Wanted for art di Queen_e_Lune (/viewuser.php?uid=871086)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Iris ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Olympia ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Benjamin Guinness ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 - Iris ***
Iris
Cap. 1 – IRIS di
Vincent Van Gogh, 1890
British
Columbia(2) - Vancouver, sabato sera
Erano passate le venti e
Dominic non aveva ancora lasciato l'ufficio.
La personale di quel
pittore francese
semisconosciuto gli stava dando più grattacapi e
complicazioni
che se avesse organizzato la mostra Iris e Rose di Van Gogh al
Metropolitan di New York(3).
Non fosse stato che, un
mese prima,
quello che a lui sembrava solo un imbrattatele aveva piazzato un suo
quadro nella casa di vacanza dell'attuale amante del Ministro della
Cultura sudafricano(4), non sarebbe stato incastrato dal direttivo
della Fondazione della Galleria Blanchard in quell’assurda
situazione.
Quel Ministro, in
particolare,
cambiava amante alla stessa velocità con cui lui cambiava i
boxer e Nick si augurò che la prossima prediletta
avesse già provveduto ad arredare e decorare tutte le sue
proprietà, altrimenti avrebbe seriamente valutato la
possibilità di trasferirsi in Australia a fare il curatore
di
mostre su canguri in calore e surfisti in lotta con gli squali(5).
Sbuffando, chiuse
finalmente il
portatile, dopo aver controllato per l'ennesima volta che l'ordine per
l'allestimento floreale richiesto da Monsieur La Fleur -l'imbrattatele-,
fosse completo.
Si tolse gli occhiali,
posandoli
accanto al notebook e si pizzicò la radice del naso nel
tentativo di recuperare il minimo di concentrazione necessario per
terminare il programma di lavoro per il lunedì successivo.
Doveva ancora contattare
il servizio
di sorveglianza per gli ultimi accordi, ma un'occhiata all'orologio che
aveva al polso lo fece desistere. Alle venti e trenta di un sabato sera
nessuno sano di mente avrebbe risposto alla sua telefonata.
Per quella giornata,
dunque, non avrebbe combinato più nulla.
Si alzò dalla
scrivania per
approfittare del suo ben rifornito angolo bar, l’unico vezzo
che
si era concesso di aggiungere nell’ufficio, altrimenti molto
spartano, ereditato dal suo predecessore, il vecchio Miller, e si
versò una generosa dose di Porto Tawny(6).
Sam Miller era il suo
unico rimpianto.
Dopo aver conseguito il
Bachelor’s Honours(7) a Vancouver, Dominic si era trasferito
in
Italia, patria dell’arte, oltre che dei nonni materni, per
conseguire il master in Comunicazione e Didattica dell’Arte,
seguendo corsi di specializzazione presso le più quotate
sedi
universitarie italiane(8).
Sam era malato da tempo,
ma non gli
aveva detto nulla poiché temeva che Dominic mollasse tutto
per
tornare in Canada e restargli accanto. Era morto poco prima di vedere
il suo pupillo tornare a casa con una preparazione di tutto rispetto,
che gli aveva consentito di subentrare alla Blanchard nello stesso
ruolo del suo mentore.
Era morto da solo e lui
non aveva potuto dirgli addio come avrebbe voluto.
Doveva molto al vecchio
Miller.
La sua passione per il
Porto
invecchiato, anzitutto. Lo stesso che stava bevendo in quel momento,
degno compare dopo una giornata pesante come quella appena passata.
Dominic
l’aveva incontrato a tredici anni, appena trasferitosi con i
genitori dall’Inghilterra.
Suo padre era un
diplomatico ed in pochi anni Nick aveva cambiato nazione ben quattro
volte.
Si era ritrovato, suo
malgrado, in un paese sconosciuto, senza amici, in una nuova scuola in
cui lui era additato come “lo straniero”,
spesso detto in tono dispregiativo, dovuto anche alle sue origini
italiane.
[Come se i parenti facessero la
differenza…]
Sam era il loro vicino
di casa, un tipo a prima vista un po’ scorbutico e solitario,
senza moglie né figli.
Passare da lui per un
saluto, al
rientro da scuola, oppure lavorare part time alla Galleria durante
l’estate, aveva permesso ad entrambi di conoscersi e,
soprattutto, rispettarsi.
A Miller piaceva la
compagnia del ragazzo, lo faceva sentire giovane ed inoltre lo aiutava
nelle incombenze più faticose.
Per Dominic era il modo
più
semplice per avere qualche dollaro da spendere senza dover chiedere ai
suoi. Un modo onesto di essere economicamente indipendente.
Vancouver avrebbe dovuto
essere la
destinazione ultima per la famiglia Stevens, tuttavia a diciassette
anni, quando ormai il ragazzo si era definitivamente ambientato, a suo
padre venne comunicato un nuovo trasferimento e la notizia
creò
un attrito profondo tra Nick ed i genitori.
Essendo prossimo
all’ingresso
nella facoltà universitaria, dopo varie liti e discussioni,
Dominic si era trasferito da Sam, rifiutandosi categoricamente di
seguire il resto della famiglia nell’ennesimo trasloco.
Ormai vicino alla tanto
sospirata
pensione, Miller aveva accolto il nuovo inquilino come il nipote che
non aveva mai avuto. Sua moglie era morta molto giovane, in un
incidente stradale, prima che potesse dargli un figlio, e lui aveva
scelto di non risposarsi.
“Ah, il vero amore…
Vedrai Nick, quando lo avrai incontrato nessun’altra
potrà sostituirla” gli diceva quando
era in vena di confidenze, l’onnipresente bicchiere di porto
in mano.
Sempre al caro Sam
doveva l’amore per l’arte in tutte le sue forme.
Miller era
più che altro uno
storico, ma dopo diversi decenni di impiego alla Galleria Blanchard,
aveva unito le sue conoscenze storiche allo studio delle opere
d’arte, di cui curava mostre ed esposizioni.
“Ogni opera ha la sua storia”,
era il suo motto.
E pian piano aveva
avvicinato Dominic a quel mondo, ricco di fascino e bellezza.
Ora Nick aveva
trent’anni, una
casa di proprietà e un lavoro gratificante, escludendo le
pretese di alcuni imbrattatele che si credevano “arrivati”.
