Il Pittore di Incubi§

di Tatan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Desesperado ***
Capitolo 3: *** Concerto& parto ***
Capitolo 4: *** Primo giorno ***
Capitolo 5: *** Messa ***
Capitolo 6: *** Serpenti ***
Capitolo 7: *** Murales ***
Capitolo 8: *** Cretino ***
Capitolo 9: *** Fami ***
Capitolo 10: *** Abandon ***
Capitolo 11: *** Baciami e sognami ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Una lacrima ribelle sfuggì dalle mie ciglia, e silenziosa mi rigò la guancia nel buio della stanza.

Fissai per un’ultima volta ciò che rimaneva di quello stupendo affresco, e con mano tremante mi avvicinai per sfiorarlo...

Polvere. Fuoco. Odio. Cenere.

Della Dama non rimaneva che una mano e un lembo di veste, mentre il Cavaliere era stato privato del cavallo e di una gamba.

A seguire la prima goccia, vennero altre lacrime, e ben presto mi ritrovai il viso inondato, i singhiozzi mi squassavano il petto: un’opera così bella, così vera, così sublime...Distrutta per sempre.

Polvere. Fuoco. Odio. Cenere.

Improvvisamente, una mano affusolata si posò sulla mia spalla.

Mi voltai di scatto e due occhi neri come la pece catturarono i miei, mentre una voce suadente mi sussurrava:

- Non dovresti essere qui.

Mi sentii tremare le gambe, mentre quello sguardo cupo mi assaliva e si faceva sempre più vicino, sempre più vicino, più vicino, vicino…

Polvere. Fuoco. Odio. Cenere.

N.B. Questa storia è frutto TOTALE della mia immaginazione, riferimenti a persone od opere sono puramente casuali.

Klar?

È la mia prima fan fiction, perciò evitate di crocefiggermi, non ci posso fare niente se avete a che fare con una matta sclerata…Non mi prendo nessuna responsabilità, né per eventuali danni psicologici né per blocchi alla crescita.

In quanto alla storia, è ambientata un po’ nel secondo dopoguerra e un po’ ai giorni nostri, ma i protagonisti sono gli stessi ed incredibilmente sono, in entrambi i contesti, giovincelli e atletici...Nessuna dentiera o chirurgia estetica, semplicemente credo nella reincarnazione.

Ora, non posso che affidarmi nelle vostre mani…Baci!

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Capitolo 2
*** Desesperado ***


Camminavo per le vie di Santa Mònica sfidando il vento che, furioso, si accaniva contro la città.

La strada deserta sembrava ancora più spaventosa e lugubre del solito, mentre mi affrettavo stringendomi il cappotto addosso. Era sera, il sole non si vedeva quasi più...Rabbrividii.

Presto sarebbero usciti i desesperado, ed io non potevo farmi trovare sola ed indifesa, in quei viottoli appartati…

 

Non ne avevo mai incontrato uno, ma sapevo di loro quel tanto che occorre sapere: giovani squattrinati che vivono di notte, ubriaconi e disonesti, quelli che di lavorare non ne hanno mai voglia.

Feccia, come li definiva mio padre.

Non li dovevo nemmeno incrociare, i miei genitori ne avevano una paura folle ed io anche:  moltissime ragazze, tra le quali Clarissa( mia cugina ) avevano subito il fascino di quei ragazzi scapestrati e senza un futuro, ed erano scappate con uno di loro, compromettendo l’onore e la reputazione dell’intera famiglia.

A casa, pronunciare il nome di mia cugina era come proferire una bestemmia.

Dovevo assolutamente riuscire a raggiungere la casa di Cecilia prima di incontrarne uno.

 

Svoltando a Ronda de Sant’Antonio mi ritrovai a Plaza del Ángel, e quasi correndo la attraversai.

Sentivo l’ inquietudine attanagliarmi, e non vedevo l’ora di sedermi a tavola con gli zii e mangiare i fantastici turròn di Adelina…al solo pensiero l’acquolina mi salì in bocca.

Forse sarei riuscita a convincere la zia a preparare anche i Churros per la colazione...chissà.

Oppure sarei riuscita a rubare un po’ di vino dalla cucina…mamma non mi permetteva di assaggiarlo, ma forse Adelina si sarebbe lasciata corrompere…



Avevo già superato la piazza, persa nei miei pensieri di golosa impenitente, che un’ ombra mi varcò la strada. Subito mi arrestai in preda al panico, il cuore che batteva a mille.

La luce tremula del lampione non mi permetteva certo di vederlo bene, ma riuscii comunque a distinguere un paio di lunghi pantaloni strappati, una maglietta nera e sopra, una camicia aperta con una stella disegnata sopra.

 Desesperado.

Mi sentii svenire: dietro il primo, altri 5 individui si avvicinavano ridendo...Erano tutti altissimi ed imponenti, non sarei mai riuscita a scappare. Appena videro che ero una ragazza, si bloccarono, per poi avvicinarsi di nuovo.

 Quello davanti mi si accostò agilmente, ed io mi lasciai sfuggire un lamento…Rimasi interdetta quando si inchinò davanti a me come un vero signore, dicendo allegramente:

-Buongiorno signorina! È un po’ tardi per girare sole solette, non Vi pare?

E scoppiò a ridere.

Poi, vedendo che non continuavo, di girò verso i suoi compagni e sibilò velocemente qualcosa che non compresi,, ma che suonava come un ordine.

A quel suono, gli altri arretrarono un passo, sempre sghignazzando terribilmente.

Invece lui si avvicin

-Posso sapere il Vostro nome signorina?

 

Non potei fare a meno di notare il suo sorriso sorprendente, mentre tendeva una mano verso il mio viso tra gli sghignazzi dei suoi compagni. Sentii il suo odore, forte e muschiato, mescolato con l’odore di alcool e fumo, e ne restai in parte disgustata, in parte ammaliata.

Nessun uomo che avessi mai conosciuto aveva un odore così particolare, pungente.

Non appena posò la mano sulla mia guancia balzai all’indietro, nervosa e scattante.

Ciò non fece che aumentare l’ilarità del gruppo. Sentivo il sudore imperlarmi la fronte e le tempie, le mani mi tremavano.

 

- Siamo irrequiete signorina?

Non potei fare a meno di notare il tono di voce tranquillo e caldo, quello che si usa per calmare gli animali. Ancora una volta, non risposi.

Ero pronta a scappare se si fosse avvicinato di nuovo, se mi avesse toccato.

Ma lui non lo fece.

Mi chiese di nuovo il mio nome, ed io, balbettando, riuscii a dirglielo.

- D-d-alila…

-Bene signorina Dalila, è stato veramente un piacere incontrarVi.

Mi auguro di rivederVi al più presto.

E con uno splendido inchino ed un ultimo ghigno, si dileguò velocemente così come era apparso, subito imitato dai compari.

 

Sparirono tutti in un batter d’occhio, lasciandomi sola ed ammutolita.

Appena dopo essermi ripresa, iniziai a correre verso la casa degli zii, e non mi voltai più indietro.

 

 

 

 

 

E qui si conclude il primo capitolo, un po’ breve e poco chiaro…

Cara Hyla, spero di non averti deluso e ti ringrazio moltissimissimo per la tua recensione!

Se avessi dell’idee su come far continuare la ff, le tue aspettative, non esitare a comunicarmele*.*

 

Bacio

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Capitolo 3
*** Concerto& parto ***


Ed eccoci qui, con il terzo capitolo della mia delirante storia

Ed eccoci qui, con il terzo capitolo della mia delirante storia!

Qui, la storia diverge: da una parte Dalila, dall’altra Adrien.

POV Dalila

Un raggio di sole troppo coraggioso si infilò tra le tende tirate e mi svegliò senza troppi complimenti: di malavoglia aprii gli occhi e mi stiracchiai. Mi sentivo troppo stanca e debole per iniziare una nuova giornata, e il letto di zia Cecilia era fin troppo comodo.

La notte, popolata da incubi, non aveva portato il sonno ristoratore in cui speravo.

Mi girai su un fianco, raggomitolandomi, e il ricordo della sera prima mi investì: maledissi tra me e me mia madre, che non aveva voluto accompagnarmi, mio padre, che aveva insistito per farmi andare da sua sorella a quell’ora, e naturalmente tutti i Desesperados del mondo.

Comunque, non arrivai ad accumulare tanto rancore da impedirmi di sorridere quando Adelina spalancò la porta: la morbida cameriera di casa Tolè portava un fantastico vassoio pieno di leccornie che non tardarono a mettermi in pace col mondo.

Adelina era, oltre che una donna sempre sorridente, una meravigliosa cuoca.

Mi stavo letteralmente ingozzando di dolci, che la dolce cameriera mi avvisò a tradimento:

-La signora Tolè è giù che ti attende in salotto ed è ansiosa di ascoltare i tuoi progressi col pianoforte. Perciò sbrigati bambina mia, che il tuo pubblico ti aspetta!

Bastò questo per farmi precipitare di nuovo nel malumore più cupo.

