Come un fiore di Zagara

di Soul Of Slytherin_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [ Prefazione ] ***
Capitolo 2: *** Perdersi in un bicchier d'acqua ***
Capitolo 3: *** Dario ***
Capitolo 4: *** Un giro 'Da Capaldi' ***
Capitolo 5: *** Pari e dispari ***
Capitolo 6: *** Il pacco giallo ***
Capitolo 7: *** C'è chi era stato avvisato ***
Capitolo 8: *** Ultimo round - Parte prima ***
Capitolo 9: *** Ultimo round - Parte seconda ***



Capitolo 1
*** [ Prefazione ] ***


Non è sempre facile dire di no a sé stessi. Non è facile contraddire il proprio istinto o il proprio volere; ma certe situazioni ti costringono, nel bene o nel male, a scegliere.
 
«Cos'è meglio per me?»

Alcune volte la risposta è già scritta, altre ti impongono di cercarla, o nel più semplice dei casi ciò che ti serve lo hai proprio davanti; ma ahimè,  hai gli occhi annebbiati, ed il tuo cuore continua a lacerare.
 

 
BENVENUTI IN

Come un fiore di Zagara



|| «Non puoi farlo!»

Diana aveva decisamente alzato troppo i toni fino a quel momento. La sua voce rimbombava in nell'ufficio, diventato d'un tratto lugubre e scuro.
Si sentì soffocare per un attimo. L'aver azzardato contraddirlo era stato sicuramente un passo falso.
Di botto, il silenzio si impadronì della stanza, facendo compagnia a tutti gli spifferi presenti.

«Non sei autorizzato ad impormi ogni cosa tu voglia che io faccia!» 

Diana, dallo spirito combattivo, non riusciva a non dire la sua, nonostante stesse provando disagio. 
Nel mentre attendeva una risposta, con tanta paura, come non ne aveva mai avuto prima. O forse non si ricordava di averla mai provata in quel modo.
Temeva una sua brusca reazione; d'altronde lei lo conosceva bene: non sopportava per nulla al mondo l'idea che qualcuno gli replicasse, o alzasse la voce contro di lui.
Dario, colmo d'agitazione, continuava a spostare il blocchetto dei post-it da una parte all'altra con un fermo sorriso sulle labbra. Ma pochi istanti dopo, la sua voce tremendamente fredda, e profondamente sensuale, azzittì i sospiri affannosi di lei.
«Piccola Diana...» a sentir tali parole, enunciate con una calma così restrittiva, la ragazza deglutì silenziosamente. Dario intanto si alzò dalla sua sedia.

Il cuore di Diana iniziò a battere molto più velocemente: non aveva idea di cosa stesse per fare.
L'uomo sorpassò la scrivania la quale divise protettivamente le loro distanze fino a quel momento, e si diresse verso di lei, rimasta ancora seduta sulla poltroncina, con le braccia fredde rigidamente fisse sui braccioli.
Dario si abbassò, esattamente all'altezza degli occhi lucidi di Diana.
«Qui, è tutto mio. Mie le regole.» 
Diana socchiuse le palpebre con timore. Il cuore che palpitava.
«Ti spoglierai».
|| 

 

Questa insolita storia appartiene a Diana. Scopriremo insieme come la sua monotona vita si sia mutata in un'audace battaglia.

E' stato Dario a sedurla; Zaahid a confonderla.





Auguro a tutti vuoi una buona permanenza.
Namaste.



 
Soul Of Slytherin_





 

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Capitolo 2
*** Perdersi in un bicchier d'acqua ***


I


Perdersi in un bicchier d'acqua 
 
 
23 Novembre

«Sono le sette» affermò decisa, dopo aver dato un veloce sguardo al suo orologio a muro, comprato al mercatino delle pulci ad un prezzo stracciato, due settimane prima.
«Devo essere lì per le nove» continuò, seguendo un probabile filo logico nella mente.
«Dovrei iniziare a prepararmi?»

Diana non è mai stata brava coi numeri, men che meno con gli orari. Non ha mai avuto una piena considerazione del tempo, e non c'è mai stata una sola volta che non sia arrivata in ritardo ad un appuntamento (trattasi di quei rinvii tipici, che si aggirano attorno ai venti minuti).                      
Ma per quanto questo potesse dar di lei l'idea una ragazza irrispettosa (o forse maleducata, a seconda dei casi), ogni persona che la conosceva l'adorava. O forse era lei, che con tutti i suoi difetti - minimi o rilevanti che siano - sapeva farsi amare dagli altri.
Magari ciò non poteva essere propriamente riscontrato in tutti gli episodi della sua vita...
Il fatto stesso che, ai tempi delle medie, per via di uno dei suoi scatti eccessivi di rabbia, impiastrò di yogurt la maglietta del suo compagno di banco, perché "mi aveva dato della timida". O quando, molte volte, i suoi repentini sbalzi d'umore hanno portato diversi litigi con i suoi amici, allo stremo di sopportare una Diana allegra e con la voglia di divertirsi, seguita dalla Diana-sacco-di-patate insopportabilmente noiosa, nel giro di neanche una mezz'oretta.
Ma, nonostante ciò, chiunque aveva voglia di passare una serata con lei. Nessuno l'aveva mai evitata come compagnia, come si fa per esempio nei confronti dell'immancabile amico puzzolente, con il quale si fa di tutto per cercare di non frequentarlo più, purché non gli si dica la realtà, nella maniera più obiettiva possibile: «Amico, lavati» 
Con questo non si vuole assolutamente affermare che il carattere di Diana poteva essere paragonato all'insostenibilità del tanfo altrui, ma quasi. Pressoché, ci si avvicinava.

Così, decise di alzarsi da quel piccolo divano in pelle rosso che, per quanto fosse scomodo (soprattutto se si rimane appollaiati per due ore e più), era uno dei pezzi d'arredo più belli, che adornavano il suo grazioso appartamento. Diana lo chiamava suo, forse per voler manifestare un certo orgoglio, ma in realtà non lo era affatto. Ciò che le apparteneva sul serio era soltanto la maggior parte dei mobili lì presenti; per il resto si trattava di un comunissimo bilocale, in pieno centro città, tenuto in affitto.
La coperta lillà in pile le stava dando impiccio mentre cercava di alzarsi. Era piuttosto lunga, e non le permetteva di muoversi liberamente, anche perché le si era attorcigliata completamente su sé stessa: risultava quasi imballata lì dentro, ed era rigida come un salame.
A piccoli passi, ristretti, tentò di avvicinarsi al basso tavolino in legno per poter afferrare il telecomando (che per la gioia dei pigri, risulterà essere sempre, come per magia, lontano da chi ne ha un disperato bisogno di tenerlo in mano) e spegnere la televisione. Ogni movimento accompagnato da uno, due, tre sbuffi svogliati, che nel loro silenzio imprecavano una sorta di irritazione: quella sera Diana non aveva proprio voglia di uscire.
Di solito, quando la serata era particolarmente ventosa, non le andava giù di spostarsi dal suo letto, dal suo divano, o che sia. Avrebbe di gran lunga preferito starsene nel suo salotto, al caldo, guardano una delle tante serie televisive che amava; il tutto accompagnato da una tazza di latte piena di cereali. Amava fare la colazione di sera.
Rigettando con malavoglia l'idea che aveva nella sua mente - quella di lei, pronta ad accendere il gas del cucinino, sentirne il flebile suono rilassante, e riscaldare del latte che tanto avrebbe voluto gustare - si sfasciò da quel plaid e buttò, nuovamente, l'occhio sull'orario. Un quarto d'ora alle otto in punto.
Grandioso, pensò. Come se non bastasse, la sua poltroneria l'aveva portata a perder tempo, come d'altronde le succedeva sempre.

Mancava solo un'ora all'incontro con le sue amiche. L'indirizzo del locale lo aveva scritto da qualche parte, questo Diana se lo ricordava bene, l'unica cosa che non rammentava era, però, quella principale: dove aveva riposto il bigliettino? Richiamare una delle sue amiche per farsi ripetere una stupida via non le sembrava proprio il caso, e non voleva farsi ripetere uno "sbadata" per la decima volta. E dopo aver farfugliato qualcosa di incomprensibile, cercò di darsi una mossa per una nuova ed entusiasmante caccia al tesoro.
«Insomma, la casa non è molto grande...» bisbigliò fra sé, incoraggiandosi del fatto che - nel migliore dei casi - ci avrebbe messo poco per trovarlo, forse: tutto rimaneva una     probabilità.                                                                                                                  
La prima cosa che le venne in mente era, ovviamente, la sua borsa, quella che usava più spesso. Corse dritta verso lo sgabuzzino alla stessa velocità della luce e, appena recuperata, ci affondò la mano. Frugò all'interno per pochi secondi, maledicendo quale grande stilista aveva avuto l'idea geniale di creare borse con i tessuti interni in nero; ma alla fine dei giochi non trovò il tesoro richiesto in partenza, se non un pacchetto di mentine che per altro sentì quasi vuoto, all'agitarlo.  
«Dovrei comprarne un altro» si consigliò in sussurro.
Si intimò a cercare ancora, nella speranza di trovarlo. Aprì i taschini, le cerniere... ma, alla fine, nulla. Iniziò ad entrare leggermente in panico: le orecchie che cominciarono a riscaldarsi e le braccia che le prudevano non erano di certo un buon segno.
A quel punto, mille erano i pensieri che le frullavano nella testa, ed intanto sapeva che non poteva più perdere del tempo inutilmente. 
Dopo un sonoro "al diavolo" che echeggiò nell'intero salotto, fece ingresso nella sua stanza. La visione dei vestiti stesi sul letto, già scelti in precedenza, la rincuorò talmente tanto che le sue guance, da rosse, iniziarono gradualmente ad assumere sfumature più tenui. In fatto di moda, Diana era davvero pignola: conoscendosi, uno fra i pochi doveri che imponeva a se stessa era proprio quello di "preparare l'abbigliamento prima di un appuntamento, almeno due ore prima" in modo tale da essere sicura di aver scelto con cura l'abito adatto, e fare tutto il resto con la più estrema calma.                                                                                        
Per quella serata, optò per qualcosa di non troppo eccessivo, ma nemmeno troppo contenuto. Insomma, lei era Diana. Quella dai capelli lunghi color cioccolato fondente, pelle di luna stellata da miriadi di lentiggini e profondi occhi di gatto: non era di certo una da due straccetti qualunque.
Era la tipa dalla frase "l'apparenza è importante"; e ci teneva davvero molto a curarsi, a pettinarsi ripetutamente i capelli con la spazzola della nonna prima di andare dormire, ad essere elegante in ogni dove. Non faceva altro che essere sé stessa, cosa più naturale di qualsiasi altra.                     
A Diana piaceva essere sé stessa, e probabilmente questo era uno dei mille motivi per cui veniva ammirata. Lei, nel suo sfavillare eccentrico, riusciva lo stesso a far risaltare la sua semplicità e bellezza d'animo.

Quando provò quell'abito nero, si sentì magnifica. Era un vestito che finiva esattamente al principio delle ginocchia; il pizzo nella parte superiore lasciava trapelare sensualmente le braccia, fino ad arrivare al petto e al collo, avvolto da codesto con grande eleganza. Mentre era con lo sguardo immerso nel lucido specchio che le si posava d'avanti, all'attenta ricerca di un possibile filo di cotone nero fuori posto, il telefono di Diana prese a squillare.                                                   
Così concentrata nell'immagine riflessa, non s'avvide per niente di quel trillo; ma non appena quel suono rimbombò nel suo padiglione auricolare, balzò scuotendo la testa, ad un udire così repentino e altisonante.
«Chi sarà?» si domandò spontaneamente.
Senza alcun indugio, per soddisfare il suo dubbio nell'immediato, raggiunse a lunghi passi il comò, dove trovò la luminosa schermata bianca del suo cellulare sulla quale era impresso il nome di qualcuna a lei noto.
«Emma! Ti ascolto» era una sua amica, una di quelle che avrebbe incontrato di lì a poco.
«Diana, volevo solo avvisarti che non ceneremo più lì...» e anche se quel  lei l'aveva proprio dimenticato a causa del foglietto smarrito, fece almeno finta di capirci qualcosa.
«Oh - sospirò allora, con tono quasi dispiaciuto - come mai? Era... un posto davvero bello, no?» farfugliò le prime parole che le vennero in mente.
«E già - proseguì Emma in risposta - se non fosse altro che per l'odore nauseabondo di quel barista, Geremia. Lo si sente persino dall'entrata! Non lo trovi disgustoso?» una risatina, mista ad un flebile senso di ribrezzo, si sentì dalla parte opposta del telefono.
Ma a quale locale si riferiva? E chi era quel Geremia? A Diana si riscaldarono nuovamente le orecchie: la situazione stava iniziando a sfuggirle di mano, e ciò non le piaceva affatto, anche se le capitava spesso di discutere di cose che nemmeno lei sapeva.
«Come ci si può dimenticare dell'odore di Geremia? Pazzesco! Meglio non entrarci più lì dentro...» in ogni caso, provare a mentire non le era mai riuscito alla grande; tanto che, dopo aver pronunciato quella frase, si sentiva lo stomaco traballare così tanto che aveva l'impressione di essersi fatta scoprire troppo presto.                           
«Diana... - Emma la riprese - lo so, non ricordi alcun Geremia» aggiunse, attonita. Come volevasi dimostrare.
«Anche perché l'ho inventato al momento»
Al sentire ciò, Diana spalancò la bocca, incredula, e rimase sorpresa dall'ingegnosa astuzia della compagna: la conosceva così a fondo da prenderla in giro, così egregiamente! Dodici anni di amicizia erano serviti a qualcosa, allora.
«Come? Tu avevi già capito tutto dall'inizio? Sono così prevedibile?» le chiese Diana con ironia. Ridacchiarono entrambe all'unisono. Dopo poco, la conversazione prese a continuare, ed Emma fu la prima a parlare.
«Comunque, ti dicevo, ho saputo che è chiuso, per lutto...»  
«Oh - la interruppe l'amica - povero Geremia» 
Entrambe scoppiarono presto in una fragorosa risata, fino a quando i loro zigomi non risultavano dolenti.