Alla Galleria si
occupava di tutto,
dall’organizzazione, alla scelta degli allestimenti, alla
pubblicità. Il lavoro era vario e ben remunerato, a contatto
con
artisti e persone famose, ricche ed altolocate. Sotto la sua direzione
la Blanchard era diventata, in poco tempo, l’unico punto di
riferimento per chiunque avesse a che fare, direttamente o
indirettamente, con l’arte, non solo in città, ma
in tutta
la zona ovest del Canada.
Questo successo, unito
all’aspetto fisico decisamente appetibile per ogni essere di
sesso femminile, e non solo, faceva di lui uno degli scapoli
più
ambiti di Vancouver.
Decise infine che la
serata era appena iniziata.
Lasciò quindi
l’ufficio
in West Mall, nel quartiere universitario della British Columbia, ed
imboccò la SW Marine Dr, diretto in Trafalgar Street, dove,
all’incrocio con la W38th Avenue(9), aveva acquistato da poco
una
costruzione a due piani senza capo né coda, che un
po’
alla volta stava ristrutturando.
Tempo di farsi una
doccia e di cambiarsi ed avrebbe raggiunto il suo migliore amico,
Damon, all’Irish Pub di Gastown(10).
Una buona birra, musica
ed una partita a biliardo era quello che ci voleva, di sabato sera.
Possibilmente senza
donne tra i
piedi, dato che dalla settimana seguente, tra lancio pubblicitario,
evento, party, conferenza stampa e tutto quello che corredava ogni
nuova esposizione, ne avrebbe viste parecchie.
E tutte, o quasi,
avrebbero sgomitato per avere la sua attenzione.
[Nemmeno fossi io il soggetto in
bella mostra!]
Angolino
di Queen e Lune:
Queen
– Un applauso
alla mia collega/compagna di malefatte Lunedì per questa
splendida introduzione; ammettetelo, il personaggio di Dominic attizza
anche voi... e preparatevi alla descrizione fisica!
Scrivere una
storia a quattro
mani è un'esperienza nuova per me, ma sono sicura che la
collaborazione fra me e Lunedì porterà a
risultati
interessanti, nonostante le numerose differenze che contraddistinguono
i nostri "modi di fare" quando si parla di scrittura (basti pensare
alla selva oscura di link... io che sono l'opposta di una nativa
digitale dovrò stare attenta a non postarvi cose improprie,
lol). Che dire, quando c'è feeling, c'è feeling!
Spero che anche
voi possiate
divertirvi oppure rattristarvi con noi e che questo progetto sia in
grado di entusiasmarvi almeno un quarto di quanto ha coinvolto le
(bellissime, purissime e levissime) autrici; e detto questo, mi
raccomando, vi aspettiamo al prossimo capitolo!
Lune –
Come ci è
venuta questa idea? Un caso. Ah! I casi della vita! Insomma, siamo qui,
questo è solo l’inizio. Magari ci scanneremo a
vicenda per
conquistare il cuore di un personaggio e ucciderne un altro, ma vedo,
prevedo e stravedo una buona collaborazione con la collega qui sopra.
Io puntigliosa
fino alla
nausea e lei “wall of words” (non dite nulla,
è lei
che si definisce così), non sappiamo cosa ne esce, ma
sappiamo
per certo che sarà una cosa GRANDIOSA!
Per
saperne di più:
(1) Abbiamo
deciso di identificare ogni capitolo con un’opera
d’arte. Il primo tocca a Iris, di Van Gogh, olio su tela,
dipinto nel 1890, alla vigilia della sua partenza dal manicomio di
Saint-Rémy e concepito come una serie.
Giunge al
Metropolitan Museum
in esposizione permanente nel 1958, donato da Adele R. Levy, dopo aver
fatto un po’ di passaggi e traslochi.
(2) British
Columbia è
l’università principale di Vancouver. Da qui viene
definito con lo stesso nome anche il quartiere universitario.
(3) Mostra che, in effetti,
è stata in programma al Metropolitan
di New York, dal 12 maggio al 16 agosto 2015.
Vincent
van Gogh (1853-1890) portò a termine il suo lavoro in
Provenza,
mazzi di fiori esuberanti -due di iris di primavera e due di
rose- in formati e colori contrastanti. Il gruppo
comprende
Iris e Rose del Metropolitan Museum e le loro controparti: Iris dal
Museo Van Gogh, Amsterdam, e Rose dalla Galleria Nazionale d'Arte,
Washington, DC. La mostra riunisce i
quattro dipinti per la prima volta dopo la morte dell'artista.
(4) Ok, vi
domanderete
“Cosa c’entra adesso il Sud Africa?”
C’entra
c’entra, fidatevi di noi. Inoltre, che ci crediate o meno, in
Canada non esiste il Ministero della Cultura.
(5) Fatto recente veramente accaduto a
Jeffreys Bay, in Sudafrica, al campione australiano Mick Fanning, per
fortuna senza conseguenze.
(6) Il Porto,
o vino di porto, è un vino liquoroso portoghese prodotto
esclusivamente da uve provenienti dalla regione del Douro, nel nord del
Portogallo, sita a circa 100 chilometri a est della città di
Porto.
Tawny
è una delle
sette varietà: prodotto con uve rosse, le stesse del ruby,
viene
fatto invecchiare in botti grandi solo per due-tre anni, dopo i quali
vengono travasati in piccole botti da circa 550 litri, nelle quali
invecchia anche fino a 40 anni, assumendo una tonalità
più chiara, ambrata, e sapore di frutta secca, tipo noci o
mandorle. Con l'invecchiamento, i tawny guadagnano ulteriormente in
complessità aromatica.
(7) Il Bachelor’s Degree
dura dai 3 ai 5 anni in Canada e corrisponde alla nostra Laurea
quinquennale. Gli studenti che desiderano conseguire un baccalaureato o
una laurea sono chiamati "undergraduate". L'ammissione a un corso di
laurea prevede solitamente il conseguimento di un diploma di scuola
secondaria superiore. Le lauree richiedono normalmente 3-4 anni di
studio a tempo pieno, a seconda della provincia e del tipo di corso
(specialistico o generico). Un Baccalaureato Honours indica di solito
una specializzazione nella materia e un più elevato livello
di
impegno accademico. In alcune università il conseguimento di
una
laurea Honours può richiedere un ulteriore anno di studio.
(8)
Questa specializzazione non esiste. Esiste un corso di 3+2 anni, in
diverse sedi, tra cui cito l’Accademia di Venezia, la Naba a
Milano e l’Accademia Santa Giulia a Brescia. Avevo
però necessità di un “grado”
di istruzione
che non fosse una semplice laurea quinquennale, mi sono concessa una
licenza poetica.
