Le mille stanze del Tardis - L'Ultima Porta di Yahohel (/viewuser.php?uid=151722)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 4: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 5: *** Quarto Capitolo ***
Capitolo 6: *** Quinto Capitolo ***
Capitolo 7: *** Sesto Capitolo ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
“Rose
premi quel
dannato pulsante!” urlò il Dottore
schivando un colpo di laser.
“Cosa credi stia cercando
di fare? Non ci arrivo!” sbraitò
lei tendendosi fino allo spasimo. La riuscita della missione era nelle
sue
mani.
“Dipende tutto da
te!” l’altro si abbassò di nuovo e
puntò
l’arma verso i nemici, facendone fuori un paio.
Urla disperate erano
nell’aria e Rose temette sul serio di
non farcela. Il magico bottone era lì, a pochi passi e lei
cercava di
raggiungerlo senza esporsi, dato che la sua pistola era stata distrutta
da un
colpo più audace dei loro avversari.
Osservò attentamente la
situazione: in pochi balzi poteva
farcela, ma sarebbe stata esposta al fuoco nemico. Il Dottore era
troppo
lontano e aveva quasi finito i proiettili, lo dedusse facilmente da
come
imprecava in Gallifreyano agitando il cacciavite sonico.
Era tutto nelle sue mani
perciò, con la stessa audacia di
quando aveva salvato Mickey e Dumbo
dalla Coscienza Nestene, si lanciò nel vuoto finendo a pochi
passi dal fatidico
pulsante.
Senza pensarci troppo, lo colpi con
la mano.
Le urla cessarono e le luci si
accesero, illuminando il
suolo della battaglia.
Il Dottore corse verso di lei e
l’abbracciò. Si guardarono
negli occhi e si sorrisero.
Poi l’idillio fu spezzato
da una musichetta metallica e un
braccio meccanico che tendeva verso di loro un gigantesco Tardis di
peluche.
“Congratulazioni, avete
vinto!” fece una voce robotica.
Se non si fosse capito, la battaglia
cruenta con pistole e
urla diaboliche era uno dei loro giochi preferiti al Luna
Park del Tardis.
Note
dell'Autrice:
Ciao
a tutti! Dopo
un anno (?) sono tornata con il Sequel de "Le mille stanze del
Tardis"! So che a nessuno fregherà nulla, ma in caso
spedirò un mp a
quanti seguivano la storia originale u.u
Modificherò questa storia appena avrò un computer
decente, ad esempio font,
titolo, introduzione.. tutto praticamente!
Ci tenevo a pubblicare, comunque. Il primo capitolo è
già scritto, i prossimi
li avrete una volta finita la maturità.
Baci,
L.
Edit
(19/06/15)
Forse vi sembrerà
non sia cambiato nulla, beh.. non è così! :D Btw,
Ho alcune comunicazioni da
fare:
Primo,
la storia
non ha ancora un titolo che non sia Sequel, come avrete notato. Appena
mi verrà
in mente lo cambierò .///.
Secondo, il
prossimo capitolo lo avrete la prossima settimana (Ho l’orale
il 25, dopo questa
data posso scrivere liberamente :)
Terzo, il rating forse
cambierà, per questo ho messo il
giallo come base ma è quasi
sicuramente
destinato a salire. Vi farò sapere ;)
Baci,
L.
|
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Capitolo 2 *** Primo Capitolo ***
Primo
Capitolo
Era passato qualche giorno dal
ringiovanimento forzato del
Dottore e, una volta tornato normale e superato l’imbarazzo,
avevano deciso di
prendersi una pausa da battaglie galattiche e esplorare la loro casa.
La loro prima tappa era stata proprio
il Luna Park per
tenere fede alla promessa fatta a John. E il Dottore adulto aveva
mostrato di
apprezzare, comportandosi esattamente come la sua copia rimpicciolita.
Se non peggio,
si
disse Rose mentre osservava il suo amico abbracciare l’enorme
pupazzo blu come
se fosse stato un cucciolo.
Per quanto riguarda il resto,
beh… Rose aveva scacciato
abilmente tutti i rossori sulle guance e i pensieri scomodi.
Il suo problema era che le 24 ore
passate con John le
avevano permesso di pensare al Dottore senza la solita routine
sballottamento –
mostro – bava. E senza il Dottore, di fatto.
Perciò se prima poteva non
pensare a quanto fosse carino anche
coperto di muco arcobaleno,
con il bimbo aveva potuto notare tutte le somiglianze e, di
conseguenza,
apprezzare un po’ di più il suo amico alieno.
Era tutto così complicato!
Per sua fortuna il Dottore interruppe
i suoi pensieri che
tendevano pericolosamente allo sdolcinato, lanciandole addosso il
premio
ricevuto dopo aver urlato il suo nome come avvertimento.
“Bei riflessi”
commentò sarcastico, dopo che lei lo ebbe
fatto cadere al suolo.
“Si può sapere
perché me lo hai lanciato?” domandò
stizzita
Rose guardandolo male mentre raccoglieva la prova della loro vittoria.
Il loro
mini Tardis si era completamente sporcato di polvere, capelli
– marroni, evidentemente non suoi
– e zucchero
filato rosa, creando una colla disgustosa proprio sopra la scritta
“Police”
dell’insegna.
“Per testare le tue
abilità motorie” replicò prontamente
lui. “Carenti” aggiunse abbassando lo sguardo sul
peluche.
“Credo sia ora di scoprire
dove sia la lavanderia” sospirò
la ragazza, agitando debolmente l’oggetto incriminato, mentre
notava le enormi
macchie colorate sui loro abiti. Il Signore del Tempo doveva aver di nuovo modificato il gioco, inserendo
proiettili
di vernice al posto dei classici laser.
“Ti avevo detto solo
laser!” fece spazientita.
“Sono
laser”
borbottò lui colpevole abbassando la testa.
Occhiataccia.
“Laser colorati,
quando ti colpiscono ti tingono”
Altra occhiataccia.
“Vanno
via giuro!”
esclamò con aria supplicante.
“Sarà meglio per
te”
*
Il Tardis doveva voler molto bene al
Dottore, perché non
appena uscirono dal Luna Park si aprì davanti a loro una
porta, rivelando una
spaziosa lavanderia con le vetrate e porte scorrevoli.
Sembrava di stare in un hotel,
circondati da lenzuola
candide e asciugamani profumati.
Non si stupì
più di tanto nel trovare una sezione con i loro
nomi.
Le sue cose e quelle del Dottore,
ovviamente, si
distinguevano: le prime rosa, le altre con motivi indecenti
di cacciaviti sonici, Tardis e banane. Ecco svelato come
i loro vestiti tornavano automaticamente puliti e profumati negli
armadi.
Da quando viaggiava con il Dottore,
infatti, non aveva più
fatto il bucato. All’inizio portava tutto da Jackie ma poi,
dopo aver ritrovato
la sua adorata maglietta rosa pulita, quando era certa di averla
lasciata
coperta di muco e scorie aliene, aveva cominciato a notare come i suoi
vestiti
fossero sempre in ordine e profumati nei cassetti, rendendo inutile la
lavatrice di casa Tyler.
Non che sua madre si fosse lamentata
di non dover più
smacchiare residui disgustosi dai suoi indumenti ma,
rifletté Rose, era molto
tempo che non passava a salutarla.
Questa era l’ennesima
avventura con il Dottore che, se non
la spediva mille anni più avanti, la teneva ugualmente lontana da casa.
Un rumore assordante di vetri rotti
le fece alzare lo
sguardo. Quell’impacciato essere alieno del suo amico era inciampato in uno stendino,
facendoli cadere tutti con
effetto domino contro una delle porte scorrevoli.
Si ritrovò di nuovo a
ringraziarlo mentalmente per averla
riscossa dai suoi pensieri, nonostante il disastro che aveva causato.
Ecco
perché non aveva
mai tempo di pensare ai suoi sentimenti, aveva una trottola come guida
turistica! Ridacchiò tra sé e
sé prima di cimentarsi in una ramanzina alla
Tyler.
*
Ne è valsa la pena, si
disse il Dottore mentre cercava di
chiudere l’apparato uditivo all’assalto di Rose.
“Non
è normale che tu
non sappia fare due passi in linea retta senza distruggere due o tre
galassie!”
Certo, il mondo era decisamente un
posto più silenzioso
mentre lei era assorta nei suoi pensieri, ma non faceva bene ai suoi due cuori vederla triste e pensierosa.
Era come se nella sua testa si accendesse una luce lampeggiante e
l’equazione “Rose
zitta = Rose triste = Rose torna a casa” illuminava a
caratteri fluorescenti il
suo campo visivo.
Sapeva che per un essere umano stare
tanto lontano da casa
era difficile. Lo era anche per lui,
e non aveva più nessuno da riabbracciare né un
posto dove tornare che non fosse
il Tardis.
Ma Rose non
poteva
andarsene. Non dopo quello che aveva visto di lui nelle fatidiche 24
ore. Si
era mostrato vulnerabile, adorabile certo,
ma vulnerabile, e aveva lasciato trapelare cose che non ricordava gli
appartenessero.
Ma riflettendoci bene, non era certo
il suo momento di
debolezza la ragione per cui non avrebbe mai permesso a Rose di
abbandonarlo.
Era semplicemente un motivo in più, ma non l’unico
in cui fosse palese il suo
attaccamento alla ragazza.
La lista cominciò a
scriversi da sola, nella sua testa,
partendo da “Hai scelto una
rigenerazione
giovane per piacerle”, passando per tutte le volte
che aveva cercato di
tenerla al sicuro. Quando le scene con Rose cominciarono a scorrere
caoticamente– ma sempre in maniera comprensibile per il suo
cervello alieno –
si rese conto che forse sarebbe stato meglio bloccare
l’afflusso di ricordi. Si
permise solo di riguardare un’ultima volta la scena del loro bacio.
Anche se quella non era veramente
Rose, ma Cassandra, il suo
corpo caldo e le sue labbra morbide non lo avevano fatto dormire per
due notti.
Metaforicamente,
ovvio, dato che lui non dormiva. Diciamo che gli avevano tenuto la
mente
occupata per un po’.
Conosceva l’effetto che
Rose aveva su di lui, era troppo intelligente
per non saperlo, ma
il destino invece di aiutarlo lo faceva sempre finire in situazioni
compromettenti.
Prima una pazza donna-pelle li aveva
fatti baciare – si
vergognava ancora del suono molto poco
virile uscito dalla sua bocca subito dopo – e
ora… Era diventato un
bambino, mostrando tutta la sua debolezza.
Certo ci aveva guadagnato una notte
nello stesso letto di
Rose Tyler, ma appena si era reso conto che la ragazza stava per
svegliarsi era
saltato su ed era fuggito.
Avrebbe dovuto andarsene prima,
appena ritrasformato, ma il
viso di Rose era così
vicino e il suo
respiro caldo lo attirava, quindi si era crogiolato un po’
nel tepore del suo
corpo, rimandando di minuto in minuto.
Si era dato del pazzo varie volte,
soprattutto nei momenti
in cui il suo cervello cominciava a vaneggiare su quanto
Rose fosse carina mentre sorrideva con la lingua tra i
denti, o la mattina della trasformazione quando – struccata, per una volta – gli
aveva rivolto uno sguardo tra l’assonnato
e il ferito afferrando la tazza che lui le stava porgendo.
In quel momento si era sentito
davvero in crisi,
temporeggiando sulla porta, indeciso se andare lì e baciarla
o, semplicemente, fuggire. Aveva
scelto la seconda
opzione, come al solito, anche se le farfalle che si agitavano nel suo
stomaco chiedevano
a gran voce altro.
Ma non poteva. Davvero,
non poteva.
*
Rose aveva smesso di parlare
già da un po’, non appena si
era resa conto che il Dottore era con la testa su
un altro pianeta.
Si chiese se fosse opportuno
ricambiargli il favore; dalle
rughe sulla sua fronte non dovevano essere pensieri positivi.
Gli posò una mano sulla
spalla, facendolo sobbalzare.
“Torna tra noi!”
sorrise.
Poi le venne un’idea.
“Vieni, ti insegno a fare il bucato!”
propose.
“Guarda che non sono
più un bambino!” ridacchiò lui in
risposta, mentre lei lo prendeva per mano portandolo davanti alle
lavatrici.
Lei inarcò il sopracciglio
“Mi stai dicendo che sai
come si lavano i panni? In 900 anni
di vita non hai mai messo piede qui dentro, secondo me” lo
prese in giro.
Il Dottore abbassò lo
sguardo, colpevole. “Non ne ho mai
avuto bisogno” sbiascicò a testa bassa.
