Heaven Knows

di King_Peter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Theo ♠ Cigno Nero ***
Capitolo 2: *** Takeshi ♠ Drago che Morde ***
Capitolo 3: *** Rain ♠ Ali di corvo ***
Capitolo 4: *** Duncan ♠ Ossa Rotte ***
Capitolo 5: *** Aeren ♠ Flauto Magico ***
Capitolo 6: *** Jude ♠ Mela Avvelenata ***
Capitolo 7: *** Asher ♠ Stella del Mattino ***
Capitolo 8: *** Alyx ♠ Fiore Velenoso ***
Capitolo 9: *** Nathaniel ♠ Demone di Sangue ***
Capitolo 10: *** Amber ♠ Vergine di Ferro ***
Capitolo 11: *** I'm alive ***



Capitolo 1
*** Theo ♠ Cigno Nero ***



Heaven Knows
♔ Official Video Trailer 




Theo ♠ Cigno Nero

 
Theo avrebbe volentieri seppellito la testa sotto la sabbia, dopo quella sera.
La partita di Caccia alla Bandiera si era risolta con un fiasco totale e doveva ammettere che, in parte, era stata anche colpa sua. Adesso tutti i compagni della sua squadra lo guardavano con aria truce, come se avessero tutta l'intenzione di scaraventarlo in una fossa piena di leoni affamati ed assistere alla sua morte.
Il colore scuro della terra aveva smorzato la sfumatura bronzea del suo elmo, stralci di foglie secche e petali di fiori morti erano rimasti impigliati fra i crini rossi del suo pennacchio. Il fango sul suo pettorale copriva il simbolo di sua madre, inciso all'altezza del cuore, linee bianche e rossastre intrecciate a formare una colomba bianca, colta nel momento di spiccare il volo verso il cielo.
Afrodite.
I figli della dea della bellezza erano portati naturalmente ad attirare l'attenzione delle persone, un concentrato di verità e di bugie, nascosti dietro un bel viso. Spettinare i suoi capelli e tatuare le sue braccia non avevano fatto altro che catalizzare ancora di più l'interesse degli altri semidei, come se non fosse altro che una calamita umana per gente che non sapeva tenere a bada i suoi ormoni.
Theo si chiese cosa avrebbe detto sua madre di lui, se mai avesse avuto l’opportunità di incontrarla.
I figli di Afrodite erano stati costretti a svegliarsi e a crescere, dopo che le porte dell'Olimpo erano state sigillate una seconda volta. Quando un enorme fulmine aveva spezzato in due il pino di Talia, decine e decine di mostri si erano uniti contro Long Island, un'unica massa di dannati pronta a mettere a ferro e fuoco il Campo Mezzosangue, riducendo in schiavitù i soldatini dell'Olimpo.
Loro avevano cercato di resistere, respingere gli assalitori, pregare i loro antichi dei, ma inutilmente.
Chirone era morto, sfigurato dal sangue di un suo simile, l'Oracolo ucciso, il suo corpo dilaniato da cani e belve feroci perché non scrutasse più nel futuro, lo spirito di Delfi silente da almeno trent'anni.
La terra aveva tuonato la sua gioia, la sua vendetta urlata dalle bocche di tutti gli alberi del bosco, satiri e driadi che avevano partecipavano ad uccidere i mezzosangue, il sangue dell'Olimpo che aveva bagnato i marmi e i templi dei loro padri.
Adesso non rimaneva altro che cenere, cenere di un passato antico e glorioso, e profonde crepe che sfiguravano le case degli dei, cicatrici permanenti a ricordare la loro umiliante sconfitta. La cosa, così come avevano imparato a chiamarla i mezzosangue nel corso degli anni, si era ormai insediata al campo, proponendo ai semidei un patto per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Molti di loro, fra il timore di morire e la voglia di riscattarsi da semplici pedine degli dei, cambiarono allineamento.
Come si dice, se non puoi combattere il nemico, unisciti a lui.
Da allora in poi il campo aveva ripreso a funzionare normalmente: c'erano le partite di Caccia alla Bandiera, le lezioni di tiro con l'arco, le canzoni cantate intorno al focolare. L’unica cosa strana, però, era il fatto che fossero i mostri a tenere a bada i semidei, le parti completamente rovesciate.
E poi i mezzosangue dovevano tenersi in forma, per quello a cui erano destinati.
Theo superò passi rapidi e spediti i ruderi di quella che un tempo era la Casa Grande, distogliendo lo sguardo non appena le finestre si illuminarono di un lampo azzurro. Una dracena, di guardia sul portico d'ingresso, lo stava osservando, gli occhi gialli puntati su quelli verdi di Theo.
Lui le sorrise, il sorriso più smagliante che riuscì a improvvisare, anche se non gli era difficile, essendo un figlio della dea della bellezza; continuando ad andare avanti e cercando di ignorare la tigre dai denti a sciabola che gli stava artigliando lo stomaco. Sapeva cosa stava succedendo lì dentro, così come sapeva che lui sarebbe stato il prossimo.
Deglutì, raggiungendo la diroccata capanna di Afrodite, le colonne che sostenevano il tetto incrinate e sporche, i balconcini spogli e, quelle poche piante superstiti, appassite e morte. Schizzi di sangue rappreso macchiavano ancora la facciata d'ingresso, le colombe che sembravano emissari di dolori e sofferenza, per quanto fossero sfigurate.
I passi di Theo risuonarono bassi e profondi, visto che i figli di Afrodite avevano perso la loro natura civettuola e, quindi, chiacchiere e pettegolezzi erano ridotti a zero. La guerra li aveva colpiti molto più duramente degli altri semidei, Theo poteva vederlo dall’amarezza sui loro volti.
Si lasciò cadere sul suo letto, le lenzuola maleodoranti e sfatte come le aveva lasciate quella mattina, il cuore che gli martellava impazzito nel petto, il dolore più lancinante che avesse mai provato. Le foto che aveva appeso alla parete erano sbiadite, circondate da un alone di polvere, percorse da crepe come il muro a cui erano attaccate.
- Ehi Mitch, come va? - chiese, senza troppo interesse, ad uno dei suoi fratelli appena arrivati al campo, per poi affondare la testa nel cuscino; ciuffi di capelli morbidi che gli solleticavano gli occhi. Era strano notare come i mostri fossero molto più efficienti dei satiri, visto che localizzavano nuovi mezzosangue ogni giorno e li trascinavano fin lì, per i capelli, a vivere fra i ruderi del Campo Mezzosangue.
Era successo anche a Theo, anche se lui non ne parlava molto volentieri.
Gettò l’elmo da qualche parte, il bronzo del pettorale che sbatteva contro la rete metallica del suo letto, prima che chiudesse gli occhi. Continuava a vedere il lampo azzurro, quella estemporanea saetta di luce azzurra che illuminava il piano superiore della Casa Grande.
Theo ricordava come da piccolo avesse timore del buio, di quella sensazione fredda che provava quando sentiva qualcuno sgusciare nelle tenebre e toccarlo con le sue dita ossute. Ricordava la paura che sconvolgeva il suo corpo, l’angoscia che caricava il suo cuore quando il sole scendeva oltre l’orizzonte e cominciava a calare la notte.
Era stato suo padre a dirgli che bastava tenere la luce accesa per scacciare l’uomo nero dei suoi incubi, i mostri che popolavano le rive nere delle tenebre.
Eppure la luce azzurra che aveva visto era malvagia, malvagia almeno quanto la cosa che abitava al Campo Mezzosangue e ciò che faceva ai semidei. Theo glielo aveva visto fare, aveva perso degli amici, dopo che erano tutti passati attraverso la porta della Casa Grande.
Si rigirò fra le lenzuola, incubi e sogni che tornavano ad assalirlo, i tatuaggi scuri che si avvolgevano a spirale sulle sue braccia, disegnando scritte e volti. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, la consapevolezza che quella sarebbe stata la sua ultima notte da semidio.
La cosa non si era limitata ad umiliare gli dei, distruggendo il Campo Mezzosangue, ma aveva fatto di più: usava i loro figli come cavie da laboratorio, fenomeni da baraccone su cui condurre esperimenti e miglioramenti, per ottenere, infine, il prototipo di uomo perfetto, capace di elevarsi da solo al rango di dio.
E il che dava i brividi.
Una volta compiuti diciassette anni, i semidei venivano scortati fino alla Casa Grande dove, anche se questo Theo poteva solo immaginarlo, venivano legati e marchiati, come bestie da macello, prima che su di loro venissero condotti degli esperimenti.
Solo i più forti resistevano, solo ai più forti era concesso di continuare a vivere. Chi sopravviveva, portava un segno indelebile sulla sua pelle, un codice a barre che lo identificava come un esperimento della cosa, come di sua proprietà.
Era per questo che l’umore dei semidei era così nero, obbligati a seguire tutte le attività del campo per essere abbastanza forti da superare gli esperimenti. Era per questo motivo che molti mezzosangue non tornavano più indietro, perduti, impazziti, morti.
E Theo sarebbe stato il prossimo. Allo scoccare della mezzanotte, non sarebbe stato più al sicuro.
Aveva già pensato di fuggire, di scappare via dal campo visto che, come figlio di Afrodite, nessun mostro lo avrebbe mai preso sul serio. Eppure adesso le dracene e le arpie si erano fatti più sveglie, i ciclopi più vigili, anche se avevano solo un occhio, e nessuno si sarebbe sognato di lasciar fuggire un mezzosangue, non senza incorrere nell’ira della cosa.
Era stanco, stanco per la partita di Caccia alla Bandiera, stanco di mentire, stanco di cercare una via di fuga che non esisteva. Chiuse gli occhi, scivolando dolcemente nel mondo dei sogni, Morfeo che benediva silenziosamente il suo sonno, l’occhio di sua madre che lo scrutava dall’alto dell’Olimpo.
Il suo piccolo cigno nero, stanco di seguire il branco. 


 
 
King'sCorner.

Hello, popolo di Efp
Rieccomi qui, con un'altra interattiva, per giunta. Ok, avevo promesso che dopo Immortals avrei dovuto terminare prima il mio romanzo e poi ricominciare a scrivere qui, però mi è venuta in mente un'idea fantastica discreta, va, diciamo così AHAHAHAHAHAH

► La storia è ambientata circa trent'anni dopo la guerra contro Gea. Come avete capito, ho ucciso sia Chirone che Rachel, che bello (#sadismomodeon), quindi gli OC che mi manderete non potranno conoscere Percy, Annabeth, ecc. Ovviamente, come avrete capito, la storia è ambientata in un futuro non molto lontano e apocalittico in cui i semidei sono stati sconfitti e catturati dalla cosa, la quale li usa come cavie da laboratorio e li marchia con un codice a barre.
► Il titolo è ispirato alla canzone omonima dei The Pretty Reckless ed è da intendersi come Il cielo sa e non Il paradiso sa. Parliamo di mitologia greca, dopotutto.
► Mi servono 10 personaggi, tutti greci, suddivisi fra buoni e cattivi. Theo è il mio OC, quindi in tutto saranno 11 personaggi partecipanti alla storia, anche se non escludo che potranno esserci anche altri personaggi secondari, se ci sarà il boom di iscrizioni. Tengo a precisare che gli aggiornamenti della storia saranno un po' lenti, visto che siamo quasi a fine agosto e fra un po' comincia la scuola (sigh), quindi fatemi respirare.

▲ 5 Buoni (good guys go!
Allora, facciamo che ci saranno 3 ragazze e 2 ragazzi (contate che c'è già il mio OC, per i ragazzi). Mi farebbe davvero piacere se creaste anche una Cacciatrice di Artemide, inclusa in questi personaggi.
▼ 5 Cattivi (darkness is beautiful.)
Per i cattivi, invece, 3 ragazzi e 2 ragazze. Mi raccomando, sbizzarritevi, ci sono un migliaio di divinità cattive e malvagie, nell'universo mitologico greco.

Prima di darvi il modulo della scheda, ancora qualche piccola considerazione. Mi raccomando, leggete tutto, altrimenti evoco un segugio infernale e vi faccio sbranare. Ehm, ignorate quello che ho appena detto.

→ Non accetto personaggi perfetti: insomma, non sono degli dei, no? Hanno tutti le loro debolezze, poteri LIMITATI, quindi non mandatemi schede in cui i vostri semidei abbiamo poteri stratosferici.
→  Non più di 2 figli dei pezzi grossi.

→ Non più di 2 figli per lo stesso dio (Afrodite è esclusa, quindi niente figli della dea dell'ammmore) Esistono tanti dei minori, fateli felici.
→ Non pretendo che recensiate ogni capitolo, ma non potete scomparire dopo avermi appioppato il vostro personaggio! Lo dico perché ho giò fatto un'interattiva e c'è stata gente che mi è morta al primo capitolo., Poi non si è più vista e la cosa mi ha dato fastidio.
Se non recensite con costanza, prenderò provvedimenti sul vostro personaggio *sorrisetto sadico*
→ Recensite solo scrivendo la progenie e il sesso del personaggio che avete intenzione di mandarmi. Ovviamente i personaggi sono 10, però voi mandatemi le schede lo stesso e SARO' IO A SCEGLIERE se un personaggio merita più di un altro di interagire nella storia.


Detto questo, non so più che altro dire. Avrete cinque giorni dalla mia risposta alla vostra recensione per mandarmi la scheda personaggio, altrimenti scarterò il vostro pg e passerò ad altri (se ce ne saranno!) La scheda, finalmente! (i campi in corsivo sono facoltativi.)

Nome:
Secondo nome:
Cognome:
Età, data e luogo di nascita:
Fisico:
Descrizione caratteriale:
Genitore Divino e rapporto con esso:
Famiglia mortale e rapporto con essa:
Orientamento sessuale:
Allineamento (Buono/Cattivo):
Relazioni (amore/amicizia) fra gli altri OC:
Arma:
Abilità:
Poteri:
Ama/Odia:
Storia:
Altro/Curiosità:
Prestavolto (obbligatorio):



Hope you enjoy it. Per qualsiasi cosa, potete chiedere sul mio account Ask. 
King 

 
 





 

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Capitolo 2
*** Takeshi ♠ Drago che Morde ***



Heaven Knows
♔ Official Video Trailer 
 
 


Takeshi ♠ Drago che Morde


 
Takeshi avrebbe voluto mettere a tacere la sua coscienza una volta per tutte.
Yami, il suo gatto, gli si era acciambellato sulle gambe e adesso gli solleticava le braccia con il suo pelo nero. Lui era seduto su una poltrona che odorava di muffa, la stoffa rossa sgualcita che lasciava intravedere il rivestimento interno, per quanto fosse sottile.
La sala ricreativa della Casa Grande era quanto di più squallido si potesse desiderare, visti i muri scoloriti dalla guerra e l'inquietante testa del leopardo impagliato che continuava a fissarlo. Non l'avrebbe mai ammesso apertamente, ma quello stupido Seymour gli dava i brividi, forse per lo scintillio luccicante che si aggirava nei suoi occhi.
Chiuse il libro che aveva in mano, notando come il protagonista possedesse tutte le qualità di un vero eroe: fegato, audacia e cavalleria, cose che, invece, a Takeshi mancavano.
Se doveva essere onesto con sé stesso, quel soldatino che combatteva draghi e salvava fanciulle indifese assomigliava maledettamente a Joel, il suo ragazzo, quello che aveva visto morire fra le fiamme di un incendio. Scosse la testa, la tristezza che rivangava quei ricordi troppo dolorosi, quelli che aveva tentato inutilmente di seppellire, assieme al suo primo amore.
Il caminetto era spento, i resti di un piccolo focolare sepolti sotto fitti strati di cenere, la legna annerita e mezza mangiata dal fuoco. Un timido sole nascente si stava facendo strada attraverso il cielo, i suoi pallidi raggi che illuminavano la landa desolata di Long Island, il muro di Foschia che impediva ai mortali di entrare e ai semidei di uscire.
Tirò su col naso, ripensando a quando i primi mostri avevano attaccato il campo, ferendo e uccidendo semidei a destra e a manca. Tanato non aveva una cabina, al Campo Mezzosangue, ma Takeshi si era sentito lo stesso in dovere di aiutare i semidei, di respingere gli invasori assieme alla resistenza che pochi superstiti avevano formato, anche se poi si era rivelato tutto inutile.
Lui era uno dei traditori, uno di quelli che era passato dal lato della cosa per paura di morire, più che per voglia di vedere i suoi simili sterminati.
Certo, suo padre era il dio della morte, ma questo non gli garantiva un trattamento vip nel momento in cui avrebbe dovuto passare a miglior vita. Ma, sopratutto, non voleva farlo lottando contro qualcosa che, secondo lui, non aveva possibilità di essere sconfitta.
Odiava ammetterlo, ma la cosa era forte, molto più forte di quanto potessero essere i greci e i romani messi insieme, quindi figuriamoci cosa avrebbero potuto fare un pugno di eroi adolescenti disorganizzati e mal equipaggiati contro un nemico di dimensioni epiche. Con i tesori e i cimeli di guerra sottratti al campo, i traditori avevano poi comprato un grosso edificio nel centro di New York, un grattacielo enorme che veniva pattugliato giorno e notte; arpie, grifoni e ciclopi che vi volteggiavano intorno, armati di mazze ferrate e pugnali di bronzo celeste.
A Takeshi era stato offerto un posto, alla C.A.D.M.O., il centro attività di monitoraggio organizzato, ma lui aveva rifiutato, visto che uno dei luogotenenti della cosa lo aveva scelto come suo secondo in comando. Era rimasto al campo, a controllare e prelevare i semidei che dovevano sottoporsi agli esperimenti, piuttosto che essere usato come un cane da caccia per rintracciare altri mezzosangue su cui sperimentare.
Dopotutto, anche se il suo lavoro non gli piaceva, aveva fatto bene a cambiare partito, prima che un grifone gli artigliasse la schiena o un lestrigone lo schiacciasse sotto un cumulo di sassi; come invece era successa a molti dei suoi confratelli.
Takeshi faceva ciò che i suoi superiori gli ordinavano, teneva la testa bassa e cercava di non combinare casini, dato quanto i mostri fossero diventati irrequieti e violenti, dopo la conquista del potere. Aveva dovuto rispedirne a decine, fra i meandri del Tartaro, prima che diventassero troppo pericolosi per poter essere controllati.
Sbadigliò, coprendosi la bocca con un mano, la finestra opaca davanti a lui che gli restituiva il riflesso dell'unico ciuffo rosso che spiccava fra i suoi capelli scuri.
- Ciao Tak. - lo salutò Arthur, il suo volto da bambino che nascondeva la freddezza della sua anima, - Ti va una partita? - gli chiese, forse più per cortesia che per vero interesse, mentre afferrava una racchetta malandata da ping pong.
Takeshi scosse il capo, grattando la testa di Yami, il gatto nero sulle sue gambe che cominciava a fargli le fusa, gli occhi languidi e soddisfatti ruotati all'indietro. Arthur sbuffò, soppesando la racchetta come si fa con una spada, prima che nella stanza irrompesse anche l'esuberante figlia di Nike, Astrid Winstone.
- Takeshi. - lo salutò in maniera frettolosa, dandogli le spalle e iniziando a giocare con il figlio di Ecate; i lunghi capelli castani che si muovevano sulle sue spalle come le acque di una cascata.
Il figlio di Tanato non aveva mai incontrato una persona più perfida ed arrogante di Arthur Wever, uno dei traditori aveva contribuito a fortificare lo strato di Foschia intorno al campo, dopo che quello che era successo al Pino di Talia. Astrid, seppur si mostrasse affabile e dolce, nascondeva più insidie di una sirena, gli occhi azzurri come il cielo che tradivano l'oscurità che circondava il suo cuore.
Quei due formavano una strana coppia visto che, fondamentalmente, erano diversi come il giorno e la notte, anche se condividevano lo stesso obbiettivo, ovvero distruggere gli dei e tutta la loro progenie.
Forse era per quel motivo che andavano così d'accordo, eppure Takeshi dubitava che avrebbe sopportato più del minimo sindacale l'attore bambino e l'atleta più sportiva che il campo avesse mai conosciuto.
- Ma che diavolo? - imprecò Takeshi, prima che Yami gli mordesse il dito, infastidito dall'urlo roco e intriso di dolore che spezzò il monotono silenzio della Casa Grande. Incontrò lo sguardo confuso di Arthur, poi alzò gli occhi al soffitto, rumori di passi infilati uno dopo l'altro che gli riempirono le orecchie.
- Sembra che qualcuno stia correndo. - commentò Astrid, lasciandosi cadere i capelli su una spalla, la bocca corrucciata in una smorfia infastidita.
- O stia scappando. - le fece eco Arthur, un sorrisetto sadicamente dipinto sul suo volto, come se avesse appena pregustato una carneficina.
- Merda. - concluse  Takeshi, scattando in piedi e lasciando cadere Yami a terra, prima che si precipitasse verso le scale. Il primo piano della casa Grande adesso ospitava i laboratori sterilizzati e le celle dove venivano ospitati i semidei dopo il trattamento, per lo più sedati e legati a delle macchine che avrebbero dovuto registrare i risultati degli esperimenti.
Il cuore martellava nel petto del figlio di Tanato, mentre saliva gli scalini a due a due, la paura che affinava i suoi sensi, il terrore di perdere la sua libertà che lo faceva correre più veloce: se quel semidio fosse riuscito a fuggire, sarebbe stata tutta colpa sua.
Certo, non aveva ancora diciassette anni quindi, tecnicamente, non potevano sperimentare su di lui, ma era sicuro che avrebbero sicuramente trovato un modo per punirlo, dato che era lui a doversi assicurare che i mezzosangue passati sotto ai ferri non lasciassero la Casa Grande prima del tempo.
Niente, Takeshi non vedeva niente.
- Dove diavolo sei? - sussurrò, estraendo le sue kama in bronzo celeste e guardandosi intorno, i suoi passi felpati come quelli di un gatto. L'ambiente che si apriva davanti a lui era tappezzato con della carta da parati consunta, scie di mani insanguinate correvano sul battiscopa, mentre dei batuffoli grigi di polvere scivolavano ai lati del corridoio.
Takeshi infilò la testa in un paio di stanze, trovandole entrambe vuote.
Non sentiva più rumori, non sentiva più niente, se non il ritmo impazzito del suo cuore, il tamburo di carne e di sangue che lo teneva ancorato al mondo, che lo faceva sentire vivo.
- Fatti vedere. - gli intimò, continuando a tenere le sue kama davanti a sé, il loro barluccichio bronzeo che si rifletteva sulle pareti spoglie, - Maledizione. - sussurrò, controllando quella che sembrava la camera del fuggitivo. I cavi della macchina a cui era attaccato erano stati strappati violentemente e adesso giacevano rotti sul letto sfatto, mentre i resti della sua colazione erano sparsi per tutta la stanza.
La targhetta sulla porta, aggiornata costantemente con il nome del semidio che occupava la stanza, non gli dava nessun indicazione se non il tipo di esperimento effettuato, ATT-451. Spalancò del tutto la porta, il caos nella camera che sembrava essere un vero e proprio elogio alla follia.
Mentre cercava qualcosa che potesse aiutarlo a scoprire l'identità del suo fuggitivo, i suoi anfibi schiacciarono qualcosa nascosta appena sotto il letto. Si piegò sulle ginocchia, raccogliendo la fotografia che aveva appena calpestato, le schegge di vetro che cadevano a terra tintinnando.
- Una cornice? - si chiese, stupito, visto che ai semidei non era permesso portare oggetti personali, durante il loro periodo di permanenza alla Casa Grande. L'immagine che stringeva fra le dita mostrava un ragazzino sdentato, i capelli ricci e lucidi, assieme a quella che Takeshi ipotizzò essere sua madre.
Prima che potesse rialzarsi o anche realizzare cosa fosse quel rumore alle sue spalle, un oggetto pesante calò sulla sua testa, un vaso, forse, facendogli perdere l'equilibrio. Ebbe solo un attimo per registrare presenza dello stesso ragazzino della foto, prima che lui gli si gettasse addosso di peso, afferrandogli le mani e tenendogliele ferme dietro la schiena.
- Mostri, mi avete tolto tutto. - gli sussurrò ad un orecchio, prima di morderglielo nello stesso modo in cui avrebbe fatto un animale malato di rabbia. Takeshi sputò a terra, soffocando un grido di dolore. - Tu pagherai per le colpe dei tuoi ... -
Prima che potesse terminare la frase, Takeshi gli sferrò un calcio nella zona inguinale, rotolando di lato per toglierselo di dosso. Non sembrava avergli fatto male, non male quanto il figlio di Tanato avesse sperato, visto che lo caricò non appena Takeshi riuscì a rimettersi in piedi, il volto graffiato dalle schegge di vetro sparse a terra.
Sbatté contro lo stipite della porta, il sangue che gli pulsava violentemente alle tempie, il dolore che gli appannava la vista.
Il ragazzino riccio cercò di buttarsi sulle sue armi, ma il ma il figlio di Tanato lo afferrò per una caviglia e lo fece cadere faccia a terra, continuando a tenerlo per una gamba. Si alzò, rifilandogli poi una gomitata alle costole e storcendogli il polso.
Lui ululò di dolore, mentre Takeshi allontanava le sue kama con un calcio, i suoi anfibi che andavano di nuovo a colpire lo stomaco del semidio impazzito, i calci infilati uno dietro l'altro, una raffica di dolore e rabbia che non faceva altro che aumentare la sua frustrazione.
- Non sono io il tuo nemico! - gli disse poi, quando riuscì in qualche modo a bloccarlo, serrandogli un braccio intorno al collo per evitare che si muovesse, - Smettila di lottare come un animale impazzito. -
Lui digrignò i denti, gli occhi iniettati di sangue come se avesse la febbre, la furia cieca che lo portava a cercare di mordere le braccia e le mani di Takeshi. I suoi capelli erano un unico groviglio di sudore e di sporcizia, così ricci da sembrare un roveto pieno di spine.
- Non può farlo. - gli rispose un'altra voce, calma e decisamente non turbata dallo scontro che si era appena consumato, - È stato programmato, per comportarsi in quel modo. -
Jude era in piedi sulla porta, la sua giacca di pelle che risaltava il suo incarnato pallido, sul viso lo stesso sguardo mellifluo che avrebbe potuto avere uno psicopatico. Guardandolo, Takeshi si accorse solo allora di quanto la sua espressione somigliasse a quella di Arthur, il figlio di Ecate che aveva visto poco prima.
Jude era il suo diretto superiore, quello che gli aveva offerto la promozione e che, come diceva il suo nome, poteva tradirti prima che tu te ne accorgessi.
- Che stai dicendo? - gli chiese Takeshi, lottando contro il semidio impazzito per tenerlo fermo, - È stato ... è stato programmato? -
Gli occhi bicolore di Jude scintillarono di malignità, mentre Takeshi cominciava a sentirsi a disagio, tensione e paura che gonfiavano il suo petto.
- Stupefacente, non è vero, arrivare fino al cervello umano? Controllarlo, distruggerlo, sconvolgerlo. - sorrise lui, il calcio della sua pistola in bronzo celeste che gli sporgeva dai jeans, - Sei con noi da un anno e ancora dubito di quanto sia grande il suo potere? -
Takeshi scosse la testa, il semidio impazzito che cercava di rifilargli un calcio negli stinchi, anche se quel trucchetto non attaccava, con lui. La luce fuori dalla finestra opaca disegnava strani motivi astratti sul pavimento, colorando le punte scure degli stivali di Jude.
- Uccidilo. - gli ordinò il figlio di Eris con tono divertito, - È un semplice pedone. Possiamo sacrificarlo, per arrivare alla regina. -
- Jude, ma  ... -
- Uccidilo, prova la tua fedeltà. - ripeté Jude, forse contagiando in qualche modo le sue emozioni, visto che Takeshi si ritrovò a premere il suo avambraccio sul collo del semidio con più forza del dovuto. Gli occhi del semidio si sgranarono per la paura di morire, finché non diventarono completamente rossi, le unghia sporche conficcate nelle braccia di Takeshi
Al figlio di Tanato dispiaceva, ma mors tua, vita mea.
Il respiro gli si fece più affannoso, il petto sconvolto che andava su e giù, finché roteò gli occhi all'indietro e smise di lottare, le mani che ricadevano come quelle di un burattino lungo il corpo, senza più vita. Takeshi lo lasciò cadere a terra, osservando il sorriso compiaciuto di Jude; quello nero che luccicava come se contenesse le ombre della notte, quello azzurro che era più freddo dello stesso ghiaccio.
- Arthur, Astrid. - chiamò, mentre il figlio di Ecate e la figlia di Nike apparivano alla sua destra, attendendo i suoi  ordini, - Consegnate il corpo di questo idiota ai lestrigoni e date una ripulita alla stanza, presto ci servirà spazio per altri ospiti. -
Takeshi si scostò il ciuffo di capelli rossi da davanti agli occhi, ripensando a ciò che gli era stato raccontato quando era arrivato al campo e aveva dovuto scegliere da che parte stare. La cosa teneva più ai semidei, che ai mortali, così aveva creato lo strato di Foschia intorno al campo, riscuotendo le proteste dei lestrigoni; la loro dieta prevedeva carne umana a colazione, pranzo e cena.
Dato che loro sostenevano la causa della cosa, la cosa doveva sostenere la loro. Così erano arrivati ad un patto: ogni mezzosangue che non riusciva a sopravvivere agli esperimenti era di loro proprietà.
Takeshi storse le labbra, i loro sorrisi famelici, la bava che gli colava dagli angoli della bocca e l'odore acidulo del barbecue di carne umana che gli ritornavano alla mente, facendogli salire un attacco di vomito.
Arthur ed Astrid afferrarono ognuno il semidio per un braccio, trascinando il suo corpo fuori dalla stanza, mentre Jude sorrideva a Takeshi, i suoi occhi bicolore che rendevano quel sorriso ancora più macabro.
- Tu avrai un altro compito. - gli disse, usando lo stesso tono mellifluo di poco prima, - Devi andare a prenderne un altro. -
- Di chi si tratta? - chiese lui, flettendo la spalla, là dove l'ultimo figlio di Atena che aveva prelevato lo aveva pugnalato, - Non ho nessuna voglia di diventare il puntaspilli di un altro mezzosangue. -
- Oh, sta' tranquillo, questo non ti darà problemi. - lo rassicurò, il sorriso storto, - Theo Bouchard, cabina X. -
 
 
A dirla tutta, la capanna di Afrodite era ancora più squallida del resto del campo.
Gli era stato raccontato che, una volta, c'erano tendine di pizzo e fiori freschi sul davanzale, quindi il paragone sorgeva spontaneo: adesso si ergeva come un castello diroccato di un regno che un tempo era stato molto prosperoso, un gigantesco pugno che saliva dal terreno e si sgretolava in quattro mura percorse da crepe e annerite dal fumo.
Takeshi dubitava che, da quanto i figli della dea erano diventati un po' gli accompagnatori di tutto il campo, visto che non si poteva superare lo strato di Foschia e loro dovevano intrattenersi come potevano, si fossero preoccupati di rendere bella ed accogliente la loro capanna.
- Bouchard. - chiamò Takeshi non appena ebbe messo piede nella cabina di Afrodite, osservando la tendina sgualcita che divideva lo spazio dei ragazzi da quello delle ragazze, - Bouchard! - ripeté, questa volta più forte, ottenendo solo qualche occhiata ancora assonnata dai figli della dea.
Mosse qualche passo, dirigendosi nella zona dei ragazzi, i suoi anfibi scuri che battevano sul pavimento e sollevavano aloni di polvere. Evitò diversi vestiti gettati a terra e calpestati da tutti, un paio di scarpe sporche di fango accostate vicino ad un letto, studiando il volto di ciascun semidio per cercare il suo.
- Bouchard! - esclamò, questa volta la voce carica di  rabbia. Un ragazzo dai capelli biondi scattò sul letto, gli stessi occhi impauriti di una preda braccata. - Sei tu Theo Bouchard? - chiese Takeshi, massaggiandosi la parte alta dell'orecchio, dove il semidio impazzito lo aveva morso.
Lui scosse freneticamente la testa, facendo cenno ad un ragazzo ancora addormentato, il volto immerso nel cuscino di piume di pegaso, le gambe e il torso nudo, coperti solo parzialmente da un lenzuolo sfatto.
Takeshi gli si avvicinò, scuotendolo per le spalle, una prima ombra di barba che correva lungo il mento, una fascia a stampa floreale stretta sulla fronte, che gli teneva indietro i capelli scuri. Certo, non era esattamente quello che lui definiva virile, ma quella fascia conferiva fascino e malia al suo volto già bello.
Era per questo che Takeshi odiava i figli della dea dell'amore, anche se erano quelli più desiderati da tutti: riuscivano a sembrare impeccabili anche dopo lo scoppio di una bomba atomica. Se doveva dirla tutta, quel tizio assomigliava maledettamente a Joel.
Tutto, di lui, dalla morbida linea della bocca al colorito abbronzato della sua pelle, gli faceva ricordare del suo ragazzo morto, lo faceva tornare ai giorni in cui era stato felice, a quando era uno spensierato ragazzino come tutti gli altri.
- Bouchard, maledizione, vuoi svegliarti o no? - lo minacciò, il tono di voce brusco. Lui aprì gli occhi, occhi del blu più intenso che Takeshi avesse mai visto, mentre si tappava la bocca durante uno sbadiglio.
Per un attimo, rimasero lì a guardarsi, il figlio di Tanato vestito di nero, sporco di sangue e così lontano dal concetto che tutti avevano di bello. Il figlio di Afrodite era nudo, se non per un paio di boxer scuri, la pelle resa lucida ed invitante dai raggi del sole. 
Era attraente, quel fottuto figlio di Afrodite era attraente. Chissà quante dracme aveva racimolato, solo per dare un sorriso anche al più infimo degli uomini.
- Vestiti. - gli disse solamente, mentre un'ombra di confusione passava per gli occhi di Theo, rimpiazzata poi dalla paura, - Sei sordo per caso? Ti ho detto di vestirti. -
Lui annuì, abbassando lo sguardo e muovendosi nella capanna di Afrodite per raggiungere il bagno. Doveva averlo fatto tutti i giorni, dato che non provava imbarazzo o vergogna a girare seminudo fra i letti dei suoi fratelli.
Certo, con un corpo così poteva permetterselo.
Takeshi avrebbe fatto carte false per aver il suo colore degli occhi o l'armonia e la bellezza del suo viso, quella con la quale ogni figlio della dea dell'amore stregava la sua vittima. Aveva scoperto da molto tempo di essere bisessuale, di essere ammaliato da come un corpo sapeva muoversi, dal piacere oscuro che solo la carne sapeva darti.
E non se ne vergognava.
- Se non ti muovi, entro tre secondi ti spedisco contro un cerbero infernale. - gli disse, mentre lui usciva a piedi nudi dal piccolo bagno della cabina, afferrando uno dei suoi tanti vestiti che giacevano ai piedi del letto.
La canotta bianca sgualcita metteva in risalto i suoi tatuaggi, un drago che si avvolgeva a spirale su per il braccio destro, arrivando fino alle dita. Poi Takeshi vide un'ancora, un fulmine e diversi altri disegni di cui non riusciva bene a cogliere il senso, ma che gli stavano maledettamente addosso.
- Vorresti venire con un paio di infradito? - gli domandò il figlio di Tanato, osservando dubbioso le calzature del figlio di Afrodite, mentre lui faceva spallucce.
- Non credo di dovermi preparare oltre. - rispose, la voce stizzita che ostentava coraggio, - Visto che sto per essere usato come una cavia da laboratorio. -
Takeshi fu tentato di mollargli uno schiaffo.
Forse non era solo per il fatto che fossero sempre belli e impeccabili, che odiava i figli della dea dell'amore. Forse anche perché avevano una lingua lunga e biforcuta. Takeshi gli rivolse un sorriso canzonatorio che, nel complesso, rese ancora più acido il suo volto, mentre gli indicava la porta.
- Cammina. -
L'aria era ancora frizzante, quando uscirono dalla cabina di Afrodite. Il figlio di Tanato non riusciva a capacitarsi di come quel ragazzo non provasse freddo, viste le sue braccia scoperte, anche se c'era un timido sole nel cielo. Decise di non chiederglielo.
I ruderi della Casa Grande spiccavano in lontananza, la brutta copia di come doveva essere prima che il campo cadesse in mano ai mostri. Ancora più in là, si poteva scorgere la parete dell'arrampicata, la lava vulcanica che scendeva verso il terreno, una scia di magma incandescente che bruciava qualsiasi cosa ci fosse sul suo cammino.
Se qualcuno gli avesse chiesto di disegnare quello che vedeva, Takeshi avrebbe rovesciato sul foglio tutta la china, visto che il campo era diventato una macchia d'ombra.
- Tu non sei come loro, non è vero? -
Il figlio di Afrodite lo stava guardando con i suoi profondi occhi azzurri, occhi nei quali potevi perderti, se non stavi attento. Camminava a passo sicuro verso la Casa Grande, come se non avesse paura di essere infilzato da un ago e diventare pazzo, come quel semidio con cui Takeshi aveva lottato.
- Sta' zitto e cammina, Bouchard. - gli ordinò lui, guardando dritto davanti a sé, una driade che piangeva lacrime verdi per la morte di un satiro, ucciso dagli artigli di un grifone.
- Non chiamarmi in quel modo. - lo rimbrottò lui, arricciando il naso, la fascia a fantasia floreale che ancora campeggiava sulla sua fronte, come se non avesse alcuna paura di mostrarla in pubblico.
- E come dovrei chiamarti, eh? - gli chiese, sarcastico, - Ti andrebbe meglio prigioniero? O meglio ancora, schiavo? - continuò, la sua lingua biforcuta almeno quanto quella dei figli di Afrodite. Lui accusò il colpo senza darlo a vedere, le sue infradito che producevano un fastidioso tap tap ad ogni passo.
- Comunque continuo a credere che tu non sia come loro. - disse con un filo di voce, i contorni della Casa Grande ormai molto vicini, - Non ho ancora capito come tu possa essere passato dalla parte della cosa. Si capisce subito che non faresti del male ad una mosca. -
Takeshi scattò. - Senti un po', bambolotto, tu non sai niente di me, chiaro? - domandò, stringendogli il polso. Lui fece una smorfia, mordendosi il labbro inferiore e riuscendo ad apparire sexy anche mentre provava dolore. - Non puoi sparare sentenze quando non conosci tutta la storia. Adesso vedi di camminare e di stare zitto, se non vuoi che ti tagli la mano. -
Lasciò la presa, sotto il suo sguardo indignato. - La cosa mi vuole vivo! - ribatté lui, i loro volti a pochi centimetri l'uno dall'altro, le finestre della Casa Grande che si illuminavano di un lampo azzurro, il nuovo colore della morte.
- Non ha detto in quanti pezzi, però. - gli rispose sarcastico Takeshi, mettendosi dietro di lui e spingendolo con un gesto brusco della mano.
Non appena misero piede nella Casa Grande, lui alzò gli occhi al soffiato, mormorando un'esclamazione di sorpresa in greco antico. Takeshi non poteva dargli torto, visto come i traditori avevano riorganizzato gli spazi, dopo la vittoria della cosa.
Diversi semidei schernirono il figlio di Afrodite, Arthur lo osservò come se non fosse altro che una bestia da macello, mentre Astrid, invece, sorrideva, come se avesse appena compiuto un omicidio e fosse felice. Jude lo stava aspettando al piano di sopra, così condusse il semidio su per le scale.
- Come ti chiami? - gli chiese lui, scalino dopo scalino, le sue infradito che sbattevano contro il parquet scheggiato. Il figlio di Tanato si chiese il perché i figli di Afrodite fossero così impiccioni.
- Che ti importa? - rispose, sgranchiendosi le dita delle mani, l'anello di bronzo celeste, infilato alla mano destra, luccicava del sangue del semidio impazzito.
- Ho letto il tuo cuore, tu non sei una persona cattiva. - gli disse, mentre Takeshi si domandava se lo stesse ingannando. Certo, non che fosse proprio un fervido sostenitore della cosa, ma era pur sempre un traditore, una persona di cui non ci si doveva mai fidare.
Cosa che, invece, quel figlio di Afrodite stava facendo.
Prima che Takeshi potesse spiccicare parola, Jude apparve alle loro spalle, osservando il figlio di Afrodite con un sorriso mellifluo. Gli girò attorno, sfiorandogli i tatuaggi sulle braccia, il suo occhio nero che sembrava farsi ancora più scuro, per quante ombre vi si aggiravano all'interno.
- Ben fatto, Tak. - si congratulò Jude, percorrendo la linea delle spalle del figlio di Afrodite, il quale non si ribellava, forse perché era un gioco a cui era abituato da tanto tempo, - Portalo nella sala 2. Preparalo all'ATT-451. -
- Mio signore, ma è l'esperimen ... - tentò di opporsi Takeshi, ricordando la forza selvaggia con cui il semidio di poco prima lo aveva attaccato
Jude lo zittì con un'occhiata, continuando a toccare e cercare di conoscere ogni centimetro della pelle del figlio di Afrodite, le loro labbra carnose a pochi centimetri le une dalle altre, come un assurdo sogno psichedelico.
- Sala 2, fa' in fretta. - lo rimbrottò Jude, prima di scoccare un ultimo sguardo languido al figlio della dell'amore. Entrambi i ragazzi rimasero a guardare il punto dove Jude era sparito, poi si scambiarono un'occhiata muta, piena di paura, da una parte, e rassegnazione dall'altra.
- ATT-451. - ripeté lui, il rumore delle sue infradito che riempiva l'assurdo silenzio del primo piano della Casa Grande, - Che ... che vuol dire? - chiese, mentre entravano in una stanza compresa di un lettino e macchinari scientifici.
C'era un pannello di controllo delle frequenze cardiache, un defibrillatore, diversi aghi, uno più grande dell'altro, e persino delle cinghie per tenere fermo il semidio in questione se avesse tentato di ribellarsi. Il figlio di Afrodite osservò impaurito la stanza, fermo sullo stipite della porta finché Takeshi non lo spinse dentro, chiudendosi la porta alle spalle.
- Mi dispiace. - rispose il figlio di Tanato, facendolo sdraiare sul lettino senza che lui protestasse, come se ormai si fosse già arreso. Gli bucò la vena nell'incavo del braccio, infilandovi una flebo, armeggiando poi con diverse boccette colorate. - Ma temo che tu non abbia nessuna voglia di scoprirlo. -
E così facendo, gli iniettò del tranquillante dritto in vena.
 
