusi; lo osservò per alcuni istanti, con uno sguardo di riconoscenza, perché era grazie alla sua esistenza che lo Stato gli aveva assegnato un appartamento.
Sospirò e con passo zoppicante andò a chiudersi in camera, dove senza sapere come, si ritrovò a dormire profondamente.

* * *

Stava camminando in un enorme parco, la cui erba era rossa come il sangue.
Gli scarponi affondavano, come se ad ogni passo la sua vita venisse risucchiata da quel terreno demoniaco.
-Devo…farcela…devo-- - continuava a ripetersi, con voce esausta, mentre le ginocchia toccarono il suo e lui si ritrovò a carponi, con le mani inondate da un liquido rosso.
Un’acre odore di ferro gli riempì le narici e si rese conto che era l’odore del sangue.
Osservò nuovamente le sue mani e ora aveva in mano il cuore di un uomo che con gli occhi febbrili, sgranati lo implorava di salvarlo, con urla straziate.
Altri uomini arrivarono strisciando, aggrappandosi alle sue gambe, finchè non lo tirarono a terra, sopraffacendolo.

Poi un urlo.

Quando sgranò gli occhi, le cui ciglia erano imperlate dal sudore salato e doloroso del suo incubo, si rese conto che si trovava in una stanza accogliente, dove la luce era accesa.
Niente sangue; niente morti; lui era disteso nel suo nuovo letto, ansimante e tremante come una foglia.
Ma perché la luce era accesa?

-John.-
 
Una voce calda eppure statica lo chiamò, mentre lo osservava in piedi, con il capo leggermente inclinato da una parte, con degli occhi verdi e inespressivi come quelli di un gatto.

-Stai bene?-

Era stato Sherlock, dio era Sherlock, per fortuna aveva acceso la luce e non l’aveva lasciato al buio a cercare le sue paure.

-S-sherlock…che…che ore sono? T-ti ho svegliato?- domandò passandosi le mani tozze sul volto, cercando di smettere di tremare.
-Sono le 3:32 e 57 secondi, John. I synth non dormono, si mettono solo in modalità economica durante la notte.-

John continuava a fremere con forti scossoni, mentre si guardava quelle mani che poco prima gli pareva avessero davvero cinto un cuore pulsante.
Poi un improvviso tocco alla sua spalla, come per magia, lo tranquillizzò all’istante.
Volse il capo con occhi lucidi ed increduli nel vedere Sherlock che gentilmente aveva posato una mano sulla sua spalla per calmarlo, sorridendogli gentilmente.

-E’ tutto finito, John.-
-Mi hai..mi hai sentito urlare?-
-Sì, John. Vuoi un bicchiere d’acqua?-
Il biondo annuì, ancora sopraffatto da sentimenti contrastanti per quel breve, ma intenso contatto.

Dopo pochi minuti, Sherlock ritornò con un bicchiere d’acqua in mano.
Il dottore bevve con avidità, ringraziandolo con voce quasi strozzata.

-Desideri un massaggio, John? Il tuo battito cardiaco è ancora accelerato e posso avvertire di tanto in tanto la presenza di extrasistole. Oggi non abbiamo fatto fisioterapia, credo dovremmo farla ora.-
L’umano lo guardò un po’ confuso, per poi rispondere un flebile –Sì..va bene.-

Con tocchi misurati il sintetico gli alzò la maglietta del pigiama, fino a sfilargliela del tutto, per poi piegarla con incredibile precisione da un lato del letto.
Successivamente si sedette sul bordo, dietro a John e con mani incredibilmente calde, iniziò a compiere delle leggeri pressioni sulla sua spina dorsale.
John non riuscì a non chiudere gli occhi alla piacevole sensazione così…”perfetta”.
-E’ questione di applicare la giusta pressione, John.-
Il biondo sobbalzò nel sentire l’altro riuscire ad interpretare così bene i suoi pensieri:
-Oh…e sei stato programmato per questo?-
-Esatto.-
-Capisco…-
Le mani sottili di Sherlock lo toccavano con tanta cura che pareva avessero paura di romperlo. Percepiva i propri nervi rilassarsi, la propria spina dorsale levigata in ogni sua vertebra dalle dita longilinee, fino a scendere ai fianchi particolarmente sensibili.
Le labbra di John erano torturate dai denti bianchi, un po’ per il piacere, un po’ per il dolore e un po’ per l’idea di essere sfiorato da quell’essere perfetto.
D’un tratto, tutto cessò.
I palmi nivei del sintetico si ritrassero, nonostante l’umano potesse percepirne il respiro alle sue spalle.
Deglutì, non capendo cosa stesse succedendo, poi due dita si posarono sulla sua cicatrice appena chiusa, sulla spalla sinistra.
John chiuse gli occhi, con un piccolo gemito al ricordo del dolore che gli continua a provocare quella ferita.
 