Dove si
può studiare arte al meglio se non in Italia?
(9)
Le vie citate sono realmente esistenti a Vancouver e sono nelle zone
indicate. Google Map e Street View sono a vostra disposizione se volete
dare un’occhiata. E’ ovvio, ma teniamo a
sottolinearlo, che
NON esiste una Galleria Blanchard e non sappiamo chi sia il vero
proprietario della casa all’indirizzo menzionato.
(10) Gastown
è considerato il quartiere storico di Vancouver.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 - Olympia ***
Olympia
Cap. 2 – OLYMPIA di
Edouard Manet, 1863
Borehamwood(2)
- UK, venerdì mattina
Cassandra era
determinata come mai prima ad ottenere il caso “Blanchard”
e sarebbe ricorsa a qualsiasi mezzo pur di raggiungere il proprio scopo.
Persino sedurre il suo
capo, ovvero un uomo che considerava come un secondo padre, se
necessario.
Aveva indossato i propri
abiti migliori, lasciando slacciato qualche bottone di troppo, e si era
truccata con cura.
Di solito, per andare al
lavoro,
puntava sulla comodità, soprattutto se doveva rimanere in
ufficio. Scarpe basse, pantaloni fluidi e camicie un po’
troppo
larghe ed anonime per essere definite sexy ed eleganti. Guardandosi
allo
specchio, dovette tuttavia ammettere di sembrare davvero una persona su
cui poter fare affidamento, vestita in quel modo.
La sua figura, insieme
alla sua autostima, aveva guadagnato parecchi punti.
Era dimagrita
nell’ultimo
periodo, così si era audacemente permessa di evidenziare la
vita
stretta e il ventre piatto con un completo aderente, la cui
sensualità veniva però mitigata dalla giacca dal
taglio
professionale e dalla pettinatura composta.
Giocherellò
nervosamente con il bracciale argentato che le aveva regalato il suo
fidanzato.
[Ex-fidanzato], si
corresse, decidendo di levarselo e buttarlo a terra,
Avrebbe fatto meglio a
liberarsene il
prima possibile, insieme a tanti altri oggetti, se davvero voleva
chiudere i conti con quella storia.
Dopo che
l’aveva trovato intento a dimenarsi tra le sue lenzuola
preferite con la sua migliore amica –ex-migliore amica–
non credeva proprio che la loro relazione potesse avere ancora
corso. In quel
momento non l’aveva specificato, ma sperava che il verme
avesse
inteso di non doversi mai più presentare al suo cospetto. E
di
potersi tenere pure le lenzuola!
La sola idea di quante
volte i due
l’avessero fatto a sua insaputa e per giunta sullo stesso
letto
in cui lui le aveva giurato eterno amore, la disgustava ancora
profondamente, tant’è che aveva temporaneamente
lasciato
il bilocale in cui abitavano insieme, benché fosse di sua
esclusiva proprietà e l’avesse acquistato a costo
di tanti
sacrifici.
[Non pensarci. Non pensarci. Non
pensarci.]
Quando fosse tornata
–se fosse
tornata-
avrebbe provveduto a rifare tutto l’arredamento, o, meglio
ancora, l’avrebbe venduto e si sarebbe trovata qualcosa di
diverso. Da anni sognava di trasferirsi in un altro appartamento,
più grande,
magari a Notting Hill(3), oppure fuori Londra, ma, complici le
lamentele dell’ex, che non voleva allontanarsi da quella zona
–e ne aveva
capito il motivo a sue spese- aveva sempre rimandato.
Diede
un’ultima aggiustata ai
capelli, si assicurò che la camicia fosse infilata senza
pieghe
evidenti nella longuette color carta da zucchero e si decise ad uscire
dalla stanza.
- Allora? Come sto?
– chiese, ansiosa.
Clarisse alzò
svogliatamente lo sguardo dal cellulare e la guardò in modo
sommario.
- Che figa. –
Cassandra
sospirò.
Se a ventisette anni
faceva ancora
quell’effetto, allora poteva esserne soddisfatta…
giusto?
E poi, nel dizionario di Clarisse, quello poteva –doveva- essere
un complimento.
Di certo la sua
–provvisoria–
coinquilina non avrebbe mai usato parole come
“attraente”, “elegante” oppure
“raffinata”, e cioè tutto ciò
che voleva
sembrare per far capire a François di essere finalmente
pronta a
seguire un caso interamente per conto proprio.
La Galleria Blanchard, a
Vancouver, era stata la “fortunata”
vincitrice del concorso “A
chi affibbiamo lo sgorbio dell’anno?”,
dal momento che il Ministro della Cultura sudafricano aveva incaricato
la Fondazione No-Profit che la gestiva affinché organizzasse
una
personale del pittore preferito dall’amante di turno.
Tutto questo a Cassandra
non sarebbe
minimamente interessato, se non fosse giunta la soffiata da parte
dell’Intelligence britannica che Mr. John Smith, ovvero il
trafficante più ricercato nel Commonwealth,
nonché il
più abile, fosse direttamente coinvolto nella faccenda.
Quanto ed in che modo
era tutto da scoprire, ed era ciò che Cassandra intendeva
fare.
Gli stavano addosso da
anni, ma in
qualche modo il fantomatico signor Smith era sempre riuscito a far
cadere le accuse a suo carico perché i testimoni “ritrattavano”,
i custodi dei musei “non
sapevano” e la merce contraffatta o rubata
“spariva”.
John Smith aveva le mani
in pasta
praticamente ovunque: opere d’arte, avorio, pietre preziose,
alcuni dicevano si fosse appropriato anche di alcune partite di droga,
giocando un tiro mancino al cartello sudamericano, ma Cassandra aveva
abbastanza esperienza nel suo mestiere per sapere che certe
informazioni, il più delle volte, si rivelavano essere
completamente inventate.
Era qui che entrava in
gioco la Galleria Blanchard.
Dovendo esporre le opere
di Jean
Claude La Fleur, un pittore semi-sconosciuto di origine francese, ma
residente a Cape Town(4) da un decennio, c’era il forte
sospetto
che Vancouver sarebbe stata il nuovo paese dei balocchi
dell’evanescente Smith, nonché punto di arrivo e
smistamento di un proficuo traffico di merce posseduta illegalmente.
Il Canada era fuori
dalla sua zona sicura.
