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Una lacrima ribelle
sfuggì dalle mie ciglia, e silenziosa mi rigò la guancia nel buio della stanza.
Fissai per un’ultima
volta ciò che rimaneva di quello stupendo affresco, e con mano tremante mi avvicinai per sfiorarlo...
Polvere. Fuoco. Odio.
Cenere.
Della Dama non
rimaneva che una mano e un lembo di veste, mentre il Cavaliere era stato privato
del cavallo e di una gamba.
A seguire la prima goccia,
vennero altre lacrime, e ben presto mi ritrovai il viso inondato, i singhiozzi
mi squassavano il petto: un’opera così bella, così vera, così sublime...Distrutta
per sempre.
Polvere. Fuoco. Odio.
Cenere.
Improvvisamente, una
mano affusolata si posò sulla mia spalla.
Mi voltai di scatto e
due occhi neri come la pece catturarono i miei, mentre
una voce suadente mi sussurrava:
-Non dovresti essere qui.
Mi sentii tremare le
gambe, mentre quello sguardo cupo mi assaliva e si faceva sempre più vicino,
sempre più vicino, più vicino, vicino…
Polvere. Fuoco. Odio.
Cenere.
N.B.Questa storia è frutto TOTALE della mia immaginazione, riferimenti
a persone od opere sono puramente casuali.
Klar?
È la mia prima fan fiction, perciò
evitate di crocefiggermi, non ci posso fare niente se avete a che fare con una
matta sclerata…Non mi prendo nessuna responsabilità, né
per eventuali danni psicologici né per blocchi alla crescita.
In quanto alla storia, è ambientata un po’ nel secondo
dopoguerra e un po’ ai giorni nostri, ma i protagonisti sono gli
stessi ed incredibilmente sono, in entrambi i contesti,
giovincelli e atletici...Nessuna dentiera o chirurgia estetica, semplicemente credo
nella reincarnazione.
Ora, non posso che affidarmi nelle vostre mani…Baci!
Camminavo per le vie di Santa
Mònica sfidando il vento che, furioso, si accaniva contro la
città.
La strada deserta sembrava
ancora più spaventosa e lugubre del solito, mentre mi
affrettavo stringendomi
il cappotto addosso. Era sera, il sole non si vedeva quasi
più...Rabbrividii.
Presto sarebbero usciti i desesperado, ed io non potevo farmi
trovare sola ed indifesa, in quei viottoli appartati…
Non ne avevo mai incontrato
uno, ma sapevo di loro quel tanto che occorre sapere: giovani
squattrinati che
vivono di notte, ubriaconi e disonesti, quelli che di lavorare non ne
hanno mai
voglia.
Feccia, come li definiva mio
padre.
Non li dovevo nemmeno
incrociare, i miei genitori ne avevano una paura folle ed io anche: moltissime ragazze, tra le
quali Clarissa( mia
cugina ) avevano subito il fascino di quei ragazzi scapestrati e senza
un futuro,
ed erano scappate con uno di loro, compromettendo l’onore e
la reputazione
dell’intera famiglia.
A casa, pronunciare il nome
di mia cugina era come proferire una bestemmia.
Dovevo assolutamente riuscire
a raggiungere la casa di Cecilia prima di incontrarne uno.
Svoltando a Ronda de
Sant’Antonio
mi ritrovai a Plaza del Ángel, e quasi correndo la
attraversai.
Sentivo l’ inquietudine
attanagliarmi, e non vedevo l’ora di sedermi a tavola con gli
zii e mangiare i
fantastici turròn
di Adelina…al solo pensiero l’acquolina mi
salì in bocca.
Forse sarei riuscita a convincere
la zia a
preparare anche i Churros per la colazione...chissà.
Oppure sarei riuscita a rubare un
po’ di vino dalla
cucina…mamma non mi permetteva di assaggiarlo, ma forse
Adelina si sarebbe
lasciata corrompere…
Avevo già superato la
piazza,
persa nei miei pensieri di golosa impenitente, che un’ ombra
mi varcò la
strada. Subito mi arrestai in preda al panico, il cuore che batteva a
mille.
La luce tremula del lampione
non mi permetteva certo di vederlo bene, ma riuscii comunque a
distinguere un
paio di lunghi pantaloni strappati, una maglietta nera e sopra, una
camicia
aperta con una stella disegnata sopra.
Desesperado.
Mi sentii svenire: dietro il
primo, altri 5 individui si avvicinavano ridendo...Erano tutti
altissimi ed
imponenti, non sarei mai riuscita a scappare. Appena videro che ero una
ragazza, si bloccarono, per poi avvicinarsi di nuovo.
Quello
davanti mi si accostò agilmente, ed io
mi lasciai sfuggire un lamento…Rimasi interdetta quando si
inchinò davanti a me
come un vero signore, dicendo allegramente:
-Buongiorno signorina! È
un
po’ tardi per girare sole solette, non Vi pare?
E scoppiò a ridere.
Poi, vedendo che non
continuavo, di girò verso i suoi compagni e
sibilò velocemente qualcosa che non
compresi,, ma che suonava come un ordine.
A quel suono, gli altri
arretrarono un passo, sempre sghignazzando terribilmente.
Invece lui si avvicin
-Posso sapere il Vostro nome
signorina?
Non potei fare a meno di
notare il suo sorriso sorprendente, mentre tendeva una mano verso il
mio viso
tra gli sghignazzi dei suoi compagni. Sentii il suo odore, forte e
muschiato,
mescolato con l’odore di alcool e fumo, e ne restai in parte
disgustata, in
parte ammaliata.
Nessun uomo che avessi mai
conosciuto aveva un odore così particolare, pungente.
Non appena posò la mano
sulla
mia guancia balzai all’indietro, nervosa e scattante.
Ciò non fece che
aumentare
l’ilarità del gruppo. Sentivo il sudore imperlarmi
la fronte e le tempie, le
mani mi tremavano.
- Siamo irrequiete signorina?
Non potei fare a meno di
notare il tono di voce tranquillo e caldo, quello che si usa per
calmare gli
animali. Ancora una volta, non risposi.
Ero pronta a scappare se si
fosse avvicinato di nuovo, se mi avesse toccato.
Ma lui non lo fece.
Mi chiese di nuovo il mio
nome, ed io, balbettando, riuscii a dirglielo.
- D-d-alila…
-Bene signorina Dalila,
è
stato veramente un piacere incontrarVi.
Mi auguro di rivederVi al
più
presto.
E con uno splendido inchino
ed un ultimo ghigno, si dileguò velocemente così
come era apparso, subito
imitato dai compari.
Sparirono tutti in un batter
d’occhio, lasciandomi sola ed ammutolita.
Appena dopo essermi ripresa,
iniziai a correre verso la casa degli zii, e non mi voltai
più indietro.
E qui si conclude il primo
capitolo, un po’ breve e poco chiaro…
Cara Hyla, spero di non
averti deluso e ti ringrazio moltissimissimo per la tua recensione!
Se avessi dell’idee su
come
far continuare la ff, le tue aspettative, non esitare a comunicarmele*.*
Ed eccoci qui, con il terzo capitolo della mia delirante storia
Edeccoci qui, con il terzo capitolo della mia delirante
storia!
Qui, la storia diverge: da una parte Dalila,
dall’altra Adrien.
POV Dalila
Un raggio di sole troppo coraggioso si
infilò tra le tende tirate e mi svegliò senza troppi complimenti: di malavoglia
aprii gli occhi e mi stiracchiai. Mi sentivo troppo stanca e
debole per iniziare una nuova giornata, e il letto di zia Cecilia era
fin troppo comodo.
La notte, popolata da incubi, non aveva portato il
sonno ristoratore in cui speravo.
Mi girai su un fianco, raggomitolandomi, e il ricordo
della sera prima mi investì: maledissi tra me e me mia
madre, che non aveva voluto accompagnarmi, mio padre, che aveva insistito per
farmi andare da sua sorella a quell’ora, e naturalmente tutti i Desesperados del mondo.
Comunque,
non arrivai ad accumulare tanto rancore da impedirmi di sorridere quando
Adelina spalancò la porta: la morbida cameriera di casa Tolè
portava un fantastico vassoio pieno di leccornie che non tardarono a mettermi
in pace col mondo.
Adelina era, oltre che una donna sempre sorridente,
una meravigliosa cuoca.
Mi stavo letteralmente ingozzando di dolci, che la dolce cameriera mi avvisò a tradimento:
-La signora Tolè è giù che
ti attende in salotto ed è ansiosa di ascoltare i tuoi progressi col
pianoforte. Perciò sbrigati bambina mia, che il tuo
pubblico ti aspetta!
Bastò questo per farmi precipitare di nuovo nel
malumore più cupo.
Dieci minuti dopo, ero vestita, pettinata e lavata, e
Cecilia mi stava trascinando davanti all’imponente
pianoforte a coda che occupava metà del salone principale. Era venuta anche una
sua carissima amica, ed entrambi vollero che suonassi
qualcosa, ignorando le mie proteste.
