Pride&Prejudice

di BowtiesAreCool
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Note Autrici:
Eccoci tornate con una cosina inspirata al fantastico mondo di Jane Austen. I fatti sono liberamenti ispirati ad Orgoglio e Pregiudizio, con le dovute modifiche, ovviamente! La storia conta tre capitoli, già pronti per la pubblicazione. Speriamo vi piacerà e che ci farete sapere cosa ne pensate!





 
Capitolo Uno


 
 
13 Luglio 1813


Philip se ne stava comodamente seduto in poltrona, un romanzo tra le dita affusolate e lo sguardo attento a seguire le parole, mentre sua sorella Mary picchiettava i tasti del pianoforte in legno, posto in un angolino della sala, canticchiando di quanto in quanto qualche parola. Suo padre era accanto al camino, scrivendo su un piccolo tavolino rotondo, piegato sui fogli come se stesse cercando di trasmettere le parole attraverso la mente più che con la penna. D’un tratto si sentì rumore di passi e la signora Elisabeth Coulson entrò in sala, seguita subito dalle figlie minori. “Mio caro! Hai sentito la splendida notizia?”
“Cosa accade, mia cara?” Chiese il signor Jonh, ancora intento a far scorrere la penna lentamente sulla carta. “Ho incontrato la signora Lucas che mi ha avvertito che Griffith Park é stata finalmente affittata. A dei gentiluomini!” Cianciò, tutta eccitata. Il tramestio incuriosì anche Jane ed Elisabeth –Rispettivamente secondogenita e terzogenita della coppia- che si unirono al resto della famiglia nel piccolo salottino. “Ascoltate bambine mie!” Riprese Elisabeth, “La casa é stata affittata da un certo signor Rogers, scapolo e con una rendita annuale di diecimila sterline!” Kitty e Lydia –Quinta e sesta delle figlie dei signori Coulson, così simili alla madre per aspetto e carattere quanto Philip e le due maggiori erano uguali alla figura paterna- emisero degli urlettini eccitati, subito incitati dalla madre, “Ebbene si! Diecimila! E sembra sarà accompagnato da due suoi cari amici, il signor Stark e il signor Barton!” Jane e Lizzy scambiarono subito uno sguardo di intesa col fratello, che nel frattempo aveva chiuso il libro e rivolto tutta la sua attenzione alla madre. “Ma c’é di più! Sembra che ci sarà anche la signorina Rogers!” Aggiunse la signora Coulson, “Che porterà in dote ben ventimila sterline all’uomo che la mariterà!” Sbatté le mani, guardando orgogliosa il suo primogenito, “Sono la risposta a tutte le mie preghiere!”
“Non ne capisco il motivo, mia cara.” Smorzò l’entusiasmo il signor Coulson, “Saranno dei semplici vicini.”
“Semplici vicini?!?” Rispose la moglie, inorridita, “Tre uomini e una donna tutti in età da marito! Dimentichi forse i nostri sei figli, mio caro? Sarei la donna più felice della terra se il nostro Phil sposasse la signorina Rogers! E le nostre ragazze? Tre uomini giovani, ricchi e scapoli! Devono sposare le nostre figlie! Tu non vivrai per sempre, mio caro e dobbiamo assicurarci che le nostre figlie sposino degli ottimi partiti!”
“Mamma, io non mi agiterei così tanto.” Phil prese la parola con i suoi soliti modi pacati, “Non credo che persone così ricche possano venire qui a cercar moglie. Saranno qui solo per il periodo di caccia.”
“Non dire sciocchezze! Le tue sorelle sono tra le ragazze più belle della contea e degli uomini scapoli devono per forza trovar moglie e voglio che sposino una di voi. Se riusciste a sposarli tutti e tre io morire felice!” Jane tossicchiò appena per prendere la parola, “Ma mamma non credo che riusciremo comunque a conoscerli se non ci vengono presentati.” A quelle parole, la signora saltò sul divano, “Ma certo che ci saranno presentati! Domani sera saranno alla festa della parrocchia!” A quella notizia, Lydia e Kitty urlarono entusiaste e subito cominciarono a litigare su cosa avrebbero indossato. Il signor Coulson tornò alle sue lettere, come se la notizia non gli importasse poi tanto, mentre Phil, Lizzy e Jane sospiravano affranti: quando loro madre si metteva qualcosa in testa era difficile dissuaderla, quasi impossibile, invero.
Infatti, la sera dopo, ella stessa passò in rassegna tutti i suoi pargoli per assicurarsi che fossero al meglio per il gran ballo. Poi trascinò le ragazze in carrozza, mentre Phil prendeva il suo fido destriero e li precedeva al palazzo parrocchiale dove si sarebbe tenuto il ballo.

La signora Coulson non era stata l'unica ad aver visto nei nuovi signorotti e nella lady dal nome tanto stravagante la possibilità di veder risolti tutti i loro problemi economici e di scalata sociale. Ovunque un tramestio di scarpine lucide e frusciare di nastri, biancheggiare di spalle e capelli ben acconciati, alla maniera che le fanciulle amavano tenere quand'era occasione di festa e la parrocchia spezzava a suon di cembali e sonagli la monotonia della campagna. I padri s'erano abbigliati nella maniera più nobile ed elegante, sebbene dai loro vestiti buoni provenisse l'inconfessabile odore delle cose tenute a lungo negli armadi; le madri facevano concorrenza alle figlie per avvenenza e chiacchiericcio e non smettevano un istante di sistemar ora la piega ondulata della gonna, ora il grano di una collana, ora il difetto di un guanto lucido, ma o troppo grande o troppo piccolo. Dove fossero i nuovi venuti fu facile capirlo. Un capannello più grande e rumoroso si era stipato alla destra dell'entrata: teneva banco un uomo non molto alto, in verità, con folti capelli neri e occhi nocciola dal guizzo intelligente e scaltro; la barba ben curata, squadrata circondava la bocca curvata in un sorriso indolente, quanto divertito. E parimenti indolente era la posa, parimenti divertita la risata che di quando in quando gli faceva piegare la testa verso sinistra, come se il collo non riuscisse a sostenere il moto di quel sentimento e dovesse per forza torcersi a trovare un nuovo equilibrio. Indossava una camicia di lino candida e lo sparato, ondulato di mille plissettature, gorgogliava tra la cravatta borgogna ed il gilet di una tonalità di rosso così scura da confondersi col nero ad ogni barbaglio di luce. La stessa sfumatura avevano i pantaloni a quattro pezzi, con le cuciture interne come ogni buona sarta sapeva confezionare per un uomo del suo rango; una minuscola abbottonatura d'oro era l'unico segnale, una vezzosa strizzata d'occhio al fatto che al signore non dispiacesse l'andare a cavallo. I suoi occhi, nel mentre che girava aggraziato il polso e faceva scontrare il vino dentro il calice, scivolarono sulla famiglia Coulson un istante e quello dopo già erano tornati all'interlocutore. Eppure un accenno di sorriso continuava a sostare all'angolo destro delle labbra -Come a dire Sì. Vi ho notati. Ora avrete il coraggio di avvicinarvi?

La signora Coulson guardò tutte la famiglie con cortesia, criticando, però, quel vestito, quel nastro o quella acconciatura con Lydia e Kitty che annuivano aggiungendo altre critiche e mal parole. "Quello dev'essere il signor Rogers!" Esclamò una volta entrata e guardando l'uomo in porpora, "Che uomo distinto! E così affascinante! Sarebbe perfetto per Jane!" La poverina, affiancata al fratello e alla sorella, abbassò lo sguardo mortificata, scuotendo leggermente la testa.
Una quieta risata li scosse tutti, sottile e lieve come un alito di vento. Non c'era canzonatura in quel riso, bensì una dolce tenerezza. "Perdonatemi." Disse il giovane che li aveva fatti sussultare e che si avvicinò loro, una mano posata sul cuore. Chinò la testa, segno di saluto, e i capelli biondi furono circondati da una aureola di luce liquida. "Non dovete temere il mio amico." Fece, rivolto a Jane. "Nonostante da alcuni anni siamo lontani dalla Francia, si ostina a comportarsi come se ogni luogo di ritrovo fosse un salotto di Parigi." Il giovane sorrise di nuovo e gli occhi azzurri ebbero un breve bagliore più chiaro attorno alla pupilla. Al contrario dell'amico, la sua eleganza irraggiava da lui senza la ricercatezza spasmodica nel vestire dell'altro. Non abbagliava, come il compagno, ma pure il suo abito blu, la camicia candida i cui bottoni erano un'unica striscia di rosso vermiglio, erano splendidi a vedersi e di taglio innegabilmente costoso.
Phil poggiò le dita sulla mano della sorella in segno di protezione. "Mi perdoni, ma con chi abbiamo il piacere di parlare?" Chiese, sorpreso da quell'uomo che si rivolgeva subito ad una donna senza ne essere stato presentato ne essersi presentato.
"Perdonate ancora: l'impedire alle persone di farsi schiacciare dall'ego del mio amico é un cruccio tanto grande da superare spesso la buona creanza." E qui il giovane abbassò la testa, in segno di rispetto. "Il mio nome é Steven Rogers."
Il signor Coulson posò subito una mano sulla spalla del figlio. "É un onore fare la vostra conoscenza. Io sono Jonh Coulson, mia moglie Elisabeth, i miei maggiori Philip, Jane e Elisabeth e le mie minori Mary, Kitty e Lydia." Le ragazza chinarono il capo e le ginocchia in una piccola riverenza, mentre Phil stringeva la mano all'uomo.
"É un piacere fare la vostra conoscenza." Disse Steven, rispondendo alla stretta sia del figlio che del padre. Quindi si rivolse alle donne della famiglia, si portò una mano al cuore e fece un inchino, "Lieto di poter essere qui ed essere partecipe della vostra gioia e bellezza."
“Lei é davvero molto gentile, signor Rogers.” Rispose di rimando la signora Coulson, studiandolo attentamente e sorridendo gaia, “Spero che Griffith Park sia di vostro gradimento, é la casa più grande dei dintorni.”
"É stato davvero un ottimo acquisto. La trovo di mio gusto e l'ambiente." Qui gli occhi azzurri di Steve abbracciarono l'intorno, si posarono sugli astanti uno per uno e tornarono infine alla famiglia. "É davvero piacevole."
"Steven, già cerchi chi ti abbellisca casa con savio tocco femminile?"
"Signori." Fece Rogers, il sorriso appena più luminoso agli angoli. "Lasciate che vi presenti il signor Anthony Stark." L'aristocratico modellò la bocca ad un'espressione di costruita alterigia, fatta per suscitare una divertita vicinanza e complicità, piuttosto che sdegno sociale. Il capannello che si era raccolto attorno a lui si sciolse, guardandosi l'un l'altro come se non esistesse più nulla, né argomento né aneddoto, in grado di tenerli uniti ora che il perno dei loro discorsi li aveva abbandonati.
"Signor Stark." Jonh gli porse la mano e, come prima aveva fatto con Rogers, presentò nuovamente la sua famiglia. Phil sorrise anche a lui, studiano il modo così ricercato del vestirsi, insieme ai modi così sciolti -Avrebbe pagato per avere anche lui quella spavalderia e quella fiducia in se.
"Signor Coulson." Stark chinò il capo, quindi mise una mano sulla schiena Steven, appena dietro la spalla. "Il mio amico é ancora troppo intimidito dal cambio di ambiente così improvviso, dunque farò io le veci nel porle questa domanda: vi é qualcuno di voi che si diletta con la caccia? Abbiamo visto campi e boschi, venendo qua, e ci é nato in cuore il desiderio di una cerca alla selvaggina." Un ghigno divertito gli affiorò alle labbra. "Nulla di meglio per cementificare le amicizie."
"Se vuoi cementificare amicizie col popolino, da' loro specchietti e ninnoli luccicanti e saranno appagati per una vita intera." L'espressione sul volto di Steve si fece cupa -Persino Stark lasciò cadere la mano per chiudere le dita sul fusto del calice. "Sorella mia, ti prego." Steven le gettò un'occhiata piuttosto significativa. "Non farmi vergognare."
"Mio padre é un grande cacciatore, signor Stark." Rispose Phil, quasi non guardando la donna comparsa al fianco del signor Rogers, "Sarei davvero lieto di accompagnarvi.” Intervenne anche Jonh. La signora Elisabeth, invece, spostò lo sguardo sulla ragazza, studiandola attentamente.
Natasha ricambiò lo sguardo con gelido distaccato, le mani affusolate ora strette attorno al braccio del fratello. Gli occhi erano azzurri come quelli di Steve, ma più freddi, del colore che il cielo invernale, sgombro di nubi, assume quando riflette la luce del sole schiantata sulla neve. L'abito che indossava aveva l'orlo accorciato rispetto ai vestiti di inizio secolo, e applicazioni di volant secondo gli ultimi dettami della moda, i cui ricami scintillavano ai bagliori della sala. Il collo flessuoso appariva ancor più bianco, niveo, sollevato dalla camicia accollata, candida, in abbagliante contrasto col porpora smaltato dell'abito. Portava un vezzo, al collo, un medaglione di pietra nera con incastonato al centro un gioiello che per forma ricordava una clessidra rossa. Da sotto il guanto, le nocche s'alzavano, s'abbassavano, a rendere noto l'incessante flettersi della dita. "Mia sorella Natasha." La presentò Steven. "Di ritorno da un viaggio alla corte dello Zar."
Le signorine chinarono la testa, mentre Phil le porgeva la mano per un leggero baciamano, come da consuetudine. "La Russia dev'essere un terra molto affascinante." Disse Lizzy, ammirando il vestito e il gioiello, "E' davvero così esotico come ho letto, signorina Rogers?"
Natasha inarcò un sopracciglio, del medesimo color sangue che avevano i capelli e le labbra. "Esotico. Un termine troppo caldo e volgare, che é da accostarsi alle terre degli uomini d'Africa e non di certo alle steppe di Alessandro I."
"Natasha." La riprese di nuovo Steven. "Ritengo non sia il caso."
"Tuo fratello ha ragione: non é educato far schiumare di invidia il fegato del campagnoli. Il latte ne uscirà cagliato e del tutto imbevibile." A parlare, un ragazzo dai capelli biondo-castano, gli occhi chiari e l'aria di chi preferirebbe trovarsi in qualunque altro posto, persino alla gogna, piuttosto che ad un evento tanto rustico e disdicevole. Invece di essere inamidato e dritto, il colletto della camicia era lasciato cadere volutamente più molle sulle spalle. Il suo vestiario non era ricercato come quello di Stark, né "garbato" ed elegante come quello di Rogers. Non era rozzo, ma pratico, di chi é abituato a viaggiare, a non star mai fermo in un posto solo e preferisce abbigliarsi di polvere, piuttosto che di batista. "Clinton Barton." Lo presentò Steven. "Il nostro cantastorie giramondo personale." Disse Stark, bevendo un sorso di vino.
Il tempo di presentarsi che fu annunciato l'inizio delle danze e, ad un'occhiataccia della madre, Phil fu obbligato a chiedere a Natasha di danzare. "Mi farebbe l'onore, signorina?" Le porse la mano con un sorriso timido -Era molto bella, perfino troppo per i gusti semplici del ragazzo, eppure gli trasmetteva una freddezza del tutto in contrasto con i capelli rossi e le labbra appena coperte da un filo di rossetto fiamma.
"Se lo desiderate." Ma non vi era alcuna gioia, nella sua voce, ed ella era annoiata e non si preoccupava di darlo a vedere. Steven, con un guizzo degli occhi che poteva essere rivolto a Stark, a Barton, all'intera sala, chiese alla signora Coulson il permesso di invitare Jane. Anthony, con piglio più sicuro e amabile, nella sfrontatezza domandò alle altre figlie chi volesse ballare con lui. Clinton non diede segno di voler anche solo avvicinarsi alle danze e si scostò verso la parete, gli occhi socchiusi ed il bicchiere di vino intoccato in una mano.
Phil condusse Natasha al centro della sala, mentre anche Jane e Lizzy li raggiungevano tra i sorrisi radiosi della signora Coulson. Anche le minori li raggiunsero ben presto, con alcuni dei giovani del paesino e le danze proseguirono per tutta la sera. Dopo un paio di balli, Phil aveva lasciato Natasha accanto a Barton -Ragazzo assai altezzoso, a suo parere, e diciamo che entrambi non rientravano nelle sue simpatie, al contrario di Steven e Anthony, che ballarono con le sue sorelle per almeno tre balli consecutivi. Recuperò due bicchieri di vino e ne porse uno alla sua compagna, con un piccolo sorriso. "Le piace la campagna signorina Rogers?" Chiese per cercare di intraprendere una conversazione -Più per far contenta la madre che altro.
Natasha prese il calice tra le dita sottili e ringraziò con un cenno del mento che poteva benissimo essere un gesto per scostare i capelli dalla fronte. "Mio fratello é dell'idea che col tempo imparerò ad apprezzarla." Appoggiò il vetro alle labbra, ma non bevve. "Al momento, a malapena la tollero."
Phil bevve un sorso solo per trovare le parole per una risposta adatta. "Non le piace la natura, forse?"
"Non mi piacciono gli uomini che la abitano."
"Non possono piacerle le persone se non le conosce, non crede?" Sorrise, spostando lo sguardo poi su Barton dietro di lei, "Lei cosa ne pensa?"
"Che le persone di cui parlate sono come gli animali che abitano la campagna e il loro chiacchiericcio é fastidioso come il ronzare delle api, altrettanto capriccioso, disturbante e velenoso." Clint appoggiò il bicchiere su un tavolo basso, dalle gambe ricurve, e diede il braccio a Natasha. "Inoltre." E indirizzò un sorriso sarcastico a Coulson. "Hanno la grazia di un ciuco, quando si tratta di danza."
"Se avrete voglia di guardare." La sorella di Steve guardò Phil di sottecchi. "Sarà mia premura mostrare a voi e a quanti sono qui quanto ho imparato presso lo Zar." E così dicendo, si diressero entrambi al centro della sala -Dove gli sguardi furono immediatamente per loro.
Phil strinse il calice tra le dita in un moto di rabbia: ma come si permettevano quei due di trattarli come animali, persone così vuote non valevano neanche la pena di una arrabbiatura. Raggiunse la madre, "Mamma andiamo via, si sta facendo tardi."
"Ma come? Le tue sorelle li stanno conquistando ancor più velocemente di quel che pensassi! E tu, Phil? La signorina Rogers é ancor più bella di quanto pensassi!"
"Bella quanto spocchiosa!" Lydia comparve accanto a loro, "Ho sentito che ci considera peggio degli animali da cortile! E quell'amico? Mai conosciuto uno così borioso!"
"Concordo con Lydia, mamma. I signori Rogers e Stark sono dei veri gentiluomini ma non posso dire altrettanto della di lui sorella e dell'amico." La donna annuì, "L'importante sono loro, no? Stanno ballando solo con le vostre sorelle! Sono già conquistati! Due mesi e staremo già preparando i matrimoni, vedrete!"
"In fede mia, signora Coulson." Fece Stark, alla conclusione del ballo, portando la sorella di Phil in seno alla famiglia. "Vostra figlia ha una vitalità ed un ardore senza pari. Ho faticato a starle al passo, nella danza e nella parlantina."
Lizzy arrossì appena sulle gote, un enorme sorriso a piegarle le labbra. "Ma voi siete un eccellente ballerino, signor Stark!" Elisabeth rise, "La mia Lizzy é tra le più belle e brave ragazze della contea, come tutte le sue sorelle, del resto!" Ci mancò poco che Phil si schiaffeggiasse la fronte per la sfrontatezza della madre.
"Se hanno preso da voi, non ne dubito. Sempre che mi permettiate il complimento, signor Coulson."
Quella rise civettuola, poggiandogli anche una mano sul braccio, "Lei é un vero gentiluomo!"
"A Parigi si impara questo ed altro."
"Ha davvero viaggiato così tanto, signore?" Phil si avvicinò per attirare l'attenzione del ragazzo e cercare di smorzare la pressione della madre su quel poverino.
"Ovunque sentissi il bisogno di andare." Annuì Stark e sollevò appena gli occhi su Steve, che stava avanzando verso di loro, discorrendo amabile con Jane. "Siamo andati ovunque."
"Chissà quante avventure e quante meraviglie avete visto." Gli occhi azzurri di Phil si accesero di stupore, "Sarei davvero lieto di ascoltarla qualche giorno se avrà il piacere di raccontare."
"Non credo di fare torto al signor Rogers dicendo che sarebbe un onore avervi come ospiti."
"Ma sarebbe magnifico!" Intervenne la signora, "Griffith Park é la più bella casa della zona, ho avuto modo di visitarla molti anni addietro quando fu affittata dalla famiglia Garrison. Ma sono sicura voi la teniate molto meglio!" Jonh comparve alle spalle della moglie, "Credo si sia fatta ora, mia cara." E mentre l'uomo trascinava via la donna, Phil, Lizzy e Jane si scambiarono uno sguardo esasperato. Poi le ragazze si congedarono, raggiungendo i genitori. "Vi ringrazio per la meravigliosa compagnia." Salutò Coulson, rivolgendosi anche a Natasha e Barton arrivati in quel momento.
"Vi ringrazio per il ballo." Fece la sorella di Steven. "Spero sia stato di vostro gradimento e che non ne chiederete altri, in futuro."
Il ragazzo rimase un attimo stupito dal sul comportamento, poi piegò le labbra in un piccolo sorriso, "Se vi sono così sgradevole allora non lo farò, madamigella. Vi auguro una buona notte." Accennò appena con la testa e uscì, recuperando il cavallo e avviandosi verso casa: sperava vivamente di non dover più incontrare quella donna tanto odiosa.
Quando se ne fu andato, Natasha inclinò la testa a sussurrare all'orecchio di Clint. "Non hai distolto lo sguardo un solo istante."
"Un uomo che sa risponderti." Disse Barton. "É un uomo che merita la mia attenzione."
 