La chiacchierata terminò poco dopo, quando Emma le comunicò la via del nuovo locale nella quale si sarebbe presto recata, a due isolati da casa sua.
Dopo un lungo periodo di "No, non posso", "Lavoro fino a tardi" e "Il capo mi sta trattenendo", finalmente potevano passare insieme una serata, perché tanta era la voglia di rivedersi vicendevolmente.

 




 
Angolo autrice

Salve a tutti, cari lettori.
Sono Soul Of Slytherin_ e questa è la mia prima storia di quest'anno (ho ripreso a scrivere soltanto adesso, dopo una lunga pausa).
Per ora, come avete ben letto, si tratta di un semplice primo capitolo-introduttivo (dove appaiono delle descrizioni generali sul modo di essere e di fare della protagonista, soprattutto), ma - nonostante ciò - vorrei comunque sapere cosa ne pensate.
Vi prego, quindi, di commentare in molti: mi farebbe tanto piacere sentire le vostre voci!
Vorrei sapere se vi piace il modo in cui scrivo, se ci sono dei passi del testo non chiari... Vorrei leggere ogni vostro consiglio e critica, positiva o negativa che sia. Tutto è costruttivo, e mi aiuterà.
Fatemi sapere 
<3
A presto (dipende solo da voi).
SOS_ 

Ps. : DISPONIBILE ANCHE SUL MIO PROFILO WATTPAD!

 

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Capitolo 3
*** Dario ***


II


Dario


 
Il luogo d'incontro con la sua amica non sembrava essere troppo lontano.
Oltre ad una coppietta seduta su di una panchina, della gente che portava a spasso il proprio cane e qualche auto - il cui rumore era l'unico ad animare la via - non c'era gran che in giro: quella sera, la strada si presentava più isolata del solito.
Forse perché era un comunissimo giovedì, e tutti lavoravano?
Tutti, forse, ma non lei.

Dopo aver riscontrato diversi problemi nel locale in cui lavorava, enti pubblici avevano costretto il proprietario a chiudere temporaneamente baracca. Nessuno, però, aveva idea di quanto quella temporaneità potesse rivelarsi lunga.
Ogni dipendente, compresa Diana, aveva ormai perso quella tipica di svegliarsi presto, lavarsi con addosso la stanchezza della nottata precedente, fare colazione di fretta e furia; ed in seguito recarsi a lavoro, preparare ed aspettare l'orario d'apertura.
Diana faceva la cameriera, e per quanto il suo lavoro fosse sottovalutato dalla maggior parte della gente comune, lei con quello iniziava a sentirsi qualcuno.
Ma oramai, la certezza di avere un posto fisso non l'aveva più, dopo quello che successe. Molto probabilmente, il locale sarebbe stato presto messo in vendita o - nel peggiore dei casi - chiuso definitivamente.

E se... si fosse rivelata davvero la seconda supposizione?
Tutto sommato, la sua situazione lavorativa - anche se durata solo cinque lunghissimi giorni - fu piuttosto particolare, per svariati fattori.
Sicuramente, verrà spontaneo chiedersi cosa ci possa mai essere di così particolare in un umile lavoro come quello di Diana. In fondo, come tutte le cameriere del mondo, le toccava sbrigare le solite mansioni: poggiare le sedie sui tavoli, lavare i pavimenti, servire.
Sembrerebbe tutto molto schematico, e fin troppo elementare. 
Ma con ogni certezza, Diana in prima persona può sfatare ogni vostra supposizione, dimostrandovi che 'Da Capaldi' non c'era un limite a niente; e quei banali schemi di una cameriera andavano inevitabilmente a rompersi, ogni maledetta sera. E nulla poteva definirsi così semplice...

Spesso Diana rimuginava il giorno in cui si impuntò a non continuare gli studi. Quasi tutte le volte, soprattutto quando i pesanti turni notturni la tenevano rinchiusa nel locale, si chiedeva se sarebbe stato meglio se avesse preso quell'Università di Medicina; anche se, allora, quella scelta non l'allettava affatto.
Dopotutto non ha mai ben compreso se ciò che la bloccava fosse la paura di dover affrontare cose molto più grandi di lei; o semplicemente la svogliatezza nel continuare a star seduta dietro ad un banco, prendere appunti, ed annuire ad ogni parola detta da un vecchio tizio pieno di arie.
A quei tempi, finite le superiori, Diana desiderava tanto essere la giovane diciottenne che andava a girovagare per il mondo e che spendeva il tempo a divertirsi. Tutto è facile, però, solo a pensarlo. Ma a realizzarlo?
Con frustrazione, lei capì ben presto che niente era possibile se non si aveva denaro a sufficienza. 
E pensandola proprio in questo modo decise di darsi da fare: incominciò per lei la fatidica e disperata ricerca di lavoro. Un tasto dolente, per chiunque.
Stette con le mani in mano, senza alcun tipo impiego, per diversi mesi: passavano giorni di telefonate e di annunci, ma i risultati stentavano ad arrivare. I suoi sogni si smorzavano poco a poco, fino a quando non rimase che un misero briciolo di speranza.
Finché un bel giorno - proprio come ci ricordano le favole - arriva la luce brillante che è in grado di accecarti: l'occasione. La tua presunta salvezza. Lui, si chiamava Dario.
Capelli rossi, pelle rosea, sguardo audace. Perennemente profumato, con l'odore del dopobarba impresso sulle sue guance. Nessuno poteva resistergli, in qualsiasi senso. 
Diana ricorda ancora quella mattina dell'undici Novembre.
Si trovava fuori quando, svoltando l'angolo della seconda strada, riconobbe lui: il suo caro vecchio compagno delle elementari. Dario Capaldi, il terzo nell'elenco di classe.
Si scambiarono dei timidi saluti, e passarono il resto del tempo a raccontarsi di quanto fossero cambiati, dopo il passare di così tanti anni.
«Ti sei fatta bellissima, Diana».
A sentir tali parole, lei non fece altro che arrossire, in quel momento. La sua bocca si aprì d'impulso accennando un "grazie", accompagnato da un modesto sorriso.
"Anche tu non sei da meno" si limitò a pensare di rimando; ma questo lo tenne per sé. Ovvie scelte personali.
Scrutandosi fugacemente ogni secondo con gli occhi di chi non si vedeva da tanto, parlarono del più e del meno: utilizzarono così tanta enfasi che nessuno dei due si curò delle teste dei passanti che si giravano in continuazione.
Grazie al loro ritrovo e - soprattutto - grazie a lui, che fu così disponibile a proporgli un lavoro nel  nuovo locale, Diana aveva la possibilità di poter finalmente iniziare una nuova pagina di vita.
Le dita costantemente incrociate e le interminabili notti insonni l'avevano portata a quel giorno... a quell'incontro.
Forse era destino che succedesse. Forse era scritto che, proprio quella mattina, avrebbe avuto voglia di andare in Biblioteca, e passare per quella strada.
 
Ma... Chi ci dà l'assoluta certezza che in seguito fosse stato tutto una favola? Lei non sapeva realmente a cosa stesse andando incontro.
Dietro a quel viso rilassato, Dario occultava la sua anima, quella che forse nessuno aveva mai conosciuto di lui.
Eppure, era il suo direttore. Lo divenne presto. Lei fu costretta ad accettare tutte le possibili conseguenze, come avrebbe fatto una qualsiasi dipendente.
«Qualsiasi...» meditò Diana.
E a pensare che, quel giorno, si diede della fortunata.





 
Angolo autrice

Salve, cari lettori!
Intanto, ringrazio voi tutti per le recensioni che mi avete lasciato del capitolo precedente, e sono molto contenta che la storia stia piacendo! Sono felicissima anche delle visualizzazioni sempre crescenti da parte dei lettori silenziosi, un grazie anche a voi!
Ed eccovi proposto un secondo, misteriosissimo, capitolo.
Diana è una ragazza dalle mille sfaccettature, e la sua vita è davvero insolita. Perché?
La risposta alla domanda si nasconde sotto tanti punti di vista, uno fra i quali è proprio il suo lavoro, seppur è durato ben poco, 5 lunghi giorni.
Ma, domanda più importante, chi è veramente Dario?
Molte vostre curiosità saranno presto soddisfatte, l'importante è continuare a leggere!
Fatemi sapere tutto con un piccolo commento!
Grazie ancora, e alla prossima 
<3
SOS_ 
 

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Capitolo 4
*** Un giro 'Da Capaldi' ***


III
 

Un giro 'Da Capaldi'
 
11 Novembre

Era lo stesso pomeriggio del giorno del loro incontro, quando Dario invitò la sua vecchia amica Diana per farle dare un'occhiata al locale, il suo primissimo posto di lavoro.
«Ti ho mostrato le sale, la zona cocktail, il bancone... cosa manca?» mentre Dario elencava, Diana era concentrata a girarsi intorno, mostrando interesse per ogni singolo particolare che le veniva presentato. Con quegli occhi fervidi ed un ampio sorriso, poteva dimostrare a chiunque la sua voglia di iniziare a lavorare in quel posto.
«Ah! - Fu l'esclamazione repentina di Dario a cancellare i suoi pensieri - Il mio studio». Propose, abbozzando un sorriso sghembo.
A seguito di tale frase, pareva che il silenzio si fosse impadronito di ogni singolo centimetro quadrato dello spazio. Quelle poche dipendenti, presenti per il turno pomeridiano, si voltarono una dopo l'altra verso di loro. Diana si sentiva innumerevoli occhi puntati addosso, e con la coda dell'occhio poté notare i visi sbigottiti di ognuna. Che fosse successo qualcosa di sbagliato?
«Vieni Diana, seguimi» proseguì il Cicerone, invitandola con un cenno della mano.

Mentre entrambi si muovevano per tutto il perimetro della sala, Diana non esitò a voltarsi ancora, ripensando alle reazioni delle sue nuove colleghe e capire se, forse, ci fosse qualcosa che non andava in lei. Notò che esse continuavano a squadrarla, studiandola da capo a piedi, solo come le donne sanno fare ad altre donne: partendo dalla punta dei capelli, fino a quella delle scarpe.
"Le Converse non sono adatte?" pensò fra sé sarcasticamente, guardandosi i piedi e aggrottando la fronte. Di certo, quei tacchi (che trovò, casualmente, esattamente ai piedi di ognuna) erano alquanto screditabili. Per Diana, tali calzature erano da considerarsi un reale suicidio, soprattutto se indossate per lavorare. Per non parlare poi dei loro vestiti! Obiettivamente, sembrava che nessuna di loro avesse un minimo di buongusto: chi mai indosserebbe delle gonne corte e delle camicette attillate in zona lavorativa? Mettendola su questo piano, allora, anche Diana - che di eleganza se ne intendeva parecchio - aveva molto da ridire. E proprio per non sentirsi l'unica ad essere denigrata da quegli sguardi accigliati, le snobbò, utilizzando la loro stessa tattica.
Nuovamente assorta da tutte le sue considerazioni, non si accorse che Dario la stava fissando curioso, mettendosi inevitabilmente in coda alla fila di occhiate precedenti.
Ma la pazienza di Diana non era illimitata.
«Non è carino essere osservata da tutti! Ho forse qualcosa che non va, Dario?» sbottò, cercando invano di equilibrare il proprio tono di voce.
Lui si girò verso le dipendenti lasciate alle spalle, ed appena queste si accorsero che il proprio capo le stava scrutando minaccioso, esse si voltarono velocemente, tornando a sbrigare i propri compiti. Poi Dario sospirò, e guardò Diana sorridente, socchiudendo gli occhi talmente tanto che assunsero una bellissima forma a mandorla. In un modo o in un altro, nonostante tutto, Dario aveva il potere di far sentire a proprio agio chiunque.
«Non hai niente che non va! - le disse avvicinandosi sempre di più, e poggiandole affettuosamente una mano sulla guancia, come per accarezzarla - Semmai loro...» continuò, rivolgendosi alle altre. Diana poté indubbiamente avvertire un'aria sensuale nel suo gesto, e per questo si sentì spiazzata per un attimo.
«Se ti dicono qualcosa, lascia perdere. Abbi soltanto un rapporto di professionalità con loro». Finì di avvertirla Dario. «Se ci riesci». Aggiunse lui stesso, pochi istanti dopo.
Anche se molto chiare ed evidenti, quelle parole la confusero parecchio. Insomma: le aveva palesemente richiesto di non stringere amicizia con nessuna; a dirla tutta, una pretesa abbastanza stramba. Ma i suoi risolini rassicuranti alla fine di ogni sua frase la portavano, incondizionatamente, a fidarsi di lui. Magari era semplicemente un consiglio... come d'altronde ogni capo darebbe ad nuova arrivata, o no?
 
 Dopo aver terminato di esplorare il piano terra, e aver salito delle interminabili scale a chiocciola, arrivarono al primo piano dello stabile: ciò che raggiunsero era un angusto corridoio a vicolo cieco, le cui dimensioni assurde mettevano alla prova qualsiasi claustrofobico. In quel preciso momento del percorso, come se fosse una cosa scontata, Diana si bloccò di colpo: ecco aggiungersi un altro piccolo, grosso problema.
«Qualcosa non va?» domandò Dario alla diretta interessata, con la sua dolce espressione costantemente impressa sul volto.
«Non esattamente... - commentò Diana, dopo un gemito di esitazione - è solo che... ho-una-paura-folle-dei luoghi-stretti!» La sua spiegazione fu talmente frettolosa, che ci volle qualche attimo di silenzio affinché Dario potesse capire il vero problema.
Quel corridoio, totalmente privo di illuminazione, fu capace di mettere Diana a disagio: i suoi battiti cardiaci andavano ad aumentare frettolosamente; e, nel frattempo, lei stessa sperava che Dario non avrebbe preso quella situazione come una questione troppo stupida per continuare a discuterci.
«Ma non è molto lungo, vedi?» e per dimostrarglielo, allungò la mano verso il corridoio. Utilizzò sicuramente una consolazione troppo superficiale per tentare di calmarla, dato che i claustrofobici vedono il loro ostacolo terribilmente triplicato rispetto agli occhi di una persona comune. In quel momento, Diana era disposta anche a pagare milioni pur di ottenere l'interminabile pacatezza di Dario.
«E poi ci sono io, - continuò lui - quindi non ti succederà nulla». Ed ecco ciò che chiunque voleva farsi sentir dire. Uno sfarfallio, seppur brevissimo, infastidì lo stomaco di Diana, che guardava Dario con occhi che, poco a poco, iniziarono ad accumulare della sicurezza.
E pensando a lei, che non voleva apparire per nulla una ragazzina demenziale; e al suo lavoro, ovvero la sua primissima necessità, Diana capì che in un modo o in un altro doveva raggiungere quel benedetto studio.
Così, fece un respiro profondo e a piccoli passi - quasi invisibili - arrivò al termine di quella nauseante impresa: la troppa paura non le fece neanche notare che Dario, nel passaggio da una cima all'altra del corridoio, le sfiorava la mano sinistra.
«Hai visto? Ce l'hai fatta!» Esordì Dario con tono canzonatorio, quasi per prenderla in giro.
«Ma, dimmi... una bella luce per illuminare no, eh?»
Al fianco di una grossa libreria, Diana notò una curiosa porta bordeaux che pareva nascondersi dietro ad essa.
Dario, dando il tempo a Diana di riprendere il fiato mancante, la apriva con una minuscola chiave reperita dalla tasca del pantalone. Quell'azione le fece strabuzzare gli occhi: soltanto a Diana sembrava folle chiudere a chiave uno studio talmente rintanato e nascosto, che solo a raggiungerlo ci voleva la mappa di 'Minas Tirith', del Signore degli Anelli?
«Sono un uomo riservato» precisò, come se l'avesse letta nel pensiero all'istante.
"Davvero troppo riservato" rifletté Diana.
 
