Un'avventura oltre il tempo

di Mai Valentine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** DunBroch/Arendelle ***
Capitolo 2: *** Si avvicina la tempesta ***
Capitolo 3: *** Vendere l'anima ***
Capitolo 4: *** Il gioco ***
Capitolo 5: *** Ombre dal passato ***
Capitolo 6: *** Incontri del destino ***
Capitolo 7: *** Prendere coraggio ***
Capitolo 8: *** Tentativi di fuga ***
Capitolo 9: *** Contro il tempo ***



Capitolo 1
*** DunBroch/Arendelle ***


DunBroch
 
 
 
 
Il sole sorgeva alto e splendente al di là della grande montagna. I primi raggi dell'astro si riversarono sulla terra, sui fiumi, sulle case degli uomini, riscaldando ogni cosa. Una ragazza cavalcava libera, ribelle e coraggiosa sulla groppa del suo splendido destriero, Angus. Un abito verde le fasciava il corpo agile e scattante. Afferrò con la velocità di un felino l'arco legato alla sua schiena e scoccò una freccia che andò a conficcarsi nel bersaglio scelto. Fu soddisfatta della sua abilità e bravura. Continuò a galoppare e a scoccare frecce fino a quando il suo cavallo non nitrì esausto e fu a quel punto che la cavallerizza smontò dalla sella. Si trovava nel centro di una radura, accogliente. Lasciò libero  Angus di andare dove desiderava e inginocchiandosi sull'erba alta immerse le mani a coppa nell'acqua cristallina portandola alle labbra, sorseggiandola. Si guardò intorno, il silenzio regnava sovrano; solo il vento fischiava tra le foglie degli alberi.  Si sedette sotto la chioma di una quercia poggiando la schiena al grande tronco millenario e con voracità aprì il sacco del pranzo estraendo un abbondante fetta di torta di mele. L'addentò, era davvero morbida e buona.  Non si sentì in colpa per averla rubata dalle cucine, la vecchia cuoca non si era accorta di nulla. E sorrise al pensiero delle grida disperate della donna quando avrebbe scoperto che mancava parte della colazione per la sua famiglia e a un tratto sentì pesante lo stomaco, non sarebbe stato altrettanto divertente quando sua madre lo avrebbe saputo. Già si immaginava le urla di rimprovero. Sospirò. Il danno era stato fatto. Chiamò con un fischio Angus e il cavallo la raggiunse trottando. Gli accarezzò lo splendido manto estraendo dalla cinghia di cuoio legata ai fianchi una spada dall'elsa in argento con sopra inciso il suo nome: Merida. Impugnandola iniziò a combattere contro un nemico immaginario.  Il sole batteva caldo sul suo viso, alzò lo sguardo rimanendo abbagliata da un unico raggio che illuminava   la strada. La principessa si lasciò guidare dal suo istinto e con spada alla mano, l'arco ben fermo dietro la schiena, s'incamminò lungo il percorso. Di tanto in tanto perdeva la via per trovarla subito dopo, oltre la chioma fitta degli alberi. Saltò tronchi caduti, evitò piante colme di rovi e superò un fiume in piena e innanzi ai suoi occhi  si presentò una  maestosa grotta di ghiaccio. Il suo entusiasmo non ebbe freni.
         «Angus che te ne pare? Non trovi sia fantastica?» esultò girandosi verso il suo cavallo che fedelmente, come sempre, l'aveva seguita. Il destriero nitrì scuotendo la folta criniera.
         «Oh avanti non fare il fifone! Secondo me ci porterà da qualche parte» e voltandosi superò l'ingresso di stalattiti inoltrandosi nella strana caverna. Angus rimase fuori ad aspettarla. Seguì le contorte e labirintiche  vie della grotta. A un tratto si trovò a un bivio. Il riflesso della luce riverberò sulla parete ghiacciata e sollevando lo sguardo seguì la strada a destra, salì le scale di un elegante e perfetta scala di puro ghiaccio, giungendo  innanzi a un trono, la luce si rifletteva su di esso indicandole  un minuscolo anello poggiato sullo scarno. Portò una ciocca di capelli ribelli dietro l'orecchio e lo ammirò da vicino, non poté fare a meno di toccarlo. Era freddo e gelido. Lo prese nascondendolo nella sacca che portava legata alla cintura. Decise di tornare indietro.
         Senza difficoltà ritrovò la via, qualcosa l'aveva guidata fino a lì e qualcosa l'aveva fatta tornare indietro, come i fuochi fatui qualche anno prima l'avevano condotta alla casa della strega. Angus non appena la vide le andò incontro sbattendo gli zoccoli in terra, felice. La principessa gli accarezzò il muso.
         «Va bene è tempo di tornare indietro. Non vedo l'ora di raccontare ciò che ho visto» e con il sorriso sulle labbra galoppò verso casa, al castello.
         Delle figure avvolte in neri mantelli, nascosti dalle chiome degli alberi, osservarono la principessa di DunBroch.
        
Arendelle
 
         L'inverno era arrivato, come ogni anno, portando con sé il freddo. Il regno di Arendelle era coperto da una soffice e candida neve che ricopriva ogni cosa dai tetti delle case, alle strade. I tiepidi raggi del sole risplendevano sulla superficie ghiacciata creando magnifici giochi di luce. I bambini entusiasti della prima nevicata si riversarono tra le vie del centro, ammirando da vicino i fiocchi di neve che scendevano giù dal cielo.  Nel castello che sorgeva sulla piazza principale del regno, dal quale si poteva vedere il fiordo, la principessa Anna correva lungo i corridoi saltellando ovunque, la neve era tornata ad Arendelle. Certo per lei non era una novità, in fondo era la sorella della regina che poteva creare con un solo schioccare delle dita un intero castello di ghiaccio, ma per lei ogni buon motivo era fonte d'entusiasmo e allegria. Saltellando giunse di fronte alla stanza di Elsa, portandosi una ciocca dietro ai capelli, bussò. La porta si aprì.
         «Elsa, posso?» domandò entrando piano nella stanza della sorella, non voleva disturbarla, sapeva bene quanto la regina amasse i suoi spazi, non voleva essere troppo invadente.
         «Vieni avanti».
         Anna si inoltrò nella camera semibuia, solo da uno spicchio di tenda aperta il sole filtrava. Piano poggiò una mano sulla spalla della regina, la pelle candida era fredda, come il ghiaccio.
         «Elsa tutto bene?» domandò con apprensione. La regina si voltò verso la principessa, sorridendo.
         «Si, Anna. Ero solo pensierosa» strinse la mano della più giovane tra le sue baciandole le dita.
         «Meno male, mi ero preoccupata. Sai quando ho visto la stanza semibuia e ghiaccio sul lampadario ho pensato che non stessi bene, che ti avessi fatto qualcosa o che Kristoff ti avesse offeso in qualche modo...». Elsa la zittì premendo un dito sulle labbra.
         «Non è niente, sono solo un po' agitata. Ho fatto uno strano sogno questa notte».
         «Davvero? E cosa avresti sognato?» domandò Anna sedendosi sul letto, giocando con un pupazzo di stoffa poggiato sul cuscino; vi era impresso il profumo della regina, probabilmente ci dormiva da quando era piccola, forse era stato un regalo dei loro genitori per  rassicurala  durante le lunghe notte e proteggerla dagli incubi.
         «Sicuramente è una sciocchezza — Anna la guardò con attenzione crescente—. Va bene te lo racconto. Ho sognato una ragazza dai capelli rossi come il fuoco, fiera e combattiva  proveniente da luogo e tempo molto lontano e portava un anello di ghiaccio al dito e mi chiedeva aiuto per salvare il suo regno... Ed era tutto avvolto dalle fiamme e dal ghiaccio». Si portò una mano alla testa, dubbiosa. 
        « Allora che cosa ne pensi?» chiese consiglio alla sorella.
         «Da come ne parli mi sembri quasi innamorata » rise divertita.
         «Anna!» la rimproverò Elsa, le guancie si tinsero di un rosso cremisi.
         «Dalla tua reazione direi proprio di si. La regina di Arendelle innamorata di una fanciulla di un sogno... Aspetta una ragazza?  Avevo capito ragazzo! Oh, beh, è uguale».
         «Anna, per piacere, ti sto chiedendo aiuto» strinse le mani guardandola con aria supplichevole. La principessa si ricompose, smettendo di ridere. Alzandosi in piedi abbracciò la regina, scostandole la treccia dal collo.
         «Oh Elsa, i sogni possono mostrarci la via del nostro destino,  così possono essere solo sogni. Non crucciarti per  tutto» le sfiorò una guancia. Elsa annuì ringraziandola. Allontanò per un attimo le sue paure. Le ombre del passato non l'avevano ancora abbandonata del tutto e anche un semplice sogno poteva agitarla. Respirò tornando a concentrarsi sulla sorella.
         «Allora cosa volevi dirmi? Se venuta fino a qui per questo, no?» le fece l'occhiolino.
         «Oh, si, certo. Ecco oggi io e Kristoff volevamo fare una passeggiata, cioè ha detto che deve dirmi qualcosa d'importante e voleva che fossimo soli, ovviamente con  Sven e credo Olaf, però insomma non so e quindi volevo...»
         «Vai e divertiti, hai la mia benedizione. In fondo oggi ti annoieresti al Castello, sono piena d'udienze» sorrise. Anna l'abbracciò di nuovo.
         «Grazie, Elsa sei fantastica. Ti porterò un magnifico regalo. Ti voglio bene!» urlò uscendo dalla stanza quasi inciampando per terra. Elsa scosse il capo, la sua piccola e magnifica sorella non sarebbe mai cambiata ed era grata per questo.
         Una volta sola con una soffiata di vento chiuse la porta e tornò a volgere il suo sguardo al di là delle montagne. Portò una mano sul cuore e sussurrò il nome della ragazza del sogno.
         «Merida».

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Capitolo 2
*** Si avvicina la tempesta ***


DunBroch
 
Il sole tramontava oltre il mare e la strada che conduceva al castello era sgombra da fastidiosi passanti; contadini e mercanti erano già tornati alle loro dimore. Spronò Angus battendo piano i talloni sul ventre e  il destriero nitrì correndo. In un batter d'ali raggiunsero  le scuderie. Con abilità smontò dal cavallo e gli accarezzò il muso.
         «Lo so che vuoi le carote» e sorridente sfilò dalla cesta di una delle servette che passava in quel momento una mela e la offrì al destriero. «Pensi che vada bene lo stesso?» Angus sbatté lo zoccolo per terra sollevando polvere e con un morso afferrò il succoso frutto dalla mano della padrona. Merida rise divertita.
         «Ora devo proprio andare, ho una certa fame» lasciò il destriero alla mela e corse all'interno del grande castello passando prima dalle cucine. Agile e furba come una volpe rubò un vassoio di dolcetti, le cuoche erano  troppo interessare a decapitare galline per  badare a lei. Solo Maudy le lanciò un'occhiataccia torva mentre batteva la carne sul tavolo.  «Buona giornata a tutte voi!» disse scivolando nella sala principale del castello.
         Il re Fergus con una mano reggeva un cosciotto di pollo e con l'altra un boccale colmo di  vino e pieno d'entusiasmo raccontava ai tre piccoli principi, annoiati e stanchi delle solite storie del padre, come aveva catturato  un grande e grosso cinghiali pochi giorni prima.
         «E poi il  cinghiale lo ha sollevato con le sue grandi zanne e sbam — Merida  sbatté sul tavolo il vassoio dando enfasi al racconto — l'ha  scaraventato in terra!» I principi guardarono con ammirazione la sorella riprendendosi così dal loro torpore. Elinor sollevò lo sguardo dalla cena  scuotendo il capo.
         «Però ho vinto io contro quel bastardo!» esultò il re  sollevando in alto il boccale, alcune gocce bagnarono il pavimento di un rosso vermiglio.
         «Ma non ti andrà così bene la prossima volta. Preferirei che tu restassi di più a casa, con i tuoi figli piuttosto che fuori a catturare belve selvagge. Ah, come devo fare con te?» sospirò  la regina  massaggiandosi le tempie.
         «Donna i miei figli impareranno presto a cacciare, ormai si stanno facendo grandi e diverranno magnifici guerrieri». 
         Elinor roteò gli occhi al cielo per posare lo sguardo sulla principessa.
         «E tu cara, cosa hai fatto oggi?»
         Merida fissò la madre, ingoiò in un solo colpo quattro dolcetti e per poco non si strozzò per risponderle.
         «Ho trovato una grotta tutta di ghiaccio. I raggi solari si riflettevano sulle sue pareti creando magnifici giochi di luce e incuriosita vi sono entrata. Ho percorso vie labirintiche  che mi hanno condotta fino a una scala di puro ghiaccio e ho trovato questo su un trono abbandonato» raccontò tutto d'un fiato senza pause e sfilò l'anello dalla borsa  posandolo al centro del tavolo. Elinor, Fergus e i tre principi si sporsero per ammirarlo rimanendone abbagliati. Il re allungò una mano, ma non appena lo sfiorò l'anello emanò una scintilla azzurra che lo scaraventò per aria congelando parte del tavolo. La regina si alzò dalla sedia soccorrendo il marito. Merida  raggiunse suo padre e sua madre per aiutarli.
         «Che caduta ragazzi! Magnifico oggetto» rise il re per nulla preoccupato e ferito.
         «Ma pericoloso» sentenziò la monarca. Merida tornò al tavolo e con il cuore in gola afferrò lo strano oggetto.
         «Merida non lo fare» urlò sua madre. La principessa ignorò le grida della sovrana e abbellì il suo dito indice con l'anello,  non accadde nulla. Per un breve istante delle parole si mostrarono innanzi ai suoi soli occhi che ripeté ad alta voce.
 
Cuore impavido e coraggioso,
l'anello ha scelto te come suo alleato prezioso.
Attenta al suo potere che può diventare pericoloso,
se in mano al nemico dovesse cadere.
Un aiuto troverai se oltre  il tempo viaggerai.
 
         «Ma che cosa significa? Odio gli indovinelli» sbuffò la principessa calciando un cosciotto di pollo un po' troppo forte che per poco non colpì Maudy. La cuoca spaventata e terrorizzata dal cibo volante e dal ghiaccio che copriva parte del  tavolo lasciò cadere  il vassoio d'argento che reggeva tra le mani  sul pavimento e  fuggì urlando.
         «Quella donna è davvero sconvolta dalla nostra famiglia!» Fergus scoppiò in una fragorosa risata. Elinor lo guardò torvo e il re abbassò il capo dispiaciuto. La regina afferrò il vassoio caduto in terra prendendo le lettere che vi erano poggiate sopra.
         «In questa confusione generale vi siete tutti dimenticati una cosa: i clan faranno ritorno a DunBroch, come ogni anno per conquistare la mano della principessa, Merida sarai pronta ad affrontarli — si interruppe notando un'altra missiva  —. Oh, sono sorpresa...» disse Elinor guardando le lettere.
         «Cosa c'è cara?» domandò il re avvicinandosi alla moglie abbracciandola.
         «Quest'anno parteciperà un quinto Clan...Non mi aspettavo che gli Sutherland già fossero diventati così famosi» aggrottò le ciglia preoccupata.
         «Che vuoi che sia la nostra Merida batterà tutti, non è vero? Eh, ma dove è andata? Era qui fino a poco tempo fa» si guardò intorno ma della principessa non vi era più traccia.
         Merida era montata in groppa al suo fedele Angus, pronta a partire al galoppo per rimettere al suo posto l'anello. Non era lei l'alleato prezioso di cui parlava quella filastrocca, non era lei che doveva possederlo  e non voleva fare del male alla sua famiglia. Prima di spronare il destriero a una sfrenata corsa tentò di sfilarsi il monile, senza successo. Più provava levarlo, più l'anello mordeva la carne divenendo sempre più stretto.
         «Maledizione... Cado!» scivolò giù dalla groppa di Angus, sputando erba e fieno. Alzò lo sguardo verso l'alto e si trovò sua madre che la guardava con dolcezza. La principessa si alzò da terra fissando sua madre con occhi colmi di paura, come quando erano andate nella capanna della strega per sciogliere l'incantesimo.
         «Ho provato a levarlo ma vedi non si sfila» tentò ancora una volta.
         «Merida, calmati».
         «Non voglio farvi del male, hai ragione è pericoloso e può portarci solo guai meglio che me lo leva» iniziò a morderlo battendo i denti. Elinor sospirò.
         «Merida questo anello ti ha scelto, come i fuochi fatui». Le parole della sovrana calmarono l'animo agitato dell'erede di DunBroch che non tentò più di sfilarsi l'anello di ghiaccio.
         «Allora cosa dobbiamo fare?» chiese con tono preoccupato.
         «Non saprei, forse compariranno altre parole o forse hai mangiato troppi dolci e si sfilerà da solo» ridacchiò cercando di rassicurarla.
         «Mamma» la rimproverò la giovane donna.
         «Forza torniamo dentro, devi preparati a una sfida, gli eredi dei Clan sono più agguerriti che mai e tuo padre non vuole assolutamente che tu sposi un Dingwall».
         «Ho già la vittoria in pugno». Risero entrambe. Tutti sapevano che  i giochi erano solo un modo per incontrarsi e rafforzare così la loro alleanza; il matrimonio era diventato una scusante per divertirsi e non più una pretesa al Trono. Nessuno di quei ragazzi avrebbe mai conquistato il cuore di Merida e di questo la regina ne era consapevole. Elinor  strinse a sé sua figlia con forza. La sua piccola coraggiosa era cresciuta e stava diventando davvero una bella donna indipendente e fiera, non poteva che esserne orgogliosa, e presto avrebbe governato su tutti  i Clan con giustizia e bontà. Ad un tratto si incupì. Il pensiero di un quinto  partecipante ai giochi la innervosì, rimase a fissare il vuoto lasciando che Merida la precedesse.
         «Madre qualcosa la turba?» domandò la ragazza voltandosi indietro avvertendo l'assenza di sua madre.
         «Guarda il tempo è cambiato. Presto, entriamo dentro ».
         Nuvole grigie e cupe si addensarono nel cielo. La pioggia iniziò a battere prima a piccole gocce, poi sempre più forte  sulla terra, sulle loro teste. Corsero al riparo all'interno della mura del castello. Tre uomini vestiti di nero le osservavano con estrema attenzione.
 
Arendelle
 
 Il sole era già tramontato oltre il mare da molte ore e non sarebbe apparso fino al mattino dopo per poi scomparire ancora in un ciclo infinito. Elsa avrebbe voluto essere come il sole, irradiare luce e calore ogni giorno, invece si rendeva conto di essere lontana e fredda come la luna, o così appariva agli occhi di molti dignitari venuti dai paesi più lontani per conoscere la regina delle nevi, quell'epiteto le era stato cucito addosso con estrema perfezione. Quella mattina aveva dovuto affrontare molte udienze, firmare carte e provvedere ai beni commerciali di Arendelle. Era stanca. Poggiò il gomito sull'elegante scrivania di mogano e la testa sulla mano chiusa a pugno. Sospirò. Pensò al sogno; cercò di  portare alla mente ogni dettaglio  ma riusciva solo a vedere il volto di quella ragazza  dai lunghi e ricci capelli rossi e dagli occhi color dell'acqua marina. Si torturò le mani nel tentativo di controllare il suo potere,  su gran parte delle pareti si addensava freddo ghiaccio e tutto il suo corpo era avvolto da candida neve. Bussarono alla porta. Elsa trasalì.
         «Si?» domandò la regina celando il nervosismo.
         «Maestà il Laird* Sutherland di Dunbroch è giunto dalla Scozia  e chiede di essere ricevuto» le comunicò Kai. Silenzio. «Maestà cosa devo dire al principe?» insistette il servitore.
         «Oh, si che lo riceverò nella sala delle udienze, a breve» rispose con gentilezza.   «La ringrazio, maestà».
         Sentì i passi di Kai allontanarsi dall'uscio della porta. Al centro  della stanza turbinava una bufera, ancora non riusciva a domare alle perfezione le sue emozioni quando era sola e libera di agire.  Si guardò allo specchio e passandosi una mano tra i capelli prese fiato, incontrare nuove persone, soprattutto principi la rendeva particolarmente nervosa.  
         «Prima lo conoscerò e  prima la tortura finirà». Con passi leggeri ed eleganti uscì dalla sua stanza chiudendo la porta alle sue spalle.
          Quando Elsa giunse nella sala delle udienze trovò il Laird al centro della stanza fermo come una statua greca. Indossava il tipico abito della sua terra: un kilt dal tartan nero e rosso, erano i colori del suo clan; al di sopra del gonnellino era vestito con una giacca nera che lasciava intravedere il colletto della camicia bianca. La regina lo fissò per imprimere al meglio il volto di quell'uomo nella mente. Il viso era spigoloso, altero e nobile. I capelli neri erano raccolti in un nastro verde scuro che si intonava al colore dei suoi occhi, gelidi lucenti. Per un attimo un brivido freddo le accarezzò la schiena. Era un volto privo di sentimenti. Provò paura.  Il nobile si inchinò al cospetto della regina.
         «Me l'avevano detto in molti che la vostra figura era superba e splendida, ma non credevo fino a questo punto. Ho fatto bene a compiere questo viaggio per poterla ammirare altezza».
         «Se è giunto fino a qui per questo credo che abbia sprecato tempo inutilmente» chiuse le braccia al petto, sfidandolo. Il Laird arricciò le labbra sottili in un sorriso.
         «No, non solo per questo, ma è certo che ne sarebbe valsa a ogni modo la pena» prese una lunga pausa, accorciando le distanze dalla regina. Si trovarono viso contro viso, la sovrastava di molto in altezza. «Comunque sia sono qui per porle un affare che renderà vantaggio al vostro regno e al mio» scrutò con attenzione la sovrana. Elsa vide il pavimento ghiacciarsi sotto i suoi piedi e fece un passo in avanti celando la magia, il gesto veloce e nervoso  non sfuggì agli occhi vigili dell'uomo che la guardò con interesse.
         «Sono pronta ad ascoltarla» le mani tremarono, qualcosa nello sguardo del Laird la spaventata, anzi la terrorizzava.
         «Potremmo unire i nostri regni in un contratto matrimoniale. Arendelle ha un sovrano intelligente, abile e forte, tuttavia è priva di un esercito. Certo i  poteri di vostra altezza sono sorprendenti, eppure mi chiedo cosa farebbe mai se un intero esercito piomberebbe qui, quanti riuscirebbe a sconfiggerne? DunBroch, invece,  pur essendo un piccolo regno è  forte e pieno di validi combattenti pronti a proteggerla». Elsa lo guardò dalla testa ai piedi con alterigia, aveva rifiutato molti pretendenti, scartando ogni proposta di matrimonio, tutti volevano il suo potere e quell'uomo che aveva di fronte non era da meno e mai e poi mai avrebbe permesso  ad un esercito di entrare  nel suo regno per quanto forte e valoroso potesse essere. Arendelle avrebbe mantenuto la sua indipendenza per sempre.
         «La mia risposta è no. Non posso sposare un uomo che non conosco e sopratutto del quale ignoro il nome» alzò un sopracciglio, sicura della sua vittoria. Il Laird porse un nuovo inchino.
         «Io sono Ramsay Sutherland, erede e primogenito di DunBroch, la mia famiglia è potente e famosa in quelle terre, purtroppo non lo erano i suoi predecessori— un sorriso enigmatico si dipinse sul suo volto —. Ma  basta divagare, attendo una sua nuova risposta».
         «No» rispose secca e decisa. Ramsay abbassò il capo sconfitto.
         «Mi avevano detto anche questo, la regina di Arendelle è davvero una donna  bella e fredda come il suo potere».
         Elsa ingoiò un boccone amaro, era questo che pensavano tutti di lei? Scosse il capo, non era quello il momento adatto per lasciare spazio ai sentimenti.
         «Per scusarmi del lungo viaggio che ha dovuto affrontare la invito a restare ad Arendelle, nel mio castello, per la festa del mio compleanno che si terrà a breve. Kai e Gerda vi accompagneranno nella vostra stanza. Ora con permesso dovrei andare, ho molto lavora da svolgere».  Girò le spalle al Laird e uscì dalla sala con il cuore che le martellava nel petto. Voleva scappare da quell'uomo il più lontano possibile. Lo aveva invitato al castello seguendo il protocollo di gentilezza e cortesia, anche quando un ospite non era gradito bisognava mostrarsi cordiali e disponibili,  mai rendere palesi le proprie antipatie a viso aperto, questo gli aveva insegnato suo padre. Celare, domare, mai mostrare. 
         Correndo raggiunse la sua stanza e rifugiandosi sbatté la porta, appoggiando la schiena al duro legno scivolò in terra. Aveva mantenuto le apparenze fino a quel momento, era riuscita a reggere quello sguardo così crudele e lucido, se vi fosse stata Anna con lei tutto sarebbe stato diverso... Sua sorella dov'era? Era già buio da molto. Si alzò e corse alla finestra. Il vento soffiava battendo sui vetri, incessantemente. Presto sarebbe giunta una bufera. Anna e Kristoff non potevano essere così irresponsabili da non rientrare al castello prima della tempesta. Sicuramente presto avrebbe udito la voce di Anna esultare di gioia spalancando la porta della sua stanza. Sorrise e quel pensiero rassicurante la convinse a distendendersi sul letto; aveva bisogno di riposo. Chiuse gli occhi.
         «Io sono Merida erede e primogenita di DunBroch e sono qui per riconquistare la mia terra». "E ti prego Elsa non abbandonarmi ora". 
        