*****

 
La mattina dopo, a colazione, la signora Coulson fu un tutto “Il signor Rogers di qua” “Il signor Stark di là” e “Due mesi, mio caro e staremo già organizzando il matrimonio!” Phil beveva il suo tea cercando di ignorare la voce della madre –Non l’avrebbe mai ammesso, ma Natasha l’aveva indispettito non poco. Si riteneva un ragazzo piacente, che dimostrava una maturità maggiore dei suoi ventitré anni, non bello come i loro nuovi vicini, ma almeno guardabile! Non aveva viaggiato come loro, ma era intelligente e sapeva sostenere una conversazione meglio di molti dei suoi coetanei, quindi davvero non capiva tutta la sua maleducazione nei suoi confronti. Dieci minuti dopo arrivò una lettera per Jane da parte della signorina Rogers, che la invitava per pranzo. Elisabeth era raggiante. “Posso prendere la carrozza, mamma?”
“Carrozza?” La donna scosse la testa, “Ci andrai a cavallo! Sta per piovere e saranno costretti ad ospitarti!”
“Ma mamma!” Le voci di Phil, Jane e Lizzy si sovrapposero l’una all’altra. “Niente ma!” Si impose la padrona di casa, “Corri a prepararti!”
E come si era augurata la signora Coulson, venne davvero a piovere e la povera Jane fu costretta, a causa di un brutto raffreddore preso per la pioggia a chiedere ospitalità alla famiglia. La lettera della ragazza arrivò all’ora di cena e la signora era felicissima. “Un raffreddore non ha mai ucciso nessuno e così avranno modo di passare del tempo insieme!” Phil la guardava come se fosse pazza e non faceva che scuotere la testa, in disaccordo. Il mattino dopo, di buona lena, si diresse a Griffith Park per assicurarsi che la sorella stesse bene, compiendo le otto miglia di distanza a piedi, arrivando proprio poco dopo la colazione.

All'entrata trovò Barton, chinò ad accarezzare il muso di un cane della muta di Stark, facendo correre le orecchie pendule tra i polpastrelli e mormorandogli parole e versi a mezza bocca.
Phil si bloccò e si annunciò con un colpo di tosse, "Signor Barton." Inclinò appena il viso in segno di saluto, "Mi dispiace disturbare ma vorrei vedere mia sorella."
Clint girò la testa, diede un'ultima pacca sul corpo flessuoso del cane e si mise in piedi, spazzandosi le ginocchia con le mani. "Sta bene. Steven ha avuto per lei mille cure e premure." Occhieggiò al fango sulle scarpe di Phil. "Vi avremmo mandato a prendere."
Phil si guardò le scarpe e i calzoni, "Ho un cavallo, ma mi andava di passeggiare." Ritornò poi con gli occhi su di lui, "Voglio solo assicurarmi delle sue condizioni e dopo toglierò il disturbo."
"Venite. Spero non vi aspettino per desinare: é assai probabile che Steven vi chieda di rimanere per pranzo."
Phil lo seguì perplesso, sistemandosi appena la camicia bianca e la giacca nera per darsi un'aria meno trascurata. "La ringrazio signore."
"Non dovete ringraziare me." Clint lo condusse nell'atrio, dall'alto soffitto e le pareti adorne di quadri, e fiori e tendaggi preziosi. "Spero non vi siate risentito troppo per la schermaglia verbale avuta con Natasha."
"Avrei dovuto?" Chiese finto noncurante mentre si guardava intorno, ammirando la ricchezza del mobilio.
"Lo fanno in molti. Natasha é come una spada: la si ammira per la bellezza e si soffre per la sua stoccata."
"Oh, quindi lo fa con tutti? Peccato, pensavo di essere un privilegiato."
"Ahimé, temo che non possiate ambire a molto più del suo disprezzo."
"Le posso assicurare che la cosa non mi dispiace per nulla."
Clint arcuò le sopracciglia, con un lieve sogghigno. "Molte persone sarebbero disposte a passare sopra il suo carattere: superato il suo glaciale umore, al fortunato spetta una dote sorprendente."
Il ragazzo lo affiancò e socchiuse appena gli occhi. "Mi dispiace deluderla, signore, ma i soldi non sono di mio interesse. E visto che dovrò passare tutta la vita con la donna che vorrà sposarmi mi auguro sia amabile e di buone maniere. Anche con una dota di dieci sterline."
"Ah! Un vero idealista!" A braccia larghe, come per un abbraccio collettivo che non abbisognava di contatto fisico, Anthony Stark comparve nell'atrio. E sembrava appena uscito da qualche salotto, così paludato di una veste da camera bordeaux con alamari in filo d'oro, una fresca camiciola bianca e gilet ricamato. "Siete venuto per vostra sorella? Una creatura deliziosa, una creatura deliziosa davvero."
"Signor Stark." Phil gli porse la mano con un sorriso molto più grande di quello rivolto a Clint. "La ringrazio. Si, sono qui per vederla."
"Scenderà con Steven a breve. Posso offrirvi del tea, nel frattempo?"
"State tranquillo." Clint li precedette e si girò a dare una quieta pacca sulla spalla dell'amico. "Tony ha assistito ad ogni loro incontro e ha evitato qualsivoglia sconvenienza."
Il ragazzo spalancò appena gli occhi. "Confido nell'educazione del signor Rogers e sono sicuro che non ha fatto nulla di sconveniente. E conosco mia sorella, quindi non sono affatto preoccupato."
"Via, Clint, smettila. Non é carino prendersi gioco degli ospiti." Barton fece un'alzata di spalle e si distese sul canapé, una mano dietro la testa e gli occhi rivolti al soffitto. Stark, forse abituato a quei suoi sbalzi di umore, andò a prendere una tazza da aggiungere alle quattro già presenti sul tavolino dinanzi ad un secondo divanetto, e fece cenno a Phil di sedersi. "Natasha non si unirà a noi." Disse Tony. "É andata in città per alcune spese."
"Aveva invitato anche vostra sorella." Intervenne Clint. "La trova di proprio gusto."
Phil accettò volentieri l'invito a sedersi e anche la tazza di tea. "Lo dite come se fosse una rarità."
"Detto fra noi, non é facile andare a genio alla sorella di Steven." Gli confidò Tony, con tono complice. "É molto meno gelida di quanto la vogliate far sembrare." Replicò Clint.
Prese un sorso di the ed evitò di replicare -Qualcosina gli diceva che c'era del tenero tra Clint e Natasha, quindi era normale la difendesse a spada tratta. "Spero vi troviate bene qui. La casa é molto bella e arredata con gusto."
"Oh, ho semplicemente fatto recapitare qualche chincaglieria da qui e là, e me la sono intesa con qualche merciaio che mi ha fatto dei buoni prezzi." Tony fece un gesto vago col polso, quindi cominciò. A versare il tea anche nelle altre tazze quando si udirono dei passi e delle brevi, ilari risa. Steven spuntò alla soglia del salotto, Jane timidamente a braccetto. Le sopracciglia di Clint schizzarono all'attaccatura dei capelli, ma non disse niente. Stark, intento nella sua opera, non alzò nemmeno la testa. "Signor Coulson." Lo salutò Steven. "Che piacere rivederla!"
"Signor Rogers é un piacere anche per me." Si sollevò e accolse Jane tra le braccia che gli si era subito gettata incontro. Le lasciò un bacio tra i capelli, "Sono lieto di vederti in piedi, vuol dire che sei più in salute di quanto pensassimo." Poi abbassò il tono perché solo lei potesse udirla, "Nostra madre sarà molto delusa." Le fece l'occhiolino e l'aiutò a sedersi sul divano. "Il signor Rogers é stato molto premuroso e a parte un po' di raffreddore sto bene."
"Siete una donna forte, Jane." Steve sorrise e si sedette in poltrona. Clint prese la propria tazza, dopo aver passato a Jane la sua, mentre Tony andava a posizionarsi accanto Rogers, le reni appoggiate affianco al bracciolo. "Natasha mi ha detto che vi porterà qualcosa dal paese per festeggiare la vostra guarigione, Jane." Disse Barton, la tazza già alle labbra.
"La signorina Natasha é troppo gentile." Rispose quella, le gote arrossate e gli occhi brillanti che si spostavano sulla sala ma che, spesso e volentieri si posavano su Steven. "Se stai bene possiamo tornare subito a casa."
"Potrete rivedere la vostra famiglia e le vostre sorelle, dopo tanta compagnia di vecchi pomposi come noi." Disse Tony, sporgendosi appena in avanti. "Se desiderate." Gli fece eco Steven. "Vi daremo volentieri una carrozza."
"Andremo benissimo a cavallo, grazie." Declinò l'invito Phil, mentre la sorella rideva alla battuta di Stark.
"Volete che vi faccia avere il regalo di Natasha direttamente a casa?" Chiese Clint e Tony annuì alle sue parole, prima che Steve potesse replicare. "Ritengo sia una buona idea. In questo modo il signor Barton si deciderà finalmente a lasciare la proprietà invece di rintanarsi qui come un gufo impagliato."
Phil guardò distrattamente Clint, "Non vogliamo arrecarvi disturbo, potrete darcelo alla prossima occasione." Jane annuì, "Domani c'é la cena a casa dei signori Lucas." Ricordò.
"Allora ve lo daremo lì." Annuì Rogers, che per un istante aveva fatto guizzare gli occhi azzurri su Stark. "E le vostre simpatiche sorelle, a questo proposito?" Indagò Tony. "Ci saranno anche loro?"
"Ovviamente. Le mie sorelle adorano le cene di società. Le trovano molto divertenti."
"Loro trovano tutto divertente." Aggiunse Phil, finendo il tea e poggiando la tazza sul tavolino.
"Sono persone assai garbate e lungimiranti, con molta gioia di vivere in corpo."
"Jane." Steve inclinò la testa. "Siete pallida, d'un tratto. Vi sentite bene?"
La ragazza sollevò gli occhi sul padrone di casa, "Sto bene." Disse, mentre Phil stringeva il polso della sorella tra le dita. "Non vorrei ti stesse ritornando la febbre."
"Ma no, sto bene." Rispose quella liberando gentilmente il polso. "É meglio se ce ne torniamo subito a casa." Phil si sollevò e porse la mano alla ragazza.
"Vi prego." Steven si alzò in piedi e l'occhiata di fuoco che Tony parve rivolgergli si confuse in un mero gioco di luci. "Rimanete qui e accettate entrambi. Voi, Phil, potrete controllare le condizioni di Jane e voi, Jane, potrete riposare ancora un poco senza timore di una ricaduta."
"Grazie ma non vorremo disturbare oltre. Vi siete prodigati già molto per lei."
"Nessun disturbo." Assicurò Steven. Clint si drizzò sul canapé. "Natasha ne sarà felice. Avrà una fanciulla con cui conversare ancora qualche giorno. E col signor Coulson al fianco della sorella, tu, Anthony, potrai finalmente dirti libero da ambasce e smettere gli abiti da eunuco a guardia dell'harem."
"Perdonami se non rido del tuo sagace scherzo." Fu la risposta piccata di Tony.
Phil li guardò confuso, spostando poi l'attenzione sulla sorella che annuì. "Accettiamo volentieri, signore e speriamo davvero di non creare problemi."
"Nessun problema, dico sul serio. Clint, per cortesia, potresti mostrare a Phil e Jane la camera degli ospiti? Jane, potrete decidere voi se dormire ancora in camera di Natasha oppure con vostro fratello."
La ragazza annuì e afferrò la mano del fratello, ringraziando ancora Steven. Nel corridoio, mentre Barton li precedeva, Jane raccontò al fratello la gentilezza e la cura con cui l'avevano trattata in quel giorno e mezzo.
"Hai intenzione di ammogliarti, amico mio?"
"Fra tutte le domandi che potresti pormi, Tony, proprio questa?"
"É una cara ragazza. E ti fa ridere, il tuo volto é sereno."
"É una cara ragazza e forse terrà lontana le malelingue per un po'."


*****


"Via, Jane, direte a vostro fratello quanto caro e amorevole sono stato con voi oppure continuerete e tessere le lodi del solo signor Rogers?" Chiese Clint, in un moto di sincero riso, gli occhi che cercavano in un guizzo quelli di Coulson e poi subito si abbassavano al volto felice della giovane.
Jane sorrise, "La simpatia del signor Barton é pari solo alla sua bellezza fratello."
"E alla sua sfrontatezza." Sussurrò Phil all'orecchio della sorella, strappandole una risata.
"Sento che si parla di me. Saranno buoni discorsi o calunnie?" Clint strinse le dita attorno alle maniglie ed aprì la porta della stanza degli ospiti. "Non avete che da chiedere e noi vi daremo."
"La ringrazio signor Barton." Phil accennò appena con la testa, mentre accompagnava la sorella sul letto perché si stendesse e riposasse. "Credo che staremo bene nella stessa stanza, così la signorina Rogers potrà riavere la sua stanza."
"A Natasha non ha comunque creato alcun problema. Ne é stata felice, invero."
"Vuol dire che é molto più gentile di quel che pensassi." Si girò a guardarlo, con un riso sincero sulle labbra, "Volete farmi cambiare idea su di lei, per caso?"
"Ci sto riuscendo?"
"Forse." Poi ritornò da lui, "Potreste mandare qualcuno a prendere qualcosa per me e mia sorella? Così non vi disturberemo oltre."
"Faremo avere ad entrambi il necessario. Intanto riposate e rinfrescatevi: avrete vestiti nuovi e freschi prima di pranzo."
"La ringrazio per la premura."
Clint annuì e li lasciò soli. Scese nuovamente nella sala, si guardò in giro e non vedendo né Steve né Tony si risolse a prendere da sé le tazze, di modo che la donna di servizio li lavasse e preparasse poi per il desinare. "E lenzuola pulite nella stanza padronale." Disse, prima di uscire per occuparsi dei vestiti, come se quell'accorgimento gli fosse saltato alla mente per caso e senza malignità.

 
*****


Il giorno seguente, Phil e Jane ritornarono a casa, tra le urla di gioia della signora Coulson quando apprese la premura con cui Rogers si era preso cura di lei. Sicurissima che nel giro di poche settimane il ragazzo si fosse fatto avanti, si concentrò su Lizzy affinché facesse colpo su Stark e Mary perché cominciasse a puntare a Barton, anche se quest’ultima era ben restia anche solo a rivolgere la parola all’uomo. La donna, quindi, spostò l’attenzione su Phil affinché continuasse a corteggiare Natasha. Alla cena, perciò, tutti tirati a lustro, furono subito spinti tra le braccia dei nuovi vicini.
"Jane, mia cara, siete splendida." Tony fu il primo ad accoglierla, baciandole la mano e sistemando con gesto vezzoso il nastro che le cadeva dietro l'orecchio. "Steven non ha fatto che parlare di voi. Per ripicca, credo, giacché io non ho cessato di nominar voi, amabile Lizzy, nei miei discorsi. Guardavo il cielo e ricordavo il vostro sorriso e le nuvole il biancore della vostra pelle e dell'abito. Lizzy, dicevo, Lizzy adorerebbe i fiori nel nostro giardino, Steven."
Entrambe le sorelle risero, "Voi mi fate troppo onore." Rispose la terzogenita, gli occhi neri che brillavano divertiti. "Mi avevate promesso il racconto delle vostre avventure, caro signore."
"Dunque perché attendere? Sedetevi al mio fianco: mi annoierò presto a parlar di politica." Natasha, dietro a Tony e con la mano appoggiata al braccio di Steve, roteò gli occhi al cielo e poi li rivolse a Jane. "Il vestito che vi ho portato vi sta di incanto, amica mia. Gli altri doni vi sono piaciuti?" Commentò -Le aveva infatti portato un abito turchese e scarpe, due paia di guanti, un cappello per la madre, una cintura per ciascuna sera e per ciascuna sorella tre fazzoletti di tessuto impalpabile, ventagli ed una scatolina di dolci graziosamente infiocchettata.
"Molto." Rispose quella, "Non so davvero come ringraziarvi e ripagarvi per la vostra generosità, signorina." Phil affiancò la sorella, porgendo un bicchiere di vino alle signore.
"Venite a trovarci più spesso. Anche voi, Philip: Clint é rimasto ben impressionato da voi, non é vero, Clint?" E qui bevve un sorso di vino, gli occhi azzurri che ridevano l'imbarazzo tangibile dell'amico. "Avevo intenzione di prendere parte ad una delle battute di caccia di Stark. Non troverei spiacevole la vostra compagnia, Natasha dice il vero."
Phil lo guardò incuriosito, "Mi perdonerete, signore, ma sono più tipo da biblioteca che da caccia. Ma non disdegno le cavalcate, se per voi é lo stesso."
"Oh, Clint, dovresti proprio condurlo lungo il sentiero che abbiamo scoperto la settimana scorsa, cosa ne pensi?"
"Penso che sia ora di non far attendere oltre gli ospiti." Natasha rise e prese sottobraccio Jane prima che potesse farlo Steven, appoggiandole poi la mano sulle dita. "A mio fratello non dispiacerà, se mi siedo accanto a voi e se vi rubo al suo tempo." Disse, lieta. Rogers, dopo che Barton si era tirato indietro allo sguardo supplichevole di Mary, si prese l'onere di accompagnare la giovane al tavolo. Sedette quindi davanti a Tony, Jane alla destra e Natasha subito dopo di lei, e Mary sulla sinistra.
Phil si accomodò accanto a Lizzy, alla destra di Stark. Sistemò il fazzoletto sulle ginocchia e cercò di non ascoltare la voce di sua madre che continuava a ripetere quanto fossero belle le sue figlie.
Stark si sistemò meglio sulla sedia, allungando appena le gambe sotto il tavolo. Steve si rivolse a Jane, con una quieta domanda ed un accenno di rossore sul volto luminoso. "Siete un uomo di poche parole, Philip." Disse Clint, ad un certo punto, versandosi dell' altro vino. "La cosa é un dispiacere, immagino abbiate molte cose da dire."
L'uomo si pulì la bocca col fazzoletto e sollevò gli occhi su di lui -Sorpreso nel sentire il suo nome sulle labbra dell'uomo. "Dipende dall'argomento. Non sono ferrato in politica o filosofia, mi interesso più alla poesia e alla letteratura. E voi, signore?"
"Chiamatemi Clint, vi prego."
"Non credevo fossimo già a questo livello di amicizia." Ammise, timido, "Quali sono i vostri interessi Clint?"
"La lettura e la musica. L'arco, le frecce, del buon vino dopo una cavalcata."
"Arco e frecce?" Corrucciò le sopracciglia, "Uno sport davvero insolito. Come mai vi piace?"
"Lo avete mai provato?" Chiese Clint e sorrise -Ci fu un lampo negli occhi chiari, come se l'arcuarsi della bocca fosse arrivata fino allo sguardo. "La concentrazione di mille minuscoli gesti che si conclude nell'istante preciso in cui la cuspide si conficca nel bersaglio. Occorrono occhi e buon respiro, muscoli, tenacia, braccia forti e un cuore che batta all'unisono al tendersi del nerbo."
Phil scosse la testa, "Invero no, non ho mai avuto il piacere."
"Dovreste provare. Ve lo consiglio: potrebbe aiutarvi a scoccare fuori dal petto l'impeto del vostro coraggio, oltre che a scagliare una freccia oltre l'orizzonte."
"Il coraggio é per gli sfrontati, signore e io temo di essere troppo vile per uno sport del genere." Prese un bicchiere di vino e lo sorseggiò lentamente, "I vostri autori preferiti?"
"Greci e Latini, non disdegno i francesi e lascio i russi a Natasha." L'altro inclinò la testa. "Il coraggio é di chi sa trovarlo. La sfrontatezza confonde solo le piste."
"E voi vi considerate un coraggioso?"
Un ghigno divertito si profilò sulla bocca di Barton. "Mi considero ancora in rodaggio."
“Io credo che o si é coraggiosi oppure no. Se voi non vi considerate tale forse non lo siete.” Ridacchiò, “Ma forse la vostra é solo modestia.”
"O forse non sono che un vigliacco."
E da quel momento in poi la conversazione con Barton languì: quella parte di sé che egli aveva lasciato intravedere scomparve, le valve del suo carattere si richiusero con uno schiocco secco. Tornò a vestire il carapace di indifferenza e disprezzo, ciancicando il cibo nel piatto coi rebbi della forchetta, mostrandosi avvinto controvoglia dalle discussioni sulla guerra e su Napoleone e torcendo la bocca quasi dover parlare ad un uditorio di tali inetti fosse per lui una impareggiabile sofferenza.
Natasha, al contrario, rideva e chiacchierava con Jane e Steven faceva lo stesso, di quando in quando lanciando occhiate a Stark e ricevendone altrettante di rimando quando questi riprendeva fiato dai suoi racconti di Parigi e Rouen e Roma e Mosca e San Pietroburgo, Francoforte e Vienna.
 

