Perle

di Elpis Aldebaran
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ai capitoli successivi ***
Capitolo 2: *** Stars' Water [NejiTen] ***
Capitolo 3: *** Tears and Rainbow [ShikaIno] ***
Capitolo 4: *** Brioches [ShikaIno] ***
Capitolo 5: *** Bacio [MinatoKushina] ***
Capitolo 6: *** Le donne hanno occhi e orecchie dappertutto! [NejiTen] ***
Capitolo 7: *** Heart Breaker [KibaHina] ***



Capitolo 1
*** Prefazione ai capitoli successivi ***


P e r l e

 

Prefazione e introduzione ai capitoli successivi

 

 

 

 

“Perle” è una raccolta di shot, drabble, flashfic e tutto quello che mi verrà voglia di scrivere.

Principalmente, ho deciso di iniziare questa raccolta perché ho un sacco di fan fiction come regali di compleanno e per le varie feste che mi sono state commissionate e devo scrivere, per cui ritengo sciocco e dispersivo pubblicare ogni singola storia da sé; ecco perché ho deciso di raccogliere tutto qua, onde evitare tutte le volte di pubblicare a raffica: altrimenti anche il mio profilo autore diventerebbe terribilmente lungo.

Ogni storia è differente, con pairing e avvertimenti diversi. In questa prefazione terrò aggiornato l’elenco con tutte le informazioni sulle fic che farò, così da aiutare i futuri lettori (?) e i futuri pazzoidi criminali (??) che avranno la voglia e il coraggio di leggere quanto segue (???).

Gli aggiornamenti non saranno costanti.

 

 

 

ELENCO:

 

#1. Stars’ WaterFanfic scritta per il compleanno di celian4ever, alias Vale [14.02.09]

NejiTen con accenni allo ShikaIno e allo ShinoTema. AU scolastica, leggermente lime.

 

#2. Tears and RainbowFanfic scritta per il compleanno di Wishful Thinking, aka Silvia [20.12.08]

In attesa del vero regalo, perchè la mia mente non ha limiti, purtroppo.

ShikaIno, con in mezzo anche un po’ di NejiTen. AU universitaria, stranamente. E stranamente è Lime. Che vi devo dire, sono ripetitiva.. ù_ù

 

#3. Brioches – Fanfic scritta per il compleanno di Mimi18 [21.03.09]

ShikaIno con accenni al NaruSaku. AU, ovvio, perché parla di una storia vera, di fatti realmente accaduti. Rating giallo, per via di qualche parolaccia.

 

#4. Bacio – Scritta per il contest “MinatoKushina Genin” indetto da Mela&Rory sul forum di EFP. Si è classificata seconda.

Rating Giallo, e stranamente non è una AU.

 

#5. Le donne hanno occhi e orecchie dappertutto! - Scritta per il compleanno di Mimi18 [21.03. 2010]

NejiTen che mi ha molto divertito, leggermente lime. Stranamente non è una AU. Rating Arancione. 

 

#6. Heart Breaker – Spin off di “Teenagers – A new day has come” di Mimi18.

KibaHina che mi ha fatto riscoprire l’amore che ho per questa coppia, troppo sottovalutata. AU scolastica (e ti pareva) con un finale un po’ libero, aperto all’immaginazione. Rating Verde (questa è una novità).

 

 

 

 

Lee

 

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Capitolo 2
*** Stars' Water [NejiTen] ***


Note: fanfic AU, NejiTen [con accenni ShikaIno e ShinoTema], leggermente Lime con rating tendente all’arancione, credo.

Molto semplice e per niente pretenziosa, l’ho scritta col sorriso e col cuore, perché è per una persona a cui voglio bene.

Spero di strappare un sorriso a lei e a tutti voi che vorrete dedicare cinque minuti del vostro prezioso tempo nella lettura di questa piccola cosa. <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Stars’ Water

 

 

 

[14.02.2009]

A Vale,

perché è nata nel giorno degli innamorati;

perché per il suo compleanno

ha ricevuto una torta invidiabile;

perché mi ha fatto passare una giornata speciale

a Lucca, lo scorso novembre.

Perché è semplicemente la Vale, e si

merita questa NejiTen e tante altre.

Auguri.

 

 

 

Tenten vide Sakura arrampicarsi sulla rete di ferro con un’agilità sconosciuta, scavalcarla e silenziosamente atterrare sull’erba morbida del prato, sorridendo poi soddisfatta della sua prestazione fisica.

Tutto intorno a loro era silenzioso e buio, solo il lontano rumore di una musica ritmica faceva da sottofondo a quella notte, e il candore lunare era affievolito dalle luci intense dei lampioni che circondavano il perimetro della sede universitaria. L’aria era tiepida e un leggero vento caldo cullava i primi fiori della stagione, appena sbocciati sugli alberi che costeggiavano il viale.

Ino si tirò su le maniche della camicetta, prese la rincorsa per pochi metri e come una scimmia si attaccò alla recinzione metallica, arrampicandosi fino in cima. E si bloccò.

«Ino che fai?» fu la lecita domanda di Tenten che dal basso osservava ogni sua singola mossa.

«Mi serve una spinta.» fu la secca risposta della bionda.

Sakura si mise una mano sulla fronte mentre l’altra compagna faceva leva sul fondoschiena della Yamanaka per aiutarla a scavalcare. Si chiese se almeno una volta avessero potuto fare le cose normali, invece di finire sempre nelle solite pagliacciate.

Ino riuscì finalmente a superare la recinzione ed atterrare sul prato accanto a Sakura, seppur in un modo meno atletico e più goffo: d’altronde non si poteva chiedere la luna, a Ino Yamanaka.

«Ino sei fuori allenamento..» osservò Haruno mentre Tenten le raggiungeva velocemente.

La bionda si sistemò i lunghi capelli, alzando il naso in un’espressione indignata.

«Io faccio altri tipi di allenamento, Fronte Spaziosa. Non scocciare.»

«Sapendo nome e cognome del tuo attuale ragazzo, Barbie, dubito fortemente.»

«Non parlare di cose che non conosci, grazie

Uno a zero per Ino Yamanaka.

Le tre s’incamminarono velocemente verso l’edificio, con la musica che lentamente si faceva più intensa e assumeva un ritmo più definito alle loro orecchie. Tenten fu la prima a varcare la soglia della palestra, ritrovandosi dentro a un circolo di luci e colori, di corpi che si muovevano sincronizzati e a fiumi di alcool.

«Kiba si è dato da fare, per una volta..» commentò Sakura sorpresa.

Tutte e tre ricordavano a malincuore l’ultimo festino clandestino che aveva dato Kiba Inuzuka all’interno dei locali scolastici; la serata si era conclusa tra gente che vomitava dietro ai cespugli del giardino e una rissa tra ubriachi tra cui aveva partecipato anche Naruto, pensarono con un sospiro.

Tra la folla di studenti che avevano lasciato le proprie stanze furtivamente, fece la sua comparsa Shikamaru Nara, già con lo sguardo vacuo e lucido di chi aveva fatto della birra la sua più grande amica.

«Buonasera, scocciature..» le salutò con un inchino barcollante e un sorriso da ebete stampato sul volto. Ino si fece avanti indignata, prendendo il ragazzo per il bavero e portando i loro visi a breve distanza.

«Hai iniziato a divertiti senza di me, Nara?!»

«Per poi farmi uccidere? Naaa, devo avere ancora qualche neurone da bruciare..»

Ino sorrise soddisfatta dalla risposta e come una furia si unì alla folla di corpi danzanti, trascinandosi dietro il ragazzo che in quel momento non aveva né la forza, né la volontà di opporsi. Non che si volesse opporre a Ino, comunque.

«Finiranno nuovamente a fare sesso, vero?» chiese Tenten come se stesse assistendo a un film già visto.

«Sicuramente» fu la secca risposta di Sakura che si guardava curiosa intorno.

«In un luogo strano e scomodo, vero?»

«E’ probabile.»

«Domattina Ino sarà incazzata con Shikamaru per essersi svegliata con l’emicrania e senza vestiti, giusto?»

«Come sempre»

«E dopo saremo noi a sorbirci le sue lamentele, no?»

«Sei perspicace, Minnie»

«Ti ho già detto che odio l’università, Confettino?»

Sakura scoppiò a ridere, puntando poi i suoi occhi smeraldini su una figura alta e slanciata, vicino al tavolo delle bibite.

«Io invece credo che sia proprio il contrario..» bisbigliò complice invitando Tenten a guardare nella sua stessa direzione: Neji Hyuuga parlava amabilmente con una giovane ragazza, una matricola forse, sorseggiando distrattamente una bottiglia birra scura.

Per una frazione di secondo, Tenten desiderò ardentemente essere quella bottiglia.

«Femmina con ormoni a mille verso ore due. E per una volta non sei tu, cara.» commentò Haruno guardando bene la giovane che aveva appena rivolto a Neji un sorriso malizioso, un invito a concludere la serata in un certo modo, forse.

Tenten non spiccicò parola, non voleva mettersi di certo a fare la fidanzata gelosa in quel momento. Fidanzata di chi poi? A quanto le risultava, al suo anulare sinistro non c’era nessun anello che risplendeva. Nemmeno di quelli fatti con la plastica delle bottigliette, proprio a voler essere pignoli.

«Se lo sta mangiando con gli occhi..» ormai quella di Sakura era diventata una telecronaca, inutile dato che Tenten poteva vederli benissimo anche da sola.

«Adesso dipende se lui si vorrà far mangiare o meno. Nel frattempo, vado a farmi un goccio..»

La rosa guardò la compagna di stanza allontanarsi verso Rock Lee, che con indosso solamente un paio di boxer, girava per la festa come un totale deficiente urlando e bevendo birra come se fosse acqua. Rimasta ormai sola, Sakura prese un bel respiro e si buttò nel gruppo di danzatori, unendosi al loro ritmo.

 

Neji annuì all’ennesimo discorso della ragazza davanti a lui, seppur non avesse capito praticamente niente di quello che stava dicendo. Aveva intravisto i chignon castani di Tenten sbucare dalla porta d’ingresso, l’aveva vista parlottare con la sua amica, quella dai capelli assurdi, e poi si era dissolta fra la folla, forse in cerca di bibite.

«Allora, che te ne pare?» chiese la voce suadente della matricola.

«Come scusa?»

«Ti stavo dicendo se ti andava di uscire da qui, con tutto questo rumore.. sai, la mia camera sarebbe un posto migliore per parlare..» Neji sgranò gli occhi, chiedendosi se quella ragazza lo stesse prendendo in giro oppure no. Quanti anni poteva avere? Diciassette? Forse diciotto, se era del primo anno; lui ne aveva vent’uno, era del penultimo anno. Possibile che il mondo fosse così cambiato che ragazzine appena maggiorenni facevano avances a ragazzi grandi e vaccinati senza alcuna vergogna? Si chiese in quel momento se il suo ragionamento fosse all’antica o cercava semplicemente una scusa gentile per declinare l’invito.

«Vedi, non credo sia una buona idea..» le disse alla fine, posando la sua bottiglia di birra ormai vuota su un tavolo vicino.

La ragazza si riavviò i lucenti boccoli biondi, forse una tattica per sembrare maliziosa.

«E come mai? Non mi dirai che non ti piaccio nemmeno un po’..»

«No, è che.. la mia ragazza..» ecco, fare l’uomo impegnato e fedele funzionava sempre.

«Hai la ragazza? Neji Hyuuga? E da quando?» rise quella, credendo che il ragazzo volesse semplicemente scherzare con lei.

«Da un po’, e non credo che sarebbe contenta se io ti seguissi, capiscimi.»

«Basta che tu non glielo faccia sapere..»

Neji se avesse potuto, avrebbe sbattuto la testa contro un muro: perché quella ragazza voleva a tutti i costi portarselo a letto?

«Credimi, non è una buona idea. Adesso, se vuoi scusarmi..» riuscì finalmente a sbarazzarsi della matricola che con aria risentita cominciò a parlottare tra sé e sé. Affrontò la folla di gente, scontrandosi con ragazzi per sbaglio, e c’era chi si fermava per salutare, per scambiare due parole o semplicemente per battergli una pacca sulla spalla amichevolmente. Stranamente, tutte le sue compagne di corso e le studentesse dell’ultimo anno non si perdevano in corteggiamenti con lui: i veterano sapevano tutto sulla sua ragazza. Ciò lo faceva sorridere.

E non sorrideva già più quando vide Tenten con le guance leggermente rosse, poggiata a un muro mentre flirtava con un ormai alticcio e perennemente fuori di testa Kiba Inuzuka.

«Ooooooh.. NEJIII!» lo salutò quello scoppiando a ridere.

«Kiba, ciao..» rispose lo Hyuuga alzando un sopracciglio. Qualcuno, non ricordava chi, gli aveva sempre detto di assecondare gli ubriachi.

«Che ci fai qui? Non ti volevi fare la bionda? Hic!»

«Ho cambiato piani. Posso riavere la mia ragazza per favore?»

Tenten gli sorrise innocentemente, avvicinandosi a lui pimpante (era ovvio che neanche lei ci stesse tanto con la testa) e strusciando il viso sul suo petto, come un gattino che fa le fusa.

«Credo che si sia restituita da sola.. hic!» disse Kiba, prima di intravedere la chioma di Sakura e correre verso di lei, verso nuovi orizzonti.

Neji prese il viso della ragazza tra le mani, osservandola bene e sfiorandole le guance calde.

«Ten, tesoro, ti sembra che far finta di aver bevuto sia una buona cosa?»

Tenten scoppiò a ridere, abbracciandolo di slancio.

«Tu non puoi capire quanto sia spassoso Kiba se gli dai corda!»

«Credimi, lo capisco benissimo.»

«Vuoi per caso raccontarmi delle tue sbronze con lui prima che io ti conoscessi? Vuoi raccontarmi di quando ti svegliavi nudo in letti di ragazze che nemmeno conoscevi?»

«Chi ti mette in testa queste cose? No, non dirmelo: è palese la risposta.»

«Tu non immagini nemmeno quello che si fa scappare Kiba quando l’alcool prende il sopravvento sui suoi neuroni.»

Neji non rispose, ma mentalmente si appuntò che prima o poi, avrebbe dovuto fare un bel discorso a quel ragazzo prima che si facesse scappare qualcosa di seriamente sconveniente.

Senza più pensarci, prese la mano di Tenten e insieme uscirono dalla palestra, lasciandosi alle spalle il beccano e le persone festanti. Imboccarono le scale anti-incendio arrivando fino al tetto, dove la piscina universitaria era calma e piatta e faceva da specchio alle stelle del cielo.

Tenten si avvicinò al bordo della piscina, guardandosi attorno sospettosa.

«Che controlli, di grazia?»

«Che non ci sia Ino in giro. È sparita mezz’ora fa con Shikamaru, potrei trovarli a fare cose sconce ovunque, meglio controllare.»

Neji le si avvicinò e delicatamente le abbracciò la vita sottile, posandole un bacio umido sul collo scoperto. Tenten si voltò verso di lui, sorridendo furba.

«Però, anche se ci fossero loro qui nascosti, credo che sarei distratta da altro..»

«Mmh, lo dico anch’io..»

Si baciarono con amore.

Lei si aggrappò alla sua schiena e cercò di elevarsi il più possibile con le punte dei piedi, cercando di sentirsi il più vicina possibile a Neji, percependo attraverso il tessuto leggero dei loro vestiti i loro petti a contatto, entrambi i cuori che battevano furiosi.

