Un'altra prospettiva

di BarrelRider
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le Cellechiuse ***
Capitolo 2: *** Qualcosa è cambiato ***
Capitolo 3: *** Imprevisti ***
Capitolo 4: *** Beccate! ***
Capitolo 5: *** Sassi volanti e Hobbit rampanti ***
Capitolo 6: *** Tentativi sventati ***
Capitolo 7: *** Coraggio e incoscienza ***
Capitolo 8: *** Il profumo del fiume ***
Capitolo 9: *** La fine di un incubo ***
Capitolo 10: *** Una grande novità ***
Capitolo 11: *** Cosa non è cambiato. Un epilogo. ***



Capitolo 1
*** Le Cellechiuse ***


Le Cellechiuse
 
 
 
Quando vide in lontananza la familiare sagoma di Bart Serracinta, Rosie Cotton tirò un sospiro di sollievo, e il suo cuore rallentò il battito che, fino a poco prima, si sarebbe detto impazzito.
Il giovane guardiano era stato grande amico e confidente di Nibs, uno dei suoi fratelli maggiori , e Rosie lo conosceva quindi fin dall’infanzia. Se non ci fosse stato lui, probabilmente non avrebbe mai trovato il coraggio di tornare, giorno dopo giorno, in quel luogo così cupo e opprimente.
Bart era stato praticamente costretto a lavorare lì: prima non era che un semplice Guardiacontea. Rosie sapeva bene che, se si fosse rifiutato, sarebbe stata la sua famiglia a pagarne il prezzo, finendo, come moltissimi altri, in quello stesso luogo di cui Bart era a guardia: le Cellechiuse.
Nonostante ciò, il povero Hobbit aveva purtroppo perso il rispetto e l’amicizia di tutti i suoi compagni di gioventù, compresi i fratelli Cotton.
Rosie era stata l’unica a mostrarsi comprensiva verso di lui, e il giovane, ancora abbattuto da tutti quegli atti di ostracismo, le era stato quanto mai riconoscente.
 
“Rosie…” mormorò, vedendola avvicinarsi, il volto in parte nascosto dal cappuccio, dal quale sfuggivano alcune boccolose ciocche ribelli, “Non dovresti essere qui, lo sai…”
 
“Come potrei non saperlo, dal momento che me lo ripeti ogni giorno, Bart” replicò lei con un sorriso tirato.
 
La guardia sospirò, rassegnata: “Se i tuoi fratelli sapessero…”
 
“Nessuno deve venirne a conoscenza!” lo interruppe Rosie con urgenza, “Ti prego Bart, mi fido ciecamente di te, e non oserei mettere piede qui dentro se non ci fossi tu a lasciarmi passare. Tu sai perché lo faccio”.
 
Sì. Bart Serracinta conosceva bene il motivo delle visite giornaliere dell’unica figlia di Tolman Cotton. Conosceva le piccole bugie che la giovane rifilava alla sua famiglia, prima di uscire di casa, e recarsi nell’ultimo posto in cui avrebbe mai dovuto mettere piede.
 
E sapeva perfettamente chi fosse la persona per la quale era disposta a rischiare tanto.
 
Così anche questa volta si limitò a sospirare, afflitto, facendosi poi da parte, e scortando la Hobbit verso una Cella a entrambi ben nota.
 
               ************
 
Il piccolo sassolino smussato, rubato ad un ruscello che ora scorreva lontano e silenzioso, stava rotolando per la decima volta verso il muro ruvido e freddo che inghiottiva ogni sprazzo di luce.
Diamante di Lungosquarcio, seduta a gambe incrociate contro la parete opposta, aveva la mano tesa verso l'esterno e lo sguardo vacuo ma impaziente.
Ogni qualvolta quel sassolino rotolava, provocando un leggero ticchettio sordo che si sperdeva nel girovagare delle guardie di vedetta che controllavano le Celle, si sentiva invasa da uno sconforto sempre più profondo.
Ricordava il rumore dei suoi passi leggeri nei sentieri, mentre correva dietro qualche carretto o mentre inseguiva le lepri. Ricordava la dolce frescura dei boschetti, che racchiudevano i tesori dei ruscelli lucenti e i rami degli alberi maturi.
Ricordava le mele rosse, i campi del vecchio Gaffiere e il suo girovagare intorno al fiume Brandivino.
Quel sasso rotolava nella cella ma scavava nella sua anima come un piccolo cucchiaio che, piano piano, la svuotava.
Il suo sguardo chiaro continuava a soffermarsi sulla porta della Cella che la separava da uno stretto corridoio. Sentiva gli altri Hobbit parlare, di tanto in tanto, ma aveva paura ad ascoltare.
Aveva paura di constatare che, le cose, non sarebbero più tornate come prima.
Fece uno scatto in avanti con la schiena e si protese per alzarsi, pronta a riprendere il sassolino e cominciare quel passatempo che andava avanti ormai da troppi giorni.
Non sapeva quanti ne fossero passati, il tempo scorreva lento e le albe non le concedevano più la loro luce calda e rassicurante.
 
Recuperò il sasso e lo strinse dentro la mano, chiusa a pugno.
Chiuse gli occhi e respirò piano, carezzando la forma dell'unico oggetto caro che le ricordava la propria casa.
I suoi vestiti erano sporchi di terra e sciupati verso i lembi della gonna del vestito. I capelli scuri e ricci erano spettinati ma riportavano, ancora, un piccolo fermaglio che li tenevano stretti sulla nuca.
Molti, come lei, erano stati rinchiusi lì dentro e il sapore della libertà era diventata una fame che non sapevano come saziare. Anche il solo lavarsi sembrava un privilegio che non era permesso.
Sentiva le lacrime pungerle gli angoli degli occhi e tornò a guardare verso l'entrata della Cella, cercando di ricacciarle indietro.
Diamante non piangeva. Odiava farlo.
Diamante, tu sei l'incarnazione di una quercia. Se soffri non lo mostri; perduri nel tempo e cresci fino a sovrastare tutto ciò che ti circonda.
Così le ripeteva suo padre. Ed era strano come, la quercia, fosse il primo luogo dove si era scontrata con...
 
“Hai visite. Ti devo chiedere di rimanere lontano dall'entrata, Diamante.”
Bart Serracinta fece il suo ingresso, facendo tintinnare le chiavi. Aveva l'aria di uno che era molto stanco, anche solo di ripetere le stesse parole.
“Non ti preoccupare. Non ho intenzione di morderti di nuovo”, rispose lei, alzando le spalle, apatica.
Non ne aveva intenzione sul serio; aspettava quella venuta da ormai troppe ore.
Lo faceva tutti i giorni, senza smettere di riversare la stessa impazienza di sempre.
Non appena la vide prese a sorridere, non riuscendo a contenere le stesse lacrime che, poco prima, stava tentando di annientare.
Lei era l'unica capace di farle distruggere ogni barriera ed era così bello perdersi in quella sensazione.
La venuta di Rosie Cotton, come ogni giorno, le faceva dimenticare di essere diventata una prigioniera in casa sua.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Deposito Barili:
 

 
 
Buonasera amici, e ben sintonizzati sul canale BarrelRider =D
Questa fiction è la prima a 4 mani per entrambe, nata da un’idea geniale di CrisBo, che ha conquistato in pieno Leila, non appena ne ha sentito parlare.
Le vicende della Compagnia dell’Anello, dei Cavalieri di Rohan e del popolo di Gondor sono ben note a tutti. Ma nessuno ha mai pensato di narrare cos’è successo a chi invece di partire è rimasto, e ha visto il proprio mondo cambiare in maniera drammatica e irreversibile.
Nessuno ha mai pensato di raccontare il punto di vista del popolo della Contea, quando il Male, sotto le sembianze di Saruman e dei suoi scagnozzi ha infine raggiunto anche quella terra.
Quella che vogliamo proporvi è quindi tutta un’altra prospettiva (e qui si spiega già parte del titolo), sfruttando lo sguardo di due personaggi femminili che ci hanno affascinate da sempre.
 
Speriamo davvero che l’idea possa piacervi e vogliate seguirci in questa nuova avventura ^^!
Ringraziamo di cuore chi ha letto fin qui, e speriamo di ritrovarvi al prossimo capitolo.
 
Wish you all the luck in the world,
 

Benni e Cris

PS: i prossimi capitoli saranno più lunghi, giurin giurello! Questa è solo l'introduzione ;)
NB: pur seguendo il canon, e possibilmente il libro, la nota what if è stata comunque necessaria.


 

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Capitolo 2
*** Qualcosa è cambiato ***


Qualcosa è cambiato:
 

Non appena vide la figura dell’amica apparire sulla soglia della cella, Diamante si tuffò dritta fra le sue braccia.
Bart richiuse delicatamente la porta, e si allontanò con discrezione lasciando alle due un po’ d’intimità.
 
“Che scusa hai usato questa volta?” domandò la più giovane, una volta sciolto l’abbraccio.
Rosie fece un sorrisino: “Di questo passo i miei penseranno che il vecchio Ham Gamgee stia morendo di fame. E’ la quarta volta che racconto di volergli portare del cibo”.
Detto ciò, estrasse un cestino ricolmo di frutta da sotto il mantello: “Ecco, è tutto ciò che sono riuscita a prender…”
Non fece quasi in tempo a finire la frase, che Diamante si era già avventata sulle pietanze.
“Stavo quasi cominciando a dimenticarne il sapore”, mugugnò con la bocca impastata di fragole.
“Sei la mia salvezza Rosie. E meriteresti di essere veramente a trovare il Gaffiere, piuttosto che una fuorilegge come me”.
Il tono con cui aveva pronunciato l’ultima frase era perlopiù ironico, ma con una profonda nota finale di amarezza.
 
“Non dire sciocchezze” la rimbeccò Rosie, “Sei come una sorella per me, pensi davvero che potrei mai…”
L’espressione di Diamante si addolcì all’istante: “Avanti, stavo solo scherzando”.
“Anche se… forse non poi così tanto” concluse, volutamente maliziosa.
Fu con grande sollievo che l’amica le arruffò i capelli e scoppiò in una risata genuina: “Non cambi mai, vero? Che immenso sollievo. Sei rimasta la solita ragazzina impudente e sfacciata. Tu e i tuoi pensieri sconvenienti…”
 
Diamante alzò le spalle, e tirò fuori la lingua: non ribatté, ma le ridevano gli occhi.
 
Nessuno avrebbe mai potuto prevedere lo sbocciare di un simile affiatamento tra le due giovani Hobbit.
Eppure, nonostante i caratteri profondamenti diversi, la loro amicizia era rimasta salda e sincera, a discapito delle malelingue e dello scetticismo generale.
Nata nel più improbabile dei modi: Rosie lo ricordava come fosse ieri.
 
Era una giornata piovosa del mese di Settembre. Decisamente il momento meno opportuno per dimenticare a casa l’ombrello.
 
 
                                                            *******
Lo schizzo fu violento, improvviso e inaspettato.
Come se non bastasse tutta la pioggia che si stava già buscando. Maledetta la sua smemoraggine.
 
Era stato un gruppo di cavalieri al galoppo a infradiciarla in quel modo, sfrecciando attraverso una pozzanghera proprio davanti a lei.
 
Uomini al galoppo nella Contea.
 
Probabilmente in un altro momento Rosie ne sarebbe rimasta turbata: mai prima di allora si era vista una cosa del genere.
Quel giorno però, tutta la sua attenzione era stata focalizzata da una giovane Hobbit coi capelli scuri, che la fissava dall’altro lato della strada, ridendo sguaiatamente.
Diamante di Lungo Squarcio. La conosceva pressappoco di vista.
 
Rosie rimase a corto di parole, e sentì la rabbia montare dentro di sé.
Ma prima che potesse dire anche solo una parola, un piccolo carretto passò a gran velocità, e questa volta l’onda sollevata si riversò completamente sull’altra ragazza.
Fu quindi Rosie a potersi sbellicare.
 
“Ride bene chi ride ultimo”, non poté trattenersi di dire.
“Fai in fretta a parlare tu”, le sputò addosso Diamante, con inaspettata amarezza, “Questo era il mio vestito migliore, e oggi dovrei iniziare a lavorare da Adamanta Paffuti. Come posso presentarmi in questo stato?!”
 
Rosie non era una persona serbante rancore: si lasciava intenerire facilmente, e le bastò veder spuntare le lacrime sul viso di quella Hobbit, che sapeva per fama essere terribilmente fiera, da intenerirsi immediatamente, dimenticando l’offesa.
Sempre che di offesa si potesse parlare.
 
“Coraggio, perché non vieni da me? Casa mia è poco distante, e anche io sono ridotta malaccio. Sono sicura che riusciremo a trovare qualcosa che ti vada bene”.
 
“Non voglio la tua carità”, ribattè Diamante, scocciata.
 
“Come preferisci” rispose freddamente Rosie, “Sono sicura che Adamanta ti sarà grata per tutto il fango che le porterai in casa”.
 
Diamante sbuffò, e con malavoglia fu costretta ad arrendersi, di fronte a quell’affermazione.
 
                       
                                   **********
I primi momenti a casa Cotton furono imbarazzanti a dir poco.
Rosie non soleva quasi mai portare con sé delle amiche, o in questo caso conoscenti, ma vista l’assenza dei suoi genitori, le furono risparmiate fastidiose domande.
Anche Diamante ne parve sollevata: trovava già abbastanza disagevole lo stato dei suoi vestiti. Figurarsi il doversi ritrovare a fare conversazione con persone tanto diverse da lei!
La famiglia Cotton pareva esattamente quel tipo di gente pudica, rispettabile e noiosa che le faceva spesso prudere le mani. Vedere Rosie completamente zuppa e inzaccherata le aveva procurato non poca soddisfazione. Ora non aveva più quell’aria da principessina delle fiabe con la quale girava sempre!
 
Ma chi la fa l’aspetti, dicevano dalle sue parti. Dannato carretto.
 
Nessuna delle due sembrava intenzionata a rompere il silenzio, e alla fine fu il profumo della crostata di mirtilli a salvare la situazione.
 
 
“Per tutte le bacche e i lamponi! Non avevo idea che tu sapessi cucinare così bene!”
Diamante non riuscì proprio a impedirsi di parlare, nonostante avesse la bocca piena.
Alla malora le buone maniere: le avrebbe imparate mai?
“Perché, quante altre cose conosci di me?” la canzonò dolcemente Rosie.
“Beh… hai ragione, effettivamente non so praticamente nulla di te”, ammise l’altra; “A parte il fatto che sei generosa e buona anche con chi non se lo merita”, aggiunse quasi sottovoce.
Rosie ridacchiò.
“Come sei melodrammatica, ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque”.
“Non chiunque” borbottò Diamante, come fra sé.
Rosie inarcò un sopracciglio e fece finta di niente: “Che ne dici, ti andrebbe di ricominciare d’accapo? Nessuna offesa?”
La bruna sorrise, e strinse la mano che le veniva offerta: “Nessuna offesa”.
 
Più tardi Rosie scovò nel suo armadio i vestiti perfetti per entrambe.
Le due fanciulle scoprirono di aver molte più cose in comune di quanto inizialmente avrebbero mai immaginato, e il resto della mattina trascorse amabilmente fra chiacchiere e prime, timide, confidenze.
 
Almeno fino all’arrivo di Nibs e Jolly.
 
 
*************
 
I fratelli maggiori di Rosie non le somigliavano affatto.
Questo fu praticamente tutto ciò che ebbe il tempo di pensare Diamante.
Più alti, e dalla capigliatura corvina.
Aveva appena iniziato a fantasticare sulle spalle incredibilmente larghe di Jolly, che i suoi pensieri vennero catturati immediatamente dai racconti dei due.
 
Erano entrati in cucina come dei fulmini, chiamando a gran voce il loro padre.
“Ah, sei tu!” avevano poi esclamato, vedendo Rosie.
Subito dopo Nibs si era bloccato, e aveva assunto un’espressione tra le più buffe che Diamante avesse mai visto.
Qualcosa che era a metà tra l’estasiato e il terrorizzato.
 
“Da quando abbiamo un’altra sorella?”
“Non cominciare Carlo*. Come mai siete già a casa, piuttosto?”
“Beh, per riferire a papà la novità”.
 
 
Cavalieri nella Contea.
Gente Alta, proprio così.
E diretti a Casa Baggins, niente meno.
 
Diamante non ebbe bisogno di guardare Rosie negli occhi per capire che i pensieri che turbinavano frenetici nella sua mente, era gli stessi che tormentavano lei.
Gli stessi Uomini di poche ore prima.
 
La domanda più urgente ed elementare ora era: che cosa ci facevano lì?
 
 
                                       *******
 
“Beh… è stata indubbiamente una mattinata particolare”.
“Già…”
 
Rosie aveva scortato la sua ospite sulla porta. Non le sarebbe dispiaciuto se si fosse soffermata ancora, ma fare tardi il primo giorno di lavoro non era di certo fra le cose più sagge. E Adamanta Paffuti sapeva essere alquanto detestabile.
 
“Dovremmo rifarlo. Magari senza schizzi né fango”.
A entrambe sfuggì una risatina.
 
“Rosie…” cominciò la bruna, con tono improvvisamente serio, “Non credere che io stia subito pensando al peggio, ma ho davvero l’orribile sensazione che…”
 
“Diamante, no! Non ne voglio parlare, ti prego”.
Rosie si tappò le orecchie d’istinto, improvvisamente spaventata.
 
“Ma è qualcosa che non possiamo ignorare!” fu la secca risposta, “Rosie, maledizione, ascoltami. Non lo capisci che potrebbe…”
 
“Va bene, ti prometto che ne riparleremo”, la zittì l’altra con una mano sulla bocca, “Ma non ora e non qui. Adesso vai, ci rivedremo presto”.
 
E così era stato.
 
              ********
Quando vide l’amica farsi sfuggire un risolino, Diamante si accigliò non poco: “Mi sfugge veramente cosa ci sia divertente in questa situazione”.
“Stavo ripensando al nostro primo incontro”, rispose quella.
 
La giovane si unì allora alla risata, che però assunse ben presto un retrogusto amaro: “E’ stato allora che per la prima volta ci siamo accorte che qualcosa non andava”.
“Lo ricordo bene” annuì Rosie, anch’essa rattristata, “Pensi che avremmo potuto fare qualcosa?”
Diamante non rispose immediatamente, pareva combattuta.
Quando finalmente fu sul punto di dire qualcosa, la porta della cella si aprì.
 
“Tempo scaduto” borbottò Bart, “Mi dispiace…”
“Dacci ancora un momento, che cosa ti costa?”
 
Rosie poggiò una mano sul braccio dell’amica, come a volerla placare: “Tornerò presto, lo prometto”.
 
“Sulla coda di Rufus?” domandò l’altra sorridendo allusiva.
Rosie fu colta di sorpresa da quella domanda, ma il suo leggero imbarazzo fu presto rimpiazzato da una nuova risata.
“Sulla coda di Rufus” confermò, annuendo convinta.
 
 
 
*vero nome di Nibs.

 
 
 
Deposito Barili:
 
Ciaone!!!
Eccoci di nuovo con voi, e lasciatecelo urlare a gran voce: GRAZIEEEE!
Siete state meravigliose, la vostra accoglienza ci ha commosse e fatte sorridere come delle ebeti. Speriamo di rimanere all’altezza delle aspettative.
In questo capitolo abbiamo iniziato a raccontare come sia nata l’amicizia tra le nostre protagoniste: questa volta abbiamo composto tutto insieme u.u, ospiti di un localino di roba ‘bio’ a Clapham, durante un pomeriggio piovoso.
Ma dal prossimo tornerà l’alternanza di point of view!
Gli Uomini che compaiono di sfuggita non sono esattamente belle persone u.u com’era intuibile.
Ci diverte (muahahahaha) lasciare alcune cosette in sospeso (Rufus coff coff) ma piano piano chiariremo tutto, promise.
Che altro dire… fateci sapere che ne pensate ^^!
Un very big thanks a: Melianar, Tielyannawen, Xingchan, Kano_Chan, Zebraapois91, Laylath e Kanako91 per le recensioni *^*
A: Tielyannawen, Xingchan, Kano_Chan, Zebraapois91, Laylath, Kanako91, Feanoriel e Evelyn80 per averci aggiunte nelle seguite *^*
 
Un abbraccio e alla prossima!
 
Cris e Benni

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Capitolo 3
*** Imprevisti ***


IMPREVISTI:
 
Quando Rosie lasciò le Cellechiuse, uscire nuovamente all’aperto non le provocò quella ondata di sollievo che ci si aspetterebbe, dopo aver lasciato un ambiente cupo e oppressivo.
Le parve piuttosto di essere uscita da una prigione per scivolare in un’altra. E quest’ultima era di gran lunga peggiore, perché non era altro che il riflesso marcio e distorto del luogo ad essa più caro.
 
La giovane sentì le lacrime pizzicarle gli occhi alla vista di ciò che la circondava: i campi erano aridi e trascurati; la terra era nera, come nient’altro che la cenere che rimane nel caminetto d’inverno, quando il fuoco ha finito di ardere.
E l’aria… l’aria era così pesante da cancellare ogni odore che non fosse quello della desolazione. Della rassegnazione e della paura.
La Contea era un involucro vuoto, privata ormai di tutto ciò che più la caratterizzava: i suoi fiori, dai mille colori diversi; i suoi fiumi un tempo cristallini, divenuti ora scuri e melmosi.
Ma la cosa più spaventosa di tutte era l’innaturale silenzio che impregnava le strade. Niente più canzoni, niente più vociare di piccoli Hobbit, niente più allegria.
 
E’ ordine del Capo.
Il Capo non lo permette.
Requisito per volere del Capo.
 
Ma chi era in realtà questo Capo?
Com’ erano potuti giungere fino a questo punto?
 
Tutto era iniziato con Lotho Pustola, come lo chiamava la gente.
Il figlio di Otho e Lobelia Sackville Baggins non era mai stato fra le amicizie strette di Rosie, ed i recenti avvenimenti non avevano fatto altro che peggiorare la bassa opinione che la Hobbit già aveva di lui.
Come figlia di Tolman, grande amico del vecchio Ham Gamgee, Rosie era cresciuta imparando a diffidare degli avidi cugini del signor Bilbo, ma non avendo mai avuto a che farci di persona, si era riservata il giudizio fino a poco tempo prima.
 
Ciò che era certo era che non le fosse mai andato giù il fatto che quella famiglia, comunemente malvista, si fosse insediata così facilmente a Casa Baggins.
Il motivo del suo dispiacere però, era dovuto più alla causa scatenante di tutto ciò: la partenza del giovane Frodo Baggins, e, conseguentemente, del suo fedele giardiniere.
 
Il suo Sam.
 
Rosie arrossì violentemente a quel pensiero.
Da quando aveva iniziato a vederlo a quel modo? Da quando il figlio del vecchio Gaffiere, quel ragazzino così cortese e impacciato con il quale era cresciuta, e che i tutti i suoi fratelli consideravano uno di loro, era arrivato a fregiarsi di quel pericolosissimo aggettivo di possesso?
Una settimana? Un mese? O forse da tutta la vita?
Non avrebbe saputo dirlo.
Da una parte sentiva di poter propendere per l’ultima ipotesi, sebbene la sua mente di recente continuasse a riproporle un particolare episodio, risalente a qualche mese prima della sua partenza.
 
Le mancava, più di quanto fosse lecito. Più di quanto fosse giusto o conveniente.
Eppure, nonostante ciò, era paradossalmente felice che non si trovasse lì nella Contea in quel momento.
 
“Se potessi vederla, Sam, la nostra bella terra, sono quasi certa che ti si spezzerebbe il cuore. Così come quei mostri hanno spezzato noi, distrutto le nostre case, incendiato le tue amate piante… Persino l’albero della festa, te lo ricordi, Sam? Abbattuto senza pietà.
Che cosa faresti, Samvise Gamgee, se fossi qui? C’è tanta brava gente, che freme dalla voglia di reagire in qualche modo. I miei fratelli prima di tutti, ed io ho paura, tanta paura…”
 
E se lui avesse trovato qualcosa di meglio, durante i suoi viaggi? Quegli Elfi, alti e luminosi, di cui le aveva parlato una volta? Se avesse deciso di restare con loro? Lontano dalla sua famiglia… lontano da lei.
Nessuno avrebbe potuto biasimarlo se, appena rimesso piede nella Contea, avesse deciso nuovamente di lasciarla all’istante, e non farvi più ritorno, magari.
Troppe cose erano cambiate. Sì, decisamente troppe.
 
 
No. Non era possibile, e Rosie si maledisse e vergognò, per aver indugiato anche solo un istante su quel tipo di pensiero.
La sola idea che il giovane potesse abbandonare il suo caro Gaffiere era di per sé inconcepibile.
Sam non era una persona meschina, bensì lo Hobbit migliore che avesse mai conosciuto.
Se c’era qualcuno in grado di aggiustare quell’orribile situazione, ecco, di sicuro quel qualcuno era lui.
Rosie non pretendeva di poter spiegare il come o il perché… ne era semplicemente certa, così come era certa di sapere il proprio nome.
 
“Forse sono solo egoista, tremendamente egoista… ma torna, Sam. Ti imploro, torna.”
 
 
 
“Ehi tu!” una voce gracchiante e sgradevole la fermò, proprio mentre stava imboccando l’ultimo tratto di strada che la separava da casa, “Cosa credi di fare? Gli ordini sono precisi: ci sono conseguenze per chi infrange il coprifuoco.”
Rosie sentì una mano stringerle il braccio ed un fiato caldo pizzicarle l’orecchio.
Con il terrore negli occhi si voltò verso il suo aguzzino, senza riuscire a trattenere un grido.
 
                        *************
 
Si sentiva schiacciata dai propri pensieri.
Di solito accadeva quando la notte alzava il suo scuro manto e faceva vibrare le stelle.
Non le riusciva più vederle ma le sentiva, lontane, cantare disperate sulla Contea piangente.
Le visite di Rosie lenivano tutto questo ma, ogni qualvolta la sua cara amica abbandonava quel luogo, ritornava pressante il malessere che le divorava il petto.
Non voleva farsi vedere così da lei, non voleva causarle più preoccupazioni del dovuto.
Ed era strano come, da diverso tempo, riuscisse a concentrarsi su una piccola luce lontana.
Non aveva idea del perchè, ma quella luce aveva un nome e un volto.
Si sfiorò senza pensarci la fronte, e fece un sorriso.
Smise subito non appena se ne accorse, stringendo i deboli pugnetti.
Doveva smetterla di pensare a lui.
Ormai il figlio del Conte era partito da quasi un anno, armato di chissà quali carote e tuberi; per quale motivo avrebbe dovuto fare ritorno?
 