Dieci minuti dopo, ero vestita, pettinata e lavata, e Cecilia mi stava trascinando davanti all’imponente pianoforte a coda che occupava metà del salone principale. Era venuta anche una sua carissima amica, ed entrambi vollero che suonassi qualcosa, ignorando le mie proteste.

Non potei fare a meno di notare quanto si assomigliassero quelle due: entrambe statuarie e frivole, civettuole e leziose da una parte, determinate e spietate dall’altra.

Infatti, tra una risatina ed un caffè, riuscirono a farmi suonare.

Mi costrinsero ad eseguire Jeux d'eau almeno tre volte, e alla fine si sperticarono in complimenti, mentre io arrossivo per l’imbarazzo. Amavo suonare, ma sapevo di non essere particolarmente dotata.

Riuscii perfino a strappare un mezzo apprezzamento anche da zio Ricardo, che se ne stava in disparte a consumare la sua colazione, lasciando le due donne a commentare il mio talento di pianista pressoché mediocre.

Adelina, conscia che quel concerto privato non mi avrebbe tirato su l’umore, mi attendeva in cucina con un pezzetto di tùrron in mano.

POV Adrien

-Adrien!Tira giù quel cazzo di culo da quel cazzo di letto e vieni qui SUBITO!

Letto, sbuffai. Addirittura. Un mucchio di coperte schifose non è un LETTO. Un letto è quel mobile con una struttura in legno, sormontato da un materasso, con lenzuola e piumino, dove si dorme comodi e non si convive allegramente con pulci e pidocchi.

Incazzato nero col mondo già di prima mattina, mi alzai e andai da Paul, che stava inginocchiato accanto a Teresa.

Quest’ultima, gemeva e si lamentava, mentre il pancione si sollevava ed abbassava in modo convulso.

I bei capelli erano sparpagliati sul pavimento, e il viso una maschera di dolore.

-Adrien, vai a chiamare Jean…corri!

La voce di Paul, resa un po’ isterica dall’emozione, mentre stava per diventare padre nonostante la gravidanza travagliata di Teresa. L'uomo stava stringendo la mano della ragazza, e sentii il cuore sciogliersi ed il malumore scivolare via alla vista dei due futuri genitori. Guardai un' ultima volta il viso di Teresa, con qulla carnagione scurissima e sudata: si stavva torturando il labbro carnoso con i denti, gli occhi contratti e la fronte corrugata. L'esile Teresa stava per diventare mamma, dopo nove mesi si agonia.

Sembrava impossibile fosse passato così tanto tempo, nulla era cambiato.

Uscii dal capannone e attraversai la strada. Appena giunto alla Plaza entrai nella chiesa.

Un giovane prete mi vide e si mosse all’istante; si tolse frettolosamente la tonaca, prese un cuscino dalla sacrestia e una bottiglia di acquasanta, assieme ad un piccolo libro di preghiere.

Poi, corremmo veloci fino ad arrivare alla Casa del Sole, senza scambiarci una parola.

Teresa era ormai sfinita, e ad accudirla erano arrivate a anche Dolores e Bea; le due donne, giovanissime, si affacendavano attorno a lei con una premura ed una dolcezza che non riservavano nemmeno a loro stesse.

Paul era uscito dalla stanza e accompagnava il travaglio della moglie con il suo talento di musicista, suonando furiosamente un vecchio violino.

Jean si inginocchiò accanto alla donna distesa, e iniziò ad istruire le altre due:

- Bea, aiutami ad alzarla.

Dolores, vai a prendere un po’ di acqua, e un paio di forbici.

Io uscii silenziosamente dalla stanza, salutai Paul, e ritornai alla Plaza, dove mi aspettavano Carlos e Miquel. I due fratelli, imponenti e spaventosi, erano spalla a spalla, e pur nell confusione mattutina della piazza risaltavano per la loro stazza, che creava una sorta di alone di timore riverenziale attorno a quei ragazzi. Avevano entrambi un'aspetto esotico, ereditato dalla madre: i capelli biondi, il taglio degli occhi, il portamento, li faceva sembrare degli cherubini caduti dal cielo, due cherubini identici. Tutto combaciava nei due, perfino il carattere; tutto, tranne che il nome.

-Ehi, figlio di buona donna! Come sta Teresa?

- Come vuoi che stia? Sta partorendo il suo primo ( e speriamo unico) figlio.

- E Paul?

- Isterico.

-Come sempre.

-Di più.

I due gemelli scoppiarono a ridere, e poi Miquel mi chiese:

-È già arrivato il prete?

-Certo.

-E immagino che Dolores sia lì che aiuta la sorella.

-Esatto. C’è anche Bea con lei.

- Pensi sia una buona cosa? Non vorrei che, quando arriverà anche per lei il momento di partorire, si spaventasse al ricordo di Teresa.

-Dolores è più forte di Teresa, non sarà così dura.

Miquel si azzittì, mentre ci avviammo verso la Villa dei Sogni.

Carlos portava matite, carboncino, ed un pacco di fogli bianchissimi; sogghignai, mentre pensavo alla faccia cha avrebbe fatto suo padre quando avrebbe scoperto del furto.

Mi scuso per il capitolo frettoloso…

Grazie moltissime a Hyla ed Ego!!

Caro Ego, ho visto le tue opere ed ho lasciato la recensione su Alice voleva Morire, probabilmente la mia preferita.

Spero di non avervi fato vomitare troppo, e vi avviso che dal prossimo cap. parte la avventura di Diego e Alexia, i due Adrien e Dalila odierni.

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Capitolo 4
*** Primo giorno ***


-Ehi, figlio di puttana

-Ehi, figlio di puttana!!!

Mi giro lentamente, irrigidito, mentre la pioggia cade fitta.

Un ragazzo mi sta guardando sorridente, il viso paffutello e l’aria strafottente.

-Jaz!

Ci corriamo incontro, per poi stritolarci in un abbraccio fraterno sotto l’acqua ghiacciata che non smette di cadere.

Lo guardo: dopo tre mesi di vacanze, l’unica cosa che è cambiata nel mio migliore amico è il colore della pelle, abbronzantissima e caramellata.

-Come stai???

-Benone! E tu…

Mi fissa intensamente, sorpreso e un filo invidioso:

-Diego, porca troia in calore, quando cazzo sei cresciuto???

Sorrido beffardo: l’estate mi ha regalato una crescita spaventosa, ora sfioro il metro e novanta.

E con una buona dose di palestra, mi sono anche guadagnato un fisico niente male.

Jaz è rimasto il solito tappetto ben piantato, un bambolotto tutto muscoloso con i riccioli neri e gli occhi nocciola.

Ci avviamo insieme verso la nostra classe, superando le maree di studenti eccitati e di matricole spaesate, evitando i professori e scavalcando agilmente le folle di ragazzine isteriche che si abbracciano e urlacchiano senza ritegno.

Infine, raggiungiamo la nostra aula: anche qui, il Caos regna incontrastato.

Ci infiliamo nei due banchi in fondo, quelli vicini alla finestra.

Mi stringo tra la sedia ed il banco, e tiro fuori il mio magnifico astuccio sbrindellato dalla cartella arancione evidenziatore.

Non è cambiato praticamente nulla in questi mesi: Pink saltella esaltata sotto l’evidente effetto di alcool già alle 8:00 di mattina, Tati si sta truccando con un pesantissimo ombretto in un angolino, Gio è impegnato a flirtare con due ragazze alla volta, Monkas ed Ema giocano ancora con delle macchinine, Jaki è seduto immobile a fissare un punto preciso davanti a sé.

Tutto straordinariamente normale.

Anzi, no.

Ci sono quattro persone impalate al muro vicino alla porta, che ci guardano con aria confusa e stridono con l’atmosfera caotica generale, quattro persone che non ho mai visto.

Due ragazzi e due ragazze, probabilmente nuovi studenti provenienti da altre scuole, che ci fissano e immobili evitano di dare nell’occhio.

Osservandoli, noto con piacere che una delle due ragazze è un bel pezzo di gnocca, biondissima e con un fisico da pallavolista.

Il ragazzo che le sta al fianco è biondo come lei, alto e con dei lineamenti duri e rigidi; entrambi, sono vestiti sportivamente, come se stessero per andare a giocare a tennis invece di essere a scuola ad affrontare una classe di svitati come noi.

L’altra ragazza è piccolissima, con dei capelli lunghi e castani, qualche ciuffo biondo sparso, un piercing sul sopracciglio, molta matita e uno sorrisetto di sufficienza stampato sulle labbra. Odioso.

Irritato, la continuo a fissare, aspettando che quel sorriso idiota se ne vada.

Sbuffo, e passo all’ultimo del quartetto: un ragazzino gracile con l’aria del secchione, non brutto ma nemmeno bello, vestito né bene né male, con dei capelli neri che danno l’aria di essere unticci.

Schifato, mi giro a dare una gomitata a Jaz, che bestemmia gentilmente e poi tira un lungo fischio alla vista della biondona.