 
 
 
Angolo Autrice:
         Salve a tutti e buona domenica. Come avete potuto notare in questo capitolo ho aggiunto un nuovo personaggio, totalmente di mia invenzione, tranne per il nome che mi sono lasciata ispirare dal Trono di Spade e il cognome che appartiene davvero a un clan scozzese; spero che questa nuova figura vi abbia almeno un po' intrigato e incuriosito. Anche la Filastrocca che recita Merida è di mia invenzione.
         Il termine Laird può essere tradotto anche come Lord, erano ricchi proprietari terrieri che governavano sui clan loro affiliati.
          Ringrazio i lettori e chiunque deciderà di lasciarmi una recensione, sia positiva, sia negativa, sono qui per migliorare. nBr

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Capitolo 3
*** Vendere l'anima ***


 

DunBroch
 
 
 
Due draghi si davano battaglia tra le torri del castello divorate dalle fiamme, emanando un lungo e possente grido si scagliarono l'uno contro l'altro. Ghiaccio e Ombra si fusero insieme in un esplosione di luce accecante, poi il buio.
         Un lampo squarciò il cielo. Il rombo del tuono sopraggiunse immediato.
         «Elsa!» urlò Merida alzandosi di scatto dal letto. Il cuore le martellava nel petto, nelle tempie, senza freni. Il corpo madido di sudore era scosso da violenti brividi freddi. Si guardò intorno nessuna torre bruciata, niente torce umane, o cadaveri disseminati sul pavimento della sua stanza e sopratutto nessun drago volava sulla sua testa. Un incubo. Tornò a stendersi chiudendo gli occhi. «Elsa» ripeté addormentandosi.
         Un timido raggio di sole si fece largo tra le densi nubi grigie infiltrandosi oltre la spessa tenda color ocra battendo sulle palpebre chiuse della principessa di DunBroch. Merida emise un grugnito, poco principesco, e si voltò dal lato opposto del letto coprendo la testa con il cuscino. La porta della stanza venne aperta con un sonoro tonfo facendo sussultare l'abile arciera dal suo sonno. I tre piccoli principi saltarono sul letto e sul suo corpo. Elinor spalancò la finestra facendo filtrare la luce del giorno.
         «Vorrei dormire!» si lamentò la ragazza.
         «Io non sono dello stesso avviso. Harris, Hubert, Hamish fate ciò che dovete».    I  bambini sorrisero furbescamente e tutti e tre insieme spinsero la principessa giù dal letto.
         «No!» Rotolò in terra trascinando le coperte alle quali aveva tentato di aggrapparsi. Elinor sollevò dalla testa della figlia il lenzuolo e la guardò con aria di rimprovero. Merida chiuse le braccia al petto sbuffando.
         «Non puoi poltrire per sempre, è tempo di svegliarsi. I Clan sono già qui e non voglio lasciare tuo padre a lungo solo con loro... Ricordi cosa è successo l'ultima volta?»
         L'arciera annuì.
         «Bene, bambini fuori di qui, vostra sorella deve vestirsi» batté le mani. Harris, Hubert e Hamish fecero delle smorfie di disgusto e uscirono dalla stanza correndo giù per le scale.
         «Che simpaticoni» si lamentò la ragazza alzandosi da terra.
         «Sono solo bambini e tuoi fratelli, prima o poi troverai qualcuno che ti troverà bellissima, anche se per me già lo sei» disse distendendo sul letto l'abito della cerimonia, dando le spalle alla figlia. Merida fissò  la schiena di sua madre e per un attimo le tornò in mente la donna del sogno.
         «Elsa è davvero bellissima» rispose senza pensare. Elinor si girò di scatto, sconvolta.
         «Chi sarebbe bellissim-a?» la regina fece fatica a pronunciare l'ultima vocale. Merida si risvegliò dal suo torpore e si precipitò a nascondere il rossore sulle guancie immergendo il viso nel bacile. «Sono lavata, possiamo anche andare» annunciò dirigendosi verso la porta cercando di non farsi guardare da sua madre. Elinor l'afferrò per il polso e la trascinò al centro della stanza.  Le braccia consorte al petto, il piede che batteva in terra freneticamente e le sopracciglia alzate erano tutti segnali che non  promettevano nulla di buono. La principessa tenne il viso basso, torturando una ciocca di capelli.
         «Va bene — si arrese —. Ho fatto un sogno, strano. C'era questa  bellissima donna dai lunghi capelli chiari come la neve e la pelle bianca come il latte. Ma ciò che più mi lasciava senza fiato erano i suoi occhi di un blu così  intenso da  far gelare e riscaldare il cuore in un solo istante e cambiavano di colore a secondo delle sue emozioni; da verde intenso quando era arrabbiata, a grigio scuro quando era preoccupata e blu cielo quando era felice...*» Prese fiato. Elinor l'ascoltava stupita, non aveva mai provato interesse così forte per nessun'uomo o donna e ora la ragazza di un sogno riusciva a far tremare e balbettare sua figlia. «E cavalcava un drago, un drago di ghiaccio!» disse tutto d'un fiato e i capelli e le guancie erano di un solo colore, rosso fuoco. La regina provò a dire qualcosa, senza riuscirci.
         «Sembra quasi che ti sia innamorata di questo ragazzo per come ne parli! Dimmi, dimmi come si chiama?» esclamò Fergus prendendo bonariamente in giro la figlia entrando nella stanza.
         «Elsa» rispose a domanda diretta fissando l'uomo negli occhi. Il re rimase a bocca aperta, prendendosi qualche minuto per pensare. «Elsa è un nome da ragazza, ma mi va bene chiunque basta che non sia un Dingwall!» rise battendo le sue grandi mani sulle spalle della figlia. Merida allentò la tensione e si lasciò contagiare dall'allegria del padre.
         «Fergus non puoi dire sul serio» scosse il capo Elinor.
         «Non importa, davvero. Chiunque sceglierà Merida un giorno, tranne un Dingwall, a me va bene». La principessa guardò suo padre e fu grata per quelle parole, perché in fondo l'accettava così com'era, una principessa un po' atipica.  
         «Ora basta, i Clan sono arrivati e noi siamo ancora in alto mare con i preparativi. Forza, esci e tu Merida vieni a vestirti. I Laird ci attendono».
         «Non preoccuparti i Sutherland ancora devono giungere e Maudie li sta intrattenendo con i dolcetti — Elinor gli lanciò un'occhiata gelida —. Sarà comunque meglio andare» e zoppicando uscì dalla stanza facendo un occhiolino d'incoraggiamento alla figlia.
         La principessa lasciò che sua madre l'aiutasse a lavarsi e a vestirsi. Indossò uno splendido abito celeste chiaro di satin,  non troppo stretto che le lasciava la possibilità di  liberi  movimenti. I capelli ribelli erano stati raccolti in una treccia e sul capo era stata posata una corona d'oro sottile  incastonata da gemme preziose. I piedi erano fasciati da sandali di cuoio.  Elinor l'ammirò sorridente e soddisfatta.  
         «Manca una cosa». Merida la guardò perplessa  mentre sua madre rovistava per la stanza cercando l'oggetto desiderato e quando lo porse alla principessa rimase con la  bocca aperta.
         «Davvero?» domandò.
         «Si, l'arco è parte di te e senza questo non saresti mia figlia». Si abbracciarono. La regina accarezzò la guancia della ragazza per poi indicarle la porta. Era pronta, bisognava presenziare.
         «Merida — si torturò le mani —, nessuno di noi ha mai visto in volto i Sutherland, ne sappiamo molto su di loro. Le uniche notizie che ci sono giunte... Ah, Niente. Forza, andiamo» troncò il discorso per non rendere reali i suoi timori.
         «Io sono Merida erede di DunBroch, figlia del re Orso e non ho paura di nessuno di loro». A pronunciare quelle parole i suoi occhi bruciavano d'orgoglio e determinazione. Elinor si portò le mani al petto e scoccò un ultimo bacio sulla guancia della ragazza.
         «É ora di andare».
         La regina precedette la principessa ed entrambe scesero le scale.  L'arciera accarezzò l'anello con il pollice, scintillò.
         Nella principale del castello  la confusione regnava sovrana. I Clan avevano scatenato una rissa e tutti gli uomini si gettavano gli uni sugli altri dando furenti colpi ai propri avversari. Fergus e i tre Lord di Macintosh, di DingWall e di MaCGuffin si azzuffavano senza controllo. I tre piccoli principi partecipavano attivamente alla rissa tirando i capelli dei rispettivi signori. Merida ridacchiò coprendo la bocca con la mano. Elinor esasperata roteò gli occhi al cielo e prima che potesse fermare la rissa dal portone principale entrarono una ventina di uomini tutti rigorosamente vestiti di rosso e nero. Non indossavano il kilt, ma lunghi mantelli che avvolgevano i loro corpi e i cappucci i loro visi. Lo stendardo a sfondo rosso con un Uomo in Fiamme venne poggiato in terra. Tutti smisero di combattere posando lo sguardo sui nuovi arrivati.  Elinor sentì un brivido freddo attraversarle la schiena e quasi temette di vedere un demone piuttosto che un uomo sotto il cappuccio.  Merida li osservava ammutolita, strinse con forza l'arco fino a far diventare bianche le nocche.
         Il Laird, un uomo di media statura, dalle spalle larghe e possenti, vestito interamente di rosso, smontò da un bellissimo stallone dal manto nero come la notte, e porse un breve inchino alla regina e alla principessa.
         «Il mio nome è Roose* Sutherland e questo alla mia destra è mio figlio Ramsay Sutherland I erede e primogenito del mio regno» la sua voce risultò un sussurro, malvagio.  Il principe, un ragazzo dai folti capelli neri e dagli verdi, dal viso spigoloso e senza un fil di barba, alto e dalle spalle larghe, seguì l'esempio di suo padre porgendo omaggio alle figure reali con un inchino. La risata di una donna  risuonò penetrante e gelida, ella rimase sul cavallo; metà volto era coperto da una maschera nera.
         «Non mi presenta, padre? Non sono degna anche io di considerazione?».
         «Perdonatemi, questa è la mia secondogenita Shane* Sutherland». La donna lasciò liberi i capelli e una cascata  di lunghi capelli corvini scese sulle  spalle, due occhi neri splendevano come rubini incastonati tra le ciglia scure e spesse. Era una donna snella ed elegante. Indossava un abito rosso, lungo fino alle caviglie, che fasciava perfettamente la sua figura, mettendo in risalto le forme. Le mani erano coperte fino ai gomiti da guanti neri.   Merida  per istinto nascose con la mano sinistra l'anello di ghiaccio. Roose avanzò verso il centro della sala, accompagnato dai figli. Elinor sorrise, un sorriso tirato.
         «Bene visto che siamo qui riuniti tutti, sono lieta di comunicarvi che da domani inizieranno i giochi che si concluderanno con la tradizionale gara con il tiro con l'arco» allargò le braccia e gli uomini dei Clan applaudirono, tranne i Sutherland che si limitarono ad annuire.
         «Sarete tutti nostri ospiti e vi invito a fare un giro del mio magnifico Castello!» urlò Fergus e tutti lo seguirono, spezzando così la tensione che si era creata. Shane prima di allontanarsi lanciò un'ultima occhiata a Merida e furtivamente  avvicinò le labbra all'orecchio del padre.
         «Lei ha l'ultimo anello».

 
Arendelle
 
 
La neve e il buio avevano coperto ogni cosa e il vento soffiava  così forte da scuotere le cime degli alberi. Il freddo penetrava tra gli spessi abiti, sulla pelle, tra le ossa. La bufera incalzava, incessante. Anna si aggrappò a Kristoff, mentre Sven trainava la slitta con estrema difficoltà.
         «Diamine fino a un attimo prima c'era il sole» si lamentò l'Ice Master*
         «La nostra magnifica gita rovinata e anche i nostri panini e non mi hai ancora fatto quella domanda che subito siamo dovuti tornare indietro»  piagnucolò Anna.
         «Però nevica, che bella la neve» intervenne Olaf guardando sognante il cielo.
         «Speriamo solo che non sia opera di Elsa... Non  reggerei un'altra crisi delle sue» insinuò il ragazzo. La principessa di Arendelle lo colpì allo stomaco con una gomitata.
         «Sarai anche il mio fidanzato ma non ti permetto di trattare così Elsa, sono sicura che lei non c'entra, almeno questa volta» sperò la ragazza. Kristoff aprì e chiuse la bocca, era inutile ragionare con Anna, adesso dovevano solo trovare un riparo sicuro.
         «E comunque secondo me ci siamo persi» annunciò il giovane guardando la strada innanzi a se completamente coperta di neve.
         «Ma dai il mio senso dell'orientamento mi dice che dobbiamo andare... di là!» urlò la ragazza saltando da seduta all'in piedi facendo perdere il senso dell'equilibrio alla slitta. L'Ice Master roteò gli occhi al cielo e costrinse la sua fidanzata a sedersi.
         «Cosa te lo fa credere?»
         «Il mio intuito e il mio prodigioso senso dell'orientamento. Olaf di anche tu a Kristoff come ho ritrovato il tuo naso?»
         «Rovistando nell'immondizia» rispose il pupazzo di neve.
         «Visto? Forza andiamo!» e senza preavviso prese le redini di Sven dalle mani del ragazzo e spinse al galoppo la renna. L'Ice Master si aggrappò al sedile di legno. Qualcosa gli diceva che si stavano allontanando da Arendelle e di molti, molti chilometri.

 
***
 
         Un soffio di vento aprì la finestra della stanza sbattendo contro la parete. Elsa si alzò di scatto dal materasso emanando un urlo. Si toccò la fronte era imperlata da goccioline fredde di sudore. Torturò i lunghi capelli biondi con le mani. Un nuovo sogno. Un incubo. Il vento soffiava feroce e incontrollabile, neve si era accumulata sul davanzale di marmo e questa volta non era opera sua. Il buio aveva avvolto ogni cosa e un dubbio atroce le attraversò la mente.
         «Anna».
         Uscì dalla stanza, sollevando la gonna azzurra con le mani, correndo per il corridoi del castello per giungere innanzi al portone principale. Due guardie la fermarono.
         «Maestà dove state andando?» domandarono corrugando la fronte. La regina si irrigidì  tornando alla sua famosa compostezza.
         «Mia sorella è uscita per una passeggiata questa mattina e credo che non sia più tornata» non si lasciò sfuggire un tremolio nella voce..
         «Purtroppo i suoi timori sono fondati, vostra altezza. La principessa Anna non è ancora giunta al castello. Abbiamo fatto partire una squadra di ricerche, ma sono dovuti tornare indietro. La tempesta infuria» annunciò  il capo delle guardie. I soldati abbassarono lo sguardo. Elsa si rese conto che tutti pensavano che fosse colpa sua. No, questa volta era davvero l'inverno e non i suoi poteri.
         «Se questo è quello che credete andrò io a cercare mia sorella, in fondo sono l'unica a poter sopravvivere a questo tempo».  Le guardie non osarono alzare il viso da terra, così come altri servitori radunatesi in quel momento.  Elsa ingoiò un boccone amaro che scese con fatica giù per la gola. Nonostante i suoi sforzi  per essere una brava sovrana, le sue notti passate ad allenarsi, e i giorni trascorsi a firmare carte e a creare piste di ghiaccio per far divertire tutti, i suoi abitanti ancora la temevano.  Era la regina delle nevi e nulla avrebbe fatto cambiare loro idea. Facendosi largo tra le guardie aprì la porta. Solo Kai e Gerda le corsero incontro, troppo tardi.  Il vento gelido attraversò la stanza costringendo i presenti a coprirsi con i loro mantelli, tranne Elsa.
         «Ferma» gridò una voce alle sue spalle. La regina si voltò, il suo sguardo e quello del Laird Di Dunbroch si incrociarono emanando scintille di fuoco.
         «Non sono affari che la riguardano».
         «In parte si, in parte no. Secondo me è una cosa sciocca quella che state per fare, da come ho intuito — morse la mela che aveva tra le mani — questa bufera non è colpa vostra, o sbaglio?»
         I servitori posarono i loro sguardi da Elsa a Ramsay.
         «Ripeto non sono affari che vi riguardano» ribatté con più fermezza di prima.
      «Una regina deve restare al suo posto e attendere, paziente. L'intero regno ha bisogno della vostra figura, o altrimenti potrebbe cadere vittima di pericolosi malintenzionati, come è accaduto tre anni fa». La sovrana serrò le labbra, aveva colpito dritto al centro del suo cuore. Lacrime pizzicarono ai lati degli occhi.
         «E allora cosa dovrei fare?» Uscì un sussurrò disperato. Ramsay scese le scale, lentamente, ogni passo era attesa e sofferenza. Elsa mantenne il suo sguardo fisso sulla figura dell'uomo.  Il Laird si trovò viso a viso con la regina.  La donna fece un passo indietro. Nessuno capiva cosa stava accadendo in quel momento, ma sembrava che il principe straniero  stesse giocando come un cacciatore con la sua preda, ed Elsa era  la preda.
         «Lasciate che vi aiuti, andrò io con i miei uomini a cercarla».
         «Dovrei fidarmi?» domandò la regina.
         «Non ha alternative» scrollò le spalle sorridendo, mettendo in mostra denti bianchi e perfetti.
         «No, ma se solo uno dei vostri torcerà un capello a mia sorella passerete il resto della vostra vita in prigione». 
         «Non si può negare di avere carattere. Bene, lasciate fare a me. Tornerò presto, con vostra sorella, altezza». Le guardie aprirono il portone quel tanto che bastava per permettere al principe di uscire. Elsa rimase a fissare la figura del Laird. Aveva paura di quell'uomo, ma era la sua unica speranza di trovare Anna. Gerda accarezzò maternamente la guancia della sovrana, asciugandole le lacrime.
         «Maestà davvero si fida di quell'uomo?» domandò Kai apprensivo. Elsa scosse il capo stringendo le braccia al corpo, per proteggersi.
         «Venite vi accompagno nelle vostre stanze, ragazze preparate una cioccolata calda e voi guardie tenete d'occhio il cancello» ordinò con autorità la donna. Annuirono all'unisono. E mentre salivano le scale Elsa si rivolse alla sua buona cameriera.
         «La ringrazio, Gerda».
         «Vostra madre e vostro padre sarebbero fieri di voi, altezza». Elsa chiuse gli occhi sorridendo, stringendo le mani grassocce e morbide della donna. "No, non lo sarebbero. Ho venduto l'anima al diavolo pur di salvare mia sorella. Merida fa che tu non sia solo un sogno" non rese manifesti i suoi sentimenti, ricacciò indietro le lacrime e attese il suo destino.

 
***
 
         Il vento ululava e batteva con forza, fischiando fin dentro le scuderie. Nessun raggio di sole batteva sulla candida neve e il freddo era così rigido da far gelare le ossa. Ramsay  montò in sella al suo destriero, stringendosi nel mantello di lana. Una donna bassa, con la schiena curva, che si reggeva a malapena sulle sue gambe si rivolse al principe con riverenza.
         «Mio Laird perché sta compiendo questo gesto così folle?»
         «Non sei stato tu a dirmi di dover trovare io per primo la principessa di DunBroch?»
         «Bastava attenderla qui e poi ucciderla. Non capisco perché mettiate a repentaglio la vostra vita» rispose la vecchia.
         «Un uomo per conquistare il cuore di una donna deve fare cose folli, io non solo voglio Elsa per i suoi poteri, ma anche per la sua bellezza e grazia. E poi sarà meglio trovare prima noi Merida, così la storia seguirà il suo corso, senza interruzioni».
         « Le auguro lo stesso buon viaggio. Io vi attenderò qui».
         «Strega codarda» e con un colpo ai reni spronò il cavallo al galoppo, cinque uomini seguirono il principe. La vecchia rimase a fissare la schiena dell'uomo, per poi alzare lo sguardo verso il cielo.       "Con il destino proprio non si gioca".
 
 

 
Angolo Autrice:
Salve a tutti e buon giovedì pomeriggio, prima di rifiondarmi sui libri ho deciso di aggiornare e dopo avervi reso partecipe del mio studio passiamo alle cose fondamentali.
         1* Durante il film, che ho rivisto ieri sera per scrivere questa parte, mi è sembrato che quando Elsa è agitata, o felice, preoccupata e ancora nervosa, il colore dei suoi occhi cambia. Non so se la Disney lo ha fatto di proposito o è uno scherzo del computer, oppure sono io che devo tornare dall'oculista. Comunque sia ho voluto rimanere questa parte perché mi piaceva (licenza scrittoria).
         2*Roose è il nome del padre di Ramsay nel libro e telefilm del Trono di Spade, ma saranno due personaggi diversi.
         3* Shane è un nome irlandese, più maschile che femminile, loro si trovano in Scozia, ma io amo questo nome e purtroppo ho il brutto vizio (anche nelle mie storie originali) di dare ai personaggi femminili nomi maschili. Lady Osca ha fatto i suoi danni.
         4*Preferisco chiamare Kristoff Ice Master che Mastro Consegnatore del Ghiaccio, insomma è lunghissimo e poco "figo".
Detto questo vi saluto e vi ringrazio per l'attenzione e per la lettura. Al prossimo capitolo, Mai Valentine.

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Capitolo 4
*** Il gioco ***


DunBroch
 
Il sole splendeva alto nel cielo, non  vi erano  nuvole all'orizzonte e l'aria profumava di primavera. Tutti i Clan erano riuniti innanzi ai quattro troni reali. Fergus con una mano poggiata sul braccioli di legno dormiva profondamente; la notte precedente aveva bevuto un po' troppo. Elinor tossì con forza puntellando il gomito nel fianco del marito. Il re sobbalzò dallo scarno e per poco non cadde in terra sotto le risa generali. I Sutherland aspettavano silenziosi una parola del re.  "Buffone, dovrei sedere io su quel Trono" pensò Shane guardando l'uomo. Ramsay si lasciò sfuggire una risata, mentre suo padre fissava impassibile Fergus.
         «Alzati da terra i Clan attendono che tu dica qualcosa» bisbigliò la regina rimproverando il suo consorte.
         «Che inizino i giochi!» urlò alzando le braccia verso l'alto. Tutti i presenti batterono le mani sul petto e con un grido di giubileo  si cimentarono nelle loro tipiche attività: tiro alla fune, lancio del tronco e non poteva mancare la classica lotta. Solo i Lord e dei rispettivi Clan e gli eredi  rimasero all'in piedi innanzi al re. A loro aspettava l'onore di mangiare con i monarca.
         «Sedetevi» disse la sovrana indicando delle panche di legno di quercia sulla quale troneggiava ogni leccornia: dai dolci, alla carne, dalle fette di pane col burro e miele, al vino rosso. Fergus alzò  la coppa di vino gridando: «alla pace tra i Clan!» le voci degli uomini si confusero le une sulle altre inneggiando insieme alla pace. Fergus fu il primo a bere e a portare alla bocca il cibo venendo imitato dagli altri Lord.  I Sutherland  non toccarono nulla di ciò che era stato offerto.
         «Qualcosa non vi aggrada?» domandò Elinor titubante.
         «Non mi sembra corretto mangiare senza l'erede al trono» rispose Roose serio in volto. La regina non si aspettava una simile risposta. Merida non era ancora arrivata, probabilmente si stava allenando per la gara con l'arco. Ma prima che potesse inventarsi una scusa, l'arciera si precipitò dai genitori e dai Lord con una grande corsa. Porse un veloce inchino e addentò una mela, rossa e succosa. Shane roteò gli occhi al cielo, quella ragazza mancava di grazia e di educazione.
         «Merida!» la voce di sua madre arrivò forte e chiara alle orecchie della ragazza che lanciò il frutto alle sue spalle facendo un inchino.
         «Buon giorno a voi miei Lord, dormito bene?» chiese con finto interesse. Tutti fecero un cenno d'assenso, anche Roose.
         «I cani hanno abbaiato per tutta la notte e ora mi scoppiano le tempie» ribatté Shane guardando dritta negli occhi la giovane. La principessa scrollò le spalle.
         «Allora le converrà dormire con la testa sotto il cuscino» sorrise. Fergus strozzò una risata, mentre Ramsay si morse il labbro per non ridere. Anche il capo Clan degli Sutherland ammirò il coraggio dell'erede di DunBroch, in silenzio. Shane strinse le mani avvolte dai neri guanti di cuoio e fissò la principessa con uno sguardo da far gelare il sangue nelle vene. Merida mantenne la sua posizione, senza vacillare. Quella notte aveva fatto un dolce sogno e non avrebbe permesso a nessuno di rovinargli quel ricordo e quella giornata.
         «Basta così Shane, non siamo qui per fronteggiarci tra noi» la rimproverò Roose. La donna alzò le braccia e tornò a concentrarsi sulla sua colazione, calpestando con il tacco dello stivale il piede di suo fratello.
         «E questo per cosa?» domandò sottovoce.
         «Per aver riso di me. Ricordati che senza il mio potere e i miei anelli non arriverai da nessuna parte». Ramsay stava per ribattere quando il suono di un corno rimbombò per tutto il bosco. Fergus saltò dal trono e rosso in viso per la gioia  corse prendendo sua moglie in braccio verso il centro della radura.
         «E ora cosa accade?» chiese l'erede dei Sutherland.
         «I cacciatori sono tornati, significa che mangeremo carne fresca. Forza andiamo!» esclamò MaCGuffin. I tre restanti Lord e i loro figli si precipitarono dal re accompagnati da Merida. Solo i  Sutherland rimasero indietro.
         «Odio la caccia e la carne, puzza di morto».
         «Tu ami la morte e la carne bruciata» ribatté suo fratello.
         «Quella degli uomini, certo. Padre quando attaccheremo davvero?»
         «Questa notte dopo il tradizionale tiro con l'arco, al far del crepuscolo. Mi sono già stancato di tutta questa storia» si alzò dalla sedia brandendo tra le mani la sua mazza ferrata. «Ramsay con me, Shane ovviamente tu resti qui. Non voglio dare troppo nell'occhio».
         «Devo sempre restare in disparte... Che noia» sbuffò passandosi le dita affusolate  tra i capelli sottili con un gesto  elegante e sensuale. Roose batté una mano sulla spalla del ragazzo facendogli segno di andare.
         «Raggiungi gli altri, devo parlare con tua sorella» ordinò con autorità. Ramsay  si apprestò ad aiutare gli uomini nella caccia, era felice di allontanarsi; lo sguardo spento e cupo di suo padre non permetteva nulla di buono. Corse.
          Roose prese tra il pollice e l'indice il mento della figlia fissandola  dritta negli occhi, sussultò.
         «Sei uguale a tua madre» disse con un sussurro.
         «No, io sono più forte».
         «Proprio per questo tu non devi mostrarti, non ora almeno. Aspetta che tuo fratello prenda il Trono e poi sarai tu a entrare in azione». Shane chiuse le braccia al petto, girando la testa di lato.
         «A me le ossa, eppure mi sembra che sono io a detenere il potere e gli anelli».
         «Tranne uno — Shane lo fulminò con lo sguardo —. Ascoltami lui prenderà il trono e sposerà Merida, loro regneranno solo di nome, ma sarai tu a comandare di fatto. Ci siamo intesi?» La donna annuì. Roose gli baciò la fronte e si allontanò voltandole le spalle.
         Shane rimase in disparte. Osservava  cupamente la scena di caccia, avevano catturato davvero un grosso e grasso cinghiale. Non obbedendo all'ordine del padre sciolse i lacci del guanto lasciando libera la mano sinistra. L'ammirò, la sua pelle pallida risplendeva sotto la luce solare. Con il semplice scoccare delle dita creò un arco, fluttuante e incorporeo come l'ombra. Nascose la sua creazione sotto il mantello. "Anche io ho il diritto di divertirmi un po'".
 
***
 
         Al tramonto tutti gli arcieri erano in posizione. Servi, guardie, uomini, donne e bambini erano tutti stretti gli uni agli altri spintonandosi tra di loro per avere la posizione migliore per guardare il tiro con l'arco. Elinor fissava sua figlia, con le mani strette al petto pregava per lei. Fergus batteva nervosamente la mano sul bracciolo; il primo a scoccare sarebbe stato MaCGuffin. Il ragazzo biondo e dal corpo taurino, con il passare del tempo era diventato un gigante e si era molto allenato al tiro con l'arco, ma non sarebbe mai stato bravo o abile come quanto lo era ad affondare navi con i tronchi. Tirò. La freccia sfiorò il centro. Ci fu uno scrosciare di applausi. L'erede dei Macintosh era diventato ancora più alto, più tatuato e più sicuro di sé e della sua bravura. Lanciò un'occhiata a delle giovani ragazze alle sue spalle che esultarono di gioia, un ragazzo svenne. Anche per lui fu il momento di scoccare. La freccia si andò a conficcare troppo sopra al cerchio blu. Come ogni anno anche questa volta si disperò gridando e saltando. "Per l'amore del cielo" bisbiglio Shane. Il piccolo DingWall guardò spaesato il bersaglio, era l'unico che nel corso del tempo era rimasto uguale. Scagliò la freccia, quasi centro. E quando finalmente toccò a Ramsay Sutherland Shane spintonò il fratello facendolo cadere in terra prendendone il posto. Rosse strinse con rabbia il manico di legno e ferro dell'ascia. Era furente.
          La donna lanciò uno sguardo di sfida alla principessa e scoccò. La freccia squarciò il bersaglio andandosi a conficcare oltre il terreno. Elinor si alzò dal trono incredula, solo sua figlia possedeva così tanta bravura. Fegus portò alla bocca l'otre di vino facendo un lungo sorso. Merida accettò la sfida. Raccolse il suo arco, si mise in posizione, il vento soffiava sul viso e tra i capelli ricci e mossi, aspettando il momento adatto. Inspirò a lungo e scoccò. La principessa aveva scelto lo stesso bersaglio di Shane,  tirando da una distanza maggiore, e come aspettato la freccia della principessa andò a conficcarsi accanto a quella della donna. Di due centimetri più avanti. «Nessuno può battermi in questo gioco» se ne andò lasciando da sola una Shane sorridente.
 