Sapeva che Pipino amava la Contea ma, in fondo, era ancora più conscia del fatto che quello sciagurato di un Tuc fosse troppo curioso. Lui doveva sempre toccare tutto. Doveva sempre trascinarsi dentro un'avventura. Doveva sempre fare scelte azzardate.
 
Pipino era un'idiota.
 
Non ci sarebbe stato da stupirsi se, in quel momento, fosse intrappolato in qualche fosso senza sapere bene come uscirne.
O legato come un salame a qualche albero, per colpa di un troll, come in una delle leggendarie storie di Bilbo Baggins.
L'unica cosa che la rincuorava era che Merry fosse con lui. Il suo amato compare di scorribande non lo avrebbe mai lasciato solo.
 
A quel pensiero fu invasa da un magone ancora più intenso che tentò di scacciare via, cambiando posizione. Si mise le mani sul volto, sfregando appena le dita.
Le mancava e quella sensazione era dolorosa quanto essere rinchiusa tra quelle ruvide pareti.
In fondo, perché era cresciuto in lei questo bisogno di volerlo lì?
Lui era rumoroso, cantava canzoni in ogni momento e si divertiva a bere troppe pinte.
E l'aveva lasciata sola, senza neanche dirle addio.
All'inizio lo aveva odiato senza una vera motivazione. Anche solo sentire parlare di lui, subito dopo la partenza, le provocava un moto di rabbia non indifferente.
Aveva chiesto a Rosie di non nominarlo spesso ma sapeva che in fondo era pretendere troppo.
Le leggeva negli occhi il nome di un altro Hobbit che era partito da casa e, di conseguenza, il pensiero ritornava a quel giorno.
Lo aveva aspettato davanti al Drago Verde, pronta con una secchiata di miele e piume di pollo per uno dei suoi soliti scherzi.
Uno dei loro abituali metodi di comunicazione.
Ma lui non era arrivato.
Non era arrivato neanche Merry. Nè Frodo Baggins. Nè Samvise.
Non arrivò il giorno dopo e quello dopo ancora e lei aveva smesso di aspettarlo.
 
Ma ora le cose erano cambiate.
La Contea stava soffrendo sotto il dominio di persone che non l'amavano.
Gli Hobbit erano diventati gusci senza più sorrisi e si trascinavano sopra quella terra che, fino a poco tempo fa, curavano con passione.
Paradossalmente doveva proprio a quella situazione, così drammatica, il suo totale capovolgimento di pensiero, riguardo a lui.
La sua mente semplice non avrebbe dovuto dare niente per scontato.
Nemmeno una presenza costante.
E si instaurò in lei un'improvvisa conferma, che la fece raggomitolare su sé stessa, tremante: se il ricordo di Pipino era l'ultima cosa che le era rimasta, allora non voleva dimenticarlo.
Voleva tenerlo stretto e sperare che, chiudendo gli occhi, ci fosse la possibilità di vederlo tornare.
Col suo sorriso un po' ingenuo e l'odore di erba pipa.
E allora ogni cosa sarebbe tornata al suo posto.
 
 
Pssst.
 
Diamante si voltò di scatto verso l’entrata della cella, irrigidendosi.
Non riconobbe subito Bart: le fiaccole che illuminavano i corridoi stretti erano tenue e creavano ombre scomposte.
Sentiva il tintinnio delle chiavi ma, quella volta, era sicura che non potesse essere per via di Rosie.
 
“Bart?”
“Dobbiamo fare in fretta. Ci potrebbero vedere.”
Lo Hobbit bisbigliò quelle parole velocemente, cercando di aprire l’entrata. Diamante si avvicinò a questi, silenziosa, non riuscendo a far sopire i battiti del proprio cuore.
“Che cosa stai facendo? Non…”
“Fidati di me. Ho passato troppi giorni ad obbedire senza avere il coraggio di fare niente.”
“Aspetta.”
Diamante cercò di far passare una mano oltre le sbarre, per andare ad artirgliargli il braccio.
“Se ti scoprono passerai dei guai, non… Non fare il mio stesso errore.”
“L’errore è stato aspettare fino ad adesso.” Bart aprì la cella e le tese la mano.  “É una cosa che devo a me stesso. E la devo a Pipino.”
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Deposito Barili:
 
Non odiateci. Siamo andate a vivere in Cambogia. Addio.
Uaha, comunque a parte gli scherzi (cof cof) dal prossimo capitolo partiranno i flashback.
Sì, questo capitolo è schifosamente di passaggio.
Shameless passaggio.
Ma ci faremo perdonare col 4.
Crediamo.
Speriamo.
Forse.
OVVIAMENTE.
Il 4 è il nostro preferito.
Viva il 4.
 
Va bene a parte i momenti di delirio, pur essendo di passaggio anche questo ci serviva. Tutti i capitoli servono, uahhahhahhaha.
Avete tante domande, nevvero? E’ il nostro diabolico piano.
Ma saprete tutto nel 4.
E ci sarà Rufus nel 4.
Ci vediamo al capitolo 4.
LOL.
 
Grazie mille a chi ha recensito (benvenute LilyOok, Bilbo97, Evelyn80 <3 <3)
A chi ci ha aggiunto a seguite/preferite (Melianar, RubyProudfoot, LilyOok)
E a chiunque passi di qui, anche per sbaglio xD!
Vi amiamo tutti <3 e non temete: avrete le vostre risposte.
Benni e Cris (o Cris e Benni)

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Capitolo 4
*** Beccate! ***


BECCATE!
 
“Rosie!”
“Stai bene?”
“Ha avuto un mancamento, lasciatela respirare!”
 
Quando la giovane riaprì gli occhi, sopra di sé vide nuovamente il cielo.
 
“Cosa mi è successo? Dove sono?”
 
Poi l’ondata di ricordi la colpì in pieno.
Diamante.
Bart.
Le Cellechiuse.
La camminata verso casa, e quella voce minacciosa e sconosciuta.
Il suo aggressore le aveva stretto il braccio così forte da lasciarle dei segni.
Rosie non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua.
 
Si coprì il volto con le mani per nascondersi, imbarazzata, al resto del mondo: possibile che avesse veramente perso i sensi?
 
A quanto pare doveva aver pronunciato l’ultima domanda ad alta voce, perché uno dei suoi soccorritori le rispose.
Si trattava di Jolly.
 
“Ti abbiamo sentito urlare fin da casa nostra. Non ho mai visto papà correre così veloce. Quando siamo arrivati ti stavi dibattendo come un’anguilla e poi-”
 
“Si può sapere cosa diamine ci facevi fuori a quest’ora?!”
La voce di Tolman Cotton era distorta dalla rabbia, mischiata ad una paura a stento repressa.
“È da un’ora che ti aspettiamo, Rosa Cotton, un’ora! E Hamfast Gamgee ci ha detto che non sei mai passata da lui; hai la minima idea di come ci siamo sentiti quand-”
 
“Papà, ti prego calmati. Non è decisamente il luogo più adatto per una scenata”.
 
“Non dirmi come mi devo comportare, ragazzino. Ti rendi conto di quello che poteva succedere se non fossimo arrivati? Quel disgraziato meritava ben più di quel ceffone che gli ho mollato” borbottò il vecchio Hobbit, facendo un cenno verso una figura distesa a terra.
 
Il Guardiacontea che aveva aggredito Rosie, presumibilmente.
 
“E già così potresti essere seriamente nei guai” ribattè nuovamente Jolly, “La ragione è dalla sua, considerate le regole del coprifuoco. E non c’è bisogno che ti dica io che fine facciano quelli che provano a opporsi”.
 
“A questo proposito, che cosa ne facciamo di lui? Non credo di conoscerlo, non è di queste parti” interloquì Nibs.
 
“Presto o tardi qualcuno lo troverà”: Jolly tirò su le spalle.
“Speriamo solo che quando avverrà sia ancora troppo intontito per ricordarsi qualcosa”.
 
Con queste parole la faccenda fu liquidata e la famigliola si allontanò velocemente.
 
 
 
E fu così che poco più tardi Rosie si ritrovò al sicuro a casa sua, seduta in una delle comode poltrone del salotto.
Sulle spalle tremanti aveva una coperta e fra le mani teneva una tazza fumante di the.
 
A quanto pare poteva considerarsi relegata in casa fino a nuovo ordine.
Non aveva mai visto suo padre così infuriato.
 
Un micione tigrato, dalla spettacolare coda fulva, le si accoccolò in grembo, come se avesse percepito il suo stato d’animo tormentato.
Socchiuse appena gli occhi e iniziò a fare le fusa.
 
“Ciao Rufus” sospirò la Hobbit, iniziando ad accarezzarlo distrattamente.
Fu con tristezza che si accorse di come nemmeno la sua presenza, questa volta, riuscisse a farla sentire meglio.
Eppure quel gatto era stato spesso il suo personale rimedio contro la tristezza.
Contro la solitudine.
Contro la nostalgia.
E come poteva essere altrimenti, visto che lo aveva trovato insieme a…
 
“Noi due dobbiamo parlare signorinella”, la richiamò la voce di suo padre.
Tolman le si era piazzato esattamente di fronte, con le braccia incrociate sul petto.
“Credo tu debba raccontarmi un bel po’ di cose”.
 
Lo credeva anche lei: prima o poi l’oste arrivava a riscuotere a tutti.
 
                    
                           *********
Quando finì di parlare si sentì incredibilmente sollevata: come se un peso gravoso le fosse appena stato tolto dalle spalle.
Non era più da sola a sopportare quella situazione.
 
Tolman dovette fare un grande sforzo per dimostrarsi ancora arrabbiato con la figlia, perché ciò che provava adesso era più una fervente e sincera ammirazione.
Mancò poco che le battesse una mano sulla spalla.
 
“Ciò che hai fatto è ammirevole, piccola mia, se si escludono ovviamente tutte le bugie che ci hai raccontato. Non avevo idea che il tuo legame con quella ragazzetta fosse così stretto… credevo che caratterialmente foste del tutto opposte”.
 
Rosie storse appena il naso di fronte al termine ‘ragazzetta’: Diamante aveva un fisico ben più minuto del suo, questo era vero, ed alcuni anni in meno… Ma era molto più matura di quanto potesse a prima vista apparire.
 
“Inizialmente questo ci ha creato problemi, non lo nascondo. Poi le cose sono cambiate” rispose, rimanendo sul vago.
 
Come poteva anche solo iniziare a spiegare il suo rapporto con Diamante?
Lei era quanto di più simile potesse essere una sorella, ma anche molto, molto di più.
Era tutto ciò che Rosie non sarebbe mai stata, eppure non la invidiava né biasimava per ciò.
Al contrario: la loro complementarità di caratteri sembrava fornire forza e speranza ad entrambe, seppur in maniera diversa.
E quando avevano iniziato a dialogare sul serio, avevano scoperto di avere qualcosa di assai concreto in comune. Qualcosa di totalmente diverso da tutti i guai che stavano piovendo addosso ad entrambe.
E agli altri abitanti della Contea.
 
“Capiscimi padre, non potevo lasciare che sopportasse tutto questo da sola”.
 
“Lo capisco, Rosie, e in un certo senso sono fiero di te. Sei proprio mia figlia. Ancora non posso crederci che ti abbiano lasciato passare senza battere ciglio”, concluse pensoso, lui.
 
“Non ce l’avrei mai fatta senza il giovane Bart” sentì il bisogno di specificare la Hobbit, “Ha buon cuore, e sta davvero soffrendo molto per la sua situazione… Padre, non potresti fare in modo che i miei fratelli…?”
 
“Non è così semplice, tesoro”.
Tolman sospirò, e tirò una boccata di fumo.
“E non mi hai ancora detto la ragione per cui la tua amica è rinchiusa là dentro”.
 
“Il motivo che mi ha raccontato è così futile, banale, così poco da lei, che non so davvero se crederci o meno” rispose Rosie, “A volte ho l’impressione che mi stia tenendo nascosto qualcosa”.
 
                                
                                                **********
 
 
“Dobbiamo fare silenzio. Adesso c'è il cambio della guardia, ho approfittato di questo momento per riuscire ad arrivare fino da te. Oh, quanto vorrei poterlo fare con tutti gli altri, ma...”
 
Diamante camminava dietro a Bart, silenziosa come una lepre.
Continuava a guardarsi intorno, cercando di intravedere qualcosa tra le luci delle fiaccole.
Sentiva del vociare lontano e una nenia straziante provenire da una delle celle.
Conosceva quella voce, si trattava di Doderic, della famiglia Brandibuck.
Molte volte aveva scambiato con lui diverse parole, allegre e socievoli, accennando ad alcune delle canzoni più amate di entrambi.
Si ricordò, improvvisamente, della festa di Bilbo Baggins e soffiò un sospiro.
Si strinse la mano al petto e tentò di focalizzarsi su alcune goccioline d'umido che scivolano dalle pareti.
 
“Bart?”
“Seguimi, se percorriamo questo piccolo tunnel usciremo senza essere visti.”
“Bart?!”
 
Diamante gli afferrò il mantello che lo copriva e quello fu costretto a voltarsi.
Non aveva l'aspetto di un adulto ma i segni di quella vita gli stavano sciupando il viso.
Aveva molte più rughe sotto gli occhi e i capelli ingrigiti dal tempo.
“Cosa vuol dire che lo stai facendo per Pipino? Perché... Perché ti è venuto in mente proprio lui?”
Lo Hobbit la guardò per diversi secondi e Diamante, ne era sicura, intravide un piccolo sorriso sfuggire via da quelle labbra che ormai non ridevano più.
Le posò la mano sulla spalla e riprese a camminare veloce, facendole cenno di seguirlo.
 
Diamante non si azzardò a domandarlo di nuovo e si sentì invasa da un magone forte al petto.
Si accertò di aver preso il sassolino dalla cella, cercandolo nelle tasche rattoppate del vestito.
Un rumore improvviso li fece fermare di colpo e sentì la mano di Bart premere sul suo petto, trattenendola vicino alla parete.
 
Chiuse gli occhi, respirando nervosamente.
Sapeva di avere il battito del cuore impazzito, non era sicura di aver mai provato una simile angoscia, neanche quando era stata catturata.
Il suo più grande terrore, quando avvenne, fu la consapevolezza che non avrebbe più rivisto Rosie.
Era stata talmente forte da farle passare l'intera notte a piangere, accovacciata su sé stessa, sperando di risvegliarsi da quell'incubo.
Le sue orecchie avevano sentito qualcosa che non avrebbero dovuto, a casa Paffuti.
Tutta colpa di un lavoro che, all'inizio, era stato la sua più grande gioia.
Si era maledetta notte e giorno per non essere rimasta a casa della sua amica, a mangiare torte di mirtilli, con il vestito ancora sporco di fango. Ora starebbe affrontando insieme a lei questa sofferenza.
Avrebbe avuto uno stimolo in più per sperare.
E aveva paura a rivelarle ciò che sapeva, in quel posto di sofferenza e tormento.
L'avrebbe protetta a discapito della verità: tanto non era poi così difficile credere che fosse stata imprigionata per aver rubato delle carote, dal campo di Hob Guardapiede.
La vicinanza con Pipino poteva averla deviata, in fin dei conti.
 
“Appena uscirai di qui, ti prego, dai questo a mia moglie.”
Diamante fu risvegliata da quei pensieri non appena sentì un sacchettino tra le dita.
Non si era accorta che quel rumore era cessato e che Bart la stava trascinando verso una piccola rientranza nella parete.
Sembrava che lo Hobbit sapesse bene dove andare, non era sicuramente la prima volta che percorreva quella strada ciottolosa.
“Glielo darai tu, Bart. Non resterai qui.”
“Non posso. Non posso rischiare che se la prendano con loro. Noteranno la tua assenza molto presto e io ero di guardia, sapranno subito a chi dare la colpa. Ho paura che potrebbero strapparmi informazioni con la forza, Diamante. Non posso giurarti che non ci riusciranno, non sai quello che sono capaci di fare...”
“Bart, ti prego. Non fare questo per me, tu hai una famiglia. Non – ti prego, io non lo merito. Scappa anche tu, porta la tua famiglia lontano da qui.”
“Dove possiamo andare? Ormai tutto è serrato. Non si può uscire né entrare. Io non sono forte, non so neanche fare del male agli insetti dei boschi.”
“Ma io...”
“Tu hai Rosie. Lei e la sua famiglia possono proteggerti e nasconderti. Va da loro, aspetta che la speranza ritorni. Aspetta di nuovo il verde, Diamante.”
 
S'accorse di avere ancora una mano artigliata al mantello dello Hobbit.
Era terrorizzata, sentiva ancora le lacrime farsi strada sul suo volto e, per quanto volesse quella libertà, si sentiva in dovere di ottenerla in un altro modo.
Non a discapito di conseguenze che non poteva affrontare da sola.
Bart se ne accorse e le sorrise con una dolcezza che, nei tempi remoti, era stata cosa solita fra loro.
Ma ora non più.
“Pipino una volta mi ha aiutato per un brutto pasticcio successo con i Sackville-Baggins. Ha avvisato subito il Conte. E suo padre è stato talmente giusto e coscienzioso che non ho rischiato la perdita di tutti i miei averi per poco. Se non fosse per lui ora non avrei nemmeno più una casa, dove tornare.”
Fu lì che Diamante fece scivolare via delle lacrime silenziose, che bruciavano il volto come tante piccole lame.
“Lui ha salvato la cosa più preziosa che avessi. Ora io voglio salvare la cosa più preziosa per lui.”
 
Diamante rimase senza parole.
Sentii un calore immenso al volto e, di colpo, il volto di Pipino fece capolino prepotentemente nei suoi pensieri.
“Sai...mi dispiace di averti morso, quel giorno.”
Disse lei, timidamente, non riuscendo a trattenere un sorriso di gratitudine. Lui sorrise di rimando ma durò pochi secondi.
Uno strappo violento al vestito la fece oscillare, mandandola a sbattere contro un'armatura metallica.
“GUARDIE! Prigionieri in fuga! Bloccate le celle! Serrate le uscite! Coprifuoco violato! Prigionieri in fuga!”
Non fece nemmeno in tempo a gridare.
Vide Bart venire strappato via da lei da due braccia possenti. Lei cercò di dimenarsi con tutta la forza che aveva ma non vi riuscì.
Sentì montare nel petto una rabbia folle, tanto da farle digrignare i denti.
“Questa piccola ragazzina vuole proprio crearci problemi, vero?”
Uno dei Guardiacontea fece una piccola risata rauca, andando subito a legarle le mani.
“Allora adesso saremo noi a creare problemi a lei.”
Diamante sbiancò di colpo, smettendo di provare a liberarsi. Aveva ancora stretto tra le dita quel sacchettino. Questo le diede un nuovo slancio e cercò di guardarli in faccia.
“Voi, brutti cani, non l'avrete mai vinta. Un giorno le cose torneranno normali e piangerete sopra quello che avete seminato. Voi, Hobbit che amavate la Contea, siete l'insulto della nostra terra.”
“Ma quanto parla, forse dovremmo incappucciarla.”
“Zitto tu, e riportala in cella. Sharkey saprà cosa fare.”
Non riusciva a riconoscerli ma avevano voci scattanti e rabbiose, qualunque fosse stato il loro vero canto ora non riusciva nemmeno a immaginarlo.
Provò a dimenarsi ancora ma qualcuno la teneva ben stretta.
“Ti chiuderemo e getteremo via la chiave, una volta per tutte. Vediamo quanto sarai brava a scappare attraverso le sbarre.”
 
Dopo una lunga camminata era stata spinta ancora dentro la cella.
Era inciampata su una piccola ciotola vuota e aveva picchiato le ginocchia a terra.
Le avevano slegato le mani ma portava i segni del cordame sui polsi.
Subito tentò di tirarsi su per aggrapparsi alle sbarre ma le due figure si erano subito allontanate.
Le sentiva addirittura ridere. E in lei crebbe la consapevolezza che tutto stava morendo.
Per colpa sua Bart era stato scoperto, non aveva idea di che cosa gli avrebbero fatto.
E Rosie...se Rosie fosse venuta, senza l'accortezza di Bart di non farla scoprire, che cosa sarebbe successo?
Non l'avrebbe rivista mai più.
Si poggiò alla parete con la schiena e scivolò a terra, stringendo forte le gambe.
Era di nuovo al punto di partenza ma, adesso, era completamente sola.
Senza uno spiraglio di luce nell'ombra che stava annebbiando il cielo. Non avrebbe dovuto accettare l'aiuto di Bart, era stata una stupida a sperare che qualcosa potesse andare nel verso giusto.
Ripensò alle sue parole e, di nuovo, un calore forte le salì dal petto.
 
“...tutto svanirà. Tutto questo svanirà. Lo sai Diamante. Lui tornerà da te. E rivedrai le stelle. E anche Rosie le vedrà ancora.”
Si sussurrò piano, nascondendo il volto sulle ginocchia sbucciate.
E pianse quanto non aveva mai fatto in vita sua.
 

 
 


 
Deposito Barili:
 
NdBenni: sappiate che trovare un titolo è stato un calvario, non ridete u.u
 
Buonasera carissime/i! Eccosci qui.
Alluuuura, piaciuto il capitolo 4?
E dovreste vedere il 5! Il 5 è ancora meglio, viva il 5, noi amiamo il 5 e… puahahahahha, ok basta così u.U
Ci scusiamo per le note dello scorso: avevamo detto che sarebbero partiti i flashback da questo, ma ci ricordavamo male.
Che ne dite di Rufus? E’ un patatone *^*. E lo vedremo anche nel prossimo (nel quale ci sono finalmente i flashback, lol).
Ci scusiamo per la lentezza con cui rispondiamo alle recensioni, ma coordinarsi in due è un po’ un casino ç_ç.
Grazie a tutte le recensiste (<3), chi ci segue/preferisce (Dilo_Dile2000, Sylvie91, Laucace, V i o l e t), chi legge o passa di qui per sbaglio =D
 
Alla prossima!
 
Cris e Benni

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Capitolo 5
*** Sassi volanti e Hobbit rampanti ***





Sassi volanti e Hobbit rampanti.

Le girava la testa e si sentiva incapace di respirare bene.
Alcuni rumori fuori dalla cella le tormentavano il sonno e sentiva, ancora, il sapore delle lacrime salate sulle labbra.
Non aveva cambiato posizione.
Era raggomitolata vicino alla parete e lo stomaco bruciava dalla fame.
Sentiva altri singhiozzi sconquassarle il petto ma cercò di liberarsene, strusciando la fronte sulle ginocchia.
Le bruciavano ma non voleva guardare in che stato fosse ridotta.
Sapeva di essere diventata una foglia accartocciata. Quanto odiava doversi arrendere a questo.
 
Provò ad ascoltare le voci che provenivano da fuori ma non ci riuscì.
Voleva estraniarsi da questo e provare a ricordare qualcosa di piacevole.
Chiuse gli occhi e sentì ancora i canti felici.
Sentì i piedi calpestare i tavoli. E le pinte venire cozzate tra loro.
Vide Rosie portare delle ceste al Vecchio Oste del Drago Verde ed il figlio del Gaffiere osservarla da lontano.
Non aveva mai prestato attenzione a quei particolari, allora. Erano abitudinari e poco mossi dalla sorpresa.
Non era raro osservarsi, sorridersi e parlare con il cuore in mano.
Non per gli Hobbit. Quelle creature così fantastiche e sagge, così leali e piene di sorprese.
Quel vecchio Stregone con i fuochi d'artificio lo diceva sempre; la sua venuta non era neanche più una sorpresa.
Sorrise, sentendo la nostalgia montarle nel petto e si abbandonò ad un piccolo ricordo.
Quello che le aveva lasciato un segno sulla fronte. Quello che, senza rendersene conto, la costringeva a non abbandonare quel piccolo sassolino smussato che era diventato tanto importante.
 
 
********
 
“Hai sempre delle idee grandiose, Merry.”
Pipino stava scrostando un piatto con una spugna, ripiegato su un barile di legno pieno d'acqua e schiuma.
Merry sbuffò, impilando diverse ciotole una sull'altra.
Erano entrambi sporchi di fuliggine, i capelli ricci e chiari erano ancora scombinati sul capo.
“Mi pare di ricordare che quello che ha detto: “Prendiamone un altro” fossi tu, sai?”
“Questa risposta non ha niente a che vedere con una mia velata colpa.”
“Eri consenziente.”
 
Pipino sbuffò e Merry fece altrettanto.
Gandalf li stava osservando di sottecchi, fumando una pipa oblunga e legnosa, soffiando fuori cerchi di fumo.
La festa per il compleanno di Bilbo Baggins stava continuando dopo il piccolo intoppo con il fuoco d'artificio a forma di Drago.
Era stato uno spettacolo emozionante, nonostante i primi attimi di paura. In fondo i famosi fuochi d'artificio dello Stregone Grigio erano belli e mistici, cose di cui gli Hobbit si saziavano per poche volte nel corso della vita.
Era un evento che ammiravano, ma stavano altrettanto ben attenti che le cose non andassero a sfacelo.
“Se posso permettermi, giovani Hobbit, la vostra colpa è mediamente proporzionale al livello di audacia che vi contraddistingue.”
Sia Merry che Pipino si zittirono, guardando lo Stregone, e ritornarono a pulire tutti i piatti.
Fu allora che Diamante, trasportando un piatto piano con una gran torre di torta adagiata sopra, inciampò su qualcosa.
Una piccola pila di piatti lasciata per terra, proprio vicino al barile per i lavaggi.
“Oh no no no-”
Non riuscì a mantenersi in equilibrio.
I piedi le si impiantarono nell'erba e il piatto finì addosso a Pipino, e così anche la torta.
Merry, per poco, non rotolò dalle risate di fronte a quella scena.
“Oh, mi scusi. Accidenti. Io...pensavo, nel senso… Ma che ci fanno dei piatti qui? Oh per tutti i lamponi, lo sapevo che non dovevo indossare questo vestito. È tutta colpa mia. Non – Ah, ma sei tu!
Il tono di Diamante cambiò drasticamente, quando riuscì a scorgere il volto di Pipino sotto quell'ammasso di crema.
Lui non sembrava troppo turbato. Piuttosto, si sarebbe detto divertito.
Era abituato ad incontri del tutto fuori luogo con la giovane Hobbit.
Capitavano consenzientemente e, anche, per puro e smaliziato incidente.
Sembrava una loro condanna, o la loro fortuna, in base a come girava la sorte.
“Buona. Sa di fragole.” Disse solamente lo Hobbit, leccandosi le labbra.
“Veramente è mirtillo.” Lo corresse lei, indietreggiando. Guardò verso Merry – che ancora rideva divertito – e poi verso Gandalf.
Se lo Stregone stesse facendo finta di non aver notato quel piccolo aneddoto lo stava mostrando molto bene.
“Forse quel fuoco d'artificio mi ha confuso le idee.” Si giustificò Pipino.
Non stava tentando di ripulirsi, sembrava sorridere sotto quella scorza dolce.
“Non credo sia colpa del fuoco d'artificio se hai le idee confuse.” Ribattè Diamante, stringendo il piatto. Stava ciondolando coi piedi, con sguardo ironico.
“Oh, Pipino, mi sa che lei ha ragione.” S'intrufolò Merry nel discorso.
Gandalf fece un colpo di tosse che sembrò l'accenno di una piccola risata.
 
