Might Have Known You'd Be My Savior

di Mordreed
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perfect Stranger ***
Capitolo 2: *** I’ve fallen for your eyes, But they don’t know me yet ***
Capitolo 3: *** I Love the Way You Lie ***
Capitolo 4: *** Cause I was filled with Poison but blessed with Beauty and Rage ***
Capitolo 5: *** But Sometimes these Feelings can be so Misleading ***
Capitolo 6: *** There’s a Possibility I wouldn’t show ***
Capitolo 7: *** Jealousy you got me somehow ***
Capitolo 8: *** Hold on to this while it's Slipping Away ***
Capitolo 9: *** You Hurt My Soul ***
Capitolo 10: *** This Contagious Chemistry is Killing Me ***
Capitolo 11: *** Please Forgive Me ***
Capitolo 12: *** Change ***
Capitolo 13: *** Save You ***
Capitolo 14: *** Stay With Me ***



Capitolo 1
*** Perfect Stranger ***


"Sei la mia consolazione più pura,

sei il mio più fermo rifugio,

tu sei il meglio che ho

perché niente fa male come te.

 

No, niente fa male come te.

Bruci come ghiaccio e fuoco,

tagli come acciaio la mia anima -

tu sei il meglio che ho."

- Karin Boye




New Jersey, 2009

"Hai bisogno di una pausa"
"Ti ho detto che non posso... davvero! Devo ripassare il copione, tra due giorni ricominciamo a girare altre scene"
"Pronto? Parla con la dottoressa Allison Cameron o con mia sorella, Jennifer Morrison?"
Jen sorrise al telefono, mentre con l'altra mano libera allineva una pila di fogli sul tavolo della roulotte. 
"Anche se volessi uscire adesso, quali sarebbero le prospettive? Sono le 23 passate e sono tutti a letto o a studiare"
"Lo so, per questo ci ho pensato io"
Rispose Julie, sua sorella. Jen corrugò la fronte.
"Che vuoi dire?"
La persona dall'altra capo del telefono riattaccò e subito dopo qualcuno bussò alla porta. 
Jen attraversò di corsa la piccola roulotte del suo camerino, pronta ad aprire.
"Hai le lezioni al colloge, domani"
"Ciao a te, anche tu mi sei mancata sorella!"
Disse Julie in tono sarcastico mentre Jen lasciava andare via ogni autorià da sorella maggiore e la stringeva in un abbraccio.
"Mi sei mancata"
Mormorò Jen sinceramente emozionata da quella sorpresa. 
"Vedi? Così va molto meglio"
Canticchiò Julie sciogliendo l'abbraccio.
"Vieni dentro, o della cioccolata calda già pronta"
Julie la guardò orripilata. 
"Non sono venuta dall'altro lato del paese solo per sorseggiare della cioccolata in una roulotte con mia sorella. Siamo in New Jersey e c'è una città che devi conoscere"
"Io la conosco"
Si difese Jen. 
"Tu conosci il parcheggio fuori dalla tua roulotte. Forza, andiamo.. non voglio sentire scuse. Rubiamo un vestito a quella dottoressa sciacquetta e usciamo"
"Non insultare il mio personaggio, Ju"

Strano come anche in pieno inverno, la città brulicava di vita anche in piena notte. C'erano luci ovunque, negozi aperti, chioschi e bar caotici che facevano da melodia alla musica di strada e alle chiacchiere dei turisti. Erano per la maggior parte giovani, che bevevano, gridavano e fumavano come se non avessero nessun pensiero al mondo. 
"Non credo che mamma e papò approverebbero tutto questo"
Jen indicò il balordo che le circondava, mentre un giovane pusher si avvicinava per venderle della droga. 
"Oh Jen, sono con te, è tutto ok.. e poi ti sorprenderesti della gente che frequento al college"
Jen ignorò la provocazione della sorella, risparmiando a entrambe una ramanzina. 
"Dove mi stai portando?"
"Shh. Siamo arrivate"
Erano nel retro di quello che chiaramente era un locale underground. Una grande porta rossa metallica, era ricoperta da graffiti, frasi oscene e qua e la c'erano scatole vuote di sigarette e preservativi. Jen guardò Julie scandalizzata. 
"E' questa la tua idea di divertimento?"
La sorella la ignorò è tirò fuori un pass dalla borsa. Bussò tre volte alla porta - come se quello fosse una specie di segnale segreto per entrare - e un omaccione di carnaggione scura, con un completo di Armani fuori moda e un auricolare, le fece entrare dopo aver raccolto il pass dalle mani di Julie. 
"Credimi, ti piacerà"

In effetti non era male. 
Dentro l'atmosfera era del tutto diversa, il locale stesso lo era. C'era un'immensa sala con palco a pieno terra. alla destra un chilometrico bancone da bar illuminato da luci a led colorate, e tre gallerie percorrevano l'intera struttura del posto. Julie condusse Jen su per una rampa di scale. Si fermarono sulla seconda galleria ed entrambe si sporsero dalla ringhiera della balaustra per osservare il palco sotto di loro. C'era una boy band che suonava un pezzo hard rock. La gente si accalcava ovunque, ballando e saltando scatenata. Julie afferrò due gelatine alcoliche e ne passò una alla sorella, le cui grida di protesta, furono soffocate dal gran chiasso che le circondava.
"E' la serata dei talenti emergenti. Guarda bene ognuno di questi cantanti, perchè presto potrai vederlo sulla copertina del 'Rolling Stone'"
Urlò Julie per superare l'incessante vociare della folle e la musica a palla. 
Dopo qualche minuto, Jen si sorprese a divertirsi e comprese che l'idea di Julie non era poi così male. 
Il presentatore salì sul palco.
"E adesso un nuovo gruppo. Tenetevi strette le mutandine ragazze, perchè sono sicuro che stanno per volare via"
Il pubblico rise. 
"Accogliamo sul palco Gli Enemies con il loro singolo 'Perfect Strange'"
Partì un applauso scrosciante, che durò a lungo quando la band si palesò al pubblico. Tutti compresero le parole del presentatore: in effetti i membri della band erano dei gran bellocci. Jen non si sarebbe stupita di vederli presto su qualche copertina, mezzi nudi e pieni di cerone, mentre mostravano al mondo la loro bellezza arrogante. 
Però dovette ricredersi quando partirono i primi accordi della canzone e il primo dei due cantanti cominciò a cantare. 
Mh, doveva ammettere che erano piuttosto bravi. 
Julie rispecchiava a pieno l'umore della sala in quel momento: urlava e saltava come un'ossessa, e Jen potè giurare di averle sentito dire 'Sposami' - perchè l'alternativa 'Scopami' non era assolutamente contemplata - a uno o forse tutti e cinque gli uomini sul palco. 
"Ommiodio! Sono bravissimi oltre che dei gran manzi.."
Julie buttò un braccio intorno alle spalle della sorella.
"Dimmi chi ti piace"
Jen rise scandalizzata.
"Cosa? Sono fidanzata"
"Andiamo Jen, smetti di fare la frigida, E' solo un gioco.. un gioco vecchio quanto il mondo."
Jen rise dell'espressione enfatica della sorella e si lasciò andare. Massì dai, sempre la solita esagerata. 
Era un gioco. 
"Mh.."
"Forza! Dimmi chi ti scoperesti subito e ti giuro.."
la ammonì notando di nuovo l'atteggiamento genitoriale che riemergeva in Jen.
".. ti giuro che se fai ancora qualche commento moralista del cavolo, mollo tutto e vado via. Sono fuori con mia sorella maggiore, non con nostra madre"
Colpita nell'orgoglio, Jen scrutò il palco più attentamente. 
Si, erano belli.. ognuno aveva la sua particolartià, ma nessuno la colpì davvero. 
Poi l'altro cantante, il tizio con la chitarra, cantò per la prima volta la sua strofa.

Might have known you'd be my savior,
when I'd fallen out of favor,
Might have known you'd be my savior
You saved this perfect stranger

"Mh.. forse lui"
Disse indicando il ragazzo.
"Hai capito Jen la frigida"
"Non chiamarmi così"
Julie rise e dopo un pò Jen si unì a lei.
"Hai scelto il migliore. Dio, quel tizio è strascopabile. Ed è anche chittarista e cantante! Le mie ovaie stanno scoppiando"
Jen spalancò la bocca difronte al linguaggio forbito della sorella.
"Ma che razza di college frequenti?"



Los Angeles, Giugno 2012

Amava quel posto. 
Era la sua scappatoia, il suo rifugio personale. Le piaceve quel piccolo bar in periferia, appena fuori città e a cinque minuti dagli studi di registrazione. 
Lo aveva scoperto con i suoi colleghi di set, erano solito andare li dopo le riprese a festeggiare e prmeiarsi di un'altra giornata di duro lavoro.
E in quell'anno trascorso, ne avevano avuti di buoni motivi per festeggiare. Once Upon A Time, il nuovo show nel quale recitava, aveva esordito con un'ottima prima stagione. Perciò le aspettative per la seconda erano davvero alte. 
Afferò il piccolo bicchiere di vetro e versò nella sua bocca il liquido ambrato che vi conteneva.
Poi passò al successivo.
L'alcool le arse la gola, lo stomaco e le anestetizzò i pensieri.
Che piccola ingrata, si disse. 
Era finalmente la protagonista di uno show, un ruolo di primo piano che aveva sempre sognato. I suoi colleghi erano persone eccezionali, e in più era fidanzata da più di un mese con Sebastian Stan, suo collega e uno degli attori più sexy del momento. 
Cosa stava cercando? Cosa sperava di ottenere, tutta sola alle 11 di sera in quel bar?
Era stata la fame a spingerla fin lì.
Non era colpa sua, se quel vuoto costante che avvertiva al centro dello stomaco, quella voragine così profonda da scavrle dentro e farle provare la stessa sensazione di un uomo che non mangia da giorni, la tormentava costantemente. 
Aveva una bella vita? Si.
Un lavoro da sogni? Si.
Un ragazzo d'oro? Si.
Ma aveva fame. 
"Un altro giro, Bill"
disse al barista che prontamente si affrettò ad accontentare la sua cliente preferita. 
"Mh.. conosci il nome del barman. Non lo sai che è sconveniente per una signora?!"
"Prego?"
Chiese stizzita voltandosi.
Un ragazzo alto, moro e con modi di fare da gran piacione, prese posto sedendosi sullo sgabello al suo fianco, poggiando le braccia sul bancone del bar. 
Di solito gli uomini, se non erano suoi colleghi, le stavano alla larga, troppo intimoriti dalla sua fama e dai riflettori che la seguivano ovunque.
Chi era questo sfrontato e arrogante ragazzo che l'aveva avvicinata come fosse una qualsiasi ragazza in un bar?
"Sai com'è.."
Spiegò lui con un sorriso sornione. 
".. è disdicevole per una donna chiamare il barista col proprio nome. Da adito a dicerie e permette alla gente di inquadrarti nel modo sbagliato"
"La gente ha l'abitudine di inquadrare qualcuno sempre e solo nel modo sbagliato"
Replicò secca Jen finendo un altro shoottino. 
"Si"
Riprese deciso il ragazzo.
"Ma tu non servirglielo su un piatto d'argento"
Lei si voltò di nuovo verso di lui, curiosa suo malgrado ma anche indispettita. 
"E sentiamo, che impressione darei alla gente?"
Lui si grattò per un attimo la sua barba rada, aggrottò leggermente la fronte e la fissò con un'intensità che doveva essergli proibita. Quegli occhi blu cobalto la passarono in rassegna come se lui possedesse la vista a raggi X.
"Conosci il nome del barman, e dal modo in cui gli parli è chiaro che vieni qui spesso. Direi quasi che siete amici e lo so perchè ti ha appena offerto un giro gratis. Sei qui senzi amici ne un ragazzo, il che può voler dire che forse sei sola o ti senti sola. Bevi per dimenticare tutto questo, forse perchè è l'unico modo che ti aiuta a non pensare al casino che hai dentro ma che non dai a vedere"
La sua voce era serie e profonda, come se fosse davvero un psicanalista con la sua paziente. 
"Oppure.."
Concluse con un tono decisamente più allegro.
".. sei semplicemente un'alcolista a cui piace il sapore dell'alcool"
Jen sentì le sue labbra dischiudersi per lo stupore e si costrinse a serrarle prima che lui se ne accorgesse. 
Dentro si sentiva sconvolta, come se tutto l'alcool che aveva ingerito si stesse ribellando a quella parole.
"Io non sono sola e triste"
Gli disse sibilando tra i denti.
Lui scrollò le spalle in un gesto di educata incredulità.
Questo la infastidì maggiormente.
"Sei solo uno straniero in un bar.. non hai il diritto di importunare la gente"
Lui bevve un altro sorso del suo drink e tornò a osservarla. 
"Credevo che fossi stata tu a chiedermi di dirti ciò che pensavo"
Lei tamburellò le dita sul bancone di marmo del bar. Stava facendo la figura della stupida.
D'un tratto avvertì l'impulso di urlare 'Tu non sai chi sono io' così da mettere a tacere questo ragazzotto che chissà perchè non era intimorito e non sembrava affatto preoccupato dal fatto di trovarsi in un bar a importunare Jennifer Morrison. Ma questo l'avrebbe resa solo più patetica. 
Così decise di contraccambiare il colpo, usando la tattica di lui.
"Scotch liscio? Mpmfh"
Si abbandonò ad un gesto sprezzante. 
"Che c'è? Giornata intensa in ufficio? La nuova segretaria, quella che non è scappata via facendoti causa per molestie sessuali come la precedente, è una racchia? Paparino non ti ha comprato l'ultima Ferrari sul mercato?"
Lui continuò tranquillo a godersi il suo drink, come se lei non avesse affatto parlato.
Una volta finito, oggiò il bicchiere vuoto sul banco con un gesto deciso, e voltò il viso verso la donna. 
"Con tutto il rispetto, ragazza, leggere le persone non è proprio il tuo forte.."
Poi sorrise, scacciando via quel tono serio e gelido che per un attimo si era impossessato di lui.
Non doveva importarle niente, ma si sentì ferita da quelle parole. Dissimulò il tutto in un silenzio rabbioso.
Lo sgabello al suo fianco grattò rumorosamente sul pavimento. 
Questo richiamò la sua attenzione. 
Si voltò e vide che il ragazzo stava indossando la sua giacca di pelle nera. 
Lasciò una banconata da 20 dollari sul banco. 
"Mi piace questo posto"
Disse all'improvviso, tornando a prestarle attenzione. Abbracciò con lo sguardo tutto il locale: le luci basse e accoglienti, i tavolini puliti, il bancone lucido, il vecchio Jukebox che suonava un pezzo degli anni '90. 
"Forse ci verrò spesso d'ora in avanti. C'è molto da scoprire..."
Marcò deciso l'ultima frase, fissandola negli occhi.
"Mi toccherà trovare un nuovo posto dove andare"
"E rinunceresti a Bill e a un giro di tequila gratis, solo per me?"
Lui sorrise in maniera arrogante mentre lei incassava l'ennesimo colpo di quella chiacchierata bizzarra. 
"Hai ragione. Sei tu l'ultimo arrivato: tocca a te trovarti un altro bar"
Replicò lei col tono di una bambina che difende il suo parco giochi da un intruso. E questo la fece sentire ancora più idiota e infantile. 
Perchè questo tipo strano tirava fuori il peggio di lei?
"Ti servirà un mandato per tenermi lontano da questo posto. Mi piace, ed è anche a due passi dal mio nuovo 'ufficio'"
Lei gli dette le spalle e fissò le bottiglie di liquori allineate sugli scaffali difronte, al di là del bancone.
"Fai le condoglianze alla tua nuova segretaria da parte mia"
"Lo farò"
Disse lui sbrigativo raggiungendo la porta. 
In tutta quella bizzarra situazione, Jen si rese conto di essersi dimenticata di avere fame. 

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Capitolo 2
*** I’ve fallen for your eyes, But they don’t know me yet ***


Los Angeles, Giugno 2012 

Un turbinio di luci, immagini confuse e un sapore metallico in fondo allo stomaco. 
Si girò lentamente nel letto, ancora incosciente di quanto stava vivendo. 
Erano le 8.00, la radiosveglia emise un piccolo bip e poi partì con la canzone scelta. 
Una melodia così lenta e dolce ma che nascondeva al suo interno una malinconia immensa. Forse fu questo a conquistarla, perchè quella musica, quelle parole, la raggiunsero nell'incoscienza dei sogni, mentre il suo cervello rielaborava le ultime e confuse immagini prima di svegliarsi completamente. 

Settle down with me
Cover me up
Cuddle me in
Lie down with me
Hold me in your armsYour heart’s against my chest
Lips pressed to my neck
I’ve fallen for your eyes
But they don’t know me yet”


Braccia nude che si confondo, che la stringono, labbra sensuali, capelli  che volano, il barista Bill, una serie di shoottini di tequila allineati sul banco, un paio di occhi blù cobalto che la sfiorano.  E' quella l'ultima immagine che inconsciamente turberà la sua mente prima di svegliarla. E di fatti un secondo dopo aprì gli occhi, la musica c'era davvero, così come c'erano due braccia nude a stringerla.

“Buongiorno”

Mormorò lui con la voce impastata di sonno, sfiorandole la tempia con un bacio.

Jen sorrise, sentì il fiato del ragazzo solleticarle l'orecchio. Con gli occhi chiusi si voltò verso di lui, cercò a tentoni le sue labbra, sfiorandogli con un bacio prima la gola, il mento e poi finalmente la bocca.

Lui rispose al bacio con la stessa morbidezza e dolcezza di lei, portando le braccia dietro la sua schiena per stringerla meglio contro il suo petto nudo.

 

Kiss me like you wanna be loved
Wanna be loved
Wanna be loved”

 

E lei sperò davvero che lui lo facesse, che la baciasse placando quella fame insaziabile, quella voragine nello stomaco che da tempo non l'abbandonava nemmeno per un secondo. Le loro labbra erano lì che si sfioravano, così come i loro corpi, quel calore tra di loro, quella sensazione di strana famigliarità. Aprì gli occhi e incontrò quelli di Sebastian. Azzurri, di un azzurro così chiaro da perdere la sua particolarità. E per un attimo, come un flash, il suo cervello le mostrò un altro paio di occhi blu cobalto, come mare vivo, uno di quelli in cui hai voglia di tuffarti in piena estate.

“Grazie”

Sibilò lei stupidamente contro il suo petto.

Lui corrugò la fronte, anche se lei non poté vederlo, riusciva sicuramente a immaginarlo.

“Grazie, per cosa esattamente?”

“Per esserci”

Rispose lei, tracciando con le dita i contorni del suo capezzolo.

Seb rabbrividì di piacere e la strinse più forte.

“Grazie a te per volermi al tuo fianco”

Replicò il ragazzo baciandole i capelli.

“Hai fatto tardi ieri sera?”

“Si, sono stata da Bill”

Spiegò Jen trattenendo una risata nervosa.

“Cosa c'è di divertente?”

Lei gli baciò il collo, stuzzicandolo con la punta della lingua.

“Nulla.. solo dei clienti strani, tutto qui”

Liquidò la faccenda dello strano ragazzo che la notte prima l'aveva apertamente molestata.

“Se vuoi posso occuparmene io”

Questo fece decisamente sorridere la ragazza, che tirandosi su con i gomiti, si fermò con il viso a pochi centimetri dal suo.

“So difendermi anche da sola.. “

“Oh, questo lo so”

Disse lui tirando fuori la lingua per leccarle un labbro.

Lei si tirò indietro ridendo.

“No. No. No.”

“Oh dai”

Scosse la testa, mettendosi seduta sul letto e aggiustandosi le spalline della sua sottoveste.

“Non farò sesso con te adesso. Non arriveremo di nuovo tardi a lavoro”

Seb si portò le mani sul viso, sfregandoselo.

“Ad Eddy non importa”

“Importa a me”

Disse lei alzandosi e indossando la vestaglia.

“Oggi è la seconda table read, e cosa più importante, ci saranno i nuovi attori di questa stagione. Non posso fare brutta figura”

Lui brontolò rigirandosi nel letto vuoto.

“Vado a preparare il caffé”

Annuncio Jen, uscendo dalla stanza.


-----

 

Lui era già sveglio da un pezzo.

Perciò non si sorprese, ne protestò quando il suo cellulare vibrò per via della sveglia.

Aspetto qualche attimo prima di disattivarla e poi tornò a fissare il soffitto buio della sua camera d'albergo.

Un altro albergo, un'altra camera fredda e anonima.

L'ennesima.

E lui.. era diventato così anche lui? Freddo e anonimo?

Vuoto?

Non lo sapeva, ma sapeva invece di essere tremendamente insoddisfatto.

E la sua famiglia non faceva che ricordargli i suoi limiti, la sua situazione precaria e inconcludente.

La sua esperienza musicale non era andata come previsto.

Negli anni precedenti aveva partecipato a un bel numero di show televisivi, ma nessuno che richiedesse la sua presenza per più di qualche episodio, o un ruolo che lo vedesse protagonista e non una semplice marionetta del circo.

Così aveva finito per perdere se stesso.

Tutte quelle delusioni, quelle aspettative mancate, avevano portato via parti di lui.

Parti di cui sentiva dolorosamente la mancanza.

Perciò cosa gli restava?

Per cosa viveva davvero?

Si sentiva un essere errante, alla deriva, in una vita fatta di aridi desideri.

Si mise a sedere sul letto, si passò una mano tra i capelli arruffati.

Un nuovo lavoro lo attendeva.

Un altro show che lo prendeva in prestito come una puttana, per poi liberarsi di lui velocemente.

 

-----

“Siamo in ritardo”

“No che non lo siamo”

Disse Seb, tenendo gli occhi incollati alla strada. Sterzò dolcemente e poi, una volta superata una macchina nella corsia adiacente, imboccò la via verso gli studi televisivi.

Lei sbuffò sonoramente, battendo il piede sul tappetino dell'auto e guardando fuori dal finestrino, una città già sveglia da ore.

Seb rise.

Jen lo trucidò con un'occhiata.

“Mi eccita da impazzire quando fai così”

Sibilò lui mordendosi il labbro.

Jen arrossì leggermente ma voltò il capo per nascondergli i suoi pensieri.

“Forse.. se riuscissi a farti la doccia in meno di un'ora.. potremmo concederci una sveltina nella tua auto prima del lavoro”

Lui inchiodò l'auto nervoso. Per poco non tamponava la vettura che li precedeva.

“Stai scherzando?!”

Mormorò incredulo fissando la donna che sorrise bluffando,

“Tu mettimi alla prova..”

-------
 

“Siete arrivati finalmente”

Jen scese dall'auto e corse ad abbracciare l'amica.

Meghan le portò un caffé caldo che lei accettò volentieri. Il caffè era la sua droga di giorno, così come la tequila lo era di notte.

“Scusaci.. qualcuno fa fatica ad uscire dalla doccia..”

Rispose Jen lanciando un'occhiata accusatoria a Seb che chiuse l'auto, premendo il pulsante sulla chiave.

Beep.

“Ad ogni modo.. sono già tutti qui e buona notizia”...

Canticchiò Meg prendendo l'amica sottobraccio e incamminandosi verso gli studi..

“.. questa stagione avremmo un botto di scene insieme noi due!”

“Sia lodato il cielo”

Mormorò Jen sinceramente felice.

“Temevo mi affiancassero qualche altro strano personaggio delle fiabe quest'anno”

Entrambe risero mentre aprivano la porta ed entravano nella prima sala dell'edificio.

La stanza era un ampio salone pieno di porte, dietro ognuna delle quali c'era un posto in cui ricreare le ambientazioni a seconda delle scene da girare.

Nella sala c'erano davvero tutti: fu accolta da un harem di visi sorridenti, festosi, chiacchiere di benvenuto e saluti vari da parte di attori, costumisti, stagisti. Una grande famiglia che si ritrova dopo la una meritata vacanza.

“Ehy Jen.. stai da dio! Nuova dieta a base di sesso?”

Emily schiaffeggiò Robert su un braccio per quella provocazione sfrontata.

“Direi di si Bob.. io non l'ho impacchettato nel cellophane e messo via”

Rispose Sebastian salutando con una pacca sulla spalla il vecchio Rob.

Jen e Meg abbandonarono i due alle loro discussioni su roba che lei non avrebbe mai trovato lontanamente interessante, e si diressero verso l'ufficio dove si sarebbe tenuta la table read.

Fu in quel momento, mentre sorseggiava avidamente il suo caffè nero, che lo vide.

Era vicino alla porta alla quale lei e Meg erano dirette.

Rideva e chiacchierava amabilmente con Lana, Josh, Ginny e Adam come se fossero amici di vecchia data.

Le andò quasi di traverso il caffè.

“Lui chi è?”

Chiese a Meg mentre avvertiva un senso di nausea.

'Fa che sia solo di passaggio. Fa che sia solo un parente di qualcuno. Fa che sia solo in visita'

“Lui chi? Oh.. intendi quello figo?”

Jen annuì ma poi scosse la testa confusa.

Figo un cazzo.

“E' uno dei nuovi. Ha avuto una parte nello show”

Jen avvertì l'improvvisa sensazione di correre fuori e nascondersi da qualche parte nel parcheggio.

Quella risposta l'aveva colta di sorpresa, come un pugno nello stomaco. Sentì il respiro farsi pesante mentre la rabbia e l'impotenza si impadronivano di lei.

La sua sola presenza in quella sala la disturbava in una maniera assurda.

Jen non credeva fosse possibile odiare un semplice sconosciuto, ma in quel momento provò un sentimento di odio bruciante che sorprese persino se stessa.

Se gli sguardi potessero uccidere, pensò, lui ora sarebbe stecchito.

Forse fu l'intensità maligna del suo sguardo a catturare la sua attenzione, perchè il ragazzo alzò il viso e la guardò.

Poi, con sfrontatezza le sorrise e la salutò agitando la mano.

“Oh mio dio, ma voi due vi conoscete?”

Chiese Meg curiosa.

“C-cosa? No, certo che no”

Rispose Jen ricomponendosi mentre Adam urlava per la sala, chiedendo di raggiungerli.

Le due lo fecero e mentre lui continuava a sorriderle in maniera impertinente, lei lo maledì in tutte le lingue del mondo che conosceva.

“Eccola qui la nostra Jen.. la star dello show”

Annunciò Adam come un collezionista fiero del suo trofeo.

Ginny l'abbracciò rapida e così fece anche Lana.

Adam le baciò una guancia e Josh le dette una pacca sulla spalla e uno dei suoi migliori sorrisi.

“Facciamo le presentazioni.. lui è Colin...”

Disse Adam indicando il giovane bastardo che se ne stava eretto in maniera compiaciuta, e le sorrideva come se si stesse godendo la scena.

“Colin, Jennifer.. Jennifer, Colin”

Concluse Adam mentre il tizio nuovo allungava una mano in attesa che lei la stringesse.

Jen recuperò il senno.

Dopotutto era un'attrice e fingere era ciò che le riusciva meglio.

Sorrise e strinse la mano del ragazzo con tutta la forza che possedeva.

Voleva fargli male, lanciargli un avvertimento.

“Piacere signor?”

Chiese adottando il tono più educato che possedeva.

“O'Donoghue.. ma tu puoi chiamarmi benissimo Colin.”

Le fece l'occhiolino e la guardò in una maniera che lei ritenne perversa e fuori luogo.

Perchè nessuno diceva nulla? Perchè nessuno si accorgeva di nulla e sbatteva fuori questo tipo a calci in culo?

Lui ricambiò la stretta vigorosa di lei e per un attimo il gioco fu: vince chi stringe più forte.

Fu lei a terminare la sfida, quando Eddy, un altro autore dello show, sbucò dall'ufficio per richiamarli all'ordine.

“Oh. Vi siete già conosciuti, perfetto”

Cinguettò anche lui spalancando la porta per far entrare il cast.

“Vi voglio tutti in ufficio, SUBITO!”

Urlò poi per chiamare anche gli altri attori sparsi per la grande sala.

Josh, Ginny, Lana e Meg entrarono e lei si trovò per un attimo sola con lui, bloccata nel vano della porta.

Attendeva che il piccolo gruppo liberasse il passaggio prima di poter entrare e prendere posto al tavolo.

Lui la guardava e quello sguardo le mandava a fuoco la mandibola.

Si voltò per fulminarlo apertamente.

“Smettila di guardarmi così”

Lui socchiuse gli occhi confusi.

“Così come?”

“Come se mi conoscessi, come se sapessi tutto di me”

Mormorò lei per non farsi sentire da Rob, Seb ed Emily che nel frattempo li avevano raggiunti.

“Ciao”

Colin smise di fissarla e si concentrò sul nuovo arrivato.

Era Sebastian che l'aveva salutato, mostrandogli subito la mano in segno di amicizia.

Proprio non ci riusciva a smettere di essere così altruista e solare con tutti, pensò Jen, notando come il suo ragazzo accoglieva con un sorriso bonario il nuovo arrivato in famiglia.

Seguirono le presentazioni con Rob ed Emily e Jen approfittò di quel momento, per infilare la mano in quella del suo ragazzo. Non sapeva perchè lo stava facendo. Quel gesto impulsivo sorprese anche lei.

Non era la tipa da smancerie in pubblico.

Tutti lo sapevano e anche Seb che in quel momento impallidì confuso per poi sorridere radioso.

Jen fissò sfrontata Colin che fissò le mani dei due intrecciate.

“Oh, state insieme?”

'Si stronzo, guarda come non hai capito nulla di me. Guarda come non sono affatto triste e sola'

pensò J acida, mentre Sebastian annuiva da bravo fidanzato orgoglioso.

Tutto questo non sembrò turbare Colin, ma solo divertirlo ulteriormente.

'Forse ha qualche problema al cervello. Forse è uno psicopatico. Che cavolo ha da ridere?'

La sua mente urlava e J fu liete che nessuno potesse riuscire a sondare i suoi pensieri.

“Beh complimenti ragazzi, sono felice per voi”

Rispose lui in tono leggero e sincero mentre da dentro la stanza Eddy li invitava ad entrare.

Lui entrò e quando finalmente le dette le spalle, J chiuse gli occhi e ispirò il profumo della sua giacca di pelle.

Era la stessa che aveva al locale la sera prima.

Sapeva di bar di Bill. 

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Capitolo 3
*** I Love the Way You Lie ***


Jen sperò che il destino non si accanisse contro di lei, che la sua buona stella che sembrava eclissata, tornasse a splendere, perchè non avrebbe accettato un ulteriore batosta.

Cercò il suo nome sui cartellini segna posto e fu sollevata di scoprire che il nuovo arrivato non le avrebbe seduto accanto.

Si accomodò, Seb era alla sua destra e Meg alla sua sinistra. Ebbe solo qualche attimo per gioire perchè subito dopo notò, che esattamente difronte a lei, il cartellino segnava il nome 'Colin O'Donoghue'. E infatti un secondo dopo, lui si sedette, si tolse la giacca e la poggiò suollo schienale, come se fosse ancora al bar di Bill.

Approfittando del caos e della distrazione generale che reganvano nell'ufficio, Jen gli rivolse apertamente un'occhiata ostile, sperando che questa bastasse a tenerlo alla larga da lei e a chiarire le sue intenzioni a riguardo.

Lui per tutta risposta, le fece di nuovo l'occhiolino.

Sussultò quando all'improvviso le labbra di Seb le solleticarono l'orecchio.

"Non che non mi piaccia questa tua improvvisa voglia di marcare il territorio e tenermi alla larga dalle nuove arrivate, ma mi stai davvero stritolando la mano"

Lei mollò subito la mano del ragazzo, che le sorrise e le baciò una tempia, il tutto sotto gli occhi curiosi e ilari di O'Donoghue.

Si scoprì che c'erano davvero delle nuove arrivate, come Seb le aveva detto.

Entrambe le ragazze entrarono timidamente nella stanza, salutarono con un certo imbarazzo il cast già schierato e presero posto accanto a O'Donoghue.

Jen lesse i loro nomi sui cartellini:

Sarah Bolger e Jamie Chung.

Erano bellezze non indifferenti, e Jen si chiese, guardando i tre nuovi arrivati che ora chiacchieravano solidali tra loro, se davvero ci fosse del talento dentro tutti quei corpi straordinari.

 

 

"Ok, ragazzi.. cominciamo!"

Disse Eddy sfregandosi le mani impaziente e zittendo tutte le voci come fosse un insegnante in una classe del liceo. Tutti volsero la loro attenzione al tavolo degli autori, dove Eddy, Adam e le loro ombre Jean e Dean, sedevano.

"Prima di tutto ringrazio i nuovi arrivati... grazie mille ragazzi per aver accettato, siamo davvero fortunati ad avervi con noi"

Colin, Sarah e Jamie sorrisero, mentre il cast li accoglieva con un applauso.

"Non lo so.. qualcuno ieri mi ha detto di farvi le condoglianze perché lavorare con me è una vera svenutra"

Tutti risero a quelle parole. Tutti sembravano conquistati dalla sua verve e dal suo fascino.

Tutti tranne Jen, che in quel momento voleva solo abbandonare la stanza e correre il più lontano possibile da questo individuo.

L'aveva di nuovo provocata, l'aveva fatta sentire di nuovo una stupida, si era preso gioco di lei mentre ripeteva le parole che lei stessa gli aveva detto la sera prima.

La sua mano tremò per il nervoso e la penna che stringeva cadde a terra.

Si chinò sotto il tavolo per raccoglierla, lieta di avere un motivo per allontanarsi da tutti quelli sguardi adoranti per il nuovo arrivato che già sembrava essere una star.

Purtroppo la penna era finita ben oltre le sue possibilità di riprenderla, proprio tra un paio di Sneaky Steve neri da motociclista.

