E saremo ancora io e te, contro il resto del mondo.

di BettyLovegood
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Don't be dead. ***
Capitolo 2: *** Gli amanti perduti ***
Capitolo 3: *** L'arte del dedurre. ***
Capitolo 4: *** Notti senza cuore. ***



Capitolo 1
*** Don't be dead. ***


Note di B.
Hola popolo di EFP. ;3
Da brava ragazza quale sono ho deciso di iniziare questa raccolta con qualcosa di veramente triste.
Il tutto è ovviamente ispirato alla fanart sotto pubblicata.
Spero vi piaccia. ^^



 

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- Flashfic, 441 parole –

#1 - DON'T BE DEAD.


Smettila Sherlock Holmes.
Alzati da li e parlami, insultami, deduci, annoiami.
Fai quel che vuoi, ma per l’amor di Dio, smettila Sherlock Holmes.
Ritorna a sorridere, a camminare avanti e indietro, spara ai muri, gioisci per un crimine.
Avanti Sherlock Holmes, smettila di prendermi in giro.
Il 221b ti sta aspettando, caldo e accogliente come sempre.
La signora Hudson ha preparato il tè e i biscotti che tanto ti piacciono, nel frigo ci sono ancora quelle dita mozzate che Molly ti ha portato e Lestrade è entrato in crisi per uno stupido caso.
Avanti Sherlock Holmes, Londra ha bisogno di te, io ho bisogno di te.
Quindi smettila Sherlock Holmes, alzati una buona volta da li e metti fine a tutto questo.
Avanti, so che puoi farlo, so che è tutto finto, so che non può essere vero.
Smettila Sherlock Holmes, prometto di non arrabbiarmi più quando suoni il violino alle tre del mattino, o quando metti in ridicolo qualcuno con le tue deduzioni o quando non vai a comprare il latte.
Alzati Sherlock Holmes, alzati e guardami con i tuoi occhi azzurri.
Leggi tutto quel che sto provando, la sofferenza, il dolore, il vuoto.
Alzati e ritorniamo insieme a casa Sherlock Holmes, solo io e te, senza nessuno, come sempre.
Io e te contro il resto del mondo, ricordi?
Non può esistere solo John. Non può farcela da solo John.
Siamo John e Sherlock, quindi smettila Sherlock Holmes, non puoi lasciarmi solo.
Siamo Sherlock e John, l’uno non può vivere senza l’altro, quindi alzati Sherlock Holmes.
Alzati e dimmi che è tutta una farsa, un trucco, uno stupido gioco.
Non credo ad una sola parola di quel che mi hai detto.
Tu non sei un impostore, non sei un bugiardo.
Ti conosco Sherlock Holmes, non mi avresti mai mentito per tutto questo tempo.
E non farlo neanche ora Sherlock Holmes, dimmi la verità, dimmi che non è successo niente.
Alzati da li e andiamocene via Sherlock Holmes, andiamo via da questo marciapiede, spostiamoci da questa pioggia incessante che ci bagna, che si mischia con le mie lacrime, con il tuo sangue.
Forza Sherlock Holmes, ritorna da me, ho bisogno di te.
Fammi vivere di nuovo Sherlock Holmes, salvami ancora una volta, non lasciarmi morire con te.
Smettila Sherlock Holmes, smettila di essere morto.
Smettila di sanguinare, smettila di non respirare, smettila di non parlare, smettila e basta.
Ti rivoglio con me Sherlock Holmes, non andartene via così.
Ritorna da me Sherlock Holmes, ritorna dal tuo John Watson e vedrai che smetterà di piovere, le mie lacrime si fermeranno.
Il sole brillerà finalmente su Londra e il mio sorriso ricomparirà.
Ritorna da me Sherlock Holmes e smettila, smettila di essere morto.

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Capitolo 2
*** Gli amanti perduti ***


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- OneShot, 2016 parole. -

 

#2 - Gli amanti perduti.

A Mary, la mia portatrice di luce.