-Accidenti! Hai visto che gambe?

Annuisco, comprensivo…sebbene io non sia un tipo alla perenne ricerca di qualcuno su cui sfogare i miei ormoni impazienti, la ragazza è veramente bella.

Giocherello con una matita prima il professore entri in classe e ci presenti i quattro, ci faccia le solite raccomandazioni di inizio anno e io sprofondi nella noia mortale più assoluta.

La ragazzina piccola( ho scoperto che si chiama Alexia) non ha ancora finito di lanciarci occhiate di disapprovazione, mentre il biondo( Martino) è seduto vicino a me ed a Jaz.

La giornata scorre senza fatica, ritrovarsi dopo l’estate è sempre un piacere; i quattro non si mescolano assieme a noi comuni mortali, standosene in disparte solitari.

Bah.

- Ehi Diegoooo!!

Tati all’uscita dalla scuola si avvicina volteggiando per poi cadermi addosso, in una nuvola di profumo.

Mi stampa un bacio umido sulla guancia e poi mi tempesta di parole, raccontandomi tutto sulla sua estate: ovviamente, ascolto meno di metà, ma passo il tempo a guardarla con affetto.

È la classica bambolina, esile e minuta, con una pelle di porcellana e sempre perfetta: l’adoro.

Da quando ci siamo lasciati, non abbiamo fatto altro che rivolgerci occhiate e parole frettolose, ma dopo l’intervento alla schiena che ha subito, ci siamo riavvicinati, diventando amicissimi.

Lei è capace di farmi dimenticare tutte le arrabbiature, è magica...infatti, la ragazza sprezzante e odiosa svanisce davanti al suo sorriso.

ALEXIA

Entro nell’aula che il bidello mi ha indicato assieme agli altri tre nuovi.

Sono distrutta, nove ore e mezza di viaggio per seguire mia madre in un lavoro che non le porta altro che delusioni.

La scuola è caotica e disordinata, fiumi di studentelli vari che travolgono qualunque cosa si trovi sul loro cammino, ed io mi sento morire mentre li guardo.

Dove sono i miei amici? Dov’è Sara con i capelli blu elettrico, dov’è Vale con il rossetto rosso scarlatto, dov’è Limo con la sua cresta, dov’è Kris con il suo sorriso da infarto?? Dove sono??

Da qualche parte, in Italia.

Sospirando, alzo lo sguardo per incontrare i miei nuovi compagni.

Una ragazza vestita di rosa shocking balla e salta su un banco, e vicino a lei due tipi giocano con delle macchinine.

Poco più in là, una mummia imbalsamata è seduta immobile, lo sguardo fisso e vacuo.

Dall’altra parte della classe, un gruppetto di bambinette impegnate a ridacchiare assieme a qualche ragazzo, una delle quali si sta truccando con ombretto e mascara.

E non è finita. Alla fiera degli animali abbiamo anche un simpatico esemplare di finto punk, impegnato a sistemarsi i capelli, un tipo con gli occhiali della Prada( e ciò basta per farmelo odiare con tutto il cuore) e varie amebe vaganti.

Mi accorgo di un ragazzo che sta fissando me e i tre che mi seguono con aria divertita, guardandoci beffardo: stringe le labbra come per reprimere una risata, i capelli castano ramato che ondeggiano attorno al viso scavato e gli occhi brillanti e ironici.

Dietro di lui, un prototipo di Ciccio bello versione Mar dei Caraibi valuta la stangona accanto a me, mentre lancia un lungo fischio di approvazione.

Non vedo l’ora che finisse l’anno scolastico.

La giornata passa lentamente, non parlo con nessuno e mi limito ad osservare.

Non appena la campanella suona, mi infilo l’Mp3 nelle orecchie, pronta a dimenticare il mondo che mi circonda.

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Capitolo 5
*** Messa ***


“Alziamoci insieme per dichiarare la nostra fede…”

Bla bla bla.

Sbadigliavo appoggiato alla colonna d’entrata, mentre Jean, in piedi sul pulpito, predicava un Dio in cui non credeva nemmeno lui.

L’aria della città si faceva sempre più calda, e i posti come le cattedrali erano gli unici dove ci si poteva riparare dall’arsura.

Un mucchio di persone affollavano Sagra Maria, tutte accaldate e sudate: la luce delle vetrate rimbalzava sulla testa pelata dei signori, e le vecchiette, sedute in prima fila, salmodiavano spietate.

D’un tratto,mentre la voce di cento e più persone intonava il Credo, un movimento improvviso alla mia destra distolse la mia attenzione: la famiglia Tolè, capitanata dal notaio Ricardo, si faceva posto tra la gente.

“ Credo in un solo Dio, Padre e onnipotente…”

Sgomitavano per raggiungere le sedie dell’ala destra, superando i popolani che si ammassavano su quella sinistra.

Dietro Ricardo, Cecilia avanzava impettita, subito seguita da un’altra signora imbellettata e…

Dalila.

La riconobbi subito, le fossette delle guance evidenti ed i capelli ricci nerissimi, l’aria spaesata: la ragazza dell’altra sera.

Mi strozzai per non ridere in mezzo ad una messa…Sembrava una bambinetta attaccata alle gonne di Cecilia, lo sguardo impaurito e le spalle chine..

Pensavo alla sua espressione terrorizzata di quella sera, e sogghignai malefico.

Una gomitata mi spezzò costole, sterno e polmoni: anche Miquel l’aveva riconosciuta.

-Ehiiiiiii…ma non è la signorina Dalila quella???UUUUUUUUUUhhhh..imparentata con la gente bene eh??

-Già già…

Si aggiunse anche Carlos, che tirò un fischio sommesso.

- Trova il modo di farti vedere! Voglio vedere che faccia fa…

Detto, fatto.

Mi avvicinai furtivo, tentando di scivolare tra la folla.

Poi, quando fui di fronte a lei sussurrai:

-Dalila…

Si girò di scatto, sorpresa, ed appena incrociò il mio sguardo sgranò gli occhi.

Restai immobile, un sorriso sornione stampato in faccia;

lei mi fissò per un momento, e poi svelta abbassò gli occhi.

Le guance le si erano arrossate in modo delizioso, e stringeva i pugni nervosa.

Restai a fissarla così, conscio delle risate senza dignità dei gemelli, che assistevano alla scena.

Ad ogni minuto che passava, i capelli le si appiccicavano alla fronte sempre più per via del sudore, e l’imbarazzo non calava.

Poi, la processione per la comunione ci divise, e la persi di vista.

Veloce, mi dileguai e uscii dalla chiesa, assieme ai gemelli che ancora si tenevano la pancia per le risate.

Aspettai impazientemente che uscisse tutta la gente, pronto a rivolgerle di nuovo la parola.
L’occasione si presentò quando Cecilia ed il marito, in compagnia dell’amica di lei, si allontanarono per parlare con il sergente Ruiz e la consorte, lasciando sola per un istante Dalila.

Subito mi avvicinai, sotto lo sguardo dei miei amici, e le appoggiai una mano sulla spalla.

La ragazza si girò di scatto, la bocca leggermente socchiusa che lascio sfuggire un suono strozzato appena capì chi ero.

- Buongiorno signorina!

Un veloce inchino.

- Che bella giornata, vero???

Nessuna risposta.

-Già, proprio adatta per un’escursione a cielo aperto.

Niet. Solo un’espressione mortificata.

-Ho visto che siete imparentate con Ricardo Tolè…Grande uomo, penso uno dei più ricchi di tutta la città. E poi la moglie…Cecilia, no??

Zero.

-Un bella donna davvero. E vostra zia?? Tranquilla, voi non siete da meno.

Zero assoluto.

Così, mi feci vicino e la inchiodai.

-Hai paura Dalila?? Mi pare impossibile che una ragazza come te possa aver paura di uno come me. Cosa vuoi che ti faccia?

Poi, veloce, le sfiorai l’orecchio con le labbra, sfilandole di nascosto un orecchino.

Lei rimase immobile, e nemmeno si accorse del furto. Fissava con insistenza i suoi piedi, e tremava tutta.

Me ne andai di fretta, seguito subito dagli altri.

Scusate, ma sto studiandoooooo!!!