Di solito Smith operava nel suo paese d’origine che, per
quello che ne
sapevano, era il Sudafrica, oppure in Europa, e non si era mai spinto
tanto lontano.
Non c’erano
indizi, inoltre,
che le persone operanti attorno alla Fondazione, e di conseguenza alla
Blanchard, avessero mai avuto contatti con il ministro e col governo
sudafricano.
Questo aveva indotto il
dipartimento
a sperare che Smith si trovasse in una posizione più debole
e
con una rete di appoggi meno organizzata rispetto al solito. Si
trattava quindi dell’occasione perfetta per
smascherarlo.
O, almeno, per provarci.
Cassandra sapeva che un
caso
così importante era una dura prova per un’agente
giovane
come lei, ma si sentiva pronta. Erano anni che aspettava quel momento.
Si era laureata alla
London
Metropolitan University in Analisi Comportamentale Applicata(5) con i
massimi voti, era riuscita ad ottenere un master in Sociologia(6) ed
aveva contemporaneamente coltivato la sua grande passione per
l’arte, senza
fare discriminazioni fra pittura, scultura e architettura. Aveva
inoltre esperienza nel proprio lavoro di investigatrice ed aveva
più volte dato
prova della propria competenza.
Era
l’occasione giusta per dare una svolta alla propria carriera
e non intendeva lasciarsela scappare.
Indossò le
scarpe, forse un
po’ troppo alte per andare al lavoro, e salutò
Clarisse.
L’amica grugnì in risposta, come sempre, senza
staccare
gli occhi dallo schermo del cellulare.
- Dai da mangiare a
Mefisto(7) e
assicurati che non si faccia le unghie sul mio copriletto preferito!
– aggiunse, prima di uscire.
[Parole al vento?]
Clarisse
mugugnò qualcosa di
inintelligibile, dall’altra stanza. Poco dopo
sentì lo
sportello del frigo aprirsi.
[Parole al vento!]
Clarisse non era una
cattiva ragazza. Era solo molto
distratta.
Si erano conosciute un
paio di anni
prima all’università e da allora avevano
continuato a
frequentarsi anche grazie ad una catena di amicizie in comune, trovando
piacevole la reciproca compagnia, ma senza mai avere
l’occasione
di approfondire il loro rapporto.
Era pertanto rimasta
sorpresa quando,
due mesi prima, si era offerta di ospitarla provvisoriamente a casa
propria dopo il fattaccio.
Aver perso convivente e
migliore
amica in un colpo solo era stato uno choc e, di certo, un evento che
non si sarebbe mai aspettata.
Vivere con Clarisse,
dopotutto, non era difficile. Bastava solo saperla prendere.
La prima regola vietava
assolutamente
ogni rumore al mattino, a qualsiasi ora, visto che l’amica
lavorava di notte. Non sapeva dove, ma si augurava almeno si trattasse
di qualcosa di legale. E se, per sbaglio, Cassandra le avesse fatto
trovare il pranzo già pronto, sarebbe stata una sorpresa
molto
gradita.
La seconda imponeva di
non portare uomini in casa.
Cassandra non aveva
trovato nulla da
ridire in proposito e, dati i recenti sviluppi della sua situazione
sentimentale, si trattava sicuramente
della condizione più facile da rispettare. Su questo
particolare
Clarisse era stata tuttavia molto chiara, premurandosi addirittura di
spendere più di due parole per sottolineare il concetto.
Una sera, prima di
andare al lavoro,
si era fermata sulla porta e le aveva detto, nonostante Cassandra non
avesse fatto domande, “Sai,
sono androfobica”(8).
A parte questo, Clarisse
non sembrava avere altri disturbi particolari. O, almeno, non lo dava a
vedere.
Aveva accettato con
cordiale
ostilità persino Mefisto, il suo gatto, e gli dava da
mangiare
quando se ne ricordava, anche se di certo non correva il pericolo di
viziarlo con eccessive moine, oppure farlo ingrassare troppo.
Per il resto del tempo
l’unica
sua attività era spostare lo sguardo dallo schermo del
computer
a quello del cellulare. Era impossibile sostenere una conversazione con
lei quando era assorta nel suo mondo privato: non ascoltava nemmeno,
né si dava il disturbo di fingere interesse.
Una volta aveva fatto un
velato accenno ad un “blog
personale per gente come me”.
[Altre
ventiseienni androfobiche, vestite da hippie anni settanta e con i
capelli tinti di arancione? Ok, non voglio sapere altro!]
Angolino
di Queen e Lune:
Queen
– Ciao a tutte/i!
Esordisco subito ringraziandovi per aver letto anche il secondo
capitolo; i personaggi femminili non sono il mio forte, ma spero di
essere riuscita ad intrigarvi con Cassandra, e cioè la
ragazza
che in questo periodo mi sta tenendo sveglia e che mi avrà
fatto
ingrassare di almeno un chilo mentre mi teneva davanti al
computer… premessa perfetta per farmi maturare il desiderio
di
vendetta!
Anche questa
volta, direi che
un applauso per Lune è più che doveroso: oltre a
dover
gestire Dominic e i suoi millemila link, si è ritrovata
anche a
dovermi betare! Ma quanto si può essere grate ad una donna?
Lune –
Mi pare sensato,
dopo aver detto che il personaggio è “dimagrita
nell’ultimo periodo” (cit. dal testo), che
l’autrice
si lamenti di quanto lei invece sia ingrassata. Lo sappiamo tutti che
noi autori regoliamo la nostra vita sulle vicende/azioni dei nostri
personaggi e che sono loro che guidano noi, facendoci fare/scrivere i
loro porci comodi, quando dovrebbe essere il contrario.
Detto
ciò, avrete
capito che l’onere (o l’onore, ancora devo
deciderlo) di
farvi innamorare di Dominic è mio, mentre Cassandra e
coinquilina androfobica inclusa (geniale, questo personaggio,
sappiatelo) è tutto merito di Queen. Questo lo dico in modo
che
sappiate a chi rivolgervi per rimostranze, insulti, complimenti e
quant’altro.
Riguardo il
“betaggio” non credeteci manco un po’: mi
sono
limitata a “spaziare” il testo (wall of words,
ricordate?),
spezzare alcune frasi ed eliminare un paio di ripetizioni.
Apprezzate il
cu… ore con cui invece Queen ha inserito i link e le varie
note.