 



L'unica cosa che John riesce a chiedersi in quel momento è: perché?
Perché è successo tutto quello? Perché non è riuscito ad impedirlo? Perché lui lo ha fatto? Perché è stato così dannatamente stupido da non capirlo?
John sospira piano, cercando di contenere inutilmente le lacrime che pretendono di scendere.
"Resta con me Sherlock" si ritrova a sussurrare al corpo posto ai suoi piedi. "Resta con me."

La sua mano scivola su quella del coinquilino, fredda e bagnata.
Gli tocca il polso, sentendo un lieve battito.
"Sherlock" mormora speranzoso. "Apri gli occhi Sherlock."
Ma l'amico non si muove, rimane inerme tra le sue braccia. John lo osserva, il petto si muove lentamente su e giù, gli occhi rimangono serrati, una chiazza di sangue si sta allargando all'altezza del cuore.
"Ce la puoi fare." Gli dice, accarezzandogli la mano. "Avanti Sherlock, tieni duro, l'ambulanza sta arrivando."
Continua a parlargli John, senza ricevere risposta. Perché non risponde? Perché rimane in silenzio?
Il respiro si fa sempre più debole, il sangue inizia a mischiarsi con l'acqua della piscina.
"Non andare Sherlock, non andare via." John stringe forte il corpo del coinquilino al suo, frena ancora le lacrime. Non deve piangere, Sherlock ce la farà, Sherlock vivrà.
John poggia la sua fronte contro quella dell'amico, punta i suoi occhi sulle palpebre chiuse dell'altro.
"Avanti Sherlock" sibila, quasi con rabbia"Non lasciarmi solo, non farmi nuovamente del male. Apri gli occhi Sherlock! "
Uno spruzzo di azzurro, un battito veloce di ciglia e John si ritrova a fissare i suoi splendidi occhi dal colore indefinito.
"Sherlock" sussurra John, la fronte ancora poggiata alla sua, gli occhi fissi in quell'azzurro che non sembra azzurro, le labbra a pochi centimetri le une dalle altre.
"John" la voce di Sherlock è roca e profonda. Il dottore non ha mai sentito un suono più bello di quello. "John io..."
John lo zittisce, poggiandogli un dito sulle labbra. "Perché Sherlock?" chiede, la rabbia sostituisce la sorpresa e si ritrova a stringere leggermente i pugni. "Perché lo hai fatto?"
Sherlock socchiude gli occhi e John istintivamente lo stringe più forte, come per risvegliarlo.
"John io non..." La voce di Sherlock si spegne in un attimo. Il consulente investigativo non sa cosa dirgli.
"Mi dispiace" "Scusa" "Ti amo"
Sono tante le cose che vorrebbe urlare in quel momento, ma non ci riesce.
Sente una forte fitta al petto e stringe i denti. Deve farcela, non può lasciare John da solo. Non può farlo soffrire ancora.
"Sai che non hai scampo fratellino" gli sussurra la voce di Mycroft. Sherlock chiude gli occhi e li riapre velocemente, per uscire dal suo MindPlace. C'è già stato rinchiuso a lungo, e sa come andrà a finire.
Osserva il voto di John, devastato, sofferente e stringe gli occhi per non piangere.
"Dimmi perché ti sei preso quella pallottola al posto mio" mormora piano il dottore.
"Tu sei quello importante John."
"Sei tu il genio Sherlock, non io."
Il detective si lascia sfuggire un sorriso storto. "Tu hai Mary, una figlia da crescere. Io non servo a nessuno, nessuno ha bisogno di me."
John apre e chiude la bocca senza riuscire a proferire parola.

