Un medico

di MaCk_a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorni ***
Capitolo 2: *** Lorenzo ***
Capitolo 3: *** Joseph Logan ***
Capitolo 4: *** Fred e Lisa ***
Capitolo 5: *** Proposte ***
Capitolo 6: *** Grazie ***
Capitolo 7: *** Il vescovo ***
Capitolo 8: *** Legami ***
Capitolo 9: *** Complicazioni ***
Capitolo 10: *** La terra ***
Capitolo 11: *** Stephen e Lucilla ***
Capitolo 12: *** Accuse ***
Capitolo 13: *** Il bosco ***



Capitolo 1
*** Ritorni ***


Per Frederick era ancora insolito esser chiamato “dottore”, ma ancor più strana la cosa appariva ai suoi pazienti, che raramente avevano dato quel titolo a un ragazzo tanto giovane.

Era l’estate del 1869 e Frederick aveva ventuno anni e mezzo ed aveva appena iniziato a esercitare la professione: non c’era in realtà da stupirsi, perché sin da bambino il ragazzo aveva mostrato interesse per la materia e si era messo in testa di aiutare suo padre, già affermato in quella professione; tanta era stata la forza di volontà, da permettere al giovane un programma di studio veloce e comunque efficace, consentendogli di iscriversi all’università prima del previsto. Oh, certo, c’era stato bisogno di pagare qualcuno per chiudere qualche occhio… ma per fortuna i soldi non erano un problema e, inoltre, Frederick era figlio unico.

Figlio oggettivamente perfetto, solo su un punto il ragazzo aveva dovuto deludere suo padre: Frederick non chiedeva laute parcelle, preferendo, il più delle volte, non chiederle affatto. La medicina era stata una vocazione filantropica e la filantropia non esige ricompense. Dunque, il giovane se ne camminava attraverso le campagne, solo, verso casa. Anche quel giorno non era stato pagato, ma aveva aiutato una famiglia che altrimenti avrebbe perso due componenti in una volta sola a causa di parto. Chi l’avesse visto vagabondare in quello stato, sporco di sangue – perché non aveva avuto modo di ripulirsi – e sudato, ne sarebbe stato spaventato, anche perché quella fisionomia non era delle più placide: l’uomo era tanto alto da apparire minaccioso, troppo magro per sembrare sano – eppure godeva di ottima salute! – e dallo sguardo assai profondo: gli occhi, di un azzurro scialacquato, osservavano il mondo come se andassero a scavare oltre le apparenze e il loro colore, chiaro come quello dei capelli e della pelle, rendevano la sua figura sbiadita.

Eppure, era affascinante e molte ragazze l’avrebbero desiderato, se solo avesse avuto una qualche aspirazione sociale o economica. Lui, dal canto suo, alle donne non pensava: non aveva più una madre e le uniche a figurare nella sua vita erano quelle che curava e che lo pagavano con dolci, riconoscenti sorrisi. Poi c’era Lisa.

Lei era la sua amica d’infanzia, le loro famiglie vivevano in due ville separate, sì, ma una dirimpetto all’altra e, poiché quell’angolo di campagna inglese non era molto popolata, per i bambini era stato naturale crescere insieme. Ad unirli era stata non solo la vicinanza, non solo l’amicizia dei padri, ma anche una radice comune: entrambi avevano madre italiana e parlavano correttamente il toscano. Frederick non aveva mai lasciato l’Inghilterra, ma Lisa sì e proprio quel giorno sarebbe tornata dal suo viaggio nella penisola italiana e Frederick, finalmente, l’avrebbe rivista. Aveva sentito tanto la sua mancanza, in quei mesi.

Lisa – Elizabeth, per la verità, ma tutti la chiamavano Lisa – aveva diciannove anni e tutto, nel suo aspetto, ne rivelava la vivacità: le gote erano sempre arrossate dalle camminate o dalle corse a cavallo, i boccoli scuri e le sopracciglia ben disegnate tradivano le origini straniere e gli occhi, secondo Frederick, erano nati per ridere. Segretamente, lui aveva sempre sognato di sposarla, ignorando che, segretamente, lei si augurava lo stesso. Non che ne avessero mai parlato: semplicemente, sembrava l’evoluzione più naturale per un rapporto come il loro.

 

Per tutta la giornata, Frederick aveva avuto il cuore in gola; ora che attraversava la strada per recarsi da Lisa, i cui genitori l’avevano invitato, gli sembrava che l’organo volesse balzare fuori dal corpo. Non ci fu bisogno di reprimere le proprie emozioni, quando si videro: il loro legame era puro e nessuno avrebbe mai potuto fraintenderlo. Niente di strano, dunque, nel balzo col quale Lisa si gettò ad abbracciare il caro amico, né nell’enfasi che portò questi a sollevarla per guardarla bene negli occhi; in effetti, Lisa gli arrivava a stento al petto.

«Santo cielo, Fred, perché sei così elegante?» chiese ridendo, ancora a mezz’aria, notando i capelli raccolti in una lunga coda. «Ti dai le arie, adesso, perché sei un medico?»

Fred rise ammettendo che, in effetti, da quando aveva iniziato a esercitare preferiva legarli, per ragioni igieniche più che eleganti; poi, fu costretto a tacere. Lisa aveva troppo da raccontare, passava da un argomento all’altro con una velocità impressionante e riusciva a narrare con enfasi anche le vicende più banali che, in Italia, le erano capitate. Il clima era caldo, aveva detto, l’aria piacevole: per lei, che di salute era sempre stata cagionevole, il clima era ottimo, o almeno così avevano detto dei medici del luogo («ma non mi fido di loro», aveva aggiunto, facendo arrossire l’amico specificando: «il mio medico d’ora in poi sarai tu!»

Per tutta la notte, Fred ebbe le palpitazioni: quell’affetto Lisa lo viveva con spontaneità e grazia, ma lui si sarebbe ammalato di mal d’amore, ne era certo. Santo cielo, Lisa era ancora più bella di quanto non ricordasse. L’aria italiana le aveva fatto bene davvero! Cosa avrebbe dato per condurre quella giovane all’altare e condividere con lei tutti i giorni della sua vita… se solo fosse riuscito a farsi coraggio e parlarle, non sarebbe servito altro: la famiglia avrebbe accordato di certo, come anche lei. Mancava giusto quel momento essenziale della dichiarazione…

Ogni giorno i due trascorrevano assieme alcune ore, perché se il lavoro toglieva del tempo a Fred, Fred non era disposto a rinunciare a Lisa. Ogni giorno i momenti condivisi riscaldavano il cuore di entrambi e i ragazzi si avvicinavano, sempre più. Ogni giorno Lisa sperava che Fred si dichiarasse, ma lui taceva, limitando i loro contatti ad amabili strette di mano, casti baci sulla fronte e cordiali abbracci. “Domani” si ripeteva, ogni sera, tornando a casa. “Le parlerò domani”.

Un mese trascorse e lui ancora taceva; quando finalmente si decise a parlare, poi, trovò Lisa turbata e, nascondendosi dietro questa scusa, pensò di rimandare ulteriormente il discorso alla fine della visita. Lisa, da parte sua, quando capì che il momento di separarsi era giunto, abbassò gli occhi. Neanche quella volta aveva parlato. A questo punto, tanto valeva dirglielo.

«Sai, Fred, ho ricevuto una lettera. Un uomo… non credo di averti parlato di lui, non lo ritenevo importante… un amico di mia zia… sai, quest’uomo ha scritto che verrà a trovarmi. Cioè, verrà a trovare mia zia… che vive con noi e quindi… quindi verrà a trovare anche me.

«Si tratta di un conte, il suo nome è Lorenzo, l’ho incontrato quando siamo andate nel Sud della penisola… vive su una montagna, non molto distante da Napoli. Tutto bene, Fred?»

Il ragazzo sembrava pietrificato; aveva capito solo che c’era un uomo, che era un conte e che sarebbe andato a trovare Lisa. Questo non lo aiutava di certo. Non si viene in Inghilterra dall’Italia per fare una visita di cortesia; gli interessi dovevano essere altri. Fred sbatté le palpebre e si ricompose.

«Ma certo» la assicurò, sorridendo. «Solo che non capisco… perché mi dici questo. Vuoi che non venga a farti visita, quando c’è lui?»

«Cosa dici, Fred? Non è così, io pretendo che tu venga! L’ho detto solo perché… pensavo che tu… oh, Fred, non importa.»

Amareggiata, Lisa si era allontanata. Fred, nei giorni successivi, limitò le visite, passando in compenso molto tempo a spiare il giardino di lei dalla finestra, ignorando che, nascosta dietro i vetri della casa dirimpetto alla sua, la ragazza facesse esattamente lo stesso; quando si vedevano, comunque, Fred si comportava come se nulla fosse. Solo quando, agli inizi di Settembre, Lisa lo informò casualmente dell’imminente arrivo del conte, l’argomento fu menzionato di nuovo.

 

Angolo dell’autrice.

Questo capitolo è molto breve poiché ritenevo pesante iniziare con un sovraccarico di informazioni. Spero comunque di esser riuscita ad attirare la vostra curiosità e a dire "il giusto".

Gli eventi narrati in questa storia riprenderanno alcuni luoghi e personaggi di un’altra mia fanfiction, Virginea; tuttavia non esistono legami tra le trame, dato che Virginea si svolge in un periodo posteriore.

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Capitolo 2
*** Lorenzo ***


Lorenzo Ranieri in Inghilterra non c’era mai stato e non conosceva una parola d’inglese; appena sbarcato, aveva spedito uno dei tre valletti che s’era portato dietro a cercare qualcuno che li conducesse da Elizabeth Logan, di cui aveva annotato l’indirizzo su un biglietto. Il volontario, che fu subito trovato e lautamente ricompensato, accompagnò il conte italiano in quella isolata e tranquilla campagna che, al tramonto, sembrava completamente deserta. Il verde regnava sovrano e l’unica traccia della presenza umana era data da due ville, costruite ai lati del viale principale.

Poiché non sapeva con sicurezza quale fosse la dimora di Lisa – pensava si trattasse di quella a sinistra, più elegante e curata, ma non era detto – Lorenzo chiese di fermare la carrozza davanti ai cancelli posizionati, uno di rimpetto all’altro, esattamente alla stessa altezza. Quello della dimora sulla destra era aperto. A raccogliere i bagagli furono ovviamente i valletti; Lorenzo, quando ebbe rimesso piede sulla terra, pensò solo a guardarsi attorno. Per lui non era una novità il verde, né tantomeno la solitudine; il castello della sua famiglia si ergeva su una montagna, in un paesello che il mondo avrebbe dimenticato se non ci fossero stati i Ranieri. Lui, Lorenzo, non aveva viaggiato molto proprio perché gli dispiaceva incredibilmente abbandonare quel luogo di pace e armonia che era Valle. Per compensare i pochi viaggi, pensò divertito, doveva essergli venuta voglia di sposare una straniera.

Mentre il conte rifletteva – ed era la cosa che sapeva fare meglio – i suoi domestici avevano intanto fatto così rumore da attrarre l’attenzione dell’abitante della casa dal cancello aperto. Uscendo sulla strada, Frederick Martin si trovò innanzi un giovane dalla carnagione scura – non così scura, in effetti, ma rispetto a Frederick poteva sembrare Otello – e alto quanto lui. Il ragazzo – aveva ventinove anni, si sarebbe poi scoperto – aveva capelli scuri e folti ma non lunghi, sopracciglia ben marcate e occhi castani che, alla luce del tramonto, assumevano una tonalità morbida.

In entrambi, nell’istante in cui si guardarono, accadde qualcosa. Lorenzo non aveva mai sperimentato nulla del genere, non essendo persona che si affidasse all’intuito; Frederick, invece, già conosceva quella sensazione. Era come se, in uno sguardo, si potesse predire in qualche modo il futuro. Guardando Lisa, Fred aveva un giorno avuto la certezza che sarebbe stato legato a lei per sempre. Non era una speranza, non aveva a che fare con l’amore o l’affetto: si era trattata di una premonizione. Ora, Lorenzo e Frederick, ancor prima di conoscersi, seppero che sarebbero stati legati. Come, non avrebbero potuto dirlo. Forse il legame non sarebbe stato neanche piacevole, come del tutto piacevole non era quella sensazione. Lorenzo, però, ebbe subito l’impressione di potersi fidare e pronunciò un educato “buona sera”, rendendosi conto in un secondo momento di quanto fosse inutile, dato che non aveva parlato in inglese; enorme fu il suo stupore quando il ragazzo gli rispose. Frederick che, come Lisa, aveva madre toscana, spiegò a Lorenzo chi fosse e come avesse sentito parlare del conte italiano che sarebbe presto giunto a far visita alla sua amica Lisa.

In breve, col cuore in gola, Fred si propose di accompagnare il nemico dalla donna che entrambi desideravano.

 Elizabeth Logan, dopo aver udito la voce dell’amico urlare di aprire il cancello, aveva fatto ricorso a tutto il suo autocontrollo per restare ferma accanto alle rose, senza correre incontro a Fred. L’aveva fatta arrabbiare con la sua indifferenza negli ultimi tempi, ma ora doveva esser venuto per far pace, finalmente. Oh, quanto fu lo stupore della ragazza quando vide avanzare due sagome della stessa altezza, e che strano colpo al cuore le diede la vista di Fred, il suo caro Fred, che conosceva e amava da una vita, assieme a Lorenzo, il conte italiano che la zia Margherita le aveva con tanta insistenza fatto conoscere.

 

 

 

Il signor Logan non parlava italiano. Lorenzo poteva discorrere tranquillamente con la signora, con Elizabeth o con quella che anche lui aveva preso a chiamare la “zia Margherita”, sebbene fosse quasi sua coetanea; col padrone di casa, però, non si poteva parlare se non tramite intermediari e Joseph Logan non voleva che ogni suo incontro col giovane conte vedesse presenti anche le donne di casa o i servi che Lorenzo si era portato dietro.

Lorenzo, d’altro canto, avrebbe certamente preferito valletti o donne a Fred.

«Sono spiacente che si rivolga sempre a te» ammise una sera. Il signor Logan, che aveva desiderato passeggiare con lui e aveva chiesto a Fred – come sempre – di accompagnarli per fare da interprete, era già rientrato. Il giovane medico disse, mentendo, che la cosa non gli pesava affatto.

Lorenzo lo guardò.

«Sai, Frederick» iniziò, perché lui non lo chiamava mai – e mai l’avrebbe chiamato - Fred, «è strano. Ero venuto in Inghilterra per approfondire la conoscenza di Lisa… e, invece, la persona che ho conosciuto meglio sei tu».  L’altro rise, sostenendo giustamente che gli sembrava un’affermazione assurda; dalla sera in cui si erano incontrati per la prima volta si erano visti, sì, ogni giorno, ma solo dopo il tramonto, quando Fred, assieme al padre, si recava dai Logan per “fare da interprete in discorsi da uomini”, come affermava Joseph. E, per la verità, Lorenzo e Fred non si erano mai detti nulla direttamente. Ogni frase era stata detta per conto di altri o per esser detta ad altri.

«Eppure ti dico che ti conosco come le mie tasche. Lisa non fa che parlare di te. In ogni suo discorso, nomina te. In ogni suo ricordo, ci sei tu.»

«Non c’è da stupirsene, è perché siamo cresciuti insieme…»

«No, non è per questo.»

Lorenzo s’incamminò per il vialetto che scendeva verso il cancello, deciso ad accompagnare l’altro. Fred lo seguiva, dietro di qualche passo; deciso a non parlare, si dedicò con scrupolo all’osservazione della vegetazione circostante, occupazione che però fu presto disturbata.

«Lisa è innamorata di te»

Fred rise. «Che sciocchezza»

«Lisa parla solo di te, vive nell’attesa che tu ti presenti per la cena e si rattrista quando gli uomini si appartano, perché ciò la priva della tua preziosa compagnia. Credo che mi avrebbe già chiesto di andarmene, se non l’avesse trovato maleducato. Vedi, Frederick, credo di piacere ai suoi genitori più che a lei. Tuttavia…»

Erano giunti al cancello. Fred, senza guardare il conte, fece per uscire, ma Lorenzo lo trattenne per un braccio.

«Frederick, io non sono venuto dall’Italia per prendermi una vacanza. Quando ho incontrato Lisa, ho capito di volerla; allora non immaginavo ch’ella amasse un altro e credevo di riuscire a conquistarla senza troppe difficoltà. Invece sono arrivato qui e ho scoperto di te.

«Non sono un idiota e non voglio rovinare la vita a nessuno. Se sarà il caso, tornerò da dove sono venuto al più presto. Ma vedi… tu sei un tipo enigmatico e non riesco a capirti: ami Elizabeth o no?»

Non fosse stato buio, Lorenzo avrebbe visto l’altro avvampare: il ragazzo si era mostrato indignato, aveva tentato di contenere l’imbarazzo e di tranquillizzare il conte ribadendo che le sue teorie fossero assurde, ma Lorenzo insisteva.