“Gandalf, sono esonerato dal lavaggio dei piatti ora che ho ricevuto una torta in faccia?”
“Oh mio caro Peregrino Tuc, devi sapere che sono proprio gli ostacoli, durante il duro lavoro, a forgiare la tua vera forza.”
Pipino non si trovava molto d'accordo ma guardò Diamante con un abbozzo di tristezza.
Lei gli diede una leggera gomitata sulla spalla.
“Suvvia, Peregrino Tuc” lei sorrise in maniera scherzosa, ben conscia di star usando un nomignolo poco comune per loro “forgia la tua forza e scrosta quei poveri piatti. Noto che è un lavoro per cui non hai talento. Tanto oramai la mia torta è perduta.”
“E perché mai Diamante di Lungo Squarcio” lui le riservò lo stesso sorriso “pensi di poter fare meglio di me? Sono molto più bravo di te nelle cose. Anche a ricevere torte in faccia con dignità. E, non capisco, perché la tua sbadataggine non dovrebbe essere punita come la mia?”
“Perchè lei, Pipino, è inciampata per colpa tua.”
Merry indicò, senza alcuna malignità, i piatti a terra che, proprio il cugino aveva sbadatamente lasciato.
Entrambi abbassarono lo sguardo, all'unisono, e poi si guardarono negli occhi.
 
Fu in quel momento che qualche Hobbit urlò qualcosa e Bilbo Baggins venne circondato da una folla che applaudiva e esultava, con i boccali in mano.
La musica era cessata e gli occhi di tutti erano per l'anziano Hobbit.
“Oh, Bilbo sta per fare un discorso.” Cinguettò Diamante, già pronta ad allontanarsi.
Sassolina!” La richiamò Pipino.
Lei si girò giusto per beccarsi in fronte un piccolo sasso, che rimbalzò.
“Oh, per tutti i tuberi, non dovevi girarti sul serio!”
Lui lasciò cadere nell'acqua ciotole, spugne e quant'altro e le corse incontro.
Lei si stava massaggiando la fronte con una smorfia poco carina. Lo guardò male.
“Se mi chiami è ovvio che mi giro.”
“Ma non ti ho chiamata per nome.” Mormorò lo Hobbit e, lei, in quel momento parve un po' stralunata.
Non sapeva bene cosa rispondere, una cosa abbastanza inusuale per lei. Boccheggiò un paio di volte prima di arricciare il naso.
“Ma perché devi sempre lanciare cose, tu?”
“Non lo so. È più forte di me.”
“È colpa di tutta l'erba pipa che fumi.”
 
Lui le tolse la mano dalla fronte e, senza nemmeno accorgersene, gliela strinse mentre s'accertava di non averle fatto male.
Le aveva procurato un minuscolo taglietto appena sopra il sopracciglio sinistro.
“Forse è meglio che ti porti dell'acqua.”
“Acqua?”
“Per tamponare.”
Diamante sgranò gli occhi. Gli strinse la mano inconsapevolmente.
“Cosa? È così grave?”
“Dipende da cosa intendi tu per grave.”
Lei sbuffò e s'abbassò velocemente, recuperando il piccolo sassolino incriminato. Lo rimirò per bene prima di arricciare il naso.
Si erano estraniati dagli altri, il rumore della festa era un sottofondo velato e non s'accorsero di Merry intento ad acciuffare un mestolo al volo, che quasi colpiva il povero Stregone.
 
“E questo lo userò contro di te quando mi farai un torto. Oooh, Pipino, come puoi farmi questo dopo che mi hai ferito, quel fatidico giorno? Io, che sono una così brava Hobbit, devo portare segni di battaglie come Brandobras Tuc. Oh, ahimè, che grama vita. E non ho neanche inventato giochi, per questo.*
 
Pipino sgranò gli occhi un po' inebetito, guardando prima lei e poi il sasso. Stava per mettersi a ridere ma era una risata che nulla aveva a che vedere con le sue solite, spavalde ed ebbre.
“Io saprei portare i segni delle battaglie molto meglio di te.”
Lei sgranò gli occhi, fingendosi offesa. Gonfiò un po' le guance e tentò di spingere il piatto – ormai vuoto – sul petto di Pipino.
“Tu e le battaglie siete due essenze incompatibili, Pipino. Non sei nemmeno così alto.” Sospirò lei, scuotendo il capo, rammaricata. “Ma che cosa avrò mai fatto per meritarmi tale- “
“Tu mi hai fatto cadere una torta in testa, siamo pari.” Ribattè lui, imbronciandosi.
“Non hai testimoni, Sassolino.” Lo rimbeccò lei, tirando fuori la lingua.
“Sì che li ho! Avete visto anche voi, non è vero?”
Si girò verso Gandalf e Merry ma, entrambi, non stavano fissando lui né Diamante.
Erano intenti a osservare qualcosa che, a loro, stava sfuggendo.
 
Bilbo era scomparso e, loro, se ne accorsero solo in quel momento.
Scomparso nel nulla.
Il vociare degli altri Hobbit li fece ridestare di colpo.
Loro smisero di tenersi la mano in quel momento, e la folla cominciò a disperdersi, sgomenta.
 
 
 
********
 
Diamante aprì gli occhi di soprassalto, sentì un rumore sordo sbattere contro la porta della cella.
Era una delle guardie. In mano aveva un piatto.
“Ora di mangiare. Per colpa della tua insolenza riceverai solo un pasto al giorno.”
E fece scivolare il piatto verso di lei con malagrazia.
Arrivò con un tintinnio fastidioso e Diamante osservò il suo contenuto.
Pezzi di carne e della verdura di un colore bruciato.
Di nuovo si strinse forte le gambe e tentò di ritornare ad un ricordo qualsiasi.
Ripensò al sapore delle torte. Dei maiali. Del pesce fritto.
Ripensò al sorriso di Rosie.
E alla sensazione di stringere la mano di quello sconsiderato di un Tuc.
Subito andò a cercare il sassolino ma, si accorse, di avere ancora il sacchetto di Bart tra le mani.
Le venne di nuovo il magone.
Il sasso non era quello di Pipino; lo aveva lanciato nel fiume, circa un mese dopo la sua partenza, per rabbia. Se ne era pentita pochi secondi dopo averlo fatto e aveva passato un intero giorno a cercare di ritrovarlo.
Alla fine ne aveva rimediato uno ma era sicura che, per quanto gli somigliasse, non potesse certamente essere lo stesso.
Ma adesso non aveva importanza. Era qualcosa che l'acqua aveva levigato con la sua corrente. Ora, quella stessa acqua, non aveva più niente di bello da levigare.
 
Senza rendersene conto aveva aperto il sacchettino per la moglie di Bart Serracinta.
Dentro c'era un piccolo papiro arrotolato che avvolgeva un fiore. Un fiore conservato e protetto, ricordo d'un tempo sereno.
E la scrittura un po' sbilenca di Bart aveva forgiato poche parole.
“Anche se il buio mi ha inghiottito, ricordati che tu sarai sempre la mia luce.”
In quel momento il canto di Doderic riprese a intristire quel luogo e lei non riuscì più a pensare a niente.
 
                       *************
 
“Sam! Ho bisogno del tuo aiuto, ti prego. Ora!”
 
Il giovane giardiniere alzò la testa dal vaso di begonie che stava annaffiando, e a Rosie per un momento mancò il respiro.
Il viso di Samvise era abbronzato, così come le sue braccia, più toniche dell’ultima volta che le aveva viste, che spuntavano da sotto le maniche arrotolate della camicia.
Rosie potrebbe anche essersi sbagliata, ma le parve d’intravedere un sottile rossore allargarsi su quelle guance paffute.
 
“È proprio necessario ora, Rosie? Dovrei prima finire questo lavoro per padron Frodo…”
 
“Oh, sono sicura che ti perdonerà”.
La Hobbit sventolò con noncuranza la mano.
“E comunque vedrai che non ci metteremo molto. Avanti andiamo! Non c’è tempo da perdere!”
 
Sam si limitò ad un piccolo sbuffo, chiedendosi cosa fosse preso quel giorno alla sua amica d’infanzia.
Cosa poteva esserci di così tanto urgente?
Rosie sapeva bene quanto fosse importante per lui il giardinaggio, e quella era la prima volta che le capitava, non solo d’interromperlo durante il lavoro, ma addirittura di chiedergli di abbandonarlo.
 
Le sue risponde stavano già correndo via assieme alla giovane, così a Sam non restò che affrettarsi a seguirla.
 
 
 
Tutto divenne chiaro non appena la coppia giunse ai piedi di un giovane Faggio.
 
Un lamento sommesso li raggiunse dalle fronde più alte, e Sam intuì subito la situazione.
 
“Ti prego, amico mio!” lo supplicò la ragazza, giungendo le mani, “Quella povera bestiola dev’essere bloccata là sopra da tutto il giorno. Sarà sicuramente affamata, infreddolita, impaurita…”
 
Ecco, l’ultimo aggettivo per Sam era un motivo perfetto per non andare lassù.
Un gatto selvatico poteva essere leggermente aggressivo già di natura, figurarsi se pure spaventato!
Lo avrebbe riempito di graffi, altroché!
 
Ma un po’ a causa del suo buon cuore, un po’ per colpa degli occhi di Rosie, Sam proprio non se la sentì di rifiutare.
 
La ragazza da parte sua, si pentì di quella richiesta un secondo dopo che lo Hobbit ebbe iniziato la scalata.
Sam amava le piante, sì, ma non certo arrampicarvisi sopra!
 
“Oh no, che ho fatto? Per favore, fai attenzione! Fa che non succeda niente, fa che non succeda niente…”
 
Da lì sotto poteva sentire senza problemi le imprecazioni, a stento trattenute, dell’amico, e ciò non fece altro che acuire il suo senso di colpa.
 
Oh Samvise! Devi volermi proprio bene per fare una cosa del genere”.
E arrossì violentemente al pensiero.
 
Fu con enorme sollievo che lo vide rispuntare poco più tardi.
Il prode cavaliere aveva compiuto la sua missione e, salvato il gatto, stava ritornando a…
 
CRASH!
 
“SAM!”
 
                          ********
 
“Si dev’essere spaventato quando ho urtato per sbaglio contro un ramo. Ho temuto mi sgusciasse via dalle mani, così l’ho stretto più forte ma… evidentemente non deve averlo trovato piacevole!”
 
Il giovane Gamgee era pieno di graffi sul braccio sinistro, oltre ad alcuni piccoli bernoccoli dovuti alla caduta, ma fortunatamente nulla di più serio di quello.
 
Sarebbe potuta andare molto peggio.
 
Rosie non riusciva a darsi pace, mentre puliva con dolcezza e attenzione le ferite dell’amico.
“Mi dispiace”, disse per la ventesima volta, “Non avrei dovuto chiederti di…”
“Oh, non importa, davvero!”, si affrettò a bloccarla lui, “Come dice sempre il mio Gaffiere, quello che è fatto è fatto*”.
“E poi…”, bisbigliò, “Rosie, lo sai che io…”
“Tu…?”, lo incoraggiò la fanciulla, sporgendosi verso di lui, fiduciosa e timorosa.
Il suo cuore batteva impazzito.
 
Ma il piccolo felino che Sam aveva appena salvato, scelse proprio quel momento per cacciare un forte miagolio.
 
I due Hobbit si ritrassero di scatto, come se si fossero scottati.
In seguito si girarono verso il gattino, ed esclamarono all’unisono: “Di lui che ne facciamo?”
 
Una sincera e condivisa risata alleggerì immediatamente la tensione. Le parole non dette di poco prima furono subito dimenticate.
 
“Me ne occuperò io”, promise Rosie con un sorriso dolcissimo, “Grazie di nuovo”.
 
 
                                 ********
“Ti piace ascoltare la tua storia, vero batuffolino? Avresti dovuto sentire le risate di Diamante, quando gliel’ho raccontata la prima volta…”
 
Rosie strinse a sé Rufus, inspirando il suo odore.
Un gesto talmente abitudinario da essere ormai divenuto istintivo.
Specialmente se qualcosa la turbava.
 
Sapeva che era alquanto sciocco come pensiero, ma in quel modo le sembrava di avere ancora Sam accanto a sé.
E lei aveva bisogno di lui, più che mai.
Specialmente ora che aveva perso la sua amica più cara.
 
Suo padre era stato categorico: niente più visite. Era, visto l’evolversi della situazione, obiettivamente troppo pericoloso.
Una parte di lei si trovava d’accordo, ma come avrebbe fatto senza più poter vedere quegli occhi così furbi e sinceri? Quelle visite erano diventate qualcosa di essenziale, di irrinunciabile, come l’aria.
E Diamante?
L’avrebbe creduta una codarda? Una traditrice?
O si sarebbe preoccupata, per di più inutilmente, pensando che le fosse accaduto qualcosa?
 
No. Non poteva lasciare che accadesse.
Avrebbe lottato con le unghie e con i denti per difendere quell’amicizia: era una delle cose più importanti della sua vita!
 
“Le ho promesso che sarei tornata, Rufus. L’ho promesso… ecco forse non dovrei dirtelo, ma l’ho promesso sulla tua coda”.
 
L’espressione del gatto rimase una delle più disinteressate che Rosie avesse mai visto.
 
 
 
Note:
*si riferisce al gioco del golf, che, Tolkien docet, è stato inventato proprio a causa del prozio di Bilbo.
*Shakespeare voglia scusarmi se ho attribuito una delle sue battute più famose al vecchio Ham ^^” (nd Benni).
 



Deposito Barili:
 
Per prima cosa: il fanta-mega-giga meraviglioso banner che ora sventola all’inizio di ogni capitolo è tutta opera di Kanako91 (applausi, prego, che se li merita). Non ti ringrazieremo mai abbastanza, è bellissimo <3, mille baci!
 
Seconda cosa: Benni ci tiene a dire che è FIERA del titolo che si è inventata U.U e come sempre guai a chi ride. LOL. Viva Benni.
*fugge*.
 
Anywayyyyyyy, torniamo a fare le persone cervello-munite: che ne pensate dei famosi flashback *^*?? Piaciuti? Sì, no, forse? Come promesso ecco di nuovo Rufus: sta diventando una star, al pari di Bart, ehehehehe.
Credo sia uno dei capitoli che ci siamo divertite di più a scrivere, perché alleggerisce molto l’atmosfera.
Come sempre fateci sapere in tutta serenità ^^, noi amiamo alla follia i vostri commenti.
Grazie a tutte le recensiste (questo giro specialmente a Didi95 e Feanoriel, benvenuteeeeeee), chi segue, preferisce, legge o passa per sbaglio.
Vi adoriamo tutti *^*.
Alla prossima!
 
Cris e Benni
 
Ps: e auguroni ai nostri Bagginsis preferiti *^*! Viva il 22 Settembre <3.
 
 
.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Tentativi sventati ***




TENTATIVI SVENTATI
 
 
Cibo, acqua, un mantello pesante.
Rosie fece mente locale: aveva preso tutto?
E una corda.
Non sapeva come le fosse venuta in mente, nè a cosa le sarebbe potuta servire.
Ma Sam ripeteva sempre che non era prudente partire per un’avventura senza una buona corda.
Quelle di suo zio Andy erano le migliori.
Così diceva.
 
“Smettila di pensare a lui. Concentrati sul piano. Aspetti che la mamma si sia addormentata, poi sgattaioli sul retro e te la svigni”.
 
Rufus la guardava con aria critica, e non aveva tutti i torti. Non era un granchè come piano, quello.
Era più una fuga, e decisamente male organizzata.
Ma a Rosie non importava: la cosa più urgente era raggiungere le Cellechiuse, il prima possibile.
E una volta lì, li avrebbe portati via entrambi.
Bart e Diamante.
Non aveva idea di cosa avrebbero fatto dopo, ma poco importava: non poteva permettere che restassero in quel posto un solo giorno di più.
E non riusciva a togliersi dalla mente la sensazione che fossero in pericolo.
Ma a chi poteva dirlo? Chi l’avrebbe ascoltata? O meglio, chi le avrebbe creduto?
Non aveva nessuna prova…
Avrebbero solo cercato di fermarla, Rosie lo sapeva.
Era sola, ancora una volta.
 
Fece un respiro profondo.
“Smettila di guardarmi così, Ruf. Andrà tutto bene”.
 
Fece per uscire dalla camera, ma proprio in quel momento sentì del trambusto provenire dall’ingresso, e suo fratello urlare qualcosa.
Una voce rispose.
Una voce che Rosie non aveva più sentito da oltre un anno.
Se non nei suoi sogni, e nei suoi ricordi.
Il suo cuore perse un battito.
 
“Sono io. Sam Gamgee. Quindi non cercare di infilzarmi, Nibs. E comunque sono protetto da una cotta di maglia”.
 
                            ********
 
Le ci volle tutta la sua forza di volontà per non precipitarsi sulla soglia e tuffarsi fra le sue braccia.
“Diamante lo avrebbe fatto”, riflettè con un sorriso, “Anche se prima gli avrebbe probabilmente tirato un pugno, al suo, di Sam. O anche più di uno”.
Ma lei era Rosie Cotton, e per quanto desiderasse follemente stringere a sè Samvise per non lasciarlo andare mai più, ciò che fece fu solo raggiungere sua madre in salotto.
E aspettare con lei.
 
Lui fece il suo ingresso appena qualche istante più tardi, e Rosie rimase nuovamente senza fiato.
Sam era cambiato, questa era la prima cosa che si notava.
Cambiato profondamente, e non c’era da stupirsi che Nibs non lo avesse riconosciuto, minacciandolo invece.
Portava abiti di una foggia che non si era mai vista nella Contea e aveva una spada che gli pendeva dalla cintola.
Il volto era abbronzato, e il suo fisico più snello, con qualche accenno qua e là di quelli che avevano tutta l’aria di essere muscoli.
Era negli occhi però, che si poteva leggere il cambiamento più grande. Avevano perso quella scintilla d’ingenuo stupore che tanto lo aveva caratterizzato: ora erano animati da qualcosa di simile alla saggezza. Saggezza, ma anche dolore.
 
Che cosa hai visto Sam, per cambiare così?
Che cosa hanno visto i tuoi occhi?
 
“Rosie…”
 
La voce era ancora la sua, constatò la giovane con sollievo.
Non seppe spiegarsi perchè, ma quel semplice dettaglio la portò quasi alle lacrime.
 
“Signora Cotton”.
 
Un inchino, sì, era proprio da lui.
Il suo cavalleresco ed educatissimo Sam.
 
Rosie guardò di sfuggita sua madre, ed il quasi impercettibile cenno che essa le fece fu tutto quello di cui aveva bisogno, perchè infatti, un secondo dopo, stava stringendo l’amico più forte che mai.
 
 
 
Sam era diventato più rosso dei pomodori del vecchio Maggot dopo quello slancio improvviso.
La signora Cotton non aveva affatto migliorato le cose decidendo di lasciarli soli per alcuni momenti.
I due giovani si erano quindi seduti accanto al fuoco, e Rosie aveva servito al suo ospite il miglior idromele del villaggio.
 
Poi tra di loro era calato un imbarazzante silenzio.
Non che ci fosse da stupirsene più di tanto, dopo tutta quella lontananza.
Eppure Rosie ne aveva di domande da fare. E Samvise ne aveva, di storie da raccontare.
Finalmente quest’ultimo prese la parola.
 
“Mi dispiace. Sarei dovuto tornare prima”.
 
Rosie lo guardò strabuzzando gli occhi: tutto qui?
 
“Ma temo davvero che non avrei potuto, nemmeno volendolo: padron Frodo aveva bisogno di me. In realtà, vedi Rosie, lui ha ancora bisogno di me…”
 
E quello fu davvero troppo per la giovane. Le lacrime che aveva trattenuto poco prima tornarono a lambirle pericolosamente gli occhi. Tutta la rabbia, tutta l’amarezza e la frustrazione che era stata costretta a reprimere, per il suo bene e delle persone che amava, si ripresentarono di colpo, rischiando di sopraffarla.
 
Anche io avevo bisogno di te! Ma tu questo non lo hai mai capito, non è vero?
 
Si alzò in piedi, tremando.
“E allora spicciati. Ti sei occupato del signor Frodo per tutto questo tempo; vuoi lasciarlo ora che le cose diventano pericolose?"
Gli voltò le spalle e fece per andarsene ma non riuscì a fare un passo, che si ritrovò nuovamente fra le sue braccia.
 
                
                               ********
Era passato a trovare suo padre, le disse mentre le carezzava i capelli, e la prima cosa che aveva fatto era stato chiedere di lei.
 
La Hobbit si rilassò lasciandosi cullare, beandosi di quelle timide coccole. Timide come il suo Sam, e che a lungo aveva immaginato e desiderato.
Non si era resa conto di quanto ne fosse intenso il suo bisogno.
 
Sam aveva parlato a lungo, interrompendosi di tanto in tanto per rabbrividire, ma la giovane aveva fatto fatica a concentrarsi su quei racconti.
 
“Rosa, perdonami. Puoi credermi se ti dico che non è passato un giorno senza che non ti abbia pensata? Persino nell’oscurità, persino nei momenti più disperati… quelli in cui ero certo che sarei morto, che non avrei mai più rivisto mio padre, la mia casa, la Contea, era sempre il tuo volto che mi tornava alla mente. Avrei dato qualunque cosa in cambio della possibilità di ballare ancora una volta con te. Rosie, ascoltami: c’è una domanda che avrei tanto volute farti, prima che quel Viaggio mi travolgesse, ed è…”
 
Ma la fanciulla lo bloccò, con due dita sulle labbra. Ora che si era calmata riusciva a vedere le cose con maggior raziocinio: certo, avrebbero avuto ancora molto di cui discutere.
Sam non le aveva ovviamente raccontato tutto e la sensazione di essere stata lasciata da parte, messa in secondo piano a favore di una missione apparentemente suicida, non sarebbe svanita di punto in bianco.
Ma ora lui era lì. Non se ne sarebbe andato mai più. Avrebbero potuto riprendere da dove si erano interrotti, tempo prima, e questa certezza era tutto ciò di cui aveva bisogno.
 
Ora però…
 
“Ho aspettato per più di un anno, Samvise Gamgee”, sorrise, “Qualche giorno ancora non mi ucciderà. Tu devi pensare a padron Frodo adesso, e io alla mia amica più cara”.
 
Sam sì accigliò, confuso, e il sorriso di Rosie si accentuò.
 
“Anche io ho delle cose da raccontarti”.
 
                                     ****
 
“Prendi quelle armi e marcia verso il sentiero sud.”
“Ma non sono questi gli ordini.”
“Zitto e fai come ti dico. Ci sono stati dei disordini lungo il sentiero per il Ponte. Hob Guardabarriere ha la lingua troppo lunga.”
“A Chianarana hanno tentato di arrestare degli intrusi. Ma ho riferito tutto a Sharkey, io.”
“Zitto. Non pronunciare quel nome qui. Prendi quei randelli.”
 
C'era un gran trambusto fuori dalla sua cella ma Diamante non si scostò dal muro per molti minuti.
Era sicura che, per la mancanza di cibo e di acqua buona, la mente le stesse facendo brutti scherzi.
Era afflosciata contro la parete e sentiva lenire la schiena e le gambe.
Provò ad alzarsi ma il suo stato d'animo era più stanco del suo stesso fisico e ci rinunciò quasi subito.
Tese comunque l'orecchio, sperando di captare altre voci lontane.
Passarono per quattro volte dei gruppi di Guardiacontea armati di randelli, bastoni e con dei buffi cappelli piumati sul capo.
Se non fosse una cosa totalmente impossibile, avrebbe pensato che si stessero accingendo a partecipare a qualche parata di carretti della fiera.
La cosa, senza alcun motivo, la fece sorridere.
Ma fu un sorriso amaro e subito tornò a crogiolarsi, chiudendo gli occhi.
 
“Dobbiamo marciare verso Lungacque. Hanno sentito il suono di un corno mai udito da queste parti.”
“Cosa sta succedendo? Credete sia una rivolta?”
“Illusi, se sperano di allearsi contro Sharkey e i suoi Uomini.”
 
Questa volta Diamante, era più che sicura, di aver udito perfettamente le voci dei due Guardiacontea sillabare quelle parole.
Non era un'allucinazione dovuta alla fame pressante, era reale.
Si issò con tutta la forza che le era rimasta e si avvicinò alle sbarre.
Vide Doderic, in una delle celle più vicine, interessarsi tanto quanto lei alla vicenda.
Ce n'erano altri; alcuni visi non li riconosceva ma non era importante.
Per quanto fossero estranei erano gli unici “amici” con cui poteva condividere quella novità.
 
Vide un paio di Guardiacontea uscire di gran fretta ma altri due rimasero davanti alle celle, a fare la guardia.
Sentiva nell'aria qualcosa che non riusciva a spiegarsi, un cambiamento repentino.
Non aveva udito alcun suono di corno né tantomeno le voci di “forestieri” venuti a salvarli ma lo leggeva nei loro volti.
C'era una novità e questa novità non stava piacendo a nessuno.
 