Ricorda l'assassino che stavano inseguendo, un uomo alto con il volto celato da una maschera. Ricorda Sherlock, a pochi metri dietro di lui urlargli di non lasciarselo sfuggire. Ricorda di essersi voltato, come un idiota, verso l'amico, per ribadire che lui non si lascia sfuggire nessuno. E poi un urlo, Sherlock che lo tira giù e uno sparo. Il tonfo di un corpo che cade e qualcuno che si allontana correndo.
Ricorda di aver urlato il nome di Sherlock, di aver sparato alla cieca verso l’assassino e poi il caos totale.
L’aveva fatto di nuovo. Gli aveva salvato di nuovo la vita, per la terza volta.
John vorrebbe chiedergli perché continua a farlo, perché continua ad essere cosi dannatamente perfetto, perché ha scelto proprio lui.
Vorrebbe strappargli quel sorriso storto con un bacio per ringraziarlo di tutto quel che ha fatto per lui.
Ma non fa nulla di quello John, perché trasformare i pensieri in realtà è una cosa dannatamente difficile per lui. Gli accarezza una guancia fredda e si lascia sfuggire una lacrima.
"Sei un grandissimo idiota." Sussurra.
Sherlock sorride, calde lacrime scendono anche sul suo volto.
“Due secondi fa ero un genio”
“Si beh, sei un genio idiota.”
Sherlock si muove tra le sue braccia e John lo ferma.
“Sta fermo, l’emorragia …”
“John.” Il dottore riconosce subito il tono dell’amico. E’ quello che usa per fargli notare qualcosa di ovvio, quello che accompagna sempre con uno sbuffo, quello che nasconde dietro un ‘perché siete tutti idioti da non capire’.
“No.” Mormora in risposta, continuando a tenerlo fermo steso sulle sue gambe. “Stai fermo”
Sherlock sospira, allunga una mano per asciugargli le lacrime e John gliela ferma li, sulla sua guancia.
“John sei un dottore.” Gli dice. “Sappiamo entrambi come andrà a finire. Io non..”
“Sta zitto!” John lo interrompe, con voce dura. Le lacrime continuano a scendere, ormai non più fermarle. “Tu non morirai Sherlock, io non ti permetterò di andare via.”
E’ un ordine quello di John. Un ordine del capitano Watson che Sherlock non potrà eseguire, e lo sanno bene entrambi.
Sherlock deglutisce, la vista sta iniziando ad appannarsi, non sente più niente al di fuori della guancia calda di John sotto la sua mano.
“Parlami Sherlock” ordina ancora John. “Resta con me”
Sherlock annuisce piano, la sua testa sembra pesare tonnellate.
“Mi dispiace John.” Bisbiglia. “Mi dispiace per tutto, io non riesco…”
John scuote il capo, poi fa la cosa che meno si aspettava di fare ma che più desiderava fare da molto, troppo, tempo: lo bacia.
Un tocco di labbra, lacrime che si mischiano le une con le altre, sapore di sale e di cloro.
Si scambiano un bacio John e Sherlock, un bacio che sa di disperazione e sofferenza. Un bacio che racchiude tante cose mai dette, tante cose dimenticate, tante cose nascoste.
Un bacio che sa di addio.
Sherlock assapora quelle morbide labbra che da tanto desiderava far sue, chiude gli occhi per ricordare per sempre quel tocco leggero e magnifico del suo dottore.

Non doveva accadere così. Si ritrova a pensare il consulente investigativo.
Non doveva sapere di disperazione quel bacio, ma di gioia, di conquista e d’amore.
Ma infondo che ne sa lui di baci? Lui che disprezza i sentimenti, odia l’amore e rinnega la bellezza.
Che ne sa lui di tutto ciò? Lui è solo una fredda macchina calcolatrice, zero sentimenti, zero complicazioni.
Non sa nulla Sherlock Holmes di queste cose, ma c’è sempre un’eccezione.
E John Watson era la sua. John Watson è ciò che ha fatto rivivere Sherlock ed è ciò che lo sta uccidendo.
Una perfetta sintesi di una storia d’amore.