Che si fotta, pensò.

Non avrebbe strisciato ai suoi piedi per una stupida penna.

Rimerse e trovò lui a fissarla apertamente.

Le guardò le mani e quando realizzò che non aveva recuperato il suo bottino, si chinò lui stesso a cercarla. Gli bastò allungare un pò il braccio, perchè la penna era esattamente sotto la sua sedia.

La raccolse e gliela porse con l'aria di farle un dono gradito.

Lei tese il braccio per afferrare la penna che lui gli porgeva, guardandolo come se fosse Satana in persona.

Per fortuna ricevette una distrazione gradita, perchè due stagisti aveano comincito a distribuire i copioni per la sala. L'eccitazione del cast era palpabile.

Jen sorrise per la prima volta da quando era entrata negli studi, mentre la Emma Swan che era in lei faceva i salti di gioia.

Era la parte del suo lavoro che più amava.

Questo le fece dimenticare tutto il malumore precedente.

"Ora.."

Riprse Eddy.

".. come vi dicevo.. Colin, Jamie e Sarah saranno guest star per un arco di episodi. Introdurremo dei nuovi personaggi e mostreremo una parte di storia finora celata. Cominciamo con Jamie che sarà la nostra Mulan..."

Jen fissava il copione con un senso di inquitudine crescente.

"... Sarah interpreterà Aurora.."

Era paranoica o davvero c'erano 10 pagine dove il nome 'Emma' era affiancato da questo 'Hook'?

E facendo due più due..

"... e Colin è il nostro Capitano Uncino"

Sentenziò Eddy gioioso.

Jen sprofondò nella sedia.

"Niente boccoli?

Scherzò Josh rivolto a Colin che rispose:

"Uhm.. non credo mi donino molto"

Altre risate.

 

 

Per fortuna quell'interminabile tortura era finita.

Era la prima volta da quando lavorava come attrice che trovava una table read tanto fastidiosa quanto i flash dei paparazzi sotto casa.

Ritornò nella sala d'entrata, dove tutto il cast si godeva la pausa, festeggiando tra chiacchiere e caffè.

Era sola, perchè anche Meg e Sebastian erano finiti nella rete del brillante O'Donoghue, e ora ridevano alle sue battute come se fossero amici da una vita.

Infastidita cercò il suo telefono, lo accese e decise di distrarsi come faceva qualsiasi uomo del XXI secolo: con i social networks.

Su Twitter le notifiche segnavano una cifra spropositata. Era chiaro che qualcuno del cast aveva già postato qualcosa taggandola.

Oh.

Era una foto di Adam, che aveva ripreso tutti loro immersi nella lettura del copione durante la table read.

"Lavori in corso.."

Recitava la foto.

Premette Retweet e fu subito travolta da un'altra marea di notifiche.

Poi cliccò sulla foto e la ingrandì.

Lo zoom la condusse esattamente dove voleva: sul viso di Colin O'Donoghue.

Aveva un espressione seria, accigliata e sembrava del tutto concentrato sulla lettura del suo copione.

'Chissà', si disse, 'magari è uno che prende il lavoro sul serio. Magari non sarà un giullare anche quando recita.'

Sfiorando lo schermo, ricacciò la foto nel tweet di Adam e dette uno sguardo alla sua TimeLine.

Hollywood Reporter, TvLine, Ausiello e E!Online non parlavano d'altro che di lui.

 

L'ATTORE COLIN O'DONOGHUE GUEST STAR IN OUAT 2!

 

Jen cliccò su uno di quei titoli, e la news si aprì a pieno schermo.

Comparve subito l'immagine di lui, forse tratta da qualche suo vecchio servizio fotografico.

La foto in bianco e nero mostrava Colin in camicia con un paio di pantaloni aderenti, braccia conserte e sguardo fisso nell'obiettivo, mentre si poggiava baldanzoso contro una staccianota dietro la quale c'era un passaggio rurale mozzafiato.

Sorrise sarcastica, mentre sfiorava lo schermo in cerca dell'articolo.

Questa mattina Adam Horowitz, autore della fortunata serie 'Once Upon a Time', ha annunciato con un tweet il nuovo acquisto della serie targata ABC.

Si tratta di Colin O'Donoghue, scritturato per il ruolo di Capitan Uncino.

Al momento non ci sono ulteriori dichiarazioni in merito al personaggio o al modo in cui entrerà a far parte del mondo di OUAT.

O'Donoghue, già noto per..

 

"Jen?"

Qualcuno urlò il suo nome.

Lei chiuse subito l'articolo sussultando, mentre alzava il viso per cercare di capire chi la stesse chiamando. Era Meg, ancora affiancata da Josh, Ginny, O'Donoghue e Sebastian.

"Noi andiamo da Bill. Vieni?"

Le visite a Bill per lei erano sacre e se non realmente impossibilitata, di certo non rinunciava a una capatina nel suo tempio preferito.

Jen passò in rassegna il gruppo velocemente, soffermandosi un attimo sul viso di lui, che la fissò di rimando con un espressione asciutta.

Aprì bocca per rifiutare ma Seb rispose per lei.

"Certo che ci viene.. coraggio andiamo!"

Il gruppo si mise in marcia e lei li raggiunse come una condannata a morte, mentre Seb le porgeva la mano. Intrecciò le dita a quelle del suo ragazzo ed uscì nel parcheggio assolato.

Fissò la nuca del tizio chiamato Colin e pensò che, sebbene lo conoscesse da meno di 12 ore, lui le stava rovinando tutto.

 

 

Meg: "Sul serio? Sei irlandese?"

Colin: "Si direi"

Meg: "Ecco spiegato l'accento figo"

Ginny sospirò.

"Ho sempre voluto visitare l'Irlanda. Volevo andarci il mese scorso, ma qualcuno aveva un campionato da vedere.."

Josh rise bevendo un pò della sua birra.

"New York Giants?"

Chiese Colin a Josh.

"Ci puoi scommettere"

I due scontrarono i pugni come due tifosi, prima che Ginny tornasse a parlare dell'Irlanda.

"Sul serio. E' una vita che voglio visitare la Wild Atlantic Way. Dicono che possa competere con..."

"La Pacific Coast Highway in California.. ma sono tutte stronzate"

Concluse Colin mentre gli altri ridevano.

"Non sarà un giudizio di parte?!"

Lo provocò Seb bonariamente, inclinando il suo drink verso l'irlandese.

"Ah.. non credo proprio! Io abito a Donegal a nord ovest dell'isola, e quando vedi di sera il sole tramontare sulla costa, e la nebbia che sembra sorgere direttamente dalle profondità dell'oceano e ricoprire tutto a tal punto da non saper distinguere più qual è l'acqua e quale la nebbia.. credimi, è un caledoscopio di colori e sensazioni che non si dimenticano"

Parlava della sua casa come se fosse una vecchia amante, con quel tono che era un mix di nostalgia e devozione e che inevitabilmente finì per colpirla. Intrigarla.

Smise di rigirarsi il piccolo bicchiere vuoto tra le mani e permise a se stessa di fissarlo per un attimo. C'era qualcosa nel suo sguardo apparentemente sereno. Una malinconia di fondo, piccole ombre scure in quegli occhi blu che le fecero pensare al posto che lui aveva appena descritto.

Colin si inumidì le labbra col suo scotch e forse fu quel momento, in cui appariva così naturale, vero, arreso, profondo... solo?.... che lei sentì come un cubetto di ghiaccio caderle nello stomaco.

Forse riusciva a capire perchè tutti in quel bar, a que tavolo, pendevano dalle sue labbra.

"Sto per avere un orgasmo culturare"

Disse Meg spazzando via l'intensità di quel momento.

"Mi è venuta voglia di comprare un biglietto solo andata per l'Irlanda.. sul serio dovresti fare la guida turistica.. voglio dire.."

Meg si corresse subito in imbarazzo, conscia della gaffe che aveva appena commesso.

".. se non fossi un attore maledettamente bravo"

Lui rise di gusto.

"Ma se non mi hai mai visto recitare?!"

Meg impallidì e balbettò qualcosa. Da bravo gentlman la tirò fuori da quella situazione.

"Tranquilla Meghan.. è tutto ok. Non mi hai mica offeso"

Le mise una mano sul braccio per tranquilizzarla.

Jen seguì tutta la scenetta in silenzio, come lo era da quando era entrata nel bar di Bill.

"Se avessi detto una cosa così ad un francese, sarebbe già sull'aereo di ritorno"

Scherzò Sebastian mentre Meg era ancora scossa per la gaffe fatta.

"A noi irlandesi puoi dire di tutto.. ma attento a non offendere la nostra birra"

Ancora risate.

"E a te Jen? Gli irlandesi piacciono?"

Le chiese Josh.

Colin la fissò attentamente senza nascondere la sua curiosità.

Lei fece una smorfia e inclinò il capo verso destra.

"Non lo so.."

rispose posando il bicchiere vuoto sul tavolo.

".. trovo che siano troppo sfrontati e caotici per i miei gusti"

Un secondo dopo si rese conto dell'effetto che la sua risposta aveva avuto sul gruppo.

Tutti la fissavano sconcertati, senza capire a cosa fosse dovuta la sua mancanza di tatto e forse persino la sua maleducazione, difronte a un nuovo compagno di set.

Meg la fissò come a volerle dire 'tutto bene?'

Ginny era semplicemente scandalizzata.

Josh e Seb la osservarono come se entrambi fossero appena stati colpiti da una mazza da baseball.

Lui.. sorrideva e beveva il suo drink come se niente fosse.

Lei era stanca di fare figure deprorevoli quando lui era nei paraggi, ma quella volta capì che era solo colpa sua e che probabilmente doveva scusarsi.

Aprì bocca per farlo e per spezzare quel silenzio imbarazzato che ora era calato sul gruppo, quando un telefono squillò.

Era di Colin.

Tirò fuori il suo blackbarry e osservò il numero o il nome sullo schermo.

Jen giurò che per un attimo, un cenno di fastidio o turbamento, era apparso sul suo viso.

"Scusate, devo rispondere"

Disse educato, uscendo dal locale.

Sicura che i suoi colleghi l'avrebbero aggredita con domande sul suo strano comportamento, Jen si diresse in bagno prima ancora che qualcuno potesse parlare.

 

 

 

Aprì il rubinetto, si versò un pò di quell'odioso sapone alle fragole del bar e insaponò a lungo, così da far capire ai suoi amici che ci era andata davvero in bagno e non solo per fuggire da quella situazione. Sciacquò, prese una salvietta pulita, si asciugò le mani e andò verso il cestino per buttarla.

Fu li che commise l'errore di sbirciare dalla piccola finestra per vedere fuori.

Lui era nel parcheggio, parlava al telefono e si, non se lo era immaginato.

Sembrava davvero infastidito.

Misurava il parcheggio a piccoli passi, percorrendo una linea retta che andava dalla macchina di Sebastian fino a quella di uno sconosciuto, poi tornava indietro e ripartiva, come se quel gesto lo calmasse.

La finestra chiusa le impediva di sentire cosa stava dicendo.

D'un tratto lui si fermò e si girò, cosìché lei poté vederlo in viso.

Teneva gli occhi bassi sull'asfalto, una mano aggrovigliata tra i capelli e le labbra si muovevano veloci.

Che stesse litigando con qualcuno?

Un parente? Un amico? ......... una fidanzata?

Jen ne ebbe conferma quando lui riattaccò bruscamente, mise il telefono in tasca e si portò entrambe le mani sul viso come a volersi schiarire le idee.

Fu allora che la vide.

Alzò gli occhi e la beccò ad osservarlo.

Sorrise spazzando via la sua espressione rabbuiata di poco prima.

Le fece segno con la mano di uscire e lei che ormai era stata beccata e non aveva scuse, non poté nascondersi. Sarebbe stato solo infantile e stupido, come lo era lei quando lui era nei paraggi.

Aprì la porta di emergenza nel bagno ed uscì, fortunatamente sapeva come disattivare l'allarme, cosìché quella non suonò quando la serratura scattò.

Il parcheggio era vuoto e silenzioso, illuminato da qualche lampione e da una luna pigra e poco luminosa.

Lo raggiunse piazzondosi difronte a lui.

"Che cosa vuoi?"

Domandò brusca senza troppi preamboli.

Lui alzò le sopracciglia divertito.

"Che cosa voglio io? Sei tu quella che mi stava spiando dalla finestra"

Replicò goliardico e questa cosa la mandò su di giri.

"Devi smetterla di comportarti così"

"Cosi come?"

Ripetè lui usando le stesse parole e lo stesso tono di quella mattina.

Lei sollevò le mani frustrata e pestò con enfasi l'asfalto sotto i suoi piedi.

"Io non so chi diavolo sei o credi di essere. Non so cosa hai letto di me su internet o perchè ti senti in dovere ti tormentarmi in questo modo, ma.."

"Aspetta"

La interruppe lui facendosi d'un tratto serio.

"Credi che io mi sia documentato su di te?"

sollevò un sopracciglio curioso.

"Vuoi farmi credere che ieri sera non avevi idea di chi fossi?"

"A parte una ragazza in un bar?"

replicò subito lui mettendo alla prova il limte di sopportazione di lei.

"Me ne vado"

disse lei voltandogli le spalle e incamminandosi verso la porta socchiusa.

"Ehi.. aspetta"

lui la raggiunse in un secondo e la afferrò lievemente per un braccio.

Jen si liberò da quella presa come se il suo tocco fosse velenoso.

"Sapevo esattamente chi eri"

ammise tranquillo fissandola.

"So che sei un'attrice, che hai già lavorato in tv perchè la tv la guardo anch'io.. ogni tanto. Ma ieri sera sapevo che eri la protagonista dello show per il quale due giorni fa mi hanno chiamato per una parte? No. Questo non lo sapevo"

Era la prima volta che le parlava in un tono calmo e pacato, un tono sincero, libero da ogni umorismo o provocazione.

Lei gli credette, ed era pronta a lasciarsi tutto alle spalle quando lui tornò lo stronzo di sempre.

"Se non mi credi ecco qui il mio cellulare.."

riprese il telefono dalla tasca dei suoi pantaloni.

"... controlla pure la cronologia"

Jen lo guardò affranta.

"E' questo che non riesci a capire.. io non ti conosco, tu non mi conosci. Sei solo uno sconosciuto che si concede libertà non gradite"

"Wao"

sospirò lui fingendosi ferito.

"Chiedo scusa se sono solo uno sfigato che non può sedersi al tavolo della reginetta del liceo"

Jen strinse le mani a pugno lungo i fianchi, per impedirsi di picchiarlo.

"Vaffanculo"

sibilò gelida.

Lui aggrottò la fronte.

"Mh.. non credevo riservassi queste parole piene di risentimento a semplici sconosciuti"

Ed eccola li, l'ennesima volta che lui la metteva nel sacco servendosi delle sue stesse parole.

Le sorrise dandole così il colpo di grazia.

Jen si voltò e chiuse gli occhi per riacquistare l'autocontrollo, sospirò a fondo e ripartì verso la porta sul retro.

Prima che potesse aprirla lui urlò:

"Ci vediamo dentro, regina dello show"

Sbattè la porta così forte che il vetro della finestra tremò.

Uscì dal bagno e raggiunse velocemente il tavolo dei suoi colleghi.

"Credi che possiamo andarcene prima? Ho un pò di mal di testa.."

Fingere era ciò che le riusicva meglio.

Sebastian si alzò subito e raccolse la giacca.

"Ma certo"

"Credo di avere qualcosa per il mal di testa in borsa.. aspetta fammi controllare.."

"Non c'è bisogno Meg, ho solo bisogno di un pò di riposo, grazie"

Meg rimise la borsa al suo posto.

Colin li raggiunse dall'entrata principale.

"Ve ne andate?"

Chiese lievemento deluso.

"Si amico, Jen ha mal di testa"

Lui la fissò divertito mentre lei impallidiva nascondensodi dietro le spalle di Sebastian.

"Ma guarda.. che peccato"

Commentò sarcastico sfidandola con uno sguardo.

'So cosa stai facendo. Davvero? Mi aspettavo di meglio da te..'

Colin non pronunciò quelle parole, ma Jen le lesse chiaramente in quegli occhi sardonici e molesti.

"Beh spero ti passi presto.."

Continuò perfido.

"Lo spero anch'io"

Rispose lei asciutta.

"Dobbiamo rifarlo amico, questa serata qui intendo.."

Disse Sebastian dando una pacca sulla spalla di Colin.

Lui sorrise e ricambiò il gesto.

Ma quando parlò il suo viso ghignante era incatenato a quello di Jen.

"Assolutamente amico. Assolutamente"

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Capitolo 4
*** Cause I was filled with Poison but blessed with Beauty and Rage ***


Los Angeles, Luglio 2012

 

ore 6.00

 

Il sole stava sorgendo, e la sua luce avvolgeva la città di un intenso colore dorato.

Beh, avrebbe dovuto dire set e non città, ma dal momento che stava camminando sulla Main Street di Storybrooke, costruita un anno prima per le riprese dello show, la definizione non era poi così errata.

Quella era la sua città adesso, la sua casa.

Camminava beata godendosi la calma e la tranquillità del primo mattino.

Silenzio assoluto.

Nessun autore esigente che impartiva ordini, nessun macchinista rumoroso, nessun stagista esaurito.

Niente chiacchiere, niente voci, rumori.

Solo il delicato fruscio del vento che accarezzava quella città fantasma.

Si stiracchiò pigramente lasciando che i primi raggi di sole le solleticassero il viso.

"Ti godi il panorama piccola J?"

Aprì gli occhi come se si trattasse di un incubo.

Si voltò e lui era li, apoggiato all'angolo del negozio di Mr. Gold che fumava una sigaretta.

Addio pace dei sensi.

"Non puoi fumare"

Fu la prima cosa che le venne in mente da dire.

"E buongiorno anche a te.."

Rispose lui sorridendole.

"Non si fuma qui, c'è un cartello all'entrata che lo vieta espressamente"

Ribadì lei testarda.

"Si, mi sei mancata anche tu.."

Lui continuò con la sua farsa e questo risvegliò in lei tutto il risentimento che provava verso di lui.

Erano passate quasi due settimane dal loro ultimo incontro al bar. Due settimane di pace, a casa a studiare la parte per le riprese che sarebbero cominciate quel giorno stesso.

Lei gli dette le spalle e riprese a camminare come se lui non ci fosse.

Colin le corse dietro, la raggiunse e si posizionò al suo fianco.

"Scusami. Non sapevo fossi anche una maniaca delle regole"

Lei lo ignorò.

"Allora, come stai?"

Lei sorrise e scosse il capo incredula per la sua sfrontatezza.

"Puzzi di fumo"

Gli disse.

"Tranquilla.. per oggi non abbiamo in programma nessuna scena di baci"

Replicò l'irlandese portandosi nuovamente la sigaretta alle labbra.

"E mai l'avremo.."

Canticchiò lei lieta della cosa.

"Baciarmi sarebbe qualcosa di cui andresti fiera. La tua carriera e il tuo curriculm ne risentirebbero in positivo"

Una nube di fumo fuggì dalle sua labbra ironiche.

"Che cosa ci fai qui?"

Continuò a camminare, con lui che le era di fianco.

Entrambi fissavano il sole sorgere in lontananza.

"Io ci lavoro qui"

Le ricordò lui.

"Qui, qui intendo"

Cercò di spiegarsi lei.

"Non sei l'unica a cui piace passeggiare di soppiatto sul set prima delle riprese. Lo faccio anch'io. Lo trovo di buon auspicio."

"Io passeggio per starmene da sola"

Replicò lei con superficialità.

Lui la guardò.

Jen sentiva il profilo destro del suo viso bruciare, e non seppe se era per il sole o per la fastidiosa sensazione di essere fissata da lui.

"Tu non ami la solitudine. Anzi, cerchi qualcuno che ti salvi da tutto questo"

Lo disse con quel tono serio e profondo che le faceva sempre montare un irrazionale rabbia dentro.

"Non ricominciare con la storia del 'so tutto di te' perchè come ti ho già detto tu non mi conosci"

Sbuffò spazientita.

"Va bene.."

Cominciò lui cauto.

"Niente discorsi sul personale, non ancora almeno.."

Lei roteò gli occhi all'insù.

".. parliamo di lavoro: che ne pensi delle nostre scene?"

"Ma tu non ti arrendi mai?"

Chiese lei guardandolo.

Lui ricambiò l'occhiata regalandole uno dei suoi sorrisi più radiosi.

"No. Se l'avessi fatto non sarei arrivato fin qui"

Contro ogni logica, quella risposta la incuriosì un sacco. Per un attimo avvertì l'insensato impulso di domandargli a cosa alludeva, su quali cose non si era arreso e se considerava la sua parte in quello show un traguardo o un'opportunità indifferente.

Ma ricacciò le parole in gola e riprese a camminare fissando la strada, con lui al suo fianco.

"Dunque.. hai studiato la parte?"

Ci riprovò lui.

Quando si trattava di lavoro, lei la prendeva sempre sul personale.

"Certo che si. Non sono una dilettante o una che prende le cose sottogamba..."

Rimarcò le ultime parole per lanciargli una chiara frecciatina.

Lui ridacchiò divertito, fissò lei, poi di nuovo la strada.

"Pensi che io sia così?"

Le chiese.

Lei non rispose.

"Lo prendo come un si.."

Ancora niente.

"Sai, non mi importa se lo pensi, però c'è una cosa che hai detto che mi ha ferito profondamente"

Questa volta non poté ignorarlo. La curiosità prese il sopravvento.

Si fermò e lo fissò.

Sul suo viso non c'era alcuna traccia di ilarità. Dunque era serio, non stava scherzando.

"A cosa ti riferisci?"

"Ricordi quella sera al bar, quando eravamo con tutti gli altri?"

Lei annuì.

"Hai detto quella cosa sugli irlandesi..."

Ricordò di aver detto apertamente che gli irlandesi non le piacevano perchè troppo sfrontati e caotici.

"Beh... puoi prendertela con me quanto vuoi, ma non puoi offenderli senza conoscerli. E' la mia gente, il luogo in cui vivo.."

Jen ricordava anche l'adorazione con cui lui aveva parlato della sua nazione.

"Hai mai pensato che io mi stessi riferendo solo ad un irlandese in particolare?"

Domandò lei, interropendolo.

Lui sorrise, finalmente.

"Si.. ma il punto è che questo tuo pregiudizio potrebbe precludere la tua possibilità di incontrare altri irlandesi, motivo per cui ti sto invitando a venire in Irlanda da me appena puoi"

Concluse Colin con sfrontatezza.

Lei aprì la bocca scossa da quella proposta e intuendo dove tutto quel discorso stava andando a parare.

"Grazie, ma no"

Rispose secca riprendendo a camminare.

"Perchè no?"

Chiese lui curioso.

"Sono fidanzata"

Disse lei come se la cosa fosse ovvia.

Lui corrugò la fronte.

"E questo ti impedisce di vivere? Di fare nuove esperienze culturali?"

"Certo che no. Io faccio quello che mi pare.."

"Allora è un si? Verrai?"

Lo guardò e gli sorrise.

"No"

 

 

Un'ora dopo era in camerino.

Indossava gli abiti di Emma Swan e la truccatrice stava apportando gli ultimi ritocchi.

Ringraziò mentalmente Adam per averla chiamata sul cellulare, avvisandola di presentarsi per il trucco, salvandola così da quella discussione tortuosa.

Pochi minuti e l'avrebbe rivisto, perchè sfortunatamente, la stagione sarebbe stata inaugurata con una delle loro scene.

Quando uscì dal camerino e raggiunse lo studio 23, quello dove si sarebbe svolta la scena, trovò un gran via vai di gente.

Macchinisti, cameramen, operatori del suono, delle luci.. tutti si muovevano freneticamente come formiche d'estate.

Anche lui era già li, chiacchierava e rideva con Adam, Dean, Eddy e Jean.

Era il primo giorno di riprese, perciò c'erano tutti e quattro gli autori a presenziare all'evento.

Jen notò distrattamente i suoi abiti: pantaloni di pelle lucida attillati, una camicia nera che sembrava risalire al 1800 e un lungo cappotto che quasi toccava il pavimento.

E ovviamente l'uncino.

Jen sorrise pensando a questa nuova versione del capitano più famoso delle fiabe, che ancora non la convinceva.

Uno stagista si avvicinò al gruppo facendo posizionare Colin accanto a un albero palesemente finto.

Lo studio era fatto completamente da pannelli verdi, quelli che poi servivano durante l'editing a creare le ambientazioni e gli effetti speciali.

Adam la notò e le ordinò di avvicinarsi.

"Jen vai dallo stagista. Lui ti insegnerà come creare e sciogliere i nodi, senza ferire nessuno"

 

Dieci minuti dopo, Jen era già all'opera.

Stava legando Colin seguendo le istruzioni dello stagista esperto in nodi cinematografici.

"Devi solo convincere il pubblico che lo stai stringendo, ma in realtà stai solo allacciando una grossa scarpa"

Spiegò il ragazzo mentre Jen armeggiava nervosamente con tutta quella corda.

Colin la fissava sorridendo.

"Credi che adesso siamo abbastanza intimi da essere amici? Insomma..."

Disse lui muovendo la testa, unica parte del corpo libera dalla corda.

".. mi stai legando contro un albero, questo implica un certo grado di intimità.."

Jen alzò la testa e sbuffò, fissandolo scontrosa.

I loro visi erano abbastanza vicini.

Qualcosa nella faccia di lui catturò la sua attenzione.

"Che cosa hai fatto agli occhi?"

Chiese lei resistendo all'impulso di mollare il nodo per toccargli il viso.

"Eyeliner.."

Ridacchiò lui.

"... rende il mio sguardo più seducente"

Lei tornò ad occuparsi dei nodi.

"Ma se per te è un problema recitare perchè troppo rapida dal mio sguardo sexy, posso chiedere alla truccatrice di inventarsi qualcos'altro.."

Lei strinse il nodo con forza, mozzandogli brevemente il respiro.

"I tuoi occhi non saranno un problema... tu sarai un problema per il mio lavoro se continui a comportarti da coglione"

E detto questo, allentò il nodo e le corde che comprimevano il torace del ragazzo che tornò a respirare sorridendo.

"E' la seconda parolaccia che mi dici in poco tempo, direi che adesso possiamo proprio considerarci amici"

 

 

"Ci siamo! Tutti ai posti cominciamo.. 10..9..."

'Ti prego, ti prego, ti prego. Fa che tutto vada come deve andare. Fa che tutto vada come sempre..'

"...7..6.."

'...Fa che si comporti per bene. Fa che sia professionale, fa che non sia il solito coglione...'

"...4...3.."

Nella sala regnava il silenzio.

L'eccitazione era palpabile, tutti fremevano e attendevano l'inizio delle riprese della seconda stagione.

La prima scena.

Il momento inaugurale.

Un autore contava, Jennifer pregava che tutto andasse secondo i piani.

Non era mai stata così nervosa e la colpa era da attribuire solo e soltanto a lui.

'...fa che non cede alla provocazione, fa che non perda il controllo..'

"...2... 1..."

'.. ci siamo..'

".. eeeee Azione!"

 

 

"Eccezionale.. perfetto"

Sussurrò Eddy nel buio della sala.

Le riprese erano in corso.

"Si, funzionano a meraviglia"

Sentenziò Adam fissando Hook ed Emma in azione.

L'altro autore, Dean annuì convinto.

"Che ne pensi Jean?"

Chiese Adam.

La donna restò in silenzio.

Fissava la scena assorta, come se non fosse affatto presente nella stanza.

"Jean?"

La richiamò Adam.

"Shhh"

Fece lei brusca.

"...silenzio, sto pensando"

Adam, Dean ed Eddy attesero qualche secondo prima di domandarle.

"Pensando a cosa?"

Jean sospirò e in silenzio rispose:

"Guarda quei due.. guarda il modo in cui interagiscono, il modo eccezionale in cui parlano anche solo guardandosi. Lui attacca, lei si ritrae. Lei attacca, lui incassa e ci riporva. C'è una sorta di.. magia.. è come se lui tirasse fuori una parte di lei che nessuno conosce, come se la spronasse ad affrontare i suoi limiti. Lei si ritrae, ha paura di questo pirata ma lo combatte a testa alta come ha sempre fatto... non è una paura fisica.."

Continuò Jean come rapita agitando le mani per indicare i due attori in scena.

".. è una paura emotiva. E' come se Emma fosse per la prima volta spaventata davvero da qualcuno... non perchè lui possa farle del male fisicamente.. ma farle provare un tipo di dolore ancor più spiacevole: il confronto con se stessa"

I tre autori rimasero senza parole.

"Ed hai visto tutto questa già dalla prima scena?"

Chiese Adam colpito ma confuso.

"Questa prima scena è stata solo un input. Uno stimolo per ciò che sto andando a scrivere, a creare.. Bloccate tutti i copioni, ci sono cambiamenti da apportare"

I tre uomini la fissarono senza capire.

Lei si voltò verso di loro e spiegò le sue intenzioni.

"Hook non morirà nella Foresta Incantata.. Hook tornerà nel nostro mondo a Storybrooke. Il suo percorso è legato a quello di Emma. E anche lo show ha bisogno di una figura come lui.. direi che abbiamo appena ricevuto un bel regalo di natale"

Jean raccolse il suo palmare e i suoi appunti.

"Quando la registrazione finisce, dite al ragazzo che si è appena conquistato un ruolo da regolare nella serie. Sarà un altro protagonista... avrà una storyline tutta sua"

Eccitata e ispirata come non mai, la donna si congedò dai tre autori fuggendo subito nel suo ufficio, dove avrebbe riscittro il destino e la storia di Capitan Uncino.

 

 

Se era sorpresa?

Si, lo era eccome.

Non si era aspettata un risultato simile. Tutte le sue preghiere erano state esaudite.

Avevano girato tranquillamente, senza intoppi ne problemi.

Era stata tutto il tempo Emma Swan che sulle scene sembrava funzionare con questo nuovo Hook.

In effetti, lui era piuttosto bravo, dovette ammetterlo.

Un attore che sapeva tenerle testa: professionale, ligio al dovere, perfettamente calato nel personaggio.

Questi concetti stonavano se pensava a lui come ragazzo e non come attore. Tutti questi pregi sembravano non appartenergli. Eppure sulle scene non era stato il buffone e arrogante O'Donoghue.

L'aveva guardato e ci aveva visto Hook, quello che si era immaginata studiando il copione.

Mentre tirava un sospiro di sollievo, felice come dopo ogni giornata passata sul set, ecco che il vero problema tornava all'attacco.

Indossava ancora gli abiti di Hook, ma l'atteggiamento era dell'innopportuno ragazzo irlandese.

"Allora..."

disse lui con un sorriso mentre la crew sgomberava la sala.

"credi che ci siamo meritati un giro gratis da Bill?"

"29"

Rispose lei fissandolo.

Lui aggrottò le sopracciglia confuso.

"29.. è il numero delle scene che ci restano da girare prima che tu finalmente vada via e credimi, le sto contando con impazienza..."

Commentò lei con leggerenza e con un sorriso sulle labbra.

Ma lui..

Lui non sembrò apprezzare la battuta.

Era come se qualcuno l'avesse schiaffeggiato.

Poté chiaramente vedere l'ilarità sparire dal suo volto, prosciugata via come se qualcuno l'avesse di colpo succhiata dal suo corpo.

E quel qualcuno era lei.. e proprio non ne capiva il motivo.

Jen si affrettò a far sparire anche il suo di sorriso, sconvolta dalla piega che quella situazione stava prendendo.

Che cosa aveva detto di male?

"Wao.."

Sospirò lui colpito annuendo meditabondo.

".. grazie per essere stata così stronza con me"

Lei aprì bocca per scusarsi, per chiedergli cos'è che non andava.

Ma lui afferrò l'uncino che aveva poggiato sul tavolo e dandole le spalle, si incamminò verso l'uscita.

Jen restò a fissare la sua schiena mentre si allontanava, con le stesse sensazioni di chi ha appena contratto un virus intestinale.

 

 

"Ehy"

Sebastian l'aspettava nel parcheggio, poggiato contro lo sportello della sua auto.

Quando si avvicinò la baciò salutandola, lei rispose al bacio distrattamente.

"Tutto bene?"

Chiese lui notando la sua rigidità.

Jen tentò di sorridere..

"Oh, si.. sai com'è, il primo giorno di riprese è sempre duro"

Sebastian annuì comprensivo e le aprì la portiera per farla accomodare.

Nell'abitacolo dell'autovettura, che procedeva lenta nel traffico della sera verso casa, Jen passò tutto il tempo chidendosi se lui fosse o meno andato da Bill e con chi stesse condividendo i suoi pensieri che in quel momento voleva così disperatamente decifrare.  

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Capitolo 5
*** But Sometimes these Feelings can be so Misleading ***


Il giorno dopo andò a lavoro nervosa come non mai.

Si sentiva come uno di quei pupazzi a molla, pronto a scattare al minimo movimento.

Ovviamente non era nervosa per la parte o il lavoro, era nervosa per lui.

Ed ecco perchè odiava quel genere di cose. Farsi coinvolgere così tanto in ambito professionale portava solo guai. Rendeva l'ambiente di lavoro malsano e difficile da vivere.

E per loro che la convivenza era tutto, quel genere di incomprensioni potevano essere una gran seccatura.

Prese l'ascensore e salì al terzo piano. Quel giorno avrebbero girato nella sala 36.

Attese un attimo, sospirando impaziente mentre la sua mano si aggrappava nervosa alla maniglia.

Alla fine ebbe il coraggio di aprirla e fu subito accolta dalla risata contagiosa di lui.

Chiacchierava con Ginny, Josh e Adam. A loro si erano unite anche Jamie e Sarah, perchè quel giorno avrebbe girato anche con le nuove.