Per
saperne di più:
(1) Per
quest’introduzione ho scelto l’opera “Olympia”
di Edouard Manet, olio su tela (130x190 cm). Fu realizzata nel 1863, e
destò immediatamente un immenso scandalo nella Parigi
dell’epoca (come anche Colazione sull’erba, opera
precedente dello stesso autore) perché ritrae una prostituta
“al lavoro”: l’opera venne giudicata
immorale,
provocatoria e ricevette molte critiche negative anche riguardo
all’impianto disegnativo e alla rappresentazione
dell’illuminazione. Venne esposta nell’angolo
più
nascosto del Salon di Parigi nel 1865, e poi relegata nel Salon des
Refusés. Oggi si trova al Musée d’Orsay.
Edouard Manet
(1832-1883) è stato un pittore francese e viene ancora oggi
considerato come uno dei massimi interpreti del pre-impressionismo.
(2) Borehamwood
è una città della contea
dell’Hertfordshire in
Inghilterra, a soli 20 km da Londra, interessante per gli studi
cinematografici della MGM British.
Qui furono
girati i 4 film
gialli con protagonista Miss Marple, noto personaggio immaginario di
Agatha Christie, per la regia di George Pollock ed interpretata da
Margaret Rutherford.
Ho
scelto il venerdì mattina perché in Inghilterra
la
maggior parte delle persone non lavora di sabato (e beati loro,
aggiungerei).
(3) Notting Hill
è un quartiere residenziale di Londra situato nella parte
più interna della zona occidentale della città.
Si
estende dal Notting Hill Gate a Portobello Road, ovvero il quartiere
del mercato. Vi si tiene il Carnevale Caraibico l’ultimo fine
settimana di agosto, un evento caratteristico che attrae migliaia di
persone.
Presumiamo
sappiate che non
è un semplice quartiere residenziale, ma IL quartiere
residenziale per eccellenza, dove diversi VIP hanno casa.
(4) Cape Town, o Città del
Capo, è la capitale del Sudafrica.
(5) La London
Metropolitan University esiste veramente: è la
più grande università singola di Londra
ed è nata nel 2002 dall’accorpamento della London
Guidhall
University e della University of North London, che oggi sono due
campus. La facoltà di Analisi Comportamentale non esiste; vi
è però un corso di psicologia interno
all’università; mi sono presa questa
libertà per
esigenze legate al personaggio. La facoltà di sociologia si
trova, assieme a molte altre, alla Brunel University, nel West
London.
(6)
Un “master” è, per i profani come me, un
titolo
accademico che si consegue dopo un particolare corso di studi.
Può essere raggiunto a diversi livelli; nel sistema
scolastico
britannico, il Master’s degree
è un titolo accademico di secondo grado, e quelli che in
Italia
sono considerati master di secondo e terzo livello in Gran Bretagna
sono, rispettivamente, 1st Level Master degree e 2nd Level Master
degree.
(7) Mefisto,
o Mefistofele e Mephisto, è un personaggio del folklore
tedesco
che indica il diavolo, e in alcuni casi rappresenta Satana. Non appare
con le caratteristiche tipiche di un demonio, ma ha invece un aspetto
umano e si tratta nella maggior parte dei casi di un uomo alto e
vestito di nero. L’esempio letterario più
celeberrimo di
Mefistofele si trova nel Faust, opera del poeta e scrittore tedesco
Johann Wolfgang von Goethe, ma ha le sue origini nella storia popolare
del dottor Faust, usata poi come base per numerose altre opere
letterarie, che narra di come il sapiente Faust, avido uomo di scienza,
decise di stringere un patto con il diavolo per ottenere la conoscenza
assoluta in cambio della propria anima.
Ovviamente il
gatto in questa storia è NERO.
(8)
L’Androfobia (letteralmente, “paura degli
uomini”)
è il terrore nei confronti del sesso maschile –
inteso sia
come “individuo” uomo, che come
“pene”. Le
persone affette da questo disturbo, in maggioranza donne, provano una
forte repulsione nei confronti degli uomini, soprattutto se adulti. La
serie di sintomi che identifica l’androfobia può
nascere
in seguito ad un trauma subito nell’infanzia oppure durante
l’adolescenza, ma si verifica anche in donne che hanno
superato i
trent’anni, di solito dopo una violenza sessuale oppure in
seguito a ripetuti episodi di violenza. A volte, le donne androfobiche
(dico “donne” per generalizzare, ma esistono
androfobi con
sessualità confusa, gay, transessuali oppure agender) non
temono
gli amici di vecchia data oppure coloro che non avvertono come una
minaccia, ma anche in questi casi persiste l’avversione per
il
sesso.
Non ho trovato
link di siti “scientifici”, ma se volete capirci
qualcosa di più potete consultare questo sito… fra tutti quelli
che ho visitato, offre le informazioni più sintetiche e
importanti.
(9) Mi sento
davvero molto professionale in questo momento.
(nota burlona di
Queen, NdLune)
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 - Benjamin Guinness ***
Benjamin Guinness
Cap. 3 – BENJAMIN
GUINNESS di John Henry Foley, 1875
The
Blarney Stone(2) a Gastown - Vancouver, sabato sera
Erano passate da poco le
ventidue
quando Dominic entrò al Blarney Stone, l’Irish Pub
che lui
ed il suo migliore amico Damon(3) avevano eletto quale miglior locale
per le serate rigorosamente
senza donne.
Era certo di trovarlo
lì,
benché non si fossero dati appuntamento, proprio
perché
nessuno dei due aveva una compagna fissa da alcuni mesi.
L’amico aveva
mollato la sua ex
storica, una certa Katerina Petrova(4), una biondina di origini
bulgare, dopo aver scoperto che lei era innamorata del fratello minore
di Damon, Stefan, praticamente da sempre. Sapere di essere stato per
due anni una specie di ripiego non l’aveva di certo reso
felice,
ma Damon era uno che sapeva riprendersi in fretta.
Per questo gli piaceva.
Non era il tipo da
piangersi addosso.
A volte era estremamente stronzo ed insopportabilmente egocentrico, ma
sapeva anche essere leale e sotto la scorza da duro di cuore in
realtà nascondeva ben altro.
Solo Dominic era al
corrente di quanto fosse stato innamorato –o avesse creduto di esserlo–
della ragazza, ma per Damon la famiglia veniva sempre prima di tutto,
pertanto si era fatto da parte in favore del fratellino, con la
promessa che se Kat l’avesse fatto soffrire in qualche modo,
lui
le avrebbe spezzato le ossa una ad una.