*****

 
Pochi giorni dopo la cena dai Lucas, Jane e Phil furono invitati dalla signorina Natasha ad una passeggiata per le terre di Griffith Park. La signora Coulson era su di giri dalla gioia. Sembrava che il suo piano stesse funzionando e anche se avrebbe sistemato solo due dei suoi figli, confidava nella buona sorte degli altri. Vista la bellissima giornata i due fratelli decisero di andare a cavallo e giunsero poco dopo colazione. Phil si era sorpreso non poco dell'invito: era più che sicuro che alla donna fosse indifferente, quindi pensò che Steven l'avesse invitato solo per cortesia e per scusarsi della maleducazione della sorella. Quindi, quando arrivarono rimase molto sorpreso nell'apprendere che i signori Rogers e Stark non sarebbero stati presenti.
Natasha li attendeva all'entrata di Griffith Park, un ombrello parasole a riparare la pelle nivea e un corpetto piuttosto stretto, pantaloni di foggia simile a quelli da cavallerizza e stivali al polpaccio, in un curioso miscuglio di eleganze femminile e abbigliamento maschile. "Jane, mia cara." La salutò con un sorriso. Clint, dietro la donna, chinò il capo con garbo e rispetto, fissando poi la propria attenzione su Phil e permettendo agli occhi chiari di sorvolare sulla sua figura, la bocca sfiorata appena da un'espressione di placido appagamento.
Phil, in calzoni neri e camicia bianca, stringeva la mano della sorella, in tenuta da cavallerizza, i capelli biondi acconciati in due grandi trecce che le circondavano il capo. Fece una piccola riverenza ai padroni di casa, "É una meravigliosa giornata, non trovate?"
"Splendida, la migliore per godersi il paesaggio del Griffith in ogni sua ansa e fiore e bocciolo." Com'era solita fare, Natasha prese Jane sottobraccio, quindi inclinò la testa per guardare Coulson. "Un completo sì bello sarebbe un peccato svilirlo in una semplice passeggiata, non credete? Trovo che sarebbe più indicato per una cavalcata e tu non volevi finalmente portare il tuo nuovo cavallo per la tenuta, Clint?" Barton arcuò le sopracciglia e annuì appena, mostrandosi non del tutto convinto, ma nemmeno dispiaciuto della proposta. "Rischieremmo di annoiarvi con i nostri discorsi e Clint ha sentito i miei racconti su Alessandro I tante di quelle volte che ormai devono essergli venuti a noia."
"Conosco lo Zar meglio di se stesso." Si disse d'accordo il giovane.
Phil li guardò confuso, "Una cavalcata?" Chiese titubante.
"Perché no? Ho sentito al ricevimento che vi piace cavalcare e la tenuta é assai grande." Natasha mise su un'espressione dispiaciuta e si rivolse a Jane. "Ho forse recato offesa a vostro fratello con questa proposta, amica mia? O forse ha paura a lasciarvi sola?"
"Credo solo tema di annoiare il signor Barton." Phil arrossì, "Alla cena é accaduto e non vorrei accadesse di nuovo. Tutto qui."
"Non mi avete annoiato." Replicò il diretto interessato. "Ma se siete convinto di un vostro passo falso, nulla come del tempo trascorso in mia compagnia potrebbe aiutare a riparare questo sbaglio. O." Disse ancora. "Potrebbe servire a me per riparare l'errore che tanto vi ha fatto travisare il mio comportamento."
Phil abbassò appena il viso in segno di assenso. "Vada per la cavalcata allora!"
"Lasciamo dunque i nostri uomini alle loro conversazioni di caccia e quant'altro. Noi, cara, godiamoci il sole e l'erba e le pagine di un buon libro." Tosto che le due ragazze se ne furono andate, Clint condusse Phil alla stalla e gli disse di lasciar pure il cavallo alle cure dei servi, se era suo desiderio, nel frattempo che lui sellava il proprio. "Scegliete pure uno dei nostri cavalli, se vi aggrada." Gli disse, nell'accarezzare il muso lustro e nero di un magnifico stallone. "E permettete al vostro di riposarsi a dovere. Steven e Anthony hanno preso due dei più veloci." Fece e accennò col mento ai casotti vuoti. "Tuttavia, quelli rimasti non sono certo meno validi."
Il ragazzo annuì e scelse uno dei cavalli della tenuta, uno stallone dal pelo fulvo e gli occhi vivaci. "Vi piacciono i cavalli, signore?"
"Molto ed io piaccio a loro, non é vero, Enosictono?" Il cavallo sbuffò, fece tremolale le grandi labbra molli e spinse il muso contro il volto del giovane. Questi rise, accarezzò le guance lunghe e incavate dell'animale e lo fece uscire dal suo casotto. Lo portò fuori dalla stalla tenendolo per le briglie, quindi vi si issò con gesto fluido, con salto elegante, quasi avesse imparato prima a far quello che a camminare.
L'altro lo seguì subito e lo affiancò in groppa al suo destriero. "Vi seguo!"
"Tenete il passo, se ci riuscite!" E ridendo, in uno scoppio di allegria che, dopo la sera del ricevimento, Coulson non si sarebbe mai aspettato, partì al galoppo, il ghiaino che schizzava e scoppiettava sotto gli zoccoli del cavallo.
La sorpresa lasciò subito lo spazio al divertimento e Phil premette i talloni ai fianchi del cavallo partendo al galoppo. Riuscì a recuperare il terreno perduto in pochi attimi fino ad affiancarlo e quasi superarlo. "Non ne ha l'aria ma mio fratello é molto competitivo." Jane ridacchiò, "É un vero peccato che vostro fratello e il signor Stark non ci siano. Lizzy mi ha raccomandata di porgergli i suoi saluti, dice che non ha mai conosciuto un uomo par suo."
Natasha, che camminava a braccetto con la fanciulla, scostò il parasole e voltò appena in fianchi per mostrare il profilo di un sorriso ai due uomini che le avevano superate. Clint le lanciò un saluto da sopra la spalla e poi gli occhi ed il sorriso sulla bocca furono unicamente per Coulson. "Oh, noto che vostra sorella é stata catturata dal fascino dell'amico di mio fratello." La donna girò la testa verso Jane. "E voi da quello di mio fratello."
"Sono dei gentiluomini, rispettabili e di bell'aspetto. Tre qualità che é difficile trovare al giorno d'oggi."
"Concordo, con voi Jane." Natasha sorrise, ma quel sorriso era appena sfumato agli angoli, quasi non riuscisse a condividere appieno la felicità dell'altra. "Cosa provate voi e vostra sorella per mio fratello ed il suo amico, se mi é permesso chiedere?" Jane arrossì, "Provo molta stima e ammirazione per vostro fratello e credo che lo stesso possa dire mia sorella."
"Provate solo quelle e non andate oltre." Natasha lasciò una carezza sul dorso della sua mano. "Perché il vostro cuore non soffra, non sperate nel matrimonio. Mio fratello non é uomo adatto alle nozze."
La ragazza la guardò perplessa. "Perdonatemi, ma non capisco."
"Steven non é uomo da maritarsi e Anthony lo stesso. E mi dispiace, perché voi mi siete tanto cara che sarei felice di chiamarvi sorella."
"E voi mi siete cara come le mie sorelle, Natasha, e quello che mi dite mi rende molto triste."
La donna le regalò un sorriso di dolce e malinconica tenerezza.


*****


Phil arrivò fino alla cima della collina dove fermò il cavallo e si girò ad ammirare lo spettacolo dei prati verdi e degli alberi in fiore, la cittadina in lontananza. Le labbra gli si piegarono in un enorme sorriso, gli occhi che brillavano davanti a quello spettacolo.
"Ah, finalmente sorridete." Clint si affiancò a Coulson, spostando lo sguardo da lui al mondo ai loro piedi. Aveva il volto arrossato dal galoppo, i capelli smossi dal vento.
Il ragazzo scoppiò a ridere, "É meraviglioso! Non si può non sorridere di fronte ad in simile spettacolo!"
"Ne convengo. Allieta l'animo ed il cuore."
"Non mi sembrate molto convinto." Phil spostò lo sguardo sull'uomo, "Spero di non annoiarvi con le mie chiacchiere."
"La vostra conversazione non mi annoia e la trovo lieta, di compagnia."
Il ragazzo rise, "Vediamo se riuscite a starmi dietro!" Girò il cavallo e lo spinse al galoppo.
"Mi sfidate?" Barton gettò indietro la testa e rise. Piantò i talloni nel ventre di Enosictono, che trangugiò il terreno, la sabbia, l'erba sotto gli zoccoli. Le froge divennero bianche, il pelo nero s'indorò di polvere. I capelli di Clint furono investiti da aria e velocità, le spalle che sussultavano al moto dell'animale, gli alamari bronzei che scintillavano al sole.
Coulson fermò il cavallo sotto una quercia, sollevando le braccia. "Ho vinto!"
Barton tirò le briglie per bloccare Enosictono. L'animale, per quel bloccarsi improvviso, s'impennò sulle zampe posteriori e nitrì in protesta. "Gli spiace perdere." Spiegò il giovane. "Voi invece avete vinto. Vi meritereste un premio."
"E quale premio avreste in mente?"
"Ditemi voi." Clint smontò da cavallo e permise ad Enosictono di pascolare in tutta pace attorno alla quercia.
Anche Phil smontò e lasciò libero il cavallo, stiracchiandosi e sedendosi, poi all'ombra dell'albero, "Non saprei. E' la prima volta che vinco qualcosa. Di solito alle gare cosa si vince?"
"Dipende. Denaro, spesso. C'é chi mette in palio il proprio animale o qualche altro oggetto che gli appartenga. Ho sentito di un tale, una volta, che ha scommesso con una donna l'accettare una proposta di matrimonio."
"Davvero?" E la sorpresa negli occhi di Phil era palpabile, "Qui, durante qualche festa, si mettono in palio dolci o animali da giardino. Mio padre ha vinto una gara di tiro a segno, una volta, e ha vinto una capretta. Il latte migliore che abbia mai bevuto!"
Clint, che nel frattempo s'era disteso all'ombra ristoratrice e fresca della quercia, volse a lui gli occhi e parve ancor più interessato al discorso di quanto già non fosse prima. "E ditemi, se ne tengono tante di queste gare di tiro a segno?"
"Durante le feste del raccolto." Ci pensò un attimo, "Tra due settimane si terrà la festa del grano."
"Pensate che potrei partecipare, se ne avessi il desiderio?"
Scosse le spalle, "Perché no? Tutti quelli che sanno tenere un fucile in mano possono partecipare e non é neanche una caratteristica principale." Rise.
"Si tira solo di fucile?"
"L'arco non é molto considerato nelle fiere di paese, mi dispiace deludervi." Si stese accanto a lui e prese una boccata d'aria, "Per quanto tempo vi fermerete qui?"
"Fino a quando non avrò desiderio di andarmene o sarà desiderio di Steven e Anthony di mandarmi via. Non credo versereste lacrime per la mia partenza, dico il vero?" Scherzò, non facendo intendere se dietro quella domanda ci fosse semplice facezia od anche una certa nota di serietà.
Ridacchiò, "Non sono un tipo dalla lacrima facile, mi dispiace."
"Via, nemmeno un moto di minuscola tristezza?"
"Siete ben strano, signore. Non dimentico il modo in cui vi siete rivolto alla mia famiglia quando siamo stati presentati. E vorreste che fossi triste per la vostra partenza?"
"Quantomeno dispiaciuto." Clint stornò gli occhi da lui e li rivolse al cielo, come a cercarvi le parole adatte a rispondere o quantomeno utili al principio del perdono. Non trovandole scosse il capo. "Un'altra cavalcata in mia compagnia." Disse, a un tratto. "Se vincerò al tiro a segno, chiedo in premio un'altra cavalcata in vostra compagnia."
"La mia compagnia non é così piacevole, signore. Sono sicuro preferiate quella della signorina Natasha."
"Natasha é una buona amica e non ritengo di doverle estorcere una passeggiata od una cavalcata col tranello del tiro a segno. Dunque rifiutate?" Chiese l'altro, dopo un poco. "Rifiutate la scommessa?"
"Non rifiuto la scommessa." Disse, sollevandosi a sedere, "Solo che non capisco il vostro interesse per me. Sono un ragazzo di campagna, dopotutto."
"Ho conosciuto tante persone di città." Replicò Clint. "É giunto il momento di conoscere qualcuno di campagna. Non é il medesimo consiglio che avete dato a Natasha? Conoscere prima di avere un'opinione?" Roteò il polso. "O qualcosa sullo stesso tenore. Non ricordo le parole esatte."
"Si, esatto, ma non credevo foste interessato."
"Non sono una delle persone più trasparenti con cui si possa avere a che fare. Provate a conoscermi, come io intendo conoscere voi."
"Molto bene, allora." Gli porse la mano, "Scommessa accettata."
Clint tese il braccio e strinse le sue dita con vigore. Un guizzo indecifrabile lampeggiò negli occhi di metallo lucido, smerigliato. "Non avrete di che pentirvene."
Phil sorrise, "Dovremmo tornare ora. I miei ci aspettano per pranzo."
Clint annuì, richiamò il cavallo e vi montò sopra. Di ritorno, scorsero di lontano le figure di Steven e Anthony: l'uno era intento a passare le dita nella criniera del proprio cavallo, l'altro, seduto in mezzo all'erba, lo guardava fisso e gli diceva qualcosa. Non s'avvidero di Barton e di Coulson ed il primo disse all'ospite di non badarvi e di proseguire, ché i due anfitrioni li avrebbero di per certo raggiunti appena possibile. Trovarono Natasha e Jane nel salotto, sedute a leggere in poltrona, un vassoio di tea fumante sul tavolino basso.
Jane sollevò gli occhi sul fratello e quello capì subito fosse successo qualcosa. Per evitare chiacchiere davanti agli altri, però, si limitò a sorridere e porgerle il braccio, "Grazie per la meravigliosa mattinata ma si é fatto davvero tardi."
"Spero tornerete presto a trovarci." Sorrise Natasha, levandosi in piedi e raggiungendo Clint, cui pose una mano sul braccio. "Mio fratello ha seria intenzione di organizzare un ballo, assai presto, e sarei più che felice della vostra partecipazione."
"E noi saremo felici di partecipare." Si congedarono subito e tornarono a casa. Sulla strada la ragazza riferì la chiacchierata con Natasha al maggiore e lui la trovò molto strana, "Sei sicura che non l'abbia detto solo perché non ti ritiene all'altezza del fratello?"
"Credo proprio di no, é una persona così ammodo e gentile."
"Jane." Phil la riprese, bonario, "Mia dolcissima Jane ho visto il modo in cui Steven ti guarda e credo sia innamorato perso di te. Ma non essendo del suo stesso rango sociale, la sorella vuole scoraggiarti. Fidati di me." Quella rise, "Vedremo cosa accadrà."
 

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Capitolo Due


 
 
Quella mattina Lydia e Kitty entrarono come uragani in casa urlando: “Il reggimento! Il reggimento é arrivato in città!” La signora Coulson si animò subito –Reggimento voleva dire fior fiori di giovani uomini a caccia di moglie e per lei non c’era miglior occasione per sistemare le figlie- prese tutte le ragazze e le trascinò in paese, con Phil a braccetto con le sorelle mentre chiacchieravano della novità. Arrivarono giusto in tempo per vedere la sfilata con le minori che urlavano per attirare l’attenzione dei ragazzi.
Uno di loro, avvenente d'aspetto e scuro di capelli, con gli occhi profondi, il bel portamento, sorrise loro. Conclusa la parata, si divise dal gruppo insieme all'ufficiale che gli era superiore, il signor Garrett, e si avvicinò al gruppetto fermo dinnanzi una vetrina di tessuti. "Philip!" Fece Garrett, stringendo la mano al ragazzo "Qual buon vento. Non speravo di vederti qui. Dimmi, il mio buon amico, il tuo buon padre, come sta?"
"Signor Garrett! Non sapevo ci foste anche voi! Mio padre sta molto bene, grazie. Ricorderete mia madre." La donna fece una mezza riverenza, "Mio marito mi parla spesso di voi, caro signore."
"Signora Coulson." Garrett chinò il capo. "Potrei forse dimenticare la donna più avvenente del nostro tempo?" Sorrise, poi, mettendo la mano dietro la schiena del ragazzo che lo accompagnava e spingendolo avanti. "Vi posso presentare il mio protetto? Grant Ward, di stanza nella mia unità."
Phil porse subito la mano all'altro. "E' un piacere conoscervi. Posso presentarvi le mie sorelle? Jane, Lizzy, Kitty, Lydia e Mary." Le ragazze chinarono il capo, e le due minori studiarono subito il soldato, ridacchiando tra loro.
"É un vero piacere." Ward le salutò con sorriso caldo e ancor più calda voce, che era rassicurante e avvolgente.
"Per quanto vi fermerete, signore?" Chiese la signora Coulson.
"Un paio di settimane, prima che il reggimento parta di nuovo."
"Allora dovete assolutamente venire al ballo della parrocchia che si terrà domani sera!" Disse Lydia, "Verrete con i vostri uomini, vero, signore?"
Ward scambiò un'occhiata con Garret e questi gli fece cenno di sì, con un sorriso a tratti ferino, a tratti di complice incoraggiamento. "Sarebbe una splendida idea." Si disse Grant. "Non prendo parte ad un ballo da davvero molto tempo."
"Se non avete impegni potrei accompagnarvi nei dintorni." Disse Phil a Ward, mentre la signora Coulson invitava Garret a prendere il tea da loro quello stesso pomeriggio.
"Nessun impegno e ne sarei più che onorato. Non conosco la zona, né altri oltre al signor Garrett." Sorrise a Phil, con uno di quei sorrisi in grado di attirare anche il più meschino e duro tra gli uomini. "Si può ben dire che comincio a risentire della solitudine."
"Allora sarò più che felice di darvi la mia amicizia e la mia disponibilità come cicerone. Domani mattina vi sarebbe congeniale?"
"Non avreste potuto concedermi orario, né prospettiva migliore."
Ward si rivelò essere un uomo pronto di spirito, arguto senza cadere nel saccente, consapevole di sé senza cedere alla boria, divertente, senza risultare ridicolo. Aveva buone maniere e buoni modi, una buona cultura, una buona eleganza, buona dizione e buona conoscenza della campagna. Vi era cresciuto per qualche tempo, così gli aveva raccontato, presso una zia vedova, che aveva un discreto podere in grado di assicurarle una rendita discreta e discreti raccolti. Aveva una buona voce, seppur non ammaliante. Buona parlantina, sebbene non avrebbe mai potuto reggere il confronto con l'oratoria di Stark; buon temperamento, anche se mai avrebbe potuto rivaleggiare con l'amabile indole di Rogers. Grazie al cielo era egli lontano dal carattere capriccioso e indefinibile di Barton e di Natasha. Non era soggetto a sbalzi d'umore e, anzi, era proprio una buona compagnia.
Mai in vita sua aveva trovato una persona così piacevo e così simile a lui per carattere e passioni come Ward. Phil l'aveva avvertito già quando gli aveva stretto la mano e mai le sue sensazioni si erano rivelate così esatte. Passeggiarono lungo il fiume vicino il paese, seguiti dalle sue sorelle che trovavano la compagnia del ragazzo molto piacevole -Specialmente Kitty e Lydia.
E con loro il giovane era garbato e sempre disposto al riso, quanto ai complimenti. Le elogiava per la parlantina e la cultura, le doti musicali, la serena compagnia di cui erano portatrici. "Le vostre sorelle mi rallegrano il cuore." Disse Grant, chinandosi a prendere un sassolino piatto e gettandolo poi in avanti perché ticchettasse di mille cerchi sull'acqua.
"Suppongo voi non ne abbiate." Rise Phil, "Sono adorabili, ma cinque donne in casa... Bisogna avere molta pazienza."
"Quella pazienza immagino sia comunque ben ripagata." Ward porse un sasso a Phil. "La compagnia femminile é sempre mancata nella mia famiglia, salvo mia madre."
"Ripagata con pizzi e merletti, certo." Prese il sasso e provò a farlo saltellare sull'acqua ma vi riuscì solo due volte. "Siete figlio unico?"
"E, ahimé, orfano di entrambi i genitori." Grant gli diede un altro sassolino, perché vi riprovasse, quindi si volse alle due sorelle. "Potrei avere l'ardire di chiedervi di unirvi a noi?"
"Non é un gioco da signore!" Rispose Kitty, mentre Lydia raccoglieva un sassolino e lo faceva rimbalzare sull'acqua ben quattro volte. "Io preferisco i giochi da maschi."
"Che giochi preferite dunque, signorina Lydia?"
"La caccia e il tiro al piattello." Rispose quella, raccogliendo un altro sasso, "Fare lunghe passeggiate a cavallo. Giocare a carte. E voi, Ward? Cosa preferite?"
"Le stesse vostre, sebbene, se vostro fratello mi concede di puntualizzarlo, le cavalcate le prediligo se in compagnia."
"Sono d'accordo con voi, signore." Phil riprese a camminare, intravedendo poi dei cavalli al galoppo. "Jane." Chiamò, allungando poi la mano e prendendole le dita, "C'é il tuo spasimante." Sussurrò sorridendo.
Steven fu accanto a loro in un baleno, il sella a un purosangue inglese il cui manto era un tripudio di fiamme brune. Nel fermarsi, il mantello schioccò alle spalle e ai fianchi; si passò una mano fra i capelli e sorrise alla compagnia, chinando rispettosamente il capo. Dietro di lui, senza che la cosa riservasse sorprese, veniva Anthony, in groppa ad un frisone morello di estrema eleganza e con sguardo vivido e bollente, quasi come se la potenza che gli batteva nel cuore dovesse per forza traboccare anche dallo sguardo, e non solo dagli zoccoli, per avere un po' di respiro. "I miei omaggi." Fece Steve, sorridendo a Phil, alle sorelle, quindi a Jane.
Jane sorrise radiosa e chinò il capo, insieme al fratello e alle sorelle. "E' un piacere! Posso presentarvi Grant Ward? E' arrivato ieri con il reggimento."
Tony, strano per lui, non disse molto e persino il saluto che rivolse a Jane fu meno caldo del solito. C'era una strana irrequietezza in lui, un nervosismo quasi palpabile che lo rendeva scostante e impossibile da comprendere. "Salute a voi." Disse Steve, drizzando le spalle e rivolgendo al soldato un cauto gesto di saluto. "Il vostro nome non mi é nuovo, possibile che l'abbia già udito?"
"Lo ritengo improbabile." E Ward sorrise con affettazione e rimanendo sulla difensiva come davanti ad un nemico di cui non conosceva l'entità.
"Il signor Barton non é con voi?" Chiese Phil, notando l'atteggiamento di Tony e Ward e cercando di cambiare argomento.
"Dovrebbe raggiungerci a momenti." Ma nel sentire quel nome, il colore divenne livido sul viso di Ward. "Perdonate." Disse. "Ma temo che si sia fatto tardi ed é meglio per me rientrare."
Coulson lo guardò dispiaciuto, "Ma no. Rimanete. Volevo mostrarvi i campi intorno Griffith Park."
"Sarà per un prossimo futuro." E così dicendo Ward fece l'inchino, salutò con garbo le signorine presenti e si allontanò. Non abbastanza, comunque, perché sfuggisse agli occhi di Clint. Questi, infatti, arrivò con lo sguardo rivolto alla figura di Grant che se andava in lontananza, le nocche bianche attorno alle briglie ed espressione cupa in viso. Steven lo fissò con perplessità, per poi rivolgersi a Jane. "Mia sorella vi manda i suoi saluti e vi manda a dire se voleste, un giorno di questi, andare a Londra in sua compagnia."
"Sarebbe per me un grande onore e piacere, signore." Rispose Jane che non aveva distolto lo sguardo da lui neanche per un secondo. "Le porga i miei saluti e il mio desiderio di vederla presto." Phil aveva seguito la sagoma di Ward, per poi spostare lo sguardo su Barton e notando l’espressione livida nei confronti del soldato. "Dev'esserci una rivalità tra i due." Gli sussurrò Lizzy all'orecchio -La più acuta tra i fratelli.
Il frisone di Stark emise un basso nitrito -E, se non fosse stata cucita, il verso sarebbe potuto essere uscito dalla bocca di Anthony, tale era il gelo che gli inaspriva i tratti del volto. Clint morse l'interno della guancia e scosse la testa in un movimento impercettibile. "Se desiderate." Disse Barton. "Vi accompagnerò volentieri. Conosco bene Londra e potrei approfittare per alcuni affari che mi attendono lì."
"Ne sarei onorata signore." Rispose Jane inclinando il viso in assenso.
"State bene, signore?" Chiese Phil a Stark, guardandolo attentamente.
"Naturalmente." Rispose Tony, con una nota forzata nella voce che non sfuggì a Steve. Egli si ritrovò ad abbassare il capo, dissimulando quel movimento in un gesto spontaneo per ripararsi da un improvviso getto del sole. "Il signor Stark ha soltanto avuto sfortuna nella caccia." Fece Clint. "La preda pare intenda sfuggirgli di mano, di recente."
"Ah, ma non credete che mi arrenderò senza combattere."
"Non devi dimostrare il tuo valore a nessuno, amico mio." Replicò Steve, con un sorriso. "Non conosco nessuno, all'infuori di te, che abbia una presa tanto salda sulla propria preda." E, come rassicurato da quel complimento, Stark finalmente sorrise e quello stesso sorriso lo rivolse finalmente anche a Jane.
Phil rise, "La caccia é sport per uomini senza cuore, signore. Se la preda vi sfugge si assicura vita e felicità."
"Dipende che vita." Ribatté Stark, con cortesia. "E che felicità." Negli occhi di Steve vi si lesse un accenno di malinconia, subito sostituito da un piccolo sorriso. "Clint ci ha parlato di una festa di paese cui intende partecipare. Sarebbe cosa sgradita se ci accompagnassimo a lui, per l'occasione, e prendessimo parte alla sagra?"
"Ma certo! Saremmo felici di unirci a voi se vorrete."
"Ma non aspettatevi nulla di elegante e raffinato." Intervenne Lizzy, "In quel caso temo rimarrete molto delusi." Lydia si fece avanti, "E poi ci avevate promesso un ballo a Griffith Park signor Rogers! Un gentiluomo mantiene sempre la parola data!"
"Non l'ho certo dimenticato, signorina Lydia, né potrei mai permettermi di mancarvi la parola data."
"Signorina Lizzy." Intervenne Stark. "Fin da ora mi prenoto per i primi due balli con voi."
"Ne sarei onorata signore. E poi dovete ancora raccontarmi della Grecia e dell'Italia." Phil sorrise, "Vi abbiamo trattenuto già troppo, signori. Vi auguriamo un buon proseguimento."
"Buon proseguimento a voi." Nel passare loro accanto, Clint si chinò su Coulson. "Non dimenticate la nostra scommessa. E tenetevi lontano da Grant Ward."
Phil lo guardò perplesso, ma fu subito richiamato dalle sorelle e non poté soffermarsi più di tanto sulle sue parole.
 