Annunciò la sua prenseza nella stanza, augurando a tutti il buongiorno mentre teneva fisso lo sguardo su un volto in particolare.

Quel volto non la degnò di un'occhiata perchè d'un tratto sembrava troppo preso dalla tazza di caffè che stringeva tra le mani.

Svanì in un istante l'illusione che lui avrebbe fatto finta di niente. Che il giorno prima non era successo nulla. Ci aveva quasi creduto quando entrando lo aveva visto di buon umore.... buon umore che era sparito quando lei si era palesata.

Sospirò frustrata mentre la truccatrice la chiamava per renderla Emma Swan.

Le incomprensioni sul lavoro erano una gran rottura.

 

 

Mezz'ora dopo, Sarah, Jamie, Ginny e lui erano tutti impegnati a ripassare le battute prima di cominciare a girare.

Jen approfittò di quel momento per farsi avanti.

Lui era poggiato contro lo stipite di una delle uscite di emergenza, testa china sul copione che aveva tra le mani.

Si avvicinò timidamente odiandosi per questo.

"Ciao.."

mormorò cossiché nessuna delle 30 persone presenti in sala, potesse udirla.

Lui non dette segno di averla vista.

".. credi che possiamo parlare un attimo?"

Il ragazzo contrasse appena la mascella e continuò a fissare il copione.

"... senti, io..."

"Ehy Colin?"

Adam lo chiamò, urlando dall'altro lato dell'immensa sala.

Jen maledisse il tempismo dell'autore.

"Mi chiamano. Devo andare"

rispose lui asciutto, lasciandola senza nemmeno averla sfiorata con lo sguardo.

Jen realizzò di essere stata tagliata fuori.

 

 

 

Nelle ore successive non vi fu tempo per alcun chiarimento.

Girarono due lunghe scene ambientate nella Foresta Incantata e le pause erano così brevi e impegnate, che tutto ciò che si poteva fare era farsi ritoccare il trucco o ripassare qualche battuta.

Una situazione stressante e frenetica che di certo non favoriva nessun faccia a faccia.

 

Ed è per questo che ci riprovò.

Quando Eddy decise che finalmente avevano lavorato abbastanza per quel giorno, li liquidò mandandoli tutti a casa a riposarsi.

Jen abbandonò alcuni oggetti di Emma ad una delle costumiste e si voltò nella sala affollata di tecnici e operatori per cercarlo.

Lo vide dall'altro lato della studio, mentre usciva da una delle porte secondarie.

Bene, dunque lui la stava deliberatamente evitando.

Si dava il caso però, che lei fosse più esperta di lui in quel campo.

Nessuno come lei conosceva tutti i passaggi, le scale e gli ascensori secondari per uscire da quella struttura labirintica. Ormai dopo un anno e mezzo passato in quegli studi, sentiva di conoscerli come le proprie tasche.

Perciò se aveva ragione e aveva intuito dove lui stesse andando, aveva solo pochi secondi per agire.

Si fiondò verso la porta secondaria opposta a quella da cui lui era uscito, scese velocemente una rampa di scale e atterrò soddisfatta sul pianerottolo.

Si, qualcuno aveva chiamato uno degli ascensori che portavano direttamente nel retro, nel parcheggio e nei sotterranei. Lei gli usava spesso perchè era raro che qualcun altro prendesse quelle gabbie malferme che rischiavano di fermarsi da un momento all'altro, quando invece erano disponibili i nuovi, ampi, luminisi ascensori, dotati anche di sistema di allarme in caso di balckout.

Lui si trovava a un piano o due, sopra di lei.

L'ascensore era in funzione, stava scendendo per raggiungerla.

Premette l'interruttore così che quello si sarebbe dovuto fermare una volta raggiunto il pianerottolo in cui era pronta a tendergli un agguato.

Ecco, sentiva le sbarre ferrose cigolare, un piccolo spiraglio di luce che scendeva in quell'oscurità.

Sperò davvero che quello nel cubicolo fosse lui e non un tecnico.

Non doveva attendere molto..

Come un vecchio ferro arruginito, l'ascensore si fermò al suo cospetto.

Ancora qualche secondo e l'avrebbe scoperto.

Mio dio, ma quelle porte ci avevano sempre messo così tanto ad aprirsi?

Era nervosa, ma finalmente le porte furono spazzate via rivelando il soggetto al suo interno.

Era lui.

Sospirò contenta mentre lui abbandonava ogni accenno di buon umore.

Era chiaro che si era preparato ad accogliere con un sorriso di circostanza, chiunque tranne lei.

Jen entrò nell'ascensore, le porte metalicche si chiusero e quello riprese lentamente il suo cammino.

Le restava poco tempo se voleva agire.

Si voltò verso di lui, conscia di trovarsi per la prima volta così vicina e bloccata in pochi metri quadri con quel ragazzo decisamente... fuori dal normale.

"Dobbiamo parlare"

cominciò decisa mentre lui si mordeva una guancia e fischiettava come se nulla fosse.

Solo quattro piani e sarebbero arrivati.

No, il tempo non bastava.

Jen cercò con una mano i tasti dei vari piani, li passò in rassegna prima di torvare il tasto delle emergenze.

Sicura che l'allarme non avrebbe suonato, lo tirò.

L'ascensore si fermò di colpo con un movimento brusco che minò il controllo di entrambi.

Lui finì leggermente in avanti, lei anche.

Ancora qualche millimetro e sarebbero finiti l'una sull'altro.

Questa mossa sorprese decisamente lui che la fissò severo.

"Dunque è così che funziona? Quando la regina dello show vuole qualcosa deve ottenerlo comunque.."

Jen roteò gli occhi ma lo lasciò parlare.

L'importante era discuterne.

"...noi poveri mortali dobbiamo accontentarla o rischiamo di finire al rogo o peggio ancora.."

abbassò il suo tono di voce avvicinandosi a lei in quello spazio angusto.

".. finire bloccati in un ascensore con lei, senza sapere se l'altro è o meno claustrofobico"

lei spalancò gli occhi.

"Lo sei?"

chiese cercando subito l'interruttore per sbloccare tutto.

"No"

rispose lui deciso liberandosi finalmente da quel tono beffardo.

"Bene..."

cominciò lei annuendo.

"...perchè dobbiamo parlare"

"Continui a ripeterlo"

commentò Colin stancamente.

"Forse perchè qualcuno non me ne da la possibilità"

replicò lei punta sul vivo.

"Forse perchè qualcuna è stata una tale stronza"

"Ecco.."

disse lei infuriata.

"..spiegami cos'è che ho sbagliato"

lui la fissò incredulo.

"Sul serio? Sei così piena di te da non accorgertene?"

inspiegabilmente le sue parole la scossero più del dovuto.

"Evidentemente si, visto che ancora mi guardi come se stessi dando di matto inutilmente"

continuò lui prendendo a muoversi in quello spazio piccolissimo.

"Sono qui per scusarmi.. qualunque cosa io abbia fatto"

ammise lei facendo i conti con quanto le costava dire quelle parole.

Sperava fosse abbastanza ma ovviamente per lui non lo era affatto.

"Lo fai senza essere consapevole per cosa ti stai scusando?"

commentò lui allibito e .. divertito.

Doveva esserlo, perchè una risata sarcastica gli sfuggì di bocca.

"Dimmelo tu allora"

sbottò lei spazientita.

Lui la fissò. La luce al neon dell'ascensore fermo, conferiva una strana sfumatura ai suoi occhi blu.

Sembravano quasi.. alieni.

Lei represse un brivido, ma tutto ciò che sapeva era di non avere paura di lui.

"Il punto è che tu pensi di essere così superiore a tutti e tutto. Sei tremendamente ostile, snob, elitaria con chi non conosci, ma non manchi di mostrare la tua parte migliore a chi ti è invece amico . Sei così piena di te a tal punto da pensare che se qualcuno si avvicina a te in un bar non è perchè sei una comune ragazza ubriaca.."

"Io non ero ubriaca"

lo interruppe lei severa, ma lui continuò imperterrito nella sua filippica.

".. ma lo fa perchè ha un secondo fine. Perchè tu sei Jennifer Morrison, la famosa Jennifer Morrison e se qualcuno che non è nelle tue grazie o non fa parte della tua cerchia ristretta si avvicina, è solo perchè vuole approffittare di te. Sei così compiaciuta di te stessa che non manchi di screditare il prossimo, di definire il suo ruolo stupido, banale.."

"Non ho mai detto quelle parole!"

di nuovo lo interruppe ma lui continuò alzando la voce di un'ottava.

"... perchè il tuo ruolo da protagonista è ciò che conta. Ma nel caso non lo sapessi, al mondo non siamo tutti Jennifer Morrison. Al mondo c'è chi ancora lotta e aspetta la sua possibilità, e un ruolo che per te è semplicemente banale.."

lei aprì bocca per replicare ma lui non le dette modo di farlo.

".. ok, forse non hai usato espressamente quelle parole, ma il senso era quello.. comunque, dicevo che l'importanza o meno di qualcosa, cambia a seconda della persona. E perchè tu lo sappia Morrison, questo ruolo per me non è banale affatto. L'ho accettato con fierezza e lo rifarei ancora, perchè ha permesso alla gente..., gente che non è ottenebrata dal pregiudizio o troppo snob per accorgersi del prossimo, di notarmi, di notare le mie capacità e di promuovermi.."

Jen lo guardò stordita, senza capire.

O forse lo aveva capito, ma evitava di pensarci.

".. Si"

mormorò lui soddisfatto, come un cacciatore che mette a segno un punto.

".. a quanto pare, Adam e gli altri ritengono che il mio non debba essere un ruolo secondario. Hanno apprezzato il mio lavoro a tal punto da propormi una parte come protagonista, una parte degna per essere notati da Jennifer Morrison.."

spiegò lui con un piccolo accenno di crudeltà nella voce.

Lei si sentiva intontita, come se avesse bevuto mezza bottiglia di tequila o preso una botta in testa.

"E hai accettato?"

domandò stupidamente.

Lui la guardò sorpreso.

"Certo che si"

lei ripensò a quella mattina, a quando Adam lo aveva chiamato in disparte.

Era stato forse quello il momento della fatidica proposta?

"Non avrei dovuto?"

chiese lui curioso facendo un ulteriore passo verso di lei, che arretrò impercettibilmente senza rispondere.

"Non avrei dovuto solo perchè tu sei troppo orgogliosa da ammettere che ti piaccio e per questo hai voglia di farmi fuori il prima possibile?"

non capiva se stava scherzando o se diceva sul serio.

Non era più arrabbiato, ma nemmeno felice e spensierato come suo solito.

Allora si stava prendendo gioco di lei o era maledettamente serio?

"Tu non mi piaci"

sbottò lei strappandogli finalmente un sorriso sornione.

"Avrei dovuto accettare o no?"

chiese lui con più calma di prima.

Lei lo fissò in cagnesco rispondendo aspra.

"Certo che si"

qualcosa nel suo viso si rilassò dopo quella risposta. Jen capì che, stranamente, per lui era importante la sua approvazione.

"Bene"

concluse asciutto ma di nuvo rilassato.

"Bene"

gli fece eco lei infuriata.

Si voltò e premette di nuovo l'interuttore.

Con un brontolio di protesta, i meccanismi si rimisero in moto e l'ascensore ripartì.

Lei batteva i piedi arrabbiata per quella situazione e per come si era evoluta, e sebbene gli dava le spalle, poteva giurare chiaramente che il suo sorriso soddisfatto le stava bruciando la schiena.

 



Sotto il getto irruento della doccia, ebbe tutto il tempo per riflettere e riorganizzare i suoi pensieri arrabbiati. Di una cosa era del tutto certa: preferiva parlare con lui solo quando di mezzo c'erano due persoanggi e un copione. Perchè quando si trovava alle prese con l'irlandese nella vita reale, tutte le battute che aveva in mente sparivano in un istante lavate via come quelle frasi scritte sulla sabbia in riva al mare. Le cose con lui prendevano sempre una piega diversa e inaspettata. Poteva prepararsi tutti i discorsi che voleva ma alla fine lui l'avrebbe sempre sorpresa facendo o dicendo tutt'altro. Era come improvvisare.

E lei odiava non avere uno schema o un copione da seguire. Tutta quella libertà la confondeva e le procurava una grande quantità d'ansia.

Mentre l'acqua scorreva sul suo corpo avvolgendola in un caldo abbraccio, la discussione avuta qualche minuto prima con lui tornò a martellarle il cervello, spazzando via ogni sensazione di benessere. Era davvero incredibile!

Non era riuscita a dirgli ciò che voleva, nemmeno una parola del discorso che aveva preparato.

Sapeva solo che per l'ennesima volta aveva fatto la figura della stupida, con il suo 'dobbiamo parlare' come fosse una scolaretta al liceo.

E lei odiava davvero molto sentirsi così.

Però forse non era stata del tutto un insuccesso. Anche lei aveva portato a casa un pò di punti.

Come quando l'aveva sorpreso in ascensore o aveva premuto l'interruttore dell'emergenze bloccandolo in quella gabbia ferrosa.

Ricordava l'espressione piacevolmente incredula di lui. Aveva persino deglutito ad un certo punto. Ad occhi chiusi riusciva quasi a vedere i muscoli della sua gola contrarsi in quel semplice movimento di disagio... o l'azzurro dei suoi occhi che cambiava leggermente colore mentre il neon d'emergenza illuminava il suo viso sorpreso.

Stava forse sorridendo compiaciuta per tutta questa situazione?

Si, doveva ammettere che per un pò si era difesa bene anche lei, prima di chiudersi in uno dei suoi soliti silenzi rabbiosi che riservava solo ed esclusivamente a lui.

Che tale... stronzo. Impertinente.

Di certo la fantasia non gli mancava, come quando le aveva detto che lei cercava di farlo fuori a tutti i costi solo perchè non voleva ammettere che lui le piaceva.

Era un'ipotesi così irrealistica che quasi la fece ridere di gusto.

Rivivere tutta quella situazione le dette l'illusione di essere ancora bloccata in ascensore con lui.

Ecco perchè quando qualcuno l'afferrò dolcemente da dietro, lei sussultò sorpresa.

Aprì gli occhi mentre allontanava il viso dal getto caldo dell'acqua e la sua testa incontrava un petto morbido e famigliare.

Si abbandonò contro di lui, sentendo la sua eccitazione premerle contro il fondoschiena mentre stringeva le mani del ragazzo che le accarezzavano l'addome procedendo lentamente verso il basso.

"Ho appena letto una notizia su internet secondo la quale noi americani siamo primi al mondo a sprecare interi litri d'acqua ogni anno. Perciò dal momento che sono un ambientalista convinto.."

"Ah si, e da quando?"

sussurrò lei divertita mentre lui continuava a solletticarle l'orecchio con le sue parole.

"... ho pensato di fare la doccia con te per risparmiare, visto che anch'io ho bisogno di un bagno caldo"

Jen rise accarrezzando le braccia di Sebastian che continuavano a massaggiarle il ventre.

"E chi ha aderito a questa iniziativa ambientalista? Tu o qualcuno più in basso?"

domandò divertita sentendo chiaramente l'eccitazione marmorea del giovane farsi sempre più insistente.

"Mh.. diciamo che lui è stato il primo a sposare questa causa"

Jen si voltò verso di lui, incontrando il suo viso ilare e malizioso.

"E' una vera fortuna sai.."

gli disse conducendo le mani del ragazzo sul suo fondoschiena così che lui potesse stringerla meglio.

".. perchè anch'io ho deciso di sposare questa causa ambientalista"

e detto questo attirò il suo ragazzo contro di se, mentre la sua schiena aderiva completamente alla parete della doccia e lui finiva dritto sotto il getto d'acqua bollente e dentro di lei.  

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Capitolo 6
*** There’s a Possibility I wouldn’t show ***


Quella mattina si svegliò beata e serena come non lo era da tempo.

Il sesso la metteva sempre di buon umore e di certo Sebastian ci sapeva fare in quel campo. Era un ottimo amante, il che gli faceva guadagnare un sacco di punti a suo favore, punti che poi tendeva a perdere con una delle sue uscite infelici. Come capitò poco dopo quella mattina.

Lui entrò in camera in tenuta da jogging. Era sveglio da ore per svolgere i suoi soliti allenamenti mattutini. Jen proprio non riusciva a capire cosa spingesse le persone fuori da letto all'alba quando il mondo era fatto per non esistere. Ma lui era un maniaco dello sport e di certo lei non si lamentava dato che questa sua passione poi si rivelava tremendamente utile quando erano insieme...

"Oh. Sei già sveglia?"

chiese lui entrando in camera e avvicinandosi per darle un rapido bacio.

"Bleah.. sei tutto sudato"

disse lei fingendosi disgustata.

Sebastian lasciò l'ipod sul comodino, si sfilò la maglia e rispose.

"Eppure ieri notte questo non sembrava essere un problema.."

Jen rispose alla sua occhiata maliziosa allentando un pò il lenzuolo che le copriva il seno nudo.

"Sai, sono rimasto piacevolmente sorpreso del tuo entusiasmo per la causa ambientalista.."

cominciò lui continuando a spogliarsi mentre raggiungeva il bagno.

".. così ci ho pensato su e mi sono chiesto se ti andrebbe di sposare un altro tipo di causa"

"E sarebbe?"

domandò curiosa e divertita osservando il ragazzo che prendeva uno degli asciugamani e si tamponava il viso accaldato.

"Quella del risparmio economico.. si insomma, le nostre finanze. Stiamo insieme da un pò e siccome io non ho intenzione di andare da nessuna parte.."

la raggiunse in camera continuando ad asciugarsi il viso e il petto scoperto.

"... e spero nemmeno tu.. dal momento che passo tutto il mio tempo libero qui da te, ho pensato che potrei trasferirmi e mollare la mia casa sempre vuota. Gli affitti sono un pò cari ultimamente.."

L'aveva colta completamente di sorpresa. Sentì l'incredulità attraversarla come un fulmine e restò lì seduta nel letto impietrita ad osservarlo palesemente scioccata.

Sapeva che la questi soldi non era affatto un problema ma solo una scusa. Lui voleva andare a vivere con lei.

Convivere.. la sola parola la spaventava e infastidiva.

"Dovresti dire qualcosa"

mormorò lui in attesa, come un autore che suggerisce una battuta dimenticata dall'attore in scena.

Il telefono vibrò rumorosamente sul comodino facendo sobbalzare entrambi.

Jen lo afferrò come un naufrago afferra una scialuppa di salvataggio.

"Devo rispondere"

disse stordita mentre lui annuiva e concludeva con un:

"Ne riparliamo"

aspettò che lui andasse in doccia prima di rispondere.

Era Meghan e in quel momento fu eternamente grata all'amica per la sua chiamata inopportuna che l'aveva salvata da una situazione alquanto spinosa.

 

 

Per tutto il tragitto in auto aveva evitato l'argomento, fingendosi estremamente interessata alle canzoni e alle notizie del meteo che passavano alla radio.

Appena erano arrivati agli studi, era balzata via come un fulmine sparendo dalla circolazione così che Sebastian non potesse tornare all'attacco.

Non era sicura che la prossima volta ci sarebbe stata di nuovo una chiamata a salvarla.

Perciò doveva evitare la questione quanto più poteva.

Entrò nell'edificio e si perse subito tra i suoi mille corridoi.

Data l'esperienza del giorno prima in ascensore, oggi preferiva di gran lunga fare le scale.

La luce rossa lampeggiante dello studio numero 17, le comunicò che qualcuno stava girando delle scene in quella sala.

La aprì lentamente e subito fu inghiottita dall'oscurità che vi regnava.

Tutte le luci erano puntate al centro del palco, dove lui stava recitando con un'attrice nuova.

La riconobbe subito, era Barbara Hershey e dando una rapida occhiata al copione e sentendo le battute che la donna pronunciava, capì che l'attrice era stata scelta per il ruolo di Cora, la madre di Regina. Dunque anche lei avrebbe recitato con l'ultima arrivata.

Ne era entusiasta: aveva la possibilità di misurarsi con una grande attrice che stimava professionalmente. Era come ricevere un bel regalo di natale in anticipo.

"Oh sei arrivata"

sussurrò Meghan mentre lei prendeva posto su una delle sedie a fondo sala.

"Dio è maledettamente brava"

commentò Jen osservando rapita il modo di recitare della donna.

"Anche lui non scherza.."

dichiarò l'amica con un sorrisetto alquanto impertinente.

"Hai saputo che è stato promosso come regolare? Sembra proprio che lo vedremo girare a lungo da queste parti.."

concluse Meg compiaciuta.

Jen annuì mentre l'atmosfera intorno a lei cambiava..

Nella sala era successo qualcosa.. lo intuì dal ritmo irregolare che in quel momento si era creato.

"Oh dio..."

fece Meghan sporgendosi per vedere meglio.

Poi capì.

Colin aveva sbagliato una battuta.

Quando si è un attore alle prime armi, sbagliare con qualcuno di professionalmente più maturo e affermato è sempre un pericolo. Una bomba ad orologeria.

Come avrebbe reagito la famosa Barbara Hershey?

In sala tutti trattenevano il fiato in attesa della sua reazione.

Per un attimo Jen provò un misto di compassione e tenerezza per il giovane, sentimenti che sparirono subito quando la Hersehy scoppiò in una fragorosa risata.

Tutti risero e qualcuno dichiarò lo stop alle riprese.

"Va bene facciamo una pausa"

urlò il regista mentre l'atmosfera in studio tornava ad essere leggera e spensierata.

"Mi dispiace Barbara.. non ho bevuto abbastanza caffè stamattina"

disse Colin.

Lei continuò a ridere mentre si avvicinava a lui e gli posava affettuosamente una mano sul braccio.

"Tranquillo.. speravo che qualcosa andasse storto perchè ho completamente dimenticato le battute successive e sai com'è.. fare la figura della principiante il primo giorno di lavoro non è proprio il massimo.."

La donna rise e Colin portò una mano su quella di lei.

"Sono sicuro che ti avrebbero perdonato.. in questa stanza ti adorano tutti"

"Non esagerare"

Commentò la Hershey piacevolmente colpita e lusingata mentre lo prendeva a braccetto e scendeva dal palco con lui, sempre ridendo.

Come due vecchi amici, pensò Jen sarcastica.

Persino la grande Barbara Hershey era ufficialmente entrata nel vasto fanclub di Colin O'Donoghue.

 

 

La pausa durò più del previsto, ma nonostante questo Jen non corse subito a presentarsi alla Hershey come avrebbe voluto. La donna era sempre con l'irlandese anche durante la pause e ciò che la infastidì irragionevolmente era che i due passavano la maggior parte del tempo a discutore di tutto fuorché delle scene che dovevano girare insieme.

Jen si chiese se fosse lei quella sbagliata... se il fatto di non riuscire a relazionare subito con la gente fosse un difetto e non un pregio.

Perchè Colin sembrava conquistare tutti al primo sguardo, si apriva e si donava in una maniera assurda, come se davvero credesse che ci fosse del buono in ogni persona.

Come se davvero il mondo fosse un posto fatto di bella gente, di buoni amici e una grande famiglia.

Lei non lo vedeva affatto così. Quando pensava al mondo e alla gente in generale, specie nel suo ambiente lavorativo, vedeva un covo di serpi striscianti mosse dall'ambizione e dal successo.

Ecco perchè riservava solo la parte migliore di sé, quella spontanea ed anche debole, alle persone di cui si fidava ciecamente. Motivo per cui non sarebbe mai andata d'accordo con l'irlandese.

Lui abbatteva tutti i ponti, oltrepassava limti e mandava all'aria paletti e precauzioni con parole sfrontate e sorrisi. Era come il sole quando prepotentemente si fa strada dopo un temporale: spazza via le nuvole e il grigiore e illumina selvaggiamente ogni cosa.

Lei non era così e mai lo sarebbe stata. E dato che lui non sembrava accorgersi dei suoi tempi e dei suoi limiti, le cose tra loro forse non sarebbero mai andate bene.

Mentre osservava Colin chiacchierare e ridere di gusto con la Hershey dovette ammettere a malincuore, che una parte di lei era terribilmente invidiosa di non possedere quel carattere solare e fiducioso, che le avrebbe permesso di conoscerlo e imparare ad apprezzarlo.

 

 

"Oook gente.... 20 minuti di pausa, poi riprendiamo tutti nello studio 23 con Jamie e Sarah"

Nella sala scoppiò il caos mentre Colin e Barbara scendevano dal palco. Macchinisti, tecnici, autori, stagisti e tutta la troupe prese a muoversi rumorosamente come studenti nei corridoi di un liceo.

Jen approfittò di quel momento per andare da lui.

Aspettò che Barbara lo salutasse, baciandolo su una guancia cosa che trovò decisamente inopportuna, e poi si gettò sulla sua strada bloccandogli l'uscita prima che qualcun'altro potesse accaparrarselo.

Lui sembrò alquanto sorpreso di trovarsela lì di fronte.

"Credo che oggi prenderò le scale"

commentò ironico tornando a leggere il copione mentre si metteva in fila per uscire dalla sala.

Jen lo seguì subito prima che tutto quel trambusto li dividesse.

Un attimo, perchè lo stava seguendo?

Cosa voleva ottenere?

Si rese conto che era terribilmente insoddisfatta. Certo lui aveva ripreso a parlarle di nuovo dopo averla ignorata nei giorni precedenti, eppure sentiva che non era abbastanza.

Era come se ci fosse una lontananza tra di loro... fisica, emotiva?

Si disse che era solo una stupidaggine e pensò che il suo fastidio fosse dovuto al fatto che lui sembrava più intimo con la nuova arrivata che conosceva da appena due ore, che con lei.

Professionalmente era gelosa. Solo professionalmente.

"Senti io.."

disse a diasagio tormentandosi le mani e alzando gli occhi per guardarlo.

Ma stava parlando a un branco di uomini e donne rumorosi e chiacchieroni.

La folle s'è l'era già portato via come un fiume in piena.

 

 

Raggiunse lo studio 23 seguendo la troupe come se fosse uno zombie.

Era intontita e stordita da quel groviglio di sensazioni a cui non sapeva dare un nome.

Qualcuno l'afferrò per un braccio trascinandola in disparte in un corridoio li vicino.

Alzò gli occhi e incontrò quelli di Sebastian.

Sembrava che qualcosa lo tormentasse.

"Senti... riguardo a prima.. se per te è troppo posso capirlo..io.."

Jen lo guardava concentrandosi solo sul movimento delle sue labbra sensuali.

D'un tratto afferrò la nuca del ragazzo, lo attirò verso di sé e lo baciò con urgenza.

Lasciò che quel bacio la confondesse, l'anestetizzasse come un giro di tequila al bar di Bill.

Si perse tra quelle labbra, sciogliendosi contro di lui.

Lui ricambiò all'inizio cauto e stupito, ma notando il trasporto e l'entusiasmo di lei chiuse gli occhi e non replicò.

"Wao"

commentò lui quando si staccarono per riprendere fiato.

Lei sorrise per nulla pentita di ciò che aveva fatto o stava per fare.

"Allora per.."

cominciò lui ma lei lo zittì.

"Shhh"

sussurrò facendo scendere le mani sul suo petto sino alla sua cintura.

Sebastian trattenne il fiato, colpito ed eccitato.

Lei non si era mai comportata in quel modo. Non per lo meno in un edificio pieno di gente, amici e colleghi che potevano vederli e scoprirli da un momento all'altro. Questa cosa lo eccitava in una maniera assurda, eccitazione che aumentò quando lei lo trascinò tenendolo per la cinta, verso la prima stanza vuota disponibile.

Fuggirono al chiasso e alla vita frenetica che si consumava lì fuori, mentre le porte si chiudevano dietro di loro, lascinadoli soli nel loro angolo di piacere.

 

 

 

Si, sapeva chiaramente che era una scusa.

Di certo non avrebbe fatto tutta quella strada per qualche foglio di carta che chiunque poteva ristampargli. Il copione era solo una scusa per... cercarla.

Era da più di mezz'ora che non la vedeva.

L'aveva cercata per tutta la sala durante le registrazioni delle scene tra Jamie e Sarah ma in quel circo di sceneggiatori, truccatori e macchinisti, lei non c'era.

Poi era toccato a lui girare nuovamente una piccola scena con Barbara e nei momenti di pausa aveva sperato di scorgere quel bagliore dorato che però mancava all'appello.

Dovevano provare una scena insieme prima di concludere un'altra lunga giornata di estenuanti riprese. Ma di lei nessuna traccia.

Nei corridoi deserti cominciò ad aprire porte a casaccio, sperando di trovarla lì nascosta a ripetere o a bere caffè. Una sua abitudine che tanto gli piaceva.

Aveva cercato nel suo camerino ma lei non era nemmeno li.

Studio 32, 36, 38..

Nulla.

....40, 43...

solo stanze buie e vuote.

Di certo le porte e le stanze insonorizzate non aiutavano affatto nella sua ricerca.

Colin sospirò frustrato e decise che l'avrebbe cercata solo in altri due studi prima di rinunciare e tornare dagli altri.

Studio 47.

spalancò la porta e di nuovo si trovò di fronte la stessa stanza deserta e scarsamente illuminata e.. qualcuno stava... ridacchiando?

Bingo.

Attraversò la stanza e andò verso la fonte di quel suono salvo poi fermarsi a metà strada impietrito.

"Oh mio dio"

gridò lei mentre spalancava leggermente la bocca e arretrava.

Ci fu un tramestio incredibile mentre lei spariva a nascondersi dietro il corpo di Sebastian che le faceva da scudo.

"Mi spiace... avrei dovuto bussare"

disse Colin ricomponendosi.

Sebastian si scusò imbarazzato e divertito.

"Scusa amico.. abbiamo dimenticato di chiudere"

poi si accorse che era completamente nudo e afferrò una delle spesse tende scure per coprirsi.

Non che Colin l'avesse notato.

La sua attenzione era tutta per lei, per il suo viso accaldato, per le sue gote arrossate e per i capelli arruffati. Lei gli rivolse un'occhiata a metà tra il pudico e il divertito, salvo poi abbassare gli occhi e stringersi ancora di più alle spalle di Sebastina per coprirsi meglio.

Alla fine Colin sorrise come se trovasse quella situazione divertente.

"No, scusate voi.. ho perso alcune pagine del mio copione e ho cercato dapertutto... sembra che nemmeno qui ci sia..."

si guardò attorno come se stesse realmente cercando qualcosa sperando che questo servisse a sminuire l'imbarazzo da entrambe le parti.

Anche Jen e Seb finsero di perlustrare l'immensa sala in cerca di quei fogli inesistenti.

"Eh sembra proprio che non sia nemmeno qui.."

commentò infine Colin con un sorrisetto fissando entrambi.

Seb rise e scosse le spalle.

"Puoi sempre fartene stampare uno nuovo"

gli suggerì.

"Credo che lo farò"

rispose l'irlandese fingendo di prendere in considerazione il consiglio del ragazzo e di valutarlo come se fosse una grande idea.

"Allora.. vado. Scusate ancora"

"Nessun problema amico"

lo salutò Sebastian.

Lui uscì dalla stanza non prima di aver rivolto una fugace occhiata alla peccaminosa Eva che aveva scelto uno studio di registrazione come paradiso terrestre.

 

 

 

"Scusate il ritardo"

annunciò Jen affannosa entrando nella sala affollata.

"Tranquilla... proviamo la scena 9 tra Hook ed Emma e domani la registriamo"

commentò Adam distrattamente afferrando alcuni fogli pieni zeppi di appunti.

Jen prestò poca attenzione alle parole dell'autore mentre osservava attentamente il viso dell'irlandese che sembrava apparentemente divertito.

"Si tranquilla.. tutti abbiamo questioni urgenti di cui occuparci"

le fece l'occhiolino e lei questa volta non protestò con nessuna occhiataccia.

Dopotutto l'aveva beccata a rotolarsi nuda con Sebastian... direi che qualche paletto tra di loro era decisamente andato a farsi fottere.

Nemmeno lei sembrava dispiaciuta nell'essersi fatta scovare da lui in quel momento intimo. Era come se quella vicenda avesse segnato un cambiamento in entrambi, nel loro rapporto.. stava ora scoprire se quel cambiamento avvenuto era in meglio o in peggio.

L'altra autrice Jean, quella che da subito aveva visto del potenziale in Colin proponendo la sua promozione a regolare nella serie, stava spiegando ad entrambi il senso della scena.

"E' forse la scena più intima della stagione tra Hook ed Emma.. è il momento in cui entrambi capiscono che tra loro qualcosa è cambiato. Che dopo tutto l'angst precedente è servito a farli conoscere e a condurli verso un'intimità inedita.. quel momento in cui Emma gli dice.."

Jean cercò la battuta e la lesse attentamente con espressività.

"Tu ed io Hook... noi ci capiamo! È un momento cruciale tra i due. Una frase che apre nuove spiragli e possibilità di evoluzione nel loro rapporto. E' un momento che darà al pubblico la conferma che si, non si sono immaginati tutto. Forse tra Hook ed Emma c'è davvero qualcosa che loro ancora non capiscono ma che potrebbe convolgerli da un momento all'altro."

L'intensità delle parole di Jean era solo un sottofondo a quello che stava accadendo.

Perchè mentre tutta la troupe smontava le attrezzature nella sala e la nevrotica autrice parlava girando freneticamente fogli di appunti, Jen e Colin si stavano guardando per la prima volta senza tutte quelle barriere che li tenevano divisi.

Era un contatto semplice, profondo ma così fragile che poteva sparire da un momento all'altro con uno battito di ciglia.

Lei gli sorrise enigmatica e anche lui ricambiò quel sorriso apertamente, senza nascondersi, senza tutte le altre emozioni che di solito facevano da contorno durante le loro conversazioni.

