Hello, I'm your daughter

di gattina04
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Il tempo di una foto ***
Capitolo 2: *** 2. L’impossibile realtà ***
Capitolo 3: *** 3. Azioni e reazioni ***
Capitolo 4: *** 4. I sentimenti più veri in un orsetto di peluche ***
Capitolo 5: *** 5. Confessioni e amare verità ***
Capitolo 6: *** 6. Arrivi e partenze ***
Capitolo 7: *** 7. La nostra unica alternativa ***
Capitolo 8: *** 8. Nuove conoscenze ***
Capitolo 9: *** 9. Fragile come la luce di una candela ***
Capitolo 10: *** 10. Stanchezza e viaggi ***
Capitolo 11: *** 11. Sacrifici ***
Capitolo 12: *** 12. Gestire le proprie emozioni ***
Capitolo 13: *** 13. Il fatidico momento ***
Capitolo 14: *** 14. Emma ed Emma ***
Capitolo 15: *** 15. Killian e Killian ***
Capitolo 16: *** 16. La soluzione per dimenticare ***
Capitolo 17: *** 17. Noi insieme ***
Capitolo 18: *** 18. Noi siamo loro ***
Capitolo 19: *** 19. Ritorno al futuro ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. Il tempo di una foto ***


1. Il tempo di una foto
 
Settembre 2022
Mi appoggiai al muro di fronte alla scuola, guardandomi intorno. Storybrooke sembrava non essersi ancora abituata a quel mio nuovo ruolo. Sentivo su di me gli sguardi indiscreti di molte madri, che come me, erano andate a prendere i loro figli a scuola. Il fatto che Emma fosse lo sceriffo di quella piccola cittadina e che a volte non poteva assentarsi dal lavoro, mi sembrava una scusa sufficiente per poter svolgere i miei doveri di padre. Invece no, c’era ancora chi fissava sbigottito il famoso, ed irresistibile, Capitano Uncino che andava a prendere sua figlia a scuola.
Il suono della campanella mi portò a concentrarmi su altro che non fosse la gente pettegola di quella assurda cittadina. I bambini cominciarono ad uscire a frotte dal grande portone d’ingresso. Cercai di sporgermi per riuscire a scorgere la testolina bionda della mia piccola in mezzo a tutta quella folla di ragazzini.
«Killian», mi sentii chiamare. Mi voltai e vidi Mary Margaret venire verso di me, uscendo insieme alla sua classe. «Che ci fai qua? Non avevamo deciso che avrei preso io sia Neal che Edith dato che io lavoro qui?».
«Beh sì. Ma oggi è stato il suo primo giorno di scuola elementare e volevo esserci».
«Attento potrebbe iniziare a circolare la voce che il temibile Capitano Uncino sia in realtà un sentimentale».
«Correrò questo rischio», replicai sorridendo. Sapevo benissimo di essere cambiato molto da quando era nata Edith: essere padre era sicuramente servito a rendermi un uomo migliore. Non avrei mai immaginato che nella mia lunga esistenza avrei provato un amore simile a quello. Fin dalla prima volta in cui l’avevo vista e tenuta tra le braccia avevo capito che non avrei mai più potuto essere un pirata egoista, non con lei. Per la prima volta nella mia vita qualcuno dipendeva completamente da me in un modo così assurdo ma bello, e avrei fato di tutto per non deluderlo. Emma scherzava dicendo che ero completamente innamorato di mia figlia tanto da farla ingelosire, però era vero e me ne rendevo benissimo conto. Forse era dovuto anche al fatto che da troppo tempo non avevo più nessuno che avesse il mio stesso sangue, qualcuno con cui avessi un legame indissolubile come quello che si crea tra fratelli o tra padre e figlia.
«Papà». La voce squillante della mia principessa mi fece individuare la sua piccola figura farsi avanti verso di me. «Sei venuto!».
«Certo. Avevi qualche dubbio? Te l’avevo promesso e io mantengo sempre la parola data». La presi in braccio sollevandola in modo che potesse allacciarsi al mio collo. Mi stampò un bacio sulla guancia e mi fissò col suo sguardo meraviglioso.
Dio! Mi sarei mai abituato a vedere i miei stessi occhi scrutarmi dal suo faccino vivace? Il fatto che avesse ereditato l’esatto colore delle miei iridi era una prova inconfutabile che fosse mia figlia, oltre alle altre mille evidenze che si palesavano ogni giorno. Emma diceva sempre che noi eravamo uguali anche se ritrovavo in Edith anche un bel po’ del suo caratterino.
«Come è andata oggi?», le domandai mettendola giù e prendendole lo zainetto. «Mi devi raccontare tutto».
«È stato strano. La nonna è la maestra della classe accanto alla mia. A proposito l’aspettiamo?». Mi guardai intorno per vedere dove fosse Mary Margaret ma lei era impegnata a parlare con Cenerentola e Aurora, probabilmente aspettando Neal.
«No, tanto difficilmente la mamma avrà tempo di cucinare e casualmente passeremo a cena da loro». Edith ridacchiò, probabilmente pensando che in fondo non avevo tutti i torti. Mi prese l’uncino con la manina pronta per incamminarsi per le vie di Storybrooke.
«Allora dove andiamo? A casa?».
«No, che ne dici se ce ne andiamo un po’ sulla Jolly? C’è una sorpresa che ti aspetta, ma se fossi in te comincerei a raccontare a meno che tu non voglia che me la riprenda».
Sorrise e i suoi occhi scintillarono pensando ad un eventuale regalo. Temendo di potere perdere quel dono inatteso iniziò a espormi tutta la sua giornata: i compagni, le maestre, cosa avevano detto e fatto, tutto nei minimi dettagli.
Edith era una bambina sveglia, rimanevo meravigliato da quanto fosse precoce. Era intelligente, furba come me e testarda come sua madre. Aveva iniziato subito, imparando a parlare molto in fretta e adesso a sei anni sapeva già leggere e scrivere correttamente. In più era anche così solare e allegra ed ero più che orgoglioso di ciò che io ed Emma eravamo riusciti a creare, senza neanche volerlo. Edith era l’imprevisto più bello che fosse potuto capitarci.
Oltre a questo la mia principessa era molto di più. Era speciale esattamente come sua madre. Edith possedeva la magia, anche se ancora non riuscivamo a capire di che tipo. Ecco, se qualcosa doveva gettare un’ombra sul quel quadro idilliaco che era diventata la mia vita era proprio quell’aspetto e quella profonda incertezza. Non era la magia in per sé stessa il problema, quello non sarebbe stata una difficoltà né per me né per nessun altro della nostra famiglia. Ma il fatto di non sapere fino a dove potesse spingersi, quali fossero le sue potenzialità, come riuscire a controllarla, era un pesante fardello da sostenere. Edith era troppo piccola per arrivare a controllare i suoi poteri, e non si trattava solo di far traballare le luci di casa o di accendere o spegnere qualche candela. Riusciva a spostarsi con la sola forza del pensiero senza rendersene conto; era anche vero, che era riuscita al massimo a materializzarsi in un raggio di pochi metri, ma i suoi poteri stavano crescendo esattamente come il suo corpo. Neanche il Coccodrillo, a cui ci eravamo rivolti nonostante i nostri trascorsi, era riuscito a stabilire quanto fosse forte la magia di Edith, doveva prima crescere e solo da adulta avrebbe potuto esprimere tutto il suo potenziale.
Emma insieme a Regina avevano provato ad insegnarle a controllarlo, ma lei non si rendeva neanche conto di stare usando la magia ed era impossibile che canalizzasse il suo potere se non riusciva neanche a sentirlo.
«Papà! Mi stai ascoltando?». Sbattei le palpebre accorgendomi di essere rimasto sovrappensiero e di non aver più sentito cosa stava dicendo mia figlia.
«No tesoro, scusami. Puoi ripetere?».
«Devo chiamare Henry, glielo avevo promesso. Voleva sapere anche lui tutto di oggi».
«Certo. Dopo sulla nave puoi prendere il mio telefono per chiamarlo». Henry ed Edith erano stati fin da subito molto legati ed era stata una separazione traumatica per entrambi quando Henry era andato al college a New York. Lui ormai era grande e, nonostante fosse sempre attaccato a Storybrooke, aveva deciso di andare all’università per seguire un corso di letteratura, con enorme orgoglio di entrambe le sue madri.
«Ma forse è meglio se lo chiami stasera da casa», riflettei, «con quel congegno con cui lo riesci a vedere».
«Con skype», mi corresse.
«Insomma quello lì, sono sicuro che così potrai fargli vedere anche il tuo regalo».
«Sì forse sì».
Nel frattempo eravamo arrivati alla mia nave che, maestosa come sempre, resisteva imperterrita ormeggiata nel suo posto nel porto. Aiutai Edith a salire a bordo e dopo di che la lasciai correre libera verso l’alloggio del capitano. Ormai conosceva la Jolly nei minimi dettagli, era come una seconda casa non solo per me ma anche per lei.
Appoggiai il suo zaino per terra e la seguii nella mia cabina. Lei si era già tolta le scarpe ed era salita sul letto. Si guardava intorno aspettando curiosa la sua sorpresa. Una ciocca di capelli biondi le cadde davanti agli occhi facendomi sorridere ancora di più.
«Qualcuno qua è molto impaziente», scherzai andando a sedermi accanto a lei. Scostai con l’uncino i suoi capelli ribelli e la feci sedere sulle mie ginocchia.
«Andiamo papà me l’avevi promesso. Dove è il mio regalo?».
«Quanta fretta. Non dovresti essere così frettolosa visto che non sai ancora di cosa si tratta».
Mi fissò incerta per un secondo per poi sporgersi ad abbracciarmi e a darmi un bacio sulla guancia. «Ti voglio tanto bene papà». La mia piccola manipolatrice! Sapeva giocare bene le sue carte.
«D’accordo», cedetti. «Ora te lo prendo». Scese dalle mie ginocchia e si rimise a sedere sul letto in modo che potessi alzarmi liberamente. In realtà la sua sorpresa non era niente di che: era una specie di diario ancora bianco che avrebbe potuto riempire con tutti i suoi pensieri. L’unica particolarità consisteva nella copertina di legno con inciso un timone con incatenate una “E” e una “J”.
«Mi piace tanto questa foto», la sentii mormorare mentre aprivo l’armadio. Sapevo benissimo a quale foto si riferiva, anche perché era l’unica presente sulla nave. «Mi racconti la storia».
«Di nuovo?», sbuffai. «Non la sai a memoria?».
«Sì ma tu la racconti sempre così bene». Nel frattempo aprii il cassetto dove pensavo di aver messo il diario ma lo trovai vuoto. Probabilmente Emma l’aveva spostato pensando che Edith avrebbe potuto curiosare là dentro.
«Va bene, la mamma deve averlo messo nell’altra cabina. Tu aspetta qua». Richiusi l’armadio e mi voltai di nuovo verso di lei.
«Si però racconta». Si mise più comoda sul letto: aveva preso la foto e la stava fissando aspettando l’inizio della storia.
«D’accordo», incominciai per l’ennesima volta. «Come già sai questa foto l’abbiamo scattata qualche mese prima di sapere che saresti arrivata tu. Era settembre se non ricordo male ed io e la mamma eravamo sulla Jolly Roger durante la sua pausa pranzo». Intanto ero andato nell’altra cabina e avevo iniziato a cercare dove Emma avesse potuto nascondere quel dannato diario.
«E che cosa facevate?», mi domandò alzando la voce. Ricordavo benissimo cosa stavamo facendo e non era sicuramente una cosa da poter dire ad una bambina di sei anni.
«Stavamo mangiando no? Era la pausa pranzo», mentii. «E ci stavamo divertendo». Almeno questa parte era vera. «All’improvviso vidi la macchina fotografica di Henry in mezzo alla stanza; probabilmente l’aveva dimenticata lì durante una delle nostre escursioni in nave. Non conoscendo ancora bene che cosa fosse chiesi a tua madre a cosa servisse quel congegno e…».
«E la mamma ti rispose facendoti una foto», concluse lei per me.
«Sì e accecandomi con il flash». Non potei non sorridere ricordando quel giorno.
«E poi tu non volevi più farti fotografare e volevi vendicarti prendendole la macchina fotografica, ma lei ti convinse a fare una foto insieme visto che non ne avevate punte».
«Ehi ma non dovevo essere io a raccontare?», protestai. Proprio in quel momento trovai ciò che stavo cercando sepolto sotto delle coperte in un armadio di cui non ricordavo neanche la funzione.
«Sì lo so», mormorò. «Vorrei tanto esserci stata anche io, la mamma stava così bene con i capelli lunghi». Non potei che essere d’accordo, anche se il nuovo taglio di Emma non mi dispiaceva. Dovevo ammettere che era stato piuttosto traumatico vederla tornare a casa con i capelli corti che a malapena le sfioravano le spalle.
«Tesoro sto arrivando, chiudi gli occhi», esordii tornando verso la cabina del capitano. Ma quando ne varcai la soglia fui come raggelato. Il letto su cui avevo lasciato Edith era completamente vuoto, la cornice era per terra. Di lei non c’era neanche l’ombra, gli unici volti erano quello mio e di Emma che mi fissavano sorridenti dal pavimento.
Il mio cuore si fermò e potei sentire una morsa chiudermi lo stomaco. Ebbi la netta sensazione che non fosse come le altre volte ma che fosse successo qualcosa di terribile.
 
Present day (settembre 2015)
Le passai l’uncino su e giù lungo la schiena non riuscendo a trattenere un gemito. Con la mano mi aggrappai alle lenzuola cercando di darmi un contegno. Il grande Capitano Uncino non poteva essere così sottomesso al fascino di una donna, anche se quella donna era Emma Swan. Del resto, il mio cigno ci sapeva proprio fare quando ci si metteva.  
Chiusi gli occhi lasciando che fossero gli altri sensi a prevalere. Emma era a cavalcioni sopra di me, un peso insignificante da sostenere, le sue gambe strette intorno al mio bacino. Le dita lunghe e affusolate erano appoggiate sul materasso proprio accanto alla mia testa. Ma ciò che era più importante erano le sue labbra che stavano lasciando una scia di baci sul mio corpo. La sua bocca calda sembrava infuocare ogni punto della mia pelle che riusciva a toccare: era un miracolo se non ero già andato a fuoco.
Una mano si portò sul mio fianco, accarezzandomi i muscoli del torace; subito dopo fu seguita dalle sue labbra. Depositò un bacio sullo sterno, per poi proseguire il suo percorso: salì lentamente dall’addome al petto, dal petto alle spalle, dalle spalle al collo. Tirai indietro la testa per poter rendere più accessibile il percorso a quelle calde labbra che mi stavano facendo impazzire. Quelle continuarono a salire, sempre depositando bollenti baci a cui rispondevo inevitabilmente ansimando. Arrivarono sul mio mento, lungo la mia mandibola, sulla guancia, vicino al mio orecchio. Sentii le ciocche dei suoi capelli sfiorarmi il viso e fu inebriato dal loro profumo.
I suoi denti mi mordicchiarono il lobo, mentre la sua mano si era portata sulla mia guancia, le dita a sfiorare l’attaccatura dei miei capelli. Avrei voluto passare anche io le dita in quei boccoli dorati, ma probabilmente se avessi lasciato la presa che avevo sul letto, avrei perso il controllo, di nuovo.
«A qualcuno qui piacciono le coccole», sussurrò ad un centimetro dal mio orecchio.
«Emma», riuscii solo a mormorare. Dio! Ero completamente alla mercé di quella donna.
«E non è ancora stanco», continuò, «nonostante che sia già venuto… due volte». Rimarcò le ultime parole, lanciandomi quella che era una palese frecciatina. Ovviamente quello era troppo e non potevo non rispondere.
Con un colpo di reni, ribaltai la situazione portandomi sopra di lei. I suoi capelli si sparpagliarono sul cuscino, mentre le mie dita si intrecciarono alle sue. I suoi occhi erano più accesi che mai e dalla sua bocca uscì una risatina. Le sue labbra arrossate mi rivolsero uno dei suoi più meravigliosi sorrisi, uno di quelli che era difficile far comparire.
«Beh per essere chiari Swan, sei stata tu che hai continuato a baciarmi, non paga dell’orgasmo di poco fa. Non puoi accusarmi se poi il mio corpo reagisce così ai tuoi baci. E poi non credo di essere l’unico qui a cui piacciono le coccole». Senza lasciarle il tempo di rispondere, mi avventai sulle sue labbra gustando il suo dolce sapore. La sua risposta fu subito pronta: mi strinse a sé annullando anche la più minima distanza tra i nostri corpi. Le sue gambe mi circondarono il bacino, facendomi capire che era di nuovo pronta per me.
«Killian». La sua voce era solo un sospiro ma adoravo sentirla pronunciare il mio nome, soprattutto quando lo pronunciava come se fosse stata la parola più bella del mondo.
Proprio in quell’istante, come a voler rovinare quel momento perfetto, il suo parlofono iniziò a squillare. Chiunque fosse aveva un tempismo perfetto.
«Non rispondere», la supplicai.
«Potrebbe essere importante».
«È la tua pausa pranzo, abbiamo ancora tempo».
«Potrebbe essere un’urgenza», replicò. «Ricorda siamo a Storybrooke».
«Possono sopravvivere senza la Salvatrice per un altro po’». Mi sorrise ma si sporse comunque verso quel congegno infernale. Tuttavia non la lasciai andare, non avevo intenzione di fermarmi in quel modo.
«Potrebbe essere mio padre. Che cosa penserà se non rispondo?».
«Che non puoi rispondere?», azzardai. Il telefono continuava imperterrito a squillare.
«E se mi chiedesse cosa stavo facendo? Non credo che tu voglia che sappia cosa fa la sua pura e casta bambina durante le sue pause pranzo».
«Sicuramente poco fa non eri né pura né casta», ridacchiai.
«Killian», mi rimproverò.
«E va bene». Mi spostai su un fianco dandogliela vinta e permettendole di prendere il telefonino dal piano accanto al letto. Peccato che proprio in quel momento il suono cessò. Chi l’aveva chiamata aveva deciso di desistere un po’ troppo tardi oramai.
Emma si mise a sedere guardando lo schermo, mentre io mi posizionai meglio su un fianco, poggiando la testa sulla mano e osservando la sua candida schiena.
«Era mia madre, la richiamerò più tardi».
«Lo vedi? Ci siamo fermati per niente».
«Beh accontentati. Penso che per oggi tu mi abbia avuto a sufficienza».
Si alzò permettendomi di osservare il suo corpo perfetto. Iniziò a cercare i suoi vestiti che dovevano essere sparsi nella cabina; non avevo fatto molto caso a dove li avevo buttati.
Mi guardai intorno e la mia attenzione fu catturata da un oggetto che stonava con il resto della stanza. Quello sicuramente non era mio e non era della Jolly Roger.
«Credo che quello l’abbia lasciato qui Henry». Puntai il dito verso il congegno sopra il tavolo.
«Cosa?». Emma si voltò perplessa, mentre si stava agganciando il suo moderno corsetto. Aveva già trovato anche gli slip: sapeva vestirsi un po’ troppo velocemente per i miei gusti.
Puntò lo sguardo nella direzione indicata dal mio dito e il suo viso si illuminò. «Ecco dove l’aveva lasciata. Pensava che fosse da Regina: ieri sera era disperato».
«Che cosa è?», le domandai perplesso.
«Una macchina fotografica, deva averla usata l’ultima volta che siete usciti in barca». In effetti, facendoci mente locale, mi ricordavo di quello strano apparecchio che aveva usato Henry.
«Swan ti dispiace ricordarmi a cosa serve?».
«Dai Killian è facile, lo dice anche il nome». Senza aggiungere altro andò al tavolo e la prese. Tornò sorridendo verso di me e poi se la portò di fronte al viso. Sicuramente se era qualcosa che mi impediva di vedere i suoi meravigliosi occhi verdi non mi sarebbe mai piaciuto.
All’improvviso, senza nessun preavviso, un lampo uscito da quello strano macchinario mi accecò.
«Per mille balene!», inveii. «Sei impazzita? Che razza di magia è questa?».
Emma per tutta risposta scoppiò a ridere. «Suvvia Killian! Era solo il flash!».
«Il cosa? Ma ti sembra normale andare in giro ad accecare la gente? Come puoi permettere a tuo figlio di usare un attrezzo del genere?».
«Oh andiamo! Che sarà mai. Adesso lo tolgo, tu fatti fare un’altra foto».
«Te lo puoi scordare, io non mi farò più colpire da quel coso». Tentò di ripetere il gesto di prima ma io mi alzai prontamente dal letto.
«Come se ti avesse fatto male! Quante storie per un flash», ridacchiò.
«Beh guardiamo come ti trovi tu a situazioni invertite». Mi avvicinai per afferrare la macchina, ma lei fu più veloce e si scostò.
«Prima devi riuscire a prendermi Capitano». Bene voleva giocare: non sarei stato di certo io a tirarmi indietro. La rincorsi per tutta la cabina, ma Emma era veloce e agile e sapeva come non lasciarmi neanche avvicinare a quel maledetto congegno. Ogni volta che arrivavo quasi a sfiorarlo lei cambiava immediatamente direzione, facendomi girare a vuoto.
Alla fine, però, riuscii a prevedere la sua mossa e riuscii ad intrappolarla tra le mie braccia. Il mio movimento, che era stato troppo repentino, ci fece perdere l’equilibrio cadendo, per fortuna, sul letto.
Mi ritrovai di nuovo sopra di lei, le labbra ad un centimetro dalle sue. «Ti ho presa», sussurrai. Per tutta risposta annullò la poca distanza che ci separava, baciandomi con passione.
«Hai visto?», sospirai infine. «Siamo di nuovo su questo letto con tu che continui a baciarmi». Mi alzai mettendomi a sedere per evitare di schiacciarla; anche lei si alzò: il suo sorriso sempre più mozzafiato.
«Beh hai ragione. Consideralo come un incentivo per farmi perdonare».
«Con un incentivo del genere è difficile avercela con te».
«Allora saresti disposto anche a fare una foto?». Feci una smorfia. «Insieme questa volta».
«Insieme?».
«Sì. Non abbiamo punte foto di noi due. Potresti tenerla tu e metterla qui sulla nave». Noi due: quelle sei lettere suonavano così bene pronunciate dalla sua bocca. In effetti avere una specie di ritratto di me ed Emma sarebbe stato bello, soprattutto in un giorno che lei era così solare. Vedere quel sorriso radioso era raro e riuscire ad immortalarlo era un evento ancora più insolito.
«Va bene», acconsentii.
«Perfetto e niente flash lo giuro». I suoi occhi si illuminarono; si avvicinò a me stringendomi con un braccio mentre con l’altro teneva la macchina fotografica sopra di noi. Schiaccio un pulsante e, come aveva promesso, non ci furono altri lampi.
«Ecco fatto, guardiamo come è venuta». Proprio in quel momento sentimmo un tonfo, come un corpo che cadeva, provenire da sopracoperta.
Mi staccai da lei per cercare di capire cosa era appena successo. «Cosa è stato?».
«Non ne ho idea». Si alzò e andò ad infilarsi i jeans. Anche io mi rivestii più in fretta che potei. Mi infilai i pantaloni ed iniziai ad abbottonarmi la camicia.
Era improbabile che qualcuno fosse venuto a cercarci a bordo, come era altrettanto improbabile che fosse un qualche ladro. Non c’era un granché da rubare e poi tutti sapevano che era una vera assurdità tentare di rapinare un pirata. Forse il vento poteva aver spostato qualcosa, ma il mare sembrava fin troppo calmo per poter essere quella la spiegazione.
«Sarà caduto qualcosa», suggerì Emma poco convinta.
«Può darsi». Stavamo per uscire dalla cabina, quando la maniglia della porta si abbassò segno evidente che stava entrando qualcuno. Emma estrasse prontamente la pistola, mentre io afferrai il primo oggetto contundente che trovai sul tavolo, sollevando anche l’uncino per essere pronto ad ogni eventualità.
Nonostante ciò, quando la porta si spalancò fummo del tutto presi alla sprovvista. L’intruso non era altro che una piccola bambina bionda. Ma non fu quello a destabilizzarmi: fu esattamente quando alzò lo sguardo su di me, incrociando i miei occhi, che tutto perse di significato. Fu proprio come guardarmi allo specchio: le sue iridi erano le mie, brillavano di un colore che ero abituato a vedere associato solo al mio volto da molto, moltissimo tempo.
Come se quel semplice dato non bastasse per inquietarmi, le parole che uscirono dalla sua bocca furono sufficienti a farmi crollare il mondo sotto i piedi.
«Papà!».


 
Angolo dell’autrice:
Salve a tutti! È un bel po’ che ho in mente questa storia e adesso, finalmente, mi sono decisa a pubblicarla. Spero che l’idea vi piaccia e che vi incuriosisca.
Pensavo di organizzare ogni capitolo, con una vicenda del presente e una del futuro, per vedere come si evolveranno le situazioni da entrambe le parti.
Fatemi sapere cosa ne pensate, se l’idea vi piace e se avete qualche suggerimento!
Spero di aggiornare abbastanza velocemente, nonostante i mille impegni!
Un abbraccio
Sara 

 

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Capitolo 2
*** 2. L’impossibile realtà ***


2. L’impossibile realtà
 
Present day
Mi ero aspettata di tutto, ma sicuramente non quello; non che la porta si era aprisse lasciando entrare una bambina che avrà avuto all’incirca sei o sette anni. Quando alzò lo sguardo su di noi potei sentire il mio stomaco chiudersi e il mio cuore accelerare, mentre la mia testa considerava già tutte le possibili implicazioni.
Quegli occhi, che ero fin troppo abituata a vedere e nei quali mi ci sarei potuta perdere per ore, adesso lì ritrovavo identici in quel faccino. Esattamente gli stessi, due oceani immensi che mi, anzi ci fissavano con la stessa intensità.
E come se potesse esserci qualche dubbio a quella prova evidente, la bambina parlò: «Papà». Sentii il mio cuore stringersi non trovando nient’altro di attendibile che potesse spiegare quella palese somiglianza. Dove si trovava Killian sette anni prima? Nella foresta incantata e sicuramente non aveva fatto voto di castità.
Lo vidi boccheggiare sotto il peso di quella parola, stupito quanto me. Forse anche lui stava facendo mente locale su dove fosse nel periodo di quel presunto concepimento.
Stavo per parlare quando la piccola, quasi non si fosse accorta del nostro turbamento, continuò. «Mamma, che ci fai qui? Quando sei arrivata?».
Ecco: se prima ero sgomenta per quella apparizione, in quel momento non ci capii più nulla. Sicuramente non era mia figlia, mi sarei accorta della cosa. Potevo assomigliare a sua madre ma certamente non lo ero.
Killian si voltò verso di me guardandomi perplesso, segno evidente che anche lui era nella confusione più totale. Aveva lo sguardo atterrito da quella improvvisa presunta paternità.
«Piccola ti stai sbagliando», iniziai. Non sapevo da che parte cominciare a fare chiarezza.
«Cosa?». Mi guardò perplessa. «Ma mamma come mai hai i capelli lunghi?». Finalmente riuscii a capire tutto: assomigliavo a sua madre. Restava da chiarire solo, per così dire, la questione di Killian.
«Beh ti stai confondendo io non sono tua madre».
«Certo che lo sei. Papà dov’è il regalo?». Puntò lo sguardo su Hook, che era ancora come pietrificato. Era sotto shock, non capivo se per il fato che l’avesse chiamato papà o per la prova evidente dei loro occhi. Era tornato a fissare la bambina con sguardo perso e con la bocca spalancata.
«Killian», lo riscossi.
«Eh?». Sbatté le palpebre per riprendere un po’ di contegno. «Come sei arrivata qui?», domandò infine. Non era sicuramente il quesito fondamentale in quel momento.
«Mi ci hai portato tu. Papà non ricordi?».
«Io non sono tuo padre, almeno a quanto ne so io».
«Certo che lo sei», ribatté come sottolineando una cosa ovvia.
«No ti sbagli», ripeté, cercando di convincere anche sé stesso. A quell’affermazione gli occhi della bambina si fecero lucidi facendo presagire un pianto improvviso. Ovviamente lui non aveva avuto punto tatto.
«Dov’è il mio regalo?», scoppiò a piangere. «Perché fate così? Io non volevo. Mi sono solo trasportata sul ponte, non riesco a controllarlo». Mi inginocchiai subito accanto a lei cercando di farla smettere.
«Va bene», mormorai. «Piccola non piangere». Di sicuro quello non era il modo per affrontare la situazione: dovevamo capire chi fosse ma dovevamo essere cauti. Certamente in quel momento lei era molto più turbata di noi.
Tentai di accarezzarla sulla testa ma lei si spostò andando ad aggrapparsi alla gamba di Killian. Lui mi fissò sbigottito non sapendo cosa fare e neanche come riuscire a calmarla.
«Ehi ragazzina non piangere», balbettò. Si abbassò su di lei che prontamente gli gettò le braccia al collo. Hook era del tutto basito, mentre quella bambina lo stringeva e continuava a piangere sulla sua spalla.
La sollevò prendendola in braccia. «Su calma». Mi fisso da sopra quella piccola testolina bionda. Il suo sguardo era chiarissimo: “adesso che facciamo?”
«Direi di andare in centrale, forse riusciremo a capirci qualcosa», proposi. «Chiamo sia Regina che mia madre magari possono darci una mano».
«D’accordo andiamo». Intanto la piccola si stava lentamente calmando con il viso premuto contro il collo di Killian. La manina gli stringeva la maglia mentre l’uncino di lui sfiorò i suoi capelli in un gesto così paterno, che non mi sarei mai aspettata. Era protettivo, come l’avevo visto solo nei miei confronti. Sapevo che anche lui era confuso quanto me, ma istintivamente stava tirando fuori il suo aspetto paterno e sapevo anche il perché: quegli occhi. Killian aveva boccheggiato di fronte a tanta somiglianza e qualunque fosse il motivo alla base, sapevo che non poteva passarci sopra.
Non potevo sapere cosa pensasse ma sicuramente il suo cervello e il suo cuore erano in subbuglio quanto i miei. Che fosse o meno sua figlia avevano in comune molto più di due semplici sconosciuti.
 
Quando arrivammo in centrale c’erano ad aspettarci sia i miei genitori che Regina. Gli avevo chiamati durante il tragitto adducendo la scusa di un problema insolito. La bambina era ancora in braccio a Killian con la testa appoggiata sulla sua spalla. Aveva smesso di piangere e anche se non aveva più parlato quell’abbraccio riusciva a calmarla.
«Aspetta qui, mentre spiego agli altri la situazione», gli dissi lasciandolo all’ingresso della centrale.
«Emma che cosa è successo?». Mia madre e mio padre mi corsero incontro allarmati. Regina li seguiva qualche metro più in là.
«Ora vi spiego». Chiusi la porta alle mie spalle in modo da poter parlare liberamente.
«Allora?», incalzò Mary Margaret.
«Io e Killian eravamo sulla Jolly Roger quando all’improvviso è entrata una bambina».
«Una bambina?», mi interruppe Regina. «E tu mi hai fatto venire qui per questo?».
«Dice di essere nostra figlia», dissi tutto di un fiato. Dirlo ad alta voce sembrava ancora più assurdo.
«Cosa?». Tutti e tre mi guardarono interrogativi.
«Sicuramente non è mia figlia, e se anche fosse di Uncino, lui non ne sapeva niente. Comunque la bambina crede ciecamente che noi siamo i suoi genitori, non so se è confusa o spaventata ma è convinta di questo».
«Povera piccola», intervenne mia madre. «E come si chiama? Quanti anni ha più o meno? Dove vive? E adesso dov’è?».
«Una domanda per volta», protestai. «Avrà circa sei o sette anni, ma non sappiamo altro. Quando abbiamo provato a dirle che non eravamo chi credeva, si è messa a piangere e si è calmata solo in braccio a Killian. Non abbiamo più provato a tirare fuori l’argomento, e da allora non ha più parlato; chiederle il nome non era esattamente la domanda adatta. Adesso è di là con Hook».
«Non l’avevi mai vista prima?», mi domandò Regina.
«Credimi se l’avessi vista me ne sarei ricordata».
«E perché mai?», chiese David.
«Ha diciamo una forte somiglianza con Killian». Non sapevo come dirlo o come fare a spiegarlo senza che mio padre pensasse male.
«Allora è sua figlia! Maledetto pirata».
«Papà!», lo rimproverai. «È vero, a vederla sembrerebbe impossibile negare ma credimi quando ti dico che lui ne era ignaro».
«Emma». Killian stava entrando tenendo per mano la bambina. Non gli avevo detto di restare di là?
Vidi Regina e i miei genitori osservare attentamente la piccola per poi trasalire notando gli occhi.
«Diamine Swan», proruppe Regina. «E questa la chiami somiglianza? Sembra ovvio il legame di parentela».
«Emma credo che sia nostra figlia». Fissai Killian sbigottita: era impazzito o mi stava prendendo in giro? Era sbiancato ma il suo sguardo era più serio e sicuro che mai.
«Ti ha dato di volta il cervello?», non riuscii a trattenermi. La piccola mi fissò non capendo. Il suo sguardo confuso si posò prima su Killian e poi su mia madre.
«Perché vi state prendendo gioco di me?», domandò. Anche mia madre non seppe cosa dire, ma capì che era meglio allontanarla per qualche minuto, in modo che potessimo parlare.
«Vieni tesoro, perché non andiamo a sciacquarci la faccia?». La prese per mano e la portò via.
«Sei impazzito?», incalzai una volta soli.
«No. Sono certo di quel che dico, lo so che sembra assurdo ma è così».
«Allora spiegati perché se no inizierò a dare di matto».
Killian annuì e poi prese il suo portafoglio. Cercò per un secondo e poi tirò fuori una catenina.
«Che cosa significa?».
«Questa catenina era di mia madre. Ci sono incise le sue iniziali: EJ. Sono sicuro che non ci sia una copia identica di questa catena, per me è come un cimelio di famiglia. È una delle poche cose che mi resta di mia madre».
«Killian cosa c’entra questo adesso?».
«Ne ha una uguale al collo». Il suo sguardo era sempre più serio.
«Beh ti sarai sbagliato; non è unica, tutto qui».
«Emma io ho sempre pensato che avrei dato questa collana a mia figlia un giorno, o comunque a mio figlio, per tramandarla alle generazioni successive».
«Quello che dici è assurdo», intervenne mio padre.
«Killian non starai dicendo quello che penso», balbettai.
«Sì invece. E se fosse nostra figlia e noi dovessimo ancora concepirla?». Detto ad alta voce sembrava ancora più strano che a pensarlo.
«Andiamo, lo sai che i viaggi nel tempo sono quasi impossibili».
«Appunto quasi», ribatté.
Scossi la testa; ci doveva essere per forza un’altra spiegazione. Mi girai verso l’unica che forse poteva svelare qualche dubbio. «Regina perché non dici nulla?». Era rimasta in silenzio tutto il tempo con uno sguardo pensieroso che non presagiva niente di buono.
«Penso che forse il pirata potrebbe avere ragione».
«Cosa?». Ci si metteva anche lei adesso?
«Beh Emma, la somiglianza non c’è solo con lui. Gli occhi sicuramente sono una prova ma quella bambina assomiglia anche a te».
«I capelli biondi li hanno in molti», ribattei.
«Ma non è solo quello. Non l’ho mai vista qua e credimi io conosco le persone su cui ho lanciato il mio sortilegio. E anche dopo, non credo che controllando sui registri risulterà qualcosa. E poi la sua apparizione è alquanto strana».
«Ma… ma è impossibile». In quel momento non so se ero più terrorizzata dal fatto che potessero aver ragione e che veramente io e Killian avremmo avuto un figlio, o dalla assurdità di tutta quella situazione.
«C’è un modo semplice per scoprirlo». Regina andò verso la porta in modo tale da chiamare Mary Margaret. Mia madre tornò sempre tenendo per mano la bambina.
«Senti piccola». Si chinò su di lei stupendomi per il tono dolce che aveva usato. «Adesso facciamo un gioco. Io ti farò delle domande e tu mi dovrai rispondere dicendo la verità. Emma saprà se stai mentendo».
«Con il suo superpotere». Dio! Come poteva conoscerlo?
«Certo e dopo ti compreremo un bel gelato», intervenne mia madre.
«Bene cominciamo. Come ti chiami?».
«Che domanda è zia Regina?». L’appellativo zia le fece fare una smorfia di sorpresa che però la bambina interpretò come un rimprovero. «Edith Jones».
Killian sbiancò ancora di più. «Mia madre si chiamava Edith», bisbiglio.
«Bene. Come si chiamano i tuoi genitori e dimmi qualcosa su di loro».
«Killian Jones ed Emma Swan. Mio padre è il famoso Capitano Uncino mentre mia madre è lo sceriffo di Storybrooke, figlia del Principe Azzurro e di Biancaneve». Sentii le mie gambe vacillare e mi aggrappai alla scrivania per non cadere.
«Bene, continuiamo. Quanti anni hai?».
«Sei e due mesi». Avevamo azzeccato l’età più o meno.
«Perfetto e mi sai dire che giorno è oggi?». Regina sembrava calma e pacata, al contrario di me che, anche se rimanevo impassibile all’esterno, all'interno ero  in completa agitazione. Almeno anche gli altri sembravano turbati quanto me.
«Il 15 settembre 2022». Il sangue mi si raggelò nelle vene. Era tutto vero o era solo un brutto scherzo? Stava dicendo la verità o almeno quella che credeva essere la verità, questo lo sapevo, ma sembrava impossibile che quella fosse mia figlia. Nostra figlia, mia e di Killian.
«Brava, adesso l’ultima domanda. Quando sei nata con esattezza?».
«Il 13 Luglio 2016». Feci un rapido calcolo mentale: luglio meno nove mesi… Merda! Se era davvero tutto vero voleva dire che sarei dovuta rimanere incinta da lì nel giro di un mese o due. Verso ottobre ed eravamo a settembre! Una cosa era ovvia: era sicuramente troppo presto per me e Killian per aver un figlio.
 
Future time 
Tamburellai con le dita sulla scrivania. Era stata una giornata piuttosto fiacca e in giorni come quello il lavoro di sceriffo era fortunatamente abbastanza noioso.
Presi il cellulare e controllai l’ora. Probabilmente Killian era già andato a prendere Edith a scuola e doveva averla già portata sulla Jolly. Ero fin troppo curiosa di sapere come fosse stato il primo giorno di scuola della mia bambina e soprattutto di sentirlo raccontare da lei. Forse avrei potuto chiamarli e magari potevo convincerli a passare dalla centrale.
Stavo per comporre il numero quando il telefono cominciò a vibrare. La scritta “Killian” lampeggiò chiara sul display.
«Pronto Killian, stavo per chiamarti», risposi.
«Emma». Il tono della sua voce mi fece entrare subito in allarme. Era un misto tra ansia, preoccupazione e panico.
«Cosa è successo?». Mio padre che era seduto all’altra scrivania, alzò la testa perplesso percependo le mie parole. Restò a guardarmi cercando di carpire qualche informazione in più.
«Edith… io… non so… è… era qui». Era così terrorizzato che non riusciva a completare una frase.
«Killian ti prego, non capisco». Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata percependo il suo stato d’animo.
«Edith è scomparsa», disse tutto di un fiato. «Non riesco a trovarla». Fu come se un pugno mi fosse arrivato diretto nello stomaco.
«Ha… ha usato…?». Lasciai la frase in sospeso, sapendo che lui avrebbe capito.
«Non lo so». Il suo tono disperato mi fece scattare in piedi. Se era così preoccupato non doveva essere come le altre volte.
«Arrivo subito. Dove sei?».
«Alla nave». Non risposi e riagganciai, fiondandomi di corsa fuori dalla stanza.
«Emma che succede?». Mio padre mi rincorse seguendomi fino al maggiolino.
«Edith», dissi solamente. Non ci fu bisogno di aggiungere altro, capì all’istante. Senza perdere tempo salì dalla parte del passeggero mentre io mettevo in moto.
In men che non si dica giungemmo al porto dove trovammo Killian ad aspettarci a bordo della sua nave. Era pallido, la faccia sconvolta, lo sguardo più scuro del solito: l’avevo visto solo una volta così disperato, quando io avevo deciso di sacrificarmi per diventare il Signore Oscuro.
«Killian l’hai trovata?». Era una domanda inutile ma dovevo farla.
«No». La disperazione era la nota prevalente della sua voce.
«Ti prego fammi capire, spiegami cosa è successo».
«Stavo prendendo il suo regalo, ero nell’altra cabina. Stavamo parlando, le stavo raccontando di nuovo della foto, come ho fatto altre mille volte. Non mi sono accorto di niente, ma quando sono rientrato nella stanza lei non c’era più. Era seduta sul letto fino a poco prima e poi niente. Ho pensato che si fosse teletrasportata sul ponte o in qualche altro punto della nave. Non ha mai fatto più di qualche metro! L’ho cercata ovunque ma non c’è; allora sono sceso e l’ho cercata per il porto ma niente. E se fosse cascata in acqua? Se le è successo qualcosa io…».
«Killian, tesoro». Stava entrando nel panico e per quanto fossi terrorizzata anche io non potevo permettere che lui cedesse così. «Calmati, la troveremo. Okay?». Gli presi il volto fra le mani e puntai i miei occhi dritti nei suoi. In quei meravigliosi oceani vedevo solo paura e la cosa non era affatto da lui.
Annuì cercando di riprendere il controllo di sé stesso.
«Forse si è trasportata a casa», ipotizzò mio padre. «Chiamo tua madre per andare a controllare».
«Grazie. Chiedile di rimanere a casa nostra, nel caso in cui Edith dovesse riuscire a tornare lì da sola». Annuì e si allontanò per chiamare Mary Margaret.
«Chiamo Regina», proposi. «Forse ha una pozione di localizzazione, almeno riusciremo a trovarla più velocemente».
Gli occhi di Killian si illuminarono a quella idea. «Sì certo, perché non ci ho pensato prima». Aspettò che prendessi il telefono e che componessi il numero. Persi tempo cercando di spiegarle la situazione ma fortunatamente Regina aveva quello di cui avevamo bisogno. Ce l’avrebbe portata nel giro di cinque minuti.
Tentai di tranquillizzarmi durante l’attesa ma era impossibile. “Non può esserle successo nulla di grave”, continuavo a ripetermi, “sarà solo apparsa da qualche parte a Storybrooke”. Però anche se stava bene restava il fatto che la sua magia non era controllabile. Possedeva troppo potere per una bambina così piccola.
Cercai di distrarmi guardandomi intorno: mio padre aveva preso il maggiolino e aveva cominciato a perlustrare le vie della città. Aveva preferito continuare a cercare anche senza pozione, tanto c’eravamo già noi ad aspettare Regina. Killian, invece, aveva appoggiato la fronte sulla mano e continuava a guardare il pavimento, tormentato da chissà quali pensieri. Sapevo quanto fosse legato a nostra figlia e potevo capire bene quanto lui come quella breve attesa fosse straziante.
«È colpa mia», buttò lì in un sospiro appena udibile.
«No, ti sbagli. Non è assolutamente colpa tua».
«Era con me, non avrei dovuto lasciarla da sola nella mia cabina».
«Killian sarebbe potuto accadere con chiunque», obbiettai. «Edith non controlla i suoi poteri».
«Sì ma era con me». Stavo per ribattere quando vidi Regina salire di corsa a bordo della Jolly.
«Ce l’hai?», gridammo contemporaneamente io e Killian.
«Certo, ci serve solo qualcosa della piccola».
«Ha lasciato qui il suo zaino». Uncino si allontanò per tornare qualche secondo dopo con lo zainetto rosa di Edith.
«Perfetto». Regina estrasse una boccetta contenente un liquido azzurro, la stappò e la verso sullo zaino. Subito l’oggetto prese vita iniziando a galleggiare in aria e cominciando a muoversi verso la terraferma.
«Andiamo», dicemmo tutti e tre all’unisono. Corremmo dietro a quella sacca volante con il cuore in gola, ma anche con la speranza che presto quell’incubo sarebbe finito. Senza rendermene conto mi ritrovai a stringere la mano di Killian, riuscendo a percepire anche la sua tensione. Quella stretta era ciò di cui avevo bisogno per riuscire a sostenere quella situazione e sapevo che era anche quello di cui aveva bisogno lui. Si sentiva in colpa ed era terrorizzato all’idea di non sapere dove fosse Edith. Era sotto shock, lui che era sempre così forte e coraggioso. Era la mia roccia, ma in quel caso avevamo bisogno l’uno dell’altra per riuscire a restare in piedi.
Lo zaino continuava imperterrito a volare passando per le vie secondarie di Storybrooke. Ci stava lentamente riportando verso il centro della città. Senza che ce ne rendessimo conto tornammo alla stazione di polizia. Aprii la porta con la magia per permettere allo zaino di passare senza arrestare la sua corsa.
Il mio cuore si alleggerì considerando l’idea che Edith fosse lì dentro. Alla fine ci eravamo preoccupati per niente, si sarebbe trattato solo di un brutto spavento. Forse l’avremmo trovata da qualche parte nella centrale, neanche troppo impaurita solo un po’ confusa e disorientata.
Sentii Killian sospirare anche lui di sollievo mentre varcavamo la soglia d’ingresso. La sua stretta si fece più sicura e percepii il suo pollice carezzare il dorso della mia mano. Non doveva parlare affinché io capissi: “andrà tutto bene, ora lo so”, mi stava dicendo.
Alla fine lo zainetto atterrò sulla mia scrivania. Mi guardai intorno cercando di scorgere mia figlia da qualche parte nella stanza, ma sembrava non ci fosse nessuno.
«Edith?».
«Tesoro sei qui?». Killian mi lasciò la mano per guardarsi meglio attorno.
«Ragazzina?», cercò anche Regina.
Nessuna risposta. La centrale sembrava vuota proprio come l’avevamo lasciata io e mio padre.
«Principessa?». Killian si chinò per guardare sotto la scrivania, mentre io cercavo di  capire cosa stesse succedendo.
La speranza che avevo provato poco prima fu spazzata via in un solo colpo.
«Forse è nelle altre stanze». Killian andò a controllare, seguito da Regina. Io rimasi pietrificata nella mia posizione. Lo zaino si era fermato lì ma lei sembrava non esserci. La paura tornò raddoppiata, triplicata, centuplicata, rispetto a prima. Se la pozione di localizzazione non aveva funzionato, come avremmo fatto a trovarla? E soprattutto dove era finita?
«Non c’è». La voce di Regina mi arrivò come ovattata.
«Regina cosa diavolo non ha funzionato?», urlò furioso Killian.
«Pirata calmati. Io non ne ho idea; la pozione ha funzionato, ci ha portati qui».
«Ma qui non c’è». La rabbia aveva lasciato il posto alla disperazione nella voce del mio Capitano.
«Non so cosa sia andato storto, io non so che dirti». Regina sembrava mortificata.
«Ma non può essere sparita nel nulla». Riuscii finalmente ad alzare lo sguardo su di loro e sentii le lacrime tentare di uscire. Ma dovevo essere forte e cercare di ragionare con lucidità.
«Non sappiamo quanto possa essere potente», constatò lei.
«Non era mai andata più in là di qualche metro», osservò Killian.
«Sì ma non abbiamo mai capito quali fossero le sue potenzialità. La magia è molto associata allo stato d’animo». Aveva ragione, ed io lo sapevo.
«Prima di imparare a gestirla il mio potere usciva fuori quando ero in pericolo o spaventata».
«Questa è solo una parte. Basta un sentimento più favorevole per far scaturire la massima potenza, soprattutto in una bambina come lei».
«Che cosa intendi dire?», chiese Killian titubante.
«Che non possiamo assolutamente sapere dove si è teletrasportata», concluse lasciandoci nella desolazione più completa.
«Potrebbe essere ovunque in questo mondo?». Il tono della voce di Killian non suonava neanche come una domanda da quanto era disperato.
«No», rispose Regina, misurando le parole. «Dato che non conosciamo la sua potenza, potrebbe essere ancora a Storybrooke, come potrebbe essere ovunque in questo mondo o in qualsiasi altro mondo». Se un macigno mi avesse colpito in pieno viso, sfigurandomi irrimediabilmente, mi avrebbe fatto meno male di quella tremenda verità.
«No», urlai buttando in terra tutto quello che c’era sulla scrivania a me più vicina. Subito dopo due braccia forti mi avvolsero impedendomi di cadere in quell’abisso che si stava aprendo sotto i miei piedi, lo stesso che si stava aprendo sotto i suoi. Non potei più impedire alle lacrime di uscire, mi aggrappai a quel petto che come il mio sembrava tremare sotto al peso di quella notizia.
Quando alzai lo sguardo trovai il mio oceano personale che mi fissava in un mare di lacrime.


 
Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Sono stata brava e sono riuscita a pubblicare il secondo capitolo prima del previsto!
Voglio prima di tutto ringraziare le persone che hanno recensito e che hanno inserito la storia nelle varie categorie! O comunque chi legge la mia storia anche silenziosamente. Siete una spinta per proseguire e andare avanti!
In questo capitolo abbiamo visto come hanno reagito Emma e Killian da entrambi le parti. Ormai nel presente hanno capito che la bambina viene dal futuro, mentre dall'altro lato hanno scoperto che Edith potrebbe essere ovunque anche se per ora hanno parlato solo di mondi diversi.
Spero di essere veloce e celere anche nel prossimo aggiornamento!
Un abbraccio, a presto
Sara

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Capitolo 3
*** 3. Azioni e reazioni ***


3. Azioni e reazioni
 
Present day
Vidi Emma correre fuori dalla stanza schiacciata dal peso di quell’imminente verità. Di certo, anche se io avevo capito prima di lei che la piccola era davvero nostra figlia, non mi aspettavo che la cosa fosse così incombente. Facendo due calcoli, praticamente Emma sarebbe dovuta rimanere incinta, al massimo, entro un paio di mesi.
Uscii anch’io dalla stanza, per andare a vedere dove fosse andata. La trovai vicino alla porta del bagno, con le mani appoggiate contro il muro e lo sguardo rivolto verso il pavimento. Stava facendo dei profondi respiri nel tentativo di calmarsi.
La notizia sembrava averla shockata più di quanto avesse fatto a me. Di certo ero turbato, non mi aspettavo proprio di diventare padre così da un giorno all’altro. Se mi avessero detto che nel giro di un anno mi sarei dovuto occupare di un neonato, di mia figlia, beh probabilmente sarei scoppiato a ridere. Ero spaventato all’idea di dover crescere una bambina, io un pirata che aveva per secoli pensato sempre e solo a sé stesso! Ma per quanto potessi essere terrorizzato da quel nuovo ruolo inaspettato che avrei dovuto svolgere, pensavo che quella comunque fosse una bella notizia. Io ed Emma avremo avuto una bambina, avremo formato, anche se prima del previsto, la nostra famiglia.
Il mio cigno però non pareva altrettanto lieto all’idea. Sembrava talmente spaventata da non considerare gli aspetti positivi di quella faccenda.
«Emma ti senti bene?», azzardai dopo un po’.
«Secondo te come posso stare bene?».
«Emma tesoro…». Feci per abbracciarla ma lei si scansò. Fu un gesto improvviso ma che mi impedì anche solo di accarezzarla. Mi diede le spalle e fece un profondo respiro.
«Okay», iniziò. «Direi che dobbiamo dirle la verità, non può certo credere ancora per molto di essere nel 2022. Adesso la portiamo a prendere quel gelato che le abbiamo promesso e dopo le parliamo. Poi dovremo trovare un modo per rispedirla a casa, deve aver usato un portale un po’ come abbiamo fatto io e te. Se capiamo come è riuscita ad arrivare, potremmo tentare di invertire il processo o cose del genere». Era entrata in modalità sceriffo, segno evidente che non voleva parlarne, non in quel momento almeno.
«Se lei è qui, vuol dire che la staranno cercando e saranno preoccupati».
«Certo, però affrontiamo una cosa per volta. Prima capiamo come è arrivata e prima potrà tornare da dove è venuta». Feci una smorfia: il tono che aveva usato era tutto fuorché materno. Non volevo pensare negativo, ma Emma non sembrava minimamente intenzionata a considerare quella futura gravidanza come cosa certa, come era ovvio che fosse.
Lasciai perdere quelle idee e la seguii di nuovo nell’altra stanza, mettendo in atto il suo piano di azione. Portammo Edith a prendere il gelato, non aggiungendo più nulla sulla nostra identità. La piccola sembrò un po’ calmarsi e tranquillizzarsi, anche se continuava a lanciare strane occhiate a quella che credeva essere sua madre.
Decidemmo di portarla a casa per parlare con più tranquillità, anche se il loft probabilmente non era quella che lei definiva la sua casa. Sicuramente io ed Emma avremo avuto una casa tutta per noi e avremo lasciato alla coppia Azzurra la loro privacy, anche per ottenere un po’ la nostra.
Durante il tragitto Edith iniziò a sbadigliare e quando giungemmo a destinazione, la piccola si era appisolata sul sedile posteriore del maggiolino.
«Dorme profondamente», sussurrai prendendola in braccio. «Le parleremo domattina, almeno riuscirà a capire tutto più facilmente se è riposata».
«Già», aggiunse soltanto Emma. Anche se non parlava sapevo che la sua mente andava a mille. Avrei solo voluto comprendere cosa le passava per la testa.
Nel loft trovammo un po’ troppe persone. David, Mary Margaret con il piccolo Neal, Regina, che era venuta ad avvertire Henry della situazione, Henry, che non stava più nella pelle e voleva conoscere la sua futura sorella.
«Allora?». Mary Margaret ci assalì appena entrati.
«Shh», facemmo io ed Emma contemporaneamente. Lei indicò la piccola che continuava a dormire con la testa sulla mia spalla. Era strano, ma sembrava avere un forte attaccamento nei miei confronti. Questo dimostrava che dovevo essere un buon padre, una cosa che non avrei mai creduto di poter diventare. Sin da subito avevo capito che Edith mi amava incondizionatamente ed era stato strano sentirmi così amato da una bambina che neanche conoscevo. Avevo provato un sentimento del tutto nuovo, che non riuscivo ancora a spiegarmi. Era come se non potessi fare a meno di ricambiare tutto quell’amore e quella fiducia di cui la piccola mi inondava.
«Si è addormentata e non abbiamo avuto occasione di spiegarle». La voce di Emma mi riportò alla realtà.
«Forse dopo una bella dormita riuscirà a capire meglio ciò che le è successo», suggerii.
«Certo», acconsentì David.
«Povera piccola», sospirò la moglie.
«Mamma puoi farla stare sul mio letto, per ora. Io dormirò dalla mamma», propose Henry.
«Sì ottima idea ragazzino». Annuii anche io ed andai a sistemarla nel letto di Henry. Doveva essere molto stanca, perché non si svegliò neanche quando la distesi sul materasso e le rimboccai le coperte. Mi fermai un attimo ad osservarla prima di tornare dagli altri. Dio! Sarei stato davvero il padre di una bambina così bella? Sembrava impossibile.
Quando tornai di là era rimasta solo Mary Margaret. «Emma è in camera sua, Regina ed Henry sono andati già via e David è tornato un attimo in centrale».
«Allora vado da lei». Sapevo che potevo approfittare dell’assenza del padre per salire da lei senza problemi. Non che la presenza del principe avrebbe potuto fermarmi, ma avrei sicuramente ricevuto due o tre occhiatacce, come minimo.
Trovai Emma seduta sul letto, con la fronte appoggiata sui palmi delle mani.
«Ehi». Mi sedetti accanto a lei.
«Ho la testa che mi scoppia», mormorò. Le passai un braccio attorno alle spalle e le scostai una ciocca di capelli con l’uncino. A quel gesto, di solito normale, la sentii irrigidirsi.
«Andrà tutto bene Swan». Feci per posarle un bacio sulla testa quando lei si alzò di scatto.
«Come fai a dirlo?». Mi fissò con uno sguardo sconvolto. I suoi occhi verdi mi scrutavano terrorizzati.
«Beh affronteremo anche questa. Ne abbiamo passate tante».
«Killian, non so se ti rendi conto ma tra un mese dovrei rimanere incinta. Tra un anno dovremmo avere una neonata di due mesi a cui badare».
«Lo so, ma non è una tragedia». Non era di certo la fine del mondo.
«No infatti è molto peggio».
«Emma». Mi alzai in piedi cercando di trovare le parole più adatte per spiegarle il mio punto di vista.
«Killian», mi fermò ancor prima che potessi aprire bocca. «Io non voglio un figlio, non ora sicuramente».
«Sì certo è troppo presto, ma…».
«Io ho già avuto Henry senza averlo programmato, non voglio ripetere la stessa storia».
«Ma non sarà così. Io sono qui e non sarai sola».
«Henry è già grande ed io non so neanche da che parte iniziare per crescere un bambino; non ne ho idea e non voglio di certo affrontarlo adesso. Tu non sei minimamente spaventato al pensiero di diventare padre?».
«Certo che lo sono. Credimi anch’io sono terrorizzato, io non sono mai stato padre: sono un pirata. Però tu sei un’ottima madre con Henry e da quel poco che ho visto di Edith so che ce la caveremo».
«Tu credi davvero?». Il suo tono era sarcastico. «Se fossimo stati dei bravi genitori Edith forse non sarebbe arrivata da noi così tra capo e collo».
«Questo non puoi saperlo», protestai. «Non puoi sapere cosa è accaduto realmente».
«Beh sta di fatto che lei è qui e non con i suoi veri genitori».
«Emma». Mi avvicinai a lei. «Io capisco che la notizia possa averti sconvolta, fa paura lo so, ma non è peggio di altre situazioni in cui ci siamo ritrovati. Noi avremo la nostra famiglia».
«Hook non è il momento», proruppe. «Non adesso». Il mio cuore iniziò a tremare per quelle parole.
«Ma che differenza fa se avviene adesso oppure tra un paio di anni?».
«Davvero me lo stai chiedendo? Fa tutta la differenza del mondo. Io non voglio un figlio, ho già Henry».
Feci una smorfia. «Sì tu hai Henry, ma io cosa ho?».
«Tu hai me». Senza dubbio, eppure non era la stessa cosa. Non avevo mai creduto che mi sarebbe importato di avere un figlio, ma dopo come mi aveva guardato Edith era cambiato tutto. Era bastato un attimo ed io avevo cambiato prospettiva.
«Lo so Emma ma alla fine accadrà comunque. Non puoi cambiare il futuro se questo è già scritto».
«Beh forse posso provarci». La fissai sbigottito: non aveva detto veramente quelle parole?
«Cosa vorresti dire?», domandai titubante.
«Non sono ancora rimasta incinta, questo è quello che so. E voglio che la cosa rimanga tale».
La fissai sconvolto a bocca aperta. «Tu vuoi impedire che Edith venga al mondo?».
«Io non lo so Killian…».
«Quello che hai detto non è da te. Tu non sei così».
«Io sono sconvolta e terrorizzata, va bene? Quante volte te lo devo ripetere: non voglio dover crescere una bambina adesso».
«Ma sarà la nostra bambina». La mia voce uscì con una nota sconvolta che non avrei voluto rivelare.
«Non mi importa». L’aveva detto senza riflettere ma era riuscita lo stesso a ferirmi. Voleva dire che l’amore che c’era tra di noi faceva la differenza per me ma non era abbastanza per lei.
«Certo», mormorai. «Come potresti mai volere un figlio da me?». Solo in quel momento sembrò rendersi conto di quel che aveva detto, tuttavia ormai era andata troppo oltre. Ero arrabbiato e ferito: avrei sopportato quell’affermazioni da chiunque ma non da lei.
«Non int…». La zittii impedendole di rimediare alle sue parole.
«No. Non puoi rimangiarti ciò che hai appena detto».
«Io…», balbettò. La fulminai con lo sguardo e uscii dalla stanza, non volendo più ascoltare ciò che aveva d’aggiungere. Aveva detto tutto con solo tre parole: “non mi importa”. Non faceva la differenza che io l’amassi, che sarei stato io il padre, che nonostante quanto potessi essere spaventato avrei comunque scelto di restarle accanto, che l’avremo affrontato insieme. Per lei in quel momento contava solo il fatto che aveva troppa paura. Purtroppo sapevo anche di cosa: Emma era spaventata non solo dall’idea di crescere un figlio, ma soprattutto dal fatto che quella bambina l’avrebbe indissolubilmente legata a qualcuno e non sarebbe più potuta scappare. Un conto era dirle che l’avrei seguita anche in capo al mondo, un altro era impedirle di andarsene da me perché Edith non sarebbe stata solo sua figlia ma anche mia. Questo avrebbe contribuito a formare un legame inscindibile tra di noi.
Scesi le scale di corsa dirigendomi verso la stanza dove avevo messo a riposare la piccola.
«Killian», mi chiamò inseguendomi. «Killian aspetta, dove stai andando?».
Non risposi ed entrai nella stanza dove Edith continuava a dormire profondamente.
«Killian ti prego ascoltami». Era alle mie spalle ma io non mi voltai. Non avevo la forza di guardarla negli occhi, volevo solo andarmene per cercare di dimenticare quelle parole pesanti che erano volate tra di noi.
Senza parlare, presi Edith tra le braccia che mugolò per protesta ma continuò a dormire.
«Hook che stai facendo?», mi domandò.
Per tutta risposta la superai e mi avviai verso la porta di ingresso.
«Killian ti prego cosa vuoi fare? Dove vuoi andare?».
Mi voltai prendendo coraggio e la fulminai con lo sguardo. I suoi occhi erano disorientati e spauriti, sembrava sull’orlo delle lacrime ma per una volta non mi importava. Mary Margaret osservava la scena sbigottita, non capendo cosa stesse realmente accadendo.
«Me ne vado. Qui a quanto pare lei non è la benvenuta ed io non ho intenzione di restare un minuto di più».
«Killian…». Il mio nome suonò come una supplica a cui però io non volevo rispondere.
«Vai al diavolo». E così dicendo aprii la porta e mi allontanai con la bambina in braccio.
 