John piange. Si aggrappa al corpo di Sherlock. Non può lasciarlo andare via, non ora, non in questo momento, ne mai.
John non può andare avanti senza di lui, lo sa bene.
“Io ho bisogno di te Sherlock” gli urla. “Ho bisogno di te come un pesce ha bisogno d’acqua, come il sole ha bisogno della luna, come… come una pianta ha bisogno dell’anidride carbonica. Ho bisogno di te Sherlock Holmes, ho bisogno della tua follia, dei tuoi sbalzi d’umore e del tuo sorriso. Ho bisogno del tuo violino alle tre del mattino, dei tuoi esperimenti e delle tue stupide deduzioni. Ho bisogno di sentirti vicino, di poterti accarezzare di poter baciare nuovamente le tue labbra.”
Sherlock si bea delle dolci parole di John, del suo John, chiudendo gli occhi.
Sono le ultime cose che sentirà in vita sua, ed è felice Sherlock.
Sta scivolando via, lontano da John, lontano da tutti, ma il suono della voce di John lo accompagna, non lo lascerà mai.
“Ho bisogno di te Sherlock.” Sussurra ancora una volta John, con voce spezzata. “Non andare via.”
Ma John sa benissimo che Sherlock è già andato.
Il suo cuore ha smesso di battere, i polmoni di respirare.
Sherlock è andato via, in un posto dove John non potrà raggiungerlo.
“Non puoi averlo fatto sul serio Sherlock.” John scuote il capo, sul volto del compagno è rimasto dipinto un sorriso. “Non puoi avermi lasciato”

John sente dei passi avvicinarsi, non si volta a vedere chi è, non gli importa nulla.
Qualcuno lo chiama piano, ma lui non risponde continua a tenere gli occhi fissi sul volto di Sherlock, continua a sperare di rivedere i suoi occhi riaprirsi e la sua bocca muoversi.
Un uomo gli poggia una mano sulla spalla, lo tira per allontanarlo, mentre una donna e un ragazzo si chinano a prendere il corpo di Sherlock.
“No” mormora, liberandosi dalla stretta dell’uomo, per riavvicinarsi a Sherlock.
Non può lasciarlo.
“John vieni via.” Il dottore riconosce la voce di Mycroft, scuote la testa e rimane li.
“Ho bisogno di lui” sussurra piano afferrandogli la mano fredda.
L’uomo sospira, osservando il corpo del fratello privo di vita. “Lo so John, anche io.”
John si volta finalmente ad osservarlo. Non piange Mycroft Holmes, rimane in piedi dietro di lui con il suo completo impeccabile e il suo ombrello scuro.
Non versa lacrime Mycrof, ma John riconosce la sofferenza nei suoi occhi.
Annuisce piano e finalmente si alza, lasciando che i medici prendano il corpo di Sherlock.
Si asciuga le lacrime e prende un forte respiro.
Da un’ultima occhiata a Sherlock, coperto interamente da un lenzuolo bianco, volta le spalle e se ne va, ignorando le persone che tentano di fermarlo.
Non c’è niente più che gli impedisce di andarsene.



 