*****

 
Approfittando di un libro che suo padre aveva promesso a Garrett, Phil raggiunse il reggimento per poter scambiare due parole con Ward e chiedere spiegazioni per lo strano comportamento di quella mattina.
Ward si stava intrattenendo con alcuni pari grado. Quando vide Phil, si scusò ed abbandonò la cerchia, salutando Coulson e scusandosi per il comportamento disdicevole di cui si era reso protagonista.
"Mio caro amico cosa é accaduto perché voi andaste via così di fretta? Vi ho forse offeso in qualche modo?"
"No, Philip, non é colpa vostra. Per non offendervi, invero, dando mostra del peggior lato di me stesso -Ossia la freddezza scaturita da una scarsa simpatia- ho preferito andarmene: l'atmosfera era sì lieta che disturbarla col mio malumore sarebbe stato increscioso."
"Vi riferite al signor Rogers o al signor Stark?"
"Al signor Barton."
"Barton?" Quindi sua sorella aveva ragione, "Cosa é accaduto tra di voi? Se posso permettermi, naturalmente."
Ward fece un cenno con la testa, come a dire che non v'era motivo di tenere all'oscuro un caro amico par suo. "Immagino conosciate la signorina Natasha, vero?"
"La sorella del signor Rogers, certo."
Grant annuì di nuovo. "Conobbi entrambi a San Pietroburgo e v'era tra noi un legame di rispetto ed amicizia. La signorina Natasha, poi, aveva su di me una particolare attrattiva ed un fascino tali che per me fu impossibile non innamorarmene. Così, chiesi al signor Barton di perorare la mia causa al fratello quando fossimo tornati in Inghilterra. Mi fidai ciecamente di lui e..." Chiuse gli occhi, fece cascare le spalle con un sospiro. "Ciò che ottenni fu un bieco volgere di spalle. Egli mi si finse amico e mentre a me sussurrava parole di conforto, aspergeva di veleno l'orecchio di Natasha. Sicché le venni in odio e la persi per sempre. Mentre Barton poté tenerla e legarla a sé come più gli piaceva ed é sempre stato nelle sue intenzioni."
Phil spalancò gli occhi e la bocca, sorpreso. "Non posso credere ad una simile cattiveria! Il signor Barton é un borioso, certo, ma non lo credo capace di una simile azione!"
"Nemmeno io lo credevo." Ammise Grant. "Diffidate di lui. Egli guarda con amicizia qualcuno solo fino a quando costui non viene a ledere i suoi interessi."
"Mi dispiace per la vostra sfortuna, amico mio." Gli poggiò una mano sulla spalla, "Ma potete contare sulla mia amicizia e quella della mia famiglia a cui siete già molto caro." Phil gli sorrise ma continuava a pensare alla sua storia: non aveva motivo di dubitare della sincerità di Ward, ma non riusciva a credere che Barton si fosse macchiato di un tale disonore.
"Vi ringrazio." Ward gli indirizzò un sorriso genuino. "Promettete di fare attenzione, vi prego."
"Ve lo prometto, amico mio."


*****


Phil aveva parlato della storia di Ward con Lizzy e Jane in cerca di consiglio. La prima gli consigliò di cominciare ad ignorare Barton che era stato borioso e maleducato con loro fin dall'inizio, mentre la seconda suggerì che doveva trattarsi di un equivoco, perché il signor Rogers era una persona onorabile e di certo non sarebbe stato amico di una tale persona. Tra dubbi e perplessità giunse anche la sera del ballo a casa Rogers e le donne di casa Coulson si agghindarono come se dovessero andare dalla regina. Erano state comprate stoffe e nastri e Jane non era mai stata tanto bella con un nastro rosso tra i capelli biondi lasciati morbidi sulla nuca e il vestito bianco con cinturina rossa che le metteva in mostra le forme morbide. La signora Elisabeth era sicurissima che Steven sarebbe crollato e l'avrebbe chiesa in moglie quella sera stessa.
Phil salì sul suo destriero, il pantalone nero era in tinta con la giacca, mentre la camicia bianca era stata lasciata con il primo bottone slacciato, un fazzoletto rosso appena annodato sotto il colletto.
Ad accoglierli riflessi di candelieri e collane e risate e discorsi. Venne all'entrata proprio il padrone di casa, il cui abito era pura meraviglia a vedersi, a partire dalla blusa e dai pantaloni color cobalto che facevano lampeggiare gli occhi azzurri ed i capelli biondi, per proseguire col rosso cardinale del gilet, la plissettatura dello sparato e concludersi il collo inamidato e bianco della camicia. Stark non era con lui, così preso com'era dalla combriccola di campagnoli che gli era intorno e dal bicchiere di vino che aveva in mano. Non v'era in sala signore più elegante e bello e meglio vestito, interamente in porpora e oro, ricami ovunque, ricercatezze e vezzi del miglior sarto di Parigi, con quei bottoni di madreperla e la giacca lucida, quasi laccata sul corpo appena inclinato nell'atto di una risata costante.
Davanti a Steven tutta la famiglia chinò il viso in segno di rispetto e la signora Coulson cominciò a cianciare della bellezza della sala e degli arredi -E delle figlie, naturalmente.
"Sono davvero contento che siate venuti. E voi, Jane, la vostra virtuosità ed eleganza mi lasciano davvero privo di parole, tanto che la mia voce incespica nel farvi i complimenti."
La ragazza arrossì, "Lei é troppo gentile, signore." Phil si affiancò alla sorella -Più per allontanare la madre che altro. "É una splendida festa."
"Vi ringrazio."
"É piuttosto misera rispetto a quelle cui siamo abituati." Intervenne Natasha, in vestito nero a palpiti corvini e blu scuro, persino viola e verde cupo. "Ma vedremo di lavorarci e migliorare col tempo." Era al braccio di Clint e nel girare la testa verso l'accompagnatore le perle tra i capelli di lei saltellarono e sussultarono di luminescenza e meraviglia. Barton, invece, era vestito di viola sgargiante, di una tinta particolare che nonostante la vivacità riusciva a non essere volgare e, anzi, a rendere più vigoroso il chiaro dell'iride azzurra e la screziatura bruna dei capelli.
Phil riservò un sorriso alla donna e un rigido chinarsi del capo all'uomo, guardandolo appena di sbieco e poi distogliendo lo sguardo. "Lizzy voleva salutare il signor Stark. L'accompagno da lui." Detto questo prese il braccio della sorella e la portò dall'uomo, mentre anche Jane salutava l'amica e il suo accompagnatore.
Clint sbatté le palpebre a quel comportamento tanto ineducato e soprattutto incomprensibile. Stark, invece, nel vedersi arrivare davanti la bella Lizzy, allargò le braccia, si ricordò di avere un bicchiere di vino in mano, lo vuotò in un unico sorso e riaprì le braccia. "La mia giovane fanciulla!" Esclamò, con brio. "Splendida, fatevi guardare! Splendida! Vi siete ricordata i due balli che mi avete promesso, sì?"
"Non aspetto altro, signore. Se voi non ci fosse stato non sarei affatto venuta." Esclamò divertita, porgendogli, poi, la mano.
Tony si profuse allora in un garbato baciamano e la condusse nella zona della sala adibita alle danze. Ballò con lei due volte e due volte ballò Steven con Jane, mentre Clint dopo un ballo con Natasha si risolse a chieder spiegazioni a Coulson per la sua freddezza di poco prima. E mentre gli domandava cosa mai fosse accaduto, Stark abbandonò la mano di Lizzy per rivolgersi a Jane, che ora gli stava al fianco. "Mi permettete un ballo con la favorita del mio amico?" E c'era una nota serpentesca, sibillina nella sua voce. "Tony..." Cominciò Steve, ma subito l'altro lo zittì. "Lizzy, mia cara, vi affido il buon Rogers per il prossimo ballo. Accuditelo a dovere."
Jane sorrise all'uomo e accettò volentieri la sua mano, confusa, si, ma per nulla intenzionata a farsi rovinare la serata.
"Jane, cara." Tony le rivolse un sorriso smagliante. "Siete radiosa. Dico davvero. Merito dell'abito, delle luci o della compagnia?"
"Credo dall'insieme di tutto questo, signor Stark. Non crede che sia una bellissima serata?" "Assolutamente splendida. E ditemi, cara, ditemi, ritenete più bella questa notte oppure il sorriso che Steven vi rivolge?"
La ragazza arrossì di botto, "Non capisco cosa intendete, signore."
"Certo che lo capite. Lo capite perfettamente, mia cara. Pensate anche di aver capito il Signor Rogers?"
"Credo sia una persona molto gentile." Sussurrò la ragazza.
"E null'altro? Una considerazione ormai misera per una personalità come quella del signor Rogers cui, mi sembra, lei tenda molto più profondamente di una semplice amicizia."
"Non capisco cosa stia dicendo, signore, davvero." Jane abbassò lo sguardo sulle scarpette bianche ancor più rossa in viso.
“Lo amate?" Fu la domanda ora secca di Stark, la voce affilata come un coltello.
"Perdonatemi, signore ma non voglio rispondere alla vostra domanda." Jane si fermò e gli lasciò le mani.
Tony fu lesto ad afferrarle il polso e fingere davanti a tutti che fosse un semplice gesto per trattenerla e darle un ultimo baciamano. "Abbandonate qualunque pazzia e sciocca fantasia amorosa. Non siete nulla per lui e nulla significate. Siete uno specchio per le allodole, un miraggio per gli stolti. Steven non é per voi e la vostra forma, la vostra figura, la vostra essenza gli é di fastidio, non ne scaturisce alcun calore, nessun sentimento se non la vuota cortesia. Ad un uomo serve qualcuno che lo capisca e voi, dolce, ingenua Jane, siete stata stupida, infantile, infatuata di qualcuno di cui niente avevate compreso." Abbandonò la presa, socchiudendo gli occhi. "Non lo avrete mai." E così dicendo attraversò la sala, si fiondò nel giardino, si divincolò dalle dita di Steven arpionate al braccio -Dita immobili, sospese nell'aria di una notte fattasi di improvviso gelida.

*****

"Vi ho offeso, signor Coulson? Cosa vi ho fatto, di recente, perché mi venisse negato finanche il saluto?"
"Perché me lo chiede, signore?" Phil aveva le braccia conserte e non rivolse neanche lo sguardo al suo interlocutore.
"Perché nemmeno mi state guardando, Philip, fuggite i miei occhi come fossero quelli di un ladro o di un assassino."
Phil si girò a guardarlo di sbieco, "Se voi non vi sentite in torto, allora non lo siete." Fece scivolare le mani dietro la schiena, "Ho avuto l'onore di fare una conoscenza, poco tempo fa. Il signor Ward é una persona davvero ammodo, non trova signore?"
"Ammodo quanto potrebbe esserla una serpe in seno."
"Dopo quello che avete fatto osate pure definirlo così?" Si voltò a fronteggiarlo, "Sono oltremodo confuso da voi, signore."
Clint aggrottò le sopracciglia. "Confuso?"
"Sento troppe cose diverse su di voi, signore. Questo mi lascia confuso e perplesso."
"Non dovrebbero essere le opinioni altrui a creare la vostra."
"Davvero? Eppure voi non ci avete messo che tre secondi per giudicare me, la mia famiglia e i miei amici! Avete mai pensato di sbagliare, signore?"
"Solo quando so di avere torto."

*****

Jane rimase con gli occhi spalancati in mezzo alla sala e si riscosse solo quando Lizzy le prese le mani e la fece sedere. "Cosa é accaduto?" Ma la ragazza scosse la testa. "Andiamo via, ti prego." Pigolò appena, sentendo un'improvvisa voglia di piangere. La sorella la prese subito per mano e si avvicinarono a Phil. "Jane non si sente bene, torniamo a casa." Il ragazzo, con la risposta già pronta per il suo interlocutore, si girò a guardarle infastidito ma cambiò subito espressione quando vide il pallore sul volto della sorella. "Tesoro che succede?" Ma quella scosse di nuovo la testa e si agganciò al suo braccio. "Lizzy avverti mamma e papà, io la porto subito a casa."
"Jane." Natasha le fu subito accanto, una mano alla sua guancia, l'altra attorno alle sue dita. "Jane, tesoro, guardami. Vuoi dell'acqua?" Clint alzò la testa e corrugò la fronte. "Stark?"
"Ubriaco, ritengo." Disse la giovane. "Steve?"
"Instupidito alla porta."
"Mettilo alle calcagna di Stark. Ora."
"Volete dirmi cosa sta succedendo?" Phil strinse la sorella tra le braccia, mentre Jane allontanava gentilmente Natasha e si stringeva al corpo del ragazzo.
"Il signor Stark sa essere piuttosto sgradevole quando esagera col vino." Spiegò Natasha. "Era già indisposto da questa mattina, ma non ha voluto sentire ragioni quando gli abbiamo consigliato di non partecipare. Domattina starà meglio e confido verrà personalmente a scusarsi di ogni malevola sciocchezza."
Phil annuì. "Perdonateci, ma voglio portarla a casa." La salutò con un cenno e andò a recuperare il cavallo, tenendo sempre la ragazza tra le braccia.
Natasha li accompagnò alla porta e, quando vide le loro ombre allontanarsi, si avvicinò a quella di Steven, appoggiato con la schiena ad uno degli alberi del giardino. Gli mise una mano sul braccio e in silenzio, gli abbassò le dita con cui si era coperto gli occhi, sporgendosi a dargli un bacio sulla fronte.


*****

 
Jane aveva riportato le parole di Stark solo a Philip e a Lizzy, scusandosi con i genitori e lamentando un mal di stomaco. Entrambi i fratelli rimasero interdetti e confusi da quelle parole e restarono tutta la notte accanto alla sorella che, in lacrime, chiedeva cosa avesse mai fatto di così inopportuno da meritarsi un simile trattamento. Quando si addormentò, al principio dell’alba, Phil poté ripensare alla parole di Clint e a quanto fosse stato stupido a pensare che il ragazzo potesse essere migliore di quello che aveva pensato la prima volta che l’aveva visto. Indispettito anche dal comportamento di Anthony decise di ritornare, il giorno dopo, a Griffith Park per poter chiarire le cose e difendere l’onore della sorella. Ma l’arrivo di una lettera, poco prima di colazione, lo persuase dalle sue intenzioni.

Cara Jane, cominciava la missiva, perdonatemi se vi scrivo senza alcun anticipo, senza darvi o concedervi alcun sentore precedente a quello che sarà il contenuto di questa breve lettera. Partiamo. Oggi stesso. Io, mio fratello, il signor Stark e il signor Barton. Torneremo? Lo spero. Quando? Non so dirlo. Certo é che avvertirò la mancanza della vostra cara voce, delle vostre dolci parole, della vostra delicata presenza e della vostra amicizia. E credetemi, niente di quel che é successo al ballo é colpa vostra. L'animo umano é così e quando il cuore si infiamma, ogni cosa é incendio. Prego di vedervi presto e di poter andare con voi a Londra, così come avevamo tanto programmato. Per sempre vostra, Natasha.
Nessun accenno a Steve, non ad un suo saluto od un suo pensiero. Unicamente quella voce lontana, quelle labbra rosse che mormoravano un sommesso "Mi dispiace."