“Viziato”
mormorò
lei.
“Ehi! Vuoi scommettere
che riesco a farle funzionare?” fece l’altro, punto
nel vivo, pentendosene un
attimo dopo.
La ragazza ridacchiò, poi
torno seria.
“Ci sto! Stabiliamo le
regole” alzò il pollice “Primo:
Nessun aiuto dal Tardis”
Il Dottore aprì la bocca
per ribattere, poi la richiuse. Poteva farcela.
“Secondo”
sogghignò “Dammi il cacciavite sonico”
Il Signore del Tempo
sbiancò. “NON PUOI! E’ COME UN FIGLIO
PER ME!”
“E’ solo una
misura preventiva” spiego lei pazientemente
“per impedirti di barare”
Quando lo strumento fu in suo
possesso continuò sorridendo.
“Terzo: Hai dieci minuti di vantaggio”.
Lo sguardo dell’altro si
fece un po’ meno abbattuto alla
notizia.
“Allons-y!”
*
La sfida era cominciata
già da cinque minuti, e Rose si
stava gustando i tentativi del Dottore di capire quale,
tra i mille saponi colorati, andasse infilato dove.
Con i capelli arruffati e la
cravatta allentata, il suo amico pareva concentratissimo, ma aveva
ottenuto il
solo risultato di aprire lo sportello e sbatterci la testa.
Fece un profondo respiro, poi si
atteggiò a persona che sa quello
che sta facendo.
“Allora, è evidente
che questo è il foro in cui vanno inseriti
i vestiti” fece sicuro di sé, indicando
l’apertura circolare.
“Che scoperta
stupefacente!” sussurrò divertita la ragazza,
ricevendo un’occhiataccia in risposta.
“Poi… va versato
il sapone” continuò titubante. Ma quale?
In crisi si sedette per terra in
mezzo ai flaconi,
analizzandoli più da vicino.
“Questo con
l’orsetto? Oppure con la volpe?” fece
prendendone due in mano “Non potevano chiamarli con i numeri?
Prima questo, poi
questo…” si lamentò sconsolato.
-BEEEEEP-
Un suono fastidioso lo distrasse,
facendogli alzare la
testa.
“Ho chiesto al Tardis di
impostare il timer”
spiegò la ragazza “Il tuo vantaggio è
scaduto”.
*
Il Dottore osservò Rose
avviarsi alle lavatrici. Aveva fatto
male a sottovalutarla, chissà quante sessioni
di bucato era stata costretta a sopportare vivendo con Jackie,
pensò.
L’unica cosa da fare, era
osservarla e cercare di capire
come funzionassero quei dannati cosi.
Rose prese la cesta dei suoi vestiti
macchiati e aprì due
sportelli.
Aspetta, cosa?
Osservò meglio. Aveva
infilato jeans, maglietta fucsia e
altri vestiti non identificabili in
una lavatrice, l’altra metà in un’altra.
Perché mai?
Non ebbe tempo per interrogarsi
oltre, perché la ragazza si
era diretta verso i detersivi.
Le dava le spalle, forse per non
permettergli di vedere cosa
faceva, poi tornò alla lavatrice con due contenitori,
mettendone uno in ogni
sportello.
Dopo aver premuto un pulsante, si
girò a guardarlo,
divertita.
Aveva finito. Come era possibile?
Senza mostrare segni di cedimento
– era una guerra, non
poteva permetterselo – si
alzò e prese la sua cesta. Avrebbe vinto lui.
*
Si preannunciava una catastrofe. A
tutti gli effetti. Ma lei
era lì, fiera, e non avrebbe mostrato compassione,
nonostante l’evidenza
dell’incapacità del Dottore nelle faccende
domestiche.
Sperò tanto che il Tardis
fosse impermeabile,
perché già nella sua testa si figurava
un’inondazione.
Sapeva che l’altro aveva
seguito tutte le sue mosse, ma gli
mancavano informazioni basilari.
Che
i colorati e i bianchi andavano separati,
ad esempio. O la temperatura adatta. O il tipo di detersivo.
Probabilmente
non sapeva neanche cosa fosse una centrifuga.
Si mise le mani tra i capelli. Forse
avrebbe dovuto
aiutarlo. Per la loro incolumità,
come minimo.
Lo osservò mentre
rovesciava metà flacone nel contenitore e
l’altra metà per terra,
incolpando la
bottiglia del danno.
No, non si sarebbe lasciata
intenerire dal suo faccino e
dalla sua adorabile imbranataggine.
Sarebbe andata in cucina a preparare un thè, per
consolarlo quando avrebbe inevitabilmente perso,
ridacchiò
malignamente.
*
Dell’acqua filtrava sotto
la porta della cucina dal
corridoio.
Prevedibile,
pensò
Rose posando la tazza sul bancone.
Si prese solo un secondo per gustarsi
le urla dell’amico
dall’altro lato che supplicavano aiuto contro
il mostro di bolle di sapone.
Poi si alzò e
uscì sogghignando, con il Mocio Vileda in
spalla.
Note
dell’Autrice:
Ciao
a todos! So di avervi detto che avrei pubblicato dopo l’orale
(il 25), ma non ce la faccio ad aspettare, voglio davvero sapere cosa
ne
pensate :3 E poi, considerando che il prologo è davvero
corto, ho pensato
meritaste un VERO capitolo u.u
Che dire, ho adorato scrivere questa
storia, quindi spero
piaccia altrettanto a voi :) Se è così, o se vi
fa schifo, o vi ha lasciati
indifferenti, non esitate a farmelo sapere con una recensione, sono
così rare
di questi tempi ;)
Per quanto riguarda la pubblicazione,
resta un incognita,
dopo l’orale ricomincerò a scrivere il secondo
capitolo quindi onestamente non
so quando avrete l’aggiornamento, anche perché
dopo vorrei anche andare in
vacanza :/ Spero che i probabili ritardi non vi facciano passare la
voglia di
seguire questa storia :(
Alla prossima,
Baci,
L.
|
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Capitolo 3 *** Secondo Capitolo ***
Secondo Capitolo
“Ce l’avrei fatta benissimo da solo” mugugnò il Dottore quando Rose,
asciugata la lavanderia, aveva estratto i suoi vestiti intrisi di
detersivo dall’asciugatrice – il dottore aveva sbagliato sportello – e
aveva avviato la lavatrice con il programma giusto.
“Certo, immagino che le urla di panico e i salvatemi sono troppo alieno
per morire facessero parte del tuo solito rituale per il bucato” rise
lei divertita, restituendogli il cacciavite sonico. “Credo sappiamo
entrambi chi sia il vincitore” aggiunse poi, compiaciuta.
“Tu” fece l’altro imbronciandosi.
“Certo che sì” ribatté fiera Rose, mentre già si immaginava su un podio
e il trofeo “Lavatrice dell’Anno” stretto tra le mani, prima di
inorridire al pensiero. Si stava trasformando in sua madre.
Il Dottore, nel frattempo, si era seduto a gambe incrociate sul
pavimento ancora umido, rigirandosi il cacciavite sonico tra le mani.
Quando la ragazza lo vide non poté trattenere un moto di tenerezza. Era
davvero adorabile e per un secondo immaginò di vedere John al suo
posto. Ma dal suo sguardo capì che non era più tempo di scherzare,
perciò si sedette accanto a lui.
“Sono davvero un caso disperato?” mugugnò lui con gli occhi bassi.
“Certo che no!” rispose lei “Semplicemente non sei abituato a cose così
umane” disse, muovendo il braccio ad indicare il luogo in cui si
trovavano.
Il Dottore sorrise amaramente “900 anni di vita, molti dei quali
passati sulla Terra, e non so ancora come va il mondo”.
Rose alzò gli occhi al cielo “Per favore, ora non roviniamoci la
giornata per un po’ d’acqua e detersivo”.
Si alzò in piedi “Muoviti, facciamo merenda”.
L’altro la squadrò per qualche secondo “Scommetto che con John
non eri così acida” borbottò contrariato prima di seguirla.
*
Una volta in cucina i due avevano recuperato il buon umore,
sorridendosi l’un l’altro mentre si passavano l’occorrente per un
semplice thè con i biscotti. Davanti a due tazze fumanti, però, era
calato il silenzio ed entrambi erano persi nei propri pensieri,
riflettendo sul momento di serietà avvenuto poco prima.
“Non è da lui deprimersi per così poco” pensò Rose “Anzi, non è da lui
deprimersi e basta”
Ma a dire il vero, il Dottore post ringiovanimento non era più lo
stesso pazzo alieno che l’aveva trascinata in quel viaggio. Neanche lei
era più la stessa, ma sapeva almeno a grandi linee il perché del suo
cambiamento.
Mentre per quanto riguardava il Signore del Tempo, beh… credeva di
capirlo, il più delle volte, ma da qualche giorno a quella parte era
diventato impossibile. Sembrava più aperto, ma di un estroverso che in
realtà nascondeva più di quanto sembrasse.
I momenti di silenzio tra loro ormai avevano bisogno di una dozzina di
mani per essere contate, e se era consapevole di essere colpevole della
situazione, sapeva anche che il comportamento del Dottore non l’aiutava
di certo ad uscire da quella bolla di incomprensione.
Era come se attorno a lei si fosse creata una sfera, che non le
permetteva di conoscere ciò che c’era al di fuori e rendeva fumoso
quanto era all’interno. I suoi pensieri, le sue azioni, non avevano più
un senso logico, e passava sempre più tempo a cercare di interpretarsi.
Lo stesso si poteva dire del Dottore, ma essendo un essere
pluricentenario era un po’ più consapevole di ciò che accadeva nella
sua testa.
Sapeva, ad esempio, di non essere più lo stesso dopo John, ma credeva
di essere ancora lui. Era solo diventato più consapevole dei suoi
limiti, delle sue paure, dei suoi sentimenti.
Aveva costruito quel muro con Rose per convenienza, in modo che lei non
capisse cosa stesse accadendo, dato che neanche lui riusciva ad
accettarlo, figurarsi un’umana giovane qual era la sua amica.
A volte, però, per non sottovalutarla a tal modo, con piccole frasi
lasciava intendere quanto complicata fosse la situazione, anche se
probabilmente la ragazza non ne aveva ancora colto il senso.
Sorrise.
La sua depressione di qualche attimo prima non era per una stupida
competizione su panni da lavare e detersivi profumati, no. Il Dottore
non sapeva, sul serio, come andava il mondo. Dopo 900 anni non gli era
ancora capitato di essere confuso. Aveva provato sentimenti forti per i
suoi compagni di viaggio, certo, ma sapeva che non poteva
permetterselo, perciò ad uno ad uno li aveva lasciati sulla Terra,
autoconvincendosi di star facendo la cosa giusta.
Con Rose, invece, stava andando diversamente. Stava cominciando a
maturare la convinzione di poter, in qualche modo, amarla, così come si
ama sulla Terra. Non come aveva sempre creduto fosse giusto con le
altre, a distanza, per il loro bene.
*
Ora basta, pensò Rose.
La situazione aveva già da tempo superato i limiti dell’imbarazzo.
Ancora un po’ e si sarebbero ritrovati come due estranei, uniti da
qualche scherzo e ricordo passato, tutto per colpa di quello stupido
ringiovanimento. Lei non poteva permetterlo, avrebbe fatto di tutto per
impedire al Dottore di allontanarsi da lei ulteriormente, e se non
poteva raggiungerlo aldilà della sua corazza, l’avrebbe distrutta
dall’interno, ricordando al suo amico perché erano stati così bene
insieme fino a quel momento.
Al diavolo i sentimenti che provava, voleva semplicemente ritornare a
quando erano lui, lei e la cabina, senza stupide incomprensioni e
momenti di silenzio impenetrabile.
Perciò si alzò in piedi e lo guardò fisso, aspettando che lui
ricambiasse il suo sguardo.
Quando gli occhi del Signore del Tempo incrociarono i suoi, però, si
rese conto che non poteva aggredirlo come avrebbe voluto. Non sapeva
quali fossero i suoi pensieri e, dato che non riguardavano il suo
stesso tipo di sentimenti, avrebbe dovuto mostrarsi comprensiva e
aiutarlo a scacciarli. Attaccarlo avrebbe generato quel meccanismo di
difesa che, nel caso del Dottore, consisteva nell’ispessire il suo
stupido bozzolo di autocommiserazione.
Lo avrebbe solo allontanato di più.
Perciò addolcì lo sguardo, e lo guardò come guardava John. “E’ giunto
il momento” fece con finto tono pomposo “di partire all’avventura”
Il Dottore si aprì nel più bel sorriso che gli avesse visto fare da
giorni.