 

 
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♔ King says: Ask me ♔

 
Ma buongiorno, ragazzi, anzi, visto che ci siamo, buon pomeriggio!
Inizio col dirvi che sono stato davvero molto felice di aver visto ben 34 persone disposte a partecipare a questo "progetto".
Si, inizialmente avevo postato il prologo solo per vedere come andava, ma dopo la grande affluenza ho deciso bene di continuare, anche perché ho già una trama bella dettagliata in testa AHAHAHAHAH
Per la vostra caparbietà e anche per aver scelto di immolarmi i vostri pargoli :')  vi meritate un biscottino blu :3
Ci tengo a precisare che i personaggi che mi avete mandato erano tutti bellissimi, però dovevo compiere ugualmente una scelta. Vi chiedo solo di non prendetevela se il vostro OC non comparirà tra i principali, ma sarà un semplice personaggio secondario.


► In questo capitolo abbiamo visto in azione Takeshi, il figlio di Tanato che ho adorato sin dal primo momento in cui ho letto di lui. (anche in altre storie AHAHAH I'm a stalker xD) Si parla anche di Jude, altro personaggio principale che vedremo più avanti :')
Inoltre, vengono presentati anche due personaggi secondari, come la figlia di Nike, Astrid Winstone (Milk_Chocolate_394) e l'ambiguo figlio di Ecate, Arthur Wever (Maico).
Ho provato, oltre a rispettare l'IC - spero - di Takeshi, anche a fare un po' più di luce sulla situazione in cui vige il campo. Quindi è per questo che ho aggiunto il particolare dello strato di Foschia, dei lestrigoni e anche dei figli di Afrodite che fanno gli accompagnatori (AHAHHAHAHAHAHAHHA) - non volevo essere volgare - visto che il campo è, sostanzialmente, sigillato.
Per quanto riguarda la C.A.D.M.O. a cui accenna Takeshi nella parte iniziale, è un'associazione che vedremo nei capitoli seguenti. Rendetevi conto che ho già fatto fuori un semidio anonimo, quello che era stato sottoposto all'esperimento ATT-451, ripetuto poi su Theo: secondo voi, che cosa si cela dietro questo nome? 
Altro biscottino blu per chia avanza delle ipotesi AHAHHHA

► Ho deciso di dare un capitolo ad ogni personaggio principale, alternando buoni e cattivi, maschi e femmine, anche se credo che ci potrebbero essere altri cambiamenti :3 Non seguirò un aggiornamento preciso, visto che non so quando e quanto riuscirò a scrivere.
Posso solo sperare che il capitolo vi sia piaciuto, visto che ho fatto del mio meglio. Per qualsiasi cosa potete contattarmi qui su Efp o sul mio profilo Ask (il link è all'inizio dell'angolo autore).
Alla prossima, 

King. 



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Soon on Heaven Knows: Rain ♠ Ali di Corvo
 

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Capitolo 3
*** Rain ♠ Ali di corvo ***



Heaven Knows
♔ Official Video Trailer 
 
 
 
Rain ♠ Ali di corvo

 
- Oh Ash, lo sai che sei davvero carino? -
Il figlio di Eos fece una smorfia, cominciando a ridere. Il cupcake che aveva fra i capelli cadeva sulla tavola, gettandosi a capofitto sulla sua superficie in legno.
Ormai la regola per la quale ognuno doveva sedersi al tavolo del proprio genitore divino era decaduta: chiunque, adesso, poteva scegliere dove fare colazione, mangiare una mela per pranzo o l'orrendo stufato di carne che servivano per cena.
In quel momento, anche se Rain non lo dava a vedere, era davvero molto nervosa.
Nel corso degli anni era diventata brava a mascherare le sue sensazioni con i sorrisi, ad ignorare le sue emozioni per essere un'attrice, vestendo panni di personaggi sempre diversi. Quel giorno si era svegliata molto rockettara, i capelli rossi che le ricadevano sulla giacca di pelle con le borchie, la migliore che aveva.
- Si Ash, davvero carino! - scherzò Nick, il figlio di Efesto, seduto alla sua destra. Il figlio di Eos sbuffò, più divertito che altro, passandosi  velocemente una mano nei capelli per far cadere le briciole del cupcake che Rain aveva fatto apparire sulla sua testa.
Il sole, sorto timidamente lungo il crinale dietro la collina mezzosangue, era stato ingabbiato in una morsa di nuvole e tempesta. Poi, proprio mentre Rain stava uscendo dalla cabina di Ecate per recarsi a fare colazione, un lampo azzurro aveva illuminato la valle del campo, facendola rabbrividire.
Da quando era arrivata al Campo Mezzosangue, aveva notato quanto quel posto fosse diventato spettrale; con le assi di legno che scricchiolavano sotto le suole delle scarpe e le luci azzurre che si vedevano uscire dalle finestre della Casa Grande.
Ogni qual volta si immergeva fra i sentieri di ciottoli o gli alberi silenti del bosco, la sua pelle veniva assalita da brividi e sensazioni, piccole stupidaggini che non facevano che rendere ancora più vividi, i suoi incubi.
Ormai era sicura che delle voci sussurrassero alle sue orecchie, attraverso la Foschia.
Se buttava l'occhio, anche dal padiglione semi-distrutto della mensa, Rain poteva vedere lo spesso strato di nebbia biancastra che circondava il campo, le sue spire incorporee che lo avvolgevano stretto. Se ci pensava bene, era come essere la preda di un serpente, stritolata finché non avrebbe emesso l'ultimo respiro.
Rain scosse la testa, cercando di scacciare la sensazione che presto sarebbe successo qualcosa di brutto.
Affondò distrattamente i denti in un croissant, mordendosi il labbro, i suoi pensieri confusi come un'ingarbugliata matassa di lana. Voleva fuggire, da lì, ma non poteva, visto quanto fosse diventata forte la barriera, dopo che qualche mese prima aveva dato segni di cedimento e i figli di Ecate erano stati chiamati a ripararla.
Lei era stata costretta a farlo, minacciata di morte più e più volte.
- Oh no, non dirmi che sei passata di nuovo alla fase emo, vero? - chiese Anthony, riscuotendola dai suoi pensieri. Rain lo osservò, indugiando sul colore scuro dei suoi capelli, diverso da quello di qualsiasi altro figlio di Apollo avesse mai visto.
- Perché sono sicuro di non riuscire a sopportare oltre, quell'espressione cadaverica sul tuo volto. -
Rain sorrise, abbassando lo sguardo sulla sua tazza di succo d'arancia.
Aveva imparato che c'erano tante Rain, dentro di sé, tante sfaccettature della stessa persona che premevano e cercavano di prevalere l'una sull'altra. Lei amava paragonarsi alla luna: così come l'astro notturno aveva diverse fasi, così anche Rain cambiava aspetto settimana dopo settimana, trasformazioni necessarie a mantenere intatta la sua mappa dei sentimenti.
Nome omen, come dicevano i latini: chi le avrebbe mai detto che sarebbe stata irrequieta come il cielo in tempesta; un'esplosione di colori e sorrisi?
- Davvero? - si finse sorpresa Rain, disegnando una faccina sorridente sul suo pancake con lo sciroppo d'acero, - Pensavo segretamente di piacerti, Ian. - lo provocò lei, osservando i suoi occhi con fare innocente.
Anthony arricciò il naso.
Sapeva che al figlio di Apollo non piaceva il suo secondo nome, quindi Rain non mancava mai occasione di rinfacciarglielo. D'altronde era troppo brava a provocare le persone, forse anche troppo.
- Io piaccio a tutti, Rain. - rispose con aria di superiorità il figlio di Apollo, mentre la rossa abbassava di nuovo lo sguardo e veniva investita da un'ondata improvvisa di freddo. Si strinse nel suo maglione largo, l'unica cosa che gli rimaneva di suo padre; la fantasia a rombi e quadri che l'aveva sempre rassicurate e che, adesso, non le faceva salire altra cosa che la nausea.
Era stato uno sbaglio, rifugiarsi al Campo Mezzosangue, ma era sicuramente meglio della cella dove aveva passato tutto il periodo della sua influenza, gettata via come una pezza vecchia. Era una regola che le avevano insegnato subito, pesce grande mangia pesce piccolo.
E, allora, lei era il pesce più piccolo di tutto l'acquario.
- Rain, davvero. - la chiamò Asher, il riflesso del braciere acceso dentro i suoi occhi, - Tutto bene? - le chiese, con lei che annuiva, quasi meccanicamente.
Forse aveva dormito storta, quella notte, visto che tutte le ossa del suo corpo sembravano essersi coalizzate per farle male. Raddrizzò la schiena, dandosi uno schiaffo virtuale.
Lei non era così, almeno non nella fase rockettara, quando stordiva i suoi amici con strofe senza alcun senso o acuti spacca timpani. Si impose di sorridere, di pensare a delle cose felici, ma si accorse che la sua mente risultava come svuotata, una scatola che non racchiudeva altro che sofferenza e dolore.
Che cavolo le era successo?
È quel lampo di luce azzurra, quel maledetto lampo. continuava a ripetersi, lo spettro delle finestre della Casa Grande che si illuminavano di blu che le passava davanti agli occhi.
Alzò lo sguardo verso l'alto, osservando, per un attimo, lo smarrimento anche sui volti dei suoi amici. Asher era il primo semidio che aveva incontrato non appena era arrivata al campo, la prima persona che l'aveva consolata e che gli aveva dato una spalla su cui piangere.
Adesso i suoi occhi riflettevano il cielo che minacciava pioggia, la stessa torbidità che si agitava nell'anima più nascosta di Rain.
Estemporanei stormi di corvi rasentarono la coltre di nubi scure, puntini neri che si stagliavano decisi contro il grigio delle nuvole. Rain chiuse gli occhi, ascoltando il loro monotono gracchiare, l'eco lontano di sua madre, qualcosa che le faceva sentire che lei esisteva e che non era solo una leggenda.
Non aveva mai incontrato Ecate, ma se ne sentiva irrimediabilmente attratta, come il ferro con la calamita. Le uniche cose che gliela facevano sentire vicina erano il verso roco dei corvi e il latrato possente dei cani, gli animali che le erano sacri.
Gli occhi di Asher si rabbuiarono. - Odio la pioggia. - commentò, i suoi capelli che sembravano perdere colore, così come il cielo nascosto dietro le nuvole. Rain non poteva dargli torto.
Terminò la sua colazione, le prime gocce d'acqua che le bagnavano i palmi delle mani. Si alzò in tutta fretta, trangugiando il resto del suo succo d'arancia, mentre un vento freddo le spazzava via i capelli rossi; sottili lingue di fuoco che si arricciavano intorno al viso.
Gli altri semidei, seduti assieme a loro nella mensa, cominciarono a correre verso le loro cabine. Fulmini, saette e tuoni si rincorrevano fra i sentieri del cielo, trasformando la pioggia in un temporale.
Adesso Rain era zuppa.
Si era sempre chiesta il perché il padiglione della mensa fosse a cielo aperto; forse gli antichi greci mangiavano sotto la pioggia per essere trasgressivi.
Si ripararono sotto il porticato della cabina di Demetra, la prima che trovarono a tiro, i capelli incollati alla fronte per via dell'acqua. Dei tralci scuri di pomodori pendevano dal tetto, appesi a delle reti a maglie larghe che servivano come supporti.
Rain strabuzzò gli occhi quando quei tralci le diedero l'impressione di essere mani scheletriche, mani che scavavano la bara in cui erano state rinchiuse. Si fece morire una smorfia di orrore in bocca, mentre spostava lo sguardo ed osservava l'intricato disegno familiare dei tatuaggi sulle braccia di Nick.
Riusciva a riconoscere il suo nome in giapponese, uno dei primi che le aveva mostrato, mentre alcuni uccelli, corvi neri, spiegavano le ali e si libravano attraverso il cielo in tempesta. Rain strabuzzò gli occhi, tornando poi a guardare le braccia del figlio di Efesto e trovando i tatuaggi degli uccelli ancora lì, al loro posto.
Stava sognando ad occhi aperti?
- Rain, che diamine ti prende? - le chiese Nick, un'espressione confusa e preoccupata che gli campeggiava sul volto,  - Sembri sul punto di vomitare. - commentò, allontanandosi di poco dalla figlia di Ecate, forse per evitare di essere investito dal suo improvviso reflusso.
Asher le rivolse un sorriso sincero, anche se nei suoi occhi si celava una leggera ombra di curiosità, così come in quelli di Anthony, la sua carnagione olivastra resa lucida dalla pioggia. Rain chiuse gli occhi, i corvi sulle braccia di Nick che volavano ancora davanti ai suoi occhi, inspirando ed espirando lentamente.
L'odore della pioggia le riempì i polmoni.
- Credo che sia un attacco di nausea. - mentì, appoggiandosi ad una colonna consunta che reggeva il portico della cabina di Demetra. Solo in quel momento, quando un pomodoro maturo le sfiorò la guancia, vide una figura scura venire verso di loro, un cappuccio calato su vestiti di pelle e stoffa.
- Lo vedete anche voi, vero? - domandò, giusto per essere sicura di non star uscendo pazza. Asher annuì, la maglietta arancione del campo che si era bagnata ed adesso gli si era incollata al petto.
- Bene. - sussurrò allora Rain, mettendo a tacere i sussurri e i mormorii nelle sue orecchie, amplificati dalla forza della tempesta.
Adesso la figura vestita di pelle era a pochi metri da loro, il cappuccio che lasciava scoperto solo parte del mento, contornato da una leggera barba. Rain si sentì percorrere dai brividi, i denti che le battevano, anche se non sapeva il perché.
Quanto avrebbe voluto essere più coraggiosa.
- Sound, finalmente. -
Jude Verrater si era tolto il cappuccio ed era in piedi davanti a loro, i pantaloni di pelle che gli fasciavano le gambe, rendendolo ancora più snello e filiforme. I suoi occhi, uno di un colore diverso dall'altro, scintillavano come due piccole stelle morenti, mentre le sue labbra si increspavano in un sorriso.
Le parole le morirono in bocca.
Perché era lì? Cosa ci faceva il semidio più cattivo che il campo avesse conosciuto davanti a lei? Rain aveva solo quindici anni, quindi il figlio di Eris non poteva assolutamente essere lì per condurla alla Casa Grande e sperimentare su di lei.
- Sei rimasta senza parole, ammirevole. - scherzò Jude, i capelli asciutti, al contrario dei quattro semidei sotto il tetto di Demetra, - Molte ragazze lo fanno, in mia presenza. -
Rain continuava a non spiccicare parola, come se avesse inghiottito della sabbia, a tempo perso.
- Devi seguirmi fino alla Casa Grande. - la riscosse dai suoi pensieri, il suo sorriso che avrebbe potuto rischiarare anche il lato oscuro della luna, - È richiesta la tua presenza, figlia di Ecate. -
Rain guardò confusa prima Jude, poi Asher, Nick ed infine Anthony. Si sentì travolgere dalla confusione, poi da un'ondata improvvisa di nausea, il senso di vomito che le si affacciava in bocca. 
Il figlio di Eris continuava a sfoggiare il suo sorriso, ora più famelico ed affilato, simile a quello di una bestia. Poi, prima che potesse dire qualcosa, lui le afferrò il polso e Rain si ritrovò a seguirlo fra i meandri del campo.
 
 
Non era mai entrata nella Casa Grande, non dopo quello che le avevano raccontato.
Jude le indicò una piccola rampa di scale che Rain salì per arrivare così al piano superiore. L'odore forte dell'alcol e della malattia la colpì come un pugno.
Si sentiva rigida, come un pezzo di legno, essendo così vicina a quello che sarebbe successo anche a lei fra meno di due anni. Passò davanti ad una stanza aperta, magari quella che avrebbero usato per ospitare il suo corpo dormiente, bucherellato come un puntaspilli.
Cavie da laboratorio. disse una voce nella sua testa, la stessa voce che sussurrava al suo cuore di battere più veloce; un martello pneumatico che le batteva contro il petto. Fenomeni da baraccone. Fuggi Rain, finché sei in tempo.
Jude si era voltato più volte per accertarsi che la figlia di Ecate lo stesse seguendo, mentre i suoi anfibi sporchi di fango lasciavano impronte scure sui pavimenti già sporchi della Casa Grande. Diverse facce si soffermarono a guardarla, facendola sentire a disagio, i capelli rossi ancora appiccicati sulla fronte come una bandana.
Il cielo tuonò il suo disappunto.
- Da questa parte, madame. - scherzò Jude, aprendole la porta di una camera uguale a tutte le altre, il legno degli infissi macchiato di sostanze di cui Rain non voleva conoscere la provenienza. Su una sottile striscia di carta c'era scritto un nome a caratteri maiuscoli.
Theo Bouchard.
La stanza odorava di morte, come Rain poté accertare non appena ne varcò la soglia. Venne investita dall'odore forte di lavanda, come se qualcuno avesse cercato di togliere l'odore forte dell'alcool senza riuscirci.
Le pareti erano spoglie, prive di qualsiasi ornamento. Nessun armadio, nessun cassettone, solo un letto vicino a cui erano schierati diversi suoi fratelli.
C'era Nicole, una delle sue sorelle, i cui occhi che correvano irrequieti per la stanza. Poi Rain riconobbe Arthur, un traditore, il suo sorriso sghembo che sfregiava i tratti dolci del suo viso da bambino.
Rain mosse qualche altro passo, il fiato di Jude sul collo.
Il ragazzo sul letto doveva essere sicuramente un figlio di Afrodite, visto quanto erano belli e attraenti i tratti del suo volto. Aveva la curva degli zigomi alti, le labbra rosee e carnose, oltre ad una fascia che gli teneva indietro i capelli ribelli.
Il petto e le braccia erano tatuate come quelle di Nick, cosa che fece rabbrividire Rain. Scorse un drago scuro attorcigliarsi lungo il suo bicipite destro, il corpo dell'animale che si srotolava fino ad arrivare sulle punte della mano; la cresta rossa come il sangue.
C'erano poi altri disegni, scritte e caratteri più piccoli che Rain non riuscì a leggere, visto come l'orrore stesse gonfiando il suo petto, dando alito a tutte le sue paure.
- È morto. - affermò Jude, che scivolava per la stanza silenzioso come un serpente, - Purtroppo, durante l'esperimento, ha avuto una crisi e non ce l'ha fatta. - continuò.
Rain spostò lo sguardo dallo psicopatico figlio di Eris al collo gonfio e violaceo del ragazzo steso sul letto. I tatuaggi adesso le sembravano sbiaditi, come se stessero concentrando il loro colore verso il buco nero che si affacciava nell'incavo del braccio, là dove era penetrata una siringa.
Il ragazzo sembrava così sereno, gli occhi chiusi, la pelle pallida e traslucida come quella di un cadavere.
La figlia di Ecate si portò una mano alla bocca, indietreggiando e rischiando quasi di cadere. La giacca con le borchie che indossava sembrava farsi più pesante ad ogni secondo che passava.
- Andiamo Sound, tieni a bada il tuo stomaco. - la rimbrottò Jude, accarezzando la guancia del figlio di Afrodite, il colorito della sua pelle quasi uguale a quella del cadavere.
Jude gli rivolse uno sguardo rammaricato, come se ci tenesse, a lui, prima di voltarsi verso i tre figli di Ecate che c'erano nella stanza. - Un fiore così delicato, non trovate? -
La nausea infiammò la vista di Rain, colorandola di puntini rossi e neri. - Che cosa vuoi? - gli chiese, trovando finalmente il coraggio di parlare. Gocce di pioggia scorrevano lungo le sue spalle, lasciate andare dai capelli bagnati, una chioma leonina rossa fredda.
- È semplice, sorella. - gli rispose Arthur, puntandole i suoi occhi addosso e facendola sentire a disagio, - Dobbiamo riportarlo indietro. -
Lo disse con così tanta leggerezza che, per un attimo, Rain valutò la possibilità di tirargli un pugno in faccia. Probabilmente doveva avere uno sguardo sconvolto, visto che Nicole le mise una mano su una spalla e parlò per lei, rivolgendosi a Jude e ad Arthur.
- Sapete che non è possibile. - replicò lei, i capelli castani che le incorniciavano il viso scolorito, - La negromanzia non ha mai funzionato. - affermò. Jude scosse la testa, appoggiandosi stancamente alla parete, i pantaloni in pelle bagnati dalla pioggia.
Una bambola. pensò Rain, osservando il corpo senza vita del ragazzo, Theo. Una bambola rotta, spezzata.
- Ecate sovraintende a tutte le attività delle ombre. - sostenne Jude, la sua espressione melliflua che irritava Rain, - È padrona della Foschia, delle tenebre. Saprà sicuramente come rianimare un cadavere. -
Rain non riusciva a muoversi.
Le sembrava di essere immersa in uno di quei sogni dove non si ha né voce né volontà, quelli dove non puoi fare altro che accodarti agli eventi e viverli. Eppure lei non aveva nessuna intenzione di applicare la negromanzia su un ragazzo: anche se versata, nelle arti magiche, quelle erano strade che non dovevano essere percorse.
- Vi guiderò io, sorelle. - sussurrò Arthur, un lungo pugnale d'argento che gli scintillava in mano; un lampo di luna nella stanza spoglia, - Dovete solo canalizzare il vostro potere affinché possa compiere l'incantesimo. -
- E se ci rifiutassimo? - chiese Nicole, i suoi occhi azzurri che si ridussero a due fessure, come quelli dei gatti. Jude si mosse veloce come un felino, cingendole con un braccio il collo.
- Beh, potete morire. -
Nicole gli scoccò un'occhiataccia, una di quelle che avrebbero fatto rabbrividire Rain. Nonostante le sue continue trasformazioni, c'erano ancora trucchi del mestiere che doveva imparare.
Jude non sembrò affatto impressionato.
La lasciò andare, mentre lei si portava vicino al letto, afferrando il braccio sinistro di Theo, così come le aveva detto Arthur.
- Tu. - le ordinò, il suo volto da bambino che racchiudeva più demoni di una persona adulta, - Prendigli l'altro braccio. -
Rain obbedì, afferrando la mano pallida del figlio di Afrodite. Portava un anello di bronzo celeste, una pietra di lapislazzuli di un blu intenso, il disegno di una colomba incisovi sopra.
- Ripetete dopo di me. - disse Arthur, tenendo il pugnale lungo i fianchi, - Phaesmatos tribum, reversus un animum. - cantilenò, un lieve accenno latino alle sue parole. Nicole si unì alla litania, chiudendo gli occhi, il corpo di Theo che cominciava ad essere scosso dalle convulsioni.
- Phaesmatos tribum. - cominciò Rain, poco convinta, tentando di tenere fermo il corpo di Theo, - Reversus un animunm. - continuò, ripetendo sempre le stesse parole, ogni volta più forte della precedente.
Man mano che l'incantesimo andava avanti, la stanza sembrava farsi più buia, come se il sortilegio stesse attraendo le ombre. Il cielo ruggiva la sua rabbia, mentre il corpo di Theo sbatteva sempre più violentemente contro la superficie del letto, la sua testa che veniva sbalzata da una parte all'altra.
Una melma scura prese ad uscire dalla sua bocca, liquido nero simile a sangue. Nicole gli conficcò le unghie nell'avambraccio, quando un intero stormo di corvi sbatté contro la finestra, producendo un rumore infernale.
Jude sorrideva come uno psicopatico, i suoi occhi bicromi che scintillavano nell'oscurità che si era venuta a creare nella stanza. Rain gettò un occhio ai corvi, i quali continuavano a spiaccicarsi contro la finestra, cadendo uno dopo l'altro nel tentativo di infrangerla.
Un suicidio di massa. pensò Rain, i suoi occhi che saettavano dagli uccelli al corpo scosso dalle convulsioni di Theo.  Un segno di mia madre.
- Phaesmatos tribum, reversusu un animum! - esclamò infine Arthur, alzando la daga d'argento e calandola sul petto del ragazzo morto, pugnalandolo dritto al cuore.
Per un attimo non successe niente.
Il corpo tornò in quiete, con la melma scura che aveva macchiato la bocca del figlio di Afrodite e gli era colata lungo il collo per raggiungere il petto; una ragnatela di luce ed ombra. Piccole mezzelune rosse spiccavano contro la pelle pallida del ragazzo, là dove Nicole aveva affondato le sue braccia.
Trattennero tutti il respiro, finché la stanza non fu riempita da un sospiro profondo, seguito dallo scattare a mezzo busto di Theo e da Arthur che estraeva velocemente la lama dal petto.
Theo Bouchard era tornato a vivere, i suoi occhi che brillavano rossi come quelli di un demone.

 


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 King says: Ask me 
 

Yeah, I'm here, finally.
Ecco a voi il terzo capitolo di Heaven Knows, fresco fresco di giornata. Si, ho finito pochi minuti fa di scriverlo ed ho deciso subito di postarlo, visto che vi avevo già fatto aspettare parecchio :,)
Innanzitutto ringrazio tutti per le bellissime recensioni che mi avete lasciato e alle quali, purtroppo, non ho risposto. Vi prego di non prendervela, visto che non ho avuto davvero tempo, altrimenti il capitolo sarebbe arrivato anche prima, dopotutto.
Sappiate che manderò a tutti una scatola di biscotti blu, sperando che basti! Ma che dico, uno scatolone AHAHAHAHHA Risponderò alle vostre recensioni, prima o poi, intanto vi ringrazio qui ♥
Passiamo al capitolo, vi va?


► Oggi è tutto dedicato a Rain Sound ( _Littles_ ), l'affascinante ed estroversa figlia di Ecate che ho avuto il piacere di muovere. Come vi è sembrata? Vi piace? Con chi la shippate? u.u
Abbiamo poi visto anche altri personaggi, che compariranno in seguito, come Asher Bellamy (Pendragon), oppure Nick Pym (Sabaku No Konan Inuzuka) e Anthony Mason (_little_sweet_things_). Nella seconda parte, poi, rivediamo Jude ed Arthur, oltre che un altro personaggio secondario, ovvero Nicole (endlessy_)
Io spero di essere riuscito a rispettare l'IC di ogni personaggio, poi boh, ditemi voi :3 Sono ben felice di ricevere i vostri pareri, positivi o negativi che siano c:
*si prepara ad essere fucilato* Beh, ho già ucciso Theo, che bello! AHAHAHHAHAHAHHA Molti di voi mi avevate chiesto di non farlo, ma io l'ho fatto lo stesso.
Sono uno stronzo? Ebbene si, l'avete capito solo adesso? MUAHAHAHHAHA
Però dai, ho chiamato a raccolta i tre figli di Ecate per richiamarlo indietro con la negromanzia, quindi dovete solo ringraziarmi (?) Vi consiglio di soffermarvi su alcuni punti, giusto per scatenare in voi altri dubbi, obv u.u
Jude dice che non è sopravvissuto all'esperimento e, quando Rain, Arthur e Nicole lo richiamano alla vita, Rain giura di aver visto degli occhi rossi come quelli di un demone.
Che cosa sarà successo?
Per quanto riguarda la C.A.D.M.O. mi sono sbellicato, leggendo ciò che avete scritto nelle recensioni. Beh, sono un po' deluso, però, visto che la soluzione era già contenuta nel capitolo precedente AHAAHHHAHA
Ricordate?

Takeshi dice: - A Takeshi era stato offerto un posto, alla C.A.D.M.O., il centro attività di monitoraggio organizzato. -
Capito? Però vi apprezzo per esservi scervellati alla ricerca di una possibile soluzione all'acronimo.
Per rispondere ad alcuni di voi, si, la C.A.D.M.O. ha qualcosa a che fare con il Cadmo della mitologia greca, ma questo lo vedremo in seguito, ok? *sorriso malizioso*
 
Non posso fare altro che ringraziarvi (ancora) ♥
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che, se vorrete, mi lasciate una recensione, anche piccolina, va! Io vi aspetto con il prossimo capitolo (quando riuscirò a scriverlo AHAHHAA)
Alla prossima,
 
King. 