-Fa male, John?- mormorò quasi incantato.
-…non più tanto, Sherlock. Ma…me ne ha provocato e quando cambia il tempo…è davvero dolorosa.-
-E’ il dolore a renderci forti.- rispose mentre l’accarezzava appena.
Il dottore s’accigliò a quelle parole:-Tu…provi dolore, Sherlock?-
Silenzio.
-Sherl--? -
-I synth sono programmati per non provare dolore. Né alcun altro tipo di sentimenti. I sentimenti si trovano nella parte perdente, John.-
Il sintetico si alzò silenzioso, scivolando via da quella stanza.
John si sentiva ancora più confuso, perché… gli sembrava che il suo synth avesse davvero qualcosa che non andava.
O forse… aveva qualcosa di troppo.



 

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Capitolo 5
*** L'ambulatorio. ***


Nota dell'autrice: Ecco qui un altro capitolo! Sono veloce, perchè prima finisco, meglio è, dato che ho degli esami importanti. Soprattutto, anche perchè odio le attese nelle storie. 
Perciò, Sherlockians, sincronizzate le antenne, perchè qui ci son deduzioni all'orizzonte.
Grazie infinite per le recensioni e per la lettura!
Fatemi sapere :D
O_H


Un raggio di sole entrò prepotente dalle tende pesanti che soccombevano sulla finestra della stanza da letto.
John percepì il sottile raggio di luce colpire i suoi occhi ancora chiusi, portandolo a svegliarsi.
Non riusciva a capire bene come, ma dopo quel massaggio era riuscito a dormire pacifico come un bambino. Non dormiva così bene da mesi, ormai.
 
Scivolò con passo incerto in cucina, cercando con lo sguardo Sherlock che se ne stava ancora in ricarica sulla sua sedia.
Cercando di fare poco rumore, mise a bollire l’acqua del the.
 
-Salve, John.-
 
Quel saluto lo fece sobbalzare:-Sherlock…mi hai fatto spaventare..! Buongiorno. Vuoi del the?-
-I sintetici non possono bere né mangiare.-
-Oh, giusto…alle volte dimentico che…lascia stare.-
Il sintetico si alzò avvicinandosi con sguardo penetrante all’umano:- Che cosa, John?-
L’ex militare si voltò a guardarlo, senza riuscire a distaccarsi da quello sguardo:-Che…che non sei umano, Sherlock.-
Cadde il silenzio.
I loro occhi incatenati da un lunghissimo sguardo magnetico, il battito di John che accelerava, pulsando con insistenza nella testa del sintetico, poi…
 
-Cucù! Ragazzi?-
 
John sobbalzò, arrossendo, allontanandosi velocemente:-Signora…Signora Hudson! Come sta?-
-Bene, Dr Watson! Spero di non averla disturbata!-
-Oh, no…niente affatto, sto per fare colazione.-
La signora Hudson entrò in cucina e guardò nuovamente Sherlock dalla testa ai piedi:-In qualcosa mi ricorda mio marito…-
-Il signor Hudson?- domandò John.
-Sì, proprio lui.-
-E dov’è adesso?-
-Oh, è morto. Sa, la sedia elettrica. Ma è stato un sollievo sa? Aveva certi brutti vizi!.-
-Oh…l’FBI immagino?-
-Oh no, un detective privato. Chissà che fine avrà fatto quel povero ragazzo!-
John si accigliò:-Un ragazzo detective?-
-Sì, era ancora un principiante, ma…-
-John, oggi hai un colloquio di lavoro alle 9:30- li interruppe con freddezza Sherlock.
Il dottore si diede una pacca sulla fronte:-Cielo! Lo avevo scordato!-
-Oh, allora è meglio che vada. Se ha bisogno di qualcosa, sono qui sotto.- disse la padrona di casa, scendendo le scale.
Il medico tornò al suo the, quando gli sorse un dubbio:-Come sai del mio colloquio?-
-Ho letto la tua mail, John.-
-Cosa?!- domandò irritato:-Come hai fatto?-
-E’ stipulato nel contratto: “Ogni synth ha diritto di accedere alla posta elettronica del proprio utente primario per servirlo al meglio”, John.-
-Ah… okay.-
Sherlock annuì e andò a sistemare alcuni libri nella libreria.