I due fecero presto ingresso nel fatidico studio. Diana decise di dare uno sguardo panoramico allo spazio, e poté fin da subito capire che il senso dell'ordine era alquanto sconosciuto al suo capo. 
Caos? Sì, ce n'era parecchio: fogli sparsi per tutta la superficie dello scrittoio, post-it appiccicati sugli scaffali pieni zeppi di schedari; e poi una libreria, un divanetto ed un tavolino con infiniti quotidiani accatastati l'uno sull'altro.
«Che ne fai di tutti questi?» osò domandare Diana, per tirare in ballo un discorso casuale, indicando il massone di giornali. Ma lei non credeva affatto che quella fosse stata una domanda scomoda; ma a giudicare dall'espressione del suo amico, che divenne d'un tratto disturbata, capì che poteva risparmiarsela.
«Quelli?» le chiese Dario, titubante. Un'espressione di ovvietà contornò il viso di Diana.
«Leggo molto... ogni giorno ne compro uno e lo lascio lì. Mi dimentico di disfarmene...»
Anche se non era pienamente convinta di quella risposta, lasciò stare e guardò oltre la scrivania. Ciò che risaltò agli occhi di Diana erano le pennellate di un magnifico quadro appeso sulla parete dietro ad essa. Il dipinto, dai tratti forti ed intensi, rimandava la sua memoria all'illustre Vincent van Goghda lei ammirato fin da quando lo studiò alle medie. Decise, quindi, di avvicinarsi per capire se si trattasse o no di un originale. A passi quatti, Diana raggiunse la parete; avvicinò gli occhi alla una minuscola scritta bianca nell'angolo in basso a destra, e...
«Sì, Diana. - una voce interruppe la sua manovra d'investigatrice - E' un van Gogh. Sapevo ti sarebbe piaciuto».
«Non sai... qua-quanto ti... invidio!» Balbettava Diana, mentre le sue guance si fecero rosse per la gelosia.
Entrambi risero di quella simpatica scena.

---

Dario le chiese se avesse sete.
«Ma no, tranquillo! Non c'è bisogno di scendere per un bicchiere d'a-»
Un'azione bizzarra troncò la voce di Diana, e richiamò la sua attenzione: Dario si avvicinò alla libreria dello studio facendola scorrere. Quell'affare di legno era... una porta?
Mentre Dario vi entrava, Diana rimase impietrita nel vedere una cosa talmente curiosa che solo i cartoni animati le avevano proposto, fino ad allora.
«Ti va bene dello champagne?»
Per quanto fosse strana la frase, Dario "uscì dalla libreria" con una bottiglia in mano, e due lunghi bicchieri.
«Cosa... perché...» improvvisamente, Diana perse la facoltà di saper parlare una lingua.
«Perché ho una libreria al posto di una comune porta, Diana?» interrogò Dario con sicurezza. Lei annuì, non staccando gli occhi dal suo sguardo.
«Perché amo le cose fuori dal normale» scandì quelle parole, forse con un certo orgoglio.
Diana spalancò la bocca inconsapevolmente, pensando a quante cose meravigliose avesse Dario in suo possesso. Il quadro, la strana "libreria magica", come non poterlo invidiare?
«Hai preso da lì lo champagne?»
«Sì, lì dentro c'è una cucina, ed infondo c'è la mia stanza».
«Mi stai dicendo che abiti nel tuo studio?»
«Una cosa del genere».

Preparati i due bicchieri pieni di alcolico, si sedettero sul divanetto in alcantara rosso affianco alla scrivania: entrambi avevano una faccia rilassata. Era ormai divenuta sera, e quella situazione rimandava alle classiche scene dei film in cui, dopo il divertimento, si iniziava a parlare di affari.
«Allora, Diana... che te ne pare?» Dario la guardò dritto negli occhi, concedendosi un primo sorso con aria alquanto sicura di sé.
«Mi piace tutto, e non vedo l'ora di iniziare». Diana lo copiò: primo sorso anche per lei.
«Puoi cominciare da domani».
«Perfetto! - rispose Diana euforica dell'idea - Ma se dovrò svegliarmi presto... non devo assolutamente esagerare con questo». Finì di bere lo champagne in un batter di ciglia, e posò il bicchiere sul tavolino.
Con tale approvazione, Dario non perse tempo a munirsi di un mucchio di fogli ed una penna e si sedette dietro la sua scrivania personale.
«Questo è il contratto, hai tutto il tempo per leggerlo, niente fretta».
Fino allora, erano stati pochissimi i contratti a cui Diana aveva fatto fronte. Ma nessuno, nessuno di quelli che si era prestata a leggere si erano mai presentati così lunghi!
Può un accordo lavorativo avere sette pagine scritte nero su bianco, con una grafia minuscola quanto quella di una Bibbia? Le righe, d'innumerevoli sfilze di parole, erano così ravvicinate l'una all'altra che a Diana mancò il fiato solo guardandole. Immaginò che anche quei versi stessero soffocando tra di loro, per quanto erano addossati l'un l'altro.
«Leggerlo? - ripeté lei, letteralmente basita - Eri già ubriaco prima che mi offrissi il bicchiere di champagne, Dario?» Rise Diana, camuffando la sua preoccupazione con una delle sue tante freddure.
Lo sapevano ormai tutti, lei odiava leggere: mentre i suoi amici si nutrivano degli scritti di Follett e Dickens, lei dal canto suo preferiva decisamente immergersi nei fumetti della Marvelnonostante il suo periodo adolescenziale fosse già passato. Esorcizzava quei libri pieni d'amore e drammi, figuriamoci dei noiosissimi contratti! A dir poco impegnativi da riuscire a seguire.
«Per quanto adorassi l'alcool, Diana, quando parlo di lavoro sono abbastanza serio - esordì Dario, in risposta, accompagnato da un sorriso - E' pesante, lo so... ma sono pratiche da sbrigare».
Burocrazia!
Diana lo girò e rigirò in continuazione: il tutto faceva riferimento a termini e condizioni a cui nessuno, a dirla tutta, avrebbe posto attenzione. E proprio pensando a questo, pensando al fatto che non sarebbe stata l'unica al mondo a comportarsi nel modo in cui stava per agire, sospirò e...
«Non penso ci sia un trabocchetto, giusto?» ghignò, seppur con timore.
... girò le pagine fino ad arrivare all'ultima, abbassò lo sguardo all'angolo a destra del foglio per individuare la classica lineetta nera, e firmò. Una calligrafia schietta, veloce.
Dario socchiuse gli occhi. Poi le accennò un sorriso, come sempre.





 
Angolo autrice
Salve a tutti, cari lettori!
Eccovi proposto il terzo capitolo della storia! Decisamente più lungo del secondo, e con la presenza di molto più ritmo (dati i frequenti discorsi diretti).
Che ve ne pare, allora? Come trovate Diana, e soprattutto Dario? 

Lasciatemi un commento, e d
itemi la vostra, vi aspetto!
Alla prossima con il quarto capitolo <3
SOS_ 

 

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Capitolo 5
*** Pari e dispari ***


IV
 

Pari e dispari
 
12 Novembre
 
Quello era il primo giorno di lavoro per Diana, e la frenesia e contentezza dell'evento le risparmiò completamente il fiato. Prima che iniziasse il suo turno, non indugiò a porre qualche domanda al suo nuovo capo, per scoprirne di più riguardo le sue mansioni. Dopo aver chiarito gli ultimissimi dubbi, Diana capì che 'Da Capaldi' non era un semplice locale. Spiegato nella maniera più sempliciotta possibile, era come una sorta di medaglia: da una parte il sole, dall'altra la luna.
Alternativamente, il locale avrebbe avuto due diverse funzioni: quella di un giovanile Coffee Shop i giorni pari, ovvero il Martedì, il Giovedì ed il Sabato; mentre in quelli restanti, era come se ci si spostasse in un'altra dimensione, quella di un locale notturno, che apriva le porte solamente a tarda sera.
Dario - come da direttore - impose quindi a Diana di fare una scelta, avvertendola che se avesse scelto la sessione notturna avrebbe ricevuto un salario maggiore. La decisione da prendere non fu, per lei, troppo complicata: dato che a Diana serviva denaro e, rassicurata da Dario stesso del fatto che le differenze fra le mansioni non fossero poi così rilevanti, scelse prontamente di lavorare nella sessione serale.
 
Spiegati i suoi primi incarichi, Diana raggiunse le altre nella sala principale a pian terreno.
Diede uno sguardo al suo orologio da polso e rammentò tutte le cose da fare che Dario le aveva elencato, ripetendole nella mente in continuazione.
Volle partire dagli scatoloni sparsi per il pavimento, ammassati l'uno sull'altro. Il primo compito che le fu affidato fu quello di aprirli, svuotarli e smistare gli oggetti in cucina nei giusti scaffali.
Indaffarata nell'aprire i cartoni con l'apposito taglierino, Diana non poté non notare una ragazza dietro al bancone in legno. Questa era alta e magra, ma formosa allo stesso tempo; i suoi boccoli biondi le pendevano delicatamente sulle guance rosee. Come notò in precedenza, lei era una delle tante 'addobbata' da abiti succinti: il suo busto era avvolto da un corsetto nero (allacciato talmente stretto da poter soffocare), le gambe infinite erano strettamente saldate da una minigonna nera, e ai piedi indossava dei tacchi vertiginosi. Si presentava come la classica femmina che qualsiasi maschio avrebbe desiderato avere accanto. Ma tralasciando il vestiario poco idoneo, malgrado tutto, Diana doveva ammettere che quella ragazza aveva davvero un viso celestiale, talmente tenero da far sciogliere chiunque. Comunque, nonostante ciò, a Diana sembrava essere una di quelle tizie con cui non avrebbe mai legato in tutta la sua vita, per l'eccessiva diversità.
«Ciao». Fu la bionda coi boccoli a rivolgerle la parola.
Diana, da una tale ragazza, si sarebbe aspettata sentire una voce fastidiosamente squillante, quasi come lo squittire dei topolini; ma quella che udì andava oltre ogni suo giudizio: era forte e decisa, altamente in contrasto con il modo in cui si presentava.
Diana, nel frattempo, era indecisa sul da farsi. Doveva continuare ad aprire le scatole, facendo finta di aver udito nulla? O avrebbe risposto al saluto, da persona educata?
"Ma dai - rincuorò sé stessa, seppur insicura di ciò che stesse per fare - ad un saluto potrei anche rispondere..."
«Cia- Ciao» Diana lasciò sfuggire titubanza.
«So cosa ti ha detto». Esordì la ragazza a voce bassa. Il suo timbro continuava ad essere volitivo.
«Come, prego?»
«Dario. Ti ha detto di non parlare con noi, di non crederci in qualsiasi circostanza, non è così?»
Un sentimento di inquietudine nacque all'interno di Diana: come faceva a saperlo? A quella domanda, forse, sarebbe stato meglio mentire; magari proferire la verità a riguardo sarebbe stato un grosso guaio.
«Non capisco di cosa tu stia parlando, mi dispiace».
«Anch'io all'inizio facevo finta di non capire». Più la bionda parlava, più Diana si adirava.
«Devi fidarti di noi, e soprattutto di me - uno scambio di sguardi profondi zittì ogni rumore - L'unica persona a cui non devi credere è lui».
 