 
 
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Soon on Heaven Knows: Duncan 
♠ Ossa Rotte

 

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Capitolo 4
*** Duncan ♠ Ossa Rotte ***



Heaven Knows
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Duncan ♠ Ossa Rotte
 
 
Lo specchio gli mostrava il profilo spigoloso del suo volto.
Buona parte del suo petto era ancora imbrattata di sangue, mentre stava cercando di lavarsi con una pezza bagnata. I suoi capelli erano un indistinto groviglio di polvere e melma appiccicosa, così come il suo volto, sporco di cenere ed essenza di mostro.
Osservò il proprio riflesso, la cicatrice pallida e frastagliata lungo il suo petto. Fissò le sottili ramificazioni rossastre che si allargavano dai suoi bordi, come se stesse per riaprirsi, l'urlo soffocato che gli era morto in gola quando se l'era procurata che riecheggiava ancora nelle sue orecchie.
Fletté le dita, ricordando come aveva stretto il collo di quel ragazzino fino a farlo soffocare, sotto lo sguardo inorridito di sua sorella. Aveva rivoltato gli occhi all'indietro, mostrando il bianco e poi emettendo alcuni gemiti rochi e selvaggi, prima che Duncan lo lasciasse cadere a terra.
Morto.
- Allora, vieni con me o vuoi provare a raggiungerlo? - aveva poi chiesto alla ragazza, i suoi occhi ancora puntati sul corpo del fratello, ottenendo un debole assenso.
Quando la tredicenne gli aveva dato le spalle, il figlio di Ares le aveva trapassato lo stomaco con la sua lama, il sangue che gli spruzzava sulle mani. L'aveva osservata stramazzare a terra e le sue labbra colorarsi di rosso, rosse come la pozza che le si era allargata intorno.
- La C.A.D.M.O. ti manda i tuoi saluti, Charlotte. - le aveva ringhiato contro, lo stesso luccichio che brillava negli occhi delle iene prima di avventarsi sulla loro carcassa, adesso si poteva scorgere nei propri, - Questa volta né i Fratelli, né i Cavalieri o le Dame, potranno salvarti. - continuò, scostandosi quando la ragazza aveva tentato di sputarlo.
- Brucia negli Inferi, stronza. - le aveva augurato dopo che smise di lottare, pulendo il filo della sua spada sui suoi vestiti già sudici. Aveva poi perso l'equilibrio quando Poseidone aveva scosso la terra, distrutto dalla sua perdita, il sangue dei suoi figli che bagnava la pelle di Duncan e le strade di New York.
Gli era anche sembrato di sentire una voce che gli sussurrava La pagherai, ma si era limitato ad alzare il dito medio verso il cielo e ad accendersi una sigaretta. Gli uccellatori, chiamati tempestivamente da Duncan, avevano trasportato i loro corpi nella sede principale della C.A.D.M.O. mentre lui se l'era spassata con una ragazza in un angolino buio, sul tetto di uno dei mille edifici della grande mela.
Passò la pezza sulla linea dei muscoli, intrisi di sangue, infilandosi poi un maglietta pulita, qualcosa che risaltasse i suoi occhi magnetici. Afferrò una giacca di pelle e si accese una sigaretta, uscendo dal suo alloggio con passo leggero, dopo essersi pettinato.
Il fumo gli pizzicava le narici, ma non gliene importava.
Continuò ad aspirare anche quando un ragazzo che stava passando per il corridoio lo guardò con sconcerto, abbassando lo sguardo poco dopo per poi tirare dritto. Duncan sorrise in maniera compiaciuta, soddisfatto da quanto rispetto si fosse guadagnato, squartando un po' di persone qua e là.
D'altronde, per essere il secondo in comando dopo Amber, qualcosa di buono l'aveva fatto, no?
Le luci al neon del corridoio sfarfallarono, mentre il fumo accompagnava i suoi movimenti, accarezzandogli il volto con la sua morbida mano. Alyx, la figlia di Melinoe che lavorava qualche piano più in basso, dove venivano prodotti i veleni iniettati durante gli esperimenti, lo salutò con un cenno della mano.
Duncan si portò la sigaretta alla bocca, annoiato, ripensando a come fosse stato graziato, visto che gli esperimenti avrebbero potuto intaccare, in qualche modo, quelle che erano le sue abilità e le sue capacità in battaglia, qualità fondamentali per un membro della C.A.D.M.O.
Sorrise: sapere che la cosa si fidava di lui lo riempiva di sadica gioia, quel tipo di gioia che non avrebbe potuto essere uguale a quella che provava strappando le ali ad una farfalla.
Schiacciò la cicca della sigaretta sotto le suole delle scarpe, annerendo il pavimento ed ignorando ogni norma di buon educazione. D'altronde lui era Duncan Dowson e poteva permetterselo: chiunque osasse dirgli cosa fare si ritrovava appeso a testa in giù prima che potesse anche chiedere scusa.
La targhetta dorate ed elegante davanti a lui attirò la sua attenzione, appuntato su una porta metallica e squadrata identica a tutte le altre. Bussò, mettendo le mani in tasca e fischiettando qualche ballata scozzese per ammazzare il tempo.
Già, che strano giro di parole, ammazzare il tempo.
La porta si aprì cigolando, uno spiraglio di luce sul quale si stagliava la figura snella di una ragazza, gli occhi di ghiaccio e i capelli neri come la notte. Amber gli fece segno di entrare, mentre le narici di Duncan venivano investite da un aroma di rosa canina che per poco non lo fece vomitare.
Amber era bella, una delle più ragazze più belle e letali che Duncan avesse mai visto.
La figlia di Eros indossava dei semplici jeans scuri e una maglia a ragnatela, di colore coordinato agli stivaletti che portava ai piedi e che lasciava intravedere le curve del suo seno. La linea delle sue labbre si arcuò in un sorriso, uno dolce e sensuale e che nascondeva le pene dell'Inferno.
- Sei stato via tutta la notte, mi stavo preoccupando. - disse, salutandolo con aria annoiata. Si diresse verso il tavolino al centro della stanza, un vassoio pieno di alcolici resi più chiari dalla luce del sole che filtrava dalle finestre. - Gli obbiettivi sono stati eliminati? - chiese poi, versandosi dello scotch fin quasi all'orlo del bicchiere di vetro e portandoselo alla bocca.
Duncan annuì. - Entrambi. - confermò, il bianco degli occhi di quel ragazzo che si aggiungeva alle migliaia di occhi morenti che il figlio di Ares aveva visto, - Un lavoretto semplice e pulito. Ho fatto portare via i corpi dagli uccellatori. -
Un sorriso si allargò sulle labbra di Amber, buttando poi giù un altro sorso di scotch. - Perfetto, sapevo che avresti svolto un lavoro eccellente, come sempre d'altronde. - lo lodò, posando il bicchiere ancora pieno di alcol, - Puoi rimanere qui, se vuoi. Credo che a Jude faccia piacere vederti. -
Duncan annuì, appoggiandosi stancamente al muro mentre Amber armeggiava con un computer, pigiando tasti dietro tasti. Il figlio di Ares la guardò lavorare, i suoi occhi che si muovevano frenetici da una parte all'altra dello schermo, le ciglia lunghe e scure che risaltavano il suo sguardo magnetico.
Se solo Duncan non avesse saputo quanto fosse pericolosa, le sarebbe saltato addosso per averla.
- Ecco, ci siamo. - sostenne, mentre sullo schermo si apriva una finestra che inquadrava il volto giovane e psicopatico di un ragazzo, - Jude, che piacere vederti! - lo salutò Amber, mentre Duncan alzò il mento in segno di rispetto, bloccando uno starnuto.
Jude sorrise, lo stesso sorriso storto con cui Duncan amava far disperare le sue vittime prima di ucciderle. - Amber, come stai?  Duncan. - esclamò, passandosi una mano fra i capelli, la sua immagine un po' rallentata, forse per via della qualità del segnale, - Avete eliminato quei due ragazzi? - domandò, mentre Amber annuiva.
- Ho mandato Duncan sulle loro tracce proprio stanotte. - rispose la figlia di Eros, i suoi occhi che saettavano da Jude al figlio di Ares, - Non potranno più sollecitare i Custodi. Siamo in una botte di ferro, possiamo continuare con la seconda fase del nostro piano. - continuò, il suo tono allegro che faceva ricordare il sangue sulle mani di Duncan.
Chissà quanti morti aveva sulla coscienza, Amber.
Il figlio di Eris mostrò tutti e trentadue i denti. - Qui al campo abbiamo avuto qualche problemino con la prima fase. - confessò, un'ombra velata di preoccupazione gli passò sul viso, - Il soggetto su cui avevano sperimentato era clinicamente morto, ma lo abbiamo rianimato con la magia. -
- E quindi? - domandò la figlia di Eros, incuriosita dalla vicenda.
- E quindi il ragazzo è vivo, per adesso. Ha manifestato due occhi rossi come non ne avevamo mai visti, quindi credo proprio che l'ATT-451 sia andato a buon fine. - confermò Jude, il tono di chi sta raccontando una barzelletta o parla con gli amici al bar, - Presto potrà essere trasportato a New York, appena le sue condizioni saranno un po' più stabili. - concluse, giocherellando con un pupazzetto anti-stress.
Amber fece un sorrise compiaciuto, sorseggiando il suo scotch. - Perfetto, Jude. Noi prepareremo la stanza, così saremo pronti ad accoglierlo. - disse. Poi si voltò verso Duncan, dando le spalle al figlio di Eris. - Puoi occupartene tu? Chiama Christopher e fatti aiutare. Trovate l'incantatore, dategli qualunque cosa esso vorrà in cambio. -
Duncan annuì, i suoi occhi che indugiavano sulla curva delle clavicole di Amber. - Certo, contate su di me. - rispose, dirigendosi verso la porta. Mentre stava uscendo, sentì la figlia di Eros parlare di morte, corvi e una certa Rain Sound.
Duncan non poté fare a meno di ammettere che il divertimento non mancasse, alla C.A.D.M.O.
 
 
- Christopher. - chiamò, non appena ebbe messo piede nella stanza degli esperimenti, una parte in cui sedevano gli scienziati e la parte dove veniva messa la cavia; una lastra di vetro che separava le due. - Christopher, esci fuori! - esclamò, cominciando a perdere la pazienza.
Nella sala regnava il silenzio, se non per alcuni gemiti di piacere provenienti da uno stanzino dove erano tenuti i risultati degli esperimenti e le cartelle cliniche di ogni semidio. Duncan sorrise, camminando con passo leggero come avrebbe fatto un gatto, la pelle che indossava che lo rendeva ancora più agile.
Man mano che si avvicinava, i gemiti si facevano più forti, sempre più rochi e intrisi di lussuria. Duncan per poco non scoppiò a ridere, mentre metteva mano alla famiglia e davanti ai suoi occhi si mostrava la scena più imbarazzante della sua vita.
Entrambi i ragazzi erano nudi, avvinghiati l'uno all'altro, la pelle di uno che strisciava contro quella dell'altro, con i peli scuri di Christopher che raschiavano sul pube dell'altro. Il figlio di Dioniso gli rivolse uno sguardo disinteressato, come se non provasse vergogna nell'essere stato colto proprio nell'atto del sesso.
- Ti serve qualcosa, Duncan? - chiese, mentre si sforzava di trattenere un gemito di piacere, con il suo ragazzo che si agitava dentro di lui, - Magari unirti a noi? - domandò, in maniera sarcastica, ottenendo un sorrisetto da parte del figlio di Dioniso.
- Vestiti, dobbiamo parlare. - fu l'unica cosa che disse, chiudendo la porta per permettergli di mettersi qualcosa addosso. Il Christopher che ne uscì aveva i capelli castani scompigliati e gli occhi languidi, forse che ripensavano ancora a ciò che si era consumato in quello stanzino.
- Insomma, che diavolo vuoi? - gli chiese, infilandosi la maglia e rivolgendogli uno sguardo confuso. Duncan si strinse nelle spalle, accendendosi una sigaretta.
- Non qui, mi da fastidio. - gli disse il figlio di Dioniso, facendo per toglierli la sigaretta di bocca. Il figlio di Ares si lasciò sfuggire una risata.
- Beh, a me non sembrava che ti desse fastidio essere guardato mentre lo facevi. - ribatté, mentre Christopher gli scoccava un'occhiataccia, - Comunque non sono venuto qui per discutere dei tuoi gusti sessuali. Amber mi ha detto che devi preparare la stanza per la seconda fase. -
- Va bene. - annuì lui, facendo per tornare nello stanzino e venendo fermato da Duncan, - Che c'è ancora? - domandò, osservando il figlio di Ares.
- Dobbiamo chiamare l'incantatore, farlo venire qui. - affermò, mentre lui sgranava gli occhi.
- Impossibile. - sostenne, mentre un'ombra di paura gli colorava le guance, - Non abbiamo niente con cui convincerlo a lasciare la sua casa. -
Duncan mise su il miglior sorriso che riuscì a trovare. - E allora gli daremo qualcosa a cui non potrà mai rinunciare. -

 

 
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♔ King says: Ask me 
 
Good evening, guys
Eccomi qui con un nuovo -ed ultimo purtroppo- aggiornamento d'estate, che spero davvero possa piacervi. Forse è un po' cortino, ma ho preferito mantenere un alone di mistero intorno a tutte le bombe che vengono scanciate in questo capitolo.
Prima di passare alle solite stronzate che dico, colgo l'occasione dell'angolino autore per ringraziare chiunque abbia messo la storia fra le preferite, fra le seguite o le ricordate. Ma soprattutto ringrazio voi, gentaglia, che mi stalkera su Ask e mi fa morire dalle risate :3
E, ovviamente, ringrazio chi ha recensito ♥ Davvero, siete dei bellissimi cupcakes (?)

► Il capitolo di oggi è dedicato ad un altro personaggio che adoro, ovvero Duncan Achilleas Dowson (Luthien Felagulad), il tosto figlio di Ares u.u Come vi è sembrato? Vi piace? Ve fa schifo? Vorreste sposarlo? Fatemi sapere c:
Ovviamente vediamo muoversi anche altri personaggi, come, ad esempio, Amber Martin (winteriscoming_), la sensuale figlia di Eros. Oppure Alyx O'Darling (Artemiss), la tenebrosa figlia di Melinoe e Christopher Montgomery (Pevensie), il lussurioso figlio di Dioniso. 
Spero che la scenetta piccante con Chris vi sia piaciuta, così come lo scambio di battute fra lui e Duncan ewe Ho inserito questa #fasciahard solo perché ormai ci veniamo a contatto tutti i giorni, quindi credo che nessuno di voi si scandalizzerà AHAHAHAHAHAHAH

► Vediamo un po' u.u
Chi sono questi fantomatici Custodi secondo voi? Preciso che il termine è riferito ai Fratelli, ai Cavalieri e alle Dame, quindi ... uhm, sono curioso di sapere cosa ne pensate c: 
E poi, rendiamo conto che siamo solo al quarto capitolo e ho già ucciso altri due semidei. ALEEEEEEEEEE! Che poi, che cosa avranno mai fatto di così male per essere brutalmente uccisi da un killer professionista come Duncan?
Beh, spremetevi quei bellissimi cervelletti che vi ritrovate, ragazzi! Fatemi quali sono le vostre opinioni :')
Come sempre, vi do appuntamento al prossimo capitolo!  Buon inizio (semmai sarà buono, boh) scuola a tutti u.u
Alla prossima ♥


King. 


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Soon on
Heaven Knows: Aeren ♠ Flauto Magico


 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Aeren ♠ Flauto Magico ***



Heaven Knows
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Aeren ♠ Flauto Magico
 
 
Aeren trattenne il fiato.
Ogni qualvolta attraversava il secondo piano della Casa Grande veniva assalita da un'ondata prepotente di vomito, acuita dall'alcool e dall'odore dolciastro dei veleni che venivano iniettati durante gli esperimenti. Oltrepassò svelta un paio di semidei armati che stavano discutendo fra loro, tenendo la testa bassa e reggendo in mano un piccolo pacchetto di erbe, utili per il compito che svolgeva.
Vittoria le venne dietro, i suoi capelli biondi che le svolazzavano sulle spalle, mentre le sue mani sembravano non fermarsi mai: continuava a stappare e riattappare una penna che, ormai, aveva cominciato a dare segni di cedimento.
- Tutto bene? - le chiese Aeren, preoccupata per lo strano tic della sua amica. La figlia di Atena imbastì un timido sorriso ed annuì, continuando lo stesso a torturare la sua penna. - Sto dicendo seriamente. Te la senti di accompagnarmi, oggi? - le domandò Aeren, guardandola dritta negli occhi e prendendo un bel respiro.
- Sto bene, tranquilla. - le rispose Vittoria, riponendo la penna in tasca e stringendo le mani a pugno per farle vedere che andava tutto bene. Aeren la osservò per un attimo, scorrendo i suoi occhi fino alle sue dita, le quali fremevano di tornare a muoversi, ma non disse nulla.
Continuò per la sua strada, la barella sulla quale era adagiato un ragazzo addormentato sui diciassette anni che le scivolava accanto, l'interno dell'avambraccio segnato da uno scuro codice a barre. Aeren si impose di ignorarlo, così come ignorava un sacco di cose che non le piacevano.
Lei non era un'eroina, solo una semplice infermiera.
Aveva accettato quel posto solo perché non sopportava vedere la gente soffrire, così lei e Victoria si erano assunte il compito di badare il più possibile a coloro sui cui venivano condotti gli esperimenti: cambiavano le flebo, curavano le eventuali eruzioni cutanee e davano sollievo come potevano.
E, se Vittoria se la cavava bene in tutte e tre le cose, Aeren si sentiva quasi inutile: non era forte quanto la progenie di Ares, intelligente quanto quella di Atena o bella come i figli di Afrodite. Sapeva solamente alleviare il dolore con la sua voce, l'unica abilità speciale che sua madre Ilizia le aveva lasciato.
Si infilò in una stanza, la porta che riportava i segni di graffi e di sangue. La ragazza sul letto aveva la pelle blu, come se il cielo stesso fosse stato concentrato nei suoi muscoli, le nuvole intessute assieme ai nervi.
- Miei dei. - sussurrò sorpresa Aeren, rimanendo per un attimo ferma, il cuore che le era salito lungo la gola. Si avvicinò con fare lento, il sangue che le pulsava nelle tempie, mentre controllava il polso alla ragazza e contava i suoi respiri.
- Che cosa le avranno fatto? - domandò Vittoria, indicando le fasce di cuoio che la tenevano ancorata al letto. Si scambiarono uno sguardo, poi tornarono entrambe a svolgere i loro compiti, senza fare più domande.
Aeren non aveva mai visto niente del genere in vita sua.
Certo, sapeva che la cosa sperimentava sui semidei, visto come fossero considerati vicini agli dei stessi, ma non si riusciva a spiegare perché colorare la pelle di un essere umano o indurre la sua mente alla pazzia. Chiuse gli occhi, una fitta di dolore che le pungeva la memoria.
Scosse la testa, continuando il suo lavoro ed estraendo un pizzico di erbe dalla sua scatole, riducendole poi in polvere, stringendole fra i palmi delle mani. Ne prendeva a piccole dosi e massaggiava il volto della ragazza, stimolandone la circolazione sanguigna.
- Aeren. - la chiamò Vittoria, la voce impregnata di timore, - È normale che tutti i suoi valori stiano calando a picco? - le chiese, mentre la macchina attaccata al braccio della ragazza prendeva a ticchettare in maniera nervosa. La figlia di Ilizia buttò un occhio allo schermo solcato da ripide linee seghettate, imprecando in greco antico.
- La stiamo perdendo! - esclamò, mantenendo però la sua tipica dose di calma, - Aiutami, o morirà. - disse, rivolgendosi all'amica e facendo saltare i bottoni della maglia della ragazza. Slacciò poi la fascia che le premeva sul petto azzurro, in modo che potesse respirare con più facilità.
Prima che potesse anche tentare un massaggio cardiaco, la ragazza scattò a mezzo busto e tentò di morderle le dita. Aeren si ritrasse di scatto, osservandola poi con incredulità, mentre lei si dimenava, cercando in qualche modo di strappare le fasce che la tenevano ferma. 
Vittoria indietreggiò ed inciampò nei fili della macchina, la quale smise di ronzare, mentre la figlia di Ilizia osservava la ragazza, sempre più identica agli Iperborei, lacerare con i denti il cuio che le stringeva le gambe. Le unghia mutarono in feroci artigli, i quali tagliarono le ultime fasce che le bloccavano le caviglie.
Saltò giù dal letto, il colore blu della sua pelle più concentrato nei punti in cui era stata pressata dal cuio. Aeren non riusciva a leggere alcuna emozione, nei suoi occhi, solo rabbia e instinto selvaggio.
La figlia di Ilizia si abbassò per evitare gli artigli della ragazza, rotolando a terra e sbattendo la testa contro lo spigolo della porta. Vittoria stava lottando per rialzarsi in piedi, ma non era agile e svelta come sempre, forse per il fatto di essersi slogata una caviglia.
Aeren non sapeva combattere, non aveva nemmeno un'arma a disposizione per difendersi.
Per un attimo odiò sua madre, Ilizia, per il fatto di non averle passato poteri stratosferici, ma poi si odiò anche solo per averlo pensato. Aeren non voleva fare male a nessuno, eppure, a quanto pareva, c'era qualcuno che voleva fare male a lei, all'infermiera che dava sollievo e curava dal dolore.
L'ibrida iperborea si schiantò giusto sul punto dove si trovava la figlia di Ilizia un secondo prima, quando ebbe solo il tempo di rotolare ancora  e togliersi dalla traiettoria di tiro. Vittoria era riuscita in qualche modo a saltare sulle spalle della ragazza, spingendola prima a terra e poi spingendola contro la porta della stanza.
Aeren la guardò sorpresa, poi, approfittando del fatto che la ragazza era momentaneamente priva di sensi, si precipitò verso la figlia di Atena e le cinse il collo con un braccio, aiutandola a muoversi. Erano quasi uscite da quella maledetta stanza quando Aeren urlò di dolore; gli artigli di quella strana creatura conficcati nella sua gamba.
Perse la presa sulle spalle di Vittoria, cadendo a terra come una marionetta guasta, mentre la vista le si colorava di puntini gialli e rossi. Aveva sempre alleviato il dolore degli altri, ma non aveva mai pensato di sperimentarlo di prima persona.
Almeno adesso sapeva come si sentivano tutti coloro che erano stati feriti in guerra.
Tentò di alzarsi, ma ricadde in ginocchio, il corridoio deserto se non per lei e Vittoria, sole e completamente in balia di quel mostro. Poi qualcosa le saettò accanto, gli stivaletti scuri di una ragazza, una spada stretta tra le mani che scintillava di luce propria.
Bronzo celeste. fu l'unica cosa che riuscì a pensare Aeren, prima di osservare la ragazza scagliarsi contro l'ibrida iperborea e ferirla alle gambe, correndo poi nella stanza semi-distrutta e afferrare una siringa.
- Torna a dormire, bella. - le aveva detto, iniettandole qualche strana sostanza che Aeren non conosceva. La ragazza dalla pelle blu si accasciò a terra, rapita dal sonno di Morfeo. Aeren respirò affannosamente, notando come la sua gamba stava continuando a perdere sangue.
- Ci serve una barella, presto! - esclamò Vittoria accanto a lei, strappandosi un pezzo della sua maglietta e premendolo sulla ferita, cercando in qualche modo di fermare l'emorragia. La loro salvatrice, Annalise, si mosse veloce lungo il corridoio e chiese aiuto, venendo poi seguita da un paio di ragazzi completamente vestiti di nero.
Aeren era ancora cosciente, quando la issarono sulla barella, ma sentiva che i suoi sensi si stavano assopendo. Si sforzò di restare sveglia, visto che sapeva cosa poteva succedere se chiudeva gli occhi. Era ufficialmente entrata in uno stato di confusione, ricordi ed emozioni che facevano battere il suo cuore più velocemente.
Ripensò a suo padre, Julian, colpito da un mostro quando questi finalmente rintracciarono Aeren. Lei non sapeva che fine avesse fatto, ma adesso le ritornava in mente quando lui l'aveva portata a passeggiare sul lungomare, sotto un cielo trapuntato di stelle.
- Resta con me, Aeren! - la chiamò Vittoria, i suoi capelli biondi ridotti ad un ammasso informe giallastro, - Resta con me! - le ordinò, mentre la barella scorreva lungo il corridoio e le luci sfarfallavano davanti ai suoi occhi, il soffitto ammuffito e scuro.
Scuro come il baratro nel quale precipitò.
 
 
Si sentiva come se avesse riposato su un letto di braci ardenti.
Il sangue pulsava violentemente alle tempie, dandole un senso costante di nausea, mentre muoveva le dita come fanno le persone quando si svegliano dal coma. Aprire gli occhi era fuori discussione, visto che sembravano fossero stati cuciti da un filo invisibile.
Sentiva il battito regolare del suo cuore, la gamba calda ed incandescente, là dove gli artigli sporchi della ragazza avevano perforato la carne. Una lacrima le scese lungo la guancia, chiedendosi chi fosse l'ibrido che aveva visto, chiedendosi se avesse una famiglia, come fosse la sua vita.
La C.A.D.M.O. le aveva portato via ogni cosa, trasformandola in un mostro. Ed era questo che ad Aeren faceva più male, sapere che la cosa prendeva chiunque volesse e lo riducesse a niente, anzi, a meno di niente.
E quel codice a barre? Il segno permanente che ricordava ad ogni semidio che non era e non sarebbe mai stato libero; che aveva fallito e non era riuscito a proteggere la sua casa, ma l'aveva consegnata al nemico.
Come si dice, rigirare il coltello nella piaga.
Respirò un dolce profumo di cannella e di miele, gli ingredienti che solitamente Aeren usava per curare e far rimarginare le ferite. Qualcuno aveva usato quella stessa medicina per lei, forse Vittoria, o magari la ragazza misteriosa che le aveva salvate.
Aeren non ne aveva idea.
Forse erano solamente i suoi nervi sovraeccitati, ma cominciò a canticchiare, improvvisando una ninna nanna che sembrò lenire il suo dolore, almeno quel minimo che bastava per farle pensare ad altro. Continuò a cantare e, ogni nota che le scivolava dalle labbra, la rendeva meno tesa e più energica, la gamba che pian piano si acquietava; una sorta di mano fresca che l'accarezzava e faceva scomparire il dolore.
Solo all'ultimo momento registrò la presenza di qualcuno, nella stanza, il suo respiro costante e regolare che accompagnava il canto malinconico di Aeren. Chi era, qualcuno che voleva farle del male?
La figlia di Ilizia scacciò quel pensiero: se qualcuno avesse voluto ucciderla l'avrebbe fatto mentre dormiva, non quando era vigile ed attenta. Aeren, a dir la verità, non sapeva nemmeno perché le avessero salvato la vita.
Dopotutto era solo un'infermiera, nulla di che.
Sbatté molto lentamente le palpebre, la luce che le feriva gli occhi e la faceva sprofondare di nuovo nel buio, come a volte fanno certe lumache quando si sentono in pericolo. Però poi ci riprovò, abituandosi pian piano allo sfavillante sole che brillava dietro la finestra sporca.
In un primo momento non capì dove si trovasse, poi cominciò a riconoscere gli spigoli degli armadi, i bordi di ferro di un letto, le lenzuola che le arrivavano alla vita e le lasciavano scoperto il busto. Accanto a lei, seduto su una sedia, c'era un ragazzo che non aveva mai visto, gli occhi di un rosso acceso come le fiamme dell'Inferno.
Aeren aprì la bocca per urlare, ma scoprì che non aveva voce. Sussultò, scattando a mezzo busto e pentendosi poco dopo per quella stupida azione, visto che la gamba le inviò fitte di dolore.
Il ragazzo alzò le mani, in segno di arrendevolezza, e poi le sorrise.
Nel complesso, Aeren doveva ammettere che solo gli occhi stonavano con il resto del suo viso, armonico e bello come quello di una statua greca. I capelli castano dorati erano scompigliati e ribelli, ma gli conferivano lo stesso un'aria attraente. Sul polso destro brillava scuro un codice a barre, linee nere che fendevano la sua pelle abbronzata, una successione di numeri che lo identificava come l'esperimento 9755512357896.
- Ehi, non avevo intenzione di spaventarti. - le disse lui, sorridendole timidamente, - Sono Theo, Theo Bouchard. - si presentò, mentre le porgeva la mano ed Aeren poteva vedere diversi lividi lungo il suo braccio.
- Se te lo stai chiedendo, non sono un maniaco. Sono qui perché, beh ... - le mostrò il polso, abbassando gli occhi, - Hanno sperimentato, su di me. -
- I tuoi occhi. - fu l'unica cosa di senso compiuto che Aeren riuscì a dire, ignorando il dolore alla gamba, - Sono rossi. -
Lui annuì, il labbro inferiore che gli tremava. - Già. - rispose, malinconico, tirando su col naso, - Una volta erano azzurri. - ricordò, puntando il suo sguardo oltre la finestra, da dove si potevano scorgere i campi di fragole convertiti a piantagioni di marijuana.
Aeren non sapeva cosa dire.
Aveva sempre saputo farci, con le parole, ma adesso le veniva impossibile parlare, come se avesse inghiottito delle fiamme e si fosse bruciata. Il ragazzo che aveva davanti sembrava distrutto, come se, durante gli esperimenti, si fosse rotto qualcosa, nella sua anima.
- Mi dispiace. - sussurrò, la sua mente confusa e disordinata come non mai nella sua vita, - Deve fare male, non è così? -
Theo annuì, guardandosi le mani, come se fossero ricoperte di sangue. - Non immagini quanto. - rispose, la voce incrinata per il dolore, - Quando mi sono svegliato la prima volta e ho visto questi occhi ho dato di matto. Ho quasi staccato la testa ad un ragazzo, solo perché mi ha porto uno specchio. - raccontò, mentre Aeren cercava di immaginarsi la scena. Rabbrividì.
- Si, sono un mostro, un mostro come tutti coloro che abitano qui. - sorrise, il sorriso di una persona disperata, quella che non aveva più nulla da perdere, - Non so cosa mi abbiano fatto, ma voglio impedire che possa succedere a qualcun'altro. -
Le prese la mano e, con grande sorpresa di Aeren, era calda. - Io non posso uscire di qui, almeno ufficialmente, ma tu si. - le disse, i suoi occhi rossi che mettevano in soggezione Aeren, - Raduna un esercito, qualcuno che sia abbastanza potente da spezzare la barriera intorno al campo. -
Aeren scosse la testa. - Non saprei come fare. - gli disse, mordendosi il labbro, - Io sono una semplice infermiera, non un'eroina. -
Ma lui scosse la testa, lasciandole la mano ed alzandosi in piedi. - Trova Rain Sound, è una figlia di Ecate. Lei potrebbe aiutarci, visto che con me l'ha fatto. - replicò cocciuto Theo, indicandosi il petto, il punto esatto dove si trovava il cuore.
Aeren si chiese se avesse a che fare con dei problemi sentimentali, ma ignorò ciò che la sua mente gli suggeriva. - Va allo spaccio del campo, lì potrai trovare delle persone fidate. - concluse, dirigendosi verso la porta, la canottiera bianca che indossava che si era colorata di rosso e di arancio.
- Ti prego, aiutami. – disse, la voce ridotta a poco più di un sussurro, il suo sguardo perso nel vuoto, l’eco lontano della sua anima.
- E tu che farai? - domandò Aeren, ancora indecisa se dare o meno retta alle sue parole, - Tu sei rinchiuso qui, come potrai scappare? - chiese, incredulità e voglia di conoscere che si affollavano nella sua testa.
- Io agirò dall'interno, cercherò di farmi degli alleati. - rispose, abbassando lo sguardo, - L'ho sempre fatto. - commentò, amaro, mentre finalmente Aeren capiva.
Prostituiva il suo corpo. pensò, osservando quel ragazzo, così giovane, eppure già così amareggiato dalla vita. Era in un certo senso attratta, da lui, ma non si trattava di attrazione sessuale, bensì qualcosa che andava oltre, qualcosa che diventava onore e lealtà.
Anche se non lo dava a vedere, Aeren avrebbe scommesso che fosse un leader nato. Theo sorrise, quel tipo di sorriso che aveva visto solo sulla bocca dei figli di Afrodite, suscitando un moto di improvvisa compassione, per lui, nella figlia di Ilizia.
- Après moi, le Déluge. -


 
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♔ King says: Ask me 
 
Good evening, guys! 
Come state? Io sono a scuola da tre giorni, ma mi sento stanco come se fossero già passati tre mesi, che cosa brutta. Solo Pendragon, e chi frequenta come noi due poveri scemi il liceo scientifico, può capirmi.
Anyway, non siamo qui per parlare dei miei problemi personali, no? u.u
Ecco a voi il nuovo capitolo di Heaven Knows! Dite la verità, da quanto lo aspettavate, eh? Ci ho messo un po' per scriverlo, ma alla fine sono davvero contento di esserci riuscito ed essere qui ad aggiornare.
Credo che aggiornerò regolarmente di giovedì (anche se oggi è mercoledì, babies) perché per il venerdì non ho molto da fare, so mi ritroverete quasi sempre qui a battere questo angolino autore!
Ringrazio ancora una volta tutti coloro che hanno letto e coloro che hanno lasciato delle recensioni (Ve se ama ♥). Ringrazio molto anche la mia fidata Holls e la sua fissa per Alice nel Paese delle Meraviglie (questo è per te, lo aspettavi eh? Click me), Luthien e l'esperimento DHLB, Nali e le sue insospettabili doti da agente segreto e anche Angy che, spero, possa leggere presto questo capitolo! Tieni duro, girl :3
Insomma, adoro chiunque di voi abbia voglia di stalkerarmi su Ask ♥


► Abbiamo oggi conosciuto Aeren Murray (Winter98), la pargola di Ilizia che adoro proprio per questa sua discendenza improbabile! Ho aggiunto un personaggio secondario, ovvero Vittoria Venier (HannahBelle), la figlia di Atena e poi un personaggio che rivedremo nel prossimo capitolo (vi ho dato solo un piccolo accenno), ovvero Annalise Pevensie (Pendragon_M).
Come vi sembra Aeren? Credo che piaccia proprio per la sua non-eroità (esiste come parola?), nel senso che non si sente proprio a fare l'eroina, in quanto è brava solo ad alleviare il dolore altrui. Comunque, ditemi voi cosa ne pensate :')
Abbiamo rivisto Theo, a gran voce invocato, e i suoi occhi rossi, su cui scopriremo qualcosa in più nel prossimo capitolo. Ho notato come siano partite le ship più improbabili ed addirittura Foursame! AHAHAHAHAHAAH
Me fate morire :')

► Visto che qualcuno di voi mi ha chiesto un breve riepilogo dei personaggi presentati, li divido in ordine di apparizione per buoni e cattivi, così non vi sbagliate! Lo so che sono tanti, quindi grazie fenris per avermi dato l'idea di fare questo breve ripasso u.u (i sottolineati sono coloro che svolgono un ruolo secondario)

Good guys: Theo Bouchard (Afrodite), Rain Sound (Ecate), Asher Bellamy (Eos), Nick Preston (Efesto), Anthony Mason (Apollo), Nicole (Ecate), Aeren (Ilizia), Vittoria (Atena)

Villains: Takeshi (Tanato), Jude (Eris), Arthur (Ecate), Astrid (Nike), Duncan (Ares), Amber (Eros), Alyx (Melinoe), Christopher (Dioniso), Annalise (Ate)

Bene, spero che ve li ricordiate tutti, perché nel prossimo capitolo vedremo qualcosa di molto ... aehm, come definirla, esplosivo! Non temete, la fuga è vicina e presto conosceremo anche i fantomatici Custodi.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Alla prossima, guys c:



King.