«Siamo uomini, Frederick, affrontiamo la questione con dignità. Se tu ami Lisa, non avrò difficoltà ad accettarlo e a lasciarvi alla vostra gioia, perché so che ti vuole bene e che con te sarebbe felice. Però, se tu non la ami… in quel caso, nulla m’impedisce di corteggiarla e di chiedere la sua mano, non credi? Dunque» terminò, piazzandosi le mani in tasca con un atteggiamento che a Fred non piacque, «cosa mi dici?»

Fred tacque. Con la schiena contro le sbarre del cancello, tentò di riflettere velocemente. Cosa avrebbe potuto offrire lui a Lisa? Era un medico, ma… un medico dei poveri! Non avrebbe mai preteso laute ricompense da quella povera gente e non l’avrebbe neanche abbandonata. Lorenzo era un conte; aveva un castello, terre e possedimenti… non era un uomo spiacevole, anzi, era sicuramente diligente, onesto, retto e anche piacente, o almeno così l’avrebbe definito lui.

Ammettendo di amare Lisa, avrebbe mandato via Lorenzo. Era giusto? Dopotutto, che male c’era se Lorenzo corteggiava la ragazza? Lisa aveva il diritto di conoscere altri uomini e di scegliere.

«Io non amo Lisa.»

Era vero. Lui non l’amava. L’aveva creduto, forse, ma ora capiva d’essersi sbagliato. Aveva mai pensato a lei nei termini in cui di solito si pensa alle donne? No. Non aveva mai fantasticato di possederla, di stringerla in un abbraccio che non fosse amichevole. Non aveva mai immaginato lei come madre dei suoi figli. Aveva sospirato per lei, sì, l’aveva adorata, ma come si adora una divinità. Aveva ammirato la sua grazia e la sua intelligenza e il suo nasino così delicato e i capelli…

No.

No, lui non amava Lisa come Lisa non aveva mai amato lui.

«Provo per lei un enorme affetto, come lei per me, ma è l’affetto che potrebbe legare un fratello e una sorella. Non ho altro da dire»

Lorenzo non gli credeva, ma non aveva né la voglia né il tempo di discutere ancora con una persona che non riusciva a dire la verità neanche a se stessa.

«Attento, Frederick. Io non torno mai sulla stessa questione due volte. Se rinunci a lei ora, rinunci a lei per sempre»

Sentendosi offeso senza sapere perché, Fred aprì finalmente il cancello. «Non ho altro da dire» ripeté freddo, prima di andar via.

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Capitolo 3
*** Joseph Logan ***


Frederick Martin non si era più recato dai Logan; la sua carriera da interprete era finita la sera in cui lui e Lorenzo avevano discusso. Il signor Logan non era riuscito a spiegarsi il comportamento del ragazzo, come del resto Lorenzo che, con la franca chiacchierata, non aveva previsto di intimidire il presunto rivale; comunque, il conte Ranieri e Joseph Logan se n’erano fatta una ragione, rassegnandosi a comunicare poco e alla meno peggio.

A soffrire davvero per l’assenza di Fred era Lisa e, dopo giorni spesi a rimuginare in silenzio, durante i quali s’era convinta che fosse stato Lorenzo a causare in qualche modo l’allontanamento dell’amico, la fanciulla aveva preso la decisione di vincere il proprio riserbo e chiedere spiegazioni al conte italiano; l’aveva avvicinato un pomeriggio, nel salottino al secondo piano, poco prima che il Sole tramontasse.

Lorenzo era solo. Ignorava, Lisa, che fino a qualche minuto prima fosse stato suo padre a fargli compagnia.

«Conte Lorenzo» bisbigliò la ragazza, entrando, rendendosi conto di quanto poco suonasse autoritaria la propria voce.

«Solo Lorenzo, vi prego» rispose lui, gentile, quando l’ebbe notata. Lisa, prendendo coraggio, assunse un’aria severa.

«Lorenzo, voi sapete perché Fred evita questa casa?»

I due si guardarono. L’uomo era assai meravigliato dalla schiettezza della domanda e, soprattutto, dal fatto che Lisa non avesse neanche tentato di formularla in maniera meno diretta. Evidentemente, non era più interessata a celare il proprio interesse nei confronti del giovane medico.

«Non guardatemi così, vi prego. Dite di esser venuto fin qui per conoscermi meglio… ebbene, ora vi ho mostrato un nuovo aspetto di me.»

Lorenzo abbassò lo sguardo per qualche secondo, per riflettere sul da farsi. Volse lo sguardo verso la finestra, che lasciava intravedere la dimora di Fred.

«Ciò che dite non è esatto, poiché non sono venuto qui per conoscervi meglio… non solo, almeno. Voi mi interessate e…»

«… e così avete pensato bene di allontanare Fred!»

L’occhiata che il conte volse alla fanciulla, questa volta, fu alquanto indignata; la rigidezza delle labbra suggeriva la voglia di spalancarle e lasciarsi andare a qualche commento poco piacevole ma, da gran signore qual era, Lorenzo Ranieri tacque e prese posto sul divano. Quando parlò, lo fece senza guardare l’altra.

«Mi dispiace davvero che voi mi riteniate tanto meschino, Lisa. Non immaginavo di dovermi dichiarare a voi in tal modo, ma poiché avete voglia di parlare, mi pare opportuno dire ogni cosa adesso. Come avete intuito, mi interessate; mi interessate come moglie. L’ho appena confessato a vostro padre, che si è mostrato a dir poco felice; tuttavia, so bene che il suo giubilo serve a poco, se voi non mi riservate che astio.

«Noto dalla vostra espressione che tale rivelazione vi disturba e lo capisco; in questo momento pensate solo a Fred. Lo so. Ma ritenevo necessario precisare le mie intenzioni prima di spiegarvi l’accaduto. Dunque, volendo sposarvi e avendo tuttavia notato il forte legame tra voi e il vostro amico, decisi di parlare a Fred, per illustrargli la mia situazione e chiedergli cosa provasse per voi. Vedete, se egli avesse dichiarato di amarvi, io sarei tornato in Italia immediatamente.»

Lisa tremò. Quindi, dato che Lorenzo era ancora lì, doveva dedurre che Fred non si era detto innamorato?

«Potrei sapere cosa Fred vi ha detto?»

Lorenzo tornò a guardarla e gli occhi di lei lo fecero tentennare; non voleva ferirla,

«Questo dovete chiederlo a lui.»

Lisa sedette. Due cose le erano chiare: che Lorenzo era un gentiluomo, troppo buono e cortese per comunicarle una notizia che l’avrebbe umiliata, e che lei era stata maleducata, prepotente e, soprattutto, sciocca. Spiando con la coda dell’occhio l’uomo che le era accanto, la ragazza dovette anche ammettere che fosse bello, e tuttavia le parve che gentilezza e fascino non fossero sufficienti per farglielo amare.

«Lorenzo, io non vi amo» annunciò, tentando di ammorbidire la voce. «E questo non dipende da ciò che Fred possa aver o non aver detto.»

L’uomo alzò un sopracciglio; guardò la ragazza con una curiosa espressione e, quando i loro sguardi s’incontrarono, rise. «Oh, Lisa! Neanch’io amo voi!

«Ascoltatemi… vi ho osservata, in Italia: siete intelligente, elegante e buona. Vi ho guardata pregare, in chiesa, e ho capito quanta purezza e onestà alberghino nel vostro cuore. E i bambini… eravate tanto dolce con loro, da farmi desiderare… io, che mai avevo avuto certe aspirazioni… insomma, Lisa! Vi stimo e vi rispetto; su stima e rispetto mi piacerebbe costruire un matrimonio.

«Siete giovane e vi credete innamorata; lo capisco, ma so che tale sensazione passerà e per questo non demordo. Per favore, pensate a ciò che ho detto: sono certo che saremmo felici, insieme.»

E Lisa ci aveva pensato davvero e, purtroppo, l’immagine del conte cattivo e geloso che si era costruita aveva finito per dissolversi. Il suo onesto discorso l’aveva colpita e la ragazza s’era ritrovata a fare delle considerazioni: lei e Fred erano sempre stati amici, solo amici, e Fred non aveva mai dimostrato sentimenti di natura diversa; Lorenzo non l’amava, ma in compenso la ammirava tanto da aver affrontato un lungo viaggio solo per conquistarla. Fred questo non lo avrebbe fatto. Fred probabilmente aveva anche confessato a Lorenzo di essere completamente indifferente a lei, e Lorenzo poi non le aveva detto nulla per non ferirla. Probabilmente. Ma ciò che è probabile non è certo e Lisa voleva esser sicura; come avrebbe potuto decidersi, altrimenti?

 

***

 

Fred non aveva più pensato a Lorenzo e Lisa, un po’ perché se l’era imposto, un po’ perché le condizioni di suo padre erano peggiorate: da ormai sette giorni, Stephen Martin era costretto a letto da una febbre che non accennava a scendere e Fred, stremato, si divideva tra lui e i suoi poveri pazienti. La sera, il ragazzo era tanto stanco da non avere neanche la forza di mangiare e si addormentava dove capitava; il 30 settembre si era appisolato nella sala da pranzo e lì sarebbe rimasto fino al mattino, se Joseph Logan non avesse preso a bussare con insistenza a una finestra.

«Ho saputo, Fred… quel Lorenzo, che razza di uomo… le ha detto… »

Joseph non aveva apprezzato la sincerità del conte; quando questi gli aveva chiesto la mano di Lisa, Logan ne era stato lieto, e aveva subito provveduto ad avvertire la moglie e la cognata; ma poi il conte, dopo neanche mezza giornata, era apparso meno convinto, aveva detto che ogni decisione sarebbe stata rimandata a data da destinarsi e, infine, aveva confessato quanto accaduto tra lui e Lisa. Joseph Logan, se avesse potuto, l’avrebbe picchiato quell’italiano!

«Fred, lei verrà qui. Ah, si crede furba la signorina, pensa che nessuno sospetti! Ti dico che verrà dopo la mezzanotte, e allora… Fred, io mi fido di te. Lo sai che mi sono sempre fidato.»

Il ragazzo, ripresosi improvvisamente da sonno e stanchezza, rimase in silenzio per qualche istante; sebbene si fosse già rassegnato all’idea, non riusciva a immaginare Lorenzo e Lisa sposati senza che ciò lo addolorasse. Eppure, neanche il dolore riusciva a smuoverlo dalla sciocca presa di posizione e così egli ammise di non aver capito molto il senso di quella visita, né di quella che avrebbe dovuto fargli Lisa. «Lorenzo le ha detto che mi crede innamorato di lei? Solo questo è il problema?» domandò, con una tranquillità assolutamente fuori luogo.

Joseph Logan gli rivolse un’occhiata esasperata e divertita insieme. «Fred, Lisa verrà a chiederti se tu la ami. Perché se tu le dici di sì, lei non sposerà Lorenzo; e se tu le dici di no… allora, probabilmente… »

Il signor Logan non terminò la frase e un imbarazzante silenzio calò nella trascurata sala; un silenzio che, com’era prevedibile, non fu Fred a rompere.

«Ragazzo mio, perché non vuoi parlare? La ami, sì o no? E se la ami, credi di poterle dedicare il tempo e le cure che merita? Fred, l’affetto non basta… serve devozione… »

Fred si avvicinò alla finestra dalla quale era visibile la dimora dell’amica. La voce di Logan faceva da fastidioso sottofondo. Poi vide qualcosa al confronto del quale il monotono ronzio diveniva il male minore.

«Insomma, Fred, se la ami, soprattutto se la ami, devi lasciarla andare!»

«Voi dovete andar via!» esclamò lui, voltandosi di scatto. Joseph rimase con la bocca spalancata. «Cosa?», balbettò scioccamente.

Fred spinse il vecchio in un’altra stanza e gli impose di salire al piano di sopra. «Nascondetevi e fate silenzio, per carità! Ho visto il cancello aprirsi, Lisa sta arrivando!»

E, difatti, nel giro di cinque minuti il giovane medico si ritrovò nuovamente ad aprire la porta-finestra della sala da pranzo, per lasciar entrare Lisa, costretto a fingere stupore; Joseph Logan, rifugiatosi in camera di Fred, pregava che tutto andasse per il meglio.

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Fred e Lisa ***


Lisa e Fred si guardavano come mai avevano fatto prima di allora: con estremo timore.

Fred aveva accolto l’amica con uno stupore tanto grande quanto fasullo e, quand’ella aveva spiegato – dopo averlo rimproverato per non essersi fatto più vedere – di dovergli parlare, egli aveva quasi riso, dicendo che non riusciva a immaginare qualcosa di tanto importante da spingere una persona a presentarsi in casa altrui in piena notte.

Poi era calato il silenzio.

Fred, gli occhi chini sulle dita che tamburellavano freneticamente sul tavolo di legno, era incerto su cosa desiderare: che Lisa parlasse subito per mettere fine a quell’agonia, o che se ne andasse ancor prima di aprir bocca, rinunciando così ad affrontare l’inutile discorso. In ogni caso, il ragazzo mirava a esser lasciato in pace, solo.

Lisa, già annientata dall’ansia che sempre, in certe circostanze, corre ad attanagliare chi vorrebbe invece mantenere la calma, non scorgeva in Fred segno alcuno d’incoraggiamento e questo la rendeva ancora più demoralizzata.

  «Come sta tuo padre?» chiese d’improvviso, principalmente per rompere il silenzio ma comunque interessata alle condizioni di salute del signor Stephen.

«Non bene» fu la scarna risposta, data con fare insolitamente scortese, senza che il ragazzo guardasse l’interlocutrice.

«Mi dispiace.»

Lisa prese nuovamente a scrutare la stanza: sedie e mobili erano esageratamente impolverati e negli angoli si scorgevano facilmente enormi ragnatele, sebbene l’illuminazione non fosse delle migliori. Nello stesso periodo in cui il signor Martin aveva smesso di esercitare la professione a causa della malattia, sua moglie era morta; era stato proprio nei mesi in cui Fred aveva iniziato a lavorare, se il suo poteva esser definito lavoro. Il ragazzo aveva deciso (secondo Lisa era stato costretto a decidere) di licenziare la maggior parte dei domestici e i pochi superstiti, evidentemente, avevano capito che la pulizia interessava poco al nuovo padrone.

«Fred, Lorenzo mi ha chiesto di sposarlo.»

Per alcuni istanti, il giovane rimase completamente immobile. Le dita si fermarono e le palpebre smisero per un po’ di sbattere. Lisa si chiese se l’amico stesse almeno respirando.

«So che avete parlato, Fred» ritentò.

«Abbiamo parlato, sì. Sebbene non avessimo motivo di farlo.»

Tacquero. Per cinque minuti le loro orecchie furono distratte solo dal ticchettio dell’orologio che segnava l’ora sbagliata.

«Io ti amo, Fred.»

Le tenere parole giunsero come una freccia al cuor del ragazzo che, ferito, rivolse all’amica un’occhiata quasi offesa, incredula, colma di rancore.

«Devo averti amato sempre, Fred. In Italia mi sentivo così sola… pensavo a te continuamente, non con malinconia, ma con gioia… mi chiedevo cosa tu facessi e se dedicassi al mio ricordo qualche minuto della tua giornata. Attendevo il momento in cui ti avrei rivisto… e ora… ora io non riesco a immaginare il mio futuro senza di te.»

Si fermò, per riprender fiato e coraggio. Sperava in una risposta, o almeno un breve commento, ma Fred pareva muto.

«Lorenzo sa ciò che provo» riprese timidamente, «ma non lo comprende. Dice che sono fantasie da ragazzine e… »

«Io credo lo stesso» la interruppe finalmente il ragazzo, lasciandola sbigottita. «Tu confondi l’amore con l’amicizia. Noi siamo sempre stati come fratelli  e perciò…»

«No, Fred! Lo sai che non è così! Persino Lorenzo l’ha notato e per questo… ti ripeto che so del vostro discorso! Ciò che Lorenzo non ha voluto rivelarmi è solo quel che gli hai risposto quando lui… quando lui ti ha chiesto…»

«Ho detto la verità, Lisa!»

La voce del medico era suonata tanto alterata dalla rabbia da non sembrare neanche la sua.

«La tua vita sentimentale non mi riguarda! Ma se davvero desideri con tanto ardore che io mi esprima… ebbene, ti consiglio di sposare Lorenzo al più presto! Se volessi rifiutarlo per me, commetteresti uno sbaglio; lui vuole sposarti, saprebbe renderti felice, è un uomo onesto e benestante! Vive persino in un posto da cui potresti trarre giovamento per la tua salute… va’ in Italia con lui, cosa aspetti? Perché coinvolgi me in questa decisione?»

«Fred, io non amo Lorenzo!»

«E io non amo te, Lisa!»

L’orologio rotto rintoccò le dieci. Lisa, tremante di rabbia e rossa di vergogna, abbassò gli occhi. Entrambi si erano alzati durante la discussione.