Lui le carezzava la schiena, intrufolando una mano sotto la canotta verde per sentire il calore della sua pelle, che rabbrividiva ad ogni tocco. Stava per prenderla di peso e sdraiarla su una delle sdraio quando Tenten di staccò lentamente, congedandosi definitivamente con un bacetto sulle labbra, complice di un gioco che non conosceva, ma che forse a Neji sarebbe piaciuto.

La giovane cominciò a slegarsi le scarpe velocemente, togliendosele, per poi passare alla cerniera dei jeans.

«Che combini?»

«Mi è venuta voglia di fare un bagno..»

«All’una di notte?» chiese scettico Neji; la vide togliersi con un gesto fluido la canotta e poi armeggiare con le forcine dei capelli rinchiusi nei chignon.

Una cascata di capelli castani mossi le coprì la schiena e fece deglutire lui: non che non l’avesse già vista mezza nuda, ma tutte le volte gli faceva sempre uno strano effetto.

Tenten, rimasta in biancheria intima, prese un grosso respiro e con una piccola ricorsa si buttò in piscina, schizzando i pantaloni del giovane Hyuuga.

«Tu sei completamente pazza!»

«Oh, andiamo amore! Si sta d’incanto!»

Neji la vedeva muoversi in acqua, ridere e andare sott’acqua, muovere le gambe affusolate e riemergere poco dopo, il petto che si alzava e si abbassava al ritmo dei suoi respiri. Quell’immagine nell’insieme, lo convinse finalmente a denudarsi e a buttarsi in piscina con solo i boxer addosso.

«Se stavi ancora un po’ lì ritto e immobile, avrei dovuto mandarti un invito scritto.»

«Mai una volta che stai zitta senza lamentarti.»

«Mi sembra di sentir parlare Shikamaru: ha una cattiva influenza di te.»

«Per certi versi, credimi, sono io che ho un pessima influenza su di lui.»

Non le lasciò tempo di replicare, la prese per un braccio e la guidò verso di lui, baciandola con passione, ripartendo dal punto che avevano interrotto poco prima.

Tenten circondò la vita del ragazzo con le sue gambe, sentendo il seno che premeva contro il suo petto, mentre la voglia di fare l’amore le cresceva dentro. Lui la stava stuzzicando in tutte le maniere possibili, forse per volerla punire per essere stata così maliziosa e tentatrice fino a poco fa; con una mano le carezzava la coscia destra, toccandola nei punti giusti con le dita esperte; l’altra mano era intrecciata ai suoi capelli bagnati che le si erano appiccicati alle spalle magre e sulle guance umide.

Continuavano a baciarsi con bramosia, una lotta per il dominio, un bisogno reciproco di amare e di sentirsi amare, la voglia che annebbiava il cervello ad entrambi, un bisogno fisico che cercava appagamento quella notte. Subito.

«Non credo che.. farlo nella piscin-ah!.. sia la cosa miglio- o cielo!» mormorò Tenten piegando la testa all’indietro, la bocca di Neji che disegnava dei baci roventi sulla linea del suo collo.

«Ten, parla ancora e giuro che ti lascio..»

«Oh, allora credo.. credo che mi darò al silenzio..»

«Bhe, adesso proprio silenzio magari no..» rispose Neji facendo scivolare una mano sul ventre di lei.

«Da quando sei così… ah! Neji!»

 

Quando al mattino seguente, Tenten entrò nella sua stanza, Ino era indaffarata allo specchio del bagno ad acconciarsi i capelli, mentre Sakura ancora ronfava sotto le coperte.

«Buongiorno, Barbie.»

«Buongiorno, Minnie.»

La mora si buttò sul suo letto, chiudendo gli occhi sognante.

«Come è andata ieri sera?» chiese poi a Ino, più per non sentire il silenzio delle sei del mattino che per altro.

«Sakura stava per andare a letto con Kiba..» rispose Ino come se niente fosse.

«Come prego?» Tenten si tirò su di scatto, osservando il viso dell’amica attraverso lo specchio.

«Lei era fuori come un balcone, lui pure e stava per succedere l’irrimediabile. Per fortuna testa quadra si era accorto che mancavano entrambi..»

«Testa qua-?»

«Naruto. Appena se ne sono accorti, lui e Sasuke sono andati da loro e hanno portata via Sakura. Meglio: Sasuke ha portato via Sakura e Naruto ha tirato un cazzotto a Kiba.»

Tenten sgranò gli occhi, sbirciando poi la testolina spettinata di Sakura che sbucava da sotto il le coperte verdi del suo letto.

«Lei non ricorda niente. Nemmeno Kiba, ma credo che comincerà a chiedersi su come si sia fatto quell’occhio nero.»

Le due stettero un attimo in silenzio e poi scoppiarono a ridere sconsolate, entrambe pensando che Inuzuka dovesse essere tenuto lontano dagli alcolici per un bel po’.

«La cosa che lascia perplessi, è che dopo ci ha provato con Temari..»

«Lo ha ucciso?!» chiese con apprensione la mora, sapendo perfettamente che la sorella di Gaara non era esattamente tutta sorrisi e modi gentili, anzi..

«No, è arrivato Shino. E anche da ubriaco, uno capisce che non deve mettersi contro di lui.»

Ino sorrideva, mentre con soddisfazione posizionò l’ultima forcina fra i capelli, mirandosi allo specchio e prendendo in mano la matita per gli occhi.

«A te come è andata, Tennie? Sei sparita..»

Tenten sorrise, ributtandosi sul letto con un sorriso soddisfatto dipinto sulle labbra.

«Una favola..»

 

 

 

 

 

 

Lee

 

 

 

 

 

 

 

Naruto © Masashi Kishimoto

Stars’ Water © Coco Lee

 

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Capitolo 3
*** Tears and Rainbow [ShikaIno] ***


Note: ShikaIno nata senza motivo, ho iniziato a scrivere e non ho più smesso. Leggermente Lime sul finale. C’è qualche parolaccia, anche. Au, ovviamente, perché è periodo che mi è presa con ‘sta fissa.

A me piace, ma tanto, perché l’ho sentita nel cuore dalla prima parole fino all’ultimo punto.

A voi il severo giudizio.

 

 

 

 

Tears and Rainbow

 

 

 

A Silvia,

non era la fic che volevi,

che mi avevi chiesto,

perché quella l’ho immaginata in un modo

tutto mio, e non la continuo finché non trovo

l’ispirazione perfetta.

Quindi spero che nell’attesa questa

ti possa far sorridere,

perché l’ho scritta d’un fiato,

perché me la sentivo nelle vene.

Perdonandomi del terribile ritardo.

 

 

 

Si sentiva come un groppo in gola, un peso enorme che le inondava il petto, le schiacciava i polmoni, le impediva qualsiasi movimento, perché aveva paura che qualcosa dentro di lei si potesse spezzare, spaccare irrimediabilmente.

Il suo cuore batteva furioso e rimbombava dentro al suo corpo, come un martello troppo insistente; cercava di mantenere il suo respiro calmo, non lasciando trapelare alcun segno del fatto che fosse sveglia da più di mezz’ora ormai. Vedeva a stento, oltre le tende della finestra, che un temporale infuriava all’esterno dell’edificio sbattendo contro i vetri; percepiva quella pioggia fredda anche sulla sua pelle in qualche modo, e un brivido le percorse tutta la spina dorsale, facendola stringere ancora di più fra le spalle nude.

Dietro a lei, sentì le lenzuola bianche muoversi, strusciare contro qualcosa.

Shikamaru si era svegliato, e lei non sapeva minimamente cosa fare, come comportarsi, se parlarne, se tacere, se prendere i suoi vestiti a terra o semplicemente far finta di dormire ancora un po’, aspettare che lui scendesse a lezione e poi sgattaiolare via come una ladra.

Ma forse si era scordata che il ragazzo con cui aveva appena passato la notte aveva un’intelligenza fuori dal comune e una vista precisa, che gli consentiva di individuare anche i più piccoli dettagli di una persona. Perché Shikamaru sapeva perfettamente che lei era sveglia da molto, lo poteva dedurre dalla sua postura rigida su un fianco, oppure dai suoi capelli sistemati con cura su una spalla, o ancora il suo respirare quasi impercettibile; e nonostante sapesse questo, decise di non chiamarla, di non toccarla.

Si limitò a osservare il soffitto color panna della sua stanza, chiedendosi che ore fossero, quanto tempo avesse dormito, se fosse il caso di andare a lezione quel giorno. Domande stupide che non avevano bisogno di una risposta immediata, ma a cui lui pensava per deviare la sua mente su qualcosa che non fosse la ragazza, Ino, che riposava accanto a lui.

Dei rumori strascicati giunsero alle orecchie di entrambi i ragazzi, e Shikamaru poté capire che Neji si era alzato e stava cominciando a ripassare per le materie di quella giornata; prendendo la palla al balzo, si alzò dal letto mettendosi un paio di pantaloni trovati per caso sul pavimento, e facendo piano uscì dalla sua camera.

Ino sentendo il piccolo rumore della porta che si richiudeva, trasse un sospiro di sollievo e si girò supina nel letto, sentendo le lacrime affiorarle negli occhi, scacciandole malamente con i polsi delle mani. Si lasciò andare a un pianto silenzioso, cercando ti attenuare i singhiozzi col cuscino, mentre il suo corpo sussultava, le gambe si piegavano e lei voleva solamente poter tornare indietro e cancellare quella notte, che aveva la dannazione di essere stata magnifica.

Senza pensarci troppo – non doveva farlo assolutamente – si alzò dal letto, cercando nell’oscurità della stanza i suoi abiti, infilandoseli senza cura. Non poteva restare ancora, perché alla luce dell’alba le cose hanno tutto un altro aspetto, tutto un altro sapore e non c’è tempo per piangersi addosso, per fingere che le cose vadano bene, quando evidentemente non è così.

Trovò la sua tracolla e con sguardo basso uscì dalla camera di Shikamaru, attraversò il piccolo salottino dove Neji stava ripassando e se ne andò, non dicendo niente, non salutando, non accorgendosi nemmeno che Nara era rimasto accanto alla porta della sua stanza, sentendola piangere e non sapendo che fare, perché di entrare dentro e consolarla non se ne parlava nemmeno. Gli avrebbe urlato contro, o peggio schiaffeggiato.

Neji sollevò la testa dai suoi appunti di algebra, e posò il mento su una mano, osservando il compagno di stanza che a petto nudo era rimasto inchiodato al suo posto. Non era da lui farsi gli affari degli altri, non gli era mai interessato e lo trovava alquanto poco cortese; vivendo con altri due ragazzi all’università, aveva stabilito delle regole chiare sulla convivenza, su ragazze che entravano e uscivano, su festini clandestini e tutto quello che avrebbe potuto urtare i suoi nervi.

Conosceva abbastanza bene le abitudini di Shikamaru, per sapere che se decideva di portarsi a letto una donna, andava sempre altrove a consumare, più per privacy che per un favore nei confronti suoi e di Kiba; e proprio perché conosceva bene Nara, che sapeva che non era una cosa usuale vedere Ino uscire dalla sua stanza, in lacrime e con i vestiti dismessi. Ormai, arrivato al suo ultimo anno, Neji Hyuuga sapeva tutto di tutti – volente o nolente – e non aveva mai visto Shikamaru e Ino andare oltre a un abbraccio, per dimostrarsi affetto. Nemmeno un bacio sulla guancia quando si salutavano.

Il loro era un equilibrio delicato che era stato costruito sulla base di anni di conoscenza. Lei era sempre stata la ragazza al centro delle attenzioni, delle invidie, delle gelosie e tutte le volte ne era uscita a testa alta, più forte di prima e con la popolarità alle stelle; lui era il genio, quello che all’apparenza non vale niente, ma che affascina a suo tempo, per i suoi modi di fare disinvolti, non studiati, strascicati e insofferenti. Shikamaru sapeva come piacere alle ragazze, per quanto non le sopportasse, e una volta conosciuto meglio si poteva anche considerare un vero e proprio bastardo.

Ma questa era una cosa che veniva in secondo piano.

Per questo la sua amicizia con Ino non era mai stata idilliaca, soggetta a critiche, a litigi, ad accuse, a scenate di qualsiasi genere; era il prezzo da pagare quando si crede di conoscere qualcuno da una vita, ma in realtà si sa veramente poco l’uno dell’altro.

Come Shikamaru che non sapeva forse che Ino, oltre a tutta la sua bellezza e apparenza, aveva anche un cervello per niente male, che le aveva permesso di entrare in quella università senza problemi, mentre lei non si era mai accorta che le sue amiche liceali, a loro tempo, almeno una volta nella loro vita avevano sognato di passare una notte con Nara.

Piccole cose, piccole scoperte che li avevano spiazzati, e avevano visto entrambi fare un passo indietro verso quello che credevano scontato.

Così erano entrati all’università, consapevoli di essere amici e di non esserlo davvero, fino in fondo, e che una vita passata assieme non basta a conoscersi. A volte nemmeno loro potevano dire di sapere realmente chi fossero.

Avevano deciso di iniziare di nuovo da capo, mettere un punto alle loro vite fatte di incomprensioni e cecità rimaste al liceo, e iniziare pezzo per pezzo a ritrovarsi come amici, come confidenti, come persone ormai adulte che si aiutano quando c’è bisogno, a ritrovare loro stessi. Ma quell’equilibrio delicato esisteva, perché niente è perfetto, e nemmeno la loro lunga amicizia; bastava che qualcuno sgarrasse, facesse un passo falso per mandare tutto all’aria, che perdesse il senso delle cose e facesse qualche stupidaggine.

A fare la cazzata, ci aveva pensato Shikamaru.

Neji non ricordava i dettagli di quella sera, ma rammentava le parti importanti, quelle che servivano a capire quando Ino, facendo finta di niente –che è il modo che le riusciva meglio – aveva cominciato a staccarsi da Nara, in punta di piedi.

Era una sera in cui pioveva forte, proprio come quella mattina. A volte, il caso..

Neji si stava preparando per uscire e svagarsi dopo una settimana di esami e studio; Kiba era già uscito da un pezzo, pronto alla conquista del gentil sesso, e il loro piccolo appartamento universitario era deserto e silenzioso, regnava una pace invidiabile quando quel terremoto dell’Inuzuka non era presente.

Shikamaru era entrato di fretta, tutto bagnato nonostante indossasse l’impermeabile verde, gocciolando sul pavimento ad ogni passo. Aveva lo sguardo rivolto verso terra e l’aria abbattuta, ma Neji non se ne preoccupò, continuando a sistemarsi il colletto della camicia davanti allo specchio del salottino. Nara si tolse l’indumento bagnato e si diresse nel bagno per prendere un asciugamano pulito, da strofinare sui capelli bagnati; si era seduto su una poltrona sbuffando e aprendosi una lattina di birra. Tutto normale, pensò Neji, a parte per la birra.

Shikamaru non beveva per hobby, preferiva l’acqua e l’alcool se lo lasciava per feste e occasioni importanti, quindi il giovane Hyuuga trovò inusuale quel gesto, ma aveva un appunto e doveva uscire, non aveva certo tempo per pensare a quel piccolo dettaglio.

 

Dopo una serata conclusa bene, dopo aver riaccompagnato Tenten nella sua stanza e averle lasciato una promessa sulle labbra, Neji aveva varcato la soglia dell’appartamento alle tre di notte e accendendo la luce, si era chiesto se quel bicchierino di rum al locale gli avesse dato il colpo di grazia.