 
Dario si guardò le spalle diverse volte, come per rassicurarsi del fatto che nessuno lo stesse seguendo, prima di risalire al piano di sopra e fare nuovamente ingresso nel suo studio. Ispezionò l'area con uno sguardo panoramico; poi si avvicinò alla scrivania svuotandone i cassetti... ma non trovò fin da subito ciò che gli serviva. A quel punto, si posizionò davanti alla libreria e la fece scorrere con un immediato tocco forzuto: doveva trovare quella scatola. Raggiunse a breve la sua stanza, quando - dopo un attimo di piccoli ragionamenti mentali - un lampo di genio lo fece dirigere verso il letto. Ci sbirciò al di sotto, ed afferrò repentino un ampio contenitore di plastica trasparente. Su di esso era incollata un'etichetta fatta di nastro carta, sulla quale emergeva una parola scritta a caratteri cubitali. Dario trovò proprio ciò che stava cercando e, nel leggere la targhetta, emise un ghigno risoluto.
'VESTITI'
 
 
Diana venne a sapere di non dover credere al proprio capo, quando lui stesso le consigliò di non fidarsi delle colleghe, a sua volta. Un intreccio di ambigui controsensi che Diana volle fin da subito cercare di sbrogliare. A chi avrebbe dovuto dar retta?
«Perché mi dici questo?» Diana posò l'attenzione sul cartellino impigliato nel corsetto della bionda, per conoscerne il nome. Strinse gli occhi, ma la scrittura era talmente indecifrabile da non poter essere letta chiaramente.
«Emma. Mi chiamo Emma». Diana alzò la testa nell'udire la sua voce. Proseguì poi, intenta ad esplicare il suo discorso confuso.
«Emma, perché mai non dovrei fidarmi di Dario?»
L'interlocutrice parve spazientita a sentire quel nome. Spostò nervosamente una ciocca di boccoli ossigenati dietro all'orecchio, chiuse gli occhi in uno sbuffo amareggiato, poi rispose.
«Perché non voglio che capiti ancora una volta!»
Diana si risvegliò dalla lievissima distrazione, sentendo la voce di Emma strozzarsi in quel lamento. Zittirla con l'indice rivolto alla bocca fu la prima cosa che le venne in mente, ma l'amarezza che vide espandersi nei suoi non le diede la forza di opporsi contro.
Da quello che poteva capire, il rapporto fra Emma e Dario non era poi tanto piacevole; ma magari aiutandola a sfogarsi Diana poteva capirci qualcosa.
«Mi sembra che Dario sia risalito. Andiamo nel deposito, Emma, lì non ci sentirà nessuno». Diana cercò di essere più confortante possibile, nonostante le consolazioni non le erano mai riuscite bene nella storia dei secoli.
Emma socchiuse alle sue spalle la porta in acciaio della cucina, ed insieme raggiunsero il piccolo magazzino nel quale si rifugiarono per cercare di dialogare più serenamente, e con meno ansia addosso.
«Cos'è che non deve più capitare, Emma? Fammi capire qualcosa, senza fare troppo la misteriosa...»
La bionda annuì di rimando; ma prima di iniziare a parlare, un'espressione di fastidio le contornò il viso simmetrico. L'azione che stava per compiere giustificò la smorfia: si tolse dai piedi entrambe le scarpe col tacco, e le scaraventò all'angolo rabbiosa.
«Quelle scarpe mi uccidono!» commentò Emma stufata.
Lo sguardo di Diana divenne ancora più interrogativo del solito: i numerosi dubbi la stavano mordendo viva.
«E allora perché le indossi?» una domanda del genere era più che ovvia da porre.
Emma la guardò incerta; ma dopo un sospiro, finalmente, sembrava stesse iniziando a spiegare con serietà.
«Perché se lo dice Dario, così deve essere. Questi maledetti vestiti... - Emma indicò la sua stretta minigonna - li sceglie lui».
«Che vorresti dire con "li sceglie lui"?» Diana non volle apparire allarmata, ma il suo tono di voce - che andava ad incupirsi - non poteva non celare il timore.
«Decide anche chi può salire da lui, e chi no. Ecco perché tutte le altre ti guardavano ieri sera: Dario non accompagna nessuna al suo studio».
I silenzi nel mezzo di ogni frase proferita da Emma divennero man mano sempre più cupi: niente spingeva Diana ad allontanarsi da lei e perdere quelle preziose spiegazioni. Ammettendo il fatto che siano vere, in primis.
«Le uniche che ha scelto, fino ad ora, siamo state solo io... - guardò Diana dritta nelle sue iridi marroni - e tu».
Le labbra di Diana, ormai rosse per via degli stressanti morsetti, rimasero serrate. I suoi occhi erano persi nel ricordare ogni singola parola detta da Emma. Cercava di ricostruire un quadro logico di tutto, ma qualcosa mancava: l'ultimo pezzo del puzzle.
"Finora, siamo state scelte solo io e tu." Scelte per cosa?
 
 
Poggiò la scatola trasparente sul divanetto, quando nel momento stesso in cui si ricordò di fare un'urgente chiamata al telefono, esso prontamente squillò.
«Pronto?" Dario sperava vivamente fosse la persona che stesse cercando.
«Caffè lungo o corto?» come rincuorato a sentire tale frase, fece un sospiro.
«Entrambi, tanto non lo pago»
«Salvatore. Quante perline
«Sulle 500»
«Affaroni! Con quelle ne facciamo 20.000»
«Passa da me stasera, e me le dai»
«Grande Da', onore alla famiglia»
«Sempre»
 

«E noi due saremmo state scelte... per fare che cosa?» Diana rimpicciolì gli occhi: era come nelle serie tv poliziesche, quando gli irascibili ispettori pongono senza tregua la serie di domande alla canaglia.
Notò Emma prendere concentrazione. Sicuramente, aveva da dire qualcosa di complesso.
«Dario è un impostore. Assume cameriere una volta al mese: quelle che gli piacciono le inserisce nella sessione notturna; e quelle che nessun cliente gradisce, le assume per i giorni per il bar, la mattina».
Diana, pur fermamente convinta che la bionda stesse sparando miriadi di idiozie, non la interruppe un secondo nel suo discorso: forse voleva vedere fino a che punto la sua fantasia arrivasse.
«E' un manipolatore abilissimo: ci fa credere di farci fare ciò che vogliamo, quando facciamo soltanto ciò che lui desidera fare. Ha fatto con te le stesse cose che fece con me quando arrivai qui. - Emma alzava sempre più il tono di voce - Sai perché ha tutti quei giornali ammassati sul tavolino?»
«Dario mi ha detto che ha il piacere di leggerli ogni giorno».
«Già... - continuò Emma, con fare sarcastico - perché teme che parlino di lui e della sua stupida banda, ogni santo giorno!»
«Lui? Una banda? - rifletté Diana, quando poi scoppiò in una risata semi isterica - Ma cosa blateri!» Diana, nel momento, immaginò le iridi celesti di Dario, ed arrossì leggermente solo al pensiero: nessuno poteva dubitare di lui, perché era l'esatta reincarnazione di un angelo.
«Come non detto...» Emma era palesemente irritata dalla reazione di Diana, che risultò pienamente menefreghista rispetto a tutti quegli avvertimenti.
«Esattamente ciò che successe a me, cinque mesi fa. Ma per te questo è soltanto il primo giorno, era ovvio non mi credessi...»
«Non sbagli, Emma. Non ti credo, mi dispiace».
«Fai parte della sessione notturna, tu, vero?» In un modo o nell'altro, tutti gli indovinelli che Emma sottoponeva a Diana, la intimidivano... perché azzeccava ogni volta la risposta giusta. Diana non rispose.
«Benvenuta nel club, allora. Nei prossimi giorni avrai tutto il tempo di accorgerti di lui. Riceverai una bella batosta, mia cara».
La bionda si avvicinò all'angolo dove prima aveva sbattuto le scarpe, le prese con frustrazione e le infilò ai piedi.
«Mi raccomando, fai presto a capirci qualcosa. Quando deciderai di farli arrestare, fammi un fischio, io ci sono».
Dopo un'ultima breve ma rumorosa ridacchiata, Diana si spinse a bofonchiare un "assurdo", mentre aprì velocemente la porta del magazzino per andarsene. A passi pesanti, e sguardo fisso al pavimento, si avvicinò all'uscita della cucina seguita da Emma.
«Però sei simpatica, Emma, anche se non sembrerebbe a primo impatto...» si azzardò a dire, accompagnata da ironia, prima di dileguarsi e tornare ai suoi scatoloni.
«Mi fa piacere, ragazza di cui non so ancora il nome». Emma le si posizionò davanti, aspettava il responso.
«Mi chiamo Diana» confessò lei di rimando, finendo in bellezza con un sorriso.
«Diana... - ripeté Emma - Cara Lady D, stai per essere tradita da quel miserabile di Carlo».




 
Angolo autrice

Ecco il quarto, attesissimo, capitolo della storia! Qui veniamo a conoscere un 'nuovo' personaggio: Emma (vi ricorda qualcuno?), la classica ragazza desiderata da tutti. Come abbiamo visto, Emma ha avuto qualcosa da dire a Diana - una specie di avvertimento riguardante Dario - ma la nostra protagonista non ha creduto in niente! Vedremo solo nel prossimo capitolo se Diana avrà fatto bene a non fidarsi di Emma.
La storia sta andando ad infittirsi sempre di più, e prestissimo tutti i nodi verranno sbrogliati! Alla prossima col quinto capitolo, allora.
Baci <3
SOS_

Ps. : Come vi è sembrato il capitolo? Cosa vi aspettate nel prossimo? Lasciatemi un commento, e ne discuteremo! 

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Capitolo 6
*** Il pacco giallo ***


V
 

Il pacco giallo
 
14 Novembre

Questo era ormai il quarto giorno di lavoro per Diana, come cameriera 'Da Capaldi'. Nei suoi precedenti giorni lavorativi non aveva fatto altro che sistemare le nuove bevande appena arrivate, lavare i pavimenti, aggiustare il bancone, e riporre la merce nei ripiani della cucina. E quella fastidiosa - ma necessaria - routine fu la stessa anche quel giorno.
Diana aveva ormai provveduto a sistemare all'entrata del locale gli scatoloni rimasti vuoti, accuratamente piegati dalle sue mani laboriose; pur sapendo il loro triste destino nelle mani dei netturbini, che passavano da quella via verso le cinque del pomeriggio. Fu davvero faticoso quel compito: rimanere accovacciati per prendere gli scatoloni, e fare avanti e indietro fino alla cucina per sistemare la merce.
Diana aveva decisamente bisogno di sciacquarsi la faccia, ma non aveva idea di dove si potesse trovare un bagno. Pensandoci su, effettivamente, nell'excursus di Dario mancò proprio la visita di quello specifico vano, considerata inutile tanto quanto indispensabile.
Stranamente non trovò nessuno a cui chiedere un'informazione nei dintorni; se non una ragazza che uscì da un angolo in fondo con una bottiglia di birra in mano, la cui freschezza trasudava dal vetro stesso. Anche se a metri di distanza, la riconobbe all'istante: era Emma, la ragazza della sera prima, quella dalle mille fantasie. Era diretta verso le scale a chiocciola che portavano al piano di sopra e quindi, presumibilmente, stava recandosi dal capo. Il solo ricordo della loro precedente discussione fece sorridere Diana, ed Emma - accorgendosi del gesto - la imitò in lontananza; ma abbozzando un sorriso stranamente macabro, come se fosse talmente sarcastico da poter istigare chiunque. L'astio presente nell'aria che le divideva era palpabile: sicuramente Emma ce l'aveva con Diana per l'evidente mancanza di fiducia nelle sue parole e, di conseguenza, per averle dato della blaterona.  
I passi di Emma, che si avvicinavano alle scale, inevitabilmente fecero sì che la distanza fra le due si rimpicciolisse. Qualsiasi impulso facciale e corporeo impediva a Diana di rivolgerle la parola, ma l'assoluta urgenza di togliere quel sudore dal viso parlava da sé.
«Potresti indicarmi il bagno?»
Diana, che dal canto suo si aspettava indifferenza da parte della bionda, ricredette ogni sua aspettativa. Emma fu così lesta nel risponderle, che la sorprese.
«Girato quell'angolo a destra, avrai la porta davanti»
Oltre alla prontezza, a stupire Diana fu soprattutto il sorriso di chiusura, che rivelò una serie di denti bianchi e splendenti. Diana, piuttosto sbigottita, ringraziò Emma flebilmente. In fondo, forse, non c'era bisogno di provare rancore: in fin dei conti non era successo niente di male fra le due, se non un piccolo battibecco.
Prima di voltarsi e avviarsi a destinazione però, a Diana non poté sfuggire un'attenta occhiata, che Emma le diede.   
«Diana... penso che Dario ti chiami a breve, dopo che avrà finito con me»
Se nell'ultima parte della frase la voce di Emma fu pizzicata da scherno o desolazione, Diana non l'aveva capito; ma sicuramente aveva compreso la sua intenzione di mandarle frecciatine. Rigettando il suo precedente pensiero sull'avversione inutile, Diana non proferì alcuna parola e si diresse semplicemente verso il bagno. Quella era la sua priorità, invece di perder tempo a cercare giuste risposte da dare, a persone sbagliate.
 
 
Ad Emma risultava difficile fingere una doppia personalità: simulare discordia con Diana e, nel frattempo, pensare che fosse ancora troppo ingenua per capire cosa le sarebbe successo a breve. Lei ne era totalmente sicura: Diana avrebbe perito nel suo stesso modo quando Dario se ne sarebbe approfittato, e ciò non poteva accettarlo. Diana non voleva capire quanto inconsciamente Dario la stesse manipolando, a partire dal momento in cui la indusse a scegliere la sessione serale, con la scusa che avrebbe guadagnato di più. Menzogne.
Anche per Emma, Dario ebbe in serbo la stessa tattica, quel giorno in cui lei si presentò nello studio. Anche lei non lesse quel contratto; anche lei venne persuasa dallo charm di Dario.
Emma e Diana erano due donne apparentemente diverse, ma da considerarsi uguali. Legate dallo stesso nodo: il loro lavoro. Dario.
Per Emma fu un'impresa cercare ogni volta di far finta che non fosse successo nulla, e di andare avanti. Ogni volta che arrivava la sera, era sempre la solita odiosa routine. Era convinta che quella situazione che si venne a creare finisse, prima o poi; o almeno lo sperava ogni giorno.                                                     
Emma finì ad odiare la notte. Spesso, rimandava alla mente vecchi ricordi, in cui - quando calava il sole - lei saliva sul suo terrazzo per pensare, per meditare su quello che la giornata trascorsa le avesse insegnato. Aveva nostalgia di quei momenti, quando non vedeva l'ora che il cielo imbrunisse.
Ma Emma ha cominciato ad odiare la luna: le ricordava il presente. Le ricordava il guaio in cui si era messa quando accettò. Quei cinque mesi di permanenza lì al locale la portarono paradossalmente ad accettare ciò che subiva, seppur a malincuore.
Finché un giorno - proprio quel giorno - si presentò una nuova dipendente, Diana, e la solitudine sembrò spezzarsi.
Emma, da allora, in effetti non si sentì più sola. Aveva trovato un'altra vittima con cui poter condividere il suo malessere, con cui potersi sfogare, e con la quale avrebbe vinto la sua battaglia. Solo con l'ausilio di un'altra, infatti, avrebbe finalmente avuto il coraggio di licenziarsi, ed andarsene. Aspettava soltanto Diana.
Ma quel tempo, che Emma desiderava arrivasse presto, fu tardo a venire. Diana, da parte sua, doveva ancora avere la possibilità di rendersi conto di tutto. Emma odiava aspettare e fingere il nulla; eppure doveva farlo.
Mentre i pensieri le tormentavano il cervello, la bionda raggiunse lo studio. La birra fresca le raffreddò completamene la mano con cui la teneva. Essa divenne gelida, esattamente come le sue emozioni in quel momento. Tristemente, bussò alla porta: il tormento stava per iniziare.
 