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Capitolo 6
*** Serpenti ***


kmykiiiikkultimo
Ripescata, dopo un periodo di crisi XDDDDDDDDDDD
Attention please: ho cercato di scrivere questa fan fiction con le parole e con le modalità di pensiero dei miei protagonisti, e perciò lo stile sarà diverso da Pov a Pov
Nel caso di Alexia,  il suo è un pensiero tra lo strafottente moderno e la melodrammaticità tipica dell'età adolescenziale ù__ù

ALEXIA
Ne ho piene le palle di questa città. PIENE. E non me ne frega niente se i professori sono gentili con me, se i miei compagni di classe sono dei bravi ragazzi, se la mia vita non è uno schifo come mi sembra.
Ne ho piene le palle e non scherzo.
Sono tre mesi che mi sbatto per sorridere e fare la carina con tutta questa ipocritissima gente, tre mesi che la mia esistenza si è trasformata in un trascinata e polverosa routine. Non che prima fosse questa figata, ma sicuramnte meno finta e snervante.
Sono arrivata qui, e dalla piccola ed entusiasta Ale è venuto fuori un mostricciattolo pieno di sè, che prova a comportarsi da duro, da insensibile.
Se mi vedessero i miei amici ora, se sentissro cosa pensano di me i ragazzi locali, probabilmente si piegherebbero in due dalle risate.
Un topolino che prova a ruggire come una tigre.
Questo posto è riuscito ad avvolgermi in un armatura fatta di arroganza e a mortificare quello che ero; il tutto, in un breve lasso di tempo.
E poi c'è lui, naturalmente. Diego. Il mio personalissimo inferno fatto di carne e veleno, di occhiate fugaci e sorrisi beffardi.
Non ho la più pallida idea di cosa mi attraga in lui, e la verità è che non voglio saperlo. Non mi interessa.
L'importante è che mi lasci in pace, che non mi rivolga la parola e mi abbandoni nel piccolo angolo dove il mio cuore sopravvive.
E soprattutto, che non mi guardi con quegli occhi di fuoco in grado di farmi trmare le ginocchia.
Li visualizzo, così definiti e terribilmente familiari, un baratro in cui il mio istinto bastardo chiede di perdersi.
No. Kris, Kris, Kris. Ripesco il suo viso tra i miei pensieri, costringendolo a dominare la mia mente e a scacciare ogni altra cosa: i capelli castani, gli occhi verdi ed il sorriso splendente del mio migliore amico prendono forma nlla mia testa.
Migliore amico, eterno confidente, il mio amore segreto e così lontano. Kris, Kris, Kris. Ti prego, vieni qui, galoppa sul tuo cavallo bianco e portami lontano da tutto e da tutti.
Vieni qui, e sconfiggi gli occhi ammaliatori del serpente che mi tiene prigioniera.
Kris, ti amo, e non te l'ho mai detto.
Ti amo, e non ti ho nemmeno baciato. Ma lo sai,  non ho mai baciato nessuno. Anche se ho sedici anni suonati, non sono brutta, e ho sempre avuto un carattere interessante. Lo sai che il mio bacio è per te, lo sai che ti amo anche se non me lo hai mai sentito dire, lo sai anche se ora il tuo viso sfuma per lasciare il posto ad un volto scavato ed ironico, a dei capelli scompigliati e ribelli, a due oceani dove ogni coscienza è annullata, ogni ricordo svanito..
DALILA
Mi costrinsi a respirare lentamente, dilatando il più possibile i polmoni e lasciando che il profumo di lenzuola pulite mi calmasse, almeno un pochino.
L'aria entrava ed usciva dal mio corpo sprofondato nel letto, ma mi sembrava di soffocare.
Una morsa stringeva il mo stomaco, mentre il ricordo di labbra sbagliate torturava e consumava il mio cervello.
Un bacio. Mi ero accorta del furto solo una volta arrivata a casa,  ma non ci avevo fatto caso, non come avrei dovuto.
Stavo male non perchè un disperato straccione mi aveva importunata e derubata, ma perchè il suo gesto aveva uno scopo preciso che non aveva nulla a che fare con sentimenti ed emozioni.
Era venuto lì, tra gente come i miei zii, sicuro e sprezzante. Mi aveva salutata come una cara amica d'infanzia e se ne era andato, portandosi dietro un mio gioiello ed un pezzetto della mia anima.
Nessuno si era mai comportato così, nessuno era ruscito ancora a lasciarmi inerte ed inerme, senza parole e incantata come una bambina.
Fino ad ora.
Mugolai, irritata dal fascino che quel ragazzo dal nome sconosciuto esercitava su di me.
Non sarebbe più successo. Mai più.
Non volevo che fossero le mie gambe a tremare per un desesperato, non volevo che fosse il mio cuore a venir rapito da uno come lui.
Probabilmente la cosa migliore sarebbe stata andare a confessare tutto a zia Cecilia.
Ma tutto cosa?? Un incontro fugace nella notte di S. Monica e un bacio/ furto davanti alla chiesa???
Ed in più, non avrebbe potuto fare assolutamente nulla.
Nella mia ingenuità ( ma chiamiamola pure stupidità senza confini) non sapevo nemmeno il suo nome, e neanche quello dei suoi amichetti enormi,
e non avevo nemmeno un piccolo indizio per inquadrarlo.
Di  lui  sapevo solo il suono della voce, il profumo del respiro, e del potere dei suoi occhi.
Mi alzai, rabbrividendo al contatto con il pavimento gelido, e mi avvicinai alla finestra. Scostai le immacolate tendine ricamate, e gettai una veloce e colpevole occhiata attraverso il vetro.  
Una piccola luna truce illuminava le strade deserte, gettando una luce a dir poco spettrale sui tetti delle case. Nessun gruppo di giovani ubriachi a spaventare signorine per bene, a quanto pare.
Aprii la finestra, impaziente: nulla.
Solo un silenzio pesante e privo d'allegria.
Desideravo vederlo, dimostrargli che io ero più forte di lui, che non sarebbe bastato uno sguardo languido a farmi cadere ai suoi piedi.

Inutile Dire che aspetto commentiiiii


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Capitolo 7
*** Murales ***


murales Adrien

Sorrisi per l'ennesima volta, nascosto nelle oscurità della notte. Guardavo la finestra della sua camera, dove poco prima avevo visto comparire il suo dolce viso.
Sapevo che i suoi occhi, così grandi e limpidi, cercavano me.
Sapevo che i suoi sogni, o forse i suoi incubi, avrebbero avuto me come protagonista
Sapevo che il suo cuore desiderava vedermi, almeno quanto il mio desiderava vedere lei.
Lo sapevo, e ciò mi procurava piacere molto più del lecito.
Strinsi tra le mani quel piccolo e delicato orecchino d'oro, e rievocai l'odore dolce e fin troppo sontuoso della sua pelle.
Se mi avessero preso, quasi sicuramente mi avrebbero arrestato. E magari anche imprigionato. Non che me ne importasse, almeno in carcere mi avrebbero sfamato.
Diedi un ultimo sguardo verso le tendine candide che nascondevano la sua camera, per poi attraversare la strada deserta e avvicinarmi al cancelletto nero ed elegante di casa Tolè. Lo scavalcai con facilità, e proseguii verso il muro bianco ed immacolato della dimora del notaio.
Ridacchiai, conscio di quanto fosse sbagliato ed infantile il mio gesto. Esagerato, pericoloso, con l'unico scopo di farmi notare da lei, di farmi ricordare, di sconvolgerla e imbarazzarla. Mi chiesi che faccia avrebbe fatto quando si sarebbe accorta dell'enorme sbruffonata che stavo per fare. Si sarebbe arrabbiata?? Impaurita??
Sarebbe arrossita sicuramente, sarebbe diventata rossa come un pomodoro maturo e non avrebbe trovato parole per commentare una scelleratezza del genere.
Magari avrebbe confessato tutto ai suoi cari parenti, e per noi sarebbe stata una bella gatta da pelare.
Toccai la parete di cemento, ed intinsi il pennello nella vernice scura che mi portavo appresso.
Risaltava splendiamente contro il candore generale, un urlo di sfida che usciva naturale dalle mie mani, come lo sgorgare di una ferita.
L'estasi della mia arte mi travolse, mentre un muso feroce prendeva forma sotto le mie dita sapienti. Un paio di occhi fieri ed orgogliosi, le narici dilatate, una dentatura temibile messa in bella mostra. Poi il corpo squamoso, gli arti possenti e la lunga coda.
Un dragone infuriato. Un graffito difficile da rimuovere, che avrebbe dato una bella scossa al buon gusto della signora  Cecilia.
 Al centro della bocca spalancata scalfii  il cemento con il mio scalpellino,. creando così una piccola cavità nel muro. Lì, nascosi il piccolo gioiello di Dalila, non prima di averci posato un leggero bacio a fior di labbra.
Diedi un ultimo sguardo alla mia opera, e scappai, scomparendo nelle tenebre.