Shikamaru era nella stessa identica posizione in cui l’aveva lasciato, l’unica variante era il numero di lattine di birra vuote e riverse sul pavimento. Dopo essersi accertato che Kiba non era in rientrato e probabilmente non lo avrebbe fatto fino all’alba quando la ragazza di turno lo avrebbe scacciato, il giovane Hyuuga aveva avvicinato la seconda poltrona del salotto davanti a Nara, invitandolo con un muto gesto a confidarsi, se voleva.

Il ragazzo col codino chiuse gli occhi arrossati e per qualche secondo riordinò le idee, cercando le parole giuste con cui affrontare l’argomento; voleva parlarne, doveva sentire un parere e guarda caso Neji faceva per lui, era abbastanza discreto da non spifferare niente a nessuno ed era abbastanza sveglio e indisponente da non essere di parte.

Raccolse una grossa boccata d’aria e decise a togliersi ogni dubbio che lo assillava.

«Tu sei innamorato, Neji?» la domanda colse di sorpresa il ragazzo, che non poté fare a meno di spalancare gli occhi.

«E di chi?»

«Con quante ragazze stai uscendo, di grazia?» fu la retorica domanda del Nara. Probabilmente l’ora assurda non aiutava a rispondere seriamente alle sue domande.

«Ah, scusa.. » disse Neji mettendosi comodo, perché ormai aveva capito che non avrebbe rivisto il suo letto prima di un’ora.

«Bhe, non credo.. o meglio, non lo so ancora.»

«Ma lei ti piace?»

«Sì. Molto.» dichiarò. Shikamaru sbuffò: se Hyuuga era una persona fidata e riservata, dalla’altra parte era una vera impresa parlare con lui con frasi lunghe e sensate.

«E come hai fatto a capirlo?»

«Quante birre hai bevuto, Nara?» adesso nello sguardo del ragazzo c’era solo scetticismo.

«Non è una domanda stupida, ti ho solo chiesto come hai fatto a capire se Tenten ti piace. Okay, è carina, ma poi?»

«Ma poi niente. È carina, spigliata, divertente e io mi trovo bene con lei. Non ci sono delle motivazioni, è così e basta.»

«Non mi sei di aiuto..»

«E tu non sei chiaro. Qual è il tuo problema?» Neji vedeva la difficoltà del compagno ad aprirsi, a rivelare troppo del suo problema; poteva giurare di aver visto le rotelline del suo cervello girare come pazze, quasi fino a staccarsi dall’intero ingranaggio.

«Ho combinato un casino, cazzo..» lo sentì mormorare poco dopo, mentre si prendeva la testa tra le mani, disperato, «.. lo sapevo che la cosa non poteva andare, era evidente..» continuava a ciarlare, a imprecare, a distruggersi.

«Nara..»

«Io credo, ma spero di sbagliarmi, di essermi innamorato.»

Neji lo osservò serio, pensando a quest’ultima dichiarazione che di per sé non era così tremenda: insomma, può capitare.

«Ho la sensazione che il pezzo tragico debba ancora venire..» disse Hyuuga piegando la testa di lato.

«Ino.»

Un solo nome aveva fatto luce su tutto e Neji non avrebbe potuto interpretare tutto quello come qualcosa di sì grave, ma forse anche peggio; perché è una regola non scritta, ma che tutti sanno nel loro profondo.

Mai, mai, innamorarsi della tua migliore amica.

Non avere migliori amici del sesso opposto, e se proprio non puoi farne a meno, cercateli che non siano belli e attraenti.

Dire che Nara si era scavato la fossa da solo, rispecchiava perfettamente tutto ciò.

 

Presa la consapevolezza di quanto era accaduto, Neji aveva potuto assistere all’incredibile forza di volontà di Shikamaru per non lasciar trapelare niente di quello che provava.

Poteva vedere il suo tentare di non guardarla troppo durante il pranzo in mensa, il suo continuare a mostrarsi insofferente nei suoi confronti, subirsi le sue confidenze senza poter battere ciglio, vedere il ragazzo di turno che se la sbatteva senza poter far altro che stringere i pugni e sopportare.

Continuava ad andare a letto con chi gli capitava sotto mano, solo per appagare il bisogno fisico e per illudersi –ah, dolce illusione- di fare l’amore con Ino.

E lei, che era pur sempre donna e capiva sempre qualcosa in più solo per un fattore genetico, si era resa conto che qualcosa non andava, che fra lei e Shikamaru si era eretta una barriera, una muraglia, una protezione da parte di lui. Era andata avanti settimane facendo finta di niente, sperando che un giorno quella tensione fra di loro, quell’essere in continuazione attenti a tutto quello che dicevano e facevano, sparisse d’un botto come era arrivata, riportandoli al loro delicato equilibrio di sempre.

Ma il tempo per essere ciechi era già finito al liceo e Ino voleva risposte.

Neji non sapeva come poi la ragazza era finita nel letto di Shikamaru, sicuramente non era andata come quei due pensavano la sera prima.

«Posso chiedere come.. o preferisci di no?» chiese Hyuuga chiudendo definitivamente il suo quaderno di appunti di algebra.

Shikamaru si passò una mano dietro la nuca e senza dire niente si infilò nel bagno, perché forse l’acqua della doccia avrebbe spazzato via la sensazione di stronzo che si sentiva addosso.

Perché amare non è mai bello, il più delle volte chi ama soffre e non c’è sollievo dopo, non c’è beatitudine per chi si è fatto del male, non c’è mai pace. E non impari mai dalla prima volta che ti innamori, perché non è come la varicella, che presa una volta non torna più. Tutte le volti soffri, cadi e ti fai male, ti rialzi e ti arrampichi sulla scala dell’Amore ancora più in alto, così che quando cadi di nuovo, il male è sempre maggiore, e non ti uccide, no, ti farà male per sempre, una punizione divina ed eterna.

E l’acqua scorreva sul suo corpo, tiepida, e lui cercava di lavarsi il profumo della pelle di Ino che gli era rimasto addosso nella notte, voleva cancellare la sensazione delle sue labbra dal viso, voleva semplicemente rimuovere ogni cosa di quella notte; perché per lui era stata magnifica, per quelle ore in cui avevano fatto l’amore, si era quasi illuso che forse c’era una possibilità si scampare al dolore, che forse il suo amarla non era del tutto sbagliato.

Ma quando la mattina aveva aperto gli occhi e l’aveva vista adagiata sul suo materasso, aveva capito che in fondo quella scena non stonava, anzi, Ino sembrava esser disegnata sui quel materasso, tanto quell’immagine di lei era azzeccata e perfetta in quel momento. Ma fu solo un pensiero sfuggente, l’ennesima prova che avevano fatto qualcosa di assolutamente sbagliato, errato, un qualcosa da non ripetere.

L’equilibrio si era rotto.

E sotto l’acqua della doccia, Shikamaru pensò che doveva cominciare ad abituarsi alla sua assenza, di non avere più una testolina bionda che gli saltellava attorno, che si vestiva sempre troppo leggera per la stagione, che aveva bisogno di dimostrare al mondo quanto oca potesse essere, perché in quel modo era più facile.

E fu quasi grato che Ino fosse così: perché se avesse mostrato alla gente la sua vera personalità, il suo essere fragile e il suo essere combattiva assieme, forse avrebbe avuto molti più pretendenti e lui più seccature per la testa.

 

Ino Yamanaka non era attenta quel giorno.

Aveva saltato l’ora di storia alla prima ora, sbagliato il test di metà trimestre di matematica, e adesso era stata invitata dal professore a uscire dall’aula di scienze.

Con le lacrime agli occhi, cercando si trattenersi almeno finché non avesse raggiunto il bagno delle ragazze, prese di fretta le sue cose e scusandosi nuovamente col suo docente si allontanò dagli occhi indiscreti dei suoi compagni di corso che la osservavano con curiosità.

Voci maligne già si inventavano storie da telenovela dove lei poteva essere rimasta incinta e non sapeva chi fosse il padre, oppure era finita ubriaca nel letto di qualche sfigato, o di un uomo sposato.

Tutte cose che lei aveva imparato a ignorare e che adesso non le importavano.

Non riuscì ad arrivare al bagno, ma si buttò con la schiena contro gli armadietti di metallo e lentamente si fece scivolare a terra, chiedendosi del perché stesse piangendo, del perché non facesse altro che ripensare a Shikamaru, alle sue mani sul suo corpo, al modo con cui l’aveva guardata tutta la notte, a come suonasse bene il nome “Ino” se pronunciato con un sospiro nel suo orecchio, a come era bello fare l’amore con qualcuno anziché solo sesso.

E non riusciva a capacitarsi di tutte quelle emozioni e pensieri che le stavano affollando la testa, perché fino all’ultimo, da quando era entrata nella sua stanza per chiarire, aveva sperato che lui non si fosse innamorato davvero, che lei come al solito aveva volato con la fantasia.

Ci aveva sperato davvero.

Ma lui, davanti alle sue accuse, non aveva potuto più negare e aveva deciso di togliersi la maschera una volta per tutte; l’aveva guardata negli occhi, seduto sul letto, e le aveva detto quello che non si dovrebbe mai dire a un’amica.

Forse è meglio se per un po’ non ci vediamo, sul serio Ino.

E lei come una piccola ingenua aveva fatto ancora finta di non capire, perché non era pronta a togliersi dal viso quel velo di apparenza che si ostinava a portare.

Perché? Ti ho forse fatto qualcosa? Ho sbagliato? Sono venuta qua per parlarne e per rimediare.

Lui si era alzato lentamente, incatenando i suoi occhi scuri a quelli di lei chiari, belli e non più innocenti.

Io mi sono innamorati di te. Lo capisci o no? Non fare la finta tonta, non adesso.

E si era ritrovata con le spalle al muro, incapace di pensare e di dire qualcosa di sensato.

Perché Shikamaru doveva rovinare tutto? Ci avevano messo un sacco di tempo a ritrovarsi, a essere amici come un tempo. Lei ci aveva creduto fino in fondo in quell’amicizia rinnovata.

Non mi aspetto che tu ricambi e non lo pretendo. Vorrei solo che tu mi stessi lontana per un po’.

Lui aveva smesso di guardarla negli occhi, si era voltato e aveva spostato la sua attenzione fuori dalla finestra, mentre dei nuvoloni carichi di pioggia avanzavano.

Da quanto sai questo? Perché non me ne hai parlato?

Era arrabbiata, nonostante non ne avesse nessun motivo. Si sentiva tradita. O forse era altro.

Perché mai? Per vederti urlarmi contro che sono un povero sciocco, che stavo rovinando tutto, che forse era solo una scusa per scoparti? Credimi Ino, se tu stasera non fossi venuta qui, io mi sarei portato i miei sentimenti nella tomba.

Adesso anche il suo sguardo color nocciola era furioso, perché non le avrebbe permesso di giocare con la sua pazienza e con quel poco di amor proprio che gli era rimasto.

Ino gli era andata incontro e gli aveva puntato un dito minacciosa, perché anche lei ci stava male, perché a nessuno piace perdere un amico.

Non ti avrei urlato un bel niente! Io ti voglio bene, dannazione! Come puoi credere che ti avrei voltato le spalle, come puoi?

Shikamaru aveva fatto un passo nella sua direzione e la vicinanza evidenziava maggiormente quanto lui fosse alto in confronto a lei.

Proprio per il fatto che mi vuoi “solo bene”! Che credi, che solo tu sei quella che perderà qualcosa, che perderà una persona? Io ci perdo molto di più!

Ino per la prima volta, aveva seriamente desiderato di prenderlo a calci nel fondoschiena. Lo aveva preso per il bavero della maglia minacciosa e lo aveva avvicinato al suo volto.

Non fare la vittima, Nara! Con me certi giochetti non funzionano! Io non ho intenzione di perderti come persona, è chiaro? Non voglio, non pensare minimamente di mettermi in un angolo, non lo accetto!

Lui a quel punto era scoppiato e con violenza l’aveva messa al muro, così da farle vedere anche fisicamente chi era superiore, chi aveva ragione e chi comandava in quella camera.

Sei egoista, Ino, sai quanto costa per me starti vicino e non poterti toccare? Sai quanto mi costa trattenermi tutte le volte che mi sei vicina dal sentire il profumo dei tuoi capelli? Riesci minimamente a immaginarlo? Io non posso starti accanto con i pensieri che ho su di te, non ho abbastanza autocontrollo. Quindi non costringermi a fare cose di cui potrei pentirmi.. e adesso esci, non abbiamo altro da dirci al riguardo.

Shikamaru si era allontanato, lasciando che lei se ne andasse da quella camera. Ma Ino non si era mossa, ancora indignata e lo guardava torva, ancora con la voglia di prenderlo a botte.

Dimostramelo, allora. Perché tu hai autocontrollo, solo che sei troppo pigro per usarlo.

Nara fremeva, perché Ino non capiva assolutamente che stava rischiando. Perché doveva essere così cocciuta?

Non provocarmi, non ti conviene. Sul serio.

Lei questa volta non aveva risposto, ma si era portata le mani ai fianchi in segno di sfida.

E Shikamaru non aveva più pensato, aveva sconnesso tutto e l’aveva accontentata, come faceva sempre, anche in quella situazione. L’aveva baciata con foga, prendendole il viso fra le mani, intrappolandola fra il suo corpo e la parete, sentendola spaesata e scioccata, le sue mani più piccole e fredde che si posavano sulle sue grosse e tiepide.

Si era staccato poco dopo, prendendo aria e pronto a ricevere un cazzotto nel naso, ne era sicuro.

Ma Ino era come paralizzata, respirava con fatica e guardava il basso, come se nel suo cervello ci fosse qualcosa di sconvolgente che non la lasciava parlare, capire cosa le fosse appena capitato.

Poi senza sapere perché, per quale assurda ragione, lo aveva ribaciato e aveva lasciato che nel corso della loro lotta fatta di baci e di sospiri, lui le togliesse i vestiti e l’adagiasse sul letto.

 

Ino, in terra nel bel mezzo del corridoio B dell’ala est dell’università, si rese conto di qualcosa che prima le era sfuggito, troppo presa a dare la colpa a Shikamaru.

Era una cosa così semplice e naturale che per un attimo ne rimase sorpresa e quasi affascinata, perché era vero che aveva un cervello, ma l’idiozia spesso e volentieri prendeva il sopravvento su tutto il resto.

Raccolse la sua cartelletta da terra e di corsa raggiunse il suo armadietto, sbattendoci dentro tutto senza troppi riguardi. Si fiondò fuori l’università sotto la pioggia, correndo fra il fango e le pozzanghere del prato, raggiungendo i dormitori; vide Sakura uscire dalla loro stanza e chiederle dove stesse andando sporca e bagnata, ma Ino non le rispose, salendo le scale fino al quinto piano, senza mai fermarsi.

Bussò alla porta che portava il numero 295 e attese che Shikamaru l’aprisse e se non l’avesse fatto avrebbe sfondato la porta a pedate, perché sapeva che il ragazzo aveva un’ora buca e sapeva che preferiva passare il suo tempo a oziare nella sua stanza, sdraiato sul letto con lo sguardo al cielo se il tempo era bello, leggendo un libro altrimenti.

Nara non si fece attendere e con una lentezza che apparteneva caratteristicamente a lui, aprì la porta.

«Non dovresti esseri qui.» le disse.