Non potei fare a meno di notare quanto si assomigliassero quelle due: entrambe statuarie e frivole,
civettuole e leziose da una parte, determinate e spietate dall’altra.
Infatti,
tra una risatina ed un caffè, riuscirono a farmi
suonare.
Mi costrinsero ad eseguireJeux d'eaualmeno tre volte, e alla fine si sperticarono in complimenti, mentre io
arrossivo per l’imbarazzo. Amavo suonare, ma sapevo di non essere
particolarmente dotata.
Riuscii perfino a strappare
un mezzo apprezzamento anche da zio Ricardo, che se ne stava
in disparte a consumare la sua colazione, lasciando le due donne a commentare
il mio talento di pianista pressoché mediocre.
Adelina, conscia che quel
concerto privato non mi avrebbe tirato su l’umore, mi attendeva in cucina con
un pezzetto di tùrron in mano.
POV Adrien
-Adrien!Tira giù quel cazzo di culo da quel cazzo di letto e vieni qui SUBITO!
Letto, sbuffai.
Addirittura. Un mucchio di coperte schifose non è un LETTO. Un letto è quel
mobile con una struttura in legno, sormontato da un
materasso, con lenzuola e piumino, dove si dorme comodi e non si convive
allegramente con pulci e pidocchi.
Incazzato nero col mondo già di
prima mattina, mi alzai e andai da Paul, che stava
inginocchiato accanto a Teresa.
Quest’ultima, gemeva e si
lamentava, mentre il pancione si sollevava ed abbassava in modo convulso.
I bei capelli erano sparpagliati
sul pavimento, e il viso una maschera di dolore.
-Adrien, vai a
chiamare Jean…corri!
La voce di Paul, resa un po’ isterica dall’emozione, mentre stava per
diventare padre nonostante la gravidanza travagliata di Teresa. L'uomo stava stringendo la mano della ragazza, e sentii il cuore sciogliersi ed il malumore scivolare via alla vista dei due futuri genitori. Guardai un' ultima volta il viso di Teresa, con qulla carnagione scurissima e sudata: si stavva torturando il labbro carnoso con i denti, gli occhi contratti e la fronte corrugata. L'esile Teresa stava per diventare mamma, dopo nove mesi si agonia.
Sembrava impossibile fosse
passato così tanto tempo, nulla era cambiato.
Uscii dal capannone e attraversai la strada. Appena giunto alla Plaza entrai nella chiesa.
Un giovane prete mi vide e
si mosse all’istante; si tolse frettolosamente la tonaca, prese un cuscino dalla sacrestia e una
bottiglia di acquasanta, assieme ad un piccolo libro
di preghiere.
Poi, corremmo veloci fino ad
arrivare alla Casa del Sole, senza scambiarci una parola.
Teresa era ormai sfinita, e
ad accudirla erano arrivate a anche Dolores e Bea; le due donne, giovanissime, si affacendavano attorno a lei con una premura ed una dolcezza che non riservavano nemmeno a loro stesse.
Paul era uscito dalla stanza e
accompagnava il travaglio della moglie con il suo talento di musicista,
suonando furiosamente un vecchio violino.
Jeansi inginocchiò
accanto alla donna distesa, e iniziò ad istruire le altre due:
- Bea, aiutami ad alzarla.
Dolores, vai a prendere un
po’ di acqua, e un paio di forbici.
Io uscii silenziosamente
dalla stanza, salutai Paul, e ritornai alla Plaza, dove mi aspettavano Carlos
e Miquel. I due fratelli, imponenti e spaventosi, erano spalla a spalla, e pur nell confusione mattutina della piazza risaltavano per la loro stazza, che creava una sorta di alone di timore riverenziale attorno a quei ragazzi. Avevano entrambi un'aspetto esotico, ereditato dalla madre: i capelli biondi, il taglio degli occhi, il portamento, li faceva sembrare degli cherubini caduti dal cielo, due cherubini identici. Tutto combaciava nei due, perfino il carattere; tutto, tranne che il nome.
-Ehi, figlio di buona
donna! Come sta Teresa?
- Come vuoi che stia? Sta
partorendo il suo primo ( e speriamo unico) figlio.
- EPaul?
- Isterico.
-Come sempre.
-Di più.
I due gemelli scoppiarono a
ridere, e poi Miquel mi chiese:
-È già arrivato il prete?
-Certo.
-E immagino che Dolores sia
lì che aiuta la sorella.
-Esatto. C’è anche Bea con
lei.
- Pensi sia una buona cosa?
Non vorrei che, quando arriverà anche per lei il momento di partorire, si spaventasse al ricordo di Teresa.
-Doloresè più
forte di Teresa, non sarà così dura.
Miquel si azzittì, mentre ci
avviammo verso la Villa
dei Sogni.
Carlos portava matite, carboncino,
ed un pacco di fogli bianchissimi; sogghignai, mentre pensavo alla faccia cha
avrebbe fatto suo padre quando avrebbe scoperto del
furto.
Mi scuso per il capitolo
frettoloso…
Grazie moltissime a Hyla ed Ego!!
Caro Ego,ho visto le tue opere ed ho lasciato
la recensione su Alice voleva Morire, probabilmente la mia preferita.
Spero di non avervi fato
vomitare troppo, e vi avviso che dal prossimo cap. parte la avventura
di Diego e Alexia, i due Adrien
e Dalila odierni.
Mi
giro lentamente, irrigidito, mentre la pioggia cade fitta.
Un
ragazzo mi sta guardando sorridente, il viso paffutello e l’aria strafottente.
-Jaz!
Ci
corriamo incontro, per poi stritolarci in un abbraccio fraterno sotto l’acqua
ghiacciata che non smette di cadere.
Lo
guardo: dopo tre mesi di vacanze, l’unica cosa che è cambiata nel mio migliore
amico è il colore della pelle, abbronzantissima e caramellata.
-Come
stai???
-Benone! E tu…
Mi
fissa intensamente, sorpreso e un filo invidioso:
-Diego,
porca troia in calore, quando cazzo sei cresciuto???
Sorrido
beffardo: l’estate mi ha regalato una crescita spaventosa, ora sfioro il metro e novanta.
E
con una buona dose di palestra, mi sono anche guadagnato un fisico niente male.
Jaz
è rimasto il solito tappetto ben piantato, un bambolottotutto muscoloso con i riccioli neri e
gli occhi nocciola.
Ci
avviamo insieme verso la nostra classe, superando le maree di studenti eccitati
e di matricole spaesate, evitando i professori e scavalcando agilmente le folle
di ragazzine isteriche che si abbracciano e urlacchiano
senza ritegno.
Infine,
raggiungiamo la nostra aula: anche qui, il Caos regna incontrastato.
Ci infiliamo
nei due banchi in fondo, quelli vicini alla finestra.
Mi
stringo tra la sedia ed il banco, e tiro fuori il mio magnifico astuccio
sbrindellato dalla cartella arancione evidenziatore.
Non
è cambiato praticamente nulla in questi mesi: Pink saltella esaltata sotto l’evidente effetto di alcool
già alle 8:00 di mattina, Tati si sta truccando con
un pesantissimo ombretto in un angolino, Gio è
impegnato a flirtare con due ragazze alla volta,Monkas ed Ema
giocano ancora con delle macchinine, Jaki è seduto
immobile a fissare un punto preciso davanti a sé.
Tutto
straordinariamente normale.
Anzi,
no.
Ci
sono quattro persone impalate al muro vicino alla porta, che ci guardano con
aria confusa e stridono con l’atmosfera caotica generale, quattro persone che
non ho mai visto.
Due
ragazzi e due ragazze, probabilmente nuovi studenti provenienti da altre
scuole, che ci fissano e immobili evitano di dare nell’occhio.
Osservandoli,
noto con piacere che una delle due ragazze è un bel pezzo di gnocca,
biondissima e con un fisico da pallavolista.
Il
ragazzo che le sta al fianco è biondo come lei, alto e con dei lineamenti duri
e rigidi; entrambi, sono vestiti sportivamente, come se stessero per andare a
giocare a tennis invece di essere a scuola ad affrontare una classe di svitati come
noi.
L’altra
ragazza è piccolissima, con dei capelli lunghi e castani, qualche
ciuffo biondo sparso, un piercing sul sopracciglio, molta matita e uno sorrisetto di sufficienza stampato sulle labbra. Odioso.
Irritato,
la continuo a fissare, aspettando che quel sorriso
idiota se ne vada.
Sbuffo,e passo all’ultimo del
quartetto: un ragazzino gracile con l’aria del secchione, non brutto ma nemmeno
bello, vestito né benené male, con dei
capelli neri che danno l’aria di essere unticci.
Schifato, mi giro a dare una gomitata a Jaz, che bestemmia gentilmente e poi tira un lungo fischio
alla vista della biondona.
-Accidenti!
Hai visto che gambe?
Annuisco,
comprensivo…sebbene io non sia un tipo alla perenne
ricerca di qualcuno su cui sfogare i miei ormoni impazienti, la ragazza è
veramente bella.
Giocherello
con una matita prima il professore entri in classe e ci presenti i quattro,ci faccia le solite
raccomandazioni di inizio anno e io sprofondi nella noia mortale più assoluta.
