Asteria -il pianeta dei dieci elementi- di SagaFrirry (/viewuser.php?uid=819857)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** II- prescelti ***
Capitolo 3: *** III- il viaggio comincia! ***
Capitolo 4: *** IV- Oscurità ***
Capitolo 5: *** V- Acqua ***
Capitolo 6: *** VI- ghiaccio ***
Capitolo 7: *** VII- Aria ***
Capitolo 8: *** VIII- Elettricità ***
Capitolo 9: *** IX- Luce ***
Capitolo 10: *** X- Fuoco ***
Capitolo 11: *** XI- Metallo ***
Capitolo 12: *** XII- Terra ***
Capitolo 13: *** XIII- Roccia ***
Capitolo 14: *** XIV- Evocazione ***
Capitolo 15: *** XV- finale-personaggi-extra ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Asteria:
il pianeta dei dieci
elementi
PROLOGO
Asteria.
Io sono nato nel
Regno della Luce del pianeta Asteria. I suoi dieci territori, che
precisamente
e perfettamente dividono l’intera superficie del Mondo in
dieci spicchi uguali,
facendolo rassomigliare ad una grossa arancia, per me sono un
impeccabile
esempio di come natura, magia ed umanità possano convivere.
Luce,
Fuoco, Metallo, Terra,
Roccia, Oscurità, Acqua, Ghiaccio, Aria ed
Elettricità possiedono ugual misura
di territorio e potere sul pianeta, con un regno proprio, una capitale
ed un
re. L’Oscurità si estende su un lato che
raramente, quasi mai, è illuminato da
Sirona, la nostra stella. Al contrario, il regno della Luce non
è mai
abbandonato dai suoi raggi.
Il
dominio del Fuoco si
estende lungo uno spicchio ricco di vulcani attivi e calore vivo.
Metallo e
Fuoco sono due territori alleati, dando il primo la materia prima ed il
secondo
la temperatura necessaria per forgiare armi e moltissime altre cose che
poi
vengono rivendute lungo tutto il Pianeta. La Terra è la zona
più fertile di
Asteria, l’Acqua il suo oceano…ogni regno
è importante quanto pericoloso, se
dovesse dominare sugli altri. Per questo, laddove questi spicchi si
incrociano,
su due punti lungo l’asse dell’Equatore, sono stati
eretti tempo fa due edifici
identici, custoditi da creature gemelle e potenti, figlie della magia
stessa di
Asteria. Leggende narrano che la loro nascita risale al giorno della
creazione.
Sono magia ed energia pura, e per questo al di sopra d'ogni re,
principe, o
abitante del Mondo. Il loro compito è mantenere
l’equilibrio fra le diverse
forze e fare in modo che nessuno prevalga sull’altro. Ruolo
infelice e
complicato, a mio avviso, essendoci odio e fastidio più che
evidente fra
diversi reami. Solo grazie alla loro grande forza ed
autorità riescono a
prevalere. Sono potenti. Potenti ma vincolate all’edificio
che le ospita per
volontà della divinità creatrice del Pianeta. La
loro libertà, infatti,
creerebbe uno scompenso nel perfetto gioco di forze di Asteria che
diverrebbe
difficile da gestire. Non hanno un nome, o perlomeno io non ne sono a
conoscenza. Gli abitanti di questo Mondo si limitano a chiamarli il
“Signore
dell’Est” ed il “Signore
dell’Ovest” e anche questa definizione immagino sia
relativa, non essendoci cartine ufficiali di Asteria ma solo piantine
singole
per ogni regno e quindi soggette a diversi punti di vista. In effetti,
potrei
lavorarci io su un progetto del genere…
Mi
chiamo Efrehem e, come
detto prima, sono un abitante del regno della Luce.
Ho
avuto la fortuna di nascere
in uno dei territori più pacifici del pianeta, essendo i
suoi abitanti
illuminati non solo dalla luce di Sirona ma anche dalla forte luce
della
conoscenza e passiamo più tempo sui libri a studiare
piuttosto che a pensare ad
altro, tipo dominare il Mondo. Questo non è un aspetto
sempre positivo, come
potete pensare…ho avuto modo di provare sulla mia pelle che
solo con la lettura
e lo studio non si arriva lontano come precedentemente credevo.
Stiamo
un po’ per conto
nostro, non partecipiamo attivamente alla maggior parte di
ciò che accade per
Asteria. Possiamo definirci
“neutrali”…anche se credo che
“menefreghisti” sia
il termine giusto. Altri, come gli abitanti del Fuoco, ci definirebbero
“codardi”.
Immagino
che il nostro temperamento
dipenda molto anche dalla divinità che regna sul nostro
spicchio di pianeta.
Ogni elemento ne ha uno, anch’esso motivo di guerra e
bisticci di varia natura
fra abitanti di credo diverso, e molti tendono ad ignorare che a
dominare su
tutto c’è la Creatrice, colei che ha dato vita
fisicamente ad Asteria, per poi
darla in “affidamento” a diversi suoi colleghi. Di
certo gli elementi e le
divinità influiscono sul nostro carattere e, ovviamente, sul
nostro aspetto
fisico. Pur avendo una “base” comune, ogni regno ha
una tipologia specifica di
abitante che si differenzia dagli altri. Alcuni per
un’inerzia, come il
Ghiaccio dove le differenze sono per lo più interne per
permettere di
sopravvivere alle basse temperature, altri sono difficilmente
classificabili come
esseri con un corpo specifico, come gli abitanti del mondo
dell’Oscurità, che
son poco più che ombre con gli occhi.
Di
certo queste differenze non
aiutano a creare una convivenza pacifica, ma alimentano la paura e la
diffidenza. Per questo, nella maggior parte dei casi, i regni non hanno
contatti fra loro ed ognuno provvede per sé, senza correre
il rischio di
incappare in “incidenti diplomatici” con
conseguente rissa fra regnanti e
richiamo finale dei Signori dell’Est e dell’Ovest.
Solo la loro presenza ha
evitato ad alcuni elementi di non autodistruggersi dopo
l’ennesima guerra. Ce
ne sono state ma, come detto, per fortuna non hanno mai toccato il
regno della
Luce, protetto più che mai dai due Signori perché
custode di moltissimi libri e
conoscenze preziose. Siamo, diciamocelo, un po’
privilegiati…chi penso io del
regno del Metallo userebbe un termine molto meno elegante, che ha a che
fare
con la parola “raccomandati”, ma leggermente
più volgare.
Questa
è la storia di un
viaggio, un viaggio che ha cambiato tutti coloro che lo hanno
intrapreso ed il
Pianeta stesso. Ogni cosa ha preso una via differente da quel giorno
non molto
lontano, che sia verso il positivo o il negativo ancora non lo so. So
solo che
la mia vita, come quella di molto altri, è mutata
radicalmente e ancora mi
batte forte il cuore al solo ricordo di tutto ciò che io ed
i miei compagni
abbiamo vissuto.
Tutto
è iniziato in uno dei
palazzi sopraccitati, uno di quelli costruiti sul punto di incontro dei
dieci
regni, precisamente nella dimora di colui che noi abitanti della Luce
definiamo
il Signore dell’Est.
I
Il
palazzo del Signore
dell’Est era di forma circolare e di color grigio chiaro,
illuminato da fievoli
candele lungo le zone prive di finestre. Ozymandias, re
dell’Oscurità, risiedeva
nell’unico punto in cui non vi era nessuna apertura
né luce e restava immobile,
in attesa di un qualche evento che spezzasse il silenzio. I dieci
regnanti dei
dieci diversi spicchi di Asteria erano stati convocati in
quell’edificio
neutrale, suddiviso anch’esso in dieci parti uguali. I
loggioni in cui erano
accomodati erano rialzati, permettendo una visuale completa degli altri
reali
presenti, e sufficientemente distanziati in modo da evitare ogni
contatto
fisico fra i partecipanti di quella riunione straordinaria. Ognuno di
loro
poteva accedere all’unica sala tramite una stretta scala in
pietra che si
presentava davanti a loro dopo una porta ad arco, di cui solo il
regnante aveva
la chiave. Le dieci porte avevano dieci colori diversi, più
per dare un tocco
artistico alla cosa che per una reale ragione, così anche le
chiavi avevano
forme, consistenza e colorazione differente. I presenti le portavano al
collo,
legate ad una pesante ed elegante catena in tinta. Zameknenit, il
giovane re
del regno dell’Aria, era il più nervoso. Si
guardava attorno con i suoi occhi
blu scuro, come spaventato per ciò che poteva accadere.
Quella era la sua prima
convocazione presso uno dei Signori e non sapeva cosa aspettarsi.
Inoltre non
amava molto restare a lungo in luoghi troppo chiusi e
quell’edificio, a suo
avviso, non aveva sufficienti finestre. Notò lo sguardo
d’odio e fastidio che
gli stava rivolgendo Vehuya, il re del Fuoco, e la cosa lo
innervosì ancora di
più. Si passò le mani fra i capelli rossi, che
gli si rizzavano sulla testa in
ciuffi appuntiti, e si accorse che l’unico rumore che si
poteva udire erano le
piume che aveva sulle braccia, di colore verde, che sfregavano sulla
pietra
della semisfera che lo ospitava. Si impose di non muoversi
più ed incrociò le
mani fra loro.
“Non
volare via, pulcino” lo
schernì Vehuya, con un largo sorriso.
Zameknenit
non rispose, si
limitò a lanciargli a sua volta un’occhiataccia.
Anche perché aveva davvero il
desiderio di volare via dalla finestra che aveva alle
spalle…poteva farlo, le
sue braccia alate glielo permettevano, ma continuò a
ripetersi nella testa di
non farlo e rimase seduto.
La
risatina di Vehuya lo
irritò ancora per un po’ e riecheggiò
nell’edificio. Gli occhi rossi di
quell’uomo erano inquietanti e spiccavano sul suo viso, pieno
di cicatrici ed
incorniciato da una massa di capelli scuri, tenuti assieme in una
treccia. Non
dimostrava l’età che aveva, almeno una settantina
d’anni, quasi il doppio di
Zameknenit che ne aveva poco più di trenta.
“Suvvia,
Vehuya! Non prendere
in giro il povero Zameky…è solo un
ragazzo!” parlò Jovihann, la regina del
Metallo.
“Zameky??!!”
si indispettì il
re dell’Aria a quelle parole.
“Hai
ragione, mia alleata…”
convenne Vehuya, ignorando il fastidio del giovane, lanciando
un’occhiata alla
regina che lasciava trasparire di che tipo di alleanza ci fosse fra di
loro
“…non ne vale la pena. Stuzzicarlo non
dà soddisfazione”.
“Non
avere paura, Zameknenit.
Non accadrà nulla di pericoloso…”
tentò di tranquillizzarlo Midir, regina della
Terra, ma il signore dell’Aria si mostrò offeso
dal suo atteggiamento
iperprotettivo ed incrociò le braccia, borbottando un
“io non ho paura” poco
convinto.
La
regina non parve apprezzare
quel gesto e si rabbuiò, infilando parte della testa nella
sciarpa che portava
attorno collo per il freddo. Socchiuse gli occhi viola ed
iniziò una serie di
esercizi di respirazione per ritornare alla sua solita calma.
“Io
mi sto annoiando…”
protestò Taranis, il re del regno
dell’Elettricità, famoso per non riuscire a
stare fermo per troppo tempo.
“Come
sempre…” ribatté
Nerektan, regina dell’Acqua.
“Non
serve stuzzicare!” le
fece notare Rocana, signora del Ghiaccio.
Eranoranhan,
il re della
Roccia, spaparanzato sul suo seggio di pietra, evitava di guardare
verso il
basso per non pensare al fatto di essere sospeso per aria dentro un
semiuovo
grigio. Si limitava ad osservare gli altri senza dire una parola,
attento a non
innervosirsi troppo o perlomeno di non farlo notare agli altri.
“Ma
è vero…non ha capacità di
controllo!” sbottò Nerektan, riferendosi al re
dell’Elettricità.
“Non
sono affari tuoi!” sibilò
Taranis, facendo scintillare qualche piccola scossa fra i suoi capelli
zigzagati e fluttuanti, di colore quasi bianco.
“Non
serve che fai pesare a
tutti che ti annoi, come fai ad ogni riunione!”
rimbeccò l’Acqua.
“Fai
a meno di venire, madama
pesce!” si limitò a dire Taranis, incrociando le
braccia e riferendosi alla
pelle squamata della regina Nerektan.
“Ma
come ti permetti di
commentare l’aspetto degli altri tu, che sembra ti sia
infilato le dita nella
presa della corrente?!” commentò Rocana.
“Parla
quella che va in giro
come una puttana in saldo” borbottò Jovihann,
tintinnando con tutti i
braccialetti e le catene di metallo che portava alle braccia.
“Io
sono vestita poco, carina,
perché sono abituata a temperature ben più basse
di quella che c’è qua dentro!
E comunque pensa per te…sembri un fantasma con tutte quelle
catene…dove tieni
la palla al piede? E quand’è che te ne vai
passando attraverso il muro?” le
urlò la signora del Ghiaccio.
Ozymandias
scoppiò a ridere. E
scese il silenzio. La risata del re dell’Oscurità
era inquietante, profonda e
vibrante. Nascosto nell’ombra della sua postazione, si poteva
vedere solo la
luce argentea dei suoi grandi occhi leggermente sporgenti.
Friedrik,
re della Luce,
sospirò. Si reggeva gli occhiali con la mano destra e
guardava fisso verso
l’alto, in cerca di un qualche aiuto nascosto
chissà dove.
“Problemi,
Friedrik?” parlò
Ozymandias.
“Certo,
mio caro. Non è
possibile che riusciate sempre a trovare una qualsiasi stupidaggine per
poter
litigare. Mai una riunione in cui non saltano fuori beghe o
risse…è possibile
che ciò accada almeno per una volta? Una convocazione in cui
possa regnare la
pace?”.
“Certo
che no, Friedrik! Siamo
elementi opposti, contrastanti, nemici! È normale che
litighiamo! Per non
contare tutto ciò che è successo nel
passato…” commentò Vehuya, lanciando
uno
sguardo infuocato a Zameknenit, che si accucciò
inconsciamente, fra le risatine
di Ozymandias.
“Siete
dei bambini” scandì bene
Midir.
“Non
so come non darVi
ragione, regina della Terra” fu la risposta di Friedrik.
“Lecchino.
Cosa speri di
ottenere alleandoti con la Terra?” insultò
Jovihann.
“Di
certo non quello che
ottieni tu con il Fuoco…e poi dai a me della
puttana!” ribatté Rocana.
“Quanto
casino inutile…”
parlottò Eranoranhan.
“Hai
detto qualcosa, re dei
sassi?!” si sentì dire dall’angolino in
cui si era rannicchiato il re
dell’Aria, che meglio di chiunque altro riusciva ad ascoltare
le voci ed i
suoni che si propagavano nel suo elemento.
Il
re della Roccia rimase
immobile, consapevole delle conseguenze che poteva provocare un suo
attacco
d’ira, con la sua grossa corporatura e con i muscoli dello
stesso materiale del
suo elemento sovrano, con un colore quasi uguale alla semisfera che lo
conteneva.
“Basta!”
tuonò qualcuno.
Tutti
si guardarono, pronti a
controbattere, ma pareva che nessuno di loro avesse aperto bocca.
“Sono
stato io a parlare”
continuò la voce.
Proveniva
dal basso e tutti,
tranne Eranoranhan, che soffriva di vertigini, si sporsero per vedere
da dove
provenisse. Dal punto d’incontro di tutti gli spicchi dei
dieci regni, ben
tracciati sul pavimento, stava emergendo una figura.
“Il
Signore dell’Est?” azzardò
Zameknenit.
“Esatto,
re dell’Aria. Non ho
mai avuto il piacere di incontrarVi precedentemente, dato che questa
è la
Vostra prima riunione. Condoglianze per Vostro padre, era un grande re.
Io sono
il Signore dell’Est. Benvenuti, tutti quanti, nella mia
dimora, nella mia
prigione, nel mio territorio… Come sempre vi trovo a
litigare fra di voi…”.
“Se
no che divertimento c’è…?”
commentò, sarcastico, Ozymandias.
Il
padrone di casa scosse la
testa, con un mezzo sorriso. Era tutt’uno con il pavimento
sottostante e si
muoveva come se fosse una massa informe. Vagamente si intuiva quale
fosse la
sua testa, anche se si distinguevano chiaramente gli occhi, che
mutavano
continuamente di colore. La bocca la si poteva intravedere solo quando
l’apriva
per parlare. Guardò tutti i presenti, in modo da zittirli
del tutto, incutendo
in loro il rispetto ed il timore che voleva e meritava. Quando
finì di
emergere, pur rimanendo senza stacchi dal suolo, era ben visibile da
tutti i
reali anche se questi restavano seduti, come preferiva fare il re del
regno
della Roccia. Nessuno parlò per alcuni minuti, forse una
tecnica del padrone di
casa per valutare se erano in grado di non litigare e fare silenzio.
“Come
in ogni altra occasione
in cui vi ho convocato, non è per giocare o per fare quattro
chiacchiere.
Sapete bene che queste riunioni non sono piacevoli, né per
me né per voi.
Oserei dire che vi detesto sotto certi aspetti…sempre a
litigare per delle
quisquilie e non notate le questioni e i problemi molto più
importanti che vi
circondano”.
I
presenti si guardarono fra
loro con aria interrogativa, riuscendo a non parlare. Di solito
venivano
chiamati per sedare guerre e situazioni delicate che, però,
al momento, non
c’erano. Era una cosa piuttosto rara ma, da una decina di
anni, non vi erano
guerre su Asteria.
“A
cosa Vi riferite?” ebbe il coraggio
di chiedere Friedrik.
Il
re del regno della Luce si
trovava nel punto più luminoso della stanza, anche
perché emetteva luce lui
stesso, ed era il più anziano dei presenti. Per questo,
probabilmente, aveva
avuto la forza di azzardare una domanda. Fissava, con i suoi grandi
occhi
arcobaleno, il Signore dell’Est in attesa di risposta. Il
Signore rispose al
suo sguardo e gli sorrise. Il re si sistemò la barba bianca
e contraccambio il
sorriso.
“Friedrik,
caro mio…come va in
famiglia? Ti trovo…invecchiato”.
“Perché
siamo stati
convocati?” insistette il re della Luce.
“Ricordi
la prima riunione a
cui tu fosti presente?”.
Friedrik
annuì, nonostante
fossero passati più di cinquant’anni.
All’epoca era un ragazzo che sfiorava i
vent’anni di vita e di certo l’agitazione di quel
giorno non l’aveva scordata.
“Quel
giorno vi avevo
convocato per stabilizzare la situazione fra Ghiaccio e
Roccia…” quella frase
provocò uno sguardo d’odio fra i due
rappresentanti di quegli elementi “…e feci
una cosa che calmò gli animi. Te la ricordi?”.
“Sì…con
le loro magie, creaste
una cosa meravigliosa. Una pietra trasparente, pura, grande, luminosa e
bellissima, a dimostrazione che con l’uso della magia
avrebbero potuto plasmare
qualcosa di stupendo insieme, invece di tentare di distruggersi a
vicenda”.
“Bravo.
Hai buona
memoria…ebbene, una cosa del genere non mi è
più possibile farla”.
“Ma…come…”.
Il
Signore dell’Est si allungò
in modo da sembrare provvisto di braccia e le puntò verso il
rappresentante
della Roccia e la regina del Ghiaccio. I due urlarono, avvertendo
chiaramente
che il Signore ne stava risucchiando la magia, e non riuscirono ad
opporre
resistenza. Fra le due escrescenze simili a braccia si
iniziò a formare una
forte luce, che fece ringhiare di fastidio il re
dell’Oscurità, e si formò una
pietra bellissima ma molto piccola.
“Che
significa? Perché una
pietra così? L’altra volta era parecchio
più grossa” volle sapere Friedrik.
“Lo
so bene. Non è colpa dei
due regnanti e nemmeno mia. È il pianeta stesso che ha
qualcosa che non và”.
La
risposta e la reazione dei
presenti si espresse in un mormorio vago, parlottando fra loro o con il
vicino
più prossimo, in cerca di risposte, pronunciando delle
domande che non avevano
il coraggio di rivolgere al Signore dell’Est, nessuno
alzò la voce.
“Come
vi dicevo prima…”
riprese il padrone di casa, dopo aver riassorbito le braccia ed
adagiato in
terra la piccola pietra “…se non foste
così impegnati a bisticciare fra di voi,
vi sareste accorti di queste discrepanze nella magia.
All’inizio erano piccole
ed ignorabili, ma ora sono davvero fastidiose per
l’equilibrio di Asteria. Ho
atteso e sperato che la cosa si sistemasse da sola ma, vedendo che la
situazione peggiorava invece di migliorare, vi ho convocati tutti
quanti”.
“E
noi…che cosa possiamo
fare?” azzardò Zameknenit, mostrandosi
preoccupato.
La
magia era una componente
fondamentale nella vita di ogni singolo abitante del Mondo e creava non
poco
disagio l’idea che potesse non essere più
disponibile oppure che mutasse,
creando qualcosa di distorto rispetto al passato.
“Giusto…che
possiamo fare? E a
cosa sono dovute queste discrepanze?” aggiunse Taranis,
mandando brevi
scintille elettriche tutt’attorno alla sua postazione.
“Sì,
e quali conseguenze
porteranno?” domandò Nerektan, stringendo fra loro
le mani palmate, mostrando
la sua evidente agitazione.
Il
Signore dell’Est non
rispose subito. Questo aumentò la tensione fra i regnanti,
che iniziarono a
guardarsi fra loro con sospetto, pronti ad accusarsi a vicenda di ogni
cosa.
“Se
la situazione dovesse
restare l’attuale…” si decise, infine, a
parlare la creatura dell’Est
“…cioè se
la magia continuasse a degenerare e diminuire a questo ritmo,
perché è questo
sostanzialmente ciò che sta accadendo, giungeremo ad un
punto di non ritorno.
Questa forza così importante per noi tutti, finirebbe col
compromettersi e
danneggiarsi irreparabilmente, portando pessime conseguenze ad Asteria
ed a
tutti i suoi abitanti. Vi ricordo che tutto
questo…” parlò ruotando gli occhi,
riferendosi all’intero pianeta “…si basa
su delicati equilibri magici”.
Fece
una pausa, più lunga
delle precedenti.
“Sì
ma…noi che dovremmo fare?”
sbottò Ozymandias, spazientito da tutti quei silenzi,
tamburellando le dita
d’ombra sulla roccia.
“Dobbiamo
intervenire subito,
prima che sia troppo tardi”.
“Come?”
incalzò il re
dell’Oscurità, essendosi il padrone di casa di
nuovo fermato.
“Io
ed il mio gemello, il
Signore dell’Ovest, siamo giunti alla stessa soluzione.
È pericolosa, e non
sappiamo a quali reali conseguenze porterà, ma abbiamo
vagliato ogni possibile
soluzione e questa è l’unica via che abbiamo per
uscirne”.
“Spiegati.
E si sa quali siano
le cause?”.
A
parlare era stato
Eranoranhan, re della Roccia, che sapeva di non essere in grado di
restare
calmo ancora a lungo.
“Le
cause sono i mezzosangue”
affermò l’Est, quasi con solennità.
“Mezzo
cosa??!!” quasi urlò
Zameknenit, per la prima volta convinto di non aver sentito bene.
“Mezzosangue.
Creature figlie
di due diversi elementi”.
“Possibile?!
Possono nascere
ed esistere creature simili?” si stupì Midir.
“Madama
della Terra, possono
esistere e ne esistono. Da quanto ne so e mi è dato sapere,
non sono nemmeno
tanto poche. Altrimenti l’equilibrio magico non sarebbe
così pesantemente
compromesso. O sono tante, o sono molto potenti. In entrambi i casi
è meglio
intervenire”.
“Le
uccidiamo tutte?” propose
Taranis, sempre piuttosto sbrigativo.
“Ma
no, stupido!” lo
contraddisse Ozymandias “E se poi ce ne sono altre nascoste?
Meglio catturarne
un gruppetto e torturarle, in modo da essere sicuri di averle
sterminate
tutte!”.
“Nessuna
di queste è la
soluzione!” li fermò il padrone di casa, con uno
sguardo di vivo rimprovero.
“Ma…come
possono esistere
simili creature? Chi le ha generate?” si informò
Friedrik, il più curioso e
desideroso di ampliare le proprie conoscenze fra i presenti,
com’era tipico
degli abitanti del regno della Luce.
“Evidentemente
le avete
generate fra di voi!” sbottò il Signore
dell’Est, ma si corresse subito notando
come tutti si stessero per accusare “Non fra di voi in senso
stretto! Intendo
dire che, fra la popolazione dei vostri regni, ci devono essere stati
dei
contatti. Alcuni elementi si combinano particolarmente bene assieme,
come
Roccia e Terra o Ghiaccio e Acqua, e devo dire che le loro unioni non
sono
motivo di grosse preoccupazioni”.
“Allora
dove sta il problema?”
disse Vehuya, impetuoso come il suo elemento di fiamma.
“Il
problema sta nelle unioni
non compatibili. Finché parliamo di Acqua e Ghiaccio non si
hanno grossi
scompensi perché entrambi si basano sugli stessi principi
magici. Ma se ad
unirsi e generare sono, ad esempio, Roccia ed Aria, la cosa si fa
più
complicata perché si viene a creare la coesione di due magie
opposte che si
devono fondere per poter convivere in quella creatura, provocando gli
scompensi
di cui prima parlavo”.
Zameknenit,
re dell’Aria, ed
Eranoranhan, re della Roccia, si guardarono quasi con disgusto.
“Come
può una leggiadra
creatura dell’Aria unirsi con un sasso ambulante
com’è un qualsiasi abitante di
Roccia?” si domandò Zameknenit.
“Sì,
infatti. Una cosetta
insignificante nata nell’Aria non può di certo
sopravvivere ad un rapporto con
una Roccia. Si spezzerebbe subito” convenne Eranoranhan.
“Sentite…non
mi riguarda come
la cosa avvenga fisicamente…ma in qualche modo è
successo e fra elementi molto
distanti fra loro, se non opposti, che hanno provocato queste correnti
avverse
al normale flusso di energia, indebolendo tutta la magia del
pianeta” concluse
il Signore dell’Est, abbassandosi leggermente, come ad
indicare che era stanco
di discutere.
Gli
opposti nella sala si
fissarono, in silenzio, lasciando spazio a mille domande. Poteva il
calore e
l’irruenza del Fuoco unirsi al freddo ed alla
staticità del Ghiaccio? O la
luminosa Elettricità avere qualcosa a che fare con la
profonda Oscurità? Nessuno
poteva realmente crederci ma, se era il padrone dell’Est a
dirlo, dovevano
crederci e fidarsi.
“Forse
è colpa
dell’Oscurità…quelli sono famosi per
essere degli incantatori” azzardò
Jovihann, rompendo il silenzio e dicendo ciò che in molti
pensavano.
“Ma…come
osi?!” ringhiò
Ozymandias, mostrando tutta la sua ira alla regina del Metallo,
aumentando il
volume dell’ombra che lo componeva.
“Suvvia,
Ozymandias…lo sai
meglio di me che sei in grado di mutare il tuo aspetto a tuo
piacimento. Puoi
ricreare perfettamente chiunque di noi con il corpo. Inoltre siete fra
i più
abili nella manipolazione delle arti magiche. Riuscireste facilmente a
convincere chiunque che siete una creatura diversa da quello che
siete”.
“Perché
dovrei mutare per
andare ad infilarmi nel letto di uno qualsiasi di un’altra
razza? La mia mi sta
benissimo! Tu, piuttosto, sei famosa per i tuoi rapporti diciamo
amichevoli con
Vehuya…”.
“Dove
vuoi andare a parare?”
si insospettì Vehuya.
Ozymandias
fece per ribattere
ma non sapeva come. Era consapevole che quelli della sua specie,
volendo,
avrebbero potuto effettivamente mutare ed era inutile pensarla
diversamente.
Riguardandosi si resero conto che nessuno poteva chiaramente
dichiararsi esente
da colpe per tutta la sua gente. Era un problema comune che richiedeva
una
soluzione comune.
“Qual
è la soluzione?” mormorò
Friedrik, alzatosi in piedi e tenendo le braccia incrociate.
La
sua corona bianco latte
brillava, illuminata dalla luce che entrava dalle sue spalle e che
creava lui
stesso, spiccando sui capelli una volta biondi, ora quasi del tutto
dello
stesso colore della corona. Aveva un’aria solenne e
preoccupata. Vehuya imitò
il suo gesto, alzandosi a sua volta, e giocherellando con la lunga
barba scura
ed intrecciata, incalzando il padrone di casa a fornirgli una soluzione
al
problema. Quasi tutti si alzarono, tranne il re della Roccia che
restava ben
ancorato al suo trono, in attesa delle parole dell’Est, che
però tardavano ad
arrivare.
“Tutto
questo necessita
un’alleanza” furono le parole del Signore, seguite
da un altro, interminabile
silenzio, che irritò tutti i reali, compresi quelli famosi
per la loro pazienza
come Midir e Nerektan.
Iniziarono
guardarsi fra loro,
perfino la Roccia ora era in piedi. Come potevano creature
così diverse anche
solo pensare di allearsi? Erano nemici fin dalla nascita di Asteria,
come
potevano andare d’accordo? E qual’era il piano dei
due Signori, di cui il
padrone di casa stesso aveva paura di parlare? Si fissavano. Occhi
infuocati,
profondi, sporgenti, enormi, coloratissimi, vuoti,
argento…solamente notando le
differenze nei loro sguardi capivano che un’alleanza era
impossibile. Erano
troppo diversi. Appartenevano a razze troppo distanti fra loro per
cooperare.
Gli Alati dell’Aria, con le loro piume che spuntavano sulle
braccia riccamente
tatuate, potevano davvero avere buoni rapporti con la pelle che pareva
di
pietra degli abitanti della Roccia? E tutti gli spuntoni metallici che
si
presentavano sul corpo della popolazione del regno di
quell’elemento come potevano
sintonizzarsi con la guizzante elettricità che sempre
circondava quelli come
Taranis? Le squame, il colore bluastro e tutte le creste, membrane e
pinne
dell’Acqua, cosa avevano a che fare con le piante, i fiori ed
i germogli che
presentava la Terra sulla pelle? No, giunsero alla conclusione che
erano troppo
diversi per pretendere di collaborare pacificamente. Il Signore
dell’Est parve
intuire quei pensieri perché parlò come se le
loro menti avessero pronunciato
apertamente quel concetto.
“Che
vi piaccia oppure no, mi
spiace, ma dovete allearvi. È l’unico
modo”.
“Ed
il piano qual è?” parlò
Rocana.
“Non
spetta a voi portarlo a
termine. Voi siete i regnanti di questo Mondo ed il vostro compito
è fare ciò
che avete fatto fin ora: i re e le regine. Siete stati scelti per
governare
perché i più forti, dal punto di vista magico e
fisico, chi più da un lato e
chi più dall’altro, fra la vostra gente e questa
forza si trasmette,
generazione dopo generazione, tramite il vostro sangue. Intraprendendo
il
viaggio che sto per proporvi, vi allontanereste per troppo tempo e si
creerebbe
il panico”.
Si
fermò un attimo per
riprendere fiato, apparentemente, in realtà voleva
verificare le varie reazioni
fra il suo “pubblico”. Si decise a riaprir bocca
quando noto gli sguardi d’odio
che gli stavano lanciando i convocati.
“Ciò
che dovete fare e
scegliere, fra la vostra discendenza o fra chi vi è
più vicino, guardie del
corpo o potenti soldati ad esempio, una persona adatta ad intraprendere
un
difficile viaggio attorno al pianeta, assieme ai nove rappresentanti
degli
altri regni, per portare a termine la missione che, forse, ci
permetterà di
rimettere in ordine Asteria”.
“Di
che missione si tratta?”
domandò Taranis.
“Anche
se voi non ne venite a
conoscenza non ha importanza. Sappiate che dovranno raggiungere i
luoghi
proibiti e se falliranno non avremo altre
possibilità”.
Gli
sguardi allarmati dei
regnanti fecero sorridere il Signore dell’Est, quasi
sadicamente. Sapeva quanto
terrore provocava in ognuno di loro le parole “luoghi
proibiti”.
“Avete
un mese di tempo a
partire da oggi” riprese a parlare “Scegliete
colui, o colei, che riterrete più
idoneo a questo delicato compito. Fra un mese esatto li attende mio
fratello,
il Signore dell’Ovest, per mostrar loro la missione nei
dettagli”.
“Che
caratteristiche deve
avere il prescelto?” domandò la regina della Terra.
“Forza,
coraggio,
determinazione, magia, rapidità, destrezza,
intelligenza…dev essere ciò che
meglio personifica il vostro elemento. Ricordate che faranno parte di
una squadra
e quindi, di conseguenza, non crucciatevi troppo se presentano anche le
lacune
tipiche della gente che rappresenta. Si aiuteranno a vicenda”.
I
re e le regine presero
tutti, contemporaneamente, un’espressione dubbiosa.
“Ad
esempio, Friedrik, so bene
che i rappresentanti della Luce non sono bravi a combattere. Ma sono
molto
intelligenti e la presenza di una creatura, con la conoscenza che so
che alcuni
di voi possiedono, sarà molto importante ai fini della
missione. Perciò trova
il più intelligente e preparato fra di voi e mandalo dal
Signore dell’Ovest. So
che in quel gruppo ci sarà l’aggressivo, il
paziente, il freddoloso, il
coraggioso, l’impetuoso…ogni caratteristica
è importante. Scegliete bene.
Magari fra i membri della vostra famiglia, che possiedono la forza
magica più
grande fra la popolazione”.
“Ma…non
tutti hanno familiari
da poter scegliere…” parlò Zameknenit.
“Scegliete
chi vi pare. Basta
che corrisponda alle caratteristiche della vostra gente. E Voi, re
dell’Aria,
non avete Vostro fratello?”.
“Non
so se è il caso che…”
iniziò il re ma fu interrotto.
“Basta,
sono stanco” sbottò il
padrone di casa “Andate, scegliete, fate un po’
come vi pare. Che mandiate
vostro figlio, vostra figlia, il vostro amante, il migliore amico o il
bastardello di qualche serva non mi riguarda. Fra un mese esatto,
però, tutti e
dieci devono essere presenti al cospetto del Signore
dell’Ovest. Adesso sparite
dalla mia vista e smettetela di avere istinti omicidi nei confronti dei
mezzosangue…alla Creatrice non piacciono!”.
Detto
questo scomparve
lentamente, ridivenendo tutt’uno col pavimento e con il resto
del Mondo. Scese
il silenzio, i re e le regine, dopo un sospiro ed un ultimo sguardo
verso il
punto dove un tempo c’era il Signore dell’Est, se
ne andarono. Lentamente, e con
migliaia di domande senza risposta nella mente, scesero le scale e
chiusero la
porta di quell’edificio grigio, senza notare i confinanti che
facevano lo
stesso, e si apprestarono a tornare alla loro capitale, ognuno con i
propri
mezzi, rimuginando su chi scegliere per salvare Asteria ed i suoi
abitanti.
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Capitolo 2 *** II- prescelti ***
II
Il
primo a giungere a casa, a
Bahram, la propria capitale, fu Zameknenit. Gli era mancato il suo bel
regno,
il suo palazzo, la sua popolazione. Volando, grazie alle sue braccia
alate,
atterrò agilmente, lasciando dietro di sé qualche
piuma verde. Gli edifici
delle creature dell’Aria non presentavano mai enormi
coperture ma prevalevano
gli archi, le grandi finestre ed i tetti quasi del tutto inesistenti.
Personalmente, il re dell’Aria preferiva le grandi volte in
vetro spesso, per
proteggersi dalla pioggia e dagli eventuali attacchi ma, con un
complesso
sistema ad incastri, riusciva ad avere solo il cielo sopra la testa
perché il
tetto in vetro si apriva. In quella bella giornata luminosa, i tetti di
tutto
il palazzo reale erano aperti ed il re atterrò nella grande
sala del trono, fra
i suoi archi, le sue volte e le vetrate colorate, circondato dalle sue
guardie
del corpo. Lo avevano scortato lungo tutto il viaggio, di andata e
ritorno, ma
se ne andarono subito, appena atterrati, in seguito ad un gesto del re.
Si
stiracchiò, sedendosi sul
trono, seguendo con gli occhi blu i disegni arancio che portava tatuati
lungo
tutto il corpo. Vestiva con una canotta nera, aderente, con evidenti
cuciture
di colore diverso, che lasciava libere le braccia piumate, e pantaloni
rosso
acceso, come i capelli del re. Chiuse gli occhi, riposandosi dal lungo
viaggio.
Tolse la corona e la appoggiò su un piccolo sgabello
apposito con un bel
cuscino imbottito. Dopo qualche minuto si udì un lieve tocco
alla porta.
Zameknenit rizzò le piccole orecchie a punta e, tenendo gli
occhi chiusi,
concesse il permesso di entrare a chi bussava, con un
“Sì” convinto ed un
borbottio di protesta sottovoce.
“Siete
tornato, mio signore”
si sentì dire.
“Nèxus!
Mio consigliere…sono
lieto di vederti. Stavo per mandarti a chiamare”.
“Va
tutto bene?” si preoccupò
il consigliere.
Era
una persona anziana, con i
capelli grigi, le folte sopracciglia e due baffi con pizzetto. Era
vestito
elegante, di scuro, con un alto colletto chiaro. Le ali le aveva rosse,
sgargianti, intonate con gli occhi verdi. Serviva la famiglia reale fin
da
giovane, era alle dipendenze del padre e ora stava accanto al figlio.
Lo aveva
visto nascere e lo accudiva con affetto, soprattutto ora che non aveva
più i
genitori. Lo guardò con apprensione, quasi paterna.
“Tutto
bene, non serve che ti
preoccupi tanto per me. Non sono più un bambino! Ho passato
i trent’anni!”
ridacchiò Zameknenit, osservando il suo consigliere con un
sorriso.
“Allora
perché stavate per
chiamarmi?”.
“Piantala
di darmi del Voi! Te
l’ho detto un milione di volte!” la voce del re ora
era seccata.
Nèxus
non rispose subito.
Rimase in piedi accanto al suo sovrano seduto sul trono.
“Cosa
posso fare per Voi,
Signore?”.
Zameknenit
sospirò. Un po’ per
la cocciutaggine del suo consigliere ed un po’ per il ricordo
delle parole del
Signore dell’Est. Attese un attimo, cercando le frasi
migliori per spiegare
l’accaduto e nel frattempo guardava le colonne attorcigliate
del suo palazzo.
Raccontò i tratti principali di quella riunione, sorvolando
su alcuni dettagli
ma rimarcando sugli aspetti fondamentali del discorso.
“Quindi
dovete scegliere la
persona adatta per una missione delicata…”.
“Sì,
infatti. Mi è stato
suggerito di mandarci mio fratello ma…non credo sia il
caso”.
“Forse
dovreste chiederglielo.
Il Vostro gemello ritengo possa scegliere da solo cosa fare. Di certo
ha la
prestanza fisica e le capacità necessarie per una cosa del
genere”.
“È
pericoloso, Nèxus. E lui si
è risvegliato da troppo poco”.
“Ciò
che è successo è
gravissimo ma è un adulto, non potete tenerlo al guinzaglio.
Dovreste proporgli
la cosa. Se poi non se la sente, sceglierete con un diverso criterio.
Non avete
altri parenti in vita…”.
“Lo
so bene! È per questo che
non voglio se ne vada! Lui è tutto quello che
ho…ho già rischiato di perderlo
una volta e non gli permetterò di infilarsi in altri
guai”.
“E
come credi di impedirmelo?
Rinchiudendomi in gabbia come un canarino?” si
sentì da un punto imprecisato
dell’immenso salone.
“Aherektess,
fratello mio, sei
tu?”.
“In
persona, gemellino…”.
Il
gemello del re era
appollaiato su una delle aperture a bifora, evidentemente dopo essere
sceso
dall’arco in pietra che copriva un tratto della sala, dove
era contenuto il
vetro per chiuderla. Era rimasto nascosto, ascoltando tutta la
conversazione,
ed ora si era sentito pronto ad intervenire.
“Lasciaci
soli, Nèxus” ordinò
Zameknenit e il consigliere uscì con un inchino.
“Lo
sai, Areky, che non è
educazione origliare” parlò il re, quando fu solo
con il gemello.
“E
tu lo sai che non è
educazione prendere le decisioni per gli altri?”.
“Sono
un re…è il mio
compito!”.
“Non
per tutti. Non ti
permettere di scegliere ancora per me”.
La
determinazione del fratello
stupì Zameknenit, che non rispose ed attese che il gemello
si avvicinasse alla
sua postazione, rimanendo seduto sul suo trono dorato. Aherektess
scese, con
gli stivali neri che ticchettarono sul pavimento azzurro a decori
geometrici
bianchi lucidi. Avanzò fra le colonne e raggiunse il
fratello, dopo essere
salito lungo i pochi scalini che rialzavano il trono dal suolo, fino a
fermarvisi di fronte, con le mani sui fianchi e le gambe leggermente
divaricate.
I
due gemelli avevano colori
speculari, come speculare era l’orecchino d’oro che
portavano. Aherektess, con
l’anello sull’orecchio sinistro, aveva gli occhi
rossi, come i capelli del
fratello, e la capigliatura blu scuro come le iridi del gemello. Le sue
piume
erano arancio e i tatuaggi, identici a quelli di Zameknenit, spiccavano
sulla
pelle chiara con il loro colore verde scuro.
Camminando,
i lunghi capelli
blu non si mossero. A differenza di quelli del re, presentavano un
ciuffo che
gli copriva parte del viso e non erano sparati in aria,
bensì ricadevano fino a
circa la fine della schiena, terminando con punte regolari.
I
capelli degli abitanti del
regno dell’Aria non si scompigliavano mai.
Era
vestito di scuro, con la
canottiera identica a quella del fratello, per lasciare libere le
braccia, ma
con dei decori argento. I pantaloni grigi coprivano la parte alta degli
stivali
neri ed erano sorretti da una grossa cintura da cui si poteva
intravedere il
fodero di un pugnale, da cui Aherektess non si separava mai. I due
gemelli
portavano lo stesso segno sulla fronte, una specie di V, dello stesso
colore
dei tatuaggi. Erano entrambi piuttosto magri, con degli zigomi alti ed
un naso
aquilino piuttosto particolare. Impossibile non capire che erano
gemelli.
Aherektess
incrociò le braccia
ed attese spiegazioni dal fratello, che si limitò a
guardarlo dal basso
restando seduto.
“Tutto
ciò che ho fatto fin
ora è stato proteggerti, Areky” parlò,
calmo, il re.
“Non
mi serve la tua
protezione” sibilò, di risposta, il principe.
“Ti
sei svegliato solo di
recente da un lungo coma, non hai idea di come sia fatto il Mondo. Non
potrei
mai permettere che ti accadesse altro…”.
“Per
quanto tempo intendi
stressarmi con questa storia del coma?! Mi sono svegliato, ok? E questo
è
successo più di un anno fa. Questa faccenda del viaggio mi
piace. Avrei l’occasione
di misurare me stesso, allontanarmi un po’ da qui, riprendere
per davvero il
contatto con la realtà. E poi non troverai nessuno
più adatto di me ad una
missione del genere”.
“Come
puoi credere di esserne
in grado? Fino a qualche mese fa facevi fatica perfino a
correre!”.
“Ora
sto bene. E voglio essere
io il prescelto per il nostro regno. Ho bisogno di andarmene da qui,
passare
del tempo altrove…”.
“È
per via di Miya?”.
“Per
lei e per altro. Lasciami
andare”.
“No.
Non ne sei in grado e
questa è la mia decisione definitiva”.
Aherektess
indietreggiò di
qualche passo, scendendo dai gradini, senza parlare.
“Cerca
di capirmi, fratello…lo
faccio per il tuo bene! Vedrai che…”
iniziò a dire Zameknenit ma fu costretto a
fermarsi, perché il gemello gli stava puntando il pugnale
alla gola, dopo un
agile salto.
“Che
intendi fare?” mormorò il
re, tentando di ostentare calma e sicurezza “Lo sai che mi
basta urlare e
subito sarai circondato dalle guardie”.
“E
cosa credi di ottenere con
un gesto del genere? Io ti avrò accoltellato prima del loro
arrivo e non
potranno più farmi niente perché sarò
io il nuovo re. Ti ricordo che siamo
rimasti solo noi di sangue reale…non farmelo versare
inutilmente”.
“Vuoi
uccidermi? Arriveresti a
tanto?”.
“No.
Voglio sfidarti. Ti voglio
dimostrare che sono più forte e preparato di quanto tu possa
credere. Accetti
la mia sfida?”.
Il
re annuì ed il gemello
ripose il pugnale nel fodero, prima di sganciarlo e gettarlo a terra,
ad
indicare al fratello che voleva uno scontro ad armi pari. Zameknenit si
alzò e
raggiunse il gemello giù dagli scalini, scendendoli
lentamente. Non apprezzava
l’idea di combattere contro il fratello ma quello era
testardo, lo era sempre
stato, e doveva accontentarlo per fargli capire come stavano le cose.
Si preparò
a combattere, concentrandosi per richiamare l’energia magica
di cui voleva far
uso. Aherektess fece lo stesso, avvolgendosi in una corrente di luce
magica di
colore blu elettrico, esattamente come i suoi capelli. Cominciarono ad
affrontarsi, dopo un grido che allarmò parecchio le guardie,
che entrarono nel
salone. Controvoglia non intervennero, dovettero lasciare la stanza per
ordine
del re. Aherektess scattò in avanti, cogliendo di sorpresa
il fratello che si
aspettava un combattimento a distanza con il solo uso della magia. Si
ritrovò a
terra dopo un poderoso calcio del gemello. Gemette, per la sorpresa e
per la
brutta sensazione che gli dava scivolare sul marmo con la pelle nuda, e
si
rialzò subito, accigliandosi. Se Aherektess voleva il gioco
duro, sarebbe stato
accontentato! Avrebbe avuto pane per i suoi denti. Si
avventò sul fratello e lo
colpì alla spalla con un pugno. Tentò di
afferrargli il braccio ma non ci
riuscì perché questi lo schivò
facilmente e lo fece sbilanciare. Il re non
cadde, girò su se stesso e parò un altro colpo
che altrimenti lo avrebbe
ributtato a terra. Stese il braccio e una scintilla di magia
andò quasi a
segno, Aherektess però fu più veloce e non si
fece neppure sfiorare. Con un
balzo all’indietro, Zameknenit si allontanò dalla
traiettoria delle sfere
magiche del gemello. Questi prese il volo, con un poderoso battito
delle
braccia, e si fiondò su di lui urlando. Il sovrano
saltò e riuscì ad afferrare
il suo avversario, buttandolo a terra. La reazione fu immediata:
Aherektess si rialzò
e ricominciarono a lottare velocissimi, in una lunga sequela di calci,
pugni e
colpi magici. Nessuno dei due sembrava prevalere sull’altro,
e questo stupì
parecchio Zameknenit ma, dopo quasi un’ora di lotta, il re
commise un errore.
Il fratello lo colpì più forte, forse richiamando
a sé le ultime scintille di
energia, e lo mandò a tappeto.
“Mi
arrendo…” ansimò
Zameknenit, notando che il gemello aveva impugnato un’altra
volta il pugnale e
lo teneva nuovamente vicinissimo alla giugulare del parente.
“Bravo…”
rispose Aherektess,
ansimando dalla fatica pure lui e sogghignando dalla soddisfazione
“…anche
perché se no ero costretto a dire a tutti che, anche se
siamo gemelli, sono
nato qualche minuto prima di te e quindi il trono è
mio”.
Zameknenit
rimase sconcertato
da quelle parole e rimase a bocca aperta.
“Tranquillo…”
aggiunse il
fratello dai capelli blu “…non ci tengo a
diventare re. Ora ricomponiti…e dai
ordine di preparare la mia partenza!”.
Il
vincitore aiutò lo
sconfitto a rialzarsi, porgendogli la mano. Rimasero seri qualche
istante ma
poi si sorrisero. Era da quando erano bambini che non si affrontavano!
“Anche
quando eravamo piccoli
vincevo sempre io…” disse Aherektess, cercando di
minimizzare l’ansimare delle
sue parole “…comunque sei diventato
bravo!”.
“Anche
tu. Non me
l’aspettavo…complimenti” rispose il re,
piegato con le mani sulle ginocchia per
riprendere fiato.
Dopo
essersi ripreso, il
sovrano lasciò la sala, mentre il fratello volava via,
diretto verso le sue
stanze. Subito dietro la porta trovò Nèxus ad
attenderlo, preoccupatissimo.
“State
bene? Cosa è successo?”
domandò il consigliere, allarmato.
Zameknenit
non fermò il suo
passo, col dorso della mano pulì distrattamente un rivolo di
sangue che usciva
dal lato delle sue labbra, e nemmeno voltò lo sguardo.
“Prepara
le cose necessarie
per far partire Aherektess…” si limitò
a dire “…sarà lui il rappresentante del
regno dell’Aria al cospetto del Signore
dell’Ovest”.
“Sì…sì,
signore!” rispose
Nèxus, dopo un attimo di smarrimento.
“E
rimuovi il sigillo che gli
impedisce di lasciare il palazzo…ora lasciatemi in pace. Ho
bisogno di
riposare” sbottò ancora il re e si rinchiuse nelle
sue stanze, senza aggiungere
altro.
†††
Ozymandias
sbadigliò. Le
riunioni del Signore dell’Est lo annoiavano, solitamente, ma
quella aveva
lasciato un’impronta non indifferente sul suo animo.
Iniziò a vagliare ogni
diversa possibilità…chi mandare dal Signore
dell’Ovest? Doveva essere una
persona di cui fidarsi ciecamente, altrimenti non avrebbe mai potuto
affidargli
l’unica chiave d’accesso al palazzo
dell’Ovest, e doveva avere determinati
requisiti. Per una creatura d’ombra non era di certo
difficile attaccare e
difendersi, era praticamente impossibile colpirle o ferirle, ma la
maggior
parte di loro stava benissimo dove stava. Amava restare nel buio del
regno,
senza uscirne per nessuna regione. Di certo, però, lui era
il re e quindi
avrebbe costretto il candidato ideale, se fosse stato necessario!
Camminava
fluttuando per il
suo palazzo nero, senza finestre né luci, orientandosi e
vedendo benissimo con
i suoi grandi occhi d’argento. Brillavano come piccole stelle
nel buio totale,
girando a destra e a sinistra in cerca di un qualche tipo di
ispirazione.
Scartò subito un paio di possibili campioni
perché con moglie e figli, non
avrebbero mai lasciato il regno a lungo. Di altri non poteva
effettivamente
credere alla loro reale fedeltà e li saltò. Si
concentrò sui suoi consanguinei.
Sua sorella, con i nipotini, non si sarebbe mai mossa. I figli di lei,
con i
bambini piccoli, tanto meno.
Ad
un tratto, lungo il
corridoio, avvertì chiaramente una presenza e la riconobbe
subito. Sorrise, per
quanto un’ombra possa sorridere, ed aprì le
braccia. Sua figlia, l’unica che
aveva, era venuta a dargli il “bentornato”. Si
abbracciarono, divenendo per
qualche istante un corpo solo, nero e quasi incorporeo. Sembrava di
buon umore
ma il padre notò subito una punta di malessere negli occhi
argentati della sua
bambina, simile a quello che aveva quando era partito. Si
accigliò.
“Cosa
ti turba, piccola mia?”
domandò, preoccupato.
“Niente,
papà. E non sono una
bambina già da un po’…piuttosto,
com’è andato il viaggio? E la riunione?
Perché
siete stati convocati?”.
Ozymandias
la guardò. In
effetti non era più una bambina, non più. Anche
se era piuttosto minuta e bassa
di statura, ormai era praticamente una donna ed era tempo che iniziasse
ad
accettarlo.
Si
assomigliavano molto. Oltre
agli occhi, identici, si potevano distinguere lunghi capelli mossi e
fluttuanti
fino quasi ai piedi di entrambi. Solo che il sovrano
dell’Oscurità era
piuttosto grosso mentre la principessa sembrava poter essere portata
via dal
vento da un momento all’altro.
“Sei
andata via, sei uscita da
palazzo, mentre io non ero presente?” parlò il re,
con voce profonda e
vibrante, rimbombante.
“No.
Sono rimasta qui, ad
occuparmi delle faccende di cui potevo occuparmi, come mi avevi
detto”.
“Però…ti
sarebbe piaciuto
andartene?”.
La
figlia attese prima di
rispondere ma poi annuì.
“Perché,
Lehelin, non ti piace
stare qui?”.
“Non
è che non mi piaccia
stare qui…è che ho il desiderio di cambiare ogni
tanto…di allontanarmi. So che
il mio compito sarà divenire regina
dell’Oscurità, ma sento che qualcosa mi
manca e non è qui. Forse mi sto sbagliando…forse
sono tutta matta!”.
“Non
sei matta. Se senti che
ti manca qualcosa…ma cosa credi che sia?”.
“Non
lo so! È per questo che
mi sento una povera pazza. Perché giro in cerca di qualcosa
che forse nemmeno
esiste…”.
“Farei
qualsiasi cosa per
renderti felice. Dimmi cosa posso fare…”.
“Non
so nemmeno questo…”.
Il
sovrano non parlò. Ad un
tratto un’idea, fulminea ed inattesa, gli balenò
in mente e la sua lingua
parlò, senza nemmeno dare tempo al cervello di elaborare il
tutto.
“Ti
piacerebbe fare un
viaggio?” disse.
Nel
momento stesso in cui
pronunciava quelle parole già se ne pentiva e si chiedeva
cosa diavolo gli era
passato per la testa.
“Un
viaggio? Sì! Dove, papà?”
rispose, piena d’entusiasmo, Lehelin.
“Attorno
ad Asteria. Per
ordine dei Signori dell’Est e dell’Ovest”
spiegò il padre, sempre pentendosi di
averne parlato.
“Da
sola?”.
“Con
altri nove.
Rappresentanti ognuno di un regno diverso dal nostro”.
“Quindi
niente gente
dell’Ombra, niente guardie del corpo scelte da te, solo
persone nuove e
sconosciute verso terre che non ho mai visto né
immaginato?”.
“Più
o meno…se non te la senti
posso capirlo. È rischioso e nessuno sa dirti cosa
esattamente incontrerai
lungo il cammino. Dicono che sarete una squadra,
un’alleanza…ma per me, alla
fine, vi ritroverete a dover pensare ognuno per
sé”.
“Meglio,
no?”.
“Sì,
meglio ma…l’idea di
saperti là fuori da sola…senza nemmeno la
consapevolezza di cosa ci vai a fare
perché la missione non mi è stata spiegata del
tutto…mi mette ansia!”.
“Papà!
Non ti devi
preoccupare. Sono la migliore incantatrice del regno, dopo di te
ovviamente,
sangue del tuo sangue, vedrai che andrà tutto
bene!”.
“Vuoi
partire, dunque?”
mormorò Ozymandias, avendo un tuffo al cuore al solo
pensiero di separarsi
dalla sua unica creatura per un periodo lungo come un viaggio attorno
ad
Asteria. Solamente con lei mostrava quel lato quasi tenero, e
raramente, ma in
quel caso non poteva fare a meno di lanciare uno sguardo di supplica
alla
figlia affinché cambiasse idea. Ovviamente la principessa
ignorò del tutto
quello sguardo e confermò le sue intenzioni: partire e
rischiare!
“Lascia
almeno che ti spieghi
tutto ciò che mi è stato
detto…”.
“Parla
pure, papà. Ma tanto
ormai ho già deciso!” sogghignò,
entusiasta, Lehelin.
Ozymandias
sospirò ed iniziò a
raccontare, suscitando sempre più convinzione nella figlia,
nonostante il suo
intento fosse opposto. Si parlarono camminando per il corridoio, lungo
il quale
erano esposti i quadri dei ritratti di famiglia, fra gli inchini di
guardie e
servitori che incrociarono.
Il
sovrano, con la corona nera
piena di spuntoni che veniva sorretta dalla massa d’ombra
fluttuante dei suoi
capelli, capì che nulla avrebbe potuto far cambiare idea a
quella cocciuta
signorina dell’Oscurità ed iniziò a
riempirla di raccomandazioni, ignorando gli
sbuffi della figlia.
“Non
sono più una ragazzina…ho
passato i venti! E anche da anni!”.
“Voglio
solo che tu sia al
sicuro. Ed il mio compito è quello di darti consigli, da
bravo padre…”.
“E
va bene…spara pure tutti i
tuoi consigli, ma rilassati!”.
“Innanzitutto
preparati
all’idea che viaggerai con nove individui molto strani. Hanno
le ali, le
squame, strane luci sulla pelle…sono tutti
particolari!” iniziò Ozymandias.
“Immagino
che per loro noi
siamo altrettanto strani…”.
“Sì,
sicuramente! Basta vedere
gli sguardi terrorizzati che mi lanciava quel pivellino del re
dell’Aria!
Sembrava un marmocchio abbandonato, un pulcino implume!”.
“Zameknenit?”.
“Sì.
Proprio lui! Chissà chi
manderà come rappresentante del suo regno…vedrai!
Alcuni di loro sono davvero
pittoreschi. E pericolosi. Ricordati che è difficile ferirci
ma la vicinanza
della luce può essere dannosa, molto dannosa!
Perciò, anche se non so chi verrà
scelto come rappresentante del regno della Luce e del Fuoco, ti
consiglio di
stare molto attenta perché potresti subire delle conseguenze
poco piacevoli”.
“Starò
attenta, papà. E vedrai
che, quando tornerò, sarò pronta a restare qui
come futura regina”.
Ozymandias
annuì, poco
convinto. Accompagnò la figlia fino alle sue stanze.
“Fra
un mese sarai al cospetto
del Signore dell’Ovest. Preparati come meglio
credi…”.
Lehelin
fece un cenno con la
testa ed entrò nella sua stanza, tutta nera e lucida.
Allungò la mano ed il suo
adorato corvo dagli occhi blu vi si appollaiò sopra. Per
quell’uccello era
stata aperta una finestra ad arco da dove si poteva vedere il cielo
sempre
buio, tranne che per i satelliti e le stelle che brillavano su Varuna,
la
capitale del regno dell’Oscurità, e la principessa
dei corvi guardò quel cielo
e sorrise.
†††
La
regina del mondo del
Ghiaccio, Rocana, aveva già deciso chi scegliere per la
missione dei due
Signori, Est e Ovest, ed arrivò a casa di buon umore. Si
sentiva rassicurata da
quest’idea ed entrò nella sua dimora di cristallo
piuttosto tranquilla. Salutò
le sue dame di corte ed andò di corsa a rinfrescarsi, dopo
il lungo viaggio
lontana dalle temperature a cui era abituata. Dopo aver fatto un bel
bagno, si
rivestì con una lunga tunica bianca ed un mantello azzurro
pallido con il bordo
di pelo. Infilò i guanti ed uscì in giardino,
dove aveva sentito delle voci a
lei familiari.
Camminò
sulla neve, con gli
stivaletti imbottiti e sorrise. I suoi tre figli erano lì e
si stavano
esercitando. Aveva due maschi ed una femmina. Subito mise gli occhi sul
primogenito che aveva da poco compiuto i trent’anni. Era
muscoloso, biondo, con
i capelli raccolti in un piccolo codino ed il pizzetto. La regina aveva
stabilito che era lui il prescelto per il viaggio. Era forte,
coraggioso ed
avvezzo a situazioni particolari avendo passato quasi una decina
d’anni
nell’esercito.
La
madre gli sorrise e fece un
cenno ai tre di riporre le armi e venirla a salutare. Il secondogenito
fu il
primo a raggiungere Rocana. Aveva i capelli più scuri del
primo nato ma molto
più corti ed era senza barba. La ragazza, la figlia
più giovane, fece una corsa
ed abbracciò forte la madre, con la lunga treccia bionda che
saltò dietro di
lei. Aveva quattro anni in meno del primogenito e due anni di
differenza dal
secondo, ovviamente era per tutti la piccola di casa.
Anche
il padre lasciò i suoi
affari e venne a salutare la moglie. Era Rocana la discendente della
famiglia
reale e quindi spettava a lei presentarsi alle riunioni dei Signori di
Est e
Ovest, mentre il marito svolgeva i soliti compiti burocratici tipici
dei reali.
Re e regina si baciarono dolcemente e poi la sovrana iniziò
a spiegare ciò che
era stato stabilito alla riunione.
Nevicava
molto ma per gli
abitanti del regno del Ghiaccio non era un problema. Con il freddo si
rafforzavano e vivevano meglio. La loro pelle, bianco latte con qualche
innesto
simile al vetro, incorniciata sempre da capelli biondi, di
tonalità diverse,
assieme agli occhi azzurri o verde chiaro, li rendevano inconfondibili
fra le
creature di Asteria. Eran tutti alti, la corporatura degli uomini era
robusta,
con larghe spalle ed ampio torace, mentre le donne presentavano sempre
forme
generose ed agilità nei movimenti. La famiglia reale
rispettava pienamente quei
canoni: c’erano solo iridi azzurre, bellissime e luminose, ed
i loro fisici
presentavano tutti i tratti tipici di quel reame.
I
fiocchi non si scioglievano
se non dopo tanto tempo sui capelli dritti e biondi della regina mentre
raccontava. Su quelli del re si notavano di più
perché aveva la capigliatura
leggermente più scura, come il secondogenito. Sui tre figli
questo fenomeno non
avveniva perché continuavano ad agitarsi, impazienti di
sentirsi spiegare ogni
cosa.
Terminato
il racconto, Rocana
guardò il suo primo figlio ed affermò che sarebbe
stato lui ad affrontare quel
viaggio, con un tono che non ammetteva repliche. Sul viso del maggiore
si formò
una smorfia di fastidio, era evidente che non gradiva molto quella
prospettiva.
Tentò di aprir bocca per protestare ma la madre non
accennava a fare silenzio.
“Partirai
fra breve…” stava
dicendo la regina “…perché fra meno di
un mese dovrai presentarti al cospetto
del Signore dell’Ovest. Ti consegnerò la chiave ed
ogni tipo di informazione
utile al riguardo. Come futuro re, mi aspetto che tu renda onore alla
nostra
meravigliosa razza e sono certa che non mi deluderai. Puoi iniziare a
prepararti
già da ora, come meglio credi”.
Il
principe approfittò della
pausa per esprimere il suo parere: lui non voleva partire.
“Come
mai? Qualcosa ti
spaventa?” si allarmò Rocana.
Subito
lui scosse la testa.
“Non
ho paura del viaggio,
madre…è solo che non voglio allontanarmi troppo a
lungo da qui”.
“Spiegami
come mai, allora!”.
Non
ci fu risposta ma il padre
sorrise.
“Quello
sguardo…” spiegò alla
moglie “…può voler dire solo una cosa:
una donna. Nostro figlio non vuole
allontanarsi da una bella fanciulla per troppo tempo”.
“È
vero?” si stupì Rocana ed
il figlio non disse nulla, nemmeno annuì, ma
arrossì leggermente e questo alla
regina bastò.
“Se
è così…partirà tuo
fratello!” affermò, sorridendo, ed indicando il
secondo nato.
“Sempre
che anche tu non abbia
niente in contrario…” aggiunse il re.
Il
secondogenito alzò le
spalle come a voler dire “per me è uguale, non ho
niente da obiettare”.
“Allora
è deciso! Sarai tu a
partire, Igorhay” ordinò il re, soddisfatto quanto
la regina.
I
sovrani fecero per
andarsene, prendendosi a braccetto fra la tormenta, quando una voce che
fin ora
non si era fatta sentire pronunciò un seccato “E
io?!” stupendo gli altri
membri della famiglia.
A
parlare era stata Hanjuly,
la terzogenita, che se ne stava imbronciata e con le braccia
incrociate,
lanciando sguardi d’accusa ai parenti.
“Tu
cosa, mia cara?” si
informò la madre.
“Perché
non avete preso in
considerazione anche me? Io so combattere, probabilmente meglio di
questi due…”
indicò i fratelli “…e potrei
farcela”.
“Ma
tu sei una principessa e
ad una principessa non si addicono certe cose” si
giustificò il padre.
“Stronzate!”
sbottò lei,
offesa.
“Come
non si addicono ad una
principessa parole del genere!” la rimproverò la
regina, sconvolta dal
comportamento della figlia.
“Non
sono una delicata e mite
fanciulla, e lo sapete tutti quanti molto bene! Avanti, Igorhay,
diglielo anche
tu che ti sconfiggo sempre quando ci alleniamo fra di noi!”.
“Molto
sconveniente che una
principessa combatta…”.
“Ma
dai, mamma! Anche tu
combattevi quand’avevi la mia età! Non lo ricordi
più?”.
“Io
ero la futura regina. Ho
dovuto farlo. Ma avrei tanto voluto farne a meno”.
“Beh,
io voglio l’opposto! E
sono brava, perciò non vedo dove sia il problema!”.
“Non
importa se non vedi il
problema, signorina…” alzò la voce il
re “…tu non andrai da nessuna parte. A
partire sarà tuo fratello Igorhay, e con questo considero
conclusa la
faccenda!”.
Detto
questo, ignorando le
proteste della figlia, i genitori se ne andarono, rientrando nel
castello di
cristallo. Hanjuly, frustrata, cominciò ad inveire al vento,
usando parole che
decisamente poco si addicono ad una fanciulla, sicura che tutti
potessero
sentirla. Pestò i piedi nella neve, mentre anche i fratelli
si allontanavano,
ridacchiando.
Protestò
per giorni interi,
fuori e dentro il palazzo ad Enrivai, la capitale, con tutti coloro che
gli
capitavano a tiro, sempre usando toni e termini poco principeschi. Per
quasi
due settimane tentò con questa “politica del
terrore” ad ottenere ciò che
voleva ma non ottenne nulla, se non aspri rimproveri che nemmeno da
ragazzina
si era sentita rivolgere. Afflitta, abbandonò quella tecnica
e cambiò tattica:
provò con le suppliche e con i lamenti. Inseguì i
genitori ed i fratelli
tentando di convincerli. Voleva ad ogni costo ricevere una
possibilità per
poter dimostrare il proprio valore e non essere considerata una
semplice
principessina stile bambola di porcellana. Rabbrividì. Con
un vestito adatto,
che non avrebbe mai indossato, ed il tipico tipo di pelle del regno del
Ghiaccio, bianco e liscio come il vetro, poteva divenire davvero una
specie di
bambola di porcellana ambulante! Non desiderava di certo
un’immagine simile su
di sé ed ora le si presentava l’occasione adatta
per sfatare ogni dubbio dai
sudditi e dai familiari. Nonostante la sua convinzione e
determinazione, però,
i genitori non cedettero di un passo sulle loro posizioni. Non le
accordarono
il permesso di partire. E neppure Igorhay sembrò volerla
accontentare, nemmeno
quando lei mostrò tristi occhi da cerbiatta o lo
minacciò con uno stivale.
Nemmeno sotto tortura, solletico o pizzicotti, o promesse di vendetta.
Ormai il
giorno della partenza era prossima, ed Hanjuly dovette arrendersi
all’evidenza
che non si sarebbe allontanata da quelle pareti di cristallo, non sta
volta.
Sospirò, avrebbe dovuto aspettare la prossima occasione.
†††
“Kassihell!”
tuonò Vehuya,
piombando senza preavviso nell’edificio dove il figlio si
allenava sempre,
spalancando le porte scorrevoli quasi con rabbia.
Non
aveva fatto notare a
nessuno il suo ritorno il re del Fuoco, ma si era subito presentato in
presenza
del principe ereditario, in un modo tale che allarmò tutte
le guardie ed i
presenti nell’edificio. Tutti tranne Kassihell, che rimase
immobile, scalzo sul
pavimento nero, probabilmente di lava levigata. Accanto a lui i suoi
avversari
restavano seduti, sconfitti e stanchi, ma sobbalzarono
all’arrivo del re,
sorpresi e spaventati. L’edificio, molto simile ad un tempio,
situato nel
cortile interno del palazzo reale, tremò
all’ingresso di Vehuya, così impetuoso
ed energico. Le fiamme delle lanterne circolari, appese al soffitto, si
protesero verso di lui, riconoscendolo come il maggiore rappresentante
del
proprio elemento. Kassihell non si scompose e continuò i
suoi esercizi con la
spada, molto simile ad una Katana, senza sbagliare nemmeno un
movimento.
“Kassihell!”
tuonò di nuovo il
sovrano del regno del Fuoco.
“Non
serve mica gridare…sono
qui! Cosa vuoi?” sbottò il principe, senza
interrompere l’allenamento e senza
rivolgere gli occhi verso il genitore, dandogli le spalle.
I
due si assomigliavano molto.
Stesso sguardo, con quegli occhi leggermente a mandorla, stessi
tatuaggi di
fiamme e simboli su braccia, busto e resto del corpo, stessi capelli
mossi e
fisionomia. Kassihell, però, non aveva la barba lunga a
treccia come quella del
padre. La teneva sempre di qualche giorno, assumendo un aspetto
piuttosto
trasandato, unito ai capelli lunghi fino alle spalle che non vedevano
un
pettine da tempo imprecisato. E non aveva gli occhi rossi, come Vehuya,
ma nocciola.
Entrambi non erano né alti né massicci, con
spalle strette e piedi piccoli. Non
li si poteva definire minuti, la loro muscolatura era evidente, ma non
eccessiva. Sapevano, tuttavia, di essere fra gli abitanti
più temibili del
pianeta. Il padre restò a guardare il figlio mentre,
indossando solamente degli
ampissimi pantaloni scuri sorretti da una cintura, riusciva a combinare
i
movimenti della sua spada con il controllo del fuoco, manovrandolo a
suo
piacimento. Di certo l’uso di quell’elemento non
lasciava impuniti: ogni
creatura del Fuoco presentava almeno una cicatrice o bruciatura.
Ovviamente
Kassihell ed il padre non erano da meno, ed ognuno di quei segni era
motivo
d’orgoglio perché indicava il coraggio di aver
domato le fiamme. Vehuya impartì
l’ordine che tutti, tranne il principe, abbandonassero
l’edificio, lasciandoli
soli. Solo in quel momento il figlio si fermò. Si
girò verso il padre, sempre
con la Katana in pugno. Lo fissò con aria interrogativa ed
accigliata. Sperava
davvero che il suo vecchio non gli chiedesse di sfidarlo di nuovo,
perché
sapeva benissimo di aver ormai superato il genitore e lo aveva
dimostrato più
volte. Non amava essere interrotto nei suoi esercizi e quindi
puntò la spada
verso il padre, ripetendo con più convinzione il
“Cosa vuoi?” che gli aveva
rivolto prima, con un tono piuttosto minaccioso.
“Preparati.
Fra meno di un
mese dovrai essere al cospetto del Signore
dell’Ovest” ordinò Vehuya.
“Come
scusa?” si stupì
Kassihell, abbassando il braccio armato.
“Non
mi hai sentito? Ti ho
dato un ordine”.
“Ma
io non ho alcuna
intenzione di muovermi da qui!”.
“Ed
io ti dico che lo devi
fare per forza perché sono l’imperatore e mi devi
obbedire. È tuo dovere darmi
ascolto e fare ciò che ti dico!” ghignò
con rabbia Vehuya.
“È
da quasi trentasei anni che
non ti do ascolto e non faccio ciò che
dici…cioè, praticamente, da quanto sono
nato!”.
“Non
sarebbe ora che
iniziassi?”.
“Assolutamente
no. E poi,
scusa, mia moglie ed i bambini dove li mettiamo? Come faccio a
lasciarli da
soli per fare non so bene che cosa?”.
“A
loro penserò io per tutto
il tempo che sarà necessario”.
“Non
ti affiderei nemmeno le
mie pantofole, figuriamoci la mia famiglia!”.
Vehuya
stava per rispondere,
con un guizzo di fiamma negli occhi rossi, quando una voce squillante e
femminile risuonò dietro di lui. Una giovane, sulla ventina,
gli saltò sulla
schiena chiamandolo papà. Era Assahaleya, la principessa dai
capelli neri.
Kassihell le sorrise. Guardandola si capiva che non era figlia del re
del
Fuoco, bensì di una “scappatella” della
regina, ma nessuno nel regno aveva il
coraggio di dirlo, nemmeno il sovrano stesso. Dietro di lei
arrivò Corihin, la
regina, parecchio più giovane del marito e con gli stessi
capelli neri e dritti
della figlia, lunghi fino alle spalle. Gli occhi nocciola erano
l’eredità che
aveva trasmesso al primogenito che aveva, nel frattempo, riposto la
spada con
cura.
“Bentornato,
caro” salutò il
consorte.
Era
vestita con un elegante
abito da sera, aderente, come la figlia, stretto in vita da
un’ampia cintura.
Camminava a piccoli passi sui sandali alti, infradito, e si copriva
dagli
sbuffi di cenere del vicino vulcano con un ombrellino a fiori di colore
delicato.
“Lieto
di vederti, mia Geisha”
le rispose il marito.
“Non
chiamarmi così” lo
rimproverò lei e lui sorrise, chinando la testa leggermente,
sempre con la
principessa ben ancorata alla schiena, con le braccia attorno al collo.
“Sei
tornato senza nemmeno
avvertire. Tutto il viaggio da solo…ma vedo con piacere che
stavi parlando con
Kassihell…” riprese Corihin.
“Sì,
cara…stavamo per…prendere
il the!” mentì Vehuya.
“Già,
il the!” confermò il
principe, non volendo rendere noti gli screzi che aveva spesso con il
padre,
accingendosi a preparare un tavolino per rendere la cosa credibile.
“Ah,
bene…per una volta non
litigate” sorrise la madre, falsamente, comunicando che non
potevano prenderla
in giro.
“Stavo
dicendo al nostro
adorato figlio che spetta a lui fare ciò che gli ho
ordinato, se non vuole che
a rischiare la vita sia la sua amata sorellina, ma a quanto pare non ha
voglia
di obbedirmi…” spiegò Vehuya, con il
tono più falso e distorto che potesse
avere.
“Che
dici? Kassihell! Di che
si tratta? Metteresti davvero in pericolo tua sorella?” si
allarmò Corihin,
mentre Assahaleya si staccava dalla schiena del sovrano.
“In
pericolo in che modo?”
squittì poi, sorridendo.
“Non
ti metterei mai in
pericolo, sorellina!” si affrettò a dire il
principe.
“Allora
devi obbedirmi!”.
“Riguarda
qualcosa che ha
detto il Signore dell’Est?” si informò
la regina.
“Precisamente”
riprese Vehuya
“Sareste così gentili da lasciarci da soli? Sono
argomenti non adatti alle
orecchie femminili. E ad ogni modo sappiamo risolvere fra noi, non vi
dovete
preoccupare”.
L’imperatrice
rimase un po’
titubante ma poi, notando lo sguardo minaccioso del marito, prese la
figlia
sottobraccio e la invitò a venire con lei.
L’imperatore
del Fuoco chiuse
la porta scorrevole dietro di sé, una volta fatte uscire
moglie e figlia, e
ghignò trionfante al figlio.
“Che
bastardo, meschino e
figlio di puttana che sei!” sibilò Kassihell.
“Sono
affari, mio caro”
rispose il padre.
Si
inginocchiarono accanto al
basso tavolino che era stato estratto per il the, che ovviamente non
arrivò, e
si fissarono negli occhi.
“Di
che si tratta? Spiegati
meglio” parlò il principe, sforzandosi di restare
calmo.
“Il
Signore dell’Est vuole
affidare una speciale missione ad un rappresentante di ogni regno
e…”.
“E
non puoi scegliere qualcun
altro?!” interruppe Kassihell “Il capo delle
guardie, ad esempio…”.
“No,
non posso. Lui, il Signore
dell’Est, vuole espressamente che sia un membro della
famiglia reale, imperiale
nel nostro caso, e questo vale per tutti” mentì
Vehuya.
“E
perché non ci vai tu,
allora?”.
“Non
vuole capi di stato.
Creerebbe troppo scompiglio fra la gente. Suvvia, Kassy…non
vorrai mica che ci
mandi tua sorella, vero? O uno dei tuoi figli? Quale dei
tre…quello di sei
mesi?”.
“Sei
proprio un bastardo…”.
“Sono
cose che capitano,
ragazzo mio e, comunque, obbedirai al mio ordine?”.
“Sì,
certo. Credo di non avere
altra scelta. Quanto tempo durerà questa missione di cui
parli?”.
“Non
tantissimo. Sarà il
Signore dell’Ovest a spiegarti tutto, ma in un paio di mesi
al massimo sarai
già di ritorno, te lo assicuro”.
“Non
mi fido di te”.
“Mi
spiace ma non hai
scelta!”.
“Potrei
ucciderti. Così
facendo diverrei re e i Signori non mi vorrebbero”.
“E
chi manderesti per la loro
missione? Li ignoreresti?”.
“Esatto!
Me ne sbatto dei
Signori di Est e Ovest. E me ne sbatterei anche dei Signori di Sud e
Nord, se
esistessero!”.
Il
padre si alzò di botto a
quelle affermazioni, ribaltando il tavolino e quasi ringhiando contro
il
figlio.
“Come
osi?!” tuonò “Mancare di
rispetto in questo modo non solo alla tua famiglia, insultando me, ma
perfino
alla magia stessa del pianeta, parlando così dei Signori di
Est e Ovest?!”.
“E
allora? Cosa ti importa?”.
“Parli
in questo modo anche
del grande Dio delle Fiamme, dei Vulcani, Signore della stella Sirona
che ci
illumina? Sei così sfacciato?!”.
Kassihell
girò gli occhi verso
l’immagine della divinità che decorava una delle
pareti. Era imponente,
ricoperto di fuoco, con lo sguardo malvagio.
“Dubito
che al Dio Daram
importi se lo venero o meno” sbottò il principe
“Ci sono tanti altri in giro
che stan a pregarlo e supplicarlo per ogni cosa. Credo, piuttosto, sia
felice
che almeno uno in questo impero non gli piagnucoli dietro. E mi pare
che, anche
se non sono un credente devoto, il fuoco, i vulcani, Sirona eccetera
lavorino
lo stesso. Ed io riesco pure a gestire la magia delle
fiamme…”.
“Basta!
Questi discorsi mi fanno
davvero imbestialire!”.
“E
cosa credi di fare?! Che
Daram mi mostri la sua ira se è sbagliato ciò che
faccio!”.
“Sei
una bestia!”.
“Ho
preso tutto da te!”.
Vehuya
saltò e tentò di
afferrare il figlio, mosso da un attacco incontrollato d’ira,
ma Kassihell
reagì subito e riuscì facilmente ad atterrare il
padre, ribaltandolo a pancia
all’aria. Lo tenne fermo con un piede e lo guardò
duramente.
“Vecchio,
tu ancora non hai
capito con chi hai a che fare. Non potresti mai battermi, non ora,
perlomeno,
con l’età che hai!”.
L’imperatore
del Fuoco
socchiuse gli occhi, immaginando che il figlio volesse portare a
termine il
proposito che aveva espresso prima: quello di ucciderlo. Il principe
effettivamente fu tentato, guardò la gola del genitore con
sadismo, ma si controllò
e lo lasciò rialzare.
“Partirò
per la tua stupida
missione” mormorò Kassihell con un fil di voce
irata “Ma devi ricordarti che se
vengo a sapere che hai anche solo pensato di fare qualche stupidata con
mia
moglie, i miei figli, con mamma o la mia sorellina…giuro che
ti massacro. Ti
taglio a fette, un arto alla volta, e ti appendo pezzo per pezzo lungo
le vie
di Gibil, la capitale!”.
Vehuya
non parlò, limitandosi
ad annuire come prova della sua buona volontà. Kassihell non
sapeva quanto
credergli, era compito suo mediare fra gli attacchi irragionevoli del
padre,
pur essendo irragionevole lui stesso, e non si sentiva molto al sicuro.
Purtroppo non aveva alternative, se non voleva che il padre mandasse
via la
sorella. Sapeva che l’imperatore era a conoscenza di non
essere il vero padre
di quella ragazza e non voleva rischiare che cadesse in qualche
trappola
meschina, piuttosto l’avrebbe affrontata lui stesso per lei.
Di certo era molto
più preparato alla cosa dell’ingenua ragazzina che
era ancora la sua sorella
minore. Sospirò, mentre il padre iniziò a
spiegargli nei dettagli tutto ciò che
sapeva sulla missione.
†††
Aveva
moltissimi figli
Taranis, re dell’Elettricità, ed in quel momento
li stava osservando con
orgoglio. Era famoso per non essere un uomo a cui piacesse legarsi in
modo
definitivo ad una donna, ma preferiva cambiare. Questo era un
comportamento
tipico degli abitanti di quel regno. Non potevano mai stare fermi per
troppo
tempo, cambiavano dimora, occupazione, compagno ed ogni altra cosa alla
velocità della luce. Non si sposavano, salvo rarissime
eccezioni, e vivevano la
loro vita con impulsività ed incoscienza. Molti di loro non
raggiungevano la
vecchiaia.
I
figli del re erano quasi
tutti di madri diverse, incontri occasionali o brevi storie, che
Taranis
accoglieva volentieri nel suo palazzo globulare, in un edificio
apposito. Era
tornato da poco dalla convocazione ed aveva già esposto la
questione agli
eredi. Tutti parlavano allo stesso momento, questionando su chi fosse
il più
adatto a partire. Il padre non dava nessun parere al riguardo e si
limitava ad
osservarli, mentre ognuno di loro tentava di mettersi in mostra per
essere
scelto. Perfino i piccoli, di età prescolare, mettevano il
broncio quando
qualcuno dei più grandi gli faceva notare che non avrebbero
mai potuto
affrontare un viaggio attorno ad Asteria. Il re non poteva fare a meno
di
sorridere, fiero dei suoi figli. Non li fermò neppure quando
iniziarono a
combattere fra loro per decidere chi era il più forte.
Rimase in piedi, con la
lunga coda terminante con un piccolo globo di luce che si agitava
leggermente.
Sulle pareti della dimora a Fornjotr, la capitale, una delle tante che
possedeva, passavano piccole scosse che illuminavano le stanze a lampi.
Come in
un temporale, la luce appariva e spariva all’improvviso.
Sulla pelle e sul
corpo degli abitanti accadeva lo stesso, portando come unica
conseguenza la
capigliatura irrazionale ed ondulatissima sulla testa degli
elettrificati. Le
loro vesti riprendevano quel disegno, a fulmine, e non erano mai troppo
lunghe
per non interferire con il flusso d’energia che producevano.
Taranis, scalzo
per assorbire le cariche del terreno, camminava scintillando, intento
ad
osservare i figli che gli si esibivano davanti. Al cospetto del padre,
si sentivano
un po’ tutti in soggezione e tentavano di dare il massimo.
Non li fermò fino a
quando un lampo fortissimo attirò la sua attenzione. Si
aspettava provenisse
dalla figlia maggiore o da uno dei ragazzi più grandi e si
stupì tantissimo
quando notò che tutta quell’energia era stata
sprigionata da Reishefy, una
ragazzina non ancora maggiorenne. Il genitore, con gli occhi quasi del
tutto
bianchi, la fissò immobile. Era così minuta,
minuscola, con le forme ancora
acerbe, da non sapere dove potesse contenere tutta quella forza. La
figlia lo
guardò, imbarazzata, quasi a volersi scusare di aver
prodotto un lampo così
potente. I loro capelli bianchi, con ciuffi quasi dorati, ondeggiarono
in
quell’attimo di silenzio.
“Reishefy…”
mormorò Taranis,
mentre anche gli altri fratelli si fermarono.
Non
erano stupiti da quel
lampo, conoscevano molto meglio del padre le potenzialità
della sorella, ma
notarono che il sovrano non aveva occhi che per lei.
“Scusa…”
balbettò la ragazza
“…non so ancora controllarmi molto
bene…”.
“Che
la controlli o meno, la
tua energia è fortissima. Figlia mia, le tue
capacità vanno coltivate nel modo
corretto! Potresti divenire la più potente del regno e della
famiglia!”.
Reishefy
si stupì di quelle
parole ed arrossì, scurendo leggermente le guance quasi
nere, come un cielo
nuvoloso. Perfino il colore della pelle mutava continuamente in quelle
creature, come se fossero attraversati da nuvole nere, ma perennemente
illuminati dall’elettricità che creava e lasciava
scintille dorate su tutto il
loro corpo.
“L’ho
sempre pensato…”
confermò la figlia maggiore, avvicinandosi alla sorellina
“…ma lei si è sempre
vergognata. Era ora che la notassi…”.
Taranis
non rispose. Agitò la
coda, sempre più luminosa perché in grado di
catturare l’elettricità dell’aria,
e fece segno a tutti i suoi figli di avvicinarsi. Non riuscivano a
stare fermi
ma si sforzavano di non agitarsi troppo mentre circondavano il genitore
sorridendo.
“Usiamo
un po’ di logica…”
iniziò a parlare il sovrano “…cosa che
odio fare, ma credo che in questo caso
sia d’obbligo. Sono fiero di avere dei figli così,
degni portatori del mio
sangue, tuttavia per questa missione posso scegliere solo uno di voi.
Ho
ricevuto ordini precisi al riguardo. Potendo escludere i più
piccini, non per
cattiveria ma perché gli altri che viaggeranno con voi
saranno grandi e cafoni,
mi basta pensare al Fuoco, e vi lascerebbero di certo indietro.
Escluderei
anche quelli che son prossimi alla conclusione degli studi e che non
possono
permettersi di saltare ore di lezione per un capriccio del Signore
dell’Est.
Sono pronto a ricevere ogni suggerimento possibile su chi mandare fra i
non
esclusi…”.
“Perché
non Reishefy?” sbottò
la maggiore.
“È
un po’ giovane, non trovi?”
rispose uno dei ragazzi, sulla ventina.
“Ma
è la più capace fra di
noi. Quella con più energia. Ed inoltre presenta tutte le
caratteristiche della
nostra razza, cosa che i Signori han chiesto espressamente. Io voto per
Reishefy. Chi è con me?” parlò la
sorella, di rimando, alzando la mano per
esprimere il proprio parere.
Molti
altri imitarono il suo
gesto, dando il proprio voto per Reishefy. Taranis non si aspettava una
cosa
del genere. Poteva contare almeno una trentina di mani alzate a favore
della
ragazzina.
“Ma…”
azzardò “…è
perché non
ci volete andare voi, e quindi ci spedite lei, oppure credete davvero
che sia
la più adatta a rappresentarci?”.
“Lei
è la migliore” parlò un
piccolino di pochi anni, senza abbassare la manina “Batte
sempre tutti quando
giochiamo, perfino Delling!” affermò, indicando il
più grande dei figli maschi,
che abbassò la testa guardando altrove.
“Poi
non sta mai ferma, come
le migliori rappresentanti del regno
dell’Elettricità!” aggiunse una bambina,
saltellando.
“Inoltre
ha già cambiato tre
ragazzi con cui…” iniziò una ragazzina
ma si fermò, tappandosi la bocca,
notando lo sguardo elettrico del padre.
“Sorvolando
su questo…”
borbottò Taranis, non aspettandosi una rivelazione del
genere “…a quanto pare
sei una degna rappresentante del nostro elemento,
Reishefy…”.
Lei
non sapeva cosa dire. E fu
il re a continuare il discorso.
“Personalmente…”
ammise
“…credo tu sia troppo piccola per fare una cosa
del genere. Ma, del resto, agli
occhi dei genitori non siete mai abbastanza grandi e poi…chi
sono io per
rifiutare un voto popolare quasi unanime?”
ridacchiò, mentre nessuno dei figli
aveva ancora abbassato le braccia.
Ci
fu un’ovazione e più di
qualcuno iniziò a ripetere il nome della sorella ad alta
voce.
“Tu,
figlia mia, vuoi
partire?” domandò poi il sovrano, non volendo
obbligare nessuno.
“Io…”
rispose lei, titubante
“…io sarei onorata di poter rappresentare il
nostro elemento. Se voi ritenete
che io ne abbia le capacità…”.
“Allora
è deciso. Non me lo
sarei mai aspettato ma sarai tu a partire. Hai più o meno un
mese per
prepararti come meglio credi”.
Reishefy
sorrise, davvero
felice di ricevere un compito del genere, ed arricciò la
coda. Padre e figlia
si abbracciarono, elettrificandosi a vicenda, e poi lei corse via
assieme ai
suoi fratelli. Non riusciva davvero a stare ferma e ancora meno a
contenere il
suo entusiasmo. Agitava le mani, con le unghie bianche, energicamente.
Taranis
la vide allontanarsi, quasi saltellando lungo il corridoio. Sperava di
aver
fatto la scelta giusta. Sempre con un ghigno soddisfatto,
notò un’elegante
signora fra le vie della capitale, dall’alto della finestra
dal quale guardava
e pensò che, forse, aveva individuato la prossima madre dei
suoi figli.
†††
“Thuwey!”.
Una
voce nel buio.
“Signor
Thuwey!”.
Thuwey
sospirò. Si limitò a
girare la testa nel letto, avvolgendola e poi nascondendola sotto il
cuscino di
seta nera. Grugnì. Era andato a dormire molto tardi e, da
quanto riusciva ad
intravedere dalla finestra, era ancora notte fonda. Qualunque fosse il
motivo
per cui lo stessero chiamando, non gli interessava! Evidentemente colui
che
stava fuori dalla sua porta non voleva capire che il suo
“Vattene!” non
ammetteva replica. Era, al contrario, sempre più insistente.
Thuwey allungò un
braccio, sempre tenendo la testa sotto il cuscino, in cerca di
qualunque cosa,
spada o pistola, che potesse porre fine a tutto quel casino. La pesante
pendola
d’acciaio lanciò un grido, un ruggito, e lo
ripeté per cinque volte. Erano le
cinque di mattina! Si era coricato meno di un’ora prima!
Sentì uno schianto.
Aveva urtato con la mano uno dei boccali vuoti che aveva lasciato
accanto al
letto, sul comodino lucido. Ovviamente li aveva svuotati lui ed ora la
sua
testa non accennava di certo a smettere di ricordarglielo.
Grugnì di nuovo,
capendo che la sua oretta di sonno doveva bastargli.
Strisciò fuori dal
matrimoniale in cui dormiva, non perché fosse sposato ma
perché “voleva
spazio”, ed andò ad aprire alla porta, vagamente
coperto dal lenzuolo nero in
cui si era avvolto.
“Che
vuoi?” sbottò,
consapevole di avere due occhiaie da far spavento e l’alito
di birra.
“Perdoni
l’ora, ma la regina
Jovihann ha chiesto di vedervi” parlò
l’intruso.
“Adesso??!!
Alle cinque del
mattino??!! Ma non può andare a farsi fottere da qualcuno a
quest’ora, invece
che rompermi i coglioni?!”.
L’altro
non rispose. Si limitò
a fissarlo, con le mani dietro la schiena e lo sguardo di rimprovero.
“Beh?!”
riprese Thuwey “Puoi
anche andartene, sai? Ci vengo dalla tua regina ma dubito voglia
vedermi nudo.
Perciò sparisci. Mi rendo presentabile e la
raggiungo…”.
Sbatté
la porta, sbuffando, e
scosse la testa per svegliarsi. Crollava dal sonno.
Sbadigliò, passandosi una
mano nei lunghissimi capelli neri, gli arrivavano fino alle ginocchia,
tentando
di donargli un aspetto vagamente decente. Li pettinò
distrattamente, domando la
loro massa informe e facendoli ridivenire perfettamente lisci anche se
voluminosi. Si guardò allo specchio. Effettivamente, sotto i
suoi bellissimi
occhi ramati, c’erano due occhiaie decisamente fastidiose che
quasi lambivano
le placche di metallo che gli segnavano gli zigomi e le guance. Una
placca di
metallo gli attraversava la fronte, assumendo una forma a rombo, con
l’estremità più corta rivolta verso lo
spazio fra le sopracciglia e quella più
lunga che divideva perfettamente i due ciuffi che gli ricadevano sul
viso. Lui
era Thuwey, abitante del regno del Metallo. Come ogni creatura di quel
regno,
il suo corpo era ricoperto da spuntoni di quell’elemento, che
era libero di
ritrarre a suo piacimento ma non era una cosa che amava fare. Preferiva
essere
inavvicinabile. Ne aveva su braccia, spalle e petto, mentre sul resto
del corpo
si potevano trovare aree e placche di metallo lucido più o
meno grandi, grigie
lucide. La sua pelle era di un grigio più chiaro, sempre
lucido. Le labbra,
sottili e ghignanti, eran quasi nere e racchiudevano una fila di denti
bianchi
ed acuminati, in un sorriso vampiresco.
Iniziò
a vestirsi, svogliato.
Non era mai un buon segno quando la regina lo convocava così
all’improvviso.
Lui era il capo delle guardie del regno, il miglior combattente del
Metallo,
dicevano. Era piuttosto soddisfatto del fatto che non aveva dovuto
scortare
Jovihann fino al palazzo del Signore dell’Est, per poi
annoiarsi a morte
nell’attesa che ne uscisse. Ora che era tornata,
però, esigeva già di
vederlo…storse il naso. Sentiva puzza di incarico che non
voleva. Sapeva che
non aveva tempo di fare colazione, anche perché aveva lo
stomaco addormentato
del tutto e non avrebbe di certo apprezzato del lavoro straordinario.
Indossò
la divisa che la regina gli imponeva e ci agganciò il solito
quantitativo
eccessivo di catene. Amava sentire il loro tintinnio armonico. Si
avvolse in un
pesante mantello nero dato il freddo che avvertì
sull’uscio. Modificò le
placche sulle sue gambe in modo che formassero una sorta di armatura,
così da
non avere la seccatura di dover mettere le scarpe, ed uscì
alla luce fioca dei
lampioni di Gwydyon, la capitale. Attraversò le strette vie
lastricate da vari
metalli, consapevole di essere l’unico pirla in giro a
quell’ora escludendo il
sacerdote che si apprestava al sacrificio di sangue
dell’alba. Giunse al
cospetto delle due guardie che sorvegliavano il grande cancello
d’ingresso al
castello, insultandole senza motivo. Si misero sull’attenti,
riconoscendolo, e
fecero aprire i cancelli tramite un complicato insieme di carrucole ed
ingranaggi. Il massiccio portale in ferro battuto si
spalancò e Thuwey ci entrò
bestemmiando. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter tornare a dormire.
Il lungo
abito scuro che portava quasi si confondeva nel buio.
Continuò la sua marcia,
borbottando, sbattendo pesantemente i piedi sulle scale mostrando tutto
il suo
fastidio. Conosceva bene i corridoi di quel palazzo goticheggiante,
dove
trascorreva le sue giornate lavorative da quanto era stato scelto per
entrare
nell’esercito reale. Quattro anni prima, a ventisei anni, si
era dimostrato il
più valido a sostituire l’ormai anziano capo delle
guardie. All’inizio era
orgoglioso della sua posizione ma ora si stava stancando. La regina non
aveva
un compagno ed era piuttosto capricciosa, lo chiamava continuamente per
qualsiasi sua voglia. Di certo a Thuwey non sarebbe dispiaciuto
soddisfare
certe voglie ma fin ora il suo compito era stato principalmente quello
di
coprirla mentre scorrazzava con il suo amante Vehuya. Era entrato
nell’esercito
pronto a grandi battaglie ed onori ma fin ora aveva solo fatto da
guardia del
corpo e si stava davvero annoiando. Sperava di non essere convocato per
soddisfare qualche capriccio infantile della regina ma per una
motivazione
seria. Sbadigliò di nuovo, prima di entrare nella stanza
della sovrana. Aprì la
porta, dimenticandosi di bussare. Jovihann si era cambiata, indossava
una
sottoveste nera con pizzo. Era bella la regina anche se non
più tanto giovane,
dimostrava al massimo quarant’anni anche se ne aveva venti in
più. Thuwey la
guardò senza capire. Lei gli sorrise e si coprì
con la vestaglia.
“Pensavo
che ormai venissi al
mio cospetto domani mattina. Ero già pronta per
dormire”.
“Se
volete dormire, regina,
torno dopo pranzo” rispose lui, già pregustando un
lungo sonno fino a
mezzogiorno ed oltre.
“No.
Ormai che sei qui è
meglio che ti parli. Ritengo sia piuttosto urgente ciò che
ho da dirti”.
Thuwey
annuì, pur mostrando il
suo disappunto. Jovihann spiegò, rapidamente, i propositi
del Signore dell’Est.
Il capo delle guardie ascoltò, scuotendo la testa ogni tanto
per non
addormentarsi.
“Perciò…Voi
volete, mia
regina, che io parta alla volta del Signore dell’Ovest per
rappresentare il
nostro elemento?”.
“Precisamente”
confermò lei,
con un cenno del capo.
“E
perché?”.
“Perché
cosa?”.
“Perché
dovrei farlo…non ne ho
tanta voglia…”.
“Voglia?!
Io sono la tua
sovrana, non dipende di certo dalla tua voglia se devi obbedirmi o
meno. Lo
devi fare e basta! Mi fido di te e so quanto sei potente, non
c’è nessun’altro
più adatto di te in tutto il mio regno per un compito del
genere!”.
“Ed
io cosa ci guadagno?”.
“Cosa
vorresti? Sei libero di
chiedermi ciò che desideri”.
“Mmm…ci
dovrei pensare. Sicura
che posso chiedere quello che voglio?”.
“Quello
che vuoi. Qualunque
cosa…”.
“Bene,
Vostra Altezza. Allora
accetto la vostra offerta. Partirò e, al mio ritorno,
verrò a richiedere ciò
che mi spetta. Non deluderò le aspettative”.
“Anche
se non avessi voluto
andare ti avrei costretto, con le buone o con le cattive. Era
già tutto
stabilito, mio caro”.
“Grazie
mille” ironizzò Thuwey
e tornò verso la propria dimora, illuminato dalle prime luci
dell’alba, sicuro
di aver perso del tutto la capacità di potersi
riaddormentare.
†††
Il
profumo dei fiori
l’accolse, più forte di qualsiasi altra fragranza,
e lei sorrise. Le mancavano
tutte quelle essenze e quei colori. Con il suo abito fatto di piume
sgargianti,
placche in oro e pietre preziose, la regina Midir rientrò
nella sua bella casa,
costruita e sviluppata fra le fronde di un immenso albero. La sovrana
del regno
della Terra sapeva che non c’era niente in quel mondo per il
quale non valesse
la pena di combattere, ma il Signore dell’Est era stato
categorico: non poteva
presentarsi lei stessa per quel viaggio. Vanadis, così era
chiamato l’enorme
complesso di alberi e piante su cui sorgeva la capitale, la accolse
fiorendo.
Cominciò a chiedersi a chi potesse affidare un compito
così delicato ed
importante, uno screzio con altri abitanti di regni diversi avrebbe
potuto
scatenare una guerra! Il popolo della Terra era sostanzialmente
pacifico anche
se aveva, con il tempo, affinato notevoli capacità in
battaglia, principalmente
a scopo difensivo. I loro archi erano di splendida fattura, come pure
le frecce
ed i bastoni magistralmente intagliati con simboli sacri al loro Dio.
Ognuno di
loro possedeva un’arma ma una legge vietava categoricamente
l’uso di queste
contro un altro esemplare della stessa specie.
Midir
notò con gioia che si
avvicinavano le celebrazioni di primavera. Gli alberi erano bardati a
festa con
nastri colorati e campanelle, le donne si stavano preparando per la
realizzazione del dolce tipico ed alcuni si erano già
dipinti il viso con i
simboli antichi da cerimonia. Attraversò un arco, sfiorando
con le mani i
tronchi in cui si erano tramutati i suoi antenati. Quelle creature
nascevano
con la pelle verde, morbida, ma col tempo essa, a partire dai piedi,
iniziava a
mutare. Diveniva come la corteccia degli alberi, stessa consistenza e
colore.
Quando era giunta la fine della loro esistenza su Asteria, divenivano
uno dei
rami portanti dei grandi alberi che costituivano le città
del regno. La regina
era giovane, per ora aveva mutato solo le gambe, ed alcuni fiori
spuntavano, a
volte, fra i suoi capelli verde scuro. Con grandi occhi viola, decise
che
avrebbe chiesto suggerimento al marito su chi scegliere per la
missione. Entrò
nella sua stanza, il sovrano ancora dormiva data l’ora del
mattino, e lo
svegliò dolcemente, con un bacio sulla guancia. Il re
aprì gli occhi e le
sorrise.
“È
bello riaverti a casa”
disse.
Lui
aveva mutate anche le
spalle, che si erano allargate ed indurite facendolo sembrare sempre in
armatura, ed il legno aveva iniziato ad espandersi lungo le braccia.
Abbracciò
la moglie con trasporto e si fece raccontare ogni cosa.
“Posso
partire io” si offrì,
alla fine “Sono un membro dalla famiglia reale, sono tuo
marito, e direi che
più fidato di me non hai nessuno!”.
“Io…veramente
non vorrei che
te ne andassi per tanto tempo. Ho altri progetti per
te…” rispose la regina,
appoggiando la testa sull’ampio petto del consorte.
“Come
per esempio?” si
incuriosì il re.
“Ad
esempio…che ne dici di un
erede per questo regno ancora senza principi?”.
“Ah
beh…se la metti così…chi
sono io per rifiutare un progetto del genere?”.
Risero,
sempre stando
abbracciati, e si unirono in un lungo bacio.
“Vuoi
che inizi subito a
lavorarci?” azzardò lui e lei annuì,
lasciandosi avvolgere dal profumo e
dall’amore del suo compagno.
“Dovresti
parlare con Idisi,
la maga della capitale…di lei ti fidi” le
sussurrò il re, ancora svestito
accanto alla moglie.
“Hai
ragione. Lei sicuramente
saprà darmi il giusto suggerimento. Cosa farei senza di
te?”.
“Saresti
una bravissima
regina…”.
“Ma
sola. A cosa mi
servirebbe?”.
“Non
sei sola. Perciò non te
ne preoccupare…”.
“Vieni
con me da Idisi?”.
Entrambi
si vestirono, con
l’ampio collare in oro e pietre adornato da piume dai colori
accesi, rosso per
lui e blu elettrico per lei, la fascia ed il cinturone dorati che
sorreggevano
la gonna, fino al ginocchio, anch’essa in parte coperta dalle
piume, ed i
sandali con lunghe stringhe incrociate. Allacciarono il mantello, con
ricami in
oro come la gonna, ed indossarono la corona, piuttosto vistosa essendo
fatta
pure lei in oro e piume sgargianti che restavano in piedi fra i capelli
verdi
dei due. Si presero per mano e si avviarono verso il punto, nascosto
dietro un
velo leggero di liane intrecciate, che Idisi aveva adottato come sua
dimora.
Era una rientranza piuttosto piccola ma sufficiente per lei e per buona
parte
dei suoi strumenti di lavoro. Gli altri erano appesi ai rami
sovrastanti.
Accolse i reali con un largo sorriso.
“Bentornata,
Vostra Maestà, e
saluti a Voi, mio re”.
Accompagnò
la frase con un
piccolo inchino ed invitò entrambi, con un gesto della mano,
a sedersi. Si
misero tutti e tre a gambe incrociate in terra. Idisi aveva circa
l’età della
regina, le sue gambe erano come tronchi d’albero e la
mutazione aveva seguito
la spina dorsale, creando un piccolo corridoio bruno, terminante alla
base del
collo di lei. Da quella venatura, nei punti non coperti dalle vesti
piumate, si
intrecciavano viticci e foglie d’edera. Un piccolo fiore
rosso era fiorito
subito sopra il suo piccolo orecchio a punta adornato da un grosso
orecchino
quadrato e spiccava sui capelli verde scuro, leggermente più
sfumati verso il
blu rispetto a quelli della regina.
La
maga guardò entrambi, con
profondi occhi color grano, quasi gialli, e volle sapere del viaggio
intrapreso
da Midir. Lei spiegò, senza lasciare nemmeno per un attimo
la mano del marito,
e la padrona di casa annuì.
“Volete
il mio consiglio, mia
sovrana, giusto?”.
“Sì.
Non so chi possa essere
in grado di rappresentare il nostro regno…”.
Idisi
prese fra le mani le
carte e guardò i due ancora negli occhi prima di
distribuirne tre in terra.
“Tranquilla,
mia signora,
l’erede che tanto desiderate arriverà
presto” parlò.
Midir,
non aspettandosi una
frase del genere, rimase senza fiato.
“Ma…perché…”
balbettò.
“Perché
ho chiesto prima
questo alle carte? Semplice…mi sembrava questo
ciò che i vostri occhi
desideravano. Vedete…” spiegò,
indicando la prima figura “…questo siete Voi,
Vostra Altezza, e quella accanto siete Voi, regina”.
La
sovrana sorrise, vedendo
che nell’ultima carta c’era un piccolo abitante del
regno della Terra, avvolto
dalle foglie come in un baccello.
“Quando
arriverà?” incalzò il
re, non riuscendo a nascondere il suo entusiasmo.
“Questo
non mi è dato saperlo.
Ma presto. E sarà maschio”.
Marito
e moglie si baciarono
teneramente, sorridendosi.
“Ora…”
riprese Idisi “…veniamo
a noi”.
Rimase
ferma per qualche
istante, forse meditando su quale fosse il metodo di divinazione adatto
per
scoprire chi sarebbe diventato il rappresentante della Terra per
Asteria.
Lanciò dei piccoli sassolini in un quadrato di corda e
rimase perplessa dal
loro posizionamento. Li rimosse e passò ad altro, mentre re
e regina ne
osservavano ogni movimento sempre più esitanti. La maga
sbuffò, quasi
spazientita, e riprese in mano le carte.
“Almeno
voi non fate i
capricci…” mormorò, rivolta al mazzo,
ed iniziò a mescolare.
“Alzate
Voi, mia signora…”
parlò, porgendo la pila a Midir che ne sollevò
una parte.
Idisi
prese le carte alzate
dalla regina e le rimise in fondo al mazzo. Dopo un respiro profondo
iniziò a
distribuirle sul pavimento, iniziando a spiegarle.
“Da
questa carta deduco che è
una persona di cui il re si fida…”
iniziò.
Scoprì
un’altra carta e
sorrise.
“Anche
la regina si fida”
esclamò e Midir ne fu soddisfatta.
Passò
alla terza carta.
“È
una creatura potente…”
disse, indicando la carta della Forza “…e pronta a
vedere le cose da diversi
punti di vista…” additando l’Appeso
“…cosa importante per un viaggio con molte
altre persone così diverse da noi”.
Ne
estrasse altre,
descrivendone le caratteristiche, e disponendole a formare una sorta di
piramide la cui punta arrivava ai suoi piedi scalzi. Respirò
a fondo,
accingendosi a svelare l’ultima carta, quella che avrebbe
risposto al loro
quesito.
“Oh
Dio della Foresta…”
mormorò, vedendola.
Era
la carta del Mago, dello
Stregone.
“Che
significa?” volle sapere la
regina.
“Che…sono
io…” balbettò Idisi
“La persona che deve partire per
rappresentarci…sono io! Non è
possibile…ci dev
essere uno sbaglio…”.
“Perché?
Noi di te ci fidiamo.
Sei potente, intelligente e credo adatta…”
iniziò il re.
“…sempre
che ti vada di farlo!”
concluse Midir.
“Voi
mi affidereste davvero un
incarico del genere?”.
“Siamo
amiche. Certo che sì.
Soprattutto se sono le divinità a volerlo”
confermò la regnante.
La
maga non sapeva cosa dire.
Rimise le carte nella scatola, con cura, in silenzio.
“Anche
gli altri metodi di
divinazione avevano dato lo stesso risultato?”
azzardò l’unico uomo nella
stanza, guardandosi attorno curioso.
“Sì”
confermò Idisi “Le pietre
si erano concentrate ai miei piedi, il cristallo era attirato da
me…”.
“Allora
sei tu! Preparati a
partire!” esclamò Midir, balzando in piedi.
Era
davvero contenta di quella
soluzione, forse la stessa che aveva pensato il marito, ed era davvero
sollevata all’idea che a rappresentare il suo regno fosse una
sua amica
d’infanzia e preziosa consigliera ormai da anni. Le disse che
aveva meno di un
mese per prepararsi ed, inaspettatamente, la abbracciò con
forza. Idisi non
sapeva cosa dire. Vide i suoi signori uscire ed andarsene, felici, per
mano, e
guardò la sua. Verde, morbida e vellutata, la
fissò chiedendosi se fosse
davvero questo il suo destino. Ma oramai era già stato tutto
stabilito. Toccava
a lei partire, destino oppure no.
†††
L’immenso
oceano sotto cui
sorgeva Satis, la capitale di corallo e conchiglie in cui viveva
Nerektan,
regina dell’Acqua, diede subito sollievo alla sua pelle non
abituata a starci
per troppo tempo lontano. Si tuffò, congiunse i piedi che
mutarono, quasi
unendosi e ricoprendosi di una membrana verde acqua alle
estremità, assumendo
un aspetto molto simile ad una coda di pesce. Nuotò
velocissima, ansiosa di
tornare a casa. La sua pelle a squame blu, con sfumature verdi,
brillò
ristorata dall’acqua e sentì con sollievo i
polmoni riempirsi di nuovo tramite
le branchie che aveva sul collo. Attraversò
l’arcata d’ingresso alla metropoli
principale, accolta dalle guardie che se ne stavano sulla loro cima, e
continuò
a nuotare. Il palazzo reale era leggermente rialzato rispetto agli
altri
edifici e brillava, in modo quasi magico, con i mille colori del mare.
Ci
entrò, lasciando la corona di corallo rosso nelle sue
stanze, ed andò a cercare
le figlie. Sapeva che il marito non era presente perché
perennemente occupato a
controllare i movimenti privi di logica ed improvvisi di Ozymandias. Da
lui
aveva avuto due femmine, Egèria, la maggiore, ed Enki. Era
consapevole che, in
tutto il regno, non vi erano migliori rappresentanti delle creature
dell’Acqua.
Perciò sarebbe stata una di loro due a partire. Le
chiamò al suo cospetto,
nella sala del trono, e le attese, impaziente. Dietro di lei si apriva
a
ventaglio il possente seggio di conchiglia e madreperla, intagliata
sapientemente, e al suo fianco lo scettro faceva bella mostra di
sé. Le figlie
arrivarono e si fermarono, appoggiando i piedi palmati, di fronte alla
madre.
La salutarono educatamente ed attesero le sue parole.
Egèria
assomigliava più al
padre, con lunghi capelli azzurro chiaro, gli occhi tondi quasi neri e
la pelle
sfumata verso il blu. Enki, invece, era come la madre. La pelle blu che
sfumava
verso il verde, gli occhi di un azzurro profondo, puro, ed i capelli
che
formavano una cresta verde acqua che si allungava fino a
metà della schiena.
L’avevano alzata entrambe le figlie quella cresta, per la
curiosità e per la
tensione. Nerektan spiegò loro brevemente qual’era
la situazione e la soluzione
che aveva in mente.
“Una
di noi due?” si stupì
Enki, da poco diventata maggiorenne ma dimostrando parecchi anni in
meno nel
viso e nel corpo.
“Sì,
esatto. Una di voi due,
bambine mie. Credo non possa esserci soluzione migliore”
confermò la madre, non
capendo la perplessità della sua creatura.
“Ma
non c’è nessuno di più
adatto? Intendo dire…noi siamo molto
giovani…” iniziò Egèria.
“Giovani?
Suvvia…tu hai
passato i vent’anni. Sei una donna ormai, alla tua
età già stavo seduta su
questo trono e mi prendevo con gioia le mie
responsabilità”.
“Sì…ma…”
riprese Enki “…noi
non siamo mai uscite da palazzo. Come possiamo affrontare un viaggio
attorno ad
Asteria? Nemmeno sappiamo da che parte sta il Signore
dell’Est!”.
“A
est…non mi sembra
difficile!” sbottò Nerektan.
Enki
fece per rispondere ma
non trovò le parole.
“Sarebbe
un’ottima occasione
per una di voi due. Magari così imparate
dov’è l’est!”.
“Ma
mamma…sei stata tu ad
impedirci di uscire da queste mura! Mica puoi pretendere grandi
conoscenze da
noi!” protestò la maggiore.
“Eppure
mi pare che tu esca
benissimo da qui, anche senza il mio permesso!”.
Egèria
arrossì. Era vero. Lei
usciva spesso ma di nascosto e credeva che la madre non lo sapesse.
“Sarebbe
un’ottima occasione
per te, futura regina, un viaggio assieme ad altri rappresentanti di
Asteria.
Saranno altri principi e principesse, futuri regnanti e possibili
alleati. O
nemici” consigliò la regina, guardando la maggiore
quasi con rimprovero.
“Non
sono mai stata
particolarmente diplomatica. Non credo sia il caso” rispose
lei.
“Sciocchezze!
Chi meglio di te
può esserci?” protestò Nerektan.
“Lei!”
rispose Egèria,
indicando la sorellina.
“Chi?
Io? Ma scherzi? Io da
qui non mi muovo!”.
“Una
di voi due partirà”
ordinò la regina “Oppure mi fornirà un
motivo valido per non farlo!”.
Le
due sorelle si guardarono
negli occhi.
“Suvvia,
Enki…” iniziò Egèria
“…di certo sei tu la più adatta! Fin da
bambina ti sei sempre chiesta cosa ci
fosse al di fuori del palazzo…”.
“Sì,
ma non ho mai avuto
l’ardire di oltrepassare le sue finestre”
controbatté la sorellina.
“E
non saresti lieta di
poterlo fare con la benedizione di mamma?”
continuò la maggiore.
“No.
Sto bene dove sto. Grazie
per l’offerta ma credo che il viaggio e l’onore
spettino a te, principessa
ereditaria”.
“Non
puoi trovare altri
possibili pretendenti per una cosa del genere?”
suggerì Egèria alla madre, che
non prese nemmeno in considerazione quella frase, convinta
com’era di mandarci
una delle figlie, sangue del suo sangue, le uniche di cui si fidava.
“Ma
insomma! Qual è il
problema?!” volle sapere la sovrana “Tu, ad
esempio, Enki, che problema hai?
Perché non vuoi partire?”.
“Io…”
balbettò la ragazza,
chinando la testa “…io ho paura!” ammise.
“Paura
di cosa?” si stupì
Nerektan.
“Di
tutto. Non so cosa mi
aspetta al di fuori di qui e non voglio saperlo. Ho paura e non voglio
lasciare
casa mia!”.
“Beh…a
quanto pare…” affermò
allora la regina “…spetterà a te,
Egèria, partire”.
“Non
posso” tagliò corto lei.
“Perché?”.
“Perché
no. Problemi miei”.
“Sono
anche problemi miei!
Parla!”.
Lei
sospirò e guardò la
sorellina, puntandogli contro uno sguardo ed un sibilo accusatore da
“grazie
tante, principessina, mi hai messo nei guai!”.
“Io…credo…ed
è solo
un’ipotesi…” iniziò
Egèria, respirando a fondo e dosando le pause per trovare
le parole “…credo di essere incinta”.
Nerektan
affondò nel trono,
colpita da quelle parole più di qualsiasi altra cosa, mentre
Enki rimase
immobile, ammutolita.
“Credi?”
mormorò la regina,
impallidendo.
“Sono…quasi
sicura” confermò
la figlia, tenendo la testa bassa e le mani dietro la schiena.
Scese
il silenzio,
imbarazzante, che durò non poco.
“E…chi
sarebbe il padre?”
domandò, dopo un po’, Nerektan.
“Lir”
si limitò a dire Egèria.
“Mmm…è
un ottimo partito!”.
“Cosa?!
Davvero?!” si stupì la
maggiore.
“Sì.
Certo. È forte, elegante,
educato e…tutto il resto. Sarà un ottimo
re”.
“Dici
sul serio?”.
La
regina sorrise ed annuì.
“Quindi…non
sei arrabbiata?”
continuò Egèria.
“No.
Stupita, ma non
arrabbiata. Lir mi piace e spero voglia prendersi tutte le sue
responsabilità.
Preparati, figlia mia, perché da oggi sei ufficialmente
promessa ed inizieranno
i preparativi per il tuo matrimonio!”.
La
maggiore lanciò un grido di
gioia, la madre si alzò e le andò in contro. Si
abbracciarono e la regina
mormorò un “congratulazioni” felice,
contraccambiato da un “grazie”.
“Enki…”
parlò di nuovo la
sovrana, rivolta alla minore, allontanandosi con la maggiore
sottobraccio “…tu
invece preparati a partire. È ovvio che tua sorella non
può. Vedrai che andrà
tutto bene, rilassati e non avere paura”.
“Ma
io…” provò ad obbiettare
lei, senza risultato perché Nerektan se n’era
già andata.
La
cresta della figlia minore
si abbassò. Era afflitta. Ora tutti erano concentrati sul
grande evento, il
grande giorno di Egèria, e pareva che a nessuno importasse
di lei, della
partenza e del terrore che provava dentro di sé.
†††
Non
poteva crederci. Il giorno
era arrivato. Era nato in una famiglia povera, in un piccolo paese, ed
aveva
sempre dovuto combattere per ottenere qualsiasi cosa. Ora cambiava
tutto! Era
felice e soddisfatto della sua esistenza ma era rimasto stravolto
quando aveva
ricevuto quella lettera dal re. Una convocazione al suo cospetto,
davanti al
grande sovrano del reame della Roccia, in quel giorno preciso. Si era
incamminato
verso la capitale, Dusares, attraverso tutti i cunicoli sotterranei
dopo i
quali era costruita. Lui era uno degli abitanti delle alte montagne del
reame
ma il re risiedeva nella città principale che era
interamente sotto la
superficie rocciosa.
Con
la lettera stretta fra le
mani, procedette con la sacca sulle spalle lungo la via principale.
Non
riusciva a capire le
motivazioni che avevano spinto il suo re, Eranoranhan, a scegliere
proprio lui.
Non ne aveva parlato con nessuno, nemmeno con i suoi genitori, dato che
la
convocazione parlava chiaro: era strettamente personale. Era spiegata
nei
dettagli, la faccenda del Signore dell’Est e tutto quello di
cui il sovrano di
Roccia era a conoscenza, ed era giunto il giorno della partenza. Gli
era stato
detto di mostrarsi davanti al capo di stato per ricevere la chiave del
palazzo
del Signore dell’Ovest e, immaginava, sperava, qualche
consiglio su come
affrontare la convivenza con le strane creature degli altri regni.
L’intera
architettura della
capitale, in pietra, lo avvolse. I soffitti, altissimi e sorretti da
massicce
colonne squadrate, lasciavano ampio spazio a negozi, botteghe, case e
spazi
liberi in cui intravide alcuni bambini rincorrersi ridendo. Non dava
nell’occhio, se non per l’abbigliamento tipico
delle montagne che tendeva più
verso il marrone rispetto al grigio dei sotterranei. Avrebbe voluto
indossare
il gonnellino in tartan tipico del suo clan, ma pensò non
fosse il più adatto
al viaggio e così si era rassegnato a portare semplici
pantaloni con una larga
cintura nera. Non aveva altro addosso per lasciare libero il suo
elemento, che
lo faceva mutare con estrema facilità con spuntoni e
protuberanze grigio scuro
o marrone lungo la pelle color pietra. Le uniche che rimanevano sempre
ben
visibili in ogni caso erano quelle che aveva sulla testa, simili a due
corna
rivolte all’indietro che partivano da dietro le orecchie di
quella creatura dai
capelli rasati ma con un piccolo codino, di un colore intermedio fra il
rossiccio ed il marrone, lasciato crescere dietro alla nuca. Ormai era
vicino
alla meta, vedeva l’ingresso del castello. Preso
dall’entusiasmo, corse fino
all’ingresso. Le due statue all’ingresso del
palazzo si mossero, lasciandolo
passare solo perché in possesso della lettera del sovrano.
Si ricompose,
volendo dare un’ottima impressione ad Eranoranhan, ed
entrò lentamente
nell’ampia sala del trono.
Fu
fatto entrare e lasciato
solo al cospetto del re. Respirò a fondo. Non poteva negare
di essere in totale
soggezione. Il sovrano sedeva su un immenso seggio in pietra, che quasi
lo
racchiudeva ripiegandosi alle spalle del suo padrone. Era un uomo
possente,
ricoperto interamente di grossi spuntoni di roccia su tutto il corpo,
che ne
aumentava le dimensioni notevolmente.
Sorrise,
vedendo entrare il
suo ospite.
“Vieni
avanti” parlò.
Il
convocato avanzò, sicuro di
aver sentito la voce del suo signore espandersi direttamente dal
terreno, senza
dire una sola parola.
“E
così…tu sei il mio
campione…” continuò Eranoranhan, quando
lo ebbe abbastanza vicino “…sei molto
giovane…quanti anni hai?”.
“Venti…tre…”
rispose.
“Venti
o tre?” ridacchiò il
sovrano.
“Ventitré”
esclamò l’altro,
senza rispondere alla risatina.
“Suvvia…scherzo!
Sei
giovanissimo, specie per noi abitanti della Roccia che viviamo molto a
lungo, e
ai miei occhi anziani sei un bambino. Eppure…mi son giunte
voci strabilianti su
di te”.
“Su
di me?” si stupì il
giovane.
“Sì.
Non sei tu che,
all’inizio dell’anno, ti sei dimostrato il
più valoroso al gran torneo che
organizzo per scegliere i migliori guerrieri del regno?”.
“Sì,
sono io…”.
“Benissimo.
Allora sei tutto
ciò che mi serve”.
Il
giovane ricordò mentalmente
quel torneo, come aveva affrontato tutti i suoi avversari con coraggio
e
determinazione, dimostrando che per sopravvivere aveva sempre dovuto
combattere. Non aveva certo paura di inutili titoli nobiliari o
importanti
bardature!
“Come
ti chiami?” domandò di
nuovo il padrone di casa, l’unica creatura di cui sentiva
dover aver paura
perché potente della magia totale dell’elemento su
cui regnava.
“Mattehedike”.
“Il
dono degli Dèi vincitori,
bellissimo significato”.
“Grazie,
Vostra Maestà”.
“E
sarai un dono per il tuo
regno ed il tuo popolo. La missione che ti affido è di
massima importanza.
Dovrai rappresentarci degnamente!”.
“Farò
il possibile…”.
“Lo
so”.
Eranoranhan
sbatté le mani,
producendo un suono simile ad un tuono, e subito sull’uscio
apparvero due
donne, adornate con decisi disegni sulla pelle, portando uno scrigno
molto
pesante.
Il
re lo aprì con il suo
anello e sorrise. Dentro di esso era contenuta la chiave del palazzo
del
Signore dell’Ovest. Era marrone scuro, con una catena in
pietra intagliata che
pareva di certo non molto leggera. Il sovrano fece segno al suo
campione di
avvicinarsi. Un po’ titubante, il giovane si
avvicinò. Alzandosi, il capo di
stato lo superava di diverse spanne in altezza e gli mise la catena
attorno al
collo. La chiave era fredda ma Mattehedike non lo avvertì.
La guardò, ammirato.
Era bellissima, splendidamente lavorata e non molto pesante come
pensava.
“Ricordati
che è una copia
unica, caro ragazzo. Se la perdi ne subirai tutte le conseguenze,
pessime.
Perciò vedi di fare attenzione!”.
“Non
me ne staccherò mai,
questo è certo. Morirò piuttosto che non
riportargliela!”.
“Che
esagerazione…ad ogni modo
vedi di riportarmela. E di fare onore alla nostra specie!”.
“Qualche
suggerimento per il
viaggio?” ebbe il coraggio di dire il giovane, pur ancora in
soggezione davanti
all’anziano sovrano.
“Attento
al ghiaccio, ti
rovina da dentro se ne sei esposto troppo a lungo. E la pioggia
è una gran
scocciatura ma dubito tu possa prenderne così tanta da
danneggiarti…”.
“Fuoco?
Elettricità?
Oscurità?”.
“Di
quelli non preoccuparti
più di tanto. Pensa al tuo e vai per la tua strada. Attento
a non fidarti
troppo, specie dell’Oscurità, che ha delle
creature subdole ed incantatrici”.
Mattehedike
fece un cenno con
il capo, stringendo la chiave con una mano.
“Bene”
affermò il re “Ora per
te è giunto il tempo di partire. Hai una piantina del regno?
Sai come arrivare
al palazzo dell’Ovest?”.
“Sì.
Mi sono procurato tutto”.
“Perfetto.
Allora puoi andare.
Il Signore ti attende. E che il grande Dio della Forza e del Coraggio
ti guidi
lungo tutto il cammino. Fai buon viaggio e ricorda: al tuo ritorno ti
attende
una degna ricompensa se tutto andrà come
previsto!”.
Si
congedò e fece segno al
convocato di andare. Con un inchino, Mattehedike uscì dal
castello tenendo
sempre la chiave fra le mani, un po’ per essere sicuro di non
perderla ed un
po’ per tenerla celata ad occhi indiscreti. Si
incamminò deciso, verso la
superficie, con la sacca in spalla e gli occhi scuri puntati verso
l’obiettivo.