«Siamo amici… come lo siamo sempre stati. Tu hai creduto di amarmi, ma…»

«… ma devo essermi sbagliata. Hai ragione, Fred. Scusami se ti ho disturbato.»

 

 

 

Il signor Logan non si riteneva un uomo sensibile, e ammetteva d’esser curioso; quando Fred l’aveva richiamato, dicendogli che Lisa era andata via, egli aveva atteso con ansia che il giovane gli rivelasse l’esito dell’incontro ed era stato molto deluso dal suo silenzio.

«Ragazzo mio, non voglio intromettermi nelle vostre questioni» disse, mentre scendevano al buio le scale che a quel signore non parevano molto stabili,  «ma ho diritto di sapere come stanno le cose, non credi?»

Fred sospirò. Non era mai stato loquace. Non ne poteva più.

«Tutto andrà per il meglio. Lisa sposerà Lorenzo.»

«Sia lodato il cielo!»

L’uomo, scansate le insidie di alcuni gradini e di un tappeto, giunse finalmente al pianterreno. «Per te non è… un male, vero? Voglio dire… tu e Lisa siete sempre stati…»

«… come fratello e sorella, signore.»

Trascinandosi a fatica fino al portone, il ragazzo lo aprì e fu colto da un brivido di freddo.

«Vogliate scusarmi, sono davvero molto stanco. Buonanotte.»

 

 

 

Angolino dell’autrice:

Chiedo umilmente scusa per il capitolo corto cortissimo. Ritenevo però che questa parte andasse separata dal resto, non era il caso di anticipare qui ciò che accadrà dopo.

Perdonatemi. Un po’ è colpa mia, un po’ della tesi, il cui pensiero mai mi abbandona e ad esser più breve del solito mi sprona. Con questa direi che siamo arrivati alla frutta.

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Capitolo 5
*** Proposte ***


Elizabeth Logan e Lorenzo Ranieri s’erano sposati il primo dicembre 1869 in Italia, a Valle, il borgo di montagna in cui lui risiedeva. Si trovava in Campania, ma lontano da Napoli, così avevano detto i signori Logan prima di partire per accompagnare la figlia; Fred era stato invitato al matrimonio, ma anche se avesse voluto accettare, gli sarebbe stato impossibile: suo padre era peggiorato al punto di non esser più in grado d’alzarsi dal letto, e non aveva altri, oltre il figlio.

In realtà, Fred non gli restava accanto sempre: continuava a esercitare la sua professione ed era grato di riuscire a tenersi occupato, così risultava più semplice non pensare a Lisa, che non aveva più visto dopo la loro “discussione”. A Settembre.

Da allora Fred aveva fatto nascere tanti bambini e curato molte madri, spesso acquistando i farmaci a proprie spese; una volta, dopo aver salvato un ragazzino da morte certa, era stato avvicinato dal padre del paziente che, in lacrime, «vorrei donarvi tutto l’oro del mondo», gli aveva detto.

Il giovane medico se n’era tornato a casa felice proprio come se davvero gli fosse stato donato, tutto l’oro del mondo. E non gli importava se doveva spostarsi a piedi, né se i pochi soldi racimolati venivano spesi tutti in medicinali per il padre; la sua vita non era peggiore di quella degli altri, pensava, e in più poteva godere della gioia di aiutare il prossimo.

Turbare Fred era impresa ardua, raramente qualcuno c’era riuscito: forse l’unica era stata Lisa con i suoi sentimenti o, ancor prima di lei, Lorenzo con le sue insinuazioni.

Tornando a casa nel tardo pomeriggio d’un giorno d’Aprile, il ragazzo provò nuovamente la poco conosciuta sensazione nel vedere, nel giardino della dimora dei Logan, i padroni di casa. Erano dunque tornati dall’Italia.

Fred affrettò il passo e, giunto in casa, pregò che i suoi vicini godessero sempre di buona salute: non aveva davvero voglia di incontrarli, né di sentirli parlare della vita italiana di Lisa. Non ch’egli provasse rimpianti: era felice di aver rifiutato Lisa e non gli dispiaceva ch’ella si fosse sposata, ma preferiva relegare la sua amica nel passato: aveva fatto parte di un capitolo felice della sua vita, ma quel periodo era finito per sempre. Che ognuno continuasse per la propria strada lontano dall’altro.

Tuttavia, proseguire nella direzione scelta senza rimorsi ed evitare in ogni modo di sapere cosa Lisa facesse erano cose ben diverse e, in cuor suo, Fred lo sapeva.

Comunque, era inutile che egli tentasse di evitare i Logan: questi avevano già deciso di parlargli, ancor prima di lasciare l’Italia per tornare in Inghilterra.

Joseph Logan, in verità, si sentiva alquanto imbarazzato e non sapeva davvero come affrontare il ragazzo. Eppure era costretto a farlo.

All’inizio, l’Italia era apparsa magnifica a Lisa che, lontana da Fred, non aveva più pensato a lui. Il matrimonio era stato celebrato da un vescovo amico di Lorenzo in una chiesa piccola e accogliente, i meravigliosi sposi erano stati salutati con calore dagli abitanti di Valle e l’ormai contessa Ranieri aveva trovato il castello in cui avrebbe vissuto assolutamente carico di fascino e mistero. Si ergeva su una delle piccole alture che circondavano Valle. Valle, a sua volta, nasceva in un avvallamento sulla cima di un monte campano.

A fine gennaio Lorenzo aveva già annunciato la gravidanza della moglie, che avrebbe partorito presumibilmente agli inizi di settembre: la gioia dei Logan era stata inesprimibile, eppure durò poco.

Secondo i medici che visitarono Lisa, la ragazza era “troppo delicata per generare un figlio” e avrebbe fatto bene a starsene a letto fino alla fine della gravidanza, nella speranza che tutto andasse per il meglio: tale affermazione aveva mortificato i Logan, preoccupatissimi, Lorenzo, che si era sentito responsabile dei mali della moglie, e soprattutto Lisa.

Per quanto cagionevole di salute, la contessa non aveva mai creduto di non poter procreare; l’idea di non poter esser madre – i medici avevano consigliato di evitare assolutamente altre gravidanze in futuro, ammesso e non concesso che riuscisse ad affrontare questa – l’avviliva e umiliava. Che razza di donna era? Per quale motivo Lorenzo avrebbe dovuto continuare a desiderarla come consorte?

Tali pensieri le affollarono la mente durante i primi mesi di riposo, poi la situazione degenerò. Trascorrendo l’intera giornata a letto, Lisa non faceva altro che pensare alle proprie sventure, non solo quelle attuali: presto la disperazione e lo sconforto ebbero il sopravvento e apparve chiaro ai più che la contessa non fosse più in sé. Di solito piangeva; se non lo faceva, aveva l’aria di un uccelletto spaurito e malato, ed era assolutamente muta. Gli occhi, stanchi di indugiare su quella stanza che le era divenuta odiosa, abbandonavano il mondo reale e, seppur aperti, non vedevano ciò che le accadeva attorno: impossibilitata a godersi il presente, Lisa s’immaginava un futuro buio e grigio, senza bambini perché temeva di non poter far nascere neanche quello che portava in grembo, oppure ricordava il passato. E anche quello era motivo di sofferenza, perché ricordava Fred.

«Mia cara» le aveva sussurrato una sera Lorenzo, «io non avrei mai voluto essere la tua rovina.»

Lisa si era ridestata dall’oblio in cui ormai risiedeva e l’aveva guardato, spaesata. «Non è colpa tua. Il problema sono io. Il problema è il mio corpo.»

Lui aveva abbassato lo sguardo sulla mano che le stringeva, mortificato. «Lisa… il tuo corpo è delicato, non malato. Eppure, è evidente che tu non goda, ora, di buona salute. Io credo… che il tuo male sia la sofferenza. E tu soffri perché non hai sposato l’uomo che ami.»

Lisa aveva spalancato gli occhi, allibita. Aveva dichiarato, senza mentire, di aver sposato l’uomo che desiderava, e se c’era qualcuno che doveva pentirsi della scelta fatta quello era proprio lui, purtroppo.

Ma Lorenzo non si era convinto. «Io credo che, se Fred fosse qui, tu ti sentiresti meglio.»

Allora gli occhi di Lisa avevano preso a lacrimare. «Lorenzo, io ho paura di parlarti di lui. Temo di non sapermi spiegare. Io… non ne sono innamorata e so bene, ora lo capisco, che se anche ci fossimo sposati saremmo stati infelici, avremmo finito per odiarci, addirittura. Al solo pensiero di fare con Fred ciò… ciò che ho fatto con te… rabbrividisco! Non era quel tipo di amore, il nostro! E tuttavia… Lorenzo, io non ho mai immaginato di vivere senza di lui! Egoisticamente, credevo di poterlo avere sempre accanto… ti prego, non fraintendermi! Io… io e lui siamo cresciuti insieme, e ne sento la mancanza come sentirei quella di un fratello! E contemporaneamente lo odio, perché non perdono l’indifferenza con cui mi ha trattata, e perché non è venuto al nostro matrimonio, né a salutarci prima che partissimo! E ora potrei anche morire e non lo vedrò più!»

Lisa era scoppiata in pianto, un pianto isterico e disperato. Continuava a farfugliare frasi incomplete e ce n'era voluto di tempo perché Lorenzo riuscisse a calmarla.

Il giorno dopo, a insaputa della moglie, il conte aveva parlato al signor Logan, istruendolo sul da farsi: Joseph e la moglie erano partiti immediatamente, ma ora ch’era tornato in Inghilterra l’uomo non si sentiva più tanto sicuro di sé.

Per recarsi dai Martin, Joseph aveva usato la scusa di voler visitare il vecchio Stephen, cosa comunque vera, e l’unico domestico rimasto in casa l’aveva fatto entrare. Fred sarebbe tornato entro una mezz’ora, così fu detto, e così fu.

Il povero malato si era addormentato dopo dieci minuti dalla venuta dell’amico e Joseph se n’era stato seduto accanto al letto di Stephen in silenzio, fino all’arrivo del giovane medico. Fred, come previsto, non era apparso entusiasta della visita e aveva trascinato a malavoglia una sedia traballante vicino a quella di Logan.

«Devo parlarti, ragazzo» ammise senza preamboli, chiedendo poi di cambiare stanza perché non voleva che altri udissero. Fred, però, gli assicurò che suo padre non avrebbe captato nulla, addormentato com’era, e non volle spostarsi.

Joseph sospirò. «Frederick, Lisa sta molto male. L’hanno costretta al riposo perché altrimenti rischia di non portare a termine la gravidanza e lei… non so come dire, sembra un’altra persona. È assente. Passa le sue giornate in quel letto e chissà a che pensa, e piange solo… quando dà segni di vita, perché di solito non ne dà proprio. Lorenzo le ha parlato e ha dedotto che… »

Si fermò. Temeva d’essere ambiguo e dovette riflettere per meglio formulare la frase.

«Fred, ascolta. Lorenzo di tre cose è certo: che Lisa non gli mancherebbe mai di rispetto, che ciò che lega te e mia figlia sia un amore fraterno e… e che Lisa non possa vivere senza di te. Lui vorrebbe… lui crede che la tua presenza possa farle bene.»

«Io non posso permettermi assenze» rispose semplicemente l’altro, con una freddezza che stupì egli stesso, «per nessun motivo. Ho mio padre, i miei pazienti…»

«Non si tratterebbe di un’assenza! Ragazzo… se Lisa ti rivedesse per perderti ancora, sarebbe anche peggio. Lorenzo vorrebbe… anzi, t’implora di trasferirti in Italia, a Valle. Così tu e Lisa potreste continuare a frequentarvi come avete sempre fatto.»

Fred si inumidì le labbra, nervoso. Lisa era incinta di un altro e lui doveva correre a consolarla e assisterla? Inoltre, far del bene a lei avrebbe significato distruggersi, obbligarsi a vederla sempre con il conte italiano e la loro famiglia.

«Io sono un medico. Se anche esercitassi la mia professione a Valle, non avrei poi molto tempo da dedicare alle amicizie.»

«Lo sappiamo! Per questo Lorenzo intendeva chiederti di… lavorare per lui. Non come medico… tu… dirigeresti la casa. Non ti toccherebbero compiti ingrati! Dovresti solo controllare che gli altri svolgano il proprio lavoro… io gli ho spiegato che non sei pratico in queste cose ma lui confida nelle tue capacità d’apprendimento e…»

«Lorenzo mi vuole come domestico?» esclamò esterrefatto il ragazzo, indignato.

«No, no! Come capo… capo dei suoi… capo dei suoi camerieri! Fred, cerca di comprendere, lui vuole far felice Lisa, ma certo non puoi stabilirti da loro come ospite per sempre! Così lavoreresti e saresti regolarmente pagato… tuo padre potrebbe seguirti…»

«Mio padre non lascia quel letto da mesi e Lorenzo crede che possa lasciare l’Inghilterra! E vorrebbe schiavizzarmi e umiliarmi con la scusa di Lisa!»

«Non è vero, Fred! Che ragione avrebbe Lorenzo di far ciò? Non sarebbe meglio, per lui, tenerti lontano dal suo matrimonio?»

Fred si alzò in piedi.

«Io sono un medico, amo il mio lavoro e sto bene dove sto! Ed è ora che tutti voi capiate che la mia vita non gira intorno a Lisa!»

 

Il signor Logan se n’era andato, triste ma non stupito, perché riteneva impossibile che un uomo accettasse proposte simili. Il vecchio Joseph aveva rivisto Fred solo un mese dopo, per porgergli le condoglianze.

Poco prima di morire Stephen, che aveva capito d’esser prossimo alla fine, aveva chiamato presso di sé il figlio. In meno di mezz’ora l’aveva adulato come mai prima, complimentandosi per l’intelligenza e la generosità che lo caratterizzavano.

«Ma bisogna stare attenti, Fred; far del bene ti fa onore» gli aveva sussurrato, stringendogli la mano con le poche forze che gli erano rimaste, «ma devi pensare anche a te stesso! A volte temo che il tuo altruismo possa distruggerti…»

Proseguire era divenuto difficile; le palpebre pesavano e l’anziano inspirò profondamente. Avrebbe voluto rivelare al ragazzo d’aver ascoltato la discussione tra lui e Joseph, ma il tempo stringeva e dovette tagliar corto.

«Io sono tanto orgoglioso di te, figlio mio. So quanto ami il tuo lavoro e quanto ti sia impegnato per diventare un medico… se non sei ricco poco importa, se non importa a te. Perciò Fred, per favore… non fare pazzie. Non lasciare ciò che ami e che ti rende felice. Non andare da Lisa.»

 

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Capitolo 6
*** Grazie ***


Frederick Martin giurò solennemente di tenersi lontano dal mare per il resto della sua vita.

Era sbarcato a Napoli e comunicare era stata una bella impresa, perché lui conosceva la lingua che sua madre, toscana, gli aveva insegnato, e pareva che in quella città parlassero in maniera assolutamente diversa; tra l’altro tutti parevano indaffarati e trovare qualcuno disposto ad ascoltarlo era difficile. Qualcuno gli si era avvicinato, per la verità, ma aveva pure tolto il disturbo dopo aver capito che quel pallido ragazzo non aveva soldi da spendere.

Era il mese di agosto del 1870 e Fred non ricordava d’aver mai avuto tanto caldo; stanco, si sarebbe anche seduto così, per terra, ma c’era troppa gente attorno a lui e non riusciva a respirare. Dunque decise di allontanarsi un po’ e passeggiare, nella speranza d’incontrare un’anima pia disposta a parlargli lentamente.

Camminava da un quarto d’ora circa quando un uomo non troppo alto e grassottello, che poteva avere una quarantina d’anni, richiamò la sua attenzione: si stava affogando (con del vino, straordinariamente, ma Fred sapeva che spesso i liquidi erano più pericolosi dei cibi) e il ragazzo non poté fare a meno di avvicinarglisi anche se, in quel caso, non erano richieste chissà quali competenze: bastò assestargli delle potenti pacche sulla schiena.

«Grazie, guagliò.»

Fred, che aveva capito solo il “grazie”, rispose con un “prego”.

«morivo, se non era pe’ te! Mi hai salvato!»

Fred sorrise, sostenendo che l’affermazione fosse alquanto esagerata, e si presentò. L’uomo, che si chiamava Gianni, stabilì però che quel nome straniero fosse troppo complicato e prese a chiamare il ragazzo semplicemente “Fred”.

«E quindi sei venuto dall’Inghilterra!» esclamò, cercando di parlare in maniera comprensibile. «E bravo! E cerchi lavoro a Napoli?»

«No» spiegò l’altro, «mi aspettano in un paesino vicino Caserta… in realtà non so quanto vicino… ho pochissime informazioni. So solo che questo paese si chiama Valle, e che è su una montagna. Io devo andare a lavorare dal conte Ranieri.»