Future time
Avevamo perlustrato ogni angolo di Storybrook ma di Edith non c’era traccia. Sembrava essere sparita nel nulla e questo avvalorava ancora di più la tesi di Regina. Ma non volevo credere a quella terribile ipotesi, o meglio non potevo crederci.
L’unico modo veloce per sapere in quale mondo fosse finita Edith era di chiedere aiuto a Gold. Mi era subito tornato alla mente il mappamondo con il quale ci aveva aiutato a trovare Henry quando era stato rapito dagli scagnozzi di Peter Pan. Per quanto Killian detestasse l’idea di chiedere aiuto a Tremotino, non avevamo scelta. Ormai era sera, presto sarebbe scesa la notte ed Edith era già sparita da diverse ore. Visto che le ricerche per la città proseguivano lente ed infruttuose non ci restava altro che rivolgerci all’ultima persona con la quale avremo voluto fare un accordo.
Entrammo nel negozio di Gold titubanti, ma con la speranza almeno di capire da dove poter iniziare le ricerche.
«Coccodrillo», lo chiamò Killian. Gli strinsi la mano sapendo quanto fosse difficile per lui chiedere aiuto al suo nemico giurato. Ma Hook era disperato e sconvolto almeno quanto me e avrebbe fatto di tutto pur di ritrovare nostra figlia.
«Signori Jones, che cosa vi porta da queste parti?». Gold comparve da quello che era il retrobottega.
«Gold abbiamo bisogno del tuo aiuto», lo pregai. «Edith è scomparsa. Pensiamo che possa aver usato la magia per andare in un altro mondo».
«Se è davvero così, quella bambina racchiude in sé il più grande potenziale magico mai visto».
«Beh in questo momento non ci interessa quanta magia ha Edith», proruppe Killian.
«Dovrebbe interessarti pirata, se vuoi che tua figlia impari a controllarla. Comunque perché vi serve il mio aiuto? Non vedo come potrei aiutarvi».
«Ci serve il tuo mappamondo», lo implorai. «Ti prego Gold, per favore. Dobbiamo capire dove è finita». Odiavo supplicare, soprattutto una persona come lui, ma non c’erano alternative.
«Ovviamente. Lo vado a prendere».
«Cosa?». Hook non riuscì a celare la sua sorpresa; anch’io mi ero trattenuta a stento. «Non può essere così semplice, ti conosco. Cosa vuoi in cambio?».
«Beh niente; diciamo che voglio investire sul futuro di una stella così rara. Non è da tutti riuscire a racchiudere tanto potere ed ha solo… quanti anni?».
«Sei», balbettai.
«Immaginate cosa potrà mai fare una volta adulta». Quella frase mi fece rabbrividire. Quella era l’incombente incognita che aleggiava su di noi fin dalla prima volta in cui Edith aveva usato la magia. In quel momento, però, tutto passava in secondo piano, anche quello.
Killian mi strinse più forte la mano mentre Gold spariva nel retro bottega. Ci saremo occupati poi di Tremotino e di ciò che avrebbe voluto. Edith aveva la priorità assoluta.
«Bene signori ecco qua». Tornò qualche minuto dopo con il mappamondo che ricordavo fin troppo bene. «Siccome questo oggetto funziona grazie ai legami di sangue, chi di voi due vuole avere l’onore?». Feci per allungare la mano, ma Killian mi fermò.
«Io, voglio farlo io». Lasciai che le sue dita scivolassero dalle mie per poter permettere loro di compiere quel gesto che speravamo avrebbe portato un minimo di chiarezza in quella sera buia e desolata.
Killian avvicinò un dito all’ago; notai un leggero tremore nella sua mano. Entrambi sapevamo quanto la verità avrebbe potuto farci male. Come potevamo raggiungerla senza un portale? E se era finita in una terra di orchi o di streghe malvagie?
Il sangue fluì dall’ago al mappamondo quando Killian si punse il dito. Cominciò a creare strani disegni sopra quel globo bianco facendomi tremare ogni qual volta si incominciava ad intravedere una qualche forma particolare.
Alla fine il colore sembrò stabilizzarsi e sul mappamondo apparve una cartina. Sembrava che il fato volesse prendersi gioco di noi: quella che era appena apparsa era la cartina dell’America e il punto più brillante era esattamente nel Maine.
«Beh sembra proprio che vostra figlia non sia riuscita nell’impossibile. Si trova ancora a Storybrooke».
«Non può essere», ribattei. «Abbiamo già cercato e non c’è traccia».
«Provate a cercare meglio». Gold alzò le spalle e andò a rimettere il mappamondo al suo posto.
«Come è possibile?». Guardai Killian che aveva cominciato a camminare su e giù per il negozio.
«Se è ancora qua, perché lo zaino non l’ha trovata?», mi domandò.
«Non lo so. E neanche Ruby è riuscita a sentire il suo odore». Avevamo chiesto subito aiuto a Ruby per poter velocizzare le ricerche, prima ancora di pregare Tremotino. Purtroppo lei era riuscita solo ad arrivare sulla nave di Killian e non aveva fiutato il suo odore così forte da nessuna altra parte.
«Può darsi che sia fuori dal confine della città!». Killian si illuminò a quella ipotesi. «La pozione di localizzazione non ha funzionato perché si trova in un luogo senza magia. Ed è per questo che il mappamondo indica che è ancora qua». Poteva essere, ma il Maine comunque rimaneva uno stato molto più grande da perlustrare di una piccola cittadina e per di più senza poter essere aiutati dalla magia.
«Scusatemi se mi intrometto», intervenne Gold che era rientrato nella stanza. «Avete usato un incantesimo di localizzazione e non ha funzionato?».
«Sì. Ci ha portati alla centrale di polizia ma lei lì non c’era».
«Non penso che sia fuori dal confine», sentenziò.
«Che altra spiegazione puoi dare allora coccodrillo?».
«Se fosse uscita dal confine la pozione di localizzazione vi avrebbe portato fin lì e poi avrebbe smesso di funzionare. E poi è impossibile che sia riuscita a teletrasportarsi in un mondo senza magia».
«Tu che ne sai?», proruppe Killian brusco. «Ci hai appena detto che non conosciamo le potenzialità di Edith».
«Si ma non è probabile che sia fuori da Storybrooke».
«Ah certo!», ribatté Hook infervorandosi. «È probabile che lei sia così potente da andare in un altro mondo ma non così tanto da arrivare a fare qualche chilometro fuori dal confine?».
«Killian». Gli presi la mano cercando di calmarlo. Intrecciai i miei occhi ai suoi, facendogli capire che era inutile prendersela con lui. Non era facendo così che avremmo ritrovato Edith.
«Pirata devi capire che la magia è molto legata all’emozioni. Tua figlia va dove la mente la trasporta, non credo che stesse pensando intensamente al Maine quando è scomparsa. Il mappamondo non mente, ed è ovvio che conoscendo, in questo mondo, solo Storybrooke non può essere che da qualche parte nei meandri di questa pittoresca cittadina». Il suo ragionamento non aveva tutti i torti, ma allora perché non riuscivamo a trovarla?
Con la coda dell’occhio vidi Killian sbiancare. Qualunque cosa stesse pensando sembrava affliggerlo ancora di più.
«Allora perché secondo te la pozione ci ha portati in un luogo dove lei non c’era?», domandai. Magari riusciva a darmi una spiegazione plausibile anche per quello.
«Ogni magia ha la sua caratteristica e come tale nessuna magia è perfetta». Era quello che avevo pensato anch’io, ma non era una vera e propria spiegazione. Cercai di ragionare su dove non avessimo ancora guardato: mi sembrava di aver perlustrato ogni angolo, però potevo sbagliarmi.
«Hai detto che va dove la mente la trasporta». La voce di Killian era solo un sussurro.
«Sì certo. Anche se non riesce a rendersene conto è la sua mente che dice al suo corpo dove andare». Hook si appoggiò al bancone come schiacciato da quella affermazione.
«Killian». Mi avvicinai a lui e lo sguardo che mi lanciò mi fece gelare il sangue nelle vene. Se era stato spaventato, preoccupato, disperato fino ad allora, in quel momento sembrava come completamente distrutto e dilaniato dall’interno.
«Killian che c’è? Ti prego parla».
«Come ho fatto a non pensarci prima!», aggirò la mia domanda. «Sono uno sciocco».
«Hook». Il tono disperato della mia voce gli fece riportare l’attenzione su di me.
«So a cosa stava pensando quando è scomparsa».
«Cosa?», urlai. Perché diavolo non parlava allora?
«È tutto chiaro, il mappamondo, la pozione…». Sentii le lacrime pungermi gli occhi per uscire. Il suo tono di voce era fin troppo chiaro, molto più delle sue parole.
«Killian ti prego», lo supplicai, «dimmi dov’è nostra figlia».
«A Storybrooke. Solo che noi ci siamo preoccupati solo di cercarla nel mondo giusto, non abbiamo pensato che il tempo potesse essere sbagliato».
«Che cosa intendi dire?», domando Gold. Per fortuna l’aveva chiesto lui perché sentivo come un nodo alla gola che si sarebbe sciolto solo col pianto.
«Edith pensava a quando io e te abbiamo scattato la foto; quella che ho sulla nave».
«Stai forse dicendo che credi che tua figlia sia tornata indietro nel tempo?».
«Vorrei poter negare», sussurrò. «Ma così si spiega tutto, è ancora qui solo in un tempo diverso».
«Pensi che sia tornata indietro di sette anni?», riuscii infine a balbettare.
Annuì. La testa iniziò a girarmi sotto il peso di quella affermazione. Capii esattamente perché era sbiancato ed era apparso così straziato.
«Credi che sia possibile?», domandò a Gold.
«Sarebbe un potere unico e immenso quello che le dà la possibilità di muoversi nel tempo, ma direi che potrebbe essere davvero una spiegazione plausibile».
«Stava pensando a noi, quando avevamo scattato quella maledetta foto. Emma sono stato stupido: l’ultima cosa che mi ha detto è che avrebbe voluto esserci anche lei».
Sentii la terra tremare sotto i piedi. Mi appoggiai al bancone per non cadere. Non sentivo più il mio corpo, non sentivo più nulla. C’era solo troppo dolore, il mio cuore era stato strappato dal mio petto, spezzato, dilaniato, ridotto in polvere ed ancora riusciva a soffrire.
Se ci era sembrato difficile l’idea di trovare un portale per un altro mondo, quanto sarebbe stato difficile riuscire ad arrivare in un’altra epoca?


 
Angolo dell'autrice:
Buongiorno a tutti! Eccomi qua con il terzo capitolo!

Vorrei ringraziare ancora una volta tutte le persone che hanno recensito! Grazie davvero! Sono tanto contenta che questa mia pazza idea stia avendo un così grande apprezzamento!
In questo capitolo finalmente Emma ed Hook del futuro arrivano a comprendere l'amara verità, mentre nel presente vediamo le reazione dei futuri genitori!
Spero di continuare ad aggiornare con questa velocità!
Un abbraccio, a presto
Sara

 

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Capitolo 4
*** 4. I sentimenti più veri in un orsetto di peluche ***


4. I sentimenti più veri in un orsetto di peluche
 
Present day
Tenevo le ginocchia strette al petto in un vano tentativo di calmarmi. Gli occhi mi bruciavano ma non avrei pianto, non sarei stata debole fino a quel punto. Non mi sarei ritrovata come una ragazzina a piangere da sola in camera dopo un brutto litigio. Però quello era stato molto peggio, e sapevo che era stata solo colpa mia.
Appoggiai la fronte sulle ginocchia cercando di non pensare allo sguardo che Killian mi aveva lanciato prima di andarsene o alle sue ultime parole. Non era mai stato così con me e vederlo in quel modo mi aveva fatto capire quanto troppe volte l’avessi dato per scontato.
Comunque, per quanto mi sforzassi, continuavo a vedere i suoi occhi che mi fissavano infuriati ma soprattutto feriti. Cercai allora di ascoltare i rumori intorno a me per riuscire a distrarmi da quell’unico pensiero che tornava ad assillarmi senza sosta. Sentii le voci di mio padre e di mia madre provenire dal piano di sotto.
«Tu hai idea di cosa sia successo?», stava chiedendo David.
«So solo che hanno litigato e che poi Killian se ne è andato con la bambina», rispose l’altra.
«Secondo te sta piangendo? Perché se è così vado ad uccidere quel dannato pirata».
«Non lo so, ma non credo che lui se la passi meglio. Non avevo mai visto Hook così… era sconvolto». Giusto, era sconvolto e solo grazie a me.
«Pensi che dovremo andare a parlarle?».
«No, penso che ora la cosa migliore sia lasciarla un po’ in pace». Smisi di ascoltare, visto che neanche quello riusciva a distrarmi. Dato che la mia mente mi impediva di pensare ad altro decisi di ferirmi fino in fondo e esaminai la nostra terribile lite.
Scoprire che Edith era la nostra futura figlia mi aveva sconvolto, soprattutto sapendo quanto imminente fosse quella gravidanza. Avevo avuto paura, questo lo sapevo, ma la cosa che mi aveva destabilizzato era il fatto che in fondo Killian fosse contento. Mi ero aspettata che anche lui scappasse a gambe levate all’idea di diventare padre così presto; invece era stato sorpreso, sicuramente un po’ impaurito dall’enorme responsabilità di diventare genitore, ma era felice dell’idea. Ed io avevo perso la testa.
Mi ero impuntata sul fatto di non voler avere figli, di avere già Henry e avevo detto la cosa più brutta che avessi potuto dire: che non aveva importanza che la bambina fosse nostra, mia e sua, io non l’avrei voluta comunque. Era ovvio che non fosse vero e che io l’avessi ferito con quelle parole. Killian mi aveva sempre amato e sostenuta anche nei momenti peggiori ed io invece ero stata crudele. Mi ero accorta troppo tardi di quello che avevo combinato e la sua reazione era stata del tutto comprensibile.
Come avrei fatto a farmi perdonare per un’affermazione del genere? Come avrei potuto giustificarla? E lui avrebbe potuto guardarmi ancora come faceva prima? Non avrei potuto incolpare altri che me stessa se l’unica relazione sana e stabile della mia vita si fosse rovinata irrimediabilmente.
Era poi davvero così terribile l’idea di avere una figlia con lui? Non avevo mai osato immaginare un futuro tranquillo in cui io e Killian avremo potuto costruirci una famiglia, non con tutti i guai che accadevano a Storybrooke. Sembrava però una cosa normale l’idea di avere una famiglia, dei figli. Era sicuramente troppo presto, ma lui me l’aveva detto: non sarei stata sola, non sarebbe stato come quando aspettavo Henry.
Ma diciamolo francamente, non era quello che mi spaventava. Mi terrorizzava l’idea di essere così strettamente legata a qualcuno. Killian mi amava e avevo impiegato del tempo per aprirmi al fatto che lui non mi avrebbe più lasciato andare; lui avrebbe lottato per me, perché io, ed io soltanto, ero il suo lieto fine. Però un conto era quella promessa di amore eterno, un’altra era rendere concrete quelle parole. Quella bambina ci avrebbe unito per sempre. Forse se non fossi cresciuta in orfanotrofio non sarei stata spaventata dall’idea di stabilità che Killian mi stava offrendo, ma ero fin troppo abituata a cavarmela da sola. Avevo paura che se mi fossi abbandonata all’idea di condividere gioie e dolori con lui e al fatto che avremo passato tutta la vita insieme, alla fine se qualcosa fosse andato storto sarei rimasta ferita. Era troppo bello per essere vero ed io ne ero terrorizzata.
Mentre rimuginavo e mi maledivo per quello che era successo, scese la notte e presto anche quella passò per lasciar comparire i primi raggi di sole. Ero rimasta ferma nella stessa posizione, raggomitolata come per impedire a me stessa di andare in mille pezzi.
All’improvviso sentii la porta di camera aprirsi. Ero voltata di spalle ma sapevo esattamente chi fosse e perché fosse entrata.
«Ti ho portato una cioccolata calda». La voce di mia madre mi confermò che avevo ragione. «Con la cannella». Si sedette accanto a me, porgendomi una tazza. La presi ed assaporai un primo sorso.
«Ti va di dirmi cosa è successo? Non devi se non te la senti».
«Io e Killian abbiamo litigato», dissi soltanto. Bevvi un’altra sorsata cercando conforto in quella bevanda dolce e calda.
«Questo l’avevo capito».
«È stata colpa mia, ho detto delle cose che non pensavo».
«Succede quando due persone litigano, è normale».
«No», sussurrai. «Gli ho detto delle cose orribili, è naturale che se ne sia andato portando via Edith. Sono stata crudele».
Mi posò una mano sulla spalla. «Qualunque cosa tu gli abbia detto sono sicura che non sarà irreparabile».
«Davvero?», risposi sarcastica. «Anche se gli ho detto che non voglio questa bambina e che non fa la differenza il fatto che sia sua figlia?».
«Oh». Era rimasta senza parole, di sicuro non si era aspettata una cosa del genere.
«Beh io credo», riprese dopo la sorpresa iniziale, «che se gli spiegherai che ti sei pentita, che stai male per quello che è successo, Hook ti perdonerà. Ti ama troppo per non farlo». Era proprio quello il punto: sapevo che aveva ragione, ma dopo il mio comportamento sapevo anche di non meritare un uomo come lui.
«Killian mi ama così tanto ed io sono stata così orribile nei suoi confronti». Sentii le lacrime iniziare a scorrermi sulle guance; non ero più riuscita a trattenermi e alla fine ero scoppiata a piangere contro la mia stessa volontà.
Mary Margaret asciugò le mie lacrime con la mano. «Lo vedi? Sei pentita per ciò che hai detto, devi solo farglielo capire. Facciamo così: adesso ti calmi, bevi la tua cioccolata e poi vai a parlargli, d’accordo? Sono sicura che porterà Edith da Granny per la colazione».
Annuii cercando di tranquillizzarmi, almeno quel tanto che bastava per riuscire a bere la cioccolata. Mia madre aveva ragione, l’unica cosa che potevo fare era tentare di chiedergli scusa con la più salda convinzione che avrei dovuto fare molto per meritare un uomo simile.
 
Come Mary Margaret aveva ipotizzato trovai Killian seduto con Edith ad un tavolo da Granny. Lo fissai dalla vetrina per qualche istante prima di prendere coraggio ed entrare.
Quando la porta si richiuse alle mie spalle, quasi percependo il mio sguardo, Hook alzò la testa e mi vide. Notai i suoi occhi scurirsi per poi tornare a concentrarsi sulla piccola, seduta di fronte a lui.
Mi avvicinai lentamente al tavolo facendo un profondo respiro. Alcune persone si voltarono a guardarmi: sapevo di avere un aspetto terribile. Avevo gli occhi rossi, le occhiaie per la notte insonne e anche un po’ i capelli scompigliati.
«Mamma!». Edith esultò quando si accorse della mia presenza. Chissà cosa le aveva raccontato Killian per spiegarle la mia assenza.
«Ciao», sussurrai. La mia voce uscì più roca di quanto avessi previsto.
«Ciao». Il suo saluto fu freddo e non alzò neanche la testa per guardarmi negli occhi.
«Possiamo parlare ti prego», lo supplicai. La piccola mi fissò perplessa ma non aggiunse altro, probabilmente percependo la tensione che si era creata tra noi.
«Se non l’avessi notato adesso stiamo facendo colazione». Il suo tono era freddo e distaccato.
«Per favore Killian». La nota disperata nella mia voce era evidente.
«Penso io alla piccola». Ruby, che doveva aver sentito la nostra conversazione, si avvicinò al tavolo. Hook la fulminò con lo sguardo, ma non ebbe altra scelta che alzarsi e seguirmi sul retro.
«Allora cosa vuoi?», mi domandò quando fummo soli.
«Chiederti scusa», sospirai prendendo coraggio e fissandolo negli occhi. Anche lui aveva delle evidenti occhiaie, segno che non ero stata l’unica a passare la notte in bianco.
«È un po’ troppo tardi non trovi? Ormai hai messo in chiaro quello che pensi».
«Ti prego Killian perdonami. Io non volevo dire quello che ho detto».
«Questo non cambia i fatti. Sei stata molto chiara ieri».
«Io non lo penso davvero», mormorai. «Non l’ho mai pensato e capisco che tu possa essere arrabbiato…».
«Io non sono arrabbiato Emma», mi interruppe. «Cioè un po’ lo sono, ma non è sicuramente quello il sentimento che prevale in questo momento».
«E qual è?», domandai titubante, immaginando già quale fosse la risposta.
«Mi ha fatto male sentire quelle cose Emma, soprattutto sentirle dire da te». Mi ritrovai di nuovo sull’orlo delle lacrime, ma le ricacciai indietro con uno sforzo disumano.
«Lo so. Non potrò mai scusarmi abbastanza per ieri sera, però Killian non c’è niente di vero in quello che ho detto».
«E quale sarebbe la verità?». Il suo sguardo mi scrutò nel profondo: era sempre severo ma almeno mi guardava negli occhi.
«Ho paura Killian, sono terrorizzata all’idea di avere un figlio adesso e soprattutto di averlo da te».
«Perché?».
«Perché io ti amo tantissimo», buttai fuori tutto di un fiato. «So che può sembrare assurdo ma ho paura che se mi lascio anche solo trascinare dall’idea che vivremo per sempre felici e contenti, con la nostra famiglia, io finirò per soffrire quando tutto andrà in frantumi».
Fece un sospiro e notai il suo sguardo addolcirsi. «Tesoro perché pensi che dovrà finire per forza?». Si mosse verso di me, diminuendo la distanza tra noi.
«Perché nella mia vita è sempre stato così, non c’è mai stato niente di duraturo».
«Beh Swan devi abituarti all’idea che non finirà e che se noi avremo Edith sarà solo un modo per dimostrarti che tra di noi non potrà mai finire». Come faceva a trovare ogni volta le parole giuste, esattamente quelle che avevo bisogno di sentire?
Non resistetti più e mi fiondai tra le sue braccia, stringendolo forte a me. Ricambiò il mio abbraccio appoggiando la guancia sulla mia testa.
«Killian è ovvio che fa la differenza il fatto che Edith sia tua figlia», sussurrai contro il suo petto. «Non ho mai pensato al nostro futuro, ma credo che sarebbe naturale se noi un giorno avessimo un bambino. Però averlo adesso è davvero troppo presto».
«Lo so. Non sarà facile ma saremo insieme».
«Sai sarebbe stato diverso se fossi stata messa davanti al fatto compiuto, se avessi scoperto di essere incinta. Avrei dato di matto ma non così; invece è arrivata questa bambina e ci ha detto che saremo stati così incoscienti da concepirla nel giro di un mese e…».
«Ho capito Emma», parlò tra i miei capelli.
«Mi dispiace Killian».
Il suo uncino mi alzò il mento in modo tale da incontrare i suoi occhi. «Lo so». Il mio oceano personale mi fissava di nuovo con quella intensità che mi lasciava ogni volta senza fiato. Sul suo viso era disegnato un leggero sorriso.
Annullai la distanza che ci separava, baciandolo con passione. Assaporai le sue labbra, che mi sembravano più dolci di quanto lo fossero mai state. Gli passai le dita nei capelli, mentre lui mi stringeva più forte alla vita, annullando qualsiasi distanza potesse esserci tra i nostri corpi. Non mi era mancato mai così tanto come in quella sola notte di separazione.
Mi staccai per riprendere fiato, però restai con il viso ad un centimetro dalle sue labbra. Appoggiai la fronte contro la sua, fissandolo negli occhi. Quello era il nostro gesto, l’esatto momento in cui ognuno scrutava nell’anima dell’altro e in cui riuscivamo a comprenderci anche senza parlare.
«Adesso credo che sia giunto il tempo di andare a fare colazione», suggerì. «Con la nostra futura figlia». Sospirai: dovevo ancora abituarmi all’idea, ma sapevo che con Killian avrei potuto farcela.
«Beh credo che sia giunto anche il momento di parlarle», gli ricordai. «Che ne dici Capitano sei pronto a spiegare come stanno le cose alla…». Feci un respiro profondo e prendendo coraggio lo dissi: «alla nostra bambina?».
Mi sorrise. «Sì Swan sono pronto». Ancora non avevo capito come potesse essere già così affezionato a quella bimba e soprattutto perché, ma una cosa l’avevo compresa. Per lui Edith era importante, e allora l’avrei fatta diventare importante anche per me. Era quello il primo passo per divenire la donna che Killian meritava.
 
Future time 
Non potevo ancora credere di stare varcando la porta di casa. Era un vero e proprio controsenso: come potevo cercare di riposarmi quando mia figlia era dispersa nel tempo? Come avrei potuto dormire con quella opprimente verità che pendeva sulla mia testa?
Nonostante questo sapevo che mio padre aveva ragione. Non potevamo fare niente in una notte; non sarebbe cambiato nulla e per poter salvare Edith dovevamo essere lucidi. Inutile affannarsi quando non c’era niente altro da fare se non agire con calma e riflettere a mente fresca sulla situazione.
«Cercate di riposare un po’», aveva detto mia madre. Beh sicuramente riposare non era una parola che volevo sentire in quel momento.
Killian accese la luce, illuminando il nostro appartamento che sembrava così vuoto senza la mia bambina a riempirlo di giochi e risate.
«Ti va di mangiare qualcosa?», mi chiese dirigendosi verso la cucina.
«No, ho lo stomaco chiuso». Non sarei riuscita neanche a mandare giù mezzo boccone.
«Lo so», sospirò sparendo nella stanza. Mi avviai verso la camera, non riuscendo ancora a capacitarmi del fatto che avessi accettato di tornare a casa. Ma cosa avrei potuto fare di più di ciò che per quella sera avevo già fatto? Avevamo capito dove si trovava Edith ma non era una cosa semplice riportarla a casa. L’impossibilità di raggiungerla mi faceva impazzire.
Camminai lentamente lungo il corridoio e mi bloccai di fronte alla porta della sua camera. Era tutto così vuoto senza di lei: i pupazzi sistemati sul letto, le sue bambole sedute ordinatamente al piccolo tavolino in un angolo, i pennarelli dentro l’astuccio, niente fogli con i suoi disegni vivaci sparsi per terra, nessun oceano che mi guardava sorridendo.
Il mio corpo si mosse da solo andando a sedersi sul suo letto. Guardai le pareti colorate della sua cameretta cercando di ricacciare indietro le lacrime. La mia mano si mosse istintivamente sulla mia pancia. Solo in quel momento mi ricordai dell’enorme miracolo che il mio corpo stava creando anche in quel preciso istante.
Come potevo avere un altro figlio con Edith dispersa in un passato abbastanza vicino, ma sempre troppo lontano per essere raggiunto? Mi stupivo di come il mio corpo potesse continuare quel disumano lavoro di creare un’altra vita con tutto il dolore a cui era stato sottoposto quel giorno.
E soprattutto come avrei potuto dare a Killian quella lieta notizia in mezzo a quella tremenda tragedia? Avevo aspettato di essere certa, ma sicuramente la tempistica non era stata il mio forte. Avevo pensato di dirglielo a cena, ma poi era successo tutto e l’avevo addirittura scordato io stessa, fino ad allora.
Ero stata così felice della notizia e non volevo che per Hook quella felicità fosse offuscata dalla tristezza che aleggiava su di noi. Ripensandoci, però, non era stato un male averglielo taciuto. Se Killian avesse saputo della gravidanza si sarebbe preoccupato anche per me, mi avrebbe impedito di stancarmi o di cercare mia figlia liberamente come potevo invece fare in quel momento.
Gliel’avrei detto una volta riabbracciata Edith, per rendere la sua gioia davvero assoluta.
“Noi la ritroveremo e la porteremo a casa presto”, mi dissi per convincermi.
«Ehi sei qui». Killian entrò nella stanza e si sedette sul letto accanto a me. Mi prese la mano con la sua e intrecciò le nostre dita in un gesto che non aveva bisogno di parole.
«Ti prometto che la riporteremo a casa», mormorò. «Non mi arrenderò finché non l’avrò raggiunta».
«Lo so». Presi un peluche che era appoggiato sul suo guanciale. Era il suo pupazzo preferito e anche il primo che avesse mai avuto. Fino a qualche mese prima non riusciva neanche a dormire senza, se lo portava sempre dietro; era la sua coperta di Linus. Solo nelle ultime settimane aveva cominciato a staccarsene perché visto che doveva andare alle elementari voleva comportarsi da “bambina grande”.
«Come farà senza il suo Mister Bobby?», sospirai stringendo l’orsetto tra le mani. «Ricordi quando l’abbiamo comprato?».
Sfiorò il peluche con l’uncino. «Certo Swan come potrei dimenticarlo?». Esatto: come poterlo dimenticare? Era un bel pomeriggio, eravamo appena usciti dalla visita di controllo. Camminavamo mano nella mano, ed eravamo felici.
 
«Mi sembra impossibile che con quel congegno si riesca a vedere fin dentro la tua pancia così da poter capire il sesso del nascituro, è magico», disse Killian entusiasta.
«Non è magia, è scienza e tecnologia Hook».
«Beh non mi importa cosa è. Noi avremo una bambina», esultò.
«Già, una femminuccia». L’idea di diventare madre mi spaventava, soprattutto perché era successo tutto all’improvviso e forse anche un po’ troppo presto; ma Killian riusciva a rendere tutto più semplice.
«Beh per prima cosa le insegnerò a governare la Jolly Roger», dichiarò.
«Scusa non avevi detto la stessa cosa quando ipotizzavamo che fosse un maschio?». Alzai un sopracciglio e lo guardai perplessa, aspettando la sua spiegazione.
«Io sono per le pari opportunità Swan, sarà un’ottima pirata anche se appartiene al sesso debole».
«Ah sì? Chi sarebbe il sesso debole? Devo ricordarti che ti ho battuto più di una volta a duello e che sono riuscita ad ammanettarti più volte?».
«Confessalo Swan in fondo ti piace ammanettarmi?». Arrossii e sentii le guance avvampare.
«Come puoi dire queste cose ad una donna incinta e per di più madre della tua futura ed unica figlia?».
«Perché ti conosco e lo so che ti piace quando ti lancio queste frecciatine». Sorrisi riconoscendo che non aveva tutti i torti.
«Quando sarà nata la piccola non potrai più fare questi discorsi». Ma Killian non mi stava più ascoltando. Stava guardando la vetrina dell’unico negozio dell’ospedale, davanti al quale ci eravamo fermati.
«Mettiti a sedere e aspettami qui». Mi guidò verso una panchina poco distante tirandomi per la mano.
«Killian non ho bisogno di sedermi», protestai.
«Fai come ti dico per una volta». Sbuffai ma mi sedetti, obbedendo al suo ordine.
Si allontanò per entrare nel negozio, dal quale uscì poco dopo con in mano una busta.
«Ecco», mi disse porgendomi il sacchetto. «Aprilo». Feci come mi aveva detto e tirai fuori un orsacchiotto di peluche vestito da pirata. Aveva una benda sull’occhio, il cappello da pirata e anche il teschio caratteristico sulla maglia.
«Credi che le piacerà?», mi domandò. Sentii le lacrime salirmi agli occhi: maledetti ormoni!
Sorrisi cercando di trattenere la commozione che quel gesto mi aveva procurato. «Certo! È bellissimo Killian».
«Bene. Questo è per la piccola e questi sono per la mamma». Mise la mano in tasca e tirò fuori una confezione di cioccolatini: esattamente quelli di cui avevo continuamente voglia in quel periodo.
«Dio! Ti ho mai detto quanto ti amo?».
 
Tornai con la mente al presente, accorgendomi solo allora che Killian mi aveva passato il braccio intorno alla vita per stringermi di più a lui. La sua mano stava sfiorando l’orsetto e il suo sguardo, era puntato come il mio verso quel giocattolo che tenevo tra le braccia.
«Mi sento così inutile e così impotente. Non sono riuscito ad impedire che accadesse».
«Nessuno avrebbe potuto impedirlo. Vieni qui». Buttai in terra tutti i giochi che si trovavano sul lettino e mi distesi, trascinando Killian al mio fianco. Lui prese la coperta di cotone che si trovava ai piedi del letto e la tirò su per coprirci, prima di avvolgermi nel suo caldo e stretto abbraccio. Posai la testa contro la sua spalla e lasciai che le sue dita mi coccolassero accarezzandomi il braccio. Chiusi gli occhi cercando perlomeno di distrarmi da quello stato di tremenda ansia e sconforto in cui mi trovavo e da cui però non potevo uscire.
«Dobbiamo pensare ad un piano di azione», mormorai dopo un po’. «Tanto lo sappiamo entrambi che non riusciremo mai a dormire».
«Già, dormire è proprio l’ultimo dei miei pensieri. Stare qui, senza poter far nulla è… non dovevamo dare retta ai tuoi».
«Lo so, ma hanno ragione. Dobbiamo essere lucidi ed è per questo che ci serve un piano d’azione così domattina passeremo subito all’attacco».
«Va bene», mi assecondò. «Che cosa intendi fare?».
«Dobbiamo parlare con la fata Turchina, magari lei potrà aiutarci. Conosce la magia molto più di noi, magari c’è qualche incantesimo per riportare qui Edith».
«Bene. La fata Turchina sia», acconsentì. «Poi potremo interrogare Zelena deve dirci tutto quello che sa. È stata lei l’unica strega a riuscire ad aprire un portale temporale. È grazie a lei se noi siamo tornati indietro nel tempo».
«Giusto Zelena, è aggiunta alla lista». Se era stata in grado di aprire un portale una volta poteva farlo di nuovo, o almeno lo speravo.
«Poi? Ti viene in mente altro», mi chiese.
Ci pensai su: in effetti l’unica altra cosa che poteva esserci utile era la bacchetta con la quale io avevo riaperto il portale di Zelena. 
«Ci sarebbe la bacchetta che ho usato per riaprire il portale. Tremotino disse che era in grado di ricreare qualsiasi incantesimo lanciato. Se già una volta ci ha permesso di tornare a casa potrà di nuovo aprire un portale temporale. Poi basterà solo pensare al momento giusto in cui andare».
«Questa sì che è un’idea». Ebbe un moto di entusiasmo a quella prospettiva.
«Però», lo frenai, «credo che Gold abbia la bacchetta. Dovremo ancora rivolgerci a lui».
«Non importa, sarei disposto a strisciare ai piedi del Coccodrillo pur di stringere Edith tra le braccia». Annuii, tornando a confortarmi nel suo abbraccio.
«Secondo te starà bene?», gli chiesi all’improvviso.
«Non possiamo esserne sicuri ma io penso di sì, o almeno lo spero; sarà con l’Emma e il Killian del passato. Dobbiamo stare tranquilli almeno su questo».
«Tu credi? Conoscendomi avrò dato di matto, molto peggio di come ho reagito scoprendo della gravidanza».
«Peggio di quando mi hai urlato contro dicendo che era tutta colpa mia? Beh per fortuna io conosco me stesso e il fascino che quella bambina sa esercitare. È in buone mani».
«Già tu sei sempre stato molto più ragionevole», concordai, cambiando poi discorso. «Allora è deciso?».
Capì subito di cosa parlassi. «Certo ricapitoliamo: fata Turchina, Zelena e se non possiamo farne a meno Gold».
«Prima riusciremo a sconfiggere questa distanza temporale, prima potremo riabbracciarla».
«Edith tornerà a casa», affermò. «Non ci fermeremo finché non sarà di nuovo con noi». Era quello il coraggio di cui avevo bisogno.
Avevamo un obiettivo e saremo periti nel tentativo piuttosto che arrenderci e fallire.
 
Angolo dell'autrice:
Buon pomeriggio a tutti! Come mi avete chiesto, mi sono sbrigata e ce l'ho fatta a postare oggi!
Se nello scorso capitolo sono stata crudele con il Killian del presente spero di essermi fatta perdonare. Emma si è subito pentita di ciò che ha detto e ha capito i suoi errori, cercando in qualche modo di rimediare.
Nel futuro ho aggiunto un piccolo flashback: scusatemi per tutti questi salti temporali ma mi piaceva troppo la scena dell'oresetto.
Come sempre ringrazio tutti coloro che hanno recensito o che semplicemente stanno leggendo la mia storia.
Un abbraccio, a presto
Sara 

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Capitolo 5
*** 5. Confessioni e amare verità ***


5. Confessioni e amare verità
 
Present day
Era giunto il momento di affrontare la verità con la piccola. Era una cosa che dovevamo fare, ma era anche una questione delicata. Quella mattina Edith aveva già capito che qualcosa non andava: si era svegliata sulla Jolly Roger e subito mi aveva chiesto dove fosse sua madre. Inventare una scusa così su due piedi non era stato semplice; quella notte avevo pensato a tutto, tranne che a una scusa plausibile per lei. Fra i mille pensieri che si erano affacciati nella mia mente, non mi aveva minimamente sfiorato l’idea che Edith avrebbe sicuramente notato la differenza di abitudini rispetto alla sua quotidianità.
La seconda domanda era stata anche peggio. «Che ore sono? Devo andare a scuola». Avevo impiegato molto a convincerla a saltarla, almeno per quel giorno, anche perché aveva argomentazioni molto convincenti. Perché mai doveva marinare la scuola al suo secondo giorno? Beh almeno avevo capito che aveva iniziato le elementari lo stesso giorno del suo salto temporale.
Mentre ci avvicinammo di nuovo al tavolo dove era seduta Edith, Emma intrecciò la sua mano alla mia, probabilmente godendo come me di quel minimo contatto, dopo la nostra breve ma intensa separazione. La piccola fu felice di vedere me ed Emma mano nella mano. Aveva percepito sicuramente la tensione e probabilmente anche il mio umore nero.
Non avevamo mai litigato così e per una volta non ero io quello che doveva scusarsi. Anche se ero partito con l’intenzione di non parlarle, ero stato contento che avesse insistito e che si fosse messa a nudo. Certe volte mi sembrava di sbattere contro un muro, tanto che riuscire a farla uscire dalla sua corazza sembrava un’impresa da titani. Nonostante io arrivassi a capirla forse meglio di quanto faceva lei stessa, quel giorno si era completamente esposta mostrandomi quanto tenesse a noi due.
«Avete fatto la pace», esultò Edith felice mentre Ruby si allontanava ed io ed Emma ci sedevamo davanti a lei.
«Sì», ammise Emma, voltandosi poi verso di me. «Gli hai detto che abbiamo litigato?».
«No, l’ho capito da sola», rispose la bimba al mio posto. «Era ovvio visto che non siamo andati a dormire a casa ma siamo tornati sulla nave».
«Giusto…». Emma cercò in vano di iniziare quello che doveva essere il discorso più complesso mai rivolto ad una bambina di sei anni.
«Tesoro», intervenni. «Noi dobbiamo dirti una cosa importante».
«È per questo che non mi hai fatto andare a scuola papà?». Sentirmi chiamare in quel modo suonava così strano. Mi ritrovai con la bocca secca e il cuore che batteva all’impazzata.
«Beh sì», balbettai. Per fortuna Emma vene in mio soccorso.
«Che ne dici se andiamo in un posto più tranquillo? Qui c’è un po’ troppa gente Killian». Quella era un’ottima idea: avremo avuto più privacy, più calma e soprattutto un altro po’ di tempo per riuscire ad elaborare un discorso che sembrasse credibile.
«Certo. Andiamo sulla Jolly, va bene?».
«No, andiamo a casa. Mia madre dovrebbe essere già uscita stamattina». Accettai la sua proposta e, una volta finito di far colazione, ci dirigemmo verso il loft. Edith insisté per tenerci entrambi per mano; forse riusciva ad intuire qualcosa, come se capisse che ciò che le dovevamo dire avrebbe potuto cambiare tutto.
Quando giungemmo alla porta di casa Edith ci fissò perplessi. «Perché siamo a casa dei nonni? Mamma aveva detto di voler andare a casa».
«Beh rientra credo tra le cose di cui dobbiamo parlare», tentai di aggirare la sua domanda.
Fu solo quando ci fummo tutti seduti intorno al tavolo che l’iniziare il discorso tornò ad essere un’impresa impossibile. Non potevamo sapere come avrebbe reagito ad una notizia tanto sconvolgente ed io non volevo che potesse sentirsi rifiutata come era accaduto subito dopo la sua comparsa. Sarebbe scoppiata a piangere? Ci avrebbe capito e soprattutto creduto?
«Piccola», iniziò Emma, «ti ricordi cosa mi hai chiesto quando ci siamo viste ieri sulla nave?». La fissai perplesso non capendo dove volesse andare a parare.
Edith ci pensò su, cercando di ricordare. All’improvviso i suoi occhi si illuminarono trovando la risposta a quella domanda. «Sì, ti ho chiesto quando eri arrivata e come avevi fatto ad avere i capelli lunghi». Iniziai a capire la strategia di Emma: voleva insinuarle un minimo di dubbio in modo tale che poi ci credesse più facilmente.
«Esatto, me l’hai chiesto perché il giorno prima io avevo ancora i capelli corti, giusto?».
«Sì con il caschetto. Invece adesso ce l’hai come nella foto».
«Quale foto?», chiedemmo contemporaneamente.
«Come quale? Quella che tieni sulla nave, quella di cui ti sei stufato di raccontarmi la storia». Fissò lo sguardo su di me, aspettando un mio cenno di comprensione che però non arrivò.
«Quella di te e la mamma abbracciati», continuò, volgendosi poi verso Emma. «Mamma tu hai capito vero?».
Il volto di Emma passò dal dubbio alla comprensione. «Edith stavi guardando quella foto ieri?».
«Sì poco prima di andare sul ponte», rispose come se fosse una cosa ovvia.
«Aspettaci qui un secondo». Emma mi prese per l’uncino e mi trascinò verso la scala in modo tale da non poter essere sentiti. «Parla della foto che ci stavamo scattando. Probabilmente tu l’hai davvero tenuta sulla tua nave».
Finalmente capii cosa aveva intuito. «Quindi stava pensando a quella quando deve essere cascata in un portale temporale».
«Già per questo è apparsa in quel preciso istante. Adesso ci resta solo, per così dire, da capire come diavolo ha fatto a cascare in un portale senza accorgersene e magari chi lo ha aperto. Dubito, visto i precedenti, che Storybrooke sia libera di nemici nel futuro».
«Beh forse potrà dircelo lei una volta compreso la situazione». Emma annuì e tornò verso il tavolo. Io la seguii e mi rimisi a sedere al mio posto. Edith ci fissava perplessa: avrei dato qualsiasi cosa per riuscire a sentire i suoi pensieri. I suoi occhi, così uguali ai miei, non erano per me così esplicativi.
«Tesoro ascoltami bene», iniziò. «C’è un motivo se io sono uguale all’Emma della foto: io sono lei». Edith la fissò perplessa non riuscendo ad afferrare il senso delle sue parole.
«Certo», balbettò. «La foto l’hai scattata tu».
«Ascolta piccola», intervenni. «Ciò che Emma vuole dire è che noi siamo fisicamente quelli della foto di cui parli. Noi non siamo i tuoi genitori, cioè siamo loro ma prima che arrivassi tu».
«Non capisco». I suoi occhi si piantarono su di me, come a volermi scrutare fino in fondo all’anima. Non riuscii più a distogliere lo sguardo da quel profondo oceano, soprattutto quando nel suo volto cominciò a comparire un accenno di paura.
«Edith non ti stiamo mentendo, questa è l’assoluta verità», continuò Emma. «Sei in qualche modo tornata indietro nel tempo, siamo nel 2015». La vista di Edith cominciò ad appannarsi, mentre le sue ciglia si bagnavano delle prime lacrime; le sue labbra cominciarono a tremare.
Quello che accadde dopo fu del tutto imprevisto: Edith scoppiò a piangere a dirotto, senza farci capire se credeva o meno alle nostre parole. Però la cosa più sconcertante fu che, nello stesso istante in cui esplosero i suoi singhiozzi, le luci di casa si accesero iniziando a tremolare; e non solo: la scatola magica iniziò a parlare e a mostrare uno dei tanti programmi, la sirena di un allarme nelle immediate vicinanze cominciò a strillare, la teiera sul piano cottura iniziò a sibilare. Sembrava che tutte le moderne tecnologie di quel mondo si fossero azionate e fossero impazzite tutte insieme.
Mentre Edith continuava a piangere sempre con più foga, faticando anche a respirare,  io ed Emma ci alzammo in piedi per capire cosa stesse accadendo.
«Oh mio Dio! È lei», urlò puntando lo sguardo sulla piccola. Era sconvolta esattamente come tutto quello che ci circondava.
«Credi che sia Edith?», domandai anche se era piuttosto evidente. Provai a concentrarmi nonostante il frastuono: come poteva una bambina così piccola riuscire a creare tutto quel caos?
Edith sembrava piangere sempre più forte e infatti a tutto quel rumore, si aggiunse anche il trillo del telefono, e di qualche altro strano oggetto, di cui probabilmente ancora non conoscevo la funzione.
«È ovvio che sia lei», rispose Emma tappandosi le orecchie con le mani. «Riconosco quando qualcuno non riesce a controllare la sua magia».
«Puoi fare qualcosa? Magari riesci a sovrastarla con la tua», urlai.
«Non è così che funziona, bisogna calmarla». Si avvicinò alla piccola sfiorandole il braccio. «Edith… Edith fermati ti prego». L’unica cosa che ottenne fu l’aumentare dei suoi singhiozzi.
Dovevamo riuscire a confortarla prima che combinasse qualche serio danno, anche a sé stessa, o che spaccasse i timpani a tutti e due. Non ero esperto di bambini e non mi ero ritrovato mai a doverne calmare uno; però già il giorno prima si era rifugiata sconvolta tra le mie braccia riuscendo a tranquillizzarsi. Non era così tanto sconvolta come in quel momento, ma potevo fare un tentativo.
«Tesoro». Mi avvicinai a lei inginocchiandomi accanto alla sua sedia. «Ehi piccola, non fare così». Provai a prenderle una manina che teneva chiusa a pugno premuta contro l’occhio. Riuscii a spostarla e ad intravedere un suo occhio rosso e pieno di lacrime. Fu allora che l’istinto prese il sopravvento: la sollevai di peso prendendola in braccio e la strinsi forte a me, cercando di farle appoggiare la testa sulla mia spalla. All’iniziò sembrò opporsi a quel mio gesto, ma poi aprì le braccia per aggrapparsi meglio al mio collo.
«Tranquilla. Ci sono io qui», sussurrai vicino al suo orecchio. Improvvisamente il rumore cessò esattamente come era cominciato proprio mentre iniziavano a placarsi anche i singhiozzi di Edith. Alzai lo sguardo e trovai quello di Emma che mi fissava sbigottita per quel mio gesto paterno. Non era quello, però, che mi sorprendeva: era l’attaccamento incondizionato che la piccola dimostrava per me, o meglio per il me del futuro.
Nessuno dei due ebbe il coraggio di dire una parola, finché Edith non si fu del tutto calmata. Non avevamo nessuna intenzione di metterle fretta poteva prendersi tutto il tempo che desiderava. Quella che le avevamo appena dato era una notizia più che traumatica.
Mi sedetti sul divano tenendola stretta aspettando che la sua tempesta interiore si placasse. Emma si sedette accanto a me e iniziò dolcemente ad accarezzarle i capelli.
Alla fine Edith alzò la testa e ci fissò tirando su col naso. «Io…», balbettò non sapendo cosa dire.
«Tesoro non vorrei turbarti di nuovo ma dobbiamo sapere se hai capito». La voce di Emma era solo un sussurro. Le sistemò una ciuffo ribelle dietro un orecchio e le asciugò una lacrima.
«Io non lo so», singhiozzò.
«Pensi ancora che siamo i tuoi genitori?». Fece cenno di no con la testa.
«Credi a ciò che ti abbiamo detto?». Mentre formulavo la domanda sentivo lo stomaco sottosopra. Edith questa volta annuì.
«Io non so controllarli», aggiunse in un soffio.
«Ce ne siamo accorti». Emma le sorrise cercando di tranquillizzarla ulteriormente.
«La mamma e Regina hanno cercato di insegnarmi ma non ci riesco. Non so perché mi sposto…».
«Perché ti sposti?», domandai non capendo il senso della frase.
«Sì mi teletrasporto da una stanza all’altra; io mi ritrovo semplicemente da un’altra parte, non capisco come lo faccio». Un momento: stava forse dicendo che poteva andare e venire nello spazio? Poteva allora farlo anche nel tempo?
«Edith tu sei caduta in un portale o no?». Il suo sguardo confuso mi portò a formulare una domanda più generale. «Tesoro potresti raccontarci cosa è successo prima che tu ci trovassi nella cabina?».
«Tu sei venuto…». Si fermò lanciandomi uno sguardo sconsolato. «Papà è venuto a prendermi a scuola», si corresse. «Mi ha portato sulla nave per darmi un regalo. Siamo andati nella cabina del capitano ed io mi sono messa a guardare la foto sul letto. Poi, mentre andava a prendere il mio regalo, gli ho chiesto di raccontarmi la storia. All’improvviso sono finita sul ponte e…». Ed era arrivata da noi. Fissai Emma che era stupita quanto me: davvero quella bambina aveva così tanto potere da essere riuscita ad apparire sul ponte di sette anni prima? Era la prima volta che sentivo parlare di qualcuno che sapesse spostarsi non solo nello spazio ma anche nel tempo.
«Credi che…». Non aggiunsi altro ma Emma aveva già capito. Annuì, troppo sorpresa per riuscire a parlare. Beh se era davvero così, era un bel problema. Primo, l’Emma e Killian del futuro avrebbero capito cosa era accaduto alla loro figlia? Secondo, se non riusciva a gestire la sua magia come poteva riuscire a fare la stessa cosa per tornare a casa? Terzo, sarebbe potuto accadere di nuovo? Se era così Edith correva il pericolo di disperdersi nel tempo e allora ci sarebbero stati due genitori in eterna sofferenza.
«Io pensavo alla foto», aggiunse Edith poco dopo. «Pensavo di essere solo uscita sulla nave». Era logico: l’avrei pensato pure io, figurarsi lei che era solo una bambina. Invece era tornata indietro di sette anni, dandoci molte più responsabilità di quelle che il giorno prima ci saremmo aspettati di avere.
 
Future time
La prima tappa, di quella che si prospettava essere una lunga giornata, fu dalla fata Turchina. Ci eravamo alzati presto, visto che alla fine non eravamo riusciti a dormire e ci eravamo subito diretti dalle suore di Storybrooke sperando di ottenere delle risposte il prima possibile.
Avevamo appena esposto la situazione alla madre superiora e stavamo aspettando il suo verdetto.
«Mi dispiace», sospirò. «Non conosco nessun incantesimo che possa aiutarvi». Il mio cuore si strinse ancora di più: mi ero immaginato quella risposta ma sentirla dire ad alta voce faceva più male di quanto avessi creduto. Emma strinse più forte la mia mano, come per aiutare entrambi a sostenere quelle parole.
«Se Edith è riuscita a tornare indietro nel tempo», continuò Turchina, «ha davvero un potere immenso. Purtroppo noi fate non possiamo violare le leggi del tempo, non ci è concesso e non sapremmo neanche come fare. Non conosco incantesimi che possano fare al caso vostro, mi dispiace davvero».
«Eppure Zelena…», balbettò Emma.
«Certo, ma era un incantesimo oscuro ed io non posso aiutarvi in questo».
«Grazie lo stesso». Mi alzai non volendo più perdere tempo. Era ovvio che lei non voleva o comunque non poteva aiutarci. Restare lì era inutile: era il momento di passare alla fase successiva. Anche Emma si alzò facendomi capire che era della stessa opinione.
La seconda tappa prevedeva che ci recassimo da Zelena. Dopo aver dato alla luce il bambino di Robin viveva nella sua casa di campagna, dove senza poteri, non poteva più nuocere a nessuno. Avevamo parlato con Regina, per avvertirla delle nostre intenzioni. Era fondamentale riuscire a parlare con Zelena e di certo l’avremmo fatto anche senza l’accordo del sindaco. Emma, però,  aveva insistito per avvertirla per una questione di pura amicizia tra di loro.
Quando giungemmo dalla strega Perfida, Regina ci aspettava lì davanti.
«Cosa ci fai qui?», le domandò sorpresa Emma.
«Credevi che vi avrei lasciato da sola ad affrontare la mia cara sorellina? Conosco i tasti giusti da toccare per convincerla ad aiutarvi». Bene, ma non sarebbe stato di certo quello il problema. Nella mia vita da pirata avevo imparato a far cantare parecchi prigionieri, ci sarei riuscito di nuovo, in qualsiasi modo.
Zelena fu sorpresa di vederci, ma non si scompose più di tanto.
«Sorellina non posso dire che sia un piacere vederti, soprattutto in compagnia di questi due».
«La cosa è reciproca, ma sarà bene che tu ci offra una tazza di tè, dobbiamo parlare. Non c’è bisogno che ti dica che sono io a tenere il coltello dalla parte del manico».
Così cinque minuti dopo eravamo tutti seduti al tavolo con delle tazze fumanti davanti. Quella per me era una stupida e inutile formalità, ma se avrebbe facilitato la collaborazione di Zelena potevo anche sopportarlo.
«Bene a cosa devo la visita del pirata e dello sceriffo di Storibrooke?». Voltò la testa verso Emma, che era seduta alla sua destra. «Scusami cara se utilizzo l’appellativo di questo mondo, ma non è facile capire il tuo ruolo. Adesso sei la Salvatrice o il Signore Oscuro?».
La vidi fare una smorfia e reprimere qualsiasi moto d’indignazione cercasse di uscire. «Non ha importanza», rispose gentilmente. «Noi siamo qui perché vogliamo informazioni su come tu sia riuscita ad aprire un portale temporale».
«Oh e perché? Forse ti sei stancata del pirata e vuoi cambiare la tua decisione?». Strinsi il pugno sotto il tavolo cercando di restare impassibile a quelle frecciatine. La mano di Emma mi accarezzò l’uncino, in un tacito “non te la prendere”.
«Non ha importanza il motivo», intervenne Regina. «Dicci tutto quello che sai sui viaggi nel tempo».
«Ed io cosa ci guadagno sorellina? Non sono nella condizione di perdere molto».
Regina sembrò riflettere sulla cosa. Ovvio che potesse ricattarla con la storia di suo figlio, ma era altrettanto ovvio che Zelena non aveva molto potere decisionale sulla propria prole. Regina aveva imposto regole molto ferree a Zelena sulla possibilità di stare con il figlio.
«Cosa vuoi?», mormorò infine.
«Mio figlio è ovvio, desidero essere parte integrante della sua vita». Era una richiesta pericolosa, ed ero convinto che Regina non avrebbe ceduto. Beh avrei comunque trovato un altro modo per farla parlare: potevo tornare anche ai miei metodi da pirata pur di riuscire a riabbracciare mia figlia.
Invece Regina ci sorprese tutti. «Ovviamente devo parlarne prima con Robin, ma vedrò cosa posso fare».
«No!». Emma proruppe senza neanche accorgersene. «No, non puoi fare questo Regina… tu e Robin e il bambino…». Ma perché diavolo si intrometteva se per una volta la sua amica aveva preso la decisione più conveniente per noi? Le lanciai uno sguardo intimandole di tacere, ma Emma era un’eroina fino alla fine e non avrebbe permesso ad un innocente di andarci di mezzo.
Per fortuna fu Regina ad insistere. «Emma avete bisogno di tutte le informazioni possibili, e credimi io e Zelena riusciremo a raggiungere un accordo che soddisfi entrambe, è suo figlio in fondo». Si voltò verso la sorella e proseguì. «Hai la mia parola, adesso dicci tutto quello che sai».
«Bene». La Strega Perfida si sistemò più comodamente sulla sedia. «Ho studiato a lungo tutti i tipi di incantesimi che prevedevano un viaggio nel tempo prima di trovare il sortilegio giusto. Alcuni erano semplicemente stati inventati da ciarlatani, altri non erano mai riusciti perché mancava in essi un ingrediente fondamentale. Studiando i vari incantesimi sono riuscita ad individuare quattro elementi indispensabili: il coraggio di un eroe, un cuore resistente, un cervello brillante, e un neonato frutto del vero amore. Non sapete in quanti sortilegi occorra l’utilizzo di un neonato!».
Ci scrutò in volto uno per uno per poi continuare. «In più ci vuole qualcuno di potente per scagliarlo, è ovvio. Richiede molto più potere di quanto possiate immaginare».
«Non ci sono altri modi per viaggiare nel tempo?», domandò Emma in un sussurro.
«No o almeno io non li conosco. Questo è l’unico sortilegio che ha avuto successo».
«Questo incantesimo, ci permetterebbe di tornare esattamente nel momento in cui vogliamo?».
«Beh questo dovreste dirmelo voi, siete voi che siete saltati nel portale. Immagino che funzioni come qualsiasi altro portale».
«E non esiste», domandai, «un qualche oggetto magico che ci permetta di viaggiare nel tempo senza dover lanciare questo incantesimo? Che ne so qualche oggetto di Oz…».
«Non credi pirata che se l’avessi avuto, l’avrei probabilmente usato prima ancora di fare la vostra malcapitata conoscenza?». Beh in effetti aveva ragione, ma lanciare quel sortilegio… Il solo recuperare gli ingredienti, trovarli tutti, era difficile e poi come avremmo fatto per tornare indietro una volta arrivati? Oltre ad andare a riprendere Edith dovevamo anche pensare ad un modo per poter tornare a casa.
«Non possiamo farlo», sospirò Emma una volta fuori. «Anche se riuscissimo ad avere tutti gli ingredienti ci vorrebbe troppo tempo».
«E non avremmo una via di fuga», le feci notare. «Rischiamo di rimanere bloccati».
«Regina mi dispiace che tu ti sia dovuta sacrificare per nulla».
«Non preoccuparti ormai so tenere a bada mia sorella, e poi te l’ho detto è pur sempre suo figlio. Saprà essere ragionevole».
«Dobbiamo chiedere a Tremotino», mormorai a bassa voce.
«Già non abbiamo scelta purtroppo». Presi la mano di Emma nella mia e la strinsi preparandomi ad affrontare il coccodrillo.
 
Quando entrammo nel negozio di Gold, lui era dietro il bancone, intento a lucidare uno dei suoi gingilli. Alzò lo sguardo su di noi e non fu per nulla sorpreso di vederci.
«Immagino che siate qua per lo stesso motivo di ieri».
«Sì. Per nostra sfortuna sei l’unico che possa aiutarci», sputai tra i denti.
«E come volete che vi aiuti questa volta?».
«Ci serve la bacchetta», intervenne Emma, «quella con cui io ho riaperto il portale durante il nostro viaggio nel tempo».
«Non so di quale bacchetta tu stia parlando».
«Andiamo Coccodrillo, non giriamoci tanto intorno. Sai benissimo di cosa stiamo parlando». Emma mi tirò per la mano, facendo cenno di calmarmi. Aveva ragione ma non era facile: avevamo subito una sconfitta dietro l’altra ed io stavo perdendo la pazienza.
«Parliamo della bacchetta che è in grado di replicare qualsiasi incantesimo che sia stato lanciato», spiegò.
«E come la vorreste utilizzare?», ci domandò perplesso.
«Beh è ovvio: apriamo un portale, l’andiamo a prendere e poi lo riapriamo per tornare a casa». Era semplice e chiaro, non aveva bisogno di tante spiegazioni.
«Credo che stiate tralasciando un bel po’ di particolari». Si mosse da dietro il bancone venendo verso di noi.
«Quali?», chiese Emma titubante.
«Beh prima di tutto, anche se aveste la bacchetta non è detto che riusciate ad aprire il portale. La tua magia non è la stessa di allora. Secondo state dimenticando il fatto che probabilmente la bambina avrà incontrato i vostri voi del passato, e l’avrà in qualche modo modificato. Le conseguenze che potreste causare portandola via sono imprevedibili. È già tanto che noi non siamo già implosi. Sapendo di aver una figlia voi potreste reagire in modo tale da cancellare la stessa vita che avete creato e che state cercando disperatamente di riportare a casa».
«Vuoi dire che Edith potrebbe cessare di esistere?», balbettai. Era una prospettiva inimmaginabile. Potevamo davvero, venendo a conoscenza della gravidanza, decidere di scrivere un futuro diverso? D’altronde Edith era stata del tutto fuori programma, bastava semplicemente decidere di stare più attenti per eliminarla dalle nostre vite irrimediabilmente.
«In quanto a questo solo voi potete rispondere. Come pensate che avreste reagito sapendo della gravidanza, che se non sbaglio, era alquanto imprevista? Prima di affrontare quel viaggio dovreste premunirvi di un modo per poter cancellare la memoria di tutti coloro che hanno visto la bambina».
«Potresti creare una pozione della memoria?». Emma lo guardò fremendo.
«Potrei ma servirebbe a livelli industriali, occorrono tempo e soprattutto molti ingredienti per poterne creare in così grande quantità».
«Li troveremo quello non è un problema», acconsentii.
«Sì d’accordo. Mettiamo il caso che voi abbiate la pozione e con la bacchetta riusciate ad aprire un portale; si pone un altro problema. Siete proprio sicuri di riuscire ad arrivare nel tempo giusto? Ci sono infiniti tempi in cui potreste cadere. Anche se desiderate riabbracciare Edith ed avete più o meno capito in che periodo si trova la bambina, voi potreste tornare in un momento antecedente all’arrivo di Edith in quel mondo, o per meglio dire in quel tempo. Capite ciò che intendo? Voi ricordate il passato che avete vissuto ma questo è inevitabilmente cambiato da quando lei ci è tornata. Riuscire ad arrivare in un passato che voi non ricordate, perché non l’avete vissuto come tale, è quasi impossibile».
«Stai dicendo», sussurrò Emma, «che se noi usassimo un portale molto probabilmente finiremo in una dimensione in cui Edith non c’è?».
«Questo non lo posso saper con certezza, ma le probabilità di raggiungerla tramite un portale non sono dalla vostra parte». Fu come se il cuore mi si fermasse. Durante tutto il suo discorso avevo trattenuto il fiato non volendo credere al suo scetticismo. Il mio corpo urlava che non poteva essere vero, che lui stava mentendo. Solo alla fine, dopo aver ascoltato tutta la sua spiegazione, compresi l’amara verità delle sue parole.
«E allora come facciamo a portarla a casa?», domandai sull’orlo della disperazione.
«Non lo so». Erano solo tre parole ma erano in grado di gettarmi nello sconforto più totale, soprattutto se erano dette da uno che sapeva sempre tutto. Notai la stessa tragedia anche negli occhi di Emma. Era la fine di tutte le nostre più rosee speranze.
«No!». Sbattei il pugno contro un armadio vicino a me, rischiando anche di romperlo. Ma non aveva importanza, in quel momento avrei solo voluto spaccare tutto.
«Killian». La mano di Emma si posò sulla mia, mentre i suoi occhi verdi mi squadravano. Come diavolo faceva a non crollare anche lei in un momento del genere? Forse quella era la nostra forza: almeno uno dei due riusciva a stare in piedi quando l’altro sprofondava. Ci sostenevamo a vicenda.
«Desidero solo far tornare Edith a casa. Io non voglio altro», sospirai. «Desidero solo riabbracciare nostra figlia». L’effetto che le mie parole crearono sul volto di Emma fu del tutto inaspettato. I suoi occhi si illuminarono e la sua bocca si spalancò.
«La stella dei desideri», sussurrò.
«Cosa?». La guardai non capendo. C’era forse un altro modo?
Si voltò verso Tremotino. «Hai detto che raggiungerla con un portale è impossibile. Però se ci fosse un modo per poterla riportare qua senza dover affrontare un viaggio nel tempo?».
«Cosa avevi in mente?». Almeno non ero l’unico a non capire cosa intendesse.
«Elsa quando è stata qui, ha usato la stella dei desideri per poter riabbracciare sua sorella. Anna e Kristoff sono stati portati del nostro mondo grazie al suo desiderio. Ora se noi potessimo esprimere il desiderio, non che Edith torni a casa perché comunque rischieremo di perderla lo stesso, visto che lei ha già modificato il passato, ma se desideriamo che non sia mai tornata indietro nel tempo?». Le sue parole uscivano con foga, tanto era lo slancio di entusiasmo che provava nell’esprimere quella idea.
«Potrebbe non essere mai scomparsa», mi illuminai. «Credi che la stella potrebbe essere così potente?».
Fu Gold a rispondermi. «Quella è magia di luce, non ne conosco la potenza ma potrebbe funzionare. Dovrete esprimere il desiderio in maniera molto precisa e dovrà essere intenso. Non posso darvi però la certezza che questo sia il metodo giusto, potrebbe risultare inefficace come gli altri».
«Beh non importa», tagliò corto Emma. «Tu ci stai dando una speranza, che certe volte è molto più potente di ogni altra cosa». Quando parlava così sembrava proprio uguale a sua madre.
«Allora cosa aspettiamo?», fremetti di impazienza. «Dobbiamo solo riuscire ad andare ad Arendelle e chiedere ad Anna di poter usare la sua collana. Non credo che ce lo vieterà se le spieghiamo la situazione».
«Non è così semplice», rifletté Emma. «Ovviamente il desiderio per essere intenso dovrà essere espresso da qualcuno che sia molto legato ad Edith; però ricordo come funziona la stella: solo un cuore completamente puro può usarla e purtroppo né io né te rientriamo in questa categoria».
«Ma io sì». Una voce alle nostre spalle ci fece voltare di scatto. Sulla soglia del negozio la figura di un ragazzone alto e magro si stagliava chiara ai nostri occhi.
«Henry! Che diavolo ci fai qui?».
 