La luce di Sirona lo investì e si coprì gli occhi
con la mano. Non era più
abituato a tutta quella luce. Sapeva qual’era la direzione,
era felice e sicuro
di poter fare onore alla sua razza. Con quei propositi si
incamminò verso il
Signore dell’Ovest, dove sarebbe iniziata la più
grande avventura della sua
vita.
†††
Friedrik
bussò, diverse volte,
senza ricevere risposta. Entrò nella stanza lentamente e
chiamò il nipote per
nome. Lo chiamò ma questi non si girò. Assorto
nella lettura di un grosso
manuale, non si era reso nemmeno conto di non essere solo nella stanza.
Il re
del regno della Luce sospirò, ridacchiando divertito, e gli
poggiò una mano
sulla spalla.
“Efrehem!”
lo chiamò, ed il
giovane sobbalzò allarmato, scendendo dalle nuvole.
“Nonno!
Sei tu…” sbottò, dopo
essersi ripreso dallo spavento.
“Sì.
Sono io. È ora di andare,
nipote. Il tempo è giunto”.
Doveva
partire alla volta del
Signore dell’Ovest ma non era per niente d’accordo
di esserne in grado. Era
gracilino Efrehem, magro e di bassa statura, con grandi occhi
arcobaleno. Non
era mai uscito da quel palazzo luminoso ed era piuttosto spaventato
all’idea di
lasciarlo.
Più
volte aveva chiesto il
perché di quella scelta, perché lui era destinato
a partire, ed il nonno lo
aveva convinto spiegandogli che secondo lui non c’era persona
più adatta per
quel compito.
Era
intelligente, colto e con
una buona forza magica, dovevano essere queste le caratteristiche della
Luce,
non altre. Da quando il parente a capo di quel regno gli aveva parlato
di quel
viaggio, Efrehem aveva iniziato a studiare e leggere più
libri possibile
riguardanti Asteria, per poter essere preparato a ciò che lo
aspettava. Rimase
turbato da come le informazioni sui vari regni fossero frammentate e
discordanti. Leggendo e rileggendo, aveva capito che molte cose avrebbe
dovuto
apprenderle sul posto perché da quelle pagine non se ne
veniva a capo. Troppe
domande! Troppe poche risposte! Credeva di essere in grado di
prepararsi
adeguatamente in tre settimane ma si sbagliava…era giunto il
giorno della
partenza e lui ne sapeva ben poco di più rispetto a prima.
Rabbrividiva solo
all’idea di dover affrontare una tale impresa senza le
conoscenze che desiderava.
Al buio. Al buio lui, che era il nipote del re della Luce!
Si
passò una mano sui capelli
corvini, corti e ben pettinati, sfiorando le antenne rosse che aveva
sulla
testa. Erano molto utili quando si volevano leggere più
volumi assieme. Il
cervello di quelle creature era in grado di seguire le due paia di
occhi
contemporaneamente, senza problemi, accorciando notevolmente i tempi di
apprendimento. Gli occhi giallo-dorati su quelle antenne,
però, si notava che
erano stanchi per il troppo lavoro. Si socchiudevano assonnati.
“Credi
davvero che io sia in
grado di affrontare una cosa del genere?” domandò,
per l’ennesima volta,
Efrehem.
“Assolutamente!”
ribatté, di
nuovo, il re “Non c’è nessuno in tutto
il mio regno più adatto di te a
rappresentarci. Devi stare tranquillo e credere in te stesso, come hai
sempre
fatto”.
“Ma
nonno…una cosa è imparare
delle cose per poi ripeterle, un’altra è impararle
e metterle in pratica! E poi
qui non c’è nulla di utile, fra questi scaffali.
Un’immensa biblioteca, e così
poche informazioni sugli altri regni. È
assurdo…”.
“Noi
non possiamo andare nei
loro mondi, dobbiamo attendere che siano loro a fornirci notizie. Non
essendoci
grandi contatti, com’è possibile avere
più informazioni al riguardo?”.
Efrehem
decise che, nello zaino
per il viaggio, avrebbe anche portato un quadernetto bianco per potervi
annotare ogni cosa. Voleva che i suoi successori avessero perlomeno la
vaga
idea di cosa ci fosse oltre i confini del regno della Luce.
Con
il solito completo in
giacca e cravatta di colore nero, si apprestò a partire. La
luce della sua
pelle era particolarmente forte, probabilmente per
l’agitazione, ed avvertiva
chiaramente il battito accelerato del suo cuore. Aveva preparato tutto
da
tempo, pensando accuratamente ad ogni cosa. Aveva pensato al freddo del
regno
del Ghiaccio, al buio dell’Oscurità, al caldo del
Fuoco…per ognuno di essi
sperava di essersi preparato a dovere. Ovviamente con sé
portò un’accurata
piantina del suo regno, l’unico di cui esisteva una mappa in
tutto il territorio
della Luce, ed alcuni libri che ritenne utili. Pesava sulla sua schiena
quello
zaino ma sapeva di non poter lasciare a casa nulla.
Suo
nonno, sovrano di quel
popolo, gli stava porgendo la chiave per il palazzo del Signore
dell’Ovest. Era
bella, dorata e luminescente. La appese al collo con la catenina chiara
e la
nascose sotto la cravatta, per non dare troppo nell’occhio.
“Nipote
mio…” riprese a
parlare il re “…non posso mentirti dicendoti che
sarà un viaggio facile, breve
o piacevole. Ti ritroverai circondato da creature sconosciute, di
specie
diverse, in luoghi in cui non sei mai stato e di cui non hai studiato.
Ti
stancherai, avrai fame, caldo, freddo, paura…ma ricorda che
le divinità ti
proteggono. Senti queste voci?”.
Nel
silenzio, Efrehem sentì
chiaramente i cori provenienti dal tempio interno al castello. Canzoni
magnifiche, melodiose, venivano rivolte agli Dèi.
“Sì,
le sento…” rispose
Efrehem.
“Tienile
dentro di te. Vedrai
che ti daranno la forza di affrontare ogni cosa, anche la
più inaspettata. Non
avere paura…”.
“Non
ho paura! È solo che non
so cosa aspettarmi là fuori. E la cosa mi irrita
perché vorrei essere preparato
prima ad ogni imprevisto possibile, per poterlo fronteggiare con logica
e buon
senso”.
“Non
tutto si può affrontare
con il buon senso. L’amore, per esempio, è una
sensazione che blocca ogni tua
capacità logica…”.
“Non
credo possa accadere che
IO perda ogni capacità logica e, ad ogni modo, dubito
fortemente che l’amore
abbia a che fare con la missione!”.
“Era
per farti un esempio, mio
piccolo genio…”.
Efrehem
sospirò. Con lo zaino
in spalla e la cartina a portata, uscì dalla biblioteca.
Friedrik lo seguiva,
camminandogli a fianco, con la corona scintillante e luminosa ben
calcata in
testa.
“Sono
sicuro che mi renderai
orgoglioso!” esclamò il sovrano.
“Perché,
fin ora non ti ho mai
reso orgoglioso?”.
“Tantissime
volte. E so che
anche questa volta non mi deluderai”.
“E…se
non dovessi tornare? Se
incontrassi un pericolo più grande di quanto immagini e
nessuno degli altri
nove miei compagni mi aiutasse?”.
“Da
quando sei pessimista?
Andrà tutto bene! Ricorda che…”.
“Sì,
sì…gli Dèi mi proteggono!
Ho capito, nonno”.
Gli
occhi sulle antenne del
giovane si erano chiusi, addormentandosi, e non si riaprirono per un
sacco di
tempo.
Efrehem
uscì da palazzo con
una certa titubanza dentro di sé, ma mostrando estrema
sicurezza all’esterno,
ed incominciò ad attraversare le vie di Balder, la capitale.
Qualcuno lo
riconobbe, molti lo ignorarono. Non essendo mai uscito dal castello, in
pochi
sapevano come fosse fatto lui, principe erede al trono. Sua madre,
discendente
diretta di Friedrik, era morta non molti anni prima
all’improvviso e di suo
padre non si avevano più notizie da tempo. Sapeva che era
vivo ma Efrehem non
aveva nemmeno tentato di ricontattarlo, sentendosi tradito dal suo
abbandono.
In questo modo era lui destinato a prendere il posto del nonno, anche
se al
momento non ne aveva nessuna voglia. Si sentiva a disagio nei panni di
sovrano.
Friedrik era un uomo alto, con uno sguardo che incuteva rispetto e
timore. Il
principe invece, al contrario, era piccolino e con enormi occhi che
suscitavano
solamente tenerezza. Dimostrava di certo molti meno anni rispetto a
quelli che
aveva.
Intraprese
il viaggio fino al
palazzo del Signore dell’Ovest da solo. Voleva abituarsi
all’idea di dover
pensare a se stesso, senza aiuto, per non doversi ritrovare al cospetto
degli
altri rappresentanti dei regni senza aver mai provato la solitudine.
Sirona
brillava forte quella mattina ed Efrehem si concentrò per
assorbirne i raggi il
più possibile, sicuro che ne avrebbe avuto bisogno lungo il
suo cammino. Non
scendeva mai la notte in quel regno, c’era sempre luce anche
se più o meno
forte. Dopo non molto tempo, si pentì di aver portato con
sé quei libri così
pesanti. Si fermò, non riuscendo ad andare oltre. Si
guardò indietro,
sconfortato. La capitale era ancora a portata d’occhio.
Sempre più convinto che
non l’avrebbe più rivista, decise di lasciare i
libri dietro di sé. A
malincuore, li regalò a due simpatici signori che
incrociò poco più avanti,
raccomandandogli di averne cura. Non si separò,
però, dal blocco di fogli
bianchi in cui si era ripromesso di trascrivere per intero la sua
avventura ed
ogni informazione utile riguardante Asteria. Più si
allontanava da Balder,
inoltrandosi per le campagne, e più si sentiva fuori posto.
Si pentì amaramente
di non aver mai lasciato il castello per esplorare un po’ il
mondo circostante,
come al contrario aveva fatto sua sorella che ormai mancava di casa da
anni e
si faceva sentire solo per lettera.
Il
viaggio durò dieci giorni,
non sette come aveva previsto e sperato, data la sua andatura per nulla
atletica. Giusto in tempo giunse al cospetto del palazzo del Signore
dell’Ovest. Lo vide da lontano, dall’alto di una
sporgenza erbosa, e sorrise.
Si inquietò leggermente notando come il terreno cambiasse
una volta
oltrepassati i confini, che dall’alto si vedevano
chiaramente. Il regno del
Fuoco, sulla destra, lo spaventò con quel suolo rosso, forse
di lava
incandescente, e quello dell’elettricità non lo
confortò di certo notando le
scosse che lo attraversavano. Avrebbe davvero dovuto metterci piede?
Fortunatamente il palazzo grigio e circolare dell’Ovest,
identico all’esterno a
quello dell’Est, gli impediva di scorgere gli altri regni,
impedendogli di
spaventarsi ulteriormente. Prese un profondo respiro e si accinse a
scendere da
quell’altura, raggiungendo la valle sottostante. Ovviamente,
malfermo sui piedi
com’era, scivolò per un tratto e
ruzzolò fino a quando non riuscì ad aggrapparsi
ad un albero, luminoso come la sua pelle. Si guardò,
riflettendosi sull’acqua
increspata di un piccolo fiume, e decise di darsi una sistemata prima
di
entrare. Sistemò i vestiti, che si asciugarono dopo il
lavaggio in un attimo
grazie alla forte luce, si pulì il viso dalla terra, ancora
presente dopo il
bagno, e si pettinò accuratamente i capelli.
La
porta dal suo lato era
color oro, come la chiave che portava al collo, e brillava riflettendo
la luce.
Gli occhi sulle antenne di Efrehem si spalancarono per ammirare quello
spettacolo irripetibile. Il principe riusciva perfettamente a
specchiarsi in
quella superficie e pensò che gli occhi della
divinità che lo proteggeva
dovevano essere di quel colore. Guardò in alto, notando
un’ampia finestra ad
arco a tutto sesto, sormontato da una lunetta decorata con intarsi in
oro.
Voleva continuare a guardare quell’edificio ma sapeva che non
avrebbe potuto
restare lì a lungo. Era ormai giunto il giorno prestabilito.
In lontananza, un
satellite tondo e di colore rosso stava facendo capolino dal tetto
dell’edificio, proprio sopra la sua testa. Prese coraggio,
afferrò la chiave
d’oro fra le mani e la infilò nella serratura,
aprendo la porta ed entrando.
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Capitolo 3 *** III- il viaggio comincia! ***
III
La prima ad arrivare nel
palazzo, con la sua chiave gialla, fu Reishefy, la principessa del
regno
dell’Elettricità. Impaziente, era giunta fino a
lì con largo anticipo. Illuminò
il proprio lato con le scosse che passavano sulla sua pelle ed
esplorò quella
parte, segnata e delimitata chiaramente sul pavimento, dedicata
all’Elettricità. Quel palazzo non aveva le logge
rialzate come dal Signore
dell’Est ma era totalmente vuoto. Subito dopo
l’entrata vi era una piccola
sporgenza, come una tettoia, di cui Reishefy non ne capì
l’utilità. Era curiosa
di sapere chi fosse entrato dalle altre porte e faceva supposizioni su
chi
fosse stato il prossimo. Dall’interno tutte le pareti erano
identiche, fra
finestre e forme. Solo i colori mutavano, in spicchi, sul pavimento
colorato in
corrispondenza dei diversi regni. Sotto la ragazza c’era il
giallo e provava un
timore quasi reverenziale all’idea di sfiorare una
colorazione differente. Si
avvicinò verso il centro, sorpassando la fascia con
più luce grazie alla grande
finestra, ed osservò tutte le altre zone.
Saltellò sul posto, annoiandosi. Con
i capelli bianchi a riflessi dorati che guizzavano, cominciò
a canticchiare per
ingannare il tempo sedendosi e tenendosi i piedi. Ridacchiò
al rimbombo della
sua voce.
Sentì chiaramente una
porta
aprirsi, dopo diverse ore di attesa. Subito scattò in piedi,
sorridendo.
“Ciao!”
urlò.
L’eco le
rimbalzò all’orecchio
per diverse volte.
“Ciao! Io sono Reishefy,
principessa del regno dell’Elettricità!”.
Nessuno le rispose ma la
ragazza vide muoversi una figura nella penombra non molti spicchi alla
sua
destra. Tornò, trotterellando, verso il centro e
ricominciò a presentarsi.
Finalmente la persona appena entrata si mosse verso la luce della
finestra.
“Ciao!”
ripeté Reishefy.
“Ho capito!”
sbottò la figura
“Ciao anche a te…”.
“Come ti
chiami?”.
“Thuwey…”.
Il signore del Metallo era
alquanto perplesso. Il comportamento della ragazza lo stupiva. Si
avvicinò al
centro, dove lei si era messa porgendogli la mano. Lui, con un rumore
di ferro
e catene che sbattono, la fissò lievemente accigliato.
L’Elettricità non
abbassò la mano ed attese, con un ampio sorriso, di farsela
stringere.
“Non ti mordo
mica!” sbottò la
ragazza.
“Non ne dubito,
ma…”.
“Ed allora la buona
educazione
vuole che ci si stringa la mano quando ci si conosce! Oppure per la tua
razza è
differente? Allora…piacere, io sono Reishefy!”.
“L’ho
capito…sono Thuwey…”.
Si strinsero la mano e
l’abitante del Metallo la ritrasse all’istante,
bestemmiando. Gli aveva dato la
scossa. Lei parve davvero mortificata.
“Non mi era mai
successo…scusa!” mormorò, tenendosi la
punta delle dita sulle labbra.
“Bah…non fa
niente, và!”
brontolò Thuwey, stringendosi la mano dolorante e sentendo
ancora la scossa che
gli attraversava ogni parte del corpo.
“Sembra
divertente…” parlò una
terza voce.
“Per
niente…” sibilò Thuwey.
“Posso provare? Io sono
Mattehedike”.
La Roccia non ebbe la stessa
reazione quando gli fu stretta la mano, anzi ridacchiò per
il solletico. Il
Metallo fissò entrambi, ritornando alla sua solita
espressione lievemente
minacciosa. Aherektess, principe del regno dell’Aria,
entrò dalla finestra ed
atterrò dolcemente sul pavimento azzurro chiaro. Si
sistemò le piume con cura,
guardando solo di striscio le altre persone nella sala. Uno dietro
l’altro,
entrarono nel palazzo senza dare tempo a Reishefy di salutarli e farsi
salutare
come voleva. Arrivò Idisi per il regno della Terra, che si
fermò a metà del suo
spicchio, senza dare troppa confidenza. Enki, spaventata dalla
situazione, non
si mosse dal porticato che stava sull’ingresso. Kassihell,
rappresentante del
Fuoco, guardò tutti di sottecchi, senza parlare. Stessa cosa
fece l’abitante
del ghiaccio, avvolto in un pesante mantello con cappuccio ricoperto
della neve
del suo mondo. Efrehem, appena entrato, salutò educatamente
e si mosse verso la
luce della finestra, fermandosi in quel punto, con le mani dietro la
schiena.
“Manca solo il
rappresentante
dell’Oscurità…”
mormorò, rincuorato dall’idea di non essere
l’ultimo arrivato,
e per interrompere il silenzio.
“Veramente io sono
già qui…”
parlò una voce.
Lo spicchio
dell’Oscurità non
aveva luce, non potendo entrare nessun tipo d’illuminazione
dalla finestra.
Lehelin, essendo del tutto fatta di ombra, non si poteva vedere ma,
avvicinandosi al centro, rifletté con gli occhi argento la
poca luce che la
colpì. Si fermò, per non riceverne altra.
“Allora ci siamo
tutti…” disse
la Luce.
“Tranne il padrone di
casa”
aggiunse Kassihell.
E proprio in quel momento,
come se fosse stato chiamato, il centro della stanza si alzò
ed iniziò ad
apparire il Signore dell’Ovest, sempre tutt’uno con
il pavimento come il
gemello dell’Est.
“Che bello! Sembra una
grossa
gelatina!” esclamò Reishefy.
Tutti la fissarono più
che
sconcertati da quella frase, compreso il Signore dell’Ovest.
“Sei
bellissimo…posso
toccarti?” continuò la ragazza.
Il padrone di casa rimase per
un attimo immobile, senza rispondere, ma poi annuì, quasi
sorridendo.La
principessa dell’Elettricità allungò le
mani e si mise a ridere, soddisfatta.
“Sembra davvero una grossa
gelatina! Un’enorme caramella gommosa! È una
sensazione stupenda! Toccatelo
anche voi!”.
Ritrasse le mani quando
notò
gli sguardi di rimprovero degli altri. Le incrociò dietro la
schiena e sussurrò
uno “scusatemi” imbarazzato. Il Signore
dell’Ovest ridacchiò divertito e si
guardò attorno.
“Venite tutti quanti
vicino a
me” ordinò, notando come Enki e
l’Oscurità fossero rimaste piuttosto indietro
rispetto al resto del gruppo.
Lehelin si mosse, stringendo
leggermente gli enormi occhi per adattarsi alla luce. Enki ci mise un
po’ di
più, spaventata com’era, ma alla fine raggiunse la
sua postazione.
“Sedetevi”
continuò l’Ovest.
“Per terra?”
domandò Efrehem,
stupito da quel comando.
“Sì.
Sedetevi” fu la risposta.
Tutti si sedettero, notando
come le distanze fra loro fossero piuttosto ridotte.
Il Signore li fissò,
ruotando
solo la parte superiore del suo corpo informe. Era identico al suo
gemello,
l’Est, con gli occhi che variavano continuamente di colore e
luminosità, tranne
per il fatto che l’Ovest era a spicchi colorati come il
pavimento da cui
emergeva.
“Sono lieto di vedervi.
Siete
stati puntuali, questo è importante…”
iniziò, con voce bassa e vibrante
“…come
importante è la missione che vi apprestate a compiere. Prima
di spiegarvi ogni
cosa, vorrei che ognuno di voi si presentasse. Dovrete passare diverso
tempo assieme
e credo che il modo migliore per iniziare sia proprio imparare a
conoscersi.
Chi vuole iniziare?”.
Kassihell stava per obiettare.
Solo l’idea di perdere tempo con giochetti idioti ed
infantili lo irritava.
“Io! Inizio io!”
si propose
Reishefy, alzando la mano.
“Non avevo dubbi al
proposito…” borbottò Thuwey.
“Prego…”
acconsentì il Signore
dell’Ovest, con un lieve cenno del capo traballante.
“Beh…ciao a
tutti, io sono
Reishefy. Sono la…non so…credo la ventesima
figlia di Taranis, il re
dell’Elettricità…”.
A quelle parole più di
qualcuno si guardò con strani sorrisetti ed ammiccate, come
a dire “si dà da
fare il caro Taranis…”.
Reishefy non notò quelle
facce
e continuò il suo racconto. Si era alzata in piedi, con le
mani dietro la
schiena e la coda arricciata, attenta ad incrociare lo sguardo di tutti
per
verificare se le prestavano ascolto ed attenzione.
“…ho sedici
anni e sono stata
scelta per questo viaggio perché sono la più
forte”.
“La più forte
in cosa?”
ridacchiò Aherektess.
“Se vuoi ti tiro una
scossa
nel culo e poi me lo dici tu…” sibilò
lei, di risposta.
La principessa, sicura delle
sue capacità, non aveva portato con sé
alcun’arma. Le bastava la sua energia.
Appoggiò le mani lungo i fianchi e sorrise, mostrando a
tutti l’elettricità che
scorreva fra i capelli bianco-dorati e la pelle nera. L’abito
che indossava,
dello stesso colore di capelli e unghie, era composto da ritagli di
stoffa
zigzagati e cuciti assieme. Era in due pezzi, con la gonnellina che le
arrivava
al ginocchio, con guanti coordinati che però lei aveva
tolto. La ragazzina era
molto minuta, quasi del tutto priva di forme femminili, scalza ma,
assicurò,
con le scarpe nello zaino.
Il Signore dell’Ovest le
fece
segno di sedersi e guardò Aherektess, sullo spicchio a
fianco. Seduto a gambe
incrociate sul suo colore azzurro, si alzò di malavoglia.
Lehelin lo osservava
con una strana espressione che nessuno volle interpretare, diversa
dall’odio
totale che trasmetteva Kassihell.
Vestito quasi del tutto di blu
scuro, in tinta con i suoi capelli, una canottiera aderente e decorata
con
piccole fasce argento abbinata alle scarpe con suole alte e brillanti,
guardò
tutti con gli occhi rossi piuttosto accigliati. Mise le mani nelle
tasche dei
pantaloni neri, che avevano una specie di strascico che partiva dalla
cintura.
Una sorta di coda artificiale, forse per volare più
agevolmente.
“Io sono Aherektess,
gemello
del regnante dell’Aria e figlio del defunto
Denerìs. Gli amici mi chiamo Arek,
per facilitare le cose. Darò io l’eventuale
permesso a voi di fare lo stesso.
Ho trentun anni e sono qui per mia scelta. Mio fratello Zameknenit non
ha
potuto obbiettare”.
Nessuno volle approfondire
quella frase, notando l’espressione non proprio amichevole
sul suo viso dalle
guance scavate.
“Mi avevano detto che eri
in
coma…” parlò Thuwey.
“È
così. Lo ero. Ma ora sono
sveglio, e non ne voglio parlare” accompagnò
quella frase con un’occhiataccia
malvagia verso Kassihell, che contraccambiò.
“Voli?”
squittì Reishefy.
“Come, scusa?”
si stupì il
principe.
“Puoi volare con quelle
braccia?”.
“Sì. Sono
entrato volando…”.
“Scusa…non
l’avevo notato.
Sono molto belle le tue piume” sorrise lei e lui
azzardò un “grazie”
borbottato, tipico di chi non si aspetta di sentirsi dire una frase del
genere.
“Interessanti le tue
armi…”
notò, invece, l’abitante del regno del Metallo.
Il principe dell’Aria
portava
due spade identiche, leggermente ricurve, fissate sulla schiena da due
fasce in
cuoio scuro, i cui pomoli brillavano di luce azzurrina. Aherektess
apprezzò
molto quel commento e sorrise sinceramente al suo futuro compagno di
viaggio.
L’alto rappresentante dell’Aria si sedette e subito
si alzò l’abitante del
Ghiaccio.
Tolse il cappuccio e tutti i
maschi presenti rimasero piacevolmente stupiti. La slanciata figura
incappucciata era una bellissima ragazza bionda, con grandi occhi
azzurri e
forme prosperose.
“Salve a tutti”
disse,
sorridendo “Io sono Hanjuly, potete chiamarmi Han, o July,
principessa del
regno del Ghiaccio. Ho venticinque anni e sono qui perché
mio fratello, Igorhay,
il prescelto per questa missione, al momento della partenza ha fatto
cambio di
nascosto con me. Volevo davvero partire e poco mi importa se i miei
genitori
disapprovano”.
Con le mani infilate in
candidi guanti di velluto, stringeva il largo colletto di pelo del
lungo
mantello bianco, come bianco ero lo spicchio in cui stava e gli alti
stivali,
anch’essi con risvolto in pelo, che calzava. Non era molto
vestita sotto quella
coltre pelosa, che le ampliava le spalle con lunghi ciuffi candidi.
Indossava
pantaloni corti azzurro pastello, col pelo bianco ai bordi, e una
canottierina
semitrasparente che lasciava intravedere un top bianco con decori
lucidi. I
capelli biondi, raccolti in una lunga treccia, le ricadevano sulle
spalle
morbidi, lungo tutta la schiena. Sorrise, con le labbra dipinte di una
tonalità
pallida di azzurro, lasciando andare la collanina con la pietra scura
che
indossava, e mise le mani nello zaino chiaro, senza guardare. Ne
estrasse un
bastone non molto lungo, che lei strinse con entrambe le mani. Chiuse
gli occhi
e lo girò sopra la testa, come una majorette, e ne
spuntarono due lame
trasparenti, a formare una sorta di cerchio.
“Questa è la
mia arma” spiegò
lei, con orgoglio “Ha la lama simile al ghiaccio. Roteando
fra le mie mani, ti
taglia in due!”.
Lo mosse rapidamente, facendo
sobbalzare dallo spavento la rappresentante dell’Acqua che
stava sullo spicchio
accanto al suo. Hanjuly, dopo quella piccola dimostrazione, richiuse la
sua
arma semplicemente schiacciando un bottone senza colore e la ripose
nello
zaino. Sbatté i tacchi degli stivali fra di loro, con fare
militare, e lasciò
la parola a colei che stava sullo spicchio blu confinante al suo,
quello
dell’Acqua. Enki, vedendo che tutti gli occhi erano su di
lei, arrossì dalla
testa ai piedi e si rannicchiò, chinando la testa.
“Non avere
paura!” tentò di
rassicurarla il Signore dell’Ovest “Presentati.
Come ti chiami?”.
“Io…io sono
Enki” balbettò.
Stringeva le mani palmate fra
loro, con nervosismo. La pelle, che sfumava verso il blu, quasi si
perdeva
sullo spicchio. Non aveva il coraggio di reggersi in piedi, consapevole
di
essere piccina anche se ritta in tutta la sua altezza.
Continuò a guardarsi i
piedi scalzi, anch’essi palmati, con la cresta rivolta
all’indietro. Era
vestita di verde smeraldo, con un abito brillante lungo fino a terra, a
scaglie
lucenti come la pelle di chi lo indossava, allacciato sulla spalla
sinistra.
Sulla destra aveva una tracolla in tinta con il vestito. Respirava a
fondo,
tentando inutilmente di non agitarsi troppo.
“Sono
Enki…” riprese, dopo
qualche minuto di silenzio “…e sono la principessa
del regno dell’Acqua. Ho
diciotto anni e…non so perché sono qui. Non
volevo. Ma i miei genitori non
hanno voluto sentire ragioni e
perciò…eccomi”.
“Qual è la tua
arma?” domandò
Reishefy.
“Io…io non ho
un’arma. Non so
assolutamente combattere. Ma sono brava ad usare la magia del mio
elemento. Mi
arrangerò con quella…”.
“Dobbiamo farti da guardie
del
corpo?” sbottò Kassihell, arricciando il naso.
Lei non rispose. Gli occhi
azzurri, tondi, leggermente sporgenti, da pesce, fissarono
l’abitante del mondo
del Fuoco quasi con supplica. Nessuno disse più nulla e si
voltarono verso la
rappresentante dell’Oscurità. Questa, seduta con i
piedi dai tratti incerti
rivolti verso il punto di principio del suo spicchio nero, mosse solo
leggermente i grandissimi occhi argento. Era pura ombra, piccola e
minuta,
senza contorni chiari, con lunghissimi capelli fumosi ed in continuo
mutamento,
come nebbia. Accanto a lei si intravedeva uno zaino monospalla di
colore nero,
piuttosto piccolo rispetto a tutti i bagagli degli altri. Con le
braccia che la
sorreggevano e la schiena leggermente rivolta all’indietro,
non si alzò in
piedi ma si rizzò, incrociando gambe e braccia.
“Io sono
Lehelin” parlò “Ho
ventitré anni e sono la figlia di Ozymandias. Direi che non
mi serve aggiungere
altro”.
“Perché sei
stata scelta tu?”
incitò a proseguire il padrone di casa.
“Lo devo ancora capire. Ma
l’idea di partire mi piace”.
“Tu non hai armi. Immagino
che
le doti di incantatrice, di cui tanto si favoleggia sul tuo popolo,
siano il
tuo aiuto…” azzardò Thuwey.
“Direi di sì.
Non solo quelle.
Avrai modo di vedere come combatto, ad ogni modo. Mi
diverte…”.
A parlare, poi, fu
l’abitante
del regno della Roccia. Si alzò, divaricando leggermente le
gambe e tenendo le
braccia muscolose incrociate. Non era molto alto ma piuttosto
massiccio. La sua
pelle era, a tratti, dello stesso marrone dello spicchio in cui si
trovava.
Questo perché si era ingrossato leggermente, forse per
auto-incoraggiarsi, ed
ora braccia e petto, coperto solo da un piccolo gilet con motivi
scozzesi come
i pantaloni, presentavano tratti con spuntoni ed aree di roccia di
colore
sfumato fra il grigio e il marrone. Anche lui scalzo, sorrideva
orgoglioso,
mentre Lehelin gli fissava, incuriosita, il codino moro e le corna
rivolte
all’indietro. Disse di avere la stessa età della
principessa dell’Oscurità ma
fu interrotto quando affermò di essere il
“campione scelto dal re”.
“Un campione?”
si stupì
Kassihell “Intendi dire che non fai parte della famiglia
reale?”.
“No. Sono un guerriero del
mio
regno, non un principe” confermò Mattehedike.
“Finalmente! Mi sentivo
fuori
posto circondato da soli principini viziati e principesse da
proteggere!”
esclamò Thuwey, sorridendo.
“Ma come sarebbe a
dire?!”
riprese il principe del Fuoco“A me è stato detto
che solo un componente della
famiglia reale poteva prendere parte a questa missione!”.
“Beh…evidentemente
ti han
preso per il culo!” lo sfotté Aherektess,
gongolando.
“Maledetto bastardo
traditore!
Mi sentirà quando tornerò a casa!”.
“Sicuro di non essere
stato tu
a capire male? Si sa che voi di Fuoco brillate di fiamma ma non di
intelligenza…” ghignò il principe
dell’Aria.
“Senti un po’,
piumino
ambulante, vuoi che ti spiumi?”.
“Provaci, fiammifero
spettinato!”.
Kassihell scattò verso il
suo
avversario, ed Aherektess era pronto a contrattaccare ma il Signore
dell’Ovest
aumentò di dimensioni e mostrò tutto il suo
disappunto, facendoli tornare ai
loro posti.
“Tornando a
noi…” sbottò, poi,
il padrone di casa “…dove eravamo? Credo tocchi a
lei, gentildonna della Terra.
Si presenti, e perdoni questa interruzione imprevista. Questo se
Mattehedike
non ha altro da aggiungere…”.
“Con cosa
combatti?” parlò
Hanjuly, senza aspettare la fine del discorso.
“Con questi”
rispose il
rappresentante della Roccia, stringendo i pugni.
“Interessante…”
commentò la
principessa del Ghiaccio, apprezzandone la muscolatura e fissandolo
negli occhi
scuri con aria maliziosa.
“Ora posso
presentarmi?”
sorrise la Terra, notando il silenzio.
“Prego, madama. Non ho
altro
da aggiungere” la Roccia le fece un lieve inchino e
passò il turno.
Lei si alzò, staccandosi
dal
suo spicchio verde brillante. Era alta, anche se non come Hanjuly, e
guardò
tutti con grandi occhi giallo paglierino.
L’Oscurità non la guardò, infastidita
dal riverbero dell’abito dorato e piumato che portava. I
lunghi capelli verde
scuro li aveva decorati con una piccola coroncina di fiori, che non
appassiva
grazie alla vena di linfa che scorreva lungo la schiena della donna.
L’abito in
oro, con pietre e piume variopinte, era abbinato a polsini di uguale
fattura ed
un paio di sandali alti a lacci incrociati. Accentuava le sue forme
già
piuttosto evidenti.
“Io sono Idisi”
si presentò
“Ho trentaquattro anni, sono la maga di fiducia dei reali
della Terra. Non sono
qui per mia volontà ma perché il destino mi ha
scelto. Vedremo cosa avrà in
serbo per me…”.
Fra le mani verde chiaro
stringeva una sorta di grosso remo in legno.
“Questa è la
mia arma” spiegò,
prima di sentirsi rivolgere qualsiasi domanda “E vi assicuro
che fa molto male
se sbattuto contro uno dei vostri testoni”.
Guardava soprattutto i maschi
della compagnia, in particolare quelli che stavano per picchiarsi.
Tornò a sedersi senza
aggiungere altro, sorridendo con le sue labbra dello stesso colore dei
capelli.
Aherektess non ebbe il coraggio di chiederle quale bestia avesse
spiumato per
farsi il vestito, temendo di sentirsi rispondere che provenivano dalle
braccia
del suo popolo alato.
“Bene, bene,
bene…a quanto
pare tocca a me!”.
Il rappresentante del Metallo
stava seduto in modo decisamente scomposto e si rizzò in
piedi lentamente,
quasi controvoglia. I capelli neri, lunghi fino al ginocchio,
frusciarono sullo
spicchio argento mentre il loro padrone si alzava, accompagnato da un
forte
rumore di catene. Portava un cappotto lungo fino ai piedi, nero, che
scopriva
in parte petto e spalle, permettendo di vedere l’aderente
maglia a collo alto
che portava sotto, anch’essa di colore nero. Il cappotto,
stretto in vita da
un’ampia cintura e con larghe maniche, era pieno di catene ed
anelli di
metallo. Ovviamente aveva tutti gli spazi necessari per lasciare
scoperti gli
spuntoni metallici del corpo dell’uomo. Le gambe erano
interamente protette da
un’armatura argento, la stessa che ricopriva gli stretti e
lunghi piedi del suo
padrone, terminante a punta. Era il più alto del gruppo,
probabilmente sfiorava
i due metri d’altezza. Pareva quasi una statua, con quella
pelle grigia.
“Io sono Thuwey”
ghignò,
alzando il colletto del cappotto ed agitando leggermente le lunghe
orecchie a
punta “Farò trent’anni fra non molto e
sono il capitano delle guardie della
regina del Metallo. Sono un orfano, a differenza della maggior parte di
voi che
è nato e cresciuto ben coccolato, e quindi sono pronto ad
affrontare ogni
situazione. Ho dovuto lottare per ottenere qualsiasi cosa nella mia
vita e non
avrò certo problemi a farmi un giretto per Asteria, anche se
i miei compagni di
viaggio sarete voi”.
Mattehedike non disse nulla,
pur sentendosi leggermente offeso, avendo avuto anche lui
un’infanzia per nulla
semplice. Kassihell lo fissò con odio ma non
parlò, ripetendosi che era suo
alleato.
“Le tue armi?”
si limitò a
commentare Lehelin.
“Se avrò modo
di usarle, ne
rimarrete piacevolmente stupita, damigella d’Ombra”.
Si sorrisero, con cenni
d’intesa, apprezzandosi gli stili a vicenda.
“Mio alleato…a
te la favella!”
concluse il Metallo, guardandolo con occhi ramati e tornando a sedersi
in modo
decisamente poco elegante e senza grazia, fra un forte rumore di catene
e
ferro.
“Io sono Kassihell. Non
appioppatemi nomignoli scemi, tipo Kassy o Helly, perché mi
fan andare in
bestia” iniziò il Fuoco, rimanendo inginocchiato
sul suo spicchio rosso.
Non era molto alto, alla pari
della Roccia, e nemmeno grosso. Il suo sguardo, però, era
sicuro, minaccioso ed
incuteva rispetto, oltre che timore. Di certo era estremamente sicuro
di sé e
delle sue capacità, non a torto.
“Sono sposato”
continuò “Ho
tre bambini, due maschi ed una femmina. Sono un trentaseienne e sono
qui perché
mi ci hanno costretto. Non avrei mai voluto allontanarmi dalla mia
famiglia”.
“Questa è una
cosa
interessante…” parlò Efrehem.
“Cosa? Cosa è
interessante?”
domandò il Fuoco, senza capire.
“Non collegavo, fino ad
ora,
l’elemento che rappresenti all’amore per la
famiglia…”.
“Non so dove tu voglia
arrivare, piccoletto, ma ti consiglio di dosare per bene le parole.
Tipiche del
mio elemento sono di certo l’aggressività,
l’irascibilità e tutto il
resto…”.
“Non siamo qui per
litigare!”
mise le mani avanti l’abitante della Luce e Kassihell si
rilassò leggermente,
pur rimanendo perennemente accigliato.
Era vestito in rosso, con una
maglia semplice, grezza, a maniche larghe, aperta a V mostrando alcuni
guizzi
delle fiamme tatuate su tutto il corpo del suo proprietario. Un laccio
della
stessa tonalità, ma più scura, la chiudeva,
incrociandosi. Lunga fino alle
ginocchia, la maglia era stretta in vita da una cinta ampia, in stoffa,
di
colore nero al quale era agganciata una splendida Katana con elsa e
fodero
rosse e oro. Il Metallo guardava quella spada come un bambino ammira il
giocattolo nuovo ma non disse una parola. Kassihell, però,
notò quello sguardo
e la sfoderò, permettendogli di venerarla. Thuwey
gongolò, facendo
apprezzamenti sulla fattura della lama.
“Belli i
pantaloni” commentò
Reishefy.
“Grazie. Li ha fatti mia
moglie” rispose il Fuoco.
Erano neri, con ampie tasche,
e dal ginocchio in giù portavano decori fiammeggianti che
sfumavano dal
giallo-oro al rosso cupo. Erano molto larghi e coprivano quasi tutti i
piccoli
piedi di Kassihell, infilati in sandali ad infradito di colore scuro.
“Certo che potevi anche
pettinarti…” sibilò l’Aria.
“E tu potevi anche stare a
casa. Tanto sei inutile…e fastidioso!”.
“Mai quanto te!”.
“Potete evitare di
ricominciare?!”
interruppe l’Ovest “Lasciate che l’ultimo
di voi si presenti”.
L’ultimo rimasto era
Efrehem,
sul suo spazio dorato, che si alzò inchinandosi con profondo
rispetto.
“Sono Efrehem. Ho da poco
compiuto ventiquattro anni. Mio nonno è Friedrik, il re del
regno della Luce.
Come Enki, non sono un guerriero. Sono un principe, un principino. Sono
stato
scelto perché, oltre ad un ottimo uso delle arti magiche
legate al mio
elemento, rappresento ciò che di più importante
è legato al mio mondo: la
sapienza. Verune possono sembrare le mie parole, vacue. Ma vi posso
assicurare
che ho tentato di approfondire ogni aspetto possibile della Grande
Madre
Asteria. Ammetto e confesso di non aver mai messo piede fuori dal mio
palazzo
prima del giorno in cui incominciò il viaggio che mi ha
condotto qui. Non
saprei da che parte iniziare se qualcuno di voi mi ordinasse di
impugnare una
qualsiasi arma ed usarla ma vi posso assicurare che in tutto il reame
della
Luce non c’è maggior rappresentante di
quell’elemento di me. La Luce non è solo
quella della stella del giorno. La Luce che io possiedo è
quella della
conoscenza e…”.
“Abbiamo capito! Quanto
parli!” lo interruppe Kassihell, ridacchiando.
“Sì, infatti.
Abbiamo capito…”
aggiunse Thuwey “…sei un topo di biblioteca! Sai a
memoria libri su libri, cose
su cose, ma non sapresti difenderti nemmeno da un animale
insignificante ed
innocuo come quello che fa le uova per la mia colazione!”.
“Bella questa!”
rise
Kassihell, ed i due uomini si sorrisero, prima di darsi il cinque
reciprocamente.
Efrehem non rispose a quella
provocazione. Strinse i pugni. Sapeva di non poter spaventare nessuno
con la
sua corporatura gracilina e la bassa statura. Per non parlare degli
enormi
occhi arcobaleno, di cui in quel momento prevaleva il verde.
“Certo che…se
sapevo che mi
toccava fare da babysitter, nemmeno mi muovevo da casa!”
protestò il Fuoco,
notando con fastidio di essere il più vecchio del gruppo.
“Se sei vecchio di certo
non
puoi farcene una colpa!” sbottò Aherektess.
“Tu oggi le prendi,
sai?” gli
ringhiò contro Kassihell.
“Sicuro di farcela? Magari
i
reumatismi…” rimbeccò l’Aria.
“Basta…”
sospirò il Signore
dell’Ovest.
Tutti fecero silenzio e poi il
padrone di casa sorrise, soddisfatto.
“Ora che vi siete
presentati,
posso illustrarvi nei dettagli la vostra missione” disse, con
impeto.
†††
Tutti seduti in cerchio,
più o
meno composti, i rappresentanti dei vari regni ascoltarono le parole
del
Signore dell’Ovest, alzando la testa verso l’alto
perché questi si era
notevolmente ingrandito, forse per darsi maggiore enfasi.
“Chi di voi usa
regolarmente
la magia, si sarà accorto che qualcosa è
cambiato. Non è più come un tempo. Più
debole, meno gestibile e con un prezzo sempre più alto da
dare in cambio, la
magia si sta contaminando, mutando, liberandosi dal nostro
controllo” parlò
l’Ovest.
Molti dei presenti annuirono.
“La magia è
strettamente
legata ad Asteria ed a tutti i suoi abitanti. È un pianeta
delicato,
equilibrato ma fragile. Malato dall’interno. Dato che
è il mondo su cui
viviamo, è di estrema importanza guarirlo al più
presto”.
“Bene! Come si
fa?” esclamò
Kassihell, impaziente come sempre.
“Purtroppo né
io né il mio
fratello dell’Est abbiamo la risposta esatta a questa
domanda. Ma sappiamo come
farci guidare”.
“Faremo il necessario. Si
era
parlato di un viaggio per Asteria…” si intromise
Reishefy.
“Le tue informazioni sono
esatte, principessina elettrica. L’unico modo per farci dare
il giusto
suggerimento per salvare Asteria, è raggiungere tutti i
luoghi proibiti del
pianeta. Lì sono custoditi degli oggetti fondamentali per
l’evocazione”.
“I luoghi
proibiti?!” si
allarmò Enki “Ma non sono pericolosi?
Insomma…saranno proibiti per un
motivo…oppure no?”.
“E,
soprattutto…” sbottò il
Fuoco“…non può ognuno andare nel
proprio regno, prendersi l’oggetto proibito e
venire qua? Staremmo molto di meno
così…”.
“Fosse così
semplice, figlio
delle fiamme, avrei incaricato i vostri sovrani di farvi giungere qua
già con
gli oggetti fra le mani. Ma non è di certo così.
Ogni luogo proibito necessita
la presenza di creature di altri regni, estranee a quello in cui
risiede. Non
sono in grado di dirvi molto di più, sono proibiti anche per
me ed il mio
gemello”.
“Ed in base a cosa
potremmo
entrarci noi??!!” esclamò Thuwey.
“Una profezia”
rispose
l’Ovest, guardando Efrehem “Una profezia, scritta
secoli e secoli fa, dice che
i maggiori rappresentanti magici dei vari regni possono accedervi.
È evidente
che un gruppo come il vostro si viene a creare solo in casi
d’emergenza”.
“Cosa otteniamo con questi
oggetti? Evochiamo cosa?” si informò Idisi.
“Una volta raccolti tutti
gli
oggetti, potrete evocare la Grande Madre Creatrice, colei che ha
generato
Asteria Ere fa. Solo lei saprà dirci come
aiutarci”.
“La mia regina mi ha
spiegato
che, forse, la colpa è delle creature di sanguemisto nate
dall’unione di
abitanti di regni diversi…” parlò di
nuovo Idisi.
“Non possiamo esserne
certi,
ma con molta probabilità è così.
Questi esseri usano l’energia di Asteria in
modo diverso, impuro. E questo comporta notevoli sconvolgimenti nel
delicato
equilibrio del pianeta in cui viviamo”.
“E non basterebbe
eliminarli?”
sbottò Kassihell.
“Se non sbaglio, Taranis
aveva
proposto la stessa cosa e ti risponderò allo stesso modo:
no! Innanzi tutto
perché non sono sicuro che sia del tutto colpa loro. E poi
alla Creatrice non
piacerebbe di certo. Inoltre, se queste creature sono molto forti come
temo,
uccidendole creeremmo solo un ulteriore squilibrio. Meglio andare sul
sicuro,
se mi permettete il termine”.
“Cosa dobbiamo aspettarci
all’interno delle zone proibite?” si
informò Aherektess, ricordandosi tutte le
storie spaventose che gli raccontavano da piccolo su quei luoghi.
“Non ve lo so dire. Di
certo
non sarà una passeggiata la vostra…siete stati
scelti per questo! Siete i più
forti, i più preparati, i migliori del pianeta. Se
riuscirete a viaggiare
assieme in modo produttivo, senza uccidervi a vicenda per
intenderci…” e guardò
Fuoco e Aria “…allora sono sicuro che tutto
andrà per il meglio”.
“Sì ma se la
Creatrice ci
affida, poi, altro da fare? Tipo andare a sacrificare
l’unicorno magico o il
folletto dispettoso?” azzardò Kassihell.
“Noto una certa ironia
nelle
tue parole…” borbottò il Signore
dell’Ovest, alzandosi ulteriormente e
ripiegandosi sopra il rappresentante del Fuoco fino quasi a sfiorarlo.
“Certo che
c’è dell’ironia”
sbottò il Fuoco, con una smorfia “Io non ho mai
usato la magia, ho sempre
combattuto e vissuto con le mie forze e le armi. In quanto agli
Dèi…non ho mai
fatto particolare affidamento su di loro”.
“Quindi cosa proponi? Di
stare
lì fermo a guardare?” si stupì Efrehem,
trovando inconcepibile l’idea di non
usare la magia.
“Piuttosto che questo
teatrino
di santi e maghi…”.
“Io, secondo te, da cosa
sono
composto?” domandò il Signore dell’Ovest.
“Gelatina, forse, come
disse
Reishefy. Energia, aria colorata…non lo
so…”.
“Magia! Io vivo grazie
alla
magia stessa del pianeta!”.
“E tu stai bene, quindi
sta
bene anche il resto del Mondo!”.
Erano quasi tutti sconcertati
da quei discorsi.
“Dici, forse, che la magia
non
esiste?” continuò il padrone di casa.
“Dico che, forse, ne posso
fare anche a meno!”.
“E come credi di
sopravvivere
al Fuoco del tuo regno?”.
“Non ha niente a che fare
quello con la magia. Si chiama evoluzione…ed il sapiente
nanerottolo della Luce
dovrebbe saperlo meglio di me. Il mio corpo, e quello degli abitanti
del mio
regno, si è adattato per vivere nel suo elemento. Magia o
non magia. Come
quello dell’Aria ha sviluppato le ali, quello
dell’Elettricità la capacità di
sopportare le scosse che gli danno energia
eccetera…”.
Efrehem non poté fare a
meno
di annuire, concordando con la tesi del Fuoco.
“Tuttavia…”
volle aggiungere
l’abitante della Luce “…non posso non
sentire il forte legame che ho con
Asteria e la forza che lei mi dà. Ed ho percepito
l’indebolimento di questa
forza. Se poi tu non la usi è un’altra faccenda.
Questo pianeta vive grazie
agli equilibri della magia e quindi, se questi venissero a mancare,
lentamente
morirebbe”.
“Io ho notato che il
Ghiaccio
è più debole, più
fragile…non è che per caso hai notato che anche
il Fuoco ha
dei problemi?” suggerì Hanjuly.
Kassihell rimase in silenzio,
per qualche istante, pensando alla più grande montagna del
suo regno le cui
eruzioni non erano da tempo quelle di una volta. Annuì, con
scarso impegno.
“Quindi siamo
d’accordo tutti
quanti che dobbiamo fare qualche cosa. Tutto il pianeta è in
pericolo e prima
partite meglio è!” tuonò
l’Ovest, gonfiandosi, stanco delle chiacchiere.
“Quindi, se ho capito
bene,
dobbiamo partire, raggiungere ogni singolo luogo proibito di Asteria,
uno per
regno, raccogliere l’oggetto in esso custodito e poi evocare
la Creatrice?”.
“Esatto. Lei ci
dirà cosa fare
e, qualunque cosa sia, la faremo per salvare Asteria”.
“Wow…dobbiamo
salvare il
Mondo!” ironizzò Thuwey, tentando di far sorridere
i presenti, preoccupati da
ciò che avrebbero dovuto affrontare.
“Scusi ma…come
possiamo tutti
noi andare per i regni assieme? Io, ad esempio, abitante del Ghiaccio,
come
posso entrare nel mondo del Fuoco?”.
“Siete un gruppo. Vi
aiuterete
a vicenda. Ricordate che, alla fine, dovrete esserci tutti quanti,
tutti e
dieci, per portare a buon fine l’evocazione.
Perciò vi conviene sopravvivere e
far sopravvivere gli altri! Tentate di fare le persone
adulte!”.
Il tono di voce dell’Ovest
era
decisamente infastidito, stufo e non abituato alla gente.
“Ma come? Saremo noi a
fare
l’evocazione? Pensavo ci pensaste voi
fratelli…” si stupì Efrehem.
“No. Ci penserete voi. Qui
c’è
scritto tutto ciò che vi serve. Buona fortuna”.
Il padrone di casa tagliò
corto. Sparì, rientrando nel terreno, ed al suo posto, al
centro della stanza
dove si incrociavano tutti gli spicchi, apparve un grosso libro dalla
copertina
sciupata.
†††
Gli sguardi dei presenti si
rivolsero tutti verso Efrehem, rappresentante della Luce.
“Che
c’è?” sbottò il ragazzo
“Voi non sapete leggere?”.
“Hai detto tu di essere il
saggio ed il sapiente. Fai il tuo lavoro!” rispose Aherektess.
Efrehem prese quel grosso
libro fra le mani e lo aprì, cautamente. Aveva notato quanto
fosse antico e
temeva di rovinarlo. Sospirò. La lingua in cui era scritto
era molto vecchia e
complicata. Borbottò qualche parola nella lingua delle
creature della Luce ed
abbozzò una traduzione.
“Non mi sembra molto
chiaro,
come libro…”.
“Dice da quale elemento
deve
partire il viaggio?” domandò Idisi ed Efrehem
scosse il capo.
“Parla per
enigmi” spiegò “Ed
è piuttosto complicato da tradurre…come potete
vedere è scritto nel linguaggio
antico, quello che ha dato vita alla lingua universale di Asteria che
tutti noi
parliamo”.
“Per fortuna! Altrimenti,
se
ognuno parlava solo la lingua del suo popolo, come ne
uscivamo?” constatò
Hanjuly, con il suo accento duro sulle occlusive.
“Concordo. Ma, ad ogni
modo,
se ci è stato dato quel libro sarà per una
ragione, no? Oppure è solo
decorativo?” disse Mattehedike, incrociando gli occhi davanti
alla strana
scrittura sui fogli.
La Luce lesse fra sé
alcune
pagine e tentò di riassumerne il contenuto.
“Illustra alcuni passaggi,
come una specie di avvertimento su ciò che potremmo
scatenare se rompiamo
l’equilibrio. È piuttosto
catastrofico…ma riguardo alla nostra missione non
dice praticamente nulla se non che servono dieci elementi per evocare
la
Creatrice”.
“Fantastico! Un libro
inutile!
Se possiamo partire da dove ci pare, allora partiamo! Cosa stiamo
aspettando?”
sbottò Kassihell.
“Ci vuole un po’
di criterio,
non trovi?” lo bloccò Idisi.
Il Fuoco sbuffò, Reishefy
con
lui, ed incitò tutti quanti a darsi una mossa.
“Per prima cosa direi che
bisogna stabilire una rotta” iniziò Efrehem
“Avete tutti una piantina del
vostro regno?”.
Tutti annuirono e la
estrassero.
“Molto bene”
continuò Efrehem
“Potremmo iniziare dal punto proibito più vicino e
poi procedere per ordine…che
ne dite?”.
“E chi stabilisce qual
è il
più vicino? Queste piantine son tutte in scale
diverse” fece notare Thuwey.
“Io ho
un’idea!” esclamò
Idisi, sorridendo “Io sono una maga e porto sempre con me le
carte. Ho un mazzo
in cui ci sono tutti gli elementi qui presenti, rappresentati ciascuno
da un
colore diverso. Posso mescolarle, lanciarle in aria e vedere quale
carta sarà
quella in cima, quella non coperta da nessun’altra.
Così facendo sarà il
destino a decidere…”.
“Non è un
metodo molto logico
ma…può andare” acconsentì
Efrehem e gli altri annuirono.
La Terra iniziò a
mescolare le
carte, dopo aver mostrato a tutti di averne una per elemento, e le
lanciò in
aria. Ricaddero dolcemente, quasi cullate da una forza sconosciuta.
Alcune si
sparsero lontane rispetto alle altre, la maggior parte rimase coperta,
rivolgendo il lato neutro ai presenti. Non ci furono dubbi su quale
fosse
l’elemento prescelto. La carta più in alto,
scoperta e predominante, era quella
nera dell’Oscurità.
Lehelin non si mosse,
infastidita dall’idea di tornare già da dove era
scappata, mentre Idisi
riponeva le carte con cura, legandole.
“E che Oscurità
sia!” confermò
Reishefy, felice nel vedere che le cose andavano avanti, ansiosa di
partire e
muoversi.
“Un momento!”
fermò tutti
quanti la Luce, notando che più di qualcuno già
si alzava dal proprio spicchio
“Non sarebbe il caso di nominare un leader? Un capo,
insomma…l’apri fila!”.
“Giusto”
concordò Kassihell “E
dal momento che sono il più vecchio, direi che il capo sono
io!”.
“Non se ne parla! Se
comandi
tu, io torno a casa!” protestò Aherektess.
“Infatti! Chi lo dice che
devono sempre comandare i più vecchi? Io sono giovane,
dinamica e piena di
energia. Tutte qualità che deve avere un leader!”
squittì Reishefy.
“Ma se sei nata
ieri?!” la
derise Mattehedike “Un capo dev essere paziente, calmo, forte
e determinato.
Tutte cose in cui io sono il campione, come rappresentante della
Roccia!”.
“Mi permetto di
dissentire”
interruppe Idisi “In quanto a pazienza e calma, noi della
Terra vi battiamo di
sicuro, mi spiace”.
“Una donna non
può fare il
capo!” rise Aherektess.
“E questo chi
l’ha stabilito,
piccione dipinto?” si arrabbiò Hanjuly, alzandosi
ed incrociando le braccia,
offesa.
“Se volete il migliore a
combattere, di sicuro quello sono io” affermò
Thuwey, rimanendo seduto,
apparentemente tranquillo.
“Non farmi
ridere!” sibilò
Mattehedike ed il Metallo si alzò, punto
nell’orgoglio, quasi ringhiando. Enki
notò, allarmata, che stava mutando d’aspetto,
aumentando la superficie
metallica su di sé.
Efrehem sospirò. Si
pentì di
aver pronunciato la frase che aveva scatenato tutto quel caos, ma era
necessario avere un capo. Guardò Lehelin, rimasta seduta con
l’espressione di
chi ha la testa altrove, ed ebbe un’idea.
“E se ci dessimo i
turni?”
propose.
Tutti si fermarono, smettendo
di urlarsi contro od insultarsi, e lo fissarono con aria interrogativa.
“Il primo regno in cui
andremo
sarà l’Oscurità, perciò
sarà Lehelin a guidarci. Sarà lei il capo. Nel
dominio
successivo, sarà il rappresentante di quel regno a fare il
leader. Che ne
dite?”.
“Mi sembra
un’idea sensata”
annuì Idisi, dopo alcuni attimi di silenzio, senza aver
perso la sua
proverbiale calma nemmeno per un istante.
“Allora è
deciso. Principessa
Lehelin, a lei il comando. Il viaggio comincia!”.
Con un inchino, Efrehem
parlò,
dopo un profondo respiro per prepararsi all’assenza totale
del suo elemento, ed
i dieci si portarono sullo spicchio nero. Lehelin si alzò
lentamente,
controvoglia, e fece strada. Spalancò la porta del suo regno
ed il buio avvolse
il gruppo.
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Capitolo 4 *** IV- Oscurità ***
IV
L’Oscurità
avvolse il
gruppetto come una coltre impalpabile in cui si tuffarono, con
più o meno timore.
Nero, soltanto nero, era quello che riuscivano a vedere.
“Siamo
in una foresta” avvertì
Lehelin “Perciò state molto attenti a non
perdervi. Ci vivono creature non
molto raccomandabili…”.
“Come
te?” ironizzò Aherektess
“Siete famose, voi donne dell’Oscurità.
Come silfidi sapete ingannare ed
ottenere ciò che desiderate!”.
“Ma
le silfidi possono anche
essere molto gentili, con chi vogliono, ovviamente!” la
difese Efrehem “Ho una
domanda, però…” continuò
“…come fanno gli alberi a sopravvivere? Senza la
luce
di Sirona intendo…”.
“Non
solo la stella del giorno
può dare loro i raggi che necessitano. Presto sorgeranno i
consorti Nikkal e
Jarih, gli Sposi che muovono i due satelliti di Asteria. È
la loro luminescenza
a dare nutrimento alla foresta”.
“Interessante…”
mormorò
Efrehem, annotandoselo mentalmente in testa con l’intento di
riportarlo sul
libro bianco che aveva portato con sé.
Lehelin
fece per proseguire ma
dovette subito fermarsi. Thuwey, dal fondo della fila, canticchiava
allegramente “Non ci vedo un cazzo” per farle
notare che non l’avrebbero mai
potuta seguire.
“Direi
che la lucciola…”
iniziò Kassihell, riferendosi ad Efrehem
“…deve stare in coda. È un ottimo
punto di riferimento. Sapremo tutti che dobbiamo precederlo e, se ce lo
vediamo
davanti, fermiamo tutti e ci riuniamo al gruppo”.
“Avanti
e dietro mi sembrano
punti di vista relativi in queste situazioni” notò
Idisi.
“Infatti.
E poi perché proprio
io in fondo alla fila?!” protestò la Luce
“Non può andarci
l’Elettricità? Anche
lei si illumina con le scosse!”.
“Ma
la tua luce è più forte e,
se stai davanti, disturbi l’Oscurità che deve
guidarci” sbottò Kassihell,
avendo già perso la pazienza dopo la prima frase.
“Allora
formiamo una fila”
disse Reishefy “Io davanti, accanto
all’Oscurità, e voi dietro. La Luce in
coda. Potremmo tenerci per mano, così non ci
perdiamo”.
“Io
non prendo per mano
nessuno. Specie se stai tu in testa e trasmetti le scosse a
tutti!” sibilò
Thuwey, ricordando ancora la stretta di mano nel palazzo
dell’Ovest.
“Perché
non usare le catene
del Metallo?” propose Hanjuly.
“Spiegati…”
si incuriosì
quell’elemento, sentendosi chiamare in causa.
“Quanto
sono lunghe le catene
che hai sulle vesti, se le srotoliamo?”.
“Diversi
metri, direi…”.
“Benissimo!
Allora Lehelin,
che ci vede col buio, può legarci con quelle.
Così facendo saremo tutti
incatenati e non ci perderemo!”.
“Idea
geniale!” concordò
Efrehem, sorridendo, quasi chiedendosi come mai non ci aveva pensato
prima lui.
Thuwey
non era molto d’accordo
ma, prima che potesse ribattere, sentì il gelo
dell’Oscurità che sganciava le
catene e le srotolava, con una gran confusione.
“Tu,
stai nel mezzo. Fermo
qua!” gli ordinò, facendogli spalancare le braccia.
“Occhio
a quello che tocchi…”
ironizzò lui.
“Stupido!”
lo zittì lei ed
iniziò a legare gli altri.
Dietro
al Metallo legò,
nell’ordine, Aria, Roccia, Fuoco e Luce. Davanti Ghiaccio,
Acqua, Terra ed
Elettricità. Afferrò
l’estremità e chiese se erano tutti pronti.
“Hai
diviso maschi e femmine?”
domandò Aherektess, per nulla contento di avere una catena
al polso che lo
tirava da tutte le parti poiché, ovviamente, avevano
già iniziato a tentare di
darsi fastidio in ogni modo.
“Ho
messo la Terra dietro
all’Elettricità perché così
le scosse non passano oltre. Il Ghiaccio accanto al
Metallo perché non gli crea problemi
e…” iniziò a spiegare Lehelin.
“Hai
la gnocca davanti, brutto
raccomandato?!” protestò Mattehedike.
“Finitela!
Partiamo!” gridò
una voce dal fondo, molto probabilmente Kassihell.
“Dicevo…”
riprese Lehelin “…il
Fuoco accanto alla Luce, dato che non si danno fastidio, e gli altri di
conseguenza. Se non ti sta bene, puoi anche sganciarti ed arrangiarti
da solo”.
Aherektess
tacque. Qualcuno
tirò uno strattone ed il suo braccio scattò in
avanti, andando a colpire
Thuwey. Ovviamente il Metallo non gradì la cosa e
ringhiò, pronto a mostrargli
che era l’unico con entrambe le mani libere, avendo le catene
agganciate in
vita.
“Non
cominciate là dietro!” li
fermò subito Idisi.
“UNO!”
gridò Lehelin.
Reishefy
capì al volo e
rispose, anch’essa urlando, con un potente
“DUE”. Gli altri si unirono alla
conta e l’Oscurità partì non appena
ebbe udito il deciso “DIECI” di Efrehem.
“Che
brutto il numero sei…”
brontolò il Metallo.
“Finiscila
di lamentarti o ti
ghiaccio le palle…così almeno avresti un motivo
per poterti lagnare!” lo
minacciò Hanjuly, che lo precedeva.
L’inizio
della marcia non fu
affatto semplice. Non potendo vedere dove mettevano i piedi, molti
inciampavano
trascinando con sé gli altri. Reishefy pareva divertirsi un
sacco. Molto meno
Enki, che temeva di farsi male, Efrehem che cadeva sul Fuoco che aveva
la pelle
bollente e Aherektess che veniva minacciato di morte continuamente dal
Metallo
perché osava toccarlo.
“Quanto
durerà questa cosa?”
domandò Efrehem.
“In
che senso?” gli rispose
Lehelin, alzando la voce per farsi sentire.
“Intendo
dire: fra quanto
finirà la foresta ed avremo sotto i piedi un terreno
più solido?”.
“Calcolando
che il mio regno è
quasi tutto così…direi che "questa cosa"
durerà parecchio. Del resto
non ne ho colpa se non ci vedete…”.
La
Luce rabbrividì, ma si
consolò lodandosi perché aveva immagazzinato un
sacco di energia e poteva
rimanere illuminato ancora a lungo. Riduceva al minimo,
però, la sua
luminescenza per non sprecare preziose risorse in
quell’elemento opposto. Questo
gli impediva di riuscire a vedere dove metteva i piedi e cosa aveva
davanti al
naso, oltre alla schiena di Kassihell, ovviamente.
“Cantiamo
qualcosa per passare
il tempo?” propose Reishefy, saltellando.
“Ti
prego, no! E piantala di
saltare!” grugnì Thuwey.
“Antipatico!”
si imbronciò
l’Elettricità.
“Però
un modo per passare il
tempo potremmo trovarlo…magari una filastrocca!”
propose Hanjuly “…che ne dite
di un gioco di memoria? Ognuno dice una parola e quelli dopo se la
devono
ricordare ed aggiungerne altre…che ne pensate?”.
“Sembra
carino…” commentò
Idisi.
“Ve
lo sconsiglio” ammonì
Lehelin.
“Perché?”
miagolò Reishefy.
“Perché
questa foresta è piena
di creature che, a differenza di voi, ci vedono benissimo e, per capire
dove
sono, bisogna sentirle. Sentire i loro passi ed il loro respiro. Dubito
che
facendo baccano potremmo risolvere un
granché…”.
“Ma
facendo baccano non le
spaventiamo?” domandò la Luce.
“Se
un insetto fa baccano, tu
scappi?” gli rispose l’Oscurità ed
Efrehem deglutì, capendo ed immaginando le
dimensioni delle creature di cui parlava la principessa.
“Sì,
però che noia! In
silenzio fino alla meta…” piagnucolò
Reishefy.
“Imbavagliamola”
sbottò il
Metallo ed il Fuoco acclamò la proposta.
“Nessuno
verrà imbavagliato!
Ed adesso muovetevi!” ordinò Hanjuly, sicura che,
se avessero imbavagliato
l’Elettricità, lei sarebbe stata la prossima.
“E
se una di queste creature…”
spezzò i pochi attimi di silenzio il Fuoco
“…così grosse e spaventose, ci
portasse in fretta alla meta?”.
“Sarebbe
un’idea…” si unì
Mattehedike.
“Scusate
la domanda…” fu la
risposta dell’Oscurità “…ma
la vostra ombra vi ha mai portato da qualche
parte?”.
“Intendi
dire che quelle
bestie son fatte di ombra impalpabile?” si stupì
Efrehem.
“Non
proprio impalpabile…ma
diciamo che il peso della Roccia non lo reggono di sicuro”.
Dopo
aver capito che
nessun’animale di quel regno li avrebbe potuti aiutare, i
dieci ripresero la
marcia, più o meno in silenzio. Le catene producevano un
suono decisamente
sinistro nel buio totale, Enki rabbrividì. Efrehem, non
abituato a camminare a
lungo, iniziava ad avere male ai piedi ma non disse nulla, per non
adirare il
suo già scocciato predecessore nella fila.
“Ditemi
quando vi serve una
pausa, perché io non ne faccio se non me lo fate
notare” informò la capofila,
senza voltarsi.
Nessuno
disse una parola,
desiderosi di proseguire ma, soprattutto, evitando in ogni modo di far
nascere
una nuova rissa.
Il
primo ad accorgersi del
cambiamento in atto, fu il Metallo.
“Ci
vedo…” disse, stupito
“…non benissimo ma qualche contorno, in argento,
lo percepisco”.
“Ti
sarai abituato al buio…”
ipotizzò Efrehem.
“Hei!
Anch’io ci vedo!”
esclamò Hanjuly.
“Sì,
vero…solo qualche
contorno ma non più buio totale” si unì
Aherektess.
“Salutate
gli Sposi della
notte” parlò Lehelin, indicando le due Lune del
pianeta che sorgevano ed i cui
raggi penetravano fra gli alberi neri.
“Nikkal,
la Sposa, quella
leggermente più piccola e luminosa, sorge da nord e si
incontra con il suo
Sposo, Jarih, a metà del cielo. La loro luce argento
è l’unica che si può
incontrare in questo regno. Dovreste conoscerle, però. Sono
le Lune di
Asteria!”.
“Io
non le avevo mai viste.
Nel mio mondo non è mai notte”
commentò, ammirato, Efrehem.
“Ed
io non ci avevo mai fatto
particolarmente caso…” ammise Mattehedike.
“Oggi
gli Sposi dovrebbero
essere entrambi in plenilunio…” azzardò
Thuwey e Lehelin confermò, lieta che
almeno un altro del gruppo guardasse il cielo.
Aherektess
parve reagire male
a quelle parole. Come se “plenilunio” gli facesse
venire in mente ricordi non
graditi. Quelli della sua specie non volavano mai con il buio,
perciò non
ricordava quando si ripetevano i cicli lunari, e guardò
verso Jarih, lo Sposo,
con tristezza.
Lehelin
lo notò ma non parlò,
suggerendo al gruppo di rimanere incatenato. C’era foschia e,
se una nuvola
avesse coperto le Lune, si sarebbero ritrovati di nuovo al punto di
partenza.
Enki
lanciò un’esclamazione
improvvisa di meraviglia. Gli alberi, colpiti dai raggi, avevano aperto
i loro
fiori argento, che brillavano come stelle. Solo il Metallo parve
accorgersi che
anche Lehelin brillava, anche se in modo decisamente più
fievole dei fiori,
come ricoperta da piccoli lustrini.
Proseguirono
con più
tranquillità, man mano che le Lune si alzavano nel cielo,
potendo evitare gli
ostacoli e gli impedimenti. Fortunatamente, per il momento, nessuna
bestia
sembrava interessata al loro passaggio. Ad un tratto, Roccia e Terra si
fermarono. Avvertivano chiaramente delle vibrazioni che,
però, non riuscivano
ad interpretare.
“Musica!”
esclamò Hanjuly,
dopo un po’ “Sento della musica!”.
Lehelin
si stupì di quanto
tardi se ne fossero accorti ma non disse nulla.
“Da
dove viene? È bellissima!”
domandò il Ghiaccio.
“È
sulla strada. Presto lo
capirai” la rassicurò l’Ombra e
proseguì fino ad uno spiazzo, dove delle donne
danzavano in cerchio tenendosi per mano, circondate dagli uomini che
suonavano.
Era
impossibile poter scorgere
l’intero cerchio perché solo parte di esso
riusciva ad essere illuminato dalle
Lune. La musica era molto ritmata, piuttosto semplice e ripetitiva,
melodiosa.
Gli uomini suonavano per lo più tamburi e flauti, mentre le
donne avevano dei
campanelli ai polsi.
Ad
un tratto, tutti si
fermarono ed iniziarono a cantare, con lo sguardo rivolto verso il
cielo.
Terminata la strofa, ripresero a danzare. Hanjuly, senza pensarci, si
slegò
dalle catene e corse verso il cerchio, desiderosa di unirsi alle danze.
Invano
gli altri membri della sua compagnia tentarono di convincerla a restare
dov’era. Danzatrici e suonatori avevano gli occhi chiusi e
quindi, in
principio, non si accorsero della principessa del Ghiaccio che si
unì.
Credettero nell’arrivo di un’altra ragazza
dell’Ombra e la accolsero nel
cerchio. Non passò molto tempo, però, prima che
il gelo dell’elemento di
Hanjuly si facesse notare. Iniziarono a fermarsi e fissarla, con aria
decisamente interrogativa e minacciosa.
“E
tu chi sei, intrusa?” parlò
una delle ballerine “Non è concesso agli stranieri
conoscere questa danza. Solo
la razza dell’Oscurità ha il privilegio di ballare
per gli Sposi del cielo e
della notte!”.
Hanjuly
sorrise ed iniziò a
spiegare, anche se si fermò quasi subito notando che gli
uomini e le donne
erano armati di un piccolo coltello e glielo stavano puntando contro.
Indietreggiò, capendo che quella era l’unica cosa
da fare, e colei che aveva
parlato scattò in avanti, brandendo la sua arma. Il Ghiaccio
urlò, sentendosi
impreparata ad una cosa del genere, serrando gli occhi. Fortunatamente
il
Metallo aveva intuito il pericolo e, trascinandosi dietro tutti gli
altri a grandi
passi con le sue gambe lunghe, era riuscito a fermare la mano
dell’assalitrice.
Rabbrividì, avvertendo la strana sensazione che quel corpo
nebuloso gli dava
sulla pelle.
“E
voi chi siete?” tuonò uno
degli uomini, fra la confusione generale provocata dalle creature
trascinate a
forza, che stavano protestando a gran voce.
“Sono
con me, Fratello” parlò
Lehelin, nella lingua dell’Oscurità.
Era
successo tutto talmente in
fretta ed in modo inaspettato che non le aveva dato il tempo di poter
intervenire nel suo regno.
“Principessa
Lehelin…” la
riconobbe qualcuno.
“Sorelle,
Fratelli…questi
stranieri sono legati a me…” spiegò,
mostrando loro le catene “…ed insieme
abbiamo un’importante missione da compiere. Chiedo perdono
per l’interruzione”.
“Stavamo
per sacrificarli allo
Sposo…” ghignò qualcuno, dal gruppo dei
suonatori.
“Lo
so bene. Ma, purtroppo, mi
servono tutti quanti vivi”.
“Che
buon profumino…” si
intromise Mattehedike, annusando l’aria.
“Stavamo
per portare a termine
la cerimonia con i cibi” spiegò la leader delle
danzatrici.
“Possiamo
unirci? Sto morendo
di fame…” gemette Reishefy, stringendosi lo
stomaco mugolante.
Lehelin
le lanciò uno sguardo
minaccioso ma l’Elettricità lo ignorò.
“Credo
che questo sia un rito
sacro…non abbiamo il permesso di
parteciparvi…” ipotizzò Thuwey.
“Esatto,
è un rito sacro…”
iniziò l’uomo più alto, per poi
riprendere dopo una pausa “…ma, tuttavia, il
nostro regno è governato dal grande Dio del Disordine, Kaos.
Perciò credo di
poter affermare con assoluta certezza che, cambiando programma, non
facciamo
altro che seguire la sua volontà. Inoltre la principessa
è con voi, perciò di
certo sarei uno stupido se non vi dicessi di unirvi a noi nel nostro
rituale”.
“Quindi
possiamo mangiare?”
gioì la ragazzina elettrica e, dopo una rapida occhiata
reciproca, l’intero
gruppo d’Ombra annuì.
“Incuti
tanto timore?” mormorò
il Metallo all’Oscurità.
“No.
Mio padre è quello che
incute timore”.
“Temono
repressioni?”.
“Esatto.
Ed è inutile che
sussurri. Tutte le creature dell’Oscurità ti
sentono benissimo comunque!”.
Riagganciarono
Hanjuly,
temendo un’altra fuga senza preavviso, e si sedettero in
cerchio assieme a
ballerine e musicisti. All’inizio nessuno parlò. I
piatti, con frutti e cibi da
consumare freddi non creando la luce del fuoco per scaldarli, venivano
fatti
passare di mano in mano in silenzio. Si scrutavano fra di loro di
sottecchi,
Aherektess fu certo di notare qualche risatina e commento poco gentili
ma, non
capendo la lingua dei nativi, preferì non intervenire, onde
evitare figuracce.
Efrehem,
fra una portata ed
un’altra, annotava ogni cosa sul suo libricino con cura.
Osservò i commensali
con meticolosità, notando come i loro corpi fumosi non
avessero una fine netta.
La differenza fra uomini e donne stava nel fatto che le signore avevano
forme
più aggraziate, più curve. Tutti avevano i
capelli lunghissimi che si agitavano
ed il corpo terminante a campana, come se indossassero una veste, una
gonna, ma
non poteva essere così perché non aveva un inizio
ed era tutt’uno con il resto
del corpo. Solo in quel momento Efrehem constatò che non
erano vestiti. Era il
loro corpo ad essere così. Arrossì, lieto che non
si notasse nel buio.
“Problemi,
lampadina?” sbottò
Kassihell e la Luce prese atto che la ragazza al suo fianco gli stava
porgendo
un piatto già da diverso tempo, e lui non se ne era accorto.
“No,
no…va tutto bene!” si
affrettò a dire, passando la pietanza direttamente al Fuoco.
Questi
gli sorrise, con
tenerezza.
Si
abbassò leggermente e gli
bisbigliò nell’orecchio, coprendo le labbra con la
bocca sapendo che l’Oscurità
poteva vederlo: “Smettila di chiederti dove questi simpatici
signori abbiano
gli attributi e mangia, non so fra quanto potremo di nuovo fare una
pausa!”.
Efrehem
protestò a quelle
parole, tentando di dire che non erano quelli i suoi pensieri, ed
addentò un
frutto. Lo trovò delizioso e ne prese subito un altro.
Solo
dopo diverso tempo, i
nove stranieri notarono che erano solo loro a mangiare. Le creature
d’Ombra si
limitavano a passare i piatti, parlottando fra loro.
“Voi
non mangiate?” si stupì
Hanjuly.
“No.
A noi non serve” spiegò
una danzatrice, con il suo accento leggermente sibilato.
“E
allora perché fate il
banchetto?” domandò Kassihell.
“Ha
un valore simbolico. Con i
frutti ed i cibi che state mangiando, prepariamo unguenti, polveri ed
oggetti
magici, benedetti dagli Sposi”.
“Sono
commestibili, vero?” si
allarmò Aherektess.
“Ovvio!”
si stizzì un
suonatore di tamburo “Sono sacri e donano molta energia. Vi
servirà, immagino.
Se siete giunti fino a qui, devo dedurre che la vostra meta non sia
molto
vicina…”.
“No,
non lo è…ma è top
secret!” ridacchiò Thuwey e qualcuno
notò che ne stava trangugiando troppo di
quel succo alcolico che gli era stato offerto.
“Ma…come
sopravvivete?”
domandò Efrehem “Intendo dire…senza
cibo, come si nutre il vostro corpo? Come
va avanti?”.
“Noi
siamo alimentati dal buio
stesso e dai raggi degli Sposi”.
“Interessante…”
parlottò la
Luce, riportando anche quel dettaglio sul suo quadernetto.
“Presto
gli Sposi
tramonteranno…” parlò un uomo, dopo che
quasi tutto il banchetto fu consumato
“…e vi ritroverete di nuovo nel buio totale. Vi
suggerisco di fermarvi qui, al
sicuro, fino a quando la loro luce non riapparirà nel
cielo”.
I
dieci si guardarono. Erano
stanchi ed appesantiti dal cibo. Senza pensarci troppo, estrassero dai
loro
zaini delle coperte o dei mantelli e si addormentarono in cerchio,
appena le
creature oscure se ne furono andate.
Al
risveglio, in cui Thuwey
rimproverò il gruppo di non aver organizzato dei turni di
guardia, gli Sposi
erano sorti e ripresero la marcia.
Camminarono
così, per giorni
interi, fra incontri fortuiti, luci soffuse e periodici litigi.
Si
allarmarono quando, giorni
dopo, notarono che gli Sposi si presentavano nel cielo come solo un
piccolo
spicchio la cui luminosità era decisamente scarsa, non
vedendosi quasi mai le
stelle in quel regno di foschia scura.
“Quando
saranno nella fase di
Lune Nuove, ci toccherà camminare nel buio totale come
all’inizio?” volle
sapere il Metallo, orgoglioso di poter sfoggiare le sue conoscenze
astronomiche.
“Mi
spiace per voi ma è così,
a meno che non vogliate fermarvi per qualche giorno in attesa che si
facciano
vedere di nuovo” rispose Lehelin.
“Niente
pause. O non
arriveremo mai!” ordinò Kassihell.
“Tranquillo,
Fuoco. Quelle
statue ci rivelano che, ormai, siamo vicini alla meta” lo
rassicurò l’Oscurità,
indicando un gruppo roccioso imponente e minaccioso.
Rocce
nere, scolpite,
formavano un immenso cerchio completamente avvolto
dall’Oscurità, come se
all’interno i raggi delle Lune non potessero accedervi.
Rappresentavano dei
guerrieri e degli stregoni, i primi con in mano una specie di lunga
lancia ed i
secondi con le mani protese verso gli intrusi, palmi in fuori. La
statua più
grande rappresentava il re Ozymandias, si riconosceva dalla corona, con
gli
occhi incastonati di colore argento che brillavano accigliati e rivolti
verso i
nemici.
“Carini.
Questo regno mi piace
sempre di più…” commentò il
Metallo, guardando verso l’alto.
“Dove
dobbiamo passare,
esattamente?” si informò Aherektess.
“Fra
una statua ed un’altra
c’è un sentiero” spiegò
Lehelin e riprese il cammino con più enfasi.
Giunti
in prossimità di uno
dei sentieri, si stupirono di non notare sorveglianza.
“Ci
sei mai entrata, lì
dentro?” si informò Efrehem, non riuscendo a
vedere cosa ci fosse oltre ai
“piedoni di Ozymandias”, come li definì
il Metallo.
“Certo
che no. Quello è un
luogo proibito, e questo vale per tutti…”.
“Ma
ci dobbiamo andare perciò,
hop-hop! Muovete i culetti, bambini, ed andiamo!”
incitò il Fuoco, spingendo il
gruppo.
“Io
ho paura…” ammise Enki,
nascondendosi dietro Idisi.
“Tu
hai sempre paura!” sbottò
Reishefy, facendo un passo deciso verso il sentiero ma poi fermandosi,
spaventata anch’essa.
“Ci
muoviamo o no? Se volete
vado prima io…” si propose Kassihell, slegandosi
dalle catene, ed Enki annuì in
fretta.
“Prima
tu o qualcun altro è
uguale. Dobbiamo andarci tutti assieme, ricordate?”
sbottò la Terra.
“Ma
se lui si offre
volontario…” lo tirò la Roccia, con
convinzione.
Continuando
a discutere, si
avvicinarono sempre di più alle statue fino a quando
Reishefy,
involontariamente, ne colpì una. La reazione fu immediata.
Si udì un boato
assordante ed un gran caldo. Furono tutti accecati
dall’improvviso cerchio di
fuoco che si materializzò all’interno del cerchio
roccioso. Iniziò a pulsare,
come mosso da una mano invisibile.
“Fuoco?”
si stupì Lehelin “Noi
non andiamo mai troppo vicino al Fuoco perché la sua danza
irregolare spezza i
nostri contorni…”.
“Come
facciamo a passare?”
gemette Enki.
“Infatti.
Io lì in mezzo non
ci vado!” si unì a lei Hanjuly.
“Ma
dobbiamo restare tutti
uniti!” ricordò al gruppo, la Luce.
“Posso
entrarvi io e vedere se
riesco a controllarlo, così da farvi
passare…” propose Kassihell.
“Non
vedo altra soluzione…”
ammise Idisi, la Terra, mentre Enki le stava appiccicata addosso.
Il
Fuoco prese un profondo
respiro, non ammettendo o non volendo mostrare di essere piuttosto
spaventato,
ed iniziò a camminare verso le fiamme. Gli altri si tennero
a distanza di
sicurezza. Lui entrò nel cerchio infuocato, a piccoli passi,
con una mano
sull’elsa della Katana. Ruotò gli occhi rapido, in
tutte le direzioni, e poi si
fermò. Aveva i piedi sulle fiamme e si concentrò,
deciso a controllarle, mentre
il resto del gruppo lo osservava da fuori, senza avvicinarsi troppo.
“Non
sembra che ci sia
pericolo, potete…” iniziò Kassihell ma
non terminò la frase perché un’enorme
mano nera lo afferrò saldamente, impedendogli ogni
movimento, e lo trascinò
verso il centro, nel buio totale.
†††
Rabbrividì,
sentendo
chiaramente il terreno freddo sotto di sé. Era roccia, forse
pietra dura,
liscia e quasi gelata. Sentì la mancanza delle protuberanze
insensate della
foresta. Si alzò a fatica, indolenzito, e si accorse di
essere al chiuso.
“C’è
nessuno?” chiese
Kassihell, sentendo di risposta solamente l’eco della sua
voce.
Era
buio, non vedeva
assolutamente nulla e la cosa lo infastidì. Mise le mani
avanti, tese, ed
avanzò lentamente. Chiamò gli altri membri della
sua compagnia ma non ricevette
risposta. Era da solo. Solo ed avvolto nel buio. Senza contare che
c’èra
qualcosa con un’enorme mano che lo aveva trascinato fin
lì. Avvertì un rumore e
sguainò la spada, pronto a difendersi. Si pentì
di non aver fatto molti
allenamenti bendato, come gli era stato suggerito quando era
nell’esercito. Un
altro rumore, come uno scricchiolio, alle sue spalle. Si
voltò ed udì una voce,
terrificante. Bassa, profonda, ferruginosa ed altalenante.
Vibrò il terreno
sotto i suoi piedi.
“Perché
non usi la magia,
ragazzo mio?” domandò la voce.
“Chi
sei? Che cosa vuoi?”
ringhiò Kassihell.
“Perché
non usi la magia ed
illumini questo posto?” insistette la voce misteriosa.
“Detesto
usare la magia…”.
“Non
sai come si fa?”.
“Come
ti permetti?!” sbottò il
Fuoco, facendo apparire una piccola fiamma fra le sue mani in pochi
secondi e
senza nemmeno pronunciare delle formule.
Questo
provocò una strana
reazione a catena e si illuminò tutta la stanza, andando il
fuoco a posarsi su
migliaia di candele sospese a mezz’aria.
“Bravo,
molto bravo…” commentò
la voce, che Kassihell vide appartenere ad un uomo
dell’Oscurità, o almeno così
sembrava.
Era
grosso e fumoso, dai
tratti indefiniti ed i capelli danzanti. Come nebbia, i suoi contorni
erano
mutevoli e variabili. Fissò il Fuoco con grandi occhi
azzurri, senza pupille né
spazi bianchi, e gli sorrise. Ghignò, storcendo il fumo sul
suo viso.
“Ciao
a te, mortaluccio”
salutò la creatura, con la sua voce spaventosa.
Era
seduta su un grande trono
nero, a spuntoni irregolari, e si reggeva la testa con la mano
ungulata.
“Chi
sei?” parlò Kassihell,
sempre con la Katana fra le mani.
“Riponi
il tuo giocattolo. Non
può nulla contro di me…”.
“Chi
sei?!” continuò il Fuoco,
quasi urlando, con maggiore convinzione.
La
creatura di nebbia si
protese in avanti, sempre ghignando.
“Io
chi sono? Io sono Kaos”.
†††
“Che
è successo? Dov’è
andato?” gridò Hanjuly, spaventata come il resto
del gruppo.
“È
sparito all’improvviso.
Qualcosa lo ha attirato verso il centro…” si
aggiunse Idisi.
“Non
può essersi
smaterializzato! Andiamo a cercarlo!” propose Thuwey.
Alcuni
annuirono con sicurezza
a quella frase, altri con molta meno convinzione ma, incatenati,
dovettero
seguire gli altri. Lehelin, l’apri fila, proseguì
lungo il sentiero. La
compagnia si aspettava di veder emergere di nuovo le fiamme, che si
erano spente
di colpo dopo la sparizione di Kassihell, ma ciò non
avvenne. Rimasero avvolti
nel buio totale.
“Cosa
vedi, principessa
dell’Oscurità?” domandò
Efrehem.
“Niente”
rispose lei “Niente
di niente. Non c’è nulla qui. Vuoto”.
“Intendi
dire che all’interno
del cerchio di statue non c’è niente?”
si stupì il Ghiaccio.
“È
quello che ho detto. C’è
solo una sorta di piazza con il pavimento lastricato”
confermò Lehelin.
“E
allora il principe
Kassihell dov’è?” si chiese la Luce.
“Di
certo non può essere
volato via…” commentò Aherektess,
l’unico che pareva fregarsene altamente
dell’accaduto.
“Forse
è stato trascinato
sottoterra…” ipotizzò Mattehedike.
“O
forse è stato distrutto in
pezzi talmente piccoli da non poter più essere
visto” aggiunse Reishefy e si
pentì subito di aver detto quella frase.
Peggiorò
la situazione e gli
animi si fecero molto agitati. Enki si aggrappò
più forte al braccio di Idisi e
scoppiò a piangere ripetendo le parole
“è morto” e “moriremo
tutti” senza
sosta. Aherektess propose di uscire dal cerchio alla svelta, per
evitare la
stessa sorte. Thuwey si chiese se era quello lo scopo dei dieci:
sacrificarsi
uno dopo l’altro per richiamare l’attenzione delle
divinità. Efrehem trovò la
cosa alquanto priva di logica ma, del resto, non sapeva che spiegazione
dare a
ciò che stava accadendo e preferì non commentare.
“Kassihell!
Ci senti?!” lo
chiamò Hanjuly, a gran voce.
“Inutile
che gridi…” protestò
Aherektess, muovendo leggermente le piccole orecchie a punta
“…non è qui! Non
c’è più! Dobbiamo farcene una ragione e
proseguire. Vedremo chi sarà il
prossimo a cui spetterà questa…”.
“Questa
cosa?!” lo interruppe
Hanjuly “Lui non è morto, non avrebbe senso! Non
è successo niente qui, non
abbiamo ottenuto nulla e mi sembra che questo posto sia esattamente
come quando
siamo arrivati, tranne per quei brevi istanti in cui c’era il
fuoco. Immagino
che qualcosa di significativo debba cambiare, a prova che noi dieci
prescelti
lo abbiamo attraversato…”.
“Concordo
con il Ghiaccio”
parlò Efrehem “Se il nostro scopo è
morire nei luoghi proibiti, almeno dovrebbe
avvenire un qualche cosa a prova che, effettivamente, è
ciò che abbiamo fatto.
E poi…non si era parlato di oggetti? Non dovevamo trovare
degli oggetti per
l’evocazione? Mi pare che qui non ce ne siano. O
sbaglio?”.
“Giusto!
Il nostro scopo NON è
morire nei luoghi proibiti…sarebbe una cosa molto
triste…magari alcuni di voi
no, ma io sono giovane ed ho ancora tutta la vita davanti” si
lagnò Reishefy.
“Forse
veniamo chiamati in
ordine d’età…”
mormorò Enki “…lui, il Fuoco, era il
più anziano. Poi toccherà
alla Terra, all’Aria e così
via…”.
“Non
diciamo sciocchezze!
Cerchiamo di usare il cervello! Evidentemente dobbiamo fare qualcosa,
in questo
luogo, per ottenere ciò che ci serve…che non
è morire, spero!” iniziò la Luce.
“Sul
libro che ci ha dato il
signore dell’Ovest non c’è scritto nulla
a riguardo?” suggerì Thuwey.
“Come
ho già detto, questo
volume è piuttosto criptico. Ho tradotto un passaggio che
parla della figlia
della Luna, lacrima delle stelle e via
dicendo…insomma…un’accozzaglia di
parole
senza senso! Parla del Fuoco, all’inizio…ma non
è d’aiuto…”.
“Prova
a leggere la frase.
Magari tutti assieme possiamo venirne a capo” propose
Mattehedike.
Era
la prima volta che
provavano a creare qualcosa tutti assieme. Fino a quel giorno, si erano
rivolti
la parola solo per litigare o darsi ordini. Efrehem si
schiarì la voce.
Estrasse il libro dallo zaino e lo illuminò con la
luminescenza della sua
pelle, iniziava a sentirsi piuttosto debole nell’elemento suo
opposto, ed
iniziò a leggere.
“…segui
la lama del fuoco,
attraverso i sogni spezzati e le fiamme dei dannati. Nel regno della
Luna,
lacrima di stelle, piange per il vento e per le sue Sorelle. Nel bianco
trova
la tua regina, limpida e ghiacciata, danza come la neve e dalla luce
è
ammirata. Parla a…”.
“Ok,
ho capito. Davvero
un’accozzaglia di parole senza senso. Proporrei di cavarcela
da soli. Butta
pure via quell’affare” tagliò corto il
Metallo.
Efrehem
lo richiuse e lo
strinse a sé, come a voler comunicare che mai getterebbe via
un libro.
“Sì
ma…a questo punto cosa
facciamo? Ce ne stiamo qui ad aspettare?” protestò
l’Elettricità.
“Certo
che no! Sarebbe
inutile! Propongo di andare avanti. Forse nel prossimo luogo avremo
più fortuna
e potremmo tornare qui in seguito quando avremo capito che dobbiamo
fare” parlò
l’Aria.
“Il
Signore dell’Ovest ha
detto che dobbiamo essere un gruppo. Sempre in dieci, ricordate? Non
possiamo
accedere agli altri luoghi proibiti se siamo solo in nove!”
fece notare Idisi.
“Ma
se il Fuoco ce lo siamo
giocato, che ci possiamo fare?” ribatté Aherektess.
“Non
è morto. Dobbiamo solo
capire come farlo riapparire” affermò, convinta,
Hanjuly.
“Allora
avanti,
sapientona…cosa proponi?” fu la risposta
dell’Aria.
“Io…non
ne ho idea…” ammise il
Ghiaccio.
“Beh
ma insomma…fra noi non ci
sono un’Incantatrice, una Maga ed un Veggente?”
sbottò Thuwey “Possibile che
nessuno di voi trovi la soluzione?”.
Si
riferiva a Lehelin, Idisi
ed Efrehem, che non sapevano che cosa dire.
“Se
qualcuno mi sapesse
spiegare questo passaggio del libro…”
ipotizzò la Luce.
“Sei
tu il
Veggente…arrangiati! Mica possiamo fare tutto noi!
Già ti pariamo il culo in
caso di attacco nemico…se ci tocca pure usare il cervello al
posto tuo, allora
a te che resta da fare?” brontolò la Roccia,
incrociando le braccia e tirando a
sé, a causa della catena, Aria e Luce.
“Tanto
tu il cervello non
potresti usarlo nemmeno volendo…”
sibilò Enki, fra lo stupore generale nel
sentirla pronunciare una frase del genere “…come
puoi essere così egoista?”.
“E
tu come puoi essere così
fifona? Non dovresti parlare, perché mi tocca fare la
guardia anche a te,
principessina indifesa!”.
“Fin
ora la tua protezione non
mi è servita e, sinceramente, non mi sento al
sicuro!”.
“Ok,
adesso basta” tentò di
calmare gli animi la Terra, Idisi “Facciamo tutti un bel
respiro e vediamo di
trovare una soluzione. Certo è che non possiamo ripartire
solo in nove ma…”.
“Usa
le tue carte” la
interruppe l’Elettricità “Magari ci
dicono dov’è…”.
“È
un’idea…piuttosto che star
qui a far niente…” convenne Efrehem.
“Puoi
venirmi più vicino,
principe della Luce?” domandò Idisi
“Altrimenti mi è impossibile vedere il
responso nel buio totale…”.
La
Luce si avvicinò e tentò di
illuminare il più possibile le mani ed il mazzo della maga,
che nel frattempo
si era messa seduta costringendo gli altri a fare altrettanto.
“Sono
molto stanco” ammise,
notando la propria luminescenza flebile “Non sono abituato a
tutta questa
oscurità e non so per quanto tempo potrò ancora
essere utile”.
“Tu
ora illuminala. Poi, se
non riuscirai a proseguire, troveremo una soluzione” lo
rassicurò Hanjuly,
sorridendogli.
La
maga dai capelli verdi
guardò con curiosità la carta che stringeva fra
le mani.
“L’Appeso…”
mormorò.
“Imparare
a vedere le cose da
una diversa prospettiva” commentò Lehelin.
“Che
significa?” parlò piano
il Metallo, condizionato dall’improvviso abbassamento di voce
dell’intero
gruppo.
“Ve
l’avevo detto che è sotto
terra!” disse Mattehedike, guardando in basso.
“Oppure
in aria!” aggiunse
Aherektess, alzando gli occhi.
“Nessuna
delle due cose…” li
fermò Idisi “…lui è qui, lo
sento e le carte me lo dicono. È qui…ma noi non
lo
vediamo…”.
“Intendi
dire che è diventato
muto ed invisibile?!” esclamò Thuwey.
“Sia
lode agli Dèi!” ridacchiò
l’Aria.
“Ma
no…intendo dire che è qui,
come noi, ma non esattamente dove siamo noi” tentò
di spiegare la Terra, non
riuscendo nel suo intento perché si udì un
“Cioè?!” interrogativo da quasi
tutti i presenti.
“Intendi
dire una sorta di
dimensione parallela?” azzardò Efrehem, rizzando
le antenne rosse che aveva
sulla testa, incuriosito.
“Esatto.
Tornerà, deve
tornare…dobbiamo solo aspettare”.
“A
me sembra un’infilata di
cazzate pari alle frasi del libro di prima” sbottò
la Roccia.
“Aspettare?!
Aspettare cosa?!
E per quanto tempo?!” protestò l’Aria.
In
pochi istanti tutti si
rialzarono e ripresero a discutere, animatamente, l’uno
contro l’altro. C’era
chi non si voleva fermare, chi aspettare, chi tornare indietro e
chiedere al
Signore dell’Ovest e chi restava in silenzio, sospirando. La
Terra, assieme ad
Efrehem, faceva parte dell’ultimo gruppo. Ripose le carte e
sospirò, guardando
la Luce, mentre tutt’attorno poteva solo immaginare
ciò che accadeva, non
vedendolo, ascoltando le parole poco gentili e venendo strattonata con
le
catene.
†††
“Kaos
chi?” interrogò
Kassihell.
“Come
sarebbe a dire
"Kaos chi?", sgorbio?” si accigliò
l’essere fumoso.
“Non
conosco nessun Kaos, mi
spiace…”.
Sbattendo
gli occhi per lo
stupore, la creatura di nebbia attese un pochino prima di tornare a
parlare.
“Strano
che tu non sappia chi
sono. Ad ogni modo…” si interruppe per tirare un
calcetto ad una delle candele
fluttuanti che gli era capitata a tiro “…io, al
contrario, so molto bene chi
sei tu”.
“Buon
per te. Ora spiegami un
po’ che posto è questo e come uscirne, altrimenti
sparisci”.
“Mi
piace il tuo modo di fare,
ragazzo. Sei una creaturina interessante”.
Il
Fuoco non abbassava la
guardia, puntando sempre la spada contro lo sconosciuto, pur mostrando
tutto il
suo smarrimento in quella situazione inusuale. Spinse lontano con la
punta
delle dita alcune candele che gli bloccavano, in parte, la visuale.
“Non
mi interessa se ti
piaccio o meno, ho fretta. Se sei stato tu a portarmi qui, allora fammi
uscire
subito. Ho una missione da compiere…”.
“Oh,
sì…giusto. La missione.
Dimmi un po’…secondo te, gli oggetti che
necessitate per la vostra preziosa
evocazione, chi ve li fornisce?”.
“Perché
dovrebbe fornirceli
qualcuno, pallino nebbioso?”.
Il
Kaos si rizzò sulla sedia,
spalancando gli occhi.
“Pallino
nebbioso?! Ma come ti
permetti?!” farfugliò, sconcertato.
“In
effetti, sei grosso…ti
senti più rappresentato se ti chiamo "pallone
nebbioso"?”.
“Senti
un po’, non farmi
perdere la pazienza. Ne ho molto poca già di
natura…”.
“Anch’io!”
lo interruppe
Kassihell “Perciò vedi di smetterla di
tergiversare ed andiamo avanti, perché
se credi che abbia tutta la vita per stare qui a…”.
“Io
sono un Dio!” tuonò il
Kaos, alzandosi in piedi ed espandendo il suo corpo nero, gettando a
terra il
Fuoco, con rabbia.
Questi
cadde e dovette
lasciare andare la spada, venendo scaraventato lontano. Non
parlò più,
spalancando gli occhi. Kaos lo guardò…e
scoppiò a ridere. Tornò a sedersi, con
calma. Ghignava, reggendosi la testa.
“Voi
mortali…” ridacchiò
“…vi
spaventate così facilmente!”.
“Sei
un Dio?” ripeté il Fuoco,
leggermente inquietato dall’incapacità di non
potersi rialzare.
“Sì.
Non stupirtene più di
tanto. Che ti aspettavi in un luogo proibito? Un uccellino mi ha detto
che non
credi particolarmente alle creature come me…”.
“Non
ho mai detto di non
credere nelle creature come te…semplicemente non le
venero” di difese
Kassihell, riprendendosi in fretta dallo spavento.
Kaos
allungò una mano verso di
lui e lo sollevò da terra, facendolo rialzare.
“Dicevamo?”
parlò, poi, la
divinità.
“Dicevamo,
cosa?” sbottò il Fuoco,
guardandosi attorno in cerca della Katana perduta.
Il
Dio lo intuì e gliela
porse, sempre spostandola senza toccarla, pregandolo di rifoderarla
perché
inutile, dato il contesto. Kassihell ubbidì, controvoglia, e
tornò a fissarlo
minacciosamente.
“Dicevamo,
cosa?” ripeté il
mortale.
“Non
ricordo a che punto del
discorso eravamo…ma non importa!”
ghignò il Dio, lanciando una candela verso un
punto imprecisato, prima che questa fluttuasse altrove.
“Il
tuo popolo venera Daram,
giusto?” domandò poi, notando lo sguardo assurdo
che il Fuoco gli rivolgeva,
restando fermo sulla difensiva.
“Sì…”
ammise Kassihell.
“Ma
tu no…”.
Il
mortale non rispose. Girò
la testa altrove, aspettando la domanda di riserva.
“Bene!”
gli disse,
inaspettatamente, Kaos.
“Bene?!”
spalancò gli occhi,
nocciola, Kassihell.
“Sì,
bene. Non comprendo,
sinceramente, tutta questa devozione. È inutile. Specie
venerare Daram, il cui
scopo è star a fissare Sirona tutto il giorno. Cosa vuoi che
accada alla stella
del giorno?! Scappa?! In realtà Daram, per quanto stile
possa avere, non ha
bisogno di chissà che considerazione. Sirona gira
comunque!”.
“Non
ti sta molto simpatico,
mi pare di capire…” commentò il Fuoco.
“Non
ho detto questo. Suo
figlio è un deficiente ma Daram mi è del tutto
indifferente. Se è del tutto
indifferente pure a te, allora mi stai simpatico,
cosetto…”.
“Mi
chiamo Kassihell!”.
“Lo
so bene. Sei il figlio di
Vehuya. Hai trentasei anni e sei nato il tredici del quarto incontro
degli
sposi nel cielo, hai tre figli ed una bella moglie eccetera,
eccetera…posso
dirti tutto ciò che vuoi. So tutto di te, come
dicevo”.
“Non
avete niente di meglio da
fare, voi Dèi, che star a guardare che facciamo noi
mortali?”.
“In
effetti, salvo litigare
fra noi, non è che conosciamo altri modi per far scorrere le
Ere…”.
“Non
avete qualche hobby?”.
“Ne
ho molti di hobby…” ghignò
Kaos, sadicamente “…ma questi non sono affari che
ti riguardano, insignificante
esserino”.
Al
Fuoco parve di vederlo
leccarsi le labbra. Il buio era aumentato di colpo, le candele
roteavano molto
più in fretta e sempre più vicine a Kassihell.
Questi dapprima si spaventò ma
poi reagì, ringhiando. Tentò di spegnere le
candele ma non ci riuscì.
“Se
io non lo voglio, tu non
usi i tuoi poteri sull’elemento che ti domina,
Kassy!” rise Kaos.
“Ma
cosa vuoi?” sibilò il
mortale, infastidito dal soprannome.
“Tu
cosa vuoi! Sei entrato tu
nella MIA zona proibita! Non il contrario…”.
“Già…beh…io
non so bene cosa
voglio. So che…”.
“La
missione! Sì, sì…lo so!”.
“Ma
lasciami finire una
frase!”.
“Certo
che no. Sono
Kaos…perché dovrei renderti le cose
facili?”.
“Allora…”.
“Ti
darò ciò che ti devo
dare…se non cambio idea. Sai, sono Kaos…faccio le
cose un po’ a caso!”.
“L’avevo
intuito…”.
“Bravo…sei
intelligente…”
ironizzò il Dio.
“Sono
di fretta, però. Altrimenti
continuerei volentieri questa piacevole conversazione”.
“Il
sarcasmo e le bugie è
meglio evitarle con me, tesoruccio. Posso diventare molto spiacevole,
se
stuzzicato nel modo sbagliato…”.
Kassihell
decise di non
aggravare ulteriormente la sua situazione, notando lo sguardo
minaccioso di chi
aveva di fronte. Era molto più grosso ora, probabilmente
irritato
dall’atteggiamento del Fuoco, e tutta l’aria era
come ovattata ed appannata
dalla nebbia nera del corpo divino.
“Mi
hai portato tu qui, con la
tua manona nera?” domandò il Fuoco, trovando la
domanda sufficientemente
rispettosa.
“Precisamente”.
“E
come mai?”.
“Sei
divertente. L’ateo,
anarchico e rissoso del gruppo. Il caotico! Meglio di
te…sentivo di poter
entrare in sintonia con una creatura del tuo tipo”.
“Del
mio tipo?! Guarda che, se
cerchi moglie, io non faccio a caso tuo!”.
Kaos
ringhiò, con rabbia, e
graffiò entrambi i lati del suo trono con enormi unghie
lucide e nere. Poi,
però, in fretta, cambiò umore e sorrise:
“Adoro il tuo sarcasmo…”
commentò.
“Ma
prima hai detto che…”.
“E
tu mi stai pure a sentire?!
Sono Kaos, personificazione del caos, appunto! Ogni cosa che dico
è un grosso
punto di domanda…se cerchi di dargli, e darmi, una logica,
sei fottuto!”.
“Creeresti
qualche problema ad
uno dei membri della compagnia…”
ridacchiò Kassihell.
“Lo
so bene!” si unì alla
risata Kaos “Ho chiamato qui te perché mi sembravi
il più adatto. Non volevo
grida di terrore, ovazioni pleonastiche o domande inutili. Mi sembravi
la
tipica creatura schietta, diretta e controcorrente che piace a me. Non
mi pare
di aver sbagliato”.
Il
Fuoco sorrise, felice di
poter aumentare il suo ego già notevole.
“Allora…cosa
devo fare?”.
“Fare?!”
si stupì Kaos.
“Sì,
fare…per ottenere ciò che
mi serve per proseguire la missione!”.
“Ah…sì,
giusto! Incontrerete
un sacco di gente e creature assurde, simpatiche o meno, per
raggiungere lo
scopo finale: l’evocazione. Sinceramente, non so quanto possa
essere utile
questa cosa ma…contenti voi, contenti tutti!”.
“Senti…a
me poco importa se la
cosa andrà a buon fine o meno. A me serve solo arrivare in
fondo a tutto questo
e tornare a casa”.
“Bene.
Allora l’oggettino che
sto per darti, forse, all’inizio non ti piacerà
oppure lo troverai decisamente
inutile…ma non c’è membro
più adatto di te, fra i dieci, a portarlo. Non
dovrà
toccarlo nessun’altro, sarai esclusivamente tu il suo
custode”.
“Mi
stai incuriosendo…”.
“Prendi!”.
Kaos
si sporse solo
leggermente e gli lanciò una specie di moneta grande poco
meno di un pugno, con
un buco quadrato al centro.
“Sembra
uno spicciolo del mio
Paese…” commentò il Fuoco, prendendolo
al volo.
“Stai
attento a come lo
maneggi, quello. Il medaglione che ti ho dato è padrone del
tempo…”.
Kassihell
lo guardava,
rigirandoselo fra le mani.
“…quando
sarà necessario, e quando
tu lo vorrai, sarà al tuo servizio”
spiegò la divinità.
“Il
tempo?”.
“Sì.
Il tempo sarà al tuo
servizio”.
“Posso
farlo avanzare
velocemente a mio piacimento?”.
“Avanti,
indietro, di
lato…però ti avviso: la Dea del Destino tesse il
futuro piuttosto lentamente,
quella scansafatiche. Se lo fai avanzare troppo in fretta, ti
ritroverai nel
nulla più assoluto. Se la cosa ti diverte…fai
pure!”.
“Come
si usa? E non porta a
delle conseguenze?”.
“Scoprilo
da solo. Non sono
certo qui per darti la pappa già pronta, mammifero! E,
ovvio, certo che sì,
porta a delle conseguenze. Questo è il motivo per cui do
questo oggetto a te,
principe del Fuoco. Poi, usalo come preferisci…sono affari
tuoi”.
Il
sorriso della divinità era
inquietante, perfido. Kassihell prese il medaglione fra le mani,
chiedendosi
perché fosse stato usato il termine
“mammifero”, facendo cenno di aver capito.
“Ricorda
che, ogni volta che
lo userai, questo richiederà qualcosa in cambio”
continuò Kaos.
“Tipo?”.
“Non
lo so. A me non chiede
niente. Ma a te, mortale, non sarebbe concesso averlo e
perciò, se vuoi testare
il suo potere, dovrai dare qualcosa in cambio”.
“Sembra
pericoloso…”.
“Non
aver paura. Non ho
interesse nell’ucciderti. Meglio saperti vivo e caotico per
Asteria, e chissà
se i tuoi figli seguiranno il tuo esempio…”.
“Quindi
usarlo non mi
ucciderà?”.
“Ho
appena finito di dire che
son contento quando non mi vengono fatte troppe
domande…”.
“Ma,
se permetti, io ci tengo
alla mia vita!”.
“Fai
bene. Anch’io tengo alla
mia!”.
Il
Fuoco capì che non avrebbe
ottenuto altro e quindi non disse più nulla. Estrasse il
nastro per i capelli
che teneva nello zaino e legò l’oggetto al collo,
nascondendolo sotto la maglia
con cura.
“Non
perderlo, giovanotto, o
vedrai realizzati tutti i tuoi peggiori incubi!” lo
minacciò il Dio.
Per
alcuni istanti, i due si
fissarono con odio da un lato e timore dall’altra, senza
parlarsi ma sostenendo
lo sguardo con convinzione. L’atmosfera però si
distese subito, alla risata di
Kaos. Era agghiacciante ma Kassihell non poté fare a meno di
unirsi e ridere
istericamente, scaricando la tensione almeno in parte.
“Devo
riportartelo?” parlò il
mortale.
“Cosa?”.
“Il
medaglione!”.
“Stiamo
ancora parlando di
quello? Ad ogni modo no, non è necessario. Non ho bisogno di
un gingillo del
genere. Te lo regalo. È tuo”.
“Grazie…non
devo darti nulla?
Nessuna prova da superare, pegno da pagare?”.
“No.
A patto che ne faccia uso
nel modo che voglio…cioè come
un’abitante del Fuoco. Con un po’ di
irruenza…senza il misticismo
dell’Oscurità! E senza stare troppo a spiegare in
giro a cosa serve, perché lo usi ed altre quisquilie
fastidiose”.
“Tanto
meglio per me…”.
“Sono
un Dio caotico e
voltafaccia, so essere spaventosamente crudele ma anche incredibilmente
magnanimo. Ed oggi mi sento buono…adesso mi sento
buono…fra dieci secondi non
so…”.
“Dove
sta la fregatura?”.
“Scoprilo
da solo, fuocherello
pazzerello. Sii te stesso, nulla di più”.
“Ora
ho capito perché servono
i dieci di ogni elemento…immagino che, ad ogni luogo
proibito, ci voglia una
creatura diversa da quelle che abitano il regno in cui sta”.
“Tu,
Fuoco, sei entrato qui,
nel luogo proibito dell’Oscurità. È
probabile che anche altrove funzioni così.
Di certo qui nessun nativo di questo regno può
entrarci”.
“I
tuoi devoti…”.
“Le
mie creature, fatte a mia
immagine e somiglianza”.
“L’avevo
notato…”.
“La
rappresentante
dell’Oscurità mi assomiglia?”.
“Molto.
Ma dovresti saperlo…”.
“Ero
polarizzato su di te…”.
“Polarizzato?!”.
L’attenzione
del Dio non era
più concentrata sul mortale ma sui propri capelli,
così nebbiosi e fumosi,
disordinati ed agitati, giocherellandoci con le dita ed ignorando il
Fuoco. Il
principe tentò di riportare la conversazione sui binari, ma
non ci riusciva.
Storse il naso, sospirando.
“Dunque!”
tuonò, ad un tratto,
la divinità, facendolo sobbalzare “Dove eravamo
rimasti? Cosa ci fai ancora
qui, mortaluccio? Sparisci!”.
“Non
so come si fa…” ammise
Kassihell.
“Ah,
sì…giusto…”.
Il
Fuoco attese, si aspettava
che lo riportasse al punto di partenza, ma il Dio si rimise a ridere,
senza motivo,
alzandosi e spiaccicando le candele sul muro. Rimasero attaccate grazie
alla
cera sciolta ed al Dio piacque il nuovo arredamento. Così
facendo, la luce
dell’ambiente pian piano si spense, fino a tornare buio
totale.
“Sì…ma
io…” iniziò il Fuoco.
“Tranquillo,
Kassy…” parlò
Kaos, facendo vibrare di nuovo il pavimento sotto di sé
“…non mi sono scordato
di te”.
Il
mortale riusciva a
scorgerne solo gli occhi azzurri, sospesi nell’immenso nero.
Rabbrividì, quando
il fumo che componeva il corpo divino lo sfiorò, e si
irrigidì con un leggero
timore che gli entrò nelle ossa. Per quanto potesse essere
coraggioso e sicuro
di sé, non poteva dimenticare di trovarsi a pochissimi
centimetri da un Dio. Un
Dio potente, irascibile e dai repentini sbalzi d’umore.
Notandone il silenzio,
per un istante temette la sua ira improvvisa ma così non fu.
Ridendo
sadicamente, Kaos lo
afferrò fra le sue nebbie e lo riportò fuori dal
piccolo angolo parallelo che
si erano creati per poter stare tranquilli, collegamento diretto con
l’universo
delle divinità, raccomandandogli di fare un buon uso
dell’oggetto che gli aveva
donato.
†††
Kassihell
riapparve nella
dimensione in cui era sempre vissuto. Sedeva in terra, come gettato
lontano
distrattamente, con le braccia all’indietro, e non venne
notato dalla
compagnia. Troppo impegnati a litigare fra loro o a guardare il cielo
sospirando, nessuno notò il suo ritorno. Il Fuoco, scuotendo
la testa, cercò il
medaglione con lo sguardo e poi, non vedendolo, tastando con il palmo
della
mano. Lo trovò e realizzò che non era stato tutto
un sogno. Ridacchiò. Osservò
l’oggetto attentamente, sfruttando la Luce di Efrehem che si
era intensificata
per la rabbia data dalla discussione in atto. Sembrava piuttosto
vecchio,
consumato, con incisioni e scalfitture ai lati. Il quadrato centrale,
dove
aveva fatto passare il nastro rosso, era incorniciato da un sottile
bordo in
rilievo e su quasi tutta la superficie spiccavano incisioni e sporgenze
con
motivi apparentemente senza senso. Forse era una lingua antica o,
semplicemente, come penso Kassihell, ghirigori a casaccio. Era color
bronzo,
tendente al rossiccio, opaco. Con entusiasmo, il Fuoco vide che la
parte
centrale, un anello separato dal resto e piatto, senza decori, si
muoveva.
Poteva farlo girare in senso orario ed antiorario. Si chiese se era
così che
funzionasse. Preso dalla curiosità, lo mosse leggermente in
senso orario e si
lasciò sfuggire un’esclamazione di stupore. I nove
compagni accelerarono
davanti ai suoi occhi, continuando a discutere. Il Fuoco
lasciò il medaglione,
avvertendo una fitta sul viso. Ora tutto era tornato alla solita
velocità. Il
tempo era avanzato, si notava dagli argomenti mutati della
conversazione che,
nonostante tutto, continuava imperterrita. Solamente Lehelin si era
fermata e fissava
Kassihell con aria interrogativa. Notando questo, anche tutti gli altri
si
fermarono.
“Kassihell!
Sei tornato!”
esclamò Hanjuly.
“Già…e
anche da un po’…”
borbottò il Fuoco.
“Che
hai fatto al viso?”
domandò Reishefy.
Il
Fuoco la fissò con aria
interrogativa e si toccò la guancia, quella in cui prima
aveva avvertito una
fitta, e la sentì umida. Aveva un odore familiare. Sangue!
Mandando avanti il
tempo solo per qualche istante, aveva aperto quella ferita sul suo
volto. Si
spaventò all’idea di quali conseguenze poteva
avere il suo uso prolungato.
Idisi gli porse un fazzoletto, mentre si rialzava, e sorrise sollevata.
Quasi
tutti si sentirono molto meglio nel rivederlo lì, di nuovo.
“Non
mi mancavano i tuoi modi
scoccianti…” borbottò Aherektess.
“Neanche
tu mi sei mancato,
canarino dalle piume aranciastre”.
“Che
cosa è successo?” si
incuriosì Efrehem, pronto a prendere appunti.
“Non
ci crederesti se te lo
raccontassi. Ad ogni modo…abbiamo l’oggetto del
primo luogo proibito, possiamo
proseguire”.
Mostrò
loro il medaglione e
tutti si avvicinarono per vederlo meglio. Il Fuoco si ritrasse per non
farlo
toccare, informandoli che nessun’altro poteva metterci le
mani tranne lui.
“A
cosa serve?” continuò
Efrehem, sempre più curioso, e Kassihell si stupì
del fatto che nessuno si
fosse accorto di nulla.
“Mi
è stato detto di non
perdermi in discorsi inutili e proseguire. Perciò
andiamo…”.
“Ma
chi? Chi ti ha detto di
non perderti in discorsi inutili?” incalzò la
Luce, per niente soddisfatto
delle informazioni ricevute.
“Lo
vedrai, piccoletto, quando
verrà il tuo turno!” lo rassicurò il
Fuoco.
“Il
mio turno? Intendi dire
che, per ogni luogo proibito, uno di noi dovrà trovare il
suo oggetto in una
dimensione parallela?”.
“Sei
un genio. Adesso andiamo”
tagliò corto Kassihell, non rispondendo più a
nessuna domanda e tornando a
legarsi alla catena, trascinando il gruppo fuori dal cerchio di pietra.
Camminarono
ancora per poco,
stanchi dalla discussione e dalla prova affrontata.
“Dove
andiamo adesso? Quale
regno sarà il prossimo?” parlò Idisi.
“Tecnicamente,
da dove ci
troviamo ora…” parlò
l’Oscurità, guardando la cartina del suo regno
“…è molto
più vicino il regno dell’Acqua”.
“Bene.
Allora proseguiremo il
nostro viaggio in quella direzione” affermò
Efrehem.
“Sento
già il profumo
dell’Oceano” si entusiasmò Enki,
rassicurata leggermente dal fatto che poteva
tornare su un terreno familiare e conosciuto.
Nutrendosi
dei frutti degli
alberi e riposando nella foresta, avanzarono con molto più
entusiasmo una volta
capito che i luoghi proibiti non erano mortali come tutti, palesemente
o meno,
credevano.
Si
sentirono anche
infinitamente più sicuri quando notarono che le bestie di
quel regno si
tenevano a distanza, da quando il Fuoco aveva ottenuto quel medaglione.
Grazie
a questo, il loro cammino fu molto più veloce e lieto,
almeno per Reishefy ed
Hanjuly che cantarono tutto il tempo. Molto meno lieto per chi non
sopportava
quelle canzoncine idiote. Nessuno, però,
protestò, ansiosi com’erano di uscire
dal buio. Non avrebbero rallentato per litigare! Dopo poco
più di una
settimana, quando gli Sposi mostrarono il loro primo quarto,
l’oscurità iniziò
a diradarsi e tutti, prima o dopo, iniziarono ad udire chiaramente lo
sciabordio del mare ed il profumo del sale. Si sciolsero dalle catene,
nessuno
aiutò il Metallo a risistemarle, appena poterono tornare a
vedere. Aherektess
sbatté le braccia con forza, per riattivare la circolazione
nelle sue preziose
ali, finalmente libero. Hanjuly improvvisò una piccola
danza, fra l’ammirazione
dei maschi del gruppo. Reishefy saltellò in cerchio,
canticchiando. Lehelin si
sentì sollevata dal non avere più il comando.
Efrehem iniziò a ricaricarsi con
ogni singolo raggio di Sirona che sfiorava la sua pelle. Mattehedike si
stiracchiò. Idisi si sistemò i polsini e
l’abito piumato. Kassihell sbadigliò,
facendo scricchiolare qualche osso di spalle e braccia. Thuwey
bestemmiò mentre
rimetteva a posto tutte le sue preziose catene, lavoro lungo che
richiedeva
pazienza e precisione, ed Enki urlò, entusiasta, quando
davanti ai dieci si
mostrò l’immensità blu intenso
dell’Oceano.
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Capitolo 5 *** V- Acqua ***
V
Enki,
stringendo fra le mani
la sua chiave blu, immerse i piedi nell’acqua salmastra,
felice di avvertire di
nuovo la presenza del suo elemento. Kassihell sbuffò. Ci
avevano messo quasi un
mese a giungere fin lì, di certo quel viaggio non sarebbe
durato poco come gli
era stato comunicato. Hanjuly e Reishefy iniziarono a schizzarsi fra
loro,
correndo. Anche la Roccia immerse i piedi nell’oceano, non
avendo mai provato
quella sensazione, e ne rimase piacevolmente deliziato. La maggior
parte di
loro non aveva mia visto il mare. La Luce, ancora con gli occhi puntati
su
Sirona per ricaricarsi, si riempì i polmoni con quel nuovo
profumo e sorrise.
Aherektess, ghignando, schizzò il Fuoco, che gli
sibilò contro. Tentava di
stare solo lo stretto necessario in contatto con
quell’elemento opposto ed
umido. Idisi affondò fino alle caviglie nel bagnasciuga,
scalza, e sorrise
anch’essa. Il Ghiaccio provò a coinvolgere gli
altri nei suoi giochi. Lehelin
non protestò, anzi rispose alla provocazione sollevando la
sabbia. Thuwey,
invece, solo nel veder avvicinare la donna con i suoi intenti, fece
diversi
passi indietro, con le mani avanti.
“Che
ti succede, Metallaro?”
ironizzò Kassihell “Nel regno
dell’Oscurità mi hai detto che non vai ruggine a
contatto con l’acqua, e difatti ci siamo bagnati tutti quanti
nei fiumi senza
problemi. Come mai questa reazione?”.
“Quella
è acqua salata” si
limitò a dire, indicando la superficie del mare.
“E
allora? Che differenza fa?”
domandò l’Aria, gonfiando le piume umide per
asciugarle.
“Con
QUELLA vado ruggine”
sbottò, facendo un balzo per schivare le gocce provenienti
dalle ali scosse di
Aherektess.
“Bel
problema…” commentò
Idisi.
“Bel
problema un po’ per tutti
noi. Il regno dell’Acqua è sottomarino e, salvo
Enki, non mi risulta che nessun
altro sia in grado di respirare con le branchie!”
commentò Efrehem.
“Tranquilli”
sorrise Enki “Il
luogo proibito si trova sopra la superficie, non sommerso”.
“Sì
ma come lo raggiungiamo? A
nuoto è escluso…” domandò
Mattehedike.
“Questo
viaggio è una vera e
propria agonia…saltan fuori solo casini!”
borbottò Kassihell, indietreggiando
per non essere colpito dalle onde della marea che si alzava.
“Potrei
portarvi io…” suggerì
Hanjuly.
“In
braccio?” sghignazzò
Thuwey e la principessa del Ghiaccio, di tutta risposta, lo
sollevò da terra,
fra le braccia, guardandolo con aria di sfida.
“Come
vedi potrei farlo…”
rispose, seria “…ma non è quella la mia
idea”.
Il
Metallo non parlò più,
sconvolto da ciò che era appena successo, e rimase in attesa
di udire la
soluzione proposta, dopo essere stato lasciato di colpo dalla
principessa
ghiacciata.
“La
mia idea è, dato che
riesco a far gelare l’acqua, di seguire per prima Enki, che
nuoterà, suppongo,
creando un sentiero ghiacciato sopra il quale potrete
camminare”.
“Idea
geniale!” convenne
Efrehem, ancora una volta stupito per non averci pensato lui per primo.
“Ed
una barca invece? Potrebbe
essere possibile?” suggerì Enki, spiegando il
perché della sua scelta indicando
le onde “Le correnti sono molto forti e con una barca
potremmo arrivare
decisamente prima. A piedi ci vorranno almeno due o tre settimane, ma
in barca
si dimezzerebbero i tempi”.
“Detesto
andare in barca ma,
se questo ci farà arrivare prima, barca sia!”
parlò il Fuoco.
“Una
barca di cosa?” si
informò Thuwey, guardando preoccupato la marea che saliva.
“Di
ghiaccio, naturalmente!”
esclamò Hanjuly, entusiasta “Sono in grado di
farla e, grazie alla guida ed al
controllo delle correnti di Enki, arriveremo in un
battibaleno!”.
“Scordatelo.
Io non salgo su
una barca che mi si scioglie addosso!” protestò il
Metallo.
“In
effetti…” iniziò Efrehem,
tenendosi il mento e girando lo sguardo verso l’alto
“…a contatto diretto con
il ghiaccio, creato dall’acqua salata, potrebbe avere delle
conseguenze solo
leggermente inferiori ad un’immersione. Senza menzionare gli
inevitabili
schizzi…”.
“Per
non parlare del fatto che
l’Elettricità trasmetterebbe le sue scosse su
tutta la superficie!” fece notare
Mattehedike, non volendo rivelare di soffrire il mal di mare.
“Quello
accadrebbe anche
camminando sul sentiero ghiacciato” informò Idisi.
“Tecnicamente
no” si intromise
Efrehem “Scaricherebbe verso il basso, come la fisica
insegna…perciò, in
teoria, sul sentiero non dovrebbe avere problemi mentre, invece, sulla
barca,
non posso garantire che segua quel principio. Immagino dipenda dalla
forma
della barca”.