A cominciare dal collo.
E Damon manteneva sempre
le sue promesse.
Ad ogni modo i due
piccioncini si
erano sposati un mese prima, dopo un fidanzamento lampo, e, per la
gioia di tutti, erano partiti per una lunga luna di miele in giro per
l’Europa, lasciando al suo amico tutto il tempo per
riprendersi.
[E non gli ci vorrà
molto…]
Dominic lo raggiunse al
tavolo da
biliardo, trovandolo appunto con un bicchiere del miglior whiskey
irlandese(5) in una mano e la stecca nell’altra.
Ordinò per
sé una
pinta(6) di Guinness Stout(7), giudicando lo stomaco troppo vuoto per
dedicarsi al whiskey, tanto più dopo il bicchiere di Porto
che
aveva bevuto in ufficio, e si preparò a giocare
l’ennesima
partita con Damon, quasi senza parlare.
Dopo oltre dieci anni,
decisamente non servivano parole tra loro. Si capivano con una semplice
occhiata.
Si erano incontrati
casualmente ad una festa, poco prima che ci fosse la rottura
tra Dominic ed il padre. All’inizio era stata una semplice
conoscenza, ma quell’episodio, che aveva quasi portato
Dominic
verso una brutta china, li aveva avvicinati.
Damon aveva perso il
padre da ormai
diversi anni e, prima con le buone, poi con una sana scazzottata, aveva
fatto rinsavire l’amico, facendogli comprendere
l’importanza di avere accanto a sé una famiglia e,
soprattutto, un padre che, nonostante tutto, stravedeva per il figlio.
Era stato poi proprio
Damon a
suggerire a Dominic la sistemazione presso il vecchio Miller, soluzione
che aveva messo tutti d’accordo, consentendo a Dominic di
fermarsi in pianta stabile a Vancouver e di frequentare la
facoltà che aveva scelto, alla British Columbia(8).
Da quel giorno i due
erano diventati
inseparabili. Damon era, per Dominic, un amico, meglio ancora, un
fratello, l’unico a cui avrebbe affidato la sua stessa vita.
Fisicamente si
somigliavano
parecchio. Stessa età, entrambi alti, il fisico asciutto e
scolpito di chi pratica regolarmente attività fisica,
capelli
neri ed occhi chiarissimi, tanto che più persone, ragazze
soprattutto, erano convinte che fossero gemelli.
Nessuno dei due si era
mai preoccupato di smentire questa diceria.
In fondo, pensavano, la
loro fratellanza
non dipendeva dal sangue o dal dna, ma dal rispetto reciproco, ed era
altrettanto forte.
Solo osservandoli
più attentamente, ci si rendeva conto di sottili, ma
evidenti, differenze tra i due.
Dominic aveva un viso
ovale, occhi
più grandi e dal taglio più obliquo, il naso meno
affilato. Preferiva sfoggiare un accenno di barba che,
benché
sembrasse incolta, in realtà era curatissima. E oltretutto
serviva a nascondere, tra lo zigomo e l’orecchio, una piccola
cicatrice, ricordo del micidiale destro dell’amico. Le spalle
larghe ed i fianchi stretti erano la naturale conseguenza delle lunghe
nuotate in piscina.
Damon aveva, al
contrario, la
mascella più squadrata e gli zigomi pronunciati, la bocca
poco
più sottile ed era quasi sempre meticolosamente sbarbato.
Fisicamente un po’ meno imponente dell’amico,
sfoggiava
comunque addominali di tutto rispetto, dovuti alla passione per la
lotta libera, per cui era molto più portato. Lui non amava
l’acqua(9) e preferiva iniziare la giornata con una corsa nei
parchi adiacenti la British Columbia
Entrambi avevano labbra
morbide, che
sembravano fatte apposta per baciare, e irresistibili fossette che, ad
ogni sorriso, impreziosivano il volto ed incorniciavano la bocca in
modo sensuale.
Gli occhi erano
d’un azzurro
così chiaro da sembrare di ghiaccio, ma quando esprimevano
rabbia quelli di Dominic viravano sul blu, come l’oceano
più profondo, mentre a Damon si coloravano d’un
grigio
plumbeo, come il cielo in tempesta.
C’erano poi
differenze di
carattere. Laddove Dominic era più tranquillo e pacato,
Damon
era più sanguigno ed iperattivo. Insieme si compensavano nel
migliore dei modi, sostenendosi a vicenda nei momenti più
difficili, anche con la sola reciproca presenza.
Avevano terminato da
poco la prima
partita, scambiandosi in tutto poche parole, quando una ragazza si
presentò davanti loro.
Degna di attenzione,
fu l’immediato pensiero di Dominic.
Bionda,
occhi verdi e un
fisico da
modella, la nuova arrivata aveva delle forme alquanto invitanti, ben
evidenziate dal taglio semplice, ma elegante, dell'abito verde scuro
che indossava.
Qualcosa si smosse
decisamente nei
pantaloni di Nick, che fu dolorosamente cosciente di essere in
astinenza da sesso da più tempo di quanto non credesse.
Abbastanza da sentirsi
arrapato come
un adolescente alla vista di due gambe lunghe, fianchi morbidi e una
terza abbondante di seno.
- Ehi! Guarda chi si
rivede! – l’apostrofò subito Damon,
poggiando la stecca a terra.
Dominic lo
guardò con attenzione. A quanto sembrava l’amico
si stava velocemente riprendendo dalla delusione amorosa,
tornando ad essere il solito vecchio seduttore.
- Damon. – lo
salutò la biondina.
- Nessun irlandese -tecnicamente inglese-
al seguito? – le chiese, col tono irriverente che Dominic
associava ad un certo interesse per il soggetto.
- Solo una ragazza
inglese, se t’accontenti – rispose lei, ridendo.
I due uomini si
scambiarono
un’occhiata al volo. Come al solito le parole non furono
necessarie e, mentre Dominic bofonchiò una frase di scuse,
defilandosi con discrezione, Damon fece un gesto con la mano, rivolto
al tavolo da biliardo che lo separava dalla ragazza, ammiccando un
invito che lei seppe cogliere al volo.
- Volentieri!
–accettò.
[Bella ed intelligente!]
Damon le porse la sua
stecca, per poi procurarsene una nuova dalla parete lì
accanto.
- A te l’onore
della spaccata, ragazza inglese. – le propose, sistemando sul
tappeto verde le biglie col triangolo.