*****


Pochi giorni dopo anche il reggimento, e di conseguenza Ward, lasciarono la piccola cittadina e tutti lasciarono un tale vuoto che per un attimo sembrò che nulla fosse successo, che la vita non fosse mai stata sconvolta dall’arrivo di tutte quelle persone. Eppure avevano lasciato dei segni difficili sa cancellare: Jane non si era ancora ripresa dall’umiliazione e dalla tristezza. Le sorelle minori erano dispiaciute per la partenza del reggimento e non facevano altro che litigare tra loro e sua madre era caduta in una depressione difficile da mandar via visto che aveva già pianificato il matrimonio di Jane con Steven. Così, per fuggire un po’ dalla tristezza che aleggiava in casa, Phil decise di accettare l’invito dei suoi amici Leopold e Jemma di andarli a trovare alla loro parrocchia, nella contea vicina. Erano sposati da appena due anni e vivevano sotto la protezione di lady May, donna ricchissima quanto burbera e scontrosa, la cui parrocchia e annessa casa erano ad appena un isolato dall’enorme casa della contessa. I ragazzi lo accolsero come un fratello –Li legava, infatti, un’amicizia decennale visto che erano cresciuti tutti insieme e aveva, senza volerlo, fatto da Cupido tra i due.
La casetta in cui abitavano era piccola e accogliente, in legno colorato, piena di fiori e alberi profumati e Phil si sentì davvero molto felice di aver accettato la loro ospitalità. Un paio di giorni dopo il suo arrivo, dove aveva impegnato le giornate tra giochi, risate, letture e passeggiate insieme agli amici, furono invitati a Green Park, alla presenza di lady May e di sua figlia Daisy per desinare insieme. Ci misero quasi quindici minuti solo per attraversare il parco intorno alla casa, a cui Leopold non risparmiò ammirazione –La donna era si burbera, ma sembrava particolarmente affezionata ai ragazzi, a modo suo, da averli accolti sotto le sue ali.
Daisy, dal volto gioviale di bambina e del tutto incapace di concepire una cosa tanto inutile e formale come l'etichetta, aveva aspettato alla finestra grande che dava sul prato e, alla fine, in risposta ad un cenno teneramente esasperato di Melinda, si era gettata oltre la porta d'ingresso e da lì tra le braccia di Coulson. "Phil!" Esclamò, usando per lui quel caro nomignolo. "Phil! Dimmi! Racconta! Che hai fatto? Che hai visto?" Era una ragazza assai allegra e che, nonostante l'avesse visto di rado e non avesse scambiato con lui che qualche missiva per questo o quel festeggiamento, tale e tal'altro abbigliamento di moda di cui certo le sue sorelle erano a conoscenza, aveva fin da subito trovato Phil aggraziato e simpatico e citava sempre, appena poteva, quelle belle partite di carte a casa di Jemma -Il solo luogo dove essi si erano visti e dove avevano fatto conoscenza reciproca- e la maniera in cui gliele lanciava addosso quando ella perdeva. Un vero terremoto, insomma, e si diceva assai differente dalla madre.
Phil l’accolse tra le braccia come avrebbe fatto con Mary o Lydia. “Io sto molto bene, vi ringrazio. E voi, signorina May?” Rispose con un sorriso divertito.
"Annoiata, triste e solitaria." Fece lei, sporgendo il labbro. "I coniugi Fitz hanno più interesse alla loro vita coniugale che al mio divertimento. Non hanno cuore e permettono ad una fanciulla di ingrigire nell'apatia. Quando sarò anche io maritata." Aggiunse. "Me ne ricorderò e sarò ben parca di dolcetti, quando verrà l'ora del tea."
Il ragazzo sorrise e salutò ossequiosamente la padrona di casa. "Vorrei essere invitato al matrimonio solo per assistere, signorina." Rispose ridacchiando. "Avete già un pretendente?"
"Lo conoscerete." Rispose Daisy, con fare divertito e sibillino all'insieme. Nel salotto, dove già si stava preparando per il tea, v'era un giovane dall'aspetto smunto, un po' invecchiato nonostante la giovane età. Indossava vestiti non di prima mano, lisi e stazzonati, e aveva un volto appena intristito dalla malinconia, e gli angoli della bocca erano incurvati a dagli un'espressione di perenne sofferenza morale. "Il signor Bruce Banner. É un dottore." Lo presentò Daisy. "Vostro cugino?"
"Arriverà a momenti, si sta rinfrescando dopo la cavalcata."
"La mia signora madre non mi ha permesso di andare." Disse la giovane. "Secondo lei era sconveniente."
"Sconveniente che tu ti presentassi coperta di fango come sei solita quando vai a cavallo." Puntualizzò Lady May, accomodandosi nella poltrona. "Non che andassi a cavalcare."
Phil strinse la mano al medico, sorridendo affabile, voltandosi poi verso la padrona di casa, "La sua ospitalità é sempre squisita, milady."
La donna non rispose e si limitò a piegare il capo in un solenne cenno di assenso. S'udirono dei passi oltre la porta e Daisy divenne tutta un sorriso. "Eccolo che viene!" Esclamò -E Bruce sorrise di quel suo sorriso un po' stantio all'affettazione della ragazza. Certo, tutti i sorrisi e gli scherzi e l'affetto di chicchessia non avrebbero mai potuto lenire il malumore, né rendere meno amara la sorpresa per Coulson nel vedere comparire -E bloccarsi- sulla soglia nientemeno che Clint Barton.
Phil rimase a fissare l'uomo sulla soglia perdendo d'un botto il colorito sul viso. Fermò le mani a mezz'aria nell'intento di prendere la tazza di tea e le ritirò sulle ginocchia, stornando lo sguardo da lui.
A Lady May non sfuggì quel cambio di atmosfera e nemmeno a Bruce. Daisy contrasse appena la bocca e si schiarì la gola. "Phil, il signor Barton." Lo presentò. "Il pretendente di cui mi avete chiesto prima."
"Ci conosciamo già." Phil si rivolse a lui con un leggero cenno de capo, "Spero stiate bene signore."
"Sì, vi ringrazio per la premura. E voi?" Domandò Clint, facendosi guidare e condurre al divano da Daisy.
"Molto bene, vi ringrazio." Poi stornò lo sguardo da lui, che aveva tenuto comunque lontano dai suoi occhi anche se sulla sua figura, e tacque.
"Come vi siete conosciuti?" Chiese Daisy, passando la tazza a Clint.
Coulson prese la sua tazza dal tavolino e ne prese subito un sorso, quasi scottandosi la lingua, per prendere qualche minuto in più per rispondere. "Era ospite a Griffith Park, a poche miglia da casa mia."
"Davvero?"
"Griffith Park." Ripeté Melinda May, le sopracciglia sottili che si aggrottavano appena. "É una proprietà degna di rispetto. Chi vi alberga?"
"Dovreste chiederlo a vostro nipote, signora. Non conosco così bene chi vi abitava."
"Steven Rogers, Lady May." Rispose allora Barton, i cui occhi non facevano che andare a Coulson e poi tornare, riandare e tornare. "L'aveva in affitto."
Phil, al contrario, si ostinava a non volgere lo sguardo neanche nella sua direzione. Bevve il suo tea e posò la tazza sul tavolino, rimanendo quasi in un silenzio ostinato.
Alla fine, Clint prese commiato e così Daisy, decisa a seguirlo per sapere cosa fosse accaduto, e Lady May che disse agli astanti di chiedere e qualunque cosa di cui avessero avuto bisogno, l'avrebbero ottenuta. Jemma e Leo decisero di stemperare la tensione con una partita a carte, che il Dottor Banner rifiutò. "Ma starò a guardarvi tutti e tre." Commentò. "Se anche voi volete prendervi parte, signor Coulson. Non fatevi lo scrupolo di lasciarmi da solo a dialogo con me stesso. Trovo piacevole sondare l'animo umano quando esso é travolto dalla marea inarrestabile del gioco."
Phil si rivolse al medico con un cortese sorriso, "Sarei molto più lieto se anche voi giocaste con noi, signore."
Banner parve riottoso, sulle prime, ma all'insistere dei tre si decise a prendere posto al tavolo. "Ho notato sangue cattivo tra voi e mio cugino." Fece, i polpastrelli ruvidi che stridevano sulle carte distribuite da Leo.
"Preferirei non rovinare l'animo gaio della compagnia, signore." Rispose l’altro frettoloso, prendendo le carte e posizionandole tra i polpastrelli.
"Lungi da me." Replicò il dottore. "Lo avete frequentato molto, a Griffith Park?"
"Non molto, in effetti." Mentì, cominciando a giocare.
"Ah, ecco forse spiegato il motivo di tanta freddezza. Mio cugino ha un carattere piuttosto spigoloso e difficile da ammorbidire."
"Se lo dite voi, signore, non posso che credervi visto che lo conoscete da molto più tempo." Si schiarì appena la voce. "E ditemi conoscete il signor Rogers e il signor Stark?"
"Oh, non bene quanto vorrei. So però che mio cugino li tiene entrambi in gran conto e ha impedito al primo di scivolare nel baratro del matrimonio."
Phil si fece subito più attento a quelle parole, "Baratro del matrimonio? A cosa vi riferite?"
"Mio cugino non m'ha raccontato la storia con precisione assoluta, bensì per vaghi accenni." Bruce fece cadere alcune carte, ne prese un paio dal tavolo, le giudicò buone e continuò. "Da quel che ho potuto comprendere, ha dissuaso l'amico a sposare una campagnola di quelle parti che s'era infatuata di lui e sulla cui unione tutta la comunità aveva costruito castelli e aggiogato chimere. Sarebbe stato il peggior matrimonio d'Inghilterra, così l'ha definito."
Il colorito dalle guance del ragazzo fuggì così come vi era tornato dopo che Clint aveva lasciato la stanza, "Quali erano le obiezioni contro la ragazza?" Chiese in un sussurro.
"Nessuna compatibilità di carattere, incapacità di comprendere il futuro marito. Ha detto persino che nulla c'era di vero, se non un progetto accatastato così, alla rinfusa, a causa di chiacchiere e lingue troppo lunghe. La ragazza sarebbe stata una disgrazia, non un motivo di gioia."
Phil poggiò le carte sul tavolino e si sentì fremere dalla rabbia: come osava quell'essere abietto e pomposo denigrare così la sua povera sorella facendola diventare lo zimbello del paese? "Perdonatemi." Si alzò di colpo dalla sedia, "Temo che la passeggiata di questa mattina mi abbia stancato più di quanto immaginassi, meglio che mi ritiri." Ascoltò appena le raccomandazioni di Jemma di stare al caldo e al riposo e a stento ricordò di salutare la padrona di casa prima di scivolare per i corridoi della casa come una furia.


*****


C'erano nuvoloni gravidi di pioggia sopra le loro teste e già l'aria era umida, infeltriva la lingua e rendeva gelido l'umore, accartocciava i nervi, faceva difficile la letizia e non un riso si levava nell'atmosfera tesa della casa. Clint andava brancolando alla ricerca forsennata di Coulson ed era come pazzo nel suo vagare, e si dava dello stolto, si diceva di tornare da Daisy, implorare un suo bacio -Rifiutarla, respingerla, dille che non era più tempo, che gli dispiaceva, che tutto era cambiato che non poteva, non poteva, non poteva... Cominciò a piovere che i suoi occhi già erano annebbiati da qualcosa di ben più accecante del clima. La veste gli pesò addosso, ma il cuore era assai più pesante. I capelli gli si incollarono alla testa gonfia di ronzii e pensieri confusi, dolenti e cari, dolci e amari, di tenerezza e vergogna, di speranza e condanna. Così matto, così folle, intravide la sagoma di Coulson ed il suo spirito ne fu talmente scosso, riempito, colpito che credette le ginocchia non avrebbero retto a tale visione. E del freddo, dei tremori, più non gli importava. Solo quegli occhi, quella voce, quella bocca... "Philip." Lo chiamò, il suo nome un rantolo esalato a mo' di preghiera -Non si seppe dire se di condannato o se di pio fedele dinnanzi ad una visione mistica. "Philip, vi ho trovato."
Il ragazzo si girò di scatto e dal suo sguardo si poteva evincere tutta la rabbia e la condanna, l’odio che provava verso di lui. “Cosa volete?” Chiese, brusco, asciugandosi alcune gocce di pioggia che gli erano scivolate sulle gote come lacrime, quelle stille salate che non aveva avuto il coraggio di versare per la sua povera sorella, per la sua famiglia messa alla gogna da un essere tanto abietto.
A quella vista, Clint fece un passo indietro e la lucidità tornò in un lampo, lo folgorò, gli divise la mente. "Oh, ma voi gelate." Commentò e non gli parve significativo il fatto che fosse sotto la pioggia egli stesso -E che fosse ben altro ciò che gli voleva dire. "Gelate, Philip, permettetemi di ricondurvi a casa. Gelate, prenderete freddo, vi ammalerete...!"
"Non osate avvicinarvi!" Phil si ritrasse a sua volta, compiendo un paio di passi indietro, puntandogli poi l'indice contro, "Voi siete l'essere più abietto che io abbia mai incontrato!"
"Cosa---? Come? Che dite?"
"Si, voi! Proprio voi! Avessi un minimo di coraggio vi sfiderei a duello, all'ultimo sangue. Solo così potreste lavare l'onta che avete gettato sulla mia famiglia e la mia povera sorella!" Marciò verso di lui e gli batté il dito sullo sterno. "Mai, mai, in vita mia avrei pensato di conoscere un uomo come voi. Fin dal nostro primo incontro la vostra arroganza, presunzione e lo sdegno per i sentimenti altrui mi hanno fatto capire che razza di uomo siete, ma mai avrei immaginato che potesse essere anche così abominevole!"
Barton scosse il capo e strinse le dita attorno al polso di Phil, quindi lo abbassò e fece scivolare i polpastrelli sul dorso e sulle nocche. "Mi muovete accuse infondate." Replicò. "Onta alla vostra famiglia? Mai! A vostra sorella? Tantomeno! L'unica onta che potrei gettare forse, sarebbe su di voi e con parole che non mi arrischio a pronunciare. Sono ben conscio del pericolo e quanto grande sia l'Inferno che mi si spalanca ai piedi, quanto profondo, e Dio mi perdoni!" Il giovane chiuse gli occhi e prese un respiro, il cuore batteva forte e lo stordiva, lo rendeva pazzo e nella pazzia gli dava forza. "Ho lottato invano. Non giova. Non riesco a reprimere i miei sentimenti. Voi mi dovete permettere di dirvi con quanto ardore io vi ammiri e..." Le iridi chiare cercarono gli occhi di Phil e vi si aggrapparono. "E vi ami."
Philip rimase per un attimo senza parola, "Ma voi sapete quello che state dicendo?"
"Fin troppo bene, fin troppo bene e Dio! Dio mi perdoni, non avrei mai dovuto cedere, me lo ero ripromesso... Ma poi ho incontrato voi e sono stato uno sciocco, perché imponendomi di non amarvi, v'amavo di più e standovi lontano anelavo la vostra vicinanza. Non dovrei, ma vi amo."
"E voi vi aspettate che io faccia cosa? Vi ringrazi per questi sentimenti contro natura che provate per me? O che mi lusinghi la violenza che avete dovuto fare sui vostro animo per dichiararmi i vostri sentimenti?" Allontanò la mano dalla sua, "Io non ho mai desiderato la vostra stima o il vostro affetto e voi, evidentemente me l'avete concesso contro la vostra volontà."
"Nessun sentimento é contro natura, giacché é nella sua essenza essere spontaneo e vero." Clint contrasse la mandibola. "E il vostro sentimento per me... É davvero esso solo rifiuto?"
"Certo che lo é!" Rispose con forza, "Se anche avessi mai potuto ricambiare i vostri sentimenti, come pensate che avrei mai potuto accettare l'uomo che ha distrutto la felicità della mia amatissima sorella? O che ha gettato l'infamia sulla mia famiglia? Ma anche prima di questo il vostro carattere si era rivelato nei confronti di Ward!"
"Lasciate quell'essere meschino fuori dalla nostra conversazione, quella serpe che alcuna considerazione merita!" Ringhiò Barton. "E vi giuro che nessuna infamia, nessuna vergogna ho mai voluto gettare su Jane, né sulla vostra famiglia. Io ho... Unicamente protetto un caro amico dal gesto che più di tutti avrebbe ridotto la sua felicità in frantumi."
"Felicità in frantumi? Mia sorella l'avrebbe amato e donato tutta se stessa al vostro amico! E come osate parlare così di Ward? Dopo aver rovinato per sempre la sua felicità? Avete agito allo stesso modo in entrambe le situazione! Aveva ragione a dire che siete solo un arrivista! Un amico solo finché non si intaccano i vostri stessi interessi!”
"Voi che ne sapete? Che ne sapete di entrambe le situazioni? Steven ne avrebbe sofferto, Tony ne avrebbe sofferto e Jane con loro!"
"So che avete rovinato la vita di mia sorella e tanto mi basta! State lontano da me e dalla mia famiglia. Non voglio rivedervi mai più!"
"Io non l'ho rovinata! Io l'ho salvata dalla rovina!" Clint avanzò d'un balzo e afferrò il polso di Phil, portando il giovane contro di sé. "Vostra sorella merita di più. Vostra sorella merita qualcuno che la ami. E Steven si merita una felicità vera, seppur nella fuga, piuttosto che costringere se stesso in qualcosa che non l'appaga e mutare l'affetto in dispetto e in odio. Jane gli é cara, ma egli non l'ama. Non potrebbe mai amarla..."
"Lasciatemi!" Urlò, strattonando il braccio per liberarlo dalla sua presa.
Barton, forse accortosi di aver osato oltre il limite, abbandonò l'intento e si ritrasse. "Mi denuncerete?" Chiese allora e un guizzo di paura lampeggiò negli occhi chiari.
Coulson si mosse subito per mettere più distanza possibile tra loro. "Non lo farò, a patto che stiate lontano da me."
"Non avrò mai dunque alcun posto, nel vostro cuore?"
"Dopo quello che avete fatto? No, mai."
"Se voi davvero foste disposto a comprendere quel che ho fatto... Ma no, già il veleno della serpe vi guasta occhi ed orecchie. Andate, coraggio, andate." Clint fece un gesto con la mano. "Vi prenderete un'infreddatura stando qui. Non vi disturberò oltre, é deciso. Partirò domani mattina e non avrete più il mio nome sulle labbra, a meno che un giorno non vogliate liberarvi del segreto di cui vi ho fatto custode. Vedrò di essere lontano, nell'eventualità, in un luogo dove nessuno possa trovarmi."
Phil non si prese neanche il disturbo di rispondere: gli voltò le spalle e se ne andò.


*****


La mattina seguente, come aveva promesso, Clint se ne partì da Green Park. Daisy stette alla finestra a fissare la sua figura che spariva nella sottile nebbia che s'alzava dall'erba e seppe per certo di averlo perduto. Lady May, che dimostrava il suo affetto in maniera per altri incomprensibile e finanche fredda, non le disse nulla e le fece semplicemente cenno di sedersi accanto a lei sul divano, permettendole di appoggiarle la testa sul petto mentre le accarezzava i capelli a punta di dita. Daisy sapeva di aver perso un pretendente. Melinda sapeva di aver appena assicurato una speranza di felicità alla figlia. Pur non riuscendo ad individuare una causa oppure un motivo alla strana sensazione che le prendeva la bocca dello stomaco quando intravedeva Barton scambiarsi sorrisi con Daisy, era consapevole che niente di buono sarebbe mai venuto dalla loro unione. Non per incompatibilità di caratteri, bensì per una nota stonata che intercorreva tra loro, un'impossibilità di equilibrio che avrebbe sicuramente gettato Daisy nel più cocente sconforto e avrebbe segnato la sua vita coniugale nel peggiore dei modi. Tuttavia, Daisy non fu la sola cui Clint lasciò qualcosa, prima di partire. A Coulson, infatti, aveva destinato una lettera assai spessa. La carta era impregnata di inchiostro ancora umido sulle ultime righe, quasi avesse atteso giusto di montare a cavallo per scriverle.

«Tengo fede alla mia promessa e mi allontano da Green Park. Tengo fede alla mia promessa, Philip, di non dover più occupare la vostra vista, né i vostri occhi, di essere meno di ombra, meno di niente, e di non ricercare più la vostra compagnia, né quella della vostra famiglia. Non vi scrivo questa lettera per rinnovare e ripetere quanto già detto voi ieri sera. Non intendo essere per voi ulteriore motivo di umiliazione e vergogna. Se sono già decaduto nella vostra stima e nel vostro onore per quanto racchiuso nel mio animo, vi chiedo solo quest'ultima possibilità per risollevarmi almeno un poco nel comportamento e nei gesti per cui voi tanto mi avete accusato, con veleno che non vi é proprio, ma appartiene a colui che voi chiamate amico ed é stato la ragione di tanta sofferenza per la mia buona Natasha. Ma a questo torneremo in seguito. La questione che più preme, é di spiegarvi il motivo per cui ho allontanato Steven da vostra sorella. Sappiate, innanzitutto, che recarle imbarazzo era l'ultima delle mie intenzioni. Come già vi ho detto, ho voluto salvare Steven e salvare lei allo stesso modo, e non avevo altra soluzione, a questo punto, se non impedire fin da subito questo matrimonio che mai, mai avrebbe dovuto aver luogo. Non perché vostra sorella non fosse degna, non perché il ceto sociale e la differenza che intercorreva fra lei ed il mio amico fosse insormontabile, non per motivi così sciocchi e futili. Bensì, e vi prego, vi prego! bruciate questa parte della lettera se avete cuore!, perché il mio buon amico Steven era già legato in sentimenti ed amore a qualcuno che voi conoscete bene quanto lui. Ricordate i viaggi che egli ed Anthony hanno compiuto? I racconti che le vostre sorelle ammiravano e di cui si abbeveravano quali assetati alla fonte? Non sono mai stati compiuti per puro piacere. Conobbi entrambi a Parigi e a Parigi diventammo amici, a Parigi cominciarono le nostre avventure, nel bene e nel male. A Parigi, Steven ed Anthony divennero amanti e furono costretti a fuggire, per quella legge del 1791 che perseguita chi come loro, chi come me, ha la sola colpa di amare e amare e amare ancora e sempre. Col tempo, parve chiaro a tutti noi che il legame tra loro era di una forza, di una potenza come mai avevamo veduto: nessuna unione sarebbe mai stata così felice e vera e serena. Nessun matrimonio avrebbe mai eguagliato quell'affinità di spirito e di cuore che legava e lega tutt'ora i miei più cari amici. Ma dovettero scappare ed io li seguii insieme a Natasha, che mi era cara come una sorella. Viaggiamo a lungo, ma in nessun posto ci fermammo più di qualche stagione. Da ovunque, infatti, arrivavano gaie fanciulle per l'uno e per l'altro ed entrambi, sempre, rifiutavano. Però, più essi rifiutavano, più le voci andavano aumentando simile al ronzare rabbioso d'api e ci costringevano ad andarcene, prima che lo scandalo erompesse nella società e rovinasse tutti noi. E per quanto il loro amore fosse e sia ancora forte, il continuo fuggire li logorava. A Griffith Park, in quel dolce paesello di campagna, Steven ed Anthony credevano davvero di aver trovato un oasi felice in cui vivere il loro amore senza doversi preoccupare delle voci della grande città. Non avevano e non avevamo considerato che in un paese di campagna, dove il rimescolamento di queste voci non esiste, dove poche sono le notizie e queste poche vengono scoccate come freccia da una bocca all'altra, il rifiutare la mano di questa e di quella fanciulla, da parte di entrambi, avrebbe causato la disfatta ancor più velocemente di quanto sarebbe potuto accadere a Londra, a Parigi, a Vienna. Poi arrivò Jane e l'amicizia che la legava a Steven parve stemperare la tensione. Persino Anthony l'approvava, giacché egli vedeva nella tenerezza e nella dolcezza delle parole, dei gesti, niente più che un modo per tenere a bada i sospetti del circondario. Ed ha funzionato. Ma alle voci se ne sono sostituite altre e Anthony ha seriamente finito col crederle vere, a scambiare i sorrisi, le parole, le dolcezze per affetto reale, concreto, un vero desiderio di contrarre matrimonio da parte del suo unico compagno di vita. Le accuse sono state pesanti, la gelosia lo ha roso fino alle ossa ed ecco spiegato il motivo della sua scena teatrale la sfortunata sera del ballo. Sono stato io a suggerire di andarcene. Steven era confuso, preda dello sconforto più terribile. Non aveva alcuna intenzione di ingannare Jane con una proposta di matrimonio, ma presso l'intera comunità pareva ormai già cosa fatta e come spiegare un rifiuto? Steven é di buon cuore e vostra sorella gli é cara. Non potrebbe mai, mai usarla per i propri scopi. Dall'altra parte, non poteva certo chiedere ad Anthony di scappare di nuovo, perché avrebbe, certo, alimentato ulteriori bisbigli e sussurri. Il viaggio é stata l'unica soluzione possibile, per ritrovare se stessi e capire quale fosse la miglior strada da prendere. Natasha si é detta d'accordo con me: ella é infatti colei che meglio conosce i moti d'animo del fratello e le é sempre stata accanto, così come lui le é stato accanto nell'affare che ha veduti coinvolti lei ed il vostro amico Grant Ward. Non so quale infamia abbia gettato su di me, ma sappiate che egli é responsabile del dolore della mia amica e sul suo animo grava la colpa di aver portato un uomo alla pazzia. Se non credete a me, e ritengo che sia così vista la reazione di ieri sera, credete almeno a Natasha se mai avrete occasione di vederla. Chiedetele del soldato James Barnes e del torto che Grant Ward ha fatto ad entrambi. Natasha sarebbe potuta essere felice, se Ward non fosse comparso nella sua vita. Addio, Philip. Addio. Che Iddio vi benedica, sempre. Io pregherò per voi.

Clinton Francis Barton.»


