Perle di Elpis Aldebaran (/viewuser.php?uid=8671)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ai capitoli successivi ***
Capitolo 2: *** Stars' Water [NejiTen] ***
Capitolo 3: *** Tears and Rainbow [ShikaIno] ***
Capitolo 4: *** Brioches [ShikaIno] ***
Capitolo 5: *** Bacio [MinatoKushina] ***
Capitolo 6: *** Le donne hanno occhi e orecchie dappertutto! [NejiTen] ***
Capitolo 7: *** Heart Breaker [KibaHina] ***
Capitolo 1 *** Prefazione ai capitoli successivi ***
P
e r l e
Prefazione
e introduzione ai capitoli successivi
“Perle”
è una raccolta di shot, drabble, flashfic e tutto quello che mi verrà voglia di
scrivere.
Principalmente,
ho deciso di iniziare questa raccolta perché ho un sacco di fan fiction come
regali di compleanno e per le varie feste che mi sono state commissionate e devo
scrivere, per cui ritengo sciocco e dispersivo pubblicare ogni singola storia da
sé; ecco perché ho deciso di raccogliere tutto qua, onde evitare tutte le volte
di pubblicare a raffica: altrimenti anche il mio profilo autore diventerebbe
terribilmente lungo.
Ogni
storia è differente, con pairing e avvertimenti diversi. In questa prefazione
terrò aggiornato l’elenco con tutte le informazioni sulle fic che farò, così da
aiutare i futuri lettori (?) e i futuri pazzoidi criminali (??) che avranno la
voglia e il coraggio di leggere quanto segue (???).
Gli
aggiornamenti non saranno costanti.
ELENCO:
#1.
Stars’ Water
– Fanfic
scritta per il compleanno di celian4ever, alias Vale [14.02.09]
NejiTen
con accenni allo ShikaIno e allo ShinoTema. AU scolastica, leggermente
lime.
#2.
Tears and Rainbow – Fanfic
scritta per il compleanno di Wishful Thinking, aka Silvia [20.12.08]
In
attesa del vero regalo, perchè la mia mente non ha limiti,
purtroppo.
ShikaIno,
con in mezzo anche un po’ di NejiTen. AU universitaria, stranamente. E
stranamente è Lime. Che vi devo dire, sono ripetitiva.. ù_ù
#3.
Brioches
– Fanfic scritta per il compleanno di Mimi18 [21.03.09]
ShikaIno
con accenni al NaruSaku. AU, ovvio, perché parla di una storia vera, di fatti
realmente accaduti. Rating giallo, per via di qualche
parolaccia.
#4.
Bacio
– Scritta per il contest “MinatoKushina Genin” indetto da Mela&Rory sul
forum di EFP. Si è classificata seconda.
Rating
Giallo, e stranamente non è una AU.
#5.
Le donne hanno occhi e orecchie dappertutto!
- Scritta per il compleanno di Mimi18 [21.03. 2010]
NejiTen
che mi ha molto divertito, leggermente lime. Stranamente non è una
AU. Rating Arancione.
#6. Heart Breaker – Spin off di “Teenagers – A new day has come” di
Mimi18.
KibaHina
che mi ha fatto riscoprire l’amore che ho per questa coppia, troppo
sottovalutata. AU scolastica (e ti pareva) con un finale un po’ libero, aperto
all’immaginazione. Rating Verde (questa è una
novità).
Lee
|
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Capitolo 2 *** Stars' Water [NejiTen] ***
Note: fanfic AU, NejiTen [con accenni ShikaIno e
ShinoTema], leggermente Lime con
rating tendente all’arancione,
credo.
Molto semplice e per niente
pretenziosa, l’ho scritta col sorriso e col cuore, perché è per una persona a
cui voglio bene.
Spero di strappare un sorriso a
lei e a tutti voi che vorrete dedicare cinque minuti del vostro prezioso tempo
nella lettura di questa piccola cosa. <3
Stars’ Water
[14.02.2009]
A Vale,
perché è nata nel giorno degli
innamorati;
perché per il suo
compleanno
ha ricevuto una torta
invidiabile;
perché mi ha fatto passare una
giornata speciale
a Lucca, lo scorso
novembre.
Perché è semplicemente
la Vale, e
si
merita questa NejiTen e tante
altre.
Auguri.
Tenten vide Sakura arrampicarsi
sulla rete di ferro con un’agilità sconosciuta, scavalcarla e silenziosamente
atterrare sull’erba morbida del prato, sorridendo poi soddisfatta della sua
prestazione fisica.
Tutto intorno a loro era
silenzioso e buio, solo il lontano rumore di una musica ritmica faceva da
sottofondo a quella notte, e il candore lunare era affievolito dalle luci
intense dei lampioni che circondavano il perimetro della sede universitaria.
L’aria era tiepida e un leggero vento caldo cullava i primi fiori della
stagione, appena sbocciati sugli alberi che costeggiavano il
viale.
Ino si tirò su le maniche della
camicetta, prese la rincorsa per pochi metri e come una scimmia si attaccò alla
recinzione metallica, arrampicandosi fino in cima. E si
bloccò.
«Ino che fai?» fu la lecita
domanda di Tenten che dal basso osservava ogni sua singola
mossa.
«Mi serve una spinta.» fu la secca
risposta della bionda.
Sakura si mise una mano sulla
fronte mentre l’altra compagna faceva leva sul fondoschiena della Yamanaka per
aiutarla a scavalcare. Si chiese se almeno una volta avessero potuto fare le
cose normali, invece di finire sempre nelle solite
pagliacciate.
Ino riuscì finalmente a superare
la recinzione ed atterrare sul prato accanto a Sakura, seppur in un modo meno
atletico e più goffo: d’altronde non si poteva chiedere la luna, a Ino
Yamanaka.
«Ino sei fuori allenamento..»
osservò Haruno mentre Tenten le raggiungeva velocemente.
La bionda si sistemò i lunghi
capelli, alzando il naso in un’espressione indignata.
«Io faccio altri tipi di allenamento, Fronte
Spaziosa. Non scocciare.»
«Sapendo nome e cognome del tuo
attuale ragazzo, Barbie, dubito fortemente.»
«Non parlare di cose che non
conosci, grazie.»
Uno a zero per Ino
Yamanaka.
Le tre s’incamminarono velocemente
verso l’edificio, con la musica che lentamente si faceva più intensa e assumeva
un ritmo più definito alle loro orecchie. Tenten fu la prima a varcare la soglia
della palestra, ritrovandosi dentro a un circolo di luci e colori, di corpi che
si muovevano sincronizzati e a fiumi di alcool.
«Kiba si è dato da fare, per una
volta..» commentò Sakura sorpresa.
Tutte e tre ricordavano a
malincuore l’ultimo festino clandestino che aveva dato Kiba Inuzuka all’interno
dei locali scolastici; la serata si era conclusa tra gente che vomitava dietro
ai cespugli del giardino e una rissa tra ubriachi tra cui aveva partecipato
anche Naruto, pensarono con un sospiro.
Tra la folla di studenti che
avevano lasciato le proprie stanze furtivamente, fece la sua comparsa Shikamaru
Nara, già con lo sguardo vacuo e lucido di chi aveva fatto della birra la sua
più grande amica.
«Buonasera, scocciature..» le
salutò con un inchino barcollante e un sorriso da ebete stampato sul volto. Ino
si fece avanti indignata, prendendo il ragazzo per il bavero e portando i loro
visi a breve distanza.
«Hai iniziato a divertiti senza di
me, Nara?!»
«Per poi farmi uccidere? Naaa,
devo avere ancora qualche neurone da bruciare..»
Ino sorrise soddisfatta dalla
risposta e come una furia si unì alla folla di corpi danzanti, trascinandosi
dietro il ragazzo che in quel momento non aveva né la forza, né la volontà di
opporsi. Non che si volesse opporre a Ino, comunque.
«Finiranno nuovamente a fare
sesso, vero?» chiese Tenten come se stesse assistendo a un film già
visto.
«Sicuramente» fu la secca risposta
di Sakura che si guardava curiosa intorno.
«In un luogo strano e scomodo,
vero?»
«E’
probabile.»
«Domattina Ino sarà incazzata con
Shikamaru per essersi svegliata con l’emicrania e senza vestiti,
giusto?»
«Come
sempre»
«E dopo saremo noi a sorbirci le
sue lamentele, no?»
«Sei perspicace,
Minnie»
«Ti ho già detto che odio
l’università, Confettino?»
Sakura scoppiò a ridere, puntando
poi i suoi occhi smeraldini su una figura alta e slanciata, vicino al tavolo
delle bibite.
«Io invece credo che sia proprio
il contrario..» bisbigliò complice invitando Tenten a guardare nella sua stessa
direzione: Neji Hyuuga parlava amabilmente con una giovane ragazza, una
matricola forse, sorseggiando distrattamente una bottiglia birra
scura.
Per una frazione di secondo,
Tenten desiderò ardentemente essere quella bottiglia.
«Femmina con ormoni a mille verso
ore due. E per una volta non sei tu, cara.» commentò Haruno guardando bene la
giovane che aveva appena rivolto a Neji un sorriso malizioso, un invito a
concludere la serata in un certo modo, forse.
Tenten non spiccicò parola, non
voleva mettersi di certo a fare la fidanzata gelosa in quel momento. Fidanzata
di chi poi? A quanto le risultava, al suo anulare sinistro non c’era nessun
anello che risplendeva. Nemmeno di quelli fatti con la plastica delle
bottigliette, proprio a voler essere pignoli.
«Se lo sta mangiando con gli
occhi..» ormai quella di Sakura era diventata una telecronaca, inutile dato che
Tenten poteva vederli benissimo anche da sola.
«Adesso dipende se lui si vorrà
far mangiare o meno. Nel frattempo, vado a farmi un
goccio..»
La rosa guardò la compagna di
stanza allontanarsi verso Rock Lee, che con indosso solamente un paio di boxer,
girava per la festa come un totale deficiente urlando e bevendo birra come se
fosse acqua. Rimasta ormai sola, Sakura prese un bel respiro e si buttò nel
gruppo di danzatori, unendosi al loro ritmo.
Neji annuì all’ennesimo discorso
della ragazza davanti a lui, seppur non avesse capito praticamente niente di
quello che stava dicendo. Aveva intravisto i chignon castani di Tenten sbucare
dalla porta d’ingresso, l’aveva vista parlottare con la sua amica, quella dai
capelli assurdi, e poi si era dissolta fra la folla, forse in cerca di
bibite.
«Allora, che te ne pare?» chiese
la voce suadente della matricola.
«Come
scusa?»
«Ti stavo dicendo se ti andava di
uscire da qui, con tutto questo rumore.. sai, la mia camera sarebbe un posto
migliore per parlare..» Neji sgranò
gli occhi, chiedendosi se quella ragazza lo stesse prendendo in giro oppure no.
Quanti anni poteva avere? Diciassette? Forse diciotto, se era del primo anno;
lui ne aveva vent’uno, era del penultimo anno. Possibile che il mondo fosse così
cambiato che ragazzine appena maggiorenni facevano avances a ragazzi grandi e
vaccinati senza alcuna vergogna? Si chiese in quel momento se il suo
ragionamento fosse all’antica o cercava semplicemente una scusa gentile per
declinare l’invito.
«Vedi, non credo sia una buona
idea..» le disse alla fine, posando la sua bottiglia di birra ormai vuota su un
tavolo vicino.
La ragazza si riavviò i lucenti
boccoli biondi, forse una tattica per sembrare maliziosa.
«E come mai? Non mi dirai che non
ti piaccio nemmeno un po’..»
«No, è che.. la mia ragazza..»
ecco, fare l’uomo impegnato e fedele funzionava sempre.
«Hai la ragazza? Neji Hyuuga? E da
quando?» rise quella, credendo che il ragazzo volesse semplicemente scherzare
con lei.
«Da un po’, e non credo che
sarebbe contenta se io ti seguissi, capiscimi.»
«Basta che tu non glielo faccia
sapere..»
Neji se avesse potuto, avrebbe
sbattuto la testa contro un muro: perché quella ragazza voleva a tutti i costi
portarselo a letto?
«Credimi, non è una buona idea.
Adesso, se vuoi scusarmi..» riuscì finalmente a sbarazzarsi della matricola che
con aria risentita cominciò a parlottare tra sé e sé. Affrontò la folla di
gente, scontrandosi con ragazzi per sbaglio, e c’era chi si fermava per
salutare, per scambiare due parole o semplicemente per battergli una pacca sulla
spalla amichevolmente. Stranamente, tutte le sue compagne di corso e le
studentesse dell’ultimo anno non si perdevano in corteggiamenti con lui: i
veterano sapevano tutto sulla sua ragazza. Ciò lo faceva
sorridere.
E non sorrideva già più quando
vide Tenten con le guance leggermente rosse, poggiata a un muro mentre flirtava
con un ormai alticcio e perennemente fuori di testa Kiba
Inuzuka.
«Ooooooh.. NEJIII!» lo salutò
quello scoppiando a ridere.
«Kiba, ciao..» rispose lo Hyuuga
alzando un sopracciglio. Qualcuno, non ricordava chi, gli aveva sempre detto di
assecondare gli ubriachi.
«Che ci fai qui? Non ti volevi
fare la bionda? Hic!»
«Ho cambiato piani. Posso riavere
la mia ragazza per favore?»
Tenten gli sorrise innocentemente,
avvicinandosi a lui pimpante (era ovvio che neanche lei ci stesse tanto con la
testa) e strusciando il viso sul suo petto, come un gattino che fa le
fusa.
«Credo che si sia restituita da
sola.. hic!» disse Kiba, prima di
intravedere la chioma di Sakura e correre verso di lei, verso nuovi
orizzonti.
Neji prese il viso della ragazza
tra le mani, osservandola bene e sfiorandole le guance
calde.
«Ten, tesoro, ti sembra che far
finta di aver bevuto sia una buona cosa?»
Tenten scoppiò a ridere,
abbracciandolo di slancio.
«Tu non puoi capire quanto sia
spassoso Kiba se gli dai corda!»
«Credimi, lo capisco
benissimo.»
«Vuoi per caso raccontarmi delle
tue sbronze con lui prima che io ti conoscessi? Vuoi raccontarmi di quando ti
svegliavi nudo in letti di ragazze che nemmeno conoscevi?»
«Chi ti mette in testa queste
cose? No, non dirmelo: è palese la risposta.»
«Tu non immagini nemmeno quello
che si fa scappare Kiba quando l’alcool prende il sopravvento sui suoi
neuroni.»
Neji non rispose, ma mentalmente
si appuntò che prima o poi, avrebbe dovuto fare un bel discorso a quel ragazzo
prima che si facesse scappare qualcosa di seriamente
sconveniente.
Senza più pensarci, prese la mano
di Tenten e insieme uscirono dalla palestra, lasciandosi alle spalle il beccano
e le persone festanti. Imboccarono le scale anti-incendio arrivando fino al
tetto, dove la piscina universitaria era calma e piatta e faceva da specchio
alle stelle del cielo.
Tenten si avvicinò al bordo della
piscina, guardandosi attorno sospettosa.
«Che controlli, di
grazia?»
«Che non ci sia Ino in giro. È
sparita mezz’ora fa con Shikamaru, potrei trovarli a fare cose sconce ovunque,
meglio controllare.»
Neji le si avvicinò e
delicatamente le abbracciò la vita sottile, posandole un bacio umido sul collo
scoperto. Tenten si voltò verso di lui, sorridendo furba.
«Però, anche se ci fossero loro
qui nascosti, credo che sarei distratta da altro..»
«Mmh, lo dico anch’io..»
Si baciarono con
amore.
Lei si aggrappò alla sua schiena e
cercò di elevarsi il più possibile con le punte dei piedi, cercando di sentirsi
il più vicina possibile a Neji, percependo attraverso il tessuto leggero dei
loro vestiti i loro petti a contatto, entrambi i cuori che battevano
furiosi.