«Pensa tu! E io lo so dov’è, vivo sotto a quella montagna! Puoi venire con me, poi sempre lo troviamo qualcuno che sale a Valle e ti porta dal conte, che ci vuole?!»

 

Durante il viaggio in carrozza - che non fu corto - Gianni raccontò a Fred tante, forse troppe cose.

«Questa carrozza mica è mia, eh. No, è dei baroni. Io lavoro dai baroni Gaetani. Mi hanno mandato a ritirare dei vestiti, quelli ci tengono a queste cose, ricorrono solo alle migliori sartorie! Sono dei signori, veramente. Io mi ci trovo bene a lavorarci, se ti devo dire la verità. Non è male, non è male.»

Il medico inglese – che di essere un medico non lo disse – ascoltò Gianni con attenzione e seppe così dove questi era nato, com’era la sua famiglia, quando si era sposato, quanti figli aveva e persino quali erano le festività più importanti dalle loro parti. «Noi facciamo festa grande a giugno, per il patrono. Però pure a maggio non si scherza, eh: ci stanno le processioni per altri santi. A Valle invece è festa ad agosto, ma è già passata, quindi devi aspettare un anno. Eh vabbé mi dispiace. L’inverno invece non si fa niente, anche perché di solito nevica e si muore di freddo.»

Dovevano essere le otto di sera, più o meno, quando arrivarono al paese ai piedi del monte in cui Gianni viveva e di cui Fred non scoprì – o non intese - il nome. E poiché era tardi il baldanzoso signore insistette perché il ragazzo si fermasse a riposare e gli trovò alloggio presso amici di amici, o parenti di parenti, il medicò non capì bene: comunque, quelle persone furono gentilissime e lo nutrirono molto più del necessario.

La donna più anziana della famiglia, il mattino dopo, lo salutò raccomandandogli – per l’amor di Dio! – di mangiare, perché così sembrava una spiga di grano; e dopo essersi congedato anche da Gianni, che ringraziò di tutto cuore, Fred salì su un carretto malandato che trasportava viveri a Valle, guidato da un uomo anziano e silenzioso.

Fu quasi peggio dell’esperienza in mare: la strada svoltava continuamente e, poiché le ruote si muovevano su sassolini e pietre di diverse grandezze, il ragazzo non faceva che rimbalzare, chiedendosi come mai non accadesse lo stesso al conducente.

«Sono abituato» disse quello, come se gli avesse letto nel pensiero. «Quando fai questo un giorno sì e l’altro pure, non ci fai più caso e impari a tenere il culo attaccato al suo posto.»

Durante il tragitto, che durò quasi quattro ore ma perché a un certo punto si fermarono dato che pareva che Fred stesse per vomitare e non era il caso di sporcare il mezzo di trasporto, i due non parlarono molto: il ragazzo si limitò a dire che andava a lavorare dai Ranieri e che aveva lasciato l’Inghilterra per sempre, accennando vagamente alle sue origini italiane per parte di madre; l’uomo parlò invece di Valle, dicendo che era un posto freddo e spiacevole durante l’inverno, ma paradisiaco d’estate. «Se vai dal conte Ranieri stai a posto, perché i più ricchi del paese sono lui e la famiglia Di Cosmo. Io proprio a loro sto portando questa roba» spiegò, indicando con la testa il carico. «L’altra è povera gente, quindi buona e onesta. Pure il conte Ranieri è onesto, eh, per carità. I Di Cosmo invece… boh, non ci metterei la mano sul fuoco.»

A ora di pranzo («Alle due secondo te è ora di pranzo?», aveva obiettato il vecchio), più o meno, Fred giunse a Valle. Il posto gli parve magnifico: il paese era perlopiù pianeggiante, e circondato da piccole alture. Piccoli monti che sorgevano su quella montagna che da Valle era coronata perché, oltre quel borghetto, non c’era più niente, non si poteva salire oltre. Inoltre, vi era verde ovunque, dappertutto, e faceva da protagonista.

Fred ebbe l’impressione che la natura ospitasse benevolmente la comunità che però, appunto, era ospite, non padrona.

«Tu devi salire là sopra» lo richiamò l’uomo, facendogli segno col dito. «Quello è monte Janara, lo vedi il castello dei Ranieri?»

Sì, lo vedeva. Era grande, imponente, maestoso e per questo anche leggermente minaccioso e inquietante, visto dal basso.

«Là ci sali a piedi, dieci minuti e ci arrivi, un quarto d’ora al massimo. Buona fortuna.»

«Aspettate!» lo fermò l’altro, deciso. «Vi ringrazio moltissimo e mi scuso perché mi rendo conto solo ora di non avervi rivelato il mio nome. Mi chiamo Frederick Martin… oh, potete chiamarmi Fred, se preferite.»

«Non penso proprio che ci rivedremo, veramente.»

«In ogni caso, voglio che sappiate di poter contare su di me, qualsiasi cosa vi serva. Posso sapere il vostro nome?»

«Endrio. Endrio e basta, il cognome non lo tengo e non mi serve, tanto solo io mi chiamo così.»

Fred sorrise. «Grazie ancora, Endrio.»

 

***

 

Lorenzo Ranieri corse in giardino, non appena gli fu detto che un ragazzo alto, scheletrico e dal nome incomprensibile fosse giunto con la pretesa d’essere assunto.

Il medico inglese, meno pallido del solito, se ne stava seduto su una panca all’ombra di un albero e osservava ammirato la vegetazione. Il conte ordinò che nessuno si avvicinasse loro e lo raggiunse, chiamandolo amichevolmente per nome.

«Andato bene il viaggio, vecchio mio?»

«Mi ha fatto capire di non voler più lasciare l’Italia» tagliò corto l’altro, a disagio. Sapeva che non sarebbe stato semplice parlargli, non all’inizio, almeno.

Lorenzo sospirò, teso. «Ti ringrazio per esser venuto, Fred. Sono convinto che Lisa si riprenderà, con te qui. Lei non sospetta nulla… pensa che sorpresa sarà per lei! Forse dovrei prepararla… non vorrei che l’emozione le giocasse brutti scherzi…»

Fred, che era seduto, alzò lo sguardo verso il conte, che stava ritto accanto a lui.

«Io sono un medico, lo sai. Per me è umiliante e degradante divenire il capo dei tuoi camerieri.»

«Lo capisco.»

«Ma rinuncio volentieri ai miei sogni, se è per la salute di Lisa.»

«Lo so.»

Era vero che Valle era molto fresca: a fine agosto si stava bene, lontano dal caldo afoso di Napoli. Del resto, era anche logico, vista l’altitudine.

«Lorenzo, perché un uomo sposato chiama presso di sé colui che ritiene essere innamorato di sua moglie?»

Il conte fu infastidito dal quesito, ma se lo aspettava ed era preparato a rispondere.

«Perché Lisa è in uno stato pietoso e voglio aiutarla. Fred… io so che tra voi esiste un legame profondo e credo che mia moglie non sarà mai legata a me quanto lo è a te. Tuttavia è sempre mia moglie ed è una donna onesta e so che non mi tradirebbe mai. Mai e per nessuna ragione. E se ti ho chiamato qui, lo ammetto… è soprattutto perché so di potermi fidare. Non mi fa onore dirlo, forse, ma… io sono convinto che tu non toccheresti mai Lisa, ora che è sposata. Questo mi rassicura. Sei libero di disprezzarmi, a me non interessa: ci tenevo a chiarire la mia posizione e l’ho fatto. Ora seguimi, perché voglio dire a Lisa che sei qui e, se reagisce bene, potrai incontrarla subito.»

 

Lisa si accarezzava l’enorme pancione, mentre ascoltava Lorenzo: udire il nome di Fred le causò inizialmente dolore, ma quando seppe che egli era partito per vederla, per restarle accanto come sempre aveva fatto, accettando di vivere in quella casa come dirigente della servitù… allora il dolore scomparve e gioia ed egoismo si fusero: non le importava nulla di quanto significasse tutto ciò per Fred, né di quanto la situazione potesse imbarazzare Lorenzo. Il suo amico era lì, era lì per lei e non sarebbe andato via, mai più, e di certo l’avrebbe anche aiutata nel parto.

Lorenzo non uscì dalla camera da letto. Voleva osservare la scena.

Quando Fred fece timidamente capolino e poi, piano, entrò, Lisa scoppiò in lacrime. Rideva e piangeva e allargò le braccia, singhiozzando, chiamando il nome del ragazzo.

Lui, lentamente e con molta accortezza, perché il pancione era davvero ingombrante, si avvicinò e la strinse a sé. Rimasero così per dieci minuti almeno, lei in lacrime, incapace di dir qualcosa che non fosse “grazie”, lui composto ma felice e, comunque, emozionato.

Lorenzo, in piedi a un angolo del letto, con le braccia dietro la schiena, udì Fred giurare a Lisa che non l’avrebbe mai, mai più lasciata.

Erano gli ultimi giorni di agosto e il parto era previsto per la prima settimana di settembre.

 

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Capitolo 7
*** Il vescovo ***


Lorenzo avrebbe probabilmente consumato il pavimento.

A ogni urlo di Lisa, l’uomo bussava alla porta e puntualmente faceva capolino Mariuccia, la più anziana tra i suoi dipendenti, che lo pregava di pazientare perché la situazione era delicata e lui, purtroppo, non poteva essere d’aiuto. L’ultima volta, però, ad affacciarsi era stato Fred, che aveva quasi ordinato al conte di “smetterla d’esser tanto molesto”.

Fred.

In quelle due settimane di permanenza era riuscito a imparare cose che aveva sempre ignorato e nessuno s’era stupito del fatto che fosse stato messo a capo della servitù: era diligente, scrupoloso e severo. Lorenzo si rivolgeva a lui chiamandolo Frederick (ed esigeva ch’egli gli desse del voi, e non lo trattava diversamente dagli altri), ma il resto degli inquilini del castello preferiva Fred, ch’era più corto e semplice da pronunciare, o al massimo “signor Fred”, che pareva abbastanza rispettoso.

Fred.

Era dentro, lui.

“Sa pure far nascere i bambini?” aveva chiesto con stupore Mariuccia, quando Lorenzo le aveva ordinato di chiamare il ragazzo in modo che assistesse il medico, immaginando già che, in realtà, sarebbe stato il medico ad assistere Fred.

Le urla si fecero più frequenti e parevano quelle di un’ossessa. Lorenzo, che odiava se stesso per aver concepito quel figlio, si accovacciò sul pavimento, poggiando il capo tra le mani. Era un uomo molto religioso e pregò per sua moglie fino al momento in cui il pianto di un neonato non lo ridestò dallo stato di trance in cui era caduto. Il conte balzò in piedi per avvicinarsi alla porta, che trovò chiusa dall’interno; solo dopo una mezz’oretta Mariuccia la aprì, mentre con un solo - robusto - braccio cullava l’erede dei Ranieri.

“È un maschietto” disse, porgendolo al conte che accolse quel fagottino con accortezza e timore. “Come sta la contessa?” domandò, notando quanto quel bambino ricordasse, nei lineamenti, la madre.

 

Lisa era stremata, pallida, debole, ma viva. La gioia di aver dato alla luce un bambino bello e sano le aveva donato coraggio, e sul viso mostrava uno stanco sorriso. Lorenzo le era stato accanto per ore, stringendole la mano ma tacendo per non stancarla; addirittura, aveva evitato di chiederle se avesse delle preferenze per il nome del piccolo. A lui avrebbe fatto piacere Stefano, come suo padre, ma non aveva intenzione di imporsi: Lisa doveva decidere. Era il minimo, dopo tutto quel che aveva passato.

Quando il conte, verso la mezzanotte, si ritirò per dormire, rimasero con la puerpera Fred e Mariuccia. E nessuno avrebbe potuto obiettare, perché anche se Fred era un uomo era ovvio che fosse il più adatto ad assistere la contessa, e proprio Mariuccia, che aveva osservato l’operato del ragazzo durante il parto, aveva suggerito a Lorenzo di fidarsi.

“Fred” sussurrò Lisa sentendo Mariuccia, seduta poco distante dal baldacchino, che iniziava a russare.

Piano, egli si avvicinò all’amica e le accarezzò il viso.

“Sei più stanco di me, Fred” sorrise, osservandolo con dolcezza. “Il mio bambino…”

“È forte e sano, Lisa. E ti somiglia.”

Gli occhi della ragazza scintillarono, o così parve al suo amico. “Stephen. Si chiama Stephen, il mio bambino.”

Fred tacque. Riuscì solo ad annuire, commosso, quando Lisa gli chiese se il nome gli piaceva. La contessa era però molto stanca e presto le palpebre coprirono gli occhi; allora il giovane sbottonò il primo bottone della camicia e tirò su il ciondolo che pendeva dalla lunga cordicella che aveva al collo. Era un piccolo rombo d’argento, dalla sottile cornice d’oro. Era stato di suo padre, di cui recava inciso il nome: Stephen.

 

In un mese, Lisa tornò ad essere la ragazza vivace e allegra ch’era sempre stata e, quando il vescovo Di Cosmo venne a far visita al piccolo Stephen, disse a Lorenzo che la contessa ricordava un fiore a primavera. Secondo Fred le visite del vescovo erano stranamente frequenti, ma in fondo la fede di Lorenzo era tanto grande da giustificare tale amicizia, e comunque il giovane sapeva di dover pensare agli affari propri: soprattutto, Fred amava dedicarsi a Steve. Non c’era occasione che non cogliesse per stargli accanto e, sebbene tentasse di non palesarlo, era evidente che lo adorasse.

Steve, dal canto suo, imparò presto ad amare quello che riteneva il capo dei maggiordomi e, appena apprese a camminare, cominciò anche a seguire Fred ovunque potesse. Lorenzo non ne era infastidito: aveva desiderato un erede, non tanto un figlio, e non aveva mai amato particolarmente i bambini; attendeva dunque con ansia che Stephen crescesse e che gli desse soddisfazioni.

Al castello nessuno avrebbe commentato maliziosamente l’attaccamento del piccolo al capo-maggiordomo, né l’amicizia tra la contessa e Fred, per tre motivi: la contessa era amata da tutti e tutti l’avrebbero difesa da qualsiasi critica; Fred era un uomo rispettabile e onesto, e se non lo fosse stato non sarebbe stato assunto da Lorenzo; pareva che la famiglia di Fred fosse stata a servizio di quella della contessa da sempre, e quindi i due erano cresciuti insieme. Almeno, così era stato detto quando il giovane era giunto a Valle.

 

A tre anni e mezzo Steve, che della madre era la copia esatta, aveva fatto proprio della contessa il suo essere umano preferito. Avrebbe trascorso con lei l’intera giornata e spesso gli era consentito, ma quando proprio non poteva sapeva dove andare: correva nel grande castello, che a lui pareva enorme, alla ricerca di Fred, che metteva sulle spalle e gli faceva guardare il mondo da un’altra prospettiva, o lo portava nelle cucine dove poteva assaggiare tante cose buone senza che nessuno lo ammonisse, o ancora gli permetteva di sbizzarrirsi in giardino.

Ovviamente, Steve sapeva anche di avere un padre, ma non era un individuo particolarmente importante per lui: lo vedeva una o due volte al giorno, e lui non era cattivo, ma il bambino non si sentiva attratto dall’uomo e, forse, voleva addirittura più bene a Fred e a Mariuccia.

C’era anche un’altra figura piuttosto presente nella vita del piccolo: il vescovo Angelo Di Cosmo veniva spesso a fargli visita e allora il conte raccomandava al figlio di comportarsi bene, di non parlar troppo e di star fermo. Il vescovo rideva e scherzava, era gentile e diceva spesso: “tra poco potrà indossare l’orologio”, riferendosi a quello da taschino, tutto d’oro massiccio, che aveva regalato al piccolo alla sua nascita. Nelle altre frasi pronunciate durante tali incontri non vi era nulla d’interessante.

Una sera, poi, il vescovo si rivolse direttamente al bambino.

“E così il nostro Stephen compie cinque anni!” commentò, sorridente. Il piccolo, con gli occhietti vispi, aveva guardato le tasche dell’abito dell’uomo, nella speranza che nascondessero un regalo per lui. “E dimmi, giovanotto, non hai ancora una fidanzata?”

Steve non aveva avuto modo di pensare alla questione, in realtà, anche perché nella sua breve esistenza quasi non aveva visto altri bambini. Si limitò dunque a far cenno di no col capo, lanciando poi un’occhiata alla mamma, che pareva turbata. Suo padre, invece, sorrideva. “Sarebbe ora di trovarla” commentò, cortese.

Il bimbo, avendo udito poche volte il padre consigliargli qualcosa, pensò allora che la questione fosse di una certa serietà.

“Io ho una nipotina, lo sai?”, riprese il vescovo. “Un po’ più grande di te, ha nove anni, ma questo mica ci importa! Vive a Valle, proprio come te, ma non vi siete mai incontrati. Eppure avrebbe tanta voglia di giocare con te! Si chiama Lucilla ed è molto buona. Pensi che ti farebbe piacere se venisse qui a farti visita, una volta ogni tanto, come faccio io?”