Mentre tamponava il proprio viso con della carta, Diana uscì dalla toilette.
Raggiunta la sala principale si accorse che non era l'unica ad avere il turno quella sera; notò infatti delle teste multicolore che si appressavano verso la porta della cucina. Riuscì ad individuarne minimo tre.
«Buonasera» Diana fu la prima ad accennare un saluto, ed a seguito le altre le risposero cordialmente.
Pochi istanti dopo, dei bisbigli intraducibili uscirono dalle loro bocche, fino a quando non sparirono del tutto: erano appena entrate in cucina. Diana rimase sola.
Non sapendo cosa altro fare, e non avendo voglia di aggregarsi alle colleghe per paura di sembrare una tipa 'invadente', si sedette dietro al bancone in legno aspettando che succedesse qualcosa.
Circa un quarto d'ora si intrattenne a girarsi i pollici, fino al momento in qui qualcuno bussò alla porta principale.
E chi poteva essere a quell'ora? Era risaputo che nei giorni dispari, come quello, il locale avrebbe aperto solo a tarda sera; ma alle 21:00 sicuramente nessun cliente poteva essere accolto.
Come da primo giorno di lavoro, Diana - non essendo preparata a quel tipo di situazione - mentre si avvicinava per aprire la porta si affrettò a programmare un eventuale discorso di scuse da fare. Ancor prima che lei prendesse il fiato per agire, però, un uomo alto e squadrato fece ingresso prepotentemente nella sala, fregandosene di accennare un minimo saluto. Diana notò che il tizio aveva fra le mani un grosso pacco ben confezionato avvolto da una carta gialla e, dal modo agevole in cui lo teneva, lei poté capire quanto esso fosse leggero: evidentemente in quel caso il peso non era relazionato all'ampiezza.
Tralasciando i dettagli irrilevanti, Diana sentiva il dovere di chiedere all'uomo chi fosse, cosa contenesse quel pacco, e a chi doveva consegnarlo.
«Posso aiutarla?» Una fastidiosa scossa percorse il corpo di Diana. Quella fu la sua prima frase pronunciata nelle vesti di cameriera, il suo primo lavoro in assoluto. Anche se potesse sembrare una stupida considerazione, Diana ci teneva ad essere impeccabile, perciò prese ragione e tese l'orecchio per ascoltare.
«Ma certo, bellezza. Non ti ho mai vista da queste parti... sei nuova per caso?»
«Sì, questo è il mio primo turno» Diana cercò in tutti i modi di nascondere un velo di timidezza.
«Certo che i gusti di Dario non deludono mai nessuno...» L'uomo alto, dai tratti rigidi e virili, tese le sue grandi mani ai capelli di Diana; ne prese una ciocca e cominciò ad arrotolarla attorno al suo dito affusolato.
Una fitta trapassò il petto di Diana, ed il cuore le incominciò a battere più velocemente.  
«Che fai! Allontanati, Salvatore!» uno strillo proveniente dalla cima delle scale a chiocciola fece sobbalzare Diana, mentre l'uomo si limitò a girarsi con tranquillità.
«Emma! Ma buonasera... Da quando sei tu a dare ordini?»
Con tale atmosfera, che si incupiva secondo dopo secondo, né Diana né Emma si espressero; quest'ultima decise di raggiungerli scendendo le scale.
«Mi permetta, signorina... - 'sta volta, l'uomo in questione tornò a rivolgersi a Diana, ancora scossa - sono Salvatore Capaldi, il fratellone di Dario»
Lui, non era un comune cliente, o uno straniero che si trovò a bussare casualmente...
«Come mai io sapevo fossi il cugino?» domandò Emma al diretto interessato.
«Come siamo arroganti oggi... Risparmia la foga per stasera» rispose Salvatore, con sicurezza.
Sentendo tali parole, Diana si girò immediatamente nella direzione di Emma per vedere come avesse reagito a tale provocazione. La bionda abbassò lo sguardo, spostando irritata la sua massa di boccoli da un lato. Il gesto fece notare a Diana una strana chiazza rossa, che spiccò nel bel mezzo del collo di Emma, contornata da un flebile luccichio. Diana era sicura del fatto che quella macchia non l'avesse, l'ultima volta che si erano incontrate.
«Io, lo considero come un fratello!» Un'altro individuo scese per le scale, aggiungendosi alle chiacchiere. Era Dario. Scansò Emma con una piccola spinta per raggiungere Salvatore, e salutarlo, baciandolo su una guancia e l'altra.
«Me le hai portate?» chiese Dario al cugino.
«Tutte qua dentro - Salvatore gli porse il misterioso pacco giallo, poi riprese a parlare - Ora offrimi una birra, sono stanco»
D'un tratto Emma balzò di nascosto nel retroscena, come se si fosse ricordata di qualcosa d'assoluta importanza. A passi svelti, sembrava dirigersi nervosa verso il bagno. Diana decise di seguirla: doveva decisamente farsi spiegare un paio di cose.
 

Emma si chiuse la porta della toilette dietro di sé, ma non le importò di chiuderla a chiave. L'unica cosa che voleva, era trovare un modo di coprire o far sparire quel succhiotto. Lei non ha mai sopportato che quei viscidi segni le venissero impressi sulla pelle, principalmente se la persona che li creava non le andava proprio a genio.
Aprì l'acqua del rubinetto, ne raccolse un po' nel palmo, ed iniziò a tamponare pian piano sulla macchia. Ad ogni picchiettio dell'indice, Emma sospirava fastidiosa, corrugando la fronte.
Quando di botto la porta del bagno si aprì e si chiuse velocemente, Emma traballò sul posto. Guardò dietro le sue spalle, girandosi con cautela, e solo allora capì che Diana l'aveva raggiunta.
«Diana! Mi hai fatto prendere un colpo!» la bionda spasimò, poi riprese con calma ciò che aveva interrotto.
«Scusa se ti ho spaventata, non era mia intenzione...» Diana cercò di scusarsi nel modo migliore possibile. Lei non voleva per niente che fra di loro si creasse dell'attrito inutile, qualcosa la spingeva a pensarla in quel modo.
«Sei venuta qui per chiedermi qualcosa?» Emma pronunciò quelle parole con evidenza, mentre la scrutava attraverso il riflesso dello specchio.
«Indovinato...»
Diana fu pronta a porle la prima domanda in lista, ma Emma era come se l'avesse letta nel pensiero, e senza giri di parole fu proprio lei ad iniziare i chiarimenti.
«E' stato Dario a farmi questo, - indicava la macchia - quando prima sono salita da lui per portargli la birra. Come sempre, tutto sfocia in altro... - La freddezza che le parole di Emma emettevano, lasciarono Diana incredula - Abituatici all'idea, Diana, presto toccherà a te».
Persa nelle fila del discorso, la mente di Diana la rimandò a quella discussione in cucina avvenuta giorni prima.
E se stesse parlando sul serio? Se fosse tutto vero? 
Ormai era palese: Dario si approfittava di Emma. Ma avrebbe fatto lo stesso anche con lei?
«Quel tizio, Diana... Salvatore - riprese la bionda, chiudendo il rubinetto dell'acqua - Vuoi sapere cosa conteneva il pacco che aveva in mano?»
«Cosa?» l'adrenalina le saliva per tutto il corpo.
Emma si voltò nella direzione di Diana: «Le pasticche di ecstasy per stasera».





 
Angolo autrice

Buongiorno lettori! 
Eccovi il quinto capitolo della storia... che ve ne pare? 
Un altro uomo si aggiunge alla scena: Salvatore, il cugino di Dario. In questo capitolo, veniamo tutti a sapere COSA nasconde questo famigerato pacco giallo, e cosa c'è dentro?PASTICCHE?! ECSTASY?! Oh, madre mea.
I conti sembrano tornare...
In quel locale c'è molto nascosto agli occhi di Diana che, ahimè, è lì solo da un giorno! Lei si trova in uno stato caotico, non riesce a collegare i fatti... o forse sta iniziando a farlo, grazie alle parole di Emma?
Voi, invece? State capendo come stanno andando le cose?
Ci vediamo al reparto recensioni :D Scrivetemi cosa pensate e che vi aspettate!
A prestissimo con il nuovo capitolo, che è quasi pronto. 
(Anticipazioni: nel prossimo, ci sarà FINALMENTE lo scontro fra Dario e Diana, che prenderà però delle sfumature... hot).
Baci. <3
SOS_

PS. : ho CAMBIATO LA TRAMA DELLA STORIA!! Dateci un'occhiata, e ditemi che ne pensate nei commenti magari :)

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Capitolo 7
*** C'è chi era stato avvisato ***


 
ATTENZIONE
Personalmente penso sia inutile avvisare i lettori che questo capitolo accenni una scena di contenuti delicati, per il semplice fatto che ormai tutti sanno che questa storia è ARANCIONE, con - per giunta - l'opzione Lime nella sezione delle note.
In ogni caso, penso sia dovere avvisarvi al principio del testo.
Detto questo, buona lettura!



VI


C'è chi era stato avvisato


 
15 novembre

Diana fu completamente pervasa dal tumulto, quella notte. Si girava e rigirava nel suo letto in continuazione: le troppe informazioni acquisite in un sol giorno le frullavano nella testa senza darle pace.
"Le pasticche di ecstasy per domani sera"
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, destabilizzandola completamente. Si sentiva come in un labirinto: correva in un intreccio infinito di stretti corridoi a vicolo cieco, che non la portavano mai alla via di fuga.

---

Mentre ripuliva con cura i vetri della porta principale Diana - non sapeva il perché - aveva impressi nella testa gli occhi di Emma, che aveva attentamente osservato la sera precedente durante loro discussione nel bagno. Due iridi color del mare, con al centro una pupilla scurissima; si ricordava solo questo. Diana non era mai riuscita ad estrapolare alcuna emozione da essi. Guardandoli, poteva percepire solo fitta infelicità; e questa era una cosa che, da parte sua, Diana non avrebbe voluto mai desiderare di provare.
«Diana!» A distruggere i suoi pensieri fu la voce di Dario, che chiamava il suo nome con una certa urgenza.
«Dimmi... Dario» farfugliò Diana, facendo capire di essere attenta.
A quel punto, Dario e Diana si trovavano faccia a faccia, col silenzio che si muoveva indisturbato fra la distanza che li separava. Fu lui a romperla prontamente: Dario si avvicinò a passi quatti verso Diana, prendendola per mano. A quel contatto, i calori dei loro corpi furono come uniti da una scintilla provocata dai loro sguardi, che si incrociarono inevitabilmente.
«Ho una sorpresa per te».
Dario - tenendole costantemente la mano - la guidò verso le scale a chiocciola, e dopo qualche istante si ritrovarono nello studio, al piano di sopra.
Permise a Diana di sedersi sulla poltrona davanti la scrivania, in modo tale da ritrovarsi faccia a faccia allorquando lui si sarebbe seduto di fronte. L'atmosfera che si creò fu un misto fra serietà e tensione: erano quasi le dieci di sera e la luce nella stanza era leggermente cupa, abbastanza da far entrare Diana nell'imbarazzo. Dario, seduto dietro la scrivania, spuntò in penombra: risultava essere più affascinante di quanto lo fosse in piena luce solare. Lui le sorrideva avvincente mentre la guardava, accarezzandosi il labbro inferiore con la lingua. Diana fissò il movimento senza neanche distogliere per un attimo lo sguardo; e solo allora percepì il desiderio di andare affianco a lui, e baciarlo. Una cosa ridicola, stupida e palesemente impossibile. Ma lei aveva voglia di farlo, in quel momento.
«Te la mostro in camera, mh?»
Diana annuì timida, le batteva forte il cuore; le mani le incominciarono a sudare, e qualcosa di pesante le affaticò il respiro, l'agitazione.
Aperta la libreria scorrevole, Dario vi entrò all'interno per primo, spingendo Diana a sé e cingendole il fianco col suo braccio a tratti muscoloso. La portò in camera sua, chiudendo a chiave la porta alle sue spalle. Il rumore che essa provocò nella serratura in ferro fece risvegliare Diana dall'utopia: proprio in quel momento, si rese realmente conto di cosa stesse succedendo.
Lei ed il capo, chiusi in una stessa stanza? Diana aspettava scoprire il seguito di questa vicenda.
Dario prese finalmente quella che si dimostrò essere 'la sorpresa': una scatola trasparente da sotto il suo letto, e gliela porse. Diana lesse ciò che era scritto sopra un pezzo di nastro carta appiccicatoci in cima. 'VESTITI'.
Un battito di ciglia, e la sua testa corvina fu assorta in miriadi pensieri. Solo una frase, però, rimase appesa al filo logico; soltanto una destò la sua attenzione: "Questi maledetti vestiti, li sceglie lui." Diana prese a rammentare Emma nel magazzino giorni prima, con i suoi boccoli biondi un po' spettinati che incorniciavano il suo viso stressato.
 