Lui le carezzava la schiena,
intrufolando una mano sotto la canotta verde per sentire il calore della sua
pelle, che rabbrividiva ad ogni tocco. Stava per prenderla di peso e sdraiarla
su una delle sdraio quando Tenten di staccò lentamente, congedandosi
definitivamente con un bacetto sulle labbra, complice di un gioco che non
conosceva, ma che forse a Neji sarebbe piaciuto.
La giovane cominciò a slegarsi le
scarpe velocemente, togliendosele, per poi passare alla cerniera dei
jeans.
«Che
combini?»
«Mi è venuta voglia di fare un
bagno..»
«All’una di notte?» chiese
scettico Neji; la vide togliersi con un gesto fluido la canotta e poi armeggiare
con le forcine dei capelli rinchiusi nei chignon.
Una cascata di capelli castani
mossi le coprì la schiena e fece deglutire lui: non che non l’avesse già vista
mezza nuda, ma tutte le volte gli faceva sempre uno strano
effetto.
Tenten, rimasta in biancheria
intima, prese un grosso respiro e con una piccola ricorsa si buttò in piscina,
schizzando i pantaloni del giovane Hyuuga.
«Tu sei completamente
pazza!»
«Oh, andiamo amore! Si sta d’incanto!»
Neji la vedeva muoversi in acqua,
ridere e andare sott’acqua, muovere le gambe affusolate e riemergere poco dopo,
il petto che si alzava e si abbassava al ritmo dei suoi respiri. Quell’immagine
nell’insieme, lo convinse finalmente a denudarsi e a buttarsi in piscina con
solo i boxer addosso.
«Se stavi ancora un po’ lì ritto e
immobile, avrei dovuto mandarti un invito scritto.»
«Mai una volta che stai zitta
senza lamentarti.»
«Mi sembra di sentir parlare
Shikamaru: ha una cattiva influenza di te.»
«Per certi versi, credimi, sono io che ho un pessima
influenza su di lui.»
Non le lasciò tempo di replicare,
la prese per un braccio e la guidò verso di lui, baciandola con passione,
ripartendo dal punto che avevano interrotto poco prima.
Tenten circondò la vita del
ragazzo con le sue gambe, sentendo il seno che premeva contro il suo petto,
mentre la voglia di fare l’amore le cresceva dentro. Lui la stava stuzzicando in
tutte le maniere possibili, forse per volerla punire per essere stata così
maliziosa e tentatrice fino a poco fa; con una mano le carezzava la coscia
destra, toccandola nei punti giusti con le dita esperte; l’altra mano era
intrecciata ai suoi capelli bagnati che le si erano appiccicati alle spalle
magre e sulle guance umide.
Continuavano a baciarsi con
bramosia, una lotta per il dominio, un bisogno reciproco di amare e di sentirsi
amare, la voglia che annebbiava il cervello ad entrambi, un bisogno fisico che
cercava appagamento quella notte. Subito.
«Non credo che.. farlo nella
piscin-ah!.. sia la cosa miglio- o
cielo!» mormorò Tenten piegando la testa all’indietro, la bocca di Neji che
disegnava dei baci roventi sulla linea del suo collo.
«Ten, parla ancora e giuro che ti
lascio..»
«Oh, allora credo.. credo che mi
darò al silenzio..»
«Bhe, adesso proprio silenzio
magari no..» rispose Neji facendo scivolare una mano sul ventre di
lei.
«Da quando sei così… ah! Neji!»
Quando al mattino seguente, Tenten
entrò nella sua stanza, Ino era indaffarata allo specchio del bagno ad
acconciarsi i capelli, mentre Sakura ancora ronfava sotto le
coperte.
«Buongiorno,
Barbie.»
«Buongiorno,
Minnie.»
La mora si buttò sul suo letto,
chiudendo gli occhi sognante.
«Come è andata ieri sera?» chiese
poi a Ino, più per non sentire il silenzio delle sei del mattino che per
altro.
«Sakura stava per andare a letto
con Kiba..» rispose Ino come se niente fosse.
«Come prego?» Tenten si tirò su di
scatto, osservando il viso dell’amica attraverso lo
specchio.
«Lei era fuori come un balcone,
lui pure e stava per succedere l’irrimediabile. Per fortuna testa quadra si era
accorto che mancavano entrambi..»
«Testa
qua-?»
«Naruto. Appena se ne sono
accorti, lui e Sasuke sono andati da loro e hanno portata via Sakura. Meglio:
Sasuke ha portato via Sakura e Naruto ha tirato un cazzotto a
Kiba.»
Tenten sgranò gli occhi,
sbirciando poi la testolina spettinata di Sakura che sbucava da sotto il le
coperte verdi del suo letto.
«Lei non ricorda niente. Nemmeno
Kiba, ma credo che comincerà a chiedersi su come si sia fatto quell’occhio
nero.»
Le due stettero un attimo in
silenzio e poi scoppiarono a ridere sconsolate, entrambe pensando che Inuzuka
dovesse essere tenuto lontano dagli alcolici per un bel
po’.
«La cosa che lascia perplessi, è
che dopo ci ha provato con Temari..»
«Lo ha ucciso?!» chiese con
apprensione la mora, sapendo perfettamente che la sorella di Gaara non era
esattamente tutta sorrisi e modi gentili, anzi..
«No, è arrivato Shino. E anche da
ubriaco, uno capisce che non deve mettersi contro di lui.»
Ino sorrideva, mentre con
soddisfazione posizionò l’ultima forcina fra i capelli, mirandosi allo specchio
e prendendo in mano la matita per gli occhi.
«A te come è andata, Tennie? Sei
sparita..»
Tenten sorrise, ributtandosi sul
letto con un sorriso soddisfatto dipinto sulle labbra.
«Una favola..»
Lee
Naruto ©
Masashi Kishimoto
Stars’
Water © Coco Lee
|
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Capitolo 3 *** Tears and Rainbow [ShikaIno] ***
Note: ShikaIno nata senza motivo, ho
iniziato a scrivere e non ho più smesso. Leggermente Lime sul finale. C’è
qualche parolaccia, anche. Au, ovviamente, perché è periodo che mi è presa con
‘sta fissa.
A me piace, ma tanto, perché l’ho
sentita nel cuore dalla prima parole fino all’ultimo
punto.
A voi il severo
giudizio.
Tears and
Rainbow
A
Silvia,
non era la fic che
volevi,
che mi avevi
chiesto,
perché quella l’ho immaginata in
un modo
tutto mio, e non la continuo
finché non trovo
l’ispirazione
perfetta.
Quindi spero che nell’attesa
questa
ti possa far
sorridere,
perché l’ho scritta d’un
fiato,
perché me la sentivo nelle
vene.
Perdonandomi del terribile
ritardo.
Si sentiva come un groppo in gola,
un peso enorme che le inondava il petto, le schiacciava i polmoni, le impediva
qualsiasi movimento, perché aveva paura che qualcosa dentro di lei si potesse
spezzare, spaccare irrimediabilmente.
Il suo cuore batteva furioso e
rimbombava dentro al suo corpo, come un martello troppo insistente; cercava di
mantenere il suo respiro calmo, non lasciando trapelare alcun segno del fatto
che fosse sveglia da più di mezz’ora ormai. Vedeva a stento, oltre le tende
della finestra, che un temporale infuriava all’esterno dell’edificio sbattendo
contro i vetri; percepiva quella pioggia fredda anche sulla sua pelle in qualche
modo, e un brivido le percorse tutta la spina dorsale, facendola stringere
ancora di più fra le spalle nude.
Dietro a lei, sentì le lenzuola
bianche muoversi, strusciare contro qualcosa.
Shikamaru si era svegliato, e lei
non sapeva minimamente cosa fare, come comportarsi, se parlarne, se tacere, se
prendere i suoi vestiti a terra o semplicemente far finta di dormire ancora un
po’, aspettare che lui scendesse a lezione e poi sgattaiolare via come una
ladra.
Ma forse si era scordata che il
ragazzo con cui aveva appena passato la notte aveva un’intelligenza fuori dal
comune e una vista precisa, che gli consentiva di individuare anche i più
piccoli dettagli di una persona. Perché Shikamaru sapeva perfettamente che lei
era sveglia da molto, lo poteva dedurre dalla sua postura rigida su un fianco,
oppure dai suoi capelli sistemati con cura su una spalla, o ancora il suo
respirare quasi impercettibile; e nonostante sapesse questo, decise di non
chiamarla, di non toccarla.
Si limitò a osservare il soffitto
color panna della sua stanza, chiedendosi che ore fossero, quanto tempo avesse
dormito, se fosse il caso di andare a lezione quel giorno. Domande stupide che
non avevano bisogno di una risposta immediata, ma a cui lui pensava per deviare
la sua mente su qualcosa che non fosse la ragazza, Ino, che riposava accanto a
lui.
Dei rumori strascicati giunsero
alle orecchie di entrambi i ragazzi, e Shikamaru poté capire che Neji si era
alzato e stava cominciando a ripassare per le materie di quella giornata;
prendendo la palla al balzo, si alzò dal letto mettendosi un paio di pantaloni
trovati per caso sul pavimento, e facendo piano uscì dalla sua
camera.
Ino sentendo il piccolo rumore
della porta che si richiudeva, trasse un sospiro di sollievo e si girò supina
nel letto, sentendo le lacrime affiorarle negli occhi, scacciandole malamente
con i polsi delle mani. Si lasciò andare a un pianto silenzioso, cercando ti
attenuare i singhiozzi col cuscino, mentre il suo corpo sussultava, le gambe si
piegavano e lei voleva solamente poter tornare indietro e cancellare quella
notte, che aveva la dannazione di essere stata magnifica.
Senza pensarci troppo – non doveva
farlo assolutamente – si alzò dal letto, cercando nell’oscurità della stanza i
suoi abiti, infilandoseli senza cura. Non poteva restare ancora, perché alla
luce dell’alba le cose hanno tutto un altro aspetto, tutto un altro sapore e non
c’è tempo per piangersi addosso, per fingere che le cose vadano bene, quando
evidentemente non è così.
Trovò la sua tracolla e con
sguardo basso uscì dalla camera di Shikamaru, attraversò il piccolo salottino
dove Neji stava ripassando e se ne andò, non dicendo niente, non salutando, non
accorgendosi nemmeno che Nara era rimasto accanto alla porta della sua stanza,
sentendola piangere e non sapendo che fare, perché di entrare dentro e
consolarla non se ne parlava nemmeno. Gli avrebbe urlato contro, o peggio
schiaffeggiato.
Neji sollevò la testa dai suoi
appunti di algebra, e posò il mento su una mano, osservando il compagno di
stanza che a petto nudo era rimasto inchiodato al suo posto. Non era da lui
farsi gli affari degli altri, non gli era mai interessato e lo trovava alquanto
poco cortese; vivendo con altri due ragazzi all’università, aveva stabilito
delle regole chiare sulla convivenza, su ragazze che entravano e uscivano, su
festini clandestini e tutto quello che avrebbe potuto urtare i suoi
nervi.
Conosceva abbastanza bene le
abitudini di Shikamaru, per sapere che se decideva di portarsi a letto una
donna, andava sempre altrove a consumare, più per privacy che per un favore nei
confronti suoi e di Kiba; e proprio perché conosceva bene Nara, che sapeva che
non era una cosa usuale vedere Ino uscire dalla sua stanza, in lacrime e con i
vestiti dismessi. Ormai, arrivato al suo ultimo anno, Neji Hyuuga sapeva tutto
di tutti – volente o nolente – e non aveva mai visto Shikamaru e Ino andare
oltre a un abbraccio, per dimostrarsi affetto. Nemmeno un bacio sulla guancia
quando si salutavano.
Il loro era un equilibrio delicato
che era stato costruito sulla base di anni di conoscenza. Lei era sempre stata
la ragazza al centro delle attenzioni, delle invidie, delle gelosie e tutte le
volte ne era uscita a testa alta, più forte di prima e con la popolarità alle
stelle; lui era il genio, quello che all’apparenza non vale niente, ma che
affascina a suo tempo, per i suoi modi di fare disinvolti, non studiati,
strascicati e insofferenti. Shikamaru sapeva come piacere alle ragazze, per
quanto non le sopportasse, e una volta conosciuto meglio si poteva anche
considerare un vero e proprio bastardo.
Ma questa era una cosa che veniva
in secondo piano.
Per questo la sua amicizia con Ino
non era mai stata idilliaca, soggetta a critiche, a litigi, ad accuse, a scenate
di qualsiasi genere; era il prezzo da pagare quando si crede di conoscere
qualcuno da una vita, ma in realtà si sa veramente poco l’uno
dell’altro.
Come Shikamaru che non sapeva
forse che Ino, oltre a tutta la sua bellezza e apparenza, aveva anche un
cervello per niente male, che le aveva permesso di entrare in quella università
senza problemi, mentre lei non si era mai accorta che le sue amiche liceali, a
loro tempo, almeno una volta nella loro vita avevano sognato di passare una
notte con Nara.
Piccole cose, piccole scoperte che
li avevano spiazzati, e avevano visto entrambi fare un passo indietro verso
quello che credevano scontato.
Così erano entrati all’università,
consapevoli di essere amici e di non esserlo davvero, fino in fondo, e che una
vita passata assieme non basta a conoscersi. A volte nemmeno loro potevano dire
di sapere realmente chi fossero.
Avevano deciso di iniziare di
nuovo da capo, mettere un punto alle loro vite fatte di incomprensioni e cecità
rimaste al liceo, e iniziare pezzo per pezzo a ritrovarsi come amici, come
confidenti, come persone ormai adulte che si aiutano quando c’è bisogno, a
ritrovare loro stessi. Ma quell’equilibrio delicato esisteva, perché niente è
perfetto, e nemmeno la loro lunga amicizia; bastava che qualcuno sgarrasse,
facesse un passo falso per mandare tutto all’aria, che perdesse il senso delle
cose e facesse qualche stupidaggine.
A fare la cazzata, ci aveva
pensato Shikamaru.
Neji non ricordava i dettagli di
quella sera, ma rammentava le parti importanti, quelle che servivano a capire
quando Ino, facendo finta di niente –che è il modo che le riusciva meglio –
aveva cominciato a staccarsi da Nara, in punta di piedi.
Era una sera in cui pioveva forte,
proprio come quella mattina. A volte, il caso..
Neji si stava preparando per
uscire e svagarsi dopo una settimana di esami e studio; Kiba era già uscito da
un pezzo, pronto alla conquista del gentil sesso, e il loro piccolo appartamento
universitario era deserto e silenzioso, regnava una pace invidiabile quando quel
terremoto dell’Inuzuka non era presente.
Shikamaru era entrato di fretta,
tutto bagnato nonostante indossasse l’impermeabile verde, gocciolando sul
pavimento ad ogni passo. Aveva lo sguardo rivolto verso terra e l’aria
abbattuta, ma Neji non se ne preoccupò, continuando a sistemarsi il colletto
della camicia davanti allo specchio del salottino. Nara si tolse l’indumento
bagnato e si diresse nel bagno per prendere un asciugamano pulito, da strofinare
sui capelli bagnati; si era seduto su una poltrona sbuffando e aprendosi una
lattina di birra. Tutto normale, pensò Neji, a parte per la
birra.
Shikamaru non beveva per hobby,
preferiva l’acqua e l’alcool se lo lasciava per feste e occasioni importanti,
quindi il giovane Hyuuga trovò inusuale quel gesto, ma aveva un appunto e doveva
uscire, non aveva certo tempo per pensare a quel piccolo
dettaglio.
Dopo una serata conclusa bene,
dopo aver riaccompagnato Tenten nella sua stanza e averle lasciato una promessa
sulle labbra, Neji aveva varcato la soglia dell’appartamento alle tre di notte e
accendendo la luce, si era chiesto se quel bicchierino di rum al locale gli
avesse dato il colpo di grazia.