Chissà che cos'era quel momento di tregua e cosa avrebbe significato per il futuro del loro rapporto.

Al momento c'erano solo quegli occhi blu oceano che promettevano di darle ogni risposta cercata, se solo lei avesse voluto tuffarcisi al suo interno.

 

 

NDA

 Salve a tutti, 
è la prima volta che uso l'angolo dell'autore per ringraziarvi prima di tutto, perchè siete davvero in tanti a seguire questa storia.
Vi ringrazio anche per le recensioni, che leggo sempre e mi aiutano a capire il vostro punto di vista e se il senso di ogni capitolo è trapelato o meno. 
Detto questo,  volevo solo dirvi che i prossimi capitoli saranno leggermente più lunghi e tutti collegati maggiormente l'uno all'altro. Ecco perchè ho deciso che appena un capitolo avrà ricevuto almeno 5\6 recensioni, pubblicherò subito il successivo così da non perdere e farvi perdere il senso di continuità della storia. 
Piccola curiosità: i titoli di ogni capitoli sono il titolo o una frase di una canzone, perciò se vi va, dal prossimo capitolo potrei postarvi il link della canzone così potete ascoltarla durante la lettura. Fatemi sapere se vi va, nelle recensioni. 
Spero che questo capitolo vi piaccia..
Buona lettura

Mordreed

 

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Capitolo 7
*** Jealousy you got me somehow ***


NdA
Eccomi qui, questa volta con una nota a inizio capitolo. Ringrazio ancora tutti perchè siete in tanti a seguire questa storia e per le belle recensioni che mi fa piacere leggere ogni volta. Come vi ho già detto la volta scorsa, ogni capitolo è nominato con il titolo o la frase di una canzone e da oggi vi posto anche il link della canzone così potete ascoltarla durante (o dopo) la lettura e 'sentire' ancora di più il senso del capitolo.
Come sempre, dopo le 6 recensioni posterò il nuovo capitolo. 
Spero che anche questo vi piaccia...
Buona Lettura. 

Ps. Ecco il link della canzone: 
http://youtu.be/t5ZGAeoEng8




 

C'era qualcosa che la tormentava.

Era quella fastidiosa sensazione di incompiutezza, di questione irrisolta, che si arrovvellava dentro di lei come un ferro incandescente.

Era forse una perfettina? Probabilmente si, dal momento che sentiva di dover parlare con l'irlandese per dirgli quello che la rabbia in ascensore e una sveltina con Sebastian, le avevano impedito di dirgli.

E ok che forse la sera prima entrambi si erano guardati per la prima volta senza odiarsi, come una specie di strana tregua, ma lei comunque sentiva che la questione con il ragazzo era rimasta incompiuta. Voleva dirgli quelle parole che avrebbe voluto dire se lui non si fosse comportato da solito arrogante, scatenando in lei rabbia e silenzi ostili.

Anche se ora tutto sembrava superato, lei sapeva di essere stata una stronza e di averlo ferito con le sue parole.

Perchè non faceva altro che ripensare al suo sguardo duro e alle parole che lui le aveva detto in quel maledetto ascensore. Dunque lui era orgoglioso di aver ottenuto quella parte. Le aveva detto che da sempre lottava per un'opportunità del genere e anche se inizialmente quel ruolo sarebbe stato solo una comparsa, lui lo avrebbe accettato comunque. Questo la incuriosiva in una maniera del tutto irrazionale. Era curiosa di conoscere la storia del ragazzo, il suo passato, la sua mente che appariva serena ma forse nascondeva un mucchio di.. ferite, rimpianti, opportunità mancate?

Chi diavolo era Colin O'Donoghue?

Per la prima volta da quando lo conosceva, fu curiosa di sapere tutto di lui.

 

 

Quel giorno non aveva scene in programma con l'irlandese.

Entrambi sarebbero stati sul set ed entrambi avrebbero girato in orari diversi.

Perciò quando lei arrivò agli studi nel tardo pomeriggio, lui aveva già finito.

Sicuramente era nel suo camerino e mentre Jen raggiungeva la roulette del ragazzo, si sentì pervadere da una strana sensazione di nervosismo, come le succedeva durante una premiere, il primo giorno di riprese o.. un appuntamento?!

Sull'ultima questione era poco afferrata. Non aveva mai avuto appuntamenti normali, dal momento che le sue poche ed uniche relazioni passate erano sempre state con colleghi di set che già conosceva. Perciò niente ansia da: "lui come sarà? Che cosa farà? Mi annoierò? Lo annoierò?".

Decisamente non aveva mai avuto tempo per relazioni 'normali' o situazioni tipiche che la gente li fuori sperimentava ogni giorno. Vivere tutto l'anno su un set era come vivere in un universo parallelo che poi al massimo, si ripercuoteva nella vita vera.

Era quasi arrivata alla roulotte di lui, quando dal lato opposto del piazzale sentì che qualcuno stava arrivando.

Il sole stava tramontando, perciò tutto quello che riuscì a scorgere, accecata com'era da quella luce rossastra, erano tre sagome scure.

Poi riconobbe le voci.

Una era quella di lui, l'altra quella di Sarah e l'altra voce dal tono decisamente maschile non seppre riconoscerla. La sua collega di set era al centro tra i due uomini, teneva entrambi a braccetto e il trio scherzava e rideva come fossero amici di vecchia data. Arrivarono al camerino di Colin, lui aprì facendo gli onori di casa e poi la porta si richiuse coprendo chiacchiere e risate.

Dietro di lei un'altra porta si aprì cigolando. Era Meghan che sbucò fuori dal suo camerino.

"Ehy ti stavo cercando.."

Jen si schiarì la voce, dimenticò quanto aveva appena visto e parlò.

"Che succede Meg?"

"Ho finito di girare poco fa e Adam ha detto che per oggi può bastare. Sai com'è.. è venerdì sera, sono tutti stanchi e sfiniti e vogliono solo ubriacarsi e basta"

"Oh"

replicò Jen senza entusiasmo.

Dunque niente lavoro fino a lunedì.

Si girò un attimo per osservare la finestra del camerino di Colin. Le luci erano accese e una risata particolarmente fragorosa giunse fino alle loro orecchie.

"Oh, si.."

si affrrettò a spiegare Meg notando il tacito sguardo d'interesse dell'amica.

"Jonathan Rhys Meyers è venuto a trovarci oggi"

Jen quasi si strozzò.

"Intendi quel Jonathan Rhys Meyers? Hanno assunto anche lui per una parte?"

non ne sapeva nulla e tutta questa situazione la infastidiva parecchio.

"No, no.."

rispose Meg ridendo e avvicinandosi per prendere a bracetto l'amica e passeggiare un pò.

".. è solo un amico di vecchia data di Colin..."

Jen corrugò la fronte.

"...sono entrambi irlandesi.."

oh, questo spiega tutto, pensò sarcastica.

"... ed hanno lavorato anche un pò assieme sul set dei Tuodr.. anche Sarah, ecco perchè lei è con loro"

Un informazione del passato dell'irlandese che la sorprese. Quante altre cose non sapeva di lui? Cosa aveva fatto e con chi aveva lavorato in passato?

"Andiamo, sono tutti da Bill.."

disse Meg trascinandola nella direzione opposta alla sue risposte.

 

 

Che giornata inconcludente.

Forse il fatto di non dover più lavorare quel giorno l'aveva messa di cattivo umore.

Se ne restava lì al bancone del bar a svuotare shootini di tequila cercando di ignorare tutto quello che le stava intorno.

Al tavolo da bigliardo Josh e Lana stavano prendendo la sfida troppo sul serio mentre Ginny e Meg tifavano come due cheerleader.

A uno dei tavolini dietro di lei, Colin, Sarah e Jonathan se la spassavano beatamente.

Jonathan: "... hai voltato le spalle a una delle corti più raffinate mai esistite, per il mondo delle favole.."

Risate.

Sarah: "tutto pur di non fare la fine di Luke"

Jon inclinò il bicchiere verso di lei annuendo.

"Ben detto"

Colin: "perchè che fine ha fatto Luke?"

Jon: "vive da alcolizzato sul divano dei suoi"

Colin: "ma è terribile.."

ci fu un minuto di silenzio e poi i tre scoppiarono a ridere.

Sarah: "ok, so che non bisogna ridere per le disgrazie altrui.."

Jon: "ma sono troppo ubriaco per controllarmi.."

Ancora risate.

Sarah: "essere stronzi e comportarsi da snob e divi sul set porta a questo"

Sentenziò Sarah mentre i tre vuotavano il resto dei loro bicchieri.

"Vado ad ordinare dell'altro"

Quelle parole scossero Jen dal suo stato di apatia. Smise di spiarli e prese a fissare le bottiglie esposte sulle mensole dietro il bancone, senza vederle davvero.

Sentì che lui era vicino, annusando il suo profumo.

"Un altro giro Bill, grazie"

posò i bicchieri vuoti sul banco e si voltò verso di lei avvicinandosi.

"Wao... per un attimo mi sembra di avere un deja vu"

Capì a cosa lui si stesse riferendo, ma continuò a giocherellare col suo shootino vuoto e a fissare le bottiglie colorata difronte a lei.

Lui continuò.

"Bicchieri di tequila vuoti, tu qui sola con quell'espressione triste e affranta.."

".. e tu il solito ragazzino arrogante e viziato"

concluse lei mentre lui sorrideva.

Finalmente si voltò a guardarlo.

"Però ti sbaglia, ora non sono così ubriaca"

"Dunque ammetti che quella sera lo eri?"

Dannazione, si era di nuovo messa in trappola con le sue stesse mani.

Ignorò il sorrisino di trionfo sul volto di lui e fissò il fondo del bicchiere vuoto.

"Va a giocare con i tuoi amici"

Gli disse.

"E tu te ne starai qui in panchina ad osservare la giostra che gira?"

L'irlandese si sedette sullo sgabello accanto al suo, mentre Bill preparava i drink che gli aveva ordinato. Con la coda dell'occhio, Jen osservò le sue gambe fasciate in un paio di jeans scuri piegarsi e le sue scarpe da tennis battere lentamente contro il bancone il ritmo della canzone anni '90 che stava suonando il jukebox.

"Ho visto come trattate i colleghi 'snob e divi sul set'.."

replicò J accennando alle battute che i tre avevano fatto poco prima sul tizio di nome Luke.

".. perciò non credo di essere la benvenuta a quel tavolo"

Lui allungò una mano e le tolse il bicchiere vuoto che stava facendo ripetutamente girare sul bancone come una trottola. Jen lo guardò con severità, come una bimba a cui viene tolto il suo giocattolo. Lui con lentezza esagerata prese il bicchiere e lo posò accanto agli altri vuoti, il tutto senza fissarla.

"Non sei la benvenuta perchè credi di non esserlo"

La guardò.

"Pensi di essere davvero una snob e una diva che guarda tutti dall'alto in basso?"

"E' quello che mi hai sempre detto"
rispose lei con una scrollata di spalle.

"Non è questa la domanda.."
fece serio il ragazzo.

"Tu pensi di esserlo?"

La fissò e lei ricambiò quello sguardo intenso senza soccombere.

"No"

confessò con sincerità.

"Allora vieni con me a quel tavolo e dimostralo"

lei si sentì punta sul vivo.

"Non devo dimostrarti un bel niente"

replicò stizzita.

"Infatti non mi riferivo a me.. ma a te stessa. Dimostrati che non sei come tutti credono, come tu stessa per prima credi di essere"

J rise per nascondere il suo fastidio.

"Le tue parole non hanno alcun senso"

"O forse sei tu che non vuoi vederlo perchè hai paura di lasciarti andare"

rilanciò il ragazzo come se entrambi stessero giocando una partita di tennis.

Jen si sentiva in trappola. Non sapeva che fare.

La stava sfidando?

Guardò quegli occhi blu cobalto cercando di decifrare le intenzioni del giovane.

Cosa doveva fare?

Solo allora si accorse che lo stava fissando apertamente in un locale pieno di colleghi, amici e occhi indiscreti.

Ma poi cosa aveva da nascondere?

"Facciamo così.."

disse lui rompendo quel lungo e intenso momento di silenzio.

".. io vado al mio tavolo..."

si alzò e raccolse i drink che Bill gli porgeva.

La guardò un'ultima volta e disse:

".. capirò se non vorrai seguirmi"

e detto questo se ne andò, lasciandola sola ai suoi pensieri.

 

 

Era solo un invito a un tavolo, una stupidaggine.. eppure lei sentiva che quella non era una semplice decisione. Non era una sfida come le altre.. in base a ciò che avrebbe deciso, qualcosa sarebbe cambiato quella sera.

Lei sarebbe cambiata.

Forse quella decisione l'avrebbe spinta verso una nuova Jen, una persona che non consoceva o che forse aveva sempre avuto paura di essere.

Poteva mettersi alla prova e una parte di lei voleva davvero farlo: abbassare tutte le barriere, buttare giù tutti i muri e lasciarsi andare. Perchè si era resa conto che quando lo faceva, quella fastidiosa e dolorosa sensazione di vuoto al centro dello stomaco, spariva come per magia.

E finora c'era stata solo una persona in grado di mettere in discussione tutti i suoi limiti.. era per questo che lo odiava?

Ok, forse era l'alcool a scatenarle certi pensieri ridicoli, ma sentiva che comunque non era abbastanza ubriaca per fare ciò che stava per fare.

"Altri tre, grazie"

Vuotò gli shoottini non appena le vennero serviti, poi si alzò, si aggiustò velocemente i capelli, raccolse la sua borsa e andò da loro.

Che cosa stava facendo?

D'un tratto sentì che non doveva più chiederselo.

 

 

 

Passò i successivi cinque minuti a ridere delle battute di Sarah e Jon senza però sentirle davvero. La sua attenzione era tutta concentrata per la bionda solitaria, che se ne restava ancora seduta al bancone del bar a bere. Continuava a guardarla di sottecchi notando ogni volta qualcosa di nuovo: le sua spalle lievemente curve, la testa china, le mani che tormentavano qualunque cose le capitasse a tiro. Sarebbe stato così facile se solo lei l'avesse voluto.. se solo lei si fosse lasciata guidare.

Più di una volta dovette ripetutamente soffocare l'impulso di alzarsi e raggiungerla, prenderla per mano e portarla al tavolo con loro. L'avrebbe fatta sedere vicino a Jon o a Sarah ma tanto sarebbe bastato ad assicurargli che lei stesse ricevendo quel calore di cui aveva disperatamente bisogno.

Le sue chiacchiere, la sua vicinanza, si sarebbero mescolate a quelle di Sarah e Jon così da non dare nell'occhio, ma sarebbero comunque giunte a lei e tanto bastava.

Ma lei non sarebbe venuta.. era troppo orgogliosa per ammettere ciò che voleva davvero.

Ciò di cui aveva bisogno.

Ecco perchè quando si alzò all'improvviso, lui fu l'unico a sentire le gambe dello sgabbello che stridevano sul pavimento in una stanza piena di chiacchiere, risate e musica.

Attese curioso mentre lei raccoglieva la sua borsa e si voltava.

Dove sarebbe andata?

Stava per andarsene o per raggiungerli?

Incontrò il suo sguardo mentre serena e sfrontata procedeva verso di lui.

Sorrise raddrizzando le spalle, pronto ad annunciare la nuova arrivata.

 

 

"Ehy Jen"

fu Sarah a salutarla benché non fu di certo lei a notare per prima la sua presenza.

"Dai siediti"

la ragazza si alzò dal divanetto e lasciò che Jen si accomodasse accanto a Jon che sembrò estremamente felice della cosa. Seguiva un Colin entusiasta ma circospetto.

Sarah prese posto, chiudendo Jen sempre più vicina a Jonathan.

Il primo pensiero fu per gli occhi dell'attore.

Li fissò colpita, quasi incatenata.. erano gli occhi ammalianti e pericolosi di un serpente.

E ne fu subito attratta.

La voce di Colin la riportò alla realtà.

"Jon lei è Jennifer.. la protagonista dello show"

lo disse senza nessuna nota ironica o di scherno.

"Incantato"

rispose quest'ultimo facendole il baciamano.

Jen sorrise, abbassò gli occhi e arrossì lievemente.

"Allora, come mai non ti ho incontrata prima?"

trovò il suo accento irlandese incredibilmente sexy e per un attimo pensò alla sua voce che le sussurrava cose all'orecchio in circostanze ben diverse.

Avrebbe dovuto vergognarsi per un pensiero del genere, ma l'alcool ingerito le impediva di farlo.

"Non saprei... sono molto sfortunata nell'incontrare gente. Mi capitano sempre quelli sbagliati"

lui accolse di buon grado queste sue parole e si avvicinò ancor di più a lei.

Colin protestò sferrando un calcio al tavolo nell'intento di colpirle una gamba per risvegliarla da quello stato di trance nel quale sembrava essere caduta.

Stava giocando, era ubriaca o era davvero lei?

"Allora vieni con me, ho in mente una canzone e un ballo che ti cambieranno la vita"

sussurrò lui con voce morbida mentre lei gli sorrideva di sottecchi accarezzando il bordo del bicchiere di lui. Un gesto sensuale che il giovane irlandese non mancò di notare... e nemmeno il suo compatriota seduto al loro fianco.

"Ma Jon! Jen è fidanzata"

protestò Sarah ridendo, anche lei troppo ubriaca per prendere le cose sul serio.

Jon guardò S e poi tornò a fissare J.

"Si, ma niente fidanzato stupido nei paraggi vero?"

Le chiese e sia Sarah che Jen risero di gusto.

Jen: "Tu dici davvero delle frasi così per rimorchiare..?"

Rise poggiando le spalle alla spalliera del divanetto per prendere aria.

Tutta quella vicinanza forse, le impediva di rispondere come in realtà avrebbe dovuto.

"Non posso credere che tu l'abbia detto"

Concluse divertita.

Lui rimarcò la dose imperterrito.

"E' un si allora?"

Jen guardò i suoi ipnotici occhi verdi e poi le sue labbra.

"Si"

rispose automaticamente senza pensarci due volte.

 

 

 

 

Jen era a centro sala mentre Jonathan si allotanò per raggiungere il jukebox.

Scelse il brano e poi tornò da lei mentre la canzone partiva.

Era una musica lenta e sensuale, nessuna nota di malinconia il che non le trasmise trsitezza ma solo euforia. Un'emozione che aumentò quando lui le circondò i fianchi con le mani e lei mise le braccia intorno al suo collo. Cominciarono a muoversi lentamente, fingendo un imbarazzo che entrambi non possedevano. Lei osservava i suoi occhi, il modo in cui le luci del locale si riflettevano in quegli specchi chiari e irridiscenti.

Qualcosa nella sua testa scattò, forse un campanello d'allarme.

Forse una piccola parte di lei non offuscata dall'alcool e da tutta quella situazione, sapeva che la vera Jen non si sarebbe mai comportata in quel modo. La vera Jennifer non si sarebbe messa a flirtare in un locale pieno di amici e colleghi mentre il suo fidanzato era fuori città. Chi era questa 'it girl' che si faceva le tresche con un fighettetto irlandese in un locale pubblico?

Era quello che i suoi amici si stavano chiedendo.

"Ehy.. ma quella è davvero Jennifer?"

Meghan era incredula.

Josh e Lana mollarono la loro partita di biliardo e fissarono l'altro lato del locale dove i due stavano ballando.

"Se fossi Sebastian.. non sarei tanto contento della cosa"

mormorò Josh corrugando la fronte.

"Ma sta flirtando con lui?"

Ginny semplicemente non riusciva a capacitarsi della cosa.

"Potete biasimarla?"

rilanciò Meg ammirata e invidiosa.

Lana scosse la testa alla battuta dell'amica e disse:

"Tranquilli, sta solo flirtando.. non c'è nulla di male. Jen non farebbe mai nulla di stupido"

 

"E allora.."

cominciò Jon facendo scorrere le mani sul suo fondoschiena.

"Allora cosa?"

civettuò lei curiosa.

".. lo faresti un film con me?"

Jen rise e lui la seguì.

"E' un gergo da attori per chiedermi se verrei a letto con te?"

Lui inarcò un sopracciglio perfetto.

"Gergo da attori?"

domandò fingendo un tono incredulo.

".. non sapevo esistesse.."

lei si limitò a sorridere senza però rispondere.

Lui tornò all'attacco.

"E.. quindi?"

"Non ti arrendi mai, vero?"

 

 

Seduto al suo tavolo, in compagnia di una Sarah sbronza e semi addormentata, Colin ebbe l'impressione di essere tornato al liceo.

Osservava truce i due al centro della sala mentre ballavano un lento: le mani di lui che si muovevano sinuose sul corpo della ragazza senza che lei facesse nulla per fermarlo. La possessività di quel contatto, il modo in cui il suo corpo restava incollato a quello del suo amico. Li guardava sussurrarsi cose all'orecchio e poi scoppiare a ridere, come se si conoscessero, come se in qualche modo ci fosse un legame. Era sicuramente il voler proteggerla dal suo amico conquistatore quella sensazione di fastidio e rabbia che provava nello stomaco. Era come se una mano invisibile gli stesse accartocciando le viscere. Di certo l'alcool faceva la sua parte.. e non smorzava quella voglia irrazionale che aveva di alzarsi, strapparla dalle bracce di lui e portarla via.

Naturalmente voleva farlo per rispetto a Sebastian, che ora era fuori città ignaro di quanto stava accadendo. Erano tutti quei motivi che lo spingevano a provare quelle determinate sensazioni, nulla c'entrava col fatto che forse, se proprio Jen avesse voluto lasciarsi andare con un altro, dovevano essere le sue braccia a stringerla in quel modo, a possederla, a tenerla incollata contro di lui per sentire il suo calore. Dovevano essere i suoi occhi a sfiorarle il viso, a desiderare le sue labbra anche solo con lo sguardo. Dovevano essere le sue mani a muoversi sul suo corpo, ad accarezzarla, a sentirla già sua senza il bisogno di fare altro. Doveva essere lui quello lì a centro sala, che respirava il suo profumo sentendosi libero e non colpevole di averla così vicina.

Scosse la testa cacciando via quei pensieri stupidi e inopportuni. Aveva decisamente bevuto troppo, ecco tutto. Quando si alzò per raggiungere il bagno e sciacquarsi il viso con dell'acqua fredda, si accorse di avere un erezione in corso dopo aver pensato al suo corpo contro quello di Jennifer Morrison.

 

 

Mentre raggiungeva il bagno, vide Josh avvicinarsi a Jennifer.

Le chiese se voleva un passaggio verso casa, perchè loro stavano andando via.

Jen rifiutò, dicendo che sarebbe andata con Jonathan.

Josh domandò se fosse una buona idea e se era sicura della cosa e lei gli aveva detto di stare tranquillo.

Josh non ne era tanto convinto, ma si fidava di lei.

Ecco perchè quando Colin raggiunse il bagno degli uomini, non si limitò ad aprire la porta ma a colpirla con un calcio, lieto che la musica avrebbe coperto ogni cosa.

Dannazione.

Niente era andato come voleva.... come doveva.

Di sicuro non era questo che intendeva quando le aveva detto di lasciarsi andare.

Perchè lei aveva questo dono di fare sempre la cosa sbagliata e rovinare tutto?

In ballo ora c'erano situazioni difficili dalle quali non sapeva come uscire.

Da un lato c'era il suo amico e dall'altro lei.

Come avrebbe potuto allontanarli senza che questo risultasse strano o creasse imbarazzi e situazioni scomode tra loro tre?

Di una cosa era certo: non avrebbe mai permesso a lei di commettere una sciocchezza quella notte. Non sarebbe stato l'autore della sua rovina.

Se Jen fosse stata lucida non avrebbe voluto tutto quello. Non avrebbe mai tradito la persona che ammava per una notte di follia che il mattino dopo avrebbe rimpianto..

Ormai si sentiva in colpa per averla invitata a quel tavolo, anche se lui non aveva fatto nulla affinché quella situazione precipitasse e prendesse una piega del tutto sbagliata.

L'acqua fredda sul viso lo aiutò a riacquistare lucidià e a smorzare un pò i vapori alcolici che gli impedivano di pensare. Chissà se anche l'aria fredda avrebbe aiutato..

Perlustrò la parete del bagno in cerca dell'allarme che suonava ogni qual volta qualcuno apriva la porta di emergenza. Lo trovò nascosto dietro un vecchio porta sapone vuoto.

Abbassò la levetta, si diresse verso la porta, l'aprì e uscì nel parcheggio.

La macchina di Josh non c'era, segno che lui era già andato via con Lana, Meg e Ginny.

L'aria era piuttosto frizzante nonostante fosse ancora luglio.

Osservò alcune falene ronzare intorno a uno dei lampioni accesi. Ogni tanto una macchina sfrecciava in lontananza, spezzando quel silenzio inquietante.

Erano poche le auto parcheggiate fuori dal locale e al buio sembravano solo delle carcasse bruciate.

Si accese una sigaretta e dopo solo due boccate sentì la sua ansia diminuire.

Il suo cervello tornò a riordinare i pensieri e a mettere tutto nella giusta ottica.

Il piano restava quello di impedire ai due di andare via insieme senza creare troppi drammi.

Ma.. come?

Ispirò un'altra boccata di fumo e la risposta gli giunse sottoforma di un adolescente arrabbiato, che camminava colpendo ripetutamente una lattina vuota.

"Pss.. ehy ragazzino?"

Colin si maledisse per quanto stava per fare ma era una vera emergenza.

Il ragazzo sussultò spaventato, ma si ricompose subito mascherando la sua inquietudine.

Si avvicinò all'irlandese fissandolo come se fosse un pusher che cercava di venderli della roba.

Tutto quello che Colin gli disse fu:

"Ti andrebbe di guadagnare un pò di soldi?"

 

 

 

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Capitolo 8
*** Hold on to this while it's Slipping Away ***


NdA
Eccomi qui con un nuovo capitolo. Come sempre vi lascio il link della canzone che da il titolo a questo capitolo: ( http://youtu.be/Asp9flq6GNU )
Spero che anche questo capitolo vi piaccia, vi ringrazio perchè ho visto che ci sono anche nuove persone che seguono questa storia e siete davvero numerosi. Spero perciò di leggere le vostre recensioni e tra 6\7 recensioni pubblico il nuovo capitolo. 
Ps. a fondo pagina, troverete un'altra 'Nota dell'Autore' è una sopresa.. spero vi piaccia ;)
Buona lettura




Non andava fiero per ciò che aveva fatto, ma a mali estremi..

Colin ritornò nel locale cercando di togliersi quello sguardo colpevole dal viso.

Lei era ancora lì che ballava con Jon e guardando l'amico, si sentì davvero una merda per ciò che stava per accadere.

Il fine giustifica i mezzi.

Dio quanto odiava quella frase del cazzo.

Cercò automaticamente un bicchiere mezzo pieno sul tavolo, aveva voglia di bere per calmarsi, ma poi guardò Sarah urbiaca e mezza addomentata al suo fianco e ci ripensò.

Toccava a lui guidare e doveva riportarle a casa sane e salve.

"Mh.. Colin quando andiamo via?"

domandò la ragazza con un sorriso ebete e gli occhi arrossati.

"Tra poco"

rispose lui deciso.

E mancava davvero poco...

Le sirene della polizia ruppero l'atmosfera sonnecchiosa e rilassante del locale.

I pochi presenti si voltarono a quel suono stridulo e presero a guardare fuori dalle finestre, dove nel parcheggio, alcuni agenti si muovevano intorno a una vettura.

Sarah: "Ma che succede? La mia testa.. fate smettere queste cavolo di sirene"

La porta si aprì e dall'entrata principale entrò un agente sulla cinquantina, impeccabile nella sua divisa.

"Abbiamo ricevuto una segnalazione anonima.. un teppista si aggirava nel parcheggio con una mazza da baseball e ha distrutto un'autovettura"

"Merda"

bonfonchiò qualcuno preoccupato.

"Dio fa che non è la mia.. mio padre mi ammazza"

gracchiò uno studente sulla ventina in compagnia di altri due amici.

Tutti aspettavano le parole del poliziotto che dopo aver dato uno sguardo al suo taccuino disse:

"Chi è il propietario della lamborghini nera parcheggiata qui fuori?"

"Cristo santo"

Jonathan mollò Jen come se una scossa li avesse separati.

Si fiondò fuori dal locale con una Jen scioccata che lo seguiva, sicuramente intimorita da quella reazione così violenta.

"Vieni S.. andiamo a casa"

sussurrò Colin aiutando l'amica ad alzarsi e sostenendola con un braccio intorno ai fianchi.

Raccolsero la loro roba e si diressero fuori dal locale, dove Jonathan imprecava contro chissà chi e gli agenti fotografavano la 'scena del delitto'.

"Permesso"

fece Colin passando tra alcuni clienti che gli erano di intralcio.

All'aria fresca e difronte quella scena, Sarah sembrò riprendere lucidità.. almeno un pò.

"Mio dio"

mormorò.

C'erano pezzi di vetro ovunque che circondavano la macchina come un cerchio luminoso.

Il paraurti era ammaccato, i fanali anteriori distrutti, il parabrezza sembrava la tela di un grosso ragno amazzonico.

"Trovatemi quel bastardo"

continuava a ripetere Jon, del tutto incapace di accettare ciò che i suoi occhi vedevano.

".. per che cazzo.."

Non finì la frase, troppo incazzato per continuare.

Jen gli mise una mano sul braccio, nel tentativo di calmarlo.

Ovviamente non servì a niente..

Jon grugnì imbestialito e sferrò un calcio a una delle ruote.

"Signore si calmi.. stiamo seguendo la procedura. Abbiamo già sequestrato i filmati delle telecamere esterne di sicurezza, stiamo effettuando le foto per la perizia e adesso deve seguirci in commissariato per formalizzare la denuncia"

L'efficienza del poliziotto tranquilizzò un pò Jon, che annuì schioccandosi le nocche delle mani.

"Tranquillo amico.."

Colin si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla.

"Va pure.. le riaccompagno io a casa"

"Grazie"

replicò Jon rapito dalla vista orribile della sua auto distrutta.

"Va a scoprire chi è quel bastardo.."

Così Colin salutò il suo amico che entrò nella vettura della polizia diretto al commissariato.

Jen lo osservò andare via ancora stupita per come quel ragazzo, all'apparenza gentile e solare, si fosse in realtà rivelato così freddo e spietato.

"Tieni Jen.."

Sarah passò alla ragazza la sua borsa e in quel momento capì che sarebbe dovuta andare via con loro.

 

 

A fatica, Sarah si trascinò verso la vettura sostenuta da Jen.

Colin procedeva dritto e silenzioso poco avanti.

Erano arrivati alla sua auto quando Sarah protestò:

"No Jen, ti prego. Voglio stare dietro perchè ho bisogno di stendermi o potrei vomitare da un momento all'altro"

la ragazza sorrise scusandosi e anche Jen accennò un sorriso ma non era per nulla felice.

Questo significava che lei avrebbe dovuto sedersi davanti con lui..

Chiuse la portiera di Sarah e afferò la maniglia della sua di portiera.

Attese un pò prima di aprire.. aveva la sensazione di dover di nuovo rimanere bloccata in ascensore con lui.

Alla fine raccolse il coraggio che le restava, aprì la portiera e si accomodò.

Il primo pensiero fu per l'abitacolo della sua auto.

Era davvero accogliente, con tutte quelle luci di cortesia che si accesero dandole il benvenuto.

Poi per il profumo..

L'odore dei sedili in pelle sapeva di fresco, buono.. rigenerante.

E lei in quel momento aveva bisogno di quelle sensazioni positive e di respirare quell'aria fresca e pulita perchè era sicura di essere più ubriaca di quanto pensasse..

Al suo fianco, Colin mise in moto e partì.

Cullata dalle fuse del motore e dalle lievi oscillazioni dell'auto in corsa, Sarah si addormentò sui sedili posteriori dopo soli due minuti.

Jen d'un tratto sembrava essere vigile e attenta a notare ogni dettaglio.

Lui era al suo fianco, solo un cambio marce li separava, eppure Jen ebbe l'impressione che tra loro ci fosse un intero muro di mattoni.

Lo capì dalla postura rigida del suo corpo contro lo schienale, dalla presa ferrea delle mani sul volante, dalla mascella dura e serrata.

Osservò il profilo del suo viso e fu come guardare un sole congelato.

Averrtì lo strano impulso di toccarlo, di sfiorargli la barba rada sulla guancia, il mento e persino le labbra.. voleva risvegliarlo.

Ma forse quella che aveva bisogno di svegliarsi era lei, perchè cosa diavolo ci faceva la sua mano bloccata a mezz'aria verso di lui?

Stava forse perdendo la testa?

Nella sua mente confusa cercò di trovare il motivo per cui toccarlo era sbagliato. Sapeva che c'era un motivo, ma ora proprio non lo ricordava.

Chiuse gli occhi e la testa le girò come se si trovasse su una giostra.

Vedeva solo immagini sfuocate, sensazioni impalpabili e caotiche.

Le luci del bar o della strada?

La voce di Bill o era la radio?

Ora era in macchina.. stava tornando a casa o andava a lavoro come ogni mattina con..

Ecco il motivo che cercava.

Sebastian.

Ecco la ragione per cui assecondare quell'impulso stupido e da ubriaca era sbagliato.

Il suo nome la percosse come una scossa elettrica e le restituì quel briciolo di lucidità desiderato.

Raddrizzò la schiena e voltò il viso verso il finestrino ignorando chi aveva accanto.

Ma per quanto ci provava, le luci dei lampioni che sfrecciavano confondendosi con gli alberi scuri intorno, le procuravano un gran senso di nausea.

'Non berrò mai più un goccio'

Una promessa che sapeva avrebbe infranto il giorno dopo.

