The map that leads to you

di aturiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Nick autore EFP/Forum: Aturiel
Fandom/s: Percy Jackson & gli dei dell'Olimpo
Titolo: The map that leads to you
Rating: Arancione
Pairing: Jasico/Solangelo/WillxJason/Pernico + accenni a Jasiper/Caleo/Percabeth/Jeyna
AU: Human!AU
Prompt: Amore
Generi: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life
Avvertimenti: AU
Note: Tematiche delicate, Triangolo (in realtà non esattamente... è più un mega-pentagono LOL)
Tipo storia: Mini-Long
Conteggio parole: 25.177 (escluso il titolo)
NdA: Lo stile è molto semplice, questa volta, perché ho cercato di usare parole che i protagonisti avrebbero utilizzato per primi. Ci sono termini colloquiali, turpiloquio ed emoticons. Sono presenti dei momenti comici, anche se ho cercato di non alleggerire troppo la storia, soprattutto nella seconda parte, e ci sono molti cliché, che però ho cercato di trattare a modo mio. La canzone perno di tutta la storia è “Maps” dei Maroon 5 (da cui ho preso il titolo) ma che, nella storia, ho immaginato non fosse in realtà loro, ma scritta da uno dei personaggi. Ho reso il personaggio di Nico più forte e sicuro di sé rispetto all'opera originale, come più fragile e insicuro quello di Will Solace. Altre note saranno aggiunte al fondo di ogni capitolo, per evitare di auto-spoilerarvi il finale della mia fic!
Partecipante al “Cross Olympus guys!Contest” di Kirame amvs 








 
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Deve esserci qualcosa di strano in me, qualcosa come un gene particolare che attira la sfiga o uno spirito maligno che mi perseguita.
Era questa la conclusione a cui Nico era giunto dopo l'entusiasmante giornata appena trascorsa e, più ci pensava, più si convinceva che la sua diagnosi fosse esatta. Era impossibile un'altra motivazione che giustificasse tutto l'accaduto.
Per l'ennesima volta ripercorse mentalmente ogni singola azione che aveva compiuto quel giorno, alla ricerca dei suoi sbagli: si era svegliato in ritardo a causa delle batterie della sveglia che, proprio quel bel dì di ottobre, avevano deciso di scaricarsi, facendolo arrivare a scuola con ben mezz'ora di ritardo. Una volta giunto in classe, aveva scoperto che il suo migliore – e unico... se non si contava Leo Valdez che, negli ultimi tempi, aveva sviluppato una sindrome da crocerossina nei suoi confronti – amico Jason era rimasto a casa, e quindi si era seduto da solo all'ultimo banco.
Nico si fermò un attimo: ecco, quello era stato il primo errore della sua giornata. Il Grande Manuale di Sopravvivenza della Greek High School (datato 2010, Di Angelo editore) era chiaro su questo punto: se non vuoi essere preso di mira, mai stare da solo.
Dopo essersi annotato questa grave mancanza da parte sua, ricominciò ad analizzare la sua giornata: si era seduto all'ultimo banco e, tirando fuori dalla cartella tutti i libri, aveva fatto per sbaglio cadere il foglio con la versione di greco per terra; questa, come se ci fosse stata chissà quale corrente d'aria in classe, era volata via, lontano dalla sua portata, e si era fermata sotto il banco di Will Solace. Quello, classificato dal G.M.S.G.H.S. (Nico si prese un altro appunto mentale: cercare una sigla più semplice per il suo Manuale) come “rinomato burlone dal sorriso facile” e con accanto ben quattro stelle su cinque in fastidiosità, aveva pensato bene di ripassarglielo non chiedendo gentilmente alle tre persone che li separavano di riconsegnarglielo, ma piuttosto piegando i suoi poveri compiti fino a trasformarli in un aeroplanino di carta – con tanto di alettoni aerodinamici – che poi, molto intelligentemente, aveva lanciato nella sua direzione.
Il mezzo scelto da quel genio di Solace era quindi atterrato sul suo banco, ma non senza danni visto che aveva colpito la testa di Clarisse prima di giungere a destinazione. E Clarisse era la più terribile, insopportabile e sadica bulla della scuola, con dieci stelline su cinque nella valutazione del G.M.S... sì, insomma, nel Manuale. E ovviamente non se l'era presa con Will, perché Will è Mister Sorriso Tutto il Giorno ed aveva molti amici, molti dei quali più grandi di lui, ma con Nico, perché Nico era... beh, Nico.
Quindi Clarisse si era voltata verso di lui, l'aveva guardato con rabbia e si era passata la mano lungo la gola; il significato era palese: nell'intervallo morirai. Il problema era che, invece che deglutire e prepararsi mentalmente ad atroci dolori, Nico aveva ricambiato lo sguardo con uno dei suoi – quelli alla “prova a toccarmi e ti maledico con una bambola woo-doo” che gli riuscivano sempre benissimo –, e aveva ripreso a seguire la lezione.
Nico si fermò di nuovo: ecco il suo secondo errore. Non avrebbe dovuto rispondere alla provocazione di Clarisse, proprio no.
Nell'intervallo era rimasto in classe, nella speranza che almeno la presenza del professore fermasse Clarisse da spiaccicarlo per terra a suon di calci, ma, poco prima che suonasse la campanella, si era accorto di non avere niente da mangiare. Sarebbe riuscito a resistere se si fosse trattato dello spuntino mattutino, ma quel giorno sarebbe dovuto restare fino a tardi a scuola a causa di un corso di approfondimento di storia, quindi avrebbe dovuto saltare pranzo se non si fosse subito fiondato nel corridoio, visto che il banco dei panini se ne sarebbe andato appena concluso il primo intervallo.
Si era di conseguenza alzato cautamente dal banco ed era uscito, dirigendosi quasi correndo al banco dei panini. Aveva comprato un sandwich al tonno e maionese – l'ultimo rimasto – e, già con la nausea al pensiero di doversi cibare di quella poltiglia poco invitante, aveva incontrato Percy Jackson. Chi era Percy Jackson? Semplice: la cotta colossale di Nico, che in realtà si trattava più che altro in un amore platonico a senso unico, probabilmente una di quelle accoppiate di cui Afrodite non andava molto fiera, visto che erano le due persone più incompatibili dell'intero Universo. Senza contare che Percy era... beh, etero, e con tanto di bellissima e intelligentissima ragazza bionda come fidanzata.
Comunque, continuando l'analisi, Nico aveva incontrato gli occhi mozzafiato di Percy e, tanto per cambiare, era fuggito via. E cos'era successo, poi? Ovviamente aveva incontrato Clarisse e il suo branco.
Nico si segnò mentalmente un altro promemoria diretto a se stesso: se vuoi che Percy ti noti, forse è meglio che non scappi ogni volta che lo vedi. Ma forse, eh.
Comunque, Clarisse l'aveva visto e Nico si era sentito come un topo in trappola. Ma, topo in trappola o no, si era fermato e l'aveva affrontata a testa alta, con una delle sue occhiate spettrali che tanto gli venivano bene. Sapeva perché tutti quelli della scuola lo evitavano/lo ritenevano spaventoso/avevano paura di lui: la sua pelle era bianchissima, in netto contrasto con i grandi occhi neri come la pece e i capelli, sempre scarmigliati. Inoltre il suo colore preferito era il nero, ed era sempre quello che vestiva, ad eccezione del suo giubbotto d'aviatore (ma quello era un regalo di sua sorella Bianca, non contava) e della maglietta bianca... che però aveva un enorme teschio blu notte disegnato sopra.
Quindi si era fermato e aveva detto, come se fosse la cosa più normale del mondo: «Se vi avvicinate, mi metto a urlare».
Stop. Nico si fermò nuovamente e si rese conto che la sua battuta d'entrata era stata davvero pessima. Avrebbe potuto usare qualcosa di più terrificante, tipo “lasciate ogni speranza, o voi che v'avvicinate” (liberamente tratto dal cartello di benvenuto dell'Inferno di Dante) o di più “macho”, come “siete sicuri di voler fare la conoscenza di Fulmine e Saetta? Ecco, questo è Fulmine, questo Saetta”.
Stop parte seconda. No, forse sarebbe stato meglio darsela a gambe, non usare battute alla Leo Valdez.
Clarisse era scoppiata a ridere e, ovviamente, i suoi scagnozzi l'avevano seguita a ruota. Poi la ragazza aveva alzato una mano ed era calato il silenzio. Proprio quando, però, Clarisse si stava avvicinando con l'evidente intento di iniziare a riempirlo di botte (cosa che, di per sé, non l'avrebbe spaventato molto, visto che lui era un ragazzo e, bene o male, si sapeva difendere, ma si dava il caso che fosse accompagnata da mezza squadra di football... e loro non erano ragazze sadiche, ma enormi bruti che si eccitavano come squali all'odore del sangue), una mano l'aveva afferrato e l'aveva spinto dentro il bagno dei ragazzi. Nico si era girato di scatto e si era ritrovato Will Solace e le sue cinque dita piantate sulla sua spalla magra. Quindi si era divincolato e allontanato, aveva sibilato il consueto “Non mi toccare” che tutti puntualmente ignoravano e l'aveva guardato storto. Beh, forse “storto” era un po' un eufemismo... l'aveva più che altro guardato come si guarda una persona che ti ha appena lanciato un chewing gum nei capelli, come si guarda chi ha appena rivelato alla persona che ti piace che sei innamorato di lei, come si guarda chi ha attirato su di te le ire di Clarisse La Rue per colpa di uno stupido aeroplanino di carta. Inoltre Will non si era limitato a toccarlo – cosa che gli dava sempre parecchio fastidio – ma aveva avuto pure il coraggio di aggiungere: «In questi casi si dice grazie» e aveva sorriso.
«Perché dovrei? È colpa tua se Clarisse mi sta perseguitando, di te e del tuo stupido aeroplanino fatto con la mia versione di greco» aveva risposto Nico, ancora più inviperito.
«Ed è perché so che è colpa mia che ti sto aiutando» aveva detto quindi l'altro.
«Bene, non c'è bisogno di “grazie”, allora: siamo pari».
Will aveva alzato le spalle, quindi aveva messo la testa bionda un poco fuori dalla porta per controllare la situazione, cosa che aveva attirato la cara Clarisse, che fino a pochi secondi prima stava facendo la ronda nel corridoio, proprio nel bagno. Will allora, ignorando le lamentele di Nico che aveva guardato schifato la mano che di nuovo gli aveva afferrato la spalla, l'aveva trascinato con lui in una delle cabine. Nico si era quindi ritrovato in uno spazio decisamente angusto, decisamente maleodorante e con un insopportabile Will Solace decisamente troppo vicino.
Ecco, Nico in quel momento si era ritrovato a pensare parecchie cose: la prima, quella che sovrastava tutte le altre, era una sorta di urlo interiore che ripeteva ossessivamente “Non toccarmi, non toccarmi, non devi toccarmi, Solace” – e non perché avesse la lebbra, sia chiaro, ma solamente perché... beh, a Nico dava davvero fastidio che lo toccassero, ne aveva quasi paura; la seconda cosa a cui aveva pensato era stata che Will aveva un odore che pareva quello del Sole (per quanto le persone potessero profumare come i raggi del Sole), mentre la terza era stata che i suoi occhi, sebbene non avessero quella capacità di attirare Nico anche se si fosse trovato a cento metri di distanza come quelli di Percy, avevano un colore accettabilmente bello.
Questo non aveva significato, però, che avrebbe ignorato il fatto che quel capellone biondo l'avesse trascinato dentro una delle cabine più sporche dell'intero bagno maschile, e nemmeno che avrebbe chiuso un occhio davanti a quelle mani lunghe e affusolate che si stavano allungando verso le sue spalle. Quindi, questa volta con il preciso intento di farsi sentire, aveva sibilato a denti stretti: «Non toccarmi, Solace».
L'altro quindi aveva fermato l'avanzare delle sue dita e gli aveva chiesto, curioso: «Che c'è di male se ti tocco le spalle?», ma l'altro si era rifiutato di rispondere.
Nel frattempo, Clarisse aveva fatto un cenno ai suoi footballer e li aveva spediti senza troppe cerimonie all'interno del bagno. Will quindi era salito sopra la tazza del water e, ignorando di nuovo la richiesta di Nico, l'aveva tirato su di peso. Gli scagnozzi di Clarisse quindi non li avevano trovati e la loro vita era stata risparmiata, almeno per il momento.
Purtroppo per Nico, però, la parte brutta della giornata non si era ancora conclusa: una volta tornato in classe insieme a Will, si era beccato una lavata di testa – con tanto di shampoo e balsamo – da parte del professore di letteratura e un'interrogazione a sorpresa. Normalmente avrebbe saputo tutte le risposte (era uno studente diligente, e la letteratura era una delle sue materie preferite), ma quella volta aveva fatto scena muta. Il motivo? Beh, il giorno prima non aveva letto il brano assegnatogli perché Leo l'aveva obbligato a uscire tutto il pomeriggio, dal momento che “non esistono adolescenti che amano la solitudine, esistono solo adolescenti troppo orgogliosi da ammettere che vorrebbero spassarsela come tutti gli altri”. E, sebbene Nico non fosse totalmente d'accordo con la suddetta affermazione, le mani di Leo che si avvicinavano per afferrarlo e trascinarlo di forza fuori di casa l'avevano costretto a sospirare e a seguirlo in centro.
Nico non voleva ammetterlo, ma quel pomeriggio si era pure divertito, e anche molto ma, quando il professore l'aveva interrogato a sorpresa, si era pentito di ogni secondo trascorso nella sala giochi a smanettare con “La notte dei Morti Viventi – The game”.
Comunque, alla fine, si era beccato un bel due in letteratura e un'ennesima sgridata colossale da parte di quello che si era trasformato nel suo aguzzino.