 
Angolo dell'autrice:
Buona domenica a tutti! Ecco a voi un altro capitolo, che è anche venuto leggermente più lungo degli altri!
Nel presente Edith scopre finalmente capisce cosa è successo, così come Emma e Killian la scoprono la verità su di lei e sul suo arrivo. Nel futuro dopo tante risposte negative si riaccende la speranza di poter riabbracciare la figlia il più presto possibile.
Come sempre vi ringrazio di tutto l'affetto che dimostrate per la mia storia! Leggere le vostre recensioni o anche solo vedere quante persone stanno seguendo i miei aggiornamenti mi riempie di gioia!
A presto! Un abbraccio
Sara
 

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Capitolo 6
*** 6. Arrivi e partenze ***


6. Arrivi e partenze
 
Future time
«Henry! Che diavolo ci fai qui?». La figura di mio figlio si stagliò nitida dalla luce che entrava dalla porta. Non ero mai stata così contenta di vederlo come in quel momento ed anche così sorpresa.
«Tu dovresti essere al college», balbettai. «Dovresti essere a New York».
«Anch’io sono felice di vederti mamma». Mi venne incontro e mi abbracciò goffamente, mentre stringeva la mano ad Hook, in un gesto che mi ricordava quanto avessero legato in quegli anni.
«Non mi hai risposto», ribattei quando mi lasciò andare. «Cosa ci fai qui?».
«Mary Margaret ha avuto la brillante idea di dirgli tutto ieri sera al telefono». Regina era entrata subito dietro di lui, ma io ero troppo presa da Henry per notarla. «Mi sarebbe parso strano che sapesse mantenere un segreto».
«Beh la nonna ha fatto bene», tagliò corto lui. «Appena ho saputo di Edith, ho preso il primo volo e sono arrivato a Storybrooke poco fa».
«Regina ha ragione, dovevi rimanere all’università. Dovresti seguire le lezioni come tutti i tuoi coetanei, non pensare a magie e a viaggi nel tempo». Mi adombrai: sarebbe mai stato per una volta semplicemente Henry, e non “l’Henry i cui parenti sono tutti personaggi delle favole”?
«Mamma sono l’Autore come puoi anche solo pensare che io abbia una vita normale?».
«Almeno io ed Emma possiamo sperarci», intervenne Regina al mio posto.
«Comunque passiamo alle cose serie». Lasciò cadere il discorso e si voltò verso Gold. «Nonno pensi davvero che la stella dei desideri possa funzionare? Ho sentito che ne stavate parlando».
«Beh, come ho detto a tua madre e al pirata, non possiamo saperlo con certezza; però come si dice, tentar non nuoce».
«E pensi che io sia in grado di poter esprimere il desiderio? Se sarò io a chiederlo potrà avverarsi?».
«Non vedo come possa esserci candidato migliore. Ci vuole una persona col cuore puro e tu rispecchi in pieno questa categoria».
«Allora che aspettiamo!». Henry si illuminò in volto. «Basta solo riuscire ad andare ad Arendelle da Anna ed Elsa».
«Il problema più grosso sta proprio qui», intervenne Killian. «Come sempre i portali non sono facili da trovare».
«Potremo chiedere aiuto ad Ariel», propose Henry. «Le sirene possono viaggiare tra i mondi. Le chiederemo di riferire un messaggio ad Anna e di portarci la collana».
«Forse», dissi non del tutto convinta. «Comunque preferirei parlare ad Anna ed Elsa di persona. Sono preoccupata per i poteri di Edith, ho come il presentimento che adesso abbia ancora più difficoltà a gestirli».
«Perché pensi questo?». Killian si avvicinò a me, sfiorandomi il braccio con la mano.
«Boh è solo una sensazione; però, ho paura che dopo aver usato così tanta magia per poter tornare indietro nel tempo non riesca più a contenerla».
«E credi che Anna ed Elsa potrebbero aiutarci?». Mi scrutò perplesso, sicuramente tentando di seguire il filo dei miei pensieri.
«Loro o i Troll delle Rocce».
«Mamma ti ricordi, vero, che i Troll delle Rocce non hanno fatto altro che mandare i genitori di Elsa ed Anna stessa da Tremotino?».
«Ed io», aggiunse Gold, «non posso fare nulla se non bloccare la sua magia, come con Zelena».
«Non la priveremo della sua magia», rispose Killian in malo modo. Intrecciai la mano alla sua, facendogli capire che ero pienamente d’accordo.
Forse era davvero inutile andare ad Arendelle personalmente e la mia era solo una pretesa che ci avrebbe complicato la vita. Per una volta avrei dovuto lasciare perdere l’istinto e scegliere la strada più semplice.
«Se vuoi davvero andare là personalmente», intervenne Regina, «troveremo una soluzione».
«No», sospirai. «Ci vorrebbe troppo tempo e voglio solo riabbracciare mia figlia il prima possibile».
«Non necessariamente», ribatté una nuova voce. Belle uscì dalla porta che dava sul retro. «Scusate non avevo intenzione di origliare»
«Belle!», balbettai sorpresa.
«Cosa intendi dire?». Henry le si avvicinò fissandola incuriosito. Sia io che Killian ci accostammo di più al bancone, mentre tutti aspettavamo con ansia la sua spiegazione.
«Beh tempo fa ho fatto delle ricerche in biblioteca; ero incuriosita dal fatto che le sirene riuscissero a viaggiare tra i mondi. Così ho scoperto che sono in grado di aprire dei portali nella profondità del mare dove solo loro possono sfruttarli. Ora questo è vero fino ad un certo punto: si tratta pur sempre di portali, che possano pertanto essere attraversati da chiunque».
«Belle per favore arriva al punto», fremetti.
«Ora se riuscissimo ad incantare la tua nave affinché riesca a viaggiare sott’acqua», e dicendolo si voltò leggermente verso Killian per potersi rivolgere direttamente a lui, «Ariel potrebbe aprire il portale e tu saresti in grado di navigarci attraverso».
«Una specie di sottomarino!», proruppe Henry entusiasta.
«Un cosa?». Hook lo fissò per un attimo perplesso per poi rivolgersi a Gold. «Possiamo incantare la Jolly Roger come ha detto Belle?».
«Penso di poterti rispondere io pirata», intervenne Regina. «Credo di conoscere un incantesimo che fa al caso nostro. Emma credi di poterlo imparare così da riuscire a rifarlo quando dovrete ritornare a casa?». Beh era ovvio che potevo impararlo! Era qualcosa che mi permetteva di andare a salvare la mia bambina e mi dava anche la possibilità di rivedere Anna ed Elsa e consultare i Troll delle Rocce. In fondo, non potevamo sapere l’effetto che avrebbe avuto il desiderio sulla nostra realtà, era meglio essere previdenti e cercare di mettere insieme più informazioni possibili.
«Certamente», esultai. «Questa è la soluzione migliore».
Così ci dividemmo: io e Regina andammo alla sua cripta per studiare l’incantesimo, mentre Henry, Killian e Belle si occuparono di richiamare Ariel per chiederle aiuto.
Per una volta il piano era semplice e chiaro: Ariel, non appena informata della faccenda, sarebbe andata ad avvisare Anna ed Elsa del nostro arrivo specificando soltanto che si trattava di una questione della massima urgenza; potevamo benissimo rimandare a dopo le spiegazioni. Una volta compiuta la sua missione sarebbe tornata per aprirci il portale e sarebbe rimasta nei paraggi per aiutarci anche per il viaggio di ritorno. Una volta arrivati, Henry avrebbe usato la stella dei desideri, chiedendole di far sì che Edith non fosse mai andata indietro nel tempo. Non avevo idea di cosa sarebbe successo dopo, ma non volevo preoccuparmene al momento. Speravo solo che la stella funzionasse e che io e Killian potessimo riabbracciare la nostra bambina nel giro di ventiquattro ore. Dopo avremo avuto tutto il tempo di preoccuparci per la sua incredibile magia.
Con estrema facilità le ore passarono una dietro l’altra e presto fu tutto pronto. Quasi non mi accorsi dello scorrere dei minuti; mi ritrovai solamente sul molo dove era attraccata la Jolly Roger, dopo aver imparato l’incantesimo, in procinto di partire. Henry stava salutando Regina un po’ più in là, mia madre e mio padre mi stavano augurando buona fortuna, mentre Killian era già al timone. Una volta a bordo mi avvicinai a lui, che fu subito pronto ad accogliermi tra le sue braccia, incastrandomi tra il suo petto e il timone.
«Ce la faremo Swan», mi sussurrò all’orecchio. «Edith sarà con noi tra poco».
«Lo spero». Appoggiai la nuca sulla sua spalla, lasciando che lui mi coccolasse. Mi posò un bacio sulla guancia per poi scostare i miei capelli, che arrivavano appena a sfiorarmi le spalle, per poter proseguire a baciarmi lungo il collo. La sua mano involontariamente si posò sulla mia pancia facendomi aderire contro di lui.
Il mio cuore incominciò a battere all’impazzata, ricollegando quel gesto del tutto casuale a quello protettivo che era abituato a compiere quando aspettavo Edith. In quel momento fui tentata di dirgli tutto e di abbandonare così il mio proposito di segretezza. Non mi piaceva nascondergli le cose e quale momento migliore di quello per dirgli la verità? Sarebbe stato felice e non mi avrebbe impedito di certo di affrontare quel viaggio. Ormai avevamo il nostro obiettivo ed eravamo vicini alla meta.
«Killian», iniziai. «Senti c’è una cosa che volevo dirti».
«Cosa tesoro?». Le sue labbra calde mi sfiorarono l’orecchio.
«Io…».
«Eccomi possiamo andare». Henry comparve impedendomi di finire la frase. «Siete pronti?».
«Certo». Killian si staccò da me lasciandomi andare, mettendo fine a quello che sarebbe stato un momento perfetto per dirgli tutto.
«La mamma mi ha detto di dirti che sarebbe meglio se lanciaste l’incantesimo insieme, almeno potrai fare pratica».
«Sì ovvio». Così dicendo mi allontanai sfiorandomi la pancia. Non ero mai stata scaramantica, ma forse quello era un segno che mi diceva di continuare a tacere, almeno per un altro po’. Un giorno in più o un giorno in meno che cosa cambiava? Killian aveva comunque parecchi mesi per abituarsi all’idea di diventare padre di nuovo.
Mi affacciai dal parapetto della nave, in modo da poter vedere sia Ariel dentro l’acqua, che Regina sul molo. Ad un mio cenno della testa la sirena si immerse mentre io e Regina iniziammo a circondare la nave con il nostro potere.
Anche se negli ultimi tempi non ero più abituata ad usare assiduamente la magia, avevo notato con piacere che i miei poteri rispondevano più forti che mai. Ne avevo passate talmente tante che riuscire a gestire un incantesimo del genere era un gioco da ragazzi.
Ben presto la nave fu circondata da una bolla di magia e iniziò ad affondare nell’acque scure del porto. Tornai da Killian che al timone stava guidando la Jolly Roger verso l’oceano più profondo, mentre Henry si occupava di vele e sartie.
«Adesso», scherzò vedendomi tornare al suo fianco vicino al timone, «possiamo dire che la Jolly ha affrontato qualsiasi tipo di viaggio. Ha volato, ha navigato, le mancava solo di nuotare sott’acqua».
«Per non parlare di portali, seminare sortilegi, rimanere intrappolata in una bottiglia», scherzai.
«Beh ne ha vissute di tutte, ma è ancora una brava ragazza. Va che è una bellezza». Sorrisi del suo modo di considerare la nave quasi come una persona. Quando era al timone Killian ritornava ad essere un ragazzino. Era il suo ambiente e sapevo anche che navigare un po’ gli mancava. Non l’avrebbe mai ammesso, perché quello che aveva guadagnato era in fondo molto di più, però sapevo che gli mancava l’ebbrezza di qualche viaggio in mare. Mi ripromisi, che una volta finita quell’avventura, ci saremmo concessi una vacanza in mare.
«Lo sai che è la magia che la spinge», gli feci notare. «Non ci sono venti qua sotto».
«Appunto», ribatté col suo sorriso malizioso. «Ci vuole un signor Capitano per portare una nave senza vento».
«Ecco Ariel!», gridò Henry all’improvviso. «E guardate là». Davanti a noi si apriva un gigantesco portale, esattamente uguale ai tanti attraverso cui ero passata. Il mare sembrava come risucchiato da quel profondo vortice, trasportando l’acqua e tutto ciò che vi era dentro chissà dove.
Vidi Ariel voltarsi per controllare che fossimo esattamente alle sue spalle.
«Siete pronti?», chiesi retoricamente. La nave si mosse, come per darmi una risposta, entrando nel flusso del vortice e facendo sì che fosse la corrente a trascinarla nell’occhio di quella spirale.
«Arendelle stiamo arrivando», mormorai poco prima che il portale ci risucchiasse.
 
Present day
Finalmente quella pesante giornata era giunta al termine. Avevamo scoperto tutta la verità su Edith ed era stata a dir poco sconvolgente. Dovevamo parlare di un bel po’ di cose e soprattutto dovevamo decidere come comportarci con lei.
Per il momento avevamo stabilito che la piccola rimanesse là nel loft, sfruttando il letto di Henry, che avrebbe continuato a dormire da Regina. Lui, d’altra parte, era stato felicissimo di conoscere la sua futura sorellina, anche se lei aveva un po’ di timore nei suoi confronti, probabilmente vedendolo molto più piccolo rispetto al suo fratellone del futuro.
Per la tranquillità di Edith avevamo anche stabilito che Killian si trasferisse, anche se momentaneamente, da noi. Mio padre aveva storto il naso quando avevo proposto ad Hook di dormire con me nella mia camera. Lo sguardo che gli avevo lanciato l’aveva probabilmente fatto desistere dal protestare. Ero più che maggiorenne e potevo benissimo decidere se dormire con il mio uomo. Sapeva che io e Killian eravamo intimi, era ovvio visto che avremo concepito una bambina nel giro di un mese; ciò che non sopportava era il fatto che questa intimità si svolgesse proprio sotto il suo tetto.
Comunque alla fine nessuno aveva osato ribattere; d’altronde Killian si era dimostrato l’unico a saper calmare la piccola e non poteva essere lontano in caso di necessità. L’attaccamento che Edith dimostrava nei suoi confronti mi lasciava senza parole; però, ancora più sconvolgente era che quell’affetto fosse reciproco, nonostante l’avesse conosciuta solo da un paio di giorni.
Così quando rientrai in camera, con indosso solo una lunga maglia che mi serviva da pigiama, trovai il mio pirata personale disteso sul mio letto. Avevamo molto di cui parlare ma sicuramente averlo lì era un grosso incentivo per lasciar perdere le chiacchiere.
«Bene, finalmente soli», sospirai chiudendo la porta. Mi appoggiai contro il legno per osservare meglio la scena: aveva indosso solo i pantaloni del pigiama ed era tremendamente sexy. Come diavolo faceva ad essere così dannatamente attraente? Di solito un uomo con un uncino al posto della mano non avrebbe dovuto gridare la parola “sesso” da tutti i pori.
«Già Swan, finalmente». Il suo sguardo mi scrutò da capo a piedi esattamente come fece il mio.
«Dormi così?», balbettai. Come avrei fatto a chiudere occhio con lui accanto così tremendamente invitante?
«Beh sì, ti da fastidio?». Alzò un sopracciglio con fare malizioso.
«No certo che no. Perché dovrebbe?». Tentando di tenere a freno la mia libido, mi sedetti sul letto incrociando le gambe.
«Edith dorme?», mi domandò accarezzandomi il piede con la mano.
«Sì, era stanca». Chi non lo sarebbe stato dopo aver usato tutta quella magia?
«Credi che sapremo gestirlo?». Sapevo che si riferiva al potere immenso della piccola.
«Intendi adesso o nel futuro?». Mi sdraiai anch’io, prendendo posto accanto a lui. Killian aprì le braccia per permettermi di accoccolarmi sul suo petto, in un gesto quasi automatico.
«In entrambi i casi».
Ci pensai un po’ prima di rispondere. «Non credo che sia una cosa facile da gestire. D’altronde se avessimo avuto una soluzione Edith non sarebbe arrivata qua da noi. È sempre un problema non riuscire a controllare la propria magia. È una parte integrante di lei e senza di essa non sarebbe più la stessa, ma d’altra parte è pericolosa non solo per noi ma anche per lei».
«Ha solo sei anni...». Il problema era proprio quello: era troppo piccola. Era stato difficile anche per me riuscire ad incanalare la magia nel modo giusto, figurarsi per lei che aveva molte più potenzialità di quelle che avevo io e per di più controbilanciate da una così scarsa esperienza.
«Dobbiamo trovare il modo di indirizzare la sua magia, Killian. Se riusciamo a farlo forse riuscirà anche a tornare a casa».
«Beh io non sono preoccupato della questione che riesca o meno ad andare a casa. Mi preoccupa più il fatto che se è successo una volta, potrebbe accadere di nuovo e chissà in che tempo potrà finire stavolta. E poi, anche se riuscisse a controllarla, davvero le faresti provare a viaggiare verso il suo tempo da sola? Senza l’assoluta certezza che lei riesca nell’impresa?». Aveva ragione, era solo una bambina ed era troppo pericoloso.
«Affrontiamo un problema per volta», suggerii. «Troviamo un modo per insegnarle ad usare correttamente la magia. Anche se nel futuro non ci sono riusciti, non è detto che noi falliremo».
«Prima mi ha confessato che non era mai riuscita a trasportarsi così lontano, o meglio così indietro. Al massimo era arrivata a cambiare stanza. Non credo che avesse mai tirato fuori così tanta magia come oggi».
«Forse i suoi genitori, cioè noi», ipotizzai, «hanno sottovalutato il problema. Questo potrebbe andare a nostro vantaggio».
«Sì forse…». Non continuò e cominciò invece ad accarezzarmi il braccio con l’uncino. Alzai la testa per osservarlo meglio: i suoi occhi erano scuri e fissavano un punto indistinto nella stanza. Conoscevo bene quello sguardo, era quello di quando aveva un pensiero per la testa a cui non voleva dar voce.
Mi girai sulla pancia, appoggiandomi sui gomiti. «Killian che c’è?».
«Sono solo preoccupato. Hai idea di come si possa sentire Edith? Come faremo ad essere i suoi genitori? E non fraintendere il senso delle mie parole; intendo come riusciremo a farle capire che la sua magia non è un male, che lei non è un mostro, e che noi l’amiamo incondizionatamente, non nonostante tutto, ma per tutto questo?».
«Le vuoi molto bene», affermai dando vita ad un pensiero che mi martellava la testa da quella mattina.
Puntò i suoi occhi dritti nei miei, rivelandomi la profondità del suo oceano. «Emma io non so come spiegarlo. È qualcosa più forte di me, io mi sento così legato a quella bambina come se la conoscessi da tutta la vita, come se l’avessi davvero vista nascere. È strano».
«No», lo corressi. «È dolce». Mi avvicinai per sfiorargli le labbra con le mie in un tenero bacio.
«È assurdo», sbuffò lanciandomi un mezzo sorriso.
«Beh chi l’avrebbe mai detto che il temibile Capitan Uncino fosse un tenero e amorevole padre?». La mia frase ebbe l’effetto che desideravo: spazzò via anche le ultime nubi che oscuravano il suo viso.
«Penso che domani dovrebbe andare a scuola», disse mentre io mi risistemavo di nuovo appoggiando la testa sulla sua spalla. «Stamani è stata dura convincerla a saltarla. Era così emozionata per il fatto di aver cominciato le elementari. Penso che rendere la sua permanenza qui più simile alla sua normale routine possa farle solo bene. Se cominciamo a privarla delle normali esperienze per via dei suoi poteri, inizierà davvero a pensare di essere un mostro».
«Sono d’accordo», acconsentii. «Sentirò mia madre cosa può fare».
Restammo di nuovo in silenzio ognuno nelle braccia dell’altro. Chiusi gli occhi per godere meglio dell’effetto che l’uncino procurava sulla mia pelle. Correva su e giù lungo il mio braccio, riscaldandomi fin dal profondo. Quanto mi era mancato! La nostra lite mi aveva decisamente fatto cambiare prospettiva su tutto. Mi ero resa conto di quanto significasse per me averlo accanto ogni giorno; non sarei più stata la stessa senza di lui.
«Credi che la stiano cercando?». La voce di Killian mi fece riaprire gli occhi.
«Sono sicura di sì», sussurrai. Conoscendo me stessa e anche lui, era ovvio che fosse così.
«E credi che siano riusciti a capire cosa le è successo?». Questa era una domanda più difficile.
«Non lo so», confessai sinceramente. «Non è una cosa facile da capire, non è una cosa che succede tutti i giorni. Però se la stanno cercando e sono sicura che sia così, allora capiranno presto la verità».
«Saremo disperati». Era passato di nuovo dal loro al noi. L’empatia che provava per tutta quella faccenda era davvero sorprendente. Però aveva ragione: l’Emma e il Killian del futuro dovevano essere molto più che disperati. Ricordavo bene l’angoscia che avevo provato quando Henry era stato rapito e portato sull’Isola che non c’è; ed allora almeno sapevo dove fosse mio figlio! Invece loro non potevano sapere con certezza dove fosse Edith e se stesse bene.
«Dobbiamo trovare un modo per comunicare», suggerì Hook all’improvviso. «Per riuscire a mandare un messaggio. Dobbiamo far sapere che lei è qui e che ci prenderemo cura di lei».
«Tu credi sia possibile?», domandai scettica. Se non era facile viaggiare nel tempo poteva esserlo mandare un messaggio?
«Non lo so, ma conosco qualcuno che potrà darci una mano». Vidi i suoi occhi scurirsi e temetti di sapere a chi si riferisse.
«Chi?», domandai pur conoscendo e allo stesso tempo temendo la risposta.
«Il Coccodrillo». Il suo sguardo divenne quasi impenetrabile mentre le sue labbra soffiavano fuori quella parola.
«Non pensi che possa essere pericoloso metterlo a conoscenza della situazione? Non è più il Signore Oscuro ma lo è stato per troppo tempo». Avrebbe davvero potuto rappresentare un aiuto o il rivolgersi a lui avrebbe esposto Edith a rischi maggiori?
«Non lo so. Ma che scelta abbiamo?». Abbassò la testa per riuscire a guardarmi meglio negli occhi. «Se c’è qualcuno in grado di riuscire a comunicare con i noi del futuro quello è proprio lui. Lo sai quanto vorrei evitarlo ma nessun altro a Storybrooke può darci una mano. Merlino è a Camelot e lui resta l’unico a cui possiamo rivolgerci».
«Credi che possa anche riuscire ad insegnare ad Edith a gestire la sua magia?».
«Non lo so. Però lo conosco ormai troppo bene, anche se non ci rivolgessimo direttamente a lui, sono sicuro che verrebbe a conoscenza della presenza e del potere di Edith. Allora perché non sfruttarlo a nostro vantaggio? Cerchiamo di trarne tutti i benefici possibili stando all’erta e aspettandoci un suo colpo basso in qualsiasi istante».
«Ricordi cosa è successo quando hai provato a sfruttarlo a tuo vantaggio?», gli rammentai titubante. «Stava quasi per ucciderti e ti ha usato come una marionetta per i suoi sporchi giochi».
«Lo so». Il suo sguardo divenne ancora più torvo e più scuro. «Ma questa volta lui non è più il Signore Oscuro ed io non sono solo. Affronteremo tutto insieme».
Mi voltai verso di lui e lo baciai chiudendo definitivamente la questione. Avremo chiesto aiuto a Gold, nonostante tutto quello che poteva comportare. In fondo aveva ragione lui: che altre alternative avevamo?
Intensificai il bacio godendo delle sue labbra sulle mie e del loro dolce sapore. Lasciai che le mie mani vagassero sul suo petto mentre la mia lingua si intrecciava alla sua. Non avevamo avuto un momento di completa intimità da quando ci eravamo chiariti quella mattina ed io lo desideravo da morire.
«Tuo padre», sospirò tra un bacio e l’altro. «È di sotto».
«Shh». Lo baciai di nuovo, fregandomene di tutto il resto. In quel momento volevo solo quello: le sue labbra sulle mie, la sua mano sul mio corpo e noi due stretti assieme. Non volevo più lasciarlo andare.
All’improvviso, mentre eravamo presi ognuno dalla bocca dell’altro, la porta si spalancò. Ci staccammo immediatamente sentendo il cigolio inaspettato dell’uscio che si apriva. Ero pronta a rispondere male a chiunque fosse venuto a disturbarci, quando vidi Edith entrare a piedi nudi nella stanza. Aveva addosso una maglia di Henry, e questo mi ricordò che il giorno dopo avremo dovuto anche comprale qualche vestito.
«Edith!», dicemmo io e Hook contemporaneamente.
«Mi sono svegliata e non riesco più a riaddormentarmi», ci rivelò.
«Hai fatto un brutto sogno?», le chiesi mentre si avvicinava al letto.
«No, però posso dormire con voi nel lettone?». Quella domanda mi colse del tutto alla sprovvista. Guardai Killian che mi fece cenno di sì con la testa. Era spaesata e noi rappresentavamo in una certo qual modo i suoi genitori. Non c’era da sorprendersi del fatto che fosse venuta a cercarci.
«Certo». L’aiutai a salire e a sistemarsi in mezzo a noi. Edith si accoccolò sul petto di Killian, in una posizione in cui anch’io amavo stare. Mi distesi a mia volta vicino a loro, appoggiando la testa vicino a quella di Edith.
«Beh credo che adesso sia giunta l’ora di dormire», dissi spengendo la luce. E tanti cari saluti alla mia idea d’intimità con Killian.
Chiusi gli occhi, mentre un piccolo piedino mi sfiorava la gamba.
«Emma, Killian», ci chiamò nel silenzio. «Grazie».
«Di nulla. È un piacere», rispose Hook. «Adesso però dormi». Anch’io seguii il consiglio di Hook e lasciai che i miei occhi si chiudessero e la mia mente vagasse verso un sonno profondo. Mi addormentai con la consapevolezza che probabilmente non sarebbe stato poi così orribile avere per figlia una bambina dolce come Edith.  


Angolo dell'autrice:
Salve a tutti! Ce l'ho fatta ed eccco a voi un nuovo aggiornamento!
Questo capitolo è un po' di passaggio, non ci sono grandi rivelazioni ma mi serviva per collegarmi un po' con i prossimi. Nel futuro vediamo come riescono a raggiungere Arendelle, nel presente invece hanno deciso, anche loro, di chiedere aiuto a Gold.
Ringrazio sempre di cuore chi leggere e chi recensire! Mi date una grande spinta per continuare velocemente!
Spero di aggiornare presto. Un abbraccio,
Sara

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Capitolo 7
*** 7. La nostra unica alternativa ***


7. La nostra unica alternativa
 
Future time
Quando attraccammo ad Arendelle il sole era già alto. Il porto di quel paese straniero sembrava già in piena attività e sul molo una folla di gente stava creando parecchia confusione. Non avevo mai visitato quella terra ma sicuramente me l’ero aspettata con molto più ghiaccio, dato che era governata da una regina come Elsa.
«Metti questa». Killian mi passo una giacca più pesante, avendo notato che stavo rabbrividendo. Nonostante non ci fosse poi così tanto ghiaccio l’aria era molto più fresca rispetto a Storybrooke.
«Grazie», sussurrai infilandola.
«Per fortuna io ed Henry abbiamo pensato che potesse fare più freddo». Io non avevo neanche considerato l’idea che avessimo bisogno di vestiti o cose del genere, ma Killian mi conosceva bene e aveva preparato i bagagli anche per me.
«Pronti a sbarcare?». Henry comparve con addosso un giubbotto impermeabile e la sua immancabile sciarpa a strisce. Per quanto potesse essere vecchia continuava a metterla, quasi come fosse un portafortuna.
«Sì, andiamo». Lo precedetti giù lungo la scaletta in modo tale da essere la prima a mettere piede in quella terra lontana. In fondo ero davvero ansiosa di rivedere le mie vecchie amiche.
«Allora sono loro? Riesci a vedere se stanno scendendo? Cosa credi che sia successo? Oh quella è Emma! Emma siamo qua!». La prima cosa che mi giunse all’orecchio fu la voce squillante di Anna, proprio uguale a come la ricordavo. Quando alzai la testa, poggiando anche il secondo piede sulla banchina, vidi Anna, Elsa e Kristoff fermi ad aspettarci davanti alla nave. La confusione era probabilmente dovuta a tutta la folla che era accorsa per vedere cosa ci facesse là la famiglia reale.
«Emma!». Elsa mi corse incontro e mi abbracciò di slancio. Subito dopo anche Anna mi si gettò al collo, facendomi subito capire che non era per nulla cambiata. La sua spontanea sbadataggine era sempre la stessa.
«Che bello vederti!», esultò con il suo tono allegro. «Ti sei tagliata i capelli? Stai benissimo, se non fosse per il nuovo taglio si direbbe che tu non sia cambiata di una virgola. Da quando la sirena ci ha portato la notizia siamo al settimo cielo. Ovviamente visto il tono del messaggio non è proprio il sentimento più adatto in questo momento. Però quello che intendo dire è che anche se avete dei problemi siamo davvero felici di rivedere te e gli altri».
«Anna lasciala respirare», la rimproverò Elsa. «Comunque Anna ha ragione siamo molto felici di rivedervi e speriamo davvero di potervi aiutare». Notai solo allora che anche Killian ed Henry erano sbarcati e che erano intenti a parlare con Kristoff.
«Oh mio Dio», esclamò Elsa. «Quello è Henry? Oh Emma è così cresciuto!».
«Già», sospirai. «Sono cambiate molte cose da quando siete tornati nel vostro regno».
«Sì è così», confermò Anna. Solo allora notai che vicino alla gamba di Kristoff c’era un piccolo bambino che avrà avuto circa tre o quattro anni.
«È tuo figlio?», mormorai voltandomi verso di lei.
«Già sono cambiate molte cose, tranne il fatto che Elsa rifiuta qualsiasi pretendente le si presenti davanti e che se continua così resterà zitella per tutta la vita».
«Anna!», la rimproverò la sorella. Mi lasciai scappare un mezzo sorriso. Se fossi stata in un altro stato d’animo probabilmente sarei scoppiata a ridere, ma la continua angoscia che provavo per Edith mi impediva anche di compiere i gesti più naturali.
Elsa sembrò notare quel mio tormento. «Emma, salutiamo gli altri e andiamo verso il castello, così potrai spiegarci tutto. Abbiamo delle carrozze appena fuori dal porto».
«Grazie», mormorai stringendole la mano. Le lanciai uno sguardo riconoscente e mi avviai con lei verso gli altri.
 
Eravamo seduti ad un grande tavolo e stavamo cercando di spiegare quell’assurda situazione ai nostri amici. Killian stringeva forte la mia mano, mentre Henry tamburellava con le dita sulla tavola,  in un gesto che rilevava la sua impazienza.
«Quindi se ho capito bene vostra figlia è andata indietro nel tempo?», mi chiese Elsa.
«Sì, esattamente a sette anni fa», puntualizzai.
«E dire che i vostri genitori si preoccupavano per i poteri di Elsa!», esclamò Kristoff.
«Kristoff!», lo rimproverarono moglie e cognata.
«No ha ragione», intervenne Killian. «Ma a questo penseremo dopo. Adesso vogliamo solo riabbracciare la nostra bambina».
«Immagino, deve essere terribile». Lo sguardo di Anna cadde su suo figlio che stava giocando in un angolo della stanza. Anche se lei era madre, poteva solo immaginare come potessi sentirmi in quel momento.
«Sì ma non capisco come possiamo esservi d’aiuto», precisò Elsa.
«La stella dei desideri», dissi soltanto.
«La mia collana?». Anna mi guardò perplessa portando la mano al ciondolo che aveva al collo. Avevo notato subito che lo indossava, ma non avevo detto nulla. Prima dovevamo riuscire a spiegare tutta quella assurda situazione e solo dopo avremo potuto chiederle di prestarcela.
«Sì», ribadii. «Abbiamo pensato di poterla usare un po’ come hai fatto tu quando stavi cercando Anna a Storybrooke». Puntai il mio sguardo su Elsa per farle capire quanto fosse importante.
«Ho capito, volete che la stella esprima il vostro desiderio».
«Non è così semplice», precisò Killian. «Non possiamo semplicemente desiderare che torni da noi. Purtroppo lei non si trova in un’altra terra ma in un altro tempo».
«Abbiamo parlato con Tremotino», continuai, notando la smorfia che Anna fece sentendo quel nome. «Edith ormai ha cambiato il passato e se noi la riportassimo qui lasciando il passato così come è adesso, con i vecchi noi a conoscenza del fatto che presto avranno una figlia, questo potrebbe modificare anche il futuro. Ma se invece desideriamo che Edith non sia mai tornata indietro nel tempo, beh forse così può funzionare».
«Lo so che è complicato da capire», intervenne Henry. «Ma la storia che noi abbiamo vissuto potrebbe modificarsi se non cancelliamo la traccia di Edith dal passato. Per questo l’unico modo è desiderare che lei non sia mai tornata indietro nel tempo». Mio figlio forse era stato più comprensibile di quanto lo fossi stata io.
«Tremotino ha detto che funzionerà?», domandò Anna. «Non mi fido di lui».
«Nemmeno io se è per questo», acconsentì Killian, «ma non abbiamo molte altre possibilità».
«Comunque Gold… Tremotino, non ci ha dato la certezza che funzionerà ma è la nostra opportunità migliore, oltre all’unica che abbiamo. Un viaggio nel tempo sembra infattibile…».
«Per questo», continuò Henry, «vi preghiamo di lasciarci usare la stella, non vi chiediamo altro».
«Certo è ovvio che potete usarla». Anna si affrettò a togliersi la collana ed io sospirai di sollievo. Non che avessi temuto la possibilità di un loro rifiuto; sapevo perfettamente che sarebbero stati più che disponibili in quel senso. Ma finalmente non avremo più perso tempo in inutili spiegazioni e questo significava che il tempo che mi separava dallo stringere la mia piccola tra le braccia era agli sgoccioli.
«Tieni usala pure e riporta tua figlia a casa». Anna mi passò la collana che presi con mani tremanti.
«Purtroppo ricordo bene come funziona la stella dei desideri», puntualizzai. «Ci vuole un cuore puro affinché il desiderio si realizzi ed io ho scoperto da tempo di avere in me un po’ troppa oscurità».
«Per questo ci sono qui io». Henry si alzò e venne verso di me, prendendomi il ciondolo dalle mani. Lo strinse forte tra le sue, sentendo l’enorme responsabilità del gesto che stava per compiere.
«Aspettate un attimo», intervenne Elsa che era rimasta a lungo in silenzio. «Cosa succederà se la stella riuscirà ad esaudire il vostro desiderio?». Ecco la domanda da un milione di dollari: cosa sarebbe accaduto? Purtroppo non avevamo una risposta.
«Non lo sappiamo», confessai. «Non sappiamo come potrebbe modificarsi la realtà che adesso stiamo vivendo. È uno dei tanti punti interrogativi di questa faccenda».
«Nessuno può prevedere come un desiderio possa esaudirsi», puntualizzò Killian. «Noi vogliamo solo che la stella ci restituisca nostra figlia». Il tormento nella sua voce era evidente.
«Capisco che è una grossa incognita…».
Elsa mi interruppe prima che potessi continuare. «Tu ti sei fidata di me aiutandomi a cercare Anna, nonostante che da me dipendesse la salvezza di tutta la città. Io mi fido di te, non importa cosa accadrà dopo».
«Grazie», sussurrai con le lacrime agli occhi. Anche se in parte la mia commozione era sicuramente dovuta agli ormoni, la generosità di quel gesto era alquanto toccante.
«Allora cosa aspettiamo?», domandarono Anna e Kristoff insieme. Tutti ci voltammo verso Henry, che era rimasto in piedi a qualche metro di distanza da me. Mi alzai per posizionarmi al suo fianco; anche Killian mi raggiunse prendendomi la mano.
«Sai ciò che devi dire?», domandai per sicurezza.
«Certo mamma!», sbuffò.
«Allora fallo Henry». Killian aumentò la stretta sulle mie dita fremendo di impazienza.
«Okay». Henry prese un profondo respiro. «Io desidero che la mia sorellina Edith non sia mai tornata indietro nel tempo, ma che sia rimasta sempre con noi nella nostra epoca». Pronunciò la frase scandendo bene tutte le parole e stringendo forte la stella fra le mani.
E poi non accadde niente. NIENTE. Né luci, né rumori, né segnali che ci facessero presagire che il desiderio fosse stato esaudito.
«Perché non è successo nulla?». La voce di Killian era un misto tra rabbia e panico. «Henry prova ancora».
Henry annuì. «Stella dei desideri voglio solo che Edith non sia mai tornata indietro nel tempo. Ti prego… funziona! Devi funzionare». Ma ancora una volta non accadde niente. Eravamo rimasti esattamente gli stessi, lo stesso stupido gruppo di persone che sperava che uno stupido gioiello potesse risolvere i loro problemi.
«Forse lo ha esaudito e adesso Edith si trova a Storybrooke», ipotizzò Anna.
«No non è così», balbettai a stento.
«Quando ha esaudito il mio desiderio», spiegò Elsa. «Abbiamo sentito una forza straordinaria uscire dal ciondolo. Era la potenza della magia, adesso invece…». “Non c’è stato niente”, proseguii mentalmente.
«Non ha funzionato». Le lacrime cominciarono a rigarmi le guance, nonostante facessi di tutto per ricacciarle indietro.
«No!». Killian lasciò la mia mano per andare a tirare un pugno contro il muro. «No! Maledizione».
Henry mi avvolse in un suo goffo abbraccio lasciando che piangessi sulla sua spalla. «Mi dispiace tanto mamma».
«Non è colpa tua», sussurrai. «Tu ci hai provato, hai fatto tutto quello che potevi».
«Magari il desiderio era troppo difficile da realizzare anche per la stella», ipotizzò Anna. «Forse non ha così tanta magia».
«Non importa», rispose Killian scortesemente. «Avevamo riposto tutte le nostre speranze in quella maledetta stella. Invece adesso siamo punto e da capo: senza uno straccio di idea su come riabbracciare la nostra bambina». Dirlo a voce alta faceva sembrare quel dato di fatto più reale di quanto non lo fosse già.
«Potreste parlare con il Gran Papà», intervenne Kristoff. «Lui potrebbe darvi qualche aiuto, conosce tante cose, magari può indirizzarvi verso la strada giusta».
«È vero», si illuminò Anna. «I Troll delle Rocce sanno sempre un sacco di cose».
Mi staccai dalle braccia di Henry prendendo la stella dalla sue mani. «Credo che non ci resti altra alternativa». Riconsegnai ad Anna la sua collana. «Grazie lo stesso per questa».
«Beh adesso è tardi», disse Elsa. «Partiremo domattina, in modo tale da arrivare dai Troll il prima possibile. Vi ospiteremo per la notte e vi daremo tutto ciò che vi serve. Fate come se foste a casa vostra».
«Grazie», sussurrai andando verso Killian, che era rimasto in un angolo pieno di rabbia e disperazione. Presi la sua mano e lasciai che mi avvolgesse nel suo abbraccio, in un contatto che ci avrebbe confortato entrambi.
«Domattina io ed Elsa vi accompagneremo dal Gran Papà», confermò Anna.
«Ehi ed io?», protestò Kristoff.
«Qualcuno deve pur restare a palazzo e con il piccolo Scott. E poi devi badare a Sven: è troppo anziano per restare solo».
«Ma…».
«Niente ma! Allora è tutto deciso». Cercai di farmi contagiare dall’allegria di Anna, ma la batosta che avevamo appena ricevuto era troppo grande. Tutte le nostre speranze erano andate in fumo, così l’idea di poter riabbracciare Edith sembrava tornata solo un lontano miraggio. Cosa potevamo fare dopo che anche la stella ci aveva dato l’ennesimo colpo basso? C’era davvero qualcosa che potevamo fare per riabbracciarla? Ce l’avremmo mai fatta a riportarla a casa? Non volevo pensare alle risposte a quelle domanda.
«Killian», sussurrai al suo orecchio, in modo tale che solo lui potesse sentirmi. «Non voglio dover pensare stanotte, non voglio assolutamente pensare a niente».
«Certo amore». Mi posò un bacio sulla guancia, incrociando poi il mio sguardo. I suoi occhi mi chiedevano esattamente la stessa cosa: smettere di pensare anche se solo per poco. «Ho capito».
 
Present day
«Fatemi capire: perché mai credete che io possa o voglia aiutarvi?». Eravamo nel negozio di Gold ed anche se era l’ultima persona al mondo con cui volevamo stringere un accordo, era anche l’unica che forse poteva darci una mano.
«Perché sei stato il Signore Oscuro per molto tempo e probabilmente conosci la magia meglio di chiunque altro in questa città», fui costretta ad ammettere.
«Sta di fatto che la richiesta che mi fate è alquanto strana. Che motivo avete per voler comunicare con i voi del futuro?». Era stata un’idea di Hook quella di non accennare subito alla bambina, ma sapevo che uno come Gold non si sarebbe accontentato di una spiegazione campata per aria.
«Il motivo non ti riguarda», sbottò Killian.
«Beh ti sbagli caro. Se davvero volete convincermi ad aiutarvi dovrete essere molto più sinceri di così». Lanciai un’occhiata ad Hook che a sua volta mi fissò con la profondità del suo oceano. “Prima o poi lo scoprirà lo stesso”. Lui annuì dandomi il consenso per iniziare a raccontare.
Ci volle più tempo del previsto per spiegare quello che sembrava in effetti un evento impossibile.
«State davvero dicendo che questa bambina è stata capace di tornare indietro nel tempo?». Gold cominciò a passeggiare avanti e indietro davanti al bancone.
«Sì, sembra impossibile ma è così», confermai.
«Vi rendete conto che stando così le cose, la sua presenza ha alterato irrimediabilmente quello che doveva essere il vostro futuro? Quella che sta creando è una realtà molto fragile che potrebbe sgretolarsi da un momento all’altro».
«Che cosa intendi dire?». Killian lo guardava torvo ma cercava di mantenere un comportamento civile.
«È semplice pirata. Tra quanto più o meno hai detto che dovreste concepirla? Un mese, giusto? Beh non mi dite che non è passata per la testa di nessuno di voi due la possibilità di essere un po’ più accorti durante la vostra intimità?». Arrossii, non tanto perché stavamo parlando dei nostri rapporti sessuali con Tremotino, ma soprattutto perché io ero colpevole di quella accusa.
«Questo non ha importanza adesso», tagliò corto Killian. «Ce ne occuperemo in un secondo momento. Ancora non sarebbe dovuto comunque accadere niente».
«Infatti», mormorai cercando di vincere l’imbarazzo. «Puoi farci comunicare con i suoi genitori?».
«Dipende», sorrise beffardo. «Vogliamo fare un accordo?». Temevo quelle parole più di ogni altra cosa, ma non ero sorpresa del fatto che le avesse pronunciate.
«Cosa vuoi in cambio?», domandai in un sussurro.
«Niente di così impossibile. Voglio poter conoscere la bambina, dobbiamo investire sul futuro di una stella così rara e preziosa». Vidi Killian fissarmi per un attimo incerto. Ovviamente dovevamo comunicare con il futuro, ma questo era solo una parte di quell’aggrovigliata matassa. Sapevo che avremo dovuto rivolgerci comunque a lui per ottenere qualche informazione su come gestire la sua magia. Anche se speravamo che sarebbe bastato l’aiuto di Regina, entrambi sapevamo che non sarebbe mai stato sufficiente. Ritardare il possibile incontro di Edith con Tremotino era il nostro intento, sicuri che comunque i nostri noi futuri non sarebbero certo rimasti con le mani in mano. Accettare quella richiesta significava dare il tempo a Gold di studiare le sorprendenti potenzialità di Edith, e magari dargli la possibilità di sfruttarle a suo vantaggio.
D’altra parte era anche vero che senza di lui avremmo fallito da tutti i punti di vista, dal comunicare al riuscire ad insegnare alla piccola ad incanalare la sua magia.
«D’accordo», dissi infine consultando lo sguardo di Killian. «Potrai vederla».
«No mia cara, ho detto conoscerla non vederla. Voglio poter esaminare e studiare di persona la sua magia».
«Non è certo uno dei tuoi tanti gingilli», fremette Killian. «Non la lasceremo di certo nelle tue sporche mani».
«Beh credete davvero di riuscire a controllarla da soli? Potete non fare questo accordo oggi ma sono sicuro che tornerete da me domani e cosa vi dice che non vi chiederò di più?». Purtroppo aveva ragione ed aveva anche il coltello dalla parte del manico.
Killian mi guardò e capì dal mio sguardo che non c’erano molte altre alternative. «D’accordo», disse infine. «Però voglio la tua parola che non ti azzarderai a toccarla con un dito».
Tremotino sorrise beffardo. «Hai la mia parola pirata. Allora abbiamo un accordo?».
«Sì», mormorai. «Quindi tu puoi aiutarci?».
«Si dà il caso che abbia proprio quello che fa al caso vostro». Così dicendo andò nel retrobottega ritornando subito dopo con uno specchio in mano.
«Questo specchio», ci spiegò. «È in grado di poter mostrare il luogo natale di ogni persona, o per meglio dire il luogo della nostra infanzia a cui siamo più affezionati».
«E come potrebbe aiutarci?», domandai perplessa.
«È molto semplice. Vedi mia cara se tu usassi questo specchio molto probabilmente vedresti qualche casa famiglia dove hai qualche ricordo piacevole». Feci una smorfia: probabilmente allora non avrei visto granché guardando in quello strano oggetto. «Ma la principale peculiarità di questo semplice manufatto è che mostrerebbe esattamente quel luogo come è in questo preciso momento».
«Continuo a non capire». Come avrebbe potuto aiutarci a comunicare? Sembrava più qualcosa che ci avrebbe aiutato a vedere.
«Abbi pazienza e vedrai che presto ti sarà tutto chiaro. Questo specchio non è tanto legato al tempo ma è molto più legato alla persona che lo usa. Ora la bambina in questo tempo non è ancora nata quindi cosa mai potrebbe vedere se vi guardasse attraverso? Se lo specchio avesse un inquadramento temporale probabilmente non vedrebbe niente, ma non è così. Essendo estremamente dipendente dalle emozioni di chi lo sfrutta, sono convinto che lo specchio mostrerà un luogo caro alla bambina esattamente come dovrebbe essere, non tanto adesso, ma nel suo tempo. Sono stato abbastanza chiaro?».
«Stai dicendo che se Edith guarderà in quello specchio vedrà probabilmente casa sua nel 2022?», domando Killian confuso aggrottando la fronte. «Ma anche se fosse come potrebbe farci comunicare?».
«Prima di tutto sono sicuro che potrà mostrare un posto a lei caro nel 2022». Probabilmente sarebbe stata casa sua, ero riuscita a leggere nello sguardo della piccola fin troppa nostalgia di quella che lei chiamava “casa nostra”.
«Secondo», continuò Gold, «lo specchio ha un’altra potenzialità: non solo mostra quel luogo ma se parlerete allo specchio ciò che direte potrà essere udito dall’altra parte e voi potrete ovviamente sentire le loro risposte». Quella sì che era una  potenzialità. Era esattamente ciò che ci serviva!
«Quindi basterà far usare lo specchio ad Edith per riuscire a comunicare!», esultò Killian.
«Sì ma noi potremo vedere ciò che lo specchio le mostra oppure dovrà essere lei a dover far tutto, compreso il dover recapitare il messaggio?». Volevo capire bene tutte le sfaccettature prima di esultare definitivamente.
«Se voi le terrete la mano potrete vedere ciò che vede lei e parlare al suo posto. Dovrete solo aspettare che compaia qualcuno che possa ascoltare il vostro messaggio».
«Quindi Edith dovrà solo specchiarsi?», domandai infine.
«Per farlo funzionare occorre una lacrima della piccola, ma credo che troverete il modo di ottenerla facilmente». L’idea di far piangere Edith non mi andava a genio, ma sicuramente una lacrimuccia era un prezzo ragionevole per quello che lo specchio poteva offrire.
Puntai lo sguardo su quel potente oggetto e poi fissai Killian. Potevamo prenderlo o dovevamo prima portare Edith da lui? Sapevo che avrebbe fatto valere la nostra parte del patto.
Tremotino sembrò capire il mio dubbio. «Prendetelo pure, vi aspetto domani pomeriggio da Granny per conoscere la piccina. Come potete vedere ho anche l’accortezza di scegliere un luogo neutrale per il nostro primo incontro, in modo tale che la piccola Edith non abbia l’impressione di sentirsi sottopressione». Feci una smorfia e notai Killian fare lo stesso. Oramai, però, avevamo un accordo e potevamo solo stare attenti alle conseguenze che questo avrebbe comportato. Senza più indugiare presi lo specchio e uscii dal negozio seguita da Killian.
 
Eravamo seduti sul divano nel salotto di casa mia. Edith era appena tornata da scuola; mia madre era riuscita ad inserirla, anche se con un po’ di preoccupazione, nella sua classe che per fortuna era una prima. Una volta a casa le avevamo più o meno spiegato cosa avrebbe fatto lo specchio, che adesso era poggiato sulle sue ginocchia.
«Davvero con questo potrò vedere la mamma e il papà?», ci chiese e gli occhi le si illuminarono pronunciando quelle parole. Il suo sguardo era così dannatamente uguale a quello di Killian quando mi guardava emozionato.
«Beh solo se saranno nel luogo che lo specchio ti mostrerà. Forse dovremo aspettare un po’ ma poi compariranno. E potremo parlare con loro, tu potrai parlare e loro potranno sentirti; in più se ci darai le manine anche noi potremo farlo».
«Che cosa mi mostrerà lo specchio?», ci chiese puntando lo sguardo prima su di me e poi su Hook.
«Il luogo della tua infanzia a cui sei più affezionata», rispose Killian accarezzandole la testa.
«Okay, voglio farlo». Sapevamo che sarebbe stata d’accordo: in fondo avrebbe avuto la possibilità di rivedere i genitori. E noi ci saremo visti nel futuro: chissà come eravamo cambiati…
«Ci serve solo una tua lacrima tesoro», mormorai sfiorandole una guancia.
«Ci dispiace tanto farti piangere ma non c’è altro modo». Hook la guardò così dolcemente da farmi sciogliere come non mai. Sarebbe stato davvero così dolce con nostra figlia? Edith non avrebbe potuto avere un padre migliore.
«Va bene». La sua vocina era solo un sussurro. Aggrottò la fronte, stringendo gli occhi forte e stropicciandoseli con le mani. All’inizio non accadde nulla ma dopo un po’ una lacrima le rigò la guancia. Mi affrettai a raccattarla con lo specchio e a  riappoggiarlo sulle sue gambe, prendendole la mano; anche Killian, dall’altro lato, teneva l’altra stretta tra le sue dita.
Edith guardò nello specchio, sbattendo le ciglia per riuscire a mettere a fuoco. All’inizio non apparse altro che il suo riflesso, ma poi un’immagine cominciò a delinearsi all’interno della cornice.
C’era un bancone da cucina con una teiera appoggiata sopra, più in là un tavolo con delle sedie. Vedevamo la stanza dall’alto ma aveva un’aria alquanto famigliare.
«Aspettate», esclamai, «ma è questa casa!». Davvero era quello il luogo a cui era più affezionata?
«Sì è casa della nonna», confermò Edith. Poi all’improvviso due figure comparvero nella stanza: riconobbi subito di chi si trattava. Non erano cambiati di una virgola.
«Tu credi che riusciranno a riportarla da noi?», stava chiedendo un David che doveva avere circa sette anni in più di quello che conoscevo.
«Beh lo spero. La speranza è il primo passo verso il lieto fine». E mia madre non era evidentemente cambiata di una virgola.
«Nonni!», esclamò Edith emozionata. Dalla sua voce si capiva che era felice ma anche che ne sentiva molto la mancanza.
«Cosa è stato?». David e Mary Margaret alzarono la testa guardandosi intorno confusi.
«Lo hai sentito anche tu?», chiese mia madre. «Sembrava…».
«Edith», concluse l’altro.
Pensai che quello fosse il momento adatto per intervenire. «David, Mary Margaret riuscite a sentirmi?».
«Emma?». Entrambi si guardarono intorno ancora più confusi.
«Come è possibile? È appena partita». Mio padre sembrò cercarmi non riuscendo a capacitarsi della voce che aveva appena sentito. Dalla sua frase trassi l’informazione che io non ero più a Storybrooke, probabilmente stavo seguendo un piano per ritrovare mia figlia.
«Mamma, papà non state impazzendo», continuai. «Non potete vedermi ma riuscite comunque a sentirmi».
«Emma tesoro sei tu?», domandò Mary Margaret.
«Sì e no. Io sono Emma ma non sono quella che pensate: sono l’Emma del 2015». A pronunciarlo suonava molto più strano di quanto era sembrato nella mia testa.
«Mary Margaret, David», intervenne Killian. «Noi siamo Emma e Hook del 2015 e siamo qui con Edith. Abbiamo trovato un modo per comunicare».
«Oh mio Dio! Edith è lì?». Mia madre si agitò cominciando a camminare in su e giù per la stanza.
«Nonna calmati», intervenne la piccola. «Io sto bene».
«Edith!», gridarono entrambi sentendo la sua voce.
«Anche se non potete vederci, noi possiamo vedere voi», spiegai. «Comunque Edith è qua e sta bene. Volevamo rassicurarvi almeno su questo».
«Quindi è davvero tornata indietro nel tempo», esclamò David.
«Siete riusciti a capirlo, giusto?», chiese Killian.
«Sì sei stato tu a capirlo, cioè l’Hook del futuro». Anche Mary Margaret aveva qualche difficoltà a cercare di distinguere tra presente e passato. «Ma Edith sta bene?».
«Sì nonna», rispose. «Emma e Killian si prendono cura di me, non ti devi preoccupare. Ma dove sono papà e mamma?».
«Sono partiti, stanno cercando un modo per riportarti da noi». Come avevo immaginato, avremo affrontato la situazione di petto cercando ovunque una possibile soluzione.
Edith fissò lo specchio delusa, probabilmente perché aveva davvero sperato di poterli almeno vedere. Killian le sfiorò la guancia con l’uncino percependo quel suo cambiamento d’umore.
«Mary Margaret puoi comunicare loro che Edith sta bene e che io e Killian ci prenderemo cura di lei fino a che non troveranno la maniera per riabbracciarla?». A quel punto, se noi nel futuro stavamo cercando un modo per tornare nel passato era inutile affannarsi a fare altrettanto. Dovevamo solo aspettare che riuscissero a trovare il modo giusto per raggiungerla.
«Certo lo faremo», dissero insieme.
«Edith», disse Mary Margaret. «La mamma e il papà stanno facendo di tutto per poterti riabbracciare. Non devi perdere la speranza; vedrai che da un momento all’altro saranno lì con te».
«Sì lo so». Gli occhi di Edith cominciarono a riempirsi di lacrime, tanto che temetti che potesse perdere di nuovo il controllo dei suoi poteri; ma per fortuna non successe niente.
L’unica cosa che accadde fu che l’immagine nello specchio cominciò a svanire. I contorni si fecero sfocati, segno evidente che stavamo per perdere quel punto di contatto.
«Fino ad allora non dovrete preoccuparvi, Edith è in buone mani». Killian riuscì ad aggiungere solo questo prima che l’immagine nello specchio si trasformasse e ritornasse a riflette una piccola Edith in lacrime. 


Angolo dell'autrice:
Ecco a voi un altro capitolo, ma prima di tutto fatemi esultare dicendo: è tornato OUAT! Ed è tornato con il botto! E qui mi fermo per evitare spoiler vari a chi non ha ancora visto la puntata.
Nonostante la mia euforia per questo atteso ritotno, passiamo alla storia: nel futuro Emma e Killian non sono molto fortunati, e non gliene va bene una. Purtroppo anche la stella dei desideri si è rivelata un totale fiasco. Nel presente, almeno loro, sono riusciti a comunicare anche se per farlo hanno dovuto stringere un accordo con Gold.
Come sempre vi ringrazio dell'affetto che mi dimostrate.
Un abbraccio e a presto
Sara

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Capitolo 8
*** 8. Nuove conoscenze ***


8. Nuove conoscenze
 
Future time
La mattina seguente ci alzammo presto per poter arrivare dai Troll delle Rocce il prima possibile. Non che io e Killian avessimo dormito; avevamo passato la notte in tutt’altro modo, cercando di cancellare ogni minimo pensiero con la passione tra i nostri corpi. Il dolore era rimasto, ma almeno avevamo provato a metterlo da una parte per un po’.
Dopo aver fatto colazione, quando finalmente eravamo pronti per partire, sentimmo del trambusto al di fuori dei cancelli del palazzo.
Elsa si fece subito avanti andando ad interrogare una guardia. «Che cosa sta succedendo?».
«Una donna afferma di dover parlare con urgenza con i vostri ospiti, altezza. È la stessa donna che vi ha annunciato il loro arrivo».
«Allora cosa aspetti a farla passare?», proruppe Anna, che nel frattempo si era avvicinata alla sorella.
«Subito». La guardia si ritirò inchinandosi, tornando poco dopo seguita da Ariel, che grazie al suo magico braccialetto aveva perso la coda per ottenere un paio di gambe.
«Ariel che succede?». Mi diressi di corsa vicino a lei, temendo il peggio.
«Buone notizie credo», si affrettò a dire per rassicurarmi; doveva aver notato il panico del mio sguardo. Anche Henry e Killian ci raggiunsero per sentire quello che la sirena aveva da dire.
«Mentre ero al porto ieri sera sono stata richiamata a Storybrooke da Regina. Lei e i tuoi genitori mi hanno consegnato una lettera per voi». Aprì la sua borsa e ne estrasse un foglio che afferrai senza indugio. Qualunque fosse la notizia speravo che portasse un po’ di speranza, ne avevo davvero bisogno visto che non riuscivo più a vedere la luce in quel profondo baratro.
La lettera era indirizzata a me ed era scritta con la grafia ordinata di mia madre.
Cara Emma,
poco dopo la vostra partenza a bordo della Jolly Roger, è successa una strana cosa: l’Emma e il Killian del 2015 sono riusciti a mettersi in contatto con noi. Non abbiamo la minima idea di come sia stato possibile, ma noi potevamo sentirli e abbiamo parlato con Edith. Lei sta bene, è al sicuro e loro ci hanno assicurato che la proteggeranno e che sarà in buone mani finché voi non potrete riabbracciarla.
Spero che questa lettera sia inutile e che lei sia già lì tra le tue braccia; ma se così non fosse allora l’importante è questo: Edith sta bene, me l’ha detto lei stessa, almeno su questo punto puoi stare tranquilla. Qualsiasi cosa succeda sappi che lei ti aspetta, non perdere la speranza.
Vorrei essere lì con tutti voi. Un bacio
Mary Margaret
Passai la lettera a Killian in modo tale che anche lui ed Henry potessero leggerla. Feci un profondo respiro per poter incanalare tutte quelle informazioni. Edith stava bene, non avevo mai dubitato di quello, ma averne la certezza era sicuramente un conforto inaspettato.
«Che succede?», domandarono insieme Anna ed Elsa.
«Lei sta bene», rispose Killian al mio posto. Il sollievo nella sua voce era evidente. La certezza che lei fosse al sicuro era forse la prima buona notizia che ricevevamo da quando era iniziato tutto quell’inferno. I miei genitori erano riusciti a parlarle: cosa avrei dato per essere stata al loro posto e aver potuto sentire la sua voce! Mi mancava da morire il suono della sua dolce vocina o anche solo il sentire risuonare intorno a me la sua risata così simile alla mia.
«Almeno sappiamo che non dobbiamo preoccuparci per la sua incolumità», affermò Henry.
«È una splendida notizia», esultò Anna. «Sono sicura che questo è soltanto l’inizio e che d’ora in poi le cose andranno per il verso giusto». Non potevo dirmi così altrettanto speranzosa, ma almeno era un punto di partenza. Non sarebbe importato quanto tempo ci avremo messo nel trovarla, noi avremo riabbracciato nostra figlia; nel frattempo potevamo stare certi che lei sarebbe rimasta al sicuro, avrebbe comunque avuto una specie di genitori alternativi che si sarebbero occupati di lei e che l’avrebbero difesa.
Rassicurati almeno su quel punto, ci mettemmo in cammino per andare dai Troll delle Rocce. Anna apriva la strada con la sua naturale euforia e vivacità, seguita da Henry e Killian. Io ed Elsa chiudevamo il gruppo.
«Henry è così cresciuto», disse all’improvviso puntando lo sguardo sulle spalle di mio figlio, che  camminava poco più avanti. «Devono essere successe molte cose dall’ultima volta che ci siamo viste».
«Beh in effetti sì. Henry è grande ormai, adesso studia letteratura a New York».
«È lontano da Storybrooke?».
«Sì abbastanza. Un po’ mi manca, e anche a Regina però lo sentiamo spesso. Credo che abbia una ragazza laggiù, anche se per ora non ci ha detto niente». Quella mattina l’avevo visto trafficare col telefonino nella speranza che funzionasse; ovviamente non era stato così, ma ero sicura che avesse qualcuno a New York che aspettasse la sua chiamata. Speravo solo che ne avrebbe parlato presto con me o con Regina.
«Beh non è solo lui ad essere cambiato», mi fece notare. «Anche tu sei cambiata e non mi riferisco solo al taglio di capelli». Feci un mezzo sorriso sapendo che aveva ragione.
«Credo che sia stato inevitabile», dissi solo.
«Non sei più quella persona che ha una tremenda paura di essere amata, che cerca di costruire un muro intorno a sé per evitare di esporsi e che tiene i suoi sentimenti sepolti in fondo al cuore». Non credevo che Elsa fosse riuscita a capirmi così bene, aveva descritto perfettamente l’Emma che ero quando ci eravamo conosciute.
«Sì, hai perfettamente ragione. In parte lo devo sicuramente a mia figlia, ero già una madre ma non sapevo fino in fondo cosa significasse avere qualcuno completamente dipendente da te. Henry era già grande quando è venuto a cercarmi».
«Deve essere orribile starle così lontano», mormorò a mezza voce.
«Lo è. Più che altro è l’impossibilità di raggiungerla che ci da il tormento, sia a me che a Killian».
«Anche lui è molto cambiato. Sembra molto più maturo del pirata che ho conosciuto».
«Forse lo è, penso che alla fine siamo riusciti a maturare insieme. Sicuramente per me essere amata costantemente come mi ama lui ha fatto la differenza».
«Avevo capito che lui ti amava immensamente, tu all’inizio, invece, cercavi di non farti coinvolgere troppo. Però sono contenta che alla fine lui abbia avuto il sopravvento. Posso dire che ho visto sbocciare il vostro amore».
«Beh sì, tu c’eri», confermai. «Ma tu invece cosa mi dici? Anna mi ha detto che non vuoi nessuno».
«Oh non direi che non voglio», replicò. «Anna mi assilla con il fatto che dovrei trovare l’amore e approfitta di ogni occasione per presentarmi dei pretendenti. Il fatto è che nessuno sembra…».
«Quello giusto», conclusi per lei. «Quello che ti fa battere il cuore e ti fa tremare le ginocchia».
«Già qualcuno che mi guardi come Hook guarda te, o tu guardi lui». L’amore vero: era quello che cercava e che aveva tutto il diritto di cercare.
«Spero che tu lo possa trovare presto». Avevo appena finito di pronunciare quelle parole quando, inaspettatamente, ebbi un giramento di testa che mi diede l’impressione di perdere l’equilibrio. Fui costretta a smettere di camminare e a chiudere gli occhi per cercare di fermare il paesaggio intorno a me, che aveva iniziato a girare vorticosamente.
«Emma!», proruppe Elsa. «Ti senti male?». Sapevo quale conseguenza avrebbero causato quelle parole, visto che avevo notato che Killian aveva rallentato il passo in modo da poter origliare la nostra conversazione.
«Emma!». Come volevasi dimostrare: due braccia che conoscevo fin troppo bene mi avvolsero immediatamente.
Cercai di aprire gli occhi per tranquillizzarlo. «È stato solo un giramento di testa, sarà stata la stanchezza di…». Non riuscii a finire la frase perché mi sentii svenire. Killian per fortuna mi sostenne e mi fece sedere su una roccia lungo il sentiero, sollevandomi le gambe.
Anche gli altri erano accorsi e percepivo i loro sguardi preoccupati su di me. Per fortuna il mio corpo rispose prontamente e pian piano ripresi il controllo di me stessa.
«È così pallida», mormorò Anna. «Forse sarebbe meglio portarla alla bottega di Oaken, c’è anche una sauna; avrà sicuramente qualcosa per farla riprendere».
«Non credo che sia necessario», ribatté Henry. «Lasciamola respirare».
Quando provai a riaprire gli occhi, il mondo aveva per fortuna smesso di girare. Lo sguardo di Killian era fisso su di me, colmo di preoccupazione.
«Come ti senti?», mi chiese sfiorandomi la guancia con l’uncino.
«Sto bene, è stato solo un giramento di testa», minimizzai. «Deve essere la stanchezza».
«Tesoro bevi un po’ di rhum, vedrai che ti farà stare meglio». Tirò fuori la fiaschetta e fece per passarmela. Il rhum era davvero la sua soluzione a tutto? Peccato non fosse altrettanto consigliato in gravidanza.
«No grazie, non mi va adesso», mormorai sperando che si accontentasse di quella spiegazione.
«Vuoi dell’acqua?», mi domandò Elsa.
Forse quella era meglio. «Sì grazie». Hook rimise a posto la fiaschetta ed Anna mi passò la boraccia; mi affrettai a bere un paio di sorsate.
«Credo sia meglio fermarci un po’ per riposare», suggerì Killian.
«No», proruppi cercando di alzarmi. «Non ce n’è bisogno, non dobbiamo rallentare».
«Tesoro», mi fece rimettere a sedere, «sono giorni che non dormi bene, riposarsi qualche minuto non farà male a nessuno».
«No! Davvero, ora è passato. Dobbiamo andare a parlare con i Troll delle Rocce».
«Mamma non c’è bisogno di affrettarsi, sappiamo che Edith sta bene; dieci minuti in più o in meno cosa cambiano?». Adesso ci si metteva pure Henry?
«Ho detto di no; non sto male, è stato solo un giramento di testa». A quel mio scatto Killian mi afferrò per le spalle puntando i suoi occhi dritti nei miei. Sapevo che quando mi scrutava così era capace di leggermi come un libro aperto. Abbassai lo sguardo puntandolo a terra con la consapevolezza che lui era comunque riuscito ad intuire molto di più di quanto volessi mostrare.
«Swan». Il suo tono era autoritario. «Dimmi cosa mi stai nascondendo». Avrei mai smesso di sorprendermi per quanto quell’uomo riuscisse a capirmi?
Alzai di nuovo lo sguardo puntandolo nel suo. «Sono incinta».
Vidi la sua bocca spalancarsi sentendo la mia inaspettata dichiarazione. La sua espressione passò dalla sorpresa alla felicità, a quella che era la più profonda gioia e commozione.
«Oh ma è una cosa fantastica!», proruppe Anna. «Avrete un altro bambino! È meraviglioso».
«Congratulazioni», le fece eco Elsa.
«Avrò un altro fratellino? Questa famiglia si sta allargando sempre di più, ma la cosa mi piace».
La mano di Killian mi sfiorò la guancia. «Da quanto lo sai?».
«Con certezza?». Lo fissai stringendomi nelle spalle. «Da quando Edith è scomparsa».
«E perché diavolo non me l’hai detto?». Anche se era un rimprovero suonava poco come tale.
«Perché non volevo che questa notizia fosse rovinata da quel momento orribile. Avrebbe dovuto essere una buona notizia, se te l’avessi data allora… ti saresti solo preoccupato anche per me».
«Emma io mi preoccupo sempre per te e credimi niente mi farebbe essere meno lieto per questa splendida novità». Mi fiondai sulle sue labbra, dandogli giusto il tempo di finire di parlare. Le sue braccia mi avvolsero, facendomi aderire contro il suo petto. La sua bocca si mosse sulla mia baciandomi con passione, riuscendo a farmi percepire tutta la sua felicità. Infilai le dita nei suoi capelli, godendo del suo sapore e cercando di imprimermi nella memoria quel momento che a suo modo era stato comunque unico.
Sentii Henry tossire per ricordarci che non eravamo soli, ma in quel momento non importava granché del fatto che stavamo dando spettacolo. Purtroppo, però, Killian si staccò, troppo presto per i miei gusti, intrecciando in ogni caso la sua mano alla mia.
«Allora», dissi per rompere l’imbarazzo che si era creato, «ci rimettiamo in viaggio?».
«Solo se sei sicura amore».
«Lo sono», risposi con sguardo fermo. Mi alzai e lasciai che lui mi desse il braccio, mentre gli altri, senza aggiungere altro riprendevano il cammino e ci distanziavano per lasciarci un po’ di privacy.
Solo Anna si trattenne accanto a noi. «È davvero una cosa meravigliosa, sembri proprio più radiosa. Non avevo detto nulla, ma avevo notato che c’era qualcosa di diverso. Sembrate davvero una coppia così affiatata, spero proprio che Gran Papà possa darvi una mano e che possiate rivedere presto vostra figlia. È sempre una sofferenza stare lontani dalla propria famiglia…».
Smisi di ascoltare e appoggiai la testa sulla spalla di Killian. Ero stata davvero una stupida a nascondergli la gravidanza; dovevo immaginare che lui sarebbe stato felice lo stesso. Ma forse era stato più per me che per lui che avevo mantenuto il segreto. Non riuscivo a pensare a quel nuovo bambino con il constante incubo di Edith. Non poter stare con lei, non riuscire a riabbracciarla, mi impediva di realizzare che presto io e Killian avremo avuto qualcun altro che sarebbe completamente dipeso da noi, che avremo e che ci avrebbe amato incondizionatamente.
Non molto tempo dopo vidi Elsa ed Henry fermarsi in una radura rocciosa, con molte pietre di forma circolare dalle grandezze più disparate.
Anna corse verso di loro. «Gran Papà siamo io ed Elsa, fatti vedere».
All’improvviso una pietra iniziò a rotolare verso di lei e altrettanto improvvisamente prese vita. «Anna, Elsa, mie care! È un piacere vedervi».
«Gran Papà dobbiamo presentarti delle persone», disse Elsa. «Hanno delle importanti domande da farti». Mi avvicinai, sempre al braccio di Killian, per vedere meglio e anche per essere vista da quello strano troll.
La pietra si voltò verso di noi, scrutandoci con i suoi grossi occhi. «Lo so e vi stavo aspettando».
 