“Doderic.” Bisbigliò lei, facendo muovere le dita.
Lo Hobbit le fece segno di stare zitta, allargando lo sguardo.
Uno dei banditi passò proprio loro davanti, parlando velocemente e con rabbia.
Aspettarono che sparisse in una curva stretta prima di tornare a guardarsi.
“Doderic, che sta succedendo?”
Diamante si arpionò alle sbarre della cella. Doderic sembrava sconvolto, continuava a guardarsi intorno.
“Non lo so. Non ho sentito bene. Credo che qualcuno stia parlando.”
“Cosa significa?”
“Oh Diamante, non sei tanto sveglia come credevo. Lo diceva sempre il vecchio-”
Doderic!” Lo bloccò lei, facendo una smorfia.
“Gli Hobbit. Credo che qualcuno abbia cambiato idea a proposito del nuovo Capo.”
“E per quale motivo? So che questo Sharkey non è un vecchio mendicante. So che è capace di cose terribili. So che...”
“Tu sai troppe cose. Cose pericolose che non dovresti dire nemmeno a me. Oh, se mi prendessero, non so quanto potrei resistere.”
Diamante cercò di non sbuffare. Doderic era sempre stato molto teatrale nelle sue parole e, quantomeno, questa situazione non lo aveva cambiato molto.
“Ti ricordo che ti hanno già preso. Cos'altro potrebbero mai farti? Ti hanno tolto la libertà. Credo che questa sia la cosa peggiore di tutte.” Arricciò appena le labbra. “Oh e anche il cibo. Anche quello non è piacevole.”
“Non mi prenderanno mai. Ho ancora le mie canzoni, in testa. Finchè la Contea vive in me, allora non cesserà di esistere. Non credi, cara?”
 
Diamante restò bloccata a fissarlo.
Doderic aveva sicuramente perso il lume della ragione, stando lì dentro giorno e notte, ma non poteva biasimarlo.
Continuava a pensare ad un piccolo particolare che non le era sfuggito.
Qualcuno aveva sentito il suono di un nuovo corno.
Forestieri.
Forse dei Cavalieri giunti dalle terre degli Uomini. O addirittura gli Elfi Immortali.
Allora non tutto era perduto. Gli Hobbit potevano ancora credere che qualcosa fosse possibile.
 
 
“Credi che ci uccideranno, Doderic? O … qualcuno si ricorderà dei nostri campi in fiore?”
Mormorò d'un tratto Diamante, pigiando la fronte sulle sbarre.
Doderic non rispose subito. Ma tossicchiò qualche secondo, pronto a cantare.
 
“Se passan le strade e i ruscelli
saltando i fiumi e i fossi
tutto faran tramontare
nel sole d'un giorno di pace.
 
Verranno a portarci la luce
daran vita alla terra sepolta
perché niente brucia la vita
se l'amore la fa ricreare.”
 
Diamante riaprì gli occhi e sorrise di cuore, andando a guardare Doderic.
Anche lui la stava guardando e sorrideva nello stesso modo.
Era stata abituata a sentirlo cantare nenie e pianti, per chissà quanti giorni.
Chiunque stesse arrivando, sentiva che sarebbe arrivato in tempo.
Le cose non potevano andare male, non se nel cuore degli Hobbit la Contea continuava a vivere.
Perché il verde c'era ancora, così come il profumo della terra e le bacche sugli alberi.
Lo poteva vedere e sentire.
E fu in quel momento che pensò a Rosie, di nuovo.
Lei forse l'aveva sentito davvero, il suono di quel corno e forse le voci le erano già arrivate.
Per quanto avesse paura per l’amica, nessuno dei suoi fratelli avrebbe mai permesso a qualcuno di farle del male.
E anche Rufus era un ottimo Guardiano.
 
“Forse è la volta buona che i Tuc ci salveranno.”
Doderic spezzò i suoi pensieri con quella frase e lei, di nuovo, ritornò lucida.
“I... Tuc?”
“Il Vecchio Conte è un grande saggio. Non ha mai permesso che usurpassero le sue terre. Loro sono fortunati, hanno quelle immense caverne nelle Verdi Colline.”
“Ma non potranno mai, da soli, ribellarsi. Sarebbe una follia. I Tuc sono...i Tuc sono...”
 
Perchè continuava a pensare alla faccia da ebete di Pipino?
Sporco di terra, coi capelli spettinati e che si lamentava del fatto che, finchè non mangiava la sua seconda colazione, non avrebbe potuto continuare alcun lavoro?
 
“Oh, per tutti i mirtilli, se mai raggiungessero Pietraforata potrebbero fargli vedere chi comanda.”
Doderic strinse il pugnetto, tutto concitato.
 
“Volete piantarla di parlare, voi due? Se non la smettete subito giuro che vi rinchiudo nelle celle soliterie, alla fine dei tunnel.”
Una Guardiacontea sbraitò quelle parole e ritornò velocissimo il silenzio.
Diamante subito indietreggiò dalle sbarre, lanciando un ultimo sguardo a Doderic che – già – stava per tornare a cantare qualche tragedia.
Sentì piangere, da un'altra cella, una Hobbit di cui non conosceva il volto.
Le ritornò in mente Bart e sperò, con tutto il cuore, che non fosse finito lui stesso in una di quelle celle, senza più contatti con alcuno.
Aveva rischiato tutto pur di fare qualcosa di giusto, non poteva lasciarlo soccombere dietro le sbarre senza provare a fare qualcosa anche lei.
Lo doveva specialmente a lui.
Chiuse gli occhi e provò a pensare a qualsiasi idea le potesse venire in mente.
 
Cos'avrebbe fatto Pipino?
Forse avrebbe cercato di corrompere il Guardiacontea per farsi dare due porzioni di pane, al posto di uno.
 
Non era il caso di pensarci adesso.
 
 
“Credo che sia colpa mia, signor Guardiacontea. Ho riferito a Doderic Brandibuck delle informazioni riguardanti i forestieri.”
“Come hai detto?”
Sentì i passi dello Hobbit arrivare fin davanti alla sua cella. Sentì il rumore delle chiavi che stavano per aprire la porta.
“So bene chi sta giungendo nella nostra Terra. Sono riuscita a mandare un messaggio, durante la mia fuga dell'altra volta. Bart Serracinta stava cercando di fermarmi, mi ha chiamata traditrice e voi lo avete arrestato ingiustamente.”
“Quale messaggio? Di cosa stai parlando?”
 
Diamante cercò di rallentare il suo cuore.
Era impazzito; non era sicura di aver mai fatto una cosa più sconsiderata di quella.
Neanche quando aveva accidentalmente fatto cadere in testa a Pipino una lettiga piena di sassi, facendolo svenire per quasi dieci minuti abbondanti.
Stava pensando fin troppo a quel nome, doveva smetterla.
 
Cercò di aspettare paziente, il Guardiacontea stava blaterando qualche parola che lei non stava più neanche ascoltando, ormai.
Cercò di guardare nella cella di Doderic ma non riuscì a vederlo.
In compensò sentì la sua voce canticchiare qualcosa.
“Non calpestare i piedi dei potenti.
Non calpestare le teste con le corone.
Calpesta i tavoli e balla sui sentieri dei boschi.”
 
Avrebbe calpestato ben volentieri piedi e teste, in quel momento.
Fu in un lampo.
“Adesso mi spieghi subito cosa vuoi dire, signorinella, o ti porto da chi di dovere.”
Il Guardiacontea fece per fare uno scatto verso di lei ma quella canzone le rimbombava in testa.
Cercò di calpestargli i piedi con forza, spintonandolo all'indietro.
“Come osi!”
“Proprio così, oso!” Esclamò lei, con un moto di paura e rabbia insieme, mentre cercava di defilarsi dalla porta lasciata aperta dall'altra.
Riuscì a sfuggire ad una sua mano che stava per agguantarla e, subito, si ritrovò contro la cella di Doderic.
In quel momento lui la guardò dalle sbarre, alzando un pugnetto.
Sorrideva contento.
“Scappa, cara, scappa. Porta le mie canzoni al sole, di nuovo. Segui i sentieri.”
 
“Vi libererò tutti.”
Sussurrò lei, con paura, prima di correre verso il tunnel, lontano dalle fiaccole.
“...IN FUGA. PRIGIONIERA IN FUGA. DI NUOVO. GUARDIACONTEA!”
Sentiva la voce dello Hobbit dietro le sue spalle. Sentiva anche i suoi passi e ad ogni colpo – che le sembrò di randello contro i muri – aveva idea che stesse per perdere battiti cardiaci.
Passò di fianco ad altre celle. Tutti gli Hobbit, lì dentro, la stavano incitando.
Riconobbe il vecchio Contadino di Brea.
E anche l’Oste del Drago Verde, di cui non ricordava mai il nome.
Voleva fermarsi e dire loro qualcosa, qualsiasi cosa, ma non poteva rischiare di nuovo.
 
Si era resa conto, che in quella corsa veloce, stava cercando Bart Serracinta tra quei volti.
Non lo vide da nessuna parte; le stava tornando un magone potente al petto.
“FERMATI. FERMATI O LA PAGHERAI QUESTA VOLTA!”
“GUARDIE, IN MARCIA.”
Altre voci e altri passi. I rumori metallici delle mazze sbattevano contro le barre.
 
Non sapeva quanto avesse corso, ma le gambe le stavano facendo male.
Sentiva caldo e la mancanza di fame le stava facendo venire la nausea.
Non era più abituata a quegli scatti; ed era assurdo pensare a quanto, pochi mesi prima, le piacesse correre.
Provò a pensare a qualcosa di piacevole: al primo respiro che avrebbe fatto una volta fuori da quella prigione.
 
“Presa!”
Un paio di Guardiacontea la bloccarono proprio dietro una curva.
Sbattè contro di loro e subito, uno, l'afferrò per le braccia tenendola ferma.
“Cos-?”
“Visto che ti piace così tanto correre come una lepre, vorrà dire che verrai trattata di conseguenza. Tutta questa libertà non è consentita.”
 

 
 
 
 
Deposito Barili:
Zum zum zum! Suspanceeeeeeeee!
Cri, sei veramente crudele con Diamante, lasciatelo dire U.U.
Povera piccola… lei non si arrende mai. Ma questa è l’ultima volta che vi facciamo prendere dei colpi simili. Promesso. MUAHAHAHAHAHHAHA.
Ahem.
Coff coff.
Ricomponiamoci.
Sam è arrivato, zìììììììììì! Contente? E Pipino? ‘Ndo sta quel malnato? E di chi è il corno? Indovinate un po’ ^^…
 
A settimana prossima col 7 (che è il nostro preferito in assoluto finora, finalmente si scoprirà perché una certa Hobbit sia finita in gabbia deheheh).
 
Grazie mille alle recensiste (benvenutissima Kilian_Softballar_Ro!!) a chi preferisce, segue, legge o passa di qui per sbaglio.
 
Love you all <3
 
Benni e Cri

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Capitolo 7
*** Coraggio e incoscienza ***


Coraggio e incoscienza.
 

 
 
Quando Rufus le era saltato in grembo la prima volta, la reazione di Diamante era stata impagabile: la ragazza si era irrigidita di colpo, serrando le labbra e spalancando gli occhi.
Rosie aveva fatto del suo meglio per non scoppiare a ridere di fronte a quella scena, e allo stesso tempo ne era rimasta sorpresa: Rufus non dava mai una tale confidenza agli estranei!
Guarda che non morde, avrebbe voluto dirle, ma non lo aveva fatto. Era solo rimasta a guardare la scena, segretamente divertita e allo stesso tempo compiaciuta.
Quella era solo la seconda volta in cui le due giovani si vedevano, ed anche quel pomeriggio erano ospiti a casa Cotton.
Il vecchio Tolman quel giorno era in casa, come pure sua moglie.
Avevano accolto con piacere Diamante, cercando di celare la loro sorpresa: così come la loro figlia, i due coniugi conoscevano la giovane solo di nome, ma nonostante ciò avevano capito subito che fosse ben diversa dalle usuali compagnie di Rosie.
Un tipo sveglio e dallo sguardo furbo, avrebbe poi detto Tolman quella stessa sera, ce ne vorrebbe di più di gente come lei.
 
Le due amiche avevano passato quasi tutto il tempo nella stanza di Rosie, al riparo da orecchi indiscreti, aveva detto Diamante, facendo quasi scoppiare a ridere l’altra per il suo tono da cospiratrice.
Rufus stava riposando su uno dei morbidi cuscini del letto, ma si era tosto svegliato al loro sopraggiungere. Aveva lasciato che prendessero posto su un paio di seggiole, e in seguito si era appollaiato sulle gambe della più giovane.
 
“Rosie, credo che stia artigliando le sue unghie nella mia carne”.
 
“Beh, fa così quando è rilassato. Ottimo segnale, direi”.
 
Ottimo?! Forse non hai capito, mi sta- e, oh giorni celesti! Si è addormentato…”
 
Il dolce suono di quelle che erano senza alcun ombra di dubbio fusa, riecheggiò nell’aria.
L’espressione di Diamante mutò radicalmente: adesso sembrava quella di una bambina davanti a un dolce alla panna.
Quasi sovrappensiero, si mise a fargli dei grattini dietro le orecchie.
Rosie si sciolse di fronte a quella scena, e per poco non le salirono le lacrime agli occhi. Perché aveva nel cuore il ricordo di un altro Hobbit, che diverso tempo prima si era trovato nell’identica posizione della sua nuova amica.
 
“Ti andrebbe di sentire come l’ho trovato?” chiese d’istinto, accennando al gatto.
 Diamante aveva annuito, entusiasta, e il successivo quarto d’ora era stato riempito dalle sue risate.
 
 
“E così il tuo Sam lo ha salvato. E lo ha fatto per te… che cosa romantica!”
Non c’era che un filo di malizia nella voce dell’amica, ma tanto era bastato affinché Rosie arrossisse violentemente.
“Non è il mio Sam, noi…”
“Oh, avanti fammi il favore! Non è nulla di cui vergognarsi, perché negare l’evidenza?”
L’evidenza? Per tutte le bacche, era davvero così evidente?
“Non ha comunque importanza, ormai”, rispose cercando di non suonare troppo rattristata, “Lui non si è mai pronunciato, e adesso è partito. Solo il cielo sa se tornerà…”
“Certo che tornerà, cosa vai a pensare!” Diamante aveva reagito quasi con stizza, “Io non ho idea di cosa abbia spinto quei quattro ad andarsene così all’improvviso, ma Sam ha degli ottimi motivi per riportare il suo brutto muso da queste parti. Altrimenti giuro che lo troverò, lo prenderò per un orecchio e se necessario lo trasciner…”
S’interruppe di colpo e arrossì.
Questa volta fu Rosie a guardarla con malizia: “Sei sicura di stare ancora parlando di Sam?”
Diamante sbuffò: “Certo. E di chi sennò? Non essere sciocca!”
“Beh, non ti ho mai vista così accalorata… Mi riesce alquanto difficile credere che tu ti stia agitando tanto per…”
“Rosie, ci conosciamo da un paio di giorni! Credimi, non hai la minima idea di come io diventi quando mi accendo davvero, è chiaro? E comunque questo discorso non ha senso, ecco!” farneticò gesticolando con le mani.
 
“Oh, Diamante!” questa volta Rosie non riuscì a trattenersi, e scoppiò a ridere di cuore, abbracciandola, “È per il figlio del Conte, non è vero? Eravate molto amici, da quel poco che so”.
“N-no, noi…” Diamante bofonchiò, ricambiando timidamente la stretta, “Non ne voglio parlare, va bene? Pipino è solo un idiota”.
 
Ma è il tuo idiota.
 
“E comunque credevo ci fossimo viste per discutere di quei cavalieri”.
“Ma certo, amica mia” e Rosie si stupì della naturalezza con cui le uscirono quelle due parole, “Perdonami, non volevo turbarti”.
“Ne io te” fu la risposta, e i discorsi imbarazzanti furono tosto messi da parte.
 
                  ******
“Ne abbiamo parlato a lungo. Abbiamo vagliato le ipotesi più assurde, avresti dovuto sentirci. E quella sera a cena papà e Jolly hanno ripreso il discorso… Poi la situazione è precipitata senza che quasi ce ne accorgessimo”.
 
Rosie fece un profondo respiro: il braccio di Sam le circondava ancora le spalle. A entrambi doveva sembrare la cosa più naturale del mondo.
 
“Prima si trattava solamente di divieti. Poi sono arrivate le requisizioni; in seguito sempre più Hobbit hanno iniziato ad arruolarsi come Guardiacontea. E tutto è capitolato dopo l’arrivo di quegli Uomini, il giorno in cui ho conosciuto Diamante. Avevano armi Sam, armi! E, oh Sam, le cose orribili che ci hanno fatto! Che hanno fatto a casa nostra!
 
La giovane non riuscì a trattenersi: riaverlo lì, nuovamente con sé dopo tutto quel tempo, dopo tutto ciò che aveva dovuto sopportare, fece cedere ogni sua difesa.
Copiose lacrime cominciarono a rigarle il viso mentre continuava il suo racconto.
Samvise era già venuto a conoscenza di molte cose da suo padre, tuttavia non la interruppe nemmeno una volta, capendo quanto fosse importante per lei potersi finalmente sfogare.
 
“Il primo che hanno rinchiuso è stato il vecchio Will Piedebianco, e in seguito tantissimi altri… e… e noi… non abbiamo potuto… io non ho potuto fare nulla! Diamante è intrappolata là dentro, e non so neanche il perché! Non riesco a credere a quello che mi ha raccontato e non posso fare nulla per lei! Mi sento così inutile. Sam… Sam, aiutami! Io… io devo tornare là, ti prego!”
La ragazza si agitò fra le braccia dello Hobbit: aveva gli occhi spalancati all’inverosimile e rossi dal pianto. Sam non l’aveva mai vista così e ne fu inizialmente turbato.
“È in pericolo!” Rosie era al limite dell’isteria e lottò per liberarsi, ma la stretta dell’altro era più forte.
 
“Rosa! Rosa, calmati adesso!”
 
Le sue parole ebbero magicamente l’effetto desiderato.
O forse era stato solo il tono incredibilmente autoritario che aveva usato.
Fatto sta che la Hobbit si bloccò all’istante, e smise di piangere.
Sam deglutì e proseguì: “Rosa io… non posso cambiare quello che è successo. Vorrei tanto, ma non posso, e… avevo visto che qualcosa di strano era all’opera, ma allora ero troppo lontano e- no, è complicato, non ascoltarmi. Mentre percorrevo la Contea per arrivare qui ho ricevuto tante pugnalate al cuore, quanti sono i danni e i cambiamenti di cui ho dovuto prendere atto. E tu hai dovuto sopportare tutto questo giorno dopo giorno, mentre noi vi credevamo al sicuro. Sei stata forte Rosa. E io… io so che lo hai fatto anche per me”.
 
Rosie lo vide arrossire e chinò il capo compiaciuta.
 
“Tuo padre mi ha raccontato cosa hai fatto per la signorina Diamante. E io lo definirei tutto meno che inutile”.
 
“Non erano altro che piccoli gesti…” mormorò la fanciulla.
 
“Spesso sono i gesti più semplici quelli che sorprendono maggiormente. Tengono a bada l’oscurità. Spianano la via”.*
 
Sam non sapeva da dove gli fossero uscite quelle parole: sembrava come se fosse stato qualcun altro a pronunciarle al suo posto. Tuttavia si accorse di pensarle davvero: dalla prima all’ultima.
 
Sorrise.
 
“Ci libereremo di quei furfanti. Te lo prometto Rosa. Ma tu devi rimanere qui, al sicuro. Il signor Frodo, il signor Merry, e anche il signor Peregrino… Loro rimetteranno tutto a posto”.
 
Ancora una volta si stava mettendo da parte, e Rosie si accorse di non poterlo tollerare.
“Come pure messere Samvise” aggiunse quindi, risoluta, quasi con aria di sfida, “Il mio cuor di leone”.
 
Gli occhi dell’altro si riempirono di sorpresa a quell’appellativo, ma la ragazza non fece in tempo a chiedergli se andasse tutto bene, che Sam diede prova di meritarselo in pieno.
 
Si chinò verso di lei, infatti, e prendendole il mento fra le dita, le donò il più delicato dei baci.
 
 
                                                      ****
 
 
 
 
 
La catena continuava a stridere ogni volta che cercava di allontanarsi dal muro.
Aveva tentanto più volte di allargare gli incastri di metallo, o di trovare un modo per aprire il meccanismo della serratura di ferro.
Niente.
Stringeva la caviglia in maniera pressante, tanto da sentirne il freddo sulla pelle nuda.
Aveva giurato a sé stessa che non avrebbe più pianto ma, a stento, riusciva a trattenersi.
Poteva sentire il Guardiacontea sbattere il randello contro le sbarre ogni volta che passava lì davanti, facendo la ronda.
Se prima capitava poche volte nell'arco della giornata ora, ne era convinta, succedeva almeno tre volte nell'arco di un'ora.
Ma non riusciva più a calcolare il tempo, lì dentro; lo supponeva.
Provò ancora ad allontanarsi dal muro ma non poteva muoversi che di pochi centimetri.
 
“Accidenti ai rovi puntuti.” Ringhiò a denti stretti.
Non riusciva nemmeno più a vedere le celle vicine da quell'angolazione.
Ma la cosa peggiore era un'altra.
Il suo piccolo sassolino, scivolato via dalla tasca quando era stata rigettata dentro con forza, ora era rimasto abbandonato vicino alla porta d'entrata.
Aveva tentato di allungarsi per prenderlo così tante volte da aver perso il conto.
La Guardia – che ormai la controllava con accuratezza – non si era risparmiato di prenderla in giro con risate sfacciate e crudeli per quello.
Aveva una gran voglia di tirargli un bel pugno sul muso ed era questo pensiero, a farla demordere.
 
“Ma perché si subisce tutto ciò? Se c'era speranza, chi ce l'ha spazzata via?”
Doderic continuava a parlare da solo. O se parlava con qualcuno non sentiva certo risposta alcuna.
Non l'aiutava sentire quei suoi cambiamenti d'umore così repentini, avrebbe voluto che la smettesse, piuttosto.
“Oh ma lo dico io: sono fandonie. Fandonie. Congiure della Gente Straniera. Vogliono occupare i nostri terreni. Oh ma le canzoni? Perdute dai cuori. Ma io le ho. Le ho! Com'è possibile questo?”
Diamante si premette le mani alle orecchie.
Non voleva più ascoltare nessuna straziante melodia.
Niente oscurità. Niente pianti. Nessuna paura.
“Con il vecchio Dudo, nei pressi della Terra di Buck, a raccoglier bacche e a lasciar sfuggire le lepri. A cercar miele nei buchi degli alberi. Ma li senti, Diamante, i suoni di quella vita?”
 
Diamante strinse gli occhi e cercò di respirare con tutta la calma che poteva disporre.
 
Porto la cappa in casa e fuor non già:
di terra ho il capo e le gambe di sasso
con le qual non fa un passo,
eppur il nome mio è d'uom che va.”

 
Questa volta lei fu costretta a guardare verso la cella.
Sorrise, senza sapere bene perché, e smise subito di tirare la gamba imprigionata.
Non era mai stata brava con gli indovinelli; Rosie sarebbe stata molto più in gamba di lei a risolverlo.
Pensare a lei, in quel momento, le fece venire una stretta al cuore.

“Sai, Doderic, una volta ho incendiato accidentalmente il letto a baldacchino del Signor Paffuti.”
Tirò fuori quel ricordo dal niente.
Forse voleva solamente ricordare qualcosa che, nella sua tragedia, l'aveva divertita.
O forse voleva che fosse lui a sorridere, senza lasciarlo più pensare ancora.
“Come hai detto? Hai dato fuoco ad un tacchino?”
“Qualche brace mi è sfuggita dal bastone puntuto, mentre alimentavo il fuoco per il bollito.”
“Oi oi, questa è proprio bella.”
La voce di Doderic sembrava cambiata.
Questo le diede uno slancio in più e si mise seduta a gambe incrociate.
La catena tintinnava,ma ora non aveva importanza.
“Non è stato assolutamente voluto. Il padrone di casa ha urlato per un pomeriggio buono; a fine giornata aveva la voce talmente rauca da sembrare una cornacchia.”
Doderic si mise a ridere. Aveva una bella risata; le venne un moto di nostalgia non voluto.
“Oh avrei proprio voluto sentirlo, quel brutto scorfano.”
“Per non parlare di quando ho accidentalmente fatto entrare un cinghiale imbizzarrito nella cucina della Signora.”
“Cosa odono le mie orecchie?”
Doderic ormai non riusciva più a trattenersi.
Diamante non era da meno; aveva cominciato a ridere anche lei.
“Oh, l'ha inseguito con un mattarello cercando di spaventarlo. Ma quello doveva averlo preso come un gioco molto divertente.”
“Non dev'essere buona, la Paffuti, da mordere.”
“Non credo neanche io. Il figlio gridava “Vendetta!” ma il cinghiale non sembrava spaventato
dall'ombrello che stava brandendo come arma.”
“Non bisognerebbe brandire gli ombrelli; portano sfortuna, nelle abitazioni.”
“Lo avrà ben scoperto quando il cinghiale lo ha colpito facendolo cadere dentro la latrina.”
“La latrina?”
Diamante rise di gusto, mettendosi la mano davanti al volto.
“Deve avermene urlate di tutti i colori ma le mie risate coprivano ogni suono.”
 
Doderic fece un'ultima risata divertita prima di zittirsi.
Diamante fece sfumare la sua e restò a guardare verso la porta della cella. Poi sospirò, scuotendo il
volto, con ancora il sorriso.
“Non è un mistero che sei finita qui dentro; ne hai combinate troppe. Ma lo diceva sempre, oh se lo diceva, che c'è ben da guardarsi da chi sembra ingenua e indifesa.”
Lei non si soffermò molto su quelle parole. Corrucciò la fronte e restò a fissare il pavimento.
Di nuovo, quel sassolino rimasto lontano, le aveva creato un moto di sconforto.
“Non è per questo che sono finita qui dentro.”
 