«E sei bagnata.» fece poi.

Ma Ino non lo ascoltava, perché era già entrata nell’appartamento senza tante cerimonie aveva sbattuto la porta d’ingresso.

 

Shikamaru aprì gli occhi e la prima cosa che vide furono i suoi azzurri che lo fissavano, curiosi e timorosi insieme.

Se ne stava sopra di lui, completamente sdraiata, e sentiva i suoi seni che gli premevano il petto, le loro gambe intrecciate, i loro respiri sincronizzati.

«Adesso non fai finta di dormire..» le sussurrò piano, prendendo una ciocca dei suoi capelli tra le dita. Ino sorrise, facendo leva sulle braccia e sollevandosi da lui, che adesso la osservava rapito, estasiato da quanto bella fosse, forse di più.

La ragazza portò il viso sopra quello di Shikamaru e lo baciò, perché in quel momento era la cosa giusta da fare, perché questa volta non era stato un errore, questa volta era stato tutto perfetto, voluto, goduto fino in fondo, e il risveglio era stato decisamente migliore.

Nara sorrise e le passò le mani sulla schiena, sentendo la pelle fresca e liscia, morbida e perfetta. La sentì dondolare su di sé, mentre i suoi respiri tornavano affaticati e i baci roventi di una passione che non si era ancora dissolta, che ancora bruciava nelle loro vene.

Avevano perso così tanto tempo a essere amici, a trovare un loro equilibrio come confidenti, che forse l’unica cosa giusta che avrebbero potuto fare era chiedersi se loro due, Shikamaru e Ino, erano davvero fatti per essere solo amici.

E secondo Shikamaru, avevano perso fin troppo tempo.

L’afferrò per le natiche e con un gesto secco invertì le posizioni, portandola sotto il suo corpo.

Lei sorrise, ancora e ancora.

E pensò che sicuramente un sorriso valeva molto più di mille lacrime.

E che l’arcobaleno appena spuntato, era senza dubbio il sorriso del cielo.

 

 

 

 

 

 

                    "Oh invadimi con la tua bocca bruciante,
indagami, se vuoi, coi tuoi occhi notturni,
ma lasciami nel tuo nome navigare e dormire."
PABLO NERUDA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Naruto © Masashi Kishimoto

Tears and Rainbow © Coco Lee

 

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Capitolo 4
*** Brioches [ShikaIno] ***


Note: ShikaIno, sempre AU, con accenni NaruSaku. Rating giallo con presenza di qualche parolaccia.

Si ringrazia WishfulThinking per il betaggio.

 

B r i o c h e s

 

 

 

 

 

 

A te, Mimi,

per il tuo compleanno,

ovviamente in ritardo.

Spero di aver reso giustizia ad ogni singolo

personaggio e situazione.

Grazie, per ascoltare le mie lamentele,

i miei dubbi,

i miei sfoghi

quando tutto mi va storto.

Grazie di esserci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ino sbatté la porta di camera, buttandosi sul letto in lacrime.

Suo padre, rimasto chiuso fuori nel corridoio, cercava di parlarle piano, calmo, senza essere troppo invadente.

«Ino, tesoro?»

La voce di Inoichi Yamanaka fu coperta dai pesanti singhiozzi della figlia.

«Ino, che è successo?» chiese ancora entrando silenzioso nella stanza, avvicinandosi al letto. Ino stringeva il cuscino, affondando il viso nella federa viola.

«Piccola, non è che quel Nara ti ha fatto qualcosa, vero?» insistette, sedendosi accanto al corpo tremante della ragazza.

Non era la prima volta che Ino tornava a casa in quelle condizioni, ma solitamente c’era sua moglie ad occuparsi di tutto, di informarsi sui fatti, di rassicurarla, di consigliarla. Inoichi era sempre stato uno spettatore esterno e adesso, nonostante avesse visto la moglie all’opera un sacco di volte, non sapeva che fare.

«Ino, puoi dirlo al tuo papà…»

«Non ne voglio parlare!» rispose finalmente la ragazza, urlando contro il cuscino.

«Dimmi almeno cosa ti turba, se posso fare qualcosa…»

«Non puoi fare nulla! Se quell’imbecille ha il cervello delle dimensioni di una nocciolina, la colpa è solo sua!»

Inoichi collegò l’epiteto imbecille al nome Shikamaru Nara, e non poté che sospirare rassegnato.

Quante volte aveva detto al suo piccolo fiore che quel ragazzo non era adatto a lei? Quante volte le aveva fatto notare che erano troppo diversi perché la loro storia potesse andare avanti? Quante?

«Ino…»

«Papà, ti prego, esci! Non ho voglia di sentire nessuno adesso!»

Inoichi non protestò, uscendo silenziosamente come era entrato e ripromettendo a se stesso che alla prima occasione in cui avesse visto il ragazzo, gli avrebbe fatto pagare ogni singola lacrima versata da sua figlia.

Quando sentì la porta richiudersi, Ino si liberò del cuscino, guardando il soffitto col volto bagnato e devastato; Nara ne aveva fatte tante da quando stavano assieme, tra sbronze, dimenticanze di appuntamenti, compleanni, San Valentino. Ma quella le batteva tutte, stavolta non ci sarebbe stata una sfuriata e via, tutto passato, tutto come prima.

I tradimenti non si perdonano con un niente.

Aveva sempre pensato che lui fosse diverso, era irritante e menefreghista; forse era stato proprio quello ad averla affascinata.

Glielo aveva presentato Sakura, quando aveva iniziato a frequentare Naruto; la prima volta che lo aveva visto, vestiva con pantaloni scoloriti e consumati, una maglietta con un gruppo metal sopra, scarpe da tennis rovinate e una sigaretta tra le dita. In un modo strano e incomprensibile, era bello, meglio di tutti gli altri ragazzi montati con cui era uscita.

Shikamaru era semplicemente diverso.

Erano usciti insieme qualche mese dopo. Quel pomeriggio si erano divertiti entrambi, come non avrebbero mai immaginato; litigavano, bisticciavano, si prendevano in giro, ma poi risolvevano subito con una risata, una battuta.

Ino non avrebbe mai scordato, poi, la prima volta che si erano baciati.

 

La sua macchina si fermò davanti casa, ma nessuno dei due diede cenno di voler scendere.

Ino si slacciò la cintura di sicurezza, ridendo ancora dell’ultima uscita folle del ragazzo mentre guidava.

«Non ci salgo più in macchina con te, sei un pirata!»

«E tu sei una seccatura! Ti pare che uno come me possa perdere il controllo della macchina?!»

«Hai fatto una manovra a pelo, è solo fortuna!»

«Te lo ha mai detto nessuno che sei un impiastro, Yamanaka?»

Ino era nuovamente scoppiata a ridere mentre Shikamaru scuoteva la testa, divertito. Appena le risate si dissolsero nell’abitacolo, il silenzio li colse all’improvviso; non era imbarazzante, né scomodo. Solo carico di cose non dette, di sentimenti nascosti che loro conoscevano bene.

«Senti, Ino…» aveva iniziato lui giocherellando con le chiavi del veicolo. Lei distolse lo sguardo, un po’ perplessa, notando però che le portiere erano state bloccate.

«Qualsiasi cosa tu mi debba dire, non credo che sarà così tremenda, Nara!»

«Come?»

«Le portiere… hai paura che scappi?»

«Non lo so, ho preso una piccola precauzione…»

«Adesso sì che sono tranquilla!»

Shikamaru non aveva più risposto, tornando a giocare col portachiavi.

«Non so se lo hai capito, ma tu mi piaci.»

Glielo disse con tutta la naturalezza del mondo, senza impappinarsi, balbettare, arrossire o altro.

Erano semplicemente loro due, nella macchina di lui, accanto l’uno all’altra e si guardavano.

Ino aprì la bocca per dire qualcosa, ma dopo aver boccheggiato per almeno cinque secondi pieni, decise di richiuderla, cominciando anche lei a giocare col portachiavi di casa.

Shikamaru ancora la guardava, apparentemente tranquillo, ma un po’ in ansia; uscivano insieme ormai da tre settimane, ed era abbastanza sicuro di piacerle un po’, altrimenti non si spiegava come avesse accettato tutti i suoi inviti.

Ma adesso, con quel silenzio, lo stava mettendo nel dubbio.

«Devo dire, Nara…» iniziò Ino alla fine con calma, «…che questa dichiarazione è stata proprio il massimo del romanticismo, davvero!» dichiarò ridendo.

Il ragazzo si sciolse anche lui in una risata, pensando che loro, di romantico, non avevano proprio niente.

«E che, sì… ecco, anche tu mi piaci, già.»

Nessuno dei due stava arrossendo, perché erano sicuri dei loro sentimenti, erano decisi e felici di scoprire le carte in tavola.

«Vuoi una storia seria?» chiese lui allora dopo poco, guardandola dritta negli occhi azzurri.

Ino era la prima ragazza che gli piaceva veramente, dopo essere stato scaricato dalla sua ex. Non gli interessava avere una storiella di una sera con lei; voleva qualcosa di più, voleva poter dire con certezza che lei era la sua ragazza, molte e molte volte, a chiunque glielo chiedesse.

Non si sarebbe accontentato.

«Bhe, Nara, non sono ancora pronta per il matrimonio.»

«Ci penseremo poi. Non posso piombare in casa del parroco in due minuti. Senza contare che tuo padre mi ucciderebbe.»

Ino gli sorrise, sfoderando una delle sue migliori occhiate maliziose.

«Se il matrimonio non si fa entro due anni, volentieri.»

Shikamaru si era definitivamente sciolto, e impaziente le si era avvicinato con tutto l’intento di baciarla, finalmente.

Ma loro, come detto, non amavano particolarmente le cose romantiche, e qualcosa doveva pur succedere a interrompere quell’atmosfera.

Le chiavi della macchina che teneva in mano si impigliarono nei capelli di Ino, facendole fare una smorfia di fastidio.

«Nara! Ma sei un disastro!»

«Accidenti, seccatura, sta ferma!»

«Voglio il divorzio!»

«Momento…»

«Sei un marito degenere!»

Lui riuscì a liberare le chiavi dai suoi fili d’oro, e senza lasciarle il tempo di dire, o pensare altro, finalmente la baciò.

«Domani ti porto le brioches, così mi faccio perdonare.»

Lei sorrise e lo attirò nuovamente a sé.

Uscì dalla macchina solo molti minuti più tardi.

 

Non si erano mai detti Ti amo, ricordava adesso la ragazza, mentre con disgusto stava buttando via tutte le foto che la ritraevano insieme a Shikamaru.

Non erano di quelle coppie che mostravano al mondo il loro amore, sbaciucchiandosi in pubblico, prendendosi per mano mentre camminavano, o cose simili.

Quelle cose le facevano Sakura e Naruto, ormai prossimi al matrimonio, ci scommettevano tutti.

A Nara non piaceva parlare dei proprio sentimenti; in verità non gli piaceva proprio parlare, ma lei era abbastanza loquace e chiacchierona per tutti e due. Lui ogni giorno le aveva fatto capire quanto l’amasse, solo con piccoli gesti, occhiate, sorrisi che le rivolgeva quando nessuno prestava loro attenzione.

Anche quando erano usciti una sera con degli amici di Naruto, andando a cena in un ristorante.

Un tizio alto, dagli scompigliati capelli castani e il fisico atletico le si era avvicinato ammaliatore, circondandole le spalle con un braccio.

Allora, tesoro, quando usciamo insieme?, le aveva chiesto malizioso. Ino, già un po’ su di giri per via dell’alcool, si era messa a ridere come sempre, non pensando che il ragazzo facesse sul serio.

Ma la risposta che arrivò da Shikamaru fu abbastanza chiara da dimostrarle che sì, il bel moro ci aveva appena provato con lei sotto gli occhi del suo ragazzo.

Io direi mai, Kiba. Perché non giri un po’ a largo?

Fu in quel momento che Ino ebbe l’ennesima conferma che Nara, con tutti i difetti che poteva avere, l’amava davvero; non per il suo corpo, non per i suoi occhi azzurri, non per i suoi capelli biondi. Anche per tutte queste cose. Ma soprattutto perché la rispettava, la proteggeva e riusciva a farla divertire con poco: questa era la cosa più importante.

Ino cercò di reprimere un altro attacco di pianto, perché pensare a tutte quelle cose la faceva star male.

E si maledì quando le venne in mente la prima volta che avevano fatto l’amore.

 

Shikamaru stava al parco, seduto su una panchina con i soliti quattro idioti che si ritrovava per amici.

Era un pomeriggio come tanti, faceva caldo e loro non avevano niente da fare di utile per la società. Sakura li aveva raggiunti poco dopo, sfoggiando un vestito primaverile verde, che s’intonava perfettamente con i suoi occhi; Naruto l’aveva accolta a braccia aperte, in uno stato di contemplazione assoluta.

Prima che potessero appartarsi per scambiarsi le coccole quotidiane, la ragazza dai capelli rosa si era avvicinata a Shikamaru, con sguardo serio.

«Hai sentito Ino, oggi?»

«No, non le ho ancora telefonato.»

«Ah.»

Il ragazzo osservò Sakura che adesso si guardava attorno spaesata, quasi preoccupata, avrebbe osato dire.

«Haruno, è successo qualcosa?»

«Non lo so.» ammise, sospirando.

«E allora che ti preoccupi?»

«Proprio perché non lo so. Stamattina Ino stava litigando con suo padre, ho parlato con lei solo per poco. Ecco perché sono in ansia, non l’ho più sentita da stamattina.»

Shikamaru osservò la figura di Sakura che si allontanava con Naruto, e senza pensarci troppo, si avviò verso la sua macchina.

Guidò più velocemente del solito, parcheggiando malissimo vicino casa Yamanaka. Tirò fuori il cellulare, componendo a memoria il numero di telefono della ragazza.

«Ehi…» la sentì sussurrare dall’altro capo dell’apparecchio telefonico.

Aveva la voce spenta, sembrava quasi che si stesse sforzando per non scoppiare a piangere.

«Ehi, come stai?»

«Bene, come dovrei stare?»

«Ho visto Sakura, mi ha raccontato della vostra telefonata di stamattina.»

Sentì Ino sospirare. Evidentemente non voleva che lui sapesse.

«Non… non era necessario che ti raccontasse, sono cose da niente.»

«Dal tuo tono non si direbbe.»

«Shikamaru…»

Sentiva che le cose non stavano andando bene, proprio per niente. Anche solo il fatto che lei lo chiamasse per nome, era un chiaro segno che qualcosa non andava.

«C’è tuo padre in casa?»

«Sì, è in salotto.»

«Ce la fai a uscire?»

«Shikamaru, non credo che sia…»

«Ce la fai sì o no?»

Ino, se solo non fosse stata così tanto orgogliosa, probabilmente avrebbe iniziato a piangere come una bambina. Sbirciò dalla fessura della camera la figura di suo padre, intento a leggere il giornale comodamente seduto sul divano.

«Non so se lo hai capito, tesoro, ma se non esci da sola, giuro che entro io in casa e ti porto via. Sono qui sotto con la macchina, lo faccio, Ino.»

La ragazza non aveva più pensato.

Aveva spento la comunicazione e come un razzo si era precipitata fuori, con le urla di suo padre nelle orecchie e la porta di casa che sbatteva.

Aveva subito trovato l’auto blu di Shikamaru e ci si era buttata dentro, mentre lui ripartiva veloce, per non dover vedere Inoichi che gli bestemmiava contro.