Ora invece si trovava a casa, chiuso a chiave nella sua stanza come al solito, con il cellulare fra le mani e l'aria stranita: c'erano tre messaggi da due conversazioni, e una di queste non era con Leo.
«Nico, scusami se oggi non sono venuto, ieri sono stato male! Che hai combinato senza di me?» e «Dai, rispondimi che mi annoio» da parte di Jason. Ma, questa volta, Nico non aveva per nulla voglia di rispondergli o, per lo meno, non era la sua prima preoccupazione, soprattutto perché l'altro messaggio recitava: «Ehi, Nico. Come va? :)» e il mittente era niente meno che Will Solace. Quel Will Solace che l'aveva ignorato per cinque anni, che poi un bel giorno gli aveva passato la versione di greco sotto forma di aeroplanino, che aveva attirato le ire di Clarisse e che, per salvare se stesso e Nico, si era chiuso insieme a lui in una cabina del bagno dei ragazzi e l'aveva costretto a salire sulla tazza del water.
Cos'altro accidenti vuole da me, questo qui?
«Bene».
«Senti, scusa per oggi (ancora :D). Non volevo che i tuoi compiti arrivassero in testa a La Rue, lo giuro».
«Scuse accettate. Ciao» aveva quindi scritto Nico, infastidito. Che poi, come aveva ottenuto il suo numero?
«Che fai oggi pomeriggio? ^_^»
Lo stava realmente invitando a uscire? E perché? No, non avrebbe accettato se mai gliel'avesse chiesto. E poi per quale motivo continuava a inserire emoticons in ogni singolo messaggio? E perché erano tutte dei sorrisi?
«Sono occupato, oggi pomeriggio».
«Anche io sono occupato! :) Ti va se lasciamo perdere i nostri impegni e andiamo a mangiare un gelato? C'è un sole che spacca le pietre ^_^».
«Perché dovrei?» aveva risposto l'altro, sempre più infastidito dai continui sorrisi di Will, anche se si trattavano di semplici faccine in degli stupidi messaggi.
«Perché è una bella giornata, e io mi sto annoiando qui da solo. Allora, vieni? :D»
«Non avevi detto che eri occupato?»
«E va bene, ho mentito. Su, un po' di sole non farà male alla tua pelle bianca! ;)»
Nico sospirò: in realtà anche lui si stava annoiando, e non poco. Però non aveva tutta questa voglia di uscire, soprattutto se si trattava di Will Solace. Per dire, se fosse stato Percy Jackson a scrivergli per chiedergli di uscire, non avrebbe nemmeno esitato.
«Va bene».
«Sì, evviva! Ti vengo a prendere sotto casa, a dopo! :D»
Come accidenti sa dove abito? Cos'è, uno stalker?
Nico scosse la testa, scacciando quel pensiero. Probabilmente aveva implorato Leo di dargli il suo numero, l'indirizzo e magari pure una cartina che gli spiegasse come arrivare a casa sua o qualcosa del genere: tutto considerato quei due andavano in classe insieme ed erano anime compatibili. Decisamente compatibili.
Nico iniziò lentamente a cercare qualcosa con cui vestirsi: non che volesse presentarsi alla porta in giacca e cravatta, ma la maglia che indossava in quel momento non era esattamente della sua taglia (era una L, e lui portava a malapena la S) e i suoi boxer neri, per quanto almeno fossero della sua misura, non erano proprio l'abbigliamento giusto per uscire con qualcuno. Quindi incominciò a rovistare nel suo armadio per trovare qualcosa di indossabile, quando qualcuno suonò al campanello.
Ci mise un attimo a rendersi conto che non c'era nessuno in casa e che quindi sarebbe dovuto scendere lui ad aprire. Quando era bambino lo faceva sempre sua sorella Bianca, ma poi lei era morta ed era toccato a sua madre, ma sua madre era andata qualche settimana alle terme con delle sue amiche per rilassarsi (e Nico non poteva di certo fargliene una colpa) e staccare un po' dal lavoro, quindi ora era solo. Guardò un attimo le ciabatte abbandonate a bordo letto, quindi scosse la testa e, fregandosene delle buone maniere, andò ad aprire a piedi scalzi.
Spalancò la porta e, nello stesso istante, spalancò la bocca: davanti a lui non c'era un venditore ambulante, il postino o un serial killer – e sarebbe stato meglio –, ma un ragazzo alto dai capelli biondo grano e gli occhi chiari e brillanti come il Sole d'estate. E il ragazzo sorrideva, e lo faceva in un modo inconfondibile: alla Will Solace.
Nico gli chiuse la porta in faccia.
«Nico, dai! Aprimi, cosa ti ho fatto?» urlò quello da fuori, bussando rumorosamente. Poi, non ricevendo risposta, aggiunse: «Ti prego, altrimenti non andremo mai più in gelateria, se fai queste scene».
«Non sto facendo scene... semplicemente non sono ancora pronto, se non te ne fossi accorto! E poi che ci fai già qui?» urlò l'altro, di rimando.
Una risata si fece sentire, anche da dietro la porta: «Come non accorgersi dei tuoi boxer e della scritta “Senza t-shirt sono ancora meglio” stampata sulla tua maglietta? E poi, semplicemente abito a due minuti a piedi da qui».
Nico arrossì fino alla radice dei capelli: non era colpa sua se Leo aveva una strana concezione di “frase a effetto”, e non era colpa sua se era talmente imbranato che non riusciva a caricare una lavatrice da solo e quindi si era dovuto ridurre a indossare quella cosa al posto della tuta da casa!
«Va bene, giuro che non faccio più battute. Ora mi fai entrare?» urlò di nuovo Will, da dietro la porta.
Nico ci pensò un attimo, poi aprì e sibilò, con il capo ancora chinato per nascondere il rossore che imporporava le sue guance: «Entra».
Will si dovette contorcere per passare attraverso la minuscola apertura lasciata da Nico, ma non se ne lamentò. Quindi, appena entrato, non poté fare a meno di esclamare: «Oddio, Nico, ma la tua casa è bellissima!» e di iniziare a ficcare il naso ovunque. Più o meno era stata la stessa reazione che aveva avuto Leo la prima volta che era passato a prenderlo; quei due avevano molte più cose in comune di quanto si credesse, ma Will era più composto, saltellava meno, non pareva una macchia di carbone ventiquattro ore su ventiquattro a causa delle esplosioni continue che provocava in stile “Piccolo chimico”, le sue dita non erano sempre sporche di grasso per motori, aveva gli occhi più chiari e più belli, il suo corpo pareva molto più atletico, il suo sorriso non era poi così irritante e forse era pure carino... No, Will Solace non è carino.
Intanto l'altro si era seduto sul divano e, con il naso in su, continuava a fissare con aria ossessivo-compulsiva i quadri appesi alle pareti, e li stava osservando in modo tale che Nico avrebbe giurato che stesse tentando di impararne ogni pennellata a memoria.
«Sono i dipinti di mia sorella, quelli» disse a un certo punto Nico.
Will, a quelle parole, sembrò risvegliarsi da un sogno. Quindi disse: «Sono molto belli. Tua sorella è davvero brava».
«Già» rispose l'altro. Non perse tempo a correggere il tempo verbale di Will, non ci teneva proprio a vedere anche nel suo viso quell'espressione di compassione che mostravano tutti ogni volta che parlava di Bianca. Anche Jason, che pure era il suo migliore amico, evitava sistematicamente di pronunciare le parole “morte”, “incidente”, “bianco” e “sorella”, quasi fossero termini messi all'Indice. E, tra le tante precauzioni che prendeva, c'era anche quella di non guardare mai i quadri appesi alla parete: apprezzava i gesti dell'amico, ma vedere che qualcun altro rimaneva incantato davanti alle precise e ispirate pennellate di sua sorella su quelle tele lo rendeva stranamente felice. Nico aveva questa convinzione che, se nessuno avesse più soffermato lo sguardo su quei dipinti, il ricordo di Bianca sarebbe andato svanendo, fino a che nessuno, tranne lui, si sarebbe ricordato di lei. Invece ora, inaspettatamente, Will Solace era seduto in casa sua, con gli occhi talmente luminosi da parere stelle sberluccicanti, a guardare i disegni di sua sorella. Al pensiero che, fra tutti, proprio lui l'avrebbe ricordata, sorrise un poco: a Bianca Will sarebbe piaciuto.
«Io salgo in camera» disse Nico, cercando di nascondere l'espressione a metà tra il malinconico e il nostalgico che era nata nel suo viso e sperando che Will capisse che doveva rimanere di sotto.
«Ti seguo!» esclamò Will, con il suo solito sorriso, non cogliendo l'invito silenzioso di Nico che, sconsolato, sospirò.
Aprì la porta della sua camera, quindi sussurrò un biascicato “Scusa il disordine” e si lanciò sul letto; quando l'altro ebbe finito di guardare la sua enorme collezione di videogiochi, libri, fumetti, CD e DVD commentando ogni titolo con un “ce l'ho” o un “mi manca” che pareva tanto quello di un bambino di fronte a un album di figurine, esclamò: «Io ora mi cambio» e restò in attesa che l'altro uscisse.
«Non preoccuparti!» rispose quindi Will, continuando la sua ispezione e probabilmente senza nemmeno essersi accorto dell'imbarazzo dell'altro.
Vuole davvero che mi cambi qui, con lui in stanza?
«Ehm, Will... mi devo cambiare» ripeté quindi, con lo sguardo rivolto a terra.
«Ho capito, fai pure, Nico» e sorrise. Poi si accorse del rossore sulle sue guance ed esclamò, come se si fosse accorto solo in quel momento di qualcosa di semplicemente impossibile: «Oh! Non mi dire che tu fai parte di quella categoria di persone che provano imbarazzo a cambiarsi davanti ad altri, anche se dello stesso sesso!»
Ma è cretino sul serio? E io che pensavo di essere famoso a scuola per quello...
«Già» rispose, sempre più in imbarazzo.
Tutto d'un tratto su Will calò un'espressione spaventosamente seria. Quindi si sfilò le scarpe e i calzini. Prese i lembi della sua maglietta arancione e se la tirò su da sopra la testa, mostrando il suo fisico muscoloso e abbronzato con l'aria più concentrata e intensa che avesse mai avuto nell'intera giornata.
Nico saltò in piedi e gli afferrò le mani poco prima che queste aprissero la cintura dei pantaloni, quindi, rosso come le lenzuola del suo letto, urlò: «Ma che accidenti ti dice il cervello? Perché ti stai spogliando in camera mia, davanti a me?».
Will parve stupito: «Beh, volevo dimostrarti che non c'è nulla di male nel mostrarsi nudi davanti ad altri: il nostro corpo è bellissimo, una macchina perfetta di muscoli, organi e sangue. Non dovremmo vergognarci a...-»
«Non mi vergogno a spogliarmi, è che... Will, io sono gay, ok?»
Il ragazzo rimase come fulminato. Il suo sorriso si spense, come se avesse appena visto un fantasma ballare la macarena in pigiama.
Nico si sentì improvvisamente triste: si era illuso per un momento che qualcuno volesse davvero fare amicizia con lui, aveva pensato che Will desiderasse conoscerlo e che non fosse solamente per scusarsi che l'aveva invitato a uscire quel giorno. Non voleva ammetterlo, ma aveva quasi pensato che il ragazzo fosse interessato a lui e che ci stesse provando, ma ovviamente questo era del tutto impossibile: Will Solace, il Mister Sorriso Tutto il Giorno, il ragazzo carino di origini brasiliane non poteva essere attratto da lui. Insomma, chi gliel'avrebbe fatto fare di provarci con un nerd complessato?
«Nico, scusami... oddio, io oggi ti ho trascinato con me nel bagno, ti ho invitato a prendere un gelato e ora mi stavo... Ok, sono decisamente uno stupido» disse a un certo punto, dandosi un sonoro colpo sulla fronte.
«Pensavo lo sapessi» disse Nico, stranamente arrabbiato: cosa c'entrava il gelato? Non c'era nulla di strano a invitare qualcuno fuori per prendere un maledettissimo gelato.
Will sospirò, poi, recuperando l'espressione seria di quando aveva tentato di spogliarsi (cosa che fece preoccupare non poco Nico) esclamò: «Nico, mi dispiace, ma non sono la persona adatta a te. Non volevo illuderti e non pensavo avessi una cotta per me, altrimenti non avrei...-»
«Ehi, ehi, frena. Chi ha mai detto che ho una cotta per te?»
«Eh? Quindi non sei... cioè, non...» Will aveva l'aria decisamente confusa.
«No, anzi, ti trovo parecchio fastidioso» rispose Nico, guardandolo di sbieco. Aveva appena avuto la conferma che quel Solace era un completo idiota e che, tra l'altro, si credeva al centro dell'Universo conosciuto solo perché aveva degli stupidi capelli biondi, dei luminosi occhi azzurri, il fisico e l'abbronzatura da surfista e un sorriso talmente dolce e caldo che avrebbe fatto sciogliere l'iceberg su cui si era schiantato il Titanic.
Will lo guardò un secondo, improvvisamente rosso in viso: «Oh» disse. Sembrava esserci rimasto un po' male, ma a Nico non interessava. Forse solo un pochino...
«Però ora mi hai fatto venir voglia di mangiare un gelato, quindi usciamo lo stesso, ok?» esclamò Nico, sorprendendosi lui per primo della sua intraprendenza.
Il viso di Will s'illuminò tutto d'un colpo e quasi urlò: «Sì, certo!» e iniziò a dirigersi tutto impettito giù per le scale. Solo a metà tragitto si fermò e si accorse di due cose: la prima era che non si era ancora rinfilato la maglietta e le scarpe, la seconda che Nico lo stava guardando – ancora in tenuta casalinga – come se si trattasse di un tizio completamente fuori di testa (e forse aveva pure ragione). In quel momento Will assisté a qualcosa di completamente inaspettato, di assurdo e raro: il viso pallido di Nico si deformò, il suo naso leggermente all'insù iniziò a tremare leggermente, gli occhi si chiusero, il suo corpo magro e sottile venne scosso da un rumore delicato e dolce proveniente dalle sue labbra, ora piegate verso l'alto: una risata cristallina si propagò in tutta la stanza e raggiunse anche il salone d'ingresso. Will, sentendolo ridere così di gusto, non riuscì a non ridere di rimando, contagiato dal sorriso che si era aperto sul viso dell'altro. E non riuscì neppure a non pensare a quanto quei capelli sembrassero morbidi al tatto o a quanto i suoi occhi, nonostante fossero del colore delle tenebre più nere, sapessero brillare se divertiti. Non gli era indifferente neppure il suo corpo che, impacciato, si contorceva per quella risata improvvisa. Desiderava che durasse per sempre quel suono, ma purtroppo si interruppe e Nico riprese il contegno, stropicciandosi gli occhi e dicendo: «Sei il ragazzo più buffo che abbia mai incontrato, garantito».
Will non ne era molto convinto, però: gli avevano attribuito moltissime caratteristiche, da simpatico, allegro, socievole a rompiscatole, appiccicoso e fastidioso (ultimo dei quali era stato proprio Nico ad affibbiarglielo, poco prima), ma... buffo? Scosse la testa, quindi disse: «Il tuo amico Leo è molto più buffo di me».
«Forse hai ragione. Ma di sicuro sei il più strano» rispose quindi Nico, tornato ormai serio.
«Su questo anche ti sbagli, Di Angelo: il più strano sei tu» scherzò Will, mentre s'infilava di nuovo la sua maglietta.
Nico si sentì un po' indispettito da quest'affermazione, ma scosse le spalle e iniziò a frugare nel suo armadio alla ricerca di qualcosa da mettersi. Era imbarazzante farlo di fronte a quello con cui sarebbe dovuto uscire poco dopo, ma cercò di non darlo a vedere.
Will uscì quindi dalla stanza e attese che anche l'altro lo facesse, finalmente vestito, quindi insieme scesero le scale in legno e percorsero nuovamente il soggiorno. Lanciando un'altra occhiata ai quadri appesi sui muri, esclamò: «Ah, Nico, poi fai i complimenti a tua sorella per i dipinti! Sono davvero belli».
Nico lo guardò di sottecchi, ma non rispose: non aveva proprio voglia di iniziare il discorso “mia sorella Bianca è morta e mi manca tantissimo” con Will, soprattutto prima di uscire. Quindi afferrò le chiavi e si diressero verso lidi migliori.

Will si dimostrò fin da subito di ottima compagnia: continuava a tirare fuori argomenti sempre interessanti di cui parlare, come se si fosse specializzato in “conversazioni da fare con gli amici”. Inizialmente parlarono di scuola (e Nico scoprì che Will adorava come lui il greco antico e proprio per quel motivo si era iscritto alla Greek High School, visto che era uno dei pochi istituti che ancora lo inseriva nei corsi facoltativi), poi di aspirazioni per il futuro (e Will scoprì che Nico desiderava diventare un programmatore, anche se si sarebbe accontentato di insegnare lettere al liceo, mentre Will aveva le idee molto più chiare ed era deciso che sarebbe stato per forza un medico), poi di videogiochi, di telefilm, di film e infine della loro famiglia. E fu questo il momento in cui Nico scoprì che Will aveva tanti fratelli e cugini da poter riempire una classe di soli Solace, che suo padre faceva il musicista e che aveva preso il suo aspetto da lui, anche se era l'unica cosa che gli rimaneva, visto che se n'era andato di casa quando Will era piccolo. Nico quindi gli aveva raccontato di sua madre e che, anche lui, si era ritrovato in fretta senza padre, ma non accennò a Bianca. Poi raccontò anche di Hazel, sua sorella, che invece frequentava un'altra scuola e infilò anche Jason nel discorso, dicendogli che era il suo migliore amico e approfittandone per raccontare qualche aneddoto della loro secolare amicizia.
Non si era mai sentito così a suo agio con qualcuno, ed era davvero strano: Will sembrava fatto apposta per non creare preoccupazioni o situazioni in cui potesse sentirsi a disagio, e questo lo tranquillizzava.
Forse non ho fatto male ad accettare il suo invito.
«Sembra tu abbia una cotta colossale per Jason» esclamò a un certo punto Will, con un sorriso in faccia che non pareva poi tanto spontaneo.
Nico rimase imbambolato di fronte a quell'affermazione: «Jason?»
«Sì, proprio Jason. Ne parli come se fosse un ragazzo quasi perfetto, e si vede che ci tieni a lui» spiegò Will, con il sorriso che piano piano si spegneva.
«No, beh, lui è il mio migliore amico. Non ho una cotta per lui» rispose Nico.
«Sicuro, Di Angelo? Guarda che non si possono dire bugie a un futuro dottore» chiese nuovamente Will, questa volta facendo un occhiolino.
«Sei libero di non credermi, ma no» rispose ancora una volta Nico, un po' infastidito.
«Meno male...» sospirò Will, passandosi una mano fra i capelli.
Nico restò un attimo interdetto a fissarlo: meno male per cosa?
«Perché meno male?» chiese quindi.
Ma Will, invece che rispondergli, gli chiese a sua volta: «Ti piace qualcuno, Nico?»
«In realtà...» iniziò Nico, indeciso se confessare la sua cotta secolare o meno. Dai Nico, Will sembra un ragazzo a posto, puoi dirglielo. «In realtà sì» buttò fuori, tutto d'un colpo.
«Davvero? E chi?» chiese l'altro, recuperando il suo caldo sorriso.
«Non so se lo conosci...»
«Facciamo un tentativo» rispose quello, emozionato come un bambino di fronte a delle caramelle.
«Percy Jackson» esclamò lui, guardando fisso a terra.
«Oddio, quel Percy Jackson? Percy Occhi Da Infarto Jackson?» chiese Will, con gli occhi spalancati.
«Io lo chiamerei più Percy Etero Jackson, a dir la verità» sospirò Nico, disegnando nella sua mente il sorriso del ragazzo dei suoi sogni.
«Beh, non si può mai sapere» lo incoraggiò l'altro, con aria seria. «L'anno scorso ho scoperto che Ja... sì, beh, che una persona si considera bisessuale anche se attualmente sta con una ragazza» disse Will, fermandosi in tempo.
Nico boccheggiò: «Will, stavi per dire Jason, vero?» esclamò, sconvolto. Non pensava che Jason avesse rivelato una cosa così personale a Will con cui, per quanto ne sapesse, non aveva scambiato più di due parole.
«Sì... diciamo che l'ho scoperto per caso» sospirò l'altro.
«E come?»
«Eravamo a una festa, prima ancora che si mettesse con la sua ragazza, si chiama Reyna, giusto?, e aveva bevuto un po' troppo. È successo che...» si interruppe un attimo, poi prese un enorme respiro e sussurrò: «Mi ha baciato».
Nico si bloccò in mezzo al marciapiede dove stavano camminando, sconvolto. Questo Jason non glielo aveva detto, ma manco accennato. Sapeva che aveva scoperto questa sua attrazione anche verso i ragazzi prima di Reyna, e sapeva anche che gli avevano raccontato di una festa in cui si era attaccato “come una cozza” – riferendo le sue parole – a un altro ragazzo più piccolo di lui, ma non gli aveva nemmeno accennato che quel ragazzo fosse Will Solace! Si sentiva tradito da Jason. Non voleva ammetterlo, ma il pensiero che avesse potuto nascondergli qualcosa, quando invece Nico gli aveva sempre rivelato ogni cosa, lo faceva sentire triste, terribilmente. Che non si fidasse abbastanza di lui?
Will interruppe il flusso dei suoi pensieri: «Non credo nemmeno se lo ricordi» disse.
Ecco perché...
Nico si sentì di nuovo arrabbiato, ma questa volta con se stesso: aveva dubitato di Jason. Perché non riusciva a fidarsi delle persone? Jason non se lo meritava, proprio per nulla, eppure, appena gli avevano dato la possibilità di sentirsi tradito, lui aveva lasciato da parte anni e anni di incrollabile amicizia e aveva subito creduto che quello che considerava come un fratello gli avesse mentito. Era proprio una brutta persona.
«Nico, tutto bene?» chiese Will, interrompendo nuovamente i suoi pensieri.
Ma di Will mi sono fidato subito, eppure lo conosco da meno di un pomeriggio.
«Traquillo, sto bene» gli rispose. Poi aggiunse: «Piuttosto, tu come l'hai presa? Insomma, per il fatto che Jason ti ha...» poi tutto divenne chiaro e, dietro ai suoi occhi, i pezzi del puzzle si ricombinarono con una semplicità disarmante. Nico si diede dello stupido almeno cento volte, poi sussurrò: «Will, a te piace Jason?»
Will si voltò verso di lui: la sua faccia era tesa, i suoi occhi infinitamente tristi e la sua bocca piegata in uno di quei soliti sorrisi falsi, posticci.
«Diciamo che è difficile toglierselo dalla testa...» rispose.
Certo, ora sì che era tutto dannatamente chiaro: Will che tenta di aiutarlo, Will che cerca di avvicinarlo, Will che gli scrive, Will che gli chiede di uscire, Will che è sconvolto quando Nico gli dice che è gay, Will che fa il simpatico, Will che si intristisce quando Nico gli parla di Jason. Era tutto un piano, era tutto calcolato. Non era per uscire con Nico di Angelo che Will l'aveva invitato a prendere un gelato, non era perché voleva far amicizia con lui: era per Jason che aveva iniziato a parlargli, nella speranza che, avvicinandosi a Nico, Jason si sarebbe accorto di lui.
Ingenuo, stupido Nico.
«Quindi hai pensato bene di invitarmi a uscire» disse.
«Cosa intendi dire, Nico?» chiese Will.
Su, continua a fare il finto tonto, quello che cade dalle nuvole. Ti riesce così bene!
«Intendo dire che l'unico motivo per cui mi hai scritto è stato perché, facendo amicizia con me, avresti potuto avvicinarti a Jason».
«Non è vero, Nico. L'ho fatto perché volevo conoscerti e basta!»
«Smettila di mentirmi, Will. Non sono stupido» sibilò l'altro.
«Non ti sto mentendo, io...» ma non continuò la frase. Come provare che stava dicendo la verità, che non era una persona così calcolatrice e perfida da sfruttare qualcuno per i suoi fini personali? E Nico non sembrava per nulla un ragazzo ingenuo o che si fidava al volo.
«Io me ne vado a casa, ci vediamo» disse Nico, con una stretta al cuore e la rabbia che cresceva sempre di più dentro di lui.
Will lo inseguì, quindi gli afferrò con fermezza una spalla.
«Mollami, Will. Mi dà fastidio che le persone mi tocchino, va bene? Stacca quella tua mano dalla mia spalla e lasciami in pace» urlò Nico, stringendosi da solo in un abbraccio.
«Nico, ascoltami almeno: puoi non credermi, ma io non volevo far amicizia con te solo per Jason, va bene? Volevo far amicizia con te perché mi sembravi un ragazzo a posto, e pure coraggioso... io me la sarei data a gambe di fronte a Clarisse e alla sua personale schiera di nerboruti!» sospirò un attimo, poi aggiunse come se gli fosse venuta un'illuminazione improvvisa: «E poi mi è venuta in mente una proposta».
Nico lo guardò di sbieco: «Che proposta?»
«Io conosco Percy Jackson: posso presentartelo, posso invitarti alle feste in cui partecipa anche lui, posso darti una mano a conquistarlo. E tu conosci Jason, e io pure vorrei conoscerlo».
«Lo sapevo, l'avevo sempre saputo che era per un secondo fine» urlò Nico, allontanandosi da Will.
«Credi davvero che io sia così spregevole? Sì, voglio conoscere Jason, ma perché mi ha sconvolto l'esistenza con quel suo bacio del cazzo. E ti offro il mio aiuto perché penso tu te lo meriti, tutto qui. Non hai idea di quante ragazze mi chiedono di dar loro una mano con quel fottuto Jackson! Lui e i suoi occhioni, i suoi sorrisi e i suoi fottuti addominali spettacolari. Ed è pure un bravo ragazzo, dannazione».
Nico ci pensò un attimo: Will sembrava sincero, almeno questa volta. Forse non lo era stato dall'inizio, forse non era il ragazzo perfetto che si era immaginato, forse non era così pulito... ma anche lui sapeva di non esserlo. Erano umani, e come tali dovevano agire: se si vuole davvero qualcosa, bisogna lottare, giusto? Non c'è niente di male a volersi avvicinare un po' alla persona amata e a voler essere felici, no? Lui voleva Percy, voleva capire se aveva una chance con lui, e Will voleva capire se Jason era attratto da lui davvero, se l'aveva baciato perché completamente ubriaco o se credere al detto in vino veritas. Non c'era nulla di male.
«E va bene, Will. Ti presenterò a Jason e ti aiuterò con lui: ma non chiedermi di mentire per te, di dipingerti meglio di come sei o di farlo litigare con Reyna, va bene? Lui è il mio migliore amico e non voglio farlo soffrire, intesi?»
«E io ti farò conoscere, in un modo o nell'altro, Percy Jackson. E ti aiuterò a scoprire se esiste in lui una parte attratta dai ragazzi, o meglio, da te. Ma nemmeno io mentirò o distruggerò la storia fra lui e Annabeth» esclamò, recuperando il sorriso. Poi allungò una mano verso Nico e l'aprì, quindi Nico la strinse.
Il patto era fatto, ma entrambi sentirono le loro coscienze più pesanti.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


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Capitolo II

«Tu devi venire, questa sera» esclamò Jason.
Nico lo guardò storto: cosa non capiva delle parole “Non ho voglia di andare a una stupida festa”? Eppure gli sembrava una frase tanto semplice...
«Ci sarà tutta la scuola» disse Jason, per poi aggiungere con aria maliziosa: «Proprio tutta la scuola, intendo dire».
Il riferimento a Percy Jackson non era ignorabile. Nico trattenne un attimo il respiro, cercando un motivo preciso per cui non sarebbe dovuto andare, ma, proprio quando ne stava per afferrare uno, il suo telefono tremò: era Will.
«Devi venire alla festa di 'sta sera: Annabeth sta male, e io ho intenzione di presentarti a Percy! ;)»
Nico sentì una stretta al cuore e l'ansia salire.
Nico, è la tua occasione: coglila o te ne pentirai.
«Ok, verrò. Ma, Jason... prometti che non mi molli in mezzo a un gruppetto di ragazzine urlanti in vestiti strettissimi?»
Jason rise, quindi disse: «Certo che sì! Starò attaccato a te tutta la sera».