“Allons-y!”
*
Dato che questa volta non dovevano preoccuparsi di stanze pericolose –
niente più pupetti di sette anni alle calcagna – corsero mano nella
mano per i corridoi, urlando come i pazzi senza alcun motivo apparente,
prima di spalancare una porta a caso.
Ciò che trovarono dall’altra parte era quanto più lontano dal
pericoloso potesse esserci sulla faccia dell’Universo.
Una volta oltrepassato l’uscio, infatti, la Stanza diventava un’enorme
radura, circondata da alberi fitti, con un placido laghetto al centro,
sotto l’ombra di quello che a prima vista sembrava un salice.
Restarono lì a contemplare quel paradiso, stupendosi delle capacità del
Tardis, la quale riproduceva così bene immagini e suoni da creare
l’illusione perfetta. Se le vetrate del Bagno, con i mutevoli paesaggi,
l’avevano colpita, la vista di quel mondo lasciò Rose senza fiato.
“Sembra perfetto per fare un picnic” ridacchiò, rompendo il silenzio.
Una volta superato lo shock iniziale, fecero qualche passo avanti,
tendendo l’orecchio alle melodie degli uccellini e del vento che
frusciava tra le foglie degli alberi. Tutto a un tratto, però,
l’immagine che gli si proiettava davanti cominciò a sfumare, entrando
fuori fase, finché alcuni pixel non si sgretolarono, rivelando uno
scenario del tutto diverso.
Rose si voltò verso il Dottore, spaventata. Cosa era accaduto?
All’improvviso si ritrovarono di fronte alla sensazione di star
osservando un dipinto squarciato: dall’altro lato della crepa, che
andava allargandosi sempre più, c’era un mare nero-bluastro in
tempesta, portatore di vuoto e disperazione. O almeno questo fu ciò che
trasmise ai due, i quali si trovarono a tremare senza un motivo
apparente.
Una sola cosa donava speranza, in quella realtà così vivida da
annichilire l’animo: una luce, semisommersa dalle onde, che lampeggiava
su quella linea che siamo soliti chiamare orizzonte.
Ma i flutti erano impetuosi e Rose, seppur attratta da quel fievole
scintillio, si ritrovò a tirare il braccio del Dottore, nel tentativo
di allontanarsi.
Il Signore del Tempo, al contrario, tendeva con tutto il corpo verso la
crepa, ammaliato forse dalla potenza che quell’immagine trasmetteva.
Era un soldato della Guerra del Tempo, ma quello spirito da Sontaran
non gli apparteneva, considerò la ragazza, osservando il bagliore nei
suoi occhi.
Il Dottore smaniava per raggiungere quel punto all’orizzonte.
Perciò si fermò, cercando di non guardare oltre la fessura.
Il Signore del Tempo si liberò dalla sua stretta e tese la mano verso
l’immagine ormai distrutta della radura, in un rallenty degno delle
esplosioni di Squadra Speciale Cobra 11.
O forse così parve alla bionda, che si ritrovò a seguire le dita
dell’amico finchè, interminabili secondi dopo, non sfiorarono le onde
al di là della spaccatura.
Non appena avvenne il contatto le acque si riversarono fuori, come se
lo scudo che li aveva protetti fino a quel momento fosse svanito, e i
due si ritrovarono sommersi dai cavalloni che si rincorrevano nella
tempesta.
L’immagine della radura era ormai un lontano ricordo, mentre cercavano
di risalire in superficie, per poi essere rigettati sott’acqua dalla
forza dell’oceano.
Per Rose stava diventando difficoltoso anche solo pensare e alla terza
immersione si abbandonò alla potenza che voleva annientarla, affondando
velocemente.
*
Il Dottore non poteva credere a ciò che aveva causato con la sua
avventatezza. Il richiamo di quella luce era così forte da avergli
fatto dimenticare di non essere solo, e di aver spedito anche Rose in
quella situazione.
Una crepa dimensionale - un portale sicuramente - due mondi opposti,
tranquillità e caos, all’interno del suo Tardis? Era un’occasione
troppo ghiotta per lasciarsela scappare.
Dopotutto erano senza un’avventura da giorni, con tutta la storia del
ringiovanimento e la scoperta del Tardis. Abbastanza noioso per i suoi
standard. Gli mancava rischiare la vita e sicuramente mancava anche a
Rose. Certo, avrebbe preferito un rischio un po’ meno definitivo. Era
diventato più calmo da quando viaggiava con lei, perché aveva paura di
metterla eccessivamente in pericolo.
Come questa volta, pensò, cercandola con lo sguardo, mentre lottava per
restare a galla.
Si voltò appena in tempo per vederla sparire sott’acqua poco distante,
perciò senza pensarci due volte si immerse e la seguì, confidando nei
suoi due cuori.
L’acqua era nero pece, si distinguevano appena i movimenti, e i suoi
occhi percepirono a stento un corpo che affondava. Non poteva lasciarla
annegare.
Nuotò quanto più veloce quell’acqua così pesante gli permise, finchè
non agguantò la manica della sua felpa, cercando di risalire. In 900
anni di vita non aveva mai nuotato in un oceano così denso, e la
mancanza di un qualche punto di riferimento lo disorientava.
Stava anche finendo l’ossigeno.
Fece un rapido calcolo. Ammesso che potesse esistere un’acqua con
quelle caratteristiche, era ancora parecchio distante dalla superficie,
e il peso di Rose esanime lo trascinava giù.
Non poteva lasciarla andare.
Era quasi buffo. Una vita così lunga, scampato alla morte miliardi di
volte, stava per morire affogato. Ma Rose no, non doveva. Non poteva.
Non poteva lasciarla andare.
La vista gli si stava annebbiando.
Non poteva lasciarla andare.
Non poteva.
Chiuse gli occhi.
***
Note dell’Autrice:
Hola! Lo so che mi amate per questo cliffhanger! Sono imperdonabile, vi
faccio aspettare quasi due settimane e poi vi lascio così, ma che ci
volete fare, è la dura vita dello scrittore (?) :’)
Una buona notizia: la prossima settimana vado in vacanza (Sì è una
buona notizia per me), quindi se mi muovo a scrivere potreste avere il
prossimo capitolo domenica 12, ma quasi sicuramente così non sarà
perciò credo l’aggiornamento scali a mercoledì. Vi prometto che
cercherò di non posticipare oltre :*
Spero che nonostante i ritardi continuiate a seguire la storia, mi
fanno sempre piacere le vostre recensioni (siete così puccioshe) e sono
davvero sorpresa/contenta ci sia qualcuno che mi abbia messo tra i
ricordati/preferiti *__*
Se vi va recensite anche questo capitolo :)
Baci,
L.
|
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Capitolo 4 *** Terzo Capitolo ***
Terzo
Capitolo
Quando
Rose aprì gli occhi, ci mise un po’ a rendersi
conto di
riuscire a respirare senza troppi intoppi. Complici forse le goccioline
d’acqua
che le impedivano la vista e la sensazione di soffocamento data dalla
gola
graffiata dalle onde, la ragazza dette segni di vita dopo dieci minuti
buoni,
muovendosi solo per tossire fuori l’acqua del lago. Quando fu
quasi certa di
essersi svuotata i polmoni si voltò sulla schiena, sbattendo
le palpebre.
Gli occhi
le pizzicavano, ma il cielo azzurro
sopra di lei era un elemento semplice da distinguere.
Quella tonalità aveva un qualcosa di rassicurante,
soprattutto dopo l’ultima immagine di cui aveva memoria
– acqua, scura, densa e
pesante, tutto intorno a lei, che le
riempiva i polmoni – perciò si rilassò
per un attimo, scacciando la curiosità
dell’esplorare quel nuovo ambiente.
Ben
presto, però, capì di doversi guardare intorno,
perché se lei era
lì, salva, doveva esserci anche il Dottore. Ma
dov’era?
Quando
ebbe compreso di essere perfettamente sola si tirò su a
sedere
di colpo, lottando contro i conati, e cercò disperatamente
qualche elemento
riconoscibile in quel posto più alieno del normale.
C’erano
due possibilità. O il Dottore l’aveva portata a
riva,
salvandola da una morte orribile negli abissi
di un lago sconosciuto, oppure la corrente li aveva trascinati
lì svenuti. In
entrambi i casi, il suo amico doveva essere lì, accanto a lei.
Ma una
volta perfettamente sveglia e vigile, si rese conto che non
solo del Signore del Tempo non c’era traccia, ma del lago/mare/oceano nel quale era quasi
affogata neanche l’ombra.
Si
trovava nella radura che avevano visto prima che la spaccatura li
inghiottisse e, per quanto cercasse di mandare in là lo
sguardo, non vi erano
segni di porte che mostrassero di essere ancora all’interno
del Tardis.
Quella
stanza, per quello che ne sapeva lei, poteva essere esterna
alla loro casa, come un
collegamento
sul Desktop, qualcosa di connesso ma fisicamente estraneo.
Probabilmente era un
portale a senso unico, e lei non
aveva possibilità di tornare indietro con le sue forze.
Questo
pensiero le fece cedere le ginocchia, e si ritrovò sul
pavimento erboso, svuotata.
Cosa avrebbe
fatto ora?
*
Il
Dottore si svegliò con uno spasmo, riversando sul pavimento
fiotti
d’acqua provenienti dai suoi polmoni. Quella volta poteva
davvero rimanerci
secco. E in effetti non sapeva proprio come potesse essere ancora vivo.
Di
certo non si era rigenerato, considerò osservandosi un
pochino più
attentamente. Era sempre lo stesso vecchio giovane
Signore del Tempo, perciò o aveva imparato a nuotare da
svenuto, oppure
qualcuno, o qualcosa, lo aveva
tirato
fuori dal lago.
E rispedito
nel corridoio del Tardis,
sbuffò, una volta resosi conto di trovarsi in
un luogo familiare. Senza Rose.
Il
silenzio era assordante, non era più abituato a stare da
solo,
perciò si alzò in fretta, cercando di tenere
occupata la mente pensando ad un
piano.
Cos’era
successo in quella stanza?
Ignorando
la pozza d’acqua sul pavimento, si affrettò a
raggiungere la
sala comandi, scivolando un paio di volte a causa delle suole bagnate
delle sue
converse.
Una volta
di fronte allo schermo, premette alcuni pulsanti,
rassicurandosi del fatto che la sua piccola
non si fosse spostata di un centimetro rispetto a dove
l’aveva parcheggiata
giorni prima. Era già un
inizio.
Ora
doveva solo trovare Rose.
Il Tardis
schedava, volenti
o nolenti, tutti i viaggiatori che mettevano piede a bordo,
perciò non ci volle
molto a riesumare dagli Archivi un profilo completo della ragazza. Il
problema
sorgeva nel momento in cui a separarli ci fosse stata una o
più dimensioni.
Il suo
timore divenne reale quando, dopo alcuni minuti di ricerche, si
rese conto che non c’era traccia di Rose in quel
mondo.
Dette un
pugno alla console per la frustrazione.
“No,
no, non è possibile!” gemette in preda allo
sconforto, prima di
accasciarsi sui controlli.
Non poteva
averla persa.
Spalancò
gli occhi, respirando l’odore dei macchinari. Il sentore di
polvere era meno forte del solito, coperto da un qualcosa di fresco e floreale, segno che la sua amica aveva
di nuovo cercato di ripulire quel posto così caotico.
Una
lacrima involontaria gli solcò il volto, cadendo su un
pulsante blu.
Ad un
certo punto si alzò in piedi, guardando mestamente la goccia
trasparente sul bottone del ringiovanimento. Dopo qualche secondo,
l’asciugò
con un gesto rabbioso della mano e si mise ad armeggiare ai comandi.
L’avrebbe
trovata.
*
Da quando
era rinvenuta, Rose non aveva mosso un passo. Era rimasta
seduta lì dove si trovava, divisa tra la paura di riaprire
la crepa
dimensionale con un movimento sbagliato, e la voglia di esplorare alla
ricerca
di una via di fuga da quel posto bellissimo e inquietante allo stesso
tempo.
Se la sua
vista, la prima volta, l’aveva affascinata, infatti, ora
l’atterriva, esattamente come ammirare una bella gabbia dorata e trovarvisi
all’improvviso all’interno.
La
sensazione di prigionia e solitudine si acuì quando,
tendendo
l’orecchio, non udì alcun suono al di fuori del
suo respiro, ancora un po’
affannoso dopo il viaggio non proprio
piacevole verso i fondali marini.