Ino finalmente si sciolse in un pianto liberatorio, prendendosi il viso fra le mani; il ragazzo tolse una mano dal volante e l’avvicinò a sé, lasciando che piangesse sulla sua spalla, sfregando una mano sulla sua testolina bionda per rassicurarla.

«Sei veramente una seccatura, Ino.»

 

Arrivarono a casa Nara in una decina di minuti.

Tutto era buio e silenzioso all’interno, le strade erano colorate dalla luce soffusa del sole al tramonto, l’afa del giorno stava scomparendo lasciando spazio a una brezza leggera.

Entrarono nell’abitazione senza dire niente, perché non c’era da dire niente.

Shikamaru le si avvicinò, guardandola negli occhi e prendendo una ciocca di capelli biondi fra le dita, sentendo con i polpastrelli la loro morbidezza.

«I miei sono fuori città, puoi stare qui quanto vuoi, se non vuoi tornare a casa da tuo padre. Almeno finché non gli sarà passata l’incazzatura.»

Più lo guardava, più Ino desiderava che in quel momento Nara la baciasse.

Lo voleva con tutta se stessa, voleva sentirsi al sicuro fra le sue braccia, aveva bisogno di sentirlo vicino ora più che mai.

Si alzò in punta di piedi, lentamente le loro bocche si accostarono, le loro mani si trovarono, i loro corpi di toccarono.

Shikamaru le abbracciò la vita, la sollevò di pochi centimetri da terra e cercando di non andare a sbattere contro qualche muro, riuscì a portarla vicino al divano.

La lingua di Ino giocava con la sua, lo stuzzicava, gli parlava, gli faceva capire quello che voleva, lo invitava ad andare oltre.

Si staccarono per pochi secondi, i loro sospiri che si confondevano, le fronti che si poggiavano l’un l’altra; Ino si distaccò leggermente, guardò il ragazzo che aveva davanti, e con un gesto fluido si tolse la maglia.

 

Al mattino, quando si risvegliò nuda nel suo letto, coperta dalle lenzuola che sapevano di lui, trovò accanto al comodino un sacchetto di brioches.

Alla fine, gliele aveva portate sul serio.

 

«Giuro che non mangerò mai più una singola brioche in tutta la mia vita, maledetto verme!» bofonchiò Ino, prendendo il cuscino e lanciandolo contro la finestra, in un impeto di rabbia.

Shikamaru l’aveva tradita.

T r a d i t a.

Con la sua ex fidanzata: più grande, più bella, più affascinante.

Il solo pensiero le fece salire il vomito, tanto che dovette precipitarsi al bagno, per il disgusto.

Non avrebbe mai pensato che un giorno le sarebbe capitato, non avrebbe mai immaginato che Nara potesse farle una cosa del genere, non dopo tutto quello che avevano passato assieme.

Per lei, adesso, era un uomo morto.

Sentì il campanello suonare e di corsa si affacciò alla finestra che dava sulla strada, vedendo proprio il traditore davanti alla sua porta.

Corse giù per le scale, cercando di fermare suo padre.

«Papà non apri-!»

«Che sei venuto a fare?»

Troppo tardi, la voce di Inoichi Yamanaka era dura e severa.

«Devo parlare con sua figlia.» rispose Shikamaru, non facendo una piega.

«Non credo proprio. Girale al largo, se non vuoi che ti rispedisca a casa a calci nel sedere. Io non scherzo, Nara.»

Il ragazzo sostenne per pochi attimi lo sguardo ammonitore dell’uomo, poi piegò la testa, facendo dietro front.

«Come desidera, signor Yamanaka.»
Inoichi, soddisfatto, richiuse la porta, mostrando il pollice in segno di vittoria alla figlia. Lei sorrise, seppur amareggiata, e lentamente strascicò i piedi fino alla sua camera.

E per poco il cuore non le si fermò.

«Che cazzo ci fa lì?!»

Shikamaru era sul suo balcone, e le chiedeva di farlo entrare. Come aveva fatto a salire fino al primo piano?

«Dall’albero.» rispose quando Ino, turbata, gli aprì la porta finestra.

«Tu non sei normale, hai qualche rotella fuori posto!»

«Bhe, al cellulare non rispondi, tuo padre fa il cane da guardia alla porta, mi dici come faccio io a parlare con te?»

«Errore, io non voglio parlare con te! Evapora!»

Shikamaru entrò del tutto nella stanza, mentre Ino indietreggiava. Non voleva nemmeno stargli troppo vicino: in quel momento provava solo ribrezzo nei suoi confronti.

«Ascoltami, io non sono bravo con le parole e lo sai. Però una cosa te la devo dire: mai, mai, ti tradirei. Sei tutto quello che un ragazzo possa desiderare, perché mai dovrei cercare appagamento in un’altra?»

«Ah, non lo so. Questo me lo devi dire tu.»

«Ino, accidenti! In questi mesi che siamo stati assieme, mi sembra di avertelo dimostrato quanto tenga a te! Preferisco diventare gay che stare con qualcun'altra!»

La ragazza strabuzzò gli occhi, dandogli le spalle.

«Ino, per favore, devi credermi!»

Mai, in tutta la sua vita, Shikamaru aveva supplicato qualcuno.

Mai aveva seppellito il suo orgoglio e il suo menefreghismo per farsi perdonare da qualcuno.

Shikamaru Nara non guarda in faccia nessuno.

Forse fu per questi motivi, che Ino si voltò di nuovo verso di lui, mettendo per un momento da parte il rancore.

«Vorrei crederti, ma non ci riesco. Questa volta non basterà un abbraccio o un sorriso per farmi dimenticare.»

«Lo so.»

«Ti sei ubriacato. Sei andato a letto con la tua ex, hai-»

«Io non sono andato a letto con nessuna!»

«Come credi che mi sia sentita quando ti ho telefonato per sapere se stavi bene, e invece di sentire la tua voce, mi ha risposto una donna?»

«Non è come pensi. L’abbiamo incontrata per caso, con me c’erano anche gli altri.»

«Non mi importa degli altri!»

Ino lo guardava non furiosa, solo tremendamente delusa e amareggiata.

Non sopportava che qualcuno le negasse l’evidenza, era una delle tante cose che non tollerava in un rapporto.

«Ti dovrai faticare la mia fiducia, Shikamaru. Io devo poter fidarmi di te di nuovo.»

Lui sorrise, annuendo.

Non aveva fatto veramente niente, la sera prima. Aveva solo avuto la sfortuna di incontrare la persona sbagliata al momento spagliato; non avrebbe più cercato di spiegare questo a Ino. Conoscendola, conoscendosi, non avrebbe risolato niente.

Sperava solo che col tempo lei riuscisse a capire, comprendesse che prima di farle del male in qualsiasi modo, avrebbe preferito mille volte ferirsi da solo.

Ino era diventata troppo importante, per poter permettere che un fraintendimento la allontanasse da lui.

Gli serviva la sua presenza come l’aria, non avrebbe più potuto farne a meno.

«Domani ti compro le brioches.»

«Non ti farai perdonare prendendomi per la gola, sai?»

«Bhe, ci ho provato, seccatura.»

Passo dopo passo, piano, senza fretta, avrebbe riconquistato Ino, come la prima volta.

 

 

 

 

Fine.

 

 

 

 

 

 

 

Si ringraziano celiane4ever(aka Vale),

Wishful Thinking (aka Sil)

e Mimi18 per aver recensito la scorsa shot. <3

 

 

 

 

 

Alla prossima…

 

Lee

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Naruto © Masashi Kishimoto

Brioches © Coco Lee – Mimi18

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Capitolo 5
*** Bacio [MinatoKushina] ***


B a c i o

 

 

 

 

« Ma poi che cosa è un bacio?

Un giuramento fatto un poco più da presso,

un più preciso patto,
una confessione che sigillar si vuole,

 un apostrofo rosa messo tra le parole t'amo. »

[“Cyrano De Bergerac”, Edmond Rostand]

 

 

 

 

La Luna era piena, tonda, bianca.

Si stagliava nel blu della notte, facendo apparire le stelle intorno piccole e insignificanti come moscerini.

Le somigliavano un po’quelle stelle, semplici puntini di luce riflessa, tutte uguali, nessuna che avesse una caratteristica particolare e che la differenziasse dalle altre.

Eppure lui la guardava come se fosse stata la Luna stessa.

Nell’oscurità che li avvolgeva come un manto, tra l’erba alta che accarezzava le loro gambe scoperte, gli occhi di Minato brillavano come zaffiri e la spogliavano di tutti i suoi pensieri. Si chiese se fosse normale che un ragazzo di quattordici anni potesse ipnotizzare una persona in quel modo, provò a darsi anche una risposta, ma tutte le sue facoltà intellettive vennero distrutte in un secondo.

Non ricordava perché erano lì, a notte fonda, in un campo fuori Konoha.

Non ricordava nemmeno perché era iniziato tutto quello. Con Minato.

Ci mancava poco che non ricordasse nemmeno il suo nome, a pensarci bene.

Perché alla luce del sole, sotto gli sguardi attenti degli abitanti del villaggio, lei era solo Kushina Uzumaki, una ragazzina come tante; lui era Minato Namikaze, il ragazzo prodigio. Non avevano veracemente niente da spartire, da condividere, da dirsi.

Perché poi si conoscevano? Se lo ricordava?

Erano sempre stati loro, tutte le estati, quando lei veniva a Konoha con il suo maestro. Litigavano, giocavano, urlavano. A volte facevano anche a botte, tornando a casa col naso sporco di terra e le ginocchia sbucciate.

Poi qualcosa era cambiato; Kushina aveva i capelli più lunghi del solito, portava più spesso le gonne, almeno una volta al mese preferiva non fare il bagno al lago. I suoi fianchi avevano delle curve più armoniose, il petto era più grande e la bocca era più rossa.

Minato cresceva ogni mese di quasi cinque centimetri, le sue spalle erano diventate più grandi e i muscoli delle braccia più definiti. La voce era più profonda, roca, e le guance magre erano ruvide, ricoperte dai primi peli di barba.

Erano sempre gli stessi, non parlavano di niente e discutevano di tutto, mangiavano, dormivano, combinavano guai; era tutto nella norma, niente di più e niente di meno, tutte le estati uguali, sempre lo stesso sole, gli stessi fuori, lo stesso lago, sempre Konoha.

Ma Kushina vedeva Minato, lo vedeva parlare e desiderava inspiegabilmente essere le sue labbra: le osservava rapita, erano sottili e chiare, si sfioravano per pochi istanti veloci, danzavano sulla curva della sua bocca, come delle ballerine. Si distendevano in sorrisi, e come due amanti sfiniti, si riconciliavano quando lui smetteva di parlare e ascoltava il suo interlocutore. Erano perfette, come un puzzle s’incastravano senza intoppo, senza sforzo, perché quello era il loro posto.

Eppure erano le stesse labbra di quando era bambino, sempre loro, immutabili nel tempo, eppure diverse, era come se non le avesse mai viste.

E anche in quel momento, nonostante il buio che le ostacolava la vista, poteva distinguerle davanti a lei, le riconosceva come i due amanti a cui le aveva paragonate quello stesso pomeriggio. Si era domandata se per caso, le anime gemelle, dovessero essere come un paio di labbra, unite nel silenzio, distaccate e sfuggevoli nelle parole.

Minato si accorse del suo sguardo insistente, e prima che se ne potesse rendere conto, la sua mano destra si era già alzata e tremante, in attesa, sospesa nel vuoto e nell’oscurità, voleva provare ad accarezzare i suoi capelli rossi. In tanto anni che si conoscevano, non sapeva nemmeno se fossero morbidi al tatto, profumati, se nel toccarli le sue dita li avrebbero paragonati a qualche stoffa, a della seta forse.

Infine riuscì a sfiorare una ciocca rossa che era sfuggita alle altre, in ordine dietro l’orecchio per non nascondere il viso. Kushina non disse niente, ma senza che lui se ne accorgesse trattenne il respiro, non aspettandosi di trovarselo così vicino; poteva percepire il flebile calore della sua mano. In quella notte estiva, fresca e un po’ umida, sentiva la pelle di Minato che scottava anche a distanza, era come un debole fuoco che le dava l’idea di essere riscaldata seppur minimamente.

Minato cercò di impedire alla sua mano di tremare, e dopo averla sfiorata una, due volte, finalmente prese quella ciocca color del rubino fra le dita, chiudendo gli occhi per sentirne meglio la consistenza. Se la portò vicino al viso, sfiorandola impercettibilmente con le labbra; il profumo dello shampoo, forse di fiori, forse soltanto di Kushina, gli accarezzò il naso con la sua fragranza, rendendolo soddisfatto.

«Minato… io non so… cosa…?» Kushina non sapeva spiegarsi quel momento, era del tutto fuori dalla sua logica, perché non trovava un filo conduttore in tutti quei comportamenti, in quei gesti. Anche il suo stomaco non andava d’accordo col resto degli altri muscoli, si contorceva da solo, senza un motivo apparente.

«Non lo so nemmeno io. Non so più niente.» rispose allora lui, facendo tornare quella ciocca al suo posto, dietro l’orecchio. La punta dell’indice sfiorò appena il lobo, e fu come se si fosse ustionato. Ma non la ritrasse, seguì invece la linea della guancia, scendendo giù per il collo leggermente abbronzato dal sole.

Kushina non staccò nemmeno per un istante i suoi occhi da quelli azzurri del ragazzo, perché sapeva che se li avesse abbassati anche solo per un istante, dopo difficilmente avrebbe trovato il coraggio di riguardarlo.

«Vorrei… poter fare una cosa… ma non so se…»

«Potrei prenderla… male?» chiese lei leggermente spaesata.

Per un istante Minato avrebbe voluto mettersi a ridere di cuore, e forse lo avrebbe anche fatto se la situazione non fosse stata così piena di tensione, di cose non dette e troppe ancora da sospirare.

«Forse. O forse no.»

«Prova.»

Quello era il momento.

Non sapeva come chiamarlo, come definirlo, se in un futuro se ne sarebbe mai ricordato con affetto, con imbarazzo o con rabbia. Ma non era un momento normale, uno come tanti, uno come milioni di altri istanti.

Era IL  momento.

Si abbassò leggermente, avvicinandosi con cautela, non sapendo esattamente come fare, ma certo di farsi guidare solo dal suo istinto.

Kushina chiuse gli occhi, aspettò tre secondi e accadde.

Sentì la leggera pressione delle sue labbra, erano umide ed esitanti; il loro nasi si erano toccati appena e i polmoni aveva smesso di incamerare aria.

Kushina fu disorientata per parecchi secondi, non si rendeva conto di dove fosse, che stesse facendo, se quello davanti a lei fosse Minato oppure un altro ragazzo; si era come pietrificata, le sue braccia erano rimaste immobili lungo i fianchi, il respiro anche. Solo il cuore batteva troppo veloce e con troppo rumore, rimbombava dentro al suo corpo che se fosse stato dentro un forziere in fondo al mare, isolato da tutto.

Si spaventò di tutto questo. Si staccò da Minato all’improvviso, spalancando gli occhi.

Lui rimase ad osservarla mentre con la mano si sfiorava le labbra appena violate.

Evidentemente aveva fatto qualcosa che non andava, perché onestamente si sarebbe aspettato di tutto, ma non una reazione del genere, come se avesse commesso il più indicibile dei peccati. Ne sapeva qualcosa, Jiraya-sama non gli parlava d’altro ultimamente.