Dalila

" Signorina, signorina! La prego, si svegli! Signorina Dalila, è successa una tragedia! Deve scendere subito!"
Aprii gli occhi di scatto. Adelina, i capelli arruffati e la divisa scomposta, mi guardava sconvolta.
I suoi occhi erano spalancati, e le guance morbide erano arrossate. Aveva il fiatone.
" Adelina, cos'è successo di così terribile?" le chiesi, pensando subito al peggio. Qualcuno si era fatto male??
" Gli zii stanno bene??"
" Ah, signorina...Quei mascalzoni! Li prenderanno, oh si che li prenderanno! Il signor Tolè ha già chiamato la polizia...Che orrore, come hanno potuto fare una cosa simile?? Una disgrazia..."
Tentando di matenere la calma, dissi: " Adelina. Calmati..dimmi cosa è successo. Respira, Adelina. Piaaano...ecco. Allora??"
Con una smorfia, la dolce cameriera mi rispose: " Signorina, è meglio che lo veda con i suoi occhi."
Mi alzai, lasciando cadere le coperte, e arraffai i primi vestiti che trovai.
Li infilai, non senza qualche difficoltà, e volai giù dalle scale. Nel salone non c'era nessuno,  sul tavolo i resti della colazione di Cecilia ed il giornale dello zio ancora aperto. Sentii delle voci concitate provenire dal giardino, e uscii.
La prima cosa che notai, furono i capelli scarmigliati della mia altezzosissima zietta. Per essere conciati in quella maniera, doveva essere successo per forza qualcosa di estremamente grave. Poco più in là, Ricardo parlava con un poliziotto. Gesticolava agitato, il viso di una curiosa sfumatura tra il rosso acceso ed il viola.
Non si voltarono nemmeno quando mi avvicinai, troppo sconvolti per accorgersi della mia presenza.
Stavo per chiedere spiegaioni, quando il mio sguardo cadde sulla parete della casa. Non riuscii a proferir una parola.
 Mi lasciai cadere sul terreno umido, sull'erba curatissima del giardinetto. Il mio cuore si fermò, mentre i miei occhi fissavano  vacui l'enorme dragone immortalato con innegabile maestria sul muro un tempo candido di villa Tolè. Un mostro dall'aria vagamente familiare, simbolico e affrettato, ma orribilmente reale.
Sembrava voler saltar fuori dal cemento, sembrava voler distruggere la sua prigione e afferarmi con le sue fauci splancate.
Mi rialzai, barcollando sulle mie gambe malferme, mentre guardavo affascinata quel graffito.
Notai una piccola stellina, sotto la zampa destra, una piccola ed innocente stellina.
Un nome mi colpii come uno schiaffo: Desesperado.
Solo loro potevano aver fatto una cosa simile.
Mi avvicinai, sorda ad ogni rumore e cieca ad ogni altra cosa, e sfiorai  con mano tremante quell'incubo fatto di  vernice. Percorsi le intricate linee del muso,soffermandomi sugli occhi furiosi della bestia, il segreto di tanta realisticità.
Percorsi il profilo di ciascun dente, di ogni squama, fino a giungere al centro della bocca, dove percepii un'innaturale cavità.
Grattai via la polvere, e vidi il mio orecchino incastrato nel muro. Lo presi tra le dita, scossa da fremiti incontrollabili, mentre il ricordo di due occhi neri e di labbra sbagliate mi assaliva feroce.


Grazie a Lalafly, per il suo commento ù__ù
Siccome sono scema, ho cancellato il primo capitolo e le due recensioni, perciò mi scuso con Ego me Stesso ed io e con sorellinadolce per aver cancellato i loro commenti...I'm sorry!!










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Capitolo 8
*** Cretino ***


cretino Diego

E il mondo può crollarmi addosso, mentre la guardo, la schiena piegata sul banco e i capelli che le sfiorano il viso in una morbida onda.
Ma tanto non me ne accorgerei. Fisso il suo profilo, incapace di pensare ad altro; davanti a me, un foglio pieno di operazioni matematiche implora un po' di attenzione, ma non riesco nemmeno a leggere quelle funzioni senza senso. I miei occhi hanno quei numeri davanti, ma le immagini non arrivano al cervello.
Nella mia personale bolla di sapone ci siamo solo io e lei,  solo noi due, insieme.
Insieme insieme, intendo. Non semplici conoscenti, non compagni di classe, e nemmeno amici. Insieme.

Tre mesi da quando l'ho vista per la prima volta, tre mesi in cui le avrò parlato sì e no una decina di volte,  e sempre per sbeffeggiarla come un cretino.
Cretino. Esatto. L'aggettivo più appropriato, che descrive esattamente e totalmente il mio atteggiamento in questo periodo.
Oddio, non che io sia mai stato serio, certo. Però in questo periodo le cazzate mi escono con una tale facilità da non concedermi neanche un po' di dignità e contegno...E diamine, non mi va di passare per lo scemo di turno.
Ad essere onesti, credo sia lei il problema. Basta che appaia, e i neuroni vanno in poltiglia, la bocca si apre come dotata di vita propria e le cazzate sgorgano a fiumi.
Perchè sono le cose più facili da dire, non c'è bisogno di pensare per formularne una,  e io in quei momenti non sono certo nel pieno delle mie capacità intellettive.
    Anzi, le capacità intellettive non ci sono proprio più. Puff. Scompaiono, come per magia.
Mi ritrovo a prenederla in giro sulle cose più stupide, come il piercing o la matita un po' troppo accentuata. O per le scritte incomprensibili che si scrive sul braccio, o sulle poesie distratte che scarabocchia sui quaderni scolastici.
Lei non dice niente, oppure mi rifila qualche " Stronzo" o "Vaffanculo", poi  abbassa la testa, lascia che i capelli le coprano gli occhi, e si massaggia le tempie con fare stanco e annoiato.
Cretino. Sono un cretino, ma a volte vorrei urlarle in faccia che è tutta colpa sua se sono ridotto così.
Vorrei dirle che non se lei non fosse così così, io sarei diverso. Smetterei di fissarla durante le lezioni, riuscirei a concentrami un po' e a  fare anche un discorsetto come si deve, su temi come politica e musica. Se mi applicassi un briciolo, tirerei fuori anche delle cose intelligenti.
Ma la piccola italiana dal nome americano complica tutto, e io divento un cretino.

Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin. Ecco. Consegno il foglio in bianco,  immaginandomi la faccia di mia madre quando le dirò del 4 che sicuramente prenderò...Ma Diego, vai bene in matematica! Come hai fatto a prendere un voto del genere???... Sbagliato mami, andavo bene in mate. Ero il migliore della classe. Poi però, tutto d'un tratto, sono diventato cretino. Ma non è colpa mia, mammina. Te lo giuro. E' colpa della piccola, malinconica,  stravolgente Alexia.



Alexia
 
Mi sta guardando...Ancora. Ma perchè non si gira?  Odio avere i suoi occhi addosso: riescono a farmi perdere il controllo, il cuore batte a ritmi sfrenati come impazzito. Cosa crede di fare? Forza Alexia, concentrati. Distogli lo sguardo, piega la testa e richiuditi nel tuo mondo. Per favore, Ale, lo dico per il tuo bene. Per la tua sanità mentale che sta andando a benedirsi. Per quel muscolo nel tuo petto che ora pulsa dolorosamente, come se ogni battito fosse una sofferenza.
Avanti, abbassa gli occhi. Brava. Ora prega che lui stia facendo lo stesso.

Ma, purtroppo, lui non ha nessuna intenzione di liberarmi dal suo sguardo ammaliatore. Afferro nervosa una matita, mi metto a scarabocchiare su un foglio  un vecchio testo inventato in uno dei tanti momenti di noia. Scrivere mi fa bene. Impegna la mente, oltre che le mani, e subito Diego non c'è più. Solo la mina che si consuma sul banco, tanto forte premo, e le parole della triste ballata  si materializzano. L'avevo composta ancora in Italia, ed è ironico quanto sia appropriata in questo momento...Una canzone nostalgica, di qualcuno che sogna la sua terra lontana e nelle nuvole scorge le forme ed i colori della sua patria.
Che tra le persone sconosciute vede i volti che ama, che nel silenzio delle sere ascolta le loro voci.
 E poi, i tamburi di una battaglia,  il suo cavallo che balza in avanti e lo stridio agghiacciante delle spade che si scontrano, lo schocco di scudi che si frantumano, le urla agonizzanti dei feriti. Combatte, e non sa perchè. Lui perso in una guerra non sua, che tra l'inferno sente ancora la risata del suo bambino, che nelle smorfie dei soldati intravede il sorriso della moglie,  e che nel freddo della lama sente l'abbraccio del sole. Che nel dolore della morte, prova la gioia del ritorno.