La
ragazzina piccola( ho scoperto che si chiama Alexia)
non ha ancora finito di lanciarci occhiate di disapprovazione, mentre il
biondo( Martino) è seduto vicino a me ed a Jaz.
La
giornata scorre senza fatica, ritrovarsi dopo l’estate è sempre un piacere; i
quattro non si mescolano assieme a noi comuni mortali, standosene in disparte
solitari.
Bah.
-Ehi Diegoooo!!
Tati
all’uscita dalla scuola si avvicina volteggiando per poi cadermi addosso, in
una nuvola di profumo.
Mi
stampa un bacio umido sulla guanciae poi mi tempesta di parole,
raccontandomi tutto sulla sua estate: ovviamente, ascolto meno di metà, ma
passo il tempo a guardarla con affetto.
È
la classica bambolina, esile e minuta, con una pelle di porcellana e sempre
perfetta: l’adoro.
Da
quando ci siamo lasciati, non abbiamo fatto altro che rivolgerci occhiate e
parole frettolose, ma dopo l’intervento alla schiena che ha subito, ci siamo
riavvicinati, diventando amicissimi.
Lei
è capace di farmi dimenticare tutte le arrabbiature, è magica...infatti, la ragazza sprezzante e odiosa svanisce davanti al
suo sorriso.
ALEXIA
Entro
nell’aula che il bidello mi ha indicato assieme agli altri tre nuovi.
Sono
distrutta, nove ore e mezza di viaggio per seguire mia madre in un lavoro che non le porta altro che delusioni.
La
scuola è caotica e disordinata, fiumi di studentelli
vari che travolgono qualunque cosa si trovi sul loro cammino, ed io mi sento morire mentre li guardo.
Dove
sono i miei amici? Dov’è Sara con i capelli blu elettrico, dov’è Vale con il
rossetto rosso scarlatto, dov’è Limo con la sua cresta, dov’è Kris con il suo
sorriso da infarto?? Dove sono??
Da
qualche parte, in Italia.
Sospirando,
alzo lo sguardo per incontrare i miei nuovi compagni.
Una
ragazza vestita di rosa shocking balla e salta su un
banco, e vicino a lei due tipi giocano con delle macchinine.
Poco
più in là, una mummia imbalsamata è seduta immobile, lo sguardo fisso e vacuo.
Dall’altra
parte della classe, un gruppetto di bambinette
impegnate a ridacchiare assieme a qualche ragazzo, una delle quali si sta
truccando con ombretto e mascara.
E
non è finita. Alla fiera degli animali abbiamo anche un simpatico esemplare di
finto punk, impegnato a sistemarsi i capelli, un tipo con gli occhiali della Prada( e ciò basta per farmelo odiare con tutto il cuore) e
varie amebe vaganti.
Mi
accorgo di un ragazzo chesta fissando me e i tre che mi seguono
con aria divertita, guardandoci beffardo: stringe le labbra come per reprimere una risata, i capelli
castano ramato che ondeggiano attorno al viso scavato e gli occhi brillanti e
ironici.
Dietro
di lui, un prototipo di Ciccio bello versione Mar dei Caraibi valuta la stangona accanto a me, mentre lancia
un lungo fischio di approvazione.
Non
vedo l’ora che finisse l’anno scolastico.
La
giornata passa lentamente, non parlo con nessuno e mi limito ad osservare.
Non
appena la campanella suona, mi infilo l’Mp3 nelle
orecchie, pronta a dimenticare il mondo che mi circonda.
“Alziamoci insieme per
dichiarare la nostra fede…”
Bla bla bla.
Sbadigliavo appoggiato alla colonna
d’entrata, mentre Jean,
in piedi sul pulpito, predicava un Dio in cui non credeva nemmeno lui.
L’aria della
città si faceva sempre più calda, e i posti come
le cattedrali erano gli unici dove ci si poteva riparare
dall’arsura.
Un mucchio di persone affollavano
Sagra Maria, tutte
accaldate e sudate: la luce delle vetrate rimbalzava sulla testa pelata
dei
signori, e le vecchiette, sedute in prima fila, salmodiavano spietate.
D’un tratto,mentre la voce
di cento e più persone intonava
il Credo,un
movimento improvviso alla
mia destra distolse la mia attenzione: la famiglia Tolè,
capitanata dal notaio Ricardo,
si faceva posto tra la gente.
“ Credo in un solo Dio,
Padre e onnipotente…”
Sgomitavano per raggiungere le sedie
dell’ala destra, superando
i popolani che si ammassavano su quella sinistra.
Dietro Ricardo, Cecilia avanzava
impettita, subito seguita
da un’altra signora imbellettata e…
Dalila.
La riconobbi subito, le fossette
delle guance evidenti ed i
capelli riccinerissimi,
l’aria spaesata:
la ragazza dell’altra sera.
Mi strozzai per non ridere in mezzo
ad una messa…Sembrava
una bambinetta attaccata alle gonne di Cecilia, lo sguardo impaurito e
le
spalle chine..
Pensavo alla sua espressione
terrorizzata di quella sera, e
sogghignai malefico.
Una gomitata mi spezzò
costole, sterno e polmoni: anche
Miquel l’aveva riconosciuta.
-Ehiiiiiii…ma non
è la signorina Dalila quella???UUUUUUUUUUhhhh..imparentata
con la gente bene eh??
-Già
già…
Si aggiunse anche Carlos, che
tirò un fischio sommesso.
-Trova il modo di
farti vedere! Voglio vedere che faccia
fa…
Detto,fatto.
Mi avvicinai furtivo, tentando di
scivolare tra la folla.
Poi, quando fui di fronte a lei
sussurrai:
-Dalila…
Si girò di scatto,
sorpresa, ed appena incrociò il mio
sguardo sgranò gli occhi.
Restai immobile, un sorriso sornione
stampato in faccia;
lei mi fissò per un
momento, e poi svelta abbassò gli occhi.
Le guance le si erano arrossate in
modo delizioso, e
stringeva i pugni nervosa.
Restai a fissarla così,
conscio delle risate senza dignità
dei gemelli, che assistevano alla scena.
Ad ogni minuto che passava, i capelli
le si appiccicavano alla
fronte sempre più per via del sudore, e
l’imbarazzo non calava.
Poi, la processione per la comunione
ci divise, e la persi
di vista.
Veloce, mi dileguai e uscii dalla
chiesa, assieme ai gemelli
che ancora si tenevano la pancia per le risate.
Aspettai impazientemente che uscisse
tutta la gente, pronto
a rivolgerle di nuovo la parola.
L’occasione si presentò quando Cecilia ed il
marito, in compagnia dell’amica di
lei, si allontanarono per parlare con il sergente Ruiz e la consorte,
lasciando
sola per un istante Dalila.
Subito mi avvicinai, sotto lo sguardo
dei miei amici, e le
appoggiai una mano sulla spalla.
La ragazza si girò di
scatto, la bocca leggermente socchiusa
che lascio sfuggire un suono strozzato appena capì chi ero.
- Buongiorno signorina!
Un veloce inchino.
- Che bella giornata, vero???
Nessuna risposta.
-Già, proprio adatta per
un’escursione a cielo aperto.
Niet. Solo un’espressione
mortificata.
-Ho visto che siete imparentate con
Ricardo Tolè…Grande
uomo, penso uno dei più ricchi di tutta la città.
E poi la moglie…Cecilia, no??
Zero.
-Un bella donna davvero. E vostra
zia?? Tranquilla, voi non
siete da meno.
Zero assoluto.
Così, mi feci vicino e la
inchiodai.
-Hai paura Dalila?? Mi pare
impossibile che una ragazza come
te possa aver paura di uno come me. Cosa vuoi che ti faccia?
Poi, veloce, le sfiorai
l’orecchio con le labbra, sfilandole
di nascosto un orecchino.
Lei rimase immobile, e nemmeno si
accorse del furto. Fissava
con insistenza i suoi piedi, e tremava tutta.
Me ne andai di fretta, seguito subito
dagli altri.
Attention
please: ho cercato di scrivere
questa fan fiction con le parole e con le modalità di
pensiero
dei miei protagonisti, e perciò lo stile sarà
diverso da
Pov a Pov
Nel
caso di Alexia, il suo è un
pensiero tra lo strafottente moderno e la melodrammaticità
tipica dell'età adolescenziale ù__ù
ALEXIA
Ne
ho piene le palle di questa città.
PIENE. E non me ne frega niente se i professori sono gentili con me, se
i miei compagni di classe sono dei bravi ragazzi, se la mia vita non
è uno schifo come mi sembra.
Ne
ho piene le palle e non scherzo.
Sono
tre mesi che mi sbatto per sorridere e
fare la carina con tutta questa ipocritissima gente, tre mesi che la
mia esistenza si è trasformata in un trascinata e polverosa
routine. Non che prima fosse questa figata, ma sicuramnte meno finta e
snervante.
Sono
arrivata qui, e dalla piccola ed
entusiasta Ale è venuto fuori un mostricciattolo pieno di
sè, che prova a comportarsi da duro, da insensibile.