Shikamaru era nella stessa
identica posizione in cui l’aveva lasciato, l’unica variante era il numero di
lattine di birra vuote e riverse sul pavimento. Dopo essersi accertato che Kiba
non era in rientrato e probabilmente non lo avrebbe fatto fino all’alba quando
la ragazza di turno lo avrebbe scacciato, il giovane Hyuuga aveva avvicinato la
seconda poltrona del salotto davanti a Nara, invitandolo con un muto gesto a
confidarsi, se voleva.
Il ragazzo col codino chiuse gli
occhi arrossati e per qualche secondo riordinò le idee, cercando le parole
giuste con cui affrontare l’argomento; voleva parlarne, doveva sentire un parere
e guarda caso Neji faceva per lui, era abbastanza discreto da non spifferare
niente a nessuno ed era abbastanza sveglio e indisponente da non essere di
parte.
Raccolse una grossa boccata d’aria
e decise a togliersi ogni dubbio che lo assillava.
«Tu sei innamorato, Neji?» la
domanda colse di sorpresa il ragazzo, che non poté fare a meno di spalancare gli
occhi.
«E di chi?»
«Con quante ragazze stai uscendo,
di grazia?» fu la retorica domanda del Nara. Probabilmente l’ora assurda non
aiutava a rispondere seriamente alle sue domande.
«Ah, scusa.. » disse Neji
mettendosi comodo, perché ormai aveva capito che non avrebbe rivisto il suo
letto prima di un’ora.
«Bhe, non credo.. o meglio, non lo
so ancora.»
«Ma lei ti
piace?»
«Sì. Molto.» dichiarò. Shikamaru
sbuffò: se Hyuuga era una persona fidata e riservata, dalla’altra parte era una
vera impresa parlare con lui con frasi lunghe e sensate.
«E come hai fatto a
capirlo?»
«Quante birre hai bevuto, Nara?»
adesso nello sguardo del ragazzo c’era solo scetticismo.
«Non è una domanda stupida, ti ho
solo chiesto come hai fatto a capire se Tenten ti piace. Okay, è carina, ma
poi?»
«Ma poi niente. È carina,
spigliata, divertente e io mi trovo bene con lei. Non ci sono delle motivazioni,
è così e basta.»
«Non mi sei di
aiuto..»
«E tu non sei chiaro. Qual è il
tuo problema?» Neji vedeva la difficoltà del compagno ad aprirsi, a rivelare
troppo del suo problema; poteva giurare di aver visto le rotelline del suo
cervello girare come pazze, quasi fino a staccarsi dall’intero
ingranaggio.
«Ho combinato un casino, cazzo..»
lo sentì mormorare poco dopo, mentre si prendeva la testa tra le mani,
disperato, «.. lo sapevo che la cosa non poteva andare, era evidente..»
continuava a ciarlare, a imprecare, a distruggersi.
«Nara..»
«Io credo, ma spero di sbagliarmi, di essermi
innamorato.»
Neji lo osservò serio, pensando a
quest’ultima dichiarazione che di per sé non era così tremenda: insomma, può
capitare.
«Ho la sensazione che il pezzo
tragico debba ancora venire..» disse Hyuuga piegando la testa di
lato.
«Ino.»
Un solo nome aveva fatto luce su
tutto e Neji non avrebbe potuto interpretare tutto quello come qualcosa di sì
grave, ma forse anche peggio; perché è una regola non scritta, ma che tutti
sanno nel loro profondo.
Mai, mai, innamorarsi della
tua migliore amica.
Non avere migliori amici del sesso
opposto, e se proprio non puoi farne a meno, cercateli che non siano belli e
attraenti.
Dire che Nara si era scavato la
fossa da solo, rispecchiava perfettamente tutto ciò.
Presa la consapevolezza di quanto
era accaduto, Neji aveva potuto assistere all’incredibile forza di volontà di
Shikamaru per non lasciar trapelare niente di quello che provava.
Poteva vedere il suo tentare di
non guardarla troppo durante il pranzo in mensa, il suo continuare a mostrarsi
insofferente nei suoi confronti, subirsi le sue confidenze senza poter battere
ciglio, vedere il ragazzo di turno che se la sbatteva senza poter far altro che
stringere i pugni e sopportare.
Continuava ad andare a letto con
chi gli capitava sotto mano, solo per appagare il bisogno fisico e per illudersi
–ah, dolce illusione- di fare l’amore con Ino.
E lei, che era pur sempre donna e
capiva sempre qualcosa in più solo per un fattore genetico, si era resa conto
che qualcosa non andava, che fra lei e Shikamaru si era eretta una barriera, una
muraglia, una protezione da parte di lui. Era andata avanti settimane facendo
finta di niente, sperando che un giorno quella tensione fra di loro,
quell’essere in continuazione attenti a tutto quello che dicevano e facevano,
sparisse d’un botto come era arrivata, riportandoli al loro delicato equilibrio
di sempre.
Ma il tempo per essere ciechi era
già finito al liceo e Ino voleva risposte.
Neji non sapeva come poi la
ragazza era finita nel letto di Shikamaru, sicuramente non era andata come quei
due pensavano la sera prima.
«Posso chiedere come.. o
preferisci di no?» chiese Hyuuga chiudendo definitivamente il suo quaderno di
appunti di algebra.
Shikamaru si passò una mano dietro
la nuca e senza dire niente si infilò nel bagno, perché forse l’acqua della
doccia avrebbe spazzato via la sensazione di stronzo che si sentiva
addosso.
Perché amare non è mai bello, il
più delle volte chi ama soffre e non c’è sollievo dopo, non c’è beatitudine per
chi si è fatto del male, non c’è mai pace. E non impari mai dalla prima volta
che ti innamori, perché non è come la varicella, che presa una volta non torna
più. Tutte le volti soffri, cadi e ti fai male, ti rialzi e ti arrampichi sulla
scala dell’Amore ancora più in alto, così che quando cadi di nuovo, il male è
sempre maggiore, e non ti uccide, no, ti farà male per sempre, una punizione
divina ed eterna.
E l’acqua scorreva sul suo corpo,
tiepida, e lui cercava di lavarsi il profumo della pelle di Ino che gli era
rimasto addosso nella notte, voleva cancellare la sensazione delle sue labbra
dal viso, voleva semplicemente rimuovere ogni cosa di quella notte; perché per
lui era stata magnifica, per quelle ore in cui avevano fatto l’amore, si era
quasi illuso che forse c’era una possibilità si scampare al dolore, che forse il
suo amarla non era del tutto sbagliato.
Ma quando la mattina aveva aperto
gli occhi e l’aveva vista adagiata sul suo materasso, aveva capito che in fondo
quella scena non stonava, anzi, Ino sembrava esser disegnata sui quel materasso,
tanto quell’immagine di lei era azzeccata e perfetta in quel momento. Ma fu solo
un pensiero sfuggente, l’ennesima prova che avevano fatto qualcosa di
assolutamente sbagliato, errato, un qualcosa da non
ripetere.
L’equilibrio si era
rotto.
E sotto l’acqua della doccia,
Shikamaru pensò che doveva cominciare ad abituarsi alla sua assenza, di non
avere più una testolina bionda che gli saltellava attorno, che si vestiva sempre
troppo leggera per la stagione, che aveva bisogno di dimostrare al mondo quanto
oca potesse essere, perché in quel modo era più facile.
E fu quasi grato che Ino fosse
così: perché se avesse mostrato alla gente la sua vera personalità, il suo
essere fragile e il suo essere combattiva assieme, forse avrebbe avuto molti più
pretendenti e lui più seccature per la testa.
Ino Yamanaka non era attenta quel
giorno.
Aveva saltato l’ora di storia alla
prima ora, sbagliato il test di metà trimestre di matematica, e adesso era stata
invitata dal professore a uscire dall’aula di scienze.
Con le lacrime agli occhi,
cercando si trattenersi almeno finché non avesse raggiunto il bagno delle
ragazze, prese di fretta le sue cose e scusandosi nuovamente col suo docente si
allontanò dagli occhi indiscreti dei suoi compagni di corso che la osservavano
con curiosità.
Voci maligne già si inventavano
storie da telenovela dove lei poteva essere rimasta incinta e non sapeva chi
fosse il padre, oppure era finita ubriaca nel letto di qualche sfigato, o di un
uomo sposato.
Tutte cose che lei aveva imparato
a ignorare e che adesso non le importavano.
Non riuscì ad arrivare al bagno,
ma si buttò con la schiena contro gli armadietti di metallo e lentamente si fece
scivolare a terra, chiedendosi del perché stesse piangendo, del perché non
facesse altro che ripensare a Shikamaru, alle sue mani sul suo corpo, al modo
con cui l’aveva guardata tutta la notte, a come suonasse bene il nome “Ino” se
pronunciato con un sospiro nel suo orecchio, a come era bello fare l’amore con
qualcuno anziché solo sesso.
E non riusciva a capacitarsi di
tutte quelle emozioni e pensieri che le stavano affollando la testa, perché fino
all’ultimo, da quando era entrata nella sua stanza per chiarire, aveva sperato
che lui non si fosse innamorato davvero, che lei come al solito aveva volato con
la fantasia.
Ci aveva sperato
davvero.
Ma lui, davanti alle sue accuse,
non aveva potuto più negare e aveva deciso di togliersi la maschera una volta
per tutte; l’aveva guardata negli occhi, seduto sul letto, e le aveva detto
quello che non si dovrebbe mai dire a un’amica.
Forse è meglio se per un po’ non
ci vediamo, sul serio Ino.
E lei come una piccola ingenua
aveva fatto ancora finta di non capire, perché non era pronta a togliersi dal
viso quel velo di apparenza che si ostinava a portare.
Perché? Ti ho forse fatto
qualcosa? Ho sbagliato? Sono venuta qua per parlarne e per
rimediare.
Lui si era alzato lentamente,
incatenando i suoi occhi scuri a quelli di lei chiari, belli e non più
innocenti.
Io mi sono innamorati di te. Lo
capisci o no? Non fare la finta tonta, non adesso.
E si era ritrovata con le spalle
al muro, incapace di pensare e di dire qualcosa di
sensato.
Perché Shikamaru doveva rovinare
tutto? Ci avevano messo un sacco di tempo a ritrovarsi, a essere amici come un
tempo. Lei ci aveva creduto fino in fondo in quell’amicizia
rinnovata.
Non mi aspetto che tu ricambi e
non lo pretendo. Vorrei solo che tu mi stessi lontana per un
po’.
Lui aveva smesso di guardarla
negli occhi, si era voltato e aveva spostato la sua attenzione fuori dalla
finestra, mentre dei nuvoloni carichi di pioggia
avanzavano.
Da quanto sai questo? Perché non
me ne hai parlato?
Era arrabbiata, nonostante non ne
avesse nessun motivo. Si sentiva tradita. O forse era
altro.
Perché mai? Per vederti urlarmi
contro che sono un povero sciocco, che stavo rovinando tutto, che forse era solo
una scusa per scoparti? Credimi Ino, se tu stasera non fossi venuta qui, io mi
sarei portato i miei sentimenti nella tomba.
Adesso anche il suo sguardo color
nocciola era furioso, perché non le avrebbe permesso di giocare con la sua
pazienza e con quel poco di amor proprio che gli era
rimasto.
Ino gli era andata incontro e gli
aveva puntato un dito minacciosa, perché anche lei ci stava male, perché a
nessuno piace perdere un amico.
Non ti avrei urlato un bel niente!
Io ti voglio bene, dannazione! Come puoi credere che ti avrei voltato le spalle,
come puoi?
Shikamaru aveva fatto un passo
nella sua direzione e la vicinanza evidenziava maggiormente quanto lui fosse
alto in confronto a lei.
Proprio per il fatto che mi vuoi
“solo bene”! Che credi, che solo tu sei quella che perderà qualcosa, che perderà
una persona? Io ci perdo molto di più!
Ino per la prima volta, aveva
seriamente desiderato di prenderlo a calci nel fondoschiena. Lo aveva preso per
il bavero della maglia minacciosa e lo aveva avvicinato al suo
volto.
Non fare la vittima, Nara! Con me
certi giochetti non funzionano! Io non ho intenzione di perderti come persona, è
chiaro? Non voglio, non pensare minimamente di mettermi in un angolo, non lo
accetto!
Lui a quel punto era scoppiato e
con violenza l’aveva messa al muro, così da farle vedere anche fisicamente chi
era superiore, chi aveva ragione e chi comandava in quella
camera.
Sei egoista, Ino, sai quanto costa
per me starti vicino e non poterti toccare? Sai quanto mi costa trattenermi
tutte le volte che mi sei vicina dal sentire il profumo dei tuoi capelli? Riesci
minimamente a immaginarlo? Io non posso starti accanto con i pensieri che ho su
di te, non ho abbastanza autocontrollo. Quindi non costringermi a fare cose di
cui potrei pentirmi.. e adesso esci, non abbiamo altro da dirci al
riguardo.
Shikamaru si era allontanato,
lasciando che lei se ne andasse da quella camera. Ma Ino non si era mossa,
ancora indignata e lo guardava torva, ancora con la voglia di prenderlo a
botte.
Dimostramelo, allora. Perché tu
hai autocontrollo, solo che sei troppo pigro per
usarlo.
Nara fremeva, perché Ino non
capiva assolutamente che stava rischiando. Perché doveva essere così
cocciuta?
Non provocarmi, non ti conviene.
Sul serio.
Lei questa volta non aveva
risposto, ma si era portata le mani ai fianchi in segno di
sfida.
E Shikamaru non aveva più pensato,
aveva sconnesso tutto e l’aveva accontentata, come faceva sempre, anche in
quella situazione. L’aveva baciata con foga, prendendole il viso fra le mani,
intrappolandola fra il suo corpo e la parete, sentendola spaesata e scioccata,
le sue mani più piccole e fredde che si posavano sulle sue grosse e
tiepide.
Si era staccato poco dopo,
prendendo aria e pronto a ricevere un cazzotto nel naso, ne era
sicuro.
Ma Ino era come paralizzata,
respirava con fatica e guardava il basso, come se nel suo cervello ci fosse
qualcosa di sconvolgente che non la lasciava parlare, capire cosa le fosse
appena capitato.
Poi senza sapere perché, per quale
assurda ragione, lo aveva ribaciato e aveva lasciato che nel corso della loro
lotta fatta di baci e di sospiri, lui le togliesse i vestiti e l’adagiasse sul
letto.
Ino, in terra nel bel mezzo del
corridoio B dell’ala est dell’università, si rese conto di qualcosa che prima le
era sfuggito, troppo presa a dare la colpa a Shikamaru.
Era una cosa così semplice e
naturale che per un attimo ne rimase sorpresa e quasi affascinata, perché era
vero che aveva un cervello, ma l’idiozia spesso e volentieri prendeva il
sopravvento su tutto il resto.
Raccolse la sua cartelletta da
terra e di corsa raggiunse il suo armadietto, sbattendoci dentro tutto senza
troppi riguardi. Si fiondò fuori l’università sotto la pioggia, correndo fra il
fango e le pozzanghere del prato, raggiungendo i dormitori; vide Sakura uscire
dalla loro stanza e chiederle dove stesse andando sporca e bagnata, ma Ino non
le rispose, salendo le scale fino al quinto piano, senza mai
fermarsi.
Bussò alla porta che portava il
numero 295 e attese che Shikamaru l’aprisse e se non l’avesse fatto avrebbe
sfondato la porta a pedate, perché sapeva che il ragazzo aveva un’ora buca e
sapeva che preferiva passare il suo tempo a oziare nella sua stanza, sdraiato
sul letto con lo sguardo al cielo se il tempo era bello, leggendo un libro
altrimenti.
Nara non si fece attendere e con
una lentezza che apparteneva caratteristicamente a lui, aprì la
porta.
«Non dovresti esseri qui.» le
disse.
«E sei bagnata.» fece
poi.
Ma Ino non lo ascoltava, perché
era già entrata nell’appartamento senza tante cerimonie aveva sbattuto la porta
d’ingresso.