- Dana. –
disse lei, mentre preparava la punta della stecca col gesso –
Mi chiamo Dana. -
A quel punto fu chiaro a
Dominic che la serata rigorosamente
senza donne
era saltata e, non volendo certo fare il terzo incomodo, decise di
bersi un’ultima pinta al bancone prima di tornarsene a casa.
Da solo.
Era evidente che i due
si erano
già incontrati in precedenza. Dominic non poteva che
approvare
la scelta dell’amico e, per quanto potesse piacergli quella
ragazza, non si sarebbe intromesso tra i due.
L’amicizia era
più importante di qualsiasi donna.
Era uno dei fondamentali
del loro rapporto: niente scambi o passaggi di sorta. Nemmeno in caso
di rotture. Le “ex”
erano intoccabili tanto quanto le compagne del momento.
L’altra regola
non scritta era “niente
uscite a tre”.
Nessuno dei due avrebbe accettato di fare da reggi moccolo, pertanto
uscivano insieme solo se entrambi erano accoppiati, oppure, come quella
sera, per una serata di bevute tra amici.
Quella Dana era davvero
un delizioso
bocconcino, del genere però che non si lasciava mangiare
facilmente. In poche parole era il tipo giusto per Damon, che non
apprezzava le prede facili
da catturare.
Le trovava poco stimolanti, diceva.
A lui piacevano invece le donne
con le palle,
come spesso le definiva. Apprezzava il gioco della seduzione, per dare
più sapore alla conquista, così la vittoria
sarebbe stata
molto più soddisfacente.
Per entrambi i giocatori.
Dominic lo sapeva bene,
perché anche lui era così.
Conosceva molte, -troppe-,
donne disponibili, che gli si gettavano praticamente tra le braccia, ma
non gli interessavano. Lui, così come l’amico,
aveva
bisogno di sentirsi coinvolto anche e soprattutto mentalmente, non solo
con l’uccello.
Avvicinandosi al
bancone, con la
testa persa in queste riflessioni, si scontrò casualmente
con un
tipo alquanto fuori luogo in quel pub.
L’abbigliamento
bohémien(10), con pantaloni smilzi alla caviglia, cardigan a
righe bizzarre e l’onnipresente sciarpa annodata vezzosamente
al
collo, diede subito a Nick l’idea di avere di fronte il
tipico
esemplare di “tento
di essere un artista, ma non ci riesco”.
Uno che, in ogni caso,
nessuno, e tanto meno Nick, si sarebbe aspettato di incrociare in un
irish pub.
Ad una seconda occhiata,
poi, Dominic
comprese che ancor meno avrebbe voluto incontrarlo, dato che il tipo in
questione gli stava letteralmente prendendo le misure, spogliandolo con
gli occhi.
- Mais bonsoir!(*)
– lo
salutò quello, senza però distogliere lo sguardo
dalle
sue parti basse, dando più l’impressione che
parlasse con
la cinta dei pantaloni, anziché con chi li indossava.
- Que voulez vous?(*)
– lo
apostrofò Nick, oltremodo irritato dal quel personaggio. E
anche
dall’amica di Damon, che lo aveva cacciato in quella incresciosa
situazione.
- Oh, mais vous parlez
ma langue,
quelle chance!(*) – disse sorpreso, alzando gli occhi
–
Parlate la mia lingua, che fortuna! – riprese ancora,
ripetendo
la stessa frase in inglese stentato.
- Monsieur, siamo a
Vancouver, in
Canada. – chiarì in tono ironico Dominic,
nonostante fosse
ovvio come il sorgere del sole – Qui tutti, o quasi, parlano
sia
inglese che francese! -
[Basta che la pianti di misurarmi
il pacco!]
- Oui oui, vous avez
raison(*)… avete ragione, che sciocco! –
farfugliò
l’altro, mischiando indecentemente entrambe le lingue.
[Idiota, ecco cosa sei! Altro che
sciocco!]
- Excusez-moi, sono
appena arrivato. Vous savez… l’anglais…
c’est une langue terrible!(*)(11) –
Dominic
sbuffò.
[E tornatene in Francia allora,
babbeo!]
- Posso aiutarla?
– si decise a chiedere.
Tutto pur di liberarsi
in fretta di quello strano ed appiccicoso individuo.
- Mais oui! Avevo un rendez-vous con
monsieur Smith, mais je ne le vois pas!(*) Per caso voi
l’avete visto? –
- Eh, come no! Chi non
riconosce Tal dei Tali(12) in un pub pieno zeppo di gente! –
Il sarcasmo di Dominic
si poteva
quasi gustare, tanto era tangibile, ma non certo per il piccolo
francese che, imperterrito, continuò:
- Qui est-ce ce monsieur
Tal dei Tali? Je ne connais pas de ce nom là!(*) –
- Lasci perdere, glielo
spiego
un’altra volta – disse Dominic, perdendo ormai le
speranze
di avere una conversazione sensata con il suo interlocutore.
Sconsolato, diede
un’ultima
occhiata in direzione dell’amico Damon, scoprendo che si
stava
senza alcun dubbio divertendo in compagnia della ragazza, prima di
decidersi a dare un’ultima chance al francese.
- Potete almeno
descriverlo? – domandò, rassegnato, rimpiangendo
di non essere rimasto a casa quella sera.
L’uomo si
illuminò, esibendosi in un sorriso che mise in mostra degli
orrendi denti ingialliti e storti.
- Bien sûr.
Monsieur Smith
c’est… John Smith!(*) – rispose infine,
come se
fosse la cosa più ovvia di questo mondo.
[Ok! Adesso lo ammazzo!]
Angolino
di Queen e Lune:
Queen
– Salve a tutte/i!
Come sempre, un grande ringraziamento a chiunque di voi per aver letto
anche questo nostro ultimo capitolo. Penso di poter parlare a nome di
entrambe quando dico che il vostro apprezzamento ci fa davvero molto,
molto piacere. E poi, ma quanto è brava Lunedì?
Ogni
volta che mi deve mandare i suoi capitoli per chiedermi un parere sono
lì che sbavo davanti al computer con gli occhi luccicanti
(brutta immagine. Scusate).
Che altro dire? Non so a voi, ma a me Dominic piace sempre di
più. Che la nostra Cassandra stia attenta, meglio non avere
mai
la propria autrice come rivale in amore!
Di nuovo un grandissimo ringraziamento a tutti voi. Alla prossima!