Will era più che agitato: sarebbe andato a prendere Nico alle nove e mezza a casa sua, quindi sarebbero andati insieme alla festa e casualmente Nico avrebbe incontrato Jason e, finalmente, lui avrebbe potuto parlarci. Avrebbe capito che genere di persona fosse, se il suo visino quasi perfetto fosse davvero lo specchio di ciò che dicevano in giro: un ragazzo d'oro, sempre a preoccuparsi per gli altri prima che per se stesso, sempre gentile, sempre calmo e divertente, un leader nato che però non s'imponeva mai veramente sugli altri ma che, al contrario, sapeva tirare fuori il meglio da ognuno. Era davvero così, Jason Grace, o era una leggenda metropolitana? Non lo sapeva, ma aveva tutte le intenzioni di scoprirlo.
S'infilò la sua camicia azzurro chiaro, poi cercò di ravviarsi i capelli e di mostrare il suo sorriso più smagliante per nascondere la preoccupazione.
«Will Solace, stai bene e andrà tutto bene. Andrà come deve andare» disse. Le sue parole rimbombarono nella casa vuota, sottraendolo per qualche secondo alla sensazione di solitudine che lo stava sempre più attanagliando. Tutta la sua famiglia era andata a fare un viaggio, lasciandolo a casa a causa dell'ultimo voto che aveva preso in matematica, e non era abituato a girare nell'appartamento da solo. Come faceva Nico a sopportare tutto quel silenzio, per di più in una casa così grande? Se fosse stato in lui, probabilmente si sarebbe rifugiato a casa di un amico finché la madre non sarebbe tornata... ma lui non aveva nessuno da cui rifugiarsi, o meglio, non aveva nessuno che gli avrebbe offerto asilo per qualche settimana.
«Andrà tutto bene, Solace. Tutto dannatamente bene» disse ancora una volta ad alta voce, quindi prese le chiavi di casa e uscì.
La sua macchina era fresca, ma non accese ugualmente il condizionatore e andò dritto verso la casa di Nico. Era stata una sorpresa scoprirsi quasi vicini, ma in quel momento ne era più che felice, e non solo perché Nico era un ragazzo simpatico, ma perché era... qualcuno. Avrebbe dato qualsiasi cosa per annullare la distanza che lo separava dall'enorme villa dell'altro o solo per poter sentir risuonare la sua voce nell'auto, così da non provare più quella terribile sensazione d'abbandono che in quei giorni lo coglieva fin troppo spesso.
«Ehi Nico, sei pronto?» urlò attraverso il citofono.
«Sì, scendo subito!» rispose l'altro. E scese proprio in fretta, per fortuna, talmente tanto che lo vide quasi inciamparsi negli ultimi gradini di casa.
Will non poté fare a meno di osservarlo di sfuggita: i capelli erano ancora un po' umidi – doveva essere appena uscito dalla doccia –, la maglia, ovviamente nera, era più aderente del normale e faceva intravedere un fisico sì magro, ma con un segno di muscoli appena evidenti, come se avesse iniziato da poco ad andare in palestra. I jeans invece erano larghi e strappati, e anche tanto, quindi si vedevano le sue ginocchia appuntite attraverso le aperture. Sì, Will doveva ammettere che stava piuttosto bene quella sera, e non perse l'occasione di farglielo sapere: «Se quel dannato Jackson non ti guarda di sfuggita nemmeno 'sta sera, abbiamo la conferma di una cosa» esordì.
«Del fatto che è più etero di Rocco Siffredi?» rispose acidamente Nico.
«No, del fatto che quei suoi begli occhioni non gli servono a niente».
Nico fece un sorriso tirato, quindi iniziò a torturarsi le mani: «Dici che andrà tutto bene?»
«Certo, Nico. Andrà tutto bene» lo tranquillizzò l'altro, aprendo le sue labbra in un enorme sorriso. Poi, accese la radio e sparò a manetta il suo CD preferito del momento, V dei Maroon 5, e iniziò a cantarlo a squarciagola.
Nico rimase molto sorpreso: «Ehi, hai una bella voce Will!»
«Beh, studio musica da anni. Soprattutto canto e chitarra».
Incuriosito, Nico gli chiese: «Mi farai sentire, un giorno, come suoni?»
«Ti dirò di più: quando sarà il momento giusto, ti farò sentire una canzone mia» rispose lui, sorridendo.
Nico sorrise, ma poi, all'ennesima canzone, esclamò: «Non prenderla male, Will, ma per quanto ami Adam Levine non riuscirei a sentire un'altra sua canzone. Posso mettere qualcosa di mio?» implorò, guardandolo con quei suoi occhioni neri come la notte. E doveva essere parecchio disperato, perché Nico non implorava mai.
«Solitamente direi “auto mia, regole mie”, ma in questo caso farò un'eccezione... e solo perché mi guardi così» rispose Will, estraendo il disco, con un sospiro.
Nico sorrise, quasi si sentisse sollevato dalla sua risposta, quindi gli porse il suo CD. Le note di “Airbag” si diffusero nell'aria.
«E questa che roba è?» chiese Will, leggendo il titolo della canzone.
«I Radiohead, con OK computer... non ti piace?» disse l'altro, con uno sguardo come se lo stesse pregando di dirgli che, sì, quello sarebbe diventato il suo gruppo preferito.
Ci credo che si sente incompreso, se ascolta questa roba...
«Non mi fanno impazzire» iniziò, ma poi vedendo la faccia triste di Nico aggiunse, anche se non ne capì il motivo: «Ma magari è solo perché è musica sperimentale. Insomma, riconosco che sono bravi, devo solo farmi l'orecchio».
E vedendo che Nico, accanto a lui, apriva le labbra in un sorriso a trentadue denti, capì di aver appena firmato la sua condanna. Ma stranamente non gliene importava: era stato un bel regalo quella piega dolce che aveva preso la bocca del suo quasi-vicino di casa.
Arrivarono a destinazione dopo poco meno di mezz'ora. Sulla soglia della porta li accolse un ragazzo dai capelli biondicci e chiarissimi, abbastanza da avere l'aspetto di un Will “annacquato”, e non solo per i colori del suo incarnato e dei suoi occhi, ma anche per il sorriso vagamente antipatico che si aprì sul suo viso. Sembrava quasi che non fosse particolarmente felice di vederli, nonostante avesse invitato tutta la scuola, e questo diede parecchio fastidio a Will che entrò senza spendere troppo della sua allegria. Superata la soglia, iniziò a farsi strada fra la gente e, con l'irrazionale paura di perderselo per strada, afferrò una mano di Nico, cosa che l'altro probabilmente non gradì molto, ma in quel particolare momento non gliene importava: era convinto che lui avrebbe apprezzato più la sua mano che i corpi di qualcosa come cento studenti – tra l'altro sudaticci, visto che la festa era incominciata già da un'oretta buona – a spremerlo come un limone. Lo trascinò finché non si trovò di fronte al gruppetto degli amici di Percy Jackson – e si dava il caso che quello fosse anche il gruppetto dei suoi amici – quindi vi ci s'infilò e salutò tutti con un gran sorriso. Ognuno di loro rispose al saluto, quindi venne il turno di Percy che, per primo, notò Nico: «E questo qui chi è?» chiese, sorridendo.
«Lui è Nico Di Angelo» rispose Will, sempre sorridendo «è un mio amico, quindi trattatelo bene» aggiunse poi, spingendo l'altro avanti.
«Ciao Nico, io sono Percy, piacere!» esordì l'altro, porgendogli la mano.
Come se non sapesse chi sei, stupido di un ragazzo.
Will vide Nico stringere la mano che l'altro gli aveva allungato, e arrossire teneramente. Era davvero evidente come un'insegna a neon che quel ragazzo introverso avesse una cotta per Percy, ma fortunatamente l'altro era abbastanza imbranato per non accorgersene. E lo era anche per non accorgersi dell'espressione delusa che Nico mostrò quando Percy ricominciò a parlare tranquillamente con i suoi amici.
Will gli diede mentalmente dello stupido: Percy era decisamente un bravissimo ragazzo, ma se le cose non gli venivano sbattute in faccia, non riusciva a capire proprio cosa avrebbe dovuto fare. Quindi iniziò anche lui a parlare e fece i salti mortali per inserire anche Nico nella conversazione, e lo fece così bene che, alla fine, riuscì a far dire all'altro ben tre frasi di fila senza essere interrotto.
Ad un certo punto, però, un ragazzo arrivato da poco che Will non conosceva se non di vista, chiese a Nico: «Ehi, ma tu non sei il fratello più piccolo di Bianca Di Angelo?»
Will vide Nico sbiancare. Che gli prendeva tutto d'un colpo? Istintivamente gli mise con fare protettivo una mano sulla spalla, e non seppe mai che fu solo per quello che Nico, in quel momento, riuscì a non cadere. L'altro, intanto, vista l'espressione tetra che era comparso nel viso di Nico, esclamò: «Oh cielo, allora sei proprio tu. Non sai quanto mi dispiace per tua sorella!».
Will sentì Nico sotto le sue dita tremare forte, e rispondere con un fil di voce: «Già» e poi andarsene. Ci vollero alcuni secondi perché Will collegasse i pezzetti: “Di Angelo”... ecco perché la prima volta gli era sembrato un cognome già sentito. Era il fratello di Bianca, quella ragazza che aveva perso la vita in un terribile incidente stradale due anni prima. Si mise subito alla ricerca di Nico per scusarsi di tutti i commenti che aveva fatto sui quadri di sua sorella, di come si erano comportati Percy e i suoi amici, avrebbe voluto scusarsi di praticamente ogni cosa avesse detto o fatto di sbagliato, ma i suoi buoni propositi vennero interrotti bruscamente quando vide dove si era cacciato il ragazzo: era fra due braccia muscolose e chiare, che lo stringevano protettive e fraterne in un abbraccio che, lo poteva percepire fin da lì, era per non far vedere a tutto il resto delle persone che il fragile Nico era sull'orlo delle lacrime. Will si avvicinò a Jason e Nico, indeciso se iniziare a parlare o meno, un po' per paura di ferire ulteriormente Nico, un po' perché non sapeva cosa dire davanti agli occhi azzurri dell'altro. Per fortuna ci pensò Nico a sciogliersi dall'abbraccio proprio nel momento in cui stava arrivando e a dire: «Jason, girati. Questo è Will, un mio amico» per poi indicarlo al ragazzo più grande.
Nico... come fai a far finta di nulla con questa semplicità?
Jason l'osservò un poco, quindi disse: «Ciao Will...» per poi aggiungere: «Ci conosciamo già?»
Oh beh, dipende dai punti di vista. Se due persone si baciano, vuol dire che si conoscono?
«Credo che tu mi abbia solo visto a scuola... sai, faccio greco antico con Nico» rispose invece, tenendo per sé i suoi pensieri. Poi, rivolgendosi al ragazzo dai capelli neri, chiese: «Tutto ok, Nico?»
L'altro annuì piano, quindi si schiarì la voce e disse: «Scusami se non te ne ho parlato prima, ma non volevo scocciarti con cose tristi, quindi...-» s'interruppe, poi riprese a parlare, con le guance leggermente rosate: «E poi mi piaceva come guardavi i quadri di Bianca».
«Sono io che devo scusarmi... sappi che, qualunque cosa, ci sono» disse Will, non trovando parole migliori.
A rispondergli, però, non fu Nico ma Jason, che disse: «Will, puoi accompagnarlo a casa? Io purtroppo non posso farlo, sono venuto con Leo e...-»
Nico però lo interruppe, dicendo: «No, Jason. Non andrò a casa, non 'sta sera» e fece un sorriso tirato. Quindi prese – assurdo! – sia Will sia Jason per un braccio e li portò nel gruppetto di Percy dove fece, improvvisamente sicuro di sé, tutte le presentazioni. E Will non poté far a meno di notare quanto forte fosse quel ragazzetto piccolino e smilzo: sopportare la solitudine di una casa senza lamentarsi, la morte della sorella, i soprusi di Clarisse e l'essere innamorato di un ragazzo decisamente etero era al di sopra delle possibilità di Will, tanto che si sentì sciocco nelle sue paure infantili del buio e del restare solo per qualche giorno in casa sua.
Probabilmente i suoi occhi rivelarono una parte di questi sentimenti, e infatti da lì a poco sentì Jason dirgli sottovoce: «Sembra che qualsiasi cosa possa buttarlo giù, ma alla fine è più forte di me e te messi insieme, vero?»
Will non poté far a meno di annuire, un po' perché le parole si erano improvvisamente bloccate in fondo alla sua gola per i due occhi che, in attesa di una risposta, erano puntati verso di lui, un po' perché il rispetto per Nico stava crescendo talmente in fretta da impedirgli di commentare.