Il
cinguettare degli uccellini pareva un lontano ricordo e Rose si
domandò se lo avesse sentito davvero.
Sospirò, poi si
alzò. Doveva fare qualcosa, trovare un posto
in cui stare nell’attesa. La radura sembrava eterna,
sussisteva immobile,
immutata e immutabile da secoli. Ere forse. O almeno, così
sembrava.
Poteva giurare che, se fosse rimasta
lì un mese, sarebbe
stato per sempre giorno, per sempre sole,
per sempre cielo limpido. Un per sempre terrificante,
considerò.
No,
non sarebbe
rimasta lì, perciò animata da un nuovo spirito si
mosse verso un punto a caso
della boscaglia.
Una volta immersa tra gli alberi, la
sensazione di trovarsi
nel vuoto aumentò, facendole desiderare di tornare indietro,
al sole, dove tutto era distinto e
non
c’erano occhi invisibili
che la
scrutavano tra i rami.
Ma si fece forza e
continuò, seguendo un quasi
impercettibile sentiero tra le felci, che dava al luogo
un’atmosfera ancor più
sospesa, come tra le pagine di un libro.
Dopo alcune centinaia di metri si
rese conto di procedere
perfettamente alla cieca, senza punti di riferimento di sorta,
perciò si fermò
di nuovo. Avrebbe dovuto lasciare delle tracce,
ma non aveva coltellini per incidere i tronchi o braccialetti da
appendere ai
rami. L’unica opzione sembrava fare a brandelli i propri
indumenti, come nel
più squallido film di
sopravvivenza,
ma la foresta pareva così ampia
che
neanche impiegando ogni filo di ciò che indossava avrebbe
tracciato una pista
utile allo scopo.
Si sedette sul tronco più
vicino per qualche minuto, prima
di accettare l’evidenza: doveva tornare indietro.
Perciò si alzò,
percorrendo il sentiero a ritroso
velocemente, ansiosa di ritornare alla radura. Dopotutto, in quello
spiazzo
c’era tutto ciò di cui aveva bisogno. Acqua in
caso di sete, l’ombra del salice
per riposare. Per quanto riguarda il cibo,
beh… quel posto sembrava un cartellone
pubblicitario, bello ma freddo, perfetto ma vuoto. Certo, lei non era proprio una modella,
ridacchiò per alleggerire la
tensione.
Le speranze di trovare qualche forma
di vita commestibile, comunque,
erano scarse.
Il viaggio di ritorno le parve molto
più lungo del previsto,
considerata anche l’andatura, perciò
cominciò a sorgere in lei il timore di
essersi persa. Le fronde erano ancora fitte, e per quanto mandasse
avanti lo
sguardo non riusciva a scorgere neanche lontanamente il punto dal quale
era
partita.
Eppure il sentiero sembrava lo stesso. Interdetta, si
fermò, guardandosi intorno.
L’albero accanto a lei,
doveva averlo già superato almeno tre
volte.
Spalancò gli occhi,
consapevole.
*
La console tremò per la
duecento ventiduesima volta
nell’arco di mezz’ora. E si, le aveva contate.
Il Tardis si ritrovava schiacciato
tra due barriere
dimensionali e la situazione lo rendeva nervoso, perciò per
ingannare il tempo
contava gli intervalli di otto secondi circa tra una vibrazione e
l’altra.
All’inizio aveva smanettato
un po’ con le manopole, ma poi
si era arreso al corso degli eventi ed era in attesa di una via
d’uscita grazie
a quel movimento Pinball. Era
snervante stare lì, praticamente fermo, mentre Rose era
chissà dove e chissà quando.
Si passò per
l’ennesima volta le mani tra i capelli,
resistendo all’impulso di strapparseli, arruffandoli ancora
di più.
Secondo i suoi calcoli avrebbe dovuto
aspettare quasi un’ora
prima di uscire da quella galleria,
e
il movimento inter dimensionale stava dando evidenti problemi alla sua
piccola,
che si lamentava debolmente facendo lampeggiare una spia gialla sul
monitor.
“Resisti”
mormorò appena, accarezzando la leva più vicina
come se fosse un gattino.
Mentre scorreva le dita sul metallo
surriscaldato fece
risuonare ancora quella parola nella sua mente sperando, forse
ingenuamente,
che Rose potesse sentirla.
Resisti
Rose, vengo a
prenderti.
*
Rose, nel frattempo, era rimasta come
paralizzata di fronte
al tronco di un albero. Era sicura di averlo già visto, ma
era allo stesso
tempo certa di non trovarsi in quella classica situazione dello girare
in
tondo.
Era qualcosa di molto peggio
perché, a pensarci bene, per uscire dal cerchio basta
camminare dritto in
un’altra direzione e si arriverà sempre da
qualche parte.
Se
Rose avesse
proseguito, tornando indietro, andando avanti, non era importante,
perché
l’albero si sarebbe ripresentato. Rose non girava in tondo. Era il bosco ad essere sempre uguale.
Se si fosse soffermata un
po’ di più ad osservare gli
alberi, il suolo, le foglie, si sarebbe resa conto della successione di
fotogrammi identici uno all’altro, e avrebbe capito di essere
l’unico elemento
estraneo in un immenso copia-incolla.
A quel punto le ipotesi erano due: o
entrando nel bosco
aveva cambiato stanza, chiudendo
un’immaginaria porta di rami dietro di sé
involontariamente, oppure era
incappata in un errore del sistema – un bug
– come un televisore fermo sulla stessa immagine o un
giradischi rotto.
Le sensazione di prigionia
tornò a farsi presente, e sentì
le lacrime spingere prepotentemente per uscire.
Resisti.
Una sola goccia cadde a terra, prima
che lei potesse
realizzare ciò che era accaduto.
Il Dottore aveva parlato nella sua
mente, o forse la sua
voce era risuonata tra gli alberi – non era importante
– e lei sentì la
speranza crescerle nel petto.
Il Signore del Tempo era da qualche
parte lì fuori e la
stava cercando, solo di
questo le importava. Poteva sopportare tutto, perché non era
veramente sola.
Dopo il conforto che questo pensiero
le suscitò si mise a
riflettere, seduta a gambe incrociate contro uno dei tronchi tutti uguali.
Non sapeva dove si trovava
né in che tempo storico – sempre
che quel posto ne avesse uno – ma, ovunque fosse, era
connessa al Tardis, su
questo non c’erano dubbi.
Che fosse dentro
o
lontano anni luce, la nave spaziotemporale sapeva dove si trovava,
probabilmente era solo impossibilitata a raggiungerla.
Il collegamento, però,
restava stabile, dato che era certa
di non aver immaginato quella parola, ma di averla sentita
distintamente nella
sua anima. Qualcuno avrebbe detto si trattava della voce
della coscienza – non poté trattenere un
mugugno misticheggiante a quel
pensiero – ma lei
non ci credeva.
Sarebbe stato illogico,
ad ogni modo, se l’elemento razionale della sua anima avesse
parlato con la
voce dell’essere più irrazionale
che
conosceva.
Qualsiasi fosse la verità,
non aveva nessuna intenzione di
abbandonare quella flebile speranza, perciò vi si
aggrappò con tutte le sue
forze, concentrandosi prima di sussurrare quella parola.
Dottore.
*
Il Signore del Tempo
sgranò gli occhi stupito,
allontanandosi dalla console, quando contro ogni aspettativa
sentì un bisbiglio
in risposta.
Rose,
tentò, non
troppo fiducioso nel risultato. Poteva benissimo esserselo immaginato,
una
reazione alla sensazione di mancanza
che gli attanagliava lo stomaco da quando si era svegliato senza di lei.
Come previsto, il nulla.
Abbassò lo sguardo sconsolato,
cercando con gli occhi il pulsante blu che aveva dato inizio a tutto.
Lo sfiorò
con le dita e la voce di Rose riemerse nella sua testa.
Sono qui.
Qui dove?
I controlli del Tardis stabilivano il
contatto, realizzò,
ben attento a non spostare le dita dal bottone.
Non lo so di
preciso.
Il Dottore si spazientì.
Il sollievo aveva presto lasciato
il posto alla smania di informazioni.
Per favore Rose!
Sono in un
bosco, ma
non sono poi così sicura sia solo questo.
Cosa intendi
dire?
Nessuna risposta.
Rose!
Il collegamento si era interrotto ad
uno scossone del
Tardis, ed ora una scritta in gallifreyano lampeggiava sullo schermo.
MANOVRA
AVVENUTA CON
SUCCESSO!
Il Tardis aveva abbandonato il tunnel
dimensionale.
*
Note
dell’Autrice:
Ciao a tutti! Sono di nuovo qui ad
allietare le vostre
giornate con del sano angst,
sperando
che voi non vogliate uccidermi dopo la fine dell’ultimo
capitolo :’) Come vedete
sono ancora vivi, ed è questo quello che conta!
A parte gli scherzi, ho finito il
capitolo prima di quando
vi avevo detto (Mercoledì) perché oggi
è martedì, perciò spero di riuscire a
pubblicare stasera (il mio PC per chi non lo sapesse non ha internet)
così da
darvi l’aggiornamento in anticipo.
La prossima settimana dovreste avere
il prossimo, ho tempo
per scrivere ma dato che voglio anche vivere
preferisco aggiornare una volta a settimana :’)
Detto questo, vi informo che mancano
pochi capitoli (chi mi
conosce sa che non sono prolissa), perciò stay
tuned e recensite, mi raccomando!
Baci,
L.
|
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Capitolo 5 *** Quarto Capitolo ***
Quarto
Capitolo
Il
Dottore era tentato di afferrare il monitor con entrambe le mani e
scuoterlo violentemente.
L’unica cosa
che lo trattenne dal farlo fu la consapevolezza di non avere
possibilità di
trovare Rose senza le indicazioni sullo schermo. Non gli andava di
dover
riparare una cosa distrutta in un momento di furia omicida, insomma.
La
frustrazione, però, era ai massimi livelli. Era rimasto in
quel
tunnel dimensionale per secoli e
proprio quando era riuscito a stabilire un contatto con Rose il Tardis
era
sgusciato fuori, interrompendo la comunicazione. Era stato talmente
preso dalla
ragazza da non accorgersi neanche delle vibrazioni degli urti contro le
pareti
dimensionali, pensò.
Non aveva
tempo per abbattersi, comunque. Doveva riflettere,
assemblare le poche informazioni che aveva cercando di ricostruire un
quadro
della situazione, prima che l’universo
gli crollasse addosso. Metaforicamente, da un lato, ma fisicamente
dall’altro
poiché, se avesse perso
Rose – si
rifiutava di pensare ad un quando
–
avrebbe distrutto ogni galassia nel raggio di anni
luce. Spense per un attimo la collera che cominciava a
montargli dentro, azionando razionalmente
il cervello.
Aveva detto
di essere in un bosco.
Riflettendoci
bene, questo era tutto
ciò che sapeva. Ed era molto poco da cui partire. Anzi, era niente da cui partire.
Ma non si
scoraggiò, e selezionò ogni singolo bosco
presente nell’universo
di ogni dimensione raggiungibile, in modo tale da visitarli tutti in
rapida
successione. Con una permanenza di qualche secondo avrebbe potuto
stabilire la
presenza o l’assenza di Rose in quel posto.
In
situazioni normali non avrebbe perso l’occasione di
attraversare
alcune foreste nella lista, come La Laguna di Cipressi Capovolti, posto
pericolosissimo a dire il vero, o il Bosco di Salici Lunari. Li avrebbe
visitati tutti con la ragazza, decise. Sempre se avesse voluto
viaggiare ancora
con lui dopo quell’esperienza. Non l’avrebbe
biasimata, se avesse deciso di
tornare a condurre una vita normale con Jackie.
Sospirò,
poi premette il pulsante di scorrimento veloce, spedendo il
Tardis nel primo bosco sulla lista.
*
La
connessione con il Dottore si era interrotta, lasciando
nell’animo
di Rose un groviglio di sensazioni
contrastanti.
La speranza che aveva provato al sentire la voce del Signore del Tempo,
però,
non era svanita, e la ragazza era un po’ meno sconfitta di
fronte ad un destino
di prigionia. Le pareti della gabbia, ad ogni modo, si erano, metaforicamente, ristrette quando aveva
realizzato di essere inscatolata in una manciata di pixel ripetuti.
Sospirò.
L’unica cosa che poteva fare al momento era aspettare il
caratteristico suono della materializzazione del Tardis, ma potevano
volerci
ore, se non giorni.
L’unica informazione
che aveva dato al Dottore era quella di essere in un bosco, e se lo
conosceva
bene come pensava ora era alla ricerca di ogni singolo mucchio
di alberi sulla faccia dell’universo.