Present day
Eravamo seduti da Granny ed io ero maledettamente nervosa, come del resto anche Killian. Non ci piaceva per nulla l’ida di presentare Edith a Gold, ma un accordo era un accordo e se non volevamo affrontare la sua ira avremmo dovuto rispettarne i termini.
Edith sedeva al tavolo senza dire una parola e guardava Hook che, irrequieto, andava avanti e indietro per il locale. Io ero seduta al suo fianco e picchiettavo con le dita sul legno, inquieta per quella, anche se breve, attesa. Tremotino sarebbe arrivato di lì a poco e il non sapere esattamente che atteggiamento avrebbe avuto, non mi faceva stare tranquilla. Lo conoscevo troppo bene per non credere che avesse secondi fini, anche se non era più il Signore Oscuro.
«Tieni tesoro questa è per te». Granny posò una tazza di cioccolata fumante di fronte ad Edith. «Ci ho messo la cannella proprio come piace a te». Possibile che quella piccola fosse già entrata nelle grazie di mezza Storybrooke? E secondo: la cannella? Sul serio? Doveva essere impresso nei miei geni, se riuscivo a trasmettere quel carattere a tutti i miei figli.
«Grazie». Prese la tazza tra le manine e iniziò a berla con estrema golosità mentre Granny si allontanava.
«Chi è che dobbiamo incontrare?», mi chiese dopo aver terminato un lungo sorso.
«Il signor Gold, sicuramente l’avrai conosciuto di già nel tuo tempo».
«È per questo che tu e Killian siete così nervosi?». Abbassai lo sguardo per guardarla meglio: i suoi occhi mi scrutavano in attesa che rispondessi alla sua domanda.
«Cosa sai tu di Gold?», domandai invece di risponderle.
«A papà non piace il Coccodrillo. Mi dice sempre che devo stare attenta e che non devo ascoltare quello che mi dice». Sapeva molto di più di quanto credessi, visto che l’aveva chiamato con il nomignolo che Hook usava per il suo acerrimo nemico.
«E la mamma e il papà ti hanno mai portato da lui per insegnarti a gestire la magia?». Se era quello che volevamo fare, dovevamo capire se ci avevano già provato; ma da quello che aveva detto sembrava proprio che quell’opzione non fosse stata proprio considerata.
«No, solo mamma e zia Regina hanno cercato di farmi imparare, ma non hanno insistito tanto perché io non riuscivo a sentirla».
«In che senso non riuscivi? Adesso è diverso?». Non mi ero accorta che Killian si era fermato a lato del tavolo e si era messo ad ascoltare la nostra conversazione. Comunque anche io avevo notato che Edith aveva usato il tempo passato. Voleva dire che era cambiato qualcosa?
«Non lo so», rispose sorseggiando la cioccolata. «Io non riesco ancora a gestirla ma non è più come prima».
«Questo perché probabilmente adesso è più potente». Alzai la testa di scatto sentendo quella voce, mentre Killian si voltava repentinamente. Gold era davanti a noi e fissava la piccola con aria benevola, forse fin troppo benevola.
«Scusate non avevo intenzione di origliare», disse facendo un passo avanti. «Tu devi essere la piccola Edith». La bambina lo fissò con aria truce, ma lui continuò come se nulla fosse. «Immagino che tu sappia chi sono, in fondo dovresti conoscere più o meno tutti in questa cittadina».
«Che cosa intendevi dire prima?», gli domandò Killian. «In che senso è più potente?».
«Immagino che tornare indietro nel tempo le abbia richiesto molta magia, anche se lei non se ne è accorta. È ovvio che sia cambiato qualcosa in lei».
Edith aveva smesso di bere la cioccolata e lo guardava con fare torvo, stringendo le dita intorno alla tazza. Il suo sguardo era identico a quello di Hook: avevo visto Killian guardare molte volte Tremotino con gli occhi pieni di rabbia trattenuta. Edith lo guardava esattamente nella stessa maniera.
Anche Gold sembrò notarlo. «Beh pirata non si può certo negare che sia tua figlia, ma permettetemi di sedermi». Senza aspettare una risposta si sedette sul divanetto dall’altra parte del tavolo, proprio di fronte a me ed Edith.
«Credo che tu sia prevenuta nei miei confronti», disse direttamente alla bambina. «Il tuo sguardo parla chiaro, così come anche una parte del sangue che ti scorre nelle vene. Non posso negare che tra me e tuo padre ci siano stati dei contrasti».
«Contrasti?», ringhiò Hook. «Beh chiamarli contrasti è minimizzare».
Gold non si curò di lui e proseguì. «Ovviamente come puoi vedere, visto che siamo entrambi qui intorno allo stesso tavolo, abbiamo superato ciò che accadde in passato».
«Io non la vedrei in questo modo», replicò Killian. «Direi piuttosto che è la necessità che mi ha costretto a smettere di vendicarmi nei tuoi confronti».
«Sì lo so caro. Collaborare con me è l’ultima cosa che vorresti ma come vedi è quello che stai facendo; si potrebbe dire che tu stia facendo ciò che è necessario».
«Mamma e papà mi hanno detto di non fidarmi di te», intervenne Edith, cogliendoci tutti di sorpresa. «So cosa hai fatto in passato».
«Bene immagino che tuo padre ti abbia più o meno raccontato la sua versione».
«Non c’è una mia versione», protestò di nuovo Hook. «C’è solo la verità». Gli lanciai uno sguardo intimandogli di tacere. Quella conversazione era già difficile senza che ci si mettesse anche lui, ribattendo su ogni minimo punto. Non era saggio far perdere la pazienza a Tremotino, soprattutto quando sembrava sopportare così bene le accuse del suo nemico. Quello era il primo segno che le sue intenzioni non erano così cristalline come voleva farci credere.
«Comunque», continuò, «io sono qui solo per conoscerti e per aiutarti». Cercai una parola per definire il suo atteggiamento. Viscido: ecco come era. Non mi fidavo, ma sapevo che l’unico ad avere risposte sui poteri di Edith era lui. Non mi ero scordata cosa aveva detto appena arrivato: era cambiato qualcosa in lei che l’aveva resa più potente.
«Non voglio il tuo aiuto», rispose prontamente Edith, tirando fuori una grinta e un coraggio inaspettato. Puntò il suo sguardo dritto in quello di Tremotino, sostenendo i suoi occhi che la scrutavano e mantenendo inalterata la sua espressione fiera. Sapevo benissimo da chi avesse preso quell’atteggiamento: aveva le iridi di Killian ma quel modo di fare, quella sicurezza e quella tenacia erano propriamente mie.
Tremotino scoppiò a  ridere inaspettatamente. «Si direbbe proprio vostra figlia, ha già un bel caratterino per essere una bambina. Comunque mia cara sbagli a non volere il mio aiuto».
«E perché mai? Io mi fido dei miei genitori e loro non vorrebbero il tuo aiuto».
«Beh forse è proprio su questo punto che ti sbagli. Sono stati proprio Emma e Killian, qui presenti naturalmente, a chiedermi una mano».
Edith ci guardò confusa e sorpresa. La sua sfiducia nei confronti di Tremotino era tale da non capacitarsi del fatto che fossimo stati noi per primi a rivolgerci a lui.
«È vero?», domandò guardando prima me e poi Killian. Di sicuro la strategia di mettercela contro faceva parte del piano di Gold.
«Sì, ma non è come pensi», balbettai.
Hook era furente. «Era l’unico che poteva permetterci di parlare con i tuoi nonni». Vidi Edith scambiare un’intensa occhiata con Killian. A quanto pareva non ero più la sola che riusciva a comunicare con lui anche con un solo sguardo; infatti Edith sospirò e sembrò calmarsi.
«E posso fare anche altro. Per esempio sono l’unico che ha capito ciò che stavi cercando di dire prima quando sono arrivato».
«Cosa intendi?», chiesi incuriosita.
«Edith non riesce ancora a gestire la magia che ha dentro di sé, però come ha detto lei stessa non è più come prima. Adesso riesci a percepire che c’è, non è vero?».
La piccola lo fissò socchiudendo leggermente le labbra. «Sì», sospirò infine.
«Cosa?», proruppi. «Riesci a sentire la tua magia, perché non me l’hai detto?».
«Non è proprio così», si giustificò. «È strano, io non so spiegarlo». 
«Ma posso farlo io. Credo che avendo usato tutta quella magia tu sia più consapevole del fatto di possederla; però, dall’altra parte, è come un elastico che è stato tirato troppo e che non riesce più a tornare delle stesse dimensioni di prima. La tua magia è stata tirata ed espansa a tal punto che adesso si trova in un corpo troppo piccolo per contenerla». Era per questo che quando era scoppiata a piangere aveva creato quel putiferio; non l’aveva mai fatto prima perché non era mai stata così potente come lo ero diventata in quel momento.
«A quanto ho capito non sei mai riuscita a controllare la tua magia», continuò l’altro. «Però adesso, il non riuscire a controllarla, ha conseguenze più pericolose rispetto a prima, non è vero?».
Edith non rispose ma dalla sua espressione si capiva che Gold aveva colto nel segno.
«E se anche fosse?», domandò Killian percependo lo sguardo della piccola su di sé. «Tu cosa potresti fare? Ormai non hai più poteri Coccodrillo».
«Lo so, ma ho capito più io sui suoi poteri in neanche due minuti che voi o i suoi veri genitori in sei anni. Cosa pensate che potrei fare se diventassi il suo mentore? Potrei cercare di incanalare la sua magia nella giusta direzione, in fondo neanche voi volete che la piccola finisca per radere al suolo Storybrooke». Edith si voltò a guardarmi preoccupata e impaurita. I suoi occhi mi parlavano chiaramente: “Potrei farlo davvero?”. Non ne avevo la minima idea, tuttavia non mi preoccupava solo l’incolumità della mia città, ma anche la sua. Avevamo promesso ai suoi genitori di proteggerla e sicuramente in questa promessa rientrava il difenderla da Tremotino. Ma chi l’avrebbe protetta da sé stessa? Eravamo del tutto certi che non avrebbe rappresentato un pericolo per la sua stessa incolumità? Non potevamo saperlo ed il problema stava tutto lì: la magia aveva sempre un prezzo e quale sarebbe stato il costo di possedere una tale potenza a soli sei anni?
«Tu non sarai il suo mentore», dissi infine. «Però potrai darle dei consigli e cercherai di insegnarle a controllare la sua magia, con il mio aiuto e sotto il mio controllo naturalmente. Io sarò sempre con lei e tu dovrai sottostare alle mie e alle sue richieste. Se Edith dice che per lei è troppo, tu dovrai smettere, se io mi oppongo tu non continuerai. Questi sono le mie condizioni, sempre che Edith sia d’accordo».
Edith mi guardò per un secondo, puntando poi lo sguardo su Killian. «Va bene», disse infine. «Non voglio fare del male a nessuno».
«Tesoro», intervenne Killian facendole una carezza. «Tu non potrai mai fare del male a qualcuno, te lo garantisco. Lo sai, non devi credere a tutto quello che dice il Coccodrillo». Un sorriso mi salì spontaneo alle labbra, sentendo la sua rassicurazione. Edith non avrebbe mai dovuto sentirsi pericolosa, invece le parole di Tremotino l’avevano fatta sentire tale e avevano minato tutte le sue certezze.
Puntai lo sguardo su Gold aspettando una sua risposta. «D’accordo, accetto».


Angolo dell'autrice:
Buongiorno a tutti! Nell'attesa del prossimo episodio di OUAT vi posto un altro capitolo.
Gioite: Emma a rivelato a Killian della gravidanza! Questo era un punto molto sentito e alla fine lei glielo ha detto.
Dall'altra parte avviene l'incontro tra Gold ed Edith... la piccola è prevenuta nei suoi confronti e diciamocelo conoscendo Tremotino fa bene ad esserlo.
Vi ringrazio di leggere la mia storia.
Un abbraccio e a presto
Sara

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Capitolo 9
*** 9. Fragile come la luce di una candela ***


9. Fragile come la luce di una candela
 
Future time
«Lo so e vi stavo aspettando», ci disse quella specie di pietra quando io ed Emma ci avvicinammo.
«Sai chi siamo?», gli domandò lei titubante.
«Non con precisione, ma so perché siete venuti qua da me».
«Puoi aiutarci?». La mano di Emma si strinse di più nella mia, in modo da infonderci coraggio a vicenda.
«Purtroppo non posso portarvi da vostra figlia». Sospirai: quello era l’ennesimo colpo basso. Avremo mai smesso di riceverne? Sembrava che ogni idea e ogni piano che cercassimo di attuare fosse destinato a fallire. Noi non ci saremmo mai arresi, ma quante ulteriori delusioni potevamo sopportare prima di crollare definitivamente? Sembrava che il fato si prendesse gioco di noi per vedere quanto tempo avremo impiegato prima di perdere completamente il lume della ragione.
Guardai il mio cigno con la coda dell’occhio. Anche lei era devastata e suoi occhi lucidi indicavano che era sull’orlo delle lacrime. Se ero devastato io, come poteva lei sopportare tutto quel dolore nel  suo stato? Stava portando in grembo nostro figlio e, nonostante il miracolo che il suo corpo stava compiendo, riusciva a non crollare.
«Tuttavia…». La voce del troll mi riportò alla realtà, facendomi puntare di nuovo lo sguardo su di lui; i suoi grandi occhi ci stavano scrutando pieni di comprensione. «Tuttavia», continuò, «c’è qualcos’altro che posso fare per voi». Ed eccola lì: la scintilla della speranza che si riaccendeva in fondo ad ognuno di noi. Quante altre volte avrebbe dovuto riattizzarsi e quante di queste volte sarebbero state destinate a spengersi?
«Che cosa puoi fare?». Era stato Henry a parlare e a porre quella domanda che io e sua madre non avevamo avuto il coraggio di fare.
«So chi potrà aiutarvi, chi potrà senza ombra di dubbio farvi riabbracciare la vostra bambina».
«Ti prego», implorò Emma, lasciando la mia mano e accucciandosi di fronte a lui. «Dicci chi è». Gli occhi del Gran Papà si specchiarono nei suoi e poterono leggervi tutta la disperazione che stavamo provando da quando Edith era scomparsa.
«Merlino», disse semplicemente. Potei notare lo sguardo del mio cigno illuminarsi, così come il mio e quello di Henry. Era ovvio che il mago più potente che avessimo conosciuto potesse aiutarci. Eravamo stati davvero degli stupidi a non pensarci prima.
«Questo Merlino può davvero farlo?», domandò Anna dato il nostro silenzio. «E dove si trova?».
«L’ultima volta che l’abbiamo visto era Camelot», le rispose Emma. «Nella Foresta Incantata».
«Lo conoscete?». Il troll si rivolse direttamente a lei, ma fui io a rispondere.
«Sì, è una storia lunga, ma ci ha già aiutato in passato. Dovevamo pensare subito a lui».
«Merlino è molto potente», continuò quella pietra vivente. «Lui è l’unico in grado di fare qualcosa. La mia magia non è abbastanza forte, ma lui credo che conosca degli incantesimi che possano fare al caso vostro».
«E Gran Papà», intervenne Henry, «che tu sappia, lui si trova sempre a Camelot?».
«Sì, penso proprio di sì».
«E allora cosa stiamo aspettando dobbiamo subito metterci in viaggio», proruppi.
«La Foresta Incantata non è molto lontana da Arendelle, in nave dovreste impiegarci solo qualche giorno», si entusiasmò Anna. «Una volta lì dovrete solo trovare Merlino e tutto sarà risolto». Sicuramente non sarebbe stato così semplice, poteva rilevarsi un ennesimo buco nell’acqua, ma almeno avevamo un’altra possibilità, un’ulteriore piano per poter salvare la nostra principessa.
«Grazie mille». Emma si sporse ad abbracciare il troll, che ricambiò goffamente, stupito da quello slancio.
«Beh torniamo al castello e partiamo il prima possibile», propose Henry. Tutti annuimmo ed Emma tornò da me riprendendo la mia mano.
«Aspettate», ci richiamò Gran Papà. «C’è ancora una cosa che posso fare per voi». Mosse velocemente le mani e sul suo palmo apparve una grossa pietra viola.
«Che cosa è?», domandai perplesso.
«Se riuscirete a trovare vostra figlia…». Feci una smorfia notando l’uso del condizionale. Non era lui quello che ci aveva garantito che Merlino avrebbe avuto la soluzione?
Dovette intuire il mio disagio perché riformulò la frase. «Quando riuscirete a trovare vostra figlia, avrete bisogno che nessuno del passato ricordi di averla mai conosciuta. Solo cancellando la memoria di tutti quelli che hanno incontrato la piccola potrete essere certi che nel futuro non ci saranno modifiche. Questa pietra cancellerà il ricordo della bambina da chiunque l’abbia vista anche solo una volta».
«Come funziona?», chiese Emma. «Come faremo ad usarla?». E anche quando avremo dovuto usarla? Non sapevamo ancora come avrebbe fatto Merlino ad aiutarci, la pietra sarebbe stata necessaria in ogni caso?
«Sono sicuro che lo capirete. La risposta a queste domande vi apparirà chiaramente quando la tensione per questa storia sarà finita». Poteva darci una risposta più criptica? Invece di dissipare i nostri dubbi ne aveva sicuramente creati degli altri.
Nonostante ciò Emma sembrò accontentarsi delle sue parole. «Grazie», disse prendendo la pietra dalle mani del troll.
«Gran Papà ti siamo davvero grati», intervenne Elsa. «Grazie di cuore per aver aiutato i nostri amici».
«È sempre un piacere aiutarvi; solo Anna cara, non aspettare così tanto la prossima volta. Vogliamo vedere quanto è cresciuto il piccolo Scott».
«Tornerò con lui e con Kristoff al più presto, te lo prometto». E dopo vari saluti ci accomiatammo per tornare velocemente al castello.
 
Tutto fu disposto con facilità ed estrema rapidità. Saremo partiti il giorno dopo di prima mattina; io ed Emma con la Jolly Roger avremo fatto rotta verso la Foresta Incantata, mentre Henry sarebbe tornato a casa. Su questo punto ci fu molto da discutere: il ragazzo non voleva abbandonare questa avventura, ma sua madre non ammise repliche. Lui doveva tornare a Storybrooke e poi a New York all’università; non era necessaria la sua presenza, io ed Emma saremo riusciti nella nostra missione anche da soli.
Nonostante svariati tentativi, alla fine Henry dovette cedere e partì la sera stessa insieme ad Ariel. Emma l’abbracciò forte, sapendo che non l’avrebbe ritrovato a casa, dopo il nostro ritorno. Anche se non lo dava a vedere l’assenza di Henry le pesava, ma ormai lui era grande e aveva la sua vita e lei era comunque contenta per lui. Così grazie all’incantesimo di Emma, applicato su una persona e non su una nave, Henry era partito, dopo aver salutato tutti, lasciandoci soli a sostenere quel pesante fardello.
Quella notte, la nostra ultima notte ad Arendelle, non riuscivo a dormire. Erano giorni che né io né Emma dormivamo bene. In fondo quella sera la stanchezza avrebbe dovuto prendere il sopravvento: sapevamo con certezza che Edith era al sicuro e che i noi del passato l’avrebbero protetta, avevamo la speranza che Merlino potesse mettere fine a tutto quell’inferno; in fondo era stato proprio quella strana roccia a darci la cosa come certa. Eppure continuavo a rigirarmi non riuscendo a prendere sonno. Emma era distesa accanto a me, voltata dall’altra parte, ma sapevo che anche lei non dormiva. La sua testa doveva essere affollata di pensieri esattamente come la mia.
Quando finalmente riuscii ad assopirmi fu solo per poco. Mi svegliai non molto tempo dopo sentendo dei gemiti sommessi. Non capii subito di cosa si trattasse, ma alla fine compresi che quei lamenti provenivano da Emma che piangeva cercando di trattenere i singhiozzi. Mi dava ancora la schiena, ma nel buio riuscivo a intravedere le sue spalle alzarsi e abbassarsi al ritmo del suo respiro affannoso.
«Ehi amore». Mi avvicinai a lei cercando di abbracciarla.
«Scusa… io… non volevo… svegliarti». Lasciò che le mie braccia la circondassero, facendola aderire al mio petto, in modo tale da annullare la distanza tra di noi. La mia mano andò inevitabilmente a posarsi sopra la sua pancia, là dove il nostro fagiolino stava prendendo forma.
«Shh tesoro. Perché piangi?». In realtà sapevo benissimo il motivo di quello sfogo. Tutta la tensione accumulata fino a quel momento stava uscendo sottoforma di lacrime.
«Non lo so», gemette. «Mi manca Edith».
«Manca tanto anche a me», sospirai. Emma non era il tipo da lasciarsi andare a quel tipo di atteggiamento, e sapevo che in parte c’entravano gli ormoni. Era già successo: anche quando aspettava Edith aveva avuto delle crisi di pianto a causa dell’enorme cambiamento che sarebbe avvenuto da lì a pochi mesi. In quel momento, però, per quanto in parte fosse più suscettibile per via della gravidanza, sapevo anche che quelle lacrime erano dovute a tutto lo stress accumulato in quei giorni. Se dentro di me io avevo voglia di urlare e di picchiare qualcuno o almeno rompere qualcosa, lei aveva voglia di piangere; era un sentimento del tutto naturale.
«Ho paura che tutto questo non finirà mai», mi confesso cercando di calmarsi. Con la mano le accarezzai la pancia, cullandola tra le mie braccia. «Ogni volta che crediamo di aver trovato la soluzione una nuova delusione viene a devastarci; poi c’è di nuovo la speranza e dopo un'altra delusione». Le parole uscivano come un fiume in piena, impedendole quasi di riprendere fiato.
«Lo so tesoro». Le baciai un orecchio, non sapendo neanche io cosa dire per poter risollevarle il morale o anche per risollevarlo a me stesso.
«Credi che Merlino avrà la soluzione? E se fosse un altro vicolo cieco?». Era anche la mia paura più grande, ma se non avessimo avuto quella speranza cosa altro ci restava?
«Non lo sarà», affermai. «Lui è il mago buono più potente che conosciamo, troverà il modo di aiutarci. Emma la riporteremo a casa, te l’ho promesso. Io non mi arrenderò mai».
«Noi non ci arrenderemo mai», mi corresse. Probabilmente il tono disperato della mia voce le fece intuire quanto anch’io fossi sull’orlo di quel profondo baratro. Non aggiunsi altro e continuai a coccolarla tra le mie braccia. I miei baci riuscirono in qualche modo a placare i suoi singhiozzi, anche se continuava a piangere silenziosamente.
«Scusami», gemette. «Non riesco a smettere, è più forte di me. Lo so Killian che questa situazione è dura anche per te…».
«Shh calma, io sono qui. Tu puoi piangere con me Swan, non devi essere sempre forte, sono io la tua roccia». Si strinse di più a me, intrecciando le sue gambe alle mie, e posando la sua mano sopra la mia che era rimasta imperterrita al suo posto, vicino a nostro figlio.
«Come faremo ad avere un altro bambino in tutto questo inferno?».
«Emma, tesoro, finirà. Tutto questo non rimarrà che un brutto ricordo». L’ansia, la paura, la preoccupazione sarebbero svanite presto una volta riunita la nostra famiglia. Di questo ero convinto.
«Tutta questa situazione, lo stress, la paura non fa bene al bambino. Lo so che è egoistico pensarla così, ma io sono incinta e dovrei stare tranquilla ed essere la persona più felice di questo mondo. Invece mi sento morire dentro ogni volta che penso a ciò che sta succedendo nel mio corpo. Mi chiedo: “come potrò essere una buona madre se non sono riuscita ancora a ritrovare mia figlia?”». Avevo creduto che la decisione di non parlarmi della gravidanza fosse dettata solo dall’idea di non rovinarmi la sorpresa. Invece dalle sue parole intuii che c’era molto altro sotto: Emma si riteneva una cattiva madre, o quasi,  a causa di quello che era successo. Però se la colpa era di qualcuno, quella sicuramente era mia. C’ero io con Edith quando tutto era accaduto, io avrei dovuto controllarla, io avrei dovuto impedirlo. Anche se sapevo che in fondo sarebbe stato impossibile evitare il suo viaggio nel tempo, una piccola parte di me si colpevolizzava per quella situazione. Avevo provato a non ascoltarla, Emma mi aveva detto di non ascoltarla, però restava lì impresso nella mia mente: se c’era qualcuno a cui dare la colpa quello ero proprio io.
«È colpa mia, non tua», sospirai. «Tu non sei una cattiva madre, sono io che come padre faccio schifo. Non sono riuscito ad impedire che accadesse».
«No Killian». Cercò di voltarsi in modo da incontrare i miei occhi. «Non volevo dire questo, tu sei in assoluto il padre migliore che Edith possa avere. Ciò che intendevo è che ho così paura di non poterla più riabbracciare che l’idea di avere un altro figlio mi terrorizza: ho paura di doverlo crescere con questa tremenda ferita. Mi manca da morire Killian, ma non ho mai pensato neanche per un secondo che sia stata colpa tua».
«Ma io sì», fu solo un sussurro ma lei lo udì distintamente.
«Invece no, capito? No». Si girò del tutto verso di me, incatenandomi col suo sguardo. «Tu sei la mia roccia e non puoi colpevolizzarti, siamo intesi?».
Sospirai cercando di farle un sorriso. «Sì».
«Bene», concluse. «E adesso perché non mi racconti una storia? Una di quelle che racconti ad Edith. Magari così  riesco a dormire un po’. Domani ci aspetta un lungo viaggio».
«Certo amore». Lasciai che si risistemasse tra le mie braccia, in una posizione comoda per entrambi, e poi iniziai a raccontare. «C’era una volta un pirata, che aveva navigato per molti, moltissimi mari durante la sua lunga vita, ma che nonostante tutte le sue avventure sentiva la mancanza di qualcosa. Il pirata tentava di non pensarci e di reprimere quell’idea concentrandosi sulla vendetta verso i suoi nemici. Poi un giorno il pirata conobbe una principessa; anche se di sangue reale, lei non era come tutte le altre principesse, anzi non voleva quel titolo, che in fondo non aveva mai sentito come suo. C’erano molti modi in cui veniva chiamata, ma nessuno riusciva a capirla veramente; lei era solo una giovane donna che aveva bisogno di molto più amore di quanto in realtà desse a vedere. Il pirata, che provava lo stesso sentimento, trovò in lei uno spirito affine e si innamorò perdutamente della principessa…». Gli occhi di Emma piano piano si chiusero, cullati dal tono delle mie parole. Il suo respirò si tranquillizzò e la mia storia trasportò il mio cigno in un sonno profondo. Poco dopo anche i miei occhi si chiusero prostrati dall’enorme stanchezza che avevano accumulato fino ad allora.
 
Present day
La fronte di Edith era corrugata per lo sforzo. I suoi occhi erano fissi su una candela posta sopra il tavolo davanti a lei. Il suo sguardo avrebbe potuto incenerirla, ma altrettanto non si poteva dire della sua magia.
Eravamo nel retrobottega di Gold e come avevamo stabilito stavamo cercando di insegnarle a gestire il suo potere. Avevamo cominciato già da un paio di giorni, ma ancora non c’erano stati risultati. L’unico effetto era che, una volta a casa, Edith faticava a tenere gli occhi aperti. Tra la scuola la mattina e le lezioni di magia il pomeriggio, la sera crollava stremata in un sonno profondo.
«Concentrati», insistette Tremotino. «Non ti stai impegnando abbastanza».
«Io credo che Edith ce la stia mettendo tutta», ribattei piccata.
«Se si stesse davvero impegnando quella candela sarebbe accesa già da un pezzo».
Per tutta risposta gli occhi di Edith si strinsero ancora di più, diventando due fessure per la fatica di riuscire in quel semplice incantesimo.
«Non ce la faccio», sbuffò infine riprendendo fiato. Le sue guance erano arrossate e il suo respiro era affannoso come se avesse fatto una corsa.
«Non importa tesoro, ci riproveremo». Andai verso di lei e le porsi un bicchiere d’acqua, che afferrò avidamente. Ricordavo bene quanto potesse essere stancante gestire la propria magia e non volevo che Edith si sentisse sottopressione. Gold non aiutava per niente in questo, ma per fortuna i paletti che gli avevo imposto sembravano ancora resistere saldamente.
«Se usiamo queste tecniche non riuscirà mai ad imparare», sbuffò quest’ultimo. «Ora capisco perché non ha fatto progressi con sua madre e immagino che anche Regina nel futuro si sia parecchio rammollita».
«Beh mi dispiace ma non useremo le maniere forti con lei. So benissimo quanto può essere delicato il confine tra luce ed oscurità e non ti permetterò di portarla fuori strada. Le tue tecniche andranno bene per la magia oscura, non di certo per quella di Edith».
«La magia, in qualunque forma essa si presenti, è molto legata all’emozioni e se non le diamo la giusta motivazione non farà mai niente».
«Che cosa vorresti fare?», risposi ostile. «Minacciarla forse?». Edith si avvicinò a me, nascondendosi dietro le mie gambe. Non si fidava di Tremotino e vedermi discutere con lui le incuteva sempre più ansia e timore. In quei momenti Killian sarebbe stato utile; io non riuscivo ancora a relazionarmi completamente con quella che sarebbe dovuta essere mia figlia. Purtroppo, però, per volere dell’ex Signore Oscuro le lezioni erano private e riservate solo a noi tre.
Gold sospirò, sapendo che insistere era inutile. Tornare ad un comportamento civile avrebbe di sicuro facilitato le cose per tutti.
«Certo che no», disse. «Però vorrei farti notare che la sua magia esce fuori solo quando sono i suoi sentimenti a prendere il sopravvento». Su quello non potevo dargli torto; era successo con il suo salto temporale, perché evidentemente si sentiva coinvolta emotivamente con la foto e con noi, ed era successo quando le avevamo confessato la verità perché era impaurita e disperata.
«Io ci sto provando», disse Edith improvvisamente. Il suo volto era corrucciato e triste. Era ovvio che quelle continue delusioni non fossero di certo incoraggianti.
«Lo so piccola. Non ti devi abbattere».
«Ha un così grande potenziale che purtroppo va sprecato». Lo fulminai con lo sguardo.
«Perché non ti riposi un attimo?», le proposi. «Così io parlo con il signor Gold. Tra cinque minuti ci riproviamo». Lei annuì e andò a sedersi su un letto che era posto in un angolo della stanza.
«Stammi bene a sentire», iniziai, abbassando il tono per non farmi udire da Edith. «Io non so cosa tu abbia in mente, ma non useremo con lei le tecniche che hai usato con Regina o con me. Guarda il risultato? Io so cosa significa l’oscurità e non la farei provare mai a nessuno; lei è pura ed innocente e la sua magia deve restare tale. Non importa se non sa controllarla, preferisco che sia incapace a gestirla piuttosto che macchiarla inevitabilmente».
«D’accordo ma usando il metodo dolce non otteniamo niente. Nessun progresso neanche con le magie più semplici. Non dico di usare la mano pesante ma dobbiamo puntare sui suoi sentimenti».
«E come? È solo una bambina. Non può capire come incanalare tanto potere».
«Il problema è proprio questo: lei ha troppo potere e troppi pochi anni. Guarda cosa è capace di fare senza neanche volerlo». Proprio in quel momento sentimmo il campanello del negozio suonare, segno evidente che era entrato qualcuno.
«Ehi c’è nessuno?». La voce di Killian risuonò forte e chiara nel retrobottega. Guardai l’ora: era già tardi e lui doveva essere passato a prenderci.
«Killian». Edith balzò giù dal letto, con gli occhi luccicanti di emozione. Sarei mai riuscita a capire il profondo legame che c’era tra loro? Il loro sguardo, così perfettamente uguale, si illuminava anche nello stesso modo quando erano insieme. Se in fondo non fosse stata sua figlia sarei stata gelosa del modo in cui Killian la guardava. Ero fin troppo abituata al fatto che riservasse quello sguardo solo a me, che vederlo rivolgere ad un’altra faceva nascere in me sentimenti che non ero solita provare.
«Siamo di qua», dissi chiudendo così anche la discussione con Gold.
«Aspetta», mi fermò quest’ultimo. «Ho un’idea». Lo guardai per indurlo a spiegarsi meglio.
«Potresti creare un incantesimo di protezione alla stanza in modo che il pirata non possa entrare?».
«Cosa?». Che diavolo aveva in mente?
«Fallo e basta. Non succederà niente di grave. Lui resterà solo fuori». In effetti non avrebbe creato grossi problemi un semplice incantesimo come quello. Per una volta non ribattei e feci ciò che il coccodrillo mi aveva chiesto.
Killian stava per entrare nella stanza, ma sbatté contro quello che sembrava un muro invisibile creato dalla mia magia.
«Per mille diavoli, che succede?», inveì. Tentò di nuovo di entrare ma fu nuovamente respinto. Anche se non riuscivo a vederla, potevo immaginare la sua espressione perplessa e forse anche preoccupata.
«Emma va tutto bene? Perché non riesco a entrare? Cosa diavolo sta combinando il coccodrillo?».
«Killian non preoccuparti, va tutto bene. Stiamo solo provando una cosa, tu aspetta lì», lo tranquillizzai, anche se io per prima non sapevo cosa stavamo facendo in realtà. Edith, intanto, guardava me e Gold perplessa, non capendo perché avessimo impedito ad Hook di entrare. In effetti quella era la mia stessa domanda.
«Allora Edith, proviamo così», intervenne Tremotino. «Vuoi che il pirata venga qui da noi, non è vero?».
«Sì volevo solo salutarlo». Nella sua voce c’era una nota di frustrazione.
«Bene. Se riesci ad accendere la candela, Emma lo farà entrare. Altrimenti lui resterà fuori e noi chiusi qui dentro». Come idea non era male: era uno stimolo per la piccola ma non era niente di tremendamente drastico. Forse sfruttare l’affetto che provava per Killian, affetto più che reciproco, era una buona tecnica che avremo potuto sfruttare a nostro vantaggio.
Edith mi guardò per cercare conferma alle parole di Tremotino ed io annuii cercando di rassicurarla con lo sguardo.
«Puoi farcela», la incoraggiai. «Accendila e così potrai andare ad abbracciare Killian». Alle mie parole la bambina andò verso il tavolo, dove era rimasta la candela. Iniziò a fissarla con espressione decisa e con uno sguardo più determinato che mai. Possibile che l’incentivo di andare da Killian potesse rilevarsi davvero efficace? La risposta arrivò poco dopo.
All’iniziò sembrò non accadere niente, ma poi del fumo iniziò a salire dallo stoppino e la candela si accese, illuminando la stanza con la sua tremula fiammella.
«Ce l’ho fatta», esultò Edith saltellando.
«Bene», intervenne Gold. «Secondo te perché ci sei riuscita?».
Edith ci pensò per qualche secondo prima di rispondere. «Io volevo che la candela si accendesse ma non come prima. Volevo che funzionasse per poter far entrare pap… Killian». Si era corretta all’ultimo, però sapevo il motivo del suo lapsus. Faceva molta fatica a non chiamare Hook papà, anche perché lui si comportava esattamente come se lo fosse stato. In effetti lo era, ma il suo atteggiamento era diverso da quello che io potevo avere, o da chiunque altro, in quella situazione, avrebbe potuto avere. Lui si comportava come se Edith fosse stata sua figlia da sei anni, come se l’avesse vista nascere e crescere ed io, per quanto potessi essermi in parte affezionata alla bambina, non riuscivo a capirlo.
«Emma adesso puoi fare entrare il pirata». La voce di Gold mi riportò alla realtà ed io lasciai cadere il muro di protezione. Edith fu la prima a correre fuori, andando incontro ad Hook.
«Killian ce l’ho fatta!», la sentii esultare.
«Davvero? Mi devi raccontare tutto». Sapevo anche senza vederlo che lui l’aveva presa in braccio e lei gli si era gettata al collo.
Feci per seguirli quando Tremotino mi richiamò.
«Emma capisco che tu voglia difendere la purezza di Edith». Mi voltai per fissarlo. “Ah, davvero?”, avrei voluto dire. “Allora perché sembra che tu non voglia fare altrettanto?”.
«La sua magia non è come la tua, o come la mia», dissi invece. «È naturale che voglia proteggere l’innocenza della bambina».
«Beh su questo non ci giurerei».
Lo guardai perplessa. «Credi che non voglia difendere l’innocenza di Edith?».
«No, non questo; non ci giurerei che la sua magia sia diversa dalla tua». Cosa intendeva dire? Perché era così criptico e dovevo toglierli le parole di bocca con le pinze?
«Spiegati meglio», lo incitai.
«Emma io credo di aver capito da cosa scaturisce l’incredibile potenza di Edith. Principalmente è merito tuo».
«Mio?». Che diavolo c’entravo adesso?
«Beh certo. Tu sei stata il Signore Oscuro, sei stata la Salvatrice. Il tuo destino è stato deciso ancor prima che tu nascessi, ma non tanto perché eri predestinata ad essere tutte queste cose ma perché tu sei il frutto del vero amore. Ora concedimi la ripetizione, ma credo che Edith sia il frutto del vero amore del frutto del vero amore. Adesso capisci cosa intendo?».
Annuii finalmente comprendendo le sue parole. La mia luce e la mia oscurità erano dovute al mio essere nata dal vero amore, ma probabilmente anche per Edith era lo stesso. Tra me e Killian era vero amore, questo io lo sapevo; anche se era stata diversa dalla storia di mia madre e mio padre non potevo negare che io provassi per Hook gli stessi intensi sentimenti. Quindi a rigor di logica, anche se Edith doveva essere una sorpresa inaspettata, anche lei era frutto del vero amore. Con un piccolo incentivo in più: lei era il frutto del vero amore al quadrato.
Quella poteva essere sicuramente una spiegazione plausibile per l’immensità della sua magia, un’immensità tale che era riuscita ad attraversare i confini del tempo. Ma quindi questo portava ad altre domande: anche lei racchiudeva dentro di sé luce e oscurità? Eravamo noi a doverla guidare verso la retta via? E potevamo davvero farcela? Forse l’unica risposta certa era a quella all’ultima domanda. Io e Killian avevamo avuto la nostra buona dose di oscurità ed entrambi eravamo riusciti a sconfiggerla; avremo sicuramente saputo evitare a nostra figlia di prendere una strada, che anche se risultava allettante all’inizio, l’avrebbe macchiata e cambiata inesorabilmente.
Stavo per porre alcune delle mie domande a Tremotino quando la voce di Edith ci richiamò. Sia io che Gold raggiungemmo gli altri nel negozio.
Edith stava guardando un bracciale che era posto sul bancone. Killian l’aveva fatta salire sui suoi piedi per permetterle di arrivarci e di poter osservare il gioiello con comodità.
«Coccodrillo quanto vuoi per questo?», gli chiese Killian, alzando il bracciale con l’uncino.
«Quale?». Gold si avvicinò per poter studiare quello che gli stava mostrando. Anche io andai verso di loro in modo da poter osservare il braccialetto. Era d’argento, con vari ciondoli: un orsetto, un cigno, un cuore, una stella, un uncino. Non sembrava proprio un oggetto che potesse trovarsi nel negozio di Gold, anche se lì c’era un po’ di tutto.
«Oh quello», fece Tremotino come se non valesse un granché. «Beh visto che oggi sei stata brava, puoi prenderlo se ti piace».
Gli occhi di Edith si illuminarono e il suo sorriso si allargò. Invece il mio sguardo e quello di Killian diventarono sospettosi. Non era da lui quella gentilezza, e non poteva pensare che fossimo così ingenui da non notare un gesto così inusuale.
«Preferiamo pagarlo», intervenne Killian.
«Beh consideratelo un regalo da parte mia. Voglio ancora dimostrarvi che non ho cattive intenzioni». Killian mi lanciò uno sguardo per poi fissare la bambina sotto di lui. Si stava rigirando il bracciale tra le mani con gli occhi colmi di felicità. Non ci restava altro da fare che accettare.
«D’accordo, grazie», dissi. «Andiamo Killian sarà meglio tornare a casa». Hook annuì facendo scendere Edith dalle sue scarpe e avvicinandosi a me. Mi diede un bacio sulla guancia, e mi prese per mano, aspettando che la piccola afferrasse l’uncino dall’altra parte.
«Grazie», disse Edith gentilmente, prendendo con sé il braccialetto e stringendo l’uncino. «A domani».
«È stato un piacere», rispose Gold. Uscii dal negozio con la netta sensazione che Tremotino ci stesse nascondendo qualcosa, ma finalmente cominciavamo ad avere dei risultati con Edith. L’unica cosa che potevamo fare era continuare a tenere gli occhi aperti, più aperti che mai.


Angolo dell'autrice:
Salve a tutti! La storia continua e si va avanti...
Nuove idee e speranze da una parte, insieme comunque a tanta preoccupazione, e dall'altra i primi risultati della piccola Edith.
Come sempre vi ringrazio infinitamente per l'affetto che dimostrate nei confronti di questa storia; senza non andrei avanti così velocemente e così facilmente.
Nell'attesa della prossima puntata di OUAT mi rimetterò a scrivere in modo da aggiornare presto! ;)
Un abbraccio
Sara

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Capitolo 10
*** 10. Stanchezza e viaggi ***


10. Stanchezza e viaggi
 
Present day
Era da qualche giorno che Edith sembrava particolarmente stanca. All’inizio avevo pensato che si trattasse dello sforzo che comportava per lei riuscire ad incanalare la sua magia, ma c’era come stato un crescendo da quando aveva ottenuto i primi risultati. Avevo un brutto presentimento e non riuscivo a togliermelo dalla testa.
Anche quella sera dopo aver cenato Edith si era addormentata sul mio petto di fronte alla scatola magica. Forse quello poteva sembrare un comportamento naturale: in fondo era stata a scuola la mattina, a lezione dal coccodrillo il pomeriggio. Tuttavia da qualche giorno era diversa, non sembrava si trattasse di semplice stanchezza, pareva proprio che le sue energie venissero del tutto risucchiate.
«Edith tesoro?», cercai di svegliarla delicatamente, accarezzandole la testa con l’uncino. Per tutta risposta lei mugolò e cercò una posizione più comoda stringendosi di più a me.
«Killian forse è meglio portarla a letto», mi suggerì Emma fissandoci. Annuii, alzandomi e sollevando la bambina tra le braccia. Mi diressi verso quella che era ormai diventata la camera di Edith, grazie alla generosità di Henry che si era trasferito momentaneamente da Regina.
La piccola non protestò e non si svegliò neanche quando l’adagiai sul letto, rimboccandole le coperte. Mi sedetti accanto a lei e l’osservai. Era più pallida del solito, anche i suoi capelli biondi sembravano spenti.
«Sei preoccupato». La voce di Emma mi fece sussultare: non credevo che mi avesse seguito. Si avvicinò a me e mi sfiorò una tempia con le dita. «Ti viene sempre questa ruga quando sei preoccupato».
«Non è normale», ammisi, «che sia così stanca. Prima non lo era. Da quando sta iniziando a fare dei progressi sembra così stremata».
«Usare la magia può essere pesante», ribatté passandomi una mano tra i capelli.
«È diverso: non era così prima, non so spiegarlo ma sento che c’è qualcosa che non va». Staccai lo sguardo da Edith per puntarlo su Emma. I suoi occhi verdi erano pensierosi; fissava la piccola e si mordeva un labbro.
«Oggi mia madre mi ha detto che Edith si è addormentata in classe», mi confessò.
«Lo vedi?», proruppi. Il mio tono era stato un po’ troppo alto, perciò abbassai la voce per non rischiare di svegliare la piccola. «Forse tutto questo allenamento è un po’ troppo per lei, forse dovrebbe rallentare. Ha solo sei anni».
«Penso che tu abbia ragione, forse dovremmo allentare un po’ la corda. Usare la magia, cercare di controllarla e incanalarla tutti i giorni forse è davvero troppo faticoso per lei».
«Allora è deciso», conclusi alzandomi.
«Gold non sarà d’accordo», sospirò.
«Me la vedrò io con lui, non devi preoccuparti». Il Coccodrillo non mi spaventava di certo. Edith era mia figlia e avevo tutto il diritto di decidere cosa fosse meglio per la sua salute. In fondo noi avevamo tenuto fede alla nostra parte di accordo. Non avevamo più nessun debito con lui.
«Killian posso trattare con Gold anche da sola, non ti devi preoccupare». Mi prese per mano e mi guidò fuori dalla stanza. «L’importante adesso è che la bambina stia bene».
Le sorrisi, facendole capire che comunque non l’avrei mai lasciata sola ad affrontare Tremotino. Insieme potevamo porre fronte a tutto; era quando stavamo divisi che invece diventavamo deboli.
Emma mi trascinò su per le scale fino in camera, lasciando che David, Mary Margaret ed il piccolo Neal restassero da soli in salotto.
Chiusi la porta alle nostre spalle e mi gettai sul letto allargando le braccia, mentre lei si sedette comodamente accanto a me. Le sue dita furono di nuovo sulle mie tempie, massaggiandomi delicatamente la testa. Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare da quei movimenti delicati.
«Non smetterai di preoccuparti fino a quando Edith non sarà di nuovo in forma, non è vero?».
«Sì», ammisi. «Abbiamo promesso che sarebbe stata bene e al sicuro, non voglio venire meno alla parola data». Non era solo per quello, ma sapevo che ancora Emma non riusciva a comprendere il modo in cui io ed Edith fossimo legati; perciò era meglio tralasciare su alcuni punti.
«Già, potrebbero arrivare da un momento all’altro e non credo li farebbe piacere trovare Edith così».
Quell’affermazione mi colpì profondamente. Non avevo ancora completamente realizzato che da qualche parte nel futuro, c’era qualcuno che stava lottando disperatamente per riabbracciare Edith. Presto sarebbero riusciti nel loro intento, conoscendoci sapevo con certezza che non avrebbero fallito, che non avremmo fallito, e la piccola sarebbe tornata a casa. Non mi capacitavo del fatto che sarebbe prima o poi andata via. Certo era anche vero che il momento del suo concepimento si stava avvicinando e quindi non l’avrei persa, l’avrei solo ritrovata molto, ma molto, più piccola. Però c’era qualcosa che mi rattristava nel fatto che, presto o tardi che fosse, non avrei più avuto intorno quella tenera principessa che mi guardava con occhi adoranti, con i miei stessi occhi adoranti.
All’improvviso le labbra di Emma premettero sulle mie, interrompendo il flusso dei miei pensieri.
«Andrà tutto bene Killian», sussurrò ad un centimetro dalla mia bocca. Era riuscita ad intuire, anche se solo in parte, i miei pensieri e a dire la cosa giusta per tranquillizzarmi.
«Ti amo», sussurrai aprendo gli occhi per incrociare i suoi, due bellissime pietre verdi che mi scrutavano fino in fondo all’anima.
«Ti amo anch’io». Lasciò che io invertissi le posizioni e cercassi rifugio nei suoi caldi baci che divennero presto molto più intensi. La passione, la voglia, il desiderio, il bisogno l’uno dell’altra ci sopraffecero presto, isolandoci da tutto il resto. Per quella notte non avemmo più bisogno di parole, i nostri corpi uniti insieme furono più che sufficienti per comprendere tutto quello che era stato taciuto.
 
La mattina quando mi svegliai, mi alzai e lasciai Emma ancora addormentata nel letto. Era ancora più bella del solito: nuda, con i capelli arruffati, le labbra semichiuse e con una mano abbandonata che sporgeva fuori dal materasso.
Come tutte le mattine da quando Edith era arrivata, andai a svegliarla per farla andare a scuola. Mary Margaret mi aveva detto che non importava e che poteva benissimo pensarci lei, ma io avevo insistito. Mi piaceva svegliarla ed essere il primo al mattino a ricevere il suo dolce sorriso. In più avevo notato che la cosa era reciproca. Evidentemente non avrei perso quell’abitudine e sarei stato sempre io ad andarla a svegliare anche nel nostro futuro.
Entrai nella stanza e mi sedetti nella stessa posizione della sera prima. Edith non sembrava essersi mossa nel sonno e dormiva ancora profondamente.
«Alzati e risplendi principessa», le dissi, scostandole dalla fronte una ciocca di capelli con l’uncino. «È l’ora di svegliarsi».
«Mmm». Per tutta risposta si rigirò fiaccamente dall’altra parte. Vista così sembrava identica a Emma: capelli arruffati, labbra semichiuse, una manina fuori dal materasso.
«Edith sveglia, devi andare a scuola», insistetti.
«No…». La sua voce era solo un sussurro, e le parole erano biascicate. «Voglio dormire».
«Piccola su forza…». Di solito non dovevo insistere così tanto: Edith adorava andare a scuola, anche se quella di allora non era esattamente la sua vera classe. Quella mattina invece sembrava che ci fosse qualcosa che non andava. Di nuovo quel brutto presentimento si fece strada dentro di me.
«Edith su svegliati, farai tardi». Cercai di scuoterla dolcemente per farle aprire gli occhi, ma lei continuò a tenerli chiusi e a stringersi nelle coperte.
«Non voglio andare oggi», mugolò. «Sono stanca…». Quelle parole mi fecero scattare in piedi: era ovvio che ci fosse qualcosa di strano. Aveva dormito tutta la notte, non era possibile che fosse ancora così spossata!
Andai di corsa verso la cucina per andare a chiamare Emma; forse lei aveva più esperienza di me con i bambini. Mi bloccai scorgendo Mary Margaret al bancone della cucina. Chi meglio di lei poteva aiutarmi? Era una maestra e aveva un bambino piccolo.
«Mary Margaret!». Andai verso di lei cogliendola di sorpresa.
«Hook!», sussultò notando la mia espressione. «Che succede?».
«Edith, non credo che stia bene. Non riesco a svegliarla e…». Le parole mi morirono sulle labbra: come potevo spiegarle i miei timori se neanche io capivo con esattezza a cosa fossero dovuti?
«D’accordo, andiamo da lei». Senza aggiungere altro mi precedette nella sua stanza. Edith sembrava non essersi mossa di un millimetro. Mary Margaret si chinò su di lei e le toccò la fronte con la mano. Mi maledissi mentalmente per non averci pensato prima io stesso. Magari era semplicemente malata ed io mi ero fatto mille turbe mentali per nulla.
«Non sembra avere la febbre, non scotta. Edith tesoro!».
La sua risposta fu ancora più debole di quella che aveva mugolato a me. Mary Margaret le scostò i capelli e  continuò a ispezionarla per capire dove fosse il problema.
«Edith piccola riesci a sentirmi?».
«Sì». La sua voce era talmente debole. Sembrava che l’energie l’abbandonassero minuto dopo minuto.
«Ti fa male da qualche parte? Cosa ti senti?».
«No… sono solo tanto stanca». Aveva biascicato lentamente ogni parola, come se il solo pronunciarle le costasse un enorme sforzo.
«Che cosa ha?», chiesi disperato.
«Non ne ho idea». Mary Margaret si voltò guardandomi con la stessa confusione che probabilmente si leggeva nei miei occhi.
«Che succede?». Emma apparve sulla soglia della porta con indosso solo la maglia del pigiama.
«Edith», sussurrai senza bisogno di aggiungere altro. Tornai a guardare la piccola e fu solo allora che notai un particolare che mi era sfuggito. Al polso, vicino alla sua manina che usciva inerme dal lettino, c’era un bracciale. Non un bracciale, il bracciale. Ricordavo benissimo la faccia del Coccodrillo quando glielo aveva regalato. Era la sua faccia da baro, da doppiogiochista, un volto di cui non mi sarei mai fidato e di cui evidentemente avevo fatto male a fidarmi anche solo per un piccolo gesto come quello.
Fu allora che ricollegai tutto alla perfezione. Era da quando Edith aveva messo quel bracciale che aveva cominciato ad essere strana, diversa: era stanca, spossata, prostrata, come se qualcuno o qualcosa le stesse risucchiando via tutta l’energia. Solo che non era solo un modo dire, quel piccolo gioiello le stava rubando la sua forza vitale, il suo potere. Non potevo esserne sicuro ma avrei potuto scommetterci l’unica mano che mi rimaneva.
Mi avventai sul braccialetto cercando di toglierlo. Non mi ero neanche accorto che anche Emma adesso era china sulla piccola.
«Killian che fai?», mi domandò quando la spinsi da una parte per riuscire a raggiungere meglio quella piccola manina.
«È quell’affare, è colpa sua», farneticai. «Dobbiamo toglierlo». Cercai di aprire il gancio con la mano: sicuramente in momenti come quello l’uncino era una protesi piuttosto inutile. Le mie dita scivolavano sul bracciale non riuscendo a compiere quel piccolo gesto che avrebbe svelato se avevo visto giusto o meno.
«Killian, calmati. Che succede?». Le mani di Emma fermarono la mia che cercava incessantemente di strappare quel gioiello da quel piccolo polso.
Mi voltai per guardarla negli occhi, in quelle due pozze verdi che riuscivano a capirmi così bene. «È il bracciale, dobbiamo toglierlo. È il Coccodrillo». Non ebbi bisogno di specificare altro perché lei riuscì a leggere la disperazione nei miei occhi e anche quanto quel piccolo gesto fosse indispensabile.
«Spostati ci penso io». Lasciai che lei prendesse il mio posto tirandomi indietro. I miei occhi non riuscivano a staccarsi da quel piccolo polso, così bianco e così inerme. Se i miei sospetti erano fondati Tremotino l’avrebbe pagata cara. Come poteva fare una cosa del genere ad una bambina?
Emma trafficò con il bracciale. Le sue dita incespicarono sul gancio, ma anche lei sembrava avere qualche difficoltà. Quanto diavolo le ci voleva per compiere un gesto così semplice?
All’improvviso, iniziò a tirarlo per cercare di strapparlo in qualche modo, ma quello sembrava come incollato alla sua pelle, sembrava che non volesse più lasciare il polso di Edith.
«Non si toglie». Si voltò verso di me e ciò che lessi sul suo viso fu puro terrore. Fu allora che le mie supposizioni divennero realtà. Qualunque cosa facesse quel maledetto bracciale stava risucchiando la vita alla mia bambina. Era ovvio che Gold gliel’avesse regalato così volentieri: probabilmente l’aveva messo sul bancone proprio perché Edith lo vedesse. Sapeva che le sarebbe piaciuto, sapeva che l’avrebbe voluto. Ci aveva manipolati senza che noi ce ne accorgessimo.
«Me la pagherà», fremetti. Ero già pronto ad andare da lui a spaccargli la faccia. Non aveva più i suoi poteri da Signore Oscuro e l’avrei conciato per le feste.
La mano di Emma mi trattenne, andando poi ad accarezzarmi la guancia. «Aspetta Killian. Pensaci, c’è solo una cosa che Gold vuole, una cosa che ha sempre voluto: il potere. Non puoi affrontarlo da solo, adesso non più». Certo ed era quello che stava prendendo da Edith.
«Edith, lei… io…». Non riuscii ad articolare una frase di senso compiuto. Fui solo capace di puntare lo sguardo sulla mia bambina e poi su Emma, e dopo di nuovo su quel piccolo corpo.
«Lo so, tesoro». Le mani di Emma mi fermarono il volto, incatenando il mio sguardo al suo. «Non sei solo. L’affronteremo insieme; Killian, Edith starà bene, te lo prometto. Tremotino non si azzarderà più a prendersi gioco di noi».
 
Future time
Eravamo partiti la mattina presto, salutando Anna, Elsa e Kristoff. Anche se loro avrebbero voluto aiutarci di più, magari venendo con noi, quello era un viaggio che io e Killian dovevamo affrontare da soli. Così a malincuore ci avevano lasciato andare, incrociando le dita per noi e con la promessa che avremmo dato loro notizie quanto prima.
La mia speranza che la traversata in nave fosse un viaggio piuttosto tranquillo si infranse immediatamente. Appena usciti dal porto il cielo si era rannuvolato, segno evidente di un’imminente tempesta. Io non avevo mai sofferto il mal di mare; con la Jolly Roger avevamo affrontato molto più di un semplice temporale. Quel giorno, però, la nausea cominciò quasi subito, impedendomi di aiutare Killian quanto avrei voluto. Sicuramente era dovuto alla gravidanza, oltre che al mare mosso, ma quella sgradevole sensazione non mi abbandonò per buona parte del viaggio. Sentivo il mio stomaco sottosopra come se fosse stato capovolto e poi rimesso al suo posto. Avevo l’impressione di poter vomitare da un momento all’altro.
Quando raggiunsi Killian al timone, la mattina successiva, le nausee sembravano essersi un po’ placate. Hook era rimasto alzato tutta la notte per affrontare la tempesta e riuscire a raggiungere la Foresta Incantata il prima possibile. Era rimasto a governare la Jolly Roger in mezzo al temporale da solo, senza riposarsi neanche un secondo.
«Ehi», mi disse quando mi vide comparire sul ponte. «Come ti senti?».
«Meglio, la nausea mi è un po’ passata. E tu? Devi essere stanco». Mi avvicinai a lui e lasciai che mi abbracciasse, intrappolandomi tra il suo petto e il timone.
«No, non eccessivamente». Appoggiai la testa sulla sua spalla, accorgendomi solo allora che aveva i vestiti umidi. Era stato impossibile per lui ripararsi dalla pioggia incessante scesa durante la notte.
«Dovresti cambiarti e riposarti, adesso posso stare io al timone. Perché non scendi un po’ a dormire?».
«Non è necessario. Sono pur sempre un pirata, sono abituato anche a peggio». Era sempre il solito testardo, ma anche io sapevo come farmi valere.
«Potresti ammalarti se continui a stare con questi vestiti bagnati. Non puoi permetterti di ammalarti adesso». Inclinai la testa per riuscire a guardarlo negli occhi. Ero sicura di aver fatto centro con quell’argomentazione.
«Va bene, ma torno subito. Tu intanto mantieni la rotta». Per il momento non sarei riuscita ad ottenere nulla di più, perciò non aggiunsi altro; avrei provato dopo a convincerlo a riposarsi. Lasciò che prendessi il timone e che governassi la Jolly Roger come mi aveva insegnato. Con la coda dell’occhio lo vidi scendere nelle cabine e scomparire sottocoperta.
Guardai l’orizzonte di fronte a me: il peggio sembrava passato e rimanevano solo poche nubi bianche. Mi ricordai di quando Killian mi aveva detto di come per lui fosse rilassante guardare l’orizzonte ed io avevo risposto che per rilassarmi preferivo il rhum. Sembrava una vita fa, un tempo tremendamente lontano. Edith aveva stravolto le nostre esistenze inaspettatamente e, a vederli in quel momento, i problemi di allora sembravano delle enormi sciocchezze. Killian non sbagliava quando affermava che Edith era stata il migliore errore che potessimo fare.
Due braccia forti, improvvisamente, mi avvolsero di nuovo, mentre due labbra calde mi baciarono un orecchio. Era stato velocissimo.
«A cosa pensi?», sussurrò ad un centimetro dal mio lobo.
«A quanto trovi più rilassante il rhum rispetto all’osservare l’orizzonte». Tralasciai la parte su Edith, non c’era bisogno di specificare che era sempre nei miei pensieri.
«Mi sa che nelle tue condizioni dovrai accontentarti dell’orizzonte».
«Già». Mi strinsi di più nelle sue braccia, trovando conforto nel suo corpo caldo. «Avevo quasi rimosso la sensazione delle nausee. Poi verranno le voglie, i cambiamenti di umore repentini, diventerò una mongolfiera, avrò le caviglie gonfie e dovrò andare in bagno ogni cinque minuti; per non parlare delle contrazioni e dei dolori del parto. Perché diavolo mi sono fatta di nuovo mettere incinta da te?».
Lo sentii ridacchiare vicino al mio orecchio. «Non lo so Swan, ma sei stata tu a dire di volere un altro bambino».
«Vero, ma probabilmente in quel momento ero stata colpita da qualche strana malattia mentale. Ero incapace di intendere e di volere». Accennai un mezzo sorriso, sentendo la sua mano accarezzarmi la pancia.
«Beh comunque tu mi piaci lo stesso anche versione mongolfiera».
Mi voltai leggermente verso di lui. «Se fossi in te non userei più il termine mongolfiera in mia presenza per almeno i prossimi nove mesi, anzi facciamo il prossimo anno, o almeno fino a quando non avrò di nuovo il mio peso e la mia forma».
«Ricevuto mia signora». Mi lasciò una scia di baci lungo il collo prima di parlare di nuovo. «Spero che la gravidanza sia come quella precedente per quanto riguarda le voglie».
«Non credo che tu ti riferisca alla mia sfrenata passione per i cioccolatini», lo pungolai.
«Puoi mangiare tutta la cioccolata che vuoi Swan, ma era a ben altro che mi riferivo. A quanto ricordo quella non era la sola fame che avevi». Quando aspettavo Edith avevo una tremenda voglia di Killian, in tutti i sensi. Era qualcosa di nuovo: con Henry non avevo mai sperimentato un desiderio fisico così intenso. Certo ero sola e in prigione, appena diciottenne; sicuramente il sesso non era nelle mie priorità. Invece con Edith, Killian era lì e non l’avevo mai desiderato così tanto.
«Quella era la voglia che riuscivo a soddisfare meglio», aggiunse, sfiorandomi il naso con la guancia.
«Hai un’alta opinione di te», scherzai.
«Oh piccola non sono io che ho un’alta opinione di me, l’ho semplicemente dedotto dai i tuoi gemiti di piacere. Non ci vuole un genio per capirlo». Era sempre il solito.
«Spero che sia un maschio», dissi lasciando cadere quel discorso.
«Anche io. Stiamo andando a riprendere la nostra principessa, ci vuole un altro uomo in famiglia».
«Immagino già cosa potresti insegnare a nostro figlio, lo farai diventare un pirata?».
«Sarà un gran pirata e un seduttore», ribatté. «Esattamente come il sottoscritto».
«Beh almeno, quando sarà il momento, ti dovrai preoccupare di proteggere solo la virtù di Edith ».
Fece una smorfia al pensiero di Edith con qualche ragazzo. «La mia principessa resterà pura e innocente almeno fino ai trent’anni. Avrà solo incontri programmati, dove sarà presente almeno uno di noi due».
Scoppiai a ridere immaginandomi quella assurda ipotesi. Il suono della mia risata mi sorprese: erano giorni che al massimo riuscivo a fare qualche mezzo sorriso. Invece quel gesto era liberatorio ma anche altrettanto sbagliato. Non avrei dovuto, non senza Edith lì e con un futuro ancora incerto. La mia risata, così come era cominciata, si spense e si trasformò in un singhiozzo.
«Tranquilla». Killian capì subito i miei pensieri. «Andrà tutto bene Emma». Lasciai che lui prendesse il timone dalle mie mani, in modo tale da potermi girare e poter tuffare la testa sulla sua spalla. Sarei rimasta così per sempre: abbarbicata alla mia roccia per riuscire a sostenermi.
 
Dopo un paio di giorni di navigazione attraccammo ad un porto in uno dei tanti paesini nella Foresta Incantata. Nonostante le resistenze di Killian, data la mia condizione, decidemmo di prendere un cavallo per poter arrivare a Camelot velocemente.
Una volta là però scoprimmo che Merlino, non era più alla corte di re Artù ma era tornato ad abitare in quella che era la vecchia casa dell’Apprendista. Inutile rimarcare il fatto che continuavamo ad avere deviazioni e imprevisti; almeno, però, sapevamo esattamente dove trovare Merlino.
Ci trattenemmo alla corte di Artù giusto il tempo di far riposare il cavallo e per ristorarci anche noi, per quanto fosse possibile. Nonostante sapessimo che Edith era in buone mane, il desiderio di riaverla tra le braccia era predominante. In più volevamo scoprire subito se Merlino avrebbe potuto davvero aiutarci. La possibilità che fosse un altro buco nell’acqua era spaventosa: né io né Killian riuscivamo a pensarci. Anche perché che cosa avremmo inventato se neanche lui aveva una soluzione? Quell’idea era talmente terribile che preferivo rinchiuderla sigillata in fondo alla mia mente, ma la sua presenza era comunque costante e incessante.
Mentre cavalcavamo mi stringevo alla schiena di Killian cercando di focalizzarmi su pensieri positivi. Mi ero già lasciata troppo andare durante la nostra ultima notte ad Arendelle e non volevo più ricadere in quella terribile disperazione. Sapevo che Killian soffriva tanto quanto me e non era giusto che fosse solo lui a sostenerci. Nella nostra storia ci eravamo sempre sorretti a vicenda e non volevo che in quell’inferno fosse lui l’unico a dover sopportare il peso dei miei sfoghi.
Nonostante non cedesse di un centimetro avevo notato come gli occhi di Killian si incupissero via via ogni volta che ricevevamo un’altra delusione. Edith era la sua principessa e l’amava in un modo inconcepibile. Così come non si era arreso con me quando ero diventata il Signore Oscuro, non si sarebbe arreso con lei. Ma in quel momento io riuscivo a percepire quanto fosse difficile mantenere salda la sua posizione e riuscivo ad immaginare quanto fosse stato altrettanto difficile con me. Lui da solo non si era arreso ed io l’amavo con tutta me stessa per come aveva lottato e per il modo in cui anche adesso stava gestendo la situazione.
«Ti amo», sussurrai contro la sua schiena mentre sfrecciavamo nella foresta.
«Anch’io ti amo Emma».
Fu poco dopo che il cavallo si fermò in un ampia radura, al centro della quale stava una vecchia casa. Killian mi aiutò a scendere e una volta a terra potei guardarmi meglio intorno.
La casa non aveva niente di speciale, sembrava una vecchia abitazione di campagna che si trovava in mezzo al nulla nel pieno della Foresta Incantata. Mi sarei aspettata molto di più dall’abitazione dell’Apprendista prima, e di Merlino dopo. Non c’era nessun segno di magia, nessun segnale che lì dentro viveva uno stregone potente.
La casa poteva sembrare abbandonata eccetto per un piccolissimo particolare. Dal camino, un vecchio camino in mattoni che si confaceva al resto dell’abitazione, saliva del fumo, segno evidente che all’interno della casa il fuoco era accesso. Quel fumo che saliva in spiarli nel cielo fece partire all’impazzata il mio cuore. Non avevo bisogno di scoprire se l’abitatore della casa fosse davvero Merlino; dentro di me lo sapevo: era lui. L’avevamo trovato.
La mano di Killian si intrecciò nella mia e mi tirò verso la porta. Ci fermammo davanti alla soglia sapendo che di lì a poco ogni nostro dubbio sarebbe sparito ed ogni domanda avrebbe trovato risposta, positiva o negativa che fosse.
Fu con quella consapevolezza che bussai alla porta con mano tremante.


Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Sono stata abbastanza veloce, che ne dite?
Nell'attesa della puntata di questa notte vi ho voluto regalre dei teneri momenti Captain Swan sia nel presente che nel futuro. So che in questo capitolo non accade molto, ma spiana la strada a ciò che avverrà nel prossimo.
Comunque per ora, si è in parte svelato il piano di Gold, tanto il fatto che tramasse qualcosa era palese. Dall'altro lato Emma e Killian sono finalmente arrivati da Merlino.
Ringrazio sempre chi legge, chi inserisce la mia storia nelle varie categorie, e soprattutto chi recensisce. Mi fa davvero piacere sentire le vostre opinioni.
Un abbraccio, a presto
Sara

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Capitolo 11
*** 11. Sacrifici ***


11. Sacrifici
 
Future time
Il suono delle mie nocche sul legno della porta sembrò riecheggiare in tutta la radura. Per qualche istante non ci fu che silenzio, finché all’interno della casa risuonarono dei passi.
L’uscio si aprì cigolando e la figura di Merlino apparve sulla soglia sorridendoci.
«Accomodatevi, è un piacere rivedervi. Sapevo che sareste venuti». Entrammo in quella casa titubanti, con l’anima in subbuglio, ansiosi di ricevere delle risposte alle tante domande che ci assillavano.
Nel giro di pochi minuti, senza neanche rendermene conto, mi ritrovai seduta accanto a Killian; tra le mani stringevo una tazza fumante di tè, che Merlino ci aveva generosamente offerto.
«Bene veniamo al dunque», disse sedendosi davanti a noi. «Siete qui per Edith giusto?». Sbattei le palpebre perplessa: lui sapeva già tutto? E allora cosa aspettava a dirci ciò che ci interessava?
«Tu lo sai?», balbettai.
«Ho predetto il vostro arrivo e sono riuscito ad intuire il motivo della vostra visita, ma vi prego esponetemi meglio la situazione».
«Nostra figlia, Edith, è tornata indietro nel tempo», cercai di spiegargli. «So che sembra assurdo ma guardando una nostra foto si è teletrasportata nel 2015, esattamente quando la stavamo scattando».
«Ha molto potere», intervenne Killian, «ma è troppo piccola per controllarlo. Così non è riuscita a gestirlo ed adesso è bloccata nel nostro passato. Noi non chiediamo altro che di poterla riabbracciare, vogliamo riportarla a casa».
«Ti prego», lo supplicai, «sei la nostra ultima speranza, se neanche tu puoi fare niente per noi…».
«Emma», mi interruppe poggiandomi una mano sulla spalla. «Io posso aiutarvi». Quelle erano le parole che a lungo avevamo sperato. L’avevamo desiderate così tanto che sentirle pronunciare sembrava un sogno, un bellissimo sogno dal quale potevamo svegliarci da un momento all’altro.
«Davvero?». Killian appoggiò la sua tazza sul tavolo e mi prese la mano stringendola forte.
«Penso di avere quello che fa al caso vostro». Sospirai di sollievo portandomi l’altra mano alla bocca e mi lasciai sfuggire alcune lacrime di gioia.
«Tremotino ci ha detto che non possiamo semplicemente usare un portale e non vogliamo usare nessun sortilegio oscuro». Killian voleva tastare bene il terreno prima di credere veramente alle sue parole; in fondo avevamo avuto fin troppe delusioni.
«Lo so Hook, non devi preoccuparti per questo. Seguitimi». Si alzò e ci fece strada verso un’altra stanza della casa. Scoprimmo presto che, se anche l’abitazione non dava segni di magia all’esterno, all’interno la situazione era completamente diversa; infatti la casa era enorme nonostante che dal di fuori sembrasse possedere al massimo due o tre stanze.
Merlino ci guidò in un’ampia sala, che era stata adibita a biblioteca. C’erano centinaia di libri, alcuni dalle copertine rilegate molto simili al libro di Henry, altri più piccoli. C’erano volumi di tutte le forme e dimensioni, disposti ordinatamente su moltissimi scaffali addossati alle pareti.
«Vediamo un po’». Merlino cercò tra i vari tomi, che probabilmente avevano un ordine ben preciso e ne estrasse uno piuttosto grosso. «Questo dovrebbe andare bene». Si diresse ad un tavolo posto al centro della stanza e ci fece cenno di avvicinarci.
«Credo che quello che vi occorra sia un incantesimo ben preciso…», mormorò sfogliando attentamente le pagine.
«In quel libro c’è un incantesimo che può riportare indietro Edith?», domandò Killian.
«No», rispose. «Ma ve ne è uno che potrà portarvi da lei e poi riportarvi a casa».
Trattenni il respiro mentre Merlino continuava a sfogliare le pagine alla ricerca di quella giusta. La mano di Killian strinse più forte la mia. Non avevo bisogno di guardarlo negli occhi per capire quanto anche lui fosse ansioso e titubante. Era la prima volta da quando era cominciato quell’inferno che sembravamo avere la certezza della nostra riuscita. Merlino era certo di poterci aiutare, e lui era uno dei più potenti maghi di nostra conoscenza. Era così bello che stentavo ancora a crederci.
«Ecco qua», esultò all’improvviso fermandosi su una pagina. «Proprio quello che fa al caso vostro». Voltò il libro dalla nostra parte in modo tale che potessimo vedere ciò che vi era scritto. Quello che Merlino ci stava indicando era la raffigurazione di un triangolo isoscele; la figura aveva delle illustrazioni ma erano scritte in una lingua che non conoscevo.
«Un triangolo? A cosa serve?», domandai. «Cosa c’è scritto?».
«Ah giusto! Lasciate che vi spieghi». Prese il libro e fece apparire tre comode poltrone ad un lato della stanza. Una volta accomodati, iniziò la sua spiegazione.
«Questo è un incantesimo che di solito viene utilizzato per rintracciare e raggiungere una determinata persona, in qualsiasi mondo si trovi. Non è stato mai sperimentato in tempi diversi, ma sono sicuro che non ci saranno problemi grazie alla piccola variante che apporteremo. Tra l’altro voi avete un legame di sangue per cui riuscire a trasportarvi da Edith non dovrebbe essere un problema».
«Il triangolo serve a questo?», chiesi sforzandomi di assimilare tutto il meglio possibile.
«Sì. Solitamente ai primi due angoli si dispongono due persone e al terzo un oggetto dell’individuo che si vuole raggiungere. In questo caso, visto che si tratta di tempi diversi apporterei alcune modifiche che vi permetteranno di tornare indietro fino al 2015, esattamente nel tempo in cui si trova la bambina».
«E quali sarebbero queste modifiche?», chiese Killian precedendomi.
«Dovrete tenere in mano degli oggetti che vi leghino al passato, qualcosa che sicuramente avevate a quel tempo e con un significato particolare per voi. In più anche l’oggetto che vi permetterà di rintracciare Edith dovrà essere in qualche modo legato al suo giovane passato».
«E così potremo andare da lei?». Sembrava così semplice da parere ancora di più impossibile.
«Sì ve lo garantisco. Occorreranno però delle ceneri speciali, ma di questo parleremo più tardi. Prima voglio finire di spiegarvi come funziona l’incantesimo». Ceneri speciali? Di qualunque cosa si trattasse io e Killian l’avremmo trovata. Non ci saremmo fermati di certo ad un passo dalla meta.
«Emma», continuò puntando lo sguardo su di me, «credi di essere capace di imparare la formula e di avere abbastanza potere per lanciare l’incantesimo?».
«Sì». Su quello non avevo dubbi; se da quel mio gesto dipendeva la  riuscita dell’impresa il potere l’avrei trovato di certo. «Ce la farò ne sono sicura».
«Emma…». Killian mi guardò preoccupato per poi tornare a guardare Merlino. «Lei è incinta». Lo fulminai con lo sguardo, ma lui mi rispose con un’espressione altrettanto decisa. Perché diavolo l’aveva detto? Non ero mica malata, potevo farcela benissimo anche se ero in stato interessante.
«Oh congratulazioni», esclamò l’altro.
«Potrebbe essere un problema?», domandò Killian titubante. «L’incantesimo, la magia…».
«Devi stare tranquillo, Emma non correrà nessun pericolo. Se lei dice che può farcela, allora non ci saranno problemi». Gli lanciai un’occhiataccia, come per dire “visto?” ma lui fece finta di non notarla. Lasciai perdere e tornai all’argomento principale.
«E una volta riabbracciata Edith come faremo per tornare indietro?». Non avevo dimenticato che uno dei problemi principali era riuscire a ritornare a casa.
«Giusta osservazione. Potrete usare lo stesso incantesimo, solo con una formula magica diversa e con oggetti diversi. In questo caso sarete in tre, uno ad ogni angolo, e terrete in mano cose che vi ricolleghino al futuro. In più se vi concentrerete su casa vostra, l’incantesimo sarà più facile. Allora credete di riuscire a trovare questi oggetti?».
Killian ed io ci fissammo, pensando a ciò che ci sarebbe potuto essere utile.
«Potremmo usare», disse all’improvviso, «Mister Bobby, l’orsetto di Edith, ne è così legata e poi il suo regalo: il quaderno. Non l’ha neanche visto, è sparita prima».
«Sì sono perfetti», esultai. «Ed io so perfettamente quali oggetti utilizzare». Avrei usato la mia coperta, l’unica cosa che avevo fin dalla nascita, per ricollegarmi al passato e qualcosa legato al bambino in arrivo per tornare indietro.
«E tu Hook?», gli domandò Merlino.
Killian ci pensò su per qualche secondo. «Potrei usare la mia fiaschetta».
«Sul serio?». Lo guardai perplessa; era davvero quello l’oggetto che più lo legava al passato?
«Beh è con me da sempre, per un pirata è una fida amica come la sua nave. Per l’altro datemi un secondo, va bene?».
«D’accordo», acconsentì Merlino. «Nel frattempo approfitto per spiegarvi l’ulteriore modifica che vorrei apportare in modo che l’incantesimo sia efficace per questo salto temporale. Come vi accennavo prima ci sarà bisogno di ceneri speciali».
«Ceneri speciali?», ripetei.
«Sì. Di solito il triangolo viene scavato nel terreno in maniera molto semplice. Invece in questo caso sarà opportuno che venga tracciato con delle ceneri di un oggetto particolare. Se è stato relativamente semplice trovare qualcosa che colleghi ognuno di voi a presente e passato, forse la ricerca in questo caso sarà più difficile». Avevo avuto subito la sensazione che fosse troppo semplice per essere vero; la fregatura doveva esserci da qualche parte. Comunque, di qualsiasi oggetto si trattasse saremo riusciti ad averlo. Il problema non era tanto nell’avere successo nell’impresa, ma quanto tempo avremo impiegato nel farcela.
«Di che oggetto si tratta?». Killian pose la domanda che io non ero riuscita a fare.
«Sono necessarie le ceneri di un oggetto che abbia vinto il tempo. Ci serve qualcosa che sia riuscito ad avere la meglio sullo scorrere dei minuti. Non so se riuscite a capirmi, ma ciò che ci occorre è qualcosa che abbia affrontato tempi diversi, che sia in qualche modo sopravvissuto. Saranno le sue ceneri a permettere il salto temporale». Lo guardai pensierosa, riflettendo sulle informazioni che ci aveva appena dato. Non era certo stata una spiegazione chiara, cosa significava “un oggetto che abbia vinto il tempo”? Poteva essere tutto o nulla. Poteva riferirsi all’orologio della torre di Storybrooke, ma in quel caso come avremmo fatto a bruciarlo? L’unica altra cosa che mi veniva in mente era il libro di Henry, era uno degli oggetti che aveva affrontato il viaggio nel passato, ma non ero certa che si potesse definire come vincitore del tempo.
Killian al mio fianco si fece teso e i suoi occhi si incupirono. Conoscevo fin troppo bene quei due oceani e capii subito che stava pensando a qualcosa che lo tormentava. Forse lui aveva avuto idee migliori delle mie? Ma allora perché sembrava essere impallidito?
«E dovremo bruciarlo?», chiese in un sussurro.
«Sì ed usare le sue ceneri», gli rispose Merlino scrutandolo.
«Deve essere piccolo o grande?». Lo fissai non riuscendo a capire. Aveva davvero trovato qualcosa che potesse fare al caso nostro?
«Le sue dimensioni non hanno importanza».
«Killian a che cosa stai pensando?». Mi voltai completamente verso di lui stringendogli forte la mano con la mia e posandogli l’altra sulla guancia.
Fece un profondo respiro, come per reprimere ogni incertezza. «So cosa ci serve, non sarà difficile  procurarci queste ceneri».
«Cosa?». I miei occhi si incatenarono ai suoi cercando di capire quello che ancora mi stava nascondendo. Se non aveva detto subito di cosa si trattasse doveva esserci un motivo.
«Quale oggetto pensi di usare?», gli domandò Merlino osservando, come me, ogni sua espressione.
«La Jolly Roger».
«No!». Non mi ero neanche accorta di averlo urlato. Mi alzai di scatto cercando di riflettere lucidamente.
«Emma, pensaci». Si alzò anche lui, avvicinandosi e scostandomi una ciocca di capelli con l’uncino. «La Jolly è stata sull’Isola che non c’è, lì il tempo scorre diversamente; guardami sarei già morto e sepolto altrimenti. Ha affrontato portali, sortilegi, è stata bloccata in una bottiglia eppure è sempre la stessa, come la prima volta che l’ho portata per mare. Chi meglio di lei può dire di aver battuto il tempo?». Lui aveva ragione, ma quello che stava dicendo significava bruciare la nave. C’erano troppi ricordi, troppe avventure, era la SUA nave, la SUA seconda casa, tutti i suoi ricordi erano su di lei, buona parte della sua vita l’aveva trascorsa là sopra.
«Killian tu non puoi, la Jolly è la tua nave, è tutto per te». Le lacrime cominciarono a rigarmi le guance, senza che potessi far niente per trattenermi.
«Emma». Mi asciugò gli occhi rivolgendomi un sorriso triste. «La Jolly non è tutto per me, tu ed Edith siete tutto quello che ho. Già una volta l’ho abbandonata per raggiungerti, pensi forse che qualcosa mi trattenga dal fare lo stesso per Edith?».
«Ma Killian dovrai bruciarla», singhiozzai. «Dopo non potrai riaverla, non ci sarà più».
«Lo so, ma non importa se è davvero quello di cui abbiamo bisogno». Si voltò verso Merlino che era rimasto in disparte. «Credi che usando le ceneri della Jolly Roger la magia funzionerà?».
«Sì funzionerà». Sapevo che quella era la risposta, ma non riuscivo ancora a capacitarmene. Killian invece non aveva più dubbi. Ancora una volta mi aveva fatto capire quanto fossimo importanti per lui. Avrebbe sacrificato la sua nave, la cosa più preziosa che avesse mai avuto, per noi.
Mi asciugò le lacrime con un dito, rivolgendomi il suo sguardo risoluto. «Bene, allora non dobbiamo più perdere tempo. La nostra principessa ci sta aspettando».
 
Present day
Entrammo nel negozio di Gold come delle furie. Killian teneva la piccola in braccio, David e Mary Margaret ci seguivano. Se dovevamo affrontare Tremotino era meglio arrivare prepararti. Avevamo anche avvertito Regina, che sarebbe arrivata il prima possibile.
«Coccodrillo esci fuori». La voce di Killian tremava di rabbia repressa, probabilmente se non avesse tenuto Edith, priva di forze, tra le sue braccia non si sarebbe trattenuto dal prendere a pugni qualcosa o qualcuno.
Era inconcepibile che quel codardo se la fosse presa con una bambina. Per cosa poi? Per un potere che lui ormai non aveva più? Era sempre il solito e non era cambiato per niente. Nonostante non fosse più il Signore Oscuro aveva scelto il potere per l’ennesima volta.
«Gold!», gridò mio padre.
«Cosa è tutto questo baccano?». Spuntò dal retrobottega come se nulla fosse. Ci squadrò con uno sguardo meschino e sentii la rabbia ribollirmi ancora di più nelle vene.
«Maledetto come puoi fingere?», sputò fuori Killian. «Sai benissimo perché siamo qui».
«Smettila immediatamente», sibilai. «Toglile il bracciale». Hook distese la piccola sul bancone: le sue braccia, penzolavano inerti e sul suo polso candido il braccialetto spiccava come nero su bianco.
«Non so a cosa tu ti riferisca», rispose semplicemente.
Quella ipocrisia fu la goccia che fece traboccare il vaso. «Basta, ti ho detto di levarle il bracciale e di fermare qualsiasi cosa tu le stia facendo». Agitai la mano per immobilizzarlo al muro con la mia magia, ma non accadde assolutamente niente.
«Cosa diavolo…». Riprovai ma fu come se non avessi più il mio potere.
«Sorprendente, non trovate? È incredibile ciò che si riesce a fare con un capello e una candela».
«Cosa hai fatto alla mia magia?», balbettai.
«L’ho semplicemente bloccata, cara. Fino a quando io controllerò la magia di Edith, visto che in lei scorre il tuo sangue non potrai più farmi nulla». Fremetti di rabbia, sentendomi impotente come mai prima di allora.
«Maledetto». Mio padre e Killian tentarono di avvicinarsi a lui per colpirlo fisicamente viso che con la magia non avevamo chance. Ma il coccodrillo li immobilizzò, evidentemente incanalando il potere di Edith. La pistola che mio padre aveva estratto volò lontano nella stanza.
«Miei cari non avete ancora capito che con me le vostre armi non funzionano».
«Ti prego. È solo una bambina», intervenne mia madre. «Guardala! Come puoi farle questo?». Non fece  a tempo a finire la frase che anche lei si trovò bloccata grazie a un semplice gesto della mano.
«Ci avevi dato la tua parola», mormorai furente. «Avevi promesso che non l’avresti toccata neanche con un dito».
«Tecnicamente io non ho fatto niente. È stata Edith che ha scelto il braccialetto, è stata lei che l’ha voluto. Non è colpa mia se si tratta di un oggetto ricco di magia oscura».
«Di cosa si tratta?».
«Di un bracciale che riesce a catturare la magia della persona e a trasferirla al precedente proprietario, che si dia il caso sia proprio io. In fondo sapete benissimo che Edith aveva troppo potere dentro di sé per riuscire a gestirlo».
Corsi nella sua direzione, esattamente come avevano fatto poco prima Killian e mio padre, ed anche io mi ritrovai bloccata. Avevo agito senza riflettere lasciando che la rabbia e la preoccupazione prendessero il sopravvento.
«Mia cara, mi sembra che i tuoi tentativi siano poco innovativi». Feci un profondo respiro per riuscire a calmarmi.
Dovevo provare a pensare lucidamente. Io non potevo fare niente, noi non potevamo fare niente. Però se la mia magia non era efficace forse lo sarebbe stata quella di Regina. Sarebbe arrivata presto e avrebbe dato una lezione al Coccodrillo. Guardai verso la porta, sperando che comparisse da un momento all’altro a salvare la situazione.
«Credi davvero», mi disse Gold notando la direzione del mio sguardo, «che non abbia preso precauzioni? Mi consideri così sciocco da non aver pensato che avreste chiamato i rinforzi? Mi dispiace, ma Regina non riuscirà ad entrare. È stupefacente quanto potere possegga questa bambina».
Eravamo in trappola, senza via di fuga e senza nessuna possibilità di riuscita. Come potevamo essere stati così stupidi? Eravamo accecati dalla rabbia per Edith e non avevamo riflettuto abbastanza. Ci eravamo sconfitti da soli ed Edith continuava a stare là, stesa sul bancone, priva di forze. La mia bambina priva di forze.
Sentii le lacrime pungermi gli occhi per uscire mentre una nuova consapevolezza si faceva strada dentro di me. Finalmente capivo Killian, il perché fosse tanto affezionato a lei. Quel legame che avevo sempre tentato di negare adesso era così evidente da sembrare palese. Edith era la nostra bambina ed io ero felice che lo fosse, che fosse mia e di Killian anche se probabilmente sarebbe stata una sorpresa improvvisa. Il vederla così, piccola, inerme ed indifesa aveva abbattuto tutte le mie barriere e risvegliato in me il mio istinto materno.
Raccolsi tutte le mie forze cercando di abbattere quel tremendo muro che mi teneva immobilizzata.
«Cosa vuoi farci?», domandai, alzando la testa e puntando lo sguardo dritto nei suoi occhi.
«Oh niente cara. Vi terrò così fino a che non avrò assorbito tutto il potere di Edith, dopo di che potrete andarvene. Siate sinceri, non è quello che avete sempre desiderato nel profondo? Non avete sempre sperato che la piccola perdesse la sua magia in modo da non essere più un pericolo né per gli altri né per sé stessa?».
«Ma se continui così lei morirà!». La voce di Killian era strozzata e sofferente. Evidentemente stava lottando con tutte le sue forze per liberarsi da quella morsa invisibile.
«Non ti permetterò di farle questo». Richiamai tutta l’energia e il potere che avevo e riuscii a muovere un passo. Sembrava che stessi camminando in un mare di cemento ma non mi sarei arresa.
«Davvero impressionante», mormorò Tremotino visibilmente colpito. «In fondo tieni a questa bambina più di quanto credessi».
Faticosamente raggiunsi Edith al bancone e con altrettanta fatica arrivai al suo polso afferrando il braccialetto. Le avrei tolto quell’affare a tutti i costi. Tirai tentando di staccarlo, di romperlo in qualche modo ma risultò tutto inutile.
Mentre armeggiavo con quel bracciale una mano si unì alla mia, aiutandomi nell’impresa. Killian era riuscito a vincere quella forza invisibile e tentava con tutto sé stesso di salvare la nostra bambina. Quel nostro tentativo, quell’accanirsi sul bracciale, sembrava stupido, ci avevamo già provato, ma era la nostra unica possibilità di salvarla.
«Adesso basta». Gold fece un cenno con la mano e un’ondata di potere si infranse su di noi. Riuscii miracolosamente a resistergli mentre tutti gli altri furono scagliati indietro. Mary Margaret e David cederono a terra privi di sensi e Hook fu scaraventato contro un mobile. Lo vidi battere la testa e cadere a terra sanguinante.
«Killian!», gridai. Mi si parò davanti un bivio: o andavo da lui e cercavo di capire se stesse bene o rimanevo con Edith cercando un modo per fermare quell’affare infernale che aveva al polso.
Respingendo le lacrime che tentavano di uscire, mi voltai di nuovo verso Edith e tornai a prestare la mia completa attenzione al suo piccolo polso.
Se non riuscivo a toglierlo cosa altro potevo fare? Quell’aggeggio cercava e prendeva il suo potere, come potevo impedirglielo?
All’improvviso, mentre sentivo la disperazione prendere campo dentro di me, ebbi un’illuminazione. Se il bracciale voleva prendere il suo potere allora gli avrei dato il mio. Se avesse iniziato a canalizzare la mia magia probabilmente Edith sarebbe sopravvissuta. Non sapevo cosa sarebbe successo a me, ma non mi importava. Ero disposta a sacrificarmi per salvarla.
Così invece di continuare a tirare il braccialetto, l’afferrai stretto, stringendolo nella mia mano fino quasi a tagliarmi la carne. Mi concentrai in modo che il bracciale riuscisse a sentire il mio potere, sicuramente più potente di quello che aveva Edith in quel momento, e potesse incanalarlo.
Seppi di aver avuto successo quando lentamente sentii le forze abbandonarmi. Riuscivo a percepire come la magia si allontanasse da me, da ogni centimetro del mio corpo, da ogni mia singola cellula. Le mie gambe tremarono, non riuscendo più a reggere il mio peso. Mi accasciai lentamente, scivolando con la schiena lungo il bancone ma sempre stringendo forte il braccialetto.
Da quella mia posizione non riuscivo più a vedere cosa stesse facendo Tremotino, ma non mi importava: non avevo abbastanza forze per pensare anche a lui. Lanciai uno sguardo a Killian che era sempre steso a terra; lui sarebbe stato bene, era bravo a sopravvivere e non sarebbe stato un colpo alla testa a cambiare questo dato di fatto.
La manina di Edith che pendeva dal bancone sfiorava il mio polso, mentre offrivo al bracciale tutto quello che avevo. Speravo che cedendogli tutta la mia magia sarebbe stato neutralizzato e non avrebbe più incanalato il poco potere che restava ad Edith. Le avrebbe lasciato la giusta forza che le bastava per sopravvivere ed uscire da quella orribile situazione.
I miei occhi si fecero pesanti ma cercai di tenerli aperti. La stanchezza mi sopraffaceva istante dopo istante e anche i miei pensieri cominciarono a farsi confusi.
Quel che accadde dopo riuscii ad intravederlo dalla profonda nebbia che piano piano mi stava circondando. Sentii la mano di Edith riprendere a muoversi mentre probabilmente si stava svegliando. Con uno sforzo immane alzai leggermente la testa per poter vedere mia figlia negli occhi almeno un’ultima volta.
Edith si svegliò lentamente e si mise a sedere sbattendo le palpebre confusa. Doveva essere disorientata ed evidentemente non riusciva a capire dove fosse. Sentendo il peso della mia mano sul suo braccio, abbassò lo sguardo e mi vide. I suoi occhi, gli occhi di Killian, mi fissarono riempiendosi di paura. Avrei voluto rassicurarla, avrei voluto dirle che sarebbe andato tutto bene, ma non avevo più le forze per parlare.
Gli oceani di Edith lasciarono i miei per potersi guardare attorno, fermandosi su quello che era il corpo di suo padre privo di sensi. «Mamma! Papà!». Il mio cuore batté più forte sentendo quelle parole: non eravamo mai stati per lei solo Emma e Killian, eravamo i suoi genitori anche se, in realtà, dovevamo ancora concepirla.
L’energie mi stavano completamente lasciando e non riuscii più a tenere gli occhi aperti; nonostante ciò, rimasi in ascolto. «Tu!». Edith doveva essersi rivolta a Tremotino. Gold con molta probabilità era rimasto in disparte fregandosene del mio gesto. In fondo lui voleva il potere, non gli importava molto da chi l’avrebbe ottenuto.
«Cosa hai fatto alla mia famiglia?». Edith non piangeva, la sua voce era rabbiosa. Non si sarebbe mostrata debole, non di fronte a lui.
«Me la pagherai», fu solo un sussurro ma all’improvviso sentii come il pavimento tremare sotto di me. Subito dopo la forza che mi teneva incollata al braccio di Edith sembrò disgregarsi e il braccialetto che tenevo saldamente in mano si sbriciolò tra le mie dita. Non avendo più quell’appiglio il mio braccio scivolò giù risentendo della forza di gravità; ma mentre il mio braccio crollava sentii la magia tornare ad invadere ogni fibra del mio corpo. Tutto quello che mi era stato portato via, stava ritornando al suo posto con estrema velocità.
«Mamma… Emma…». Due piccole mani mi accarezzarono la testa. Lentamente riuscii ad aprire gli occhi per poter incontrare due oceani che mi stavano fissando preoccupati.
«Edith», sospirai per poi tuffarmi ad abbracciarla. Stavo tornando velocemente in forma e tutta la stanchezza che avevo provato stava scomparendo per rimanere solo un brutto ricordo.
Quando mi staccai da lei, mi alzai per vedere ciò che era successo. Le mie gambe sembrarono sostenermi. Il mio corpo stava recuperando l’energie in un battito di ciglia.
Guardandomi intorno notai che nella stanza regnava il caos più totale. Tutti i gingilli che il Coccodrillo teneva ammassati nel suo negozio erano sparsi alla rinfusa e i mobili sembravano essersi leggermente spostati come in seguito ad un tremendo terremoto. Tremotino era steso a terra privo di sensi e dal suo stato si poteva dedurre che sarebbe rimasto in quelle condizioni per un bel po’. Il pensiero che si meritasse anche di peggio mi passò per la mente, ma lasciai che fosse un’idea fugace. Avevo ormai chiuso con l’oscurità e la voglia di vendetta. Se volevo tornare ad essere un’eroina dovevo riuscire ad accontentarmi di averlo ridotto in quello stato.
Il mio pensiero successivo fu subito rivolto al possessore del mio cuore. Edith era già al suo fianco e quando arrivai su di lui, Hook stava riprendendo conoscenza. Del sangue gli colava dalla fronte e mi affrettai a guarirlo con la magia appena ritrovata. Sbatté le palpebre cercando di mettere a fuoco la stanza e le persone intorno a lui. Il suo oceano scrutò profondamente prima me per poi passare alla piccola figura al mio fianco.
«Edith», sospirò abbracciandola. «Emma». Si sporse per riuscire ad abbracciare anche me.
«Cosa è successo?». Era stato mio padre a parlare. Anche lui e mia madre avevano ripreso i sensi e stavano venendo verso di noi.
«È merito di Edith», affermai fiera. «Ci ha salvato tutti».
La piccola arrossì e abbasso lo sguardo sulla sue mani. «Non è vero». Sicuramente non aveva preso l’ego di suo padre; la modestia doveva averla ereditata da me.
«Sì invece non so cosa avrei fatto senza di te». Le accarezzai la guancia, sollevandole il viso per poterla osservare negli occhi.
«Io non… tu e Killian eravate… io… lui era lì ed io non volevo che vi facesse del male». Aveva balbettato tutta la frase e dal suo tono era palese quanto l’avesse turbata il vederci entrambi feriti e in pericolo.
«Sono fiero di te». Killian le prese la mano e la strinse forte. I loro occhi si incrociarono e sul volto di Edith comparve un piccolo sorriso.
«Anch’io sono molto fiera di te».
«Grazie mamma». Si bloccò accorgendosi troppo tardi di avermi chiamato in quel modo.
«Mamma va bene», la tranquillizzai. «Anche se presto la tua vera mamma verrà a prenderti, puoi chiamarmi così se ti viene naturale. In fondo sono pur sempre la stessa persona e sono orgogliosa di poter avere in futuro una figlia come te». Edith mi si tuffò tra le braccia travolgendomi in un abbraccio che valeva più di mille parole. Sentii su di me lo sguardo di Killian e quando alzai gli occhi su di lui mi inondò con un sorriso radioso.
«Beh che ne dite se andiamo a fare colazione da Granny?», propose mia madre.
«A Gold penseremo più tardi», disse David, che nel frattempo aveva ammanettato Tremotino ad un mobile. Era sempre privo di sensi, ma non era in condizioni così gravi da non poter passare in secondo piano.
«Sono perfettamente d’accordo», acconsentii alzandomi e porgendo una mano a Killian per aiutarlo.
Una volta usciti trovammo Regina in preda al panico che tentava di entrare nel negozio.
«Emma, Mary Margaret che cosa diavolo è successo là dentro?».
«È una lunga storia, che ne dici se te la raccontiamo di fonte ad una bella tazza di cioccolata calda?». Senza aspettare una sua risposta presi la mano di Killian da una parte e quella di Edith dall’altra e insieme ci avviammo da Granny per goderci un meritato riposo dopo quella inattesa avventura.


Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Eccomi di nuovo qua con un capitolo bello intenso; infatti si può dire che sia successo di tutto e di più in entrambi i tempi.
Prima di tutto Merlino può aiutarli! Questo è il primo vero risultato positivo per i nostri poveri genitori. Ovviamente ogni magia ha un prezzo e Killian lo pagherà sacrificando la Jolly Roger. Mi piange il cuore per questo ma penso che sia giusto così alla fine... 
E poi c'è la lotta contro Gold, Edith che salva la situazione e l'illuminazione di Emma. Le c'è voluto un po' ma alla fine l'istinto materno che c'è in lei ha preso il sopravvento
Vi ringrazio di leggere e recensire. Alla prossima!
Un abbraccio
Sara
 

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Capitolo 12
*** 12. Gestire le proprie emozioni ***


12. Gestire le proprie emozioni
 
Present day
Era incredibile come nel giro di un secondo io avessi completamente cambiato prospettiva. Tutto quello che avevo provato fino a quel momento, fin da quando Edith era apparsa nelle nostre vite, era svanito. Adesso mi sembrava solo uno stupido delirio da bambina viziata. Ciò che la piccola significava per me e per Killian mi aveva spaventato, ma come non avevo fatto a capire che in fondo era una bella novità? Avevo criticato Hook per il fatto di sentirsi così legato ad un’estranea, ma non avevo capito che Edith non era una sconosciuta: era nostra figlia, sangue del nostro sangue. Era inevitabile che il legame restasse al di là del tempo.
Guardai ancora una volta la piccola dormire nel suo lettino. Era notte fonda e io non riuscivo ad addormentarmi; così avevo deciso di andare nella stanza di Edith per controllare che lei stesse bene.
Era incredibile quanto assomigliasse a me e ad Hook. Con gli occhioni chiusi, i capelli arruffati che le ricadevano disordinatamente sul cuscino, mi ricordava me da piccola. Dormiva su un fianco, con le manine vicino al viso e un piedino che tentava di uscire da sotto le coperte, in una posizione in cui anche io spesso mi ritrovavo.
Le coprii di nuovo il piede facendo attenzione a non svegliarla e le rimboccai accuratamente le coperte. Il suo sonno era talmente profondo da non accorgersi di nulla. Da altra parte anch’io ero così intenta a guardarla che non mi accorsi neanche che qualcuno stava entrando nella stanza.
Una mano calda mi avvolse in un abbraccio facendomi sobbalzare.
«Scusa non volevo spaventarti». La voce di Killian era un sussurro vicino al mio orecchio. «Mi sono svegliato e non ti ho trovata. Così sono venuto a cercarti; immaginavo che fossi qui».
Appoggiai la testa sulla sua spalla, continuando a fissare nostra figlia. Non avevo bisogno di parole per spiegare a Killian la miriade di sensazioni che stavo provando in quel momento.
«Certo che saremo bravi», mormorò all’improvviso. «Nostra figlia è una forza della natura».
«Già, ed è bellissima». La sola idea che io e lui saremmo riusciti a creare una bambina così speciale sembrava impossibile.
Appoggiai la mano su quella di Killian e cominciai a disegnare dei piccoli cerchi sul suo pollice.
«Quando hai detto», sussurrò in un tono appena udibile, «che presto sarebbero venuta a prenderla, ho pensato subito “io non voglio che se ne vada”. Tuttavia, è ovvio che presto i noi del futuro arriveranno. Io e te ci conosciamo troppo bene e sappiamo che è così». Non dissi nulla immaginando che non avesse finito e lasciai che proseguisse in quella sua confessione.
«Non voglio che se ne vada perché so che mi mancherà, anche se in realtà presto la concepiremo e quindi in un certo senso non la perderemo. Dio! Questo discorso sembra assurdo».
«Beh la situazione è parecchio assurda. Credo che noi siamo i primi genitori della storia ad aver avuto la possibilità di conoscere la loro figlia prima che essa sia nata».
«Credo di sì. Comunque ci ho pensato e sono arrivato alla conclusione che è giusto che lei torni a casa. Poi riuscire ad immaginare la disperazione che i noi del futuro devono star provando in questo momento? Non averla con loro, non riuscire a raggiungerla deve essere…».
«Terribile», conclusi al suo posto. Non avevo ancora pensato al fatto che Edith prima o poi sarebbe dovuta tornare nel suo tempo. In fondo avevo realizzato di avere una figlia e avevo ritrovato il mio istinto materno solo da poche ore.
Killian, però, aveva ragione: per quanto noi tenessimo alla bambina c’erano pur sempre due genitori disperati che volevano riavere la loro figlia. Ed era anche il caso che quei genitori disperati fossimo proprio noi, solo un po’ più maturi e con qualche anno in più.
«Credi che la storia si ripeterà? Che il futuro ricorrerà all’infinito?». Non capii subito la sua domanda e aspettai che si spiegasse meglio. «Quello che intendo dire è questo: credi che anche noi perderemo Edith quando avrà sei anni? Credi che saremo noi quei genitori disperati?». Non ci avevo mai pensato, però c’erano in gioco troppi fattori per poter smentire o confermare quell’ipotesi, o anche solo per dare una risposta ipotetica.
«Penso che ora come ora sia impossibile saperlo e sarà difficile dirlo anche quando arriveranno gli altri noi. Quello che so però è che dovremo dimenticare, non possiamo permetterci di ricordare».
«Intendi che dovremo scordarla? Dovremo dimenticare di averla conosciuta?». La sola idea di cancellare ogni ricordo che avevamo di Edith mi dava una fitta lancinante al petto, ma quello era un passo necessario. Come avremo potuto garantirle un futuro inalterato altrimenti?
«Se non lo facciamo cambieremo ciò che sarebbe dovuto avvenire e questo porterà un gran caos. Non possiamo sapere cosa ne sarà di lei se modifichiamo il passato».
«Credi che gli altri noi ci abbiano pensato?».
«Penso di sì», risposi. «Comunque possiamo chiedere a Regina di tenersi pronta a fabbricare quantità industriali di pozione della memoria per quando arriveranno a prenderla».
«Forse è l’unica soluzione», concluse cullandomi tra le sue braccia. Continuammo a fissare la nostra piccola bambina senza aggiungere altro. La stanza cadde nel silenzio più profondo; l’unico rumore era il respiro regolare di Edith.
«Killian», sussurrai dopo un po’. «Mi dispiace di essere stata così… beh non so neanche come definirmi, diciamo chiusa nei confronti della bambina».
«Non saresti stata tu altrimenti. Swan io ti conosco, non sei il tipo che accetta facilmente notizie come questa».
Abbozzai un sorriso. «Lo so. Solo non è facile per me aprirmi, dopo tutto quello che è successo non riesco a credere di poter avere una vita tutta rosa e fiori».
«Alla fine, però, l’hai fatto. Cosa è stato a farti cambiare idea, a farti aprire gli occhi?».
«Vederla priva di sensi, in fin di vita». Era stato un attimo e tutta la confusione nella mia mente era sparita. Avevo ritrovato la strada e tutto era tornato al suo posto. Era stato esattamente come quando avevo visto mia madre morire e avevo creduto di non poterla più rivedere; era bastato un secondo e la mia mente aveva accettato quello che in fondo il mio cuore sapeva già. «Avrei fatto di tutto per farle aprire gli occhi, per farla stare bene. Avrei sacrificato la mia vita per lei».
«Beh Swan ti comunico che questo è quello che fa un buon genitore. Mette i  propri figli davanti a tutto compreso sé stesso».
«E tu che ne sai?», scherzai per alleggerire il tono del discorso.
«Ho vissuto abbastanza a lungo da vedere tanti pessimi genitori; poi ho visto tua madre e tuo padre e te e Regina con Henry ed ho notato la differenza».
«Sarai un padre meraviglioso Killian». Accarezzai il suo uncino e mi strinsi ancora più forte contro di lui. «Il modo in cui lei ti adora lo dimostra. Non ho mai pensato che potesse essere altrimenti».
«E tu sarai altrettanto brava Swan. Il fatto che tu sia qui in piena notte è una delle tante prove».
Sorrisi e mi voltai per poterlo guardare negli occhi. Il suo sguardo si incatenò al mio togliendomi il respiro come faceva ogni volta.
«Ce la caveremo e qualunque cosa succeda faremo del nostro meglio. Insieme».
«Insieme io e te», confermò. Lo baciai piano assaporando il suo dolce sapore. Non avevamo bisogno di specificare le altre due paroline che erano rimaste sospese nell’aria: “per sempre”. Quel per sempre era stampato a caratteri cubitali sulle pagine delle nostre vite. Non saremmo stati più nulla divisi, eravamo una cosa sola, un unico destino, un intreccio inseparabile.
 
Un paio di giorni dopo eravamo tutti in salotto intenti a guardare la tv. Non c’era molto da fare da quando Edith aveva dato una lezione a Tremotino, se non aspettare un segno dal nostro imminente futuro. Avevamo lasciato Gold all’amorevoli cure della Regina Cattiva e alla furia di Belle per quel suo comportamento; eravamo sicuri che avrebbe riflettuto meglio prima di cercare di rubare la magia altrui un’altra volta.
Henry stava giocando con Edith per terra, mentre io ero accoccolata sul petto di Killian. Non stavo prestando molta attenzione allo schermo, ero più intenta a disegnare motivi immaginari sulla mano del mio pirata. In più, lo scorrere incessante del suo uncino su e giù lungo la mia coscia non aiutava molto la mia concentrazione. Ero sulla mia isola felice e non notavo neanche l’occhiatacce che ci lanciava mio padre, o i sorrisi ebeti di mia madre.
«Mamma, papà». La voce di Edith ci riportò alla realtà; era salita sul divano nel poco spazio che rimaneva non occupato da me e Killian. I suoi occhi ci scrutavano attentamente. Se quello sguardo aveva la stessa accezione di quello di suo padre, allora significava che stava cercando di dirci qualcosa di importante.
«Sì che cosa c’è?». Mi staccai a malincuore dal mio pirata e mi rimisi seduta al suo fianco in una posizione sicuramente più composta.
«Volevo farvi vedere una cosa. È successo ieri pomeriggio». La sua espressione si fece più seria e più tesa. Non avevo la minima idea di cosa avesse intenzione di dirci o mostrarci. Magari le era arrivato un messaggio dai suoi veri genitori? No, in quel caso ce l’avrebbe detto subito.
Guardai Killian per vedere se lui aveva l’idee più chiare delle mie, ma anche lui sembrava brancolare nel buio.
«Può dirci tutto tesoro», la rassicurò allungandosi per carezzarle una guancia con l’uncino. Anche gli altri nella stanza erano emersi dalle loro attività per osservare Edith incuriositi.
«Non si tratta di dire, ma di vedere», ribatté. Annuimmo e aspettammo in silenzio la sua rivelazione. Edith sbatté le palpebre strizzando gli occhi e contemporaneamente la tv si spense. Guardai il telecomando che era rimasto al centro del tavolo lontano da ognuno di noi. Edith riaprì gli occhi fissandomi con uno sguardo deciso. Sapevo cosa mi stava dicendo: “Guarda cosa posso fare”. Edith sbatté di nuovo le palpebre e la tv si riaccese.
«Oh mio Dio!», esultai. «Sei stata tu! Ce l’hai fatta! Riesci a controllarla». L’abbracciai forte stringendola a me; non avevo la minima idea di come ci fosse riuscita, visto che oramai avevamo provato di tutto, ma che importanza aveva? Sapeva gestire i suoi poteri, era quello che avevamo sempre voluto.
«Oh tesoro sei stata bravissima». Anche Killian l’abbracciò mentre veniva sommersa da una miriade di complimenti. 
«E so fare anche altro», aggiunse liberandosi dall’abbraccio di Hook. Fissò una candela che era sopra un piccolo tavolino e l’accese, prese il libro che Henry le strava mostrando e lo fece volteggiare in aria.
«Come ci sei riuscita?», le domandò Killian quasi senza parole dallo stupore. «Da quando…».
«Quando ho usato la magia contro il Coccodrillo ho cominciato a sentire qualcosa di diverso. Non l’avevo mai sentito prima».
«Lo scorrere della magia sotto la pelle, sulla punta delle dita». Era stata la sensazione che anche io avevo provato quando avevo preso coscienza della mia magia.
Annuì. «Sì, e poi ieri ho provato di nuovo l’esercizio della candela. È stato diverso, mi è riuscito subito».
«Credo che sia stata la paura di perdervi a far scattare la molla», intervenne mia madre fissando me e Hook. «Voleva così tanto fermare Gold che ha iniziato a sfruttare tutte le sue potenzialità». Non avevo bisogno di conferme per sapere che era così. Il vederci in pericolo, feriti e senza possibilità di difesa aveva fatto sì che il suo corpo iniziasse a percepire tutta la magia che vi scorreva. Era stato per salvarci che lei aveva imparato a controllare il suo potere.
La guardai con uno sguardo pieno d’orgoglio mentre lei ci fissava con un enorme sorriso.
«Edith ascolta», le dissi per smorzare quel momento un po’ troppo commovente. Mi avvicinai a lei quel tanto che bastava per sussurrarle in un orecchio, in modo che nessun altro potesse sentirci. «Credi di riuscire a togliere l’uncino a Killian con la magia per poi attaccarlo all’attaccapanni?». Lei annuì sorridendo, con lo sguardo accesso per quell’imminente scherzo. Hook non poteva non ricordarsi la scena di quando anch’io avevo giocato con lui e con il suo uncino. Ero molto curiosa di vedere che reazione avrebbe avuto in quel momento.
Mentre tutti ci guardavano perplessi, Edith fissò l’uncino di Killian e, accompagnando la magia con un gesto della mano, fece esattamente quello che le avevo suggerito.
«Bravissima», esultai battendo le mani mentre tutti gli altri scoppiavano a ridere.
«Ehi». Killian protestò fingendosi imbronciato. «Swan non dovresti insegnare queste cose a nostra figlia. Ti ho già detto che non è carino giocare con l’uncino di un uomo». Si alzò e andò a riprendersi la sua “mano”.
Scoppiai a ridere ancora di più, insieme ad Edith. In fondo, anche se avevo la sensazione che presto lei sarebbe tornata al suo tempo, quello che avremo costruito io e Killian stava solo per cominciare. La cosa strana era che non vedevo l’ora di costruire quella famiglia che sarebbe stata sancita con la nascita di Edith.
 
Future time
Come già era successo, i preparativi furono molto veloci; in poco tempo ci ritrovammo quasi del tutto pronti a lanciare l’incantesimo. Probabilmente era il profondo desiderio di riabbracciare nostra figlia che ci velocizzava in quel modo.
Grazie alla magia di Merlino, riuscimmo a reperire gli oggetti necessari per l’incantesimo in tempo record. Imparai la formula in fretta, smaniosa di poter mettere la parola fine a quel tremendo incubo. Il passo successivo e anche uno dei più cruciali fu quello di procurarci le ceneri della Jolly Roger.
Anche se Killian non lo dava a vedere, sapevo che quel sacrificio lo tormentava. Non l’avrebbe mai ammesso, come non si sarebbe mai tirato indietro dal compierlo, però era naturale, era umano che soffrisse. Stava per dare fuoco alla sua casa, al vascello che aveva guidato con suo fratello. Non era un gesto che poteva compiere senza avere il cuore spezzato.
Per facilitare tutto il processo, Merlino aveva fatto apparire la Jolly Roger in un lago vicino alla sua casa. Ci aveva dato il tempo di svuotarla, in modo tale da poter conservare almeno una parte dei ricordi che c’erano sopra. Così quello che sarebbe rimasto di lei, oltre alle ceneri, sarebbe assurdamente entrato in un paio di scatoloni. Ci avrebbe pensato Merlino stesso a recapitarli a Storybrooke dopo la nostra partenza.
Entrai nella cabina del capitano con il cuore in gola. Ricordavo fin troppo bene i momenti passati là sopra: c’era stata avventura, passione, tenerezza. La nave aveva scandito molti dei momenti importanti che noi avevamo passato insieme. Era stato a bordo della Jolly Roger che avevo cominciato a conoscere il vero Hook, e non solo il pirata ma l’uomo dal cuore d’oro che si celava dietro l’aspetto da pirata.
Ricacciai indietro le lacrime, decisa a non piangere. Se c’era qualcosa che rendeva me e Killian una coppia vincente era che ci sostenevamo a vicenda. In quel momento lui aveva bisogno di me ed io dovevo essere forte per lui.
Killian era al centro della cabina e fissava gli oggetti nello scatolone. Mi avvicinai per abbracciarlo e solo quando appoggiai la testa sulla sua spalla notai che stava fissando una foto, la stessa foto che aveva dato inizio a quella tremenda avventura.
«Tesoro…», iniziai.
«No Emma non dire niente, ti prego».
«Mi dispiace», sussurrai nonostante la sua richiesta. «Tutto questo è orribile».
«No, Emma non lo fare», rispose bruscamente. «Per favore non aggiungere altro. Non importa cosa succederà tra poco alla nave, lo rifarei centomila volte se ci porterà da Edith». Aveva la mascella tesa e lo sguardo fisso sulla foto. Lo conoscevo fin troppo bene: voleva dimostrarsi forte, stava fingendo che quel sacrificio fosse meno doloroso di come invece era.
Gli diedi un bacio sulla guancia, ma non aggiunsi altro. Se avesse voluto parlare l’avrebbe fatto a tempo debito. Potevo solo minimamente immaginare il turbinio di emozioni che provava in quel momento. Se il pensiero di bruciare la nave lacerava il mio cuore, cosa poteva sentire lui che vi aveva vissuto sopra e che l’aveva amata per secoli?
«Te la senti di andare?», sussurrai dopo un po’ passandogli le dita tra i capelli.
«Se non ti dispiace vorrei rimanere un attimo da solo». Continuava a guardare fisso davanti a sé, sapendo che incrociando il mio sguardo si sarebbe in qualche modo tradito.
«D’accordo. Prendo lo scatolone allora».
«Non dovresti nel tuo stato», ribatté.
«Kill», protestai. «Saluta la tua nave come si deve e lascia che io porti fuori queste cose». Non aspettai la sua risposta e mi avviai all'esterno.
Una volta a terra, trovai Merlino che ci aspettava proprio davanti alla Jolly. Gli consegnai lo scatolone in modo tale che si occupasse lui di recapitarcelo a Storybrooke.
Killian scese poco dopo e con un sospiro gettò un’ultima occhiata alla Jolly Roger.
«Facciamo quel che va fatto», disse in un tono appena udibile. Mi avvicinai a lui, stringendo forte il suo braccio. Anche se sapeva che io ero sempre lì al suo fianco, volevo che lo sentisse anche fisicamente.
«Va bene», rispose Merlino facendosi avanti. «Posso farlo anche io, ma le ceneri avranno più potenza se sarete voi a compiere il gesto». Le labbra di Killian tremarono a quelle parole. Un conto era veder bruciare la nave sotto i propri occhi, ma addirittura compiere il gesto in prima persona…
«Non dobbiamo per forza Killian», lo tranquillizzai.
«Certo, non è un elemento così fondamentale», mi appoggiò Merlino. «Andrà bene lo stesso se sarò io a bruciarla».
«No». Hook distolse lo sguardo dalla nave e lo puntò sul mago. «Lo farò, ci serve tutta la fortuna possibile per riuscire nella nostra impresa, non voglio lasciare niente al caso. Voglio fare tutto alla perfezione».
«Non dovrai farlo da solo», aggiunsi accarezzando la sua mano. «Lo faremo insieme». Annuì appena e sospirò di nuovo per farsi coraggio.
«Tenete». Merlino ci passò una torcia ancora spenta. «Emma potrà accenderla con la magia, io mi occuperò di raccogliere le ceneri via via che la nave brucerà. Potete prendervi tutto il tempo che volete, cominciate quando siete pronti».
Guardai Killian e posai la mia mano sopra la sua che teneva stretta quella fiaccola ancora spenta. Lui chiuse gli occhi e mi fece un cenno con la testa. L’attimo dopo quando gli riaprì io avevo acceso la torcia e aspettavo solo che lui mi guidasse verso quel gesto che stava macchiando inevitabilmente i nostri cuori.
Ci avvicinammo lentamente alla Jolly quel tanto che bastava per farle prendere fuoco quando avessimo inclinato la fiaccola.
«Al mio tre», disse in un sussurro. «Uno». Il suo sguardo si posò per l’ultima volta sul maestoso profilo della nave. «Due». Anche il mio sguardo la osservò per l’ultima volta, mentre entrambi cercavamo di imprimere nelle nostre menti quanti più dettagli possibili. «Tre». Le nostre mani si allungarono e appiccarono il fuoco alle vecchie assi di legno che costituivano lo scafo.
Killian nel compiere quel gesto aveva voltato la testa di scatto. Anche se ero concentrata a guardare il fuoco davanti a me, avevo percepito il suo movimento. Quando le nostre mani lasciarono cadere la torcia, lasciai la Jolly Roger al suo destino e mi girai a guardarlo.
Aveva la testa completamente voltata di lato, lo sguardo puntato oltre la sua spalla in un vano tentativo di non vedere la sua nave andare a fuoco. Tuttavia ciò che faceva la differenza, ciò che mi dimostrava quanto il suo cuore si stesse spezzando in quel momento, era una lacrima che tentava di uscire da uno dei suoi meravigliosi occhi. Killian non era il tipo che si commuoveva facilmente, ma il dolore che doveva star provando era troppo per non trapelare all’esterno.
Asciugai con un dito quella goccia salata e gli posai un bacio sulla guancia.
«Tutto questo finirà presto amore», sussurrai sulla sua pelle. «Io sono qui, sarò sempre qui con te. Per oggi posso essere io la tua roccia». Annuì per poi tuffare la testa sulla mia spalla, appoggiandovi la fronte. Lo abbracciai stretto, cullandolo tre le mie braccia e impedendogli in quel modo di vedere le fiamme che in quel momento si stavano divampando sempre più alte. Non piangeva, non l’avrebbe fatto, ma ciò non significava proprio nulla. Aveva bisogno di me come non mai.
Quella era la pura dimostrazione di come un gesto d’amore potesse ferire più di un gesto dettato dall’odio. Killian stava bruciando la sua nave e lo stava facendo per amore di nostra figlia, ma ciò nonostante era come se anche una parte di lui avesse preso fuoco e fosse stata ridotta in cenere.
 
Poche ore dopo ci ritrovammo nel cortile di fronte alla casa di Merlino pronti a gettare l’incantesimo. Il mago aveva raccolto le ceneri della Jolly Roger e le aveva messe in un sacchetto in modo tale che potessimo portarle con noi ed usufruirle per poter tornare a casa.
«Facciamo il punto della situazione», dissi a Killian, mentre Merlino stava iniziando a disegnare il triangolo sulla terreno. Hook era ancora abbastanza sconvolto, ma mascherava bene il suo stato d’animo. Per chi non lo conosceva sarebbe potuto sembrare che si fosse ripreso in fretta, ma io sapevo che nella sua testa non aveva pace.
«Guardiamo se abbiamo tutto, va bene?». Gli posai la mano sul braccio in un vano tentativo di distrarlo.
«Certo», acconsentì senza aggiungere altro.
«Allora ciò di cui abbiamo bisogno ora sono il peluche di Edith, la tua fiaschetta e la mia copertina». Tirai fuori gli oggetti da una sacca, che poi Killian avrebbe portato a tracolla, e gli appoggiai per terra. Mi soffermai un attimo sull’orsetto, visualizzando il volto sorridente di Edith mentre lo stringeva. Per fortuna con la sua magia Merlino era riuscito a farci recuperare gli oggetti senza troppi problemi e senza l’utilizzo di troppi portali che ci avrebbero sicuramente rallentato.
«Invece per tornare a casa», continuai, «ci servirà il quaderno di Edith, io prenderò le scarpine e tu amore hai deciso cosa userai?». Io avevo creato con la mia magia un paio di scarpine da neonato, ma Killian non mi aveva ancora detto cosa aveva in mente di utilizzare.
«Sì, questo». Si avvicinò a me e mi passò un piccolo oggetto. Merlino si fermò un attimo per osservarci e poter vedere quale fosse l’ultimo pezzo mancante di quel complesso incantesimo.
Afferrai ciò che mi stava passando e l’osservai. Non capii subito di cosa si trattasse, era un pezzo di legno, tondeggiante. Doveva aver a che fare con la navigazione, probabilmente, ma non capivo il nesso logico con il futuro.
«Cosa è?», domandai visto che lui non parlava.
«È un pezzo della Jolly Roger. L’ho tenuto anche quando ho barattato la nave per venirti a prendere». Lo fissai perplessa ancora non riuscendo a comprendere come quel pezzo di legno potesse ricollegarlo al futuro. Avevamo appena dato fuoco alla sua nave, non sembrava proprio la scelta più adatta.
Lui sembrò capire le mie perplessità e si affrettò a spiegarmi. «Sarà l’unica cosa che avrò, d’ora in avanti, della mia nave. Tutto il resto ormai non c’è più». Si voltò verso Merlino, per chiedergli conferma. «Credi che andrà bene?».
«Sì certo andrà benissimo», rispose tornando a spargere le ceneri sul solco che aveva fatto. Dopo aver ascoltato la sua spiegazione sembrava palese che l’oggetto fosse proprio quello. Aveva vissuto in un passato dove una costante era sempre stata la sua nave, adesso avrebbe dovuto affrontare un futuro dove avrebbe avuto solo qualche suo ricordo.
«In più», disse Hook, ridestandomi dai miei pensieri, «abbiamo la pietra della memoria». Si chinò sulla sacca e tirò fuori la pietra che ci aveva dato Gran Papà.
«Ve l’hanno data i Troll delle Rocce?», ci domandò Merlino fermandosi di nuovo.
«Sì. Tu per caso sai come dovremo usarla?». Magari lui, che ci era già stato di enorme aiuto, avrebbe risolto anche quel mistero.
«Lo capirete una volta là». Stessa risposta, stessi dubbi. Doveva essere una prerogativa dei grandi maghi quella di essere criptici. «Comunque è un bene che voi l’abbiate. Nessuno dovrà ricordare questa vostra incursione nel passato, e ovviamente neanche quella di Edith». Si rimise al lavoro ed io tornai a controllare nella sacca. Non c’era più nulla, l’inventario era completo. Rimisi tutto all’interno, tranne i tre oggetti di cui avevamo bisogno e passai la borsa a Killian che se la mise a tracolla.
Proprio in quel momento Merlino alzò la testa terminando il suo lavoro. «Ecco fatto, adesso è tutto pronto». Passò l’otre con la polvere ad Hook che se la legò alla cintura e lasciò che noi avanzassimo verso il triangolo che era disegnato alla perfezione per terra. Posizionai Mister Bobby ad un angolo, mentre io e Killian prendemmo posto agli altri due.
«Bene», ci disse Merlino, «adesso è tutto nelle vostre mani. Emma puoi cominciare quando ti sentirai pronta».
Annuii, prendendo tra le mani la copertina mentre Killian teneva tra la sua e il suo uncino la fiaschetta. «Grazie», sussurrai prima di iniziare.
«Grazie, senza di te non ce l’avremmo mai fatta», concordò Hook.
«Non ho fatto nulla, se non parlarvi dell’incantesimo. È grazie all’amore per vostra figlia che riuscirete nella vostra missione». Lo fissai per un ultima volta piena di riconoscenza, per poi chiudere gli occhi cercando di concentrarmi.
Sentii la magia fluire sotto la mia pelle e cercai di richiamarla e convogliarla il più possibile. Era molto tempo che non usavo così tanta magia; incantare la Jolly per farla andare sott’acqua era stato nulla a confronto.
Nonostante ciò non avevo paura di fallire, sapevo che ce l’avrei fatta. Era una certezza assoluta, perché a guidarmi ci sarebbe stato solo l’amore per mia figlia e non c’era magia di luce più forte di quella.
«Ubi animus trianguli abesse, ubi amplectimur cassi», mormorai. «Ubi animus trianguli abesse, ubi amplectimur cassi». Continuai a ripetere quella frase come un mantra fino a che un lampo di luce non si dispiegò dal centro della nostra formazione. Dopo accadde tutto velocemente: un momento prima sentivo la terra sotto i piedi, l’aria fresca sulla pelle e i rumori provenienti della foresta che ci circondava, l’attimo dopo non c’era più nulla. In un istante la luce ci accecò circondandoci e noi svanimmo nel nulla. 


Angolo dell'autrice:
Salve a tutti! Ed eccomi di nuovo qua con un capitolo un po' di passaggio per la parte del presente, ma molto importante per il futuro. Oltre a bruciare la Jolly :( hanno lanciato l'incantesimo e presto scopriremo se sarà riuscito o meno.
Ringrazio sempre chi continua a leggere e recensire! Lo dico ogni volta, ma mi fa davvero molto piacere vedere il seguito che ha ottenuto questa storia.
Un abbraccio, alla prossima!
Sara 
Ps Ci tenevo ad aggiungere che ho ancora gli occhi a cuoricino dopo la puntata di lunedì <3 <3

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Capitolo 13
*** 13. Il fatidico momento ***


13. Il fatidico momento
 
Present day
POV Emma Jones
Quando percepii di nuovo il pavimento sotto ai piedi non ebbi subito il coraggio di aprire gli occhi. Osservare intorno a me avrebbe significato tutto, avrei scoperto se anche quell’ultimo tentativo aveva portato ad un altro fallimento o alla fatidica vittoria. Aprire gli occhi avrebbe chiarito ogni cosa ed io ero spaventata dalla possibilità di cadere di nuovo in un baratro senza speranza.
Dall’altra parte, però, dovevo affrontare la realtà e prendere in mano la situazione. Se davvero l’incantesimo era riuscito, non ci sarebbe più stato nessun tempo a separare me e mia figlia; ed io avevo un disperato bisogno di riabbracciarla, di sentire il suo corpicino stretto a me e di non lasciarla più andare.
Stringendo ancora più forte la mia copertina tra le mani, aprii lentamente gli occhi. Killian era accanto a me, reggendo ancora la sua fiaschetta e, come me, stava cominciando a guardarsi intorno. Mi mancò il fiato quando capii esattamente dove fossimo finiti.
«Siamo…», balbettai. Non riuscii più a trattenere le lacrime; per fortuna per tutti quei miei sentimentalismi avevo la scusa degli ormoni. Stavo diventando fin troppo suscettibile e facile alle lacrime per i miei stessi gusti.
«Sulla Jolly Roger», concluse lui al mio posto emettendo un sospiro.
«Oh mio Dio! Killian ha funzionato». Eravamo nella cabina del capitano, un luogo che ormai nel nostro presente non esisteva più. Questo significava che eravamo davvero riusciti a tornare indietro nel tempo.
«Beh sicuramente è un passo avanti, ma troviamo Edith prima di cantare vittoria». Aveva ragione: solo quando saremmo riusciti a stringerla tra le braccia avremmo potuto esultare e mettere la parola fine a quell’incubo tremendo.
«Giusto». Mi affrettai a raccogliere l’orsetto di Edith da terra per passarlo a Killian. Lo rimise velocemente nella sacca insieme alla mia copertina, mentre sistemò la fiaschetta nella tasca interna della giacca. Mi afferrò la mano e mi guidò verso il ponte principale, in modo tale da poter scendere.
Gli lanciai un’occhiata per riuscire a capire cosa provasse: aveva detto addio alla sua nave solo poche ore prima e ora si ritrovava di nuovo a bordo della Jolly Roger come se non fosse mai bruciata. Aveva la mascella serrata, ma dalla sua espressione non trapelava nulla. Probabilmente si stava concentrando esclusivamente su nostra figlia, in modo da relegare in un angolino tutto ciò che avrebbe potuto assillarlo.
Quando uscimmo sul ponte il sole stava tramontando; mi riparai gli occhi con la mano per riuscire a vedere qualcosa. Killian mi passò il braccio intorno alla vita guidandomi verso la scaletta.
«Presumibilmente gli altri noi saranno al loft», affermò aiutandomi a scendere. Era rientrato nella modalità protettivo assillante, ma non dissi nulla. L’avrei lasciato preoccuparsi per me, se anche quello contribuiva a distrarlo dal pensiero della nave.
Una volta a terra, mi riprese la mano e mi guidò verso il centro della città. Storybrooke era sempre la stessa, non era cambiata in sette anni; era sempre rimasta una piccola cittadina incantata nel Maine, per cui era normale che non trovassimo differenze. Niente poteva dirci se eravamo veramente capitati nel tempo giusto. Non avremmo avuto nessun indizio fino a quando non ci fossimo veramente ritrovati davanti a noi stessi. La loro reazione alla nostra presenza avrebbe chiarito tutto in un solo secondo.
Affrettai il passo, bramando solo di trovare Edith e mettere dei punti fermi alla nostra attuale situazione. Se avessi potuto avrei corso alla massima velocità, ma molto probabilmente se l’avessi fatto Killian mi avrebbe fermata ricordandomi del bambino e di tutto il resto. Non avrei certo danneggiato nostro figlio con una corsetta, ma mettermi a correre  avrebbe significato discutere con Hook e avremmo perso tempo. Quindi la scelta più rapida era quella di seguirlo alla massima andatura che mi permetteva di tenere.
Quando giungemmo davanti alla torre con l’orologio, le lancette segnavano le sette e un quarto. Per le strade non c’era molta gente e anche le poche persone che incrociavamo non facevano molto caso a noi. In sette anni, anche noi come Storybrooke, non eravamo cambiati un granché; forse l’unica grande differenza erano i miei capelli nettamente più corti. Quindi neanche i passanti potevano darci le conferme di cui avevamo bisogno.
Nonostante ciò fin da quando avevo aperto gli occhi, sapevo con assoluta certezza che il nostro non era un ulteriore buco nell’acqua. Anche se Killian mi aveva detto di non esultare prima del tempo, e anche se non avevamo avuto ancora nessuna certezza del momento in cui ci trovavamo, io ero certa che fosse quello giusto. Era come se riuscissi a sentire che Edith era lì, molto più vicina di quanto lo fosse stata nell’ultime settimane.
Quando giungemmo al loft salii le scale di corsa: almeno quello non avrebbe potuto impedirlo e non l’avrebbe fatto; in quel momento anche lui era focalizzato su il nostro unico obiettivo. Mi afferrò una mano, lanciandomi uno sguardo ricco di significato, per poi farmi cenno di bussare.
Colpii la porta con più veemenza di quanto fosse necessario, ma solo quel pezzo di legno ci separava dallo scoprire la verità e da nostra figlia. Il mio cuore accelerò quando sentimmo dei passi venire ad aprire per poi esplodere, quasi a volere uscire fuori dal petto, quando l’uscio si spalancò.
La persona che ci aveva aperto mi fece mancare il fiato per un attimo: ero io, esattamente e precisamente io. Non capita certo tutti i giorni di incontrare sé stessi, faccia a faccia. Notai nei suoi occhi, che poi erano i miei, lo stesso attimo di stupore e meraviglia. Fu solo un secondo, però, perché il momento dopo lei, senza dire una sola parola, si scostò per mostrarmi la piccola figura che l’aveva seguita. Là davanti ai miei occhi finalmente c’era la mia bambina.
Mi lanciai su di lei, iniziando inevitabilmente a piangere. Un secondo dopo Edith era stretta tra le mie braccia il viso affondato sulla mia spalla mentre io la stringevo più forte che potevo.
«Edith amore mio», singhiozzai riempiendole la testa di baci.
«Mamma». Tirò su con il naso, segno che anche lei stava piangendo esattamente come me.
Sentii il braccio di Killian circondarmi la vita, per poterci stringere entrambe nel suo abbraccio.
«Mia piccola principessa», mormorò anche lui commosso.
«Papà». Edith si sporse verso di lui buttandogli una manina al collo, mentre io continuavo a sorreggerla e a immagazzinare quanti più dettagli potevo: il suo viso, i suoi meravigliosi occhi, i suoi capelli, tutto. Non avrei più voluto distogliere lo sguardo dalla sua piccola figura o anche solo lasciarla andare. Edith era lì tra le mie braccia, quell’incubo era finito e la nostra famiglia si era finalmente ritrovata. Era così bello che sembrava quasi un sogno.
«Mi sei mancata tanto bambolina mia», sussurrò Killian dandole un bacio sulla fronte e passandole l’uncino tra i capelli.
Baciai di nuovo la sua testolina e la strinsi forte contro il mio petto. Non riuscivo ancora a credere di stare abbracciandola; dopo tutto quello che avevamo passato eravamo lì e lei stava bene ed era di nuovo con me, con noi. Non riuscivo più neanche a ragionare con lucidità da quanto ero felice ed emozionata.
«Anche voi mi siete mancati tanto». La sua voce era solo un sussurro tra i singhiozzi. «Io non volevo, non ho saputo controllarla…».
«Non importa tesoro», la fermò Killian. «Adesso noi siamo qui, è solo questo che conta».
Non so dire quanto tempo dopo riuscii a staccare lo sguardo dal corpicino della mia bambina stretto tra le mie braccia, per rendermi conto immediatamente che non eravamo affatto soli. Anche se stavano cercando di lasciarci la nostra privacy per quel commovente momento, non potei non notare che nella stanza c’erano l’altra Emma e l’altro Killian che parlottavano tra loro, e che cercavano di osservarci senza farsi notare. Doveva essere strano per loro vederci esattamente come lo era per noi.
«Grazie», mormorai fissandoli con profonda gratitudine.
«Non sapremo mai sdebitarci per esservi occupati di Edith», aggiunse Killian. Lasciai che la piccola appoggiasse la testa sulla mia spalla e mi circondasse la schiena con le sue gambe; con una mano si aggrappava al mio collo mentre con l’altra teneva stretta la mano di suo padre. Se da una parte lei ci era mancata tanto, era vero anche il contrario; nonostante avesse avuto due genitori a sostituirci non era stato lo stesso. Era stata insieme a noi, ma allo stesso tempo era come se fosse rimasta sola.
«È stato davvero un piacere, Edith è davvero una bambina meravigliosa». L’altra Emma si avvicinò tenendo per mano l’altro Hook. La squadrai da cima a fondo: non mi ero aspettata quell’affermazione. Non era da me, o almeno non era da me conoscendomi sette anni prima. Era stata la gravidanza a farmi cambiare prospettiva e più che altro era stato stringere quel fagottino tra le mie braccia.
Era davvero un bene che avessimo un modo, anche se ancora in gran parte ignoto, per cancellare loro la memoria. Cosa sarebbe potuto accadere al nostro futuro se anch’io stentavo a riconoscere me stessa? Era evidente che il viaggio nel tempo di Edith mi aveva fatto aprire gli occhi prima del necessario.
«Abbiamo fatto solo quello che era doveroso», aggiunse Hook. «In fondo lei sarà anche nostra figlia». Invece lui era esattamente come lo ricordavo. Killian era stato paterno fin da quando aveva saputo della gravidanza. Non me l’ero aspettato, ma probabilmente se lui non fosse stato così felice per quella novità così imminente e terrificante, non avrei affrontato tutto con lo stesso spirito. Lui mi aveva fatto capire che non ero sola e che in fondo nel nostro futuro era implicito che formassimo una vera famiglia.
Ancora una volta ritrovavo lo stesso Killian che amavo tanto e l’avevo capito solo da una semplice frase.
«Abbiamo molto di cui parlare», aggiunse Emma guardandoci. «Sono successe un bel po’ di cose da quando Edith è arrivata qua da noi».
«Adesso che siamo insieme», disse Killian al mio fianco, «avremo tutto il tempo di parlare. Non c’è fretta, possiamo sistemare tutto nei minimi dettagli».
«Beh allora che ne dite se cominciamo andando di là e prendendo una bella cioccolata calda?», propose l’altra me. «Di là ci sono anche David e Mary Margaret non volevano disturbare questo vostro momento».
«Oh». Era ovvio che ci fossero anche loro, ma li avevo completamente dimenticati; ero totalmente presa dalla mia bambina che il resto non aveva più importanza.
«Direi che una bella cioccolata è quello che ci vuole», concluse Killian al mio posto. «Che ne dici principessa?». Edith girò la testa sulla mia spalla per poterlo guardare negli occhi e fargli un grosso sorriso. Anche se adesso era stretta a me, sapevo che presto si sarebbe attaccata a suo padre per non lasciarlo più andare. Mi sorprendeva il fatto che per il momento si fosse solo limitata a tenergli la mano. Evidentemente aveva sentito la mia mancanza con più intensità, e immaginavo pure il motivo. Anche se l’Emma che avevo davanti sembrava molto diversa da quella che ero, non doveva essere stata una cosa così immediata. Dio! Potevo solo minimamente immaginare come avrei potuto reagire trovandomi di fronte una bambina di sei anni che affermava di essere mia figlia.
Invece Killian era diverso e lo dimostrava costantemente nel rapporto che aveva con nostra figlia; era facile immaginare che anche nel passato si fosse dimostrato lo stesso. In fondo il rapporto che legava Hook ed Edith era un qualcosa che andava al di là del tempo.
Speravo che succedesse lo stesso anche con il nostro nuovo fagiolino, e probabilmente sarebbe stato così. Avrei dovuto dare la bella notizia anche a lei, ma non avevamo più fretta. Adesso che eravamo di nuovo tutti e tre insieme avevamo davanti tutto il tempo del mondo.
 