«Sentite, che ne dite di fare un gioco? Mi sto annoiando» urlò a un certo punto un ragazzo, lo stesso che qualche ora prima aveva collegato Nico a sua sorella. La maggior parte della gente se n'era ormai andata, restavano solamente loro e il proprietario della casa che, dal canto suo, si era afflosciato addormentato in un angolo del divano e quindi non li avrebbe disturbati.
Fu Cal – soprannome per Calypso, un nome che molti non sapevano apprezzare, ma che a Nico piaceva perché gli richiamava alla memoria il mito greco –, la ragazza di Leo, a proporre un gioco per una volta diverso dal solito “gioco della bottiglia” o “obbligo e verità”: «Che ne dite se ognuno di noi racconta due storie su di sé, una vera e una falsa e poi gli altri dovranno decidere quale, secondo loro, è quella falsa? Se sbagliano, devono bere».
Tutti accettarono questo innovativo gioco con molto entusiasmo, tanto che la stessa Cal si stupì delle reazioni degli altri, ma non poté che sentirsi realizzata per aver riscosso un tale successo. Percy prese quindi una bottiglia di birra vuota e la mise in centro al cerchio che si stava andando a formare. Quindi, quando tutti si furono seduti, distribuì a ognuno una bottiglia ancora piena di birra e, una volta che pure il suo “regale sedere” – come continuava a chiamarlo Will da tutta la sera ormai – si fu posato a terra, fece girare la loro freccia improvvisata.
Nico cadde nel panico mentre quella ruotava: che storie avrebbe mai potuto raccontare? E, soprattutto, che storia vera avrebbe avuto il coraggio di condividere con gli altri? Era ancora troppo sobrio per mettersi a narrare di quella volta in cui, il primo giorno del secondo anno, era rimasto in mutande perché un passante dei suoi jeans aveva deciso di incastrarsi nella maniglia della porta, o di quel terribile momento in cui aveva perso l'ultimo pullman disponibile e, per la paura di arrivare in ritardo, l'aveva rincorso a piedi per quasi due chilometri sotto lo sguardo di tutto il vicinato.
Per fortuna venne però tolto dall'impiccio: la bottiglia puntò qualcun altro, e quel qualcuno era Jason. Il suo amico si guardò intorno, imbarazzato, piegando le labbra sottili in quella smorfia buffa che gli storceva tutta la cicatrice, a Nico ormai così familiare.
«Allora, direi che tocca a me aprire le danze» iniziò, fra le risatine generali. «La prima storia è molto breve: il motivo per cui ho questa cicatrice è che mi sono spillato – letteralmente – il labbro con una pinzatrice». Dovette interrompersi un attimo, mentre gli altri si consultavano sulla veridicità o meno della sua prima storia, quindi continuò: «La seconda invece è questa: da piccolo avevo un pesciolino rosso, di nome Tommy – non chiedetemi perché avesse quel nome, ma tant'è –, ma un giorno, mentre lui era nel lavandino del bagno in attesa che mia mamma gli cambiasse l'acqua, visto che ero ancora troppo basso per vedere cosa ci fosse dentro al lavandino, pensai bene di lavarmi le mani lì sopra, con tanto di sapone. Tommy morì avvelenato».
Nico rise piano: sapeva perfettamente che quella vera era la prima (e aveva la sensazione che fosse per non farlo bere troppo che Jason aveva raccontato proprio quella), ma la seconda era così divertente che pochi non l'avrebbero votata. E infatti, tutti tranne Nico e Leo decisero che quella vera fosse la seconda... e tutti tranne Nico e Leo bevvero un grande sorso di birra.
Will, stupito, sussurrò a Nico: «Allora è più stupido di quanto sembri!». Nico gli tirò un pugno su una spalla, ma sorrise piano sotto i baffi: sì, Jason era proprio più scemo di quanto apparisse!
Il secondo e il terzo turno furono piuttosto veloci, e in entrambi solamente Will e la povera Cal furono costretti a bere, mentre al quarto turno la bottiglia puntò esattamente una persona: Percy.
«Allora, la prima storia riguarda un poco la mia ragazza» incominciò, provocando commenti un po' spinti nella compagnia e un sorriso tirato sulle labbra di Nico: «La prima volta che ci siamo incontrati, io ero svenuto perché un imbecille mi aveva colpito per sbaglio la testa con una mazza da baseball, e quando mi sono svegliato mi sono ritrovato in infermeria con questa bellissima ragazza dai capelli biondi che cercava di fasciarsi da sola un dito insaccato. Io mi aspettavo il commento del secolo, e invece, appena ho aperto gli occhi, mi ha guardato come se fossi una creatura dell'orrore e ha detto: “Quando dormi sbavi”». Tutti si misero a ridere a crepapelle, immaginandosi la scena – sempre che fosse vera –, e nemmeno Nico non poté far a meno di sorridere di nuovo, questa volta sinceramente divertito.
Certo che Percy è davvero più alla mano di quanto potesse sembrare a prima vista...
«Ehi, ragazzi. Nessuno vuole sentire la mia seconda storia?» urlò poi, per sovrastare tutte le voci che si accalcavano le une sopra le altre. Quindi, dopo che la confusione si placò un po', riprese: «La seconda storia è invece tristemente divertente: un giorno sono andato con un mio amico dark – quindi vestito di nero dalla punta dei capelli fino alle scarpe – a New York. E voi sapete com'è New York: c'è gente ovunque, e una confusione da impazzirci. Comunque ad un certo punto dovevo chiamare questo mio amico, ma visto che chiamarlo a voce era troppo mainstream, ho pensato di tirargli una gomitata sul fianco, tanto – ho pensato – è proprio di fronte a me. Peccato che quello che si è poi girato per rispondermi, fosse un prete e non il mio amico».
Le risate furono generali, ovviamente, e per questo tutti erano convinti che la vera fosse proprio la seconda, e la delusione fu generale quando si scoprì che invece era proprio il contrario.
A Nico toccò il turno successivo, e alla fine si rassegnò a dover raccontare proprio dei pantaloni incastrati nella maniglia, mentre la seconda era talmente mal costruita che tutti, tranne Will, la ritennero falsa.
«Ehi, Will. Tocca a te ora!» esclamò a un certo punto Percy, con fare allegro; aveva bevuto abbastanza, e i suoi occhi erano già da qualche giro piuttosto luccicanti, ma non era nulla in confronto a Will che, invece, aveva dovuto compiere la penitenza quasi ogni turno e, come sospettava Nico, nemmeno troppo involontariamente.
«Allora, la mia prima storiellina è davvero divertente: una volta sono andato in discoteca e a un certo punto mi sono ritrovato una vecchietta tirata a lucido che si stava strusciando contro di me. Mi ha pure morsicato un orecchio, a un certo punto!» iniziò, fra le risate degli amici. Questa volta anche Nico si fece scappare una risata: forse era per l'immagine comica, forse era a causa dell'alcool che aveva in circolo o forse semplicemente perché Will stesso era scoppiato a ridere, contagiandolo, ma anche se le sue labbra si aprirono in un grande sorriso, questo si spense in fretta sentendo l'inizio della storia successiva: «Bene, un giorno invece ero sempre a una festa, ma questa volta non è stata una vecchietta ad avere cattive intenzioni, quanto un ragazzo! E il bello era che, fino a quel momento, tutti avevano supposto fosse banalmente eterosessuale, e invece mi è saltato addosso e...-».
Nico ebbe una velocità di reazione piuttosto alta contando che le bottiglie di birra vuote al suo fianco erano già due, o forse fu proprio per quello che mise in pratica il piano più efficace che, in quel momento, gli venne in mente per zittirlo: si spiaccicò una mano contro la bocca e, dando mostra delle sue – scarse – doti d'attore, simulò un attacco di vomito piuttosto rumoroso. Tutti si zittirono, quindi Nico ne approfittò per afferrare con l'altra mano il polso di Will e lo trascinò in bagno.
«Will, ti rendi conto di ciò che stavi per raccontare?» esordì, non appena varcarono la porta.
L'altro lo guardò con aria smarrita: «Ma tu non stavi male?»
«No, sei tu che sei un idiota, Will» sospirò Nico.
«E perché? Stavo solo raccontando la storia di me e Jason...»
«Appunto, Will, appunto» disse Nico, sempre più scoraggiato.
Ci vollero alcuni secondi perché anche Will si rendesse conto di ciò che era stato in procinto di fare. Poi probabilmente l'alcool agì di nuovo al posto suo, perché si lanciò fra le braccia di uno sconvolto Nico e iniziò a singhiozzare sulla sua spalla: «Oddio, Nico. È che vorrei tanto che lui sapesse che sono io quello che ha baciato quel giorno, vorrei che lo rifacesse di nuovo».
Nico sentì un'inspiegabile stretta al cuore, ma non ci fece caso e quindi rispose: «Va bene, Will. Glielo farai sapere di certo, ma non durante un gioco alcolico, ok?»
L'altro, asciugandosi le lacrime (e un po' di moccio) sulla sua maglietta, rispose: «Giusto, Nico. Hai ragione».
«Senti, ti prometto una cosa: entro la fine della serata o io o te gli racconteremo tutto, va bene?»
«Ti voglio tanto bene, Nico. Grazie» gli rispose l'altro.
Nico lo guardò sconsolato: si ripromise di non ridursi mai in uno stato simile a quello di Will, soprattutto se avrebbe potuto combinare uno dei suoi pasticci o se ci sarebbe stato il rischio di scoppiare a piangere come nulla.
Rientrarono nel salone, quindi tutti gli altri si interessarono della salute di Nico, che rispose con un sorriso debole, che si aprì di più quando notò che i più preoccupati erano Jason, Leo e... Percy. I suoi occhi incredibili lo osservavano con apprensione, come se davvero fosse importante per lui se l'altro stava male o meno, e addirittura una delle sue mani forti si allungò verso il suo ginocchio e gli diede una leggera pacca d'incoraggiamento. Il più piccolo non poté far a meno di arrossire un poco, ma poi si riprese in fretta e disse, tirando di nuovo fuori un coraggio che solo l'alcool gli poteva regalare: «Sentite, questo gioco mi inizia ad annoiare... e se facessimo qualcos'altro?»
Subito Jason lo appoggiò, e propose: «E se tornassimo a un normalissimo gioco della bottiglia? Non dobbiamo nemmeno sforzarci troppo...».
I ragazzi furono entusiasti dell'idea – e chissà perché –, ma lo stesso non si poté dire di Reyna, che fulminò con lo sguardo il suo ragazzo, e di Cal, ancora delusa perché anche la sua proposta era stata bollata come “noiosa”. Alla fine però nessuna delle due fazioni riuscì ad avercela vinta perché, a causa della confusione, il proprietario della casa, che Nico aveva scoperto si chiamasse Octavian, si svegliò e, con l'aria di un bufalo imbestialito, cacciò tutti fuori senza voler sentire storie.
«Nico, dove sei?» sentì urlare a un certo punto. Era la voce di Jason, e ci volle poco tempo perché Nico lo rintracciasse e gli si avvicinasse: d'altronde era il più alto del gruppo e i suoi capelli biondi spiccavano fra gli altri. Quello teneva fra le braccia un Will che a mala pena si reggeva in piedi, e a dirla tutta nemmeno il suo migliore amico era proprio sicuro sulle sue gambe. Di Reyna non c'era traccia (forse si era allontanata con la sua amica Cal e con Leo), fatto sta che quei due non sarebbero andati molto lontano, lasciati così alla deriva. Quindi Nico corse loro incontro e chiese al più piccolo: «Dove hai lasciato la macchina?»
L'altro rise e disse: «Oh, non lo so... forse qui, forse là...»
Sopportare un ubriaco è più difficile di quanto pensassi.
«E tu,» chiese Nico, rivolgendosi questa volta al suo migliore amico «dove hai lasciato la macchina?»
L'altro gli rispose che si trovava nel parcheggio a qualche isolato da lì: non aveva trovato posto davanti all'abitazione di Octavian e quello era il più vicino. Nico quindi afferrò le spalle di entrambi, una per mano – quella sera le sue dita avevano stabilito il record di contatto umano volontario, ma Nico non riusciva comunque a reprimere la sensazione di disagio che ne derivava –, quindi disse: «Bene, ora io vado a recuperare la tua macchina, Jason, se mi dai le chiavi...» s'interruppe un attimo per afferrare il portachiavi a forma di palla da calcio che l'altro gli porgeva, quindi continuò: «Voi mi aspettate qui. E non muovetevi, chiaro? Altrimenti giuro che mi arrabbio» e lo disse con una voce talmente seria e minacciosa che entrambi non poterono far a meno d'impallidire e annuire velocemente.
Ora devo solo sperare che questi due non si mettano nei pasticci...

Will era estremamente felice. Tutto ciò che guardava gli pareva bellissimo, il mondo girava in modo gradevole, e l'odore di pioggia che proveniva dal cielo gli annebbiava piacevolmente i sensi.
Aveva uno dei suoi sorrisi stampati in volto, e questo si allargava sempre di più ogni cosa che faceva, e non sembrava avere intenzione di richiudersi in qualche modo, soprattutto quando si accorse che era seduto affianco a Jason Stramitico Grace. Il suo profilo non era mai stato così vicino a lui e non gli era parso mai così familiare, e quella piccola cicatrice, ormai, era certo di poter dire di conoscerla a memoria.
Stava benissimo con la camicia, e i jeans gli fasciavano le gambe – e il fondo schiena, ma questo era convinto che non fosse il caso di farglielo notare – in modo sublime, tracciando i contorni dei suoi muscoli decisamente sviluppati e mascolini. Sì, doveva essere un bellissimo spettacolo poterli vedere da più vicino, e doveva esserlo anche poterli saggiare con i polpastrelli. Allungò quindi le dita e le posò sulla coscia dell'altro, facendole vagare, incuriosite, fino al ginocchio, per poi farle risalire fino quasi al linguine, dove però furono bloccate da quelle più forti e decise di Jason.
Perché l'aveva fermato? Era lui che l'aveva baciato per la prima volta, non aveva il diritto di impedirgli di toccarlo.
«Che stai facendo, Will?» chiese, più stupito che infastidito.
Will osservò ancora per qualche secondo il viso di Jason, studiandone ogni particolare, perdendosi in quegli occhi azzurri e cristallini, senza macchia o paura, sulle labbra sottili, sulla mandibola squadrata, sulla sottile cicatrice biancastra che rendeva, paradossalmente, quel ragazzo ancora più perfetto. Will sorrise e rispose: «Ti sto baciando».
Jason spalancò gli occhi, ancora più scioccato, quindi incominciò: «Ma non mi stai b...-» ma fu costretto a interrompersi, quando le labbra morbide e calde dell'altro si attaccarono alle sue.

Jason si ritrovò completamente impreparato. Non lo era mai stato a scuola, non lo era mai stato nell'aiutare Nico durante la sua problematica vita, non lo era stato mai durante le partite di calcio, non lo era mai stato e basta... mai, ad eccezione del momento in cui si era trovato con le labbra di Will unite alle proprie.
Eppure avevano un qualcosa di già sentito, quelle labbra, conosceva già il loro sapore e la loro consistenza, il loro calore e la loro dolcezza, e l'attimo dopo non era più impreparato: Jason si ricordò della sua prima – e ultima – vera sbronza, quella che gli aveva gettato in faccia la verità sul suo orientamento sessuale, quella che era passata alla storia della squadra di calcio come la “serata in cui il capitano si è fatto a caso un altro ragazzo”. E, visto che era piuttosto certo che l'unico momento in cui la sua memoria aveva fatto cilecca fosse stata proprio quella, e che quindi l'episodio accaduto si poteva considerare unico nel suo genere, Jason fece due più due e arrivò alla conclusione che era proprio Will quello a cui si era incollato.
Cercò di approfondire il contatto, aprendo la bocca e lasciando che l'altro vi penetrasse, allungando le mani sulla sua schiena e stringendolo come aveva fatto quella sera: le sensazioni erano identiche, non c'era nulla da fare. Il suo sangue ricordò ciò che era avvenuto e, come allora, incominciò a pompare più forte di quanto avesse mai fatto, le sue mani affondarono ancora di più nella carne morbida e nei capelli ricci dell'altro che, come di riflesso, si premette forte contro di lui, come se fosse tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Errore.
La sua testa andò in completo cortocircuito: la prima volta, l'altro si era allontanato da lui dopo poco, troppo sconvolto per reagire, mentre questa volta le sue dita si stavano pericolosamente avvicinando all'inguine. Le immagini divennero confuse, i ricci dorati di Will non furono più ricci, ma divennero neri e ondulati, troppo lunghi per essere i suoi, Jason immaginò che il corpo che lo stava abbracciando e baciando non fosse così alto e muscoloso, ma più sottile, la sua pelle più chiara, le sue dita più magre e allungate e i suoi occhi neri come la pece.
Si staccò velocemente dall'altro, allontanandolo con i palmi delle mani. Non sapeva cosa dire, non sapeva che pensare, e l'alcool stava solo peggiorando la situazione già di per sé complicata. Non ci voleva un genio per capire cos'era avvenuto, eppure tutto gli pareva così confuso da non riuscire a capire dove esattamente era iniziato e dov'era invece finito il bacio dato a Will.
«Ho fatto... ho fatto qualcosa di sbagliato?» chiese il ragazzo, improvvisamente cinereo in viso, cosa assai strana visto il colore abituale delle sue gote.
Jason deglutì: «No, niente» rispose, cercando di fuggire dal suo sguardo.
Con un bacio sono riuscito a commettere tre tradimenti: verso Reyna, la mia ragazza, verso Will, che avrei dovuto avere in mentre mentre lo baciavo, e verso il mio migliore amico. Si interruppe per qualche secondo, faticando a formulare nella sua mente il nome a cui corrispondeva la definizione di “migliore amico”. Nico.

Nico impiegò più tempo del previsto a recuperare l'auto di Jason, e si perse due volte prima di ritrovare la casa di Octavian. Stava sperando con tutto se stesso che nessuno dei due avesse fatto qualcosa di cui, più tardi, si sarebbe pentito e nel frattempo, probabilmente per inclinazione professionale, stava anche implorando tutti gli dei dell'Olimpo – in particolare Ade – perché non lo facessero schiantare contro un palo (aveva a malapena superato l'esame di guida, e solitamente non era lui a guidare, soprattutto se si trattava dell'enorme – e bellissima – Volvo di Jason) e quindi morire fra le lamiere.
Su, due curve e dovresti essere arrivato. Dai Nico, ancora un poco, e poi...
Vide Jason che stringeva Will fra le braccia, e l'altro che invece allungava le mani verso la cerniera del suo migliore amico, come se non avesse idea di trovarsi in mezzo a una strada.
Ma che accidenti...?
Vide Jason che improvvisamente, come appena ridestatosi da un sogno, spalancava gli occhi azzurri e spingeva lontano Will.
Cosa stai facendo, Grace?
Non aspettò di scoprirlo, quindi aprì la portiera e la chiuse rumorosamente, facendo sobbalzare entrambi. Non s'impietosì di fronte alle facce sconvolte e sull'orlo delle lacrime l'una, colpevole l'altra, quindi urlò: «Si può sapere che cazzo pensavate di fare?»
Will disse: «Io niente, l'ho solo baciato...-»
Jason rispose: «Io...-»
Nico sentì uno strano sapore di sangue raschiargli a fondo la gola, quindi rispose, interrompendoli: «Will, tu non avevi intenzione solo di baciarlo... e tu, Jason, hai una fottuta ragazza, te lo vuoi ficcare in testa?».
Entrambi abbassarono lo sguardo, colpevoli, quindi Will scoppiò a piangere e Jason emise un verso a metà fra un ringhio e un singhiozzo.
Gestire degli ubriachi diventa sempre più difficile. Pensò, e ne fu ancora più convinto quando Jason l'afferrò e lo tirò dentro un abbraccio, a cui si aggiunse dopo poco un lacrimoso Will. E Nico si sentì strano: la sensazione di claustrofobia che ogni volta gli provocava un abbraccio, in particolare quando ad abbracciarlo erano persone decisamente più alte e grandi di lui, si fece sentire, ma questa volta fu superata da un calore che iniziava a salirgli su per il petto, fino ad avvolgerlo del tutto nel suo tepore confortante e infinitamente dolce.
Pensava di aver appena provato il massimo del calore che le relazioni umane potevano dare, quando sentì un ennesimo peso aggiungersi sulla sua schiena. Anche questo era caldo, forse ancora più dei due precedenti, ma il suo odore di cloro sovrastava quello degli altri. Il naso di Nico si arricciò un poco, mentre il suo stomaco si contorceva e il suo viso, fortunatamente nascosto dai corpi degli altri due, diveniva rosso come un pomodoro maturo al pensiero di chi li stava abbracciando. E se fino a cinque secondi prima si trattava solo di una timida ipotesi, il suono della sua voce la fece divenire realtà: «Ehi, ragazzi! Avete appena dato inizio a una nuova festa?»
L'atmosfera sognante si spezzò in un secondo: Jason si scostò in fretta, avendo cura di allontanarsi soprattutto da Will, quest'ultimo invece portò le braccia lungo il corpo e strinse forte i pugni, cercando di non far vedere gli occhi ancora arrossati, mentre Nico internamente urlava di terrore. Si voltò e si ritrovò di fronte Percy Jackson, con il suo solito sorriso amichevole, con le sue solite braccia levigate dagli allenamenti in piscina e dall'acqua stessa, con il suo solito sguardo che ricordava pericolosamente l'oceano. E quello sguardo era puntato proprio verso di lui, che a malapena riusciva a sostenerlo.
«Oh, Percy!» esclamò Will, facendosi evidentemente coraggio. «Non ti avevamo visto...»
L'altro ridacchiò un poco, quindi disse: «L'avevo capito che non mi avevate visto».
Solo in quel momento Nico notò il leggero imbarazzo che aleggiava negli occhi del nuovo arrivato, e solo in quel momento si accorse dell'enorme tragedia che era avvenuta: se Percy aveva visto la scena, Jason si trovava nei guai, in enormi guai.
«Ehm, Percy, posso parlarti un secondo?» chiese quindi Nico, rispondendo al muto grido d'aiuto che gli stava indirizzando con gli occhi il suo migliore amico.
«Sì, certo» acconsentì l'altro, allontanandosi dal gruppetto.
Una volta che furono lontani dal corpo del reato – che in questo caso era il corpo di due adolescenti problematici e in piena crisi ormonale, come i fatti avevano appena dimostrato – iniziò: «So cos'hai visto. Ecco, è stato un errore madornale, Jason lo sa... quindi che ne dici di non spargere la voce in giro? Se Reyna lo scoprisse...»
Nico vide un lampo di delusione passare negli occhi di Percy, e quindi dire, quasi offeso: «Ehi, ma per chi mi hai preso? Non vado a spifferare i fatti altrui, io.»
«No, scusami... cioè, io intendevo...-» incominciò Nico, torturandosi le mani per l'imbarazzo.
«Tranquillo, scherzavo. Ho capito cosa intendevi. Ed è ok, va bene» disse l'altro, con un sorriso. Poi aggiunse: «Anzi, se avessi bisogno di una mano, non aver paura di venire da me, ok? Will è anche mio amico, e non so cosa potrebbe fare una Reyna infuriata, quindi...»
Nico sorrise, con le gote che si andavano a imporporare: «Lo farò. Grazie, Percy».
Allontanandosi da lui, Nico provò una certa soddisfazione egoista: se Will e Jason non si fossero ubriacati, se Will non avesse baciato Jason, se Jason non l'avesse ricambiato – almeno per un momento – e se Percy non li avesse visti, lui e il ragazzo dei suoi sogni non si sarebbero probabilmente più nemmeno salutati a scuola. Adesso invece avevano un segreto in comune e, per quanto questo fosse un segreto da non rivelare a nessun costo, il legame fra loro si stava andando a inspessire.
Forse era una cattiva persona a pensare questo, ma a Nico, per la prima volta nella sua vita, non importava affatto: aveva un sogno, e aveva intenzione di realizzarlo. E, in fondo, era umano anche lui. Chi l'aveva detto che non poteva sbagliare, cadere e infangarsi un poco?