Così fu costretta ad ammettere che tutto ciò che le restava in quell'abitacolo silenzioso come una chiesa, era lui.

Lui che ora l'aveva di nuovo tagliata fuori senza dirle niente, ma chiudendosi e allontanandosi come un'eremita su monte solitario.

Così come era capitato giorni prima, quella sensazione di essere fuori dal cerchio, dal suo cerchio, la faceva sentire strana e infastidita.

Così ci provò.

"Sei silenzioso.."

Non dette segno di averla sentita. Continuò a tenere gli occhi incollati alla strada, lo sguardo duro, concentrato, totalmente peso da ciò che stava facendo.

Ma lei quella volta non lasciò perdere.

"Ho fatto.. "

si schiarì la voce rauca e riprovò.

"Ho fatto qualcosa di sbagliato?"

Lui si mosse, ma solo per cambiare le marce.

E a quel punto Jen lo toccò.

Mise la mano sul cambio marce dove c'era la sua.

Restò ferma lì, a toccare quella mano fredda sperando di scaldarla con la sua.

Fu un contatto che sorprese entrambi.

Lui sussultò appena, ma poi si morse le labbra.

Lei lo guardò ripetendo il suo nome un'ultima volta in cerca di attenzioni.

E allora lui non poté più ignorarla.

Si voltò verso di lei e la guardò.

Erano in coda a un semaforo in città, tutto era immobile come loro in quel momento.

Colin la fissò con uno sguardo severo ma arreso, sembrava chiederle 'cosa vuoi?'..

Jen si perse nei suoi occhi scuri, perchè in quel momento sembravano l'unica cosa in lui, in grado di comunicare.

Senza rendersene conto si erano avvicinati abbastanza che, se solo l'avessero voluto, le loro labbra si sarebbero potute incontrare in un bacio.

Jen dimenticò chi era, perchè in quel momento, per quanto ci provasse, non ricordava nulla.

Era come intontita e sempre più attratta da quel buco nero che era il suo viso.

Attesero e poi...

.... l'auto dietro di loro suonò più volte perchè il semaforo era verde ed era ora di muoversi.

Come se un fulmine li avesse colpiti, i due si allontanarono immediatamente, Jen mollò la sua mano e lui fu libero di ritornare a guidare, non prima però di aver sentito che la pelle di lui dopo essere stata a contatto con la sua, non era più così fredda.

 

 

Arrivarono all'albergo di Sarah in pochissimi minuti.

Minuti nei quali nessuno dei due parlò.

Ogni tanto Jen lo spiava di sottecchi e lui guidava apparantemente senza pensieri al mondo.

Però percepiva quelle vibrazioni di.. inquietudine? rabbia? che lui emanava.

Era l'alcool a renderla così percettiva o era solo la sua immaginazione che correva a briglia sciolta?

Fermò l'auto dopo aver eseguito un parcheggio perfetto.

Scese e andò a recuperare Sarah dai sedili posteriori.

Jen osservò con un certo interesse il modo dolce e premuroso con cui lui stava svegliando la loro collega, il tono calmo e deciso in cui le disse: "va tutto bene, ti accompagno in camera" e la galanteria con cui l'aiutò a scendere dall'auto, sostenendola e accompagnandola verso l'entrata dell'albergo dove l'usciere fu felice di darli il benvenuto. Poi sparirono entrambi inghiottiti da quella porta a vetri girevole.

Jen restò in auto sperando di non addormentarsi nell'attesa, però poi scoprì che il pensiero di lui che la riaccompagnava a casa, la rendeva abbastanza nervosa da vincere ogni traccia di sonnolenza.

 

Quando lui rientrò lei sussultò per l'ansia e per un'eccitazione che non sapeva spiegarsi.

Colin mise in moto, si infilò nel traffico della città che non dormiva nemmeno di notte e poi le chiese:

"Dove abiti?"

Non seppe dirsi perchè aspettò a lungo prima di rispondergli:

"Ti guido io"

 

 

Un quarto d'ora più tardi erano arrivati.

Lui fermò l'auto davanti al vialetto di casa sua.

Era uno dei quartieri residenziali più belli di Los Angeles, con ville a schiera quasi tutte uguali, giardini ben curati e auto nuove di zecca parcheggiate davanti all'entrata dei garage. La strada sembrava deserta e addormentata, solo qua e la qualche luce era accesa nei piani superiori di qualche casa.

Colin mollò il volante e continuò a spiare la strada di sottecchi.

Lei lo guardò incuriosita.

"Dunque.."

cominciò senza poter nascondere un certo nervosismo. Aver bevuto così tanto rendeva tutto così difficile e per lo più insensato.

Cosa doveva dire? Cosa doveva fare?

".. siamo arrivati"

concluse infine senza trovare di meglio da dire.

Lui annuì come se quella fosse una constatazione ovvia.

"Grazie del passaggio"

questa volta la fissò finalmente, rispondendole:

"Non c'è di che"

Jen capì di essere stata congedata.

Un pò stordita scese dalla macchina cercando di mantenere una certa dignità fino verso casa sua. Purtroppo però, quando fu in piedi, le servì tutto l'autocontrollo possibile per non vomitare.

Chiuse la portiera e restò un attimo aggrappata alla maniglia, con la fronte incollata al finestrino.

Era come se d'un tratto qualcuno l'avesse lanciata in aria per poi riprenderla al volo e lasciarla con la testa sottosopra. Sentiva che stava per vomitare.

Sotto di lei, ad occhi chiusi, udì il finestrino abbassarsi.

"Tutto bene?"

le chiese lui scrutandola preoccupato dall'interno dell'abitacolo.

"Dammi solo un minuto"

bofonchiò lei senza aprire gli occhi e ancora aggrappata alla maniglia della portiera come se fosse la sua ancora di salvezza.

'Dio ti prego non farmi vomitare, non farmi vomitare. Non davanti a lui... non ora. Ti prego, ti prego..non posso farlo. Siamo colleghi. Se mi vede vomitare ogni volta che gireremo insieme non penserà ad altro.. sarebbe troppo imbarazzante.. cristo santo!'

Se solo non fosse stata così impeganta a pregare dio, si sarebbe di certo accorta del finestrino che si richiudeva, della portiera del guidatore che si apriva per lasciarlo scendere e di lui che la raggiungeva in poche falcate.

Ma furono le mani di lui sui suoi fianchi ad annunciarle la presenza.

Alzò il viso e aprì gli occhi per guardarlo.

"Che cosa fai?"

chiese senza capire.

"Ti accompagno a casa"

replicò lui con sincerità.

Jen fissò il suo viso prima di arrendersi e accettare che aveva bisogno di aiuto.

Non era il momento per fare la preziosa.

Si staccò dalla portiera lasciando che le mani di lui sui suoi fianchi, la sostenessero.

Procedettero lentamente lungo il vialetto della sua abitazione, fino a quando furono davanti alla porta d'entrata.

A fatica Jen cercò le chaivi nella sua borsa, sempre con lui al suo fianco pronto a riacciuffarla nel caso avesse avuto un altro mancamento.

Trovò le chiavi e ci mise un pò prima di ricordarsi quale fosse quella giusta.

Poi si accorse che forse aveva pescato la chiave sbagliata dal mazzo, perchè la porta continuava a non aprirsi. Stava per piangere dalla frustrazione quando lui intervenne bloccando le sue mani nervose.

"Lascia fare a me"

Con un certo imbarazzo Jen realizzò che quella era la chiave giusta e che in realtà lei era così ubriaca da non riuscire a centrare la serratura.

Come se quello fosse un gesto familiare per lui, Colin aprì la porta, la lasciò entrare e attese sulla soglia con un certo imbarazzo.

Lei accese le luci di ingresso e si stupì di non sentire lui che la seguiva.

Si voltò a guardarlo confusa.

"Vuoi entrare?"

Si scrutarono a lungo prima che lui prendesse una decisione, spinto da chissà quali motivazioni.

Annuì e varcò la soglia di casa chiudendosi la porta alle spalle.

Nel frattempo Jen si era completamente abbandonata contro lo stipite della porta che conduceva alle scale per il piano di sopra. Teneva gli occhi chiusi e cercava di scendere da quella giostra che non la smetteva di girare.

Colin la fissò un attimo prima di rendersi conto che toccava a lui sistemarla per la notte o lei sarebbe potuta benissimo rimanere lì fino al mattino successivo.

Questa volta la giostra girò più forte delle volte precedenti e lei si sentì davvero mancare la terra sotto i piedi.

Aprì gli occhi prima di realizzare di essere tra le braccia di lui che la stava portando verso il divano in salotto. Istintivamente portò le mani al collo del ragazzo, per sostenersi meglio e per paura di cadere. Lui l'adagiò sul divano ma lei non mollò la presa. Nel momento esatto in cui le sue spalle toccarono quei morbidi cuscini, si aggrappò a lui ancor di più così ché il ragazzo perse l'equilibrio e finì su di lei. L'impatto del corpo di lui contro il suo fu così forte da svegliarla.

Aprì gli occhi e si trovò il viso dell'irlandese a pochi centimetri dal suo.

"Ciao"

mormorò colpita osservando i suoi occhi come se lo vedesse per la prima volta.

"Ciao"

rispose lui sorpreso da tanta vicinanza.

Jen si rese conto che le sue mani stavano toccando qualcosa di incredibilmente soffice e piacevole. Chissà quando era passata dal collo di lui ai suoi capelli.

Fissò il volto del ragazzo come se stesse notando ogni dettaglio solo in quel momento.

La fronte piccola, il naso dritto, la barba rada che gli cresceva sulle guance e attorno alle labbra leggermente screpolate. Gli occhi che nella penombra del salotto sembravano così scuri come il mare di notte.

Lui le restituì lo sguardo, soffermandosi in particolare sulle sue labbra socchiuse che profumavano di tequila.

Erano così incollati che poté sentire il cuore di lei battere sotto quella giacca sbottonata che lasciava poco spazio all'immaginazione. E mentre qualcos'altro in lui si risvegliava per la seconda volta in quella serata, sembrò ritrovare la ragione.

Mollò i suoi occhi intensi e fissò un punto a caso nel salotto. Una tv a schemro piatto con un lettore blue ray accanto a una lampada da salotto e una pianta abbastanza alta.

Si concentrò su questi dettagli inutili perchè anche se non la stava più fissando, sentiva chiaramente le mani di lei muoversi lentamente nei suoi capelli.

Continuò a fissare la tv così intensamente che si stupì che quella non si accendesse con la forza del pensiero.

"Bene.. io devo.."

cominciò sollevandosi lentamente dal corpo caldo della ragazza e liberandosi dalla sua stretta.

".. andare perchè sono ubriaco e ho poco autocontrollo e potrei finie col fare qualcosa di stupido.."

lei non dette segno di averlo sentito.

Socchiuse gli occhi e protestò con un mugolio rannicchiandosi perchè il corpo di lui non era più sul suo a tenerla al caldo.

Colin si guardò attorno nella stanza cercando una coperta.

La trovò abbandonata su una poltrona li vicino.

La raccolse e la posò su di lei, che nel frattempo si era già addormentata.

Così indifesa, così fragile, così.. incantevole.

Scosse la testa e uscì di corsa dalla stanza. Raggiunse l'ingresso, spense le luci e dopo aver dato un'ultima occhiata al salotto che ora sembrava così lontano, chiuse la porta della casa.

Una volta fuori nella fredda aria notturna, si prese un attimo per riordinare i pensieri.

Posò le spalle sulla porta della casa, chiuse gli occhi e tentò di cacciar via l'immagine di lei che lo guardava come se lo desiderasse davvero. Ma allontanare quel pensiero gli risultò difficile persino durante il tragitto verso il suo albergo, specie perchè se si concentrava, riusciva ancora a sentire il profumo di lei incollato al suo giubbotto di pelle.

 

 

Aprì gli occhi di scatto come se qualcuno l'avesse svegliata soffiandole in un orecchio.

Ma non c'era nessuno li con lei. Era sola, ancora vestita e.. sul divano.

'Mio dio..'

pensò stiracchiandosi.

'come ci sono arrivati fin qui..?'

Poi il motivo che l'aveva portata a svegliarsi così di colpo, tornò a presentarsi di nuovo.

Il suo corpo fu scosso da un conato di vomito.

Jen si alzò e di corsa raggiunse il bagno.

Senza dignità si accasciò per terra, la testa nel water e si liberò del risultato di una notte di balordi.

Il suo stomaco era sottosopra ma era nulla in confronto al casino che era la sua testa.

Restò distesa sul pavimento freddo, la testa poggiata sul bordo ghiacciato della vasca da bagno. Questo le diede un certo sollievo.

Chissà quanto tempo passò prima che ebbe la forza di rialzarsi e raggiungere la cucina.

Dal pensile dei medicinali in bagno, aveva recuperato il tubo delle aspirine.

In cucina prese un bicchiere, lo riempì per metà e poi gettò la pasticca effervescente disturbata persino dal rumore delle bollicine nell'acqua.

Si sedette al tavolo, cominciò a bere e guardò il giardino sul retro dalla finestra posizionata sul lavandino. La luce dei lampioni illuminò l'altalena del vicino che dondolava lentamente scossa dal vento. Fu quel movimento lento e ipnotico a calmarla e a riappacificarla con la tranquillità notturna, insieme al farmaco che già cominciava ad agire.

Riordinò i pensieri e cercò con una certa fatica di ricordare ciò che era accaduto la sera precedente.

Era al bar di Bill.

Stava bevendo da sola mentre Josh e Lana giocavano a biliardo con Ginny e Meghan che facevano il tifo per loro.

Poi...

.. lui era andato da lei.. l'aveva invitata al tavolo e..

Arrossì terribilmente mentre il senso di colpa la colpiva come un pungo nello stomaco.

Non era imbarazzo, era solo rabbia.

Aveva flirtato disgustosamente con quel Jon, che poi l'aveva liquidata in un niente quando la sua auto era stata distrutta.

Ricordava perfettamente di aver ballato con lui, di avergli permesso di toccarla, di stringerla e parlarla in un modo che spettava solo ed unicamente a una persona.

Indossava ancora il giubbotto con il quale era uscita perciò non dovette alzarsi per cercare il suo telefono e comporre il suo numero.

Aveva un disperato bisogno di parlargli.

Tre squilli, quattro squilli..

'Ti prego rispondi..'

sette quilli..

'ti prego, ti prego..'

"Pronto?"

La voce dall'altro capo del telefono era completamente assonnata.

"Ehy"

fece lei euforica, felice che lui aveva risposto.

"Jen? Sono le 5 del mattino.."

poté immaginarlo mentre allungava una mano sul comodino in cerca della sveglia.

".. va tutto bene?"

"Si"

rispose lei subito.

"Scusami se ti ho svegliato è che.. volevo solo sentirti"

Un sospiro.. o forse era un sorriso?

"Tranquilla.. "

replicò lui con un tono decisamente più sveglio di prima.

Jen attese un attimo prima di proseguire.

".. Mi manchi"

perchè aveva un gran desiderio di piangere mentre gli parlava?

Odiava quel senso di colpa che la faceva vergognare di se stessa. Era stata a un passo dal tradirlo, dal rovinare tutto.

"Anche tu.. domani torno a casa"

lei sorrise.

"Lo so.. com'è andata dai tuoi?"

"Bene, mia madre non vede l'ora di conoscerti"

normalmente questa notizia le avrebbe fatto piacere, ma ora si sentiva del tutto indegna nel meritare un'occasione simile.

"Allora mi sa che dovremmo farlo presto.."

commentò lei raccogliendo quel poco buonumore che aveva in quel momento.

Ma in realtà tutto ciò che pensava era: 'tua madre non merita di conoscere questa sgualdrina che si vende per un di drink e un paio di occhi ammalianti'.

"Ti lascio dormire.."

disse lei dopo un attimo. Sentiva che stava per cedere.

Doveva riattaccare subito.

"Ehy Jen aspetta.."

la chiamò lui prima che riattaccasse.

"Che c'è?"

"Visto che ormai sono sveglio.. ti andrebbe un pò di sesso telefonico?"

Lei rise di gusto mentre il senso di colpo spariva, rimpiazzato dalla familiarità del loro rapporto.

 

 

Erano solo le 6 di mattina e lei aveva appena finito di fare un lungo bagno rigenerante. Un momento che di rigenerante aveva ben poco visto che aveva passato tutto il tempo a ripensare e ripensare a quella sera, a tutto ciò che le era sfuggito e che non ricordava.

Ma era davvero sicura di non aver fatto nulla di male? Di irreparabile?

Cercò di ricordare se per caso Jon l'avesse baciata, se l'avesse condotta in disparte da qualche parte nel locale e lei glielo aveva permesso.

Ma ricordava solo di aver ballato con lui e poi di aver avuto quasi paura quando l'aveva visto perdere il controllo difronte alla sua auto distrutta. Poi era in macchina con Sarah e... lui.. e in un attimo tutto le fu chiaro.

Desiderò avere un motivo per vederlo, per incontrarlo. Doveva parlargli, dirgli ciò che poi sapeva l'avrebbe fatta sentire meglio.

Ma era l'alba di domenica mattina e non c'erano riprese fino a lunedì.

Il telefono vibrò sul piano del lavandino.

Si strinse l'asciugamano sul corpo bagnato e andò a recuperarlo.

Era un messaggio di Adam.

'So che starai ancora dormendo e so anche che avevo promesso niente lavoro la domenica mattina, ma ti aspetto a mezzogiorno agli studi. Credo proprio che ti piacerà...'

Jen non era mai stata così felice di dover lavorare anche di domenica. Ora tutto ciò che le restava da fare fino alle 12:00, era sperare che anche l'irlandese avesse ricevuto quel messaggio.

 


NdA
Rieccomi.. allora è un'idea del tutto nuova e spero vi piacerà. Ho pensato ad ogni fine capitolo di includere una piccola 'rubrica' dove riporto alcune situazioni che sono realmente accadute tra i Colifer, durante gli ultimi giorni. Per noi che shippiamo questa coppia e siamo attenti ad ogni loro mossa, è anche un modo per confrontarci e capire che ne pensiamo.. Ho pensato di chiamare questo spazio 'I Segreti di Vancouver' ispirandomi al film 'I Segreti di BrokeBack Mountain', solo che loro girano a Vancouver e quindi.. xD
Allora.. settimana scorsa ed anche la precedente erano entrambi sul set per girare alcune scene. Nella prima settimana penso che le abbiamo viste tutti le foto che giravano di loro due, che noncuranti, felici e MANO NELLA MANO camminavano per le strade di Storybrooke tra una ripresa e l'altra. Nella seconda settimana di riprese ci sono state ancora loro foto.. questa volta c'era una certa distanza tra loro, camminavano fianco a fianco ma non come la settimana prima.. Che avranno visto anche loro le foto e i commenti sul web? Poi c'è una foto dove Jen ride a una sua battuta e un attimo dopo lei alza le mani come a dire: 'ci rinuncio' e se ne va, Nella foto successiva lui la segue dopo averle guardato 'le spalle'. Io penso che tra loro al momento ci sia una specie di gioco, di punzecchiarsi a vicenda. Infatti, qualche giorno dopo Jen è di ritorno a casa mentre lui di notte è impegnato a girare alcune scene con Emilie de Ravin. Il mattino seguente, un certo Mike Dopud che ho visto fa anche l'attore, twitta a Jen dicendole che le ha fatto davvero piacere parlare con lei durante il volo. Jen che è la persona più cutie pie del mondo, gli risponde ringraziandolo per averla distratta dalla turbolenza (del volo), gli dice che è felice di essere atterrata e gli augura una buona giornata. Subito dopo su IG, Jen pubblica una foto dei suoi piedi davanti al camino di casa scrivendo 'There is no place like home' un episodio che sappiamo essere TUTTO per la coppia CaptainSwan. Magari queste sono solo coincidenze o sono io che da Colifer shipper vedo cose che vanno al di la.. però sono indizi che la dicono lunga. Come il fatto che Jen su twitter non parla più del CS ed anche Colin.. qualche giorno fa è uscita la classifica delle coppie più rebloggate su Tumblr è il CS è al primo posto come coppia canon più rebloggata e al quarto dopo le coppie fanon. Ma il CS ha vinto altri premi e classifiche che i giornali e i siti web fanno ad ogni fine anno. Eppure nonostante le mille notifiche dei fan, l'unica cosa che Jen ha twittato e a cui ha risposto è stata quella dell'articolo dove le si faceva notare che OUAT è uno degli show più visti su Netflix. Questo mi porta a pensare che qualcosa tra loro sia cambiato, perchè tutti questi piccoli indizi, che ripeto magari sono solo sciocchezze e io ci sto ricamando su, mi portano a pensare determinate cose..
Voi che ne pensate? Avete notato anche voi qualcosa di 'strano', diverso?

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** You Hurt My Soul ***


NdA

Salve a tutti.
Scusate il mega ritardo con cui posto il nuovo capitolo.
Ho ricevuto e letto tutti i vostri MP.
E niente, vi ringrazio per la pazienza e attesa.
La storia ritorna con i nuovi capitoli.
Spero l'accoglierete con l'entusiasmo di un tempo nonostante siano passate settimane.

Grazie ancora e spero vi piaccia il nuovo capitolo.
Fatemi sapere ;)

Canzone da ascoltare durante la lettura: https://youtu.be/e6CrV7I9IWk


- - - 



Jen sapeva come cancellare il post sbornia.
Se sei una tequila addicted, devi per forza conoscerli i vecchi rimedi della nonna..
Sfortunatamente la ‘pozione’ non aveva effetto sui ricordi.
Quanto avrebbe voluto cancellar via quel senso di colpa che ora le impediva persino di respirare.
Nonostante fosse parecchio ubriaca, ricordava perfettamente alcuni dettagli della sera prima.
Ma non sapeva se a infastidirla fossero quei dettagli o le parti che invece non ricordava.
Arrivò da sola sul set, Sebastian era dai suoi, perciò lei aveva dovuto chiamare un taxi per arrivare agli studi televisivi.
Quando pagò il tassista e quello andò via, non le restò altro che silenzio.
Era mezzogiorno passato di domenica mattina, nessuno era sul set.
Sembrava uno scenario da film horror e per un attimo si aspettò che qualcuno spuntasse alle sue spalle per assassinarla.
Sciocchezze, doveva smettere di vedere quei stupidi film anche se a Sebastian piacevano molto.
Osservò le roulotte vuote, il sole che picchiava forte sull’asfalto, qualche foglio di vecchi copioni che roteava pigramente nella brezza calda che proveniva dall’oceano.
Per fortuna aveva con se gli occhiali da sole.
Ora si rivelarono utili non solo per le occhiaie che non aveva nascosto.
Tolse il giubbino di pelle restando in t-shirt, conscia del caldo infernale di quel giorno.
Entrò negli studi e per un attimo la differenza termica le procurò un brivido di piacere.
Andò nella sala dove si tenevano le table read.
Sicuramente avrebbe incontrato qualcuno.
Ma ad attenderla trovò solo un post it sulla porta:
 
“Studio 51,
ti aspetto.
 
-A”
 
I suoi passi echeggiarono nell’ingresso vuoto, mentre si avviava verso uno dei tanti ascensori.
Lo studio 51 era al settimo piano dell’edificio.
Arrivò e quando aprì la porta della stanza, trovò solo tre persone ad attenderla:
Adam, un tizio che non conosceva, lui.
 
Si era quasi dimenticata della sua speranza di rivederlo quella mattina.
Ma quando i suoi occhi celati da un paio di Ray Ban scuri, incontrarono quelli freddi e distanti di lui, tutta la rabbia tornò a montarle dentro.
“Buongiorno J.. alla fine sei venuta, avevamo perso le speranze”
Scherzò Adam salutandola.
“Ho fatto parecchia fatica a rimettermi in sesto questa mattina”
Sperò che la frecciatina arrivasse a chi di dovere.
“Non preoccuparti, mi spiace farti venire qui anche di domenica..”
“Nessun problema”
Rispose lei lasciando la giacca, gli occhiali e la borsa su una sedia e raggiungendo i tre al centro dello studio.
Sperò che nessuno facesse commenti sulle sue occhiaie e occhi rossi da tossica.
“Lui è Jack.. “
Adam le presentò il nuovo arrivato.
Jen porse la mano sorridendo e sperando che qualcuno notasse il suo solito modo gentile ed educato di accogliere i nuovi arrivati.
Con la coda dell’occhio osservò la reazione di lui che era tutto preso a sbottonarsi  i polsini della sua camicia azzurra.
Gli arrotolò lasciando scoperti gli avambracci.
Jen commentò con un sorriso sarcastico.
“Ci sarà una scena di combattimento tra Hook ed Emma e Jack è qui per insegnarvi a duellare. Abbiamo poco tempo per prepararvi ed ecco perché ho insistito per cominciare subito. Jack è un ottimo maestro di scherma”
Spiegò Adam pensando che quella scena fosse cosa gradita per entrambi.
I due invece ignorarono l’entusiasmo di Adam che non si accorse della strana tensione perché il suo cellulare squillò rompendo il silenzio.
“Uh è Jane… ci vediamo dopo”
Uscì dallo studio rispondendo al telefono e lasciando i tre soli.
Jack si schiarì la voce, d’un tratto a disagio.
“Bene.. cominciamo”
Disse andando a recuperare due spade di plastica.
Erano quelle che i bambini usano a carnevale.
Peccato, Jen sperava di usare qualcosa di più letale.
Era un’esercitazione d’altronde, gli incidenti tra principianti capitano, era facile che qualcuno restasse ferito e lei sapeva già chi voler ferire…
In men che non si dica si ritrovò con quella stupida spada giocattolo in mano con lui di fronte in posizione di difesa.
Jack dava loro istruzioni sulla postura, sul modo esatto in cui incurvare la schiena, su come bilanciare il corpo con la mano libera, lo scatto delle gambe.
Jen assimilò solo in parte era tutta presa a lanciare sguardi carichi di odio verso quegli occhi azzurri.
Dopo un po’ lui assorbì quella negatività facendo altrettanto.
Jack pensò che i due fossero già calati nella scena, anche se quella era una semplice esercitazione.
Dopo tutto erano attori loro.
Dopo aver chiarito chi avrebbe colpito chi e come, Jack disse che il resto sarebbe venuto da sé.
Una cosa istintiva e naturale.
Jen si chiese se davvero fosse possibile duellare conoscendo solo quelle piccole e semplici basi.
Di solito era una che si preparava bene e a fondo quando doveva far qualcosa.
La nerd che era  in lei emerse in quel momento procurandole un lieve accenno di panico.
Panico che svanì totalmente quando Jack disse:
“Ok, vi ho detto ciò che vi serve sapere per ora. Vi correggerò mano a mano che proseguirete, perciò cominciamo. Jennifer attacca e Colin difende. “
Jen sorrise soddisfatta.
“ricordate che la postura è tutto”
Concluse Jack prima di dare il via.
Chissà come le risultò facile colpire per prima.
Puntò la sua spada verso di lui e tentò di colpire il braccio.
Lui si difese prontamente ma si accorse, dal modo in cui la sua spada vibrò a contatto con la sua, che i colpi di lei non erano affatto timidi.
Faceva sul serio.
La conferma gli arrivò man mano che il ‘gioco’ proseguiva e lei era sempre più accanita e decisa nel volerlo ferire.
Senza rendersene conto i due si trovarono immersi in una danza di affondi, toccate e contrattacchi muovendosi in maniera circolare lungo il perimetro dello studio.
“Qual è il tuo problema?”
Chiese lui bloccando un affondo di lei diretto proprio nelle sue parti intime.
“E me lo chiedi?”
Replicò beffarda lei puntando al cuore, di nuovo lui la bloccò in tempo.
“Credo che tu sia ancora ubriaca”
“Oh ti piacerebbe non è vero? Così potresti ridere alle mie spalle”
“Che diavolo stai dicendo?”
Chiese lui questa volta bloccando la spada di lei con più forza del solito.
La mano di Jen tremò mentre tentava un affondo verso il suo ventre.
Affondo che lui bloccò.
“Mi hai spinta tra le braccia di un altro, mi hai fatto comportare da sgualdrina, lo sapevi… avevi progettato tutto. Ecco perché hai insistito per farmi venire al tuo tavolo. Il tuo intento è quello di rovinarmi non è vero?”
Jen era furiosa.
Questa volta colpì uno dei suoi avambracci e lui non fu in grado di difendersi.
Il rossore sulla sua pelle pallida fu un segno che entrambi notarono.
Ma non si arresero, continuarono a combattere.
“Stai dicendo che è colpa mia? È colpa mia se ti ubriachi e fai la gatta morta con il primo che capita? Non sapevo fossi così moralmente fragile e disperata a tal punto di venderti per un paio di drink”
Voleva ferirla come lui aveva fatto con lei.
E ci era riuscito, anche se la ferita che le aveva inflitto, non era visibile come quella che lui aveva sull’avambraccio.
“Non dare la colpa a me per errori che tu hai commesso. Non incolparmi se non sei in grado di controllare te stessa. È un tuo problema non mio”
Chissà quando i ruoli si erano invertiti e adesso era lui ad attaccare e lei a difendersi.
Si scoprì in difficoltà e col fiatone mentre rispondeva agli affondi vigorosi di lui.
“Oh adesso ho capito.. farmi ubriacare, Jon, era tutto un effetto collaterale. Non era quello il tuo piano”
Colin smise abbassò la guardia d’un tratto curioso.
Lei approfittò per colpirlo ma lui fu più veloce.
“Tu volevi approfittarti di me”
Sibilò lei gelida.
Quelle parole lo colpirono come lame affilate.
L’azzurro dei suoi occhi sembrò espandersi per lo shock, mentre la sua mente assorbiva ciò che lei gli aveva appena detto.
Si allontanò da lei lentamente, smettendo di combattere.
Quasi alzò le mani per dichiarare il game over.
Lasciò cadere la spada giocattolo per terra e le voltò le spalle andandosene.
“Dove vai? Non abbiamo ancora provato..”
“Ho finito qui”
Rispose brusco lui interrompendo le parole di protesta di Jack.
Raccolse la giacca e un casco da motociclista ed uscì dallo studio sbattendo rumorosamente la porta.
Jen restò imbambolata al centro della stanza, una spada protesa verso un nemico che sapeva di aver ormai annientato.
 
 
Qualche minuto dopo anche lei era fuori.
Sembrava che Adam fosse sparito e Jack era andato via dopo aver capito che per quel giorno non ci sarebbero stati altri esercizi.
Lei restò sola nel parcheggio assolato e deserto mentre chiamava il servizio clienti per prenotare un taxi.
Dopo due squilli il centralino rispose.
“Si, mi servirebbe un taxi”
“Va bene signorina, mi dica dove”
“E’ agli.. pronto?”
Forse era caduta la linea perché d’un tratto non sentì più il ronzio di fondo dall’altra parte del telefono.
Allontanò lo schermo dal suo orecchio e guardò il display.
Nero.
Andato.
La batteria era morta.
“Merda”
Biascicò muovendosi a vuoto nel parcheggio senza una meta precisa.
Frugò nella borsa in cerca delle chiavi della sua roulette.
Non le aveva.
E così poteva anche dire addio alla sua possibilità di trovare un carica batterie.
Però aveva una forcina per capelli e sul set aveva imparato anche come scassinare una serratura.
Certe volte il lavoro torna utile anche nella vita vera.
Sorrise e andò verso il suo camerino prima di notare una moto non poco distante da lei..
Era il camerino di O’ Donoghue e quella moto parcheggiata sfrontatamente davanti doveva per forza essere la sua.
Lui uscì all’improvviso e la sorprese a fissare la sua moto.
Anche lui aveva degli occhiali da sole ma questo non impedì a Jen di notare lo sguardo carico di odio e disprezzo che lui le riservò.
Durò solo un attimo.
Poi lui mise il casco, montò in sella alla moto e avviò il motore.
Il rombo fu così forte che la fece sobbalzare dopo tutto quel silenzio.
Avviandosi nella direzione opposta, Colin abbandonò il parcheggio lasciandola di nuovo sola.
 
Scoprì a sue spese che non era affatto facile forzare quel tipo di serratura.
Ci rinunciò quando finì per ferirsi un dito.
Si leccò quel po’ di sangue che uscì dal piccolo taglio e ormai arresa si avviò verso l’uscita.
Mostrò il cartellino al tipo della sicurezza che alzò la sbarra facendola uscire.
Ed eccola lì nel bel mezzo del nulla, a guardarsi costantemente le spalle per paura che qualcuno potesse sorprenderla da dietro.
Avrebbe dovuto camminare un bel po’ prima di essere nelle strade affollate di Los Angeles dove avrebbe potuto fermare un taxi che l’avrebbe accompagnata a casa.
 