Steve guardò il padre, che gli riservava uno sguardo insolitamente amorevole. Dal canto suo, Lorenzo evitava deliberatamente di volgersi verso Lisa che, al contrario, aveva assunto un’espressione poco felice.

Il piccolo fece una smorfia, pensoso. “Non so”, ammise infine, “a lei che giochi piacciono?”

La risata che seguì parve stabilire che la risposta fosse stata, in qualche modo, positiva; il vescovo assicurò che Lucilla conoscesse tanti bei giochi e promise di organizzare un incontro al più presto.

Fred, quando entrò nella sala per accompagnare l’ospite all’ingresso, notò che l’amica aveva in volto un’espressione indignata.

 

“Avete organizzato ogni cosa alle mie spalle!” urlò la contessa, ignorando il marito che la invitava gentilmente ad abbassare la voce. “Ecco finalmente spiegata la ragione di tante visite!”

Il conte tentava di avvicinarsi alla moglie per accarezzarla, ma continuamente veniva scansato. “Mia cara, ne parli come se fosse un crimine…”

“Voi avete agito come se fosse un crimine, escludendomi dalla questione!”

Lorenzo tacque, mortificato. “Mia cara… la maggior parte delle persone contrae matrimoni, e quello di Stephen sarebbe molto vantaggioso.”

Non avevano mai litigato davvero, i coniugi Ranieri. Quella sera la contessa accusò il marito di aver sempre ignorato il figlio e di averne ricordato l’esistenza solo per accasarlo con la nipote del suo amico, mentre il conte tentò di spiegare le proprie ragioni, ammettendo di non aver mai amato i bambini e tuttavia di attendere con ansia il momento in cui il figlio fosse cresciuto; sottolineò inoltre che quello che intendeva organizzare – “Ma se tu non vuoi, mia cara, possiamo annullare tutto” – sarebbe stato un matrimonio molto vantaggioso per Stephen e che comunque, se il figlio si fosse rifiutato, una volta adulto, di unirsi a Lucilla, di certo non l’avrebbe costretto.

 

Dunque, Stephen e Lucilla s’incontrarono. E Steve scoprì così che il vescovo gli aveva mentito, perché quella bambina non sapeva giocare proprio a niente ed era anche abbastanza noiosa.

 

Angolo dell’autrice.

È cortissimo, lo so. Giuro che a Maggio m’impegnerò di più! Grazie a chi segue e commenta questa storia e scusate per la latitanza!

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Capitolo 8
*** Legami ***


A nove anni, Stephen Ranieri sapeva d’esser fidanzato e, tuttavia, non riusciva bene a comprendere come ciò fosse accaduto. Lui e quella bambina si vedevano poco, e quelle poche volte non si dicevano nulla di che: figurarsi se si erano mai chiesti di fidanzarsi, quando era così chiaro che nessuno trovasse l’altro simpatico!

Durante l’ultimo incontro, in realtà, le cose erano andate davvero male. Lucilla, avendo ormai tredici anni, non solo appariva infinitamente più grande del suo fidanzato, ma trovava i giochi di questi assolutamente infantili e sciocchi; allora Stephen si era messo a giocare con Erica, la piccola dama di compagnia di Lucilla, mentre la nipote del vescovo era rimasta sola, in disparte e imbronciata.

«Lucilla cara, non sentirti offesa» le aveva detto la contessa Ranieri, raggiungendola. «Tu ora sei una signorina, ma Steve è ancora un bambino. Dovrà passare qualche anno, prima che possiate comportarvi davvero come dei promessi sposi.»

Lucilla aveva fatto una strana smorfia, ma era apparsa più rilassata. «Avete conosciuto la mia dama di compagnia?»

La contessa, ridendo, aveva ammesso di no.

«Il suo nome è Erica. I suoi genitori sono morti nell’incendio del mese scorso, erano persone molto povere. Ma lo zio dice che bisogna prendersi cura di chi è sfortunato e quindi è stato deciso che Erica stesse al mio servizio, e non come una semplice cameriera, ma come una mia pari, o quasi. Lo zio dice che prima o poi riusciremo anche a combinarle un buon matrimonio.»

Elizabeth Ranieri aveva provato un brivido di spiacevole stupore nell’udire una ragazzina parlare con tanta freddezza.

«Io comunque voglio esser buona con lei. Io voglio esser buona con tutti. Perché le persone buone sono amate e rispettate.»

 

 

 

«Fred, tu perché non sei fidanzato?»

L’uomo poggiò sul tavolo di legno un candelabro, e ne afferrò un altro per lucidarlo.

«Non tutti sono fidanzati, Steve.»

«Lo so, ma tu in particolare, perché non lo sei?»

Fred sorrise, sebbene non ne avesse davvero un motivo.

«Io in particolare… forse non ho incontrato la persona adatta» sospirò, pensoso. «Non è che un uomo qualsiasi può fidanzarsi con una donna qualsiasi; ad ognuno è destinata una certa persona… e bisogna avere la fortuna di trovarla e di non lasciarsela scappare.»

Steve poggiò i gomiti sul tavolo e si prese la testa tra le manine. «Io non sono molto sicuro che Lucilla sia la persona destinata a me», ammise. «Non la trovo simpatica o divertente. Penso che mi annoierei molto, a vivere con lei. Solo se ci penso, di dover vivere per sempre con lei, mi sento triste.»

Fred diede un’ultima occhiata al candelabro, prima di rimetterlo al suo posto. «Steve, non puoi ancora sapere se Lucilla ti piacerà o no; siete solo dei bambini! Quando sarete cresciuti, allora capirete se è il caso di sposarsi o no. Se tu non sarai convinto, potrai dirlo. Non possono mica farti sposare per forza» scherzò, chiedendosi poi quanto ci fosse di vero nella propria affermazione.

Steve scosse il capo. «Ma mio padre sarebbe davvero felice se io sposassi Lucilla.»

L’affermazione colpì Fred, che sapeva quanto il bambino tenesse all’approvazione del padre.

«Oh, Steve… ma non si vive mica per accontentare gli altri.»

 

Frederick Martin, medico di trentuno anni che da tempo ormai viveva come un semplice maggiordomo, si riteneva nella giusta posizione per poter odiare Lorenzo Ranieri, ma non gli riusciva di farlo: anzi, come uomo, come marito e come conte, anche, lo stimava; tuttavia, non riusciva a ritenerlo un buon padre.

Il conte Lorenzo non amava i bambini, e non rappresentava un’eccezione il figlio, col quale neanche tentava di instaurare un rapporto; Steve era un bimbo intelligente, sapeva disegnare molto bene e suonare discretamente, eppure il padre non lo lodava, mai; gli rivolgeva parola solo per rimproverarlo, quando scopriva che il piccolo se n’era andato nei boschi a sporcarsi, e Steve si era segretamente convinto d’essere odiato dal proprio genitore; di conseguenza, si era affezionato molto a Fred, che apertamente gli dimostrava grande affetto.

Lorenzo allora, vedendo il proprio figlio giocare con “il maggiordomo”, aveva finito per nutrire un certo astio per la creaturina, convincendosi che Steve non amasse (né rispettasse) suo padre.

 Solo quando si parlava di Lucilla, Steve aveva l’impressione che il conte si interessasse a lui e, sebbene l’idea di fidanzarsi non lo divertiva per niente, il giovane Ranieri taceva per godersi l’approvazione del padre.

 

Il passato, Steve lo ignorava, come ignorava alcuni aspetti del presente. Non sapeva, per esempio, che i suoi genitori non si sfioravano dal giorno del suo concepimento. Fred, invece, lo sapeva, come la maggior parte degli abitanti del castello, del resto: alla nascita di Stephen, i medici erano stati concordi nel dire che mai e poi mai la contessa avrebbe dovuto affrontare una nuova gravidanza, che le sarebbe costata la vita. Lorenzo, da vero gentiluomo qual era, non si era più avvicinato a sua moglie.

Il conte, Lisa, Fred, tutti vivevano in perfetta castità, e a nessuno di loro la cosa pesava. Ciò che pesava era altro.

A Fred, semplicemente, pesava la propria posizione.

Lisa non avrebbe avuto grandi problemi, se non fosse stato per il fidanzamento forzato di Steve; egoisticamente, convivere con i due uomini – con i quali non intratteneva che rapporti platonici – le pareva la situazione più comoda.

Lorenzo sapeva che, praticamente, mai sarebbe stato tradito: né da Lisa, né da Fred. Tuttavia, vedere sua moglie in giardino assieme al figlio e all’amico di sempre, uniti e sorridenti, come se loro tre fossero una famiglia, lo turbava enormemente.

 

«Tra me e lui non c’è differenza!» sbottò, tentando di non alzar troppo la voce. «Io e Fred… tu ci consideri allo stesso modo!»

La contessa aveva tentato di spiegare che così non fosse, ma qualsiasi sua frase lasciava intendere poi l’esatto contrario: stimava Fred per la sua bontà e intelligenza, e lo stesso valeva per il marito; a legarla a Fred era un sentimento quasi fraterno, e non si poteva dir diversamente per il rapporto che legava lei e Lorenzo; aveva allora ammesso che non avrebbe mai voluto né potuto amare fisicamente Fred, perché sarebbe stato innaturale; d’altro canto, però, non toccava da nove anni neanche suo marito, sebbene i motivi fossero altri.

Dopo quella notte, Lisa prese a soffrire per la sofferenza che causava a Lorenzo. Pian piano tentò di avvicinarsi a lui, di toccarlo più spesso, di accarezzarlo, di apparire almeno come una moglie e non come una sorella o semplice coinquilina; un bel giorno, poi, decise di ricordarsi che tra persone sposate c’erano impegni da rispettare, e tentò di sedurre il conte.

Lorenzo volle opporsi, ricordandole che era pericoloso, sostenendo di amarla troppo per volerle causare male, dicendo che certe cose non erano poi così necessarie, a pensarci bene; tuttavia la contessa non si era mai dimostrata tanto provocante, e la carne è debole.

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Capitolo 9
*** Complicazioni ***


Stephen Ranieri era un bambino che si era sempre sentito molto solo e avrebbe tanto voluto un compagno di giochi. Il concetto di “amico” gli era quasi estraneo: poteva ritenere Fred una persona molto cara, ma non gli era permesso giocare con lui, e poi, Fred era grande!

Le uniche bambine con le quali aveva instaurato una sottospecie di rapporto erano Lucilla, che però tanto bambina non era più, ed Erica, che era certamente meglio di Lucilla ma, comunque, un po’ timida e insicura, e non disposta a cimentarsi nei giochi spericolati che Steve le proponeva in continuazione.

Stando così le cose, era ovvio che il piccolo accogliesse con immensa gioia la notizia dell’arrivo, entro qualche mese, di un fratellino o una sorellina; gli dispiaceva un po’ per la mamma, che era costretta a stare sempre a letto perché in tali condizioni era meglio non affaticarsi troppo, tuttavia gli pareva un sacrificio fattibile; tanto, dopo aver dato alla luce il bimbo, la contessa sarebbe tornata ad essere la stessa di sempre.

Lisa Ranieri, che durante la prima gravidanza si era lasciata sprofondare in un abisso tetro e asfissiante, appariva ora stanca ma placida, perché circondata da chi amava: Steve, Lorenzo e Fred. L’idea della morte, che sovente la sfiorava, non riusciva a turbarla: se fosse morta dando alla luce la creaturina che portava in grembo, cosa che riteneva probabile, sarebbe rimasto Fred a vegliare sui suoi figli, e ciò la consolava. La voglia di vivere che l’aveva caratterizzata durante l’adolescenza, aveva lasciato spazio a una rassegnazione quasi mistica e, se qualcuno avesse potuto leggerle i pensieri, sarebbe stato stranito da tanta inquietante saggezza. Accarezzandosi il pancione, la contessa rifletteva infatti su quanto tutto fosse sensato, perché era ovvio che per ogni nuova vita doveva spezzarsene un’altra e, in fondo, a cosa serviva lei, su quella terra? Non si poteva neanche dire che avesse davvero vissuto. Lei, la vita, l’aveva solo accarezzata, ne era stata spettatrice più che attrice. Ed era ora che lo spettacolo finisse, si diceva.

Lorenzo, invece, soffriva. A ogni frase di congratulazioni per la nuova imminente paternità, egli si sentiva trafiggere il cuore. Avrebbe voluto gridare al mondo che non c’era nulla di cui rallegrarsi, che non esisteva marito peggiore di lui, che la contessa non avrebbe dovuto affrontare una nuova gravidanza; sperava che qualcuno lo rimproverasse, perché quello meritava; e invece tutti a congratularsi, a felicitarsi. Neanche il vescovo pareva aver capito la gravità del suo peccato, e continuava a far visita al castello portandosi dietro Lucilla ed Erica.

Lucilla, in realtà, stava diventando davvero carina; l’aria altezzosa del suo viso era illuminata da un paio d’occhi verdi che parevano smeraldi, e il corpo iniziava a maturare. Se Stephen fosse stato due o tre anni più grande, si sarebbe innamorato; ma il piccolo, essendo un bambino, neanche si sognava di guardare la “fidanzata” e non pensava affatto all’amore. Le sue azioni, come le sue parole, erano assolutamente innocenti e pure.

Quando aveva osservato che il nome “Erica” fosse molto bello, perché faceva pensare ai prati, non aveva parlato con l’intenzione di adulare la damina di Lucilla; e se giocava tanto con lei era solo perché solo lei, appunto, era disposta a giocare con lui.

Lucilla, gelosissima, ignorava che presto avrebbe dimenticato certe sciocchezze, perché presto Steve avrebbe ignorato Erica come ignorava lei.

Erica, che di anni ne aveva sette, non poteva ovviamente immaginare quanto quei piccoli gesti avrebbero influito sui suoi sentimenti, portandola, in futuro, a fantasticare ad occhi aperti sul promesso sposo della sua signora.

Tornando al 1880, comunque, bisogna specificare che tutti fossero convinti del fatto che la contessa non sarebbe sopravvissuta al parto, e si erano a ciò rassegnati.

I problemi nacquero quando anche la vita del bimbo che Lisa portava in grembo entrò in pericolo.

La contessa era al sesto mese di gravidanza e le era venuta una forte febbre, che l’aveva portata a mangiar poco, vomitare molto e, di conseguenza, indebolirsi. Quel corpo – reputato unanimemente inadatto ad affrontare un parto – era dunque divenuto ancor meno forte e, come se non bastasse, Fred si ritrovò a scoprire – per puro caso – che la contessa aveva delle perdite.

La sera stessa in cui realizzò ciò, Fred si diresse da Lorenzo, deciso a spiegargli la gravità della situazione e pronto ad ammettere di non esser capace, lui solo, a fronteggiare la cosa. Bisognava assolutamente rivolgersi a medici più esperti. Lui non operava seriamente nel settore da troppo tempo, era fuori allenamento, e non se la sentiva di “prendersi certe responsabilità”.

Lorenzo si allarmò, chiese spiegazioni, voleva capire cosa stesse succedendo, perché se si era rassegnato alla perdita di Lisa non poteva tuttavia accettare un’eventuale morte del bambino: avrebbe reso, questo, la dipartita della contessa assolutamente inutile.

«Signor conte, la realtà dei fatti è purtroppo molto semplice: Lisa è sopravvissuta alla prima gravidanza per miracolo, ed era ovvio che non avrebbe dovuto affrontarne un’altra. Tutti l’avevano detto.»

Lorenzo si era sentito offeso, e consolato assieme: finalmente qualcuno lo rimproverava, come da tempo aveva agognato, e tuttavia non gli sembrava giusto che fosse proprio quell’uomo a farlo.

«Frederick, quando ti ho chiesto di trasferirti in Italia, sono stato molto chiaro: il tuo ruolo sarebbe stato quello di un capocameriere. Nulla di più, nulla di meno. Ti prego, pertanto, di non tediarmi con commenti che non ti spettano.»

«So bene quale sia la mia posizione; non fate che sottolinearlo, da dieci anni. Tuttavia, mi avete spesso incaricato di prendermi cura della contessa come medico, e proprio come medico – non come uomo, badate bene – sono costretto a rimproverarvi.»

«Io e Lisa siamo marito e moglie, Frederick.»

«Con tutto il rispetto, signore, avreste potuto evitare questa gravidanza, come l’avete evitata per tanti anni.»

Fu l’unica sera, quella, in cui Lorenzo e Frederick parlarono da pari a pari; dopo, sarebbero tornati a comportarsi come un padrone col suo servo. Allora, invece, discussero con franchezza, si accusarono di gelosia ed egoismo, sputandosi addosso il rancore accumulato nel tempo. Se qualcuno li avessi visti, sarebbe stato comunque sorpreso nel notare che, anche in un litigio del genere, quei due erano capaci di rimanere dei perfetti gentiluomini.