***
 
         Nella sala principale del Castello di Dunbroch si erano radunati tutti i Clan. Gli uomini ballavano, ridevano, mangiavano e bevevano. Re Fergus combatteva contro un orso immaginario raccontando come aveva perso la gamba contro Mor'Dur. A nessuno importava quel giorno che quella storia fosse vecchia, bastava l'alcol a rendere ogni storia interessante e nuova. Maudie e le serve portavano continuamente cibo, vino e birra in tavola rendendo euforici i presenti.
         Elinor si era ritirata nelle sue stanze a leggere, odiava la confusione. Merida aveva preferito seguire l'esempio di sua madre, scusandosi con tutti i Lord per la sua assenza, preferiva stare lontano dai Sutherland, da Shane Sutherland. Quella donna le incuteva timore e si era ritenuta molto fortunata a vincere la gara con l'arco, eppure un dubbio le attanagliava la mente: da dove era uscito quell'arco d'ombra?.
         I festeggiamenti come previsto durarono per tutta la notte e Ramsay partecipò attivamente alla festa prendendo parte all'allegria generale. Roose sicuro di non essere visto si  avvicinò alla figlia che disegnava sul tavolo di legno una mappa del luogo. Il Lord sbatté le mani sul tavolo. Shane sollevò il sopracciglio, guardandolo con la coda dell'occhio.
         «Il tuo gesto di oggi è stato davvero sconsiderato... Non dovevi mostrare i tuoi poteri» ringhiò.
         «Nessuno se ne è reso conto. Volevo solo divertirmi un po'. Sono tratta sempre come una bambolina e mi annoio». Roose emanò un verso gutturale, molto simile per lui a una risata.
         «Mia figlia si sente una bambolina? Allora ti divertirai a diventarlo davvero, una bella bambola di fuoco se la prossima volta non mi ascolterai». Shane strofinò le mani e Roose percepì il potere di sua figlia diventare più forte.
         «Va bene, ho capito. Vai dagli uomini e di loro che è il momento di attaccare. Il castello è in difeso».
         «Con immenso orgoglio padre» e avvolgendosi nel mantello scomparve in una nuvola di fumo nero. Shane raggiunse un'altura, intorno a lei verde e vita. Sorrise. "Presto ci sarà morte, ci sarò io". Gli uomini dei Sutherland aspettavano un cenno dal loro Lord e da giorni erano radunati sull'altura coperti dai neri mantelli e da una nebbia densa e nera. Il capitano dei Sutherland avvertì una strana presenza. L'ombra si dissolse e innanzi a loro apparve Shane. L'uomo fece un passo indietro, il suo cavallo nero nitrì spaventato.
         «Ci aspettavamo il Lord» esordì  cercando di scrutare nel buio la donna.
         «Il Lord è impegnato ad ascoltare stupide storie e mio fratello sta ballando con un orso. Sono io a prendere il comando, ora» annunciò leccandosi le labbra coperte dalla maschera nera. Il Capitano guardò i suoi uomini e fece un lungo respiro.
         «Cosa dobbiamo fare?»
         «Bruciare tutto. Ah, gli unici che devono restare in vita sono i DunBroch  e i capi degli altri Clan, il resto uccideteli pure se vi capita».
 
 
***
 
 
         Nel cuore della notte i Sutherland conquisteranno  la città mettendola ferro e a fuoco. Fu un attacco imprevisto che sorprese coloro che stavano dormendo e chi era sveglio non era in grado di combattere. In poche ore il Castello era in mano ai Sutherland. Molti vennero fatti prigionieri.
         Merida si svegliò di soprassalto aveva udito orribili rumori, aveva afferrato il suo arco e aperto la porta della stanza quel tanto che bastava per vedere ciò che stava accadendo. Qualcuno la vide. La principessa afferrò la spada appesa alla parete e si scagliò contro il nemico. Si fermò riconoscendo il volto di sua madre. Il cuore di Elinor batteva a mille. Abbracciò la figlia stringendola con forza a sé. «Grazie al cielo sei ancora viva» pianse lacrime di gioia.
         «Che costa sta accadendo? Dov'è Fergus, dove sono gli altri Clan. Chi ci ha attaccato? E cosa vogliono? Devo combattere» corse verso la porta.
         «No! Devi fuggire. Per noi non c'è più speranza. I Sutherland ci hanno conquistato e ti vogliono! Vogliono il tuo anello e te. Devi tornare a quella grotta... E raggiungere la ragazza del sogno forse lei potrà aiutarti». Merida tentò di svincolarsi dalla presa della madre.
         «Io sono una guerriera!» gridò.
         «Non questa volta. Shane è una strega, un mostro. È stata lei a ferire tuo padre con un cane dagli occhi rossi, dalle zanne affilate e terribili,  e dal corpo d'ombra. Non hai speranze contro di lei. Roose e Ramsay possono essere sconfitti, ma lei no. Per questo ti chiedo di fuggire e di trovare la ragazza del sogno. Non è stato un caso che tu abbia trovato l'anello e l'abbia sognato. Deve aiutarci e forse anche lei è in pericolo». E mentre parlava le sfilò la camicia da notte infilandola in fretta l' abito verde e le cinse il collo con il suo ciondolo regalandolo alla figlia. Merida era confusa e quando tentò di opporre resistenza Elinor aprì la finestra e chiamò Angus, per fortuna il cavallo era lasciato libero di pascolare ovunque e quel momento non si trovava nelle scuderie date alle fiamme.
         «Ti voglio bene»  la getto giù dalle finestra. Merida cadde sulla groppa del suo destriero. Il cavallo  galoppò allontanandosi da DunBroch. Poco dopo degli uomini entrarono nella stanza della principessa. Elinor accarezzò l'elsa di un pugnale che aveva trovato sul tavolo. Oppose resistenza per far guadagnare tempo a sua figlia, riuscì a graffiare il fianco di uno dei soldati, combatté come una leonessa, come mai aveva fatto in vita sua.  Altri tre uomini entrarono nella  camera. Venne catturata e trascinata in catene innanzi al Trono. La sala che prima era colma di festa e allegria, adesso si era tramutata in desolazione e morte. Elinor venne legata insieme a suo marito e agli altri lord, mancavano i piccoli principi. Shane sedeva sullo scarno di legno.
         «Dove sono i miei figli?» gridò la regina.
         «Dovresti dirmelo tu, Elinor».
         «Bugiarda» urlò.
         «Se non me lo dirai ucciderò tuo marito con il mio cane» accarezzò la testa alla bestia feroce accucciatale accanto. Elinor sgranò  gli occhi, spaventata.
         «Tu sei pazza».
         «Può darsi. Allora, dove sono i tuoi figli?»
         Tacque.
         «Cucciolo, uccidi!» Prima che il cane potesse scagliarsi contro Fergus e l'urlò di Elinor squarciare il cielo, Ramsay entrò nella sala.
         «Merida è scappata».
         «Come immaginavo. Ramsay insegui e portala qui».
         «Vacci tu, il trono è mio» ringhiò il fratello. Roose annuì. Shane si alzò dallo scarno e con un manipolo di uomini uscì dalla sala.
  
 
***
 
         La principessa galoppava aggrappata alla criniera di Angus, il cavallo non era serrato. Lacrime copiose sgorgavano dai suoi occhi. Stava fuggendo come una qualsiasi codarda, senza combattere. Sentì qualcosa, anzi qualcuno abbracciarla con forza, erano i tre piccoli principi. Gli occhi di Merida si colmarono di gioia.
         «Voi siete vivi! Come avete fatto... Mamma». I bambini annuirono. Rumore di zoccoli proveniva alle loro spalle.
         «Ci hanno già visti. Angus, vai, vai!» il destriero galoppò più che poté. Shane le era affianco. Merida strinse a sé i fratelli e sguainò la spada. La donna la ferì al fianco, un profondo taglio, bruciava. La principessa non cadette, doveva sopravvivere per sua madre, per suo padre, per i suoi fratelli e il suo Clan. Fu allora che l'anello di ghiaccio, mentre Shane le estraeva la lama dalla carne, si illuminò e un'ombra a forma di drago di ghiaccio divorò l'ombra di Shane. L'anello la stava proteggendo.
        
         Se la strada vuoi trovare nel tuo cuore devi cercare.
         Nel futuro devi andare, se il tuo tempo vuoi salvare.
         Il Drago di Ghiaccio devi pregare.
 
         «Di nuovo!» esclamò la ragazza. Innanzi ai suoi occhi si presentò la grotta. Angus saltò le stalattiti e vi entrò galoppando. Non vi erano più scale o vie labirintiche solo il Trono che diventò uno specchio d'acqua. Lo attraversò.
 
 
Arendelle
 
I raggi del sole riscaldavano il corpo di due giovani amanti avvinghiati l'uno all'altra. Anna aprì gli occhi stiracchiando le braccia al cielo. Kristoff  le accarezzò la schiena nuda mordendole i fianchi.
         «Questa volta avevi ragione, non me l'aspettavo che saresti stata capace di trovare un posto così accogliente — toccò il morbido materasso — tu che sei abituata a perderti in uno sgabuzzino*» scherzò l'Ice Master. Anna lo fulminò con lo sguardo.
         «Mi dispiace solo per Olaf e Sven che hanno dovuto dormire in stalla, ma proprio non ne volevano sapere di farli entrare» rispose la ragazza alzandosi dal letto.
         «Ci faremo perdonare».
         «Finalmente possiamo tornare ad Arendelle! Lo sapevo che non era stata colpa di Elsa» esultò la ragazza guardando fuori dalla finestra.
         «E io farti finalmente quella proposta» disse mentre indossava la camicia azzurra e il gilet di lana.
         «Oh, no. Dobbiamo muoverci» annunciò la principessa vestendosi di tutta fretta.
         «Che succede?» chiese il ragazzo prendendo al volo i panni lanciati dalla sua fidanzata.
         «Gli uomini in nero di ieri sono qui».
         «Per tutte le renne».
        
         Stavano camminando da ore e tutto innanzi a loro era coperto da un alto strato di neve. Il vento soffiava così forte da costringere a chiudere gli occhi. L'unico al proprio agio era Olaf. « Ti sei sbagliata, Anna!» la rimproverò l'Ice Master. La principessa mise il broncio e con sguardo furente minacciò il ragazzo. «Io non mi sono persa»
         «E allora dimmi dove siamo!» esclamò esasperato Kristoff. Anna tacque. Rumori provenivano alle loro spalle. Non erano lupi. Furono circondati da un gruppo di uomini tutti vestiti di rosso e nero. «E questi cosa vorranno?» domandò Olaf,
          "Non credo caldi abbracci". L'Ice Master spinse al galoppo Sven gli uomini li inseguirono. Il ragazzo tuttavia seguì il suo istinto e lasciò le redini ad Anna, la principessa aveva uno strano intuito per queste cose. Dopo una lunga cavalcata seminarono gli uomini in nero e giungessero per caso, per destino o per fortuna  innanzi alla porta di una locanda "La storta signora". Entrarono.
         Era un locale pulito e soprattutto caldo, vi erano alcuni tavoli liberi. Il locandiere un uomo di bassa statura e da fluenti capelli rossi si rivolse con un sorriso.
          «Cosa posso fare per voi?" domandò gentilmente.
         «Cibo e una stanza per quattro» rispose Anna come se far dormire una renna in una stanza fosse la cosa più normale del mondo.
         «Mi dispiace signorina ma le renne devono stare bella stalla e anche strani pupazzi...» guardò con fare sospetto Olaf. Anna e Kristoff annuirono e con dispiacere lasciarono i loro amici nella stalla, ma nessuno di loro due  aveva bisogno di un letto e di un camino caldo. Sicuri di non essere più inseguiti poterono godersi la serata.
 
 
         Fino al giorno dopo.
         La porta della stanza da letto venne spalancata. Uomini dai mantelli neri e rossi entrarono con passi felpati, non trovarono nulla solo abiti disseminati sul pavimento e un letto sfatto, caldo al tocco. Guardarono oltre la finestra e in quel momento si resero conto che stavano fuggendo.
         Anna e Kristoff si erano gettati dalla finestra e avevano corso verso la scuderia saltando sulla slitta. Olaf li aveva salutati con un caldo abbraccio e in tutta fretta erano fuggiti.
         «Ma  perché ci inseguono? Si saranno offesi per non averli abbracciati?» domandò ingenuamente il pupazzo di neve.
         «Non lo sappiamo Olaf, ma prima li seminiamo e prima facciamo».
         «Quindi niente caldi abbracci?»
         «Dopo, Olaf» rispose Anna.
         Ad un tratto furono costretti a fermarsi, Sven era inciampato su un masso di neve troppo denso, venendo scaraventati fuori dalla slitta atterrarono sul manto morbido e freddo. Kritoff si guardò alle spalle, la strada era deserta. Olaf e Anna  aiutarono la  renna a rialzarsi, quando la principessa vide la neve sporca di sangue e una mano.
         «Aiuto!» gridò spaventata.
         «Anna!» corse Kristoff brandendo una padella.  Eugene, il marito di Rapunzel*  cugina di Anna ed Elsa, aveva raccontato loro in una lunga lettera come aveva sconfitto  delle guardie reali con una padella e come in tutto il loro regno fosse stata sostituita alle spade, consigliando alla monarca di seguire il  loro esempio. Kristoff l'aveva trovata una prospettiva interessante. L'Ice Master si avvicinò alla ragazza.
         «Cosa succede?»
         «Una persona... Aiutami a tirarla fuori».
         «Olaf fai la guardia».
         «Si Kristoff». La buffa creatura scrutava l'orizzonte con estrema attenzione, Sven gli teneva compagnia.
         La principessa e l'Ice Master sollevarono dalla neve il corpo di una giovane donna, stretta a lei vi erano  tre piccoli bambini, posandolo sulla slitta. Indossavano  abiti di lana grezza, strane sciarpe erano tenute ferme alla vita con una cintura d'oro che legava a se dei buffi gonnellini dal colore verde, per quanto riguardava i tre ragazzini. La ragazza, invece, portava un lungo abito verde squarciato in più punti. Anna incuriosita girò il ciondolo d'argento e vi lesse parole scritte in una lingua a lei sconosciuta.
         «Non sembravano di queste parti» si grattò la testa Kristoff, confuso.
         «Non sembrano di quest'epoca» insinuò Anna. A un tratto videro Olaf fuggire  sollevando neve.
         «Ci attaccano!» gridò il pupazzo. Provarono a fuggire, di nuovo, ma questa volta vennero circondati da troppi uomini tutti insieme. Kristoff brandiva la sua padella, Anna serrò i pugni in posizione d'attacco.
         «Non vogliamo farvi del male, vostra altezza».
         Tutti puntarono lo sguardo su un uomo che avanzava tra la neve sicuro di se, era alto e magro, dagli occhi verdi e da un sorriso enigmatico. L'uomo scese da cavallo facendo un profondo inchino.
         «Chi sei tu?» gridò la principessa. Kristoff coprì il corpo di Merida e dei tre ragazzi  con una coperta di lana, aveva un brutto presentimento.
         «Io sono Ramsay Sutherland, ospite di vostra sorella Elsa al Castello».
         «Perché ci avete inseguiti?» chiese l'Ice Master.
         «Non vi stavamo inseguendo, vi stavamo salvando dalla bufera, come mi aveva chiesto la regina. Purtroppo i miei uomini sono stati fin troppo bruschi e rozzi, chiedo perdono» portò una mano sul cuore.
         «Allora torniamo al castello, mia sorella mi dirà la verità» lo guardò con sospetto.
         «Bene, allora vi precederemo. Uomini si ritorna ad Arendelle».
         «Ti fidi di lui?» domandò kristoff prendendo le redini.
         «Neanche un po'» rispose Anna.
 
***
 
         Elsa chiusa nella sua stanza attendeva il ritorno di Anna. La camera era ricoperta di neve e freddo ghiaccio. La sovrana camminava innanzi e indietro, ansiosa di ricevere notizie. La tazza colma di cioccolato caldo era poggiata su mobile accanto al letto intatta. La sovrana si torturava le mani cercando di cacciare dalla mente i cattivi pensieri. Si torturò i capelli con le mani, guardandosi e riguardandosi allo specchio. Non aveva chiuso occhio per tutta la notte e solo alle prime luci dell'alba la bufera era passata. Erano le dieci del mattino e di Anna nessuna notizia. Ad un tratto bussarono alla porta.  «Maestà,  il Lord è tornato e con lui c'è vostra sorella».
Le porte del cancello del castello vennero aperte lasciando entrare il Laird Ramsay con i suoi seguaci. Elsa si precipitò per le scale abbracciando con affetto e preoccupazione la sorella.
         «Anna!» esclamò con enfasi controllando se fosse ferita.
         «Anche io sto bene» mugugnò Kristoff.
         «Sono felice anche per te» ribatté la regina sorridendogli. Era contenta di vedere tutti loro. Olaf le saltò in braccio stringendole il collo con le sue braccia, pizzicandola. La  monarca versò lacrime di gioia e felicità. Ramsay sorrise. Elsa si ricompose per un attimo e si rivolse al principe straniero.
         «Ramsay Sutherland vi ringrazio per quello che avete fatto per me. Potete chiedere ciò che vorrete».
         «No, maestà. Vostra sorella è arrivata a casa da sola, noi l'abbiamo trovata solo questa mattina e ci è stato un piccolo malinteso tra noi». La sovrana alzò un sopracciglio.
         «Oh avevo creduto che volessero ucciderci, sai ci hanno rincorso tutta la notte e il giorno dopo ancora, con spade sguainate e ferocia. Non sapevo che fosse un principe venuto a cercarci».
         «Malinteso perdonato. Ora credo che sia meglio per voi e anche per me riposarmi, alcuni lupi ci hanno attaccato durante la notte. Ho il vostro congedo, maestà?» si inchinò.
         «Congedo e gratitudine. Sarei comunque ben liete di soddisfare le vostre richieste».
         «Non c'è niente che io voglia». "Tranne te" pensò.
Il Laird si accomiatò dalla regina dirigendosi nelle sue stanze. Anna, Kristoff ed Elsa rimasero soli. Olaf si era precipitato a mangiare cioccolata raggiungendo le cucine di gran corsa.
         «Che uomo inquietante» disse la principessa guardando sua sorella.
         «Sarà nostro ospite per un po', fino al giorno del mio compleanno» rispose Elsa appoggiandosi alla slitta. Con la mano sfiorò qualcosa di morbido e sodo. Sobbalzò. Una ragazza cadde ai suoi piedi dalla slitta. Aveva lunghi capelli rossi, ricci e mossi, e occhi color dell'acquamarina e un sorriso dolce e furbo. Era la ragazza del sogno.
         «Merida» sussurrò.
 
***
.
          Ramsay seduto su una morbida poltrona della sua stanza sorseggiava del vino caldo, la legna scoppiettava nel camino riscaldandolo. Si torturò la pelle del viso con la mano libera. La strega lo fissava con il capo chino.
         «Te l'avevo detto che non l'avresti trovata. Quando arriverà al castello tu la ucciderai, non prima, non dopo» annunciò la vecchia.
         «Taci» urlò l'uomo.
         La finestra si spalancò. Il fuoco si spense e un'ombra di donna apparve sulla parete accanto al camino. L'uomo si alzò di scatto, rovesciando in terra la sedia. Spaventato sguainò la spada, pronto a colpire.
         «Non si può uccidere un'ombra».
         «Ah, sei tu» disse riponendo la spada. La strega sgranò gli occhi fissando incredula la parete.
         «Ti avevo detti che ti sarei venuta a trovare» l'ombra si staccò dalla parete divenendo umana. Ramsay le baciò la mano.
         «Hai già trovato Merida?» chiese portando alla bocca il calice di cristallo  sorseggiandone il vino.
         «No, non dove sia. Spero di ucciderla presto».
         «Ucciderla?» Shane strinse troppo forte il bicchiere, mille pezzi di vetro caddero si sparsero sul tappeto persiano.
         «Tu non devi ucciderla. Vuoi forse morti tutti i Sutherland? Lei deve tornare nel passato e compiere il suo dovere». La donna si rese conto in quel momento di un'altra presenza nella stanza. La vecchia si era nascosta tra l'armadio e la parete.
         «É stata lei a suggerirtelo, vero? Idiota. Quante volte ho detto di non fidarti delle sue parole? Lei rivuole i suoi anelli e  morti tutti i Sutherland. É stata lei a giocare con il tempo per cambiare il destino anche se il destino non si può cambiare. Per questo ho mandato te ad Arendelle, perché sapevo dove sarebbe andata e tu devi riconsegnarci la ragazza o non nascerai mai mio caro Ramsay XIII». La strega tentò di fuggire trasformandosi in un uccello, Shane chiuse la finestra con la sua magia. «Non puoi sfuggirmi, io sono più forte di te». La vecchia venne imprigionata mani e piedi con serpenti d'ombra.
         «Cosa stai pensando. Il tuo piano non si limiterà solo a governare su DunBroch... Cosa vuoi fare davvero Shane? A quale gioco stai giocando?»
         «A un bel gioco, diventare signora del tempo e regnare in ogni epoca presente, passata e futura. Tu conquista Elsa, ottieni il suo poter e fai in modo che non conosca Merida e nulla potrà fermarci». Lo baciò sulle labbra e sparì avvolta dalle tenebre. Ramsay rise.
        
        
 
 
Angolo Autrice:
Salve a tutti e buona domenica. Spero che in questo capitolo siano state chiarite alcune cose e che vi sia piaciuto (forse vi ho confuso ancora di più le idee, non vi preoccupate anche io sono perennemente confusa).
1*La battatuta che fa Kristoff dello sgabuzzino l'ho "rubata" dalla recensione di Ray46 che ringrazio per l'idea.
2*Si dice che Rapunzel sia cugina di Elsa e Anna ed essendo Eugene suo marito sono quindi imparentati tutti. Mi sembrava un'idea divertente vedere Kristoff usare la padella come la Rapunzel.
Ringrazio di cuore tutti voi per le recensioni e ringrazio chi mi segue e chi legge. A presto, Mai Valentine. 

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Capitolo 5
*** Ombre dal passato ***


DunBroch
 
L'odore della terra bruciata, del fieno e della carne, arrivava trasportato dal vento terribile e disgustoso. Elinor fu costretta a tapparsi il naso nascondendo parte del viso sotto l'abito. Nelle prigioni del castello, che fino a poche ore prima apparteneva alla famiglia DunBroch, erano stati radunati tutti i Capo Clan e i loro figli. Le prigioni erano umide e fredde; la morsa delle catene di ferro stringeva divorando la carne dei polsi, delle caviglie, del collo, erano stati tratti alla stregua di pericolosi animali. Fergus era stato legato alla parete con le braccia aperte e le gambe divaricate, ritenuto troppo pericoloso. Aveva combattuto fino allo stremo come un orso e  sul viso, sul corpo, portava i segni della violenta battaglia. La regina cercò di avvicinarsi all'uomo per pulire il sangue raggrumatosi sul volto; la corta catena incastrata nel muro, legata al collare di ferro intorno al collo, quasi la soffocò.
         «Elinor» gorgogliò il re.
         «Sto bene» rispose la donna allungando una mano verso il fianco del marito. «Mi dispiace di non essere stato in grado di difendervi. Spero solo che i ragazzi siano vivi» rispose guardando la donna, o meglio immaginando il viso della moglie. Il buio e gli occhi gonfi per le percosse non gli rendevano chiara la vista.
         «No, sei stato valoroso, come un orso. Ci riprenderemo questa terra, abbi fiducia in Merida».
         «In chi dovrebbe avere fiducia? In tua figlia? Una ragazzina di diciotto anni?» la voce di Shane giunse con una risata malvagia. Elinor si spinse in avanti, contro le sbarre. Non le importò di soffocare.
         «Merida ti sconfiggerà...».
         «Credo che quel giorno non arriverà mai — si guardò le unghie delle mani con noncuranza —. Guardie, portate qui i prigionieri».
Elinor sgranò gli occhi; tutta la servitù del castello era trattenuta in catene, ad alcuni di loro erano state amputate le mani. Maudie era stata imbavagliata con un pezza di stoffa bagnata con l'acqua. Una figura coperto da un cappuccio nero forato all'altezza degli occhi e al naso, con indosso una tunica rosso scarlatto che non lasciava intravederne l'aspetto, puntò la spada alla gola della cuoca, la donna sussultò al contatto freddo della lama sul collo; un rivolo di sangue  scivolò sul corpetto bianco.
         «Questa gente si è opposta alla mia famiglia, a me sopratutto, eppure ho deciso di essere magnanima. Se ordinerai di servire i Sutherland come nuovi padroni di DunBroch e di tutte le terre, di rinunciare al titolo di Regina verranno risparmiati, nel caso  contrario o se proveranno a ribellarsi farò di loro un bel falò».
         Maudie scosse il capo e le voci dei servi arrivò forti e chiare alle sue orecchie.
         «No, maestà!» urlarono all'unisono.
         Nessuno di loro aveva paura di morire per lei e per il suo Clan. Apprezzò il loro coraggio. Fergus tentò di spezzare le catene, ma in vano, era legato bene e troppo ferito per poter veramente liberarsi da solo. Elinor inspirò a lungo.
         «Cedo le mie proprietà, il mio titolo... Tutto quello che vuoi, basta che lasci vivere tutti loro  e che non vi siano spargimenti di sangue».
         «Bene, ma non sono soddisfatta. Boia, uccidi la cuoca». E prima che la lama si lordasse di sangue caldo e viscido, una voce fermò l'esecuzione.
         «Basta così Shane, hanno già avuto la punizione che si meritavano».
         «Punizione? No, questa non è neanche lontanamente una punizione!» urlò la donna con rabbia. Un'ombra nera apparve su tutte le pareti ingigantendosi sempre di più con il crescere della rabbia di Shane. Roose fece segno alle sue guardie di sguainare le spade, sua figlia poteva essere imprevedibile.
         «Io voglio fargli provare ciò che ho vissuto io il giorno in cui gli uomini venuti dal Nord hanno ucciso e torturato mia madre, hanno raso al suo il nostro castello e  hanno razziato tutto ciò che potevano — indicò gli uomini chiusi in cella — E questi nobili signori non hanno mosso un dito per aiutarci! Dimmi cosa dovrei fare di loro?»
         «Non ti permetterò di ucciderli, loro ci servono vivi. Merida deve sposare Ramsay e loro saranno la nostra merce di scambio» lanciò un'occhiata ai prigionieri. Shane con rabbia sbatté le mani sulle sbarre di ferro, abbassando la maschera che le copriva metà del volto. Elinor sussultò. Le labbra portavano i segni di terribili cuciture e cicatrici. Un volto così bello sfigurato dal fuoco rendeva i suoi occhi neri ancora più spietati e freddi.
         «Quante volte mia madre vi ha scritto per chiedervi aiuto e quante volte non avete risposto? Lei ha cercato di proteggermi vestendomi da uomo, dandomi un nome da ragazzo, regalandomi questi quanti per  si è sacrificato al mio posto e tutto ciò che ha ottenuto è stata la vostra indifferenza». Elinor vide lacrime luccicare sotto la flebile luce delle torce e sembrò quasi che il suo corpo divenisse quello di una bambina per un breve e fugace istante. Provò pena per Shane.
         «Mi dispiace» sussurrò Elinor, sperava di calmare l'animo della donna ma tutto ciò che ottenne fu nuova rabbia.
         «Shane, basta» ordinò nuovamente suo padre.
         «Se Merida non tornerà entro quindici giorni io avrò la mia prima vittima, lo giuro». Con l'eco di quella promessa salì le scale che portavano all'entrata principale del castello. Il boia e altri quattro uomini, tutti loro avevano maschere che coprivano i volti, seguirono Shane. Ogni membro della famiglia Sutherland aveva i suoi fidati cavalieri e gli uomini più pericolosi erano i sottoposti della donna. Assassini, stupratori, violenti, non temeva nessuno di loro e loro la rispettavano come Regina. Si fermò innanzi alla porta di legno chiusa dall'interno, due  dei suoi uomini tenevano la guardia. Ramsay era nelle sue stanze a dormire e lei aveva il pieno controllo del Castello e della città.
         « Questo posto puzza di sangue. Ordinate ai servi di pulire».
         «E se si rifiutassero?»
         «Tu sai cosa fare» si rivolse al boia.
         «Come lei comanda, mia signora» rispose il giustiziere che la fissò con un lampo di gioia negli occhi.
         «Aprite le porte, ho bisogno d'aria».
         «Non credo sia opportuno uscire da sola, mia signora. Permettete di essere la vostra scorta, qualche contadino potrebbe venire strane idee» si inchinò profondamente una delle guardie.
         «Fate finta di obbedire agli ordini di mio fratello e di mio padre, mentre sarete voi in mi assenza a mantenere il castello».
         «Come comanda».
         «Io ho bisogno di cacciare» e dalle ombre notturne creò un cavallo. Un destriero dal manto lucido, dalla lunga criniera ispida e riccia, dalle sue narici uscì fumo grigio. Batté lo zoccolo in terra, impaziente di galoppare ovunque la sua padrona decidesse di andare. Shane gli montò in groppa e partì avvolta dalla tenebre.
         Era sola, sola con i suoi dolorosi ricordi. Cosa avrebbero pensato quegli uomini così crudeli se avessero saputo che tutto quello che stava facendo era per poter tornare indietro per salvare sua madre? Sarebbe stata ancora Shane Regina delle Ombre? O Shane la bambina? Queste domande non avrebbero mai avuto risposta. Il destriero ombra galoppava mentre lei ritornava indietro nel tempo.
 