Se
mi vedessero i miei amici ora, se sentissro
cosa pensano di me i ragazzi locali, probabilmente si piegherebbero in
due dalle risate.
Un
topolino che prova a ruggire come una tigre.
Questo
posto è riuscito ad avvolgermi
in un armatura fatta di arroganza e a mortificare quello che
ero;
il tutto, in un breve lasso di tempo.
E
poi c'è lui, naturalmente. Diego. Il
mio personalissimo inferno fatto di carne e veleno, di occhiate fugaci
e sorrisi beffardi.
Non
ho la più pallida idea di cosa mi
attraga in lui, e la verità è che non voglio
saperlo. Non
mi interessa.
L'importante
è che mi lasci in pace,
che non mi rivolga la parola e mi abbandoni nel piccolo angolo dove il
mio cuore sopravvive.
E
soprattutto, che non mi guardi con quegli occhi di fuoco in grado di
farmi trmare le ginocchia.
Li
visualizzo, così definiti e terribilmente familiari, un
baratro in cui il mio istinto bastardo chiede di perdersi.
No.
Kris, Kris, Kris. Ripesco il suo viso tra
i miei pensieri, costringendolo a dominare la mia mente e a scacciare
ogni altra cosa: i capelli castani, gli occhi verdi ed il sorriso
splendente del mio migliore amico prendono forma nlla mia testa.
Migliore
amico, eterno confidente, il mio
amore segreto e così lontano. Kris, Kris, Kris. Ti prego,
vieni
qui, galoppa sul tuo cavallo bianco e portami lontano da tutto e da
tutti.
Vieni
qui, e sconfiggi gli occhi ammaliatori del serpente che mi tiene
prigioniera.
Kris,
ti amo, e non te l'ho mai detto.
Ti
amo, e non ti ho nemmeno baciato. Ma lo
sai, non ho mai baciato nessuno. Anche se ho sedici anni
suonati,
non sono brutta, e ho sempre avuto un carattere interessante. Lo sai
che il mio bacio è per te, lo sai che ti amo anche se non me
lo
hai mai sentito dire, lo sai anche se ora il tuo viso sfuma per
lasciare il posto ad un volto scavato ed ironico, a dei capelli
scompigliati e ribelli, a due oceani dove ogni coscienza è
annullata, ogni ricordo svanito..
DALILA
Mi
costrinsi a respirare lentamente, dilatando
il più possibile i polmoni e lasciando che il profumo di
lenzuola pulite mi calmasse, almeno un pochino.
L'aria
entrava ed usciva dal mio corpo sprofondato nel letto, ma mi sembrava
di soffocare.
Una
morsa stringeva il mo stomaco, mentre il ricordo di labbra sbagliate
torturava e consumava il mio cervello.
Un
bacio. Mi ero accorta del furto solo una volta arrivata a casa,
ma non ci avevo fatto caso, non come avrei dovuto.
Stavo
male non perchè un disperato
straccione mi aveva importunata e derubata, ma perchè il suo
gesto aveva uno scopo preciso che non aveva nulla a che fare con
sentimenti ed emozioni.
Era
venuto lì, tra gente come i miei
zii, sicuro e sprezzante. Mi aveva salutata come una cara amica
d'infanzia e se ne era andato, portandosi dietro un mio gioiello ed un
pezzetto della mia anima.
Nessuno
si era mai comportato così,
nessuno era ruscito ancora a lasciarmi inerte ed inerme, senza parole e
incantata come una bambina.
Fino
ad ora.
Mugolai,
irritata dal fascino che quel ragazzo dal nome sconosciuto esercitava
su di me.
Non
sarebbe più successo. Mai più.
Non
volevo che fossero le mie gambe a tremare
per un desesperato, non volevo che fosse il mio cuore a venir rapito da
uno come lui.
Probabilmente
la cosa migliore sarebbe stata andare a confessare tutto a zia Cecilia.
Ma
tutto cosa?? Un incontro fugace nella notte di S. Monica e un bacio/
furto davanti alla chiesa???
Ed
in più, non avrebbe potuto fare assolutamente nulla.
Nella
mia ingenuità ( ma chiamiamola
pure stupidità senza confini) non sapevo nemmeno il suo
nome, e
neanche quello dei suoi amichetti enormi,
e
non avevo nemmeno un piccolo indizio per inquadrarlo.
Di
lui sapevo solo il suono della voce, il profumo del
respiro, e del potere dei suoi occhi.
Mi
alzai, rabbrividendo al contatto con il
pavimento gelido, e mi avvicinai alla finestra. Scostai le immacolate
tendine ricamate, e gettai una veloce e colpevole occhiata attraverso
il vetro.
Una
piccola luna truce illuminava le strade
deserte, gettando una luce a dir poco spettrale sui tetti delle case.
Nessun gruppo di giovani ubriachi a spaventare signorine per bene, a
quanto pare.
Aprii
la finestra, impaziente: nulla.
Solo
un silenzio pesante e privo d'allegria.
Desideravo
vederlo, dimostrargli che io ero
più forte di lui, che non sarebbe bastato uno sguardo
languido a
farmi cadere ai suoi piedi.
Sorrisi per l'ennesima volta, nascosto nelle oscurità della
notte. Guardavo la finestra della sua camera, dove poco prima avevo
visto comparire il suo dolce viso. Sapevo che
i suoi occhi, così grandi e limpidi, cercavano me. Sapevo che
i suoi sogni, o forse i suoi incubi, avrebbero avuto me
come protagonista Sapevo che
il suo cuore desiderava vedermi, almeno quanto il mio desiderava vedere
lei.
Lo sapevo, e ciò mi procurava piacere molto più
del lecito.
Strinsi tra le mani quel piccolo e delicato orecchino d'oro, e rievocai
l'odore dolce e fin troppo sontuoso della sua pelle.
Se mi avessero preso, quasi sicuramente mi avrebbero arrestato. E
magari anche imprigionato. Non che me ne importasse, almeno in carcere
mi avrebbero sfamato.
Diedi un ultimo sguardo verso le tendine candide che nascondevano la
sua camera, per poi attraversare la strada deserta e avvicinarmi al
cancelletto nero ed elegante di casa Tolè. Lo scavalcai con
facilità, e proseguii verso il muro bianco ed immacolato
della
dimora del notaio.
Ridacchiai, conscio di quanto fosse sbagliato ed infantile il mio
gesto. Esagerato, pericoloso, con l'unico scopo di farmi notare da lei,
di farmi ricordare, di sconvolgerla e imbarazzarla. Mi chiesi che
faccia avrebbe fatto quando si sarebbe accorta dell'enorme sbruffonata
che stavo per fare. Si sarebbe arrabbiata?? Impaurita??
Sarebbe arrossita sicuramente, sarebbe diventata rossa come un pomodoro
maturo e non avrebbe trovato parole per commentare una scelleratezza
del genere.
Magari avrebbe confessato tutto ai suoi cari parenti, e per noi sarebbe
stata una bella gatta da pelare.
Toccai la parete di cemento, ed intinsi il pennello nella vernice scura
che mi portavo appresso.
Risaltava splendiamente contro il candore generale, un urlo di sfida
che usciva naturale dalle mie mani, come lo sgorgare di una ferita.
L'estasi della mia arte mi travolse, mentre un muso feroce prendeva
forma sotto le mie dita sapienti. Un paio di occhi fieri ed orgogliosi,
le narici dilatate, una dentatura temibile messa in bella mostra. Poi
il corpo squamoso, gli arti possenti e la lunga coda.
Un dragone infuriato. Un graffito difficile da rimuovere, che avrebbe
dato una bella scossa al buon gusto della signora Cecilia.
Al centro della bocca spalancata scalfii il cemento
con il
mio scalpellino,. creando così una piccola cavità
nel
muro. Lì, nascosi il piccolo gioiello di Dalila, non prima
di averci posato un leggero bacio a fior di labbra.
Diedi un ultimo sguardo alla mia opera, e scappai, scomparendo nelle
tenebre.
Dalila
" Signorina, signorina! La prego, si svegli! Signorina Dalila,
è successa una tragedia! Deve scendere subito!"
Aprii gli occhi di scatto. Adelina, i capelli arruffati e la divisa
scomposta, mi guardava sconvolta.
I suoi occhi erano spalancati, e le guance morbide erano arrossate.
Aveva il fiatone.
" Adelina, cos'è successo di così terribile?" le
chiesi, pensando subito al peggio. Qualcuno
si era fatto male??
" Gli zii stanno bene??"
" Ah, signorina...Quei mascalzoni! Li prenderanno, oh si che li
prenderanno! Il signor Tolè ha già chiamato la
polizia...Che orrore, come hanno potuto fare una cosa simile?? Una
disgrazia..."
Tentando di matenere la calma, dissi: " Adelina. Calmati..dimmi cosa
è successo. Respira, Adelina. Piaaano...ecco. Allora??"
Con una smorfia, la dolce cameriera mi rispose: " Signorina,
è meglio che lo veda con i suoi occhi."