 
 
 
 
“Rosie devo andare, smettila di viziarmi con le crostate.”
“Non dovresti dirmi queste cose con la bocca tutta sporca di lampone, sai?”
Rosie sorrise teneramente, pulendo la bocca dell'amica con un piccolo fazzoletto cucito.
Diamante le sorrise di rimando, con le guance un po' gonfie.
“E mi raccomando; per una volta cerca di non fare cose avventate. Non avevo sentito la Signora Paffuti così irritata da quella volta del- oh no aspetta, in effetti è sempre arrabbiata ultimamente.”
“Non è colpa mia se quel sacchetto di grano si è rotto proprio sopra la sua testa.”
Cercò di difendersi l'amica ma Rosie la guardò con un sopracciglio inarcato.
Diamante era una gran lavoratrice, questo lo aveva notato fin da subito, ma aveva il vizio di essere fin troppo goffa.
E, per quanto dicesse di non esserlo, era anche troppo curiosa.
Le ricordava tanto uno Hobbit che, in sua presenza, era diventato quasi innominabile.
“Lo so che non è colpa tua, ma ormai la Contea è cambiata. Devi stare attenta; i Paffuti sono strani, non capisco se hanno a cuore la tua persona oppure fanno parte di quelli che...”
“Rosie.” Diamante le prese il viso tra le mani e la guardò con un sorriso carico di affetto. “Non mi succederà niente di grave. So che sei preoccupata, ma ti prometto che andrà tutto bene. Tieni le lanterne accese, mi raccomando, così mi vedrai tornare. Ma stai attenta che nel sentiero non entrino estranei, d'accordo?”
“Sai che lo faccio sempre. Ormai il coprifuoco è diventato così rigido. Non è permesso quello, non è permesso questo.” Rosie sbuffò, rammaricata. “Non ce la faccio più.”
“So io come farti sorridere, amica mia.” Ormai quel nomignolo affettivo che le rivolgeva, ogni volta che ne sentiva il bisogno, era diventato più naturale che respirare. “Stringiti a Rufus e preparami un'altra crostata per domani, come ogni giorno. Ti racconterò di stasera e ti farò fare altre risate.”
“Mi fai ridere e angosciare insieme, Diamante.”
“Oh suvvia.” Diamante le sventolò la mano davanti. “Ormai mi conosci.”
Ed era vero. Ormai si conoscevano meglio di loro stesse.
Rosie si slanciò per abbracciarla e Diamante fece lo stesso e, per quanto lo avessero fatto ogni giorno in quelle settimane, quella volta sentirono quel contatto più forte che mai.
Una sensazione strana prese il petto di Diamante, in quel momento, mentre un piccolo cardellino slittava sopra le loro teste, scomparendo tra i rami sciupati degli alberi.
 
Si staccarono con un sorriso e Diamante percorse la strada per arrivare dai Paffuti il prima possibile.
Non capitava quasi mai che fosse in anticipo. Si soffermava sempre davanti ad un piccolo
sentiero, che portava al bosco sud, dove passava spesso i suoi pomeriggi di sole in passato.
Quella volta non lo fece; un Uomo stava parlando con uno Hobbit con aria concitata proprio davanti all'imbocco di questo e sviò veloce, intrufolandosi nel viale che l'avrebbe portata a lavoro.
Non era a rischio di violazione del coprifuoco ma camminò frettolosa ugualmente, senza un perché.
Si fermò davanti alla porta circolare per diversi istanti; una piccola lepre stava saltellando da una
parte all'altra, fino a scomparire dietro un abete di fianco alla staccionata di legno.

“Oh, forse dovrei scavare delle buche nel giardino. Così i leprotti smetteranno di mangiare i cespugli. In fondo lo faccio per il loro bene...ormai non producono più i mirtil-”
Stava già farfugliando da sola un ipotetico piano quando, la voce agitata di Poppy Paffuti, irruppe dalla finestrella di lato.
“Ma io lo sapevo; quello stupido di un Lotho. Era troppo preso dai suoi sotterfugi, non pensava al bene della Contea.”
 “Tutti buoni a nulla, quei Baggins. Sarà il nome che porta sciagura e disonore.”
Adamanta Paffuti cinguettava freddamente nello stesso momento in cui Diamante si posizionò vicino alla finestra.
Non amava origliare, sapeva che non andava mai a finire bene per chi lo faceva.
Ma sentiva che c'era qualcosa di strano, in quella conversazione.
“Lotho è stato della stessa pasta. Non c'è da stupirsi che sia stato assassinato. Lobelia neanche lo sa; non fa che urlare tutti i giorni, dice che ha i suoi diritti, che devono dirle qualcosa. Ah, che disgraziata! Nulla può contro ciò che sta diventando questo luogo.”
“Poppy, fa silenzio. Non è permesso parlare di questo; è ancora tutto in fase di elaborazione. Se ti sentissero i suoi Uomini...oh che sventura su di noi. Non dovremmo parlarne.”
Questo era Falco, il Signor Paffuti. Sembrava preoccupato.
Diamante non sapeva più cosa fare.
Avrebbe dovuto bussare ed interrompere quella conversazione, facendo finta di nulla.
Ma come poteva?
Lotho Sackville-Baggins assassinato? Lobelia che non sa nulla? Suoi uomini?
Suoi...di chi?
“Siamo dalla parte di Sharkey, padre, è inutile che ci nascondiamo dietro il dito. Ormai la Contea sta progredendo, c'è commercio, ci sono armi. Siamo pronti per difenderci e diventare più forti. Sono diventato Guardiacontea per una ragione; basta oppressione. Sono stato assegnato per ripulire questo posto. Sharkey stesso mi ha dato il suo consenso; è capace di grandi cose.”
“...Ma parliamo della nostra gente.”
“Oh Falco, non essere ridicolo. Siamo sempre stati deboli; vuoi anche tu finire rinchiuso a Pietraforata? Arrestato per disgressione?”
Diamante sentì la teiera fischiare all'improvviso.
Era quasi morta di paura per quel rumore, ma era riuscita a non urlare.
“Oh no no. Non lì. Fanno brutte cose a quei poveri Hobbit.”
“Giusto padre, poveri. Noi possiamo diventare potenti. Prenderci la casa Sotto al Colle e godere dello sfarzo.”
“Ma se quel Baggins tornasse?”
“Ma chi? Bilbo Baggins? Ormai si sarà perso in qualche caverna, oltre ad aver perso la testa con tutte quelle storie farlocche sui draghi, sui nani e sui tesori...”
Diamante si irrigidì all'istante, stringendo i pugni.
“Non Bilbo. Il nipote, il figlio di Drogo Baggins.”
“Ma quello sarà già bello che morto, ormai. Ha abbandonato la sua Casa per non farci più ritorno. Lui e i suoi parenti; morti stecchiti.”
In quel momento un sasso oltrepassò la cucina di casa Paffuti, finendo dritto sulla teiera, spaccandola.
Diamante non aveva idea da dove avesse preso il coraggio di lanciarlo.
Voleva colpire in testa Poppy Paffuti, questo lo sapeva; ma aveva mancato irrimediabilmente mira.
Subito indietreggiò veloce, con l'intento di scappare.
Non si ricordò minimamente di aver già scavato una buca, il giorno prima, per fare uno scherzo
proprio al figlio dei Paffuti.
Il grosso piede si ficcò lì dentro e inciampò all'indietro, cadendo di sedere proprio nel momento in cui la famiglia – per la quale aveva lavorato giorni e sere – uscì dalla porta con armi, mattarelli e, addirittura, un vaso da notte.
“Ma guarda un po'. Diamante è arrivata puntuale oggi.”
“Sono...sono arrivata giusto ora. Stavo per -  per bussare.”
Poppy sorrise beffardo. Adamanta fece lo stesso.
L'unico che non la guardava in volto era Falco, sembrava nervoso e preoccupato.
“Ma hai deciso di lanciare un sasso nella nostra cucina.”
Io?” Disse lei teatralmente. “Io non farei mai una cosa del gen-”
“Cos'hai sentito? Che cosa sai?”
“Niente. Non ho sentito nulla su Lotho, lo giuro.”
“Lotho? E chi ha mai parlato di Lotho?”
Lei fece una smorfia, corrucciando il volto. Quando era spaventata si era resa conto di non essere molto sveglia; avrebbe dovuto prevederlo.
“Non ho detto Lotho. Ho detto...ho detto...io...”
“Credo di aver catturato un piccolo uccellino canterino.” Poppy fece per prenderla su per le spalle. Il fatto che lei fosse incastrata lo aiutò nell'impresa.
Diamante non riusciva a pensare a scuse plausibili. Sapeva di essersi fregata con le sue stesse mani.
“Non dirò niente. Lo giuro. Io...non ne parlerò con nessuno. Farò finta di non aver sentito nulla. Nulla di Lotho. Di questo Sharkey. Niente.”
“Non pensavo che la figlia di Tolman Cotton ora si chiamasse “nessuno”. Tu lo sapevi, madre?”
Adamanta scosse la testa, facendo schioccare la lingua e Diamante sbiancò di colpo.
Potevano toccare tutto ma non Rosie. Era il suo unico punto debole.
E loro lo sapevano; come poteva non averci pensato?
“La figlia di Tolman Cotton? Ma se nemmeno ...siamo così diverse, non andrei a dirle proprio niente.”
“Potremmo andare prima noi, da lei, per vedere quanto sa.”
Diamante cercò di scrollarsi la presa di Poppy di dosso, provando addirittura a colpirlo, ma quello la tenne ben ferma. Non era per niente forte da poter sovrastare delle mani che, adesso, erano allenate a questo tipo di agguanti.
“Vi prego no...non fatele nulla. Lei non c'entra. Lei non saprà mai niente, ve lo prometto su tutto ciò che ho di più caro.”
“Oh ci puoi scommettere Diamante; siamo sicuro che non lo dirai proprio a nessuno. Credo di aver trovato accidentalmente, per te, una nuova sistemazione.”
 
 
“Diamante...?”
Doderic la richiamò. Doveva aver finito il racconto da un bel pezzo, si era resa conto che stava piangendo di nuovo.
Si asciugò velocemente le lacrime dalle guance e guardò verso la cella.
“Doderic, che succede?”
“Credo di aver sentito il corno.”
Diamante allargò gli occhi e tese l'orecchio.
Non aveva sentito i Guardiacontea uscire di corsa dai tunnel, brandendo delle torce di fuoco. S'allungò d'istinto ma la catena, al piede, le impedì di muoversi molto.
Qualunque cosa stesse accadendo, adesso, era reale sul serio.
“Doderic, ti prego, dimmi cosa vedi.”
Cercò di dire lei.
Ma non fece in tempo ad aspettare la risposta; cominciò a sentire un calore strano provenire dal tunnel e degli strani scherzi di luce. Del fumo si stava diradando tra le pareti, fino a raggiungere basso le celle.
Inspirò spaventata, indietreggiando fino a far impattare la schiena alla parete.
Strizzò gli occhi e trattenne il respiro.
 
 
 



Deposito Barili:
*frase tratta dalla bellissima raccolta di Carmaux95, ‘La presente compagnia non risponderà di lesioni inflitte’.
 
Zan zan zan! Giusto un po’ di ansia perché se no non è divertente muahahahaha.
Dunque care amiche e cari amici, questo essere nostro capitolo preferito finora dehehehhehe.
In realtà stavolta non c’è molto altro da dire mi sa o.O.
Finalmente è svelato il motivo per cui Diamante è finita in prigione: ve lo aspettavate? Cosa ne dite?
Fateci sapere =)
Ah, e… c’è stato un bacio ^^?!
Grazie a tutti voi che continuate a leggere, seguire, preferire e recensire <3 <3.
Siete fantastici, love you all!
 
Cris e Benni

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Capitolo 8
*** Il profumo del fiume ***


Il profumo del fiume.
 
 
Stava gironzolando intorno ad una giovane Quercia, schiacciando le foglie secche a ogni suo passo.
Si era immersa nell'ascoltare i canti dei piccoli uccellini, mentre i raggi del sole filtravano tra le fronde.
Un piccolo gruppo di bambini stava correndo verso il sentiero che portava a un ruscello cristallino,
cantando e urlando con voce infantile.
Le venne da sorridere e rimase a fissarli per qualche secondo, mentre rubava dei piccoli mirtilli da un cespuglio.
Stava giusto per mangiarne uno che si sentì venire afferrata per il polso.
Non si spaventò molto per quella presa improvvisa, non ne ebbe il tempo.
Una mano giovane e veloce le rubò tutti i mirtilli. Il proprietario della mano se li portò alla bocca, gonfiando le guance.
Pipino sorrise vittorioso, masticando con ingordigia.
“Viefi con fe.”
“Mi hai rubato i mirtilli, io non vengo da nessuna parte.”
Pipino fece un altro sorriso senza rispondere, cominciando a trascinarla.
“Pipino, alle volte è bello sentire una risposta, sai?”
Lui continuava a restare in silenzio, scavalcò un piccolo masso – e fu costretta a farlo anche lei – mentre la tirava per il polso verso un posto ignoto.
“Allora mi metto a cantare.”
Quella sottospecie di minaccia da parte di Diamante fece ridacchiare Pipino.
Era risaputo, specialmente dal figlio del Conte, che la giovane Hobbit avesse una voce particolare.
Non che fosse stonata, ma aveva l'ardire di alzare fin troppo i toni.
Per quanto nessuno adulasse la voce di Diamante e nessuno s'aspettava avrebbe mai inventato canzoni leggendarie, a Pipino piaceva sentirla.
Lui diceva sempre – o meglio lo diceva Merry – che ogni Hobbit aveva il suo canto.
Ogni Hobbit aveva la sua melodia.
 
“Conta i conigli, che saltano i fossi,
ma non calpestar i perduti sassi,
che schiaccian la terra dai tempi remoti,
e lascian l'odore dei fiumi che - “
 
Una mano le bloccò la bocca proprio all'ultima strofa e lei sorrise solo con gli occhi, guardando in faccia Pipino.
“Non svegliare tutti i poveri leprotti che dormono.” Disse lui, con sorriso canzonatorio.
“Oooh, non potrei mai, signor Peregrino.” Lei lo beffeggiò di rimando. “Ma almeno ho attirato la tua attenzione.”
 
Come se ci volesse questo....”
“Cosa?”
“Siamo arrivati!”
Erano giunti in un punto del bosco che Diamante non aveva mai visto.
Una piccola rientranza tra due alti alberi creava un passaggio che s'inoltrava in un piccolo buco scuro. Era difficile notarlo, per chi non prestava attenzione, ma era chiaramente stavo levigato dalla natura stessa.
Si voltò verso Pipino e lo vide intento a sorridere con la sua solita aria ingenua e spensierata.
Molte volte avevano passato interi pomeriggi insieme, dal loro primo scontro avvenuto qualche anno prima, davanti ad una Quercia ignara.
Per quanto non avesse mai avuto dei veri compagni con cui bere pinte o cantare canzoni, Pipino era quello più simile ad un amico che avesse.
Non lo usava come confidente, né lo invitava a bere una tazza di tè nel pomeriggio nella sua umile casa.
Pipino era qualcosa di diverso.
Con lui si sentiva a suo agio; ritrovava la sua fanciullezza e rideva.
Per quanto, inevitabilmente, tutto finisse sempre con qualche incidente. Voluto o non voluto.
In fondo era consapevole del fatto che Peregrino fosse fin troppo sciocco.
 
“Questa volta non ti sei organizzato bene, Pipino. Credi davvero che ci caschi?”
“Caschi per cosa?”
“Adesso entrerò lì e un secchio pieno d'acqua mi si rovescerà in testa.”
“Oh, ma come sei prevenuta Diamante.”
Ciotole e ciotole di miele tutte sul mio vestito.
“...Diamante.”
...un cinghiale imbizzarrito mi travolgerà...”
“Diamante!” Pipino questa volta era stato risoluto. Non voleva mettersi a ridere per quelle bizzarre idee, anche perché potevano tornargli utili prima o poi. “Ti fidi o no?”
“No.”
“Perfetto, andiamo!”
 
E fu così che si ritrovarono dentro.
Camminarono per un tempo che Diamante non riuscì a percepire. Alla fine, quel piccolo buco, non era altro che un passaggio verso una grotta.
Più s'inoltravano e più sentiva l'odore dell'erba bagnata e i loro passi rimbombavano appena tra le pareti umide.
Qualcosa le toccò la spalla – un piccolo ramo incastrato – ma fece uno scatto e s'avvolse al braccio di Pipino senza pensarci.
Nel buio non riuscì a vederlo girarsi e arrossire per quello.
“Non ti preoccupare, non succederà niente. Anche se Merry mi dice sempre che sono un incosciente a venire quaggiù, che prima o poi mi crollerà in testa qualcosa.”
“Ti è mai venuto in mente di ascoltare tuo cugino, qualche volta?”
“Se ascolto mio cugino finisco sempre nei guai.”
“Ci riesci benissimo anche da solo, credimi.”
Diamante si strinse ancora di più al suo braccio; il vestito giallo che indossava strusciava in qualcosa che Diamante percepiva essere fango.
Però sulle pareti.
Non era sicura che le piacesse davvero quel posto. Di solito Pipino la portava in luoghi dove, era sicuro, ci fosse qualcosa da mangiare.
Cosa poteva mai esserci di così buono e succulento lì?
 
“Siamo quasi arrivati. Preparati.”
Diamante alzò lo sguardo verso di lui e lo vide fissarla.
Cercò di trovare nei suoi occhi un qualsiasi punto debole, ma se stava preparando uno dei suoi soliti scherzi, questa volta non lo dava a vedere. La cosa le procurava una certa inquietudine.
“Pipino, d'accordo, mi hai fregata. Hai vinto tu!”
“Giuro che non ti voglio fare nessuno scherzo.” Sentì il braccio di Pipino sfilare via dalla sua presa. “Fidati di me per una volta.”
“No!”
Pipino sorrise. Il suo “no” non era mai stato così poco convincete come in quel momento.
“Facciamo così; se la cosa che voglio mostrarti non ti piace allora puoi...puoi....”
“Mangiare tutte le tue colazioni.”
Pipino sgranò gli occhi. Era quasi sicura che fosse impallidito di colpo.
“In fondo, se sei così sicuro che mi piaccia allora non dovresti avere paura, no?”
“E sia.” Pipino gonfiò le guance. Non sembrava molto convinto. “Ma sicuro non assaporeresti le mie colazioni con lo stesso amore.”
“Io sono sicura di sì.”
Lo Hobbit sbuffò di nuovo e continuò a camminare lentamente.
Lei era rimasta dietro, sorridendo un po' vittoriosa.
“D'accordo: chiudi gli occhi.”
 
Diamante sbattè le palpebre un paio di volte prima di corrugare la fronte.
“Non dovevi mostrarmi qualcosa?”
“Sì. Ma non la puoi vedere, la puoi sentire.”
Lei inspirò a fondo prima di chiudere gli occhi.
Non era sicura di quello che stava facendo. Era pronta a uno scherzo terribile; forse l'avrebbe fatta cadere in una melma fangosa.
Oppure in una pozza d'acqua stagna.
Oppure...
 
Non fece in tempo a pensare ad altro.
Le dita di Pipino si erano insinuate tra le sue; le sentiva calde e morbide.
Quella sensazione le riempì il petto di qualcosa che non riusciva a capire. Un calore profondo, che si irradiò fino al volto.
Strinse quell'intreccio di dita senza nemmeno rendersene conto, avvertendo Pipino camminare ancora.
E fu allora che cominciò a sentire.
 
L'acqua del fiume stava attraversando le pareti.
Il suono usciva ovattato eppure vivido, sentiva la corrente dell'acqua passare fra le radici della terra, intorno a loro.
L'umidità della grotta regalava un'atmosfera di pace e trasmetteva l'odore del verde.
Un odore buono e piacevole, che le scaldò il cuore.
Senza che Pipino le desse il permesso, aprì di nuovo gli occhi.
E per quanto avrebbe voluto guardarsi intorno e immergersi in quel suono, la prima cosa su cui scelse di concentrarsi fu proprio il suo amico.
Lo vide con la testa per aria, i ricci un po' troppo scomposti e un sorriso ebete sul volto.
Stava guardando tra le pareti, che ora s'erano allargate in quello spazio circolare.
V'era una luce verdognola e fresca, alcuni funghi erano persino maturati in quella zona e delle piante sbucavano lì intorno.
Era quasi sicura che si trovassero esattamente in un buco nel terreno, sotto il fiume.
 
“Questo è il mio posto di tranquillità.”
Mormorò lui, con un tono che Diamante non era sicura di avergli mai sentito. Serio e consapevole.
La cosa le procurò un'altra sensazione strana nel petto.
“Quando finisco l'erba pipa di Pianilungone e mi sento triste vengo qua.”
Diamante appiattì le labbra.
Trovava sciocchi i motivi di tristezza di Pipino, ma se non fosse così non sarebbe lui, in fondo.
“Perché mi hai portato qui?”, domandò d'improvviso lei.
Lui non rispose subito. Lo sentì muovere appena le dita in quella presa e abbassò lo sguardo, facendo strani movimenti con le labbra.
Sembrava in procinto di dover dire qualcosa che si era preparato in precedenza, ma non ne era sicura.
“Adesso che so che esiste...non hai paura che venga a rubarti il tuo posto di tranquillità? In fondo, mi hai mostrato una...una...”
 
Parte di te.
“...una buona motivazione per venire qui e disturbarti tutte le volte che voglio.”
Cercò di smorzare quel momento solenne con un sorriso che non era molto convincente.
Pipino tirò su la testa e si mise a guardarla. Era tornato il suo sorriso ingenuo.
 
“Perché ogni volta che ti osservo mi sembra di non capire la tua storia. Sai, come se non appartenessi a niente e a tutto allo stesso tempo. Non ti vedo mai parlare con nessuno, ma in verità parli con tutti. Sei come una piccola ombra. E volevo donarti un posto che potesse diventare tuo. Sai, anche solo per farti sentire a casa, di tanto in tanto. E visto che questo è un nascondiglio sicuro, per non essere scoperti, allora...”
 
Diamante stava cercando di non piangere.
Non di tristezza, né di rabbia o di indignazione. Non era sicura di poter essere indignata per una così dettagliata e accurata descrizione di sé stessa. Non se veniva elargita da una sottospecie di stomaco parlante come Pipino.
Non riusciva a crederci.
Aveva provato a rispondere ma le parole non volevano uscire.
Per fortuna Pipino era più bravo di lei a smorzare quei momenti.
Lo vide avvicinarsi, molto lentamente, tanto che Diamante cominciò a sentire il battito del suo cuore sotto il petto.
Poteva vedere la luce dei suoi occhi chiari, vedere le sue labbra e ancora del succo di mirtillo sopra di esse.
E poi una spinta.
Una bella spinta che la fece ciondolare all'indietro e le fece perdere l'equilibrio.
Cadde come una pera cotta dentro una pozza d'acqua, e si ritrovò con tutto il vestito fradicio.
 
La cosa fu così inaspettata che rimase con uno sguardo da pesce lesso per tutto il tempo.
Pipino aveva cominciato a ridere all'impazzata.
“Pipino...preparati a rimanere a digiuno per le prossime ere da adesso in poi...”
“Oh oh oh, le tue minacce non mi spaventano, sai?”
Ma lei si era alzata con uno scatto e aveva tentato di assalirlo con un piccolo salto.
Quello non se lo aspettava – o forse sì in verità – e venne travolto fino a cadere lui stesso all'indietro.
Con lei sopra.
Le loro risate rimbombarono per tutte le pareti, sovrastando il rumore del fiume.
 
 
 
 
 
 
Non riusciva a respirare bene, gli occhi le bruciavano e aveva perso conoscenza più volte.
Tentò con tutte le sue forze di rialzarsi ma non ci riusciva, sentiva la catena alla caviglia pesante.
Molto pesante.
Cercò di urlare, di chiamare Doderic, o chiunque altro ma la voce non le usciva dal petto.
Ma qualcosa era riuscito a sentirlo.
Il rumore del ferrame, le porte che si aprivano. Qualcuno stava urlando. Altri stavano ridendo.
Ridevano?
Non ne era sicura. Chiuse gli occhi di nuovo e cercò di ascoltare ancora.
Ma l'unico suono che le veniva in mente era quello del fiume.
Aprì di nuovo gli occhi e vide il suo sassolino, inerme, così distante da lei.
Tentò ancora di allungare la mano per prenderlo ma era un desiderio vano.
Il calore si stava diffondendo ancora, ed ecco di nuovo quella sensazione di soffocamento.
Doveva cercare di non svenire, nonostante si sentisse debole come non mai.
Non poteva.
Gli occhi le si chiusero nuovamente.
Ma un rumore più forte glieli fece riaprire, molto lentamente.
Qualcuno si stava avvicinando ma non riusciva a vederlo bene.
Era un Hobbit, di questo era sicura.
Un Hobbit che tintinnava.
Un Hobbit alto.
Un Hobbit che...
 
Diamante!
 
Riuscì solamente a sentire una voce, la sua voce, carica di preoccupazione come mai l’aveva udita.
Poi tutto divenne buio.
 
                     ****
 
Rosie si passò per la centesima volta il dito sulle labbra, là, proprio dove lui l’aveva baciata.
Si era sporto verso di lei con una lentezza quasi esasperante, eppure allo stesso tempo con decisione, senza lasciarle scampo.
Perché Sam sapeva, sapeva bene, che entrambi non aspettavano e desideravano altro.
Da ormai troppo tempo.
Dal giorno in cui, insieme, avevano salvato Rufus.
Da quando lui l’aveva consolata dopo ogni brutta caduta, fatta durante tutte le corse e i giochi d’infanzia.
Forse, addirittura, dal loro primo incontro.
Sì. Lo sapevano entrambi già allora. In maniera ingenua, innocente, e in qualche segreto recesso del loro cuore.
E non erano mai servite troppo parole tra loro, sebbene quelle non dette avessero poi pesato a lungo sull’animo di entrambi.
 
“È successo davvero… Mi sembra un sogno”.
 
“Tornerò presto, Rosa. Te lo prometto”.
E poi era ripartito, rapido com’era arrivato, ma questa volta sarebbe stato diverso.
Questa volta Rosie sapeva bene dove fosse diretto, con chi…
E soprattutto perché.
 
“Resisti, Diamante. Presto ci sbarazzeremo una volta per tutte di quel Lotho Pustola o di chiunque altro vi sia lassù. Tutto tornerà come prima… E quando sarai finalmente libera, nessuno ti salverà dalla mia sfuriata. Ah! Ti meriti una lavata di capo senza precedenti per tutte le preoccupazioni che mi hai dato!”
 
Ma a quelle parole non riusciva a credere nemmeno lei per prima.
Sì conosceva e conosceva Diamante: non sarebbe riuscita a rimanere arrabbiata con quella ragazza per più di mezzo secondo.
Non era mai successo in passato, nelle condizioni avverse che avevano dovuto sopportare. Non sarebbe accaduto certamente ora, quando tutto finalmente era sulla buona strada per sistemarsi.
 