Il
problema era che lei poteva essere in ognuno di essi come in nessuno, considerando la
particolarità
degli tronchi che si ergevano intorno a lei.
Per
l’ennesima volta provò a ristabilire il
collegamento, urlando
nella sua mente il nome del Dottore, ma anche questo tentativo
fallì come i
precedenti.
Frustrata,
si appoggiò al fusto più comodamente,
preparandosi ad una
lunga attesa.
*
Immagini
di rami e foglie si susseguivano davanti ai suoi occhi, ma il
Dottore prestava attenzione soltanto al monitor del Tardis, che
lampeggiava
incessantemente la scritta NON TROVATA.
Stava
cominciando a perdere le speranze. Cosa avrebbe fatto? Cosa
avrebbe raccontato a Jackie per alleviare il suo dolore? Ma
soprattutto, cosa avrebbe detto a se stesso
per placare
il proprio?
Sentiva
di aver fallito. Le aveva promesso mondi magnifici da
visitare, avventure e pericoli, ma
di
quelli che si affrontano con il sorriso sulle labbra, certi di uscirne
vincitori. Ed ora, per colpa sua, Rose avrebbe passato il resto della
sua breve vita murata
in un bosco inesistente.
Perché,
se quel posto fosse stato reale, nulla gli avrebbe impedito di
sparire qui e apparire lì
in un
millisecondo, per stringerla tra le braccia e baciarla.
La
ricerca pareva durare da secoli,
tanto il suo animo era logorato da quell’attesa senza fine,
quando la lista
giunse al suo ultimo punto e il Tardis si fermò con un
ronzio. Rose Tyler non
era in nessun bosco. Aveva mappato
l’intero universo, alla ricerca di una qualche dannata
foresta, boschetto,
macchia ombrosa, cespuglio gigante,
nel quale la ragazza potesse celarsi, ma non c’era nessuna
traccia del suo
personale Lupo Cattivo.
Sospirò.
Le mancava anche quando faceva cose incoscienti, come
immagazzinare nella sua mente il cuore
del Tardis costringendolo a rigenerarsi per salvarla.
Si
domandò se poteva salvarla, adesso.
*
Potevano
essere passati dieci minuti come due ore, è difficile dirlo
quando sei immerso nel silenzio più totale e la cosa ti fa
salire un così gran
mal di testa da far scappare tutte le pecorelle
immaginarie, impedendoti di ordinare più di cinque numeri
consecutivamente.
Dimensione
temporale a parte, Rose si riscosse dal suo torpore.
Qualcosa nel paesaggio intorno a lei era mutato per un secondo.
Batté
un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco il più
lontano
possibile tra gli alberi. Qualsiasi cosa fosse, doveva essere esterna al bosco come lei, altrimenti si
sarebbe ripetuta nei singoli fotogrammi, suppose.
Non dava
segno di volersi palesare nuovamente, ad ogni modo, perciò
Rose si sdraiò di nuovo sul tronco, pur mantenendosi vigile.
Ed eccola
di nuovo, al limite del suo campo visivo, una luce. In
un’occasione normale non ci avrebbe neanche fatto caso, ma in
quella situazione
si sarebbe aggrappata a qualsiasi cosa pur di uscire da quel posto
infernale.
Perciò
cominciò a correre verso quel puntino luminoso, come una
falena
incontro ad una torcia.
Eviterei di
finire contro un vetro,
ridacchiò. O peggio, carbonizzata.
Mentre
avanzava verso la sua meta, incespicando nelle radici di quegli
stupidi alberi immaginari, la sua
mente collegò quel baluginio con quello del faro la notte
prima, e non poté
fare a meno di domandarsi se non stesse correndo incontro ad una
trappola. La
similitudine con la falena le parve piuttosto indovinata, a quel punto.
Ma lei
non era uno stupido insetto
notturno, perciò rallentò e cominciò a
riflettere sul da farsi.
Non
poteva essere avventata, avrebbe dovuto procedere con cautela, ed
evitare di comportarsi come il Dottore quando aveva toccato quella
crepa.
Il
terreno di fronte a lei le pareva piuttosto lineare, niente salti
dimensionali e, se si tralasciava il fatto di trovarsi in un bosco
creato da un
bambino con CTRL-C, il paesaggio era piuttosto normale.
Quel faro,
poi, anche se il paragone era poco
adatto al luogo, non sembrava minaccioso.
Anzi,
Rose aveva l’impressione che la luce lampeggiasse ad altezza uomo. Questo poteva essere
sia un bene che un male, a pensarci bene.
Che
qualcuno la stesse attirando lì di
proposito?
*
Il
monitor si spense e, con lui, ogni speranza del Dottore venne meno.
Si trovava in un vicolo cieco, ma senza neanche la
possibilità di tornare
indietro. Non c’era più niente, dietro.
Non c’era Rose.
Poteva
solo cercare di andare avanti.
Ma aveva
terminato l’elenco da visitare e senza ulteriori indizi non
sapeva dove andare a sbattere la testa. Era a un punto morto e
lì sarebbe
rimasto. Cosa poteva fare ancora?
Ristabilire
il collegamento era una cosa folle.
Il Tardis non avrebbe sopportato la pressione dimensionale e
sarebbe collassato su se stesso creando un buco nero. Era disposto a
correre il
rischio?
Si
sistemò meglio sul sedile, simulando un atteggiamento di
calma. Non
aveva molte opzioni.
Rimanere
lì e sperare in un miracolo, oppure rischiare tutto e
aggrapparsi all’unica possibilità che gli si
figurava davanti e che assumeva
sempre più i tratti di una missione
suicida. Infilarsi volontariamente
in un tunnel intra dimensionale voleva dire, per prima cosa, trovare
una faglia attiva.
Per
quello non dovevano esserci troppi problemi, avrebbe fatto una
visitina ai suoi amici di Torchwood
in Galles. L’incognita era la manovra stessa. Nessuno cercava
intenzionalmente
di rimanere incastrato in un qualcosa fuori dallo spazio-tempo
perché, tra le
altre cose, c’era l’alto rischio di non uscirne
più.
Passare
il resto della vita invischiato
nel miele come un insetto non lo
allettava particolarmente, ma era consapevole di non avere alternative.
Perciò
premette qualche pulsante per fare uscire il Tardis dallo stand-by e si spostò - in un battito di ciglia piuttosto rumoroso e
movimentato - verso la sua meta.
Cardiff
era sempre la stessa. Forse
dovrei salutare Jack e tutta la banda, pensò
guardando il pavimento che
celava il loro quartier generale. Ma si ricordò di Rose,
sperduta chissà dove,
e capì di non avere tempo per i convenevoli.
Mentre
rientrava nel Tardis, pronto ad iniziare la manovra, sentì l’ascensore di Torchwood salire
e
imprecò mentalmente. Si era dimenticato delle telecamere
disseminate lì intorno
e il suo mezzo di trasporto era tutto fuorché silenzioso.
“Dottore!
Che bello rivederti!” la voce del Capitano Jack Harkness
giunse alle sue spalle, perciò si voltò cercando
di assumere l’espressione più
cordiale del suo repertorio.
“Hey!
Sai, passavo di qua, e non ho potuto fare a meno di rivedere
Cardiff” rispose con un sorriso che si faceva via via
più sincero. Era felice
di rivedere il suo amico, dopotutto.
“Ma
stavi facendo a meno di un saluto al tuo vecchio
compagno di avventure?” la frecciatina del soldato lo
colpì
in pieno, facendolo sentire colpevole.
“Hai
il numero del Tardis,
Harkness, puoi sempre chiamare tu”
“Stai
facendo la prima donna,
Dottore?” lo riprese ridendo l’altro
“Devo invitarti a cena per farmi
perdonare?” aggiunse, flirtando come suo solito.
“Smettila
Jack! Sono un alieno sposato io!” replicò falsando
la voce.
“Con
il Tardis?” rise lui “Oppure con
Rose?” domandò, strizzandogli
l’occhio.
A sentire
il nome della ragazza ogni ilarità cadde dal viso del
Signore del Tempo, rendendolo prossimo alle lacrime.
“A proposito,
dov’è?” chiese,
allungandosi per vedere all’interno del Tardis.
Al
silenzio del Dottore tornò a guardarlo, accorgendosi del
tormento
nei suoi occhi.
“Cosa
è successo?” sussurrò.
Avrebbe
potuto dire tanto, raccontare tutta la storia, ma non ne aveva
la forza, era come svuotato di ogni volontà di reagire.
Perciò pronunciò poche
parole, cercando di controllare la voce.
“L’ho
persa”. Ecco.
Composto, senza tremolii eccessivi.
“E’
morta?” fece l’altro, spalancando gli occhi. Nella
mente del
Dottore cominciarono a disegnarsi immagini orribili, di morti atroci, con Rose come protagonista. Si
affrettò a scacciarli. Rose era
viva,
l’avrebbe salvata.
Poi la
realtà dei fatti gli piombò addosso come un
macigno.
“E’
come se lo fosse” s’incupì, tremando
impercettibilmente “Non posso
raggiungerla”.
“Sì,
ma dov’è?”
insisté il
Capitano.
“Non
lo so” mormorò il Dottore. Poi crollò.
“Non lo so! NON LO SO!”
gridò, prima di scoppiare in lacrime, contro la spalla del
suo amico.
“La
ritroveremo” disse l’altro stringendolo forte
“te lo prometto”.
*
La luce
era ancora lì, e Rose non faceva altro che domandarsi se
stesse facendo la cosa giusta o sarebbe stata inghiottita nuovamente
dalle onde
nere e pesanti oltre la crepa.
Dopo
minuti di pensieri vorticosi, infatti, la ragazza era giunta alla
conclusione che la cosa –
o la persona, non poteva dirlo
– che la stava
attirando era la stessa del mondo oltre la spaccatura e la sensazione
di attrazione-repulsione che
provava di
fronte a quello scintillio tra gli alberi era la stessa del faro. I
precedenti
non erano di certo incoraggianti, ma forse quella era la volta buona.
Continuò
ad inoltrarsi nella foresta, finchè non raggiunse il limite,
ritrovandosi di nuovo nella radura dalla quale era partita un’infinità di tempo
addietro.
Attese
qualche secondo che i suoi occhi si abituassero alla luce del
sole, prima di allargare lo sguardo alla ricerca di quel
particolarissimo
richiamo.
Il
paesaggio era identico a prima, ma sotto il salice scorse una
figura perciò si apprestò da quella parte, con il
cuore in gola, ma niente
poteva prepararla a quello che vide.
Niente di
pericoloso, apparentemente.
Anzi.
Era una donna, senza alcun dubbio.
Ma le somiglianze con il suo archivio di esperienze finivano
lì.
Sembrava fatta di luce solida
–
sempre che questa qualità potesse essere attribuita a
qualcosa di normalmente impalpabile
– con due occhi di un blu
stupefacente e la bocca che
accennava un sorriso.
La
creatura sollevò un dito di luce e le fece segno di
avvicinarsi.
Poi
parlò.
“Ci
incontriamo ancora, Lupo Cattivo”.
*
Note
dell’Autore:
Ehilà!
Eccomi qui, una volta tanto puntuale! Sì, ci sto prendendo
gusto con questi finali pieni zeppi di suspense,
anche se non dovrebbe essere troppo difficile indovinare di chi si
tratta :3
Spero non vi dispiaccia la guest star
che ho inserito in questo capitolo, e il loro mini flirt, ma dato che
shippo
Jack Harkness con qualsiasi essere respirante
(anche se la Janto resta la mia ottippì) non potevo non
mettercelo *__*
Spero che questi fine-capitolo non vi facciano perdere
l’interesse verso la
storia, dato che io lo faccio con l’intento opposto, ovvero
farvi scervellare
su come andrà avanti :)
Se vi
piace, o no, se avete dubbi, perplessità, critiche o complimenti (magari), lasciatemi una
recensione, sono sempre più rare… La crisi
colpisce anche qui! :’)
Fatemi
sapere che ne pensate! Alla prossima settimana!
Baci,
L.
|
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Capitolo 6 *** Quinto Capitolo ***
Quinto
Capitolo
Jack e il Dottore erano seduti sulla
gradinata metallica del
Quartier Generale, intralciando il passaggio di gente
che lavora – come aveva puntualizzato
scherzosamente Gwen
all’indirizzo dei due.
Il Signore del Tempo era talmente
scosso che, se fosse
dipeso da lui, si sarebbe accasciato sull’ascensore e
lì sarebbe rimasto. A
causa della sua non proprio ottimale situazione psico-fisica, aveva
permesso al
Capitano di farlo sedere e tempestarlo di domande, pentendosi
amaramente più
volte di non aver semplicemente liquidato l’amico con uno “sto bene”.