 
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Soon on Heaven Knows: Jude ♠ Mela Avvelenata
 

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Capitolo 6
*** Jude ♠ Mela Avvelenata ***



Heaven Knows
♔ Official Video Trailer 
 
 


Jude ♠ Mela Avvelenata

 
Jude fece scivolare velocemente l’archetto sulle corde tese del violino, facendone scaturire note dolci e leggere, note che non servirono ad alleviare il macigno pesante che sentiva sul petto. Scosse la testa, trovando strano provare per la prima volta una sensazione del genere.
Di solito, le uniche cose che lo facevano stare davvero bene erano il suono delle ossa rotte dei ragazzini o la musica di un violino. Eppure adesso, nella solitudine della sua stanza, per la prima volta, Jude sperimentò quella che tutti comunemente chiamavano preoccupazione.
Lo specchio montato sulla parete gli restituì la perfezione meccanica degli ingranaggi tatuati sulla sua pelle, poco sotto la nuca. Jude avrebbe voluto essere una macchina dozzinale, in quel momento, piuttosto che provare quella sensazione soffocante che gli stringeva il cuore; un serpente fatto di paure e di fumo pronto ad ingoiarlo in un solo boccone.
Rapidi flash si affollarono nella sua testa; due occhi, rossi come le fiamme, gli spalancarono le porte di un incubo, il più brutto a cui Jude avesse mai assistito. Lasciò andare la presa sul violino, il quale cadde a terra, mentre, tecnicamente ancora sveglio, cadeva fra le spire della sua anima nera.
- Prendi. -
Dalle tenebre si fece avanti sua madre Eris, nuda, i lunghi capelli corvini che le coprivano i seni rosei. Il suo corpo era livido e sporco; le sue labbra scure si incresparono in un sorriso malvagio, quando gli porse il pomo della discordia, con un'unica parola incisavi sopra.
E fu il Terrore.
Poi Eris spalancò la bocca, urlando come una pazza ed inghiottendo suo figlio per intero. Jude scoprì di non avere voce, mentre i denti e il palato di sua madre si liquefacevano in una pozza verdastra.
Qualcuno lo spinse faccia a terra, direttamente in quello che sembrava acido. Preso dalla paura, rialzò subito la testa, per poi ricadere nella pozzanghera dopo che qualcuno gli ebbe assestato un calcio fra le gambe.
Un uomo, dal volto spigoloso e con una pericolosa ascia in mano, ora gli premeva il petto con lo stivale. Disgustato per ciò che era diventato, suo padre calò l'ascia, recidendogli la testa.
E provò il Dolore.
Jude adesso si sentiva più leggero, mentre la sua testa rotolava nella pozza verdastra, il rosso del suo sangue che andava a scurire il verde dell'acido. Suo padre cominciò a soffiare contro di lui, un vento impetuoso che si liberava dalla sua bocca, spingendolo via.
Chiuse gli occhi quando foglie marce e spine pungenti gli sfiorarono le guance, scendendo giù per la gola. Tossì, cercando di sputare quella mistura velenosa, mentre si sentiva affogare; il suo cuore, ormai lontano, batteva contro il suo petto altrimenti immobile.
Poi qualcuno afferrò la sua testa per i capelli, riponendola su un vassoio d'argento. E venne di nuovo il buio.
Dalle ombre poi si delineò il contorno deciso di un corridoio, il quale si apriva su una sala ampia e fredda; statue e corpi, rialzati su piedistalli neri, urlavano il loro dolore alle tenebre.
Il vassoio venne riposto su un piccolo altare bianco, un pugno nell'occhio nella tetra solitudine della stanza. Jude sentì montare la paura, poi una voce alle sue orecchie gli sussurrò ciò che non avrebbe mai voluto sentire.
- Ci vedremo presto, Biancaneve. - gli disse, le parole che cedevano il passo ad un lamento malinconico, - Ricorda le mie parole: alla fine, uno dei tuoi uccelli più cari tradirà e finirà con l'ucciderti. -
E giunse la Morte.
Jude ansimò, risvegliandosi da quell'incubo fatto ad occhi aperti. Nella furia del sogno aveva calpestato e distrutto il suo violino, ridotto a migliaia di schegge chiare di legno sparse sul tappeto. Si lasciò cadere in ginocchio, sfiorando i resti del suo strumento con le dita.
Era sempre stato piuttosto bravo a tenere a bada le sue emozioni, eppure adesso gli sembrava che qualcuno gli avesse fatto ingoiare a forza una bomba, per cui era solo questione di tempo prima che esplodesse. Strinse i pugni, regolando il respiro affannoso e dandosi un contegno.
Anche se cambiavano le situazioni a cui assisteva, Jude seguiva lo stesso percorso, tesseva ogni notte lo stesso filo di Arianna: prima il terrore, poi il dolore ed infine la morte.
Anche se a vederlo non sarebbe sembrato a nessuno, la morte era ciò che più lo spaventava in assoluto. Era per questo che cercava in tutti i modi di esorcizzarla, di gettarsi in situazioni pericolose, come a voler sfidare le Parche.
Il simbolo di sua madre scintillò con più forza, sul polpaccio, quando bussarono alla porta. Chiuse e riaprì rapidamente gli occhi, inspirando ed espirando in maniera normale, prima di aprire e ritrovarsi davanti la figura di Annalise.
- Oggi non avevi da fare rapporto, Pevensie. - le disse apatico lui, cercando di dimenticare l'incubo da cui era appena uscito. La figlia di Ate si passò una mano fra i capelli, adocchiando subito il violino fracassato a terra.
- Allora? - domandò spazientito Jude, la collezione di veleni, riposta maniacalmente sulla scrivania, quasi gli implorava di essere utilizzata. Aconito, belladonna, cicuta ripeté mentalmente il figlio di Eris, mentre Annalise si faceva spazio nella stanza e chiudeva la porta dietro di lei.
- Lo so, ma avevo bisogno di parlarti. - rispose, i capelli ondulati che seguirono il movimento delle sue spalle. Jude alzò un sopracciglio, preparando la battutaccia peggiore a cui avrebbe potuto pensare, osservandola sedersi sul suo letto, cosa che nessun altro avrebbe mai fatto.
- Sentiamo. - sbuffò, afferrando una sedia e sedendovisi cavalcioni, appoggiandosi con i gomiti allo schienale in legno. Annalise esplorò la camera, prima di tornare a guardarlo negli occhi, senza nessun timore.
- Si tratta degli esperimenti. - prese a dire, portandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio, - E se fossimo andati troppo oltre? - chiese. Il tempo stava cambiando, fuori, dove pesanti nuvoloni neri avevano coperto il sole e le altre stelle.
Jude rimase impassibile, continuando a studiare la ragazza che aveva davanti.
Sua madre e Ate erano spesso confuse, nella mitologia greca, e si diceva persino che la seconda fosse figlia della prima. Jude non c'era al tempo degli antichi greci, però sapeva che sua madre era la dea della discordia, mentre Ate quella della rovina e dell'inganno, la quale provocava morte e distruzione al suo passaggio.
Si raccontava anche che Zeus l'avesse scagliata sulla terra, dopo che questa ebbe complottato con Era.
Guardando Annalise, Jude non avrebbe mai immaginato chi fosse sua madre, anche perché non aveva nulla di apparentemente pericoloso, se non la sua bellezza.
C'era qualcosa di estremamente sbagliato e velenoso, nel suo sguardo, lo stesso di una persona che non aveva accetta ciò che è diventata. Ed era questa la differenza fra lui e Annalise: Jude aveva ormai abbracciato la sua parte oscura, lei non era ancora pronta a farlo del tutto.
- Stronzate. - replicò convinto Jude, scattando in piedi. Passò un dito sulla polvere che si era raccolta sulla scrivania, disegnandoci uno smile. - Tutte stronzate. Che c'è, ti si è ammorbidito il cuore, adesso? Hai dei rimorsi, Pevensie? - la schernì, riversandone fuori tutto il suo malumore. La stava aggredendo, certo, ma solo perché sapeva che aveva ragione e che stava mentendo solo a se stesso.
- Non è questo, Jude. - ribatté prontamente lei, una luce sinistra le si accese negli occhi, - È solo che avrei dovuto uccidere quella ragazza, l'ibrida, se non avessi avuto a portata di mano del tranquillante. - sostenne, alzandosi in piedi e gesticolando vivacemente.
Jude si lasciò andare una risata, quella più velenosa che riuscì a mettere insieme. - Credevi che sarebbe stato tutto rosa e fiori, non è così, ragazzina? -
- Non chiamarmi ragazzina. - lo fulminò lei, i loro volti a pochi centimetri l'uno dall'altro, adesso. - Io sono la figlia di Ate. -
- La sua degna erede, a quanto pare. - rispose sarcasticamente Jude, il serpente tatuato sulla sua pelle che sembrava aver voglia di scivolare lungo il suo braccio e mordere Annalise. - Siamo in un labirinto, un labirinto dove i perduti sono gli eroi e i ladri sono lasciati ad affogare. Il sangue scorre, muove gli ingranaggi di tutto questo inferno e sarà dal sangue che creeremo una nuova razza, più forte, più resistente.  -
Fece una pausa, i suoi occhi accesi come quelli di un gatto. - Invincibili, saremo invincibili. - spiegò, il cuore che gli martellava nel petto, - Non c'è posto per i sentimentalismi, Annalise. - concluse, aprendole la porta. La figlia di Ate gli scoccò un'ultima occhiata, le labbra tremanti nell'atto di ingoiare qualcosa che avrebbe tanto voluto dire.
Jude tirò fuori il suo sorriso migliore, mentre lei usciva e si allontanava a passi pesanti e lenti per il corridoio. Il figlio di Eris, una volta rimasto solo, rovesciò la sua collezione di veleni, in uno scatto di  rabbia.
Che gli stava succedendo? Quale guerra si stava combattendo dentro di lui?
Si passò una mano fra i capelli, osservando i veleni mescolarsi assieme e sciogliere il tappeto; il fumo saliva a spirali sottili verso l'alto, spargendo nell'aria un odore dolciastro. Una vocina insistente nella sua testa continuava a ripetergli il nome del vero colpevole della strage dei suoi sentimenti, il nome di colui che gli aveva fatto ingoiare quella famosa bomba, quella bomba che fra poco sarebbe implosa. Aprì la porta, precipitandosi fra i meandri della Casa Grande, gli occhi di una sola persona in testa.
- Theo Bouchard. -
 
 
- Mio signore. -
Takeshi gli camminava di fianco, in mano diversi pezzi di carta dall'aria ingiallita. Il timbro di un drago, apposto sulla parte superiore del foglio, gli fece capire che erano documenti provenienti direttamente dalla C.A.D.M.O.
Ma adesso non aveva tempo.
- Mio signore! - esclamò allora il figlio di Tanato, rincorrendolo per il corridoio. Jude infilò la testa in diverse stanze, tutte vuote, i macchinari per gli esperimenti spenti. - Jude! -
Non appena sentì il suo nome, si voltò, portandosi inconsciamente una mano alla nuca, là dove gli ingranaggi sembravano girare, agendo come una bussola. Non sapeva cosa si stava agitando nel suo cuore, duro e di pietra dopo tutti quegli anni passati a torturare e uccidere persone per conto della cosa. Eppure era qualcosa, qualcosa che non aveva mai provato.
- Takeshi, si. Dimmi. - gli rispose, con aria assente. Il figlio di Tanato alzò un sopracciglio, ma fu abbastanza accorto da non chiedere il perché di quello strano comportamento.
- Amber Martin, dalla sede principale, ha inviato questo messaggio. Dice che è pronta per la fase due e chiede se la cavia sia in condizione abbastanza buone per essere spostata a New York, signore. – gli spiegò, il ciuffo rosso che gli copriva le iridi scure.
Jude per poco non rabbrividì, anche se non lo diede a vedere. Guardò con aria inespressiva i fogli della C.A.D.M.O., la scrittura meccanica di un computer che aveva battuto il messaggio di Amber.
- Signore, cosa devo risponderle? - domandò Takeshi, insistendo. Jude scosse la testa, adocchiando il profilo filiforme di colui che stava cercando alla fine del corridoio, là dove si trovavano le stanze riservate ai traditori.
- Signore! -
Jude gli scoccò un'occhiataccia. - Dille che non siamo ancora pronti. Ci devono concedere ancora due settimane, al minimo. Il soggetto non è ancora del tutto stabilizzato. -
- Ma signore, ciò che sta dicendo non è ... - tentò di dire Takeshi, ricevendone in cambio un'altra occhiata, più truce e pericolosa della prima. - Bene, la avverto nel caso ci siano aggiornamenti. -
Jude non aspettò nemmeno che il figlio di Tanato terminasse di parlare, dirigendosi verso Theo quasi correndo. Il cuore gli batteva così forte da fargli male.
Il figlio di Afrodite non si accorse di lui finché Jude non lo afferrò per un braccio e lo costrinse a voltarsi, baciandolo prima che potesse anche solo rendersi conto di ciò che stava succedendo. E fu allora che Jude scoprì ciò che la sua anima nera necessitava per vivere.
Si sentiva strano, nel senso positivo del termine, ovviamente.
Nessuno, a parte lui, sapeva che aveva vegliato su di Theo, dopo che gli era stato somministrato l'ATT-451. Nessuno sapeva che Jude aveva addirittura pregato gli dei, affinché non morisse, anche se loro erano rimasti silenziosi e muti alle sue suppliche.
Era quello l'amore?
Il figlio di Eris era sicuro di non aver mai provato qualcosa del genere, prima che Theo Bouchard irrompesse con il suo bel faccino nella Casa Grande. Si maledisse, per quel bacio, per il suo comportamento banale, visto che aveva sempre criticato Afrodite e le sue effimere competenze.
Eppure adesso eccolo lì, attaccato alle labbra di uno dei suoi figli.
Sembrava essere passata un'eternità, quando finalmente si staccarono; gli occhi di Theo si erano fatti ancora più rossi del normale, colorati come dal sangue. Tutti provavano qualcosa, chi paura, chi amore, ma, sul suo volto, Jude non riuscì a leggere nessuna emozione.
Forse era per via del colore aggressivo del suo sguardo, così pericoloso, cosa che gli aveva fatto perdere parte della classica bellezza con lo stampino di tutti gli altri suoi fratelli per dargli un'aria più matura e attraente.
Se doveva dirla tutta, Jude lo trovava ancora più eccitante.
Per un attimo, pensò addirittura che lo rifiutasse. Il figlio di Eris lo guardò, una tempesta violenta che si agitava nel suo cuore. Anche se avesse tanto voluto darsi una spiegazione, era successo, si era innamorato e non sapeva neanche perché.
Da quando lo aveva visto Jude aveva provato qualcosa, qualcosa che, durante quelle settimane, aveva gettato le basi per il fiore più bello che avesse mai potuto coltivare.
Jude guardò Theo, non lasciando trasparire nessuna emozione, poi sulla labbra del figlio di Afrodite si increspò un leggero sorriso, un sorriso ingannatore, eppure bellissimo.
"Eros, Eros, il demone più pericoloso di tutti", diceva Platone. E nessuno mai si azzarderebbe ad affermare il contrario.
- Io ... io ... -
- Tu dovresti sapere che è pericoloso toccare un figlio di Afrodite. - sussurrò con malizia lui, prendendogli una mano e facendogli sfiorare il suo petto. Jude, da sempre troppo bravo a nascondere i suoi sentimenti, in quel momento si sentì totalmente annientato da quel genere di piacere.
Al collo portava l'ala di un angelo in bronzo celeste perché era proprio questo, per Jude, ciò che Theo realmente era: un angelo, un angelo caduto che lo avrebbe condotto alla redenzione.
I loro occhi si incontrarono. - Quanto pericoloso? - chiese Jude, prima di baciarlo di nuovo, ignorando la fredda sensazione alla base del suo cuore.
E di lì, di bacio in bacio, finirono a letto: un turbinio di lenzuola, di gemiti e di labbra le une sulle altre. Le mani che si cercavano e si riconoscevano a vicenda. E poi la pelle e i suoi odori, le malizie dell'amore.
Per la prima volta nella sua vita, Jude si sentiva finalmente e felicemente completo.
- Mi dispiace per questo. - gli confessò, indicando i suoi occhi, dopo essersi che furono scambiati tutto ciò che avevano da darsi. Non aveva mai chiesto scusa, a nessuno. - Era la procedura, non ho potuto farci niente. -
Theo abbassò lo sguardo, accarezzandogli dolcemente la mano con fare pensieroso. - Non voglio pensare a quello che mi è successo, Jude. - rispose, un'ombra di tristezza che passava sul volto, - Perché ti chiami proprio Jude? - domandò, con fare curioso, i suoi occhi rossi che mal si intonavano alla pietra blu che gli brillava al dito.
Jude alzò gli occhi al soffitto, mettendosi una mano sotto la testa.
- È complicato. - rispose, il suo petto che si alzava ed abbassava al ritmo del suo respiro. Theo venne illuminato da un raggio di luna, il suo sorriso che avrebbe potuto far sciogliere anche Ade, per quanto era dolce in quel momento.
Fece camminare due dita fra i suoi pettorali, indugiando sulla linea dello sterno. - Prova a spiegarmelo, abbiamo tutto il tempo, no? -
Jude imbastì una risata, scacciando la voce di Takeshi che lo avvertiva che avrebbero dovuto trasferire Theo per la fase due dell'esperimento: in quel modo avrebbe mai potuto dire a colui che credeva di amare che avrebbero dovuto condurre su di lui altri atroci torture?
- Certo, tutto il tempo che ci serve. -
- Non avevo dubbi. - rispose Theo. E il suo sorriso fu l'ultima cosa che Jude vide, prima di cadere in un sonno profondo.
Se doveva essere onesto, Jude era davvero stanco dei sogni: dopo l'incubo che aveva fatto, chiudere gli occhi era diventato spaventoso e terribile. Nessuno poteva sapere ciò che Morfeo ti avrebbe permesso di vedere, perciò Jude, i cui incubi si erano fatti sempre più forti e vividi, ne aveva paura.
In quel momento stava fluttuando nel nulla più assoluto.
- Osserva per bene, non ti sarà concessa una seconda occasione. - gli disse qualcuno alle sue spalle, una voce cavernosa e roca, - Uno dei tuoi uccelli più cari tradirà finirà con l'ucciderti. -
Per un istante, un terribile istante la sua mente tornò a sua madre e al suo scuro pomo della discordia. Poi scivolò per la sua gola, incontrando suo padre e la sua accetta, rotolando nella pozzanghera e poi nel vassoio d'argento, per arrivare infine alla morte e al suo tetro avviso.
Era la stessa voce ad aver parlato?
Sentì le ombre farsi più dense, intorno a lui, prima che si condensassero e dessero forma ad una mappa di guerra. Jude ci mise un po' a capire che area fosse stata rappresentata, ma poi si rese conto che altro non era che la baia di Long Island e il suo Campo Mezzosangue. Se avesse guardato con più attenzione avrebbe persino potuto riconoscere lo strato di Foschia che lo circondava.
Poi una mano lo afferrò per l'addome, spingendolo verso le tenebre alle sue spalle. Chiuse gli occhi, infuocandosi come una cometa ed atterrando in maniera incorporea in quella che era la sua camera nella Casa Grande.
Sperò quasi di essersi svegliato, ma, quando registrò la presenza di altre due persone nella stanza, fu sicuro di stare ancora sognando.
Fu come guardarsi ad uno specchio: Jude, quello vero, quello che stava dormendo beato, era disteso al fianco di Theo, il braccio con il serpente lasciato penzolare verso il pavimento di legno. Jude osservò se stesso e i suoi capelli scompigliati, quelli in cui il figlio di Afrodite aveva passato le sue dita.
Che stava succedendo? Era morto? No, altrimenti il vero Jude non avrebbe respirato. E allora cos'era, un'esperienza extracorporea?
Mentre si guardava intorno alla ricerca di qualcuno di qualcosa, gli occhi rossi di Theo brillarono nell'oscurità e guardarono esattamente nella direzione del Jude incorporeo. Si alzò dal letto il più lentamente possibile, cercando di non svegliare il figlio di Eris, scivolando fuori dalle lenzuola con un'espressione guardinga.
Continuava ad osservare la porta, come se avesse paura che qualcuno potesse entrare all'improvviso e scoprire ciò che stava facendo.
Ma cosa stava facendo, esattamente? Jude non lo sapeva, ma poteva solo limitarsi ad osservare, come gli era stato consigliato.
Quando si erse in tutta la sua altezza, Jude notò qualcosa che, nella foga di gettarsi fra le sue braccia, non aveva notato: da sopra di boxer scuri Theo indossava una sorta di cintura d'oro, decorata da maglie di bronzo e scene d'amore, un oggetto che sembrava attirare tutte le linee curve dei suoi muscoli abbastanza marcati. Il figlio di Afrodite si infilò i calzini, cercando la maglia a tastoni fra i panni che avevano gettato a terra, spiato dagli occhi invisibili del Jude incorporeo.
Quando quel veloce spogliarello al contrario ebbe fine, Theo si avvicinò al Jude dormiente e gli prese la chiave che di solito portava al collo. Il Jude incorporeo si portò le mani alla gola, attraversandosi, osservando poi Theo afferrare il suo coltello e premerglielo alla gola.
- Ἂν ἡ λεοντῆ μὴ ἐξίκηται, τὴν ἀλωπεκῆν πρόσαψον. - disse, la sua voce che non suonava né fredda né dolce, semplicemente apatica, - Se la pelle di leone non basta, indossa quella di volpe. -
E fu allora che Jude capì.
Mentre Theo affondava la lama nella sua gamba, Jude si svegliò di soprassalto, sentendosi investire dal dolore ed ingoiando l'urlo che gli era salito su per la gola. Rivolse un solo sguardo al suo amato, o a colui che considerava tale, un'espressione nei suoi occhi a metà fra la furia contro se stesso e quella contro Theo Bouchard per essere stato così stupido.
- Ti avevo detto che era pericoloso toccare un figlio di Afrodite. - disse, il sangue che scorreva, sacrificato sull'altare del loro falso amore.
Jude tentò di attaccare, ma Theo fu abbastanza agile da torcergli il braccio all'indietro e legargli le mani con un pezzo di stoffa, il quale sarebbe durato abbastanza da permettergli di scappare.
- Non hai seguito il mio consiglio. - continuò, sarcastico, sfilando il pugnale e facendo defluire altro sangue. Jude gli sputò addosso, mentre Theo gli cacciava un altro pezzo di stoffa in bocca e lo zittiva. Poi passò a legargli le gambe, in modo che non potesse avvertire i suoi soldati.
- Non prenderla come una cosa personale, non avrei mai voluto farlo Jude. - gli sussurrò Theo, il tono suadente che sarebbe potuto passare per lingua ammaliatrice, dono che però non possedeva.
Per un attimo lo guardò negli occhi e a Jude sembrò scorgervi pena, forse per via del fatto che lo aveva legato come una bestia da macello.
Là dove la stoffa premeva contro la sua pelle il sangue pompava più velocemente. Theo gli diede un ultimo bacio sulle labbra, soppesando la lama con lo sguardo rosso e selvaggio.
Uno dei tuoi uccelli più cari tradirà e finirà con l'ucciderti.
- Ma era la procedura, non ho potuto farci niente. - affermò, calando il coltello anche nell'altra gamba e scappando via, prima che Jude cadesse in una spirale di dolore e lacrime.
Amor delet omnia.
 
 
 
__________________________
♔ King says: Ask me 
 
 
Potrete mai perdonarmi? Potrete mai, miei cupcakes adorati? c.c
Prima di dire altro, vorrei davvero scusarmi con tutti voi che seguite la storia per non aver aggiornata prima. Però, a mia discolpa, posso dire che c'è stato un complotto contro di me! Praticamente tutti i professori a scuola si sono coalizzati mi hanno tipo ... prosciugato tutte le energie? Paragone orribile, non so se rende l'idea xD
E poi (per chi mi segue su Ask già lo sa) ogni volta che prendevo in mano il computer per scrivere mi ritrovavo senza ispirazione, completamente distrutto e crollavo a dormire.
So, non fucilatemi se il capitolo arriva solo adesso. Anzi, devo anche sbrigarmi perché tipo ho già gli arretrati di storia, fantastico, e devo recuperarli al più presto. #storiamateriainutile
Vi ho fatto attendere parecchio per Jude, ma spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, visto che a me entusiasma tantissimo ♥ Passiamo alle delucidazioni, shall we?
 
 
► In questo capitolo conosciamo meglio Jude Verrater (Phebe Junivers), il nostro cattivone preferito. Inutile dire che lo amiamo tutti, visto che è tipo l'emblema della bad-assaggine (?), no? Anche se profondamente bastardo, ho cercato di caratterizzare al meglio il suo lato debole, quello fragile, quello che prova sentimenti e quindi allontanarlo dallo stereotipo del classico cattivo.
Jude è un ragazzo dal passato tenebroso, misterioso e ha solo bisogno di qualcuno con cui cercare di salvare e redimere la sua anima. Se ancora non ci siete arrivati, Jude non è proprio cattivo, ma ci sono stati diversi avvenimenti che lo hanno portato a diventarlo e lui vuole cercare di smettere.
Beh, che mi dite, ci sono riuscito?
Spero di si :3 E poi voglio, naturalmente, le vostre impressioni, cupcakes, anche perché tipo mi avevate chiesto una sorta di threesome tra Theo, Jude e Takeshi AHAHAHAHAHAH Beh, dopo quello che ha fatto il mio pargolo credo che non si potrà più attuare molto facilmente :')
Ho cercato di non entrare molto nei dettagli, durante le scene hot, dato che non a tutti piacciono ed è giusto così.
Mi sento un po' bastardo a dirlo, ma Theo ha sedotto Jude solo per la chiave (a proposito, che sarà mai secondo voi?), quando invece Jude lo amava davvero. Quindi quando Jude corre verso Theo e lui risponde al bacio è solo l'espediente che il mio pargolo usa per ingannarlo, inganno reso ancora più efficace grazie alla fantomatica cintura u.u Ma che diamine è questa cintura? Ditemi voi, non è molto difficile c:
Ho provato a caratterizzare meglio anche il mio Theo ed il suo essere figlio di Afrodite che lo porta ad avere molti talenti nascosti.
Le ultime due ferite che Theo infligge a Jude sono una sorta di rivendicazione morale per ciò che gli è stato fatto, quindi anche se può sembrare stronzo e bastardo, ho fatto agire Theo secondo la legge dell'occhio per occhio.
Nemesi sarebbe fiera di me ♥
Abbiamo conosciuto un po' meglio anche Annalise e il esuberante caratterino. Ovviamente la rivedremo in seguito, anche perché non le ho dato molto spazio. #sorry. Ho provato a concentrarmi su Theo e Jude, piuttosto, e posso solo sperare che il capitolo vi sia piaciuto!
 
► Le due frasi, quella in greco e in latino, le ho messe per lasciare trasparire un po' l'atmosfera cupa e dolorosa del capitolo. Insomma, parliamo di un cuore spezzato. Jude, sorry xD
♠  Quella in greco è stata presa da Wikipedia, visto che non conosco il greco. Se non è corretta ditemelo subito e io provvederò a correggerla;
♠ Quella in latino, invece, è una chiara allusione ad "Amor Vincit Omnia" di Catullo, solo che qui è stata cambiata ed intesa come "L'amore distrugge tutto." in quanto Jude, che per l'unica volta che si innamora in vita sua, riceve in cambio solo dolore. Povero piccolo :c

Beh, credo di aver finito con i miei sproloqui c:
Vorrei solo dirvi che il prossimo capitolo potrebbe arrivare forse fra due settimane, ma non è sicuro cupcakes. Posso dirvi che, finalmente, nel prossimo capitolo i nostri semidei scapperanno.
ALEEEEEEEEEEEEEEE :')
Appena ho un po' di tempo libero mi metto al lavoro, promesso! Come sempre ringrazio coloro che hanno recensito la scorsa volta, coloro che mi seguono su Ask, coloro che mi sono vicino e mi danno la forza per andare avanti.
Ve se ama ♥
Alla prossima,
 
 
King. 
 

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Soon on Heaven Knows: Asher ♠ Stella del Mattino

 
 

 

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Capitolo 7
*** Asher ♠ Stella del Mattino ***



Heaven Knows
♔ Official Video Trailer 
 
 

 
Asher ♠ Stella del Mattino


- Stai scherzando, vero? -
Asher aveva visto tante cose strane nella sua vita, ma ciò che Anthony gli stava mostrando andava ben al oltre l'umana comprensione: in quel momento si trovavano allo spaccio del campo, un posto relativamente piccolo, ma contenente quasi ogni genere di cianfrusaglia, dalla manicure per empuse agli ampi scialli decorati dalle Gorgoni.
Inutile dire che, la maggior parte degli oggetti in vendita, erano perlopiù inguardabili.
Asher scosse la testa, soffocando un risata. - Ehm, non stai scherzando. - si rispose da solo, mentre il volto di Nick, alla sua destra, si contorceva, cercando in qualche modo di trattenersi.
- Mi spieghi cosa te ne fai di quello? - gli chiese il figlio di Efesto, indicando il grosso costume che Anthony faticava a reggere fra le braccia per quanto fosse pesante, - Sono sicuro che, una volta indossato, sembrerai una gigantesca quaglia con problemi di deambulazione. - commentò, non riuscendo a più a contenersi.
Asher imbastì un sorriso, gli occhi lucidi, mentre il figlio di Apollo si frugava nelle tasche, alla ricerca di dracme d'oro.  - Invidiosi. - rispose lui, facendo loro la linguaccia e trascinandosi dietro l'armatura della Ghiandaia Imitatrice.
Asher lo seguì con lo sguardo fino alla cassa; poi, riparandosi dietro uno dei tanti scaffali, si concesse il permesso di piegarsi in due dalle risate. Un ragazzone biondo dietro di lui alzò un sopracciglio, ma continuò a rovistare fra i ripiani senza dirgli nulla.
- Ti prego Nick, smettila. - lo pregò Asher, ridendo ancora più forte quando il figlio di Efesto imitò una gallina, afferrando un buffo copricapo lì vicino e ficcandoselo in testa, - In nome di tutti gli dei, ti prego. - implorò, mantenendosi la pancia.
Nick ritornò in posizione eretta, tossicchiando. - Certo, mi so dare un contegno, io. - disse, incapace di trattenere le risate mentre Anthony tornava indietro, raggiante per il suo nuovo acquisto. Incrociò le braccia al petto, osservando i suoi amici reggersi l'uno all'altro.
Alzò gli occhi al soffitto, in attesa che la smettessero. - Chi è che sapeva darsi un contegno? - li canzonò, fingendo di pensarci su, scoppiando poi a ridere.
Per poco non rovesciarono un'intera collezione di cristalli raffiguranti Eracle, vittorioso e trionfante durante il corso delle sue dodici fatiche, riuscendo a fermarsi appena in tempo prima di compiere un disastro.
- Basta, ok? - propose Anthony, dopo che tutti i presenti all'interno dello spaccio gli ebbero guardati male. Asher annuì, alzando un dito per chiedere un minuto di tregua, mentre Nick rimaneva a terra, respirando profondamente per calmarsi.
- Credo sia anche ora. - disse qualcuno alle loro spalle, - Vi ha praticamente sentito tutto il campo. -
Rain era appoggiata ad uno scaffale dietro di loro, un mezzo sorriso cripticamente accennato sulle sue labbra: quel giorno la sua chioma rossa era stata raccolta in una treccia a spina di pesce, portando automaticamente Asher a chiedersi quale personaggio stesse interpretando.
Nel momento in cui la vide, Anthony corse ad abbracciarla, visto quanto fosse saldo e stretto il loro rapporto, rafforzatosi dopo tutto il tempo che avevano passato insieme. Le mostrò il suo costume, incerto come avrebbe potuto essere un bambino con sua sorella maggiore.
- Dimmi che ti piace. Questi due zoticoni non capiscono niente di cosplay. - le chiese, offendendoli con aria innocente. La figlia di Ecate imbastì un sorriso, scompigliandogli poi i capelli con dolcezza, senza però pronunciarsi sul costume.
Il sorriso scomparve pian piano dal volto di Asher: era stato vicino a Rain durante i suoi periodi bui, durante lo stile dark, quello depresso, eppure non le aveva mai visto quell'espressione preoccupata addosso, un concentrato di paure ed insicurezze che avrebbero fatto cedere chiunque. Prima che qualcun altro potesse accorgersene, Asher le fu accanto.
- Stai bene? - domandò, ricordando il modo in cui si erano sentiti indifesi sotto il portico della cabina di Demetra, quando Jude Verrater era venuto personalmente a prelevare Rain per farle fare chissà cosa; qualcosa che la figlia di Ecate non era ansiosa di rivelare loro.
- Sembra che tu abbia visto un fantasma. -
Rain annuì, guardando Asher dritto negli occhi, in quella che gli sembrò essere una disperata richiesta d'aiuto. - Qualcosa del genere. - rispose, facendo segno a Nick di rialzarsi alla svelta e prestare la massima attenzione.
- Rain, cominci a farmi paura, lo sai? - le disse Anthony, prima che la figlia di Ecate si portasse un dito alla bocca e si guardasse intorno, spingendoli contro la parete, al riparo da orecchie indiscrete.
Asher osservò le sue spalle, sempre così leggere, ora curve e pesanti come quelle di una vecchia; i suoi occhi erano spenti, privi della loro caratteristica allegria. Le sue mani erano fredde e tremanti, chiuse a pugno per evitare che gli altri vedessero ciò che stava provando.
Che cosa era successo alla spensierata figlia di Ecate che conosceva?
- Ci spieghi cosa diavolo ... -
- Non urlare, Ash. - lo ammonì lei, abbassando la sua voce finché non si ridusse ad un sussurro, - Non possiamo permetterci il lusso di farci notare, se vogliamo portare questa cosa fino in fondo. - mormorò, guardandosi intorno con lo stesso sguardo impaurito di una cerva braccata da un cacciatore.
Asher inarcò le sopracciglia, scuotendo leggermente la testa. - Di cosa si tratta? - domandò, cercando di ancorare i suoi occhi, in qualche modo, senza però riuscirci. Rain prese le mani di Nick e di Anthony, rivolgendo loro una fugace occhiata.
- Dovete promettermi che non ne farete parola con nessuno. -
I tre ragazzi si guardarono fra loro con aria incerta, ma decisero di non fiatare e di fidarsi di Rain. Dopo che tutti ebbero assentito, Rain lasciò andare le loro mani, come se avessero appena stretto un giuramento, voltando il capo e guardando attraverso la piccola finestrella che dava sull'arena del campo.
- Ho rianimato un cadavere. -
Ad Asher sembrò che gli avessero appena dato un pugno nello stomaco. Guardò prima Rain, poi i suoi amici, poi ancora Rain; spalancò la bocca, sgranò gli occhi, incapace di afferrare ciò che per gli era stato rivelato.
- Impossibile. - fu l'unica cosa che il figlio di Eos riuscì a dire, mentre la ragazza abbassava lo sguardo, facendogli intuire che qualcosa, dentro di lei, si era rotto per sempre.
- Negromanzia? - chiese allora Nick, spezzando il silenzio. I tatuaggi sulle sue braccia sembravano farsi via via più scuri, come se stessero assorbendo la luce intorno a loro per farli piombare nell'oscurità più totale.
Tenebre e ombre, il sonno della ragione.
Asher ebbe solo il tempo di notare una leggera macchia violacea sul polso destro di Rain, prima che lei la nascondesse con un gesto veloce della mano. - Non so perché Jude l'abbia chiesto proprio a me, ma l'ho fatto. -
Lo scricchiolio del legno sotto i loro piedi sembrava il sottofondo di uno di quegli horror che Asher aveva visto tante di quelle volte, anche se adesso la finzione era diventata realtà.
Si chiese come potesse essere possibile riportare indietro una persona dalla morte: gli eroi del passato c'erano riusciti, certo, ma lo avevano fatto grazie all'aiuto degli dei. E allora quanta forza celava in sé la fragile figlia di Ecate che aveva davanti?
- Abbiamo poco tempo, ragazzi. Ho bisogno che voi mi crediate. -
Asher non sapeva esattamente cosa pensare, né cosa fosse bene rispondere, ma annuì.
- Rain. - sussurrò e, anche se era solo un nome, suonò più come una preghiera. La labbra della ragazza si incresparono in un leggero sorriso quando anche Anthony e Nick assentirono, chiedendo però il resto della storia.
- Stiamo cercando di scappare dal campo. - rivelò, zittendoli prima che potessero aggiungere altro, - Si, vi sembrerà un'impresa suicida, ma possiamo farcela. - terminò con un sussurro, mentre nei suoi occhi si riaccendeva una scintilla di speranza.
Il cuore di Asher fece una capriola. - Stai parlando di una fuga vera e propria? - domandò, la curiosità che prendeva la meglio sullo sconcerto per le notizie che aveva appena appreso. - È troppo pericoloso. -
- Asher ha ragione. - gli fece eco Nick, un teschio cieco che faceva capolino dai suoi tatuaggi, - Moriremo prima di poter raggiungere la Foschia. E, se anche ci riuscissimo, non potremmo oltrepassarla. - sostenne, la sua espressione solitamente felice che si era fatta improvvisamente seria.
Rain scosse la testa, la treccia rossa che seguiva i movimenti pesanti delle sue spalle. - So come possiamo spezzare la protezione intorno al campo. O almeno, so come arginarla il tempo necessario per scappare. - sussurrò, fermandosi non appena il ragazzone biondo che prima aveva guardato male Asher faceva cadere un antico vaso greco di pessimo gusto, - Theo ha un piano. -
- Theo? - chiese improvvisamente Anthony, dimenticandosi di parlare a bassa voce. Il figlio di Apollo fece una rapida rassegna mentale per capire se conoscesse o meno quel ragazzo, inarcando un sopracciglio quando si accorse di non sapere chi fosse.
Rain annuì, impaziente. - È il semidio che ho salvato. - rivelò, seguendo con lo sguardo i movimenti dei ragazzi che stavano raccogliendo i cocci del vaso rotto, - Mentre era dall'altra parte ha parlato con vari spiriti. Gli hanno rivelato come aprire una breccia nella Foschia. -
Più Asher ci pensava, più i pezzi del suo puzzle si facevano confusi. - Ci dovremmo fidare della parola di un semidio rinato e di una manciata di spettri? - domandò Nick, dando voce ai suoi dubbi, - Senza offesa Rain, ma non mi fido. - affermò, spostando il peso del suo corpo da un piede all'altro.
- Non vi sto chiedendo di fidarvi di uno sconosciuto, ma di me. - ribatté prontamente lei, scuotendo la testa. Sotto la luce fioca del giorno, i capelli di Rain sembrarono andare a fuoco. - Vi ho mai deluso, ragazzi? - chiese, guardandoli uno per uno.
Asher abbassò lo sguardo. - No. -
- E allora credete in me! Abbiamo sempre sognato di ritornare lì fuori. - sussurrò con più veemenza, gesticolando energicamente mentre parlava, - Adesso ne abbiamo l'occasione: sta a noi scegliere se sfruttarla o meno. -
Calò un silenzio di tomba.
Nick si abbassò le maniche, coprendo i suoi tatuaggi. I suoi occhi duri ricordavano ancora la tragedia che la sua mente rifiutava invece di registrare. - Di che cosa hai bisogno? -
Rain si lasciò finalmente andare un sorriso, uno di quelli veri, quelli che le illuminavano il viso. - Un melograno. - rispose, liberando un piccolo pettirosso tenuto in ostaggio in una gabbia a due passi da loro. Aprì la finestra alle sue spalle.
- Un melograno? - chiese confuso Anthony, trascinando il suo costume da Katniss Everdeen sul pavimento e sollevando un alone di polvere.
- Un melograno. - confermò certa la figlia di Ecate, accarezzando la fronte castana dell'uccellino con due dita. Il piccolo esserino apprezzò le sue coccole, pigolando in maniera dolce.
- E dove lo prendiamo, un melograno? - domandò Asher, mentre Rain lasciava volare via il pettirosso, augurandogli buona fortuna.
L'uccello salì sicuro verso il cielo plumbeo, un'unica macchia colorata contro il grigio monotono delle nuvole, disegnando ampi cerchi, prima di sparire dalla loro visuale.
- Io credo di saperlo. - rispose una nuova voce alle loro spalle. Asher si voltò, trattenendo il fiato.
 