«Kushina… io non…» si avvicinò di qualche passo, ma i suoi occhi gli fecero capire che stava facendo la mossa sbagliata.

Lei si riprese, cercando di calmare i battiti ancora accelerati del suo cuore.

Troppo veloce, stava per morire.

«Vado a casa. Ci vediamo domani.» le disse Minato, vedendola in difficoltà. Non sapeva cosa fare, come aiutarla; forse non era nemmeno quello che lei si era aspettata.

Se ne andò calpestando sotto si sé l’erba, lasciando al suo passaggio un solco profondo.

 

 

Kushina aprì gli occhi.

Rimase parecchi secondi a fissare il soffitto della sua stanza, cercando di illudersi senza troppo successo che quello accaduto durante la notte fosse solo un prodotto della sua fervida mente.

Si mise a sedere e raccolse i lunghi capelli in una coda bassa e mal fatta, solo per evitare che le dessero noia al viso; sospirò infine, prendendosi il viso tra le mani.

«Sei tornata tardi.»

La voce di Shiori la fece sobbalzare, facendole produrre un piccolo cigolio del materasso sottostante. Anche lei era a letto, ma sembrava sveglia da molto più tempo; secondo Kushina, era proprio il tipo di ragazza che di solito si può paragonare alla Luna. Era bella, più di tutte le altre sue coetanee compresa lei, un buon ninja e aveva una spiccata intelligenza. Forse un po’ fredda, ma nel complesso era ciò che più si avvicinava alla perfezione.

«Dove sei stata di bello?» continuò Shiori non smettendo di applicarsi lo smalto sulle unghie dei piedi, tranquillamente. Kushina la conosceva abbastanza bene per sapere che le sue erano solo domande di cortesia, perché in verità la compagna di squadra era perfettamente a conoscenza chi aveva incontrato quella notte e dove.

«Se i tuoi occhi potessero parlare, urlerebbero di frustrazione, sai?»

«Dov’è Juro? Abbiamo l’allenamento…»

«Non cambiare discorso.»

Kushina drizzò un sopracciglio stizzita. Non sopportava che qualcuno si facesse gli affari suoi, ma ancora di più non sopportava che qualcuno la obbligasse a parlarne. Si alzò dal letto e senza rivolgere parola alla sua interlocutrice, cominciò a frugare nel suo armadio, alla ricerca della tuta per l’allenamento.

«Invece di evitare di pensarci, parlarne a qualcuno potrebbe essere molto più utile, per trovare le risposte ai tuoi dubbi.»

«Ti ringrazio di tanta generosità, ma non mi serve il tuo supporto psicologico.»

Kushina si tolse di fretta la maglia del pigiama e senza pudori rimase a busto scoperto, mentre cercava di infilarsi il reggiseno in fretta.

Shiori sorrise, soffiando un’ultima volta sulle proprio unghie colorate, e come una ballerina si alzò dal proprio letto, arrivando alle spalle dell’amica. Scostò con gentilezza le sue mani e l’aiutò ad agganciare il reggiseno, indumento ancora angusto per Kushina.

«Dico solo che sei cresciuta. Io me ne sono accorta, Juro e il maestro Akio pure. E ultimamente anche Minato.»

«Non l’ho mai nominato quello, io.»

«Lo so.»

«Come fai a essere così sicura che sia lui, il mio tormento?»

«Segreti del mestiere, Uzumaki.»

Kushina si mise la maglia dell’allenamento, un po’ imbarazzata e con le guance rosse. Non era abituata a questo tipo di discorsi, lei e Shiori non avevano mai affrontato quegli argomenti e non pensava che fosse necessario approfondirli ulteriormente. Cercò di calmarsi, sperando che il rossore apparso sul suo volto fosse già sparito: era giusto mostrare ogni tanto i proprio stati d’animo, ma non davanti a Shiori. Glielo avrebbe rinfacciato a vita.

«Non avevi mai baciato nessuno, vero?»

«Ma che fai, mi segui, dannazione?!»

Kushina le si rivolse scocciata, questa volta seriamente disturbata da quell’aria saccente che aveva la sua compagna.

«Come dicevo prima, tutti si stanno accorgendo che stai crescendo…»

«Mi stai scocciando, non voglio ascoltarti.»

«… l’unica che non si rende conto sei tu.»

Si chiuse i bottoni dei pantaloni con stizza e cominciò a pettinarsi i lunghi capelli rossi.

Shiori si tirò indietro i corti boccoli biondi, sospirando spazientita. Minato era un ragazzo eccezionale, bello e intelligente, il principe che ogni donna avrebbe voluto al proprio fianco; lei compresa era stata conquistata dalla sua persona, era alquanto inevitabile. Kushina poteva averlo.

«Sei una stupida, lo sai?»

«Morirò nella mia stupidità allora.»

«Come vuoi.»

 

La Luna era imperfettamente tonda.

Non brillava come la notte precedente, aveva un biancore pallido, quasi malato, e le stelle intorno ad essa non risplendevano come avrebbero dovuto. C’era solo qualche puntino luminoso, più distante da quel satellite naturale, che invece aveva una luce intensa, gialla, sembrava calda, una piccola pietra d’oro in mezzo a un mare di onde in tempesta, scure.

In mezzo al prato, un albero di pesco riposava silenziosamente e osservava il piegarsi dell’erba al vento estivo; osservava la figura di una ragazza dai capelli rossi che camminava con attenzione, ripercorrendo una scia già tracciata la notte precedente.

Kushina intravide Minato sdraiato per terra e si avvicinò a lui.

Il ragazzo si accorse della sua presenza e si alzò in piedi quando fu abbastanza vicina. Aveva timore di guardarla, paura che il suo sguardo fosse astioso, adirato con lui per ciò che aveva fatto, per quello che aveva spezzato, baciandola.

«Se di nuovo qui.» constatò lei.

«Anche tu.»

E in quell’istante in cui le loro iridi si incrociarono, le mani di Minato si strinsero convulsamente; le labbra di Kushina tremarono appena.

E di nuovo quella strana sensazione di eccitazione, quel groviglio allo stomaco e quel calore che li proteggeva dal freddo esterno tornarono a invadere il loro corpo.

Si avvicinarono senza rendersene conto, tacitamente d’accordo a riprovarci, a voler provare la sensazione di appartenersi, di saggiare le labbra altrui, per verificare se per caso la bocca di Minato avesse trovato la sua gemella in quella di Kushina.

Due centimetri li dividevano, istanti di immobilità assoluta, il respiro che rimaneva sospeso fra le loro bocche, fra le parole che non si erano detti e che potevano tranquillamente aspettare.

Lei si inumidì le labbra, che si schiusero leggere.

Minato si avvicinò, ed ebbe la certezza che non sarebbe stata l’ultima volta.

 

 

 

 

The End

 

 

 

 

 

 

 

 

Note della Squilibrata:

Fic che ha partecipato al contest “MinatoKushina Genin”. E’ arrivata seconda.

Faccio i miei complimenti alla Tya che si è aggiudicata il primo posto e a tutte le altre che hanno partecipato, contribuendo ad aumentare, almeno un poco, le fic su questa bella coppia, sul sito di EFP.

Grazie anche a Mala_Mela e a Rory-chan per aver indetto questo contest.

 

 

Risposte allo scorso capitolo:

hachi92: grazie per i complimenti caraH! Quella fic parlava di fatti realmente accaduti, quindi non posso che essere contenta che la trovi bella come una favola! <3 Non so se sei fan della coppia MinatoKushina, ma spero che leggerai anche questa e magari mi farai sapere. Un bacio!

 

Celiane4ever: Vale, tesoro! Io sarò anche una ragazza che si scorda di tutto e sono molto sbadata (ù_ù), ma anche tu potresti farti sentire, eh! XD Cmq mi fa piacere che ti sia piaciuta la fic e spero che anche questa sia di tuo gradimento, se ti piace la coppia! Fammi sapere, caraH! <3

 

Mimi18: non c’è altro da dire, se non che io sono stata onorata di poter scrivere una tale fic con te protagonista, seppur attraverso Ino. Semmai un giorno la farai leggere ad Andrea voglio sapere la sua reazione, devi promettermelo! XD E anche per il fatto che verrai a trovarmi, maledetta! E sappi che sei sempre nel mio cuoricino, amore della mia vita <3

Dimmi che ti pare di questa, va… non farmi cadere nel melenso! XD

 

Kaho_chan: Kaho! E’ sempre un piacere trovarti fra chi recensisce: non so, dai soddisfazione! XD Sono contenta che ti sia piaciuta e spero che anche questa possa essere di tuo gradimento, se ti piace la coppia <3
Ciao e fammi sapere!  

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Capitolo 6
*** Le donne hanno occhi e orecchie dappertutto! [NejiTen] ***


Alla Mimuccia,

perché è stato il suo compleanno.

Inutile stare a soffermarsi

sul fatto che sono in ritardo di tre giorni,

ma meglio tardi che mai.

<3

 

 

 

 

Le donne hanno occhi e orecchie dappertutto!

 

 

 

 

 

«Mi rifiuto di fare un altro allenamento con Ino.»

«Per quale assurda ragione?»

«No, dico Kiba, l’hai vista?»

Il gruppo di ragazzi si voltò all’unisono in direzione della bionda amica, che non accortasi di tutti quegli sguardi puntati addosso, stava sistemando i fiori fuori dal negozio per l’apertura pomeridiana.

«Eccome se l’ho vista: difficile da non notare.»

Kiba assottigliò lo sguardo, scannerizzando il corpo di Ino dall’alto in basso, non tralasciando nemmeno un centimetro, finché Shikamaru non riportò l’attenzione del ragazzo su di sé con una sonora gomitata ai reni.

«Tu immaginatela in canottiera e in calzoncini, sudata, che si allena.»

«Dico io, lamentati pure!» fu la replica scandalizzata di Kiba. Anche a lui sarebbe piaciuto godere della magnifica visione delle curve di Hinata esposte al sole primaverile, durante gli allenamenti: era sicuro che la compagna di squadra non sarebbe stata seconda a Ino in niente. Ma Hinata era troppo timida per portare un abbigliamento così succinto e così il giovane Inuzuka era costretto a vederla con maglie di due taglie più grandi e pantaloni ginnici che nascondevano le gambe affusolate.

«E così Ino ti distrae…»

«A te non distrae, Cho?»

«Un po’» ammise l’amico, non vergognandosi di tale affermazione, «ma come tutte le cose poi ci fai l’abitudine.»

«Senza contare il pubblico, oltre tutto…» sottolineò Shikamaru, per cercare di portare gli amici dalla sua parte, «… è da non credere la moltitudine di persona che vengono ad assistere ai nostri allenamenti, e non è un caso il fatto che questi sono tutti ragazzi tra i quindici e i vent’anni!»

«Non capisco tutto questo tuo disappunto, onestamente.»

Anche Naruto sembrava essere dalla parte di Choji: lui doveva avere a che far tutti i giorni con i pantaloncini attillati di Sakura che lasciavano ben poco all’immaginazione, ma non si era mai lamentato, anzi. Erano passati i bei tempi, spensierati e ingenui, in cui Sakura gli piaceva per gli occhi verdi, la fronte spaziosa e i lineamenti dolci; adesso altri fattori erano subentrati e troppo spesso doveva controllare la traiettoria dei suoi occhi, che non fissassero per troppo tempo una determinata zona del corpo della compagna.

«Non sopporto la gente che mi fissa mentre mi alleno.»

«Non guardano te, guardano lei.» gli fece notare Neji senza troppo zelo. Si annoiava terribilmente quando finivano col parlare di quegli argomenti: lui non aveva di certo i loro problemi.

«Vi ostinate a non capire.» fu la secca sentenza del Nara.

Per qualche minuto rimasero tutti in silenzio, ognuno preso dal finire la propria bibita ghiacciata. Anche se la primavera era appena iniziata, le giornate erano afose come se fosse piena estate; gli allenamenti diventavano sempre più pesanti e si preferiva oziare all’ombra di un bar che andare fino ai campi d’allenamento a massacrarsi di botte e a riempirsi di polvere e terra.

«Io credo che tu sia sessualmente represso, Nara.»

Cinque teste si girarono verso Shino, che nonostante la temperatura non aveva abbandonato il suo cappuccio sulla testa e la felpa tirata su fin sopra la bocca.

«Come scusa?» chiese Shikamaru, disorientato.

«Sei sessualmente represso.» ripeté l’amico, non muovendosi di un millimetro.

«Da quando sei un esperto in materia, Shino caro?»

«Non sono affari tuoi, Kiba.»

Neji valutò con attenzione quelle parole, non capendo lì per lì il loro nesso con l’intero discorso.

«Dici che Shikamaru è così frustrato perché nel suo inconscio ha desideri sessuali verso Ino?» chiese Choji sporgendosi sul tavolo e guardando Shino sospettoso. Quello annuì con la testa e Akimichi sbatté una mano sul tavolo, soddisfatto.

«Pienamente d’accordo! L’ho sempre detto io!»

Nara guardò scioccato l’amico, mentre gli altri sogghignavano maligni.

«Okay, avete vinto. Supponiamo per ipotesi che Ino mi attragga. Parecchio.» aggiunse Shikamaru subito dopo notando il sorriso sornione di Kiba.

«Non vorrete mica dirmi che sono l’unico. A quanto ne so, nessuno di voi ha concluso sotto quel punto di vista, perciò non fate gli scarica barile!»

«Io non nego!» alzò prontamente la mano Kiba, «Sono aperto a qualsiasi gentil donzella bisognosa di attenzioni.»

«Tu sei un maniaco, non conti.» l’apostrofò Shino.

«E a te è venuta troppa voglia di parlare tutta insieme.»

«Neji…» chiamò Naruto, portando l’attenzione degli altri su di sé, «… qui tu sei il più grande. Come hai gestito la cosa con Tenten?»

La domanda, che al ragazzo biondo sembrava del tutto innocua, procurò uno stato di confusione nella mente di Neji, che adesso guardava i suoi amici con occhi aggrottati.

«Come, prego?»

«Fagli un disegnino, altrimenti non capisce.»

«Kiba, vai a spulciarti altrove, ti va?»

Kiba assottigliò lo sguardo verso Neji, soffermandosi in particolar modo sulle spalle e le braccia muscolose: forse non gli conveniva farlo arrabbiare, era assai più grosso di lui.

«Non nego di avere anch’io qualche problema con Sakura-chan, sotto un certo punto di vista. Insomma, non posso continuare a guardare il suo lato B fino all’infinito!»

Shikamaru  non sapeva se essere rincuorato dal fatto che non fosse l’unico ad avere dei problemi di auto controllo, oppure preoccuparsi che quel qualcuno fosse proprio Naruto.

«E io in cosa dovrei aiutarti?» gli chiese Neji, dubbioso.

«Immagino che anche Tenten durante le giornate torride si denudi un po’…»

«Non più di tanto, credetemi. Lei è una ragazza in gamba che prende seriamente i nostri allenamenti, non pensa a mettersi in mostra con abiti striminziti o cose varie.»

«Quindi non hai mai…» domandò Choji alzando un sopracciglio.

«… fatto pensieri indecenti sulla mia compagna di squadra come voi maniaci repressi sessualmente? No,  sono in pace con me stesso, io.»

E con questo, Neji Hyuuga aveva detto la sua.