         «Madre, madre!» gridava mentre correva giù per le scale di un modesto castello che affacciava sul mare, schivando la servitù con abilità.
         «Shane, quante volte ti ho detto di non urlare in questo modo. Una principe— si interruppe mordendosi le labbra morbide — un principe deve saper gestire le sue emozioni».
         «Ho visto degli uomini provenire dal mare. Erano in tanti. Vieni a vedere anche tu» afferrò la mano della madre trascinandola verso la finestra. Da lontano si potevano vedere  delle grandi lunghe e strette avvicinarsi minacciosamente. «Pensi che possa essere mio padre? Vorrei davvero vederlo. Secondo me è alto e bello» disse Shane stringendo un pupazzo di pezza guardando sua madre con i suoi grandi occhi neri e profondi.
         «Quelli sono Drakkar!* Gli uomini del Nord sono qui». Shane non capì. Il volto di sua madre divenne una maschera di cera. Tremava. Come aveva sempre sospettato erano venuti per conquistare e per prendersi lei, Erin Sutherland e se avessero scoperto che Shane aveva ereditato il suo potere l'avrebbero usata come meglio potevano per i loro scopi, messa in catene o peggio. Si era preparata per tutta la vita a quell'attacco, per questo non aveva mai permesso a sua figlia di indossare abiti femminili, ma solo brache, camicie e legata sempre  al fianco una daga lucente, tutti avevano creduto che fosse un maschio e per questo veniva addestrata per combattere.
         «Chiudete i cancelli! Non fate entrare nessuno e dite agli arcieri di preparasi  a scoccare frecce infuocate! E agli uomini rimasti di difendere il Castello!»
         «Sono già qui?» domandò una donna grassoccia dal viso paffuto.
         «Si. — abbassò lo sguardo sulla figlia — Shane nasconditi nel posto più sicuro che tu conosca e non farti trovare, non fargli capire che sei una ragazza e non mostrare mai i tuoi poteri. Chiaro?  I Clan non hanno risposto alla nostra chiamata e tuo padre con molti uomini è a cercare rinforzi. Siamo sole, ma tu non devi avere paura. Ci sarò io a proteggerti. Tha gaol agam oirbh*» La donna sciolse i nodi dei guanti di cuoio e li donò alla figlia, il suo ultimo regalo. Shane la vide uscire dalla porta, andava fuori a combattere, a morire. Lei piangeva, mentre la cuoca la tratteneva tra le sue forti braccia. In molti conobbero la morte quel giorno, conquistatori e conquistati. E quando Shane aprì gli occhi intorno a se non vi era più nulla, solo il dolore. Da quel momento il simbolo dei Sutherland non fu più una Margherita in Campo Verde, ma l'Uomo Bruciato in campo rosso.
        
         «Dimmi madre a cosa è servito tutto quello che avete fatto? A cosa è servito proteggermi se io stessa sono diventata un mostro? La leggenda dei cinque anelli era vera e io sono riuscita a viaggiare nel tempo uccidendo ogni singolo mago o strega e il suo Berserk... Mi manca l'ultimo e potrò governare sul tempo, potrò rivedervi un'ultima volta e regnare sul mondo».
          Il vento le soffiò sul viso, come una carezza. Interpretò quel gesto come una preghiera di sua madre. Era pronta alla conquista.
 
 
Arendelle
 
La luna piena splendeva sul mondo, le stalle le danzavano intorno infondendo luce. Merida aprì piano le palpebre, ogni muscolo del suo corpo le doleva, sopratutto il fianco destro e la spalla. La sua vista si stava abituando lentamente al buio, cercava di riconoscere il luogo. Era una grande stanza, dalle tende di un celeste chiaro, con un semplice mobile alla sua destra e null'altro. Era bella, bella e vuota. Cercò di alzarsi.
         «Io non lo farei se fossi in te». Non aveva fatto caso alla figura seduta alla sua sinistra, il suo abito si confondeva con la tenda. In un primo momento non capì le parole, le sembravano provenire da una lingua sconosciuta, poi divennero più chiare e nitide e a quel punto Merida la guardò con indifferenza e provò lo stesso ad alzarsi. Una fitta lancinante al fianco la costrinse a stendersi, nuovamente.
         «Ah» gemette la ragazza dolorante.
         Elsa sospirò e con eleganza si alzò, spostando con grazia il mantello. La principessa di Dunbroch la seguiva con lo sguardo, senza mai staccarle gli occhi di dosso. La regina le si parò innanzi e con un gesto veloce scoprì le lenzuola. Un brivido freddo percorse il corpo della ragazza. Le finestre erano sigillate. Proveniva da quella donna misteriosa?
         «Hai due ferite profonde sulla spalla e al fianco. Hai perso molto sangue e sei stata trovata sotto strati di neve e neve. Se non ti avessero trovato saresti morta, tu e i tre bambini che erano legati a te». La principessa di DunBroch corrugò la fronte. Non capì.
         «Tre bambini?» rispose con un accento marcato, molto simile a quello di Ramsay.
         «Non ricordi?» domandò Elsa.
          Merida scosse il capo. La regina sospirò scostandosi la treccia dietro la schiena. Capì che quella ragazza venuta da chissà dove,  materializzatasi direttamente dai suoi sogni, era smarrita e persa. Aveva bisogno di tempo. Merida abbassò lo sguardo sulle ferite, quello che diceva la misteriosa donna era vero. Bende bianche le fasciavano il corpo.
         «Dove mi trovo?» domandò mettendosi seduta resistendo al dolore.
         «Ad Arendelle, in Norvegia».
         «Uomini del Nord!» gridò indicandola alla ricerca del suo arco e quando non lo trovò serrò le mani a pugno.
         «Non ti agitare o le ferite si riapriranno!» l'avvertì la donna. Merida ignorò il bruciore e saltò sul letto, mettendo il piede in fallo scivolò in terra sbattendo la schiena sul duro pavimento. Elsa si precipitò ad aiutarla.
         «Capisco che tu sia spaventata, ma ti prego calmati. Sono tua amica!»  La ragazza sbuffò sollevando una ciocca di capelli ribelli dal viso, sulle labbra della regina si dipinse un sorriso.
         «Non sono il tuo giullare...» chiuse le braccia al petto, assumendo un espressione bambinesca. Elsa si trattenne dal non ridere. Piano l'aiutò a sollevarla da terra e a stenderla sul morbido materasso. La regina la coprì con le pesanti coperte. Sfiorò le mani della donna, erano  gelide come ghiaccio.
         «Sei fredda».
         «Oh, mi dispiace» ritrasse le mani portandole al petto.
         «Tanto non importa, mi sento scottare e un po' di freddo non mi può uccidere». Elsa le toccò la fronte era calda. La febbre stava salendo.
         «Vado a chiamare il dottore».
         «Cosa?Aspetta!» urlò, ma a nulla valse il suo gridare Elsa era già uscita dalla stanza correndo per le scale.
         «Ma dove sono finita!» esclamò battendosi le mani sul viso.
         Quando  la monarca rientrò nella stanza la giovane donna dormiva.  Il dottore, un uomo basso dagli strani baffi arricciati con indosso un elegante panciotto color oliva dal cui taschino fuoriusciva un orologio dalla cassa in oro,  si avvicinò alla principessa. Le controllò il polso contando i secondi. Il cuore batteva più velocemente era tutto dovuto alla febbre. La fasciatura doveva essere cambiata e sarebbe stato più semplice mentre la ragazza dormiva. Le bende erano sporche di sangue e ciò preoccupò Elsa. Il medico si rivolse dolcemente alla regina.
         «Non si preoccupi, bisogna solo ricucire... Sono saltati alcuni punti, non deve essere una ragazza abituata a stare troppo a letto».
         «Si salverà?»
         «Oh si, credo proprio che supererà la notte senza problemi. Io mi preoccupo per voi,  Maestà.  Siete pallida e vi consiglio di andare a riposare o dovrò chiamare Gerda».
         Elsa impallidì. Guardò prima il medico, poi la ferita.
         «Lasci fare a me, è in buone mani. Prometto che se la situazione dovesse peggiorare la chiamerò». La promessa del medico la rassicurò e con un cenno del capo ringraziò il dottore Marcus. Lanciò un ultimo sguardo a Merida e le sussurrò a bassa voce. «Buona notte».
 
 
***
 
         Elsa seduta sulla poltrona nella sua stanza scrutava il cielo. Gerda le aveva portato la cena in camera come richiesto, il vassoio d'argento sostava sulla scrivania, ogni pietanza era intatta. Bussarono alla porta.
         «Avanti» disse con fare distratto. La porta si aprì e Anna avanzò nella camera con passi lenti, per non disturbare.  La sovrana si voltò verso la sorella, sorridendola.
         «Elsa, stai bene?»
         «I tuoi sogni hanno mai preso forma?»
         «Beh c'è stata quella volta che ho sognato di mangiare un gelato in pieno luglio ed è successo, oppure ho sognato di baciare un Troll o ancora... Oh, ti riferisci a Merida, giusto?»
         La regina annuì. Anna l'abbracciò stringendola per le spalle.
         «Se vuoi possiamo andare dai Troll, loro potrebbero aiutarci».
         La sovrana alzò un sopracciglio, indecisa.
         «Kristoff ci farebbe da guida».
         «Ci penserò...» Aveva molti dubbi sulle capacità dei Troll di prevedere il destino e il futuro, sopratutto il suo. Non era certo colpa loro quanto accaduto, tre anni prima, eppure non riusciva proprio a fidarsi. Se suo padre non fosse andato da GranPapà la sua vita sarebbe stata diversa, se non avesse ferito Anna non avrebbe dovuto passare tredici anni della sua vita chiusa in quattro mura. Cacciò indietro i cattivi pensieri e tornò a concentrarsi su sua sorella che la fissava con occhi spalancati, preoccupandosi per lei.  «Kristoff ti ha fatto più quella proposta?» chiese prendendo il calice di cristallo portandolo alle labbra bevendo il vino rosso, profumato e dolce.
         «Non abbiamo avuto modo, purtroppo. Credo che aspetterà ancora un po', però sono curiosa» sbuffò sonoramente. Ad Elsa quel gesto le ricordò Merida. Erano a loro modo simili.
         «Cosa stai facendo?»
         «Ho di dormire con mia sorella!» disse lanciando la vestaglia color pesca per aria e gettandosi sul letto.
         «Non sei grande?» scherzò la sovrana.
         «Nessuno è grande per un caldo abbraccio».
         La regina roteò gli occhi al cielo e per un attimo dimenticò il suo ruolo, dimenticò il suo potere, dimenticò Ramsay, raggiungendo la sorella e per quella notte il Castello si riempì di rumorose e felici grida.
          Ramsay udì le voci allegre delle due giovani donne e facendo oscillare il vino rosso nel calice di cristallo,  con un sorriso dipinto sulle labbra pensò "Presto quella risata sarà solo per me, Elsa".  
 
 
***
 
         La porta della stanza da letto della principessa di DunBroch venne aperta con uno stridente cigolio. Passi rimbombarono per la stanza silenziosa. Due mani rugose e pallide scostarono le coperte dal volto di Merida. Sollevò il pugnale, la lama brillò sotto la luce della luna. Era pronta a ucciderla quando qualcosa attirò la sua attenzione. All'anulare della mano destra un anello di ghiaccio luccicava. La strega coprì la bocca con le mani.
         «Forse c'è ancora speranza. Dovete solo conoscervi. Tu sei il suo  Berserk*».
         E con uno schiocco di dita si trasformò in un colibrì uscendo di fretta dalla camera. Ramsay e Shane sarebbero stati sconfitti e lei avrebbe potuto finalmente trovare pace.
 
 
Angolo Autrice:
Buona sera a tutti, il capitolo doveva essere pubblicato domani ma ho deciso di aggiornarlo oggi. Passiamo alle note:
1* Tha gaol agam oirbh (dovrebbe significare Ti voglio bene in Gaelico Scozzese, trovato su Wikiquote)
2*Drakkar Navi tipiche degli uomini del Nord
2*Berserk significa Guerriero in Norreno.
Non è stato un capitolo molto lungo, ma era di passaggio anche per spiegare la vita di Shane e la sua megalomania. Da questo momento in poi sarò costretta a inserire l'Avvertenza Violenza, non volevo arrivare a questo punto (e mi sono anche molto censurata, di solito i miei personaggi vengono trattati anche molto peggio), ma non ho resistito, spero di non turbare la sensibilità di nessuno. Detto questo, grazie a tutti voi.

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Capitolo 6
*** Incontri del destino ***


Sulle aspre  ripide catene montuose dell'Himalaya soffiava un forte vento gelido. I lupi ululavano alla luna piena richiamandosi tra loro cercando cibo. In una grotta impossibile da notare da occhio umano tanto il suo ingresso era stretto e angusto, una giovane donna mescolava in un nero calderone una sostanza giallastra. Ad un tratto un esplosione la colpì in pieno viso e un gufo reale arruffò il piumaggio bubolando contro la strega. La donna si alzò da terra, sporca in viso di cenere e fuliggine, corse a vedere il suo operato. Finalmente ci era riuscita! Aveva creato i cinque anelli del potere. Chiunque li avrebbe indossati sarebbe stato il Berserk, il protettore delle vere maghe   che possedevano naturalmente il potere del fuoco, dei fulmini, del vento, dell'ombra e del ghiaccio. Li aveva forgiati per mantenere la pace e l'equilibrio nel mondo e finalmente poteva vantarsi di essere la più grande strega mai esistita. Restava un solo problema uscire dalla sua grotta e mettersi alla ricerca dei Guerrieri e fare in modo che si incontrassero con le loro padrone. Un arduo compito l'attendeva e decisa a compiere il grande gesto raccolse in fretta tutte le sue cose e  si apprestò a viaggiare per il mondo. Prima di varcare la soglia della sua caverna si rivolse al gufo.
         «Himalaya proteggi questa grotta da malintenzionati visitatori e fa che mai trovino gli anelli» e con un incantesimo protesse l'entrata della sua dimora; ella sicurezza aveva preferito portare con sé un anello alla volta.
         Dopo quindici anni di continui spostamenti e ritorni quattro anelli erano stati consegnati ai prescelti, eppure un pensiero cupo le attanagliava la mente e l'animo, il suo ultimo figlio non era degno di nessuno, troppo instabile, troppo violento, perfino l'ombra era stata domata. Tutti  tranne il ghiaccio. Ormai si era rassegnata a non poter  realizzare il suo sogno e decise di chiudere l'ultimo anello in una scatolina intarsiata con cerchi colorati e fiori che avrebbe portato con sé nell'ultimo viaggio, lasciò per sempre la sua dimora, passandola a una strega più giovane e forse più degna di lei.
         Percorse tutte le strade che aveva già tracciato tanto tempo prima, vedendo come i bambini o ragazzi a cui aveva consegnato gli anelli fossero diventati uomini o vecchi e come essi tramandavano ai loro figli o nipoti gli anelli addestrandoli per proteggere le maghe. Era orgogliosa di sé, ma non pienamente soddisfatta. Dopo un lungo vagare giunse sulle coste della Scozia. Un giorno mentre camminava aggrappata al suo bastone di legno di quercia la scatolina nella quale era chiuso l'anello vibrò. Incuriosita lo estrasse. Il monile emanava una luce così forte e accecante da sorprenderla. Si lasciò guidare dall'anello e fu allora che vide un giovane guerriero dai folti capelli rossi, ricci e ribelli, alto e dalle spalle larghe allenarsi con vigore con la sua spada. Il raggio di luce ghiacciata si posò sul cuore del ragazzo. La vecchia si inginocchiò colma di gioia e felicità. Il guerriero sentendo dei rumori sospetti scostò le folte fronde dei cespugli e vide una vecchia donna piangere.
         «É ferita?» domandò il ragazzo.
         «Oh, no. Piango di gioia, finalmente ho trovato l'ultimo custode dell'anello e sei tu».
         «Cosa?» aggrottò la fronte il giovane e per poco non rise in faccia alla vecchia, ma l'anello intriso di magia rotolò dalle mani della vecchia per legarsi all'anulare del guerriero. Il ragazzo spaventato cadde in terra.
         «Vedo che non perde tempo, è giunto il momento di allenarti». Al guerriero non restò altro da fare che seguire la strega.
 
***
 
         Erano trascorsi tre anni dal loro incontro, ma il ragazzo, ormai diventato uomo, non aveva ancora incontrato la sua maga, la padrona del ghiaccio. Aveva cercato in lungo e in largo, senza successo. Seduto sul pizzo di un promontorio scrutava il mare. La vecchia prese posto accanto al ragazzo e da una sacca estrasse un pezzo di focaccia con carne affumicata
         «Perché non si è ancora manifestata? Forse non sono degno» disse con un borbottio accettando il cibo.
         «Caro ragazzo, forse davvero destinato a qualcosa di grandioso. Tutti e cinque gli anelli separati hanno grandi poteri, ma insieme possono permettere alle persone di viaggiare nel tempo prendendo corpo e forma. Con uno è possibile solo superare la barriera degli anni e dei secoli, ma non potrai interferire in nessun modo con gli eventi, se non hai il cuore e l'anima pura. Invece,  con tutti e cinque potrai sia sei malvagio, sia se sei buono».
         Il guerriero e futuro re del suo regno si voltò verso la strega corrugando la fronte.
         «Qualcuno dei cinque ha mai viaggiato nel tempo?»
         «No che io sappia e chissà forse la tua maga del ghiaccio si trova al di là del tuo tempo. Ora và a dormire, domani andremo alla sua ricerca».
         Il Berserk vide la strega alzarsi e voltargli le spalle, quelle parole lo avevano rincuorato e con il sorriso sulle labbra divorò il resto della cena.
 
 
DunBroch
 
 
La porta di ferro e acciaio della prigione venne aperta. Lasciando filtrare un timido raggio di sole. I prigionieri furono costretti a chiudere gli occhi, la luce li infastidiva dopo aver passato una notte al buio. Elinor si alzò in piedi, con difficoltà; le catene le divorarono la tenera carne. Delle guardie poggiarono delle ciotole di terra cotta ai piedi dei prigionieri. DingWall la raccolse e la lanciò contro gli uomini in rosso.
         «Io non mangerò la vostra schifezza!» gridò rosso in volto per la rabbia. Il brodo di pollo venne rovesciato sui volti delle guardie, pezzi di carne scivolarono sugli abiti puliti. Il guerriero sguainò la spada puntandola contro la gola del Lord.
         «Fermo — ordinò Ramsay — questi uomini sono Lord e devono essere trattati con rispetto, anche se sono in catene. Noi non siamo come Shane e i suoi uomini».
         «Sissignore» rinfoderò la spada.
         L'erede dei Sutherland prese una nuova ciotola e la porse con gentilezza al Capo Clan DingWall.
         «Mi dispiace che siate qui a mangiare costretti in catene, ma prima sposerò Merida, prima verrete liberati e farete giuramento a me».
         «Tu non avrai mai mia figlia! Brutto...» imprecò Fergus, ma la bocca gli venne chiuse dal Lord dei Macintosh prima che potesse dire qualcosa di sconveniente e peggiorare ulteriormente la situazione. Ramsay entrò nella cella, tutti i Lord lo guardarono con aria di sfida. Tutti loro avrebbero voluto piantargli un bel pugnale nel cuore. Cautamente si abbassò e liberò la regina. Elinor scivolò in avanti e il principe Sutherland l'afferrò portandola via dalla cella.
         «Dove la stai portando?» domandò Fergus liberatosi dalla presa di Macintosh; gli aveva lasciato un vistoso segno di denti sulla mano.
         «Per mostrare a tutti voi le mie buone intenzioni ho liberato la vostra regina, la porterò nelle sue stanze e le darò abiti puliti e consoni al suo grado. Dalla nostra chiacchierata dipenderà anche il vostro futuro». Voltando le spalle ai prigionieri e diede ordine a due servette, appena arrivate, di portare Elinor nella sua stanza. La regina di DunBroch guardò con sospetto l'uomo, non si fidava di lui, ma lo preferiva a Shane.
         Venne condotta nella stanza di Merida, ogni cosa era stata lasciata al suo posto. L'arazzo che avevano cucito insieme riempiva la parete di pietra della camera; sentì lacrime calde scivolare ai lati degli occhi. Si avvicinò cauta al letto, poteva sentire con il tocco della mano il tiepido calore di sua figlia e il suo profumo. Una ciocca rossa troneggiava solitaria sul cuscino. Ricacciò indietro le lacrime, avrebbe voluto piangere, non poteva farlo; doveva essere forte per tutti loro. Le due servette, donne dei Sutherland, le indicarono il bacile di legno colmo d'acqua calda e rose profumate.
         «Il Lord ci ha raccomandato di servirvi con rispetto». Elinor titubante annuì spogliandosi dell'abito squarciato in più punti. Un segno rosso risaltava sulla carne chiara, non vi aveva fatto caso fino a quel momento. "Me la sarò procurata combattendo. Visto Fergus anche io potrò vantare di una cicatrice" ridacchiò a quel pensiero.
         Si immerse nell'acqua e lasciò che il suo corpo venisse  pulito dalle cameriere. Passò all'incirca mezz'ora e uscì dalla tinozza. Le due ragazze le porsero un elegante abito di satin lucido color avorio che scendeva fino alle caviglie, alla vita era legata una cintura d'oro con grandi dischi d'argento. I suoi lunghi capelli vennero raccolti in un'unica e vaporosa treccia. Si guardò allo specchio, emozionata.
         «Siete bellissima maestà» la voce di Ramsay la fece voltare di scatto e lo specchio le scivolò andando in frantumi; raccogliendo i cocci si graffiò il palmo della mano, strozzò un verso di dolore. Il Lord estrasse dalla sacca della giacca un fazzoletto e lo avvolse intorno alla mano della donna. Elinor chinò il capo in segno di ringraziamento.
         «Il rosso del mio fazzoletto coprirà il sangue — le porse il braccio —. Faremo colazione nella mia stanza». La regina chiuse gli occhi e accettò l'invito del giovane uomo. Doveva diventare amica del suo nemico per capirne le intenzioni.
         Entrarono in quella che un tempo era stata la stanza da letto di re Fergus, Elinor abbassò lo sguardo, non riconosceva nulla di quella camera nella quale aveva passato diverse notti, per dovere e per piacere*. Ramsay notò il mutamento d'espressione sul volto della donna e con gentilezza le scostò la sedia. Il tavolo era stato posto al centro della stanza, sul quale troneggiavano vari tipi di pietanze, carne sopratutto. Il Lord versò il vino nelle due coppe.
         «Alla nostra amicizia» alzò il bicchiere. Elinor lo imitò serrando le labbra.        «Perché mi hai portato qui? Perché mi hai liberato che cosa speri di ottenere da me?» domandò a bruciapelo. Ramsay sorrise.
         «Nulla in realtà, il mio è solo un atto di pura galanteria e cortesia nei confronti dei miei futuri parenti. Quando sposerò Merida voi vivrete in piena dignità».
         «Fino ad allora saremo vostri prigionieri?»
         «No, non è questa la mia intenzione, al massimo quella di Shane. Vedete, Lady Elinor — portò alle labbra un chicco d'uva — io voglio davvero liberarvi da queste catene. Io e mia sorella abbiamo poco in comune, certo io non ho visto cinque anni fa morire mia madre davanti ai miei occhi e non sono stato legato a un palo e torturato. E quando è riuscita a  liberarsi — sospirò —, vi risparmierò i dettagli cruenti di ciò che ha fatto». Elinor fece un calcolo veloce. "Cinque anni fa è stato quando io sono stata trasformata in orso". «Shane era una bambina cinque anni fa, come può essere una donna?» guardò con sorpresa l'uomo. Ramsay si limitò a un sorriso.
         «Comunque mia sovrana io tengo davvero a voi e...»
         «Se ci tieni libera mio marito e tutti i Lord rinchiusi, poi parleremo di alleanze».
         «Purtroppo non posso. Voi siete la mia garanzia e sarete trattata con tutti gli  onori, potrete anche uscite dal Castello, ovviamente protetta dalle mia guardie, ma sentitevi libera di fare ciò che volete».
         «Questa è casa mia, io sono libera di fare ciò che voglio» ribatté serrando le labbra.
         «Se fosse stata più giovane avrei sposato voi, dico davvero nonostante l'età siete una bella donna» e lo schiaffò arrivo veloce e rapido, aspettato. Elinor si alzò dalla sedia furente. Un ragazzo delle guardie la seguì conducendola nella sua stanza. Ramsay rise, aveva scoperto ciò che voleva sapere. "Neanche lei sa dov'è Merida".
 