Era sempre stato orgoglioso quel
tanto che bastava da non
permettersi di apparire debole, ma quella qualità
era cominciata a venire meno dal ringiovanimento. O forse le 24 ore non
c’entravano nulla, era semplicemente arrivato al suo limite, crollando tra le prime braccia
amiche disposte ad
accoglierlo.
Il pianto era stato liberatorio, ad
ogni modo, e gli aveva
permesso di mettere Jack al corrente di tutto, in maniera
più o meno composta.
Non aveva versato altre lacrime, ma il suo sguardo aveva sempre quella
punta di
disperazione che portava chiunque lo osservasse per più di
qualche attimo a
chiedersi quando sarebbe nuovamente esploso.
Il Capitano, nello specifico, dopo quella reazione inaspettata
– non aveva mai
visto il Signore del Tempo ridotto in quel
modo – era molto più attento alle parole che
lasciava uscire dalla propria
bocca, soppesandole una ad una per evitare di toccare qualche nervo
scoperto.
Nonostante tutte le premure, dopo
poche domande il Dottore
aveva cominciato a parlare a ruota libera come suo solito, segno che la
parlantina non era scomparsa, anche quello non era proprio un argomento
Coca Cola e palloncini. Aveva
scaraventato tutto fuori, i suoi pensieri, le sue emozioni, perdendo
progressivamente l’aura da bomba ad orologeria che emanava.
Si era tolto un
gran peso, ma il macigno che gravava sul suo cuore era ancora
lì, in attesa di
rivedere la sua Rose con i propri occhi.
Nonostante quel piccolo particolare,
aveva appurato che piangere
e raccontare la storia della propria vita a qualcuno migliora le cose.
Aveva
sempre considerato le telenovelas argentine come spazzatura, ma a
quanto pareva
su quello avevano ragione.
Meglio
ancora se la
causa di tutto sono problemi di cuore e, di solito, in quegli squallidi
programmi
televisivi che Rose guardava alle due di notte tutto riguardava
intrighi
amorosi.
L’aveva colta sul fatto
più volte, sdraiata sul sedile della
sala comandi, avvolta da una coperta, a piangere tutte le sue lacrime
inzuppando
i popcorn e a biascicare nomi propri
con fare lagnoso, mentre seguiva l’ennesima puntata dal
monitor del Tardis.
Un paio di volte aveva tentato di
riportarla a letto,
sottolineando il fatto che quello schermo non era fatto per guardare porcherie terrestri,
ma si era sentito urlare contro “Bianca
vuole togliere Leandro a Carmen e tu vuoi che io vada a
dormire?”
Sorrise. Ogni piccolo dettaglio gli
faceva tornare alla
mente la sua Rose, rendendolo patetico quanto le sitcom sopracitate, e
se per
un attimo ritrovava il sorriso, quello dopo sprofondava nuovamente
nella
depressione per la mancanza della ragazza. Come aveva detto: patetico.
“Quindi cosa sei venuto a
fare esattamente qui?” la voce di
Jack lo riscosse dai suoi pensieri.
“Volevo provare ad entrare
in un tunnel dimensionale, per
rientrare in contatto con Rose, e mi serviva una faglia
attiva” spiegò, senza
giri di parole.
“Immagino non serva che io
ti illustri gli innumerevoli rischi
a cui andrai
incontro, vero?” domandò l’altro
retoricamente, scuotendo il capo. Poi si alzò.
“Ti servirà
comunque il nostro aiuto” sentenziò
“Dobbiamo
attivare la faglia e, una volta dentro, impedire per quanto
sarà possibile che
le cose vadano male”
“Avete disattivato la
faglia?” chiese curioso l’altro.
“Oh, sì, dava
non pochi problemi” rispose il Capitano
“attirava mostri, creava buchi dimensionali… non
sai la fatica di insabbiare tutto.
Non è proprio disattivata, ne abbiamo
limitato la potenza e la teniamo sotto controllo”
Il Dottore annuì
semplicemente. Gli interessava soltanto
sapere se poteva compiere quella pazzia, tutto il resto erano dettagli
insignificanti ed inutili.
Rose, sto
venendo a
prenderti.
*
Nella radura non soffiava un alito di
vento. Nessun rumore o
movimento lasciava intendere la presenza di due esseri
viventi che, però, erano lì, intente a
squadrarsi senza
aprire bocca.
Dopo aver pronunciato quella frase
enigmatica, la creatura
luminosa aveva taciuto, forse per permettere a Rose di riordinare le
idee, ma
dal sorrisetto che aveva messo su
non
bisognava escludere l’ipotesi si stesse divertendo a
prenderla in giro con
tutta quella suspense.
La ragazza, però, era
troppo scioccata per accorgersi delle
espressioni del volto dell’altra. La prima reazione fu quella
di mettersi sulla
difensiva, perché l’idea che qualcuno –
o qualcosa
– sapesse del Lupo Cattivo
la
terrorizzava. Non capiva neanche lei cosa fosse accaduto esattamente
quel
giorno, e ricordava molti pochi dettagli, dato che il Dottore aveva aspirato via da lei il potere del
Tardis. Ricordava solo il tocco delle sue labbra, poi il buio.
E poi si era
rigenerato, cambiando in quel Signore del Tempo che ora le mancava da
morire,
pensò.
A quel pensiero la figura di fronte a
lei ammiccò più del
dovuto, attirando la sua attenzione. Nonostante tutto, la
curiosità di Rose
vinse e si ritrovò ad aprir bocca per colmare i suoi
innumerevoli dubbi.
“Dove siamo?” la
domanda che avrebbe voluto fare, ovviamente,
non era quella, ma prima di
porla un lampo negli occhi blu della creatura aveva lasciato intendere
che non
le avrebbe risposto, almeno per il momento. Perciò la scelta
era ricaduta sulla
seconda, sperando di ricevere qualche informazione da trasmettere al
Dottore
una volta di nuovo attivo il collegamento.
La luce nello sguardo della donna
cambiò, facendosi divertita,
e Rose si trattenne dal picchiarla. Non era molto sicura di poterlo
fare,
comunque. La luce normalmente non è solida.
“In una radura”
rispose, mal celando il divertimento.
Rose respirò profondamente
un paio di volte per calmarsi.
Quell’essere aveva lo stesso atteggiamento del Dottore quando
non voleva dirle
le cose e la trattava come una bambina impaziente e capricciosa.
La sensazione che i suoi pensieri non
fossero poi tanto
privati riaffiorò ad un nuovo sorriso della sua
interlocutrice, facendole venire
i nervi. Quella donna era estremamente irritante, ma doveva tenersela
buona se
voleva avere uno straccio di informazione utile.
“Questo lo so”
replicò lei, soppesando le parole “Ma dove si
trova precisamente questa
radura?”
“Dovresti
saperlo” sentenziò l’altra, senza dare
una vera
risposta.
A Rose non piaceva per niente quel
gioco ad indovinelli, ma non le ci
volle molto
per capire che avrebbe ricevuto solo enigmi, perciò stette
in silenzio per
qualche secondo, finchè la risposta non le parve
così ovvia da darsi uno
schiaffo mentale da sola per quanto era stata stupida.
Sembrava
passata
un’era, ma non si era mai spostata da lì.
“Siamo nel Tardis,
vero?”
*
“Dottore, sei
pronto?” La voce di Jack risuonò nel Tardis e
lui si affrettò a rispondere affermativamente.
“Bene, sappi che non hai
molto tempo” lo informò il Capitano
“questa faglia è piuttosto instabile,
sarà difficile tenerla nei ranghi”
“Quanto?”
domandò.
“Pochi minuti, mi
dispiace” fece l’altro.
Poteva farcela, bastava non perdersi
in chiacchiere inutili
e carpire le giuste informazioni, mentre il Tardis provava ad
agganciarsi al
segnale.
“Buona fortuna”
Il Capo di Torchwood si collegò un’ultima
volta, prima di far partire il conto alla rovescia.
*
Rose non poteva crederci. Tutto quel
tempo passato a
dannarsi l’anima, e non si era mai mossa da dentro la cabina.
Era quasi
divertente. Quasi,
perché la mancanza
di porte non le era di certo sfuggita, e senza una qualunque apertura
che la
riportasse indietro trovarsi a diecimila
anni luce o dietro l’angolo non era importante.
Era sempre lontana dal Dottore.
Anzi, ora la distanza le sembrava
addirittura maggiore,
anche se a pochi passi da lei il Signore del Tempo si stava
arrovellando per
trovarla, premendo pulsanti e spedendo la sua nave in giro per
l’universo.
Non
poteva
raggiungerla con il Tardis, come avrebbe potuto? Solo l’idea
della cabina blu
che si materializzava lì le faceva dolere la testa.
Non era possibile materializzarsi all’interno di
sé stessi, neanche con tutto
il wibbly wobbly timey wimey che il
Dottore si ostinava a utilizzare come argomentazione per spiegare quel groviglio intricato che erano le linee
temporali.
Anche se le stanze sembravano mondi a
parte, di fatto non lo
erano; quella stanza in particolare era una bolla infrangibile, senza
entrate
che lasciassero filtrare un minimo di speranza di salvezza.
Gli occhi cominciarono a pungerle per
le lacrime. Sapere di
essere nel Tardis avrebbe dovuto farla sentire meglio, ma aveva solo
sottolineato l’irraggiungibilità
che
opprimeva la sua condizione.
Una mano delicata le
sfiorò la spalla. Con tutto quel
rimuginare si era dimenticata della donna luminosa che ora la guardava
con un
misto di tristezza e compassione
nei
suoi occhi blu.
“Forza Rose, hai tante
domande che necessitano risposta”
Rose.
La voce del Dottore
risuonò nella sua testa, ma a giudicare
lo sguardo dell’altra poteva anche darsi che fosse udibile in
tutta la radura.
Dottore.
Quasi non ci credeva. Il Signore del
Tempo, una volta saputo
cosa stava accadendo, l’avrebbe salvata, perché
non esisteva la parola impossibile
nel suo vocabolario. La
ragazza credeva ciecamente in lui.
Rose?
Il suo nome questa volta
suonò come una domanda, perciò si
chiese se avesse risposto troppo fievolmente la prima volta e
l’altro non l’aveva
udita.
Dottore!
Rispose
con più forza, dopo essersi schiarita mentalmente la voce.
Questa
dannata
connessione non funziona, stupido Torchwood… Lo
sentì biascicare frustrato
dall’altra parte.
Cosa stava accadendo? Lei riusciva a
sentirlo. Perché lui no?
Si voltò a guardare la
donna luminosa che fino a quel
momento era rimasta in silenzio, notando una certa concentrazione
nel suo sguardo color crepuscolo.
“Cosa stai
facendo?” le chiese, circospetta.
L’altra non le rispose, ma
quando il Dottore la chiamò ancora
con una punta di disperazione nella voce capì.
Stava bloccando
il
segnale. Per colpa di quello stupido essere non poteva neanche parlare
con la
persona più importante della sua vita. Era frustrante,
soprattutto perché ora
era più evidente di prima che la sua prigionia era
semplicemente dovuta alla
volontà di Miss Occhi Blu.
Era colpa sua se non
c’erano porte, era colpa sua
se il Dottore non riusciva a
sentirla.
Sentì la rabbia montarle
dentro e le si avventò addosso,
cercando di liberarsi da tutti quei sentimenti che minacciavano di
farla
esplodere, ma si ritrovò immediatamente con la faccia
nell’erba, come se avesse
attraversato un fantasma.
Beh, c’era almeno qualcosa
di normale in lei. La luce è luce,
non è
solida, pensò Rose.
Quasi a cercare conferma,
avvicinò la mano alla gamba
luminosa di fronte a lei, per testare l’effetto
ologramma. Con sorpresa urtò qualcosa di compatto
e ritrasse la mano quasi
spaventata.
Si era fatta attraversare solo per il
gusto di farla finire
con la faccia per terra.
“Non sono un
giocattolo” disse la donna, facendola
sussultare.
“Fammi uscire”
replicò prontamente lei.
“No” fece
l’altra senza voltarsi.
Ad un suo sospiro frustrato,
continuò: “Deve venire lui”
spiegò più dolcemente.
La donna luminosa voleva il Dottore
lì, e questo secondo la
sua esperienza non era mai un buon segno. Non era la prima volta che
finiva
prigioniera di qualche alieno che
mirava al suo amico.
Era una buona merce di scambio, a
quanto pareva.