*******
 






Le ragazze di Baker Street amano raccontarsi storie d’amore.
C’è quella del principe innamorato di una serva, del vampiro infatuato della mortale, ma quella che più amano è quella dei due amanti perduti.
Si dice che da Southwark a St. James’s, passando per Waterloo; da Westminster a Belgravia fino ad arrivare su a Marylebone (*) si può ascoltare la loro storia.
Un dottore e un geniale detective; un uomo paziente e il suo irritante amico; un soldato e un violinista; uno scrittore e un allevatore d’api; … Sono tanti i ruoli che assumono i due, non si sa mai quale siano quelli giusti.
Forse tutti, o forse nessuno.
I due si sono conosciuti grazie ad un amico, un grasso Cupido, come amano chiamarlo le ragazze, in un ospedale.
E’ bastato uno sguardo, poche parole e i due si sono ritrovati a condividere un appartamento.
Hanno vissuto una vita piena d’avventure insieme, si dice che si sono salvati a vicenda, rendendo meravigliosa la vita l’uno dell’altro.
Si racconta che i due hanno scoperto solo in punto di morte il loro amore, ma tutti i loro amici sapevano già che la loro era una sconosciuta (ai loro occhi) storia d’amore.
Si dice che siano riusciti a scambiarsi un solo bacio, ma che con quello abbiano suggellato anni e anni di cose non dette, parole nascoste,
Dicono che uno dei due era sposato, aveva una figlia, una bella vita che ha abbandonato per un po’ per preoccuparsi dell’uomo che in realtà amava.
Raccontano che uno dei due sia ancora vivo, invecchiato e stanco, ma che ogni singolo giorno passa per Baker Street e si ferma davanti al 221b, una casa abbandonata che non hanno mai demolito, e sorride.
Si dice che l’uomo ancora vivo, per motivi sconosciuti, non si sia mai fatto crescere i baffi e che zoppica appoggiandosi ad bastone.
Raccontano che vicino alla tomba dell'amante perduto ci sia un ombrello scuro, che nessuno mai porta via.
Dicono che la loro storia è speciale, che l'uomo morto abbia salvato ben tre volte la vita dell'uomo che amava e che nessuno mai sarà in grando di prendere il posto di quest'uomo nel cuore dell'altro.
Raccontano che è tutta una leggenda, non può esistere un amore così grande, ma la ragazza dai biondi capelli e gli occhi azzurri sorride.
Lei sa la verità, lei conosce la vera storia dei due amanti perduti e sa che l'uomo ancora vivo non ha mai smesso di amare il suo migliore amico.




Note di B.
(*) Mentre sfogliavo una vecchia cartina di Londra ho scoperto che Marylebone è un'area di Londra  dove si trova Baker Street.

Questa storia è nata grazie ad una "sfida" lanciata da Koa su facebook.
E' inspirata alla fanart stupenda pubblicata sopra.
Ho riscritto questa storia forse dieci volte, ci ho messo un'intera settimana e non riesce a convincermi, ma sono felice di essermi sbloccata dal mio periodo di 'non scrittura'.
Ringrazio Koa per questa magnifica sfida, mi sono divertita e spero di giocare ancora ;)
Ah, la sfida consisteva in non più di  2500 parole, e c'era bisogno dell'avvertimento death.
Credo di essere riuscita in tutto xD
Vi consiglio vivamente di andare a leggere la storia di Koa e di Rosebud, le due partecipanti alla sfida, meritano sicuramente di essere lette e amate.
Prometto di tornare con qualcosa di meno triste,
with love B <3

 

 

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Capitolo 3
*** L'arte del dedurre. ***


Note di B.
Questa storia è nata durante la partecipazione alla Winter is coming Week indetta dal gruppo We are out for prompt.
Il prompt è di Donatella:
AU, in cui Sherlock viene obbligato (a te come o perchè) ad una seduta psichiatrica e John è il dottore.


 

-One shot, 1268 parole. -
 
#3 - L'arte del dedurre.

 

 

"Ho detto di no."
"E io ho detto si, Sherlcok tu farai come ti dico."
"Costringimi"
Sherlcok puntò i suoi occhi azzurri in quelli scuri del fratello, il quale non si scompose minimamente difronte all'ostinazione e al tono di sfida dell'uomo seduto davanti a lui.
Cacciò dalla tasca un taccuino nero e lo apri all'ultima pagina.
"Preferisci forse una perquisizione per droga da parte di un certo Philip Anderson?"
Sherlcok sbruffò dinanzi al nome dell'uomo più insopportabile -e idiota- del pianteta.
"Anderson fa parte della scientifica, non può eseguire una perquisizione per droga."
Mycroft sorrise maliziosamente, riponendo il taccuino in tasca.
"Quindi non sei pulito?"
"Certo che si!" rispose velocemente il fratello.
"Oh, fratellino non farlo. So riconoscere un bugiardo dal suono della sua voce. Dovresti saperlo."
Sherlock strinse i braccioli della poltrona su cui era seduto. Odiava essere letto da suo fratello.
"Non andrò da un maledetto psicologo Mycroft!"
"Sappi che si è offerto volontario. Ed è molto ansioso di perquisire questo posto."
Sherlock sospirò rumorosamente. C'era un solo modo per mettere fine a tutto quello.
"Non sono uno psicopatico Mycroft."
"Beh, nostra madre non la pensa cosi. Quindi accetti?"
Il consulente investigativo si alzò dalla poltrona, si sistemò la già impeccabile giacca ed aprì la porta dell'appartamento.
"Quando la smetterai di essere il cocco di mamma me lo dirai. Addio Mycroft."
Mycroft si alzò a sua volta e raggiunse la porta.
"A domani Sherlock" gli disse, prima di uscire.
"Ti ha comprato con una torta, vero?" domandò con un'occhiataccia.
Mycroft fece per rispondere,  ma suo fratello fu più veloce. Gli chiuse la porta in faccia e si recò nel salotto a suonare il violino.