 
 
 
Cinque minuti a mezzanotte.
Asher e Rain si erano appostati dietro una fila di alberi che costeggiavano il lato occidentale della Casa Grande, quello riservato alle camere dei traditori. Protetti dal favore della notte e dalle fronde folte degli alberi, stavano aspettando il segnale convenuto prima di scatenare il caos.
- Sei ridicolo, Ash. - gli sussurrò affettuosamente Rain, dopo che il ragazzo si ebbe sporcato il viso con due linee scure di terra, in pieno stile commando boy. Asher imbastì un lieve sorriso, notando come quella fosse una delle poche cose carine che la figlia di Ecate gli avesse detto dopo il giorno del complotto.
E ad Asher, seppur fosse solo una pia illusione, quelle uniche tre parole gli fecero sembrare che non fosse cambiato nulla, anche se Rain aveva rianimato un cadavere e lui stesso teneva in mano un arco, in attesa di uccidere.
Asher non aveva mai tolto la vita a qualcuno, men che meno ad una persona.
- E tu sei sempre così divertente, sai? - ironizzò, cercando di allontanare il pesante macigno che sentiva sul petto; la medesima sensazione che provava un condannato a morte prima che calasse la ghigliottina. Rain imprecò, portandosi il binocolo all'altezza degli occhi e spostandolo da destra a sinistra.
- Che sta succedendo? - domandò Asher, osservando la sua espressione preoccupata. Rain abbassò il binocolo, facendogli diversi segni ed indicandogli tre punti alla sua sinistra. Asher, i cui occhi ormai si erano abituati all'oscurità che li avvolgeva, riuscì a scorgere il profilo nerboruto di due ragazzi e un lestrigone.
Di Immortales.
- Hanno aumentato la sicurezza. - spiegò Rain, scuotendo la testa, - Per questo motivo dobbiamo fare ancora più attenzione. Forse sospettano qualcosa. -
Asher rivolse un ultimo sguardo alle guardie della Casa Grande, controllando l'orologio. Mancavano solo tre minuti a mezzanotte, poi, dopo il segnale che stavano aspettando, la grande fuga sarebbe finalmente iniziata.
Alzò lo sguardo al cielo, riconoscendo la stella polare e la costellazione dell'Orsa Maggiore. Esattamente non sapeva cosa pensare: il Campo Mezzosangue era stata la sua casa per ben due anni e, adesso, abbandonarlo gli sembrava un atto di codardia. Eppure la situazione non poteva fare altro che peggiorare.
Le nuvole erano sparite, quindi forse Zeus era di buon umore e avrebbe guardato con un occhio di riguardo la loro impresa. Rivolse una preghiera muta a sua madre, ringraziandola per il suo insolito talento, ovvero quello di orientarsi guardando il cielo.
Osservando il luccichio ammaliante delle stelle, Asher si sentì una minuscola, ma importante parte di quell'intero universo.
- Rain, so come ti senti. - sussurrò il figlio di Eos, incoccando una freccia dalla punta in bronzo celeste, - Scusami se ti ho giudicato senza conoscere tutti i fatti. -
Rain abbassò lo sguardo, i suoi occhi che rilucevano alla debole luce della notte. - Non preoccuparti, probabilmente lo avrei fatto anche io. -
- È solo che ... che mi sei sembrata così diversa, ecco. - continuò il figlio di Eos, prendendole la mano. Rain guardò prima le loro dita incontrarsi e poi alzò lo sguardo al volto di Asher, interrompendo il loro contatto.
- Diversa come? - gli chiese lei, facendogli scoprire di non avere parole per rispondere a quella domanda. Asher fissò i contorni sfumati del suo viso, mentre la figlia di Ecate richiamava la Foschia dalle profondità della terra e questa prendeva a vorticarle intorno. - Come un mostro? -
- Come un mostro. - ripeté meccanicamente Asher, scuotendo poi la testa. - Come un mostro? - domandò, una nota di sorpresa e confusione nella sua voce.
Rain alzò gli occhi ad una delle finestre della Casa Grande, là dove si accese il bagliore della fiamma di una candela. - Già, come un mostro. - sostenne duramente , alzandosi in piedi e spedendo la Foschia contro due sentinelle che passavano davanti a loro, stroncandole prima che potessero accorgersi cosa stesse succedendo.
Mezzanotte, la fuga era cominciata.
Nei minuti che seguirono, la mente di Asher non fece altro che arrovellarsi sulle ultime parole di Rain, la sua voce aspra che continuava a risuonare nelle sue orecchie. Scoccò una freccia contro il lestrigone, puntando dritto al cuore, ma uno dei semidei che pattugliavano assieme al mostro sfruttò il vento per deviare la sua traiettoria e spedirgli contro la sua stessa arma.
Asher rotolò sull'erba bagnata, evitando la freccia, venendo quasi schiacciato dal lestrigone e dal suo enorme piede. Sbatté il fianco contro il muro della Casa Grande, riuscendo a rialzarsi a malapena solo per trascinarsi fino al punto in cui avrebbe avuto una visuale di tiro migliore.
Eppure non ci riuscì.
Si sentì tirare per le caviglie da una forza invisibile e perse la presa sul suo arco. Afferrò una freccia e, usando tutta la sua forza di volontà, puntò all'aggressore alle sue spalle, pugnalandolo al ventre. Cadde a terra, assaggiando il sapore della terra bagnata, toccandosi delicatamente il taglio che si era procurato sulla guancia.
Alzò gli occhi, facendo un rapido calcolo della situazione.
Non era di certo una stratega, ma sapeva di non poter competere contro due semidei, anche se uno di loro era stato ferito, e un lestrigone che facevano gioco comune: sicuramente il ragazzo ancora incolume sarebbe corso a dare l'allarme da un momento all'altro, quindi era lui quello da fermare.
Lo doveva a Rain.
Il semidio che aveva ferito si stava trascinando verso gli alberi, quindi Asher modellò una sfera di luce e gliela spedì contro, stordendolo. Poi si puntellò sulle ginocchia, rotolando via dalla linea di attacco del lestrigone, anche se purtroppo non fu abbastanza veloce: sentì una fitta di dolore sul fianco ancora sano e poi il sangue incrostarsi sulla sua mano.
La guardò come se non fosse la sua e si stupì di quanto gli uomini non fossero altro che macchine fatte di carne e sangue; macchine perfette, ma altrettanto vulnerabili.
La stella polare risplendeva sopra di lui, donandogli nuova forza. Si rimise in piedi il tempo necessario affinché vedesse la seconda sentinella fuggire verso la Casa Grande. Asher si portò la mano alla faretra, ma si ricordò ben presto di aver perso il suo arco.
Terrorizzato all'idea che i traditori avessero potuto scoprirli, cominciò a correre, ma venne sbalzato via dalla mano del lestrigone, facendo un volo di dieci metri e sbattendo con le spalle contro il muro della Casa Grande. Adesso si sentiva indolenzito dappertutto e non c'era centimetro del suo corpo che non implorasse pietà.
Forse gli avrebbe fatto comodo, essere una bestia.
Il mostro stava correndo verso di lui, il semidio stava andando ad informare i suoi superiori. Puntò i suoi occhi al cielo notturno, mormorando qualcosa in greco, poco prima che il lestrigone emettesse un lieve gemito di protesta.
- Ash, rimani sveglio. - gli disse Anthony alla sua destra, mentre il figlio di Eos apriva leggermente le palpebre e riconosceva i contorni del figlio di Apollo, il quale stava armeggiando freneticamente con il suo polso.
- Non dovresti essere qui. - fu l'unica cosa che riuscì a cavarsi di bocca, prima che il dolore invadesse il suo petto. Non aveva mai combattuto, eppure adesso eccolo lì, sul ciglio di un burrone, al collasso proprio per delle ferite di guerra.
- Certo. - sbraitò il figlio di Apollo, spalmandogli una pomata alle erbe sul taglio sulla guancia, - E lasciarti morire qui? No grazie, idiota. -
Asher si permise il lusso di lasciarsi sfuggire un sorrisetto, poco prima che Anthony e la sua magia curativa cominciassero ad agire sulle sue ferite: ad ogni parola in greco antico che mormorava, il suo volto si faceva più pallido e slavato, come quello di una rosa malata.
- Nick? - chiese il figlio di Eos dopo che il suo amico lo ebbe costretto a rimettersi in piedi, seppur provasse dolore ovunque.
- Ha ucciso il lestrigone e credo abbia intercettato anche la sentinella. - spiegò Anthony, facendolo appoggiare al muro e controllando se avesse altre ferite gravi che potesse in qualche modo curare. - Da quanto tempo Rain è dentro? -
Asher strinse i denti. - Troppo. -
Anthony imprecò a mezza voce una serie di insulti in greco. - Lo sapevo che era troppo pericoloso. - sospirò amaro, - E se l'avessero catturata? - domandò, la luce dell'unico spicchio di luna che rendeva ancora più pallido il suo volto.
Asher scosse la testa, ricordando come avesse dubitato della figlia di Ecate allo spaccio del campo. - Abbi fede, Tony. Abbi fede. -
Passarono i minuti. L'orologio di Asher si era rotto durante la colluttazione e da allora era rimasto fermo sulle dodici e dieci. Calcolando che erano passati poco più che dieci minuti, avevano ancora abbastanza tempo per raggiungere il bosco e trovare il melograno.
- Nathaniel? -
- È al suo posto. - fu l'unica cosa che gli rispose Anthony, le unghia tutte mangiucchiate per l'ansia. Asher, d'altro canto, sembrava stare meglio, quel tanto che bastava per riprendere il suo arco e appostarsi nell'ombra, in attesa.
Mezzanotte e venticinque.
Fu il rumore di alcuni passi a richiamare la sua attenzione, impedendogli di cadere vittima di Morfeo: Rain e tre ragazzi che non conosceva stavano avanzando verso di loro; lei e quello che doveva essere Theo aiutavano una terza ragazza a camminare alla svelta. A chiudere il quartetto una bionda dagli occhi grigi, senza dubbio una figlia di Atena.
- State bene? - chiese improvvisamente Anthony non appena li vide, il volto della ragazza disabile ceruleo e di una strana sfumatura azzurra. - Dei dell'Olimpo, posso aiutare in qualche modo? -
Rain sbuffò per lo sforzo di reggere il peso della ragazza. - No, andiamo via. Abbiamo poco tempo. -
Asher annuì, osservando prima i contorni morbidi del viso di Theo e poi i ricci biondi della figlia di Atena, chiudendo in retroguardia il gruppo di fuggitivi dopo aver recuperato arco e frecce. Oltrepassarono quelli che una volta erano i campi di fragole, il cerchio delle cabine, immergendosi poi nel bosco dove disputavano periodicamente la Caccia alla Bandiera.
Lì, ad aspettarli, oltre a Nick e ai suoi scuri tatuaggi, vi era anche un ragazzo biondo e dalle spalle larghe. Asher lo riconobbe come il semidio che gli aveva parlato allo spaccio, quello che lo aveva guardato male e che aveva rovesciato l'antico vaso di ceramica greco.
Nathaniel Reeve sospirò, incoccando una freccia dalla punta violacea. - Siete in ritardo. - disse, cominciando a far loro strada attraverso il sottobosco.
Anche se c'era qualcosa di rude nei tratti nordici del suo viso, Asher si era subito fidato di lui, soprattutto dopo che aveva raccontato di sapere dove trovare l'unico melograno presente al Campo Mezzosangue.
- Manca ancora molto? - domandò Theo, dopo che si furono fermati per riprendere fiato. I suoi occhi scintillavano rossi come quelli di un demone, in quell'oscurità.
Il figlio di Nemesi sbuffò, indicando con la punta della freccia una vasta porzione di vegetazione imprecisata davanti a loro. - Alcune decine di metri, immagino. -
- Si può sapere a cosa serve, questo melograno? - chiese Asher, appoggiandosi al tronco scorticato di un albero con il fiato corto. Guardò intensamente Rain in attesa di una risposta, ma lei distolse lo sguardo e, a rispondergli, fu proprio Theo Bouchard.
- Per aprire una breccia nella Foshia. - spiegò, la voce più seria che Asher avesse mai sentito addosso ad un figlio di Afrodite - È il frutto che riuscì ad imprigionare Persefone negli Inferi ed è ciò che permetterà a noi di uscire da questo inferno. –
Nick tirò su col naso. - Come? -
- Il suo succo è quanto di più simile al sangue si possa trovare in natura. Ci servirà il suo potere mistico per spezzare per qualche secondo la barriera intorno al campo. Dopodiché interverranno Rain e la sua magia. -
Calò poi il silenzio, riempito dal richiamo stridulo e lugubre dei gufi.
Anche se nessuno ne aveva voglia, Vittoria, la figlia di Atena, spronò tutti a continuare la marcia, riconoscendo che, a quell’ora, i traditori erano già a conoscenza della loro fuga.
Anche se la sua milza non faceva altro che protestare, Asher continuò a muoversi, il bronzo celeste delle sue frecce che guidava i suoi passi.
Giunsero infine ad uno spiazzo rotondo, dove tre tronchi d'alberi secchi formavano un semicerchio, molto simili a dei troni. Edera e verbena erano cresciute fra le spaccature del legno, liberando il loro profumo dolciastro nell’aria.
Il consiglio dei Satiri Anziani. gli suggerì la sua testa, ricordando con quanta ferocia essi fossero stati sterminati affinché non sobillassero i mezzosangue a ribellarsi. La tradizione voleva che, morto un satiro, egli rinasceva a formare una nuova pianta, sempre più forte della reincarnazione precedente.
E forse era proprio uno dei Satiri Anziani il gigantesco melograno che avevano davanti. Un unico frutto pendeva dai sui rami, grande e maturo.
Nick tirò un sospiro di sollievo, mentre Nathaniel continuava a guardarsi intorno, puntando il suo arco verso il cerchio di tenebre che li circondava. Erano arrivati al confine estremo del campo, là dove il bosco terminava e si apriva sulle colline di Farm Road.
- In cerchio intorno all'altare. - ordinò Rain, un taglio sul collo che Asher prima non aveva notato. - Dobbiamo muoverci, potrebbero prenderci da un momento all'altro. -
Theo raccolse il melograno, stringendolo fra le sue mani come un prezioso trofeo. I suoi occhi rossi scintillarono con più forza mentre estraeva il suo pugnale e apriva il frutto a metà.
Pose poi una chiave dorata al centro del piccolo altare ai piedi dell’albero, spremendo il melograno con le dita e lasciando cadere il suo succo sulla pietra: a contatto con il granito, il succo sembrò mutare in sangue.
Fu allora che Rain prese a cantilenare in greco, canto che trattava di apertura, di sigilli e di protezioni. Più le sue parole si facevano forti, più il vento soffiava e spazzava via ciò che aveva davanti, foglie e arbusti secchie che presero a volteggiare vicino alle caviglie di Asher.
Sangue e sudore impregnarono la pietra, proprio mentre la chiave cominciava ad illuminarsi.
Su, nel cielo di settembre, la Stella Polare gli sorrideva in maniera criptica; poi, quando finalmente la Foschia iniziava a diradarsi alle loro spalle, Theo urlò di dolore, il fusto di una freccia gli spuntava fra le scapole.
E fu allora che si scatenò l’inferno.
- Theo, sei ferito. - mormorò Rain, un rivolo di sudore che le imperlava la fronte. Il figlio di Afrodite, in tutta risposta, urlò ancora più forte quando Anthony gli estrasse la freccia dalla carne viva.
- CONTINUA! - gridò e i suoi occhi si fecero rossi come il sangue che era stato versato sull'altare, - TERMINA L’INCANTESIMO O MORIREMO TUTTI. -
Asher non fu abbastanza svelto.
Jude Verrater schizzò fuori dall’oscurità e si scagliò contro Theo, pugnalandolo in pieno ventre. Una decina di traditori lo seguirono a ruota, alcuni armati di coltelli, altri di archi e frecce dalla punta acuminata.
Asher scoccò qualche dardo, cercando sempre di mirare alle gambe, eppure i suoi nemici rispondevano con forza ben al di sopra del normale. Esperimenti. sussurrò una voce nella sua testa.
Nick urlò il suo nome, quando qualcuno lo colpì alla testa con un sasso.
Cadde bocconi a terra, la terra che si mischiava alla sua saliva. Era vagamente consapevole della potenza dell’incantesimo di Rain e di quanto il vento soffiasse forte, ma in quel momento non sentiva altro che il sangue pompare forte alle sue tempie.
Si spostò prima che Jude atterrasse come una bambola di pezza accanto a lui, sul collo impressi i segni di denti affilati. Alzò lo sguardo e, a dominare la scena, c’era Theo, la bocca sporca di sangue.
Il fuoco avvolse il melograno, bruciando la sua corteccia e facendo salire la sua essenza fino all’Olimpo, dando l’ultimo tocco di forza all’incantesimo di apertura di Rain.
- VIA! - urlò la figlia di Ecate.
Un altro ragazzo alzò la sua spada contro di loro, ma, prima che potesse farlo, vennero tutti risucchiati fra le tenebre. Un urlo accompagnava la loro discesa nelle ombre, il ruggito agonizzante di una bestia ferita.
Poi una scia di capelli rossi e delle mani che si stringevano alla vita di Asher, prima che tutto diventasse buio.
 

 
________________________________
♔ King says: Ask me ♔

 
Vi sono mancato?
Beh, dai, è passata poco meno di una settimana da quando ho aggiornato l'ultima volta e quindi questo è un aggiornamento lampo. Ringraziatemi, voglio tanti panini al tonno (Holls knows u.u)
Allora, come vi va la vita? Io tecnicamente dovrei studiare per il compito di matematica di questa settimana, ma who cares? Ho finito ieri sera di scrivere questo nuovo capitolo e ho pensato subito di postarlo, visto che siete tanti adorabili cupcakes con le dita ♥
Notizia importante: come ho già detto su Ask, non vi libererete di me tanto facilmente, visto che ho deciso di dividere la storia in 2 parti, di cui la prima si concluderà con il capitolo 15 e quindi l'ultimo pov. Vedremo tanti tradimenti, amori, coppie e chi più ne ha più ne metta! 
Ma a voi non importa questo, vero? AHAHAHAHAHAHAH no, a voi interessano gli 8 morti che, ahimè, moriranno in questa prima parte. Sono sia personaggi principali che secondari, maschi e femmine, e praticamente ho già preparato ed incescenato nella mia testa il loro ultimo respiro.
Mi amate, lo so AHAHAHAHAHAH



► Questo capitolo è dedicato a Asher Bellamy (Pendragon), il piccolo coccoloso figlio di Eos che vuole rendersi utile. Ho cercato di tratteggiare al meglio il suo profilo psicologico e anche qualcos'altro: qualcuno di voi mi dice cosa? AHAHAHAHAHAH 
Con lui ritroviamo anche Nick (Sabaku), Rain (Littles), Anthony (_little_sweet_things_), Vittoria (HannahBelle) e Aeren (Winter78). Come vi sono sembrati? Ho presentato finalmente anche un altro personaggio, Nathaniel (LadyOfCastamere) e lo approfondirò in seguito u.u Vi basti sapere che ho preferito dare spazio ai quattro amici e al loro rapporto.
Finalmente i nostri sono fuggiti, chi un po' ammaccato, chi un po' meno! L'azione c'è, c'è anche il dissidio interiore di Asher nel combattere i traditori. Abbiamo uno Jude abbastanza incazzato, come avevo detto, anche se non molti hanno capito qual'era il mio intento nello scorso capitolo, ma va beh u.u 
L'idea del melograno mi è venuta in mente così, quindi don't judge me AHAHAHAHAH E abbiamo visto anche Theo e i suoi occhi rossi. E poi quel sangue sul collo di Jude: cosa sarà successo?
Io aspetto le vostre recensioni! Abbiate pietà di me, risponderò appena posso vista la scuola, ma grazie per esserci sempre! Heaven Knows vive anche grazie a voi ♥
Alla prossima,


King. 


 

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Capitolo 8
*** Alyx ♠ Fiore Velenoso ***



Heaven Knows
♔ Official Video Trailer 


Alyx ♠ Fiore Velenoso

 
Alyx avrebbe ucciso qualcuno.
Era stata chiamata a contenere diverse ribellioni quella sera, tutte scoppiate all'interno dell'ala est, quella riservata ai prigionieri. Anche se era una vera e propria esperta nel mescere veleni, non se la cavava affatto male con il suo pugnale.
Adesso stava tornando nel suo laboratorio con un labbro spaccato, là dove uno dei rivoltosi le aveva sferrato un gancio destro. Inutile dire che Alyx era stata altrettanto veloce, guardandogli schiumare la bocca dopo avergli infilato la sua lama avvelenata nel petto.
Oltrepassò un lungo corridoio, mentre le luci sopra di lei sfarfallavano; il silenzio spezzato solo dal suono nervoso dei suoi passi e dal battere incessante del suo cuore. Si passò una mano fra i capelli biondi, il suo respiro leggero che accompagnava i movimenti ondulatori delle braccia.
Si fermò ad osservare il proprio riflesso in uno dei tanti vetri a specchio che correvano alla sua destra. La vecchia cicatrice era ancora lì, quel lungo taglio frastagliato che si faceva strada sino alla guancia. Riprese il suo cammino, disgustata, ricordando benissimo con quanto disprezzo gli altri traditori la prendessero in giro.
Joker, l'ammazza draghi.
Non erano altro che bugie, bugie che servivano, però, a mantenere in piedi la sua corazza, quella che Alyx si era costruita per andare avanti, per impedire agli altri di scrutare nel suo passato. Non avrebbe mai permesso a nessuno di farlo, nemmeno se a chiederlo fosse stata sua madre, la dea dei fantasmi Melinoe.
Il suo laboratorio era quello in fondo al corridoio, la porta più scura delle altre per via dei fumi tossici delle piante con cui lavorava. Anche se di solito usava maschera e guanti, il più delle volte respirava quell'aria radioattiva a pieni polmoni; il vento degli Inferi le riempiva le narici e la faceva sentire bene.
- Alyx, che piacere. -
Duncan Dowson aveva alzato la mano prima ancora che la figlia di Melinoe svoltasse l'angolo. Aveva un ridicolo sorriso stampato sulla faccia e i capelli ancora più neri di quanto Alyx ricordasse; i vestiti di pelle risaltavano il colore acceso dei suoi occhi, dandogli un'aria da folle.
Lei alzò gli occhi al soffitto, mormorando un'imprecazione in greco contro Zeus. Sentì il cielo tuonare, ma non ci diede peso: se avesse avuto un centesimo per ogni volta che aveva maledetto uno degli Olimpi, a quell'ora sarebbe stata ricca.
Rispose al saluto come meglio poté, visto il labbro dolorante, ritrovandosi poi ad annaspare nell'ombra scura di Duncan.
- Era da tanto che non scendevo nel tuo regno, sai? - le chiese il figlio di Ares, cercando di fare il carino. Poggiò una mano sul muro, mentre Alyx aspettava in silenzio che il sistema di sicurezza riconoscesse la sua retina. - Trovo che sia tutto così ... -
La porta si aprì, riversandone fuori i suoi maleodoranti fumi tossici. - Delizioso. - concluse, piegando le sue labbra in una smorfia di disgusto. La figlia di Melinoe attraversò sicura la stanza; teche verdognole e provette colorate che sembravano seguire i suoi movimenti con i loro occhi invisibili.
Il figlio di Ares fece un po' più fatica a seguirla, cercando in qualche modo di trattenere il vomito.
Alyx si permise un sorrisetto sadico, ottenendone in cambio solo dolore. Si diresse verso un vasetto pieno di terra bruna, dalla quale era cresciuta una pianta dall'aspetto malaticcio.
- Cosa vuoi? - gli domandò, senza troppi giri di parole. Strappò qualche foglia dall'arbusto pallido e se la ficcò in bocca, ricavandone una panacea da applicare sul labbro dolorante.
Duncan fece spallucce, dopo aver afferrato una maschera anti-gas ed aver ripreso a respirare normalmente. - Ordini dall'alto. - rispose con un sorriso, giocherellando con alcuni alambicchi in cui riposava chissà cosa.
Alyx tossicchiò, scuotendo la testa. - Non toccare ciò che è mio. - lo avvertì, la lingua biforcuta come quella di una serpe. I suoi occhi sembrarono passare dall'azzurro al viola nel giro di un decimo di secondo, prima di tornare normali. - Sai cosa succede alle persone che non sanno farsi i fatti loro. -
Duncan rise, i suoi mossi capelli neri che rendevano il suo incarnato pallido, malato come il tronco delle piante che la figlia di Melinoe coltivava. Sembrava ormai sprezzante a qualsiasi tipo di minaccia gli venisse fatta.
- Non ho paura, ammazza draghi. - la schernì, percorrendosi la guancia con un dito; lo spettro di un sorriso che rendeva il suo gesto ancora più macabro.
Alyx si irrigidì, sentendo la rabbia montarle dentro come un incendio improvviso. Sapeva benissimo cosa stava cercando di fare, lo aveva già visto fare milioni di altre volte.
Certo, la verità era che non aveva mai sconfitto un drago. Tuttavia, era ciò che voleva che le persone pensassero di lei: una ragazza forte, combattiva e, soprattutto, pericolosa. Nessuno avrebbe mai saputo la verità, nessuno che avrebbe vissuto abbastanza a lungo da raccontarlo.
- Come non dovresti avere paura della follia, psicopatico. - lo redarguì subito lei, la voce fredda come un pezzo di ghiaccio. Nel momento in cui i suoi occhi ancorarono quelli del ragazzo, Alyx esplorò la sua anima, rivivendo il suo passato.
C'era un ragazzino spaventato che teneva la mano ad una giovane donna, con il volto segnato dalla fatica e dalla malattia. Avevano gli stessi occhi azzurri, lo stesso colore scuro di capelli, persino la stessa linea dura della mascella.
Poi la scena cambiò ed Alyx si ritrovò ad osservare lo stesso ragazzino di prima farsi pagare all'angolo fra due abitazioni in cambio di qualche grammo di erba; la nebbia saliva piano dal terreno, l'aspra umidità scozzese riempiva le narici della figlia di Melinoe.
- Basta! -
Duncan le puntava il suo stesso coltello alla gola, la lama avvelenata che premeva contro la carotide pulsante. Una tempesta si agitava nei suoi occhi chiari, un vento di vendetta e di rabbia. - Non permetterti mai più di frugare nella mia testa, strega. A meno che tu non voglia ritrovarti sprovvista di un cuore. -
Alyx rise, una di quelle risate sadiche e masochiste. - Adesso so tutto, di te. - lo provocò, giusto per constatare quanto in là si spingesse, - Chissà cosa succederebbe se si venisse a sapere che ... -
Duncan le premette Spettro sul collo, facendola sanguinare. - Spero tu abbia prodotto l'antidoto al tuo veleno. - le disse, la sua voce ridottasi a diventare quasi un sussurro, mentre nel suo sguardo riviveva ancora la tragedia di cui era stato partecipe. - Alza il culo e curati, prima di venire fuori. -
Abbassò il pugnale, guardandola con disprezzo. Non vedeva altro che la sua cicatrice. - Abbiamo una missione da compiere. E purtroppo richiede anche la tua competenza. -
 