“Ma
non possiamo dividerci in
due gruppi. Non uno in barca ed uno a piedi, perlomeno. Quelli sul
sentiero
sarebbero troppo lenti e rimarrebbero indietro”.
“Hai
ragione, Idisi…perciò,
che facciamo?” si guardò attorno il Ghiaccio, in
attesa di soluzioni.
Nel
frattempo si perse a
guardare le onde, meditando sul da farsi.
“Mai
fatto surf?” le domandò
Efrehem.
“Surf?
Sì, certo…è
divertente…”.
“E
se i gruppi fossero due: la
barca ed il surf? L’Elettricità, che molto
probabilmente darebbe problemi sulla
barca, verrebbe con te e…”.
“E
anche il Metallo, che
potrei proteggere da ogni schizzo, ghiacciandolo prima che lo
raggiunga!”
concluse Hanjuly, gioendo.
Thuwey
fece per aprire bocca
ma nessuno lo stava a sentire, preso com’era
dall’idea di partire.
“E
per il Fuoco, invece? Che
si fa?” domandò Enki.
“Non
è un problema, per me,
viaggiare in barca. L’importante è che abbia la
possibilità di muovermi per non
raffreddarmi…” informò Kassihell.
“Benissimo…allora
tu remerai!”
esclamò Idisi, porgendogli la specie di grosso remo che
aveva per arma e
sorridendogli.
“Ed
io controllerò che lo
strato di ghiaccio a te vicino non si assottigli, dato il calore che
emetti”
concluse la principessa gelata.
“State
tranquilli…” aggiunse
Enki “…ci sono delle isole lungo il cammino, dove
potremmo fermarci. Non sarà
un’eterna traversata in mezzo al blu. Lì potrete
rifornirvi di acqua potabile,
fra le altre cose, che sull’oceano non avrete a
disposizione”.
“Partiamo!”
quasi urlò Hanjuly
“Pronto, compagno di surf?” rise, andando accanto
al Metallo che scosse il
capo, specie quando l’Elettricità
mostrò tutto il suo entusiasmo all’idea di
viaggiargli accanto per tutto il tragitto.
†††
“Mai
fatto surf?” gli domandò
Hanjuly.
“Certo
che no!” sbottò Thuwey
“Perché avrei dovuto?”.
“Perché
ho sempre amato gli
uomini che fanno surf…sono così
virili…”.
“Ti
assicuro che la mia
virilità non può essere messa in alcun modo in
discussione e di certo non
rischierò di cadere in quel miasma salmastro chiamato oceano
solo per
dimostrartelo!”.
“Beh
mi spiace ma dovrai
farlo! Ecco la tua tavola!” esclamò il Ghiaccio,
battendo i piedi nell’acqua e
creando ciò di cui aveva bisogno.
“Mettici
i piedi sopra” ordinò
al Metallo, che non fece un passo.
“Muoviti!!”
gli urlò Reishefy
e lo spinse, buttandosi contro l’uomo con tutta se stessa,
dandogli la scossa e
facendolo sobbalzare sulla tavola appena nata.
Subito
Hanjuly gli bloccò i
piedi con il suo elemento, impedendogli di fuggire.
“Tranquillo…”
gli parlò “La
tavola, e tutto il resto su cui poggi, l’ho creato usando
l’acqua potabile,
quella per te non dannosa. Non ne ho abbastanza per una barca, ma per
te è più
che sufficiente”.
Aherektess
sghignazzò quando
vide che Thuwey tentava di avanzare, con i piedi tutt’uno con
la tavola,
bestemmiando a gran voce. Nel frattempo, Hanjuly aveva creato, con
l’acqua
salata, il mezzo di trasporto per l’Elettricità,
che ne fu entusiasta.
“Ho
già fatto questo sport. Me
la cavo, anche se non mi leghi i piedi” rassicurò.
“Benissimo.
Tu, invece, caro
Metallo, sarai sulla mia stessa tavola. Ci penserò io a
tenerti in equilibrio
ed a proteggerti dagli schizzi”.
“E…in
base a cosa dovrei
fidarmi di te? Se cado da questo coso, la mia vita è finita,
lo sai vero,
ghiacciolo ambulante? Nessuno di voi sarebbe in grado di riportarmi a
galla e,
anche se ciò avvenisse, la mia pelle ne uscirebbe
irrimediabilmente rovinata”.
“Nessuno
te lo dice,
simpaticone! Non hai altra scelta. O così, o sulla
barca…dove verresti a
diretto contatto con l’elemento tuo nemico ed è
certo che ne subiresti le
conseguenze”.
Thuwey
sospirò, arrendendosi
all’evidenza. Maledisse, non certo in silenzio, ogni
divinità che gli venne in
mente ed attese, mentre il Ghiaccio creava la grossa barca per gli
altri della
compagnia.
L’imbarcazione,
quasi
trasparente, era molto semplice per ridurre al minimo lo sforzo della
principessa del gelo nel crearla. Assomigliava, molto vagamente, ad un
grosso
baccello semiaperto, senza particolari comodità o posti a
sedere. Quella,
spiegò, era la forma e la struttura più semplice
da mantenere per un periodo di
tempo prolungato. Fu creata tutt’attorno al gruppo,
così da evitare il
marchingegno di entrata, e si ritrovò ben presto in mezzo al
mare, grazie alle
correnti mosse da Enki. Luce ed Oscurità si sistemarono
sugli angoli opposti.
Efrehem dove più battevano i raggi di Sirona e Lehelin
all’ombra, ruotando e
stringendo leggermente i grandi occhi argento per sopportare la
luminosità
esterna. La Roccia si sedette in silenzio, tenendosi le ginocchia,
concentrato
sullo spazio aperto che riusciva a vedere dal ghiaccio trasparente.
Idisi
osservò Kassihell mentre, con il remo allacciato dietro la
schiena, si
arrampicava lungo uno dei bordi, creando delle piccole rientranze con
il suo
calore. Il principe del Fuoco giunse in cima, la sua meta, e
guardò giù,
mostrandosi apparentemente calmo. Guardò l’arma
della maga della Terra mentre
questa si ingrandiva, fino a divenire abbastanza grande da raggiungere
l’acqua.
Ammirato da questo evento, si voltò verso Idisi con un
sorriso compiaciuto.
Vide Enki davanti all’imbarcazione ed iniziò a
remare verso la direzione della
principessa dell’Acqua. Aherektess, preferendo di gran lunga
l’aria al gelido ghiaccio,
spiccò il volo e seguì la barca senza problemi.
Reishefy,
senza pensarci
troppo, prese la rincorsa e, tavola fra le braccia, si
tuffò. Si mise in piedi
sulla sua bella tavola, facendosi guidare anch’essa dalle
correnti governate da
Enki.
“Tocca
a noi, tesoruccio…”
sorrise Hanjuly, spingendo Thuwey al largo e prendendo posto davanti a
lui,
ghignando.
Il
Metallo sobbalzò, guardando
in basso, e si aggrappò, d’istinto, alle spalle
del Ghiaccio, felice per non
provare freddo nel toccarla. Hanjuly ridacchiò, ordinandogli
di tenersi
stretto, ed accelerò per poter raggiungere il resto del
gruppo. Attorno a sé,
le gocce e gli schizzi creati dalla tavola si solidificavano prima di
sfiorare
l’altissimo Thuwey, che smise di bestemmiare ed
iniziò a pregare.
†††
La
prima isola sul loro
tragitto la raggiunsero piuttosto in fretta, meno di sei ore. Tutti,
tranne
Enki ovviamente, furono piuttosto felici di poggiare i piedi di nuovo
in terra.
Reishefy era raggiante. Si stava divertendo un sacco e non riusciva a
capire lo
sguardo stravolto di Mattehedike, in preda al mal di mare, o la
stanchezza di
Idisi, che iniziò a starnutire in preda al raffreddore a
causa della permanenza
a contatto con il ghiaccio.
“Complimenti,
Metallo. Sei
rimasto in piedi!” ridacchiò
l’Elettricità, dandogli una poderosa pacca sulla
schiena…senza riuscire più a staccarsi!
“Che
succede?!” protestò “Che
mi hai fatto?!”.
“Staccati,
piccola stupida! Mi
stai mandando le scosse! Staccati!” urlò Thuwey.
“Non
è colpa mia! Non ci
riesco!” piagnucolò Reishefy.
La
mano dell’Elettricità era
rimasta attaccata alla schiena del Metallo e da lì non si
muoveva. Per la
paura, la ragazza intensificava le scariche elettriche sempre di
più.
“State
calmi!” li fermò
Efrehem “Si tratta di una normale reazione al freddo
dell’elemento metallico.
Probabilmente l’umidità dell’aria si
è ghiacciata su di lui ed ora tu ci sei
rimasta attaccata. Non è nulla di
grave…”.
“Come
quando resti attaccato
con la lingua al ghiaccio provando a leccarlo?”
domandò Hanjuly.
“Non
so perché dovresti
leccare il ghiaccio ma sì…è lo stesso
principio! Ed ha la stessa soluzione”.
“Mi
spiace interrompere la
vostra interessantissima conversazione ma…me la stacchereste
di dosso?!”
ringhiò Thuwey, interrompendo Efrehem e la sua spiegazione.
“Kassihell…ti
dispiace venire
qui?” domandò il Ghiaccio, conoscendo la soluzione.
Il
Fuoco, sgranchendosi le
braccia dopo tanto remare, si avvicinò ridendo per la
scenetta.
“Ti
dispiacerebbe scaldare un
pochino il Metallo? Non molto…giusto finché non
si stacca Reishefy” continuò
Hanjuly, gentilmente.
“E
fai attenzione. Se mi fai
pure sciogliere, ti picchio!” ringhiò Thuwey.
“Ma
sei proprio impossibile!
Non ti va bene niente!” sghignazzò Kassihell e gli
poggiò una mano sulla
schiena, poco distante a dove era rimasta attaccata la ragazzina
elettrica.
“Ora
fa piano, Reishefy…” le
consigliò la Luce “…prova a staccarti
ma lentamente. L’ideale sarebbe usare
l’acqua calda ma al momento nessuno di noi ha acqua potabile
ed il Signor
Metallo si rovina con l’oceano”.
L’Elettricità
annuì e provò a
togliere la mano, pian piano. Sorrise, vedendo che ci stava riuscendo.
Quando
fu libera, non poté fare a meno di abbracciare Fuoco e Luce,
che sobbalzarono
per le scosse. Thuwey tirò un sospiro di sollievo e,
leggermente dolorante, si sedette
sulla spiaggia. Lehelin lo guardò, con aria interrogativa.
“Scusa
ma…è una mia
impressione o sei diventato più grosso?”
domandò.
“Non
ti sbagli, principessa
fumosa. Il mio corpo, composto quasi interamente di un metallo molto
particolare, reagisce come tale in base alle condizioni esterne. Non
muoio
assiderato dal freddo e non soffro particolarmente il caldo, salvo casi
estremi, ma mi limito a cambiare dimensioni e temperatura. Con il gelo
mi
stringo e mi raffreddo moltissimo, con il caldo divento più
grande ed, a volte,
incandescente. In pochi minuti tornerò normale”.
“Affascinante!”
commentò
Efrehem, appuntando anche quell’informazione sul suo
libricino.
“Assurdo…”
sbottò Kassihell
“…ed a che temperatura fondi?”.
“Non
verrò certo a dirtelo,
piccolo fiammiferaio! Ad ogni modo…un incendio non mi
provoca danni se non ci
resto troppo a lungo nel mezzo”.
“Sei
l’elemento più strano di
Asteria…” commentò Mattehedike e Thuwey
si guardò attorno, non concordando con
quella tesi.
Idisi,
notando che la Roccia ancora
non si riprendeva dal viaggio in barca, si addentrò fra la
vegetazione
dell’isola in cerca di un rimedio, non volendo continuare la
traversata con
accanto l’ultimo pasto del compagno d’imbarcazione.
Quasi tutti seguirono il
suo esempio, alla ricerca di acqua potabile, cibo e ristoro.
Aherektess,
appollaiato su un albero, estrasse dal suo zaino dei frutti del regno
dell’Oscurità, che aveva previdentemente portato
con sé, e se li mangiò con
gusto. Ovviamente non li condivise con nessuno.
“Ho
bisogno di un bagno…”
parlò piano il Fuoco, togliendosi la maglia.
“Concordo.
Non è il caso che
rientri nella barca puzzando…” lo derise
Aherektess, sempre aggrappato ad un
alto ramo.
“Immagino
che, dopo aver tanto
volato, non sia in condizioni migliori delle mie, passerotto”
sbottò Kassihell,
allontanandosi dal gruppo ed andando verso il fiume, di cui sentiva
chiaramente
lo sciabordio non molto distante.
L’Aria
non rispose, fingendo
di non aver sentito essendo impegnato a sistemarsi le penne.
I
viaggiatori raccolsero
l’acqua per il viaggio direttamente dalla fonte del fiume
dell’isola, deliziati
dal suo sapore puro e rinfrescante. Mangiarono alcuni frutti ed erbe
fra la
vegetazione, seguendo le indicazioni di Idisi su cosa fosse
commestibile e cosa
evitare, e tornarono verso la riva.
“Meglio
riposare qui” suggerì
Enki, quando tutta la compagnia fu riunita sulla spiaggia “Il
tragitto fino
alla prossima isola sarà ben più lungo ed
è meglio che siate preparati e
freschi”.
Alcuni
di loro, come Reishefy
ed Efrehem, erano già crollati dalla stanchezza e dormivano
beati. Hanjuly,
piuttosto provata dal controllo del suo elemento, si
addormentò in fretta,
sulla sabbia. Thuwey e Kassihell controllarono per bene le vicinanze,
in cerca
di eventuali pericoli, ma poi si rilassarono e presero sonno,
appoggiati a
degli alberi. Aherektess salì su un ramo robusto e chiuse
gli occhi,
avvolgendosi in parte nelle ali. Mattehedike, ancora un po’
sottosopra, dormì
grazie alle erbe che gli porse Idisi, che si addormentò a
sua volta fra la vegetazione,
in piedi come i tronchi che aveva per gambe. Enki si immerse e
dormì cullata
dalle onde. Solamente Lehelin, non dormendo, bevendo o mangiando mai,
rimase
sveglia mentre Sirona tramontava. Avvolta dalle tenebre della notte,
rimase
seduta sulla spiaggia a guardare gli sposi del cielo e le onde piene
dei loro
riflessi argento.
†††
“Non
dormi, scricciolino?” si
sentì dire l’Oscurità, dopo diverse ore.
“Io
non dormo mai…” rispose,
sussurrando per non svegliare gli altri.
“E
dopo dicono che sono io la
creatura più strana del gruppo…”
ironizzò Thuwey.
“E
tu non dormi, Metallo?”.
“Non
ho bisogno di grandi ore
di sonno. Sono a posto…”.
“Parla
più piano, o sveglierai
gli altri!” sibilò Lehelin e Thuwey si
alzò, lentamente, andandole vicino per
non dare ulteriore fastidio ai compagni ancora nel mondo dei sogni.
Si
sedette accanto alla
principessa d’ombra, che girò solo leggermente la
testa.
“È
la prima volta che ti vedo
senza armatura sulle gambe…” commentò.
“Di
notte non ha molto senso
che la mia pelle prenda quelle sembianze…”
ridacchiò Thuwey, indossando
solamente una specie di gonnellino nero.
“Spero
di non crearti
problemi, vestito così. Del resto…tu sei
nuda…”.
“Vedi
di non prenderti troppe
confidenze, Metallo!” sbottò Lehelin.
“Chiamami
Thuwey! Non mi offendo
mica!”.
“Non
chiamo mai la gente per
nome”.
“Come
vuoi, Linnina…” sorrise
il Metallo, con le sue labbra nere, distendendosi sulla sabbia con le
mani
dietro la testa.
L’Oscurità
lo guardò malissimo
ma lui non ci fece caso, continuando a sorridere.
“Parlami
un po’ delle tue doti
d’incantatrice. È vero che voi creature
dell’Oscurità riuscite ad assumere ogni
forma che desiderate?”.
“Tu
che dici?” rispose lei,
con voce diversa.
Lui
la guardò e sobbalzò dalla
sorpresa. Davanti ai suoi occhi, la principessa oscura si era
trasformata
nell’abitante del regno del Metallo, riproducendone perfino
la voce e lo scarso
vestiario. Lehelin sorrise, mostrando i denti aguzzi di Thuwey.
“Come
hai fatto?” domandò lui
“Intendo dire…nei minimi
dettagli…tu…”.
“Io
uso la memoria della tua
ombra…” spiegò lei, tornando al suo
solito aspetto “…è sempre stata con te,
fin
dalla tua nascita, e quindi racchiude ogni tuo segreto ed aspetto.
È una cosa
che solo noi creature d’Oscurità sappiamo cogliere
e decifrare”.
“Quindi
potresti affrontare il
viaggio per Asteria da sola, trasformandoti ogni volta nella creatura
del regno
che serve?”.
“No.
Acquisisco l’aspetto ma
non le capacità proprie della specie. Non respiro
sott’acqua come Enki anche
trasformandomi in lei. Non volerei come Aherektess, mancandomi le
lezioni per
farlo. Non brillerei come Efrehem…le tue punte non sarebbero
d’acciaio
all’interno ma d’ombra. Potrei farle scomparire ma
non ritrarre ed il mio corpo
all’interno resterebbe lo stesso. Cambia l’esterno,
non la sostanza. Sono
un’incantatrice, un’ingannatrice, non un
clone…”.
“Questo
lo spierò ad
Efrehem…ma, con queste capacità, saresti quindi
in grado di diventare ciò che
vuoi? Anche una persona non presente o inventata?”.
“Certo.
Ma, se mi vuoi
chiedere di trasformarmi nella donna dei tuoi sogni, la mia risposta
è no!”
ghignò l’ombra “Anche perché,
pur cambiando d’aspetto, manterrei il mio pessimo
carattere”.
“Anche
il mio è pessimo,
credimi. Sono dell’idea che l’aspetto esteriore, in
fondo, non conti poi così
tanto. Muta, giusto? Intendo dire…io potrei tagliarmi e
tingermi i capelli,
potrei cambiare modo di vestire, potrei ritrarre ogni spuntone
metallico,
potrei divenire un uomo completamente diverso ma, dentro di me, sarei
sempre
io. Ed è questo che deve importare alla gente!”.
“Per
questo state tutti a
sbavare ogni volta che Hanjuly si muove?”
ridacchiò Lehelin.
Il
Metallo non rispose e
ridacchiò a sua volta.
“Prima
o poi gli anni
passeranno anche per lei, giusto?” continuò
l’ombra “Come passeranno per tutti.
Chissà come sarete fra anni…”.
“Saremo!”
la interruppe
Thuwey.
“Ti
correggo: sarete. Noi
dell’Oscurità non invecchiamo. Cresciamo di
dimensioni, un po’ alla volta, e
poi ci dissolviamo come la nebbia. Al momento della morte
sarò come sono
adesso”.
“Perché
stiamo parlando di
morte?! Non siamo partiti discutendo sulla donna dei sogni?”.
“Già…la
tua ti attende a
casa?”.
“No…e
questo viaggio mi ci sta
facendo riflettere. Son entrato nell’esercito ancora
minorenne, ho combattuto
per il mio regno e per la mia regina ma non ho nessuna regina a casa ad
attendermi. Tutti voi avete chi vi aspetta. Kassihell ed Idisi han
figli e
compagni, Enki ed Aherektess fratelli e sorelle, Efrehem il nonno,
Mattehedike
ed Hanjuly i genitori, Reishefy i mille fidanzati ed il padre, tu tuo
padre…io,
invece, sono un orfano spedito qui per ordine della regina e, anche se
non
tornassi, a nessuno importerebbe. Credo che, quando tutto questo
sarà finito,
se ne uscirò vivo, comincerò a pensare ad altro,
oltre alla carriera militare,
come ho sempre fatto fin ora. Per un motivo od un altro non ho mai
voluto ed
avuto tempo per l’amore, che si tratti di parenti od altro.
Solo occasionali
incontri con puttane di vario tipo, a puro scopo di sfogo. Ma il loro
abbraccio
non scalda il cuore come potrebbe farlo quello di una madre o di
un’amata”.
“Per
questo non ritrai le
punte che hai sul petto nemmeno quando dormi? Una forma di
allontanamento
preventivo?”.
“Può
darsi. So che mi sento
meglio se sono lì, a creare automaticamente una distanza fra
me e gli altri. Ovvio
che, se mi rigiro sulla pancia, le ritiro!”.
“Chissà
quanti cuscini e
materassi hai bucato da piccolo…”.
“Non
molti. Sono cresciuto per
strada, non ho avuto modo di possedere un gran numero di materassi ed
affini. E
per strada era decisamente meglio avere le punte pronte per un
eventuale
attacco. Non era una vita un granché
rilassante…”.
“Ma
ora, fermandoti, non ti
trovi meglio? Intendo dire…hai paura di un attacco da parte
di uno di noi
nove?”.
“No.
È che ormai sono
abituato. Meglio un contatto mancato che un contatto sbagliato, che
può
ferirti. Non so se puoi capirmi…”.
“Ti
capisco. E credo che anche
altri del gruppo abbiano i tuoi problemi. Dopotutto, siam tutti qui per
una
ragione. Quale sia non è di certo chiara ad ognuno ma lo
capiremo”.
“Che
pensieri profondi…ed il
tuo uomo ideale, invece? Dove sta?”.
“E
chi lo sa! Forse su un
altro pianeta”.
“Che
pessimismo…sei giovane
ancora!”.
“Già…facciamo
un giro?
Cambiamo argomento! Ho bisogno di sgranchirmi un po’, prima
di tornare in
quella barca gelata”.
Thuwey
annuì e si alzò,
stiracchiandosi, notando che solamente lui proiettava
un’ombra dietro di sé
grazie agli sposi della notte.
“Se
tu non dormi mai…allora
nemmeno sogni, giusto?”.
“Come
potrei? E, comunque,
sogno abbastanza ad occhi aperti”.
I
due camminarono lentamente,
scalzi sulla sabbia, illuminati da Nikkal e Jarih. Il metallo lungo
tutto il
corpo di Thuwey risplendeva d’argento, così come
la pelle di Lehelin.
“Non
hai paura di me, Metallo?
Gli altri ne hanno…”.
“Perché
si fermano alle
apparenze”.
“E
tu no?”.
“Un
po’ sì, lo ammetto.
All’inizio ero piuttosto in soggezione, specie sapendo di chi
sei figlia, ma
ora mi sento tranquillo. Siamo nella stessa squadra, no?”.
“Immagino
di sì”.
Alle
prime luci dell’alba, i
due tornarono verso il punto dove gli altri si erano coricati.
Trovarono
Kassihell già sveglio, che si esercitava con la Katana, e
Aherektess come di
vedetta, sulla cima di una palma. Lehelin fissò i suoi occhi
tristi e sospirò.
“Dove
siete stati voi due?”
domandò il Fuoco.
“Non
a fare quello che pensi…”
sibilò Thuwey, con voce allegra, avvicinandosi alla sacca
con la sua roba per
vestirsi.
“Ti
auguro di trovare chi ti
aspetterà, Metallo” gli sussurrò
Lehelin, per non svegliare gli altri.
“Grazie…”.
Il
Fuoco non capì e si limitò
ad alzare le spalle, lanciando un grido per svegliare il resto della
compagnia
ancora immersa nel mondo dei sogni.
†††
“Stavo
facendo un sogno
bellissimo quando mi hai svegliato…”
brontolò Reishefy.
“Scusa”
ironizzò Kassihell.
Erano
di nuovo al largo, fra
le onde. Tutti coloro che stavano sulla barca si lasciavano cullare dal
suo
dolce moto, tranne la Roccia che stette subito male.
L’Elettricità faceva surf
e riusciva chiaramente a vedere il Fuoco, intento a remare dietro ad
Enki. La
principessa dell’Acqua nuotava velocissima, saltando fuori
dal mare per farsi
seguire. Aherektess volava sopra di loro, osservando Hanjuly mentre
rideva come
una pazza, divertendosi, e notando lo sguardo lievemente turbato di
Thuwey. Era
evidente che temeva di cadere e non si fidava di quella donna.
L’Acqua accelerò
il ritmo ed il ghiaccio la seguì, con una piroetta fra le
onde altissime che si
stavano creando.
“Raggiungiamo
l’isola prima
che peggiori il tempo!” spiegò Enki, urlando per
farsi sentire.
“Ma
tu non puoi controllare le
maree e le correnti?” protestò Mattehedike, quasi
disteso sulla barca in preda
al mal di mare.
“Sì
ma non posso controllare
un tratto così vasto d’oceano agitato.
C’è brutto tempo ed io a questo non
posso farci nulla” rispose l’Acqua.
Efrehem
alzò le antenne all’insù,
costatando come il cielo si stesse rapidamente rannuvolando.
Il
vento si faceva sempre più
forte e le onde sempre più alte. Reishefy trovò
la cosa divertente, zigzagando
sulla tavola con entusiasmo crescente.
“Tieniti
forte” suggerì
Hanjuly a Thuwey, che annuì girando la testa verso
l’immensa onda che si
avvicinava e che superava di parecchio l’altezza dei due
surfisti.
Il
Ghiaccio, abilmente, si
lasciò avvolgere, sfiorandone la superficie creando un
tunnel, ed iniziò a
cavalcare l’onda successiva. Il Metallo, tentando di imitarne
i movimenti, non
riuscì a trattenere un lieve sussulto quando notò
che stavano in cima ad un
immenso ed altissimo cavallone che li teneva sollevati di parecchi
metri.
“Che
figata!” urlò
l’Elettricità, riuscendo a raggiungere Hanjuly.
“Hai
ragione! Mai viste onde
così! Fantastico!” rispose il Ghiaccio.
“Cosa?!”
esclamò Thuwey, non
potendo credere di riuscire a stare ancora in piedi “Ma cosa
vi siete fumate
voi due?!”.
“Suvvia…da
un uomo mi
aspettavo più coraggio” lo derise Hanjuly.
“Pure
io…codardo!” ridacchiò
Reishefy.
“Non
sono codardo! Siete voi
due che mi mettete in agitazione. Siete completamente suonate! Non vedo
l’ora
di lasciare questo stupido regno!”.
“E
se quello dopo sarà peggio
di questo?” ghignò la gelida.
“Peggio
di una pazza che tenta
di uccidermi e di una scema elettrica dubito possa
esserci…”.
“Ma
senti questo…posso
ucciderlo?” si arrabbiò Reishefy.
“Dopo…”
la fermò Hanjuly
“…quando arriveremo all’isola. Se no dan
la colpa a me”.
Cavalcando
un’onda dopo
l’altra, udendo le grida di chi era nella barca che veniva
scossa violentemente
dalla forte corrente, tentavano di star dietro al ritmo di Enki,
difficile da
individuare fra la schiuma ed il vento. Un fortissimo tuono, preceduto
per
pochi secondi da un fulmine, fece sobbalzare l’intero gruppo.
“È
vicinissimo!” gridò
l’Elettricità “Kassihell! Lascia perdere
il remo! Rischi di attirare i lampi”.
Ma
il Fuoco non la sentiva e
tentava invano di governare la barca, completamente fuori controllo.
“Avverto
la terra. Non manca
molto all’isola” disse Idisi.
All’interno
della barca,
sballottati da ogni lato, si erano tutti riuniti verso il centro,
compreso
Kassihell che era stato avvisato da Efrehem del pericolo che correva.
Ora
l’arma della Terra giaceva distesa e la barca si agitava,
lasciata senza guida.
“Questa
è la più bella notizia
che mi potessi dare!” esclamò Mattehedike, ad
occhi chiusi.
Concentrati
in un unico punto,
sentivano il ghiaccio indebolirsi sotto di loro. Quasi si ribaltarono e
tutti,
tranne il Fuoco che rimase in silenzio, iniziarono a pregare. Ognuno
una
divinità diversa ma per lo stesso scopo: sopravvivere. Se si
fossero trovati in
mezzo all’oceano in tempesta, non avrebbero avuto scampo.
Gli
scossoni ed i tuoni erano
violenti e sempre più frequenti ed il ghiaccio
dell’imbarcazione cominciava ad
incrinarsi. Il Fuoco portò la mano sul medaglione che aveva
al collo, tentato
ad usarlo, ma andarono a sbattere violentemente contro qualcosa che
mandò la
barca in mille pezzi, come vetro. Si ritrovarono fra gli scogli, per
fortuna
vicinissimi alla riva. Kassihell, per nulla felice di essere bagnato
fradicio,
si arrampicò in fretta su uno di essi e tentò di
individuare il modo di
raggiungere la terraferma senza rimettere i piedi in acqua. Hanjuly gli
sfrecciò accanto e notò l’accaduto.
“Tranquilli!”
urlò “Vi vengo a
prendere io!”.
Portò
il Metallo sull’isola,
dove si stese sulla sabbia con un largo sorriso di sollievo, e
tornò al largo,
verso gli scogli, raccogliendo le ultime forze che gli erano rimaste.
Reishefy portò
la Roccia, non avendo questi problemi con le sue scosse, ed Enki
trasportò il
leggerissimo rappresentante della Luce. Lehelin raggiunse la riva
seguendo i
contorni neri che trovò fra le sporgenze che la circondavano
ed il Ghiaccio
portò in un solo viaggio Kassihell ed Idisi. Tutti distesi
sulla spiaggia,
ansimando e tentando di riprendersi, lasciarono che la pioggia li
bagnasse per
un po’.
“Un
momento!” sobbalzò
l’Oscurità “Dov’è
Aherektess?!”.
†††
“Forse
è arrivato prima di noi
e si è messo al riparo dal temporale…”
azzardò Reishefy, tentando di mantenere
stabile il suo ottimismo.
“Può
essere…” si aggiunse
Efrehem, poco convinto ma desideroso di rassicurarsi in qualche modo.
“Non
credo. L’ultima volta che
l’ho visto è stato molto prima che scendessi dal
bordo della barca, smettendo
di remare, ed era dietro di noi” smontò ogni
entusiasmo il Fuoco.
“Ma
lui controlla il
vento…avrà sfruttato qualche corrente”
continuò l’Elettricità.
“No.
Non può” disse Lehelin
“Le creature dell’Aria non volano mai quando ci
sono simili condizioni
atmosferiche. Se si tratta di solo vento è una cosa, ma qui
piove ed anche in
modo piuttosto violento”.
“Beh
ma poteva salire sulla
barca, se aveva di quei problemi…”
commentò la Roccia.
“Probabilmente
ha tentato di
sfruttare le correnti…” ipotizzò
Efrehem “…salendo verso l’alto per
evitare le
condizioni peggiori…”.
“…e
ci ha persi di vista,
coperto dalle nubi e dalle onde” concluse
l’Oscurità.
“Intendi
dire che si è perso
nella tempesta?!” si allarmò Enki, sapendo bene
cosa accadeva in casi del
genere: nulla di piacevole.
“Sempre
a pensar male! Sarà
come ha detto la lampadina…” sbottò
Thuwey, rialzandosi lentamente “…sarà
andato verso l’alto, evitando lo sballottamento, ed
avrà trovato riparo
altrove”.
“Forse
su una delle isole vicine!”
esclamò Reishefy.
“O
forse proprio su questa.
Non preoccupiamoci troppo…Aherektess mi sembra uno tosto,
che sa il fatto suo.
A voi no?” disse Hanjuly.
I
nove annuirono, più o meno
convinti.
“Forse,
teneva come punto di
riferimento il remo della barca e, non vedendolo più, si
è trovato spiazzato.
Se non scendevi dalla tua postazione…”
iniziò Mattehedike, con tono d’accusa,
rivolto al Fuoco che si difese, dicendo che ciò che aveva
fatto era necessario.
“Con
i Se e con i Ma non
andiamo da nessuna parte. Non potevamo fare diversamente”
tuonò il Metallo,
irritato solo al pensiero di sentir ricominciare una lite.
“Lo
sappiamo bene tutti quanti
che Kassihell vuole il principe dell’Aria morto. Avrebbe
fatto qualsiasi cosa
per raggiungere il suo scopo…” continuò
la Roccia.
Lo
sguardo di Kassihell non
negava ciò che era stato appena detto.
“Ma,
se avesse tenuto quel
remo, avreste rischiato di essere colpiti da un fulmine. Fidati di me,
io lo so
bene come funzionano!” parlò
l’Elettricità.
“Ma
non siete stanchi? Dove
trovate l’energia per discutere?”
sospirò Idisi “Inutile, mi sembra, star a
pensare a ciò che è stato fatto e cosa no. Meglio
cercare riparo dalla pioggia
e riposare. Vedrete che, non appena il tempo migliorerà,
Aherektess farà
ritorno”.
“Forse
potremmo lasciargli un
segnale, una luce, perché ci trovi
prima…” propose Enki.
“Sarebbe
bello ma come
facciamo? Il fuoco non resta accesso nella tormenta e la Luce
è troppo debole
per restarsene impalato qui, tutto bello lucente”
notò Thuwey.
“Ci
inventeremo qualcosa…”
tagliò corto Kassihell “…ora
però ripariamoci dalla pioggia”.
Tutti
si avviarono verso
l’interno, con più o meno titubanza, stanchi ed
abbattuti. Lehelin fu l’ultima
a muoversi, rimanendo con gli occhi verso il cielo.
Piovve
per tutta la notte, in
cui il gruppo tornò rissoso e poco collaborativo come
sempre.
“Spero
smetta sto tempo di
merda!” protestò il Fuoco “Sto
germogliando! Senza offesa, Idisi…”.
“Nessuna
offesa” parlò la
Terra, con un tono piatto e neutro.
In
pochi riuscivano a dormire,
un po’ per i tuoni continui ed un po’ per la
preoccupazione. Enki, riuscendo a
stare bene sotto il temporale anche lontano dall’oceano,
spiegò che era meglio
aspettare qualche giorno, affinché il mare si calmasse del
tutto, evitando
altre sorprese.
“Questo
regno mi fa sempre più
schifo!” borbottò Thuwey “Senza offesa,
Enki…”.
“Nessuna
offesa” rispose
l’Acqua, con un tono decisamente più scocciato
rispetto a quello di Idisi.
Si
guardarono fra loro.
Reishefy dormiva placidamente, avvolta dalla sua coltre di incoscienza
ed
ottimismo insensato. Efrehem era crollato dalla stanchezza e, pur non
volendo,
si era addormentato di botto. Hanjuly, provata dallo sforzo di
controllo del
ghiaccio, riposava accanto alla Luce. Mattehedike aveva bevuto la
pozione che
gli era stata preparata dalla Terra ed ora era sedato, appoggiato
contro un
albero. Tutti gli altri erano svegli e si fissavano, sospirando e
tentando di
ripararsi sotto le ampie foglie degli alti alberi.
“Chissà
cosa staranno facendo
i miei piccoli adesso” sussurrò Kassihell.
“Ne
hai tre, giusto?” si
informò Idisi.
“Già…”
confermò il Fuoco, non
aspettandosi che qualcuno lo ascoltasse.
“Io
ho due femmine”.
“Davvero?
Quanti anni hanno?”.
“La
più grande, Hater, ha sei
anni. La più piccola, Disi, ne ha tre. I tuoi
invece?”.
“Il
più grande, Koji, ha otto
anni. Poi c’è la bambina, Menji, che ha quasi
quattro anni ed infine il piccolo
Cerik, che quando sono partito aveva appena sei mesi. Quando
tornerò non mi
riconoscerà più, questo è
certo”.
“Non
dire così. Sono sicura che,
quando tornerai, ti sorriderà e ti correrà incontro”.
“Spero
di no perché, se così
fosse, vorrebbe dire che il nostro viaggio avrebbe avuto una durata
tale da far
sì che cresca a sufficienza per poter correre”.
Idisi
non disse altro e
sospirò, di nuovo. Thuwey girò leggermente gli
occhi, notando che l’Oscurità si
stava allontanando e tornando verso la spiaggia. Enki le
suggerì di non
separarsi dagli altri ma lei la rassicurò, dicendole di
stare tranquilla e che
sarebbe tornata subito.
†††
Lehelin
camminò verso la
spiaggia ed il mare, non riuscendo a vederlo chiaramente da dove si
erano
coricati a causa della fortissima pioggia. Un lampo le fece serrare gli
occhi,
che si ridussero ad una fessura sottilissima per qualche istante.
Riprese a
camminare sulla sabbia umida, spostandola appena, mentre
l’acqua scorreva in
modo disordinato sul suo corpo fumoso. C’era qualcosa dentro
di lei che le
diceva di continuare lungo la costa. Si sentiva triste.
Guardò verso il cielo
ma non vi era un solo spazio libero in cui poteva scorgere il cielo
stellato o
le Lune di Asteria. Il mare, ingrossato ed agitatissimo, si schiantava
sugli
scogli con violenza e forza. Controvento,
l’Oscurità si deformava, come
indossando una lunga veste nera che, spinta assieme ai capelli,
fluttuava
ondeggiando. Tracciò sulla sabbia una spirale, simbolo di
Kaos, il Dio che
governava il suo regno, e lo pregò a mezza voce. Sapeva bene
che lui avrebbe
fatto come sempre di testa sua ma, forse, avrebbe potuto farle, per una
volta,
un regalo e far andare le cose come lei voleva, e non
l’opposto. Sospirò,
percependo il vento sempre più forte, e fece per tornare
dagli altri ma,
alzando gli occhi, vide che era stata ascoltata. Sulla spiaggia, mezzo
immerso
dall’acqua, stava disteso Aherektess, bocconi e ad occhi
chiusi. Gli corse incontro, chiamandolo per nome. Lo portò, meglio che
poté, sulla sabbia non
lambita dalle onde e tentò di farlo svegliare, girandolo di
schiena e
sollevandogli la testa. Aumentò le sue dimensioni per
avvolgerlo e coprirlo,
almeno in parte, dalla pioggia battente. Subito si sentì
stanca ma ignorò la
cosa, continuando a scuoterlo per fargli riaprire gli occhi.
“Aherektess!”
lo chiamava
“Arek, svegliati! Sei salvo, adesso. Va tutto
bene…torna fra noi”.
Vide
che era molto pallido e che
il respiro era lieve. Lo sentiva freddo e debole. Tremava.
Chissà quanto tempo
era rimasto nell’acqua gelida… Lehelin si
concentrò per trasmettergli almeno un
po’ di calore, raccogliendolo dalle profondità di
sé stessa. Tentò di
richiamare l’attenzione degli altri membri del gruppo,
urlando i loro nomi, uno
dietro l’altro ma, fra vento e temporale, non la potevano
udire. Non se la
sentiva di lasciarlo lì da solo ed attese, stringendogli la
mano. Continuò a
chiamarlo fino a quando, all’improvviso, il principe
dell’Aria tossì,
violentemente, respirando poi profondamente. Aprì gli occhi,
pian piano, e
tentò di mettere a fuoco il viso che lo stava guardando,
pronunciando il suo
nome.
“Miya…sei
tu?” sussurrò,
socchiudendo le iridi rosso vivo.
Poi,
scuotendo la testa,
riconobbe l’Oscurità:
“Lehelin…sei tu! Eppure…il tuo
viso…i tuoi occhi…”
mormorò, toccandole il volto con la mano.
“Sei
solo stanco, Aria. Sei
ferito?”.
Lui
fece un cenno negativo con
la testa e continuò a fissarla con gli occhi rossi aperti e
tondi, lucidi.
“Resta
qui…” gli disse lei
“…mentre vado a chiamare gli altri”.
“No…resta
qui…” le rispose
lui, afferrandole la mano “…vorrei evitare certi
atteggiamenti e commenti.
Resta qui…presto sarò in grado di alzarmi e ci
andrò con le mie gambe dagli altri”.
“Come
preferisci. Ma sei
fradicio. Dovresti essere coperto con qualcosa di
asciutto…”.
“Dubito
che qualcuno di voi
abbia qualcosa di asciutto dietro, dato il diluvio! E poi non ho
affatto
freddo, come dovrei…sento come se la tua ombra mi stesse
avvolgendo e
proteggendo…non lo avrei mai pensato
possibile…”.
“Cosa?
Che io trasmetta
calore?”.
“No…che
i tuoi occhi mi
fossero così spaventosamente familiari. Non mi ci ero mai
soffermato prima. È
una sensazione così strana…”.
“Te
lo ripeto: sei stanco.
Vedrai che, dopo un po’ di riposo, non ci vedrai
più niente di particolare nel
mio sguardo argentato”.
“Ti
sbagli! Lo collegherò per
sempre agli occhi della mia salvatrice!”.
“Non
ti ho salvato io…ti ho
solo trovato!”.
“Nulla
accade per caso…anche
se il tuo Dio è Kaos! Qualcosa ti ha chiamato qui per
aiutarmi e tu lo hai
percepito. Ti ringrazio”.
Lei
gli sorrise, senza
aggiungere altro e lui fece per mettersi a sedere. Non ci
riuscì e ricadde,
sostenuto dall’Oscurità. Lui la guardò
e si lasciò andare, sopraffatto dalla
stanchezza. Si addormentò, appoggiato sulla spalla della
principessa,
tranquillo. Lei lo avvolse il più possibile con la sua ombra
e chiuse gli occhi
a sua volta, chinando la testa.
†††
La
luce di Sirona colse di
sorpresa gli addormentati fra gli alberi. Reishefy fu la prima a
svegliarsi e
si mise a gridare, informando tutti quanti che non pioveva
più. Scosse
Kassihell, che era riuscito a prendere sonno, urlandogli nelle
orecchie. Lui la
spinse via con due dita e si rigirò, ignorandola. Hanjuly si
unì all’entusiasmo
della compagna di viaggio ed, insieme, cantarono una canzoncina stupida
ed
infantile che le fece ridere a crepapelle. Efrehem, stropicciandosi gli
occhi
arcobaleno, fece notare che c’erano ancora delle nubi
all’orizzonte e che c’era
il rischio di altra pioggia.
“Beh…per
ora c’è bel tempo.
Accontentiamoci di quello” sorrise Idisi, stiracchiandosi.
Thuwey,
avvolto in un grosso
mantello ormai zuppo d’acqua, tirò un calcio a
Kassihell, restando seduto,
notando che i richiami dell’Elettricità non
servivano a farlo alzare. Il Fuoco,
appoggiato ad un albero come il Metallo, ringhiò e si
preparò ad attaccarlo.
Fra loro si mise Mattehedike, assonnatissimo ma deciso.
“Non
di prima mattina,
ragazzi…” gemette ed Enki annuì a
quella frase, concordando.
“Dov’è
l’Oscurità? Mica ci
saremo persi anche lei?” sbottò Thuwey, strizzando
il mantello.
“Quella
non credo possa
perdersi tanto facilmente. Sarà qui vicino, nascosta o in
agguato” sbadigliò la
Roccia, tentando di riprendersi dal sonnifero della sera prima.
“Il
mare mi sembra più
tranquillo…” commentò Enki, scorgendo
la spiaggia in fondo al sentiero che si
erano creati per trovare un posto adatto a dormire.
“Ho
fame!” esclamò Reishefy,
iniziando a guardare i maschi presenti, come a voler dire che era
compito loro
procurare il cibo per le donzelle.
Ovviamente
nessuno dei maschi
si mosse in proposito. Ognuno per conto proprio, il gruppo
andò a procurarsi
cibo ed acqua. Misero gli abiti fradici ad asciugare. Efrehem
indossò un
cambio, che si era portato dietro, un po’ più
asciutto anche se decisamente
umido. Altri del gruppo, invece, come Kassihell e Thuwey, rimasero con
il meno
possibile addosso e, dopo essersi lavati nel fiume, si stesero alla
luce di
Sirona, come tante piccole lucertole, asciugandosi e scaldandosi.
“Così
vi ammalerete” gli fece
notare Idisi, osservando anche Hanjuly e Reishefy che, praticamente in
costume,
si avviavano verso l’oceano per giocare.
Nessuno
la calcolò. Le
lucertole, ad occhi socchiusi, sobbalzarono quando udirono il grido
fortissimo
delle due ragazze che si erano appena allontanate. Tutto il gruppo si
precipitò
verso di loro e le videro sorridere.
“Hanjuly,
Reishefy…che
succede?” ansò Efrehem, colto alla sprovvista
dalla corsa.
“Aherektess!!”
esclamò
l’Elettricità, saltando sul posto
dall’entusiasmo.
“Pensavamo
vi stessero
ammazzando, porca puttana!” si stizzì Kassihell
“Tentate di dosare i diversi
modi di gridare, per favore!”
Si
girarono tutti verso il
punto indicato dalle due e videro il principe dell’Aria,
seduto con la schiena
contro una palma, che guardava il mare. Reishefy si mise a correre e
gli altri
la seguirono.
“Evviva!
È tornato
Aherektess!” gioì
l’Elettricità, saltandogli al collo e dandogli la
scossa.
Thuwey
la scansò, notando la
cosa e ricordando la spiacevole sensazione. Guardò
l’Aria e ridacchiò,
accorgendosi di come quella piccola scossa gli aveva rizzato i capelli.
“Bentornato
fra noi!” gli
disse Idisi.
“Buongiorno
ragazzi” rispose
Aherektess.
“Arek
è tornato! Che bello!
Arek è tornato!” continuava a ripetere Reishefy,
mentre l’Aria tentava di farle
notare che non voleva sentirsi chiamare così.
“Siamo
tutti contenti di
rivederti. Perfino Kassy lo è, vero Kassy?”
continuò la ragazzina elettrica.
“Giuro
che se non la smetti di
chiamarmi Kassy ti lego ad una palma a testa in giù
finché non ripartiamo!” la
minacciò il Fuoco.
“Ora
ci siamo tutti…manca solo
Lehelin…” sorrise Enki.
“Torna
subito” mormorò
Aherektess, ancora piuttosto stanco “È andata a
prendermi la colazione”.
Quasi
tutti si stupirono nel
sentire quella frase ma non commentarono.
“Cosa
ti è successo? Te la
senti di raccontarcelo?” domandò Idisi,
inginocchiandosi accanto all’Aria con
un’espressione d’apprensione sul volto.
“Sono
salito, sentendo
l’aumentare delle correnti d’aria e
dell’umidità, tenendovi d’occhio. Poi
c’è
stato quel lampo, fortissimo, ed ho chiuso gli occhi. È
stato un attimo ma non
vi ho visti più. Allora mi sono preoccupato e sono sceso di
quota. Così facendo
mi sono ritrovato in mezzo alla tempesta. Non vedevo nulla e sentivo le
mie
piume sempre più pesanti per l’acqua. Ho tentato
di governare il vento per
aiutarmi ma era l’acqua il mio problema. Ho resistito
finché ho potuto ma poi
son caduto nell’oceano. Temevo che la barca fosse affondata,
e voi con
lei…fortunatamente ero relativamente vicino alla costa e son
riuscito a
mettermi in salvo”.
“Ma
perché non sei salito
sulla barca appena ti sei accorto che il tempo peggiorava?”
domandò Efrehem,
aggrappandosi inutilmente alla logica.
“Ho
agito d’istinto. Nel mio
regno non ci sono mai condizioni atmosferiche di quel tipo…i
temporali sono
temporali, non uragani impazziti con acqua a barili!”
sbottò l’Aria.
“Vedo
che l’oceano ti ha
riportato le tue spade…” commentò il
Fuoco, notandole accanto al loro
proprietario, richiuse nel fodero.
“Sì
ma, sinceramente, non ho
il coraggio di guardarle. Saranno del tutto rovinate con
l’acqua salata…”
sospirò Aherektess, sfiorandole con la mano.
“A
quello ci penso io!”
ghignò, raggiante, il Metallo, prendendo una delle due armi
fra le mani.
La
sfoderò ed, effettivamente,
la lama era piuttosto rovinata. L’Aria gemette nel vederla
così ma Thuwey lo
rassicurò, dicendogli che sarebbe tornata come nuova. Chiuse
gli occhi ramati
e, con la punta delle dita, di colpo divenute simili a lame, si fece un
piccolo
taglio sul palmo della mano. Da lì sgorgò non
sangue ma metallo liquido, che
ricoprì l’intera superficie della spada,
solidificandosi. Fece la stessa cosa
con l’altra arma e poi le restituì ad Aherektess,
che le guardò raggiante.
“Sono
meglio di prima!” esclamò
“Grazie!”.
“Ora
sono al sicuro da
tutto…tranne che dall’acqua salata. Sono ricoperte
dallo stesso materiale che
scorre dentro di me”.
“Sono
stupende. A cosa devo
questo favore?”.
“Siamo
della stessa squadra,
no? Ci si aiuta a vicenda. Vedrai che saprò come farmi
ripagare! Per quanto
riguarda la tua di spada, invece…”
proseguì Thuwey, guardano Kassihell
“…sarò
lieto di fare altrettanto, una volta usciti da questo regnaccio
umido”
Il
Fuoco sorrise, confortato.
L’idea di dover temere danni per la sua Katana era un
pensiero fisso, ormai,
per il principe del mondo infuocato.
“Vi
siete dati alla pazza
gioia stanotte o mi sbaglio?” ridacchiò qualcuno
ed apparve l’Oscurità,
stringendo fra le mani alcuni frutti che porse all’Aria.
“Perché
dici questo?” si stupì
Kassihell.
“Perché
siete tutti seminudi…”
rispose Lehelin, e solo in quel momento la compagnia parve notare come
quasi
tutti fossero molto poco vestiti, avendo la maggior parte degli abiti
ad
asciugare.
Aherektess
aveva indosso il
minimo indispensabile e mostrava a tutti i tatuaggi verde scuro che gli
decoravano il fisico, dalla testa ai piedi, con motivi quasi geometrici
e
regolari. Anche il Fuoco aveva disegni su tutto il corpo, a fiamma, e
si
vedevano chiaramente alla luce di Sirona. La Roccia aveva la pelle
sempre di
più tendente al marrone, forse perché stava
aumentando la percentuale del suo
elemento per resistere alle difficoltà, e mostrava i grossi
muscoli coperti
solo dal tipico gonnellino del suo clan d’origine e dalle
sporgenze rocciose.
Il Metallo manteneva gli spuntoni su petto e braccia ma aveva ritratto
quelli
sulle gambe, coperte da qualche tratto argento e lucido. Hanjuly e
Reishefy,
indossando esclusivamente la biancheria intima o, forse, un piccolo
costume da
bagno, erano diverse ma entrambe, a modo loro, attraenti. La Terra ed
Enki
avevano una fascia a coprire il seno ed una specie di asciugamano
allacciato in
vita, come un pareo. Solamente Efrehem presentava il suo solito aspetto
ed
indumento, stupendo tutti per la velocità con cui riusciva a
vestirsi.
“Gnam
gnam…” commentò
Reishefy, notando i fisici dei maschi che aveva davanti.
“Ma…ora
stai bene?” parlò
Hanjuly, chinandosi su Aherektess ed ignorando la cosa.
“Benissimo.
Soprattutto ora
che vengo…sollevato da questo bel panorama”
ironizzò l’Aria, facendo notare al
Ghiaccio che il seno abbondante di lei stava a pochi centimetri dal
viso del
naufrago, ancora seduto ma leggermente più rigido di prima.
“Grazie,
Lehelin” parlò
ancora, per pensare ad altro, e l’Oscurità gli
sorrise.
“Come
mai gli porti la
colazione?” domandò Reishefy, continuando a
fissare i corpi altrui.
“Mi
ha trovato lei stanotte”
spiegò l’Aria.
“E
perché non ci ha
chiamati?”.
“Ci
ha provato ma, fra la
tormenta, non l’avete sentita” continuò
il salvato.
“È
un vero sollievo riaverti
qui fra noi” mormorò Idisi.
“Ed
è per me un sollievo
essere ancora vivo. Non finirò mai di sdebitarmi con te,
principessa
dell’Oscurità…”.
“Non
dovresti dire queste
frasi, Aria…” commentò Lehelin
“…ora sei sconvolto ma, appena sarai di nuovo in
piena forma, sappiamo bene che ti dimenticherai in fretta questo
sentimento di
riconoscenza nei miei confronti”.
“Sei
molto pessimista…”.
“Sono
molto realista”.
Aherektess
continuava a
guardarla, tentando di decifrarne l’enigmatico viso, mentre
il resto della compagnia,
molto più tranquilla e sollevata dal suo ritorno, si godeva
i raggi di Sirona.
Il
naufrago tentò di alzarsi,
barcollando. Subito Mattehedike, più basso ma decisamente
più robusto, lo
sorresse dicendogli che gli eroismi non erano necessari.
“Quanto
dista il luogo
proibito?” domandò l’Aria, guardando
l’Acqua.
“Siamo
stati allontanati dal
tragitto che avevo in mente. Ci vorranno almeno altri sei giorni, se
và tutto
bene. Suggerirei di dedicare quest’oggi al riposo.
Asciughiamoci e recuperiamo
le forze! Il mare è ancora molto agitato e non vorrei
correre altri rischi…”
Enki
tentò di nascondere il
nervosismo e la paura, ripetendosi nella testa che era la principessa
dell’Acqua e, in quel momento, la leader del gruppo. Gli
altri, con più o meno
convinzione, concordarono con la sua idea.
Alla
fine la pausa si
protrasse più lungo del previsto. Il mare continuava ad
essere piuttosto
agitato e nessuno si fidava, tranne Reishefy che nessuno
calcolò.
Fortunatamente l’isola in cui erano capitati era ampia e
forniva ai dieci tutto
il necessario. Il cibo era abbondante e di buon sapore. La principessa
d’Acqua
portò del pesce, quando il mare glielo permise e, con
l’aiuto di Kassihell,
riuscirono ad organizzare diversi pasti a base di pesce cucinato e
preparato in
diversi modi. Enki ed Hanjuly conoscevano un sacco di ricette con
quell’ingrediente e ci fu solo l’imbarazzo della
scelta. In quei giorni, l’Aria
si riprese completamente. Ricominciò a volare ed allenarsi
con le spade, con
movimenti leggeri simili ad una danza, senza emettere alcun rumore.
Kassihell e
Thuwey lottarono assieme, per mantenersi in esercizio. Il Fuoco trovava
nel
Metallo un ottimo avversario, essendo bravo nella lotta e non restando
ferito
dalla Katana. Thuwey, stando attendo a non colpirlo con gli spuntoni
per non
ferirlo, ne assorbiva il calore e diveniva sempre più
grande. Reishefy
concentrò il tempo libero per starsene spaparanzata sulla
spiaggia o ad
infastidire i paguri. Idisi si fece una collana di conchiglie, dopo
essersi
stancata di far esercizio con il suo bastone, e poi decise di farne
altre per
chi voleva. Mattehedike, rinvigorito dall’assenza di
sballottamento da barca,
si accaniva contro gli alberi e le palme, fra gli sguardi di leggero
fastidio
della Terra. Enki andò spesso verso il largo, per
controllare come fosse la
situazione e per conversare con altri della sua specie. Lehelin
esplorò
l’isola, lasciando ovunque scarabocchi e simboli su sabbia e
pietre. Hanjuly,
già dal primo pomeriggio di pausa, si avvicinò
alla Luce, vedendolo seduto a
guardare il resto del gruppo.
“Qualcosa
non và?” gli
domandò.
“Niente
di particolare…è solo
che io non so combattere come loro. Ho riordinato i miei appunti di
viaggio ed
ora non so come passare il tempo. Son stanco di tentare di interpretare
il
libro criptico del Signore dell’Ovest. Mi ricorda quanto io
sia ancora
ignorante in molti campi…”.
“Vuoi
provare a combattere?”
propose il Ghiaccio.
“Combattere?!
Io?! Credo di
essere totalmente impedito…”.
“Se
non provi, come pensi di
scoprirlo?”.
“E
tu mi insegneresti?”.
“Perché
no? Siamo in pausa
forzata ed un po’ di movimento farà bene ad
entrambi…”.
Efrehem
la guardò, poco
convinto e leggermente spaventato. Lui era magrolino, decisamente
gracile,
mentre lei era molto alta, quasi come Aherektess, ed atletica.
“Alzati,
Luce, e togliti un
po’ di roba di dosso. Con la cravatta non è il
caso di lottare!”.
Il
giovane tolse giacca e
cravatta, rifiutò di levare la camicia, riponendo il tutto
con cura sotto una
palma. Seguì il Ghiaccio a piedi nudi sulla sabbia e
tentò di rilassarsi. Lei
lo rassicurò, spiegandogli che non lo avrebbe colpito.
Iniziò ad insegnargli
alcuni movimenti, per lo più di difesa, ma ben presto si
stancarono di fare i
seri e tutto si trasformò in un gioco fra l’acqua
bassa del mare. Correrci in
mezzo era già un allenamento per la Luce, non abituato a
camminare per lunghe
distanze e tanto meno ad avere un’andatura sostenuta per
più di trenta secondi.
Il Fuoco rise a quella scena, trovandola piuttosto divertente. Una
bella
ragazza bionda, che saltellava agilmente fra le onde, seguita da un
nanerottolo
dai capelli neri, decisamente impedito, che si agitava in modo goffo
dietro di
lei. La risata lo distrasse ed il Metallo lo colpì per poi
sbilanciarsi,
aspettandosi di essere respinto com’era accaduto fino a quel
momento, e
cadergli rovinosamente addosso. Riuscì appena in tempo a
ritrarre gli spuntoni.
Aherektess fermò i suoi esercizi e scoppiò in una
risata fragorosa. Il Fuoco,
punto nell’orgoglio, si scansò a fatica, ma
piuttosto velocemente, il Metallo
di dosso e si lanciò contro l’Aria, sferrandogli
un sonoro pugno il faccia.
Aherektess, colto alla sprovvista, fu preso in pieno ed
indietreggiò, tenendosi
con la mano la zona colpita. Ci mise pochissimo a reagire e fra i due
scoppiò
un’accesa lite a suon di calci e pugni, il tutto condito da
coloriti insulti
all’avversario ed alla famiglia. Il Metallo tentò
di dividerli ma, dopo essere
stato accusato da Kassihell di non saper combattere, si unì
alla rissa senza
problemi. Mattehedike non poté fare a meno di trovare un
pretesto per unirsi al
divertimento e ben presto lo seguirono Reishefy ed Hanjuly, al grido
entusiasta
di “Una rissa! Evviva!”. Efrehem guardò
il gruppo, sconcertato e con i piedi in
acqua. Notò che Lehelin li guardava a sua volta, ma con un
sorrisetto
compiaciuto. Girò gli occhi verso Idisi, cercando in lei una
possibile
portatrice di pace. Ma la Terra stava canticchiando una canzone,
raccogliendo
conchiglie, ignorando volutamente i suoi rissosi compagni.
Fortunatamente Enki
era in pieno oceano, o si sarebbe messa a piangere in preda
all’isteria.
“Prima
o poi smettono, Luce”
disse la Terra ed Efrehem annuì, poco convinto.
In
effetti, la rissa si sedò
ma dopo diverse ore. Alla fine non si era risolto nulla e tutti erano
rimasti
lì, stesi sulla sabbia, malconci e stremati. Parevano
soddisfatti e desiderosi
di continuare, ma incapaci di farlo perché distrutti ed
ansimanti. Idisi non
commentò la cosa e suggerì ad Efrehem di fare lo
stesso. La Luce seguì le
parole della Terra e si dedicò alla lettura del libro del
Signore dell’Ovest,
fingendo indifferenza nei confronti dei sei attaccabrighe.
†††
Il
giorno in cui i dieci
giunsero al cospetto del luogo proibito arrivò
più tardi del previsto. A causa
del tempo incerto, dovettero fare numerose pause ma, alla fine, videro
stagliarsi l’edificio che cercavano. Era immenso e complesso,
con alte torre
sottili ed arricciate, come lunghe conchiglie, e con un colore sfumato
fra il
verde ed il blu, come i capelli e la pelle di Enki. Con la luce di
Sirona brillava,
come madreperla, avvolgendosi di raggi lucenti. Si fermarono a guardare
quel
palazzo con ammirazione e leggero timore. Si guardarono. A chi toccava
stavolta? Oppure dovevano entrarci tutti assieme? L’Acqua si
stupì nel non
vedere alcuna guardia a controllo di quel luogo ma poi si
ricordò che, in quei
giorni, cadeva il matrimonio della sorella e che, probabilmente, le
forze
militari erano state tutte concentrate su quell’evento.
L’Aria atterrò
delicatamente, dando una mano all’Acqua a salire sulla specie
di barriera di
scogli che circondava l’edificio, ed alzò gli
occhi verso le torri. La barca
attraccò subito dopo l’arrivo, sfrecciante e
terminante con un alto balzo, di
Hanjuly, Thuwey e Reishefy. Solo quando furono tutti e dieci
l’uno accanto all’altro,
si decisero ad avanzare. Ed immediatamente si bloccarono. Una sorta di
barriera
elettrica impediva il loro passaggio, come un muro invisibile.
Solamente la
principessa dell’Elettricità passò
oltre, voltandosi e notando l’accaduto solo
dopo diversi passi.
“Evidentemente
tocca a te,
adesso…” le disse Kassihell, stringendo il
medaglione che portava al collo,
quasi a volersi ricordare di aver già dato troppo per quella
missione.
“Oh…ok!”
si limitò a dire
Reishefy, sorridendo.
“Buona
fortuna!” le gridò Hanjuly.
“Grazie!
A presto!”.
Il
portone del grande palazzo
si spalancò, da solo, e si richiuse al passaggio della
minuta ragazzina
elettrica con un cigolio ed un tonfo. Gli altri nove, capendo di non
poter fare
nulla per lei, si sedettero sugli scogli, organizzandosi per la notte.
†††
Reishefy
avanzò decisa fino a
quando la porta non si chiuse. Dopo di che, avvolta dal buio e dal
silenzio, si
rannicchiò leggermente impaurita. Poteva udire solo un
continuo gocciolio, come
all’interno di una grotta. Tentò di capirci
qualcosa nel buio, fra i lampi di
luce delle sue scosse, ma le risultò difficile. Molti degli
oggetti che aveva
di fronte erano riflettenti e la abbagliavano soltanto.
L’umidità faceva
muovere i suoi fulmini in modo confuso e la cosa la infastidiva.
D’improvviso,
come seguendo un ordine silenzioso, la stanza si illuminò
uniformemente di luce
azzurro scuro. La ragazza vide che, sotto i suoi piedi, c’era
del vetro. Vetro
trasparente che le permetteva di vedere il mare sottostante e che aveva
riflesso,
prima, le sue scosse. Ne rimase meravigliata e spalancò gli
occhi, ammirandone
i colori e le forme. Vide pesci e piante spettacolari sotto di
sé. Le pareti di
quel luogo parevano far proseguire il fondale marino, cariche di
incrostazioni
splendenti, coralli e conchiglie. Una sorta di grosso tubo trasparente,
pieno
anch’esso di acqua e creature marine, partiva verso
l’alto e non se ne riusciva
a capirne la fine. La ragazzina notò una specie di trono,
vuoto, come
incastonato alla parete. Poco distante da quel seggio zampillava una
fontana,
di colore blu, decorata ad onde e piccoli simboli. Reishefy ci
andò vicino,
dimenticando ogni sua paura, e ne toccò l’acqua.
Era calda, cristallina e
rilassante. Sorrise, anche quando la vide incresparsi sempre di
più. Si limitò
a togliere la mano quando la superficie si distorse, iniziando a
prendere
forma. Una massa d’acqua si spostò verso il trono
ed iniziò ad acquisire un
aspetto sempre più chiaro. Era una donna.
L’Elettricità continuò a fissarla,
senza dire una parola, fino a quanto questa non perse del tutto ogni
traccia
d’acqua sulla pelle.
“Benvenuta”
le disse,
poggiando le braccia sui braccioli.
Aveva
grandi occhi scuri ed i
capelli, dritti, raccolti in una coda. La sua pelle era simile a quella
di Enki
e non aveva gambe, bensì una lunga coda variopinta.
“Io
sono Heronìka, Dea
dell’Acqua e protettrice di questo regno. Tu come ti
chiami?”.
“Reishefy.
Ciao…” parlò
l’Elettricità, non sapendo bene che cosa dire.
“Sono
a conoscenza della
vostra missione ma, a differenza del mio collega Kaos, non me la sento
di
donare l’oggetto proibito solo perché mi sembra
una persona simpatica chi ho di
fronte. Vorrei che mi dimostrassi di essere degna di possederlo. Te la
senti?”.
“Ovvio.
Non ho tempo da
perdere. Dimmi che devo fare…”.
“Molto
bene”.
La
Dea si appoggiò al suo
trono, congiungendo le mani palmate. Reishefy mostrò un
leggero disappunto per
quella pausa, battendo i piedi.
“Quello
è l’oggetto proibito”
spiegò la Dea, senza distogliere lo sguardo dalla mortale e
indicando alla sua
sinistra.
L’Elettricità
si girò e vide
una coppa d’argento, splendidamente decorata con pietre
preziose e sbalzi
intrecciati. Fluttuava a mezz’aria, avvolta da una specie di
bolla. La Dea la
muoveva a suo piacimento, semplicemente agitando la mano.
“Non
dovrò mica fare caccia
alla bolla, vero?” sbottò Reishefy.
Heronìka
alzò solo leggermente
la cresta sulla testa e ghignò, chiamando a sé
l’oggetto.
“No.
Dovrai fare caccia alla
coppa. Se non ti sta bene, puoi tornare a casa”.
Detto
questo, prese fra le
mani la bolla e la fece esplodere, tenendo sospesa la coppa a
mezz’aria con le
mani. Poi si alzò, sorretta dall’acqua che fece
fuoriuscire dalla fontana, ed
andò accanto al grosso tubo trasparente.
“Qui
dentro…” iniziò a
spiegare la Dea, appoggiando la mano sul vetro verticale
“…vivono creature di
ogni tipo e ne risalgono continuamente, dall’oceano a cui
è collegato questo
corridoio. Io ora affiderò la coppa a una di queste creature
e spetterà a te
raggiungerla, prima che lei raggiunga me. Io risalirò
velocemente questo tubo e
vi aspetterò. Tu, ovviamente, non puoi restarci a lungo
perché non respiri
nell’acqua ma potrai scegliere una delle creature che ora ti
mostrerò e farti
portare. Fai molta attenzione. Se sbagli, da quel tubo non uscirai
più”.
Leggermente
turbata da quelle
parole, la ragazza volle vedere gli animali che aveva a disposizione.
Heronìka,
sempre fluttuando, sorretta dall’acqua, la guidò
in un’altra stanza, più
piccola, dove il pavimento trasparente si apriva in cerchio. Le due si
avvicinarono
al bordo e la Dea mormorò delle parole all’oceano.
Al suo cospetto, in fila,
apparvero cinque creature marine.
“Scegli
bene, ragazza mia.
Fidati del tuo istinto e cerca di ragionare. So che non
potrà che farti bene
usare il cervello…”.
Reishefy
si avvicinò,
accovacciandosi, ed iniziò a guardare le bestie da vicino.
La prima era molto
grande e lei pensò fosse anche molto potente.
D’istinto le piacque ma poi,
avvicinandosi, vide che era anche piuttosto aggressiva. Non voleva
rischiare di
ritrovarsi in sella ad un mostro che non voleva andare dritto neanche
sotto
minaccia e rischiare di annegare perché ingovernabile!
Passò alla seconda
creatura. Era elegante, con larghe pinne simili ad ali. Le sorrise ma
la
scartò. Nuotava placidamente e la giudicò troppo
lenta. La terza notò che era
piuttosto piccola, probabilmente inadatta a trasportare lei o qualsiasi
altra
cosa. La quarta bestiola non la vide nemmeno, nascosta ed accucciata
com’era
sul fondo, e si concentrò sulla quinta. Stava per decretare
l’animale
vincitore, la quinta possibilità, di buone dimensioni e
carattere, quando un
guizzo attirò la sua attenzione. La numero quattro,
velocissima, aveva
afferrato un piccolo pescetto colorato e se lo era mangiato, alla
velocità di
un fulmine. Reishefy la fissò. Era simile ad un serpente,
con pinne minuscole
ed una piccolissima cresta lungo tutto il corpo, di colore scuro. Si
guardarono
negli occhi, entrambi con guizzi simili all’oro, e la mortale
decise che quella
sarebbe stata la sua creatura. La Dea sorrise e congedò le
altre quattro,
ringraziandole. Dopodiché chiamò a sé
la bestia che aveva scelto. Era molto
bella, con una lunga coda colorata e quattro pinne.
L’Elettricità capì subito
che sarebbe stata molto veloce e difficile da battere.
“Ti
auguro buona fortuna. Io
ora risalirò il tubo ed aspetterò il vincitore. A
presto!”.
In
effetti, tutto si svolse
piuttosto in fretta. La Dea scomparve e lasciò la coppa alla
sua creatura, che
partì immediatamente. Reishefy, capendo che non
c’era tempo da perdere, si tuffò
ed afferrò la sua cavalcatura. Questa al principio non si
mosse e
l’Elettricità, scocciata, le diede la scossa.
L’atto diede una notevole spinta
ad avanzare alla bestia serpentina, che iniziò a correre
dietro a quella che
aveva la coppa, lasciando solo il tempo alla mortale di prendere un
profondo
respiro. Era viscida e Reishefy fece fatica a tenersi aggrappata.
Passarono
sotto il pavimento e rientrarono nella stanza della fontana.
L’Elettricità vide
chiaramente il suo avversario davanti a sé con la coppa
stretta in una delle
pinne e, sempre trattenendo il respiro, tentò di
impossessarsene e sorpassare.
Fra le bolle ed i vari animali marini, che la sua cavalcatura schivava
agilmente, iniziarono a risalire il tubo. Una luce apparve sopra le
loro teste.
L’uscita! Da una parte un sollievo per i polmoni di Reishefy,
che iniziavano a
protestare, ma dall’altra l’indicazione che la
corsa stava per finire e la
coppa non era fra le sue mani! Accelerò, con
un’altra piccola scossa ed allungò
la mano. Era così vicina! Strinse i denti e si protese
più che poté verso
l’avversario. Inaspettatamente, la creatura su cui stava fece
un guizzo,
dandole una spinta con la coda. Questo le permise di afferrare
l’oggetto
saldamente, mentre la sua cavalcatura accelerò
ulteriormente. Iniziava a non
capire più niente. Aria! Aveva bisogno di aria! Il
traguardo, che prima le era
sembrato così vicino, ora pareva allontanarsi davanti a
sé. Sentì le forze
mancarle ma non si arrese e, finalmente, sentì infrangersi
sul suo viso la
superficie dell’acqua.
Respirò
a fondo, mentre i
capelli bianchi e oro tornavano ad alzarsi sulla sua testa, ed
uscì dall’acqua.
Fra le mani stringeva la coppa, raggiante e soddisfatta. Per qualche
istante
aveva temuto per la sua vita ma ora era lì, salva e
vincitrice! Si girò verso
la viscida cavalcatura e notò, sorridendo, che era rimasta
elettrica.
“Grazie”
le disse,
accarezzandole la testa, e la bestia parve capire perché
guizzò in una specie
di segno d’assenso, come a voler rispondere “non
c’è di che!”.
Alla
mortale parve di vederla
sorridere ma non ne fu sicura.
“Sei
stata brava” si sentì
dire.
Si
girò e vide la Dea lì,
sempre sospesa dall’acqua, che le sorrideva.
“Ho
vinto io!” ansimò
Reishefy, alzando la coppa al cielo.
“Hai
ragione. Hai vinto e ne
sono lieta”.
Heronìka
andò a salutare le
due creature, ringraziandole, e queste si congedarono.
“A
quanto pare, una di loro
sarà sempre segnata da questa gara.
Bene…” commentò, avendo anche lei
notato
come la vincitrice fosse rimasta carica di elettricità.
“La
coppa è mia. Posso andare,
ora?” domandò la mortale.
“Hai
capito perché ho chiamato
te al mio cospetto?”.
“Veramente
no…”.
“Solo
l’Elettricità avrebbe
potuto restare in sella a quella creatura, che era l’unica
che ti avrebbe
portato alla vittoria, per via della sua alta
velocità”.
“Cosa
sarebbe successo se
avessi scelto un’altra bestia?”.
“La
numero uno non ti avrebbe
mai obbedito. Probabilmente avrebbe iniziato a girare per i fatti suoi
e
saresti morta annegata nel tubo. La due era piuttosto lenta. La terza
era piccola
e non ti saresti mossa dal punto di partenza. Infine la quinta era,
sì, molto
adatta ma non sufficientemente veloce”.
L’Elettricità
annuì,
continuando a guardare la coppa.
“Perciò…”
iniziò, cautamente
“…questa è una specie di lezione sul
fatto che, se avessi agito d’impulso senza
notare il guizzo della quattro, non sarei qui, giusto?”.
“Giusto.
Ma anche una lezione
sul fatto che è questa la tua natura e che è solo
grazie ad essa che ora sei
qui ed hai ottenuto l’oggetto proibito”.
“Credo
di non capire…”.
“Capirai
crescendo. Hai tutte
le capacità per farlo…”.
L’Elettricità
guardò giù dalla
finestra e vide che stavano in cima ad una delle alte torri del
palazzo.
“Puoi
andare, Reishefy. Ci
rivedremo…”.
“Davvero?
Ci rivedremo?”.
“Credo
di sì. Quell’oggetto ti
sarà molto utile. Se lo stringerai fra le mani,
concentrandoti, si riempirà di
acqua pura, potabile e ristoratrice. Attenta a non agitarti
perché se le darai
la scossa non accadrà niente. Usala con giudizio e
conservala con cura, anche
quando il vostro viaggio sarà concluso. Vi auguro buona
fortuna, anche da parte
dei miei colleghi divini. Tutti noi stiamo seguendo la vostra missione
con
grande interesse. Purtroppo, senza un ordine esplicito della Creatrice,
non
possiamo intervenire”.
“Capisco…”.
Stavano
scendendo gli scalini
che portavano al salone d’ingresso, quello con la fontana,
l’una accanto
all’altra. Reishefy non poteva credere di essere
così vicina ad una Dea e
sorrise. Avrebbe avuto tantissime cose da raccontare ai suoi compagni!
Giunte
davanti all’ingresso, Heronìka lo aprì
senza toccarlo e fece segno alla ragazza
di uscire. Si congedarono, con un cenno del capo, e Reishefy
lasciò il palazzo
sicura di aver visto, con la coda nell’occhio,
l’atmosfera cambiare e la Dea
iniziare ed agitare la testa al ritmo di una canzone rock.
Corse
verso il resto del
gruppo. Era scesa la notte e solo Lehelin era sveglia. Le due si
fissarono, in
silenzio, e l’Elettricità spalancò la
mano che non stringeva l’oggetto
proibito. Dalle sue dita partì un turbinio di scosse che
andò a colpire
l’intera compagnia, svegliandola di colpo fra le bestemmie,
più o meno forti,
di tutti.
“Sveglia,
gente!” esclamò,
raggiante, Reishefy, agitando la coppa “Ho grandi cose da
raccontarvi!”.
†††
Dopo
aver appreso che ognuno
avrebbe, probabilmente, parlato con un Dio, i membri del gruppo
reagirono in
modo diverso. C’era chi si preoccupava e chi non vedeva
l’ora. Tutti
riflettevano, più o meno, su questo mentre percorrevano la
strada verso il
regno successivo. Ormai Thuwey si era abituato alla tavola da surf e
Mattehedike al dondolio della barca.
“Manca
poco” rassicurò Enki,
stanca di fare da capogruppo.
“Ah,
bene! Ho giusto un po’ di
fame!” commentò Aherektess.
“Potresti
procurarci da
mangiare tu, uccellino, invece di lamentarti!”
commentò Kassihell, tentando di
abbatterlo con il lungo remo della Terra.
L’Aria,
però, si muoveva
agilmente sospeso nel suo elemento e schivò ogni attacco. Di
tutta risposta
alla provocazione del Fuoco, scese leggermente di quota ed
iniziò a fissare il
mare. Scattò, di colpo, e sfiorò
l’acqua con le mani, tirando all’indietro le
piume per non bagnarle. Quando tornò a riprendere quota, fra
le mani stringeva
un grosso pesce. Rimase fluttuante a mezz’aria, controllando
il suo elemento
senza sbattere le ali, e lanciò l’animale nel
centro della barca. Poi, senza
aggiungere altro, riprese ad agitare le braccia, sorvolando il Fuoco
che tentò
di nuovo di colpirlo. Ridacchiando, Aherektess si appollaiò
sul remo facendo
sbilanciare Kassihell, che per poco non cadde in acqua.
“Hai
deciso di uccidermi?”
ringhiò il rematore.
“Perché,
tu no?” gli rispose
l’Aria, riprendendo quota.
Sempre
litigando, un giorno al
gruppo arrivò l’avviso di Enki: il regno del
Ghiaccio era in vista e presto
sarebbero attraccati e avrebbero lasciato il territorio
dell’Acqua. Tutti
piuttosto contenti di quella notizia, avendo passato quasi sei
settimane in
quella distesa di onde e turbolenze, si alzarono in piedi e guardarono
attraverso il ghiaccio trasparente della barca. Il mondo bianco di
Hanjuly si
stagliava all’orizzonte e già iniziavano a far
fatica ad avanzare. L’acqua si
stava gelando, intrappolando la barca. Il Fuoco rabbrividì,
pensando a ciò che
lo aspettava. Iniziarono ad estrarre dai loro zaini e sacche il
necessario per
affrontare un viaggio con parecchi gradi sotto zero. Si avvolsero in
pesanti
mantelli, perfino Aherektess coprì le sue ali. Lunghi abiti,
sciarpe, scarpe
pesanti e guanti apparvero e vennero indossati da tutti. Tutti tranne
l’Oscurità, che fu la prima a scendere sulla neve.
Thuwey le fu accanto,
sollevato dall’idea di non dover più avere a che
fare con il surf e contento
che, a causa del gelo, nessuno avrebbe potuto avvicinarsi
più di tanto a lui
per non rischiare di restare attaccato. Infreddolito, l’Aria
li raggiunse,
sbuffando piccole nuvolette di vapore. Kassihell era quasi, invece,
interamente
avvolto dal vapore, essendo la sua pelle molto calda e reagendo con
neve, aria
fredda e ghiaccio. Si chiese per quanto tempo avrebbe continuato a fare
così.
Mattehedike saltò sulla terraferma, apparentemente senza
nessun problema, così
come Reishefy ed Enki, che disse solo che sarebbe stata decisamente
più lenta
fra la neve. Idisi ed Efrehem si misero l’uno accanto
all’altro, pronti a darsi
coraggio. Hanjuly, spalancando il lungo mantello bianco con bordo di
pelo,
strinse fra le mani la chiave bianca che apriva il palazzo
dell’Ovest e
sorrise. Ora toccava a lei comandare e non vedeva l’ora!
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Capitolo 6 *** VI- ghiaccio ***
VI
L’aria
gelida del regno di
Hanjuly investì i dieci. Sapevano bene che avrebbero dovuto
restare in quelle
condizioni molto a lungo, non potendo farsi trasportare da alcuna
creatura di
quel mondo, essendo fatte in buona parte dall’elemento che li
circondava.
Ghiaccio e neve, bianco che si perdeva a vista d’occhio,
brillavano alla luce
del giorno, riflettenti come specchi. Lehelin adattò i suoi
occhi,
capovolgendoli in verticale e stringendoli, e sfruttò le
ombre dei suoi
compagni per trovare riparo da quella luce. Non gli fu difficile,
essendo
piuttosto piccina. Notò che Thuwey già iniziava a
stringersi, sottomettendosi
al gelo esterno. Kassihell saltellava per scaldarsi.
“Viaggeremo
di giorno, quando
la luce di Sirona in qualche modo vi
scalderà…” iniziò Hanjuly,
sentendosi a
suo agio a parecchi gradi sottozero “…e di notte
ci fermeremo presso dei
villaggi che incroceremo lungo la strada. Noi non abbiamo grandi
città e quindi
se ne incontra piuttosto spesso”.
“Non
è un problema per quelli
della tua specie?” domandò Efrehem
“Intendo dire: ospitare delle creature
estranee, provenienti da altri regni nemici…”.
“Non
sarà un problema. Magari
all’inizio resteranno un po’ spiazzati ma poi,
vedrete…andrà tutto bene! Siamo
guerrieri ma non stronzi. Sappiamo anche essere
accoglienti…”.
“Speriamo.
Non vorrei essere
sacrificato alla tua divinità” commentò
il Metallo ed i Ghiaccio lo guardò in
modo strano, come a volergli dire “Ma che stai
dicendo?!”.
“Bene.
In marcia.
Approfittiamo del bel tempo per avanzare. Avete avuto la fortuna di
capitare
qui quando ancora non è giunto
l’inverno” spronò il gruppo la nuova
leader.
“Domanda:
in inverno quanto
freddo fa?” rabbrividì la Luce.
“Molto
più di adesso. E le
giornate sono molto più corte. Perciò muovetevi,
se non volete ritrovarvici nel
mezzo!” rispose Hanjuly ed iniziò a camminare.
Il
ritmo della principessa del
Ghiaccio era piuttosto sostenuto ed i più piccoli facevano
fatica a starle
dietro. Fortunatamente il cielo e l’aria erano limpidi e
quindi non rischiavano
di perdersi.
“Ci
sono bestie feroci in
questo mondo?” si preoccupò Enki.
“Sì,
un paio. Ma so perfettamente
come allontanarle. Tranquilli…ci sono nata qui! Ne conosco
ogni angolo! I miei
genitori mi ci han portato spesso fra le diverse regioni del
regno”.
Durante
la prima giornata di
marcia, i dieci attraversarono diversi villaggi illuminati da Sirona e
passarono
oltre, fra lo stupore della popolazione. Notarono subito,
però, che dopo la
diffidenza iniziale sapevano essere molto loquaci ed ospitali. La
compagnia
rabbrividiva quando entrava in uno di questi insediamenti, notando gli
sguardi
di ghiaccio e fastidio che gli venivano puntati addosso. Nessuno si
avvicinava,
rimanendo silenzioso ed indifferente. La situazione cambiava dopo
qualche ora,
in cui Hanjuly chiedeva le venisse portato da mangiare, ed il popolo
iniziava a
fidarsi e ad aprirsi, divenendo chiacchierone e simpatico.
L’atmosfera si
scaldava, per quanto possibile, e ci si scambiavano racconti e battute.
Arrivarono perfino ad accendere un fuoco, una sera, solamente per gli
ospiti.
Il disagio fu notevolmente smorzato quando i villaggi iniziarono ad
avvisarsi
fra loro del passaggio di quel colorito gruppo di visitatori.
Così facendo, man
mano che i giorni avanzavano, si creavano sempre meno problemi e
sguardi
minacciosi.
Arrivarono
in prossimità di un
grande lago ghiacciato quando Sirona già era molto bassa
all’orizzonte,
prossima al tramonto. Indecisi sul da farsi, non sapendo decidere se
attraversare la distesa ed arrivare in tempo al riparo per la notte
oppure
percorrere le sponde e proseguire per un tratto al buio.
Iniziò a nevicare e la
compagnia optò per la camminata sul ghiaccio. Ben in pochi
camminarono…la
maggior parte ruzzolò in terra in poco tempo. Hanjuly
riusciva a rimanere in
piedi, come sui pattini, e diede spiegazioni al gruppo su come fare.
Thuwey,
ormai alto come Aherektess e la principessa gelata, cioè di
quasi venti
centimetri più piccolo rispetto al normale,
modificò il metallo ai suoi piedi
ed iniziò a scivolare, dolcemente, avanzando velocemente.
Anche Aherektess
riuscì a non avere troppi problemi, con il suo passo
leggero. Reishefy trovò
divertente cadere continuamente e proseguì il suo cammino
così, fra un
ruzzolone ed un altro, oppure attaccandosi a qualche malcapitato che si
reggeva
in piedi. Mattehedike, con i piedi piuttosto grandi, stava in
equilibrio ma
continuava ad osservare la superficie del ghiaccio, dubbioso.
“Potete
stare tranquilli. Il
ghiaccio non si romperà. Non lo ha mai fatto in secoli di
traversate. Son
passate ben più persone di noi più di una volta e
non si è mai neppure
incrinato!” rassicurò Hanjuly.
Idisi
si aggrappò alla Roccia
e proseguirono fianco a fianco. Lehelin, stando ben lontana da Efrehem
che era
circondato da una tale luce, riflessa dalla superficie lucida, da
essere
accecante, non ebbe grossi problemi. La Luce, in notevole
difficoltà, fu guidato
e sorretto da Hanjuly, che fu quasi tentata di prenderlo in braccio,
piccolo
com’era. Enki, invece, si fece portare dal Metallo. Thuwey se
la caricò sulle
spalle senza troppa delicatezza. Grazie ai lunghissimi capelli neri,
evitò che
la giovane restasse attaccata alla pelle grigia e metallica. Kassihell,
l’ultimo a mettere piede su quella distesa bianca,
sfruttò il suo buon
equilibrio per non cadere e non rimase troppo indietro, anche se mezzo
congelato. Pattinarono, scivolarono, caddero, risero ed imprecarono,
scorgendo
sempre più chiaramente la loro meta: il villaggio che
sorgeva sul lato opposto.
Nel frattempo la neve si era fatta più fitta ed i raggi di
Sirona più radi e
deboli. Erano prossimi al tramonto.
“Non
manca molto” disse la
principessa di quel regno, tirando Efrehem per la mano.
“Ce
la fai?” domandò la
Roccia, girandosi verso il Fuoco.
Kassihell
non rispose.
Camminava molto lentamente, battendo i denti, trascinando i piedi.
“Vuoi
una mano?” aggiunse
Idisi.
Il
Fuoco riuscì a scuotere la
testa ma la Roccia, spinta dalla Terra, indietreggiò,
porgendogli la mano.
Idisi e Mattehedike, a braccetto, erano ora a pochi passi da Kassihell,
che si
era fermato.
“Avanti,
ci siamo quasi. Fra
poco saremo tutti quanti al caldo” lo incoraggiò
Idisi.
Il
Fuoco, orgoglioso e con
nessuna voglia di essere aiutato da nessuno, guardò i due
con fastidio. La
Roccia insisteva nel porgergli la mano e lui insisteva nel non volerla
prendere. Cercò d’istinto vicino al collo, dove
aveva il medaglione, nuovamente
tentato ad usarlo, ma poi pensò che non avrebbe risolto
nulla. Prima o poi quel
regno avrebbe dovuto attraversarlo. Chiuse gli occhi, per proteggerli
dalla
neve sempre più fitta, e si sforzò per fare un
altro passo. Si bloccò e rizzò
le orecchie quando sentì un rumore, una sorta di lungo
gemito.
“Hai
detto qualcosa?” gli
domandò Idisi ed il Fuoco scosse di nuovo la testa.
I
tre si guardarono, con aria
interrogativa, quando un altro gemito gli giunse
all’orecchio. Aherektess, con
il suo ottimo udito, lo percepì a sua volta e si
bloccò, girando gli occhi ed
il viso.
Al
gemito si unì uno
scricchiolio ed al trio Terra-Roccia-Fuoco fu chiaro cosa stesse
succedendo. In
coro lanciarono un grido, incitando i compagni a correre. Il ghiaccio
si stava
rompendo, probabilmente a causa del calore di Kassihell ed il peso di
Mattehedike. Hanjuly non volle crederci ma poi giunsero anche al suo
orecchio
quei rumori ed incitò il gruppo a muoversi. Enki
urlò nelle orecchie del
Metallo, che sibilò per il fastidio. Tutti corsero verso la
sponda,
fortunatamente vicina. I primi ad arrivarci furono Aherektess e la
coppia
Acqua-Metallo. Thuwey depose Enki sulla neve, al sicuro, e si
voltò per vedere
a che punto fossero i suoi compagni. Reishefy arrivò di
volata, schiantandosi
addosso all’Aria e, ovviamente, dandogli la scossa. Hanjuly,
sempre con Efrehem
per mano, attese il trio rimasto indietro e lo incitò a
muoversi più in fretta,
mentre il ghiaccio si apriva sotto i loro piedi. Diede una poderosa
spinta a
Kassihell, facendolo atterrare sulla neve in malo modo. Aherektess,
toltosi di
dosso l’Elettricità, guardò il lago e
scattò in piedi. L’Oscurità, non
muovendosi molto velocemente, era rimasta bloccata, accecata dalla Luce
di
Efrehem. Senza esitare, l’Aria corse verso di lei e la
afferrò, sollevandola da
terra. Giunsero appena in tempo sulla sponda. Aherektess
percepì chiaramente
l’acqua gelida sulla punta delle dita, mentre si buttava
disteso per mettersi
al sicuro. Salvatore e salvato si guardarono negli occhi, stesi sulla
neve e si
sorrisero, con sollievo.
“Te
lo avevo detto che non mi
sarei scordato di quello che hai fatto per me” le disse
l’Aria.
Anche
gli altri si stavano
ringraziando a vicenda, stupiti di essere stati davvero in grado di
aiutarsi.
“Se
questo fosse successo
all’inizio del viaggio…”
commentò Efrehem “…dubito che ci
saremmo salvati
tutti. Stiamo diventando sempre di più una compagnia
unita!”.
Fuoco
ed Aria si fissarono,
poco convinti, togliendosi la neve dalle vesti.
Il
villaggio era vicinissimo,
pochi metri, e ci arrivarono correndo, per scaricare
l’adrenalina e la tensione
che ancora avvertivano nel sangue. La neve aveva ora un andamento
regolare,
quasi piacevole, mentre Sirona era ormai quasi del tutto scomparsa
all’orizzonte. Il calore che li accolse, giunti fra quelle
case, li riempì di
gioia. Finalmente avrebbero messo qualcosa sotto i denti e avrebbero
riposato,
avvolti in stupende coperte di pelo. Gli abitanti fecero festa nel
vederli, e
la cosa stupì i dieci ma trovarono l’avvenimento
piuttosto piacevole. Due
bambini, biondi e gemelli, fecero un inchino alla principessa del
regno,
invitandola a seguirli. Hanjuly gli sorrise e camminò dietro
di loro. Dopo
qualche passo si fermò. Davanti ad una delle tende di pelli
calde, di cui era
composto il villaggio, stavano i suoi genitori ed Igorhay, il fratello
di
mezzo. Madre e padre la fissavano con rimprovero mentre il fratello le
sorrideva.
“La
regina Rocana…” mormorò il
Metallo, spaventato dall’improvviso silenzio che si era
creato.
“Sei
sicuro?” gli domandò,
sempre a bassa voce, Efrehem.
“Sì.
L’ho vista diverse volte
mentre accompagnavo la mia regina nei suoi incontri
diplomatici”.
“È
davvero una bella donna…”
notò Idisi.
“Come
la figlia” concluse la
Luce, mentre la famiglia del Ghiaccio si abbracciava.
“Dovrei
punirti severamente
per ciò che hai fatto!” parlò la
Regina, nella lingua degli abitanti di quel
regno, incomprensibile alla compagnia straniera.
“Scambiarti
di posto con
Igorhay, il prescelto per questa missione, è stata la cosa
più sconsiderata che
potessi fare! Non sai quanto siamo stati in pensiero per te! Solo ad
immaginarti tutta sola là fuori…in preda a
chissà quali pericoli e paure…”.
“Non
ero da sola, mamma.
C’erano loro nove con me e, credimi, non sono come tu
pensi”.
“Ad
ogni modo, ora sarà
Igorhay a proseguire” si intromise il re “Siamo
stati informati sui tuoi
spostamenti nel regno e ti abbiamo anticipato”.
“Cosa?!
No!! Io non fermo qui
il mio viaggio!”.
“Mi
dispiace, sorellina. Ho
tentato di convincerli ma non han voluto sentire ragioni!”
sospirò Igorhay,
avvicinandosi ad Hanjuly con la testa chinata.
“No!
Non potete costringermi!”
protestò la principessa.
“Sei
capricciosa, come sempre.
Tuo fratello sarà di certo più utile in questo
cammino” continuò la regina,
guardando sottecchi gli altri nove viaggiatori.
“Scusate…”
interruppe Efrehem,
inaspettatamente parlando nella lingua degli abitanti del Ghiaccio.
“Scusate
se ho l’ardire di
interrompere, regina, ma ritengo che Vostra figlia sia stata
indispensabile fin
ora e lo sarà ancora”.
“Come
sai la lingua del nostro
popolo?” si stupì Hanjuly.
“Imparo
le lingue con molta
facilità e mi è bastato passarci un breve
periodo, fra un villaggio ed un
altro, ascoltando le parole dei nativi” spiegò la
Luce.
“Notevole…ma
tu chi sei?”
riprese la sovrana, usando la lingua del Ghiaccio e tentando di
metterlo in
difficoltà e disagio.
Non
ci riuscì, perché Efrehem
riprese subito a parlare, in modo fluente e chiaro.
“Io
sono Efrehem, nipote di
Friedrik, re della Luce. E penso di parlare a nome di tutto il gruppo
quando
dico che Hanjuly è molto importante per il buon esito della
missione e che,
senza di lei, non avremmo mai potuto superare certi ostacoli”.
Rocana
si stupì molto a quelle
parole e guardò l’intera compagnia.
“È
vero?” domandò, questa
volta nella lingua comune a tutti gli abitanti di Asteria.
“È
vero che mia figlia è stata
fin ora importantissima per la missione?”.
“Confermo”
rispose il Metallo
“Ha avuto delle idee che ci han aiutato molto e sono sicuro
che anche in futuro
avremo bisogno di lei”.
“Che
genere di idee?” parlò
Igorhay.
“Ha
fatto una barca per
attraversare il mio regno” spiegò Enki.
“Ci
ha fatto legare nel regno
dell’Oscurità per non
perderci…” continuò Reishefy
“…ed è mia amica, ormai. Ma
perché lo chiede?”.
“Vuole
portarla via. Vuole che
il viaggio lo continui il figlio…” disse Efrehem.
“Cosa?!
No!” urlò Reishefy,
ignorando Idisi che le suggeriva di calmarsi.
Non
ci fu verso di farla stare
ferma e la principessa dell’Elettricità
andò spedita al cospetto della regina.
La guardò negli occhi, pur essendo di parecchi centimetri
più piccola, con aria
di sfida.
“Lei, mia cara
signora, non ha idea di cosa
significhi per noi restare tutti uniti senza litigare o crearci
problemi. Ogni
piccola cosa è una sfida ma, pian piano, stiamo iniziando a
formare una vera
compagnia. Ci aiutiamo, ci preoccupiamo l’un
l’altro ed affrontiamo ogni guaio
assieme. Non immagina quanto sia difficile tutto questo e mi creda, se
ora
vuole scambiare i figli, creerà un vero casino.
Sì, un casino! E la causa del
casino sarò io! Non ho nulla contro suo figlio, ma Hanjuly
è mia amica, nostra
amica, ed ormai abbiamo iniziato un percorso con lei. Non ce la
porterà via!”.
“Riprendi
fiato…” le sorrise
Thuwey, mentre ogni singolo membro del gruppo confermava alla sovrana
che non
avrebbe mai permesso ad Hanjuly di andarsene.
La
regina si stupì davvero
molto di quella situazione, sicura di trovarne di ben diverse. Invece,
eccoli
lì…nove sconosciuti, di razze diverse e nemiche,
che le spiegavano di quanto
fosse importante la sua bambina per loro. Senza dimenticare di
sottolinearne il
coraggio, la forza, l’intelligenza, la simpatia…
“Beh…ecco…”
balbettò, indecisa
“…io non so che fare!”.
“Lasci
che Hanjuly prosegua il
suo viaggio con noi!” suggerì Reishefy.
“Capisco
la sua
preoccupazione, regina…” parlò Idisi
“…ma le posso assicurare che tornerà
sana
e salva. Inoltre, credo che l’inserimento di un nuovo
elemento in una
situazione già così complicata porterebbe solo ad
ulteriori problemi”.
Rocana,
quasi rassicurata
dallo sguardo maturo della Terra, chinò il capo ed
acconsentì al proseguimento
della missione da parte della figlia, che
l’abbracciò con entusiasmo. Dopodiché
andò ringraziare i suoi nove compagni, per
l’assistenza ed i complimenti, con
baci ed altri abbracci.
“Non
correte grossi rischi,
vero?” volle sapere il re, quando il mattino seguente i dieci
ripartirono.
“No…”
mentì Reishefy “…tutto
ok! Tranquilli!”.
Il
resto del gruppo la guardò
un po’ male, ripensando a tutto ciò che avevano
passato fino a quel momento, ma
non dissero nulla, accelerando il passo. Re e regina, assieme ad
Igorhay,
sospirarono vedendoli allontanare e tornarono verso palazzo non appena
sparirono all’orizzonte, avvolti dalla nebbia e dalla neve
bianca.
†††
“Carino
tuo fratello…”
commentò l’Elettricità, saltellando a
fianco di Hanjuly.
Il
Ghiaccio ridacchiò e diede
una notizia inaspettata al gruppo: il luogo proibito era vicino.
Quasi
si stupirono di quanto
in fretta ci fossero arrivati. Kassihell tirò un sospiro di
sollievo, felice
solo all’idea di lasciare quel mondo. Thuwey era stanco di
sentirsi così
piccolo e sorrise soddisfatto. Aherektess, coprendo
l’Oscurità dal vento gelido
e dalla neve, fremeva all’idea di riaprire le ali e volare.
Mattehedike era
piuttosto in ansia, ricordando le parole del suo sovrano che gli
raccomandava
di non stare troppo a lungo nel gelo.
“Eccolo!”
urlò Reishefy,
indicando davanti a sé e risvegliando il gruppo dai suoi
pensieri.
In
lontananza, si iniziava a
scorgere un edificio bianco latte, non molto alto e di forma semplice.
Interamente
a forme geometriche, pareva una piramide con annessi cubi e
parallelepipedi
contenenti piccole finestre, non presentava nemmeno una forma dolce,
come un
cerchio o un arco.
“Una
piramide!” esclamò
l’Elettricità, con insensato entusiasmo.
“Non
è una piramide. Non ha la
base quadrata” la corresse Efrehem “Quello
è un tetraedro”.
“Quello
che è, mister
precisino…” si scocciò la ragazzina,
imbronciandosi.
Più
i dieci si avvicinavano e
più la luce aumentava, riflessa dalle pareti lisce e lucide.
A Lehelin la cosa
non piacque e si nascose sempre di più alle spalle
dell’Aria, che allargò le
braccia. Attorno a quel luogo c’era un piacevole tepore,
probabilmente dovuto
ai raggi riflessi di Sirona. Il Fuoco, imbacuccato com’era,
socchiuse gli
occhi, l’unica parte visibile del suo corpo tutto avvolto da
mantelli e
coperte. Quel riflesso stava iniziando a dare fastidio a tutti. A tutti
tranne
alla Luce, che fissò l’edificio con le sue antenne
rosse. Curioso, voleva
avvicinarsi di più ma si fermò, notando che gli
altri stavano restando
indietro. I più alti tentavano di fare ombra ai
più piccoli, coprendosi il
viso, ma il riverbero era comunque irritante. Seguirono il consiglio di
Efrehem, che suggerì di provare da un altro lato della
figura, magari non
illuminato da Sirona, ma si accorsero ben presto che non serviva a
nulla. Dove
non c’era la luce diretta di Sirona, c’erano altre
luci a colpirla, grazie ad
un gioco di cristalli e specchi.
“Credo
tocchi a te,
piccoletto…” disse Kassihell.
“A
me?” esclamò la Luce,
vedendo cadere all’improvviso ogni suo appiglio logico.
“Sì,
a te. E và tranquillo…il
mio Dio non è cattivo come sembra!” lo
rassicurò Hanjuly, mentre una sezione
rettangolare sul tetraedro compariva dal nulla, simile ad una porta,
accogliendo la Luce.
Efrehem
lanciò un’ultima
occhiata alle sue spalle e poi entrò, sentendo subito la
porta rinchiudersi
alle sue spalle e sparire. Era in trappola. Nessuna via
d’uscita. Sospirò e si
decise ad aprire gli occhi.
†††
Mentre
gli altri nove si
scaldavano, ad occhi chiusi, seduti accanto alla piramide a tre lati,
Efrehem
fu avvolto da una fortissima luce. Dritto davanti a sé vide
una creatura,
seduta a gambe incrociate. Era come incastonata nell’incrocio
di due dei lati
del tetraedro. La Luce, invece, era immobile sull’apotema
della figura, la
linea retta che divideva la facciata a metà. Dallo spigolo,
l’occupante di quel
luogo non gli disse nulla. Si limitò a fissarlo, come
infastidito.
“Buonasera…”
salutò
educatamente Efrehem.
“Non
è sera” si affrettò a
rispondere la figura, sempre accigliata.
“Già…avete
ragione…”.
“Avete,
chi? Ci sono solo io
qui, sgorbio, oltre a te”.
La
Luce non disse altro, per
paura di infastidire ancora di più quell’essere
avvolto dai riflessi
dell’edificio e dallo sguardo di ghiaccio.
“Accomodati”
sbottò l’abitante
della figura a triangoli, creando con la mano una sorta di sgabello
cubico su
cui Efrehem si sedette, agitato.
“Lei
è la divinità del
Ghiaccio?” azzardò a dire.
“No.
Non sono una donna. Io
sono il Dio del Ghiaccio. E tu chi sei, lampadina?”.
La
Luce sospirò, stanco di
sentirsi chiamare “lampadina”.
“Io
mi chiamo Efrehem e vengo
dal regno della Luce. Sono qui per recuperare l’oggetto
proibito”.
“Non
lo avrai da me” tagliò
corto il Dio.
“La
mia missione è averlo. Già
altri miei compagni lo hanno ottenuto”.
“Chi
e da chi?”.
“Reishefy,
principessa
dell’Elettricità, ha ottenuto una coppa dalla Dea
dell’Acqua. E Kassihell,
rappresentante del Fuoco, ha al collo il medaglione datogli da
Kaos”.
“Kaos?!
Kaos ha dato qualcosa
a qualcuno?!”.
“Esatto.
Ed ora tocca a me. Mi
dica cosa devo fare per ottenerlo…”.
“Mi
dica, chi? Se vuoi te lo
dico io, usa un’altra volta questi termini impersonali e ti
butto fuori”.
“Sissignore…”.
Il
Dio lo osservò, con aria
minacciosa, ed Efrehem rabbrividì.
“Io
sono Enrikiran” iniziò la divinità
“E comando il Ghiaccio. Fra me ed Heronìka, Dea
dell’Acqua, non può esserci
rivalità perciò, se lei ha dato una
possibilità ad uno di voi di ricevere
l’oggetto, allora lo devo fare anch’io. Ti
avverto…non sono buono come lei”.
La
Luce deglutì, ripensando a
quanto gli aveva raccontato l’Elettricità. Il Dio,
con i capelli corti ritti in
una cresta gelata, non sorrise, nemmeno per un attimo, e chiuse gli
occhi. Fra
le sue mani, che mosse leggermente, apparve una chitarra dalle forme
dure e
dalle linee rette. Efrehem lo fissò con
curiosità, mentre si passava fra le
dita un plettro bianco candido e lucente. Enrikiran fissò
l’intruso con aria di
sfida e, tornando ad appoggiarsi al trono, gli chiese di scegliere uno
strumento.
“Fra
quali?” domandò il mortale.
“Scegline
uno. Quello che
vuoi. Te lo faccio io con il ghiaccio”.
“Per
farne cosa?”.
“Ha
importanza?”.
“Logicamente
parlando, credo
che alcuni strumenti siano adatti a certe cose ed altri no”.
Enrikiran,
rizzando le
orecchie con un certo compiacimento alla parola
“logicamente”, non rispose alla
domanda ma si limitò a domandargli se sapesse suonare uno
strumento.
“Più
di uno” si affrettò a
rispondere la Luce.
“Bene.
Quali sai suonare
meglio?”.
“Pianoforte
e violino”.
“Scegline
uno ed andiamo
avanti”.
Efrehem
rimase in silenzio,
qualche istante, meditando sul da farsi. Poi, guardando ciò
che il Dio reggeva
fra le mani, capì che, forse, aveva bisogno di uno strumento
adatto anche a
muoversi.
“Se
non sai deciderti, posso
darti la possibilità di scegliere fra uno di questi due
lungo la sfida,
scambiandoli quando preferisci. Che buono che
sono…”.
“Molto.
Grazie!”.
“Ok,
mortale. Preparati a dimostrarmi che sei degno dell’oggetto
proibito”.
L’atmosfera
mutò all’interno dell’edificio. Si fece
buio ed Efrehem vide il suo riflesso
alle pareti, che notò a scacchi bianchi e neri.
Aumentò la luminescenza della
pelle, leggermente a disagio, e guardò il Dio, senza capire.
“Vieni
avanti” gli ordinò Enrikiran, tirandolo con un
movimento della mano.
Dietro
al mortale crebbe dal nulla un meraviglioso pianoforte in cristallo ed
un
violino dello stesso materiale, con un archetto particolarmente curato.
“Hai
senso del ritmo, mortale?”.
“Certo”.
“Senza
nemmeno un pizzico di modestia…bene, staremo a vedere!
Suonami qualcosa, con lo
strumento che vuoi”.
“Cosa
devo suonare? Suono da vent’anni…le mie
sonorità sono praticamente perfette”.
“Credi
di suonare meglio di me? Moltiplica i tuoi miseri anni di esercizio con
il
numero più alto che ti viene in mente e, ti assicuro, non
arriveresti alla
cifra dei miei anni”.
“Non
saprei. Sono piuttosto ferrato anche in matematica. Il numero
più alto che mi
viene in mente è piuttosto elevato…”.
“Non
costringermi a sfidarti ad una gara di matematica! Suona! Quello che ti
pare!
Stupiscimi…”.
La
Luce, sicuro delle proprie
capacità, si accostò al piano ed
iniziò a suonare, ad occhi chiusi. Esordì con
un brano piuttosto semplice per poi proseguire in crescendo, con sempre
maggior
difficoltà nel pezzo. Lui lo suonava come se fosse
semplicissimo, con un
sorriso.
“Basta
così!” lo interruppe il
Dio, senza cambiare la sua espressione corrucciata “Ora
passiamo alla seconda
fase. Suonerò ciò che mi va di suonare e tu lo
ripeterai, uguale, con lo
strumento che troverai più appropriato. Parti appena mi
fermo, mai esitare!”.
La
Luce annuì e respirò a
fondo, concentrandosi. Subito Enrikiran iniziò a suonare un
brano piuttosto
complesso con chitarra e plettro. Quello strumento emetteva una melodia
molto
particolare, quasi elettrica, molto piacevole. Efrehem dovette
ammettere che
chi aveva di fronte era parecchio dotato. Ma ciò che stava
suonando non era
particolarmente complesso da riprodurre. Appena la divinità
ebbe finito, la
Luce ripeté il brano al pianoforte. Non sbagliò
neppure una nota e sorrise.
Sicuro di aver vinto, rimase spiazzato quando Enrikiran riprese a
suonare un
altro pezzo, più complesso e veloce. Sempre al piano,
Efrehem lo rifece.
Andarono avanti così per un totale di sei brani, sempre
più complessi. La Luce
riuscì a ripeterli perfettamente. Enrikiran, sempre senza
mutare espressione,
attaccò con il settimo ed Efrehem rimase immobile davanti ad
una tale velocità
e difficoltà. Non sapeva assolutamente come poterlo
riprodurre ed iniziò a
sudare freddo quando il Dio si fermò e lo fissò.
Dopo attimi di silenzio,
Enrikiran fece un ghigno, non proprio un sorriso.
“Tranquillo,
mortale” lo
rassicurò “Questo può suonarlo solo un
Dio. Ed un Dio molto bravo. Era giusto
per toglierti un pizzico di spocchia. Prendi il
violino…”.
La
Luce obbedì, sentendolo
freddo fra le mani. Era davvero bellissimo ed estremamente leggero.
“Accompagnami,
mortale. Suona
assieme a me. Vediamo che cosa sei in grado di
fare…”.
La
divinità si alzò in piedi e
si avvicinò al piccolo Efrehem, che lo fissò solo
per alcuni istanti negli occhi
di ghiaccio. Enrikiran iniziò a suonare.
Improvvisò qualcosa di semplice, per
permettere al mortale di capirne il ritmo e seguirlo. Ci volle davvero
poco
perché il suonatore di violino si unisse, creando un duetto
davvero singolare.
Il Dio accelerò e la Luce incespicò, non
riuscendo bene a stargli dietro così
all’improvviso.
“Smettila
di usare solo la
testa” suggerì la divinità
“Usare il cervello e la logica è lodevole e
positivo
ma non in questo caso. Quando suoni, ascolta anche l’istinto
e ti sarà tutto
più semplice”.
Efrehem
chiuse gli occhi,
tentando di “disattivare” per un attimo il continuo
vociare del suo cervello e
cercare un aiuto da altro. Era nel panico. Non aveva mai tentato di
fare a meno
della testa fin ora. Poi, all’improvviso, avvertì
un suono dentro di sé: il
battito regolare del suo cuore. Sorrise, percependone il ritmo, ed
iniziò a
suonare mosso da nuova ispirazione. Riaprì gli occhi e
ricominciò a duettare
con il Dio. Iniziarono a camminare per la stanza, girando uno di fronte
all’altro,
come in una strana danza, mentre la musica diveniva sempre
più complicata e
bella. Enrikiran lo lasciò perfino esibirsi in un assolo,
per poi continuare ad
incalzarlo con una difficoltà sempre maggiore. Ad un tratto,
così come era
iniziato, il brano giunse alla fine ed Efrehem ripose in terra il suo
strumento, sfinito. Il Dio tornò a sedersi ed attese che il
mortale rialzasse
la testa, chinato sulle ginocchia per riprendere fiato. Quando la Luce
rialzò
gli occhi, vide che la divinità del Ghiaccio gli stava
sorridendo,
sinceramente.
“Bravo”
gli disse “Questo è
per te”.
Gli
tirò il plettro bianco,
che stranamente Efrehem afferrò al volo.
“Quello
è l’oggetto proibito
che cerchi, musicista. Ora puoi andare…saprai quando e come
usarlo”.
“Grazie…”
riuscì a balbettare
la Luce, osservando l’oggetto con venerazione.
“Salutami
il mio fratellino,
il Dio dell’Aria…”.
“Riferirò
a chi dovrà entrare
nella sua zona proibita”.
“A
presto…e cerca di
ricordarti le sensazioni che hai provato qui. Il cervello e la logica
sono un’arma
potente ma, a volte, non bastano”.
Efrehem
annuì, grato per i
consigli. Si girò e fece per andarsene quando il Dio lo
fermò.
“Puoi
tenerlo, se vuoi…”
disse.
“Il
plettro?” domandò il
mortale.
“Ed
il violino, se lo
desideri”.
“Mi
piange il cuore, perché è
davvero un ottimo strumento, ma non credo possa essere per me tanto
semplice da
portare lungo la via. La strada da percorrere sarà ancora
lunga…”.
“Vorrà
dire che te lo
riporterò quando ci rivedremo”.
“Quando,
cosa?!” si stupì
Efrehem ma non ricevette risposta.
Enrikiran
era scomparso, in
una nube di neve e ghiaccio, lasciandolo da solo. La porta alle sue
spalle si
riaprì e la Luce uscì, raggiante e soddisfatto.
†††
“Com’è
andata?” domandò Hanjuly “Hai visto
Enrikiran, il Dio che governa il mio regno?”.
“Sì
e…è stato fantastico! Lo rifarei subito, se
potessi!” esclamò Efrehem, con un
entusiasmo mai mostrato prima.
“E
l’oggetto proibito?” si fece avanti Kassihell.
La
Luce mostrò il plettro, schiudendo le sue mani come un
piccolo fiore bianco, e
si udirono vari commenti ed esclamazioni di stupore. Il portatore di
quell’oggetto lo ripose con cura nel piccolo taschino della
sua giacca, sicuro
che da lì non sarebbe uscito. Raccontò agli altri
la sua avventura, mentre
riprendevano il cammino, soffermandosi sul fatto che il Dio gli avesse
sorriso
e di come avessero suonato cose straordinarie assieme.
“Chissà
chi sarà il prossimo…” si
domandò Reishefy.
“Chiunque
entrerà nella sona proibita dell’Aria,
dovrà portare i saluti del Ghiaccio al
suo fratellino. Mi ha detto così…”.
“Che
carini…amore fraterno!” cinguettò
l’Elettricità, saltellando.
Il
Fuoco non capì il motivo di tanto entusiasmo, essendo
tornati tutti quanti al
gelo e sotto la neve. Imbacuccato com’era, avanzava a piccoli
passi,
incoraggiato dagli altri quando restava troppo indietro. Le sue
bestemmie si
udirono per tutta la strada ed erano talmente forti che, probabilmente,
anche
buona parte del regno le sentì. Thuwey, improvvisamente
tornato di buon umore
non si sa per quale ragione, correva avanti ed indietro facendo guerra
con
l’Elettricità a palle di neve. Ovviamente, fra un
tiro ed un altro, andò anche
a colpire altri membri della compagnia poco propensi a quel
divertimento, come
Aherektess o Mattehedike. Solo la stanchezza impedì loro di
rimettersi di nuovo
a litigare.
“Mi
fanno male i piedi…” mugolò Enki
“…ci fermiamo?”.
Hanjuly
si guardò attorno. Non c’era altro che ghiaccio e
neve, in un’immensa pianura
bianca. Dove avrebbero potuto fermarsi? Scosse il capo alla principessa
dell’Acqua, rassicurandola che ormai mancava poco al prossimo
villaggio.
Kassihell sospirò, scacciando qualcosa di colorato da
davanti. Lo fissò, poi,
con aria interrogativa. Era una farfalla, e si era posata sulla neve.
Cosa
diavolo ci faceva una farfalla variopinta in mezzo al nulla a diversi
gradi
sottozero?! Alzò le spalle e la ignorò. Ma la
bestia non voleva essere ignorata
e riprese a volare, dandogli di nuovo fastidio. Il Fuoco la
cacciò in malo modo
e poi scosse il capo. Era convinto di vederla più grande di
prima ma era impossibile…le
farfalle non aumentano di volume! Ricominciò a camminare,
lasciandosela alle
spalle. Dopo qualche istante, la creatura lo sorpassò e lui
ne fu sicuro: era
più grande! Convinto di avere le visioni, non disse nulla e
proseguì. La bestia
svolazzò fra i dieci. Alcuni la notarono ed altri no. Molti
sorrisero nel
vederla, come rincuorati da quella punta di colore in mezzo
all’immenso bianco.
Solamente il Fuoco la fissava preoccupato. Solo lui notava il suo
progressivo
cambio di dimensioni? Era la stanchezza che gli faceva brutti scherzi?
“Sembra
anche a te che quell’animale lieviti?” si
sentì domandare da Thuwey.
“Meno
male che lo noti anche tu! Ero convinto di essere pazzo!”.
“Pure
io…ma cresce per davvero?”.
“Mi
pare di sì…”.
Fuoco
e Metallo accelerarono il passo, per lasciarsela alle spalle e
sorrisero quando
non la videro più. Purtroppo, girando lo sguardo, se la
ritrovarono a fianco.
Sussultarono.
“Peserà
mezzo chilo, adesso!” commentò Thuwey, vedendo
quanto era grossa.
“Pussa
via, bestiaccia!” la minacciò Kassihell, pronto ad
incenerirla.
“Contro
chi stai inveendo?” si stupì Aherektess, girandosi
assieme all’Oscurità.
“Contro
questa cosa…” spiegò il Fuoco.
“Una
farfalla…?” inclinò la testa
l’Aria.
“Una
farfalla che ingrassa a vista d’occhio!” aggiunse
il Metallo.
“Si
vede che mangia bene” si limitò a dire Aherektess,
tornando a girarsi.
“Cosa
vi siete fumati, voi due?” scosse il capo Idisi.
“Ma
è vero!” protestarono, in coro, Fuoco e Metallo.
“Non
dite fesserie! Se avete paura di una farfalla, fatevi
curare!” sbottò
Mattehedike.
Thuwey
e Kassihell si offesero ma non dissero altro, notando con soddisfazione
che
l’animale non li seguiva più. Ci risero su.
Dopotutto era vero…era solo una
farfalla!
I
già scarsi raggi di Sirona
furono oscurati. Nessuno ci fece particolare caso, pensando ad una
nuvola,
quando uno stridio fastidiosissimo assordò la compagnia.
Alzarono lo sguardo.
“È
diventata da una
tonnellata!” gridò il Metallo.
“Ora
ha anche qualcun altro
paura della nostra farfalla?” domandò il Fuoco,
mentre tutti iniziavano a
correre, in preda al panico.
La
bestia era cresciuta a
dismisura, arrivando ad un’apertura alare in grado di coprire
tutti i dieci
abitanti di Asteria ed oltre.
“Che
farfalle ci sono nel tuo
regno?!” domandò l’Aria ad Hanjuly.
“Non
ho mai visto niente del
genere!” rispose lei.
La
farfallona spalancò la
bocca, puntando le antenne pelose sui fuggitivi, mostrando lunghi ed
inspiegabili denti aguzzi.
“Ma
che razza di farfalla è?!”
si allarmò Idisi, convinta fino a quel momento che fosse
solo una povera
creatura indifesa in cerca di compagnia.
L’animale
scese in picchiata e
sfiorò la testa del Metallo, che si scansò in
tempo.
“Non
possiamo scappare in
eterno. Non ci sono posti in cui nascondersi nelle vicinanze. Dobbiamo
combattere!” urlò Aherektess, bloccandosi di
scivolata, alzando un bel
mucchietto di neve.
L’Aria
sfoderò le sue armi e
si preparò ad attaccare la bestia, che continuava a
crescere. Il Fuoco seguì il
suo esempio, togliendo il mantello che lo impediva nei movimenti.
Reishefy
concentrò il suo potere, pronta all’attacco.
Hanjuly estrasse la sua arma
gelata ed andò accanto ad Efrehem, intimandogli di non fare
pazzie. Se avesse
usato la magia della Luce, il ghiaccio avrebbe mandato un tale
riverbero da
impedire a chiunque altro di fare qualcosa. Mattehedike strinse i
pugni,
aumentando la percentuale di roccia sulla pelle, pronto a prendere a
cazzotti
quella strana creatura. Idisi, sempre contraria al far male agli
animali,
dovette arrendersi all’evidenza ed impugnò il suo
remo, rivolgendolo verso
l’enorme farfalla. La Roccia guardò
quell’arma e sorrise.
“Posso?”
domandò,
impugnandola.
“Prego…non
me la rovinare,
però…”.
“Al
contrario, madama!”.
La
Roccia si concentrò e lungo
tutta la parte piatta in legno apparvero punte di ossidiana.
“Questo
si chiama macuahuitl”
spiegò, restituendolo alla Terra.
“Wow.
Grazie!” sorrise lei e
si apprestò a provarla sulla creatura.
Lehelin
aumentò di dimensioni,
espandendo la sua ombra, mentre Enki andava a rannicchiarsi sulla neve,
impaurita, avvolgendosi in uno spesso mantello. Forse avrebbe potuto
combattere
sfruttando la magia dell’Acqua ma era troppo spaventata per
farlo.
“Vieni
qui, tesoruccio!”
ringhiò il Metallo.
Aherektess
si distrasse, solo
un attimo, accorgendosi che le braccia di Thuwey si erano trasformate
in due
spade e che tutte le punte che portava sul corpo si erano ingrandite.
Efrehem
notò il nascondiglio
di Enki. Pure lui si era avvolto in un mantello chiaro, sperando di non
dare
nell’occhio, e ben presto la neve lo coprì in
buona parte. Guardò la farfalla e
rabbrividì. Mai avrebbe pensato di aver paura di una cosa
del genere!
La
bestia, quasi ghignando,
scese in picchiata. Il gruppo armato la colpì. Kassihell,
Aherektess e Thuwey
affondarono le loro lame, Hanjuly roteò il cerchio in aria,
colpendola.
Reishefy, sollevata da terra, la frustò con la coda divenuta
lunghissima,
trasmettendole una fortissima scossa. Mattehedike sferrò un
poderoso cazzotto
sull’addome peloso ed Idisi si accanì sulla testa
bulbosa. La farfalla, lanciando
un grido acuto e fastidioso, tornò a sbattere le ali per
riprendere quota. Non
riuscì a sollevarsi di molto, però. Il gruppo si
stupì. Nonostante tutti i
colpi, non sembrava ferita. Allora perché non riprendeva
quota per attaccarli
di nuovo?
“Lehelin…”
disse l’Aria,
notando l’espressione concentrata di lei.
“Non
andrà più in alto di
così. È bloccata…”.
Thuwey
sorrise. L’Oscurità
teneva ferma, con i piedi, l’ombra di quella creatura e, di
conseguenza, le
impediva di sollevarsi ulteriormente.
“Grandioso!”
ghignò Kassihell,
ricominciando a colpire il mostro.
Fra
gli urli, la farfalla si
dimenò. Lehelin faceva difficoltà a controllare
un’ombra di tali dimensioni ma
rimase al suo posto, mentre gli altri combattevano.
“Non
la feriscono…” notò
Efrehem, con rammarico e preoccupazione “Non la stanno
ferendo! Sembra quasi
che la manchino ma non è
così…”.
In
effetti la bestia,
nonostante urlasse come una pazza, non veniva ferita. I combattenti si
stavano
stancando, saltando per colpirla. Iniziarono ad usare la magia dei loro
elementi. Kassihell le lanciò una fiammata, Aherektess
tentò di abbatterla a
grandi folate di vento, Hanjuly le lanciò punte di ghiaccio
ruotando su se
stessa. Nemmeno questo pareva scalfirla.
Ad
un tratto, irritata come
non mai, la creatura si mosse prepotentemente.
L’Oscurità, non riuscendo a
dominarne più l’ombra, cadde
all’indietro.
“Lehelin!”
la chiamò
Aherektess ma ben presto finì anche lui in terra, a faccia
in giù nella neve.
La
farfalla, dopo l’ennesimo
grido, sbatté talmente forte le ali da ribaltare
all’indietro l’intera
compagnia, allontanandola da sé di diversi metri. Enki,
vedendo questo, lanciò
uno strillo acutissimo di puro terrore. L’animale, che fino a
quel momento non
l’aveva notata, fu talmente infastidito da quel suono che si
lanciò contro di
lei. Gli altri, distanti ed ancora bocconi sulla neve, non poterono
intervenire. Solamente Efrehem, abbastanza vicino da poter fare
qualcosa,
scattò in avanti e si contrappose fra l’Acqua e la
farfalla. Enki continuò a
gridare, non sapendo cos’altro fare, mentre la Luce veniva
colpita, afferrata
fra i denti aguzzi e lanciata lontano. Gli altri reagirono tentando di
salvarlo
e si misero a correre, sperando di raggiungere il nemico prima che
fosse troppo
tardi. L’Acqua, spalancando gli occhi, vide il suo compagno
malridotto ed
immobile, con la farfalla sopra di lui, pronta probabilmente a
divorarlo.
“Una
farfalla carnivora?!” si
chiese Kassihell “Nemmeno mio padre avrebbe idee tanto
malsane!”.
“No!
Lascialo stare!” gridò
Enki, fra le lacrime e, inaspettatamente, uscì dal suo
nascondiglio.
Rivolse
la testa verso il
cielo e, stringendo i pugni, lanciò un urlo di rabbia e
disperazione. Il
terreno sotto di lei reagì e la neve mutò,
divenendo acqua. La principessa, con
occhi spalancati, rivolse le mani verso l’enorme bestia ed il
suo elemento le
obbedì. A contatto con la temperatura esterna, si
ghiacciò all’istante,
intrappolando l’animale.
Gli
otto combattenti rimasero
a bocca aperta davanti ad un tale, sorprendente, spettacolo.
“Non
resterà bloccata a
lungo!” riuscì a dire Hanjuly “Prendiamo
Efrehem e scappiamo! Il villaggio non
è lontano e la neve coprirà in fretta le nostre
tracce!”.
Il
gruppo annuì. Idisi prese
fra le braccia il leggerissimo ferito, privo di sensi, e Mattehedike
afferrò
Enki, ancora sotto shock, obbligandola a seguirli. Corsero nella bufera
di neve
più che poterono, fino a quando la farfalla non fu lontana e
non più visibile.
“Come
sta, Idisi?” domandò
Enki, chiedendo della Luce.
“Non
lo so. Io…non sento più
il battito del suo cuore!”.
“Cosa?!”
si allarmò Hanjuly.
“Io…temo
sia morto!” continuò
la Terra.
“Quante
volte abbiamo temuto
che uno del gruppo fosse morto? Si
riprenderà…” azzardò
Reishefy.
“Lui
ha già preso l’oggetto
proibito…” iniziò il Fuoco, con il
solito cinismo.
“E
allora?! Per questo tu dici
che può anche morire?” si arrabbiò il
Ghiaccio.
“No,
ma ai fini della
missione…”.
“Chiudi
la bocca!”.
La
voce di Hanjuly era carica
di odio e piangeva. Ed iniziò a piangere pure Enki, mentre
la Terra tentava di
rianimare il privo di sensi con l’aiuto
dell’Elettricità.