La mente di Will lavorava ai trecento all'ora: aveva baciato Jason, lui l'aveva ricambiato – e anche con una certa convinzione –, quindi senza un motivo apparente l'aveva respinto. Analizzando tutto ciò che aveva fatto, non c'era stato movimento che gli era parso sbagliato o, almeno, non abbastanza da farsi scacciare in un modo simile.
L'alcool era ancora in circolo, lo sentiva bene, ma neppure la consapevolezza che quella sostanza abbassava notevolmente le barriere imposte dal pudore gli impedì di scoppiare, per l'ennesima volta, a piangere come un bambino.
Ho rovinato tutto, e non so nemmeno come ho fatto.
Vide Nico avvicinarsi a lui, con aria preoccupata. Era strano come quel viso che, fino a pochi giorni prima gli pareva simile a tanti altri, ora possedesse delle sfumature che prima non era riuscito a cogliere appieno: le sopracciglia avevano una forma particolare, non erano né dritte né arcuate, ma una via di mezzo fra le due, il corpo non era poi così magro e ossuto, pareva più che altro che dovesse ancora sbocciare, come se la muscolatura stesse aspettando, paziente, di farsi intravedere con più decisione sotto la pelle e i suoi occhi non erano più solo neri, ma avevano un vuoto dentro che l'attirava terribilmente, quasi come la luce che tutti dicevano appartenergli desiderasse venir risucchiata in quelle tenebre perenni. Non era bellissimo, Nico Di Angelo, ma Will comprese il suo fascino, quindi sorrise un poco fra le lacrime e scoppiò a ridere.
«Will, promettimi che non ti ridurrai più in questo stato» esclamò a un certo punto Nico, vedendolo passare da un pianto disperato a una risata profondamente divertita.
«Te l'hanno mai detto che hai dei begli occhi?» gli chiese Will, cercando di non ridere.
Nico sospirò, con le gote un po' arrossate: «No, non me l'hanno mai detto».
«A me invece lo dicono tanto spesso» esclamò Will, ridendo sempre di più.
«Ci credo: hai gli occhi azzurri, e per lo più molto chiari» rispose Nico, con un'espressione sconsolata e rassegnata.
«Eppure i tuoi sono più belli» rise di nuovo Will, e non si diede pena di rispondere alla richiesta di una spiegazione da parte dell'altro, ma si limitò a continuare a ridere come se tutto ciò gli sembrasse la cosa più divertente a cui avesse mai assistito.
È che sono un completo idiota, Nico. E ho subito molto meno di te. E i tuoi occhi sono stupendi, i miei freddi e lontani.
«Senti, io sono andato a recuperare la macchina di Jason per un motivo. Che ne dite se lo metto in pratica?» esclamò ad un tratto Nico, rivolgendosi in primis a Will, ma anche a Jason e Percy che, lì vicino, avevano assistito al dialogo nonsense avvenuto fra i due e che continuavano a guardarli come se sulla loro testa aleggiasse un enorme punto interrogativo.
E fu proprio Percy il primo a rispondere: «Se potreste accompagnare anche me, sarebbe fantastico: ero venuto con Jack – ehm, non mi ricordo il cognome –, ma mi ha mollato qui e sono senza macchina, quindi...-»
«Se hai la patente, ti lascio direttamente la macchina. Di Nico non mi fido molto» rispose Jason, con una risata.
Percy acconsentì, quindi tutti salirono sull'auto. A metà strada Jason si rese conto che, non potendo guidare, o Percy sarebbe stato costretto ad andarsene a casa a piedi, oppure la sua macchina non sarebbe stata parcheggiata nel suo garage, quella sera. Alla fine però, dopo qualche riflessione condivisa e parecchie rassicurazioni da parte dell'autista improvvisato, Jason optò per la seconda scelta e, pur con un groppo in gola, acconsentì che l'altro se ne tornasse a casa con la sua auto.
La prima tappa fu la villetta di Nico, dove Will iniziò a fare scenate da bambino di cinque anni che ha appena finito di vedere in televisione l'Esorcista; alla fine Nico gli permise di dormire da lui – d'altronde sua mamma era fuori casa e, se per una volta trasgrediva le regole, non sarebbe morto nessuno –, quindi lo fece salire e gli indicò da perfetto uomo di casa la stanza degli ospiti.
Passarono cinque minuti che Will fece capolino nella sua stanza dicendo che la camera che gli era stata assegnata era troppo lontana dalla sua, e che quindi sarebbe stato come se non fosse nemmeno in compagnia. Nico, impietosito dal suo viso spaurito e per tutto ciò che gli era capitato quella sera, gli propose di stare svegli insieme in soggiorno a vedere film – possibilmente non horror – e, questa volta, gli indicò il divano.
Mise nel lettore DVD uno dei suoi film preferiti, Bastardi senza gloria di Tarantino, quindi si accoccolò anche lui fra i cuscini e si godette, un fantastico – e non solo metaforicamente – Tenente Aldo Raine alle prese con i Nazisti e Hitler, finché non sopraggiunse il sonno.

Il mattino seguente Nico si svegliò per un raggio di sole di troppo che riuscì a passare fra le tende azzurre del salone. Si stropicciò gli occhi, quindi si rese conto che più della metà del suo corpo era sepolta sotto un altro, quello di Will. L'altro ragazzo si era infatti addormentato con la testa appoggiata al suo petto, le gambe sul divano e le braccia a stringergli la vita, manco fosse un pupazzo di pezza. Sarebbe stata un'immagine dolce – con i riccioli di Will illuminati dal sole, le sue lunghe ciglia chiare che brillavano e il suo solito calore – se non fosse che un rivoletto di bava colava da un angolo della sua bocca e si andava a poggiare proprio sulla maglietta di Nico. Il ragazzo quindi, cercando di non svegliare l'altro ma rendendosi allo stesso conto che sarebbe stato praticamente impossibile non farlo, cercò di sfilarsi da sotto il corpo di Will. Come previsto, però, quello si svegliò e si mise a sedere, solo dopo qualche secondo passato a cercare di capire in che luogo si trovasse.
«Quando dormi sbavi» disse Nico, con una smorfia.
«Chissà perché, ma questa frase mi suona familiare...» rispose invece Will, massaggiandosi la testa. Non aveva decisamente una bella cera e i suoi occhi erano ancora annebbiati dal sonno.
Nico, finalmente in grado di muoversi, si alzò e si diresse in cucina per preparare la colazione. Purtroppo, però, le uniche cose che trovò nel frigo erano o scadute – vedi latte e uova – oppure per niente appetitose – vedi cetrioli sottaceto –, quindi optò per dei miseri cereali trovati in fondo alla dispensa e una macedonia di frutta. Non ci volle molto che Will si alzò e lo trovò in cucina a sbucciare una pesca, quindi, senza dire mezza parola, afferrò anch'egli un coltello e lo aiutò con la sua operazione di alta precisione. Col suo aiuto, in pochi minuti ebbero finito e riuscirono a mangiare qualcosa che somigliasse a una colazione, ma poco dopo si accorsero che la lancetta delle ore era posata sull'uno già da un po', quindi alla fine decisero di uscire direttamente e di andare a mangiare un pasto decente.
Il viaggio che li condusse fino a un ristorante fast food fu molto più piacevole del previsto: nonostante entrambi avessero mal di testa e i corpi stanchi per la nottata passata, chiacchierarono amabilmente per tutto il tragitto, come se una sera del genere li avesse avvicinati. Will si ricordava molto poco di ciò che era successo, e purtroppo quel poco che non aveva dimenticato a causa dell'alcool era quello che più pesava nel suo cuore. Eppure si sentiva stranamente sereno stando vicino a Nico, forse perché l'aveva accolto in casa sua come se si conoscessero da sempre, forse perché l'aveva aiutato quando era in condizioni terribili, forse perché non l'aveva ricacciato in camera degli ospiti quando era spuntato dietro la sua porta, forse perché aveva smesso di ripetergli ossessivamente “Non toccarmi” ogni volta che lo sfiorava per sbaglio o per abitudine. E Nico sorrideva e rideva alle sue battute, faceva ironia – sarcastica, perché d'altronde non si poteva pretendere molto da lui in questo campo – e addirittura allungava le mani lui stesso per tirargli qualche buffetto amichevole o di protesta.
Eppure la presenza minacciosa di una terza persona aleggiava fra loro: Jason. Se Will era terribilmente in imbarazzo a parlare di lui e sentiva di avere fra le mani l'ultimo pezzo del puzzle e di continuare a rigirarlo nel modo sbagliato senza che quello trovasse la sua giusta collocazione, Nico era sinceramente preoccupato per l'amico. Si fidava istintivamente di Percy, ma aveva la sensazione che ciò che era successo non sarebbe caduto nel dimenticatoio e che, quando meno se l'aspettavano, sarebbe scoppiato un pandemonio senza fine, e proprio Jason sarebbe stato l'occhio del ciclone.






 


Note capitolo:
In questo capitolo ci sono delle citazioni più o meno dirette all'opera originale, come la prima frase che Annabeth dice a Percy appena si sveglia al Campo Mezzosangue o il modo in cui Jason si è procurato la cicatrice sul labbro.
Le altre storie raccontate dai protagonisti, invece, sono direttamente accadute a me. Ridete pure xD
Il film Bastardi senza gloria (titolo originale: Inglourious Basterds) è stato diretto da Quentin Tarantino e uscito nel 2009.
Il capitolo è più lungo del solito perché è il perno di tutta la storia! Gli altri saranno un po' più brevi, tranquilli.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


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Capitolo III

Jason tornò a scuola con un enorme peso nel petto: questa volta l'alcool non era stato sufficiente a fargli dimenticare il bacio dato a Will, e nemmeno il desiderio che fra le sue braccia non ci fosse il ragazzo biondo, abbronzato e solare ma il suo esatto opposto, quello dai capelli corvini, la pelle chiara e che centellinava le parole. Si sentiva in colpa, terribilmente in colpa, soprattutto dopo aver scoperto che Reyna era stata male quella sera e che per qualche giorno non sarebbe tornata a scuola.
Attraversò il corridoio, facendosi strada fra un centinaio di studenti che chiacchieravano, scherzavano, si divertivano, quindi vide quello che invece si limitava a starsene impalato sullo stipite della porta della sua classe, quasi come se stesse aspettando qualcuno. Jason allora incominciò ad aumentare il passo per raggiungere Nico, ma poco prima che l'altro incontrasse il suo sguardo, Will sbucò dal nulla e gli rivolse un luminoso sorriso, che Nico – assurdo! – ricambiò appieno. Tra i due sembrava essere nata una certa complicità, tanto che Will ogni tanto posava le sue mani sulle spalle magre dell'altro, e il suo migliore amico non si scostava. Si sentì improvvisamente fuori posto: com'era possibile che Nico si facesse toccare con tanta confidenza? Come mai sorrideva così tranquillamente, mostrando addirittura, di tanto in tanto, i denti bianchi? Un pensiero si fece strada nella mente di Jason: che la sera della festa fosse successo qualcosa fra i due? Che Will e Nico avessero...
No, frena. Nico non lo farebbe mai, e poi è cotto di Percy.
Jason sospirò, quindi andò da loro e tutti i pensieri negativi scomparvero quando vide negli occhi di Nico passare una scintilla di felicità nel vederlo, un po' come se si fosse chiesto “Ma dov'è finito Jason?” e l'avesse cercato fino a quel momento. Si sentì decisamente rincuorato da questo, quasi abbastanza da ignorare invece l'imbarazzo palese di Will e il rumore delle chiavi con cui aveva cominciato a giocherellare per distrarsi. Quasi.
«Allora, com'è andata la vostra divertentissima lezione di greco antico, ragazzi?» chiese quindi, cercando di smorzare la tensione.
«Lo sai benissimo che a me piace greco, Grace» sbuffò Nico, guardandolo storto. Aveva sempre reagito così, ed era stranamente confortante ricevere la stessa risposta anche quando a Jason pareva che l'amico si allontanasse sempre di più da lui.
«Lo so, lo so» rispose quindi, sorridendo. Quindi aggiunse: «Sentite, vi va di venire oggi pomeriggio a vedere la partita?»
Ma Jason non ricevette risposta, e dovette solo seguire lo sguardo di Nico e Will per capire il motivo: Percy Jackson stava venendo verso di loro, e con un'aria seria o, per meglio dire, funerea.
Fu Nico, stranamente, a rivolgergli per primo la parola: «Che succede, Percy?»
L'altro lo guardò come un cucciolo bastonato: «Allora, Jack mi ha detto che Christian gli ha detto che Louis gli ha raccontato che...-».
«Vai al sodo» lo interruppe questa volta Will.
«Sentite, io non so come possa essere accaduto, ma...-».
«Essere accaduto cosa?» chiese quindi Nico, con quell'aria minacciosa che però Jason sapeva riconoscere come espressione della sua preoccupazione.
«Sta girando la voce che Jason abbia tradito Reyna...-».
Jason saltò sul posto, diventando improvvisamente pallido: «Chi? Come...?» balbettò.
«... Con Nico» concluse poi.

Nico dovette sbattere le ciglia più volte per rendersi conto di ciò che Percy stava dicendo loro: la voce era che lui e Jason... no, non riusciva nemmeno a portare a termine il pensiero, era troppo strano da immaginare. E indoviniamo con chi se la sarebbero presa? Bravi, risposta esatta: con Nico Sfigato Di Angelo.
Si passò una mano fra i capelli e incontrò gli sguardi sconvolti degli altri due: Jason aveva un volto cinereo, tanto che, più che sembrare avesse visto un fantasma, sembrava egli stesso un fantasma, invece Will aveva le pupille degli occhi dilatate e una sottile linea di colpa si stava insinuando piano nelle sue iridi celesti. Percy, dal canto suo, non sapeva cosa fare: stava spostando il peso da un piede all'altro con agitazione, senza riuscire in qualche modo a stare fermo.
«Sai chi ha diffuso questa voce?» chiese ad un tratto Nico.
Percy, quasi felice che glielo si chiedesse, ripose subito: «Uno dice di averlo sentito da un'amica di Reyna, ma ben due da Octavian».
Certo, ha senso, d'altronde è avvenuto tutto sotto casa sua. Ma perché io e non Will?
Non ci fu bisogno di porre ad alta voce la domanda, perché Percy gli rispose inconsapevolmente: «Dice di aver visto Grace che tirava per un braccio Nico e lo baciava. Credo fosse il momento in cui invece avete fatto l'abbraccio di gruppo, vero?»
«Sì» rispose a sorpresa Jason. Nico poteva intravedere dietro ai suoi occhi i pezzi di puzzle che si andavano a sistemare al loro posto, e quindi lo vide passarsi prima veloci le dita fra i corti capelli biondi e poi leggere sulla cicatrice che aveva sul labbro. Era quella la sua espressione di preoccupazione, con quei due gesti sfogava tutte le emozioni che provava e, paradossalmente, le ricacciava dentro di lui per non farle poi più uscire se non davanti alle persone di cui si fidava ciecamente.
«Devo parlare con Reyna prima che lo venga a sapere da altre vie» esordì poi, con voce seria e controllata, come se stesse decidendo la strategia per una partita di football.
«Purtroppo temo lo sappia già: nella mia classe di francese c'è una grande amica di Reyna, Calypso – non so se la conoscete! –, e l'ho vista chiamare qualcuno in un angolino tutta preoccupata» disse sconsolato Percy.
«Penso che prima vorrà sentire la tua versione, però» cercò di consolarlo Nico, notando i suoi occhi divenire sempre più duri.
Oh Jason, smetti di voler essere perfetto. Si ritrovò a pensare Nico, vedendo gli effetti dell'opera di soffocamento di sentimenti che stava mettendo in atto. Aveva la sensazione che, così, si sarebbe messo molto più nei guai di quanto volesse immaginare, eppure non era la persona più adatta a dare consigli di questo tipo. Quando era morta Bianca, Nico si era rinchiuso in un guscio impenetrabile e solo dopo mesi Jason era riuscito – più con le cattive che con le buone maniere – a strapparlo da lì; aveva pianto con due mesi di ritardo, fra le braccia del suo migliore amico aveva spremuto fuori ogni goccia di dolore che si era tenuto stretto per paura che di Bianca gli rimanesse solamente quello, e aveva lasciato che le lacrime che avrebbe dovuto tirar fuori al suo funerale vicino a sua madre scorressero finalmente libere sulle sue guance. Che diritto aveva, quindi, di dire all'amico cosa fare e cosa no?
«La mia versione non cambierà di tanto, Nico» disse quindi Jason, con le dita che di nuovo andavano a cercare la propria cicatrice.
Quindi intervenne Will: «Io credo che sia meglio tu le dica la verità: che hai... sì, che è successo con me» disse.
«No, escluso» disse Nico, sorprendendosi lui per primo. Da dov'era spuntato tutto quel coraggio? «Io sono sotto mira già da tempo, e so gestire queste cose. Tu no, Will. Lascia perdere». E stranamente era vero: non voleva che Will divenisse il bersaglio di commenti acidi, di battute a doppio senso, di scherzi di cattivo gusto e in genere di tutto ciò che succedeva a lui. Se c'era una cosa che voleva evitare, era che qualcun altro subisse ciò che sopportava lui, e d'altronde a lui ormai non pesava più molto: erano tre anni che andava avanti quella storia ed erano tre anni che in realtà per lui la situazione era migliorata, quindi a lui non sarebbe cambiato assolutamente nulla. Inoltre adesso aveva degli amici che lo aiutavano, amici che potevano tirarlo fuori dai guai se necessario, come aveva fatto Will o come aveva fatto Jason per anni, ma non era solo e questo lo rendeva più forte di prima. Non erano più le medie, quando lui da perfetto ingenuo aveva confessato i suoi sentimenti a un ragazzo più grande e quello l'aveva sbeffeggiato per un anno intero, non erano più gli anni in cui se ne stava sempre solo: ora aveva qualcuno accanto e si sentiva sicuro di se stesso e delle mani che l'avrebbero aiutato.
Il trillo della campanella interruppe i suoi pensieri, quindi ognuno di loro si allontanò per la propria strada: quell'ora nessuno avrebbe avuto una materia in comune.

Will non riusciva a non pensare a due cose, completamente opposte fra loro. Primo pensiero: Nico era terribilmente forte, anche se le sue braccia erano più simili a quelle di un ragazzino appena entrato nell'adolescenza, e da questo si rese conto che i suoi muscoli allenati non avrebbero potuto nulla contro di lui. Secondo pensiero: se anche avesse potuto fare il culo a chiunque con quel suo caratterino, nella loro scuola non bastava la forza d'animo, anzi, serviva molto più quella delle braccia.
Aveva la sensazione che questa volta non se la sarebbe cavata con poco, che il putiferio che stava per avvenire l'avrebbe sballottato troppo e lanciato lontano da lui, lontano da tutti quelli che lo consideravano un amico. Fu proprio quando il professore di matematica iniziò il ripasso sulle proporzioni che Will si fece una promessa: sarebbe dipeso da Nico, se lui fosse cambiato avrebbe assecondato questo suo cambiamento, se si fosse allontanato lui l'avrebbe seguito, se si fosse avvicinato glielo avrebbe permesso. Si sentiva in debito con lui, e non solo perché aveva deciso di prendere tutto – o quasi – il peso che sarebbe derivato da quello stupido pettegolezzo sulle sue spalle, ma anche perché era stato gentile con lui, a modo suo.
No, non l'avrebbe lasciato a se stesso, avrebbe fatto qualsiasi cosa perché non si facesse del male per colpa sua. Sarebbe stato la sua ombra, il suo medico personale... il suo amico.

Jason non riusciva a seguire la lezione. La sua testa andava a una velocità esagerata e lui stesso non riusciva a raggiungere i propri pensieri e a coglierli in tempo, prima che già un altro prendesse il posto del precedente.
Perché non si era opposto alla scelta di Nico, poco prima? Perché non gli aveva dato dello stupido e non gli aveva detto che per lui, così, le cose sarebbero solo peggiorate? Per quale motivo adesso non si era infilato nella sua classe di nascosto (d'altronde l'aveva già fatto altre volte) e non gli stava accanto? In realtà aveva la risposta a ognuna di quelle domande, ma aveva paura di accettarla.
Reyna si sarebbe infuriata di certo, e poi lo avrebbe lasciato. Ma non sarebbe stata una di quelle che si sarebbero scagliate contro Nico, lei se la sarebbe presa solo e solamente con lui, e per il momento era l'unica cosa positiva di quella storia: qualcuno doveva arrabbiarsi con l'unico vero colpevole della situazione, non semplicemente sfogarsi su quello che meno sapeva difendersi. E Jason quasi desiderava che qualcuno lo insultasse e lo riempisse di pugni, perché sentiva di meritarseli dal primo all'ultimo, e non solo per ciò che effettivamente aveva fatto, ma anche per ciò che non aveva fatto e soprattutto per il perché.
Non aveva impedito a Nico d'immolarsi come un agnello sacrificale per la felicità di Jason e di Will perché, in fondo, lui si sentiva così meno bugiardo. Aveva immaginato fosse Nico a baciarlo, ed era con Nico che, in fin dei conti, aveva tradito Reyna; perché, quindi, impedire alle persone di sapere la verità? Non stava mentendo, non stava fingendo, e offrendosi come capro espiatorio Nico aveva come ricambiato il suo... sentimento che ancora non comprendeva.
Dovette finire la lezione perché riuscisse a giustificare anche la seconda cosa che non aveva fatto, e rispondere quindi all'altra grande domanda. Non era accanto a Nico perché si sarebbe allontanato da lui: doveva staccarsi da quegli occhi neri e dalle sue braccia bianche; era colpa di Nico se adesso lui si trovava in quella situazione, anche se non l'aveva fatto apposta, anche se n'era inconsapevole, quindi doveva allontanarsi, tirare una linea netta che separasse Jason Grace da Nico Di Angelo.
E poi, si disse lo faccio anche per il suo bene: è meglio che la gente non ci veda insieme, o potrebbe ancora più prenderlo di mira.
E con questo pensiero arrivò alla conclusione che stava dalla parte del giusto, anche se il suo cuore gli diceva tutt'altro.