Fatto sta che la lite servì esclusivamente a far sfogare il conte e il medico, senza poter cambiare ovviamente il destino di Lisa.

«In conclusione» domandò Lorenzo, quando si furono ricomposti, «posso sapere come stanno le cose dal punto di vista medico?»

«Probabilmente, Lisa partorirà prima del tempo; a breve, anzi, oserei dire. E non credo sarà facile far sopravvivere la creatura.»

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Capitolo 10
*** La terra ***


Dopo aver discusso con Lorenzo, Fred si diresse verso le camere di Lisa. L’argomento da affrontare era delicato, ma tacere era impossibile e furono pochi i giri di parole che il medico utilizzò per comunicare all’amica che aveva notato le macchie sul lenzuolo.

«In questi casi, il parto viene di solito anticipato e le conseguenze… potrebbero essere particolarmente critiche.»

«La mia creatura sopravvivrà?» domandò semplicemente lei, senza guardare l’interlocutore che si mostrò scettico a riguardo. «Fred, tu dovrai badare a Steve; Lorenzo non ne è in grado.»

La contessa era tranquilla, pacata. «Voglio che tu vegli su di lui come un angelo custode; e se, da adulto, mio figlio non amerà Lucilla, tu devi fare in modo che non la sposi. Steve merita un Amore Vero.»

Fred tacque, mesto, e allungò la mano per stringere quella magra e debole di Lisa.

«Ho già detto a Lorenzo che voglio esser seppellita in giardino, in una buca molto profonda. Senza lapidi, né altro. Senza nulla.»

In situazioni del genere, sarebbe possibile pronunciare frasi di circostanza, nominare la speranza, le preghiere e i miracoli; tuttavia Fred sentiva la necessità di non mentire e di esser sincero, una volta per tutte. Dunque domandò a Lisa se avesse piacere nell’udire una confessione.

La contessa seppe finalmente di esser stata sempre amata, seppur in silenzio, di un amore puro e costante. Fred avrebbe voluto sposarla, ma aveva visto in Lorenzo un partito migliore per la ragazza e si era deciso a cedergliela, come anche il padre di Lisa aveva sperato. La donna ascoltò con attenzione e pianse di gioia, e quando Fred esclamò di sentirsi in un certo senso colpevole, ella rispose che evidentemente era così che doveva andare, che era inutile chiedersi cosa sarebbe accaduto, perché i “se” servono a ben poco. «Io sono felice comunque, Fred. Mi fa piacere sapere che mi ami, e mi fa piacere saperlo ora. Se tu avessi parlato prima, mi avresti tentata: avrei potuto tradire Lorenzo, e non mi sarei mai perdonata una cosa del genere.»

Quella sera non fu possibile dirsi altro: la contessa avvertì presto dei forti dolori al ventre, i medici che Lorenzo aveva mandato a chiamare giunsero il prima possibile e, assieme a Fred, si barricarono nella camera della donna, mentre il conte pregava, in ginocchio, nel corridoio. Gli fu detto che bisognava tentare di far nascere il bambino, che non c’era scelta; Lorenzo non ebbe neanche il tempo di salutare sua moglie, che sapeva non avrebbe mai più rivisto.

 

Il mattino seguente, Steve aprì gli occhi e si rese conto che era molto tardi; strano, perché suo padre non amava che lo si lasciasse dormire troppo, e mandava sempre qualcuno a svegliarlo. Ora nella sua stanza non c’era nessuno, ma sentiva il rumore di passi e un sommesso chiacchierio provenire dal corridoio; inoltre, affacciandosi dalla finestra, notò la presenza di un gruppetto di persone, abbigliate in nero, in giardino.

Il bimbo si vestì in fretta e lasciò la propria stanza, deciso a scoprire cosa stesse accadendo. Il castello era pieno di gente, che lo spiava con tenerezza senza aver tuttavia modo di avvicinarlo, dato che Steve correva alla ricerca di Fred, l’unico che, secondo lui, poteva aver voglia di spiegargli cosa stesse accadendo.

Fred, che invidiava il conte per esser libero di esternare il proprio dolore – cosa che comunque Lorenzo non faceva - , aveva molto da fare, date le circostanze; con una fermezza che agli altri membri della servitù parve quasi mancanza di cuore, egli diede disposizioni per l’accoglienza dei visitatori e la salvaguardia dell’ordine, e aveva anche dato ordine che qualcuno andasse ad intrattenere Steve, ma il bimbo era stato più veloce ed era già in giro per il castello, e fu nel corridoio più vicino alle stanze della contessa che Fred scorse, tra la folla, il piccolo Ranieri.

Steve, abituato ad esser trattato con certi riguardi da tutti e con particolare affetto da Fred, fu stupito dal modo in cui egli lo trascinò lontano da quel posto e, quando furono giunti nuovamente nella camera del giovanissimo conte, questi assunse un’aria piuttosto offesa.

Frederick Martin, nel corso della sua esistenza, era riuscito a rendersi utile in svariati modi, aiutando la maggior parte della gente che aveva avuto a che fare con lui; con le parole, però, non era mai stato bravo. Anzi.

Steve fu messo a sedere sulle ginocchia dell’uomo, che lo abbracciò e gli rivelò, senza troppi preamboli, che era successo qualcosa di molto brutto: la madre si era sentita male, avevano cercato di far nascere “il fratellino”, ma tutto era stato inutile. «Steve, tua madre è tornata in quel posto dove, prima o poi, tutti ci incontreremo ancora; il suo corpo è ancora in questo castello, e se vuoi puoi andare a salutarlo, tuttavia ti sconsiglio di farlo: ricorda la tua mamma per come era, allegra e sorridente, prima della gravidanza. È meglio così.»

Lorenzo non seppe che suo figlio era stato delle ore chiuso in camera con Fred, a piangere contro il suo petto, e fu una fortuna: non avrebbe approvato. Il conte Ranieri, che di disperarsi avrebbe avuto più di un buon motivo, imprigionava in sé il proprio dolore e si mostrava serio, freddo ma educato con chiunque gli si avvicinasse. Il corpo della moglie lo guardava solo di sfuggita, perché preferiva conservare di lei un’altra immagine; con grande sgomento dei più, il conte fece sapere che la cerimonia funebre sarebbe stata privata ed espresse il desiderio di non vedere alcuno: nella chiesetta di Valgre furono dunque presenti solo il vescovo, che celebrò di persona il rito, il conte, Steve, e la maggior parte del personale del castello, compreso Fred. Fu detto che il corpo sarebbe stato sepolto nel cimitero di una città vicina, più grande e maestoso: in realtà, la contessa fu sepolta nel giardino del castello, in una buca estremamente profonda e in una bara d’ebano, fatta realizzare in una sola giornata da un falegname del posto. In quel punto, fu piantato un albero.

Lorenzo e Stephen avevano vissuto, fino ad allora, come due estranei accumunati da un parente in comune; la morte di Lisa mise il conte dinnanzi all’evidenza che, tra lui e suo figlio, non ci fosse più nulla. Non sapendo come rimediare, decise semplicemente di spedire il bimbo in collegio e di lasciarcelo fino ai suoi vent’anni. L’idea di licenziare Fred non lo sfiorò neanche, come del resto il medico non considerò affatto la possibilità di tornare in patria: il castello aveva bisogno di un dirigente, per così dire, e Fred era l’unico in grado di gestirlo; Lorenzo lo sapeva, e Fred sapeva di poter essere ancora utile in quel luogo.

Paradossalmente, Lorenzo e Fred si ritrovarono legati anche dopo la morte di Lisa, e fu chiaro a entrambi che, ormai, non si sarebbero separati più.

 

 

Prima di lasciar partire Steve, Fred si recò da lui.

«Questi anni voleranno, Steve. E poi, tornerai per le vacanze; vedrai posti nuovi, e avrai degli amici.»

Steve non rispose; dalla morte della madre, sembrava essersi spento. Solo quando l’uomo espresse il desiderio di volergli fare un dono, il bimbo parve ridestarsi un po’.

Fred gli porse una collana molto semplice, ma dal ciondolo particolare: era un rombo che pareva di pietra, con inciso il nome Stephen.

«Ti avrei regalato qualcosa di meglio, ma purtroppo non ne ho i mezzi, al momento. Questa collana mi è stata lasciata da mio padre, tempo fa. Lui aveva il tuo stesso nome, lo sai? Io non mi sono mai separato da questa catenina, ma ora la cedo volentieri a te. Indossala sempre, e sarà come avermi vicino.»

Il piccolo vide l’altro avvicinarsi e allacciargli al collo il semplice gioiello. Sembrava emozionato.

«Ma Fred, è un regalo di tuo padre…»

«Ora è tuo, Steve.»

 

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Capitolo 11
*** Stephen e Lucilla ***


Il collegio stava cambiando Steve, Fred l’aveva notato subito. Il giovanotto, che tornava a Valle due volte in un anno, solitamente per il Santo Natale e alcune settimane di vacanze estive, si faceva, con gli anni, sempre più cupo e solitario. Coltivava diverse passioni, suonava molto bene il piano e dipingeva divinamente, ma tali attività finivano a volta per avvilirlo, perché sapeva di non potervi dedicare tutto il tempo che desiderava. Fred sapeva che Steve, potendo, avrebbe voluto diventare un pittore, e che suo padre riteneva i passatempi del figlio assolutamente inutili, “una perdita di tempo”, come soleva ripetere.

Non si somigliavano, Lorenzo e il figlio. Il ragazzo ricordava la madre nel taglio degli occhi e nei colori, ed era sì alto, ma non esageratamente, per un uomo; o almeno, paragonato al conte e a Fred, che erano due giganti, Stephen Ranieri non spiccava. Era comunque un bel giovane, molto affascinante a detta delle signorine che lo guardavano, che erano attratte dallo sguardo pensoso e serio del ragazzo più che da qualche dettaglio del viso.

Poiché Stephen passava a Valle poco tempo e Lucilla era spesso impegnata in “opere di carità”, come le chiamavano il conte e il vescovo, era difficile che i due si incontrassero e, sebbene esistesse tra loro una corrispondenza, era noto ai più che tali lettere non contenessero il minimo segno di interesse da parte di Stephen. Non che il parere di Steve contasse tanto, in realtà; il vescovo sperava però che tra i due futuri sposi nascesse almeno una piccola simpatia.

«Non temete, monsignore» lo assicurò il conte. Era agosto e Valle era in festa: il vescovo aveva celebrato personalmente la funzione – onore che non tutti i paesi potevano vantare! – e, dopo la processione, si era fermato ad assistere ai balli di piazza. Altrove, non sarebbe accaduto: ma a Valle c’era Lorenzo, che era suo amico, e Lorenzo era un conte, e il figlio del conte avrebbe sposato Lucilla: insomma, quel paese sarebbe stato di sua nipote, un giorno.

«L’ultima volta che Stephen ha visto vostra nipote era un quattordicenne che poco pensava alle fanciulle; ora ha diciassette anni e credo gli sarà difficile ignorare la bellezza di Lucilla.»

Il vescovo annuì.

«Quest’anno, però, a Natale, dobbiamo fare in modo che si incontrino. Dirò a mia nipote di non prendere impegni di alcun tipo; il mondo non cadrà, se per una volta pensa a se stessa e non agli altri.»

In realtà, ciò che non doveva “cadere” era la reputazione di Lucilla, osannata in lungo e in largo come una sorta di santa, una fatina dei poveri; per costruire tale aura di santità c’erano voluti anni di impegno e, alla fine, la ragazza si era anche abituata al ruolo: fare del bene era ormai diventato automatico. L’unica cosa che le si sarebbe potuta rimproverare era d’essere alquanto bigotta; tuttavia, Lucilla era circondata da gente bigotta, ragion per cui nessuno poteva criticarla.

 

Quasi fosse la sua ombra, Erika si spostava sempre assieme a Lucilla e, dov’era l’una, era immancabilmente anche l’altra. La ragazza era stata educata bene, vestita con eleganza, pettinata con riguardo; tuttavia non bisognava dimenticare da dove venisse e, perciò, era costantemente ricordato – a lei e agli altri – che si trattava solo di una dama di compagnia, salvata da un destino che altrimenti sarebbe stato triste, dato che i poveri genitori erano morti quando la piccola non era autonoma e senza lasciarle altro che debiti, saldati poi dai Di Cosmo. Insomma, Erika era una sorta di trofeo ambulante di Lucilla, un simbolo della sua bontà e carità.

Il vescovo aveva stabilito di trovare un marito alla giovane, ma sarebbe stato un marito “della sua pasta”: buono, onesto, benestante nei limiti del possibile, o almeno non proprio un poveraccio, ecco, un bravo ragazzo che lavorasse a Valle e che potesse essere assunto al castello, per impedire ad Erika di lasciare Lucilla. Il vescovo, infatti, voleva che le due restassero insieme sempre. Erika avrebbe potuto fare benissimo da governante. Era un buon lavoro, decoroso. Certo, si voleva fare in modo che la ragazza non divenisse mai libera, ma a questo nessuno pensava. Dopotutto, Erika era stata graziata. Cosa sarebbe stato di lei, se non ci fossero stati i Di Cosmo?

Si è detto che Erika fosse ben pettinata e vestita; ovviamente, però, Lucilla era vestita e pettinata magnificamente. Una sola occhiata alle due bastava per capire che non fossero “uguali”. Inoltre, la natura era stata buona: se Erika era molto carina, Lucilla era reputata da tutti una bellezza assolutamente straordinaria. I capelli nerissimi erano abbelliti da fermagli preziosi, il fisico ben proporzionato la rendeva desiderabile e, soprattutto, gli occhi parevano smeraldi: erano di un verde luminoso, che creava un bel contrasto con le lunga ciglia nere che la fanciulla sbatteva spesso, conscia del loro fascino.

Erika, che aveva occhi altrettanto belli e azzurri, era un po’ infastidita da questa piccola astuzia dell’altra: lei, infatti, aveva le ciglia chiare come i capelli e non poteva ricorrere allo stesso espediente.

Per incontrare, dopo tanti anni, il suo fidanzato, Lucilla aveva indossato un abito verde e bianco, e se ne stava seduta accanto alla sua giovane dama. Il vescovo era presente, e Lorenzo nervoso, perché Stephen tardava. Quando Fred entrò per servire del tè con biscotti – abitudine che il conte aveva preso tempo prima, col matrimonio con Lisa – egli chiese notizie del figlio, rivelando una certa inquietudine; il maggiordomo rispose che doveva essere ancora nelle sue stanze, giustificandolo perché in fondo il ragazzo era arrivato solo la sera prima ed era ancora stanco per via del lungo viaggio, e Lorenzo s’innervosì ancor di più perché Fred aveva la tremenda consuetudine di difendere Steve sempre e comunque ed egli proprio non riusciva a sopportarlo.

I nervi dell’uomo poterono distendersi solo col sospirato ingresso del giovane Ranieri in salotto: allora il vescovo e Lorenzo si guardarono, felici.

Gli abitanti del castello sapevano che Stephen non aveva un carattere piacevole: taceva per la maggior parte del tempo, con quell’espressione perennemente accigliata che sfoggiava con presunzione anche in presenza di ospiti, e si degnava di rivolger parola solo a Fred. Gli altri, neanche li guardava. Tutto il contrario del conte Lorenzo e della buon’anima della contessa, insomma, che con la servitù erano sempre stati gentili.

Entrando nel salotto, comunque, Steve si comportò come previsto: aperta la porta di malavoglia, come se stesse facendo un immane sforzo, manifestò poi un improvviso interesse nel momento in cui i sui occhi si posarono su Lucilla che, alzatasi, gli augurò la buona sera.

Non gli era mai sembrata così bella. Il giovane conte sorrise, la raggiunse, si chinò e la salutò col baciamano. Solo un lieve cenno del capo fu dedicato ad Erika, che ne fu ferita perché, come Steve era stato illuminato dalla presenza di Lucilla, Erika era stata colpita da quella di lui.

Lorenzo esibì un’espressione soddisfatta quando il figlio chiese a Lucilla il permesso di ritrarla ed ella, lusingata, acconsentì: la sciocca passione del ragazzo avrebbe finalmente portato a qualcosa di buono, perché i due avrebbero modo di trascorrere del tempo insieme e poi, ormai era chiaro, Steve era attratto da lei.

Attratto, non innamorato. Lorenzo non era sciocco. A diciassette anni si sentono certe esigenze – e Steve non aveva ancora avuto modo di placarle, ne era certo – e Lucilla era tanto graziosa… magari, l’urgenza di possederla, avrebbe portato Steve a stabilire al più presto la data delle nozze – in fin dei conti, col collegio aveva quasi finito – e certo, l’attrazione fisica non è una buona base su cui fondare un matrimonio, ma ormai loro erano già fidanzati, e quindi, meglio quello di niente.