 

 

 

Erano due giorni a quella parte che Neji ripensava alle confessioni dei suoi amici.

Lui se ne lavava le mani, non voleva mischiarsi a loro, ma doveva ammettere che tutto quello lo aveva fatto pensare. Aveva diciannove anni, era un ragazzo serio e sì, non era più vergine da diverso tempo ormai. Per lui il mondo non girava intorno alla sua squadra, a Rock Lee, il maestro Gai e Tenten; per lui c’erano i doveri verso uno dei più importanti clan di Konoha, le responsabilità come Jonin e come amico. C’erano state delle ragazze, alcune insignificanti, altre a cui aveva voluto bene davvero, ma che poi pretendevano da lui troppo. Era disgustato a volte da come il gentil sesso avanzasse delle pretese sugli uomini, come se li avessero comprati al mercato!

Il lavoro era una cosa, gli affetti erano un’altra, comunque. Motivo per cui non aveva mai pensato a Tenten come una ragazza. Era carina, gentile, in gamba e non dava problemi; non riusciva a capire perché necessariamente avesse dovuto vederla come oggetto dei suoi desideri. Non c’era una legge scritta che diceva che inevitabilmente i compagni di squadra dovessero stare insieme, frequentandosi e desiderandosi l’un l’altro. Lo trovava assurdo.

Ed era con questi propositi che era giunto al campo di allenamento in quella mattinata torrida, e sempre questi propositi furono mandati a farsi benedire dopo un’ora.

Rock Lee si era svegliato con l’insana voglia di correre quella mattina e stava cercando di stabilire il record di corsa intorno alle mura di Konoha; Neji non aveva avuto niente in contrario, come spesso accadeva si sarebbe allenato con Tenten sullo schivare kunai a carte bombe, ma non aveva messo in conto che il caldo, quando arriva, arriva per tutti.

Tenten si era tolta la maglietta ormai completamente bagnata e l’aveva gettata a terra senza tante preoccupazioni; si era arrotolata i pantaloni fino alle ginocchia e aveva tolto i sandali, rimanendo a piedi nudi sul prato.

Gli occhi di Neji puntarono inavvertitamente al seno non troppo prosperoso che si abbassava e si alzava a un ritmo talmente veloce che credeva che Tenten lo facesse apposta, solo per il gusto di fargli vedere che anche lei era donna. Parecchio donna.

«Qualcosa non va?» chiese la ragazza, sentendo il peso di quegl’occhi bianchi addosso.

«Niente, scusami. Stavo pensando.» biascicò il giovane Hyuuga scuotendo la testa.

Sicuramente tutto quello era dovuto ai quei vecchi bastardi dei suoi amici, che con tutti quei discorsi gli avevano messo la pulce nell’orecchio.

«Fa un caldo insopportabile, vuoi davvero tenerti tutti quei vestiti addosso?» l’innocua domanda di Tenten scatenò tutta una serie di doppi sensi nella testa di Neji, che in silenzio cominciò a togliersi la casacca bianca cercando di focalizzare l’attenzione altrove.

Cominciava a pensare che non ne sarebbe uscito vivo.

«Neji, ti spiace se ci alleniamo sul corpo a corpo?»

Appunto.

«Perché?»

«Semplicemente perché il mio punto debole è la lotta corpo a corpo, non sono abituata. Invece mi sembrerebbe opportuno e utile essere allenata anche in questo.»

Neji vagliò per qualche frazione di secondo quella proposta, arrivando alla conclusione che la ragazza aveva ragione e lui da buon amico non poteva rifiutarsi.

Accettò senza troppo entusiasmo e si posizionarono uno di fronte all’altra, le mani chiuse in pugni e le gambe tese pronte a scattare.

Dopo i primi dieci minuti, Neji capì che Tenten sapeva.

In modi del tutto sconosciuti al genere maschile, la ragazza riusciva a strusciarsi sensualmente a lui, in un modo o nell’altro; dapprima con leggerezza, proprio come se fossero delle piccole casualità, poi sempre con più decisione. In particolare, quando Tenten si fermava a prendere fiato e si poggiava sulle ginocchia, Neji poteva benissimo vedere, attraverso la scollatura della canotta, l’incavo dei seni.

Andarono avanti per un’altra mezz’ora, finché il giovane Hyuuga, spazientito, le bloccò il polso della mano destra, chiusa in un pugno.

«Continuerai ancora per molto?» le chiese quasi adirato, non lasciandola andare.

La ragazza sgranò gli occhi stupita, non capendo.

«Ma non è nemmeno un’ora che siamo qui!» protestò, cercando di sciogliere il polso dalle presa del compagno.

«Tenten, di grazia, mi hai preso per uno stupido?»

«Ma di che stai parlando?»

«Finiscila!»

«Di fare cosa?! E lasciami, accidenti! Mi stai facendo male!»

Neji mollò subito la presa.

«Ti sei ammattito?»

«No, tu ti sei ammattita, tutti mi sembrano ammattiti! Ma sappiate che con me certi giochetti non funzionano!»

«Qual è esattamente il tuo problema?»

Tenten sembrava realmente stupita e lo guardava con rabbia per il modo in cui la stava trattando. Si mise le mani sui fianchi, aspettando impaziente una risposta: non amava quei comportamenti.

«Il mio problema? Ti rendi conto di ciò che stai facendo?»

«Mi sto allenando!»

«No, ti stai strusciando a me!»

«Scusami?!»

Adesso Tenten era indignata, se non addirittura offesa. Neji la guardava in cagnesco, per non dover puntare gli occhi su tutto il resto del corpo.

Era proprio una donna, doveva ammetterlo.

«Il caldo ti sta dando alla testa?» chiese quella, facendo un passo in avanti verso di lui.

«No, sei tu che stai facendo qualcosa che prima non hai mai fatto.»

«E sarebbe? Stai insinuando che ci stia… che so, provando con te? Che stia flirtando con te o qualcosa del genere?»

Neji rimase in silenzio, anche se quello era il pensiero dominante nella sua testa.

«Non so se lo sai, carino, ma io non ho bisogno di ricorrere a certi trucchetti per far cadere un uomo ai miei piedi.» continuò la ragazza, questa volta offesa nell’orgoglio.

Si portò a pochi centimetri da Neji, guardandolo risoluta dal basso. Lui fissò i suoi occhi castani, per non dover vedere altro.

Restarono una buona decina di secondi in quella posizione, a fissarsi a vicenda, senza dire una parola, quasi a trattenere il respiro; ci fu quell’istante in cui Neji dischiuse leggermente la bocca e il suo fiato accarezzò le labbra di Tenten e l’alchimia cominciò a fare il suo percorso. Si baciarono, come se per tutta la loro vita non avessero aspettato altro, mordendosi le labbra, lasciando che le loro lingue si inseguissero, si cercassero, come due amanti che fanno l’amore in un groviglio di lenzuola. Neji la sollevò per la vita e impacciato camminò verso la quercia sotto alla quale avevano posato i vestiti e l’attrezzatura; l’adagiò contro il tronco e finalmente fece vagare le mani su quel corpo così invitante che gli aveva fatto perdere il controllo. Le toccò il seno diverse volte attraverso la fine stoffa della canotta, massaggiandoglielo e toccandole i capezzoli che per l’eccitazione si erano induriti.

A Tenten mancò il respiro, sentì le labbra umide di Neji che con fervore le baciavano il collo, scendendo sulle spalle; le sue mani grandi e callose scesero lungo i fianchi, toccandole le cosce e il fondoschiena. La ragazza era consapevole che presto avrebbe ceduto e sarebbero finiti col fare l’amore proprio lì, incuranti di tutto e tutti. Cercò con fatica di ribaltare le posizioni, spingendo Neji contro il tronco dell’albero, cominciando nuovamente a strusciarsi addosso a lui. Lei si stava eccitando come non mai e voleva essere sicura che anche il suo compagno provasse le stesse emozioni.

Si avvinghiarono nuovamente, le mani che s’intrufolavano ovunque, toccavano ogni centimetro di pelle nuda sia dell’uno che dell’altra; nonostante il caldo, avevano i brividi in tutto il corpo.

Neji si staccò da Tenten per qualche secondo, prendendo aria con profondi respiri e afferrandole il viso con le mani, guardandola negli occhi. Non si era mai soffermato troppo su quelle iridi castane, ma in quel momento gli parevano i più begl’occhi che avesse visto in vita sua.

«Che c’è?» chiese Tenten ingenuamente e non senza arrossire, sfiorando le proprie labbra con quelle del ragazzo, sentendo i loro profumi che si mescolavano.

«Ho voglia di fare l’amore con te. Adesso.»

Neji era sempre schietto, anche in quelle circostanze, ma era una delle tante qualità che Tenten apprezzava nel ragazzo.

Lo baciò di nuovo e con mosse volutamente sensuali a calcolate giocherellò per un po’ con il bordo dei suoi pantaloni, mentre lui giocava con i suoi capelli, le baciava la fronte.

«Sai Neji…» disse, sorridendogli, «… credo che per quello dovrai aspettare.»

Il giovane Hyuuga si bloccò all’istante, guardando la compagna interrogativamente, sperando di aver capito male.

«Come?»

«Hai sentito, caro. Chi troppo vuole, nulla stringe.»

Tenten si allontanò da lui come se niente fosse; raccolse le sue cose, ricomponendosi i chignon disfatti e arruffati, rimettendosi la maglietta e i sandali. Neji era rimasto fermo e immobile al suo posto, eccitato come non mai, confuso da quel comportamento. Che avesse sbagliato qualcosa? Avevano appena passato dei minuti da favola, si erano voluti, desiderati, c’era stata una forte attrazione da entrambe le parti. Perché non voleva continuare?

«Tenten…» la chiamò ancora, vedendola in procinto di andarsene, «… stai scherzando, vero?»

Sperò con tutto il cuore che fosse così, non poteva lasciare le cose a metà.

«Per niente. Ci vediamo domani.» salutò Tenten disinvolta, avviandosi verso l’uscita del campo d’allenamento.

Il giovane Hyuuga indossò nuovamente i suoi abiti di fretta e furia, volendo andare a fondo a quella storia. Non permetteva a quella ragazza di sedurlo, fargli perdere la testa e lasciarlo in quel modo come se niente fosse stato; non lo avrebbe permesso.

Mentre tentava di abbottonarsi in maniera dignitosa la casacca bianca, Tenten si voltò per l’ultima volta verso di lui, sorridendo furba e sorniona.

«Un’ultima cosa, Neji, un consiglio. La prossima volta che voi maschietti sessualmente repressi  desiderate parlare dei vostri problemi ormonali, evitate di farlo davanti al negozio di Ino.»

Sconvolto, Neji la vide sculettare strafottente mentre se ne andava, e si sentì un vero allocco.

Le donne hanno occhi e orecchie dappertutto.

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Oh. Oh. Oh.

Dire che mi sono divertita a scrivere questa fanfic è poco. La posto veramente col sorriso sulle labbra, perché è proprio venuta come volevo: semplice e tranquilla, simpatica a modo suo, senza pretese. Ebbene sì, mi piace. E spero che piaccia anche a quella piattola della Mimi, dato che è per lei, e a tutti voi che avete letto, ovviamente.

Auguri amyketta mia <3 Ti amoH anche con qualche ruga in più *beve thè*

 

 

 

Lee

 

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Capitolo 7
*** Heart Breaker [KibaHina] ***


Spin off di “Teenagers – A new day has come” di Mimi18. Non necessita la lettura di quest’ultima per capire la trama, ma io la consiglio vivamente, se amate il rosaH.

 

 

 

Alla Mimuccia,

perché mi ha prestato gentilmente

metà del suo neurone,

dato che il mio è scappato

abbandonandomi al Destino Infausto.

Ciccio, torna a casa, per carità!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Amore è una parola troppo grande.

Non sai mai quando arriva, ma quando passa ti lascia segni indelebili

sulla pelle, nella mente, nell’anima.

Amore ti acceca, ti accarezza, ti fa battere forte il cuore, ti fa vedere le cose

sotto una prospettiva perennemente felice.

Ma Amore, quando ti abbandona, ti distrugge.

 

 

 

 

 

H e a r t  B r e a k e r

 

 

 

 

 

Kiba osservava Hinata di nascosto, quando erano in classe.

Non per la paura di essere beccato da un professore, e neanche per la preoccupazione che un compagno potesse vederlo e poi sfotterlo a morte. Semplicemente perché era più bello in quel modo.

Gli piaceva guardare il suo profilo elegante e raffinato, come quello di una principessa: il naso fine e dritto, le guance rosa e un po’ pallide, la carnagione chiara, le labbra fini e rosse come ciliegie. La frangia che le accarezzava le ciglia, i capelli ormai lunghi, lisci, che le coprivano la schiena e si muovevano con leggerezza quando dalle finestre aperte entrava un po’ di vento. I suoi occhi erano socchiusi, mentre con la testa Hinata viaggiava lontano dalla lezione, dall’aula, da tutti, perfino da Kiba. E lui si era chiesto più volte cosa le frullasse per la testa, voleva sapere ogni cosa di lei, a cosa pensava.

Non lo seppe mai, neanche quando un pomeriggio d’inverno decisero di mettersi insieme.

Kiba era consapevole che fino a quel momento, nel cuore dell’amica, c’era sempre e solo stato Naruto; sapeva che c’era una buona percentuale che lei lo rifiutasse, ma questo non lo aveva fermato dal rivelarle i suoi sentimenti. Erano anni che andava avanti quell’amore nascosto e non corrisposto, anni in cui la gelosia lo aveva corroso fin nel profondo, anni in cui riceveva i suoi sorrisi sinceri e pieni di affetto, che lo facevano morire. Hinata non aveva mai saputo l’effetto devastante che aveva su di lui.

Kiba non l’aveva premeditata quella dichiarazione: gli era venuta all’improvviso, dal cuore, senza una ragione, un perché. Era bastato vederla avvolta nella giacca, con la sciarpa che le copriva anche il naso, mentre lo aspettava dagli allenamenti. Lei aveva il club di musica che la impegnava fino a tardi, e gli faceva piacere tornare a casa con lui, quando potevano.

Con ancora indosso la tuta da calcio e un asciugamano sulle spalle, Kiba le si era avvicinato, notando le mani rosse per il freddo della ragazza.

«Fa un freddo cane, potevi andare a casa invece di aspettarmi.» Le aveva fatto notare con gentilezza, sentendosi in colpa.

«Non importa Kiba, a me fa piacere. E poi non ho così freddo, è solo una tua impressione.» Rispose Hinata ridendo, cercando di nascondere l’evidenza. Mai una volta da quando la conosceva, Kiba l’aveva vista arrabbiarsi con qualcuno. Se ci fosse stata una qualsiasi altra ragazza al suo posto, per esempio Sakura o Ino, quella avrebbe sbuffato scocciata, lo avrebbe accusato della sua poca sensibilità, montato su una discussione infinita su nemmeno lui sapeva cosa. Invece Hinata era semplice, aveva l’innata attitudine a farsi piacere le persone indistintamente, a non dare fastidio al prossimo, ad aiutare gli altri quando ne avevano bisogno.

«Hinata, io ti amo.» Glielo disse con la stessa delicatezza con cui le chiedeva di comprare una bottiglia di acqua durante la pausa pranzo. Non si rese nemmeno conto della sue parole, fino a che non vide gli occhi cerulei della ragazza spalancarsi dallo stupore.

«Come, scusa?» Chiese frastornata lei, mentre le guance assumevano un insolito colore rosso.