Mi alzai, lasciando cadere le coperte, e arraffai i primi vestiti che
trovai.
Li infilai, non senza qualche difficoltà, e volai
giù dalle scale. Nel salone non c'era nessuno, sul
tavolo i resti della colazione di Cecilia ed il giornale dello zio
ancora aperto. Sentii delle voci concitate provenire dal giardino, e
uscii.
La prima cosa che notai, furono i capelli scarmigliati della mia
altezzosissima zietta. Per essere conciati in quella maniera, doveva
essere successo per forza qualcosa di estremamente grave. Poco
più in là, Ricardo parlava con un poliziotto.
Gesticolava agitato, il viso di una curiosa sfumatura tra il rosso
acceso ed il viola.
Non si voltarono nemmeno quando mi avvicinai, troppo sconvolti per
accorgersi della mia presenza.
Stavo per chiedere spiegaioni, quando il mio sguardo cadde sulla parete
della casa. Non riuscii a proferir una parola.
Mi lasciai cadere sul terreno umido, sull'erba curatissima
del giardinetto. Il mio cuore si fermò, mentre i miei occhi
fissavano vacui l'enorme dragone immortalato con innegabile
maestria sul muro un tempo candido di villa Tolè. Un mostro
dall'aria vagamente familiare, simbolico e affrettato, ma orribilmente
reale.
Sembrava voler saltar fuori dal cemento, sembrava voler distruggere la
sua prigione e afferarmi con le sue fauci splancate.
Mi rialzai, barcollando sulle mie gambe malferme, mentre guardavo
affascinata quel graffito.
Notai una piccola stellina, sotto la zampa destra, una piccola ed
innocente stellina.
Un nome mi colpii come uno schiaffo: Desesperado.
Solo loro potevano aver fatto una cosa simile.
Mi avvicinai, sorda ad ogni rumore e cieca ad ogni altra cosa, e
sfiorai con mano tremante quell'incubo fatto di
vernice. Percorsi le intricate linee del muso,soffermandomi
sugli occhi furiosi della bestia, il segreto di tanta
realisticità.
Percorsi il profilo di ciascun dente, di ogni squama, fino a giungere
al centro della bocca, dove percepii un'innaturale cavità.
Grattai via la polvere, e vidi il mio orecchino incastrato nel muro. Lo
presi tra le dita, scossa da fremiti incontrollabili, mentre il ricordo
di due occhi neri e di labbra sbagliate mi assaliva feroce.
Grazie a Lalafly, per il suo commento ù__ù
Siccome sono scema, ho cancellato il primo capitolo e le due
recensioni, perciò mi scuso con Ego me Stesso ed io e con
sorellinadolce per aver cancellato i loro commenti...I'm sorry!!
E il mondo può crollarmi addosso, mentre la guardo, la schiena
piegata sul banco e i capelli che le sfiorano il viso in una
morbida onda.
Ma tanto non me ne accorgerei. Fisso il suo profilo, incapace di
pensare ad altro; davanti a me, un foglio pieno di operazioni
matematiche implora un po' di attenzione, ma non riesco nemmeno a
leggere quelle funzioni senza senso. I miei occhi hanno quei numeri
davanti, ma le immagini non arrivano al cervello.
Nella mia personale bolla di sapone ci siamo solo io e lei, solo noi due, insieme.
Insieme insieme, intendo. Non semplici conoscenti, non compagni di classe, e nemmeno amici. Insieme.
Tre mesi da quando l'ho vista per la prima volta, tre mesi in cui le
avrò parlato sì e no una decina di volte, e sempre
per sbeffeggiarla come un cretino. Cretino. Esatto. L'aggettivo più appropriato, che descrive esattamente e totalmente il mio atteggiamento in questo periodo.
Oddio, non che io sia mai stato serio, certo. Però in questo
periodo le cazzate mi escono con una tale facilità da non
concedermi neanche un po' di dignità e contegno...E diamine, non
mi va di passare per lo scemo di turno.
Ad essere onesti, credo sia lei
il problema. Basta che appaia, e i neuroni vanno in poltiglia, la bocca
si apre come dotata di vita propria e le cazzate sgorgano a fiumi.
Perchè sono le cose più facili da dire, non c'è
bisogno di pensare per formularne una, e io in quei momenti non
sono certo nel pieno delle mie capacità intellettive.
Anzi, le capacità intellettive non ci sono proprio più. Puff. Scompaiono, come per magia.
Mi ritrovo a prenederla in giro sulle cose più stupide, come il
piercing o la matita un po' troppo accentuata. O per le scritte
incomprensibili che si scrive sul braccio, o sulle poesie distratte che
scarabocchia sui quaderni scolastici.
Lei non dice niente, oppure mi rifila qualche " Stronzo" o
"Vaffanculo", poi abbassa la testa, lascia che i capelli le
coprano gli occhi, e si massaggia le tempie con fare stanco e annoiato. Cretino. Sono un cretino, ma a volte vorrei urlarle in faccia che è tutta colpa sua se sono ridotto così.
Vorrei dirle che non se lei non fosse così così, io
sarei diverso. Smetterei di fissarla durante le lezioni, riuscirei a
concentrami un po' e a fare anche un discorsetto come si deve, su
temi come politica e musica. Se mi applicassi un briciolo, tirerei
fuori anche delle cose intelligenti.
Ma la piccola italiana dal nome americano complica tutto, e io divento un cretino.
Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin.
Ecco. Consegno
il foglio in bianco, immaginandomi la faccia di mia madre quando
le dirò del 4 che sicuramente prenderò...Ma Diego, vai
bene in matematica! Come hai fatto a prendere un voto del genere???...
Sbagliato mami, andavo bene
in mate. Ero il migliore della classe. Poi però, tutto d'un
tratto, sono diventato cretino. Ma non è colpa mia, mammina. Te lo giuro. E'
colpa della piccola, malinconica, stravolgente Alexia.
Alexia
Mi sta guardando...Ancora.
Ma perchè non si gira? Odio avere i suoi occhi addosso:
riescono a farmi perdere il controllo, il cuore batte a ritmi sfrenati
come impazzito. Cosa crede di fare? Forza Alexia, concentrati. Distogli
lo sguardo, piega la testa e richiuditi nel tuo mondo. Per favore, Ale,
lo dico per il tuo bene. Per la tua sanità mentale che sta
andando a benedirsi. Per quel muscolo nel tuo petto che ora pulsa
dolorosamente, come se ogni battito fosse una sofferenza.
Avanti, abbassa gli occhi. Brava. Ora prega che lui stia facendo lo stesso.
Ma, purtroppo, lui non ha nessuna intenzione di liberarmi dal suo
sguardo ammaliatore. Afferro nervosa una matita, mi metto a
scarabocchiare su un foglio un vecchio testo inventato in uno dei
tanti momenti di noia. Scrivere mi fa bene. Impegna la mente, oltre che
le mani, e subito Diego non c'è più. Solo la mina che si
consuma sul banco, tanto forte premo, e le parole della triste ballata
si materializzano. L'avevo composta ancora in Italia, ed è
ironico quanto sia appropriata in questo momento...Una canzone
nostalgica, di qualcuno che sogna la sua terra lontana e nelle nuvole
scorge le forme ed i colori della sua patria.
Che tra le persone sconosciute vede i volti che ama, che nel silenzio delle sere ascolta le loro voci.
E poi, i tamburi di una battaglia, il suo cavallo che balza
in avanti e lo stridio agghiacciante delle spade che si scontrano, lo
schocco di scudi che si frantumano, le urla agonizzanti dei feriti.
Combatte, e non sa perchè. Lui perso in una guerra non sua, che
tra l'inferno sente ancora la risata del suo bambino, che nelle smorfie
dei soldati intravede il sorriso della moglie, e che nel freddo
della lama sente l'abbraccio del sole. Che nel dolore della morte,
prova la gioia del ritorno.
Sento una risatina, e mi volto di scatto. E te pareva.
Un sorriso beffardo sul volto tirato, i capelli scompigliati e le mani
affondate nelle tasche. Mi preparo mentalmente a parare tutte le
sue battutine, redo impermeabile il mio cuore e lo corazzo in modo da
farcele scivolare sopra.
" Cosa stai scrivendo?" chiede.
" Nulla che ti interessi." rispondo secca. "Eddai, dimmelo..." " No." "
Ti prego. Non voglio prenderti in giro, giuro! Sono soltanto..curioso."
Come no. E spiegami, da dove verrebbe tutta questa curiosità?
" Ho detto di no, Devagas." Lui non se ne va. Cerca di sbirciare
tra le mie braccia, che coprono il banco, anche se so perfettamente che
non le capirà. Grazie a Dio, non sa un briciolo di italiano.
" Per favore...Alexia." - scatena tutto il potere dei suoi occhi,
e le ginocchia incominciano a tremare. Mi chiama per nome, cosa
che non ha mai fatto. Bastardo.
" No..." Ma già la mia voce è meno decisa. Sento le
guance scottare, e le orecchie sembrano prendere fuoco da un momento
all'altro...Concentrati, Ale. Respira.
" Dimmi almeno di cosa parla...O ti vergogni?" ridacchia.