POV Emma Swan
Quando avevano bussato con veemenza alla porta, non mi ero certo aspettata di trovarmi faccia a faccia con me stessa. La sorpresa quando avevo scorto i miei stessi occhi era stata tanta; certo, era ovvio che prima o poi quell’incontro sarebbe avvenuto, ma mi ero aspettata almeno un segnale eclatante che indicasse il loro arrivo. Invece erano semplicemente comparsi all’improvviso come aveva fatto anche Edith.
Avevo avuto solo un secondo di esitazione, prima di spostarmi per mostrare loro colei di cui avevano più bisogno. Avevo letto nei miei stessi occhi la sofferenza e il dolore per quella lunga separazione e dopo la mia metamorfosi riuscivo anche a comprendere alla perfezione ciò che l’altra me doveva aver patito.
Poi avevo visto Killian, cioè l’altro Killian. Il suo sguardo, la sua preoccupazione, il modo in cui le aveva abbracciate entrambe. Dio! Ero certa che l’avrei amato ogni giorno di più.
Era strano vedere sé stessi in carne ed ossa: anche se nel futuro avrei avuto i capelli corti ero pur sempre io, in tutti i minimi particolari.
Io e Hook eravamo rimasti in disparte durante quel loro momento privato e ci eravamo limitati a guardarli, parlando tra di noi. C’erano molte domande che mi si affollavano nella testa: adesso cosa sarebbe accaduto? Avremmo dimenticato Edith per sempre? E avevano un modo per farci dimenticare? Sapevano come tornare a casa?
Di certo non potevo tempestarli subito di domande perciò avevo optato per una cioccolata.
Eravamo seduti tutti e cinque al tavolo nella piccola cucina del loft, con mio padre in piedi poco distante e mia madre intenta a preparare le varie tazze. Edith si era accoccolata sul petto di Emma, anche se teneva stretta la mano di suo padre e non lo mollava con lo sguardo neanche per un secondo.
«Beh da dove cominciare», iniziò l’altra me, «come vi abbiamo già detto, vi siamo grati per tutto quello che avete fatto per Edith, non ce l’avremmo fatta se non avessimo saputo che lei era al sicuro».
«Non dovete ringraziare noi», risposi. «È stato del tutto naturale occuparci della piccola». Emma mi lanciò un’occhiata che stava a significare “davvero, lo è stato anche per te?”. Sentii il sangue colorarmi le guance, non avevo considerato il fatto che mi stavo rivolgendo ad una persona che mi conosceva quasi meglio di me. Lei sapeva che con il nostro carattere non era stato affatto naturale, ma che, se l’istinto materno era scattato, era dovuto ad un processo più graduale.
«Arrivare qua da voi», continuò Killian, «non è stato per niente facile. Abbiamo avuto molti momenti difficili, per questo abbiamo impiegato molto più tempo di quanto avessimo desiderato».
«Come ci siete riusciti?». Come avevano fatto alla fine ad affrontare un viaggio nel tempo? Con un portale o altro?
«Grazie a Merlino». Emma sorrise, passando le dita nei capelli di sua figlia. «Grazie a lui e ad un suo incantesimo siamo riusciti in questa impresa impossibile. Arrivare qua è stata davvero dura, una strada piena di delusioni e sacrifici, ma adesso questo non ha importanza». Fissò per un istante Killian che sembrò intercettare il suo sguardo e ricambiarlo. Mi venne naturale domandarmi se anche io facevo lo stesso con il mio Hook. Io e lui risultavamo così complici visti dall’esterno, oppure era solo il risultato di sette lunghi anni pieni di amore?
«Lui ha sempre la soluzione per tutto», commentò mia madre servendoci delle tazze fumanti. «Ecco a voi».
«Peccato che non ci abbiamo pensato subito», considerò Killian. «Avremmo sicuramente risparmiato tempo e delusioni. Invece nella vostra epoca è successo qualcosa che dovremmo sapere?».
Beh ne erano successe un bel po’. «Diciamo che non è stata una passeggiata neanche qui», rispose Hook.
«Perché è accaduto qualcosa?». Era giusto dire loro di Tremotino, ma d’altra parte non volevamo preoccuparli inutilmente visto che la questione era ormai risolta. Loro, a quel minimo accenno, ci stavano già guardando allarmati, come avrebbero reagito sapendo cosa aveva fatto quella canaglia?
Nonostante ciò optai per la verità. «Gold», dissi semplicemente.
«Quel maledetto coccodrillo». Se Hook non avesse tenuto stretta la mano di Edith, che ancora non si era decisa a lasciarlo, avrebbe sbattuto il pugno sul tavolo. «Che cosa diavolo ha fatto?».
«Ha tentato di rubare la magia di Edith».
«Cosa?». Erano stati tutti e due a gridare.
«Mamma, papà», intervenne la piccola, «Tranquilli io sto bene, Emma e Killian mi hanno difeso». Eravamo tornati ad essere solo “Emma e Killian” e mi dispiacque per quello, ma era giusto che fosse così. Non l’avevo mai vista tanto felice; aveva stampato sul suo dolce visino un meraviglioso sorriso, che mi faceva capire come in fondo con noi avesse comunque sentito la mancanza di qualcosa o qualcuno.
Edith si mise a sedere sulle ginocchia di sua madre e prese la tazza che era appoggiata sul tavolo, cercando di non dare importanza all’accaduto, in modo da calmare tutte quell’apprensioni nei suoi confronti. Era un mio tipico comportamento, che evidentemente aveva ereditato.
«Gold ha avuto quel che si meritava», andai in suo soccorso. «Edith gli ha dato una lezione che non dimenticherà facilmente». Eccetto forse grazie ad eventuali pozioni della memoria.
«Cosa?». Emma alzò lo sguardo dalla piccola e mi fissò dritta negli occhi. Sentii su di me anche lo sguardo di Killian. Era strano percepire quello sguardo così famigliare e sapere che non apparteneva al mio vero capitano. Era lui, ma non era mio, non ancora.
«Edith ci ha salvati», affermai. «Dovete essere orgogliosi di lei». Avrei voluto aggiungere “come lo siamo noi”, ma ormai era finito il momento in cui potevamo essere i suoi genitori.
«Hai sconfitto il coccodrillo da sola?». Hook le scostò una ciocca di capelli con l’uncino, mentre lei arrossiva imbarazzata.
«Sì», mormorò appena. «Non volevo che facesse del male a nessuno».
«Edith perché non mostri a mamma e papà quella cosa», intervenne Killian. Le fece l’occhiolino e le lanciò un sorriso rassicurante.
«Quale cosa?». Loro sembravano cadere dalle  nuvole, in fondo non si erano aspettati così tante novità. In realtà, però, Edith era maturata molto grazie a quel suo viaggio nel tempo e aveva imparato molte cose, come a gestire, capire ed usare i suoi poteri per esempio.
Edith annuì rivolgendo al mio Hook un ampio sorriso. Scese dalle gambe di sua madre e si mise in piedi accanto al tavolo.
«Guarda mamma», disse con tono orgoglioso. Puntò lo sguardo sulla tazza di cioccolato che Emma stringeva tra le mani e subito dopo la tazza era tra le sue dita.
«Oh mio Dio!». Probabilmente io avevo assunto la sua stessa espressione quando la piccola mi aveva mostrato i suoi progressi la prima volta. Una mano davanti alla bocca, gli occhi pieni di orgoglio, di felicità ma anche di sollievo. Si sentiva sollevata perché quell’incognita che era sempre stata la magia di Edith sembrava finalmente sconfitta.
«E so fare molto altro». Sempre con la magia riportò la tazza sul tavolo di fronte ad Emma.
«Sei stata bravissima principessa». L’esuberanza di Hook era la solita nonostante i tempi. Si alzò subito e la sollevò tra le braccia. «Sei stata fantastica».
Edith sorrise e stringendosi al collo di suo padre. Da quella posizione mi lanciò uno sguardo molto furbo e mi rivolse un sorriso birichino.
«Posso farlo?», mi domandò. Sapevo benissimo a cosa si riferiva.
«Sì, ma su tutti e due». Soffocai una risata immaginando di già la loro reazione. Edith agitò la manina con l’effetto ormai noto sull’uncino di Killian. Beh solo che quella volta erano due: entrambi gli uncini volarono sull’attaccapanni.
«Swan, ma che diavolo!», protestò il mio Hook. «Quante volte te lo devo ripetere che non è divertente».
«È molto divertente invece», ribattei tra le risate.
«Dovevo immaginare che l’avresti insegnato ad Edith», constatò l’altro Killian, mettendo giù Edith che intanto stava sghignazzando, e andando a riprendere gli uncini. Ne passò uno all’altro sé stesso che lo ringraziò con un cenno del capo.
«D’altronde», continuò, «se non l’avessi fatto tu, l’avrebbe fatto lei, giusto tesoro?». Indicò Emma al tavolo che non aveva più aggiunto una parola ed era rimasta in silenzio.
«Già», singhiozzò. Aveva le lacrime agli occhi, anche se sorrideva. Non era esattamente un comportamento in cui mi riconoscevo. Potevo essere cambiata così tanto in sette anni da diventare sentimentale e facilmente propensa al pianto?
«Ehi amore». Killian le andò subito accanto, asciugandole una lacrima.
«Mamma». Anche Edith fu subito davanti a lei, fissandola con uno sguardo perplesso e preoccupato.
«Va tutto bene», li tranquillizzò. «Sono solo molto felice e molto orgogliosa». Alzò la testa e incrociò i miei occhi. Probabilmente aveva percepito il mio sguardo fisso su di lei e dalla mia espressione dovette percepire anche la mia incredulità.
«Beh anche noi abbiamo delle novità per te piccola». Si rivolse ad Edith per poi aggiungere, «Emma forse questo ti renderà più facile capire».
«Che novità mamma?». Edith la guardò aspettando la sua rivelazione.
«Posso dirglielo Killian?».
«Certo». Hook le scostò una ciocca di capelli che arrivava a malapena dietro il suo orecchio. Era un gesto che lui faceva spesso, lo sapevo bene, era un modo per farle (farmi) sapere che lui era sempre lì per sostenerla (sostenermi).
«Beh tesoro presto avrai un fratellino o una sorellina». La bocca di Edith si spalancò per lo stupore e le si illuminarono gli occhi. Quella notizia, in effetti, spiegava molte cose
«Che bello», esultò la piccola. Le gettò le braccia al collo, abbracciandola forte. Sicuramente non sapeva minimamente cosa volesse dire essere incinta o aspettare un bambino, ma l’idea di un fratellino doveva emozionarla parecchio.
«Congratulazioni». Tutti si apprestarono a fare loro le felicitazioni, mentre io rimanevo senza parole. Un altro figlio? Io e Killian avremmo avuto altri bambini oltre ad Edith. Non avevo mai desiderato dei figli, ma quella storia mi aveva fatto vedere le cose da un’altra prospettiva.
Sentii su di me lo sguardo del mio capitano e anche lo sguardo dell’altra me stessa. Entrambi stavano studiando la mia reazione, perché entrambi mi conoscevano talmente bene da capire quanto potessi essere destabilizzata da quella notizia.
«Sono felice per voi», dissi infine rivolgendole un sorriso.
Killian mi strinse la mano da sotto il tavolo. «Beh Swan chi l’avrebbe mai detto: tu che sei felice perché hai appena saputo che tra sette anni avremo un altro figlio».
Gli sorrisi lanciandolo un’occhiataccia, che era tutt’altro che tale.
«A proposito di questo», intervenne l’altro Hook. «Sapete che dovrete dimenticarci. Non possiamo correre rischi per il nostro futuro, soprattutto adesso». Il suo sguardo si fermò su Emma per poi tornare dritto su di noi.
«Certo lo sappiamo», affermai. «Dobbiamo chiedere a Regina di fabbricare della pozione…».
«Non sarà necessario», mi interruppe l’altra me. «Abbiamo una pietra che ci hanno dato i Troll delle Rocce».
«Siete stati ad Arendelle?», intervenne mia madre. Era un vero miracolo che lei e David non fossero  quasi per nulla intervenuti fino a quel momento.
«È una lunga storia, però sì. Non sappiamo ancora come va usata, ma spero che ci aiuterete a scoprirlo».
«Ma certo», rispondemmo tutti e quattro insieme.
«Beh non preoccupiamoci di questo almeno per stasera», intervenne Hook. «Abbiamo appena ritrovato nostra figlia adesso  possiamo prenderci tutto il tempo che vogliamo prima di tornare a casa». Già: avrebbero avuto tutto il tempo che desideravano ma poi sarebbero tornati a casa e noi ci saremmo dimenticati per sempre di loro e della nostra piccola Edith. Era naturale e giusto ma allo stesso tempo era triste. Tutti quei momenti sarebbero stati cancellati come gesso su una lavagna.


Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Ecco a voi un altro aggiornamento.
Questo capitolo è diverso dagli altri: invece di avere presente e futuro, abbiamo POV diversi. Prima l'Emma del futuro e poi quella del presente!
Finalmente tutto è andato a buon fine ed i noistri due genitori hanno ritrovato Edith. E' stata piuttosto difficile descrivere questo momento tanto atteso, spero di esserci riusciuta abbastanza decentemente.
Grazie come sempre a tutti quanti!
Un abbraccio
Sara

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Capitolo 14
*** 14. Emma ed Emma ***


14. Emma ed Emma
 
Sentivo la testa pulsare mentre, seduta sul letto, mi tenevo strette le ginocchia. Non volevo pensare ed invece era l’unica cosa che riuscivo a fare. Avrei voluto solo chiudere gli occhi e dimenticare tutto; speravo che riaprendoli tutto potesse scomparire e che avrei scoperto di aver vissuto solo un brutto sogno. Invece la mia mente continuava a tornare sempre lì. L’immagine del test di gravidanza, dei tre test di gravidanza in realtà, mi continuavano a invadere i pensieri. Positivo, positivo, positivo.
Nonostante continuassi a ripetermi che non era possibile, che eravamo sempre stati attenti, non potevo più negare l’evidenza: ero incinta.
Poi oltre a questo si aggiungeva il fatto che avevo litigato con Killian. Lui avrebbe dovuto essere terrorizzato quanto me invece era stato… felice? Tra tutte le reazioni che poteva avere, quella di sicuro non era ciò che volevo. Io ero spaventata, in piena crisi e lui era contento? Non che avessi voluto trascinare nel panico anche lui, ma almeno mi aspettavo un po’ di comprensione e non sentimenti del tutto opposti ai miei.
Una persona normale di certo sarebbe stata lieta che il proprio partner non fosse spaventato, come la maggior parte degli uomini, all’idea di una gravidanza. Ma non era proprio il mio caso: ero io in questo caso quella completamente terrorizzata.
Per questo gli avevo urlato contro che era tutta colpa sua e molte altre cose che mi erano passate per la testa in quel momento. Sapevo che dovevo andare a scusarmi, ma in quell’istante preferivo rimanermene rintanata nella mia camera al loft, con le finestre sprangate. La sola idea di uscire significava che avrei dovuto dare spiegazioni a tutti ed era l’ultima cosa che volevo fare, visto che non riuscivo a spiegare la situazione neanche a me stessa. In più era ancora notte fonda e probabilmente anche Killian stava cercando di dormire.
«Maledizione», borbottai quando ripensai al test per l’ennesima volta. Ormai la frittata era fatta ed io non sapevo cosa fare per rimediare. Beh, in effetti, non c’era proprio niente da fare per rimediare. Non era proprio il momento adatto per avere un figlio, io e Killian stavamo bene così. Cosa potevo fare però ormai? Abortire? Non ci avevo pensato neanche con Henry e va bene che ero in prigione senza un soldo, ma mettere fine ad una vita non era da me. Come se poi Killian me l’avesse permesso! C’era solo una strada che mi avrebbe evitato di distruggere tutto quello che avevo costruito con Hook ed era quello di tenerlo e crescerlo come ogni figlio che si rispetti.
Non era tanto quello a spaventarmi ma il legame che questo avrebbe creato con Killian. Ero terrorizzata dal per sempre felici e contenti, perché sapevo che il per sempre non è eterno ed il felici e contenti non è facile da realizzare quando ti ritrovi in un mondo di mostri, di eroi e di cattivi da battere ed affrontare senza un momento di tranquillità.
In quel momento la porta della mia camera si aprii lasciando entrare un lieve fascio di luce, che sparì subito quando la persona che era appena entrata si richiuse la porta alle spalle. Ero voltata di schiena e non potevo sapere chi fosse fino a che non avesse aperto bocca.
«Non sono venuto qui per scusarmi Swan, ma per parlare». La voce di Killian era bassa e il suo tono era ancora piuttosto duro.
«Come sei entrato?», domandai con un filo di voce. Continuai a stringermi le ginocchia tra le braccia, appoggiandovi sopra il mento e fissandomi la punta dei piedi.
«Non ha importanza. Sono venuto per riprendere il discorso di prima».
«Non ho voglia di litigare Killian».
«Bene neanche io. Ti ho detto infatti che voglio parlare. Comportiamoci civilmente e da persone adulte». Era proprio quello che non volevo fare. Volevo restarmene lì nella mia bolla di autocommiserazione, a piangermi addosso ancora per un po’. Non era affatto un comportamento maturo, lo sapevo, ma dovevo ancora metabolizzare tutta la situazione prima di poterla affrontare con lui.
«Non ho voglia neanche di parlare», sbottai.
«Beh non importa», ribatté deciso. «Sarò io a parlare allora, tu dovrai limitarti ad ascoltarmi». Avrei voluto urlargli contro che non volevo starlo a sentire, che stavo facendo già fatica a mettere a tacere la mia testa, ma mi trattenni. Litigare ancora con lui era peggio che ascoltare ciò che aveva da dire.
Senza pronunciare una parola, mi distesi su un fianco, dandogli sempre le spalle, e mi rannicchiai in posizione fetale. Sentii un leggero peso sul materasso, segno che anche lui si era seduto accanto a me e che era pronto per il suo discorso.
«Non credere», iniziò, «che sia venuto qui per dirti che ti appoggerò in qualsiasi decisione. Ti ho già detto che non voglio scusarmi, non mi pento di quello che ho detto o della mia reazione alla notizia. Avrei dovuto magari assicurarmi cosa stessi provando tu, prima di manifestarti i miei reali sentimenti per la gravidanza. Ma non mi scuserò per esserne felice».
Siccome continuavo a tacere andò avanti. «Lo so che tutto questo è assai improvviso e imprevisto e posso capire che tu sei spaventata. Swan io ti conosco e so che sei terrorizzata e so per esperienza che quando una cosa ti spaventa tu tendi a scappare e a negare l’evidenza con tutta te stessa. Però adesso non puoi scappare, ormai è successo». Feci un profondo sospiro riconoscendo che aveva ragione.
Sentii la sua mano accarezzarmi il fianco e risalire lungo il mio braccio, fino alla mia spalla. Le sue dita arrivarono sulla mia guancia e poi mi scostarono una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Tu non hai paura?», gli chiesi con un filo di voce.
«Certo che ce l’ho, Swan. Credi che non mi spaventi l’idea di diventare padre? Avremo un figlio e non so neanche se sarò capace di essere un buon modello per lui! Sono un pirata, non sono pratico di bambini. Però quello che devi capire Emma è che alla fine tutto questo è una cosa buona. Noi avremo un bambino, saremo una famiglia».
«Forse è questo che mi spaventa ancora di più. Cambierà tutto». Cercai di essere sincera, come lui lo era stato con me.
«Emma questa cosa adesso non riguarda più solo te, riguarda noi. Devi imparare ad aver fiducia in noi, nel nostro futuro. Non sei più sola, siamo insieme e affronteremo tutto. Noi ci amiamo, io ti amo e tu mi ami ed un figlio non è poi una cosa così terribile».
Sospirai e chiusi gli occhi cercando di assorbire le parole di Killian e di convincermi a credergli. La sua mano si spostò di nuovo sul mio fianco, fino a posarsi sulla mia pancia in un gesto che non era semplicemente affettuoso ma protettivo. Fu quello a far crollare tutte le mie difese e tutte le barriere con cui avevo cercato di arginare il tumulto di sentimenti che mi si agitavano dentro.
Senza neanche rendermene conto iniziai a singhiozzare e le lacrime cominciarono a rigarmi le guance. Iniziai a piangere come un fiume in piena, senza più riuscire a controllarmi. Piangevo perché ero terrorizzata, perché non sapevo come affrontare la cosa, perché amavo Killian ogni secondo di più, e anche perché in fondo avevo troppa paura che quella enorme novità avrebbe cambiato in qualche modo il nostro lieto fine. Avevo tutto ciò che desideravo ed ero spaventata dalla possibilità di perderlo.
Sentii Killian distendersi al mio fianco ed abbracciarmi forte, mentre io davo libero sfogo alle mie emozioni. Mi girai in modo tale da poter affondare la testa sul suo petto e poter piangere liberamente stretta nel suo abbraccio. Avevo davvero bisogno di quel contatto, di lui che mi teneva stretta e non mi lasciava più andare.
«Andrà tutto bene amore, ce la faremo». Erano parole semplici, ma era ciò che avevo bisogno di sentire. Sarebbe andato tutto bene, lui me lo stava promettendo e Killian manteneva sempre la parola data.
 
Osservare l’Emma del passato mi aveva riportato alla mente molti ricordi, come quando avevo scoperto della gravidanza. Trovarla così benevola nei confronti della bambina, mi aveva fatto ricordare come all’inizio fossi stata terrorizzata. Per primo era stato Killian a calmarmi e a farmi vedere le cose dalla giusta prospettiva; poi sentire il cuore della piccola, sentirla crescere dentro di me ed infine tenerla tra le braccia, avevano finito per farmi arrendere all’evidenza.
Era tardi ed avevamo messo a letto Edith, già da un po’. I nostri pirati erano andati a bere un goccio da Granny, mentre io e l’altra me stessa, eravamo rimaste al loft. Sicuramente l’idea di non poter bere, anche solo per festeggiare in maniera adeguata, mi aveva fatto desistere dall’andare con loro.
Così noi due eravamo rimaste sole nel salotto. Mary Margaret e David erano già andati a dormire e noi potevamo avere la giusta privacy per un discorso faccia a faccia.
«Cosa è stato ad aprirti gli occhi?», le domandai sedendomi sul divano accanto a lei.
«In che senso?». Sapeva a cosa mi riferivo, ma voleva che mi spiegassi meglio.
«Io mi conosco, cioè ti conosco. Non puoi aver preso bene l’arrivo di Edith».
«Infatti», ammise. «Non credo di potertelo nascondere, sai bene come può avermi sconvolto la notizia di una gravidanza così prematura».
«Certo, ed è per questo che mi ha sorpreso il fatto che tu fossi molto più materna di quanto mi aspettassi. Il mio cambiamento è stato molto graduale e lento, probabilmente dovuto a quell’esserino che cresceva dentro di me; ma il tuo! Sembra essere stato così repentino».
«Non credere, è stato graduale anche il mio». La squadrai meglio e aspettai che continuasse. «All’inizio io e Killian abbiamo litigato; è stato il più brutto litigio che avessimo mai avuto, ho detto cose che non pensavo. Forse quello è l’unico momento che sono contenta di dover dimenticare. Stare sul punto di perderlo per la crudeltà delle mie parole mi ha fatto riflettere, certo non è stato automatico accettare Edith. Io mi sforzavo di comportarmi come Killian, ma non riuscivo a capire come potesse essere legato così ad una bambina che conosceva da pochi giorni. Poi è successo all’improvviso». Alzò lo sguardo su di me e restò in silenzio. Non voleva continuare, evidentemente non voleva raccontarmi qualcosa, ma io dovevo sapere.
«Come?».
«Speravo che tu non me lo chiedessi, ma sappiamo entrambe che siamo parecchio testarde. Quando Tremotino ha tentato di rubarle la magia, lei si è ritrovata risucchiata di tutte le sue energie. Era sul bancone nel negozio di Gold, senza forze come se fosse in fin di vita. È stato un attimo ed ho cambiato completamente prospettiva».
Strinsi i pugni e i miei occhi si ridussero a due fessure. «Maledetto».
La sua mano si posò sulla mia in un tentativo di placare la mia collera. «Ha avuto quel che si meritava, non avrei mai lasciato che le facesse del male».
«Lo so, ma non è facile accettare il fatto che io non ero lì per difenderla».
«C’eravamo io e Killian, non ti devi preoccupare per questo e poi Edith ha dimostrato di essere in grado di difendersi da sola».
Accennai un sorriso, pensando a quanta forza potesse racchiudere la mia piccolina. Sarebbe diventata una bellissima e brillante donna.
«Ma adesso», continuò Emma, «anche se io dovrò dimenticare tutta questa conversazione, perché non mi dici qualcosa del mio futuro, cioè del tuo passato?».
Mi aspettavo le sue domande, perciò mi accomodai meglio sul divano. «Cosa vuoi sapere esattamente?».
«Beh prima di tutto la gravidanza di Edith: è stata improvvisa in maniera eclatante?».
«Più che improvvisa, direi che sono cascata dalle nuvole. Ho avuto un ritardo, ma all’inizio non ci ho fatto caso, pensavo magari fosse dovuto allo stress. Ho fatto il test per scrupolo, io e Killian non avevamo mai rischiato, eravamo sempre stati molto attenti. Ancora oggi non capisco bene quando sia successo; sai bene quanto me, quanto possa essere intransigente sull’argomento. Quando il primo test è risultato positivo, ne ho comprato un altro, e poi un altro ancora. Killian era quasi più sconvolto del fatto che un bastoncino potesse rivelare una gravidanza, piuttosto che io fossi veramente incinta. Lui era felice e quello mi fece arrabbiare. Io ero terrorizzata e lui sembrava non provare i miei stessi sentimenti; il problema fu che questo non fece altro che aumentare le mie paure. Poi per fortuna Killian riuscì a rassicurarmi, anche solo in parte e poi mi è stato accanto in ogni momento. Ma ci sono voluti comunque nove mesi per abituarmi all’idea di essere madre. Tenerla tra le braccia ha sicuramente finito di dissipare ogni dubbio e paura».
«Adesso invece è diverso?». Puntò lo sguardo sulle mie mani che erano strette davanti al mio grembo.
«Sì, io e Killian l’abbiamo voluto. Non che l’avessimo programmato con esattezza, ma è da un po’ che avevamo smesso di usare precauzioni».
«Almeno un figlio riuscirò ad accettarlo senza problemi», scherzò.
«Sì più o meno». Pensai alla crisi che avevo avuto l’ultima notte ad Arendelle, ma passai oltre. «Sai il più grande rimpianto che ho è stato quello di non aver voluto Edith. All’inizio ho pensato a tutto, per un attimo ho pensato anche all’aborto. Certo, è stato solo un secondo, ma per quel secondo io ho considerato la possibilità di mettere fine alla sua vita ancora prima che potesse cominciare».
«È una cosa naturale vagliare tutte le opzioni», mi disse per confortarmi.
«No, non lo è. Io amo così tanto Edith adesso, che non potrei pensare a cosa sarebbe stata la mia vita se non fossi rimasta incinta. Vorrei così tanto averla voluta, averla desiderata e concepita, non per un errore di cui non riesco neanche a ricordarmi, ma per coronare il nostro amore, come poi in effetti è stato. Credimi se potessi cambiare ciò che è successo, è questo quello che modificherei».
Emma sembrò riflettere sulle mie parole. «Mi sa che anche per me varrà la stessa storia».
«Purtroppo deve essere così», conclusi. «C’è altro che vuoi chiedermi?».
«Soltanto un altro milione di domande».
«Anche se questa risulterà una conversazione inutile per te, chiedi pure. Capisco come tu possa essere curiosa, lo sarei anch’io al tuo posto».
«Beh prima di tutto, la cosa più semplice ma anche la più fondamentale. Sei felice?».
«Molto». La fissai dritta negli occhi per farle comprendere quanto lo potessi essere realmente. «Ci sono stati alti e bassi, come sempre ovviamente, ma non ricordo un periodo più felice di quello che ho vissuto da quando sono rimasta incinta».
«Tu e Killian vi siete sposati». Non me lo stava chiedendo, era una semplice affermazione.
«Questa non è una domanda», puntualizzai.
«No, è vero. Quando è successo?».
«Circa tre anni fa». Mi fermai un attimo, realizzando che con lei avrei dovuto calcolare il tempo in maniera diversa. «Quando Edith aveva più o meno tre anni», mi corressi.
«Ed è stato come te l’eri immaginato?». La vidi arrossire, probabilmente senza neanche accorgersene. Cavolo! Quanto volte ero arrossita anch’io in quel modo? Sapevo il motivo del suo imbarazzo: non voleva far sapere agli altri che anche lei, cioè anch’io, immaginavo il mio matrimonio. Ma entrambe capivamo che quel segreto sarebbe rimasto tra di noi.
«Non esattamente, forse è stato migliore». Sfiorai l’anello di fidanzamento che portavo all’altra mano: era uno degli anelli di Killian, non aveva avuto il modo di trovare altro quando io gli avevo chiesto di sposarmi. Non avrei mai pensato di poter essere io a compiere quel gesto che sicuramente era stato il più romantico che avessi fatto in tutta la mia vita.
«Non mi ci vedo ad accettare una proposta di matrimonio così su due piedi», commentò apertamente. «Con Killian immagino che sarebbe diverso».
«Non mi preoccuperei per questo: non riceverai altre proposte di matrimonio oltre a quella di Walsh», le rivelai. «Sarai tu a chiederlo a lui».
«Oh». La sua espressione era stupita: era rimasta senza parole.
«È stato naturale chiederglielo. Volere di più, volerlo per sempre… sarà semplice te lo garantisco».
«Mi sa che ci stiamo un po’ troppo addolcendo con il passare degli anni», ridacchiò.
Risi anch’io. «Penso sia inevitabile, soprattutto quando vedrai Killian con la piccola. Ci avrai già fatto caso anche adesso».
«Dio! È così paterno», proruppe. «Non mi sarei mai aspettata che un pirata potesse essere così tenero e dolce con la propria figlia».
«Oh lo vedrai!», confermai. «Penso di essermi sciolta completamente la prima volta che lui ha preso in braccio Edith. Poi di notte, quando era appena nata, spesso mi svegliavo e lo trovavo vicino alla sua culla che la guardava dormire».  
«Quando io e Killian abbiamo litigato, lui ha preso la piccola mentre dormiva e se l’è portata via», mi rivelò.
«Non mi sorprende». Era sempre stato così protettivo nei confronti di sua figlia, che mi sembrava logico che anche la sua versione un po’ più giovane facesse lo stesso.
«Vederlo così però ha sorpreso me».
«Lo so, è stata la cosa che mi ha terrorizzato di più all’inizio, il fatto che lui fosse pronto, che non desiderasse altro che il nostro lieto fine. Certo anch’io lo volevo ma temevo che…».
«Non potesse accadere veramente», concluse lei.
«Siamo davvero difficile, alle volte», ammisi.
«Credo che passare tutto quello che abbiamo vissuto noi ci abbia reso così». Sicuramente molto del nostro passato aveva influito sulla visione del nostro futuro.
«Però», sussurrai sospirando, «se non fosse stato così, se non avessimo avuto la nostra dose di problemi e il nostro carattere testardo, Killian Jones non si sarebbe mai innamorato di Emma Swan».
Sorrise e i suoi occhi si illuminarono. «E noi non avremmo mai saputo cosa vuol dire essere amate da Killian Jones, e cosa vuol dire “Vero Amore”».
«Già». Aver sofferto una vita intera, essere stata sola per ventotto lunghi anni, sembrava un prezzo accettabile per aver avuto in cambio un Hook tutto mio. Con Neal era stato amore, ma ero troppo giovane, era il mio primo amore e non era minimamente paragonabile a come mi sentivo quando stavo con Killian. Il mio pirata riusciva a leggermi come un libro aperto e se non fosse stato per lui, per la sua infinita pazienza con me, non avrei mai aperto di nuovo il mio cuore a nessuno. Con lui aveva ricominciato a battere, come non faceva da anni, ed era diventato completamente suo.
«Finito con le domande?», mi ridestai dai miei pensieri. Anche lei sembrava persa nei propri, esattamente come me. Forse stava facendo i miei stessi ragionamenti.
«No di certo. Però mi è venuta in mente una curiosità che avrei già dovuto chiederti».
«Spara».
«Sai che io e Killian siamo riusciti a comunicare con i tuoi genitori».
«Sì mia madre me l’ha detto, me lo ha scritto per lettera. Prima di tutto ti ringrazio per averlo fatto, non puoi capire che sollievo sia stato avere la certezza che lei stesse bene e che fosse sotto la vostra protezione. I nostri tentativi fino a quel momento si basavano solo su supposizioni e l’incertezza è stata orribile. Comunque mia madre non ha specificato come ci siete riusciti, sono curiosa di sapere come vi sia stato possibile comunicare con il futuro».
«Abbiamo usato uno specchio. Ce l’ha dato Gold, e forse quello è stato l’inizio dei nostri problemi. Siamo stati costretti a fare un accordo con lui».
«Conosco i suoi accordi ed è un bene che Edith adesso sappia gestire il suo potere. Se il Tremotino del mio tempo vorrà farle qualcosa lei saprà reagire. È davvero un sollievo anche se sono ancora incredula. Comunque, tornando a noi, parlavi di uno specchio…».
«Sì, è un oggetto magico che ti permette di visualizzare il luogo della tua infanzia a cui sei più affezionato esattamente come è in questo istante. È difficile da spiegare, ma siccome Edith in teoria non sarebbe ancora nata in questo tempo, guardandovi dentro poteva vedere nel vostro futuro. Tenendola per mano noi potevamo fare lo stesso, e potevamo anche comunicare con le persone che riuscivamo a vedere. Ecco qui sta la mia domanda: quando Edith ha guardato nello specchio pensavo sarebbe apparsa casa vostra o la Jolly Roger, invece è apparso il loft. Perché questa casa è il luogo a cui Edith è più affezionata?».
Non riuscii a trattenere una risata. «Perché il papà e il nonno l’hanno viziata, ecco il perché». Mi guardò chiedendomi altre informazioni ed io mi affrettai a dargliele. «Beh quando c’è stata un po’ più di calma a Storybrooke, mia madre, cioè nostra madre, ha approfittato della situazione. Ogni domenica più o meno da quando è nata Edith o forse anche prima, ha preso l’abitudine di organizzare dei pranzi per tutta la nostra grande famiglia allargata. Edith ha sempre conquistato tutti ed è stata abituata che, dopo pranzo, tutti si mettono immancabilmente a giocare con lei».
«A giocare?», iniziò a ridere. «Ed io che pensavo che ci fosse qualche motivo più serio».
«Tu non lo immagini neanche», continuai. «Killian non riesce a dirle di no, e neanche David. C’è stato un periodo in cui Edith aveva la fissa per le bambole, quindi dopo pranzo li metteva tutti a giocare con i suoi bambolotti; coinvolgeva anche Roland ed Henry naturalmente. Non sono sorpresa che il loft sia il suo luogo preferito. Qui ogni domenica è abituata ad essere al centro dell’attenzione e ad avere tutti ai suoi piedi».
«Però non sembra il tipo che vuole stare sotto i riflettori», constatò.
«Oh no quello no, ma quando vuole le piace farsi obbedire e che tutti siano a sua disposizione. A quale bambina non piacerebbe riuscire a coinvolgere tutta la sua famiglia nei suoi giochi?».
«Dovrei proprio vederlo Killian che gioca con le bambole». Le sue risate si fecero più forti immaginando l’ilarità di quella scena.
«Oh ne vedrai delle belle, te lo garantisco. Dovresti sentire che storie si inventa; tutte inevitabilmente finiscono con la principessa che si innamora del pirata».
«Come poteva essere altrimenti?». Mi unii anch’io alle sue risate. Ridere era così bello e così liberatorio dopo tutto quello che avevo passato nell’ultimo periodo. Ora che ero di nuovo con mia figlia avrei passato ore a ridere, anche per le cose più semplice o per quelle più assurde e stupide.
«Mamma». La voce di Edith ci fece smettere di sghignazzare. Si avvicinò con gli occhi assonnati verso di noi, tenendo tra le mani il suo orsacchiotto, che l’avevamo prontamente restituito.
«Che c’è tesoro? Ti abbiamo svegliato?». La presi in collo e la feci accoccolare tra le mie braccia.
«No, mi sono svegliata da sola, poi vi ho sentito ridere e sono venuta di qua. Dov’è papà?».
«È con Killian sono andati da Granny per una serata tra uomini, diciamo. Perché ti sei svegliata?».
«Non lo so». Fece un profondo sbadiglio accoccolandosi di più sul mio petto. Anche se non l’aveva detto sapevo il motivo della sua insonnia. Eravamo noi: io e Killian. Voleva sentirci vicino a lei. Si era addormentata con noi al fianco e il non sentirci più l’aveva evidentemente ridestata.
«Vuoi che ti prepari qualcosa?», le chiese Emma.
«No», mormorò appena. Era già quasi nel mondo dei sogni.
«Non credo che sia necessario». Mi alzai sorreggendola tra le braccia. «Cucciola che ne dici se stanotte la mamma dorme nel lettino con te?».
«Sì». Riuscii a malapena a sentirlo, ma non avevo bisogno della sua risposta. Non sarebbe certo stato un problema dormire con lei quella notte anche perché, esattamente come lei, anche io provavo l’immenso bisogno di non lasciarla più andare e di tenerla per sempre con me.


Angolo dell'autrice:
Salve a tutti! Non posso credere di avercela fatta apostare il capitolo stasera. Sono stata molto impegnata ma ce l'ho fatta! :)
Bene, in questa parte non è avvenuto nientre di particolare, se non avere qualche informazione in più sul loro passato/futuro, quando appunto la gravidanza si è palesata. Tuttavia, prima di andare avanti ci tenevo a fare un confronto tra i vari protagonisti. Questo capitolo è stato dedicato ad Emma, il prossimo avrà per protagonisti i nostri due Killian.
Spero come sempre che vi piaccia e come sempre vi ringrazio. Grazie a chi legge, recensisce ed inserisce la storia nelle varie categorie.
Un abbraccio e alla prossima
Sara

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Capitolo 15
*** 15. Killian e Killian ***


15. Killian e Killian
 
«Alla salute». Feci sbattere il mio boccale contro quello dell’altro me stesso e bevvi una lunga sorsata. Non andavo pazzo per la birra, ma quello era decisamente il meglio che Granny potesse offrirci in quel momento.
Mi guardai attorno per notare qualche cambiamento che la nonna avesse potuto apportare nel corso degli anni, ma quella tavola calda sembrava esattamente identica a quella che ero abituato a frequentare. Granny non doveva amare molto i cambiamenti.
«Devo dire che fa una certa impressione vedere due Hook seduti al mio bancone», ci disse quest’ultima osservandoci attentamente. «Però sono contenta che la bambina possa finalmente tornare a casa».
«Edith ha conquistato tutti», mi spiegò Killian. «Sono tutti affezionati a lei».
«Non avevo dubbi. Ha lo strano potere di affascinare le persone». Non c’era abitante in Storybrooke, nella nostra Storybrook almeno, che non amasse la mia piccola e splendida principessa.
«Beh è una delle sue tante qualità», ammise l’altro. Lo fissai a fondo, cercando di ricordare come fossi esattamente sette anni prima. La nascita di Edith mi aveva fatto cambiare, come era d’altronde naturale; ma come ero prima di lei? Tuttavia quella non era la domanda giusta: il Killian che avevo davanti era esattamente come me, perché anche lui aveva avuto modo di conoscere e poter amare Edith e forse anche lui era cambiato per questo.
«È strano», mi disse notando che lo fissavo. «È come guardarsi allo specchio».
«Già», ridacchiai. «Con l’unica differenza che io ho il fascino dell’uomo maturo».
«Diciamo semplicemente che l’Emma di qualsiasi epoca non può resisterci. A proposito, bel colpo! Sarai di nuovo padre. Alla tua salute, che poi sarà anche la mia». Bevve un sorso di birra ed io feci altrettanto.
«Grazie», risposi mandando giù un’altra sorsata, «ma presto lo sarai anche tu».
«In teoria. Tutto questo casino temporale non rende facile capire ciò che avverrà da adesso in poi».
«Se può aiutarti, te lo posso spiegare in due parole». Non mi rispose, ma lasciò che continuassi. «Metterai incinta Emma, lei si arrabbierà e reagirà come al suo solito. Toccherà a te farla ragionare, come la maggior parte delle volte, tu sai quanto possa essere testarda. Nascerà Edith e lei diventerà tutta la tua vita; dovrai abituarti a fare il padre a tempo pieno, dovrai stare attento a tutto con lei e per lei».
«Sembra…».
«Spaventoso?», finii per lui. Un po’ lo era stato, ma sicuramente era qualcosa che avrei affrontato altre mille volte anche ad occhi chiusi.
«No, stavo per dire perfetto».
«Lo è e lo sarà». Lo scrutai di nuovo, riuscendo ad immaginare i suoi pensieri. Sapevo benissimo la parola che gli stava frullando per la testa.
«Una famiglia», mormorò prima di bere una sorsata, come a dimostrare che non mi sbagliavo.
«Già. È bello averne davvero una dopo tanto tempo». La ciurma non era esattamente la stessa cosa; il capitano doveva mantenere un certo tono di comando per farsi rispettare. Con Emma invece era solo e completamente amore.
«L’hai chiamata come nostra madre», sussurrò. Il suo sguardo si fece più chiaro mentre pronunciava quelle parole.
«È stata Emma a sceglierlo. Penso che volesse darle un nome che significasse tanto per me».
«Questo significa che le racconterò della mia infanzia», rispose sbuffando. «Non l’ho ancora fatto e mi sono sempre domandato quando lei tirerà fuori l’argomento».
«Non potrai evitarlo per sempre, ma ti posso garantire che uscirà fuori a suo tempo e verrà naturale parlarne con lei. Emma non farà pressioni, sarà lì per ascoltarti quando sarai pronto».
Proprio in quel momento la porta del locale si aprì ed entrò Robin, o meglio il Robin Hood di quel tempo. Aveva l’aria stanca, tipica di uno che ha bisogno di farsi un goccetto.
«Ehi amico», lo chiamò Killian, probabilmente per chiudere quell’argomento della nostra personale conversazione.
«Hook». Si avvicinò non accorgendosi subito della mia presenza accanto al suo amico. Quando mi notò sbatté le palpebre perplesso; doveva essere abbastanza strano vederci insieme, forse quasi quanto lo era per me e per lui.
«Sei venuto a bere qualcosa anche tu?», gli domandò.
«Sì, ma non credo che sia una buona idea. Ci vedo già doppio ancor prima di cominciare». Mi squadrò da cima a fondo, cercando d’intuire se fossi veramente colui che credeva.
«Tranquillo», lo rassicurai. «Non ci vedi doppio. Sono il vero padre di Edith, piacere». Allungai la mano verso di lui e Robin la strinse con forza.
«Sì, lui è me tra sette anni. Suona strano non è vero?».
«Puoi dirlo forte, ma penso che ormai quanto a stranezze qui a Storybrooke siamo più che abituati». Si sedette tra di noi e fece cenno a Granny di portargli una birra. «Allora che dicevate?».
«Beh speravo che Killian mi rilevasse qualche dettaglio sul mio futuro, anche se poi non ricorderò neanche una maledetta parola di questa conversazione». Aveva risposto prontamente, segno evidente che non voleva tornare sull’argomento precedente. Era davvero facile capire le sue intenzioni visto che avrebbe agito esattamente come me.
«Avete già trovato il modo per farci dimenticare di Edith?», mi domandò Robin, mentre la nonna gli porgeva un boccale. Era chiaro che anche lui era conoscenza di tutta la nostra storia.
«Non ancora», risposi. «Però abbiamo una pietra della memoria che ci è stata data dai Troll delle Rocce. Comunque a questo penseremo domani; per stasera mi reputo al vostro servizio. Domandate pure, vi dirò tutto quello che desiderate sapere».
«Credo di avere molti interrogativi sul mio futuro», affermò per primo Robin. «Con Zelena incinta, Regina e tutto quanto…».
«Si sistemerà tutto Robin. Zelena non potrà fare molto senza poteri, resterà sua madre questo è vero, ma Regina ti aiuterà a gestirla. Tuo figlio starà bene e crescerà felice».
«Figlio? Sarà un maschio?». Forse avevo rivelato troppo, pensavo che sapesse già il sesso.
«Non lo sapevi ancora? Scusami se ti ho rivelato cose che non volevi conoscere».
«Non c’è problema. È stata Zelena a non volerlo sapere ma sono contento che tu me l’abbia detto. Solo magari non dirmi il nome, lo so che lo dimenticherò lo stesso, ma spero che sarà una delle decisioni che Zelena prenderà con me».
«D’accordo. Comunque Regina se la caverà alla grande e anche tu. Roland sarà felice di avere un fratellino».
«Io e Regina ci sposeremo?».
«Sì. Preparati ad avere una grande famiglia allargata, altro che l’Allegra Brigata. Quando ci ritroviamo tutti insieme, il loft di Mary Margaret e David è stipato».
«Edith mi ha detto che è molto amica del tuo secondogenito», intervenne Hook. «In fondo tra loro ci corre circa un anno». 
«Sì è vero», confermai. «È il suo migliore amico».
«Forse un giorno nascerà qualcosa tra loro», ipotizzò l’ex bandito.
«Cosa?». Io e l’altro me avevamo gridato contemporaneamente. Il solo pensiero della mia bambina con un ragazzo, anche se era il figlio di Robin, mi faceva ribollire il sangue nelle vene. Non ci sarebbe mai stato nessuno alla sua altezza ed io sarei sempre stato protettivo sotto quell’aspetto.
«Edith è ancora piccola per queste cose», intervenne Hook.
«Scoraggerò ogni relazione sul nascere, almeno fino a che non avrà più di trent’anni».
«Ben detto», confermò.
«Ma è ridicolo», ci prese in giro Robin.
«Tu non puoi capire», obbiettai. «Non hai figlie femmine».
«Oh Hook, pare proprio che sarai un padre geloso», si rivolse all’altro me ridendo e bevve una sorsata di birra.
«Comunque», cercai di cambiare argomento, «ho risposto alle domande di Robin, tu cos’altro vuoi sapere?». Guardai anch’io l’altro Killian, che proprio come avevo sperato, colse l’occasione per cambiare discorso.
«Un po’ mi hai già detto, e anche Edith mi ha raccontato qualcosa».
«Davvero?». Era chiaro che il suo rapporto con Edith fosse diventato profondo quasi come quello che io avevo con lei.
«Sì. Le piace molto parlare di me, cioè di te».
«Questo non farà certo bene al tuo ego da pirata», intervenne Robin. Killian lo fulminò con lo sguardo, mentre io sorrisi sapendo che aveva ragione.
«Edith ti è molto affezionata e questo mi ha un po’ destabilizzato. Non credevo che sarei riuscito ad essere un buon padre».
Sapevo ciò che stava cercando di dirmi. «Quando Emma ha scoperto della gravidanza lei era terrorizzata, io invece sono stato felice; ciò nonostante sotto c’era molto di più. Anch’io ero spaventato all’idea di dover fare il padre, ma sapevo che dovevo mostrarmi sicuro con Emma. Io e lei ci completiamo a vicenda, se uno di noi due è più debole l’altro diventa la sua roccia e viceversa. Non saremmo riusciti ad arrivare fin qua se non fosse stato così. L’idea in sé sembra immensa, ma poi quando ti ritrovi lì ti viene naturale, più di quanto tu possa immaginare. Lo capirai quando prenderai quel fagottino tra le braccia la prima volta».
«Non posso che essere d’accordo», concordò Robin. «Ricordo ancora quando ho preso Roland tra le braccia la prima volta».
«Ed Henry invece?». Sapevo che in quella semplice domanda si celavano moti più quesiti di quanto desse a vedere. Emma aveva avuto paura che Henry potesse reagire male sapendo della gravidanza: lei l’aveva abbandonato, mentre aveva deciso di tenere ed amare Edith come ogni madre fa per natura. Io non mi ero mai preoccupato che lui potesse essere geloso. Henry era un ragazzino intelligente e poteva benissimo capire quanto le due situazioni fossero diverse; però, questo non voleva dire che la questione non fosse delicata. Quella domanda posta dall’altro me, riassumeva tutto quello che avevo provato io: ero preoccupato per Emma perché Henry era importante, e più di ogni altra cosa volevo che lui mi accettasse perché Henry rappresentava una delle persone fondamentali per il mio amato cigno. Senza di lui e la sua completa approvazione Emma non sarebbe stata la stessa.
«Henry sarà entusiasta come sempre», risposi, sapendo di già che non era esattamente ciò che voleva sapere.
«Beh questo lo avevo immaginato. Anche adesso è stato entusiasta di Edith, non vedeva l’ora di conoscerla e ha passato molto tempo con lei».
«Henry ti vorrà bene, anzi vi vorrà bene», conclusi. La cosa che non rivelai fu che anche per me era lo stesso; avevo imparato a volergli bene come ad un figlio.
«Perché non ci parli del nostro figlioccio?», intervenne Robin. «In fondo noi siamo i suoi padri acquisiti».
«Henry è cresciuto su bene. L’adolescenza non è stata facile come per tutti i ragazzi, ma adesso ha superato il peggio. Frequenta l’università a New York, lettere, come era prevedibile».
«Saremo dei buoni padri adottivi Hook». Fecero tintinnare i boccali, brindando a quel loro successo.
«Oh sì potete dirlo forte», confermai per poi rivolgermi all’altro me stesso. «Preparati a dovergli dare consigli sul sesso. Onestamente non poteva rivolgersi ad altri se non al migliore».
«Cosa?». A Killian andò di traverso la birra.
«Ed io?», protestò Robin. «Non so se sentirmi sollevato oppure offeso».
«Beh io posso solo dirti che ne ha parlato con me, non so se ne avrà parlato anche con te».
«Giusto», concordò.
«Quando Emma, ha scoperto che lui si era rivolto a me», continuai, «è andata su tutte le furie, però era ovvio che non potesse parlare di certe cose con sua madre».
«E Regina?».
«Oh il fatto che sia ancora vivo, dimostra che lei non l’ha mai scoperto». Scoppiammo a ridere e facemmo un altro brindisi.
Appoggiai il mio boccale ormai vuoto sul bancone e fissai gli altri due. «Un altro giro?». Annuirono entrambi. «Grenny portaci altra birra».
«Immagino che neanche in futuro cambierai atteggiamento», ribatté la nonna, prendendo i nostri boccali ormai vuoti.
«Quindi», riprese il filo Hook, «hai detto che Regina e Robin si sposeranno, e anche io ed Emma». Alzai un sopracciglio in un espressione che stava a significare “io questo non l’ho detto”. «Ho visto la fede», mi spiegò.
Guardai la mia mano osservando l’anello d’oro all’anulare. Era sicuramente quello che spiccava per la sua diversità rispetto agli altri. 
«Sì, è successo quando Edith aveva tre anni».
«Mi farà penare come sempre?». Si riferiva ad Emma, probabilmente pensava che la proposta sarebbe stata una nostra opera. Il mio cigno mi aveva preso alla sprovvista quella volta.
«No, al contrario». Non volevo smorzare il suo ego, che poi era anche il mio, rivelandogli come in realtà avesse fatto tutto Emma. Però gli bastava sapere una cosa. «È stato tutto perfetto».
«Bene». Mi sorrise alzando il suo boccale. «Credo di non volere più sapere altro. Tanto dovrò scordarmi tutto. Che ne dite se adesso beviamo solo per festeggiare l’atteso arrivo dei veri genitori di Edith?».
«Ci sto», confermò Robin.
«Anch’io. Dopo tutti i tentativi che io ed Emma abbiamo fatto, ci vuole proprio una bella bevuta per festeggiare la riuscita della nostra missione». Facemmo tintinnare i boccali insieme e bevemmo con più gusto e voracità. In quello stato di euforia e leggerezza, non poterono che riaffiorarmi alla mente i ricordi di quella sera in cui Emma mi aveva lasciato completamente senza parole.
 
Mi diressi correndo verso il porto, accelerando ad ogni passo. Emma mi aveva chiamato dicendomi che Edith aveva lasciato Mister Bobby sulla Jolly e che senza non riusciva più a calmarla. L’attaccamento che mia figlia aveva nei confronti di quel peluche era davvero smisurato. Se lo portava dietro dovunque e potevo solo immaginare in che stato fosse per averlo scordato.
Avrei preferito andare direttamente a casa, ma almeno lavorando là al porto, non dovevo fare molta strada per arrivare al molo dove era attraccata la mia nave. L’unico dubbio che continuavo ad avere, era che cosa diavolo ci facessero Emma ed Edith sulla Jolly.
Quando finalmente raggiunsi la mia imbarcazione, salii velocemente a bordo e la scena che mi si parò davanti mi lasciò senza fiato. Centinaia di candele erano accese in ogni punto della Jolly Roger. Dalla scaletta lasciavano solo un piccolo spazio per un sentiero che portava verso il timone. Là, più bella che mai, c’era Emma che mi fissava con un timido sorriso. Indossava un vestito a fiori, cosa abbastanza rara per lei, ed aveva i capelli raccolti in una coda.
«Per mille velieri, che diavolo sta succedendo?», le domandai balbettando.
«Scusa, avevo bisogno di un pretesto per attirarti sulla tua nave».
«Ed Edith? Il peluche?». Mi avviai verso di lei, continuando ad osservarmi attorno meravigliato.
«È con Henry, ma adesso questo non ha nessuna importanza». Mi venne incontro e mi prese per mano tirandomi verso poppa. Là c’era uno spiazzo lasciato dalle centinaia di candele che brillavano tremolanti.
«Cosa succede?». Avevo forse dimenticato qualche data importante, tipo il nostro anniversario, qualche ricorrenza? Di solito ricordavo tutte le date importanti per noi, ma tutta quella scena sembrava fin troppo romantica, ed era anche così poco da Emma.
«Beh non hai scordato nulla, se questo ti preoccupa». Come al solito era riuscita a leggermi come un libro aperto.
«E allora tutto questo?». Indicai attorno a me, ancora a corto di parole per descrivere quello spettacolo.
«Volevo che fosse speciale», disse soltanto.
«Speciale?». La vidi fare un profondo respiro per poi incatenare i suoi meravigliosi occhi verdi ai miei. Era emozionata, come raramente l’avevo vista, ed innamorata. Amavo quando mi guardava in quella maniera: come se fossi il regalo più bello che avesse ricevuto dalla vita.
«Ho preparato un discorso», buttò lì.
«Un discorso?». Non sembrava certo chiarire il perché di tutte quelle candele.
«Sì». Mi posò un dito sulle labbra, impedendomi di continuare a parlare. «Ma tu non dovrai più interrompermi. Non credo di riuscire ad arrivare al punto con te che intervieni ad ogni frase».
Annuii e per dimostrarle che avevo capito non dissi più nulla.
«Bene». Prese un profondo respiro e strinse di più le mie dita tra le sue. I suoi occhi si fecero, se possibile, ancora più intensi, imprigionandomi nella loro profondità.
«Killian», iniziò. «Io ti amo tantissimo, penso che questo tu lo abbia capito. Però, voglio spiegarti perché ti amo, il motivo per cui tu sei il mio lieto fine». Fece un altro profondo respiro prima di continuare, mentre il mio cuore iniziava ad accelerare, quasi a volermi uscire fuori dal petto.
«Innanzitutto ti amo per le piccole cose, ti amo perché ti ricordi che preferisco gli anelli di cipolla alle patatine, perché sai che adoro il formaggio grigliato, o perché quando mangiamo il gelato tu mi lasci sempre la nocciola sapendo che è il mio gusto preferito, nonostante che sia anche il tuo. Ti amo perché quando mi addormento sul divano davanti alla tv, tu mi copri con la coperta in modo che non prenda freddo, o addirittura mi porti a letto senza svegliarmi. O perché quando non mi sento molto bene, tu ti siedi vicino a me e mi resti a vegliare fino a quando non sto meglio.
Ti amo perché mi capisci come nessun’altro. Sai quando voglio restarmene da sola, ma sai anche quando invece è meglio per me non restarci, nonostante le mie proteste. Riesci a capirmi con uno sguardo e a rassicurarmi con un semplice gesto. Riesci a farmi sorridere anche quando non ne ho voglia e tiri fuori la parte migliore di me. Ti amo per come sei con nostra figlia, per come la tratti e per l’amore immenso che dimostri nei suoi confronti. E ti amo anche per come sei con Henry: gli hai parlato di suo padre e non hai mai avuto intenzione di sostituire quella figura che per lui non sarà mai sostituibile; lo tratti come se fosse anche tuo figlio e non ci sono parole per questo.
E poi ti amo per i grandi gesti. Ti amo perché hai sempre lottato per me e non ti sei mai arreso; sei venuto a riprendermi a New York, seminando sortilegi, in un mondo per te del tutto nuovo. Non mi hai lasciata sola ad affrontare un viaggio nel tempo e mi hai aiutato a capire dove fosse casa mia e quanto importante fosse la mia famiglia. Non hai esitato un secondo a sacrificare la tua vita per me e per Henry. Tu daresti la tua vita letteralmente per me ed io credimi lo farei per te. Hai continuato a lottare per liberarmi dall’oscurità e sei riuscito a farmi sorridere anche nei momenti in cui stavo smarrendo la strada e non capivo più chi fossi. Sei stato l’unica luce che vedessi quando la mia mente cercava di sopraffarmi. Ti amo per tutto questo Killian e non penso di essere mai stata così chiara o esplicita. Penso che questo sia il gesto più romantico che abbia fatto in tutta la mia vita».
Io ero assolutamente senza parole. Vedevo i suoi occhi lucidi e sentivo solo il ritmo prepotente del mio cuore. Le sue parole mi invadevano la testa e mi colmavano di felicità. Avrei solo voluto baciarla e tenerla stretta a me per sempre.
«Io…», balbettai sfoderando un sorriso a trentadue denti, che doveva risultare con molta probabilità completamente ebete.
«Non ho ancora finito», mi bloccò. «Ora che ti ho spiegato tutti i motivi per cui ti amo e per cui non posso vivere senza di te, mi resta solo una cosa da chiederti. Vuoi sposarmi Killian Jones?». La mia bocca si spalancò involontariamente; era ovvio che tutto il suo discorso dovesse portare ad un qualcosa di concreto, ma, nonostante ciò, non mi aspettavo quella domanda.
«Sì, certo che sì». Mi fiondai sulle sue labbra baciandola con passione e avvolgendola nel mio stretto abbraccio. Avevo pensato molte volte di chiederle di sposarmi, ma tra Edith e tutto il resto era passato in secondo piano. Forse non gliel’avevo chiesto per timore della risposta di Emma; era ovvio che lei mi amasse, ma non era molto conciliante su quel punto di vista. Avevo avuto paura che potesse rispondermi che noi stavamo già bene così e che non era necessario cambiare nulla; anche se questo, in effetti, era vero io volevo con tutto il cuore che fosse mia, non solo a parole, ma anche nei fatti.
Con una mano poggiata sulla sua guancia e l’uncino sulla sua schiena, in modo tale da non lasciare neanche un centimetro tra i nostri corpi, intrecciai la lingua alla sua, guastando il suo sapore meraviglioso. Mi passò una mano tra i capelli mentre approfondivamo il bacio, accarezzandomi dolcemente e provocandomi brividi di piacere lungo la schiena. Senza neanche accorgermene, nonostante le candele che continuavano a brillare, la spinsi verso una parete, in  un punto imprecisato della nave, intrappolandola tra il mio corpo e il legno. Emma sembrò apprezzare quel cambiamento ed incominciò a passarmi le mani sulla schiena e sul petto, mentre le nostre labbra non avevano alcuna intenzione di lasciarsi andare.
Dopo quella che sembrò un’infinità, ma allo stesso modo anche un tempo troppo breve, Emma staccò la sua bocca dalla mia, per poter riprendere fiato ed io appoggiai la fronte alla sua. I nostri occhi si specchiarono gli uni negli altri, spiegandosi più di mille parole. Le sue iridi erano di un verde brillante e il suo sguardo era così felice; immaginai che anche il mio doveva trapelare le stesse emozioni. Sentivo ancora il cuore battere all’impazzata e avevo le farfalle nello stomaco. Per mille diavoli! Quella donna era capace di farmi sentire come un ragazzino alla sua prima cotta.
«Posso parlare adesso?», le domandai sorridendo.
«Sì ti è concesso». Il suo sorriso meraviglioso mi fece girare la testa ancora di più.
«Ti amo anch’io Swan, immensamente». Era l’unica cosa che avrei potuto aggiungere dopo quella inaspettata dichiarazione d’amore.
Un altro bacio fu la sua risposata, anzi un’altra serie di baci.
«Come funziona», scherzai dopo quella sfilza di effusioni. «Hai anche un anello di fidanzamento da darmi? Visto che sei stata tu a farmi la proposta, dovrei comportarmi come una fidanzatina emozionata?».
«Scemo», ribatté sorridendo. «Io te l’ho chiesto solo perché tu non lo hai fatto. Se ti ricordi bene sono stata sempre io a chiederti di organizzare il nostro primo appuntamento».
«Oh Swan non puoi metterla su questo piano. Era chiaro come il sole che ero innamorato di te e il mio corteggiamento era fin troppo evidente».
«Forse…».
«E poi, io non te l’ho chiesto solo perché ti conosco, non sei un tipo facile, sai?».
«Ah davvero?», si finse offesa.
«Sì ma ti amo per questo». Ripetei le sua stessa formula e la baciai di nuovo.
«Comunque», disse ad un centimetro dalle mie labbra, «all’anello non ci avevo pensato».
«Bene. Almeno questo potrò farlo io». Mi staccai da lei e con l’aiuto dell’uncino mi tolsi l’anello più piccolo che avevo alla mano.
«Swan per adesso dovrai accontentarti di questo. Poi ti comprerò un anello come si deve».
«Non ce n’è bisogno», ribatté. «Questo è molto più bello, anche solo per il fatto che è stato sulla tua mano per secoli e secoli».
«D’accordo allora». Alzò la mano sinistra in modo che potessi infilarle l’anello all’anulare; il suo sguardo brillò nel mio mentre compivo quel semplice gesto. Le sue dita non permisero alle mie di allontanarsi, una volta svolto il loro compito, e, così come le nostre mani, anche i nostri corpi tornarono ad unirsi. Il suo petto e il mio petto, le sue labbra e le mie labbra, la sua lingua e la mia.
«Killian», sospirò quando la mia bocca passò ad esplorare il suo collo.
«Dimmi che siamo soli su questa nave e che nessuno ci aspetta», implorai sulla sua pelle.
«Sì. Edith è con Henry. Sapeva ciò che volevo fare ed era così impaziente, ci sono volute ore per convincerla a restare con lui».
«Beh Swan adesso sono io quello impaziente». Con l’uncino le sollevai il vestito, facendole intuire quanto impellente fosse la mia voglia di lei, mentre la mia bocca riprendeva a stuzzicarle la pelle del collo.
«Henry l’ha convinta», balbettò tentando di mettere insieme una frase, «a fare un pigiama party a casa di Regina. Dobbiamo passare a riprenderla domattina per raccontarle tutto».
«Dio! Dovrò ringraziare Henry per questo». E così dicendo mi rituffai sulle sue labbra, per dare libero sfogo al mio desiderio, che poi altro non era che anche il suo. Il nostro.


Angolo dell'autrice:
Eccomi qua con la parte dedicata al nostro Hook! Sono contenta di essere ruscita ad aggiornare e sono sempre felicissima di leggere tutti i vostri commenti! :*
Anche in questo capitolo, oltre alla parte dedicata ai due Killian (con l'intervento di Robin), ho deciso di regalarvi un flashback: la fatidica proposta di matrimonio di Emma. E che proposta!
Grazie come sempre a tutti quanti!
Alla prossima! Un abbraccio
Sara
Ps. Ho ancora gli occhi a cuoricino dopo la puntata di lunedì, ma so che tutto questo Capitain Swan non porterà a niente di buono!