Lune –
Confesso. Ho
impunemente creato un parallelismo tra questo capitolo ed uno presente
nell’altra mia storia. E mi sono decisamente divertita nel
farlo.
Riguardo il
tizio francese,
si è capito che si tratta del famoso (ma anche no)
imbrattatele
appena giunto a Vancouver dal lontano Sudafrica, mentre John Smith
è, e resterà ancora per il momento, un
personaggio
evanescente, in perfetta linea con il suo ruolo di uomo onnipresente,
ma invisibile.
Non date retta a Queen, che esagera come al solito. I suoi capitoli
sono altrettanto intriganti, anche se lei dice di no.
Per
esigenze che capirete, ho
dovuto inserire nei dialoghi alcune frasi in lingua originale,
contrassegnate da (*), per le quali ho messo la relativa traduzione in
fondo alle note.
Per
saperne di più:
(1) Parlando di
Irish Pub trovo adattissimo intitolare il capitolo alla scultura di Benjamin Lee Guinness, situata nei
giardini della cattedrale St. Patrick a Dublino. La statua, in bronzo,
è stata realizzata nel 1875 da John Henry Foley,
artista irlandese, e restaurata di recente, nel 2006. Benjamin
Guinness, primo Baronetto, fu mastro birraio, ma anche un politico ed
un filantropo.
(2)
Il Blarney Stone è un Irish Pub a Gastown, in pieno centro,
dove
servono birra e piatti tipici, hanno zone di gioco tra cui biliardo e
freccette, fanno serate con musica dal vivo e tanto altro. E’
uno
dei locali storici di Vancouver. Le descrizioni inserite nel testo sono
fedeli alla realtà. Questo è il sito
ufficiale.
Ho scoperto
questo pub per
un’altra storia che ho in corso e me ne sono letteralmente
innamorata, quindi lo riutilizzo volentieri anche qui.
Chissà
che non faccia innamorare un po’ anche voi.
(3) Damon
è un chiaro omaggio a Damon Salvatore,
personaggio più unico che raro della serie The Vampires
Diaries.
Irriverente, ironico, decisamente sexy e chi più ne ha
più ne metta.
(4) Katerina Petrova,
o Catherine Pierce è un altro personaggio di TVD.
L’ho
descritta come bionda, perché nei libri in realtà
lei
è bionda e con gli occhi azzurri.
(5)
Storcerete il naso nel leggere “whiskey irlandese”,
quando
sappiamo tutti benissimo che Damon Salvatore si sollazza di solito col
bourbon. Non è una licenza poetica. Anzitutto stiamo
parlando
della stessa bevanda, ossia di whisky,
ma essendo in un pub irlandese è più appropriato
parlare
di whiskey. Questo perché il primo, senza la E, identifica
lo
Scotch whisky, prodotto, distillato ed invecchiato in Scozia, mentre
l’altro è di origini irlandesi, appunto. Il
bourbon non
è altro che il whisky americano, nato nell’omonima
contea
Bourbon, nel Kentuky. Questo articolo spiega benissimo le
differenze.
(6) La Pinta
non è solo un’unità di misura, ma
è anche il
nome del bicchiere più adatto ad esaltare le birre ales
inglesi
o stout irlandesi.
(7) La Guinness Stout è una
birra scura, quasi nera, con schiuma bianca compatta, 4.2% di
gradazione alcoolica.
(8) La British
Columbia University
è decisamente la più grande a Vancouver,
sicuramente
quella che offre più facoltà di studio, tra cui,
ovviamente, quella d’Arte. Si trova al 2329 di West Mall. E qui trovate l’elenco
delle facoltà.
(9)
Che i “vampiri” non amino l’acqua,
l’ho
scoperto in una puntata di TVD, quando Damon salva Elena sul Wickery Bridge
buttandosi con lei in acqua per evitarle di essere arsa viva, in un
disperato tentativo di suicidio dovuto alle allucinazioni per aver
ucciso un Cacciatore. Non so quanto questa
“diceria” sia
vera, però.
(10) Non
c’è
molto da dire sullo stile bohémien da uomo.
S’ispira
principalmente a personaggi dandy, tipo Oscar Wilde, ed è
descritto in poche essenziali parole in questi due articoli: qui e qui.
(11)
Per molti francesi, l’inglese è una lingua ostica,
tanto
più se si considera che Francia ed Inghilterra hanno una
storica
tradizione di rivalità sfociata in diverse guerre non di
poco
conto, a partire dalla Guerra dei Cent’anni, durata, appunto
oltre 100 anni, giusto per citarne una a caso. Screzi tra vicini,
insomma.
(12) John Smith
è il
classico nome che, in Inghilterra, indica tutti e nessuno, un
po’
come da noi Mario Rossi. In questo articolo
sono elencati alcuni dei nomi comuni fittizi più usati nel
mondo. Speriamo che sia chiara la scelta di questo nome per un
ricercato internazionale.
(*) Traduzione
veloce delle frasi in francese:
•
Mais bonsoir! – Buonasera! (il
“ma” è un semplice rafforzativo)
•
Que
voulez vous? – Cosa volete? (forma colloquiale della frase.
La
forma corretta sarebbe stata “Qu’est-ce que voulez
vous?”, che si traduce nello stesso modo, ma è
più
elegante. Usando la prima versione si enfatizza il tono non
propriamente cordiale. In francese si usa il “voi”
al posto
del “lei”).
•
Oh, mais vous parlez ma langue, quelle chance! – Ma
voi parlate la mia lingua, che fortuna!
•
Oui oui, vous avez raison – Sì
sì, avete ragione
•
Excusez-moi, (…). Vous savez…
l’anglais… c’est une langue terrible!
–
Scusatemi, (…) Sapete, l’inglese è una
lingua
terribile (i francesi usano la parola “terrible”
con molti
significati: può voler dire terribile, ma anche
“orrendo”, “difficile”,
“pestifero”
etc etc)
•
Mais
oui! Avevo un rendez-vous con monsieur Smith, mais je ne le vois pas!
– Ma sì! Avevo un appuntamento con Mr. Smith, ma
non lo
vedo!
•
Qui
est-ce ce monsieur Tal dei Tali? Je ne connais pas de ce nom
là!
– Chi è questo signor Tal dei Tali? Non conosco
nessuno
con questo nome!
•
Bien
sûr. Monsieur Smith c’est… John Smith!
–
Certamente! Mr Smith è John Smith!
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