" Abbastanza, sì. Ma anche se te lo dicessi, non capiresti. In effetti, tu non capisci mai nulla, Diego."
" Chi è qui quella che sfotte?" ribatte, offeso. Poi, si appoggia al banco, con fare deciso.
" Tanto non ti lascio andare finchè non me lo dici."
minaccia. " Vedremo." Sibilo tra i denti, riducendo gli
occhi a fessura.
Mi alzo di scatto, stringo il foglio tra le mani, e poi afferro lo
zaino. Lui mi si para davanti, risponde a una mia finta. Accidenti,
è davvero alto. Mi chiude tutte le vie di uscita. Disperata, lo
spintono, ma non non si sposta nemmeno di un centimetro. Balzo di lato,
ma la cartella mi impaccia e ci metto un attimo a riprendere
l'equilibrio; Diego approfitta spudoratamente del mio momento di
debolezza, e mi sfila il foglio tra le mani.
Sul suo viso si apre un perfido ghigo, e prima che possa riacciuffarlo si volta e scappa via.
" Tanto non capirai una mazza, stronzo!" Gli urlo dietro, ma tanto è inutile. Ormai si è dileguato.
Eccoci qua, due nuovi pov, di Alexia e Diego ù__ù
Grazie moltissime a tute le persone che hanno messo la mia storia tra i
preferiti, e ad alilah e Nlc che hanno recensito...Mi raccomando
ragazze, non abbandonatemi!!
Casa del Sole non era mai stata così affollata come quella
sera. Tutta S. Monica, o meglio, tutta la nostra S.
Monica, si era riunita in quel tugurio che puzzava di sudore e fatica,
per assistere al battesimo del figlio di Paul; un modo come un'altro
per sottrarsi alla noia e alla fame novembrina.
Io, Miquel e Carlos eravamo seduti fuori a fumarci una sigaretta,
mentre Jean finiva la cerimonia accompagnato da gran battimani. Tra
poco sarebbe iniziato il tradizionale banchetto, e non volevamo certo
perderci l'occasione di mangiare a sbafo.
Ormai non sentivo più nessun tipo di vergogna nel
partecipare a
tutte le feste e sagre della città, con lo scopo di mangiare
il
più possibile.Mangiare, mangiare se ancora mangiare...finoa
scoppiare.
Il cibo era un pensiero fisso, forte quasi quanto
la mia
passione per la pittura. Era due cose che andavano pari passo,
più tempo passavo a dipingere nel Templo (
come chiamavamo
affettuosamente l'antico casale dove trascorrevamo i nostri pomeriggi)
più la morsa della fame stringeva il mio stomaco,
fino a
stremarmi e ad illuminare i miei occhi di una luce malsana. Un urlo
continuo, che non si spegneva mai. Un bisogno che diventava ogni giorno
più potente, un impulso che metteva a tacere il mio orgoglio
con
sorprendente facilità.
Eppure, sebbene non fossimo ricchi, non eravamo neppure tra i
più poveri...No di certo. Riuscivamo sempre e comunque a
mettere
qualcosa in tavola, e non dovevamo nemmeno piegarci a lavori troppo
umili.
Io però non smettevo di avere fame. Mai. Con Miquel e Carlos
era
diverso, loro erano grandi e grossi e il loro appetito era senza dubbio
normale.
Ma io?? Io dipingevo, e mi consumavo ad ogni pennellata. Ero alto, ma
ormai potevo contare le ossa del mio costato. Ed il colore della mia
pelle! Bianco, latteo come la luna, quasi trasparente. Il sangue
che palpitava sotto era fin troppo visibile, le vene troppo
sporgenti. Gli zigomi pronunciati sul volto scavato, le labbra chiare,
gli occhi troppo scuri per essere sinceri, i superstiziosi dicevano che
i demoni si erano insediati nel mio corpo. Demoni a cui avevo donato
la carne in cambio dell'arte che mi aveva reso celebre nella
periferia della Comarca.
Sciocchezze per giustificare il mio innegabile talento...e
la mia immodestia.
Fatto sta, che dormivo sempre di più e non c'era cibo che
potesse saziarmi.
Ma...ci sono altri tipi di fame.* La fame di lei, per esempio. Che era
altrettanto potente ed inestinguibile di quella che devastava il mio
stomaco.
La guardavo, la spiavo, e non riuscivo a togliermela dalla testa...E
non mi aiutava di certo.
Non avevo potuto vedere la sua reazione al dragone immmortalato sul
muro di casa, ma riuscivo benissimo ad immaginarla e ad indovinare ogni
sua emozione, ogni suo comportamento...E la avevo vista due tre volte.
Ed ero riuscitoa terrorizzarla con una sola parola. E lei non sapeva
nemmeno il mio nome.
Ma io sapevo
chi era lei. La conoscevo, non come Miquel o Carlos o Paul o Dolores,
ma come conoscevo me. Io ero lei.
E averla lontana era una tortura che non potevo sopportare. Il mio
cuore era con lei, e io non potevo vivere senza il mio cuore.
E lei non sapeva nemmeno il mio nome.
Mi riscosi dai miei pensieri: qualcuno mi aveva chiamato.
Girai la testa, e vidi Miquel indicare una figura ammantata immobile in
mezzo alla strada.
Una donna, a giudicare dal profilo. Ci fissava, ascoltando il chiasso
della festa all'interno...Avevano iniziato il banchetto.
Le oscurità della sera non mi permettevano di vederla con
chiarezza, ma era facile intuire i brividi che le attraversavano tutto
il corpo.
Non si muoveva, continuava a tremare, aspettando probabilmente che
qualcuno le rivolgesse la parola.
Nonsotante la mia pancia gridasse di voltarmi e di seguire il soave
profumo della carne d'agnello comprata per l'occasione, il
mio istinto e soprattutto l'educazione che avevo un tempo ricevuto mi
disse non solo di restare fermo, ma di avvicinarmi a lei.
Sarò stato a meno di due metri di distanza, quando il
cappuccio scivolò, lasciando comparire una nube di seta nera
acconciata con eleganza, le gote arrosate, un paio di occhi spalancati
che avrei riconosciuto ovunque.
Il mio cuore prese a correre, impazzito, e il sollievo che mi travolse
mi lasciò senza respiro. Stavo soffrendo, e nessuno a parte
lei poteva guarirmi.
Prima che potessi dire qualcosa, salutarla, presentarmi finalmente, lei
alzò una mano e veloce come un lampo mi colpì il
viso, in uno schiaffo che fece male solo alla mia vanità.
Dalle risate dietro di me, mi accorsi che anche i miei amici la avevano
riconosciuta. Rivolsi un sorriso di scherno a lei, che mi guardava
piena di frustrazione e paura, e lancia un'occhiata assassina agli
altri due, che con molta saggezza si dileguarono.
C'eravamo solo lei ed io. Non ebbi nemmeno il tempo di assaporare
questa certezza, che Dalila si mise ad urlare, concitata: " Tu! Proprio
te, cercavo!
Come..co-come ti sei permesso di fare una cosa simile??? Con quale
diritt-to?? Mia... zia è quasi morta di infarto! Non ne
avevi il diritto! E però hai osato lo stesso...tu, tu,
brutto straccione figlio del diavolo! Pe-perchè a ME
poi...che ti ho fatto?"
Arrossiva ad ogni parola, a tratti urlava, e a tratti balbettava,
pestava i piedi e non riusciva a guardarmi negi occhi.
Era tanto buffa, anche così arrabbiata, che mi misi a ridere
di gusto, senza staccare lo sguardo dal suo viso.
Lei rimase interdetta, accaldata e imbarazzata.
" M..-mi trovi divertente? Sei solo uno sbruffone..signor..."
" Adrien Lovagos al vostro servizio, signorina Dalila."
" Signor Lovagos, anzi no, non signore. Tu sei tutto,
forchè un signore! E faresti meglio a non ridere
così sguaiatamente con una come me!"
" Perchè signorina Dalila? Cosa farebbe se continuassi?? Mi
picchierebbe? Di nuovo? "
Si morse il labbro, calmandosi. " Suppongo di sì. O direi a
mio zio che sei tu
il colpevole di quella bestia sul muro..."
" Non avete nessuna prova che sia stato io!"
" Ah davvero?? E l'orecchino??"
" Potrei non essere stato io a rubarvelo...Tanto, ora voi ne siete di
nuovo in possesso"
Rimase di stucco.
" E tu come lo sai? Ti sei tradito da solo, furbone!"
Mi azzittii, guardandola negli occhi e costringendo anche lei
a fare los tesso.
" Una mente sagace ed un fare investigativo come il vostro, signorina
Dalila, sarebbero degni di lavorare per l'ispettore Tanelito.!
Non disse nulla.
" Davvero mi denuncereste, Dalila?"
Nulla. Mi guardava, provando disperatamente ad abbassare lo sguardo.
" Davvero ne sareste capace?"
Potevo perfino sentire il battito del suo cuore.
" No."
Mi avventai sulle sue labbra, sapendo che me ne sarei pentito, e
sapendo che una volta toccato il cielo, non avrei più potuto
scendere.