 

* * * *
Lo studio del dottor John H. Watson era di un azzurro spento. Tutto era pulito e ordinato, sulla scrivania non c'erano foto di nessun tipo, alla parete era appesa solo una laurea in psicologia conseguita con il massimo dei voti e l'aria profumava di lavanda. Sherlock stava già escogitando una via di fuga da quell'inferno in cui era costretto a stare, quando la porta si aprì ed entrò un uomo basso, biondo dagli occhi azzurri. Zoppicava leggermente, poggiandosi ad un bastone lungo e grigio. "Mr. Holmes, buongiorno." salutò educatamente il dottore, porgendogli la mano. Sherlock non la strinse,  si limitò ad un cenno del capo. "Dottor Watson."
John osservò la sua mano, ancora distesa verso l'uomo, poi la abbassò.
"La prego, si accomodi"
Sherlock non si accomodò, continuò a vagare per la stanza alla ricerca di qualcosa di interessante.
"Afghanistan o Iraq?" domandò senza guardarlo.
"Come scusi?" John osservò il suo paziente, ora apparentemente interessato alla sua laurea appesa alla parete.
Sherlcok si voltò, facendo svolazzare il suo lungo cappotto.
"Oh andiamo dottor Watson, io non ho intenzione di rispondere alle sue domande e lei non ha intenzione di lasciarmi andare. " Holmes raggiunse la poltrona sistemata difronte al dottore, si tolse il cappotto e si accomodò accavallando elegantemente le lunghe gambe. "Quindi cerchiamo di passare questa mezz'ora nel modo meno noioso possibile. Afghanistan o Iraq?"
John si sistemò, decisamente meno elegantemente del suo paziente,  sull'altra poltrona. C'era qualcosa di strano in quell'Holmes qualcosa di strano, ma decisamente interessante.
"Afghanistan" mormorò. "Chi gliel'ha detto?"
Sherlock sorrise. "Oh io non ho bisogno di informatori, sono in grado di dedurre da solo la vita di un ex medico militare"
John s'irrigidi leggermente, ma continuò quella sorta di gioco che avevano iniziato. "Dedurre?"
Holmes annuì, stava attirando l'attenzione del dottore e la cosa gli piaceva parecchio.
"So che lei è un medico militare, ritornato da poco da una missione. Due mesi, direi a giudicare dall'abbronzatura.  So che è stato ferito alla spalla e che segue un'analista. Posso anche dirle che è un uomo solo, non ha moglie, fidanzata o fidanzato e non ha nessun tipo di legame con la sua famiglia."
John rimase in silenzio per qualche secondo. Non sapeva bene come reagire.
"Come sa tutto questo?" chiese, osservando gli occhi azzurri del paziente.
Sherlock si prese qualche secondo di silenzio prima di rispondere.
"La sua laurea non è una laurea in psicologia. Lei è un medico, con la specialistica in psicologia. Un medico che a giudicare dall'abbronzatura è stato all'estero da poco. Ma non per vacanza, la sua abbronzatura non va oltre i polsi, quindi ci è stato per lavoro. Un medico che lavora all'estero all'aperto?  Un medico militare, che a giudicare dalla sua andatura è stato ferito gravemente e messo in congedo. La sua analista gli ha diagnosticato un disturbo psicosomatico. Ha ragione. Lei zoppica poggiandosi al bastone ma non si siede. Per quanto riguarda l'essere solo è semplice. Non ha fotografie di nessun tipo in giro. Un uomo con qualsiasi tipo di relazione duratura avrebbe una foto di sua moglie o fidanzata. Lo stesso vale per la famiglia."