Colin era nascosto dietro i cancelli degli studi televisivi.
Era ormai pomeriggio e il sole era prossimo al tramonto.
Osservò lei che usciva poco dopo a piedi.
Si chiese perché non avesse un passaggio o se la sua nuova strana ossessione era camminare sola per strade deserte e fare la fine di un gatto in autostrada.
Smise di armeggiare con il telefono e lo ripose in uno dei taschini del suo giubbotto di pelle.
La fissò fino a quando gli fu possibile, poi lei imboccò uno dei tanti vialetti e sparì dalla sua vista.
Intuendo la direzione che avrebbe preso, attese qualche minuto, prima di accendere il motore e infilarsi in una delle strade parallele.
Così lei non avrebbe sentito il rumore del motore e non si sarebbe accorta che lui la stava seguendo.
Passarono 10 minuti in cui lui percorse una stradina adiacente a quella di lei e sentì l’ansia montargli dentro.
Stava andando a una velocità sostenuta a quella di un paio di gambe umane?
Lei era più veloce o lenta di lui?
Era ancora in quella stradina o aveva cambiato?
Che palle, non era un esperto in pedinamenti.
Ripensandoci non aveva mai fatto una cosa simile.
Si chiese se fosse meglio abbandonare la moto e proseguire a piedi ma lei era troppo sveglia e lui troppo imbranato.
Sarebbe finito per farsi scoprire.
Poi sentì il rumore di…due auto in collisione?
O era solo una l’auto?
Un urlo e il suono ripetuto di un clacson.
Da quale cavolo di stradina proveniva?
Era quella in cui avrebbe dovuto trovarsi lei?
Non ci pensò due volte.
Abbandonò la moto e si lanciò all’inseguimento raggiungendo la fine del vicolo in poche falcate.
Mancava poco all’imbocco, il punto in cui le due strade si sarebbero incontrate.
Girò velocemente e… finì contro qualcosa.
Quel qualcosa aveva un profumo e una voce famigliare mentre esclamava “merda”.
La borsa di lei finì per terra e lui si chinò a raccoglierla.
Gliela porse e incrociò il suo sguardo.
O ciò che gli occhiali da sole lasciavano intravedere.
Lei prese la borsa che lui le porgeva.
Sembrava fredda, distante, un’altra persona.
Normalmente avrebbe dovuto scusarsi per essere finito contro di lei, ma non lo fece.
La parola ‘scusa’ era vitale a quel punto del loro rapporto e di certo non doveva essere lui a pronunciarla.
Non per primo almeno.
C’era lei che aveva fatto di peggio, una ferita che ancora bruciava.
“Grazie”
Disse lei poco dopo.
Lui annuì brusco.
Restarono fermi per qualche secondo nella luce obliqua di metà pomeriggio.
Poi lei accennò un passo e contemporaneamente lui fece lo stesso.
Ci riprovarono.
Di nuovo.
Erano in quell’imbarazzante situazione in cui si finisce per non trovare un accordo su chi debba partire per primo e si finisce a rincorrersi nei propri stessi passi.
Chi avrebbe toccato chi per fermare tutto ciò?
Nessuno.
Jen si fermò e con un braccio gli indicò la via, per dirgli ‘vai, passa pure’.
Colin lo fece ma poi si accorse che lei stava per imboccare la stradina dove lui aveva nascosto la moto.
Perché?
Casa sua era da tutt’altra parte.
Non poteva permettere che lei lo scoprisse, sarebbe stato troppo strano.
Fu preso dal panico mentre il suo cervello elaborava mille teorie per bloccarla.
Ma non riuscì a pensare a nulla di buono se non a un sincero e inopportuno:
“Dove vai?”
Lei si voltò curiosa e incredula.
“Prego?”
“Non puoi andare di lì, c’è stato un incidente, hanno bloccato l’uscita”
Fu la prima scusa che gli venne in mente.
Non male.
Lei soppesò le sue parole.
Parve bersi quella bugia.
“Allora torno indietro”
Jen ritornò raggiungendolo nella stradina da dove lei era venuta.
Stava tornando… indietro?
Di nuovo la curiosità ebbe la meglio.
“Dove stai andando?”
Lei si voltò e gli rispose leggermente infastidita.
“Agli studi, ho dimenticato le chiavi di casa”
Colin si mordicchiò una guancia a disagio.
‘Cazzo Jen, è quasi il tramonto e sei a piedi.’
“Ti do un passaggio io”
Lei sembrò totalmente schoccata.
“Non mi serve grazie”
Fece per andarsene ma lui si allungò per afferrarle un braccio.
“E’ il tramonto e queste sono strade deserte con un pessimo sistema di illuminazione. Mi hai dato del maniaco sessuale, non voglio aggiungere killer menefreghista alla lista. Vieni con me”
Forse furono le sue parole o il tono secco e deciso con cui le disse, ma Jen si ritrovò a seguirlo come una brava studentessa cattolica.
Camminarono per un po’ in silenzio, lui davanti lei dietro.
Arrivarono alla moto.
Colin sperò che lei non si facesse domande sul perché lui aveva abbandonato la sua moto nel bel mezzo del nulla per proseguire a piedi.
Aprì con una delle chiavi la serratura del sedile, lo alzò e tirò fuori un casco da passeggero.
Glielo porse.
Lei lo indossò senza battere ciglio.
Salì in moto e aspettò che lei facesse lo stesso.
Nascosto dal casco sorrise soddisfatto mentre le disse:
“Devi tenerti a me”
Lesse dello scetticismo nell’aria.
“Tranquilla, dopo averti vista nuda queste toccatine sono il minimo”
Scherzò lui prendendosi gioco di lei.
Jen sapeva di avergli detto una cazzata con la storia del ‘volevi farmi ubriacare per approfittarti di me’ sapeva, perché lo sentiva dentro, che lui non era il tipo.
Si maledisse per quelle parole che come sempre le si erano ritorte contro.
Lui era passato dal carnefice alla vittima e lei era solo una povera e semplice stupida.
Come lo era stata dall’inizio del loro rapporto.
“Vaffanculo”
mormorò abbastanza forte perché lui la sentisse al di là del casco.
Colin la sentì eccome e per tutta risposta sorrise beffardo mentre le braccia di lei si arrestavano intorno alla sua vita.
Partì più veloce del solito per farle provare l’ebbrezza di un viaggio in moto.
 
Cinque minuti dopo erano dinnanzi agli studi televisivi.
La guardia fu abbastanza sorpresa di rivederli di nuovo lì ma non fece domande.
Prese i loro cartellini e li riconsegnò segnando i loro nomi sul registro elettronico.
Passarono oltre la barra di sicurezza e raggiunsero l’entrata principale degli studi.
“Non c’è bisogno che mi segui”
Lui premette l’interruttore per chiamare l’ascensore.
Due secondi dopo erano di nuovo bloccati in quella cabina metallica e così incredibilmente stretta.
Lei fece un passo avanti avvicinandosi quanto più possibile alle porte, così da non dover sentire il fiato di lui sul collo.
Colin non fiatò ma osservò la sua nuca con insistenza.
4…5…
Mancavano solo due piani e Jen pensò di non farcela.
Aveva paura di avere una crisi nervosa e scoppiare a piangere per la frustrazione o fare qualcosa di stupido.
Non sapeva spiegarsi perché la sua vicinanza la riducesse così.
Il numero sul display segnava che ora erano al sesto piano.
Jen strinse forte i pugni e trattenne il respiro.
‘Che cosa ti succede ragazzina’
Pensò spaventata dal suo stesso comportamento.
Il jingle di benvenuto segnò che erano arrivati a destinazione.
Le porte si aprirono e lei si fiondò fuori nel corridoio come se l’ascensore stesse per esplodere.
Nel frattempo era scesa la sera e tutto era immerso nell’oscurità.
Le uniche luci provenivano dai simboli sulle porte di emergenza.
Non poteva nemmeno usare il suo telefono per farsi luce perché era scarico.
Procedette alla ricerca dello studio 57.
Aprì la porta e prima che quella si richiudesse lui entrò nella stanza come fosse la sua ombra.
Jen si guardò intorno nel buio assoluto, non sapendo come tirarsi fuori da quella situazione.
Colin attese e poi le chiese:
“Dove sono queste chiavi?”
Per fortuna era buio perché Jen arrossì violentemente come una bambina goffa e impacciata.
“Io.. credo di averle perse”
Lui non disse nulla e quasi restò sorpresa di non sentire una risata ironica come risposta alle sue parole.
Una luce improvvisa e accecante apparve nella stanza.
Era la torcia del suo iPhone.
“Cerchiamole”
Disse lui semplicemente.
Si chinarono entrambi a guardare sotto alcune sedie, lungo le pareti, accanto alle porte, fino al centro della stanza dove avevano duellato.
Nulla, non trovarono nulla.
“Se ci dividiamo forse riusciamo prima”
“Ho il telefono scarico”
Ammise lei imbarazzata.
Passarono altri 10 minuti in cui setacciarono lo studio nei minimi dettagli.
Poi non restò che arrendersi.
“Sembra che non ci siano chiavi qui..”
Cantilenò lui con uno strano tono di voce.
Jen lo fissò, il viso per metà illuminato dalla luce bianca della torcia.
Sapeva che c’era qualcosa che le sfuggiva in quelle parole.
Un allusione che avrebbe dovuto cogliere.
“Che vuoi dire?”
“Beh… è la scusa più vecchia del mondo. Tu che mi chiami qui, per cercare qualcosa che non c’è, al buio..”
Jen ascoltò quelle parole con l’espressione di una che ha appena ricevuto uno schiaffo in faccia.
“Non sto dicendo che tu voglia approfittare di me…”
Le fece il verso lui.
“… solo che semplicemente hai voglia di passare del tempo con me”
Non c’era logica in ciò che stava dicendo, lui doveva saperlo.
Jen avrebbe potuto smontare la sua tesi pezzo per pezzo ma era così incazzata per proferire parola.
Si fiondò fuori dalla stanza verso l’ascensore.
“Aspetta”
Urlò lui lanciandosi all’inseguimento.
“Abbiamo una sola torcia e non vorrai perdere te stessa oltre che le chiavi”
“Fottiti Colin”
Quelle parole pronunciate dalle sue labbra lo eccitarono.
“Tranquilla.. non mi interessa farlo con te. Non sei proprio il mio tipo”
Quella frase scatenò in lei una tempesta di emozioni così violenta da mozzarle il respiro.
Si girò verso di lui, lo afferrò per la camicia e lo sbatté contro il muro.
Il telefono gli cadde nell’impatto, mentre i suoi occhi si spalancarono come le sue labbra in attesa che lei lo facesse.
Perché era così vicina che non poteva immaginare altrimenti.
Chiuse gli occhi e attese ma tutto ciò che ricevette fu una risatina beffarda.
Aprì gli occhi confuso mentre lei mollava la presa e si allontanava da lui.
“Chi è il bugiardo adesso..?!”
Bluffò lei divertita.
L’ascensore arrivò.
Jen entrò e lui si ricompose totalmente distrutto dopo quell’affronto.
Lei non smise di sorridere per tutto il tempo.
Godeva della situazione.
Era chiaro.
Entrò in tempo prima che le porte si richiudessero tagliandolo fuori.
Arrivarono alle uscite principali.
In un attimo furono nel parcheggio e lui dovette correre per mantenere il suo passo.
Inciampò in qualcosa, forse un sasso e infastidito lo calciò conscio di aver fatto un’altra figura di merda.
La situazione si era totalmente capovolta.
Ma quel sasso fece un rumore metallico come di…
“Chiavi”
Esclamò lei sorpresa chinandosi a raccoglierle.
“Un’altra prova che la bugiarda tra noi due non sono di certo io..”
Un’altra vittoria che la bionda si portava a casa quel giorno.
Montò in sella alla moto e si mise il casco, come se quella fosse ormai un’abitudine di sempre.
Fu questo a restituire il sorriso a Colin che la fissava colpito.
“Allora, me lo dai o no un passaggio a casa?”
 
 
 

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Capitolo 10
*** This Contagious Chemistry is Killing Me ***


NdA

Salve  a tutti. 
Ci tengo a ringraziarvi per i commenti  e la pazienza.
Aprrezzo davvero tanto. 

Ecco la canzone da ascoltare durante la lettura: https://youtu.be/S3yJLBixWBE
Hope you like it!


- - .- - - -




Non sapeva cosa fare, in che situazione si stava spingendo?
Jen non ne aveva idea ma voleva godersi la sensazione di rivincita nei suoi confronti.
Era la prima volta da quando si conoscevano che non faceva la figura della stupida o dell’infantile.
Questa volta gli aveva dimostrato che era lui nel torto.
E si, forse gioire di questa cosa era piuttosto stupido e infantile, ma al momento non le importava.
Si godeva la sensazione d’ebbrezza, mentre sulla sua moto, aggrappata alla sua vita, osservava da dietro la visuale del casco la città ormai buia, sfrecciare come se fosse la protagonista di un videogioco.
Un turbinio di colori, era come essere di nuovo ubriachi.
D’altro canto, lui sembrava particolarmente padrone della situazione, mentre guidava con sicurezza, come se quella fosse un’abitudine consolidata nel tempo.
 
In realtà C lo era solo in parte.
Mentre teneva gli occhi incollati all’asfalto, una piccola parte della sua mente non poteva non pensare alle braccia di lei, così prepotentemente aggrappate al suo bacino.
Al petto della ragazza che aderiva contro la sua schiena, come una seconda pelle.
E poco importava che tra loro ci fossero giubbotti di pelle che diminuivano la sensibilità.
Questo non gli impedì di avere una piccola erezione.
Avrebbe dovuto colpirlo questo pensiero, d’altronde non era ubriaco come la sera prima, quando l’evento si era presentato per la prima volta.
Ma non ci fece caso.
Si disse che era naturale, avere un’erezione se una donna particolarmente bella, era così avvinghiata a lui.
Avrebbe sfidato qualsiasi altro uomo al suo posto, a restare impassibile difronte a tanta vicinanza.
Chimica, è solo questione di chimica.
 
Arrivarono a casa di lei.
Lui parcheggiò sul vialetto.
Restò in sella, lo sguardo in avanti, mentre lei scendeva e si toglieva il casco.
Anche lui se lo tolse e l’appoggiò penzolante a uno dei manubri.
La guardò mentre lei gli porgeva il suo.
C lo prese e indugiò qualche secondo, la stretta ferrea e vibrante su quell’oggetto scuro e resistente.
Poi scese, aprì il sedile e lo ripose al suo interno.
Attese guardandola, come se si aspettasse qualcosa.
D’un tratto J comprese.
Lui voleva essere invitato ad entrare.
Sorrise ironica in risposta al suo sguardo carico di aspettative.
“Allora grazie”
Disse lei pacatamente.
Lui annuì e deluso montò in sella, girò la chiave e il motore vibrò.
“Colin?”
Si girò a guardarla curioso.
“Il casco”
Gli ricordò lei, ma lui non capì a cosa alludesse.
“Mettiti il casco”
Chiarì lei quasi autoritaria.
Se ne andò.
 
Rientrò in casa, abbandonò la giacca e la borsa sul divano e corse al piano di sopra.
E fu allora che si accorse di non essere sola.
C’era qualcun altro in casa e quel qualcuno stava.. facendo la doccia?
Pensò a Sebastian ma lui non sarebbe rientrato prima di sera e poi era appena entrata e la sua macchina non era parcheggiata sul vialetto.
Raccolse un soprammobile da uno dei mobili del corridoio.
Era una statuina di legno, una di quelle che vendono nei mercatini etnici.
Era appuntita e piuttosto resistente.
Aprì la porta del bagno e fu invasa da un mare di vapore.
Si avvicinò al box doccia, lo aprì, alzò la statuetta pronta a colpire e un attimo dopo lui si girò sorpreso alzando le mani in posizione di difesa.
“Sebastian?”
“Oi calma sono solo io”
J si rilassò e abbassò la statuetta.
“Cosa ci fai qui?”
“Sapevi che tornavo stasera, no?”
“Si.. ma non così presto..”
Seb rise, continuandosi ad insaponare i capelli.
“E hai pensato che fossi un ladro? Un ladro che ha persino il tempo di farsi una doccia?”
Jen arrossì disarmata di fronte a quella logica.
In effetti..
“Dai.. spogliati e vieni dentro”
Obbedì.
Un attimo dopo fu circondata dall’abbraccio dell’acqua calda e dalle sue di braccia.
Solo allora lo notò.
“Che cosa hai fatto al braccio?”
J toccò piccole linee di escoriazioni superficiali ma era chiaro che un po’ di sangue l’aveva perso.
“Ok, mi prometti che non dai di matto se te lo dico?”
J annuì preoccupata ma solo per conoscere cosa lui aveva cercato di nasconderle.
“Ho avuto un’incidente.. ehy, tranquilla, nulla di grave. Uno stronzo non ha rispettato uno stop e mi ha tagliato la strada. Io sto bene, non mi sono fatto nulla.. la fiancata dell’auto invece..”
Concluse laconico lasciando la frase sospesa.
“E’ stata prelevata dal meccanico.. ha detto che spera di riparlarla totalmente”
Ecco spiegato il perché dell’auto assente.
“Aspetta.. hai detto che hai avuto un’incidente ma dove?”
“Accanto alla 37esima”
Che poi era la strada dove lei e C si erano incontrati poco prima.
Ricordò le parole di lui, sulla strada bloccata a causa di un’incidente.
Pensare che Sebastian era coinvolto e così vicino a lei poi, le procurò una sensazione di nausea.
“Mi dispiace”
Mormorò accarezzandogli il viso, lui la strinse contro il suo petto e J sentì qualcosa muoversi lì in basso.
“Non è mica colpa tua?”
Le baciò la fronte.
“C’è una cosa che devo dirti”
Annunciò colpevole.
Lui corrugò la fronte.
“Cosa?”
“L’altra sera ero al bar, mi sa che ho esagerato un po’..”
L’espressione di lui si fece più affilata.
“… ho ballato con un tipo, mi sono lasciata abbracciare..”
“E..?”
Domandò lui ansioso.
J ripensò a come era andata poi a finire con Jon.
“E niente, cosa? Tutto qui. Mi sono fermata in tempo. Ubriaca o meno non sarei mai andata oltre”
“Perché senti il bisogno di dirmelo allora?”
“Perché voglio che tra noi non ci siano mai segreti”
Lui sorrise e fece un passo avanti, si chinò su di lei e le mordicchiò un orecchio.
“E dimmi.. per caso lui ti ha strinta così?”
La abbracciò forte, lasciando le braccia scivolare sul suo fondoschiena dove si fermarono a massaggiarle insistentemente le natiche.
“No”
Mormorò lei col cuore non più così calmo.
“Per caso.. ti ha presa così?”
L’afferrò per le gambe, sollevandola e facendola aderire di schiena contro la parete umida della doccia.
J istintivamente sellò le gambe attorno al fondoschiena di lui.
“No”
Confessò lei ormai eccitata.
“Bene”
Biascicò lui soddisfatto.
“Perché vedi..”
Il suo tono ritornò ad essere basso e seducente.
Portò una mano in basso, verso la sua erezione ormai notevole e la inclinò verso la sua vagina.
“.. Solo io posso..
… fare questo”
La penetrò dopo essersi assicurato che lei fosse abbastanza pronta per riceverlo.
Jen si lasciò sfuggire un piccolo grido di sorpresa e piacere.
Seb aspettò, spingendosi lentamente più avanti, in modo che lei percepisse a pieno le dimensioni del suo membro.
“Solo tu”
Si lasciò sfuggire lei esausta aiutandolo con le gambe a dare il ritmo al suo bacino che pian piano si muoveva verso di lei.
“Si”
Concluse secco lui, guardandola negli occhi mentre i suoi affondi diventavano più vigorosi.
Come se quella fosse una sfida.
Come se lui la stesse punendo o semplicemente ricordando il luogo a cui apparteneva.
E lei glielo lascò fare, perché quello era davvero un gran bel modo di essere puniti..
La chimica tra loro in quel momento, era davvero alle stelle.
 
Il lunedì arrivò come un treno in corsa e quella mattina Jen era sufficientemente riposata e in forma per affrontarlo.
Ci sono ferite che solo un buon sesso può curare.. quando la tequila manca, ovviamente.
Sorrise di sé mentre si alzava dal letto, portandosi dietro il lenzuolo che per metà copriva anche il corpo nudo di Sebastian.
Lui dormiva ancora profondamente, le natiche al vento, una guancia schiacciata contro il cuscino, le labbra socchiuse, un braccio che pendeva fuori dal letto.
Jen lo osservò per un attimo, ancora confortata da quella chimica che sentiva unirla a lui, ora più che mai.
Scese al piano di sotto, preparò il caffè, lo versò in due tazze e prese al volo due gallette di riso.
Mise il tutto su un vassoio e raggiunse di nuovo la camera da letto, decisa a regalargli un buongiorno particolare.
Posò il vassoio sul comodino e lentamente salì sul letto.
Cominciò a baciargli la schiena, salendo poi verso il collo.
Lui mugugnò qualcosa, mentre la lingua di lei gli solleticava la pelle, per poi salire fino al lobo del suo orecchio che J mordicchiò dolcemente.
A quel punto lui si svegliò sorpreso e girandosi incontrò lo sguardo di lei.
“Buongiorno”
Disse con la voce del primo mattino.
Per tutta risposta lei lo baciò a lungo, svegliandolo.
Lui accolse con piacere quelle rare attenzioni mattutine.
“Wao”
Si meravigliò lui quando lei si staccò per riprendere fiato.
“Ho fatto il caffè”
Gli porse una tazza.
Seb sorseggiò quella bevanda scura e bollente.
A J piaceva così, infatti la sua di tazza era già vuota.
“Dove vai?”
Chiese Seb curioso quando lei si alzò diretta verso il bagno.
“A fare una doccia”
“Non credo proprio”
Replicò lui poggiando la tazza sul comodino.
Si sedette meglio sul letto e la fissò con insistenza.
“È prima mattina e sai bene che..”
Lasciò cadere la frase continuandola con un’occhiata allusiva verso le sue parti basse.
Jen seguì il suo sguardo e incontrò la sua erezione mattutina in bella vista.
“… e il tuo buongiorno non ha aiutato affatto.. mai sentito il detto: non svegliare il drago che dorme?”
Jen rise e scosse il capo incredula.
Non che non ne avesse voglia, anzi, ma le lancette scorrevano veloci..
“Ok… ti do 5 minuti”
Disse avanzando verso di lui.
Lui sembrò offeso da quell’affermazione.
L’afferrò per un braccio tirandola sul letto.
Lei urlò e rise, mentre si sentì letteralmente cadere in avanti.
Le prese le braccia, fermandole sopra la sua testa con una mano.
Spostò il lenzuolo che le copriva il corpo con l’altra mano libera e osservò rapito i suoi seni sodi, i suoi capezzoli morbidi, il ventre piatto, la sua nudità..
Lei arrossì violentemente, sotto quello sguardo che sembrava accarezzarle persino le ossa.
Lui incrociò i suoi occhi per un’istante, e poi passò all’azione.
Le sue labbra circondarono un suo capezzolo, lo leccarono, lo mordicchiarono mentre quello diveniva turgido e lei sospirava.
“Hai 5 minuti”
Gli ricordò.
Lui protestò scendendo verso il basso, tracciando una linea di piacere dall’incavo dei seni, fino al suo basso ventre.
“Facciamo 10”
Blaterò lei.
A quel punto lui la sorprese, spingendosi con la lingua fino alle labbra della sua intimità.
La stuzzicò penetrandolo con un dito, poi un altro e muovendosi dolcemente al suo interno.
“Sei ancora interessata al tempo?”
Domandò lui perfido mentre con la lingua continuava la sua tortura.
Lei si arrese totalmente, aggrappandosi al lenzuolo per farsi forza.
 
 
Colin fu uno dei primi ad arrivare sul set quella mattina.
Meglio che restare in una fredda e anonima stanza d’albergo, la cui unica compagnia era la tv via cavo.
Scambiò alcune chiacchiere sportive con Josh, rise di battute stupide con Lana e Ginny e conobbe meglio anche Emily e Robert.
Gran belle persone.
La loro compagnia lo metteva di buon umore.
Jen e Sebastian furono gli ultimi ad arrivare quel giorno.
“Colazione lunga questa mattina?”
Li apostrofò Meghan ironica.
Fu Sebastian a rispondere.
“Puoi ben dirlo..”
“Attenta ai carboidrati J”
La rimbeccò Lana.
“Direi che non corre il rischio di ingrassare.. è tutto molto salutare”
Jen colpì scherzosamente Sebastian su un braccio mentre Jane ed Adam richiamavano tutti all’ordine, pronti a cominciare un nuovo giorno di riprese.
 
Per tutto il tempo Colin osservò Jen da lontano, non si erano ancora trovati faccia a faccia per le riprese ma lei non lo degnò comunque di uno sguardo.
Era come se fosse invisibile.  
Osservandola era coma se cercasse quell’intimità della sera prima, perché comunque qualcosa si era creato tra loro.
L’aveva solo immaginato o erano davvero amici?
Perché lui continuava a trattarlo come un semplice collega, anzi a non considerarlo affatto?
Ma notò con una leggera punta di fastidio, un fastidio che non seppe spiegarsi ma che collegò all’improvviso disinteresse di lei nei suoi confronti, che quella breve lontananza tra Seb e Jen aveva giovato al loro rapporto.
Non li conosceva da molto ma sapeva che lei non era una che amava ostentare in pubblico i suoi sentimenti.
Eppure quel giorno tra battutine, toccatine e sguardi, quei due sembravano più complici del solito, come se condividessero una segreta ed improvvisa alchimia.
Fu Adam a distrarlo da quei pensieri, mentre si avvicinò in silenzio (a pochi metri da loro Jen e Lana stavano girando con Josh e Ginny) per congratularsi con lui.
“Vi abbiamo ripreso nel combattimento prova di ieri, per vedere se la cosa poteva funzionare ed è straordinario perché non stavate nemmeno girando ma la chimica tra voi era palpabile. È una cosa naturale quella, o c’è o non c’è. Non ci si può lavorare molto altrimenti.
Tu e Jen siete fortunati perché tra voi c’è stata dal primo minuto e questo giova ai personaggi.
Non vedo l’ora di vedere come sarà la vera scena del combattimento quando gireremo.. sarà qualcosa di esplosivo, ci scommetto”.
Adam dette una pacca affettuosa sul braccio dell’irlandese e andò via.
Per tutto il resto del giorno Colin rifletté su quelle parole trovandole in qualche modo confortanti.
Non vedeva l’ora di condividerle con lei.
Il loro momento arrivò nel tardo pomeriggio, quando finalmente c’era una scena tra Hook, Emma, Snow e Aurora.
Prima delle riprese, regnava quella sensazione di laboriosità simile a quella di un formicaio in piena estate.
Colin trovò comunque il modo di avvicinarsi a lei.
“Ehy”
La salutò allegramente mentre lei era tutta intenta a ripetere le battute.
Jen sollevò lo sguardo dal copione e lo fissò.
“Ciao”
Lo salutò con un’ironia del tutto nuova.
Colin si sentì a disagio.
“Come va?”
“Grazie del passaggio.. sai per ieri..”
Rispose lei cambiando argomento.
Colin si chiese se Jen trovò quella domanda troppo personale.
Dunque non era paranoico.
Davvero lei considerava quella domanda troppo da amici e loro quindi non lo erano?
Tentò un’ultima volta per fugare ogni dubbio.
“Sai ho parlato con Adam poco fa.. a quanto pare ci hanno ripreso durante l’allenamento con le finte spade, ieri..”
Jen si chiese dove lui stesse andando a parare.
“.. ed è buffo, no in effetti non lo è..”
Si corresse lui prima di proseguire.
“.. perché si è congratulato dicendo che tra noi c’è una forte chimica, naturale ed evidente.”
Colin si fermò per misurare la reazione di lei che sembrò per un attimo sorpresa e .. confusa.
“Tra Hook ed Emma magari c’è chimica, è da manuale. Così deve essere, lo vuole il copione, gli autori, lo show. Tra me e te.. beh..”
Lei lasciò la frase in sospeso ma la completò alludendo con un’espressione abbastanza esplicita per lui.
Sapeva cosa voleva dire.
Si alzò e andò via lasciando Colin con qualcosa che gli bruciava nel petto.
Sembrava strano perché non gli capitava da tempo o forse non gli era mai capitato veramente, ma lei aveva lo strano potere di ferirlo.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Please Forgive Me ***


NDA

Nuovo capitolo. 
Vi ringrazio come sempre per la super pazienza e per le recensioni ;)
Ecco la canzone da ascoltare durante la lettura di questo capitolo: https://youtu.be/9EHAo6rEuas



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Ancora a letto, Colin fissava il soffitto grigio della sua camera d’albergo illuminato dai primi raggi dell’alba che penetravano dall’enorme finestra laterale.
Aveva dimenticato di chiudere le tende la sera precedente, o forse le aveva volutamente lasciate aperte per osservare le luci di Los Angeles e sentirsi in qualche modo… vivo.
Ne aveva bisogno, specie dopo la lunga litigata al telefono con sua moglie.
E a questo si aggiungevano le parole della bionda del giorno prima.
Sua moglie l’aveva screditato, l’aveva fatto sentire una nullità.
La bionda invece, l’aveva fatto sentire stupido e inadeguato.
Tra le due era la seconda ad averlo ferito di più, motivo per cui decise di affibbiarle, almeno nella sua mente, il soprannome di ‘bionda stronza’.
Restò immobile, arreso, come un peso morto a osservare quel cupo grigiore come se in qualche modo potesse fondersi con quel colore che per lui rappresentava il nulla.
Né bianco, né nero.
Una via di mezzo inutile, inesistente.
L’iPhone continuava a vibrare infuriato sul comodino, un rumore assordante e ripetitivo, la sveglia che chissà per quale motivo non si muoveva a spegnere.
Forse perché quel rumore, unito a quello del traffico in lontananza e dei clienti dell’albergo che piano piano si svegliavano, lo facevano sentire meno solo.
Dopo un considerevole lasso di tempo, allungò un braccio, afferrò il telefono e spense l’allarme.
Si alzò come un automa, i pantaloni del pigiama stropicciati, la t-shirt che andava assolutamente cambiata.
Entrambe finirono sul pavimento del bagno, mentre la doccia scorreva a vuoto in sottofondo.
Quando l’acqua fu sufficientemente bollente entrò, scomparendo in una nuvola di vapore soffocante.
Lasciò che l’acqua lo colpisse con violenza, risvegliandolo, mentre chiazze rosse comparivano sulla sua pelle pallida.
Quel calore bruciante era la prima cosa che sentiva dopo ore di totale assenza.
A 30 isolati più a sud, anche la bionda stronza era in doccia, non da sola.. ma questo lui, non poteva saperlo.
 
Andò a lavoro guidando distrattamente la moto tra l’onnipresente traffico mattutino.
L’odore di muffin, croissant e apple pie sulla 35esima strada, risvegliarono in lui una fame che non sapeva di avere.
Solo allora si ricordò che non toccava cibo da quasi 12 ore.
Ad attenderlo trovò Josh, un sorriso scoglionato, l’aria intontita mentre lo salutava cercando di simulare un’allegria che non possedeva.
Colin lo conosceva abbastanza da saperlo: quella notte lui e Ginny avevano fatto sesso.
Josh aveva sempre l’aria stralunata dopo una notte di sesso.
Su di lui il sesso faceva quell’effetto.
Lo rendeva un drogato.
Colin sorrise di quel pensiero mentre accettava il caffè che il collega gli porgeva.
“Brutta notte?”
Scherzò Colin.
“Solo mal di testa”
Rispose Josh con un sorriso.
Entrambi sorseggiarono silenziosamente il loro caffè.
Per fortuna J era di poche parole quella mattina.
Una compagnia perfetta per il suo umore del giorno.
 
Anche Jen era sul set.
Da lontano non poté fare a meno di notare Colin e Josh seduti sui gradini della roulotte del primo, con gli occhiali da sole scuri e l’aria distratta, mentre bevevano caffè come se fossero in post sbornia.
Ma l’irlandese quel giorno era solo… scollegato.
Assente.
Fu quello il termine che le venne in mente, osservandolo nel corso della giornata.
Anche quel giorno i due girarono separatamente, salvo poi ritrovarsi per una scena con Ginny, Sara e Jaime.
Come sempre sul lavoro lui fu impeccabile, ma a telecamere spente, tornò a perdere tutta la verve che caratterizzava il suo personaggio.
Jen cominciò a chiedersi che cosa non andava in lui e pensò che forse era il caso di andare a parlargli.
Ma Colin non era solo, di amici se ne era fatti sul set e in così poco tempo.
Dunque poteva fare a meno di lei e contare sugli altri.
E inoltre Jen non sapeva che per lei altri guai erano in agguato.
Molte ore prima, quella stessa mattina, qualcuno suonò al campanello della sua casa.
Lei uscì di fretta dalla doccia tra le proteste di un Sebastian frustato e arrapato e andò ad aprire in accappatoio.
Ma ad attenderla non trovò nessuno.
Abbassò d’istinto lo sguardo sullo zerbino e lì trovò uno splendido mazzo di rose rosse avvolto in uno splendido raso rosso.
Lo raccolse curiosa e stranita e lo portò dentro.
Sebastian commentò il tutto divertito con un:
“uhm… hai un ammiratore segreto?”
Ma Jen non seppe perché quel mazzo di rose la turbava così tanto.
Quell’inquietudine se la portò dietro tutto il giorno e decise che una volta arrivata a casa, avrebbe buttato nell’immondizia quei fiori che Sebastian aveva sistemato in  un vaso di vetro sull’isola della cucina.
Raccolse la sua borsa dal tavolo del suo camerino e l’aprì in cerca del telefono.
Fu allora che avvenne la sconcertante scoperta.
Più piena e pesante del previsto, la borsa svuotata da tutti i suoi effetti personali, conteneva decine di teste di Barbie con gli occhi bucati resi ancor più sinistri da quei sorrisi smaglianti.
Jen lasciò cadere la borsa, impaurita e disgustata.
Si sentì strana, come se il suo corpo fosse in preda a sintomi di influenza intestinale.
Restò a fissare la borsa riversa per terra, con tutte quelle teste orrende che le ricordavano.. le rose di quella mattina.. e dunque..
Il telefono squillò facendola rinsavire.
Rabbrividì e corse a raccoglierlo e senza nemmeno osservare il nome sullo schermo, rispose.
“Pronto”
Dall’altro lato il silenzio.
“P-pronto?”
Ripeté incerta mentre l’inquietudine montava dentro di lei.
Le mani le tremarono mentre la persona dall’altro lato della linea cominciò ad ansimare.
Respiri che le arrivarono dritti dentro e che la scossero dandole dei capogiri.
“Chi sei?”
Urlò sentendo gli occhi bruciare.
Respiri.
Nessuna risposta.
Ancora respiri.
Poi la linea cadde.
Jen osservò l’ultima chiamata ricevuta.
Numero sconosciuto.
Circondata da quelle teste, dal crepuscolo ormai calato, si sentì all’improvviso sola e.. vulnerabile.
Attraversò di corsa lo spiazzale delle roulotte diretta al parcheggio dove Sebastian l’attendeva.
Ma fu Colin che incontrò solitario, lungo la via.
Quasi gli finì addosso.
Lui arretrò per evitare l’impatto.
Lei lo fissò sconvolta e allora ebbe un’intuizione improvvisa.
“Sei stato tu”
Sussurrò sconcertata.
Per tutta risposta lui la fissò confuso.
“Tu.. tu.... cristo santo, ma che mente malata hai?”
“Di cosa stai parlando?”
“Non fare finta di niente.. i fiori, le bambole.. la chiamata di poco fa.. è tutto opera tua!”
Lo accusò.
Era ormai fuori di sé, tremava dalla rabbia che ora rimpiazzava la paura.
Colin le afferrò il polso.
“Ma che cazzo stai dicendo?”
Lei si liberò dalla sua presa ferrea, come una vipera che passa all’attacco di fronte a una minaccia.
“Non mi toccare”
La sua voce rimbombò nello spiazzale ormai vuoto e avvolto nel buio.
Lui fece un passo indietro come se si fosse appena scottato.
“Stai alla larga da me o ti denuncio”
Sibilò, scandendo con gelida rabbia ogni parola.
Da lontano Sebastian stava imboccando il viale con la macchina.
Suonò per richiamare l’attenzione.
Con un’ultima occhiata carica d’odio, mollò l’irlandese e raggiunse la macchina di Seb.
Entrò.
Sebastian notò subito che qualcosa non andava.
“E’ successo qualcosa?”
Lei tirò un lungo respiro, cercò di rilassare i muscoli e la tensione accumulata e finse un sorriso.
“Nulla, sono solo.. stanca”
 
Fu una notte difficile e una mattina difficile.
Il solo pensiero di dover andare sul set e vederlo, di stare faccia a faccia, fianco a fianco, di lavorarci persino, la turbava e infastidiva come mai prima d’ora.
Non le era mai capitato una cosa simile nei suoi anni di carriera.
Sebastian notò il suo nervosismo e cercò di calmarla con del caffè.
Jen ne aveva un gran bisogno.
Ma nemmeno quello riuscì a tranquillizzarla.
Il viaggio in macchina aumentò il suo malessere.
 