Shikamaru aprì gli occhi e la
prima cosa che vide furono i suoi azzurri che lo fissavano, curiosi e timorosi
insieme.
Se ne stava sopra di lui,
completamente sdraiata, e sentiva i suoi seni che gli premevano il petto, le
loro gambe intrecciate, i loro respiri sincronizzati.
«Adesso non fai finta di
dormire..» le sussurrò piano, prendendo una ciocca dei suoi capelli tra le dita.
Ino sorrise, facendo leva sulle braccia e sollevandosi da lui, che adesso la
osservava rapito, estasiato da quanto bella fosse, forse di
più.
La ragazza portò il viso sopra
quello di Shikamaru e lo baciò, perché in quel momento era la cosa giusta da
fare, perché questa volta non era stato un errore, questa volta era stato tutto
perfetto, voluto, goduto fino in fondo, e il risveglio era stato decisamente
migliore.
Nara sorrise e le passò le mani
sulla schiena, sentendo la pelle fresca e liscia, morbida e perfetta. La sentì
dondolare su di sé, mentre i suoi respiri tornavano affaticati e i baci roventi
di una passione che non si era ancora dissolta, che ancora bruciava nelle loro
vene.
Avevano perso così tanto tempo a
essere amici, a trovare un loro equilibrio come confidenti, che forse l’unica
cosa giusta che avrebbero potuto fare era chiedersi se loro due, Shikamaru e
Ino, erano davvero fatti per essere solo amici.
E secondo Shikamaru, avevano perso
fin troppo tempo.
L’afferrò per le natiche e con un
gesto secco invertì le posizioni, portandola sotto il suo
corpo.
Lei sorrise, ancora e
ancora.
E pensò che sicuramente un sorriso
valeva molto più di mille lacrime.
E che l’arcobaleno appena
spuntato, era senza dubbio il sorriso del cielo.
"Oh invadimi con la tua bocca bruciante, indagami, se vuoi, coi tuoi
occhi notturni, ma lasciami nel tuo nome navigare e dormire." PABLO
NERUDA
Naruto © Masashi
Kishimoto
Tears and
Rainbow © Coco Lee
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Capitolo 4 *** Brioches [ShikaIno] ***
Note: ShikaIno, sempre AU, con accenni
NaruSaku. Rating giallo con presenza di qualche parolaccia.
Si ringrazia WishfulThinking
per il betaggio.
B
r i o c h e s
A te,
Mimi,
per il tuo
compleanno,
ovviamente in
ritardo.
Spero di aver reso giustizia ad
ogni singolo
personaggio e
situazione.
Grazie, per ascoltare le mie
lamentele,
i miei
dubbi,
i miei
sfoghi
quando tutto mi va
storto.
Grazie di
esserci.
Ino sbatté la porta di camera,
buttandosi sul letto in lacrime.
Suo padre, rimasto chiuso fuori nel
corridoio, cercava di parlarle piano, calmo, senza essere troppo
invadente.
«Ino,
tesoro?»
La voce di Inoichi Yamanaka fu
coperta dai pesanti singhiozzi della figlia.
«Ino, che è successo?» chiese
ancora entrando silenzioso nella stanza, avvicinandosi al letto. Ino stringeva
il cuscino, affondando il viso nella federa viola.
«Piccola, non è che quel Nara ti ha
fatto qualcosa, vero?» insistette, sedendosi accanto al corpo tremante della
ragazza.
Non era la prima volta che Ino
tornava a casa in quelle condizioni, ma solitamente c’era sua moglie ad
occuparsi di tutto, di informarsi sui fatti, di rassicurarla, di consigliarla.
Inoichi era sempre stato uno spettatore esterno e adesso, nonostante avesse
visto la moglie all’opera un sacco di volte, non sapeva che
fare.
«Ino, puoi dirlo al tuo
papà…»
«Non ne voglio parlare!» rispose
finalmente la ragazza, urlando contro il cuscino.
«Dimmi almeno cosa ti turba, se
posso fare qualcosa…»
«Non puoi fare nulla! Se
quell’imbecille ha il cervello delle dimensioni di una nocciolina, la colpa è
solo sua!»
Inoichi collegò l’epiteto imbecille al nome Shikamaru Nara, e non poté che sospirare
rassegnato.
Quante volte aveva detto al suo
piccolo fiore che quel ragazzo non era adatto a lei? Quante volte le aveva fatto
notare che erano troppo diversi perché la loro storia potesse andare avanti?
Quante?
«Ino…»
«Papà, ti prego, esci! Non ho
voglia di sentire nessuno adesso!»
Inoichi non protestò, uscendo
silenziosamente come era entrato e ripromettendo a se stesso che alla prima
occasione in cui avesse visto il ragazzo, gli avrebbe fatto pagare ogni singola
lacrima versata da sua figlia.
Quando sentì la porta richiudersi,
Ino si liberò del cuscino, guardando il soffitto col volto bagnato e devastato;
Nara ne aveva fatte tante da quando stavano assieme, tra sbronze, dimenticanze
di appuntamenti, compleanni, San Valentino. Ma quella le batteva tutte, stavolta
non ci sarebbe stata una sfuriata e via, tutto passato, tutto come
prima.
I tradimenti non si perdonano con
un niente.
Aveva sempre pensato che lui fosse
diverso, era irritante e menefreghista; forse era stato proprio quello ad averla
affascinata.
Glielo aveva presentato Sakura,
quando aveva iniziato a frequentare Naruto; la prima volta che lo aveva visto,
vestiva con pantaloni scoloriti e consumati, una maglietta con un gruppo metal
sopra, scarpe da tennis rovinate e una sigaretta tra le dita. In un modo strano
e incomprensibile, era bello, meglio di tutti gli altri ragazzi montati con cui
era uscita.
Shikamaru era semplicemente
diverso.
Erano usciti insieme qualche mese dopo. Quel pomeriggio si
erano divertiti entrambi, come non avrebbero mai immaginato; litigavano,
bisticciavano, si prendevano in giro, ma poi risolvevano subito con una risata,
una battuta.
Ino non avrebbe mai scordato, poi,
la prima volta che si erano baciati.
La sua macchina si fermò davanti
casa, ma nessuno dei due diede cenno di voler
scendere.
Ino si slacciò la cintura di
sicurezza, ridendo ancora dell’ultima uscita folle del ragazzo mentre
guidava.
«Non ci salgo più in macchina con
te, sei un pirata!»
«E tu sei una seccatura! Ti pare
che uno come me possa perdere il controllo della
macchina?!»
«Hai fatto una manovra a pelo, è
solo fortuna!»
«Te lo ha mai detto nessuno che sei
un impiastro, Yamanaka?»
Ino era nuovamente scoppiata a
ridere mentre Shikamaru scuoteva la testa, divertito. Appena le risate si
dissolsero nell’abitacolo, il silenzio li colse all’improvviso; non era
imbarazzante, né scomodo. Solo carico di cose non dette, di sentimenti nascosti
che loro conoscevano bene.
«Senti, Ino…» aveva iniziato lui
giocherellando con le chiavi del veicolo. Lei distolse lo sguardo, un po’
perplessa, notando però che le portiere erano state
bloccate.
«Qualsiasi cosa tu mi debba dire,
non credo che sarà così tremenda, Nara!»
«Come?»
«Le portiere… hai paura che
scappi?»
«Non lo so, ho preso una piccola
precauzione…»
«Adesso sì che sono
tranquilla!»
Shikamaru non aveva più risposto,
tornando a giocare col portachiavi.
«Non so se lo hai capito, ma tu mi
piaci.»
Glielo disse con tutta la
naturalezza del mondo, senza impappinarsi, balbettare, arrossire o
altro.
Erano semplicemente loro due, nella
macchina di lui, accanto l’uno all’altra e si
guardavano.
Ino aprì la bocca per dire
qualcosa, ma dopo aver boccheggiato per almeno cinque secondi pieni, decise di
richiuderla, cominciando anche lei a giocare col portachiavi di
casa.
Shikamaru ancora la guardava,
apparentemente tranquillo, ma un po’ in ansia; uscivano insieme ormai da tre
settimane, ed era abbastanza sicuro di piacerle un po’, altrimenti non si
spiegava come avesse accettato tutti i suoi inviti.
Ma adesso, con quel silenzio, lo
stava mettendo nel dubbio.
«Devo dire, Nara…» iniziò Ino alla fine con calma, «…che questa
dichiarazione è stata proprio il massimo del romanticismo, davvero!» dichiarò
ridendo.
Il ragazzo si sciolse anche lui in
una risata, pensando che loro, di romantico, non avevano proprio
niente.
«E che, sì… ecco, anche tu mi
piaci, già.»
Nessuno dei due stava arrossendo,
perché erano sicuri dei loro sentimenti, erano decisi e felici di scoprire le
carte in tavola.
«Vuoi una storia seria?» chiese lui
allora dopo poco, guardandola dritta negli occhi
azzurri.
Ino era la prima ragazza che gli
piaceva veramente, dopo essere stato scaricato dalla sua ex. Non gli interessava
avere una storiella di una sera con lei; voleva qualcosa di più, voleva poter
dire con certezza che lei era la sua ragazza, molte e molte volte, a chiunque
glielo chiedesse.
Non si sarebbe
accontentato.
«Bhe, Nara, non sono ancora pronta
per il matrimonio.»
«Ci penseremo poi. Non posso
piombare in casa del parroco in due minuti. Senza contare che tuo padre mi
ucciderebbe.»
Ino gli sorrise, sfoderando una
delle sue migliori occhiate maliziose.
«Se il matrimonio non si fa entro
due anni, volentieri.»
Shikamaru si era definitivamente
sciolto, e impaziente le si era avvicinato con tutto l’intento di baciarla,
finalmente.
Ma loro, come detto, non amavano
particolarmente le cose romantiche, e qualcosa doveva pur succedere a
interrompere quell’atmosfera.
Le chiavi della macchina che teneva
in mano si impigliarono nei capelli di Ino, facendole fare una smorfia di
fastidio.
«Nara! Ma sei un
disastro!»
«Accidenti, seccatura, sta
ferma!»
«Voglio il
divorzio!»
«Momento…»
«Sei un marito
degenere!»
Lui riuscì a liberare le chiavi dai
suoi fili d’oro, e senza lasciarle il tempo di dire, o pensare altro, finalmente
la baciò.
«Domani ti porto le brioches, così
mi faccio perdonare.»
Lei sorrise e lo attirò nuovamente
a sé.
Uscì dalla macchina solo molti
minuti più tardi.
Non si erano mai detti Ti amo, ricordava adesso la ragazza,
mentre con disgusto stava buttando via tutte le foto che la ritraevano insieme a
Shikamaru.
Non erano di quelle coppie che
mostravano al mondo il loro amore, sbaciucchiandosi in pubblico, prendendosi per
mano mentre camminavano, o cose simili.
Quelle cose le facevano Sakura e
Naruto, ormai prossimi al matrimonio, ci scommettevano
tutti.
A Nara non piaceva parlare dei
proprio sentimenti; in verità non gli piaceva proprio parlare, ma lei era
abbastanza loquace e chiacchierona per tutti e due. Lui ogni giorno le aveva
fatto capire quanto l’amasse, solo con piccoli gesti, occhiate, sorrisi che le
rivolgeva quando nessuno prestava loro attenzione.
Anche quando erano usciti una sera
con degli amici di Naruto, andando a cena in un
ristorante.
Un tizio alto, dagli scompigliati
capelli castani e il fisico atletico le si era avvicinato ammaliatore,
circondandole le spalle con un braccio.
Allora, tesoro, quando usciamo
insieme?, le aveva
chiesto malizioso. Ino, già un po’ su di giri per via dell’alcool, si era messa
a ridere come sempre, non pensando che il ragazzo facesse sul
serio.
Ma la risposta che arrivò da
Shikamaru fu abbastanza chiara da dimostrarle che sì, il bel moro ci aveva
appena provato con lei sotto gli occhi del suo ragazzo.
Io direi mai, Kiba. Perché non giri
un po’ a largo?
Fu in quel momento che Ino ebbe
l’ennesima conferma che Nara, con tutti i difetti che poteva avere, l’amava
davvero; non per il suo corpo, non per i
suoi occhi azzurri, non per i suoi capelli biondi. Anche per tutte queste cose. Ma
soprattutto perché la rispettava, la proteggeva e riusciva a farla divertire con
poco: questa era la cosa più importante.
Ino cercò di reprimere un altro
attacco di pianto, perché pensare a tutte quelle cose la faceva star
male.
E si maledì quando le venne in
mente la prima volta che avevano fatto l’amore.
Shikamaru stava al parco, seduto su
una panchina con i soliti quattro idioti che si ritrovava per
amici.
Era un pomeriggio come tanti,
faceva caldo e loro non avevano niente da fare di utile per la società. Sakura
li aveva raggiunti poco dopo, sfoggiando un vestito primaverile verde, che
s’intonava perfettamente con i suoi occhi; Naruto l’aveva accolta a braccia
aperte, in uno stato di contemplazione assoluta.
Prima che potessero appartarsi per
scambiarsi le coccole quotidiane, la ragazza dai capelli rosa si era avvicinata
a Shikamaru, con sguardo serio.
«Hai sentito Ino,
oggi?»
«No, non le ho ancora
telefonato.»
«Ah.»
Il ragazzo osservò Sakura che
adesso si guardava attorno spaesata, quasi preoccupata, avrebbe osato
dire.
«Haruno, è successo
qualcosa?»
«Non lo so.» ammise,
sospirando.
«E allora che ti
preoccupi?»
«Proprio perché non lo so.
Stamattina Ino stava litigando con suo padre, ho parlato con lei solo per poco.
Ecco perché sono in ansia, non l’ho più sentita da
stamattina.»
Shikamaru osservò la figura di
Sakura che si allontanava con Naruto, e senza pensarci troppo, si avviò verso la
sua macchina.
Guidò più velocemente del solito,
parcheggiando malissimo vicino casa Yamanaka. Tirò fuori il cellulare,
componendo a memoria il numero di telefono della
ragazza.
«Ehi…» la sentì sussurrare
dall’altro capo dell’apparecchio telefonico.
Aveva la voce spenta, sembrava
quasi che si stesse sforzando per non scoppiare a
piangere.
«Ehi, come
stai?»
«Bene, come dovrei
stare?»
«Ho visto Sakura, mi ha raccontato
della vostra telefonata di stamattina.»
Sentì Ino sospirare. Evidentemente
non voleva che lui sapesse.
«Non… non era necessario che ti
raccontasse, sono cose da niente.»
«Dal tuo tono non si
direbbe.»
«Shikamaru…»
Sentiva che le cose non stavano
andando bene, proprio per niente. Anche solo il fatto che lei lo chiamasse per
nome, era un chiaro segno che qualcosa non andava.
«C’è tuo padre in
casa?»
«Sì, è in
salotto.»
«Ce la fai a
uscire?»
«Shikamaru, non credo che
sia…»
«Ce la fai sì o no?»
Ino, se solo non fosse stata così
tanto orgogliosa, probabilmente avrebbe iniziato a piangere come una bambina.
Sbirciò dalla fessura della camera la figura di suo padre, intento a leggere il
giornale comodamente seduto sul divano.
«Non so se lo hai capito,
tesoro, ma se non esci da sola, giuro che entro io
in casa e ti porto via. Sono qui sotto con la macchina, lo faccio,
Ino.»
La ragazza non aveva più
pensato.
Aveva spento la comunicazione e
come un razzo si era precipitata fuori, con le urla di suo padre nelle orecchie
e la porta di casa che sbatteva.
Aveva subito trovato l’auto blu di
Shikamaru e ci si era buttata dentro, mentre lui ripartiva veloce, per non dover
vedere Inoichi che gli bestemmiava contro.