* * *
-Santo cielo…lei è troppo preparato. Insomma, laurea presso al Bart’s Hospital conseguita con 110, specializzazione in chirurgia, carriera militare che ha portato al grado di Capitano. Non è forse troppo banale un posto in ambulatorio per lei?- domandò la dottoressa Sarah Sawyer, responsabile dell’ambulatorio.
-La banalità…la banalità va benissimo, mi creda.- rispose con un sorriso dolce John.
-Altre capacità?-
-Quando avevo 10 anni suonavo il clarinetto.-
-Bene..!- ridacchiò lei –Allora…cosa ne dice, domani alle 9 in punto?-
Il cuore di John esplose in un tumulto di battiti:-Perfetto! Sarò puntuale.-
-Bene, allora a domani, Dott. Watson.-
Il nuovo assunto prese la giacca e si alzò, ma arrivato alla porta si volse:- Sono inopportuno se le chiedo se questa sera le va di bere qualcosa insieme? Non…non è un appuntamento, ho solo bisogno di parlare con qualcuno di…umano, ecco.-
La dottoressa lo fissò sorpresa, ridendo imbarazzata:-Sì…va bene…va bene! Per le…7?-
-7 sia! Magnifico!-

* * *
L’aria gli pareva improvvisamente più calda di quanto fosse stata poche ore prima, donando al suo volto prima stanco e malaticcio, un colorito vivo.
“John Watson è tornato” pensò, ridacchiando.
Decise di concedersi una lunga passeggiata, fino in centro.

Le vetrine multicolori gli davano il buongiorno accendendosi al suo passaggio e John si accorse, in quell’esatto istante, quanto amasse Londra, la sua vita, le sue luci, la sua aria e anche le persone.

La vetrina di un negozio di telefonia mobile attirò la sua attenzione.
Si rese conto che se ne avesse avuto bisogno, Sherlock non avrebbe saputo come contattarlo.
Così decise di entrare, acquistando un cellulare piuttosto base con connessione a internet.
“Ne sarà entusiasta!” pensò.
Per quanto ci provasse, non riusciva a vederlo come un automa, continuando a pensare a quello che nella notte passata Sherlock gli aveva detto: -E’ il dolore a renderci forti.-
Eppure un istante dopo aveva affermato che i synth non ne provassero. Avrebbe potuto dire “Il dolore rende forti” o “Il dolore rende forti gli umani”, invece aveva affermato “E’ il dolore a renderci forti”. NOI. Ma, esattamente, noi chi?
 
Scrollò le spalle e chiamò un taxi, portando il suo pensiero alle prospettive che l’attendevano in serata.

* * *
 
-Sherlock! Sherlock?- correndo per le scale la voce del dottore squillava energica alla ricerca del sintetico.
Sherlock si posizionò di fronte all’entrata:-Salve, John. Noto che oggi non hai il bastone.-
 
Gli occhi del biondo si sgranarono:-Cosa…?-
Osservò le proprie mani e poté constatare a sua volta che non aveva preso il bastone e…aveva addirittura fatto una passeggiata.
-Già…me lo sarò dimenticato.-
-Psicosomatico.-
-Come scusa?-
-Il tuo zoppicare è psicosomatico, John.-
-Come fai a saperlo?-
Sherlock lo fissò intensamente, per alcuni minuti, poi rispose:-Non capisco la tua domanda, John.-
-O-okay…ti ho preso una cosa, oggi!-
-Ti hanno assunto, allora. Congratulazioni, John.- emise un sorriso falso.
-Sì…comunque, ti ho preso un cellulare, così in caso di ogni evenienza, puoi contattarmi qui.- gli porse la scatola, sorridendo appena.
Sherlock parve sorpreso, guardando la scatola incantato:-Non posso accettare il regalo, John.-
-Perché?- domandò accigliato.
-Ai synth non è permesso avere cellulari, John.-
-Ah…va beh, tu non lo dici a nessuno. Okay?-
L’automa aprì la bocca come per dire qualcosa, ma subito la richiuse, prendendo la scatola tra le mani sottili.
-Grazie, John.- così detto, con la sua scatola, andò a sedersi sulla poltrona.