***
 
Le porte della sala principale vennero aperte. Shane oltrepassò il cancello di legno, venne spogliata da una delle sue guardie dal mantello mentre Maudie accorreva per servirle la colazione su un vassoio, la cuoca tremava. La regina dell'ombra colpì il piatto d'argento che scivolò in terra tintinnando sulle dure mattonelle di pietra.
         «La caccia è andata bene sorellina?» domandò Ramsay scendendo le scale, avvertito dalle guardie  e dal rumore. «Ti sei nutrita di bambini?» la beffeggiò il Lord.  Shane gli  lanciò contro  il pugnale che andò a conficcarsi a pochi centimetri sopra la testa del giovane uomo. «Perché l'hai liberata? Doveva restare in carcere, come avevo ordinato».
         «Non ho nessuna intenzione di trattare queste persone come bestie da macello e io sono il Lord, tutti devono prendere ordini da me. Elinor è sotto la mia protezione e se mai le dovesse accadere qualcosa ne sarai tu la responsabile». Gli occhi di Shane erano due pozze scure, bruciavano come carboni ardenti, emanando scintille di guerra. Furente gli voltò le spalle uscendo nuovamente dal Castello. "L'ombra non può essere sconfitta".
 
Arendelle
 
Albeggiava e i primi raggi solari sfiorarono il volto dei giovani viaggiatori. Sven procedeva al galoppo sulla densa neve. Olaf scrutava l'orizzonte seduto sulla testa della renna. Kristoff teneva le redini con abilità e  Sven obbediva ai suoi ordini, fidandosi del padrone. Anna avvolta in uno spesso mantello cingeva la vita del ragazzo, mentre guardava con aria di rimprovero la regina.
         «Perché siamo partiti con il buio? Potevamo andare dai Troll molto più tardi» sbadigliò sonoramente accoccolandosi sulla spalla dell'Ice Master.
         «Ci sono cose che devono essere fatte di nascosto e non sotto al naso di tutti. Un po' come le strategie militari, neanche il tuo più fidato generale deve conoscere i tuoi piani. A volte bisogna fare delle scelte difficili che comprendono un sacrificio, questo significa regnare» rispose con viso impassibile.
         «E questa cosa da chi l'hai imparata?».
         «Da nostro padre».
         Anna abbassò il capo. Il re non le aveva mai svelato i suoi piccoli trucchi, tantomeno come condurre un esercito o progettare piani di guerra. Certo Arendelle era un regno pacifico, eppure dovevano sempre essere pronti a difendersi; gli invasori potevano essere ovunque e chiunque. La principessa guardò la sovrana che si torturava nervosamente le mani sfregandole tra di loro facendo arrossare la pelle pallida. Il re doveva aver passato molto tempo con Elsa per insegnarle ogni minimo segreto su come diventare una buona sovrana, mentre con lei si era limitata ad abbracci e sorrisi, a lunghe passeggiate a cavallo e a racconti di fiabe. Con chi aveva condiviso i segreti su come governare bene era Elsa. Non provò rammarico per questo, provò dispiacere per sua sorella che aveva da sempre portato un peso da sola. "La corona sulla testa è  un pesante macigno da sopportare. Vorrei che lo condividesse con me, per aiutarla" stava per rendere palesi i suoi sentimenti quando Kristoff urlò entusiasta scendendo dalla slitta.
         «Eccoci arrivati!» allargò le braccia sorridendo. Anna seguì il ragazzo correndo con lui, Elsa rimase indietro spaventata e timorosa. Quel posto così pacifico le riportava alla mente brutti ricordi. Sentì delle mani calde stringere le sue fredde e trascinarla al centro della radura. A un tratto le pietre si mossero e i simpatici esperti in amore si prepararono a cantare una canzone su quanto i piedi di Kristoff erano grandi e maleodoranti ma quando videro la regina tutti tacquero rimanendo in sospeso una strofa: «hai il piede così grosso che il mio testone gli fa un baffo... La Regina!» urlarono entusiasti.
         «Sua maestà Elsa da quanto tempo» disse uno avvicinandosi.
         «Come è bella» intervenne un secondo.
         «Il suo potere splende» affermò un terzo fino a quando Elsa non si trovò circondata dalle strane e pacifiche creature di pietra.
         «Un caldo abbraccio di Troll!» urlò Olaf lanciandosi tra le braccia della sovrana. Elsa cadde in terra sul morbido manto d'erba circondata da tante creature affettuose. Si lasciò scappare un sorriso.
         «É ancora più bella quando ride» disse un troll.
         «GranPapà» avvertì Kristoff e tutte le creature di pietra si spostarono lasciando la possibilità ad Elsa di rialzarsi e permettere al loro capo di incontrare la regina. Elsa alla vista del GranPapà si irrigidì, strinse le braccia al petto cercando di proteggersi. Anna le poggiò una mano sulla spalla sussurrandole: «va tutto bene».
         «Regina di Arendelle vi aspettavo, sapevo che i vostri sogni vi stavano turbando e anche la presenza di visitatori stranieri».
         «Si e uno strano anello di ghiaccio» continuò facendosi coraggio.
         «Oh, allora è giunto il vostro Berserk... Fate attenzione all'anulare della mano sinistra»
         Elsa lo guardò confusa.
         «Dovete sapere che i vostri poteri sono protetti dal possessore dell'anello e solo colui che ha o detiene il monile può diventare il vostro guerriero. Come è accaduto tanto tempo prima alla vostra bisnonna». Anna ed Elsa si lanciarono occhiate di stupore.
         «Bisnonna?» domandò Kristoff spalancando la bocca.
         «Risale a molto tempo fa questa storia, ma partiamo dall'inizio. Voi non siete l'unica ad essere nata con i poteri, sebbene quando voi eravate piccolina pensai a un maleficio; ci sono state altre donne nel corso del tempo ad avere tali capacità. I cinque elementi divisi in cinque persone diverse: fuoco, fulmini, vento, ombra e ghiaccio e solo le donne li possiedono» prese una breve pausa affinché fosse chiaro a tutti ciò che stava raccontando, poi continuò: «una strega moltissimi anni fa decise di creare  cinque anelli e donarli a coloro che sarebbero stati degni di proteggere, in caso di pericolo, le maghe. Dopo averli forgiati si mise in viaggio e quattro su cinque anelli vennero consegnati, rimaneva solo uno».
         «Il ghiaccio» lo interruppe Anna. Kristoff le tappò la bocca curioso di sapere il resto della storia.
         «La strega rassegnata a non trovare mai padrone decise di abbandonare la sua grotta per tornare a percorrere le strade della gioventù e dopo un lunghissimo tempo giunse in Scozia».
         «E lì vi trovò il Guerriero?» chiese Anna mordendo la mano del ragazzo.
         «Si,  fu il primo dei cinque a compiere il viaggio nel tempo incontrando e aiutando la sua Lady, la vostra bisnonna».
         «Colei che aveva il mio stesso potere...Perché non avete detto nulla a mio padre quella volta?» ed Elsa sentì la rabbia e la frustrazione aumentare in lei. Se avessero trovato il Berserk la sua vita e quella di Anna sarebbe stata migliore, avrebbe potuto aiutarla con i suoi poteri. La principessa percepì la rabbia della regina e le strinse il braccio rassicurandola.
         «Il Guerriero, in questo caso il viaggiatore del tempo può presentarsi una sola volta in caso di estremo pericolo per la sua maga o per chiedere  e ricevere aiuto, siete uniti dallo stesso destino».
         «E la nostra bisnonna cosa c'entra in tutto questo?» incalzò Elsa. GranPapà tentennò poi con un semplice schioccare delle dita fece apparire innanzi agli occhi della regina un libro dalla copertina di stoffa blu rovinata in alcuni punti. Elsa lo prese titubante.  
         «Qui è raccontata tutta la storia. L'ho custodito fino a questo giorno, se volete sapere la verità basterà sfogliare queste pagine. La regina annuì e con il cuore che le martellava nel petto voltò le spalle ai troll salendo in slitta.
         «Elsa aspetta!» gridò Anna.
         «É normale che sia scossa. Ho già sbagliato una volta, non arrabbiatevi con lei per questo». La principessa ringraziò il troll e di fretta, con Kristoff, raggiunsero la slitta. Elsa non parò per tutto il viaggio di ritorno.
 
***
         Le porte principale del castello venne aperta e la servitù con un profondo inchino accolse le loro maestà. In fretta spogliarono la principessa dalla sua mantella umida, mentre Elsa scostò con un po' troppa fretta la cameriera che voleva solo aiutarla.
         «No!» Urlò la regina e  i presenti si voltarono a guardarla. Ghiaccio si  era formato su tutte le pareti della sala. Kai accorse in fretta dalla regina.
         «Maestà si sente bene?» Aveva compreso che qualcosa turbava l'animo della sua buona e fragile sovrana.
         «Lo vorrei» bisbigliò.
         «Accompagnatela nelle sue stanze e...» prima che potesse concludere la frase un urlo squarciò il silenzio. Le grida provenivano dalle stanze superiori. "Merida" pensò Elsa e senza più badare alla pericolosità del suo potere sotto lo sguardo confuso di tutti salì le scale. Anna, Kristoff la seguirono con il fiato corto. La regina spalancò la porta della stanza della straniera e ciò che vide la lasciò sorpresa. Merida  con un lenzuolo avvolto intorno alle spalle fino sotto ai piedi, brandiva un vassoio d'acciaio difendendosi contro un innocuo Olaf. Il pupazzo di neve dimenava la parte inferiore del corpo nella speranza di riuscire a recuperare la testa, dopo essere stata lanciato vicino alla porta.
         «Ciao Elsa, ciao Anna! Mi recuperereste la mia testa? Le mie chiappe vanno dove vogliono» rise. Tre bambini tutti nudi entrarono nella stanza, avevano inseguito fino a quel momento il pupazzo per poi perderlo di vista e quando lo trovarono gli si lanciarono contro. Anna fece in tempo a recuperare la testa.
         «Olaf perché sei finito qui?»
         «Vi stavo cercando ovunque e ho pensato che tu ed Elsa stesse ancora domerndo e sono entrato nella sua stanza, ma a quanto pare non è più sua».
         «No, Olaf hai sbagliato stanza» rispose Anna.
         «Oh!» ribatté il pupazzo sorpreso.
         «Quel coso parla! Hamish, Harris, Hubert allontanatevi subito da quell'essere!» disse sconvolta la principessa di DunBroch.
         «E dovresti vedere quando Elsa è raffreddata cosa accade» ridacchiò Kristoff. La sovrana gli puntò una gomitata nel fianco, il ragazzo si piegò per il dolore. Con uno schioccare delle dita legò con una corda sottile di ghiaccio i tre bambini, mentre Gerda li afferrò uno a uno per lavarli; i principi salutarono Olaf chiudendo e aprendo le paffute mani. E prima che Merida potesse dire altro la costrinse a sedersi sul letto premendo le mani sulle spalle. L'arciera era sempre più confusa e sconvolta.
         «Magia, tutto questo è magia! Oh, no... la vecchia strega, mia madre... Orso. Il Drago di ghiaccio» strinse la testa tra gli avambracci, la sentiva scoppiare.   «Correte a chiamare il dottore» gridò la regina allontanandosi. Merida la fermò per un braccio costringendola a restare.
         «No, no niente guaritori, per piacere». Elsa abbassò lo sguardo sulla mano e vide l'anello. "Fai attenzione all'anello" le aveva suggerito GranPapà e di fretta si allontanò dalla principessa.
         «Uscite» ordinò Elsa. Anna e Kristoff seppure confusi obbedirono all'ordine. Merida  la guardò stringendo le palpebre, più la fissava e più si ricordava di quei sogni cupi e belli che avevano tormentato alcune sue notti. Cosa fare? Dirle la verità? Sforzarsi di ricorda ancora un po'? O tacere? Sapeva solo che quella donna seduta di fronte a lei avrebbe cavalcato un drago di ghiaccio.
         «Vorrei sapere cosa ricordi, da dove sei venuta e chi sei...» Elsa spezzò il flusso dei suoi pensieri con quelle lecite domande. Si torturò le labbra con i denti, rispose.
         «Ricordo molto poco, ho visioni di quello che è accaduto tra passato e presente e più mi sforzo di rimembrare più la testa scoppia. Vengo dalla Scozia o così credo, dovrei chiamarmi Merida ma non ne sono completamente sicura». Era una mezza verità, alcune cose già le ricordava, come i suoi fratelli che erano entrati poco prima nella stanza, ma per il resto vi era ancora una nebbia a offuscarle la memoria.
         «Capisco, allora Merida io sono Elsa regina di Arendelle, un piccolo regno che affaccia sul fiordo e fin quando non ricorderai sarai mia ospite» le sorrise. La straniera trovò quel sorriso rassicurante, non era un nemico.
         «Posso uscire da qui? Vorrei andare a trovare i miei fratelli». Elsa si alzò e scostò dalla fronte della misteriosa giovane  il groviglio di capelli ricci e mossi, era calda ma non scottava. Merida trovò piacevole quel contatto, fresco e rigenerante e provò dispiacere quando l'altra scostò le dita. Un lieve rossore si dipinse sulle sue guancie lentigginose, sperò che Elsa non lo notasse.
         «Non hai febbre, però se ti farai visitare dal dottore sarai libera di andare a trovarli».
         La principessa rifletté qualche istante poi annuì. «Ma a delle condizioni: che resti con me durante la visita e che sarai tu a farmi fare la visita guidata del castello; il re Fergus, mio padre, è solito mostrare ai propri ospiti il castello con tutte le sue stanza e le sue terre». Merida sgranò gli occhi, un altro dettaglio e un altro ricordo che si andava ad unire ai precedenti, il colpo alla testa era stato forte, ma forse non così tanto.
         «Quindi sei una principessa» pensò più tra sé che rivolgendosi alla ragazza seduta sul letto.
         «Si, lo sono o credo di esserlo» scrollò le spalle.
         «Va bene, accetto le tue richieste, principessa di un posto sconosciuto in Scozia». Un sorriso di vittoria si dipinse sul volto della giovane principessa che trattenne un gridolino di esultanza. "Mia sorella andrebbe davvero d'accordo con Merida".
 
***
 
         Il dottore visitò la ragazza, era in perfetta salute. Con calma fasciò il corpo della giovane donna con fascia pulite, dopo averla disinfettata. Merida non era molto a suo agio, odiava essere toccata da mani estranee, sopratutto quelle di strani guaritori dai baffi arricciati, lunghi e bianchi. Di tanto in tanto posava lo sguardo sulla regina, era rassicurante.
         «Abbiamo finito» disse il dottore posando tutto nella sua borsa nera.
         «Quindi sto bene?» domandò l'arciera saltando sul letto.
         «Perfettamente, non ha più bisogno di stare chiusa in stanza, può andare dove desidera» rispose il medico. Merida fece i salti di gioia e non notò che Elsa accompagnò il dottore alla porta.
         «Gode davvero di ottima saluta, tuttavia c'è un problema...» parlò con voce molto bassa per non farsi udire.
         «Riguarda la memoria, è consapevole di averla perduta, ma quando la riacquisterà del tutto?» disse con un bisbigliò voltandosi piano verso la giovane che si stava rivestendo.
         «Maestà purtroppo è questa la nota dolente, non possiamo saperlo, in nessun modo. Però potreste provare a parlare con lei, oppure mostrarle luoghi che possono ricordarle il passato nella speranza di un ritorno dei ricordi totale e non parziale» Marcus si aggiustò la tuba sul capo, arricciando i baffi.  Elsa sospirò.
         «Va bene, farò il possibile».
         «Per qualsiasi cosa l'avvertirò. Vi ringrazio, per il vostro lavoro sarete ricompensato lautamente». Merida li stava ascoltando ed Elsa con estrema bravura riuscì a mantenere la sua compostezza. Il dottore comprese.
         «É sempre un onore lavorare per lei, vostra altezza. Buona giornata Merida e cerchi di non cacciarsi nei guai».
         «Ci proverò» fece spallucce e il dottore con un sorriso chiuse la porta. La principessa si avvicinò alla regina avanzando piano.
         «Allora, giro del Castello?» domandò sorridente.
         «Perché no?» ma mentre Elsa stava aprendo la porta per uscire un affannato Kai non appena la vide fece un profondo inchino, aveva il fiato corto ed era rosso in volto per la gran corsa.
         «Maestà ci sono i consigliere delle Isole del Sud e richiedono urgentemente la vostra presenza». Elsa si morse il labbro lanciando uno sguardo dispiaciuto a Merida.
         «Devo andare» bisbigliò.
         «Ho capito, sei una regina e hai i tuoi doveri... Anche mia madre dice sempre: "Merida prima il dovere, poi il piacere!"» rispose imitando la voce di Elinor, alla sovrana di Arendelle scappò un risolino.
         «Cercherò di fare in fretta e mostrarti così il castello» rimasero in silenzio. Merida annuì ed Elsa, in fretta, seguì il maggiordomo. La principessa di DunBroch annoiata e dispiaciuta si gettò sul letto, sprofondando sul materasso con un pesante borbottio. «Che noia!»
 
***
        
         Una figura entrò nella stanza della straniera. La camera era buia, le tende coprivano le grandi vetrate delle finestre. Merida aveva gli occhi chiusi, sembrava che dormisse. la visitatrice allungò una mano, ma prima che potesse toccarla la principessa la fermò stringendo il polso. Si guardarono negli occhi.
         «Sei la ragazza che mi ha trovato...» cercò di ricordare.
         «Sono Anna principessa di Arendelle, sorella minore della regina, non che essere una sorella minore sia brutto, anzi sei libera da impegni e cose noiose tipo: sorridere sempre, essere elegante, gentile, cortese, disponibile».
         «Non puoi ruttare o scaccolarti liberamente» aggiunse Kritoff varcando la soglia.
         «Io non rutto» rispose risentita.
         «Già, come no».
         Anna lanciò contro il povero Ice Master il suo stivale che lo colpì dritto in pieno viso lasciandogli un vistoso segno. Merida si alzò sul letto sporgendo il capo verso sinistra per vedere se il ragazzo stesse bene. Kristoff si toccò il naso sanguinava.
         «Bene, tornando a noi Elsa mi ha mandato per guidarti dai tuoi fratellini, sai stanno facendo impazzire Gerda, povera donna. Non che io ed Elsa eravamo tranquille da piccole!». Merida provò ad immaginarsi l'imperturbabile regina combinare qualche guaio correndo su e giù per le scale del Castello, oppure rubare tutti i dolci dalla cucina... No, Elsa non poteva essere stata una peste da piccola.
         «Va bene, immagino che sua altezza sia ancora impegnata».
         «E lo sarà fino a sera. Vedi un pericoloso criminale farabutto, un uomo da niente dal cuore di ghiaccio, tre anni fa ha messo in pericolo la vita mia e quella di mia sorella e pensare che volevo sposarlo dopo un giorno che l'avevo conosciuto!»
         «Sei pazza? Dopo appena un giorno?» domandò sconvolta l'arciera.
         «Quello che le dissi anche io» si intromise l'Ice Master pulendosi il naso. Anna gli pestò il piede, il ragazzo soffocò un gemito.
         «Lo vuoi morto?»
         «Morto? No, no, è solo il mio fidanzato che ho conosciuto quando, appunto, stavo andando a salvare Elsa e...»
         «Saresti la figlia ideale per mia madre, io sono allergica ai fidanzamenti e al matrimonio!» e un nuovo ricordo si aggiunse agli altri precedenti. La testa sembrò scoppiarle. Si accasciò inginocchiandosi in terra.
         «Stai bene?» domandò Anna. Merida cercò di soffocare un gemito mordendosi le labbra. Kristoff la raggiunse e prendendola in braccio la posò sul letto.
         «Forse è meglio andare a chiamare il dottore» disse Anna uscendo dalla stanza.
         «Tanto non potrebbe fare molto, non c'è cura» rispose girandosi su un fianco.
         «E allora?»
         «Credo sia meglio lasciarla riposare ancora un po'. Andiamo Anna dopo avvertiremo Elsa».  I due giovani chiusero la porta e sentirono Merida sussurrare un grazie.
         Anna e Kristoff scesero le scale che portavano al pian terreno, videro passare innanzi ai loro occhi Olaf inseguito dai tre bambini a loro volta  rincorsi dalle cameriere. Il castello aveva ripreso vita.
         «Forse sarà meglio uscire a prendere una boccata d'aria» le propose Kristoff porgendole il braccio. Anna accettò.
         Una volta fuori dalle mura i loro piedi affondarono nella neve alta, i raggi solari battevano tiepidi sui loro visi. Camminarono restando in silenzio, erano entrambi preoccupati per quegli strani avvenimenti e Kristoff pensava e ripensava alla proposta che voleva fare ad Anna. Posò dolcemente lo sguardo sulla ragazza e vide che sorrideva, forse stava pensando a qualcosa di buffo. si erano allontanati un po' dal castello e intorno a loro non vi era nulla, solo loro e la neve. L'Ice Master vide che in terra sbocciava un fiore solitario, giallo e luminoso. Inginocchiandosi lo colse. Raggiunse la principessa con una corsa e l'abbracciò tenendola stretta a se.
         «Sei bellissima, ma lo saresti ancora di più con questo tra i capelli». Legò in una ciocca il bel fiore e gli occhi azzurri della ragazza si illuminarono ancora di più.
         «Grazie Kristoff... ma dove l'hai preso».
         «Proprio qui... Che strano vi è un altro e un altro ancora, stanno sbocciando a centinaia ed è inverno!» si batté la mano sulla fronte sorpreso. Anna alzò la gonna e con una sfrenata corsa iniziò a seguire la pista di fiori, Kristoff non ebbe altra scelta che rincorrere la ragazza, sebbene non fosse molto contento.
         «Anna fermati! Doveva vai? Potrebbe essere pericoloso» gridò.
         «Per questo ci sei tu con me, per difendermi» urlò. L'Ice Master sospirò e rassegnato raggiunse  con un balzo la principessa. A un tratto si trovarono poco distanti dall'entrata della foresta. Il silenzio era assordante. Proseguirono ancora  un po' inoltrandosi nella fitta boscaglia con il cuore che batteva in gola. Kristoff si toccò il fianco tenendo saldo il manico della padella guardandosi intorno vigile. Ad un tratto udirono una canzoncina, cantata da una voce sottile e melodiosa. Cauti si avvicinarono e videro una figura avvolta da un grigio mantello che gettava fiori da un cestino di vimini.
         «Forse si è persa» bisbigliò Anna.
         «Si e lancia fiori per trovare la strada di casa, Hansel e Gretel» broborttò il ragazzo.
         «Stai zitto».
         «Non mi sono persa» disse la strana figura. La principessa si aggrappò al braccio del giovane che sguainò la padella.
         «Ah e chi è e cosa vuole?»
         «Nulla, solo vedere quanto è bello l'amore che può sbocciare come un fior» canticchiò voltandosi verso i due ragazzi che presi alla sprovvista fecero un salto indietro.
         «Ho capito di essere vecchia, ma non così brutta» sbuffò.
         «Ehem, ci scusi. Io sono Anna e lui è Kristoff e...».
         «So benissimo chi siete. Io sono la streg — si morse la labbra secche — la vecchia dell'Himalaya e ho un compito speciale per voi».
         «E sarebbe?» chiese l'Ice Master chiudendo le braccia al petto.
         «Una sciocchezza da nulla, dovrete semplicemente aiutarmi a far in modo che il guerriero e la maga si uniscono in un solo potere». Anna e Kristoff la guardarono sgranando gli occhi, come se avesse detto qualcosa di comprensibile per le loro orecchie.
         «Cosa?» ripeterono.
         «Quello che ho già detto, ve lo ripeto se non fosse abbastanza chiaro: che il guerriero e la maga si uniscono in un solo potere o le tenebre scenderanno sul tempo divorando ogni cosa». La strega allargò le braccia verso l'alto e il cielo si scurì divenendo buio, il vento tirò più forte e ogni calore era scomparso dal mondo. Spaventati fecero lenti passi indietro per poi correre verso il castello lasciando sola la vecchia che balbettò: «ma dove state andando!»  e quando alzò gli occhi al cielo capì.
 
***
 
         La pioggia batteva sui vetri, goccioline d'acqua che andavano a unirsi a quelle precedenti. Elsa guardò malinconica oltre la finestra, l'intero giorno l'aveva passato a discutere con le autorità delle Isole del Sud sul caso del principe Hans che finalmente aveva trovato moglie, una giovane principessa di qualche regno lontano, in Oriente e finalmente aveva messo fine alle sue manie di grandezza. Aveva trascorso l'intero pomeriggio a ricevere cameriere, sarte venute da ogni angolo del mondo per mostrarle i loro lavori, artigiani, fabbri, musicisti,  garzoni su come doveva essere organizzata la festa e a quel punto era intervenuta la gentilissima Gerda e infine si era ritrovata con una pila di carte da firmare, conti da analizzare e a dover parlare con il ministro del tesoro, un uomo tarchiato, dal ventre prominente e austero. Era stato l'incontro peggiore della giornata. Guardò gli ultimi plichi di carte da controllare, sbuffò. Sentiva il suo potere crescere dentro di se, scorrere nelle vene, aveva bisogno di essere liberato, quei giorni erano stati molto stancanti. Aveva anche rinunciato alla cena e il vassoio che le era stato portato era completamente intatto. Non aveva più molta fame, però aveva voglia di creare qualcosa di bello, di far scaturire l'energia dalle sue mani e con un sorriso, si alzò dalla sedia e seguendo un immaginaria melodia iniziò a danzare, intorno a lei il ghiaccio prendeva vita. Non pensava a cosa stesse creando, si stava lasciando guidare solo dal suo istinto e quando si fermò, accaldata, scarica di ogni energia e felice rimase sorpresa dalla sua creazione: un magnifico drago dalle squame trasparanti, dalle ali che coprivano l'intera sala e la coda talmente era lunga da essere attorcigliata su se stessa. Provò la stessa sensazione di soddisfacimento e stupore di quando aveva creato il castello, non poteva credere alla sua vista; sembrava vero, forse lo era. Facendosi coraggio allungò una mano e in quel momento sbatte le palpebre, due occhi color zaffiro la scrutavano. Elsa indietreggio. La sua creatura era viva, proprio come Olaf. Bussarono alla porta e la regina distolse lo sguardo dal drago.
         «SI?»
         «Il principe Ramsay chiede di vederla, maestà».
         Elsa attese prima di rispondere, la paura di essere scoperta, la paura di incontrare il Laird avvolsero il suo animo e il drago aprì la bocca emanando un verso di dolore, frantumandosi in mille pezzi. La sovrana trattenne un grido soffocato guardando la sua opera andare in frantumi, sgretolarsi inesorabilmente. Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi.
         «Maestà ho sentito un rumore, tutto bene? Devo chiamare le guardie?»
         «No, no! Ora arrivo. Dite al principe che sono pronta».  
 