Ino finalmente si sciolse in un
pianto liberatorio, prendendosi il viso fra le mani; il ragazzo tolse una mano
dal volante e l’avvicinò a sé, lasciando che piangesse sulla sua spalla,
sfregando una mano sulla sua testolina bionda per
rassicurarla.
«Sei veramente una seccatura,
Ino.»
Arrivarono a casa Nara in una
decina di minuti.
Tutto era buio e silenzioso
all’interno, le strade erano colorate dalla luce soffusa del sole al tramonto,
l’afa del giorno stava scomparendo lasciando spazio a una brezza
leggera.
Entrarono nell’abitazione senza
dire niente, perché non c’era da dire niente.
Shikamaru le si avvicinò,
guardandola negli occhi e prendendo una ciocca di capelli biondi fra le dita,
sentendo con i polpastrelli la loro morbidezza.
«I miei sono fuori città, puoi
stare qui quanto vuoi, se non vuoi tornare a casa da tuo padre. Almeno finché
non gli sarà passata l’incazzatura.»
Più lo guardava, più Ino desiderava
che in quel momento Nara la baciasse.
Lo voleva con tutta se stessa,
voleva sentirsi al sicuro fra le sue braccia, aveva bisogno di sentirlo vicino
ora più che mai.
Si alzò in punta di piedi,
lentamente le loro bocche si accostarono, le loro mani si trovarono, i loro
corpi di toccarono.
Shikamaru le abbracciò la vita, la
sollevò di pochi centimetri da terra e cercando di non andare a sbattere contro
qualche muro, riuscì a portarla vicino al divano.
La lingua di Ino giocava con la
sua, lo stuzzicava, gli parlava, gli faceva capire quello che voleva, lo
invitava ad andare oltre.
Si staccarono per pochi secondi, i
loro sospiri che si confondevano, le fronti che si poggiavano l’un l’altra; Ino
si distaccò leggermente, guardò il ragazzo che aveva davanti, e con un gesto
fluido si tolse la maglia.
Al mattino, quando si risvegliò
nuda nel suo letto, coperta dalle lenzuola che sapevano di lui, trovò accanto al
comodino un sacchetto di brioches.
Alla fine, gliele aveva portate sul
serio.
«Giuro che non mangerò mai più una
singola brioche in tutta la mia vita, maledetto verme!» bofonchiò Ino, prendendo
il cuscino e lanciandolo contro la finestra, in un impeto di
rabbia.
Shikamaru l’aveva
tradita.
T r a d i t
a.
Con la sua ex fidanzata: più
grande, più bella, più affascinante.
Il solo pensiero le fece salire il
vomito, tanto che dovette precipitarsi al bagno, per il
disgusto.
Non avrebbe mai pensato che un
giorno le sarebbe capitato, non avrebbe mai immaginato che Nara potesse farle
una cosa del genere, non dopo tutto quello che avevano passato
assieme.
Per lei, adesso, era un uomo
morto.
Sentì il campanello suonare e di
corsa si affacciò alla finestra che dava sulla strada, vedendo proprio il
traditore davanti alla sua porta.
Corse giù per le scale, cercando di
fermare suo padre.
«Papà non
apri-!»
«Che sei venuto a
fare?»
Troppo tardi, la voce di Inoichi
Yamanaka era dura e severa.
«Devo parlare con sua figlia.»
rispose Shikamaru, non facendo una piega.
«Non credo proprio. Girale al
largo, se non vuoi che ti rispedisca a casa a calci nel sedere. Io non scherzo,
Nara.»
Il ragazzo sostenne per pochi
attimi lo sguardo ammonitore dell’uomo, poi piegò la testa, facendo dietro
front.
«Come desidera, signor
Yamanaka.» Inoichi, soddisfatto, richiuse la porta, mostrando il pollice in
segno di vittoria alla figlia. Lei sorrise, seppur amareggiata, e lentamente strascicò i piedi fino alla sua
camera.
E per poco il cuore non le si
fermò.
«Che cazzo ci fa lì?!»
Shikamaru era sul suo balcone, e le
chiedeva di farlo entrare. Come aveva fatto a salire fino al primo
piano?
«Dall’albero.» rispose quando Ino,
turbata, gli aprì la porta finestra.
«Tu non sei normale, hai qualche
rotella fuori posto!»
«Bhe, al cellulare non rispondi,
tuo padre fa il cane da guardia alla porta, mi dici come faccio io a parlare con
te?»
«Errore, io non voglio parlare con
te! Evapora!»
Shikamaru entrò del tutto nella
stanza, mentre Ino indietreggiava. Non voleva nemmeno stargli troppo vicino: in
quel momento provava solo ribrezzo nei suoi confronti.
«Ascoltami, io non sono bravo con
le parole e lo sai. Però una cosa te la devo dire: mai, mai, ti tradirei. Sei tutto quello che
un ragazzo possa desiderare, perché mai dovrei cercare appagamento in
un’altra?»
«Ah, non lo so. Questo me lo devi
dire tu.»
«Ino, accidenti! In questi mesi che
siamo stati assieme, mi sembra di avertelo dimostrato quanto tenga a te!
Preferisco diventare gay che stare con qualcun'altra!»
La ragazza strabuzzò gli occhi,
dandogli le spalle.
«Ino, per favore, devi
credermi!»
Mai, in tutta la sua vita,
Shikamaru aveva supplicato qualcuno.
Mai aveva seppellito il suo
orgoglio e il suo menefreghismo per farsi perdonare da
qualcuno.
Shikamaru Nara non guarda in faccia
nessuno.
Forse fu per questi motivi, che Ino
si voltò di nuovo verso di lui, mettendo per un momento da parte il
rancore.
«Vorrei crederti, ma non ci riesco.
Questa volta non basterà un abbraccio o un sorriso per farmi
dimenticare.»
«Lo so.»
«Ti sei ubriacato. Sei andato a
letto con la tua ex, hai-»
«Io non sono andato a letto con
nessuna!»
«Come credi che mi sia sentita
quando ti ho telefonato per sapere se stavi bene, e invece di sentire la tua
voce, mi ha risposto una donna?»
«Non è come pensi. L’abbiamo
incontrata per caso, con me c’erano anche gli altri.»
«Non mi importa degli
altri!»
Ino lo guardava non furiosa, solo
tremendamente delusa e amareggiata.
Non sopportava che qualcuno le
negasse l’evidenza, era una delle tante cose che non tollerava in un
rapporto.
«Ti dovrai faticare la mia fiducia,
Shikamaru. Io devo poter fidarmi di te di nuovo.»
Lui sorrise,
annuendo.
Non aveva fatto veramente niente,
la sera prima. Aveva solo avuto la sfortuna di incontrare la persona sbagliata
al momento spagliato; non avrebbe più cercato di spiegare questo a Ino.
Conoscendola, conoscendosi, non
avrebbe risolato niente.
Sperava solo che col tempo lei
riuscisse a capire, comprendesse che prima di farle del male in qualsiasi modo,
avrebbe preferito mille volte ferirsi da solo.
Ino era diventata troppo
importante, per poter permettere che un fraintendimento la allontanasse da
lui.
Gli serviva la sua presenza come
l’aria, non avrebbe più potuto farne a meno.
«Domani ti compro le
brioches.»
«Non ti farai perdonare prendendomi
per la gola, sai?»
«Bhe, ci ho provato,
seccatura.»
Passo dopo passo, piano, senza
fretta, avrebbe riconquistato Ino, come la prima volta.
Fine.
Si
ringraziano celiane4ever(aka Vale),
Wishful
Thinking (aka Sil)
e Mimi18 per
aver recensito la scorsa shot. <3
Alla
prossima…
Lee
Naruto © Masashi
Kishimoto
Brioches © Coco
Lee – Mimi18
|
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Capitolo 5 *** Bacio [MinatoKushina] ***
B a c i o
« Ma
poi che cosa è un bacio?
Un
giuramento fatto un poco più da presso,
un
più
preciso patto,
una confessione che sigillar si vuole,
un apostrofo rosa messo tra
le parole
t'amo. »
[“Cyrano
De Bergerac”, Edmond Rostand]
La
Luna era piena, tonda, bianca.
Si
stagliava nel blu della notte, facendo apparire le stelle intorno
piccole e
insignificanti come moscerini.
Le
somigliavano un po’quelle stelle, semplici puntini di luce
riflessa, tutte
uguali, nessuna che avesse una caratteristica particolare e che la
differenziasse dalle altre.
Eppure
lui la guardava come se fosse stata la Luna stessa.
Nell’oscurità
che li avvolgeva come un manto, tra l’erba alta che
accarezzava le loro gambe
scoperte, gli occhi di Minato brillavano come zaffiri e la spogliavano
di tutti
i suoi pensieri. Si chiese se fosse normale che un ragazzo di
quattordici anni
potesse ipnotizzare una persona in quel modo, provò a darsi
anche una risposta,
ma tutte le sue facoltà intellettive vennero distrutte in un
secondo.
Non
ricordava perché erano lì, a notte fonda, in un
campo fuori Konoha.
Non
ricordava nemmeno perché era iniziato tutto quello. Con
Minato.
Ci
mancava poco che non ricordasse nemmeno il suo nome, a pensarci bene.
Perché
alla luce del sole, sotto gli sguardi attenti degli abitanti del
villaggio, lei
era solo Kushina Uzumaki, una ragazzina come tante; lui era Minato
Namikaze, il
ragazzo prodigio. Non avevano veracemente niente da spartire, da
condividere,
da dirsi.
Perché
poi si conoscevano? Se lo ricordava?
Erano
sempre stati loro, tutte le estati, quando lei veniva a Konoha con il
suo
maestro. Litigavano, giocavano, urlavano. A volte facevano anche a
botte,
tornando a casa col naso sporco di terra e le ginocchia sbucciate.
Poi
qualcosa era cambiato; Kushina aveva i capelli più lunghi
del solito, portava
più spesso le gonne, almeno una volta al mese preferiva non
fare il bagno al
lago. I suoi fianchi avevano delle curve più armoniose, il
petto era più grande
e la bocca era più rossa.
Minato
cresceva ogni mese di quasi cinque centimetri, le sue spalle erano
diventate
più grandi e i muscoli delle braccia più
definiti. La voce era più profonda,
roca, e le guance magre erano ruvide, ricoperte dai primi peli di barba.
Erano
sempre gli stessi, non parlavano di niente e discutevano di tutto,
mangiavano,
dormivano, combinavano guai; era tutto nella norma, niente di
più e niente di
meno, tutte le estati uguali, sempre lo stesso sole, gli stessi fuori,
lo
stesso lago, sempre Konoha.
Ma
Kushina vedeva Minato, lo vedeva parlare e desiderava inspiegabilmente
essere
le sue labbra: le osservava rapita, erano sottili e chiare, si
sfioravano per
pochi istanti veloci, danzavano sulla curva della sua bocca, come delle
ballerine. Si distendevano in sorrisi, e come due amanti sfiniti, si
riconciliavano quando lui smetteva di parlare e ascoltava il suo
interlocutore.
Erano perfette, come un puzzle s’incastravano senza intoppo,
senza sforzo,
perché quello era il loro posto.
Eppure
erano le stesse labbra di quando era bambino, sempre loro, immutabili
nel
tempo, eppure diverse, era come se non le avesse mai viste.
E
anche in quel momento, nonostante il buio che le ostacolava la vista,
poteva
distinguerle davanti a lei, le riconosceva come i due amanti a cui le
aveva
paragonate quello stesso pomeriggio. Si era domandata se per caso, le
anime
gemelle, dovessero essere come un paio di labbra, unite nel silenzio,
distaccate e sfuggevoli nelle parole.
Minato
si accorse del suo sguardo insistente, e prima che se ne potesse
rendere conto,
la sua mano destra si era già alzata e tremante, in attesa,
sospesa nel vuoto e
nell’oscurità, voleva provare ad accarezzare i
suoi capelli rossi. In tanto
anni che si conoscevano, non sapeva nemmeno se fossero morbidi al
tatto,
profumati, se nel toccarli le sue dita li avrebbero paragonati a
qualche
stoffa, a della seta forse.
Infine
riuscì a sfiorare una ciocca rossa che era sfuggita alle
altre, in ordine
dietro l’orecchio per non nascondere il viso. Kushina non
disse niente, ma
senza che lui se ne accorgesse trattenne il respiro, non aspettandosi
di
trovarselo così vicino; poteva percepire il flebile calore
della sua mano. In
quella notte estiva, fresca e un po’ umida, sentiva la pelle
di Minato che
scottava anche a distanza, era come un debole fuoco che le dava
l’idea di
essere riscaldata seppur minimamente.
Minato
cercò di impedire alla sua mano di tremare, e dopo averla
sfiorata una, due
volte, finalmente prese quella ciocca color del rubino fra le dita,
chiudendo
gli occhi per sentirne meglio la consistenza. Se la portò
vicino al viso,
sfiorandola impercettibilmente con le labbra; il profumo dello shampoo,
forse
di fiori, forse soltanto di Kushina, gli accarezzò il naso
con la sua
fragranza, rendendolo soddisfatto.
«Minato…
io non so… cosa…?» Kushina non sapeva
spiegarsi quel momento, era del tutto
fuori dalla sua logica, perché non trovava un filo
conduttore in tutti quei
comportamenti, in quei gesti. Anche il suo stomaco non andava
d’accordo col
resto degli altri muscoli, si contorceva da solo, senza un motivo
apparente.
«Non
lo so nemmeno io. Non so più niente.» rispose
allora lui, facendo tornare
quella ciocca al suo posto, dietro l’orecchio. La punta
dell’indice sfiorò
appena il lobo, e fu come se si fosse ustionato. Ma non la ritrasse,
seguì
invece la linea della guancia, scendendo giù per il collo
leggermente
abbronzato dal sole.
Kushina
non staccò nemmeno per un istante i suoi occhi da quelli
azzurri del ragazzo,
perché sapeva che se li avesse abbassati anche solo per un
istante, dopo
difficilmente avrebbe trovato il coraggio di riguardarlo.
«Vorrei…
poter fare una cosa… ma non so se…»
«Potrei
prenderla… male?» chiese lei leggermente spaesata.
Per
un istante Minato avrebbe voluto mettersi a ridere di cuore, e forse lo
avrebbe
anche fatto se la situazione non fosse stata così piena di
tensione, di cose
non dette e troppe ancora da sospirare.
«Forse.
O forse no.»
«Prova.»
Quello
era il momento.
Non
sapeva come chiamarlo, come definirlo, se in un futuro se ne sarebbe
mai
ricordato con affetto, con imbarazzo o con rabbia. Ma non era un
momento
normale, uno come tanti, uno come milioni di altri istanti.
Era
IL
momento.
Si
abbassò leggermente, avvicinandosi con cautela, non sapendo
esattamente come
fare, ma certo di farsi guidare solo dal suo istinto.
Kushina
chiuse gli occhi, aspettò tre secondi e accadde.
Sentì
la leggera pressione delle sue labbra, erano umide ed esitanti; il loro
nasi si
erano toccati appena e i polmoni aveva smesso di incamerare aria.
Kushina
fu disorientata per parecchi secondi, non si rendeva conto di dove
fosse, che
stesse facendo, se quello davanti a lei fosse Minato oppure un altro
ragazzo;
si era come pietrificata, le sue braccia erano rimaste immobili lungo i
fianchi, il respiro anche. Solo il cuore batteva troppo veloce e con
troppo
rumore, rimbombava dentro al suo corpo che se fosse stato dentro un
forziere in
fondo al mare, isolato da tutto.
Si
spaventò di tutto questo. Si staccò da Minato
all’improvviso, spalancando gli
occhi.
Lui
rimase ad osservarla mentre con la mano si sfiorava le labbra appena
violate.
Evidentemente
aveva fatto qualcosa che non andava, perché onestamente si
sarebbe aspettato di
tutto, ma non una reazione del genere, come se avesse commesso il
più
indicibile dei peccati. Ne sapeva qualcosa, Jiraya-sama non gli parlava
d’altro
ultimamente.