Sento una risatina, e mi volto di scatto. E te pareva. Un sorriso beffardo sul volto tirato, i capelli scompigliati e le mani affondate nelle tasche.  Mi preparo mentalmente a parare tutte le sue battutine, redo impermeabile il mio cuore e lo corazzo in modo da farcele scivolare sopra.
" Cosa stai scrivendo?" chiede.
" Nulla che ti interessi." rispondo secca. "Eddai, dimmelo..." " No." " Ti prego. Non voglio prenderti in giro, giuro! Sono soltanto..curioso."
Come no. E spiegami, da dove verrebbe tutta questa curiosità?
" Ho detto di no, Devagas."  Lui non se ne va. Cerca di sbirciare tra le mie braccia, che coprono il banco, anche se so perfettamente che non le capirà. Grazie a Dio, non sa un briciolo di italiano.
" Per favore...Alexia." -  scatena tutto il potere dei suoi occhi, e le ginocchia incominciano a tremare. Mi chiama per nome, cosa  che non ha mai fatto. Bastardo.
" No..." Ma già la mia voce è meno decisa. Sento le guance scottare, e le orecchie sembrano prendere fuoco da un momento all'altro...Concentrati, Ale. Respira.
" Dimmi almeno di cosa parla...O ti vergogni?" ridacchia.
" Abbastanza, sì. Ma anche se te lo dicessi, non capiresti. In effetti, tu non capisci mai nulla, Diego."
" Chi è qui quella che sfotte?" ribatte, offeso. Poi, si appoggia al banco, con fare deciso.
" Tanto non ti lascio andare finchè non me lo dici."  minaccia. " Vedremo."  Sibilo tra i denti, riducendo gli occhi a fessura.
Mi alzo di scatto, stringo il foglio tra le mani, e poi afferro lo zaino. Lui mi si para davanti, risponde a una mia finta. Accidenti, è davvero alto. Mi chiude tutte le vie di uscita. Disperata, lo spintono, ma non non si sposta nemmeno di un centimetro. Balzo di lato, ma la cartella mi impaccia e ci metto un attimo a riprendere l'equilibrio; Diego approfitta spudoratamente del mio momento di debolezza, e mi sfila il foglio tra le mani.
Sul suo viso si apre un perfido ghigo, e prima che possa riacciuffarlo si volta e scappa via.
" Tanto non capirai una mazza, stronzo!" Gli urlo dietro, ma tanto è inutile.  Ormai si è dileguato.



Eccoci qua, due nuovi pov, di Alexia e Diego ù__ù
Grazie moltissime a tute le persone che hanno messo la mia storia tra i preferiti, e ad alilah e Nlc che hanno recensito...Mi raccomando ragazze, non abbandonatemi!!






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Capitolo 9
*** Fami ***


fame pittore Adrien

Casa del Sole non era mai stata così affollata come quella sera. Tutta S. Monica, o meglio, tutta la nostra S. Monica, si era riunita in quel tugurio che puzzava di sudore e fatica, per assistere al battesimo del figlio di Paul; un modo come un'altro per sottrarsi alla noia e alla fame novembrina.
Io, Miquel e Carlos eravamo seduti fuori a fumarci una sigaretta, mentre Jean finiva la cerimonia accompagnato da gran battimani. Tra poco sarebbe iniziato il tradizionale banchetto, e non volevamo certo perderci l'occasione di mangiare a sbafo.
Ormai non sentivo più nessun tipo di vergogna nel partecipare a tutte le feste e sagre della città, con lo scopo di mangiare il più possibile.Mangiare, mangiare se ancora mangiare...finoa  scoppiare.
 Il cibo era un pensiero fisso,  forte quasi quanto la mia passione per la pittura. Era due cose che andavano pari passo, più tempo passavo a dipingere nel Templo ( come chiamavamo affettuosamente l'antico casale dove trascorrevamo i nostri pomeriggi)  più la morsa della fame stringeva il mio stomaco, fino a stremarmi e ad illuminare i miei occhi di una luce malsana. Un urlo continuo, che non si spegneva mai. Un bisogno che diventava ogni giorno più potente, un impulso che metteva a tacere il mio orgoglio con sorprendente facilità.
 Eppure, sebbene non fossimo ricchi, non eravamo neppure tra i più poveri...No di certo. Riuscivamo sempre e comunque a mettere qualcosa in tavola, e non dovevamo nemmeno piegarci a lavori troppo umili.
Io però non smettevo di avere fame. Mai. Con Miquel e Carlos era diverso, loro erano grandi e grossi e il loro appetito era senza dubbio normale.
Ma io?? Io dipingevo, e mi consumavo ad ogni pennellata. Ero alto, ma ormai potevo contare le ossa del mio costato. Ed il colore della mia pelle! Bianco, latteo come la luna, quasi trasparente. Il sangue  che palpitava sotto era fin troppo visibile, le vene troppo sporgenti. Gli zigomi pronunciati sul volto scavato, le labbra chiare, gli occhi troppo scuri per essere sinceri, i superstiziosi dicevano che i demoni si erano insediati nel mio corpo. Demoni a cui avevo donato la carne in cambio dell'arte che mi aveva reso celebre nella periferia della Comarca. Sciocchezze per giustificare il mio innegabile talento...e la mia immodestia.
Fatto sta, che dormivo sempre di più e non c'era cibo che potesse saziarmi.

Ma...ci sono altri tipi di fame.* La fame di lei, per esempio. Che era altrettanto potente ed inestinguibile di quella che devastava il mio stomaco.
La guardavo, la spiavo, e non riuscivo a togliermela dalla testa...E non mi aiutava di certo.
Non avevo potuto vedere la sua reazione al dragone immmortalato sul muro di casa, ma riuscivo benissimo ad immaginarla e ad indovinare ogni sua emozione, ogni suo comportamento...E la avevo vista due tre volte. Ed ero riuscitoa terrorizzarla con una sola parola. E lei non sapeva nemmeno il mio nome.
Ma io sapevo chi era lei. La conoscevo, non come Miquel o Carlos o Paul o Dolores, ma come conoscevo me.
Io ero lei. E averla lontana era una tortura che non potevo sopportare. Il mio cuore era con lei, e io non potevo vivere senza il mio cuore.
E lei non sapeva nemmeno il mio nome.

Mi riscosi dai miei pensieri: qualcuno mi aveva chiamato.
Girai la testa, e vidi Miquel indicare una figura ammantata immobile in mezzo alla strada.
Una donna, a giudicare dal profilo. Ci fissava, ascoltando il chiasso della festa all'interno...Avevano iniziato il banchetto.
Le oscurità della sera non mi permettevano di vederla con chiarezza, ma era facile intuire i brividi che le attraversavano tutto il corpo. 
Non si muoveva, continuava a tremare, aspettando probabilmente che qualcuno le rivolgesse la parola.
Nonsotante la mia pancia gridasse di voltarmi e di seguire il soave profumo della carne d'agnello comprata per l'occasione,  il mio istinto e soprattutto l'educazione che avevo un tempo ricevuto mi disse non solo di restare fermo, ma di avvicinarmi a lei.
Sarò stato a meno di due metri di distanza, quando il cappuccio scivolò, lasciando comparire una nube di seta nera acconciata con eleganza, le gote arrosate, un paio di occhi spalancati che avrei riconosciuto ovunque.
Il mio cuore prese a correre, impazzito, e il sollievo che mi travolse mi lasciò senza respiro. Stavo soffrendo, e nessuno a parte lei poteva guarirmi.
Prima che potessi dire qualcosa, salutarla, presentarmi finalmente, lei alzò una mano e veloce come un lampo mi colpì il viso, in uno schiaffo che fece male solo alla mia vanità.
Dalle risate dietro di me, mi accorsi che anche i miei amici la avevano riconosciuta. Rivolsi un sorriso di scherno a lei, che mi guardava piena di frustrazione e paura, e lancia un'occhiata assassina agli altri due, che con molta saggezza si dileguarono.
C'eravamo solo lei ed io. Non ebbi nemmeno il tempo di assaporare questa certezza, che Dalila si mise ad urlare, concitata: " Tu! Proprio te, cercavo!
Come..co-come ti sei permesso di fare una cosa simile??? Con quale diritt-to?? Mia... zia è quasi morta di infarto! Non ne avevi il diritto! E però hai osato lo stesso...tu, tu, brutto straccione figlio del diavolo! Pe-perchè a ME poi...che ti ho fatto?"
Arrossiva ad ogni parola, a tratti urlava, e a tratti balbettava, pestava i piedi e non riusciva a guardarmi negi occhi.
Era tanto buffa, anche così arrabbiata, che mi misi a ridere di gusto, senza staccare lo sguardo dal suo viso.
Lei rimase interdetta, accaldata e imbarazzata.
" M..-mi trovi divertente? Sei solo uno sbruffone..signor..."
" Adrien Lovagos al vostro servizio, signorina Dalila."
" Signor Lovagos, anzi no,  non signore. Tu sei tutto, forchè un signore! E faresti meglio a non ridere così sguaiatamente con una come me!"
" Perchè signorina Dalila? Cosa farebbe se continuassi?? Mi picchierebbe? Di nuovo? "
Si morse il labbro, calmandosi. " Suppongo di sì. O direi a mio zio che sei tu il colpevole di quella bestia sul muro..."
" Non avete nessuna prova che sia stato io!"
" Ah davvero?? E l'orecchino??"
" Potrei non essere stato io a rubarvelo...Tanto, ora voi ne siete di nuovo in possesso"
Rimase di stucco.
" E tu come lo sai? Ti sei tradito da solo, furbone!"
Mi azzittii, guardandola negli occhi e  costringendo anche lei a fare los tesso.
" Una mente sagace ed un fare investigativo come il vostro, signorina Dalila, sarebbero degni di lavorare per l'ispettore Tanelito.!
Non disse nulla.
" Davvero mi denuncereste, Dalila?"
Nulla. Mi guardava, provando disperatamente ad abbassare lo sguardo.
" Davvero ne sareste capace?"
Potevo perfino sentire il battito del suo cuore.
" No."
Mi avventai sulle sue labbra, sapendo che me ne sarei pentito, e sapendo che una volta toccato il cielo, non avrei più potuto scendere.