John aveva acquistato alcuni litri di latte e quando si diresse in cucina, il proprio sguardo si fece torvo vedendo che il tavolo era stato ricoperto da oggetti scientifici, come provette, becker e becchi bunsen.
-Sherlock….cosa…cosa significa questo?- domandò titubante il dottore, puntando il dito verso alla tavola.
-Cosa, John?- domandò apatico.
-La cucina…la…la roba…insomma…quelle cose…da dove saltano fuori?-
-Ah. Le ho trovate in cantina, John.-
-C-cantina? Quale..quale cantina?-
 
-Dottor Watson? E’ in casa?- la signora Hudson si affacciò al salotto.
-Ah…signora Hudson…sì. Senta, sa dirmi da dove viene questa roba sulla mia tavola?-
-Oh, ma che strano! Erano nella mia cantina! Chi le ha portate quì?-
-Il mio…insomma, Sherlock le ha prese, ma…gliel’ha chiesto lei?-
-Oh, no. Erano di un ragazzo che veniva sempre a giocare qui con quei cosi da adolescente…quel detective che le ho detto prima. Era un presuntuoso! Ma…era anche molto dolce, sa? Quando le accarezzavo i capell-- -
-Signora Hudson!- la richiamò spazientito John -…sono dispiaciuto che il mio synth si sia preso una tale libertà, ora glieli farò risistemare.-
-Oh, non fa nulla! Laggiù prendevano solo polvere! Vedo che invece qui hanno ripreso vita! Lo lasci giocare, si annoierà, poverino. –
-Già…- rispose sempre più confuso il dottore –Già…-
-Allora?- domandò d’un tratto raggiante la signora.
-A-allora cosa?-
-L’hanno assunta?-
-Ah! Il colloquio! Sì, sì, mi hanno preso! Inizio domani!-
La padrona di casa esplose in una risata simile al verso di un gufo torturato e battè le mani:-E’ magnifico! Dobbiamo festeggiare!-
-Oh, no, no, la prego…non c’è n’è bisogno! Lo farò stasera...Ho un appuntamento…più o meno.-
-E Sherlock?-
-Sherlock…cosa?-
-Lo lascia da solo?-
-Lui…lui non è il mio—lasci stare.-

* * *

Si era lavato e profumato come un damerino e ora si specchiava in camera da letto, indeciso se indossare o meno la cravatta.
-Sherlock!- lo chiamò, mentre continuava ad osservarsi.
-Sì, John.-
Il medico si voltò con la cravatta in mano:-Con o senza?-
-Cosa, John?-
-Cravatta! La metto o no?-
-Esci?- domandò l’automa mentre con passò sicuro si avvicinava alla figura dell’uomo.
-Sì…con una mia futura collega.-
-Capisco.-
-Non credo tu possa…-
-Mh.- il synth prese la cravatta dalle sue mani e gliela mise intorno al collo, mentre le sue dita la annodavano con una facilità incredibile, lasciando John a bocca aperta.
-Rimani a bocca aperta troppo spesso, John. Ecco fatto.-
Gli cinse le spalle con le mani sottili per farlo voltare, mentre da sopra la spalla del biondo gli occhi verdi lo penetravano con insistenza.
Lo sguardo del dottore viaggiava dal proprio riflesso, al volto di Sherlock, per poi scendere sulle sue mani:-S-sì…-
-Devi andare, John.- sussurrò profondamente nel suo orecchio.
-Sì…sì, hai ragione.- si schiarì la voce e si scostò, andando a prendere la giacca.

-Per qualsiasi cosa, Sherlock, mandami un messaggio, okay?-
Il sintetico annuì:-Buona serata, John.-
 
* * *
 
-Dici sul serio?! Hai bevuto la coca cola dal naso per vincere 5 sterline?!- rise con voce cristallina la donna, sistemandosi i capelli dietro l’orecchio.
-Sì…sì..l’ho fatto.- ridacchiò a sua volta John mentre giocherellava con il sotto bicchiere della sua birra.
 
Si sentiva incredibilmente vivo al fianco di Sarah; lei era così simpatica, bella, gioiosa, la sua voce era dolce e i suoi occhi, quando sorrideva, brillavano di una luce unica, simile a quella delle stelle nella notte di S. Lorenzo.
La musica jazz echeggiava languida nel pub, mentre loro, seduti ad un tavolino rotondo, si erano raccontati tutta la loro vita, ridendone sù, come se appartenesse a qualcun altro.


John aveva sempre amato le donne, il loro civettare, la loro voce, eppure, non era mai funzionata realmente con nessuna. Lui, dopo alcuni appuntamenti, si spazientiva, perché tutte erano sempre più sofisticate, difficili, con il passare del tempo.
Volevano essere corteggiate, coccolate, ma nessuna si chiedeva mai che cosa voleva lui.
Forse solo una scopata o forse semplicemente un abbraccio ed essere amato.
Doveva sempre essere lui il primo a dire la formula magica “ti amo” e sempre lui ad essere lasciato a piedi.
“Non sei abbastanza”, oppure “sei simpatico, ma ti vedo più come un fratello” o “restiamo amici?”.
Lui non voleva amici, non voleva essere trattato come uno dei tanti, lui voleva solo essere amato.