Dopo aver bevuto un sorso dell'antidoto, Alyx aveva seguito Duncan fino alla sala macchine.
Era armata solo del suo coltello di bronzo celeste, ma non per questo non era meno letale di un fiore di belladonna. Per tutto il tempo che avevano camminato assieme, il figlio di Ares non le aveva rivolto la parola, né l'aveva guardata in faccia.
E, se doveva dirla tutta, ad Alyx non dispiaceva affatto.
Si sentiva terribilmente attratta dal dolore altrui, dall'arma sottile della sofferenza, come anche dallo stringere una vita umana fra le mani; essere spietati o indulgenti. Amava giocare con la mente, sconvolgerne l'ordine, renderla abominevole come quella di un animale selvaggio.
Perché cos'é l'uomo, senza la sua ragione? Forse era per questo che, come terzo compagno d'impresa, era stato scelto Christopher, il figlio di Dioniso: dopotutto, ebbrezza e demoni andavano sempre d'accordo, visto che portavano allo stesso fine.
La follia.
Mahattan scorreva veloce accanto a loro. I finestrini davano dei rapidi scorci della Statua della Libertà, a malapena visibile per quanto Duncan stesse andando veloce.
Certo, la Foschia aiutava, visto come i mortali si scansassero al loro passaggio, ma Alyx sospettava che stessero andando a tavoletta per colpa sua.
E se ne compiaceva, in un certo senso.
- Allora. - disse, rompendo il silenzio. Duncan fece finta di non sentire, gli occhi fissi sulla strada, in preda ad un passato che non poteva cambiare. - Dove stiamo andando, di grazia? - chiese, sperando che almeno Christopher sapesse qualcosa.
Il figlio di Dioniso fece spallucce, sbuffando. - Vorrei saperlo anch'io. - rispose con aria scocciata, la linea dei suoi muscoli ben evidente da sotto la giacca sottile che indossava. - Mi stavo divertendo così tanto, prima che piombassi nel bel mezzo di un amplesso. Ancora. -
Se anche era suonata come una provocazione, Duncan non ci diede peso. - È richiesta la vostra presenza, punto. - sbraitò nervoso. Strinse le mani sul volante finché le nocche non sbiancarono. - Non vi è dato sapere altro. Attenetevi ai miei ordini. -
Christopher imprecò in greco, sbottonandosi i pantaloni con fare lascivo, mentre Alyx osservò incuriosita il suo personalissimo mostro: era arrabbiata per come il figlio di Ares li stesse trattando, certo, ma, allo stesso tempo, era estasiata dagli effetti che i suoi poteri avevano scatenato in lui.
Sconvolgi i suoi sentimenti e sconfiggerai anche l'uomo più audace, sosteneva un vecchio detto.
Era così che il mondo andava avanti da millenni; era così che avrebbe continuato a funzionare anche dopo di loro.
I venti minuti che seguirono furono anche più noiosi di quanto Alyx avesse immaginato: a riempire il silenzio erano solo i gemiti di piacere di Christopher e i grugniti furiosi di Duncan, i suoi capelli neri che lo rendevano simile ad una di quelle statue che si potevano vedere in un museo.
Era stata quasi tentata di andare a fare compagnia al figlio di Dioniso e lasciarsi andare a qualche piccola passione repressa, ma si impose di stare al suo posto, agitando pensierosamente una piccola fialetta contenente uno dei suoi veleni più pericolosi.
- Puoi dirmi almeno a chi andiamo incontro? - gli domandò non appena si fermarono e Duncan spense il motore del loro suv. I loro occhi si incontrarono, azzurro contro azzurro. - Mostri? Semidei? -
Il figlio di Ares sembrava sul punto di mollarle un pugno, ma sospirò e ripose le chiavi nel cruscotto,  con fare metodico e calcolatore. - L'incantatore. - spiegò, la voce aspra come se avesse inghiottito un limone.
- Impossibile. - sussurrò Alyx, rischiando quasi di lasciar cadere la boccetta del veleno che aveva in mano, - È morto più di duemila anni fa. -
- Ahhhh. Ahhhh. - gemette Christopher, introducendosi nella loro conversazione.
Anche lui, come Alyx, era attirato da ciò che era proibito e che dava piacere, anche se preferiva quello sessuale al desiderio subdolo di superiorità che scavare nella mente umana dava alla figlia di Melinoe.
- Sto venendo. - continuò, la sua voce ridotta ad un mormorio crescente di piacere, - Dei del cielo. Devo ringraziare mio padre per questo. - sospirò, mostrando loro un dildoo rosa. Alyx inarcò un sopracciglio, ignorandolo, e tornando a guardare seria Duncan.
Lui spostò lo sguardo sul capannone che avevano davanti. - È là dentro. - affermò, - Amber ha percepito il suo potere proprio qui. Si nasconde con i topi, troppo miserabile per cercare la strada verso il potere. -
- Quindi stiamo cercando il pifferaio magico? - domandò Christopher, sorridendo in maniera folle alla sua battuta squallida.
Duncan aprì la portiera, venendo investito dal vento freddo di New York. - Speriamo che suoni solo il suo, di piffero. - scherzò, lasciandosi andare uno dei suoi soliti sorrisi. Gli lanciò un pacco di fazzoletti. - E datti una pulita. Manco avessi fatto un'orgia sfrenata con i modelli di Ambercrombie. -
Alyx scese dall'auto, studiando i contorni poco promettenti del capannone che avevano davanti, uno di quelli che si trovavano vicino ai porti, usati per proteggere le imbarcazioni dagli agenti atmosferici. Il cielo era coperto, quindi non c'era nessuna luce a guidarli se non quella debole delle loro armi.
La figlia di Melinoe sguainò Spettro e aspettò i suoi compagni, chiedendosi che aspetto avesse l'incantatore e se fosse così forte come la C.A.D.M.O. credeva.
Duncan si pose alla guida del loro esiguo gruppo; la sua spada gli sfumava il profilo austero del volto, rendendolo attraente e pericoloso. Si mossero veloci come leoni, come un vero e proprio gruppo armato, nascondendosi dietro ciò che potevano usare come riparo.
Non sapevano se l'incantatore fosse solo o meno, quindi dovevano prenderlo alla sprovvista, prima che lui potesse chiamare dei rinforzi. Mentre Alyx correva, le sembrò di essere in uno di quelle stupide serie tv in cui i buoni rincorrono i cattivi.
C'era solo una differenza, però, visto che erano loro i cattivi. E stavano cercando un altro cattivo.
Superarono la porta senza fare troppo rumore, ritrovandosi immersi nel buio più completo. A seguire Christopher, e la sua lama, era un forte odore di vinaccia, quindi Alyx si chiese se sarebbero passati davvero inosservati.
Strinse forte il suo pugnale, la sua ancora di salvezza; una smorfia di cattiveria si dipinse sul suo volto, proprio mentre nessuno poteva vederla.
- Che si fa? -
La voce di Christopher era suonata atona e priva di qualsiasi emozione; una sorta di macchina meschina e calcolatrice. Alyx poteva vedere solo i suoi occhi, in quell'oscurità, perfetti come degli ingranaggi, intelligenti come un figlio della stessa Atena.
- Guardate là. - suggerì Duncan, indicando con la spada qualche metro avanti a loro.
La figlia di Melinoe stava per rispondergli in maniera acida, quando si costrinse a rimanere in silenzio: delle forme indistinte e luminose si erano accese sotto i loro piedi; orme di sandali che li conducevano attraverso le tenebre, una scritta che spiccava contro la luce dorata.
Seguimi.
Alyx scosse la testa e i capelli biondi le finirono in bocca. - È un tranello. -
Sentì Duncan annuire e Christopher muoversi alla sua destra per esaminare la traccia luminosa. Non appena l'ebbe sfiorata con due dita, essa sparì, facendone apparire un'altra più avanti.
- Era il sistema che usavano le prostitute per attirare i loro clienti nell'antica Grecia. - spiegò il figlio di Dioniso, sprigionando nell'aria l'odore dell'uva matura. - Si dice che fosse stata la stessa Afrodite ad istruirle. - concluse, sputando a terra.
Alyx fece spallucce. - Al diavolo la balda Afrodite. - imprecò, disgustata, - L'incantatore sta giocando con noi, vuole farci cadere in una trappola. Duncan? -
- Non abbiamo altra scelta. - tagliò corto il figlio di Ares, sussurrando. I suoi occhi azzurri scintillarono un'ultima volta, poi si voltò di spalle e cominciò a inseguire le orme. Christopher fece per seguirlo, poi prese Alyx per un braccio e le puntò addosso il suo sguardo serio.
- Ci serve vivo. -
La figlia di Melinoe sfoderò il suo miglior sorriso, quello che avrebbe fatto oscurare anche la luna. - Io non lo ucciderò di certo. - rispose con aria innocente, tirando fuori la sua boccetta di veleno.
Si mossero in fila indiana, con Alyx che chiudeva in retroguardia. Avvertì più volte la sensazione che qualcuno li stesse spiando, ma non ci diede peso. Sbatté la spalla contro il fianco di una barca, mordendosi l'interno delle guancia per non urlare fino ad assaggiare il proprio sangue.
Le orme continuavano a condurli sempre più lontano, da est ad ovest, da nord a sud.
La notte era ancora lunga e non c'era niente ad illuminare il loro cammino. Alyx mise più volte i piedi in pozze piene di un liquido che non conosceva, fra ragnatele e ossa scricchiolanti sotto le suola delle sue scarpe.
Non riusciva a capire niente di ciò che la circondava: le sembrava che stessero girando alla cieca, e, in quel buio, non riusciva a ricordare se avessero già percorso lo stesso sentiero. Sapeva, però, che l'incantatore stava giocando con loro e stava cercando di fargli perdere l'orientamento.
Alyx si era ripromessa che, non appena lo avrebbero trovato, gli avrebbe sferrato un calcio dritto in mezzo alle gambe.
Quando ormai giravano alla cieca da più di dieci minuti, andò quasi a sbattere contro le spalle di Christopher, il quale si era fermato. Adesso era rimasta solo un'orma, una singola traccia luminosa che brillava raggiante a due centimetri dai piedi del figlio di Ares.
Duncan era immobile, probabilmente perché aveva fiutato un pericolo: anche se era tutto buio, Alyx poteva immaginarlo contrarre le spalle e flettere gli addominali, pronto a balzare contro qualsiasi cosa ci fosse stata davanti a loro. Tenne nascosta la provetta con il veleno.
Duncan si mosse e l'orma luminosa scomparve; l'ultimo seguimi si spense.
- Traditori. - proruppe una voce melodiosa davanti a loro, prima che la lama di Duncan le illuminasse il viso, sporco di sangue e di sporcizia. Aveva gli occhi scuri ed infossati come quelli di un cadavere. - Vi stavamo aspettando. -
Alyx indietreggiò di poco, andando a sbattere contro il petto di una ragazza, un coltellaccio affilato stretto nelle sue mani. Poi intravide il collo pallido e cadaverico di una terza ragazza, più piccola delle altre due, forse una bambina, proprio al fianco di Christopher; le braccia coperte di tagli e di morsi.
- Ci fareste il piacere di seguirci? - chiese la prima donna, la più adulta fra le tre.
- Il nostro padrone vuole incontrarvi. - continuò la ragazza, il coltello fra le sue mani che si faceva sempre più minaccioso.
- Volenti. - concluse la bambina, mentre i suoi occhi scintillarono rossi. - O nolenti. - E fu allora che cacciò gli artigli, facendosi crescere le zanne come un lupo.
Alyx mantenne il sangue freddo, ma era più che sicura di aver già visto qualcosa del genere alla C.A.D.M.O.; gli effetti di uno degli esperimenti che lei stessa aveva messo a punto.
L'ATT-451.
Le tre donne gli fecero consegnare le loro armi, agendo come in trance, spogliando i traditori di tutti i loro averi. La figlia di Melinoe si sentì profondamente indignata mentre la bambina infilava una mano nella coppa destra del suo reggiseno, estraendone la fialetta di veleno.
Le morse due dita, ma lei non sembrò fare caso al dolore, né al sangue che le stava scorrendo sulla mano.
- Seguiteci. - li invitò la prima donna, i suoi occhi infossati che rendevano nervosa Alyx. Al loro passaggio si accesero alcune torce di fuoco greco, le quali costeggiavano barche e antichi vasi che sembravano cretesi. Decine e decine di strumenti musicali erano stati ridotti a legna da ardere, in vista di un prossimo falò.
La figlia di Melinoe si lasciò guidare da quelle tre misteriose figure e, ad ogni passo che facevano, sembrava che scendessero sempre di più verso il centro della terra, dove il battito ritmico di un cuore cullava i loro respiri affannosi.
La ragazza con il coltello era alla sua sinistra e guardava dritta davanti a sé, quasi come se fosse un automa. Alyx cercò lo sguardo di Duncan, ma il figlio di Ares sembrava fondersi in un tutt'uno con le ombre intorno a loro, nelle quali erano ripiombati.
Camminando, Alyx notò come le suole dei sandali delle tre donne lasciassero delle impronte luminose; le stesse che loro tre avevano seguito, poco prima. Il fuoco di alcuni tripodi le fece capire che avevano imboccato un tunnel scavato nella terra, tutto in discesa.
Duncan aveva ragione quando diceva che l'incantatore si nascondeva con i topi. Letteralmente.
La luce le permise di vedere alcuni graffiti incisi sulle pareti brulle, cadute di dei e giganti, mostri e semidei; spade e sangue. Spostò poi lo sguardo sulla bambina a cui aveva morso una mano, i tratti delicati del suo viso resi duri e freddi dall'esperimento a cui era stata sottoposta.
Ma perché? Perché, se era solo una ragazzina e l'età minima erano i diciassette anni?
Le loro tre accompagnatrici rallentarono il passo, mentre Alyx si perdeva a notare l'ampio tatuaggio sulla schiena nuda della prima donna che avevano incontrato; le ali di un angelo nero, un angelo senza speranza.
Un angelo caduto, caduto proprio come l'uomo che avevano davanti adesso.
I suoi capelli erano ricci e scuri, alla maniera greca; il suo viso non conteneva alcuna traccia di virilità, visto che sembrava ancora quello di un fanciullo. Aveva delle dita allungate, ma eleganti, e degli occhi cerchiati da una spessa matita nera, la quale metteva in risalto il profondo blu delle sue iridi.
- Ottimo lavoro, Euridice. - disse, ringraziando la prima donna, quella con il tatuaggio, baciandola delicatamente sulla bocca. Poi la lasciò andare, congedando anche le altre due ragazze, posando poi il suo sguardo su di loro.
Alyx si sentì improvvisamente nuda. - Benvenuti nella mia umile dimora! - esclamò, aprendo le braccia al mare di terra e ferro che li avvolgeva. - Credo che abbiate già capito chi sono, vero? -
La figlia di Melinoe si guardò attorno, una brutta sensazione che la pizzicava sulla nuca. Fece per estrarre il suo pugnale, ricordandosi solo dopo che le era stato confiscato. 
L'uomo sembrò notare il suo comportamento. - Una piccola precauzione, niente di personale. - si limitò a dire, dando loro le spalle e cominciando a camminare, - Tra le mie schiere ci sono molti dei vostri scarti. E sono piuttosto arrabbiati. -
Christopher lo seguì, i suoi capelli tinti di un verde acido che oscillavano al ritmo delle sue braccia. - Scarti? - chiese, leggermente sorpreso. L'incantatore annuì, mentre salutava un paio di uomini che gli erano passati accanto con un cenno della mano.
- Scarti, mio giovane figlio di Dioniso. - gli fece eco. Christopher strinse la mascella, il nome di suo padre che gli dava il voltastomaco. - La C.A.D.M.O. seleziona e addestra solo coloro che riescono a superare i vostri esperimenti, non è vero? -
Cercò il suo assenso in Duncan, il quale sostenne il suo sguardo di rimprovero. - Molti ne escono mutilati, mentalmente ed anche fisicamente. - spiegò, i suoi sandali che producevano un rumore infernale battendo contro il terreno, - E finiscono qui, nel mio seguito di esclusi e di dimenticati. Il loro nome non sarà mai ricordato in questa guerra, o sbaglio? -
Alyx cominciava ad essere stufa delle sue stupide domande. - Forse perché non sono degni, di essere ricordati. - irruppe, la voce simile a quella di uno spettro, - O sbaglio? - lo schernì e, se lo sguardo avesse potuto uccidere, l'incantatore sarebbe caduto a terra morto.
Ma l'uomo sembrò non cogliere il suo rancore e sorrise, continuando ad andare avanti. Oltrepassarono una sala dove alcuni ragazzi si stavano allenando a colpi di spada e frusta; svoltarono ad un angolo e uno stormo di pipistrelli piombò loro addosso, trascinandosi dietro un odore di morte. Poi, finalmente, si fermarono in un grande salone, al centro del quale, rialzato da assi di legno ed ossa, vi era un trono di bronzo celeste.
- Sia ... -
L'incantatore zittì Duncan con un gesto della mano. I suoi denti sembravano scintillare nell'oscurità. - Siete qui perché volete il mio aiuto. - lo anticipò con voce neutra. Alyx lo osservò sedersi sullo scranno regale, le tre donne che li avevano perquisiti che subito apparvero al suo fianco. - Che cosa vi fa pensare che metterò a disposizione la mia magia per i vostri scopi? - domandò, facendosi portare un vassoio d'uva matura.
Duncan strinse i denti, contrariato dal fatto di essere stato interrotto. - La C.A.D.M.O. ti propone un accordo: la tua abilità in cambio di potere e di gloria. - gli spiegò, i suoi anfibi neri sporchi di terra e di fango.
L'incantatore rise di gusto, spiluccando un acino d'uva. - Un patto. - mormorò, pensieroso, - Ne strinsi uno con Madre terra, trent'anni or sono. E guarda dove sono adesso. -
Alyx socchiuse gli occhi, cercando di capire chi fosse. Non aveva voluto ammetterlo prima per non fare la figura della stupida, ma non riusciva ad associare il suo viso ad un nome.
Cosa che Duncan sembrava aver fatto.
- Hai dato un'occhiata là fuori? - chiese retoricamente il figlio di Ares, trattenendo la rabbia nella sua voce, - Adesso è la C.A.D.M.O. a comandare. Abbiamo preso il Campo Mezzosangue e stiamo per assaltare l'Olimpo. -
Si fermò un attimo, dandogli il tempo di realizzare. - L'era degli dei è finita, ormai. Sono destinati a cadere. - sibilò; le parole che scivolavano come veleno fuori dalla sua bocca. - Le Parche hanno filato questo destino da tempo. -
L'incantatore rise ancora una volta. - Eppure venite qui a strisciare per implorare il mio aiuto, nonostante affermiate di essere così forti. - ribatté lui, ficcandosi in bocca un ultimo acino d'uva. La donna accanto a lui puntò il suo sguardo su Christopher. - Ironico. –
Christopher fece appassire la sua frutta. – È ironico il fatto che vi nascondiate come un ratto, quando potreste avere il mondo ai vostri piedi. -
- Frena la tua lingua, traditore. - lo ammonì lui, mentre i suoi occhi saettavano dal cibo secco che stava portando alla bocca al figlio di Dioniso, - Sei nella mia casa e devi rispettare le mie regole. -
Per i secondi che seguirono, non ci fu altro che silenzio. Duncan si voltò, intimando loro di stare zitti e lasciarlo parlare. I suoi capelli erano scuri ed intrecciati a dei fili di ragnatele, le quali gli davano l'aria di un sopravvissuto.
E forse lo era davvero.
- Gli dei ti hanno portato via tutto. Che senso ha stare dalla loro parte? - gli chiese il figlio di Ares, mentre spostava il peso del suo corpo da un piede all'altro. - Sfidali. Vincili. Riprenditi ciò che è tuo di diritto. -
L'incantatore sembrò soppesare la sua scelta con attenzione.
- Ci sono state diverse ribellioni in tutta New York, in questi giorni. - continuò Duncan, con tono convincente. - E poi i Custodi cercano di ostacolarci in ogni modo possibile. -
Si avvicinò al suo trono, inginocchiandosi, una cosa che non avrebbe mai fatto. Alyx sgranò gli occhi, chiedendosi quanto fosse importante riuscire a portare dalla loro quell'uomo.
L'incantatore seguì i suoi movimenti con un rapido movimento degli occhi, mentre anche Christopher si inchinava. - I Custodi, già. - sospirò.
La bambina-lupo gli sussurrò qualcosa all'orecchio, poi sparì dalla loro visuale. - Provai a sfidare gli dei, una volta. E fallii. -
Christopher alzò lo sguardo. - La C.A.D.M.O. può aiutarti a riportarla indietro. - gli propose, con voce suadente simile a quella di una sirena. - Lo abbiamo già fatto, puoi crederci. -
L'incantatore spostò gli occhi dal viso del figlio di Dioniso alla mano che la donna con il tatuaggio gli aveva posato sulle spalle. Alyx lo osservò, richiamando alla memoria quanti più miti greci conoscesse.
Com'è che l'aveva chiamata?
- Pensa a quanto sangue potresti evitare di farci versare. - suggerì ancora Duncan, usando il suo tono migliore. - La C.A.D.M.O. ti sta offrendo così tanto. Sarebbe saggio rifiutare chi può darti potere, vittoria e amore? - chiese, istillando in lui il seme del dubbio.
Era fatta, l'incantatore stava per cadere.
L'uomo si alzò, fermandosi davanti a Duncan ed ergendosi in tutta la sua altezza. - Voi state commettendo il mio stesso sbaglio. - sostenne, i sandali aperti che lasciavano intravedere le dita dei suoi piedi. - E io non intendo peccare ancora. -
Duncan alzò lo sguardo, intuendo ciò che stava per succedere. - Mi spiace. - sussurrò, - Nessuno potrà darmi ciò che voglio. -
Per fortuna il figlio di Ares fu abbastanza veloce da farsi solo sfiorare dalla lama di un pugnale diretta al suo stomaco. Mollò un calcio alla ragazza con il coltello e si alzò in piedi, portandosi verso Alyx e Christopher.
- Il piano? - domandò nervosa la figlia di Melinoe, osservando come la sala si stesse riempiendo di uomini e donne, ragazzini poco più piccoli di lei, animali e mostri. Duncan seguì la traiettoria dei suoi occhi e grugnì un'imprecazione in greco antico.
Sono piuttosto arrabbiati, aveva detto l'incantatore.
Si passò una mano fra i capelli, scostandoli da davanti agli occhi. - Io e Christopher ci occuperemo di loro. Tu devi impedirgli di suonare la lira. - ordinò, mentre il figlio di Dioniso partiva all'attacco a mani nude. - Mi hai capita, Alyx? Non permettergli di suonare o moriremo tutti. -
La figlia di Melinoe annuì, cominciando a correre nella direzione opposta dei suoi compagni. Alzò lo sguardo giusto in tempo per evitare un lupo e la sua bocca rabbiosa. Abbatté con un cazzotto un uomo dall'aspetto malato, armandosi di una piccola mitragliatrice e sparando a qualsiasi cosa incontrasse sul suo cammino.
Un bambino la morse alla gamba, ma lei gli rifilò un calcio negli stinchi e continuò a correre. Pensava all'avvertimento di Duncan, alla lira e chi diavolo fosse quell'uomo.
Scivolò fra il fango per colpire un uomo in mezzo alle gambe con il calcio della mitraglietta, sparando all'impazzata su una fila di dracene che si erano parate davanti a lei. Doveva recuperare le sue armi, la fialetta di veleno.
Solo così avrebbero avuto una possibilità di uscirne vivi.
Intravide Christopher far impazzire un'intera colonna di mastini infernali, scagliandoli contro i loro simili per far sbranare uomini e mostri. Duncan si muoveva con grazia e forza in mezzo alla folla di nemici che lo accerchiavano, maledicendo le loro armi come se non avesse fatto altro nella vita.
Alyx premette il grilletto e sparò una raffica di colpi contro una donna ricoperta di squame, disintegrandola all'istante. Poi, quando finirono i colpi, usò la sua arma come bastone e fracassò un paio di teste, umane o mostruose che fossero.
Più la battaglia si protraeva, più Alyx sembrava stare bene.
Il dolore la faceva sentire meglio e, combinato all'adrenalina che pompava nelle sue vene, era diventata quasi inarrestabile.
Scansò un centauro e balzò sulla donna con il tatuaggio, ferendosi con un pezzo di vetro. Prima che però lei potesse rialzarsi ed attaccare, le staccò l'ossa del collo con un movimento rapido del braccio; l'orribile spettro della paura adesso danzava sul suo viso magro e scarno.
Euridice, ecco come l'aveva chiamata.
Da qualche parte alle sue spalle, l'incantatore urlò di dolore. Alyx alzò lo sguardo solo per vederselo piombare addosso, una lira scintillante ben assicurata alla cintura che aveva in vita. La figlia di Melinoe batté la testa contro il terreno freddo, sanguinando.
Rimase lì a terra, immobile, incapace di muovere una parte qualsiasi del suo corpo. Che diavolo stava succedendo?
Aveva la mente annebbiata, forse per via della fitta di dolore che aveva provato quando era caduta. Aprì leggermente gli occhi, osservando i contorni sfumati dell'incantatore mentre pizzicava le corde del suo prezioso strumento, il quale produceva una melodia meravigliosa.
Non permettergli di suonare o moriremo tutti.
Non seppe mai cosa riuscì a svegliarla dall'incantesimo, ma mosse le gambe quanto bastava per far inciampare l'incantatore. Adesso aveva capito chi era, adesso il puzzle che aveva in testa era finalmente completo.
Orfeo era faccia a terra nel fango, la sua preziosa lira gli giaceva accanto.
Alyx si inginocchiò accanto al corpo senza vita di Euridice, frugando fra le tasche della sua felpa ed estraendone una piccola fialetta verdastra. Fece per scagliarsi contro l'incantatore, ma era ancora troppo debole, così barcollò e cadde nuovamente a terra.
Si rialzò, ancora una volta, imponendosi di andare avanti. Prima che Orfeo potesse ancora mettere mano alla sua lira, Alyx guardò fissò nei suoi occhi e riportò a galla i suoi demoni.
C'era una bellissima donna, dai lunghi capelli scuri, che danzava felice per lui. Ridevano, si baciavano e osannavano la vita.
 
Il suo vestito bianco, poi, prese a colorarsi di rosso, là dove un serpente aveva morso la sua carne. Alyx osservò Orfeo starle accanto durante il trapasso, discendere negli Inferi e convincere Ade e Persefone, con la sua musica, a farsi ridare indietro la sua amata Euridice.
Quando ormai sembrava che fosse cosa fatta, si era voltato per guardarla e la sua amata era sparita una seconda volta, il suo spirito diafano ritornato alle Praterie degli Asfodeli.
La scena poi si spostò ad un Orfeo in fin di vita, mentre discendeva dolorosamente negli Inferi: là gli fu concesso di vedere Euridice solo per pochi secondi, prima che il figlio di Crono lo esiliasse nei Campi della Pena, dai quali sarebbe scappato migliaia di anni più tardi, stringendo un patto con Madre Terra.
Era tornato a vivere attraverso le Porte della Morte e si era creato un seguito di esclusi e dimenticati, accogliendo come sua sposa una giovane donna che credeva la reincarnazione di Euridice. Le aveva dato il suo nome, l'aveva trattata come la sua sposa, ma non era ancora felice, felice come avrebbe potuto essere con la Euridice originale.
Prima che il dolore di Orfeo potesse sopraffarla, Alyx riuscì ad uscire dalla visione, costringendosi ad abbandonarsi senza forze sull'incantatore, ormai in balia di tutti i suoi scheletri nell’armadio. Con un ultimo sforzo, gli aprì la bocca e gli versò in gola il contenuto della fialetta.
Il veleno colorò le sua labbra di viola, facendolo smettere di tremare. I suoi occhi persero colore fino a diventare completamente bianchi.
Poi Alyx, dopo aver sorriso, venne inghiottita dalle tenebre.



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♔ King says: Ask me ♔

 
Hello, guys! What's up?
Come promesso, ho risposto a quasi tutte le recensioni, tranne due visto che non ho trovato proprio il tempo. Passerò, non abbiate timore. E colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che leggono questa storia, che mi fanno capire che gli piace, che mi fanno i complimenti che non merito, che mi stalkerano su Ask e chi piiù ne ha, più ne metta c:
Davvero, grazie di cuore! ♥
Il bellissimo video trailer che trovate all'inizio è opera di Angy, anche detta _little_sweet_thing_, che ringrazio per tutta la pazienza che ci ha messo ne farlo! Vi consiglio di guardarlo su computer e ... niente, divertitevi! AHAHAHAHAH
Come sempre, sono terribilmente in ritardo, lo so, ma spero mi perdonerete per questo nuovo capitolo! Sfortunatamente devo darvi anche una brutta notizia non linciatemi, pls: come molti di voi sapranno, sto scrivendo anche un romanzo, il primo di una trilogia (?) e conto di finirlo entro marzo dell'anno prossimo. Sono a buon punto, ma HK assorbe molto del mio tempo e vorrei almeno correggere e stendere meglio quella che è la prima parte del mio libro.
Questo significa che sospenderò le pubblicazione di Heaven Knows per almeno un mese, per poi riprenderle ad inizio Dicembre, più o meno. Ok, adesso fermatevi perché non avete il mio indirizzo, ma posso assicurarvi che lavorerò lo stesso a questa storia, sviluppando trame e sottotrame appena ho un po' di tempo! Magari arriverò a Dicembre con un po' di capitoli pronti e, di lì, aggiornare anche regolarmente.
Ma mai programmare tutte queste cose nella vita, soprattutto nella mia AHAHAHAHAHAHAH Passiamo al capitolo, vi va? E non voglio vedere musi lunghi, ok? ♥


 In questo capitolo vediamo meglio la figura di Alyx O'Darling (Artemiss -che gradirei si facesse sentire- onde evitare un be rischia il gusto challenge con il veleno per la sua pargola) e il suo bel caratterino. Ho cercato di descrivervelo al meglio, anche se non so se ci sono riuscito! Il capitolo in sé, se devo essere sincero, non è uno dei migliori çç
Insieme a lei ritroviamo Duncan e Christopher e la sua passione per i dildoo.  Prima che qualcuno di voi gridi al complotto (?), la scenetta della masturbazione è stata inserita solo per smorzare un po' il tono serio del capitolo :') 

Orfeo è il nostro incantatore! Ho inserito il suo mito perché mi affascina, ma lo punisco anche io come Platone perché ha cercato di riconquistare il suo amore con un inganno u.u Tsk, devi soffrire, bello mio. Ecco perché ho inserito una figura femminile accanto a lui, ma, da come avete letto, è scarna, brutta, cadaverica ... uno schifo insomma AHAHAHAHAH E lui non è felice pora stella 
Quale sarà mai l'effetto del veleno? Che cosa succederà? 
Lo scoprirete nel prossimo capitolo di Heaven Knows, miei sudditi c: Ci si rivede fra un mesetto, quindi tenetevi pronti :3 Per qualsiasi cosa anche insulti, sapete qual è il mio account su Ask u.u
Vi voglio un mucchio di bene, davvero ♥


King. ♔

 

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Soon on Heven Knows: Nathaniel ♠ Demone di Sangue
 

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Capitolo 9
*** Nathaniel ♠ Demone di Sangue ***


 
Heaven Knows
Official Video Trailer 




Nathaniel ♠ Demone di Sangue


A Nathaniel sembrò che qualcuno gli avesse risucchiato l'aria dai polmoni.
Non appena i suoi piedi toccarono di nuovo terra, perse l'equilibrio e cadde sulle ginocchia, sbucciandosi i palmi delle mani.
Aveva il respiro corto ed affannoso; il cuore gli batteva impazzito nel petto, quasi a volersi liberare dalla gabbia di carne e sangue che lo teneva prigioniero. I capelli biondi gli ricadevano disordinati davanti agli occhi, puntati su un pezzo di asfalto nero e crepato.
Per poco non si era ammazzato con il suo stesso arco, durante il salto nell’ombra, nel quale erano stati catapultati fra le tenebre più nere che Nathaniel avesse mai visto. Adesso si trovavano su un lungo vialone, costeggiato da poche decine di case che sembravano essere alla periferia di una grande città.
Si girò per osservare il volto della figlia di Ecate, stremata da così tanta magia: era a terra, abbandonata sulla strada come una vecchia bambola di pezza; le mani erano macchiate di rosso, scure per via del succo di melograno.
Theodore Bouchard le stava dando una mano ad alzarsi, i suoi occhi rossi che si guardavano intorno in maniera irrequieta; aveva le aste delle frecce ancora infisse nella schiena e, ad ogni passo che faceva, stringeva i denti per il dolore.
A guardarlo bene, sembrava quasi un cane rabbioso, pronto ad attaccare: era proprio questo che Nathaniel aveva pensato quando lo aveva visto azzannare Jude al collo, scaraventandolo contro il tronco di un albero.
Poco distante da dove si trovava, Nathaniel notò un’altra ragazza, con la pelle blu ed il volto sofferente. Si teneva la pancia come se l'avessero pugnalata, le gambe strette al petto; con la mano libera cercava di stringere l’esile figura accanto a lei.
Nathaniel sbatté più volte le ciglia per poter osservare il filo sporco di un coltello spuntare dalla gola della figlia di Atena, i suoi bei ricci biondi macchiati di sangue. Gli occhi grigi di Vittoria erano spalancati su un cielo che non avrebbe mai più potuto vedere.
Anthony, l’unico figlio di Apollo del gruppo, si aggirava confuso per la strada, come se avesse preso una botta in testa. Prima che qualcuno potesse aiutarlo, venne afferrato da un ragazzo che Nathaniel aveva già visto giù al campo, un traditore, il quale gli puntò un coltello di bronzo celeste alla gola.
L’unica ciocca rossa dei suoi capelli si caricò di colore, alla luce della luna. - Fermi dove siete. - intimò loro, indietreggiando lentamente verso il gruppo di case alla sua destra, cercando di aprirsi una via di fuga. - Fermi o lui muore. -
Rain aprì il palmo sporco della mano, cercando di mormorare un incantesimo; aveva i denti rossi e Nathaniel non sapeva se fosse sangue o qualcos'altro. Sfinita da tutta quella magia, svenne esausta ai piedi del figlio di Afrodite.
Nathaniel fece per mettere mano al suo arco, ma fu costretto a fermarsi quando vide un sottile rivolo di sangue scorrere lungo il collo di Anthony, bianco come un lenzuolo.
- Ho detto fermi! - ripeté agitato il ragazzo, gettandosi una veloce occhiata alle spalle. Il figlio di Nemesi lo imitò, incontrando solo lo sguardo preoccupato di Nick, la linea delle sue labbra piegata sino a formare una smorfia di rabbia.
- Dove ci troviamo? - domandò il traditore, facendo inginocchiare Anthony davanti a lui. Serrò la presa sul pugnale, mentre le tempie del figlio di Apollo pulsavano in maniera violenta. - Rispondete. -
Nathaniel scosse ingenuamente la testa, i capelli che gli danzavano davanti agli occhi come i macabri spettri che osservava nei suoi sogni. Con sua sorpresa, fu il figlio di Efesto dietro di lui ha rispondere.
- Cleveland. - si limitò a dire Nick; stava sudando ed aveva la fronte imperlata di goccioline iridescenti. - La città del terrore. -
Nathaniel aggrottò la fronte, non riuscendo a capire il perché di quella affermazione; notò però la paura e la disperazione che si agitavano nella sua voce, dubitando che si trattasse solo del fatto che uno dei traditori teneva un coltello alla gola del suo migliore amico.
Il ragazzo con la ciocca rossa si mosse a disagio sul suo posto, come se non avesse la minima idea sul da farsi; la sua fronte era una matrice di rughe di concentrazione e di terrore.
Fu allora che Theo fece un passo avanti, le gambe magre e livide. - Lascialo andare. - ordinò, la voce impregnata di determinazione.
Per un attimo, Nathaniel pensò che stesse ricorrendo ad uno dei tanti talenti dei suoi fratelli, la lingua ammaliatrice, ma presto si rese conto che non c'era magia nelle sue parole. Non aveva mai visto un figlio di Afrodite così combattivo, prima di allora. - Non sporcare ulteriormente la tua coscienza, Takeshi. -
Il ragazzo premette ancora la lama sul collo di Anthony, ricordando a Nathaniel una delle immagini più consuete nella mitologia norrena: un sacrificio. - Tu non mi conosci. - sibilò sulla difensiva, mentre la sua ciocca rossa rifletteva le fiamme che gli bruciavano dentro. - Non ti permetto di giudicarmi, stupida puttanella. -
Se anche fosse stata un'offesa, e non solo un modo per sembrare più minaccioso, Theo non indietreggiò. Il sangue sulle sue labbra si era seccato. - Lo facevo per sopravvivere. - fu la sua unica risposta, nessuna traccia di rabbia nella sua voce. - Forse sono solo una puttanella, come dici tu, ma mi è bastato un semplice sguardo per scavare a fondo nel tuo cuore. -
Mosse un altro passo, mentre Nathaniel non si permetteva neanche di respirare. I suoi occhi rossi ancorarono quelli neri di Takeshi, senza lasciarli andare. - Tu volevi scappare, non è vero? - domandò. - Il ruolo di traditore ti è sempre stato stretto. -
Takeshi urlò, la sua voce amplificata dall'eco che ne seguì, facendo sembrare la zona ancora più desolata di quanto già non fosse. - Smettila, smettila maledizione! - gridò, il vento che giocava con i suoi capelli e li gonfiava. - So cosa stai cercando di fare, stronzo. Se non la finisci, sarò costretto a tagliare la gola al tuo amico. -
Gli occhi di Anthony implorarono pietà; aveva le mani alzate in segno di resa e, dalla posizione delle sue labbra, sembrava che stesse pregando. - Sarò costretto. - ripeté pensieroso Theo, cercando di pulirsi la bocca con il polso. Si stava avvicinando a Takeshi senza mostrare paura, forse perché non poteva permettersela, dopotutto. - Che interessante scelta di parole. -
Il traditore sputò a terra, quasi come se avesse detta una bestemmia. - Non un altro passo. - sussurrò; adesso Nathaniel poteva vedere il coltello così pericolosamente vicino alla carotide di Anthony. Un solo sbaglio e il figlio di Apollo sarebbe morto. - Sono specializzato nell'eliminare i nemici. E voi, che lo vogliate o meno, siete miei nemici. -
Theo rise; Asher, poco distante da lui e con la spada in mano in attesa dell'ordine di attaccare, lo guardò come se fosse pazzo. Poi tornò a rivolgere la sua rabbia nei confronti di Takeshi. - Lascialo andare. - ordinò perentorio, una luce di sfida nei suoi occhi chiari.
Per un attimo ci fu il silenzio, seguito da un movimento veloce di Takeshi, il quale afferrò il braccio destro di Anthony e gli pugnalò la mano; il sangue rosso gli schizzò sul viso. Nathaniel si portò le mani alla bocca, mentre l'urlo del figlio di Apollo riempiva la notte.
- Fate come dice, maledezione! - esclamò con voce roca, mordendosi l'interno delle guance per cercare di smorzare il dolore. Takeshi stava ammirando il suo operato inespressivo, il pugnale ormai irrimediabilmente sporco di sangue.
- Lo ucciderà! -
La voce di Nick suonò come una preghiera allo sguardo duro che gli rivolse Theo; il suo stiletto d'argento bramava la luce della luna, un guizzo di speranza in quell'oscurità crescente. - Se lo lasciamo andare, questo bastardo informerà la C.A.D.M.O. della nostra posizione. - sostenne, incitando gli altri ad attaccare mentre ne avevano l'occasione.
Asher si fece avanti, la sua spada che brillava nella notte. - Non possiamo permettere che viva. -
- Nessuno ucciderà nessuno. - affermò burbero Theo, il suo tono di voce che ricordava il lamento di una colomba ferita. Anche se cercava di mostrarsi forte per tenerli tutti uniti, sotto sotto era solo un figlio di Afrodite come tutti gli altri; debole, insicuro, volubile. - Sono stato abbastanza chiaro? -
Eppure, in quell'occasione, nessuno osò contraddirlo: da quando il colore dei suoi occhi era cambiato, sottoposto agli esperimenti della cosa, incuteva un certo timore e rispetto. La prima volta che Nathaniel lo aveva visto, aveva provato il desiderio insaziabile di compiacerlo, di soddisfare ogni suo bisogno e, soprattutto, di uccidere per lui.
E ne era rimasto spaventato.
- Noi siamo i tuoi nemici, certo. - continuò il figlio di Afrodite, tornando a rivolgersi a Takeshi. - E allora perché non lo hai già ucciso, perché stai indugiando? - domandò, i suoi capelli tenuti indietro dalla fascia a fiori che portava sulla testa.
Chiunque fosse Theodore Bouchard, Nathaniel era sicuro essere il semidio più forte che avesse mai conosciuto; e il più pericoloso.
Takeshi ringhiò. - Stai cercando di far leva sul lato compassionevole del mio carattere, non è cosi? - chiese, quasi ridendo. In lui c'era qualcosa di affascinante, per Nathaniel, qualcosa che lo faceva assomigliare ad una sorta di animale ferito bisognoso di aiuto. - Piccolo, stupido figlio di Afrodite. Lascia che ti illumini: non ne ho uno. -
Theo socchiuse gli occhi rossi, risultando ancora più minaccioso di quanto Takeshi stava cercando di essere. - Dimostramelo, dimostrami che sbaglio. -
Anthony sgranò ancora una volta gli occhi, l'urlo che stava per uscire dalla sua bocca spinto giù per la gola, soffocato dalla paura. Asher e Nick, entrambi dietro le spalle di Nathaniel, trattennero il fiato, le armi ancora strette in pugno mentre Theodore si avvicinava a Takeshi a mani vuote.
Adesso i loro volti erano a pochi centimetri di distanza. - Dimostramelo, traditore. - ordinò, pronunciando quell'ultimo appellativo come se fosse veleno.
Takeshi lo guardò con tutta l'aria di chi avrebbe voluto volentieri cavargli gli occhi, mentre stringeva il collo di Anthony fra le mani. Il sangue si era seccato sul bronzo celeste, ormai. - Non hai le palle, per farlo. - disse Theo, prendendogli la mano ed allontanandola dal figlio di Apollo, il quale si rialzò in maniera sconnessa e corse via, rifugiandosi fra le braccia di Nick. - Non le hai avute nemmeno per fermare Jude, quando mi ha sottoposto all'ATT-451. Sapevi che avrebbe potuto uccidermi, eppure non hai fatto niente. - lo accusò con sprezzo Theo.
Takeshi distolse lo sguardo, fissando il cielo oltre le case che costeggiavo il viale. - Tu non sai niente, di me. - sibilò, a voce così bassa da sembrare una preghiera. A Nathaniel sembrò che stesse ricordando qualcosa, qualcosa di passato, ma che gli faceva ancora male.
Il figlio di Afrodite ora stese la mano, il palmo candido e perfetto. - Il pugnale, adesso. - gli chiese; i suoi occhi rossi, per quanto gentili fossero, sembravano scintillare come quelli di un demone, un demone affamato di lotta e di sangue; un essere insaziabile.
- Stai bene? -
Anthony era sopra di lui, sul collo brillava cupa una lieve ferita. Nathaniel, ancora scosso per tutto quello che era successo, non si era accorto di essere rimasto in ginocchio per tutto quel tempo.
Annuì in maniera burbera e si guardò i palmi arrossati, ignorando il sangue che pulsava appena sotto la sua pelle. Si rialzò in piedi, recuperando le sue armi, mentre Asher aiutava Nick a fare delle bende, strappando parte delle loro magliette.
Takeshi aveva restitutito l'arma a Theo, il quale l'aveva riposta nella cintura di stracci fermata sulla vita. Il tempo di pochi secondi e il figlio di Apollo era accanto a Rain, mormorandole qualcosa per farla stare meglio; cercò di sostenere il peso del suo corpo da solo, piegandosi poco dopo aver fatto due passi.
La ragazza dalla pelle blu era ancora stesa a terra e Nathaniel, per quanto si sforzasse, non riusciva a capire cosa le stesse succedendo: sembrava avere la febbre, ma allo stesso tempo stare bene; la sua pelle fumava, reagendo a chissà cosa.
Nick gli era accanto, lo stiletto pulito ancora in mano. - Sta combattendo contro il sangue di iperboreo che le circola dentro. - gli spiegò, quasi come se gli avesse letto nel pensiero. - Sta combattendo per rimanere in vita. -
Nathaniel annuì, scontroso. - Come tutti, qui. -
- Già. - rispose Nick in maniera trasognata, ricordando qualcosa di spiacevole. Poi si allontanò, dando una mano ad Anthony per sostenere la figlia di Ecate. Chissà quali segreti nascondeva, quel ragazzo.
La voce di Theo adesso era strana, come se non avesse più forze nemmeno per parlare. Nathaniel quasi non se n'era accorto, ma l'aria intorno a loro aveva uno strano odore; sapeva quasi di mirto e di ibisco. - Non possiamo rimanere qui, non siamo al sicuro. -
I fianchi del figlio di Afrodite, lasciati scoperti dalla maglietta strappata in più punti, erano rossi come il sangue. - Ci serve un posto sicuro dove riposare e curare i feriti. -
Si piegò accanto a Nathaniel per dare una mano alla ragazza dalla pelle blu, che più tardi scoprì essere Aeren, l'infermiera del campo; sotto quel pallore azzurro non l'aveva riconosciuta.
Il figlio di Nemesi si strinse nelle spalle, il vento che sfiorava il suo viso con le sue mani calde. - Non sono mai stato a Cleveland. -
Incoccò una freccia, con fare metodico. - E credo che dovremmo muoverci. - aggiunse, guardando Takeshi e il suo ciuffo rosso. - La C.A.D.M.O. sarà già sulle nostre tracce, non è così? -
Il traditore annuì. - La magia della figlia di Ecate è forte, ma Jude ha dalla sua una schiera dei suoi fratelli. - spiegò, con voce tetra. I suoi denti sembravano ancora più bianchi, colpiti dalla luce della luna. - Non ci metterà molto a trovarci, se non ci muoviamo in fretta. -
- Quindi che si fa? - chiese Asher, la spada sguainata in mano e lo sguardo circospetto. - Giriamo per Cleveland finché non troviamo una casa abbandonata che possa ospitarci? -
Involontariamente tutti si voltarono a guardare Theo, che aveva assunto il ruolo di capo, con tutti i dispiaceri che ne seguivano. - Nick? - chiese in maniera gentile.
Il figlio di Efesto alzò lo sguardo, guardandoli uno ad uno per soffermarsi poi su Anthony, il quale sembrava sul punto di collassare per il peso che portava. Eppure trovò lo stesso la forza di spiccicare qualche parola. - Scott non ti ha trovato qui? - domandò, il volto sporco di terra e di fumo. Nick contrasse la mascella, stringendo i pugni.
- Scott? - domandò il traditore, passandosi una mano fra i capelli corvini. - Il satiro? - continuò, sotto lo sguardo assente di Nick. Il figlio di Nemesi intuì che fosse successo qualcosa, ma non poteva azzardare altre conclusioni, dato che non conosceva tutti i fatti.
Theo imbastì un mezzo sorriso, sforzandosi di mostrarsi ottimista. - Nick, ti prego. - sussurrò, la luna che risplendeva sopra di lui e che rendeva la sua pelle quasi d'avorio. - Fra poco questo posto pullulerà di mostri. -
Lasciò la frase in sospeso, anche se tutti conoscevano come essa continuava. - Se sai qualcosa, diccelo. -
Il figlio di Efesto adesso sembrava sul punto di vomitare; stava tremando come una foglia, Nathaniel ne era certo, dato che conosceva quel tipo di paura.
Distolse lo sguardo dalla scena, rivolgendo i suoi occhi alla luna: l'aveva provata anche lui quando era stato costretto a scappare da Iverness, ad abbandonare la Scozia senza sapere se l'avrebbe mai rivista, un giorno.
E Nick aveva pregato, pregato di non tornare mai più a Cleveland.
Corrugò la fronte, come a ricordarsi meglio. - C'è una casa sicura, più a sud. - disse infine, quasi sudando freddo. Il suo volto era una maschera di paura e di disperazione, la sua voce mischiata ad una buona dosa di adrenalina. - È dove Scott mi ha portato. Ci sono dei medicinali, possiamo usarli per Aeren. -
Sputò a terra, con aria da duro, mentre le sue dita e quelle di Anthony si incontravano sulle spalle di Rain, anche se lui sembrò notare appena quel gesto. - Nick. - provò a sussurrare il figlio di Apollo, ma lui non sentì, completamente nel panico per via di tutte le sensazioni che lo avevano travolto non appena aveva messo piede in quella città.
Theo sorrise, abbassando poi gli occhi sul corpo senza vita di Vittoria. Il suo sguardo si fece cupo. - Nathaniel, potresti portarla tu? - chiese, piegato dal peso della ragazza che stava aiutando. Il figlio di Nemesi fissò prima lui, poi la figlia di Atena morta a terra, sentendo nuovamente il bisogno di soddisfare ogni suo desiderio.
Scosse la testa, stringendo i denti per mandare via quella sensazione di asservimento. - Stai bene? - gli chiese allora il figlio di Afrodite, mentre Nathaniel annuiva in maniera brusca e si abbassava per recuperare l'esile corpo della ragazza a terra. Ripose l'arco al suo posto e si incamminò con gli altri, chiudendo per ultimo il gruppo.
Anche se erano nel cuore della notte, utilizzarono le strade secondarie e i vicoli stretti, dentro i quali era buio pesto. Nick era in testa e faceva loro da guida; ad ogni passo che Nathaniel muoveva, i capelli di Vittoria gli solleticavano il volto, facendogli arricciare il naso.
Si fermarono un paio di volte per evitare delle volanti della polizia, soprattutto perché Theo era mezzo nudo e Nathaniel trasportava sulle spalle il corpo senza vita di Vittoria. Nessuno di loro aveva voglia di essere accusato di omicidio proprio in quel momento.
Cleveland, per quanto fosse bella, sembrava comunque una città fredda, poco accogliente e ricca di segreti. E Nathaniel non apprezzava i segreti, era risaputo.
Avevano camminato per circa dieci chilometri con la paura che qualche altro traditore potesse uscire dalle tenebre e ghermirli, ma invece regnò la calma più assoluta. Si limitarono a seguirsi l'un l'altro, guardandosi le spalle e camminando il silenzio.
I muscoli di Nathaniel stavano cedendo. Finalmente Nick si fermò sotto un piccolo lampione a bordo strada, il quale contribuì a rendere ancora più spettrale il suo viso scarno.
Davanti a loro vi era una piccola villetta a schiera, compresa di giardino e di una vecchia altalena cigolante al vento di Settembre. I fianchi erano coperti di edera, arrampicatasi fin alle finestre del secondo piano.
Rain si era svegliata. - Siamo arrivati? -
Aveva la voce tirata di fatica, ma, a parte qualche livido, sembrava stare bene. Nick annuì con aria assente più di una volta, mentre Anthony ed Asher si scambiavano un'occhiata preoccupata: da come si erano guardati, nemmeno loro due sapevano cosa fosse successo a Cleveland al loro amico.
Il figlio di Efesto tirò su col naso. - Bentornato a casa. -
Si avviò verso il portico d'ingresso, così come Theo, imitato da Asher, Rain ed Anthony. Non appena entrarono in casa, Nathaniel posò delicatamente il corpo di Vittoria su un divanetto consunto; sembrava che dormisse.
Poi si lasciò cadere su una sedia, sfinito, mentre Nick faceva strada agli altri nei meandri della casa. Lo specchio appannato dell'ingresso gli mostrava il riflesso di un ragazzo stanco e dagli occhi scuri, quelli che in Scozia la gente aveva accomunato alla superficie del lago di Loch Ness; quegli stessi occhi che avevano portato portare a credere che fosse lui il mostro, assieme alla sua famiglia.
Quanto odio può provare l'uomo, quanto rancore prima che esploda?
Poggiò i gomiti sul tavolo, tenendosi la testa fra le mani arrossate: erano finalmente fuggiti dal Campo Mezzosangue, ma una di loro era morta e Nathaniel sospettava che fosse solo l'inizio. Vittoria era una figlia di Atena, la dea della saggezza e della strategia militare, quindi avrebbe potuto loro far comodo.
Invece adesso cosa restava loro?
Avevano poche armi, erano in inferiorità numerica e non potevano far altro che scappare. Nathaniel sapeva che i traditori non si sarebbero fermati finché non avrebbero avuto le loro teste: chiunque, in quella casa, avrebbe potuto essere il prossimo.
Era solo nella stanza, finché non vi irruppe anche Theo, il quale si diresse verso il lavabo, controllando se ne uscisse dell'acqua fresca. Se ne versò un bicchiere, trangugiandolo con la ferocia di un animale in gabbia.
I suoi occhi erano pericolosamente vicini, quando si sedette accanto a lui. - Dobbiamo occuparci dei suoi riti funebri. - gli disse poi. Nathaniel provò un leggere formicolio alle punta delle dita, ma non si mosse.
Theo si agitò a disagio sulla sedia. - Voleva solo una vita migliore, dobbiamo ringraziarla. -
Il figlio di Nemesi annuì, brusco, fissando il figlio di Efesto che era appena passato davanti a loro senza nemmeno guardarli: fissava ogni oggetto in quella casa con timore, come se qualsiasi cosa lì dentro gli ricordasse ciò invece aveva cercato di dimenticare anni prima.
Nathaniel lo indicò con un dito. - Perché credi che siamo arrivati proprio qui? - gli domandò, gli occhi pesanti. - Sembra spaventato. -
Gli occhi rossi di Theo scintillarono come le braci di un focolare. - Non ne ho idea. - si limitò a dire, slacciando la fascia che aveva in testa e liberando la chioma mossa dei suoi capelli: senza l'autorità e la determinazione che gli aveva visto addosso poche ore prima, Theodore Bouchard non sembrava altro che un semplice adolescente, un adolescente con il peso del mondo sulle spalle.
Giocherellò con i lacci della fascia. - Forse i suoi ricordi hanno influenzato la magia di Rain. - azzardò a dire, imbastendo un leggero sorriso. Posò le mani sul tavolo. - Deve essergli successo qualcosa di catastrofico, se la sua paura ci attirati nell'unico luogo in cui si sente vulnerabile. -
Nathaniel fissò con occhio critico i tatuaggi sulle braccia di Nick e quelli che riusciva a vedergli sul collo, appena sopra il colletto della maglia. - Devono avere per forza un significato. - sussurrò, in modo tale che Nick non sentisse.
- O forse è solo un patito dei tatuaggi, chi può saperlo. - Sbadigliò, contagiando anche Nathaniel. - Sembri stanco morto, dovresti riposare finché possiamo. -
- Potrei dirti la stessa cosa. - ribatté pignolo lui, mentre sentiva le palpebre farsi ancora più pesanti di quanto già non fossero. Theo sorrise.
- Forse mi darei del pazzo, ma sento come un fuoco dentro, un fuoco che brucia e che mi fa andare avanti. Proprio qui. - confessò, posandosi una mano all'altezza del cuore. - È qualcosa che non ho mai provato prima. -
Nathaniel lo guardò, senza tradire però la sua paura: le sue sensazioni erano vere? Che cosa gli aveva fatto la C.A.D.M.O.? Spostò lo sguardo dal codice a barre che lo identificava sul polso al suo viso, così speranzoso.
- Dormi Nathaniel, potremmo non avere più occasione di farlo. - sussurrò, prima di sparire. Il figlio di Nemesi fece per seguirlo e magari montare un turno di guardia, ma si abbandonò sul tavolo della cucina, il canto lenitivo di Anthony a qualche stanza di distanza che accompagnava la sua discesa nel mondo di Morfeo.
 