“Oh,
Dèi…” mormorò Aherektess,
inginocchiandosi e toccandolo “…è morto
per davvero!”.
Mattehedike
e Thuwey chinarono
il capo, in segno di rispetto.
“Morto
per salvarmi…perdonami,
Efrehem!” singhiozzò Enki, abbracciando Idisi, che
l’avvolse fra le sue braccia
con fare materno.
“Era
coraggioso…” commentò il
Metallo “…non esiste modo più nobile di
morire”.
“NO!”
scoppiò in lacrime anche
Reishefy, cercando l’abbraccio con la Roccia,
l’unico della compagnia a non
crearsi problemi con le scosse oltre all’Oscurità,
che aveva messo una mano
sulla spalla dell’Aria, con lo sguardo perso nel vuoto.
Hanjuly incitò la Terra
a non arrendersi e tentare ancora ma lei scosse il capo, assicurandole
che non
c’era più niente che potessero fare.
Kassihell
prese fra le mani il
medaglione. Era piuttosto titubante. Usarlo per riavvolgere tutto,
quanto gli
sarebbe costato? E ne valeva la pena? Rifletteva su questo quando vide
gli
sguardi degli altri otto e capì. Chiuse gli occhi ed
iniziò e girare il disco
centrale in senso antiorario.
Riaprì
gli occhi. Da uno,
quello destro, non ci vedeva più ed un rivolo di sangue gli
scorreva sul viso.
Era ancora tramortito quando intravide, con l’unico occhio
sano, la farfalla.
Era piccola ed insignificante. Inaspettatamente riuscì ad
afferrarla con la
mano e la schiacciò, senza pensarci due volte, con rabbia.
Strinse il pugno con
odio.
“Assassino!”
gli urlò la
Terra, non preoccupandosi minimamente del sangue sul volto del Fuoco
“Come hai
potuto uccidere una creatura così meravigliosa e colorata?!
Sei senza cuore!”.
Kassihell
non disse nulla,
ancora confuso e piuttosto stanco. Serrò di nuovo le
palpebre e sentì una mano
sfiorargli il viso. L’Oscurità era davanti a lui e
gli sorrideva.
“So
cosa hai fatto” gli disse,
passandogli una mano sull’occhio ferito e dandogli un
po’ di sollievo “Grazie
da parte di tutti”.
“Tu
hai visto tutto? Sai cosa
ho fatto?” mormorò il Fuoco, a bassa voce.
“Sì.
E so di essere l’unica
del gruppo a poterlo fare. Immagino dipenda dal fatto che
ciò che hai usato è
un oggetto del Dio della mia gente, Kaos. Grazie”.
Kassihell
sorrise, vedendo
Efrehem vivo, anche se infreddolito, e tutto intero accanto ad Hanjuly.
Capì da
quello di aver fatto la cosa giusta.
“Vi
muovete o vi lasciamo lì?”
sbottò Mattehedike.
Fuoco
ed Oscurità
accelerarono, dopo aver dato una ripulita al viso di Kassihell. Non
aveva perso
l’occhio ma non era più in grado di vedere.
“Cosa
ti è successo?” domandò
Enki, spaventata.
“Niente…sarà
il freddo” tagliò
corto il Fuoco, imbacuccandosi più di prima, e dicendosi,
fra sé e sé, che era
un vero peccato che l’Acqua non ricordasse ciò che
aveva fatto.
†††
“Questo
regno sta iniziando ad
irritarmi al pari di quello dell’Acqua!”
sbottò Thuwey.
“Ti
lamenti sempre!” sbuffò
Enki “Guarda che non sei solo tu ad avere dei
problemi!”.
“Evidentemente
sono l’unico
che ha le palle per protestare…”.
“O
l’unico che ha energie da
sprecare!” sbottò Efrehem, sperando di far
smettere la discussione.
Camminavano
da giorni nella
tormenta. La neve, fitta e gelida, li colpiva in malo modo con il forte
vento
tagliente. Sirona, pallida e coperta dalle nubi, non li scaldava.
Avanzavano
lentamente, il più vicino possibile l’uno
all’altro, tentando di scaldarsi e
sostenersi.
“Come
và, Kassy?” saltellò
Reishefy, dando una poderosa pacca sulla spalla al Fuoco.
Questi
non rispose. Continuò a
camminare, ignorandola, ma all’Elettricità non
piaceva essere ignorata e
riprese il discorso.
“Sai…”
quasi urlò per essere
sicura che la ascoltasse “…tutto avvolto da
mantelli e coperte, hai un’aria
esotica molto affascinante. Sei proprio bello!”.
“Sono
proprio sposato” si
limitò a sibilare il Fuoco, accelerando il passo.
“Cosa
c’entra?! Mica gli
sposati diventano brutti!”.
Kassihell
sospirò, cercando
con sguardo supplichevole l’aiuto di qualcuno. Gli altri
sorrisero, quasi lieti
nel vedere che la ragazzina aveva trovato la sua vittima e si
concentrava su
quella.
“Ma
come cammini, Kassy? Dai
su…muoviti!” ridacchiò Reishefy.
Il
Fuoco si bloccò e la
guardò, minacciosamente. L’Elettricità
indietreggiò solo leggermente.
“Fai
paura…” commentò, prima
di ricominciare a ridere in modo scemo.
Gli
si attaccò al braccio e
Kassihell tentò di togliersela di dosso, imprecando e
minacciandola.
“Stai
lontana da me,
rompicoglioni!” le urlò, con i capelli tutti gonfi
per le scosse.
“Come
sei permaloso!” rise
Reishefy, andandogli di nuovo vicino.
“Io
so che fin ora non ti ho
mai calcolato particolarmente…” mormorò
il Fuoco, alzando gli occhi verso
Sirona “…ma se in questo istante facessi apparire
una motosega fra le mie mani,
te ne sarei immensamente grato!”.
“Che
cosa vuoi fare con una
motosega, Kassy?!” si stupì
l’Elettricità.
“Piantala
di chiamarmi
Kassy!”.
“Ma
cosa vuoi fare con una
motosega?”.
“Dimostrarti
tutto il mio
affetto…”.
“Con
una motosega? Che
creatura strana che sei. Abbracciami, se vuoi dimostrarmi il tuo
affetto!”.
“Ti
abbraccerei solamente se
avessi gli spuntoni metallici di Thuwey”.
Il
Metallo rise e la Roccia
propose un forte abbraccio fra scosse e spuntoni.
“…però
un bell’abbraccio
potresti darglielo. Povera piccola…”
ironizzò Mattehedike.
L’Elettricità,
non capendo la
falsità in quelle parole, sorrise tutta soddisfatta.
“Ma
abbracciala tu! È
insopportabile!” ringhiò il Fuoco.
Girò
lo sguardo verso
l’Oscurità, desideroso di nascondersi
dall’unica che non sembrava avere dei
problemi con lui, ma lei stava accanto all’Aria e
preferì evitare.
“Ti
sta bene” commentò Idisi
“Brutto assassino di farfalle!”.
“Per
quanto andrai avanti a
menarmela con sta storia della farfalla?! Ormai son passati diversi
giorni…era
solo una fottuta farfalla, mica tua figlia!”.
“Hai
la sensibilità di un
cactus!” ridacchiò Hanjuly.
“Questo
non è vero. Ma quella
farfalla…”.
“Era
una creatura vivente che
meritava di stare a questo mondo, esattamente come te!”.
Il
Fuoco, ripensando a quanto
aveva rinunciato per riportare in vita Efrehem e salvarlo da quella
farfalla,
rimase ferito da quelle parole. Sapeva che nessuno gli avrebbe creduto
anche se
avesse raccontato ciò che era successo e, comunque, quel
branco di ingrati non
lo meritava! Guardò il medaglione e decise che mai
più lo avrebbe usato per
loro. Accelerò, staccandosi dagli altri, sentendo il calore
del suo elemento
dentro di sé alimentato dalla rabbia. Solo l’idea
di dover passare altri mesi
lontano dalla sua famiglia per…cosa? Per cosa?
Si ritrovò a chiedersi.
Una stupida evocazione per uno stupido pianeta. Degli stupidi oggetti
da delle
stupide divinità. Era tutto così stupido! Troppo
stupido!! Tirò un poderoso
calcio ad un sasso, mandandolo lontano. Vide di essersi distanziato
dalla
compagnia ma non gli importò. Voleva solo tornare a casa,
dall’unica persona
che finora era stata in grado di capirlo per davvero e gli aveva dato
dei
figli. Pensò a quanta strada doveva percorrere per poterla
raggiungere…che gli
altri si arrangiassero! Lui la sua parte l’aveva fatta!
“Cosa
credi di fare?” sentì
tuonare una voce.
“Me
ne torno a casa!” sbottò
Kassihell, senza voltarsi.
“Ti
arrendi?”.
“NO!
Torno dove sono utile e
che crepino pure tutti quanti, uno dopo l’altro!”.
“Vuoi
la morte di tutti loro?
Davvero?” si unì una voce femminile.
Il
Fuoco si girò e sobbalzò.
Davanti a sé aveva Kaos, decisamente incazzato,
Heronìka ed il silenzioso
Enrikiran. I tre Dèi lo stavano fissando, con rimprovero.
“Ma
che volete?!” sibilò
Kassihell, dopo il primo momento di stupore.
“Non
possiamo permetterti di
gettare al vento tutta la missione per un tuo capriccio!”
rispose la Dea,
incrociando le braccia.
“Capriccio?!”
ringhiò il
Fuoco.
“Non
è un capriccio…capisco
perfettamente quello che provi!” iniziò Kaos,
prendendo sottobraccio il mortale
e fissandolo con i suoi grandi occhi azzurri “Capisco e,
credimi, farei lo
stesso. Ma…” si interruppe, allargando il suo
sorriso maligno ed inquietante
“…non rinuncerei mai alla possibilità
di vendicarmi! E so per certo che l’hai a
portata di mano…la vendetta intendo!”.
“Ti
riferisci ad Aherektess?”
domandò Kassihell, calmandosi solo leggermente.
“Precisamente.
Aspetta che la
missione finisca per…”.
“Kaos!
Che dici! Siamo qui per
convincerlo a proseguire, non fare una strage!” lo interruppe
Heronìka, nella
lingua degli Dèi.
“Ed
io lo sto spingendo a
proseguire, femmina! Hai forse un’idea migliore nella tua
testolina per
convincerlo?” rispose Kaos, sempre nello stesso linguaggio.
La
Dea dell’Acqua rimase in
silenzio, capendo che chi aveva di fronte non poteva essere di certo
spinto ad
andare avanti con i buoni sentimenti.
“Dentro
di lui non c’è solo
odio” disse, dopo un po’ “Ho visto come
ha salvato la piccola creatura della
Luce!”.
“Ma
in questo momento è l’odio
quello che prevale. Fidati di me…”.
La
Dea era piuttosto
inquietata all’idea che Kaos stesse dando dei consigli a quel
mortale, che non
pareva esserne spaventato. Sospirò. Aveva salvato la Luce e
quindi qualcosa
dentro di sé c’era di buono e quindi, sperava, non
doveva temere. Se lo ripeté
dentro di sé, anche quando notò il ghigno
malefico che provocò sul viso del
mortale il discorso di Kaos. La Dea guardò Enrikiran. Il Dio
girò solo
leggermente i suoi occhi di ghiaccio, mentre Kaos e Fuoco si
allontanavano.
“I
Signori di Est ed Ovest han
detto che ci deve essere un degno rappresentante per ogni elemento. Lui
rappresenta in pieno il suo elemento, il fuoco,
perciò…dobbiamo solo sperare
che rimandi la vendetta alla fine del viaggio”
parlò lui.
“Ma…come
puoi sperare che si
vendichi?! Lui non si deve vendicare! Lui…”.
“Non
sono affari nostri,
Heronìka. Ed è inutile tentare di convincerlo del
contrario. Rilassati. Lascia
che Kaos ci parli. Dopotutto lui è la divinità
più antica…”.
“Ma
è Kaos!”.
“Può
anche essere mia nonna!
In questo momento è l’unico che riesce ad entrare
in sintonia con quel mortale.
Lascia che ci pensi lui e…speriamo bene”.
La
Dea sospirò. Ghiaccio e
Acqua scomparvero in una nube bianca.
“Dunque,
dicevamo, ragazzo
mio…” riprese Kaos, tenendo una mano sulla spalla
di Kassihell.
“Ragazzo?!”
si accigliò il
Fuoco.
“Cosa
vuoi che siano trentasei
anni davanti all’eternità? Sei un ragazzino, con
tutta la vita davanti!
Dicevamo…hai una vendetta da compiere, giusto? Ed allora
aspetta e vedrai.
Torna da loro, porta a termine questo stupido ed inutile viaggio. Alla
fine di
tutto…avrai ciò che ti spetta!”.
“La
testa di Aherektess”.
“Bravo.
Ma perché non sei del
mio regno? Ti vorrei come mio Primo Sacerdote!”.
“La
vita religiosa non fa per
me…ma perché non posso vendicarmi subito e
tornare a casa?”.
“Avresti
tutti contro.
Compresi quelli del tuo regno per non aver portato a termine la
missione.
Aspettando, invece, il suo lieto esito, avrai gli altri otto fuori dai
piedi e
tornerai doppiamente vincitore al tuo impero, con il sangue ancora
caldo del
semi-piccione arancio fra le mani!”.
Il
Fuoco ghignò, soddisfatto.
“L’ho
sempre detto che sei un
grande, Kaos”.
“Davvero?”
lo fissò il Dio,
sospettoso.
“No…ma
ora lo penso davvero”.
“So
quanto sia difficile
viaggiare con quel tipo di compagnia. La ragazzina
dell’Elettricità è…come
dire…non trovo le parole per
definirla…”.
“Una
grandissima rompipalle!”.
“Mmm…può
andare. Ma avrei
usato termini meno eleganti”.
“Pure
io. Però ora sono troppo
stanco perfino per insultarla”.
“Ti
avrei fornito più che
volentieri la motosega…ma son stato
trattenuto…”.
“Non
importa. Sarei stato
trattenuto pure io dagli altri otto rompini. Forse Thuwey mi avrebbe
concesso
la soddisfazione di amputarla…”.
Il
Fuoco rabbrividiva, camminando
a fianco del grosso e fumoso Kaos, che gli sorrise.
“Il
regno successivo è vicino”
gli disse “Vedi? In terra già si intravedono
sprazzi d’erba. Certo…non sarà per
te una passeggiata nemmeno questo ma sono certo che, covando in te la
vendetta,
proseguirai senza troppi problemi”.
“Perché?
Che regno mi
aspetta?”.
“L’Aria”.
Kassihell
spalancò gli occhi,
mentre Kaos scompariva, scomposto in centinaia di corvi neri dagli
occhi
azzurri ed il sorrisetto malvagio. Non sentiva più il freddo
pungente ma capì
che da solo non avrebbe potuto mettere piede del regno rivale. Sopra di
sé
intravide una coppia di volatili colorati che si diressero verso la
vegetazione, che si faceva sempre più vicina. Ai piedi
piccoli fiori, arbusti e
fili d’erba sbucavano fra la neve.
“Siamo
arrivati!” urlò una
vocetta, fastidiosa e familiare, alle spalle del Fuoco.
L’Elettricità
lo raggiunse,
abbracciandolo.
“Lasciami!”
sbottò lui e lei
rimase aggrappata con più convinzione, dicendogli che non lo
avrebbe fatto
andar via di nuovo.
“Il
regno dell’Aria” mormorò
Efrehem, togliendosi il mantello.
Tutti
seguirono il suo
esempio, pronti a proseguire ad una temperatura più normale.
Aherektess
spalancò le braccia, sgranchendosele, e sfiorò la
chiave azzurra del palazzo
del Signore dell’Ovest. Era intrecciata e brillante, leggera.
“Ora
vi guido io” disse,
sorridendo soprattutto all’Oscurità “Ti
consiglio, Fuoco, di non farti troppo
notare. Sai quanto poco quelli come te vengano amati dalle mie
parti”.
“Farò
attenzione. Tanto, prima
o poi, ci dovrai passare tu fra quelli come me! Ed allora staremo a
vedere chi
dovrà stare attento a cosa”.
Il
gruppo si allarmò notando
il ghigno malvagio sul viso di Kassihell, ma nessuno osò
interferire. Dopo
quasi due mesi di gelo e neve bianca, il bosco dell’Aria, con
i suoi alberi
altissimi e sottili, li stava attendendo.
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Capitolo 7 *** VII- Aria ***
VII
Il
canto degli uccelli accolse
il gruppo con entusiasmo. I colori di quel regno erano spettacolari. I
fiori, i
piumaggi, la vegetazione ed ogni elemento che li circondava aveva tinte
sgargianti.
Sopra le loro teste, una famiglia di creature d’Aria
passò, volando. Aherektess
sorrise. Si sentiva di nuovo a casa. Incamminandosi lungo un elegante
sentiero
lastricato, guardavano tutti verso l’alto. Gli alberi,
sottilissimi, si
perdevano verso il cielo, con vari attorcigliamenti e giravolte.
Appollaiati su
di loro stavano diversi uccelli, dalle lunghissime code piumate, e vari
abitanti di quel regno. Kassihell cominciò a chiedersi se,
effettivamente, era
una buona idea per lui attraversare quel mondo. Aveva notato lo sguardo
minaccioso che gli stavano puntando contro tutti i nativi.
“Calmi.
Li sto portando a
palazzo. Sono sotto la mia custodia” rassicurò
Aherektess, nella lingua
dell’Aria, senza riuscire a calmarli del tutto.
“Oh,
ma come sono carini!”
urlò Reishefy, salutando con la mano.
La
popolazione si lanciò
sguardi interrogativi e volò via, volendo informare il loro
sovrano.
“Non
puoi proprio fare a meno
di provarci con tutti?” domandò Thuwey
all’Elettricità.
“Non
fare il bacchettone! Io
seguo il mio elemento e mi faccio guidare dalle passioni”.
“Questo
non significa fare ciò
che si vuole…”.
“Finiscila!”.
“Non
iniziate!” interruppe
Idisi.
“Il
luogo proibito del mio
regno è vicinissimo alla capitale, Bahram. Sarete miei
ospiti a palazzo” spiegò
Aherektess, incitando la compagnia a proseguire.
“Bello!
Sarà interessante
visitare un altro castello!” esclamò Enki.
“Bello?!
Ma sei sicuro che il
tuo fratellino ci voglia?” domandò Kassihell, per
niente d’accordo al pensiero
di essere ospite della famiglia sua diretta rivale.
“Anche
se a Zameknenit non
andrà a genio, decido io ed è meglio per lui non
interferire!”.
“Quanto
amore…tutto ciò che
circonda Aherektess è denso d’amore!”
ironizzò la Roccia.
“Prima
o dopo del luogo
proibito passeremo per il palazzo?” domandò
Efrehem.
“Dopo.
Così ci riposeremo e
saremo già più rilassati. Potrei far organizzare
una bella festa…”.
“Una
festa!!!! Sì!!!!” esultò
l’Elettricità.
“Una
festa per cosa?” domandò
Lehelin.
“Una
festa per me. Per noi. Ne
abbiamo bisogno!” rispose l’Aria.
L’idea
della festa
probabilmente donò una buona dose d’entusiasmo
alla compagnia, che partì a
passo spedito lungo il sentiero. Aherektess li rassicurò,
dicendo che poteva
scorgere chiaramente soldati ed arcieri del suo regno sulle cime degli
alberi.
“Ed
in che modo dovrebbe
questo farci stare meglio?” mormorò il Fuoco,
temendo per la sua incolumità e
guardando in alto, piuttosto agitato.
“Non
corriamo rischi. Se ci
dovesse attaccare qualche bestia feroce, loro sono pronti a difenderci.
Sicuramente un’idea di quell’iperprotettivo di
gemello che mi ritrovo. O del
suo consigliere lagnoso e catastrofico. Quei due mi rinchiuderebbero in
una
campana di vetro…”.
“Ma
mi sembra una buona idea
avere la scorta. Ci possiamo rilassare e non stare sempre
all’erta. Inoltre, lo
vedo come un gesto pieno di affetto nei tuoi confronti” disse
Idisi.
“Io
lo vedo come una totale
mancanza di fiducia…e desiderio smodato di controllo. Su di
me non ne hanno e
si vendicano così…”.
La
Terra non continuò e
sorrise. La Roccia avanzava sentendosi fortemente a disagio. Tutto
quello
spazio aperto lo inquietava, abituato com’era a grotte,
anfratti e mondi
sotterranei. Sopra la sua testa ora c’era solo il cielo e
qualche pianta.
Sirona stava tramontando ed il gruppo decise di riposare, sentendosi
protetti
da quei guardiani volanti. Ognuno a modo suo, tutti si addormentarono.
Perfino
Lehelin, probabilmente stancata dall’eccessiva luce fra la
neve.
“Quale
creatura cinguetta in
questo modo così meraviglioso?” domandò
Hanjuly, ad occhi chiusi ed ascoltando
quella melodia regolare.
L’alba
era trascorsa da poco e
la compagnia fu svegliata da quel suono.
“Cinguetta?!”
si stupì il
principe di quel regno.
“Sì.
Non senti questo
trillo?”.
“Ovvio!
Ma è un canto, non un
cinguettio!”.
Pareva
quasi offeso a quelle
parole ma non disse altro. Sospirò e guardò verso
l’alto. Erano le creature
dell’Aria, come lui, ad intonare quello strano sottofondo.
“È
bellissimo!” sorrise Enki.
“Sì,
davvero meraviglioso” si
aggiunse Idisi.
“Mai
sentito nulla di più bello…”
si unì Reishefy.
“A
me sembra solo un grido di
agonia…” sbottò Thuwey.
“…di
un uccello in procinto di
schiattare!” concluse Kassihell.
“In
effetti…non la definirei
proprio una melodia questa accozzaglia di suoni!”
concordò Efrehem.
“Se
la smettessero mi
farebbero un grosso favore” protestò Mattehedike.
“Siete
i soliti, voi maschi.
Non apprezzate l’arte!” commentò Hanjuly.
“Mi
stupisco davvero che non
apprezzino tutto questo. È un così bel
suono…” le disse Idisi.
“Ed
io invece mi stupisco che
questo canto piaccia anche a voi…”
borbottò Aherektess.
Cinguettando,
le creature
dell’Aria non seguivano una sola melodia. Efrehem
notò che erano tutti maschi
quelli che cantavano, mentre le femmine stavano in ascolto, in
disparte. L’Aria
incitò il gruppo a proseguire, quasi trascinando Ghiaccio ed
Elettricità che
erano rimaste come imbambolate a guardare gli interpreti di quello
spettacolo
musicale.
“Uccellini
canterini…” sibilò
Kassihell, iniziando ad odiare quello sfondo pieno di trilli.
“Ma…cosa
stanno facendo?”
domandò la Luce ad Aherektess.
“Non
potevamo scegliere
momento peggiore per passare da queste parti…”
rispose l’Aria, girando le
orecchie a punta.
“Ordinagli
di fare silenzio!”
suggerì il Metallo.
“Quanto
sei drastico…”
commentò Lehelin, a fianco della creatura piumata del gruppo.
“Sì”
concordò l’Aria, ma il
suo “sì” fu una specie di sibilo
melodico, un vago cinguettio.
Subito
si tappò la bocca,
accigliandosi, ed accelerando. Mattehedike sollevò di peso
Reishefy, che non
voleva muoversi. Thuwey spinse Hanjuly ed Enki, rimbambite da quei
suoni. Idisi
si era ripresa, anche se continuava a sorridere come vittima di un
sortilegio,
ipnotizzata.
“Pensavo
fossero quelli
dell’Oscurità gli incantatori…guarda
che stanno combinando alle ragazze questi
canarini fuori misura!” ringhiò Thuwey,
trascinando il Ghiaccio.
“Credo
sia una sorta di canto
di corteggiamento. Per questo a noi maschi non fa alcun
effetto…” azzardò
Efrehem, non riuscendo a trovare altra spiegazione.
“Ci
mancava solo questa!
Tappatevi le orecchie e proseguite, avanti, ragazze!”
sbottò Kassihell,
minacciando Enki con la Katana.
“Non
sarà mica tutto il regno
così, vero Aherektess?” volle sapere Mattehedike,
con Reishefy che si dimenava
fra le sue braccia per venire liberata e potersi buttare addosso a
qualche bel
piumato.
“No.
Queste cose vanno a zone
e durano poco…chiedo scusa. È piuttosto
imprevedibile…” iniziò l’Aria
ma si
fermò, rendendosi conto che stava trillando ad ogni parola.
“Mi
serve una donna…” sospirò,
avanzando a passo rapido ad occhi chiusi e con le mani sulle orecchie
per non
farsi coinvolgere dai duetti che si stavano creando.
Quando
le donne iniziarono a
cantare, quasi tutto il gruppo perse il controllo. La voce dolcissima
delle
femmine immobilizzò e distrusse le poche convinzioni dei
maschi della
compagnia. Mattehedike lasciò cadere in terra, in malo modo,
l’Elettricità.
Thuwey mollò il braccio del Ghiaccio e sul suo volto
spuntò un sorriso idiota.
Kassihell fu solo vagamente stuzzicato da quei suoni, tenendo la mente
concentrata sulla moglie.
“Andiamo
avanti!” ordinò, ma
capì di non avere speranze quando vide la Luce zompare
felice, canticchiando
cretinate.
“Un
cerbiatto rincoglionito…”
commentò il Fuoco.
“Che
bella la primavera!” gli
rispose Efrehem.
“Non
è primavera! Muovi il culo
lungo il sentiero e smettila di fare il pirla!”
ringhiò Kassihell, puntando il
dito verso la direzione che avrebbe dovuto prendere il gruppo.
Subito
lasciò cadere il
braccio, notando che la lucidità aveva abbandonato tutti.
Solo la Terra
sembrava controllarsi, più o meno, e l’Aria si
sforzava in ogni modo di
proseguire lungo la via, Oscurità al fianco.
“Sei
pirla e quattro
sfigati…sarebbe un bel titolo per un romanzo”
ironizzò il Fuoco, raggiungendo
Idisi, Aherektess e Lehelin con un sospiro.
“Perché
noi non veniamo
coinvolti da tutto questo?” domandò alla Terra.
“Io
e te siamo sposati” spiegò
lei.
“Ed
io non lo so…ma non mi
interessa particolarmente…” aggiunse
l’Oscurità, fissando con preoccupazione
l’Aria.
Il
principe di quel regno
teneva le mani premute sulle orecchie, sforzandosi di camminare.
“Inutile
che prosegui, piccion
arancio. Quelli che mancano non ci stanno seguendo
più!” gli fece notare
Kassihell.
Gli
altri della compagnia,
infatti, si erano uniti ai canti e guardavano con interesse i
rappresentanti
dell’altro sesso che si esibivano. Così facendo,
poterono mostrarsi come le
creature più stonate che mai erano passate per quel regno.
“Cosa
facciamo?” si preoccupò
Idisi, udendo il terrificante assolo del Metallo.
“Non
dura a lungo…aspettiamo!”
rispose Lehelin, rabbrividendo alla voce della Roccia.
“Sempre
aspettare…che
rottura!” sbuffò il Fuoco.
Aherektess
si era
accovacciato, avvolgendosi nelle piume pur di non sentire.
L’Oscurità, non
capendone il comportamento, si insinuò fra quelle piume.
“Tutti
gli altri sono fra
loro, a cantare e saltellare. Vai con loro! Cosa risolvi e startene qui
a
soffrire? Unisciti al coro, sfogati, e poi
proseguiremo…”.
Lei
gli parlava, ma si accorse
subito che lui non la stava ascoltando. Non aveva più le
mani sulle orecchie a
punta e la fissava, con grandi occhi tondi. Il loro rosso brillava come
non
mai, assieme alle pupille sferiche e sognanti.
“Che
hai?!” si stupì Lehelin.
Aherektess
non rispose ma
iniziò a cantare, guardandola.
L’Oscurità protestò per un
po’ ma poi tacque,
rapita da quella voce e da quella melodia.
“Mi
sa che si son appena
creati altri due pirla…” sbottò
Kassihell, andando a sedersi sotto un albero ed
invitando Idisi a fare altrettanto.
Hanjuly
era circondata da
volanti canterini, che la corteggiavano. Ma lei sorrideva senza farsi
convincere, cantando rivolta al cielo. Efrehem la guardava, sospirando.
Perché
solo in quel momento si era accorto di quanto bella fosse? Non aveva,
però, il
coraggio di avvicinarsi. La vedeva, circondata da così bei
ragazzi, e sapeva di
non avere speranze con una donna del genere. Thuwey, rincorrendo e
facendosi
rincorrere da un piccolo gruppo di ragazze, era quello che si divertiva
di più.
Reishefy saltellava dietro a tutti quelli che gli passavano accanto,
maschio o
femmina non faceva differenza, come ubriaca e completamente priva di
cervello.
Mattehedike teneva sulle ginocchia una bella donna e le stava
raccontando di
sé, esaltandosi. Enki, arrossendo, aveva un giovane piumato
di colore blu
accanto. Le stava cantando una bella canzone, con un grande fiore fra
le mani.
Scoppiarono a ridere all’unisono e Kassihell ruotò
gli occhi al cielo. Con le
braccia incrociate, sbuffava in attesa di poter proseguire. Idisi, al
contrario, era di buon umore.
“Siamo
stati innamorati anche
noi…” commentò.
“Quelli
non sono innamorati.
Son solo in calore, come le bestie!” ringhiò il
Fuoco.
“A
me quei due sembrano un po’
più che in calore…” continuò
la Terra, guardando verso Aria ed Oscurità,
rimasti dietro di loro.
“Mmm…”
mugugnò Kassihell, girando
la testa “…forse sì, quei due non sono
solo in calore. Andiamo a mangiare, che
è meglio…”.
Aherektess
aveva continuato a
cantare, senza mai staccare gli occhi da Lehelin. Lei trovò
quella voce
stupenda e non volle interromperlo, neppure quando la prese per mano,
incitandola a far sentire la voce. Lei scosse la testa, fissandolo con
aria
sognante.
“Io…Aria,
io…” balbettò.
“Aherektess.
Io sono
Aherektess…chiamami così! Chiamami Arek, ti
prego”.
“Aherektess
io…devo dirti una
cosa…”.
“Non
adesso…”.
Prese
il volto dell’Oscurità
fra le mani e si chinò per darle un bacio. Lei,
però, si scansò.
“Cosa
c’è?” le mormorò lui.
“È
sbagliato. È tutto
sbagliato! Scusa…”.
“Non
c’è niente di sbagliato.
Perché dici questo?”.
“Perché…io…”.
Un
grido altissimo sovrastò ogni
canto. Un’enorme creatura si stava avvicinando velocemente,
in picchiata, verso
il gruppo.
“Pericolo!
Al riparo!” urlò
qualcuno e fu il panico.
Tutti
si sparpagliarono,
cercando la salvezza fra i cespugli e le rientranze del terreno. La
bestia, un
uccello immenso, scese in picchiata fra la gente che correva e
portò via una
creatura alata fra gli artigli. Sparì
all’orizzonte. L’Elettricità,
ovviamente,
fu la prima a fare capolino.
“Siamo
salvi?” domandò Enki,
spaventata.
“Per
ora sì…ma è meglio
proseguire” rispose Aherektess, notando che
l’intera compagnia era tornata in
sé ed era pronta a ripartire.
“Peccato…era
da tanto che non
mi divertivo così!” protestò Thuwey.
I
dieci ripresero la marcia,
ridendo. Kassihell fece notare quanto tempo avevano perso ma fu subito
zittito,
sentendosi dire che non sapeva divertirsi. Efrehem continuò
a guardare Hanjuly,
attento a non farsi scoprire, sospirando. L’Aria
guardò l’Oscurità, che non
ricambiò lo sguardo ma accelerò il passo,
ripetendo a tutti che l’ora di pranzo
era passata da un pezzo.
†††
Nei
giorni successivi, non
avvennero altri incontri spiacevoli o inconvenienti. Il tempo era bello
e
soffiava solo una lieve brezza. Questo rendeva il gruppo
particolarmente di
buon umore. Di certo l’entusiasmo non si smorzò
quando si intravidero gli
edifici che circondavano la capitale, segno che era vicino il luogo
proibito e,
soprattutto, la festa successiva! L’Elettricità
era raggiante.
“Ci
sarà qualche bel
maschietto alla festa? Non so voi, ma io sto iniziando a sentirmi sola
dopo
tutto questo tempo!” domandò Reishefy.
“Quanti
ne vuoi” si limitò a
rispondere Aherektess, preoccupato dall’atteggiamento di
Lehelin.
L’arco
spezzato dell’antico
ingresso della città li accolse, svettando verso Sirona. Lo
attraversarono,
sempre meravigliati dalla strana architettura di quel regno. La
capitale, si
poteva vedere in lontananza, sorgeva in verticale lungo scalinate,
arcate,
pietre sospese e cupole in vetro.
“Per
di qua. Siamo vicini”
disse l’Aria, guidandoli verso il luogo proibito.
Lo
indicò e tutti rimasero
piuttosto perplessi da ciò che videro. Un altissimo
cilindro, di materiale
incerto, era apparso. Di colore azzurro, quasi mimetizzato con il
cielo, si
materializzò dal nulla.
“Fa
sempre così?” domandò il
Fuoco “Appare quando gli pare?”.
“Da
quel che mi risulta, sì…”.
“E…a
chi tocca stavolta?”
saltellò Reishefy.
“Non
ha aperture…” iniziò
Mattehedike.
“Confermo!
Nemmeno dall’alto”
aggiunse Aherektess.
“Allora
o ci si passa
attraverso o per sotto…mi sembra fatto di
metallo…” parlò Thuwey.
“Ce
la giochiamo a
sasso-carta-forbici?” propose la Roccia.
“Ci
sto!” ridacchiò il
Metallo.
Il
Fuoco scosse il capo,
rimproverandoli per quanto poco seriamente prendessero la cosa.
“Ho
vinto!” esclamò
Mattehedike, mostrando il pugno a “sasso”.
“Sarà
per la prossima volta!”
sibilò l’avversario, mostrando le dita a
“forbice”.
“Era
scontato…” sbadigliò
Hanjuly “…è dall’inizio del
viaggio che tu, Roccia, fai sempre il sasso. Tu,
Thuwey, scegli sempre le forbici ed infine Efrehem non è mai
altro che carta…”.
“Davvero?!”
si stupì il
Metallo.
I
tre presi in causa
ripeterono il gioco ed, effettivamente, si accorsero che era come stava
dicendo
il Ghiaccio. Sorrisero, ancora di buon umore per i canti
all’inizio del
viaggio, e fecero segno alla Roccia di avanzare verso la sua meta.
“E
ricordati di salutare il
Dio dell’Aria da parte di suo fratello Enrikiran!”
aggiunse la Luce.
Mattehedike
ghignò, mentre si
lasciava inghiottire dal terreno sottostante per poi ricomparire
all’interno
del cilindro turchino.
“Direi
che ora è il caso che
io e te ci facciamo una bella chiacchierata…non
trovi?” iniziò l’Aria, rivolto
all’Oscurità.
“Assolutamente”
concordò lei,
mentre il resto della compagnia si preparava a restare fuori dalla zona
proibita fino al ritorno della Roccia.
†††
L’interno
del cilindro era più
stretto di quanto non si fosse aspettato. Si sentì subito
meglio, quasi
rincuorato da quell’esiguo spazio chiuso. Guardò
in alto. Era chiuso, senza via
d’uscita. Ma l’oggetto proibito dove stava? E la
divinità ad esso collegata?
Mattehedike si stupì della cosa ma non più di
tanto, stupirlo era difficile. Si
appoggiò sul cilindro, incrociando le braccia, ed attese.
“C’è
nessuno?” disse, dopo un
po’.
Forse
il Dio dell’Aria non lo
aveva notato…oppure lo stava volutamente ignorando!
Già stufo e desideroso di
cambiare le monotona vista dell’azzurro che lo circondava, il
rappresentante
della Roccia sbuffò, pronto ad andarsene e, forse, tornare
più tardi. Stava già
affondando i piedi nel terreno, quando vide il cilindro aprirsi sulla
sommità
ed una figuretta rimanervi appollaiata sulla cima.
“Sei
tu il Dio dell’Aria?” lo
apostrofò la Roccia, giudicandolo piuttosto giovane.
“Sì,
sono io” rispose l’altro,
senza scendere.
“Sei
in ritardo” continuò il
mortale, con voce calma.
“Lo
sono sempre”.
Il
Dio scese, lentamente,
sorretto da correnti d’aria che lui stesso comandava. Con un
gesto della mano,
espanse la superficie del cilindro che scomparve agli occhi del resto
della
compagnia, rimasta al di fuori. Soddisfatto, si appoggiò
sulla parete azzurra e
fissò l’intruso. Mattehedike, pur non essendo
molto alto, superava di mezza
spanna la divinità che aveva davanti.
“Io
sono Loreatehenzi” si
presentò il Dio.
“Ti
saluta tuo fratello…” si
limitò a dire la Roccia.
“Enrikiran?
Che gentile…”.
Loreatehenzi
era molto magro,
con una grossa testa piena di capelli. Li teneva raccolti in una lunga
coda e
fissava il mortale con grandi occhi scuri. Vestiva di nero e blu, con
un
mantello che rimaneva sospeso a mezz’aria.
“Immagino
tu sia qui per
l’oggetto proibito…” parlottò
distrattamente.
“Esatto.
Che devo fare per
poterlo avere?”.
“Non
lo so. Non ci ho
pensato…”.
“Arrivi
tardi e nemmeno sai
cosa farmi fare?”.
“Con
chi credi di avere a che
fare, bello? Li conosco quelli come te…dovrò
escogitare qualcosa. Anche perché
non ho tempo da perdere per poterti apparire di nuovo!”.
“Chissà
quante cosa avrai da
fare…” ironizzò la Roccia.
“Nemmeno
immagini…” sibilò il
Dio.
“Beh,
muoviti ad inventarti
qualcosa! Il resto della compagnia è qua fuori e mi
aspetta!”.
“Potrei
anche consegnartelo
così…ma non mi và! Mi voglio
divertire…specie con un sassolino pesante come
te”.
“Perché
mi offendi?”.
“Perché
non dovrei?”.
Rimasero
in silenzio,
osservandosi, a lungo. La divinità aveva sciolto i capelli e
li lasciava
fluttuare liberamente, accarezzandosi il pizzetto con fare meditabondo.
Stava
escogitando un sistema per divertirsi con quell’intruso. La
Roccia sbuffava, a
braccia incrociate, davanti a quello che considerava un ragazzino.
“Tu
soffri di vertigini?”
domandò, ad un tratto, Loreatehenzi.
“Un
pochino…” ammise
Mattehedike.
Il
Dio ghignò, soddisfatto da
quella risposta. Lasciò stare la barba e, sollevando la
mano, staccò da terra
il mortale. La Roccia si irrigidì ed aumentò la
percentuale del suo elemento
sul corpo, prevenendo un’eventuale caduta.
“Dato
che sei stato piuttosto
antipatico con me…” iniziò la
divinità “…ora ti proporrò
una sfida piuttosto
antipatica, dal tuo punto di vista”.
Assieme,
rimasero sospesi a
diversi metri da terra. Mattehedike tentava di stare calmo.
“D’ora
in poi, mortale, fino
alla fine di questo gioco, potrai volare. La sfida sarà
quella di prendermi e
sconfiggermi. Costringermi ad atterrare. A te la scelta sul come fare
ed altri
dettagli. Fa come ti pare. Io non uscirò dal cilindro.
Stupiscimi…”.
“Tutto
qui? La sfida è che io
ti prenda?” si stupì la Roccia.
“Provaci!”
lo provocò
Loreatehenzi, sfrecciando verso l’alto dopo una piroetta.
Mattehedike
lo fissò e tentò
di raggiungerlo, muovendo i piedi d’istinto. Subito si
accorse che, sotto di
sé, non c’era nulla. Si impose di non guardare in
basso. Il Dio, divertito nel
vederlo immobile ad occhi socchiusi, svolazzo sotto di lui,
costringendolo a
rendersi conto di quanto in alto fosse. Il mortale trattenne un grido.
Non
riusciva a muoversi.
“Senti…qualcosa
devi fare, se
vuoi uscire da qui” gli disse Loreatehenzi, notando
l’immobilità dello sfidante
“Perciò ti consiglio di non pensare troppo a dove
sei, ma a come prendermi. Non
cadi…se ti spiaccichi poi mi tocca pulire”.
“Se
mi spiaccico?!”.
“NON
ti spiaccichi!
Avanti…muoviti! Sono qui! Che c’è? Hai
tanta paura?”.
Il
Dio tentava di provocarlo,
volandogli molto vicino e deridendolo, ma il rappresentante della
Roccia non si
muoveva.
“Sei
un vigliacco…non hai
nemmeno il coraggio di affrontare un cosino piccino come
me…”.
“Non
sono un vigliacco…ma
soffro di vertigini!”.
“Sei
uno sfigato. Prima il mal
di mare, adesso le vertigini…tutti noi Dèi ci
stiamo facendo grosse risate
guardandoti. Sei ridicolo. Ridicolo ed inutile. E pure
esaltato!”.
Mattehedike
si sentì punto
nell’orgoglio e scattò in avanti con le braccia,
sfiorando le grosse scarpe del
Dio, che lo schivò agilmente fra le risate.
“Moscerino
fastidioso…io ti
schiaccio, se ti riesco a prendere!” ringhiò.
“Lo
vedi? È proprio questo il
tuo problema! Sei un esaltato. Sei convinto di essere il migliore fra
tutti gli
altri dieci, il più forte, il più coraggioso,
quello che si è fatto da solo,
l’invincibile!”.
“Correggimi
se sbaglio…”.
“Ma
è ovvio che ti correggo!
Non credo certo di essere inferiore ad un ammasso di ghiaia!”.
“Ghiaia?!”.
Loreatehenzi
rise e volò più
in alto, mentre la Roccia inveiva contro il cielo.
“Lo
sai che la divinità che
rappresenta il tuo elemento ha le ali?” riprese il Dio
“Come puoi tu soffrire
di vertigini?”.
“Perché,
come dici tu, io sono
un sasso. Ed i sassi son fatti per stare in terra!”.
“No,
se li lanci per aria!”
ghignò Loreatehenzi e mosse la mano di scatto, sollevandola.
La
Roccia si sentì catapultare
verso l’alto, a velocità folle, per poi fermarsi
di colpo e precipitare giù. Si
fermò a pochi centimetri dal suolo, sudando freddo ed
urlando.
“Ora
sai cosa prova un sasso
quando gli dai un calcetto…” commentò
Loreatehenzi.
Il
mortale iniziò a dimenarsi,
come nuotando, per poter mettere i piedi a terra, ma il Dio lo
ricacciò per
aria, con soddisfazione.
“Ma
che cos’è che vuoi?”
gemette la Roccia.
“Voglio
che tu mi prenda!”.
“E
come faccio?!”.
“Se
non ce la farai, avrai
perso e l’oggetto proibito rimarrà qui con
me!”.
Mattehedike
si pentì
amaramente di aver vinto la sfida contro il Metallo e di essere entrato
in quel
luogo. Avrebbe dovuto lasciare a Thuwey il dannato cilindro
dell’Aria! Ma aveva
voluto imbrogliare, sapendo di vincere, ed ora era lì,
lanciato come una biglia
fra le mani di un bambino dai capelli al vento.
“Ti
diverti?” urlò,
all’ennesimo lancio di Loreatehenzi.
“Sì!”
fu la risposta.
Quello
strano gioco continuò e
si ripeté parecchie volte, fino a quando il Dio lo rimise in
terra.
“Mi
sono stancato…” disse,
rimanendo sospeso a pochi centimetri dalla Roccia.
Questi
si alzò, lieto di avere
di nuovo una base solida sotto di sé e grugnì.
Aveva compreso tutte le
difficoltà che il resto del gruppo aveva passato e stava
passando. Aveva chiare
davanti a sé tutte le sue debolezze e le sue paure. Aveva
capito che chi aveva
di fronte, pur sembrando più giovane di lui, era un Dio
molto potente che
avrebbe potuto ucciderlo in qualunque momento. Aveva sottovalutato
quell’elemento ed ora era lì, in attesa di un
verdetto finale che, presumeva,
prevedeva la cacciata dal cilindro fra le risa. Aveva…torto!
Loreatehenzi, in
effetti, rise ma non lo caccio. Lo guardò con tenerezza,
quasi paterna, che
poco si addiceva a quel viso giovane.
“Hai
capito ciò che volevo
mostrarti?” domandò la divinità.
“Ma
perché proprio a me?
Perché non agli altri?”.
“Perché
sei stato tu quello
che è entrato nella mia zona proibita. Fosse stato qualcun
altro, avrei
tormentato qualcun altro! Vedrai…verrà anche il
loro turno! Avete tutti una
lezione da imparare in questo viaggio e, pian piano, ci arriverete
tutti!”.
“Anche
l’Elettricità?”.
“Beh…capisco
che siamo Dèi e
facciamo i miracoli ma…”.
“Capisco…e
ora che faccio?”.
“Non
perdiamo la speranza!
E…in che senso "ora che faccio"?”.
“Non
ho superato la prova e…”.
“Non
l’avresti superata se
avessi continuato ad inveire contro di me ed il mondo, invece che
concentrarti
un po’ su ciò che puoi migliorare di te
stesso”.
“No…per
me non ti divertivi
più e mi lasci andare per quello…non hai
l’aria di uno che ama questi giochetti
psicologici!”.
“Hai
ragione. Ed è tutta colpa
di mio fratello!”.
“Enrikiran?”.
“No!
L’altro mio fratello!
Fortunatamente non lo incrocerete lungo il vostro
cammino…non è un Dio completo
come me ed il Ghiaccio. Non è passato al livello successivo
ed il suo unico
scopo è dare fastidio. Non preoccuparti…con voi
non avrà niente a che fare!”.
“Anche
perché di rompiballe ne
abbiamo già troppi nel gruppo…”.
Loreatehenzi
sorrise ed alzò
le braccia al cielo. La Roccia serrò le palpebre,
aspettandosi un ulteriore
sollevamento da terra. Non accadde e, dall’alto, veloce come
una scheggia,
scese una sorta di piccolo pugnale. Il Dio lo afferrò fra le
dita e lo porse al
mortale, ancora agitato. Mattehedike, non abituato ad avere armi fra le
mani,
lo fissò incuriosito. Era di pregevole fattura, con intarsi
ed incisioni
intrecciate su tutta la lama e l’impugnatura. Era affilato
anche se con la
punta arrotondata.
“Questo
è l’oggetto proibito”
spiegò la divinità “Saprai quando
sarà il momento di usarlo e come. Trattalo
con cura e vedi di non perderlo. Vedo un grande futuro avanti a te e
non vorrei
che gettassi tutto alle ortiche per distrazione o attacchi
d’esaltazione
improvvisa”.
“Un
grande futuro? Per un
coltellino?”.
“Non
è un coltellino! È un
oggetto magico e lo dovrai trattare come si deve, altrimenti
verrò da te e ti
scaraventerò di nuovo per aria, intesi?”.
“Ma
io non sono bravo nell’uso
degli oggetti magici!”.
“Ti
ho appena detto che saprai
quando e come usarlo. Per ora tienilo bene e sempre con te”.
La
Roccia annuì, trovandogli
un posto nella sua sacca ed avvolgendolo nel mantello che aveva riposto
uscendo
dal regno del Ghiaccio.
“Molto
bene” commentò il Dio
“Ed ora puoi andare. Vedi di non raccontare troppe frottole
agli altri della
compagnia…mi offenderei!”.
Per
la prima volta, la
divinità poggiò i piedi in terra e, con un
poderoso colpo “spalla a spalla”,
buttò fuori il mortale dalla sua zona proibita, che
riapparve dal nulla nel
mondo di Asteria.
†††
“Mi
stai evitando!” esclamò
Aherektess.
“Non
è vero!” rispose
l’Oscurità.
“Sì
che è vero! Da quando
siamo entrati nel mio regno, non fai altro che evitarmi!”.
“Se
tu facessi silenzio un
attimo, potrei spiegarti che…”.
“Non
c’è niente da spiegare!
Tu dici che è sbagliato tutto questo, perché
siamo creature di specie diverse e
ti capisco, la paura può nascere all’inizio, ma va
tutto bene! A me non importa
che tu sia una creatura dell’Oscurità, come spero
che a te non importi che io
sia una creatura dell’Aria. Ti dà problemi che io
lo sia?”.
“No,
ma…”.
“Bene!
Allora non c’è proprio
nessun problema! Da quando mi hai salvato, su quella
spiaggia…”.
“Non
ti ho salvato! Ti ho
semplicemente trovato, e comunque…”.
“…da
quando mi hai trovato su
quella spiaggia, ho capito che non potevo chiedere di meglio. Mi sono
sentito
protetto, accolto ed amato ma non come vogliono farmi sentire mio
fratello ed i
suoi seguaci! Non c’erano costrizioni in ciò che
mi trasmettevi, non c’erano
obblighi! E mi sono sentito così bene da non poter chiedere
altro! L’ho capito
quando ho iniziato a cantare…non vorrei mai cantare per
nessun’altra se non per
te!”.
“Questo
è molto bello, però…”.
“C’è
forse un altro uomo nella
tua vita? È questo ciò che stai tentando di
dirmi?”.
“No,
ma…”.
“Hai,
forse, problemi su come
io sono? Non ti piaccio?”.
“Non
è questo il problema…”.
“Allora
ti piaccio?”.
“Sì,
ma…”.
“Allora
è tutto perfetto! Ah,
che bella notizia che mi hai appena dato! Se non hai un altro uomo e se
io ti
vado bene, allora il problema non può essere così
grosso!”.
“Se
tu mi lasciassi
spiegare…”.
“Stai
tentando di dirmi che
non vuoi stare con me? Perché accetterei la tua decisione,
se fosse quella.
Però cerca di dirmelo con un po’ di tatto, per
favore…”.
“Non
è quello che sto tentando
di dirti e…”.
“Meno
male! Lehelin, non sai
quanto io sia stato spaventato, all’inizio, dai sentimenti
che incominciavo a provare!
Ho pensato al fatto che siamo così diversi, cosa
penserà la gente, il popolo, i
parenti…a come avremmo potuto essere capiti e se tu saresti
stata in grado di
capire…ma poi mi è stato tutto chiaro! Non mi
è importato più dei pareri degli
altri e, ora che mi hai detto che anche tu provi qualcosa per me, sono
pronto a
fare qualsiasi cosa per noi. Sempre che tu possa provare per davvero
dei
sentimenti nei miei confronti…”.
“Li
provo ma, Arek, non è
questo il punto! Ciò che sto cercando di dirti…e
non so davvero come fare,
credimi è…”.
“È
una cosa tanto brutta?”.
“Abbastanza…devo
trovare le
parole giuste per…”.
L’Oscurità
girò gli occhi in
ogni direzione, desiderosa di potersi esprimere come desiderava. Prese
un bel
respiro e, tenendo le mani di Aherektess, lo guardò negli
occhi, pronta a
spiegargli ogni cosa. Lui rizzò le orecchie, spaventato ma
anche piuttosto
curioso. Cosa mai aveva di così spaventoso da dirgli? Non
poteva essere niente
di grave, dopotutto…
Lei
aprì la bocca e l’Aria la
tirò a sé, evitando che il rappresentante della
Roccia le piombasse addosso una
volta uscito dal luogo proibito.
†††
Rialzandosi
in fretta, la
Roccia domandò perdono per l’interruzione. Gli
altri membri del gruppo,
riconoscendo la sua voce, gli andarono incontro con un sorriso.
“Mattehedike!
Com’è andata?”
domandò il Ghiaccio.
“Bene.
Possiamo proseguire!”.
“Devi
raccontare tutti i
dettagli!” incalzò Efrehem.
“Un
po’ alla volta. Ora
andiamo…sbaglio o il principino ci ha promesso una
festa?”.
“L’ho
promessa e l’avrete. Andiamo
verso il palazzo. Dovremmo giusto arrivare per cena!”
confermò Aherektess,
senza lasciare la mano dell’Oscurità
“Rimandiamo a più tardi, ok?” le disse,
dolcemente “Quando saremo tranquilli a casa”.
Lei
non poté far a meno di
annuire, mentre la compagnia ripartiva il suo viaggio.
Iniziarono
il cammino per la
capitale, con occhi spalancati per la meraviglia. Le architetture di
quel luogo
erano complesse e la Luce non poteva fare a meno di chiedersi come
fossero
riusciti a costruire simili cupole in vetro ed archi sospesi, lasciando
più
spazio possibile al cielo. Le strade erano pulite e bardate a festa.
Videro un
paio di creature di quel regno che toglievano dei festoni rovinati per
metterne
altri, coloratissimi e nuovi.
“Che
festeggiano?” si
entusiasmò Reishefy.
“Festeggiano
noi” spiegò
Aherektess.
“E
gli striscioni che c’erano
prima? Per chi erano?”.
“Per
me…per il mio
matrimonio”.
“Ma
tu non sei sposato!”.
L’Aria
non disse nulla. Si
vedeva che era di pessimo umore a parlare di quell’argomento
e tentò di
allontanarsi dall’Elettricità.
“Se
non sei sposato, gli
striscioni a che servivano?”.
“Ma
possibile che sei davvero
così stupida?!” sbottò Thuwey
“Evidentemente è successo qualcosa che non lo ha
fatto sposare! Chiudi la bocca!”.
“Ah!
Sei scappato all’altare?
Hai capito di non amarla?” continuò la ragazzina.
“Al
contrario! Io amavo Miya
più di me stesso…”.
“E
allora cosa è successo? Ti
va di raccontarcelo?” si aggiunse Enki.
“Dicono
che parlare faccia
bene…e per quando saremo giunti al palazzo dovrei aver
finito la storia”.
Aherektess
decise di
raccontare tutto, dopo un sospiro, ignorando gli sguardi di supplica di
Fuoco e
Metallo.
“Era
una bella giornata senza
nuvole…” iniziò l’Aria.
†††
Come
ogni anno, a Bahram erano
arrivate le giostre, la fiera. Aherektess si era appena risvegliato dal
coma,
da pochi mesi, ed il fratello gli aveva impedito di poterci andare. Lo
giudicava ancora troppo debole per poter affrontare il mondo esterno.
Inoltre,
Zameknenit temeva un attacco nemico in quei giorni e non poteva
rischiare che
il gemello si ritrovasse nel mezzo. Nessuno nel regno sapeva del suo
risveglio,
per permettergli di recuperare le forze. Il nuovo re di quel mondo
sapeva bene
che Ozymandias aveva messo gli occhi sul reame, essendo consapevole di
quanto delicato
fosse il passaggio di corona fra padre e figlio, specie dopo la morte
improvvisa del sovrano. Il genitore di Aherektess e Zameknenit era
morto in
battaglia, in circostanze ancora poco chiare, contro
l’Oscurità ed il Fuoco. La
guerra era stata mossa dal Fuoco, l’Aria aveva risposto ed
Ozymandias aveva
fiutato l’opportunità di seminar zizzania e
ricavarne qualche cosa. Alla morte
del padre, Aherektess era ancora in coma e la corona era passata nelle
mani del
gemello. La prima cosa che fece il nuovo sovrano fu far cessare la
guerra. Si
arrese ma il suo regno era sufficientemente ricco per accontentare i
vincitori
almeno per un po’. Da parte del Fuoco sapeva ci sarebbero
stati altri scontri
ma erano più semplici da gestire, diretti e chiari.
L’Oscurità, invece,
allungava le sue propaggini verso ogni meta possibile ed agiva in modo
subdolo.
Era meglio stare sempre all’erta con quelle creature. Per
questo aveva proibito
al fratello di andare alla fiera. Aherektess non sapeva un
granché dei
conflitti di Asteria e non gli era possibile difendersi al meglio,
appena
ripresosi dal coma. Il principe, però, non aveva alcuna
intenzione di restare
rinchiuso a palazzo mentre a pochi passi tutti si divertivano. Da non
molto
riusciva a reggersi in piedi e si sentiva abbastanza in forze da poter
fare
almeno un giro. Davanti al divieto del gemello non trovò
altre soluzioni se non
scappare di casa e fare come sempre di testa sua.
Le
luci ed i colori della
fiera lo avvolsero gioiosi. Si era incappucciato per nascondersi ma era
a
conoscenza del fatto che non era necessario. Salvo suo fratello ed il
consigliere di corte, assieme a qualche medico, nessuno, nemmeno le
guardie di
palazzo, sapevano del suo risveglio. Ed era stato in coma talmente
tanti anni
da rendere impossibile per il popolo il suo riconoscimento.
Guardò la giostra
su cui i bambini facevano a gara per salire. Comprò dei
dolcetti, con i soldi
sottratti al fratello, ovviamente. Sbocconcellando, sorrise fra le
strade e le
piazze illuminate e festanti. Fremeva all’idea di salire su
quel trenino
multicolore che faceva il giro della capitale. Vi salì. Era
a due piani. Non
trovò posto a sedere, ma non fu un problema. Vicino alla
porta, guardò tutto il
panorama sorridendo. Finalmente aveva la possibilità di
ammirare la capitale
così da vicino, con il popolo a pochi passi di distanza. Un
bambino lo salutò
con la mano, mostrandogli orgoglioso un enorme lecca-lecca. Il treno
frenò di
colpo e ad Aherektess andò addosso qualcuno.
Bloccò chi stava per cadere,
chiedendo se andasse tutto bene.
“Sì,
grazie…” si sentì
rispondere.
Era
una donna, che il principe
trovò meravigliosa. Era vestita di chiaro, senza spalline.
Aveva grandi occhi
verdi e capelli morbidi, mossi, candidi, come il latte. Le piume le
aveva verde
scuro ed i disegni sulla sua pelle erano rossi e dolci, arricciati. Lui
la
guardò con apprensione.
“Sto
bene. Grazie…” ripeté
lei.
Lui
le porse la mano e l’aiutò
a scendere dal mezzo, invitandola a fare un giro a piedi con lui. Fu
una bella
giornata, in cui risero assieme, scherzarono e mangiarono dolcetti.
Aherektess
si sentì finalmente rilassato, dopo tanto tempo,
letteralmente fulminato dalla
persona che aveva accanto. Sirona lentamente tramontava mentre i due
ancora si
divertivano fra giostre e luci.
“Devo
andare…” dovette dire,
però, ad un tratto la donna.
“Ci
rivedremo?” domandò lui.
“Certo…”.
“Come
ti chiami?”.
“Io…io
sono Miya”.
“Io
sono Aherektess, principe
di questo regno. Dall’alto delle mie stanze ti
vedrò quando girerai per la
città e verrò da te, se me lo
concederai…”.
Con
un elegante baciamano, la
salutò e lei si allontanò. Non volò
via ma si incamminò rapida lungo le viuzze
accanto al fiume. Lui la vide allontanarsi e poi rientrò a
palazzo, avvertendo
la stanchezza dopo quelle ore di svago. Ignorò la ramanzina
che gli fece
Zameknenit, felice come non era da tempo. Per giorni osservò
dalle vetrate chi
passava per le vie della capitale. Preoccupato, perché per
giorni non la vide,
già temeva di non rincontrarla mai più. Ma una
sera i capelli color del latte
di lei fecero capolino accanto ad una fontana. Guardava verso di lui,
ne era
sicuro. Volò fuori, disobbedendo per l’ennesima
volta al gemello, e le andò incontro.
Si videro, a partire da quel giorno, con sempre maggior frequenza. Lui
non si
stancava mai di vederla e baciarla. Ricordava chiaramente il giorno in
cui la
chiese in sposa.
Era
una notte luminosa, gli
sposi del cielo brillavano e lei lo stava aspettando fuori
città. Si erano dati
appuntamento lungo le sponde del fiume, lontani dalla folla e dal
chiasso, poco
distanti da delle grotte in cui potersi riparare in caso di maltempo
improvviso
o intrusi. Avevano cenato all’aria aperta e poi si erano
seduti l’uno accanto
all’altro.
“Ho
una cosa per te” aveva
mormorato lei, porgendo un bracciale nero al principe
dell’Aria.
Lui
ringraziò, non
aspettandosi una cosa del genere. Iniziarono a baciarsi e, dopo quasi
un’intera
notte d’amore, lui fece la proposta. Alle prime luci
dell’alba, le prese la
mano e le diede l’anello, chiedendole di sposarlo. Lei
sorrise ed il principe,
al ritorno a palazzo, diede la notizia al fratello. Sulle prime il
gemello lo
sgridò, rimproverandolo per l’ennesima fuga, ma
poi non poté fare a meno di
rallegrarsi per il destino del consanguineo. L’intero regno
iniziò a prepararsi
all’evento. Al plenilunio successivo il principe, di cui
risveglio ormai
l’intero popolo era a conoscenza, si sarebbe unito in
matrimonio con la bella
Miya. Sembrava tutto perfetto…ma lei sparì. Senza
una spiegazione, senza un
motivo chiaro, lei non si fece più vedere. Aherektess, col
cuore spezzato, la
cercò a lungo, mettendosi spesso nei guai, finché
il fratello non decise di
mettere dei sigilli sul gemello, impedendogli con la magia di uscire da
palazzo.
†††
“Ma
come?! Non ti ha dato una
spiegazione per il suo gesto? Non una lettera, non un
perché?” piagnucolò
l’Elettricità.
“Che
vuoi farci? Sono donne…le
donne sono strane…” si limitò a
commentare Thuwey.
“Siamo
arrivati” disse
Aherektess, cambiando argomento e facendo notare a tutti il loro arrivo
davanti
all’immenso palazzo reale.
L’arco,
su cui erano incisi i
complessi disegni con cui si scriveva la lingua degli abitanti
dell’Aria, li
accolse ed aprì loro la strada lungo la scalinata che li
portava all’ingresso.
Le guardie salutarono il principe, mettendosi sull’attenti,
mentre i dieci
salivano. Sulla cima, davanti all’elegante portone
d’ingresso, Zameknenit
osservava il gruppo. Al suo fianco si notava il consigliere di corte ed
alcuni
soldati. Era vestito in rosso, con un lungo mantello e la corona ben
evidente sul
capo. Era tripartita, in oro, con un rombo colorato al centro. Spiccava
sui
capelli color del fuoco del sovrano.
“Fratello…”
mormorò
Aherektess, giungendo a pochi passi da lui mentre il resto del gruppo
aspettava, qualche scalino più in basso.
“Sono
lieto di vedere che stai
bene…” iniziò il re, nella lingua del
suo popolo “…ma mi chiedo con quale
coraggio porti tali creature nel mio palazzo…”.
Guardava
e si riferiva in
particolare a Kassihell e l’Oscurità.
“Nel
NOSTRO palazzo e tali
creature sono miei compagni di viaggio. Mi auguro sia tutto pronto per
loro:
delle stanze appropriate, un banchetto e tutto il resto, come per i
migliori
dei nostri ospiti”.
“Anche
per…lui?” continuò
Zameknenit, girando gli occhi blu verso il Fuoco “E lei? La
figlia di Ozymandias?
Per tutti loro?”.
“La
figlia di Ozymandias mi ha
salvato la vita. Ed il Fuoco…sì, anche per lui.
Per tutti loro. Siamo appena
tornati dal luogo proibito del nostro Paese e siamo stanchi. Il viaggio
è più
impegnativo di quanto pensassimo. Abbiamo fame e…ci vogliamo
divertire!”.
“Come
vuoi. Sono sotto la tua
responsabilità, però. Mi auguro non ti diano
problemi”.
Aherektess
annuì ed il gemello
aprì le braccia, rivolto agli ospiti.
“Benvenuti,
principi,
principesse e rappresentanti dei mondi di Asteria. Spero che il
soggiorno qui
sia di vostro gradimento. Vi faccio accompagnare nelle vostre stanze e,
fra
un’ora, verrà servita la cena nel salone
principale. A dopo”.
Con
un inchino, il sovrano si
allontanò. Era molto serio, teso, quasi preoccupato. Si
vedeva che non gradiva
molto quella compagnia, ma sottostava alle decisioni del gemello.
“Ci
vediamo per la cena” parlò
Aherektess “Ora potete riposarvi, rinfrescarvi e cambiarvi.
Prego…i servi vi
condurranno alle vostre stanze”.
Il
principe sorrise,
soprattutto a Lehelin, e si allontanò, desideroso di
rimettere piede, dopo
tanto tempo, fra mura ed affreschi conosciuti. Ogni membro della
compagnia fu
accompagnato in una camera diversa, arredata nel modo più
adatto possibile a
chi doveva ospitare. Hanjuly trovò l’arredo
interamente bianco ed un gradito
freddo, causato da un sistema di canali che provocavano vento in modo
costante.
Enki si buttò nell’enorme vasca colma
d’acqua che l’attendeva e si rilassò
felice. Kassihell si sedette sul letto, coperto da un baldacchino
rosso, con
titubanza. La stanza era piacevolmente riscaldata ma non poteva fare a
meno di
sentirsi a disagio in quel regno ostile. Reishefy iniziò a
saltare fra i divani
ed il letto, appendendosi al lampadario, sicura che le avessero
lasciato solo oggetti
resistenti e pronti ad affrontare la sua irruenza. Efrehem
spalancò gli occhi
subito dopo aver varcato la soglia della camera. Era piena di libri e
la vista,
dal terrazzino, era spettacolare. Vi uscì e notò
che il Ghiaccio, poche stanze
più in là, aveva fatto lo stesso e si sorrisero.
Si trovavano parecchio in alto
e da lì si vedeva tutta la città e la campagna
circostante. Mattehedike non
poté trovarsi meglio. Le finestre erano state sbarrate ed
oscurate con pesanti
tende, per non mostrargli l’altezza. Il letto era avvolto e
chiuso,
accogliendolo in un abbraccio che lo rilassò
all’istante. Thuwey si sedette
accanto al tavolino lucido, in quel luogo pieno di accessori del suo
elemento,
e si versò da bere. Idisi assaporò il profumo
delle piante e dei fiori che la
circondarono, inondando di verde il luogo in cui avrebbe riposato.
Lehelin
sorrise nel buio totale, chiudendo in fretta la porta dietro di
sé. Nemmeno uno
spiraglio di luce. Un grosso mazzo di rose nere l’attendeva
sul tavolino
circolare, dello stesso colore. Si sentì subito a suo agio
ma, ora che calava
la sera, scostò le pesanti tende scure e guardò
tramontare Sirona, sospirando.
†††
Aherektess
lasciò la sua
camera, con la cupola di vetro, per primo, desideroso di scambiare
qualche
parola con il fratello in privato. Si era rinfrescato ed aveva
indossato un
abito elegante, lungo e riccamente decorato. Portava ancora il
bracciale di
Miya, intonato perfettamente con la cinta ed alcuni dettagli del
vestito.
Principalmente blu, si trascinava sul pavimento per un tratto ed
avvolgeva, con
le ampie maniche, le piume arancio del gemello del re. Sotto quella
specie di
tunica, portava pantaloni scuri ed una canotta a collo alto, decorata
con i
motivi che aveva tatuati su tutto il corpo in verde scuro. Sul capo,
fra i
capelli blu scuro, si intravedeva la corona argento del principe ed al
collo,
dello stesso colore, lo stemma reale tintinnava. Era un occhio
verticale,
racchiuso fra i colli intrecciati di due volatili simili a cigni.
Camminò,
lungo i corridoi che davano verso l’esterno, con le scarpe
che leggermente
ticchettavano ad ogni passo. Entrò nel salone, dove il
fratello Zameknenit
guardava fuori, con le mani rivolte dietro alla schiena. Erano vestiti
uguali
ma con colori diversi. Nel re prevaleva il rosso. I due si guardarono,
senza
parlare, per qualche minuto.
“Come
procede il tuo viaggio,
fratello?” parlò il sovrano.
“Benissimo.
Sto lontano da
te”.
“Perché
sei tornato a palazzo,
se non volevi vedermi?”.
“Perché
io ed i miei compagni
avevamo bisogno di tirarci su il morale e riposare in un bel posto
sicuro,
rilassandoci”.
“Quanta
strada vi manca
ancora?”.
“Parecchia.
Anche per questo
abbiamo bisogno di fare festa”.
“Sappi
che nutro ancora molti
dubbi sulla presenza di Fuoco ed Oscurità al mio
cospetto…”.
“Vattene,
se non li vuoi
vedere!”.
“Devi
smetterla di essere così
insolente. Che ti piaccia oppure no, io sono il tuo re!”.
“Tu
sei solo mio fratello. E
già da piccolo ero io a comandare…”.
Zameknenit,
irritato da quelle
parole, allungò d’istinto la mano verso il
gemello, stringendo il pugno e
fissandolo con sguardo minaccioso. Aherektess ridacchiò. Si
aspettava di veder
fare lo stesso a Zameknenit ma non fu così. Il re
continuò a guardarlo con
rimprovero e, senza abbassare gli occhi, gli puntò il dito
indice contro, con
fare ammonitore.
“Io
sono il re del grande
popolo dell’Aria e sono stanco delle tue continue
provocazioni. Non immagini
quanto sia difficile governare, specie dopo un grande sovrano
com’era nostro
padre, e non necessito ulteriori problemi. Avrei bisogno del tuo
sostegno, del
tuo aiuto, per regnare assieme, come i nostri genitori avrebbero
voluto, ma da
quando ti sei risvegliato non fai altro che darmi noie. Ti rendi conto
di
quanto sia delicato il nostro regno? Di quanti nemici, guerre e guai
sto
cercando di evitare ed ho evitato? Tutti non fanno altro che
paragonarmi a
nostro padre, dicendo quanto lui fosse grande ed io un suo misero
successore…perché non lo capisci che io ho
bisogno di sostegno e non di altro
dolore? Cerco di proteggerti, come ho giurato anni fa poco prima di
divenire un
orfano. Ma tu sei peggio di un adolescente…”.
“Non
so come sia essere
adolescente. Ho passato in coma quegli anni. Non ho nulla contro di te,
fratello, ma ho più di trent’anni e non puoi
trattarmi come un bambino…”.
“Non
ti tratterò più come un
bambino. Ti leverò le guardie, se è questo
ciò che desideri. Sei libero di fare
ciò che vuoi…me ne lavo le mani. Più
di così, non so davvero che fare. Però tu,
ti prego, trattami come un sovrano, o perlomeno come un fratello tuo
pari,
almeno quando siamo in presenza di altri. Poi, in privato,
sarà quel che sarà.
Non riesco davvero a capire cosa vuoi…non vuoi essere re, ma
non fai altro che
ricordarmi che saresti più adatto tu a quel
ruolo!”.
“Non
sarei più adatto. Ho provato
a guidare questo gruppo e mi toccherà farlo fino a quando
non usciremo dal
regno e, credimi, non vorrei governare un intero popolo. Sei tu il re,
io il
principe. Non il principino. Il principe! L’uomo! Rimaniamo
nei ruoli…e credo
possa andare tutto bene”.
Un
lieve accenno di sorriso
spuntò sul volto dei due.
“E
fidati…il gruppo non darà
problemi questa sera” concluse Aherektess.
“Non
ne dubito…” mormorò
Zameknenit.
Sulla
porta del salone erano
apparse Enki ed Hanjuly, entrambe indossando un meraviglioso abito che
il
sovrano aveva dato ordine di far trovare agli ospiti nelle loro stanze.
Hanjuly
era vestita in bianco, con un’ampia gonna lucente con piccole
spalline. Grazie
alla generosa scollatura, la collana della principessa spiccava e
splendeva. Aveva
raccolto i capelli in una crocchia. Fece un inchino, sollevando
leggermente la
gonna, mostrando solo la punta delle scarpe candide con tacco. Enki,
arrossendo
leggermente, si inchinò anche lei. Indossava un vestito
molto simile a quello
del Ghiaccio ma era di colore blu acceso. Era meno scollato e
più stretto, con
un piccolo spacco sul finale. L’Acqua aveva rizzato la cresta
ed il sovrano di
quel regno la salutò, con un signorile baciamano sulla mano
squamata.
“Te
le presento…” parlò
Aherektess “…sono Hanjuly ed Enki”.
“Principesse
di Ghiaccio ed
Acqua, figlie della regina Rocana e della dolce Nerektan. È
un piacere avervi
ospiti nel mio palazzo. Nel caso non lo sapeste, io sono Zameknenit, re
dell’Aria e…”.
“…e
mio fratello gemello!”
concluse il principe, facendo segno alle due giovani di prendere posto.
Non
era stato adibito un
tavolo per l’occasione ma un semicerchio di cuscini
coloratissimi, che le
ragazze gradirono molto. Reishefy entrò saltellando, con
l’abito donato già in
parte sbrindellato. Era giallo vivo, coordinato di guanti e scarpe
basse.
“Che
belle che siete,
ragazze!” disse alle sue compagne di viaggio, dopo essersi
presentata al re con
tutta la sua esuberanza “E anche voi siete molto belli, non
temete!” aggiunse,
guardando i fratelli d’Aria con un largo sorriso.
Efrehem
rimase incantato alla
vista del Ghiaccio così meravigliosamente agghindata e lei
rispose al suo
sguardo, mentre la Luce entrava nel salone. Portava una tunica
d’oro, con
l’ampio colletto decorato a motivi arricciati ed allacciata
in vita con una
piccola fascia scura. Salutò il re con educazione ed
andò a sedersi accanto ad
Hanjuly, che gli aveva fatto cenno di venirle vicino. Mattehedike,
Thuwey e
Kassihell entrarono assieme, fianco a fianco. Strinsero la mano a
Zameknenit ed
ignorarono le grida di approvazione
dell’Elettricità che li trovava bellissimi,
abbigliati com’erano. Il Metallo aveva un lungo mantello
nero, con alto
colletto, con una tunica argento che lasciava spazio ad ogni punta del
suo
elemento. Aveva raccolto qualche lungo ciuffo dei lunghissimi capelli
neri in
piccole trecce con palline argento alla fine. Mattehedike aveva due
grossi
bracciali ai polsi, un lungo mantello imbottito ai lati allacciato sul
davanti
ed una canottiera senza maniche, marrone, con pantaloni grigio scuro.
Aveva
insistito per restare scalzo. Kassihell si era pettinato, stranamente,
ed ora
aveva i capelli all’indietro, leggermente gonfi. Anche lui
con il mantello,
lungo e rosso, con ampie spalle. L’abito che portava, con
larghissime maniche arancio,
era sgargiante, allacciato in vita con un nastro azzurro. Portava i
propri
sandali, ignorando gli stivali che volevano mettergli. Lehelin ed Idisi
furono
le ultime. La rappresentante della Terra, in abito verde, si
inchinò e si andò
a sedere. Con i capelli pettinati ed acconciati in una lunga treccia,
si
sistemò l’ampia gonna con motivi floreali e
sedette, dopo aver ricevuto i
saluti dal sovrano. Lehelin non era cambiata. Non poteva indossare
abiti
sfarzosi, gioielli o altri ninnoli. Aveva tentato di tenere i capelli
al loro
posto, in modo quasi elegante, ma non c’era stato un grande
cambiamento. Subito
erano tornati al loro solito aspetto, fumosi ed agitati. Si
sentì a disagio in
quel salone, dove tutti erano ben vestiti e praticamente bardati a
festa. Fino
all’ultimo aveva tentato di restare nelle sue stanze ma Idisi
l’aveva costretta
ad uscire, con complicati discorsi rassicuranti. Ora, però,
davanti a quella
porta e ad i suoi compagni, l’Oscurità si era
pentita di essersi lasciata
convincere. Aherektess, vedendola, le andò incontro e la
prese per mano,
invitandola a sedersi.
“Sei
bellissima, non avere
paura. Ti divertirai, stasera. Vedrai!” le disse.
“Io…devo
dirti che…” iniziò
lei.
“Più
tardi. Ora mangiamo”.
Zameknenit,
seduto di fronte
al semicerchio dove stava il gruppo su un grande cuscino scarlatto,
circondato
da ancelle e guardie, batté le mani. Dalle porte laterali
subito iniziarono ad
entrare servitori e danzatrici, portanti vassoi e brocche con cibi e
bevande.
Al centro, su un tappeto colorato, danzatrici e suonatori iniziarono ad
esibirsi, accompagnando il pasto degli ospiti. Erano abbigliati con
veli e
piccoli dischi metallici, che tintinnavano ad ogni loro mossa. Reishefy
apprezzò moltissimo il fatto che, dopo poco, si unirono
danzatori dai lunghi
capelli al gruppo. La musica era piacevole ed il cibo squisito.
“Vorrei
fare un brindisi!”
esclamò Thuwey, alzandosi “A noi! Dieci
viaggiatori uniti da un unico destino
verso una meta ancora non ben chiara”.
“A
noi!” risposero, in coro,
gli ospiti.
“Inoltre,
vorrei alzare i
calici per questo bel regno, pieno di meravigliose ragazze e cibi
deliziosi!”
continuò il Metallo, sorridendo al re.
Il
sovrano rispose al sorriso
ed alzò a sua volta il bicchiere, brindando con un
“salute!” entusiasta.
Aherektess,
stanco di vedere
suo fratello staccato dal gruppo, lo trascinò nel
semicerchio assieme ai suoi
compagni, invitandolo a bere un altro po’.
“Va
bene…” ridacchiò il re
“…allora faccio un brindisi anch’io! A
te, rompiscatole che non sei altro che
chiamo simpaticamente Areky. Sognatore com’era la mamma e
testardo com’era
papà! Ed a voi, ovviamente, stramba compagnia, che riuscite
a sopportarlo!”.
“Salute!”
gridarono i dieci,
in risposta.
“Grazie
Zameky…fratello mio!”.
Presi
dagli effetti
collaterali dell’alcol, i due gemelli si abbracciarono fra le
risate. Il resto
della compagnia, alticcia a sua volta, seguì
l’esempio con entusiasmo.
“Tira
via quella corona,
pomposo reucolo!” gli ordinò Aherektess.
“Perché?
Vuoi rubarmi il
posto?”.
“Se
volessi rubarti il posto,
ti avrei già ucciso da tempo!”.
I
due si fissarono con un po’
di sospetto e leggera inquietudine, prima di rimettersi a ridere.
“Da
quando fumi?” si stupì il
principe dai capelli blu, notando il gemello che si avvicinava
all’alto
narghilè che era stato messo accanto al gruppo.
“Da
più di quindici anni,
principino! Chi vuole favorire?”.
Thuwey
non se lo fece ripetere
due volte e nemmeno Reishefy, anche se qualcuno fece notare la sua
giovane età.
“Balliamo?”
domandò Hanjuly,
rivolta a chiunque volesse partecipare.
“Dovresti
dirglielo…” mormorò
Kassihell alla Luce.
“Cosa?
Cosa dovrei dirle?” si
stupì Efrehem.
“Che
ti piace. Lo si vede
lontano un chilometro…dovresti prendere coraggio e
dirglielo!”.
“Ma
che dici?! L’hai vista
bene? Figuriamoci se io, il nanerottolo di turno, posso avere qualche
speranza
con lei, la bella stangona bionda! No…lascia che ci provi
Thuwey o Aherektess o
chiunque altro…”.
“Come
vuoi…ma se fossi in te
non perderei l’occasione di ballarci assieme!”.
La
Luce sospirò. In effetti, la
tentazione era forte e quindi, dopo aver trovato un po’ di
coraggio, si alzò a
sua volta ed iniziò a seguire la dolce melodia di quella
danza sensuale. Il
Metallo sorrise ad una danzatrice, e decise di farsi insegnare quegli
strani
movimenti.
“Quelle
con i braccialetti
d’oro ai polsi sono le mie dilette, se mi concedete il
termine…le altre, se
riuscite a conquistarle, sono tutte vostre. Le ho fatte venire da ogni
parte
del regno. I danzatori e le danzatrici che vedete sono i migliori
dell’Aria”
informò Zameknenit, ghignando agli uomini della compagnia
con soddisfazione.
Mattehedike
riuscì ad
individuare almeno sette donne con i bracciali.
“Voi
dell’Aria avete più
mogli?” domandò.
“No.
Solo il re può averne. Ed
il principe. È una vecchia legge, che sinceramente non mi va
di cambiare…e che
sarebbe ora che mio fratello seguisse!” rispose il sovrano.
“Ci
sto lavorando…” assicurò
il gemello “…ma io avrò una moglie
soltanto. Voglio sceglierla accuratamente ed
essere certo che sia la donna per me, non prenderla come mia sposa
sapendo che
tanto potrò averne altre oltre a lei”.
“Un
pensiero nobile il
tuo…vuoi innamorarti, e questo direi che è una
buona cosa. Tanto tu non avrai
problemi di successione o di altro…”.
“Nexus
ha iniziato a romperti
le palle, vero?” ridacchiò Aherektess.
“Non
sai quanto! Da quando sei
partito è il suo chiodo fisso: dare un principino alla
nazione! Ma io sono
dell’idea che ogni cosa debba avere il suo
tempo…non sono più giovanissimo ma è
inutile forzare gli eventi, giusto? E poi vorrei prima sistemare alcune
questioni diplomatiche…”.
“Per
me stasera dovresti
lasciar perdere le questioni diplomatiche e divertirti un
po’. Vedrai che poi
ti sentirai meglio…”.
Il
re sorrise, svuotando
l’ennesimo bicchiere.
“Lodevole
il fatto che avete
riservato la stessa accoglienza a principi, principesse e gente al di
fuori
della vita nobiliare, come me, la Roccia ed il Metallo”
notò Idisi.
“Signora…”
iniziò Zameknenit,
stupito da quella osservazione “…se ho accolto i
figli dei nemici della mia
nazione, il Fuoco e l’Oscurità, allora posso
trattare in modo adeguato
chiunque. Per me non conta tanto la nobiltà di sangue quanto
la nobiltà di
spirito. Se siete stati scelti e siete riusciti a giungere fino a qui,
vuol
dire che nelle vostre vene c’è qualcosa di
speciale che va al di là dei
semplici legami parentali illustri, se capite quello che
intendo…”.
“Devo
ammettere che fra vostro
fratello ed il Fuoco c’è stato qualche
problemino…”.
“Lo
immagino. Sto cercando di
lavorarci ma l’imperatore del Fuoco, Vehuya, è un
osso duro. Per non parlare di
Ozymandias…quello una ne dice e tutt’altra ne fa!
Questo viaggio potrebbe
risultare molto importante, dal punto di vista politico. Peccato che
mio
fratello pare ignorare la cosa…”.
“Non
sottovalutatelo…anche
Kassihell è un osso duro come il padre, ma hanno delle cose
in comune quei due
principi che, magari, per la fine del viaggio li
avvicineranno”.
“Chiedo
scusa…” interruppe
Kassihell, avvicinandosi a Zameknenit lentamente
“…ma le nazioni di Aria e
Fuoco sono nemici da sempre, da quel che mi risulta. La nostra
ostilità nasce
da motivazioni ben radicate all’interno del nostro essere e
dubito che una
bella chiacchierata possa risolvere tutto”.
“Di
questo ne sono
perfettamente a conoscenza, principe Kassihell. Purtroppo è
da quando sono nato
che vedo guerre contro il mio popolo, da parte vostra”.
“Da
parte nostra?! Guarda che
gli attacchi sono reciproci, da quel che ne so!”.
“Può
darsi…ad ogni modo, di
chiunque sia la colpa, vorrei porre fine a tutto questo. Per ora non ci
sono
riuscito…ma confido nelle nuove
generazioni…”.
Il
Fuoco e l’Aria si
fissarono, a lungo, mentre Idisi decise che era decisamente meglio
rimanere in
silenzio. Kassihell si stupì di quello sguardo. Se lo
aspettava carico d’odio
ma non lo era. Gli occhi blu di Zameknenit erano calmi, profondi e
quasi
comprensivi.
“Ora
vi devo lasciare…”
mormorò il re, alzandosi “…domani ho un
incontro con i miei consiglieri per
risolvere alcune questioni interne e non è il caso mi
presenti davanti a loro
con occhiaie da paura oppure sbronzo. Voi continuate pure a divertirvi
fin
quanto volete nella maniera che ritenete più appropriata.
Buonanotte”.
“Buonanotte!”
gli rispose
Enki, salutandolo con la mano.
Il
re salutò gli ospiti e si
avviò verso le sue stanze, seguito dalle sue preferite.
“Bene,
signori!” esclamò
Aherektess “La notte è giovane…non
ditemi che siete già stanchi!”.
“Stanchi?!
Certo che no!” urlò
l’Elettricità, completamente ubriaca.
Idisi
la fissò e scosse il
capo, con rimprovero. Lehelin, fin ora rimasta in disparte ed in
silenzio, fece
per alzarsi ed andarsene. Si sentiva sempre più a disagio e
non riusciva a
parlare con l’Aria, sfuggevole ed eccessivamente allegro. Il
principe di
quell’elemento, però, le impedì di
raggiungere il suo scopo. La prese per mano
e le sorrise.
“Balli
con me?” le domandò
lui.
“No,
non è il caso, credimi”.
“Perché?
Cosa c’è? Non ti
piace la musica?”.
“La
musica è molto bella è
solo che…”.
“Mi
spiace di non aver parlato
di noi a Zameky ma non c’è stata
l’occasione. Domattina, però, potremmo discuterne,
no?”.
“Potremmo
ma…vedi…”.
“Balla
con me…solo una
canzone!”.
“No.
Lasciami, per favore. In
tutti i sensi. Credo che tutto questo sia una pessima idea e che non
dovresti
perdere tempo con me. Guardati attorno…tutte queste belle
donne non vogliono
altro che essere scelte da te per farti
compagnia…”.
“Ma
io voglio la tua
compagnia, non la loro”.
“Io
non sono chi tu credi…”.
“Tu
sei la donna che amo”.
“Ed
io sono…la donna che ti ha
imbrogliato”.
Detto
questo, la principessa
dell’Oscurità iniziò a mutare. Crebbe e
cambiò. I suoi occhi divennero verdi, i
capelli candidi ed ordinati, la pelle chiara ornata da tatuaggi rossi e
un
elegante abito scuro. Spalancò le braccia, mostrando al
principe le piume verde
scuro e chinò la testa, piangendo.
“Miya…”
sussurrò Aherektess,
impietrito ed incredulo.
Lei
annuì, sempre a capo chino
e lui rimase in silenzio, per qualche istante, prima di lanciare un
grido
disumano che fece voltare l’intera sala. Kassihell
sobbalzò, risvegliandosi
all’improvviso dal leggero torpore in cui era caduto. Enki
urlò per lo
spavento. Hanjuly ed Efrehem fissarono il principe dell’Aria,
dubbiosi. Thuwey
inclinò la testa, restando spaparanzato a terra fra i
cuscini con il tubo del
narghilè fra le dita. Mattehedike, con due ragazze fra le
braccia, smise di
agitarsi a vanvera e si voltò verso quel rumore molesto.
Idisi, che era rimasta
a guardare la coppia, non trovò parole per ciò
che aveva visto. Reishefy non
capì e piagnucolò perché era cessata
la musica..
“Mi
dispiace…ho cercato di
dirtelo” mormorò la trasformata
Oscurità e corse via, per rintanarsi nella sua
stanza fra l’incredulità generale.
“Come
hai potuto?!” le urlò
contro Aherektess, pieno di rabbia e dolore.
“Non
ci posso credere…non
pensavo che le incantatrici giungessero a tanto…”
sussurrò Kassihell, rivolto
ad Idisi che le stava seduta accanto.
“Nemmeno
io avrei mai
immaginato…” riuscì a dire, in
risposta, la Terra.
“Per
tutto questo tempo…lei…”
iniziò Enki.
“Già…pazzesco…”
si unì
Hanjuly.
“Spaventoso…”
commentò
Efrehem.
“Incredibile!
Insomma…ormai
siamo un gruppo…certi segreti non dovrebbero
esserci…” aggiunse Thuwey, dopo
aver capito che ciò che aveva visto non era dovuto al fumo
ed all’alcol.
“Mi
avevano avvertito che di
quelle creature non c’era da fidarsi…”
grugnì Mattehedike.
“Che
è successo?” squittì
Reishefy, dopo qualche minuto di silenzio.
Aherektess,
nel frattempo, era
rimasto immobile, senza fiato. Dopo essersi scosso se ne
andò anche lui,
volando via dal terrazzino semicircolare del salone, avvolto dalla
notte.
“No,
no…così non và!” scosse
la testa il Ghiaccio “Come faremo a proseguire?”.
“Una
notte di sonno guarisce
molti dolori…vedrai che domani si risolverà
tutto” le disse il Fuoco, poco
convinto delle sue stesse parole.
“No,
ti sbagli. Meglio si
chiariscano subito…o finiranno per rimuginarci su tutta la
notte ed odiarsi al
sorgere di Sirona!” continuò Hanjuly.
“E
se si mettono a litigare
perché interferiamo? È peggio, non trovi?
Lasciamo che se la sbrighino da soli,
se hanno voglia. Possiamo sempre ripartire e tenerli
separati…” propose Thuwey.
“Concordo.
Dopotutto, siamo
giunti fino a qui odiandoci a morte! Vi ricordate quando siamo partiti?
Ed
ancora adesso, mi sembra, fra Fuoco ed Aria di certo non vi
è alcun accenno
d’amicizia. Penso non siano affari
nostri…lasciamoli nel loro brodo e che si
arrangino!” concluse la Roccia.
“Voi
uomini siete proprio
egoisti, e sensibili come dei funghi! Lei era dispiaciuta e lui
disperato…dobbiamo fare qualcosa! Siamo un
gruppo!” sbraitò Enki, irritata,
stringendo i pugni.
“E
che cosa credi di poter
fare, principessina?” brontolò Mattehedike.
“Dobbiamo
trovare il modo di
farli parlare fra loro. Lui sarà probabilmente
furioso…avrà bisogno di sfogarsi
ed è meglio lo faccia prima di rivederla. Io andrei a
parlare con lei…”.
“Vengo
con te” si unì Idisi.
“Anch’io
posso darvi una mano.
Le ho già parlato…” si propose Thuwey
“…e credo di sapere quali tasti toccare.
Sempre se a voi donne non dispiace…”.
“Va
benissimo” esclamò
Hanjuly, con le mani puntate sui fianchi “Io andrò
a cercare Aherektess. Chi
viene con me?”.
“Per
me è una perdita di
tempo…” sbottò la Roccia.
“Allora
tu resta pure qui” gli
rispose il Ghiaccio.
“Io
verrei…ma sono un disastro
con i rapporti interpersonali. Credo che peggiorerei solo le
cose…” chinò la
testa la Luce, consapevole per una volta dei suoi limiti.
“Ci
vengo io con te, Han”
sospirò il Fuoco, consapevole ormai
dell’impossibilità di andare a dormire o
ripartire senza che la questione almeno si tentasse di risolvere
“Sono sicuro
che, vedendomi, la sua rabbia e frustrazione si sposterà su
ben altre fonti!”.
“Ma
andare dove? Con chi?
Perché?” sbiascicò Reishefy.
“Efrehem!”
tuonò il Ghiaccio,
con fare militare “Il tuo compito sarà fare in
modo che l’Elettricità non
peggiori le cose. In quanto alla Roccia…se per lui tutto
questo è una perdita
di tempo allora che occupi la notte come meglio crede”.
“Signorsì”
sorrise Efrehem,
andando a sedersi accanto a Reishefy, che nemmeno si reggeva in piedi
da quanto
aveva bevuto.
Con
un cenno del capo, la
compagnia si divise in due gruppi, con la serietà di chi ha
una vitale missione
da compiere.
†††
La
ricerca di Aherektess si
mostrò piuttosto difficoltosa. Il principe conosceva bene
ogni anfratto di quel
regno e si era ben nascosto. I due, Ghiaccio e Fuoco, che lo cercavano,
non
vollero avvisare le guardie o richiamare i servitori. Volevano evitare
il
panico o i pettegolezzi.
“Forse
potremmo chiedere al re. Quei due sono gemelli…si dovrebbero
capire al volo!”
propose Hanjuly, dopo quasi mezz’ora.
“Non
ci tengo ad oltrepassare quella sottile linea che fra il mio ed il suo
popolo
porta dall’ostilità alla guerra. Meglio evitare di
infastidirlo…e soprattutto
di dirgli che la figlia di Ozymandias ha distrutto psicologicamente il
suo
gemello” rispose Kassihell.
Gli
sposi del cielo illuminavano la notte, ormai inoltrata, e le strade
della
capitale erano deserte. Attraversarono un piccolo ponte lastricato ed
il Fuoco
ebbe un’idea.
“Forse
so dov’è andato…quando ci ha raccontato
di Miya, aveva parlato di un fiume e di
una specie di grotta…”.
“Ah
ma allora lo ascoltavi, non stavi dormendo in piedi!”
ridacchiò lei.
“Ovvio!
Dicevo…ha parlato di una grotta vicino ad un fiume. Noi
siamo entrati nella
capitale e non abbiamo incontrato nessuna grotta perciò,
devo dedurre, che si
trovi nella direzione opposta rispetto a quella in cui siamo
arrivati…secondo
me è là che si nasconde!”.
“Sembra
una buona idea. Intuizione geniale…andiamo! Al massimo
torniamo indietro…”.
I
due si avviarono seguendo la
stradina lastricata che seguiva il fiume. Mormorava leggermente,
riflettendo la
luce di Nikkal e Jarih lungo le sponde. Kassihell ed Hanjuly si
avviarono lungo
il suo corso regolare senza problemi, accostandosi alla bianca
balaustra
adornata di fiori. Uscirono dalla capitale con un’andatura
piuttosto sostenuta,
non volendo veder sorgere Sirona prima del loro ritorno. Individuarono
con
facilità le grotte di cui aveva parlato il principe di quel
regno e vi
entrarono. Il Fuoco evocò il suo elemento e tenne una
piccola fiamma fra le
mani, illuminando l’anfratto. Una piuma arancio in terra
diede conferma della
presenza del rappresentante dell’Aria.
“Aherektess!”
lo chiamò il
Ghiaccio.
“Sparite!”
si limitò a dire il
fuggitivo.
Lo
videro, appollaiato su una
piccola sporgenza, tutto avvolto dalle piume. Fra le mani stringeva il
bracciale
che gli aveva donato Miya, nero e lucido. Lo guardava senza
espressione, come
perso in pensieri lontani, con occhi vacui e vuoti.
“Ti
abbiamo trovato…dai, vieni
giù!” gli sorrise Hanjuly.
“Andatevene.
Ho bisogno di
stare da solo”.
“Presto
sarà l’alba e sarà
tempo di ripartire…” lo informò
Kassihell.
“Dovrete
partire senza di me.
Io non vengo”.
“Non
dire stupidaggini,
fringuello dal cuore spezzato! Non andiamo da nessuna parte senza di
te!”
sbottò il Fuoco, incrociando le braccia.
“E
come pensi di fare per
convincermi?”.
“Se
sarà necessario ti
trascinerò per tutta la strada!”.
“Così
non risolviamo nulla…”
sospirò il Ghiaccio “Aherektess…so che
ora sei confuso, furioso, triste e
quant’altro ma, ne sono sicura, a tutto
c’è rimedio! Venendo qui ho riflettuto
su una cosa: vi siete innamorati due volte! Significa che era
destino…”.
“Balle!
Erano solo bugie!”.
“Tutto
quanto? Io non credo!”.
“Tu
cosa ne sai? Andatavene.
Io non mi muoverò da qui per un sacco di tempo. Portate con
voi mio fratello o
chiunque altro…”.
“Oh,
insomma!” tuonò il Fuoco
“Smettila di piagnucolare come un bambino appena sgridato
dalla mamma! Fai
l’uomo! Ne sei capace? È solo una
donna…sai quante ce ne sono ad Asteria?”.
“Sono
stato così stupido…da
farmi fregare due volte!” ringhiò l’Aria.
“Sì,
sei stato stupido…”
ridacchiò Kassihell “…ma mica vorrai
continuare a fare lo stupido, vero? Perché
rinunciare alla missione per la figlia di Ozymandias è
stupido…”.
“Non
è solo la figlia di
Ozymandias…io ero davvero innamorato di lei. E lei mi ha
solo preso in giro.
Chissà quante risate si starà facendo e si
è fatta alle mie spalle!”.
“Non
essere ridicolo! Se
avesse voluto prenderti solo in giro, ti avrebbe deriso in mezzo a
tutti,
ridendoti in faccia mentre mostrava chi era per davvero. Invece ti ha
chiesto
scusa ed è corsa via piangendo. Non mi è sembrato
l’atteggiamento di chi vuole
solo prenderti in giro…”.
“Ti
stai facendo ingannare
anche tu, mio caro…ma con me non funziona più!
Nossignore! Può tentarle
tutte…non avrà il mio perdono!”.
“Va
bene…sono affari vostri!
Ma ora scendi…devi riposare per riprendere la
missione!” ordinò il Fuoco, con
fare autoritario.
“Cosa
vuoi che me ne importi
della missione?! Andatevene…”.
“Sei
la creatura più egoista
che conosca!” urlò Hanjuly “Come puoi
dire che non ti importa più nulla della
missione?! Stiamo parlando della salvezza di Asteria, non di una
stupidaggine
qualunque! Scendi subito!”.
“Lascia
perdere…” le mormorò
Kassihell, con un tono di voce abbastanza forte da farsi udire
chiaramente
dall’Aria “…non vedi che è
ancora un bambino? Vent’anni di coma gli hanno
bloccato la crescita e non è in grado di fare
l’uomo. Lasciamolo pure lì.
Incontreremo sicuramente qualcuno più adatto di
lui…non ha nemmeno il coraggio
di scendere e parlare a quattrocchi con una piccola femmina fatta
d’ombra!”.
I
due si girarono verso
l’uscita, dopo essersi scambiati un breve sguardo. E dopo
pochi secondi
Aherektess scese dal suo nido, con un lievissimo rumore di pietre
spostate.
“Com’è
che mi hai chiamato,
vecchio parassita nemico della mia nazione?”
sibilò, mentre il Fuoco gli
sorrideva, quasi sadicamente.
“Ti
ho chiamato bambino. E se
vuoi aggiungo vigliacco, codardo e piagnucolone…vuoi che
continui? O vuoi
trovare il modo di provarmi che sbaglio?”.
L’Aria
scattò in avanti e
tentò di colpirlo. Il Fuoco bloccò il suo pugno e
lo guardò, sfidandolo.
“Scommetto
che non ce la fai
ad andare da lei e dirle ciò che pensi, a dirle che
è una traditrice e che non
vuoi più avere a che fare con lei” gli disse,
sempre ghignando.
“Scommettiamo?
Cosa fai se
vinco io?”.
“Prima
fallo…poi vediamo!”.
Aherektess,
con l’orgoglio
ferito da vari fronti, si rizzò in piedi e serrò
i pugni.
“Ci
vediamo a palazzo,
vecchio!” ringhiò contro a Kassihell e si
librò in volo.
A
tutta velocità, uscì allo
scoperto e si avviò verso il palazzo.
“Non
era esattamente ciò che
volevo ma…è uscito” commentò
Hanjuly.
“E
sta andando dalla sua
bella…è uno spettacolo che non voglio perdermi!
Andiamo!”.
Fuoco
e Ghiaccio si misero a
correre, seguendo il piumato che si intravedeva nel cielo notturno.
†††
“Dove
sei?” gridò Aherektess,
piombando nel salone principale, dove si era svolta la festa.
Reishefy
dormiva sul
pavimento, raggomitolata attorno al narghilè con un largo
sorriso. Anche
Efrehem dormiva, fra i cuscini colorati. L’Aria si
girò e vide che sulla porta,
nascosti in modo pessimo, sbirciavano la Terra, il Metallo e
l’Acqua.
“Sono
qui” sentì una vocina
alle sue spalle.
L’Oscurità
era nel terrazzino,
avvolta dal suo elemento. Aherektess si stupì di non averla
notata quando era
arrivato. Guardandola negli occhi, faticò a mantenere solidi
i suoi propositi.
Nel
frattempo, al gruppo dei
nascosti, si erano uniti Fuoco e Ghiaccio.
“Vediamo
se gli dà della
stronza e festa finita, così possiamo andare a
dormire!” sbuffò Kassihell, sicuro
che mai avrebbe trovato il coraggio per farlo.
Hanjuly
gli tirò una poderosa
gomitata sullo stomaco e gli fece segno di fare silenzio.
“Eccoti
qui…ci sono delle cose
che vorrei dirti, signorina” iniziò
l’Aria, sforzandosi di mostrarsi arrabbiato
e deciso.
“Prima
vorrei, però, che mi
ascoltassi…”.
“Non
credo che sia il caso.
Non credi di avermi già raccontato abbastanza
cazzate?!”.
“Un
sacco ma ora stammi a
sentire, per una volta!”.
“Non
so se mi va…”.
Lehelin
si accigliò,
esasperata dall’essere sempre interrotta, ma si
sforzò di non esplodere. Si
passò una mano fra i capelli fumosi e guardò
fisso negli occhi chi aveva di
fronte.
“Volevo
dirti…che mi dispiace.
Mi dispiace Aherektess. Davvero. Posso capire la tua rabbia ed immagino
tu
voglia sfogare tutto il tuo risentimento su di me, lo capisco. Ma
prima…vorrei
che ascoltassi ciò che ho da dirti, per favore”.
“Parla…”
mormorò lui,
incrociando le braccia.
“All’inizio,
sì…ti ho
imbrogliato! Mio padre voleva carpire qualche notizia in più
sul nuovo regno e sulla
nuova gestione dell’Aria. Io mi sono proposta di andarci a
fare un giro,
clandestinamente. Ho imparato la vostra lingua e, con le sembianze di
Miya, ho
passato diverso tempo per la capitale. La prima volta che ti ho visto
non avevo
davvero idea di chi tu fossi. Mi sono divertita davvero quella volta
alla fiera
e, quando mi hai detto chi eri, son rimasta davvero stupita. Mio padre,
entusiasta della notizia del tuo risveglio, mi ha dato ordine di
rivederti. Ed
all’inizio, come dicevo, l’ho fatto solo per
rispettare un suo ordine. Ma poi
le cose sono cambiate. Ho iniziato a non riferire più a mio
padre ciò che mi
accadeva ed a venire nel tuo regno di nascosto. Non ero mai stata
così felice,
dico sul serio. Poi, però, mi hai chiesto di sposarti.
All’inizio ero davvero
entusiasta, ed è per questo che ti ho detto di
sì. Tornando verso casa,
tuttavia, ho visto il mio riflesso lungo il fiume ed ho capito: non eri
innamorato di me. Non amavi ciò che ero, ma ciò
che fingevo di essere. Tu non
amavi Lehelin ma Miya, che non esisteva. Ho deciso che non avrei mai
potuto
mentirti per tutta la vita, come mi chiedevi, ma non avevo il coraggio
di dirti
la verità. Speravo di lasciare un ricordo e nulla di
più…non pensavo di
trasformarmi in un’ossessione per te!”.
Si
fermò qualche istante,
mentre Aherektess continuava a fissarla, duramente.
“Poi…”
continuò l’Oscurità
“…è
iniziata questa missione. Quando ti ho visto entrare dalla finestra mi
sono
sentita davvero male. Ho tentato di restare distaccata ma, quando ti
è successo
quell’incidente nel regno
dell’Acqua…”.
Non
sapeva come altro
proseguire e chinò la testa, aspettando la reazione
dell’Aria. Lui non si
mosse. Sospirò e continuò a fissarla con le sue
iridi rosso sangue.
“Perché?”
le disse infine,
dopo il silenzio.
Lei
si aspettava ben altre
frasi e lo fissò, con aria interrogativa, senza rispondere.
“Perché
mi hai fatto questo?
Perché non mi hai detto da sempre la verità?
All’inizio eri sotto copertura, se
così si può dire, ma poi…poi potevi
dirmi la verità…senza arrivare fino a
questo punto! Non trovi?”.
“Ho
tentato…”.
“Hai
ragione quando dici che
di Miya amavo ciò che mostrava. Mi sono innamorato del suo
aspetto, a prima
vista, e non ho notato altro. Per quanto riguarda il
seguito…all’inizio avevo
paura di te, come creatura d’Oscurità, e ci tenevo
a tenerti ben lontano.
Eppure, lentamente…ho imparato a conoscerti ed
ora…”.
“Ora
sei innamorato di ciò che
è lei veramente!” si intromise
l’Elettricità.
“Chiudi
la bocca, non ti
immischiare!” le sibilò Hanjuly.
“No…ha
ragione” ammise l’Aria
“Io sono giunto qui con l’idea di esprimere tutta
la mia rabbia nei tuoi
confronti e di non farmi imbrogliare più da te
ma…”.
“Avresti
ragione. Hai
ragione…” mormorò Lehelin
“…odiami pure. Ho sbagliato ed è giusto
il tuo
comportamento. Ci tenevo a farti sapere che mi dispiace ma non mi
aspetto un
tuo perdono”.
“Che
sta succedendo?”
sbiascicò la Roccia, giungendo solo ora fra gli spioni.
“Non
l’ho capito del tutto…”
ammise il Fuoco “…mi aspettavo una grande rissa ma
questi due stanno solo lì a cianciare…”.
“Chiudete
la bocca!” li ammonì
Hanjuly.
“Come
posso fidarmi di te
ancora, Lehelin?” domandò Aherektess.
“Non
puoi. E non te lo chiedo.
Ho rovinato tutto…e sono giuste tutte le cattiverie che hai
in mente nei miei
confronti ed i dubbi”.
“Ma
io non voglio dubbi…e,
sinceramente, non ho cattiverie in mente. Mi sento davvero uno stupido
ma…non
avevo mai visto piangere una creatura d’Oscurità
prima d’ora e quindi…immagino
che il tuo dispiacere sia autentico”.
“Lo
è, ma…”.
“Non
tirarti indietro adesso,
per favore…” le sussurrò, prendendole
il viso fra le mani.
Lei
non capì e non riuscì a
reagire mentre lui la baciava. Chiuse gli occhi d’argento e
non si allontanò.
Sentì una lacrima scivolarle sulla guancia, mentre le piume
di lui
l’avvolgevano e la luce di Sirona iniziava ad illuminare il
cielo.
“Per il grande
Loreatehenzi!” esclamò
qualcuno, alle spalle della compagnia degli spioni, sorridenti e
soddisfatti
del risultato ottenuto.
Era
Zameknenit, svegliato
all’alba e stupito nel vedere il gruppetto di ospiti
accalcato davanti alla
porta socchiusa. Di certo lo spettacolo a cui aveva assistito era
qualcosa che
non si aspettava.
La
compagnia sobbalzò udendo
la voce del re e nel vederlo apparire, spettinato ed in vestaglia, con
le piume
verdi arruffate e gonfie.
“Carino
il motivo a
paperette…” ironizzò il Fuoco,
commentando la vestaglia.
“Non
sono paperette! Sono gli
uccelli che si intrecciano sullo stemma della mia famiglia!”
sbottò il sovrano,
avvolgendosi nella veste in seta.
“Buongiorno,
fratello…” gli
disse Aherektess, sorridendo raggiante.
Il
gemello lo guardò, mentre
veniva incorniciato dalla luce dell’alba in modo decisamente
artistico.
“Volevo
parlartene, Zameky…”
iniziò, ma il re lo zittì.
“Era
da tanto di quel tempo
che non ti vedevo sorridere in quel modo…sono pronto ad
ignorare il fatto che
sia la figlia di Ozymandias. Se va bene a te…va bene anche a
me! Spero che lei
non sia come suo padre…senza offesa…”.
Lehelin
sorrise, non sapendo
cosa dire.
“Volete
la colazione?” domandò
il sovrano, sbadigliando.
“Veramente…non
so gli altri ma
io vorrei dormire!” ammise Aherektess e la compagnia
annuì, condividendo lo
stesso desiderio.
“In
questo caso…buon riposo.
Avvisate i miei servi quando vorrete qualcosa da mangiare”.
I
dieci ringraziarono e si
ritirarono nelle loro stanze, addormentandosi quando ormai il giorno
era
iniziato da diverse ore.
†††
Rimasero
a palazzo per diversi
giorni, riposandosi, rilassandosi e “facendo
conoscenza” con i danzatori e le
danzatrici. Efrehem imparò in fretta a leggere e parlare la
lingua dei nativi,
fra un sospiro ed un altro per Hanjuly. Kassihell si trattenne a lungo
con
Zameknenit, discutendo su come riuscire a trovare degli accordi ma
senza
giungere ad una soluzione plausibile. Thuwey, dopo aver sfogato buona
parte del
suo entusiasmo su qualche bella donna, esplorò la capitale
in cerca delle
botteghe in cui si vendevano e si fabbricavano le armi, affascinato
dalla loro
fattura. Idisi studiò flora e fauna degli stupendi giardini
del palazzo e del
circondario. Enki fece compere assieme ad Hanjuly e pregò il
sovrano di far
recapitare un messaggio alla famiglia dell’Acqua. Reishefy e
Mattehedike non
uscirono quasi mai dalle loro stanze, impegnati com’erano in
un continuo viavai
di creature con cui sfogare ogni loro istinto. Aherektess e Lehelin
passarono
molto tempo assieme, chiarendo ogni dubbio perfino nella mente rigida
di
Zameknenit.
“Chissà
che dirà tuo padre,
quando lo saprà…” si chiese il re.
“Quando
lo saprà, lo
scopriremo…” rispose
l’Oscurità, già immaginandosi la furia
di Ozymandias
davanti agli occhi in un attacco di follia omicida
“Chissà cosa dirà il vostro
popolo…”.
Al
principe dell’Aria poco
importava di cosa pensasse il popolo e portò la giovane
Lehelin per le vie di
Bahram senza problemi, alcune volte perfino in volo facendola gridare
di
meraviglia.
Fu
Kassihell che ricordò alla
compagnia i loro obbiettivi. Nonostante trovasse piacevole il soggiorno
nella
capitale, provava più piacevole l’idea di tornare
a casa dalla moglie.
Ripartirono
dopo più di una
settimana di riposo, con la promessa da parte di Zameknenit di far
recapitare
un messaggio ad ogni reale di Asteria, comunicando la propria posizione
e buono
stato di salute. Pur non avendo più le guardie del corpo che
li scortavano, il
gruppo non incrociò particolari problemi. I grandi uccelli
cacciatori, la cui
preda principale erano le creature dell’Aria, non diedero
fastidio, forse
spaventati dalle grida d’entusiasmo
dell’Elettricità.
“Questo
mondo è fantastico!”
urlava Reishefy “Le feste di questi giorni son state
favolose! Per non parlare
degli uomini…che meraviglia! Mi ci voleva
proprio!”.
“Mi
fa piacere che vi sia
piaciuto il soggiorno a casa mia…” rise Aherektess.
“Piacere
tutto nostro!”
esclamò Mattehedike.
“In
effetti…mi ci voleva
proprio un po’ di relax” ammise Kassihell.
“Ed
inoltre il re è stato
davvero gentile…presto le nostre famiglie avranno nostre
notizie!” disse Enki
ed Hanjuly annuì a quelle parole.
“Mi
sono sentito davvero
accolto…non me lo sarei mai aspettato!” aggiunse
Efrehem.
“Per
non parlare degli
artigiani. Ho fatto diversi giri per la capitale ed erano davvero
bravi!”
continuò Thuwey, mostrando la collana che aveva acquistato.
“Bella!”
si complimentò Idisi,
incrociando alcuni fiori che aveva raccolto, sempre continuando a
camminare con
entusiasmo.
“Questo
sì che è il clima
adatto! Restiamo sempre così, ragazzi!”
cinguettò il Ghiaccio.
Ovviamente
la serenità e
l’entusiasmo non durarono in eterno e ben presto ripresero le
solite
discussioni, sopratutto fra Aria e Fuoco.
“Hai
perso la scommessa, se
ben ricordo…” stuzzicò Kassihell.
“Quanto
sei noioso…” sbottò
Aherektess.
“Quale
scommessa?” chiese
Reishefy, che come sempre non capiva niente.
“Taci!”
la zittì Mattehedike.
“Fottiti!”
ringhiò la
ragazzina.
“Eccovi…ora
vi riconosco!”
ironizzò la Terra e in lontananza, fra i lampi,
iniziò a vedersi il regno
successivo: quello dell’Elettricità.
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Capitolo 8 *** VIII- Elettricità ***
VIII
Reishefy
entrò nel suo regno
con irruenza adolescenziale, sorridendo e saltellando. Il resto della
compagnia, al contrario, guardò il confine con sospetto,
notando come
apparissero scosse improvvise in terra. Nessuno aveva particolare
voglia di
farsi del male.
“Tranquilli!”
parlò Efrehem
“L’elettricità non risale! Se scorre
lungo il terreno, non ci sfiorerà”.
“E
come la mettiamo con le
scariche improvvise dal cielo?” domandò Kassihell,
socchiudendo gli occhi
all’ennesimo fulmine nel buio.
“Beh…quelle,
in effetti,
potrebbero creare qualche problema…”
mormorò la Luce, girando le antenne quasi
con imbarazzo.
“Dobbiamo
passare, in qualche
modo. Perciò…” esclamò il
Metallo, rabbrividendo solo all’idea di entrare in un
regno pieno di altre creature come Reishefy.
Thuwey
fece un passo oltre il
confine e subito balzò all’indietro, quasi colpito
in pieno da una potente
scarica.
“Questo
regno già mi fa
schifo…” sibilò.
“Non
è colpa dei lampi
elettrici o del mio regno. Sei un enorme parafulmini
ambulante!” disse
Reishefy, irritata nel sentir insultare il suo mondo.
“Adesso
è colpa mia se sono
nato così…”.
“Precisamente!”.
“Finitela
voi due, mi fate
venire il mal di testa” ringhiò il Fuoco,
guardando Efrehem e sperando che
potesse trovare una soluzione.
“Intanto
potremmo raggiungere
la zona proibita…” suggerì
l’Elettricità.
“E
come?!” quasi le urlò di
rimando la Roccia.
“Si
trova sul confine, più a
nord. Basterà che il prescelto vi entri, dopo averla
raggiunta camminando nel
regno dell’Aria” spiegò Reishefy.
“Fantastico!
Poi, se non si
trova un modo per passare il regno, si può sempre fare il
giro contrario,
tornando sui nostri passi” propose Hanjuly.
“E
perdere di nuovo tutto quel
tempo?” si accigliò la Roccia.
“E
ripassare per il gelo del
Ghiaccio?” aggiunse Kassihell.
“Ed
affrontare di nuovo
l’immenso oceano dell’Acqua?” si
unì il Metallo.
“Quanto
siete noiosi…” sbuffò
il Ghiaccio “…vedremo! Per ora raggiungiamo la
zona proibita”.
L’Elettricità,
sempre
saltellando, precedette la compagnia. Fra le mani stringeva la piantina
del suo
regno, anche se non la consultò molto spesso.
“Dovremmo
esserci” urlò, senza
motivo, ad un tratto.
La
compagnia guardò verso il
regno di Reishefy, senza vedere nulla. Notò,
però, che in una zona circolare
piuttosto ristretta le scosse si fermavano.
“Quella
zona è isolata,
cosicché quelli del mio elemento non possono
accedervi” piagnucolò la
ragazzina, curiosa di sapere cosa ci fosse all’interno
“Ed è abbastanza
distante dal confine da impedire alle creature dell’Aria di
tentare di
entrarci”.
“Perciò,
se ho ben capito,
l’unico problema è quello di attraversare i metri
che separano quel cerchio ed
il confine su cui ci troviamo…” iniziò
Aherektess, senza muovere un muscolo
verso quel mondo ad alto voltaggio.
“Esatto.
La Roccia era quello
più adatto, non avendo problemi con
l’elettricità…” disse la
Luce, mentre
Mattehedike aveva l’ulteriore conferma che non avrebbe dovuto
imbrogliare per
poter entrare nell’area vietata dell’Aria
“…ma il libro dice che ogni
viaggiatore deve possedere un solo oggetto proibito e non
può fare a cambio.
Perciò ognuno di noi deve entrare in un solo luogo
proibito…”.
“E
allora chi affronta quei
metri? Io no di certo…” parlò Idisi,
consapevole delle pessime conseguenze che
poteva avere su di lei un fulmine.
“Io
ho tanta paura dei
temporali…” mormorò Enki, nascondendosi
dietro ad Hanjuly.
“Usiamo
la testa…io sono stato
nel luogo proibito del Ghiaccio, Kassihell in quello
dell’Oscurità, Mattehedike
dell’Aria e Reishefy in quello
dell’Elettricità perciò è
inutile cercare fra
noi il candidato. Fra quelli che restano…cerchiamo di capire
chi può essere il
più adatto!”.
“Dev
essere veloce, per non
rischiare di farsi prendere dai fulmini…”.
“Concordo
con il Ghiaccio. Dev
essere veloce. E agile…”.
“Giusto,
Idisi…forse
Aherektess…” propose Kassihell, pregustando la
scena del suo rivale arrosto.
“Se
volete, vado io” si
propose l’Oscurità “Non so che
conseguenze può portare un fulmine sul mio corpo
d’ombra ma…uno di noi ci deve andare!”.
“Potrebbe
essere una
soluzione…” convenne la Luce, pur continuando a
pensarci su.
“Han
è sufficientemente abile
per poter giungere illesa fin là…”
parlò Thuwey.
“Ma
se viene colpita non avrà
scampo!” intervenne, subito, Efrehem.
“Perché,
per chiunque altro
qui presente spetterebbe un destino diverso, forse?”.
“Se
l’Oscurità se la sente…”.
Aherektess
la guardò, con
allarmati occhi rossi, e lei ridacchiò, tentando di
rassicurarlo.
“Bene…buona
fo…” le disse il
Ghiaccio, ma non terminò la frase perché, come
molti altri del gruppo, rimase
senza parole guardando ciò che stava accadendo.
Dall’area
proibita, si stava
alzando un grosso globo nero, adornato e percorso da scosse continue.
Avanzava
verso i dieci, rotolando in modo quasi comico.
“Che
c’è?” si stupirono il
Metallo, la Roccia e l’Elettricità, che davano le
spalle a quell’evento.
Gli
altri indicarono la sfera,
sempre più perplessi da quello strano fenomeno. Thuwey non
fece in tempo a
girarsi che si ritrovò inglobato all’interno e
sollevato da terra.
“Ora
capisco cosa prova la
boccia con la neve finta…” si disse, mentre la
sfera girava e lo trascinava
verso l’area delimitata e senza scosse.
“A
quanto pare, è stato il
luogo proibito a scegliere chi prendersi…”
ridacchiò Reishefy, udendo le grida
di protesta del Metallo.
Il
globo raggiunse la zona
circolare da cui era partito e scomparve, raggiungendo la dimensione in
cui
mortali e Dèi potevano incontrarsi.
†††
La
sfera esplose, come una
bolla, facendo cadere di sedere il Metallo, in modo decisamente brusco.
Thuwey,
ovviamente, tirò una bestemmia più che convinta,
rialzandosi dolorante.
Spalancò gli occhi, ammirato da ciò che vedeva.
Si trovava ancora in una sfera,
di dimensioni gigantesche, sulla cui parete esterna si vedevano fulmini
e
scosse scorrere. Decise che non era molto saggio toccarla e si
allontanò
ulteriormente. Quell’ambiente era tutto un turbinio di luci
artificiali,
lampeggianti, accompagnate da strani suoni. Si sentì
all’interno di un videogioco
e storse la bocca, dubbioso.
Ad
un tratto, giunsero alle
sue orecchie a punta delle velate minacce che lo fecero rabbrividire.
C’era
qualcuno, o qualcosa, in quella sfera che lo voleva morto! Ed era in
trappola,
senza via d’uscita! Cominciò a guardarsi attorno
nervosamente, in cerca di una
soluzione.
“Ti
ucciderò, maledetto
bastardo! Come osi comparirmi davanti?” si sentì
dire.
Le
frasi divenivano sempre più
colorite ed inquietanti. Thuwey, allora, prese coraggio.
Mutò le sue braccia,
facendole divenire due lunghe spade, e si preparò ad
attaccare.
“Perché
non ti fai vedere,
invece che insultami gratuitamente?” ringhiò.
Le
luci attorno a lui
mutarono, spegnendosi gradatamente e concentrandosi in un unico punto.
Lassù,
sospeso e sorretto da cavi e altri globi, il Metallo vide una figura
seduta, di
fronte ad un grande schermo luminosissimo. Notò che si stava
alzando e,
velocissima, scese fino a raggiungerlo. Non fece in tempo a difendersi
e
colpirla. Già pensava di essere stato ferito a morte ma, non
sentendo dolore,
fissò con aria piuttosto interrogativa chi aveva di fronte.
La figura tolse il
casco che gli copriva il volto e ghignò.
“Perché
mi punta contro le
spade, messere?” ridacchiò.
“Eravate
Voi che mi
minacciavate prima?” domandò il Metallo, sempre
con aria dubbiosa.
“L’unico
che stavo minacciando
prima era quel nano che mi impedisce di passare di livello”.
“Stavate…giocando?”.
“Precisamente.
Vi inviterei a
provare ma mi son andati in corto un paio di circuiti
nell’altro casco…sono
spiacente”.
“Ma…com’è
possibile?!”.
“Hei,
sono il Dio
dell’Elettricità, non un elettricista! E non ho
voglia di metterci mani”.
Il
Metallo inclinò la testa.
Il Dio era leggermente più basso di lui, cosa piuttosto
normale dato che Thuwey
sfiorava i due metri, ed aveva la coda come Reishefy. Pulsava e mandava
scosse,
avvolta da un pallone di lampi e piccole luci. Aveva i capelli corti
sparati in
aria, con varie punte, ed il pizzetto scuro. Vestiva di nero e pareva
quasi
stupito di ritrovarsi quel mortale di fronte.
“Chi
sei?” domandò.
“Thuwey.
Vengo dal regno del
Metallo”.
“E
cosa ci fa uno del regno
del Metallo nel territorio
dell’Elettricità?”.
“Non
sa nulla riguardo ad una
missione?”.
“No.
Ma non me ne stupisco.
Sono stato molto impegnato ultimamente…posso rimediare
subito”.
Il
Dio prese fra le mani una
delle sferette che continuavano a girare e la fissò,
assorbendone l’elettricità
in un istante.
“Ecco…ora
ho ricevuto tutti i
dati che mi servivano sull’argomento. Quindi sei qui per
l’oggetto proibito,
suppongo…”.
“Precisamente…”.
“Bene.
Non c’è problema.
Siediti, Thuwey. Prendi una palla…”.
Il
Metallo si guardò attorno,
sconcertato. Uno dei globi volanti gli andò incontro,
ingrandendosi, e gli
permise di sedersi, tenendolo leggermente sollevato da terra.
“Io
sono Xoduzz, Dio dell’Elettricità,
e questo è il mio luogo proibito. Mi ci diverto un
sacco”.
“Come
funziona? Il casco,
intendo…”.
“Niente
di difficile. Lo metti
e lui segue i tuoi movimenti oculari e gli impulsi elettrici mandati
dal tuo
cervello”.
“Mi
piacerebbe provare”.
“Forse
dopo. Intanto…posso
offrirti da bere?”.
Thuwey
sorrise ed accettò
volentieri. Dopo un brindisi, mortale e divinità bevvero con
soddisfazione
dalla bottiglia che i globi volanti sorreggevano.
“Che
cos’è?” domandò il
mortale, non riconoscendo cosa stava mandando giù.
“Non
si chiede mai cos’è…si
beve e basta!”.
“Ah…ok…”.
“Come
sei arrivato qui?”
domandò il Dio.
“Ma…non
avevate assimilato
tutte le informazioni necessarie?”.
“Il
tuo arrivo non è una cosa
necessaria…”.
“Beh…mi
ci ha portato qui un
pallone”.
“Ah!
La mia piccola…”.
“In
base a cosa si capisce che
è una femmina?”.
“Non
si capisce…ma non è
meglio pensare di avere accanto una compagnia femminile?”.
“Non
posso di certo negare!”.
Risero
e bevvero un altro
bicchiere, tutto d’un fiato. Thuwey si congratulò
per la bontà di ciò che stava
trangugiando e la divinità gli spiegò che il
nettare degli Dèi era
impareggiabile e raro. Era un privilegio poterlo bere. Il Metallo di
certo
sfruttò quel privilegio e si fece riempire di nuovo il
bicchiere con entusiasmo.
Subito l’atmosfera si distese ed i due iniziarono a ridere,
senza motivo,
inebriati dal liquido e dalle luci intermittenti della sfera in cui
stavano.
“Volevi
davvero attaccarmi con
le tue braccia?” ridacchiò Xoduzz.
“Non
sono tanto male come
arma…”.
“Sono
inutili contro un Dio!”.
“Avevo
forse altre
alternative, se mi attaccavate?”.
“No.
Ma non avresti avuto
nessuna speranza…”.
“Me
ne farò una ragione…”.
“Perché
non provi a battermi
tramite il gioco? Indossiamo il casco e le nostre forze saranno pari,
nel mondo
virtuale creato dallo schermo”.
“Ma…avevate
detto che il casco
era rotto…”.
“Era
una bugia. Non condivido
questo giochetto molto facilmente…ma tu hai resistito a ben
quattro bicchieri
di ciò che ti ho offerto!! Normalmente un mortale si stende
dopo il primo! Devi
essere un discreto giocatore…”.