***
 
         Il cielo era coperto da uno strato di nuvole, la pioggia aveva smesso di bagnare la terra. Il vento soffiava forte, costringendo il Lord ad alzare fino al mento il bavero del cappotto che scendeva lungo oltre il ginocchio. Elsa era e restava impassibile al freddo, indossava un abito color blu notte, di seta; il corpetto era fatto di intricato ricami a forma di fiocchi di neve che le fasciava il busto, la gonna scendeva morbida lungo i fianchi, mettendo in risalto la spaccatura laterale destra lasciando intravedere la coscia bianca. Il vestito ricavato dal suo stesso potere. I capelli erano tenuti nella solita treccia, tra essi vi erano delle schegge di ghiaccio, il resto di ciò che rimaneva del suo drago. Ramsay l'osservava ammaliato. Passeggiavano lungo i giardini reali, il parco era completamente innevato creando un aspetto magico e surreale.
         «É davvero magnifico, immagino che abbiate passato interi giorni quando eravate piccola in questo angolo di paradiso». Elsa lo fulminò con lo sguardo, non era colpa sua, non tutti sapevano che aveva vissuto molto tempo chiusa in una stanza, tra quattro mura.
         «Lo guardavo dalla finestra, ammiravo tutto dalle grandi vetrate della mia camera. Io non uscivo mai» ribatté distante.
         «Mi dispiace, non lo sapevo».
         «Nessuno lo sa».
         Ramsay annuì. Continuarono a camminare lasciando vistose impronte nella neve alta. Elsa era silenziosa ed enigmatica, non lasciava traperlare sentimenti di alcun tipo e tutto ciò il Lord lo trovava davvero interessante.
         «A vostra sorella Anna immagino fosse permesso uscire dalla sua stanza» continuò.
         «Lei non è nata con...» si trattenne mordendosi la lingua.
         «I poteri? No, Elsa, non fartene una colpa. È un dono non una maledizione, significa che sei speciale».
         «Per lei, mio Lord, io sono vostra altezza o vostra grazia, come preferisce. Invece credo che proprio coloro che non hanno nessun dono sono quelli più forti».
         «Vostra magnificenza, dovrebbe andare bene ma preferisco chiamarti Elsa è più bello e musicale. Vi riferite a vostra sorella Anna, Elsa?» la provocò il principe. La regina si fermò puntando i piedi in terra, guardandolo con occhi di sfida. Gli occhi di Ramsay si illuminarono, maliziosamente. Elsa si trovava schiena a un albero, non avrebbe avuto possibilità di fuga e con passi decisi avanzò verso di lei.
         «Le ho già detto che nessuno può rivolgersi a me chiamandmi per nome, non siamo in confidenza. Certo è mio ospite e pretendente, ma non mio marito».
         «E se lo diventassi potrei chiamarti Elsa?» Avanzò ancora costringendo la sovrana a indietreggiare, toccò con la mano la corteccia dell'albero. Era stata stupida, era caduta nella trappola dell'uomo, ingoiò un boccone che scese a fatica lungo la gola. Ramsasy la guardava come un predatore guarda la sua preda, famelico. Gli occhi verdi scintillavano nel buio della notte. Una mano le accarezzò il viso, erano terribilmente calde rispetto alla sua pelle fredda e marmorea.
         «Elsa il tuo nome riempie i miei polmoni d'aria fresca ogni volta che lo pronuncio. Elsa non poteva essere un nome più adatto e nobile per una misteriosa regina. Elsa dalla prima volta che ti ho visto ho desiderato sfiorare queste tenere e tremolanti labbra, rosse come rose in un campo di margherite. Elsa permettimi questa impudenza». Avvicinò il volto a quello della regina, li dividevano centimetri. La sovrana non riusciva a far uscire il suo potere per paura di poter fare del male, per paura di essere vista e perché era ipnotizzata da quell'uomo dallo sguardo impenetrabile e oscuro. Le loro labbra si sfiorarono, Ramsay con una mano strinse il fianco della donna avvicinandola di più al suo corpo distruggendo ogni muro e ogni distanza. Un sibilo nell'aria e un rumore. Elsa lo allontanò da lei con una spinta decisa. Una freccia era atterrata a pochi centimetri dagli stivali del Lord. Ramsay alzò lo sguardo confuso, non vi era nessuno in vista, o almeno non si faceva vedere. Con il cuore che le martellava nel petto Elsa alzò la gonna del vestito fuggì dal principe. Il Lord provò a rincorrerla, ma un'ombra scura gli passò accanto. E Ramsay capì dover seguire l'ombra.
        

Angolo Autrice:
         Salve a tutti non mi sono dimenticata di questa storia solo che ho dovuto studiare per il mio penultimo esame della specialistica che ho passato a pieno voto (esulta come una pazza)e per questo ho dovuto rimandare la stesura del testo e la pubblicazione. Come avevo detto ho cercato di spiegare la nascita degli anelli e sopratutto come Elsa è nata con questi poteri (è una mia spiegazione e spero che la Disney con il sequel ci illuminerà). Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, che continuerete a seguirmi e di non starvi annoiando troppo. A presto, Mai Valentine. 

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Capitolo 7
*** Prendere coraggio ***


 
Arendelle
 
Nascosta tra gli alberi Merida si morse la mano, non gli era mai capitato di sbagliare un tiro e certamente non voleva colpire i due amanti. Avrebbe dovuto scusarsi in qualche modo e sopratutto raccogliere la freccia o altrimenti sarebbe stata perduta. Aveva trovato l'arco che era stato nascosto nella sala armi, dopo che Anna e Kristoff se ne erano andati e dopo aver dormito un'ora aveva deciso di esplorare il castello perdendosi più e più volte. E quando era giunta nella sala armi appesa alla parete aveva trovato il suo prezioso arco dono di suo padre; c'erano poche frecce nella faretra ma questo a lei sarebbe bastato per un allenamento veloce. Ora si trovava a  dover interrompere ulteriormente il momento intimo dei due  promessi entrando in scena con un: «O scusaste tanto, ma vedete ho trovato il mio arco e poiché non mi allenavo da molto ho deciso di farlo questa sera, al buio. Ma prego, non badate a me continuate pure». Disperata sbatté la testa contro la corteccia dell'albero disperatamente, con la coda dell'occhio continuò a osservare la scena. Sperava che i due  amanti andassero via e che lei potesse finalmente prendere ciò che le apparteneva e invece solo uno dei due fuggiva, correva velocemente come una preda inseguita da un cacciatore. «Elsa» bisbigliò. In fretta raccolse l'arco da terra e la seguì rimanendo occultata dalla fitta vegetazione del parco, voleva vedere dove stava andando la regina e proteggerla da pericolose creature notturne o da uomini molesti; guidata anche da una forte curiosità, si chiedeva perché fosse fuggita dall'uomo che l'aveva baciata.
          Camminarono per un lungo tratto fin quando Elsa non raggiunse la foce di un ruscello completamente ghiacciato e lo attraversò saltando sulla punta dei piedi. Merida rimase impressionata da tanta agilità e abilità, sembrava che la regina danzasse e si librasse a pochi metri dal suolo. Tornò a concentrarsi sulla sua di strada da percorrere se voleva continuare a seguire Elsa, innanzi a se non aveva un fiume ghiacciato ma neve alta e spessa. Determinata andò avanti, i piedi affondavano nella vene, mentre la sovrana di Arendelle continuava inarrestabilmente la sua corsa.
         Quando Elsa raggiunse il castello di ghiaccio le luci dell'alba non ancora splendevano sul suo amato regno. Il vento soffiava con forza e irruenza, sollevando il candido manto. Il cielo carico di nuvole nere tuonava minaccioso. Intorno a lei non vi era nulla solo neve, neve e il suo magnifico castello di ghiaccio che si ergeva grandioso sulla montagna del Nord. Il silenzio era assordante, il battere del suo cuore l'unico rumore. Si sentì libera, lontana dai suoi doveri di sovrana. Più di una volta aveva pensato di restare lì per sempre, sebbene la popolazione e ogni singolo membro della servitù conoscesse il suo segreto ed era  ben voluta, la miglior sovrana di Arendelle, a volte il desiderio della solitudine, di poter fare ciò che più voleva con i suoi poteri tornava a farle visita la notte, a bussare con prepotenza. Il bacio di Ramsay aveva turbato il suo animo inquieto e fragile. Desiderava una sola notte di pace. Poggiò il piede sul primo scalino, ma una voce, o meglio un rantolo la costrinsero a voltarsi. Spaventata da Ramasay non controllò il suo potere e lanciò contro l'uomo la magia.
         «Ah!» esclamò la voce alle sue spalle evitando di striscio l'attacco della regina. Elsa si voltò di scatto, in posizione di difesa fronteggiando il suo nemico.
         «Tu? Cosa ci fai qui? E perché mi hai seguita?» domandò la sovrana avanzando minacciosa e furiosa contro la principessa di DunBroch. Merida fece dei passi indietro, lentamente, alzando le mani in alto, intimorita dallo sguardo intimidatorio di Elsa. Mai avrebbe immaginato di vedere la regina così nervosa e spaventata.
         «Io, io, volevo solo recuperare la freccia che avevo perduto, poi però l'ho vista fuggire e l'ho seguita, per proteggerla. Lo giuro, non era mia intenzione scoprire questo bellissimo posto» si giustificò. Elsa continuava ad avanzare, Merida a indietreggiare e la ragazza dai folti capelli rossi mise un piede in fallo, scivolò affondando nella fredda neve. La monarca non esitò ad aiutarla e porgendole la mano la sollevò da terra. I lunghi capelli ricci erano ricoperti da fiocchi candidi, le guancie avevano assunto un colore rosso fuoco mettendo ancora di più in risalto le numerose lentiggini. Con le braccia cercava di riscaldarsi.
         «Grazie» disse battendo i denti.
         «Sta tremando». Con fare protettivo  la strinse tra le sue braccia, come  faceva con sua sorelle quando esagerava a giocare con la neve, e in quel momento notò del liquido rosso che scorreva dal fianco della principessa.
         «Non c'è bisogno di abbracciarmi, non ho freddo...?» Merida sgranò gli occhi e soffocò un gemito nel sentire le dita di Elsa, gelide, sfiorarle la carne, sulla ferita riaperta.
         «Dobbiamo tornare ad Arendelle, il dottore saprà cosa fare. Oh no, la tormenta». Neve e pioggia si abbatterono su di loro con irruenza. Elsa guardò le scale, poi la principessa che si aggrappò all'abito della donna.
         «Non possiamo tornare indietro, dobbiamo raggiungere la porta del Castello. Non separarti mai da me» urlò contro vento. Merida annuì e a passi lenti salirono le scale di ghiaccio, passo dopo passo la tormenta aumentava divenendo bufera. Elsa con un ultimo slancio aprì la porta del Castello. Scivolarono in terra, ai piedi del grande mostro di neve e ghiaccio, Marshmellow. La creatura magica nel riconoscere la sua padrona si inginocchiò al suo cospetto. Elsa si rimise in piedi posando lo sguardo sulla principessa di DunBroch che a fatica si rialzava.
         «Sto bene, sto bene. Bello slancio» disse complimentandosi con la regina e quando alzò gli occhi e si trovò di faccia il gigante aprì e chiuse la bocca, spaventata.
         «Oh per tutti gli Orsi, per mia madre orsa, per Mor'Du orso! Che cos'è questo coso?» chiese indicandolo con il dito. Il freddo e il dolore al fianco sembravano essere spariti del tutto.
         «Anche le creature più mostruose hanno un cuore, non sia offensiva. Il suo nome è Marshmellow, il guardiano del mio castello personale».
         «Hai un castello personale? Pensa che io non ho, quasi, neanche una stanza tutta per me! Gente che entra ed esce, mio padre, mia madre, i miei pretendenti che cercano di conquistare il mio cuore, i miei fratelli... I miei fratelli!» esclamò ricordandosi di aver dimenticato, di aver lasciato soli i tre principi ad Arendelle a molte miglia di distanza da dove lei si trovava.
         «Non preoccuparti staranno bene, Anna si prenderà cura di loro, lei sarà un'ottima madre e Kristoff un ottimo padre» scostò una ciocca di capelli dal viso abbassando lo sguardo, a Merida non sfuggì quel gesto.
         «Anche tu lo sarai, Elsa» rispose con un mormorio le usciva naturale chiamare la sovrana con il suo proprio nome e alla monarca di Arendelle ciò non dava fastidio.
         «Non perdiamo tempo in stupide chiacchiere, non puoi restare con quegli abiti bagnati addosso o ti prenderai una polmonite e poi c'è la ferita da curare. Spogliati e fammi vedere» era un ordine.
         «Davanti al mostro? A Marshmellow?»
         «É un pupazzo di ghiaccio e neve non ha... E va bene, Marshemellow per favore voltati». Il gigante girò le spalle, confuso. Elsa raccolse gli abiti bagnati dell'erede di DunBroch e li piegò, non avrebbe potuto accendere un fuoco, ma avrebbe potuto crearle un nuovo abito.
         «Sono pronta» disse  abbassando la sottana fino ai fianchi, mentre con le braccia si copriva i seni. Elsa controllò la ferita, non era profonda, ma qualche punto  era saltato, avrebbe dovuto disinfettarla e fasciarla. Ci pensò qualche istante e d'istinto creò dalle sue mani una sfera di neve. Il freddo avrebbe sgonfiato e pulito la zona arrossata. Sotto lo sguardo  sorpreso di Merida, Elsa strappò la gonna del suo abito e fasciò il fianco stringendo il nodo.
         «Non sarà il migliore dei modi, ma è un modo».
         «Ti ringrazio Elsa, ma ora avrei bisogno di abiti asciutti»  le fece notare Merida. Elsa la osservò, imbarazzandosi di fronte alla vista della ragazza quasi del tutto spogliata. Fece un lungo respiro e con uno schioccare delle dita la principessa straniera indossava un abito nuovo, verde, rosso con alcuni ricami in acqua marina che si intonava alla perfezione agli occhi e ai capelli della ragazza.
         «Tu davvero puoi fare questo?» domandò estasiata.
         «E molto altro, questo Castello è opera mia» rispose con un sorriso allargando le braccia «e anche Marshmellow e Olaf».
         «Sei meglio di quella strega che ha trasformato mia madre in orso, per causa mia si intende, ma questa è un'altra storia te la racconterò un altro giorno. E quindi potresti creare un drago, un drago di ghiaccio?» chiese lasciando trapelare tutto il suo entusiasmo saltellando sul posto. La regina guardò con aria titubante la ragazza annuendo.
         «Come mai questa richiesta?»
         «Ehm, nulla» rispose l'erede di DunBroch gettando all'indietro i capelli. Elsa abbassò lo sguardo sull'anello di ghiaccio, brillava. "Che Granpapà avesse ragione? Una volta ad Arendelle devo leggere quel libro, devo sapere". Il silenzio calò sulle due giovani donne fino a quando Merida con il capo chino non osò porle la domanda che l'aveva convinta a seguirla.
         «Perché prima fuggivi? Sua maestà e quell'uomo  eravate in sintonia»
         «Quando? Oh — sembrò ricordarsi tutto d'un tratto divenendo nervosa — beh, non è come pensi. Lui mi ha baciata senza che io lo volessi, senza il mio consenso e sono scappata». Elsa rispose brusca, fredda, come se non le riguardasse ciò che le era accaduto. Merida si morse il labbro, allungò una mano per accarezzare in segno di conforto la regina di Arendelle, ma Elsa scostò il braccio con un brusco scatto. Era spaventata e tremava. Stringeva con sforza le dita facendo diventare bianche  le nocche delle mani. Era diventata un'altra persona e si rese conto di non conoscere per niente quella strana donna che la incuriosiva.
         «Scusami, non avrei dovuto... Mia madre me lo dice sempre di non essere così impulsiva. Spero che mi possa perdonare, maestà» fece un inchino in segno di scuse. La sovrana abbozzò un sorriso. «Scuse concesse e preferisco che mi chiami Elsa. Ora è tempo di chiudere gli occhi, fino a domani non potremmo muoverci, ma purtroppo questo bellissimo castello è privo di letti, ci penserà Marshmellow da farvi da materasso e cuscino». Il gigante di neve abbassò il suo pesante corpo fino alla ragazza aprendo la mano. Merida titubante vi si adagiò e non appena si distese sentì il sonno invaderla.
         «Elsa?»
         «Quando sono in questo posto non ho bisogno di dormire, il mio animo riposa in questo luogo anche quando sono sveglia. Buona notte principessa di DunBroch».
 
***
         Ramsay aveva seguito l'ombra combattendo contro il forte vento fino a giungere in un luogo avvolto da uno strano e pesante silenzio. Tutto intorno vi erano alberi e l'ululare del vento e lo sferzante battere della pioggia erano lontani, si chiese se non fosse caduto in qualche trappola, in un sortilegio magico della stupida vecchia strega. Occhi rossi lo scrutavano, sentì passi pesanti e il fiato di lupo diventare sempre più vicino. Sguainò la spada che portava al fianco, pronto ad attaccare l'animale o qualsiasi altra creatura demonica, quando Shane prese le sue sembianze e furiosa  lo spinse contro la corteccia di un grande pino stringendo il colletto del cappotto. Ramsay non aveva mai visto occhi così cupi e intensi. Tremò.  
         «Merida è qui lo sento nelle ossa, devi dirmi dov'è!» esclamò furiosa.
         «Se lo sapessi saresti la prima a saperlo, è nel mio interesse che la principessa torni a casa sua» ribatté con voce tremante.
         «Maledizione» spinse di nuovo il principe lasciando poi la presa. «Mio fratello mi sta prendendo in giro, io voglio tutti i DunBroch morti, tranne Merida e lui cosa fa? Diventa amica di Elinor! Maledetto».
         «Shane non sei lucida. Devi pensare al tuo piano, al nostro piano. Ti manca un solo anello e il potere del tempo sarà tuo». La donna gli lanciò un'occhiata carica d'odio.
         «Come se se fosse semplice, quella dannata ragazzina è qui, lo sento, ma non riesco a trovarla e tu invece di essere mio complice perdi tempo a conquistare regine impossibile».
         «Come ci siamo già accordati in precedenza la conquista di Arendelle fa parte dei nostri piani e non possiamo assolutamente permettere che Elsa e Merida si incontrino o tutti i nostri sforzi non saranno valsi a nulla». Shane rifletté per un istante, era vero non si stava comportando lucidamente, si stava lasciando sopraffare dalla rabbia e dall'orgoglio ferito. I ricordi della morte di sua madre e delle torture che aveva subito da parte degli uomini del Nord erano ancora vivi nella sua mente, troppo vivi. E per un frangente Ramsay vide Shane divenire una bambina. Gli abiti che indossava, un vestito nero con una cappa rossa, le sembrarono troppo grandi per una bambina di cinque anni, il suo volto non mostrava segni di cattiveria e i grandi occhi neri luccicavano, colmi di lacrime. Fu un attimo. Shane tornò adulta, il suo volto si indurì e ogni innocenza era scomparsa dal suo corpo. La donna gli accarezzò il volto. Sentì le unghie lunghe dallo smalto rosso sangue sfiorarle la pelle e le labbra di lei imprimersi sulle sue. Era totalmente sbagliato ed eccitante. Ramsay avrebbe voluto approfondire quel contatto, ma Shane si allontanò da lui, bruscamente e rise.
         «Sei come tutti gli uomini, Ramsay. Cadete sempre nella provocazione, non sai quanti già ne uccisi in questo modo. Il mio tempo è scaduto, fai il tuo dovere e non deludermi».
         «Ho interesse anche io in tutto questo, mia regina dell'ombra». E con un sorriso carico di malvagità Shane sparì nel buio della notte e Ramsay si trovò nella sua calda stanza, il camino scoppiettava rumorosamente e nella mano destra reggeva un boccale di vino. Fuori dalla finestra la tempesta imperversava.
 
 
***
          I primi tenui raggi solari filtravano oltre le pesanti tende della sala principale del Castello di Arendelle. Anna camminava innanzi e indietro, irrequieta, facendo venire un forte giramento di testa all'Ice Master. Olaf e i tre principi di DunBroch giocavano insieme, o meglio facevano a gara a chi inghiottiva più cioccolata. La servitù cercava il più possibile di evitare la principessa a passi di danza portando vassoi e piatti pesanti non solo per preparare la colazione, pranzo e cena, ma anche per i preparativi imminenti per il compleanno della regina.
         «Basta!» gridò Anna fermandosi di tutto punto in mezzo alla sala; uno dei servitori si fermò poco prima d'investirla con un vassoio di tazze di tè caldo e cioccolata. Kristoff si alzò di scatto pronto a salvare la sua fidanzata. Il cameriere riuscì ad evitarla con maestria.
         «Anna dovresti calmarti e sopratutto evitare di essere investita dai servitori» l'Ice Master la costrinse a sedersi di peso su una delle tante sedie libere.
         «Ma Kristoff potrebbe esserle capitato qualsiasi cosa. Attaccata dai lupi, divorata dagli orsi, ho rapita da quella strana vecchia o...» la principessa abbassò lo sguardo torturandosi le mani e fu a quel punto che Kritosff capì tutto; Anna aveva paura che sua sorella potesse averla lasciata di nuovo, da sola. Il ragazzo si inginocchiò e amorevolmente baciò le mani della principessa.
         «Vedrai che lei non ti lascerà più sola, deve essere accaduto qualcosa, ma niente di grave o preoccupante. Elsa è pur sempre la Regina delle Nevi» disse in tono affettuoso. Kristoff era uno dei pochi ai quali venisse permesso di chiamare la sovrana in quel modo; un tacito accordo d'amicizia tra la regnante e l'Ice Master,  soprannominato affettuosamente da  Elsa Re delle Renne.  Anna annuì trovando conforto in quelle parole.
         «Oh Elsa sta tornando è in compagnia della strana ragazza dai capelli rossi!» esclamò Olaf. La principessa si precipitò alla finestra rovesciando in terra la pesante sedia. Finalmente sua sorella era tornata a casa. Corse fino al portone d'ingresso e quando Elsa lo varcò Anna la cinse in un forte abbraccio, rimproverandola con apprensione.
         «Dove sei stata, cosa è accaduto, stai bene?»
         «Si,  io sto bene, ma forse non così tanto la nostra ospite. Chiamate il medico, deve essere nuovamente visitata... Ieri sera abbiamo avuto un incidente imprevisto» lanciò uno sguardo a Merida che afferrò al volo: nessuna parola su ciò che aveva visto accadere tra lei e Ramsay.
         «Oh va bene, l'accompagno io da Marcus, in questo momento è nel suo studio».
         «Grazie Anna e scusa se ti ho fatto preoccupare, ma una per una non pensi? Più tardi parleremo, ora devo proprio andare» e prima che sua sorella potesse fermarla salì in fretta le scale per dirigersi nel suo studio. Spalancò la porta della stanza e la richiuse con tre girate di chiave, abbassò le tende e prese il libro che GranPapà le aveva dato e sedendosi alla scrivania con il cuore che batteva nel petto lo aprì.
 
DunBroch
 
         Un nuovo sole era sorto oltre le montagne. Un nuovo giorno con nuove lacrime che sgorgavano dal viso arrossato della regina. Una nuova notte insonne passata a pensare ai suoi figli, a Merida, a Fergus prigioniero. Libera e in prigione nel suo stesso castello. Osservava dalla grande finestra della camera da letto gli uomini in arme con indosso lo stemma dell'Uomo Bruciato che si allenavano nel cortile. Il martellante rumore del ferro che batteva contro altro ferro la costrinse a massaggiarsi le tempie, un tempo quel suono le piaceva, o meglio non la infastidiva come in quel momento. I cani di suo marito avevano preso ad abbaiare e a latrare con forza, avevano fame. Non sapeva chi si occupava di quelle povere bestie, solo qualche giorno prima erano libere di gironzolare per il castello, ora erano tenuti in una gabbia, spaziosa, ma pur sempre una gabbia. Ramsay aveva sostenuto, saggiamente, che i cani sono più fedeli degli uomini.
         «Agli uomini bastano oro, donne e una carica importante per corromperli, un cane anche se gli servirai da mangiare ti staccherà la mano con tutta la carne portandola al suo vecchio padrone scodinzolando. Lo so per certo, mia signora l'ho visto con i miei occhi».  Questo le aveva detto il nuovo padrone di DunBroch una notte prima e non poteva che dargli ragione, silenziosamente aveva annuito.
         Lo bussare incessante alla porta la costrinse a voltarsi spezzando il flusso dei suoi pensieri. Le sue due servette erano giunte per preparale il bagno, abbellirla e condurla nella sala da pranzo, seduta al centro tra Ramsay e Roose Sutherland, nel suo vecchio posto di regina. La trattavano con gli onori dovuti, come se avesse ancora un ruolo in quel Castello, forse era così, forse no. Sospirando aprì la porta alle due servette che come ordinato dal loro padrone la prepararono di tutto punto. Indossò uno splendido abito rosso di seta, che le portava alla mente i capelli di Merida. Sulle spalle le venne poggiata una mantella corta di lino verde e ai piedi scarpe di cuoio. Tra i vari oggetti vi trovò una magnifica collana di d'oro bianca costellata di diamanti preziosi e gemme luccicanti. Osò sfiorarla appena con le dita per paura di romperla.
         «Spero che il mio regalo sia di vostro gradimento».
         Elinor sollevò gli occhi sull'uomo, su Ramsay che entrò nella stanza con passi felpati e veloci.
         «Credo, sia buona educazione bussare alla porta» ribatté la regina. Il Lord le porse un inchino di scuse.
         «Perdoni la mia distrazione»  con un movimento fluido e veloce la raggiunse, dietro le spalle e prendendo la collana le sussurrò «mi permetta di aiutarla a indossarla?»
         In un primo istante la regina avrebbe voluto rifiutare e scacciare l'uomo, ma riflettendo attentamente trovò più saggio e considerevole accettare quell'offerta, mostrarsi amichevole poteva tornarle utile, in futuro. Elinor annuì sentendo le mani fredde e nerborute del giovane sfiorarle il collo. Ramsay sorrise compiaciuto.    «Ho fatto bene a scegliere questa collana per lei, le dona molto».
         «La ringrazio» fu pura cortesia.
         «Non ringraziatemi, prendetelo come un regalo anticipato per il mio futuro matrimonio con sua figlia. Bene, la colazione è pronta». "Se riuscirà a trovarla e a costringerla a sposarsi con te, mio lord" pensò Elinor.
         Ogni leccornia era stata messa sul tavolo, dalla carne arrosto, alla zuppa di fave, al pane col miele e burro, a torte di ogni genere, vino e birra. Elinor toccò poco cibo e poco vino, preferiva rimanere lucida. Guardò gli uomini che pranzavano con lei, erano tutti in silenzio, solo di tanto in tanto si alzava un mormorio o una risata più forte, era tutto così diverso da quando Fergus non era più re. Non c'erano più risate, non c'era più vitalità. Maudie serviva a capo chino la colazione aiutata da una giovane servetta che non aveva mai visto al Castello, che con i suoi grandi occhi  marroni continuava a fissarla, forse  apparteneva ai Sutherland, ma tre le loro file oltre alle due servette che le preparavano la stanza e Shane non aveva visto altre  donne. La giovane a lei sconosciuta attraversò tutta la sala per versare vino fresco nelle coppe dei sovrani. Roose Sutherland rifiutò e con un cenno del capo si alzò dalla sedia allontanandosi, era un uomo silenzioso e di poche parole. Ramsay invece accettò annuendo, portando alla bocca un chicco d'uva.
         «Altro vino, maestà» disse la ragazza avvicinandosi con nuovo boccale alla coppa della sovrana sfiorando la mano con i suoi lunghi capelli color del grano. Elinor la scrutò con attenzione. No, non apparteneva ai Sutherland e neanche aveva mai lavorato al Castello, doveva essere stata assunta da pochi giorni o ore, perché sulla pelle della spalla si poteva vedere una bruciatura, un segno che tutte le ladre finite nelle prigioni e poi liberate portavano.
         «Si...» rispose la sovrana.
         «Il mio nome è Laire, mia signora».
         «La ringrazio Laire».
         La servetta si congedò con un inchino chiamata da Maudie. Elinor abbassò lo sguardo e trovò sul grembo una lettera dalla busta bianca che portava il nome della giovane servetta. L'aprì in fretta nessuno si era reso conto del suo gesto, Ramsay era troppo intento a parlare con una delle sue guardie per badare a lei; la lesse tutto d'un fiato.
         «Mia sovrana, lei non mi conosce, ma io  si e ho anche conosciuto sua figlia e per Merida e per lei che sto facendo questo. Oggi busserò alla sua stanza portandole del tè, mi apra. Dobbiamo parlare». ELinor nascose la missiva tra le pieghe del vestito. La testa le girò vorticosamente e lo stomaco si era chiuso in una morsa, scortata dalle guardie tornò nella sua stanza. Si sedette su una sedia a dondolo guardando il cielo, al di là delle montagne. Aveva deciso che avrebbe aperto alla giovane e parlato con lei con cautela, non sapeva ancora da che parte giocava, ma aveva intenzione di ascoltare ciò che Laire avesse da dirle. In cuor suo sperava  in unno spiraglio di luce dalle oscure tenebre.
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Scusate il ritardo per vari motivi non sono riuscita ad aggiornare prima, ma la storia è tutta segnata su un quaderno, dovevo solo trovare il momento adatto per riportarla sul computer. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e ringrazio coloro che continuano a recensirmi e a seguirmi. Mi scuso per non aver risposto alla precedenti recensioni, ma provvederò a recuperare stesso oggi =). A presto, Mai Valentine. 