Grazie moltissime ad alilah e a stellina93 per le recensioni...Sono contenta che vi piaccia la storia!
Ditemi cosa pensate di questo chap..e alla prossima ù__ù

P.S. Bestemmiare gentilmente è impossibile naturalmente, stellina. é un modo di dire proprio per sottolineare la frequenza delle bestemmie stesse è__è








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Capitolo 10
*** Abandon ***


DIEGO 

Eccola lì.

La guardo mentre si avvicina alla scalinata per entrare a scuola.

Ingobbita sotto il peso della cartella, i capelli fradici a causa della stessa pioggia violenta che sferza il mio viso.

Non è mai stata così bella. Così, con gli occhi cerchiati di trucco colato, con le guance rosse e un’aria esageratamente desolata.

Bella, ora che la conosco un po’ di più. Bella, ora che mi sono avvicinato di un passo a lei. Bella, di una bellezza che ora è un po’  più mia.

Facendo attenzione a non farmi notare, la seguo lungo i corridoi fino ad arrivare alla nostra classe.

Sta per aprire la porta,  le blocco  la mano sulla maniglia. La sua pelle è freddissima, umida, me sento le orecchie prendere fuoco e la lingua intorpidirsi.

 

“ Perché non me lo hai detto?” mormoro, a voce bassissima.

Mi guarda, confusa e irritata.

“ Che cosa, scusa?”

“…che ciò che scrivi...Che scrivi bene, che non sono cavolate senza senso.” La mia voce balbetta, perché  lei deve essere sempre così così??

“ Perchè avrei dovuto dirtelo?”

Ecco. Perché? Perché non l’avrei presa in giro, perché avrei voluto capirla.

“ Perché non ti avrei presa per il culo in maniera così stronza.”

Arriccia il naso.

“ Ah no??”

“ No.”

“ E perché no?”

“ Perché…perché sarei riuscito a comprenderti.”

Tu?Ma fammi un favore, Devagas. Invece dimmi, come hai fatto a tradurlo? Non era in spagnolo.”

Sorrido.

“ Sono un uomo dalle mille risorse.”

“ Un bambino, casomai.” Sbotta.

Poi si scosta, apre la porta e sfugge dalla mia presa.

La imito, e vado ad accasciarmi sul banco.

La osservo ancora un po’.

Mentre si toglie la cartella e si passa la mano tra i capelli bagnati, si toglie il giaccone e cammina con passo malfermo verso la finestra.

Le sue scarpe emettono squittii ridicoli, sembra un pulcino annegato.

L’enorme felpa in cui si è avvolta le copre le forme, ma naturalmente ciò non basta a fermare la mia immaginazione disubbidiente.

Sospiro, affranto.

 

 


La giornata mi scorre addosso senza lasciar traccia, ma mentre esco non riesco a non notare il suo sguardo attento che segue ogni mio movimento.

“ Non riesci a staccarmi gli occhi di dosso, eh?”

“ Mhpf.” Grugnisce.

Ha un aria così buffa, scoppio a ridere senza alcun ritegno.

I suoi occhi brillano di rabbia, mi stringe il braccio furiosa credendo di farmi male.

“ No, scemo. Ti volevo chiedere…”

“ Cosa?”

“ Ti…ti…insomma, ti è piaciuto? La canzone, intendo.”

“ Certo.”rispondo, sorpreso.

“ Davvero?” Non riesce a  negarmi un sorriso.

 “ Scrivi molto bene.”

“ Grazie.”

 

 

Dalila

 

Sentivo le sue labbra sulle mie, le sue mani che impazienti vagavano sulla mia schiena, la presa ferrea delle sue braccia attorno a me.

Le sentivo, ma la cosa peggiore era sentire la mia bocca schiudersi alla sua lingua prepotente e il mio corpo rispondere alle sue carezze.

Non era solo lui che mi stava baciando. Era una danza di entrambi.

Chissà chi era. Adrien Lovagos. Un furfante, un desesperado senza futuro che incatenava il mio cuore con l’abbraccio più dolce. Il mio primo bacio, ad un uomo che nessuno conosceva ma che credevo di conoscere meglio di me stessa.

Un uomo che con una sfrontatezza senza pari si era appropriato delle mie labbra senza nessun timore o vergogna.

“ Dalila…”

Il mio nome, pronunciato dalla voce più soave.

Ansimavamo entrambi, esplorando i nostri visi e ascoltando il nostro respiro.

Mi avvinghiai a lui, al suo torace e ripresi a baciarlo con più foga ancora.

Ora o mai più.

Sorrise, beffardo, gli occhi ironici e allegri come non mai.

Probabilmente nemmeno lui si aspettava una reazione del genere da parte della composta e borghese signorina Tolè, dalla cosiddetta gioventù ammodo di S. Monica.

Ma non aveva senso opporre resistenza, nessuno. Tanto valeva esagerare.

In mezzo a quel quartiere puzzolente, così, come una mendicante, ad amare un uomo dal sorriso mozzafiato e i vestiti di uno straccione.

C’era musica attorno a noi, una dolcissima serenata di strada.

Mi prese la mano.

Mi guardò negli occhi, e poi ci avviammo insieme verso il buio della notte.

Perdonatemi per il ritardo e per il capitolo cortissimoooooooooooooooooo*.*

Grazie moltissime a stellina, con tutti quei complimenti mi fai arrossire ù__ù

 

 

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Capitolo 11
*** Baciami e sognami ***


bascio alexia Alexia

Un uomo dalle mille risorse. Se, come no.
Un bambino che si atteggia da padrone del mondo, mi sembra più appropriato.
Lo vedo, seduto sulle scalinate della scuola. Sta disegnando. I capelli riccioluti gli coprono la fronte, e il suo corpo imponente è rilassato, le lunghe gamnbe semi distese.
Le manica della felpa nera sono arrotolate, lasciano scoperti gli avambracci sodi e mettono in risalto la sua pelle chiara.
Le mani si muovono con disinvoltura sul foglio e la matita segue i suoi movimenti alla perfezione. Sorrido: entrambi abbiamo il nostro piccolo mondo, io di parole, lui figure. Un universo personale che è un'intimo segreto e rifugio.
Disegna, e le sue labbra stanno tremando dalla concentrazione. Chissà che sapore hanno...Mi piacerebbe baciarlo. Tanto. Troppo.
No. E invece sì. No. Perchè? Lo sai perfettamente. Sì, lo so. Ma non me ne frega più nulla. Ma non farmi ridere, mocciosa. Non te ne frega nulla di soffrire? Non credo soffrirò. Chi lo dice? Un bacio, credo non mi ucciderebbe. Solo uno. E se lui ti respingesse? Un bacio, piacerebbe anche a lui.
Kris. E lui? Non era per lui, questo bacio? Kris qui non c'è. Lui non c'è più. Io voglio lui. È un'illusione. E tu lo sai. Non è vero. Voglio lui, e tu morirai. Sono più forte di te. Su, vattene. Sei solo un fantasma, uno schifoso fantasma che tiene in vita qualcosa che è morto da tempo. Un parassita nella mia testa, che risucchia i miei pensieri e le mie emozioni da quando esse hanno iniziato a disubbidire al suo volere. Tu vuoi distuggermi, mai io sono più forte di te, e sarai tu a cadere. Sparisci!