«Kushina…
io non…» si avvicinò di qualche passo,
ma i suoi occhi gli fecero capire che
stava facendo la mossa sbagliata.
Lei
si riprese, cercando di calmare i battiti ancora accelerati del suo
cuore.
Troppo
veloce, stava
per morire.
«Vado
a casa. Ci vediamo domani.» le disse Minato, vedendola in
difficoltà. Non
sapeva cosa fare, come aiutarla; forse non era nemmeno quello che lei
si era
aspettata.
Se
ne andò calpestando sotto si sé l’erba,
lasciando al suo passaggio un solco profondo.
Kushina
aprì gli occhi.
Rimase
parecchi secondi a fissare il soffitto della sua stanza, cercando di
illudersi
senza troppo successo che quello accaduto durante la notte fosse solo
un
prodotto della sua fervida mente.
Si
mise a sedere e raccolse i lunghi capelli in una coda bassa e mal
fatta, solo
per evitare che le dessero noia al viso; sospirò infine,
prendendosi il viso
tra le mani.
«Sei
tornata tardi.»
La
voce di Shiori la fece sobbalzare, facendole produrre un piccolo
cigolio del
materasso sottostante. Anche lei era a letto, ma sembrava sveglia da
molto più
tempo; secondo Kushina, era proprio il tipo di ragazza che di solito si
può
paragonare alla Luna. Era bella, più di tutte le altre sue
coetanee compresa
lei, un buon ninja e aveva una spiccata intelligenza. Forse un
po’ fredda, ma
nel complesso era ciò che più si avvicinava alla
perfezione.
«Dove
sei stata di bello?» continuò Shiori non smettendo
di applicarsi lo smalto
sulle unghie dei piedi, tranquillamente. Kushina la conosceva
abbastanza bene
per sapere che le sue erano solo domande di cortesia, perché
in verità la
compagna di squadra era perfettamente a conoscenza chi aveva incontrato
quella
notte e dove.
«Se
i tuoi occhi potessero parlare, urlerebbero di frustrazione,
sai?»
«Dov’è
Juro? Abbiamo l’allenamento…»
«Non
cambiare discorso.»
Kushina
drizzò un sopracciglio stizzita. Non sopportava che qualcuno
si facesse gli
affari suoi, ma ancora di più non sopportava che qualcuno la
obbligasse a
parlarne. Si alzò dal letto e senza rivolgere parola alla
sua interlocutrice,
cominciò a frugare nel suo armadio, alla ricerca della tuta
per l’allenamento.
«Invece
di evitare di pensarci, parlarne a qualcuno potrebbe essere molto
più utile,
per trovare le risposte ai tuoi dubbi.»
«Ti
ringrazio di tanta generosità, ma non mi serve il tuo
supporto psicologico.»
Kushina
si tolse di fretta la maglia del pigiama e senza pudori rimase a busto
scoperto, mentre cercava di infilarsi il reggiseno in fretta.
Shiori
sorrise, soffiando un’ultima volta sulle proprio unghie
colorate, e come una
ballerina si alzò dal proprio letto, arrivando alle spalle
dell’amica. Scostò
con gentilezza le sue mani e l’aiutò ad agganciare
il reggiseno, indumento
ancora angusto per Kushina.
«Dico
solo che sei cresciuta. Io me ne sono accorta, Juro e il maestro Akio
pure. E
ultimamente anche Minato.»
«Non
l’ho mai nominato quello, io.»
«Lo
so.»
«Come
fai a essere così sicura che sia lui, il mio
tormento?»
«Segreti
del mestiere, Uzumaki.»
Kushina
si mise la maglia dell’allenamento, un po’
imbarazzata e con le guance rosse.
Non era abituata a questo tipo di discorsi, lei e Shiori non avevano
mai
affrontato quegli argomenti e non pensava che fosse necessario
approfondirli
ulteriormente. Cercò di calmarsi, sperando che il rossore
apparso sul suo volto
fosse già sparito: era giusto mostrare ogni tanto i proprio
stati d’animo, ma
non davanti a Shiori. Glielo avrebbe rinfacciato a vita.
«Non
avevi mai baciato nessuno, vero?»
«Ma
che fai, mi segui, dannazione?!»
Kushina
le si rivolse scocciata, questa volta seriamente disturbata da
quell’aria
saccente che aveva la sua compagna.
«Come
dicevo prima, tutti si stanno accorgendo che stai
crescendo…»
«Mi
stai scocciando, non voglio ascoltarti.»
«…
l’unica che non si rende conto sei tu.»
Si
chiuse i bottoni dei pantaloni con stizza e cominciò a
pettinarsi i lunghi
capelli rossi.
Shiori
si tirò indietro i corti boccoli biondi, sospirando
spazientita. Minato era un
ragazzo eccezionale, bello e intelligente, il principe che ogni donna
avrebbe
voluto al proprio fianco; lei compresa era stata conquistata dalla sua
persona,
era alquanto inevitabile. Kushina poteva averlo.
«Sei
una stupida, lo sai?»
«Morirò
nella mia stupidità allora.»
«Come
vuoi.»
La
Luna era imperfettamente tonda.
Non
brillava come la notte precedente, aveva un biancore pallido, quasi
malato, e
le stelle intorno ad essa non risplendevano come avrebbero dovuto.
C’era solo
qualche puntino luminoso, più distante da quel satellite
naturale, che invece
aveva una luce intensa, gialla, sembrava calda, una piccola pietra
d’oro in
mezzo a un mare di onde in tempesta, scure.
In
mezzo al prato, un albero di pesco riposava silenziosamente e osservava
il
piegarsi dell’erba al vento estivo; osservava la figura di
una ragazza dai
capelli rossi che camminava con attenzione, ripercorrendo una scia
già
tracciata la notte precedente.
Kushina
intravide Minato sdraiato per terra e si avvicinò a lui.
Il
ragazzo si accorse della sua presenza e si alzò in piedi
quando fu abbastanza
vicina. Aveva timore di guardarla, paura che il suo sguardo fosse
astioso,
adirato con lui per ciò che aveva fatto, per quello che
aveva spezzato,
baciandola.
«Se
di nuovo qui.» constatò lei.
«Anche
tu.»
E
in quell’istante in cui le loro iridi si incrociarono, le
mani di Minato si
strinsero convulsamente; le labbra di Kushina tremarono appena.
E
di nuovo quella strana sensazione di eccitazione, quel groviglio allo
stomaco e
quel calore che li proteggeva dal freddo esterno tornarono a invadere
il loro
corpo.
Si
avvicinarono senza rendersene conto, tacitamente d’accordo a
riprovarci, a
voler provare la sensazione di appartenersi, di saggiare le labbra
altrui, per
verificare se per caso la bocca di Minato avesse trovato la sua gemella
in
quella di Kushina.
Due
centimetri li dividevano, istanti di immobilità assoluta, il
respiro che
rimaneva sospeso fra le loro bocche, fra le parole che non si erano
detti e che
potevano tranquillamente aspettare.
Lei
si inumidì le labbra, che si schiusero leggere.
Minato
si avvicinò, ed ebbe la certezza che non sarebbe stata
l’ultima volta.
The End
Note
della
Squilibrata:
Fic
che ha partecipato al contest “MinatoKushina
Genin”. E’ arrivata seconda.
Faccio
i miei complimenti alla Tya che si è aggiudicata il primo
posto e a tutte le
altre che hanno partecipato, contribuendo ad aumentare, almeno un poco,
le fic
su questa bella coppia, sul sito di EFP.
Grazie
anche a Mala_Mela e a Rory-chan per aver indetto questo contest.
Risposte
allo scorso
capitolo:
hachi92: grazie per i
complimenti caraH! Quella fic parlava di fatti realmente accaduti,
quindi non
posso che essere contenta che la trovi bella come una favola! <3
Non so se
sei fan della coppia MinatoKushina, ma spero che leggerai anche questa
e magari
mi farai sapere. Un bacio!
Celiane4ever: Vale, tesoro! Io
sarò anche una ragazza che si scorda di tutto e sono molto
sbadata (ù_ù), ma
anche tu potresti farti sentire, eh! XD Cmq mi fa piacere che ti sia
piaciuta
la fic e spero che anche questa sia di tuo gradimento, se ti piace la
coppia!
Fammi sapere, caraH! <3
Mimi18: non c’è altro
da
dire, se non che io sono stata onorata di poter scrivere una tale fic
con te
protagonista, seppur attraverso Ino. Semmai un giorno la farai leggere
ad
Andrea voglio sapere la sua reazione, devi promettermelo! XD E anche
per il
fatto che verrai a trovarmi, maledetta! E sappi che sei sempre nel mio
cuoricino, amore della mia vita <3
Dimmi
che ti pare di questa, va… non farmi cadere nel melenso! XD
Kaho_chan: Kaho!
E’ sempre un
piacere trovarti fra chi recensisce: non so, dai soddisfazione! XD Sono
contenta che ti sia piaciuta e spero che anche questa possa essere di
tuo
gradimento, se ti piace la coppia <3
Ciao
e fammi sapere!
|
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Capitolo 6 *** Le donne hanno occhi e orecchie dappertutto! [NejiTen] ***
Alla
Mimuccia,
perché
è stato il suo compleanno.
Inutile
stare a soffermarsi
sul
fatto che sono in ritardo di tre giorni,
ma
meglio tardi che mai.
<3
Le
donne
hanno
occhi
e
orecchie
dappertutto!
«Mi
rifiuto di fare un altro allenamento con Ino.»
«Per
quale assurda ragione?»
«No,
dico Kiba, l’hai vista?»
Il
gruppo di ragazzi si voltò all’unisono in direzione della bionda amica, che non
accortasi di tutti quegli sguardi puntati addosso, stava sistemando i fiori
fuori dal negozio per l’apertura pomeridiana.
«Eccome
se l’ho vista: difficile da non notare.»
Kiba
assottigliò lo sguardo, scannerizzando il corpo di Ino dall’alto in basso, non
tralasciando nemmeno un centimetro, finché Shikamaru non riportò l’attenzione
del ragazzo su di sé con una sonora gomitata ai reni.
«Tu
immaginatela in canottiera e in calzoncini, sudata, che si
allena.»
«Dico
io, lamentati pure!» fu la replica scandalizzata di Kiba. Anche a lui sarebbe
piaciuto godere della magnifica visione delle curve di Hinata esposte al sole
primaverile, durante gli allenamenti: era sicuro che la compagna di squadra non
sarebbe stata seconda a Ino in niente. Ma Hinata era troppo timida per portare
un abbigliamento così succinto e così il giovane Inuzuka era costretto a vederla
con maglie di due taglie più grandi e pantaloni ginnici che nascondevano le
gambe affusolate.
«E
così Ino ti distrae…»
«A
te non distrae, Cho?»
«Un
po’» ammise l’amico, non vergognandosi di tale affermazione, «ma come tutte le
cose poi ci fai l’abitudine.»
«Senza
contare il pubblico, oltre tutto…» sottolineò Shikamaru, per cercare di portare
gli amici dalla sua parte, «… è da non credere la moltitudine di persona che
vengono ad assistere ai nostri allenamenti, e non è un caso il fatto che questi
sono tutti ragazzi tra i quindici e i vent’anni!»
«Non
capisco tutto questo tuo disappunto, onestamente.»
Anche
Naruto sembrava essere dalla parte di Choji: lui doveva avere a che far tutti i
giorni con i pantaloncini attillati di Sakura che lasciavano ben poco
all’immaginazione, ma non si era mai lamentato, anzi. Erano passati i bei tempi,
spensierati e ingenui, in cui Sakura gli piaceva per gli occhi verdi, la fronte
spaziosa e i lineamenti dolci; adesso altri fattori erano subentrati e troppo
spesso doveva controllare la traiettoria dei suoi occhi, che non fissassero per
troppo tempo una determinata zona del corpo della
compagna.
«Non
sopporto la gente che mi fissa mentre mi alleno.»
«Non
guardano te, guardano lei.» gli fece notare Neji senza troppo zelo. Si annoiava
terribilmente quando finivano col parlare di quegli argomenti: lui non aveva di
certo i loro problemi.
«Vi
ostinate a non capire.» fu la secca sentenza del Nara.
Per
qualche minuto rimasero tutti in silenzio, ognuno preso dal finire la propria
bibita ghiacciata. Anche se la primavera era appena iniziata, le giornate erano
afose come se fosse piena estate; gli allenamenti diventavano sempre più pesanti
e si preferiva oziare all’ombra di un bar che andare fino ai campi d’allenamento
a massacrarsi di botte e a riempirsi di polvere e terra.
«Io
credo che tu sia sessualmente represso, Nara.»
Cinque
teste si girarono verso Shino, che nonostante la temperatura non aveva
abbandonato il suo cappuccio sulla testa e la felpa tirata su fin sopra la
bocca.
«Come
scusa?» chiese Shikamaru, disorientato.
«Sei
sessualmente represso.» ripeté l’amico, non muovendosi di un
millimetro.
«Da
quando sei un esperto in materia, Shino caro?»
«Non
sono affari tuoi, Kiba.»
Neji
valutò con attenzione quelle parole, non capendo lì per lì il loro nesso con
l’intero discorso.
«Dici
che Shikamaru è così frustrato perché nel suo inconscio ha desideri sessuali
verso Ino?» chiese Choji sporgendosi sul tavolo e guardando Shino sospettoso.
Quello annuì con la testa e Akimichi sbatté una mano sul tavolo,
soddisfatto.
«Pienamente
d’accordo! L’ho sempre detto io!»
Nara
guardò scioccato l’amico, mentre gli altri sogghignavano maligni.
«Okay,
avete vinto. Supponiamo per ipotesi che Ino mi attragga. Parecchio.» aggiunse
Shikamaru subito dopo notando il sorriso sornione di Kiba.
«Non
vorrete mica dirmi che sono l’unico. A quanto ne so, nessuno di voi ha concluso
sotto quel punto di vista, perciò non fate gli scarica
barile!»
«Io
non nego!» alzò prontamente la mano Kiba, «Sono aperto a qualsiasi gentil
donzella bisognosa di attenzioni.»
«Tu
sei un maniaco, non conti.» l’apostrofò Shino.
«E
a te è venuta troppa voglia di parlare tutta insieme.»
«Neji…»
chiamò Naruto, portando l’attenzione degli altri su di sé, «… qui tu sei il più
grande. Come hai gestito la cosa con Tenten?»
La
domanda, che al ragazzo biondo sembrava del tutto innocua, procurò uno stato di
confusione nella mente di Neji, che adesso guardava i suoi amici con occhi
aggrottati.
«Come,
prego?»
«Fagli
un disegnino, altrimenti non capisce.»
«Kiba,
vai a spulciarti altrove, ti va?»
Kiba
assottigliò lo sguardo verso Neji, soffermandosi in particolar modo sulle spalle
e le braccia muscolose: forse non gli conveniva farlo arrabbiare, era assai più
grosso di lui.
«Non
nego di avere anch’io qualche problema con Sakura-chan, sotto un certo punto di
vista. Insomma, non posso continuare a guardare il suo lato B fino
all’infinito!»
Shikamaru non sapeva se essere rincuorato dal
fatto che non fosse l’unico ad avere dei problemi di auto controllo, oppure
preoccuparsi che quel qualcuno fosse proprio Naruto.
«E
io in cosa dovrei aiutarti?» gli chiese Neji, dubbioso.
«Immagino
che anche Tenten durante le giornate torride si denudi un
po’…»
«Non
più di tanto, credetemi. Lei è una ragazza in gamba che prende seriamente i
nostri allenamenti, non pensa a mettersi in mostra con abiti striminziti o cose
varie.»
«Quindi
non hai mai…» domandò Choji alzando un sopracciglio.
«…
fatto pensieri indecenti sulla mia compagna di squadra come voi maniaci repressi sessualmente? No, sono in pace con me stesso,
io.»
E
con questo, Neji Hyuuga aveva detto la sua.