 
Quando si svegliò, si rese conto che qualcuno gli teneva una mano sulla bocca.
Indietreggiò, colpendo con la testa il mento del suo aggressore, il quale mugugnò un'imprecazione in greco antico. Provò a morderlo, ma si fermò quando si rese conto che si trattava di una ragazza, una ragazza dai capelli blu come la pelle di Aeren.
Lei gli fece segno di togliere la mano, a patto che lui non proferisse parola. Nathaniel, che non aveva ancora capito se si trattasse di un'amica o una nemica, annuì, mettendo subito mano al suo arco.
- E tu chi diavolo sei? - sbraitò, con voce ancora roca per via del sonno, incoccando una freccia prima che lei potesse accorgersene. Lo sguardo che la ragazza gli rifilò era ancora più freddo di una tempesta glaciale: un sottile arco d'argento le spuntò magicamente fra le mani, mentre nei suoi occhi brillava il fuoco della rabbia.
Non rispose, rimanendo in attesa nel silenzio: gli unici rumori a riempirlo erano alcuni scricchiolii della casa stessa e il cigolare a vuoto dell'altalena, appena fuori dalla porta. C'era anche qualcuno che russava leggermente, qualche stanza più in là.
Nathaniel, con l'arco ancora puntato alla ragazza, ne osservò il singolare colore dei capelli, raccolti in una treccia che le ricadeva morbida sulle spalle. Il figlio di Nemesi si alzò rumorosamente dalla sedia, facendola strisciare sul pavimento.
Lei imprecò in greco ancora una volta, prima che lo spingesse via e un cerbero infernale irrompesse nella stanza: il suo latrato odorava di carne umana, mentre il suo pelo era così scuro e denso che sembrava essersi appena fatto un bagno nel sangue.
La ragazza incoccò e scagliò una decina di frecce nel giro di pochi secondi, rotolando via prima che il cerbero potesse azzannarla. Con un calcio spezzò uno dei piedi del tavolo, rovesciandolo per usarlo da scudo. Il cerbero ringhiò e l'intero scheletro della casa si mosse.
La ragazza lo tirò via prima che il cerbero lo colpisse. - Mi spieghi chi cavolo sei? - domandò, incoccando una freccia con aria ancora frastornata. Fece attenzione a non sfiorarne la punta, impregnata di veleno.
Lei gli fece segno di tacere, gli occhi iniettati di sangue per quanto fossero sgranati dalla rabbia. La treccia che raccoglieva i suoi capelli si era sfatta e adesso numerose ciocche le solleticavano il viso.
Il cerbero ringhiò ancora, ma non attaccò. Calò nuovamente il silenzio, nel quale Nathaniel poteva sentire il ritmo insistente del suo cuore al centro del petto.
Poi, prima che il figlio di Nemesi potesse parlare ancora, la ragazza si alzò, incoccando una freccia e scagliandola dritta nella gola del mostro. Una polvere che sapeva di zolfo la investì, facendola sputare a terra per il disgusto.
Nathaniel fece per alzarsi, ma lei gli fece segno di rimanere fermo. - Non muoverti. - lo avvertì, prendendo un'altra freccia. - Questi non sono semplici mastini infernali. La C.A.D.M.O. li ha potenziati, anche se così facendo li ha resi cechi. -
Il figlio di Nemesi la guardò, non sapendo cosa pensare. - Cacciano seguendo i rumori, capito? - sussurrò, tenendo l'arco ben teso davanti a sé. Allora Nathaniel si alzò il più silenziosamente possibile, guardando fisso verso l'ingresso.
- Le mie Cacciatrici ne hanno avvistati almeno tre, in città. E due di loro vi hanno seguiti. - spiegò, muovendo solo le labbra. Era una fortuna che Nathaniel sapesse leggere il labiale. - Quindi stammi vicino e non fare rumore. Dobbiamo scovare l'altro. -
Scivolarono nel corridoio, i loro passi attutiti dal tappeto steso sul pavimento. Fortunatamente le porte delle camere erano tutte aperte, quindi poterono facilmente controllare se in esse si trovasse il secondo cerbero.
Anthony si era addormentato accanto a Nick, le loro mani unite come se avessero condiviso qualcosa di molto importante, durante quella notte.
In un'altra stanza stava riposando Rain, rannicchiata fra le lenzuola di un comodo letto a castello; su di lei vi era invece Aeren, il braccio blu abbandonato nell'aria. Sul pavimento, Asher, abbandonato su una semplice coperta quadrettata, aveva la bocca leggermente aperta e il respiro leggero.
L'unico a mancare all'appello era proprio Theo.
Nathaniel vide la ragazza dare istruzioni alle sue compagne che si trovavano al di fuori della casa, tutte provviste di archi argentei e occhi spaventosamente pericolosi, per essere al massimo quindicenni. Il figlio di Nemesi la seguì fino in bagno, dove non trovarono altro che le magliette strappate di Nick ed Asher, usate per fare delle bende.
- La cosa mi puzza. - sussurrò Nathaniel, dando le spalle alla ragazza. Fu un attimo, poi lei lo atterrò e gli premette il ginocchio proprio in mezzo alle spalle, comprimendogli la gabbia toracica.
Nathaniel ansimò in cerca d'aria.
Le rifilò un calcio fra gli stinchi, liberandosi dalla sua stretta, cercando di alzarsi. Lei allora tirò fuori un pugnale e lo ferì alla caviglia, facendolo urlare. Ancora una volta, la casa tremò, proprio mentre il secondo mastino faceva irruzione da una finestra, seminando sangue nero e schegge di vetro sul pavimento.
Aveva la bocca sporca di sangue, forse perché aveva massacrato il resto delle Cacciatrici. E adesso stava puntando proprio verso di lui.
Anche se il sangue scorreva copioso lungo il suo piede, Nathaniel incoccò una freccia e la scagliò contro il mostro, prima di infilarsi nella lavanderia e chiudere a chiave la porta. Dubitava che una misera lastra di legno li avrebbe tenuti lontani, ma era solo un modo per prendere tempo.
Afferò un lenzuolo e lo usò per creare una sorta di laccio emostatico da stringere sulla caviglia. Imprecò per il dolore, pensando che l'arteria tibiale era andata.
Dove diavolo era Theo? Era già morto? E che ne sarebbe stato del resto dei semidei nella casa?
Aveva urlato, certo, ma stavano tutti dormendo durante l'attacco; chissà se avevano avuto il tempo di mettere mano alle armi e reagire.
La porta tremò. Poi un'altra volta. E ancora.
Nathaniel controllò quante frecce gli restassero, incoccandone una con le dita tremanti; strinse i denti. La puntò verso la porta, mormorando una preghiera e chiedendosi se quello sarebbe stato il suo ultimo scontro.
La ragazza lo stava chiamando, la sua voce era nelle sue orecchie, ormai. L'alba stava sorgendo quando la porta venne sfondata e Nathaniel lasciò andare la freccia.
Ora i rumori erano cessati e Theodore Bouchard era in piedi davanti a lui, la punta avvelenata della freccia a pochi centimetri dal suo naso, fermata dalle sue dita sottili.
I suoi occhi rossi brillavano cupi. - Nathaniel. - sussurrò, senza armi in mano né sangue sui vestiti. Poi gettò un'occhiata alla benda sulla sua caviglia, precipitandosi verso di lui. - Dei dell'Olimpo, sei ferito! - esclamò.
Era terrore quello che Nathaniel stava provando?
- Stammi lontano, mostro! - urlò, prima che sulla porta spuntassero anche le teste di Asher e Nick; i loro occhi si incontrarono e fu come se lui, dannato, chiedesse aiuto ad un angelo caduto qual'era il figlio di Efesto, tormentato dai suoi fantasmi.
Il figlio di Afrodite adesso gli era accanto. - Nathaniel, sono io. Sono Theo, non mi riconosci? - chiese, allontanando il suo arco con un calcio. Il figlio di Nemesi scosse la testa, mentre il suo cuore non accennava a diminuire il suo ritmo selvaggio.
Aveva la voce roca e impastata di dolore. - La ragazza, la Cacciatrice, è una dannata. - sussurrò lui, come una litania a cui aggrapparsi per non cadere nel baratro. - I mastini, i cerberi infernali. Era posseduta, ci hanno trovati. La C.A.D.M.O. Morte. -
Stava andando a ruota libera e Theo si stava occupando della sua gamba. I suoi occhi scintillavano come le stelle in una notte senza nuvole.
La caviglia pulsava violentemente, così come le sue stesse tempie. Nathaniel si concesse un sospiro di sollievo, prima che i volti di Asher e Nick si tramutassero in delle spaventose maschere di gargoyle, mostri e demoni che si agitavano nella sua mente.
Non sapeva cosa quella ragazza gli avesse fatto, ma stava perdendo il senno: veleno? Che diavolo stava succedendo?
Theo adesso stava sorridendo, un sorriso che però non gli aveva mai visto addosso: la sua pelle, poco a poco, da rosa che era diventò rossa, rossa come il sangue che impregnava la gamba di Nathaniel; i suoi occhi, rossi come il resto del suo corpo, scintillavano malvagi, malvagi come quelli del diavolo.
Nathaniel indietreggiò fino al muro, guardando insistentemente Asher e Nick per ricevere un aiuto, aiuto che non sarebbe mai arrivato. Il vento aveva preso a spirare, alle sue spalle, anche se il figlio di Nemesi non sapeva da dove arrivasse; non c'era nessuna finestra, nella lavanderia. 
Prima che il bruciore agli occhi diventasse un pizzicore doloroso, Nathaniel urlò. Poi lacrime e sangue rigarono il suo volto, scorrendogli lungo il collo e ribollendo selvaggi fino al petto, là dove il cuore gli batteva impazzito.
Sembrava che il suo stesso sangue stesse creando una gabbia, fili e reti che imprigionavano il tamburo che lo ancorava alla vita. Inspirò ed espirò freneticamente, riempiendo i suoi polmoni di ossigeno.
Non era spaventato dall'essere rosso che aveva davanti, né dal fatto di poter morire, ma dal voler compiacere Theodore Bouchard con il suo sangue.
Il figlio di Afrodite gli sorrise, ancora una volta. - Vellutati passi del dio: non sul terreno incede, ma la sua strada e sulle teste d'uomo. - gli sussurrò ad un orecchio, prima di affondargli la mano nel petto, stringendo il suo cuore come un trofeo.
Prese un respiro profondo, soddisfatto per il suo sacrificio; poi reclinò la testa all'indietro, in un moto di pura vita. Sentiva il pomo d'Adamo scoperto e un vuoto pesante in mezzo al petto.
Quando aprì gli occhi non provò altro che paura, una paura irrazionale: era stato solo un sogno, anzi, un incubo; il tavolo era ancora lì, integro, segno che non c'era stata nessuna lotta. Nelle sue orecchie risuonavano il russare leggero di Asher ed il respiro affannoso di Aeren.
No, Nathaniel sapeva che non era quello a fargli paura.
Cacciò un urlo solo quando vide la ragazza dai capelli blu davanti a lui, la Cacciatrice, con le braccia strette al petto. Accanto a lei, c'era Theo, il suo padrone, l'essere rosso che aveva visto nel sogno; il demone del sangue lo stava guardando, i suoi occhi scintillavano come le fiamme dell'Inferno.
Quale Inferno? si chiese Nathaniel, fissandolo. Lui sorrise, lo stesso identico sorriso inquietante che gli aveva visto addosso nel sogno, prima che gli strappasse il cuore. Il suo Inferno, quello in cui stava affogando.
 
 
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♔ King says: Ask me ♔
 
 
Ma bonsoir, miei carissimi seguaci; come va?
È passato quasi un mesetto da quando ho aggiornato per l'ultima volta, ad Ottobre, e ne sono successe di cose! Ma sono sicuro che non vi interessano, no?

Eccomi qui con questo nuovo capitolo di Heaven Knows, questa volta incentrato su Nathaniel Reeve (Lady of Castamere), il burbero ma coraggioso figlio di Nemesi. Devo dire che mi sono davvero divertito a scriverlo, soprattutto la parte finale, quella dell'incubo.
Sono un tipo molto creepy, lo so AHAHAHAHAH Amatemi ♥
Che cosa sta succedendo a Nathaniel, perché si sente attratto, in termini di asservimento, a Theo? Su Ask ho anticipato boccaccia mia che diventerà pazzo e sarà proprio Theo a condurlo sul ciglio del burrone, ma non si può mai sapere, con me in giro u.u
 
I nostri fuggitivi sono arrivati a Cleveland, una città del terrore, come dice esplicitamente Nick: perché, secondo voi? E cosa significano tutti quei tatuaggi sul suo corpo? Sarà solo un patito, come sostiene Theo, oppure c'è qualcosa sotto? Ovvio che c'è, che domande c: 
Durante l'incantesimo di Rain si sono portati dietro anche Takeshi, che qui irrompe usando Anthony come scudo umano (sorriami Angie u.u), ma viene prontamente fermato da Theo, un Theo diverso da quello che abbiamo visto negli altri capitoli, non trovate?
Salutiamo, purtroppo, la nostra figlia di Atena, la bella Vittoria. Dai, detto così sembra che lo stronzo sono io, però lei si è fatta piantare un coltello in gola, non è colpa mia çç
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! L'ho riletto tante volte e sono sicuro che mi sia scappato qualche errori o frase poco convincente, quindi non vergognatevi a farvi sentire, ok? Siete sempre i miei sudditi più leali, sappiatelo c:
Per i prossimi aggiornamenti, rimaniamo che ci sentiamo fra due settimane, forse anche meno, se riesco a preparare altri capitoli. Ne ho uno pronto, quello di Amber, ma vorrei almeno avere un capitolo di riserva in modo tale da aggiornare senza però arrivare con l'acqua alla gola.
Avete capito, si? AHAHAHAHAHAHAH
Quindi, se tutto va bene, ci sentiamo il 22 con il prossimo capitolo :') Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che mi lasciate una recensione, anche piccola, se vi va! c:
Alla prossima,
 
King


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Soon on Heaven KnowsAmber ♠ Vergine di Ferro

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Capitolo 10
*** Amber ♠ Vergine di Ferro ***


Heaven Knows
♔ Official Video Trailer 



Amber ♠ Vergine di Ferro

 
 
L'usignolo di Amber ebbe la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Duncan era in piedi davanti a lei; la pelle dei suoi abiti faceva risaltare il colore chiaro dei suoi occhi. - Jude ci ha informato della loro fuga. Tutto è avvenuto poche ore fa, fra mezzanotte e l'una. - le spiegò, parlando con voce calma.
Si passò una mano fra i capelli scuri, inumidendosi le labbra. - Il soggetto 9755512357896 è scappato, assieme ad almeno altri sei mezzosangue. - disse, mentre Amber accartocciava il foglio di carta che aveva in mano. - Un traditore è stato catturato. Credo che qualcuno li stia nascondendo, dato che nessuno dei nostri incantesimi di localizzazione sembra avere effetto. - concluse poi, mantenendo lo sguardo alto.
Amber strinse i denti, la linea robusta della mascella che le squadrava il volto; i suoi occhi erano un unico cumulo di rabbia, una tempesta di ira e di frustrazione. Era così vicini alla soluzione di tutti i suoi problemi, così vicina.
L''usignolo alle sue spalle, chiuso in gabbia, stava canticchiando qualche nota triste, prima che il potere fi Amber lo facesse implodere: un turbinio di piume castane ed ocra si sparsero per terra, volteggiando su se stesse prima di toccare il pavimento.
Il silenzio che ne seguì fu spiazzante, soprattutto per via del fatto che nell'aria si sentiva ancora l'eco del suo canto. Il figlio di Ares aggrottò la fronte, rimanendo però a bocca chiusa, volenteroso di non fare la stessa fine del povero uccello.
Sotto la chioma corvina, lo scalpo di Amber fremeva di rabbia, un formicolio che contagiava piano piano anche le sue dita. Il suo accento francese ingentilì l'offesa che le uscì dalla bocca, scivolandone fuori come veleno. - Incompetenti. -
Il display del suo cellulare segnava le 04: 32 del mattino. Le occhiaie violacee sotto i suoi occhi dimostravano che stava dicendo il vero: nessuno si sarebbe permesso di buttarla giù dal letto, a meno che non si fosse trattata di una questione della massima importanza.
Strinse i palmi delle mani. - Non sanno tenersi stretto nemmeno un figlio di Afrodite. - sibilò, il portapenne che tintinnarono quando sbattè il pugno contro la scrivania di mogano alla quale era seduta.
Duncan flesse le spalle, i muscoli sotto la maglietta leggera che guizzavano in risposta agli ordini muti del suo cervello. - Lo prenderemo, lo abbiamo sempre fatto. - affermò, immobile come una statua di ghiaccio. C'era qualcosa di affascinante, nella sua sicurezza. - E poi abbiamo Orfeo, possiamo convincerlo a collaborare. -
- Orfeo, già. - sospirò con voce trasognata Amber, come se stesse vivendo in un sogno da cui non voleva svegliarsi. Si versò un bicchiere di bourbon con fare lento, alzandosi in piedi per osservare le pareti spoglie del suo ufficio. - Non è questo il punto, comunque. -
Duncan mosse un passo verso di lei, gli anfibi neri che scivolavano sul pavimento senza fare rumore. - E quale, allora? - domandò, il suo viso segnato dalla fatica, quella che il figlio di Ares cercava di nascondere sotto una corazza di rabbia e di delusioni. - Credi che la cosa possa arrabbiarsi? - continuò, cercando una risposta nei suoi occhi.
Avrebbe dovuto sapere che non era saggio apprendere i segreti di una figlia di Eros; era pericoloso tentare di conoscere la vera Amber, quella che aveva sepolto anni prima sotto una maschera d'oro e di ferro.
La figlia di Eros sostenne il suo sguardo con forza, trangugiando il resto del suo bicchiere. - Lo ha già fatto, ne sono certa. -  Gli angoli della sua bocca si piegarono in un sorriso, quello migliore che riuscì a tirare fuori dopo la notizia che le avevano dato.  - Eppure avevo detto di tenerlo legato, maledizione. -
Scagliò il bicchiere di cristallo contro la parete, frantumandolo in una pioggia di schegge e di bourbon, le quali si riversarono come stelle cadenti sul prezioso tappeto persiano che Amber aveva sottratto tempo addietro ad un covo di mangiatori di loto.
Duncan si avvicinò a lei fino a metterle una mano sulla spalla, prima che lei si scostasse. Lui sembrò rimanerci male e cominciò a giocherellare col tappo di una penna.
Rimasero lì a contemplare il disastro che Amber aveva combinato, lo sfarfallare inquietante della luce sulle loro teste, l'eco dell'usignolo che risuonava lontano nelle loro orecchie.
Il figlio di Ares si strinse nelle spalle. - Cosa dobbiamo fare? - chiese, notando quanto Amber facesse fatica a rimanere lucida. Gliel'avevano sempre detto, di essere un po' pazza: se c'era una cosa che aveva preso da suo padre era proprio quella, l'intrinseco senso di follia che l'accompagnava tutti i giorni, che le scorreva prepotente nelle vene. - Posso organizzare una squadra e partire per le ricerche anche subito, se servisse a qualcosa. -
Amber scosse la testa, asciugandosi con due dita gli angoli della bocca. - No, ho già in mente un'altra soluzione. - sussurrò, voltandosi per osservare il volto attraente di Duncan; le sue labbra carnose sembravano chiamare le sue, così estremamente vogliose anche di un solo bacio.
C'era sempre stata una certa chimica, fra loro, ed Amber era sicura che Duncan provasse qualcosa di forte per lei. Eppure non si era mai fatto avanti, non le aveva mai confessato nulla: aveva paura, paura di quell'aura di pazzia che l'avvolgeva, del mostro che si celava appena sotto la sua pelle?
Lei, al contrario, non aveva mai provato niente per lui; non per niente, infatti, si era conquistata il soprannome di Vergine di ferro: aveva un bel viso, certo, ma sapeva essere letale quanto uno di quegli infernali strumenti di tortura medioevali; dentro di sé aveva dei chiodi appuntiti, spine che si nutrivano del sangue dei poveri malcapitati che incappavano fra le sue spire.
Perchè il mondo era stato fondato su un patto di sangue e su di esso doveva andare avanti.
Era la figlia di Eros, l'amore era il suo campo, assieme a tutti i suoi lati distruttivi: avrebbe condotto lei il gioco e, se Duncan voleva averla, doveva prima sperare di batterla a quella partita.  - Vammi a chiamare Jude, fallo venire qui. - ordinò, la luna alle sue spalle che scintillava nel cielo notturno. - Devo parlargli al più presto. Più tempo passa e meno speranze abbiamo di riprendere ciò che è nostro. -
Duncan annuì, soffermandosi un attimo sulla porta come se volesse aggiungere altro. Poi uscì, portandosi dietro il forte odore del suo profumo, allontanandosi per il corridoio, scandendo con i suoi passi sicuri il cuore di Amber.
Quando finalmente il figlio di Ares se ne fu andato, lei si lasciò cadere di nuovo sulla poltrona, rigirandosi fra le dita una delle piume del suo usignolo: c'era una brutta sensazione che l'attanagliava da giorni, ormai, e non sembrava avere voglia di andarsene.
Scosse la testa, ripetendosi che lei non era una ragazza indifesa in cerca di protezione, ma quella che, se voleva qualcosa, la prendeva senza l'aiuto di nessuno. Nel silenzio della stanza in cui era immersa, Amber sentiva i suoi pensieri fremere contro le pareti della sua testa, come se stessero premendo per uscire.
Quasi non si riconosceva più, quando si guardava allo specchio.
I capelli neri, quelli di cui tanto andava fiera, non le sembravano altro che stoppa, riflessi nella parete di fianco, i suoi occhi erano sempre più infossati, scuri e spigolosi come quelli di uno zombie. Se si guardava le mani, non vedeva altro che un pregiato guanto di sangue e di pelle, cosa che la rendeva sempre più simile ad uno spettro.
Il suo vero aspetto, la bestia che viveva dentro di lei, l'aveva seppellita anni prima; adesso quel mostro era tornato, mangiando il suo potere, rivelando finalmente la sua vera natura. Che cos'era la figlia di Eros senza la sua bellezza, cosa poteva ottenere se non aveva più quel bel volto donatole dal padre?
Una maledizione, le aveva detto, un sacrificio da pagare col sangue.
Senza il suo aspetto, la Vergine di ferro non era niente; un cumulo di metallo e di sangue che sarebbe presto sparito, affogato nella terra.
Amber doveva correre al riparo, doveva nascondere ancora quella bestia. E non c'era più tempo, non ce ne sarebbe più stato, se non avessero trovato Theodore Bouchard; voleva quel volto, la sua bellezza, la sua cintura: il numero 9755512357896 le spettava di diritto; doveva essere catturato prima che sorgesse un'altra alba.
Conosceva il cuore degli eroi, li aveva già messi alla prova in passato e, adesso che non provava ormai alcun rimorso, perché non usare tutti i mezzi a disposizione per farlo crollare?
Theodore Bouchard sarebbe stato suo; e non avrebbe fallito.
Mentre era assorta nei suoi pensieri, qualcuno bussò alla sua porta. Christopher Montogomery era ritto sulla soglia del suo ufficio, i capelli verde acido che gli ricadevano spettinati davanti agli occhi.
In mano stringeva alcune carte con lo stemma della C.A.D.M.O, un drago che schiacciava un uomo con la sua zampa squamata. - Orfeo si è svegliato; Alyx ha drenato il suo sangue in modo da poter eliminare tutto il veleno. - annunciò, avanzando sino alla scrivania con aria confusa. Gettò un occhio alla confusione che regnava da un capo all'altro della stanza, corrugando la fronte. - Mi stavo chiedendo se avresti voluto scendere nella sala delle torture.
Amber si studiò una mano, con fare scenico. - A fare? - chiese, il tono di voce freddo come il ghiaccio. - Cavategli di bocca ciò che mi occorre sapere e poi uccidetelo. -
Christopher si mosse imbarazzato sul suo posto, mentre Amber si lasciava sfuggire una risata nervosa. - A  me non vuole dare ascolto. E le ho provate tutte. - sostenne. - Forse tu potresti riuscire dove io ho fallito.  Dopotutto sei la Vergine di ferro. -
- Sai, fa uno strano effetto sentirsi chiamare così. - mormorò piano Amber, un lieve sorriso che si faceva spazio sulle sue labbra. Christophere fece per dire qualcosa, ma venne interrotto dalla mano della figlia di Eros, ormai sulla porta. - Credo che gli taglierò la lingua, se non mi darà ascolto. -
Si infilò nei corridoi del sessantaduesimo piano, puntando dritto all'ascensore: mentre i suoi piedi battevano ritmicamente sul pavimento, la sua mente scivolò indietro nel tempo, a sei anni prima, dove quel ragazzo l'aveva trovata.
Sentiva ancora l'ombra della paura sulla sua pelle, il senso di disagio cronico che le rodeva lo stomaco. Stringeva una lama di bronzo celeste, il filo della spada sporco di icore, il sangue degli dei, di quello che aveva cercato di ucciderla.
 