“Non
so come le cose possano
essere in connessione fra loro ma…mi piacerebbe davvero
provare”.
Il
Dio gli porse il casco,
accendendolo e ricoprendolo di luci colorate in modo eccessivo. Thuwey
rise,
con troppo trasporto a causa dell’alcol, e lo
indossò. Davanti a lui vide
Xoduzz in versione virtuale, vestito in modo simile ad un pirata.
Barcollando,
iniziando ad avere qualche difficoltà d’equilibrio
da sbronza, provò a muoversi
per provare qualche mossa. Non era difficile. Bastava pensasse a
ciò che faceva
quando si allenava e combatteva.
“Io
che aspetto ho? Non riesco
a vedermi…” domandò al Dio, che rise.
“Sei
bellissimo, fidati” gli
rispose “Vuoi provare qualche giochetto? Di livello
base…”.
Il
Metallo annuì e la divinità
scelse una semplice gara di corsa. Le due trasposizioni virtuali
iniziarono a
rincorrersi sulla sabbia, in principio senza ostacoli. Poi si
intromisero
strani bagnanti, tronchi, animali e massi. Thuwey si divertì
un sacco a
saltare, correre e rotolare. Si accorse che poteva infastidire
l’avversario
tirandogli gli oggetti che raccoglieva o la sabbia. Giunsero al
traguardo
assieme. Ormai il nettare divino circolava nel cervello del mortale,
impedendogli del tutto di avere comportamenti sensati e quindi non si
fece
nessun problema quando vide, assieme al punteggio, apparire il suo
personaggio
virtuale. Era una donna ed era completamente nuda.
“Ti
diverti così, Xoduzz?”
ridacchiò.
“Non
sai che effetto faccia,
su certe parti femminili, una bella corsa…”.
“Guarda
che ho visto donne
nude nella mia vita…”.
“Bene,
allora corri! Fammi
felice!”.
Il
Metallo ricominciò a ridere
ed a bere, togliendo il casco.
“Le
tue compagne di
viaggio…sembrano interessanti…”
iniziò il Dio, liberandosi anch’egli dello strano
copricapo.
All’istante
i capelli
tornarono come prima, belli a punta, senza nessun aiuto.
“Saranno
anche interessanti
alcune di loro…” iniziò Thuwey
“…ma è meglio lasciar
perdere!”.
“In
che senso?”.
“Idisi,
la Terra, è sposata
e…vecchia! Enki, l’Acqua, è una
ragazzina viziata e vigliacca, che non fa altro
che lamentarsi. Lehelin, l’Oscurità, è
inquietante. Hanjuly, il Ghiaccio, è una
bomba. È una gnocca da paura ma non la dà neanche
con le suppliche. Reishefy
poi…”.
“La
rappresentante del mio
elemento?”.
“Esatto.
Lei. Lei la dà via
come fosse una caramella ma solo l’idea di averla appiccicata
con tutte le sue
scosse continue mi fa desistere. E poi è insopportabile. La
ucciderei! E non
solo io…buona parte del gruppo la sacrificherebbe a qualche
Dio!”.
“Con
le ragazze proprio non
vai d’accordo. Ed i ragazzi? Come sono i maschi della
compagnia?”.
“Non
fraintenda! Vado
d’accordo con le donne, tranne con Reishefy, ma non me le
porterei a letto. Con
Hanjuly rischio perfino di rimanerci attaccato…sarebbe
imbarazzante! I
maschi…sono a posto. Efrehem è il piccolo genio,
Mattehedike è leggermente
esaltato mentre Aherektess e Kassihell non fan altro che
litigare…sono uno
spasso!”.
“Da
quanto siete in viaggio?”.
“Questo
è il 160esimo giorno,
se non vado errato…”.
“Un
bell’impegno”.
“Stare
lontano dalla regina mi
fa bene, ogni tanto”.
“Separarsi
dalla madre, specie
ad una certa età, fa bene…”.
“Jovihann,
la regina del
Metallo, non è mia madre! Io sono la sua guardia
personale!”.
“Ah…ok…”.
“Come
Vi è venuto in mente che
possa essere mia madre?!”.
“Ma
che domanda è? Beviti un
altro bicchiere, và!”.
Thuwey
non esitò e bevve,
scuotendo la testa e ridendo a vuoto.
“Cos’è
l’oggetto proibito, Dio
sparaflesciato?” domandò il mortale, dopo un altro
paio di sorsi.
“Dubito
esista quella
parola…ad ogni modo, sono questi due bracciali”
rispose la divinità, mostrando
i polsi.
“Carini…che
devo fare per
prendermeli?”.
“Niente.
Io non me ne faccio
nulla, sono scomodi e poi…mi piace il tuo stile”.
“Veramente
è la Roccia a cui
starebbero bene gingilli simili”.
“Ma
chissenefrega! Prendili e
taci!”.
La
divinità li sganciò e li
lanciò al mortale. Vedendo doppio, Thuwey non
riuscì ad afferrarli e dovette
andarli a cercare, carponi sul pavimento. Erano larghi, alti, ricoperti
di
simboli sacri e misteriosi. Il Metallo rifiutò di capirli,
mentre gli oggetti
gli si stringevano ai polsi per magia, impedendogli di toglierli.
Mutarono e si
riempirono di spuntoni lucidi, alti e minacciosi.
“Tranquillo.
Quando dovrai
combattere, si adatteranno alla forma del tuo braccio. Non li perderai
e non
puoi rovinarli” lo rassicurò Xoduzz.
Thuwey,
decisamente stordito,
li fissò stupito.
“Ora
puoi andare. Evocate la
creatrice…che non ho mai avuto l’onore di vedere e
che, immagino, dev’essere
davvero una bella donna. Faccio il tifo per voi…”.
“Per
poterla vedere?”.
“Esattamente.
Non mi riportare
quei cosi, qualunque cosa accada. Buttali via, se non sai cosa fartene.
Io fra
i piedi non li voglio…ho già abbastanza
trabiccoli qui!”.
Il
Metallo fissò il Dio senza
capire. In quella sfera c’erano solo loro due, uno schermo,
un groviglio di
cavi, i due caschi ed una marea di globi elettrificati che portavano da
bere a
rotazione.
Thuwey,
rialzandosi a fatica,
si fece offrire un ultimo bicchiere. Xoduzz glielo concesse e poi,
ghignando,
fece scomparire ogni cosa in una matassa di scosse. Il Metallo, sospeso
a
mezz’aria, cadde nella zona isolata. Il Dio era scomparso ed
era solo, con un
gran mal di testa. Si rialzò ondeggiando ed
individuò i suoi compagni. Senza
pensarci nemmeno per un momento, trascinò i piedi verso di
loro. Gli altri gli
fecero segno di correre, per evitare i fulmini, ma per Thuwey era
già tanto
riuscire a non cadere in terra. Ovviamente un lampo lo
colpì. D’istinto alzò le
mani al cielo, per proteggersi, ed in effetti rimase illeso. I due
bracciali
proibiti lo avevano assorbito. Rise a quella rivelazione e raggiunse i
nove
viaggiatori suoi compari che lo fissavano, senza capire.
“Ciao
ragazzi…” sbiascicò,
prima di cadere in terra, lungo disteso, abbattuto dal nettare divino.
†††
“Non
è morto?” sussurrò Enki.
“Macché!
Questo coglione è
solo ubriaco…” sbottò Kassihell.
Reishefy
stava pungolando il
Metallo con un bastone, quando questi si svegliò.
Naturalmente lo salutò
urlando e Thuwey strinse i denti, appoggiando le mani sulle orecchie,
in preda
al mal di testa.
“Oh…il
bello addormentato con
l’alito da alcolista si è
svegliato…” informò Mattehedike.
Lo
avevano disteso all’ombra
di uno degli alberi dell’Aria, in attesa che si riprendesse.
Ci aveva messo
parecchio a rinvenire. Non l’avevano lasciato lì
in balia del nulla solo perché
avevano visto cosa facevano i bracciali che portava. Quelli erano
l’unico mezzo
per proseguire tutti assieme lungo il regno
dell’Elettricità. Kassihell aveva
proposto di toglierglieli ma non c’era stato niente da fare.
Respingevano
qualsiasi altra mano al di fuori di quella di Thuwey.
“Ti
sei sbronzato con un Dio?”
si stupì Idisi, invitandolo ad alzarsi e bere una sua
speciale pozione che
avrebbe dovuto farlo star meglio.
“Sì.
Mi sono divertito un
sacco…”.
“Xoduzz,
il nostro Dio, è il
migliore di tutti!” urlò Reishefy, fra i gemiti di
protesta del Metallo.
“Abbiamo
perso già troppo
tempo. È ora di ripartire. Alzati e
muoviti…” ordinò il Fuoco, incrociando
le
braccia e fissando Thuwey, ancora disteso, con aria minacciosa.
“Va
bene, sissignore…dammi
solo un minuto…” sbiascicò
l’ubriaco.
“Ti
ho dato quasi due giorni!
Ed ora, rincoglionito come sei, rallenterai pure la marcia di tutti gli
altri!
Ancora non sei grado di capire qual è il bicchiere della
staffa che ti fa
sbronzare? Alza il culo e cammina!” fu il ringhio di risposta.
“Hei!
Ma con chi credi di
parlare? Vedi un po’ di abbassare la cresta!”
sibilò il Metallo, puntando le
dita contro chi l’aveva insultato.
“Davanti
a chi? Ad un misero soldato,
io che sono il futuro imperatore del Fuoco?”
continuò Kassihell, con le fiamme
nelle iridi.
“Sempre
se ti lascio tornare
in vita al tuo regno…” disse, alzandosi, Thuwey.
“Oh,
bene…ti sei alzato.
Possiamo andare” concluse il Fuoco, tornando calmo come se
nulla fosse
successo, avvertendo il resto della compagnia che era ora di partire.
L’offeso
rimase decisamente
spiazzato da quel comportamento e ci mise un po’ prima di
muoversi. Poi scoppio
a ridere, con la testa dolorante e la mente annebbiata, capendo che, in
effetti, avrebbe rallentato notevolmente anche gli altri. Non riusciva
ad
andare dritto e di certo nessuno della compagnia avrebbe potuto
trasportarlo.
Si ripromise di stare più attento ed evitare
sbronze…almeno fino alla fine del
viaggio!
I
dieci formarono un cerchio
attorno al Metallo, dando spazio sufficiente ai fulmini che attirava di
scaricarsi ed allo stesso tempo stavano abbastanza vicini a lui da
evitare di
essere colpiti da altri lampi. Reishefy, ondeggiando al vento la sua
chiave gialla
piena di punte, saltellava con entusiasmo. Efrehem ed Hanjuly le
stavano
accanto, non avendo problemi con la luce improvvisa che squarciava il
cielo ad
intermittenza. Mattehedike avanzava con le mani in tasca, come se nulla
fosse.
Enki teneva per mano Idisi, sobbalzando ad ogni tuono.
L’Oscurità era protetta
dai lampi dalle ali di Aherektess e restava dietro al Metallo. Al suo
fianco,
dal lato opposto dell’Aria, borbottava Kassihell.
L’elettricità che scorreva
sul terreno mutava in piccole fiamme quando sfiorava i piedi del Fuoco.
Questo
non gli dava fastidio e non gli impediva di lanciare continue occhiate
di
minaccia ad Aherektess che, ovviamente, contraccambiava.
Gli
abitanti di quel regno non
ci misero molto ad uscire allo scoperto, curiosi ed incoscienti, ed
iniziare a
seguire quella strana compagnia con entusiasmo. La Roccia ne
minacciò un
gruppetto, stanco del loro continuo vociare.
L’Elettricità, canticchiando,
invitò il popolo a fare lo stesso e subito i dieci si
trovarono circondati da
filastrocche ed entusiasmo gratuito.
“Dannate
lampadine canterine…”
sibilò Kassihell.
“Se
li uccidi ti copro io.
Dico che è legittima difesa!” sbottò
Thuwey, con i capelli di un volume
esagerato a causa delle continue scosse.
Gli
abitanti di quel regno
guardavano quei bracciali a punte con ammirazione. Vedevano come
attiravano i
fulmini e li scaricavano a terra, senza portare conseguenze al loro
portatore o
a chi aveva accanto. Alcuni entrarono all’interno del cerchio
dei viaggiatori
per poterli ammirare da vicino. Il Metallo respirò a fondo,
resistendo a fatica
al loro urlare continuo ed alle scariche che gli trasmettevano
toccandolo.
“Sono
pronto a coprirti
anch’io” gli disse il Fuoco.
Quasi
tutti i viaggiatori
tentarono di convincere Reishefy a portare un po’ di ordine
ma lei non ne capì
il motivo e continuò a canticchiare assieme al suo popolo.
Hanjuly si unì al
coro, seguendo la politica del “se non li puoi battere,
unisciti a loro”.
“Non
mi toccare!” minacciò il
Fuoco, sentendo qualcuno sfiorargli la gamba.
Gli
abitanti dell’Elettricità
parvero retrocedere a quell’ordine e Kassihell si accorse che
ciò che sentiva
non era opera di uno di loro ma di una creatura strisciante. Gli si
stava
arrotolando attorno alla gamba, mandandogli piccole scosse fastidiose.
Tentò di
liberarsene e la bestia alzò la testa, fissandolo con
minacciosi occhi densi
d’elettricità. Spalancò le fauci e si
rizzò, con l’intento di arrivare al volto
del Fuoco. L’attaccato, però, fu sufficientemente
veloce nel contrattaccare ed
incenerì l’aggressore, con una fiamma del suo
elemento. Lehelin e Mattehedike,
i più vicini all’accaduto, furono i primi a
fermarsi, seguiti poi da tutti gli
altri. Erano circondati da quelle bestie che si avvicinavano, numerose
e
veloci.
“Restiamo
a cerchio!” ordinò Thuwey,
cercando di avere l’autorità da capo
dell’esercito che gli spettava “E vada al
centro chi non combatte. Gli altri restino vicini e si preparino a
resistere!”.
Nessuno
obbiettò ed il Metallo
si spostò, andando a mettersi fra Fuoco ed
Oscurità. Enki, spaventata e
consapevole di non poter far nulla con l’acqua a quelle
bestie, si mise al
sicuro al centro. Efrehem fu tentato di fare lo stesso ma in lui
prevalse il
desiderio di mettersi in mostra davanti al Ghiaccio ed
iniziò a concentrare la
sua energia magica, ignorando il suo più sensato pensiero
razionale.
“Enki,
sei inutile!” urlò la
Roccia e lei gli mostrò la lingua.
Kassihell
ed Aherektess
avevano sfoderato le proprie armi. Idisi stringeva fra le mani la
specie di
remo con cui era partita, ingrandendolo. La Roccia tornò a
modificarlo, come
aveva fatto nel regno del Ghiaccio. A causa del riavvolgere del tempo
di
Kassihell, egli non ricordava di averlo già compiuto quel
gesto ed il remo non
aveva mantenuto quelle caratteristiche, rimanendo come se non fosse mai
stato
usato per combattere.
“Questo
si chiama macuahuitl”
spiegò, restituendolo alla Terra, dopo averlo riempito di
punte d’ossidiana e
roccia nera.
“Wow.
Grazie!” sorrise lei.
Hanjuly
estrasse in pochi
istanti il cerchio a lame che portava con sé. Mattehedike
espanse la
percentuale del suo elemento lungo tutto il corpo e lo stesso fece
Thuwey,
trasformando le sue braccia in spade.
“Caspita…”
esclamò Aherektess,
con ammirazione.
Lehelin
rimase perplessa
davanti agli apprezzamenti che ricevettero le braccia del Metallo ma
poi
ricordò che l’ultima battaglia era stata
cancellata dalla memoria dei
viaggiatori e che quindi non avevano mai visto il modo di combattere
degli
altri.
Le
creature striscianti, dense
di energia elettrica, erano pronti ad attaccarli.
“Dov’è
il tuo popolo di
straccia balle quando serve?” ringhiò Kassihell,
avvolgendo la spada nel fuoco
ed iniziando a colpire.
“Noi
siamo più che sufficienti
per battere questi serpentelli!” gli rispose Reishefy,
assorbendo l’energia
elettrica delle bestie, immagazzinandola nella coda ed impedendo alle
creature
di sopravvivere, come sottratte della linfa vitale.
“Sicura?”
sbottò Aherektess,
spazzando via e tagliando in due quegli esseri.
Thuwey,
con le sue spade
affilatissime, non aveva difficoltà a staccar loro la testa.
Lehelin
immobilizzava gli avversari, approfittando del fatto che fossero fatti
d’ombra
e scosse, e dava la possibilità a chi aveva a fianco di
ucciderne di più.
Mattehedike ne schiacciava e ne stritolava fra le mani, ignorandone
l’elettricità.
Efrehem illuminava, con un fascio bianco che gli partiva dalle mani, le
creature che aveva dinnanzi, permettendo a Reishefy di assorbirne
l’elettricità
con maggior facilità. Idisi conficcava gli aggressori con le
punte e li
spiaccicava con il legno, sorridendo soddisfatta. Hanjuly ruotava il
suo
cerchio e gli strani serpenti volavano in aria, tagliati in vari pezzi.
Enki,
vedendo questo, provò a concentrarsi e lanciare acqua verso
quelli che venivano
solamente sollevati dal ruotare di quell’arma. Il Ghiaccio
intuì ciò che aveva
in mente ed immediatamente comandò il suo elemento,
permettendo all’acqua di
ghiacciarsi all’istante e mandare gli animali in mille pezzi,
come un vetro
rotto. Vedendo questo, l’Acqua prese coraggio ed
uscì dal centro, andando
accanto ad Hanjuly.
“Io
e te siamo un’ottima
squadra!” la incoraggiò il Ghiaccio.
Enki
sorrise e continuò a
colpire. Nonostante l’affiatamento del gruppo, quelle bestie
erano sempre più
numerose e difficili da respingere. Alcune riuscivano a raggiungere il
loro
scopo, mordendo ed ustionando la pelle dell’aggredito laddove
si riuscivano ad
arrotolare e scaricare tutta la loro energia elettrica. Stretti in un
cerchio
sempre più piccolo, l’uno accanto
all’altro, si resero conto che non avrebbero
resistito a lungo, continuando così. Ad un tratto la Roccia
ebbe un’idea. Non
avevano niente da perdere, tanto valeva provare! Estrasse rapidamente
il suo
oggetto proibito dalla sacca e lo guardò, tentando di capire
se poteva aiutarlo
in qualche modo.
“Oh,
grande Loreatehenzi,
siamo nei guai…se puoi essermi utile, te ne sarai
grato…” borbottò, rigirando
il pugnale dalla punta arrotondata fra le mani.
Subito,
attorno alla lama, si
iniziò a creare un turbine d’aria di colore
azzurro vivo. Il resto della
compagnia rimase immobile davanti a quello spettacolo inaspettato. La
luce ed
il vortice si espansero, avvolgendo col suo colore la compagnia e gli
animali.
Tutti furono costretti a chiudere gli occhi, tranne Efrehem che vide
l’arma
assorbire tutti i nemici e farli sparire. Quando la Roccia
riaprì gli occhi, la
lama dell’oggetto proibito era tutta decorata a serpenti neri.
“Che
figata” fu l’unico
commento, di Reishefy naturalmente.
†††
Si
sedettero tutti quanti in
terra, per riprendersi dalla fatica, dallo stupore e dallo spavento. Si
guardarono, iniziando a percepire il dolore delle varie ferite. La
Terra cercò
nella sua borsa qualcosa per lenire quella sensazione. Ne
trovò ma non a
sufficienza per l’intero gruppo.
“Dovrei
andare nel vicino
regno dell’Aria per cercare determinate piante”
disse.
“E
non puoi farle comparire
dal terreno?” protestò Mattehedike, stringendosi
il braccio ferito.
“Certo
che no. Non si può
sconvolgere l’equilibrio del pianeta facendo crescere piante
dove non
dovrebbero esserci e di regni diversi! Con quello che ho con me, posso
dare
sollievo a due di noi e, nel frattempo, tornare nel regno di Aherektess
a
prendere ciò che mi serve. Non è
distante…”.
“Ti
accompagno io!” si propose
Enki.
L’intera
compagnia la fissò
con vivo stupore.
“Voi
tutti mi avete protetta
ed io non sono rimasta ferita. Inoltre ho combattuto meno di voi e non
sono
stanca. Idisi non può andare da sola!”.
“Hai
ragione. Allora andate.
La Terra si medicherà e poi partirà, sperando che
non accada altro di
spiacevole!” parlò Efrehem, con le antenne chinate
sul capo per la fatica.
Idisi
mangiò qualche bacca
secca che aveva con sé, spiegando che le davano la forza
necessaria per
assolvere il suo compito. L’Acqua le assicurò che
l’avrebbe aiutata in ogni
modo possibile.
“Brava.
Siamo tutti orgogliosi
e felici della tua decisione” le disse Hanjuly ed Enki
arrossì.
“Forse
dovremmo cercare
riparo” propose Efrehem.
“Qui
ora siamo protetti
dall’oggetto sacro dell’Aria. Meglio non uscire
dalla sua influenza” parlò
Mattehedike, vedendo chiaramente un cerchio azzurro tracciato attorno
agli otto
viaggiatori.
Thuwey
guardò l’Oscurità e le
sorrise, vedendo che si era rimpicciolita a causa della forte luce del
pugnale
di Loreatehenzi.
“Come
siamo teneri, ancora più
piccoli…” commentò e subito Aherektess
la circondò con le braccia piumate, come
a voler lanciare un chiaro segnale di quali limiti non doveva superare
il
rappresentante del Metallo.
Efrehem
si era accoccolato su
quel terreno nero e pieno di elettricità con
l’intento di riposare. Trovò quel
regno molto strano, quasi artificiale. Perfino gli alberi erano
attraversati
dalle scosse, così come i loro frutti ed i loro fiori.
Kassihell zoppicava a
causa del primo attacco, inaspettato, ma non riusciva a restare calmo e
seduto.
Aherektess aveva solo graffi, essendo stato protetto
dall’Aria. Thuwey era
quello che mostrava più segni sulle braccia, attraversate da
tutta
l’elettricità emessa dalle creature che uccideva.
Hanjuly aveva le mani ferite
e le guardava con una smorfia. Reishefy, notando i volti sofferenti
degli altri
e non presentando gravi segni su di sé, salvo la stanchezza,
decise di usare
anch’essa il suo oggetto proibito. Si concentrò e,
stringendo fra le mani la
coppa di Heronìka, permise ai presenti di bere acqua
cristallina e lenire il
dolore con il suo freddo scorrere sulle parti colpite.
“Sono
sempre più stupito.
Questo regno sta tirando fuori il lato migliore di noi!”
disse Aherektess e
nessuno trovò da obbiettare.
Terra,
Acqua ed Elettricità
partirono alla volta del regno dell’Aria. Reishefy
andò con le due volontarie
per incanalare le scosse del suo mondo e per non dover rimanere ferma
troppo a
lungo nello stesso posto, cosa che la infastidiva parecchio. Grazie
alla sua
presenza, i fulmini non diedero fastidio ed il loro cammino fu
più facile.
†††
I
sette rimasti a riposare
stavano sonnecchiando tranquilli, ogni tanto sorseggiando
l’acqua della coppa
di Heronìka o sbocconcellando il cibo che avevano con
sé nelle borse. Nessuno
parlava, approfittando dell’assenza
dell’Elettricità, e sembravano tutti persi
nei loro pensieri. Efrehem stava riportando ciò che era
successo sul suo
libricino, dopo essersi ripreso stando disteso per qualche tempo.
Hanjuly
ripuliva la sua arma, lentamente e senza emettere un fiato. Aherektess
aveva
avvolto Lehelin nelle ali per un po’ ed ora restavano seduti,
fianco a fianco,
fissando l’orizzonte. Mattehedike si era medicato con le
poche cose lasciate
dalla Terra ed adesso brontolava sommessamente, sentendo la ferita al
braccio
bruciare. Thuwey aveva ignorato i segni sui suoi arti ed era immobile,
a gambe
e braccia incrociate, in una sorta di meditazione. Kassihell tentava di
fare lo
stesso ma non riusciva a concentrarsi, tormentato com’era da
strani pensieri.
“Che
ti succede?” gli domandò
Lehelin.
“Niente”
mormorò, di risposta,
il Fuoco.
“Dovresti
saltare di gioia per
la mancanza di Reishefy ed il silenzio che ciò
comporta…ed invece te ne stai lì
con quella faccia triste e malinconica”.
“Mi
sono ritrovato a
riflettere su cosa potrebbe succedere se io non dovessi tornare a
casa”.
“Perché
non dovresti
tornare?”.
“Questo
viaggio è pieno di
pericoli. Se io non riuscissi a superarli tutti e
morissi…cosa accadrebbe alle
persone a cui voglio bene?”.
“Intendi
a tua moglie ed i
tuoi figli?”.
“E
mia madre…mia sorella… Sono
tutte persone che ho sempre difeso da mio padre, in ogni momento, ed
ora so che
lui non sta facendo nulla di male perché consapevole del mio
ritorno e di ciò
che potrei fargli se venissi a sapere che ha fatto qualcosa di
sbagliato. Se
non dovessi tornare…”.
“Siamo
un gruppo, una squadra.
Non permetteremo mai ad uno di noi di morire!” lo
rassicurò Hanjuly, riponendo
la sua arma nello zaino.
“Ma
potrebbe accadermi un
imprevisto…come la tempesta in cui è sparito
Aherektess!”.
“Quello
potrebbe accaderti anche
stando comodamente a casa…” commentò la
Luce.
Kassihell
non sembrava
convinto. Il solo pensiero di non poter rivedere le poche persone che
amava e
che lo amavano lo faceva star male. E chissà cosa stavano
facendo in quel
momento…chissà com’erano cambiati i
suoi bambini nel frattempo… Sospirò,
tentando di spostare i suoi pensieri altrove. Ci riuscì
quando percepì un
rumore alle sue spalle. Notò che anche Aherektess lo aveva
sentito, avendo un
udito finissimo, ed aveva rizzato le piccole orecchie a punta. Si
accorsero che
un nutrito gruppo di creature di quel regno li stava raggiungendo. La
compagnia
di viaggiatori si alzò in piedi, stupita ed indecisa sul da
farsi. Quando
l’apparente capo dei nativi si fermò, i sette si
fissarono con fare dubbioso.
Il capo puntò il dito contro di loro e sibilò
qualcosa nella lingua locale, che
nessuno della compagnia capì.
“E
questo che vuole? Avanti
Efrehem…sei tu il diplomatico!” parlò
il Fuoco.
“Ma
io non conosco la loro
lingua…” protestò la Luce.
“Provaci…qualche
parola della
lingua di Asteria la sapranno, no?!”.
Efrehem
sospirò e, dopo
essersi passato una mano sui capelli neri, fece qualche passo avanti.
“Salve…”
parlò “…noi non
comprendiamo la vostra lingua, mi spiace. Qualcuno di voi
può tradurre, per
cortesia?”.
Notò
gli sguardi persi di chi
aveva di fronte.
“Qualcuno
di voi mi capisce,
almeno un pochino?” disse.
Non
ricevette risposte e la
Luce si girò verso i suoi compagni, non sapendo cosa fare.
Nel frattempo, i
nativi si erano messi a parlottare fra loro nella loro lingua
incomprensibile.
Ricominciarono a rivolgersi ai sette, evidentemente con frasi poco
carine, data
la loro espressione, ma del tutto prive di senso per i viaggiatori.
“Non
vi capiamo!” scandì per
bene il Metallo.
Sperava
di essersi fatto
comprendere, quando vide i popolani fermi, ma subito cambiò
idea perché si
mossero tutti assieme verso gli stranieri con sguardi decisamente
minacciosi.
“Siamo
qui con Reishefy…sapete
chi è? La principessa Reishefy…”
ricominciò Efrehem.
“Inutile…questi
non capiscono
un cazzo!” lo zittì il Fuoco, sguainando la Katana
e minacciando le creature
dell’Elettricità di stargli lontano per evitare
conseguenze.
Feriti,
stanchi e malconci
com’erano, la compagnia non poteva sperare di competere con
quella folla
inferocita che gli lanciava contro scosse elettriche e fulmini.
Capirono di non
avere altra scelta ed alzarono le mani, in segno di resa. Nel giro di
qualche
secondo, si ritrovarono tutti svenuti in seguito ad una potente scarica
alle
spalle.
†††
“Sono
felice che tu stia
acquisendo sempre più coraggio!” disse Idisi,
rivolta ad Enki.
“Anch’io
ne sono contenta.
Dipendere sempre dagli altri e dal loro sostegno è
terribile…spero di
migliorare sempre di più!” fu la risposta.
“A
proposito di altri…chissà
come se la stanno passando!” canticchiò Reishefy,
di ottimo umore e piena di
energia donatagli dalle scariche del suo regno.
“Sono
sicura che se la stanno
cavando alla grande. Saran tutti spaparanzati che
sonnecchiano…” azzardò la
Terra.
Le
tre erano ormai vicine al
confine col regno dell’Aria.
“Noi
ragazze siamo meglio dei
ragazzi del gruppo, non trovate?” riprese
l’Elettricità.
“In
che senso?” domandò Enki.
“Nel
senso che…guardateci! Noi
facciamo lavoro di squadra, ci aiutiamo ed aiutiamo gli altri. Fra noi
discutiamo molto poco. Invece i maschiacci non fan altro che trovare
una scusa
per urlarsi contro. I litigi partono sempre da loro!”.
“Sì…ma
poi si aggiungono anche
un paio di noi ragazze…” ridacchiò la
Terra.
“Ovvio!
Provocano quei
bambinoni ed è mio e vostro dovere difenderci!”
rimbeccò Reishefy.
“Pian
piano stiamo tutti
imparando a conoscerci e sopportarci. Andrà sempre
meglio” rassicurò Idisi,
iniziando a sentire la terra verde sotto i piedi.
Non
passò molto tempo prima
che si ritrovassero tutte e tre su un grande prato rigoglioso, in
ginocchio, a
cercare le erbe ed i fiori che la Terra descriveva.
“Una
caccia al tesoro! Cosa
vinco se ne trovo più io?” rise
l’Elettricità.
“Tu
cosa mi dai se, invece,
vinco io?” rispose, sempre ridendo, l’Acqua.
Idisi
sorrideva sentendo come
le due ragazze andassero d’accordo. Erano a capo chino, quasi
carponi, in cerca
dell’ultimo fiore necessario, quando un’ombra
coprì loro la visuale.
“Spostati!
Non vedo bene
così!” sbottò Reishefy.
“E
che cosa dovreste vedere di
preciso, di grazia?” si sentì rispondere.
Le
tre alzarono lo sguardo e
videro che c’erano numerose creature d’Aria che le
fissavano.
“Cerchiamo
un’erba per i
nostri compagni di viaggio, che sono feriti”
spiegò Idisi, con calma.
“E
non potreste cercarla a
casa vostra, signora, provenendo dal regno della Terra?”
rispose l’alato,
notando le gambe di legno della donna.
“Noi
siamo in viaggio per
Asteria ed il luogo più vicino in cui trovare piante del
genere, dal punto del
viaggio in cui siamo ora, è questo. Chiedo scusa se la cosa
non è gradita,
vedrò come ripagarvi, se è questo il
punto…”.
“Acqua,
Terra ed Elettricità
che viaggiano assieme?”.
“Sì,
bello. Problemi?!” sibilò
Reishefy ed Idisi le fece segno di abbassare i toni.
“Il
principe Aherektess
viaggia con noi…” mormorò Enki,
intimidita da tutti quegli sconosciuti.
“Aherektess?
E dov’è?”.
“Con
gli altri. Nel regno
dell’Elettricità”.
“Se
davvero viaggiaste con il
principe Aherektess, vi avrebbe sicuramente informato che questo
terreno è
inviolabile. Qui è dove si è combattuta
l’ultima, terribile, battaglia fra noi,
il Fuoco e l’Oscurità, dove il grande re
Denerìs ha perso la vita”.
“Il
padre di Aherektess e
Zameknenit è morto qui?” domandò Enki,
con tristezza nella voce.
“Esatto.
Ed il re Zameknenit
ha dato ordine che nessuno osi in qualche modo disturbare il riposo dei
guerrieri che sono caduti assieme a lui. Raccogliere fiorellini rientra
in
quelle violazioni!”.
“Chiediamo
scusa…” si affrettò
a dire Idisi “…non lo sapevamo!”.
“Il
principe Aherektess vi
avrebbe di certo informate!”.
“Non
lo ha fatto. Chiediamo
profondamente perdono per questa violazione…”
parlò la Terra, chinando il capo
in segno di rispetto.
“Siete
tutte e tre in
arresto”.
“Cosa?!
Non potete
arrestarci!” urlò Reishefy “Sapete chi
sono io?! Io sono la principessa del regno
dell’Elettricità! Saranno guai grossi per voi e
per la vostra gente se osate…”.
“Reishefy!
Finiscila!” la
rimproverò Idisi.
Alle
tre vennero legati i
polsi.
“Conosciamo
Zameknenit. Sono
sicura che se chiedete a lui saprà spiegarvi ogni
cosa” disse Enki.
“Vedremo.
Intanto venite con
noi, signore”.
†††
Con
un mal di testa da record,
il gruppetto di sette viaggiatori si risvegliò. Con i polsi
legati dietro la
schiena e le caviglie bloccate, capirono subito di non trovarsi in una
bella
situazione.
“Cos’è
successo?” mormorò
Hanjuly, confusa e disorientata.
“Ci
hanno catturato, ecco cosa
è successo…” ringhiò
Mattehedike.
“Ma
così, quando Enki,
Reishefy ed Idisi torneranno, non ci troveranno!” si
allarmò il Ghiaccio,
iniziando a dimenarsi per potersi liberare.
“Ci
sarà qualcuno con cui
poter parlare…” borbottò Efrehem.
“Non
credo che a questi
piaccia parlare. I loro sguardi lasciano intendere la loro scarsa
propensione
all’amicizia” commentò Kassihell, a
bassa voce, rimanendo apparentemente calmo.
“Un
momento…dov’è Thuwey?”
domandò Lehelin, tenuta ferma davanti alla finestra da dove
i lampi continui la
indebolivano e la bloccavano.
“Ho
sentito la sua voce poco
fa. Lo han portato in un’altra stanza”
informò Aherektess.
Il
gruppo si guardò attorno.
Erano legati a dei pali verticali e seduti in terra. Il pavimento era
gelido ma
su di esso non scorreva l’elettricità. Al buio,
ogni tanto venivano illuminati
dai fulmini che squarciavano il cielo. Guardavano fuori
dall’unica finestra, in
cerca di una speranza di fuga.
“Dobbiamo
trovare il modo di
avvertire le ragazze” iniziò la Luce.
“Sì.
Forse in questo momento
sono già sulla strada del ritorno. Se non ci dovessimo
rincontrare più…sarà un
vero casino!” concordò il Ghiaccio.
“Cerchiamo
di vedere il lato
positivo…qui non corriamo il rischio di essere colpiti dai
fulmini. Non
vogliono ucciderci, a quanto sembra…”
ipotizzò l’Aria.
“Se,
però, ci dicessero che
stracazzo vogliono…” iniziò il Fuoco,
ma venne interrotto dall’ingresso di un
paio di creature dell’Elettricità che passarono
oltre, ignorando le proteste
dei catturati, entrando in una stanza adiacente.
“NON
VI CAPISCO, PORCA
TROIA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!” urlava Thuwey, per
l’ennesima volta.
Lo
avevano legato stretto e
continuavano a fargli domande. Il Metallo, non capendo, non rispondeva
in modo
comprensibile per quelle creature e queste si stavano spazientendo. Da
una
mezz’ora, ad ogni risposta per loro non soddisfacente,
sferravano un colpo al
prigioniero, accompagnato da una scossa. I bracciali, gli oggetti
proibiti,
assorbivano l’elettricità ma non potevano impedire
al Metallo di essere
colpito.
Nuova
domanda, stessa
risposta. All’orecchio di Thuwey, un’accozzaglia di
suoni senza senso a cui lui
non poteva fare a meno di rispondere “Non vi
capisco” e “Vaffanculo, stronzi”.
Altra
domanda, ennesima
risposta insoddisfacente. Un potente colpo sul viso con un bastone
rigido.
Questo dopo aver capito che si facevano più male loro a
colpirlo, essendo fatto
in buona parte di metallo, piuttosto che il torturato. Sputando sangue
argento,
il Metallo li guardò con odio. Era troppo debole per sperare
di combattere e le
sue braccia non si volevano trasformare, malridotte
com’erano. Lo presero per i
capelli e gli ribaltarono il volto all’indietro, ripetendo
l’ennesima frase
incomprensibile. Thuwey iniziò a dire parole a caso, tanto
l’effetto era lo
stesso.
La
porta si aprì ed entrarono
altre tre persone. Iniziarono a parlare fra loro. Una si
avvicinò al Metallo e
ne osservò per bene i bracciali, annuendo con il capo.
L’unica parola che
riusciva a comprendere il catturato era Reishefy, che veniva
pronunciata ogni
tanto, e Xoduzz.
“Avete
dei problemi con i miei
bracciali? Sono gli oggetti proibiti che mi ha affidato il Dio
dell’Elettricità. Per favore…lasciatemi
andare…non ho fatto niente di male!”.
Tentò
l’uso di un tono di
supplica, ma non funzionò. Il più alto degli
ultimi tre entrati si avvicinò ad
una parete, aprì un pannello lucido di difficile
individuazione e premette un
bottone. L’elettricità dell’atmosfera
aumentò e tutto inizio a tremare. Le
pareti si abbassarono, permettendo all’intero gruppo di
viaggiatori di potersi
rivedere, ed il tetto si aprì.
“Un
momento…che avete in
mente?! Che fate?!” si dimenò il Metallo, notando
che sia lui che i suoi sei
compagni erano legati a delle lunghe aste protese verso il cielo.
Hanjuly
lanciò un grido, non
appena realizzò che con il tetto scoperto erano facile
bersaglio per i fulmini
di quel regno.
“Ecco
smontata la tua teoria
riguardante il fatto che non vogliono ucciderci…”
sospirò Kassihell, rivolto ad
Aherektess, ma senza guardarlo negli occhi.
“Per
una volta ti devo dar
ragione” concordò l’Aria.
“Ragazzi…è
stato un onore
viaggiare con voi” aggiunse il Fuoco.
I
fulmini ed i tuoni erano
tutt’attorno a loro. Era solo questione di attimi prima che
succedesse
l’irreversibile. Solo la Roccia restava calmo, sapendo che,
anche se fosse
stato fulminato, non si sarebbe fatto troppo male.
Il
Ghiaccio gridò di nuovo,
quando si aprì un cratere a pochissima distanza dal gruppo a
causa di un fulmine.
Era terrorizzata ed era stanca di nasconderlo.
“AIUTO!”
urlò, agitandosi e
quasi piangendo.
Gli
uomini del gruppo
tentavano di mantenere un certo autocontrollo, almeno apparente, ma
erano
perfettamente consapevoli che bastava un attimo e tutti se ne sarebbero
andati
per sempre.
†††
“Vi
dico che è così!” ripeté,
per l’ennesima volta, Idisi.
“Siamo
in viaggio assieme al
principe Aherektess e stiamo attraversando Asteria tutti assieme, un
rappresentante per ogni regno” spiegò.
“E
come mai ora, qui, davanti
a me, vedo solo voi tre?” domandò
l’abitante dell’Aria.
“Perché
ci siamo separate
dagli altri per cercare una medicina”.
“Siete
un gruppo di sole
donne, oltre al principe? Sempre che effettivamente il principe rientri
nel
vostro gruppo…”.
“No.
Siamo cinque donne e
cinque uomini”.
“E
mi state dicendo che un
gruppo con cinque uomini lascia andare da sole tre donne in luoghi
pericolosi
come se nulla fosse? Non è molto credibile, se lo scopo
è farvi arrivare tutti
assieme alla fine del viaggio, come mi avete riferito
prima…”.
“Io
sono una creatura della
Terra e sono l’unica che conosce certe cose”.
“Allora
perché non far andare
lei con due uomini come scorta? Magari il principe per rendere la cosa
più
credibile e meno rischiosa…”.
“Mi
serviva l’Elettricità per
non farmi male nel regno pieno di scariche e scosse. L’Acqua
era quella meno
stanca della compagnia”.
“Perdonatemi
signore ma questa
storia non ha alcun senso…”.
“Chiedete
a Zameknenit! Lui
confermerà la nostra versione!” disse Enki.
Le
tre donne erano sedute una
vicina all’altra, sorvegliate a vista, di fronte ad un tavolo
rosso acceso,
liscio e spoglio. Sopra le loro teste, una grossa cupola in vetro
proteggeva
l’edificio dalla lieve e momentanea pioggia che cadeva.
“Abbiamo
mandato una
comunicazione a palazzo. Se tutto questo è una
balla…passere dei brutti guai,
signorine” sibilò l’abitante
dell’Aria, alzandosi da dietro il tavolo e
puntando contro alle interrogate un dito accusatore.
Dopodiché
fece loro segno di
guardarsi attorno e le sorvegliate si accorsero che la polizia di quel
regno
non doveva essere molto delicata con gli stranieri, date le armi che
stringevano fra le mani.
†††
“Thuwey!
Non riesci a
trasformare le braccia e liberarti?” gridò Efrehem.
“Ci
ho provato ma sono troppo
rovinate e ferite…” gemette il Metallo.
“Tutti
noi siamo feriti! Prova
a fare uno sforzo!” protestò Mattehedike.
“Mi
spiace, ma non ci riesco!
Fai tu qualcosa, dato che sei tanto bravo!”.
“E
cosa?!”.
“Che
ne so! Usa la fantasia!”.
Kassihell
chiuse gli occhi,
cercando di richiamare le energie del suo elemento fra le mani ma non
ci
riusciva. Era troppo stanco e la sua magia era debole.
Sospirò. Non poteva fare
altro…ma poi l’ennesimo fulmine cadde in terra e
al Fuoco venne un’idea.
“Thuwey!”
gridò “Tu hai i
bracciali dell’Elettricità, puoi controllarla.
Riusciresti ad attirarla e
mandarla da me? Falle colpire il bastone a cui sono legato, il
più vicino
possibile alla mia testa”.
“Posso
farlo ma…a che scopo?
Sei impazzito?! Morirai fulminato!”.
“Tu
fallo. Fidati di me”.
Il
Metallo annuì e si
concentrò, tentando di dominare il potere degli oggetti
proibiti. Il cielo
parve rispondergli e l’elemento di quel regno
sembrò quasi obbedirgli.
“Sei
sicuro di ciò che fai?!”
si preoccupò Hanjuly.
“Fidati”
si limitò a
rispondere il Fuoco.
“Per
me ti sei bruciato tutti
i neuroni” scosse il capo l’Aria.
“Sono
affari miei. I tuoi son
volati via da tempo, ma non te lo faccio pesare!”.
Un
potente lampo partì e fu
attirato dai bracciali di Thuwey. Il Metallo gridò e lo
deviò verso Kassihell.
Nel frattempo, un tuono assordante stordiva la compagnia. Il Fuoco
spalancò gli
occhi, mentre l’elettricità, colpendo
l’asta a cui era legato, provocò una
fiammata. Durò pochi istanti ma Kassihell riuscì
ad interagire con il suo
elemento e comandarlo. Trasformò
l’elettricità in fuoco vivo e lo fece correre
fino alle sue mani. Era libero. I lacci ai suoi polsi erano bruciati e
l’energia delle fiamme lo stava alimentando, ristorandolo
dalle fatiche e
facendogli tornare la voglia di combattere. In un attimo fu in piedi,
tagliando
ciò che gli bloccava le caviglie con la Katana, incazzato e
decisamente stufo
di quella situazione spiacevole. Ignorando il fatto di essere ferito
alla
gamba, minacciò con convinzione le creature
dell’Elettricità che si avvicinavano.
Iniziò a liberare i suoi compagni, per prime le signore.
Un’orda di abitanti di
quel mondo accorse sul posto per impedirglielo, ma l’ira del
Fuoco era una cosa
difficile da controllare.
“Dannatissime
bestiacce
elettriche e microcefale, state lontane da me!” urlava, non
provando rimorso
nell’usare la Katana contro gli aggressori.
La
sua energia diede nuova
forza anche ad i suoi compagni che, nonostante le ferite, non erano
più tanto
stanchi come quando erano stati catturati ed erano desiderosi di
difendersi.
Mattehedike,
scalpitando
impaziente non essendo ancora stato liberato, concentrò la
sua carica magica
cercando di percepire la roccia, suo elemento, sotto di sé.
A fatica ci riuscì.
Sorrise quando ciò avvenne e gridò, raccogliendo
più energie possibile. Usò le
parole della sua lingua, trovandole di certo più adatte del
complicato e
formale linguaggio di Asteria, e comandò il sottosuolo.
Sussultando, la roccia
gli permise di liberare il palo a cui era legato e Mattehedike si
alzò in
piedi, ruotando il busto ed usando la lunghissima asta come arma. Si
stupì egli
stesso di essere in grado di fare una cosa del genere. Avendo le
braccia
ferite, capì che non avrebbe avuto altro modo di combattere
se non attraverso
originali stratagemmi, usando la fantasia.
Efrehem,
percependo anch’egli
una grande ed improvvisa forza dentro di sé,
parlò nella sua lingua ed attenuò
la luce dei lampi, permettendo all’Oscurità di
combattere ed apparentemente
scomparire fra il nero del terreno e delle nubi.
Aherektess,
liberato da
Lehelin, sorrise quando si rese conto di poter governare il suo
elemento senza
sforzo. Si sollevò da terra ed iniziò a
scaraventare lontano i sempre più
numerosi avversari. Hanjuly, più energica che mai,
sfruttò le correnti generate
dall’Aria per trasmettere il gelo del suo regno a chi osava
sfidarla e questi
rimaneva bloccato, incapace di muoversi.
Oscurità
e Metallo avevano
optato per il gioco di squadra. Lei immobilizzava le creature
elettriche,
interferendo con la loro ombra, e lui le colpiva con le mani irte di
spuntoni
affilati.
Kassihell,
dopo l’ennesima
fiammata alla massa, propose al gruppo di allontanarsi. Sembrava che
gli
aggressori non finissero mai. Arrivavano a frotte, tutti armati e
desiderosi di
bloccarli. I sette si guardarono con cenni d’intesa e, senza
parlare, non si
spiegarono nemmeno loro come, diedero via ad un formidabile attacco
combinato.
Efrehem
modulò la luce in modo
da creare ombre ben definite, che Lehelin riuscì facilmente
a bloccare
impedendo la fuga o l’eventuale arrivo di ulteriori creature
ostili. Kassihell
concentrò tutta la sua energia e creò
un’onda di fuoco notevole, alimentata
dalle correnti di Aherektess che la fecero crescere ulteriormente e
correre
veloce verso i loro avversari. Hanjuly fece mutare alcune di quelle
fiamme e le
trasformò in piccoli ma accuminatissimi ghiaccioli volanti.
Mattehedike e
Thuwey comandarono alla perfezione l’elemento che scorreva
dentro di loro,
modificando i loro corpi e riempiendoli di punte, spuntoni e ad altre
protuberanze mortali in modo da colpire tutti coloro che si erano
avvicinati
troppo alla compagnia. L’effetto fu devastante. Come
un’enorme onda d’urto,
quella magia investì il popolo
dell’Elettricità e non gli lasciò
scampo. Rimase
solo cenere e qualche corpo trafitto qua e là.
“E
adesso direi che è meglio
se spariamo il più in fretta possibile da
qui…” suggerì il Metallo e nessuno
obbiettò.
†††
“Come
sarebbe a dire?!”
sbraitò Zameknenit, quando seppe quanto era accaduto ai
confini del suo regno.
Appena
gli era stato comunicato
l’arresto di creature estranee all’Aria, aveva
avuto subito il sospetto che
potessero essere i compagni di viaggio del fratello. Ricordava i loro
nomi e,
sentendoseli dire, li collegò immediatamente e non attese
oltre: salì su
un’enorme creatura piumata e decise di risolvere la cosa di
persona. Sapeva che
le lungaggini burocratiche avrebbero impedito un’immediata
partenza delle tre
prigioniere, cosa che avrebbe evitato pensandoci personalmente. Il
volatile
variopinto su cui volava era velocissimo, sventolando la lunga coda e
la cresta
al vento. Tutti nel regno sapevano che quella era la creatura ufficiale
del re
e ne rimasero affascinati quanto stupiti nel vederla nel cielo,
soprattutto
senza scorta al seguito. Nel giro di un paio d’ore era giunto
alla meta ed era
sceso dalla cavalcatura, con sul volto l’espressione
più truce che potesse
assumere.
“Chi
comanda qui?” sbraitò,
nella sua lingua, senza lasciare il tempo alle guardie presenti di
mettersi
sull’attenti e di assumere un atteggiamento decoroso.
“Vostra
Maestà…” iniziò a
parlare il capo di quella postazione di controllo dei confini.
“Risparmiami
le sviolinature.
Dammi solo un motivo valido per non spiumarti e condannarti ad
un’eterna
carriera da bestia da soma!” rimbeccò il re, irato
come non ricordava di essere
mai stato.
“Vostra
Maestà…la loro storia
era inverosimile e si trovavano in una zona in cui non è
concesso a nessuno di
accedere. Ho semplicemente fatto rispettare la legge…non
potete punirmi per
questo…”.
“La
legge?! La legge sono io,
chiaro? E se io decido una cosa, è così che dev
essere, ok? Ed adesso portami
dalle prigioniere, figlio dei bassifondi del mondo
senziente!”.
Camminando
verso la cella,
Zameknenit si stupì delle sue stesse parole, chiedendosi da
dove gli fossero
uscite e se era stato davvero lui a pronunciarle.
“Eccole,
Signore…” mormorò la
guardia, a capo chino ed indicando Acqua, Terra ed
Elettricità.
Erano
accoccolate in un
angolo, l’una vicina all’altra, spaventate dalle
circostanze.
“Cosa
aspettate?! Aprite
questa cazzo di cella, muoversi!” urlò il re.
Venne
subito accontentato. Le
tre non si mossero subito e quindi fu il sovrano ad entrare.
“Spero
vogliate perdonare
questo increscioso incidente. Farò tutto il possibile per
rimediare, ve lo
posso garantire. Chiedete qualsiasi cosa…” si
scusò Zameknenit, salutando le
donne con un elegante baciamano ed un inchino.
“Noi
eravamo qui per cercare
delle erbe…” iniziò Idisi.
“Ditemi
tutto ciò che vi serve
e sarò lieto di farvelo avere nelle quantità che
preferite”.
“E
non fate male a quello che
ci ha catturato. Ci ha fatto paura ma non ci ha ferito o
maltrattato…” aggiunse
Enki, arrossendo incrociando gli occhi blu del sovrano.
“Se
desiderate questo…”
mormorò, perplesso, il re.
“Fateci
raggiungere al più
presto il resto del gruppo! Siamo tremendamente in ritardo!”
gridò Reishefy,
odiando più di ogni altra cosa l’essere rinchiusa.
“Provvederò
anche a questo.
Nel frattempo, vi chiedo di uscire da questa cella e di darmi i nomi
delle
piante che vi servono”.
Le
donne uscirono e la Terra
pronunciò ad alta voce ciò che le serviva.
“Non
avete sentito, per caso?”
sbottò Zameknenit, rivolto alle guardie che erano rimaste
immobili e
sconcertate davanti all’improvvisa ira del loro Signore
“Avanti! Muovete i
vostri culi decisamente troppo pagati ed andate a prendere queste erbe,
alla
svelta!”.
L’ordine
generò un’ondata
inaspettata di panico e le guardie si sparpagliarono, tutte in cerca di
ciò che
gli era stato chiesto.
“Sedetevi,
prego…” invitò il
re, quando rimase da solo con le prigioniere
“…prendete un po’ d’acqua.
Cosa è
successo? Perché vi siete separate dal gruppo?”.
Idisi
spiegò l’accaduto, con
calma, tranquillizzando il sovrano e spiegandogli che il suo gemello
stava bene
ed era ferito in modo molto lieve.
“Inammissibile
ciò che è successo.
Spero possiate davvero perdonare la mia gente” disse il
Signore dell’Aria,
passandosi una sigaretta fra le labbra senza accenderla.
“Siete
stato fantastico con i
vostri sottoposti. Così si fa!”
ridacchiò Reishefy.
“Non
è decisamente da me,
però. Non so cosa mi sia preso…sono stato troppo
severo”.
“No,
affatto! Mio padre li
avrebbe fatti giustiziare!” sibilò
l’Elettricità “Nel mio regno non si
sgarra!
Seguiamo la politica dell’occhio per occhio”.
“Immaginavo
che Taranis non
andasse tanto per il sottile…” sorrise il re,
ripensando al sovrano
dell’Elettricità.
Non
passò molto tempo prima
che alcune guardie tornassero con le erbe richieste. Sommandole tutte
assieme,
la Terra si rese conto di averne fin troppe. Sorrise, avvolgendole in
piccole
stoffe per favorirne la conservazione. Ringraziò tutti,
sorridendo. Rimase
sconcertata quando vide le guardie arrossire e grattarsi la testa con
imbarazzo.
“Prendete
il mio destriero, se
non è un problema per i vostri
elementi…” iniziò il re, guardando
soprattutto
Idisi.
“Non
mi è facile, ma è
un’emergenza. Sopporterò
l’altezza!” rassicurò lei.
“Bene.
Allora salite, signore.
Quando sarete arrivate potete scendere e la mia creatura
tornerà da me per
istinto, non preoccupatevene”.
“Grazie
mille!” esclamò
Reishefy, entusiasta all’idea di sfrecciare veloce nel cielo.
“Questo
è il minimo che possa
fare dopo questa inutile perdita di tempo…”.
“E
voi, Signore…” s’intromise
il capo dei guardiani “…come tornerete a
palazzo?”.
“Tu
non dovresti perdere tempo
a parlare con me ma a ringraziare la tua buona stella…non
prenderò
provvedimenti nei tuoi confronti. Come tornerò io a palazzo
sono affari
puramente miei!”.
“Sissignore…grazie
Signore…”
chinò il capo l’alato.
“Fate
buon viaggio…e
ringraziate mio fratello Aherektess. Ditegli solo…che quando
tornerà sarà un
ottimo consigliere ed un perfetto zio”.
“Zio?”
si stupì Enki.
“Diciamo
che ho seguito i suoi
consigli riguardanti le questioni diplomatiche eccetera…cose
che spero
ricordi…ed ho appreso da poco la notizia
dell’allargamento della famiglia”.
“Congratulazioni.
Sarete un
buon padre” sorrise Idisi.
Zameknenit
parve perplesso a
quelle parole ma rispose al sorriso sinceramente.
“È
un’anteprima…ancora non è
stata data la notizia al regno” disse, mentre le tre si
arrampicavano sulla
creatura aiutandosi a vicenda.
“Sarà
un onore per noi
comunicarlo al principe Aherektess” gioì Idisi,
mentre la bestia prendeva il
volo di scatto e si allontanava velocemente verso il regno
dell’Elettricità.
†††
“Ma
da dove abbiamo ricevuto
tutta quell’energia? Intendo dire…eravamo feriti
eppure…avete visto come
abbiamo combattuto?” si chiese Efrehem.
“Siamo
stati grandi!” esclamò
Thuwey, non percependo più il bruciare delle ferite.
“Indubbiamente.
E lasciamo
perdere il perché…” si
limitò a dire il Fuoco.
“Ti
do ragione. Sarà una di
quelle cose che dicono nascano quando un individuo si ritrova alle
strette e si
deve difendere per forza. Trova energie
inimmaginabili…” azzardò Hanjuly.
“Speriamo
che le ragazze non
si siano allarmate nel non vederci!” disse Aherektess.
“E
speriamo non si siano messe
a cercarci!” sbottò Mattehedike.
“Più
che altro, speriamo che
nessun’altro del regno dell’Elettricità
ci voglia cercare! Abbiamo fatto una
strage!” fece notare Aherektess, guardandosi alle spalle.
I
sette si fissarono,
rendendosi conto che era meglio per loro uscire alla svelta da quel
regno. Si
misero a correre verso il punto in cui il gruppo si era separato.
“Non
dovremmo aver lasciato
testimoni…” cercò di tranquillizzare la
compagnia il Fuoco.
“Non
ne sono sicuro. Alcuni si
sono dati alla fuga e, se forniscono le nostre descrizioni a qualcuno,
di certo
saremo di facile individuazione!” precisò
l’Aria.
“Speriamo
li prendano tutti
per pazzi questi testimoni…” ghignò la
Roccia.
“In
questo regno sono tutti
pazzi, capirai…” sbottò il Metallo.
“Non
ci pensiamo. Sono sicura
che, quando ci saremo ricongiunti con la principessa di questo
elemento, ci
lasceranno in pace” parlò il Ghiaccio.
Il
punto d’incontro era vicino
ma ad attenderli non trovarono le loro tre compagne bensì
una nutrita
accozzaglia di autoctoni con un’aria decisamente poco
rassicurante.
“Che
facciamo?” si immobilizzò
Aherektess.
“Direi
che non possiamo
sterminare tutto il regno…” rispose Efrehem.
“La
cosa migliore è trovare
Reishefy!” affermò Hanjuly.
“Benissimo.
A me sta bene
ma…nel frattempo che si fa?” ironizzò
il Fuoco, sguainando la Katana e
tenendola stretta con due mani.
“Dici
che sia proprio
necessario?” domandò la Luce.
“Hai
un’idea migliore?”
rimbeccò Kassihell.
“Salvo
scappare…” iniziò
Efrehem.
“…che
non è possibile perché i
nostri amichetti li abbiamo anche alle spalle…” lo
interruppe Thuwey, iniziando
a modificarsi le braccia.
“…direi
che non c’è altra
soluzione se non quella che propongo io!” concluse il Fuoco,
ed andò
all’attacco avvolgendo la sua arma di fiamme vive.
†††
“Non
riesco a vederli!”
piagnucolò Enki.
“Nemmeno
io” confermò
Reishefy.
“Forse
hanno trovato riparo.
Ho perso il conto di quanto tempo abbiamo passato nel regno
dell’Aria…” cercò
di calmarle la Terra.
“E
se fosse successo qualcosa?”
si allarmò l’Acqua.
“Un
altro attacco da parte di
quelle strane creature striscianti? Sarebbe
terribile…” commentò
l’Elettricità,
guidando il grosso volatile più vicino al suolo.
La
bestia però non le obbedì e
prese una diversa direzione.
“Che
cosa stai facendo?!”
protestò lei “Fai quello che ti dico!”.
“Che
cosa succede?” volle
sapere Idisi, per nulla tranquilla così lontana dal suo
elemento.
“Non
vuole fare ciò che
voglio!”.
“Mi
stai dicendo che siamo in
groppa ad un uccellaccio fuori controllo?!”.
“Cerchiamo
di stare calme…mica
stiamo precipitando!” tentò di sorridere Enki.
“Che
succede laggiù?” domandò
la Terra, indicando un punto non molto lontano.
Una
folla di creature
dell’Elettricità aveva circondato i loro compagni
di viaggio per l’ennesima volta
e li stavano sconfiggendo grazie alla notevole superiorità
numerica. L’animale
su cui volavano le tre ragazze scese, sibilando. Buona parte di quella
folla si
disperse nel vedere questo, allontanandosi alla velocità
della luce.
“Salite,
ragazzi!” ordinò la
Terra.
“Non
se ne parla! Preferisco
morire qui!” fu la risposta della Roccia.
“Fermi
tutti!” stava gridando
Reishefy ai suoi popolani, sbraitando nella lingua del regno
“Che cosa state
facendo?! Sparite, questi sono amici miei!”.
Quelle
parole dipinsero sui
volti di quelle persone una tipica espressione smarrita.
Com’era possibile? La
principessa assieme a simili canaglie assassine?
“Se
non ve ne andate subito,
vi farò giustiziare da mio padre uno dopo
l’altro!” continuò Reishefy e,
volendo rincarare la dose, aggiunse, indicando
l’Oscurità: “E suo padre,
Ozymandias, di certo non vi tratterà meglio!”.
Solo
sentendo la parola
“Ozymandias” il popolo si disperse in preda al
panico, urlando cose
incomprensibili ed andando a cozzare l’uno contro
l’altro.
“Cosa
gli hai detto?” domandò
Lehelin, avendo notato l’essere stata indicata.
“Oh,
niente di che…gli ho
detto chi è tuo padre!” spiegò
l’Elettricità “Voi
piuttosto…che avete
combinato?! Sono scappati gridandovi contro che siete degli assassini e
dei
pazzi psicotici…”.
Fuoco
e Metallo risero,
riconoscendosi nella descrizione, e spiegarono a grandi linee
l’accaduto,
mentre Elettricità, Acqua e Terra scendevano dalla bestia di
Zameknenit.
Aherektess
la riconobbe e la
salutò, facendole una carezza sull’enorme testa
affusolata. L’animale gradì
quelle attenzioni e socchiuse gli occhi. Quando fu soddisfatto, si
scosse e
riprese il volo per tornare dal suo amato padrone lontano.
“Come
mai eravate in groppa a
Bugi?” domandò l’Aria.
“Bugi?!”
ridacchiò Thuwey.
“Eravamo
piccoli, io e mio
fratello, quando è nato dal suo uovo. Lo chiamavamo
Bugirigiano, nella nostra
lingua è un’evidente storpiatura della parola
Burighian che vuol dire artiglio.
Essendo lungo come nome…è rimasto Bugi”
spiegò Aherektess, con un sorriso
nostalgico.
“Che
tenerezza…e, a proposito
di tuo fratello…” iniziò la Terra,
spiegandogli ciò che avevano passato e cosa
il re dell’Aria aveva chiesto loro di riferire.
†††
“Idea
geniale!”.
“Grazie,
lo sapevo…”.
“E
poi far arrabbiare il re in
quel modo…mi devo congratulare pure con te, vecchio
mio!”.
“È
il mio lavoro” ghignò Kaos.
“Comunque
siamo stati dei
grandi!” continuò Loreatehenzi.
Avvolti
in una specie di bolla
sospesa, che li teneva separati dalla dimensione dei mortali, un
gruppetto di
divinità osservava i dieci viaggiatori da lontano.
“Certo
che non è da noi
interferire in questo modo…” commentò
Heronìka.
“Io
li ho aiutati perché mi
hanno chiamato!” si giustificò Loreatehenzi.
“Un
po’ grossolana come scusa,
ma può andare…noi perché lo facciamo?
Perché li aiutiamo?” si domandò Xoduzz.
Enrikiran
alzò le spalle,
senza dire niente.
“Come
perché?! Perché siamo i
migliori!” ridacchiò qualcuno saltellando.
“A
chi tocca adesso? Chi è il
prossimo a cui andranno a rompere le palle?” volle sapere
Kaos.
“Io
sono la prossima
divinità…ed a questo proposito dovrei assentarmi
da voi, ragazzi. Non posso
certo lasciare il mio luogo proibito incustodito…”.
“Ci
sentiamo dopo!” lo salutò
Loreatehenzi.
“Comunque…prima
l’intervento
dell’Aria, poi l’idea di donare la nostra forza per
farli liberare, la rabbia
del re per accelerare le cose, la deviazione del volo della creatura di
Zameknenit…geniali…” iniziò
Xoduzz, Dio dell’Elettricità.
“E
tu che hai dato la
possibilità alla Luce di controllare i lampi! Da solo non
avrebbe potuto far
nulla!” continuò il Dio dell’Aria,
svolazzando.
“Abbiamo
fatto gioco di
squadra, per la prima volta in millenni di vita…non
è tanto male, in fondo!
Manca solamente una divinità del
regno…” sorrise la Dea Heronìka.
“Soprattutto
tu, Kaos…mi hai
stupito davvero! Non mi aspettavo da te molte cose!”
commentò la divinità del
regno del Fuoco.
“Senza
la rabbia di
Zameknenit, mia idea, quelle tre mortali sarebbero ancora avvolte dalla
burocrazia pallosa che regolano i vostri noiosi
regni…” s’inorgoglì il Dio
dell’Oscurità.
“Perché?
Nel regno che governi
non ci sono regole?” si stupì la
divinità della Terra.
“Certo
che no! Io sono Kaos e,
che Kaos, i miei sottoposti non possono avere regole!”.
“Che
caso…” ironizzò Xoduzz.
“Non
esiste il caso, solo il
Kaos!” rise il Dio Oscuro, con viva soddisfazione.
“Non
perdiamoci in queste
disquisizioni morali, ragazzi. Non possiamo mica rimetterci a
litigare!” cercò
di intervenire Heronìka.
“Perché?
È così divertente!”
parlò la divinità saltellante di prima.
“Chi
scommettete che sarà il
prossimo? Chi sceglierà la divinità che presiede
il luogo proibito successivo?
O chi ci verrà buttato dentro con la forza?”
iniziò la Terra.
Il
Ghiaccio alzò di nuovo le
spalle, fingendo distacco dalla cosa.
Il
Metallo azzardò una
risposta prima di tutti gli altri.
“Staremo
a vedere. Qualcuno ha
qualcosa da sgranocchiare?” si sentì dire, mentre
sotto di loro la compagnia
dei dieci aveva ripreso il cammino a grande velocità.
†††
“Fermati!
Fatti abbracciare!”
urlava Reishefy.
“Scordatelo!
Abbracciati da
sola!” urlava di risposta Kassihell, correndo.
“Thuwey!”
insistette lei.
“Stai
lontana da me!” rimbeccò
il Metallo, correndo più veloce del Fuoco.
“Che
bello…siamo di nuovo
tutti assieme!” si commosse la Terra, felice anche del fatto
che la compagnia
si era ripresa dalle ferite e non necessitava dell’uso delle
erbe.
Previdentemente,
le conservò
nella speranza di non doverle usare.
“Voglio
vederci chiaro…”
iniziò l’Elettricità, dopo aver
ricevuto il tanto agognato abbraccio dai suoi
compagni di viaggio “Perché vi hanno attaccato
quelli della mia gente? Cosa
volevano?”.
“Ci
hanno urlato contro molte
cose, ma noi non le capivamo” spiegò Hanjuly.
“Non
ricordate qualche parola
in particolare?” insistette Reishefy.
Il
Metallo ne ricordava una e
la ripeté. La principessa di quel regno gli
spiegò che era un insulto. Thuwey
confessò di non ricordare altro salvo quella parola, che
precedeva le sprangate
che gli tiravano per fargli dire chissà che cosa.
“Forse
io posso aiutarvi…”
parlò Efrehem.
Avendo
una forte dimestichezza
con le lingue, ricordava molte delle parole che erano state
pronunciate, pur
non capendole, e le riferì.
L’Elettricità ascoltò in silenzio,
annuendo e poi
spiegò.
“Dalle
parole che mi hai detto
avevano di certo un vocabolario piuttosto scarso e, se non sapevano la
lingua
di Asteria, vivevano in quei pochi villaggi in cui le leggi di mio
padre, che
prevedono l’obbligo di impararla, non sono molto seguite. Ai
loro occhi siete
stati visti come degli esseri misteriosi e minacciosi. Vedendo poi i
bracciali
proibiti ai polsi di Thuwey…”.
“Come
sapevano dell’aspetto
degli oggetti proibiti?” interruppe la Luce.
“Non
lo sapevano,
probabilmente. Ma circolano molte leggende a riguardo e, forse, notando
come
assorbono l’elettricità, avranno collegato.
Volevano sapere da dove venissero
quelle cose magiche e da dove veniste voi, strane creature. Non
ricevendo
risposta, hanno pensato che foste delle spie provenienti da regni
avversi e che
foste lì per fare chissà che
cosa…”.
“Un
branco di coglioni,
insomma” tagliò corto il Fuoco.
“Sono
certa che anche nel tuo
regno c’è gente così!”
protestò l’Elettricità.
Kassihell
non rispose ed
incitò il gruppo a proseguire la marcia.
“Chiedo
scusa per ciò che vi è
capitato. Quando tutto questo finirà, parlerò
personalmente con mio padre e
vedrò di risolvere ogni cosa”.
“Non
pensiamoci più. Andiamo
via da qui” concluse Thuwey, quasi sorridendo.
Il
gruppo attraversò in fretta
quel regno, soprattutto dopo aver visto dei volantini con le loro facce
e la
scritta “Ricercati” sotto. Quando davanti a loro
apparve il muro luminoso del
regno di Efrehem, tirarono tutti un sospiro di sollievo.
“A
quanto pare, ora comando
io” disse la Luce, sorridendo con calma e girando le antenne
rosse
all’indietro, quasi con orgoglio.
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Capitolo 9 *** IX- Luce ***
IX
“Dove
sono?”.
“Nel
regno dell’Aria”.
“Di
già?”.
“Pare
stiano entrando nella
grande biblioteca della capitale”.
“A
che scopo?”.
“Non
me lo chiedere. Riesco a
visualizzarli, non a leggere nelle loro menti!”.
Si
guardarono, sospirando.
“Dobbiamo
fermarli. Ne va
della nostra stessa vita…”.
“Merda!”
entrò, urlando, una
piccola creatura incappucciata.
“Calmati,
Anyram…”.
“Avete
visto?! Io e Setiram
eravamo così vicine alla vittoria…ma gli
Dèi ci hanno messo le loro zampacce ed
hanno rovinato tutto!”.
“Abbiamo
visto…”.
“Bastava
così poco…ancora
qualche istante senza il loro intervento e quei dieci deficienti non
avrebbero
potuto più far nulla!”.
“Ci
saranno altre occasioni…”.
“Mi
stupisco della tua calma,
Semar. Come mezza creatura di Fuoco, solitamente sei molto
più irascibile. A
cosa dobbiamo tutta questa calma?”.
“Calma?!
Ma quale calma!
Continua a tenerli d’occhio, Aseret. Voglio essere informato
su ogni loro
movimento. Dove sono quegli psicotici dei gemelli? E richiamate Ailil,
Arual,
Roary e tutti gli altri. Se quei dieci hanno imparato a giocare di
squadra,
allora è il momento di fare lo stesso!”.
Semar
uscì dalla stanza
sbattendo la porta. Il pavimento scricchiolò sotto i suoi
piedi. Ignorò la cosa
e decise che quella vecchia casa abbandonata avrebbe retto ancora a
lungo la
presenza di quel nutrito gruppo di mezzosangue. Lui era una creatura
mista fra
Fuoco e Roccia. Connubio interessante che lo portava a non pochi
problemi di
personalità fra la calma della Roccia e la rabbia del Fuoco.
Ma sapeva che
certi guai mentali erano molto comuni fra quelli come lui.
Incrociò
Araik, l’insieme di
aria ed acqua, Ocram che univa Terra ed Oscurità, Salokin ed
Eneri, i fratelli
di Luce e Ghiaccio…li salutò e diede loro ordine
di ritrovarsi nel salone
sotterraneo il più presto possibile.
“Neziar,
amico mio, sai dove
sono i gemelli?” domandò a quello che era
considerato il più anziano dei
sanguemisto.
Incrociato
fra Metallo ed
Elettricità, aveva capelli lunghissimi e bianchi.
Fissò Semar e gli sorrise,
con il tipico ghigno leggermente inquietante delle creature del
Metallo.
“Kire
è in giardino con
Anyram…” parlò, con voce profonda
“…immagino che anche l’altro psicofolle
sia
da quelle parti”.
“Grazie.
Ci vediamo nel salone
fra massimo venti minuti”.
Kire
ed il suo gemello erano
considerati i capi di quella specie di organizzazione clandestina. Un
po’
perché erano stati loro a crearla, ed un po’
perché la loro follia era
piuttosto produttiva. Riuscivano sempre ad escogitare nuove idee,
riunendo in
sé i lati migliori di Fuoco e Metallo.
“Semar…mi
cercavi?” domandò
Kire, non appena questi mise piede in giardino.
“Sì.
Abbiamo dei problemi con
quei dieci scocciatori che tentano di salvare il Mondo”.
“Che
genere di problemi?”.
“A
quanto pare, gli Dèi stessi
li stanno aiutando”.
“Come
sarebbe? Non fanno mai
un cazzo e si mettono a lavorare quando non serve?! Ma se credono di
spaventarci…convoca una riunione generale! Vi voglio tutti
nel salone fra…”.
“Già
fatto”.
“Perfetto.
È stato avvisato
mio fratello?”.
“Non
ancora. Non sono riuscito
a trovarlo”.
“So
io dov’è. Ci penso io. Ci
vediamo nel salone fra dieci minuti”.
Semar
andò verso il salone e
Kire si incamminò lungo il giardino, dove si ergeva un
enorme albero, una volta
rigoglioso e verde, ora malaticcio e quasi del tutto secco. Con occhi
rosso
fuoco ed il cappuccio scuro ben calcato in testa, Kire si
stupì di non trovarci
accanto il gemello. Stava per controllare l’unico lato di
quella pianta che non
riusciva a vedere, quando udì un ringhio sommesso alle sue
spalle. Rizzò le
orecchie a punta e mutò le sue braccia, facendole divenire
due spade. Si
apprestò a voltarsi e colpire quando l’enorme
bestia lo atterrò,
immobilizzandolo con solo l’uso di una delle sue grosse
zampe. Ringhiando, con
occhi color del sangue e zanne affilate, fissava Kire con
un’aria decisamente
poco rassicurante. Allungò il muso e l’atterrato
chiuse gli occhi,
rimproverandosi e ripetendosi che stava per morire in un modo davvero
stupido.
Sentiva il fiato caldo di quell’animale sul viso e
già si aspettava di
percepire il dolore di un morso, ma non avvenne nulla di tutto questo.
La
bestia, dal lungo pelo nero, lo leccò. Kire
spalancò gli occhi dallo stupore e
dalla rabbia, perché aveva udito chiaramente
l’inconfondibile risata psicotica
del fratello.
“Deficiente!”
gli urlò contro.
“Coglione!”
gli rispose
l’altro.
Era
a cavalcioni su quella
creatura enorme e muscolosa, col cappuccio rosso che ne mostrava solo
il largo
sorriso sadico e decisamente soddisfatto.
“Dove
lo hai trovato
questo…coso?” domandò Kire.
“Non
è un coso! È Orebrec, non
te lo ricordi?”.
“Quel
cucciolotto spelacchiato
è diventato questo mostro omicida?!”.
“Sì.
Non è bellissimo?
Dai…alzati! Perché mi cercavi?”.
“Cosa
gli hai dato da
mangiare?”.
“Quanto
sei noioso! Non sono
stato io a farlo diventare così, ma è stato il
pianeta stesso a volerlo.
Asteria…questa grossa biglia appuntata
nell’immenso universo che si sta
sgretolando dall’interno, pezzo dopo pezzo. Riesco a
percepirlo. Guarda questo
albero…è come il nostro Mondo. Cerca di mandare
un messaggio, ma non viene colto.
È il cuore pulsante del Mondo a lanciare i suoi segnali a
chi lo popola, ma
quasi nessuno è disposto ad ascoltarlo. Io lo sento e batte
sempre più piano.
Fino a quando…BUM! Un mega infarto ed Asteria
morirà! E noi tutti con lei!”.
“E
la cosa ti mette di buon
umore, Elehcim?”.
“E
sai qual è la cosa buffa?
Che la colpa è soltanto nostra”.
“Vuoi
fare un brindisi alla
fine del pianeta?”.
“BUM!”.
I
due gemelli, identici salvo
per il fatto che Kire aveva lasciato crescere i capelli, si sorrisero.
“Vieni
ad illustrare le tue
visioni catastrofiche davanti a tutti nel salone” disse Kire.
Elehcim
scese da Orebrec,
lasciandolo libero di correre per il prato, e seguì il
fratello senza parlare.
Sotterraneo
per rimanere
celato ad occhi indiscreti, il salone era collegato ad altri punti di
aggregazione tramite cunicoli e tunnel segreti. Così
facendo, i sanguemisto di
tutto il pianeta avevano modo di incontrarsi. Quella sala era stata
costruita
di recente con la collaborazione dell’intero gruppo. Aveva
volte in pietra,
complicati sistemi di aereazione, numerose vie di fuga, armi nascoste
di vario
genere e libri di ogni tipo, provenienti da tutti i regni.
Disposti
in modo da formare un
cerchio, i sanguemisto tolsero i cappucci, sicuri che in quel luogo
fossero al
sicuro e ben lontani da sguardi non voluti. Iniziarono a salutarsi con
entusiasmo.
“Hei,
Elehcim! Come va?” gridò
Setiram, una buffa creatura dai capelli scuri e la risata facile.
“Non
mi toccare” si limitò a
ringhiare lui.
“Sei
di cattivo umore oggi?”.
“No!”.
“Ah…sei
così normalmente?”.
“E
lo hai capito adesso?”.
Elehcim
prese posto di fronte
al gemello e non disse altro, incrociando le braccia.
“Benvenuti,
fratelli…” iniziò
a parlare Semar, che con la sua parlantina era spesso colui che
esponeva le
questioni ed i problemi.
“…immagino
che la maggior
parte di voi sia al corrente dell’attuale svolgimento di una
certa missione
attorno ad Asteria da parte di un piccolo gruppetto di "normali".
Scopo di questa missione è portare a termine
un’evocazione. Evocando la Creatrice,
loro mirano a distruggerci, dando la colpa dei guai del Mondo
esclusivamente a
noi. Di certo non possiamo permetterlo e, fin ora, abbiamo tentato vari
espedienti per far fallire tutti i loro intenti. Tuttavia questa cosa
si è
dimostrata più difficile del previsto e di recente abbiamo
appreso che perfino
le divinità stanno dalla loro parte. Urge un lavoro di
squadra, un’idea che
impedisca a quei dieci esseri di arrivare alla fine del loro viaggio
salvifico”.
“Ma
che possiamo fare noi, se
gli Dèi stessi sono dalla loro parte?”
domandò Aseret, una ragazza per metà
creatura della Luce e per metà della Terra.
“In
effetti…ci aspettavamo che
almeno Kaos fosse dalla nostra parte…”
commentò Kire.
“Dunque…cosa
proponi?” parlò
Semar, guardando Kire.
“Scaricabarile”
gli sibilò
contro lui, con un mezzo sorriso.
Dopodiché
si alzò in piedi,
accrescendo la sua voce quel che bastava per sormontare tutte le altre.
“Fratelli…”
iniziò “…noi siamo
sempre stati una grande famiglia. A differenza di quei dieci
là fuori, noi, qua
sotto, siamo uniti ed agiamo come un’unica, grande, forza. Io
dico che poco
importa se gli Dèi stessi non ci vogliono, se il pianeta ci
rifiuta e se solo
in questo gruppo ci sentiamo accettati e liberi. Molte delle creature
come noi
muoiono appena nate perché vengono uccise…avete
mai pensato a quanti di più
potremmo essere se ciò non avvenisse? Noi siamo fortunati ad
essere qui. Siamo
fortunati perché ci hanno lasciato restare in
vita…”.
“Fortunati?!”
interruppe
Elehcim “Io non la definirei fortuna. La definirei debolezza
da parte di chi ci
ha messi al mondo, che vedendoci non ha avuto la forza di porre fine
alla
nostra esistenza. Non guardate con tenerezza questo gesto,
però, perché vi
ricordo che nessuno di noi è stato accolto da coloro che
possiedono metà del
nostro corredo genetico. Essi ci hanno generato, senza pensare, e poi
ci hanno
gettato via, ripudiandoci. La fortuna, semmai, è stata
quella di trovare
qualcuno che si è preso cura di noi quando eravamo piccoli.
Nel nostro caso,
fratello, è stato Neziar a prenderci con sé e
siamo in vita grazie a lui. La
fortuna, se fortuna la si può definire, è che
esistono altre creature come noi
disposte ad impedire che altre ne muoiano”.
Kire
non riuscì a ribattere.
“Cosa
pensi di fare, dunque?”
domandò, dopo un po’.
“Hai
detto tu stesso che il
gruppo è la nostra forza. Sono certo che fra quel tale
Kassihell ed il suo
amichetto Aherektess ci sono ancora molte questioni
irrisolte…”.
“Proponi
di seminar zizzania,
se mi concedi il termine?” sorrise Neziar.
“Direi
che quello sarà il
primo passo…”.
“Come?”
domandò Kire “E poi?
Che facciamo?”.
“Usa
la fantasia!”.
“E
non potremmo attaccarli
direttamente?” propose Anyram.
“No.
Non ancora, perlomeno”
rispose Neziar “Loro hanno un potente attacco combinato e
finché vanno d’amore
e d’accordo non possiamo batterli. Inoltre non siamo ancora
sufficientemente
organizzati e voi siete a conoscenza del pericolo che corriamo
nell’esporci fra
gli abitanti di Asteria. Io propongo di attuare ancora qualche azione
diversiva
e, nel frattempo, prepararci all’attacco. Ma ritengo debba
essere l’ultima
spiaggia, per così dire. Meglio non correre rischi inutili,
specie se loro
hanno la benevolenza degli Dèi a proteggerli”.
“Dannati
Dèi…” sibilò
qualcuno.
“Se
solo uno di loro fosse
dalla parte nostra…” gemette qualcun altro.
“Ma
di che vi stupite?!”
sbottò Kire “Mai nessuno è stato dalla
parte nostra, mortale o Dio che sia! Ci
arrangeremo, come sempre, e vinceremo…”.
“Quanto
ottimismo…” ghignò il
gemello.
“Almeno
uno dei due ne deve
avere un po’, no?”.
“Non
necessariamente…”.
“Che
hai in mente, Elehcim?”.
“Ho
bisogno dell’aiuto di
Roary…” iniziò a spiegare.
“Cosa?!”
protestò lei “Non se
ne parla. Io non ci voglio stare vicino a te, piuttosto
Semar!”.
“Abbiamo
appena finito di dire
che la nostra forza è il gruppo…”
ridacchiò Arual.
Elehcim
sospirò.
“Senti…Roary…”
mormorò,
fingendo calma “…io non piaccio a te e tu non
piaci a me, ma…”.
“Non
è vero che tu non mi
piaci. È che non ti sopporto, tutto qua”.
“Guarda
che solo a me è
concesso tormentarla, sai?” specificò Semar,
sorridendo.
“Allora
arrangiatevi da soli,
e che cazzo!” sbottò il gemello dai capelli corti
e girò la sedia.
“Finitela
di fare i bambini!”
li rimproverò Aseret.
“Giusto!
Roary, mi spiace ma
ti tocca collaborare” confermò Kire.
“Che
palle…” protestò la
ragazza “Però non mi siedo vicino a te!”.
“Ma
chi te lo ha chiesto?!
Siediti dove ti pare…chissenefrega!”
sbottò Elehcim, girando di nuovo sulla
sedia con le ruote.
“La
pianti di fare la
trottola?” lo rimproverò Kire.
“E
voi la piantate di rompermi
tutti quanti le palle?! Mi lasciate spiegare quel che ho in mente o no?
Altrimenti ditemelo e me ne vado, mica mi faccio problemi! Tanto
Asteria sta
morendo, siamo condannati comunque…evocazione o non
evocazione!” ribatté il
gemello, con le iridi ormai del tutto rosso sangue.
“Parla…”
sospirò Roary,
rassegnata.
“Tu
sei una creatura per metà
della Luce e per metà dell’Oscurità.
Conosci bene il regno di quel piccoletto,
Efrehem, e so che non avresti problemi ad intrufolarti nella
biblioteca”.
“No,
non avrei problemi…”.
“Perciò,
se io ti dessi un
libro da far trovare all’allegra compagnia, non dovresti
incontrare difficoltà
di alcun tipo, unendo il tuo aspetto di creatura della Luce con le doti
d’incantatrice
dell’Oscurità…”.
Roary
mosse leggermente in
avanti le antenne, cercando di capire quanto sarcastici fossero quei
complimenti, ma le parvero abbastanza sinceri da accettarli.
“Quindi?”
incalzò, dopo un
po’.
“Quindi
ciò che ho in mente è
fare in modo che la guerra fra Fuoco ed Aria ritorni nella mente di
quell’allegra combriccola. Il libro a cui sto pensando
è stato scritto nel
regno dell’Aria ed è spudoratamente di parte. Sono
certo che Kassihell non
resisterà nel sentire simili versioni della
realtà che lui conosce in modo ben
diverso”.
“Facendoli
litigare, il gruppo
avrà seri problemi, come all’inizio del viaggio.
Rallenteranno la marcia e, se
gli scontri si faranno più
aspri…chissà fino a dove si spingeranno! Se li
separiamo, saranno più deboli” sorrise Kire.
“Non
è una soluzione
definitiva. Ma credo che, ora come ora, dividere la forza della
compagnia sia
fondamentale. Abbiamo visto come sono stati in grado di fare gioco di
squadra
con la farfalla nel regno del Ghiaccio, con le creature
dell’Elettricità, la
tempesta in mare…tutti piani che abbiamo escogitato noi, ma
che non hanno
ottenuto il risultato sperato” precisò Elehcim.
“Ok.
La storia del libro mi
piace. Teniamoci pronte idee alternative” concluse Kire.
“Conta
pure su di me,
fratello, per quanto riguarda un’eventuale battaglia. E
concedimi terreno
libero nel regno del Fuoco e del Metallo. Lì sai che posso
dare il meglio di
me, ed ho già alcune cosette in mente per la separazione
definitiva”.
“Hai
carta bianca. Nel
frattempo noi tutti ci prepareremo ad escogitare dell’altro.
I dieci sono già
nella biblioteca, sbrigatevi ad attuare il vostro piano”.
Roary
ed Elehcim uscirono, lei
sbuffando e lui ghignando soddisfatto, mentre gli altri rimasero
seduti, in
cerchio, ed iniziarono ad architettare altre interferenze alla missione.
†††
“Mi
spiace, signori, ma con le
armi non posso farvi entrare in biblioteca”.
“Stiamo
scherzando?! Io la mia
Katana non te la lascio!” protestò Kassihell,
guardando in modo decisamente
minaccioso quella creatura della Luce che gli impediva
l’accesso.
“In
questo caso, devo
chiedervi di restare fuori. Tutti coloro che rifiutano di consegnare le
loro
armi non possono entrare”.
“È
una follia! Cosa crede che
ci facciamo con le armi in una biblioteca? Tagliamo libri?”
si unì alla
protesta Aherektess.
“Appunto,
signori. Che ve ne
fate delle armi nella biblioteca? Potete lasciarle qui”.
“E
Thuwey allora? È un’arma
vivente!” insistette il Fuoco.
“Oh,
non c’è problema! Io me
ne sto fuori più che volentieri!”
esclamò il Metallo.
“Su,
ragazzi…è solo per
qualche ora. Consegnate i vostri giocattoli ed andiamo!”
parlò Idisi, dando
l’esempio e separandosi dal suo remo pieno di punte.
Sbuffando,
tutti i membri
della compagnia si arresero e fecero altrettanto, tranne Mattehedike al
quale
fu concesso di tenere con sé l’oggetto proibito.
Thuwey
sorrise e non entrò,
trovando piuttosto noioso un intero giorno passato in biblioteca.
“Ripetimi
perché siamo qui…”
sibilò il Fuoco ad Efrehem, mostrando tutto il suo
disappunto nell’essere stato
separato dalla sua adorata spada.
“Ho
bisogno di alcune
delucidazioni sul libro che ci ha affidato il Signore
dell’Ovest. Non ci vorrà
molto, so bene a chi fare certe domande”.
“Me
lo auguro perché, se tutto
questo è una perdita di tempo, io…”.
“Per
favore, Kassihell! Non
fare il bambino!” lo zittì Hanjuly.
La
compagnia attraversò il
corridoio, delimitato da grosse colonne bianche, con ammirazione. I
soffitti e
le pareti erano riccamente decorati e si udiva una musica meravigliosa,
un
canto in stile gregoriano così profondo che fece
rabbrividire più di qualcuno.
“Come
mai sono tutti
incappucciati?” domandò Enki, notando che tutte le
creature della Luce che
incrociavano erano avvolti in una lunga veste, con il volto coperto da
un
pesante cappuccio.
“Sono
monaci. Sono votati alla
conoscenza ed allo studio” spiegò Efrehem.
“Che
noia…” non riuscì a fare
a meno di commentare Reishefy.
“E
come mai sono di colori
diversi?” continuò Enki.
“Sono
di gradi diversi. Dai
novizi agli anziani ci sono differenti colori. I novizi, quelli che
sono ancora
al di fuori dell’ordine e si avvicinano a questa nuova
realtà, sono neri o blu
oltremare, dipende dalla loro età. Gli allievi, una volta
effettuato il rito in
cui entrano ufficialmente a far parte dei monaci, hanno per colore il
verde
scuro e per ogni anno d’apprendistato la tunica si schiarisce
fino a divenire
verde chiaro. Il giallo è per chi ha terminato
l’apprendistato. Rosso è per i
maestri. Bianco per gli anziani ed infine l’oro è
il vestito del capo
dell’ordine”.
“Ma
sono tutti uomini?”
domandò Aherektess, guardandosi attorno.
“No.
Sono ammesse anche le
donne e ce ne sono più di quante tu creda. Il capo,
attualmente, è una donna.
Ero stato molto attratto da questo ordine, anni fa, ma poi tutti mi
hanno fatto
notare la faccenda del principe ereditario e quindi ne son rimasto
fuori. Se
avrò dei figli, mi piacerebbe che almeno uno di loro
seguisse questa strada…”.
Kassihell
lo fissò in modo
strano e non volle nemmeno immaginare come potesse essere una vita
intera
passata solo a leggere e cantare canzoni agli Dèi.
Rabbrividì e socchiuse gli
occhi. In quella biblioteca c’era un’immensa luce
ed un silenzio inquietante.
“Aspettatemi
qui. Io torno il
prima possibile” sussurrò Efrehem, mentre i suoi
compagni si sedevano attorno
ad un tavolino di cristallo.
“Potete
leggere…” aggiunse “…non
vi tagliano le mani se prendete su un libro!”.
Idisi
trovò l’idea
interessante ed iniziò a vagare per gli scaffali per vedere
cosa c’era. Anche
Kassihell ed Aherektess fecero lo stesso, più che altro per
non restare fermi
inutilmente. Reishefy e Mattehedike sbuffarono. Enki ed Hanjuly
trovarono un
bel volume che parlava dei loro regni e lo sfogliarono assieme.
Lehelin,
stordita ed indebolita da tutta quella luce, rimase in silenzio,
raggomitolata
su se stessa sulla sedia, con le pupille sottilissime e le dimensioni
sempre
più ridotte.
“Buongiorno,
maestro” salutò
l’incappucciato all’ingresso, lasciandolo entrare
nella biblioteca.
“Sì,
sì…” si limitò a
rispondere quello con la tunica rossa.
“Potevi
essere un pochino più
gentile…” sbottò la ragazza con la
veste blu scuro che gli camminava accanto,
stringendo un libro fra le mani.
“Zitta
adepta e lasciami
lavorare!” ghignò lui.
“E
dovevi proprio mettere gli
occhiali scuri? Le creature della Luce non usano cose del
genere!”.
“Beh
io sì. E poi non vorrai
mica che notino i miei occhi rossi? Cammina, sono già
arrivati. Dobbiamo agire
in fretta”.
“Lascia
fare a me”.
“Ovvio!
Io ho avuto l’idea e
tocca a te attuarla! Non dovrò mica fare tutto
io…”.
“Ma
perché sei venuto anche
tu? Potevo cavarmela benissimo da sola!”.
“Perché
non mi fido di te.
Preferisco tenerti sott’occhio”.
“Tu
non ti fidi di nessuno!”.
“Questo
è ovvio”.
“Un
uomo, un sorriso” ironizzò
lei, girando gli occhi verso il cielo.
Entrarono
nel salone
principale, rimanendo un po’ storditi da tutta quella luce.
“Muoviti,
Elehcim! Non far
notare a tutti che sei mezzo accecato!”.
“Vedi
perché mi son messo gli
occhiali scuri? Tocca a te adesso. Io ti aspetto qui”.
“Ricordati
che senza le mie
doti d’incantatrice non puoi ingannare alcunché,
perciò vedi di non farti
beccare! Qui hanno tutti le antenne…ti noterebbero
subito!”.
L’incappucciato
in rosso sedette
e guardò Roary scomparire fra gli scaffali.
Incrociò le braccia ed attese,
chiedendosi se quel volume avrebbe avuto gli effetti sperati.
“Incredibile
quanti libri ci
siano in questa biblioteca. E moltissimi sono in doppia copia, in
lingua
originale e nel linguaggio di Asteria” commentò
Idisi, sfogliandone un paio con
curiosità.
“Dici
che quel pazzo di
Efrehem se li sia letti tutti?” ipotizzò
Aherektess.
“Sicuramente.
Di certo non
aveva altro di meglio da fare, come principe ereditario”
rispose Kassihell,
notando gli sguardi incuriositi degli abitanti del luogo.
Che
strane creature dovevano
sembrare ai loro occhi…
“Piuttosto
che perda tempo a
progettare guerre, è meglio che legga, non trovi?”
mormorò la Terra.
“Cosa
intendi insinuare con
questo?” sibilò il Fuoco.
“Niente…”.
“Scusate…”
parlò una voce
femminile alle spalle dei tre.
Si
girarono e davanti a loro
videro una donna incappucciata di blu scuro che fissava Aherektess.
“Voi
siete i principi
dell’Aria e del Fuoco?” domandò.
“In
persona. E tu chi sei?”
rispose Aherektess.
“Una
giovane allieva. Ho
appena finito di leggere questo libro interessantissimo sulla guerra
che ha
colpito le vostre nazioni vent’anni fa e ne sono rimasta
colpita, affascinata…e
turbata! Vedervi così vicini, a parlare assieme, quasi
andando d’accordo…è così
strano. Scusate, forse non sono affari miei…”.
“Infatti.
Fammi vedere quel
libro” ordinò Kassihell.
Roary
glielo porse ed il Fuoco
lo sfogliò distrattamente. Spalancò gli occhi
davanti a certe affermazioni e
storse il naso.
“Chi
ha scritto questa
porcheria? Qui sembra che noi del Fuoco siamo dei mostri sanguinari
mentre
invece quelli dell’Aria sono dei santi!”
protestò.
“Dai
qua!” esclamò Aherektess,
strappandoglielo dalle mani ed iniziando a leggere.
“Ciò
che vedo, rispecchia quel
che io ho vissuto” commentò, dopo un po’.
“Lì
non sono riportati tutti
gli attacchi che voi avete fatto a noi, tutti i morti innocenti fra la
nostra
gente che avete colpito ingiustamente e…”.
“Erano
creature del Fuoco. Che
fossero innocenti è fuori discussione. Senza parlare delle
migliaia di vittime
che avete provocato voi con i vostri attacchi insensati!”.
“Mai
un nostro attacco fu
insensato! Sono le tue risposte ad essere insensate!”.
“Ragazzi…abbassate
la voce!
Siamo in una biblioteca!” tentò di calmarli Idisi.
“Zitta
tu, non ti
intromettere! È ora di chiarire la
faccenda…” ringhiò Kassihell.
“Che
cazzo succede?” sibilò
Hanjuly, sentendo le grida dei suoi compagni di viaggio.
“Era
da un po’ che non
litigavano…” sospirò Enki.
“Una
rissa! Di nuovo! Bello!”
ridacchiò Reishefy e si alzò per raggiungere i
litiganti.
“Lo
sai perché io porto il
nome di Kassihell, cioè Angelo della Morte?”
ringhiava il Fuoco.
“E
tu sai perché ho gli occhi
di colore rosso?” rispose, accigliato, Aherektess.
“Mi
sa che questa volta fanno
sul serio…” si preoccupò il Ghiaccio,
quando notò l’aspetto dei suoi colleghi
d’avventura.
Il
principe dell’Aria si era
avvolto in una specie di bolla di vento che lo teneva sospeso da terra
ed i
lunghi capelli blu gli si arricciavano come un tornado. Kassihell, con
gli
occhi infuocati, ringhiava con sempre più fiamme lungo il
corpo ed i capelli
sparati in guizzi incontrollati.
“Adesso
basta! Calmatevi!”
alzò la voce Idisi, incrociando le braccia e mettendosi fra
i due litiganti.
“Stai
zitta!” urlarono, in
coro, Aria e Fuoco con rabbia.
Seguì
un interminabile
silenzio, in cui la Terra si sforzò di rimanere calma.
Chiuse gli occhi ed
iniziò a respirare lentamente ma non servì.
Serrò i pugni e si morse il labbro,
prima di mostrare quanto potesse essere temibile una del suo elemento
con le
palle girate.
“Come
vi permettete di
parlarmi in questo modo, brutti deficienti?” urlò
“Guardate che me ne frego se
siete principini o futuri re! Sono stanca di voi! Piantatela di
litigare! State
zitti!”.
“Non
credi che sia il caso di
andarsene?” suggerì Roary ad Elehcim.
“No,
perché? Uno spettacolo
del genere non me lo voglio perdere…” rispose lui,
con i piedi sul tavolo e
masticando una gomma.
“Ma
potrebbe notarci
qualcuno…”.
“Chi
vuoi che ci noti in mezzo
ad una rissa del genere?!”.
In
effetti, l’attenzione di
tutto il popolo della Luce presente era concentrata su Kassihell ed
Aherektess.
“Sai
perché io mi chiamo
Kassihell, Angelo della Morte? Certe storie non vengono riportare sui
libri
pieni di pillole indorate della tua gente. Mi è stato dato
quel nome perché, di
tutti i bambini nati a palazzo quel giorno o poco prima, sono rimasto
in vita
solo io! Il giorno tredici del quarto incontro degli sposi del cielo,
di
trentasei anni fa, voi dell’Aria avete attaccato il mio regno
provocando un
violento tornado. Non so per quale assurdo caso, l’edificio
in cui stavo,
assieme a tutti gli altri bimbi nati quel giorno, è crollato
lasciando quasi
del tutto illeso solamente me. La mia sorella maggiore è
morta quella sera, nel
crollo. All’interno del palazzo imperiale c’era una
casa in cui tutti i figli
della famiglia reale, dei servi e dei consiglieri di mio padre potevano
stare.
E l’Aria sapeva che lì c’erano solo
bambini! Ha attaccato volutamente quello
stabile, probabilmente alla notizia della mia nascita. Ora, al posto di
quella
casa, è stato piantato un albero che fa fiori rossi come il
sangue. Sangue di
innocenti! Questo i tuoi libri non te lo raccontano”.
“Sono
tutte balle!” sibilò
Aherektess.
“Non
è vero. Sono tutte cose
che ho trovato su quest’altro volume!” interruppe
Reishefy “Scusate ma…mi
incuriosiva troppo un libro di guerra!”.
“E
quello da dove è saltato
fuori? È sempre del nostro archivio personale, mi
sembra” domandò Elehcim,
osservando il volume fra le mani dell’Elettricità.
“Semar
avrà voluto rincarare
la dose” sorrise Roary.
“Un
genio…” ghignò
l’incappucciato di rosso, ignorando alcuni ragazzini che lo
credevano un maestro
della loro etnia e che chiedevano dei consigli.
“Anche
voi avete attaccato dei
bambini! Avevo dieci anni quando avete distrutto ogni cosa! Ricordo che
stavo
giocando con i miei fratelli e le mie sorelle. Mio padre aveva numerose
compagne e numerosi figli ed a quel tempo eravamo davvero in tanti. Si
è
sentita una sirena d’allarme. Ci attaccano! Abbiamo sentito
gridare dai piani
inferiori. Non avete esitato ed avete attaccato quella torre in cui
noi, figli
dei regnanti, stavamo sempre. È scoppiato un incendio.
Eravamo in trappola.
Ricordo che è crollato il sostegno che reggeva le tende,
completamente in
fiamme, e mi ha immobilizzato. Sentivo i miei fratelli piangere poi
più nulla.
Mi sono svegliato vent’anni dopo! Ed i miei occhi non erano
più verde scuro,
come quelli di mia madre, ma rossi come il sangue. Solo io e Zameknenit
ci
siamo salvati quel giorno, non so ancora per quale strano scherzo del
destino.
Quando ho riaperto gli occhi, guardando mio fratello, ho compreso
quanto tutto
fosse cambiato. Lui era re ed io…non avrei mai
più potuto rivedere i miei
genitori! Mia madre non è riuscita mai a riprendersi da quel
giorno ed è morta
lentamente, incapace di rialzare la testa, e mio padre è
stato ucciso dai tuoi
soldati in battaglia in una guerra che voi, impero del Fuoco, avete
voluto!”.
“Fate
schifo entrambi, in
poche parole…” storse il naso Enki, pensando a
tutte quelle vite buttate via
senza motivo.
“Ma…come
facevano i rispettivi
popoli a sapere dove fossero i luoghi in cui stavano i bambini? E
perché attaccare
proprio i piccoli?” domandò Hanjuly.
“Thuwey
la definirebbe
"strategia militare". Indebolire il nemico
dall’interno…” parlò la
Roccia.
“Sapevamo
dov’erano perché,
fortunatamente, avevamo un alleato” spiegò il
Fuoco “Altrimenti saremmo stati
annientati da questi pazzi!”.
“Non
dire stronzate! I pazzi
siete voi!” urlò Aherektess
“Fortunatamente anche noi avevamo un popolo amico
che ci aiutava, imbrogliandovi”.
La
compagnia si guardò negli
occhi, tentando di capire a quali alleati si riferissero.
“Imbrogliandoci?!”
ringhiò
Kassihell “Come osi dire che noi siamo stati
imbrogliati?”.
“Perché
è così!”.
“E
se ti dicessi che gli
imbrogliati siete stati voi?”.
“Ti
riderei in faccia!”.
Stanco
di tutti quei discorsi,
Kassihell riunì la magia fra le mani e la
incendiò, creando due grosse palle di
fuoco. Le creature della Luce urlarono davanti a quello spettacolo e si
misero
a correre verso le uscite, in preda al panico. Solamente i sanguemisto
rimasero
al loro posto. Le fiamme furono lanciate contro all’Aria che
si avvolse in un
vortice del suo elemento, respingendole. Enki si apprestò a
spegnerle, con
l’aiuto di Hanjuly, prima che queste toccassero i libri. Poi
Aherektess passò
al contrattacco e, con una sorta di applauso, creò un tale
spostamento d’aria
da far volare via alcune sedie ed il tavolo che si contrapponeva fra i
due
sfidanti. Questo, essendo fatto di cristallo, si infranse in milioni di
pezzi
quando incontrò le braccia incrociate sul viso di Kassihell.
Il Fuoco non ci
mise molto per reagire, a differenza di quanto si aspettasse
l’Aria, e colpi in
pieno ventre il suo avversario con un potente calcio. Aherektess
incassò ed
indietreggiò di parecchio, sempre rimanendo fluttuante e
padrone del suo
elemento. Con la schiena ribaltò altri tavoli e sedie.
Ringhiando, tornò
volando verso il Fuoco avvolgendolo in un tornado nel tentativo di
immobilizzarlo. Kassihell urlò, sentendo il suo fuoco
spegnersi, ma poi si
concentrò ed usò quel vento a suo vantaggio.
Alimentò la sua magia e, con un
ghigno soddisfatto, derise il suo avversario chiedendogli se non avesse
studiato, per caso, che il fuoco si alimenta con l’aria.
“Ti
ucciderò, Kassihell! Fosse
l’ultima cosa che faccio!” sbraitò
Aherektess.
“Strano…è la stessa cosa che voglio
fare io! Dovevo
farti fuori prima, altro che seguire i consigli di Kaos che mi diceva
di
aspettare la fine del viaggio! Tornerò a casa da eroe
comunque, con la tua
testa fra le mani!”.
“Solo
il Dio di un popolo come
l’Oscurità poteva suggerire una cosa
simile!” commentò qualcuno.
“Kaos
ha suggerito cosa?!”
gridò, stupito, la divinità del Fuoco, voltandosi
verso l’interessato che alzò
le spalle.
“Che
ti aspettavi?” ridacchiò
il Dio dell’Oscurità “Sono Kaos, mica un
amorino!”.
“Come
fermiamo questi due
adesso?” domandò Heronìka, guardando
giù.
Le
divinità erano come sempre
nella loro bolla, che impediva ai mortali di vederli, ed osservavano la
scena,
non sapendo bene cosa fare.
“Interveniamo!
Dividiamoli!”
parlò la divinità della Luce “Rischiano
di demolire tutto!”.
“Questo
ti preoccupa? Non il fatto
che si possano ammazzare?” sbottò la Dea
dell’Acqua.
“Se
è quello che vogliono…”.
“Ma
sei deficiente!”.
Così
dicendo, in pochi minuti
anche gli Dèi litigavano.
“Noi
dovremmo dare l’esempio…”
mormorò Xoduzz.
“Ma
taci, finto santo!”
rimbeccò Loreatehenzi, ed anche loro presero ad insultarsi
animatamente.
Elehcim
rideva come un pazzo
ed inutili erano i tentativi di Roary di farlo stare buono. Non smise
di ridere
neppure quando un colpo dell’Aria mandò una sedia
a pochi centimetri dalla sua
posizione.
“Cazzo,
lo sapevo che eri
psicotico ma non fino a questo punto! Non verrò
più in nessun posto con te!”
commentò Roary, schivando la sedia volante per un soffio.
“Il
tuo alleato era un
deficiente ad aiutare la gente come te!” gridò
Aherektess.
“Il
tuo ancora di più, sapendo
contro chi si doveva scontrare! Comunque, se ora avessi il mio alleato
di
allora davanti, non lo prenderesti in giro!”.
“Nemmeno
tu! Tremeresti!”.
“Questo
è fuori discussione!”.
“Ma
dai…vedo come reagisci
alla parola "Ozymandias"!”.
“Ozymandias?!
Mi prendi per il
culo?! È stato NOSTRO alleato, altro che vostro!”.
“Scherzi?!
Fino alla morte di
mio padre, le nazioni di Oscurità ed Aria sono state
confederate!”.
“Ma
se sono stati loro a dirci
dove si ergeva la torre con i bambini! E da dove sareste giunti con il
vostro
esercito il giorno dell’attacco in cui è morto tuo
padre!”.
“Smettila
di inventarti
storie! L’Oscurità era dalla nostra
parte!”.
“NO!
Dalla nostra! E
nell’ultima guerra combattevamo assieme contro di
voi!”.
“Ma
se ci ha anticipato ogni
vostra mossa?!”.
“E
allora com’è morto tuo
padre?”.
“In
effetti…”.
“Stava
dalla parte nostra!”.
“NOSTRA!”.
“Da
nessuna delle due parti!”
sbottò Lehelin, stanca di tutto quel casino.
“Spiegati”
esclamarono, in
coro, i due litiganti, lasciandosi reciprocamente il collo.
“Mio
padre ed il mio popolo
non sta dalla parte di nessuno di voi due” iniziò
a spiegare l’Oscurità “Prima
ancora di tutto ciò che avete raccontato, quando mio padre
era giovane, il
nostro regno attraversò una grave crisi. Molti di noi
morivano, colpiti da una
rara malattia che a fatica abbiamo sconfitto. Il re di quel tempo, mio
nonno,
aveva chiesto aiuto a tutti i popoli di Asteria ma nessuno volle
aiutarci.
Eravamo un popolo pacifico, anche se isolato perché ce la
caviamo da soli, normalmente.
Probabilmente con la conoscenza della Luce, la medicina della Terra, le
materie
prime di altri elementi, avremmo potuto uscire prima da tutto quel
disastro,
evitando moltissime morti. Sapete come hanno reagito i regni?
Attaccando
l’Oscurità, sapendo quanto fosse ricco come
territorio e pieno di preziose
risorse. Sapete perché c’è
un’enorme statua di mio padre in ogni paese del mio
mondo e perché il suo nome è tanto temuto?
Perché è stato lui, appena divenuto
re ed aver visto morire suo padre, a respingervi tutti ed a risvegliare
il
coraggio e la forza del nostro elemento. Ha atteso a lungo, ma
l’opportunità di
vendicarsi è arrivata. Mettendovi uno contro
l’altro, voi Fuoco ed Aria, poteva
annientarvi contemporaneamente. In memoria dei nostri fratelli e delle
nostre
sorelle uccise…mio padre non può essere alleato
di nessuno”.
“E
nemmeno tu…” mormorò
Aherektess.
“No…nemmeno
io” sospirò, dopo
un attimo di silenzio, Lehelin.
“Quindi
la colpa è sempre
stata di Ozymandias?” squittì Reishefy, seguendo
come sempre i discorsi a
tratti ed interpretandoli a caso.
“E
come ha potuto il tuo
popolo reagire contro un attacco quasi mondiale?”
domandò Hanjuly.
“Kaos
è stato al nostro
fianco. Non ci ha mai fatto mancare l’energia e, quando ne
abbiamo avuto
bisogno, siamo stati i più forti di Asteria. Mio padre
è riuscito ad unire un
regno di creature solitarie e renderlo un’unica grande ombra
che vi ha
respinti. Molti lo giudicano come il migliore sovrano che
l’Oscurità abbia mai
avuto”.
“Lui
è il migliore dei pazzi e
degli assassini. E questo non lo si può negare”
ghignò il Fuoco.
“Non
credo possa fare
concorrenza a Vehuya” rimbeccò Lehelin.
“Quindi
stai dalla parte mia?
Mio fratello di certo non può…”
iniziò Aherektess ma l’Oscurità lo
interruppe
con un cenno della mano.
“Io
non posso essere dalla
parte di nessuno” disse “Vorrei, ma farlo
significherebbe rinnegare la mia
gente e la mia natura”.
“Ma…io
pensavo che…fra me e
te…” balbettò l’Aria.
“Questo
non ha niente a che
fare col fatto che noi…”.
“La
posizione di Ozymandias in
questa guerra eterna non ha così tanta importanza.
Quell’uomo non merita tutto
il rispetto che gli dai!”.
“E
tu sei sicuro di ricevere
il rispetto che meriti? O forse sei un pelino sopravalutato?
È di mio padre che
parli…”.
“Che
è una creatura
dell’Oscurità!”.
“Come
lo sono io!”.
“No…tu
sei diversa. Non sei
come lui”.
“Ti
sbagli. Io sono
esattamente come lui. E vedo che questo non riesci ad
accettarlo…”.
Stanca
di discutere ed
indebolita dalla troppa luce, Lehelin diede le spalle al gruppetto di
viaggiatori.
Elehcim la seguì, borbottando “anello
debole” a Roary che non rispose,
rassegnata alle sue idee bislacche. L’Oscurità
attraversò il corridoio
affrescato, udendo dietro di sé che Kassihell ed Aherektess
ricominciavano a
litigare. Andò verso l’esterno. Lungo il protiro
sperava di poter trovare
l’ombra delle grosse colonne, lisce ed altissime. Non ne
trovò, dato che la
facciata esterna dell’edificio era illuminata a sua volta, ma
era meglio
dell’accecante bianco della biblioteca. A guardia
dell’ingresso non c’era più
nessuno, impegnati com’erano a correre via o chiamare aiuto.
Si ritrovò da sola
e sospirò. Salì sulla balaustra e
guardò giù. Era una bella altezza, sorgendo
tutto quel complesso bianco latte in cima ad una ripida scalinata. Un
salto da
dove stava sarebbe stato un bel botto. Sentì il vento lungo
il corpo nebbioso e
chiuse gli occhi.
Alle
sue spalle, il
mezzosangue che l’aveva seguita si apprestava ad attaccarla.
Uccidendo uno del
gruppo, la missione falliva! Modificò la forma delle dita
per amplificarne la
forza magica. Il sangue metallico formò lunghi artigli su
cui iniziarono a
danzare fiamme sempre più grandi. Avvolta dal fuoco,
un’ombra svanisce senza
lasciare nessuna traccia. Nessuna prova, nessun testimone. Perfetto.
“Ma
che cosa state facendo?”
urlò Efrehem.
Con
il libro del Signore
dell’Ovest fra le mani, guardava i suoi compagni con stupore.
Si stavano tutti
insultando, schierati dalla parte di Kassihell o di Aherektess, oppure
per il
puro gusto di farlo.
“Che
state facendo? E quei
libri da dove vengono?” domandò.
“Da
dove vuoi che vengano?
Dalla tua stupida biblioteca!” rispose Mattehedike.
“Questa
biblioteca non è
stupida e non è vero. Quei due volumi non appartengono a
questo posto. Dove li
avete trovati?”.
“Ha
importanza? Questo pennuto
ha detto qualche parolina di troppo ed è ora che chiuda il
becco per sempre!”
sibilò il Fuoco.
“Ti
spegnerò come una
candelina di compleanno, brutto coglione!”
rimbeccò l’Aria.
“Idisi...non
sei riuscita
nemmeno tu a farli ragionare?” si stupì la Luce.
“Mi
hanno rotto. Che si
uccidano” fu la secca risposta.
Mentre
riprendevano a tirarsi
sedie, palle di fuoco ed ogni altra cosa possibile, Efrehem
riuscì ad afferrare
uno dei due volumi. Avendolo fra le mani ebbe l’assoluta
certezza che non
provenisse dalla biblioteca della Luce. Aveva letto tutti i libri
conservati in
quel luogo.
“Dove
lo avete trovato?”
domandò di nuovo, sperando di ricevere risposta.
“Quello
di colore chiaro era
su quel tavolo…” sospirò la Terra, non
capendo il motivo di tutte quelle
domande “…l’ho trovato io ma Reishefy me
lo ha strappato dalle mani e lo ha
letto. Parla della guerra fra Aria e Fuoco, descritta dal punto di
vista
dell’Impero del Fuoco”.
“E
l’altro libro?”.
“Lo
ha dato una ragazza ad
Aherektess. Parla della stessa guerra ma dal punto di vista
dell’Aria”.
“Tutto
qui? Stanno per
uccidersi perché hanno visto la stessa guerra da due punti
diversi?”.
“A
quanto pare…”.
“E
che ragazza aveva quel
libro? È ancora qui? Libri così di parte non sono
ammessi in questo luogo.
Chiunque lo abbia portato è meglio che abbia delle
più che valide spiegazioni
da darmi”.
Idisi,
ripreso
l’autocontrollo, si guardò attorno.
“Difficile
dirlo…” mormorò
“…era incappucciata
ma…forse…” piegò la testa,
guardando in un punto preciso e
cercando di capire se la creatura che aveva di fronte fosse colei che
stava
cercando.
“Credo
che sia lei” disse,
infine, indicando una ragazza seduta piuttosto distante dai litiganti.
“OPS”
si limitò a commentare
Roary, vedendosi indicare.
Girò
la testa rapidamente, a
destra e a sinistra, controllando se effettivamente si stava riferendo
a lei.
Una volta accertato che era così, decise che era meglio non
aspettare di
scoprire cosa avessero in mente esattamente e si alzò.
“Lo
sapevo che dovevo andare
via quando potevo!” sbottò, e si mise a correre.
“Fermatela!”
urlò Efrehem “Lei
è la causa di tutto questo casino!”.
Agli
ordini del principe del
regno, molte creature della Luce, rimaste contro il muro in attesa di
poter
uscire in modo sicuro, obbedirono e si misero ad inseguire
quell’incappucciata
dal passo svelto e l’aria scocciata.
Due
ombre. La creatura che
aveva alle sue spalle aveva due ombre. Le vedeva chiaramente, una alla
sua
destra ed una alla sua sinistra, proiettate lungo le colonne. Una era
l’ombra
di una creatura del Metallo, ricoperta di punte acuminate, e
l’altra era di
Fuoco, se ne percepivano i guizzi di fiamma.
Come
era possibile? Lehelin
tentò di capirlo. Si voltò, per osservare meglio
chi le stava proiettando.
Il
mezzosangue non si
aspettava una cosa del genere. I due si guardarono per qualche istante.
Lui
ghignava soddisfatto, pronto a colpirla, con gli occhi rossi che si
vedevano
chiaramente da sotto il ed
attraverso le
lenti degli occhiali scuri. Lei, con due sottilissime linee
d’argento verticale
sul viso come sguardo, non si mosse, pur vedendo il fuoco fra le mani
di lui e
capendo cosa aveva in mente.Elehcim prese un profondo respiro, deciso a
sferrare la fiammata d’attacco, quando una mano lo
afferrò saldamente per un
braccio e lo trascinò.
“Scappa,
ci hanno beccato!”
gli disse Roary, continuando a correre.
Trascinandolo,
gli fece
ricadere all’indietro il cappuccio.
L’Oscurità, che aveva continuato ad
osservarlo, sussultò. Sanguemisto. E con un’aria
così familiare…
I
due incappucciati saltarono
giù dalla balaustra, qualche colonna più in
là rispetto a dove si trovava
Lehelin. Atterrarono su Orebrec e corsero via, seguiti da altri
sanguemisto che
avevano a loro volta partecipato a quella missione.
“Credi
che abbia funzionato?”
domandò Elehcim.
“Dubito
possano fare la pace
tanto facilmente” gli rispose Roary.
“Bene.
Così il nostro attacco
sarà di certo più semplice”.
“Questo
è sicuro ma…perché non
hai colpito subito quell’Ombra?”.
“Si
è voltata…ed è una
creatura davvero inquietante. Lo avrei fatto, se non fossi arrivata
tu!”.
“Stavano
per linciarci! Ho
dovuto trascinarti via! Ti ho salvato la vita! E per quanto riguarda la
creatura d’Oscurità…cosa ti aspettavi?!
È la figlia di Ozymandias!”.
“Tu
sai di chi sono figlio io,
vero?”.
“Sì,
caro…”.
“Ed
allora non usare certi
termini di paragone!”.
Svanirono
velocemente, così
come erano arrivati, senza più dire una parola.
“Lehelin!
Che succede?” urlò
Thuwey, correndo lungo gli scalini d’ingresso.
“Niente.
Solita rissa”.
Le
creature inseguitrici erano
tutte lungo il protiro e si sparpagliarono alla ricerca dei fuggitivi.
“Stai
bene? Sei
così…ristretta!” si
preoccupò il Metallo.
“Colpa
di tutta questa luce!
Ho bisogno di un po’ di buio…i miei occhi non ce
la fanno più!”.
“Dove
sono tutti gli altri? E
perché non sei con loro?”.
L’Oscurità
si accoccolò con la
schiena contro una colonna, tenendosi le ginocchia. Thuwey
tentò di farle
ombra, in qualche modo, trovando fastidiosa pure lui tutta quella luce.
“Kassihell
ed Aherektess
stanno litigando, come sempre, ed io sono andata via”.
“Quei
due deficienti…senza
offesa per il tuo uomo, scusa!”.
“Non
è il mio uomo. Puoi
offenderlo quanto ti pare”.
“Ma…”.
“Metallo…posso
farti una
domanda?”.
“Chiedi
pure, ma chiamami
Thuwey!”.
“Volevo
chiederti…tu sei un
viaggiatore, hai accompagnato la tua regina in molti incontri
diplomatici. In
base a ciò che hai visto e vissuto…essere una
creatura come me, una nativa
dell’Oscurità, è una cosa tanto
negativa nell’opinione comune degli abitanti di
Asteria?”.
“Che
domanda strana…”.
“Perché
a me sembra di essere
stata brava. Mi sono impegnata in questo viaggio, ho cercato di aiutare
e di
rendermi utile, ma non ho fatto nulla di diverso rispetto a
ciò che faccio nel
mio regno, con i miei simili. Eppure non faccio altro che sentirmi dire
che quelli
come me sono cattivi, senza cuore, egoisti,
assassini…sbagliati”.
“I
pregiudizi sono forti, lo
ammetto. E sono duri da togliere dalla mente. Io per primo, lo devo
confessare,
ho avuto paura quando sapevo di dover incontrare Ozymandias e, per
quante volte
lo abbia visto ed abbia capito che non è un mostro come lo
descrivono, quel
brivido d’inquietudine resta comunque. Ma credo che questo
sia anche un
desiderio del re, di tuo padre. Come te al palazzo dell’Ovest
e come la tua
scarsa voglia di chiamarci per nome, agisce per mantenere le
distanze”.
“Si
sente tradito dagli altri
regni. Eravamo sempre stati disposti a condividere le nostre risorse
con il
resto del Mondo ma quando abbiamo avuto bisogno d’aiuto ci
avete tutti voltato
le spalle ed ora noi dell’Oscurità, perfettamente
in grado di badare a noi
stessi, di certo non andiamo a fare amicizia”.
“Non
conosco bene le faccende
di cui narri ma penso che Ozymandias sia un buon re, per il suo popolo.
Se poi
ha dentro di sé un desiderio di vendetta con la V maiuscola
sono affari suoi”.
“Fin
ora non mi pare di averlo
mai sentito parlar male del regno del Metallo…”.
“Tuo
padre è un mito, dal
punto di vista militare. Durante l’addestramento, il mio
maestro non faceva
altro che citarmi le sue grandi imprese guerriere e descrivere il suo
ottimo
esercito. Ne ho paura…ma lo stimo un sacco!”.
“Questo
gli farà molto piacere
saperlo…”.
“E
quindi ora…”.
La
conversazione fu interrotta
da una sedia volante che uscì dall’ingresso a
velocità sostenuta, andando a
schiantarsi contro una delle colonne e frantumandosi in pezzetti
minuscoli.
“Adesso
quei due le sentono!!”
sbottò Thuwey, facendosi scricchiolare le nocche ed entrando
nella biblioteca a
grandi passi decisi.
Fuoco
ed Aria si stavano
ancora scontrando. Gli altri membri della compagnia si erano fatti da
parte,
andando accanto al muro come gli abitanti della Luce. Il Metallo
lanciò un
grido, di minaccia e d’avvertimento, che non sortì
l’effetto sperato. Dopo un
respiro, allungò entrambe le braccia e comandò le
catene che portava su tutto
il vestito. Queste si srotolarono ed andarono ad avvolgere i due
litiganti,
separandoli.
“L’avete
finita?” tuonò
Thuwey, stringendo ancora un po’ la presa.
Kassihell
non rispose ma
iniziò a scaldarsi, tentando di sciogliere ciò
che lo bloccava. Il Metallo
tramutò entrambe le mani in spade e le puntò
contro i due immobilizzati.
“Se
fossi in voi non ci
proverei. Non avete possibilità di vittoria, insalamati come
siete! E rimarrete
così fino a quando sarete di nuovo in grado di viaggiare
assieme da persone
civili, non da animali rabbiosi! Intesi?”.
“Me
la pagherai cara…” sibilò
Aherektess.
“Non
appena ci libererai, io…”
minacciò Kassihell ma Thuwey strinse ancora la presa e
zittì entrambi con
soddisfazione.
“Zitti!
E tu,
Mattehedike…perché non li hai
separati?!”.
“Io
ci tengo alla mia
incolumità, amico!”.
“Capisco…e
adesso, signori, in
marcia!” affermò il Metallo e, tenendo le braccia
affilate puntate alla schiena
dei due, uscì dalla biblioteca seguito dal resto del gruppo.
Ripresero
le armi, dividendosi
fra loro quelle di Fuoco ed Aria.
“Non
è giusto!” protestò
Kassihell “Non ho iniziato io! Ridammi la mia Katana!
È tutta colpa di questo
idiota svolazzante!”.
“Colpa
mia?! Adesso sarebbe
colpa mia?! Ma senti questo…ti ricordo che sei stato tu ad
aprire la questione
e sei sempre stato tu ad attaccare per primo!”.
“Bugia!
Io ti…”.
Metallo
e Terra si fissarono,
sospirando e, dopo averli imbavagliati, ripresero il cammino dietro ad
Efrehem
che continuava a chiedere perdono a tutto il suo popolo per il disagio.
†††
Il
gruppo, dopo
quell’episodio, si era fatto silenzioso. Perfino Reishefy non
sapeva cosa dire.
Erano nati un sacco di nuovi dubbi, sospetti e paure. Quali altre
storie si
nascondevano? Il bel clima che tanto a fatica avevano creato era ormai
svanito
in pochi attimi. Ed ironicamente il tutto era dovuto alla lettura di
due libri,
un’attività da cui nessuno si aspettava di veder
scoppiare una guerra.
L’inconfondibile
suono delle
campane accompagnava il loro cammino. Ogni città aveva
tantissime torri e su
ognuna un’enorme campana suonava, in momenti diversi della
giornata.
“Cosa
hai scoperto riguardo al
volume del Signore dell’Ovest?” domandò
Thuwey.
“Vi
spiegherò tutto quando e
se verrà il momento” rispose Efrehem.
Il
Metallo fece un cenno con
il capo, senza parlare più. Non staccò per un
solo istante gli occhi da Aria e
Fuoco, continuando a minacciarli per farli stare buoni.
“Che
clima di merda!” sbottò
l’Elettricità, dopo un paio d’ore.
“Ti
do ragione. Non possiamo
andare avanti così! Ormai abbiamo superato la
metà del viaggio, dobbiamo
lasciare da parte le divergenze personali ed arrivare in
fondo” affermò
Hanjuly.
“Basta
solo sapersi
controllare…” continuò Reishefy.
“Parli
proprio tu di sapersi
controllare! Comunque dubito che l’evocazione funzioni se ci
odiamo in questo
modo!” borbottò Idisi.