“Non è per
quello” ridacchiò l’altra voltandosi a
guardarla.
“Deve venire lui per te”
“In che senso?”
chiese lei, senza ottenere risposta.
Sbuffò di nuovo, poi si
sedette meglio. Se doveva aspettare,
tanto valeva stare comodi.
*
Il Dottore uscì dal Tardis
con la sensazione di non aver
risolto niente. E in effetti era così, ammise.
La connessione si era stabilita, ne
era sicuro, ma non
rispondeva nessuno dall’altra parte. Questo poteva voler dire
che Rose non era
in grado di rispondere, pensò mentre l’idea di una
segreteria telefonica si
delineava nella sua mente.
L’altra opzione era che qualcosa
bloccasse il segnale. Forse Rose aveva cambiato posto, non era
più nel bosco, e
il luogo in cui si trovava in quel momento era schermato.
Tutto era possibile.
Non era abituato a farsi così tante domande e non saper
rispondere a nessuna di queste. Arrivava sempre quel lampo di genio che
gli
permetteva di risolvere l’enigma, ma questa volta l’illuminazione tardava,
lasciandolo a brancolare nel buio.
“Dottore?”
alzando lo sguardo vide Jack, con tutta la truppa
al seguito, che lo scrutava, probabilmente, in cerca di segni di
cedimento.
“Novità?”
disse, sentendo la pelle delle guance tendersi con
fare innaturale. Quanto tempo era passato
da un suo vero sorriso?
“In
realtà… sì” rispose
l’altro lentamente.
“Buone o
cattive?” chiese il Dottore, cercando di trattenere
la speranza che cominciava a gonfiarglisi nel petto.
Non poteva permettersi di
essere felice, si
ricordò, non finchè
Rose non fosse stata al sicuro tra le sue braccia.
“Non saprei
dirlo” sospirò il Capitano. “Il Tardis
non può
raggiungere Rose” spiegò, odiandosi per il dolore
che cresceva nello sguardo del Signore del Tempo “abbiamo
registrato un paradosso”.
“Come può essere
anche una buona notizia?” domandò
amaramente l’altro, abbassando la testa.
“Beh, restringe il campo.
Quanti posti il Tardis non può
raggiungere?”
“Il Tardis può
andare ovunque” replicò stanco.
“A quanto pare no. Ci deve
essere un posto, nel quale la
presenza del Tardis genererebbe un paradosso”
rifletté Jack.
Ianto si schiarì la voce,
attirando l’attenzione. “Il Tardis
ha tante stanze, giusto?”
“Sì, ma cosa
c’entra ora?” chiese quasi scocciato il
Dottore.
“Beh, è la
soluzione al nostro problema” disse l’altro con
fare ovvio.
La risposta colpì il
Signore del Tempo come un fulmine a
ciel sereno.
Rose
è nel Tardis.
*
Note
dell’Autrice:
Ciao a tutti! Eccomi di nuovo
puntuale (non fateci
l’abitudine :’3) con un nuovo capitolo! Su, non
sono stata così crudele,
qualche risposta l’avete ottenuta, ma per conoscere
l’identità della donna
misteriosa *suoni misticheggianti* dovrete attendere ancora, mi
dispiace :P
Questo capitolo è un
po’ più lungo dei precedenti (2243
parole), spero non vi dispiaccia, ma non trovavo un buon modo per
concluderlo
u.u Diciamo che è un mini premio
di
consolazione, dato che non sapete ancora chi è la bellissima carceriera di Rose
(è bellissima nella mia testa, magari
vi faccio un disegno per il prossimo capitolo, per vedere se la
immaginiamo
allo stesso modo). Ringrazio comunque quelle sante donne di nikiss e _Secret_
che ormai mi recensiscono tutti i capitoli (Love
you) e che mi hanno anche dato le
loro idee sulla tiZZZia misteriosa.
Se vi va, il sondaggio è
ancora aperto (?)
Ringrazio anche tutti coloro che mi
seguono, se mi lasciaste
una recensioncina piccina piccina mi fareste davvero molto felice :3
Baci,
L.
(Spero di essere puntuale
lunedì prossimo, se non sarà così
non odiatemi, pls)
|
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Capitolo 7 *** Sesto Capitolo ***
Sesto
Capitolo
Una
volta divenuto consapevole
della posizione di Rose, si stupì di non averci pensato
prima. Certo, c’era
sempre la possibilità si
fosse aperto un portale che li aveva divisi, rispedendo lui indietro e
lei avanti, non si sa dove. Ma ora,
visto il
paradosso, l’unica opzione plausibile era quella.
Rose
era a pochi metri da lui.
Non
permise neanche a quella
frase di finire di essere formulata nella sua testa e si
alzò repentinamente,
facendo sobbalzare i suoi interlocutori. Senza proferire parola corse
fuori
dalla sede del Torchwood, rimanendo accecato dalla luce del sole che
picchiava
sulla piazza.
“Dottore!
Dove stai andando?” una
voce lo raggiunse, ma non si voltò per scoprire a chi
appartenesse.
“A
cercare Rose!” gridò, prima di
sparire tra le porte di legno blu della cabina.
Si
dette dello stupido più volte,
perché non era stato abbastanza razionale in quella ricerca,
annebbiato dai
suoi stupidi e umani sentimenti.
Cosa si fa di solito quando si perde qualcosa?
Si torna nell’ultimo posto in cui si ricorda di averla vista.
Con
questo modus operandi in
mente il Signore del Tempo superò la sala comandi,
dirigendosi in corridoio,
prima di aprire la stessa porta che aveva spalancato con Rose il giorno
prima,
in circostanze diverse.
Ok,
non era sicuro fosse passato
quel preciso lasso di tempo, il gomitolo
temporale era piuttosto aggrovigliato nella sua mente, ma qualcosa non
andava.
Era
sicuro la porta fosse quella,
nonostante la fretta si era premurato di controllare bene.
Anche
il paesaggio era piuttosto simile.
Un lago, un albero.
E
allora perché?
Semplicemente Rose non era lì. Il posto non era quello.
L’erba
era di un’altra tonalità
di verde, con troppi fiori viola e
gialli, come prima cosa. E l’albero era una quercia e non un
salice, come
doveva essere.
Era
la stanza sbagliata, decretò,
chiudendo la porta senza neanche varcare la soglia.
La
riaprì subito dopo titubante,
non senza nutrire un briciolo di speranza.
Il
paesaggio era nuovamente
cambiato.
Un fitto canneto con un piccolo stagno con le rane
e coperto di
libellule svolazzanti. Niente da fare.
Ad
una terza porta spalancata, la
stanza era ancora diversa.
Un prato ben curato all’inglese con una
fontanella sotto un melo.
Poi
ancora, Un campo di papaveri e un
abbeveratoio per mucche.
E
di nuovo, una piscina con il trampolino.
Una tinozza piena d’acqua sporca e
insaponata sotto un pero.
Qualcuno
si stava decisamente
facendo due risate, dedusse. Ma quel qualcuno doveva avere un umorismo
davvero pessimo, se pensava fosse
divertente
riproporre lo stesso paesaggio modificato. Gli elementi
erano sempre gli stessi, acqua, albero/qualcosa di alto, e
sempre nella stessa posizione. Dopo di che, il resto era lasciato al caso, come in una lista di
abbinamenti pazzi.
Era
talmente sfiduciato da non
reagire neanche quando Jack gli posò una mano sulla spalla
per confortarlo. Non
lo aveva sentito arrivare, ma era troppo abbattuto per mostrare la
minima
emozione, fosse anche semplicemente di stupore.
Restarono qualche minuto ad
osservare
l’improbabile stanza dinanzi ai loro occhi, poi il Dottore
sospirò e si tirò
indietro per chiudere la porta.
*
Rose
lo aveva capito fin dalla
prima volta che le aveva parlato. Non avrebbe scoperto niente se la sua
misteriosa interlocutrice non avesse voluto, non importava quanto
sfiancanti
sarebbero state le sue domande.
Era
seduta su quel tiepido e finto
prato da alcuni minuti, passando
il tempo ad osservare la figura in piedi davanti a lei, cercando di
capire che
tipo di alieno fosse, e ad ogni sua
ipotesi mentale, che fosse campata in aria o con un minimo di
fondamento,
riceveva una risatina divertita in risposta. Dopo aver scritto una
lista
immaginaria abbastanza lunga, ed essere stata puntualmente derisa,
aveva
rinunciato anche a quel diversivo, sdraiandosi più
comodamente contro il
pavimento erboso della stanza.
Il
Dottore sarebbe dovuto venire
da lei - per qualche oscuro motivo noto solo a Lampadina
woman - e nonostante Rose Tyler non fosse il tipo che
mollava, stare in quella stanza senza risposte e senza la causa dei
suoi
problemi da una settimana a questa parte le dava tutto il tempo di
pensare in
tranquillità sul da farsi. Insomma, stava accettando
più o meno di buon grado
la situazione, perché prigioniera o meno, era lontana dal
Dottore e dai suoi
due cuori che non avrebbero mai ricambiato i suoi sentimenti.
Doveva
rassegnarsi, imparare a
bastarsi e insegnare al suo cuore a non
sbattere contro la sua cassa toracica cercando di uscirle dal petto,
come
prima cosa.
Avrebbe
modellato i suoi
sentimenti in modo tale da rientrare nei canoni di amicizia. Non si
sarebbe
fatta spezzare il cuore da un affascinante alieno viaggiatore come in
uno
squallido filmetto di serie B, in cui lui ripartiva verso mondi
sconosciuti,
lasciandola sola a ricostruire i pezzi della sua vita.
Se
era destinata ad essere
abbandonata, come Sarah Jane e tante altre prima di lei,
l’avrebbe fatto con
dignità, senza piangere per un amore che non sarebbe mai
potuto essere
ricambiato.
Stava
andando benissimo con il
suo training di autoconvincimento, quando uno sbuffo più
forte degli altri la
costrinse ad alzare lo sguardo.
“Credi
sul serio di poter
semplicemente dimenticare?”
le disse
la donna, come sempre con il suo tono apparentemente indecifrabile, che
nascondeva
malamente una punta di ironia.
“Lui
mi lascerà, è inevitabile”
rispose lei mestamente.
“Anche
se dovesse accadere”
cominciò lei, alzando la voce ad un sopracciglio inarcato di
Rose “Anche se
dovesse accadere, non pensi sia meglio godersi il viaggio
con tutte le sue bellissime
complicazioni, piuttosto che passarlo a reprimere qualcosa per paura di
essere
abbandonati?"
Il
tono della donna si era fatto
via via più dolce, assumendo una sfumatura quasi materna,
ben distante dalla
derisione che l’aveva contraddistinto fino a quel momento.
E’ meglio aver amato e perso che non aver
amato affatto.
*
Il
Dottore non aveva più parlato
da quando la porta si era richiusa, lasciandosi guidare da Jack nella
sua sala
comandi ed ora stava lì in silenzio ad ascoltare le ipotesi
dei membri della
squadra.
Quella
situazione lo stava
distruggendo interiormente. Un’altra speranza si era
frantumata miseramente
davanti ai suoi occhi quando, illuso di riabbracciare presto la sua
Rose, si
era trovato davanti quelle stanze che, in rapida successione, gli
avevano fatto
venire il principio di un’emicrania.
O
almeno la sensazione era
quella. Non poteva dirlo con certezza, non avendo mai avuto un mal di
testa in
vita sua.
Ad
ogni modo, c’era qualcosa di
profondamente sbagliato in tutto quello. Il suo Tardis non lo aveva mai
tradito, non aveva mai fatto sparire una stanza, soprattutto se
all’interno
c’era quanto di più caro avesse al mondo.
Sospirò,
prima di alzare lo
sguardo e prestare attenzione a quanto stava dicendo Jack.
“E’
evidente che qualcosa la
tiene in ostaggio” fece sicuro “E questo qualcosa
controlla anche la tua
cabina, Dottore, impedendoti di raggiungere Rose” aggiunse
guardandolo
direttamente.
“Il
problema è che non ho idea di
cosa possa essere” replicò lui affranto
“Il Tardis è praticamente impermeabile
ad ogni invasione”.
Seguì
un momento di silenzio, nel
quale tutti si lasciarono sfuggire un sospiro impotente. Avevano poche
speranze
di ritrovare la ragazza, se chi la teneva in ostaggio non si fosse
palesato.
“Mi
chiedo cosa voglia” biascicò
a mezza voce Ianto, dando voce al pensiero principale di tutti.
Questo
misterioso rapitore alieno, infatti,
non rientrava minimamente nei
canoni dei misteriosi rapitori alieni che ognuno di loro aveva
incontrato.