Grazie moltissime ad alilah e a stellina93 per le recensioni...Sono
contenta che vi piaccia la storia!
Ditemi cosa pensate di questo chap..e alla prossima
ù__ù
P.S. Bestemmiare gentilmente è impossibile naturalmente,
stellina. é un modo di dire proprio per sottolineare la
frequenza delle bestemmie stesse è__è
La
guardo mentre si avvicina alla scalinata per entrare a
scuola.
Ingobbita
sotto il peso della cartella, i capelli fradici a
causa della stessa pioggia violenta che sferza il mio viso.
Non è mai stata così
bella. Così, con gli occhi cerchiati di trucco
colato, con le guance rosse
e un’aria esageratamente desolata.
Bella,
ora che la conosco un po’ di più. Bella, ora che
mi
sono avvicinato di un passo a lei. Bella, di una bellezza che ora
è un po’più
mia.
Facendo
attenzione a non farmi notare, la seguo lungo i
corridoi fino ad arrivare alla nostra classe.
Sta
per aprire la porta,le bloccola
mano sulla maniglia.
La sua pelle è freddissima, umida, me sento le orecchie
prendere fuoco e la
lingua intorpidirsi.
“
Perché non me lo hai detto?” mormoro, a voce
bassissima.
Mi
guarda, confusa e irritata.
“
Che cosa, scusa?”
“…che
ciò che scrivi...Che scrivi bene, che non sono
cavolate senza senso.” La mia voce balbetta, perchélei deve essere sempre
così così??
“
Perchè avrei dovuto dirtelo?”
Ecco.
Perché? Perché non l’avrei presa in
giro, perché avrei
voluto capirla.
“
Perché non ti avrei presa per il culo in maniera
così
stronza.”
Arriccia
il naso.
“
Ah no??”
“
No.”
“
E perché no?”
“
Perché…perché sarei riuscito a
comprenderti.”
“ Tu?Ma fammi un
favore, Devagas. Invece dimmi, come hai fatto a tradurlo? Non era in
spagnolo.”
Sorrido.
“
Sono un uomo dalle mille risorse.”
“
Un bambino,
casomai.” Sbotta.
Poi
si scosta, apre la porta e sfugge dalla mia presa.
La
imito, e vado ad accasciarmi sul banco.
La
osservo ancora un po’.
Mentre
si toglie la cartella e si passa la mano tra i
capelli bagnati, si toglie il giaccone e cammina con passo malfermo
verso la
finestra.
Le
sue scarpe emettono squittii ridicoli, sembra un pulcino
annegato.
L’enorme
felpa in cui si è avvolta le copre le forme, ma
naturalmente ciò non basta a fermare la mia immaginazione
disubbidiente.
Sospiro,
affranto.
La giornata mi scorre addosso senza lasciar traccia, ma
mentre esco non riesco a non notare il suo sguardo attento che segue
ogni mio
movimento.
“
Non riesci a staccarmi gli occhi di dosso, eh?”
“
Mhpf.” Grugnisce.
Ha
un aria così buffa, scoppio a ridere senza alcun ritegno.
I
suoi occhi brillano di rabbia, mi stringe il braccio
furiosa credendo di farmi male.
“
No, scemo. Ti volevo chiedere…”
“
Cosa?”
“
Ti…ti…insomma, ti è piaciuto? La
canzone, intendo.”
“
Certo.”rispondo, sorpreso.
“
Davvero?” Non riesce anegarmi un sorriso.
“ Scrivi molto
bene.”
“
Grazie.”
Dalila
Sentivo
le sue labbra sulle mie, le sue mani che impazienti
vagavano sulla mia schiena, la presa ferrea delle sue braccia attorno a
me.
Le
sentivo, ma la cosa peggiore era sentire la mia bocca
schiudersi alla sua lingua prepotente e il mio corpo rispondere alle
sue
carezze.
Non
era solo lui che mi stava baciando. Era una danza di
entrambi.
Chissà
chi era. Adrien
Lovagos. Un furfante, un desesperado senza futuro che
incatenava il mio
cuore con l’abbraccio più dolce. Il mio primo
bacio, ad un uomo che nessuno
conosceva ma che credevo di conoscere meglio di me stessa.
Un
uomo che con una sfrontatezza senza pari si era
appropriato delle mie labbra senza nessun timore o vergogna.
“
Dalila…”
Il
mio nome, pronunciato dalla voce più soave.
Ansimavamo
entrambi, esplorando i nostri visi e ascoltando
il nostro respiro.
Mi
avvinghiai a lui, al suo torace e ripresi a baciarlo con
più foga ancora.
Ora o mai più.
Sorrise,
beffardo, gli occhi ironici e allegri come non mai.
Probabilmente
nemmeno lui si aspettava una reazione del
genere da parte della composta e borghese signorina Tolè,
dalla cosiddetta
gioventù ammodo di S. Monica.
Ma
non aveva senso opporre resistenza, nessuno. Tanto valeva
esagerare.
In
mezzo a quel quartiere puzzolente, così, come una
mendicante, ad amare un uomo dal sorriso mozzafiato e i vestiti di uno
straccione.
C’era
musica attorno a noi, una dolcissima serenata di
strada.
Mi
prese la mano.
Mi
guardò negli occhi, e poi ci avviammo insieme verso il
buio della notte.
Perdonatemi
per il ritardo e per il capitolo cortissimoooooooooooooooooo*.*
Grazie
moltissime a stellina, con tutti quei complimenti mi fai arrossire
ù__ù
Un uomo dalle mille
risorse. Se, come no.
Un bambino che si atteggia da padrone del mondo, mi sembra
più appropriato.
Lo vedo, seduto sulle scalinate della scuola. Sta disegnando. I capelli
riccioluti gli coprono la fronte, e il suo corpo imponente è
rilassato, le lunghe gamnbe semi distese.
Le manica della felpa nera sono arrotolate, lasciano scoperti gli
avambracci sodi e mettono in risalto la sua pelle chiara.
Le mani si muovono con disinvoltura sul foglio e la matita segue i suoi
movimenti alla perfezione. Sorrido: entrambi abbiamo il nostro piccolo
mondo, io di parole, lui figure. Un universo personale che è
un'intimo segreto e rifugio.
Disegna, e le sue labbra stanno tremando dalla concentrazione.
Chissà che sapore hanno...Mi piacerebbe baciarlo. Tanto.
Troppo. No.E
invece sì. No.
Perchè? Lo
sai perfettamente. Sì, lo so. Ma non me ne
frega più nulla.
Ma non farmi ridere, mocciosa. Non te ne frega nulla di soffrire? Non
credo soffrirò. Chi lo dice? Un bacio, credo non mi
ucciderebbe. Solo uno. E
se lui ti respingesse? Un bacio, piacerebbe anche a lui. Kris. E lui? Non era per
lui, questo bacio? Kris qui non c'è. Lui non
c'è più. Io voglio lui. È un'illusione. E tu
lo sai. Non
è vero. Voglio lui, e tu morirai. Sono più forte
di te.
Su, vattene. Sei solo un fantasma, uno schifoso fantasma che tiene in
vita qualcosa che è morto da tempo. Un parassita nella mia
testa, che risucchia i miei pensieri e le mie emozioni da quando esse
hanno iniziato a disubbidire al suo volere. Tu vuoi distuggermi, mai io
sono più forte di te, e sarai tu a cadere. Sparisci!
Silenzio. Lo
cerco, ma intorno
a me è solo silenzio. Lui, non c'è
più. Sparito.
Morto. Io l'ho mandato via. Kris non c'è più.
E davanti a me, un ragazzo che conosco troppo e da troppo
poco
alza gli occhi e mi vede. I suoi occhi neri si incatenano ai miei, e
nessun demone viene a riprenderemi per riportarmi nei vecchi sogni. Lui, Diego,
appoggia i fogli su cui sta lavorando e mi sorride. Un sorriso
bellissimo e familiare, che morde la carne viva della mia anima e
scatena le emozioni più contrastanti nel mio cuore.
Nel mio
cuore che ora è libero, e batte selvaggiamente.
Si sta avvicinando, aggraziato e raggiante di gloria, un angelo un po'
bambino, malizioso e incantatore.
Siamo vicini, lui apre la bocca e parla, ma io non lo sento. Lo sto
fissando, rimpiendomi gli occhi della sua bellezza.
Imbambolata, mentre lui mi scuote infastidito, mi chiama:
" Alexia..."
Ecco, la sua voce è arriavata al mio cervello, che si bea
della
musicalità incantevole con cui il mio nome esce dalla sua
labbra.
Non ce la faccio più, penso, dispertata. Mi guarda, non
capisce. Non si accorge che muoio.
E l'istinto di sopravvivenza la fa da padrone. Reagisce, urlando e
trascinandomi verso la salvezza.
Prende il comando, e mi getta senza più dignità
nelle sue
braccia, mi costringe a baciarlo con foga, nell'ordine più
sublime ch' io abbia mai sentito.