Phil lesse e rilesse la lettera per tutti i giorni rimanenti al cottage dei coniugi Fitz. Una parte di lui era incredulo e faticava a pensare che fosse tutto vero. Ma un'altra, ripensando ai comportamenti dei diretti interessati, gli sguardi, le lunghe cavalcate, lo strano comportamento di Stark la sera del ballo, non poteva non credere alla veridicità delle sue parole.
In più, la storia di Ward, anche se non del tutto chiara, gli aveva messo quella pulce nell'orecchio che faticava a scacciare.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Nota Autrici
Ed ecc
oci alla conclusione di questa piccola ff. Speriamo vi sia piaciuta e che ci lascerete un segno del vostro passaggio!
Alla prossima

Gosa&Nemeryal

 





Capitolo Tre
 
 
 


 
Pochi giorni dopo la partenza di Barton, anche lui dovette tornare a casa, dove lo accolse un po' di trambusto a causa dell'arrivo del fratello di sua madre, Nicholas e sua moglie Maria con i suoi tre cugini piccoli. Sembrava che avessero progettato un piccolo viaggio per le contee vicine e avrebbero lasciato i bambini lì alle cure delle meravigliose cugine maggiori. Il ragazzo era molto affezionato agli zii e fu invitato a partecipare al viaggio, occasione che lui prese subito al volo per potersi allontanare ancora per un po’ dalla famiglia. Fu tentato, molte e molte volte di rendere partecipe sua sorella Jane della verità, ma gli sembrava inopportuno rivelare ciò che sapeva senza il permesso dei diretti interessati, senza contare la tempesta che avvertiva nel cuore e nello stomaco a ripensare agli occhi di Clint mentre gli rivelava i suoi sentimenti. Li considerava sbagliati e inopportuni, eppure non poteva fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato bello stringersi a lui e vedere lo stesso sorriso che gli aveva rivolto quel giorno, sul prato, dopo la cavalcata.
Prima di partire fu messo al corrente delle intenzioni dei signori Lucas di portare Lydia con loro per un piccolo viaggio sulla costa. Phil non accolse la notizia nel migliore dei modi, considerando la sorella molto immatura e sciocca per essere lasciata da sola. Il signor Jonh, però, le diede il suo consenso, convinto che quel viaggio lontano dalla famiglia l’avrebbe aiutata a crescere.
Dopo un paio di settimane Phil, insieme agli zii, si mise in viaggio verso la contea vicina, dove scoprì vi era Hawksfield, proprietà del signor Barton. Cercò di dissuadere gli zii dall’andarci –Vi era, infatti, all’interno un piccolo museo che sua zia desiderava vedere- ma alla fine si fece convincere dal fatto che il proprietario non sarebbe stato in casa. Così, pochi giorni dopo essersi sistemati in un paesino a circa cinque miglia dalla casa, si diressero a Hawksfield.
La sorpresa che Clint ebbe nel rivederlo fu tale da farlo arrestare sul sentiero di casa e sbiancare di improvviso. Era egli in monta ad Enosictono, il cavallo che aveva acquistato durante la permanenza a Griffith Park, e indossava una tenuta appena più consumata rispetto a quelle che era solito portare, segno che quella era la sua prediletta e se ne vestiva ogniqualvolta tornava a casa. Strinse le dita attorno alle briglie ed il cavallo, avvertendo il suo turbamento, recalcitrò e graffiò il terreno con gli zoccoli. Clint si sporse a dare una carezza sul collo dell'animale e a quel gesto la faretra sulla schiena tintinnò al metallico tramestio delle frecce che conteneva. "I miei omaggi, signori." Li salutò, chinando il capo con cortesia. "Perdonate se ho disturbato la vostra passeggiata: stavo recandomi nel bosco e alcuni accorgimenti di manutenzione mi hanno costretto a prendere questa via più dismessa, piuttosto che l'altra. Ma prego, prego." Affondò appena i talloni ed Enosictono si scostò. "A voi la precedenza."
Phil, a bordo del calessino, aveva sbarrato gli occhi a scorgere la sua figura sul sentiero; ma mise da parte la propria sorpresa. Si sollevò appena e lo salutò con un cenno, "Signor Barton, spero stiate bene." Disse con un piccolo sorriso, "Posso presentarvi i miei zii, i signori Fury?"
Il giovane sbarrò impercettibilmente gli occhi, quasi non credesse alla situazione. "Signor Coulson." Fece allora, in dubbio se sentirsi sollevato oppure in ansia. "Per me sarebbe un onore. Sono lieto di rivedervi."
"E' un onore conoscervi, signore." Rispose Nicholas, "Volevamo visitare il vostro museo ma credevamo non ci foste, se avessimo saputo della vostra presenza non saremmo venuti a disturbarvi."
"Oh, nessun disturbo." Clint rivolse loro un sorriso cordiale -Gli occhi si volsero appena a cercare quelli di Coulson. "Al contrario, se mi farete l'onore andrò a dire a casa di preparare due stanze per voi, cosicché possiate essere nostri ospiti."
"Voi ci fate troppo onore, signore." Rispose Maria, sorridendo. "Siamo solo a cinque miglia da qui, signore." Riprese la parola Philip, "E non vorremmo davvero invadere i vostri spazi."
"Permettetemi almeno di invitarvi per un tea."
Coulson annuì, "Un tea lo accettiamo molto volentieri, signore, grazie." Rispose Nicholas, proseguendo per la strada.
"Vi attenderemo per le cinque, allora." Barton li guardò allontanarsi e stette ritto sul cavallo per lunghi minuti. Invece che uscirne attutiti, i sentimenti per il giovane Philip si era acuiti dolorosamente dopo il suo rifiuto, dopo gli occhi che l'avevano trafitto di delusione ed odio. Si era ripromesso di non cadere più in alcun tranello della sorte, eppure eccolo, di nuovo, a soffrire per quel sentimento che non sarebbe mai stato ricambiato. Ma invece della disperazione, il vento di quel piccolo sorriso che Coulson gli aveva rivolto aveva rinfocolato le ceneri della speranza e dell'amore. "Sei uno sciocco, Clint. E presto sarai uno sciocco sbattuto in prigione e gettato in pasta al pubblico disprezzo."
Sua madre Edith ben accolse l'idea di ospiti. Suo padre, Harold, non fu della stessa idea. Egli non era mai della stessa idea della donna ed era burbero e freddo e aspro d'animo tanto quanto la moglie era di spirito gentile e di cuore buono. Lei si rattristava del non vedere il figlio ancora ammogliato, lui lo biasimava. Lo aveva spinto più di una volta a chiedere finalmente la mano di Daisy e ogni ritardo era stato per Harold motivo di ulteriori improperi ed esclamazioni rabbiose. Una fanciulla, disse quando seppe della visita di Coulson, Ecco chi avresti dovuto portare alla mia tavola!
Phil e i signori Fury arrivarono puntualissimi e furono accolti dalla padrona di casa in maniera molto gentile. Il ragazzo era non poco nervoso e aveva cominciato a strofinarsi le mani sui calzoni, sorridendo timido al ragazzo e a sua madre a cui riservò un piccolo baciamano.
Edith parve deliziata dall'aspetto e dai modi gentili del ragazzo. Lo invitò a sedersi, gli servì il tea e si informò sulla famiglia, sulla tenuta, su come avesse conosciuto Clint e dove. "Ah, Stark!" Berciò ad un certo punto Harold, allungatosi a tendere un sigaro a Nicholas. "Figlio borioso di un altrettanto borioso commerciante. Scapestrato nullatenente, ho sempre aborrito il fatto che Clint lo frequentasse. Ha grilli per la testa ed il cervello riempito di fanfaluche e stupidaggini letterarie francesi. Dileggia chiunque tenti di ammogliarlo e se ne sta sempre in giro a gozzovigliare, invece di pensare ai doveri verso il padre e la famiglia."
"L'ho trovato un uomo molto ammodo e dai modi garbati." Gli rispose Phil, bevendo il suo tea e lanciando, di quanto in quanto, un'occhiata a Clint. "Ma capisco il suo punto di vista, signore. I figli maschi devono occuparsi della propria famiglia d'origine e così ci viene insegnato fin da bambini. Ma nessuno ci dice che, spesso, per occuparsi della famiglia, si deve rinunciare alla possibilità di essere felici."
"Il dovere é dovere e la felicità che tanto millantate, perché non la si dovrebbe trovare nell'adempiere a questo dovere? Non c'é felicità più grande della propria famiglia, di una buona rendita e di un'ottima posizione sociale." Edith soffuse la bella bocca di un tenue sorriso. "La felicità sta nelle piccole cose." Sussurrò. "E nelle piccole cose sta la felicità più grande. Mio figlio, ad esempio, o la vostra compagnia. Molti li considererebbero orpelli di nessun conto ed invece impreziosiscono di tante perle il filo della mia vita. Questo, ritengo, é ciò che mio marito voleva dire."
Phil annuì e posò la tazza, spostando gli occhi su Clint, "Non ho potuto far a meno di notare lo splendido laghetto nella vostra proprietà. Vorreste farmi l'onore di accompagnarmi?"
Il giovane Barton piegò la testa in cenno di assenso, quindi la levò verso il padre. "Andate pure e vi chiederei, signor Coulson, di donare a mio figlio un poco di ragionevolezza, giacché egli non sembra più bendisposto verso la signorina May come lo era prima della sua partenza a Green Park. Se gli é venuta la balzana idea di non maritarsi con lei, fatelo rinsavire proponendo una delle vostre sorelle e facendogli fare un paio di conti sulle rispettive doti." A quelle parole tanto sferzanti, Edith rispose assumendo un colorito rossastro sulle gote e Clint gelando sul posto. La madre cercò di stemperare l'atmosfera con un sorriso, augurando ai due giovani buona passeggiata e invitando Phil a guardare ben bene i fiori che ella stessa aveva voluto piantare, per dirle poi il suo pensiero in merito.
Phil si limitò ad annuire all'uomo, sorvolando sull'offesa ricevuta -Non era tipo da litigio e bloccò con uno sguardo anche i suoi zii che stavano già per ergersi a difesa delle nipoti. Seguì Clint all'aperto, aspettando di essere abbastanza lontano dalla casa prima di cominciare a parlare. "Dovreste davvero sposarla. Daisy é una ragazza molto buona, sono sicuro che saprebbe rendervi felice."
"Ma io non saprei rendere felice lei. Vi chiedo perdono per mio padre." Clint girò il volto nella sua direzione. "E per l'offesa che vi ha arrecato."
"Non importa, ci siamo più abituati di quanto possiate pensare." Strinse le mani dietro la schiena, "Raccontatemi di Ward. Non riesco a dimenticare ciò che mi avete scritto ma non vi ho trovato ne spiegazione ne soddisfazione."
"Essere abituati a qualcosa, non significa comunque che essa sia giusta." Il giovane abbassò il capo. "Cosa vi ha raccontato lui, perché vi venissi così in odio?"
Il ragazzo si fermò all'ombra di un albero, sedendosi sull'erba e poggiando la schiena al tronco con un sospiro. "Che era innamorato della signorina Natasha ed era ricambiato. E che voi avete ostacolato la loro relazione per poter stare con lei."
Barton appoggiò la mano sulla corteccia, rimanendo ritto sopra Phil e gettando la testa all'indietro in una risata priva di allegria. "Niente di più falso! Natasha non lo amava ed egli la voleva unicamente per la dote."
"Raccontatemi." Chiese, sollevando la testa per guardarlo in viso.
Gli occhi di Phil, la sua espressione, il suo sguardo che dal basso gli si arrampicava addosso e lo cercava, lo chiamava in silenzio, zittirono Clint per un istante e per due egli rimase incapace di distogliere l'attenzione da lui, da come i raggi del sole gli cadevano sui capelli e frinivano d'oro sul volto, le guance, le ciglia, e restassero sospese sulla sua bocca come un bacio ancora non dato. "Ci siamo conosciuti a San Pietroburgo." Si riprese di scatto, nell'accorgersi di quanto sconveniente fosse quel comportamento. "Io e Natasha eravamo soli, Anthony e Steve s'erano fermati a Mosca e avevano deciso di attendere lì il nostro ritorno. Incontrammo Ward ed il soldato James Barnes ad un ricevimento di una cugina dello Zar. Grant era affabile di modi e sapeva rendersi assai simpatico, tuttavia per quanto provasse e tentasse, non gli riusciva in alcun modo di attirare le attenzioni di Natasha. Esse erano tutte per Barnes, verso cui provò sin dal principio una forte tenerezza di sentimenti. Ma Ward, sentito l'ammontare della dote di Natasha, decise che per nulla al mondo l'avrebbe persa. Cominciò a screditare Barnes presso gli amici, quindi presso i superiori, a chiunque prestasse orecchio. Fece allontanare tutti, lo privò di ogni aiuto, di ogni sostegno. Mezze frasi, sussurri, accenni, orchestrò talmente bene il suo piano, ordì la sua tela con così tanta maestria che Barnes fu cacciato dall'esercito con disonore, ridotto alla miseria, dileggiato dalla corte. Natasha tentò di risollevare il suo nome e di riaverlo con sé... Ma non vi riuscì. Ward fece di tutto per esserle vicina ad ogni momento, ad ogni occasione. Le si finse amico, riportando notizie fasulle su uno scarso interessamento di Barnes alla sua persona: non amore, bensì la vanità che ogni soldato ricerca nel conquistare quante più donne possibili. Allo stesso tempo fece in modo che a Barnes fosse riferito quanto tempo la signorina Rogers trascorresse con lui e modificò i fatti perché la credesse innamorata di lui e pronta a sposarlo. Barnes ne uscì distrutto e pazzo di dolore." Clint prese un respiro. "Quando venni a sapere per caso una delle bugie raccontate da Ward, era troppo tardi per James: egli era fuggito e il cuore di Natasha con lui. La portai via da San Pietroburgo in sordina, perché si salvasse dal piano di Ward di avere la sua mano e la sua dote. E questo é quanto."
Phil aveva notato il suo sguardo e le guance gli si erano appena imporporate per poi perdere tutto il colorito all'udire il racconto. "Ma é terribile." Fu l'unica cosa che riuscì a dire dopo alcuni istanti di silenzio, inorridito da tanta cattiveria. "Avete mai più visto il signor Barnes?"
"No." Barton si sedette al suo fianco e flesse le gambe al petto. "Natasha ancora non si dà pace."
"Posso comprenderlo." Phil inclinò il capo in avanti, fissando lo sguardo sull'erba, "Mia sorella pensa ancora al signor Rogers." Sussurrò, qualche minuto di silenzio dopo, sollevando di nuovo gli occhi su di lui. "Credete che se le dicessi la verità potrebbe stare meglio?"
"Temo di no." L'altro scosse il capo e fissò gli occhi nei suoi, prima di abbassarli nuovamente. "Immaginate che vi diano una notizia simile. Come reagireste?"
"Non lo so." Rispose, non distogliendo gli occhi dal suo viso, "Ma non riesco a vederla star male... Potreste sposarla voi." Sorrise, "Così avreste una scusa per potermi vedere, se vi farebbe piacere."
"E voi sareste d'accordo, forse, a fare di vostra sorella un mero mezzo per salvare le apparenze? Non potrei, Philip."
"Vi farete uccidere se continuerete così." Rispose di rimando, "Jane capirebbe e non é detto che non potreste essere felici, insieme. Ed é sempre meglio che sposarsi solo per una dote o una rendita, non credete?"
Clint tornò con gli occhi su di lui e li abbassò di nuovo.
"Clint." Lo chiamò, in un sussurro. "Io non potrei mai vivere come Rogers e Stark e non sono ricco. Se i miei genitori morissero prima che tutte le mie sorella si maritassero, dovrei occuparmi io di loro. Non potremmo mai stare insieme."
Barton voltò lo sguardo nella sua direzione. "Ma mi vorreste?"
Phil sollevò gli occhi nei suoi e rimase a guardarlo per alcuni attimi prima di rispondergli. "Potrei."
"Voi...?"
Aggrottò la fronte, in un'espressione perplessa. "Siete sorpreso?"
"Credevo di esservi in odio e che i miei sentimenti per voi vi risultassero ripugnanti e contro Dio e l'Uomo." Clint si girò completamente verso di lui e gli pose la mano sulle nocche -Non chiuse le dita, ma tenne ben saldo il contatto tra il proprio palmo e la sua pelle. "Vi amo." Mormorò. "Posso dirvelo? Posso ripetervelo?"
"Potete." Rispose l’altro, piegando appena le dita perché si accomodassero meglio contro il suo palmo. "E mi dispiace per ciò che vi ho detto. Credevo che Rogers amasse mia sorella e che voi l'aveste allontanati per la sua condizione e per l'inadeguatezza della mia famiglia. E pensavo Ward fosse un uomo rispettabile, non certo un simile imbroglione." Sospirò, "Lasciate che ne parli con Jane e Lizzy. La prima non vi negherebbe aiuto e la seconda preferirebbe mille volte voi che essere obbligata da mia madre a sposare qualche borioso solo per la sua rendita."
"Il vostro cuore, amico mio, non ha eguali. In una vita di fuga, sapere di poter essere accettati e avere aiuto..." Clint chiuse gli occhi, a fermare il moto di commozione che gli aveva stretto la gola. "Perdonate le mie azioni, il mio comportamento. Temevo per lui, per loro, finanche per me. Avevamo paura ed eravamo stanchi di averne."
"Posso capirlo ma io non credo che riuscirei a vivere perennemente in fuga, perennemente nella paura... Temo che questo sia più forte di qualsiasi sentimento io possa provare."
Le dita di Clint si sollevarono soltanto per sfiorare il dorso della sua mano in una lenta carezza. "Nessun sentimento dovrebbe mai essere messo alla prova dalla paura. Essa non lo rafforza, lo indebolisce. Pensate a Stark e a quanta gelosia ha tenuto nel cuore." Disegnò un piccolo cerchio tra le sue nocche. "Posso toccarvi." Sussurrò. "É meraviglioso."
Philip inclinò il viso, tanto da sfiorargli le ciocche chiare con i suoi capelli, voltando la mano a toccare il palmo col suo. Socchiuse gli occhi, beandosi di quel contatto così caldo e piacevole che gli faceva battere forte il cuore e sentire le farfalle nello stomaco. "Voi pensate che possa esserci una soluzione?"
"Permettetemi di baciarvi, prima. La soluzione verrà dopo."
Le guance del ragazzo presero quasi fuoco, "Baciarmi?" Chiese, titubante.
"Un bacio." Annuì l'altro e avvicinò lentamente il volto al suo, senza costringerlo a nulla che non volesse, dandogli la possibilità di respingerlo e andarsene, se avesse voluto. "Se é il primo che donate, posso chiedervi la cortesia di averlo per me?"
"Come fate a sapere che é il primo?" Bisbigliò quasi sulle sue labbra, inclinando di più il viso per meglio accordarsi col suo respiro.
"Lo speravo." E unì la bocca a quella di Phil, in un contatto non più lieve di una piuma.
La mano di Philip corse subito al viso di Clint: il palmo si appoggiò alla guancia e all'orecchio, mentre le dita affondavano piano tra i suoi capelli.
"Vi amo, Philip."
"Era il primo anche per voi?" Chiese ingenuamente il ragazzo, accarezzandogli il viso.
"Daisy voleva un bacio, di quando in quando, ma senza il sentimento che lo guidi." Clint fece scorrere le nocche sul suo zigomo. "Un bacio é niente. Solo un toccarsi di labbra. Voi siete dunque il primo bacio vero, Philip."
"Credo che lei sia molto innamorata di voi..." Si avvicinò a dargli un secondo bacio, socchiudendo appena le labbra per far scivolare la lingua sulla sua bocca in una lenta carezza.
"E io lo sono di voi." Il giovane schiuse le labbra, gli appoggiò una mano sulla spalla e inclinò la testa -La sua bocca era calda, così l'incavo delle guance, sulla punta della lingua riposava ancora una stilla di tea.
Dopo alcuni secondi Philip si allontanò da lui e gli sorrise. "Rimarremo in paese per ancora una settimana e io vi debbo ancora una cavalcata."
Clint gli diede un bacio sulla fronte. "Vi farò vedere la tenuta e ogni luogo in cui sono cresciuto."
Il ragazzo annuì. "E' bene rientrare, ora. Potrete dire a vostro padre che vi ho quasi convinto a sposare una delle mie sorelle."
 