Naturalmente, Stephen fantasticò a lungo sulla sua fidanzata, pur sapendo che solo dopo il matrimonio gli sarebbe stato concesso toccarla. Tutta la sua foga fu canalizzata nella realizzazione del ritratto, completato dopo una sola settimana durante la quale, però, pittore e modella furono costantemente impegnati. Dovendo restare immobile per posare, Lucilla parlò poco; e neanche dopo, quando la frequentazione continuò, ella si mostrò particolarmente loquace. Tuttavia, passando tanto tempo assieme – durante le vacanze di Natale di quell’anno si separarono solo la notte – fu inevitabile, per i due giovani, rivelare il proprio carattere: agli occhi di Stephen, allora, Lucilla risultò generosa, elegante, composta, misurata, silenziosa, ben disposta ad accontentare gli altri anche qualora le chiedessero di far cose a lei poco gradite. Contemporaneamente, la nipote del vescovo gli apparve indifferente alla quasi totalità del mondo che aveva intorno, noiosa, bigotta, senza personalità: pareva ripetere a memoria i precetti appresi dallo zio, si scandalizzava per poco, temeva qualsiasi animale, evitava i colori – o qualsiasi altra sostanza a sua detta “pericolosa” – perché rabbrividiva all’idea di sporcarsi le mani o, peggio, gli abiti, trattava Fred con sufficienza e riteneva che il suo fidanzato gli accordasse troppo rispetto, e si muoveva nel castello come un avvoltoio attorno alla carcassa che sta per cibarlo.

Come se non bastasse, la ragazza aveva espresso – non davanti a lui: l’aveva detto ad Erika, ma egli aveva origliato – il desiderio di non avere una famiglia numerosa, poiché i bambini le piacevano poco. «Un figlio basta e avanza» aveva sentenziato, «anzi, direi che è meglio. Così tutta l’eredità andrà a lui.»

A Stephen dei bambini interessava poco, ma immaginò che una fanciulla tanto pudica e certamente poco passionale gli avrebbe negato anche quelli che, normalmente, sarebbero stati i suoi “diritti di marito”. Insomma, lui e Lucilla avrebbero dormito insieme solo fino al concepimento del primo e unico figlio.

«Non possiamo sposarci» esclamò semplicemente, lasciando sbigottiti il conte e il vescovo. «Mi dispiace, ma vostra nipote non è adatta a fare la moglie. Potrebbe facilmente diventare una santa, ma è troppo virtuosa per avere un marito. Credo che i suoi desideri mal si concilino con i miei.»

Quel che mandò in bestia Lorenzo fece invece ridere di gusto il vescovo, che scoppiò in una sonora risata che spiazzò il giovane e anche il conte.

«Vieni qui, Stephen, vieni!» lo chiamò, ridendo, quel grosso signore, invitandolo ad avvicinarsi al camino.

«Sei un bravo giovanotto, tu. Onesto, soprattutto. Perspicace, anche. Hai proprio ragione su Lucilla: è più adatta al cielo che alla terra, e la cosa ti spaventa, giustamente. Ma vedi, ragazzo, la tua ingenuità non ti fa vedere la realtà delle cose: credi forse che ogni uomo sia fedele alla propria moglie? Aspetta, aspetta; mi sono espresso male. Ecco, Steve, quando un uomo ha una moglie come la mia Lucilla… non può certo obbligarla a fare certe cose quando lei non vuole, no? Quindi, se intende rispettare la moglie, deve lasciarla stare tranquilla e… e sfogare altrove i propri istinti.»

Steve assunse un’espressione stranita, e si chiese cosa pensasse suo padre, il suo integerrimo padre, di una teoria simile. In pratica, il vescovo gli stava suggerendo di tradire sua nipote.

In realtà egli sapeva – gli era stato spiegato – cosa ci fosse dietro quell’idea di farli sposare: la famiglia Ranieri ormai aveva solo il titolo, ma pochi beni; Lucilla, al contrario, era ricca ma non nobile e lo zio desiderava rimediare a ciò. “Ma io non vorrei mai che una mia nipote, o una figlia, o una sorella, passasse la vita con una persona che non la ama e la disonora andando con altre donne, solo per avere in cambio un titolo inutile” pensava il ragazzo che, a diciassette anni, era piuttosto virtuoso.

«Tu hai mai dormito con una donna, ragazzo?»

Ancora Steve fu preso alla sprovvista, tanto da arrossire, imbarazzato dalla presenza del padre più che dalla domanda in sé. Lorenzo, che non aveva apprezzato per niente quella discussione, guardava il figlio. Il ragazzo fece segno di no con la testa, guardando il pavimento.

«Be’, direi che è ora di rimediare.»

 

 

Stephen Ranieri aveva sempre temuto di essere l’unico, in quel castello, ad avere pensieri impuri. Il padre, ne era sicuro, viveva in piena castità, come anche Fred, e degli altri dipendenti al loro servizio non sapeva nulla, ma li immaginava piuttosto lontani dalle fantasie peccaminose che invece agitavano le sue notti.

Quando gli fu offerta la possibilità di placare i propri tormenti, dunque, il ragazzo fu ben felice di cogliere la palla al balzo, come si suol dire, sebbene il fatto che a lanciare la palla fosse stato proprio un uomo di Chiesa lo lasciasse vagamente perplesso.

Possedere quella prostituta fu una liberazione, o così parve all’inizio al giovane; era stato con una donna adulta, con la quale non aveva parlato molto, in realtà, e di cui aveva presto dimenticato il nome. Si convinse, Steve, a sposarsi; perché abbandonare Lucilla se, comunque, era stato autorizzato a tradirla? Mica doveva per forza pagare una donna di malaffare: si sarebbe trovato un’amante, che avrebbe amato davvero. Era stato il vescovo stesso a suggerirglielo: “l’importante è che non si sappia mai in giro”, aveva detto.

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Capitolo 12
*** Accuse ***


A Stephen era piaciuto andare con quella donna; di lei sapeva poco, ma neanche gli interessava saper di più, né era desideroso di rivederla. La sua compagna notturna non era stata di grande importanza; importante era stato l’atto in sé, un atto liberatorio, che gli aveva permesso di sfogarsi. Dopo, la sua vita gli era sembrata più piacevole: era tornato al collegio a terminare gli studi, si era detto e ridetto fino allo sfinimento che lui e Lucilla sarebbero andati d’accordo proprio grazie alle amanti che si sarebbe procurato, era giunto alla conclusione che accontentando suo padre -che voleva tanto quel matrimonio – avrebbe fatto la cosa migliore per tutti.

Poi, terminati gli studi, era tornato definitivamente a Valle e si era reso conto di come stessero certe situazioni: lui e suo padre avevano davvero perso molte delle antiche ricchezze, questo principalmente a causa dell’incompetenza di Lorenzo di occuparsi di affari: l’uomo era sempre stato attratto più dalla matematica e dalle scienze che dalla gestione dei suoi possedimenti, e ciò l’aveva portato a dover vendere parecchie terre per evitare di indebitarsi. Oltre al titolo nobiliare e al castello di Valle – perché era un castello, non una semplice dimora – i Ranieri possedevano solo una villetta nella cittadina ai piedi del monte cui Valle si trovava in cima. In tale cittadina risiedeva anche un barone, Giuseppe Gaetani, più giovane di Lorenzo e suo conoscente non che ammiratore.

Bisogna sottolineare tale dettaglio – ovvero che Gaetani stimasse Ranieri – perché gli amici del conte erano ormai pochi: la famiglia, assieme alle ricchezze, aveva infatti perso anche prestigio e credibilità: persino a Valle, pochi continuavano a provare quel senso di rispetto che solitamente si ha per chi si sente “superiore”, e Lorenzo era considerato quasi come un popolano, più elegante, ma non più importante.

L’unica ancora di salvezza era il matrimonio con Lucilla: l’antica grandezza sarebbe stata ripristinata grazie al legame tra lei e Stephen – perché la sua famiglia, quella del vescovo, era rispettata, riverita e temuta, altroché! – e assieme alla sposa sarebbe arrivata anche una dote più che consistente.

Prima di tornare a Valle, Stephen sapeva che il matrimonio fosse importante, ma non aveva capito quanto; ora lo sapeva, e sentiva di dover reggere una responsabilità troppo grande. Per non pensarci più, o comunque per pensarci meno, il ragazzo pensò bene di abbandonarsi con più libertà ai piaceri della carne.

Abbandonarsi ai piaceri della carne, poi, lo portò a provare una certa malinconia, perché le sue abitudini lo facevano sentire alquanto squallido: quelle donne stavano con lui perché pagate, non perché lo volevano, e neanche lui amava loro, e dunque si sentiva nauseato, ma non riusciva a rinunciare al piacere fisico e dunque godeva, e si intristiva subito dopo.

Per rimediare alla malinconia, decise che a ogni incontro galante sarebbe seguita una sbornia, e l’effetto dell’alcool gli piacque tanto da scegliere di farvi ricorso ogni qualvolta ne avesse bisogno, ovvero quasi sempre. Se proprio non poteva bere - perché Lucilla era al castello – allora andava nel bosco che separava il castello dal villaggio, e lì si sentiva meglio. Se fosse stato un lupo, si diceva, la vita sarebbe stata migliore, e senz’altro più semplice.

Poiché Valle contava mille abitanti scarsi, le voci si diffondevano in fretta: gli abitanti avrebbero sparlato del giovane conte aggiungendo ai suoi vizi altri che il narratore di turno di volta in volta avrebbe inventato, e le voci sarebbero arrivate all’orecchio del vescovo, se solo Steve avesse agito in maniera meno cauta: ma il ragazzo era discreto e solo la servitù del castello aveva scorto qualcosa; la stessa servitù, però, era stata quasi minacciata da Fred: se qualcuno avesse parlato, sarebbe stato licenziato.

In realtà, se anche Lucilla avesse saputo, poco sarebbe cambiato: a lei interessava diventare contessa e avere una vita rispettabile, e suo marito poteva anche ubriacarsi, purché lo facesse di nascosto; tale era la sua moralità.

Quella di Fred e di Lorenzo, invece, era diversa, e i due ammonivano continuamente Stephen: se però Fred amava il ragazzo e, malgrado i rimproveri, continuava a dimostrargli affetto, Lorenzo pareva essersi rassegnato a vivere la paternità come una punizione divina: si dice che ognuno ha la sua croce, e Lorenzo pensava – rendendolo chiaro a tutti – che il figlio fosse la sua. I due Ranieri parlavano raramente, e silenziosamente si odiavano, uno perché deluso, l’altro perché incapace di accontentare quel padre troppo esigente.

A settembre, in occasione del compleanno del futuro sposo, sarebbe stata annunciata ufficialmente la data delle nozze.

Nel mese di agosto, il giovane perse anche la voglia di dipingere, suonare e passeggiare, e giunse alla fatidica data come una sottospecie di morto vivente.

Se il castello non era mai stato tanto luminoso e pieno di gente, l’animo del ragazzo non era mai stato tanto cupo.

Lucilla era meravigliosa e si muoveva tra gli ospiti come una farfalla: vestiva di bianco e verde, e gli occhi parevano smeraldi, e Steve si disse che non c’era niente di più banale: che un paio d’occhi verdi ricordasse un paio di smeraldi.

Lorenzo appariva raggiante, sorrideva e scherzava con gli invitati e chiamava spesso il figlio accanto a sé, per presentarlo a qualcuno: tali attenzioni erano richieste dall’occasione, non volute, e Steve odiò anche questo.

Fred, l’unica persona da cui lo sposo si sentiva amato, era occupato a gestire la servitù, perché quello era il suo compito, servire, e Steve non poteva avvicinarglisi perché sarebbe stato assurdo e sconveniente far notare quanto egli amasse il maggiordomo, un maggiordomo che tuttavia era stato come un padre.

Il vescovo rideva con quella sua risata sguaiata, gli ospiti parlavano e il brusio delle loro voci lo innervosiva, i musicisti continuavano imperterriti a suonare nonostante fosse chiaro che nessuno li ascoltasse e tutto era assolutamente ipocrita, e magnifico a vedersi.

La musica si fermò solo quando Lorenzo lo richiese, e allora Steve e Lucilla furono chiamati al centro della sala: Giuseppe Gaetani, presente senza la moglie che era in dolce attesa, avrebbe poi rivelato a quest’ultima che in quel momento il ragazzo gli era certamente sembrato molto bello, distinto ed elegante, ma infinitamente contrariato.

«Se vi ho invitati qui questa sera non è solo per trascorrere del tempo assieme, questo vi è noto; la verità è che volevamo, io e i giovani qui presenti, comunicarvi la data in cui ci ritroveremo di nuovo tutti a Valle, assieme, per festeggiare un avvenimento importante.

«Lucilla e Stephen sono cresciuti insieme: si conoscono da sempre, e sempre si sono rispettati e stimati. Quel che accadrà il 28 Gennaio del prossimo anno, dunque, è assai prevedibile: la loro unione sarà celebrata dinnanzi a Dio, e per mezzo di un uomo che i nostri promessi sposi conoscono bene» concluse Lorenzo sorridente, guardando il vescovo Di Cosmo. Un applauso si alzò, e fu richiesto un bacio tra i due giovani: le labbra di Steve sfiorarono per la prima volta quelle di Lucilla, e il contatto fu breve e freddo. Quello fu l’unico momento della festa in cui i due stettero assieme.

Era quasi mezzanotte quando Fred si avvicinò al festeggiato – perché lui aveva più diritto di dirsi festeggiato: era il suo compleanno! – e, fingendo di volersi congratulare, gli sussurrò all’orecchio di seguirlo e lo condusse fuori.

«Stai davvero esagerando, Steve. Stasera non puoi. Ti conosco e so riconoscere il momento in cui stai per perdere il controllo: a te manca un altro mezzo bicchiere, e la festa è rovinata. Quindi o ti ritiri fingendo un malore, o ti fermi ora.»

Inaspettatamente, Steve scelse la prima opzione e Fred fu costretto a scusarlo col conte, facendo poi riferire che il ragazzo aveva avuto un calo di pressione dovuto alle tante emozioni ed era andato a coricarsi.

Lucilla ne fu molto contrariata, e tale delusione avrebbe influito sul suo futuro da sposa.

 

***

 

Quando scoccò la mezzanotte che segnava l’inizio del 28 Gennaio 1893, accaddero due cose.

Nella ridente cittadina ai piedi del monte, Giuseppe Gaetani udì il pianto di un neonato, anzi, di una neonata, e seppe dopo qualche minuto di esser diventato padre di una bambina. I piccoli Elio, Leonardo e Quirino, di 10, 7 e 4 anni, reagirono con relativa indifferenza all’arrivo di una femmina, e Virginia Bianca Maria Gaetani fu accolta al mondo con freddezza.

A Valle, Fred, che era in piedi e guardava verso il bosco attraverso una delle finestre del salone, ebbe una fitta al cuore: non che avesse visto qualcosa – era impossibile, il bosco era fitto – ma il suo cuore… aveva sentito. Non riusciva a prender sonno, lui, quando Steve era fuori, e quella sera era andato al villaggio. Non avrebbe dovuto, gliel’aveva detto, e ora quella strana sensazione pareva confermare i suoi indefiniti timori.

Da quando Lucilla lo aveva lasciato, la situazione era peggiorata: le accuse che i Di Cosmo avevano rivolto al giovane erano gravi, e inutili erano state le parole di lui, che aveva negato tutto. I Ranieri avevano perso di credibilità già da tempo, mentre la potenza dei Di Cosmo e la reputazione da santa di Lucilla conferivano alle affermazioni della ragazza una grande attendibilità; erano nate sul giovane conte storielle assurde ed egli, disprezzato da tutti, aveva deciso di smetterla di giustificarsi, dando alla gente ciò che voleva: si era reso odioso e non si preoccupava più di nascondere il proprio piacere per l’alcool.

Le donne lo evitavano e facevano il gesto di nascondere le proprie figliolette, quando lo vedevano: il tutto era assurdo.

Il 27 Gennaio, il vescovo aveva organizzato una festa per Erica, che diventava moglie dell’onesto Ermanno; Steve, che vedeva proprio in Erica la colpevole delle sue sventure, aveva deciso di andare al paese, proprio per indispettire chi gli aveva rovinato la vita.

Fred gli aveva detto di lasciar perdere.

Alle due di notte, il maggiordomo andò a svegliare Lorenzo, che lo cacciò dicendogli che quel che Steve faceva non gli riguardava, e per quel che gli importava potevano anche divorarlo i lupi.

L’uomo si era dunque coperto per bene e aveva abbandonato il castello, per recarsi solo alla ricerca dell’adorato ragazzo, che aveva in effetti trovato: inerme ai piedi di un pino, con un taglio accanto al collo, taglio apparentemente innocuo che aveva invece causato una morte per dissanguamento. Gliel’avevano ucciso.

Lucilla e il vescovo si presentarono ai funerali e raccontarono che la sera prima Steve aveva fatto irruzione alla festa di nozze e aveva offeso la sposa, ma Ermanno non gli aveva dato corda, e nessuno si era allontanato dal banchetto, quindi era inutile incolpare la gente del posto: piuttosto, era probabile che il giovane conte si fosse imbattuto in qualche brigante che si nascondeva nel bosco, cosa probabile dato che il cadavere era stato anche spogliato dei pochi gioielli di valore che portava addosso.