Rosie sentì la tensione abbandonarla e un dolce torpore avvolgerle il corpo.
Si lasciò scivolare su una poltrona, chiudendo gli occhi, serena.
Quando sua madre più tardi entrò a controllare, la trovò profondamente addormentata.
La sua mente non aveva smesso un secondo, nemmeno nel sonno, di pensare all’amica.
 
 
                                              
 
“Ma cos’è tutto questo trambusto? Possibile che non si possano avere nemmeno cinque minuti di silenzio in questa casa?!”
 
La voce di Tolman Cotton era piena di esasperazione e avrebbe certamente spaventato un estraneo, ma Rosie conosceva abbastanza bene suo padre, da sapere che in realtà fosse più esausto che arrabbiato. Gli ultimi giorni erano stati pieni di preoccupazioni, per tutti loro.
 
“Sembrerebbero i tuoi figli, mio caro”, rispose sua moglie, con un sorriso indulgente.
E aveva ragione.
I fratelli di Rosie, infatti, entrarono poco dopo in salotto, rossi in viso e col fiato corto.
Nibs si piegò sulle ginocchia, ansimando.
“Ro- Rosie” rantolò, “L’hanno presa! Hanno preso anche lei!”
La Hobbit scattò in piedi in un battibaleno, mentre il suo cuore cominciava a battere all’impazzata.
 
“C-chi?” chiese con voce tremante, ma dentro di sé sapeva già la risposta.
 
“Diamante”.
 
 
 
“Rosie!”
“Sorellina, fermati!”
“Non puoi fare nulla, lo capisci?”
 
Non poteva essere vero. Non ci avrebbe creduto fino a quando non lo avesse visto di persona. E perfino in quel caso non avrebbe mai lasciato che-
 
Forti braccia le circondarono la vita, bloccandola, e tirandola contro un ampio petto.
“Calmati, figliola”.
 
Vi prego, lasciatemi andare.
 
“Coraggio piccola mia, asciughiamo queste lacrime” .
 
Lacrime? Quando aveva iniziato a piangere?
 
“Meglio tornare in casa, adesso”.
 
Casa… Diamante potrebbe non rivederla più, una casa…
 
 
“Quando siamo arrivati la stavano già portando via. Mi dispiace davvero, Rosie, sai che l’avremmo aiutata se fosse stato possibile, ma così avremmo solo rischiato…”
 
“Di farvi rinchiudere anche voi”, terminò la giovane, “Lo so bene, non potrei mai biasimarvi”.
 
“Che motivazione hanno usato questa volta?” ringhiò Tolman.
Il vecchio Hobbit aveva le mani strette a pugno, per cercare di placare, o forse nascondere, i tremiti della rabbia.
 
“Non ce l’hanno detto. ‘Toglietevi di mezzo se non volete che il Capo prenda provvedimenti’. Questo è tutto quello che abbiamo ottenuto”.
 
“Cani vigliacchi… Ora se la prendono perfino con le ragazzine. Se solo fossi più giovane, o la gente mi desse retta…”
 
“Tolman!”
La voce di Lily Cotton, un tempo Brown, era carica di terrore, “Non li voglio nemmeno sentire certi discorsi. Nibs e Jolly hanno già corso fin troppi rischi, facendo una semplice domanda. Non ne parleremo più, sono stata chiara?”
 
Suo marito assentì col capo: “Non sono io quello che devi convincere”, e lanciò un’occhiata significativa verso Rosie, che al momento parevo essersi estraniata dal mondo.
Si era allontanata e fissava il fuoco nel caminetto, con negli occhi un qualcosa di spaventosamente simile all’apatia.
 
Lily abbassò la voce: “Se ne farà una ragione” mormorò con profonda amarezza, “Cos’era Diamante per lei, se non una compagna di merende?”.
“Lily! Come puoi dire una cosa del genere?! E parlarne al passato poi, come se fosse già morta” sibilò l’altro.
“Credi che mi faccia piacere? Che mi crei diletto comportarmi in questo modo?” la voce della Hobbit s’incrinò ed essa si accasciò contro il petto di suo marito: “Voglio solo che nostra figlia sia al sicuro! Non lo sopporterei se le dovesse accadere qualcosa! E non voglio che soffra come quando è partito Samvise. Ti prego marito mio, ti prego, non lasciare che faccia sciocchezze…”
 
“Shh, tesoro mio, shhh…” Tolman si addolcì all’istante nel vedere la moglie così preoccupata.
La strinse forte a sé, tracciando dei piccoli cerchi sulla sua schiena, nel tentativo di calmarla: “Te lo prometto, Rosie sarà al sicuro… E sono certo che hai ragione tu, il loro legame non doveva essere poi così stretto…”.
 
Nessuno dei due si accorse che la figlia si era avvicinata di soppiatto e aveva udito buona parte di quella conversazione.
Il suo comportamento nei giorni seguenti fu quello di una persona che aveva ormai accettato la cosa.
Così quando cominciò spesso a uscire per portare qualche cibaria al vecchio Ham Gamgee, nessuno in casa Cotton si fece troppe domande.
 
          
 
“…nessuno verrà mai a saperlo, Bart… Te ne prego, io so perché fai tutto questo, so che non è colpa tua…”
 
“… troppo pericoloso, che cosa ci fai qui?! Ti credevo più assennata di me…”
 
“… se hai pensato anche solo per un secondo che ti avrei lasciata da sola in questo posto, allora…”
 
“… la tua famiglia! I tuoi fratelli…”
 
“… non sanno nulla né devono saperlo…”
 
“… ho solo rubato alcune carote dal vecchio Hob, non ti devi crucciare, davvero…”
 
“… sei venuta anche oggi! Oh, Rosie!”
 
Rosie…
 
Rosie…
 
Rosie!
 
“Bambina mia, svegliati!”
 
La Hobbit si stiracchiò, aprendo gli occhi di scatto.
Sua madre la stava scuotendo gentilmente, e il suo viso rubicondo era illuminato dalla gioia.
 
"Cosa succede?" chiese la giovane, confusa e con la voce impastata, "Ma... ma quanto ho dormito?"
“Quasi un giorno. Eri stremata, mia povera bambina… Coraggio, vai a darti una rassettata. C’è Samvise di là”.
“Sam!”
Il cuore di Rosie batté all’impazzata: “È già tornato!”
“Sì”, il sorriso di Lily era dolcissimo, “E ha una splendida notizia da darti”.
 
C’è solo una cosa che vorrei sentire in questo momento. Se fosse… oh cielo, se fosse, se fosse!
 
Si sciacquò il viso e si diede una passata veloce di spazzola, cercando di dare un minimo di ordine alla sua criniera dorata.
Quando raggiunse l’ingresso Sam era lì ad aspettarla, raggiante.
E non appena la vide, disse le tre parole che Rosie più agognava di sentire al mondo:
 
“Diamante è libera”.
 
 
 
 
 
 




Deposito Barili:
 
Deheehhehehe!
Alura bella gente ^^: ce l’avessimo fatta! Finalmente la povera Diamante è stata liberata. Indovinate un po’ da chi. Difficile, nevvero? Puahaahahhaahha.
Avrei voluto mettere come titolo “Finalmente libera”, ma avrei spoilerato tutto il capitolo già all’inizio ^^”. Così ne ho scelto uno che descrivesse il flash back iniziale, perché me ne sono innamorata ^O^ (nd Benni).
Speriamo di aver accontentato chi voleva un po’ di Pipino xD, anche se è apparso più che altro nei ricordi. Ma non solo <3. Eeeeeh che volete farci, si fa desiderare quel Tuc… ma avrete presto la descrizione del salvataggio. Promise.
 
Grazie a tutti quelli che leggono, seguono, preferiscono, recensiscono o passano di qui per sbaglio ^^.
Love you all, alla prossima!
 
Benni e Cris

 
 

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Capitolo 9
*** La fine di un incubo ***






La fine di un incubo.

 
Il luogo dove erano stati trasferiti gli Hobbit liberati dalle Cellechiuse era un’ala in disuso del museo di Pietraforata.
L’unico posto abbastanza grande per raccogliere tutte quelle persone bisognose di cure e attenzioni.
Vi erano state predisposte decine di giacigli, e il fuoco era stato acceso nel vecchio camino in fondo alla sala.
Diversi Hobbit si muovevano avanti e indietro, affaccendati, chi portando cibo, chi portando medicazioni, e chi semplicemente recando conforto, con parole amorevoli e la propria presenza.
Fortunatamente, quando i Viaggiatori –così la gente chiamava ora il signor Baggins e i suoi compagni- erano finalmente giunti alle Celle, non vi era stata eccessiva resistenza da parte dei Guardiacontea lì presenti. E tutti erano stati oltremodo sollevati nel constatare che non vi fossero feriti eccessivamente gravi. Le ingiurie più comuni erano dovute alla malnutrizione, o, in alcuni casi, addirittura a principi di inedia. Ma fortunatamente nulla che un po’ di riposo e pasti salutari e frequenti non potessero curare celermente, e in maniera definitiva.
Vi era però. ahimè, la tipica eccezione che, come dicono i più saggi tra gli Hobbit, conferma la regola.
O meglio in questo caso, le eccezioni erano due, ed entrambe persone assai care a Rosie Cotton.
 
La giovane, dopo il ritorno di Samvise, era corsa più in fretta che aveva potuto a Pietraforata, accompagnata sia da lui, che da sua madre. Là si erano riuniti col resto della famiglia.
Gli occhi di Rosie avevano saettato in giro per la sala, fino ad andare a posarsi, finalmente, su una figura ben nota.
 
Diamante era sdraiata su un giaciglio di paglia, e attorno a lei gli Hobbit guaritori si affannavano quasi più che su ogni altro. Aveva escoriazioni un po’ su ogni parte del corpo, ma la più brutta e preoccupante sembrava essere quella sulla caviglia sinistra.
Non c’era da stupirsene, visto il tempo per cui era rimasta incatenata.
Per qualche assurdo motivo però, non vi era traccia d’infezione, o cancrena, e tutti sembravano ottimisti nel dire che Diamante sarebbe presto tornata a saltellare come una lepre.
 
“Tu!”
 
L’urlo di Rosie le procurò l’attenzione di tutti, ma la ragazza una volta tanto non parve curarsene.
Diamante le fece un sorrisino a metà tra il divertito e il colpevole.
 
“Tu, razza di incosciente! Sconsiderata ragazzina che non sei altro!”
 
A ogni parola Rosie si faceva sempre più vicina, percorrendo lo spazio che le separava a grandi falcate.
 
“Quanti capelli bianchi, ah!, per colpa tua! Diamante di Lungo Squarcio, la più sciocca e avventata tra le Hobbit che abbia mai conosciut-”
 
Ma l’altra, saltando in piedi a dispetto delle lamentele dei guaritori, la mise tosto a tacere con un grandioso abbraccio.
 
 
                                                   
                                                     ****
“Ed è per questo che non te l’ho detto! Non potevo rischiare di metterti in pericolo, Rosie, sai che non potevo! E tu avresti fatto lo stesso per me, non negarlo”.
 
Finalmente l’amica le aveva raccontato il vero motivo per cui era stata rinchiusa: sebbene non lo avesse mai avuto in simpatia, Rosie era rimasta comunque scioccata nell’apprendere della morte di Lotho Pustola.
 
La povera Lobelia quasi non aveva voluto crederci, inizialmente, e ora piangeva disperata non molto distante, circondata da alcuni parenti Serracinta. Era stata la prima Hobbit a venire liberata dalle Cellechiuse, e al suo apparire sulla soglia era stata accolta da un fortissimo scroscio di applausi.
“Puoi perdonarmi?”
La domanda di Diamante la riscosse.
Rosie non si fidava della sua voce, non ancora, perciò come risposta strinse nuovamente a sé l’amica, carezzandole teneramente i riccioli scuri.
 
Da sopra la sua spalla vide una scena che le scaldò il cuore.
Nell’angolo opposto, giaceva infatti il giovane Bart.
Tra le braccia lo Hobbit stringeva una bambina dalla chioma castana, mentre quella che aveva tutta l’aria di essere sua moglie gli stava fasciando amorevolmente le ferite.
Bart era, con ogni probabilità, quello ridotto peggio di tutti, lì dentro.
Diamante aveva raccontato di come avesse cercato di aiutarla a scappare, e fosse stato scoperto. Come ricompensa, il poverino era stato portato in una cella isolata da tutte le altre e lì… Rosie non voleva pensare a cosa gli avessero fatto. I tagli e gli ematomi parlavano già per conto loro, ma la fanciulla si rifiutava di credere che fosse stato uno Hobbit, persino uno dei più corrotti, a fare ciò. Doveva essere opera di qualcuno degli Uomini di Sharkey.
L’avrebbero pagata, tutti. Così le aveva promesso Sam.
E difatti molti di loro erano morti, in quella che sarebbe stata conosciuta negli anni futuri come la Battaglia di Lungacque.
 
Mentre continuava a vezzeggiare e confortare Diamante, Rosie notò i suoi fratelli avvicinarsi al lettuccio di Bart.
Un groppo le chiuse la gola quando essi si abbassarono al livello del giovane, per stringerlo fra le braccia. Non poté sentire le loro parole, ma era certa che sapessero di scuse e di perdono.
Del bene che nasceva dal male.
Di un’amicizia che risorgeva dalle sue ceneri.
 
In prossimità del camino si trovava invece il vecchio Doderic. Lo Hobbit era impegnato a canticchiare tra sé, ma di tanto in tanto s’interrompeva, ridendo per motivi noti probabilmente solo a lui. Ham Gamgee gli andò presto a far compagnia, portandogli una tazza di stufato bollente.
 
“Chi ti ha trovata, Diamante?” chiese Rosie, tornando a rivolgere la sua attenzione all’amica, “E’ stato lui, non è vero?”
 
L’altra assentì, insolitamente timida, prima di ribattere con aria furba: “E chi è stato ad avvertirti che ero stata liberata? Lui, non è vero?”
 
Ah, Diamante! Mi devi sempre rendere pan per focaccia, non è vero? Quanto mi è mancato tutto ciò…
 
“Sono così lieta, amica mia” ridacchiò Rosie, ma il suo tono era serio, “Così lieta che la prigionia non abbia spento quella scintilla che tanto amo in te”.
 
“E’ solo grazie a te, se è rimasta viva”, sorrise Diamante, “Le tue visite mi hanno salvata, Rosie Cotton. E non ti sarò mai abbastanza grata per questo”.
Come pure i suoi ricordi di Pipino, ma quello Diamante non lo avrebbe mai ammesso. Non ad alta voce, almeno.
 
“Queste dolci parole mi lusingano”, la canzonò Rosie, cercando di non cedere all’emozione che minacciava nuovamente di sopraffarla, “Quindi ti premierò rispondendoti, e ignorando la tua maleducazione nel ribattere a una domanda con un’altra domanda. Sì, è stato Sam a informarmi. E a portarmi qui”.
 
Diamante inarcò un sopracciglio, chiaramente allusivo, e Rosie scoppiò nuovamente a ridere, scompigliandole i capelli: “Di più non dirò, razza di birbante maliziosa! Prima di tutto non te lo meriti, e in secondo luogo sarebbe sconveniente!”
Ma il suo tono allegro e il rossore sulle guance la dicevano comunque lunga, Rosie lo sapeva bene.
 
“Ah, molto bene, tieniti pure i dettagli succosi per te” borbottò Diamante, con una nota divertita. “Ma presto ti farò parlare, cara la mia Rosie. Ho anch’io i miei metodi di persuasione, lo sai”.
 
Oh, Rosie lo sapeva fin troppo bene, ma ancora per qualche giorno la giovane di Lungo Squarcio non sarebbe stata abbastanza in forze da agguantarla per farle il solletico, e quelle minacce avevano lo stessa consistenza dei miagolii indignati di Rufus.
 
La ragazza celò per bene quei pensieri dietro un sorriso soddisfatto, ben lungi dal far trapelare qualcosa.
 
“Diamante… mi dispiace non essere riuscita a tornare”, biascicò di punto in bianco, abbassando il viso, come se si vergognasse, “Temo che ti spetti come trofeo la coda di un certo gatto…”
E scherzava solamente a metà.
 
“Rosie”, Diamante le sollevò il mento con due dita, “Non ti ho mai incolpata di nulla, amica mia. So che hai fatto del tuo meglio. Se fossi tornata non avresti avuto l’appoggio di Bart, e saresti probabilmente finita in una cella accanto alla mia. Pensi forse che fosse questo ciò che volevo?”
 
La risposta era ovvia, difatti nessuna delle due disse nulla.
 
“Grazie”, mormorò infine Rosie, commossa.
“E di cosa? C’è davvero ben poco di cui dovresti ringraziarm-”
“Ci sono così tante cose che neanche immagini, invece. Ma prima di tutto grazie per non avermi mai lasciata sola a sperare”.
Diamante distese i lineamenti in un’espressione dolcissima e affettuosa: “Ci sarò sempre per te, Rosie Cotton”.
“E io per te. Ma adesso dimmi”, e il tono di Rosie tornò a essere quello allegro di sempre, “Dove si è cacciato il tuo salvatore? Mi aspettavo di trovarlo qui, al tuo capezzale”.
“Oh sai. Disordini da sistemare, disastri da ripulire... Quell’idiota”, mugugnò l’altra.
Rosie rise di gusto.
“Avanti, raccontami. Voglio sapere tutto”
 
                                        ****
 
Aprire gli occhi le faceva ancora male ma riusciva chiaramente a percepire delle voci, adesso.
Sentiva tutto il corpo intorpidito e dolorante ma, ne era più che convinta, si stava muovendo.
Tentò di combattere quello stato di debolezza: di sicuro si trattava di uno sforzo non da poco ma tutto quello che riuscì a comunicare fu un lamento con le labbra.
 
“Diamante resisti, non ti permetto di lasciarmi proprio adesso. Sono sopravvissuto a una conversazione tra Ent – io – tu puoi sopravvivere a questo. Io lo so!”
 
Quella voce si instaurò dentro il suo petto in una maniera così forte da farle venire da piangere.
Tentò di nuovo di aprire gli occhi ma lo trovava troppo complicato.
Forse aveva paura che si trattasse dell'ennesimo sogno.
Aveva sentito il rumore metallico di una catena che viene aperta e qualcuno prenderla tra le braccia, dirle qualcosa e issarla dal pavimento.
L'acqua fresca sulle labbra e – sì lo ricordava bene – la voce di Doderic cantare vittorioso ai Cavalieri della Contea.
Poteva davvero essere tutto così remoto e onirico? La sua mente si stava aggrappando a quella speranza solo per distoglierla da qualcosa di ben più grave?
 
“Adesso usciamo da qui. Resist-”
“...Perché Pipino? Perché mi hai lasciato...?”
Diamante aveva ancora gli occhi chiusi, continuava a far ciondolare la testa da un lato all'altro, ed era in procinto di un pianto carico di tutto il dolore accumulato fino ad allora.
Sentì delle mani sul proprio viso e, in quel momento, ricordò tutto.
Come un lampo che squarcia il cielo terso.
La prima volta che lo aveva sentito ridere. Quando erano caduti in un rovo puntuto. Quando avevano rubato il barile di uva del signor Tronfipiede. La festa di Bilbo. Il suo volto nella grotta sotto il Fiume. Il tramonto sopra il colle la sera in cui Pipino era sparito nel suo lungo viaggio.
“Non ti ho lasciato. Nessun sentiero tortuoso, o foresta o avventura avrebbe mai potuto tenermi lontano da casa per sempre.”
“Tu...tu...” Diamante provò a parlare di nuovo e le labbra le si piegarono. “...Smettila di entrare nei miei sogni. Non riesco più a capire cosa sia reale e cosa non...non-”
Ma Pipino si slanciò in avanti e la strinse in un forte abbraccio, chiudendo gli occhi.
Lo percepì così intenso che non riuscì più a trattenersi.
Pianse, a dirotto, trovando la forza di alzare le braccia e stringerlo forte a sé.
Sentì la sua armatura, premere contro il suo corpo che sembrava così diverso dall'ultima volta.
Sentì l'odore dell'erba pipa e dell'acqua buona. Il suo respiro e il calore che, ora, non era più così soffocante.
“Adesso sono qui e avrò cura di te, Diamante.”
Lei ancora singhiozzava ma alzò il volto verso di lui e, finalmente, aprì gli occhi.
Nel vedere il suo viso – la sua solita faccia sciocca – le venne subito da sorridere, tra le lacrime, e quasi sembrava una bambina.
Lui le si avvicinò chinando il capo lentamente, dandole un leggero bacio sulla fronte, tra i ricci scuri e sporchi di polvere.
“Sei...”
“Sono?”  Pipino si sporse un po', avvicinando il volto a quello dell'amica.
“Sei alto.”
Pipino fece un sorriso ebete ma estremamente consapevole. Annuì senza rispondere e arricciò il naso, come una piccola lepre.
“E hai un'armatura...”
Continuò ad annuire con il sorriso sulle labbra, senza rispondere.
Diamante si soffermò a lungo a fissarlo negli occhi, tanto da avere il coraggio di alzare le dita e accarezzargli gli zigomi con le punte dei polpastrelli. Quel gesto alimentò in lei una pace infinita.
“Ma i tuoi occhi sono...diversi. Hai visto tante cose, Peregrino Tuc, in questo viaggio. C'è forse...speranza che tu sia tornato più saggio e più responsabile?”
“Oh bè. Ci volevano persone intelligenti per questa specie di miss-...cosa.”
Diamante allargò le labbra e cominciò a ridere. Rise così tanto di gusto da dimenticare, per un secondo, tutto il dolore e la tristezza di quei giorni difficili.
Avrebbe voluto dirgli tante cose, insultarlo magari. E anche dargli qualche bello scappellotto sui ricci scombinati, ma si limitò a fissarlo con ancora il sorriso pieno.
 
“Ma adesso” Pipino si toccò la punta del naso “ti devo portare via da qui. Sei ferita, hai bisogno di cure e...”
“Aspetta! Dobbiamo trovare Bart...Bart Serracinta. Lui, oh Pipino, lui ha cercato di aiutarmi. Sarà così contento di vederti, lui lo ha fatto per te e...”
Si era messa a camminare nel tunnel ma le gambe le cedettero quasi subito. Pipino subito le fu dietro, prendendola per i fianchi.
“Bart sta bene! Merry lo ha trovato, dopo che siamo arrivati alle Celle. Lo hanno portato al museo di Pietraforata, stanno portando tutti lì.”
“Sta bene?” Sorrise di piena gioia, voltandosi a guardarlo. “Non lo hanno uc...”
“No. Avrà bisogno di tante cure, ma si riprenderà.”
“E Doderic? E...”
“Tutti bene. I miei parenti non si erano lasciati sopraffare da nessuno. Abbiamo ancora le nostre terre, non mi ci è voluto proprio niente per convincerli a combattere per la salvezza della Contea.”
“Doderic lo diceva. Il vecchio Conte non è mai stato stupido.” Mormorò Diamante, aggrappandosi a lui.
“Infatti, buon sangue non mente mai!”
Diamante avrebbe voluto ribattere ma decise di non sprecare altro fiato, per ora.
 
Fu allora che si concentrò, finalmente, sul resto di quelle Celle.
Erano state tutte aperte. Alcuni Guardiacontea stavano piangendo e ringraziavano gli Hobbit salvatori, inginocchiati e ormai spogli da quella tirannia che avevano dovuto subire per paura.
C'era stato del fumo e se ne accorse man mano che si avvicinarono all'uscita.
Alcuni Uomini erano stati uccisi e molte piante ancora bruciavano, alimentando un calore intenso tra le mura.
Ma questo Diamante lo percepì in modo molto distante.
La sua mente, i suoi occhi, la sua intera essenza era deviata da un unico e incessante desiderio.
Rivedere la luce del Sole.
Rivedere la sua Contea, anche se ora era morta e spenta.
Rivedere i volti degli Hobbit e i loro sorrisi pieni di speranza.
E, dopo un'assenza che sembrava soffocante come la mancanza dell'aria, avrebbe potuto stringere a sé la sua Rosie.
Non vedeva l'ora di rincontrarla, di commuoversi per il suo sorriso dolce e protettivo, di sentire nuovamente la sua voce.
Chiuse gli occhi e le gambe le tremarono per l'emozione, tanto da sentirsi ancora sopraffatta da tutto quello.
 
Non appena uscirono da quella prigione alzò gli occhi al cielo e dei timidi raggi del sole filtrarono attraverso delle nubi grigie.
Invasero piccoli tappeti d'erba grigia, colorandola un poco, facendo crescere la nostalgia d'un odore che nessuno avrebbe mai dimenticato.
Un gruppo di Hobbit stavano correndo da una parte all'altra; alcuni ancora trasportavano i feriti.
Non ce la fece; le gambe le cedettero del tutto e perse di nuovo i sensi.
 
 
 
 
 
Quando si risvegliò aveva davanti al naso almeno cinque o sei volti paffuti intenti a fissarla.
Alcuni la stavano medicando. Altri le stavano preparando un infuso di erbe dall'odore un po' troppo forte.
L'ala in disuso era così colma di Hobbit che le ricordò il mercato del mattino; solo un mercato pieno di Hobbit un po' malconci.
Un po' come dopo le loro sagre di vino e porchetta.
“La prego, signora, di non azzardare a ungermi con quelle miscele elfiche. Ah – ma io lo sapevo – ci si ritrova sempre a dover condividere con creature della terra così antiche che quasi non sai se son buone o malvagie.”
“Signor Doderic Brandibuck, la prego, non è una miscela elfica. E' solo zuppa di patate, deve mangiare.”
“Fandonie! Le patate le coltivo io con le mie mani – guai se ora mi ritrovo pure a elemosinare tuberi. Per tutti i mirtilli.”
“Basta, io ci rinuncio!”
Una donna Hobbit, dall'aria molto trafelata, gli lasciò lì la ciotola di zuppa e s'allontanò con le mani per aria.
“Però un buon bicchiere di vino del Decumano Sud lo prendo volentieri.”
Diamante non sapeva se ridere o piangere per tutto quello. Si sentiva stranamente a disagio ma, adesso, non soffriva più la sete. Aveva veramente tanta fame, in compenso. Per non parlare dei dolori fisici che, ora più che mai, si facevano sentire completamente.
Cercò con lo sguardo Bart Serracinta ma lo vide dormiente, sul baldacchino vicino, con un altro gruppo di Hobbit intenti a curarlo.
Le si strinse il cuore e provò a concentrarsi su altro, ma tutti lì intorno facevano un gran baccano.
 