John rimase a fissare l'uomo davanti a sé per qualche interminabile secondo.
"È stato davvero stupefacente." si lasciò sfuggire, senza riuscire a smettere di guardarlo.
Sherlock alzò un sopracciglio, sorpreso. "Davvero?"
John annuì, quell'uomo gli aveva appena raccontato metà della sua vita con un solo sguardo. "Sì,  davvero fantastico."
"Non è quello che la gente mi dice di solito." Sherlock abbassò gli occhi, per un attimo imbarazzato.
"E cosa le dicono?"
"Fuori dai piedi."
John sorrise e Sherlock con lui.
"Allora signor Holmes, ora mi lasci fare il mio lavoro. Anche io sono in grado di dedurre la sua vita, lo sa?"
Sherlock gli lanciò uno sguardo di sfida.
"La prego, mi illumini."
John lo osservò per un attimo, soffermandosi sui suoi occhi che sembravano cambiare colore.
"Lei è un uomo solo, è un detective privato che aiuta la polizia a risolvere casi. Suona il violino e non dorme molto. Ora mi dica, a cosa le serve la cocaina?"
Sherlock non si scompose difronte alle vere notizie appena ascoltate,  continuò a sorridere.
"Oh questo non è giusto."
"Cosa?"
"Ha imbrogliato dottor Watson."
John alzò un sopracciglio, confuso.
"Queste sono solo notizie che le ha dato mio fratello." spiegò Holmes, poggiando le mani sui braccioli lisci della poltrona.
"Mi ha scoperto." John sorrise ancora una volta all'uomo che aveva difronte.  Perchè non riusciva a smettere di farlo?
"Comunque suo fratello crede sia meglio che lei venga una volta a settimana. Ne ha bisogno."
Sherlcok si alzò dalla poltrona.
"Mycroft crede anche che mangiare torte di nascosto lo faccia dimagrire" borbottò mente indossava il lungo cappotto.
"Dove va Mr. Holmes?" chiese il dottore, alzandosi a sua volta.
Sherlock si voltò a guardarlo. "La nostra mezz'ora si è conclusa da un pò dottore, la sua segretaria è indecisa se disturbarla o no per ricordarglielo. Sta camminando nervosamente avanti e indietro da circa cinque minuti. Ah, è indecisa anche se chiederle o no di uscire stasera. Fossi in lei non accetterei, è una donna che ama spendere molto e da quel che ho visto lei non mi sembra molto ricco."
John ancora una volta rimase sorpreso dell'intelligenza di qell'uomo.
"Sta cercando di fare colpo su di me, Mr Holmes?" chiese avvicinandosi.
Sherlock sbattè velocemente le palpebre,  confuso da quella domanda.
"No, non lo farei mai." mormorò.
John sorrise dinanzi al l'imbarazzo dell'uomo. "Peccato. Ci stava riuscendo. Ci vediamo la settimana prossima, Mr Holmes."
Sherlock annuì. "La prego, mi chiami Sherlock."
John gli porse la mano, che l'altro strinse forte. Si guardarono un'ultima volta negli occhi.
 "A presto Sherlock."
"A presto John."


 


Allora come è andata la seduta? - MH
Bene, io e John abbiamo appuntamento per lunedì prossimo. -SH.

Mycroft osservò torvo il cellulare.
"Anthea mi porti il fascicolo del dottor Watson. Ha fatto colpo su mio fratello e devo riuscire a capire cos'ha di particolare."
"Sì signore."