****

Nico era a dir poco furioso: era trascorsa una settimana da quando Percy era venuto lì da loro tutto trafelato a riferire La Terribile Notizia, ed era trascorsa una settimana da quando Jason era scomparso dalla circolazione. I primi due giorni si era limitato a far di tutto per non incontrarlo nei corridoi, ma se succedeva faceva finta di nulla e gli parlava come al solito, ma poi la situazione era peggiorata e lui aveva incominciato ad accampare scuse su scuse per non parlargli, per non accompagnarlo a casa, per non fare niente di niente con lui, tanto che a Nico pareva volesse troncare definitivamente ogni contatto. E la cosa lo faceva terribilmente infuriare: era stato al suo fianco in ogni momento della sua vita da liceale, era stato la spalla su cui piangere e l'amico che mai ti abbandona, cosa c'era di diverso questa volta? Forse che non era solo Nico a essere sotto lo sguardo accusatorio di tutti, ma anche lui? Forse che si sentiva in colpa per qualcosa? Forse che era uno stupido menefreghista e basta?
«Secondo me dovresti parlargli chiaramente» intervenne Will. Era curioso che proprio lui gli avesse letto negli occhi ciò che stava pensando, ma forse era dovuto alla distanza fra loro che si stava sempre più assottigliando.
Ecco un altro bell'interrogativo: Will. Da un giorno all'altro aveva iniziato a seguirlo ovunque, a trascurare i suoi amici di sempre per stare insieme a lui, a dargli consigli e a comportarsi da amicone. Non che prima l'avesse trattato male, anzi, ma l'aveva sempre considerato più un “socio in affari particolarmente amichevole” piuttosto che un amico vero e proprio, e invece adesso era sempre disponibile, sempre pronto a porgergli una mano anche quando non ne aveva bisogno, eppure non esagerava, sapeva quando doveva lasciarlo solo, quando poteva cavarsela e quando una frase di conforto avrebbe stonato più che una battuta. Si stava rivelando un amico vero, a differenza di qualcun altro.
«Non stavo pensando a Jason» rispose Nico.
«E allora perché guardi nella sua direzione e lo fulmini con lo sguardo manco fossi Zeus?»
«È che è il mio migliore amico, Will... mi dà fastidio non sapere perché mi sta evitando, e soprattutto che lo faccia» esclamò ad un tratto Nico, esasperato.
«Parlagli allora».
«E come? Mi evita tutti i giorni, tutto il giorno da una settimana a questa parte».
«Spero che tu non abbia dimenticato il suo indirizzo, nel frattempo!»
Nico esitò un attimo, poi disse: «E va bene: oggi andrò a casa sua e gli parlerò».

Will continuava a chiedersi che cosa ci facesse lì: va bene che si era ripromesso di aiutare Nico in ogni circostanza, ma non pensava che questo nella sua testa avrebbe significato pedinarlo di nascosto per evitare che gli succedesse qualcosa di male fino a casa di Jason. Non era forse un po' un'esagerazione? Sicuramente se Nico l'avesse visto, si sarebbe arrabbiato con lui e l'avrebbe allontanato.
Ok, forse è meglio che me ne torno a casa.
Appena formulato il pensiero, vide ben tre facce conosciute entrare nell'orbita di Nico. E sapendo che facce fossero, non si sentì per nulla tranquillo: si trattavano di tre ragazzi della loro scuola, di quelli che si divertono ad aspettare fuori da scuola, quando nessuno vede, i secchioni della classe, le matricole, i ragazzi indifesi o senza amici e rendevano la loro vita un inferno. Solitamente Nico non avrebbe fatto parte di nessuna di quelle categorie, ma il suo nuovo statuto di “gay che ruba i fidanzati a brave ragazze” non gli giovava affatto e, anzi, lo rendeva decisamente una preda appetibile per nerboruti come quelli. Senza contare poi che, dopo quella faccenda, le offese a scuola erano più pesanti e spesso, quando Will magari era lontano e quindi non poteva intervenire (ma alcuni non si fermavano nemmeno con la sua presenza), lo urtavano mentre camminava nei corridoi. Non era una bella situazione, Will se ne rendeva conto, ma a Nico sembrava non pesare e continuava a dire che sarebbe passato, non appena “la gente avrebbe trovato qualcun altro su cui sparlare”, e Will, anche se non ci credeva davvero, l'aveva assecondato.
Ora però era davvero preoccupato: la via era troppo silenziosa, non c'era nessuno oltre quei tre e Nico (e lui, ma non contava: era nascosto dietro la sua auto, con il viso abbassato e apparentemente concentrato su un libro che teneva aperto a pagina 321 da almeno tre quarti d'ora) e, soprattutto, si stavano avvicinando troppo al suo amico – che si era trasformato nel suo protetto – e con l'aria di voler piantare grane.
Will vide che uno di loro si era voltato nella sua direzione, quindi dovette abbassare per un attimo lo sguardo verso il suo libro, nella speranza di sfuggire alla sua vista e di passare inosservato almeno finché non avesse capito cosa volevano quei tre da Nico. Fu in quell'attimo che sentì come una scossa sulla nuca, come se sentisse che stava succedendo, a pochi metri da lui, qualcosa che non sarebbe mai dovuto succedere, quindi si voltò di scatto e Nico e i tre ragazzi erano scomparsi dalla strada principale.

Nico si sentì afferrare improvvisamente di scatto da dietro, una mano enorme e sconosciuta che gli tappava la bocca per impedirgli di urlare. Nella sua mente ci fu come un blackout: per un attimo il suo unico grido interiore fu di ribrezzo, per quelle dita che l'avevano toccato senza permesso, che si erano avvinghiate alla sua faccia con violenza e, adesso, lo trascinavano in un vicolo laterale dove, lo sapeva, si trovava un enorme spiazzo di cemento intorno a cui non c'era nient'altro che un'enorme fabbrica abbandonata. Intanto, quelle mani sudaticce e prepotenti continuavano a tappargli la bocca, e il disgusto era talmente tanto che non riusciva a pensare altro che “Non toccatemi”.
Come previsto, alla fine lo gettarono come un sacco per terra, proprio contro il cemento che, per un secondo, gli sembrò la cosa più bella e pulita che esistesse sulla Terra. Purtroppo il senso di liberazione durò molto poco, perché sopraggiunse un dolore lancinante allo stomaco: quello che prima l'aveva trascinato, ora aveva incominciato a tirargli calci in ventre e sui reni, bloccandogli il respiro. Nico si accartocciò su se stesso, cercando di attutire i colpi, quindi sibilò un “Lasciatemi in pace” poco convinto che venne subito spezzato da un altro calcio. Fu in quel momento che incominciò a lottare: prima cercò di strisciare via, poi cercò di mettere in pratica quelle – poche – lezioni che aveva preso nel corso di autodifesa, ma nessuna delle due opzioni ebbe l'effetto desiderato: prima uno dei due ragazzi che, fino a quel momento, si era limitato a star a guardare gli arrivò da dietro e gli impedì di retrocedere, poi, quando invece cercò di tirarsi su a sedere, il capobanda lo afferrò per i capelli e, dopo una serie d'insulti che non si preoccupò nemmeno di annotare nel suo cervello – e nemmeno avrebbe potuto, anche volendo – lo schiaffeggiò, abbastanza forte da annebbiargli la vista.
Nico, che accidenti fai. Vai via di qui! Continuava a urlare nella sua mente, ma i muscoli non rispondevano e la sua voce, prima di allora sempre pronta a farsi sentire con battute acide e frasi che riuscivano a tirarlo sempre fuori dai guai, questa volta era rimasta strozzata in fondo alla sua gola e gli unici suoni che riusciva a far uscire erano i mugolii di dolore che si succedevano ogni volta che un nuovo colpo giungeva.
Gli sembrava di essere ritornato alle medie, quando quelle aggressioni arrivavano quasi mensilmente, come se si trattasse di una rivista che si ordinava per posta, solo che lui non aveva mai chiesto nulla di tutto ciò, non aveva intenzione di ritornare al punto di partenza, non voleva sentirsi di nuovo solo, debole e impotente com'era allora. E soprattutto non voleva che i suoi aggressori lo vedessero piangere e urlare, come invece succedeva quando era più piccolo. Aveva deciso che le uniche lacrime che avrebbe sparso sarebbero state per Bianca, e che solo le persone che tenevano davvero a lui avrebbero avuto il diritto di vederle, che solo loro avrebbero potuto asciugarle, e per questo riuscì a non dar loro la soddisfazione di sentire un grido né di vedere una singola lacrima sul suo viso.
Proprio quando era concentrato a non urlare, a non muoversi troppo, a non registrare le parole che quei tre gli stavano rivolgendo, sentì una voce urlare.
«Brutti bastardi, lasciatelo in pace!»
Il ragazzo voltò piano il capo, e vide Will, con i suoi capelli biondi tutti spettinati, i muscoli tesi dalla collera e gli occhi, generalmente di un azzurro tranquillo e gioioso, di una freddezza terribile, come se tutta la rabbia che il resto del corpo stava mostrando non avesse raggiunto quelle pozze cristalline che quindi, invece di arrossarsi e scaldarsi, si erano trasformati in due stiletti di ghiaccio.
«Will...-» tentò di dire Nico, ma la sua voce faticava a uscire. Voleva dirgli di andarsene, che tanto non sarebbe riuscito a fermarli e, anzi, sarebbe finito anch'egli nei guai.
Sei un idiota: pensi davvero di piombare così e di fare un'entrata da supereroe? Certo, sei meglio di me a difenderti, ma con questi qui nemmeno tu puoi cavartela.
«Ho chiamato la polizia, fra qualche minuto sarà qui. E se voi non muovete quei culi flaccidi che vi ritrovate immediatamente, saranno cazzi vostri».
Fu il più grosso di loro a parlare, ridendogli in faccia: «Credi davvero di fotterci così? Stai dicendo solo cazzate per aiutare il tuo amico frocietto».
«Potete rimanere qui ad aspettare, però io sento già le sirene. Voi no?» rispose Will, sorridendo in modo sicuro e terribile, come qualcuno che pregusta già la propria vittoria. E in effetti si sentiva il suono di sirene, in lontananza.
I tre si guardarono negli occhi, quindi sputarono per terra, a pochi centimetri dal viso di Nico e se ne andarono.

Will era terrorizzato: non si era mai trovato in una situazione simile, e il suo cervello era stato inizialmente congelato dalla paura, tanto che la sua migliore idea era stata quella di arrivare e iniziare a colpire a caso qualsiasi cosa si muovesse, ma poi era riuscito a calmare i nervi e a farsi venire in mente un piano migliore.
Ora, però, anche quello gli sembrava terribile: quei tre pezzi di merda se ne stavano a tre metri da lui e lui non poteva colpirli fino a fargli sputare sangue, non poteva far loro ogni cosa che avevano fatto patire a Nico. E Nico... Nico era vicinissimo, eppure il suo sguardo era lontano, la sua mente altrove, ogni parte del corpo coperta di lividi, graffi o ematomi di vario genere. La sua rabbia non aveva mai raggiunto livelli simili, ma allo stesso tempo era una rabbia gelida, non bollente e devastante come le altre volte in cui gli era capitato di provarla, e per la prima volta sentì che in quell'istante se qualcuno avesse tentato di avvicinarsi a lui o a Nico ancora, sarebbe stato capace di fare davvero del male. Allo stesso tempo, quindi, la sua coscienza era terrorizzata da ciò che avrebbe potuto fare, mentre il suo cuore batteva velocissimo nel suo petto per la paura che il suo piano saltasse da un momento all'altro. Per fortuna, grazie a una botta di fortuna enorme, delle auto della polizia erano effettivamente passate nelle vicinanze e quei tre bulli se l'erano data a gambe.
Quando quei tre decisero di allontanarsi da lì, Will corse subito incontro a Nico. Il ragazzo era davvero messo male e, anche se continuava a dire che stava bene, una volta in piedi fu necessario aiutarlo a sorreggersi perché da solo avrebbe rischiato di cadere.
«Nico, ora ti porto all'ospedale» esordì a un tratto Will.
«No, sto bene» rispose l'altro, secco. Non voleva incrociare i suoi occhi, e si vedeva chiaramente che il motivo era perché stava mentendo. Non stava bene, per nulla, e Will ne era più che certo. D'altronde dovevano darsi una mossa a decidere cosa fare perché, una volta che i tre si fossero accorti che effettivamente era stata tutta una finta, sarebbero tornati a cercarli, e questa volta non ci sarebbero state altre possibilità di non iniziare una rissa e di non prendersele di santa ragione. Quindi Will prese il braccio di Nico – forse con un po' troppa foga, visto che l'altro fece una smorfia di dolore – e se lo mise su una spalla, quindi lo accompagnò fino alla sua auto.
«Will, che ci fa qui la tua macchina?» chiese Nico, appena salito.
Will trasalì: era stato talmente occupato a preoccuparsi di aiutare Nico che si era completamente scordato della sua Missione Stalker: «Ecco, vedi...-» incominciò, a disagio.
Per fortuna l'altro lo interruppe con una scrollata di spalle e un “Non voglio sapere, che è meglio”. Poi, dopo alcuni minuti durante i quali Will aveva macinato i primi metri verso l'ospedale, Nico bisbigliò qualcosa. Inizialmente Will non capì cosa avesse detto, quindi gli chiese di ripeterglielo.
L'altro sbuffò: «Ho detto grazie» disse Nico, con il viso ancora rivolto verso un punto lontano pur di non incontrare il suo sguardo. «È già la seconda volta che mi salvi da qualche bullo...»
Will sorrise tristemente, quindi disse: «In entrambi i casi è stato però a causa mia che ti sei ritrovato in quella situazione».
«Non sentirti in colpa, Will. Te l'ho già detto, sono abituato a queste cose, non mi sconvolgono più di tanto, cosa che invece sicuramente sarebbe successa a te. Sto bene, davvero» rispose Nico.
Improvvisamente Will si sentì quasi arrabbiato con Nico: «Nico, non dire cazzate: nessuno si abitua a certe cose, e a nessuno dovrebbero accadere. Ora, per piacere, promettimi che verrai con me all'ospedale e che, una volta tornati a scuola, denuncerai quei tre pezzi di merda. E diremo a tutti cos'è successo davvero, perché io non voglio trovarti mai più in un vicolo pestato a sangue per motivi che non hanno nulla a che fare con te».
Improvvisamente Nico voltò lo sguardo e incrociò i suoi occhi, quindi disse duramente: «Tu non capisci: a loro non fregava un cazzo della storia di Jason e Reyna, forse non interessava loro nemmeno il fatto che fossi gay. È perché sono io, capisci? Troveranno sempre una scusa per pestarmi in un cazzo di vicolo: l'hanno trovata alle medie quando ho ingenuamente fatto sapere che mi piacevano i ragazzi, l'ha trovata Clarisse per un cazzo di aeroplanino di carta, l'hanno trovata quando è morta Bianca... qualsiasi cosa faccia o non faccia, a loro non andrà bene, capisci? Probabilmente riuscirebbero a rompere il cazzo anche perché ho questa faccia, o questo colore di capelli» prese fiato un attimo, quindi continuò: «Ma, se alle medie questa cosa poteva buttarmi giù, poteva farmi sentire sbagliato, ora non è più così. E non me ne frega un cazzo se mi picchiano, tanto non possono fare altro che quello, ciò che più mi interessa è non tocchino le persone che hanno smesso di farmi sentire sbagliato. E tu sei una di quelle, Will, quindi taci e portami a casa, che sto più che bene e non voglio che mia madre se ne torni dalla sua vacanza solo perché suo figlio non è stato abbastanza forte da non farsi menare da tre bulletti».
Will parcheggiò velocemente in un angolo della strada, quindi spense il motore e guardò, finalmente, Nico dritto negli occhi: «Punto primo: sai che ti dico? Hai ragione. Non devi vivere facendo solo cose che pensi non li facciano incazzare, e non devi sentirti sbagliato mai più, Nico, perché sei la persona più giusta che io abbia mai incontrato. Punto secondo: questo non significa però che tu debba continuare a prenderti insulti, battutine e botte per il resto dei tuoi giorni al liceo. Quindi tu devi dire a qualcuno ciò che succede, non mi interessa se alla polizia, al preside o a tua madre, ma a qualcuno devi dirlo, non voglio sentire scuse. Punto terzo: anche se credo che tua madre debba saperlo comunque, va bene, non andiamo all'ospedale. Ma andiamo da mio zio: è un dottore generico, però scommetto che riuscirà a visitarti. Punto quarto: Nico, io...-» Will prese un grande respiro, quindi esclamò, rosso in viso: «Sei mio amico, quindi su di me potrai sempre contare, ok?»
Vide Nico sorridere piano, quindi annuire e rispondere: «Grazie, Will. Di tutto».









 

Note capitolo:
In questo capitolo inizio ad utilizzare uno stile diverso dal primo, semplicemente perché inizia la parte angst, quella dove i protagonisti incominciano ad avere i primi veri problemi.
Quando ci sono quattro asterischi di fila (****) significa che c'è stato un salto temporale più o meno lungo (in questo caso di una settimana).
Il discorso che Nico fa a Will rispetto alla sua condizione mi è stato fatto, in linea di massima, da una persona molto importante per me dopo un episodio analogo. Ho sempre pensato che fosse un grande segno di forza, e per questo ho voluto riportarlo.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


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Capitolo IV

Dire che Jason era preoccupato è un eufemismo: non vedeva Nico a scuola da ben tre giorni e non era mai successo, se non quando c'era stato l'incidente.
Aveva chiesto a Percy, ma lui non sapeva nulla, aveva chiesto a Leo, ma nemmeno lui era a conoscenza del motivo di una tale assenza, poi si era addirittura rivolto a Cal, che gli aveva detto che non sapeva cosa “stesse facendo quello stronzo” e che, anche se l'avesse saputo “non l'avrebbe detto a un traditore del cazzo come lui”. Insomma, non sapeva più a chi rivolgersi... o quasi. Svoltò l'angolo e si ritrovò di fronte esattamente la persona che meno avrebbe voluto incrociare: Will Solace. Lo vide bloccarsi di colpo, con un'espressione stupita che subito si trasformava in rabbia, e Jason non poté fare a meno di voltarsi dall'altra parte per evitare il suo sguardo accusatorio.
«Non hai nemmeno il coraggio di chiedermi come sta Nico?» chiese a un tratto Will, cercando i suoi occhi.
Jason, per un secondo dimenticandosi del suo desiderio di allontanarsi il più in fretta possibile da lì, esclamò: «Perché, tu sai che fine ha fatto?»
Will spalancò nuovamente gli occhi: «No, non ci credo...» disse, senza rivolgersi a qualcuno in particolare.
«Cosa? Che è successo, Will?»
Si passò una mano fra i ricci biondi, scompigliandogli ancora di più del normale: «Jason, vai a casa sua oggi pomeriggio. Se sei stato per un minuto un amico per Nico, devi stargli vicino...»
«Che cazzo è successo, Will?» chiese di nuovo Jason, con la mente che iniziava a elaborare scenari terribili, dove Nico era sempre la vittima.
«Senti, Jason, hai evitato Nico per una settimana intera, quindi ora il minimo che puoi fare è andare da lui, scusarti e stargli vicino. Sei stato un vero stronzo, e non ho proprio voglia di consolarti o compatirti, quindi, per favore, vai da Nico e togliti quell'espressione colpevole dalla faccia, che tanto non serve a nulla» e, detto ciò, lo superò senza troppe cerimonie e se ne andò, lasciandolo nel panico più totale.