Come
prima cosa, qualsiasi
manigoldo, spaziale o meno, si sarebbe messo in contatto con il
Dottore,
cercando di ottenere qualcosa in cambio. In questo caso non
c’era stato nulla
di teatrale nel rapimento, era accaduto quasi per caso, e nessun essere
vivente
aveva chiesto riscatti.
Era
come se Rose fosse sparita
nel nulla, come se la ragazza fosse già
la ricompensa sperata.
In
quel caso l’alieno che si era
impossessato della sua compagna di viaggio non aveva fatto i conti con
la sua
esistenza quasi inesauribile. Aveva del Tempo
a disposizione, avrebbe potuto rivoltare il Tardis e tutte le sue
stanze, alla
ricerca di quella radura, alla ricerca di Rose, fino
all’ultima porta.
“Tu
la ami?” la voce di Gwen si
fece largo tra i suoi pensieri, e senza accorgersene si
ritrovò ad annuire
quasi distrattamente.
“Sì,
la amo”.
Prima
che la sua frase fosse
conclusa, un'altra si sovrappose, echeggiando nella sala comandi.
E’ meglio aver amato e perso che non aver
amato affatto.
*
La
frase risuonò nella radura,
costringendo la ragazza a riflettere.
“Hai
detto, se dovesse accadere”
cominciò titubante.
La
Donna Luminosa si voltò verso
di lei sorridendo, probabilmente aspettandosi le sue parole,
invitandola a
proseguire.
Rose
si schiarì meglio la voce,
cercando di esprimere al meglio quello che voleva dire.
“Non
c’è un se dovesse
accadere” precisò dopo qualche istante
di silenzio.
L’altra fece per ribattere, poi tacque, permettendole di
chiarire il punto.
“Non
c’è, e sai perché?”
continuò
l’altra retoricamente “Perché io sono
umana. Una povera, stupida ragazza con un
cuore solo che si è innamorata di questo universo e vorrebbe
vedere tutto ma
non può, per colpa del suo povero, stupido cuore umano, che
prima o poi cesserà
di battere.”
La
Donna continuava a sorridere
senza dire nulla e la cosa non faceva altro che infastidirla.
“Ma
non è solo questo” disse poi,
sputando le parole quasi con rabbia “Il mio piccolo, stupido
cuore umano non
ama solo l’universo. Stelle e pianeti sono belli,
sì, ma il mio
cuore” sottolineò il concetto
portandosi una mano al petto “il mio cuore ama anche qualcuno. E questo amore fa
più male dell’altro, perché mille soli
e lune non possono reggere il confronto con il Dottore”
concluse svuotata,
ritrovando il suo posto sul prato.
Alzò
di poco lo sguardo,
osservando la Donna Luminosa sorridere. Probabilmente era sembrata
estremamente
patetica, ma quello era ciò che provava, ed era inutile
mentire, soprattutto in
quel momento.
Non
aveva senso far finta di star
bene quando sei chissà dove in una cabina immensa con una
donna sconosciuta che
ti legge nel pensiero. Chiunque sarebbe crollato, e lei, Rose Tyler,
faceva
parte della categoria. Non c’era
niente
di speciale in lei, era solo un’umana, ribadì.
Ed essere lei significava
essere abbandonata da affascinanti alieni in cabina. Le due cose
andavano a
braccetto e non avrebbe potuto farci niente.
Perché,
nel corso del tempo,
della storia, che Rose Tyler fosse innamorata del Dottore non era
importante. Lei non era importante.
In 900 anni di tempo e spazio non ho mai conosciuto
qualcuno che non
fosse importante.
“Ehi,
quella è la mia
battuta” una voce conosciuta la fece
voltare di scatto.
Nella
radura c’era il Dottore,
come lo aveva lasciato giorni prima, arruffato
e sorridente.
Non riuscì neanche ad alzarsi per lo stupore. Ma il suo
alieno era già lì, che
la tirava su e l’abbracciava forte per non lasciarla
più.
*
Note
dell’Autrice:
Hola!
Lo so, sono imperdonabile,
è più di un mese che non aggiorno e bla bla bla,
però sorridete, i nostri
ciccipuzzoli si sono riabbracciati!
Come
capitolo è corto, ne sono
consapevole, ma doveva finire così e non mi va di scrivere
cose in più se non
sono necessarie. Avevo pensato di scrivere l’epilogo insieme
a questo capitolo,
così sarebbe stato più lungo, ma sono egoista,
non voglio abbandonarvi così
presto e quindi vi faccio aspettare ancora un po’ :3
Spero
possiate perdonarmi per
tutto, ritardo, lunghezza, angst,
errori che sicuramente mi sono sfuggiti, e scrivermi tutto
ciò che non vi sta
bene (ma anche complimenti eh, noncopritemidiinsultiviprego)
in una recensione :)
Lascio
i sentimentalismi per l’epilogo
(che ancora non scrivo ma giuro di
essere puntuale questa volta) e vi do appuntamento alla prossima
settimana (non
so di preciso il giorno, massimo venerdì prossimo).
Baci,
L.
P.S: Lo so che la citazione è dell'undicesimo ma alla fine
è un must
e mi serviva, perdonatemi anche per quello :)
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Capitolo 8 *** Epilogo ***
Epilogo
Cosa era successo? Un attimo prima era
lì, impegnata in uno
sproloquio senza fine contro una creatura luminosa non bene
identificata, e
quello dopo era tra le braccia del suo Signore del Tempo, cercando di
capire
come ricominciare a respirare.
Si
separarono dopo parecchi
istanti, solo per guardarsi negli occhi ed essere certi che
sì, erano lì, insieme.
Una
volta appurato questo, si
baciarono. Per qualche secondo entrambi si chiesero chi avesse fatto la
prima
mossa, ma poi decisero che non era importante. L’unica cosa
importante erano loro, abbracciati
al centro di una
stanza che mai e poi mai avrebbe
potuto contenere l’amore che provavano l’uno per
l’altro.
La
Donna Luminosa stette a
guardarli per un po’, poi sorridendo scomparve.
*
“Rose!
Sei viva!” La prima ad
alzarsi fu Gwen, quando i nostri eroi varcarono la porta della sala
comandi.
Poco
a poco si alzarono tutti,
increduli, e i due si ritrovarono sommersi da abbracci e grida di
giubilo.
“Perché così poca fiducia sul nostro
ritorno?” fece Rose divertita.
“Beh,
prima di tutto il tuo amico
qui era totalmente fuori di
sé”
cominciò Jack accennando al Dottore, che arrossì
imbarazzato. “Diciamo che
l’essere più intelligente dell’universo
è stato molto poco
intelligente ultimamente” ridacchiò.
“Io
invece ero certa mi avrebbe
trovato” replicò la ragazza, suscitando finti
conati nei membri del Torchwood.
“Siamo
contenti sia finito tutto
bene” disse Gwen indicando le loro mani unite.
“Mi state dicendo che non ho
più la possibilità di farmi nessuno di voi
due?” esclamò ad un certo punto il
Capitano, ricevendo un sonoro
scappellotto da Ianto.
*
I
ragazzi erano tutti in cucina,
gustandosi una tazza di thè caldo, cercando di fare il punto
sugli ultimi
dubbi.
Come era finito il Dottore nella Stanza? E dove si
trovava
precisamente?
Una
volta chiusa la porta,
infatti, la radura con il salice era sparita, persa nell’immensità del Tardis,
probabilmente.
Il
dubbio più grande di tutti, ad
ogni modo, restava l’identità della donna
misteriosa. La carceriera di Rose,
infatti, era scomparsa e, se nella confusione dei baci che si erano
scambiati
non ci avevano fatto poi tanto caso, ora a mente fresca riemergeva in
loro il
bisogno di risposte.
Ma
dopo un’oretta passata a far
finta di essere Sherlock Holmes, con identikit improbabili quali il
fantasma
della bisnonna di Rose o la solidificazione dell’alito di
Owen – ipotesi
portata avanti da lui stesso, per altro – si resero conto che
non avrebbero
cavato un ragno dal buco.
Dopo
un normalissimo pomeriggio
passato a mangiare biscotti era giunto il momento di tornare alle loro
vite,
Rose e il Dottore in giro nell’universo, il Torchwood,
beh… a fare il Torchwood.
Si
salutarono sulla porta della
cabina, assicurandosi che si sarebbero rivisti presto e il Dottore,
mentre
chiudeva le ante blu, sperò davvero di poter mantenere
quella promessa.
Ma aveva altre cose a cui pensare, in quel momento, e riguardavano
tutte un’adorabile umana
bionda che lo aspettava
in piedi accanto alla console, con le mani ben infilate nelle tasche,
facendola
apparire ancora più giovane.
Non
si sarebbe tirato indietro, questa
volta. L’amava, l’aveva baciata. L’amava.
C’erano
tante cose da dire, tante
ancora da fare, ma se si fosse fermato a pensare a cosa fosse giusto e
cosa no
avrebbe rovinato tutto, come al solito. Era sempre stato uno che viveva
alla
giornata perché, nonostante l’eternità
di tempo a disposizione, sapeva che la vita è mutevole e
l’universo ancora di
più. L’esistenza è sempre troppo breve,
da umani o da Signori del Tempo, e lui
ne aveva già sprecata molta, con le sue remore e i suoi
dubbi.
Non
avrebbe atteso oltre.
Si
avvicinò a Rose e le tese la
mano, aspettando che lei l’afferrasse prima di dirigersi
verso il corridoio e
spalancare una porta a caso.
Avrebbero
potuto trovarsi in
cucina, in bagno, in uno sgabuzzino,
ma il Tardis era stato gentile e aveva creato la camera da letto
più bella che
lui avesse visto, con petali di rosa ovunque e candele profumate alla
vaniglia.
“Sembra
comodo” disse Rose per
stemperare la tensione che si era creata, avvicinandosi al letto a
baldacchino.
Poi senza preavviso ci saltò sopra, facendo volare petali
ovunque prima di
voltarsi a guardarlo interrogativa.
“Che
fai lì impalato?” domandò,
notandolo fermo sulla soglia “Non ti mordo mica”
ridacchiò con la lingua tra i
denti.
Il
Dottore ricambiò il sorriso e
si avvicinò, sdraiandosi accanto a lei sul copriletto bianco.
“Io
ho più di 900 anni” commentò
divertito, guardandola con la coda dell’occhio
“Perché mi fai sempre sembrare
un bambino?”
“Oh,
John, ma tu
sei un
bambino” sussurrò lei a pochi centimetri dalle sue
labbra, prima di baciarlo.
*
Da qualche parte, lontano da quella stanza, un
sorriso dorato illuminò
la radura.
Note
dell’Autrice:
Ciao a tutti! Sono di nuovo in ritardo,
lo so, ma ormai ci avete
fatto l’abitudine… ecco a voi l’epilogo,
chi si aspettava qualche dettaglio rating rosso
*alza la mano* mi scusi tanto, non sono stata in grado di scriverlo
come volevo
e quindi non l’ho scritto per niente, lasciando le sconcezze nella stanza bianca e nella
vostra mente u.u So che vi
aspettavate anche rivelassi l’identità di Miss
Dior ma ancora una volta preferisco che ognuno si crei la
versione che più
preferisce. Se proprio volete sapere nella mia testa chi è,
lo scriverò qui sotto
in bianco. [selezionate così potete leggere]
La storia è nata come una
missione del Tardis (la
donna luminosa) nel far capire a Rose e Ten che “E’ meglio
aver amato e perso
che non aver amato affatto”. So che Bad Wolf ha
gli occhi blu e non dorati, ma
la donna luminosa non
è Bad Wolf ma una personificazione del Tardis.
In sintesi
non possiede nessuno, si è semplicemente solidificata. E
beh, mi piacevano gli
occhi blu.
Spero di non avervi deluso!
Beh,
che dire, siamo giunti alla
fine e mi mancherete tutti tutti tutti
:c Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno perso tempo a leggere
anche solo
un capitolo di questa storia, chi mi ha seguito, preferito, ricordato,
e
soprattutto quelle sante che mi
hanno
recensito! Siete ancora in tempo per farmi sapere il vostro parere, se
vi ha
deluso il finale, se lo avete apprezzato almeno un minimo…
Aspetto con ansia i
vostri commenti!
Come
ho già scritto a qualcuno
(credo) ci saranno quasi sicuramente altre one shot su questa
serie, quindi forse non è una fine definitiva :) In ogni
caso scriverò ancora
altro, in altri fandom, di altre ship, quindi seguitemi!
Baci,
L.
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