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Capitolo 4
*** Notti senza cuore. ***


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-Flashfic, 506 parole.-

#4 - Notti senza cuore.
 



Notti buie, notti vuote, notti senza te.


“Sherlock! Sherlock!” il volto coperto di sangue, il corpo freddo. “Resta con me Sherlock.”


Notti di paura, notti di sussurri e di preghiere, notti solitarie.


Una lacrima, poi due, tre, quattro, ormai scendono inarrestabili.
Non c’è più niente da fare, niente da dire.


Notti di urla, notti di pianti, notti insonni.


“Mi dispiace John” “Vai avanti John!” “Non puoi abbatterti così, John!”
Lestrade parla, più volte ma la sua voce risuona lontana, distante chilometri da te.
Non ascolti Lestrade, nè Molly, né Mike, né l’analista.
 Nessuno riesce a far scomparire il vuoto che senti all’altezza del petto.


Notti disperate, notti amare, notti silenziose.


Niente più battiti, niente più pulsazioni solo deserto arido e freddo. E’ questo che è rimasto.
Lacrime che scendono ancora, instancabili, anche dopo giorni, mesi, anni.
L’appartamento è  svuotato dall’alta figura, freddo, fastidiosamente silenzioso.
I suoi oggetti abbandonati in giro, mai rimessi a posto.
Ma percepisci sempre la sua presenza, in ogni singolo angolo, in ogni singolo granello di polvere.


Notti di ricordi, notti di sogni, notti di incubi.


Con il sorgere della luna ritorna da te: il suo sorriso, le sue risate, la sua voce.
L’accogli a braccia aperte, ne hai bisogno.
Suona il violino e lo ascolti in silenzio, seduto sulla poltrona rossa, quella vecchia e un po’ rotta.
Con l’arrivo del sole scompare: di nuovo il suo cadavere, il sangue e le lacrime.


Notti senza stelle, notti senza luna, notti nere.


Non ha mai capito l’importanza del sistema solare. Non ha mai osservato le stelle, non si è mai soffermato sulla loro luce che brilla lontana.
Non ha mai alzato lo sguardo per guardare la luna, alta e splendente in cielo.
La regina della notte che risplende sulle teste dei piccoli abitanti della Terra.
Non gliene è mai importato nulla di questo e le tue notti sono nere, scure come la pece, buie come non mai.


Notti che non sono notti, notti che risuonano tristi, notti senza senso.


Ormai la notte è il giorno e il giorno è notte. Dormi con il sole e pensi con la luna.
Niente è più come prima. Lui è andato via da te e tutto è cambiato. Tu sei cambiato.
Non piangi più, le lacrime ti hanno dato una tregua.
Ma il vuoto è rimasto, quello non andrà mai via.


Notti di sorrisi, notti calde, notti di abbracci.


“Sono qui, sono vivo.”
E’ così che ritorna da te, una sera di pioggia e di freddo.
Tu lo osservi, non parli, non ci riesci, non sai cosa dire.
E’ li, di nuovo da te. E’ vivo.
Urli, poi piangi, poi lo abbracci.
Lui sorride, stretto nel tuo forte abbraccio.
Non andrà più via, non gli permetterai di lasciarti di nuovo.
Lo porti a letto e lui si stringe ancora a te.
Non si spiega e tu non gli fai domande.
E’ vivo e per ora va bene così.
Nel bel mezzo della notte senti qualcosa battere.
Il vuoto non c’è più, il cuore è tornato nuovamente a casa.







Note di B.
A volte partorisco queste cose così, dal nulla...
Il titolo è copiato da una splendida canzone di Gianna Nannini, Notti senza cuore (appunto), che mi è stata d'ispirazione per questa storia.
Ancora angst, lo so. Ma almeno questa ha l'happy ending xD
Grazie tante a chi legge e soprattutto a chi recensisce, siete la mia gioia. <3
Alla prossima storia, with love B. 

 

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