“Ti fa male se schiaccio qui?”
“Certo che le fai male, fasciale quella ferita.”
“Non ho più garze!”
“Hai preparato la miscela che ti ho chiesto?”
“Lo doveva fare Petunia. Dov'è finita?”
“Ma chi è Petunia?”
“Oh ma lasciatela respirare, questa povera ragazza, siete peggio degli avvoltoi!”
“Signor Doderic, la prego, stia quieto.”
“Ma che quieto: qua c'è bisogno di cantare!”
“Oh no, ecco che ricomincia...” Un giovane Hobbit scosse la testa e Diamante stava quasi per scoppiare a ridere quando, come uccellini di campo, furono tutti allontanati da un'altra voce.
 
“Via via via! Fatemi spazio! Finalmente ti sei svegliata! Eccomi qua!”
Pipino era riuscito a scacciare quasi tutti lì intorno, aveva tra le mani una bella ciotola di qualcosa di fumante e d'un profumo ottimo. O almeno era quello che lei aveva percepito.
Lui non fece nemmeno in tempo ad appoggiarlo sul piccolo tavolino che lei si era avventata sul cibo, mangiando con avidità.
“Attenta che scott-”
“Aaah, brufiaaa!”
“Non dovresti abbuffarti così sul cibo, sai?”
“Senfi chi pafla.”
Pipino fece una smorfia e si sedette sul letto, porgendole un po' d'acqua fresca. Rimasero in silenzio per qualche minuto, mentre lei mangiava e lui la osservava farlo.
Alla fine erano riusciti a rimanere, più o meno, in tranquillità, a parte qualche piccolo disturbo da parte di Hobbit che la controllavano di tanto in tanto.
Diamante sembrava impaziente, e lo era da un lato.
Stava aspettando la venuta di Rosie.
Pipino l'aveva informata che Sam – proprio il Sam di Rosie – era andata ad avvisarla.
Oh, già la immaginava tutta trafelata e forse anche un po' troppo preoccupata. Ma con gli occhi felici. E il rossore sulle guance.
La immaginava col cuore impazzito per la venuta di Samvise e non vedeva l'ora di stuzzicarla in merito a quello.
Era il loro modo di volersi bene, d'altronde.
 
“Ora devo andare.”
Diamante si voltò di scatto verso Pipino. Doveva aver assunto un'espressione stranita perché lui, quasi d'istinto, le prese la mano.
Quel gesto non lo reputò nemmeno così strano, le sembrava così naturale e genuino da non farle provare alcun disagio.
“Torno, te lo prometto. Devo sistemare un po' di cose, sai disordini da risolvere – è tutta colpa di Merry, lo giuro. Eh insomma, c'è tanto da fare qui, e ora che so che stai bene non posso aspettare.”
“Pipino...” Diamante cominciò, con un sorriso docile “sei proprio diventato un Eroe. Chi lo avrebbe mai detto? Sì, forse io lo avrei fatto molto meglio di te m-”
Non fece in tempo a finire la frase che Pipino, senza alcun tipo di avviso, si era avvicinato a lei.
Aveva sentito un calore profondo dal petto e poi aveva chiuso gli occhi, al contatto delle labbra sulle sue.
Si stavano baciando, e a lei tornarono le lacrime agli occhi.
Ma questa volta non di dolore.
Allungò le dita della mano libera per afferrargli la tunica e stringerla e lui fece lo stesso con quel contatto.
Quando si staccarono erano entrambi rossi in volto e tenevano lo sguardo basso.
“...sono felice di essere finalmente tornato, Diamante.”
Lei sorrise di gioia a quella frase e chiuse gli occhi. Lo sentì sgusciare via dalle proprie dita, poi avvertì qualcosa tra esse.
Abbassò lo sguardo e lo vide.
Il sassolino. Lui doveva averlo ripreso poco prima di liberarla.
Fu invasa di nuovo da qualcosa di troppo forte da poterlo controllare; l'intero corpo ne era consapevole.
Lui l'aveva salvata e di quello non gli sarebbe mai stata grata abbastanza.
“Pipino?”
Cercò di bloccarlo all'ultimo e alzò lo sguardo verso di lui. Il Tuc si voltò di scatto verso di lei.
Era proprio vero che era diverso, adesso.
Oltre ad essere più alto, sembrava anche cresciuto. Covava dentro di sé qualcosa che lei, forse, non avrebbe mai capito fino in fondo.
Aveva vissuto il vero dolore e la vera gioia. Aveva visto persone morire. Aveva visto il puro male e l'aveva affrontato con coraggio.
Chissà se questo viaggio gli aveva permesso di cantare le sue canzoni? Se la Contea era sempre stata verde e rigogliosa nei suoi ricordi?
Se aveva pensato a lei?
...ammettilo, sei tornato solo perché hai finito l'erba pipa..”
Lui alzò le spalle e sorrise di gusto, allargando le braccia.
“Mi hai scoperto.”
La guardò ancora un istante prima di allontanarsi dalla sala.
Sì, adesso ne era sicura, amava quell'idiota.
 

 
 
 






Deposito Barili:
Per prima cosa, scusate il ritardooooooooo >.> Benni si prende tutta la colpa: il capitolo era pronto, ma non avevo finito le risposte alle recensioni.
Ma siamo sicure che ci perdonerete dopo il nostro nuovo capitolo preferito ^O^. Vero? Vero? Veroooooooo?
Buhaahhaahhaahhahah!
Che dire………. Non vediamo l’ora di sapere che ne pensate, questo è un po’ il clue di tutto tuttissimo.
Secondo i nostri calcoli mancano solo due chapter (uno + epilogo…). Noi tanto tristi çç, ma anche soddisfatte.
Lasciamo vobis la parola ghghghgh.
Grazie come sempre a lettori, recensori, seguitori, preferitori e passatori di qui per sbaglio ^^, voi essere nostra gioia!!
Bacioni!
 
Benni e Cris.

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Capitolo 10
*** Una grande novità ***






Una grande novità.
 
 
 
Sam, come Rosie aveva facilmente predetto tempo prima, era rimasto devastato per la perdita degli alberi, e in particolare per quello della Festa.
Perché le case si potevano ricostruire, le strade ripulire e i campi riseminare.
Ma gli alberi… con gli alberi non sarebbe stato così semplice.
Avrebbe richiesto tempo, pazienza e fatica, la loro rinascita. E la loro mancanza pesava più di ogni altra cosa, soprattutto nell’animo di un giardiniere.
 
Accadde però un giorno, che Rosie vide il suo Samvise confabulare con Frodo Baggins, e fra le mani stringeva una scatola di legno.
Si trattava di un contenitore dalla fattura assai semplice, come se ne potevano trovare anche nella Contea, ma ciò che lo differenziava era un’incisione dorata sul coperchio.
L’intaglio non era in Elfico, come Rosie si sarebbe in qualche strana maniera aspettata, bensì nella Lingua Corrente, e rappresentava la lettera G.
 
“G come grandioso” fu il primo pensiero che le si affacciò alla mente, e sorrise da sola, perché quella era la frase che erano soliti dire i bambini, ogniqualvolta che il vecchio Gandalf faceva il suo arrivo ad Hobbiville. E tante volte nella sua infanzia l’aveva pronunciata lei stessa.
Seppe solo più tardi il vero significato di quell’iniziale, e con stupore scoprì inoltre che la persona a cui apparteneva, era effettivamente collegata anche a Gandalf.
 
Sam fece diverse escursioni per tutti e quattro i Decumani, scegliendo con cura i posti dove gli alberi erano stati abbattuti in maggior misura, e in ognuno di essi sparse con dovizia la polvere contenuta nella piccola scatola.
Quando essa finì, ciò che rimase nel contenitore fu qualcosa che Rosie mai aveva visto prima di allora: una sorta di piccola noce dorata.
Nessuno fra coloro che la videro seppe dire che tipo di seme fosse. Nemmeno Frodo, che tra tutti era certo il più erudito. E il popolo della Contea dovette aspettare la Primavera perché la propria curiosità venisse saziata.
Come vivaio per quel chicco così particolare, Sam scelse proprio la collocazione dell’Albero della Festa, e quando la nuova pianta fiorì, i primi giorni di Aprile, si scoprì essere un Mallorn.
 
Ovviamente Rosie non aveva mai udito quel nome, ma Sam le raccontò di aver visto quella piccola meraviglia nel corso del suo viaggio. Essa era simile a una betulla, ma dalla corteccia più liscia, e argentata. Le sue giovani foglie avevano lo stesso colore del Sole, quando è in procinto di tramontare.
Tutti gli Hobbit si fermavano incantati a guardarla, quando capitava loro di passarvi vicino, e ogni volta un sentimento improvviso di pace si faceva largo nei loro animi.
Rosie si scoprì le guance bagnate, la prima volta che si recò ad ammirarla.
Era in compagnia di Diamante e le due si tenevano teneramente per mano.
 
La guarigione era finalmente giunta a termine e il 1420 fu in tutto e per tutto un anno meraviglioso per la Contea e i suoi abitanti.
 
                    
                  ****
“Dove stiamo andando?”
Rosie aveva un sorriso nella voce e sulle labbra e Sam si fermò incantato a guardarla, per pochi secondi.
 
Si era recato quella stessa mattina a casa sua, strappandola ai suoi doveri e chiedendole di seguirla.
Rosie si era alzata perplessa dalla sedia, abbandonando la sciarpa che stava cucendo, e raggiungendolo sulla soglia.
Sam le aveva coperto gli occhi con una benda: le sue mani avevano tremato appena a contatto con la pelle vellutata del viso della giovane Hobbit.
 
“Ancora un attimo di pazienza”, rispose Samvise. Le prese entrambe le mani, per aiutarla a superare un piccolo rivo.
“Presto saprai tutto. Siamo quasi arrivati”.
 
Rosie non poté fare a meno di ridacchiare nel constatare quanto fosse effettivamente cambiato l’amico, persino nelle piccole cose quotidiane.
Una simile trovata non era da lui. In passato era sempre stato restio a toccarla, nonostante si conoscessero da sempre e fossero cresciuti insieme. Inoltre avrebbe risposto a ogni sua domanda senza esitare.
Questa era l’ulteriore dimostrazione di quanto quel viaggio lo avesse segnato.
A volte Rosie aveva nostalgia di quello che fra di sé aveva preso a chiamare ‘il vecchio Sam’. Nostalgia dei tempi passati, quando tutto era molto più semplice, e tutti e due loro ancora ingenui e in qualche maniera più innocenti.
Era bastato un anno appena a mutare le cose in maniera radicale e irreversibile, senza che fosse colpa di nessuno. Ciò che era passato era passato: non aveva senso nutrire rimpianti. Ciò che potevano e dovevano fare era trarre il meglio dal futuro innanzi a loro, che sembrava finalmente più luminoso che mai.
 
“Per la miseria, Sam! Comincio a essere stanca di questo mistero, ma dove diamine mi stai portan…”
 
Ma prima che potesse formulare quei pensieri ad alta voce, finalmente lo Hobbit le tolse la benda dagli occhi.
 
“Eccoci qui!” esclamò, “Ri-riconosci questo posto?”
 
Rosie si guardò intorno strizzando gli occhi: l’erba cresceva alta intorno a loro, e al centro di quella piccola radura si trovava un robusto Faggio.
Rivolse al giovane il più dolce dei sorrisi.
“Come non potrei”, rispose teneramente, “Quello è l’albero sul quale ti sei arrampicato per salvare Rufus”.
 
Sam arrossì: evidentemente non si aspettava che lei ricordasse tutto così prontamente, ma Rosie era sicura che ne fosse anche alquanto compiaciuto. Lo si poteva leggere nel suo sguardo.
 
“Sì esatto” borbottò lui, “Quel piccolo combina guai…”
 
“Sono tornata altre volte qui, sai Sam?” sfuggì a Rosie, “Quando… quando il tempo me lo permetteva, o la nostalgia era troppo intensa. Questo posto è sempre stato solamente mio… non l’ho mai diviso con nessuno, nemmeno con Diamante”.
 
“Anche io ci sono tornato, Rosa. Ci sono tornato moltissime volte, con la mente. Perché questo è stato il luogo dove avevo infine trovato il coraggio di dichiararmi… se non fosse stato per quella palla di pelo!”
 
“Sì” mormorò Rosie, prendendogli la mano, “Lo ricordo…”
 
“E quindi” continuò Sam, schiarendosi la gola e ricambiando la stretta, “Ora che ne ho finalmente la possibilità, e non ci sono altri felini qui intorno”, diede una veloce occhiata per sincerarsi delle sue parole, “Ho pensato che questo fosse il posto giusto per rimediare-no, anzi, per finire! Sì, per finire quello che avevo iniziato”.
 
Detto ciò s’inginocchiò innanzi a lei, senza mai distogliere lo sguardo o lasciarle la mano.
 
“Rosa Cotton” pronunziò con voce ferma e sicura, “Mia cara, carissima amica. La più straordinaria fra le Hobbit che abbia mai conosciuto. Sei stata la stella che mi ha riportato a casa, il volto che più di ogni altro spiccava nelle tenebre quando ripensavo alla Contea…”
 
Rosie sentiva il cuore batterle all’impazzata, ma allo stesso tempo avvertiva l’irrefrenabile desiderio di ridere.
Quanta poesia, Samvise! Questa è l’influenza degli Elfi, non c’è dubbio… come pure dei signori Bilbo e Frodo.
Ma ovviamente non disse nulla di tutto ciò, e pazientemente attese.
 
“So che pensi che questo sia stato un anno perso, anche se io non lo reputo tale. Ma non ho intenzione di farti aspettare un secondo di più. Sposiamoci Rosa. Domani, se vorrai. Ti prego, dimmi che diventerai mia”.
 
E la giovane non riuscì a trattenersi: nello stesso istante in cui Sam finì quell’appassionata richiesta gli si buttò al collo, ridendo, estasiata.
 
“Lo sono sempre stata” gli sussurrò all’orecchio, e non era altro che la pura verità.
 
 
 
Frodo Baggins fu la prima persona che Samvise informò della novità. Sulla sua faccia, quando diede l’annuncio, era ancora dipinto un sorriso incredulo.
In quanto a Rosie invece…
 
 
                              ****
 
 
Il vociare del piccolo mercato, a ridosso delle colline ondulate e verdi, era diventato per Diamante un suono ristoratore.
Da quando tutto era rinato, con l'arrivo della Primavera e dei quattro Hobbit che li avevano salvati, ogni dettaglio era pesato con sguardi e sensazioni forti. Ritrovare i verdi cammini e l'odore delle fragole mature, il suono dei carretti e delle risate dei più piccoli aveva allontanato tutta l'oscurità che erano stati costretti a subire.
Non era altro che un brutto ricordo, quasi uno dei sogni più tenebrosi, da cui sei contento di svegliarti.
Diamante era fermamente decisa a mantenere quella sensazione, in sé stessa, e ora mostrava benevolenza e vitalità in ogni lavoro che s'era decisa a compiere.
Non uno, bensì molti.
Nelle case, nei campi in fiore e, addirittura, a pescare con Doderic Brandibuck.
Nei giorni di sole, però, rimaneva al mercato, dedicandosi a un'attività commerciale.
Rosie, molte volte, le aveva detto che ormai aveva preso dimestichezza con così tanti mestieri che, prima o poi, l'avrebbe vista anche a imparare magie con il vecchio Gandalf.
 
“Non darmi queste idee”, aveva risposto lei e avevano riso insieme.
Ma il suo preferito, per quanto non amasse raccontarlo per compiacersene, era senz'altro il momento in cui portava dei piccoli Hobbit a fare escursioni vicino ai ruscelli argentati dei boschi.
Per una cosa sola, per quanto fosse azzardata, avrebbe ringraziato la sua prigionia nelle Celle Chiuse.
Aveva capito l'importanza delle storie.
Per mantenere vivida la speranza e far vivere in eterno gli Eroi che l'avevano vissuta e riportata.
E così raccontava dei cunicoli bui, del rumore del ferrame e delle risate gracchianti e i bambini l'ascoltavano – con gli occhi grandi e impauriti – fino a quando in quei cunicoli bui cominciavano a vedersi fiaccole di luce, e il rumore del ferrame diveniva il suono della pioggia sugli alberi dorati e le risate gracchianti fluivano via, verso le canzoni più belle.
Pipino era sempre con lei, in quei momenti.
E alla fine cantava, facendo danzare i bambini. Puntualmente poi, finiva sempre per prendere Diamante per mano e la costringeva a ballare anche lei.
E ogni canzone era una storia diversa. Parlava di Uomini d'Onore e di Padri Accecati.
Narrava di Alberi che parlavano e di Torri Nere. Di Miniere e di Creature di Fuoco.
E i bambini ne erano deliziati.
Ma Diamante lo era di più.
Il suo Pipino, per quanto fosse consapevole di essere cambiato, aveva mantenuto una certa purezza. Persino nelle sue canzoni essa faceva capolino, nonostante fossero condite da una strana malinconia.
C'era consapevolezza ma tutto era sopito sotto la sua più pura allegria. Ed era qualcosa che Diamante, in Pipino, avrebbe sempre amato.
 
Alle volte si azzardava anche lei a cantare – e i bambini non erano tanto contenti di questo – e l'unico argomento in grado di trasformare quella voce un po' altalenante in una, pressappoco, apprezzabile era solamente uno.
Sempre lo stesso.
Aveva un nome. Un volto e dei capelli chiari come il fieno.
Rosie.
La Hobbit sulla quale non avrebbe scommesso due monete, prima dell'Estate, ora era la sua Luce più genuina.
Persino Pipino non mostrava gelosie in questo.
In fondo, Diamante lo sapeva bene, la sua Rosie era Merry.
 
“Un giorno finiremo per sposarci con loro.”
Aveva scherzato Pipino una volta e lei aveva riso tantissimo. Il fatto che non l'avesse contrariato aveva alimentato nel figlio del Conte un certo cipiglio.
“Diamante... scherzavo.”
“Parla per te.”
Gli aveva dato una spintarella giocosa e lui l'aveva fatto di rimando.
Fra loro due le cose andavano molto bene ma non s'erano azzardati a dirsi ufficialmente legati. Non ne erano convinti, forse, o forse non avevano bisogno di render pubblico qualcosa che volevano mantenere integro e dolce solo per loro.
 
Gli unici che, di fatto, guardavano oltre l'apparenza delle cose erano senz'altro Rosie e Sam.
Ogni sera Diamante raggiungeva la casa dei Cotton e lì vi rimaneva ore e ore. Molte volte aveva trascinato Rosie per i sentieri illuminati dalle stelle, prendendola per mano, e le due giovani si raccontavano le loro giornate e i loro segreti.
E non importava se – così facendo – la portava via da Sam o da qualche faccenda o dalle coccole per Rufus.
Per quanto non volesse ammetterlo, si sentiva un po' egoista a rubare del tempo per trattenerla con sé.
 
E successe proprio in uno di quei momenti, mentre entrambe erano sedute su un rialzo della collina a guardare le casette illuminate e i camini accesi.
Per quanto fosse una Primavera calda, la sera v'era ancora bisogno di sentire il calore.
 
*******
 
 
“...e per sbaglio ho lanciato uno dei pomodori proprio in testa a Petunia.”
“Quante volte te lo devo dire che non devi lanciare le cose?”
Rosie si era sforzata di mantenere un tono un po' severo, ma stava cercando di non ridere.
Diamante aveva sfoderato una delle sue facce più buffe.
“Pensavo che fosse comodo, era oltre il carretto dei funghi.”
“Oh cielo...”
Questa volta Rosie non ce la fece, si mise la mano davanti alle labbra e rise di gusto.
Nel farlo ciondolò di lato, fino a strusciare la spalla contro quella dell'amica. L'altra fece lo stesso e tentò di spintonarla in modo scherzoso.
“Mi fa così tanto piacere vederti così, sai? Durante il giorno sembri sempre così affaccendata ma, credo, di non averti mai visto così felice come adesso.”
Rosie pronunciò quelle parole e lasciò appoggiare la guancia contro la spalla di Diamante.
Lei fece lo stesso, accoccolandosi appena.
“Sono felice. Lo sono davvero, Rosie.”
 
Per un tempo indefinito rimasero a guardare lontano, verso l'orizzonte, dove le stelle illuminavano luoghi lontani e sepolti nei ricordi dei Viaggiatori.
“Avanti, cosa devi dirmi Rosie?”
Rosie Cotton rialzò il volto e guardò quello dell'amica. Non aveva accennato alla notizia, o almeno aveva tentato di mostrarsi pacata.
“Non ce l'ho proprio fatta a tenerlo nascosto, vero?”
“Rosie, hai gli occhi così luminosi e pieni che potrei usarli come fiaccole per illuminare il cammino fino a casa.”
Rosie si mise a ridere di nuovo e arrossì vistosamente.
La proposta di Sam le aveva riempito il cuore e, d'altro canto, era felice del fatto che l'unica persona che contava lo aveva notato. Senza bisogno di parole.
In quel momento si sentiva così legata a Diamante da non riuscire più a fingere indifferenza.
 
“Bè ecco, oggi...oggi è successa una cosa. Mi tremano le mani, se ci penso.”
E Diamante gliele prese subito e la guardò con un sorriso contento.
“Te le tengo io le mani, avanti, non farmi stare in attesa. Cos'è successo di così sorprendente?”
“Sam... Sam mi ha portato davanti al faggio.”
“Quello dove avete trovato la palla di pelo?”
“Diamante...”
“Scusa, lo sai che adoro quel gatto. Anche se ancora non ho la sua coda.” Diamante sghignazzò appena e Rosie l'ammonì con un'occhiata. Ma non ce la fece a resistere.
Riprese a sorridere pienamente, ormai sentiva le sue guance bollenti.
“Insomma, stavo dicendo...Lì, Sam si è inginocchiato... .e... mi ha detto così tante belle cose Diamante, mi si è riempito il cuore di gioia. E... infine...”
“...infine?”
“Mi ha chiesto di sposarlo. Vuole sposarmi, amica mia.” Riuscì a dire infine, colma di gioia, stringendo le dita dell'amica.
 
E lo sguardo di Diamante, che era rimasto attento e pieno fino a prima, non riuscì a mantenersi.
Avrebbe voluto continuare a sorridere, in realtà, ma il suo volto non glielo permise.
“Ma...ma è bellissimo! Sono – sono contentissima per te. Finalmente ce l'ha fatta...lo avrei obbligato io se non si fosse dato una mossa. Insomma – eh, uno che affronta strani esseri con le zampe, ha paura di dichiararsi alla Hobbit che ama? No – no insomma, no – è inammissibile. Meno male che – che ce l'ha fatta… così ora... ora...”
Rosie la guardò con aria stranita.
La sua voce aveva perso qualcosa ed era sicura che fosse la vitalità di poco prima.
Si era spenta, sembrava addirittura triste. E vaneggiava.
“Diamante...”
“Che poi, tu pensa, ero quasi convinta che ti chiedesse di andare a vivere con Frodo Baggins. Spero che non lo faccia – insomma – voi avrete bisogno della vostra intimità. Sai quando...insomma, i vostri spazi. Il tempo per stare insieme… e... le sere... con lui...”
 
Come la stessa Diamante aveva capito, un attimo prima, così successe a Rosie.
Le lasciò le mani e le strinse delicatamente le spalle, costringendola a guardarla negli occhi.
In tutto quel vaneggio di parole Diamante aveva tenuto lo sguardo basso.
“Prima di tutto, Diamante di LungoSquarcio...”
Diamante la guardò e solo lì Rosie si accorse che aveva gli occhi lucidi.
“...no. No a qualsiasi paura tu possa avere. Ciò che siamo io e te va oltre tutto, se ha resistito durante il periodo più Nero della Contea allora resisterà anche dopo un matrimonio, non credi?”
Diamante abbozzò un sorriso alla voce dolce di Rosie. Com'era capace lei di far svanire ogni paura era un mistero; nessun intruglio elfico delle Terre Lontane sarebbe stato capace quanto la voce della sua amica.
“Beh sì...”
“Tu sei la mia più cara amica Diamante. Nella mia vita non ho mai conosciuto nessuno come te e ogni cosa che provo, che sia paura o che sia Amore, voglio condividerla con te. Voglio averti al mio fianco per tutta la durata della mia vita, voglio avere le tue risate e le tue facce buffe. E voglio poterti cucinare crostate e zuppe quando verrai a trovarmi, ogni sera, fino a quando calpesteremo la Contea. Io ti voglio bene come a una sorella, la più cara e preziosa sorella che io potessi avere la fortuna di conoscere. Tu sei il mio diamante...perché splenderai sempre per me.”
 
Diamante non ce l'aveva fatta.
Aveva sorriso e delle lacrime silenziose le solcavano le guance chiare. Subito le dita di Rosie si levarono, fino ad asciugargliele con dolcezza.
“Sono stata una stupida... come posso non essere felice per una cosa così? Certo che lo sono. Lo sono davvero, ti prego, non credere che io abbia pensato di rapirti e portarti in qualche luogo segreto per tenerti lontana da altri.”
Rosie sorrise e arricciò appena il naso.
“Sam ha una fortuna così grande che oltrepassa tutta la grandezza della Terra di Mezzo. E va anche oltre. E spero che ti donerà tutta la felicità che tu meriti, e che farete tanti piccoli Hobbit che vi daranno orgoglio e amore. Questa è la tua avventura – Rosie – e io sarò con te fino alla fine. Perchè io, se sono così, lo devo solo a te. Non ti libererai mai di me e questa è una specie di minaccia.”
Diamante sorrise e le puntellò il naso per un attimo.
“Sono così felice di averti conosciuta, sorella mia. Niente avrebbe senso se tu non ci fossi.”
“Oh Diamante...”
“Ma guardaci, stiamo piangendo come due bambine.”
E questa volta Rosie fece uno scatto in avanti e la strinse in un abbraccio forte.
Diamante fece altrettanto e chiuse gli occhi, abbandonandosi a quel contatto così pieno.
“Se Sam ti fa soffrire in qualche modo giuro che gli rubo tutti gli attrezzi per potare le piante.”
Rosie rise di gusto.
“Non lo farà...te lo prometto”.
“No, non lo farà. Lo vedo da come ti guarda. Tu sei il suo bene più prezioso e ti ama senza misura.”
Rosie sorrise e sentì altre lacrime sgusciare via dagli occhi chiusi.
 