 
♠ ♠ ♠
 
 
Era dicembre e faceva molto freddo, quello lo ricordava bene, visto il vapore che le scivolava dalle labbra. Si trovava lì dentro per sventare un covo di dracene: era sul punto di fare irruzione nella stanza, quando l'allarme antincendio era scattato ed Amber si era ritrovata colta alla sprovvista.
I mostri a cui stava dando la caccia erano scappati in fretta e furia, abbandonando armi e le carte a cui stavano lavorando. Si erano poi confusi alla marmaglia di gente che apprestava a lasciare urlando l'edificio; la paura sul loro volto che li rendeva ancora più orripilanti.
Era una trappola? Amber non ne era sicura.
Non sentiva puzza di fumo e poi il sistema di spegnimento automatico non si era attivato. Eppure era anche vero che, se le dracene erano scappate spaventate, questo voleva dire che qualcosa di ben più pericoloso di un serpentello si aggirava fra le mura di quel grattacielo.
Aveva aspettato con il fiato sospeso per una buona decina di minuti, così immobile da poter essere scambiata per una statua. La spada che aveva in mano era la sua unica fonte di luce, dopo che la corrente era saltata all'improvviso; i riflessi bronzei riuscivano ad illuminare a malapena il corridoio che le si apriva davanti.
Aveva sentito il cuore battergli forte, quasi come un martello pneumatico; il suo sesto senso le aveva suggerito di scappare, di andare via da lì. Eppure lei era testarda, ribelle.
Si era sempre sentita attratta dal pericolo, tentata dal rischio, quindi perché non andare avanti e conquistarsi la gloria in modo che il suo nome fosse sulla bocca di tutti i semidei al Campo Mezzosangue? Amber non si era resa conto di quanto si sbagliasse.
Qualcuno una volta le aveva raccontato che quel grattacielo era stato costruito su un vecchio cimitero, là dove erano stati seppelliti numerosi corpi martoriati dalla peste. Sua madre, per giunta, le aveva sempre ripetutto che non si dovevano disturbare in alcun modo gli spiriti.
Nel buio alle sue spalle, Amber aveva ascoltato il rumore di alcuni passi: si era allora girata su se stessa, puntando la punta della spada verso il nulla; la paura le era montata dentro, facendola respirare in maniera affannosa.
Era quello che stava facendo, disturbare gli spiriti?
Nel frattempo la corrente era tornata ad intermittenza, visto come sfarfallassero le luci del corridoio. In quell'atmosfera da incubo perse il senso del tempo: quanto ne era passato da quando era entrata lì dentro? Minuti, magari ore?
Amber non lo sapeva. Poteva solo cercare una via di fuga, sperando che nessuno spettro o fantasma se la prendesse con lei.
Aveva studiato abbastanza bene la mappa di quel grattacielo, settimane prima, per mettere a punto il piano, quindi non le sarebbe stato difficile orientarsi. Approfittando della luce che andava e veniva, si era infilata nel corridoio davanti a sé, ignorando quella voce insistente nella sua testa che le diceva di non essere sola, l'ansia che sussurrava alle sue orecchie le peggiori cose a cui avesse mai pensato.
Aveva poi aperto la porta d'emergenza, ritrovandosi a percorrere diverse rampe di scale, tutte in discesa: aveva sceso i gradini a due a due, cercando di sbrigarsi; ogni tanto si era fermata per guardarsi alle spalle e per riprendere fiato, i suoi polmoni che reclamavano ossigeno per non collassare.
Aveva il cuore in gola e l'adrenalina alle stelle, ma aveva comunque deciso di continuare nella sua corsa, cercando di fermarsi il meno possibile. Forse erano solo i suoi nervi sovraeccitati, ma, mentre scendeva, le era parso di vedere delle ombre muoversi, diversi piani più in basso.
Aveva pregato, pregato gli dei, suo padre, affinché uscisse illesa da quel grattacielo; eppure gli Olimpi non avevano avuto alcuna intenzione di ascoltare la sua supplica, il loro cuore di pietra aveva già ordito per lei la trappola perfetta, figlia della crudele Atena.
Nel silenzio delle scale d'emergenza, l'urlo che aveva cacciato sfiorava quasi il cielo, l'Olimpo stesso, dopo che un uomo le aveva toccato la spalla. Si era voltata, di scatto, tenendo ben alta la spada, mentre l'eco dietro di lei le restituiva il grido, quello che avrebbe continuato a risuonare nella sua testa.
Aveva poi perso l'equilibrio ed era caduta a terra, sbucciandosi un ginocchio; con l'adrenalina che le scorreva a mille nelle vene, si era rialzata alla svelta, continuando a scendere le rampe di scale che le restavano da percorrere.
Il cuore le batteva all'impazzata nel petto, l'affanno le impediva di respirare a pieni polmoni, quindi aveva preso delle ampie boccate d'aria; sentiva l'ombra di quella mano ancora impressa sulla sua spalla.
In quell' istante, Amber si era resa conto di quanto fosse oggettivamente pericolosa la vita di una mezzosangue: adesso non le importava più nulla della gloria o della conquista, ma solo ed unicamente della sua vita; e doveva tenerla stretta, se non voleva perderla.
Correndo così veloce, Amber aveva mancato un gradino, venendo subito dopo investita da una ventata d'aria fredda che portava con sé l'odore dello zolfo. Poi una, due, tre frecce avevano ferito le sue gambe, ancora prima che potesse anche solo pensare di alzare la spada per difendersi.
L'arciere che la stava seguendo era davvero abile, visto che le aveva colpito l'arteria femorale con un colpo preciso, da quella che doveva essere una grande distanza. Il sangue aveva preso a scorrere, macchiando il pianerottolo sul quale si era abbandonata; un lago rosso, una pozza, le si era allargata sotto il petto, aspettando che affogasse.
Amber aveva ringhiato di dolore, tentando di mettere mano alla spada, anche se era del tutto inutile: un uomo le era atterrato sopra con la forza di un leone, facendole perdere la presa sulla sua arma, la quale era scivolata tintinnando lungo le scale.
Il cacciatore poteva anche considerarsi un bell'uomo, se non fosse stato per il sorriso d'assassino che gli brillava sulle labbra: era a piedi nudi, vestito poi con uno smoking come se fosse stato intercettato mentre stava andando ad una festa.
Un papillon nero gli cingeva il collo, rendendo il suo viso ammaliante. Aveva una freccia d'oro incoccata nel suo arco, più una faretra ricolma di ogni genere d'arma. - Bonsoir, ma chére. - l'aveva salutata. I suoi occhi avevano poi scintillato. - Sei pronta a morire? -

 
 
♠ ♠ ♠
 
Amber piantò il coltello di bronzo celeste dritto nella spalla di Orfeo, assaporando il suo urlo di dolore, un eco lontano nella notte. - Non farmi perdere altro tempo. - intimò, la voce più fredda ed autoritaria che riuscì a tirare fuori. - Aiutaci o giuro che ti caverò gli occhi con le mie stesse dita. -
Estrasse il pugnale con veemenza, facendolo gemere ancora una volta. - E sai, sono piuttosto brava. -
Il rosso del sangue spiccava contro la pelle diafana di Orfeo, il quale era ancora disteso sul tavolo metallico dove Alyx lo aveva disintossicato. La figlia di Melinoe l'aveva rimediato dall'obitorio dell'ospedale vicino, quindi sarebbe stato perfetto per l'occasione, se Orfeo l'avesse fatta arrabbiare ancora.
L'incantatore sputò a terra, lasciandosi andare ad una risatina nervosa. - Non puoi, vero? Te lo si legge negli occhi, mezzosangue. - la canzonò lui, mentre lo sguardo di Amber si accendeva di rabbia. - Ti servo vivo, non è così? - domandò ancora, come a sfidarla; la guancia dove la ragazza lo aveva colpito che si andava colorando di viola.
La punta delle sue labbra era ancora blu per il veleno, ma sembrava stare bene, prima che la figlia di Eros irrompesse nella sala e cominciasse a torturarlo.
Amber infilò un dito nella ferita che aveva appena aperto, toccando la sua carne. Il grido che Orfeo stava per cacciare gli morì in gola, emettendo invece solo un lieve gemito di protesta. - Io non ne sarei così sicura, incantatore. -
Poi si allontanò di qualche passo, la lama insanguinata ancora stretta fra le sue mani. I ricordi che aveva evocato le avevano fatto male, quindi in quel momento aveva bisogno di sfogarsi: a dispetto del suo soprannome, non era così brava nella tortura fisica, ma non poteva dire di cavarsela male.
Sospirò, passandosi il coltello da una mano all'altra come se fosse un giocattolo innocuo. - Ti ho chiesto una cosa semplice, solo una. - riprese allora dall'inizio Amber, tentando ancora una volta di utilizzare la sua parlantina per convincerlo a collaborare. - Aiutami nella mia ricerca e io ti lascerò libero. Puoi fidarti di me, manterrò la mia parola. -
Orfeo strinse i pugni; i legacci di cuoio che lo tenevano fermo tremarono. - Libero ... libero. - ripeté con voce trasognata, fissando il soffitto angusto sopra di lui. In qualche modo, anche se Amber non sapeva come, nei suoi occhi brillava il cielo stellato di Grecia.
Era pensieroso, quasi malinconico. - Non voglio entrare a far parte di questa guerra. -
Amber socchiuse gli occhi, come fanno i grandi felini prima di balzare sulla loro preda. - Guerra? - chiese, lasciando trasparire tutta la sorpresa nella sua voce. - Chi ha mai parlato di guerra? -
Orfeo cercò di stringersi nelle spalle, per quanto gli era permesso muoversi. - So riconoscere i sintomi, quando li vedo. - rispose semplicemente, come se si trattasse di una febbre passeggera. La sua voce suonò così melodica ed armoniosa che Amber fu tentata di sedersi ed ascoltare la sua storia; eppure non aveva tempo da perdere.
Si avvicinò a lui, sedendovisi accanto e lasciando che i suoi capelli sfiorassero il viso di Orfeo. - Non ho bisogno della tua lezione di vita, incantatore. - lo zittì, rivelando la punta minacciosa del pugnale. - Voglio solo il tuo aiuto. Canta, uccellino. -
- Cosa mi fa credere che mi lascerai libero, una volta che ti avrò detto so che ciò? - Orfeo deglutì a fatica, dopo aver fatto quella domanda, come se stesse ingoiando della sabbia.
Amber raddrizzò la schiena, passandosi una mano fra i capelli mori. Poi gli sorrise in maniera poco promettente. - La quinta essenza. Dove si trova? - chiese, non prendendosi nemmeno la briga di rispondere alla sua domanda.
Gli occhi di Orfeo si agitarono spaventati, quasi affogando nel mare infinito e pericoloso che si scorgeva in quelli di Amber, prima che abbassasse lo sguardo. - La quinta essenza? - ripetè. Aveva smesso di lottare contro il cuoio che gli serrava le gambe. - Ah, allora adesso è così che la chiamate. - sospirò amaramente, immergendosi ancora una volta nei suoi ricordi.
Amber sbuffò, slegandogli un braccio come segno di buona volontà. - Speranza, Elpis. - elencò con voce monocorde, come uno strumento rotto. - Come vuoi chiamarlo? Per me significano tutti la stessa cosa. - sostenne, incrociando le braccia al petto in attesa di una risposta.
Orfeo imbastì un sorriso malinconico. - A me non ha aiutato, sai? - chiese, alludendo al suo passato. Amber lo incalzò con lo sguardo ad andare avanti. - Elpis mi diede l'illusione di poter riavere indietro la mia Euridice. Poi mi abbandonò, lasciando che venissi distrutto dal dolore. - 
Amber scosse la testa. - Non mi interessa della tua storia finita male. - ribatté sprezzante. - Rispondimi subito o ti apro in due. -
La sua voce era suonata forse più dura di quanto volesse, ma era riuscita ad ottenere l'effetto sperato. Orfeo annuì in maniera mesta, tossicchiando poco dopo. - Non lo so di preciso. - disse, tossendo ancora una volta. - Ma ho sentito di alcune voci che la localizzano a San Francisco. -
Amber alzò gli occhi al soffitto, aprendo le braccia in modo teatrale. - San Francisco? - domandò al nulla sopra di lei, alludendo agli dei che Orfeo aveva adorato millenni di anni prima. - Mi state prendendo in giro, maledetti? -
Il petto dell'incantatore si alzò ed abbassò ritmicamente, seguendo il battito del suo cuore. - Cosa volete farne? - chiese, aggrottando la fronte come per ricordare qualche nozione preziosa che aveva appreso anni ed anni prima. - Non centreranno per caso ... -
Amber gli premette una mano sulla bocca, sgranando gli occhi. - Zitto, non un'altra parola. - lo avvertì, minacciandolo con il pugnale insanguinato a pochi centimetri dalla sua gola. Rimasero in silenzio e in quella posizione per qualche minuto, quando poi la figlia di Eros si decise a ritirare poco a poco il palmo roseo dalle sue labbra.
- Non avevo idea che i giovani d'oggi fossero così ambiziosi. - rise, facendo per muoversi e venendo però bloccato dalle catene. - Sai che un potere che il mondo non può vedere? -
Amber si portò un dito alla bocca, intimandogli ancora una volta il silenzio. - Non sono affari che ti riguardano, chiaro? - lo ammonì. Adesso la chioma di capelli neri sembravano serpenti che saettavano in aria per saggiarne i vari odori e, assieme ad essi, i pericoli.
Orfeo si zittì, prendendo un respiro profondo dopo aver tossito ancora una volta. - Che altro vuoi sapere? -
La figlia di Eros strinse il pugno, rischiando quasi di tagliarsi con la lama affilata del coltello. - I Custodi. - affermò decisa, mentre nei suoi occhi bruciava una fiamma che non riusciva a spegnere. - Perché ci stanno mettendo i bastoni fra le ruote, dove posso trovarli. Tutto. -
Orfeo scoppiò a ridere, una risata di vero gusto. - Dei immortali, ragazza! I discepoli prediletti dagli Olimpi vogliono che tu fallisca, non è ovvio? - le chiese, mentre il sangue continuava a colare dalla ferita aperta sulla spalla. - Il potere che stai cercando di acquisire è impossibile da trattenere, persino con la forza di Elpis. Ti sopraffarrà, ti renderà meno di niente e cancellerà per sempre la tua esistenza. -
Alzò lo sguardo, terra contro ghiaccio che si scontravano nei loro occhi. - Non esisterà più Amber Martin, figlia di Eros. - sostenne Orfeo, la voce tirata dal dolore. - Sarai solo un mostro, niente di più o di meno di coloro che eseguono i tuoi ordini. - 
Amber si alzò di scatto, quasi come se fosse stata minacciata da un ferro rovente. - Come fai a conoscere il mio nome? Come fai a sapere chi sono? - domandò, offesa. - E poi la bestia dentro di me è in agguato. Non riuscirò a tenerla a bada ancora per troppo, se non troviamo Elpis. -
- I miei Dimenticati parlano, sai? E mi portano tante notizie.Voi della C.A.D.M.O. siete al centro di ogni gossip; i più forti, i più coraggiosi. - Orfeo sorrise, un sorriso disarmante persino per la fredda e calcolatrice Amber Martin. - Eppure adesso stai cercando di riunire i cinque archè primordiali. Dimmi, perché? -
La figlia di Eros sbiancò, diventando del colore di un lenzuolo. Come faceva a sapere tutte quelle cose? Come faceva a sapere dei suoi piani?
- E tu dimmi come fai a conoscere le mie intenzioni. - ribatté Amber, decisa a puntellare i punti deboli della sua strategia d'attacco. - Parla, incantatore! -
Orfeo sorrise, ancora una volta. - Dovrai utilizzare tutto il potere di Elpis, uccidere il suo tramite. Sei consapevole di questo, ragazza? - domandò, alzandosi a mezzo busto. - Ma dubito che ciò ti importi, non ti farai certo scrupoli ad uccidere innocenti, no? -
Adesso era andato troppo oltre: eppure, prima che Amber potesse alzare il pugnale e finirlo, la figlia di Eros urlò, lasciando cadere il coltello: dalla ferita che gli aveva aperto sulla spalla il sangue continuava a colare sul suo petto, formando delle lettere, una parola che aveva cercato di dimenticare.
Abominio.
Orfeo cominciò a tossire, sputando grumi verdi di bile gastrica. Faceva fatica a respirare ed il suo petto si alzava ed abbassava ad una velocità innaturale. L'incantatore le chiese aiuto, porgendole la mano, ma Amber scosse la testa. - Avevi detto di lasciarmi libero, cosa mi hai fatto? -
- Io non ho fatto niente, non ho fatto niente! - esclamò confusa la figlia di Eros, mentre i ricordi tornavano a sfiorarla. Orfeo cadde sul tavolino metallico, il suo corpo scosso da convulsioni e spasmi: in quell'istante, seppur fosse lei la Vergine di ferro, le sembrò di essersi punta con i suoi stessi aghi.
Amber gli prese la mano, ancorando i suoi occhi che avevano preso a stillare sangue. - I Custodi, dimmi dove sono i Custodi! - lo pregò, cercando di trovare qualcosa che potesse barattare in cambio di quelle informazioni.
Era spaventata a morte per quello che stava succedendo, ma stava comunque mantenendo il sangue freddo, cosa che aveva imparato a fare anni prima. - Dimmi dove sono i Custodi, posso ancora salvarti la vita. - mentì, ben sapendo di non avere nessuna panacea per curare quella ferita.
Orfeo tossì, quasi affogandosi con la sua stessa bile. - I Fratelli sono ... sono a Cleveland, so solo questo mezzosangue. -
Urlò, urlò di dolore prima che prendesse fuoco: la sua pelle diventò prima rossa e poi nera, finché Orfeo non cadde agonizzante sul tavolo metallico dell'obitorio, continuando ad urlare in una lingua che le era sconosciuta; stava bruciando, le fiamme lo avviluppavano come un fantoccio di paglia.
Amber lasciò andare la sua mano un attimo prima che si incendiasse, indietreggiando quando le luci sopra di lei sfarfallarono. Gettò un ultimo sguardo ad Orfeo, mentre una voce prepotente si faceva strada nella sua testa, facendola gridare. Scappa, scappa ma chére. le disse la voce, ancora più ruvida di quanto la ricordasse. Abominio, il tuo cuore deve essere fermato.
Amber urlò, premendosi le mani contro le orecchie fino a graffiarsi con le unghia: la storia si stava ripetendo e lei era di nuovo la piccola ed ingenua ragazzina che l'aveva incontrato al sessantaduesimo piano di quel maledetto grattacielo.
Suo padre stava arrivando, Eros era lì per ucciderla.
 
 
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Amber aveva ringhiato, cercando di opporsi alla forza bruta dell'uomo sopra di lei: le premeva il piede nudo sul petto, esattamente al centro, nel punto dove si trovava il cuore. Faceva male, un male che Amber non aveva mai provato, fino ad allora.
Ciò che era strano era il fatto che odorasse proprio come l'essenza di lavanda di sua madre, quella della boccetta che rimirava sempre con tristezza: se non si sbagliava, quel profumo era speciale proprio perché era quello con il quale aveva conosciuto suo padre.
Ed Amber ancora non si spiegava il perché sua madre fosse così attaccata all'uomo che l'aveva lasciata quando aveva scoperto di essere incinta. Di quale amore malato era rimasta vittima sua madre?
Amber aveva stretto i denti. - E tu chi diavolo sei? - aveva chiesto, cercando a tastoni qualcosa che potesse aiutarla a battere il suo aggressore. L'uomo, che sembrava avere circa una ventina d'anni, sorrise; aveva un forte accento francese. - Come, non riconosci tuo padre? -
Era stato come se le avessero tolto la terra da sotto i piedi: tutte le sue convinzioni erano crollate all'unisono, come un castello di sabbia portato via dalla marea. Aveva sempre pensato agli dei come esseri buoni, dediti al benessere dei propri figli, come avrebbe fatto qualsiasi genitore, ma evidentemente si sbagliava.
Eros era sopra di lei e le stava incrinando qualche costola, mentre le premeva il piede sullo sterno: a guardarlo bene, Amber aveva il suo stesso colore di occhi e di capelli; forse anche quell'enigmatico sorriso alla gioconda che si stava allargando sulle sue labbra.
Si erano passato la mano libera fra i capelli mossi. - Sono molto deluso, ma chére. - era l'unica cosa che le aveva detto, prima di abbassarsi e vederla lanciare un urlo quando le aveva rigirato la freccia dentata nella carne della coscia.
- Le colpe dei padri ricadono sempre sui figli, non lo sapevi? - aveva chiesto, mentre Amber stringeva ancora i denti, tentando di ignorare il dolore. Le sue dita non avevano trovato altro che polvere, polvere che aveva cominciato ad ammucchiare.
Amber gli aveva sputato addosso, cercando di farsi forza. - Tu non sei mio padre. - gli aveva detto, regolando la rabbia nella sua voce: stava prendendo tempo, tempo indispensabile per poter elaborare un piano di fuga, cosa che in quel momento non riusciva a vedere.
I loro volti erano a pochi centimetri l'uno dall'altro. - Purtroppo per te, lo sono. - le aveva risposto divertito il dio, aggiustandosi il papillon al collo. Nei suoi occhi si erano riflessi cangianti mille colori, le varie sfumature dell'amore che rappresentava. - E sono qui per porre fine alla tua esistenza. -
- Perché? - gli aveva chiesto Amber, tentando di sottrarsi alla sua forza, senza però riuscirci. Sentiva i pantaloni attaccarsi pelle per via del sangue, denso come succo di amarene; le facevano male le ossa, sotto la pressione dei piedi di Eros. - Prima hai flirtato con mia madre, poi l'hai abbandonata. Adesso vuoi uccidermi, perché? -
Il dio dell'amore aveva sorriso, lasciandosi quasi andare ad una risata. - Ho commesso un errore, anni fa. Persino gli dei non possono essere onniscienti. - aveva spiegato, le aste delle frecce che spuntavano dalla faretra che aveva sulle spalle. - Ora devo rimediare al mio sbaglio. -
Si era avvicinato ancora di più al volto di Amber, così giovane eppure così sofferente, abbastanza affinché lei potesse reagire. - Non provo piacere nell'ucciderti, ma devo farlo. Mi dispiace. -
Mentre suo padre si alzava per finirla con una delle sue frecce, la ragazza ne aveva approfittato per gettargli negli occhi una manciata di polvere, facendolo indietreggiare.
Si era alzata il più velocemente possibile, urlando ad ogni passo che faceva: avrebbe dovuto almeno recuperare la spada, se avesse voluto avere qualche possibilità, anche minima, di uscire viva da lì.
Eros, però, l'aveva pensata diversamente.
Aveva scagliato un'altra freccia, colpendola in mezzo alla schiena e facendola ruzzolare giù fino al pianerottolo di sosta successivo; qui Amber aveva estratto l'asta della freccia dentata dalla gamba, fra gemiti di dolore e ondate di adrenalina.
Eros aveva sceso qualche gradino, sbattendo le palpebre per riacquistare la sua ottima vista. - Morirai, ma petìte chére! - aveva esclamato il dio, tenendo ben stretto il suo arco. La camicia bianca che indossava si era sporcata di polvere. - Che tu lo voglia o no, entro l'alba avrai raggiunto le schiere delle praterie degli Asfodeli. -
Amber non aveva più forze per lottare: aveva perso molto sangue, il dolore la stava lentamente sopraffacendo.
Prima che potesse chiudere gli occhi, però, una figura snella e maschile le era passata accanto, con la spada sguainata. Si era gettato sul dio con un grido, venendo però sbalzato dalla sua forza superumana contro la parete; anche se se non sapeva chi fosse, Amber parteggiava per lui.
Certo, era facile quella scelta, dato che suo padre era stato mandato lì per ucciderla.
Il ragazzo si era rialzato subito, forse solo un po' stordito, portando avanti lo scontro con abilità: aveva fatto indietreggiare Eros, un po' in svantaggio con il suo arco, ma che pur sempre poteva contare sui suoi giochetti da dio.
Poi il padre di Amber lo aveva ferito al fianco, facendolo inciampare sui gradini delle scale d'emergenza. Era atterrato sulle gambe della figlia di Eros, facendola guaire di dolore.
Da quella prospettiva aveva potuto vederlo meglio: il ciuffo mosso di capelli copriva due occhi dal taglio allungato, bicolori; uno era nero, l'altro di ghiaccio come quelli di Amber.
Chi diavolo era il suo salvatore?
- Morirete entrambi, allora. - aveva sentenziato il dio, una volta raggiunto il pianerottolo. Aveva alzato una freccia dalla punta nera, poco prima che il ragazzo spingesse Amber sulle scale e si rialzasse, utilizzando le gambe di Eros per darsi una spinta.
Gli era salito sulle spalle, veloce come una tigre e feroce come un leone, agendo così velocemente da risultare quasi non umano. Aveva diretto le sue braccia in modo tale che si ferisse da solo, pugnalandosi con la stessa freccia con la quale aveva intenzione di ucciderli.
Eros aveva cominciato ad urlare insulti in francese, accasciandosi sul pianerottolo fra rantoli di dolore e grida di rabbia: a quanto pareva, quell'arma poteva fare davvero male anche agli dei. Prima che potesse liberarsi, però, il ragazzo si diresse verso Amber e la raccolse da terra, portandola in braccio.
- Chi sei? - aveva chiesto lei, muovendo appena le labbra, completamente allo stremo.
Il ragazzo le aveva sorriso, un sorriso del quale Amber si era innamorata. - Non preoccuparti, Jude non ti farà del male. -
La figlia di Eros, anche se non capiva il perché parlasse in terza persona, aveva avuto a malapena il tempo di ascoltare il suo nome e sorridergli, prima di essere inghiottita dalle tenebre.

 
 
♠ ♠ ♠
 

Amber stava osservando il corpo carbonizzato di Orfeo, quando Jude irruppe nella stanza.
Aveva le mani fredde e l'aria della notte addosso. - Che è successo? - chiese, preoccupato. - Tu stai bene, ma chére? -
Ma chére. Jude la chiamava esattamente come aveva fatto Eros quella notte, in modo tale che non dimenticasse mai quanto male le avessero voluto gli dei: se non fosse stato per lui, per quel ragazzo alto un metro e ottanta, Amber non sarebbe stata lì, quel giorno.
Annuì in maniera distratta, indicando con il mento il tavolo metallico dell'obitorio poco distante da loro. - È morto, mio padre ha sfogato su di lui la sua rabbia. - spiegò, a metà fra lo sconcerto e la paura che ancora le attanagliava il cuore.
Lo spavento sembrava non volerla abbandonare. - Però sono riuscita a scoprire delle cose. Forse non siamo così al sicuro come pensavamo, Jude. -
Il figlio di Eris la guardò negli occhi, poi l'attrasse verso di sé e l'abbracciò, facendole sentire il suo odore, quello che Amber aveva imparato a conoscere e ad amare, nel corso del tempo. - Pagherà Amber, pagheranno tutti. - la rassicurò lui con voce decisa, i suoi occhi bicolore che rimanevano fissi sul corpo bruciato di Orfeo.
Sputò a terra, offendengo gli dei. - Basterà accedere al potere degli arché e saranno finiti, l'epoca degli Olimpi giungerà finalmente alla fine. - continuò, con voce armoniosa. - Sempre sicura di voler andare avanti, vero? -
Che cosa le restava, se non avesse provato a far cadere gli dei uno dopo l'altro?
Un mostro, aveva detto Orfeo, sarebbe diventata un mostro; eppure, che differenza c'era da quello che era già e quello in cui avrebbe potuto trasformarsi, quale linea sottile la separava dalla pazzia più totale?
Amber prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi. - So dove si trova la quinta essenza, ma dobbiamo togliere di mezzo prima i Custodi. - sussurrò, rassicurata dal battito del cuore di Jude che esplodeva nelle sue orecchie.
Rimase per un attimo in silenzio, ascoltando il respiro costante del figlio di Eris. - I Fratelli sono a Cleveland. - rivelò, con voce non molto sicura. - Troviamo loro e troveremo tutti gli altri. -
Gli occhi di Jude scintillarono di pura gioia maligna. - E così sia, ma petìte chére. - rispose dolcemente, baciandole la fronte. Poi Amber indietreggiò, guardandolo mentre la paura lasciava il posto alla rabbia, nel suo sguardo.
L'amore poteva fare tanto bene quanto male, poteva sanare vecchi rancori come riaprirli: se Amber era davvero figlia di Eros, avrebbe dovuto incolpare suo padre per quel suo lato schizofrenico; in quel momento, lei non voleva far altro che spargere sale sulle ferite aperte degli dei.
- Dobbiamo mostrare loro un segno di forza. Non dovranno più permettersi di fare questo. - sostenne, indicando il corpo di Orfeo; una bambola di nervi e di carne andata completamente distrutta. - Voglio che soffrano e che provino paura, anche se fanno finta di essere al sicuro dietro le porte sigillate dell'Empire State Building. -
Jude annuì, passandosi le mani fra i capelli; le occhiaie sotto i suoi occhi rendevano il suo sguardo ancora più affascinante. - E cos'hai in mente di fare? - le chiese, prendendole la mano e disegnandovi sopra linee e ghirigori astratti, provocandole dei piccoli brividi di piacere che le salirono lungo il braccio.
Amber sostenne il suo sguardo, mentre l'odore della carne bruciata le riempiva le narici. - Voglio distruggere il Campo Mezzosangue. - affermò seria, la voce più dura e fredda che riuscì a tirare fuori, sfamata dalla paura e dalla rabbia. Osservò ancora una volta Orfeo, mentre un senso di perversa giustizia riempiva la sua voce. - Voglio vederli bruciare. -
Jude le si avvicinò sorridendo, lo stesso sorriso inquietante di Eros. - Ogni tuo desiderio è un ordine. - le fece eco, sussurrandole parole di miele nelle orecchie.
Le sfiorò le guancia con le lunghe dita, facendole sentire il suo odore, prima di baciarla. Lei rispose al bacio, lasciandosi andare, questa volta: aveva sempre rifiutato di farlo con Jude, di concedersi solo per capriccio, ma sentiva che quello sarebbe stato il momento giusto. Il figlio di Eris la toccava come se avesse avuto paura di romperla, togliendole i vestiti in maniera dolce e gentile.
Continuò a baciarla, sulle labbra, sul collo, scendendo sempre più giù, seguendo la linea della colonna vertebrale. Finirono a terra, fra i gemiti di piacere e lo sguardo carbonizzato ed oscuro di Orfeo; le malie dell'amore si insinuvano pian piano nella testa di Amber, quell'amore che aveva sempre temuto, ripudiato per via di suo padre.
Jude si fermò, guardandola negli occhi. Senza maglietta era ancora più attraente. - Lo vuoi davvero? - le chiese, mentre le annuiva, strappandogli altri baci. - Potrei averti tradito, sai. -
Amber sorrise, quel sorriso enigmatico che aveva ereditato dal padre. - E con chi, sentiamo? - domandò. Gli toccò i capezzoli con lussuria, la voce di Eros che era ormai lontana nei suoi ricordi.
- Theodore Bouchard, il figlio di Afrodite. - spiegò, indicandogli due punti rossi e cicatricizzarti sulle sue cosce; poi fece scorrere le dita di Amber sul segno di denti che aveva sul suo collo, cosa che lei non aveva notato. - Credo mi abbia stregato. -
La figlia di Eros sorrise, completamente caduta nell'oblio più oscuro: si alzò a mezzobusto, lasciando che la sua pelle e quella di Jude si toccassero; erano due amanti che si erano trattenuti per troppo tempo.
In quell'istante Amber apriva le sue braccia da Vergine di ferro, senza che però Jude si ferisse; i loro visi si specchiavano l'uno nell'altro, pieni di speranza e di rabbia. - Pagherà anche lui, Jude. - gli sussurrò, attirandolo verso di sé per baciarlo. Poi armeggiò con i bottoni dei suoi jeans. - Gli taglieremo la testa. -
 
 
 
 
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♔ King says: Ask me 
 
 
Hello there, what's up?
Si, sono ancora io (?) e sono qui con il decimo capitolo di Heaven Knows, capitolo dove abbiamo finalmente un po' di rivelazioni, soprattutto su ciò che vuole fare la cosa  c: Eh, ditelo che adesso siete curiosi di sapere cosa accadrà, dai u.u
Ho deciso di aggiornare oggi  per farvi contenti. Siete i miei pimpi belli, meritate questo ed altro! <3 (Grazie per le bellissime recensioni che lasciate, risponderò prima o poi, promesso!)
A Natale andrò in vacanza, quindi non avrò proprio tempo di scrivere, quindi, per questo motivo, l'ultimo aggiornamento del 2015 è previsto per il giorno 23 Dicembre c: No, non avete letto male, è proprio l'antivigilia della vigilia di Natale (?) più contorto di così non poteva uscire AHAHAHAH e sarà il mio regalo per voi!
Ehm, purtroppo temo che dopo aver terminato di leggere il prossimo capitolo mi vogliate uccidere, ma questo è un problema che affronteremo in seguito :') somebody is gonna die
Passiamo alle tante domande che vi frullano per la testa, vi va?


► In questo capitolo vediamo meglio Amber Martin (winteriscoming -fatti sentire please-), la nostra Vergine di Ferro.
Leggendo le recensioni a molti di voi non era piaciuta, visto che sembrava superficiale e anche un po' troppo scontata, come personaggio. Dopo aver letto questo capitolo, invece, l'avete rivalutata? Come si sembra, bella, buona, sana polenta valsugana?
Ok, perdonatemi questo piccolo attimo di follia, ok? AHAHAHAH Dicevo, abbiamo visto un po' meglio Amber, la sua storia; abbiamo scoperto che suo padre aveva intenzione di ucciderla, per conto di tutti gli altri dei, e lo avrebbe fatto, se non fosse arrivato Jude. sempre nel posto giusto al momento giusto, il ragazzo
Dai, non sono tanto carini insieme? Entrambi così pieni di rancore, con una tragica storia alle spalle, due simili che si cercano nel mare di atrocità che sono costretti a vivere. Come chiamereste la ship, Judember (*^*), Ambude? Fatemi sapere c:


► Non ditemi che vi eravate bevuti la storia che la cosa effettuasse degli esperimenti sui semidei solo perché gli andava così. Lol, no AHAHAHAH In questo capitolo scopriamo che sta cercando i cinque arché primordiali su cui si fonda il mondo da millenni: posso dirvi, visto che sono tanto magnanimo (?), che due già li conoscete, e sono Elpis (speranza) e il nostro stronzissimo dio Tartaro (caos) che abbiamo visto in Immortals.
{ Ho deciso di collegare le storie per cercare di realizzare un progetto unico, bello ed accattivante. Spero che l'idea vi piaccia! }
Bene, dicevo che Amber e Jude stanno cercando, per conto della cosa, questi arché: secondo voi chi è la bestia di cui parla la stessa Amber guardandosi allo specchio? Cosa nasconde la Vergine di ferro, fra le sue lame affilate?
Additate lei, come stronza, visto che vuole distruggere il Campo Mezzosangue AHAHAHAH Io non centro niente, ok?
Orfeo, poraccio AHAHAHAHAH Cioè, l'ho bruciato vivo. Sono troppo sadico, troppo troppo troppo, però devo dire che non mi dispiace, guys; l'ho sempre visto come un reietto, sorriatemi u.u
Nel prossimo capitolo si preannunciano scintille, non trovate? Ne vedremo delle belle, promesso, tanto sangue e anche una nuova coppietta! Scopriremo anche un piccolo segreto di Theo, se riesco ad inserirlo per bene!
Eh niente, credo di aver concluso a momenti l'angolo autore è più lungo del capitolo stesso, ma fa niente c: Concludo dicendo che TUTTI i personaggi saranno inseriti, chi più, chi meno, ma appariranno tutti e molti verranno introdotti/approfonditi nella seconda parte della storia; quindi non disperate, non me li sono dimenticati, ok? :')
Alla prossima, miei fedeli sudditi ♥
 
 
King. 


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Soon on Heaven Knows: Nick ♠ Automa Difettoso
 
 

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Capitolo 11
*** I'm alive ***



Ehm, da dove cominciare? Forse perdono sarebbe la cosa giusta da dire, ma non sono sicuro che dopo tutto questo tempo abbiate voglia di perdonarmi davvero.
Sono sparito. L'ho detto? L'ho detto.
Non mi piace mentire e questa è la verità, purtroppo. Ho abbandonato questa storia, ma cosa più importante: ho abbandonato voi! Mi sono reso conto di non riuscire a sopportare tutto ciò che la vita mi stava scaricando contro, perciò ho dovuto darci un taglio.
Sono al quarto anno di liceo scientifico; le cose cominciano a farsi dure. Dovrò prendere la patente, poi, e mi sto impegnando al massimo anche per questo. Ho una vita privata di cui stavo perdendo il controllo, perciò ho dovuto alleggerirla, pagando il prezzo di sparire per un po' dai socials.
Non mi aspetto che voi capiate, ma mi sembrava corretto dirvi tutto.

Una volta fatto questo, vorrei dirvi che non credo riprenderò la fic in corso, almeno non per adesso, visto che sto cercando di portare a termire il sogno di pubblicare un romanzo tutto mio. E, considerando che posso scrivere una volta ogni tanto, devo dare la priorità a certe cose piuttosto che ad altre :c
Spero di riuscire a farcela, passando sulle fic che seguo per lasciare qualche recensione, ma non prometto nulla. Per chiunque mi conosca, sappia che mi dispiace davvero tanto per quello che è successo e che gli voglio un mondo di bene
Spero di risentirvi presto, 

 
King.
 

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