Sarah pareva diversa, ma “tutte sembrano diverse all’iniziò” pensò.
Nonostante ciò, poteva già percepire il suo cuore aprirsi, i suoi occhi disegnarla nella sua mente e le sue mani che prudevano per la voglia di accarezzarle i capelli.
 
Tutto era perfetto.
Tutto parev—
 
Una scossa proveniente dalla sua tasca dei pantaloni lo fece sobbalzare:-Scusami, il cellulare…-
Estrasse lo smartphone dalla tasca e lesse:
 
Sherlock:
Mrs Hudson è caduta dalle scale, John. –S
 
-Dannazione! Sarah, scusa…devo proprio scappare!- disse alzandosi frettoloso dal tavolo, lasciando la banconota per pagare sul tavolo.
-oh! Cosa…cosa è successo?- domandò preoccupata.
-La mia padrona di casa…è caduta dalle scale! Devo andare! Scusami ancora, davvero…! Ci vediamo domani, okay?-
 
* * *
 
Il taxi gli pareva incredibilmente lento quella sera.
-Non potrebbe andare un po’ più veloce?-
Il sangue gli pulsava nelle vene, insieme all’adrenalina e al nervosismo.
Se si era rotta il bacino? Se stesse perdendo sangue? Cosa avrebbe fatto?
“Dio, sono in quella casa da due giorni e già succedono gli incidenti!”.
 
Quando il taxi lo lasciò di fronte all’abitazione, aprì la porta che erano ancora in moto e corse dentro, percependo l’aria sferzargli tra i capelli, facendolo rabbrividire. Con impeto aprì il portoncino, facendolo sbattere contro al muro.
Il sangue al cervello gli pulsava così forte che pareva potesse uscirgli dalle orbite:
-Mrs Hudson!- urlò a squarciagola, senza fiato, cercandola disperato con lo sguardo.
-Mrs Hudson!!!-
La signora, tutta impettita, uscì dal proprio appartamento:-Ma insomma! Che cos’è tutto questo baccano, dottore?!-
Mentre cercava di riprendere fiato, ripiegandosi sulle ginocchia, si accigliò:-Lei….lei non…lei non è caduta dalle scale?!-
-Cosa? No! Non le ho nemmeno salite!-
-Cos--- ? Allora, perch-?-
-Si sente bene?-
-Sì, sì….m-mi…mi scusi. Torni a dormire.-

* * *


C’era sinceramente qualcosa che non andava nel suo sintetico e questa ne era l’ennesima prova. “Ecco perché non danno i cellulari a quegli ammassi di rottami che non sono altro!”.
Furibondo, salì le scale, energicamente.

-Salve, John.- lo salutò il sintetico alle prese con un esperimento.
-Cos-…cosa stai facendo?-
-Miglioro il mio software, John.-
-Tu hai la più pallida idea di che cosa hai fatto?-
Sherlock alzò il volto inespressivo, posando gli occhi su di lui:-Cosa ho fatto, John?-
Dio, voleva ucciderlo. Lo guardò incredulo:
-Hai sabotato il MIO appuntamento. Sai cosa vuol dire?! Mi hai fatto correre…per mezza Londra, facendomi credere che la signora Hudson fosse morente…e non era vero?!-
-Non era un appuntamento, John.- rispose serio, poi continuò:-Oh. Per quello. Mrs Hudson si è inciampata nel tappeto. Credevo fosse grave, John.-
-Nel…- “ma mi pigli per il culo?!” –nel…tappeto?! Lei, Sherlock, ha un synth per questo.-
-Vera è stupida, John.-
Il dottore sgranò gli occhi, con un sorriso incredulo:-Perché tu chi sei, Mr “intelligentone”?! Sei solo un computer! Sei…sei intelligente perchè sei solo un ammasso di algoritmi, tutto qui!-
Sherlock lo guardava con gli occhi vitrei, in silenzio, eppure, improvvisamente parve ferito.
-Sherlock io non-- -John si passò una mano sul volto, sentendosi in colpa:- non volevo, io---sc-- -
-Devo mettermi in carica, John. Livello batteria residua: 25%.-
-Sherlock aspetta!-
Il synth, senza dargli ascolto, si sedette vicino alla presa e semplicemente, si spense, andando in modalità economica.
 
-Cristo…- sbuffò il medico, andando a prendersi una bottiglia di cognac:-Pure con i synth non vado d’accordo…ottimo!-
 
Mentre si sedeva in poltrona, accese la tv, per poi ingoiare quasi con dolore, abbastanza alcool da potersi addormentare profondamente, senza incubi.
 

 

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