Diego rimane un po' spiazzato, ma ci mette meno di mezzo secondo a
capire e a rispondere con trasporto, in un bacio antico e dolce e nuovo
e già vissuto e amaro e bellissimo.
In un moto di gioia, le mie mani si aggrappano ai suoi capelli, il mio
corpo si avvicina al suo in cerca di protezione. La scarica di
adrenalina mi rende stranamente lucida, e mi costringe a fare i conti
con qualcosa di inaspettato, qualcosa di strano e a cui non ero
assolutamente preparata. Io lo conosco
già. Io conosco la sua bocca.
Nei miei movimenti impacciati, so
come lui voglia essere baciato, mi rendo conto di saperlo
da sempre. Non è
un'illusione. La paura che il fantasma avesse ragione,
che fosse soltanto una finzione, si sgretola davanti a questa certezza.
Lo conosco. Le mie mani, che ora vagano sul suo viso, lo riconoscono,
e riprendono confidenza con i suoi lineamenti, troppo felici
e
frenetiche per essere tenere e pazienti.
Vengo travolta da questa verità, e le mie ginocchia cedono.
Lui mi prende, folgorato, come me, da quella che è
una consapevolezza impossibile.
Mi fissa negli occhi, le guance leggermente arrossate e il fiato
spezzato.
" Alexia..." ripete, dolcemente.
Solo quando mi sfiora le guance con le dita mi accorgo di star
piangendo.
" Diego."
" Sapevo avresti ceduto davanti al mio innegabile fascino." ride, il
suono più bello del mondo.
Non sono capace di creare così su due piedi una risposta
soddisfacente, e allora mi limito a sfiorargli il petto con un pugno.
Continua a ridere, e io, irritata, mi allontano.
Pessima mossa. Naturalmente, la gelatina che ho al posto delle gambe
non regge il mio peso, e Diego è costretto a riprendermi tra
le
braccia in un gesto fulmineo.
Sbuffo. E lui ride.
" Vedi? Sono io il responsabile della tua instabilità fisica
e
psicologica, ammetilo.é stato sicuramente il bacio
più
bello che ti sia stato mai dato."
" Mhm. Che mi sono presa, direi."
" Sì, in effetti mi sei più o meno saltata
addosso." Sento le guance arrossarsi
" Comunque hai ragione, è stato il bacio più
bello che mi sia capitato. E anche il primo."
Mi fissa ancora più intensamente, confuso.
" Sul serio?"
" Sul serio. Il primo. E ora vantati, dai. Prendimi un po' per il culo,
non vorrei che eccedessi con le sdolcinerie."
" No, non ti credo."
" Non crederci. "
Scuote la testa, incredulo.
" Certo che sei strana. Dai, sul serio, non prendertela. Sono contento,
anche se estereffatto."
" Bene. Anch'io sono contenta. Ma, adesso, mi faresti il piacere di
accrescere notevolmente la mia felicità?" chiedo
" Sono al suo servizio, signorina Alexia."
Sorrido.
" Baciami. Ancora. "
Dalila
Mi lascai cadere, sconvolta.
Il Templo.
Una stanza circolare, alta e con un unica finestra a lasciar entrare la
pallida luce lunare.
Ero riversa sul pavimento ricoperto da fogli e giornali, un
soffice e rumoroso tappetto scricchiolante sotto il mio peso.
Davanti a me, la luce della lampada che Lui aveva acceso illuminava le
pareti di quel luogo impossibile.
Pareti interamente affrescate, dipinte con stupefacente
perfezione. Pareti che forse una volta erano candide, ma ora erano
ricoperte da capo a piedi dalla follia geniale di quello che era
sicuramente un artista. Dalla follia di Adrien.
Adrien, Adrien, Adrien. Com'è
dolce il tuo nome. Da ripetere mille e mille volte.
Confusa, cercai di mettere a fuoco le figure che affollavano
chiassossamente quel luogo uscito dalle fiabe.
Riuscii ad intravedere un cavallo rampante circondato dal fuoco, poi un
drago orrendamente simile a quello di casa Tolè, il profilo
di
un'angelo, e tanti, tantissimi visi.
Visi deformati, scavati, allucinati, sorpresi, bellissimi, indefiniti,
cangianti. Sembrava mutassero ad ogni sguardo, che il cemento non
imprigionasse la loro espressione e, anzi, permettesse loro una
vitalità innaturale.
Uno in particolare catturò la mia attenzione. Era un poco
più grande rispetto agli altri, in disparte, attorniato come
da un'alone di rispetto reverenziale.
Era spiccatamente un viso di donna, dai lineamenti decisi, i capelli
lunghi e scurissimi, gli occhi spalancati e la bocca socchiusa.
Sembrava così indifesa ed innocente, così
impaurita, così sola, così vera, che mi
avvicinai istintivamente per confortarla.
Percorsi con le dita le linee del dipinto, come avevo fatto la mattina
con il mostro( solo quella mattina? O mio Dio, pensai..solo quella
mattina? Non giorni, settimane, mesi, secoli fa? No?) e sfiorai le
forme delle labbra, le sopracciglia folte, il naso diritto e morbido,
gli zigomi, le... le mie mani si arrestarono, prese da un
fremito incontrollabile. Le orecchie.
O meglio, l'orecchino. Automaticamente, mi toccai il lobo per
accertarmi che il gioiello fosse ancora al suo posto e non si fosse
trasferito sull'affresco: sì, c'era. Eppure, lì,
sull'orecchio di quella ragazza immobile, c'era il mio orecchino.
E ora, ad osservare meglio, su di lei c'era anche il colore dei miei
occhi, e la forma delle mie guance, la piega del mio labbro inferiore.
Su di lei c'ero io.
Mi voltai spaesata, cercando l'autore del ritratto, ma lui
non c'era.
Il mio cuore batteva fortissimo, e l'ossigeno che entrava nel mio corpo
non bastava a dissetare i miei polmoni.
Tutto si fece scuro. Buio intorno a me.
Prima di perdere coscienza, udii il grido di Adrien che chiamava il mio
nome, e pensai a quanto esso fosse bello se pronunciato da lui.
Poi, più nulla.
Mi ritrovai catapultata in un posto che non conoscevo, circondata da
visi che non mi erano familiari.
Affogavo e volavo, in un cielo del colore dell'oceano e dei prati, e
accanto a me sentivo un galoppo indistinto.
Un cavallo. Enorme, dal mantello nero, correva accanto a me, nel mare
senz'acqua.
La sua presenza mi confortò, mi erano sempre piaciuti i
cavalli.
Il loro sguardo, così buono e sincero, mi aveva rassicurata
anche quando ero una bambina.
Poi, però, il cavallo scomparse.
Al suo posto, un abominbevole mostro ruggiva e scuoteva la sua lunga e
pericolosa coda.
Fuoco e sangue uscivano dalla sua bocca...urlai, più forte
che potevo, gridai più e più volte, ma nessuno
venne in mio soccorso.
Il drago si avvicinava sempre di più, e notai sulle sue
squame una stellina che mi ricordava qualcosa, o forse qualcuno,
mentre la paura e l'adrenalina mi facevano pensare molto
più lucidamente del solito. Vidi la piccola ed innocente
stellina sul corpo dell'incubo che mi divorava, sentivo ogni zanna
dilaniare la mia carne, vedevo distintamente i capelli
scarmigliati di Zia Cecilia mentre la saliva corrosiva delle fauci
ricopriva e bruciava il mio corpo.
Vidi casa Tolè, e Adelina, e graffiai le fauci del drago che
era solo un disegno, ma che qui era vero.
Poi, qualcosa mi strappò da lì e mi porto via,
lontano, in un regno di neve. Non c'era altro che neve. Bianco, e
freddo.
Troppo freddo.
Uno specchio, il riflesso di un viso...Era il mio? Eppure c'era solo la
faccia, il resto era svanito.
E ancora, un gran fuoco, e urla di bambini che morivano, e i visi che
ridevano, indifferenti.
C'ero anch'io in quell'incendio nella neve, in quell'inferno di bianco
e fiamme, e avevo solo un nome sulle labbra.
Tenevo in braccia un piccolo, un neonato, troppo piccolo per essere
vero, minuscolo, neanche un dito.
E urlavo il nome, dell'uomo che forse poteva salvare il bambino che
stringevo, o forse poteva salvare me, o forse poteva salvare solo se
stesso.
E la gola mi faceva male, ma continuavo a chiamare, e poi venni
strappata anche da lì e portata via..lontano...
" Dalila ". Una voce, la più bella, mi riportò al
mondo.
Aprii gli occhi, e vidi due pozzi neri e terribilmente profondi
fissarmi preoccupati, mentre due mani enormi e calde mi tenevano il
capo.
Poi vidi il suo naso, e le sue guance scavate, e i suoi capelli, e le
sue labbra.
Non pensai più ad altro. Adrien, Adrien, Adrien.
Muahahahahah! *Risata malefica* Eccomi qui, prima dello scadere dei 15
giorni!
Che brava, eh? * Pernacchia*
Ringrazio stellina per il suo appoggio incondizionato, e Lala per la
recnsione ù__ù
Alla prossima!