«Cioè, io… oh, accidenti!» Imprecò Kiba, prendendosi la testa tra le mani. Non era certo così che se l’era immaginata quella dichiarazione, nelle sue fantasie più intime c’era una stupenda premessa di parole dolci, sorrisi, e carezze; dopo, lui le prendeva il viso fra le mani e le dichiarava tutto il suo affetto, con gli occhi lucidi di sentimento e passione. Lei annuiva con piccoli “Oh, Kiba-kun!” e si lasciava baciare, come nella migliore delle favole. A quel punto le fantasie di Kiba assumevano una piega alquanto erotica e poco pudica, che difficilmente si sarebbero avverate, se non con un miracolo.

«Mi spiace, Hinata.» Si ritrovò a dire con la testa bassa.

«Pe-per cosa? Non hai fatto niente di male…»

«Non era certo così che… insomma, scusa. Dimentica tutto, sono un vero impiastro.»

Adesso sul volto di Hinata non solo c’era sorpresa, ma anche smarrimento, dubbio.

«Kiba, tu… ecco, hai detto una cosa molto bella.» Gli disse Hinata, ormai il viso paragonabile solo al pomodoro più maturo. Non sapeva neanche lei cosa dire, come comportarsi, come tirarlo su di morale.

«Se ti fa piacere, io… io posso dimenticare come mi hai chiesto, ma solo a una condizione.»

Kiba la guardò aggrottando le sopracciglia, mentre con la mente voleva già essere scappato lontano.

«Che tu a tua volta dimentichi ciò che sto per dirti…» Hinata prese un profondo respiro, mente i battiti del cuore non accennavano a diminuire e la testa le girava come una trottola, accaldata, «… anche tu mi piaci, Kiba.»

Nel ricordare questo episodio, al giovane Inuzuka sarebbe piaciuto raccontare che i due, scopertosi innamorati, suggellarono la loro unione con profondo bacio. Ma Hinata da sempre era stata una ragazza fragile e vulnerabile, e presa dalle forti emozioni a cui era stata sottoposta all’improvviso, svenne nelle braccia del ragazzo. E quello, come un principe azzurro, distendendola sul letto dell’infermeria, aspettò che la sua Bella Addormentata aprisse gli occhi per donarle finalmente il tanto agognato bacio che entrambi aspettavano.

 

Non sono mai stato bravo con le parole.

E anche tu, con la tua timidezza, spesso e volentieri non riuscivi a esprimere

i tuoi sentimenti.

Ma stavamo bene così, avevamo imparato a conoscerci così bene,

che ci capivamo con uno sguardo, con un gesto.

La prima volta che abbiamo fatto l’amore, Hinata, mi sono

sentito finalmente vivo.

Prima di te ho avuto altre ragazze che hanno occupato il mio letto,

e solo a pensarci mi vergogno come un ladro,

perché non le amavo, le usavo per colmare il vuoto che mi lasciavi nel cuore, tutte le volte che ti vedevo con Naruto.

 

Quel giorno c’era qualcosa di strano nell’aria.

Forse era la primavera appena arrivata, con quell’aria frizzante e quel vento caldo e piacevole che metteva di buon umore tutti; Kiba non poteva saperlo, ma stava bene quel giorno, si sentiva carico e pieno di energie e credeva che niente e nessuno potesse rovinargli quel momento di benessere.

«E così, Shikamaru, hai concluso…» Ridacchiò Choji, attirando su di sé l’attenzione dell’intera squadra. L’interpellato nascose il viso verso il basso, armeggiando con le stringhe delle scarpette da calcio per guadagnare tempo e sperando che i suoi compagni non avessero capito l’allusione di Akimichi.

«Che cosa hai concluso, Shikamaru?»

«Non credo che siano affari che vi riguardino.» Rispose il giovane, maledicendo Choji con uno sguardo assassino.

«Io credo, invece, che questi siano anche affari di Ino, dico bene?» Kiba mostrò i canini nel sorridere sornione, mentre gli amici ridevano complici e segretamente desiderosi di sentire le confessioni di Nara.

«Abbiamo fatto sesso, contenti?! Siete insopportabili.» Sbottò Shikamaru esasperato, non potendo evitare che le guance gli si tingessero leggermente di rosso. I compagni di squadra se ne accorsero, aumentando il suono delle risate e degli schiamazzi.

«E così anche il nostro cervellone non è più vergine! Meno uno, chi manca adesso?» fece Kiba, puntando i propri occhi su Neji. Quello non disse niente, tornando a bere dalla bottiglietta d’acqua minerale, chiaro segno che con lui il giovane Inuzuka non avrebbe trovato altro sano pettegolezzo.

«Direi che manca il nostro buon vecchio Naruto… oppure ci nascondi qualche ragazza nell’armadio?»

Il biondo fece un sorriso di circostanza, mettendo in mostra i denti bianchi, cercando di far sviare l’argomento su qualcos’altro. Ma Kiba aveva ingranato la marcia e niente poteva distrarlo dal suo piccolo divertimento personale, punzecchiare i compagni sulla loro vita privata.

«Andiamo, volpacchiotto! Non mi dirai che ti stai conservando per Sakura?!»

«Perché probabilmente lei non si sta conservando per te…» Aggiunse Shikamaru a malincuore, senza cattiveria.

Ma Naruto non sembrava particolarmente colpito dalla questione, era soltanto… a disagio? Fu quello che dedusse Neji, osservandolo attentamente dalla panchina su cui si era seduto affaticato.

«Dunque c’è stata qualcuna, Naruto! Dai, dicci chi è!»

Kiba a volte era più insistente e fastidioso di una piattola. Il giovane Uzumaki si ostinava a non spiccicare parola, stranamente timoroso, e Neji cominciò a capire perché.

«Kiba, lascia perdere…» consigliò al ragazzo, colto da un moto di pietà non tanto verso di lui, quanto per i suoi nervi.

«E dai, non sei curioso? Naruto, parla!»

Anche Shikamaru e Choji capirono che se Naruto non parlava (il che era strano, proprio lui che non teneva mai la bocca chiusa), era perché la ragazza in questione, al momento, usciva con qualcuno di loro lì presenti. E non fu difficile scoprire chi.

Kiba perse il suo sorriso, quando notò i compagni, a disagio proprio come Naruto, cercare di sviare la sua attenzione sulla faccenda.

Gli fu piuttosto semplice fare due più due.

«Sei stato con Hinata.» Affermò con risolutezza, guardando l’amico biondo che, messo davanti all’evidenza, alzò lo sguardo, sinceramente mortificato.

«Kiba, è successo parecchio tempo fa. Lei non…» Non fece in tempo a concludere la frase che un cazzotto gli arrivò dritto allo zigomo sinistro, facendolo indietreggiare di diversi passi.

«Kiba, no! Accidenti, che seccatura!» Imprecò Shikamaru avvicinandosi al compagno con tutto l’intento di calmarlo, ma quello lo ignorò, buttandosi a capofitto contro Naruto, intraprendendo una rissa coi fiocchi, di quelle che si vedono solo nei film.

Naruto rispondeva come meglio poteva agli attacchi del compagno, cercando però di non fargli male: conosceva quella rabbia, la gelosia, un sacco di volte l’aveva provata lui stesso quando vedeva Sakura che se ne andava con Sasuke.

«Siete impazziti?!» Un urlo stridulo arrivò dalle tribune e la coda fluttuante di Ino Yamanaka si fece largo tra la folla, guardando con occhi sbarrati la scena che le si presentava davanti.

«Neji, sei grande e grosso, dividili!» Sbraitò Tenten, sconvolta, pregando tutti i santi che conosceva che nessun professore si accorgesse di quello che stava capitando: tutti i presenti sarebbero finiti nei guai.

Neji, aiutato da Kankuro, prese Kiba per le spalle, cercando con fatica di trattenere la sua furia.

Era stato sciocco e forse un po’ scontato da parte di Kiba pensare che Naruto non avesse avuto rapporti con altre ragazze. Era stato ancora più stupido non accorgersi che l’unica ragazza ufficiale del biondo era stata proprio Hinata.

La sua Hinata.

Questo pensiero non lo fece calmare, tutt’altro lo fece arrabbiare ancora di più, dimenandosi con violenza dalla stretta dei compagni.

Naruto, affaticato e malconcio, respirava a fatica, trattenuto per una spalla da Gaara; con la coda dell’occhio vide la figura di Sakura che si allontanava da loro e si maledì per tutto quel putiferio. La vide sfrecciare al di là del cancello del campo, andando a imbattersi proprio in Hinata Hyuuga, trafelata, che correva come non aveva mai corso in vita sua verso di loro.

Anche Kiba seguì lo sguardo del biondo e i suoi occhi si incontrarono con quelli bianchi della ragazza, che non ci mise molto a capire cosa stesse capitando.

Avrebbe voluto dire qualcosa, chiedere a Kiba di ragionare e di parlarne, evitare che cominciasse a picchiare anche gli altri, ma all’improvviso fu superata da Hatake-sensei che senza troppe cerimonie prese i due giovani per le maglie e li trascinò all’interno dell’edificio scolastico.

Sarebbe svenuta nuovamente, se il senso di colpa non le avesse attanagliato così forte lo stomaco, tanto da non riuscire a muovere un muscolo.

 

Quel pomeriggio sono crollate tutte le mie certezze.

Eri sempre la mia dolce Hinata, quella ragazza fragile e delicata che tutte le volte

che la baciavo arrossiva come una bambina.

Eri sempre la mia Hinata, ma in un modo diverso.

Non ero arrabbiato con te, e nemmeno con quella testa quadra di Naruto;

ero soltanto geloso e invidioso, perché non mi sono mai reso conto che in tutti questi anni, mentre io mi distruggevo per un amore che credevo impossibile,

tu vivevi la tua vita, facevi le tue esperienze.

Mi dispiace, per non essere un fidanzato migliore.

 

Hinata aprì piano la porta del tetto, notando la figura di Kiba seduta a terra, che fumava una sigaretta con tutta tranquillità. Indossava ancora la tuta da calcio, sporca di terra, erba e sangue.

«Possiamo parlare?»

Lui non le disse niente, limitandosi soltanto ad alzarsi in piedi.

«Non… non volevo che lo sapessi in questo modo.»

«A quanto pare non volevi nemmeno che lo sapessi.» Le rispose in tono acido, tirando una lunga boccata di fumo. Era rimasto un’ora dentro l’ufficio di Tsunade-sama, sorbendosi una paternale infinita sul perché era sbagliato fare a botte, che la violenza non porta alla soluzione dei problemi. A lui non fregava trovare una soluzione, voleva solo sfogare la rabbia e la delusione che in quel momento portava dentro di sé.

Si era sempre rassegnato al fatto che il primato del cuore di Hinata lo detenesse Naruto: era un dato di fatto e non poteva farci niente. Ma almeno sperava che il primato di fidanzato, quello serio con cui una ragazza decide di diventare donna, spettasse a lui. Ed era sciocco prendersela per una cosa del genere, lui che di ragazze ne aveva avute parecchie; ma Hinata era diversa, tutto quello che aveva fatto con lei era stato diverso.

Era stata la prima ragazza a cui aveva detto di amarla.

La prima con cui aveva immaginato di fare l’amore.

L’unica con cui si vedeva per il resto della vita.

«Kiba, io… io non voglio giustificarmi per quello che ho fatto. Tu… noi… eravamo amici, all’epoca.» Fece una pausa, cercando le parole giuste per non ferirlo. Non poteva negare il fatto che prima avesse amato un’altra persona, non poteva assolutamente farlo.

«Siamo stati insieme per tre mesi, e io volevo sinceramente bene a Naruto. Ne ero innamorata, Kiba. Lui… lui mi voleva e mi vuole bene, certo, ma non mi ama e mai lo farà.»

«Mi stai dicendo che si è approfittato di te?» Chiese l’Inuzuka con una punta di rabbia.

«No! Per carità… Kiba, non volevo dire questo! Insomma… avevamo quindici anni e… lui era intraprendente, curioso. Non sai quante volte, dopo che io e te ci siamo messi insieme, Naruto mi abbia detto che se avesse potuto tornare indietro, non avrebbe rifatto lo stesso errore. Ti vuole bene, è un tuo amico.»

Kiba non sembrava del tutto convinto. Continuò a non guardarla negli occhi, spengendo sotto la scarpa la sigaretta ormai consumata.

Hinata si contorceva le mani, pensando e ripensando cosa avrebbe dovuto dire per fargli capire meglio la posizione difficile in cui si trovava.

«Kiba, lui è stato il primo ragazzo a cui ho voluto bene, il primo che mi ha trattata come una ragazza, una donna, e non soltanto come l’impacciata cugina di Neji Hyuuga. Ma tu… sei una cosa differente. Se non fosse così, a quest’ora non starei con te.»

Il ragazzo alzò gli occhi, osservando che il cielo era diventato scuro e che il sole era ormai prossimo al tramonto. Il vento aumentò, sollevando di poco la gonna di Hinata, che non si curò di tenerla ferma con le mani.

Kiba le si avvicinò, fermandosi a pochi centimetri dal suo corpo che tremava impercettibilmente; le spostò la frangia con le dita, posandole un bacio leggero sulla fronte, come un fratello fa con la propria sorellina.

«Kiba…»

«Torna a casa. Voglio restare solo.»

«Kiba, non puo-»

«Sono confuso, Hinata. Non cercarmi. Io… devo riflettere.»

La ragazza tirò su col naso, non dando però segno di voler piangere. Tornò sui suoi passi, si fermò, e nuovamente tornò da Kiba, che con sguardo spento osservava ogni suo più piccolo movimento.

«Ti amo.»

In tanti mesi in cui si erano frequentati, era la prima volta che Hinata glielo diceva. Si era sempre limitata a un “ti voglio bene” sincero, che a lui era sempre bastato.

In tanti mesi in cui si erano frequentati, fu la prima volta che Kiba non le rispose.

 

Hinata, ti ricordi quel giorno che siamo stati al mare?

Abbiamo passeggiato per un’ora sul bagnasciuga, poi ti ho sollevata su una spalla

e vestita ti ho buttata in acqua.

Tu sei riemersa sconvolta, circondata dalle bollicine, non riuscendo a credere che avessi osato fare una cosa del genere.

Hai cominciato a schizzarmi e alla fine sei riuscita a trascinarmi in acqua a con te, ridendo come non ti avevo mai sentito ridere da quando ci conosciamo.

E’ grazie a questi piccoli ricordi che mi rendo conto che forse, quella sera sul tetto della scuola, i tuoi sentimenti erano sinceri e non dettati dal caso,

dalle circostanze.

E quella tua dichiarazione è mille volte più vera e sincera di tutte le mie messe assieme.

Sei cresciuta prima di me e io nemmeno me ne sono accorto.

Mentre tu diventavi grande,

io restavo ancora un bambino che si divertiva a fare le risse con gli amici.

 

Il tempo di essere Peter Pan è finito.

E’ ora di crescere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note di una che non sa cosa ha scritto:

Questa fanfic è stata scritta parecchie settimane fa e non ho avuto il coraggio di rileggerla, prima di postarla. Non mi sembra neanche niente di eccezionale, ma è la prima KibaHina che scrivo e dato che di fic su di loro ce ne sono poche (con molto rammarico), ho deciso di dare il mio piccolo e insignificante contributo alla causa.

Si ringrazia infinitamente Akami per il betaggio.

 

 

 

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