Non aveva chiuso occhio quella notte.
La tv era rimasta accesa, il volume basso per non disturbare, immagini confuse e sfuocate man mano che la bottiglia di Jack Daniel’s si svuotava.
Alla fine era crollato, più per l’urbiachezza che per stanchezza.
Si era ritrovato ancora vestito sulla moquette ai piedi del letto.
Motivo per cui quella mattina aveva un gran bisogno di caffè.
Ne aveva già bevuti 7 lungo la strada, ora era rinchiuso nel suo camerino, quattro caffè sul tavolo in attesa di essere bevuti.
Dalla finestra spiò la macchina di Seb che imboccò il viale dell’ampio parcheggio.
Fu come se una mano invisibile gli strinse le viscere, quando lei scese dall’auto ed entrò velocemente negli studi.
Colin sapeva di non potersi nascondersi a lungo.
Uscì e si ritrovò ad entrare nell’atrio, nello stesso momento di Sebastian.
Lo fissò interrogativo, come se si aspettasse di essere colpito da un momento all’altro.
Invece Seb lo salutò amichevolmente come sempre.
Il che voleva solo dire una cosa: lei non gli aveva detto della loro litigata della sera prima.
C decise di cogliere l’opportunità al volo.
“Si grazie, tutto bene.. tu?”
“Non c’è male amico”
Replicò Seb cordiale.
Colin partì all’attacco.
“E Jen? Tutto bene? L’ho vista un po’ scossa ieri..”
Seb si avvicinò con aria confidenziale, si guardò attorno e poi sussurrò:
“Ieri ha ricevuto un’enorme mazzo di rose senza mittente e questo l’ha scossa parecchio. Non so perché… le ho detto che è opera di un ammiratore segreto.. insomma, queste cose succedono spesso nel nostro campo”
“Già.. “
Disse l’irlandese pensieroso facendo due più due.
Sebastian non sapeva delle bambole, della chiamata.
Colin capì e fu scosso dallo stesso timore di lei.
 
Per tutto il giorno cercò di tenerla d’occhio senza farsi vedere.
Lei gli aveva praticamente dichiarato guerra, minacciandolo persino di chiamare la polizia.
Ovviamente Jen collegava quei gesti da psicopatico a lui.
Questo pensiero lo ferì come non mai.
Quale considerazione aveva la ragazza di lui?
Ma non ci pensò, continuò a osservarla da lontano perché aveva un brutto presentimento.
Toccò a loro due girare.
Si ritrovarono al centro dell’attenzione, mentre tutti attorno si davano da fare, pronti a girare.
Colin si sentì in imbarazzo, la sua vicinanza dopo quanto era accaduto era la cosa più strana e sbagliata del mondo.
Lei fingeva di leggere il copione ma ticchettava nervosa il piede contro il palco.
Lui decise di fare un tentativo.
Si avvicinò dicendole:
“Senti.. so che pensi che è tutta opera mia, ma non è così”
Lei si allontanò schifata.
Sgranò gli occhi e tornò a incendiarlo con lo stesso sguardo carico d’odio della sera prima.
“Allontanati subito da me”
Il ragazzo ci rinunciò.
 
Girare la scena non fu affatto facile.
Ma entrambi furono professionali come sempre.
Nessuno in quello studio captò segni di disagio tra i due.
Nessuno sembrava al corrente della loro disastrosa situazione.
Appena terminate le riprese, Josh corse da lui per invitarlo a bere qualcosa da Jo.
Fu in quel momento che lui la perse di vista.
Mentre il collega ancora gli parlava, l’irlandese prese a guardarsi intorno allarmato, cercando quell’inconfondibile chioma bionda.
Nel caos di tecnici, macchinisti e direttori, fu un’impresa ardua.
Alla fine dovette semplicemente ammettere di averla persa.
Josh era nel pieno di un discorso quando Colin, che non aveva seguito una sola parola, lo interruppe dicendo:
“Scusa amico, devo controllare una cosa.. torno subito”
Mollò il collega che annuì confuso mentre lui usciva di corsa dagli studi e raggiungeva l’atrio.
In tutto il tragitto, non ci furono segni di lei.
Uscì fuori nel parcheggio buio, la macchina di Sebastian era ancora lì.
Ma di loro nessuna traccia.
Non gli rimaneva altro che controllare il suo camerino.
Una volta arrivato, notò che la luce all’interno era accesa.
Dunque lei era dentro.
Stava per voltarsi indietro, tranquillizzato da quella calda luce dorata, segno della sua presenza.
Ma c’era qualcosa che non andava.
Era una sensazione, un presentimento.
Una vibrazione negativa che stonava con l’ambiente.
E poi.. perché la porta principale era socchiusa?
Non era da lei..
Si avvicinò di soppiatto, nascondendosi tra le ombra della sera.
Si posizionò sotto la finestra aperta e fu allora che sentì le voci.
“Finalmente… non hai idea di quanto ho aspettato questo momento”
Una voce maschile, che non conosceva.
“Per favore.. ti ho già detto che stai confondendo la realtà con la finzione…”
Lei stava… piangendo?
La rabbia montò dentro di lui, pronto e deciso a irrompere nella roulotte e uccidere quel bastardo.
Chiunque fosse.
“Non mentirmi”
Urlò il ragazzo infuriato.
Colin si azzardò ad alzare la testa oltre il bordo della finestra e a spiare all’interno.
Era un ragazzo, sulla ventina, occhiali da sole, un cappello e una maglia da baseball, una pistola puntata contro una Jen terrorizzata.
Colin strinse i pugni.
Mai avrebbe immaginato una situazione simile.
Non poteva fare nulla di azzardato, o la situazione poteva precipitare da un momento all’altro.
“Per favore.. per favore..”
Lei stava piangendo.
Implorando.
“.. non sono una dottoressa.. non posso aiutare tua madre. Sono solo un’attrice, quella era solo una serie tv.. non sono una dottoressa..”
“Ti ho detto di non mentirmi cazzo”
Evidentemente lui si era avvicinato ancor di più perché lei arretrò rischiando di inciampare lungo il pavimento irregolare.
Colin notò la porta sul retro, proprio alle spalle di quel bastardo.
Era la sua unica possibilità.
“Ora verrai con me, andremo da mia madre, mi dirai cosa c’è che non va.. la curerai, la salverai…”
Parlava come se stesse recitando una vecchia cantilena e Colin poté immaginare la sua espressione folle.
‘Resisti’
Pensò l’irlandese raggiungendo l’entrata posteriore.
Il telefono di Jen squillò.
“Non rispondere”
Ordinò l’aggressore.
Ci fu un attimo di silenzio, indecisione, poi un trambusto improvviso.
Partì un colpo.
Jen urlò.
A quel punto non poté più aspettare.
Colin si fiondò all’interno della roulotte.
La prima cosa che notò fu Jen sana e salva, il colpo sparato a vuoto aveva colpito la gamba del divano.
Lo psicopatico sembrò stupito e interdetto da quell’entrata improvvisa.
Era come confuso.
Poi puntò la pistola verso di lui ma Colin fu più veloce.
Si lanciò letteralmente sul ragazzo e lo atterrò, trattenendo il braccio del giovane che impugnava la pistola, lontano dai loro corpi.
Colin colpì la faccia del giovane con un pugno, il naso grondò sangue.
La mano del ragazzo si arrese e lasciò andare la pistola e allora l’irlandese si lasciò andare.
Lo colpì sul viso ripetutamente, tra le urla di Jen.
Allarmati da tutto quel baccano, sulla scena arrivarono anche Josh, Lana e Sebastian.
Terrorizzati osservarono la scena: Jen in lacrime, Colin sul ragazzo a terra, la faccia sporca di sangue, le nocche violacee dell’irlandese.
“Che succede qui?”
Sebastian fu il primo a parlare.
Colin si calmò.
Si alzò respirando lentamente, lo sguardo animato di uno che ha appena fatto a botte.
“Chiama la polizia”
Fu tutto ciò che disse.
 
Al commissariato fu un casino.
Era come essere su una giostra che andava a 100 all’ora.
Jen era sotto shock, almeno era quello che tutti le ripetevano.
Ma riuscì comunque a rispondere alle domande dell’agente.
Spiegò com’era andata, l’assistente prese appunti e lei fissò la lampada nell’ufficio buio come rapita.
Durò un’eternità.
Ma alla fine furono liberi, fuori nel parcheggio illuminato dalla luna ormai alta.
Josh, Ginny, Lana e Adam li salutarono, lei e Seb si ritrovarono d’improvviso soli.
“Stai bene?”
Sebastian continuava a chiederglielo.
Lei annuì stordita.
Non era più riuscita a piangere da quando il ragazzo l’aveva sorpresa nella sua roulotte ore prima.
Ma lei non era sotto shock come tutti credevano.
Era lucida, come dopo aver bevuto litri di caffè.
Sapeva cosa fare.
 
Senza rendersene conto erano arrivati a casa.
Sebastian continuava ad osservarla come se da un momento all’altro dovesse urlare o rompere qualcosa.
Questo la infastidì e le fece davvero venir voglia di urlare.
Si lavò a lungo, da sola, con quel pensiero che le martellava la testa.
Sebastian era a letto, l’aspettò sveglio.
Lei non ne poteva più.
“Vado giù a farmi una tisana”
Tutto pur di sfuggire al suo sguardo preoccupato.
“Ok”
Replicò lui cauto.
Jen scese.
Accese la luce e restò in piedi, contro il marmo del lavandino a fissare il salotto buio adiacente.
Passarono secondi, minuti, ore.
Erano le 3 del mattino.
Jen salì in camera da letto, sicura di trovare Sebastian addormentato.
In silenziò afferrò un paio di jeans e una felpa col cappuccio.
Scarpe ginniche.
Uscì di casa di soppiatto, percorse qualche metro e poi si fermò a chiamare un taxi.
Sapeva dove lui alloggiava, tante sere prima avevano accompagnato una Sara ubriaca nella stessa strada.
Pagò il taxi, il viaggio durò un quarto d’ora.
Entrò nella reception.
Si recò alla hall e parlò con il portiere.
“Il signor O’Donoghue mi sta aspettando.. può dirmi la camera?”
L’uomo la guardò di soppiatto, come studiandola.
Jen si tolse il cappuccio.
In piena notte, vestita casual, con quegli occhi rossi, le occhiaie violacee.
Doveva sembrare una tossica.
Tirò fuori il portafogli e la carta d’identità.
“Ecco qui, sono Jennifer Morrison, può anche cercarmi su internet se vuole”
Il portiere si riscosse, come colto da un’improvvisa illuminazione.
“Oh.. ma certo”
Batté qualche tasto al computer.
“Decimo piano, stanza 307”
“Grazie”
Chiamò uno degli ascensori.
In un attimo fu dentro, diretta al decimo piano.
Si guardò allo specchio.
Si, aveva decisamente l’aspetto di una tossica.
Cercò di lisciarsi i capelli arruffati dal cappuccio.
Con un leggero suono di cortesia, l’ascensore si aprì.
Era arrivata al piano.
Jen cercò la sua camera.
307.
Attese un attimo raccogliendo il coraggio.
Bussò lentamente.
Quindici secondi dopo, la maniglia scattò.
Lui era lì, a piedi nudi, pantaloni blu del pigiama, una t shirt bianca.
Sembrava sorpreso ma Jen capì di non averlo svegliato.
Osservare il suo viso, i suoi occhi azzurri profondi e sinceri…. era ciò di cui aveva bisogno.
“Mi dispiace.. mi dispiace..”
Cominciò a dirgli senza rendersi conto di stare piangendo.. finalmente.
Continuò a ripeterlo ancora qualche volta, scossa, distrutta, tremante.
Poi lui fece un passo avanti e la tirò a sé.
La strinse in un abbraccio e contro il suo petto caldo, Jen si lasciò andare a un pianto liberatorio.
Era al sicuro adesso. 
 

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Capitolo 12
*** Change ***


NdA

Salve a tutti,
eccomi qui con il nuovo capitolo.
Vi ringrazio per la pazienza e per le recensioni che leggo sempre con piacere.

Ecco il link con la canzone da ascoltare durante la lettura: http://www.jango.com/music/Taylor+Swift?l=0

Hope you like it!





Quando sentì  bussare alla sua porta in piena notte, pensò sicuramente ad un errore del servizio in camera.
Perciò sospirò pigramente e si alzò dalla moquette dove era seduto a guardare la tv e andò ad aprire.
Per un attimo si chiese se stesse per caso sognando, se fosse tutto un equivoco o uno strano scherzo.
La osservò a lungo, mentre lei sembrava confusa e alquanto persa.
Non era più la ragazza del bar che aveva conosciuto la prima sera, né tanto meno l’attrice ordinata e meticolosa che incontrava ogni giorno sul set.
Era una Jennifer diversa.
E non era solo il suo look alquanto discutibile, che lui comunque apprezzò, era la fragilità che le si leggeva in volto.
Non le chiese nulla, ma fu lei la prima a parlare.
“Mi dispiace… mi dispiace..”
Ripeté sentendosi libera di piangere.
Fu un attimo, poi lui l’attirò verso di se in un abbraccio, realizzando solo in quel momento quanto avesse desiderato farlo.
Lei pianse un po’ contro la sua spalla, lui cercò di tranquillizzarla massaggiandole dolcemente la schiena.
Era così che si confortava una persona, no?
Non ricordava l’ultima volta che gli era toccato farlo.
Da una camera li vicino, una signora sulla 50ina, uscì di soppiatto affacciandosi per controllare l’intero corridoio.
Lui e Jen si voltarono per osservarla ed entrambi notarono dietro la signora, un uomo di mezza età ancora mezzo nudo.
Capirono al volo.
Si guardarono e trattennero le risate, mentre lui le fece cenno di entrare per evitare che la signora in questione si accorgesse di loro due.
Jen entrò nella sua camera, si fermò imbarazzata pochi passi dopo la porta.
Lui gettò un’ultima occhiata ai due amanti clandestini, il tempo di vedere la donna raggiungere di corsa l’ascensore mentre l’uomo richiudeva la porta.
Sorrise un’ultima volta e poi chiuse anche lui.
Si voltò a guardarla e si accorse che lei stava fissando, parecchio a disagio, la camera in cui alloggiava.
“Beh.. è sempre più ordinata della mia roulotte”
Si giustificò lui mentre lei indugiava sui vestiti gettati un po’ ovunque e i copioni sul letto ancora intatto.
“Ma tu la notte non dormi mai?”
Chiese curiosa.
Lui sorrise.
“Non è in cima alle cose che amo fare di notte”
“Ecco spiegato il motivo di tutti quei caffè al mattino..”
Lui alzò le spalle come a dire: ‘che ci vuoi fare’.
“Se non dormivi che stavi facendo… insomma, prima che..”
Non continuò la frase, sembrava a disagio e Colin si chiese se per caso stesse già rimpiangendo la sua decisione di essere andata a trovarlo nel cuore della notte.
“Oh, c’è The Walking Dead in tv”
Lei corrugò la fronte.
“Quel coso sugli zombie?”
“Quel coso?”
L’apostrofò lui sbalordito.
Lui amava quello show.
Lei ridacchiò di fronte alla sua reazione.
“Si insomma, non sono una grande fan del genere e poi… zombie? Dai alla tua età..”
“Alla mia età?”
Le fece eco lui divertito.
“.. è poco realistico”
“disse la figlia di Biancaneve e del principe azzurro”
Lei spalancò la bocca per replicare, colpita, ma non ci riuscì.
“Ma.. è totalmente diverso. Once lancia un messaggio ben preciso, questo The Walking Dead insegna alla gente come uccidere zombie”
“Non hai mai visto un episodio, non puoi saperlo”
“Beh, vediamo allora”
Replicò lei con semplicità, sedendosi a gambe incrociate sulla moquette davanti alla tv.
Lui andò al frigo bar e prese due lattine di coca e un paio di barrette alle noccioline.
Tornò con il piccolo bottino verso di lei che lo guardò a metà tra l’incredulità e il divertimento.
“Quanti anni hai? 12?”
Lo apostrofò mentre lui tornava indietro a cambiare la ‘spesa’.
Tornò con quattro bottigliette campioncino di tequila.
Lei approvò con un sorriso.
Si sedette accanto a lei e le passò una bottiglietta.
Entrambi la stapparono e brindarono con uno sguardo.
“Se continua così.. tra poco cambiamo canale”
Sentenziò lei particolarmente disgustata dalla scena trasmessa.
“Non ti facevo un fan dello splatter”
“E che pensavi guardassi?”
“Non lo so..”
Disse lei sorseggiando pensierosa.
“.. qualcosa con modelle stupide, tette e videogiochi”
“Tette e videogiochi?”
Rise lui.
“Si.. insomma, un po’ nerd lo sei”
“Quanti stereotipi”
“Ehy, non ho nulla contro i nerd”
Si difese lei.
“Beh.. non si direbbe”
Si voltò a guardarlo.
“Che intendi dire?”
“Non c’è nulla di nerd in te.. nè tantomeno nella persona con cui stai..”
Colta alla sprovvista da quella affermazione, si abbandonò ad una sonora risata.
Lui continuò.
“… insomma, lui sembra più un tipo fisico.”
Continuò a ridere, perciò non doveva essersi offesa.
“No, non siamo già a quel punto”
“Quale punto?”
“Quello in cui tu torni a psicanalizzarmi e ad esprimere giudizi sulla mia vita”
“Perché no? E’ notte, la tequila l’abbiamo.. manca solo il juke box”
Commentò lui rievocando il loro primo incontro, quella notte in cui lui le aveva che dava l’impressione di essere triste e sola.
Lei colse a volo e scosse la testa.
“Non sono venuta qui per questo”
“E per cosa, allora?”
La curiosità ebbe la meglio e alla fine non poté più aspettare a chiederglielo.
L’atmosfera nella camera cambiò.
Si fissarono in silenzio, entrambi seri e attenti.. beh, lei un po’ più a disagio di lui.
Adesso che l’allegria e il divertimento di poco prima erano spariti, sembrava difficile continuare.
“Volevo… ringraziarti”
Lui annuì.
“Non c’è di che… adesso puoi andare”
“Come?”
Lei restò del tutto sbalordita.
“Si insomma, sei venuta qui… tutto questo era solo un contentino. Un premio perché il ragazzo eroe ti ha salvata dal mostro cattivo. Questo non cambia le cose, no?”
“Dio mio come sei stronzo”
Replicò lei incurante di abbassare la voce.
Si alzò infuriata.
“Lo aggiungo alla lista, devo dire che è abbastanza dolce come insulto.. insomma, dopo avermi dato dello psicopatico.. sarà difficile per te battere quel record, sempre se non hai voglia di controllare nell’armadio o sotto il mio letto e vedere se sono anche un serial killer.”
In un attimo lei capì il perché del suo comportamento.
Era stata dura, l’aveva ferito.
Come aveva potuto pensare che dietro quelle azioni orribili che le erano accadute, ci fosse lui?
“Ok, ho sbagliato, mi dispiace. Non avrei mai dovuto dirti… quello che ti ho detto. Sono stata una stupida.”
“Ed anche parecchio stronza.”
Aggiunse lui.
Lei soffocò una bestemmia di fronte alla sua espressione divertita.
“Si, anche una stronza”
Ammise infine.
“Non basta”
“Oh dio, ma che vuoi? Una lettera di scuse ufficiali?”
“No, voglio che ci siano altri momenti come questo…”
Aprì le braccia per indicare la stanza in cui si trovavano.
“… che da domani le cose cambieranno e non tornerai a trattarmi come se fossi il teppista dell’ultimo banco che infastidisce continuamente la reginetta del ballo.”
Jen soppesò con attenzione il senso delle sue parole ma era parecchio arrabbiata.
Messa alle strette e dopo tutto quello che era accaduto, decise di dargli una possibilità.
Di abbattere quel confine che aveva costruito per tenerlo distante.
“Va bene”
Concluse infine orgogliosa.
Lui si rilassò, sorridendo vittorioso.
“Bene”
Si sedette di nuovo sulla moquette e batté con la mano di fianco a sé per farla riaccomodare.
Lei roteò gli occhi ma non protestò.
Passarono il resto del tempo a guardare la tv in silenzio.
 

Tre ore dopo…
 

C’era un rumore strano, come quello di un insetto che ronza pigro in una giornata primaverile, e andava avanti da un po’.
No, non era solo un insetto… sembrava c’è ne fossero di più, come uno sciame d’api furioso.
Allarmata da quel pensiero, Jen si svegliò, confusa e spaventata.
Aprì gli occhi e ancora assonnata non riconobbe lo schermo piatto ancora acceso, che mandava immagini confuse di una telepromozione di attrezzi ginnici.
Il collo era indolenzito e qualcosa premeva insistentemente contro la sua tempia.
Si voltò per controllare e trovò la testa di Colin appoggiata alla sua.
Si erano addormentati lì, su quel pavimento, le teste una contro l’altra, poggiate contro il letto.
“Mio Dio”
Jen scattò in piedi e Colin finì completamente sul pavimento.
Anche lui si svegliò bruscamente, spaventato da quell’improvviso cambio di posizione.
“Che.. che succede?”
Si stropicciò gli occhi mettendosi a sedere.
Jen corse verso il comodino, prendendo il telefono di lui che continuava a vibrare.
Era la sveglia.
“Oh dio.. oh dio… le 5.30.. è tardissimo, devo correre a casa.. Seb andrà a correre tra poco e se non mi trova…”
Era visibilmente agitata.
Cercò il suo di telefono per vedere se c’erano chiamate e messaggi.
Colin si alzò, osservò i primi raggi dell’alba entrare nella stanza e mostrare i dettagli del suo disordine cronico.
“Merda.. è scarico”
Colin andò verso l’armadio, lo aprì e prese una camicia e un paio di pantaloni.
“Che stai facendo?”
Chiese lei furiosa.
Possibile che non capiva la gravità della situazione?
“Mi sto vestendo.. ti accompagno a casa”
“No, posso prendere un taxi”
Replicò lei stizzita.
“Se vuoi arrivare prima che lui si svegli, dobbiamo fare a modo mio”
Jen batteva freneticamente il piede sul pavimento mentre decideva.
“E va bene”
Sbottò infine a voce troppo alta.
“Shhh..”
Fece lui portandosi un dito sulle labbra e intimandole di fare silenzio.
“… dormono ancora tutti, non vorrai farmi ricevere un reclamo dalla direzione”
Lei sorrise sprezzante, infastidita per essere stata ripresa da lui.
“Va a cambiarti in bagno”
Tentò di rimproverarlo lei.
Lui la guardò con una strana espressione.
“Mi pare ovvio.. non vorrei mai aggiungere anche ‘nudista’ alla lunga lista di insulti”
Commentò divertito.
Si avviò verso il bagno e disse:
“Chiudo anche la porta”
Jen capì che la stava prendendo in giro e questo non fece che accrescere la sua rabbia verso se stessa.
‘Vatti a cambiare in bagno’
Si ripeté nella mente.
Ma che frase del cavolo.
Cosa pensava facesse?
Che si spogliasse lì davanti a lei?
Decise di calmarsi e restare in silenzio per il resto del tempo, perché a quanto pareva, la combinazione di ansia e rabbia a prima mattina la rendevano particolarmente stupida.
 
 
5 minuti dopo, lui uscì dal bagno vestito di tutto punto.
Jen tirò un sospiro di sollievo, finalmente potevano andare.
Lui raccolse le sue chiavi, il telefono, indossò il suo giubbotto di pelle nera e ne prese uno anche per lei.
Lei accettò senza fare storie ed entrambi silenziosamente si avviarono fuori dalla camera.
Raggiunsero l’ascensore, Colin inserì la combinazione per accedere al garage sotterraneo.
Le porte si chiusero.
Di nuovo si ritrovavano soli in ascensore, ma questa volta c’era qualcosa di diverso dalle altre volte.
Jen lo osservò, mentre lui giocherellava con le chiavi davanti a lei dandole le spalle.
Sembrava rilassato.
Questo aiutò anche lei a rilassarsi… ma solo un po’.
In meno di dieci minuti furono fuori, nel primo traffico mattutino di una città che faceva fatica a svegliarsi.
In moto Jen si godette il viaggio, anche se quell’ansia perenne di arrivare in ritardo le premeva continuamente come un cappotto troppo stretto di cui non riusciva a liberarsi.
“Stringimi più forte, tento un sorpasso”
Urlò lui, la voce ovattata dal casco ingombrante.
Jen aumentò la presa sui suoi fianchi.
Osservò Colin spostarsi rapidamente verso la corsia affianco, superare cinque macchine che procedevano pigre e poi rientrare poco prima che una macchina imboccasse la loro stessa corsia, rischiando un incidente.
Impaurita e accaldata, Jen si ritrovò eccitata da quell’improvvisa scarica di adrenalina.
“Wao”
Commentò sottovoce, così che lui non potesse udirla.
 
Arrivarono a casa sua in tempi record.
Colin aveva ragione: se avesse chiamato un taxi, adesso probabilmente sarebbe ancora bloccata nel traffico.
Nessuno è così pazzo da tentare un sorpasso del genere o scivolare per le strade con una tale sorprendente rapidità.
Scese dalla moto, velocemente gli consegnò il casco e il giubbotto che lui sistemò nell’apposito vano sotto il sedile.
“Allora… grazie”
Disse guardandolo di sfuggita.
L’ansia di essere scoperta tornò a farle visita prepotentemente.
“Di nulla”
Replicò lui con semplicità.
Si rimise il casco e montò in sella.
“Ci vediamo in giro”
La salutò e sfrecciò via verso il sole che diveniva sempre più accecante.
 
Rientrò in casa di soppiatto, cercando di fare il minor rumore possibile.
Per un attimo si sentì una liceale che torna a casa tardi dopo una notte fuori e cerca di non farsi beccare dai suoi.
Salì le scale al piano di sopra e le sembrò che alcuni gradini cigolassero più del dovuto.
Arrivò in camera da letto, la porta era socchiusa.
Nel letto Sebastian dormiva ancora profondamente.
Tirò un sospiro di sollievo mentre ringraziò di cuore la sua buona stella.
Entrò e cominciò a spogliarsi lentamente, nascondendo la roba, piegata a casaccio, nell’armadio.
Ora arrivava la parte più difficile: entrare nel letto senza svegliarlo.
Un operazione complessa che richiese interi minuti particolarmente.
Si adagiò lentamente sotto il lenzuolo, ma.. Sebastian si mosse voltandosi verso di lei.
Con gli occhi ancora chiusi, mugugnò qualcosa cercando a tentoni con le braccia il suo corpo.
Jen chiuse gli occhi velocemente e restò immobile.
Era un’attrice, poteva fingere di essersi appena svegliata.
Ma ciò che non era in suo potere era rallentare i battiti del suo cuore e il rossore sulle guance, a causa dell’adrenalina del momento.
Sperò che lui non se ne accorgesse.
Le sue mani la raggiunsero cingendole i fianchi.
Jen si lasciò abbracciare e sentì chiaramente l’erezione del ragazzo contro il suo fondoschiena.
“Buongiorno”
Disse Sebastian con voce roca dandole un bacio sulla tempia.
Tempia particolarmente sensibile quella mattina dopo aver passato ore a fare da cuscino alla testa dura dell’irlandese.
“Buongiorno”
Lo salutò lei con la voce più roca e assonnata che riuscì a fare.
Forse per quella mattina non si sarebbe ribellata a una sveltina mattutina.
Aver passato la notte fuori, avergli mentito inconsapevolmente, la fece sentire parecchio a disagio.
Doveva farsi perdonare.
Fu lei a fare il primo passo, mentre si voltava verso di lui e lo sorprendeva con un bacio particolarmente accogliente. 



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Capitolo 13
*** Save You ***


NdA

Salve a tutti.
Vi ringrazio per la pazienza e per le recensioni che leggo sempre con piacere.
Ecco qui il nuovo capitolo che è direttamente collegato al prossimo.
So che siete in molti a seguire la storia e vi ringrazio davvero, quindi non appena la maggior parte di voi avrà letto e recensito il capitolo, posterò subito l'altro così da non perdere il senso di continuità

Grazie ancora e spero vi piaccia.

Canzone da ascoltare durante la lettura: https://www.youtube.com/watch?t=67&v=ScfQDcFYUvQ




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Anche quella mattina arrivò tardi a lavoro.
Colpa di Sebastian ovviamente.
In certe cose era davvero lento… non che le dispiacesse, ma ultimamente stava diventando un abitudine.
Lui l’accompagnò sul set ma tornò subito a casa.
Doveva fare i bagagli e raggiungere il suo agente nella sua villa a Miami.
Avevano delle proposte lavorative da valutare insieme.
“Fai il bravo”
Le disse lei, baciandolo dolcemente sulle labbra.
Lui la strinse con più forza e sorrise.
Erano poggiati alla portiera della loro vettura.
“Io si.. tu piuttosto.
Attenta a non rimorchiare altri sconosciuti in un bar..”
Jen abbassò gli occhi e arrossì, ricordando ciò che era successo settimane prima con Jonathan, l’amico di Colin.
“.. ma ripensandoci, sei libera di rimorchiare chi vuoi, se questo significa che poi potrò punirti come l’altra volta…”
Lui sorrise eccitato al solo ricordo, lei lo colpì sul braccio, ma non poté fare a meno di sorridere.
“Va via, pervertito.. niente telefonate nel cuore della notte perché hai voglia di fare sesso telefonico”
Lo ammonì lei mentre lui rideva.
 
Congedato Sebastian, Jennifer si aggirò sul set con due caffè bollenti in mano.
Cercava Colin ovviamente, voleva ringraziarlo per quella strana notte e per essere stato così gentile.
Anche se restava comunque stronzo.
Sapeva che portandogli un caffè, avrebbe reso l’idea.
Chiese a uno stagista di lui, e quello gli rispose che era arrivato un’ora fa ma che non si era ancora fatto vedere in giro.
Jen sorrise, pensando che forse lui fosse così stanco, a tal punto da essersi addormentato in  camerino.
Andò a cercarlo, raggiungendo l’assolato parcheggio delle roulotte.
La sua moto era parcheggiata poco distante.
Mentre si avvicinava, non poté fare a meno di pensare che non era mai stata nel suo camerino.
Questo la fece sentire stranamente nervosa.
Nervosismo che poi superò, ripensando al fatto che aveva trascorso la notte nella sua camera d’albergo.
Arrivò di soppiatto, pronta a bussare e a coglierlo sul fatto ma una volta giunta alla sua porta, sentì la sua voce provenire dall’interno.
Sembrava nervoso, forse persino preoccupato.
Non seppe dirlo.
Jen non l’aveva mai sentito parlare così seriamente.
Era al telefono con qualcuno.
“.. ora mi è impossibile, si… sono a lavoro”
Tono formale, sulla difensiva.
Non da lui.
Jen si spostò verso la finestra cercando di spiare all’interno.
Per fortuna le persiane non erano chiuse.
Lui era dentro, al centro della stanza.
C’era sole ovunque, motivo per cui i suoi occhi non riuscirono a cogliere tutti i dettagli .
Osservò le sue spalle rigide, la sua testa china, la mano destra che stringeva il telefono accanto all’orecchio.
D’un tratto prese a battere il piede sul pavimento.
Si, era decisamente nervoso.
“…va bene, passerò il prima possibile.”
Jen capì che la telefonata era ormai alle battute finali.
Aveva voglia di parlargli, di chiedergli cosa c’era che non andava.
Era curiosa o preoccupata per lui?
Evitò la risposta allontanandosi dalla roulotte prima che lui potesse scoprirla.
 