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Capitolo 16
*** 16. La soluzione per dimenticare ***


16. La soluzione per dimenticare
 
POV Emma Swan
«Bene, ecco qua». Il Killian del futuro tirò fuori dalla sacca una grossa pietra e l’appoggiò al centro del tavolo. Eravamo riuniti in biblioteca per cercare di capire come usare quello che doveva essere un potente oggetto magico. Il piano era questo: mentre Henry ed Edith erano a scuola, io e Killian con le nostre copie, Regina e Robin, Belle e miei genitori avremmo cercato di capire come far funzionare la pietra. Era l’unico enigma che ci restava prima di ripristinare la normalità e far sì che Edith potesse tornare a casa.
«I Troll delle Rocce non vi hanno dato alcun indizio?», domandai osservando la pietra.
«Purtroppo no», rispose l’altra me. «Gran Papà non poteva essere più vago».
«Assomiglia molto alla pietra che mi aveva dato per riacquistare la memoria», constatò Belle.
«Sì», obbiettai, «solo che nel nostro caso dovrebbe fare proprio il contrario».
«Io avrei dovuto scioglierla in una tazza di tè», continuò.
«Non credo che servire tè a tutta la città sia un’opzione», intervenne Regina. «Allora tanto vale che inizi a preparare una pozione della memoria per tutta Storybrooke».
«È paradossale», fece notare mia madre. «Finora non è mai stato un problema per noi perdere la memoria. Non riesco più a ricordare quante volte ci sia successo; di solito la difficoltà stava nel recuperarla».
«Il problema è che di solito la memoria ci veniva tolta con sortilegi oscuri. Adesso vorremmo farlo senza usare quel tipo di magia». Vidi Emma stringere la mano del suo Killian mentre pronunciava quelle parole ed anche io di riflesso strinsi la mano del mio Hook, che se ne stava pensieroso al mio fianco. Sapevo che cosa le era tornato in mente, in fondo era il mio stesso pensiero; una volta avevamo noi stesse cancellato la memoria dei nostri cari e non volevamo ripetere l’esperienza.
«Belle», intervenne Robin, «nei tuoi libri non c’è scritto niente di queste pietre?».
«Non ho avuto il tempo di fare ricerche approfondite, però ho individuato molti volumi che parlano di Arendelle. Magari c’è scritto qualcosa sulla magia dei Troll delle Rocce».
«Direi che è un punto di partenza», sospirai. «Inizieremo da quelli. È ovvio che altrimenti da soli non riusciremo a capirci niente».
«Penso che sia l’unica soluzione», concordò Regina. «Purtroppo questa è un tipo di magia che non conosco». Così dicendo iniziammo la nostra ricerca da veri topi di biblioteca.
Trascorremmo l’intera mattinata a sfogliare libri senza ricavarne niente. Sembrava che su nessuno di quei volumi giganti ci fosse scritto qualcosa riguardo alle pietre della memoria o su come usarle.
Verso le una Granny ci portò il pranzo, da lei generosamente offerto, in modo tale che noi potessimo continuare a spulciare quei vecchi libri. Per lo più parlavano di Arendelle e della varie discendenze che si erano succedute al trono; qualche volta venivano menzionati i Troll delle Rocce, ma erano solo accenni che non ci dicevano niente di che.
«Qui non c’è nulla», sbuffò il mio Killian, chiudendo l’ennesimo libro. «Stando qui a leggere invece di agire, mi sembra solo di perdere tempo».
«Beh non abbiamo molte alternative», constatai accarezzandogli una gamba. «Non c’è nessun in città a cui chiedere, se escludiamo Gold e Zelena; ma è ovvio che non ci rivolgeremo mai a loro, non dopo quello che ha fatto il primo. E non chiederemo aiuto neanche alla seconda, visto che è sempre pronta a fare il doppio gioco per i suoi loschi fini».
«E di sicuro pirata», intervenne Regina, «sai che chiedere aiuto alla fata Turchina non risolverebbe nulla». Sorrisi per quella frecciatina; in effetti rivolgerci alla fata Turchina non aveva mai portato a granché.
«Se Gran Papà ci ha dato questa pietra allora vuol dire che dobbiamo usarla», intervenne Emma. «Anche Merlino ha detto che avremmo capito come poterla utilizzare».
«Peccato che anche lui non si sia prodigato in spiegazioni», ribatté il Killian del futuro. Anche lui come l’altro sembrava non sopportare di restare lì fermo a sfogliare libri. Se non altro da quell’atteggiamento potevo benissimo immaginare che Hook non sarebbe cambiato molto.
«Bisogna continuare a cercare», trillò incoraggiante mia madre. «Tanto adesso siete qua con Edith e questa è l’unica cosa che ci resta da capire».
«Il problema», continuò Hook, «non è solo capire come poter cancellarvi la memoria, ma anche trovare un modo che vi permetta di dimenticare ma ci dia il tempo per lanciare l’incantesimo che ci riporti a casa».
«Di che incantesimo si tratta?», domandò Belle incuriosita.
«È un incantesimo particolare. All’inizio ci ha permesso di giungere nel luogo in cui si trovava Edith. Adesso invece ci permetterà di tornare a casa».
«Potrei averlo letto su qualche libro?».
«Non credo», rispose di nuovo Emma. «Merlino ha dovuto adattarlo al nostro caso alquanto particolare».
«In che senso adattarlo?», chiese Regina, anche lei attratta dall’argomento.
«Abbiamo dovuto usare degli oggetti prima legati al passato».
«L’orsetto di Edith?», la interruppi.
«Esatto», rispose Killian. «Per tornare invece dovremo usare oggetti legati al futuro. Principalmente si basa su un triangolo tracciato sul terreno con delle ceneri».
«Delle ceneri?».
«Sì delle ceneri particolari», intervenne Emma quasi a voler prendere in mano il discorso. Tuttavia conoscevo fin troppo bene Killian, anche se era del futuro, per non aver inteso una specie di tentennamento su quell’ultima parola. Alzai lo sguardo su di lui e vidi che si era zittito tornando a osservare attentamente il libro che stava sfogliando. Era ovvio che non volesse aggiungere altro e che stesse cercando di nasconderci qualcosa.
Emma mi lanciò uno sguardo che valeva più di mille parole. “Ti prego non indagare oltre”, mi stava dicendo. Intrecciò le dita in quelle di suo marito, in un gesto che conoscevo bene; sembrava quasi lo stesse confortando.
Killian sospirò e alzò lo sguardo per fissare l’altro sé seduto accanto a me, che, anche se aveva ascoltato la nostra conversazione, sembrava preso dal nuovo libro che aveva aperto. All’improvviso capì che Hook non voleva nascondere qualcosa a tutti noi, voleva nasconderla a sé stesso. Qualsiasi cosa fosse successa, ovviamente legata a quelle ceneri, l’aveva turbato così tanto da non voler sconvolgere la versione più giovane di sé.
«Penso di aver trovato qualcosa, anche se non so quanto potrà esserci utile», intervenne all’improvviso Robin, togliendomi dall’impaccio di dover cambiare argomento.
«Davvero?». Ci voltammo tutti verso di lui aspettando che aggiungesse altro.
«Qui parla dei Troll delle Rocce, e c’è scritto che la loro magia è legata all’utilizzo di pietre magiche. Per quanto riguarda gli incantesimi connessi alla memoria sono spesso legati a luoghi dove la memoria è stata strappata».
«Beh questo non ci interessa granché», gli feci notare.
«Aspetta dice anche che spesso i Troll delle Rocce sono stati in grado di cancellare la memoria di intere popolazioni e che anche in questo caso l’hanno fatto grazie all’ausilio di pietre magiche come quella». Indicò la pietra che era ancora sul tavolo.
«Va avanti», lo incoraggiò Regina.
«Qui parla principalmente di magie fatte dallo stesso Gran Papà, però accenna alla possibilità che queste siano effettuate anche da altre persone. In questo caso l’incantesimo della pietra avrà maggior potenza se scagliato in un posto denso di magia».
«Questo però ci dice solo dove dovremmo usarla non come», sospirò Hook.
«E poi Storybrooke pullula di luoghi densi di magia», intervenne il mio Killian. «Quali dei tanti dovremmo scegliere?».
«C’è dell’altro», continuò Robin. «Molto spesso questi incantesimi sono legati all’acqua».
«All’acqua?». Più andava avanti e più sorgevano dubbi.
«Non aggiunge altro?», domandò Mary Margaret.
«No purtroppo».
«Fammi vedere di che libro si tratta». Belle si avvicinò a Robin per leggere il titolo del volume. «Magari riesco a trovarne altri che possono essere collegati a questo. Voi intanto continuate a cercare».
Sospirai e tornai a sfogliare le pagine ingiallite dell’immenso tomo che avevo in grembo. Vidi l’altra me stessa fare lo stesso, prima di portarsi la mano alla pancia, camuffando una smorfia. Non fui la sola a notarla, quel gesto non era di certo sfuggito al suo Killian.
«Emma, tesoro, va tutto bene?». La sua voce era solo un sussurro, ma era densa di preoccupazione.
«Sì sto bene», lo liquidò, in un comportamento tipico di me che riconoscevo perfettamente. Significava esattamente l’opposto.
«Emma», la rimproverò alzando il tono e attirando l’attenzione anche degli altri.
«Kill sto bene», sbuffò. «È stata solo una piccola contrazione».
«Forse dovresti andare a casa a riposarti».
«E forse tu dovresti smettere di preoccuparti e lasciarmi stare. Non mi sembra che restare qui a leggere dei libri comporti un grosso sforzo. E poi sono già stata incinta prima d’ora». Solo in quel momento si accorse che tutti gli altri li stavano osservando. Quel loro battibecco che era iniziato silenziosamente aveva attirato tutta la nostra attenzione.
«Beh vedo che la tua testardaggine rimarrà sempre la stessa», intervenne Regina per rompere il ghiaccio.
«Scusate», sospirò Emma ricomponendosi. «Killian è fin troppo protettivo. È questo che ti aspetta preparati». Accennai un sorriso, immaginando esattamente come Hook potesse essere maniacale sull’argomento.
«Io mi preoccupo solo per te e per il bambino, non c’era bisogno di essere scortesi», protestò.
«Hai ragione, scusa». Gli rivolse un sorriso e gli prese la mano. «Ma credimi sto bene, è solo lo stress». Lui mugolò in risposta ancora non del tutto convinto.
«Comunque», intervenne Belle concludendo la discussione, «congratulazioni».
Proprio in quel momento dalla porta della biblioteca entrò Henry tenendo per mano la piccola Edith. Avevamo detto loro di raggiungerci dopo la scuola, ma non avevo notato che avessimo fatto già così tardi. Praticamente avevamo passato la giornata a sfogliare vecchi libri senza riuscire a trovare nessuna soluzione.
Lanciai un sorriso ad entrambi i miei figli; forse il mio ragazzino, ci avrebbe aiutato a trovare una soluzione, lui ci sapeva fare con i libri. Sicuramente sarebbe stato entusiasta di essere coinvolto in un’ennesima operazione cobra.
 
POV Henry
Aspettai di fronte alla scuola che anche le classi dell’elementari terminassero le lezioni ed uscissero nel cortile. Era strano dover essere per una volta colui che aspetta e non colui che deve essere aspettato. Era strano ma decisamente bello: avevo sempre desiderato una sorella. Anche se Edith, quella che stavo aspettando in quel momento, sarebbe presto tornata a casa, nel giro di un anno avrei avuto comunque una sua versione molto più piccola. Ero felice di ciò ed ero felice anche che Edith avesse come genitori Killian ed una Emma molto diversa da quella che mi aveva dato alla luce più di tredici anni prima.
«Henry!». La mia sorellina saltellò allegra venendomi incontro.
«Ehi piccola peste! Come è andata oggi a scuola?».
«Tutto bene», mi rispose afferrandomi la mano. «Sono contenta che sei venuto tu a prendermi».
«Sai com’è, anche io ero qui. In questa epoca non sei la sola ad andare a scuola».
«Beh ma in realtà la mamma dice che tu vai a scuola lo stesso, anche se sei a New York». Mi era ancora difficile credere che un giorno avrei lasciato Storybrooke e sarei andato a vivere in una città così grande come New York. D’altra parte, però, capivo perché avessi scelto proprio quella: era pur sempre la città di mio padre.
«È bello poter andare a scuola con te», continuò Edith. «A casa tu sei lontano e non puoi venire a prendermi».
«Quindi ti manco?», le chiesi con un sorriso.
«Sì, però ci sentiamo tutte le sere. Tu ti ricordi di chiamare ogni giorno». Strinse più forte la mia mano, facendomi un ampio sorriso. Da quel poco tempo che avevo trascorso con lei, avevo capito essenzialmente due cose: primo Edith, nonostante amasse tutta la sua famiglia, adorava letteralmente Killian e secondo io e lei avremo avuto un rapporto speciale. Nonostante che anche Roland fosse una sorta di mio fratellastro, io avrei legato con Edith in maniera molto più intima. D’altronde era davvero difficile non volerle bene.
«Andiamo dalla mamma?», mi chiese distogliendomi dai miei pensieri.
«Sì certo. Sono tutti alla biblioteca, vedrai che presto potrete tornare a casa». Ci avviammo lungo le vie di Storybrooke, restando in silenzio. Edith camminava guardandosi i piedi e aveva assunto un’aria pensierosa.
«Mi mancherai», disse infine.
«Anche tu mi mancherai, ma penso che l’altro me sarà contento di sapere che sei tornata a casa sana e salva».
«Non è vero che ti mancherò», ribatté. «Tu non ti ricorderai neanche che io esisto». Certo che per avere sei anni era una ragazzina alquanto sveglia.
Accennai una risata. «Giusto».
«Nessuno si ricorderà di me», sospirò triste. Ebbi subito l’impulso istintivo di consolarla.
«Potrà anche essere vero, ma credimi, se non fossimo costretti a dimenticare, tu ci mancheresti tantissimo».
Mi rivolse un tenero sorriso e iniziò a camminare saltellando trascinandomi con lei.
All’improvviso si fermò di fronte alla gelateria e mi lanciò uno sguardo furbo. Era incredibile quanto assomigliasse a Killian. Conoscevo Hook abbastanza bene da riconoscere alcuni suoi atteggiamenti, ed Edith era assolutamente identica. Oltre agli occhi, la loro somiglianza era molto più profonda e davvero sconvolgente.
«Ci prendiamo un gelato?», mi domandò rivolgendomi uno sguardo da cucciolo.
«Non credo che Emma sarebbe d’accordo», protestai.
«Beh basta non dirglielo». Aveva proprio ereditato lo spirito del pirata. «E poi a casa Henry me lo compra sempre».
«Non è giusto tirare in ballo l’altro me», obbiettai. «Io non posso sapere se dici la verità».
«Io non dico le bugie, e poi sei stato tu a non volere sapere». In effetti, ero stato proprio io a pregarla di non raccontarmi dettagli sulla mia vita futura. Mi ero limitato a conoscere a grandi linee ciò che sarebbe avvenuto, come che sarei andato all’università e che entrambe le mie madri si sarebbero sposate con i rispettivi fidanzati. Anche se avrei comunque dimenticato ogni cosa, trovavo più giusto conoscere gli eventi via via che l’avrei personalmente vissuti. Ero pur sempre l’Autore e non volevo essere condizionato da niente; trovavo legittimo vivere la vita sul momento e non scoprire, anche se temporaneamente, cosa ci avrebbe riservato il futuro.
«Va bene hai vinto», mi arresi spingendo la porta della gelateria. «Però non dovrai farne assolutamente parola con nessuna delle nostre madri».
«Te l’ho detto sarà il nostro piccolo segreto». Il suo sorriso a trentadue denti mise fine ad ogni mia remora. Sarei stato un buon fratello, di questo ero più che convinto, ed essere un buon fratello implicava anche contravvenire ad alcune regole imposte dai genitori.
 
Poco tempo dopo eravamo seduti su una panchina, mentre sia io che Edith finivamo il nostro gelato.
«È così buono», mormorò la piccola soddisfatta.
«Non come quando c’era Ingrid», obbiettai pur sapendo che lei non aveva la minima idea di cosa volessi dire.
«Me lo dici sempre», rispose scrollando le spalle. Alzai lo sguardo su di lei e non potei non scoppiare a ridere. Aveva tutta la faccia sporca di cioccolata. Aveva persino la punta del naso macchiata; più che mangiarlo sembrava esserselo spalmato su tutta la faccia.
Continuai a ridere non riuscendo neanche a parlare, mentre lei mi guardava non capendo.
«Che c’è?», mi domandò spazientita.
Presi fiato tenendomi la pancia per riuscire a mettere insieme una risposta. «Non credo che riusciremo a mantenere il segreto se ti porto a casa conciata in questa maniera».
Edith ingoiò l’ultimo pezzo del suo cono e poi si guardò le mani: erano sporche anche quelle. «Mi sono sporcata?». Il suo tono così sorpreso e innocente mi fece di nuovo scoppiare a ridere.
«Dire che ti sei sporcata è un eufemismo».
«Un eufetismo?».
«Lascia perdere e stai ferma, che cerco di darti una sistemata». Tirai fuori dei fazzoletti di carta dal mio zaino e iniziai a pulirle la bocca e tutta la faccia.
«Mi prendi sempre in giro quando mangio il gelato», obbiettò offesa, mentre l’aiutavo a pulirsi le mani. Evidentemente non era la prima volta che succedeva.
«Sei tu che non sei capace di mangiarlo».
Non replicò non trovando nessuno appiglio per poter ribattere, ma per tutta risposta mi fece una linguaccia.
Una volta finito la mia opera di pulizia, ci rimettemmo in marcia diretti alla biblioteca. La porta era aperta e quindi entrammo senza bussare. Trovammo tutti lì intenti a sfogliare degli immensi volumi.
Mia madre ci lanciò un sorriso vedendoci arrivare, per poi sprofondare tra le pagine del libro che teneva stretto in grembo.
«Allora», domandai, «avete trovato nulla?».
Anche gli altri, che fino ad allora non si erano accorti del nostro ingresso, alzarono la testa e ci salutarono.
«No, per ora non un granché», rispose la nonna.
«Ehi principessa, com’è andata a scuola?», chiese il Killian del futuro ad Edith. Lei lasciò la cartella in mezzo alla stanza e andò da lui.
«Tutto bene, la maestra dice che sono brava». Edith si arrampicò in collo ad Hook, che aveva lasciato prontamente perdere il suo libro, stampandogli un bacio sulla guancia.
«Non avevo dubbi su questo», rispose passandole la mano tra i capelli. Sorrisi e mi andai a sedere accanto a Regina, continuando a guardarli. Forse ero stato l’unico a non essere stato sorpreso dal lato paterno di Killian, ma l’avevo sperimentato io stesso; sapeva essere protettivo con le persone che amava. Anche se all’inizio l’avevo considerato pur sempre un pirata, mi ero dovuto ricredere sul suo conto: aveva reso la mamma felice come nessun altro; ed anche con me si era sempre comportato nel migliore dei modi. Era mio amico e gli ero grato di non avermi imposto qualcosa di diverso dal nostro rapporto.
«Che cosa avete scoperto? Aggiornatemi», domandai ridestandomi dai miei pensieri. L’eccitazione iniziò a crescere dentro di me all’idea di una nuova missione. «Ho pensato che potremmo chiamarla operazione bradipo».
«Perché mai bradipo?», mi chiese mia madre girando la testa per riuscirmi a guardare negli occhi.
«Riesco ad immaginarmelo un bradipo sulle rocce, sapete come quello dell’Era Glaciale; quindi rocce… Troll delle Rocce». Scrollai le spalle come se fosse ovvio.
«La tua immaginazione continua a sorprendermi ragazzino», intervenne l’altra mia madre.
«Però il nome non potrebbe essere più azzeccato», fece notare Hook. «Dopo questo primo giorno direi che stiamo andando molto a rilento».
«Perché non avevate me», mi vantai. «Insomma cosa avete scoperto leggendo più o meno metà dei libri della biblioteca di Storybrooke?».
«Beh semplicemente», mi rispose Robin, «che l’uso della pietra è legato a luoghi densi di magia e anche all’acqua».
«Non è un granché», cercai di essere positivo, «ma è sempre un punto di partenza».
«Abbiamo trovato solo un libro che parlasse dei Troll delle Rocce», mi informò Belle, posando un altro grosso volume sopra una pila, che doveva contenere i volumi già esaminati e risultati inutili.
Mi accomodai meglio sulla sedia e tirai fuori dallo zaino il “mio libro”. Avevo pensato che potesse esserci utile e per questo lo avevo portato con me.
Vidi entrambe le Emma alzare gli occhi al cielo notando quel mio gesto, come a voler dire: “non troverai tutte le risposte là dentro”. Io però non ero d’accordo; quel libro ci era sempre stato utile e lo sarebbe stato anche in quel frangente. In fondo sapevamo tutti che era molto più di un libro.
Iniziai a riflettere su ciò che mi aveva detto Robin. Avevamo due indizi: luoghi densi di magia e acqua. Pensai a quando in passato l’acqua ci era stata d’aiuto, come per esempio quella del lago di Nostos, o la sorgente che manteneva inalterata l’Isola che non c’é. Dovetti ammettere, mio malgrado, che quegli esempi non erano affatto pertinenti.
Provai a pensare ad altro. Di solito la memoria ci era sempre stata tolta con qualche sortilegio, o con una sorta di magia oscura. Sicuramente doveva esserci un modo per farlo anche senza ricorrere all’oscurità e ovviamente la pietra doveva essere la soluzione.
Sfogliando le pagine dl mio libro mi resi conto che stavo affrontando il problema dal punto di vista sbagliato. Ormai non eravamo più nella foresta incantata ma bensì a Storybrooke. Avevo pensato a delle acque magiche, ma la maggior parte delle volte, eccetto incantesimi particolari, le acque della nostra cittadina erano semplicemente acqua.
Provai allora a pensare all’altro indizio che il libro ci aveva dato: un luogo denso di magia. Da quando a Storybrooke era arrivata la magia, molti posti corrispondevano a quella definizione. C’era la torre dell’orologio, testimone della immutabilità del primo sortilegio e anche di molti scontri, la stessa biblioteca, che nascondeva nei suoi sotterranei la dimora di Malefica. C’era il negozio di Gold, con mille oggetti dalle potenzialità sconvolgenti, la casa del vecchio Autore, lo stesso locale da Granny, che aveva viaggiato all’interno di un tornado fino a Camelot e ritorno. Ma nessuno di questi sembrava il luogo adatto.
Poi come se una lampadina si fosse accesa nel mio cervello, visualizzai un pozzo in mezzo alla foresta, una mano che usciva da là, Mary Margaret ed Emma che tornavano a casa. Il pozzo dei desideri: il luogo perfetto. Era dà lì che Gold aveva portato la magia nel nostro mondo, e si diceva che potesse restituire ciò che era andato perduto. Se aveva quella capacità, probabilmente poteva anche fare il contrario e toglierci ciò che non dovevamo più ricordare.
«Ho trovato!», esultai alzandomi in piedi. Sentii lo sguardo di tutti puntato su di me mentre aspettavano che esponessi la mia teoria.
«Il pozzo dei desideri», dichiarai. «È il luogo perfetto: c’è l’acqua e non credo che ci sia in tutta Storybrooke un luogo più magico di quello. È riuscito a portare qua la magia quando non ce n’era».
Vidi lo sguardo dell’Emma del futuro illuminarsi a quell’idea.
«Tu credi…», iniziò Regina.
«Ha ragione è perfetto», l’anticipò l’altra mia madre.
«Basterà gettare la pietra nel pozzo», continuai. «Ne sono sicuro».
«Pensi che potrebbe funzionare?», chiese l’altro Hook all’altra Emma.
«Sì, funzionerà». Sul suo volto apparve un grande sorriso, colmo di gioia. «Gran Papà ha detto che avremmo capito subito come usarla. Questa è la soluzione giusta, lo sento Killian. In questo modo potremo usare la pietra e avere il tempo di scagliare l’incantesimo».
«Sei un genio ragazzino», si complimentò l’Hook del presente.
«Mio fratello è un genio», esultò anche Edith; anche gli altri iniziarono a complimentarsi con me. Arrossii per tutti quei complimenti, in fondo non avevo fatto niente di speciale. Non avevo nessun potere o nessun talento, ero solo riuscito a fare un collegamento che aveva portato alla soluzione.
«Torneremo a casa», gioì una Emma piuttosto commossa.
«Già finalmente, torneremo tutti a casa», concordò Killian. Era ovvio che per loro fosse motivo di gioia, però per noi significava non rivedere più Edith e dire addio ad una parte dei nostri ricordi. Lo lessi nello sguardo di tutti: eravamo felici, ma allo stesso tempo tristi per quell’addio.
«Casa: non posso crederci», dichiarò Emma alzandosi e venendo verso di me. «Grazie di tutto ragazzino! Come sempre sei il migliore». Mi abbracciò, scompigliandomi i capelli con la mano.
«Partiremo domattina», affermò Hook. Tutti lo guardammo e annuimmo in silenzio. Sarebbero partiti il giorno dopo, quindi significava che, per il momento, quelle erano le nostre ultime ore con la piccola Edith.


Angolo dell’autrice:
Salve a tutti! Dopo questa puntata(e) devastante e visto che dobbiamo attendere per ben due settimane, sono tornata ad allietarvi con un altro capitolo.
Prima di tutto vi annuncio che questa storia sta giungendo al termine :( . Penso che ci saranno altri 3 o 4 capitoli, a seconda di cosa viene fuori dal prossimo. Spero davvero di farne uscire quattro, compreso l’epilogo, ma staremo a vedere!
Veniamo ad oggi: vediamo tutti i nostri protagonisti alle prese con la pietra della memoria, senza ottenere risposte, se non fosse per Henry. Ho voluto dedicare una parte del capitolo proprio a lui e al suo rapporto con Edith, come qualcuno mi aveva chiesto ;) . Ho pensato che avendo analizzato il rapporto di Edith con tutti e quattro i genitori, fosse giusto far vedere anche l’affetto fraterno tra lei ed Henry.
Vi ringrazio, come sempre, di leggere e recensire!
Un abbraccio e alla prossima
Sara  
 

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Capitolo 17
*** 17. Noi insieme ***


17.  Noi insieme
 
POV Emma Jones
Da quando Henry aveva trovato la soluzione all’unico problema che ci restava, si era svolto tutto quanto molto velocemente, quasi in modo surreale. Mary Margaret aveva approfittato per organizzarci una festa di addio; non riuscivo neanche a capire come ci fosse riuscita in sole due ore.
Ancora stentavo a credere che il giorno dopo quell’avventura sarebbe terminata e noi saremo tornati a casa. Quando Henry aveva parlato del pozzo dei desideri il mio cuore aveva iniziato a battere all’impazzata e il mio istinto mi aveva gridato che quella era l’idea giusta. La consapevolezza che eravamo arrivati alla soluzione mi aveva colpito con una forza tale da farmi comprendere esattamente cosa intendeva Gran Papà. Avremo capito come usare la pietra sul momento, ed era stato esattamente così. Era come se alle parole di mio figlio avessi aperto gli occhi all’improvviso, notando ciò che doveva essere evidente, ma che prima non riuscivo a vedere.
Il nervosismo, la tensione, tutto era cessato quando avevamo trovato la nostra via di fuga. In quel momento volevo solo tornare nel mio tempo e alla mia realtà e godermi la mia nuova gravidanza. Volevo vedere la faccia stupita dei miei genitori alla notizia che sarebbero diventati di nuovo nonni, volevo fare la prima ecografia, sentire il battito cardiaco del nostro fagiolino e vedere l’emozione sul volto di Killian, volevo comprare la prima tutina. Cose normali, cose tipiche di ogni madre.
«Sei pronta tesoro?». Hook entrò nella stanza, aprendo lentamente la porta. Emma ci aveva gentilmente offerto la sua camera al loft, in modo tale da poter stare vicino ad Edith, mentre lei e il suo Hook sarebbero temporaneamente stati sulla Jolly Roger. Quella soluzione era stato una vera manna dal cielo: sapevo con sicurezza che il mio Killian non sarebbe stato pronto per trascorrere la notte sulla sua nave. Forse non lo sarebbe mai stato ed era un bene che non la vedesse o che ne sentisse parlare il meno possibile.
«Solo un secondo», risposi, guardandomi allo specchio. Mi misi su un fianco e mi sfiorai la pancia con la mano. Era ancora invisibile ma presto sarebbe diventata ben evidente.
«Sei bellissima». Killian mi abbraccio da dietro appoggiando la mano sopra la mia. Con l’uncino mi scostò una ciocca di capelli portandomela dietro l’orecchio.
«Anche tu non sei niente male», affermai appoggiando la testa sulla sua spalla. Le sue labbra si posarono sul mio collo, proprio là dove la mia chioma terminava.
«Mamma, papà». La voce di Edith ci riportò con i piedi per terra, ricordandoci che avremo avuto tempo per le coccole una volta a casa.
La nostra bambolina entrò nella stanza indossando un vestitino verde bottiglia, molto bello ed elegante, che la Mary Margaret del tempo le aveva comprato. Il giorno dopo avremo dovuto prendere uno zaino per poter infilare tutte le cose che avevano regalato alla nostra piccola; non potevamo correre certo il rischio di lasciare qualche traccia della sua presenza e ciò significava caricarsi di roba.
«Credo di dovermi ripetere», disse Killian allontanandosi da me per andare incontro a nostra figlia. «Sei bellissima tesoro».
«Certo che lo sono», gli rispose sorridendo. «Andiamo? Ci stanno aspettando tutti».
Annuimmo e la prendemmo per mano, scendendo per andare dagli altri.
La festa si sarebbe tenuta da Granny e quando arrivammo, il locale era già stipato; sembrava che tutti volessero salutare Edith. Erano tutti pronti ad abbracciarla e coccolarla prima che se ne andasse via per sempre. Edith aveva la naturale capacità di riuscire a farsi amare ovunque si trovasse. Non potei che essere orgogliosa del fatto che riuscisse a risultare sempre così amata; almeno questo non l’aveva preso da me. Riuscire ad aprirmi e permettere alle persone di conoscermi non era sicuramente il mio forte, ero contenta che almeno per mia figlia fosse diverso.
Edith dopo vari abbracci e saluti lasciò tutti per andare a giocare con Roland su un tavolo in un angolo della sala. Anche Henry si unì a loro e trascorsero buona parte della serata a ridere e scherzare. La mia bambina sembrava divertirsi ed ero lieta che avesse una qualche distrazione dall’imminente partenza. Avevo potuto scorgere nei suoi occhi l’affetto che provava per tutte quelle persone e temevo che l’avvicinarsi del momento dell’addio potesse rattristarla. Anche se tornava a casa era pur sempre vero che lasciava altrettante persone che l’avevano coccolata per tutta la sua permanenza. Il fatto che fosse distratta dai suoi amichetti era sicuramente un bene.
«Sembri pensierosa stasera», mi sussurrò Killian ad un orecchio, abbracciandomi all’improvviso. Posò le labbra sulla mia guancia, lasciandomi un dolce bacio.
«Pensavo a quanto Edith si sia affezionata a questa realtà».
«Starà bene vedrai». Riusciva sempre a rassicurarmi dicendo esattamente le parole che avevo bisogno di sentire.
«È così brava a socializzare», affermai osservandola scoppiare a ridere.
«È una bambina talmente speciale che è impossibile non amarla», intervenne una voce alle nostre spalle. Ci voltammo per osservare Mary Margaret e David fermi proprio dietro di noi.
«Avete fatto un buon lavoro», continuò lei con una punta di soddisfazione nella voce.
«Grazie», rispondemmo insieme io e Killian.
«Non avrei mai pensato di dirlo», proseguì David, «ma sono contento che nostra figlia abbia trovato qualcuno che la ami e che lei stessa ami, e che qualcuno sia tu».
«Non credo che continuerai a pensarla così quando domani vi cancelleremo la memoria», scherzò Hook. «Quando vi abbiamo detto della gravidanza di Edith, ho pensato che quasi certamente mi avresti ucciso».
David fece una grossa risata. «Molto probabilmente sarà così; però devi sapere che ho capito fin da subito che per te mia figlia non era affatto uno scherzo; ti sono grato per come la ami». Sentirgli dire quelle parole, anche se non era effettivamente mio padre, perlomeno non quello del mio tempo, mi fece commuovere. Lasciai Killian per andare ad abbracciarlo.
«Grazie papà».
Rispose all’abbraccio goffamente. «Ovviamente non ditelo all’Hook del presente».
«Cosa non dovete dirmi?». L’altro Killian spuntò all’improvviso avvicinandosi a noi.
«In che modo ti ucciderò», rispose prontamente David lasciandomi andare, «quando scoprirò che hai messo incinta la mia bambina».
«Beh del resto non sarebbe la prima volta», replicò lui con un’alzata di spalle. Ridemmo tutti e solo allora notai che l’altra me, mano nella mano con il suo Hook, sembrava persa nei suoi pensieri, almeno quanto lo ero stata io qualche minuto prima. Il suo sguardo era fisso su Edith, che in quel momento stava continuando a ridere rumorosamente insieme agli altri per qualcosa che evidentemente l’aveva fatta sbellicare.
Mi avvicinai a lei, accarezzandole un braccio e ridestandola dai suoi pensieri.
«Lo so che ti mancherà», sussurrai in modo che potesse sentirmi solo lei. «Ma credimi manca poco davvero». Sapeva che mi riferivo alla gravidanza; facendo due calcoli poteva essere già incinta anche in quel momento anche se di pochissimo.
«Già e un po’ mi spaventa», mi rispose.
«Non saresti Emma Swan se non fossi spaventata dal futuro», ammisi con un sorriso.
«Sai adesso è diverso. La voglio davvero, Edith intendo; però, domattina dimenticherò tutto e sarà come ripartire da capo».
«Per fortuna non sono un tipo che si arrende», intervenne Hook che doveva aver colto le sue ultime parole. L’abbracciò e la strinse forte al suo petto.
«Per fortuna», ammettemmo io e lei sorridendo.
«Cosa fareste senza di noi», intervenne anche il mio Killian. Gli diedi un bacio sulla guancia facendogli un grosso sorriso.
Con la scusa di prendere un misero bicchiere di coca cola mi avviai verso il bancone. Avevo visto qualcuno con cui desideravo assolutamente parlare prima della partenza. Regina, nel suo solito abito firmato, era ferma lì in piedi. Seguendo la direzione del suo sguardo notai che stava guardando i bambini giocare. Era più pensierosa del solito e questo mi ricordò il principale motivo per cui volevo scambiare quattro chiacchiere con lei.
«Mi dispiace», le dissi. Il pensiero di quel pomeriggio, a come era uscita fuori la storia della mia ennesima gravidanza, mi aveva tormentato per buona parte della serata. Non era stato affatto carino nei suoi confronti: il bisticcio, le lamentele per l’apprensioni di Killian, spiattellarle così senza mezzi termini che ero di nuovo incinta, quando lei invece...  
«Per cosa?», mi domandò squadrandomi da capo a piedi e alzando un sopracciglio.
«Per oggi». Cercai le parole più adatte per esprimere quello che pensavo, senza che lei potesse credere che la stessi in qualche modo compatendo. «Non volevo che sapessi così della mia nuova gravidanza».
Fece una grossa risata per poi guardarmi dritta negli occhi. «Ti stai scusando perché sei incinta?».
«Beh detto così suona proprio stupido». Però in effetti era quello che stavo facendo.
«Molto stupido, puoi dirlo forte».
«Vorrei che tu non l’avessi scoperto così», mi giustificai. «Infatti penso che userò molto più delicatezza con la te del mio tempo».
«Emma credimi non ce n’è bisogno», protestò. «Conoscendomi posso dirti con certezza che la cosa non mi disturba. Non sono invidiosa, sono abbastanza matura da poter essere felice per te e per il tuo pirata».
«Grazie». Sapevo che era così, ma c’era una cosa che sentivo e che avevo assolutamente il bisogno di aggiungere. «Vorrei solo che potesse succedere anche a te», sussurrai.
«Emma». Anche se il suo tono era rude, il suo sguardo si era addolcito. «Io sapevo a cosa andavo incontro quando ho fatto ciò che ho fatto. Sono stata io stessa a togliermi questa possibilità per non lasciare vincere mia madre, non c’è motivo che tu non possa avere anche una squadra di calcio con il tuo pirata solo perché io non posso averla».
«Lo so, ma…».
«Niente ma», mi fermò. «È la gravidanza che ti fa diventare più sentimentale o ti sei rammollita in questi anni?».
Feci un sorriso e lasciai perdere il discorso come voleva lei. «Sarà la mancanza di alcool che mi rende così».
«Almeno quella sarà una cosa a cui non dovrò mai rinunciare». Alzò il suo bicchiere di vino e lo fece tintinnare contro il mio.
In quello stesso istante Killian attirò l’attenzione di tutta la sala prendendo la parola. «Potete fare un attimo di silenzio? Grazie». Dalla sua espressione capii che stava cercando di elaborare un discorso.
«Io e mia moglie volevamo ringraziarvi», iniziò. Mi guardò cercando la mia approvazione; bastò un solo sguardo per fargli comprendere che ero assolutamente d’accordo.
«Volevamo ringraziarvi», continuò, «per aver accolto Edith, per averla protetta e per l’amore che le dimostrate questa sera, visto che siete tutti qui per salutarla. Nonostante la preoccupazione e la paura che ci ha tenuto compagnia durante tutto il nostro viaggio per poter riabbracciare nostra figlia, sapere che lei era al sicuro qui con voi è stato di enorme conforto. Grazie per averla trattata come se fosse stata vostra figlia». Si stava rivolgendo a tutta la sala ma quelle parole erano principalmente rivolte agli altri noi. Non avremmo mai saputo ringraziarli abbastanza per quello che avevano fatto, compreso l’aver affrontato Tremotino ed essere riusciti a far sì che Edith potesse controllare la sua magia.
Ci fu uno scroscio di applausi dopo di che fu Edith ad alzarsi in piedi, salendo sul tavolo di fronte al quale si trovava. Non mi aspettavo che prendesse la parola, così l’osservai attentamente per cercare di intuire cosa mai volesse dire.
«Come ha detto il mio papà, anche io vi ringrazio tanto». Si fissò la punta delle scarpe mentre cercava di trovare le parole giuste. «Quando sono arrivata qui non capivo cosa fosse successo, tutti erano strani ma non sapevo il perché. Dopo aver capito tutto, mi mancavano la mia mamma e il mio papà, però Emma e Killian sono diventati la mia mamma e il mio papà per questo periodo. Tutti siete stati così gentili con me ed io ho potuto conoscere come erano sette anni fa le persone a cui voglio bene. Alla fine mi sono sentita a casa anche se ne ero lontana. So che voi non vi ricorderete di me, ma a me mancherete tanto». Terminò la frase puntando lo sguardo su Emma e Killian che erano mano nella mano in un lato della sala. Attraverso la vista appannata di lacrime scorsi Emma correrle incontro e prenderla in braccio stringendola forte; anche Hook era dietro di loro e l’abbracciò nello stesso modo con cui la stringeva il mio pirata.
La preoccupazione per Edith, il fatto che potesse essere triste per la nostra partenza, tornò a farsi sentire. Cercai di ripensare alle parole di Killian: lei sarebbe stata bene, in fondo avrebbe ritrovato altrettante persone molte affezionate a lei. Sarebbe stata con la sua famiglia e noi avremo trovato qualsiasi modo per poterla farla sorridere.
Non mi avvicinai a loro, ma lasciai che quel momento restasse solo di Edith e dei noi del passato. Era giusto così e sia io che Hook lo capivamo.
Dopo ci furono abbracci, altri festeggiamenti ed infine lacrime e saluti. Avevamo deciso che alla partenza sarebbero stati presenti solo gli altri noi, perciò Edith fu travolta da una miriade di persone che volevano darle un ultimo abbraccio.
Quando finalmente rientrammo al loft e alla nostra camera provvisoria, era tardi ma Edith era più sveglia che mai. L’aiutai a sfilarsi il vestito e a mettersi il pigiama mentre continuava a raccontarci cosa aveva fatto con Roland e con Henry quella sera. Sapevo cosa stava facendo: cercava di pensare ad altro e di concentrarsi sui momenti divertenti della serata, per evitare di pensare al resto. D’altronde era pur sempre mia figlia.
«Visto che una signorina qui presente non ha molta voglia di dormire», intervenne Killian avvicinandosi al letto dove eravamo sedute, «forse avrà voglia di scartare il suo regalo». Teneva la mano dietro la schiena ed io sapevo cosa stava nascondendo: il diario che le volevamo regalare per il suo primo giorno di scuola. Era un ulteriore incentivo per non farla rattristare ulteriormente.
«Se non sbaglio», continuai io, «non hai fatto a tempo a scartare il tuo regalo».
«Proprio così, sei scomparsa prima che io potessi portartelo». Edith guardò alternativamente prima me e poi Killian e il suo sguardo si illuminò quando comprese a cosa ci riferissimo. Sul suo viso comparve un sorriso a trentadue denti mentre aspettava impaziente la sua sorpresa.
«Allora lo vuoi?», gli chiese Hook.
«Sì!», urlò con entusiasmo.
«Visto che domani dovrai usarlo per tornare a casa, mi sembra inutile aspettare». Le accarezzai la testa e osservai attentamente la sua reazione. Killian le porse il pacchettino e lei si fiondò ad aprirlo. Strappò la carta senza prestarci molta attenzione e si ritrovò tra le mani il nostro quaderno. Lo squadrò in ogni angolo e le sue dita si soffermarono sulla copertina di legno; tracciò il contorno del timone con incatenate le sue iniziali, per poi alzare lo sguardo su di noi.
«È un diario, un quaderno dove puoi scrivere tutti i tuoi pensieri», le spiegai. «O se ti accade qualcosa di bello».
«Qualcosa degno di essere ricordato», continuò Killian, «e che un giorno sarai felice di rileggere».
Gli occhi di Edith tornarono a fissare il quaderno, ma non sembrava delusa, anzi tutt’altro.
«Ti piace?», le chiesi passandole le dita tra i capelli.
«Molto». Tornò a fissarci con un enorme sorriso. «Grazie, vi voglio tanto bene». Si tuffò ad abbracciare prima Killian e poi me, lasciandoci un bacio sulla guancia.
«Anche noi te ne vogliamo», dichiarai rispondendo al suo abbraccio.
«Beh adesso però è proprio l’ora di andare a letto signorina», concluse Hook. «Domani ci aspetta un viaggio impegnativo».
«Posso dormire con voi stanotte?», ci domandò facendoci gli occhi dolci. Avevo già dormito con lei la notte prima, ma in fondo era naturale che le fossimo mancati e che volesse restarci vicino.
Lanciai uno sguardo a Killian per fargli capire che per me non c’erano problemi. I suoi occhi mi indicarono che aveva capito e che era d’accordo.
«Va bene», acconsentii. «Ma non ci fare l’abitudine. Una volta a casa ognuno torna nel suo letto siamo intesi?».
«Sì, va bene».
Poco tempo dopo eravamo tutti e tre distesi in quello che era stato il mio letto. Edith si era messa tra me e Killian appoggiando la testa contro il suo petto; si era accoccolata praticamente appiccicata a suo padre e mentre lui l’accarezzava era scivolata nel mondo dei sogni, molto più in fretta di quanto mi aspettassi.
Il bagliore della luna filtrava dalla finestra e così potevo scorgere il profilo di Killian che mi fissava con uno sguardo capace, ogni volta, di togliermi il respiro. Mi girai su un fianco, in modo  tale da poterlo guardare meglio.
Tra di noi non c’era mai stato bisogno di troppe parole, ed era così anche in quel momento. Eravamo finalmente di nuovo felici, con la nostra piccola stretta tra di noi, ed eravamo anche immensamente innamorati. Il nostro amore aveva superato mille ostacoli ed ogni volta era uscito più forte. Eravamo cresciuti insieme, eravamo cambiati, sia io che lui, ma tutto questo non aveva fatto altro che unirci ancora di più.
All’improvviso sentii il suo piede sfiorare il mio sotto le coperte ed iniziare a sfregarmi la gamba. Sorrisi e mi lasciai coccolare con quel semplice gesto.
«Mi piace vederti così rilassata», sussurrò dopo un po’. «Vorrei che fossi sempre così spensierata».
«Ora come ora non penso di avere molto di cui lamentarmi», risposi. «Una volta a casa sarà tutto perfetto».
«Ricorda siamo a Storybrooke e tutto può succedere», mi fece notare. «Potrebbe spuntare un mostro da un momento all’altro, soprattutto quando meno te lo aspetti».
«Anche se comparisse lo yeti in persona non mi preoccuperebbe, basta che noi siamo insieme. Tutta la nostra famiglia unita». Mi sorrise e continuò ad accarezzarmi la gamba con il piede.
«E poi», aggiunsi ripensando a quello che aveva detto, «non eri tu quello che diceva di godersi i momenti di tranquillità senza pensare a quello che sarebbe potuto accadere in futuro?».
«Giusto», ammise. «E tu eri quella che non riusciva a rilassarsi neanche un secondo. Ci siamo invertiti i ruoli?».
«Eh già», ridacchiai. Edith sospirò forte, forse disturbata dalla mia risata e dalle nostre voci, ma continuò a dormire senza svegliarsi.
«Mi mancava tutto questo, sai?». Con lo sguardo indicò la piccola accoccolata contro il suo petto. «Lei che mi stringe e che mi guarda come se fossi l’eroe più forte e coraggioso che sia mai esistito sulla faccia della terra».
«Che ti guarda con amore incondizionato», precisai.
«Sì. Da una parte mi fa sentire così soddisfatto e felice, ma d’altra mi terrorizza. Ho paura di non essere all’altezza, di non corrispondere a quella figura che lei si è fatta di me. Mi ha talmente idealizzato, mi ha messo su un piedistallo e…».
«Tu sei sicuramente all’altezza», lo interruppi. «Tua figlia ti adora e ti ama così tanto non perché ti ha idealizzato, ma perché sei tu. Killian sei così stupendo con lei, sei un padre fantastico».
«Anche tu sei una madre niente male». Mi avvicinai a lui per poterlo baciare, quel tanto che permetteva il corpicino di Edith. La mia bocca sfiorò dolcemente la sua gustando il suo dolce sapore. Amavo ogni sfumatura di lui, ogni minuscola caratteristica, ma le sue labbra erano sicuramente una delle cose che adoravo di più. Avrei passato ore a baciarle, ad intrecciare la mia lingua con la sua, ad esplorare ogni centimetro della sua bocca. Baciare Killian Jones mi faceva sentire a casa. Se ero agitata e preoccupata, un suo bacio aveva il potere di ridarmi la calma e di farmi mettere tutto nella giusta prospettiva. Il suo sapore leggermente salato, il suo retrogusto di rhum, erano meglio di qualsiasi tranquillante.
Mi staccai dalle sue labbra, per paura di schiacciare Edith, ma rimasi comunque vicino a lui, la testa appoggiata sul cuscino a pochi centimetri dalla sua. Con la mano sfiorai la sua guancia, ricambiando le carezze che lui mi aveva fatto poco prima con il piede; esattamente come me, lo vidi rilassarsi e chiudere gli occhi al mio dolce tocco.
«Ti amo», sussurrai, mentre sfioravo leggermente la sua palpebra con il pollice.
«Anch’io ti amo». Sfiorai le sue ciglia con il dito e lo lasciai scendere lungo la sua guancia, dove la pelle era più ruvida per via della barba appena accennata. I suoi occhi si riaprirono e si incatenarono di nuovo ai miei, facendomi battere il cuore all’impazzata.
Non c’era bisogno di parole per capire che, quello che volevamo entrambi, era qualcosa che in quel momento non potevamo avere.
«Domani sera», sussurrai con tono solenne.
«Domani sera, a casa nostra», confermò delineando la nostra promessa. Tra noi tornò di nuovo il silenzio, ma né io né lui parevamo intenzionati ad addormentarci. Continuavamo a guardarci dolcemente e a coccolarci a vicenda.
«Cosa sarà la prima cosa che farai una volta a casa?», gli domandai.
Ci pensò su. «In effetti non ne ho la minima idea. E tu invece cosa farai?».
«In teoria dovrei dire a mia madre della gravidanza, ma ho già affrontato l’entusiasmo di una Mary Margaret, penso che non sarà la prima cosa che farò. Chiamerò Henry probabilmente».
«Edith sarà così felice di sentirlo, e sono sicuro che anche lui non veda l’ora di sapere che sua sorella è casa sana e salva».
«Probabilmente ci sarà un’altra festa», ipotizzai. «Questa volta di bentornato».
«Non dobbiamo essere presenti per forza», mi fece notare.
«In teoria sì, se la festa è per noi».
«La festa sarà per Edith ed esistono centinaia di scuse per andare via prima». Sorrisi e restai di nuovo in silenzio. Lasciai che il respiro profondo di Edith mi cullasse e mi guidasse verso il mondo dei sogni. Lentamente le mie palpebre si fecero pesanti e faticai a tenere gli occhi aperti. La mia mano sulla sua guancia scivolò giù lungo il suo collo.
«Dormi amore mio», lo sentii sussurrare. «Ne hai bisogno». Mi prese la mano e la posò sul suo petto, vicino al visino di Edith. Eravamo tutti e tre molto stretti, quasi tutti rannicchiati uno contro l’altro. Non c’era altro posto al mondo in cui sarei voluta essere. Esattamente lì ed ora: era quello il mio posto e lo sarebbe sempre stato.
«’Notte», biascicai già mezza addormentata.
«Buonanotte tesoro, e sogni d’oro».
«Non ho bisogno di sognare», pronunciai con l’ultimo briciolo di lucidità. «Qui ho già tutto quello che desidero».


Angolo dell’autrice:
Ciao a tutti! Ecco a voi un altro capitolo, il quart’ultimo per la precisione.
Sono riuscita a dividere questa parte in modo tale da dedicare questo capitolo all’Emma e il Killian del futuro, mentre il prossimo vedrà come protagonisti quelli del presente. Vi anticipo che io avevo già in mente fin dall’inizio ciò che accadrà nel prossimo capitolo; per questo non vedo l’ora di scriverlo e spero anche che ne esca fuori qualcosa degno delle mie aspettative.
Ringrazio chi ha inserito la storia nelle varie categorie, chi recensisce e anche chi legge silenziosamente.
Un abbraccio e alla prossima
Sara
 

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Capitolo 18
*** 18. Noi siamo loro ***


18. Noi siamo loro
 
POV Emma Swan
Quella notte la luna era alta nel cielo, grossa come un pallone, e si rifletteva sul profilo increspato dell’acqua, creando uno spettacolo incredibile. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal punto in cui oceano e orizzonte si confondevano. Capivo perfettamente perché Killian trovasse quello spettacolo rilassante.
Il bagliore della luna riusciva ad illuminare debolmente il ponte della nave e creava l’atmosfera adatta per poter pensare. Nella mia testa si affollavano mille idee, mille ipotesi, mille perplessità: avevo bisogno di un momento per riuscire a mettere tutto nella giusta prospettiva.
Le parole che Edith aveva detto quella sera mi avevano fatto tremare il cuore di emozione. Lei aveva imparato ad amarci e a volerci bene in pochissimo tempo e, cosa più sorprendente di tutte, noi le saremo mancati. La sua capacità di affezionarsi a delle persone estranee in poche settimane mi sorprendeva. Eravamo pur sempre i suoi genitori, ma eravamo molto diversi da quelli che erano venuti a prenderla, almeno io lo ero. O meglio, la me che aveva conosciuto appena era arrivata era diversa da quella che doveva essere sua madre; in quel momento, invece, mi sembrava di assomigliarle molto più di prima. Era come se l’istinto materno dentro di me sopito, si fosse risvegliato all’improvviso.
Il problema era che faticavo ad immaginarmi come madre; avevo osservato Mary Margaret con Neal e non riuscivo a vedermi nella stessa prospettiva. Cambiare pannolini, allattare, avere a che fare con una creaturina dipendente solo ed esclusivamente da te. Quando avevo conosciuto Henry, lui era già grande e aveva superato da tempo quella fase; aveva bisogno di me, ma in una maniera diversa. Tuttavia, se prima vedevo questa prossima gravidanza come orribile, conoscendo Edith, vedendola e osservando anche gli altri noi, avevo compreso una cosa: la desideravo. Desideravo avere una vita come la loro, una figlia così dolce e tenera, una vera famiglia con Killian.
Avevo notato che quello che c’era tra l’Emma ed il Killian del passato era qualcosa di talmente intenso che non poteva essere descritto a parole. Anche io ed Hook ci amavamo così profondamente, ma non avevamo ancora tutta quella complicità che si sarebbe sviluppata solo vivendo fianco a fianco ogni giorno. Ed io desideravo quella complicità più che mai.
Sapevo che quello che avremo costruito con la nascita di Edith sarebbe stata la nostra famiglia. Avevo sempre cercato una famiglia, fin da quando ero piccola; quando avevo trovato i miei genitori era stato bello, ma tutti quegli anni senza sapere, senza di loro, arrabbiata per quello che credevo un atto puramente egoistico, tutto questo aveva avuto un peso. Quello che invece l’altra me aveva era qualcosa che aveva scelto, che aveva lottato per avere, qualcosa che avrebbe difeso con le unghie e con i denti.
Oltre a tutto ciò, quello che mi aveva fatto riflettere più di tutto, era che Emma era felice, veramente felice. Ed era anche la cosa che volevo più di tutti: sorridere in quel modo, piena di gioia, a prescindere dalle difficoltà da dover affrontare. Quanto volte potevo dire di essere stata così altrettanto felice in tutta la mai vita?
Fissai di nuovo la luna cercando di arrivare ad una conclusione, ma il risultato era facile, era già palese, dovevo ammetterlo solo con me stessa: io volevo rimanere incinta e concepire Edith.
Ero così presa dai miei pensieri che non sentii dei passi avvicinarsi alle mie spalle.
«Prenderai freddo». La voce calda di Killian mi fece tornare al presente e alla consapevolezza che in quel momento eravamo solo io e lui sulla Jolly Roger. Mi coprì con una coperta, in un gesto più che premuroso e pieno d’affetto, e si sedette accanto a me.    
«Sei gelata», mi fece notare intrecciando le dita alle mie.
«Sto bene», mormorai. «Ci sei tu a scaldarmi, giusto?». Lo baciai dolcemente passandogli la mano libera sulla guancia e gustando le sue labbra e il suo sapore.
«Come siamo affettuosi stasera», mormorò staccandosi appena e sistemandomi con l’uncino una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Sono sempre affettuosa con te». Anche se la mia era un’affermazione, suonava più come una lamentela da bambina.
«Certo se consideriamo gli standard da cui siamo partiti».
«Uffa, devi per forza lamentarti? Non puoi lasciarti semplicemente baciare?». Mi sorrise e fu lui ad unire di nuovo le sue labbra alle mie.
Perdere la cognizione del tempo era assolutamente normale quando baciavi Killian Jones, perciò mi ritrovai a galleggiare tra le dolci forme della sua bocca, riuscendo a stento a ricordare il mio nome. Dopo non so quanto tempo, appoggiai la testa sulla sua spalla, stringendomi nel suo abbraccio.
«Capisco Swan perché non sei rientrata, lo spettacolo qua fuori è da lasciarti senza fiato».
«Qualcuno mi ha detto che guardare l’oceano lo rilassa e che non c’è niente di meglio che la luna piena che splende sulle onde. Beh penso proprio che avesse ragione».
«Sei tesa?», mi domandò girando la testa per riuscire ad osservarmi.
«No, solo un po’ triste». Non avevo bisogno di spiegargli il motivo.
«Domani partirà e noi non ricorderemo neanche che esista», mormorò sospirando.
«Non è solo questo», aggiunsi. «Tutti i miei muri, quelli che Edith è riuscita ad abbattere, torneranno ad alzarsi, esattamente come se non fosse successo niente».
«Se è riuscita ad abbatterli una volta, ci riuscirà di nuovo».
«Sì ma sarà diverso. Se solo potessi ricordare questa sensazione». Alzai la testa  dalla sua spalla e mi passai una mano tra i capelli.
«Quale sensazione tesoro?». Il suo sguardo, come il suo uncino sul mio braccio, mi percorse scrutandomi fino in fondo all’anima.
«Quella che ho provato da quando ho accettato il fatto di essere sua madre, quella che ho provato stasera quando ha detto che noi l’abbiamo fatta sentire a casa e che le mancheremo tanto, quella che sto provando anche adesso quando mi si spezza il cuore al pensiero che domani lei non sarà più qui con noi».
Mi sorrise dolcemente. «Ma non è vero che non ci sarà più, presto sarà di nuovo qui con noi, solo molto più piccola. Non sarà come perderla per sempre».
«Lo so, ma l’altra Emma mi ha raccontato cosa accadrà. Io sarò così terrorizzata dalla gravidanza… Killian ho già passato quella fase, io sono già al punto successivo, non lo capisci?».
«E quale sarebbe il punto successivo?». Sapevo che aveva capito a cosa mi riferissi, ma ero certa che volesse sentirmelo dire.
«Voglio avere la nostra famiglia», affermai, «il nostro futuro. Ce lo siamo promesso fin troppe volte».
«Lo avremo Emma. Lo hai visto, no? Noi l’avremo, presto. Te lo prometto».
«Lo so», sospirai. «È solo che il fatto di dover dimenticare mi destabilizza un po’».
«Swan è vero, noi non ricorderemo tutto questo e sì sarà difficile, tu mi farai sudare un bel po’, ma alla fine proverai di nuovo questa sensazione».
«Il desiderio intenso di essere sua madre…». Feci un profondo sospiro e tornai a guardare il riflesso della luna sulle onde.
In fondo, non potevamo farci nulla; sarebbe andata così: io avrei dimenticato e non avrei saputo neanche di averla desiderata. Anzi da quello che mi aveva detto Emma, io non mi sarei neanche ricordata quando io e Killian l’avessimo concepita e il non averla desiderata fin da subito sarebbe stato il mio, cioè il suo, unico rimpianto.
All’improvviso la verità dei miei pensieri mi colpì come un’ondata in pieno volto. Faticai a respirare per un secondo mentre realizzavo quello che il mio cervello mi aveva appena suggerito.
Mi alzai in piedi di scatto, non sapendo come poter in altro modo affrontare la decisione che, nel profondo, il mio cuore aveva già preso. La coperta scivolò a terra mentre Killian mi guardava perplesso e si alzava a sua volta.
«Emma? Che sta…».
«Vieni», lo fermai prima che potesse continuare. Lo trascinai con me portandolo nella cabina del capitano. Mi seguì senza fare storie, lanciandomi degli sguardi sia preoccupati che interrogativi.
«Che diavolo sta succedendo?», mi domandò quando mi fermai e mi voltai verso di lui, appoggiandomi al tavolo.
«Non capisci Killian? È adesso, il momento è adesso». Sapevo che le mie parole dovevano risultare senza senso, ma il mio cuore batteva troppo veloce e nella mia testa non riuscivo più a formulare un pensiero coerente.
«Il momento è adesso? Swan non ti seguo».
Cercai di calmarmi e di mettere un freno alle mie emozioni. Dovevo riuscire a spiegargli, dovevo far sì che anche lui capisse quanto fossero fondamentali quegli istanti, quei minuti, quella notte.
«Emma mi ha detto che non riesce neanche a ricordare quando lei e Killian hanno concepito Edith», iniziai. «Credevano di essere stati sempre attenti».
«Continua», mormorò ingabbiandomi con l’oceano dei suoi occhi.
«Ma se invece non potessero ricordare? Se anche loro avessero dovuto dimenticare?».
Vidi la sua espressione cambiare, segno evidente che anche lui era arrivato alla mia stessa conclusione. «Cosa stai cercando di dirmi Swan?».
«Loro sono noi, noi siamo loro. E se un tempo loro non fossero stati i genitori, ma semplicemente quelli che si sono visti comparire la loro figlia così all’improvviso?».
«Se la storia si ripete ogni volta, vorrà dire che un giorno saremo noi quei genitori disperati che andranno in cerca della loro bambina senza sapere se riusciranno a riabbracciarla».
«Sì è vero, ma non è questo il punto. Per quanto potremo disperarci alla fine troveremo nostra figlia e saremo di nuovo felici».
«Quale è il punto allora?». La sua voce era solo un sussurro ed era carica di emozione, proprio come la mia, mentre cercava di inquadrare quello che stava accadendo.
«Il punto è che adesso siamo qui e vogliamo Edith, questo vuol dire che l’abbiamo sempre voluta fin dall’inizio, solo che non lo potremo mai ricordare».
«Vuol dire che non sarà stato un errore». Riuscii a stento ad udire le sue parole, ma ciò significava che anche lui aveva capito tutto.
Mi avvicinai a lui e gli appoggiai le mani sul petto. I miei occhi si persero nei suoi, mentre sotto le mie dita sentii i battiti del suo cuore accelerare. Il mio invece sembrava già completamente impazzito, non avrebbe potuto battere più veloce di così.
Mi ritrovai con la bocca secca mentre pronunciavo la frase che avrebbe cambiato completamente le nostre vite. «Facciamo un bambino Killian, adesso». Il sorriso che mi rivolse era una risposta più che sufficiente.
«Può darsi», continuai, «che non riusciremo a concepire Edith stanotte, ma almeno ci avremo provato, e sarà questo l’importante. Noi l’avremo sempre desiderata, non sarà più un meraviglioso errore». La sua bocca interruppe il flusso delle mie parole, facendomi comprendere che non c’era più bisogno di perdere altro tempo in spiegazioni. Avevamo preso la nostra decisione e non sarebbe cambiata. Qualunque cosa fosse accaduta quella notte, che ci fossimo riusciti o che Edith fosse stato frutto di un caso fortuito successivo, quello che contava era ciò che in quel momento spingeva i nostri corpi l’uno contro l’altro: il desiderio incessante di avere una famiglia, di avere un figlio, di costruire insieme il nostro futuro.
Mentre le nostre labbra erano impegnate ad assaporarsi le une con l’altre, mi strinsi di più a lui, eliminando anche il minimo spazio tra i nostri corpi. Passai le dita tra i suoi capelli mentre il suo uncino spingeva sempre più il mio bacino verso il suo. La sua mano era intenta ad esplorare tutto il mio corpo. Quando la sua bocca si mosse giù lungo il mio collo mi ritrovai ad ansimare, desiderando di più, semplicemente desiderando lui con tutta me stessa.
Le mie gambe si spostarono all’indietro, guidate da quelle esperte di Killian che conoscevano la cabina a memoria. Per fortuna c’era lui a sorreggermi, perché ogni volta che mi baciava così mi ritrovavo con le ginocchia tremanti e le gambe molli.
Ben presto i miei piedi incontrarono il bordo del letto e in un secondo io mi ritrovai a sedere, con lui in piedi davanti a me. Il suo sguardo era fisso nel mio, pieno di desiderio e luminoso come non l’avevo mai visto.
La sua mano mi accarezzò lentamente la guancia, passando dalle palpate passionali di un momento prima ad una dolce carezza. Con lui era sempre così: riuscivamo ad unire passione, dolcezza, romanticismo, tutto insieme.
«Sei bellissima Swan», sussurrò, facendomi indietreggiare sul letto, in modo tale da portarsi lentamente sopra di me. «Non hai idea di quanto tu possa essere meravigliosa quando mi guardi in questo modo». Sorrisi come una stupida, ma era l’unica cosa che riuscivo a fare quando lui era così con me.
Mi baciò di nuovo lentamente, mentre con le mani cercavo di togliergli la camicia. Le mie dita si muovevano frenetiche cercando di sganciare i suoi bottoni; sicuramente il fatto che stessi tremando di emozione non facilitava molto le cose.
«Spero che tu non tenga molto alla tua di camicia», mi sussurrò all’orecchio. Non aspettò la mia risposta, ma con l’uncino fece saltare via tutti i bottoni, aprendosi un varco verso la mia pelle. Presto anche io riuscii a pareggiare la situazione lasciandolo a torso nudo. Anche gli altri vestiti trovarono la stessa strada ancora più velocemente.
Mi distesi sul letto, intrecciando le dita alle sue, mentre lui si posizionava sopra di me. Con l’uncino mi sistemò i capelli che si erano sparpagliati sul materasso ed erano già completamente arruffati.
«Sei sicura Emma?», mi domandò incatenandomi con lo sguardo. Non ero mai stata più certa di così.
«Sì, lo sono», sussurrai perdendomi ancora una volta nel suo oceano mentre entrava dentro di me.
Facemmo l’amore lentamente, dolcemente, occhi negli occhi e con una consapevolezza del tutto nuova. Era assolutamente diverso da tutte le altre volte: volevamo creare qualcosa, stavamo costruendo. Era come se stessimo mettendo il primo mattone per poter costruire insieme il nostro futuro. Quello era il primo passo che ci avrebbe portato al nostro lieto fine, il primo passo che ci avrebbe portato ad essere quella coppia che era arrivata da noi piangendo di gioia per essere riusciti a riabbracciare la loro amata bambina. Noi saremo diventati loro ed era la cosa che volevamo di più in assoluto.
Non importava più il fatto che avremo di certo dimenticato quel momento; non importava perché quello che contava davvero era che quel momento c’era stato. Avevamo fatto l’amore con l’intento di concepire Edith e questo ribaltava di colpo tutta la situazione.
Se qualcuno mi avesse detto un mese prima che avrei desiderato una figlia con tutta me stessa, io sarei scoppiata a ridere. Ma in un mese era potuto cambiare tutto e Killian aveva ragione: se era già successo una volta, Edith avrebbe avuto tutto il potere di farmi cambiare prospettiva di nuovo. In fondo, io ero cambiata più volte per Henry ed era altrettanto logico che i pochi capaci di farmi superare i miei limiti fossero proprio i miei figli.
Quando quella notte mi addormentai, stanca e felice, tra le braccia di Killian, ero certa di una cosa: quella era una delle notti più belle della mia vita, la notte dove finalmente avevo scelto noi e il nostro futuro invece di affrontare tutto da sola.
 