Jason aveva ritirato le sue cose nello zaino più in fretta possibile, cercando di non incrociare sulla strada verso l'uscita qualcuno che conoscesse, cosicché nessuno avrebbe potuto fermarlo e iniziare a parlargli. L'unica cosa che desiderava, in quel momento, era avere la possibilità di ritornare indietro di due settimane e cancellare la cazzata enorme che aveva fatto, oppure permettere al se stesso del passato di fare una chiacchierata con il se stesso di adesso. Sì, aveva fatto un errore madornale e aveva tutte le intenzioni di rimediare, in un modo o nell'altro.
Appena uscito da scuola, iniziò a camminare velocemente verso la casa del suo amico: aveva fatto talmente tante volte quel percorso che ormai lo conosceva a memoria, ma questa volta era diverso, questa volta non c'era Nico che, vicino, gli parlava dell'ultimo videogioco, di serie TV, di scuola o di qualunque altra cosa gli venisse in mente, non c'era Nico che faceva battute acide, non c'era Nico che ogni tanto sorrideva piano, non c'era Nico con le sue guance che s'arrossavano appena iniziavano a parlare di cose un poco più serie o quando Jason gli faceva qualche complimento. Non c'era Nico e basta.
Possibile che tutti gli anni che aveva trascorso con lui non gli avessero insegnato nulla? Che non gli avessero fatto capire che quel ragazzetto pelle ossa con la fissa per i videogiochi e per il nero non si fidava di chiunque? Si rendeva conto ora che, probabilmente, una volta arrivato sotto casa sua non sarebbe potuto nemmeno entrare, perché Nico non gliel'avrebbe permesso: in una settimana era riuscito sicuramente a perdere del tutto la sua fiducia, e si sentiva terribilmente male per questo. Non riusciva a immaginare un giorno in cui lui si sarebbe svegliato con la consapevolezza che andare a scuola avrebbe significato vedere il suo migliore amico guardarlo con odio o rabbia o, peggio ancora, delusione. Non riusciva nemmeno a concepire una partita di calcio senza quell'ombra silenziosa a bordo campo che l'osservava e lo sosteneva col solo sguardo. Non voleva perderlo, non avrebbe voluto farlo soffrire... ma stava riuscendo a fare entrambe le cose, e con una bravura spaventosa.
Arrivato sotto la villa enorme dell'amico, suonò il campanello. Sperò che la madre di Nico non fosse ancora tornata dalla sua vacanza, e soprattutto sperò che Nico gli aprisse in fretta, perché ogni secondo trascorso fuori da quella porta gli sembrava il più lungo di tutta la sua vita. Purtroppo non fu così, tanto che, passati quasi cinque minuti da quando aveva suonato la prima volta, era stato lì per andarsene. Per fortuna poi la porta si era aperta e Nico aveva esordito, senza ancora vederlo in faccia, dicendo: «Ciao Will, sali pure, io...-» poi aveva spalancato la porta e, trovandosi Jason davanti, si era come congelato sul posto.
«Ciao Nico» disse. Non aveva nemmeno il coraggio di alzare gli occhi, si sentiva una persona terribilmente codarda, ma lo sguardo rimaneva puntato a terra.
«Jason...?» balbettò Nico, dopo aver trattenuto il respiro per quasi mezzo minuto.
Solo allora il ragazzo si decise ad alzare lo sguardo e a incrociare i suoi occhi, ma si fermò prima, vedendo in che condizioni era ridotta la sua faccia: «Oh cazzo, Nico! Cosa accidenti ti è successo?» urlò, sconvolto. Un enorme livido violaceo copriva gran parte dello zigomo destro del ragazzo, il labbro inferiore era spaccato, la fronte era ricoperta di graffi e tagli di vario tipo. Le braccia erano anch'esse piene di ferite di vario genere e le ginocchia erano coperte da due enormi cerotti bianchi, il cui colore non si discostava molto da quello della carnagione di Nico.
Nico alzò lo sguardo, cercando quello dell'amico, quindi disse: «Niente di grave, tranquillo... Will mi ha dato una mano, e sto bene».
«Ma chi ti ha ridotto in quello stato? Ti giuro che farò tutto il possibile per fargliela pagare, non devi aver paura, io...-»
«Io non ho paura» lo interruppe Nico: «Non ho più paura, e tu non devi fare proprio niente. So cosa devo fare, e Will mi ha detto che mi darà una mano».
Di nuovo Will... perché lui? Pensò, ma poi si rispose da solo, dandosi dello stupido mentalmente. È ovvio: io non ci sono stato per lui, non c'ero quando è successo. Posso pretendere quindi che voglia che io lo aiuti?
«Raccontami cos'è successo, almeno. Ti prego, Nico» lo implorò Jason.
«Cosa devo dirti? Vuoi sentire la parte in cui mi hanno tappato la bocca e trascinato nel grande piazzale di cemento davanti alla fabbrica abbandonata? O quella in cui hanno incominciato a insultarmi senza un motivo, mentre mi riempivano di calci? Le aggressioni sono tutte uguali, Jason. E io non ho nulla da raccontarti».
Ma Jason si era fermato a un dettaglio: il piazzale. Conosceva bene quel posto, ci passava tutte le mattine quando andava a scuola; che ci faceva, quindi, Nico da quelle parti?
«Perché eri vicino alla fabbrica, Nico?» chiese quindi, piano, con la paura di sentire la risposta.
Nico alzò lo sguardo, questa volta stancamente, quasi come se parlare gli costasse uno sforzo immenso: «Stavo venendo da te per cercare di capire perché mi stessi evitando» disse poi.
Jason lo sapeva, lo sentiva. Era a causa sua se era accaduto tutto ciò, era colpa sua di ogni cosa, e ora Nico l'odiava. Come poteva fare altrimenti? Se lui non avesse smesso di parlargli, lui non avrebbe sentito la necessità di andare da lui a chiedere spiegazioni, se lui non avesse incominciato a ignorarlo, probabilmente quella strada l'avrebbero fatta insieme e chiunque l'avesse conciato in quel modo non si sarebbe nemmeno avvicinato. Se solo non l'avesse allontanato, adesso non ci sarebbe stato Will Solace al suo fianco, ma lui.
Si pentì immediatamente dell'ultimo pensiero: non pensava di essere una persona così meschina e, anzi, doveva essere grato a Will per essergli stato accanto in un momento così difficile, piuttosto che provare un'ingiusta invidia nei suoi confronti.
«Nico, io...-»
«Senti Jason, non voglio le tue scuse: non me ne faccio nulla. Quello che voglio è almeno una spiegazione, e voglio che sia sincera» lo interruppe di nuovo. Da quando Nico era diventato così sicuro? Possibile che non se ne fosse accorto? Si sentiva come un genitore che si rendeva conto per la prima volta che il suo figlioletto che si era abituato a cullare e a proteggere, ora era capace di difendersi da solo e da solo compiva le proprie scelte. E si rese conto che, forse, non era più tanto Nico ad avere bisogno di lui, quanto lui ad aver bisogno di Nico. Se prima era convinto di essere un ragazzo responsabile, con la testa sulle spalle e tutto sommato decente per quel che riguardava i sentimenti, era bastato un bacio – per di più dato sotto l'effetto dell'alcool – a far crollare ogni cosa: si era accorto del risentimento che alcuni suoi compagni di squadra provavano nei suoi confronti – invece di aiutarlo, non facevano altro che rispondere male ai suoi consigli da capitano e a lanciargli frecciatine –, aveva perso la ragazza a cui più teneva sulla faccia della Terra e adesso lei l'odiava (o meglio, così dava a vedere: lui la conosceva abbastanza da sapere che l'unica cosa che provava era delusione e tristezza... e lui stava ancora più male), era riuscito a ferire un ragazzo che semplicemente si era ritrovato al momento sbagliato nel posto sbagliato e a invidiarlo per motivi talmente sciocchi ed egoisti che Jason si vergognava anche solo a ripensarci e si era accorto di un sentimento nei confronti di quello che era il suo migliore amico, un qualcosa che non sapeva ancora ben interpretare – cotta passeggera? Attrazione? O qualcosa di più... profondo? – ma che l'aveva spaventato talmente tanto da allontanarsi da lui.
Molto spesso l'avevano definito leader e, anche se a lui quella parola non era mai piaciuta particolarmente, aveva preso sul serio le aspettative che si hanno da un leader, i suoi compiti, l'aspetto che deve avere, gli obiettivi che lui, insieme alla sua squadra, doveva raggiungere e diventare un qualcuno che, agli occhi degli altri, fosse più simile a un'icona più che a un ragazzo. Eppure bastava così poco per farlo cadere nel fango? Bastava un bacio per renderlo, agli occhi di tutti, umano? Non voleva essere umano, lui aveva delle aspettative da soddisfare e per farlo doveva essere perfetto.
Si toccò piano la cicatrice sul labbro, quindi sorrise tra sé e sé: doveva essere perfetto sotto gli occhi degli altri, ma bastava davvero mostrarsi perfetto per esserlo davvero? La cicatrice, quella piccola imperfezione, gli stava dando la risposta.
Sei umano, Jason, sei un ragazzo come tanti, e ormai tutti ti vedono così... quindi che hai da perdere?
«All'inizio pensavo che evitarti fosse la cosa giusta da fare: 'Chissà che reazione avrebbe avuto la gente a vederci insieme, dopo le dicerie che c'erano sul nostro conto!', mi dicevo. Ma sai, Nico... io l'ho sempre saputo che non era questa la vera ragione».
«E qual era?»
«Ho paura, Nico. Sono terrorizzato da una cosa che è successa quella cazzo di sera».
Nico sospirò: «Non aver paura di aver baciato Will, Jason. È normale, credo, fare cazzate da ubriachi. E poi l'avevi già baciato e...-»
«No, non è questo che mi spaventa,» lo interruppe «ciò che mi spaventa è cosa ho immaginato mentre lo baciavo. Inizialmente era Will e basta – e, cielo, era fantastico anche così! –, ma a un certo punto non è stato più Will...»
Nico lo guardò interrogativo: «In che senso, Jason? Non capisco...»
«I capelli di Will sono diventati come neri, i suoi occhi anche, le sue labbra si sono assottigliate, la pelle è diventata pallida e il suo corpo... è stato come si rimpicciolisse fra le mie braccia. Will non era più Will e basta, era diventato te. Ho immaginato di baciare te, Nico».

Nico rimase qualcosa come dieci secondi in catalessi: la prima ipotesi che formulò fu che avesse le allucinazioni a causa del colpo al ginocchio che aveva preso scendendo le scale per aprire a Jason, la seconda che forse era stato Jason ad avere le allucinazioni, la terza che entrambi avessero le allucinazioni e che quindi non stavano nemmeno parlando realmente, la quarta che si trattava di un sogno... parecchio realistico. L'ultima gli pareva quella più plausibile – comunque più realistica dell'idea che entrambi fossero svegli e nel pieno delle proprie facoltà intellettive e che quindi tutto ciò stesse accadendo davvero –, quindi allungò la mano alla propria guancia e la pizzicò, forte.
«Ahi!» esclamò poi, non riuscendo a “svegliarsi”.
Jason lo stava guardando come si guarda un malato di mente, ma la cosa che più lo preoccupava era più che altro il fatto stesso di vedere ancora Jason davanti a sé.
Oh.
«Nico, lo so che ciò che ti ho detto è sconvolgente, ma mi piacerebbe rispondessi... sai com'è» disse a un certo punto Jason, vedendo che l'altro non mostrava ancora segni di ripresa dallo shock.
«Oh, sì, ecco...» iniziò a farneticare. Come si reagisce a una dichiarazione? Non ne aveva mai ricevute. E come si reagisce quando a dichiararsi è il tuo migliore amico da ben tre anni e mezzo? Nemmeno quello gli avevano mai insegnato: si trovava completamente impreparato. Che poi, era davvero una dichiarazione? Non ci stava capendo più nulla, e il suo cervello in blackout non lo aiutava affatto.
«Sì...?» lo invitò a continuare Jason.
«Tu lo sai vero che a me piace... mh, ecco, un altro».
Nico vide «Sì, Jackson. Ma non so se tu mi piaci davvero, cioè... è stato solo un momento, e io potrei sbagliarmi...»
«Ah, allora non era una dichiarazione! Mi stavo spaventando» rise forzatamente Nico, sperando di risparmiarsi l'imbarazzo così.
Ma purtroppo la vita non era mai stata semplice per lui, e anche questa volta si sforzò per diventare difficile; infatti Jason balbettò: «No, non è una dichiarazione, ma non... insomma, tu mi piaci e basta».
«Ah» fu l'unica cosa che riuscì a dire Nico, con lo sguardo che andava sempre più verso terra, cercando di nascondere il disagio. «Senti, ma non è che – faccio un esempio, eh! – sia stato solo colpa dell'alcool? O, che ne so, magari è stata una cosa del momento. A me capita di sognare di baciare ragazzi che poi, magari, nella vita reale non bacerei mai».
«Non lo so, Nico» disse Jason serio, e poi, come ricevendo allo stesso tempo un'illuminazione e una batosta in testa abbastanza forte da farlo gemere di dolore, aggiunse: «Però in questo momento vorrei baciarti».
Nico sobbalzò: perché la situazione stava prendendo quella piega? Aveva aperto la porta pensando di trovare la confortante compagnia di Will, ma al suo posto c'era Jason. Quindi aveva creduto che il destino volesse che gli facesse una di quelle ramanzine celestiali da annotare negli annuari del G.M.S., ma alla fine l'aveva quasi consolato. E ora Jason gli stava dicendo che voleva baciarlo?
«Ecco, Jason... a me sembrerebbe un po' strano se tu mi... cioè, se noi due...-» ma fu costretto a interrompersi in fretta, trovandosi le labbra di Jason incollate alle proprie.
Inizialmente non mosse un muscolo, colto completamente di sorpresa, poi però, quando Jason allungò una mano intorno al suo viso e una ad abbracciargli la schiena, prese nuovamente coscienza della situazione e tentò di divincolarsi. Non che gli stesse dispiacendo – le labbra di Jason erano più morbide e dolci di quanto si aspettasse! –, ma il pensiero di star baciando il suo migliore amico aveva un qualcosa che faceva sì che tutto il suo essere si ribellasse all'idea. Jason lo capì al volo e lo lasciò andare, rosso in viso come non l'aveva mai visto prima.
«Non ti è piaciuto, vero?» chiese, con lo sguardo basso e le guance che andavano ad imporporarsi sempre di più.
«Non è quello, è che...» balbettò Nico, non sapendo cosa dire. Non voleva ferirlo, e di certo dirgli che baciarlo aveva avuto lo stesso effetto che avrebbe avuto baciare un ipotetico fratello non sarebbe stato un buon modo per far sì che questo non accadesse. Quindi disse: «Il problema è che tu sei il mio migliore amico, Jason. Non riuscirei a immaginarmi che ti... ecco, a immaginarci una coppia».
Che discorso del cazzo, Nico: non è un buon modo nemmeno friendzonare.
«Hai ragione, Nico. Non avrei dovuto farlo. Volevo solo provare, giusto per sapere che sentivo io e se poteva funzionare...-» ma si interruppe in fretta, riprendendo improvvisamente possesso del suo corpo, che per tutta la durata del dialogo era rimasto accasciato contro una colonna del soggiorno, quasi non avesse avuto abbastanza forze per stare dritto. Quindi aggiunse: «Ma non importa, Nico. Va bene così. Ora devo andare... ci sentiamo, ok?»
Nico deglutì piano, con l'assurda sensazione che si trattasse di un addio, o comunque di un saluto definitivo a un qualcosa che, fino a quel momento, era stato in ballo fra loro: «Certo, Jason. Ci sentiamo».

Jason salutò di nuovo Nico, col cuore in gola. Non si era pentito di averlo baciato: non sarebbe stato in pace con se stesso se non avesse almeno avuto la conferma che davvero Nico non lo ricambiava, in quanto restare nel dubbio non faceva parte della sua personalità. Allo stesso tempo, però, avrebbe voluto non doverlo fare: sapeva che da quel momento in poi sarebbe stato cento volte più difficile per lui – ma anche per lo stesso Nico – parlargli normalmente, e già i loro dialoghi erano spesso più silenzi che parole, figuriamoci adesso!
Dovevo riuscire a convivere con questa cosa, dovevo evitare di dirglielo, tenerglielo nascosto...!
Ma ormai aveva deciso di essere sincero con lui, quindi non poteva più permettersi di piangersi addosso e rassegnarsi. Era sempre andato avanti, e questo non sarebbe stato troppo diverso: forse non avrebbe potuto essere proprio ciò che desiderava per Nico, ma poteva comunque riconquistare la sua fiducia e la sua amicizia. Non sarebbe rimasto senza di lui, ne era più che certo, e soprattutto non avrebbe permesso a nessuno di fargli di nuovo del male, lui compreso: vederlo, dopo quasi tre anni, di nuovo conciato in quel modo pietoso, con il volto solitamente bianco costellato di lividi violacei e graffi, il corpo già fin troppo magro reso ancora più fragile e il leggero tremore alle mani – lo stesso che aveva sempre avuto e cercato di nascondere quando, al primo anno, lo inseguivano fuori da scuola senza un apparente motivo – l'aveva scosso più di quanto si aspettasse. Fece una promessa a se stesso: non l'avrebbe più lasciato solo, nemmeno se averlo sempre accanto gli avrebbe fatto più male che bene.
È una promessa, Di Angelo.