 
*****
 
 
Nessuna leggerezza del cuore sarebbe mai stata capace di eguagliare quella che Clint avvertì la mattina, alzandosi, e tornando con la mente ed allo spirito al pomeriggio trascorso, alla pelle di Philip contro la propria, alle sue labbra ed alle sue carezze. Si sentiva ebbro e si sentiva forte, il mondo non gli faceva alcun timore. Sua madre si rallegrò del suo umore, suo padre gli chiese se fosse rinsavito ed egli rispose "Chissà!" Ah! Quanto avrebbe festeggiato la sua Natasha, una volta ricevuta la missiva che aveva tutta l'intenzione di scriverle nel pomeriggio. Certo, c'era la questione del matrimonio che Philip gli aveva proposto, da considerare, ma dell'argomento si sarebbe parlato a settimana esaurita, quando la realtà si sarebbe sostituito alle dolcezze, la mancanza alla presenza. Il giovane Barton montò su Enosictono e si diresse veloce alla casa dove Philip soggiornava e spronava il cavallo a far più presto, più veloce, ancora, coraggio! Perché non un solo istante di quel giorno fosse sprecato ed ogni attimo vissuto nel pieno del suo splendore.
Ma quando arrivò, trovò la carrozza pronta e con già i bauli caricati, mentre Philip sellava un terzo cavallo scuro in volto, le labbra livide e gli occhi che vagavano sul nulla, mentre sistemava le briglie e recuperava una piccola borraccia d'acqua.
Clint ne fu parecchio scosso e si affiancò al giovane, rimanendo in sella. "Philip." Lo chiamò. "Che mai succede, amico mio, perché voi ve ne andiate tanto in fretta?" E già temeva di averlo offeso, di esser stato scoperto, si vide in prigione e i suoi amici con lui, e i brividi gli agguantarono le membra.
Phil quasi trasalì nell'udire la sua voce. "Mi é giunta una lettera." Disse, affettato, "Sembra che mia sorella Lydia sia fuggita con Ward mentre era a Brighton con i signori Lucas." Appuntò meglio la sella e si girò a guardarlo. "Non la credevo così sciocca! Devo tornare immediatamente a casa e poi raggiungere mio padre a Londra dove li sta cercando." Si strofinò il viso per riprendere un po' di colore. "Perché lei? Non ha un soldo e le spettano meno di cinquemila sterline di dote!"
"Verrò con voi a Londra. Steven ed Anthony sono là: ci daranno una mano nelle ricerche."
"Non voglio coinvolgervi, signore." Salutò frettolosamente gli zii che lo avrebbero raggiunto a casa e salì in groppa. "E' colpa mia, avrei dovuto dissuadere mio padre."
"Io e Ward abbiamo molto da dirci, Philip." Gli occhi di Clint erano feroci, rigidi come lame. "Non gli permetterò di disonorare vostra sorella."
"Temo che per quello sia già troppo tardi." Inclinò appena il viso verso di lui, "Accompagnatemi per un po', vi prego. Temo la solitudine in questo momento."
"Ovunque voi desideriate ed anche oltre, se necessario."
Philip lo ringraziò con un pallido sorriso e poi spronò il cavallo al galoppo.
Clint lo tallonò senza fatica, le nari di Enosictono che palpitavano e battevano, bianche di spuma; il manto nero si striò ben presto di polvere, si lustrò di sudore. "Una volta a Londra." Abbaiò Barton, al di sopra della sferza del vento. "Batteremo la città palmo a palmo."
"Avete idea di dove potrebbe essere?" Chiese, quasi affannato, come se fosse egli stesso a correre e non il cavallo."
"No. No, ma ci informeremo sulle proprietà e chiederemo notizie nei caffè e nelle vie: se il nome di Ward é stato fatto, in che ambito, noi lo sapremo."
A poche miglia da casa, a quasi ora di desinare, Coulson fermò il cavallo, piegandosi sul collo dell'animale quasi stremato. "Temo che da qui le nostre strade devono dividersi, amico mio."
"Naturalmente. Voi andate dalla vostra famiglia, io vi precedo a Londra."
Phil allungò una mano a prendere la sua, "Grazie per il vostro aiuto."
Clint si portò le dita dell'uomo alle labbra. "Per voi questo e molto altro, Philip."
Il ragazzo si mordicchiò le labbra, "Se non dovessimo trovarli o... Se li trovassimo e non fossero sposati... Voi sapete cosa vuol dire, vero?"
"Disonore." Lo sguardo dell'altro si rabbuiò. "Ma non attardiamoci su tali pensieri. Cercheremo di rendere favorevole una fatalità ora avversa. Andrà tutto bene, amico mio. Nello sconforto, pensate a me: nel mio cuore vi ho sempre tra le braccia."
"Non solo questo." Rispose l'altro, "Toccherà a me rimettere le cose in ordine. Dovrò sposarmi e al più presto anche."
La stretta sulle sue dita si fece appena più serrata. "Vorrà dire che vi presenterò mia cugina Kate e vi trasferirete ad Hawksfield." Rispose Clint, non riuscendo nell'intento di racimolare un sorriso. "Non parliamone ora, vi prego."
Phil annuì, "Ci vedremo a Londra, amico mio." Gli baciò le dita e le nocche, spronando poi il cavallo, arrivando a casa poco tempo dopo. Ad accoglierlo trovò Jane che lo mise subito al corrente dell'accaduto: sembrava che Lydia fosse andata ad un ballo con alcuni amici dei signori Lucas e da lì dritta tra le braccia di Ward. Cosa volesse da lei, però, non era dato saperlo. Suo padre era in città dove erano stati visti camminare per strada, e aveva chiesto che il figlio lo raggiungesse il prima possibile. Sua madre era a letto, preda di crisi nervose e non faceva che piangere e lamentarsi e urlare che la sua bambina era perduta, insieme a tutti i suoi figli. Il tempo di preparare il suo cavallo che Phil si rimise di nuovo in viaggio, arrivando a Londra quasi a notte fonda. Arrivò all'albergo dove il padre lo stava aspettando, ma era già addormentato e non volendolo svegliare uscì e si mise a girovagare per le strade buie, senza una meta, solo con lo scopo di trovare sue sorella e salvarla prima che fosse troppo tardi.
"Philip! Philip Coulson!" La voce affannata di Anthony Stark lo prese di sprovvista alle spalle. L'uomo, con indosso un lungo cappotto dall'aspetto vissuto e l'aria di chi non si fa un buon sonno da parecchio, lo raggiunse e lo affiancò. "Buon Dio, Coulson! Girovagare da solo a quest'ora di notte, vi sembra sensato?"
"Signor Stark!" Phil lo guardò stanco e sfiduciato, "Cosa fate qui?"
"Come che ci faccio qui? Sto cercando Ward e vostra sorella." Anthony si chiuse nelle falde del pastrano "Clint ci ha detto dell'accaduto."
Quello annuì, "E' con voi?"
"Ci siamo divisi un paio di ore fa, per coprire il maggior numero di bettole, caffè e locali ancora aperti." L'aria era appiccicosa della pioggia in procinto di cadere ed il marciapiede palpitava del riverbero di fumosi globi di luce; le scarpe scricchiolavano e ciangottavano sulle pietre. "Nessuna notizia, di alcun matrimonio."
"Lo immaginavo." Sussurrò Phil. "Devo trovarla e riportarla a casa prima che mia madre peggiori e la veda direttamente nella tomba."
"Non accadrà. La troveremo, dobbiamo solo trovare dove essi alloggiano. Ma voi gelate!" Disse l'altro corrugando la fronte. "Barton mi inseguirebbe fin nell'Inferno, se vi lasciassi perire al freddo londinese. C'é un caffè non troppo becero, poco più avanti: raccoglieremo informazioni e vi riscalderete."
"No, non importa. Indicatemi una direzione e io la seguirò. Non conosco la città purtroppo."
"Venite." Stark gli pose una mano dietro la schiena e lo condusse verso una svolta, quindi per dritto alcuni metri, fino ad un angolo dove si spandeva un chiarore illuminato ai bordi dalle sfumature verde assenzio del vetro che dava sulla strada. "La puntualità non é la mia virtù e mi é stato più volte fatto notare, tuttavia vorrei scusarmi per il comportamento avuto la sera del ballo. Temo di essere stato alquanto detestabile e di aver perso il favore e la stima di voi tutti."
"Non sbagliate, signore, ma in questo momento ho altro cui pensare." Coulson lo seguì senza realmente capire dove stessero andando, "Mio padre ha percorso tutte le strade principali quindi quelle possiamo anche evitarle."
"Lo sappiamo, lo abbiamo veduto e vedendolo abbiamo battuto altre strade." Stark lo spinse all'interno del locale, un vaporoso effluvio di alcool e sigari, caffè stantio, liquori a basso prezzo. Fece accomodare Coulson in un tavolinetto stipato nell'angolo e "Ohilá! Ohilá!" Batté la mano sul legno, richiamando l'attenzione generale. "Sia da tutti servito da bere, ché stasera si festeggia un amico che si sposa!"
Phil lo guardò confuso, "Cosa state facendo? Io devo trovare mio sorella!"
Tony gli indirizzò un'occhiata tagliente. "Sorridete e state al gioco."
"Cosa?"
L'altro gli fece cenno di tacere e quando s'avvicinarono loro due nerboruti avvinazzati, ampliò il sorriso. "Bevete, signori miei! Bevete! Alla salute del mio amico! Del buon Grant Ward che si sposa!" I due ubriaconi risero di risate sdrucciolevoli e sdentate. E tanto che se andavano, lo sguardo di Stark scandagliava all'intorno, come a voler sondare gli effetti della notizia che aveva gettato a piene mani sugli astanti e del nome che in maniera tanto audace e prodiga aveva fatto risuonare tra le pareti unte. "Ward?" Li raggiunse una voce strascicata e sarcastica. "Grant Ward? Sposato? Che dite? Tiene la colombella alla corda, ma solo per divertimento." Fingendo ingenuo stupore, Stark arcuò le sopracciglia. "Prego? Chi é lei che con tanto fervore dileggia il mio conoscente?"
"Lance Hunter." Rispose il ragazzo dall'aspetto selvatico e si accomodò accanto a Coulson, quando Tony gli fece cenno. "Ho accompagnato i due all'albergo e la colombella non faceva che chiedere il matrimonio e lui a negarglielo, dandole della sciocca."
Phil era rimasto fermo e scioccato dalle azioni di Stark, per poi riprendersi all'udire le parole di quell'uomo. "In quale albero? Dove?" Chiese affannato.
"Greenchurch Street."
"Santa Vergine! E dite che non si sposa?" Continuò Stark, nella sua farsa. "Ah! Ed io che dilapido qui il mio patrimonio per lui! Bevete, buon Hunter, bevete! E che il conto." Gridò. "Sia messo a nome di Grant Ward!" E nell'allegria generale, Tony fu lesto ad alzarsi, a battere una mano sulla spalla di Coulson ed indicargli l'uscita. "Cielo, non mi ricordavo che fosse così facile a Londra. Per avere informazioni del genere a Parigi, quanto champagne doveva essere versato! I francesi hanno certo più gusto per gli affari."
Phil, sordo alle sue parole e interessato solo a trovare la ragazza, lo afferrò per le spalle e lo scosse con forza, "Dov'é questo albergo? Dove?"
"State calmo! Andiamo da vostro padre, vi condurrò là appena lo avrete avvertito!"
"No!" Rosso in volto, gli occhi quasi spiritati, continuò a stringere le mani sulla sua giacca. "Lui mi impedirebbe di uccidere quell'infame. Ditemi dov'é!"
"Ve lo impedirei anche io, Coulson, per l'amor del Cielo, calmatevi!"
"Se fosse la vostra famiglia sull'orlo del disonore pubblico, anche voi agireste così! Ditemi dov'é o lo troverò da solo!"
A quel punto Stark, che di certo aveva più posa che pazienza, gli diede uno schiaffo in pieno viso e lo investì della più forte ira. "Non parlate di disonore a me." Sibilò. "E adesso seguitemi, coraggio."
Phil rimase basito e si portò una mano alla guancia offesa. "Non ho chiesto io il vostro aiuto! Andatevene! Farò da solo!" Quasi urlò spintonandolo, poi e correndo sulla strada principale.
Ma fu raggiunto da Stark pochi metri oltre appena. "State sbagliando strada." Mormorò e nella notte cadente, egli pareva per la prima volta meno brillante di quanto fosse mai stato. Meno artificioso. Più uomo. "Venite, state sbagliando strada."
"Non voglio il vostro aiuto." Rispose l'altro, "Indicatemi solo la strada."
"Di qua." E sordo alla sua richiesta, lo condusse per mezz'ora almeno attraverso vicoli e strade bagnate di lordura, dove nessun gentiluomo si sarebbe mai fatto vedere volentieri, né di propria sponte. Arrivarono poi ad un'alta palazzina, di certo a buon mercato, con vernice scrostata sui muri e l'insegna cigolante.
Phil l'aveva seguito continuando a massaggiarsi la guancia offesa, confuso, stanco e sfiduciato. Arrivati alla palazzina si bloccò e guardò l'entrata. "Signore mio come ha fatto ad essere così sciocca?"
"L'amore, oppure ciò che lei credeva tale, l'ha spinta." Anthony stava per aggiungere qualcosa, quando si sentì chiamare e venne raggiunto da Steven e da Clint, entrambi coi vestiti stazzonati, le guance rubizze, il sudore che imperlava loro le fronti. "Offrire bevute...?" Ansimò Rogers, prendendo il compagno per le braccia. "Davvero...?"
"Credevano tutti che fossimo Grant Ward, ho visto la mia rendita andare in fumo." Clint si avvicinò a Coulson e gli sfiorò la manica del soprabito. "Lascia che venga con te."
Il ragazzo si scostò, spostando la mano dalla guancia, rossa e appena gonfia. "No. Avvertite solo mio padre."
"Naturalmente." Barton occhieggiò a Stark e Rogers dietro di loro, quindi si chinò in avanti a controllargli il volto. "Amor mio, chi vi ha fatto questo?"
"Il vostro amico." Sibilò, spintonandolo di lato e marciando all'interno dell'albergo. Le pareti paglia gli diedero il voltastomaco -O aumentarono quello che aveva da quando Stark lo aveva colpito- e l'uomo che lo guardò mezzo ubriaco dietro il bancone gli diede i brividi. Per fortuna aveva una gran voglia di chiacchierare e gli indicò subito la stanza in cui si trovava Ward. Salì di corsa le scale e bussò alla porta, preparando già le mani a pugno.
Fu Ward stesso ad aprire e l'espressione furibonda non ebbe il tempo di mutare in alcun modo, non per la sorpresa di vedere Coulson lì davanti. Aprì la bocca e cercò di sorridere nel suo modo tanto affabile, sollevò addirittura le mani come a volersi già schermire.
Ma Phil gli si gettò contro, colpendolo al viso una, due, tre volte, facendolo sbattere contro il muro della parete opposta. "Phil!" Lydia si lanciò sul fratello e riuscì ad allontanarlo dal ragazzo prima che potesse colpirlo di nuovo.
"Philip, amico mio che vi succede?" Grant si asciugò il sangue che colava dalla bocca e sollevò il viso accattivante, sebbene quella espressione mutasse dapprima in odio, insofferenza e quindi... Panico. "Buonasera, signor Ward." La voce glaciale di Barton avrebbe potuto rivaleggiare col metallico schiocco di un pugnale estratto dalla guaina, e la rabbia vibrava in lui, nel suo tono tremante quale nerbo teso e pronto a far partire la freccia. "Che ci fate qui?" Ward appoggiò il palmo della mano sulla parete e si rimise malamente in piedi. "Vi porto i saluti di Natasha, signor Ward. A San Pietroburgo non ne abbiamo avuto il tempo."
Philip aveva appena guardato la sorella, ammonendola con solo lo sguardo tanto che ella lo lasciò e si sistemò in un angolo con gli occhi pieni di lacrime. "Non ho bisogno del vostro aiuto." Disse, fronteggiando di nuovo il soldato, "Spero per voi che non abbiate toccato mia sorella neanche con un dito o prima ve ne farò pentire e dopo vi obbligherò a sposarla rovinando la vostra vita per la vostra infamia e quella di mia sorella per la sua stupidità."
"Se vi duole il mio aiuto non temete: siete stanto abbastanza chiaro e pensavo di esserlo stato io quando ho detto di esser venuto per l'onore di Natasha." Grant sputò a terra un grumo pastoso di sangue e saliva. "Non ho disonorato vostra sorella. Ella mi ha seguito, la sciocchina, e subito ha cominciato a parlar di matrimoni e ninnoli e quant'altro!"
"Perché l'avete portata qui?" Gli chiese, afferrandolo per la camicia e ignorando la voce dell'altro.
"Perché ero il suo innamorato, che la faceva ridere e tanto teneramente la trattava." Ward contrasse la mandibola e dai suoi tratti emerse finalmente il grottesco rimescolio del suo animo limaccioso e corrotto. "Finché non ha cominciato a voler di più dal suo bel cavaliere, é stato finanche divertente."
Il ragazzo lo colpì di nuovo con tutta la forza, scorticandosi le nocche e digrignando i denti per il dolore, "Ti va bene che non proverei soddisfazione nell'ucciderti, ma sta sicuro di una cosa: diverrò il tuo peggior incubo."
"Diverrò parte della tua famiglia, se vorrai salvarla dal disonore!"
"Disonore? Ah!" Clint appoggiò una mano sulla spalla di Coulson perché si scostasse, quindi pose un ginocchio a terra e allungò una mano, per sollevare il mento ed il volto tumefatto di Ward. "Ho una splendida notizia per voi, Grant." Sussurrò, mellifluo. "Giunta proprio al mio arrivo a Londra: abbiamo ritrovato James. Sta venendo in Inghilterra." E prima che l'altro potesse replicare, il giovane Barton aggiunse il proprio pugno a quelli già distribuiti da Phil.
Ascoltandolo a stento, sentendo l'adrenalina sfumare e la stanchezza, il dolore, la preoccupazione prendere il sopravvento, Philip guardò la sorella che corse da lui, in lacrime, stringendosi al suo petto. "Dimmelo, Lydia, ti ha toccato?" Chiese in un sussurrò, ma quella scosse la testa, negando con enfasi. "Papà ci sta aspettando, andiamo."
"Anthony é andato ad avvisare vostro padre." Sussurrò Clint -E teneva gli occhi bassi, giacché sapeva in cuor suo che in quella notte aveva perso il diritto di alzare lo sguardo sull'uomo che amava. "Steven vi attende di sotto, nel caso abbisogniate di qualcosa. Altrimenti, aiuterà me a portare Grant dove essi alloggiano, per tenerlo in custodia fino a quando non avremo deciso il da farsi."
Phil stringeva la sorella al petto che non aveva smesso di piangere neanche per respirare e lui stesso si sentiva sul punto di rigettare e crollare. "Non abbiamo bisogno di nulla, grazie. Voglio solo tornare a casa e rassicurare mia madre e le mie sorelle."
Clint chinò il capo, in cenno di assenso. "Fatemi sapere quando avrete preso una decisione riguardo a lui." Indicò Ward, incosciente. "Steven vi darà l'indirizzo cui recapitare la missiva."
All'uscita dalla struttura trovarono il signor Coulson che subito abbracciò la figlia, sussurrandole parole di conforto e dispiacere all'insieme e Phil colse l'attimo per poggiarsi ad uno dei lampioni della strada strofinandosi il viso per scacciare la stanchezza e digrignando i denti alla risposta dolorosa della guancia gonfia.
"Mi dispiace per il gesto di Anthony." Steven, sotto il cono di luce pallida, non era più che un volto che spuntava dalle pieghe blu scuro del pastrano. "Sono infinitamente desolato e vi chiedo perdono per il suo comportamento. Lui ha..." Serrò le labbra. "Un carattere non facile. Il fatto che sia venuto così alle mani, dico davvero, é increscioso e non so come scusarmi."
"Non importa." Phil stornò lo sguardo da lui, "Grazie per il vostro aiuto, ma é meglio che andiate via, ora. Chiederò a mio padre di non fare parola sulla vostra presenza qui."
Rogers si portò una mano al cuore e abbassò la fronte. "Mi dispiace." Sussurrò. "Per tutto il dolore che vi ho arrecato." E così dicendo, mosse un passo all'indietro e quindi girò la schiena per salire le scale che portavano al cubicolo dove avevano trovato Ward. Anthony si avvicinò appena a Coulson e lo sfiorò con sguardo indecifrabile. "So cos'é il disonore. So cos'é l'onta. É l'ultima cosa di cui mi accusò mio padre, prima che il suo corpo lo tradisse, prima che io partissi assieme a Steven. Ho disonorato mio padre amando lui e ho l'onta di averlo reso un infermo: il mio segreto é custodito dietro una bocca che non fa trapelare che saliva e vagiti. Non venite a parlare a me di disonore." Sparì anch'egli nell'albergo, in un guizzo lampeggiante degli alamari d'oro nascosti dal cappotto. D'improvviso venne il silenzio. La pioggia cominciò finalmente a cadere su Londra.


 
*****
 
 
Quasi tre mesi dopo lo spiacevole incidente, la vita nel tranquillo paesino di Thorneywood era tornata alla solita quotidianità. Per mettere a tacere le malelingue, pochi giorni dopo il loro ritrovamento Ward e Lydia erano convolati a nozze, anche se era stata una condanna per entrambi. Phil voleva certamente punire la sorella per la sua stupidità ma renderla infelice a vita, per lui era una vera crudeltà. Il signor Coulson, però, era stato categorico: o il matrimonio o la diseredazione. E per la povera quattordicenne non c’era stata scelta. A Ward furono date le tremila stelline che l’aspettavano come dote e i due si erano trasferiti a Bryghton dove Ward era stato destinato con il reggimento. Intanto, a Netherfield, ad appena tre miglia dalla proprietà dei Coulson, due gentiluomini si erano stabiliti per la stagione di caccia e, nel giro di appena un mese, entrambi avevano chiesto la mano delle due figlie maggiori di Jonh ed Elisabeth, il che aveva reso la signora la donna più felice della terra: in soli due mesi aveva sistemato tre delle sue figlie, la proprietà era in mano a Philip e Mary e Kitty si sarebbero sistemate con un po’ di tempo. Ma il ragazzo, seppur felice per le sorelle minori, aveva cominciato, pian piano, a perdere il sorriso, la carnagione era diventata pallida e smunta e nonostante la premura della famiglia, nessuno riusciva a capire a cosa si doveva quella perdita di vita. Il ragazzo era diventato ancor più chiuso, schivo, l’unica compagnia che apprezzava era quella del padre e delle due sorelle anche se neanche con loro aveva detto una sola parola. Del signor Barton non vi erano state più notizia: dopo quella notte a Londra, ognuno aveva preso la propria strada e, anche se cercava di negarlo a se stesso, Philip avvertiva la mancanza del giovane e si incolpava per averlo allontanato così in malo modo senza avere neanche la possibilità di dirgli quanto si fosse innamorato di lui. Sapendo che sarebbe stato comunque impossibile lo stare insieme a causa dei pregiudizi e della legge, quando sua madre gli presentò la signorina Barbara, ragazza di buona famiglia e con una dote di cinquemila stelline, egli si comportò al meglio, sapendo che, da lì a poche settimane, sarebbe stato obbligato a chiedere la sua mano.  