Silenzio. Lo cerco, ma intorno a me è solo silenzio. Lui, non c'è più. Sparito. Morto. Io l'ho mandato via. Kris non c'è più.
E davanti a me, un  ragazzo che conosco troppo e da troppo poco alza gli occhi e mi vede. I suoi occhi neri si incatenano ai miei, e nessun demone viene a riprenderemi per riportarmi nei vecchi sogni. Lui, Diego, appoggia i fogli su cui sta lavorando e mi sorride. Un sorriso bellissimo e familiare, che morde la carne viva della mia anima e scatena le emozioni più contrastanti nel mio cuore. Nel mio cuore che ora è libero, e batte selvaggiamente.
Si sta avvicinando, aggraziato e raggiante di gloria, un angelo un po' bambino, malizioso e incantatore.
Siamo vicini, lui apre la bocca e parla, ma io non lo sento. Lo sto fissando, rimpiendomi  gli occhi della sua bellezza.
Imbambolata,  mentre lui mi scuote infastidito, mi chiama:
" Alexia..."
Ecco, la sua voce è arriavata al mio cervello, che si bea della musicalità incantevole con cui il mio nome esce dalla sua labbra.
Non ce la faccio più, penso, dispertata. Mi guarda, non capisce. Non si accorge che muoio.
E l'istinto di sopravvivenza la fa da padrone. Reagisce, urlando e trascinandomi verso la salvezza.
Prende il comando, e mi getta senza più dignità nelle sue braccia, mi costringe a baciarlo con foga, nell'ordine più sublime ch' io abbia mai sentito.
Diego rimane un po' spiazzato, ma ci mette meno di mezzo secondo a capire e a rispondere con trasporto, in un bacio antico e dolce e nuovo e già vissuto e amaro e bellissimo.
In un moto di gioia, le mie mani si aggrappano ai suoi capelli, il mio corpo si avvicina al suo in cerca di protezione. La scarica di adrenalina mi rende stranamente lucida, e mi costringe a fare i conti con qualcosa di inaspettato, qualcosa di strano e a cui non ero assolutamente preparata.
Io lo conosco già. Io conosco la sua bocca.
Nei miei movimenti impacciati, so come lui voglia essere baciato, mi rendo conto di saperlo da sempre.
Non è un'illusione. La paura che il fantasma avesse ragione, che fosse soltanto una finzione, si sgretola davanti a questa certezza.
Lo conosco. Le mie mani, che ora vagano sul suo viso, lo riconoscono, e  riprendono confidenza con i suoi lineamenti, troppo felici e frenetiche per essere tenere e pazienti.
Vengo travolta da questa verità, e le mie ginocchia cedono.
Lui mi prende, folgorato, come me,  da quella che è una consapevolezza impossibile.
Mi fissa negli occhi, le guance leggermente arrossate e il fiato spezzato.
" Alexia..." ripete, dolcemente.
Solo quando mi sfiora le guance con le dita mi accorgo di star piangendo.
" Diego."
" Sapevo avresti ceduto davanti al mio innegabile fascino." ride, il suono più bello del mondo.
Non sono capace di creare così su due piedi una risposta soddisfacente, e allora mi limito a sfiorargli il petto con un pugno.
Continua a ridere, e io, irritata, mi allontano.
Pessima mossa. Naturalmente, la gelatina che ho al posto delle gambe non regge il mio peso, e Diego è costretto a riprendermi tra le braccia in un gesto fulmineo.
Sbuffo. E lui ride.
" Vedi? Sono io il responsabile della tua instabilità fisica e psicologica, ammetilo.é stato sicuramente il bacio più bello che ti sia stato mai dato."
" Mhm. Che mi sono presa, direi."
" Sì, in effetti mi sei più o meno saltata addosso." Sento le guance arrossarsi
" Comunque hai ragione, è stato il bacio più bello che mi sia capitato. E anche il primo."
Mi fissa ancora più intensamente, confuso.
" Sul serio?"
" Sul serio. Il primo. E ora vantati, dai. Prendimi un po' per il culo, non vorrei che eccedessi con le sdolcinerie."
" No, non ti credo."
" Non crederci. "
Scuote la testa, incredulo.
" Certo che sei strana. Dai, sul serio, non prendertela. Sono contento, anche se estereffatto."
" Bene. Anch'io sono contenta. Ma, adesso, mi faresti il piacere di accrescere notevolmente la mia felicità?" chiedo
" Sono al suo servizio, signorina Alexia."
Sorrido.
" Baciami.  Ancora. "

 
Dalila

Mi lascai cadere, sconvolta.
Il Templo. Una stanza circolare, alta e con un unica finestra a lasciar entrare la pallida luce lunare.
Ero riversa sul pavimento ricoperto da fogli e giornali,  un soffice e rumoroso tappetto scricchiolante sotto il mio peso.
Davanti a me, la luce della lampada che Lui aveva acceso illuminava le pareti di quel luogo impossibile.
Pareti interamente affrescate,  dipinte con stupefacente perfezione. Pareti che forse una volta erano candide, ma ora erano ricoperte da capo a piedi dalla follia geniale di quello che era sicuramente un artista. Dalla follia di Adrien.
Adrien, Adrien, Adrien. Com'è dolce il tuo nome. Da ripetere mille e mille volte. Confusa, cercai di mettere a fuoco le figure che affollavano chiassossamente quel luogo uscito dalle fiabe.
Riuscii ad intravedere un cavallo rampante circondato dal fuoco, poi un drago orrendamente simile a quello di casa Tolè, il profilo di un'angelo, e tanti, tantissimi visi.
Visi deformati, scavati, allucinati, sorpresi, bellissimi, indefiniti, cangianti. Sembrava mutassero ad ogni sguardo, che il cemento non imprigionasse la loro espressione e, anzi, permettesse loro una vitalità innaturale.
Uno in particolare catturò la mia attenzione. Era un poco più grande rispetto agli altri, in disparte, attorniato come da un'alone di rispetto reverenziale.
Era spiccatamente un viso di donna, dai lineamenti decisi, i capelli lunghi e scurissimi, gli occhi spalancati e la bocca socchiusa.
Sembrava così indifesa ed innocente, così impaurita, così sola, così vera, che mi avvicinai istintivamente per  confortarla.
Percorsi con le dita le linee del dipinto, come avevo fatto la mattina con il mostro( solo quella mattina? O mio Dio, pensai..solo quella mattina? Non giorni, settimane, mesi, secoli fa? No?) e sfiorai le forme delle labbra, le sopracciglia folte, il naso diritto e morbido, gli zigomi, le... le mie mani si arrestarono, prese da un fremito incontrollabile. Le orecchie. O meglio, l'orecchino. Automaticamente, mi toccai il lobo per accertarmi che il gioiello fosse ancora al suo posto e non si fosse trasferito sull'affresco: sì, c'era. Eppure, lì, sull'orecchio di quella ragazza immobile, c'era il mio orecchino.
E ora, ad osservare meglio, su di lei c'era anche il colore dei miei occhi, e la forma delle mie guance, la piega del mio labbro inferiore. Su di lei c'ero io.
Mi voltai spaesata, cercando l'autore del ritratto,  ma lui non c'era.
Il mio cuore batteva fortissimo, e l'ossigeno che entrava nel mio corpo non bastava a dissetare i miei polmoni.
Tutto si fece scuro. Buio intorno a me.
Prima di perdere coscienza, udii il grido di Adrien che chiamava il mio nome, e pensai a quanto esso fosse bello se pronunciato da lui.
Poi, più nulla.


Mi ritrovai catapultata in un posto che non conoscevo, circondata da visi che non mi erano familiari.
Affogavo e volavo, in un cielo del colore dell'oceano e dei prati, e accanto a me sentivo un galoppo indistinto.
Un cavallo. Enorme, dal mantello nero, correva accanto a me, nel mare senz'acqua.
La sua presenza mi confortò, mi erano sempre piaciuti i cavalli.
Il loro sguardo, così buono e sincero, mi aveva rassicurata anche quando ero una bambina.
Poi, però, il cavallo scomparse.
Al suo posto, un abominbevole mostro ruggiva e scuoteva la sua lunga e pericolosa coda.
Fuoco e sangue uscivano dalla sua bocca...urlai, più forte che potevo, gridai più e più volte, ma nessuno venne in mio soccorso.
Il drago si avvicinava sempre di più, e notai sulle sue squame una stellina che mi ricordava qualcosa, o forse qualcuno,  mentre la paura e l'adrenalina mi facevano pensare molto più lucidamente del solito. Vidi la piccola ed innocente stellina sul corpo dell'incubo che mi divorava, sentivo ogni zanna dilaniare la mia carne,  vedevo distintamente i capelli scarmigliati di Zia Cecilia mentre la saliva corrosiva delle fauci ricopriva e bruciava il mio corpo.
Vidi casa Tolè, e Adelina, e graffiai le fauci del drago che era solo un disegno, ma che qui era vero.
Poi, qualcosa mi strappò da lì e mi porto via, lontano, in un regno di neve. Non c'era altro che neve. Bianco, e freddo.
Troppo freddo.
Uno specchio, il riflesso di un viso...Era il mio? Eppure c'era solo la faccia, il resto era svanito.
E ancora, un gran fuoco, e urla di bambini che morivano, e i visi che ridevano, indifferenti.
C'ero anch'io in quell'incendio nella neve, in quell'inferno di bianco e fiamme, e avevo solo un nome sulle labbra.
Tenevo in braccia un piccolo, un neonato, troppo piccolo per essere vero, minuscolo, neanche un dito.
E urlavo il nome, dell'uomo che forse poteva salvare il bambino che stringevo, o forse poteva salvare me, o forse poteva salvare solo se stesso.
E la gola mi faceva male, ma continuavo a chiamare, e poi venni strappata anche da lì e portata via..lontano...


" Dalila ". Una voce, la più bella, mi riportò al mondo.
Aprii gli occhi, e vidi due pozzi neri e terribilmente profondi fissarmi preoccupati, mentre due mani enormi e calde mi tenevano il capo.
Poi vidi il suo naso, e le sue guance scavate, e i suoi capelli, e le sue labbra.
Non pensai più ad altro. Adrien, Adrien, Adrien. 




Muahahahahah! *Risata malefica* Eccomi qui, prima dello scadere dei 15 giorni!
Che brava, eh? * Pernacchia*
Ringrazio stellina per il suo appoggio incondizionato, e Lala per la recnsione ù__ù
Alla prossima!









 





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