“Nessuno
ha mai parlato di
amore fra popoli!” si lamentò Mattehedike
“Perciò, anche se i dieci viaggiatori
si odiano, l’importante è che siano tutti vivi e
con l’oggetto proibito”.
“Il
problema è che, slegando
uno di questi due, di certo non arriviamo tutti e dieci!”
sbottò Enki.
“Questo
dipende da come gli
viene posta la questione…” mormorò
Efrehem.
“Credi
di poterli convincere?”
ridacchiò la Roccia.
“Con
l’aiuto della Signora
della Terra…” azzardò la Luce,
girandosi verso Idisi, che gli sorrise.
“Allora
vediamo…sono stanco di
usare i miei poteri per loro!” esclamò il Metallo.
Tenendoli
arrotolati ed
imbavagliati, li mise con le spalle contro uno dei muri bianchi ed oro
che
circondavano la città.
“Sono
tutti vostri…”.
Terra
e Luce si schiarirono la
voce e poi, con un sorrisetto, Efrehem fece segno ad Idisi che poteva
avere lei
l’onore d’iniziare. Non se lo fece ripetere due
volte.
“Adesso
statemi bene a
sentire, voi due!” esordì, con fare minaccioso che
mai nessuno dei presenti
aveva avuto modo d’osservare “Me ne sbatto
altamente se per voi le vostre
discussioni sono giuste, lecite, obbligate o chissà che
altro. Le mie figlie,
quando litigano fra di loro, sembrano molto più mature di
voi! Posso
tranquillamente affermare che tutti noi siamo stufi di dovervi
sopportare e
farvi da babysitter…”.
“Senza
contare il fatto che,
dato il vostro comportamento, è evidente che non considerate
l’importanza della
missione!” interruppe Efrehem “Qui non si tratta di
voi, di noi, di un singolo
impero o di una singola guerra! Parliamo del futuro di Asteria e lo
state
letteralmente buttando nel cesso per rancori del tutto personali, o
comunque
riguardanti solo una porzione del pianeta! Posso capire il risentimento
che c’è
fra di voi, ma lo scopo finale che dobbiamo portare a termine
è più importante.
Vi abbiamo dato il tempo di sfogarvi e di restare in silenzio, spero a
riflettere. Il luogo proibito del mio regno è vicino, e poi
ci attendono altri
quattro mondi. È un viaggio lungo, stancante e complicato.
Per tutti noi però,
non solo per voi due! Non vorrei dovervi tenere imbavagliati ed
insalsicciati
per tutto il tempo…se io ora vi slego, promettete di fare
tregua? Se poi, una
volta portato a termine il viaggio, vorrete uccidervi…sono
affari vostri! Io vi
chiedo di portare a termine quest’avventura…non
pretendo che andiate d’amore e
d’accordo, ma gradirei perlomeno il silenzio. Ignoratevi!
Ecco la parola
esatta: ignoratevi! Credete di poterlo fare?”.
La
Luce guardò negli occhi
entrambi i prigionieri, che risposero a quello sguardo. Si vedeva che
erano
entrambi furiosi ma anche stanchi di rimanere bloccati.
“Allora?”
incalzò Idisi “Che
cosa dite? Vi sleghiamo e state buoni oppure rimanete così
fino a nuovo
ordine?”.
Kassihell
ed Aherektess si
fissarono con odio per qualche istante ma poi chinarono il capo.
“Vi
sleghiamo? Promettete di
fare i bravi?” parlò la Luce.
I
due litiganti annuirono,
anche se a fatica. Subito il Metallo allentò le catene ed
iniziò a
riavvolgerle. Fu loro tolto il bavaglio e subito il Fuoco si rimise in
piedi,
bestemmiando a bassa voce e massaggiandosi gli arti indolenziti.
“Ridammi
la mia Katana” fu la
prima ed unica cosa che disse, rivolto alla Roccia che
l’aveva in custodia e
che gliela porse, con un mezzo sorriso.
Aherektess,
dopo aver ripreso
il controllo delle braccia piumate, rifoderò le spade che
Hanjuly gli porse
senza dire nulla.
Il
gruppo ripartì in silenzio,
con i due litiganti ben divisi e l’Oscurità in
centro, alla disperata ricerca
di un piccolo spiazzo senza luce. Quel regno stava scombinando ogni
loro ritmo.
Non calando mai, Sirona illuminava perennemente il cammino senza dare
spazio
alla notte. Dormire fu particolarmente difficile per la maggior parte
della
compagnia e, quando giunsero in vista del luogo proibito, erano tutti
quanti
stanchi e silenziosi.
“Ombra…”
mormorò Efrehem
“Quello dev’essere il luogo proibito”.
In
effetti davanti a loro si
ergeva un intricato insieme di alberi che bloccavano ogni raggio di
luce.
Lehelin sorrise a quello spettacolo e si avvicinò senza
timore. Non toccò
quella pianta, ma rimase ai suoi piedi, ad occhi chiusi, assaporando il
ristoro
del suo elemento.
“Che
pianta meravigliosa!”
commentò Idisi.
In
un complicato intreccio di
radici, rendeva impossibile il passaggio.
“Immagino
che l’oggetto
proibito sia lì dentro…” disse Enki.
Quel
luogo era talmente vicino
al confine da far vedere a tutti quale fosse il regno successivo. Lava
e fuoco
li attendevano e la cosa non poteva che creare una certa inquietudine.
“Questa
pianta mi sta
chiamando” affermò Idisi “Tocca a me.
Vado io”.
Appena
sfiorò con le dita quel
complesso sistema intrecciato, grosse liane e foglie la avvolsero, fino
a farla
sparire del tutto alla vista della compagnia e portarla oltre quel
sottile
confine fra il regno mortale e quello divino.
†††
“Buonasera”
si sentì
educatamente salutare.
“Buonasera”
rispose, pur non
sapendo se fosse effettivamente sera oppure no.
Trattenne
il fiato quando si
fu abituata al riverbero di quel luogo e riuscì a mettere a
fuoco chi aveva
davanti e dove si trovava. In quell’intreccio verticale di
rami e linfa, erano
custoditi, come frutti preziosi, migliaia di libri. Tutto brillava di
scintille
dorate, provocate dalle farfalle con le ali di quel colore, che
svolazzavano
fra un volume ad un altro.
“Tu
sei Idisi, giusto?
Rappresentante del regno della Terra” parlò la
divinità.
“Sì…e
Voi siete…?”.
“Io
vengo chiamato Vereheveil,
e sono il Dio delle Letterature e delle Lingue”.
Aveva
splendide ali piumate
color oro, come oro erano le sue iridi. Portava una sorta di tunica
bianca,
lunga fino ai piedi, allacciata solo da un lato. Questo faceva
sì che si
notassero i tatuaggi che portava sul corpo. Erano lettere, numeri,
ideogrammi,
note, segni e simboli di ogni sistema di scrittura di Asteria e di
chissà
quanti altri pianeti. Ai piedi indossava dei sandali piuttosto
semplici. I
capelli, verde acqua, ricadevano in ciuffi corti sul viso, mentre
dietro erano
lasciati crescere. Sorrise alla mortale che lo stava osservando. Lei si
sentì
subito rassicurata, notando quei due grandi occhi così tondi
ed amichevoli.
“Ho
saputo che avete avuto dei
problemi all’interno del gruppo…”
riprese a parlare la divinità, usando
perfettamente il linguaggio nativo di Idisi.
“Già.
È così…” confermò
lei,
non nascondendo un certo sconforto.
“Normale,
mia cara. Se perfino
fra noi Dèi non facciamo altro che discutere, come possiamo
pretendere che voi
mortali vi comportiate in modo diverso?”.
“Sono
riusciti a farmi
arrabbiare. È una cosa piuttosto difficile!”.
“Lo
so. Succede lo stesso
anche a me ma, credimi, c’è una
divinità che mi fa davvero uscire di testa.
L’esistenza è una questione di opposti. Se non ci
fosse l’odio, o la rabbia, o
la guerra, non potrebbe esistere l’amore, o la pace o
qualsiasi altro
sentimento positivo. Non trovi? Noi Dèi sapevamo bene che
sarebbe stato un vero
e proprio casino questo viaggio. Ci siamo messi nei vostri panni e ci
siamo
detti che noi, personalmente, non saremmo in grado di affrontare tutto
senza
azzuffarci nemmeno una volta. E questo, ovviamente, crea una certa
inquietudine
nelle divinità graciline come me, di certo non molto brave a
combattere”.
“Quindi
mi state dicendo che è
normale lasciarli litigare?”.
“Non
potete lasciarli
litigare…vogliono uccidersi! Ma non potete di certo
trattenerli sempre. E non è
la fine del mondo se vengono alle mani. L’importante
è che il gruppo sia pronto
ad intervenire nel caso andassero troppo oltre”.
“Siete
molto diplomatico…”.
“Dicono
che sia saggio. O
codardo, dipende dai punti di vista. In realtà io non riesco
a comprendere fino
in fondo il desiderio di usare la violenza. Amo i libri, la cultura, il
sapere…la guerra non rientra nei miei interessi ma ho
imparato a guardare il
tutto da un punto di vista diverso. Ti faccio un esempio pratico. Tu
sei un’abitante
del regno della Terra, vivi a stretto contatto con essa e non
riusciresti
nemmeno ad immaginare di poter esistere in modo diverso. Eppure,
soprattutto in
questo viaggio, hai avuto modo di vedere che questo è
possibile. Popoli e regni
vivono anche se si comportano in modo completamente diverso dal tuo.
Capisci?”.
“Mi
state dicendo che non
posso giudicarli, ma che dovrei vivere la cosa in prima persona per
capire?
Perché se è così lo intuivo
già da prima, ma…”.
“Ma
tu riesci ad avere più
autocontrollo? Anche questo fa parte della tua natura, del tuo essere.
Ognuno
di voi dieci vede tutta questa storia in modo differente e reagisce in
modo
diverso. Possono esservi reazioni molto simili, come la tua e quella
del
principe della Luce, o diametralmente opposte come la decisione o meno
d’intervenire di Metallo e Roccia. Questo viaggio necessita
di ogni qualità e
difetto di ognuno di voi. Cerca di sfruttare la voce delle tue
qualità. La tua
dote è la pazienza: usala. Abbi pazienza, perseveranza,
forza di volontà, e
vedrai che tutto andrà per il meglio. Nessuno è
"sbagliato"
all’interno del vostro gruppo di viaggiatori. Vedrai che i
due litiganti, Fuoco
ed Aria, capiranno di avere molte più cose in comune di
quanto pensino. Le loro
divinità ci hanno messo un sacco ad arrivarci, ma ci sono
riuscite. E perfino
io, col tempo, sono riuscito a sopportare la mia controparte impulsiva
ed
isterica”.
“E
se non riuscissero a
capirlo? Voglio dire…e se continuassero a litigare? E se si
verificasse un
episodio per il quale uno dei due finisce male e ci ritrovassimo in
nove?”.
“Sono
entrambe creature
intelligenti. Dal carattere forte ed iracondo, ma con un buon cervello.
Si
faranno del male, anche in modo serio, probabilmente, ma non
arriveranno al
punto di uccidersi”.
“Ne
siete sicuro?”.
“Non
sono pronto a giuratelo
ma…sono sufficientemente sicuro da dirti che non manderanno
in malora l’intero
futuro di Asteria per un problema interno ai loro regni. Più
probabile che
facciano scoppiare una guerra in seguito, se non riescono a
chiarirsi”.
“Io…non
so se è il caso
ma…vorrei chiederVi: cosa ne pensate di tutta questa
faccenda? Dell’evocazione,
intendo, del viaggio, dei mezzosangue… Voi siete il Dio che
più rappresenta la
cultura, Vi sarete fatto un parere in merito…”.
“Me
lo sono fatto e,
sinceramente, non so ancora bene dove indirizzare il mio consenso. Ti
spiego:
ritengo che per secoli, se non millenni, Asteria sia stata popolata dai
mezzosangue. Perciò ritengo che la colpa di questi sbalzi di
magia non sia
loro. L’evocazione, per chiamare la Creatrice, credo sia
l’unico modo per
raggiungere una soluzione. Lei ha creato tutto questo e di certo
saprà come
curarlo. Non c’è altro modo”.
“E
la Creatrice non risponde
direttamente a voi Dèi, invece di farci fare tutta questa
fatica?”.
“La
Creatrice è molto potente
e distante. Ha sotto la sua tutela migliaia di mondi. Da tempo non ho
modo
d’incontrarla”.
“Quindi
ha creato Asteria e
poi se ne è disinteressata?”.
“In
un certo senso. L’ha
affidata a noi, Dèi di un livello leggermente inferiore al
suo, insegnando la
tecnica dell’evocazione ai due Signori di Est ed Ovest per le
emergenze”.
“E
non poteva escogitare un
sistema più semplice?”.
“Per
permettere a voi mortali
di tormentarla per qualsiasi cosa? No, ha trovato un metodo tale per
cui solo
le VERE emergenze portino al suo richiamo. Solamente in caso di reale
bisogno
si riesce ad attuare un’evocazione così complessa.
Questo è un caso di reale
bisogno…e hai notato quant’è
difficile?”.
“Spero
che almeno funzioni…”.
“Non
dubitarne. Lei risponde
sempre”.
“Me
lo auguro. Ora, tornando a
noi…l’oggetto proibito di questo posto qual
è?”.
“Io
non custodisco nessun
oggetto proibito, ma dentro di me risiede una formula. Ti
donerò le parole
dell’evocazione, l’insieme di suoni che ti
permetteranno di attivare gli
oggetti proibiti in vostro possesso e richiamare la Creatrice. Queste
parole
rimarranno latenti dentro di te fino a quando non verrà il
momento di usarle.
In quel momento, e solo in quel momento, esse compariranno nitide
davanti a te
e tu le pronunzierai. Una volta terminato, esse ritorneranno qui da
me”.
“Quindi
sarò io ad effettuare
l’evocazione?”.
“Non
ti spaventare! Sarete
tutti voi ad effettuarla, tutti assieme, ma sarai tu a chiamare la
Grande Madre
per nome per farvela apparire dinnanzi”.
Idisi
fu leggermente turbata
da quella frase. E se le parole non fossero apparse? Se nel momento
cruciale
non avesse saputo cosa dire?
“Non
posso avere un libro o un
foglio su cui è riportata la formula?”
domandò, speranzosa.
“Certe
cose non possono essere
scritte, da nessuno. Perfino io, custode di ogni lingua e scrittura
conosciuta,
non mi azzardo a pronunciarle o riportarle senza ritegno”.
“Che
devo fare?”.
“Rilassati,
Idisi. Rilassati e
le parole faranno parte di te”.
La
Terra chiuse gli occhi ed
il Dio, sfiorandole la fronte con le dita, le trasmise il suo sapere.
Le
lettere, come disegni danzanti sulle dita della divinità, si
mossero e si
trasferirono. Rimasero sospese in aria, attorno alla testa della
mortale, per
poi svanire senza lasciare traccia.
“Dentro
di te, ora, hai la
forza delle parole, Idisi. Non avere paura di loro. Quando
sarà giunto il
momento, ascoltale. Esse sapranno guidarti”.
“Potrò
contare sul Vostro
aiuto?”.
“Mio,
come di qualsiasi altra
divinità, immagino. Ci rivedremo”.
“Ci
rivedremo? Davvero?”.
“Abbi
un po’ di fede, che
diamine!”.
“Scusate…”.
“Puoi
andare adesso, giovane
maga del regno dei fiori”.
“Grazie…”.
“C’è
un regalo che voglio
farti. Prendi una delle mie piume”.
Idisi
si guardò attorno,
cercandone qualcuna caduta, ma non ne vide.
“Non
cercarne in terra, vieni
qui. Prendine una!” la incitò il Dio, spalancando
le ali dorate.
“Posso?
Posso davvero?”.
“Coraggio”.
La
Terra allungò la mano,
timidamente, verso quelle ali meravigliose ed abbaglianti. Sfiorando
quelle
penne, ridacchiò. Erano morbide e le fecero il solletico. Le
accarezzò, quasi a
voler chiedere perdono, poi ne afferrò una con convinzione e
la staccò.
Vereheveil sorrise, come a rassicurarla di non avergli dato fastidio, e
le
richiuse.
“Nel
caso vi dovesse
ricapitare una situazione simile a quella fra le creature
dell’Elettricità, in
cui non riuscivate a capirvi, quella vi potrà essere utile
perché ti farà
comprendere ogni linguaggio straniero. Quella resterà a te,
un mio dono”.
“Grazie.
Ma…voi divinità state
seguendo tutto il nostro viaggio dall’alto?”.
“Ovvio.
Vi abbiamo anche
aiutato, in qualche occasione. Non possiamo interferire più
di tanto per
questioni di equilibrio ma, in questo caso, qualche regoluccia
l’abbiamo
infranta”.
“Grazie
infinite”.
“Ora
va. I tuoi compagni ti
attendono”.
Idisi
uscì e si materializzò
al di fuori dell’intreccio di rami e liane. Fra le mani
stringeva quella
magnifica piuma dorata, molto grande, che si apprestò ad
infilarsi fra i
capelli verde scuro.
“Tutto
a posto? Possiamo
andare?” domandò Thuwey.
“Tutto
ok. Andiamo” confermò
lei, raggiante.
“Quella
piuma…” mormorò
Efrehem, ad occhi spalancati “…viene dalle ali
della divinità del mio mondo? È
una delle piume di Vereheveil?”.
“Sì.
Un suo regalo”.
“Posso
toccarla?”.
“Certo”.
La
Luce la sfiorò, con
riverenza ed ammirazione.
“Possiamo
andare?” sbottò il
Fuoco.
“Prego,
passo il testimone”
rispose Efrehem.
Kassihell
strinse fra le mani
il medaglione di Kaos e la chiave del suo impero, rossa a motivi
fiammeggianti,
pronto a guidare la compagnia per le pericolose vie del regno del Fuoco.
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Capitolo 10 *** X- Fuoco ***
X
Nessuno
dei dieci aprì bocca.
Videro chiaramente la lava scorrere a pochi passi da loro, nel regno
del Fuoco.
Come avanzare in quelle condizioni? Hanjuly ed Enki si mostrarono molto
preoccupate.
“Posso
evitare che il Fuoco vi
faccia del male, ma non posso nulla contro il calore”
parlò Kassihell.
“Ma…come
facciamo? I nostri
corpi non possono sopportare simili temperature”
domandò il Ghiaccio, sperando
di ricevere l’appoggio di qualcuno.
“Non
so che farci…” sbottò il Fuoco.
Era
già con i piedi sul suo
impero, respirando a pieni polmoni l’aria di zolfo e fumi
vari di cui aveva
sentito terribilmente la mancanza. Idisi rabbrividì nel
vederlo scalzo nella
lava bollente.
Efrehem
rimaneva in silenzio,
meditando sul da farsi. Doveva esserci il modo di passare senza
inconvenienti…
Chiuse gli occhi e, concentrandosi, per qualche istante udì
il battito del suo
cuore. Riaprì le palpebre, come illuminato, e sorrise.
Frugò nel taschino della
giacca e trovò l’oggetto proibito: il plettro di
Enrikiran. Gli era stato detto
che avrebbe saputo come e quando usarlo. Doveva abbandonare la logica,
per un
attimo, e sforzarsi di usare la fantasia. Mentre il resto del gruppo
discuteva
sul da farsi, ignorandolo, lui immaginò di avere fra le mani
una chitarra come
quella del Dio del Ghiaccio. Divaricò leggermente le gambe
e, con atteggiamento
da rockstar, suonò le corde invisibili con il plettro
proibito. Il suono che si
produsse fu tutt’altro che immaginario ed investì
l’intera compagnia. Come un’onda
d’urto azzurra, quel suono vibrò fino ad avvolgere
i viaggiatori in una sorta
di bolla. L’unico che ne rimase fuori fu Kassihell, che si
limitò a fissare il
tutto con aria interrogativa.
“Qui
dentro è fresco!” esclamò
il Ghiaccio, sorridendo.
“Benissimo.
Possiamo andare
avanti, allora. Chi non regge la lava può starsene dentro
quella palla” parlò
Kassihell, con un tono infastidito per un motivo non chiaro.
Idisi,
Mattehedike, Efrehem,
Hanjuly, Enki ed Aherektess rimasero al sicuro in
quell’involucro refrigerante
mentre gli altri seguirono il Fuoco senza protezione.
“Fate
molta attenzione”
riprese Kassihell “Dovete seguire i miei passi e non
sbagliare. Io conosco bene
questi terreni e so dov’è il sentiero
più sicuro. Fidatevi e statemi dietro. Un
passo falso e finite a mollo nella lava bollente o sparati in aria dai
geyser”.
“Non
sembra una cosa
divertente…” mugugnò Reishefy.
“Non
lo è. Ora avanti,
camminate!”.
Le
dimensioni di Thuwey
aumentarono quasi subito, per via del forte calore di quel regno.
Camminava
alternando l’aria aperta e la bolla fredda, per evitare di
danneggiare il suo
elemento. Il suo era un metallo molto particolare, lo stesso con cui
erano
state forgiate le spade dei presenti, e non fondeva, ma preferiva non
indebolirlo. Lehelin, ristorata dalla sera e dai raggi degli sposi
della notte,
fluttuava senza difficoltà da un punto all’altro
seguendo Kassihell. Reishefy,
leggermente turbata dall’idea di essere sparata in aria,
guardava attentamente
dove metteva i piedi. Cercò un paio di volte di attaccarsi
al principe di quel
regno ma, ovviamente, fu respinta da lui in malo modo ogni volta.
“Qualcosa
non va?” domandò
l’Oscurità, notando lo sguardo preoccupato del
Fuoco.
“Il
calore che emette il mio
elemento…è di molto inferiore a quanto sono
abituato. È debole”.
“Anche
la Luce del mio regno è
più debole rispetto a quando sono partito” si
intromise Efrehem “Credo sia il
segno evidente del declino di Asteria. Dobbiamo far presto!”.
Hanjuly,
che soffriva il caldo
nonostante la bolla, si chiese quanto insopportabile fosse quel regno
con la
magia a pieno regime. Seguì l’esempio di Reishefy,
che era rimasta con il
minimo indispensabile addosso, stupendosi di come delle creature
potessero
vivere in simili condizioni.
“Se
non fosse per questa
bolla…” parlò Idisi
“…a quest’ora saremmo ancora sul confine
a chiederci come
avanzare!”.
“O
morti” ridacchiò Kassihell.
“Simpatico
come sempre”
commentò Aherektess, storcendo il naso.
“Chiudi
il becco, canarino
stonato! Qui comando io!” rimbeccò il Fuoco.
“Chiudete
il becco tutti e
due, o vi insalamo di nuovo!” ringhiò Thuwey.
“Per
quanto mi piaccia, il
termine "insalamare" dubito esista” rise la Luce, continuando
dicendo
che poteva usarlo liberamente perché ci stava troppo bene.
†††
Il
luogo proibito si mostrò
dopo alcuni giorni, in cui il gruppo aveva riposato in grotte ed
anfratti al
riparo dai fiumi vulcanici. In alcune di esse trovarono risorgive e
piccoli
ruscelli d’acqua, che Hanjuly raffreddò per poter
bere.
“Ma…voi
del Fuoco bevete acqua
calda? Non se ne trova altra nel regno, mi pare”
domandò la Luce, piuttosto
stordito dalle novità.
“Ovvio”
sbottò Kassihell,
sempre infastidito dalle domande “Per noi non è
calda. La nostra temperatura
corporea è di molto superiore alla vostra!”.
Quell’acqua
limpida era l’ideale
per fare il bagno e tutti ne approfittarono, sempre aspettando la
conferma da
parte del Fuoco che potevano entrarci senza pericolo di essere sciolti
perché
acida.
Aherektess
si sentiva molto a
disagio. Tutti i nativi che incrociavano lo fissavano con fare
minaccioso e gli
rivolgevano parole poco simpatiche. Inoltre non aveva mai amato
particolarmente
l’idea di stare tanto a lungo in una grotta, al chiuso. Per
di più i rapporti
fra lui e Lehelin non erano migliorati e la cosa iniziava a pesargli.
Rimediava
all’impiccio ripetendosi che era la figlia di Ozymandias e
che non doveva farsi
problemi per lei. Lehelin, dal canto suo, aveva deciso che non avrebbe
mai più
finto di essere qualcosa di diverso e che spettava agli altri
accettarla per
ciò che era. Lei era la principessa
dell’Oscurità, con tutti i pro ed i contro
che la cosa poteva comportare, e non aveva intenzione di rinnegarlo.
“Siamo
vicini” spiegò il Fuoco
“La cartina indica il luogo proibito a pochi metri”.
“Non
noto cambiamenti di
paesaggio” grugnì Aherektess.
“Dobbiamo
solo avvicinarci di
più!” esclamò Reishefy, ridendo a caso
come sempre.
Per
una volta, stranamente,
l’Elettricità aveva ragione. Appena il gruppo si
avvicinò al punto indicato, la
terra iniziò a tremare sotto i loro piedi. Il Fuoco non si
scompose, dicendo
che era un fenomeno piuttosto comune per l’impero.
“Ma
che posto orribile per
vivere!” esclamò Mattehedike.
Kassihell
iniziò a
preoccuparsi quando vide il terreno innalzarsi. Una grossa porzione di
roccia
si sollevò e rimase sospesa. Su di essa, un piccolo vulcano
faceva scorrere
fiumi di lava verso il vuoto creando un effetto decisamente pittoresco.
Guardando
verso l’alto,
essendosi creata una specie di isola sospesa a parecchi metri da terra,
i
viaggiatori rimasero per un po’ ad ammirare quello
spettacolo. Poi si girarono
verso Aherektess.
“Che
volete?” protestò lui “Io
non ci vado lassù! Non può toccare a me il luogo
proibito del regno mio nemico!
Non ci tengo proprio ad incontrare il Dio di un popolo che mi
detesta!”.
“Non
ci sono alternative. Chi
altro vuoi che vada lassù?!” gli fece notare
Thuwey.
“Ma
io non ci andrò!”.
“Ti
ci scaravento io, se non
muovi il culo!” minacciò Kassihell, alzando la
voce.
“Voglio
proprio vedere come
credi di fare!” sfotté l’Aria.
Il
Fuoco partì spedito e
convinto verso il principe rivale, ma fu bloccato dal Metallo.
“Finitela!”
sbottò Hanjuly
“Non è questo il momento! Kassihell, tu siediti e
rilassati, se ti è possibile!
E tu, Aherektess, muoviti e vai lassù!”.
Il
tono del Ghiaccio non
ammetteva repliche. Il Fuoco si mise buono in disparte e
l’Aria si sollevò da
terra, anche se controvoglia. Notò con piacere e sollievo
che la zona proibita
era avvolta da una sorta di barriera molto simile alla bolla in cui si
era
rintanato fino a quel momento. Lo spettacolo che gli si
presentò davanti era
magnifico, doveva ammetterlo. I fiumi di lava creavano cascate di
colore acceso
che si incrociavano davanti a quel piccolo vulcano. Aherektess
girò un paio di
volte, chiedendosi da che parte fosse l’entrata. Poi vide una
piccola
rientranza che dava accesso alla camera interna del cono vulcanico.
Storse il
naso all’idea di infilarsi là dentro ma
capì di non avere alternative. Respirò,
ripetendosi qualche frase di auto incoraggiamento, ed entrò.
Dopo
qualche istante di buio e
smarrimento, atterrò su uno spiazzo solido. Ansimava dal
caldo, nonostante lo
scarso vestiario, e non vedeva l’ora di potersi allontanare
per sempre da quel
luogo.
“Benvenuto!”
parlò una voce.
“Dharam?”
ipotizzò Aherektess
“Il famoso Dio del Fuoco e controllore della stella
Sirona?”.
“Sei
ben informato”.
Il
Dio era seduto, avvolto
dalle fiamme, piuttosto distante dal mortale. Con solamente una sorta
di gonna
allacciata in vita, mostrava il petto tatuato con motivi infuocati.
Aveva occhi
rossi e capelli dello stesso colore, sparati in aria ed agitati come un
falò.
Si alzò, incrociando le braccia.
L’Aria
lo fissò con timore.
Aveva davanti un Dio che proteggeva il popolo che più odiava
quelli come lui.
“Vieni
qui, vicino a me” disse
il Dio.
Aherektess
notò di trovarsi su
una piccola porzione di lava solida, circondato dal magma ribollente.
Fece per
spiccare il volo quando Dharam allungò la mano e lo
bloccò.
“A
piedi” ordinò, con voce
tonante.
“Come?!”
esclamò l’Aria.
“Questa
è la tua prova, mortale.
Raggiungimi ed avrai l’oggetto proibito”.
Il
mortale lo fissò con
un’espressione dubbiosa. Sperava fosse tutto uno scherzo.
Notando che la
divinità non cambiava la sua posizione, calcolò
approssimativamente quale fosse
il punto stabile più vicino. Si apprestò a
saltare.
“Sai
che se cadi lì dentro non
hai scampo, vero?” parlò il Dio, indicando
l’incandescente lago su cui
Aherektess stava per scivolare.
“Lo
so. Non sono stupido!”
sbottò il mortale, capendo che non poteva raggiungere punti
sicuri.
“Cosa
ti turba, ragazzo?”.
“Mi
turba il fatto di essere
in un punto molto poco sicuro, al momento, e di non sapere come
muovermi per
rimediare alla cosa”.
“Non
mi riferivo a questo.
Cosa provi dentro di te? Il fuoco della tua anima è agitato
ed irrequieto. Come
mai?”.
L’Aria
fece un’altra smorfia.
Non trovava appropriata la psicoanalisi in quel momento! E poi che
importanza
aveva per quel tizio? Cosa gli importava se era agitato o
quant’altro?
“Non
vuoi parlarmi,
Aherektess?”.
“Non
capisco che utilità possa
avere”.
“Io
comando il Fuoco e, se
vuoi, posso trovare il modo di calmare ciò che si agita
dentro di te”.
“Dubito.
Scusate ma, per
quanto possiate essere un Dio, i miei problemi non sono calmabili, se
mi
permette il termine! Inoltre…punto uno: non sono affari
Vostri, punto due: non
mi va di parlarne ed, infine, punto tre: sono qui per altro!”.
“Come
vuoi” parlò Dharam, con
un tono piatto e privo di emozione.
Mosse
leggermente la mano e la
piccola zona in cui stava l’Aria si mosse, allontanando
ulteriormente Dio e
Mortale. Aherektess gridò per la sorpresa e si
accucciò, tentando di rimanere
in piedi.
Quando
si fermò, fissò la
divinità ad occhi spalancati: “Voi siete
pazzo!” sbottò.
“E
tu sei testardo!”.
“Lo
ammetto. Che volete? Che
devo fare?”.
“Prendi
seriamente le mie
domande e parlami”.
L’Aria
sospirò. Rialzandosi in
piedi con convinzione, fissò la divinità a
braccia incrociate, attendendo
qualche altra strana domanda.
“Allora…Aherektess…tu
credi
nell’utilità di questo viaggio?”.
“Utilità?
Nel senso di evocare
la Creatrice dopo aver trovato tutti gli oggetti proibiti?
Sì, certo. Io, a
differenza di qualcun altro del gruppo, mi preoccupo della magia e
della vita
di Asteria! Reputo perciò indispensabile trovare una
soluzione ai suoi
problemi”.
Delle
parti di roccia solida
si spostarono, permettendo all’Aria di avanzare un pochino,
con un movimento ad
elle.
“Bene
ma…di altri fini che
questo può avere, cosa ne pensi?”.
“Non
vi capisco…”.
“Intendo
dire: siete tutti
principi, principesse o figure molto vicine alle famiglie regnanti.
Un’amicizia, un’alleanza, fra di voi comporta una
buona situazione anche nel
futuro. Le relazioni internazionali di questo pianeta sarebbero molto
più
favorevoli se andaste d’accordo”.
“Mi
state chiedendo come vedo
questo viaggio dal punto di vista diplomatico? Uno schifo! I regni che
si
odiavano continuano ad odiarsi, quelli che si ignoravano ad ignorarsi e
quelli
che andavano d’accordo ad andare d’accordo. Come se
nulla fosse successo”.
“E
questo come mai, secondo
te?”.
“Credo
per incompatibilità di
elementi. L’Aria non può andare
d’accordo con il Fuoco!”.
“Eppure
io vado d’accordissimo
con Loreatehenzi, il Dio che governa il tuo elemento”.
“Davvero?!
Questa è una
notizia che non mi aspettavo…probabilmente perché
non Vi ha mai fatto nulla di male…”.
“Ci
sono le guerre anche fra
noi, ragazzo mio! E se agissimo come voi mortali, che vi portate dietro
l’odio
per generazioni, non ci sarebbe mai stata la pace e voi, abitanti di
Asteria,
non esistereste perché la Creatrice sarebbe stata troppo
impegnata a combattere
e complottare. Le guerre ci sono, non lo nego, gli attaccabrighe li
abbiamo
pure noi, ma alla fine riusciamo sempre a trovare un accordo. Uniti per
riuscire a trovare una soluzione, soprattutto per preservare
l’equilibrio degli
universi, alla fine ne usciamo. Chi dev’essere punito, se
è necessario, viene
punito e finisce lì. Magari ci si tiene d’occhio,
ma non si va a stuzzicare i
perdenti per farli incazzare e cose simili”.
“Mi
state suggerendo di
trovare una soluzione con il Fuoco per il bene di Asteria, ignorando
tutto ciò
che è successo in passato?”.
“So
che è difficile, ma è
quello che ti sto chiedendo”.
“Ma
il Fuoco ha distrutto la
mia famiglia!”.
Mosso
dalla rabbia, Aherektess
compì un lungo balzo, atterrando al volo su un masso
galleggiante.
“Ricordati,
però, che è l’Aria
ad alimentare il Fuoco! Non siete elementi incompatibili. Uno dipende
dall’altro. Il Fuoco non brucerebbe senza l’Aria e
voi, creature alate, non
sopravvivreste all’inverno senza il suo calore. Ogni elemento
è fondamentale,
Aherektess, e non è giusto che uno prevalga
sull’altro o si ritenga superiore”.
“Di
questo dovreste parlarne
con Ozymandias…”.
“Lui
sta attuando un
meccanismo di difesa, esattamente come te, Vehuya, tuo fratello e
chiunque
altro tiri fuori casini su questo pianeta. È da capire,
dopotutto…la sua gente
si è quasi estinta per l’indifferenza degli altri
regni”.
“Ma
io non ho colpa di questo.
E nemmeno mio fratello. Come potremmo rimediare?”.
“Magari
non potrete fare pace
con Ozymandias…ma potreste stabilizzare la situazione con
l’aiuto della regina
che gli succederà: Lehelin. Se lei non avrà
motivo di farvi la guerra, non la
farà!”.
“Lei
è una creatura oscura.
Dubito che quelli come lei possano essere molto propensi
all’alleanza ed alla
pace. Il loro scopo è l’opposto!”.
“Eppure,
che strano, io vado
d’accordo pure con Kaos, il Dio che li governa. Loreatehenzi
non è da meno. Da
quando ad Asteria sono iniziati i problemi, nessuno di noi litiga
più in modo
distruttivo. Non posso dire che andiamo d’amore e
d’accordo ma abbiamo
accantonato le nostre divergenze. Se ci siamo riusciti noi, dopo
millenni di
indifferenza ed insulti, direi che potete farcela pure voi”.
“Che
devo fare? Che posso
fare?”.
Quella
domanda lo fece
avanzare di parecchie caselle, stavolta saltando in diagonale.
“Sei
orgoglioso delle
nefandezze commesse dal tuo popolo?”.
Aherektess
rimase in silenzio.
Immobile, non sapeva cosa dire. Poi chinò il capo.
“No”
ammise “No, non lo sono.
Sono stati uccisi dei bambini e molte persone innocenti…ma
la nostra era solo
una mossa di risposta! Loro hanno fatto altrettanto!”.
“Ti
riferisci al Fuoco? E
credi che, rivolgendogli la stessa domanda, risponderebbero in modo
diverso?”.
“No…immagino
di no. Perciò…”.
“Perciò
dovresti dirglielo.
Dovresti dirgli che non trovi giusto ciò che è
stato fatto e ciò che avete
subito. Senza odio nella voce, come siete soliti fare”.
“E
credete che le scuse
possano bastare?”.
L’espressione
di Aherektess
era parecchio dubbiosa.
“Con
i regnanti di adesso
probabilmente no. Salvo tuo fratello, forse, gli altri sono tutti
ancorati alle
loro posizioni e si romperanno i coglioni fino alla morte. Ma voi,
giovani
viaggiatori, avete la possibilità di placare tutto questo
per sempre. Nel
vostro gruppo ci sono i futuri regnanti del pianeta. Placate le
divergenze fra
di voi e nel futuro ci saranno molti meno problemi”.
“Avete
una visione piuttosto
ottimistica della realtà…”.
“Lo
so. Sono uno di quelli
convinti che la speranza è l’ultima a
morire”.
“Ci
proverò. Farò tutto il
possibile per trovare un accordo” sospirò, dopo un
po’, il mortale.
“Sei
sincero?”.
“Sono
pronto a giurarlo sulla
mia corona di principe”.
Dharam
sorrise, orgoglioso di
quelle parole e soddisfatto. Il cammino verso di lui fu molto
più semplice per
Aherektess, che lo raggiunse in pochi minuti.
“Sei
un giovane ragionevole,
saggio e coscienzioso” disse il Dio.
“Tutti
termini che nessuno mi
aveva mai dato, grazie”.
“Fidati.
Sarai un ottimo e
prezioso consigliere per tuo fratello Zameknenit ed un punto di
riferimento per
il tuo popolo. Lo vedo. Lo so”.
“Se
lo dite Voi…”.
“Ti
consegno l’oggetto
proibito, principe dell’Aria. Abbine cura ed usalo in modo
appropriato”.
Detto
questo, il Dio prese fra
le mani una manciata di magma. Aherektess rabbrividì nel
vederglielo fare,
immaginando le sue membra spappolate dal calore. A Dharam, controllore
del
Fuoco, quel gesto non portò alcuna conseguenza ed
iniziò a modellare quella
massa come se fosse plastilina. La arrotolò fra le mani fino
a creare un lungo
salsicciotto incandescente.
“Sbatti
le ali” parlò la
divinità.
L’Aria
obbedì e si alzò un
gran fumo, dovuto al raffreddamento dell’oggetto.
“Questo
è tuo. Prendilo”.
Il
Dio, ora che il fumo si era
diradato, stringeva fra le mani un lungo bastone nero, pieno di decori
rosso
vivo. Aherektess lo strinse fra le mani. Era leggero e duro. Lo
roteò fra le
mani con entusiasmo. Sarebbe stato un’ottima arma!
“Ti
saluto, principe. Prosegui
il tuo cammino”.
Divinità
e mortale si
strinsero la mano, con un piccolo inchino. Dopodiché
l’Aria riprese il volo ed
uscì da quel vulcano in miniatura. Stringendo
l’oggetto fra le mani, scese di
quota rapidamente e raggiunse i suoi compagni.
“Ci
sei riuscito! Il Dio
rivale del tuo popolo non ti ha ucciso!” ridacchiò
Reishefy.
“Non
è un Dio rivale e, a
questo proposito…” rispose Aherektess, guardandosi
attorno alla ricerca di
Fuoco ed Oscurità.
Individuò
il principe di
quell’impero, girato di spalle con lo sguardo perso verso non
si sa bene quale
meta. Prese un profondo respiro, ricordando l’ordine di non
usare toni di rabbia,
e parlò.
“Principe
Kassihell…” lo
chiamò ed il suo interlocutore rizzò le orecchie,
non essendosi mai sentito
chiamare così dal rivale.
Si
voltò e lo fissò con aria
interrogativa. Aveva voglia di dirgli un “Cosa
vuoi?” poco gentile, ma notò lo
sguardo serio e triste del principe dell’Aria.
“Principe
Kassihell…” parlò
Aherektess, facendo un inchino ed abbassando la testa
“…io…volevo chiedere
perdono alla Vostra famiglia ed a tutta la Vostra gente per ogni cosa
che Vi ha
arrecato danno provocata dai miei consanguinei e dal mio
popolo”.
Il
Fuoco lo fissò, ad occhi e
bocca spalancati. Non si aspettava di certo una frase del genere.
“Principessa
Lehelin…”
continuò l’Aria, notando che si era riavvicinata
al gruppo “…anche a Voi devo
delle scuse. Da parte della mia gente e da parte mia. Chiedo perdono
per coloro
che non hanno aiutato le creature dell’Oscurità e
chiedo perdono per il mio
comportamento. Non potremo mai essere amanti ma, spero, almeno preziosi
alleati”.
Lehelin
rimase spiazzata da
quelle parole, come Kassihell. Dopo qualche istante di assoluto
silenzio,
sorrise, cosa che faceva raramente in modo sincero.
“Contate
pure sulla mia
alleanza, principe Aherektess. E chiedo perdono io stessa del mio
comportamento
e di tutti i fastidi arrecativi dalla gente
dell’Oscurità”.
Aria
ed Ombra si fecero un
cenno con il capo, d’intesa, continuando a sorridersi.
“Hei…”
iniziò il Fuoco,
rimasto alle spalle dei due “…anch’io
vorrei…ecco…” era in evidente imbarazzo
e
non sapeva da che parte iniziare.
Si
passò una mano fra i
capelli spettinati, cercando le parole.
“Anche
il mio popolo ha
commesso degli errori” parlò poi, con tono serio
ed autoritario, degno di un
imperatore “Così come me e la mia famiglia.
Principe Aherektess…io, come futuro
Signore del Fuoco, mi impegnerò affinché certi
errori non si ripetano”.
Il
gruppo di viaggiatori si
fissò, incredulo. Nessuno riusciva a credere alle proprie
orecchie. Stava
davvero nascendo un’alleanza fra loro?
“Anche
a me dispiace tanto per
quello che ho fatto e che ha combinato la mia gente!”
piagnucolò Reishefy,
chinando la testa.
Questo
provocò una reazione a
catena di scuse reciproche mai vista prima fra abitanti di diversi
regni di
Asteria ma l’avvenimento storico di quel momento fu una
stretta di mano.
Sorridendosi, Aria e Fuoco suggellavano così il loro patto
d’alleanza.
†††
“Quei
bastardi hanno fatto di
nuovo comunella! Fastidiosi esseri! Ma so cosa
fare…” borbottò Elehcim, a
braccia incrociate.
“Cos’hai
in mente?” domandò
Kire.
“Vedrai!
Tu trova il modo di
farli arrivare alla gola. Poi ci penseremo io e Danjell”.
“Mi
fido…”.
“Non
so quanto ti convenga, ma
non hai scelta. A dopo”.
I
due gemelli si
allontanarono, in direzioni opposte. Entrambi per metà
appartenenti a
quell’impero, camminavano sulla lava bollente senza problemi.
Kire prese con sé
Semar ed un gruppetto di altre creature mezzosangue, tutte con una
parte di
Fuoco. Elehcim si incamminò con Danjell al suo fianco. Era
un ragazzo con geni
di Fuoco e Terra, alto, vestito di verde e con capelli neri raccolti in
una
coda. Con la sua particolare combinazione di elementi non si scottava,
nonostante presentasse le tipiche zone in legno degli abitanti della
Terra
sulle gambe. Non vedeva l’ora di entrare in azione ma, per
attuare il piano,
serviva che la compagnia di viaggiatori si trovasse in un punto preciso
di
quella valle infuocata o sarebbe stata solo energia sprecata
inutilmente.
“Adoro
questo regno…” mormorò
Elehcim, indossando gli immancabili occhiali scuri nonostante fosse
quasi buio,
scivolando su una piccola onda di lava come se niente fosse.
Stava
scendendo la notte ed il
rosso brillante dei lapilli di quei fiumi bollenti creava uno
spettacolo
meraviglioso. Danjell, avendo passato la maggior parte della sua vita
nel regno
della Terra, non aveva mai avuto modo di osservarlo. Stavano risalendo,
lungo
la parete di un vulcano.
“Lo
adori perché, come mezzo
Metallo, diventi più alto con il caldo?”
sghignazzò Danjell.
Elehcim
non gli rispose. Stava
ripercorrendo con la mente tutti i passaggi del suo piano e non aveva
tempo per
pensare ad altro. Dalla cima che avevano raggiunto, potevano vedere
chiaramente
i dieci viaggiatori e gli altri mezzosangue. Decisero che quello era un
ottimo
punto per aspettare il segnale dei loro compagni. Ignorando i borbottii
ed i
lamenti del magma, osservarono il cielo limpido mentre Sirona
tramontava e
sorgevano i due sposi della notte.
“Sicuro
che quassù non ci
noteranno?” domandò il sanguemisto della Terra.
“Tranquillo.
Presto qui non ci
saremo solo noi…”.
†††
“Abbiamo
bisogno di riposo!
Fermiamoci per la notte!” protestò Enki.
“No.
Non ancora” rispose
Kassihell “Presto saremo in prossimità di un
ottimo posto per poter dormire.
Resistete”.
L’Acqua
sospirò, sentendo
moltissimo la mancanza del suo elemento. Reishefy evocava il potere del
suo
oggetto proibito per dare un po’ di sollievo ai suoi
compagni. Aherektess rizzò
le orecchie. Percepiva delle vibrazioni nell’aria. Poco dopo
anche Idisi e
Mattehedike le avvertirono, trasmesse dal terreno, nonostante il
rivoltarsi del
magma sotto lo strato di lava ormai solida su cui camminavano. Si
guardarono
fra loro, perplessi.
“Che
fanno quelli?” domandò
Efrehem, notando un gruppo di nativi in pittoreschi abiti e con il
corpo
dipinto con strani segni tribali.
Erano
in molti e stavano
salendo sui vari vulcani che circondavano la valle in cui camminavano i
dieci.
Il capo, colui che guidava la scalata, indossava una grossa maschera
rappresentante un’espressione piuttosto minacciosa. Erano
tutti molto poco
vestiti, per dare più spazio possibile ai disegni neri e
rossi che si erano
fatti sulla pelle.
“Sono
stregoni” spiegò
Kassihell “Una volta ogni ciclo degli sposi, salgono sul
vulcano più vicino al
loro paese, villaggio o città e svolgono un rito molto
particolare in onore
dell’elemento che fa parte del nostro DNA. Personalmente,
trovo la cosa
piuttosto ridicola ma che volete farci…è la
tradizione! Inutile tentare di
cambiarla”.
“Selvaggi…”
mormorò la Roccia,
sconvolto e lievemente disgustato.
Una
volta giunti in cima,
iniziarono a suonare enormi tamburi che si erano portati dietro o che
avevano
lasciato lì vicino, in una grotta o in una rientranza
sicura. Quel suono,
profondo e rimbombante, iniziò a diffondersi per il regno.
Simile al borbottio
di un tuono, ma molto più ritmato, era piuttosto spaventoso.
I nativi
percuotevano quei grossi strumenti stando in piedi e tenendoli bloccati
con la
membrana in verticale. Con le mani o con batacchi, in ogni gruppo
c’erano
almeno tre suonatori ed altrettanti tamburi, mentre gli altri si
esibivano in
una danza precisa e selvaggia, guidata dal capo con la maschera.
Questi, oltre
che a ballare, pronunciava una formula accompagnato dalle grida di chi
aveva
accanto. Il loro elemento pareva rispondere a quel rituale e
brillò con
maggiore intensità, man mano che la musica proseguiva e si
faceva più veloce.
Scintillante di piccole luci arancioni fluttuanti, la forte magia
richiamata
andava ad attaccarsi agli abitanti di quel regno, rafforzandoli.
Kassihell
percepì e recepì perfettamente
quell’energia, sorridendo soddisfatto. Lo stesso
effetto si ripresentò sui mezzosangue.
“Interessante
fenomeno”
commentò Efrehem, annotandoselo in mente con
l’intento di riportarlo appena
possibile sul suo libricino.
“Già.
Simpatico” si limitò a
dire il Fuoco, camminando con l’intento di portare tutti in
un luogo adatto per
poter riposare.
Circondati
dal rimbombo dei
tamburi, non avvertirono l’avvicinarsi dei loro nemici.
“Buonasera”
salutò
educatamente Kire, sorridendo e mostrando i denti a punta.
“E
questi chi sono?” si
interrogò Reishefy.
“Siamo
la comparsa materiale
dei vostri peggiori incubi” rispose il capo dei mezzosangue.
Ringhiò,
cambiando di colpo
espressione, facendo fare un balzo all’indietro ad Enki.
“Cosa
volete?” rimbeccò al
ringhio il Fuoco.
“Direi
che è una domanda
piuttosto idiota!” sbottò Hanjuly
“Muoviti! Andiamo! Hai visto quanti sono?!
Vuoi farti uccidere?!”.
Kassihell
non ebbe modo di
aprir bocca perché venne trascinato a forza dagli altri
viaggiatori.
“Ho
un’idea!” disse, correndo,
mentre alle spalle, i mezzosangue li inseguivano “Seguitemi!
Conosco questo
regno come le mie tasche, vi porterò al sicuro!”.
Gli
inseguitori risero, avendo
ben in mente ciò che dovevano fare. Semar e Kire in testa, i
mezzosangue
guadagnavano terreno.
“Perché
non provano a
colpirci?” ansimò la Luce.
“Non
dargli idee!” sbottò
Thuwey.
Davanti
a loro, il sentiero si
stringeva, delimitato da alte pareti di roccia nera e lava. I compagni
si
guardarono fra loro, perplessi, ma continuarono a seguire il Fuoco.
Pareva
convinto di voler seguire quella strada.
“Dopo
quella chiusa saremo al
sicuro” spiegò Kassihell.
La
raggiunsero quando ormai
erano al limite delle loro forze, anche perché erano da
diverse ore in cammino
senza sosta. Subito dopo quella strettoia, il paesaggio tornava ad
aprirsi di
colpo. Il Fuoco virò rapidamente sulla destra. Comandando il
suo elemento, creò
una parete con la lava che fece solidificare ad Aherektess.
Così facendo,
l’intera compagnia fu al sicuro.
“Perché
non li abbiamo
attaccati ed uccisi?” protestò Semar.
“Perché
così facendo avremmo
avuto gli Dèi contro. E poi, se quei dieci usano
l’attacco combinato, sono più
forti di noi. Non lo sanno, ma è così. Lo scopo
nostro non è ucciderli ma
dividerli, in modo che non portino a termine
l’evocazione” gli rispose Kire,
lanciando un segnale di fiamma nel cielo come messaggio al gemello.
Semar
non parve soddisfatto da
quella risposta ma annuì comunque.
Dall’alto
del vulcano, Elehcim
e Danjell videro quella fiammata e capirono che era giunto il loro
momento. Si
fissarono solo qualche istante, prima di iniziare a governare i loro
elementi.
Elehcim, avendo una capacità maggiore di controllo
dell’elemento di fuoco
rispetto a Danjell, spalancò le braccia ed iniziò
ad agitarle in modo
apparentemente insensato. Un denso fumo nero cominciò a
salire ed a
sprigionarsi tutt’intorno a loro. Con un altro gesto delle
mani, lo diresse
verso il gruppo di viaggiatori nascosti. Danjell, più
pratico con la magia
della Terra, estrasse dalla sacca che portava con sé una
polvere verdastra.
Elehcim indossò una maschera per non respirarla, riponendo
con cura gli
occhiali scuri, e lasciò che il collega la lanciasse nel
fumo nero.
“Orebrec!”
gridò il gemello di
Kire.
L’enorme
animale riconobbe
subito la voce del suo padrone e si apprestò a raggiungerlo
a grandi balzi. I
due mezzosangue vi salirono in groppa e rincorsero la nube che avevano
provocato, pronti a sfruttarla al meglio contro i loro nemici.
Questi
si credevano al sicuro
in quella nuova grotta creata da Kassihell. Aherektess fu il primo ad
accorgersi dell’avvicinarsi di quella strana nebbia scura.
Sulle prime, il
Fuoco lo tranquillizzò, dicendogli che era normale un
fenomeno del genere nel
suo regno ma dovette ricredersi. La sua densità era diversa,
si muoveva in modo
innaturale ed aveva un odore insolito.
“Fuori!
Andiamo fuori di qui!”
ordinò, cercando di distruggere la barriera di lava che si
era creato. Elehcim
riuscì a bloccare ogni suo tentativo con
facilità, facendo sì che i dieci si
ritrovassero avvolti dal fumo. Iniziarono a tossire. La Roccia e la
Terra
tentarono di aiutare Kassihell ma il mezzosangue all’esterno
non cedeva.
“Siamo
in trappola! Qualcosa ci
blocca dall’esterno!” gemette Enki.
“Seguitemi!”
rispose il Fuoco,
ed iniziò a modificare il terreno sotto di sé,
creando un tunnel sotterraneo
nel magma.
“Io
non ci vengo lì dentro!”
gemette l’Aria.
“So
quanto difficile sia
chiederti una cosa del genere, ma devi fidarti di me! Non ci
vorrà molto. Basta
solo passare oltre a questa zona, dove non so chi o non so cosa ci sta
tenendo
in gabbia” tentò di incoraggiarlo il principe di
quel regno.
Aherektess
sospirò. Prese
coraggio e lo seguì. Nel frattempo, però, la
nebbia si era insinuata fra loro,
ostacolando di molto la visuale. Kassihell uscì
all’esterno più in fretta che
poté e rimase sconcertato quando vide che quel fumo
fastidioso li aveva
seguiti.
“Avanti,
ragazzi. Uscite.
Aherektess…puoi provare a mandare via quest’aria
fetida?”.
Non
ricevette risposta. Si
girò, tossendo. Trovò la cosa piuttosto strana
perché di solito a certi
fenomeni era abituato e non lo infastidivano. Ma quell’odore
aveva davvero
qualcosa di anormale.
“Ragazzi?”
chiamò di nuovo.
Tornò
sui suoi passi ma non
riusciva a vedere nulla, nemmeno dove metteva i piedi e dove stava il
tunnel
che aveva appena creato. Si asciugò le lacrime, sperando di
migliorare la
visuale. Continuò a gridare, chiamando gli altri. Era certo
che la struttura
nel magma non avesse ceduto e che fossero tutti dietro di lui. Stavano
bene,
fino a qualche secondo prima lo aveva percepito chiaramente, ma ora non
li
sentiva più. Era da solo. Com’era possibile?
Elehcim
ghignò orgoglioso,
riuscendo a vedere con soddisfazione ciò che aveva
provocato. Era riuscito a
separarli. Grazie al fumo ed a quella polvere, che provocava visioni ed
illusioni ottiche, li aveva disorientati ed allontanati l’uno
dall’altro.
Dietro a Kassihell aveva costruito per ognuno un tunnel diverso,
aiutato da
Danjell che aveva creato l’immagine del principe del Fuoco e
degli altri
compagni davanti a loro. Così facendo, ognuno era convinto
di essere in fila
dietro al gruppo e di star seguendo la strada giusta. In
realtà si trovava da
solo, in un percorso disegnato dal nemico. Uscendo
all’esterno, trovarono la
nebbia ad accoglierli e la solitudine. Incapaci di farsi sentire fra
loro,
ognuno rimase in balia delle illusioni del sanguemisto della Terra.
L’Oscurità
fu la sola a non
cadere in quella trappola. Essendo una creatura definita incantatrice,
la
polvere creatrice di immagini fittizie non sorbiva alcun effetto su di
lei.
Capì che c’era qualcosa che non andava non appena
notò la materializzazione di
nuovi tunnel ed il separarsi dei suoi compagni. Si
insospettì e pensò che,
forse, la causa di tutto questo era collegata al fatto che Kassihell
non era
riuscito a farli uscire dal nascondiglio appena creato. Pensando
questo, tornò
indietro. Riuscì a raggiungere l’esterno tramite
un piccolissimo anfratto. Il
fumo era denso e di lei si vedevano bene solo gli occhi argento. Il
resto era
appena tratteggiato, come facente parte del paesaggio. Si
guardò attorno e vide
Elehcim, riconoscendolo dalle due ombre.
“Di
nuovo tu?” si dissero a
vicenda, contemporaneamente.
Danjell
fissò il suo collega
con aria interrogativa.
“Penso
io a lei. Tu continua
pure con le tue illusioni, attieniti al piano”
sbottò il mascherato.
“Che
intendi fare? La nostra
missione non prevede l’uccisione di nessuno”.
“Questo
fumo copre pure gli
occhi degli Dèi e poi, se loro non han voglia che le faccia
del male, che
intervengano! Non ho paura di loro”.
Il
mezzosangue di Terra annuì,
fingendo di seguire quel discorso, e tornò a concentrarsi
sugli altri nove,
mentre Elehcim scese da Orebrec. Il suo collega rimase in groppa,
restando così
al di sopra del denso fumo che poteva infastidirlo.
“A quanto pare, il
caso vuole che sia io ad
ucciderti…” mormorò il mezzo Fuoco.
Lehelin
non si mosse,
continuando a fissarlo con curiosità, più che con
spavento.
“Dove
sono i miei compagni?”
domandò, non aspettandosi, in verità, una
risposta.
Il
mezzosangue non le rispose,
infatti, ed evocò la forza predominante di quel regno.
Sapeva che l’Oscurità
era in difficoltà vicino al fuoco vivo.
“Dovresti
scappare, piccola
stupida!” le disse Elehcim.
Lehelin
sobbalzò, percependo
la forte magia di chi aveva di fronte. Inaspettatamente per chi la
stava per
affrontare, non tentò la fuga ma gli andò
incontro, tentando di avvicinarsi
all’elemento che poteva controllare. Con un guizzo, si mosse
sulla destra. Così
facendo, calpestò l’ombra di Fuoco. Si aspettava
di vedere il suo avversario
immobilizzato, ma non fu così. Mutò, invece,
perdendo i tratti di creatura di
quell’elemento, e si mostrò come abitante del
Metallo. Le fiamme che aveva fra
le mani si spensero e lui ringhiò, scocciato da
quell’evento. Lehelin rimase
sconcertata e girò attorno al mezzosangue, tentando di
capire se anche
calpestando l’ombra di Metallo otteneva lo stesso effetto. Fu
così. Bloccata
quella parte, l’aspetto di Elehcim era quella di una creatura
di Fuoco, privo
di tratti metallici.
“Piantala
di giocare!” sbottò
il mezzosangue, girando su stesso e tentando di afferrarla.
Era
tornato al suo solito
aspetto. Gli occhi rossi si intravedevano nonostante la maschera che lo
proteggeva dal gas illusorio, infiammati di rabbia e fastidio. A causa
di quei
sentimenti, sul suo corpo si accentuarono i piccoli spuntoni di
metallo,
facendosi più acuminati ed evidenti. Ne aveva lungo le
braccia, sulle spalle e
lungo tutto il busto. Lehelin ipotizzò che la loro
disposizione rispecchiasse
la decisione di Thuwey, quella di non farsi toccare.
“Io
non voglio ucciderti…” gli
disse l’Oscurità.
“Io
sì, invece!”.
Notando
che diceva sul serio,
la principessa d’ombra tentò di allontanarsi.
Coperto dalla maschera, il
mezzosangue non poteva essere vittima delle sue doti
d’incantatrice e non
sarebbe mai riuscita a bloccare entrambe le sue ombre. Non poteva far
altro che
andarsene. Aveva capito cosa stava succedendo e voleva mettere in
guardia i
suoi compagni. Tentò di ingannarlo, nascondendosi
nell’oscurità.
Lui
ridacchiò: “Non puoi
scapparmi, moscerino. Gli elementi che controllo mi trasmettono la tua
posizione!”.
Non
si aspettava fosse così
difficile da catturare e stava iniziando davvero ad arrabbiarsi. La
inseguì,
per impedirle di raggiungere gli altri viaggiatori. Comandò
la lava bollente
affinché la bloccasse, solidificandola, ma Lehelin vi
sfuggì facilmente, non
avendo un corpo fisico. Allo stesso tempo, lei tentava di comandare le
ombre di
lui, ma le era impossibile governarle entrambe allo stesso tempo.
Per
un istante si guardarono,
non volendo nessuno dei due ammettere di avere di fronte un avversario
di certo
particolare e difficile da battere. All’ennesima svicolata
dell’Oscurità,
Elehcim perse del tutto la pazienza. Modificò le braccia,
avvolgendole di
metallo e creandosi una specie di piccone da un lato ed una grossa
sfera di
fuoco dall’altro.
“Ti
caverò gli occhi e te li
farò magiare!” gridò
“Darò il tuo cuore in pasto ad Orebrec!”.
Lehelin
si chiese chi fosse
Orebrec, ma preferì non indagare. Si guardò alle
spalle, di sfuggita, e…non
vide nessuno: “Ma che…”
iniziò.
Si
girò ed Elehcim le stava
davanti. Si era immerso nella lava che scorreva ed era riemerso davanti
a
quella creatura fumosa.
“Che
cosa vuoi? Perché vuoi
uccidermi?” disse lei, con tono calmo e controllato.
“Non
voglio che portiate a
termine la missione, l’evocazione. Il vostro scopo
è distruggerci tutti, noi
mezzosangue, e la cosa non mi sta bene”.
“Tu
non hai paura della morte,
altrimenti non correresti il rischio di respirare i fumi illusori, ma
te ne
saresti rimasto a debita distanza, dando ordini a chi non corre alcun
pericolo”.
“A
quanto pare le mie ombre
chiacchierano parecchio, e ti hanno fornito un sacco di informazioni.
Sì, è
vero, vivere o morire per me non fa differenza. Ma non permetto che
siano altri
a deciderlo. Se dovrò morire, morirò, ma non
perché a dieci rompicoglioni fa
comodo evocare la Creatrice e lavarsi le mani da ogni problema, dando
tutte le
colpe a quelli come me”.
“Morirai
combattendo,
dunque…”.
“Tu
no?”.
“Se
credi di spaventarmi,
rivolgendomi quello sguardo minaccioso, ti sbagli di grosso. Io, come
creatura
dell’Oscurità, ho di certo dei vissuti molto
più spaventosi di qualsiasi cosa
tu abbia in mente di farmi con la tua magia”.
Elehcim
ghignò di nuovo:
“Staremo a vedere” sibilò, ed
alzò un braccio in aria.
Così
facendo, il terreno
dietro a Lehelin sprofondò. Lei si guardò alle
spalle, preoccupata, notando la
voragine che si era creata.
“Avresti
fatto meglio a non
provocarmi, sciocca ragazzina” sbottò lui e fece
comparire una sorta di muro di
fiamme davanti a sé.
Lo
spinse verso la sua vittima
che non poté far altro che indietreggiare…e
cadere nel vuoto.
“Ragazzi!
Dove siete?” ancora
gridava Kassihell, tossendo e tentando di coprirsi gli occhi.
Li
chiamava e camminava, senza
però ottenere alcuna risposta. Silenzio totale, neppure il
suono dei fiumi di
lava riusciva a percepire. Questo di certo era strano. Poi, ad un
tratto, una
voce familiare.
“Papà!”
si sentì chiamare.
La
sua bambina! La sua bambina
gli stava correndo appresso a braccia spalancate. Lui le sorrise,
accogliendola
in un caldo abbraccio.
“Papà,
sei proprio tu! Che
bello rivederti!”.
“Sì,
sono io, piccola mia
ma…tu cosa ci fai qui?”.
“Siamo
tutti qui!” aggiunse
una voce diversa.
Era
sua moglie, con i suoi due
figli maschi. Erano tutti cresciuti, ma non tantissimo come temeva. Il
più
piccolo camminava, incerto sulle gambe, e lo riconobbe subito.
Guardatosi
meglio attorno, Kassihell si accorse che la nebbia era scomparsa e che
si
trovava vicino al palazzo imperiale, davanti alle sue mura.
“La
tua missione è dunque
conclusa, marito mio?” domandò la consorte,
sorridendogli.
“Non
ancora ma manca poco. Non
immagini nemmeno tutto ciò che abbiamo passato, io ed i miei
compagni, lungo la
via. Entriamo, vorrei mandare un piccolo gruppo di ricerca
perché ci siamo
dispersi a causa di un fumo molto strano”.
“Non
vedo l’ora di sentirti
raccontare ogni tua avventura vissuta”.
La
famiglia entrò a palazzo,
spalancando le altissime porte. Passarono accanto
all’imponente statua del
primo imperatore del Fuoco, con due fiamme vive rette dai palmi aperti.
Kassihell diede ordine al capo delle guardie di organizzare la ricerca
dei suoi
compagni perduti e poi si rilassò. Era a casa, dopo tanto
tempo. Sorrise a sua
madre ed alla sorella, che lo accolsero con entusiasmo.
Giocò con i bambini,
che avevano sentito la sua mancanza ed avevano moltissime cose da
raccontargli.
Quando questi furono stanchi ed andarono a letto, poté
finalmente appartarsi
con la moglie, dopo tutti quei mesi passati lontani da lei.
Aherektess
sbatté le braccia
con forza, nel tentativo di diradare quel fumo. Non ci
riuscì e, per quanto in
alto tentasse di volare, quella nebbia pareva seguirlo e non lasciargli
via di
scampo. Chiamò i suoi compagni, ma senza risultato. Poi vide
una luce, in
lontananza. Riconobbe subito la figura e sorrise.
“Kassihell!”
lo chiamò
“Kassihell, amico mio, sei proprio tu? Almeno uno di noi sono
riuscito a
trovarlo! Sai dove sono gli altri?”.
“Amico
mio? Dì un po’…che ti
sei fumato? Finché ci sono gli altri del gruppo posso anche
fingermi alleato e
simpatico, ma quando siamo da soli scordatelo un trattamento del
genere,
chiaro? Tu per me resti sempre un abitante dell’Aria, mio
nemico”.
“Ma
io pensavo che la nostra
alleanza…”.
“Quale
alleanza? Io non ho
firmato niente”.
“Stai
scherzando, vero?”
ridacchiò Aherektess.
“Io
non scherzo mai”.
“Come
no? Dai su…che sei il
principe della risata!”.
Il
Fuoco lo fissò,
infastidito, e lo colpì con un pugno. L’Aria non
voleva reagire, in principio,
ma poi iniziarono a volare insulti e lui si sentì in dovere
di contraccambiare.
I due iniziarono a pestarsi violentemente, senza nessuno attorno che li
potesse
fermare o che potesse dire ad Aherektess che, in realtà,
ciò che vedeva era
solamente un’illusione.
Efrehem
ampliò la luce che
emetteva la sua pelle ma non ottenne il risultato sperato. La nebbia,
infatti,
tornò a riflettergli contro ogni raggio del suo elemento.
Girò le antenne.
Sinceramente, non riusciva a capire come fosse possibile aver smarrito
il resto
della compagnia. Erano tutti davanti o dietro di lui, in una sorta di
trenino
ordinato, ne era certo! Ma allora adesso dov’erano finiti?
“Efrehem!”
si sentì chiamare.
Era
Hanjuly e la cosa lo rese
immensamente felice: “Ciao” la salutò
“Gli altri sono con te?”.
“No,
speravo fossero con te”.
“Sono
da solo”.
Il
Ghiaccio girò la testa, a
destra ed a sinistra: “Siamo da soli…completamente
soli” mormorò.
“Già…”
concordò la Luce, quasi
sorridendo, nonostante tutto.
“La
cosa non pare
dispiacerti…”.
“Al
contrario…sono preoccupato
per gli altri e per la situazione ma…se dovessi scegliere
una persona del
gruppo con cui rimanere da solo, quella saresti di certo tu”.
Hanjuly
lo fissò, cercando di
interpretare quelle parole nel modo corretto: “Grazie,
piccolino…” gli disse,
chinandosi in avanti e facendogli un buffetto sulla guancia.
“Guarda
che, anche se sono
alto come un bambino di otto anni della tua gente, non lo sono! Sono un
adulto,
e gradirei essere trattato come tale!” sbottò la
Luce.
“Come
vuoi” si limitò a dire
lei, con aria annoiata.
“Cos’è
quella faccia?”.
“Preferirei
poterti trattare
come un bambino, perché come uomo non ti ci vedo
proprio”.
Quella
frase fu peggio di una
martellata sull’autostima di Efrehem, che rimase a fissarla
sconcertato ed
afflitto. Con quella sola frase, lei era riuscita a fargli passare del
tutto
ogni voglia di confessarle ciò che provava nei suoi
confronti.
Ferito
nell’orgoglio, sentì di
dover dire qualcosa: “Se devo essere
sincero…” iniziò
“…anch’io come donna non
ti ci vedo. Le femmine del mio regno sono di certo molto più
vestite, educate
ed intelligenti!”.
“Mi
stai dando della poco di
buono, maleducata e deficiente?” si arrabbiò lei.
Lui
non lo pensava davvero, ma
il suo inconscio ferito non faceva altro che ripetergli di tenere la
testa alta
e rispondere a tono, a quella donna che gli stava frantumando il cuore.
Reishefy
uscì dal tunnel con
entusiasmo, per nulla preoccupata. Ci mise un bel po’ di
tempo per accorgersi
che era da sola. Dopo aver canticchiato senza motivo, come sempre, si
insospettì nel non sentirsi sgridare da nessuno.
Solitamente, accanto aveva
sempre qualcuno pronto a dirle di chiudere il becco. Soprattutto
Kassihell o
Thuwey. Storse la bocca, dubbiosa. Che le stessero facendo uno scherzo?
Una
sorta di vendetta per quanto aveva rotto lei le palle fino a quel
momento?
“Dove
siete?” li chiamò.
Non
si arrese all’evidenza
che, usando il suo elemento elettrico, riceveva solo abbaglianti
risposte da
parte della nebbia scura.
“Dai…venite
fuori! Non è
divertente!” iniziò a spazientirsi.
Possibile
che fossero così
stupidi da farle uno scherzo così idiota?
“AHAHAH”
rise, ironicamente
“Me l’avete fatta. Ora, però,
piantatela! Efrehem! Mi meraviglio di te!
Hanjuly? Pensavo fossimo amiche! Dai…ho paura a stare qui da
sola!”.
Piagnucolò,
tirando su con il
naso a causa di quel fumo denso, e cercò di stare calma. Le
scosse che
attraversavano il suo corpo iniziavano a farsi sempre più
incontrollate.
“DOVE
SIETE?!” urlò, quasi
piangendo.
Ad
un tratto sentì un rumore,
proveniente dall’alto, ed una pesante gabbia la rinchiuse.
Tentò di uscire in ogni
modo ma non vi riuscì. Gridò, piena di rabbia e
paura. Odiava essere
intrappolata e quella prigione non sapeva nemmeno da dove provenisse.
Mattehedike
sbuffò, quando
notò che la nebbia non si diradava dopo quel tunnel.
“Che
regno di merda, Kassihell!”
sbottò.
Si
aspettava di sentirsi
rispondere che quello era un impero o qualcosa del genere ma non
ricevette
risposta. Restò immobile, cercando di percepire ogni minima
vibrazione del
terreno, ma sentiva solamente i movimenti del fiume di magma
sotterraneo.
“Dove
siete? Reishefy…so che
tu non resisti senza parlare. Dì la tua solita dose di
cazzate”.
Per
quanto amasse il silenzio,
avrebbe preferito di gran lunga udire una voce, questa volta. Una voce
qualsiasi. Anche della straccia balle del gruppo.
Aumentò
la percentuale del suo
elemento lungo il corpo, il calore si stava facendo insopportabile e,
credeva,
la Roccia lo avrebbe protetto. Si incamminò chiamando gli
altri suoi compagni.
Non percorse molta strada. Le gambe gli rimasero bloccate nella lava.
Guardò in
basso e spalancò gli occhi dal terrore. La bolla fresca che
lo aiutava a non
entrare in diretto contatto con il fuoco era scomparsa. La roccia che
componeva
buona parte del suo corpo, a causa di questo, si stava liquefando. Iniziò ad
avvertire un dolore insopportabile
ed intenso lungo tutto il corpo. Non poteva più muoversi
né rimediare alla sua
situazione. Poteva solamente aspettare la morte.
Enki
capì subito di essere
rimasta da sola. Questo perché stringeva la mano di Idisi,
che la precedeva, ed
ad un tratto non la percepì più. Intuì
che fosse colpa di tutto quel fumo.
Tentò di rimanere calma. Pensò a cosa avrebbero
fatto Efrehem, con la sua
razionalità, ed Hanjuly, con il suo coraggio, in una
situazione del genere.
Respirò a fondo, ripentendosi nella testa che non era il
caso di fare la fifona
proprio in quel momento. Tutti i suoi propositi si sciolsero come neve
non
appena si accorse di ciò che la osservava alle sue spalle.
C’era una creatura
enorme, composta da lava e fuoco, che la fissava minacciosa. Cadde
all’indietro, in preda al panico, e lanciò un
grido terrorizzato. La bestia
rispose spalancando la bocca e ringhiandole contro, poi si mosse ed
iniziò ad
inseguirla. L’Acqua riuscì ad alzarsi, non
capì neppure lei come, e si mise a
correre. Non sapeva dove stava andando, non riusciva a vederlo, ma se
voleva
sopravvivere doveva allontanarsi e non farsi prendere. La creatura
sputò fuoco
e per poco non la colpì in pieno.
“Aiutatemi!”
gridò Enki,
sperando davvero che qualcuno potesse ascoltarla.
“Signor
Thuwey!” chiamò
qualcuno.
Il
Metallo girò le orecchie a
punta all’indietro. Gemette e fece per portarsi le mani al
volto. Sentì
qualcosa di morbido. Un cuscino. Come un cuscino?! si chiese nella sua
testa.
“Signor
Thuwey!” sentì di
nuovo, con un insistente bussare alla porta.
Si
alzò. Era nella sua stanza,
nel suo letto. Si guardò attorno. I boccali vuoti erano un
chiaro segnale di
quanto avesse bevuto. Che fosse stato tutto un sogno? Tornò
a distendersi,
ignorando la porta. Un sogno? Il frutto di un dopo sbornia colossale?
Tutto
frutto della sua immaginazione? Ridacchiò.
Ripensò a tutto il viaggio.
Possibile che fosse stato tutto inventato dal suo cervello bacato?
Aprendo la
porta, trovò un piccolo servitore che gli ricordò
i suoi impegni della giornata.
Thuwey uscì di casa e percorse pigramente le vie della
capitale. La regina
voleva vederlo. Camminando, e passando accanto a moltissime creature
del
Metallo come lui, scoppiò a ridere. Che sogno assurdo che
aveva fatto! Dieci
creature di regni diversi che vanno a parlare con gli Dèi
per salvare il
Mondo?! E lui era uno di queste? Assurdo!! Rise ancora a lungo,
ripromettendosi
di bere di meno prima di coricarsi.
Idisi
era stanca. Era da poco
di nuovo all’aria aperta, eppure si sentiva come appesantita
da qualcosa. Una
sensazione la opprimeva. Si sfiorò il petto, cercando di
darsi sollievo
respirando piano. Il battito del suo cuore era rallentato e lei non
riusciva a
capirne il motivo. Sbatté gli occhi, cercando di non farsi
prendere dal panico
o dallo sconforto. Il nero l’avvolgeva ma non sapeva se era
tutto fumo o se
pure la sua vista iniziava ad appannarsi. Le mancava il respiro. Si
fermò,
tossendo ed ansimando. Mise di nuovo la sua mano sul petto e
sobbalzò. Era
interamente ricoperta di legno. Com’era possibile? Era un
processo che non
accadeva così in fretta! Eppure ora il suo corpo era sempre
più rigido. Si
stava trasformando, com’era accaduto a tutti suoi antenati,
ad una velocità
anormale. Le braccia gli si rizzarono, spalancandosi, e tutto il suo
busto
scricchiolò, ricoprendosi di corteccia. Per quello il suo
cuore rallentava ed i
suoi polmoni non riuscivano ad aprirsi e respirare correttamente.
Guardò in
alto, immobile, mentre avvertiva il mutamento compiersi sempre
più in fretta.
Sapeva che, una volta raggiunta la testa, sarebbe stata la fine. Ed ora
il suo
collo era per metà di legno.
Hanjuly
odiava quel regno.
Lei, principessa del Ghiaccio, non sopportava quella permanenza nel
Fuoco.
Voleva andarsene, in fretta, e non soffrire più tutto quel
calore. Cercò di
farsi aria. Era nervosa ed infastidita. Ovviamente queste due
sensazioni si
accentuarono quando si accorse di essere da sola. Si chiese se fosse
colpa del
caldo che la faceva delirare. Avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi
fare una
doccia gelata.
“Dove
siete?” domandò “Questo
fumo del cazzo non mi fa vedere niente. Fatevi sentire!”.
Silenzio
totale.
“Hei!
Pronto! Parlo al muro,
per caso?”.
Dentro
di sé, percepì
chiaramente uno “stronzi” balenarle in mente. Non
lo disse, non volendo sprecare
forze per litigare.
Delle
luci. Vide delle luci
alle sue spalle. Si girò, convinta di vedere Efrehem o
Kassihell. Vide, invece,
le creature del Fuoco che aveva incrociato la compagnia
precedentemente. Il
capo indossava ancora la maschera ed erano dipinti, anche se il colore
si era
un po’ rovinato in certi punti. Erano tutti uomini e
fissavano Hanjuly con un
certo interesse. Lei rispose a quello sguardo con tutto il disprezzo
possibile.
L’ultimo pensiero che aveva in mente in quel momento era
quello di avere vicino
uno di loro, con la pelle bollente come quella di Kassihell. Gli
abitanti di
quel regno non percepirono quello sguardo e le andarono più
vicini. Il
Ghiaccio, infastidita, ci mise un attimo ad estrarre dal suo zaino la
sua arma.
La aprì, creando il cerchio con le lame, e si
apprestò a difendersi, se fosse
stato necessario. Pensava che, vedendola armata, avrebbero cambiato
idea e se
ne sarebbero andati ma non fu così. Sorrisero, quasi
divertiti, e continuarono
ad avanzare.
“Che
peccato…non ha nemmeno
urlato” mormorò Elehcim, con un mezzo sorriso
coperto dalla pesante
maschera.
Si
girò e fece per andarsene.
Il suo compagno Danjell lo stava aspettando e lì non
c’era nient’altro che
potesse fare. Fece qualche passo quando la voce
dell’Oscurità lo fece
arrestare.
“Sono
spiacente…” stava
dicendo Lehelin, risalendo dal precipizio, in cui era stata fatta
cadere,
grazie all’aiuto dell’Ombra
“…la prossima volta urlerò”.
“Come
cazzo hai fatto a
sopravvivere, mostriciattolo?!” ringhiò il
mezzosangue.
“Dove
c’è l’Ombra, io vengo
protetta”.
“Ma
ti ho vista precipitare!
Ti ho vista mentre venivi inglobata dalle fiamme!”.
“L’Ombra
è ovunque. Avresti
dovuto uccidermi nel regno della Luce. Lì ero debole e
vulnerabile. Quello era
l’unico luogo in cui l’Ombra non c’era.
Ma ti sei fermato e non mi hai
colpita”.
“Sono
stato interrotto!”.
“Hai
perso la tua occasione”.
Elehcim
si morse il labbro con
rabbia. Quella creatura stava davvero iniziando a farlo impazzire! Non
soffriva, non veniva sconfitta e, oltretutto, non mostrava nemmeno una
punta di
paura negli occhi. Questo lo mandava in bestia. Voleva vedere il
terrore delle
sue vittime!
“Tu
non puoi uccidermi”
riprese Lehelin.
“Nemmeno
tu!” rimbeccò il
mezzosangue.
“Ed
allora cosa facciamo?
Restiamo tutto il giorno qua a cercare di farci del male? Fra poco
sarà notte
fonda ed io avrò ancora più
possibilità di nascondermi e…”.
“Se
credi che mi arrenda tanto
facilmente, ti sbagli!” interruppe lui.
“…e,
tanto per la cronaca…”
riprese lei “…i miei occhi non possono essere
cavati perché sospesi nel fumo
che mi compone. Per quanto riguarda il mio
cuore…è stato spezzato tante di
quelle volte che dubito ci sia rimasto qualcosa con cui
pasteggiare”.
Elehcim,
sempre più irritato
dal modo di fare di quella creatura, non volle dar peso al fatto che
non poteva
batterla ed i due ripresero a combattere. Allo zenit di Nikkal e Jarih,
si
stavano ancora affrontando, illuminati dalla lava bollente che
conferiva ai
combattenti un aspetto piuttosto pittoresco ed inquietante con il suo
color rosso
vivo.
“Vaffanculo!”
gridò, ad un
tratto, il mezzosangue “Possibile che, qualsiasi cosa faccia,
non riesco a
percepire neppure una punta di terrore in quegli enormi occhi argento?!
Solo
rabbia e…tristezza”.
“Mi
pare di avertelo già
detto: non ho paura della morte. E so che non puoi farmi del male,
perciò
perché dovrei mostrarmi spaventata?”.
“Perché
sono il tuo nemico e
voglio ucciderti, porca puttana! Non ti spaventa l’idea che
mi basta fare un
semplice gesto per richiamare qui mio fratello e tutti gli altri come
me? Non
credo che potresti tenerci testa!”.
“L’unica
conseguenza che
avrei, se tu compissi un’azione del genere, sarebbe quella di
morire e, come
già detto, la cosa non mi spaventa. Inoltre, so che non
faresti mai una cosa
del genere. Vuoi avere la soddisfazione personale di veder scorrere la
mia
linfa vitale nera fra le tue mani”.
Elehcim
ghignò, ritrovandosi
in quei pensieri.
“Prima
o poi ti stancherai” le
disse, con la voce distorta dalla maschera.
“Anche
tu” rispose lei.
“Qui
il mio elemento mi
ristora” sorrise Elehcim, assorbendo la magia del Fuoco.
“Anche
il mio” esclamò
l’Oscurità, spalancando le braccia nella notte.
“Non
puoi non avere paura di
niente…” mormorò lui, dopo qualche
attimo di silenzio “…ed io riuscirò a
capire
come farti spalancare quei dannati occhiacci dal terrore!”.
“Tutti
abbiamo paura di
qualcosa”.
“Io
non ho paura di niente!”.
“Impossibile!”.
“Sai
chi sono io, macchiolina
vagante per il mondo? Io sono l’unione del sangue
più forte di Fuoco e Metallo.
Ho tutte le loro capacità e nessun loro difetto. Di cosa
dovrei avere paura?”.
“Hai
paura quando le tue ombre
si avvicinano a me. Hai paura che io possa leggere dentro di te,
percepire i
tuoi punti deboli, i tuoi dubbi, i tuoi sogni inconfessabili, i tuoi
desideri
nascosti. Hai protetto te stesso con una maschera, vera e fittizia,
fatta
d’odio e rabbia. Hai paura che io ci guardi
sotto…”.
“Stronzate.
Tu non sai niente
di me e non saprai mai niente!” sbottò il
mezzosangue, incrociando le braccia
ed indietreggiando di qualche passo per accentuare le distanze fra le
sue ombre
e l’Oscurità.
“Visto?”
sorrise lei “Ti sei
ritratto. Ti capisco…la mia paura è molto simile
alla tua”.
“Sei
fuori strada. Io non ho
paura di te, né di nulla di ciò che puoi
farmi”.
“Mai
detto che tu hai paura di
me. Hai paura che qualcuno possa riuscire a farti togliere quella
maschera.
Vuoi trasmettere solo rabbia e odio…hai forse paura che
l’amore possa
annientarti?”.
“Non
posso aver paura di
essere annientato da qualcosa che non esiste!”.
“Come
esiste l’odio, esiste
anche l’amore. Ma ti devo dar ragione…non
è come la raccontano o come vogliono
farci credere che sia. È un sentimento che credo di aver
provato…ma le creature
come me non vengono mai amate”.
“Forse
hai ragione: non voglio
essere schiavo di una stupida reazione chimica. Ma non ho paura di una
cosa del
genere”.
“Va
bene…non ne hai paura.
Come vuoi tu! Cosa credi che ti possa fare? Annientarti il cervello?
Risucchiare ogni tua capacità razionale? Non sembri
così stupido da farti
ridurre in quello stato!”.
“Ma
che cazzo te ne frega,
scusa?!”.
“Mi
piace conoscere il mio
nemico…”.
“Giusto!
Incantatrice! Stai
cercando di imbrogliarmi con i tuoi discorsi, ma non ci
riuscirai!”.
“Bene.
Se non cadi vittima dei
miei sortilegi, che sono molto potenti nonostante il fatto che tu
indossi la
maschera, allora non potrai mai essere sconfitto da un semplice
sentimento a te
avverso”.
“Basta
con queste stronzate!
Io sono il tuo nemico ed il tuo "compito", se così si
può definire, è
sconfiggermi, non psicoanalizzarmi, cosa che odio farmi fare! Smettila
con
questi discorsi idioti!”.
Si
sentì un grido nell’aria,
di uno dei viaggiatori.
“Cosa
state facendo ai miei
compagni?” domandò Lehelin.
“Sono
in un mondo d’illusione.
In un sogno. Riusciranno ad uscirne solo se il loro cervello gli
farà capire
che è tutta una finzione. Altrimenti vi rimarranno
intrappolati per sempre.
L’unica altra soluzione è trasportarli fuori dalla
nebbia, ma dubito che tu ci
riesca, microscopico esserino senza un corpo fisico!”.
“Come
mai gridano?”.
“Più
realistica è la visione e
meno possibilità ci sono che riescano ad uscirne. Se hanno
paura, o sono
arrabbiati, è più facile tenerli sotto controllo.
Puoi toglierti un pensiero:
non verranno in tuo aiuto! Non contare sul loro salvataggio!”.
“Non
conto su di loro. Non
l’ho mai fatto. Se una cosa vuoi farla bene, meglio cavarsela
da soli e non
aspettarsi troppo dagli altri”.
“Ma
che razza di gruppo
siete?! Noi mezzosangue ci aiutiamo fra noi!”.
“Però
ora sei qui da solo”.
“Perché
tutti gli altri sanno
che voglio ucciderti con le mie mani!” gridò
Elehcim, fiondandosi contro
Lehelin con tutta la rabbia accumulata per quella inutile conversazione.
Thuwey
attraversò il corridoio
del palazzo reale quasi con autorità. Era mattina presto e
in giro non c’era
nessuno ma lui era comunque il capo delle guardie. Doveva sempre
apparire
sicuro di sé e pronto a tutto. Bussò alla porta
della sala del trono e la
regina lo fece entrare. La trovò in piedi, mentre guardava
fuori.
“Sei
pronto per la giornata di
oggi, Thuwey?” mormorò Jovihann.
“Sì,
mia regina. Quali sono
gli impegni?”.
Dentro
di sé, il Metallo
sbuffò. Era stanco di fare da balia. Eppure…aveva
la sensazione di aver come
preso una pausa da tutto questo. Si sentiva come se non vedesse la
regina da
tempo.
“Da
quanto tempo non Vi vedo,
mia regina?” chiese, cercando di capire se fosse tutto un
sogno anche la
faccenda della convocazione del Signore dell’Ovest.
“In
che senso? Da ieri sera,
come sempre”.
“E
la convocazione del Signore
dell’Ovest?”.
“Quale
convocazione?”.
Thuwey
non disse altro. Era
stato davvero un sogno molto dettagliato. Sorrise, soddisfatto e
convinto,
quando apparve la dama di compagnia della sovrana. Notò il
suo abito. La veste
che indossava, ne era sicuro, era stata gettata via dopo che lui,
inavvertitamente,
ne era rimasto impigliato, stracciandola. Ricordava troppo bene quella
notte
per poter essere un sogno! Dopo un’intera giornata passata
accanto a Jovihann,
in visita segreta da Vehuya, finalmente era stato lasciato libero di
andare, e
con lui la dama. Guardandosi, in pochi istanti, provarono la forte
tentazione
di sfogarsi nell’unico modo che gli venne in mente. Si erano
gettati l’uno
nelle braccia dell’altro e, nella foga del momento, il
pomposo abito di lei era
rimasto ingarbugliato fra le punte di lui. Per non perdere tempo, il
Metallo lo
aveva strappato, con la promessa di fargliene avere uno nuovo. Promessa
mantenuta, nessun problema. Ma ora vedeva lei con quella veste. Era un
fatto
accaduto non molto tempo prima, ed in pochi sapevano del loro incontro.
Possibile che si fosse fatta confezionare un vestito uguale?
Difficile…e quella
pianta fuori dal balcone? Non era morta? Che ci faceva lì,
bella verde? Poi,
per un istante, gli parve di udire la voce di Lehelin. Come poteva
udirla?
“Dove
sono? Che cosa succede?”
disse.
“Che
stai dicendo, Thuwey? Sei
nel mio palazzo, al mio cospetto. Dove altro credi di
essere?”.
“Non
lo so ma questo non è il
palazzo. O meglio lo è ma…non è
corretto. Qualcosa non va. Non era il mio
viaggio il sogno. È questo il sogno!”.
Le
persone presenti lo
fissarono con aria interrogativa e cercarono di fargli cambiare idea ma
ormai
era tardi. Le pareti, la gente, il paesaggio, tutto si stava
disgregando in
piccoli pezzi. Gli sembrò di precipitare nel nulla e quando
cadde, toccando
terra, aprì gli occhi e si ritrovò nella nebbia.
Si era svegliato da
quell’illusione. Scosse la testa, riprendendosi, e vide in
lontananza un grosso
animale scuro, illuminato dagli sposi della notte. La nebbia era molto
meno
fitta rispetto a quando era uscito dal tunnel, probabilmente
perché colui che
l’aveva creata era distratto. Danjell notò
l’accaduto ma non poteva farci
niente: la polvere che aveva usato poteva funzionare una volta
soltanto! Thuwey
intuì che la causa di tutto quel casino doveva essere
legato, in qualche modo,
a colui che cavalcava quella creatura nera e decise di avvicinarsi. Il
mezzosangue di Terra storse il naso. La situazione stava prendendo una
brutta
piega ed il suo collega stava ancora perdendo tempo ad inseguire quella
strana
abitante dell’Oscurità! Orebrec ringhiò
contro il Metallo, mentre questi si
avvicinava.
“Chi
sei? Cosa stai facendo?”
domandò Thuwey.
“Non
vedo perché dovrei
spiegartelo!” sbottò Danjell, ostentando calma e
controllo.
“Quello
che ho visto…era opera
tua? Una specie di sogno creato da te?”.
Il
mezzosangue sorrise, con un
certo orgoglio. Da sopra quel fumo, i contorni di entrambi erano poco
chiari ed
offuscati.
“Opera
mia le illusioni,
esatto”.
“E
questo fumo?”.
“Quello
non dipende da me”.
“Ma
tu…chi sei?”.
“Non
ha importanza!” esclamò,
dando ordine ad Orebrec di allontanarsi.
Il
Metallo provò ad
inseguirlo, ma lo perse subito di vista, in mezzo a tutta quella odiosa
nebbia.
Lehelin
correva sgattaiolando
da un punto all’altro, guardandosi alle spalle
periodicamente. Elehcim le
lanciava palle di fuoco, urlandole contro tutto quello che gli passava
per la
testa. Non correva, si faceva portare dalla lava che comandava, ma
l’Oscurità,
nella notte, era imprendibile. Contava, però, in un suo
errore per poterla afferrare
e torturare. Un ululato interruppe la corsa di lei. Una specie di
grosso cane
le stava venendo incontro, a grandi balzi.
“Orebrec?”
si stupì Elehcim.
“Elehcim!
Sei ancora qua a
giocare?” sbottò Danjell, fermandosi a pochi
centimetri dall’inseguitore “Guarda
che il tipo del Metallo si è svegliato e sta già
rompendo le palle. Inoltre, il
fumo che hai creato è debole perché sei distratto
dietro a quella…” fissò
Lehelin, con aria interrogativa “…quella
cosa!”.
Elehcim
non rispose. Aveva il
fiatone ed era furioso.
“Che
intendi fare?” continuò
il mezzosangue di Terra “Andiamo via? Lasciamoli
lì, meglio…no?”.
“Sì,
andiamo via. Non possiamo
fare altro, dannazione!”.
Il
sanguemisto di Metallo
balzò su Orebrec e si tolse la maschera, quasi
strappandosela per il fastidio.
Lanciò un’ultima occhiata con le iridi rosso
sangue a Lehelin.
“Non
finisce qui, piccola
stronza!” le disse, stringendo il pugno con fare minaccioso.
“Ti
aspetto, strano incrocio”
rispose lei, sempre con un’espressione priva di terrore.
Thuwey
correva e non vide
Lehelin, essendo praticamente mimetizzata nel buio della notte. Le
andò addosso
e si spaventò, convinto di essere sotto attacco.
“Tranquillo!
Sono io!” si
affrettò a dire lei.
“Lehelin!
Sei tu…non è un
sogno?”.
“No.
Sono io. Quella nebbia
non dava problemi a me. Dobbiamo trovare gli altri e farli
rinsavire”.
“Io…non
ho ancora capito cosa
è successo!”.
“Te
lo spiegherò, o meglio…ti
spiegherò quello che ho capito! Però ora mi devi
dare una mano. Se il loro
cervello non riesce a farli risvegliare, l’unica soluzione e
portarli fuori
dalla zona di fumo”.
Si
stava diradando, ma molto
lentamente.
“Come
li troviamo?” domandò il
Metallo “Io non vedo niente!”.
Sorrise
solamente quando vide
che gli oggetti proibiti, che portava ai polsi, si mostrarono molto
più utili
di quanto immaginasse. Come avevano fatto con
l’elettricità, ora avevano
iniziato ad attrarre il fumo ed assorbirlo, purificando
l’aria.
“Perché
non lo han fatto
prima?!” sbottò Thuwey.
“Perché
colui che aveva creato
questa nebbia era qui e ne contrastava l’azione”.
“La
tua è un’ipotesi
plausibile…”.
“Andiamo!”.
Kassihell
dormiva, tranquillo
nel suo letto, quando sentì il terreno mancargli da sotto la
schiena. Spalancò
gli occhi. Tutto era sempre più buio e sua
moglie…si stava dissolvendo?!
Combatté con tutte le sue forze affinché
ciò non accadesse ma non poté
evitarlo. Con il dileguarsi della nebbia, la sua illusione era
terminata ed
aveva riaperto gli occhi. Si era ritrovato disteso, avvolto dalla
notte.
Deglutì, tentando di capire ciò che era successo.
Il borbottio continuo della
lava gli era familiare e, dopo qualche istante, vide chiaramente gli
occhi
argento di Lehelin che lo fissavano.
“Cos’è
successo?” mormorò,
sentendo la gola secca e la testa confusa.
“Ti
spiegherò tutto. Ora alzati”
rispose lei.
Aherektess
si stava ancora
affrontando contro il principe del Fuoco quando si riprese. Vide il suo
pugno
affondare nel nulla ed il suo avversario dissolversi in mille pezzetti.
Thuwey
lo stava scuotendo per farlo svegliare del tutto. Si sentiva tutto
indolenzito,
come se avesse combattuto per davvero. Cercò con lo sguardo
Kassihell, come per
continuare a battersi, e fu il Metallo che gli spiegò che
era stata tutta
un’illusione e che si doveva calmare. Ci mise un bel
po’ di tempo a stendere i
nervi e mettere a tacere le paranoie.
“Dove
sono gli altri?”
domandò, dopo qualche minuto di respirazione.
“Andiamo
a cercarli” rispose
il Metallo.
Efrehem
si risvegliò e
sorrise.
“Lo
sapevo che era un sogno!”
disse, capendo al volo ciò che era successo “Lo
sapevo! La cosa mi puzzava!
Dovevo intuirlo! Che stupido che sono stato!”.
Aherektess
lo fissava, con
aria interrogativa. Non aveva idea di ciò che avesse visto
il suo compagno
lungo tutta quell’illusione ma era lieto di vedere che stava
bene e che
sembrava piuttosto felice di essere tornato alla realtà.
“Dov’è
Hanjuly? Ci sono tante
cose che le voglio dire!” disse la Luce.
“Andiamo
a salvarla,
piccoletto!” rise l’Aria ed Efrehem
mostrò di essersi offeso a farsi chiamare
in quel modo.
Reishefy
stava urlando come
una pazza, tentando di liberarsi. Anche quando la gabbia
svanì. Continuò a
dimenarsi e gridare, evocando aiuto e bestemmiando. Kassihell la
sollevò con la
forza, resistendo alle scosse, tentando di farla svegliare.
“Lasciatemi
andare!” sbraitava
l’Elettricità.
“Svegliati,
cretina!” le
rispondeva il Fuoco.
Non
riusciva a farla
rinsavire. Insisteva e non si svegliava. Efrehem la osservò,
incuriosito. Era
totalmente fuori controllo. Fu proprio la Luce a farla scendere di
nuovo con i
piedi per terra. Le sorrise e, senza preavviso, emise una specie di
lampo dalla
pelle. Kassihell gli bestemmiò contro, accecato, e Lehelin
sibilò per il
fastidio, ma quel flash risvegliò Reishefy. Ovviamente la
prima cosa che fece
fu abbracciare il Fuoco, riempiendolo di scosse.
Mattehedike
stava urlando di
terrore, steso in terra. Si alzò a sedere, ad occhi
spalancati, ansimando. Si
guardò le mani e le gambe, rigirando i palmi a destra ed a
sinistra.
“Calmati,
Mattehedike! Va
tutto bene!” tentò di tranquillizzarlo Aherektess.
La
Roccia urlò ancora un po’ e
poi si fermò:
“Oddio…ragazzi…siete voi? È
stato tutto un sogno? Un incubo?”.
“Tutto
un incubo. Tranquillo.
Ora sei qui, al sicuro, non è successo niente!”.
“Non
sono mai stato più felice
di vedervi!” gemette ed abbracciò Reishefy, per la
prima volta avendo voglia di
entrare in contatto con lei.
Enki
correva come una pazza,
guardandosi alle spalle continuamente. Dietro di lei un enorme mostro
cercava
di mangiarla, sputando fuoco.
“Aiuto!
Aiutatemi!” gridava,
iniziando a sentire la stanchezza.
Non
ne poteva più. Si dovette
fermare per riprendere fiato ma l’animale non si
arrestò. Spalancò la bocca,
gigantesca, e la ingoiò in un solo boccone. Lei
serrò gli occhi e gridò di
nuovo. Quando li riaprì stava piangendo ma, per fortuna,
stava bene. Era viva!
Era salva! Non sapeva come, non lo capiva, ma era tutta intera e
scoppiò a
piangere a dirotto per sfogarsi, con i suoi compagni di viaggio
disposti a fare
da spalla.
Idisi
era priva di sensi
quando fu ritrovata. Il suo cuore batteva all’impazzata per
la paura ed era
pallida, quasi esangue.
“Reishefy…”
disse Efrehem,
sollevando la testa della Terra “…evoca il potere
del tuo oggetto proibito e
crea un po’ d’acqua”.
L’Elettricità
obbedì e bagnò
la fronte di Idisi. Lei rabbrividì. Tossì con
forza.
“Si
sta ripigliando!” esclamò
Enki, sollevata nel vederla riprendere colore.
“Sono…viva…”
mormorò la Terra,
osservandosi la mano.
“Sì.
Viva ed al sicuro” la
rassicurò il Metallo.
Idisi
si sedette e sorrise,
passandosi le mani sui lunghi capelli verdi, ancora incredula.
Hanjuly
continuava ad
uccidere. Gli uomini del Fuoco parevano non finire mai ma lei non si
fermava,
combattendo. Ringhiava e mozzava teste, una dietro l’altra.
“Ma
quanti siete?! Brutti
schifosi!”.
Anche
nella realtà stava
urlando quelle frasi e gli altri della compagnia si fissarono con aria
interrogativa, chiedendosi che cosa stesse immaginando.
“Hei!”
sbottò, riaprendo gli
occhi “Dove sono andati tutti?! Mi stavo
divertendo…voi che ci fate qui? Li
avete fatti scappare? Mi sono persa qualche
passaggio…”.
“Ti
spiegheremo tutto con
calma. Bevi un sorso d’acqua” le parlò
Efrehem.
“Grazie”
le mormorò lei,
sorridendogli e facendolo arrossire.
Dopo
aver capito quanto fosse
successo, i dieci ripresero il loro cammino. Kassihell avrebbe tanto
voluto
passare per il palazzo imperiale ma capì che la cosa avrebbe
impiegato troppo
tempo. Già con tutta quella faccenda erano rimasti troppo a
lungo nello stesso
posto. Accelerarono, piuttosto allarmati dal fatto che Lehelin e Thuwey
parlavano di attacchi di mezzosangue. Quando intravidero il regno del
Metallo,
credettero di essere al sicuro.
†††
“Ah,
ma Elehcim! Non sai fare
niente!” rideva Setiram.
“Stai
zitta” sbottò il
mezzosangue.
Erano
al sicuro nella casa
abbandonata che fungeva da nascondiglio per le creature come loro. Lui
tentava
di ritrovare la calma con un the ma lei lo tormentava, scuotendolo.
“Non
hai risolto nulla, sei inutile!” diceva la mezzosangue.
“Ti
avviso…ho i coglioni parecchio girati. Ti conviene lasciarmi
stare” ringhiò
lui.
“Ma
io scherzo, su!” furono le parole di lei, appoggiandosi e
dando una spinta ad
Elehcim.
“Io
no”.
Alla
terza spinta, il mezzo-metallo mutò le braccia,
trasformandole in armi da
taglio. Setiram non capì l’avviso ed insistette.
Elehcim si girò di scatto e le
staccò la testa dal corpo.
“Te
l’avevo detto di stare zitta!” sibilò.
Danjell,
seduto in silenzio al tavolino a fianco, rimase immobile ad occhi
spalancati.
“Ecco…il
solito casinista. Io non pulisco” sbottò Roary,
appoggiandosi a Danjell.
“Cosa
credi di fare, adesso?” parlò Kire, sulla porta
della stanza.
Non
era per niente turbato da ciò che il gemello aveva appena
fatto, come non lo
era nessuno di quelli presenti in sala.
“Atteniamoci
al piano. Andrà bene”.
“Sei
sicuro?”.
“Assolutamente”.
“Posso
fidarmi?”.
“Non
hai scelta”.
“Bene.
Allora prepariamoci, tutti quanti”.
“Solo
una cosa ti chiedo, fratello…”.
“Dimmi,
Elehcim”.
“L’Oscurità
lasciala a me. Voglio distruggerla con le mie mani”.
“Fanne
ciò che vuoi, non mi interessa”.
Kire
si allontanò ed il gemello rimase immobile, con la tazza di
the sospesa vicino
alle labbra e lo sguardo perso lontano, accigliato e vendicativo.
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Capitolo 11 *** XI- Metallo ***
XI
“Scendi
da lì. È tardi” gridò
Aherektess.
“No,
lasciami dormire!” gli
rispose Kassihell, pigramente sonnecchiando sopra il ramo di un albero.
Il
gruppo era da un paio di
giorni nel regno del Metallo, con i suoi paesaggi argentati. Perfino le
piante
avevano quel colore, con sfumature varie che andavano dal rame
all’oro.
“Dobbiamo
proseguire…” incalzò
l’Aria.
“E
chi lo dice?” borbottò il
Fuoco, rigirandosi.
“Io,
la creatura incrociata
con un canarino!”.
“Ah,
beh…se lo dici tu…”
commentò, sarcastico, Kassihell “…uomo
falena!”.
“Uomo
cosa?!”.
“Falena.
Hai presente? Una
farfalla…” congiunse le mani per ricreare la forma
dell’animale di cui stava
parlando “…farfalla!” ripeté,
come davanti ad un bambino piccolo.
“So
cos’è una farfalla! Scendi
di lì, per favore!”.
“NO!”.
“Perché?!”.
“Perché
io sono una creatura
incrociata con un animale molto pigro, che vuole dormire”.
Aherektess,
di tutta risposta,
comandò il suo elemento e scosse la pianta, facendo cadere
il Fuoco in modo
poco delicato. I due si fissarono, Kassihell ancora in terra e
l’Aria a braccia
incrociate.
“Dannato
alleato!” borbottò,
ridacchiando, il Fuoco.
“Maledetto
pigrone!” rise a
sua volta Aherektess.
Ripresero
la marcia tutti
assieme, felici di poter finalmente avanzare senza che nessuno di loro
avesse
problemi particolari. Idisi guardava incuriosita il terreno color
argento e
tutti gli animali che si adattavano a quelle tonalità.
“Il
grande Mihael vive in un
immenso castello, più maestoso di quello della regina di
questo regno” spiegò
Thuwey “Stiamo per raggiungerlo, non è lontano.
Presto riusciremo a vederlo
all’orizzonte”.
Mancavano
solamente tre luoghi
proibiti prima di poter portare a termine la missione. Ancora tre
oggetti
proibiti. E solamente tre di loro dovevano ancora affrontare la prova
per
ottenerli: Enki, Hanjuly e Lehelin. Si guardarono fra loro, chiedendosi
a chi
sarebbe toccata la sfida di quel regno. Ne stavano discutendo, quando
individuarono una figura che avanzava verso di loro. Sullo sfondo, gli
alti
torrioni del castello di Mihael iniziavano a mostrarsi.
Quell’ombra camminava
controluce, accompagnata da un rumore di catene e ferro. In principio,
Thuwey
pensò fosse qualcuno della sua gente, ma capì
subito che non era così: non
aveva la struttura fisica di un abitante del Metallo. Avvolta da un
alone di
magia, la creatura si fermò non molto distante dal
gruppetto. Era interamente
protetta da una pesante armatura irta di spuntoni metallici ed aveva il
viso
coperto da un elmo con pennacchio che rifletteva la luce di Sirona.
“E
questo chi è?” si infastidì
Reishefy, desiderosa di andare oltre in quel viaggio pieno di guai.
“Io
sono Mihael” fu la risposta.
“Sì,
come no! Mi vien da
ridere! Provacelo!” sbottò Kassihell, con un
sorrisetto.
L’armatura
sfoderò la spada.
Era sottile, perfetta per poter stare in un fodero ma, nel momento
stesso in
cui il suo padrone la strinse fra le mani, si ingrandì,
divenendo enorme, e si
riempì di scritte magiche. Era nera, lucida, con
l’elsa argento. Thuwey
riconobbe quell’arma e si inchinò, mormorando con
venerazione il nome della
divinità.
“Io
sono il possente Mihael!”
riprese a parlare l’armatura, con voce tonante
“Sono il Dio della Guerra e
delle Armi, delle battaglie e delle strategie. Se volete proseguire, ed
ottenere l’oggetto proibito che custodisco, uno di voi
mortali dovrà
affrontarmi!”.
Kassihell
incrociò le braccia.
Lui aveva già fatto ciò che doveva, non era
compito suo!
“Ma…Voi
non dovreste trovarVi
nel luogo proibito?” domandò, timidamente, Enki.
“Sì,
è vero. Ma mi annoiavo.
Vi do il tempo necessario per scegliere chi accetterà la mia
sfida, ma non
metteteci troppo perché altrimenti scelgo io…e
son cazzi vostri!”.
Le
tre senza oggetto proibito
si fissarono, dubbiose.
“Vado
io!” esclamò Hanjuly,
preparando la sua arma.
“No,
fermati!” la bloccò
Thuwey “Lui è il Dio delle Armi, delle
battaglie… Come credi di batterlo?!
Bisogna agire d’astuzia, mandargli qualcuno che le armi non
possono ferire…”.
“E
chi ti dice che quella
spada, essendo divina, non può ferirmi?!”
sbottò Lehelin, sentendosi chiamare
in causa.
“L’arma
di Hanjuly verrebbe
distrutta in milioni di pezzi, Enki non saprebbe che fare…tu
sei l’unica che
può tentare!” parlò Efrehem.
“Vittima
sacrificale,
insomma…” borbottò
l’Oscurità, per niente felice nel venir gettata
così in
pasto ai pericoli.
Perché
proprio lei, poi…il
Ghiaccio sembrava così ansiosa di voler combattere! Prese un
profondo respiro e
poi, per niente convinta, fece un passo avanti.
“Il
"popolo" ha
deciso in modo "democratico" che devo essere io colei che Vi
affronterà”.
Mihael,
sentendole pronunciare
quelle parole, inclinò la testa come a capire se stesse
dicendo sul serio,
incredulo: “Qual è la tua arma?”
domandò il Dio.
“Non
ho un’arma. Non so
combattere con quelle…”.
“E
allora con cosa combatti?”.
“Con
la magia”.
“Bene.
Interessante. Vediamo
un po’ che cosa ne salta fuori…fammi divertire, mi
raccomando!”.
La
divinità creò un cerchio
magico, in modo che gli altri nove non potessero intervenire o
interferire in
alcun modo.
Dapprima
i due sfidanti si
studiarono. Lehelin cercava di avvicinarsi il più possibile
all’ombra di
Mihael, per poter comunicare con lei. Il Dio, nel frattempo, roteava la
sua spada
con estrema facilità, nonostante le sue notevoli dimensioni
e l’indubbio peso. L’Oscurità
si chiese se le sue abilità d’incantatrice
potevano essere sfruttate anche con
un Dio.
Mihael
scattò in avanti,
velocissimo nonostante l’armatura. Lehelin riuscì
solo all’ultimo istante a
schivare quel fendente, rotolando di lato. L’ombra della
divinità la sfiorò ma
si ritrasse subito, impedendole di contrattaccare. Era evidente che
fosse in
grado di muoversi autonomamente e che Mihael era a conoscenza delle
tecniche di
combattimento della mortale. L’Oscurità, non
sapendo che fare, tentò di
schivare ogni colpo, preoccupata da quella spada gigante. Sfiorandola,
era
stata in grado di ferirla, anche se solo lievemente. Lehelin
ringhiò. Non
voleva soffrire per la salvezza di Asteria! Per quale motivo avrebbe
dovuto?!
L’ombra di Mihael le parlava. Ridacchiava e la derideva,
saltellando in modo
indipendente rispetto ai movimenti del suo padrone.
L’Oscurità si ritrovò alle
strette, non sapendo cosa fare, avendo un pazzo con la spada davanti a
sé ed
un’ombra strafottente alle spalle. Si raggomitolò
su se stessa, scivolando di
lato. Il Dio sorrideva, roteando la spada in aria, lasciando il tempo
all’avversaria si rialzarsi. Lei si insospettì
davanti a quel gesto. Si girò e guardò
la divinità con fare interrogativo.
“Kaos
mi ha detto di non
ucciderti” spiegò Mihael.
Lehelin
non capì, chiedendosi
perché il suo Dio non volesse la sua morte. Capì
che non poteva sconfiggere chi
aveva di fronte e sbuffò, trovando fastidiosamente familiare
la situazione.
Riuscì a sfiorare solamente l’armatura, che subito
la fece allontanare con un
fendente che le ferì il braccio. Poi Mihael si mosse
nuovamente, assieme alla
sua ombra, bloccando la sua avversaria.
“Ma…avevi
detto che non dovevi
uccidermi!” mormorò lei, spaventata nel vedere
quella spada enorme a pochi
centimetri da lei, mentre l’ombra del Dio la tratteneva.
“Di
fatti non ti uccido. Mi
sono divertito e questo mi basta. Era ovvio che non potessi battermi in
un
combattimento. Sono il Dio della Guerra, santo me stesso! Mica un pirla
qualsiasi!” rise Mihael.
“Quindi
sapevate già come
sarebbe andata a finire?”.
“Sì.
E sapevo anche che
saresti stata tu la mia avversaria”.
“E
come mai Kaos non vuole che
io muoia?”.
“Questo
non lo so. Lo saprai,
prima o poi, immagino…”.
“E…quindi…?”.
“Quindi
avevo già deciso che
ti avrei dato l’oggetto proibito, ma volevo passare il tempo.
Non avevo mai
combattuto con una creatura come te prima d’ora”.
Detto
questo, tirò la
catenella che aveva al collo, estraendola da sotto la corazza. Appesa
ad essa
stava un anello nero e argentato, molto grosso e con incisioni magiche.
“Quello
è l’oggetto
proibito?”.
“Proprio
questo, mia cara
amichetta di Kaos”.
Sganciò
la catenella e la
porse alla mortale. Lei, dapprima titubante, allungò la mano
e tenne sospesa
fra la nebbia delle sue mani.
“Quello
amplificherà le tue
possibilità” spiegò il Dio
“Ti renderà materiale, con un corpo fisico e
solido,
oppure il contrario. Sarai totalmente incorporea. La cosa ti
alletta?”.
Lehelin
sorrise ed annuì.
Fissò l’anello e se lo rigirò fra le
mani, incuriosita e soddisfatta. Il
cerchio magico in cui si erano scontrati scomparve, permettendo agli
altri nove
viaggiatori di avvicinarsi. Thuwey era in adorazione, fissando il Dio
del suo
popolo con grandi occhi ramati.
“Non
fissarmi come un pesce
fesso!” lo rimproverò Mihael.
Il
Metallo si scosse, non
riuscendo a credere di avere la sua divinità così
vicina.
“Spero
di rivedervi presto,
ragazzi. Ora, però, andate. Io vado a farmi quattro
chiacchiere con il Dio
dell’Aria, il caro Loreatehenzi” parlò
Mihael, rinfoderando la spada.
Nessuno
sapeva esattamente
cosa dire. Si limitarono a fare un cenno con la testa, mentre la
divinità si
allontanava, con un gran rumore di ferro che sbatte.
Camminando
lungo il sentiero,
costellato da alberi argentati e piccoli villaggi, capirono dopo
pochissimo che
qualcosa non andava. C’era un insolito silenzio. Ed
un’insolita calma. Thuwey
incitò il gruppo ad aumentare il passo, per precauzione. Si
udì un grido e
Reishefy, che chiudeva la fila, era scomparsa.
“Reishefy!
Dove sei?” la
chiamò Hanjuly.
L’Elettricità
era tenuta
stretta da Innavoig, mezzosangue di Terra e Roccia, che le chiudeva la
bocca
con la mano, ignorando le scosse che lanciava la ragazza. I nove
tornarono
indietro di qualche passo e si ritrovarono nella stessa situazione.
Danjell,
Kire e Semar presero Hanjuly, Enki ed Idisi, sfruttando la loro parte
di DNA di
Fuoco, indebolendole all’istante con il calore trasmesso.
Anyram bloccò ogni
mossa a Kassihell, usando il gelo del Ghiaccio. Omokaig, in parte di
Luce,
lanciò un fortissimo lampo ed accecò Lehelin,
facendole perdere i sensi. Roary,
per metà d’Oscurità, avvolse Efrehem e
ne catturò l’energia. Questi svenne,
come la sua compagna di viaggio. Neziar, usando
l’elettricità, tramortì il
Metallo. Arual, sollevandolo in aria, immobilizzò
Mattehedike ed infine Araik,
per metà Terra, avvolse Aherektess fra le fronde vegetali
che controllava.
Questo attacco produsse in tutti lo stesso risultato: dopo pochi
istanti, erano
tutti privi di forze e lucidità.
La
prima a risvegliarsi fu
Hanjuly. Si sentì molto strana e non a torto: era appesa a
testa in giù per le
caviglie, con i polsi legati dietro la schiena. Le bastò
poco per capire che
anche tutti gli altri suoi colleghi erano nella stessa situazione,
tranne
Lehelin che era avvolta da luce pulsante da ogni angolo. Il Ghiaccio si
dimenò
un po’, furiosa perché non aveva tutte le sue cose
con sé e non le vedeva nella
stanza. Era una sala piuttosto spoglia, con poche finestre ed una porta
grigia,
che scompariva sulla parete dello stesso colore. Il pavimento ed il
soffitto
erano quasi neri, lucidi. Probabilmente, pensò Hanjuly,
erano fatte di un
qualche tipo di metallo e quindi non si erano allontanati dal regno
nativo di Thuwey.
Si disse che, in fondo, erano solo supposizioni e che
l’importante era
svegliare i suoi compagni. Su una sedia, l’unico arredamento
della stanza,
stava seduto Innavoig, un ragazzo col codino biondo vestito di verde
con
spuntoni di roccia lungo il corpo. Leggeva un libro e girò
solo distrattamente
gli occhi, quando Hanjuly lo chiamò.
“Chi
sei tu?” lo apostrofò
“Dove mi trovo?”.
Il
mezzosangue non rispose. Il
Ghiaccio si arrabbiò per questo ed iniziò ad
urlare, sperando di risvegliare i
suoi compagni.
“Cos’è
tutto questo casino?!”
sbottò Kire, entrando di corsa nella stanza.
“Si
è svegliata la biondona”
rispose Innavoig, senza togliere gli occhi dal libro.
Kire
si avvicinò al Ghiaccio,
con calma: “Non agitarti. Non costringermi a far venire qui
il mio gemello
cattivo” le disse.
“Vaffanculo,
sanguemisto!”
sibilò lei, sputandogli in faccia.
“Come
vuoi” si limitò a dire
“Innavoig, resta qui ancora per un po’. Ti mando
Semar appena possibile.
Elehcim non resterà lontano a lungo. Se fanno troppo casino,
imbavagliali!”.
I
due mezzosangue si fissarono
per un istante e poi Kire uscì, senza aggiungere altro.
I
viaggiatori iniziarono a
riprendersi, uno dopo l’altro.
“Dove
avete messo tutti i
nostri oggetti proibiti?” gridò Kassihell, appena
si accorse di non portare più
il suo al collo.
“Lasciateci
andare!” sbraitava
Thuwey.
“Mi
va il sangue alla testa!”
piagnucolò Reishefy.
“Sarebbe
la prima volta…”
sbottò Mattehedike.
Ognuno
di loro portava dei
bracciali arancio. Non ci misero molto a capire che erano quelli a
risucchiare
la loro energia ed impedirgli di usare la loro magia per liberarsi.
L’unica
senza quelle precauzioni era Lehelin, perché totalmente
immobilizzata dalla
luce che l’avvolgeva. A causa di questo, si era rimpicciolita
e restava
immobile, raggomitolata. Era l’unica in silenzio. Gli altri
nove, al contrario,
urlavano e si agitavano, tentando di liberarsi.
Semar,
appena entrò,
imbavagliò Reishefy ed Hanjuly, quelle con la voce
più fastidiosa, e poi iniziò
a giocare a carte con Innavoig.
“Che
intenzioni avete?”
domandò Efrehem “Tenerci qui fino a quando? Che
volete? E dove avete portato i
nostri oggetti proibiti?”.
“Stai
buono, nanerottolo!
Altrimenti imbavaglio pure te!” rispose Semar.
Passò
diverso tempo prima che
la porta della stanza si riaprisse. Entrò Elehcim, con gli
immancabili occhiali
da sole ed il ghigno soddisfatto.
“Com’è
la situazione qua?”
domandò e Semar sorrise.
“Sono
tutti tuoi” gli rispose.
Elehcim
camminò, con le mani
dietro alla schiena, fino all’Oscurità:
“Ciao Lehelin. Chi non muore, si
rivede!” disse, chinandosi e tirandole su la testa di peso,
costringendola ad
essere inondata di luce.
“Ciao”
gemette lei, senza
riuscire a dire altro.
“Chi
è questo qui?” le domandò
Aherektess “Che vuole?”.
“Chi
sono e che cosa voglio
puoi chiederlo direttamente a me, piumino per la polvere ambulante! Ci
sento
benissimo e sono in grado di parlare!” sibilò
Elehcim, continuando a stringere
fra le mani piene di magia un grosso ciuffo di capelli fumosi
dell’Oscurità.
Il
suo potere era amplificato
in quella stanza di metallo e riuscì perfino a graffiarle il
viso, modificando
le dita in modo da renderle taglienti. Sorrise quando vide il liquido
nero
sgorgare.
“Che
intenzioni hai?!” ringhiò
Thuwey.
“Non
di uccidervi, se è questo
che vuoi sapere. Purtroppo agli Dèi state simpatici. Voglio,
però, offrirvi una
scelta” spiegò, portandosi gli occhiali scuri fra
i capelli, mostrando ai
presenti le sue iridi rosse come il fuoco.
Kassihell
lo fissava negli
occhi, trovandoli familiari e fastidiosi, con sfida.
“Noi
siamo mezzosangue…”
continuò a parlare Elehcim “…e,
ovviamente, non vogliamo che continuiate questo
viaggio. I motivi direi che sono più che ovvi:
sopravvivenza! Vi sarete resi
conto che avremmo potuto eliminarvi, ma non lo abbiamo fatto. Non vi
vogliamo
morti…semplicemente tornatevene a casa, da bravi, e ci
renderete felici. Vi
offro la libertà, in cambio della vostra rinuncia
all’evocazione. In caso non
accettiate, rimarrete attaccati lì fino a quando ne
avrò voglia. Ovviamente, se
mi annoierò, troverò il modo di passare il tempo
con voi. Gli Dèi non vogliono
vedervi morti…ed io non vi ucciderò! Nessuno di
noi vi ucciderà ma…esistono
cose peggiori!”.
I
compagni rimasero in
silenzio, senza sapere bene cosa dire.
“I
vostri oggetti proibiti li
abbiamo noi, al sicuro, e non li riavrete. A voi la scelta: o tornate a
casa, e
dimenticate questa storia, oppure fate i prosciutti viventi fino a
quando la
cosa vi stancherà. Vi lascio il tempo di pensarci. Dormiteci
su…se ci riuscite!
Buonanotte, Lehelin!”.
Le
lanciò uno sguardo d’odio e
soddisfazione nel vederla lì, immobile, ed uscì
dalla stanza, ridendo. Fuori
era buio ormai ma i viaggiatori, capovolti com’erano, di
certo non avrebbero
dormito.
Uscendo
lungo il corridoio,
Elehcim sbadigliò, stanco. Era molto tardi ed il suo
cervello non gli dava
tregua, con mille pensieri, dubbi, rabbia e follia. Non dormiva in modo
decente
da giorni. Camminò senza incrociare nessuno, erano quasi
tutti a letto da
tempo. Si trovavano in uno di quegli edifici in cui i mezzosangue
trovavano
rifugio, in buona parte sotterraneo e celato agli sguardi. Erano stati
stabiliti dei turni di guardia, i viaggiatori erano sorvegliati e non
avrebbero
potuto mai fuggire. Nonostante questo, Elehcim non era tranquillo.
Entrò nella
sua stanza lentamente, attento a non svegliare Orebrec che dormiva
placidamente
sul pavimento. Aveva fatto portare gli oggetti proibiti proprio
lì, fidandosi
dell’infallibile fiuto del suo animale, che aprì
un occhio per controllare chi
fosse entrato.
“Dormi,
Orebrec” lo tranquillizzò
il padrone.
Nel
buio, prese fra le mani la
catenella con l’anello di Mihael. Se lo rigirò fra
le dita, ancora sporche del
sangue nero di Lehelin. L’oggetto si macchiò ed
Elehcim lo ripose sul comodino
scuro, ripromettendosi di pulirlo il giorno successivo. Ora era troppo
stanco
perfino per quello. Scaraventò il cuscino in terra, con
rabbia, perché troppo
morbido. Si addormentò profondamente non appena si distese.
Così facendo, non
si accorse che l’anello, percependo l’essenza della
sua custode, si era
attivato e fluttuava nell’aria. Senza emettere un suono,
senza tintinnare,
evitando di svegliare Orebrec, uscì da quella camera tramite
una piccola
fessura fra il pavimento e la porta. Non si fermò
finché, avvolto dal buio e
del tutto invisibile, riuscì a tornare al collo della sua
portatrice Lehelin.
“Ma
che…?!” borbottò Thuwey,
sentendo un tintinnio strano ed intravedendo uno scintillio argentato
al collo
dell’Oscurità.
Lei
era altrettanto stupita.
Nel momento stesso in cui l’anello le toccò la
pelle, il corpo di nebbia iniziò
a mutare, divenendo solido e lucido, e la luce non la
infastidì più. In un
attimo, fuggì dal cerchio di luminosità pulsante
e fu libera. Sorrise. Si
guardò attorno e vide che Semar, il mezzosangue che avrebbe
dovuto sorvegliarli,
dormiva placidamente, con il colletto della maglia alzato fino a
metà del viso.
“Ora
vi libero” sussurrò
Lehelin, rivolta ai suoi compagni “Fate piano”.
Uno
dopo l’altro, tutti i
dieci viaggiatori furono liberi ed in terra.
“E
adesso?” mormorò Hanjuly,
mentre il corpo dell’Oscurità tornava al solito
aspetto.
“Usciamo…non
vedo alternative”
rispose il Metallo, invitando tutti a togliersi i bracciali di
contenimento
della magia che portavano ai polsi.
Kassihell
aprì cautamente la
porta e guardò fuori. Il corridoio era deserto e fece segno
agli altri di
seguirlo, con cautela.
“E
gli oggetti proibiti?”
domandò Efrehem.
“Dobbiamo
trovarli…concentratevi! Forse vi lanceranno dei
segnali…” sussurrò Aherektess.
“Come
abbiano fatto a togliere
i miei bracciali, resta un mistero…”
borbottò Thuwey.
Camminavano
lentamente, nel
silenzio totale, quando un profondo latrato li fece sobbalzare. Orebrec
li
aveva percepiti e stava avvisando il suo padrone. Era lontano, forse
proveniva
dal fondo del corridoio, mentre l’uscita, la vedevano, era
dalla parte opposta.
“Che
facciamo?” piagnucolò
Enki.