“E comunque glieli rubo lo stesso se ci prova.”
“Diamante...non ti smentisci mai, eh?”
“Glieli rubo e poi lo costringo a passare un'intera serata in balia di Pipino e Merry ebbri di sidri.”
“Questa sì che è cattiveria.”
E risero entrambe, prima di staccarsi dall'abbraccio e guardarsi negli occhi.
“Non cambierà nulla.”
“Lo so. Mi fido. Non cambierà nulla.”

 
 
 
Deposito Barili:
 
Potete piangere, se volete.
Non che noi lo abbiamo fatto. Assolutamente. Neanche un po’. Chiuso il discorso.
 
Coooomunque ^^, carissimi compagni d’avventura! Ma quanto vi vogliamo bene? Siamo ormai giunti al termine!
Il prossimo è l’ultimo capitolo, anche se pensato più come epilogo. Ci dobbiamo ancora consultare un momento, ma l’idea è più o meno chiara ^^.
Sarà taaaanto tenero.
Grazie davvero, è stato un piacere condividere questa storia con gente così straordinaria e ammirevole LOL cit.
Al prossimo, e ultimo, aggiornamento!
 
Come sempre un abbraccio a lettori, recensori, seguitori, preferitori e curiosatori <3
All the best!
 
Cris e Benni

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Capitolo 11
*** Cosa non è cambiato. Un epilogo. ***





Cosa non è cambiato. Un epilogo.
 
 
Goldilocks Gamgee cacciò un piccolo urletto, agitando le manine, chiuse a pugno, nell’aria.
Era uno dei suoi tanti modi per richiedere l’attenzione.
“Ghè ghè ghè” biascicò la piccola, gonfiando le guanciotte in un sorriso. Subito la bocca le si bagnò di alcune bolle di saliva.
 
Rosie guardò con amore sua figlia, la sua sesta figlia, venuta alla luce dopo dieci anni di matrimonio.
Le sembrava impossibile che fosse passato veramente così tanto tempo.
A volte, svegliandosi al mattino e trovando Sam accanto a lei, veniva colta da un piccolo senso di disorientamento, come se stentasse a credere che tutto quello fosse reale.
Che il suo sogno si fosse infine insperabilmente avverato.
Poi però sentiva le risate, i pianti, o le litigate dei suoi bambini, e tutto acquistava concretezza.
 
Si chinò verso la culla dove Goldilocks continuava a sbracciarsi.
 
“Che succede amore? Shhh, così, vieni qui, da brava…” la issò dal lettino, stringendola al petto, e macchiandole la schiena di farina. Le sue mani infatti, erano state indaffarate in cucina fino a qualche momento prima.
 
“Cerca di dormire, piccolina mia. La mamma ora deve finire questa crostata per oggi pomeriggio. Ricordi chi passerà a trovarci, vero?”
 
Era una domanda inutile, difatti Goldilocks ovviamente non poteva averne idea, vista l’età così precoce. Eppure ogniqualvolta che la ‘zia’ Diamante, come la chiamava Rosie, passava per quelle visite pomeridiane, la bimba s’illuminava come mai capitava in presenza di altri Hobbit, non appartenenti alla sua famiglia.
 
Specialmente poi, se Diamante non veniva da sola, bensì accompagnata anch’essa da un certo piccolo frugoletto.
Faramir era il suo nome, scelto da Pipino con una certa insistenza. Era nato appena un anno prima rispetto a Goldilocks, e al contrario della piccola, non aveva altri fratelli o sorelle. Non ancora, perlomeno.
 
Rosie trattenne una risata per non svegliare sua figlia, che incredibilmente si era riappisolata, ma non vi riuscì più di tanto, e dovette scappare in cucina.
Il ricordo del matrimonio del Conte con la sua più cara amica, le riempiva il cuore di gioia ogni volta che le capitava di ripensarci.
Era avvenuto sei anni dopo il suo, e non era stato esattamente… convenzionale! Non che ce lo si potesse aspettare, considerati i suoi protagonisti.
Per non parlare di quando Pipino aveva finalmente fatto la proposta… dopo il racconto di Diamante, Rosie era andata avanti a ridere per settimane.
Solo Peregrino Tuc avrebbe potuto considerare romantico dichiararsi portando la sua amata sotto un alveare.
Una spiegazione logica c’era: Diamante adorava il miele.
Il giovane Tuc aveva inoltre preparato con cura un discorso -nel quale a tratti si poteva scorgere lo zampino e l’aiuto dei suoi amici- che a suo dire avrebbe dovuto far tremare le ginocchia alla Hobbit.
Qualcosa riguardo al fatto che, benché spesso fosse spesso aspra e pungente, Diamante fosse in realtà capace di gesti belli e dolcissimi, e che questo la rendesse simile alle api che producevano il suo adorato miele.
La seconda parte del discorso –ed era qui che s’intuiva l’intromissione di Merry- prevedeva invece un’accorata, ma umile proposta a costruire insieme il loro ‘alveare’, come quei piccoli laboriosi insetti.
Una maniera originale e alquanto ‘Tucchica’, per proporre nel concreto di metter su famiglia insieme.
Le ginocchia a Diamante erano tremate, sì, ma per tutt’altri motivi.
Le api infatti, evidentemente scontente di essere state scomodate, anche se solo alla lontana, si erano ribellate sciamando dall’alveare verso i due.
Le urla e le imprecazioni di Diamante si erano sentite fino al villaggio più vicino.
Ma la giornata si era comunque conclusa trionfalmente per Peregrino, che era riuscito a completare la sua proposta mentre, tra un insulto e un altro, curava alla giovane le punture.
 
 
Lo shock più grande per Rosie, in seguito, era stato vedere la sua piccola amica gravida. Arrotondata da quello che sarebbe poi stato definito da molti, come il bambino più bello nato quell’anno.
E lo era davvero, Faramir Tuc, con i suoi incredibili occhi verdi, i ricci scuri e un’espressione già furba e malandrina sul visetto.
Doveva aver preso il meglio –o il peggio, a seconda dei punti di vista- da entrambi i genitori.
 
Rosie sorrise nuovamente e si rimise al lavoro. Voleva preparare la crostata di lamponi più buona di cui fosse capace.
Tutto doveva essere perfetto, per quella visita così attesa e desiderata.
Sam non sarebbe tornato che per l’ora di cena, a causa di alcuni impegni a Pietraforata: essere Sindaco lo teneva spesso lontano da casa.
Gli altri bambini invece erano a Casa Cotton, avendo tanto insistito i loro nonni, a prendersene cura –o, come preferiva dire Rosie, viziarli- per un’intera giornata.
 
Casa Baggins quindi, per quel pomeriggio sarebbe stata interamente per lei, Goldilocks, e i suoi attesissimi ospiti.
 
La torta venne pronta appena mezz’ora prima che il campanello suonasse.
Piena di gioia, Rosie corse alla porta.
 
       
                                   
                                            ****
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sentiva l'odore della crostata fin da fuori la finestrella rotonda, circondata da spruzzi di verde e fiorellini sbocciati.
Teneva in braccio un piccolo Hobbit dai capelli ricci e lo sguardo allegro.
Per quanto stesse tentando di risultare pacato, nel figlio s'esprimeva un'impazienza genuina, tipica dei bambini. Era la stessa che animava l'animo di lei, dal momento in cui era uscita da casa Tuc per mettersi in viaggio.
Trasportava una piccola scarsella da viaggio, che ciondolava da un lato all'altro della schiena.
Le piaceva sentirsi un po' viaggiatrice, in quelle lunghe camminate per raggiungere Rosie; si legava i capelli, si vestiva comoda, un sassolino sempre legato al collo e mostrava a Faramir Tuc i ruscelli, i pesciolini colorati e i leprotti saltellanti.
Per quanto avesse avuto paura per la lontananza con la sua più cara amica, s'era ritrovata stranamente a suo agio in quella nuova vita. Era cambiata da pochi anni ma – come le ricordava una certa promessa durante una sera d'estate – in fondo, non era cambiato niente.
La proposta di matrimonio di Pipino, fuori da ogni prospettiva, aveva instaurato in lei una paura ancora più grande rispetto a quella avvenuta tra Rosie e Sam.
Non che avesse avuto dubbi; gli aveva immediatamente risposto di sì.
E vedere il sorriso nel volto di Pipino ampliarsi e quello sguardo chiaro illuminarsi d'una luce diversa le aveva colmato il cuore di amore. Sì, le punture delle api erano state alquanto indigeste e dolorose, ma era stata la cosa più romantica e dolce che Peregrino avesse fatto per lei e questo andava bene.
Tutto quello che faceva lui andava bene.
D'altro canto però, l'idea di trasferirsi nella terra dei Tuc l'aveva turbata.
Come poteva pensare di non vedere più Rosie ogni sera? Di comportarsi da moglie? Di abituarsi a un odore diverso? A una vista diversa?
 
“Te lo ripeto, piccola abbuffatrice di crostate: niente cambierà.”
Rosie aveva accolto così ogni turba che Diamante le aveva rigettato contro. L'aveva abbracciata, le aveva detto di non averla mai vista così bella e felice e poi, quella frase, quella piccola magia capace di lenire qualsiasi negatività.
E tutto era andato per il meglio.
Tucboro era un posto meraviglioso. Pipino aveva preso il posto di suo padre e, nonostante la burocrazia, era sempre rimasto lo stesso spavaldo Hobbit che aveva conosciuto tanti anni prima.
E poi era arrivato Faramir.
Quel piccolo scricciolo dai capelli ricci e i piedi grossi che – proprio come suo padre – fermo non riusciva a stare.
 
Cercò di tenerlo bene stretto mentre cominciava ad agitare le mani verso la porta rotonda.
“Faramir, se ti agiti così ti catapulti di sotto. Fai il bravo.”
“Gna-gna”.
“No, la “gna-gna” se la mangia la mamma. Insomma non puo-”
“E tu vorresti negare la più buona crostata della Contea a questo piccolo innocente?”
La voce di Rosie aveva fatto capolino dalla porta che, ora, era aperta.
Gli occhi di Diamante si erano allargati, pieni di gioia, mentre Faramir per l'agitazione stava per rovesciarsi a testa in giù.
“Cosa? Io? Mai detto nulla del genere. Certo che condivido con – oh accidenti, Faramir, vuoi stare...oh – è tutto il giorno che è agitato.”
“Ma chissà da chi ha preso, eh?”
“Già, chissà!”
Rosie non ce la fece.
Portò le dita alle labbra e proruppe in una risata cristallina.
Allungò le braccia fra le quali accolse subito Faramir, aiutando così l'amica, e quello – come solo conRosie Cotton accadeva – subito si quietò, cominciando a sorridere contento.
“Faramir ti adora; appena gli ho detto che oggi era la giornata della “gna-gna” ha cominciato a diventare impaziente.”
“Stai parlando ancora di Faramir o di te...?”
Rosie guardò l'amica con un sorriso fintamente malizioso e quella, di tutta risposta, le scoccò un bacio caloroso sulla guancia e si affrettò ad entrare in casa Baggins.
 
 
Alla fine la crostata era durata per poco.
Ne erano rimasti rimasugli sulla bocca di Diamante e su quella di Faramir; ma anche Goldilocks aveva le dita colpevoli, tutte appiccicaticce di marmellata.
La teiera sul fuoco fumava, ricolma d’acqua calda, e nell'aria c'era un buon odore di cibo e legna.
A Diamante era sempre piaciuta l'abitazione dei Baggins; in alto sulla Collina, sopra l'intera Hobbiville, e i suoi colori.
Ma, da quando vi abitavano Rosie e Sam, in quella casa si respirava aria di famiglia.
Era un tepore così piacevole che se ne beava sempre, anche se per poche ore durante quei giorni.
“Dove sono gli altri bricconcelli?”, chiese Diamante, allungando un dito per farselo prendere da Goldilocks. La bambina arricciò le labbra, gonfiando le guance paffute.
“Dai nonni; si sente, nevvero? La casa è molto tranquilla.”
Faramir, ancora in braccio alla “zia” Rosie, tentava di picchiettare il tavolo di legno con delle posate della stessa fattura.
Goldilocks si era messa a guardarlo con aria incantata.
“Un giorno dovrai spiegarmi il tuo segreto per rimanere sempre così calma; guardati. Ogni settimana diventi sempre più bella. Invece Faramir è così arzillo che mi basta per dieci.” Diamante si indicò le vesti.
Quel giorno nessun vestito: pantaloni a mezza gamba e una camiciola molto larga, che poteva benissimo essere di Pipino. “Mi ha sporcato tutti i vestiti, sono gli ultimi rimastomi.”
“Se non avessi Sam ad aiutarmi impazzirei anche io, credimi. E io aiuto lui.”
“Ah, sì, lo vedo bene come vi aiutate.” Scherzò Diamante, picchiettandosi il naso.
“Diamante!”
Rosie arrossì vistosamente, stringendo Faramir al petto. Quello stava porgendo un cucchiaio verso la bambina, che tentò di prenderlo con le manine minute.
 
“Bè quando Faramir avrà un fratellino o una sorellina...”
“No no no no no. Ho già due bambini da accudire; sono soddisfatta così. L'altro giorno hanno pensato bene di fare una battaglia con la farina. Farina, capisci? Avevo tutta la casa piena! Ho persino incrociato Merry che arrivava con due sacchi ancora pieni.”
Rosie ritornò a ridere, versandosi un'altra tazza di tè e scuotendo il capo.
Non erano una novità quei racconti, per loro.
Persino Rosie aveva avuto un piccolo incidente, proprio con Rufus. Il povero gatto – salito su una credenza per sfuggire alle grinfie dei più piccoli – era saltato in testa a Sam una volta tornato a casa.
E non aveva avuto nessuna intenzione di staccare le unghie da lì.
I bambini avevano riso, Rosie aveva cercavato di placare la situazione e Sam non aveva fatto altro che agitarsi per casa.
Era stato parecchio divertente per Diamante, che aveva riso un pomeriggio intero dopo quel racconto.
 
In quel momento Faramir allungò la mano verso Goldilocks.
Go-lli.
Sia Rosie che Diamante guardarono i due bambini con occhi attenti. Rosie fu la prima a sorridere, avvicinando il piccolo verso la figlia. Faramir allungò le dita per accarezzare una sua guancia paffuta, poi le spalmò in faccia un po’ di lampone, scoppiando a ridere.
“Che strano.”
Diamante fece quell'osservazione con una nota molto dolce nella voce.
Rosie tornò a guardare l'amica, senza capire bene.
“Cos'è strano?”
“Non è mai così con gli altri bambini.” Puntualizzò Diamante e guardò l'amica con occhi vispi, sorridendo piena. “Forse si è innamorato.”
“Oh, dici? Bè, ma devo controllare le sue referenze, se è un bravo ragazzo, se è adatto alla mia piccola, insomma...potrebbe essere un birbantello.”
Rosie rise di gusto, riavvicinando il viso verso Faramir e scoccandogli un bel bacio sulla testa riccia. Quello rise, buttandosi all'indietro e alzando le manine verso il viso della Hobbit.
Diamante guardò la scena con una dolcezza negli occhi imparagonabile.
“Bè, le due mamme vanno d'accordo, è un buon inizio.”
Rosie alzò lo sguardo verso Diamante e allungò un braccio verso di lei.
L'altra fece lo stesso e le strinse le dita, guardandola con affetto.
“Non sarebbe per niente strano se succedesse. Anche se sarà piena di pretendenti, da grande, vedrai. File e file alla porta; proprio come sua madre.”
“Io non ho mai avuto file!” Cinguettò Rosie, gonfiando le guance imbarazzata.
“Questo lo dici tu.” Puntualizzò l'altra, con finto sguardo saccente. Poi tirò fuori la lingua.
“E Faramir? Vedrai quante donzelle vorranno la sua mano.”
“Ma lui ha occhi solo per lei: guardali!”
 
Diamante indicò di nuovo i bambini.
Goldilocks stava picchiettando le dita sulle guance del piccolo Hobbit e Faramir stava ridendo felice, continuando a sporcare il volto della bimba con le dita sporche di lampone.
“Dici che è amore?”
“Se non lo è questo, allora cosa lo è?”
Ed entrambe ridacchiarono, stringendosi ancora le dita.
 
 
La giornata ebbe termine dopo molte chiacchiere, molte risate e, anche, una nuova prova canora da parte di Diamante.
Una prova puntualmente interrotta dopo che Faramir aveva tentato di lanciarle addosso un pezzo di biscotto.
Rosie era convinta che lo avesse fatto per farla stare zitta, ma non ebbe mai conferma al suo dubbio.
La sera era giunta, le stelle illuminavano lontane il manto scuro del cielo e il calore della casa regalava un'atmosfera pacifica e conciliante il sonno.
Ma-ma
Faramir allungò le mani e strinse le dita, richiamando Diamante.
Rosie porse il piccolo verso le braccia della madre e quello le si accoccolò addosso, chiudendo gli occhi.
 
Rosie rimase affascinata da questa scena; per quanto Diamante fosse una genitrice molto particolare, era perfetta per quel piccolo Hobbit.
Era sempre così; si addormentava solo in braccio a lei.
Goldilocks si era addormentata già da diverso tempo; sfinita dalla giornata.
Aveva retto più del dovuto, forse grazie alla presenza di un bambino particolare, e Rosie ne era contenta.
“Sei sicura che Pipino viene a prenderti col carretto? Guarda che chiedo a Sam se può accompagnarti; non ci sono problemi. Non voglio che tu faccia la strada da sola.”
“Questa frase l'avrò sentita così tante volte, che potrei addirittura dirla io a me stessa.”
Scherzò l'amica, sorridendo.
“Eh ma... sono... insomma, è sempre buio, se inciampi in qualche buca? Se...”
Per quanto tutto il pericolo fosse passato da molti anni ormai, nonostante la Contea fosse tornata il posto più pacifico e quieto dell'intera Terra di Mezzo, in Rosie non si leniva mai l'apprensione per Diamante.
Era impossibile che potesse riaccadere di nuovo; nessuno più l'avrebbe rapita, rinchiusa, tenuta lontana da lei.
E, come ogni volta, la consapevolezza che quella fosse la vita migliore che avesse mai potuto desiderare si instaurò in lei in maniera così pressante da farle venire i brividi.
Aveva una famiglia che amava più di sé stessa e aveva Diamante. Il suo cerchio era completo.
Non avrebbe potuto chiedere nient'altro, tutto era perfetto, nel lato giusto delle cose.
E così sarebbe stato fino alla fine dei giorni.
“Ci vediamo fra pochi giorni. Tutto così. Come sempre.”
Diamante, nonostante avesse Faramir in braccio, si sporse verso l'amica e la strinse con un braccio.
Si beò di quel contatto e le diede un bacio sui capelli chiari.
Poi fece lo stesso con Goldilocks, evitando di svegliarla.
“Ci vediamo fra pochi giorni. Come sempre.”
 
 
Mentre Diamante percorreva il sentierino fino alla fine del viale – dove sicuramente non avrebbe trovato subito Pipino per colpa di qualche ritardo – guardò Faramir dormire e si voltò di nuovo verso Casa Baggins.
Il camino era acceso; una scia di fumo grigiastro colorava il cielo terso.
Sorrise pienamente e chiuse gli occhi per un secondo.
La felicità, alle volte, giocava strani scherzi in lei.
Si fermava a pensare alla sua fortuna durante momenti poco opportuni della giornata.
Addirittura mentre sgridava Faramir, o mentre evitava che Doderic Brandibuck si buttasse nel fiume per pescare.
O mentre Pipino tentava di inseguire piccoli cinghiali selvatici, nel boschetto vicino casa.
E, ogni volta, le veniva da piangere.
Che ne era stata di quella Hobbit che non piangeva mai? Dal cuore duro e la battuta sagace?
Era sempre lì ma, adesso, non era sola.
Perchè delle dita gentili l'avevano raccolta e avevano alimentato la parte più bella di lei.
E continuavano a farlo, giorno dopo giorno, senza mai aver paura di osare.
 
 
 
“Diamante!” Pipino le venne incontro. Tratteneva tra le dita una piccola lanterna. “Tutto bene?”
Diamante non si era accorta di essere arrivata all'imbocco del sentiero principale.
Faramir dormiva e lei, senza che se ne fosse accorta, stava ancora piangendo.
“Sì. Sì certo che va bene.”
Pipino la guardò preoccupato; allungò le dita e le asciugò le lacrime.
Lei sorrise piena d'amore e gli diede un bacio sul naso, tirandosi subito indietro.
“Andiamo a cercare le stelle degli Elfi?”
“Come sempre.”
E Pipino le prese la mano, portandola verso il carretto.
Ma prima di salirci allungò le dita verso il legno un po' rovinato dalle piogge, levigato da mani esperte e scheggiato in altri punti.
“Sai Pip, te l'ho mai detto?”
“Che cosa?”
Diamante prese il suo tempo prima di rispondere. Chiuse di nuovo gli occhi e venne invasa dai ricordi. Ricordò una risata – la sua – e poi a seguire quella di una Hobbit con cui non aveva mai parlato. Ricordò del fango. Ricordò una casa. Ricordò l'inizio di quella vita che avrebbe considerato la sua casa.
 
“Devo la mia felicità proprio ad un carretto come questo.”

 
 
 
 
 
 


Deposito Barili: One Last Time
 
 
Ed eccoci qua, così finisce la storia della Terra di Mezzo...e dopo 13 mesi da quando Gandalf..
Ah – no – ok la smetto o piango per sempre.
Ora vi confido un mega segreto: le note d'autrice le ha sempre scritte la Benni perché lei è molto più brava di me e lo noterete dopo questa schifezza che scriverò.
Ma era doveroso farlo, perché adesso la storia è finita e posso finalmente esprimere tutto, tutto – tuttissimo – issimo!
 
In primis ringrazio VOI.
Voi care lettrici, lettori, persone capitate per caso, persone che hanno letto ma non hanno mai recensito...insomma, a tutti voi.
Io credo che una storia possa essere anche una bella storia ma se non ha il coraggio di vedere la luce allora nessuno potrà scorgere quei piccoli frammenti di luce, non potrà commuoversi, sorridere, indignarsi o arrabbiarsi. Perché ogni storia è unica. Anche quelle che si pensa di no.
Anche quelle dove, magari, non si capisce il senso o che hanno una trama semplice, banale, già vista.
Insomma: chi scrive regala qualcosa. E quel qualcosa, le persone che leggono, lo coglieranno sicuramente.
La nostra storia non sarà la più bella, la più divertente, la più “ohmiodiochecapolavoromaivistoprima”...ma, tramite le vostre parole, ho capito che non c'è niente di più bello che vedere persone che – nonostante tutta la loro giornata – prendono quel tempo per dedicarlo a questo.
Quindi vi ringrazio tantissimo ragazze, grazie per aver lasciato anche delle recensioni e averci fatto sorridere come mongole, averci fatto imbarazzare e gongolare felici.
E' grazie a persone come voi che ci fa capire quanto la scrittura sia una delle cose più belle del mondo; siete delle ispiratrici, date la forza di continuare la storia, insomma “lo spettacolo deve continuare” e grazie a voi lettrici continuerà sempre <3 E dopo tutto questo amore – che tra un po' piango quindi la smetto – vi do un enorme abbraccio! Grazie grazie grazie <3
 
 
E adesso passo a te, te sì, cara Bennina-Bilbina.
Allora, mettiamo subito in chiaro todos: senza di te questa storia non so SE o QUANDO avrebbe preso piede. Tu mi hai spinto a scriverla, mi hai messo in testa così tante idee che, ad un certo punto, non sapevo più cosa scrivere (ed è un bene, visto la mia facilità a perdere ispirazioni v.v ) ...e insomma, io ti ringrazio infinitamente.
Mi hai permesso di scrivere degli Hobbit, mi hai ispirato giorno dopo giorno con idee fantastiche e sì, te lo voglio dire, magari l'idea basica è stata la mia...ma se ha raggiunto questo livello è solo grazie a te.
Siamo andate a ispirazione tramite una specie di telepatia che non m'aspettavo minimamente. Di solito la scrittura è una cosa complessa, anche per scrivere storie tranquille, ma con te è stato così semplice che mi sono sentita talmente a mio agio e in sintonia da pensare che la stessi – addirittura – scrivendo da sola. Mi hai aiutato tantissimo, sei riuscita a farmi amare ancora di più la coppia Rosie – Sam e ...Rosie, oh Rosie, io l'amerò per sempre!
Questa storia è diventata importantissima per me e averla scritta con te mi rende fiera e orgogliosa <3 perciò grazie tesoro, per avermi permesso di affrontare questa “avventura” insieme a te. Forse un giorno ci verrà un'altra ispirazione impulsiva e scriveremo qualcos'altro ma, per ora, mi conservo questo ricordo fino alla fine <3 anche se io ho l'autocritica di un camionista grazie a te sono riuscita a convincermi che, i miei capitoli, mi piacevano. Mi hai messo un'autostima addosso assurda per tutto questo tempo e questo è il regalo più grande che mi hai fatto.
Quindi...quindi oddio sono diventata una smielata terribbile, cioè...adesso si scioglie EFP per tutto sto miele!
Niente, io ti adoro, adoro questa storia e adoro averla scritta con te.
E questo non me lo toglierà mai nessuno, quindi grazie, di tutto. E quando dico tutto, è proprio tutto.
Alla prossima avventura biondina <3 ti voglio bene.
 
 
Benni,’s cose:
 
Cri, io non ho parole per risponderti, davvero. E’ tutto reciproco (Sbrigati a fare skype, che così ci vediamo!! Mi machi!)
Anyway… sai che ho amato la tua idea alla follia, e non ti ringrazierò mai abbastanza per la fiducia e per averla divisa con me. Mi hai fatto una compagnia incredibile, e non potevo desiderare migliore partner di penna. Ho adorato scrivere con te, e ora mi sento un po’ vuota. Sono onoratissima tesora, ti voglio bene anch’io, e alla prossima avventura (nel frattempo vedi di aggiornare le tue -.-! E torna a leggerci, ci manchi çç).
 
 
E così l’avventura finisce, amici e amiche! Perdonateci per esserci prese così tanto spazio nelle note, ma ci tenevamo… E Benni ridacchia per l’inserimento di Gold e Faramir: strizzare l’occhio alla sua prima storia è stato più forte di lei ^^”. *sorratemy*
 
Alla fine (quasi) addio epilogo, è uscito un capitolo (quasi) normale ^^”…
Di nuovo a voi tutta la nostra immensa gratitudine! Scappiamo prima di allagare ulteriormente i pc.
Buon proseguimento nelle vostre letture o scritture <3
Forever yours…
 
Benni e Cris

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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