«Aprila» esordì Dario soave, spostando fra le dita un ciuffo di capelli rossi verso destra; guardava Diana costantemente negli occhi.
«Aprila» ripeté insistente non vedendo una reazione, trasformando l'invito in un sorta di ordine.
Diana non avrebbe mai saputo cosa sarebbe successo se non avesse aperto subito quella scatola; e, come richiesto, decise di seguire il comando. Alla vista del contenuto, sbalordita, spalancò gli occhi. Qualcosa - pensò Diana - iniziava, ahimé, a combaciare.
«Che me ne faccio di questi?» fece con la voce strozzata dall'ansia. Completamente interdetta, prese tra le mani - con aria ripugnante- dell'intimo rosso in pizzo trovato nella scatola, e lo mostrò a Dario.
Il rossiccio - che solo allora Diana si accorse avesse una terribile faccia da schiaffi - in risposta, prese il tanga, e lo passò da una mano all'altra come se lo stesse sarcasticamente ispezionando. L'istigazione, però, fu tra le ultime cose che potessero essere accettate in una tale situazione.
«Non dirmi che non ne hai mai indossato uno, Diana... » Dario lo ripoggiò nella scatola, assieme a tutto il resto della lingerie. «Non deludere le mie aspettative" continuò, prepotentemente avvicinato al suo collo di cigno. L'aria calda che usciva dalla sua bocca si scontrò con la pelle di Diana, divenuta gelida dall'ansia e dalla tensione.
«Cosa vuoi da me.» Quella di Diana non era di certo una domanda; ma quasi un'affermazione. Le sue mani si strinsero istintivamente in due pugni rabbiosi.
Avvertì nuovamente un fiato caldo sulla pelle.
«Tutto.»
Diana restò immobile, ingoiò del vuoto: aveva la gola terribilmente secca. Dario iniziò la tortura, lasciando un'umida scia di baci, che andavano dall'alto lato del collo fino al buchetto centrale. Lì, Diana sussultò; quello era il punto del collo dove provava più fastidio, in assoluto. Con i polsi bloccati dalla sua stretta presa tipica da predatore, entrambi furono seduti sul letto, faccia a faccia.
«Fra una mezz'oretta inizierà il tuo turno, giusto il tempo di farci una chiacchierata rigenerante...» soggiunse Dario con quel sorrisetto sghembo, tipico di chi DEVE essere martoriato di pugni.
Le sue mani, dalle seducenti dita lunghe ed affusolate, fecero leva sul ventre di Diana in modo da farla stendere completamente sul morbido letto. Contraria, Diana irrigidì l'addome, ma ciò non fu sufficiente per fermarlo. Il cigolio provocato dalla rete sottostante al letto la fece rabbrividire.
«Non aver paura... Se stai calma potrai anche divertirti» le sussurrò Dario all'orecchio con voce suadente, lasciandole il contatto della sua lingua sul lobo.
Prese a distendersi completamente su di lei, lasciando dello spazio impercettibile fra i loro corpi. Le afferrò la mano destra con dispotismo, e intrecciò le sue dita con quelle di Diana; la sinistra la poggiava sul letto per mantenersi.
I loro volti erano vicinissimi, gli ansimi di Dario sbattevano con insolenza contro la pelle innocente di Diana, facendole quasi schifo. Dalla sua bocca uscivano gemiti di piacere mentre le sue dita lasciarono la mano di Diana, desiderose di palpeggiarla ovunque: si infiltravano maliziosamente all'interno degli indumenti facendoli scendere poco a poco, provocandole ripugnanti brividi persistenti. Lei, Diana, non si era mai sentita talmente umiliata in tutta la sua vita.
I sospiri di fastidio che Diana emetteva, ormai erano finiti; non aveva più alcun senso. Non aveva più la voce per esprimere un suono, un lamento. Le sue prediche non facevano altro che eccitarlo: ogni volta Dario aumentava le strette, e la sua bocca lasciava ansimi più pesanti.
Le faceva schifo.
Dario improvvisamente prese il mento di Diana, tra il pollice e l'indice, e la baciò avido. Lei aveva un grande groppo allo stomaco, e quella situazione l'aveva portata talmente in basso da non farle capire più niente. Diana cercò in tutti i modi di non schiudere le labbra; ma quando Dario fece uscire la lingua, per lei non ci fu più scampo. La danza alla quale esse si sottoposero, ebbe uno sfondo tutt'altro che classicheggiante e romantico: c'era rumore, rock, misti a desiderio da una parte e repulsione dall'altra.
Dario si muoveva lussurioso sul suo corpo, spingeva il proprio bacino contro il suo in modo da farla eccitare. Premeva la sua erezione sulle sue cosce, ed il suo viso così vicino cercava di farle provocare piacere. Ma fu tutto inutile.
Diana lasciò il suo corpo cadere nel vuoto, non percepì più nulla, soltanto il buio che invadeva le sue iridi. Si sentiva oppressa, e sola.
La mano che la  palpeggiava iniziò a scendere definitivamente sotto i suoi jeans, raggiungendo la sua intimità ed infiltrandosi fra essa con prepotenza. Il petto di Diana si alzava ed abbassava, sotto gli occhi famelici di Dario fermi su di lei. Le sue mani avevano ormai tolto i jeans; e man mano pompava lungo il suo membro, facendogli aumentare l'eccitazione.
Il suo peso sul suo corpo le faceva mancare il respiro. Diana strinse impercettibilmente gli occhi: voleva sparire.
D'un tratto, Dario si girò di sfuggita, dando un'inevitabile occhiataccia all'orologio digitale sul comodino affianco al letto. 22:02.
«Cazzo!» diede un pugno iroso alle lenzuola del suo letto.
Il tempo a sua disposizione era scaduto e pure inoltrato; ed il suo animo lavorativo così fiscale lo portò ad alzarsi adirato da quel letto, e concedere a Diana un gran sospiro di sollievo.
«Alzati, e metti quello che ti ho dato» concluse Dario secco, guardando la ragazza veemente.
Ma prima di sbattere la porta della camera alle sue spalle, esordì con istigazione «E non pensare di scampartela così facilmente»
Scese furioso al piano di sotto e si affrettò ad aprire le porte alla giovane clientela, che ormai aveva riempito l'intera entrata.
 

Emma si girò e rigirò in tutte le direzioni possibili, ma non trovava Diana da nessuna parte. Era giunto l'orario di apertura, e come tutte le altre Diana si sarebbe dovuta trovare esattamente al piano di sotto; ma no: lei non c'era.
«Dove diamine sei andata a finire...» Emma sbottò dentro di sé, non volendo farsi sentire da nessuno.
I cigolii provenienti dalle scale a chiocciola in lontananza la fecero voltare d'un tratto: vide Dario scendere le scale furente.
«Capo, - Emma accennò la sua presenza - Apriamo?»
Dario rispose un sì scocciato con un veloce cenno della mano, e sparì definitivamente nel privé.
Emma e le colleghe, ormai 'elegantemente' agghindate, raggiunsero la porta principale.
Ore 22:08. Otto minuti di ritardo.
Le massicce porte in legno in arte povera vennero aperte, dando accesso ad una mandria di giovani e non. Ce n'erano di tutti i tipi: alti e muscolosi, bassi e cicciotti, magrissimi, robusti, con testa rapata, con capelli lunghi; e per le donne... be', le poche signore che venivano a far visita al locale notturno erano decisamente tutte uguali: super seni rifatti, due canotti per labbra, capelli ossigenati. Ma quei clienti - solitamente - erano sempre gli stessi, ed erano amici del capo. Ecco perché lì, i controlli non venivano mai svolti; perché Dario si fidava dei suoi amici. D'altronde, ognuno di loro era fatto della sua stessa pasta: c'è chi era contrabbandiere, chi truffatore e chi malfattore. Amici di vecchia data, nuovi, ma tutti - ogni maledetto giorno dispari della settimana - erano lì, concentrati in massa. E chi, avrebbe continuato a sopportare una clientela del genere?
La povera Emma, dopo cinque lunghissimi mesi, non ce la faceva più; era esausta. Esausta, per essere stata ingannata con un contratto non esistente; esausta di essere sfruttata, ed umiliata in malo modo. Ed Emma pensava ogni minuto a Diana, delle altre colleghe, in effetti, non le importava. Non le era mai importato niente infondo, perché a loro quella situazione pareva essere gradita (a detta di Emma erano sgualdrine-di-natura), invece Emma sapeva che Diana - come lei - era diversa dalle altre. Lei la trovava una ragazza semplice e piena di vitalità, che non poteva di certo essere spenta. Emma voleva tanto provare ad instaurare un'amicizia con Diana, perché immaginava fosse davvero una tipa per bene.
Già, Diana! Doveva cercarla per portarla al piano di sotto.
«Buon Dio... - invocava silenziosamente Emma - fa' presto, ora Dario si arrabbia...»
Seppur portava ai piedi quei odiosi tacchi vertiginosi, si affrettò a salire le scale in un batter d'occhio. Era diretta verso lo studio, Emma era sicurissima che Diana si trovasse lì dentro.
Raggiunta la giusta porta, quella bordeaux alla fine dell'angusto corridoio, la spalancò.
«Diana?»
A passi svelti si avvicina alla libreria scorrevole all'interno dello studio, quando direttamente dal suo posto si affacciò alla stanza adiacente, scorgendo Diana. Piangere.
«D-diana» mugolò Emma. A piccoli passi si avvicinò verso la camera da letto di Dario, e fu lì che la vide tutta per intero.
Era seduta sul letto, con addosso quei vestiti, e la scatola trasparente vuota. Le sue fragili mani poggiate sul viso, i singhiozzi ripetuti... quello scenario drammatico che le si poneva davanti non le migliorò di certo l'umore, già spiaccicato per terra. Emma era ancora in piedi, di fronte a lei. Non le importava più di che ore fossero, del ritardo, della mancata presenza al piano di sotto.
«E' straziante.» Si permise a dire.
Diana avvertì spaventata la sua presenza, e alzò la testa. Emma poté finalmente vederla in volto: un viso distrutto, sfigurato dalla frustrazione. Il mascara ormai colato lungo le guance, gli occhi stretti per trattenere le lacrime argentee.
Ad Emma quella scena faceva molta pena, le si spezzò il cuore. E in un modo o nell'altro, doveva aiutare Diana. Ad Emma nessuno l'aveva sostenuta in quei giorni bui, e mai avrebbe voluto che qualcun'altro perisse ciò che lei aveva vissuto sulla sua pelle, da sola.
Con sorpresa, però, Emma risparmiò il fiato: Diana la precedette nelle parole.
«Mi voleva scopare! - esclamò nel pianto - Lui!»
Quel lui. La voce che emise quel pronome... così straziata, compressa in un urlo. Un brivido percorse le braccia di Emma.
Diana riprese le lacrime ed i lamenti; non poteva assolutamente vederla in quello stato.
«Mi ricordi me, i primi giorni» Emma si sedette in quell'angolino del letto rimasto vuoto, come se fosse stato riservato solo per lei. Era destino; lui aveva deciso che il compito di scappare da quella situazione, fosse stato suo.
«Diana... - Emma la riprese, richiamando a sé stessa del coraggio, che l'accompagnò fino a quel momento - Ci sono io qui. Tu non sei sola...» Il "tu non sei sola" fu tale da provocarle un'altra lacrima.
«Ne usciremo vive da qui, ce ne andremo» La voce di Emma si ruppe in un pianto rumoroso.
«Ce ne andremo, te lo prometto!» ripeté. Questa frase, Emma non la disse mai a nessuno, non ebbe il coraggio di dirla neanche a sé stessa. Sprigionarla dalla sua gola fu il primo passo verso la libertà. Quello non fu solo il momento in cui Emma rincuorava Diana, ma rincuorava anche sé stessa. Emma, giurava ad Emma di andarsene; e mai fu stata più sincera.
Le due si abbracciarono dolcemente, cingendosi i rispettivi colli. Fu un attimo, ma incantevole. Niente era illusorio in quell'abbraccio, erano sentimenti veri da ambo le parti.
Ripicca, rabbia, frustrazione, vendetta... amicizia?
 
 
Diana strinse Emma fra le braccia, e lei fece uguale. Tutte e due, erano unite in quell'istante. Quell'abbraccio emozionante permise ad entrambe di trovare un punto d'incontro; e a Diana piaceva pensare che da quella stretta, sarebbe potuta nascere la loro amicizia.
Ma la domanda principale, che avrebbe sradicato rovinosamente qualsiasi bel momento come quello, era: come sarebbero potute andarsene da lì? Lincenziandosi? No, no, lei non ci stava. Chi l'avrebbe sentito quel bastardo del capo?
«Emma, ma come potremm-?» ma Diana fu prontamente interrotta da un ridacchio ironizzante di Emma.
«Cinque mesi, Diana... - spiegò - Direi che cinque mesi mi siano stati sufficienti per progettare qualcosa, no?»
Una battuta del genere, seppur contornata da piccole scaglie amarognole, diede colore a quella circostanza. Le due risero all'unisono.
«Avanti, allora...» Diana si alzò dal letto per dirigersi nel piccolo bagno in camera, e sciacquarsi la faccia con decenza. Lasciò la porta aperta.
«Qual è il piano?»
 

Dario tenne duro, ma stava per esplodere.
«Dove cazzo sei finita» borbottava mentre passava attraverso le fila di genti, che ormai avevano invaso la sala. Strattonava persone, ragazzi e ragazze da una parte all'altra. Non gli importava niente delle belle donne che al suo avvicinamento si facevano avanti, ben disposte. A lui, importava solo lei. Aveva impresso nella testa qualcosa in sospeso, da portare a termine.
Vide Emma scendere le scale, e avvicinarsi al bancone sul quale lui si era appena appoggiato per bere una birra.
«Dove eravate finite» chiese cauto, confondendo la prepotenza.
Emma iniziò a pulire i bicchieri usati che la clientela aveva appoggiato sul legno. Ce ne erano miriadi, e la serata era appena cominciata. Ma lei non rispose alla domanda: prese lo straccio, e guardava solo i suoi bicchieri.
«Finiti i piagnistei?» Dario ghignò divertito, peggiorando la provocazione con l'imitazione di un bebè in preda alle lacrime.
«Stronzo».
Emma detestava lui, e la sua arroganza.
Dario diede un ultimo sorso alla birra ghiacciata, prima di accennare un "touchè" canzonatorio. Poi si alzò dallo sgabello, e si confuse tra la folla.
Emma prese a fantasticare su come le cose si sarebbero svolte; poi, vide Diana in cima alle scale. Entrambe si scambiarono un occhiolino.
 






 
Angolo autrice
('sta volta rosso... ci sta!)