Erano
due giorni a quella parte che Neji ripensava alle confessioni dei suoi
amici.
Lui
se ne lavava le mani, non voleva mischiarsi a loro, ma doveva ammettere che
tutto quello lo aveva fatto pensare. Aveva diciannove anni, era un ragazzo serio
e sì, non era più vergine da diverso tempo ormai. Per lui il mondo non girava
intorno alla sua squadra, a Rock Lee, il maestro Gai e Tenten; per lui c’erano i
doveri verso uno dei più importanti clan di Konoha, le responsabilità come Jonin
e come amico. C’erano state delle ragazze, alcune insignificanti, altre a cui
aveva voluto bene davvero, ma che poi pretendevano da lui troppo. Era disgustato
a volte da come il gentil sesso avanzasse delle pretese sugli uomini, come se li
avessero comprati al mercato!
Il
lavoro era una cosa, gli affetti erano un’altra, comunque. Motivo per cui non
aveva mai pensato a Tenten come una ragazza. Era carina, gentile, in gamba e
non dava problemi; non riusciva a capire perché necessariamente avesse dovuto
vederla come oggetto dei suoi desideri. Non c’era una legge scritta che diceva
che inevitabilmente i compagni di squadra dovessero stare insieme,
frequentandosi e desiderandosi l’un l’altro. Lo trovava
assurdo.
Ed
era con questi propositi che era giunto al campo di allenamento in quella
mattinata torrida, e sempre questi propositi furono mandati a farsi benedire
dopo un’ora.
Rock
Lee si era svegliato con l’insana voglia di correre quella mattina e stava
cercando di stabilire il record di corsa intorno alle mura di Konoha; Neji non
aveva avuto niente in contrario, come spesso accadeva si sarebbe allenato con
Tenten sullo schivare kunai a carte bombe, ma non aveva messo in conto che il
caldo, quando arriva, arriva per tutti.
Tenten
si era tolta la maglietta ormai completamente bagnata e l’aveva gettata a terra
senza tante preoccupazioni; si era arrotolata i pantaloni fino alle ginocchia e
aveva tolto i sandali, rimanendo a piedi nudi sul prato.
Gli
occhi di Neji puntarono inavvertitamente al seno non troppo prosperoso che si
abbassava e si alzava a un ritmo talmente veloce che credeva che Tenten lo
facesse apposta, solo per il gusto di fargli vedere che anche lei era donna.
Parecchio donna.
«Qualcosa
non va?» chiese la ragazza, sentendo il peso di quegl’occhi bianchi
addosso.
«Niente,
scusami. Stavo pensando.» biascicò il giovane Hyuuga scuotendo la testa.
Sicuramente
tutto quello era dovuto ai quei vecchi bastardi dei suoi amici, che con tutti
quei discorsi gli avevano messo la pulce nell’orecchio.
«Fa
un caldo insopportabile, vuoi davvero tenerti tutti quei vestiti addosso?»
l’innocua domanda di Tenten scatenò tutta una serie di doppi sensi nella testa
di Neji, che in silenzio cominciò a togliersi la casacca bianca cercando di
focalizzare l’attenzione altrove.
Cominciava
a pensare che non ne sarebbe uscito vivo.
«Neji,
ti spiace se ci alleniamo sul corpo a corpo?»
Appunto.
«Perché?»
«Semplicemente
perché il mio punto debole è la lotta corpo a corpo, non sono abituata. Invece
mi sembrerebbe opportuno e utile essere allenata anche in
questo.»
Neji
vagliò per qualche frazione di secondo quella proposta, arrivando alla
conclusione che la ragazza aveva ragione e lui da buon amico non poteva
rifiutarsi.
Accettò
senza troppo entusiasmo e si posizionarono uno di fronte all’altra, le mani
chiuse in pugni e le gambe tese pronte a scattare.
Dopo
i primi dieci minuti, Neji capì che Tenten sapeva.
In
modi del tutto sconosciuti al genere maschile, la ragazza riusciva a strusciarsi
sensualmente a lui, in un modo o nell’altro; dapprima con leggerezza, proprio
come se fossero delle piccole casualità, poi sempre con più decisione. In
particolare, quando Tenten si fermava a prendere fiato e si poggiava sulle
ginocchia, Neji poteva benissimo vedere, attraverso la scollatura della canotta,
l’incavo dei seni.
Andarono
avanti per un’altra mezz’ora, finché il giovane Hyuuga, spazientito, le bloccò
il polso della mano destra, chiusa in un pugno.
«Continuerai
ancora per molto?» le chiese quasi adirato, non lasciandola
andare.
La
ragazza sgranò gli occhi stupita, non capendo.
«Ma
non è nemmeno un’ora che siamo qui!» protestò, cercando di sciogliere il polso
dalle presa del compagno.
«Tenten,
di grazia, mi hai preso per uno stupido?»
«Ma
di che stai parlando?»
«Finiscila!»
«Di
fare cosa?! E lasciami, accidenti! Mi stai facendo male!»
Neji
mollò subito la presa.
«Ti
sei ammattito?»
«No,
tu ti sei ammattita, tutti mi sembrano ammattiti! Ma sappiate che con me certi
giochetti non funzionano!»
«Qual
è esattamente il tuo problema?»
Tenten
sembrava realmente stupita e lo guardava con rabbia per il modo in cui la stava
trattando. Si mise le mani sui fianchi, aspettando impaziente una risposta: non
amava quei comportamenti.
«Il
mio problema? Ti rendi conto di ciò che stai facendo?»
«Mi
sto allenando!»
«No,
ti stai strusciando a me!»
«Scusami?!»
Adesso
Tenten era indignata, se non addirittura offesa. Neji la guardava in cagnesco,
per non dover puntare gli occhi su tutto il resto del
corpo.
Era
proprio una donna, doveva ammetterlo.
«Il
caldo ti sta dando alla testa?» chiese quella, facendo un passo in avanti verso
di lui.
«No,
sei tu che stai facendo qualcosa che prima non hai mai
fatto.»
«E
sarebbe? Stai insinuando che ci stia… che so, provando con te? Che stia
flirtando con te o qualcosa del genere?»
Neji
rimase in silenzio, anche se quello era il pensiero dominante nella sua testa.
«Non
so se lo sai, carino, ma io non ho
bisogno di ricorrere a certi trucchetti per far cadere un uomo ai miei piedi.»
continuò la ragazza, questa volta offesa nell’orgoglio.
Si
portò a pochi centimetri da Neji, guardandolo risoluta dal basso. Lui fissò i
suoi occhi castani, per non dover vedere altro.
Restarono
una buona decina di secondi in quella posizione, a fissarsi a vicenda, senza
dire una parola, quasi a trattenere il respiro; ci fu quell’istante in cui Neji
dischiuse leggermente la bocca e il suo fiato accarezzò le labbra di Tenten e
l’alchimia cominciò a fare il suo percorso. Si baciarono, come se per tutta la
loro vita non avessero aspettato altro, mordendosi le labbra, lasciando che le
loro lingue si inseguissero, si cercassero, come due amanti che fanno l’amore in
un groviglio di lenzuola. Neji la sollevò per la vita e impacciato camminò verso
la quercia sotto alla quale avevano posato i vestiti e l’attrezzatura; l’adagiò
contro il tronco e finalmente fece vagare le mani su quel corpo così invitante
che gli aveva fatto perdere il controllo. Le toccò il seno diverse volte
attraverso la fine stoffa della canotta, massaggiandoglielo e toccandole i
capezzoli che per l’eccitazione si erano induriti.
A
Tenten mancò il respiro, sentì le labbra umide di Neji che con fervore le
baciavano il collo, scendendo sulle spalle; le sue mani grandi e callose scesero
lungo i fianchi, toccandole le cosce e il fondoschiena. La ragazza era
consapevole che presto avrebbe ceduto e sarebbero finiti col fare l’amore
proprio lì, incuranti di tutto e tutti. Cercò con fatica di ribaltare le
posizioni, spingendo Neji contro il tronco dell’albero, cominciando nuovamente a
strusciarsi addosso a lui. Lei si stava eccitando come non mai e voleva essere
sicura che anche il suo compagno provasse le stesse emozioni.
Si
avvinghiarono nuovamente, le mani che s’intrufolavano ovunque, toccavano ogni
centimetro di pelle nuda sia dell’uno che dell’altra; nonostante il caldo,
avevano i brividi in tutto il corpo.
Neji
si staccò da Tenten per qualche secondo, prendendo aria con profondi respiri e
afferrandole il viso con le mani, guardandola negli occhi. Non si era mai
soffermato troppo su quelle iridi castane, ma in quel momento gli parevano i più
begl’occhi che avesse visto in vita sua.
«Che
c’è?» chiese Tenten ingenuamente e non senza arrossire, sfiorando le proprie
labbra con quelle del ragazzo, sentendo i loro profumi che si
mescolavano.
«Ho
voglia di fare l’amore con te. Adesso.»
Neji
era sempre schietto, anche in quelle circostanze, ma era una delle tante qualità
che Tenten apprezzava nel ragazzo.
Lo
baciò di nuovo e con mosse volutamente sensuali a calcolate giocherellò per un
po’ con il bordo dei suoi pantaloni, mentre lui giocava con i suoi capelli, le
baciava la fronte.
«Sai
Neji…» disse, sorridendogli, «… credo che per quello dovrai
aspettare.»
Il
giovane Hyuuga si bloccò all’istante, guardando la compagna interrogativamente,
sperando di aver capito male.
«Come?»
«Hai
sentito, caro. Chi troppo vuole,
nulla stringe.»
Tenten
si allontanò da lui come se niente fosse; raccolse le sue cose, ricomponendosi i
chignon disfatti e arruffati, rimettendosi la maglietta e i sandali. Neji era
rimasto fermo e immobile al suo posto, eccitato come non mai, confuso da quel
comportamento. Che avesse sbagliato qualcosa? Avevano appena passato dei minuti
da favola, si erano voluti, desiderati, c’era stata una forte attrazione da
entrambe le parti. Perché non voleva continuare?
«Tenten…»
la chiamò ancora, vedendola in procinto di andarsene, «… stai scherzando,
vero?»
Sperò
con tutto il cuore che fosse così, non poteva lasciare le cose a
metà.
«Per
niente. Ci vediamo domani.» salutò Tenten disinvolta, avviandosi verso l’uscita
del campo d’allenamento.
Il
giovane Hyuuga indossò nuovamente i suoi abiti di fretta e furia, volendo andare
a fondo a quella storia. Non permetteva a quella ragazza di sedurlo, fargli
perdere la testa e lasciarlo in quel modo come se niente fosse stato; non lo
avrebbe permesso.
Mentre
tentava di abbottonarsi in maniera dignitosa la casacca bianca, Tenten si voltò
per l’ultima volta verso di lui, sorridendo furba e
sorniona.
«Un’ultima
cosa, Neji, un consiglio. La prossima volta che voi maschietti sessualmente repressi desiderate parlare dei vostri problemi
ormonali, evitate di farlo davanti al negozio di Ino.»
Sconvolto,
Neji la vide sculettare strafottente mentre se ne andava, e si sentì un vero
allocco.
Le
donne hanno occhi e orecchie dappertutto.
Note:
Oh.
Oh. Oh.
Dire
che mi sono divertita a scrivere questa fanfic è poco. La posto veramente col
sorriso sulle labbra, perché è proprio venuta come volevo: semplice e
tranquilla, simpatica a modo suo, senza pretese. Ebbene sì, mi piace. E spero
che piaccia anche a quella piattola della Mimi, dato che è per lei, e a tutti
voi che avete letto, ovviamente.
Auguri
amyketta mia <3 Ti amoH anche con qualche ruga in più *beve
thè*
Lee
|
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Capitolo 7 *** Heart Breaker [KibaHina] ***
Spin off di “Teenagers – A new day has come” di Mimi18. Non necessita la
lettura di quest’ultima per capire la trama, ma io la consiglio vivamente, se
amate il rosaH.
Alla
Mimuccia,
perché mi ha
prestato gentilmente
metà del suo
neurone,
dato che il mio è
scappato
abbandonandomi al
Destino Infausto.
Ciccio, torna a
casa, per carità!
Amore è una parola
troppo grande.
Non sai mai quando
arriva, ma quando passa ti lascia segni indelebili
sulla pelle, nella
mente, nell’anima.
Amore ti acceca, ti
accarezza, ti fa battere forte il cuore, ti fa vedere le
cose
sotto una
prospettiva perennemente felice.
Ma Amore, quando ti
abbandona, ti distrugge.
H
e a r t B r e a k e
r
Kiba osservava
Hinata di nascosto, quando erano in classe.
Non per la paura di
essere beccato da un professore, e neanche per la preoccupazione che un compagno
potesse vederlo e poi sfotterlo a morte. Semplicemente perché era più bello in
quel modo.
Gli piaceva
guardare il suo profilo elegante e raffinato, come quello di una principessa: il
naso fine e dritto, le guance rosa e un po’ pallide, la carnagione chiara, le
labbra fini e rosse come ciliegie. La frangia che le accarezzava le ciglia, i
capelli ormai lunghi, lisci, che le coprivano la schiena e si muovevano con
leggerezza quando dalle finestre aperte entrava un po’ di vento. I suoi occhi
erano socchiusi, mentre con la testa Hinata viaggiava lontano dalla lezione,
dall’aula, da tutti, perfino da Kiba. E lui si era chiesto più volte cosa le
frullasse per la testa, voleva sapere ogni cosa di lei, a cosa
pensava.
Non lo seppe mai,
neanche quando un pomeriggio d’inverno decisero di mettersi insieme.
Kiba era
consapevole che fino a quel momento, nel cuore dell’amica, c’era sempre e solo
stato Naruto; sapeva che c’era una buona percentuale che lei lo rifiutasse, ma
questo non lo aveva fermato dal rivelarle i suoi sentimenti. Erano anni che
andava avanti quell’amore nascosto e non corrisposto, anni in cui la gelosia lo
aveva corroso fin nel profondo, anni in cui riceveva i suoi sorrisi sinceri e
pieni di affetto, che lo facevano morire. Hinata non aveva mai saputo l’effetto
devastante che aveva su di lui.
Kiba non l’aveva
premeditata quella dichiarazione: gli era venuta all’improvviso, dal cuore,
senza una ragione, un perché. Era bastato vederla avvolta nella giacca, con la
sciarpa che le copriva anche il naso, mentre lo aspettava dagli allenamenti. Lei
aveva il club di musica che la impegnava fino a tardi, e gli faceva piacere
tornare a casa con lui, quando potevano.
Con ancora indosso
la tuta da calcio e un asciugamano sulle spalle, Kiba le si era avvicinato,
notando le mani rosse per il freddo della ragazza.
«Fa un freddo cane,
potevi andare a casa invece di aspettarmi.» Le aveva fatto notare con
gentilezza, sentendosi in colpa.
«Non importa Kiba,
a me fa piacere. E poi non ho così freddo, è solo una tua impressione.» Rispose
Hinata ridendo, cercando di nascondere l’evidenza. Mai una volta da quando la
conosceva, Kiba l’aveva vista arrabbiarsi con qualcuno. Se ci fosse stata una
qualsiasi altra ragazza al suo posto, per esempio Sakura o Ino, quella avrebbe
sbuffato scocciata, lo avrebbe accusato della sua poca sensibilità, montato su
una discussione infinita su nemmeno lui sapeva cosa. Invece Hinata era semplice,
aveva l’innata attitudine a farsi piacere le persone indistintamente, a non dare
fastidio al prossimo, ad aiutare gli altri quando ne avevano bisogno.
«Hinata, io ti
amo.» Glielo disse con la stessa delicatezza con cui le chiedeva di comprare una
bottiglia di acqua durante la pausa pranzo. Non si rese nemmeno conto della sue
parole, fino a che non vide gli occhi cerulei della ragazza spalancarsi dallo
stupore.
«Come, scusa?»
Chiese frastornata lei, mentre le guance assumevano un insolito colore
rosso.