 
Lo osservò molto quel giorno.
Se era nervoso non dava a vederlo.
Riusciva a nasconderlo alla perfezione.
Fu per tutto il tempo solare e giocoso con tutti, come suo solito.
Non aveva scene con lui quel giorno.
Ma più di una volta incrociò il suo sguardo.
Lui le sorrideva e lei ricambiava.
 
 
Finì tardi di girare con Jamie, Ginny e Sarah.
Lei fu la più lenta a svestire i panni  del personaggio che interpretava e a ritornare se stessa.
Era il tramonto e quando uscì dalla roulotte, si trovò immersa nella luce morente di fine giornata.
Decise di chiedere un passaggio a Josh ma lui era già andato via con Ginny.
Le rimaneva Jamie e Sarah.
Cercò nei loro camerini ma non trovò nessuno.
Raggiunse il parcheggio in tempo per vederle andar via sullo stesso taxi.
Maledizione.
Tornò indietro per prendere il telefono e prenotare un taxi a sua volta.
Fu allora che notò la luce nel camerino di Colin, accesa.
Sbuffò decidendo il da farsi, ma alla fine concluse che non c’era nulla di male ad andare da lui.
Ebbe una strana sensazione mentre raggiungeva la sua roulotte nel parcheggio silenzioso.
Erano rimasti di nuovo soli sul set.
Giunta alla sua porta, respirò l’aria frizzante della sera, prima di decidersi a bussare.
 Sentì le molle del divano cigolare, mentre probabilmente lui si alzava per aprire.
Sembrò sorpreso come la notte prima, quando le aveva aperto la porta in albergo.
“Ehy”
La salutò curioso.
“Ehy”
Gli rispose lei di rimando.
“Posso entrare?”
Chiese imbarazzata dato che lui continuava a fissarla senza dire niente.
Sembrò risvegliarsi alle sue parole e rendersi conto della situazione.
Annuì e si spostò di lato tenendo la porta per lasciarla passare.
Lei salì i tre gradini che precedevano l’entrata e lo raggiunse sulla soglia.
Per un attimo fu così vicina da sentire il suo odore.
Capì che aveva fumato da poco, ma l’odore di tabacco lasciò comunque trapelare una piccola traccia del suo profumo.
A Jen piacque.
Il suo profumo la faceva sentire al sicuro.
Ci aveva pensato quella mattina, tra una scena e l’altra.
Forse era una stranezza psicologica, una specie di ‘imprinting’ post traumatico.
Forse lei associava il suo profumo al fatto di sentirsi sicura, protetta, perché lui l’aveva salvata da quello psicopatico.
Era stato lui.
Nessun altro.
Forse ogni volta che sentiva il suo profumo nei paraggi, la sua mente rielaborava la cosa, trasmettendole un senso di pace e sicurezza.
Colin chiuse la porta e Jen si guardò intorno, esattamente come aveva fatto nella sua camera d’albergo.
Studiò l’interno del suo camerino curiosa e vide che c’era molto più di lui in quei pochi metri quadri, che nella stanza in cui dormiva.
“Suoni?”
Chiese colpita notando la custodia di una chitarra sul pavimento, accanto al divano.
Lui sorrise, sembrava in qualche modo felice di toccare l’argomento.
“Si, ma non sono molto bravo..”
“Mh..”
Fece criptica lei.
“.. può essere.. ci sono molte cose in cui non sei bravo, per esempio nel rispettare le regole”
Corrugò la fronte curioso, chiedendosi a cosa la ragazza stesse alludendo.
Jen capì che era in alto mare.
“Ti avevo già detto che non si può fumare qui..”
Lui scosse la testa testardo.
“E’ il mio camerino, ci faccio quello che voglio”
“Ok, concesso”
Sentenziò lei fingendo un tono da giudice di corte.
“Comunque, che ci fai ancora qui?”
Le domandò lui cambiando discorso.
“Oh..”
Jen si sedette sul divano.
Lo fissò e gli rispose.
“.. Cercavo un passaggio, ma Josh e Ginny sono già andati via.
Ho provato con Sarah e Jamie ma non sono riuscita a beccarle in tempo. Cosi sono tornata indietro per prendere il telefono e chiamare un taxi, ho visto la luce nel tuo camerino accesa e così…”
Lasciò la frase in sospeso, perché ormai il senso era chiaro.
“Quando vuoi”
Disse lui semplicemente, prendendo le chiavi e la giacca.
“Andiamo”
Uscirono mentre lui chiudeva la serratura.
“Vado a prendere la borsa, torno subito”
Disse lei raggiungendo il suo di camerino.
Tornò in meno di tre minuti.
Montarono entrambi in sella e partirono.
Il viaggio fu sereno e tranquillo.
Dopo una giornata di lavoro, non c’era spazio per i sorpassi, la velocità e l’adrenalina.
Tutto ciò che cercavano era un po’ di relax.
Colin sembrava stare bene, ma in qualche modo, Jen sapeva che qualcosa non andava.
Lo notò anche nel modo in cui guidava, in cui stringeva i manubri quasi a volerli strangolare.
Un modo per scaricare lo stress?
Distratta dai suoi pensieri, non si accorse che erano appena arrivati davanti a casa sua.
La sera era calata totalmente su LA, in lontananza si scorgevano striature violacee nel cielo, confondersi col blu scuro.
Jen scese, si tolse il casco, lo guardò.
Non sapeva come dirglielo, ma lo fece comunque.
“Ti va di .. entrare?”
Anche lui si era tolto il casco per salutarla.
La guardò come se non avesse sentito bene la domanda.
Era chiaro che l’aveva colto di sorpresa.
Tuttavia, la risposta lasciò Jen totalmente basita.
“Mi spiace, non posso”
Ebbe l’improvvisa voglia di colpirlo con qualcosa e fargli male.
C’era qualcosa nella sua risposta che la infastidiva, la faceva sentire.. frustrata.
Al diavolo la privacy, lei doveva, sentiva, di dover sapere il perché.
“E’ successo qualcosa?”
Lui abbassò lo sguardo e si grattò la guancia a disagio.
“No.. è solo che devo andare in un posto”
“Dove?”
Chiese lei subito.
Di nuovo lui arretrò inquieto.
Non lo fece  solo fisicamente, ma anche mentalmente.
Stava alzando dei muri, la stava allontanando.
Ora Jen aveva la prova che Colin le stava nascondendo qualcosa.
Lui infatti, non rispose.
Non aveva una scusa pronta, una bugia adatta.
“Ok..”
Sospirò lei cercando di calmarsi.
Strinse il casco come a volersi fare forza e fece un passo verso di lui che era seduto sulla sua moto.
Colin sembrò sorpreso da tanta vicinanza ma non arretrò.
Non questa volta almeno.
“.. so che c’è qualcosa che non vuoi dirmi e forse avrai anche le tue ragioni, ma volevo dirti che puoi fidarti di me. Puoi dirmelo, io.. non ne parlerò con nessuno..”
lui abbassò lo sguardo, Jen marcò la dose.
“.. ieri notte ci siamo promessi di essere.. amici e farsi delle confidenze è proprio quello che gli amici fanno.”
Capi che le sue parole gli avevano fatto incredibilmente piacere.
Forse aspettava un discorso del genere da tempo.
Jen si sentì un po’ stronza.
“Mi fido di te.. ma questo non ha nulla a che vedere con la fiducia.”
Ora era lei ad essere in alto mare.
“E che cos’è allora?”
Forse qualcosa nel suo sguardo, convinse il ragazzo che lei non avrebbe mollato.
Perciò alla fine si arrese e glielo disse.
“Mi hanno chiamato dalla centrale di polizia, devo presentarmi da loro per un interrogatorio”
“Oddio.. che hai fatto?”
Serrò le labbra e non rispose, mentre notava l’espressione di Jen mutare man mano che arrivava alla risposta da sola.
“E’ per me? Per quello che è successo con quel.. ragazzo?”
Lui annuì.
“Voglio venire con te”
Fece lei decisa.
“No”
Replicò lui secco.
Lei gli lanciò uno sguardo di sfida, lui contraccambiò.
Cos’era, suo padre?
Non stava a lui decidere.
“E’ una cosa che mi riguarda, voglio, devo esserci”
Lui protestò  ma lei lo ignorò infilandosi il casco e montando nuovamente in sella.
“Parti”
Gli urlò aggrappandosi a lui.
Di nuovo Colin, si arrese alla sua testardaggine.
 
 
Essere nella sala d’attesa della centrale era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
Ricordava quell’orribile notte di due giorni prima, quando era stata costretta per ore a raccontare ciò che era successo.
Ricordava lo stordimento, il voler dimenticare tutto subito e lasciarsi dietro quella brutta esperienza.
Ricordava le domande capillari dell’agente che la stava interrogando, il tono infastidito di Seb quando gli chiedeva se era necessario scavare nel minimo dettaglio.
Ormai il colpevole era stato preso.
Perché accanirsi?
Tamburellava nervosa le gambe, man mano che i minuti passavano, il nervosismo crebbe a tal punto che prese anche a tormentarsi le mani.
 
 
Le lancette sul grande orologio bianco in sala d’attesa scorrevano lente.
Sembrava che il tempo non passasse mai.
Non era solo una sensazione, ma un dato di fatto.
O almeno era quello che Colin pensava.
Era seduto al suo fianco, mentre cercava di mantenere una calma apparente, la stessa che aveva mantenuto per tutto il giorno.
Lei invece era palesemente agitata.
Sapeva ciò che quel luogo le ricordava, sapeva che lei voleva solo andare avanti.
Era il motivo per cui non voleva portarla lì.
Perché costringersi a rivivere tutto senza alcun motivo?
Oltre che testarda, Colin aggiunse anche il termine ‘masochista’ alla lista.
Sentì la sua ansia crescere nel momento in cui prese a ticchettare più forte le gambe e a tormentarsi le mani.
Mise una mano sulla sua gamba agitata, per tranquillizzarla.
Lei si fermò all’istante, guardandolo.
“Va tutto bene”
Le disse.
Lei annuì fingendosi serena.
Voleva apparire padrona della situazione ma era chiaro che non lo era affatto.
“Lo so”
Rispose.
Colin sorrise divertito.
“In questo momento sei una pessima attrice”
Le sussurrò lui.
“Vaffanculo”
Replicò lei con lo stesso tono basso.
Lui rise.
“Quanto mi era mancato..”
Il loro piccolo momento di pace fu interrotto dall’agente che si occupava del caso.
Uscì dal suo studio chiamando il suo nome.
“Signor O’Donoghue, la prego mi segua..”
Colin si alzò, Jen fece altrettanto.
Più che altro scattò come uno di quei pupazzi a molla.
“Vengo anch’io”
Il poliziotto la osservò con più attenzione.
“Lei è..?”
Cercò di ricordarsi il suo nome, Jen gli andò in aiuto.
“Jennifer Morrison, la… vittima”
Un po’ di gergo poliziesco lo conosceva anche lei.
“Va bene, può venire anche lei allora”
Sentenziò l’agente facendo strada verso il suo ufficio.
Una volta dentro, chiuse la porta ed entrambi ebbero la sensazione di essere topi in gabbia.
“Allora..”
Cominciò l’uomo sedendosi alla scrivania e osservando i fascicoli del caso.
Colin lo studiò con più attenzione
Era un uomo sulla cinquantina, paffuto e con un viso che forse sapeva essere rassicurante o intimidatorio a seconda dei casi.
Lesse sul cartellino della divisa il suo nome: ‘Agente Chamberlain’.
“… mi racconti cos’è accaduto quella sera.
Cominci dal principio.”
Lo fece.
Colin gli raccontò di essere andato a cercarla, di aver sentito delle voci provenire dal suo camerino e di aver capito subito che c’era qualcosa che non andava.
Aveva spiato dalla finestra aperta della roulotte di lei e l’aveva vista mentre cercava di far ragionare il giovane che le puntata una pistola contro.
Aveva atteso in silenzio, mentre cercava un modo per intervenire senza mettere nessuno in pericolo.
Ma poi l’atteggiamento del giovane era divenuto insostenibile e pericoloso e lui era stato costretto a non badare alla prudenza e ad agire.
“E questo suo intervento ha richiesto parecchie lesioni e la rottura del setto nasale del giovane?”
Chiese Chamberlain spietato.
Colin ricordò di aver  perso il controllo e di aver volutamente fatto del male al ragazzo.
La sua mano recava ancora i segni di quel momento.
“Il ragazzo era armato, mentre cercavo di metterlo al tappeto è partito un colpo.. è stata legittima difesa”
Si giustificò lui ostentando sicurezza.
Con la coda dell’occhio notò Jen seduta al suo fianco, le mani strette alle ginocchia così tanto, che le sue nocche erano bianche.
“Può essere… ora bisogna chiarire qual è il suo concetto di legittima difesa..”
Colin non riusciva a capire a cosa alludesse il poliziotto.
Sapeva che c’era qualcosa sotto.
“.. mi dica signor O’Donoghue, è spesso un soggetto incline ad atteggiamenti distruttivi verso gli altri?”
“Come prego?”
Non si aspettava affatto una domanda del genere.
Chamberlain lo guardò a lungo in viso, sembrava studiarlo.
Colin ricambiava lo sguardo, ma era certo di essere piuttosto nervoso.
Dopo un eterno silenzio in cui rischiò di perdere la testa (forse quel silenzio era un test di resistenza per gente pazza?), l’agente prese un fascicolo e lo aprì.
“Di solito facciamo controlli incrociati almeno una volta al mese, sa.. è la procedura per stilare le statistiche sulla criminalità in città… e casualmente, ci siamo resi conto che il suo profilo è molto simile a quello di un altro caso..”
Trattenne il fiato così a lungo che sentì male ai polmoni.
Jen si agitò irrequieta al suo fianco, lo guardò e per un attimo si chiese se per caso lei stesse cambiando idea su di lui.
Se per caso il loro rapporto e quell’equilibrio precario da poco stabilito, stava per andare a farsi fottere.
“Vedo che non ne ha proprio idea, perciò le mostro questo..”
Chamberlain prese un foglio dal fascicolo e lo mise sul tavolo.
Era una foto stampata di una telecamera di sicurezza esterna.
A Colin bastò un attimo per capire.
Era fuori dal bar di Bill, la sera in cui aveva reclutato quel ragazzino per spaccare letteralmente la macchina di Jon così da avere un pretesto per mandarlo via e impedire a una Jen piuttosto ubriaca, di fare una follia di cui si sarebbe pentita per sempre, con lui.
Chamberlain mise sul tavolo altri fotogrammi.
In un attimo, anche Jen avendo a disposizione il quadro completo della situazione, capì.
Spalancò la bocca incredula e si poggiò completamente contro lo schienale della sedia, come se cercasse di non cadere.
Colin osservò le foto, ovviamente l’immagine non era delle migliori e solo un fotogramma sembrava svelare dettagli particolari del suo volto.
Gli altri invece, erano così sgranati e pieni di imperfezioni, che quella figura scura ritratta, poteva essere chiunque.
“Allora signor O’Donoghue?”
Chiese Chamberlain studiando ogni minimo cenno del ragazzo.
Lui alzò la testa da quelle foto e lo fissò fiero in volto.
“Non so di cosa sta parlando, agente..”
Chamberlain annuì, come se si aspettava una risposta simile.
Chissà quante volte al giorno udiva quella frase.
Tolse velocemente le foto dalla scrivania e poi chiese:
“Può dirmi dov’era la sera del..”
Lesse la data e l’ora da uno dei fotogrammi.
Colin cercò velocemente una scusa, ma Jen fu più veloce di lui.
“Con me”
Disse con semplicità.
Accavallò le gambe, raddrizzò la schiena e guardo con sicurezza l’uomo al di là della scrivania.
Colin capì che lei si era perfettamente calata nella parte.
C’era da fingere adesso e lei era maledettamente brava a farlo.
“Era con me, agente…”
Abbassò la voce mentre guardava con un sorriso sensuale il petto dell’uomo dove c’era il suo cartellino distintivo.
“… Chamberlain”
Il poliziotto non fu più del tutto indifferente come poco prima.
Jen l’aveva ammaliato, stava continuando a farlo, guardandolo con sensuale ed educata curiosità.
“E..”
Un colpo di tosse, Chamberlain si schiarì la voce distogliendo lo sguardo dal volto di lei.
Pessima scelta, più in basso c’erano le sue tette.
A disagio, tornò a guardare il fascicolo.
“E.. può dirmi dove eravate quella sera, signorina Morrison?”
“A casa mia, in effetti c’è anche un aneddoto buffo..”
Rise, una risata cristallina e volutamente frivola.
Si sbilanciò sulla sedia così da catturare nuovamente l’attenzione del poliziotto mentre si aggiustava i capelli.
Chamberlain restò nuovamente stregato.
“.. vede agente, la mia vicina ha un cane, un piccolo pincher di razza.. e mi creda, quel cane è una vera peste. Era in vacanza quei giorni, così l’ha lasciato a me.. per occuparmene sa, e quella sera era scappato via.. incredibile, l’avevo perso di vista solo un attimo.. solo uno e al mio ritorno in cucina non c’era più.. così ho chiamato Colin per aiutarmi a cercarlo e…”
Rise di nuovo, Chamberlain non poté fare a meno di notare come il suo petto si alzasse e abbassasse mentre rideva.
“… ovviamente lui è corso subito da me, ma solo perché pensava che trovare il cane fosse solo una scusa per..”
Colin deglutì stupito mentre lei si inclinava col busto verso Chamberlain con uno sguardo molto confidenziale.
“… beh… ha capito no?”
Mio dio se ci era caduto nella sua trappola.
Chamberlain era completamente andato.
Ipnotizzato.
Colin sentì un senso di fierezza e ammirazione feroce crescere in lui, mentre osservava rapito ed entusiasta, il modo in cui lei lo stava tirando fuori dai casini.
“Ehm.. ehm”
L’agente tossì riprendendo il controllo del suo corpo.
“Si, mi è abbastanza chiaro”
“Allora se non c’è altro agente Chamberlain..”
Cinguettò Jen.
“:… siamo liberi di andare?”
Si morse un labbro fingendosi una brava ragazza educata e rispettosa dell’autorità e Chamberlain si concentrò particolarmente sul modo in cui i denti della donna pizzicavano il suo labbro inferiore.  
“Si”
Replicò l’agente ormai fuori controllo.
Era chiaro che volesse liberarsi di loro perché non avrebbe retto a lungo.
Jen si alzò, Colin ancora scosso e rapito, fu più lento.
La donna salutò il poliziotto con uno dei suoi miglior sorrisi e uscì dall’ufficio.
Colin la seguì, chiudendosi dietro la porta totalmente meravigliato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Stay With Me ***


NdA

Salve a tutti.
Lo so che avrei dovuto postare giorni fa, ma sono stato in vacanza e sono tornato solo ieri.
Ecco il nuovo capitolo, spero vi piaccia e mi raccomando, recensite, recensite, recensite (leggetelo con la voce di Gemma del Sud)

PS.
Questa volta, la canzone sarà più avanti nella storia e non subito all'inizio.
Capirete perchè.

Buona lettura





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Una volta fuori dalla centrale di polizia, l’atmosfera cambiò radicalmente. 

Jen fu la prima a farlo. 

Uscì dai panni della bionda sensuale che aveva permesso ad entrambi di tirarsi fuori da quella situazione spinosa con l’agente Chamberlain e tornò semplicemente se stessa.

Si lasciò travolgere da quel mare di emozioni e sensazioni che aveva dovuto reprimere per necessità.

Ma adesso erano tutti lì, sentimenti così confusi e contrastanti che non sapeva come affrontare.

La sua mente continuava a ripetersi la stessa frase con sfumature diverse:

‘Lui ha rotto la macchina di Jon, per me’.

Incredulità.

Sgomento.

Stupore.

Rabbia.

Ma una parte di lei era terribilmente sedotta e lusingata.

Lei lo sapeva, lo sentiva.

Probabilmente l’aveva sempre sospettato ma solo quando l’agente mostrò loro le foto, aveva messo insieme i pezzi. 

Era stata una rivelazione così forte da darle un senso di vertigine. 

Lo guardò armeggiare con le chiavi della moto, mentre prendeva i due caschi dal sedile. 

Una figura scura e sinuosa che si muoveva tra le ombre della notte.

La stessa che in un altro parcheggio a molti km da lì, aveva pagato qualcuno per fare a pezzi la macchina di un suo amico… per lei. 

Lui si accorse di essere osservato quando alzò lo sguardo per passarle il casco.

Lei lo prese, ma continuò a fissarlo con un’aria stordita e da ritardata. 

Forse fu questo che lo imbarazzò, il fatto che lui capì che lei stava pensando e ripensando a quanto aveva scoperto in quell’ufficio. 

Ecco perché nascose il suo disagio, divenendo più nervoso e sbrigativo di prima. 

“Dove andiamo?”

Chiese lei indossando il casco. 

La guardò e le rispose.

“A mangiare qualcosa, sto morendo di fame”

 

Il viaggio in moto non la calmò affatto.

Non riuscì nemmeno a godersi l’aria pungente della sera che le vorticava intorno, mentre la città diveniva un turbinio di luci calde e accoglienti.

Los Angeles di notte era da mozzare il fiato, un cuore pulsante di luce e vita, eppure per lei non esisteva nulla al di là di quella moto sulla quale si trovava. 

Lui girò improvvisamente a destra, se ci fosse stato qualcuno di meno esperto a guidare, ora sarebbero entrambi a terra sull’asfalto.

E invece la moto sembrava conoscere il temperamento irrequieto e istintivo del suo proprietario e adattarsi a manovre e cambi di direzione improvvisi. 

Parcheggiò davanti a un Mc Donald’s.

J scosse la testa e accolse la ‘M’ luminosa dell’insegna con un sorriso. 

Non ricordava l’ultima volta che ci era stata. 

Entrarono, c’era poca gente per fortuna. 

In un attimo furono alla cassa per lasciare le ordinazioni. 

Una Mc Donald’s Girl chiese a Jen cosa desiderava. 

Lei si guardò intorno spaesata, cercando di leggere nomi di menù che comparivano sui vari schermi luminosi di fronte a lei. 

Come si poteva ordinare in un minuto se ogni panino aveva almeno 5 ingredienti diversi e per leggerli e confrontarli con gli altri ci voleva almeno mezzora?

“Mh..”

Indugiò a disagio.

Fu Colin a parlare per lei.

Per entrambi.

“Due Mc Menù classici… Big”

Aggiunse mentre velocemente la ragazza inviava la prenotazione alle cucine e consegnava loro il conto. 

Colin pagò e cinque minuti dopo, erano entrambi seduti a un tavolo in una delle salette interne. 

Jen apprezzò l’intimità di quel posto e la poca gente presente.

Aveva voglia di stare da sola e poi avevano scelto un bel posto per appartarsi.

L’unico suono presente era la musica in sottofondo.

Colin si fiondò sul suo cibo, forse per evitare domande.

Lei fece altrettanto.

Dopo un morso, si scoprì terribilmente innamorata di quel panino. 

Forse era la fame, o l’ansia o l’adrenalina di quanto vissuto poco prima, ma J pensò che quel junk food fosse il cibo più buono del mondo. 

Ne addentò ancora con voracità, deliziandosi del sapore deciso della salsa barbecue che si sposava perfettamente con la consistenza dolce e sugosa della carne.

Forse si era lasciata trasportare un po’ troppo, perché alzò il viso e trovò lui a fissarla.

Si pulì le mani con una salvietta e lo guardò.

Nessuno dei due disse nulla a lungo, era come se entrambi stessero aspettando che direzione prendere.

Parlare del cibo?

Del tempo?

Del lavoro?

O di quella cosa?

Alla fine J lo disse.

“Hai rotto la macchina di Jon”

Lui annuì.

“Si”

Di nuovo lei restò stupita, come se stesse scoprendo la cosa per la prima volta.

“Perché?”

Domandò.

Voleva sentirglielo dire. 

Voleva la conferma ai suoi pensieri.

Per un attimo si chiese se per caso ci fosse una motivazione diversa da quella che aveva pensato.

E si ritrovò a sperare con tutta se stessa che non ci fosse, perché altrimenti sarebbe rimasta terribilmente delusa. 

“Eri ubriaca e del tutto fuori controllo. La situazione stava degenerando”

Si giustificò lui con tranquillità, come se stessero parlando del tempo meteorologico. 

Quasi sorrise per il sollievo. 

Era raro che qualcuno le facesse provare lo stesso senso di piacevole stordimento che solo tre shot di tequila riuscivano a darle.  

Jen ripensò a quella domenica, dopo il sabato precedente l’accaduto.

A quando Adam aveva chiamato entrambi sul set per farli allenare da un istruttore di scherma.

Ripensò a quel momento, alle cose che si erano urlati contro, alla rabbia di entrambi, al volersi ferire a tutti i costi.

Lei che pensava che lui l’aveva invitata a quel tavolo solo per spingerla nelle braccia di un altro.

Per rovinarla.

Per farle del male.

E invece si era scoperto che alla fine, lui era in qualche modo il suo… salvatore.

Se si concentrava, riusciva persino a sentirle le emozioni rabbiose e violente di quella litigata. 

Eppure adesso eccoli lì, a parlarsi civilmente, in una situazione del tutto capovolta. 

“Beh.. allora… grazie”

Disse lei infine. 

Dio com’era a disagio.

Aveva appena capito che tra tutte quelle emozioni post scoperta, a prevalere era stato il fatto di sentirsi terribilmente lusingata dal gesto corrotto di lui.

“Di nulla”

Replicò Col.

Poi entrambi tornarono ad occuparsi dei loro menù.

 

 

La riaccompagnò a casa.

Un viaggio tranquillo, per certi versi persino rilassante.

Nulla a che vedere con quello di prima. 

Ora era tutto diverso, un avventurarsi in un territorio nuovo e inesplorato.

È così che si sentiva con lui adesso. 

Parcheggiò sul vialetto davanti al garage, quello dove Seb era solito lasciare l’auto. 

Jen sorrise scendendo.

Se aveva parcheggiato lì, era chiaro che questa volta aveva intenzione di entrare.

E di fatti si tolse il casco e lo abbandonò nel vano del sedile, accanto a quello che lei gli porgeva.

Jen gli fece strada, cercava le chiavi con lui che le stava dietro, così tanto che sentiva il suo fiato sul collo. 

Questo la rese nervosa ma alla fine riuscì a pescare il mazzo dalla sua borsa infernale. 

Aprì la porta, entrò, accese le luci e lo invitò ad entrare.

Lui si guardò un attimo intorno, prima di tornare a lei che nel frattempo stava studiando la sua espressione.

“Così questa.. è casa mia”

Disse scendendo i tre gradini che portavano al salotto.

“Lo so”

Rispose lui raggiungendola e levandosi la giacca.

Lei si voltò a guardarlo con un espressione interrogativa. 

“La notte con Jon.. ti ho riaccompagnata io.. fin dentro casa.”

“Oh”

Disse lei ricordando. 

Tutto sembrava ricondurre a quella notte. 

“Vero… perciò sai già che la cucina è di qua”

“Mh, in realtà no. Ti ho lasciata sul divano e poi sono andato via. Non sono un tipo alla Lupin”

Commentò lui offeso e lei rise. 

Lei lo guidò in cucina, accese le luci dell’isola e prese da bere.

“Scotch liscio, giusto?”

Gli chiese e lui sorrise colpito.

“Però… che memoria”

Il loro primo incontro era avvenuto così.

Una tequila girl e un scotch addicted che si scontravano in un bar. 

Col prese il bicchiere che lei gli porgeva e lo inclinò a mò di brindisi verso di lei, che nel frattempo mandava giù un bicchierino di tequila dall’altro lato della cucina. 

“Devo ringraziarti per oggi.. il modo in cui mi hai tirato fuori dai casini con quel Chamberlain.. è stato davvero.. impressionante”

Lei alzò le spalle, come se fosse cosa di poco conto.

“Non preoccuparti.. casino mio, riparo io”

“In realtà sono stato io quello che ha avuto l’idea di ridurre a rottame una macchina di migliaia di dollari”

Le ricordò lui.

Lei lo guardò severa.

“Hai detto che sono stata io a metterti nella condizione di farlo”

Col ci pensò su un attimo, poi disse:

“Casino nostro allora”

‘Nostro’.

Quella parola restò sospesa tra loro, mentre entrambi ne assaporavano il significato.

Sorrisero archiviando il caso. 



NdA
Canzone da ascoltare durante la lettura: https://www.youtube.com/watch?v=48qwvBkpw1g




Col posò il bicchiere ormai vuoto sul bancone dell’isola. 

Jen sembrò d’un tratto allarmata. 

Come se cercasse di posticipare quel momento.

O forse era solo un impressione sbagliata di lui. 

“Allora io vado”

Annunciò d’un tratto a disagio. 

Lei si girò, sistemando i bicchieri vuoti nel lavandino.

Colin sapeva, lo sentiva, che qualcosa era cambiato.

“Puoi.. puoi restare se vuoi”

Jen si era volutamente voltata per mostrargli le spalle.

Non ce l’avrebbe mai fatta a dirlo guardandolo in viso. 

Sentì uno spostamento d’aria e quando si voltò per controllare, si trovò faccia a faccia con lui. 

Erano così vicini che lei poté sentire il profumo di scotch ancora fresco sulle sue labbra.

“Vuoi che resto?”

Sembrava incredulo.

“Solo se ti va di farlo”

“Perché?”

“Beh, il tuo albergo è parecchio distante, è notte fonda e dobbiamo dormire un po’ se abbiamo intenzione di andare a lavoro domani. Perciò… io ho una casa vuota, e dal momento che domani mattina ti sarebbe comunque toccato venire a prendermi..”

“Ah si?”

Scherzò lui.

“Si, non vedo perché tu non possa fermarti qui per la notte”

Col fece un passo indietro.

“Sebastian non c’è?”

“No, è a Miami dal suo agente..”

Lui annuì.

“Credi che gli andrà bene?”

“Ti ho chiesto di dormire qui da me, non di venire nel mio letto”

L’ultima frase le suonò meno ironica di quanto avrebbe voluto. 

Forse era la tequila che faceva effetto, ma d’un tratto si sentì parecchio accaldata. 

Lui accolse quella frase con uno strano sguardo.

Lei stemperò ulteriormente l’atmosfera dicendo:

“E poi hai ridotto in pezzi una macchina per salvarmi da un assalto sessuale, sei una specie di agente anti stupro… praticamente innocuo”

“Hai ragione…”

Continuò lui sullo stesso tono di lei.

“.. non provo alcun tipo di attrazione sessuale.. non per te almeno”

Aggiunse infine sorridendo.

Lei annuì.

“Vedi? Siamo a posto allora”

“Bene”

Si guardarono un’ultima volta, poi si allontanarono entrambi, procedendo verso il salotto.

“Ti preparo la camera degli ospiti”

“Il divano andrà bene”

Si voltò a guardarlo.

“Sicuro?”

“Si”

“Ok”

Andò a prendere una coperta da un pouf li vicino. 

Gliela porse.

Lui la prese e per un attimo le loro mani confuse e smarrite tra quelle soffici pieghe, si sfiorarono.

Restarono così qualche secondo, poi sorrisero entrambi e lei lasciò la sua parte di coperta.

“Hai bisogno d’altro?”

Chiese premurosa.

“No, sono a posto così”

“Buonanotte allora”

“Buonanotte”

 

Colin la osservò salire al piano di sopra dopo averla salutata.

Che strana sensazione essere lì, nella sua casa, su invito di lei, quando solo due giorni prima lo evitava come la peste. 

Erano cambiate così tante cose. 

Si spogliò lentamente, mentre pensava a quanti muri erano stati abbattuti e a quanto lei gli avesse permesso di starle vicino.

Era quello che aveva sempre voluto, no?

Fare parte del suo mondo. 

E ora eccolo lì nel suo salotto a chiedersi cosa c’era di sbagliato in quell’invito.

Sapeva che qualcosa non tornava. 

Era stato tutto così piuttosto.. facile.

Poi capì.

Forse lei aveva paura di restare sola in casa.

Era la prima volta che si ritrovava sola di notte, dopo l’aggressione. 

Questo non sminuì le intenzioni del suo invito.

Anzi, lo fece sentire particolarmente lusingato perché proprio tra tanti, lei aveva scelto lui. 

 

 

Nel suo letto al piano di sopra, Jen tirò un sospiro di sollievo.

Lui aveva scelto di restare senza molte spiegazioni.

Non riusciva a immaginarsi sola di notte in una casa così grande con porte e finestre dalle quali poteva entrare chiunque. 

Forse doveva affrontare questo problema prima o poi.

Trovare una soluzione, parlarne con un esperto.

Ma per quel giorno era abbastanza.

Dopo aver rivissuto l’incubo di quell’agguato da parte di quel ragazzo disturbato, al commissariato, tutto ciò che voleva era riposare.

E ora era libera di farlo, perché lui che dormiva al piano di sotto, con lei, nella sua casa, la faceva sentire sicura come se ci fosse qualcuno a proteggerla.

Questo le impedì anche di sentire meno la mancanza di Sebastian in quel letto troppo grande e vuoto senza di lui.

Spense il telefono dopo avergli augurato la buonanotte. 

Non voleva ricevere una telefonata da lui che le chiedeva di fare sesso telefonico ora che in casa aveva un ospite. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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