Nonostante la stanchezza accumulata in quei giorni, mi risvegliai ancor prima dell’alba, con un’idea martellante nella testa. Mi alzai lentamente cercando di non svegliare Killian, che era steso al mio fianco profondamente addormentato. Accesi una candela con la magia illuminando fiocamente la stanza, in modo tale da poter vedere qualcosa e trovare così anche qualche vestito da mettermi.
Mentre infilavo la camicia di Hook, la prima cosa che mi era capitata tra le mani, mi soffermai a guardarlo. Dormiva bocconi, con il braccio e la mano sotto il cuscino; l’altro braccio era disteso sul materasso, dove poco prima mi trovavo io. Il lenzuolo lo copriva a malapena e mi ritrovai imbambolata a fissare il suo meraviglioso corpo. L’uncino era sempre al suo posto ed io lo consideravo ormai una parte integrante di lui; era addirittura sensuale. Il suo torace si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro e la sua espressione era completamente beata. Riusciva ad essere sexy anche profondamente addormentato.
Scossi la testa cercando di ritrovare un po’ di controllo e di contegno. Sollevai una parte del lenzuolo, che era caduto per terra, e lo coprii per evitare che prendesse freddo. Gli rimboccai le coperte e gli lasciai un bacio sulla guancia; mugolò appena in risposta continuando a dormire profondamente. Avevo visto fare lo stesso anche ad Edith, ecco svelato da chi avesse preso.
Mi avviai verso la sua scrivania, dove si trovava anche quell’unica candela che illuminava la cabina. La luce là era più intensa e mi permise di cercare ciò che volevo, senza far troppo rumore. Mentre dormivo, o comunque appena sveglia, mi era apparsa chiara una cosa: io dovevo dimenticare, quello lo sapevo, ma non era detto che dovessi farlo per sempre. Se era vero che io e Killian saremmo diventati l’Emma ed il Killian del futuro, allora ciò che avrei dimenticato sarebbe stato solo una cosa temporanea. Non c’era niente che mi vietava di far sapere all’altra me cosa fosse accaduto quella notte, cosa anche lei aveva fatto sette anni prima. Se era vero che la storia si ripercorreva esattamente uguale, allora era ovvio che lei avesse preso le mie stesse decisioni in una notte uguale a quella che stavo vivendo e che quelle decisioni avevano portato ad Edith.
Emma mi aveva confessato che, non averla desiderata fin dall’inizio, era stato il suo più grosso rimpianto. Era tempo di farle sapere che non era stato così, ma che Edith era stata concepita in un vero atto di amore intenzionale. Forse anche per questo era diventata il frutto del vero amore al quadrato. Anche se non sapevo se in quel momento nel mio corpo si stesse già verificando il miracolo della vita,  io e Killian ci avevamo comunque provato e nulla contava di più che il semplice tentativo.
Presi carta e penna e pensai a come mettere per iscritto tutto ciò che mi passava per la mente. Mi ritrovai a fissare il foglio bianco davanti a me, non sapendo trasformare i miei pensieri in parole. Come potevo iniziare una lettera rivolta verso me stessa?
Cara me stessa
Accartocciai il foglio non appena ebbi finito di scrivere la frase.
Cara Emma
Suonava decisamente meglio, ma quel “cara” davanti non mi rappresentava proprio per nulla. Non ero io, era ancora fin troppo impersonale.
Ciao Emma,
Questo poteva andare. Una volta superato il problema dell’input iniziale, andare avanti non fu facile come sarebbe potuto sembrare. Non ero mai stata molto brava con le parole, se avessi chiesto aiuto ad Henry probabilmente sarebbe uscito qualcosa di più decente. Tuttavia, ciò che contava non era la forma, ma quello che volevo esprimere e ci stavo mettendo davvero tutto il cuore per far capire all’altra me come mi sentissi in quel momento.
«Swan che cosa stai facendo?». La voce di Killian mi colse all’improvviso facendomi sobbalzare. Alzai la testa di scatto e l’osservai mentre si girava su un fianco, poggiando la testa sulla mano, per potermi guardare meglio.
«Niente di che, torna a dormire, non volevo svegliarti».
«Non mi hai svegliato, solo che mi sono rigirato e non ti ho trovata. Non mi piace svegliarmi e non trovarti».
«Scusami, ho quasi finito. Torna a dormire, tra un minuto vengo anch’io». Non rispose, ma invece di ascoltare il mio consiglio, continuò ad osservarmi. Sentivo il suo sguardo addosso, mentre cercavo di mettere in fila una parola dietro l’altra su quel pezzo di carta. Se prima mi risultava difficile dare un senso ai miei pensieri, sicuramente con i suoi intensi occhi fissi a scrutarmi era del tutto impossibile.
«A chi scrivi?», mi domandò non riuscendo a trattenere la curiosità.
«Beh sembra strano a dirsi ma sto scrivendo all’altra me stessa. Ci sono cose che vorrei sapesse, sono io a dover dimenticare, non lei».
«Mi sembra giusto». Anche se non osavo alzare la testa per poterlo verificare con certezza, sapevo che Killian non aveva distolto lo sguardo da me e che anzi continuava a studiarmi nei minimi particolari.
«Se continui così, non farai altro che distrarmi», protestai.
«Ma io non sto facendo assolutamente niente». Aveva ragione, ma il suo sguardo doveva essere dichiarato illegale.
«Mi stai fissando», obbiettai. «Non ti hanno insegnato che è maleducazione fissare le persone?».
«Ma io non ti sto fissando, io ti sto letteralmente mangiando con gli occhi».
A quell’affermazione sollevai la testa per poterlo guardare a mia volta. «Non credi che sia anche peggio?», dissi alzando un sopracciglio.
«No non credo proprio visto che sei tu che mi provochi».
«Io?». Mi alzai e mi diressi verso il letto. Era inutile continuare la mia lettera quando il mio cervello e anche il mio corpo erano distratti da ben altro. «E sentiamo, come avrei fatto a provocarti?».
«Oh Swan guardati. Sei tremendamente sexy con solo quella indosso». Mi fissai sbalordita dal fatto che lui mi trovasse provocante. Indossavo la sua camicia che mi arrivava fino a metà cosce, ma non credevo che l’avesse notate visto che ero seduta alla sua scrivania.
«Come facevo ad apparire sexy seduta dietro ad un tavolo? Ho messo la prima cosa che ho trovato, in fondo dovevo semplicemente scrivere una lettera».
«Mi piacciono le donne con un’aria intellettuale, sai con una certa cultura». Sorrisi e gli feci capire che non credevo ad una sola parola.
«Oh insomma Swan! Cosa vuoi che dica ancora?», proruppe.
«Che non sono io che ti provoco ma sei tu che mi distrai». Salii sul letto in ginocchio, facendolo distendere e portandomi sopra di lui.
«Eh va bene. Hai vinto, d’accordo?».
«Dillo», sussurrai ad un centimetro dalla sua bocca. Il mio sorriso si allargo sempre di più percependo il suo desiderio, e sorprendendolo a leccarsi inconsciamente le labbra.
«Beh mi sono svegliato e volevo  te, cosa c’è di male?».
«Niente», sussurrai baciandolo. «Assolutamente niente».
«E poi», mormorò ribaltando la situazione e portandosi sopra di me,  «se vogliamo aumentare la probabilità di concepire Edith dobbiamo sfruttare tutte le occasioni possibili, non ti pare?».
«Penso proprio che tu abbia ragione Capitano». Un bacio, un altro, corpi uniti insieme e dopo fu semplicemente amore.

 
 
Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Dopo la devastazione dell'ultima puntata ed in attesa del mid season finale, ho deciso di buttarmi anima e corpo nella mia storia. Visto che il mio cuore si è spezzato, dovevo creare teneri e dolci momenti.
Questo è il capitolo di congiunzione, presente e futuro finalmente si ricongiungono. Ecco come tutto ha un senso, Edith non è più un errore ma il vero frutto del vero amore.
Ringrazio sempre chi legge e recensisce, e chi ha continuato a seguire la mia storia fino a questo momento. Ora mancano solo due capitoli, la partenza e l'epilogo, e  vi confesso che un po' mi dispice chiudere questa storia, anche se è giusto così!
Un abbraccio e alla prossima
Sara

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Capitolo 19
*** 19. Ritorno al futuro ***


19. Ritorno al futuro
 
Present day
Quella mattina quando ci alzammo il sole era appena spuntato. Stavamo per trascorrere i nostri ultimi momenti nel passato e presto tutto sarebbe tornato alla normalità. Anche se per me era solo un motivo di gioia, capivo anche che per molti altri quello sarebbe stato un giorno di addio, e lo sarebbe stato più di tutti per Edith. Era pur sempre vero che avrebbe ritrovato le stesse persone una volta a casa, ma ci sarebbe stato qualcosa di diverso. Sette anni erano un tempo piuttosto lungo e avevano inciso in maniera più o meno profonda su tutti noi. Io e Killian forse eravamo le persone che più erano cambiate, ma Edith aveva dimostrato che non occorrevano così tanti anni per maturare. Lei era riuscita ad aprire gli occhi dell’altra me in poche settimane.
Quella mattina non rappresentava solo la fine della nostra avventura, ma era anche l’inizio, anche se non proprio preciso, della più grande avventura che gli altri noi avrebbero dovuto affrontare. Essere genitori, dei bravi genitori, era sicuramente più difficile che affrontare qualsiasi mostro potesse minare la pace di Storybrooke.
Quando scendemmo nel piccolo salotto del loft, nonostante avessimo precisato di voler ridurre gli addii al minimo, trovammo Mary Margaret e David ad aspettarci.
«Non potevamo lasciarvi andar via così», si scusò lei. «Dovevamo salutare la nostra nipotina». Edith corse tra le braccia di sua nonna e la strinse forte.
«Mi mancherete», sussurrò passando ad abbracciare suo nonno.
«Fai la brava mi raccomando», le disse David. «E niente più viaggi nel tempo, almeno per il momento».
«Sì, sono d’accordo», convenne Killian. «Io e tua madre non reggeremmo un’altra avventura del genere».
«Beh adesso riesco a controllarmi meglio e non ho intenzione di andare da nessuna parte».
«Sarà bene», affermai sorridendo.
«Neal sta dormendo», le disse Mary Margaret. «Mi dispiace che tu non possa salutarlo, ma sono sicura che sarai felice di ritrovare, una volta a casa, il Neal quasi tuo coetaneo».
«Non vedo l’ora di raccontargli ciò che è successo e che l’ho anche tenuto in braccio». Edith fece un sospiro sfoderando un sorriso, che mascherava bene la tristezza per quell’addio. «Comunque dagli un bacino da parte mia».
 «Lo farò». L’abbracciò di nuovo e la strinse a sé per l’ultima volta. «Buon viaggio».
Dopo quel primo addio, almeno per quella giornata, ci ritrovammo tutti e tre in strada. Camminavamo mano nella mano, con Edith nel mezzo e Killian carico con tutta la sua roba. Avevamo fissato con gli altri noi all’otto direttamente al pozzo dei desideri; essendo in anticipo ci fermammo per una breve colazione da Granny, dando così l’opportunità anche alla nonna di salutare di nuovo la nostra piccolina.
Quando giungemmo al luogo dell’incontro, Emma ed Hook erano già lì. Lui era appoggiato contro il pozzo, mentre lei continuava a camminare avanti e indietro. Appena ci videro Hook si fece avanti, mentre Emma interruppe il suo moto perpetuo.
«Buongiorno», dissi rivolgendo loro un sorriso comprensivo. Quello era l’addio più straziante che tutti dovevamo affrontare.
«Buongiorno», mi rispose l’altra me, più radiosa di quanto mi sarei aspettata.
«Bene che cosa dobbiamo fare di preciso?», ci chiese l’altro Hook.
Killian mi consultò con lo sguardo per poi iniziare a parlare. «Prima di lanciare la pietra nel pozzo, penso che sia necessario allestire tutto l’occorrente per l’incantesimo. Tesoro perché non ti siedi? Qui ci penso io». Scossi la testa esasperata, ma feci come mi aveva detto. Era inutile insistere, avrei dovuto sopportarlo all’incirca per altri otto mesi.
Andai verso il pozzo e mi appoggiai alla sua struttura di pietra, osservando il profondo buco nero al suo interno. Pochi istanti dopo sentii dei passi seguirmi e, alzando lo sguardo, notai che l’altra Emma mi aveva raggiunto, lasciando i due Hook ad occuparsi di tutto, insieme ad una alquanto curiosa Edith.
«Ci siamo quasi», sospirai quando lei si sistemò esattamente nella mia stessa posizione.
«Già». Fece un respiro profondo e poi tirò fuori qualcosa da sotto la giacca. «Emma, vorrei darti questa».
Mi porse un foglio, una busta in realtà. «Che cosa è?».
«Una lettera. L’ho scritta io, vorrei che tu e Killian la leggeste una volta a casa. Ci sono cose che devi, anzi dovete, sapere». Io dovevo sapere delle cose? Non era lei quella che stava per dimenticare?
«D’accordo. La leggeremo te lo prometto». Misi la lettera nella tasca dei pantaloni e tornai a guardarla.
«Grazie». Mi rivolse un ampio sorriso pieno di riconoscenza.
«Te la caverai alla grande, tranquilla». Le poggiai una mano sulla spalla infondendole la mia sicurezza. «In questa avventura non ci saranno eroi o cattivi, ma credimi sarà l’avventura più bella di tutta la tua vita».
«Lo so». Si voltò verso Edith che stava chiacchierando e curiosando mentre i nostri due Hook lavoravano. «Mi è bastato conoscerla per poche settimane per riuscire a capirlo».
«Ti ho già detto che sei molto diversa dalla me che mi aspettavo di trovare?».
«Mi sa di sì e io ti ho già detto che è solo merito di Edith?».
«Sì e anche se tu non l’avessi fatto, non è poi così difficile capirlo».
«Emma». La voce di Killian fece alzare la testa di entrambe. «Qui abbiamo fatto». Raggiungemmo di nuovo i nostri pirati che erano in piedi davanti al triangolo tracciato con le ceneri della Jolly. Edith lo stava fissando con aria perplessa; conoscevo la sua curiosità e perciò l’avevo pregata di non fare domande in presenza di suo padre sull’origine delle ceneri. Le avrei spiegato tutto con calma, ma non volevo gettare sale su delle ferite per il momento ancora aperte.
«Adesso cosa facciamo?», mi chiese l’altro Hook. Guardai Emma e poi Edith: era arrivato il punto più difficile, almeno per loro. Avevo pensato di mandarli via prima in modo da poter lanciare la pietra e l’incantesimo da soli, ma, osservando lo sguardo degli altri noi e quello di mia figlia, optai per un’altra soluzione.
«Perché non gettate voi la pietra nel pozzo?», domandai loro. «E mentre lo fate noi lanceremo l’incantesimo».
«Davvero?». Emma mi guardò perplessa. «Sei sicura che funzionerà lo stesso se saremo noi a farlo?».
«Ne sono certa». Tirai fuori dalla borsa, che Killian portava a tracolla, la pietra e gliela porsi. Lei la prese capendo che non potevamo più rimandare quel momento inevitabile.
«Bene», intervenne Hook. «Piccola penso che sia proprio arrivato il momento di salutarci». Si accucciò e allargò le braccia per farsi stringere da Edith.
La tirò su dandole un bacio sulla guancia. «Sappi che è stato davvero un grande onore conoscerti, ancor prima che tu fossi potuta  venire al mondo».
«Mi mancherai tanto Killian», sussurrò la mia bambina sull’orlo delle lacrime.
«Ehi principessa». Le posò l’uncino sulla guancia, catturando una lacrima che le era sfuggita. «Niente pianti, stai tornando a casa, con il tuo papà e la tua mamma. Io sono proprio lì alla fine». Indicò Killian che era al mio fianco e che come me assisteva alla scena in disparte.
«Va bene», rispose ricacciando indietro l’enorme groppo che aveva in gola.
«Promettimi che non piangerai e che sarai felice piccola».
«Te lo prometto». Gli diede un bacio sulla guancia affondando il viso sul suo collo. Hook la strinse un’ultima volta e poi la mise giù, lasciando il posto ad Emma per salutarla.
L’altra me si mise in ginocchio, in modo tale da poter essere all’altezza del suo sguardo. «Mia dolce piccola bambina, ci siamo».
«Ci siamo», fu la sola risposta di Edith. Si guardarono negli occhi comunicando silenziosamente, allo stesso modo con cui io comunicavo con lei. Si stavano dicendo molte più cose con quello sguardo di quante avessero potuto dire a parole.
«Grazie di avermi aperto gli occhi», sospirò infine Emma stringendola forte.
Edith si rifugiò nel suo abbraccio, cercando di imprimere nella memoria tutto quello che poteva riguardo a quell’istante.
«Sii felice, piccola mia. Noi cercheremo di esserlo e di dare alla nostra piccola e futura Edith tutto quello di cui ha bisogno».
«Ti voglio bene Emma», sussurrò prima di staccarsi.
«Anch’io te ne voglio». Lessi nel suo sguardo esattamente ciò che provavo io. L’amava più della sua stessa vita, un sentimento che non credevo potesse già possedere.
Edith si rimise in piedi strusciandosi le mani sui pantaloni e cercando di ricacciare indietro tutte le lacrime. Non avrebbe infranto la promessa fatta a Killian ed infatti, tirando fuori un enorme forza di volontà, gli rivolse un dolce sorriso.
«Bene», intervenni. «Cominciamo allora». Tutti annuirono e furono pronti a fare quell’ultimo passo della nostra avventura. Emma ed Hook andarono verso il pozzo, mentre Killian iniziò a distribuire gli oggetti necessari per l’incantesimo. Posizionai Edith in un angolo del triangolo porgendole il suo quaderno, mentre io prendevo le scarpine del mio fagiolino. Killian aveva già in mano l’ultimo pezzo della Jolly ed in spalla tutto ciò che non potevamo lasciare in quel tempo.
Mi posizionai in modo da poter guardare Emma negli occhi e da poter darle il via per buttare la pietra. Raccolsi tutta l’energia per lanciare l’incantesimo che ci avrebbe ricondotto a casa, e ripetei mentalmente le parole per evitare di sbagliare successivamente.
Gli occhi di Emma e di Hook erano fissi su di noi, aspettando di vederci scomparire da un momento all’altro. Intorno a noi c’era assoluto silenzio: l’unico rumore era il lieve soffio del vento che muoveva le foglie degli alberi. Per il resto tutto sembrava tacere.
Feci un profondo respiro e feci cenno ad Emma di procedere. Lanciò la pietra nel pozzo, dove ricadde con un profondo tonfo. Non mi ero aspettata che accadesse qualcosa di immediato, perciò non mi sorprese il fatto che quel gesto non avesse provocato proprio niente, almeno per quel momento.
Richiamando tutta la magia necessaria, pronunciai la formula che ci avrebbe ricondotti nel nostro tempo. «Potestas triangulum quae omnia ut sit». Mentre ripetevo la frase per la terza volta sentii la terra sotto a noi iniziare a svanire, segno evidente che l’incantesimo stava avendo effetto.
L’ultima cosa che riuscii a vedere furono gli occhi di Emma ed Hook fissi su Edith, mentre dal pozzo dei desideri cominciava ad uscire un intenso fumo viola che presto avrebbe avvolto la città, facendole dimenticare la nostra incursione nel tempo.
 
Future time
Quando i miei piedi toccarono terra, faticai a trovare l’equilibrio; per fortuna Hook fu pronto a sorreggermi, mettendomi un braccio intorno alla vita. L’incantesimo mi aveva richiesto un’energia maggiore rispetto alla volta precedente, evidentemente trasportare tre persone a spasso nel tempo era più faticoso di quanto avessi immaginato.
«Tesoro stai bene?», mi domandò Killian sempre sorreggendomi.
«Sì, penso di sì». Mi staccai da lui sperando che le mie ginocchia non cedessero, e per fortuna costatai che a parte l’impatto iniziale il mio corpo stava reagendo piuttosto bene.
«Ha funzionato?». La voce di Edith al mio fianco, mi fece subito voltare la testa verso di lei per verificare, senza alcun dubbio, che anche lei era lì con noi e che stava bene.
Mi guardai intorno per poter rispondere alla domanda di mia figlia. Eravamo esattamente davanti alla porta del loft, nell’ingresso esterno accanto alla rampa di scale.
«Siamo a casa dei tuoi genitori», affermò Killian.
«Beh non ci resta che vedere se siamo arrivati nel tempo giusto oltre che nel luogo». Con mano tremante bussai alla porta e fui colta da un dejà vu: io e Killian che bussavamo alla stessa porta con la speranza di trovare nostra figlia. Questa volta, però, non fu Emma ad aprirci ma mia madre.
«Emma!», esultò vedendoci e buttandomi le braccia al collo.
Quando si accorse della piccola figura al mio fianco, la sua attenzione cambiò subito direzione. «Edith! Oh mio Dio! Sei qui e stai bene». Feci un sospiro di sollievo, constatando che eravamo arrivati senza alcun dubbio a casa.
Mio padre comparve, richiamato dal rumoroso saluto di Mary Margaret, e il sollievo che gli si disegnò sul volto fu un segno evidente di quanto anche loro fossero stati in pensiero per noi.
«Hook! Emma». Mi tuffai ad abbracciarlo prima che anche la sua attenzione fosse distolta dalla sua nipotina. Anche Neal comparve sulla soglia ed esultò nel ritrovare la sua migliore amica.
Nel giro di cinque minuti ci eravamo tutti accomodati in casa. Killian aveva insistito per farmi sedere e mia madre mi stava servendo una cioccolata calda. La scusa che fossi stanca solo per la potenza dell’incantesimo era più che plausibile. Le avrei parlato della gravidanza più tardi: avevamo tempo, non c’era più nessuna fretta. Avrei potuto affrontare l’argomento con tutta la tranquillità e la serenità di cui avevo bisogno
«Henry?», le chiesi. Non mi ero certo dimenticata di lui, e volevo la certezza che tutto fosse andato per il meglio anche su quel fronte.
«Sta bene», mi rassicurò. «È tornato sano e salvo e ci ha detto che stavate andando da Merlino, visto che la stella dei desideri non ha funzionato. Poi, grazie all’insistenza di Regina, dopo averci raccontato più o meno tutto, è ripartito per il college».
«Chiamiamolo!», trillò Edith, comparendo al mio fianco. «Mamma dammi il cellulare».
Sorrisi e tirai fuori il telefono dalla tasca dei pantaloni. Mi ero quasi dimenticata di averlo avuto sempre con me, sembrava un oggetto così inutile in un contesto pieno di magia e viaggi nel tempo.
Edith lo afferrò subito e si affrettò a digitare il numero di Henry. In meno di un secondo si era già portata il telefono all’orecchio. Sentii la voce di mio figlio rispondere all’altro capo del telefono, in un tono sorpreso, ma anche preoccupato.
«Pronto, mamma?».
«Indovina chi sono?», replicò Edith in tono allegro. Il fatto di poter sentire suo fratello, le aveva sicuramente fatto dimenticare, per il momento, l’addio che si era appena svolto.
«Oh! La mia piccola peste!», urlò così forte che riuscii a distinguerlo senza problemi. «Ho bisogno di vederti, procurati un computer e sentiamoci su skype». Non fece neanche in tempo a dirlo che Edith aveva già chiuso la chiamata ed era corsa da sua nonna per chiederle di usare il pc.
Mi alzai dal divano e andai al tavolo, dove poco dopo arrivò Edith sorreggendo tra le braccia il portatile. La feci sedere sulle mie ginocchia e la lasciai armeggiare con il computer. Sicuramente sapeva già usarlo meglio di suo padre.
Mi guardai attorno e vidi Killian parlare con David, probabilmente gli stava raccontando dei dettagli sul nostro viaggio; mia madre lì ascoltava a poca distanza, mentre Neal si era seduto accanto a noi e osservava Edith armeggiare con quello che di solito era il suo computer.
«Piccola!». La voce di Henry mi fece riportare l’attenzione sullo schermo. Edith era stata velocissima e in quel momento la faccia di Henry ci osservava felice da miglia di distanza.
«Ciao! Sono qui», esultò.
«Lo vedo!».
«Ciao Henry!», mi intromisi salutandolo.
«Ciao mamma. Come stai? Tutto bene?». Dalla sua espressione capii che si riferiva alla mia gravidanza.
«Tutto bene», confermai sorridendo.
Non appena avuta quella risposta, tornò a dedicare tutta la sua attenzione alla sorella. «Sei cresciuta o mi sbaglio?».
«No, però sta iniziando a dondolarmi un dentino. È il primo».
«Davvero?», chiedemmo emozionati sia io che Henry. Edith annuii e io fui ancora più felice nello scoprire che durante la nostra ricerca non ci eravamo persi nulla, neppure la caduta del suo primo dentino.
«Allora stai diventando davvero una bimba grande, visto che stai già perdendo i denti da latte».
«Io sono già grande, ormai vado a scuola», protestò. «Ci sono andata anche nell’altro tempo, sai?».
«Lo credo bene. Sei troppo piccola per saltare la scuola solo con la scusa di strani viaggi nel tempo».
«Io non sono piccola», ribatté. «E poi tra poco non sarò più la più piccola! Lo sai Henry che avremo un fratellino o una sorellina?». A quelle ultime parole tutte le chiacchiere nella stanza si bloccarono e sentii gli occhi dei miei genitori fissi su di me.
Henry capì ciò che Edith aveva appena fatto. «Io sì, ma credo proprio che i nonni non lo sapessero».
«Sorpresa», dissi voltandomi a guardarli.
«Oh tesoro!». Mia madre mi raggiunse e mi abbracciò. «È meraviglioso». Sentii mio padre congratularsi con Killian e presto quella gaffe fu superata. Almeno non avrei dovuto preoccuparmi di trovare il momento giusto per parlarne con loro.
Guardai Hook e notai che ogni tanto mi lanciava qualche occhiata per assicurarsi che stessi bene. Gli sorrisi facendogli capire come in quel momento non ci fosse proprio nulla che non andava. Era tutto perfetto, tutto era tornato alla normalità. Visto che noi eravamo sani e salvi e che tutto era al suo posto, la pietra della memoria doveva aver avuto effetto. Emma e Hook non si sarebbero mai ricordati di noi.
Solo in quel momento rammentai la lettera che Emma mi aveva dato poco prima. Voleva che io e Killian la leggessimo. Percepii il lieve peso della carta nella tasca dei miei pantaloni e l’urgenza di scoprire cosa ci fosse scritto crebbe in me in maniera esponenziale.
«Killian tesoro, perché non andiamo a prendere del gelato per festeggiare?», proposi fissandolo negli occhi e facendogli capire che c’era ben altro sotto la scusa del gelato.
«Beh possiamo andare a prenderlo tutti insieme», propose mio padre.
«No, non ti preoccupare David», intervenne Killian, facendosi avanti verso di me. «Edith sta ancora parlando con Henry, ci farà bene fare due passi per sgranchirci le gambe. A proposito ciao ragazzo». Si abbassò per essere inquadrato dalla web-cam del computer.
«Ciao Hook!», rispose Henry che aveva continuato per tutto il tempo a parlare con Edith e Neal.
«Bene allora andiamo. Ciao tesoro ci sentiamo d’accordo?». Salutai mio figlio e feci sedere Edith al mio posto, spostandola dalle mie ginocchia. Mio padre non insistette più, forse intuendo che ci fosse qualcosa sotto e due minuti dopo ci ritrovammo per strada diretti verso la gelateria. Nonostante fossi abbastanza stanca e provata dall’incantesimo, la curiosità di voler leggere la lettera aveva preso il sopravvento.
«Perché sei voluta uscire?», mi domandò Killian abbracciandomi e sorreggendomi mentre passeggiavamo.
«Emma mi ha dato una lettera prima di partire. Voleva che noi due la leggessimo una volta tornati a casa». Non ci fu bisogno di aggiungere altro; mi guidò subito verso una panchina e mi fece sedere, pronto per ascoltare quello che l’altra me aveva da dirci.
Tirai fuori la lettera, che si era un po’ stropicciata a stare nei miei pantaloni, e l’aprii. Erano due pagine scritte fitte con la mia calligrafia disordinata. Era davvero strano vedere la mia grafia e non sapere minimamente cosa ci fosse scritto.
La misi tra di noi, in modo che sia io che Hook potessimo leggerla.
Ciao Emma,
È un po’ strano scrivere una lettera a me stessa, ma è giusto che almeno tu sappia. Stanotte sono successe tante cose e, visto che io dovrò dimenticarle, almeno tu potrai saperle.
Hai mai pensato che sette anni fa tu e Killian potevate essere noi? Cioè, forse anche voi siete stati costretti a dimenticare esattamente come noi lo siamo adesso. Hai mai pensato che la storia possa ripetersi sempre uguale e che magari un giorno saremo noi quei genitori che cercheranno in lungo e in largo la loro adorata bambina?
Bene, anche se non l’hai fatto, io ci ho pensato e credo davvero che sia e sarà così.
Tu mi hai detto che non ricordi quando Edith sia stata concepita, e che il non averla voluta fin dall’inizio è sempre stato il tuo più grande rimpianto. Puoi tirare un sospiro di sollievo perché non è così. Stanotte io e Killian abbiamo fatto l’amore e non è stato come tutte le altre volte. Non è stato solo un atto dettato dal sentimento, era qualcosa di più: noi abbiamo fatto l’amore con l’intento di creare quello che tu hai già. Volevamo concepire Edith e costruire quella famiglia che tu e Killian avete e che ho invidiato fin da quando siete arrivati.
Non so se saremo davvero riusciti nel nostro intento, ma spero davvero che sia così. Comunque stiano i fatti, ciò che importa è un’altra cosa: vogliamo Edith e, anche se non potremo mai ricordarcelo, devi sapere che l’abbiamo desiderata con tutto il cuore.
Quindi se noi siamo voi, vuol dire che voi l’avete voluta fin dall’inizio. Se ho ragione, vuol dire che tu e Hook siete stati costretti a dimenticare e per questo avete sempre pensato ad Edith come un errore capitato per caso. Beh non è così, non è mai stato così e non lo sarà mai.
Mi sembrava giusto dirtelo in modo tale che un giorno forse anche io potrò sapere ciò che tu stai leggendo adesso. Forse questo è l’unico modo che abbiamo per non dimenticare per sempre.
Domattina ti consegnerò questa lettera e ti dirò di aprirla insieme a Killian e spero davvero che leggendo queste righe, anche se forse un po’ sconclusionate, voi possiate mettere fine a qualsiasi dubbio sulla nascita di Edith. Lei è il frutto del vero amore al quadrato e non può essere stata concepita per errore. Anche se noi non ricorderemo non vorrà dire che i nostri cuori non l’abbiano desiderata, anzi sarà proprio il contrario.
Ti ringrazio di avermi dato l’opportunità, anche se temporanea, di poter vedere quello che io e Killian riusciremo a costruire. So che saremo felici e quindi spero che anche tu e il tuo Hook possiate esserlo perché questo vorrà dire che lo continueremo ad essere anche noi.
È stato bello conoscere quella che diventerò: sei esattamente ciò che ho sempre sperato di diventare.
Buona vita.
Emma
Dovetti rileggere le ultime righe perché avevo gli occhi appannati dal pianto. La mia mano iniziò a tremare e Killian la fermò posandovi sopra la sua.
Quel profondo rimpianto, che avevo sempre sepolto nel mio cuore, si dissolse come neve al sole. Io avevo amato Edith fin dall’inizio e tutto ciò che avevo provato dalla scoperta della gravidanza, tutte le possibili e anche orribili ipotesi che la mia mente aveva architettato non erano altro che idee falsate. Il fatto che non ricordassi, che non potessi rammentare quel cambiamento interiore, che in me era già era avvenuto una volta, era la spiegazione di tutto.
Ero certa che la sua ipotesi fosse corretta e questo significava che la nascita di Edith non era stata un semplice caso, ma un atto programmato. Fui soprafatta dal sollievo e, forse anche per via degli ormoni, le mie lacrime cominciarono a scendere giù sempre più veloci.
«Oh tesoro». Killian mi strinse forte tra le sue braccia, facendomi appoggiare la testa sulla sua spalla. Sfiorai il naso contro il suo collo e mi rifugiai sul suo petto, attaccandomi alla mia roccia.
«Lo sai cosa significa tutto questo?», sussurrai asciugandomi gli occhi.
«Certo che lo so». Mi accarezzò la testa con la mano, passandomi le dita tra i capelli.
«Vuol dire che la nostra famiglia, ciò che abbiamo oggi, non è stato creato per puro errore». Alzai la testa per poter incrociare il suo sguardo. «Non ho avuto più paura del nostro futuro e ho fatto il passo necessario per poter avere la nostra felicità. Sono stata io, cioè noi, a volerlo; siamo passati dalle parole ai fatti».
«Dì la verità piccola, hai sempre temuto di non esserne capace vero?». Annuii e lui mi asciugò le ultime lacrime con il pollice.
«Beh a quanto pare non è stato così. Ho sempre saputo che prima o poi anche tu avresti avuto fiducia in noi e nel nostro futuro». Lo baciai dolcemente, sorridendo con gli occhi rossi. Si trattava molto più che di semplice fiducia; ero diventata io l’artefice del mio destino e non dovevo più pensare che quello che avevo ottenuto fosse invece stato opera del fato.


Angolo dell'autrice:
Bene! Eccomi di nuovo qui! Sono abbastanza devastata dopo questo finale di metà stagione, ma nonostante la mia disperazione sono riuscita a finire il capitolo e a pubblicarlo.
Adesso tutto è tornato al suo posto, o meglio al suo tempo, e non mi resta che scrivere l'epilogo. :'(
Ringrazio chi è arrivato fino a questo punto e che ha letto e ha recensito la mai storia.
Un abbraccione e al prossimo e ultimo capitolo.
Sara

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Capitolo 20
*** Epilogo ***


Epilogo
 
13 Luglio 2016
Camminavo avanti e indietro per la stanza senza riuscire a fermarmi. Con molta probabilità se avessi smesso di muovermi avrei avuto un attacco di panico in piena regola. Nonostante avessi aspettato quel momento per ben nove mesi, ero alquanto terrorizzato all’idea che fosse arrivato. Ero felice, ma non avevo mai avuto così paura in tutta la mia vita. La parole “padre” e “Capitan Uncino” non sembravano un’accoppiata vincente.
«Hook se non la smetti di camminare, giuro che ti tiro addosso qualcosa». Emma mi fissò dal letto dell’ospedale, con uno sguardo alquanto esplicativo. In effetti non aveva tutti i torti, era lei quella in travaglio e che stava per dare alla luce la nostra bambina. Dovevo calmarmi, almeno per lei, anche perché non sembrava molto accondiscendente in quel momento.
«Si hai ragione tesoro», balbettai avvicinandomi al letto. «Sono solo un po’ nervoso».
«Tu sei nervoso? Beh non mi serve che tu sia nervoso, non mi sei di aiuto; qui non stiamo parlando di te». Regola numero uno: mai dire ad una donna che sta per partorire di essere agitato.
«Lo so», ammisi.
«No, che non lo sai. Non sei certo tu quello che sta per fare uscire un bambino dalle sue parti intime». Si interruppe facendo una smorfia di dolore, segno evidente che era arrivata un’altra contrazione. Emma era forte e non voleva dare a vedere quanto effettivamente facesse male, però non era riuscita a mantenere un’espressione impassibile. Anche se il dolore non mi aveva mai spaventato, fui contento di essere uomo.
«C’è qualcosa che posso fare Swan? Vuoi qualcosa?».
«Vorrei che questo bambino si decidesse ad uscire», rispose una volta ripreso fiato. «E vorrei che tu non mi facessi domande stupide. È ovvio che non puoi fare un bel niente, visto che sono io quella che sta partorendo! Hai per caso un qualche incantesimo che ti conferisca una vagina e la possibilità di partorire al mio posto?».
«Se vuoi esco», azzardai non sapendo come altro interpretare le sue parole.
«Stai scherzando? Tu non te ne andrai proprio da nessuna parte». Regola numero due: mai tentare di lasciare sola una donna in travaglio. Non voleva che me ne andassi, ma non sembrava neanche così smaniosa di volermi accanto. Mi ritrovai a guardarla  senza sapere cosa fare, mentre cercava di respirare in maniera regolare, nell’attesa della contrazione successiva.
«Killian ti prego dammi la mano», mi chiese, lanciandomi uno sguardo implorante. Non mi sorpresi  per quello sbalzo d’umore, nove mesi mi avevano ormai fortificato; fui contento di avere almeno la possibilità di esserle  di supporto.
«Certo tesoro». Mi avvicinai e intrecciai le dita alle sue. «Cerca di respirare come ti ha insegnato Cenerentola al corso pre-parto».
«Ci sto provando». Quando arrivò la contrazione successiva, capii di aver sbagliato ancora una volta. Regola numero tre: mai dare la mano a una partoriente, soprattutto se quella è la tua unica mano. Probabilmente avremo avuto un bambino, ma io avrei perso l’uniche cinque dita che mi restavano.
«Tesoro lo so che non è il momento, ma potresti stringere un po’ meno, in modo da lasciarmi l’uso dell’unico pollice opponibile che mi rimane?». Mi lanciò uno sguardo molto esplicativo e che non ammetteva repliche.
«Come non detto». Me ne restai in silenzio, affrontando con lei il dolore delle contrazioni.
«Ma non dovrebbe venire un dottore?», le chiesi dopo un po’. «E perché i tuoi genitori non sono ancora arrivati?».
Proprio in quel momento, come se avesse sentito la mia domanda, entrò il dottor Whale.
«Eccoti la risposta», sussurrò lei.
«Bene Emma, come sta andando?», le domandò. «Le contrazioni sono più frequenti di prima?».
«Beh non più di tanto, però sono sicuramente più forti».
«D’accordo fammi dare un’occhiata». Si chinò per guardare quanto Emma fosse dilatata. Ebbi una fitta di gelosia; pur sapendo che stava svolgendo il suo lavoro, sarei dovuto essere l’unico con il permesso di osservare le sue parti intime.
«Direi che è ancora presto», affermò riemergendo. «Tornerò più tardi a controllare, per qualsiasi cosa non esitate a chiamarmi».
«Va bene», rispose Emma gentilmente. Era evidente che fosse scortese solo con me.
«Per quanto riguarda i miei genitori», mi disse una volta che il dottore fu uscito, «me lo stavo chiedendo pure io. Che ti hanno detto?».
«Eh?». La guardai non capendo a cosa diavolo si riferisse.
«Quando li hai chiamati cosa ti hanno detto?». Ops. Regola numero quattro: non farsi prendere dal panico e ascoltare attentamente ciò che lei ti dice dopo le parole “mi si sono rotte le acque”.
Capì dalla mia espressione che non li avevo avvertiti. «Ti prego dimmi che li hai chiamati quando ti ho detto di farlo?».
«No», ammisi in un sussurro.
«Killian! È notte fonda, secondo te come fanno a sapere che sto partorendo se nessuno li avvisa? Pensi che mia madre miracolosamente si alzerà e capirà che sta per diventare nonna un’altra volta?».
«Io…». Fui salvato, per così dire, da un’altra contrazione che cancellò, anche solo in parte, la sua rabbia per quella mia dimenticanza. Dopo che fu passata la lasciai giusto il tempo per fare quelle due o tre chiamate che avrei dovuto fare in precedenza.
Nel giro di poco, infatti, tutti cominciarono ad arrivare, per poterla sostenere in quel momento unico della nostra vita. Sembrava che Emma fosse felice di vedere tutti tranne me, ma sapevo che era solo una cosa temporanea. Ce l’aveva con me perché doveva scaricare su qualcuno tutto quello che stava provando. In effetti, ero stato io a metterla incinta, quindi era giusto che fossi io l’oggetto della sua ira momentanea.
Purtroppo per lei, e anche per me, la cosa sembrò andare per le lunghe. Sembrava che la nostra bambina non avesse nessuna fretta di uscire; le ore di travaglio cominciarono ad accumularsi, mentre Emma cominciava a dare segni di non poterne più.
«Ti prego Whale fai uscire questa bambina da dentro di me», piagnucolò all’ennesimo controllo del dottore. «Con Henry era stato tutto molto più veloce». Nella stanza c’eravamo solo io in piedi accanto ad Emma, distesa sul letto e avvinghiata alla mia mano, e il dottor Frankenstein tra le sue gambe.
«Beh penso che ci siamo Emma». Quelle parole mi colsero di sorpresa. Era vero che le contrazioni erano molto più ravvicinate, ma mi ero abituato a quella fase di stallo. Emma respirò a fondo cercando di farsi forza. Dalla sua espressione capii che le fitte erano molto più frequenti e dolorose di quanto desse a vedere.
Il dottore chiamò un infermiera e, una volta arrivata, si misero in posizione per far nascere mia figlia. Alla sola idea che sarei stato padre nel giro di pochi minuti sentii le gambe tremarmi. Dovetti reprimere ogni tipo di paura: in quel momento Emma aveva bisogno di me più che mai, non c’era tempo per farsi prendere da attacchi di panico dell’ultimo minuto.
«Bene, non è il tuo primo parto quindi sai già cosa devi fare», le disse Whale. «È ora di spingere Emma». Lei annuì e fece come le aveva detto il dottore. Mentre spingeva, serrò i denti e strinse la mia mano con tutta la forza che aveva. Questa volta non mi lamentai, il dolore alla mia mano doveva essere solo una minima parte di quello che stava provando lei. Stava per dare alla luce nostra figlia, in un gesto naturale ma che aveva comunque del miracoloso.
«Coraggio amore», le sussurrai tra una spinta e l’altra. Le poggiai le labbra sulla fonte lasciandovi un dolce bacio e le scostai una ciocca di capelli dagli occhi.
«Forza Emma ci siamo quasi», la incoraggiò Whale. «Vedo la testa».
Il mio cuore iniziò a battere all’impazzata, come se sapesse che di lì a poco avrei vissuto il momento più importante di tutta la mia vita, quello che mi avrebbe cambiato per sempre  facendomi diventare l’uomo che avevo scelto di essere.
«Coraggio un’ultima spinta». Emma strinse più forte la mia mano, anche se non credevo fosse possibile, e usò tutte l’energie che le erano rimaste in quell’ultimo gesto. Poi mentre lei si accasciava sul letto, il pianto di un neonato invase la stanza, mettendo fine alla sua sofferenza e all’inizio alla nostra più grande avventura.
«È una femmina, ma questo lo sapevate già». Non riuscii a vedere subito la bambina perché Whale e l’infermiera si affrettarono a tagliarle il cordone ombelicale e a ripulirla.
Mi voltai allora verso Emma e le passai l’uncino sulla fronte. «Sei stata bravissima amore». Il suo respiro era ancora affannoso, ma si stava pian piano riprendendo. Dopo l’ultima contrazione per espellere la placenta, i suoi occhi si incatenarono ai miei e riuscii a scorgervi la mia stessa commozione. Lentamente lasciò andare la mia mano, in modo tale che potessi muovere le dita e costatare che avevo mantenuto l’uso del mio arto. Le accarezzai una guancia scostandole i capelli bagnati di sudore e le rivolsi un ampio sorriso. Anche le sue labbra si incurvarono in un meraviglioso sorriso, facendomi capire che tutta la rabbia di poco prima era svanita in un soffio.
«Bene». La voce dell’infermiera ci fece voltare. «Ecco a voi vostra figlia». Era in piedi davanti a noi e teneva in mano un fagottino che sembrava davvero troppo piccolo. Lo porse ad Emma che si tirò più su sul letto e lo prese prontamente tra le braccia.
Fu allora che vidi mia figlia per la prima volta e fu allora che me ne innamorai. Non avevo mai creduto ai colpi di fulmine, ma in quel momento dovetti assolutamente ricredermi. Fin dal primo sguardo capii che non avrei mai amato nessun altro come lei e che niente e nessuno avrebbe mai potuto tenermi lontano dalla mia piccola principessa.
«È bellissima», sussurrò Emma commossa almeno quanto me.
«Bellissima è dir poco». Era solo un piccolo fagottino rosa con pochi capelli biondi, ma per noi non ci sarebbe mai stato bambino più bello.
«Come volete chiamarla?», ci chiese il dottor Whale che ci stava osservando insieme all’infermiera.
«Edith», rispose immediatamente Emma, lasciandomi basito. Ne avevamo discusso, ma non avevamo ancora deciso un nome. Non pensavo che lei avrebbe scelto proprio il nome di mia madre.
Il suo sguardo studiò la mia reazione e la mia espressione si addolcì ancora di più. «Grazie».
«Bel nome», commentò il dottore. «Adesso vi lasciamo un attimo da soli. Dovete far conoscenza con vostra figlia». Li fissai andare via e quando la porta della stanza si fu richiusa tornai a fissare la nostra bambina. Mi domandai come avessi potuto distogliere lo sguardo da lei tanto a lungo.
«Ciao Edith», mormorai. Con un dito le accarezzai una guancia delicatamente. Era così morbida; la sua pelle liscia e delicata sembrava così fragile. Ebbi l’istinto naturale di volerla proteggere da qualsiasi cosa avesse mai potuto farle del male.
Al mio tocco la piccola sembrò ridestarsi ed aprì gli occhini, che fin ad allora erano rimasti chiusi. Se non fossi stato già completamente stregato da lei, avrei perso la testa nel momento esatto in cui notai il colore delle sue iridi. Erano così simili alle mie, avevano il colore dell’oceano.
Anche Emma rimase impressionata da quel particolare. «Oh Killian! Ha i tuoi occhi. È davvero perfetta». Era più che perfetta.
«Ciao piccola», continuò Emma cullandola tra le braccia. «Io sono la tua mamma». Ogni timore e ogni paura che lei avesse provato negli ultimi nove mesi era sparito alla vista di nostra figlia. E come sarebbe potuto essere diversamente?
«E questo è il tuo papà», proseguì lanciandomi un sorriso. I suoi occhi erano lucidi e la felicità che stava provando, che entrambi stavamo provando, era palpabile.
«La mia piccola principessa», sussurrai sfiorando la sua piccola gota. Avrei passato ore ad accarezzare la sua pelle vellutata, non mi sarei mai stancato di coccolarla. Edith emise un piccolo gorgoglio e mosse leggermente le manine, come per stiracchiarsi.
«Killian», mi disse Emma dopo un poco, «sono un po’ stanca, perché non la prendi tu in braccio?».
«Io?», balbettai. «Sei sicura?».
«Sì certo, è tua figlia». Era vero, ma sembrava così delicata e non avevo la minima idea di come si tenesse un bambino.
«Non so come prenderla; e se poi le faccio male?». Era ovvio che avrei dovuto imparare, ma ero stato colto alla sprovvista dalla sua richiesta.
«Non le farai del male e poi ti verrà istintivo tenerla nel modo giusto». Il suo sguardo mi diede il coraggio di cui avevo bisogno. Allungai le braccia e solo allora mi ricordai del mio uncino. Feci una smorfia e molto rapidamente me lo tolsi, appoggiandolo sul letto accanto ad Emma. Avrei imparato anche a gestire nostra figlia con quella mia appendice, ma per il momento non volevo rischiare di farle del male.
«Tienile la testa», mi guidò Emma porgendomi la bambina. Con molta attenzione la presi tra le braccia, imitando il modo in cui l’aveva tenuta lei. Mi sorpresi di come mi venisse naturale tenerla nel modo giusto. Il mio cigno aveva avuto ragione fin dall’inizio.
«Ciao principessa, sono il tuo papà». Chi l’avrebbe mai detto che il grande Capitan Uncino potesse ritrovarsi a sussurrare parole sdolcinate ad un neonato?
Passeggiai lungo la stanza cullandola tra le braccia, e innamorandomi ogni istante di più. Quella creaturina era la mia bambina, sangue del mio sangue, il frutto del vero amore, era la mia famiglia.
Mentre camminavo per la stanza, alzai lo sguardo e notai che Emma ci stava guardando con gli occhi lucidi ed un enorme sorriso stampato sulla faccia.
«Che c’è?», le domandai sfoderando il mio sorriso migliore.
«Siete così belli», ammise.
«Oh Swan, mi fai un complimento così apertamente? Questi apprezzamenti spontanei non sono da te», scherzai.
«Sono così felice Killian, come non lo sono mai stata».
«Già, lo sono anch’io». Non riuscivo a ricordare un momento più bello di quello. Avevo vissuto per secoli, ma niente mi aveva reso più felice che il veder finalmente costruita la nostra famiglia. Il mio lieto fine, il nostro lieto fine, cominciava in quel momento. Compresi in quell’istante che la parola “casa” non indicava semplicemente un luogo, ma delle persone. La mia casa era stato Liam sulla Jolly Roger, la mia casa adesso era Storybrooke con Emma, Henry ed Edith. Avevo delle persone per cui avrei dato la vita e che avrebbero fatto altrettanto per me e questo era il migliore lieto fine che potessi mai desiderare.
 
Future time: 19 Aprile 2023
Aprii la porta della camera con una spallata. Portare un vassoio carico di roba con una sola mano ed un uncino si stava dimostrando più difficile di quanto avessi pensato, soprattutto perché avevo rischiato di inciampare un paio di volte in dei giochi lasciati a giro da Edith. Avrei dovuto dirle di rimetterli a posto, almeno prima che se ne accorgesse sua madre.
Richiusi la porta con un calcio e mi voltai a guardare il mio cigno che dormiva profondamente nel nostro letto. La leggera coperta lasciava perfettamente intravedere la forma arrotondata del suo corpo. In effetti la prima cosa che si notava era il pancione, ormai di otto mesi.
Appoggiai il vassoio sul materasso accanto a lei e mi chinai a darle un bacio sulla guancia. Quello era un giorno speciale e volevo che il suo risveglio fosse perfetto.
«Sveglia mia dolce ciambellina», le sussurrai in un orecchio. Emma mugolò in risposta, cominciando a stiracchiarsi.
«È l’ora di svegliarsi tesoro». Le accarezzai una guancia e aspettai che aprisse gli occhi. Quando le sue iridi verdi incrociarono il mio sguardo sul suo volto si disegnò un ampio sorriso.
«Buongiorno», le dissi dandole un bacio sulla fronte.
«’Giorno», biascicò. Si tirò più su, appoggiando la schiena alla testiera del letto e mettendosi a sedere. Con una mano si accarezzò il pancione e con l’altra si stropicciò gli occhi.
«Sbaglio o mi ha chiamato ciambellina?», mi domandò una volta sveglia del tutto.
Sorrisi colpevole e cambiai argomento. «Ti ho portato la colazione a letto. Buon anniversario amore».
«Te lo sei ricordato», sospirò felice. Era il nostro anniversario di matrimonio, come avrei potuto dimenticarlo?
«Certo Swan. È stato uno dei giorni più belli di tutta la mia vita, è ovvio che me lo sia ricordato».
Il suo sorriso si allargò ancora di più. «Bene, buon anniversario anche a te allora. Cosa mi hai portato? Guarda che io e il piccolo stiamo morendo di fame». Mi scostai in modo tale da avvicinarle il vassoio, mostrandole tutto quello che c’era sopra. Da un lato avevo messo un piccolo vaso con delle camelie, uno dei fiori simbolo per noi. Al centro c’era una tazza di cioccolata calda fumante, circondata da una brioche, vari tipi di biscotti, un bicchiere con una spremuta, una tazza con latte e cereali e anche delle fette di pane tostato con la marmellata.
«Mmm Killian, già mi sento una balena, hai intenzione di farmi ingrassare ancora?».
«Beh non è tutto per te. Puoi scegliere ciò che vuoi, io mangerò il resto».
«D’accordo. La cioccolata allora è mia». Non avevo bisogno che me lo dicesse, l’avevo già preparata con la sua solita cannella. Le passai la tazza in modo tale che potesse tenerla stretta tra le mani e in modo tale che potesse vedere anche ciò che vi avevo nascosto dietro: una piccola scatolina blu.
«Oh», mormorò sorpresa.
«Penso che questo sia per te». Le porsi la scatolina lasciando che lei l’aprisse. All’interno c’erano degli orecchini le cui pietre erano disposte a formare il simbolo dell’infinito.
«Sono bellissimi», mormorò osservandoli.
«Questo per indicare l’amore infinito che provo per te». Si allungò per darmi un bacio, rischiando però di far cadere la cioccolata sul letto. Il pancione non le facilitava i movimenti e perciò appariva molto più goffa del solito.
«Attenta tesoro». Afferrai la tazza da sotto in modo tale che non si inclinasse e la baciai dolcemente. Le sue labbra avevano un sapore meraviglioso anche appena sveglia.
«Grazie», sussurrò cercando di rimettersi comoda. «Anch’io ho una sorpresa per te, però non è qui. Dopo andiamo in un posto così potrò mostrartela. Adesso, però, facciamo colazione». Le sue parole mi incuriosirono. Cosa voleva mostrarmi? Cosa poteva avermi regalato? Tutto quello che desideravo era lì e non c’era altro che volessi.
Lasciai perdere per il momento. «Agli ordini mia signora». Le passai la brioche, conoscendo i suoi gusti, e la vidi sorridere soddisfatta prima di bere una sorsata di cioccolata.
 
Un paio d’ore dopo mi ritrovai nel salotto di casa, intento a lamentarmi.
«Non capisco perché dobbiate bendarmi», sbuffai spazientito. Henry, che era a casa per le vacanze di primavera, aveva appena finito di legarmi una sciarpa intorno agli occhi.
«Beh è ovvio: deve essere una sorpresa», rispose Emma, che era seduta sul divano di fronte a me; o almeno lo era l’ultima volta che avevo potuto vedere.
«Anch’io ti ho fatto una sorpresa, ma non ti ho mica bendata», le feci notare.
«Questo è diverso papà», intervenne Edith. Dal tono di voce doveva essere molto vicina a me. «Non devi assolutamente vedere finché non saremo arrivati».
«Così dovrebbe andare», concluse Henry. «Hook quanti sono questi?».
«Che diavolo ne so, non vedo niente».
«Bene questo era il nostro intento». Sbuffai e incrociai le braccia al petto. Sapevo che appena avessi fatto qualche passo avrei perso il senso dell’orientamento, senza contare che sarei andato a sbattere contro qualche mobile.
«E secondo voi come faccio a camminare? Sono come un cieco al momento e la sensazione non mi piace per niente».
«Ti guiderò io papà». Sentii la mano di Edith stringere la mia e strattonarmi con forza in avanti. Feci qualche passo battendo nello spigolo di quello che doveva essere il divano.
«Ahi! Non mi pare un buon inizio Swan, qualunque sia questa sorpresa», mi lamentai ancora.
«Edith fai più attenzione e tu Killian smettila di lagnarti. Sono una donna incinta di otto mesi, ti avverto che è molto pericoloso contraddirmi. Siamo intesi?».
«Sì signora». Emisi un sospiro e mi lasciai guidare fuori da Edith. Per fortuna mi ero già infilato il giubbotto, perché, nonostante fosse aprile, l’aria era piuttosto fresca e pungente.
«Bene papà, adesso dobbiamo salire in macchina». Edith mi tiro per la mano come per farmi segno di abbassarmi.
«Come in macchina? Dobbiamo andare lontano? Emma non avrai mica intenzione di guidare?». Anche se non potevo vedere sapevo che la mia Swan aveva alzato gli occhi al cielo esasperata.
«Dio! Quante domande. Il posto non è lontano, solo, visto che non vuoi farmi stancare, ho pensato che sia meglio andarci col maggiolino. Guiderà Henry».
«Certo sono qui per questo». Mi arresi e mi lasciai aiutare a salire sul sedile posteriore di quell’aggeggio giallo. Avevo a malapena il posto per allungare le gambe, ma non aggiunsi altro sapendo che era inutile: erano tre contro uno.
La macchina si mise in moto e lentamente si mosse sull’asfalto. Se ero disorientato prima, adesso non avevo la minima idea da che parte di Storybrooke mi stessero portando.
«Non vedo l’ora di vedere la tua faccia». Edith si avvicinò a me sul sedile e mi stampò un bacio sulla guancia. Sicuramente quello era il modo giusto per tenermi buono.
«Già anche io», aggiunse Henry. «Hook hai qualche idea?». Ci pensai un attimo, ma la mia mente era completamente vuota. Non avevo la minima idea di ciò che Emma mi avesse regalato e neanche del perché non fosse a casa.
«No», ammisi. «Niente di niente».
«Bene». La voce di Emma era ricca di soddisfazione.
Poco tempo dopo la macchina si fermò e questa volta fu Henry ad aiutarmi ad uscire da quella scatola di metallo. Subito dopo Edith riprese la mia mano ed iniziò a guidarmi, mentre Emma ed Henry ci seguivano. Sentii i loro passi e le loro voci a distanza; lui aveva gentilmente offerto il braccio a sua madre in modo che non si stancasse.
Dato che non potevo vedere, lasciai che gli altri sensi si acuissero. L’odore penetrante di salsedine mi risalì nelle narici, era un odore così famigliare che mi stupii di non averlo scorto prima. Percepii il rumore delle onde che si infrangevano a riva, a confermare la mia ipotesi, e lo sciabordare degli scafi delle navi contro il molo.
«Siamo al porto», affermai.
«Sì», confermò Edith. «Ma non starai mica barando?». Si fermò di colpo lasciandomi la mano, probabilmente per osservarmi.
«No, sento il rumore del mare piccola. Sono un pirata, non potrai mai nascondermi la presenza dell’oceano». Le mie parole dovettero convincerla perché iniziò di nuovo a tirarmi.
«Bene sempre dritto, adesso c’è uno scalino».
«Devo salire o devo scendere?», le domandai.
«Scendere, tre scalini in tutto». Facendo attenzione a mettere i piedi correttamente riuscii a continuare indenne il percorso. Ormai avevo capito che stavamo viaggiando tra le passerelle del porto, ma le mie idee su ciò che mi aspettava erano ancora parecchio confuse; forse più che confuse, erano del tutto inesistenti.
«Eccoci qui! Siamo arrivati», esultò Edith fermandosi all’improvviso. Mi fece voltare da un lato e lasciò andare la mia mano. Presto però le sue dita furono sostituite da altre altrettanto famigliari. Accarezzai con l’indice la sua fede e le passai il dito lungo il palmo, prima di stringere forte la sua mano nella mia.
«Ci siamo Killian. Sei pronto?». La sua voce era ricca di emozione, e probabilmente il suo sguardo doveva essere altrettanto esplicativo.
«Sì penso di sì», mormorai, non sapendo bene cosa aspettarmi. Sentii delle mani, quelle di Henry ovviamente, armeggiare con il nodo della sciarpa fino a quando non cadde completamente via dai miei occhi.
All’inizio fui accecato dal sole che faceva capolino, da dietro le nuvole. Poi riuscii a mettere a fuoco quello che avevo davanti. Di fronte a me c’era ormeggiata una nave; non era grande come la Jolly, ma sicuramente più grande di molte barche comuni. Sembrava moderna e accogliente, una nave che si sarebbe lasciata portare facilmente in qualsiasi situazione.
Sbattei le palpebre perplesso, non riuscendo ancora a mettere insieme tutti i pezzi di quel caotico puzzle.
Emma sembrò capire al volo i miei dubbi e si affrettò a spiegarmi. «Killian ti presento la “Happy Ending”, la tua nuova nave». Boccheggiai a quelle parole non riuscendo ad afferrare la verità che lei stava sostenendo.
«Mi hai regalato una nave?», balbettai, voltandomi a guardarla.
«Beh non sono stata solo io, mi hanno dato una mano anche i miei e Regina. Consideralo anche come un regalo di compleanno anticipato».
«Io…». Tornai a fissare la nave a bocca aperta, non sapendo come fare ad esprimere tutto quello che avevo da dire.
«Certo», continuò lei, «non è la Jolly Roger lo so. Lei sarà per sempre insostituibile, però possiamo vivere dei bei momenti anche su questa. Il nome l’ho scelto io, spero che ti piaccia, mi sembrava azzeccato…». Non la feci finire perché mi fiondai sulle sue labbra, zittendola con un bacio.
«Grazie», sussurrai ad un centimetro dal suo viso, toccandole il pancione con la mano. Il mio sguardo si perse nel suo, riuscendo a comunicare meglio di mille parole.
«Su forza!», ci interruppe Edith. «Saliamo a bordo». Mi voltai verso di lei che saltellava impaziente accanto ad Henry, che invece faceva di tutto per lasciarci la nostra intimità.
«Faccia strada tenente Jones», le dissi afferrando la mano di Emma e guidandola verso la passerella. Lasciai che i ragazzi fossero i primi a salire e mi trattenni controllando che il mio cigno salisse senza problemi a bordo.
Il ponte della nave era molto simile a quello della Jolly anche se più moderno e tirato a lucido. C’erano attrezzature e marchingegni molto più tecnologici, che avevo imparato ad usare negli ultimi anni trascorsi in quel mondo. Scesi sotto coperta e rimasi stupito da costatare che aveva molte più cabine di quanto si potesse immaginare dall’esterno.
«Questa è la cabina del capitano», affermò Emma, apparendo all’improvviso alle mie spalle. «Ti va di darle un’occhiata?». La sua espressione rivelava una certa malizia, non intuibile con solo le sue parole.
«Con molto piacere». Aprii la porta e lasciai che lei mi precedesse nella stanza. Mi soffermai un attimo, prima di chiudere l’uscio, per ascoltare la voce dei ragazzi. Henry ed Edith stavano parlando sul ponte e probabilmente il ragazzo si sarebbe occupato della sorella in modo tale da concederci un momento di completa intimità.
Quando mi fui richiuso la porta alle spalle rimasi sbalordito da quello che vidi. Per un attimo fui catapultato indietro nel tempo; sembrò che non fosse trascorso neanche un mese da quando Emma, incinta di Edith, mi aspettava invitante sulla mia nave. Quella stanza era esattamente identica alla mia cabina sulla Jolly Roger, ed Emma seduta sul letto, rendeva tutto ancora più surreale.
«Ho chiesto a Marco», disse, «di ricostruire questa cabina esattamente come la ricordavo sulla Jolly».
«Wow», riuscii solo a dire.
«Ci sono troppi ricordi legati a quella stanza, non volevo che svanisse nel nulla. Così avrai sempre un pezzo della Jolly anche sulla Happy Ending».
«Come ci sei riuscita?».
«Beh con un po’ di ricordi, di foto, un programma sul computer, molta fatica, ma soprattutto grazie all’aiuto di Edith e di Henry e di tutti quelli che hanno avuto l’onore di entrare nella cabina del capitano».
«Io non ho parole…». Avanzai nella stanza, facendomi strada tra quelli che sembravano i miei vecchi mobili. Emma aveva anche avuto l’accortezza di rimettere tutto ciò che avevamo salvato dall’incendio della Jolly esattamente dove si trovava. Presi in mano la foto, la nostra foto, quella che era stata l’inizio di tutta quella assurda e confusa storia. Non avrei mai trovato un posto migliore dove tenerla: nella mia cabina dove il mio passato aveva incontrato il mio presente e avrebbe accolto il mio futuro.
«È in questa stanza, anche se non è la stessa, che abbiamo concepito Edith, non poteva sparire nel nulla».
Mi voltai verso di lei, non riuscendo ancora ad esprimere tutta la mia gratitudine. Non trovavo le parole adatte per ringraziarla di tutto quello. Era davvero troppo e non avevo fatto niente per meritarlo.
«Saresti sorpreso di quante persone hanno contribuito a rendere la tua espressione in questo momento così magnifica».
«Non l’hanno fatto solo per me», ribattei, «l’hanno fatto per noi, per la nostra famiglia».
«Lo so, ma è grazie a loro che adesso posso ammirare il tuo meraviglioso sorriso. Mi piace così tanto vederti felice».
«Bene», risposi avvicinandomi e sedendomi accanto a lei sul letto, «perché da ora in poi ho intenzione di essere molto felice». Le passai l’uncino sulla guancia facendole voltare la testa verso di me. Notai che aveva indossato i miei orecchini e non potei che sorridere ancora di più.
«Li hai messi?», sussurrai incatenando i miei occhi ai suoi; avrei mai smesso di cadere in quell’immenso prato verde? Mi persi nel suo sguardo riuscendo a comunicarle tutto quello che a parole non riuscivo ad esprimere.
«Certo, avevi qualche dubbio?». Le sue iridi si fecero ancora più chiare, esprimendo a pieno anche la sua felicità.
«Ti amo tantissimo Emma».
«Ti amo tantissimo anche io». Poggiai le mie labbra sulle sue, accarezzando con la mano la sua pancia e il nostro futuro bambino. Approfondii il bacio intrecciando la mia lingua alla sua, con l’unico pensiero che non avrei mai saputo rinunciare a tutto quello. Non sarei più sopravvissuto senza l’amore incondizionato della mia famiglia. Ero stato un marinaio, un fratello, un pirata, un capitano, avevo navigato dove spirava il vento, avevo tradito, ero stato spietato, ma avevo imparato da tempo a scegliere l’uomo che volevo essere. Non volevo essere un eroe, un paladino della giustizia, volevo solo essere un uomo all’altezza di Emma Swan, un uomo che potesse essere amato da lei e che potesse costruire quel lieto fine che stavamo vivendo. Happy Ending era il nome giusto, lieto fine, la mia famiglia. Tutta quella avventura mi aveva fatto capire che il lieto fine non era un punto d’arrivo, non bisognava combattere solo per ottenerlo, bisognava lottare anche per mantenerlo tale.
Mentre le mie labbra erano occupate ad assaporare sempre più a fondo quelle di Emma, quelle che ormai conoscevo così bene, la mia mano accarezzò il suo ventre. Proprio mentre la mia lingua si intrecciava stretta alla sua per l’ennesima volta, sentii un calcetto provenire dal suo pancione.
«Oh», sospirò staccandosi appena da me. «Questo sì che era un calcio».
«Beh mi sembra chiaro», sorrisi. «Al piccolo Liam piace che ti baci in questo modo. Mi sta dicendo “dacci dentro papà”».
Emma scoppiò a ridere, appoggiandosi con la mano al materasso per sorreggersi. Istintivamente portai un braccio dietro la sua schiena in modo tale che potesse appoggiarsi. «O forse ti stava solo dicendo di smetterla e di non passare il limite. Potrebbe essere geloso della sua mamma».
Ci pensai su e poi scossi la testa. «Mi piace più la mia ipotesi», affermai rivolgendole uno sguardo molto esplicativo.
«Peccato che io sia d’accordo con la seconda. Andiamo si staranno chiedendo dove siamo finiti». Si alzò e si diresse verso la porta.
«Che ne dici di fare uscire in mare la Happy Ending? Andiamo capitano, mi piace vederti al timone». Mi alzai anch’io e la seguii di nuovo sul ponte, pronto per intraprendere il nostro nuovo viaggio a bordo del nostro lieto fine.   


Ciao!
Fine, the end, fin. Non posso ancora credere di aver concluso questa storia. So che mi mancherà molto scriverla, ma spero di trovare presto altre idee per scriverne altre.
Devo dirvi che sono molto orgogliosa di questo epilogo, soprattutto dell'ultima parte e soprattutto ora quando questa pausa e questa devastazione mi e ci stanno rovinando. Spero che anche a voi la mia fine sia piaciuta; non poteva che terminare con un lieto fine da entrambe le parti.
Visto che questo è l'ultimo capitolo mi sembra doveroso ringraziare tutti coloro che hanno letto e che sono arrivati fino a qui e chi ha inserito la storia nelle varie categorie. Un GRAZIE enorme va a tutti coloro che hanno recensito (non vi faccio l'elenco perchè ci metterei tre anni): GRAZIE di cuore perchè le vostre parole sono stato uno spunto per nuove idee e una spinta per andare avanti.
Un abbraccio gigantesco!
Sara

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