“Presto
questi si
sveglieranno. Usciamo…torneremo a riprenderci ciò
che è nostro quando sarà più
sicuro” ordinò il Metallo, non ammettendo
repliche.
“Non
possiamo combattere?”
sbottò la Roccia.
“Non
sappiamo nemmeno quanti
sono!” gli rispose Kassihell “Presto,
andiamocene!”.
Iniziarono
a correre quando
una raffica di spuntoni di metallo e fuoco sfiorò la
compagnia. Nessuno venne
colpito ma si immobilizzarono, girando la testa di scatto.
“Dove
credete di andare?!”
tuonò Elehcim, con ancora le mani appoggiate lungo le pareti
metalliche da cui
aveva ricavato gli spuntoni.
“Ancora
questo qui?! Sta
iniziando ad infastidirmi!” sibilò il Fuoco
“Lasciatelo a me!”.
“La
tua spada non può ferirlo,
è per metà Metallo” disse Thuwey,
notandone l’aspetto “Ed il tuo elemento tanto
meno. Ti ucciderebbe”.
“Ci
penso io” parlò
l’Oscurità.
“Cosa
hai in mente?” le
sussurrò Aherektess.
“Stai
a guardare…”.
“Ma
sei ancora debole e di
dimensioni ridotte a causa della luce!”.
“Sono
abbastanza grande per
fare ciò che ho in mente!”.
Il
sanguemisto richiamò le
fiamme, che ricoprirono le sue mani. Inferocito, iniziò a
correre. Lehelin non
disse nulla, ma fece altrettanto. Anche lei corse, fra lo stupore degli
altri
nove viaggiatori.
“La
ucciderà!” esclamò
Reishefy “Il contatto diretto con la luce delle fiamme la
dissolverà!”.
Correndo,
entrambi lanciarono
un grido sempre più alto fino a quando non si incontrarono.
L’Oscurità strinse
fra le mani il suo oggetto proibito qualche secondo prima, e scomparve.
Elehcim
si contorse,
piegandosi prima in avanti e poi all’indietro. Tutto il suo
corpo si mosse
convulsamente, come senza controllo, e poi si fermò,
leggermente chinato in
avanti. Si rialzò, lentamente, guardandosi le mani. Sorrise,
trionfante,
muovendo la testa a destra ed a sinistra per sciogliere i muscoli del
collo.
“Che
cosa è successo?! Dov’è
Lehelin?!” domandò Enki.
“Ciao
ragazzi” salutò il
sanguemisto, mostrando le tre ombre proiettate sul muro: quella
centrale era quella
dell’Oscurità.
“Che
le hai fatto, mostro?!”
urlò Aherektess.
“Abbassa
la voce! Ragazzi,
sono io! Lehelin! Ho preso il controllo del corpo
dell’avversario, grazie
all’oggetto proibito” parlò Elehcim.
“Provalo!”
rispose Hanjuly,
sospettosa “Provami che non è tutto un
trucco!”.
“Come?”.
“Non
lo so. Come vuoi…ma
fallo!”.
“Non
posso. Fidatevi. E
seguitemi. Vi porto dove sono gli oggetti proibiti. Facciamo
presto…quest’uomo
ha un casino in testa, è difficile da
controllare!”.
Elehcim
posseduto partì
spedito lungo il corridoio. Gli altri lo seguirono, non vedendo
alternative.
Camminarono senza incontrare nessuno.
“Possibile che non si svegli nessuno?! Razza di
sordi…” protestava
il mezzosangue, nella sua testa.
“Si vede che sono abituati a sentirti dare i numeri!”
commentò
Lehelin, sempre mentalmente.
“Non ti porterò dagli oggetti proibiti!”.
“Tranquillo, che non mi serve la tua collaborazione!”.
La
volontà di Elehcim, per
quanto si sforzasse, non riusciva a sovrastare il potere
dell’oggetto proibito
che lo possedeva.
Raggiunsero
la camera. Con
naturalezza, il sanguemisto estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca e
l’aprì.
Appena entrati, Orebrec iniziò ad abbaiargli contro,
percependo che quello non
era totalmente il suo padrone.
“Chiudi
la bocca!” sibilò
Elehcim ed inaspettatamente l’animale obbedì
“Voi prendete gli oggetti proibiti
ed il resto. Io rimango sulla porta, nel caso arrivi qualcuno. Fate
presto!”.
Ognuno
trovò la propria roba,
Thuwey prese anche la borsa di Lehelin.
“Ci
siamo. Possiamo andare”
informò Idisi e la compagnia uscì, stando attenti
a non fare rumore.
La
mente di Elehcim combatteva
con tutte le sue forze per contrastare il controllo di Lehelin, che
però aveva
dalla sua parte il sostegno degli Dèi. Il gruppo
uscì lungo il corridoio,
deciso a guadagnare l’uscita. Lehelin si stava divertendo un
sacco. Non era
abituata ad un corpo fisico e la sensazione che dava il fatto di
sentire ogni
cosa in modo diverso le piaceva. Le piacque perfino quando, uscendo
dalla
camera, sbagliò il controllo delle gambe e
picchiò contro la porta con il
piede, violentemente. Elehcim bestemmiò mentalmente,
avvertendo la scossa di
dolore. L’Oscurità ignorò la sua voce e
sorrise, sperimentando diversi
movimenti con gli arti. Saltellò, provando ogni movimento
del corpo, ignorando
le proteste che le rimbombavano in testa e che le ricordavano a chi
appartenesse quel corpo e che non gradiva romperlo.
“Come
fate davvero non lo so…”
mormorò Lehelin “…siete così
goffi, voi fisici”.
Proseguendo,
incrociarono due
sanguemisto. Si tenevano per mano e si sorridevano, ridacchiando. Erano
Danjell
e Roary. Elehcim ed il gruppo passarono oltre.
L’Oscurità percepì vagamente una
scarica di fastidio nella testa ma ignorò la cosa.
“Ele?
Tutto bene?” parlò
Roary.
Lehelin
non rispose.
“Sei tu Ele, scema!”
borbottò il mezzosangue posseduto, mentalmente.
“Sì,
tutto bene. Perché?”
parlò, allora, con il tono piatto e distaccato che gli aveva
sentito usare.
“Non
ci dici niente…”.
“Che
cazzo dovrei dirvi?!”.
“Di
solito commenti sempre
quando ci vedi assieme…”.
“Ho
altro per la testa. Fate
quello che volete!”.
“Dove
porti i prigionieri?”
domandò Danjell, cambiando argomento.
“Fuori.
Come vedi, manca uno
di loro ed è perciò impossibile che portino a
termine la loro missione”.
“Cos’hai
combinato questa volta?!”.
“Mi
son fatto prendere la
mano” ghignò Elehcim.
Non
disse altro e si avviò
verso l’uscita, seguito dagli altri nove compagni.
“Andiamo
a chiamare Kire…la
cosa mi insospettisce” disse Roary, sottovoce.
“Pure
a me la cosa puzza.
Andiamo” concordò Danjell, senza lasciarle la mano
ed avviandosi verso le
camere, in cerca del loro capo.
“Sei geloso! A momenti ci beccavano
perché lo sei!” protestò
Lehelin.
“Son tutte
paranoie e
stronzate! Cosa vuoi che me ne freghi se quei due stanno assieme?!”
fu la
risposta, ma l’Oscurità capiva che stava mentendo.
Riusciva
a leggerne ogni
pensiero e ricordo, ed era certa che lui riuscisse a fare altrettanto.
“Elehcim!”
chiamò qualcuno.
“Che
altro c’è adesso?!”
sbottò Kassihell.
“Kire…non
dormi?” domandò il
posseduto.
Il
gemello era spettinato ed
avvolto in un mantello stropicciato. Era evidente che fosse stato
buttato giù
dal letto di colpo.
“Dove
li stai portando? Non
erano questi gli accordi!”.
“Lo
so, Kire, ma vedi…la
mostricciattola dell’Oscurità non
c’è più.
Perciò…”.
“Che
hai fatto?! Sei impazzito
del tutto?!” interruppe il gemello.
“Ti
avevo detto di lasciarla a
me…”.
“Sì,
è vero, ma non pensavo…”.
Kire
non finì la frase. Si
avvicinò al gemello, circospetto. Lehelin rimase calma,
stando attenta ad ogni
dettaglio. Incrociò le braccia del corpo di Elehcim ed
alzò leggermente la
testa.
“Tu
chi sei?” domandò Kire.
“Sono
tuo fratello, coglione!”
sbottò il posseduto.
“Io
conosco bene il mio
gemello, e non sei tu. Lui, nonostante tutto l’odio e la
rabbia che ha dentro
di sé, come tutti noi sanguemisto del resto, era
d’accordo sul fatto di non
uccidervi!”.
“Mica
tanto…”
pensò Elehcim “…comunque…”.
“Tu
non sei mio fratello. Chi
cazzo sei, dunque?”.
Ci
fu silenzio per qualche
istante, in cui il posseduto ghignò.
“Suvvia,
sono io! Sono
Elehcim! Fammi pure tutte le domande che vuoi!”.
“Tu
sei l’incantatrice, ne
sono sicuro!”.
“Sono
Elehcim…”.
“Chi
sono i nostri genitori?”.
Lehelin
sorrise e sfogliò, in
fretta, le pagine della memoria di Elehcim, in cerca della risposta.
Trovandola,
non riuscì a trattenere un “Oddio!” di
stupore.
“Chi
sei?!” sbraitò Kire.
Hanjuly
scattò in avanti e
puntò la sua arma contro la gola del posseduto,
ghiacciandola.
“Lasciaci
andare!” sibilò “Se
non vuoi che lo uccida!”.
Kire
non sapeva cosa dire. Era
immobile, spaventato e confuso.
“Io
sono Lehelin, è vero…”
parlò l’Oscurità, con la sua vera voce
“…con un cenno, la mia compagna di
viaggio affonderà quella lama ghiacciata nella gola del tuo
gemellino. Io non
subirei danni e tu…avresti un funerale da celebrare!
Lasciaci andare ed io
uscirò dal corpo di tuo fratello, o preferisci che lo uccida
ordinando al suo
cuore di esplodere?”.
“No,
ti prego!” si affrettò a
dire Kire “Mio fratello è tutto ciò che
ho”.
“Stupido! Non lasciarli
andare!!” gridava Elehcim, nella sua testa
“Stupido! Non conta la mia sorte! Si
sono ripresi gli oggetti proibiti,
non lasciarli proseguire!”.
“Siete
liberi di andare” parlò
il sanguemisto “Prometto che nessuno di noi vi
seguirà. Siete liberi.
Andatevene. Però ridatemi mio fratello”.
“Abbiamo
la tua parola?”
mormorò Kassihell, poco convinto.
“Parola
d’onore. Vi lascio
andare. Avete vinto…”.
“Ricorda
che, se non mantieni
fede alla promessa che ci hai dato, la prossima volta che incrocerai il
mio
sguardo, qualunque sia la circostanza, darò ordine al tuo
cuore di fermarsi”
minacciò Lehelin.
“Ho
capito. Non succederà”.
Il
gruppo, spalancando la
porta verso l’esterno, cominciò ad uscire. Kire
diede ordine alle guardie che
la sorvegliavano di farli passare. L’ultima della fila fu
Lehelin nel corpo di
Elehcim. Si girò e chiuse gli occhi. Il sanguemisto e
l’Oscurità si staccarono.
Lui fu fiondato all’indietro e cadde in terra, in malo modo.
“Cazzo!”
mormorò, tossendo per
riprendere il controllo del suo corpo.
Nel
frattempo, i dieci
prescelti del regno di Asteria sparivano all’orizzonte, a
passo svelto.
“Come
stai?” domandò,
preoccupato, Kire.
“È
stata l’esperienza più
traumatica della mia vita ma, per il resto…sei un
coglione!” protestò Elehcim,
senza rialzarsi “Perché li hai lasciati andare?!
Restano solo due oggetti
proibiti e poi saranno in grado di effettuare l’evocazione e
portare a termine
la missione! Apparirà la Creatrice e saremo annientati,
distrutti! Dovevi
lasciare che mi uccidessero e tornare a catturarli!”.
“Non
potrei mai fare una cosa
del genere! Preferirei morire con te accanto, piuttosto che vivere a
lungo
senza il mio gemello. Siamo sempre stati legati. Non faresti lo
stesso?”.
“Hai
condannato tutta la
nostra specie!”.
“Noi
non abbiamo una specie! E
poi…non è detto!”.
“È
dettissimo, invece! Sei un
pazzo! Un idiota!”.
“Dì
quello che vuoi. Ormai è
fatta. Ora và a letto e sfrutta le ultime ore prima
dell’alba per riposare. Ti
farà bene darti una calmata!”.
Elehcim
guardò il gemello con
odio, mentre questi si allontanava verso le camere. Dietro di lui,
Danjell e
Roary, desiderosi di verificare se la loro intuizione era esatta,
fecero lo
stesso. Molti altri sanguemisto si erano svegliati, a causa del rumore,
ma non
dissero nulla, intimoriti dagli occhi infuocati del gemello di Kire.
“Maledetti…”
mormorò Elehcim,
rimanendo seduto in terra ancora un po’.
†††
“Sei
stata davvero ingegnosa”
parlò il Fuoco, mentre correvano, rivolto
all’Oscurità.
“Merito
del mio oggetto
proibito” rispose lei.
“E
dell’idea geniale di
Hanjuly!” concluse Efrehem.
“Grazie!”
rise il Ghiaccio.
“Nella
testa di quel
mezzosangue…” iniziò Lehelin, rivolta
al Metallo “…ho visto che hanno un
potente esercito, pronto ad attaccare. Sono in molti e sono forti.
Credo
sarebbe meglio avvisare la tua gente…”.
“Il
castello è di strada”
rispose Thuwey “Mi basterà passarci ed avvisare i
soldati sotto il mio comando.
Così facendo, i militari del regno saranno allertati e
pronti”.
“Non
è che, magari, possiamo
riposarci, nel frattempo?” ansimò Enki.
“Siamo
sufficientemente
lontani da loro, mi sembra…” si aggiunse Efrehem.
“A
me sta bene. Montiamo dei
turni di guardia, però!” rispose il Metallo.
“Ci
penso io. Non sono affatto
stanca!” esclamò Lehelin, sentendosi finalmente
utile.
Protetti
da una radura
argentata, i viaggiatori si ristorarono, procurandosi del cibo fra gli
alberi e
lungo il fiume che scorreva lì vicino. Si lavarono,
mangiarono e poi crollarono
addormentati. L’Oscurità guardò gli
sposi della notte tramontare, con un
sorriso sulle labbra.
Al
sorgere di Sirona, Lehelin
era seduta all’ombra di un albero. Capì subito chi
era quell’uomo che si stava
avvicinando: “Vattene, due ombre. Torna indietro”
gli disse, quando fu
abbastanza vicino.
Aveva
le mani sporche di
sangue. Doveva aver sfogato parte della sua rabbia su qualche
malcapitato che
aveva tentato di fermarlo o farlo ragionare. O, semplicemente, che
aveva
inavvertitamente incrociato la sua strada.
“Nessuno
può farmi ciò che mi
avete fatto e sperare di passarla liscia!” le rispose, irato,
Elehcim.
“Sei
solo. Noi siamo in dieci.
Se li sveglio, ti uccideranno. Torna in te e torna indietro,
è meglio”.
“No”.
“Io
non voglio dare l’allarme.
Non voglio la tua morte. Torna a casa”.
“Non
mi muovo da qui. E
nemmeno voi. A costo di ridurre in pezzi ogni oggetto proibito a
morsi!”.
Aherektess,
il membro della
compagnia con l’udito più fine, percepì
il vociare dei due e si svegliò. Dalla
cima dell’albero su cui era appollaiato,
stropicciò gli occhi e guardò giù.
Riconobbe subito colui che stava parlando con Lehelin e scese in
picchiata, frapponendosi
tra lui e lei, spade in pugno. Le puntò entrambe contro il
sanguemisto, che lo
fissò, senza espressione.
“Sono
per metà Metallo. Non
puoi farmi nulla con le tue armi” si limitò a dire.
L’Aria
non rispose: “Stai
bene, Lehelin?” domandò.
“Benissimo.
Posa le spade.
Sono certa che uno scontro diretto non è
necessario”.
“Parla
per te!” sibilò
Elehcim, evidentemente fuori controllo ed alterato da rabbia e
frustrazione.
Richiamò
a sé il potere del
fuoco e lo lanciò. Aherektess abbassò
l’Oscurità appena in tempo. Kassihell,
percependo l’uso del suo elemento, si svegliò e
mise in allarme gli altri.
“Di
nuovo tu?! Cazzo, che due
coglioni!” sbottò, arrabbiato per essere stato
svegliato.
“Vattene,
ora che ancora puoi”
suggerì, di nuovo, Lehelin.
Il
mezzosangue non si mosse.
Incrociò le braccia e fissò
l’Oscurità senza parlare.
“Questa
volta non torni a
casa, bello!” lo minacciò Mattehedike.
“Non
tutto intero, perlomeno!”
precisò il Fuoco.
“Oh,
no di certo! Con te ci
divertiremo un po’!” sghignazzò Reishefy.
“Calmi,
ragazzi!” si stupì
Idisi “Così passiamo dalla parte del torto!
È da solo…”.
“Non
perdete tempo con inutile
pietismo. Io sono pronto ad affrontarvi…uno dopo
l’altro!” mormorò Elehcim,
ghignando.
“Tu
sei pazzo!” commentò
Hanjuly e lui, di tutta risposta e velocissimo, lanciò una
piccola fiammata
contro di lei.
“Tu
mi hai rotto!” sbottò
Kassihell, sfoderando la Katana, e correndo contro al sanguemisto.
Questi
mutò le sue braccia,
facendole divenire due lunghe spade, ed iniziò a combattere.
Non aveva una
tecnica buona come quella del Fuoco ma, anche se veniva colpito, il suo
corpo
non veniva ferito e nemmeno scalfito. Efrehem tentava di far notare la
cosa al
suo compagno di viaggio, inutilmente.
“Vai
a casa, mezzosangue, se
non vuoi che il nostro attacco sia combinato!” lo
minacciò il Ghiaccio, con la
sua arma fra le mani.
“Non
vedo l’ora!” rispose il
sanguemisto.
“L’hai
voluto tu…” sospirò
Aherektess.
†††
“Elehcim!
Fai star zitto il
tuo dannato animale!” tuonò Roary, battendo
violentemente sulla porta della
camera del suo collega.
“Calmati…”
tentò di
tranquillizzarla Danjell, passandole una mano lungo il braccio
più volte.
Orebrec
continuava a latrare
contro la finestra da cui il suo padrone era uscito.
“C’è
qualcosa che non và. Di
solito Elehcim non lo lascia abbaiare senza motivo!” disse
Danjell.
Tentò
di aprire la porta,
girando il pomello d’ottone. Sapeva che il suo collega era
paranoico e dormiva
chiudendosi a chiave. Quando l’uscio si mosse, si accorse che
qualcosa non
andava. Entrò nella camera, buia e fredda per via della
finestra spalancata, ed
Orebrec si calmò.
“Qui
non c’è nessuno!” esclamò
il sanguemisto.
“Dev’essere
andato dietro ai
dieci rompimaroni…” commentò Roary.
Kire
camminava lungo il
corridoio, in preda all’insonnia e desideroso di mantenere un
controllo sul
gemello. Non aveva previsto che potesse scappare dalla finestra. Non lo
credeva
così folle. Capì al volo l’accaduto,
non appena Danjell e Roary uscirono dalla
camera.
“Quell’idiota
è corso dietro
ai prescelti…” mormorò, incredulo.
Senza
dire altro, entrò rapido
nella camera del gemello. Salì in groppa ad Orebrec e lo
incitò affinché
uscisse all’aperto.
“Dove
vai?” domandò Roary.
“A
riprendermi colui che possiede il mio stesso DNA”
sbottò e corse via,
illuminato da Sirona.
†††
Elehcim
pareva divertirsi. I dieci non volevano ucciderlo, ma lui non demordeva
e si
faceva sempre più violento. Idisi richiamò la
magia della Terra e lo
immobilizzò, avvolgendolo di rami, radici e foglie
d’argento. Quelle piante
erano irte di spine, ma graffiavano solamente la pelle del mezzosangue,
che le
bruciò con facilità, liberandosi. Mattehedike
controllò la roccia e tentò di
fermarlo. Il calore che riusciva a richiamare Elehcim, però,
lo sciolse
rapidamente da quella morsa. Enki sfruttò l’acqua
ed Hanjuly il ghiaccio. Il
sanguemisto sentì pungere la pelle e qualche piccolo graffio
apparve qua e là
lungo il suo corpo. Perse solo qualche goccia di sangue argento.
Lehelin non
faceva nulla. Per lei, per quanto potesse essere pieno di rabbia e
determinato,
non meritava di morire, pur essendo consapevole che, se non lo avessero
ucciso
loro, sarebbe stato lui ad uccidere qualcuno del gruppo con la sua
follia
omicida.
“Solo
con un attacco combinato potete sperare di fargli del
male…” disse Efrehem,
rimanendo pure lui al di fuori di quello scontro.
Hanjuly
guardò Aherektess ed i due si capirono al volo. Enki
lanciò acqua contro
l’avversario, mista all’elettricità di
Reishefy. Elehcim gemette, sentendo
sfrigolare la pelle e lo scorrere delle scosse lungo il suo sangue
metallico.
Aherektess individuò i punti in cui erano penetrati gli
elementi delle sue
compagne ed indirizzò lì, a forte
velocità, le punte di ghiaccio create da
Hanjuly. Queste si piantarono in profondità. Il mezzosangue
si fermò, con tutte
quelle stalagmiti sul corpo. Socchiuse gli occhi, concentrandosi. Si
scaldò e
le punte si sciolsero, lentamente. Ferito, con un inconfondibile sapore
metallico in bocca, non smise di attaccare. Gridando, riprese a
lanciare palle
di fuoco. I viaggiatori erano sconcertati da quel comportamento.
“Asteria
è condannata. Moriremo tutti, in qualunque modo vada la
vostra missione. Ormai
è tardi…” sbiascicò,
sputando sangue “…è tardi! Moriremo
tutti. Moriranno i
mezzosangue, moriranno i sanguepuro, morirò io, morirete
voi…BUM!”.
Sanguinando
copiosamente, riusciva comunque ad attaccare in modo pesante ed i
viaggiatori
dovevano stare molto attenti. Enki, Idisi, Reishefy ed Hanjuly furono
le prime
a farsi colpire, probabilmente perché si stavano stancando
nella lotta. Thuwey si
teneva a debita distanza, sapendo bene di non poter fare nulla contro
quella
creatura. Osservava la scena, assieme a Lehelin ed Efrehem. Idisi
tentò di
colpire il sanguemisto con la sua arma di legno ma, non appena vide che
lui,
sfiorandola, la bruciava, desistette e riprese con la magia.
“È
un osso duro!” commentò Kassihell, respingendo i
colpi di fuoco rivolti verso
la compagnia.
Quando
Elehcim iniziò ad usare il suo sangue come arma,
trasformandolo in affilate
punte di metallo, anche Thuwey rientrò nella battaglia,
difendendo il gruppo.
“La
sua magia è molto potente…”
commentò, disperdendo quei colpi all’ultimo
istante.
Guardandosi,
i compagni capirono che, se non lo avessero ucciso, sarebbero stati
loro a
cadere per mano di quell’essere che pareva non provare
nemmeno dolore o
stanchezza. In realtà provava entrambe quelle spiacevoli
sensazioni, eccome, ma
non voleva di certo mostrarlo a quel branco di spacca balle!
Lo
colpirono di nuovo, con scosse e punte di ghiaccio, ma lui restava in
piedi,
ghignando. Si fissarono, con rassegnazione, pronti ad un attacco
combinato di
gruppo. Aherektess sollevò in aria l’avversario.
Elehcim si concentrò,
richiamando il metallo che scorreva dentro di lui. Ricoprì
la sua pelle. Si
trovava a parecchi metri da terra, quando iniziò a
precipitare. L’aria sopra di
sé lo spingeva, facendolo accelerare ulteriormente. Chiuse
gli occhi e si
preparò all’impatto con il suolo ma non
trovò il terreno ad attenderlo. L’acqua
di Enki investì la sua schiena, che si insinuò
fra le sue vesti stracciate.
Bruciava come acido quell’elemento carico di magia.
Gridò, non preparato ad una
cosa del genere. Continuò a cadere e, senza aver modo di
ricreare la barriera
di metallo lungo la schiena, corrosa dalla magia della principessa
dell’Acqua,
si sentì trafitto da enormi stalagmiti fatte di ghiaccio,
roccia, legno ed
elettricità. Le sentì attraversare il suo corpo
in più punti. Il torace, il
ventre, le gambe, le braccia…solamente la testa rimase al di
fuori di quel
tappeto di morte. Il suo sangue argento iniziò a scorrere
copiosamente. Tossì,
cercando invano di prendere aria in quei polmoni dilaniati e pieni di
liquido
metallico. Perché il suo cuore si ostinava a battere? Si
chiese, ad occhi
spalancati. Anche i dieci alleati si chiedevano la stessa cosa. Era
orribile
vederlo in quello stato. Enki si nascose dietro ad Idisi, piangendo nel
sentirlo gemere. Lehelin camminò verso di lui.
Allungò la mano d’ombra sul
petto del nemico. Chiuse gli occhi e poi li spalancò. Il
mezzosangue non gridò,
mentre il suo cuore si fermava. Mormorò un
“grazie” e solo allora i suoi occhi
color fiamma si spensero, divenendo vitrei.
L’Oscurità gli chiuse le palpebre e
non disse nulla.
“Anche
la tua pelle fa così se la colpisco con
l’acqua?” domando Enki, rivolta a
Kassihell.
“Solamente
se è piena di magia” rispose il Fuoco.
“Andiamo.
Mi è passato il sonno. E pure la fame”
commentò Thuwey.
In
silenzio, presero le proprie cose e solo in quel momento si accorsero
che Kire
era corso fino lì, ma era arrivato tardi. Fu
l’uggiolare sommesso di Orebrec
che fece notare la cosa al gruppo. Kire era smontato dalla bestia ed
era in
piedi, accanto al corpo senza vita del gemello. Non piangeva ma il suo
sguardo
esprimeva tutto.
“Ve
la farò pagare…” mormorò,
fissando con odio i dieci.
“Ve
la farò pagare!” ripeté, con
più voce “Fosse l’ultima cosa che
faccio! Ci
rivedremo, maledetti bastardi, e sarà la vostra
fine!” urlò.
Thuwey
incitò i suoi compagni ad accelerare, diretti verso il
castello. Kire, invece,
si chinò sul gemello. Gli passò una mano sui
capelli, come saluto.
“Che
succede, Kire?” domandò Semar, per poi esclamare
un “Cazzo!” accompagnato da un
sussulto quando vide Elehcim.
Un
piccolo gruppetto di sanguemisto, più o meno una ventina di
creature, avevano
seguito il loro capo non appena avevano saputo che si era allontanato.
“Date
inizio all’attacco finale” sussurrò Kire.
“L’attacco
finale? Ma non è ancora ben studiato…”.
“Ho
detto: date inizio all’attacco finale. Lui avrebbe voluto
così…” ribadì il
capo, stringendo i pugni e non staccando gli occhi dal fratello.
“Sì.
Va bene. Andiamo ad avvisare gli altri” obbedì
Semar.
Alcuni
volevano rimanere con il loro capo, ma lui gli fece cenno di andarsene,
di
lasciarlo da solo. Solamente Orebrec rimase e coprì, con i
suoi profondi
gemiti, le grida di disperazione di Kire.
†††
Il
castello del regno, e la capitale racchiusa fra le alte mura argentate,
erano
chiari davanti a loro. Ancora qualche chilometro ed avrebbero raggiunto
entrambi. A capo chino, senza parlare, i dieci avanzavano piano. Tutta
la
storia avvenuta da quando erano entrati in quelle terre aveva
instaurato nelle
loro menti il germe del dubbio. Era piccolo e quasi muto, ma presente e
fastidioso. Era davvero giusta tutta questa faccenda
dell’evocazione? Erano
davvero loro i “predestinati” a salvare Asteria o,
come aveva detto quel
mezzosangue, il pianeta era già condannato ed era troppo
tardi? Tutta quella
fatica…
La
luce di Sirona faceva risplendere la vegetazione ed il sentiero.
Perfino l’erba
sembrava composta da sottili filamenti d’acciaio.
Un
grido, acuto e sibilante, simile ad un lungo stridio minaccioso, li
sorprese.
Aherektess trovò quel verso molto familiare. Alzò
gli occhi e vide delle
creature alate, a prima vista degli abitanti del regno
dell’Aria. In realtà,
osservando meglio, non ci voleva molto per capire che erano sanguemisto
e
quello era il loro grido di guerra. Il terreno ai loro piedi
vibrò, comandato
da Kire. In groppa ad Orebrec, corse verso la capitale.
Ignorò, apparentemente,
i dieci viaggiatori. I suoi occhi, rosso fuoco, fiammeggiavano e
guizzavano.
“Vogliono
distruggere la capitale e far cadere il regno!” si
allarmò Thuwey.
“Per
poi passare ai regni successivi…” aggiunse Efrehem.
“Spero
che i soldati a guardia di Gwydyon siano preparati”
mormorò Kassihell.
“Lo
sono. La capitale non cadrà in mano
loro…” rispose il Metallo, senza celare una
certa inquietudine dentro di sé.
Quei
militari, i suoi uomini che aveva addestrato lungo gli anni e coloro
che lo
avevano seguito fin da ragazzo, facendolo divenire ciò che
era, stavano per
affrontare un nemico a cui di certo non erano preparati. E la
regina…
“Dobbiamo
raggiungere il castello e fermarli!” esclamò
Thuwey, mentre diverse onde di
mezzosangue apparivano da ogni punto.
Avanzavano
compatti. I viaggiatori, al contrario, si misero a correre veloci,
precedendoli. Thuwey conosceva ogni scorciatoia e fece arrivare i suoi
compagni
alle porte di Gwydyon, la capitale, quando solamente i mezzosangue
dell’Aria e
Kire erano giunti fino a lì. Garihiele, un alto sanguemisto
dagli occhi chiari
e le piume azzurre, si muoveva con l’agilità di un
ballerino e lanciava palle
di fuoco sulla città. Schivava agilmente le frecce ed i
colpi con cui
rispondevano gli abitanti. Araik, una giovane piuttosto piccina, volava
e
comandava la Terra, affinché bloccasse i movimenti dei suoi
avversari. Arual,
librandosi con le sue piume blu, comandava l’Acqua e ne
mandava ondate,
sfruttando anche la presenza di un fiume attorno alle mura. Monihika,
signora
di Luce ed Aria, usava tutta la sua magia contro quelle creature
impreparate.
Handro, un piumato arancione, poteva usare anche
l’elettricità, che colpì i
soldati e gli innocenti senza preavviso. Antyhela, Aria e Metallo, con
le ali
viola, sollevava un forte vento per mettere in difficoltà i
sanguepuro. Kire,
accarezzando Orebrec sulla testa, rimanendo in groppa, osservava quel
primo
attacco. Percepì i prescelti grazie alla magia del Metallo e
capì che erano
riusciti ad entrare in città tramite un passaggio segreto.
Sorrise, ghignò.
“Bel
lavoro, ragazzi” gridò, rivolto ai suoi compagni
“Continuate così, presto
arriveranno gli altri. Io entro. Raggiungetemi appena
possibile”.
“Sì”
risposero, all’unisono, i sanguemisto dell’Aria,
mentre Orebrec scavalcava le
mura della capitale con Kire saldamente aggrappato alla sua schiena.
I
dieci compagni, seguendo i percorsi che mostrava loro Thuwey, sbucarono
alle
porte del castello tramite un passaggio segreto.
“Io
vado a dare qualche ordine ai miei uomini” disse il Metallo
“Li metterò in
guardia su ciò che gli aspetta. Tornerò in un
istante”.
I
suoi compagni non ebbero modo di obbiettare. Si guardarono attorno e
cercarono
di aiutare come potevano. Enki spegneva le fiamme con il suo elemento,
Hanjuly
le congelava, Aherektess muoveva il vento tentando di soccorrere gli
abitanti,
Kassihell provava a contrattaccare, Mattehedike muoveva le rocce per
fortificare le mura e gli edifici, Reishefy assorbiva il più
possibile le
scosse che lanciava Handro, l’Oscurità inseguiva
saltellando le ombre dei suoi
avversari nel tentativo di immobilizzarli ed Efrehem bloccava la magia
lanciata
da Monihika. Idisi, con la piuma di Vereheveil fra le mani per poter
interpretare le parole anche di coloro che non conoscevano la lingua
comune fra
i regni di Asteria, come i bambini o gli anziani, curava chi poteva con
la sua
borsa piena di erbe medicinali. I sacerdoti e le sacerdotesse della
capitale,
vestiti di nero ed argento, col volto dipinto, si chiedevano se Mihael
era
irato con loro e se era il caso di offrirgli i sacrifici umani che
erano soliti
effettuare.
Il
Metallo tornò in fretta verso i compagni di viaggio:
“Venite! Il castello ha un
sotterraneo dove saremo al sicuro. Ogni casa della capitale ha una cosa
del
genere ed è là che si sta dirigendo il popolo che
non è stato ferito dagli attacchi
improvvisi. I soldati resteranno a combattere”.
“Non
possiamo combattere anche noi?” parlò il Ghiaccio.
“Non
è la cosa più saggia. Non possiamo rischiare di
subire delle conseguenze. La
nostra missione è troppo importante”.
Nessuno
osò rispondere a quella frase di Thuwey, pur non concordando
del tutto.
Entrarono nel castello. La regina era lungo il corridoio e si stava
apprestando
a raggiungere le stanze sotterranee.
“Mia
regina…” parlò il Metallo, notando che
era ferita sul fianco.
“Thuwey!
Sei tu! Che sollievo vederti!” rispose lei, tenendo sollevata
la lunga e
pomposa gonna nera per poter camminare più in fretta.
“Presto,
Jovihann! Andiamo!” sbottò una voce maschile.
Kassihell
spalancò gli occhi. Era suo padre l’uomo che era
sbucato alle spalle della
regina e, sfiorandola con le mani, la incitava ad avanzare.
“Papà!”
esclamò il Fuoco.
“Ma
guarda chi si vede…” gli rispose Vehuya, con tono
neutro.
“Io
e te abbiamo alcune cosette da chiarire…”
sibilò il figlio.
“Quando
vuoi!” ghignò il padre.
“Direi
che ora non è il caso!” affermò
Aherektess.
“Concordo!
Raggiungiamo i sotterranei!” si aggiunse Thuwey.
L’imperatore
e la regina, l’uno accanto all’altro, seguirono il
Metallo che, da capo delle
guardie, apriva ogni porta fino a raggiungere l’ultima,
quella che solamente la
sua sovrana poteva far spalancare. Per sbloccarla, Jovihann
poggiò la mano su
un quadrato lucido, che brillò. Reagiva al suo codice
genetico e solo un membro
della famiglia reale poteva farlo funzionare. Si richiuse alle spalle
del gruppo
di fuggitivi, ermeticamente.
I
corridoi erano bui, impolverati e silenziosi. L’aria era
pesante, umida.
Nessuno parlava, sentendosi in colpa per tutte le persone che, ferite,
non
sarebbero state in grado di salvarsi come loro.
“Come
mai tuo padre è qui?” sussurrò Reishefy
a Kassihell, sentendo la sua voce poi
rimbombare lungo le pareti.
“Che
domanda idiota!” sbottò il Fuoco.
“Qui
abbiamo cibo, acqua e tutto il necessario per sopravvivere diversi
giorni”
parlò il Metallo, mostrando le varie stanze “E
nessuno può accedervi né
uscirne, se non con la mano della regina”.
Kassihell
accese le fiaccole lungo la via e le candele nelle salette quasi del
tutto
spoglie. Seduti in terra tutti assieme, per tenersi compagnia, i
sovrani si
tenevano per mano. Jovihann aveva la testa sulla spalla di Vehuya ed il
figlio
di lui fissava entrambi con fastidio.
“Perché
mi guardi così, ragazzo mio?” ridacchiò
il padre “Tua madre sa di tutto
questo”.
“Non
mi interessa e non mi riguarda. È che mi fa
senso…” rispose Kassihell, incrociando
le braccia e inclinando la testa.
“Thuwey…”
parlò la regina, sorridendo con dolcezza
“C’è una cosa di cui ti vorrei
parlare…”.
“Non
sforzatevi…” la interruppe lui, mentre la Terra
curava la ferita di lei.
“Ho
avuto davvero paura di non rivederti, quando sono stata
ferita…”.
“Signora,
vi prego! Non so dove vogliate andare a parare
ma…” borbottò il Metallo.
“Chiudi
la bocca, soldatino, e ascolta ciò che ha da
dirti!” lo zittì Vehuya.
“Dicevo…”
riprese la sovrana “…ho davvero avuto paura di
morire e non poterti rivedere. E
non poter sistemare tante cose che, se non ci fossi più,
resterebbe altrimenti
in sospeso. Volevo che tu sapessi, mio caro, che sarai tu il prossimo
re di
questo regno”.
“Che
cosa?! Perché?!” farfugliò lui, per
niente felice della notizia, mentre i suoi
compagni di viaggio ridacchiavano e gli facevano le congratulazioni.
“Perché
tu sei mio figlio, Thuwey”.
“Eh?!”
si sentì, corale, fra i presenti.
“Ti
sei mai chiesto come mai tu possieda una tale energia magica? Sei
sangue del
mio sangue…”.
“Ma…se
è così…mio padre chi è? E
perché sono cresciuto da solo?”.
“Tuo
padre non saprei dirti esattamente chi sia…al tempo mi
divertivo un sacco, lo
devo ammettere. Non ero una regina, quando nascesti. Per i miei
genitori era
una cosa inammissibile che la principessa ereditaria avesse un bambino
senza
essere sposata, mostrando al regno il fatto che vivevo
un’esistenza piuttosto
sregolata e fuori da ciò che doveva essere
l’ordinario. Sei nato, ed è già
stato un grande traguardo. Ho dovuto combattere per farti vedere la
luce, al
contrario di quanto ordinavano i miei. Appena sono divenuta regina, ho
iniziato
a cercarti. Non è servito perché fosti tu a
giungere da me, come soldato
protettore della capitale. Ti ho riconosciuto subito, perché
ogni creatura del Metallo
ha le zone del proprio elemento in punti diversi e poi…la
tua energia era
inconfondibile!”.
“Perché
non mi avete detto la verità fin
dall’inizio?”.
“Non
lo so. Forse perché, quando ti ho rivisto, eri
già grande. Eri quasi
maggiorenne e di certo non avevi bisogno di una
mamma…”.
Thuwey
la fissò, con gli occhi ramati che si muovevano senza
controllo, con in testa
un misto di amore ed odio che si mescolavano in modo confuso.
“Perdonami,
Thuwey. Ho commesso tantissimi errori nella mia vita…sono
stata una pessima
sovrana ed una pessima persona…”.
“Non
è vero…” mormorò il Metallo,
non sapendo cos’altro dire mentre la sovrana
scattava in avanti, spalancando le braccia in cerca di un abbraccio.
Lui
la fissò, titubante, e poi ritrasse le punte, permettendo a
Jovihann di
avvolgerlo con affetto. Lehelin gli sorrise. Il suo compagno
d’avventure aveva
appena ottenuto ciò che andava cercando da una vita e da cui
si era sempre
protetto.
La
porta si aprì, ne sentirono lo scattare secco.
Com’era possibile?
“Solo
altre due persone potrebbero aprire quella porta…”
borbottò Vehuya.
“Due?
E chi sarebbero?” si stupì la regina.
“I
gemelli…”.
“Non
ti avevo dato ordine esplicito di liberartene?”
mormorò lei, avvicinandosi di
più all’imperatore con aria minacciosa.
“Lo
so” rispose lui, distogliendo lo sguardo
“Ma…non l’ho fatto”.
“Di
che state parlando?” alzò un sopracciglio
Kassihell.
“Mi
stai dicendo che hai provato ad ucciderli ma non ci sei
riuscito?” continuava a
parlare piano Jovihann, mentre Vehuya non la guardava.
“Se
ci ha provato, qualcosa non è andato per il verso
giusto” parlò Kire, fissando
tutti quanti con aria triste e distante “L’erba
cattiva non muore mai. Quasi
mai…”.
“Che
succede, Kire?” domandò l’imperatore.
“Kire?!
Come sai il suo nome?! Perché non mi hai
detto…” iniziò la regina ma Vehuya la
zittì.
“Io
ci tengo ai miei figli, a differenza di te!”
sbottò e Kassihell lo fissò con
aria scettica, non sentendosi particolarmente amato.
“Non
è vero, imperatore” parlò, piano, Kire
“Tu non ci tieni ai tuoi figli”.
“Non
vi ho uccisi, come vostra madre mi aveva ordinato, e vi ho affidato ad
un
sanguemisto di mia fiducia, Neziar, colui che vi ha
cresciuto”.
“Vaffanculo”.
“Mi
sono perso qualche passaggio…il cosetto dal sangue
incrociato qui presente è
mio fratello?” tentò di capire il Fuoco.
“Figlio
mio e di Jovihann, esatto” confermò
l’imperatore.
“Quindi…anche
mio fratello!” si aggiunse Thuwey.
“Non
ho capito…” piagnucolò Reishefy.
“Non
è difficile, cretina!” sbuffò
Mattehedike.
“Ti
spiego con calma…” sospirò Thuwey
“Kassihell è il figlio di Vehuya e di sua
moglie, imperatrice del Fuoco. Io sono figlio di Jovihann e di una
creatura del
Metallo non identificata. Kire, il mezzosangue qui presente,
è figlio di Vehuya
e Jovihann”.
“Quindi…se
non ho capito male…Elehcim era vostro fratello?”.
“Era?!”
si stupì la regina.
Ci
fu silenzio. Si guardarono fra loro, con tantissima confusione nella
testa e
sulla coscienza.
“Era,
esatto” parlò Kire “Era
perché ora non lo è più. Questi
bastardi…lo hanno
ammazzato!”.
“Guarda
che qui c’è solo un bastardo, ed è
Thuwey di cui non si sa chi sia il padre! E
poi, scusami tanto, ma il tuo gemellino ha tentato di
ucciderci!” sbottò la
Roccia.
“Elehcim
è morto?” domandò Vehuya, visibilmente
turbato.
“In
modo atroce…”.
“Voleva
ucciderci! È stata legittima difesa!”
continuò Mattehedike.
“Smettetela
di parlare, brutti schifosi!” ringhiò Kire.
Scattò
in avanti e, con lui, molti altri mezzosangue che lo avevano seguito
lungo il
cunicolo segreto. Impedirono la fuga ai viaggiatori, bloccandoli nella
stanza.
C’era Danjell, di Terra e Fuoco. Roary, Luce e
Oscurità, gli stava accanto.
Omokaig, Luce ed Acqua, era sulla porta vicino a Monihika, Luce ed
Aria. Semar,
stringendo i pugni, guardava tutti quanti con odio per ciò
che era stato fatto
ad Elehcim. Anyram, Ailil ed Hella, tutte con metà sangue di
Ghiaccio, erano
vicine. Anyram sprizzava elettricità, Ailil sfoggiava i
tipici fiori della
Terra ed Hella gli spuntoni del Metallo. Innavoig, Terra e Roccia,
fissava
tutti con sfida. Arual, di Aria ed Acqua, pareva poco convinta su come
si
stessero mettendo le cose e sospirava. Cihalu, una donna di Roccia ed
Elettricità, aveva lo sguardo perso e confuso di chi non ha
bene idea di cosa
stesse facendo. Frahin palleggiava con una sfera di Fuoco, avvolto
dalla nebbia
tipica degli abitanti dell’Oscurità. Aseret,
triste perché non amava la
violenza, era l’insieme di Terra e Luce e questo le
permetteva di sapere
moltissime cose mescolando il suo sapere intellettivo e le parole che i
suoi
elementi le dicevano. Ultimi, in fila per tre, venivano i mezzosangue
d’Aria
Handro, Antyhela e Garihiele con le loro caratteristiche
d’Elettricità, Metallo
e Fuoco. Tutti loro, impedivano ai viaggiatori ed alla coppia di reali
di
salvarsi. Erano furiosi, ancora sconvolti per il modo disumano in cui
era stato
ucciso il loro compagno Elehcim. Vendicativi, furiosi e molto potenti,
iniziarono ad usare i loro poteri. Nel frattempo, fuori, Araik e Neziar
comandavano gli altri sanguemisto per distruggere la capitale.
“
Noi siamo fratelli. Non dobbiamo ucciderci” parlò
Kassihell, rivolto a Kire.
“Io
avevo un solo fratello, e me lo avete portato via! Tu sei solamente il
figlio
di colui che non mi ha voluto e mi ha abbandonato, perché si
vergognava di aver
messo al mondo un incrocio!”.
I
presenti ebbero modo di vedere che Vehuya e Jovihann avevano un
potenziale
magico straordinario, che sfruttavano. Purtroppo risultava inutile
perché i
loro avversari annullavano a vicenda ogni loro punto debole, impedendo
l’attacco combinato. I dieci ed i reali capirono di non poter
andare avanti a
lungo. Erano stanchi ed abbattuti, senza più voglia di
uccidere quelle creature
criptiche. Kire dava ordini in modo preciso, come se il suo corpo
avesse
centinaia di occhi e fosse capace di seguire ogni movimento dei suoi
compagni.
Thuwey ammirò le sue doti di leader, trovando le proprie
pessime se non sotto
il punto di vista militare. Schizzava sangue e si aprivano ferite,
volavano
insulti e percosse, quando una voce profonda sovrastò tutte
le altre.
“Adesso
piantatela!” si sentì, mentre il terreno vibrava.
Era
Kaos. A braccia incrociate, dietro di lui si potevano scorgere tutte le
altre
divinità del pianeta, aveva l’aria di chi
rimproverava dei bambini troppo
agitati.
“Gli
Dèi…” sussurrarono alcuni dei mortali.
“Esatto.
Gli Dèi” confermò Kaos.
“Perfetto.
Pure voi vi mettete contro di noi…”
mormorò Kire.
“Io
non sono dalla parte di nessuno, se non dalla mia. Mi trovo bene qui,
mortaluccio, e non me ne voglio andare. Non voglio aspettare che la
Creatrice
realizzi un altro mondo per poter avere un posticino dove farmi adorare
e
divertirmi. Asteria sta morendo ed io la voglio salvare”.
“NOI
la vogliamo salvare!” specificò Vereheveil.
“Facendoci
estinguere? Grazie tante!” commentò, sarcastico,
Semar.
“Per
quel che mi riguarda…” rispose Kaos
“…potete anche estinguervi tutti.
Mezzosangue, triplosangue, sanguepuro, poveri bastardelli o di stirpe
reale…per
me siete tutti uguali. Ed anche agli occhi della Creatrice siete
così,
credetemi. Perciò è inutile che vi scaldiate
tanto. Salvate Asteria, ed Asteria
salverà voi”.
“Ne
siete sicuro?” domandò Efrehem.
Il
Dio non rispose e fissò la Luce con i suoi occhi azzurri.
Poi si spostò su
Lehelin e le sorrise.
“Quindi…mi
assicurate che noi non subiremo conseguenze
dall’evocazione?” azzardò Roary.
“Non
sappiamo cosa accadrà dopo l’evocazione”
parlò Dharam, Dio del Fuoco “Ma di
certo le conseguenze potrebbero ricadere su tutti. Sui sanguepuro, sui
sanguemisto, su noi Dèi…non sappiamo quale
sarà la scelta della Creatrice”.
“Perciò,
alla fine di tutta questa faticaccia, potremmo ritrovarci
all’altro mondo?”
gemette Enki.
“Potrebbe
essere…” confermò Heronìka.
“E
voi non dite niente?” piagnucolò Reishefy.
Enrikiran
alzò le spalle, con indifferenza, e Loreatehenzi
ridacchiò.
“I
prescelti devono continuare il loro viaggio, ottenendo gli ultimi due
oggetti
proibiti ed evocando la Creatrice. Ciò che sarà
dopo, si vedrà” parlò Xoduzz,
Dio dell’Elettricità, con voce solenne.
“E
chiunque interferirà con tutto questo, verrà
eliminato!” aggiunse Mihael.
Tutti
poggiarono le proprie armi, dando segno di resa.
“Sappiate
che se per salvare Asteria è necessaria la vostra morte, la
Creatrice non
esiterà. Fra voi mortali e la sopravvivenza del mondo,
è ovvio che lei
sceglierà la seconda opzione e non starà troppo a
pensarci. Se per far
proseguire la vita di Asteria vi dovrà far estinguere,
allora lo farà” furono
le parole di Vereheveil, Dio della Luce.
“Noi
non vogliamo morire! Non esiste un modo per…”
farfugliò l’Elettricità.
Enki
si inginocchiò, a mani giunte, supplicando la Dea
dell’Acqua, Heronìka, di
darle la grazia.
“Io
non posso far nulla” parlò la Dea “Se
non proteggerti fino alla fine di questa
missione. Poi sarete nelle mani della Creatrice, e non potrò
fare niente”.
“Perché
non siete intervenuti prima? Perché non avete salvato
Elehcim?” volle sapere,
con sguardo basso e braccia incrociate, Kire.
“Era
un suo desiderio” gli rispose Kaos “Era il dono
più bello che potessimo
concedergli: una morte epica, memorabile, che chiedeva da
tempo”.
Kire
non disse altro e chiuse gli occhi, lucidi.
“Voi
dieci!” sbottò Xoduzz, irritato dalle perdite di
tempo “Muovetevi e partite.
Concludete questa missione e facciamola finita, qualsiasi cosa accada
con
l’evocazione”.
I
viaggiatori si fissarono.
“Dovete
concorrere per lo stesso scopo” parlò, con calma,
Vereheveil “Mezzosangue o
sanguepuro, mortali o Dèi, dobbiamo pensare al bene di
Asteria”.
“Al
bene di Asteria? Pensare a quello e non pensare a noi stessi ad alle
conseguenze?! Ma che si fotta pure Asteria e la Creatrice!”
sbottò Semar.
“Sappiate
che noi divinità siamo per la conclusione della missione e
conseguente
evocazione” informò Loreatehenzi.
“E
con questo?” si domandò Kire.
“Con
questo, brutto coglione, intendiamo dire che se qualcuno
oserà interferire
subirà tutte le conseguenze che merita”
ringhiò Kaos.
“Bene.
Perfetto. Ho capito” mormorò il capo dei
sanguemisto, abbassando le orecchie a
punta, consapevole che perfino le divinità li avevano
abbandonati al loro
destino.
“Non
fare quella faccia…” gli disse Thuwey, andandogli
vicino “…mi sa tanto che qui
nessuno vince e nessuno perde. Ce la pigliamo nel culo tutti allo
stesso modo”.
Kire
alzò leggermente il lato destro della bocca, in un micro
sorriso, e scosse la
testa. I puri ed i misti si separarono. Ora i dieci erano ancora meno
convinti
di ciò che stavano facendo, ma non avevano scelta. Gli
Dèi li tenevano
d’occhio. Li scortavano. Mihael iniziò a seguirli
per questo. Tolse l’elmo,
mostrando i lunghi capelli mori, mossi, ed un enorme paio di corna
nere.
Comunicò loro che d’ora in poi li avrebbe
controllati da vicino.
Volevano
lasciarsi alle spalle l’odio, le morti, i dubbi ed il sangue,
uscendo da quel
regno. Purtroppo per loro non fu così e, entrando nel mondo
della Terra, tutto
ancora pesava sul loro animo.
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Capitolo 12 *** XII- Terra ***
XII
Un
fiore nero. Una sorta di
giglio scuro, rilucente di scintille d’argento, gli era stato
poggiato sul
petto. Un ultimo regalo, un ultimo saluto, adagiato su quel corpo ormai
senza
vita. Il corteo avanzava lentamente lungo le vie di lava del regno del
Fuoco.
Il vulcano più alto dell’impero di Vehuya li
attendeva. Onore riservato
solamente a pochi. Al principe bastardo, Elehcim, era stato concesso il
privilegio di avere come ultima dimora quel vulcano.
“Non
era così che doveva
andare, fratello mio” mormorò Kire, in piedi a
fianco del gemello morto.
Elehcim
pareva quasi
sorridere. Sembrava sereno, avvolto da un letto di fiori neri con punte
d’argento ed accenni rosso sangue, mentre era trasportato
lungo il sentiero dai
suoi compagni. Mezzosangue di tutto il pianeta erano giunti fin
lì per lui e
questo stupì Kire. Aveva sempre creduto di non appartenere a
nessuna razza, a
nessun popolo, ma ora, inaspettatamente, non sapeva spiegarselo, si
rendeva
conto che il suo pensiero non era corretto.
Loro,
sanguemisto, erano come
una grande famiglia. Loro, incroci della natura, meritavano di vivere
esattamente come i sanguepuro. Loro, i malvoluti ed i reietti, erano
più uniti,
più forti.
La
Creatrice cosa avrebbe
deciso? Li avrebbe fatti uccidere tutti? Poteva impedire la loro
nascita, se
erano tanto sbagliati! Perso in quei suoi pensieri, Kire
sospirò. Non avrebbe
potuto far nulla. Gli Dèi erano contro ogni suo possibile
intervento o
interferenza alla missione d’evocazione.
Si
sentiva davvero impotente.
Non poteva tentare di fermare i prescelti perché le
divinità stesse li
proteggevano. Aspettare. L’unica cosa che era in grado di
fare era aspettare…e
stare a vedere.
Forse
quelli erano gli ultimi
mesi d’esistenza che restavano, a lui ed ai suoi compagni.
Forse aveva ragione
suo fratello: Asteria era condannata, sarebbero morti tutti.
Gli
Dèi a cosa servivano? A
niente! Perché unirsi ai cori che gli altri mezzosangue
intonavano, come
estremo saluto ad Elehcim? Silenzio. Nessuna recita, nessuna canzone,
nessuna
voce voleva sentire. Solo l’immenso silenzio. Ed era questo
che voleva
sentissero le divinità. Niente preghiere, niente suppliche,
niente lodi per
loro. Silenzio. Voi per me non esistete, mormorava Kire, vi ho viste ma
è come
se non fosse successo. Voi non ascoltate, non lo avete mai fatto,
allora perché
sprecare fiato e fatica? Silenzio. Silenzio. SILENZIO!! Gridava dentro
di sé,
mentre tentava di sciogliere quel nodo che aveva in gola.
Deglutì. Non riusciva
a piangere.
“Non
trattenerti. Lascia un
ultimo messaggio a tuo fratello” si sentì dire.
Era
Neziar, colui che gli
aveva fatto da padre.
“L’ultimo
messaggio che ho
dato a mio fratello è stato ben diverso. Lui ora non
c’è, non può sentirmi e
non potrà sentirmi più. Le ultime parole che mi
ha rivolto sono state di
maledizione, di odio, e le mie di rimprovero e disprezzo. Non ci
sarà un’altra
conversazione fra di noi” sibilò Kire.
“Non
ti fa sentire meglio?”.
“Parlare
da solo? No”.
“Figlio
mio…”.
“Anche
se mi hai cresciuto, e
te ne sarò per sempre grato, tu non sei mio padre”.
“Lo
so. Vehuya è tuo padre, e
non te l’ho mai nascosto”.
“No,
neppure lui lo è”.
“Sei
figlio degli Dèi?”.
“AHAH…no,
certo che no! Sono
figlio di una puttana e di un traditore, biologicamente, nulla di
più. A
nessuno sento di dover rivolgere le parole "padre" o
"madre", mi spiace”.
“Non
lo hai mai fatto, non mi
aspetto che inizi ora, questo è certo”.
Neziar
capì che il giovane non
avrebbe più parlato e tornò ad unirsi al coro dei
sanguemisto. Ormai il corteo
era giunto sulla cima del vulcano-madre. Il corpo fu deposto
delicatamente,
accanto a lui la lava scorreva lungo le pendici ed il magma ribolliva
borbottando nel cratere. Kire intravide, quasi con fastidio, che Vehuya
era fra
la folla.
“Vuoi
dire qualche parola?”
sussurrò Danjell, rivolto al capo dei mezzosangue.
Non
ricevette risposta. Era
sceso un silenzio inquietante, d’attesa. Fu
l’imperatore a parlare,
raggiungendo il figlio con inaspettata agilità, data
l’età avanzata.
“Tu
non lo conoscevi” gli
sibilò Kire “Non osare aprir bocca”.
“Io
lo conoscevo perché era
parte di me” rispose l’uomo, rimanendo serio e
calmo.
“IO
lo conoscevo. Era parte di
ME, non di te! Era il mio gemello, siamo nati dallo stesso, minuscolo,
germe di
vita. Stesso codice genetico, stesso sangue, stessa vita
e…”.
“…e
diverso destino, ragazzo”
lo interruppe il padre adottivo Neziar.
“Come?!”
si stupì il giovane,
non aspettandosi quella frase.
“Parla.
Dì qualcosa per la
nostra razza e per Elehcim. Fa che le tue parole restino nel cuore dei
presenti
e che il pensiero del tuo gemello non muoia mai. La vita è
solo un soffio ma,
se qualcuno lo ricorderà, in realtà nessuno
morirà mai”.
“Un
ricordo è diverso dalla
sua presenza. Il tuo ragionamento non ha senso!”.
“Se
non vuoi parlare, allora
richiama l’energia del vulcano e guidalo nella sua ultima
dimora”.
Kire
rimase in silenzio,
qualche istante. I mezzosangue lo fissavano, in silenzio.
“Non
piangete” iniziò il
gemello vivente “Di certo è il gesto
più ipocrita e falso che si può fare ad un
funerale. Soprattutto al suo funerale. Elehcim è sempre
stato un gran testardo
ed è stata proprio la sua testardaggine a portarlo alla
fine. Era un insieme di
contraddizioni, frustrazioni e rabbia, che ha incanalato il
più possibile nella
direzione giusta. Purtroppo, ad un certo punto, queste emozioni erano
così
forti e dominanti da riuscire a sopire la voce razionale del suo
cervello. Lo
sconforto, la gelosia, la follia, hanno sostituito ciò che
un tempo era mio
fratello. Era arrivato al punto di sperare ed attendere la fine di
Asteria ed
io non lo avevo mai compreso, fino ad ora. Adesso, invece, mi sono reso
conto
che, dopotutto, se la vita su questo pianeta deve continuare come ora,
è
davvero meglio che tutto termini. Noi non siamo la colpa della
sofferenza di
Asteria. Noi, mezzosangue di varia generazione, ci siamo sempre stati.
Non
abbiamo scelto di essere al mondo. Non abbiamo deciso di nascere ma
siamo stati
generati, chi da sanguepuro e chi da sanguemisto, e poi abbandonati.
Siamo
vissuti nascosti, celati agli occhi di chi ci voleva morti, ed ora
veniamo
accusati. Se qualcuno merita l’estinzione, ora, quelli sono
loro. Coloro che ci
hanno creati e poi rinnegati. Purtroppo gli Dèi li
proteggono e perciò non
possiamo fare altro che aspettare e sperare. Mio fratello, Elehcim, mio
gemello
speculare, non vedrà la fine di tutta questa storia. Che
questo sia un bene o
un male lo vedremo, lo vedrà chi verrà dopo di
noi, se qualcuno verrà…”.
Guardava
Vehuya con odio
malcelato, anche se l’imperatore restava in silenzio, a capo
chino.
“…io
non odio i prescelti” riprese
Kire “Nonostante tutto ciò che mi hanno fatto, io
non li odio. E non dovreste
odiarli neppure voi. Non odio mio fratello che, diciamocelo,
è andato un po’ a
cercarsela questa sua fine. Ma era questo ciò che voleva
perciò, vi ripeto, è
inutile piangere. Non è stato un incidente, non è
stata un’ingiustizia. Ha
combattuto ed è stato sconfitto. Non credo potesse chiedere
di meglio, quel
testone. Non piangete. Sorridete per lui. Era ciò che
voleva. Il destino, la
vita, gli ha concesso questo ultimo regalo ed è inutile
esserne tristi. Lui non
avrebbe pianto per voi…è un atto
inutile”.
“Ad
alcuni di noi fa stare
meglio. Versare qualche lacrima ci libera da un peso”
commentò Arual.
“Credo
che lui preferisca un
applauso, ed un brindisi in suo onore” sorrise, calmo, Kire,
ed iniziò a
battere le mani.
Tutti
i sanguemisto seguirono
quel suo gesto, mentre il fuoco vivo del vulcano attivo iniziava ad
avvolgere
il corpo di Elehcim e portarlo lentamente nel suo ventre magmatico.
†††
“Che
immagine toccante…”
commentò Kaos, con sarcasmo, sgranocchiando uno snack con
indifferenza e
distacco.
“Non
dovresti usare quel tono
in mia presenza. Mi dà fastidio” disse Dharam, Dio
del Fuoco.
“Sai
quanto me ne frega se a
te dà fastidio, ragazzino?!” sbottò il
Dio oscuro.
“Quanto
sei antipatico”.
“Quanto
siete infantili!”
interruppe entrambi Vereheveil, Dio patrono del regno della Luce.
“Cerchi
rogne, nano
svolazzante?” ringhiò Kaos.
“Non
ho paura di te, pallone
di fuliggine ambulante!”.
“E
piantatela!” li rimproverò
Heronìka, con un tono che non ammetteva repliche.
Le
divinità erano riunite nel
loro mondo parallelo ed osservavano ogni avvenimento del pianeta.
“Ci
siamo tutti! Incredibile!”
si stupì Xoduzz, Dio elettrico.
“No.
Ti correggo” ci tenne a
precisare Vereheveil “Mihael è assieme al gruppo
dei prescelti, il nostro
collega della Terra è nel suo luogo proibito in attesa e
poi…manca lui!”.
“Lui
manca sempre! E mancherà
sempre!” borbottò Loreatehenzi.
“È
già un grande risultato il
fatto che tutti, tranne chi voi sapete, siamo uniti per la buona
riuscita
dell’evocazione” parlò, in tono da
discorso ufficiale, Dharam.
“Capirai…”
ghignò Kaos.
“Sei
sempre il solito!” rise
Xoduzz.
“Diciamo
che è un buon modo
per scacciare la noia. Per me la Creatrice verrà evocata e,
una volta ascoltato
il problema, dirà "arrangiatevi" e tornerà a
farsi i cazzi suoi
altrove” commentò l’Oscuro.
“Tu
ed il tuo pessimismo!”
notò Heronìka, Dea dell’Acqua.
Enrikiran
era l’unico che non
parlava. Restava per i fatti suoi, suonando il suo strumento di
ghiaccio. Loreatehenzi,
suo fratello minore, Signore dell’Aria, lo tormentava ma
senza risultato.
“Certo
che…noi Dèi dovremmo
essere più neutrali. Questa volta, invece, siamo
spudoratamente dalla parte di
qualcuno. Sicuri che sia giusto?” domandò
Vereheveil.
“Noi
riusciamo a comprendere
l’insieme delle cose. Il tutto. Anche i mortali capiranno,
poi, che le nostre
scelte sono le più giuste per gli universi. Ora alcuni di
loro ci disprezzano,
è vero, ma vedrete che verrà il giorno in cui
torneranno a porgerci la mano” rispose
Dharam.
“Ne
sei certo? Per me fai le
cose a caso…” commentò Kaos, sempre
mangiando porcherie di vario genere e
riempiendo di briciole il pavimento.
“Sei
tu quello che fa le cose
a caso!” esclamò, infastidito, il Dio dei fuochi.
“Ovvio!”
sorrise, soddisfatto,
l’Oscuro.
“Ma
cosa perdo tempo a parlare
con te?! Tanto non capisci niente! Sei un Dio inutile!”.
“Hei,
bello! Con chi credi
parlare? Io c’ero prima di te, lo sai? C’ero prima
di tutti voi, perfino prima
della Creatrice stessa!”.
“E
non credi che sia ora di
andare in pensione, vecchio rincoglionito?!”.
Heronìka
ruotò gli occhi al
cielo. Era molto stupita del comportamento del collega di Fuoco.
Normalmente
era di buon umore, sereno, e poco propenso alla rissa. La tensione
però
s’avvertiva. La tensione e la consapevolezza che molte cose
potevano cambiare
da un momento all’altro, una volta evocata la Creatrice.
Evidentemente tutti i
presenti percepivano questa sensazione e si sfogavano con nervosismo.
Era
palpabile l’inquietudine fra gli animi dei presenti. Del
resto, loro erano Dèi,
abituati ad avere tutto sotto controllo con un buon margine di
preveggenza, non
avvezzi ad avere dinnanzi un muro di incertezze e punti di domanda. E
di certo
non erano abituati a vedere il destino di qualsiasi cosa in mano a dei
semplici
mortali.
“L’attesa
mi distrugge…”
protestò Xoduzz, rigirando la testa all’indietro
“…e sì che sono in vita da
millenni e l’eternità di certo non è
mai stata un problema”.
“Potresti
mandare un messaggio
al Dio del Tempo. Non so in quale pianeta sia stato messo, ma forse un
salto lo
può fare da queste parti” ironizzò
Loreatehenzi.
Sospirarono,
all’unisono.
Nella loro mente centinaia di domande e dubbi. Se fossero intervenuti
loro
prima, sarebbe stato necessario il viaggio e tutto il resto? Inutile
pensarci.
Guardarono verso il basso. Il funerale stava giungendo al termine. Era
uno
spettacolo triste, lo sapevano, ma allo stesso tempo erano consapevoli
che per
ogni morte c’era una vita. E per ricordare la vita spostarono
lo sguardo verso
l’imponente albero dei reali della Terra.
†††
“Congratulazioni”
disse
Zameknenit, inchinandosi davanti alla regina di quel regno.
Midir,
sovrana della Terra,
stringeva fra le braccia il suo primogenito. Il suo consorte, in piedi
accanto
a lei, guardava entrambi con orgoglio. Lei era seduta, avvolta da fiori
colorati e profumatissimi, dono di amici e parenti per festeggiare il
lieto
evento. Era un bambino bellissimo, con la pelle verde tipica del suo
popolo,
avvolto da una copertina che lo faceva assomigliare ad un prezioso
frutto
racchiuso in un baccello morbido. Ed effettivamente era prezioso quel
bimbo.
Era il principe ereditario di quel regno, tanto desiderato dai genitori
e dal
popolo. Aveva i capelli verdi della stessa tonalità del
padre e gli occhi viola
della madre. Se ne stava tranquillo, sonnecchiando pacifico, facendosi
cullare.
“Grazie,
Signore dell’Aria”
parlò il re della Terra, inclinandosi in avanti leggermente.
Midir
era commossa. Davanti a
sé aveva quasi tutti i sovrani di Asteria, cosa che non
accadeva mai se non
alle convocazioni dei Signori di Est ed Ovest. C’era
Ozymandias, re
dell’Oscurità, con un piccolo sacchetto di pietre
preziose come dono al
neonato. Rocana, sovrana del Ghiaccio, assieme al marito ed ai figli
maschi,
parlava allegramente con Nerektan, la regina dell’Acqua.
Taranis, re
dell’Elettricità, sorrideva e non riusciva a stare
fermo. Friedrik, anziano
sovrano della Luce, si guardava attorno ammirato. Infine Jovihann, la
Signora
del Metallo, era presente ma se ne stava in disparte, persa nei suoi
pensieri.
Sapeva che, in quello stesso momento, Vehuya era al funerale di uno dei
suoi
figli. Eranoranhan, capo della Roccia, non aveva potuto presiedere a
quella
presentazione ufficiale del piccolo principe ma aveva mandato una
lettera di
felicitazioni, spiegando che era costretto a letto in quel periodo.
“Mi
sembra incredibile.
Vedervi tutti qui è una specie di sogno che si
avvera” parlò Midir “Vi
ringrazio per i doni e per i sorrisi. Mai prima d’ora era
successo un incontro
come questo e sono davvero felice che mio figlio possa essere stato
d’aiuto per
aprire le porte alla diplomazia”.
I
reali si fissarono, chi con
convinzione e chi con titubanza.
“Mi
dispiace che il mio
diretto avversario, l’imperatore Vehuya, non sia
presente” parlò Zameknenit
“Sarei stato ben lieto di discutere con lui”.
“Non
può nascere la pace fra i
regni in un solo giorno” affermò Friedrik
“Ma già il fatto che ognuno di noi
sia qui in questa occasione, senza dare alcun cenno di voler litigare,
direi
che è un notevole passo avanti!”.
“Notevolissimo!”
sorrise
Nerektan.
“Vorrei
che ci fosse la mia
cara amica Idisi” mormorò Midir “Colei
che aveva previsto la nascita di questo
bambino e che ora sta percorrendo le vie di Asteria su ordine dei
Signori
dell’Est e dell’Ovest. Tutti voi avete una persona
a voi cara, o comunque
vicina, in quella missione…”.
“Per
me è un grande sollievo
poter condividere la mia preoccupazione con altre persone che sono
tormentate
dalla stessa angoscia” annuì il sovrano della Luce
“La paura di non veder
tornare la persona a cui abbiamo affidato la chiave,
l’inquietudine
dell’incertezza, la debolezza che si percepisce nella magia
del pianeta…”.
“L’ultima
che ha avuto notizie
dirette del gruppo è stata Jovihann, mi
sembra…” iniziò Ozymandias, fissando la
regina metallica che, però, non rispose a quello sguardo.
“Dopo
quanto successo nel suo
regno…” mormorò Rocana
“…quei mezzosangue ed i loro
attacchi…chissà quanti
morti fra il suo popolo!”.
“Beh,
io avevo proposto di
eliminarli tutti, quegli incroci, ma mi avete bloccato!”
protestò Taranis.
“Perché,
come sempre, agivi
d’impulso! Lascia che sia la Creatrice a sbrigarsela, senza
macchiarti di
inutili colpe!” lo zittì Nerektan.
“Tutti
noi abbiamo già delle
colpe, qua dentro” sbottò Jovihann “Se
non avessimo abbandonato ed ignorato
quelle creature dal sangue bastardo, non ci avrebbero odiato al punto
da
attaccarci”.
“Fermi
un attimo!” si stizzì
Ozymandias “Hanno attaccato il tuo regno, non il mio o quello
di qualcun altro!
Ciò significa che hanno dei conti in sospeso solamente con
te o la tua gente,
oppure hanno colpito a caso, tentando di bloccare i dieci viaggiatori
da noi
scelti ed amplificando il terreno d’azione. Il loro
è solamente un tentativo di
autoconservazione. Non vogliono che la Creatrice li uccida e cercano di
uccidere loro per primi…”.
“Pur
a malincuore, mi trovo in
accordo con il Signore dell’Oscurità”
disse Zameknenit.
“È
per colpa delle decisioni
affrettate ed azzardate che siamo giunti al punto in cui siamo
ora” insistette
la regina del Metallo.
“A
proposito di decisioni
affrettate…il tuo amante, Vehuya, dove si
nasconde?” interruppe Ozymandias,
senza capire i vaneggiamenti di colei a cui rivolgeva la domanda.
“Non
sono affari tuoi!”
rispose, malamente, la sovrana metallica.
Detto
questo, si alzò di
scatto dall’angolino in cui stava tranquilla e fece per
andarsene. Il re
dell’Oscurità, ghignando, allungò un
piede e la bloccò, calpestandone l’ombra.
“Lasciami!”
protestò la
bloccata, dimenandosi “Leva il tuo dannato piedone dalla mia
ombra all’istante!”.
“Se
no cosa mi fai?
Sentiamo…”.
“Non
siamo qui per litigare!”
si intromise il re della Luce, frapponendosi tra i due.
“Quanto
sei noioso, Friedrik”
sbuffò Ozymandias, alzando il piede e lasciando andare
Jovihann.
“Non
siamo qui per trovare un
colpevole a quanto sta accadendo! Siamo qui per rimanere uniti, come
gli Dèi ci
chiedono” continuò il rappacificatore.
“Gli
Dèi potrebbero risolvere
i loro casini da soli, invece che tormentare noi!”
sbottò l’Oscuro.
“In
effetti…” concordò
Taranis, alzando un sopracciglio.
“Oh
no, non cominciamo!”
bloccò tutti la regina dell’Acqua “Non
si litiga oggi, ok?”.
Midir
sorrise e si rilassò.
Era già pronta ad portare al sicuro la sua creatura, se
necessario.
“Sono
dalla tua parte,
Nerektan. Oggi non si litiga. Dovremmo imparare a fidarci
l’un l’altro ed
aiutarci. La situazione necessita collaborazione, non odio!”
parlò Friedrik.
“Ci
sono delle creature di cui
è difficile fidarsi” sibilò Zameknenit,
guardando solo di sfuggita il sovrano
dell’Oscurità.
“Per
caso, la butto là, ce
l’hai con me?” sibilò Ozymandias,
inclinando gli occhi argento.
“E
con chi altro? Sei tu
quello che trama sempre alle spalle di tutti!”.
“Cerchi
rogna? Perché se è
così, ti avviso, io ho l’esercito più
forte del pianeta e sto un attimo a fare
un culo così a tutto il tuo regno di piumati
arcobaleno!”.
“Questo
è tutto da dimostrare,
essere informe!”.
Ozymandias
divenne più grosso
e minaccioso. Zameknenit non si impressionò e si
limitò a fissarlo, incrociando
le braccia, sfidandolo con i suoi profondi occhi blu. Alzò
la testa, mentre il
Signore dell’Oscurità aumentava di dimensioni,
superandolo di diversi
centimetri.
“Piantala,
Ozy!” lo bloccò
Friedrik, accentuando la sua luce lentamente, costringendolo a
retrocedere,
borbottando bestemmie.
“Vaffanculo,
Fridy!” fu la
risposta, alquanto seccata, dell’Oscuro.
“Che
bambini…” scosse la testa
Taranis.
“Ma
se tu sei il peggiore di
tutti!” rise Midir.
“Non
è vero!” piagnucolò il re
dell’Elettricità, mettendo il broncio.
“Siamo
tutti nervosi perché
abbiamo persone a noi vicine che sappiamo stanno rischiando la
vita” cercò
giustificazioni la regina dell’Acqua.
“No,
il nuvolone qui a fianco
è sempre così!” sbottò
Jovihann, riferendosi ad Ozymandias.
“Ma
perché mi rompete tutti
quanti le palle?! Comunque sì, è vero, sono
sempre così ma…mia figlia è
là
fuori e, se permettete, sono preoccupato esattamente come voi. Specie
sapendola
in compagnia di certa gente di certe razze…”.
“Sono
sicura che se la sta
cavando benissimo, se ha preso anche solo una minima parte del tuo
carattere!”
rise Rocana.
“Non
ne dubito ma…mi son
giunte strane voci all’orecchio…”
parlò il re dell’Oscurità.
“Dove
hai le orecchie tu,
scusa?” ironizzò Zameknenit, agitando le sue,
piccole ed a punta, fra i ciuffi
rossi della sua singolare pettinatura.
“Vuoi
che strappi le tue?! Ad
ogni modo, dicevo…mi son giunte strane voci su
un’inopportuna vicinanza fra mia
figlia e tuo fratello, caro Zameky”.
“Anch’io
pensavo fosse
sbagliato, all’inizio…” parlò
il sovrano dell’Aria, ricordando la festa al suo
palazzo “…ma poi, dopo che si sono baciati,
io…”.
“Si
sono cosa?! Chi ha baciato
chi, o chi ha baciato cosa?! Mi riferivo a ciò che mi
avevano detto su un’isola
ed un salvataggio…”.
“Ah…quindi
non eri a
conoscenza del fatto che tua figlia e mio
fratello…”
“Tranquillo.
Nel mio regno non
mi è sembrato avessero più niente a che fare fra
loro” intervenne Jovihann,
sempre con lo sguardo rivolto lontano.
“E
meno male! Ci mancherebbe
altro…avere per genero quello sfigato di
Aherektess…”.
“Non
è uno sfigato! È il mio
gemello!” protestò Zameknenit.
“Appunto!
La mia povera
bambina…chissà cosa le passava per la
testa!” sbottò Ozymandias.
“A
mio avviso, sarebbe stata
un’ottima cosa, invece” parlò Taranis, a
sproposito come sempre.
“Ma
chiudi il becco!” lo zittì
l’Oscuro.
Il
re dell’Elettricità si
indispettì e tirò su la coda, come fa uno
scorpione, caricandola di luce
elettrica e preparandosi a colpire chi aveva di fronte.
“Vi
prego, non nel mio
palazzo!” li ammonì Midir.
“Qui
ci vorrebbe Vehuya.
Darebbe fuoco ad un po’ di questo inutile
verde…” affermò il re Oscuro,
irritato perché a quanto pare era divenuto il capro
espiatorio e la vittima
sacrificale su cui i reali stavano scaricando ogni loro tensione.
“Ed
io che credevo di
rilassarmi un po’…” mormorò
Friedrik.
“Siamo
senza speranza…”
sospirò Nerektan.
“Mi
auguro che i nostri
ragazzi si stiano comportando in modo diverso” le rispose
Rocana.
†††
“Non
fare la bambina!
Muoviti!” tuonò Kassihell.
Reishefy
incrociò le braccia,
offesa, e si girò dall’altra parte. Da giorni
attraversavano il regno della
Terra sui suoi alberi, l’unico modo per avanzare senza
rimanere bloccati nel
suo intrigo di radici e liane. In quel momento, quasi tutto il gruppo
era
riuscito a passare da un grosso albero ad un altro, ognuno con un suo
metodo,
ed attendeva la principessa dell’Elettricità. Lei
era rimasta sull’altra pianta
e si rifiutava di avanzare.
“Sono
stanca!” protestò,
pestando i piedi.
“Lo
siamo tutti,
rompicoglioni! Muovi il culo e salta di qua!”
ringhiò il Fuoco.
“Così
non otterrai mai
niente…” sussurrò Idisi.
“Dici?
Stai a vedere…o viene
di qua oppure la lasciamo lì. In ogni caso avrei vinto
io!” rispose Kassihell,
prima di rivolgersi di nuovo a Reishefy “Senti, piccola pigna
lagnosa, noi ora
proseguiamo. Se non vuoi restare indietro, ti consiglio di saltare.
Altrimenti
resta pure dove sei, addio! Sono stufo di perdere tempo con
te!”.
Detto
questo si girò e fece
segno al gruppo di fare lo stesso.
“Sei
proprio uno stronzo…”
ridacchiò Mihael, il Dio protettore del Metallo, loro scorta.
“Avevi
forse un’idea
migliore?”.
“Sinceramente
no…”.
Reishefy
dapprima non si
mosse, convinta che non la lasciassero lì. Dopo un
po’, però, notando che il
gruppo si allontanava, spalancò gli occhi dalla sorpresa.
“Ma
come?!” si stupì “Mi
lasciate davvero qui? No! Fermi! Brutti bastardi! KASSIHELL!!! BRUTTO
OMINO
FLAMBÈ!! NON OSERAI PER DAVVERO FARMI QUESTO??!!!”.
Scoppiò
a piangere, sentendosi
tradita da coloro che riteneva suoi amici. Urlò a vuoto per
alcuni minuti e poi
si arrese all’evidenza. Doveva per forza raggiungerli.
Piagnucolando ed
inveendo, contro ignoti e conoscenti, saltò
sull’albero dove già si erano
allontanati gli altri. Si mise a correre, sempre urlando e piangendo.
Quando li
raggiunse, il resto della compagnia la ignorò.
“Siete
proprio degli stronzi”
sibilò l’Elettricità
“Soprattutto tu, Kassy!”.
“Non
chiamarmi Kassy!”
protestò il Fuoco.
“Per
caso "Testa di
cazzo" ti va meglio come soprannome?”.
“Decisamente…”.
La
ragazzina non disse altro,
sconcertata da quella risposta.
I
viaggiatori camminavano
lungo l'intricato insieme di rami e foglie che componevano le strade
della
Terra. Sotto di loro il vuoto e le liane. Il vento sibilava fra gli
altissimi
tronchi decorati a festa, con nastri e campanelli, per festeggiare la
nascita
del principe. Idisi guidava il gruppo senza parlare, con la chiave
verde a
forma di albero ben in vista legata al suo collo. Per lei era semplice
avanzare
in quell’intreccio legnoso. La Roccia, al contrario, guardava
fisso in aria per
evitare di pensare al fatto di essere sospeso nel vuoto. Più
di una volta
rischiò di cadere, fino a quando Thuwey, il più
alto del gruppo, non decise di
andargli davanti. In questo modo, Mattehedike poteva osservare la testa
del suo
compagno di viaggio e non correre rischi. Efrehem, circondato dai fiori
colorati di quel mondo, sospirava girando la testa verso Hanjuly,
notevolmente
più agile di lui nell’andare avanti. La treccia
bionda di lei rimaneva sospesa,
fra un salto all’altro, per qualche istante, ed il giovane
rappresentante della
Luce l’ammirava, rilucente e delicata. Più volte
la principessa del Ghiaccio lo
aiutò lungo il cammino, porgendogli la mano, ed ogni volta
il cuore di lui
partiva, battendo all’impazzata. Si chiese spesso come
facesse lei a non
accorgersene. Rifletté sul fatto che il viaggio ormai stava
per concludersi,
quell’avventura giungere al termine. Avrebbe mai trovato il
coraggio di dirle
quello che provava? Si disse che, forse, era meglio fare finta di
nulla. Una
come lei non lo avrebbe mai voluto. Era così
bella… Lei era alta, bionda, con
quei due occhi azzurro chiaro come il ghiaccio, quello sguardo
così freddo ed
allo stesso tempo profondo, che faceva sognare, quella forza e
quell’abilità
nel combattere, coraggiosa ed ingegnosa. Sapeva farlo ridere, cosa
difficile, e
lo stupiva sempre con nuove idee e stratagemmi. Era perfetta. Radiosa,
magnifica, intraprendente, bellissima… Sentì un
tuffo al cuore quando si girò a
guardarlo. E strinse i pugni, arrabbiato con la natura, sapendo di
essere più
basso di quasi una testa rispetto alla principessa del gelo.
Girò le antenne
rosse all’indietro. Solo Lehelin era più bassa di
lui in quella missione e la
cosa lo irritava tantissimo! Inoltre, la principessa
dell’Oscurità poteva
modificare il suo aspetto e divenire ben più alta. Lui era
basso e rimaneva
tale. Odiava essere così, con quelle strane antenne, quel
ciuffo nero di
capelli quasi sempre in faccia, le spalle stette, il corpo mingherlino
e gli
occhi esageratamente grandi. Amava il suo cervello, quello
sì, ma dubitava di
poter far colpo su di lei con quello. Di certo Mattehedike, con i suoi
bicipiti, o Thuwey, con la sua altezza di quasi due metri, lo battevano
in
tutto. Sospirò e tentò di non pensarci. Non era
l’unico ad avere migliaia di
pensieri in testa. Thuwey, da quando gli era stato detto di essere in
realtà il
figlio di Jovihann, era piuttosto confuso. Era da anni, ormai, che non
sognava
di avere una madre. Mai avrebbe desiderato, poi, essere di sangue
reale. Fissò
Kassihell. Pure lui non sapeva in quale direzione indirizzare i suoi
pensieri.
La faccenda dei gemelli, il comportamento di suo
padre…ricambiò lo sguardo di
Thuwey, senza dire una parola. Al suo fianco, Lehelin ascoltava
solamente la
voce della sua testa, ignorando del tutto gli altri nove compagni di
viaggio. Aherektess
la fissava, preoccupato. Avrebbe voluto dirle “Un soldo per i
tuoi pensieri” ma
preferì non indagare, intimorito da una sua possibile
reazione negativa. Enki
ed Hanjuly parlavano fra loro, consapevoli che erano le uniche due che
ancora
non avevano il loro oggetto proibito. Mihael chiudeva il gruppo, con un
gran
rumore d’armatura e lo sguardo attento.
“Ormai
manca poco alla dimora
del Dio della Terra” parlò Idisi
“Perlomeno…la cartina che ho del mio regno
dice così!”.
“Anche
voi sentite sempre più freddo
o è solo una mia impressione?” domandò
Kassihell, rabbrividendo leggermente.
“Ora
che me lo fai notare, è
vero. Fa sempre più freddo, man mano che
avanziamo” concordò Enki.
Le
dimore dei nativi e la loro
presenza si faceva sempre più rara e gli alberi sempre
più spogli.
“Dici
che sia un buon segno?”
mormorò Efrehem ad Idisi.
“Non
ne ho idea” ammise lei
“Non sono mai stata da queste parti”.
Stava
scendendo la notte. Il
gruppo decise di fermarsi, evitando di affrontare il gelo che pareva
sempre più
pungente. Molti scesero dagli alti tronchi, raggiungendo i fiumi
limpidi che vi
scorrevano al di sotto. Idisi procurò del cibo, raccogliendo
frutti o cacciando
con un rudimentale arco che si costruì in pochissimo tempo.
Si addormentarono
piuttosto soddisfatti, cullati dal movimento delle fronde al vento e
dai canti
degli uccelli notturni.
“Lehelin…sei
sveglia?”
sussurrò Hanjuly.
“Certo.
Io non ho bisogno di
dormire, ricordi?” rispose la principessa
dell’Oscurità.
“Posso
parlarti?”.
“Sì.
Ma forse è meglio se ci
allontaniamo dal gruppo. Non li svegliamo!”.
Le
due compagne scesero lungo
il tronco fino ad un ramo basso. Sotto di loro scintillava la luce
argento di
un fiume illuminato dagli sposi della notte. Lehelin lasciò
ciondolare i piedi
e ne sfiorò la superficie, ammirandone le onde che si
espandevano dal punto da
lei toccato.
“Cosa
ti preoccupa, Han?”.
“Vorrei
chiederti un
consiglio”.
“Di
che tipo?”.
“Hem…tipo
discorso da donna a
donna su certe questioni sentimentali”.
“E
vieni a chiedere consiglio
a me?! Lo hai visto cosa è successo con Aherektess. Ti
sembro forse la persona
adatta a dare consigli in merito?”.
“Secondo
me, sì. E poi…Enki
non mi risulta sappia la differenza fra maschio e femmina, a mio
avviso, mentre
Reishefy è una gran pettegola, mi metterebbe in
imbarazzo”.
“Idisi?
È di certo più
esperta. È sposata!”.
“Sì,
ma…lei risponde sempre ad
una domanda con un’altra domanda. Mi darebbe quelle risposte
vaghe che dà
quando legge le carte…”.
“Ho
capito. E va bene…vedrò se
ti posso aiutare. Sinceramente, non credo”.
“Riguarda
Efrehem”.
“Il
principe con le antenne?
Dimmi pure…”.
“Tu…cosa
ne pensi di lui?”.
“In
che senso?”.
L’Oscurità
non guardava negli
occhi la sua interlocutrice e continuava a seguire con lo sguardo i
pesci che
nuotavano nel fiume ed i loro colori smorzati dalla notte.
“Credi
che uno come
lui…disprezzi una come me?”.
“Disprezzi?
Perché mai
dovrebbe disprezzarti?”.
“Perché
lui è così
intelligente, preparato e logico. Sono certa che più di una
volta ha pensato
che io sia una stupida…”.
“Credo
lo abbia pensato in
generale, rivolto a tutto il gruppo. Tu ti senti stupida?”.
“No.
Ma, rispetto a lui, lo
sono”.
“Rispetto
a lui quasi tutti lo
sono. È del regno della Luce, dove la conoscenza
è il tratto fondamentale. Il
suo scopo, in questa missione, è usare le sue
rotelle”.
“Lui
è talmente logico e
calcolatore…che credo che se gli parlassi d’amore
lui mi risponderebbe che è
un’invenzione, una semplice reazione biologica finalizzata
alla continuazione
della specie!”.
“Probabile…”.
“Lui
è così affascinante. Non
sta tutto il tempo ad osservarmi le tette, non fa commenti inopportuni
sul mio
corpo e su cosa ci farebbe, non sbava quando passo! Mi tratta come una
persona
in grado di ragionare, non come una bambola di porcellana da pettinare!
Questo
mi piace…ma ho paura che un comportamento del genere riveli
solamente che non
gli interessano le donne come me”.
“A
chi non interessa una donna
come te? Intendo dire…sei molto bella e sei intelligente, lo
hai dimostrato
quando hai escogitato alcune strategie che ci hanno permesso di
avanzare in
questa missione. Sei simpatica, solare e, soprattutto, nonostante la
natura ti
abbia donato tutto questo, non guardi noi altre ragazze
dall’alto in basso”.
“In
realtà lo faccio”
ridacchiò Hanjuly “Perché siete tutte
più basse di me!”.
“Temi
che Efrehem possa
respingerti?”.
“Lui
è sempre così curioso,
ricorda ogni cosa, impara le lingue con una tale
facilità…”.
“Tu
controlli il tuo elemento
magnificamente, sai combattere meglio della maggior parte di noi e sai
sempre
trovare qualche bella parola per chi è triste o
arrabbiato”.
“Sì
ma questo a cosa può
servirmi?”.
“A
sopravvivere, cazzo!
Efrehem lo abbiamo salvato ed aiutato quante volte?! Sarà
anche un genio ma non
sa stare al mondo!”.
“Dici
che abbia qualche
possibilità con lui?”.
Lehelin
scoppiò a ridere: “Ma
se ti viene dietro da mesi, lui e le sue antennine rosse!”.
“Davvero?!”
si stupì la
principessa del Ghiaccio.
“Ma
sì, certo!”.
Hanjuly
fissò la sua
consigliera in modo strano. Non credeva alle sue parole.
“Han…se
tu fossi una di quelle
donne con in mente solo il trucco, le scarpe ed i vestiti
all’ultima moda,
allora non avresti speranze con lui. Ma non sei così,
perciò ti consiglio di
tentare”.
“Dici
che questo farà
ingelosire gli altri maschietti del gruppo?”
ridacchiò la bionda.
“Questo
è sicuro!”.
“E
come credi che possa fare?
Io sono abituata con i ragazzi del mio regno. Il loro modo di fare con
me è
inequivocabile e, alla fine, diventano così fastidiosi che
li mando via! Anche
perché di me apprezzano solo il corpo e non fanno altro che
criticare il mio
carattere ed il mio modo di fare. Devo ammettere che non mi
è mai capitato di
corteggiare qualcuno”.
“Beh…in
questo non posso
esserti di grande aiuto. Prova a lanciargli piccoli segnali. Una
gentilezza, un
lieve contatto con la mano per vedere come reagisce,
complimenti…ma sempre con
sincerità perché credo sia in grado di percepire
quando qualcosa è detta col
cuore o tanto per occupare il vuoto di una conversazione. Non
mentirgli,
fingendo interesse per ciò che ti racconta quando in
realtà non te ne frega
niente, e cerca di non trattarlo come un bambino. Magari tu vuoi fare
la tenera
usando dei nomignoli, chiamandolo "piccino" o cose del genere, ma
credo che questo vada a toccare quelle corde interne che lui ritiene
stonate”.
Hanjuly
annuì.
“E
cerca di percepire i
segnali d’assenso di Efrehem” aggiunse Lehelin.
“Lo
farò. Grazie…”.
“I
miei sono suggerimenti
puramente teorici. Come ben sai, non è che io abbia ottenuto
un granché dal
punto di vista sentimentale nella mia vita”.
“Sarai
la prima a saperlo, se
dovessi riuscire nel mio intento. Ora torniamo su dagli altri. Fra poco
sarà
giorno…”.
“Hei!
Thuwey! Dov’è Hanjuly?”
sussurrò Efrehem, svegliandosi e non vedendola.
Il
Metallo aprì pigramente un
occhio e gemette, infastidito: “Sarà andata in
bagno, rilassati” rispose,
sbadigliando.
“Da
sola?! Ma è pericoloso! È
pieno di bestie feroci qua in giro!”.
“Quella
se le mangia le bestie
feroci, sta tranquillo. E poi…non è da sola.
Anche Lehelin se n’è andata a
spasso”.
“Lo
fa sempre. Hanjuly,
invece, non si allontana mai…”.
“Dormi!
Vedrai che tornerà
subito” brontolò Thuwey, e si rigirò
dando la schiena alla Luce.
Efrehem
si mise in ginocchio,
alzandosi dal suo giaciglio. Era davvero infastidito
dall’atteggiamento
irresponsabile dei suoi compagni di viaggio. Si guardò
attorno e vide che
Aherektess, appollaiato sull’ultimo ramo più alto
dell’albero, lo fissava con
aria interrogativa.
“Dovresti
rilassarti,
piccoletto” gli suggerì, a bassa voce.
Dopodiché,
allungò un braccio
alato verso la Luce e gli porse la mano. Efrehem si alzò in
piedi e l’Aria lo
fece sedere al suo fianco, su quel ramo sospeso nel vuoto, sfruttando
la magia
del suo elemento. Con i piedi penzolanti nel nulla, i due si fissarono,
per
qualche istante. L’alba era vicina, già il cielo
iniziava a tingersi di
sfumature colorate. I capelli blu di Aherektess splendevano, mossi
dalla
brezza, ed i suoi occhi rossi erano puntati su Efrehem, che tentava di
restare
calmo nonostante l’altezza e la sensazione di disagio nel
sentirsi osservato.
“Qual
è il problema, lumino?
Cosa ti preoccupa?”.
“Mi
preoccupa il fatto che
Hanjuly non è con il resto del gruppo”.
“E
allora? È grande abbastanza
per andare in giro senza la supervisione di un adulto, sai?”
ironizzò
Aherektess, ghignando.
“Sì…ma…”.
“Senti…so
che ti piace quella
femmina e non posso darti torto. È bellissima, anche se
decisamente mi spaventa
quando si arrabbia. È una guerriera, sa come farti del male
fisico”.
“Anche
psicologico, se è per
questo…”.
“In
quello è più brava
Lehelin”.
“Non
posso darti torto”.
“Se
vuoi fare colpo su di lei,
devi lasciar perdere la tua razionalità per un attimo e
lasciarti andare. Non
pensare troppo alle conseguenze”.
“Ma,
se le conseguenze
dovessero risultare negative per me, mi sentirei un idiota!”.
“Questo
è un rischio che devi
correre”.
“Tu
lo hai corso?”.
“Sì…”.
“E
come ti sei sentito quando
non hai ottenuto niente?”.
“Un
cretino. Ma ne è valsa la
pena!”.
Efrehem
fissò chi aveva a
fianco con aria scettica.
“Lanciale
dei segnali,
principe della Luce. Sorridile, falle dei complimenti, valle vicino e
stai
attento ad ogni suo messaggio. Non puoi restartene fermo ed aspettare
che le
cose cadano dal cielo! Datti una mossa, se vuoi cambiare
qualcosa!”.
“E
se non volessi cambiare?
Intendo dire…adesso io e lei andiamo d’accordo, ci
divertiamo e sono felice
quando mi rivolge le sue attenzioni. Se le dicessi quello che sento,
temo possa
cambiare tutto…in peggio! Potrei farla allontanare, e la
cosa mi
dispiacerebbe”.
“Fa
come meglio credi. Usa il
cervello e pesa i pro ed i contro. Scegli la strada che riterrai
migliore, più
produttiva. Mettila in questi termini, se ti è
più semplice”.
“Non
so quanto fidarmi dei
tuoi suggerimenti. Mi pare che, per quanto ti riguarda, non siano stati
molto
efficaci”.
Aherektess
storse la bocca, in
un ghigno divertito. Girò gli occhi verso il basso, senza
rispondere.
“L’amore,
a mio parere,
piccoletto, è come uno strumento a corde, un’arpa,
dentro di noi. Suona la sua
musica. Il nostro cuore fa vibrare quelle corde. Se la persona che
abbiamo di
fronte sa come far sì che quello strumento sia melodioso e
che ogni corda
vibri, allora saprai che è una persona speciale, per il tuo
cuore e per la tua
musica”.
“E
se non vibrano tutte le
corde di questa fantomatica arpa interiore?”.
“Non
emetterà lo stesso suono,
non sarete in perfetta armonia. Le note stonate si faranno sentire,
presto o
tardi, com’è successo con me e Lehelin. Ascolta la
musica dentro di te…”.
Efrehem
ricordava il discorso
che gli aveva rivolto il Dio Enrikiran. Era molto simile.
Sospirò.
“Soppeserò
i pro ed i contro.
Per ora è meglio che ci limitiamo a ripartire”
mormorò, sorridendo.
Sirona
era sorta all’orizzonte
ed illuminava la compagnia. Stavano iniziando a svegliarsi. I capelli
biondi di
Hanjuly rispuntarono in mezzo ai prescelti. Sorridendo, sciolse la
treccia ed
iniziò a pettinarli con cura. Efrehem le sorrise,
guardandola dall’alto ramo in
cui ancora stava. Lehelin sgattaiolò silenziosamente.
Aherektess le lanciò una
sola occhiata, prima di volare guidando il principe della Luce con la
mano.
Idisi
fece riprendere il
cammino, con calma e sorridendo. I viaggiatori si erano avvolti in
mantelli e
stoffe percependo il freddo sempre più pungente. Solamente
Hanjuly si sentiva
totalmente a suo agio. Proseguiva a fianco di Kassihell, alla sua
destra. Sulla
sinistra del Fuoco si era messo Efrehem. Luce e Ghiaccio continuavano e
fissarsi ed a conversare, senza esporsi troppo l’un
l’altro sfruttando la
presenza centrale di Kassihell. Questi ruotò gli occhi al
cielo, tentando di allontanarsi
dal loro cianciare insensato. Thuwey sorrise vedendo quella scenetta.
Reishefy
non si accorse di nulla come sempre e si mise a canticchiare, senza
motivo.
Enki guardava il cielo sereno, di buon umore. Mattehedike sbadigliava,
ancora
assonnato. Aherektess volava, stanco di usare i piedi e Lehelin lo
osservava
sorridendo. Il Dio del Metallo si sgranchiva le braccia giocherellando
con
l’enorme spada a distanza di sicurezza dalla compagnia. Ormai
i rami su cui
camminavano erano del tutto spogli e non si vedeva anima viva. Solo
qualche
uccellino variopinto che canticchiava svogliato. Ad un tratto,
l’intreccio
legnoso terminò. Idisi si fermò ed
invitò i viaggiatori a guardare davanti a
loro. Un meraviglioso albero solitario si ergeva poco distante. Per
raggiungerlo
dovevano scendere dalla notevole altezza su cui si erano fatti strada.
La
pianta era verde chiaro, rilucente, maestosa. Attorno a lei scorrevano
due
fiumi che, per il freddo, si erano ghiacciati.
“Quello
è il luogo proibito?”
domandò Hanjuly.
“Da
ciò che mi indica la
cartina che ho fra le mani, sì” le rispose Idisi.
“Allora,
in questo caso, direi
che tocca a me” sorrise la principessa del Ghiaccio.
“Stai
attenta” le raccomandò
Efrehem.
“Non
ti preoccupare…” lo
rassicurò lei, sorridendo.
Estrasse
la sua arma dalla
sacca che aveva sulla schiena. Grazie a lei, scese agilmente lungo il
legno
nodoso, afferrandosi alle liane ed ai rami secchi. Arrivò a
terra e sentì sotto
di sé il suo elemento. Avanzò agilmente, mentre
gli altri nove viaggiatori la osservavano
dall’alto, vedendola piccolissima e distante. Hanjuly li
salutò con la mano e
tutti risposero, augurandole la buona fortuna. Quell’albero
era il luogo
proibito e la principessa gelata vi entrò senza paura,
pronta ad affrontare
qualsiasi prova.
†††
Aherektess
si girò di scatto,
sentendo un rumore. Mihael aveva fatto lo stesso da tempo, ma aveva
preferito
non allarmare la compagnia. Sfoderò la spada e
ringhiò.
“Non
fatemi del male. Non
voglio farvi niente. Sono disarmato” era Kire, che
alzò le mani in segno di
resa e mostrando la sua volontà di pace.
L’Aria
abbassò le sue armi e
lanciò un’occhiata a Kassihell e Thuwey.
“Cosa
ci fai qui?” domandò il
Fuoco.
Kire
abbassò il cappuccio e
guardò la compagnia: “Voglio solo
parlare” rispose, tranquillo.
“Non
è che vuoi fregarci?”
sbottò Mattehedike “Non è che
è un’imboscata?”.
“Sono
solo. Nessuna imboscata.
I miei compagni sono lontani da qui”.
“Come
possiamo fidarci di te?”
insistette la Roccia.
“Non
potete. Non so che farci
e non so come darvi torto”.
Kassihell
e Thuwey si
fissarono. Enki si era messa alle spalle di Idisi, non volendo esporsi
a quella
creatura di difficile interpretazione. Aherektess spiccò il
volo e fece un giro
di ricognizione, per verificare se dicesse la verità, se
fosse effettivamente
da solo.
“Io
non credo stia mentendo”
disse Efrehem.
“Grazie.
Voglio solo parlare.
Concedetemelo, per favore” parlò Kire.
“A
che scopo?” volle sapere
Mattehedike.
“Possiamo
fidarci?” domandò
Thuwey, rivolto al Dio della sua gente.
Mihael
annuì, anche se non
sembrava molto interessato alla cosa. Osservava la sua ombra cornuta e
la
doppia proiezione del mezzosangue, ghignando.
“Di
cosa vuoi parlare?”
domandò Idisi.
“Voglio
parlare con lei”
rispose Kire, guardando Lehelin “Se il grande Mihael me lo
concede”.
“Cosa
c’entro io?!” ridacchiò
il Dio “Fai quello che vuoi. Ricordati che, se le fai del
male, io son qua per
ucciderti…”.
Aherektess
si girò di scatto
verso la principessa dell’Oscurità, preoccupato.
“Sta
tranquillo” sorrise lei
“Cosa vuoi sapere, Kire?”.
Il
sanguemisto chinò la testa,
chiedendo se fosse possibile poterle parlare da sola. Lehelin
annuì, piuttosto
confusa da quella richiesta. Non aveva timore di quell’uomo,
lo fissò come se
lo conoscesse da tempo, e fece un cenno con il capo. Kire le porse,
signorilmente, la mano e lei si fece condurre lontano dal gruppo.
“Ma
siete sicuri che sia il
caso? Non è pericoloso?” si preoccupò
Aherektess.
“Sta
tranquillo. Corre meno
rischi di te!” ridacchiò Thuwey.
“Ti
fidi così tanto di quel
tuo fratellino acquisito?”.
“Neanche
un po’. Ma so che
Lehelin non la puoi distruggere tanto facilmente, e tu dovresti
saperlo. Lei ha
imparato a difendersi da sola da questo mondo”.
“Tu
non la conosci”.
Thuwey
non disse altro. Mihael
fece segno al gruppo di rilassarsi. Avrebbe voluto andare a trovare il
suo
collega, nel luogo proibito della Terra, ma preferì restare
accanto ai
viaggiatori, attento ad ogni movimento sospetto che potesse
compromettere
quella missione.
†††
Dopo
aver superato un’ampia
cavità del tronco, Hanjuly entrò nel luogo
proibito. Profumava di bosco e
natura. L’ambiente era interamente di colore verde, in varie
tonalità. Guardò
ai suoi piedi e vide dei piccoli binari che si intrecciavano sul
pavimento
d’erba. Si incuriosì e sorrise quando vide che, da
dietro una colonna in legno
attorcigliato, un piccolo trenino laccato si faceva strada verso di
lei,
sbuffando. Si chinò per osservarlo e lo guardò
allontanarsi. Dopo pochi
secondi, notò molti altri trenini in quel luogo, che si
incrociavano senza
toccarsi. I percorsi delle rotaie erano intricati e contro ogni legge
di
gravità, alcuni attraversavano il soffitto. Quando un
piccolo convoglio le
passò accanto alla caviglia, non resistette alla tentazione
di raccoglierlo. Lo
prese fra le mani e lo rigirò, osservandone i dettagliati
particolari. Non
aveva mai visto una cosa del genere, esattamente come non aveva mai
visto un
treno nella realtà. Ci si narravano leggende, su mitici
collegamenti fra le
capitali, ma ciò accadeva talmente tante Ere addietro da
renderne difficile la
credibilità. Quando fu soddisfatta, ripose la locomotiva sui
binari e la vide
allontanarsi, felice. Non passò molto tempo prima che si
accorgesse del danno
che aveva provocato. Scombinandone la tempistica, il trenino da lei
osservato
andò ad incrociarsi con un altro suo simile e si
scontrarono. Questo provocò
una reazione a
catena e, nel giro di
pochi minuti, si creò un ingorgo pazzesco. Sbuffando, le
piccole locomotive
alzarono un denso fumo nero, fra i fischi ed i rumorini metallici.
Hanjuly mormorò
un “Ops!” imbarazzato. Andò verso
l’ingorgo, tentando di rimediare, senza
risultato perché sempre più convogli giungevano
in quel punto, intasando le
rotaie. Il Ghiaccio imprecò e ne congelò
qualcuno. Poi si chinò sul punto
centrale del danno ed iniziò a dividere quei giocattoli.
“Signorina…che
state facendo?”
si sentì chiedere.
Alzò
lo sguardo e sorrise,
imbarazzata. Un Dio altissimo, interamente vestito di verde, la fissava
con
aria di rimprovero. Aveva i lunghi capelli marrone chiaro piuttosto
spettinati,
come uno che era appena stato buttato giù dal letto.
“Stavo
dormendo…” infatti
disse “…e, al mio risveglio, trovo questo casino
ed una strana donna che tocca
le mie cose”.
“Domando
scusa. Io…volevo solo
guardarne uno da vicino. Non volevo creare tutta questa
confusione…” balbettò
Hanjuly, imbarazzata.
La
divinità sospirò. Allungò
una mano e la situazione parve sistemarsi, temporaneamente.
“Hai
idea di quanto tempo mi
ci è voluto per creare questo percorso e per fare in modo
che non si
scontrino?” sbottò il Dio.
“Scusi…”
mormorò il Ghiaccio,
chiedendosi dentro di sé se una divinità non
potesse impiegare in modo più
costruttivo ed utile il suo tempo.
“Cosa
ci fai qui?” riprese a
parlare il signore di quel luogo, con calma.
“Io
sono la principessa del Ghiaccio…”.
“Lo
so”.
“…e
sono qui per avere il mio
oggetto proibito”.
“Ah…dunque
i dieci viaggiatori
prescelti sono già giunti fino a qui…”.
Hanjuly
annuì.
“Io
sono Gibrihel, Dio della
Terra, dei viaggi e delle comunicazioni. Tu…”.
“Io
sono Hanjuly, piacere di
conoscerla”.
“Bene,
July…dopo avermi
scombinato il setting, cosa pensi di fare?”.
Lei
non capì cosa intendesse
dire. Si era messo seduto, evocando un trono di legno e foglie verdi.
Al suo
fianco scintillava una spada molto simile a quella di Mihael.
“Tu
vieni dal regno del
ghiaccio…” parlò, congiungendo le mani
davanti al viso “…governato da
Enrikiran, giusto?”.
“Esatto”.
“Il
fratello maggiore del mio
caro amico Loreatehenzi…”.
“Sono
tutti amici suoi, a
quanto pare…pure Mihael parla bene del Dio
dell’Aria!”.
“Mihael!
Viaggia con voi, se
non sbaglio. Siamo vecchi e cari amici, fin da bambini, io e lui. Lo
eravamo
ancor prima di conoscere la Creatrice e venir assegnati alla squadra di
controllo di Asteria, tanto e tanto tempo fa”.
La
principessa fissò quel Dio
con aria interrogativa. Non sembrava più vecchio di
lei…ma doveva esserlo per
forza!
“Io
pensavo fosse stata la
Creatrice ad idearvi!” si stupì.
“In
realtà, da quel che ne so,
siamo stati bambini assieme. In posti diversi, ma quando sono nato di
certo non
aveva il potere di generare un bel niente. Nessuno di noi
Dèi di Asteria è
stato creato dalla Creatrice, anzi! Alcuni sono perfino più
vecchi di lei, e di
parecchio!”.
“Questo
non lo sapevo…”.
“Lo
so, ma sono quelle cose
che voi mortali non dovreste sapere ed
invece…vabbè…torniamo a noi! Immagino
tu
voglia l’oggetto proibito…”.
“Mi
piacerebbe, in effetti…”.
“Ed
in cambio, cosa prevedi di
darmi?”.
La
mortale rimase di nuovo in
silenzio, senza sapere cosa dire.
“Voi
che cosa desiderereste?”
domandò, dopo un po’.
“Quello
che vuoi. Qualcosa di
tuo o anche di altri, non mi interessa. Sono un Dio, direi che almeno
un’offerta mi sia dovuta, giusto?”.
La
principessa rifletté per
qualche istante. Poi impugnò la sua arma. Premendo un tasto,
ne fece apparire
la lama. In un attimo, senza pensarci troppo, si afferrò la
lunga treccia
bionda e la tagliò di netto, serrando gli occhi.
“Nella
mia cultura, fra la mia
gente…” parlò, dopo un paio di profondi
respiri “…i capelli sono un potente
simbolo magico, soprattutto per le donne. Tagliarli significa
rinunciare a
qualcosa di estremamente prezioso ed io ve li dono, Dio
Gibrihel”.
Tese
fra le mani ciò a cui
aveva rinunciato, restando con uno strano taglio a caschetto. La
divinità
sorrise. Si alzò e prese quel dono con delicatezza. Poi si
voltò e lo depose in
terra, ai piedi del trono che si era creato. In un istante, la treccia
iniziò a
brillare, divenne tutt’uno con il terreno ed al suo posto
crebbe un nuovo
fiore, dello stesso colore di quei capelli con punte azzurrine, il
nastro che
li teneva legati. Hanjuly guardò quella pianta, ammirata.
Anche Gibrihel
sembrava soddisfatto.
“Potevi
donarmi ciò che
volevi…” parlò, tornando a sedersi
“…la tua arma, la collana che indossi, il
mantello che hai nella sacca, la tua
verginità…”.
“Ma
quale verginità?!”
ridacchiò la mortale.
“Facevo
per dire…” ghignò il
Dio “Potevi donarmi un oggetto non tuo, andando a cercarlo in
giro per il
pianeta, ma hai scelto di separarti da un simbolo, da parte della tua
bellezza,
da qualcosa che faceva parte di te ed a cui tenevi molto. Questo ha
fatto sì
che crescesse una pianta magnifica dal tuo regalo e questo mi rende
molto
soddisfatto”.
Hanjuly
sembrava stupita da
quella reazione: “Mi darete, dunque, l’oggetto
proibito?” domandò, titubante.
“Ma
certo”.
Gibrihel
guardò un ultimo
istante il neonato ed enorme fiore. Poi rivolse la sua attenzione al
suolo.
Stendendo la mano, il terreno si sollevò. In mezzo a tutto
quel verde, emerse
una specie di disco,
un piatto, con un
buco centrale. Il Dio lo tenne stretto, infilando l’indice in
quella cavità e
bloccandolo con il pollice appoggiato sul bordo esterno.
“Questo
è tuo, July” disse,
facendole segno di avvicinarsi.
Hanjuly
prese il disco nello
stesso modo in cui glielo aveva affidato la divinità.
“Che
cos’è?” domandò,
rigirandoselo fra le mani.
“Al
momento opportuno lo
saprai” rispose Gibrihel.
“Non
posso avere un indizio?”.
“No.
Ora và, fuori dai piedi.
Devo riordinare i miei trenini, fare un giretto da Xoduzz per
rilassarmi un po’
con il suo casco e poi tornare a dormire”.
La
principessa del Ghiacciò
annuì. Mise il disco al sicuro nella sua borsa ed
uscì, dalla cavità da cui era
entrata, senza guardarsi indietro.
†††
“Come
mai desiderate tanto
parlarmi in privato, signor Kire? E perché proprio con
me?” domandò Lehelin,
seduta su un ramo accanto al sanguemisto.
“Voi,
principessa oscura,
siete stata colei che ha posseduto mio fratello…”.
“Si,
esatto. Cosa posso fare
per Voi, signor Kire?”.
“Datemi
del tu, vi prego!”.
“Allora
la cosa dev’essere
reciproca”.
Lei
ridacchiava ma lui capì al
volo che lo faceva per l’imbarazzo, non perché
fosse di buon umore.
“Ti
spavento, Lehelin?”.
“No.
Ma sono stata nella testa
di tuo fratello per un lasso di tempo sufficiente da provare un certo
disagio a
conversare con te…”.
“È
proprio di questo
avvenimento di cui voglio parlare. Quelli della mia razza, che
possiedono parte
di sangue d’Oscurità, so che sono in grado di fare
cose straordinarie con la
mente e le ombre. Non oso nemmeno immaginare cosa sia in grado di fare
tu, che
sei la più forte del tuo popolo. Seconda solo a tuo padre
Ozymandias”.
“Mi
sarebbe difficile
descrivertelo, in effetti…”.
“Ci
tengo a farti sapere che
stimo tuo padre. È il più grande guerriero di cui
abbia mai sentito narrare,
fin da bambino…”.
“Stai
tentando di adularmi,
signor Kire? Perché non funzionano certe tecniche con
me…”.
“Parlami
di mio fratello. Cosa
passava per la mente a quel testone rabbioso nelle sue ultime ore? Io
sono,
ero, il suo gemello e avrei dovuto comprenderlo, ma mi sono perso
qualche passaggio,
temo. Se tu fossi così gentile da raccontarmi cosa hai visto
dentro di lui…”.
“Lui
ti voleva bene, se è
questo che vuoi sapere”.
“Davvero?”.
“Sì.
Ci teneva a te”.
“Ma
non dovevo contare poi
molto, se aveva un così assoluto desiderio di
morire…”.
“Non
è così. Ammetto di non
poterti dare molte spiegazioni…la sua testa era talmente
complicata e piena di
pensieri, contraddizioni e confusione da rendere molto complessa una
sua
interpretazione”.
“Non
mi serve
un’interpretazione. Solo sapere perché ci tenesse
così poco alla vita…”.
“Vuoi
chiederglielo di
persona?”.
“In
che modo?”.
“Dentro
di me, da qualche
parte, so di poter recuperare qualche particella della sua essenza.
Sforzandomi, con l’aiuto dell’oggetto proibito,
sono certa di poter fare in
modo che sia lui stesso a parlare con te. Non durerà a
lungo, sfrutta il tempo
a tua disposizione al massimo perché poi non
potrò più richiamarlo davanti a
te, la sua essenza verrà consumata”.
Kire
la fissò con ammirazione,
con grandi occhi tondi e confusi. Non sapeva cosa esattamente volesse
fare
quella creatura dell’Oscurità.
“Parlagli
come se fosse quel
giorno, come se non sapessi cosa lo attende, perché
ciò che io posso evocare
non sa nulla oltre al momento in cui i nostri corpi si sono
separati” parlò
Lehelin, mentre il sanguemisto la fissava sempre più confuso.
“Chiudi
gli occhi” ordinò lei.
Lui
obbedì, poco convinto.
Sentì l’Oscurità sfiorargli la mano e
la sua presenza farsi sempre più vicina.
Trattenne il respiro.
“Bum!”
si sentì dire, in un
soffio, all’orecchio.
Riaprì
gli occhi rossi e
trasalì. Davanti a lui c’era suo fratello Elehcim.
Lo stava fissando con
curiosità, muovendo solo leggermente le orecchie a punta.
“Che
cazzo ci facciamo qui,
Kire?” ridacchiò, dondolando sospeso nel vuoto.
Il
gemello era rimasto senza
parole.
“Sei
tu? Sei davvero tu?”
domandò.
“Hai
bevuto, Kire? Ancora non
ti arrendi all’evidenza che l’alcol non lo
reggi?”.
“Come
stai?”.
Elehcim
lo fissò sconcertato.
“Vuoi
metterti a parlare del
tempo, anche? Non abbiamo delle conversazioni più
intelligenti da fare? Tipo
pensare a come fermare la missione dei prescelti
che…”.
Kire
lo zittì abbracciandolo.
“Ma
cosa ti sei fumato?!
Brutto coglione, lasciami andare! Hai battuto la testa?!”
protestò Elehcim.
“Tu
ci tieni a me, fratello
mio?” domandò Kire.
“Che
domanda è?!”.
“Rispondimi
sinceramente”.
“Mi
spiazzi con questa
domanda…”.
“RISPONDI!”.
“Ovvio
che ci tengo a te,
brutto idiota! Sei il mio fratello gemello!”.
“Allora
perché…”.
“Perché
non mi interessa del
mio destino? Perché non temo l’idea della
morte?”.
“Sai
darmi una risposta?”.
“Sinceramente…no.
Il fatto è
che sono stanco”.
“Stanco
di vivere?”.
“No,
stanco di combattere.
Combattere per ottenere ogni cosa per poi restare con nulla in mano,
come
accade a noi sanguemisto. Ci odiano tutti, ci spaccano le balle
continuamente…ed io posso anche fare a meno di sorbirmi
tutto questo. Non mi
dispiacerebbe avere un po’ di silenzio”.
Kire
sorrise. Il silenzio era
la stessa cosa che desiderava pure lui.
“Sono
stanco, Kire. Mi sento
molto strano. Come se qualcosa si stesse spegnendo, pian piano, dentro
di me”.
“Passerà
tutto con una buona
dormita” mormorò il fratello, capendo che la magia
dell’Incantatrice stava
svanendo.
“Ricordi
quando eravamo
piccoli?” ridacchiò Elehcim, appoggiandosi
all’albero con la schiena e
socchiudendo gli occhi “Quanti casini combinavamo, ricordi?
Povero
Neziar…badare a noi, piccole pesti, dev’essere
stato un bel problema!
Poveretto!”.
“Già!
Ti ricordi quella volta
che lo abbiamo svegliato dandogli fuoco alla coperta?!”.
“Come
dimenticarlo?! Ci siamo
divertiti un sacco….”.
“Sì,
e le abbiamo anche
sentite un sacco! Ci ha messo in punizione per mesi!”.
“Poi
quando gli abbiamo detto
che la maestra era morta per non andare a scuola? Avevamo
un’aria talmente
triste che ci ha creduto!”.
“Si
è sentito molto meglio
dopo averci sculacciato per ore!”.
“Eravamo
tremendi…”.
“Siamo
tremendi!”.
I
due gemelli scoppiarono a
ridere, ma Kire notò la stanchezza profonda di Elehcim.
“Ho
bisogno di dormire…”
sussurrò il rievocato, socchiudendo gli occhi.
Il
fratello non voleva
lasciarlo andare, ma sapeva che non aveva scelta.
“Non
ti preoccupare,
gemellino…” sussurrò Elehcim, con la
testa ciondolante e gli occhi chiusi “…tu
ed io saremo sempre uniti e, qualunque cosa accada, saremo una cosa
sola, come
eravamo nei primi secondi d’esistenza”.
Kire
sorrise, con gli occhi
rossi lucidi e tremanti. Non riuscì a trattenersi e
tornò ad abbracciarlo,
mentre il fratello gli poggiò la testa sulla spalla e smise
di respirare.
“Ora
puoi lasciarmi” mormorò
Lehelin, riprendendo il suo solito aspetto.
“Grazie…”
sussurrò Kire,
lasciandola andare solo dopo qualche minuto.
Sul
volto di lui, scese una
lacrima di colore argento come il metallo e rovente come il fuoco.
“Ora
devo andare…” continuò
l’Oscurità “…i miei compagni
mi aspettano”.
“Sì.
Hai ragione…vai pure…”.
Lei,
sorrise, alzandosi. Lui
non disse nulla.
“Spero
ti sia stato utile quel
piccolo attimo…” disse Lehelin.
“Più
di quanto immagini…”.
“Bene.
Ne sono lieta. Ora devo
andare”.
Kire
la salutò con un cenno della
testa e l’Oscurità si allontanò,
guardandosi indietro per un paio di volte,
notando che pure il mezzosangue faceva lo stesso.
†††
“Cosa
hai fatto ai capelli?”
domandò Thuwey, notando la pettinatura a caschetto di
Hanjuly.
“Storia
lunga…” sorrise lei.
“Stai
benissimo così” le disse
Efrehem.
Il
Ghiaccio arrossì.
“Hai
l’oggetto proibito?”
volle sapere Enki.
“Sì.
Nella borsa”.
“Fantastico…possiamo
proseguire! Ormai ci resta un solo regno” affermò
Kassihell, soddisfatto.
“Lasciamola
riposare un po’,
no? Ne avrà bisogno!” propose la Luce.
“Non
ne ho bisogno…ma grazie
per la premura” si affrettò a dire Hanjuly.
“Figurati…”.
Lehelin
ricomparve ed il
gruppo capì che erano pronti per riprendere il cammino.
“Dove
sei stata?” le domandò
il Ghiaccio.
“Storia
lunga”.
Sorridendo,
i viaggiatori
scesero lungo il tronco ed oltrepassarono il luogo proibito. Sapevano
che il
confine con il regno della Roccia era poco distante.
“Cosa
voleva quel
mezzosangue?” domandò Thuwey a Lehelin,
“Com’è
andata con il Dio della
Terra?” fu la domanda di Enki ad Hanjuly.
Entrambe
diedero risposte
piuttosto vaghe. Non avevano voglia di perdersi in inutili discussioni.
La
principessa del Ghiaccio guardò Efrehem. Lui
ricambiò quello sguardo. Presero
un profondo respiro e si avvicinarono fra loro.
“Devo
parlarti” si dissero,
all’unisono.
Il
resto del gruppo capì e si
allontanò, sorridendo. Luce e Ghiaccio scoppiarono a ridere.
“Cosa
devi dirmi?” parlò lei.
“Prima
tu!” rispose lui.
Si
fissarono, senza parlare.
Lei si girò a guardare l’orizzonte.
“Questo
posto è davvero bello.
Le luci in questo mondo sono così magiche
e…”.
Lui
le andò accanto,
ascoltandola, ma non poté resistere. La prese per un fianco
e la baciò,
sentendo con gioia che la principessa ricambiava.
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Capitolo 13 *** XIII- Roccia ***
XIII
Enki
sapeva di essere lei la
prossima. Era l’unica rimasta senza oggetto proibito. La cosa
la preoccupava ma
non voleva lasciarlo a vedere.
“Com’è
il Dio della Roccia?”
domandò a Mattehedike.
“Non
saprei risponderti. Non
si fa vedere e girano tante di quelle voci su di lui…non
saprei indicarti quali
sono le più giuste”.
“E
queste voci che cosa
dicono?”.
“Di
certo non è una creatura
particolarmente dolce, gentile, o cose del genere. Da ciò
che si narra, ha un
pessimo carattere e non ci tiene a dargli un freno”.
L’Acqua
non fu per nulla
felice di quelle frasi, ma non poteva farci niente. Lei era
l’ultima rimasta e
doveva affrontare quella divinità, volente o nolente.
“Sì,
è vero. Ha un pessimo
carattere” borbottò Mihael.
“Lo
conoscete?” parlò Enki,
desiderosa di ricevere più informazioni possibili al
riguardo.
“Il
Dio della Roccia? Certo
che lo conosco. Non è pericoloso come sembra, ma non si
è mai interessato a
questa vostra missione. Non saprei descrivervi una sua possibile
reazione…”.
“Vi
riferite a quando chiederò
l’oggetto proibito?”.
“Esattamente.
Non lo vedo da
un sacco di tempo, da prima che tutta questa faccenda iniziasse, il che
è
strano, perché siamo parenti…”.
Enki
non sapeva se rilassarsi
o preoccuparsi di più a quelle parole. Se era parente di
Mihael, e ci
assomigliava, non poteva essere tanto cattivo ma, d’altro
canto, se sapeva
combattere come il Dio del Metallo, non sarebbe stato facile ottenere
qualcosa.
Specie se richiedeva una sfida con lei. Tentò di non
pensarci. Aveva scacciato
ogni preoccupazione quando Idisi le aveva fatto notare che gli
Dèi erano dalla
loro parte, ma ora erano tornate tutte quelle voci di avvertimento, non
appena
era venuta a sapere che il Dio che a lei spettava non voleva avere
niente a che
fare con la missione. Rabbrividì. Un po’ per la
paura ed un po’ per l’aspetto
spettrale di quel regno.
“Cos’è
successo qui?” si
chiese Mattehedike, guardandosi attorno.
La
natura circostante pareva
spenta, triste, senza forza. Il deserto, le montagne
all’orizzonte ed i canyon,
che si apprestavano a raggiungere, non avevano i loro soliti colori
sfumati dal
rossiccio, al marrone brillante, con le striature crema. Gli effetti
marmorizzati e picchiettati, così belli quando illuminati da
Sirona, ora non si
facevano vedere. Tutto era piatto e neutro, marrone spento, rovinato.
Un grosso
animale ricoperto di placche di roccia scavava con il muso nella
sabbia,
trovando i tuberi di cui si nutriva. I suoi occhi erano tristi e
malinconici.
Fissò Mattehedike ed il gruppo con svogliatezza, senza
timore.
“Dici
che sia buono da
mangiare?” sussurrò Kassihell.
“Non
lo vedi che è per metà di
pietra? Tu mangi sassi?” ridacchiò Hanjuly.
“Se
ho fame, sì. Ed HO fame!
Ci sarà qualcosa da mangiare in questo regno, no?”
protestò il Fuoco.