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Capitolo 8
*** Tentativi di fuga ***


Arendelle
 
         Il mio nome è Ingrid di Arendelle sovrana di un piccolo regno a stento disegnato sulla cartina geografica, dimenticato da tutti, dimenticato da Dio. Arendelle si trova in Norvegia e la Norvegia si trova nell'Europa Settentrionale, siamo conosciuti per lo strano fenomeno della Notte Polare* , sei mesi di totale buio in inverno. I miei cittadini spesso soffrono per tale particolare clima, immaginatevi ogni giorno per sei mesi il sole calare a mezzodì, bello e  triste non trovate? E ho visto nella mia vita più uomini mangiare carote* che non donne incinte... Misteri che non troveranno mai risposta.
         Tornando a me, ho 72 anni, tre figli, molteplici nipoti e molti ricordi da condividere. Ho deciso di riportare le mie memorie su carta affinché la mia storia non si perda nel tempo, come spesso accade,  sopratutto non voglio dimenticarmi di lui, di Meraud, l'uomo che ha cambiato la mia vita.
         Sono nata in una fredda notte di Dicembre. Il vento ululava così forte da far tremare la luce delle candele e il grande lampadario della stanza da letto. I tuoni rombavano spaventosi, facendo sobbalzare le povere cameriere che correvano da un lato all'altro del castello, indaffarate. Fu un parto travagliato, sembrava che non si vedesse mai la fine e invece, finalmente decisi di nascere. Non piansi e il mio corpo era freddo, gelido come la neve, tutti pensarono che fossi morta, ma mia madre debilitata e stanca insistette per  tenermi tra le braccia.
         «Oh, come è bella e guardate ha un magnifico sorriso» disse accarezzandomi una guancia. I presenti pensarono che fosse impazzita, ma quando videro che sorridevo e stringevo il pollice di mia madre, beh furono costretti a ricredersi. Venni strappata dalle braccia della sovrana e data alla balia affinché si prendessero cura di me, purtroppo durante la notte mia madre morì e quella stessa notte il castello e Arendelle conobbe la gioia della vita e la tristezza della morte, mentre io ignara di tutto,  ancora in fasce mostrai straordinarie doti:  al mio primo vagito feci  calare dal soffitto soffice neve bianca. La cameriera spaventata corse da mio padre che distrutto per la morte della sua sposa credette pazza la serva e la fece rinchiudere nelle secrete del castello e affinché nessun imbecille inventasse cose strane decise lui stesso di prendersi cura di me, ma quando anche lui constatò le mie capacità rise e pianse al tempo stesso.
         Nei giorni che seguirono chiamò i miglior medici del regno, eppure nessuno gli seppe spiegare il perché del mio dono, finché un giorno una strana creatura non venne a corte, era un Troll. Gran Papà che predisse al re di Arendelle una profezia:      
         "Da lontano un giorno arriverà un uomo dalla chioma infuocata e dall'anello di ghiaccio. Sul braccio il tatuaggio dell'Orso, potere, forza e amore, Berserk di vostra figlia. Il pericolo incombe. Un altro uomo, dello stesso rango e nome tenterà di conquistare Arendelle e il suo cuore aiutato dalla regina delle Ombre. Solo il drago risvegliato potrà fermare la caduta" e indicò me. 
         E quando mio padre chiese chi fosse il guerriero e chi il nemico il Troll non seppe rispondere, le rune non  riuscivano a vedere così lontano.
         Il re crebbe con la paura di una guerra e che qualche strana creature mi portasse via, spaventato, furioso e colmo di dolore decise di limitare i miei contatti con il mondo. Crebbi nel Castello e ogni giorno vedevo le stesse facce e le stesse persone, leggevo molti libri e molte storie, io diventavo splendida e come il mio potere, mentre mio padre invecchiava giorno dopo giorno. Il re morì pochi mesi prima che io raggiungessi la maggiore età e da quel giorno iniziarono i miei guai.
 
 
Elsa lesse in fretta le pagine che riguardavano le trattazioni commerciali, il periodo degli impegni e l'alleanza con il regno delle Isole del Sud e di Waselton, fino a quando non giunse a ciò che più le premeva: l'avverarsi della profezia.
 
         Era una calda mattina estiva, il sole splendeva su Arendelle e l'inverno rigido e freddo era solo un brutto ricordo e fu proprio quel giorno che la mia vita si intrecciò con quella di Meraud.
         I bambini si riversavano nelle strade a rincorrersi tra di loro, mentre uomini e donne lavoravano con più gioia e felicità. Osservavo tutto questo in groppa al mio destriero, Umber, spesso uscivo di nascosto senza farmi notare da nessuno, per osservare e conoscere il mio popolo senza essere mai riconosciuta, era davvero bello. Allegra tornavo dalla mia passeggiata mattutina, era appena entrata nelle scuderie e stavo guidando Umber nel suo boxer quando vidi uscire da un cumulo di paglia un ragazzo dalla chioma rossa e riccia come il fuoco, dalla barba folta e dalle braccia possenti, sputare fieno. Io mi ritrassi in fretta, per lo spavento. Lo straniero rendendosi conto di non trovarsi più nella sua dimora e credendo che io volessi urlare mi afferrò per le braccia spingendomi contro la parete di legno e mi tappò la bocca.
         «Ti prego non urlare, la mia storia ha dell'assurdo, ma se mi ascolterai non te ne pentirai, quindi per favore non urlare, né strepitare o altro» era disperato. Io avevo udito i passi del guardiano dei cavalli, per liberarmi dalla sua presa molesta lo morsi sulla mano. Il mastro con i garzoni entrò in quel momento e nel vedere il giovane dalle spalle larghe a pochi passi da me afferrò il forcone e lo puntò alla gola dello straniero. Il pomo d'Adamo del  ragazzo si alzò e abbassò con un singulto al tocco freddo della punta del forcone.
         «Fermo!» tuonai. Il mastro e il guerriero mi guardarono. «Lui è il nuovo stalliere di Umber» e indicai lo straniero. Il buon allevatore di cavalli mi fissò come se fossi impazzita.
         «Maestà, io non credo sia il caso di...»
         «Io sono la regina, io decido. Tu, ragazzo, prendi Umber è ora di fargli fare la sua passeggiata mattutina». Il giovane dai capelli rossi annuì e in fretta, più in fretta che poté afferrò le redini del mio destriero uscendo dalla stalla. E quando fummo abbastanza lontani mi fermai.
         «La prossima volta che mi tocchi con quelle tue manacce luride te le stacco e non solo quelle e ho il potere di farlo, sono la regina di questo regno... Tu piuttosto chi sei?»
         Il ragazzo mi fissò, poi mi porse un rozzo inchino. «Io sono Meraud, il Berserk e sono qui per aiutarti, una strega mi ha mandato» disse come se fosse la cosa più normale del mondo.  Gli sorrisi.
         «Staremo a vedere, tra poco scopriremo chi sei tu e chi è lui». Dal ponte di pietra sul quale ci eravamo fermati potevamo vedere il fiordo e da lontano vele rosse con le stemma dell'Uomo Bruciato avanzavano verso Arendelle, verso me. Sul ponte della nave una donna eterea, vestita di nero ci fissava.
 
         Bussarono alla porta con veemenza. Elsa alzò lo sguardo dal libro chiudendolo in fretta, nascondendolo in uno dei cassetti.
         «Avanti» disse con un filo di voce stendendo la schiena sulla poltrona. La porta si aprì piano, la luce flebile delle candele illuminò il volto e la figura della principessa Anna che entrava nello studio della regina in punta di piedi. Metà del pavimento era stato coperto da una fitta neve bianca. Elsa nel vedere sua sorella rilassò i muscoli e un lieve sorriso apparve sulle labbra.
         «Cosa posso fare per te, cara sorella?» domandò andandole in contro. Anna sollevò gli occhi fino al soffitto e notò che il lampadario era coperto da una patina di ghiaccio lucido, strinse le braccia intorno al corpo cercando calore.
         «Scusami» bisbigliò la sovrana arrestandosi a pochi passi dalla principessa.
         «Oh non importa sono io che ho sempre freddo...» disse cercando di sorridere. Elsa apprezzò la bugia.
         «Allora, posso fare qualcosa per te, Anna?»
         «Elsa sono ore che sai chiusa in questo ufficio, è da questa mattina che ti sei rintanata, si può sapere cosa accade? Hai passato un'intera notte fuori da qui, con una ragazza di cui non sappiamo nulla!»
         «E tu da sola con Kristoff!» ribatté Elsa risentita.
         «Non è la stessa cosa... É diverso» arrossì Anna.
         «É severamente vietato avere relazioni sessuali prima del matrimonio, è una delle leggi del regno».
         «Così come è severamente vietato provare attrazione verso il proprio sesso» puntò le braccia al petto, furente. La sovrana si irrigidì e del ghiaccio si espanse intorno ai piedi della monarca. Anna pentita si lanciò tra le braccia della sorella, baciandola sulla fronte.
         «Sono solo molto preoccupata per te,  ti stai chiudendo di nuovo in te stessa, ti prego non escludermi più dalla tua vita» l'abbracciò con forza sentendo le lacrime rigarle il volto; non voleva perdere un'altra volta sua sorella. La regina si morse le labbra, sentendosi in colpa per aver fatto versare altre lacrime alla piccola Anna.
         «Va bene, non voglio farti piangere ancora. C'è qualcosa che vuoi fare?» domandò asciugando con il pollice le lacrime sulle guancie. Il viso della principessa si illuminò tutto a un tratto.
         «Restare sveglie tutta la notte trasformando la sala da ballo in una pista di pattinaggio!» disse saltando sulla punta dei piedi contenta. Elsa roteò gli occhi al cielo, ma fu costretta ad accettare la proposta, folle, della sua adorata sorella. Anna saltò ancora una volta tra le braccia della regina; Elsa poggiò un piede in fallo e scivolarono in terra nell'attimo in cui la porta venne aperta da Kai accompagnato dal Laird Ramsay Sutherland. Il consigliere tossì richiamando l'attenzione su di se.
         «Maestà il principe chiede udienza».
         Ramsay con passi veloci si avvicinò alle due donne porgendo le mani ad entrambe, sorrideva affabile, nella sua più perfetta cortesia.
         «Maestà, principessa permettetemi di porgere il mio aiuto». Anna afferrò la mano dell'uomo, mentre Elsa percepì il suo potere aumentare. Celarlo, domarlo, mai mostrarlo ripeté come una nenia e con altrettanta cortesia accettando l'aiuto. Un'aria gelida e tesa circondava la stanza, gli occhi di Anna vagavano sul principe  e sulla regina, decise di allontanarsi in punta di piedi molto velocemente, non avrebbe voluto lasciare sola Elsa con quell'uomo, eppure sapeva che doveva farlo, qualunque cosa fosse accaduta era sicura che sua sorella ne avrebbe parlato con lei. Uscì chiudendo la porta.
         Elsa osservava il Laird, era sicuro di sè, come sempre, eppure c'era qualcosa nelle rughe del volto che le davano impressione che fosse preoccupato, turbato, quasi dispiaciuto.
         «Cosa posso fare per lei, mio Lord?» domandò mantenendo una posizione d'attacco e scrutatrice.
         «Una seconda possibilità».
        
***
 
         Anna camminava tra i corridoi del castello, silenziosa. Aveva sul viso un espressione corrucciata e tanto era presa dai suoi pensieri che non vide Kristoff giungere verso di lei a braccia spalancante. L'Ice Master non appena vide la sua donna con il capo chino, borbottare a bassa voce frasi sconnesse tra loro comprese nell'immediato che qualcosa turbava l'animo della principessa. Piano, piano l'avvolse per i fianchi, stingendola in un abbraccio.
         «Cosa preoccupa la mia distratta principessa?»
         «Non sono distratta!» sbottò Anna riconoscendo la voce del ragazzo.
         «Una monete per i tuoi pensieri».
         La principessa sospirò e prendendo la mano dell'Ice Master lo condusse fino ai giardini reali, lasciando per quel giorno che le cameriere e le servitù si occupassero dei preparati per la festa. Il vento soffiava tra le fronde degli alberi emettendo lunghi sibili. Animali notturni erano usciti dalle loro tane e dalla Foresta si poteva udire l'ululato dei lupi affamati, lontani e temibili allo stesso tempo; non era raro che i cacciatori spinti dalla fame fosse giunti nelle città vicine, anche ad Arendelle. Sulla cima di un albero vicino si era posato una civetta dal bianco piumaggio, bella ed elegante, nel becco stringeva la carne di uno sprovveduto scoiattolo. Un brivido freddo le percorse lungo la schiena, in fretta trascinò Kristoff nelle scuderie, dove riposava Sven. Anna si tolse gli stivali gettandosi con la schiena sul cumulo di paglia, colpendo in pieno il povero Olaf.
         «Ahi, ahi, il mio nasino!» si lamentò il pupazzo.
         «Oh, scusami! Spero di non averti fatto male» si alzò in fretta la principessa. Il pupazzo di neve si aggiustò il naso riportandolo sulla faccia e non oltre la testa. Kristoff era raccapricciato e divertito da quella scenetta.
         «Visto già fatto, nah io non sento dolore, non ho le ossa e forse neanche il cervello, come Kristoff» rise la buffa creatura, Sven emise un  lungo bramito appoggiando Olaf. L'Ice Master minacciò il suo amico animale con il pugno alzato, la renna gli girò il muso tornando a dormire.
         «Mi ha girato la faccia» disse incredulo il ragazzo.
         «Te lo sei meritato» ribatté Anna.
         «Già, ha ragione la bellissima principessa, puzzolente re delle renne» rispose Olaf saltandogli intorno. Kristoff stava per perdere la pazienza, tra renne, pupazzi di neve e magia di ogni giorno, era esausto, aveva bisogno di più carote. Anna comprese i desideri del giovane uomo e gattonando fino a Olaf lo fermò poggiando le mani sulle minute spalle del pupazzo.
         «Senti Elsa mi ha detto che devi aiutare i piccoli fratelli di Merida per tenerli compagnia, è una missione di massima urgenza» disse seria. Olaf stupito e felice corse al di fuori delle scuderie urlando: «Ho una missione per conto di Elsa! Il prepara feste è qui!»
         Quando Olaf fu abbastanza lontano Kristoff prese posto accanto alla principessa e cingendogli  le spalle con un braccio l'attirò a se.
         «Gli hai mentito»
         «Volevo stare un po' sola con te» disse aggiustando le pieghe della gonna.
         «Giusto, volevi parlarmi di cose importanti» disse accarezzandosi il mento, attento a non volersi perdere una parola. Anna gli sorrise, dolcemente scostò il braccio e si alzò sedendosi a cavalcioni sul basso ventre del ragazzo. Kristoff rosso in volto aprì e chiuse la bocca,  smise perfino di respirare quando vide Anna spogliarsi del mantello, slacciando il corpetto.
         «Non volevi parlarmi di cose urgenti?» domandò l'Ice Master sempre più nervoso.
         «Parleremo dopo, mio caro puzzolente re delle renne, ora voglio un po' d'amore»  disse tuffandosi tra le forti braccia di Kristoff.
         La vecchia strega spiò i due giovani e scuotendo il capo s'incamminò verso i giardini reali, doveva pensare a qualcosa di più efficace che limitarsi a chiedere aiuto alla principessa e al suo amante, era tempo di smuovere gli eventi. Avvolta da una  fitta nube procedeva sui suoi passi, nessuno  poteva vederla.
***
 
         Nei giardini reali  dove la neve copriva ogni cosa addensandosi strato su strato, dove l'ululato di lupi famelici rimbombava nelle orecchie  Merida tirò la corda dell'arco, inspirò a fondo,  la piuma della freccia le graffiò la guancia destra, e quando fu un tutt'uno con il luogo circostante: scoccò. Un breve sibilo e poi la freccia andò a conficcarsi nel cuore dell'albero sul quale era stato disegnato un cerchio rosso. Fece un mezzo sorriso, 12 frecce su 12 avevano tutte centrato il bersaglio, eppure non si sentiva ancora pienamente soddisfatta. Non le importava del freddo, dei fiocchi di neve che si incastravano tra i suoi spessi ricci, non le importava delle dita diventate violacee o del vento che soffiava tra gli alberi sferzando violento sul corpo, o delle fasce che coprivano le sue vistose ferite curate poche ore prima.  Tese l'arco, ancora una volta, inspirò nuovamente, pronta a scoccare per la tredicesima volta, sicura che nulla potesse distrarla; neanche le grida di gioia dei suoi fratelli e di Olaf, nulla tranne Elsa. E nell'attimo in cui stava per  scagliare la freccia vide la regina, bella ed elegante nel suo abito color blu artico che si confondeva tra la neve pallida, eterea e magica come una fata, scoccò troppo in fretta e la punta si andò a conficcare  poco distante dalla punta degli stivali neri e lucidi del Laird Ramsay. L'uomo abbassò e alzò lo sguardo sulla ragazza che aveva di fronte; non poteva credere che l'erede di DunBroch, sua antenata, fosse lì innanzi ai suoi occhi da chissà quanto tempo.    Il sangue nelle vene di Merida le si gelò all'istante. Il freddo sembrò penetrarle nelle ossa. Aveva già visto quell'uomo la notte in cui DunBroch veniva divorata dalle fiamme e quelle stesse fiamme adesso ardevano dentro di lei.  Una voce le sussurrò all'orecchio, sensuale e pericolosa. "Lui è tuo nemico, lui è Ramsay Sutherland coloro che hanno messo in ginocchio la tua famiglia, ucciso tuo padre e tua madre, ora è qui per Elsa farà lo stesso anche a lei se non lo fermerai". Merida rimase immobile, pietrificata.
         «Murtair*» sibilò a denti stretti nella sua lingua.
         Elsa volse lo sguardo sulla ragazza e sul Lord, confusa. L'aria che si respirava era tesa, più gelida del vento pungente. La regina di Arendelle rimase in silenzio. Ramsay  fece un respiro profondo, tornando in sé, mostrò il suo solito sferzante sorriso.
         «Credo che  lei abbia sbagliato persona, buona serata» disse prendendo il braccio della sovrana voltando le spalle all'arciera. Doveva contenere il suo entusiasmo e comportarsi come se nulla fosse accaduto, doveva solo attendere l'arrivo di Shane. L'anello di ghiaccio luccicava stretto intorno all'anulare. Merida non poteva lasciare andare quell'uomo impunemente. Ramsay Sutherland, nel ricordare quel nome  il dolore alla testa tornò più forte e più penetrante dei giorni precedenti. decise di fare la sua mossa.
         «Tu parli la mia lingua o altrimenti non mi avresti capita» ribatté facendo un passo avanti. Il Laird si fermò.
         «Urchaid*» pronunciò a denti stretti.
         «Non sono malvagio come dici, sono solo un principe e io non ti ho mai vista».
         «Invece si, tu e tua sorella avete distrutto il mio regno. Avete ucciso mio padre, mia madre e chissà quanti altri!» ringhiò con la rabbia che le esplodeva nel petto.
         «Da dove vieni?»
         «DunBroch».
         «Beh i fatti che tu narri sono accaduti molti, anzi secoli fa... Certo la mia famiglia ha conquistato DunBroch, ma non è morto nessuno perché la figlia maggiore ha sposato il mio antenato che portava il mio nome. Da quello che è riportato nei libri di storia, la principessa non era una donna facile, eppure anche lei venne domata e diede ai Sutherland tanti eredi» volle provocarla, sapeva che Merida avrebbe reagito, la principessa si era scoperta troppo, e se all'inizio aveva avuto un lieve dubbio, ora era sicuro che  la ragazza che aveva innanzi era la principessa Merida di DunBroch. Fu un attimo. Impetuosa come re Fergus Merida si scagliò contro Ramsay e lo colpì con un pugno in pieno viso. Il Lord cadde in terra sputando sangue. Pulendosi la bocca si alzò in piedi volgendosi verso Elsa le baciò la guancia sussurrandole all'orecchio.
         «Mi permetta di sistemare questa scocciatrice». La sovrana afferrò la manica di Ramsay ma l'uomo venne avvolto in una fitta nebbia nera e con lui Merida.
 
***
 
         Nelle prigioni sotterrane del Castello gocce d'acqua battevano a ritmo costante. Un plock. Due plock. Tre plock. Il freddo e l'umidità filtravano attraverso le spesse pareti di pietra e da una stretta finestrella posta molto in alto si poteva ammirare la luna pallida. Scarafaggi, ragni e topi erano morti per assideramento e le ossa del precedente prigioniero giacevano in terra avvolto in abiti lerci e pezzi di carne cadenti. Quelle prigioni erano il lato oscuro di Arendelle. Merida guardò il suo compagno di prigione e sorrise. Poggiò la testa alla parete, rannicchiandosi su se stessa per cercare di sconfiggere il freddo. Quello che era accaduto dopo essere stata avvolta dall'oscurità le sembrava appartenere a un ricordo lontano, aveva combattuto contro Shane, non contro Ramsay eppure quando l'ombra si era dissolta  in terra ferito e sanguinante giaceva il corpo del principe. Aveva cercato di spiegare ciò che era accaduto, ma nessuno le aveva creduto neanche Elsa... E ora era destinata a marcire in prigione, come quel cadavere abbandonato senza possibilità di poter salvare la sua famiglia.
         «Al diavolo il Drago di Ghiaccio! Questo anello e anche la regina di questo infernale posto!» Gridò lanciando contro la porta della prigione una pietra che per magia si tramutò in ghiaccio.
         «Non dovresti lanciare oggetti pericolosi» disse Elsa avanzando fino alla prigioniera. Merida si alzò in piedi mettendosi in posizione di difesa. La regina mantenne le distanze.
         «Cosa vuoi da me? Non ti basta avermi fatto imprigionare? Quell'uomo ti farà del male! È pericoloso!»
         «Non più di quanto lo possa essere tu, ma deve controllare una cosa». Con estrema velocità Elsa fu di fronte alla principessa di DunBroch, le afferrò la mano sinistra e vide l'anello, lo riconobbe al tatto: era fatto della stessa sostanza del suo ghiaccio, del suo potere. Con inaspettata violenza abbassò la  spalla della tunica di lino bianco (simbolo dei prigionieri) e vide il tatuaggio, lo stesso identico tatuaggio disegnato sulla copertina del libro che GranPapà le aveva dato: l'orso nero ringhiante. Merida allontanò la regina spingendola lontano, un po' per l'imbarazzo, un po' per le dita gelide.
         «Scusami, ma era necessario per crederti». La ragazza dai capelli rossi la guardò stupita. «Ti spiegherò tutto più tardi, ora è necessario che tu indossi  dgeli abiti diversi, non devi essere per nulla riconoscibile, dobbiamo uscire da qui e in fretta. Sono sulle tue tracce».
         Merida annuì e sebbene fosse piena di dubbi  si fidò della sovrana. Elsa  era la sua unica possibilità di salvezza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
DunBroch
 
         I raggi del sole riverberavano nella stanza, sui vetri colorati delle finestre, creando ipnotici giochi di luce. La regina Elinor con lo sguardo volto alla foresta paziente lavorava a un razzo, cercava di cucire i volti dei suoi figli per non dimenticarli. Bussarono alla porta. L'ago oltrepassò la stoffa pungendole il pollice, a causa del dolore lasciò cadere ogni cosa in terra, gocce di sangue macchiarono il vestito.
         «Avanti» ordinò.
         La porta si aprì con un cigolio, poteva vedere l'ombra di due uomini armati tenerla sottosorveglianza. La cameriera porse un sorriso ai due giovani guerrieri ed entrò nella stanza. Elinor rigida sulla sedia ascoltava il rumore dei passi, tesa. La cameriera posò il vassoio  su un mobiletto di mogano scuro intarsiato. Con precisione versò il tè nella tazza dolcificandolo con un cucchiaio di miele, su un piattino più piccolo posò dei biscotti fragranti dal forte odore di cannella.   
         «Immagino siano opera di Maudie» disse tentando di spezzare quell'assurdo silenzio.
         «Questa volta no. È opera mia» rispose la serva appoggiandosi alla parete con disinvoltura. Elinor osservò con attenzione la ragazza, era bella e piacente: lunghi capelli mossi tra un biondo scuro e un rosso chiaro le scendevano sulle spalle, dagli occhi castani, grandi sorridenti.  Il corpetto che stringeva la camicia metteva in risalto i prosperosi seni, la gonna le copriva a stento le caviglie mostrando pallide e sbiadite cicatrici. "Una ladra, un'assassina o una prostituta? Chi è davvero questa donna?" Elinor posò sulle ginocchia il tè e i biscotti, prima di mangiare o bere qualsiasi cosa doveva essere prevenuta del veleno poteva esserci finito per sbaglio o peggio un filtro magico;  non avrebbe più ripetuto lo stesso errore due volte.
         «Non vuole provarli, maestà?» domandò con tono provocatorio la serva.
         «Prima voglio parlare, poi deciderò cosa farne» sollevò lo sguardo mantenendo il tono di sfida. Laire sospirò e allargando le braccia in segno di resa decise di raccontare alla sovrana la sua storia.
         «Va bene, non ho molto tempo per questo sarò breve. Sono stata già in questo castello, o meglio conosco molto bene le prigioni, ho passato alcuni giorni lì sotto... Il motivo? Ho rubato non pane, o cibo, ma oro a una stupido vecchio che sventolava le sue monete al vento. L'ho fatto perché avevo bisogno di soldi, mia madre vendeva il suo corpo a ore e io non volevo fare la sua stessa fine» prese una pausa toccandosi il marchio che portava sulla spalla. Elinor  aggrottò le sopracciglia, ricordava.
         «Quell'uomo voleva ucciderti, ma io intercessi per te, passasti dieci giorni in carcere, ma quell'uomo non soddisfatto volle marchiarti come ladra». Laire annuì. «E ora che cosa fai? E come conosci mia figlia, perché tu hai detto di conoscerla». La serva sorrise.
         «Vendo il mio corpo a ore poco lontano dal Castello in una taverna da quattro soldi, sono brava nel mio lavoro, così dicono» scherzò afferrando un biscotto e mordendolo. La sovrana sentì la gola stringersi in un nodo, come poteva quella ragazza essere così disinvolta a parlare di tali argomenti, quasi ridendo? Che si stesse prendendo gioco di lei? Cosa aveva a che fare sua figlia con una prostituta? Poi un cupo pensiero, un terribile pensiero le attraversò la mente...
         «Merida. Tu e Merida vi siete conosciute in questo modo? Mia figlia?» domandò nervosa, indecisa tra il voler sapere la verità oppure far finta.
         «No, non ci ho fatto sesso». Elinor trasse un respiro di sollievo, ma  prima che potesse chiedere perché Merida frequentasse un bordello Laire la precedette.    «Solo qualche bacio, toccate e fughe, ma viene soprtutto per bere birra e ubriacarsi con le guardie del Castello e a cantare a squarcia gola fino all'alba con me e con loro. Sa da quando Merida frequenta quel posto nessuno più osa mettermi le mani addosso senza il mio consenso e le  posso assicurare che prima accadeva spesso» disse abbassando lo sguardo.
         «E allora cosa desideri da me?»
         «Lei mi ha aiutato quando era piccola e sua figlia adesso e questo regno deve tanto alla famiglia del re Orso a partire dai ricchi, ai contadini, fino a noi prostitute. Non c'è troppa violenza, assassini o stupri, da quando i Sutherland hanno messo piede in questo posto invece tutto è diverso».
         «Arriva al dunque!» esclamò Elinor esasperata.
         «Stiamo organizzando la sua fuga e una rivolta, lo vuole il popolo, il suo popolo. Avrà mie notizie a breve» pronunciò quelle parole con tono solenne. Elinor chiuse gli occhi, il suo cuore batté più forte, una flebile luce di speranza brillava.  Una delle guardie bussò con forza. Era tempo per Laire di andare via. La serva porse un inchino e prendendo il vassoio uscì dalla stanza. E mentre la sovrana trovava conforto e consolazione in quelle parole, occhi scuri come la notte tramavano vendetta.
 