Fred ascoltò senza parlare. Da quando aveva trovato il suo ragazzo la notte prima, non aveva più aperto bocca. Solo quando lui e il conte tornarono al castello e Lorenzo gli ordinò di preparare le valigie, egli dovette opporsi, dicendo che avrebbe voluto assistere alla sepoltura perché, come sua madre, Steve sarebbe stato sepolto in giardino. Macabro, forse, ma Lorenzo così aveva detto.

«Frederick, quel che ho detto non ha alcuna importanza. Innanzitutto, se tu avessi prestato attenzione, ora sapresti che le mie parole sono state ben diverse. Ho detto che avrei seppellito Stephen qui, ma parlavo di una cappella; non abbiamo cappelle, non serve che me lo ricordi. Ebbene, ho mentito. La verità è che la servitù è stata licenziata stanotte stessa, e io non ho intenzione di perder tempo. Ci trasferiamo, Frederick. L’epoca dei Ranieri qui è finita: ci odiano, e come hanno ucciso Stephen tenteranno di uccidere anche me. I Di Cosmo sono potenti, i popolani pendono dalle loro labbra. Questa tenuta costa troppo e non posso permettermi di mantenerla, tra l’altro: dunque ci trasferiamo, e la bara portala dove preferisci. Sappi solo che tra un’ora la carrozza arriverà, e i bagagli devono esser pronti.»

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Capitolo 13
*** Il bosco ***


Il conte Ranieri, dopo la morte del figlio e il trasferimento nella cittadina ai piedi del monte, aveva vissuto nella solitudine. Il solo essere ad interagire con lui era Fred che, in quanto unico membro della servitù, si occupava dell’elegante ma piccola dimora e cucinava per Lorenzo.

Le uscite erano assai rare e, se anche qualcuno avesse voluto fargli visita, il conte si sarebbe opposto: era vecchio, stanco, deluso dalla vita. Di aver perso la maggior parte delle sue ricchezze non gli importava, ma l’onore… quell’onore di cui il suo cognome era stato privato a causa di suo figlio…

Gli avevano riferito, un mese dopo il suo trasferimento, che a Valle era accaduta una cosa strana: i popolani si erano diretti al castello per saccheggiarlo, e il castello non si era trovato. Sparito. Tra l’altro, la dimora era enorme, da sempre era stata visibile dal villaggio, e ora, invece… niente. Fred era rimasto colpito dalla cosa, ma Lorenzo ne era stato assolutamente indifferente. Non gli importava nulla di Valle, né del castello.

Un’altra notizia che gli era giunta all’orecchio era che Lucilla avesse trovato marito: un esponente dell’alta borghesia napoletana, ricco, e molto, ma non nobile. Il vescovo aveva celebrato il matrimonio e la coppia si era stabilita a Valle.

In effetti, tutto ciò che Lorenzo veniva a sapere, lo sapeva tramite Fred, unico tramite tra lui e il mondo: il maggiordomo, che si recava al mercato piuttosto spesso per la spesa, aveva lì modo di udire parecchie chiacchiere, con le quali tentava – invano – di intrattenere poi il “padrone”.

Una mattina, però, Fred era uscito senza tornare. Solo la sera, tardi, si era fatto rivedere, e aveva un occhio bendato. Lorenzo non seppe di preciso cosa fosse accaduto, ma capì che qualcuno doveva aver nominato Stephen, e che Fred avesse picchiato questo qualcuno, che però gli aveva tirato un bel pugno su un occhio. Quando la benda fu rimossa, i due uomini si resero conto che la pupilla era rimasta dilatata.

Nel 1910, Lorenzo decise di andare a teatro assieme a Frederick. I due formavano una strana coppia, entrambi altissimi e molto magri, uno con i capelli brizzolati e armato di un minaccioso bastone che serviva a farlo reggere in piedi, l’altro pallido, dalla chioma ormai bianca e sfoltita, con quell’occhio strambo. Se anche avesse incontrato persone conosciute tempo prima, Fred non sarebbe stato riconosciuto.

Chi, invece, era nonostante tutto ancora riconoscibile, era Lorenzo, e infatti il barone Gaetani lo avvicinò, alla fine dello spettacolo. Disse varie cose, che Fred ascoltò poco: l’unica cosa che intese fu che Elio, il maggiore dei Gaetani, si fosse fidanzato con la figlia di Lucilla. Insomma, quel titolo nobiliare che non era riuscita a ottenere per sé, Lucilla l’avrebbe ottenuto per la sua discendenza. Il resto, invece, Fred non lo ascoltò, perché troppo occupato a osservare la baronessina: Virginia Gaetani aveva un’espressione sofferente e mortificata, insoddisfatta, e Fred ricordò Steve, il suo Steve, che tante volte aveva visto in quelle condizioni.

Successivamente, lui e Ranieri sentirono parlare spesso della ragazza, che pareva fosse impazzita; poi, nel 1913, la giovane scomparve a Valle.

Non era la prima: da qualche anno, ormai, si parlava di uno spirito che popolava il Monte Janara, il monte in cui un tempo era sorto il castello, e questo spirito faceva sparire tutti coloro che “invadessero il suo territorio” dopo il tramonto. Certo, sembrava una fantasia popolare, ma la gente scompariva davvero.

Una sera del 1914, era dicembre, Lorenzo chiese a Fred perché gli fosse rimasto accanto.

«Sei venuto in Italia per Lisa; dopo, sei rimasto per Stephen. Perché continuare a vivere con me? »

Fred si era seduto, dato che ormai neanche si sentiva più un cameriere: piuttosto, si sarebbe detto un amico molto premuroso.

«Ho rinunciato alla mia vita, quando sono venuto qui, per crearmene un’altra, e ormai non avrebbe senso abbandonarla.»

Lorenzo sorrise. «E pensare che avremmo dovuto odiarci noi due! Siamo sempre stati a competere, anche se in silenzio… per le attenzioni di Lisa, prima… per l’affetto di Stephen, dopo… e ora non ho che te! Una situazione assurda, a ben pensarci.»

Fred, in realtà, era convinto che il conte non avesse mai fatto nulla per guadagnarsi l’affetto del figlio, ma tacque. «Abbiamo amato le stesse persone, e questo ha creato un legame tra noi.»

La mattina dopo, Lorenzo non si risvegliò, e Fred scoprì presto di aver ereditato la casa in cui avevano vissuto negli ultimi anni. Tuttavia, l’uomo dubitava di potervi vivere. C’era assolutamente una cosa che doveva fare, e non era detto che riuscisse a sopravvivere.

 

***

Fu strano, dopo tanto tempo, tornare a Valle. Era il 1915 e nessuno lo riconobbe, dato quanto i segni della vecchiaia erano manifesti sul suo viso, ma molti lo guardarono a causa dell’occhio “strano”.

«E quindi… cercate lavoro qui?» domandò l’albergatore, alquanto stranito. L’uomo che aveva innanzi gli pareva molto, molto avanti con l’età! Chi l’avrebbe mai assunto? «E che tipo di lavoro?»

Fred alzò le spalle, rispondendo che aveva sempre fatto il maggiordomo, ma volendo poteva anche adattarsi ad altri mestieri. Insistette per pagare subito la prima notte di pernottamento, quello strano forestiero, e domandò – nella maniera più casuale possibile, secondo lui – se fossero vere quelle “strane voci” che si sentivano su Valle.

L’albergatore parve stupito che quelle storie fossero giunte persino alle orecchie degli stranieri, e all’inizio tentennò, balbettando che non era niente di che, o meglio, niente di certo, però a dire il vero, ecco, sì, delle persone erano sparite. Sempre su quel monte, sempre dopo il tramonto e prima dell’alba. L’ultima era stata una baronessina, Virginia Gaetani, scomparsa assieme agli uomini che erano andati a cercarla, dato che la signorina era fuggita di casa (o, come avevano detto i familiari, “uscita per una passeggiata”). I corpi non si erano trovati, di nessuno, mai.

«E la questione del castello, invece?»

Diamine, il vecchio sapeva anche quello!

«Oh, be, sono passati vent’anni… io all’epoca ero solo un bambino, ma che il castello esisteva lo ricordo bene. Poi accadde qualcosa, ora non ricordo neanche bene cosa, il figlio del conte che era un ragazzo diede scandalo e la sua fidanzata lo lasciò, lei era una Di Cosmo… poi non s’è capito come, ma forse in una rissa, il giovane fu ammazzato e il conte lasciò Valle. Dal giorno dopo, il castello non s’è più visto.»

Fred abbassò lo sguardo. Neanche si ricordava più cosa avesse fatto il ragazzo, eppure erano stati capaci di trattarlo come un criminale, di condannarlo senza neanche tentare di capirlo, di ammazzarlo, infine.

 

Aveva dimenticato, l’anziano uomo, quanto fosse freddo quel paese, soprattutto durante la notte. Avanzare nel bosco era stato più semplice, quando era giovane, e ora gli facevano male le gambe, senza contare che in una mano reggeva una lanterna e che aveva dimenticato di prendere un bastone. Avrebbe potuto usare quello di Lorenzo, che gli era stato lasciato…

Durante il cammino, Fred ripensò alla sua vita in quel posto: all’uomo che l’aveva accompagnato a bordo di un carretto malmesso, alle persone che aveva conosciuto al castello, a Lisa, ovviamente, a Lorenzo, al suo adorato Steve…

Dei lupi ulularono. Fred deglutì, e tuttavia continuò ad avanzare.

Gli ululati cessarono, ma l’uomo si sentiva osservato e avvertiva la presenza silenziosa delle bestie nascoste, da qualche parte, attorno a lui. Oltre al canto dei grilli, era ora udibile quello di una donna. Una sirena, pensò. Una sirena che mi chiama come fossi un marinaio, e che mi farà passare a miglior vita. E non era tal pensiero a ferirlo, quanto quello di aver sbagliato: se lo spirito della montagna era una donna, allora lui aveva sbagliato: il vecchio, infatti, si era lanciato in quella folla spedizione nella speranza di vedere il fantasma di Steve; se poi quella storia si fosse rivelata falsa, bene, si sarebbe recato al castello – che avrebbe trovato – e avrebbe dato degna sepoltura al cadavere abbandonato tanti anni prima. Ammesso che ci fosse rimasto ancora qualcosa, di quel corpo.

Il canto cessò, e questo causò un cambiamento tanto brusco da far tremare Fred, che fu costretto ad abbandonare i propri pensieri e a guardarsi intorno: ci volle un po’ per identificare la figura che gli era apparsa, perché era notte, ma poi la luce della luna lo aiutò.

La conosceva. O meglio, la ricordava. Quella era la baronessina Gaetani. Eppure, l’ultima volta gli era apparsa una sofferente bambola di porcellana; ora, invece, era una donna… e tutto sembrava, fuorché infelice.

Virginia Gaetani, dal canto suo, gli rivolse uno sguardo curioso, ma non perché avesse memoria del suo viso: semplicemente, non si aspettava d’incontrare un uomo tanto anziano, e ora si sentiva spaesata.

«Mio buon signore, cosa fare in questo bosco?» domandò la giovane, almeno apparentemente con gentilezza. Il vecchio tremò. Essendosi finalmente fermato, aveva più freddo: gli pareva di sentire il gelo nelle ossa.

«Io… cercavo un castello» borbottò, timoroso. «Vivevo qui, da bambino… poi mi sono trasferito altrove ma ecco, dato che non ho più un lavoro… ho pensato di tornare a Valle, perché certamente al castello dei conti fanno comodo delle braccia in più.»

Per una questione di delicatezza, colei che era stata riconosciuta come Virginia Gaetani evitò commenti sull’evidente inutilità di braccia anziane. «Dunque, non sapete nulla di quel che è accaduto al castello?» domandò, invece. L’altro disse di no.

«Ecco, caro signore… al castello viviamo solo io e il conte, mio marito. Non abbiamo bisogno di servitù… » iniziò, ma poi parve pensierosa. In effetti, una persona che potesse dare una mano… anche se quell’uomo era tanto vecchio…

«Cosa vorreste in cambio del lavoro? Denaro? O vi accontentereste di… »

«Vitto e alloggio, non chiedo altro.»

Ancora la contessa tacque, meditabonda. Le regole erano che gli intrusi venissero uccisi, ma quell’uomo era un forestiero, neanche sapeva… era tanto ingenuo, e vecchio, le faceva pena, insomma, e poi la carne dei vecchi non era buona, l’aveva detto tante volte, suo marito…

«Vedete, signore, temo che mio marito si opponga, perché conducendovi al castello infrangerei alcune regole. Tuttavia, le infrangerei anche allontanandovi da me; vedete, l’unica cosa da fare sarebbe… oh, ma qualcosa in voi m’ispira simpatia. Non credo che riuscirei ad uccidervi.»

Fred abbozzò un sorriso. Si domandava come potesse fargli del male quella creatura minuta, ma alla morte era pronto. «Signora contessa, la mia vita vale poco e potete prenderla. Tuttavia, se solo poteste lasciarmi almeno parlare con vostro marito… se solo potessi vederlo, e implorarlo di esaudire il mio desiderio… Se egli dirà di no, mi ucciderete comunque e senza che io tenti di resistervi.»

Se la contessa avesse conservato il buon senso degli umani – o meglio, se l’avesse avuto: perché anche prima, era stata un po’ svitata – si sarebbe posta qualche domanda su quell’uomo; tuttavia la donna aveva un modo d’interpretare la realtà tutto suo, e che gli altri si adattassero alle sue “regole” le pareva logico. «Non voglio, comunque, che voi pensiate a me e mio marito come degli assassini, perché non lo siamo» si preoccupò di precisare, «è solo che non siamo umani. Siamo morti, e i morti devono pur tutelarsi, in qualche modo.»

 

***

Da quanto aveva avuto la certezza che la contessa e il marito fossero morti, le speranze di Fred erano rinate. Durante il tragitto che portava al castello, Virginia – che egli non rivelò di aver riconosciuto, anche perché la donna non sembrava voler accennare alle sue origini, né al suo nome – gli parlò molto, facendo domande su quell’occhio e sulla sua vita in generale. Egli, per ragioni di sicurezza, preferì mentire.

Rivedere il castello fu un colpo al cuore, e ancor più sconvolgente fu udire quella voce tanto amata, quella voce familiare…

La contessa gli aveva chiesto di aspettare nel corridoio, e si era chiusa in uno dei salottini col marito, che egli però non era riuscito a intravedere. Poiché la discussione della coppia fu animata, Fred poté però ascoltare e lo riconobbe. Lì dentro doveva esserci Steve, che non voleva intrusi nel suo castello.

«Mio caro, io non ho il cuore di far del male a quell’uomo, né di rifiutarlo come nostro maggiordomo. Se sei convinto delle tue idee, parlagli direttamente e fa’ quello che devi, ma senza di me.»

La porta si aprì, facendo sobbalzare Fred che ormai aveva il cuore in gola. La contessa lo invitò silenziosamente a entrare, ed egli avanzò piano. Il conte era in piedi davanti a una finestra, gli dava le spalle. Si voltò dopo qualche minuto di assoluto silenzio, evidentemente infastidito, e la scena che si trovò davanti lo lasciò interdetto.

Nel rivedere Steve, Fred cadde inginocchiato sul pavimento e pianse. Poiché il ragazzo pareva non conservare memoria di lui – e più tardi l’avrebbe capito, Steve non conservava memoria alcuna della sua vita – il vecchio fece passare la commozione per disperazione, disse che sarebbe stato lieto di servire quella coppia finché fosse rimasto in vita, che mai si sarebbe mosso dal castello, che avrebbe obbedito solo a loro, senza chiedere altro; e per quanto il conte non riuscisse a capire il perché di tale desiderio, si ritrovò infine ad acconsentire, perché impietosito.

«E sia: resterai al nostro servizio. Ma bada bene, potrebbero capitarti compiti poco piacevoli.»

«Non importa, signore.»

La contessa appariva raggiante, e invitò l’anziano uomo a rialzarsi.

«Il vostro nome?» domandò, curiosa, mentre lo accompagnava a vedere la sua stanza.

Il vecchio rifletté. Non poteva dire la verità, Steve non ricordava e forse, a questo punto, era meglio che non ricordasse. L’avevano tanto fatto soffrire in vita, povero ragazzo… rivelare il suo nome, avrebbe potuto forse far riaffiorare delle memorie. Meglio evitare. A lui bastava potergli stare accanto, non era importante che il ragazzo lo riconoscesse.

In un attimo, ripensò alle persone che aveva conosciuto a Valle, al nome di colui che lo aveva accompagnato a Valle, tanto, tanto tempo prima.

«Mi chiamo Endrio, signora.»

La contessa sorrise. «Benvenuto, Endrio.»

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