Arrivò, d’improvviso, una lettera da Griffith Park –Dove sembrava che il signor Rogers fosse ritornato da pochi giorni, che invitava Philip da loro per incontrare il soldato James Barnes, di ritorno dalla Russia e poter così trascorrere in letizia il loro ritorno alla tenuta. Che fosse una riconciliazione, quella che Steven e gli altri cercavano, lo si leggeva bene tra le righe. La mano era stata tesa, toccava a Philip la prossima mossa.
E Phil accettò l'invito. Il giorno dopo cavalcò fino alla casa beandosi dei ricordi che ogni albero e fiore gli suggerivano. In compagnia di Clint o delle sorelle gli tornavano alla mente solo sensazioni meravigliose che gli riempivano il cuore. Smontò da cavallo poco lontano dall'entrata e si sfilò i guanti neri, prendendo un enorme sospiro e camminando a testa alta.
Steven lo attendeva sulla scalinata di ingresso. Pareva più magro, appena più smunto sulle guance. Ma la luminosità del suo sorriso, la vivacità degli occhi azzurri, quella non era mutata. "Philip." Lo salutò il giovane, scendendo la scalinata. "Quanto ho pregato perché tu accettassi l'invito!"
"Signor Rogers." Il ragazzo inclinò appena il viso, "E' un piacere rivedervi. Come state?"
"Mia sorella Natasha é di nuovo felice ed io non posso che essere felice con lei. Voi?"
Annuì, "Abbastanza bene, grazie. Suppongo abbiate saputo del fidanzamento delle mie due sorelle."
Steven annuì. "É anche per questo che vi ho mandato a chiamare. Ma ne parleremo diffusamente davanti ad una tazza di tea." Sorrise e indicò con il braccio teso l'entrata dell'abitazione. "Prego."
Phil entrò e lo affiancò, perplesso, "Cosa vuol dire che mi avete invitato anche per questo?"
"Tutto a suo tempo. Abbiamo molto di cui discorrere." Nella Sala, Anthony si stava occupando del tea e indossava la medesima veste da camera che Philip gli aveva visto la prima volta a Griffith Park. All'entrata di Coulson sollevò la testa e gli sorrise: aveva minuscole insenature, piccolissime rughe alla terminazione delle palpebre e un aspetto assai più malinconico di quanto gli si confacesse. Clint, in piedi davanti alla finestra si voltò e gli occhi corsero a quelli di Philip. Vi si aggrapparono e c'era in loro un tale calore, tale attaccamento e amore e affetto che nessun saluto mai avrebbe potuto esprimere.
E gli occhi di Coulson corsero subito a quelli di Clint e vi si aggrapparono, affondarono nell'azzurro e nel grigio tanto che per alcuni istanti dimenticò dove si trovasse, preda dei frenetici battiti del cuore. Poi si riscosse e accennò a Barton e Stark inclinando il capo.
"Felicitazioni per le vostre sorelle." Disse Tony, rispondendo al saluto. "Sono bravi giovani coloro con cui si sono fidanzate?"
"Gentiluomini dall'animo e dal cuore buono. Sono animati da sincero affetto, non potrei chiedere di meglio." Si accomodò su uno dei divanetti e intrecciò le dita sulle ginocchia, "Sono molto felice che la signorina Natasha stia bene e sia felice."
"Non ci aspettavano il ritorno di James." Ammise Steven, sedendosi sulla poltrona per avere Anthony perfettamente davanti. "Non ho mai visto Natasha così allegra, fa bene il cuore."
"Posso capirlo." Rispose, "E mi fa piacere sapere che state bene."
Steven annuì, prese la tazza che Tony gli stava porgendo e rimase alcuni secondi in silenzio. "Credete, signor Coulson, che voi ed alla vostra famiglia possa far piacere partecipare ad un ricevimento privato qui, a Griffith Park, prima della nostra partenza?"
Phil rimase in silenzio per alcuni istanti. "Credo, signore, che non sia il caso. Per Jane in special modo. Non é stata bene dopo la vostra partenza e mi sembrerebbe di farle un torto, ora che é serena."
"Comprendo." Rogers si allungò a prendere una busta sul tavolino accanto alle tazze da tea e la porse a Coulson. La luce sfrigolò sulla cera recante il suo simbolo e le sue iniziali. "Datele questo. Come regalo di nozze."
Prese la busta e se la rigirò tra le mani, "Posso chiedere di cosa si tratta?"
"L'atto di possesso di Griffith Park."
Spalancò gli occhi e posò la busta sul tavolino come se scottasse. "Non possiamo accettare, signore. E non so se considerarla un'offesa o un regalo."
"Vi prego." Steven gli passò di nuovo la busta. "Non é nemmeno il minimo per il male che vi ho procurato. Vi prego."
"No." Phil scosse la testa e si alzò, "Se non vi conoscessi sarei già andato via per una simile offesa. Non abbiamo bisogno di carità e il signor Bingley é ricco abbastanza da rendere felice mia sorella."
"Philip." Gli intimò Clint. "Sedetevi."
"Non intendo recare offesa a vostra sorella, né ritengo il signor Bingley incapace di donarle l'amore coniugale che merita." E per la prima volta, lo sdegno incupì lo sguardo altrimenti benevolo di Steven. "É mia intenzione lasciare l'Inghilterra e voglio, é il mio desiderio che la tenuta passi a Jane. Credete forse che io sia uomo da insultarla con simile mancanza di rispetto?"
"Non era nelle vostre intenzioni, eppure l'avete fatto. Ne io, ne Jane, ne i mie genitori accetteremmo mai una simile offerta. Vi sentite in torto? Allora ditele la verità o consentite a me di farlo! Quella poverina ha passato mesi a chiedersi cosa avesse fatto di sbagliato nei vostri confronti e in quelli del signor Stark per subire un simile trattamento. Come pensate che mi sia sentito io a conoscere la verità delle vostre azioni senza poterle dire nulla e vedere una delle mie più care sorelle soffrire? Volete fare a menda? Allora ditele la verità!"
"Sapete cosa ci aspetta." Tony fu calmo, stranamente freddo. "Se le cose ci dovessero sfuggire di mano."
"Se pensate che sia cosa da farsi, allora le parlerò." Ci fu un silenzio attonito. "Steve..." Il giovane stornò gli occhi dal compagno e li conficcò in quelli di Coulson. "Le parlerò."
"Potete essere sicuro che preserverà la cosa nel cuore per il resto della sua vita."
Rogers annuì di nuovo e si portò la tazza alle labbra, anche per nascondere il colorito improvvisamente pallido della bocca. "Sapete, Coulson." Fece Stark, accomodandosi sul divanetto. "Mi mancherà il vostro piglio deciso."
"Egli é coraggioso." Mormorò Clint, guardando Philip con un sorriso. "Egli é un uomo di nobile animo e grande cuore."
"E sa essere anche piuttosto sfrontato. Ne sono deliziato."
Phil tornò a sedersi e sorrise appena. "Conosco e comprendo la vostra paura, signore, ma dovete credermi quando vi dico che il vostro segreto." E qui si girò a guardare anche Stark e Barton, "E' al sicuro con me e Jane."
"Quando pensate potrò avere un colloquio con vostra sorella?" Si informò Steven. "Io ed Anthony partiremo per la Grecia tra cinque giorni."
"Le parlerò appena tornerò a casa e domani potrei portarla qui, così che possiate parlare in tranquillità."
"Grazie." Disse Steven. "E grazie anche a voi per non aver fatto parola di tutto questo."
"E col mio usuale ritardo." Intervenne Stark. "Vi chiedo perdono per lo schiaffo."
Il ragazzo abbassò lo sguardo sulle sue mani, evitando di rispondere all'uno e all'altro. "Se non c'é altro, é meglio che vada. I preparativi per i matrimoni ci tengono tutti molto impegnati."
"Immagino." Steven si alzò dal divano e fece segno al compagno di fare lo stesso. "Vi lasciamo un istante." Disse Rogers e mise una mano sulla schiena di Stark, per condurlo fuori dalla stanza.
"Mi siete mancato." E, sdegnato ogni pudore ed ogni buona etichetta, Clint raggiunse Philip a grandi passi e lo strinse tra le braccia. "Dio quanto mi siete mancato."
Phil non esitò neanche un istante a stringersi a lui, chiudendo gli occhi per meglio godere del suo calore e il suo profumo. "Come stai?" Chiese in un sussurro molti minuti dopo.
"Bene, ora che sono al tuo fianco. Bene, ora che ti ho qui con me..."
"Raccontami." Disse, portandogli le mani al viso per una dolce carezza. "Dimmi di te, di cosa hai fatto, di chi hai conosciuto. Dimmi tutto."
Clint gli diede un bacio sulla fronte. "Ho aiutato Natasha a riunirsi con James e trovare una sistemazione. Ho fatto sì che Steven e Anthony avessero tutta la tranquillità possibile per decidere di abbandonare l'Inghilterra e andare a vivere in Grecia, nonché a preparare l'atto notarile per il passaggio di proprietà di Griffith Park. Ho incontrato mia cugina Kate e... Rotto il fidanzamento con Daisy."
Inclinò il viso, "Suppongo che tuo padre non l'abbia presa bene... Cosa hai deciso di fare?"
"Mio padre mi aspetta ad Hawksfield per sapere il motivo della mia decisione. Dopo che mi avrà diseredato avendo saputo che non ho alcuna intenzione di sposarmi, andrò a vivere in una piccola tenuta che ho acquistato alcune settimane fa. É in campagna ed il primo, sparuto gruppo di case dista dieci miglia."
Phil unì le labbra alle sue in un leggero sfiorarsi, "Ne sei davvero convinto?"
"Ho già preso ogni cosa per il tiro con l'arco, nonché alcune galline, due mucche ed una capretta." Gli rise l'altro sulla bocca. "Ne sono sicuro."
Sospirò appena, "I miei genitori stanno già programmando il mio matrimonio con una signorina di buona famiglia." Sussurrò, poggiando la fronte sulla sua.
Le mani di Clint, appoggiate ai fianchi dell'altro, ebbero un fremito. "Potrete venire a trovarmi quando volete." Bisbigliò. "...Potresti venire con me."
"Sarebbe meraviglioso." Sorrise, "Potremmo cavalcare tutti i giorni e non avere pensieri o paure." Chiuse gli occhi e si strinse maggiormente a lui, "Lo voglio." Bisbigliò.
"E allora andiamo e non guardiamoci indietro. Dimmi quando vuoi partire."
"Dammi un po' di tempo per organizzarmi. Posso dire ai miei genitori che voglio aspettare e viaggiare, nel frattempo. Con tre sorelle sposate mia madre é molto più serena e posso contraddirla ora." Ridacchiò e gli sfiorò di nuovo le labbra. "Potremmo andare dopo che sarai tornato da Hawkfield."
Il giovane gli prese le mani e gli baciò le nocche. "Verrà il giorno in cui non dovremmo combattere e difenderci unicamente perché amiamo. Fino a quando non sarà così, sarò sempre in armi. Sono fiero di battermi per te, di battermi per noi."
Annuì e arrossì, sorridendogli, aumentando la stretta sulle sue dita, "Devo andare ora ma promettimi che ci vedremo domani."
"Domani. Conterò le ore." Clint gli accarezzò le guance. "Ti ho pensato ogni giorno in cui siamo stati separati."
"Anche io. Sono stato così stupido, perdonami amor mio. Quella notte ero così sfiduciato e impaurito e mi sono comportato così male con te. Perdonami."
"Eravamo nervosi tutti e tu avevi così tanto da perdere e così tanto per essere preoccupato..."
"Ma non é una scusante per il mio ignobile comportamento." Sospirò e si allontanò appena da lui, "Quando Stark mi ha colpito mi sono sentito così debole e sbagliato, così inadeguato a prendermi cura della mia famiglia e, egoisticamente, ho pensato a quanto quella cosa avrebbe potuto intaccare me e te e... E l'amore che provo per te."
Barton non gli permise di scostarsi al punto da abbandonare la stretta delle mani. "Perché lo hai pensato?" Gli domandò. "Puoi parlarmi di ogni tua paura, senza timore alcuno."
Egli scosse il capo, "Perché avrei dovuto sposarmi per riparare alla sua fuga. Uno di quei matrimoni forzati e di convenienza che ci avrebbe allontanati e mi avrebbe spento giorno dopo giorno."
"Mi sarei spento con te e non sarei riuscito a vivere un solo giorno."
"Amor mio." Phil unì le labbra alle sue e lo baciò, ancora e ancora, incapace di lasciarlo andare.
"Sarà così ogni giorno." Gli bisbigliò Barton all'orecchio. "Saremo insieme e nessuno ci disturberà. Vivremo la nostra vita."
"Lo faremo." Sussurrò di rimando, rimanendo tra le sue braccia ancora qualche minuto prima di lasciarlo e ritornare a casa. Lì parlò con Jane che si disse disposta ad incontrare Rogers e parlò anche con i suoi genitori: anche se sua madre si disse contraria, suo padre appoggiò la sua scelta di aspettare per il matrimonio -Infondo era ancora così giovane e avrebbe avuto tempo per trovare una ragazza più di suo gusto.
 
 
*****
 
 
Il sorriso di Steven tradiva il suo nervosismo, gli occhi avevano un cerchio appena più pallido all'estremo dell'iride. Si felicitò con Jane, giacché il signor Bingley era davvero un giovane dai modi affabili, di buona famiglia e dall'indole onorevole. Le parole sfumarono nel silenzio da cui erano venute, quindi Steven condusse la ragazza nel salotto e le fece cenno di accomodarsi ovunque preferisse.
Phil aveva accompagnato la ragazza e poi si era unito a Clint per una passeggiata in giardino mentre i due parlavano. Aveva rassicurato la sorella, ma ella continuava a sentirsi in imbarazzo davanti al ragazzo, tanto che le guance le si erano subito imporporate e gli occhi non riuscivano ad incontrare i suoi se non per pochi secondi. "Spero voi stiate bene, signore." Ruppe il silenzio con voce incerta.
"Sì, vi ringrazio per l'interessamento." L'altro le versò del tea e spinse la tazza verso di lei. "Jane, io vi ho fatto un grande torto."
"Forse ve ne ho fatto anch'io in qualche modo, signore." Rispose prendendo la tazza.
"No, Jane. No. Voi siete cara e l'affetto che provo per voi, quello é profondo e sincero. Tuttavia..." Steven chiuse gli occhi, intrecciò le dita e le appoggiò, così chiuse, sul mento. "Tuttavia vi ho illusa e vi ho fatto intendere che avrei potuta rendervi felice. Siete un'amica, Jane, la più intelligente e bella e soave tra le fanciulle. Ma non é per colpa di indole vostra, né per vostro carattere che non ho potuto sposarvi. Voi non avete colpa. Io vi voglio bene come una sorella e siete un'amica cara al mio cuore. Per mia natura, però, nessuna... Donna susciterà mai in me sentimento superiore alla stima e all'amore fraterno."
"É il signor Stark, vero?" La ragazza sorrise, "Sapete ho ripetuto nella mia mente ogni singola parola che mi ha detto quella sera. E ho capito. Deve amarvi davvero molto."
Steven spalancò appena gli occhi. "Voi avete capito...?"
La ragazza annuì e prese un sorso di tea. "L'ho capito solo in questi mesi, ripensando a quello che mi ha detto. Chiedendomi se avessi fatto qualcosa di riprovevole nei vostri confronti ho ripercorso con la mente ogni ricordo e ho notato che molti dei vostri sguardi, dei vostri gesti, delle vostre parole mi erano sfuggite a causa della mia illusione verso di voi."
"Jane, mia cara Jane..." Steven scosse la testa. "Mi dispiace. Sono stato causa del vostro dolore, della vostra sofferenza. Mi dispiace..."
Quella scosse la testa, riponendo la tazza sul tavolino, "Posso capire le vostre ragioni e non avete nulla da rimproverarvi, mio caro signore. Sono felice di sapere di non aver perso la vostra amicizia e quella del signor Stark. Spero non sia ancora arrabbiato con me."
"Anthony non era veramente arrabbiato con voi, Jane. Credetemi. Non perderete mai la nostra amicizia, mai."
Jane si piegò appena in avanti e poggiò lievemente la mano sulla sua, "Non avete nulla da temere, signore, il vostro segreto é al sicuro con me e vi auguro ogni bene e felicità. Lo meritate davvero."
Rogers le serrò la mano di rimando e le sorrise, con il più dolce affetto. "Jane. Sarò sincero: io ed Anthony non possiamo più stare qui. Partiremo per la Grecia fra quattro giorni e ci stabiliremo lì, in via definitiva. Natasha rimarrà a Londra e sappiate che potrete sempre contare su di lei e che vi sarà sempre amica. Se vorrete mantenere una corrispondenza anche con me, rivolgetevi a mia sorella e avrete saldo aiuto. Inoltre, e qui la questione si fa delicata, vi é un atto notarile per la cessione di Griffith Park. É a vostro nome e se vorrete accettarlo quale mio dono di addio, ne potrete disporre a vostro piacimento. Stabilirvi qui o venderla, se la accetterete, la scelta spetta a voi. É il mio... Il nostro dono. Non vi stiamo facendo carità, né riteniamo il signor Bingley incapace di provvedere a voi. Il vostro cuore, cara Jane, la vostra amicizia sono state una casa, un luogo dove per la prima volta ci siamo sentiti sereni e liberi. Vorrei che Griffith Park rappresentasse per voi lo stesso."
Lo stupore sul viso della fanciulla era palese. Gli occhi azzurri e la bocca rosea le si erano aperti sorpresi e perse la capacità di parlare per lunghi secondi. "Signore, la ringrazio infinitamente, ma non posso accettare. E' davvero troppo."
"Niente sarebbe mai troppo, per voi. Prendete almeno la lettera e decidete poi in seguito come agire." Steven le prese le mani fra le proprie e si tese a darle un bacio lieve, di commiato, di addio. "Siete stata un dono, per me." Mormorò. "Vi auguro ogni bene, ogni felicità, tutto l'amore di cui siete degna. Sarete sempre nei miei pensieri e nelle mie preghiere. Per il dolce crimine di cui sono peccatore Egli non guarda più a me, ma sono certo che i Suoi occhi, trattandosi di voi, non vi lasceranno mai."
Jane si alzò e si sedette accanto a lui. "Il Signore é amore e non punisce una persona solo perché ama. Non importa a chi sia diretto questo amore finché é puro e sincero." Sorrise, "Sarete sempre nelle mie preghiere e nei miei pensieri."
Steven le cinse le spalle con un braccio e le appoggiò la fronte contro la tempia. Stark li trovò in quella posizione e ne rise di cuore. "Quando avrai finito di monopolizzare l'affetto della signorina Jane, vorrei poterla salutare anche io ed augurarle tutto il bene -Se mi é lecito, dopo la maniera in cui mi sono comportato."
 
 
*****
 
 
"Dirai a tua sorella della tua decisione?" Domandò Barton, che passeggiava nel giardino della tenuta con la mano intrecciata a quella di Philip. E non un pensiero al mondo li coglieva, se non la reciproca compagnia.
"Cosa ti fa pensare che non l'abbia già fatto?" Philip girò il viso per guardarlo, un enorme sorriso sulle labbra.
Clint gettò indietro la testa e rise. "Avrei dovuto immaginarlo!" Esclamò. "Allora adesso non potrà esimersi dal venirci a far visita!"
"Suppongo di no. Lei e Lizzy saranno obbligate a portarci notizie dal mondo esterno, visto che ho intenzione di tenerti solo per me."
"Dovrei esserne in qualche modo interdetto? Finanche preoccupato?" Scherzò l'altro, piegando il volto per poter raggiungere l'angolo delle labbra in un rapido bacio.
"Direi proprio di no." Rise e si fermò, "Quando tornerai a Hawkfield?"
"Parto domattina. C'é un paesello non molto distante, a nome Carsonville. Da lì potremo partire per la nostra meta." Un sorriso gli scivolò sulle labbra. "Ogni volta che la pronuncio, il suono di questa frase si fa più dolce."
“Ti attenderò qui e poi potremmo partire. Vuoi che ti accompagni? Non credo tuo padre sia una persona così calma e prenderà male la notizia.”
"Mio padre é collerico e poco incline a tenere gli altri lontani dalla propria furia: é probabile che tu venga travolto dalla sua ira. Attendimi qui, arriverò il più presto possibile,"
"Ne sei sicuro? Non vorrei ti facesse del male."
"Mio padre mi ha cresciuto con una educazione non esente da ammonizioni fisiche: con gli anni, esse hanno avuto il pregio di diventare prevedibili, dandomi la possibilità di schivare ogni colpo senza fallo."
"Clint." Gli prese le mani e gli baciò le nocche, "Ricomincerò a respirare solo quando ti avrò di nuovo tra le braccia."
"Sarà solo questione di poche ore, non temere."
Annuì e si girò quando sentì un chiacchiericcio avvicinarsi a loro. Lasciò le mani del ragazzo e un attimo dopo Jane comparve a braccetto di Rogers e Stark mentre parlavano amabilmente. "Vedo che é andato tutto bene."
"Oh, a meraviglia." Fece Tony. "Tanto che siamo venuti qui anche per perorare la causa di Jane perché le venga permesso di venire in visita in Grecia."
"Dovrà chiedere il permesso al signor Bingley, ma non credo lui riuscirebbe a negarle nulla, quindi verrà a trovarvi prima di quanto pensiate." La ragazza arrossì e sorrise, "Spero di avere almeno voi al mio matrimonio, signor Barton."
"Il signor Bingley dovrà permettervi di soggiornare da noi dopo le nozze o la riterrò un'offesa alla mia persona." Steven rise. "Anthony, via, tu prendi anche l'offesa al buon gusto come una offesa alla tua persona!"
"Ciò mi rende un uomo sensibile e attento ai gravi problemi che affliggono la nostra società." Clint le sorrise. "Verrò. Farò ogni cosa in mio potere per assistere al coronamento della vostra felicità."
La ragazza lo ringraziò e poi furono tutti richiamati all'ordine da Philip. "Ci dispiace abbandonare la vostra compagnia, ma dobbiamo andare, ora. Verremo a salutarvi prima della partenza."
"Ah, vorrei ben vedere!" Esclamò Stark. "Se non mi veniste a salutare, non potei perdonarvelo." Clint si avvicinò a prendere le mani di Phil tra le proprie. "Il nostro futuro, Philip. É così vicino che possiamo quasi toccarlo: domani sarà nostro."
Intimidito dalla presenza della sorella e degli altri, Coulson si limitò ad annuire e stringergli le dita, "Ci vedremo domani."
 
 
*****
 
 
Aveva il labbro gonfio e l'occhio destro pesto, un rigagnolo di sangue che dalla fronte s'era seccato fino al sopracciglio. Eppure non sarebbe potuto essere più felice. Clint abbassò il cappuccio del manto da viaggio che indossava e strinse le briglie di Enosictono tra le nocche sbucciate. Steven ed Anthony erano alla scalinata d'entrata, Natasha con loro e Bucky –Un giovane dagli occhi vecchi, per nulla loquace ma dal cordiale sorriso- pronti a salutarli, ad augurare loro ogni bene. "Addio, Philip." Natasha gli prese la mano destra tra le proprie. "Potrà mai vostra madre perdonarmi per non aver cercato di cedere alle vostre mai avvenute offerte di matrimonio?"
"In questo momento, mia cara amica, mia madre é fin troppo felice per i matrimoni delle mie sorelle che il mio può passare in secondo piano." Le strinse la mano di rimando e salutò affettuosamente anche Steve e Tony. "Ci scriveremo e verremo a trovarmi una volta che vi sarete sistemati."
"Buona fortuna, amico mio." Steven lo strinse di rimando, con calore e affetto. "Grazie. Dieci, cento, mille volte grazie."
Phil li guardò andare via con una piccola stretta al cuore: quante cose erano successe e cambiate in quei lunghi mesi dacché si erano conosciuti, eppure mai avrebbe sperato in un futuro più roseo di quello che l'attendeva con il compagno.
Steve aveva stretto Clint a lungo e così Anthony. Natasha, per un momento, parve incapace di lasciarlo andare. Non pianse, tuttavia nei suoi occhi si vedeva la più cupa tristezza, la più dolce malinconia. Sorrise e gli baciò la fronte, lo abbracciò di nuovo. Clint montò in sella e prese un respiro. "Al galoppo." Disse. "Al galoppo e non guardiamoci mai indietro: il nostro avvenire é solo in avanti."
Phil montò sul suo cavallo e si allungò a prendere le sue mani, "Avanti, sempre avanti, senza timori e paure."
Clint gli strinse le dita. Alla luce della tenuta di Griffith Park, l'ombra delle loro braccia era un'unica linea.

Senza confine.

Unite per sempre.
 

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