Buongiorno lettori!
Non so neanche quanto vi abbia fatto aspettare per permettervi di leggere il seguito della storia... dovete sapere che per me, in estate, il tempo è come se non esistesse! Hah
Mi scuso con tutti voi, quindi, per l'attesa e vi ringrazio per la pazienza.
Parlando del testo, vi dico che ho messo in gioco la mia anima per scrivere questo sesto capitolo... e spero tanto, perciò, che tutti i miei sforzi siano ripagati per bene, con vostra approvazione!
Allora... vi è piaciuto? Abbiamo visto un Diana VS Dario, un Diana VS Emma, l'accenno ad un misteriosissimo 'piano', un susseguirsi di provocazioni... COSA SI VUOLE DI PIU' NELLA VITA? Hah!
Spero commentiate facendomi sapere cosa ne pensate; se il capitolo vi sia sembrato pesante o meno... datemi i vostri pareri, anche riguardo i personaggi! (Muoio dalla voglia di sapere cosa pensate di Dario ;-) 
Molto presto entrerà in scena il terzo personaggio della storia... ovvero Zaahid, e poi lì sì che ci sarà il finimondo!

PS. : Un grazie a coloro che seguono la mia storia, che l'hanno inserita nelle preferite, nelle ricordate ed... in tutte le sezioni possibili ed immaginabili! Ringrazio anche chi mi ha messa fra gli autori preferiti, siete adorabili :3 
Spero che, a seguire, la storia vada sempre più a migliorare!

PPS. : Creo questo post-post scriptum per indicarvi un'autrice di EFP, ovvero 
_infreefall, una mia amica. Spero passerete dalla sua storia, vi assicuro che è molto soft, e non ve ne pentirete di certo!

Grazie e alla prossima. 
<3
 "Vi auguro una buona permanenza, NAMASTE." 
SOS_
 

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Capitolo 8
*** Ultimo round - Parte prima ***


VII


Ultimo round - Parte prima

 

La serata 'Da Capaldi' era appena cominciata, e come ogni volta la calca presente in ciascuna sala permetteva a malapena piccoli passaggi d'aria. Sì, Dario - il capo del locale - era sicuramente abituato a quel continuo affollamento; ma quella sera si sentiva esattamente un pesce fuor d'acqua, ed avrebbe preferito vivamente starsene nella sua camera, da solo, come faceva un tempo. Quella sera, era come se gli fosse andato tutto storto, pareva che ogni cosa intorno a lui gli provocasse del fastidio tremendo.
Dario non era per niente tranquillo, seduto su uno dei divanetti del privè, mentre sentiva i suoi amici parlottare all'insegna di una bella sbronza. Lui, era completamente assente nei discorsi. Solitamente a quell'ora era già pronto ad accogliere a braccia aperte qualche eccitante pollastra poco sobria, ma quella volta no. Stranamente, non ne aveva voglia.
Quella sera girava sicuramente un'aria cattiva, ed ogni elemento presente nei dintorni era tale da far nascere in lui solo della rabbia, abilmente repressa in apparenti cenni di serenità. Indubbiamente si sentiva vuoto, ed allo stesso tempo deluso di sé stesso; deluso del fatto che non ci era riuscito, che un Capaldi avesse fallito per la prima volta.
«Tu non me la racconti giusta... - colui che esordì era il tipo sedutogli di fronte, conosciuto nel giro di recente. Il tizio lo guardò intensamente negli occhi, mentre si gustava il suo alcolico in bottiglia - Qualcosa non va?» Ma evidentemente, Dario non fu poi così capace ad occultare ciò che gli frullava per la testa.
Che provava, lui, in quel momento? Cosa lo bloccava a rispondere seriamente?
Dario non era mai riuscito ad esternare a pieno i propri pensieri e sentimenti, e di certo non avrebbe iniziato a farlo quella sera, in compagnia di un insignificante conoscente. Sin da piccolo, lui aveva vissuto una vita molto tranquilla; aveva accanto due genitori davvero attivi ed intraprendenti, pronti a porgli dinnanzi qualsiasi cosa lui richiedesse, e soddisfavano all'istante ogni sua voglia o capriccio. Tutti i bambini del vicinato, allora, invidiavano Dario per ciò che possedeva, e qualsiasi genitore rodeva al pensiero di quanti soldi i Capaldi avessero a loro disposizione.
Dario poteva avere di tutto, infondo, ed i suoi genitori non avevano mai esitato ad accontentarlo... e forse, era proprio questo il vero problema. Non ci fu gusto, per lui, vivere un'infanzia come quella; il ricevere persistente, crescendo, l'aveva portato a divenire un ragazzo capriccioso ed insicuro. Triste ed anche solo, nella sua stanza piena di giochi.
Dario ricorda ancora il giorno in cui compiva dieci anni: organizzò una gran festa nel retro, invitando tutti i suoi compagni di classe, anche se - in verità - fu sua madre a scegliere per lui, ancora una volta. Tutti quei maschietti, felici di essere stati accolti, si rinchiudevano nella stanza di Dario per provare gli ultimissimi giochi della Playstation e divertirsi con tutti i suoi pupazzi. Dario non si è mai tolto dalla testa la convinzione che sua madre organizzava festoni più per sentirsi elogiare l'appartamento, che per la felicità del suo stesso figlio. Dall'altra parte, intanto, ciascuna sua compagna gli correva dietro... perché lui, sì: riusciva ad essere attraente sin dalla tenera età.
Riesce ancora a rivivere quei giorni, in cui riceveva - quasi quotidianamente - spasimanti letterine d'amore da parte delle femmine-della-classe, colorate con penne brillantate e piene zeppe di palloncini volanti a forma di cuore. Queste, venivano firmate da quasi tutte le ragazzine; e Dario ricordava benissimo che il nome di Diana non l'aveva mai trovato scritto in alcun foglio.
A dir la verità, Diana era una bambina davvero strana alle elementari... ecco perché Dario la ricordava perfettamente. Lei non parlava spesso con le sue coetanee; notava che preferiva starsene sul proprio banco, a scrivere intere pagine di quaderno e disegnare sé stessa che portava a spasso delle pecore. Sì, Diana aveva la fissa per le pecore, ed anche per le treccine: le aveva ai capelli ogni santo giorno di scuola, dal lunedì al venerdì! E, parlando onestamente, in lui cresceva il bisogno costante di tirargliele qualche buona volta... ma in verità non l'aveva mai fatto.
Dario accennò lievemente una smorfia sorridente, nel suo stesso ricordo di lei.
Lui era stato capace di farsi scappare, letteralmente, una rara occasione: poteva benissimo invitarla a cena, Diana, ed avere la possibilità di riscoprirsi dopo tanti anni, raccontarsi vecchi episodi, ridere insieme... ed invece? L'aveva sprecata in pieno; si era comportato esattamente come aveva fatto con tutte le altre, come se per lui fosse stata da sempre una perfetta sconosciuta.
Ma forse... per Dario era meglio così. Se fosse arrivato il momento di raccontarsi le proprie vite a vicenda, lui non avrebbe mai voluto parlare della sua. Quando ai tempi delle medie era sempre fuori casa con gli amici, a tentare di fumare spinelli nei parchi, dove la luce non batteva; quando a sedici anni - esausto dell'incomprensione dei suoi, e della sua vita apparentemente perfetta - scappò, per recarsi da suo cugino Salvatore, che aveva già compiuto la maggiore età. E nacque proprio in questo modo la sua nuova vita, quella che iniziò ad intraprendere al fianco del cugino, che di malavita ormai era un esperto. E fu così che nacquero i ladri più temuti della cittadina. I primi furti, azioni illecite... le avevano trascorse insieme, tutte quante. Perfino la loro stessa esistenza poteva benissimo diventare illegale.
Così, Dario crebbe, diventando il perfetto cattivo ragazzo, furbo ed impietoso; sebbene in lui continuava a regnare il tenero cuore di un bambino, ancora in cerca della buonanotte da parte della sua mamma.
Quindi no. Dario non avrebbe mai raccontato della sua vita a Diana, espresso (forse, per la prima volta) ciò che davvero avrebbe voluto per sé stesso.
Lui avrebbe voluto qualcosa di più bello? Non se l'era mai posta quella domanda... e non aveva alcun senso provarci: Dario aveva smesso di essere un ragazzino, e la sua vita ormai gli stava bene così com'era. Anche se il suo vero boss, il suo cuore, era vuoto ed imprigionato: Dario aveva l'enorme bisogno di colmarlo, e nessun soldo rubato per ribellarsi dai suoi genitori e dalla sua vita era mai riuscito ad appagarlo.
Ma mai, mai aveva avuto così tanta voglia di tornare da Diana, averla in pugno e baciarla di nuovo, con più avidità di prima.
«Affari». Dario decise di rispondere al tizio invadente, limitandosi ad una bugia bella e buona.
Il tale, però, sembrava essere maledettamente curioso, e per sua sfortuna gli rivolse ancora un'altra domanda.
«E cosa c'è che non va... precisamente?»
Ma Dario aveva già provveduto ad alzarsi da quel divanetto, ignorandolo maleducatamente, lasciando le sue inutili cazzate a mezz'aria. Decise di uscire dal privè: voleva cambiare aria.
 
Tra uno sbuffo e l'altro, calpestii, bestemmie, odore di alcool e personaggi sballati, Dario non trovò niente di nuovo o di particolare attrazione. Raggiunse l'uscita dopo un faticoso tragitto di strattoni: nel giro di due minuti aveva rifiutato ben altre tre ragazze! Era letteralmente impazzito.
Con l'intenzione di divagarsi, uscì dal locale raggiungendo l'entrata. Aveva la testa confusa, ed un unico pensiero nella mente.
Uno spinello l'avrebbe sicuramente aiutato a divagarsi, per quel poco che poteva durare fino al suo totale spegnimento. Prese l'accendino dalla tasca del jeans e mise la sigaretta in bocca per accenderla.
Il primo tiro che diede fu così liberatorio che Dario sembrava sentirsi già meglio; assaporò completamente il fumo che si espandeva nella bocca e penetrava la gola, fino a rigettarlo dal naso e sentirlo più intensamente. Adorava quel sapore, quell'odore. Dario non aveva mai rinunciato alla Marijuana, da quando iniziò a procurarsene.
Era completamente solo, lì fuori, fino a quando sentì degli innocui passetti dietro di sé. Un altro tiro, e poi Dario smascherò chi aveva alle sue spalle. Il cuore iniziò a palpitargli, ed il fumo che aspirava gli si bloccò letteralmente nella gola per qualche secondo. Era Diana.
Si presentò proprio come Dario le aveva detto di fare. Aveva un corpetto nero, allacciato saldamente da stringhe colorate di rosso, il cui colore richiamava il reggiseno in pizzo che si intravedeva dalla la trasparenza del corpetto stesso. La stretta gonna in stoffa nera non faceva altro che accentuare le sue curve, così perfette agli occhi di Dario. Anche solo a guardarla, gli si toglieva il fiato. I tacchi alti che Diana portava ai piedi la slanciavano maestosamente, confidandole una siluette snella ed imponente, proprio come piaceva a lui.
Dario non faceva altro che guardarla e formulare mille pensieri in testa, solo su di lei. La vedeva muoversi attenta per tutto il parquet, cercando di non incepparsi nelle fessure fra un legno e l'altro. Era simpatico il modo in cui lei guardava minacciosa il pavimento sotto i suoi piedi, e si concentrava a fare piccoli passi, fino a raggiungerlo.
Dario riteneva che Diana fosse di per sé una bella ragazza, fin da quel giorno che la incontrò per strada; ma agghindata in quel modo... Dario aveva semplicemente il fiato mozzato. Gli piaceva tremendamente il suo corpo, la sua voce, ed i suoi modi di fare. E' il desiderio di ogni delinquente avere una bella donna al proprio fianco, ma non tutte sono adatte ad adempiere nel compito. E, di certo, una figura così pura e fragile come quella di Diana avrebbe stonato al fianco di uno come Dario. Era come se si affiancasse una farfalla ad un leone. Bizzarro ed impossibile, no?
«Indovino... - tagliò corto Dario con ironia, evitando in tutti i modi quel silenzio imbarazzante - Morivi dalla voglia di rivedermi».
 
Diana odiava dover aspirare fumo altrui. Odiava le sigarette, gli spinelli e qualsiasi genere di cosa capace di importunare la propria salute. Ma il piano prevedeva una regola fondamentale, ovvero portarlo a termine. Emma e Diana si erano accordate in precedenza, dopo aver animatamente confabulato un qualcosa che lo potesse incastrare. Ebbene: erano riuscite a buttar giù qualche idea e, messo insieme un tassello con un altro, erano riuscite ad architettare qualcosa di geniale. Bastava solo far funzionare ogni cosa.
«Le tue simpatiche battute sono come spine conficcate nei fianchi...» replicò Diana sarcastica, dando testa alla provocazione.
«Apprezzo». Sentì ribattere, dopo pochi secondi.
Dario si era finalmente sbarazzato della sua sigaretta, buttandola per terra; e Diana poteva quindi essere libera di avvicinarsi a lui, maliziosa, rispettando rigorosamente ogni punto del progetto.
Si muoveva cauta verso la figura di Dario, fino a quando non si trovarono distanti qualche centimetro. La voglia di vendicarsi e di ingannarlo anche lei, le trasaliva per tutto il sistema nervoso.
«Apprezzi anche il fatto che sia venuta qui fuori, per te?» Diana cercava in tutti i modi di camuffare la sua voce in un tono sensuale e, soprattutto, adatto a convincerlo. Sperava vivamente che riuscisse tutto alla perfezione: se l'avesse scoperta, sarebbe stato un guaio.
Diana, purtroppo, vedeva Dario non reagire all'istigazione, perciò passò ai fatti. Appoggiò provocante la mano sul suo collo, cercando in tutti i modi di farlo rabbrividire al tocco, e Diana ci riuscì. Sentiva il corpo di Dario irrigidirsi, e quando delineò sulla sua pelle fredda cerchi irregolari con la lingua, lo sentì gemere in modo silenziosamente virile. Dario sospirava, lasciando uscire dalla sua bocca aria calda che si scontrava con i capelli di Diana.
«Tu non mi freghi». Le sussurrò a denti stretti. Racchiuse nelle mani il suo morbido viso, e fece subito in modo che loro bocche si unissero ancora una volta, e dopo qualche secondo diventarono un tutt'uno: moriva dalla voglia di assaporare di nuovo le sue labbra. Lui la teneva stretta, come se volesse non farsela scappare più. Le sue mani afferrarono quelle di Diana e lambirono con la punta dei pollici i suoi polsi. Diana lo sentiva avvicinarsi ancora un po' a lei, dopo il bacio. Entrambi cercavano in tutti i modi di riprendere il fiato mancante; ma a Diana le si bloccò nuovamente in gola, quando le labbra calde e morbide di Dario si posarono sulla sua spigolosa spalla scoperta. Lasciò piccoli baci umidi talmente ravvicinati, che era come se avesse disegnato una scia.
Dario aveva bisogno di riprendersi, e voleva cercare di fare troppe cose tutte insieme. Voleva baciarla per ore, guardarla negli occhi fino a fargli mancare il fiato, impossessarsi pienamente del suo corpo.
Riprese a baciarla, come se le sue labbra gli mancassero. Dario si rendeva conto che quella sarebbe stata la sua ultima possibilità, quindi cercava di godersela a pieno. Le loro lingue si esploravano e si cercavano insieme. Era un bacio pieno di mancanze da una parte, e di vendetta dall'altra.
E proprio quando l'immaginazione inizia ad essere cosparsa dal desiderio fino a ricoprirla completamente, quando Dario stava vivendo un proprio frammento di felicità, ecco che tutto si spacca in mille pezzi. Un paio di fari luminosi provenienti da un'autovettura in lontananza accecarono quel momento, così tanto da spezzare l'unione dei loro corpi accalorati.