 
 
Angolo Autrice:
 
Salve a tutti, buona sera e buona domenica. Non ho scusanti per questo mese di ritardo, ma tra il Lucca Comics, lo studio e altre storie (originali) sono parecchio oberata di lavoro. Ringrazio sempre e chi ancora mi segue e mi legge. Spero che questo capitolo vi sia piaciuta e spero anche di aggiornare il prima possibile. Un abbraccio, Mai Valentine.
 
1*La notte polare è quel fenomeno che si presenta nelle nazioni nordiche dei sei mesi in Inverno di buio totale.
2*Wikipedia mi riporta che gli abitanti della Norvegia a causa sempre del fenomeno sopracitato mangiano molte carote a causa dei forti scompensi ormonali.
3*Murtair: in gaelico scozzese (secondo il vocabolario) dovrebbe significare Assassino.
4*Malvagio.
 
Ringrazio ancora tutti quanti voi per la pazienza!

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Capitolo 9
*** Contro il tempo ***


Arendelle
 
I corridoi del Castello erano deserti e vuoti. Sulle mura di pietra riverberavano la luce flebile delle candele creando giochi d'ombre, di mostri e di paura. Da una delle finestre aperte per sbaglio filtrava l'aria gelida dell'inverno e neve si era addensata sugli scalini. Merida si strinse nelle spalle guardando quel luogo a lei sconosciuto con un certo timore, innanzi alla regina di Arendelle proseguiva decisa la strega, come se conoscesse il Castello e ogni suo anfratto più della stessa sovrana; un brivido freddo le percorse la schiena. Elsa si voltò indietro e vide nello sguardo dell'arciera dubbio, incertezza e forse paura. La monarca le allungò il braccio porgendole la mano, sorrise.
         «Tra poco sarai al sicuro».
         Si fidò di Elsa e a un tratto non tremò più.
         Salirono finché poterono giungendo innanzi a una porta. La strega l'aprì, era una delle stanze private della sovrana, perfettamente in ordine e colma di giochi. Si lasciò sfuggire un «oh» di sorpresa. Poi scesero di nuovo altre scale. Attraversarono altre porte, i labirinti della mente o così li chiamò la strega  disse che servivano per ingannare i loro nemici. "Nemici" pensò Merida, quella parola le risultava così strana, ora. Finalmente dopo aver attraversato una nebbia fitta giunsero nella camera da letto di Elsa. La sovrana si affrettò a chiudere le tende delle finestre e a girare tre volte la chiave nella serratura, poi con uno strato di denso ghiaccio bloccò ogni entrata.
         «Mi devo complimentare con lei mia sovrana, avete una padronanza del vostro potere eccezionale» disse la vecchia con una riverenza.
         «Ho avuto chi mi ha dato una mano» pensò ad Anna e sorrise.
         «Va bene, sono stanca dei vostri giochetti, qualcuno mi dice cosa sta accadendo? Prima vengo imprigionata, poi dite che sono innocente e in fine siamo giunte qui! E tu chi sei e come vi siete conosciute?» domandò sull'orlo di una crisi isterica la principessa di DunBroch.  La strega le batté sulla testa il bastone, rimproverandola severamente.
         «Non si parla così a una anziana e a una regina. Maleducata, testa dura di una principessa. Io sono la vecchia dell'Himalaya colei che ha forgiato i cinque anelli e colei che ti ha fatto dono di uno di essi... In realtà era dono di un tuo antenato, destinato a te ma quest'altra è un'altra storia» concluse agitando la mano; Merida la fissò ancora più confusa di prima. «Tornando a noi — proseguì la vecchia — sono stata io a ridarti la memoria, a farti riconoscere nel volto di quell'uomo la famiglia che vi ha distrutto e sostituito. In un'altra vita saresti andata in sposa a Ramsay Sutherland, ma in questa no. Lo impediremo».  L'erede di DunBroch posò lo sguardo prima sulla regina, poi sulla strega e infine si lanciò verso la porta cercando di aprirla, gridando disperatamente aiuto e urlando che erano tutte pazze e che lei con la magia aveva chiuso dopo l'orribile esperienza di aver trasformato sua madre in orso. Elsa tentò di avvicinarsi alla ragazza, ma la vecchia lo impedì.
         «Ci penso io» disse. Batté in terra il bastone per tre volte e  delle corde magiche, bianche, apparvero dal nulla, l'avvinghiarono e la trascinarono ai piedi della regina.
         «Ora ascoltaci bene o altrimenti ti farò conoscere l'ira delle mie creature!» e tutto intorno alla strega aleggiava un'aura magica, forte e oscura. Merida annuì spaventata. Elsa roteò gli occhi verso il cielo e face un passo in avanti, verso la principessa.
         «Posso? Cercherò di essere più chiara, sembra che con tutto il rispetto tra di voi non ci sia comunicazione».  Con decisione e dolcezza invitò Merida a sedersi offrendole da una teiera  di ceramica colma di biscotti e cioccolatini tondi e cremosi come burro; ne porse anche alla strega e con calma spiegò ogni cosa di ciò che era accaduto fino all'imprigionamento dell'arciera. Merida ascoltò  prima titubante, poi più la monarca parlava più restava a bocca aperta per la sorpresa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Tre ore prima Arendelle
 
         Il cuore di Elsa batteva all'impazzata. Innanzi ai suoi occhi tutto si era svolto in una manciata di secondi: Merida aveva aggredito Ramsay e sembrava di conoscerlo, ma ciò che più l'aveva turbato e  aveva reso il suo animo inquieto era stata l'ombra apparsa dal nulla che aveva inghiottito il luogo circostante, tranne lei. Aveva provato a usare i suoi poteri, ma invano. Dalle sue mani per la prima volta non scorreva la magia. Si era sentita nuda e debole. Aveva provato a varcare la barriera dell'ombra nel tentativo di entrarvi, era stata respinta indietro con violenza; aveva battuto il capo e la schiena contro la corteccia di un albero perdendo i sensi.  Sognò una donna dai lunghi capelli neri, il volto cerulo e dagli occhi ardenti come braci, si abbassò la maschera dal viso e sulle sue labbra apparve un sorriso malvagio. La donna con un movimento fluido del polso creò  un drago d'ombra. Il drago si lanciò contro di lei aprendo le orribili fauci. Elsa guardò con orrore, incapace di muoversi. Poi una voce.
         «Alzati e combatti! Sei una regina. Risveglia il drago!».
            "Il drago, il drago di ghiaccio come quello che ho creato nella mia stanza" pensò e presa da nuova energia si alzò e difendendosi apparve dalle sue mani un drago, un drago di ghiaccio. Le due creature si scontrarono. Il sogno si sgretolò come frammenti di vetro neri e azzurri.
         Si svegliò urlando. Due guardie la sollevarono da terra. Le voci giungevano lontane e confuse. Sua sorella Anna le andò incontro baciandola sulle guancie e abbracciandola, preoccupata. Kristoff andò in soccorso  al principe Ramsay svenuto in terra, ferito e sanguinante. Merida veniva trattenuta da cinque guardie, scalciava e urlava.
            «Sono innocente! Non ho fatto io del male alla regina! Preoccupatevi di quell'uomo, lui vuole la rovina di Arendelle. Lui vuole Elsa» e più urlava e più le guardie le stringevano i polsi. Elsa circondata da Kai, da Anna e da altre guardie non riusciva a vedere il volto di Merida. Era debole, la magia effettuata le aveva prosciugato ogni energia, ogni passo era una sofferenza.
         «Lasciatemi e lasciatela andare» disse con un filo di voce.
         «Cosa? Elsa è lei che ti ha ridotto in questo stato» ribatté Anna preoccupata.
         «No, è stata l'ombra» scosse il capo.
         «Sta delirando. Kristoff portala dentro!» urlò la principessa. L'Ice Master lasciò Ramsay alle cure del medico accorrendo dalla sua regina la sollevò tenendo tra le braccia.
         «Perdonatemi maestà».
         «No. È innocente» gridò un'ultima volta prima di sparire oltre la porta principale del Castello. Merida si liberò dalla presa delle guardie, i suoi fratelli le erano andati in soccorso mordendo e colpendo chi teneva prigioniera l'erede di DunBroch.
         «Elsa! Non sono stata io!» disse allungando la mano.
         «Lo so» rispose la regina sfiorandole le dita. Poi una guardia colpì l'arciera con  una baionetta dietro la testa. Merida sentì il proprio corpo vacillare, cadde in terra tra le neve alta.
         Elsa chiusa nella sua stanza gridava e urlava sprigionando il suo potere, debole. Kristoff aspettava l'arrivo della principessa Anna nella camera da letto della monarca. A un tratto delle guardie armate fecero irruzione  spalancando la porta. Si alzarono il bavero delle giacche fino al mento, il fiato era condensato e sui cappotti in fretta si formò uno strato di neve e ghiaccio. Kristoff corrugò la fronte e capì subito che le intenzioni dei militari non erano delle più nobili.
         «Soldati sono la vostra regina e vi ordino di aprirmi la porta e lasciarmi andare, devo parlare con Merida!»
         Nessuno badò ai suoi ordini.
         «Siete diventati sordi? Vi ordino di aprire la porta e farmi uscire» gridò.
         Un uomo dalle spalle larghe si fece avanti porgendo un elegante inchino alla donna.
         «Mia sovrana perdonateci per questo». Due guardie afferrarono per le esili braccia Elsa imprigionando i polsi e le mani della sovrana con le pesanti manette sotto ordine del comandante dell'esercito. La sovrana sgranò gli occhi, indietreggiando spaventata.
         «Cosa? Siete impazziti?» domandò Kristoff prendendo le difesa della monarca.
         «Capirai anche tu che è per il bene di Arendelle, ha gelato l'intero castello» disse la guardia con voce dura, cattiva. E in un attimo negli occhi di Elsa il ricordo di tre anni prima ritornò alla mente e si sentì trafitta   come se un pugnale si fosse conficcato al centro del cuore, del suo cuore pulsante. Il suo popolo la temeva. La sovrana strinse le palpebre, cadde in terra, strsciò fino alla parete più lontana dalla porta, accanto allo specchio, portò le mani al petto, raggomitolandosi su stessa diede un ultimo ordine.
         «Lasciatemi sola. Vi prego» ingoiò le lacrime, la voce risuonò spezzata e fragile.
         «Fate ciò che chiede» disse Kristoff guardando la sovrana. Le guardie annuirono e obbedirono riluttanti. Tutti lasciarono la stanza, ma quando la porta venne aperta Anna oltrepassò la soglia. L'Ice Master la fermò prima che potesse entrare.
         «Credo sia il caso di lasciarla sola».
 
***
 
         Elsa rimase raggomitolata su stessa per diverso tempo, non seppe quanto. Era tutto come prima, nulla era cambiato. Nessuno le credeva. Nessuno rispettava i suoi ordini. Colpì con le manette la parete versando  copiose lacrime. Il buio era calato nuovamente su di lei, su Arendelle. E tra i singhiozzi di dolore e le lacrime si addormentò incapace di pensare più a niente. Passò altro tempo fino a quando una mano dalle dita ricurve e callose non si posò sulla sua fronte, mentre una seconda le porgeva una tazza di tè verde fumante.
         «Ahi, ahi così non va maestà, non può perdere tempo a versare lacrime, deve combattere».
         Elsa aprì gli occhi di scatto indietreggiando fino a toccare con la schiena la parete del muro. Il buio circondava ogni cosa e uando quanqqq
         Quando finalmente la sua vista si abitò al buio vide una donna dalla schiena ricurva che teneva tra le dita un bastone di legno molto simile a uno scettro, vestita con un abito di taffetà dai colori sgargianti, verde, rosa e blu elettrico. La pelle del volto era raggrinzita e rugosa, le palpebre cadenti e i piedi scalzi grossi come zampogne, doveva avere più di cento anni e li mostrava tutti. Sebbene ne avesse paura la sovrana si alzò all'in piedi affrontando la nuova venuta dall'aspetto sinistro e misterioso.
         «Tu chi sei?»
         «Sono la strega dell'Himalaya — porse un inchino. Ho più del quintuplo dei tuoi anni e sono qui per aiutarla, maestà».
         «Aiutarmi?» domandò Elsa. La strega le girò in tondo afferrando tra il pollice e l'indice il mento della donna giovane guardandola con attenzione. Annuì lasciandola andare.
         «Devo dire che hai il suo stesso aspetto, spero anche l'intelligenza. Forse più intelligente sarebbe meglio, ma non meno, oh no sarebbe un guaio!» esclamò camminando avanti e indietro per la stanza.
         «Di cosa state parlando?»
         «Della vostra bisnonna Ingrid di Arendelle, la regina del ghiaccio e ovviamente del suo Berserk Meraud di DunBroch» sorrise soddisfatta della sua spiegazione. Elsa sbatté le palpebre incredula.
         «Sono i nomi comparsi nel diario... Come fate a...?» non riusciva a formulare le parole quella vecchia piombata dal nulla nella sua stanza sembrava sapere più di tutti quanti, perfino di GranPapà.
         «Sorpresa? Si, lo vedo. Sono stata io quasi un centinaio di anni fa a salvare Arendelle e DunBroch dalla catastrofe, ma a quanto sembra il destino ha giocato un nuovo brutto scherzo. La regina delle ombre è ritornata, o meglio il suo potere si è rincarnato in una nuova donna dall'animo corrotto». Elsa incurvò le sopracciglia guardando con sospetto la strega. La vecchia intuì i pensieri della regina, le si avvicinò e semplicemente toccando le manette le spezzò, caddero in terra con un fragoroso rumore.
         «Sono tua amica, maestà. Le consiglio di continuare a leggere il diario, capirà più avanti. Solo che ora abbiamo un problema Merida è in carcere, per causa mia ma questi sono dettagli, ora bisognerà liberarla e far dimenticare a tutti ciò che è accaduto».
         «Siete una strega, pensate a un incantesimo!» esclamò Elsa portando i capelli all'indietro con nervosismo. La donna anziana strabuzzò gli occhi ricordandosi in quel momento chi fosse e infine batté in terra lo scettro.
         «Che la notte avvolga le mura di pietra ancora una volta,
          Che il tempo si fermi.
         Il sonno degli uomini si prolunga.
         Ritorna indietro l'ora.    
          La memoria del giorno trascorso svanisca!»
         Dallo scettro di quercia si sprigionò una nube grigia seguita da un manto di stelle, si susseguirono veloci il giorno e la notte fino a quel momento. Elsa si guardò intorno nulla e tutto era cambiato.
         «E ora?» domandò
         «Salviamo Merida» disse la strega.
 
 
 
 
Tre ore dopo
 
         Merida lasciò cadere la tazza di the in terra, le mani le tremavano. Fece un balzo dalla sedia rovesciandola in terra, fuggendo raggiungendo la porta. Elsa si morse la labbra credendo che si fosse spaventata per i suoi poteri, distolse lo sguardo. La vecchia portò alle labbra una lunga sigaretta alla bocca sbuffando anelli di fumo tondi e grigi verso il soffitto facendo sciogliere il ghiaccio che si trasformò in acqua.
         «La porta è sigillata non puoi fuggire» disse la strega continuando a fumare.
         «Merida posso capire che sei spaventata, ma ti prego non voglio che hai paura di me» Elsa fece dei passi in direzione dell'arciera, poi si ritrasse portando la mano al petto, sul cuore.
         «Io non ho paura di te, ma di lei. Ho promesso di stare lontano dalla magia, l'ho promesso a mia madre la regina Elinor dopo che l'avevo trasformata in orso a causa di una strega e ora mi dite che sarà una strega a salvare il mio regno caduto in disgrazia, che era già caduto in disgrazia una volta?» parlò senza fermarsi l'erede di DunBroch torturandosi i capelli ricci e rossi arrotolandoli tra le dita.
         «Non esattamente, leggendo il diario ti sarà tutto più facile, vi sarà più facile capire, entrambe. Bene, il mio compito è finito, ora tocca a voi. Ah ricordatevi tutti hanno dimenticato il giorno trascorso, tranne L'Ombra» e avvolgendosi nel suo mantello di stoffa verde sparì davanti agli occhi increduli delle giovani donne. Merida in uno scatto d'ira afferrò uno biscotto e lo lanciò contro il vuoto della stanza maledicendo la strega, ne prese un altro e ancora un altro riempiendo il pavimento.
         «Maledette streghe tutte uguali. Non raccontano mai nulla per intero. Brutta stronza sei identica all'altra! Ah! Ah! Prendi questo e questo e questo». Elsa guardò la giovane principessa sfogarsi, era colma di rabbia, come lei. Provò una fitta al cuore vederla nervosa, quasi sull'orlo delle lacrime e immaginava che Merida difficilmente piangeva. Era il tempo di fare qualcosa e  facendosi coraggio e cinse la vita della ragazza dagli occhi dell'acqua marina per tranquillizzarla; l'erede smise di lanciare dolci contro la parete. L'arciera si voltò verso la sovrana rossa in volto sia per la rabbia provata, sia per l'imbarazzo di quel gesto così innocente, così sensuale. Sobbalzò spostandosi. Elsa ritrasse in fretta il braccio. Si guardarono negli occhi nel più confuso dei silenzi. Merida si gettò sul letto della regina coprendosi gli occhi con le mani torturandosi il volto.
         «E ora?» Udì il frusciò della gonna di seta, il rumore dei tacchi e una chiave che girava in una toppa, un attimo dopo lo stesso rumore. Elsa la coprì con la sua ombra, poi sentì il materasso affondarsi leggermente. Schiuse gli occhi e vide la monarca intenta ad aprire un libro dalla copertina verde con lo stesso simbolo della sua casata impresso. Iniziò a leggere e l'arciera restò senza fiato.
 
 
 
 
DunBroch
 
Un manto di stelle brillava infondendo luce sulla terra. Il silenzio regnava sovrano nel Castello sembrava che ogni cosa fosse stata inghiottita dalle tenebre, divorata dal fuoco. Niente più feste, niente più balli, niente più grida. Elinor pensava ai suoi figli, ai tre principi non li rincorreva più i suoi bambini per le scale del palazzo, la loro confusione non la circondava più, non li vedeva inghiottirsi di cibo e poi rimproverarli. Abbassò lo sguardo sul letto posto sotto la finestra, si avvicinò sedendosi. Accarezzò con i polpastrelli i segni fatti con la spada dalla sua unica figlia ribelle e coraggiosa. Portò alle labbra il cuscino, lo baciò stringendolo al petto. Il calore della principessa si era confuso con il suo, così come i capelli, ancora permanevano tracce di Merida. Volse lo sguardo alla finestra, aveva una speranza e quella speranza era Laire.
         Si sedette sul morbido giaciglio accarezzandosi nervosamente la fede nuziale, suo marito, il re era trattenuto ancora nelle prigioni, trattato alla stregua di un animale, feroce. Non aveva più lacrime da versare. Si alzò e con passi fermi aprì la porta. Due guardie le si avvicinarono, il ferro delle spade sguinate luccicò sotto la luce delle candele. I due uomini coperti in viso in parte dall'elmo a forma di maschera, in parte da un pesante cappuccio nero come ogni loro abito,  si lanciarono un'occhiata d'intesa, posando le spade nei foderi.
         «Cosa possiamo fare per sua maestà?»
         «Voglio andare nelle prigioni, voglio vedere mio marito».
         Gli uomini armati studiarono il volto della regina, abbassarono lo sguardo sul corpo della regina, uno degli uomini allungò una mano verso Elinor che lo colpì con uno schiaffo.
         «Cosa fate!»
         «Dovremmo controllare se nascondete qualcosa... Avanti non fate la preziosa». Si avvicinarono alla sovrana e mentre uno la tratteneva per i polsi, il secondo la toccava con malizia. Elinor scalciò, urlò,  una mano possente le tappò la bocca, una seconda mano le sollevò la gonna, sgranò gli occhi spaventata e un tratto le parole di Liare le tornarono alla mente: " da quando i Sutherland hanno messo piede in questo posto invece tutto è diverso". Elinor morse la mano della guardia che le tappava la bocca. L'uomo emise un gemito di dolore.
         «Stronza!» La colpì con un pugno nello stomaco, la regina si piegò in due per il dolore, il secondo uomo la costrinse ad alzarsi, mentre la prima guardia la schiaffeggiò in viso. Elinor venne afferrata per le braccia e sbattuta contro il muro, era stata svuotata di ogni energia per ribellarsi. Chiuse gli occhi attendendo il suo destino, mentre la luce della luna illuminava il suo volto pallido dalla finestra della sua stanza.
         «Toccatela ancora e oltre a perdere le mani e gli occhi perderete anche qualcos'altro» tuonò la voce di Roose Sutherland. Le guardie liberarono la sovrana e con terrore si inginocchiarono ai piedi dell'uomo, del loro sovrano.
         «Vi supplichiamo di risparmiarci» urlarono i due uomini. Roose fissò i supplicanti, poi diede ordine ai suoi cavalieri di arrestarli.
         «Portateli nella sala delle torture, applicate il rito per tentato stupro» ordinò a voce bassa, le due guardie colpevoli lo fissarono con occhi colmi di terrore.
         «Vi supplichiamo» dissero in un bisbiglio.  
         «Un uomo deve prendersi la responsabilità delle proprie scelte, voi avete fatto le vostre, io le mie. A meno che Elinor non voglia spendere una parola per voi, per difendervi e lasciare cadere le accuse» posò lo sguardo sulla sovrana, la donna scosse il capo. Gli uomini vennero trascinati  con urla disperate nelle prigioni.
         «Maestà mi dispiace per questo increscioso incidente, mio figlio non ha molto il pugno di ferro a differenza mia e di Shane. Permettetemi di aiutarvi» disse e prendendola sotto il braccio la condusse nella stanza della donna. Roose chiuse la porta girando la chiave, poi aiutò Elinor a sedersi sul letto. Le alzò il mento controllando le ferite, perdeva del sangue dal sopracciglio destro, la guancia era gonfia e quasi violacea.
         «Bene, chiamerò qualcuno per farvi curare». Le voltò le spalle senza aggiungere altro. Il rumore della suola degli stivali rimbombava per tutta la stanza. Elinor come se si svegliasse in quel momento da un lungo e bruttissimo sonno gridò: «Laire. Chiamate Laire». Roose si voltò verso la donna e annuì chiudendo nuovamente la porta.
 
***
 
         Nelle cucine del castello tra il pavimento scricchiolante e il russare della cuoca Laire teneva stretto tra le mani un libro dalla vecchia copertina ingiallita e rovinata dal tempo e dall'usura. Da lontano poteva sembrare un banale libro di cucina, ma al suo interno vi erano scritti i più complicati incantesimi di magia. Laire ripeteva meccanicamente le parole impresse sulla carta, rafforzando le difese del castello e proteggendo l'intera DunBroch, purtroppo era ben consapevole che la Regina dell'Ombra era a conoscenza di incantesimi più forti, più crudeli, era magia pura. Un rumore di passi la mise in allerta, chiuse il libro  bisbigliando: «velo*». Il  libro venne coperto da una patina bianca, nessuno poteva vederlo tranne il legittimo proprietario. Laire fece finta di dormire poggiando la testa sulla sedia a dondolo, un cane latrò durante il sonno. "Brutto segno" pensò.
         Shane entrò nella cucina, portava con se il freddo della notte e l'odore del sangue. Si avvicinò a Laire accarezzandole il collo bianco con le unghie nere e affilate, ne aspirò il profumo avvertendo potere magico.
         «Non fare finta con me, io so chi sei».
         Laire aprì gli occhi e le sorrise, spavalda.
         «Anche io so chi sei. Sono stata addestrata dalle streghe più potenti del mondo e sono stata mandata qui sotto ordine della Strega del Himalaya, la signora degli anelli*».
         «Lei è debole, tu sei debole. Lo sento. Non mi fermerete, mai né tu, né quel branco di idioti di questo popolo. Io sono le tenebre, io sono l'ombra!» gridò Shane e dal nulla apparve un feroce cane nero a Tre Teste dagli occhi infuocati e dalle fauci scoperte. Laire ingoiò la saliva, ma non si tirò indietro pronta a combattere e sussurrando parole sconosciute evocò uno spirito della foresta, uno spirito di luce. Le due creature si fissarono fronteggiandosi. La porta venne spalancata. La cucina giaceva nel più totale dei silenzi. Laire dormiva sulla sedia con la testa ciondolante da un lato. Roose Sutherland la scosse per una spalla.
         «Svegliati devi occuparti della regina Elinor è stata schiaffeggiata da due degli uomini di mio figlio... Sbrigati o altrimenti ti rimanderò nel bordello da cui sei venuta».
         La serva si alzò porgendo un inchino al nuovo Lord e di corsa si affrettò a salire le scale, per una volta la fortuna era stata dalla sua parte. Shane al rumore di passi era fuggita in un manto d'ombra lasciandola sola, non temeva suo padre, ma non voleva rendere palesi i suoi piani a nessuno dei membri della sua famiglia. Voleva tornare indietro nel tempo, cambiare il passato stravolgendo il futuro. Il compito di Laire, il suo compito era impedirlo.
 
***
 
         Shane dal punto più alto, dalla vetta più alta di DunBroch osservava il Castello e tutta la città. Presto, molto presto ogni cosa sarebbe stata sua. Si volse verso il cane a Tre Teste, sorrise, un sorriso gelido e crudele.
 
 
Angolo Autrice.
È passato un nuovo mese che ha portato via con sé tante cose, si sono scartati i regali, si è mangiato e bevuto peggio di re Fergus e sopratutto ho finalmente scritto il nuovo capitolo. Spero che anche questo vi sia piaciuto e che vi faccia ancora piacere seguirmi.
*Velo in latino significa coprire.
*Signora degli anelli ogni riferimento a una saga bellissima e grandiosa è puramente casuale.
Ancora vi ringrazio e auguro buon Anno a tutti voi! Un abbraccio e a presto Mai Valentine. 

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