«Cioè, io… oh,
accidenti!» Imprecò Kiba, prendendosi la testa tra le mani. Non era certo così
che se l’era immaginata quella dichiarazione, nelle sue fantasie più intime
c’era una stupenda premessa di parole dolci, sorrisi, e carezze; dopo, lui le
prendeva il viso fra le mani e le dichiarava tutto il suo affetto, con gli occhi
lucidi di sentimento e passione. Lei annuiva con piccoli “Oh, Kiba-kun!” e si lasciava baciare,
come nella migliore delle favole. A quel punto le fantasie di Kiba assumevano
una piega alquanto erotica e poco pudica, che difficilmente si sarebbero
avverate, se non con un miracolo.
«Mi spiace,
Hinata.» Si ritrovò a dire con la testa bassa.
«Pe-per cosa? Non
hai fatto niente di male…»
«Non era certo così
che… insomma, scusa. Dimentica tutto, sono un vero
impiastro.»
Adesso sul volto di
Hinata non solo c’era sorpresa, ma anche smarrimento,
dubbio.
«Kiba, tu… ecco,
hai detto una cosa molto bella.» Gli disse Hinata, ormai il viso paragonabile
solo al pomodoro più maturo. Non sapeva neanche lei cosa dire, come comportarsi,
come tirarlo su di morale.
«Se ti fa piacere,
io… io posso dimenticare come mi hai chiesto, ma solo a una
condizione.»
Kiba la guardò
aggrottando le sopracciglia, mentre con la mente voleva già essere scappato
lontano.
«Che tu a tua volta
dimentichi ciò che sto per dirti…» Hinata prese un profondo respiro, mente i
battiti del cuore non accennavano a diminuire e la testa le girava come una
trottola, accaldata, «… anche tu mi piaci, Kiba.»
Nel ricordare
questo episodio, al giovane Inuzuka sarebbe piaciuto raccontare che i due,
scopertosi innamorati, suggellarono la loro unione con profondo bacio. Ma Hinata
da sempre era stata una ragazza fragile e vulnerabile, e presa dalle forti
emozioni a cui era stata sottoposta all’improvviso, svenne nelle braccia del
ragazzo. E quello, come un principe azzurro, distendendola sul letto
dell’infermeria, aspettò che la sua Bella Addormentata aprisse gli occhi per
donarle finalmente il tanto agognato bacio che entrambi
aspettavano.
Non sono mai stato
bravo con le parole.
E anche tu, con la
tua timidezza, spesso e volentieri non riuscivi a esprimere
i tuoi
sentimenti.
Ma stavamo bene
così, avevamo imparato a conoscerci così bene,
che ci capivamo con
uno sguardo, con un gesto.
La prima volta che
abbiamo fatto l’amore, Hinata, mi sono
sentito finalmente
vivo.
Prima di te ho
avuto altre ragazze che hanno occupato il mio letto,
e solo a pensarci
mi vergogno come un ladro,
perché non le
amavo, le usavo per colmare il vuoto che mi lasciavi nel cuore, tutte le volte
che ti vedevo con Naruto.
Quel giorno c’era
qualcosa di strano nell’aria.
Forse era la
primavera appena arrivata, con quell’aria frizzante e quel vento caldo e
piacevole che metteva di buon umore tutti; Kiba non poteva saperlo, ma stava
bene quel giorno, si sentiva carico e pieno di energie e credeva che niente e
nessuno potesse rovinargli quel momento di benessere.
«E così, Shikamaru,
hai concluso…» Ridacchiò Choji, attirando su di sé l’attenzione dell’intera
squadra. L’interpellato nascose il viso verso il basso, armeggiando con le
stringhe delle scarpette da calcio per guadagnare tempo e sperando che i suoi
compagni non avessero capito l’allusione di Akimichi.
«Che cosa hai
concluso, Shikamaru?»
«Non credo che
siano affari che vi riguardino.» Rispose il giovane, maledicendo Choji con uno
sguardo assassino.
«Io credo, invece,
che questi siano anche affari di Ino, dico bene?» Kiba mostrò i canini nel
sorridere sornione, mentre gli amici ridevano complici e segretamente desiderosi
di sentire le confessioni di Nara.
«Abbiamo fatto
sesso, contenti?! Siete insopportabili.» Sbottò Shikamaru esasperato, non
potendo evitare che le guance gli si tingessero leggermente di rosso. I compagni
di squadra se ne accorsero, aumentando il suono delle risate e degli
schiamazzi.
«E così anche il
nostro cervellone non è più vergine! Meno uno, chi manca adesso?» fece Kiba,
puntando i propri occhi su Neji. Quello non disse niente, tornando a bere dalla
bottiglietta d’acqua minerale, chiaro segno che con lui il giovane Inuzuka non
avrebbe trovato altro sano pettegolezzo.
«Direi che manca il
nostro buon vecchio Naruto… oppure ci nascondi qualche ragazza
nell’armadio?»
Il biondo fece un
sorriso di circostanza, mettendo in mostra i denti bianchi, cercando di far
sviare l’argomento su qualcos’altro. Ma Kiba aveva ingranato la marcia e niente
poteva distrarlo dal suo piccolo divertimento personale, punzecchiare i compagni
sulla loro vita privata.
«Andiamo,
volpacchiotto! Non mi dirai che ti stai conservando per
Sakura?!»
«Perché
probabilmente lei non si sta conservando per te…» Aggiunse Shikamaru a
malincuore, senza cattiveria.
Ma Naruto non
sembrava particolarmente colpito dalla questione, era soltanto… a disagio? Fu
quello che dedusse Neji, osservandolo attentamente dalla panchina su cui si era
seduto affaticato.
«Dunque c’è stata
qualcuna, Naruto! Dai, dicci chi è!»
Kiba a volte era
più insistente e fastidioso di una piattola. Il giovane Uzumaki si ostinava a
non spiccicare parola, stranamente timoroso, e Neji cominciò a capire perché.
«Kiba, lascia
perdere…» consigliò al ragazzo, colto da un moto di pietà non tanto verso di
lui, quanto per i suoi nervi.
«E dai, non sei
curioso? Naruto, parla!»
Anche Shikamaru e
Choji capirono che se Naruto non parlava (il che era strano, proprio lui che non
teneva mai la bocca chiusa), era perché la ragazza in questione, al momento,
usciva con qualcuno di loro lì presenti. E non fu difficile scoprire
chi.
Kiba perse il suo
sorriso, quando notò i compagni, a disagio proprio come Naruto, cercare di
sviare la sua attenzione sulla faccenda.
Gli fu piuttosto
semplice fare due più due.
«Sei stato con
Hinata.» Affermò con risolutezza, guardando l’amico biondo che, messo davanti
all’evidenza, alzò lo sguardo, sinceramente mortificato.
«Kiba, è successo
parecchio tempo fa. Lei non…» Non fece in tempo a concludere la frase che un
cazzotto gli arrivò dritto allo zigomo sinistro, facendolo indietreggiare di
diversi passi.
«Kiba, no!
Accidenti, che seccatura!» Imprecò Shikamaru avvicinandosi al compagno con tutto
l’intento di calmarlo, ma quello lo ignorò, buttandosi a capofitto contro
Naruto, intraprendendo una rissa coi fiocchi, di quelle che si vedono solo nei
film.
Naruto rispondeva
come meglio poteva agli attacchi del compagno, cercando però di non fargli male:
conosceva quella rabbia, la gelosia, un sacco di volte l’aveva provata lui
stesso quando vedeva Sakura che se ne andava con Sasuke.
«Siete impazziti?!»
Un urlo stridulo arrivò dalle tribune e la coda fluttuante di Ino Yamanaka si
fece largo tra la folla, guardando con occhi sbarrati la scena che le si
presentava davanti.
«Neji, sei grande e
grosso, dividili!» Sbraitò Tenten, sconvolta, pregando tutti i santi che
conosceva che nessun professore si accorgesse di quello che stava capitando:
tutti i presenti sarebbero finiti nei guai.
Neji, aiutato da
Kankuro, prese Kiba per le spalle, cercando con fatica di trattenere la sua
furia.
Era stato sciocco e
forse un po’ scontato da parte di Kiba pensare che Naruto non avesse avuto
rapporti con altre ragazze. Era stato ancora più stupido non accorgersi che
l’unica ragazza ufficiale del biondo era stata proprio Hinata.
La sua
Hinata.
Questo pensiero non
lo fece calmare, tutt’altro lo fece arrabbiare ancora di più, dimenandosi con
violenza dalla stretta dei compagni.
Naruto, affaticato
e malconcio, respirava a fatica, trattenuto per una spalla da Gaara; con la coda
dell’occhio vide la figura di Sakura che si allontanava da loro e si maledì per
tutto quel putiferio. La vide sfrecciare al di là del cancello del campo,
andando a imbattersi proprio in Hinata Hyuuga, trafelata, che correva come non
aveva mai corso in vita sua verso di loro.
Anche Kiba seguì lo
sguardo del biondo e i suoi occhi si incontrarono con quelli bianchi della
ragazza, che non ci mise molto a capire cosa stesse
capitando.
Avrebbe voluto dire
qualcosa, chiedere a Kiba di ragionare e di parlarne, evitare che cominciasse a
picchiare anche gli altri, ma all’improvviso fu superata da Hatake-sensei che
senza troppe cerimonie prese i due giovani per le maglie e li trascinò
all’interno dell’edificio scolastico.
Sarebbe svenuta
nuovamente, se il senso di colpa non le avesse attanagliato così forte lo
stomaco, tanto da non riuscire a muovere un muscolo.
Quel pomeriggio
sono crollate tutte le mie certezze.
Eri sempre la mia
dolce Hinata, quella ragazza fragile e delicata che tutte le
volte
che la baciavo
arrossiva come una bambina.
Eri sempre la mia
Hinata, ma in un modo diverso.
Non ero arrabbiato
con te, e nemmeno con quella testa quadra di Naruto;
ero soltanto geloso
e invidioso, perché non mi sono mai reso conto che in tutti questi anni, mentre
io mi distruggevo per un amore che credevo impossibile,
tu vivevi la tua
vita, facevi le tue esperienze.
Mi dispiace, per
non essere un fidanzato migliore.
Hinata aprì piano
la porta del tetto, notando la figura di Kiba seduta a terra, che fumava una
sigaretta con tutta tranquillità. Indossava ancora la tuta da calcio, sporca di
terra, erba e sangue.
«Possiamo parlare?»
Lui non le disse
niente, limitandosi soltanto ad alzarsi in piedi.
«Non… non volevo
che lo sapessi in questo modo.»
«A quanto pare non
volevi nemmeno che lo sapessi.» Le rispose in tono acido, tirando una lunga
boccata di fumo. Era rimasto un’ora dentro l’ufficio di Tsunade-sama, sorbendosi
una paternale infinita sul perché era sbagliato fare a botte, che la violenza
non porta alla soluzione dei problemi. A lui non fregava trovare una soluzione,
voleva solo sfogare la rabbia e la delusione che in quel momento portava dentro
di sé.
Si era sempre
rassegnato al fatto che il primato del cuore di Hinata lo detenesse Naruto: era
un dato di fatto e non poteva farci niente. Ma almeno sperava che il primato di
fidanzato, quello serio con cui una ragazza decide di diventare donna, spettasse
a lui. Ed era sciocco prendersela per una cosa del genere, lui che di ragazze ne
aveva avute parecchie; ma Hinata era diversa, tutto quello che aveva fatto con
lei era stato diverso.
Era stata la prima
ragazza a cui aveva detto di amarla.
La prima con cui
aveva immaginato di fare l’amore.
L’unica con cui si
vedeva per il resto della vita.
«Kiba, io… io non
voglio giustificarmi per quello che ho fatto. Tu… noi… eravamo amici,
all’epoca.» Fece una pausa, cercando le parole giuste per non ferirlo. Non
poteva negare il fatto che prima avesse amato un’altra persona, non poteva
assolutamente farlo.
«Siamo stati
insieme per tre mesi, e io volevo sinceramente bene a Naruto. Ne ero innamorata,
Kiba. Lui… lui mi voleva e mi vuole bene, certo, ma non mi ama e mai lo
farà.»
«Mi stai dicendo
che si è approfittato di te?» Chiese l’Inuzuka con una punta di
rabbia.
«No! Per carità…
Kiba, non volevo dire questo! Insomma… avevamo quindici anni e… lui era
intraprendente, curioso. Non sai quante volte, dopo che io e te ci siamo messi
insieme, Naruto mi abbia detto che se avesse potuto tornare indietro, non
avrebbe rifatto lo stesso errore. Ti vuole bene, è un tuo
amico.»
Kiba non sembrava
del tutto convinto. Continuò a non guardarla negli occhi, spengendo sotto la
scarpa la sigaretta ormai consumata.
Hinata si
contorceva le mani, pensando e ripensando cosa avrebbe dovuto dire per fargli
capire meglio la posizione difficile in cui si trovava.
«Kiba, lui è stato
il primo ragazzo a cui ho voluto bene, il primo che mi ha trattata come una
ragazza, una donna, e non soltanto come l’impacciata cugina di Neji Hyuuga. Ma
tu… sei una cosa differente. Se non fosse così, a quest’ora non starei con
te.»
Il ragazzo alzò gli
occhi, osservando che il cielo era diventato scuro e che il sole era ormai
prossimo al tramonto. Il vento aumentò, sollevando di poco la gonna di Hinata,
che non si curò di tenerla ferma con le mani.
Kiba le si
avvicinò, fermandosi a pochi centimetri dal suo corpo che tremava
impercettibilmente; le spostò la frangia con le dita, posandole un bacio leggero
sulla fronte, come un fratello fa con la propria
sorellina.
«Kiba…»
«Torna a casa.
Voglio restare solo.»
«Kiba, non
puo-»
«Sono confuso,
Hinata. Non cercarmi. Io… devo riflettere.»
La ragazza tirò su
col naso, non dando però segno di voler piangere. Tornò sui suoi passi, si
fermò, e nuovamente tornò da Kiba, che con sguardo spento osservava ogni suo più
piccolo movimento.
«Ti amo.»
In tanti mesi in
cui si erano frequentati, era la prima volta che Hinata glielo diceva. Si era
sempre limitata a un “ti voglio bene” sincero, che a lui era sempre
bastato.
In tanti mesi in
cui si erano frequentati, fu la prima volta che Kiba non le
rispose.
Hinata, ti ricordi
quel giorno che siamo stati al mare?
Abbiamo passeggiato
per un’ora sul bagnasciuga, poi ti ho sollevata su una
spalla
e vestita ti ho
buttata in acqua.
Tu sei riemersa
sconvolta, circondata dalle bollicine, non riuscendo a credere che avessi osato
fare una cosa del genere.
Hai cominciato a
schizzarmi e alla fine sei riuscita a trascinarmi in acqua a con te, ridendo
come non ti avevo mai sentito ridere da quando ci
conosciamo.
E’ grazie a questi
piccoli ricordi che mi rendo conto che forse, quella sera sul tetto della
scuola, i tuoi sentimenti erano sinceri e non dettati dal
caso,
dalle
circostanze.
E quella tua
dichiarazione è mille volte più vera e sincera di tutte le mie messe
assieme.
Sei cresciuta prima
di me e io nemmeno me ne sono accorto.
Mentre tu diventavi
grande,
io restavo ancora
un bambino che si divertiva a fare le risse con gli
amici.
Il tempo di essere
Peter Pan è finito.
E’ ora di
crescere.
Note di una che non
sa cosa ha scritto:
Questa fanfic è
stata scritta parecchie settimane fa e non ho avuto il coraggio di rileggerla,
prima di postarla. Non mi sembra neanche niente di eccezionale, ma è la prima
KibaHina che scrivo e dato che di fic su di loro ce ne sono poche (con molto
rammarico), ho deciso di dare il mio piccolo e insignificante contributo alla
causa.
Si ringrazia
infinitamente Akami per il
betaggio.
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