 
Angolo autrice
 
Buongiorno lettori! 
Vorrei tanto materializzarmi... chiedo venia, umilmente, per come sono stata cattiva. Ho aggiornato solo adesso e mi dispiace... perciò MI SENTIVO IN DOVERE DI PREMIARVI, proponendovi questo "capitolo-bomba", pieno di colpi di scena.

Questo settimo capitolo è uscito così lungo, che ho dovuto dividerlo in Parte Prima e Parte Seconda. Se entro oggi riceverò delle recensioni (spero appaganti), domani stesso pubblicherò la seconda parte, già pronta.

Il piano di Emma e Diana sembra funzionare alla perfezione... ma qualcosa potrebbe andare per il verso sbagliato (dome d'altronde tutti i piani ben studiati). Ma nulla di certo si sa, per ora. La verità la si scoprirà solo leggendo!
Spero, quindi, che mi perdoniate. Mi rendo conto che la storia potrebbe smettere di essere seguita se gli aggiornamenti sono lenti, ma ho avuto dei problemi... e farò di tutto per velocizzarmi!
Per concludere, spero che questa parte vi sia piaciuta; gradirei ricevere vostri pareri/critiche per capire se è stato un testo troppo pesante oppure no.
Vi aspetto, allora! Vi ringrazio vivamente per la pazienza!
Baci. <3
SOS_

 
 
 

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Capitolo 9
*** Ultimo round - Parte seconda ***


VIII
 

Ultimo round - Parte seconda
 

L'auto si avvicinava sempre di più, fino a quando non raggiunse l'entrata.
Finalmente, Diana capiva di cosa si stesse trattando, ed iniziò ad agitarsi irrimediabilmente. Si era appena avverato ciò che non voleva che succedesse: qualcosa del piano era andata per il verso sbagliato.
Perché Emma aveva avuto così tanta fretta di chiamare la polizia?
Avrebbero dovuto farlo insieme la mattina seguente, come da patto. Diana voleva sapere assolutamente il motivo per cui la bionda avesse mandato tutto all'aria.

Dal veicolo blu e bianco scesero minacciosi due individui in divisa: uno alto e robusto; l'altro, poco più basso, aveva un taccuino nero tra le mani.
Diana mordicchiava insistente le sue unghie, e non staccava lo sguardo da Dario. Perché lui le sembrava... così maledettamente tranquillo? Insomma, era lui ad essere dalla parte del torto; perché Diana era l'unica ad essere nervosa in quella situazione così angosciante?
«Dario... Capaldi, giusto?» esordì all'improvviso l'uomo più minuto, facendo sussultare Diana, già agitata di per sé.
«Vedo che non ci si dimentica facilmente del mio nome... - replicò Dario. Sembrava fin troppo pacato, e questa sua particolare visione non faceva altro che aumentare la tensione di Diana - E' sempre un piacere rivederti, Eusebio». Nel pronunciare quel nome strampalato, Dario non riuscì a trattenere un ghignò divertito. In quanto al poliziotto, be'... lui non aveva niente da ridere.
«Anche per me è un piacere pensare di rivederti in cella dopo due anni, Capaldi. - il poliziotto gli si avvicinava cauto, con le manette in mano - Perché è solo lì che quelli come te possono stare». Egli lanciò quella perfida provocazione, scandendo parola dopo parola. I due avevano già avuto modo di conoscersi dal momento del primo arresto di Dario, ai suoi diciannove anni.
Il giovane rosso rimase in un religioso silenzio, fino a quando non fu lui stesso a porgere i propri polsi al signor Eusebio, con le mani strette in due pugni. Sembrava come rassegnato all'idea che il destino, per lui, fosse già stato scritto.
Diana, intanto, guardava la scena allibita: era per colpa di Emma che Dario era stato arrestato. O meglio, per colpa del loro stupido piano. Le batteva il cuore a mille, e qualcosa le diceva che non sarebbe dovuta andare in quel modo. Che Diana stesse iniziando a provare pena per lui?
"Stupida - diceva Diana a sé stessa, ripetendoselo nella mente - Stupida, stupida!"
Proprio in quel momento iniziava a pensare che le cose sarebbero potute essere risolte in maniera diversa, magari più pacifica; e si scordava della paura che Dario le aveva conferito e dell'inganno che aveva creato, mentre sentiva il fastidioso rumore del ferro delle manette che si serravano.
Altre auto in lontananza si appressavano all'entrata; Diana avvertì solo le luci alle sue spalle, ma non volle voltarsi. Era impegnata a guardarsi con Dario.
«Ci è arrivata una denuncia in commissariato... - continuò Eusebio, rovinando una seconda volta un momento intenso - Evasione fiscale, frode, spaccio... niente di nuovo, se non fosse per prostituzione indotta. Questa... mi sembra fosse l'unica che ti mancava, Capaldi».
Nel frattempo le tre macchine li raggiunsero, ed almeno una decina di finanzieri andarono spediti verso la porta principale, facendo irruzione nel locale.
«Non si preoccupi signorina, - ora Eusebio si rivolgeva a Diana, toccandole la spalla come per confortarla - ora è tutto apposto: meglio perderlo il lavoro, se gestito da persone del genere». Finì, guardando Dario con minaccia.
A Diana vennero quasi gli occhi lucidi per la tensione e la paura messe insieme. E se Dario avesse scoperto un giorno che fosse stato un loro piano... cosa le avrebbe fatto? E perché si sentiva in colpa se Dario le fissava gli occhi?
Lei voleva tanto stringergli la mano per consolarlo, o magari tornare indietro all'ultimo bacio. Ma doveva smetterla di preoccuparsi sempre degli altri, al fine di trascurare sé stessa. Per quanto potesse dispiacerle vedere Dario in manette, doveva pur capire che era solo ciò che si meritava. Nonostante tutti gli sguardi, le strette, i baci che si erano scambiati... niente poteva far ricredere Diana. Non aveva motivo di ricredersi, lei.
"Se lo merita." Ricordava alla mente, mentre lo guardava che fissava il pavimento. Pareva così indifeso, mentre fissava il pavimento.
«Lei è la fidanzata?» Riprese lo stesso poliziotto, ficcanaso, rivolgendosi a Diana. Lei si affrettò a rispondere di "no", mentre Dario si limitò a sbuffare. Eusebio, che a detta di Diana poteva averne sulla cinquantina, non sembrava essere convinto della risposta, ma lasciò andare.

Dopo circa un quarto d'ora la squadra di finanzieri uscì dal locale. Ognuno di loro aveva un delinquente nelle mani; Diana ne riconobbe qualcuno visto in precedenza nel locale, e non poté sicuramente sfuggirgli Salvatore Capaldi, che guardava furioso l'uomo che gli teneva stretto il braccio.
«Bene, capo - annunciò il secondo poliziotto, quello alto, che fino ad allora non aveva proferito parola - secondo la lista del denunciatore, siamo al completo».
«Eccellente». Sussurrò Eusebio, lisciandosi il baffo tinto di biondo. Poi iniziò a dare una serie di ordini a qualche poliziotto rimasto senza nulla da fare. Gli altri, intanto, avevano sbattuto nelle auto le rispettive canaglie.
«Signorina, loro - indicando altri tre agenti - rimarranno qui a sgomberare il locale. Lei e le altre avete tutto il tempo di  prendere le vostre cose, e tornare tranquillamente a casa. Potrete dire addio a questo locale, verrà sequestrato».
Diana lo ascoltava, e non lo ascoltava. Aveva i neuroni ancora storditi ed annebbiati, ma la sua sensazione di sentirsi in colpa per una cosa della quale non avrebbe dovuto, era pressoché svanita. Pareva esserlo.
«Forza, Capaldi, si torna a casuccia! - esortò Eusebio, ponendo ancora più insolenza - Ultime parole?»
«Eusebio, - Dario finalmente prese parola, e Diana si sollevò. Non era del tutto andato - Vai a fare in culo». Decisamente: Dario non aveva perso il suo speciale senno, e replicò l'ennesima provocazione con tono soave.
Il poliziotto sospirò, non curandosene dell'insulto che aveva appena ricevuto. Evidentemente gli sbirri ne sopportano così tanti al giorno, che anche il più triste di tutti per loro è il più banale.
«Ti do due minuti» Eusebio si allontanò dai due (seppur di qualche centimetro) per dimostrare una certa concessione di privacy, quando Dario tornò a parlare.
«Non ne ho bisogno. - si rivolse verso Diana, il cui stomaco le andava in fiamme - Mi ha fatto piacere averti rivisto quella mattina».
Un ultimo, voglioso, semplice, sfacciato, desiderato bacio a stampo diede fine alla sceneggiata. Dario aveva le mani legate dalle manette, e per suo dispiacere non poteva toccarla un'ultima volta.
"Grazie" le sussurrò infine, ma non era sicuro l'avesse sentito. La tensione che Diana stava provando era palpabile, e Dario se ne accorse eccome. Rise, all'idea di vederla in quello stato.
Eusebio fu pronto a trascinare - per sua tremenda felicità - Dario nel veicolo; e nell'esatto istante in cui lo sportello dell'auto venne chiuso, Diana perse un battito.

---

«Tu!» Diana, a passi svelti si appressava verso la figura euforica di Emma. La indicava furiosa con l'indice, così dritto verso la sua direzione, che sembrava essere steccato. «Eccoti, maledetta
Diana era appena entrata nel locale, ormai sgomberato da tutta la gente; più per l'urlo che aveva cacciato, che per l'efficienza dei poliziotti.
«Diana! Hai visto?!» Emma non sembrava avesse sentito l'ultima imprecazione a lei rivolta, ma quando vide la mora avvicinarsi minacciosa, strabuzzò gli occhi.
«Certo che ho visto! Avevamo detto di fare tutto domattina, perché li hai chiamati così presto!» Diana si sfogò, strillando tutte quelle parole una di seguito l'altra, velocemente. Non importava se le altre colleghe, che stavano per sloggiare di lì, la guardavano impietosite.
Diana aveva le mani nei capelli. Non voleva che tutto quello che era successo, accadesse sul serio. Non voleva lasciarlo nel momento stesso in cui si stavano scambiando quel bacio! Modo obbrobrioso per darsi un addio. E a dirla tutta, pensò Diana, anche Dario poteva benissimo sforzarsi poco di più... invece che enunciarle un misero "Mi ha fatto piacere averti rivisto quella mattina." come finale.
«Chiamati? - Riprese Emma, iniziando a ridere sguaiatamente - Ma non ho chiamato nessuno, io!»
Come un corpo appena abbandonato dalla possessione del diavolo, Diana si girò scattante verso il viso gioioso di Emma.
«Non ho fatto un bel niente, questo è il bello!» continuò ad esclamare la bionda, ormai presa in pieno dalla felicità.
Diana, esausta di tutto quello che aveva sentito fino allora, appoggiò istintivamente una mano sulla bocca ed indietreggiò a piccoli passi.
Non era stata Emma a chiamare la polizia. E allora, chi avrebbe potuto farlo?
Diana stava per svenire: miriadi di immagini casuali le martoriavano la testa, facendola scervellare. Emma che la sbatteva avanti e indietro per la contentezza stava solo peggiorando il suo stato di salute.
«Diana! Non sei contenta?!» Diana, stordita, preferì non rispondere.
Emma fu occupata a correre spensierata per tutta la sala principale; Diana rimase sola, al centro dello spazio.
Ne era davvero felice?




 
Angolo autrice

Ed eccovi proposta la seconda parte del capitolo "Ultimo Round", il cui nome non è stato dato proprio per caso.
Veniamo, dunque, a sapere che il piano di Emma e Diana ha funzionato... anche se per il verso sbagliato! Insomma: Dario e la sua banda sono ormai stati arresti, ed era proprio questo ciò che loro volevano. Ma una domanda non ha avuto ancora un'adeguata risposta: chi ha fatto scattare la denuncia, se non Emma o Diana? Questo è un vero e proprio mistero, che rimarrà irrisolto fino al momento giusto. Intanto, restano in scena una Emma ed una Diana senza lavoro, che per adesso dovranno arrangiarsi. 
Dal prossimo capitolo cambierà la data degli avvenimenti, e si ritornerà al presente... come nel primo capitolo della storia!
Vi ricordate? Emma e Diana hanno un appuntamento a cena. Sccederà qualcosa di eclatante? Lo scopriremo!


Gradirei sentire i vostri pareri sul capitolo. Come vi sembra la vicenda di Dario? Avete da ridire sull'interminabile indecisione di Diana? Vi aspetto nel reparto recensioni, allora, miei fedelissimi lettori. Vi ringrazio di tutto.
Baci, e a presto. <3
SOS_

PS. : La scuola è iniziata, e sicuramente sarò lenta ad aggiornare; ma non creo allarmi: questa storia non la chiuderò MAI, e in ogni caso vi avviserò mandandovi un messaggio ad ogni aggiornamento!




 
 
 

 
 
 

 

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