Will, seguendo un istinto che nemmeno lui comprendeva bene, scese le scale e si diresse verso l'enorme casa del suo quasi-vicino. Sentiva che, in quel momento, l'amico aveva bisogno di lui, anche se sperava che questo presentimento fosse solo frutto della sua testa ancora un po' addormentata a causa della notte quasi in bianco che aveva trascorso.
Come sempre ci mise poco più d cinque minuti a piedi per raggiungerlo, e come sempre suonò due volte al citofono, cosicché l'altro capì che si trattava di lui e non di altri. E infatti sentì Nico scendere le scale, forse un poco più lentamente del solito, e aprire la porta senza nemmeno indugiare.
«Ciao, Raggio di Sole» esclamò Will, appena l'altro spuntò da dietro l'ingresso.
Nico fece la solita smorfia sentendo quel soprannome, quindi disse, con aria rassegnata: «Non chiamarmi così, ti prego...»
Solitamente gli avrebbe tirato un leggero colpo sulla spalla o sul petto, o avrebbe replicato con un sarcastico “Ciao a te, Mister Sorriso Tutto il Giorno”, ma non fece nulla di tutto ciò, e questo confermò purtroppo il presentimento di Will: era successo qualcosa, ora bisognava solo capire cosa.
Entrò in casa, dando come sempre una veloce e ammirata occhiata ai quadri di Bianca: sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma quei dipinti lo attiravano sempre, e abbastanza da obbligarlo a lanciargli uno sguardo ogni volta che Nico non vedeva. Dopo il suo piccolo rito segreto, seguì Nico su in camera sua e, come sempre, si lanciò sul letto.
«Come stai oggi, Nico?» gli chiese, cercando di nascondere la preoccupazione che sempre più si stava facendo strada nella sua mente, vedendo che l'altro, invece di sedersi al suo fianco come al solito, si era invece appollaiato sulla sedia davanti al computer e aveva iniziato a giocare.
«Tutto ok» rispose l'altro, senza nemmeno voltarsi.
Will non sapeva che fare per far dire a Nico cosa c'era che non andava, sempre che non fosse solo la sua immaginazione. Alla fine optò per un discorso abbastanza serio e studiato: «Dunque, c'era un coniglietto che aveva perso la sua carota ed era molto triste, ma non voleva dirlo a nessuno perché pensava che fosse solo un suo problema. Però il suo amico orsacchiotto si era accorto che c'era qualcosa che non andava, quindi aveva iniziato a chiedere al coniglietto spiegazioni. L'altro però non voleva dire niente. Tu, da orsacchiotto, cosa faresti per fare in modo che il coniglietto si confidi con te?»
Nico si girò piano con la sua sedia girevole, quindi lo guardò come fosse un pazzo pronto per essere ricoverato in un ospedale psichiatrico di massima sicurezza. Aveva la bocca mezza aperta, e gli occhi abbastanza spalancati da parere due bocce per pesci. «Will, sei ubriaco già a quest'ora?» chiese quindi piano, come se avesse paura di urtare la sua sensibilità.
«No. Rispondi alla domanda» insisté Will.
Nico si alzò, quindi prese Will per le spalle e lo guardò intensamente negli occhi: «Non è che fai uso di droghe? A me puoi dirlo, ti aiuterei e...-»
«No, Nico. Sto bene. Tu rispondi a 'sta benedetta domanda» rispose lui, cercando di nascondere un sorriso che stava nascendo sul suo volto e di mantenere una certa serietà.
«Ok, Will. Credo che io gli farei capire che si può fidare di me e che a volte confidarsi può essere meglio che tenersi tutto dentro... o almeno credo» disse Nico, grattandosi il naso e facendo quella smorfia buffa che ormai Will aveva imparato a conoscere. Solo dopo aver pronunciato quella frase Nico si accorse di cosa effettivamente aveva fatto Will: «Oddio, ma tu sei un idiota» esclamò, prima di iniziare a ridere.
Era la seconda volta che Will lo vedeva ridere così di gusto, e anche adesso cercò di imprimersi bene in testa la sua espressione. Chi l'avrebbe mai detto che un ragazzino così tetro e sarcastico avesse una risata così contagiosa e un sorriso così caldo?
«Va bene, Will. Ho capito...» disse Nico, dopo aver finito di ridere. Fece un grande respiro, quindi disse: «Oggi è venuto Jason a vedere come mai ero stato assente per tanto tempo da scuola».
«E che ha detto?» disse Will, cercando di nascondere la soddisfazione per essere riuscito a spingere quel ragazzo splendido ma decisamente stupido a parlare con Nico.
«Prima mi ha chiesto come stavo e le solite cose, sai...» si interruppe un attimo, quindi continuò: «E poi ha tirato fuori ciò che è successo la sera della festa».
A Will mancò un battito: che cosa aveva pensato del loro bacio? Che cosa pensava di lui? Che cos'era successo davvero quando l'aveva allontanato di scatto? Erano tutte domande a cui non aveva ancora ricevuto una risposta.
Nico continuò: «E ha detto che si è staccato da te perché... ecco, perché ha immaginato che al tuo posto ci fossi io».
Lo disse in un soffio, e fu solo quel soffio a far smettere di respirare Will: ecco, ora tutto si spiegava, a partire dall'imbarazzo di Jason nel vedere Nico al momento in cui, quando la scuola intera aveva pensato che il tradimento del capitano della squadra di football fosse avvenuto con Nico, aveva incominciato a ignorare ed evitare il suo migliore amico. Era tutto così chiaro, così dannatamente evidente: come aveva fatto a non capirlo prima? E la cosa più brutta era che adesso si sentiva tradito, e non da Jason, ma da Nico, lo stesso Nico che aveva promesso di aiutarlo a conoscere Jason, a cui era stato vicino nei momenti più difficili e che aveva preso sotto la sua ala.
«E mi ha baciato» concluse l'altro.
No.
Will non riusciva a pensare a nient'altro che quelle due piccole lettere. Si alzò dal letto, allontanandosi da Nico. L'aveva tradito, e ora non riusciva più a sostenere il suo sguardo colpevole, né la sua voce che sussurrava dei “mi dispiace” tremanti.
Scese in fretta le scale e uscì dalla casa, e questa volta non guardò i quadri di Bianca.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


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Capitolo V

Nico si sentiva uno straccio: possibile che la sua vita fosse un tale schifo? Dopo il primo momento basato sui sensi di colpa, si era accorto che lui non aveva fatto davvero nulla di male: non aveva illuso Jason, non l'aveva baciato lui e non aveva tradito la fiducia di Will. Quindi era giunta la rabbia, rendendosi conto che le persone che gli erano più care alla fine avevano deciso di ferirlo più di quanto avrebbe potuto mai fare un qualsiasi bullo, e si arrabbiò con Jason che l'aveva baciato, con Will che se n'era andato come se la colpa fosse sua, con Percy che continuava a stare con quella bella ragazza dai ricci biondi, con Bianca che l'aveva abbandonato quando aveva più bisogno di lei. Infine si rese conto che nemmeno quella era l'emozione giusta, quindi si abbandonò a una tristezza profonda.
Era davvero così impensabile volere qualcuno al proprio fianco e sperare che questa persona non lo abbandonasse fino alla fine? Era così impossibile che si avverasse il suo desiderio?
Evidentemente sì: aveva sopravvalutato l'amicizia per Jason, la fiducia nei confronti di Will, l'amore per Percy e l'affetto profondo per Bianca. I sentimenti non bastavano per tenere le persone vicine a lui, e Nico non conosceva nessun altro modo per legarli a sé. Aveva fallito, e ora non si sarebbe più aspettato nulla dalle relazioni umane. Avrebbe centellinato la sua amicizia, negato fiducia, allontanato l'amore e l'affetto: l'utopia era finita, e lui era ritornato al punto di partenza.
Solo in seguito si accorse che pure questo pensiero era completamente sbagliato, ma ci vollero ben due confessioni per farglielo capire.

Nel momento stesso in cui Will mise piede in casa si pentì di essersene andato. Nico era stato sincero con lui, gli aveva detto ciò che era successo e si era fidato di lui. Voleva mettere chiarezza ai suoi sentimenti e Will gli aveva negato ogni comprensione, lasciandolo solo nella sua cameretta e abbandonandolo quando invece aveva bisogno di lui. Aveva rotto la promessa fatta con se stesso, e soprattutto aveva incolpato qualcuno che non ne poteva nulla. Nessuno ne poteva nulla, in realtà: Nico non si era mai comportato in modo scorretto nei suoi confronti, non era lui che aveva baciato Jason, e lo stesso Jason non aveva colpe, d'altronde non conosceva i veri sentimenti di Will, quindi come avrebbe potuto tradirli? Non era colpa di nessuno, semplicemente tutti erano caduti nelle trappole che il destino aveva teso loro per divertirtimento. E tutti, puntualmente, avevano fatto il suo gioco, allontanandosi l'uno dagli altri senza un vero e proprio motivo.
Will desiderava come non mai poter tornare a quell'abbraccio dato davanti alla casa di Octavian, con lui in lacrime, Jason che tremava e Nico che sospirava piano, rassegnato. Ma purtroppo non era possibile, quindi l'unica cosa da fare era mettere a posto tutti i pezzi, e non permettere al destino di averla vinta, almeno per il momento.

Il primo giorno in cui seppe che Nico sarebbe tornato a scuola, Jason decise di mettere a posto una volta per tutte le cose con Nico e, per far ciò, si diresse direttamente nella classe di greco antico, sperando che l'amico non avesse perso le proprie abitudini e che fosse sempre lento come un vecchietto rachitico a mettere a posto le sue cose.
Entrò nella classe e sorrise un poco vedendo che le sue supposizioni erano esatte, quindi andò veloce verso il suo banco. Poco prima, però, che lo sguardo di Nico incrociasse il suo, vide Will, che si trovava qualche posto più indietro, scattare anch'egli verso Nico che, nel giro di un secondo, si ritrovò circondato.
«Che volete?» chiese Nico, sorpreso.
Will divenne rosso, quindi disse: «Io devo parlarti in privato».
Jason lanciò un'occhiata a Will, quindi disse: «Anche io».
Nico li squadrò, quindi disse, cercando di nascondere un sorriso divertito senza però riuscirci molto bene: «Secondo me abbiamo tutti qualcosa da dirci. Che ne dite se nessuno parla in privato con nessuno e facciamo una seduta di gruppo?»
Jason sbiancò: che Nico avesse parlato del loro bacio a Will? Sarebbe stato imbarazzante parlarne con l'altro davanti! Vide però anche Will diventare improvvisamente cinereo e perdere per un momento la sua abbronzatura da brasiliano mancato, e questo gli suggerì che neppure lui era molto felice della proposta di Nico. Eppure, chissà perché, entrambi acconsentirono.
Uscirono e andarono in un angolo del cortile, cercando un posto tranquillo dove non essere disturbati, quindi Nico prese la parola, facendo un enorme sospiro: «Su, ditemi quello che dovete».
Will si schiarì la voce, quindi, cercando in tutti i modi di evitare lo sguardo di Jason, disse: «Io volevo scusarmi per come mi sono comportato ieri, non è colpa tua se... ecco, Jason ti ha baciato e se, mentre mi baciava, aveva in mente te».
Jason sobbalzò, rosso in viso: quindi Nico aveva raccontato tutto a Will! Perché?
«Nico, si può sapere che accidenti ti è preso? Pensavo fosse una cosa fra me e te, io...-»
Ma venne interrotto da Nico che, serio come non mai, disse, sorprendentemente non rivolto a lui: «Will, diglielo. Deve saperlo da te, e credo sia il momento giusto».
Will abbassò lo sguardo sulle sue mani: «Ecco, Jason... il punto è che io e Nico avevamo fatto un patto: che io avrei aiutato Nico a conoscere Percy e che lui, beh, mi aiutasse con te».
Jason perse un ennesimo battito. Quindi Will... Oddio, sono stato uno stronzo senza nemmeno accorgermene.
«Ah» balbettò, sfiorandosi la cicatrice sul labbro, a disagio: «Quindi tu...-»
Ma Will, troppo a disagio, lo interruppe e confermò: «Sì».
«Scusami, io non sapevo che...-» iniziò Jason, a disagio.
«Comunque ho capito che ti preferisco come amico piuttosto che... insomma, hai capito» balbettò poi Will, sempre più rosso.
La risposta di Jason venne però zittita da Nico che, con un sorriso amaro, disse: «Lo sappiamo, Jason, che sei stato uno stupido a non accorgertene. Ma ho la sensazione che lo siamo stati tutti, quindi mettiti il cuore in pace».
Gli altri due annuirono piano, ancora in imbarazzo. Quindi toccò a Jason parlare: «Io Nico invece volevo dirti che ho capito. Mi rassegnerò e andrò avanti, troverò una ragazza...-» si interruppe, poi sorrise piano e continuò: «O un ragazzo a cui piaccia sul serio. Però non voglio buttare via la nostra amicizia, va bene? Insomma, ti ho parato il culo per tre anni, vuoi che ti lasci proprio ora?». Si sentì sollevato a dirlo, e lo fu ancora di più vedendo il sorriso che di nuovo nasceva nelle labbra sottili di Nico.
Quello che nessuno si aspettava, era però quello che successe dopo; Nico incominciò a parlare a sua volta: «Ecco, visto che siamo in vena di confessioni, direi che è il momento anche della mia confessione» e, detto ciò, li lasciò lì impalati che, con gli occhi sgranati, lo videro andare da Percy che stava poco lontano da loro. Li videro appartarsi e videro Nico parlargli fissandolo dritto negli occhi, poi videro Percy grattarsi la testa a disagio e spalancare gli occhi. Videro infine Nico non aspettare la risposta dell'altro e dirigersi di nuovo verso di loro, con un sorriso amaro e una nuova luce negli occhi.
Fu Will a dare voce alla sorpresa di entrambi: «Che hai combinato?»
Nico sorrise di nuovo: «Gli ho detto che ho avuto una cotta per lui, ma che non è il mio tipo».
Ci fu un coro di risposta: «Cosa?»
«Già» rispose l'altro semplicemente, come se non avesse fatto qualcosa di completamente assurdo e impensabile, considerando la sua timidezza.
Will e Jason si guardarono negli occhi per la prima volta, stupiti, quindi Will scoppiò a ridere. Jason non sapeva che fare, ma dopo un po' la risata di Will divenne così contagiosa che non poté non ridere a sua volta, cosa che fece sorridere anche Nico.
Chissà che spettacolo strano dovevano essere: tre ragazzi in un angolo del giardino, a ridere senza ragione. Ma a loro non importava: erano insieme, e per il momento bastava.

 
****

Nico stava mangiando un gelato alla crema e al cioccolato, e si trovava in compagnia di Will. Avevano trascorso tutta l'estate insieme a Jason, ma quel giorno l'amico era uscito con una nuova ragazza, una certa Piper, e aveva dato loro buca.
Avevano quindi trascorso la prima mezz'ora a lamentarsi dell'assenza di Jason, facendo speculazioni su cosa sarebbe successo fra i due, quando entrarono in un negozio di CD e sentirono i Radiohead suonare Airbag, la prima canzone del loro album OK Computer, uno dei preferiti di Nico.
Improvvisamente il ragazzo ebbe un déjà-vu e si ricordò della prima volta in cui aveva sentito quella canzone in compagnia di Will: stavano andando alla festa da cui era cominciato tutto e Nico aveva implorato il proprietario dell'auto di fargli cambiare musica dopo quasi un quarto d'ora ininterrotto di Maroon 5, e l'altro aveva acconsentito. Si ricordò anche di una promessa che Will gli aveva fatto, ovvero che un giorno gli avrebbe suonato una canzone scritta da lui, e improvvisamente gli venne voglia di sentirla, anche solo per poter portare alla luce un pezzettino in più di lui.
«Will, ti ricordi cosa mi hai promesso una volta?» esordì.
«Che ti avrei comprato una maglietta con la scritta Raggio di Sole?»
Nico fece finta di arrabbiarsi e gli diede un buffetto su una spalla: «No, stupido. Intendevo dire che mi avevi promesso di farmi sentire la tua canzone, un giorno»
Will sorrise, quindi disse: «Quindi vuoi finalmente sentire la grandiosa e geniale bravura di Will Solace?»
Nico sorrise a sua volta: «Magari sei stonato come una campana, Mister Sorriso Tutto il Giorno».
«Ti dimostrerò che non è così, uomo di poca fede!» disse e, prendendolo per mano, lo condusse a casa sua.

Will entrò in casa, infinitamente grato che nessuno della sua famiglia fosse presente. Voleva stare solo con Nico, soprattutto se si trattava di fargli sentire la sua canzone. Lo condusse in camera e lo fece sedere sul letto, mentre lui andava a cercare la sua chitarra, sommersa da pile su pile di spartiti musicali e libri di medicina e greco antico.
«Eccola!» esclamò, trovandola.
«Su, datti una mossa. Voglio sentirla» disse Nico, sorridendo. Ultimamente sorrideva davvero spesso, tanto che Will praticamente ogni giorno poteva bearsi di quei piccoli denti bianchi che spuntavano dietro le sue labbra sottili.
«In realtà questa canzone, quando ti avevo promesso che un giorno te l'avrei fatta sentire, non era ancora pronta. Ho finito di scriverla qualche tempo fa, e il testo... ecco, è per te» disse, arrossendo un poco.
«Va bene, Will» rispose Nico, arrossendo a sua volta.
Con impresso nello sguardo il sorriso timido del ragazzo, Will cominciò a suonare. La melodia era vivace e allegra e i passaggi veloci; era perfetta per la stagione in cui si trovavano, eppure le parole un poco stonavano con quell'energia che traspariva da ogni accordo.

 
I like to think that, we had it all
We drew a map to a better place
But on that road I took a fall
Oh baby why did you run away?

Will ripensò a quando aveva conosciuto Nico, al suo continuo dire “Non toccarmi” che ora era ormai scomparso del tutto, al suo raro sorriso, alla prima risata che aveva fatto in sua presenza, quando si era spogliato di fronte a lui e poi, troppo imbarazzato, era uscito dalla sua camera senza maglietta e con i piedi scalzi. E pensò alla loro prima uscita, al loro patto segreto che alla fine non era servito a nulla, all'iniziale sfiducia dell'altro nei suoi confronti.
 
But I wonder where were you
When I was at my worst
Down on my knees

Poi ripensò alla festa, a come si era rifugiato fra le braccia di Jason quando avevano parlato di Bianca, al bacio, all'abbraccio, alla confusione dell'alcool, alla paura di restare solo e a Nico che, senza troppi problemi, aveva dormito con lui sul divano, ignorando la sua repulsione per il contatto umano.
 
I was there for you
In your darkest times
I was there for you
In your darkest nights

Poi ripensò a quando aveva trovato Nico in quello spiazzale, accartocciato su se stesso per evitare i colpi di quei tre bulli da quattro soldi, al tremore delle sue mani, alla rassegnazione nel suo sguardo, ai lividi, alla rabbia, alla consapevolezza di poter far del male al prossimo se fosse successo di nuovo qualcosa del genere, all'accordo che aveva preso con se stesso.
 
And you said you had my back
So I wonder where were you
All the roads you took came back to me
So I’m following the map that leads to you
The map that leads to you

Poi ripensò alla loro lite, a quando aveva pensato che Nico l'avesse tradito, al senso di solitudine che era tornato a trovarlo scoprendo che Jason l'aveva baciato, e si ricordò di quando si era accorto della sua stupidità, della sua superficialità, della reazione egoista che aveva avuto nei suoi confronti. E quindi ripensò a quel giorno in giardino, quando le persone a cui teneva di più avevano confessato le proprie colpe e i propri sentimenti, quando erano scoppiati a ridere senza motivo, finalmente sereni e svuotati da ogni segreto.
 
Ain’t nothing I can do
The map that leads to you
Following, following, following

E infine aveva pensato all'ultimo periodo della sua vita, quando si era accorto che per Jason non provava nulla più che amicizia, quando si era reso conto di tutti quei momenti in cui, quasi senza accorgersene, aveva ammirato Nico da lontano per la sua forza, per il suo coraggio, per la dolcezza che nascondeva dietro al nero dei suoi capelli, dei suoi occhi e dei suoi abiti. E ripensò alla sensazione di un sentimento che sempre più cresceva in lui, alla consapevolezza di quanto spesso nei suoi sogni il protagonista fosse sempre il sorriso di Nico, a come quello che prima era solo un amico che stimava si fosse trasformato in qualcos'altro, in un qualcuno di cui amava ogni sorriso, ogni rara risata, ogni sguardo, ogni battuta sarcastica, ogni movimento delle dita, ogni passo per avvicinarsi o allontanarsi da lui, ogni volta che le sue guance si coloravano di rosso, ogni momento in cui dimostrava di non aver più paura del contatto fisico e anzi di cercarlo, la debolezza del suo corpo – in un primo momento –, la forma che invece stava prendendo adesso crescendo, di cui amava tutti i pregi e tutti i difetti che formavano la persona di nome Nico Di Angelo.
Concluse la canzone, quindi guardò Nico e capì che aveva compreso tutto ciò che voleva si sentisse con quel brano. Era stata la sua dichiarazione, quella canzone, e ora si aspettava solo una risposta.
Nico lo guardò, quindi sussurrò il suo nome. Will si alzò da terra, dove aveva suonato fino a poco prima, quindi si avvicinò a Nico e scavò un attimo nei suoi occhi, cercando un tacito consenso. Una volta trovato, accorciò ulteriormente la distanza fra loro e lo baciò.
Chi si sarebbe mai aspettato che alla fine sarebbe andata così? Che proprio le due persone che si erano conosciute per un malinteso e che si erano avvicinate per un patto ora fossero quelle che si stavano baciando?
Will approfondì il bacio, quindi sentì che Nico lo stringeva a sé e sorrise sulle sue labbra: lui aveva smesso di sentirsi solo, e Nico aveva smesso di aver paura di non esserlo.
Avevano trovato la mappa giusta, e con lei il posto migliore che cercavano fin dall'inizio.






 

Note capitolo:
In questo capitolo, nella parte finale, Will canta la sua canzone a Nico, ma in realtà la lyrics che vedete è quella di “Maps” dei Maroon 5. Ho immaginato che invece fosse Will a scriverla perché, a mio parere, è più o meno il resoconto della storia fra Nico e Will e quindi l'espressione stessa della Solangelo in questa storia.
Le ultime parole riprendono il titolo della storia, e le paure che Nico e Will hanno durante tutta la narrazione fino ad ora (quella del contatto umano e quella della solitudine) sono invece state inserite perché, prima che la storia uscisse completamente fuori dai binari che le avevo imposto, doveva partecipare al contest, sempre di Kirame avms, chiamato “Fobie contest” dove dovevo trattare di queste due fobie, appunto, e del modo in cui venivano superate. 
Vi ringrazio per essere giunti fino a qui, per aver letto, apprezzato, recensito, messo nelle preferite/seguite/ricordate questa storia, per essere stati con me, per aver letto questa storiella senza troppe pretese ma che si è trasformata in una di quelle a cui tengo di più. Grazie infinite, davvero.
Aturiel

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