“In
effetti, la carne di
quell’animale è piuttosto prelibata. Ma
è una bestia estremamente difficile da
catturare e la parte commestibile è davvero poca rispetto
all’intero corpo”
spiegò la Roccia.
“Allora
prendiamone più di
uno. Siamo in tanti. Dovremmo farcela…” insistette
Kassihell, ed il resto del gruppo
si unì a quella proposta, sentendo i morsi della fame.
Mattehedike
lanciò un’occhiata
alla bestia. Era isolata ma, in lontananza, si poteva scorgere il resto
del
branco. Saranno stati una cinquantina di capi, stretti l’uno
all’altro.
Sospirò. Lui era abituato a cacciare con i suoi compagni
della Roccia e non
aveva idea di come fare con gente di altri elementi. Le zanne di quelle
creature potevano dilaniare un abitante del suo elemento, figurarsi i
danni che
erano in grado di fare sulla carne più tenera dei suoi
compagni! Li mise in
guardia sui possibili rischi, ma oramai non veniva più
ascoltato. A comandare
erano i loro stomaci vuoti e brontolanti.
“Come
volete…” borbottò
“…poi
non ditemi che non vi avevo avvertito!”.
“Dicci
come dobbiamo fare e
noi eseguiremo, capo!” esclamò Reishefy,
impaziente.
“Se
la mandria si sentirà
minacciata, attaccherà in massa e non ci sarà un
granché da fare. Dobbiamo
tentare di disperderla, in modo da separare qualche
esemplare”.
“Separarli
come?”.
“Usando
un diversivo. Inutile
tentare il mimetismo perché il loro olfatto è
sviluppatissimo”.
“Ho
capito! Ci penso io!” rise
l’Elettricità.
Il
resto del gruppo si lanciò
un’occhiata preoccupata, mentre Reishefy richiamava il suo
elemento fra le
mani.
“Voi
della Roccia come catturate
una bestia così?” si informò Efrehem.
“Stiamo
il più possibile
controvento e confondiamoci con il paesaggio, usando il nostro
elemento.
Individuiamo il solitario che vogliamo e lo circondiamo. Abbiamo
pochissimo
tempo, poi, per colpirlo nei punti senza armatura di pietra.
È una caccia
rischiosa. Se la mandria si accorge di ciò che sta
accadendo, attacca senza
indugi ed uno di quegli affari pesa una tonnellata, o giù di
lì”.
Reishefy,
nel frattempo,
incurante di qualsiasi cosa, si era creata una frusta elettrica fra le
mani e,
urlando, si era messa a correre. Il gruppo di animali, sconcertato da
una
simile follia tanto quanto gli altri nove viaggiatori, rimase immobile
per
qualche istante. Non appena le scosse iniziarono a dar loro fastidio,
venendo
le bestie ripetutamente colpite sul didietro, all’unisono si
mossero e
caricarono la principessa dell’Elettricità. Lei
dapprima rise, chissà per quale
motivo, e poi se la diede a gambe.
“Razza
di…” iniziò Kassihell,
ma non ebbe il tempo di finire l’insulto perché
dovette mettersi a correre per
aver salva la vita.
“Dividiamoci!”
urlò
Mattehedike, tentando di smorzare la forza della massa
d’animali “La vostra
magia non funziona, se non colpendoli nei pochissimi punti deboli, che
son ben
coperti durante la carica! Correte!”.
“Reishefy!”
urlò Hanjuly,
vedendo la sua compagna d’avventura risucchiata dalla polvere
e dai corpi delle
bestie inferocite.
“Corri,
Han!” la incitò
Efrehem “Scappa!”.
La
principessa del Ghiaccio
rimase ferma per pochi secondi e poi mise in moto le gambe, ma
procedendo nel
senso contrario. Voleva salvare l’Elettricità. Il
rappresentante della Luce
urlò, supplicandola di tornare indietro, ed Aherektess
dovette sollevarlo di
peso in aria per non farlo travolgere. Ognuno per sé, si
disse Enki, non molto
pratica nella corsa…non era quello lo spirito di gruppo! Ma
era consapevole
che, presi dal panico, in pochi avrebbero potuto rendersi utili. Si
gettò in
terra, rotolando di lato, pregando tutto ciò che le passava
per la mente di
aver salva la vita.
La
mandria passò, lasciandosi
alle spalle un gran polverone di sabbia e pietre smosse.
“HAN!”
urlava Efrehem,
dimenandosi fra le braccia di Aherektess.
Il
principe dell’Aria lo
depose in terra, comandando il suo elemento.
“HAN!”
urlò di nuovo la Luce,
tossendo ed agitando le mani.
Gli
occhi gli lacrimavano e
non riusciva a vedere nulla. La chiamò per nome ancora ed
ancora.
Aherektess
spalancò le braccia
piumate e, con un paio di poderose bracciate, dissolse la nebbia di
granelli ed
il gruppo iniziò a ricomporsi. Enki notò, con una
certa inquietudine, che le
impronte degli animali erano ben visibili a pochissima distanza da dove
si era
gettata, raccogliendosi e tentando di farsi più piccola
possibile. Kassihell
ansimava, con i capelli sparati in aria e gli occhi spalancati, con la
schiena
contro una roccia. Si era salvato per un pelo! Ricoperto di polvere
marroncina,
si alzò tossendo, tastandosi il polso, non potendo credere
di essere ancora in
vita. Quelle bestie avevano saltato la roccia dietro cui stava ed erano
passate
a pochissimi centimetri dal suo capo e dal suo corpo atterrito.
Mattehedike ed
Idisi erano riusciti a richiamare il loro elemento, sprofondando nella
sabbia e
nella pietra giusto in tempo. Lehelin si era confusa fra le ombre ed
era riapparsa,
senza danni apparenti. Thuwey, sfruttando la sua altezza, non aveva
visto altra
soluzione se non quella, folle, di cavalcare una di quelle creature. Si
ricongiunse alla compagnia, dopo essersi reso conto della pazzia che
stava
facendo ed essere sceso dal suo feroce trasporto, rimasto indietro
rispetto
alla mandria a causa del peso del Metallo.
“Dov’è
Reishefy?” ansimò, una
volta raggiunti gli altri.
“Ancora
non si è vista”
rispose Idisi, in apprensione.
“Spero
per lei che sia morta.
Perché se non è così la uccido
io!” sibilò Kassihell.
Efrehem
corse verso il punto
in cui si era scatenato tutto. Non c’era niente. Solo mucchi
di rocce, pietre e
sabbia. Disperato, urlò il nome di Hanjuly.
“Reishefy!”
urlava, invece,
Enki, ancora tremante.
Dopo
minuti di interminabile
silenzio, si sentì un colpo di tosse ed un mucchio di sabbia
si mosse.
Scuotendosi, rivelò alla compagnia ciò che celava
al suo interno. Hanjuly,
sfruttando il suo elemento, aveva abbracciato Reishefy ed aveva avvolto
entrambe nel ghiaccio. La mandria le aveva calpestate, travolte, ma
erano state
protette dalla barriera creata da Hanjuly ed avevano riportato solo
danni
minori. Rimaste immobili, la polvere sollevata si era poi depositata
sul loro
scudo, facendole mimetizzare nell’ambiente. Lentamente, si
mossero da quella
posizione rannicchiata.
“Siete
vive!” esclamò Idisi.
Entrambe
le ragazze tossirono,
più volte, rimanendo sedute. Reishefy guardò la
sua salvatrice con le lacrime
agli occhi. Scoppiò a piangere, abbracciandola.
“Scusami!”
le continuava a
ripetere ed Hanjuly le accarezzava la schiena per calmarla.
Quando
le loro gambe smisero
di tremare, si rialzarono, scuotendosi per togliersi di dosso sporcizia
e
croste di ghiaccio. La Luce ed il Ghiaccio si fissarono, sollevati di
vedersi.
“Non
farlo più” mormorò
Efrehem, abbracciando la donna che amava.
“Non
te lo posso promettere,
ma farò il possibile” rispose lei, prima di
baciarlo.
Aherektess
e Lehelin si
fissarono, qualche istante: “Stai bene?” le
domandò lui.
“Certo.
Avevi forse qualche dubbio?”
disse lei, distogliendo lo sguardo.
Solo
allora i dieci si
ricordarono di Mihael. Era tranquillo, seduto su un grosso masso a
gambe
incrociate, fissando tutti con aria soddisfatta.
“Tu…”
protestò il Fuoco
“…perché non sei intervenuto? Dove ti
sei nascosto? Avresti potuto impedirci un
sacco di fastidi!”.
“Il
mio compito è proteggervi
dai mezzosangue e da altri pericoli insuperabili per voi. Questo era
gestibile
e poi…ve la siete andata a cercare! Io non faccio mica da
balia ai bambini!”.
Thuwey
ridacchiò, non si capì
bene per quale motivo. Forse aveva constatato solo in quel momento
quanto
vicino fosse stato alla morte.
“Beh…che
aspettiamo?
Mangiamo!” esclamò Hanjuly, smorzando il silenzio
e facendo notare alla
compagnia che alcuni animali erano rimasti feriti in quella folle corsa.
Giacevano
in terra quattro di
loro, in attesa della morte.
Reishefy
li fissava, con
ancora molta elettricità fra le mani per la tensione,
incapace di reagire.
“Reishefy”
la chiamò Kassihell
“Vieni con me”.
“Vuoi
uccidermi?” piagnucolò
lei.
“Anche.
Ma ora non mi servi
per questo. Vieni”.
Elettricità
e Fuoco
camminarono fino ad una delle creature riverse in terra. Respirava a
fatica e
girava gli occhi in preda al terrore.
“Perché
mi hai portato qui?”
gemette la principessa.
“Aiutami
a porre fine alle sue
sofferenze. Mi sembra un atto dovuto da parte tua, no? Dopotutto,
è colpa tua
se ora giace qui in queste condizioni”.
Reishefy
tirò su con il naso,
piangendo: “Cosa devo fare?” domandò, a
bassa voce.
Kassihell
le prese le mani:
“Controlla il tuo elemento!” le ordinò e
l’Elettricità obbedì, mentre il Fuoco
le metteva gli arti in una posizione simile a quando si scocca una
freccia.
“La
vedi quella piccola
fessura senza roccia, dietro la spalla? È lì che
dobbiamo colpire. Un colpo
soltanto, secco, con le nostre forze unite, e morirà senza
soffrire
ulteriormente” le spiegò lui.
Una
punta fatta di scosse e
fiamme si materializzò fra le mani unite dei due.
“Sei
pronta?”.
Lei
annuì.
“Al
mio tre, ok?”.
Altro
segno d’assenso.
“Uno…”.
La
freccia prese chiaramente
forma e consistenza.
“…due…”.
Aumentò
la potenza dei due
elementi, fondendosi ed interagendo.
“…tre!”.
Pronunciarono
l’ultima cifra
all’unisono e scoccarono la loro magia. Questa
partì, rapida e letale,
insinuandosi nella carne dell’animale ed uccidendolo
all’istante. Rimase con
gli occhi spalancati, vuoti e vitrei, rivolti verso il cielo.
“Chissà
quale divinità lo
aspetta dall’altra parte…”
mormorò Reishefy.
Kassihell
non rispose, non
sapendo assolutamente cosa dire.
Assieme,
ripeterono lo stesso
atto su altri due animali. All’ultimo rimasto
pensò Hanjuly, in un gesto di
composta misericordia. Non lo uccise, vedendo che aveva solo una zampa
fratturata e, sfidando la sua rabbia e ferocia, lo curò con
la magia,
donandogli sollievo con il gelo. Idisi, capendo cosa aveva in mente, la
aiutò
ed in poco tempo la creatura fu in piedi. Mattehedike già la
vedeva avventarsi
contro di loro, piena di rabbia, ma non fu così. Si
limitò a fissarli tutti,
con occhi languidi, e trotterellare via.
“Sai
come si cucinano queste
cose?” domandò Aherektess, rivolto alla Roccia.
“Sì,
ma avrò bisogno di tutto
il vostro aiuto”.
“Siamo
a tua disposizione”
rise il Metallo, affilando gli arti divenuti spade.
Kassihell
preparò un bel falò,
usando le radici che Mattehedike gli aveva indicato. Thuwey, la Roccia
ed
Aherektess tagliarono in pezzi le creature e le prepararono, attenti a
dividere
le parti di pietra dal resto. Enki e Reishefy, grazie
all’oggetto proibito di
quest’ultima, pensarono alle bevande. Idisi, Hanjuly e
Lehelin andarono in
cerca di tuberi commestibili vari, ben nascosti nella sabbia e fra le
pietre.
Efrehem illuminava i lavori, essendo scesa, nel frattempo, la notte.
Mihael
sorrise, soddisfatto di quel lavoro di squadra, e rimase di vedetta,
gironzolando
pigramente con la spada poggiata sulla spalla e canticchiando.
Prepararono
un pasto che
soddisfò tutti, perfino quelli più riluttanti a
mangiare cose del genere. Erano
affamati, assetati, e stanchi. Sporchi di polvere ed infreddoliti per
l’escursione
termica del deserto, si strinsero attorno al fuoco. Solamente Lehelin
se ne
rimase in disparte, come sempre, non potendo rischiare di subire danni
a causa
delle fiamme e non avendo un corpo solido che necessitava cibo.
Guardò Nikkal e
Jarih sorgere, illuminando il buio con la loro luce argentea.
Nell’aria si
udiva il fischio del vento fra le fessure della pietra e lo scoppiettio
prodotto dal fuoco.
Aherektess
e Kassihell, ancora
con in corpo troppa adrenalina per addormentarsi, parlavano di politica
e diplomazia.
Hanjuly ed Efrehem, stesi ed abbracciati, si sussurravano frasi fatte.
Enki e
Reishefy parlottavano, tentando di tirarsi su il morale e rilassarsi a
vicenda.
Mattehedike ed Idisi discutevano su come la magia e quel regno fossero
strani.
Thuwey e Mihael si raccontavano di guerre e battaglie, come vecchi
amici.
Solamente Lehelin se ne stava da sola, in silenzio, chiudendo gli occhi
ed
ascoltando una voce che, dentro di sé, le stava narrando una
storia
dell’orrore.
Il
mattino seguente, non
appena Sirona fece capolino all’orizzonte, i dieci furono
svegliati dal vociare
dei nativi. Assonati, con Lehelin nascosta per evitare fastidi, si
guardarono
attorno. Mihael non si vedeva, evidentemente celato nella sua
dimensione per
non spaventare o creare strane reazioni nei mortali che non lo
conoscevano.
“Voi
siete la compagnia di
prescelti per la salvezza di Asteria?” domandò uno
degli sconosciuti, nella
lingua universale del pianeta.
Era
un uomo giovane, di
corporatura massiccia e lo sguardo severo.
“Chi
lo vuole sapere?”
s’insospettì Thuwey.
“Mi
chiamo Deive, sono un
rappresentante delle terre desertiche al gran consiglio reale. Vengo
ora dalla
capitale” rispose l’uomo, inchinandosi leggermente.
“Quali
novità da Dusares,
buonuomo?” domandò Mattehedike, ancora assonnato.
“Devo
chiederVi di seguirmi a
palazzo per una questione di massima importanza”.
“Io?
A palazzo reale? Ma ho
una missione da portare a termine…il re capirà
che io…”.
“Il
re è morto”.
Quelle
parole fecero zittire
di colpo i dieci.
“Morto?”
balbettò la Roccia
“Ma come?! Cos’è successo?
Quando?”.
“Era
molto anziano. Già da
tempo non aveva modo di muoversi dal letto. Si è spento la
settimana passata,
serenamente”.
“Ecco
perché il mio elemento è
così debole. Ha perso il suo massimo rappresentante. Ed il
re non aveva
eredi…”.
“È
proprio questa la questione
di massima importanza di cui vorremmo discutere a palazzo, io e tutto
il gran
consiglio”.
“Ed
io a cosa vi servo?”.
“Il
nostro Signore se n’è
andato lentamente ed ha potuto redigere ogni sua ultima
volontà. Non essendosi
mai sposato, non avendo avuto figli, ha lasciato scritto il nome di
colui che
gli sarebbe succeduto sul trono. E quel nome, spero lo abbiate capito,
è il
Vostro”.
“Il
mio?!” spalancò gli occhi
Mattehedike, ridacchiando “Voi siete pazzi! Io non so
regnare! È uno scherzo,
vero?”.
“Nessuno
scherzo. Voi siete
Mattehedike proveniente dalle alte montagne, giusto?”.
“Sì,
sono io”.
“Allora
non c’è alcun errore.
Siete voi il prescelto da Eranoranhan alla successione”.
“E
cosa vi aspettate che
faccia?”.
“Ci
rendiamo conto che avete
un’importante missione da compiere…tuttavia, il
Paese al momento si trova in
una situazione delicata e si calmerebbero notevolmente gli animi se
Voi, nuovo
re, andaste a palazzo per far capire a tutti che ogni cosa è
sotto controllo.
Così facendo, impedireste le potenti lotte interne che
potrebbero scatenarsi”.
“E
se io non volessi fare il
re?”.
“Un
editto redatto secoli fa
dice che, nel caso il sovrano muoia senza eredi e senza indicare un
successore,
verrà indetto un torneo per determinare chi è il
guerriero più forte del regno,
quello con più magia del nostro elemento nel sangue. Sareste
Voi, in ogni
caso”.
Mattehedike
fissò il suo
interlocutore, sconcertato. Si passò una mano sulla testa
rasata, muovendo solo
leggermente il codino moro. Era convinto fosse tutto un sogno, o uno
scherzo.
“Non
chiediamo molto…” riprese
Deive “…semplicemente che passiate per il palazzo
e mostriate al popolo che ha
di nuovo un re. Poi…quanto manca alla conclusione della
missione?”.
“Poco.
Solamente questo regno.
Ma voi…cosa sapete della missione?”.
“Sono
stato il consigliere di
Eranoranhan per anni. Al tempo, fu lui a chiedermi un parere sulla
faccenda.
Nulla di più di quanto non fosse a conoscenza il sovrano. Se
manca poco,
potrete continuare tranquillamente il vostro viaggio, lasciando il
regno in
mano temporaneamente a dei consiglieri…”.
“A
te, quindi. Neanche ti
conosco e già mi chiedi il regno”.
“Non
era mia intenzione,
Signore…”.
“Stavo
scherzando! E non
chiamarmi Signore!”.
La
Roccia si girò verso gli
altri nove compagni, in cerca di consigli ed aiuto.
“Beh…un
giretto a palazzo
potremmo farlo, Vostra Altezza” ridacchiò Thuwey,
ironizzando sul fatto che
Mattehedike era almeno trenta centimetri più basso di lui.
“Concordo”
annuì Hanjuly.
Kassihell
non disse nulla,
convinto che le perdite di tempo non finissero mai. Reishefy non ebbe
il
coraggio di protestare, consapevole di aver già provocato
danni a sufficienza.
Efrehem fremeva dalla voglia di osservare con i suoi occhi il palazzo
reale
della Roccia. Aherektess storse il naso: la capitale era interamente
sotterranea e la cosa non lo attirava particolarmente. Noto,
però, che
nessun’altro del gruppo aveva niente da ridire e quindi
sospirò, chiedendo alla
Roccia di guidarli. Mattehedike prese le sue cose e fece per
incamminarsi
dietro al consigliere, ma questi lo fermò, con un mezzo
sorriso.
“I
re non vanno a piedi” gli
disse, tuonando poi ordini alle persone che aveva accanto a
sé, nella sua
lingua madre.
Queste
si allontanarono, per
poi tornare tenendo per le redini le bestie più grandi su
quattro zampe che i
viaggiatori avessero mai visto. Avevano due paia di occhi, contornati
da solida
roccia rugosa, gli arti massicci ed il corpo muscoloso, ricoperto di
pietra.
“Vengono
dal mio villaggio”
spiegò Deive “Perdonate se non sono maestosi,
abbelliti e magnifici come si
confà ad un sovrano”.
Mattehedike
era senza parole.
Ammirava quelle creature, sorridendo, domandandosi come avrebbe fatto a
salirci. Erano cinque. Guardò i suoi compagni di viaggio.
Aherektess fece segno
che preferiva di gran lunga volare. Gli animali si inginocchiarono,
permettendo
di ridurre la scalata ai cavalcatori per poterci salire. Con un tocco
della
mano della Roccia, si rimisero in piedi.
In
testa al gruppo, Deive governava
l’animale più grosso, color marrone, portando
Mattehedike con sé, comodamente
seduto e sorridente, nonostante l’andatura oscillante. Subito
dietro di loro,
Thuwey tentava di comandare la bestia nera di cui reggeva le redini,
con
Lehelin seduta al suo fianco che cercava di aiutarlo. Hanjuly aveva
compreso il
meccanismo e ghignava, soddisfatta, incitando la sua cavalcatura bianca
a
superare quella del Metallo. Aggrappato a lei, Efrehem osservava il
paesaggio.
Idisi accarezzava sulla testa quell’essere enorme, blu scuro,
parlandogli
dolcemente e permettendo a lei ed Enki di proseguire tranquillamente.
In coda,
Kassihell reggeva le redini stando in piedi, come Thuwey, sulla bestia
aranciata, senza parlare. Reishefy, a capo chino, lo guardava senza
commentare.
Sopra di loro, Aherektess volava. Attorno allo strano gruppo, i
colleghi di
Deive facevano da scorta, in groppa ad animali di dimensioni
più piccole.
Mihael, nella sua dimensione, decise che non c’era niente di
pericoloso in ciò
che stava accadendo, ma che era meglio non staccar loro gli occhi di
dosso.
Seguì il tutto in groppa ad una grossa creatura alata,
ricoperta di placche
metalliche.
La
folla della capitale si
scansò, vedendo quel corteo arrivare. Fissava, incuriosita,
cavalieri e
cavalcature. Aherektess, combattendo il disagio, volava fra le alte
colonne
sotterranee. Dusares, interamente al di sotto della superficie
d’Astéria,
accolse i viaggiatori con le sue architetture massicce e le linee
crude, dure,
della pietra scolpita in modo geometrico. Efrehem riportava tutto
ciò che
vedeva, senza sosta, sul suo quadernetto, mentre Hanjuly salutava con
la mano
la popolazione. Idisi stringeva fra le mani la piuma del Dio
Vereheveil, che le
permetteva di comprendere tutte le lingue con chiarezza.
Percepì più di un
commento sulla sua pelle verde.
“Fate
largo! Fate largo al
re!” urlava Deive, nella lingua della Roccia.
“Il re!”
mormorava la folla, tentando di
scorgerlo sulla sua maestosa cavalcatura.
Mattehedike
era visibilmente
in imbarazzo. Si guardò attorno, alzandosi in piedi a
fatica, e salutò. La
gente lo indicava, le madri lo mostravano ai figli, gli anziani
scuotevano il
capo come sempre.
Il
palazzo era imponente,
seminascosto da un’ampia grotta illuminata dalle torce. Non
aveva un portone o
un ingresso per separare il suo complesso dalla capitale. Abbracciava
la città
con una pesante fila di roccia incisa. Chiunque, fra gli abitanti,
avrebbe
potuto bussare alla porta d’ingresso della casa reale.
Nessuno lo faceva per
via delle statue di pietra messe a sua sorveglianza. La compagnia scese
a
terra, affidando la cura dei destrieri a chi di dovere. Sempre con
Deive in
testa, le porte d’accesso furono spalancate ed il gruppo
entrò. Aherektess
rabbrividì, combattendo contro la crescente claustrofobia.
Tutto in
quell’edificio era stretto, per aumentare il più
possibile la sensazione di
benessere di chi ci viveva.
“Il
re è qui” esclamò Deive,
guidando la compagnia nella sala del consiglio.
“E
gli altri chi sono?”
domandò una donna, seduta attorno al tavolo in pietra.
“Sono
i miei compagni di
viaggio” spiegò Mattehedike.
“Volete
che restino?” domandò
il consigliere.
“Assolutamente.
Sarà il mio
primo atto diplomatico”.
Le
persone riunite in quella
sala sorrisero. La Roccia non aveva idea di chi fossero ma rispose al
sorriso,
forse ancora convinto di vivere un sogno.
“Questa
è la lettera in cui
sua maestà Eranoranhan riporta il nome del suo
successore” parlò una delle
donne presenti, con fare solenne “Come si può
vedere, è un documento ufficiale
e non modificabile. Le ultime volontà del sovrano devono
essere rispettate”.
Mattehedike
allungò la mano e
lesse. Vi era espresso tutto il rammarico del re nel non aver avuto
eredi a cui
lasciare il regno, nel non aver amato mai al punto da decidere di
generare una
vita. Di seguito, descriveva le sensazioni che aveva provato nel vedere
il
ragazzo a cui aveva affidato la chiave del palazzo del Signore
dell’Ovest. Di
come avesse percepito l’energia magica di quel giovane e di
come fosse stato
sicuro, fin dal primo momento, di volerlo accanto a sé al
governo, al suo
ritorno, come principe ereditario. Sfortunatamente, il sovrano era
deceduto
prima del concludersi di quella missione e non aveva avuto modo di
“addestrare”
a dovere il successore.
“Voi
siete il re, ora” parlò
un uomo piuttosto anziano.
“Che
devo fare?” domandò, non
per la prima volta, la Roccia “Io devo ancora portare a
termine la missione
affidatami da Eranoranhan”.
“Siete
libero di farlo,
ovviamente. Prima, però, meglio mettere nero su bianco che
prendete in mano questo
Paese, così da calmare certe voci ed
insubordinazioni”.
“Insubordinazioni?”.
“I
nobili, ed i rappresentanti
delle varie regioni, vogliono una loro fetta di torta. Senza un potere
centrale
a tenerli fermi, ognuno di loro avanzerà richieste di ogni
tipo. Prima che
accada l’irreparabile, meglio far loro capire chi
comanda”.
Mattehedike
annuì, ancora
piuttosto confuso ma in grado di capire che era la realtà,
non un sogno come
sospettava.
“Sedetevi,
prego” invitò
Deive, indicando la sedia più grande e maestosa.
Gli
altri nove viaggiatori
furono fatti accomodare lungo le pareti della stanza, su delle piccole
sedie
per niente morbide.
La
Roccia sedette.
“Immagino
abbiate fretta di
procedere con la vostra missione, perciò passerei
direttamente all’investitura,
senza troppe cerimonie” parlò un anziano.
“Voglio
i miei compagni vicino
a me” parlò Mattehedike “La maggior
parte di loro regnerà su uno dei regni di
Asteria, prima o poi, e quindi non è giusto che se ne stiano
così distanti.
Sono miei pari e molti di loro sono ben più qualificati di
me a stare in questo
posto”.
Con
un cenno, i prescelti
furono invitati ad avvicinarsi al tavolo. I presenti di Roccia
più avanti con
l’età si fissarono, disapprovando il gesto, mentre
i più giovani sorrisero al
nuovo sovrano, felici del suo modo di fare. Davanti a Mattehedike venne
srotolata una lunga pergamena antica, piena di complicati simboli
arcani.
Efrehem ne ammirò ogni dettaglio. Si chiese se anche lui, un
giorno, avrebbe
avuto di fronte un così meraviglioso cimelio.
“Cos’è?”
domandò la Roccia.
“Il
giuramento reale” spiegò
il più anziano.
“Devo
leggerlo tutto?!”.
“Dovrebbe
impararlo a memoria.
I principi lo fanno…”.
Gli
ereditari presenti si
fissarono, annuendo. Fin da bambini li stressavano per imparare a
memoria quelle
frasi pompose, consapevoli che, per l’emozione, il giorno
dell’incoronazione le
avrebbero sbagliate di certo. Non immaginavano che fossero riportate da
qualche
parte. Gli altri, quelli occupanti un ruolo secondario nella linea di
successione, ridacchiavano pensando e ricordando i loro fratelli,
parenti o
conoscenti, che ripetevano quella nenia davanti al sovrano, sgridati
perché
sbagliavano qualche punto con la solita frase “Io alla tua
età…”.
“Noi
non pretendiamo che lo
impari, in così poco tempo” lo
rassicurò una delle donne.
“E
quindi lo devo solo
leggere…”.
“Nel
grande salone, dinnanzi
ai rappresentanti, i nobili ed i soldati reali”.
Mattehedike
deglutì.
“Coraggio…è
una cosa che
dovremo affrontare tutti noi ereditari, prima o poi”
ridacchiò il Fuoco.
“Ed
in più tu hai pure il
giuramento del tuo Regno sotto mano, scritto. Noi tutto a
memoria…e guai a
sbagliare! Perdi il filo ed è un casino” aggiunse
Efrehem.
“Ragazzi!
Così non mi
aiutate!” sbottò la Roccia.
“Andrai
benissimo!” lo
rassicurò Hanjuly, mentre il nuovo sovrano era invitato ad
andare in una stanza
vicina, per indossare un abito più adatto.
“Sono
così emozionata!” ammise
Enki “Non ho mai assistito a niente del genere!”.
“Nemmeno
io! Dev’essere
bello!” gioì Reishefy.
“Sarà
interessante poter osservare
come si svolge la cerimonia d’incoronazione in un Paese
straniero. Sarà molto
istruttivo” commentò Efrehem.
Mattehedike
rientrò nella
stanza, agghindato a festa, con un lungo mantello ed un abito sontuoso
che lo
faceva sentire a disagio. Non era abituato a vestire così.
Quasi inciampò nel
mantello. Fu aperta la tenda, che dava sull’immenso salone
adiacente. Lì, in
piedi, c’erano ad attenderlo una marea di persone.
“Da
quanto sono qui ad
aspettarmi?” domandò, sussurrando, a Deive.
“Non
appena siamo stati messi
al corrente del Vostro ingresso nel regno, abbiamo mobilitato coloro
che
dovevano essere presenti”.
“E
se io non avessi accettato?
Se non fossi diventato il re?”.
“In
quel caso, sarebbe stato
scelto uno degli spettatori, ma sarebbe stata una cosa non priva di
problemi,
non so se mi spiego…”.
Thuwey
immaginò la scena,
sentendo quelle parole. Un branco di nobili, religiosi e guerrieri di
Roccia
che si pestavano a sangue, gridando a gran voce di essere i
più adatti a
governare. I nove scesero, unendosi alla folla sottostante. Il futuro
re stava
accanto a Deive, assieme ad un paio di altri consiglieri ed il massimo
rappresentante religioso del regno, separato dal resto dei presenti da
pochi
scalini in pietra. Si guardò attorno. I suoi compagni di
viaggio erano in prima
fila e lo fissavano, con varie espressioni che andavano dalla gioia
alla noia.
Individuò i suoi genitori, commossi, a cui era stato
riservato un posto d’onore
vicinissimo al figlio. Più indietro riconobbe i guerrieri
che aveva affrontato
e sconfitto tempo fa, in quel famoso torneo istituito dal re. Fece loro
un
cenno con il capo e loro gli sorrisero. Dei nobili e del clero non
conosceva
nessuno, essendo sempre vissuto in un paesino di montagna ben lontano
da
ambienti frequentati da quella gente. In fondo alla sala, nascosto nel
buio,
percepiva la presenza di qualcosa, o qualcuno. Due occhi aranciati,
simili a
quelli di un grosso felino, lo fissavano attentamente.
“Leggete
la pergamena” lo
invitò Deive.
La
Roccia si schiarì la voce e
poi iniziò. Era un pomposo ed eccessivo giuramento di
fedeltà alla nazione, al
pianeta, al popolo, alle divinità ed ai Signori di Est ed
Ovest. Ringraziò
mentalmente la sua gente di aver mantenuto la stessa scrittura per
secoli,
permettendogli di leggere quell’antico documento dalla
lunghezza interminabile.
Ci mise quasi un’ora per leggerlo tutto, stupendosi
perché, oltre ad un paio di
suoi compagni di viaggio, nessuno sbadigliava. Quando ebbe terminato,
respirò
profondamente un paio di volte. Era sceso il silenzio.
“Posso
procedere?” domandò il
massimo rappresentante religioso, rivolto al fondo della sala.
Dall’ombra,
si mosse qualcosa
in segno d’assenso. L’uomo, vedendo quel segno,
tolse il cappuccio e si voltò
verso Mattehedike. Il nuovo re lo fissò. Era alto e sottile,
per essere un
abitante del regno della Roccia. Ogni persona incappucciata della sala
si
scoprì il viso. Erano tutti sacerdoti e sacerdotesse del Dio
rappresentante di
quel regno. Vestiti di nero, con un lungo mantello ed il volto pallido,
molti
tagli e cicatrici sulla pelle, fissarono il loro capo. Erano divisi per
gradi,
dai più importanti ai novizi, riconoscibili dal numero via,
via più numeroso di
orecchini e barrette di metallo su tutto il viso.
“Se
i loro sacerdoti sono
così…” mormorò Enki
“…il Dio com’è? Sono
inquietanti…”.
Il
capo, con i lunghi capelli
raccolti in varie trecce, aveva praticamente l’intera faccia
ricoperta di
anelli, bastoncini di varie dimensioni, cerchi e sferette. Una riga di
piccole
palline lucenti ne accentuavano le sopracciglia. Mattehedike
ricambiò lo
sguardo, sforzandosi di mostrare sicurezza ed autorità.
Deive lo invitò ad
inginocchiarsi. Il ragazzo obbedì, con lo sguardo rivolto
verso il pubblico. Il
religioso prese la corona di pietra fra le mani.
“In
nome della Creatrice
nostra madre, del grande Dio che governa il nostro elemento, di coloro
che
portano la loro voce, degli antenati che ci han condotto qui, dei
nobili che
portano nel sangue la linfa più forte della magia, dei
guerrieri che difendono
i nostri figli, dei saggi che ci guidano con le loro parole, di coloro
che
hanno fatto la storia, del popolo tutto, di tutto ciò che
esiste, è esistito ed
esisterà…io vi incorono re del Grande regno della
Roccia”.
L’inginocchiato
sentì la
corona poggiarsi sulle due piccole corna che aveva, rivolte
all’indietro, ai
lati della testa rasata. Si rialzò in piedi.
“Evviva
re Mattehedike!” urlò
Reishefy, spezzando il silenzio.
Si
alzò un applauso,
accompagnato da diverse grida di gioia, ovazione e celebrazione.
La
figura nascosta nell’ombra,
in fondo alla sala, lasciò lo stanzone dove si iniziava a
fare troppa
confusione per i suoi gusti. La Roccia intuì che quella
creatura doveva essere
il Dio della sua gente.
L’Elettricità
balzò in braccio
al nuovo re, baciandogli le guance più volte per
congratularsi. Lui,
sorridendo, si scostò gentilmente da quella stretta ed
andò a salutare i suoi
genitori, rimasti in disparte piuttosto confusi da tutto ciò
che stava
accadendo.
“Siamo
fieri di te!” gli disse
la madre, abbracciandolo.
Non
rispose a quella frase,
non trovando parole adatte. Rimase così, attaccato ai
parenti, per qualche
minuto. Nel frattempo, la folla si stava accalcando tutta su di lui per
congratularsi, stringergli la mano, parlargli e rompergli le palle.
Mattehedike
si divincolò agilmente.
“Chiedo
scusa” gridò, per
farsi sentire da tutti “Ma devo andare. Buona
giornata”.
Sparì
dietro la tenda. I nove
suoi compagni si fissarono, con aria interrogativa, e poi lo seguirono.
“Che
cosa fate, Signore?”
domandò Deive, allarmato.
“Ho
una missione da finire, te
lo ricordi? Ridammi i miei vestiti e fatemi andare via”.
“Guarda
che se voi restare
ancora un po’ a goderti la tua festa…”
iniziò Aherektess ma la Roccia lo zittì
con la mano.
“Prima
finisco questa missione
e prima potrò tornarmene qui ad imparare a regnare, volente
o nolente. Perciò
andiamo. La festa me la farò al ritorno”.
“Ma
siete proprio necessario
ai fini della missione? Non potete restare qui?”
azzardò Deive.
“Sono
fondamentale. Specie nel
mio mondo. Ora muovi il culo ed agisci di conseguenza!”.
Kassihell
ridacchiò. Non
avrebbe potuto trovare parole più appropriate per smuovere
un sottoposto restio
ad obbedire.
“Quanto
dista da qui il luogo
proibito?” domandò Enki.
“Non
molto. Anche se non
capisco perché il mio Dio non si sia fermato direttamente
alla cerimonia,
risparmiandoci un viaggio”.
“Mihael
ci ha detto che non è
molto interessato al nostro viaggio ed a tutto il resto”
tentò di spiegare la
Luce, non trovando la scusa molto convincente.
“A
proposito di Mihael…dov’è?!”
si chiese Thuwey.
“L’ultima
volta che l’ho
visto, stava sfidando le statue che fan da guardiane
all’ingresso, tanto per
passare il tempo. Pareva piuttosto divertito da
quell’attività” rise
Aherektess.
“Ovunque
sia, andiamo” sbottò
Mattehedike, togliendosi il pesante mantello, le scomodissime scarpe e
la lunga
veste.
“Fai
pure con comodo…” disse,
ironica, Enki, girandosi da un’altra parte per non vederlo
seminudo mentre si
cambiava.
“Scusate
ragazze” ghignò la
Roccia, non pensandolo per davvero.
Una
volta rimesso il suo
solito gilet ed i pantaloni a quadretti, a detta di Idisi orripilanti,
prese
quasi con rabbia la sacca con la roba per il viaggio.
“Deive…mi
raccomando! Tornerò
molto presto, non fare cazzate nel MIO mondo!”
ammonì il consigliere, che annuì
per la prima volta intimorito da chi aveva di fronte.
“Portate
con voi l’anello
reale. In caso ci fossero problemi…” si
limitò a dire.
Lo
porse al nuovo re in un
cofanetto di pietra dura, pomposamente lavorato. Aprendolo, la Roccia
vide che
era un gioiello davvero enorme e pesante, quello che aveva al dito
Eranoranhan
al momento della sua partenza, che apriva i forzieri e le stanze
private del
palazzo. Lo indossò riluttante, ripetendosi che, se dovesse
capitare, sarebbe
stato un ottimo tirapugni. Avrebbe impresso il marchio reale sulla
faccia dei
suoi nemici. Rise e depose la corona, un inutile impiccio in viaggio.
“Andiamo,
ragazzi” esclamò.
Uscirono
da una porta
secondaria, in modo da schivare la calca e gli sguardi indiscreti. Si
lasciarono alle spalle Dusares in fretta, con grande sollievo di
Aherektess.
Non sognava altro che poter tornare all’aria aperta. La luce
di Sirona lo fece
sorridere sinceramente.
“Potevano
almeno offrirci da
bere…” protestò Thuwey.
“Non
ti va mai bene niente!”
rise Hanjuly.
“Quanto
ci avete messo…”
commentò Mihael, apparendo all’orizzonte
all’improvviso.
Teneva
la spada sguainata e
appoggiata sulla spalla, come sempre.
“E
tu dove sei stato nel
frattempo?” sbottò Kassihell.
“Non
ti deve interessare,
punto primo. Ad ogni modo, tanto per la cronaca, ero a divertirmi con i
miei
colleghi. Avrò diritto ad un po’ di relax pure io,
no?”.
“All’incoronazione
c’era il
Dio della Roccia” disse Mattehedike.
“Ovvio.
Alle vostre
incoronazioni noi Dèi ci siamo sempre. Ognuno per il proprio
elemento. Sai che
noia…ma ci tocca! I patti con la Creatrice sono
questi”.
“Avresti
potuto parlarci.
Magari ci consegnava l’oggetto proibito risparmiandoci tempo
e fatica” parlò
Reishefy.
“Quanto
siete ottimisti!”
rise, sadicamente, Mihael “Se pensate che con lui basti
chiacchierare, siete
sulla strada sbagliata!”.
Detto
questo, senza aggiungere
altro e senza notare lo sguardo preoccupato della compagnia,
ricominciò a
camminare con la spada sulla spalla e l’elmo retto con la
mano libera.
†††
“Quello
è il luogo proibito”
indicò la Roccia.
Era
una grotta, buia e
piuttosto spettrale, da cui uscivano suoni inquietanti. Enki sapeva di
essere
la prescelta. Mancava solo lei. Eppure… Era terrorizzata e
non aveva alcuna
intenzione di entrare là dentro da sola. Si
guardò attorno, cercando sostegno
da parte dei compagni.
“Non
possiamo venire con te”
le mormorò Hanjuly, cercando di calmarla.
“Tocca
a te, piccola.
Dai…fatti coraggio!” disse Idisi.
“Muoviti!”
sbottò Kassihell
“Lo abbiamo fatto tutti, ora tocca a te!”.
Rassegnata,
Enki prese un
profondo respiro ed iniziò a camminare verso
l’entrata. Sotto di sé, il terreno
era sempre più cedevole ed umido. Si accorse quasi con
disgusto di star
camminando in una specie di palude fangosa. Avanzò con
fatica, venendo
trattenuta dal suolo molliccio.
Una
risata le fece raggelare
il sangue ed uno sciame di creature nere ed alate volò fuori
dalla grotta. Lei
si abbassò, per non farsi toccare, e trattenne un grido.
Qualcuno rideva, e non
da solo. Prese un altro respiro profondo ed entrò. Fu subito
avvolta
dall’oscurità. Due occhi giallo intenso la
fissavano.
“Sei
tu il Dio della Roccia?”.
Colui
che aveva davanti era
molto magro, altissimo, sproporzionato, con la pelle verde squamata,
come
quella di un serpente. Era vestito solamente con una gonna azzurro
chiaro.
Rizzò i capelli rossi e fatti di piume, come fa un cobra con
il suo cappuccio.
“No.
Io sono Kuetzalikay”.
“Cioè?”
si stupì Enki.
“Sono
un Dio di un’altra Era,
di un altro mondo, in visita al caro amico con cui tu vuoi
parlare”.
“Lui
dov’è?”.
“Qui.
Esattamente come me…”.
Quella
strana creatura sparì
nel nulla, lasciandosi alle spalle un sibilo. L’Acqua
rabbrividì, avvertendo
diverse presenze.
“Io
sono Enki, principessa
dell’Acqua, e sono qui per l’oggetto proibito.
Può venire fuori, per cortesia,
Signor Dio della Roccia?”.
L’ennesima
risata
agghiacciante si espanse per la grotta, rimbombando per l’eco.
“L’hai
sentita?” tuonò una
voce, profonda e vibrante “Sentito cos’ha detto?
Che carina…che tenera! Cosa ne
dici? Ce la dividiamo io e te?”.
“Non
ti sembra troppo piccola?
È solo una bambina” rispose un’altra
voce, con un’accentuata Esse sibilante ed
un rumore tintinnante.
“Appunto.
Sembra tenera” si
aggiunse una terza voce, quella della creatura dalla pelle verde che la
principessa aveva incrociato prima.
“State
buoni, voi due” ammonì
la seconda voce “Questo è comunque il mio regno.
Sarò io a decidere cosa farne.
Lasciateci soli”.
“Come
vuoi. Ci vediamo più
tardi” ridacchiò la prima voce.
La
divinità serpente rispuntò
dalle tenebre. Sfiorò Enki con le dita affusolate ed
uscì dalla grotta agitando
la coda. Dietro di lui apparve un altro uomo, quello con la voce
profonda.
Teneva gli occhi chiusi. Aveva capelli corti e neri, un lungo vestito
scuro e
la pelle pallida. Passò accanto all’Acqua. Le
sorrise e spalancò gli occhi.
Erano interamente bianchi. Enki lanciò un grido. Era in
preda al terrore, senza
capire totalmente il perché. Anche quel Dio scomparve,
lasciando la principessa
incapace di muoversi. Tremava. Perché era in quello stato?
Cosa le avevano
fatto?
“Rilassati,
bambina” si sentì
dire.
Lei
non riusciva a parlare.
“E
così…tu vuoi l’oggetto
proibito…”.
Gli
occhi aranciati di quella
voce sibilante la fissavano, luminosi
nell’oscurità. Enki riuscì solamente ad
annuire, sforzandosi di riprendere il controllo, inutilmente.
“Tutta
colpa di Aeirimanios se
sei in quello stato” ridacchiò la voce,
spostandosi leggermente e facendosi
illuminare dal riflesso esterno.
“Di
chi?!” balbettò lei.
“Aeirimanios.
Il Dio della
Paura e dei Sogni. Normale provare terrore nell’incrociare il
suo sguardo. Non
appartiene a questo pianeta, esattamente come Kuetzalikay. Sono miei
amici di
vecchia data, da quando ancora Asteria non esisteva e la Creatrice
aveva altro
per la testa”.
L’Acqua
spalancò gli occhi, osservandolo.
Lo trovò bellissimo. Era alto, magro, con lunghi capelli blu
scuro che
brillavano. O forse era la sua pelle a risplendere con quella luce
rossa? I
suoi occhi arancio erano luminosissimi ed il suo sorriso smagliante,
con i
denti a punta. Aveva imponenti ali da pipistrello, nere e terminanti
con un
artiglio argento acuminato e minaccioso. Vestito di nero, con una
camicia
sbottonata che mostrava il petto pieno di cicatrici
d’artigli, mosse le lunghe
orecchie a punta, ricoperte d’orecchini, e ghignò.
“Ti
piaccio, principessa
dell’Acqua?” domandò, incrociando le
braccia e facendo tintinnare i bracciali
che portava su di esse.
Enki
annuì, ricominciando a
rilassarsi. Quello sguardo la faceva stare meglio.
“Io
sono Luciherus, Dio della
Forza e del Coraggio, che presiede il regno della Roccia”.
“Mi
hanno spaventata tutti i
discorsi che mi han fatto su di Voi…”.
“Non
a torto. Non sono uno
zuccherino o un esempio di dolcezza. Chi ti ha parlato di
me?”.
“Beh…Mihael
ha detto che…”.
“Ah,
Mihael! Mio fratello…”.
“Fratello?”.
“Di
cosa ti stupisci? Anche
noi Dèi abbiamo madre e padre, sai? Salvo
eccezioni…abbastanza rare! Immagino
cosa ti abbia detto…litighiamo piuttosto
spesso…”.
“Mi
ha detto che a Voi non
interessa della missione”.
“Ed
è così. La Creatrice la posso
vedere ogni volta che mi pare e del destino di Asteria poco me ne
fotte.
Perdona l’egoismo”.
“Non
ci volete aiutare?”.
“Non
guardarmi come una
cerbiatta ferita! Di che ti meravigli? Sono un Dio fatto
così…lo sono sempre
stato, fin dagli albori…”.
“Ma
il vostro scopo non
dovrebbe essere quello di aiutare noi mortali?”.
Luciherus
scoppiò a ridere,
divertito. Agitò la coda nera, terminante con una punta
affilata.
“Non
voglio perdere tempo a
spiegarti certe cose. Torniamo a noi…”.
“Giusto.
L’oggetto proibito…”.
“Se
lo vuoi, io necessito un
sacrificio di sangue”.
“Un
sacrificio di sangue?!” si
allarmò Enki.
Il
Dio annuì, leccandosi le
labbra. Era notevolmente più alto della mortale e lei si
sentiva parecchio in
soggezione, anche perché non capiva cosa volesse esattamente.
“In
che senso, scusi?”
domandò, timidamente.
“Nel
senso che vuoi”.
“Volete
un sacrificio? Un
corpo? Animale?”.
“Per
quel che mi riguarda, non
c’è differenza fra ciò che sei tu ed un
animale. Ma, evidentemente, per la tua
concezione, tu e quelli simili a te sono più importanti
delle bestie…”.
Enki
lo fissò, smarrita. Non
poteva tirarsi indietro ed aveva paura che, stando troppo a pensare,
quella
divinità cambiasse idea e la lasciasse lì, senza
oggetto. Cosa poteva fare?
“Sono
pronta” disse, dopo
qualche istante di silenzio.
“Pronta
a cosa?” ridacchiò il
Dio.
“Volete
un sacrificio di
sangue? Prendetevelo. Ci sono io qua, per Voi. Prendete pure tutto il
sangue
che volete. Uccidetemi, se la cosa vi và!”.
Luciherus
smise di ridere e la
fissò, inclinando la testa.
“Dici
sul serio?” si stupì.
“Sì,
dico sul serio!”.
Il
Dio si rabbuiò e, sempre a
braccia incrociate, si avvicinò alla principessa. Lei rimase
immobile, con le
gambe leggermente divaricate e lo sguardo fisso.
“Sembri
davvero convinta…” mormorò
Luciherus.
Enki
non parlò. La divinità
era alle sue spalle, sentiva il calore che emetteva e lo spostamento
d’aria
prodotto dalle sue ali, che non teneva mai ferme. Camminava,
lentamente,
facendo ticchettare gli artigli che aveva sui piedi. Lei non
reagì, neppure
quando Luciherus le mise una mano sulla spalla. Ne osservò
le lunghe unghie
appuntite, senza mostrare in alcun modo la sua inquietudine. Lui le
passò una
mano sul collo, come a tastare dove fossero le vene e le arterie
principali.
Lei deglutì, rabbrividendo al contatto con quegli artigli
neri. Lui si fece più
vicino con il viso e la morse sul collo. Enki strinse i pugni,
immobile.
Luciherus si staccò, dopo un po’, e le sorrise.
“Sei
molto coraggiosa” le
disse, passandole una mano sui tagli che le aveva provocato, per
guarirli.
“Io?!”
si stupì lei.
“Certo.
Tu. In molti hanno
perso la vita al mio cospetto, perché si sono approcciati
con spocchia e
convinzione di invincibilità. È bastato che li
sfiorassi per farli scappare.
Tentare di scappare, ovviamente. Mi diverto troppo ad inseguire i
codardi. È
sempre divertente, un gioco, e quando li catturo diventano il mio
pasto, il mio
sacrificio. Avresti potuto offrirmi un’animale o
un’altra persona, essendo
principessa potevi ordinare una cosa del genere ad uno dei tuoi
sudditi. Ma non
lo hai fatto. Hai donato te stessa ed eri davvero pronta a
morire”.
“Non
mi ucciderete?”.
“No.
Io sono il Dio del
Coraggio, fra le altre cose, e non potrei mai uccidere una creatura che
ha
dentro di sé tanto di ciò che concedo a voi
mortali”.
“Ma
io…io non sono
coraggiosa!”.
“Non
saresti sopravvissuta, in
caso contrario. Non sottovalutarti!”.
“Questa
era, dunque, la mia
prova?”.
“Esatto.
Ed ora io ti dico
che…non ho un oggetto proibito!”.
“Come
sarebbe?! Ma io…”.
“Chiudi
gli occhi…e non
aprirli per nessuna ragione fino a quando non te lo
dirò”.
Enki
obbedì, riluttante.
Avvertì il vuoto sotto di sé. Fu tentata di
spalancare le palpebre ma
resistette. Non urlò nemmeno, stupendosi di se stessa.
Galleggiava nel vuoto,
precipitava.
“Che
succede?!” domandò.
Cadde,
e dopo un po’ sentì di
nuovo il terreno.
“Puoi
riaprire gli occhi,
principessa Enki” disse Luciherus.
Lei
obbedì. Si girò e vide
che, accanto a sé, aveva tutti i suoi compagni di viaggio.
Nel buio, illuminati
solamente dalla pelle del Dio e di Efrehem, tutti fissavano la
divinità con
curiosità.
“Ecco
ciò che ti devo dare,
principessa. Questo è il luogo in cui evocherete la
Creatrice” spiegò
Luciherus, osservando i mortali con distacco e salutando Mihael.
“Ci
siamo…” mormorò Efrehem,
non nascondendo una certa tensione.
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Capitolo 14 *** XIV- Evocazione ***
XIV
“Dunque
ci siamo...è il
momento dell’evocazione” mormorò Efrehem.
“Che
dobbiamo fare adesso?”
domandò Enki, mentre tutto il gruppo si girava verso la Luce.
“Che
avete da guardare?!
Perché, secondo voi, dovrei saperlo io?”.
“Perché
tu hai letto il libro
del Signore dell’Ovest, mi pare ovvio!” rispose
Kassihell.
“Sì,
ma…non l’ho capito! Tutta
quella faccenda della forza dei nomi, quelle rime prive di
logica…non vogliono
dire niente!”.
“Forse,
piccolo mortale, non
ti erano chiare all’inizio” parlò
Luciherus “Ma ora, ne sono certo, se le
riguarderai, troverai molti punti in più in grado di dirti
qualche cosa”.
Efrehem
aveva lasciato da
parte quel grosso volume da tempo, non volendo percepire la
frustrazione che
derivava dal fatto di non capirlo. Lo aprì, svogliatamente,
e ne rimase
sorpreso. Effettivamente, molti passaggi erano molto più
comprensibili.
L’oscurità che piange per le sue sorelle si
riferiva quasi sicuramente a
Lehelin e le morti avvenute fra la sua gente. Kassihell e le sue fiamme
avevano
affrontato i loro demoni, come scritto. E la luce che ammira la danza
del
ghiaccio…di certo descriveva ciò che lui, Luce,
provava per Hanjuly, il
Ghiaccio.
“A
cosa serve un libro di cui
si comprendono i passaggi solo una volta che sono avvenuti?”
sbottò, girando le
antenne a punto di domanda.
“Agli
Dèi piace fare cose del
genere” ridacchiò Luciherus
“Và avanti a leggere. Non voglio essere io colui
che ti spiega come fare l’evocazione”.
“Ma
non era Idisi quella che aveva
ricevuto in dono le parole per questo?” si stupì
Reishefy, indicando la Terra.
“Solamente
le parole, non le
procedure. Avanti…non rompete troppo! Obbedite e
basta!” sbottò il Dio,
agitando la coda ed incrociando le braccia.
Efrehem
lesse mentalmente, con
aria dubbiosa: “Qui dice…”
informò i compagni, dopo un po’
“…che ogni oggetto
proibito dev’essere consegnato dando la forza di
ciò che si è appreso e la
magia del nome ricevuto. Cioè?! E la presentazione del
donatore che roba è?!”.
Luciherus
sospirò, ruotando
gli occhi al cielo: “Devo sempre fare tutto
io…” brontolò, guardando Mihael che
se la rideva sotto i baffi.
“Tirate
fuori i vostri oggetti
proibiti” ordinò, incrociando pure le gambe e
rimanendo sospeso in aria,
fluttuante.
Si
accese una sigaretta,
accuratamente riposta nella tasca posteriore dei pantaloni, con un
grosso
accendino. Riprese a parlare dopo qualche boccata.
“Se
i miei Fratelli mi dessero
una mano…” protestò, riferendosi alle
altre divinità di Asteria “…avrei meno
da
spiegarvi ma, dato che vogliono far tutti le prime donne, tocca a me
indicarvi
il modo di avviare l’evocazione. Poi…cazzi
vostri!”.
Mihael
canticchiò
allegramente, seduto in terra, in attesa di vedere ciò che
accadeva. I
viaggiatori, in piedi, si guardavano attorno, non capendo ancora dove
fossero
finiti.
“Siete
in una dimensione
parallela…” spiegò Luciherus, nervoso
perché non sopportava l’ignoranza di
quelle creature “…a metà fra la vostra,
mortale, e quella divina. Qui i vostri
poteri sono ampliati, avrete modo di costatarlo personalmente. Avete
gli
oggetti proibiti fra le mani? Chi può averlo fra le
mani…” ci tenne a
specificare, notando lo sguardo smarrito di Idisi ed Enki.
“Principessa
del Ghiaccio…”
ricominciò il Dio, guardando ciò che lei teneva
con delicatezza fra le dita
“…tu sei la prima che attiverà il suo
oggetto”.
“Io?!
Perché io?!” si spaventò
Hanjuly.
“Che
due palle!!! Perché sì,
ecco perché!” sbottò Luciherus.
“Perché
tu possiedi il primo
oggetto che dev’essere attivato” parlò
una voce.
Era
Gibrihel, Dio della Terra.
Poggiò una mano sulla spalla della principessa.
“Io,
Dio della Terra,
Gibrihel, ho concesso in dono l’oggetto proibito del mio
elemento a questa
mortale” parlò, in tono solenne.
Hanjuly
lanciò un gridolino di
sorpresa. Il disco che stringeva era divenuto rovente e fluttuava,
illuminato,
mentre Efrehem spalancava gli occhi dicendo “La presentazione
del donatore!”.
“Ora
tocca a te, Signora del
Ghiaccio. Dì chi sei e cosa hai ricevuto da questo viaggio,
in che modo sei
cambiata…cos’hai imparato?”
continuò Luciherus.
“Io
sono Hanjuly…” iniziò lei.
“Significa
"paziente, che
ha misericordia". Hai seguito il tuo nome? Hai caricato
l’oggetto della
sua magia?” domandò il Dio della Roccia.
La
principessa parve smarrita
dinnanzi a simili domande ma non aveva il coraggio di chiedere
spiegazioni,
vedendo che Luciherus era già da sé piuttosto
infastidito.
“Certo
che l’ha fatto!” parlò
Reishefy “Ha avuto pazienza, con me soprattutto, e
misericordia in diverse
occasioni”.
Delle
bolle colorate presero
forma e fluttuarono, andando verso l’alto. Al loro interno i
dieci e le
divinità presenti videro ricreati gli episodi in cui Hanjuly
aveva seguito il
significato del suo nome.
Luciherus
sorrise,
giocherellando con una di quelle bolle. L’oggetto proibito si
illuminò con più
potenza e vibrò, emettendo un singolare suono melodico
altalenante.
“La
magia del nome ricevuto…”
mormorò Efrehem.
“Volete
sapere cosa ho
imparato?” parlò il Ghiaccio “Ho
imparato che non c’è niente di sbagliato in
me. Ho capito che, anche se sono una guerriera ed una combattente, non
una
dolce fanciulla come vorrebbero i miei genitori, vado bene
così e devo sempre
avere il coraggio di mostrarlo”.
A
quelle parole, l’oggetto
proibito si ingrandì e si girò, divenendo una
specie di tavolino circolare con
un grosso foro centrale. Era lucido, con fasce di colore diverso. Il
gruppo si
mise attorno ad esso. Solo alcuni ebbero il coraggio si sfiorarlo con
le dita,
sorridendo, avvertendone l’energia. Le bolle scomparvero,
scoppiando tutte
assieme, e tornò a predominare la penombra.
Il
disco divenne azzurro.
Aherektess, riconoscendo quella tonalità come quella del suo
popolo, fece un
passo avanti, impugnando il bastone decorato di Dharam.
“Io
sono Aherektess, significa
"guerriero di pace"…” iniziò, mentre le
bolle ricomparvero mostrando
le gesta di guerriero del principe dell’Aria.
Quella
centrale, la più
grande, conteneva la stretta di mano fra lui e Kassihell. Luciherus
annuì.
“Io,
Dharam, Dio del regno del
Fuoco, permetto l’attivazione dell’oggetto proibito
a me affidato”.
La
divinità controllante
Sirona era apparsa. Con i capelli infuocati ed il lungo mantello,
ripeté il
gesto di Gibrihel: poggiò la mano sulla spalla del mortale.
Aherektess
sobbalzò, percependo quel tocco caldo e
l’improvvisa attivazione di ciò che
stringeva fra le mani.
“In
questo viaggio…” riprese
l’Aria “Ho imparato che le persone che ci vogliono
bene tendono a controllarci,
a volte in modo eccessivo, ma questo viene fatto solo come gesto
d’affetto, non
di possessione o tormento. Magari a volte esagerano…ma lo
fanno per noi!”.
Le
bolle mostrarono varie
scene con i due gemelli del regno dell’Aria, Aherektess e
Zameknenit. Luciherus
sorrise, lanciando un’occhiata a suo fratello Mihael.
Il
bastone decorato di Dharam
ora brillava fortissimo. Aherektess lo lasciò andare, non
riuscendo più a
tenerlo fra le mani per quanto intensamente bruciasse.
L’oggetto non cadde,
rimase sospeso, e si mosse fino a prendere posto sul disco di Hanjuly,
senza
toccarlo, in verticale. Tutti guardarono la scena con ammirazione e
leggero
timore, mentre le bolle scoppiavano di nuovo tutte assieme ed il tavolo
lucido
tornava a cambiare colore, lentamente. Divenne marrone.
Mattehedike
si schiarì la
voce.: “Io sono Mattehedike. Il mio nome significa "dono
degli Dèi
vincitori"…”.
“E
lo sei, per il tuo regno”
parlò il Dio della Roccia, fissando il mortale del suo
elemento con serietà ed
un mezzo sorriso enigmatico.
“Ho
imparato che è bene
migliorare ogni giorno, senza mai credere di essere perfetti”.
“Ottimo!”
commentò Luciherus,
circondato dalle bolle piene di immagini.
“Questo
è il mio oggetto
proibito ma…dov’è il Dio che me lo ha
consegnato?” borbottò Mattehedike,
tenendo il pugnale fra le due mani a palmi aperti.
“Sarà
in ritardo come sempre…”
ridacchiò Mihael.
“Loreatehenzi!”
tuonò il Dio
della Roccia, impaziente non si sa per quale motivo.
Passarono
diversi minuti, di
imbarazzante silenzio, prima che il Dio dell’Aria piombasse
dall’alto. Atterrò
sulle spalle di Mattehedike che, leggera com’era quella
divinità, non ebbe
problemi a sorreggerla. La compagnia fissò il Dio, che
sorrise, avvolto dai
capelli sospesi dal vento.
“Cosa
mi sono perso?” domandò,
disegnando con le dita sulla testa pelata della Roccia.
“Non
ti farò un riassunto”
sibilò Luciherus “Dì quello che devi
dire ed andiamo avanti”.
“Permaloso,
come sempre. Ti
farebbe bene rilassarti, ogni tanto”.
Quella
frase ricevette di
risposta una chiara occhiataccia minacciosa, che Loreatehenzi
ignorò.
“Io
sono Loreatehenzi, potete
chiamarmi Lorenz, e sono il Dio dell’Aria. Ho affidato
l’oggetto a questo
mortale…che si attivi pure!”.
Il
pugnale si illuminò, si
sollevò dalle mani della Roccia ed andò a
posizionarsi sul disco, in verticale
e senza toccarlo esattamente come il bastone di Aherektess. Allo
scoppio delle
bolle, la superficie lucida cambiò colore di colpo,
divenendo giallo acceso.
“Tocca
a me!” esclamò
Reishefy, con entusiasmo, alzando al cielo la coppa proibita.
“Io
sono Reishefy,
"signora della freccia"…non chiedetemi
perché!”.
Le
bolle mostrarono la scena
in cui lei ed il Fuoco davano la morte alle creature della Roccia.
“Ah!”
si stupì la principessa
“Ecco perché!” ridacchiò,
mentre la coppa iniziava ad attivarsi, una pietra
dopo l’altra.
“Io,
Heronìka, Dea dell’Acqua,
ho concesso questo oggetto alla creatura
dell’Elettricità che ha meritato di
ottenerlo” parlò la Dea, apparendo fra la spuma
bianca dell’oceano che poi si
dissolse.
Appoggiò
la mano palmata sulla
spalla della mortale, che le sorrise come fossero vecchie amiche.
“Io
ho imparato che, a volte,
è molto meglio controllarsi e riflettere…un
pochino!”.
Heronìka
le sorrise, guidando
la coppa sul disco lucente e facendo scoppiare tutte le bolle con uno
schiocco
di dita. Il buio prevalse, ed il disco si fece nero.
“Finalmente!”
esclamò Mihael,
balzando in piedi ed afferrando l’Oscurità con
entrambe le mani.
“Io,
il possente ed
invincibile Mihael, ho concesso il mio oggetto proibito a questa
mortale, anche
se non lo meritava, e sono proprio curioso di vedere cosa succede
adesso che lo
attivo”.
Lehelin,
sconcertata dall’irruenza
di quelle frasi ed inquietata dalla presenza della divinità
alle sue spalle,
che la sballottava, non disse nulla.
“Parla,
mortale!” la incitò
Luciherus.
“Io…io
sono Lehelin. Dicono
voglia dire "lacrima di luce"…”.
“Questo
so spiegarlo io!”
parlò Thuwey.
“Davvero?”
si stupì lei,
fissandolo con scetticismo.
“I
tuoi occhi sono tristi,
questo spero di non averlo notato solo io. Si vede, nonostante tu
distolga
sempre lo sguardo quando parli. Le lacrime…ma anche la luce
perché hai saputo
dire le parole giuste al momento giusto, illuminando degli animi
altrimenti
confusi”.
“Veramente?!”
ridacchiò
l’Oscurità.
“Sì,
veramente” confermò
Hanjuly.
Lehelin
rimase in silenzio,
non sapendo bene che cosa dire. In imbarazzo, rise di nuovo.
“Cos’hai
imparato?” incalzò
Luciherus, arricciando la coda.
“Ho
imparato che bisogna
essere se stessi. Bisogna essere ciò che si è,
non adattarsi ai desideri ed
alle voglie degli altri fingendo di essere qualcun altro. Come ha detto
anche
il Ghiaccio, non c’è niente di sbagliato in
ciò che siamo”.
L’anello
proibito si illuminò
ed andò al suo posto. Il disco divenne rosso acceso, in un
intreccio di fiamme
e guizzi agitati.
“Io
sono Kassihell” parlò il
Fuoco, reggendo il medaglione proibito con una mano sola
“Sono "l’angelo
della morte"…”.
Le
bolle fluttuanti mostrarono
l’avvenimento nel regno del Ghiaccio, in cui Efrehem aveva
perso la vita, ma
che il Fuoco, riavvolgendo il tempo, aveva salvato. I viaggiatori, non
potendo
ricordarlo, lo fissarono con stupore ed incredulità.
“Ecco
perché hai schiacciato
quella piccola farfalla…” mormorò
Idisi, sorridendo.
“Ed
ecco il perché delle
cicatrici!” aggiunse Hanjuly.
“Grazie!”
gli disse Efrehem,
non trovando altre parole.
“L’angelo
della morte regge
una clessidra fra le mani” spiegò Luciherus
“Tu, nella tua vita, hai portato
tanta morte, combattendo in guerra, ma sei stato in grado di girare la
clessidra, e donare una vita. Il tutto non sapendo quali conseguenze
quel gesto
potesse avere su di te”.
“Ti
sono debitore” sussurrò la
Luce.
“Vedrò
come farmi ripagare”
borbottò Kassihell, non abituato a simili situazioni.
“Speravo
lo avresti usato in
modo diverso, mortaluccio…” sospirò
Kaos, sbucando dal buio “…ma io, Kaos,
l’ho
donato a te e quindi ne hai fatto l’uso che ritenevi
più giusto”.
Il
Fuoco lanciò un’occhiata
alle sue spalle, trovando inquietante il fatto che il Dio Oscuro fosse
dietro
di lui. Si sentì sfiorare dalla nebbia nera di cui era
composto e si sforzò di
guardare avanti a sé, continuando il discorso, scostando le
bolle con scene di
vita e morte dalla sua visuale.
“In
questo viaggio ho imparato
che la vendetta genera altra vendetta e non porta da nessuna
parte”.
Il
medaglione vibrò,
rilucendo, e si mosse verso il disco. Kaos guardò prima
l’oggetto, come
facevano tutti i presenti, e poi Lehelin, con un mezzo sorriso.
Il
colore argento della
superficie fece parlare Thuwey. Mostrò i due bracciali e
sorrise a Xoduzz,
apparso alle sue spalle. Si salutarono, pugno contro pugno, e poi si
presentò.
“Io
sono Thuwey. Da quel che
ne so, il mio nome vuol dire "sogno ritrovato". Cosa c’entri
questo
con la missione, non saprei dirlo”.
“Ma
è ovvio!” parlò Idisi “Hai
ritrovato tua madre!”.
Il
Metallo si mostrò piuttosto
scettico davanti a quelle parole ma non ribatté.
“Io,
Xoduzz, ho donato questi
affari al mortale qui presente e sono lieto che vengano
attivati” esclamò il
Dio dell’Elettricità, appoggiandosi spalla contro
spalla a Thuwey.
I
bracciali si illuminarono e
si sganciarono dai polsi del loro portatore.
“Ho
imparato che, ogni tanto,
è bene fidarsi anche degli altri”
mormorò il Metallo, quasi vergognandosi nel
dire una frase del genere.
Gli
oggetti andarono al giusto
posto, facendo mutare il colore del disco dall’argento al
bianco.
“Sono
io…” parlò Efrehem,
leggermente intimorito.
Il
piccolo plettro proibito
quasi non si vedeva, sul palmo pallido del mortale.
“Il
mio nome è un augurio.
"Che possa crescere, maturare, dare frutto". Ritengo di aver donato a
questo oggetto la magia ad esso legato. Lungo il cammino sono
cresciuto,
maturato…e spero, un giorno, di dare dei frutti!”
sorrise, arrossendo,
guardando Hanjuly.
Lei
gli mandò un bacio con la
punta delle dita. Lui rabbrividì, avvertendo un soffio
gelido alla schiena.
Enrikiran, Dio del Ghiaccio, era apparso alle sue spalle senza dire una
parola.
“Grazie
alla divinità dietro
di me…” riprese Efrehem “…ho
imparato ad ascoltare la musica dentro di me e
seguire il mio cuore, non solamente la testa”.
Luciherus
si aspettava che la
divinità in questione dicesse qualcosa ma non fu
così. Si limitò ad allungare
una mano verso il plettro, sospeso a mezz’aria. Toccandolo,
lo attivò
all’istante e questi andò a posizionarsi sul
disco.
“Io,
Luciherus, Dio
rappresentante del regno della Roccia, ho concesso a questa mortale di
accedere
al luogo proibito dove ci troviamo” parlò
Luciherus, anticipando il colore blu
che apparve subito dopo ed inondò l’area
circostante, come l’oceano.
“Io
sono Enki. Il mio è un
nome maschile. Significa "signore della parte inferiore", riferendosi
al mondo interiore. Immagino si riferisca al fatto che ho capito come
controllare la mia interiorità, senza farmi sopraffare dalla
paura. Questo è
anche ciò che ho imparato: avere fiducia in me stessa e non
spaventarmi più. Ho
finalmente risvegliato il mio coraggio”.
Ammirò
con orgoglio le bolle con
le immagini che lo dimostravano, mentre il terreno e l’aria
attorno al gruppo
si riempivano di luci, attivandosi.
Per
ultima, Idisi attese che
il disco diventasse verde prima di parlare.
“Il
mio nome, Idisi, per la
mia gente vuol dire "destino"…”.
“Era
destino che ti unissi a
questa missione…ricordi la storia delle carte che mi hai
raccontato?” disse
Enki, fra i segni d’assenso del gruppo.
“In
questo viaggio….ho
imparato ad arrabbiarmi, cosa utile in certi casi”.
Le
bolle mostrarono la Terra
nella biblioteca della Luce, mentre inveiva contro Aria e Fuoco.
“Io,
Vereheveil, Dio del regno
della Luce, ho concesso a questa mortale il testo per
l’evocazione che lei,
soltanto lei, pronuncerà e conoscerà”.
Il
Dio dalle ali dorate la
toccò con le sue piume e la incitò a parlare.
Idisi gli lanciò un’occhiata
preoccupata. Poi prese fiato, sentendo attivarsi una parte di lei
dentro la
testa, contenente tutto ciò che doveva dire. Senza pensarci
più, recitò una
sorta di poesia, una nenia complicata in una lingua che nessuno, tranne
lei e
Vereheveil, comprese. Gli oggetti e l’aria si illuminarono
con sempre maggiore
intensità. Era una luce magica, che non nuoceva ai
rappresentanti
dell’Oscurità. Sempre più forte,
iniziò a concentrarsi in un unico punto,
accanto a Luciherus. Prese una forma e Lei apparve, avvolta da lunghi
capelli
neri mossi da un vento inesistente. Idisi tacque, la luce formava ora
una
corona, un cerchio lucente, attorno al capo della Creatrice. Luciherus
la
guardò e lei rispose a quello sguardo, sorridendo.
Spalancò
le braccia,
mostrandole ai viaggiatori ed alle divinità. Erano sette. Su
sei di esse teneva
sospese delle sfere che ruotavano incessantemente. Efrehem ne
individuò una a
spicchi di colore diverso, intuì rappresentasse Asteria.
“È
esattamente quello che
pensi, principe della Luce” parlò lei, leggendone
la mente.
Luciherus
baciò l’unica mano
senza sfere, sussurrando parole che solo la Creatrice riuscì
a percepire. Lei
sorrise, anche se con poca convinzione. I lunghi capelli non si davano
pace, fluttuando
incessantemente e formando riccioli in aria.
“Figli
miei…” parlò, rivolta
ai mortali “…mi avete chiamato?”.
Le
parole le uscivano da
piccole labbra divise a metà per colore, come il resto del
viso di lei. Bianco
e nero, bene e male, luce ed ombra, formavano quel volto.
“Mia
Signora…” ebbe il
coraggio di parlare Efrehem “Vi abbiamo chiamato
affinché portiate i vostri
splendidi occhi azzurri su questo pianeta malato”.
Lei
rimase in silenzio,
socchiudendo le palpebre nel silenzio, come ascoltando qualcosa.
“La
magia della mia piccola
Asteria è debole…” mormorò.
Guardò
Luciherus, con aria
interrogativa.
“Creatore…”
lo chiamò, fra lo
stupore di mortali e Dèi “…cosa succede
a questo pianeta?”.
“Lo
stanno consumando” rispose
il Dio, senza incrociare lo sguardo di lei.
“Domando
perdono, per avervi
lasciati da soli” parlò la Creatrice, riferendosi
a divinità e mortali “Come
sapete, io ho altri universi a cui badare e non mi accorgo delle
variazioni
della magia, se non quando poggio piede su uno di essi”.
“Ogni
mano è un universo…”
parlottò Efrehem, sempre più curioso.
La
Dea gli sorrise, annuendo.
“Di
chi è la colpa di tutto
questo?” prese coraggio Thuwey “E qual è
la soluzione?”.
“La
colpa?” sussurrò la
Creatrice, spalancando per un attimo gli occhi “La colpa
è un po’ di tutti, Dèi
e mortali. Ma c’è modo di rimediare, state
tranquilli”.
“Asteria
quindi non finirà?
Sarà salva?” esclamò Enki.
“Sì,
certo. Temevate la fine
del mondo?” ridacchiò la Dea.
Smise
di ridere quando notò
che tutti i presenti avevano tirato un sospiro di sollievo.
“Non
vi facevo così
catastrofici…” borbottò, passandosi la
mano libera fra i capelli.
“Ad
ogni modo…” riprese, dopo
alcuni attimi di silenzio “…vi aiuterò.
Sono orgogliosa dell’unione che siete
riusciti a trovare per evocarmi. Però…manca un
pezzo!”.
“Un
pezzo?!” si stupì
Luciherus, fissandola alzando un sopracciglio.
“Sì,
un pezzo…provvedo
immediatamente”.
Mosse
la mano senza sfere e,
in un attimo, alle spalle di mortali e Dèi, apparvero i
reali di Asteria,
coloro che avevano affidato le chiavi del palazzo del Signore
dell’Ovest ai
viaggiatori. Mattehedike avvertì un brivido ed intravide lo
spirito di
Eranoranhan che lo guardava, con orgoglio.
“Ma
che…” iniziò Ozymandias ma
non aggiunse altro, vedendo chi aveva dinnanzi.
Fra
gli Dei e la Creatrice,
decise che fosse meglio rimanere in silenzio.
Zameknenit,
Rocana, Nerektan,
Vehuya, Taranis, Friedrik, Jovihann, Midir, Ozymandias e lo spirito
semitrasparente di Eranoranhan si fissarono, piuttosto confusi da
quella
materializzazione in quel luogo sconosciuto.
“Benvenute, vostre
altezze” salutò la Dea.
“Siamo tutti adesso? O
manca ancora qualcosa?” sbottò Luciherus.
La Creatrice si girò
verso di lui, incrociando le braccia e fissandolo
leggermente scocciata.
“Come sarebbe a
dire?!” esclamò “Riflettici un
po’, prima di aprire
quella tua boccaccia!”.
Il Creatore non rispose, non sapendo
cosa dire. Si fissarono negli
occhi, con una strana espressione sul viso. Lei sospirò,
rinunciando all’idea
di farsi capire.
“Se non ci fossi
io…” mormorò, scuotendo la testa.
Alzò la mano libera al
cielo ed una creatura precipitò, cadendo nel
mezzo del foro centrale del disco proibito. I viaggiatori allungarono
il collo
per vedere chi fosse. Tossendo, la figura si alzò.
“Kire!”
esclamò Vehuya.
“Un mezzosangue? Come mai?
Facciamo un bel sacrificio?” domandò il
Metallo.
“Ma tu sei proprio fissato
con i sacrifici!” disse Aherektess.
“Cosa ci faccio
qui?” chiese il sanguemisto, rialzandosi con una mano
sul capo.
“Benvenuta, creatura
d’Asteria” lo salutò la Creatrice.
“Cosa ci azzecca
lui?” protestò Luciherus.
“Ha il diritto di
rappresentare questo mondo anche lui, no? Di
contribuire all’evocazione ed alla guarigione del
pianeta” sorrise la Dea, con
aria saccente.
“E in che modo? Non ha
né un oggetto proibito né un Dio che lo
presenta”.
“Kire significa "potente
dominatore della patria"…” parlò la
Dea, ignorandolo.
“E allora?” si
accigliò il mezzosangue.
Kassihell sorrise. Nel vederlo
così, con i capelli spettinati e la barba
sfatta, si notava che i due erano fratellastri. A braccia incrociate,
non
mostrava timore nemmeno davanti alle divinità.
“Allora lo so
io!” parlò Thuwey.
Il Metallo si girò verso
la regina del suo regno, sua madre, che era
rimasta in piedi dietro di lui e Xoduzz. Le sorrise.
“Lui sarà un
potente dominatore della patria. Jovihann, mia regina e
madre, io sono un guerriero. Lo sono sempre stato e questa cosa non
cambierà.
Questo giovane, invece, è un ottimo capo. L’ho
visto come governava la sua
gente, come dava ordini e riusciva a coordinare tutto. Non sarei mai in
grado
di fare la stessa cosa. Prima di partire per questa missione, mi avete
concesso
un desiderio qualsiasi, mia regina, in cambio. Ritengo di aver capito
quale
sia. Io voglio che Kire diventi il principe ereditario del regno del
Metallo”.
“Ma…”
balbettò Jovihann, incredula
“…ma…sei tu il principe ereditario!
Tu sei mio figlio…”.
“Lo è anche lui
e, potete credermi, sarà di certo più qualificato
di me
a regnare. Io sarò lieto di restare a capo
dell’esercito, addestratore. Il re
non è il mio ruolo”.
Kire fissò il
fratellastro, piuttosto confuso. La regina faceva lo
stesso.
“Ti ho fatto una
promessa” disse lei, dopo un lungo silenzio “Ho
promesso di avverare un tuo desiderio. Se è questo, non mi
tirerò indietro.
Kire…vuoi essere principe del Metallo?”.
Il sanguemisto si
inchinò: “Solo se lo desiderate Voi,
regina” mormorò e
lei sorrise.
“Sì,
vabbè…tutto questo è molto bello
ma…cosa c’entra con la missione?”
sibilò Luciherus.
“Sei peggio dei
bambini” sbuffò la Creatrice.
“Cosa serve che lui segua
il suo nome? Mancano sempre l’oggetto e la
divinità”.
“La divinità
l’hai di fronte, Dio impaziente ed iracondo!”
sbottò lei.
Lui la fissò, con aria
interrogativa. Lei chiuse gli occhi e mutò,
mostrando il suo vero aspetto. Rizzò le antenne sulla testa,
rosse e con le
iridi gialle. Liberò le corna dai capelli. Mosse le lunghe
orecchie a punta,
tempestate di orecchini. Lasciò che due delle sue braccia,
una per lato, si
ricoprissero di piume azzurre. Mostrò la coda, terminante
con una sfera
elettrica. Un terzo occhio le si aprì in fronte e sul dorso
di ogni mano.
L’intero suo corpo si riempì di disegni
arricciati, azzurrini e vitrei. I suoi
capelli si tempestarono di fiori. Una delle sue mani divenne palmata e
squamata, verde. Un’altra si avvolse di fiamme vive. Una
terza si indurì di
pietra. La quarta fu ricoperta di spuntoni metallici. Solamente quella
che non
sorreggeva alcuna sfera rimase immutata. Il viso si illuminò
dal lato bianco e
divenne di nebbia nel lato nero.
“Io sono la più
grande dei sanguemisto” disse, fra lo stupore generale.
Solamente Luciherus rimase
impassibile, conoscendone già la reale
fisicità.
“Ognuno di voi ha un
aspetto di me” riprese la Creatrice “Come potete
definirvi e dividervi in razze, quando siete stati tutti generati da
me? I
cosiddetti sanguepuro han gli stessi diritti di esistere dei
sanguemisto, e
viceversa. Non c’è niente di sbagliato nel fatto
che esistano, a differenza di
quanto pensate voialtri”.
“Quindi…non
sono loro la causa degli squilibri di Asteria?” volle sapere
la Luce.
“Certo che no. La causa
degli scompensi di Asteria è lo sfruttamento
della sua magia, senza che le sia dato niente in cambio. Questa mia
creatura ha
un equilibrio delicato che va rispettato. Per ogni atto magico che
volete
compiere, dovete pensare a come compensare il pianeta”.
“Come facciamo noi con i
sacrifici?” domandò Thuwey.
“Ancora con ‘sti
sacrifici?!” ruotò gli occhi al cielo Aherektess.
“In un certo senso
sì…” rispose la Creatrice
“…anche se non sono ciò che
avevo in mente. Pensavo più ad una cosa tipo i rituali del
regno dell’Oscurità,
con un'offerta di qualcosa per ottenere la magia. Anche quelli del
Fuoco, con
le danze e la musica, possono andare. Ma non una volta ogni tanto.
Sarebbe bene
farli spesso, coccolando la forza di Asteria e non
sfruttandola”.
I presenti si fissarono fra loro,
piuttosto perplessi.
“Tornando
all’evocazione…” incalzò
Luciherus.
“Quanto sei pedante,
Lucy!” protestò lei.
“Non chiamarmi
Lucy!”.
“Io ti chiamo come cazzo
mi pare! Tornando all’evocazione…lui non ha
bisogno
di alcun oggetto proibito. Lui È un oggetto
proibito!”.
“In che senso?!”
si stupì Kire.
“Non
c’è niente di più proibito di te, data
la concezione distorta che
vi siete creati dividendovi per razze ed impedendovi di fare figli fra
voi. Sei
figlio di un Imperatore di Fuoco ed una regina di
Metallo…l’essenza del
proibito per voi mortali!”.
Kire si illuminò,
attivandosi come gli oggetti dei viaggiatori, mentre
appariva un gruppetto di una ventina di mezzosangue
tutt’attorno ai presenti.
“Manca ancora
qualcosa…” mormorò la Creatrice,
toccandosi il volto con
la mano libera “Ah, sì! Ma certo! Che
stupida…”.
Allungò la mano e la
mosse, creando piccoli cerchi. Ai piedi di tutti
non si vedeva più il suolo nero.
“Chi sono?”
domandò Reishefy, notando delle presenze a testa in
giù, con
i piedi a contatto con la sottilissima parete trasparente che faceva da
terreno
ad entrambi.
“Elehcim”
mormorò Kire, vedendoselo attaccato ai piedi.
“Il regno dei
morti…” aggiunse Aherektess, vedendo i suoi
genitori.
Ognuno dei mortali presenti
riconobbe qualcuno. Amici, genitori, nonni,
fratelli, compagni d’arme e di vita, colleghi e parenti
lontani. Thuwey intuì
che doveva essere suo padre quello che lo stava fissando
dall’altro mondo.
“Siete pronti?”
chiese la Creatrice “Insieme ridaremo la forza ad
Asteria”.
Le presenze del regno dei morti si
stavano prendendo per mano, creando
un’immensa spirale. I viventi, vedendo questo, iniziarono a
fare lo stesso.
Kire si inginocchiò per stringere quella rimasta libera del
fratello. Kassihell
si allungò verso di lui, dando via alla spirale del regno
dei vivi. Accanto a
lui, Aherektess. La loro stretta di mano stupì Zameknenit e
Vehuya, vicini, che
si fissarono minacciosi, prima di sorridere e decidere di fare
altrettanto.
Luciherus fece uno sforzo enorme per riuscire a prendere la mano di
Vereheveil,
divinità che odiava a morte per via delle ali piumate ed il
suo fare da saggio,
ma alla fine non interruppe il serpentone. Prescelti, Dèi,
reali e mezzosangue
ora erano tutti uniti. Guardandosi attorno, si accorsero che avevano
dato vita
a qualcosa che non aveva fine. Tutta Asteria era con loro. Da qualche
parte,
forse, l’ultimo dei vivi si univa all’ultimo dei
morti. Solamente la Creatrice
era rimasta fuori da quell’incatenamento. Avanti a
sé osservò la sfera
dell’universo di quel pianeta. Lo tenne sospeso, guidandolo
con la mano libera.
“Ridiamo forza ad
Asteria” mormorò.
A quelle parole, Kire
iniziò a trasmettere la sua luce, che si espanse
per tutta la spirale, sia dalla parte dei viventi che in quella dei
morti. Gli
occhi della Dea si spalancarono, divenendo di colore unico, mentre la
pallina
che teneva sospesa fra le mani si illuminò in modo sempre
più forte. Il
bagliore si fece più intenso, abbagliante e magico. La sua
energia fu
chiaramente percepita da tutti quelli che ne venivano attraversati. Il
tutto
durò qualche istante, pochi minuti. A qualcuno parve
un’eternità, a qualcun
altro solo un soffio. La luce si esaurì. Il regno dei morti
scomparve ed i
mortali caddero in terra, esausti. Perfino gli Dèi parevano
provati dalla cosa,
ma non vollero darlo a vedere e fecero finta di nulla. Lentamente,
tutto tornò
nella penombra, lasciando solamente i prescelti, le
divinità, i reali e Kire.
Il resto scomparve. La Creatrice non parlò, come non
parlò nessuna delle
divinità, in attesa che i loro sottoposti si svegliassero.
“È tutto
finito?” mormorò Luciherus.
“Per
ora…” rispose la Dea.
Il primo a svegliarsi fu Thuwey.
Intontito e stremato, fu aiutato ad
alzarsi da Mihael.
“Se non vi
vedessi…” disse, riferendosi agli Dèi
“…direi che è stato
tutto un sogno”.
“Ti piacerebbe!”
ghignò Kassihell, rialzandosi con calma e sistemandosi
il vestito.
I due erano ai lati opposti del
disco, che si stava rimpicciolendo,
privo di luce. Uno dopo l’altro, si rialzarono tutti, aiutati
e sorretti dalla
divinità del proprio regno. La Creatrice porse la mano
libera a Kire, che fu
piuttosto titubante ma l’afferrò.
I prescelti si guardarono fra loro,
non comprendendo gli sguardi assurdi
che si stavano scambiando.
“Che
c’è?” domandò Reishefy
“Cosa sono quelle facce?”.
“I tuoi
capelli…” mormorò Enki.
L’Elettricità
ci passò una mano sopra e…erano lisci! Erano
pettinati e
non stavano più in aria a scosse sconnesse come erano soliti
fare.
“Sei bellissima
così, bambina mia!” le disse Taranis,
abbracciandola
dopo tutto quel tempo.
“Tutti noi abbiamo
qualcosa di diverso?” domandò Thuwey “Io
cos’ho?”.
“Le mie bellissime
corna!” rispose Mihael.
Il Metallo si tastò il
capo e le trovò. Erano due cornoni neri,
appuntiti e minacciosi.
“Che
figata…” disse, impaziente di
potersi guardare allo specchio.
La Roccia e la Luce si erano accorti
da soli di ciò che avevano ricevuto
e non stavano nella pelle. Mattehedike ora possedeva un bel paio
d’ali nere,
come quelle del Dio del suo elemento. Anche Efrehem aveva ricevuto
delle ali in
dono, ma erano piumate e d’oro, con tanti occhi fra le piume,
come quelle di
Vereheveil. Entrambi provarono ad alzarsi in volo, con scarsi risultati.
“Dilettanti”
scosse la testa Aherektess.
Avvertì una certa
sensazione di fastidio alla fronte. Provò a
grattarsela ma si fermò. Un grosso occhio dalle iridi rosse
lo fissava, sul
dorso della sua mano. Girò anche l’altra. Entrambe
avevano quell’occhio. E
sulla fronte? si chiese. Portò il dorso dell’arto
destro vicino alla testa e
vide il suo volto, con un bel terzo occhio turchino nel mezzo. Rimase
senza
parole. Di certo questo lo avrebbe aiutato in volo
ma…deglutì, mentre il
gemello gli metteva un braccio attorno alle spalle, ridacchiando e
dicendogli
che così sì che aveva stile. Hanjuly sorrise,
notando che le erano ricresciuti
i capelli e vedendo sulla sua pelle gli stessi tatuaggi della Dea,
trasmettitori di un’energia che mai prima d’ora
aveva posseduto. Anche
Kassihell aveva ricevuto dei tatuaggi. I suoi, quelli a fiamma che
aveva sempre
avuto, bruciavano di fiamma viva senza nessuno sforzo da parte sua.
Sorrise,
soddisfatto da questa novità. Idisi annusò
l’aria, avvertendo il profumo di un
fiore nuovo. Era del colore del grano, con riflessi azzurri, e cresceva
fra i
suoi capelli. Il Ghiaccio vi riconobbe il fiore che aveva creato con il
Dio
della Terra.
“A me che cosa
è successo?” domandò Enki, non notando
cambiamenti.
“La tua cresta!
È bellissima!” le disse Idisi.
Era passata dal verde
all’arancio acceso, con riflessi rosso rubino.
Splendeva.
“E tu, mia cara
Lehelin…” parlò Thuwey, avvicinandosi
all’Oscurità “Ora
hai gli occhi azzurri”.
Lei non rispose. Si girò
verso Kaos che le stava alle spalle. Aveva gli
occhi come lui.
“Da questo momento, ognuno
di voi porterà il segno di ciò che
accaduto”
parlò la Creatrice “Come ricordo e come monito.
Non permettete che l’equilibrio
di Asteria sia compromesso nuovamente in futuro”.
Furono le ultime parole che
pronunciò, prima di scomparire alla vista
dei mortali. Luciherus la seguì, con la sigaretta in bocca e
senza dire una
parola.
Kire ghignò. Non
c’era niente di diverso in lui. Non si era accorto di
avere tre ombre…
“Efrehem…”
parlò il Dio del Ghiaccio, Enrikiran, per la prima volta
dall’inizio di tutta quella faccenda
“…ti ho portato questo. Ora puoi portarlo
a casa”.
Fra le mani stringeva il violino con
cui la Luce aveva affrontato la
sfida. Gli occhi del mortale si illuminarono, meravigliati.
“Dite sul
serio?”.
Enrikiran annuì. Efrehem
lo prese fra le mani, con un piccolo inchino, e
lo mostrò a suo nonno, Friedrik. Quando si girò,
il Dio ghiacciato non c’era
più.
“Buona fortuna, per
tutto” disse Vereheveil, salutando tutti e volando
via, lasciando piume qua e là.
“Chiamatemi, se decidete
di organizzare qualche bella festa!” furono le
parole di commiato di Loreatehenzi, prima di scomparire in un soffio di
vento.
“Vale lo stesso per
me” si aggiunse Xoduzz, dissolvendosi in un lampo.
“Cercate di non venire a
tormentarci per un po’…” fu il commento
di
Gibrihel, mentre si faceva avvolgere dal suo elemento, sparendo sotto
la
superficie del suolo.
Heronìka
abbracciò Reishefy, augurandole ogni bene e dandole due baci
sulle guance. Enki la salutò con la mano e la Dea
svanì, così com’era apparsa,
sorridendo.
“Mi
raccomando…basta guerre!” ammonì
Dharam, rivolgendosi a Kassihell ed
Aherektess.
“Cosa?! Ed io cosa ci sto
a fare qui, allora?” protestò Mihael.
Il Dio del Fuoco lo prese sotto
braccio, sorridendo, ed incamminandosi
con lui verso una meta imprecisata, lontana: “Ci sono molte
altre cose che puoi
fare!” iniziò “Ad esempio…hai
mai pensato di divenire il Dio della musica che
ti piace tanto? O, che ne so, il Dio delle barbe e dei capelli? Avresti
molto
più successo…”.
Non si videro più neppure
loro due, avvolti dalla luce emessa da Dharam.
Solamente Kaos rimase
dov’era. Fissò i mortali, che si stavano salutando
calorosamente a grandi abbracci, baci e frasi d’addio.
“Lehelin…”
disse, guardando la principessa oscura, che sobbalzò al
suono
profondo di quella voce.
“Sì?”
rispose, girandosi.
“Vieni con
me…vorrei parlarti di una cosa”.
Mattehedike, vedendo che la
compagnia si stava separando, informò che
invitava tutti i presenti alla sua festa d’incoronazione,
certo che quello non
fosse un addio.
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Capitolo 15 *** XV- finale-personaggi-extra ***
XV
“Non
ti fermare!” gemette la
Creatrice, ribaltando la testa all’indietro.
“Non
ne ho alcuna intenzione!”
rispose Luciherus, stringendola a sé più forte.
Adorava
fare l’amore con
quella Dea. Con le sue molte braccia, riusciva ad avvolgerlo ed
accoglierlo in
un modo che nessun’altra avrebbe potuto fare.
All’inizio, trovava inquietante
quel terzo occhio e le antenne, che lo fissavano, ma ora si era
abituato.
Sentirla gemere era la sua più grande soddisfazione. Si
guardarono negli occhi,
per qualche secondo. Loro erano creatori, generatori di universi, e
chissà
quale complesso sistema di stelle stava prendendo vita grazie a quella
loro
unione. Lei lo fece girare, facendolo finire di schiena, prendendo il
controllo
della situazione. Luciherus socchiuse gli occhi, avvolto dal profumo
della
cascata di capelli neri di lei. Ne avvertiva la magia, fortissima, che
andava
sempre più aumentando.
“Kasday…”
sussurrò.
“Non
chiamarmi così…” mormorò
lei “Quello non è più il mio
nome”.
“Ed
allora qual è?”.
“Smettila
di parlare…e godi!”.
Luciherus
sorrise. Di certo
non sarebbe stato lui a protestare davanti ad una richiesta del genere!
Voleva
dirle che era bellissima, che l’amava e che avrebbe fatto
l’amore con lei per
sempre, per l’eternità…ma si trattenne.
Deglutì, percependo come la magia
scorresse sempre più forte dentro e fuori di lui. Sapeva che
per la Creatrice
era lo stesso. La afferrò saldamente con le mani unghiate,
incidendone la pelle
volutamente. Lei si morse il labbro e si abbassò per
morderlo, come risposta.
Lui la strinse forte a sé e la costrinse a girare, di nuovo,
riprendendosi la
responsabilità, ben accetta, di dare il ritmo.
“Mi
mangeresti tutto, se
potessi?” le disse, parlandole all’orecchio.
“Non
istigarmi…” rispose lei,
mordendolo di nuovo.
Ormai
le loro magie erano
quasi al culmine ed arrivarono al massimo della loro carica con un gran
lampo
di luce, che si disperse tutt’attorno come in
un’esplosione.
“Avete
programmi per la
serata, signora Creatrice?” ridacchiò Luciherus,
abbracciandola dolcemente ed
accarezzandola “Perché io resterei volentieri qui
a liberare altra magia”.
“A
dir la verità…” rispose
lei, ad occhi chiusi “…i mortali ci
aspettano”.
“Che
due palle” brontolò lui,
affondando la testa nella capigliatura corvina della Dea.
†††
“Elehcim,
vieni qui!” chiamò
Lehelin.
Aveva
chiamato così il proprio
figlio, creatura sua e del Dio Kaos, perché inspiegabilmente
aveva gli occhi
rossi come il sangue. Il bambino d’Oscurità non
badò più di tanto agli ordini
della madre e continuò a gironzolare per l’immenso
salone del palazzo della
Roccia.
Erano
trascorsi dieci anni
dalla fine del viaggio dei cosiddetti prescelti. Una volta
l’anno, in ricordo
di quell’avventura, la compagnia, assieme ai reali ed agli
Dèi, si ritrovava in
uno dei regni, a rotazione. Si era appena compiuto un giro completo di
Asteria
e, quell’anno, l’onore spettava nuovamente al regno
di Roccia, il primo che
aveva accolto quelle celebrazioni a pochi mesi dalla fine della
missione.
“Com’è
diventato grande…”
commentò Hanjuly, riferendosi al bambino di Lehelin.
“Già.
Ha preso tutto dal padre…”
ghignò la madre, ripensando alle dimensioni di Kaos.
Il
piccolo correva avanti ed
indietro, coinvolgendo anche gli altri bambini della sala.
“Potrei
avere per un attimo la
vostra attenzione, per favore?” parlò Thuwey, su
un palco.
Stringeva
il microfono nella
mano sinistra ed un boccale semivuoto nella destra.
“Volevo
ringraziare tutti
quanti voi di essere qui, a nome di Mattehedike che è un
timidone e non ha il
coraggio di parlare”.
La
Roccia gli rispose alzando
il dito medio. Gli altri applaudirono.
“Come
ogni anno, un gruppetto
di noi ha preparato qualcosa di speciale per ricordare i bei vecchi
tempi e per
festeggiare. Sappiamo che il tempo passa per tutti, e che alcuni di voi
iniziano a sentire la vecchiaia…”
ghignò, guardando Kassihell che gli mostrò la
lingua “…ma vorremmo tanto vedervi ballare. Questo
vale anche per la mia
meravigliosa moglie…ti amo, lo sai vero?”.
“Lo
strozzerei quando fa
così…” ridacchiò Lehelin,
facendo un cenno con la mano al marito.
“Questa
è un’altra cosa che
non mi sarei mai aspettata…” commentò
Idisi.
“Cosa?
Che mi sposassi?”
sorrise l’Oscurità.
“Sì,
esatto. Sembravi così…non
so come dire…”.
“Poi…”
si intromise Hanjuly
“…una volta avuto quel bambino dal Dio Kaos, tutti
noi pensavamo che non
avresti avuto bisogno di altro. Invece…”.
“Anche
se dieci anni fa ho
avuto Elehcim, e che perciò il mio "dovere" nei confronti
del mio
popolo si sia compiuto, dando un erede al trono
all’Oscurità, non significa che
mi fossi abituata all’idea di svegliarmi sempre da sola.
Aprire gli occhi
percependo al tuo fianco che c’è la persona che
ami è una sensazione
meravigliosa. E poi, io e Thuwey stiamo bene…”.
“Mai
detto il contrario!
L’annuncio del vostro matrimonio, sette anni fa, ha lasciato
sbalorditi tutti
quanti” commentò Hanjuly.
“Esattamente
come a me ha
lasciato sbalordita l’annuncio della nascita del tuo quinto
figlio!” rispose
Lehelin.
Il
Ghiaccio guardò le sue
creature, orgogliosa. Erano tre maschi e due femmine, di età
variabile fra gli
otto anni ed i pochi mesi. Due di loro, il primogenito ed una bimba,
assomigliavano molto al padre, mentre gli altri tre erano
più vicini alla
madre. Tutti mezzosangue, ovviamente.
Idisi
e Kassihell erano alle
prese con i loro figli adolescenti, che davano noie ai presenti
perché
avrebbero preferito essere altrove, senza specificare dove fosse
quell’"altrove" e, soprattutto, a fare cosa. Il Fuoco
guardava con
preoccupazione il principe ereditario, notando le occhiate che lanciava
alla
figlia maggiore della Terra. Sospirò, chiedendosi dove
stesse andando il mondo,
ma poi si rilassò. Vide il suo fratellastro, Kire, in
compagnia di altri
sanguemisto e si disse che, se il mondo doveva diventare come loro, non
era poi
così male.
“Stai
fermo contro il muro,
Semar” disse Roary.
“Cosa
vuoi fare?” sorrise il
mezzosangue, felice di essere coinvolto nei giochi che proponeva la sua
collega, obbedendo all’ordine.
“Ti
mostro quanto sono brava a
lanciare i coltelli” rispose lei.
“Bello!
Li lancerai
vicinissimi a me, senza sfiorarmi? Figo…”.
“No.
Ti mostrerò come so colpire
i punti più dolorosi, riducendoti in fin di vita ma non
uccidendoti. Basta solo
che te ne stia fermo lì…”.
Semar
lanciò un grido e si
mise a correre, inseguito da Roary con un affilato coltello in mano.
Danjell
sorrise a quella scena. Orebrec, l’enorme bestia nera una
volta appartenuta ed
Elehcim, correva libera per il giardino ed il mezzosangue decise di
andarci a
giocare, lasciando Roary e Semar ai loro divertimenti pericolosi. I due
zigzagavano per il salone, fra gli sguardi dei presenti, per nulla
stupiti da
quel loro solito comportamento.
“Posso
offrirti da bere?”
disse Zameknenit, rivolto a Kassihell.
“Non
si rifiuta mai, specie se
a procurare l’alcol è Xoduzz, il Dio col nettare
degli Dèi!” rispose il Fuoco,
guardando storto la figlia che voleva unirsi a loro.
Il
figlio del re dell’Aria
aveva meno di un anno di differenza dal piccolo Elehcim ed insieme
stavano
complottando qualche guaio, nascosti dietro il colonnato ed osservando
gli
adulti. Aherektess li notò, ma non disse nulla. Suo nipote
era un vero demonio,
specie se in compagnia dell’erede di Kaos, e lui era stanco
di badarci. Vederlo
crescere aveva cancellato definitivamente dalla sua testa ogni
desiderio di
paternità. Faceva il consigliere e regnava assieme al
fratello, circondato
dalle numerose creature che il gemello aveva messo al mondo assieme
alle
consorti. Come una mandria, questi si muovevano tutti assieme,
svolazzando qua
e là. Non passò molto tempo prima che il
primogenito, istigato da Kaos junior,
si facesse notare lanciando sassolini con un piccolo elastico.
Aherektess
ridacchiò, soprattutto quando la madre del piccolo
andò a sculacciarlo e
Lehelin rimproverò Elehcim, consapevole del fatto che fosse
lui la mente in
quello scherzo.
Lei
era divenuta regina
dell’Oscurità dopo la decisione di Ozymandias di
ritirarsi. Era presente pure
lui quel giorno in sala e parlottava assieme a Kaos, probabilmente
riguardo
alle capacità distruttive del piccolo di casa.
“Scusate
il ritardo! Non
avrete mica iniziato senza di noi, vero?” esclamò
Reishefy, piombando nel
salone assieme ad Enki.
Le
due, essendo libere da
doveri di successione, viaggiavano indipendenti per il pianeta, come
ambasciatrici del loro elemento e come esploratrici. Enki si era messa
a
studiare medicina e girava il mondo alla ricerca di nuove cure fra i
vari
regni. Reishefy si era appassionata al mondo animale e vagava per
Asteria alla
costante ricerca di nuove specie. Fin ora, viaggiando assieme, avevano
entrambe
ottenuto ottimi risultati.
“Non
avevamo dubbi sul vostro
ritardo. È da anni che siete le ultime!”
ghignò Kassihell.
Lui
era divenuto Imperatore
del Fuoco appena terminato il viaggio. Questo perché Vehuya
e Jovihann,
entrambi presenti, avevano deciso di ritirarsi per i fatti loro in una
casetta
in campagna, sperduta ed isolata, dove poter vivere in pace la loro
storia. Lui
e Kire erano stati incoronati lo stesso giorno, sotto lo sguardo
orgoglioso
delle divinità.
“Possiamo
iniziare adesso? Ci
siamo tutti?” domandò Thuwey.
Per
il periodo immediatamente
successivo alla missione, il Metallo aveva regnato accanto al fratello
Kire,
aiutandolo e godendosi la vita da figlio di regina. Ad un anno esatto
dallo
scioglimento della compagnia, giorno in cui le celebrazioni di memoria
si erano
svolte nel regno dell’Oscurità, non era stato
più in grado di andar via
dall’allora principessa di quel mondo ed il suo neonato
bambino. Ozymandias
aveva brontolato un sacco all’idea di lasciare in mano la sua
specie a quello
straniero alto due metri ma alla fine aveva ceduto, convinto
soprattutto dal
nipotino, affezionatasi a Thuwey a tal punto da chiamarlo
papà. Ora re
dell’Oscurità, il Metallo si sentiva perfettamente
a suo agio nel buio totale e
si era abituato in fretta alla nuova casa priva di luci.
Sul
palco, alle spalle di
Thuwey, c’era Efrehem con fra le mani il violino donatagli da
Enrikiran. Salutò
i figli e la moglie Ghiaccio. Era re della Luce da qualche anno, in
successione
all’anziano nonno Friedrik. Ovviamente, Hanjuly era regina,
molto apprezzata
dal regno perché considerata una creatura più
unica che rara per il suo modo di
fare entusiasta e pieno di idee.
Enrikiran
riconobbe lo
strumento e sorrise, sorseggiando un po’ della bevanda
fornita da Xoduzz.
Thuwey gli faceva segno di raggiungerli sul palco, ma il Dio non aveva
alcuna
fretta. Aspettava il fratello Loreatehenzi, come sempre in ritardo.
Mattehedike
fece segno al
Metallo di iniziare, notando l’irrequietudine e
l’impazienza di Taranis e
Mihael, desiderosi di buttarsi nella mischia a far casino. Il re della
Roccia
era cresciuto, divenendo molto più grosso rispetto a dieci
anni prima.
Nonostante fosse passato tutto quel tempo, per le creature del suo
elemento era
ancora giovanissimo. Di fatti, non aveva ancora nemmeno iniziato a
pensare al
fatto che un regno necessitava di un erede e di una regina. Anche se
giravano
voci su una particolare simpatia fra lui e Reishefy…
Idisi
applaudì, incitando
l’inizio dello spettacolo. Era seduta al tavolo, accanto ad
Heronìka, ed era
leggermente ubriaca. Era divenuta insegnante, famosa in tutto il regno.
Guardò
la regina della Terra ed il suo consorte nel loro ennesimo e disperato
tentativo di far stare buono il loro figlio, che si era unito alla
pessima
compagnia di baby Kaos ed il principino dell’Aria. In tre,
erano paragonabili
ad un ciclone vivente, che si lasciava alle spalle solo urla e danni. A
nulla
servivano i rimproveri, le punizioni ed i richiami. Il potere di
Elehcim era
impareggiabile e soggiogava chiunque.
“È
proprio sangue del mio
sangue” commentò Kaos, osservando la scena.
“Già.
Non potevo chiedere un
nipotino migliore!” commentò Ozymandias.
“Non
dovresti dargli un
contegno? Almeno tentare di…” iniziò
Vereheveil, ma Kaos lo interruppe,
facendogli notare l’insensatezza di dare un ordine al
disordine.
Ad
un tratto, la musica
iniziò. Tutti si girarono verso il palco. Enrikiran e
Luciherus erano alle due
chitarre, speculari essendo il secondo mancino. La Creatrice,
leggermente
nascosta dalle immense ali del Dio del regno della Roccia, era alla
batteria.
Aveva otto braccia, segno che, in quegli anni, aveva dato vita ad un
nuovo
pianeta. Di certo quell’abbondanza di arti la aiutava con
quello strumento.
Efrehem suonava il violino e la tastiera, a seconda del momento, mentre
Thuwey
cantava, agitando i lunghissimi capelli.
Molti
dei presenti si
alzarono, andando verso i suonatori per ballare. Xoduzz, con in mano
due
boccali colmi di un qualche imprecisato liquido superalcolico, era al
centro
della sala, con un braccio attorno alle spalle di Dharam. Entrambi
piuttosto
alticci, cantavano a squarciagola, scuotendo la testa a ritmo. Mihael
si unì,
esaltandosi per la lunghezza della sua capigliatura. Loreatehenzi, come
sempre,
arrivò in ritardo ma non perse tempo. Prese a braccetto
Mihael ed insieme
iniziarono a girare. Dopodiché, andarono a tormentare tutti
coloro che erano
rimasti seduti. Sollevarono Vereheveil di peso, tanto per dare
l’esempio. Il
Dio della Luce si sentì circondato e non trovò
altra soluzione che quella di
ballare. Heronìka rise nel vederlo, a crepapelle, e lui,
notando che era ancora
seduta, mandò i suoi colleghi di Aria e Metallo a prenderla.
Nel giro di pochi
minuti, le divinità di Luce ed Acqua stavano saltando fianco
a fianco, a ritmo
di musica. Taranis si muoveva assieme alla figlia e ad Enki, in piedi
su un
tavolo. Semar, sempre inseguito da Roary ed i suoi coltelli, sollevava
i pugni
in aria a ritmo. Kire scosse la testa. Aveva individuato i venti
fedelissimi
mezzosangue che lo avevano sempre seguito lungo tutta la sua esistenza.
Aseret
gli fece segno di unirsi alle danze. Lui si guardò alle
spalle, avvertendo un
chiaro “io non ballo” da parte della sua terza
ombra, che incrociò le braccia.
La ignorò e si portò al centro della sala, fra
gli Dèi ed i colleghi. Idisi
vide la figlia ballare con l’erede di Kassihell,
all’improvviso non più
annoiata dalla situazione. Kassihell fu trascinato per le braccia da
Aherektess, anche lui mezzo ubriaco.
“Potrebbe
essere l’ultimo
ballo che fai, vecchiaccio!” lo derise l’Aria.
“Ma
vaffanculo!” ridacchiò
l’imperatore del Fuoco.
Elehcim
corse verso la madre,
prendendola per mano e portandola in prima fila. Hanjuly
danzò con Xoduzz, più
che felice della cosa, ed Ozymandias. Kaos rise, coprendosi il viso con
le
mani, ma poi fu costretto ad alzarsi dal figlio che voleva insegnargli
come si
balla. Era uno spasso vedere una minuscola ombra che si agitava
tentando di far
fare lo stesso ad un impedito genitore. Solamente Gibrihel rimase fermo
dov’era, soddisfatto del fatto di avere un punto strategico
dietro al bancone
dove stavano i cibi e le bevande, dandosi alla pazza gioia.
“Sai
cosa potremmo fare?”
disse Mihael, rivolto al collega della Terra durante una pausa.
“Spara”
rispose Gibrihel,
addentando una specie di cialda.
“Ho
sentito parlare di un
mondo in un altro universo, detto "pianeta azzurro", ma di cui
d’azzurro è rimasto ben poco, in cui potremmo fare
un sacco di casino
indisturbati”.
“Spiegati…”
rizzò le orecchie
l’altro, mandando giù l’ultimo boccone.
“Questo
pianeta di cui ti
parlo è un mondo ormai morto. Le creature che lo abitano
sono piuttosto
stupide, per giunta. Fra catastrofi naturali, perché il
pianeta vuole
disfarsene, e disastri che provocano loro stessi…non so
quanto tempo gli resti.
Non fan altro che farsi la guerra con sistemi tutt’altro che
divertenti. Altro
che scontri con spade o altre armi interessanti!! Van giù di
bombe ed intrugli
chimici. Il tutto fra un’eruzione, un tornado, uno tsunami o
chissà che
altro…”.
“Dici
che, se noi due
andassimo là a far un po’ di casino, i cretini che
abitano quel pianeta non se
ne accorgerebbero?”.
“No.
Sono troppo concentrati
sulle loro beghe interne. Disastro in più, disastro in
meno…direi che un po’ di
divertimento lo meritiamo pure noi, non trovi?”.
Gibrihel
sorrise, raggiante
all’idea di spaccare qualcosa senza essere punito. Asteria
era divenuto un
posto noioso da quando andavano più o meno tutti
d’accordo. Qualche litigio
c’era sempre, ma niente di rilevante o catastrofico.
“Quanto
dista da qui?”
domandò.
“Dovrei
chiedere alla
Creatrice…” rispose Mihael
“…perché il pianeta di cui parlo
è quello che regge
con la mano di colore nero. Quella che lascia rilassata su un fianco
senza
farci caso, quasi non le importasse
più…”.
“Chiediamo,
allora!”.
Si
avvicinarono alla Dea, che
sorseggiava un cocktail con un ombrellino nel bicchiere. Lei li
fissò, con aria
interrogativa.
“Bravissima
alla batteria”
sviolinò Mihael.
“Cosa
ti serve?” ridacchiò
lei, giocherellando con la decorazione della bibita.
“Noi
vorremmo sapere dove si
trova il pianeta azzurro…quello che tenete in quella mano
laggiù…” spiegò Gibrihel,
indicando la piccola pallina grigiastra.
“Ah…questo…”
borbottò lei,
sollevando la mano in questione e lanciandogli un’occhiata
solo di sfuggita,
distrattamente “E per quale motivo?”.
Mihael
sapeva bene che la
creatrice conosceva già la risposta. Si divertiva,
però, a testare la sincerità
ed il coraggio dei suoi sottoposti.
“Vogliamo
farci un giro” mentì
Gibrihel.
“Vogliamo
fare un po’ di
casino…” ammise Mihael.
“Mi
fareste un favore” disse
lei, riabbassando la mano e ricominciando a bere con la cannuccia
“Quel mondo
non fa altro che darmi problemi. È stato un esperimento poco
riuscito, salvo
alcune cose. La più sbagliata, di certo, è stata
quella di affidare tutto in
mano ad un branco di esserini esaltati e con le manie di grandezza. Si
son
moltiplicati peggio dei virus ed ora il pianeta stesso si è
rotto le palle. Lui
non ha tanti errori, dopotutto. Liberatelo da quelle creature
fastidiose, e
potrei ancora recuperarlo”.
Gibrihel
e Mihael si
guardarono, increduli.
“Di
che state parlando?”
domandò Luciherus, intromettendosi nella conversazione.
Anche
lui beveva, da un
elegante calice d’argento.
“Parliamo
di uno dei nostri
figli, il pianeta azzurro…che ora azzurro non è
più di tanto” spiegò la
Creatrice, facendosi dare un piccolo bacio.
“Ah…quello!
Pensavo fosse
esploso da tempo…non doveva finire anni fa?”.
“Mi
son dimenticata. Ma ora
mando tuo fratello e Gibrihel a rimediare”.
“Tutto
il divertimento a
loro?! Ed io?!”.
La
Dea ruotò gli occhi al
cielo, scuotendo la testa.
“Sei
peggio dei bambini. Io
non ti trattengo. Se vuoi andare con loro, vai pure! Così
potrai guidarli, dato
che non sanno la strada”.
Luciherus
sorrise,
soddisfatto, e propose di fare un brindisi alle catastrofi naturali.
Heronìka
e Dharam, contrari
solitamente a decisioni del genere, non ci fecero più di
tanto caso.
Vereheveil, circondato da vari bambini che amavano tormentarlo dato che
non si
arrabbiava mai, si trovò in difficoltà quando il
figlio di Kaos iniziò a
rendere quella breve tortura un qualcosa di organizzato e finalizzato a
fargli
perdere le staffe. Era riuscito a farlo circondare e, lentamente, lo
stava
spingendo verso una colonna, impedendone la fuga. Dietro il gruppo di
bimbi,
passò Semar urlando, speranzoso che la sua inseguitrice
armata si stancasse,
prima o poi.
“Elehcim!
Lascia stare il
signore!” rise Kaos, solo dopo che il suo collega di Luce si
ritrovò ricoperto
di succo di frutta di vario colore.
La
lunga veste candida che
portava, ora era piena di macchie appiccicose. Non si
arrabbiò, e questo diede
conferma alle madri dei piccoli che “si stavano
innocentemente divertendo”.
Solamente Lehelin tentava, invano, di dare un controllo al figlio,
perfettamente consapevole che non aveva senso essendo il futuro Dio
Kaos.
Inoltre, quel bambino aveva un’innata capacità di
scaricare la colpa sugli
altri finché possibile oppure fissare chi lo sgridava con
grandi occhi
lacrimevoli, convincendo chiunque che era pentito e dispiaciuto.
Ovviamente,
Kaos era orgoglioso di lui ogni giorno di più. Thuwey,
sorridendo, preferiva
non infierire con le battaglie inutili della moglie. In casa aveva un
Kaos in
miniatura, alzare la voce non avrebbe fatto altro che incentivare il
suo animo
privo di ordine. Adorava quel bambino e, guardando il Dio che lo aveva
generato, si chiedeva spesso come avessero fatto, al tempo, i genitori
di
quella divinità fumosa. Non osò nemmeno
immaginare come sarebbe stata la
situazione da lì a qualche anno, quando quella piccola peste
sarebbe divenuta
adolescente. Kassihell gli sembrava proprio nei guai fino al collo, con
un
sedicenne convinto di essere pronto a regnare, una tredicenne che si
sentiva
già grande ed un quasi dodicenne che si atteggiava seguendo
l’esempio del
fratello. Idisi non era messa meglio, con due ragazzine in piena
ribellione. Il
Metallo sospirò, sperando che lo sviluppo arrivasse tardi in
quel bambino, il
più tardi possibile!
“Ecco
perché io non ho avuto
figli!” ridacchiò Aherektess, intuendo i pensieri
del collega.
“Non
è figlio mio, infatti…”
ghignò Thuwey.
“Facciamo
un brindisi: agli
eterni bambini!” propose l’Aria.
Il
Metallo lo guardò con
rimprovero. Poi sorrise, tentando di immaginarsi Efrehem alle prese con
una
delle sue figlie, che sarebbero divenute di certo più alte
di lui data la
stazza della madre, chiedergli di poter uscire con uno sbarbatello
sconosciuto
indossando una minigonna inguinale. Scoppiò a ridere,
avvertendo quasi
nostalgia di quando viaggiava con gli altri nove prescelti.
Nell’aria
si era diffusa una
musica tranquilla, rilassante. Reishefy e Mattehedike ballavano. Ormai
la festa
era giunta al termine. Era tempo di andare. Si sarebbero ritrovati fra
un anno
esatto, nel palazzo del regno dell’Oscurità.
†††
La
mia storia finisce qui. Io,
Efrehem, re della Luce, sento di non aver altro da riportare oltre a
questo.
Immagino, e ritengo, che spetti a chi mi seguirà continuare
questa storia.
Spero di aver riportato ogni dettaglio nel modo corretto. Rileggendolo,
non
posso che provare una forte nostalgia ed un’incredibile
tenerezza per come
eravamo, per com’ero. A volte mi capita di svegliarmi e
pensare ancora che sia
stato tutto un mirabolante sogno, frutto di chissà quale
cena pesante. Ma poi
lo riprendo in mano e mi rendo conto che è tutto vero.
Guardo mia moglie, i
miei figli, e so che per davvero ho contribuito a salvare Asteria. Non
ci vedo
nulla di artistico in ciò che ho scritto. È un
semplice diario, un racconto di
viaggio. Un viaggio che ha cambiato il pianeta stesso, oltre che me ed
i miei
compagni, a cui sono fiero di aver preso parte.
≈
FINE ≈
PERSONAGGI
PRINCIPALI
Aherektess
Significato
del nome: Guerriero di pace
Elemento:
Aria
Data
di nascita: 22.3
Luogo
di nascita: Bahram, capitale del regno dell’Aria
Età:
31
Altezza:
1.87
Arma:
Spade ricurve
Descrizione:
Occhi rossi, capelli blu, piumaggio sulle braccia di colore arancio,
tatuaggi
verdi su tutto il corpo, piccole orecchie a punta (con orecchino su
quello
sinistro), zigomi pronunciati, corporatura slanciata.
Note:
Gemello di Zameknenit, re dell’Aria, si sveglia dopo 20 anni
di coma causato
dall’attacco del regno del Fuoco. A causa di questo
“sonno forzato”, all’inizio
non sa molto bene approcciarsi al mondo reale, specie al fatto che sia
suo
fratello a governare e comandarlo. Spirito libero, senza né
regole né schemi,
cerca se stesso e gli anni persi. Adora dormire appollaiato sugli
alberi,
canticchiare fischiettando, mangiare semi di vario genere e frutta (non
disdegna uno spicchio di mela, ogni tanto) . È
claustrofobico e starebbe
all’aperto sempre, anche sotto la neve.
Efrehem
Significato
del nome: Che possa crescere, dare frutto
Elemento:
Luce
Data
di nascita: 29.10
Luogo
di nascita: Balder, capitale del regno della Luce
Età:
24
Altezza:
1.62
Arma:
Il cervello e la magia
Descrizione:
Occhi arcobaleno, principalmente verdi, capelli neri a ciuffi sparsi ed
antenne
rosse con occhi gialli sulla testa.
Note:
Nipote di Friedrik, re della Luce, impara le lingue con molta
facilità.
Estremamente curioso (ed impiccione), annota tutto su un quaderno,
nonostante
la notevole capacità di memoria. Logico e controllato, si
trova a disagio
all’inizio con il gruppo, non essendo abituato alla
compagnia. Ama specchi e
cristalli per i giochi di luce che sono in grado di creare. Suona
diversi
strumenti e compone canzoni in stile classico. Anche se non lo
ammetterà mai,
ha paura del buio.
Elehcim & Kire
Significato
del nome: Kire = potente dominatore della patria. Elehcim = Dio come
chi? (O
come cosa?)
Elemento:
Misto Fuoco e Metallo
Data
di nascita: 6.12
Luogo
di nascita: ?
Età:
24
Altezza:
Variabile. Con il caldo si espandono.
Arma:
Se stessi
Descrizione:
Gemelli speculari omozigoti. Occhi rossi (più o meno vivaci
a seconda del grado
di intensità della rabbia), capelli neri (lunghi in Kire),
svariate cicatrici
dovute al fuoco e spuntoni metallici un po’ dappertutto. Due
ombre, denti ed
orecchie a punta.
Note:
Figli di Vehuya e
Jovihann, abbandonati e cresciuti da Neziar, un sanguemisto come loro.
Kire, il
gemello nato qualche attimo prima, presenta una spiccata
capacità di comando
(è, di fatti, il capo dei mezzosangue). Paranoici quanto
basta per poter
pensare continuamente alla fine del mondo, insieme guidano una rivolta
contro i
sanguepuro innescando una battaglia in cui Elehcim perderà
la vita. Kire, una
volta portata a termine la missione dei
“prescelti”, diverrà re del Metallo, in
sostituzione alla madre. Ascoltano musica Rock, si intrattengono fra
loro
raccontandosi storie dell’orrore, odiano le fisarmoniche,
sfamano Orebrec (una
specie di cane gigante) e fingono di essere sani di mente (non ci
riescono
tanto bene). Immancabili gli occhiali scuri di Elehcim.
Enki
Significato
del nome: Signore del mondo inferiore
Elemento:
Acqua
Data
di nascita: 16.2
Luogo
di nascita: Satis, capitale del regno dell’Acqua
Età:
18
Altezza:
1.68
Arma:
Non sa combattere, usa la magia del suo elemento.
Descrizione:
Occhi tondi, da pesce, pelle squamata in sfumature verde/blu, capelli
corti e
cresta in testa. Mani e piedi palmati.
Note:
Secondogenita dei reali
dell’Acqua, non è mai uscita da palazzo e, di
conseguenza, è una gran fifona.
Il mondo esterno è una continua novità e questo
la spaventa. Imparerà a trovare
coraggio. Ama parlare con i pesci, fingersi morta come loro
(ribaltandosi sulla
pancia), bollire a 100 gradi ed evaporare. Non apprezza
l’insalata di mare, le
reti ed i phon.
Hanjuly
Significato
del nome: Che ha misericordia e pazienza
Elemento:
Ghiaccio
Data
di nascita: 10.8
Luogo
di nascita: Enrivai, capitale del regno del Ghiaccio
Età:
25
Altezza:
1.83
Arma:
Un bastone che, premendo un tasto, diviene un cerchio con lame gelate.
Descrizione:
Lunga treccia bionda, occhi azzurri, pelle bianca, forme prosperose e
tratti
del corpo ricoperti di ghiaccio/vetro
Note:
Terzogenita dei reali
del Ghiaccio, è l’unica figlia femmina. I
genitori, aspettandosi da lei un
comportamento da principessa, han tentato di farla addolcire fin da
bambina.
Purtroppo per loro, Hanjuly è di carattere forte, deciso, ed
è più simile ad
una guerriera che ad una principessina. Sposerà Efrehem e
diverrà regina della
Luce. Avrà numerosi figli al quale insegnerà ad
essere tosti come lei. Il suo
cibo preferito è il gelato ed i cibi surgelati (che mangia
senza scongelare).
Campionessa in “stacca la testa ai pupazzi di neve”
e “ammazza il tuo vicino a
palle di ghiaccio”. Vorrebbe abbronzarsi ma non
può stare troppo alla luce
diretta.
Idisi
Significato
del nome: Destino
Elemento:
Terra
Data
di nascita: 6.6
Luogo
di nascita: ?
Età:
34
Altezza:
1.78
Arma:
Bastone/remo a cui la Roccia aggiungerà delle punte
Descrizione:
Occhi color grano/oro, capelli verdi (sfumati verso il blu), pelle
verde
chiaro, gambe in corteccia, fiori e foglie fra la capigliatura.
Orecchini
quadrati, piccole orecchie a punta, vestito in piume e oro.
Note:
Maga alla corte della
Terra, diviene insegnante al compimento della missione. Amica fidata
della
regina Midir, prevede la nascita dell’erede del regno e
stabilisce l’ordine di
viaggio fra i suoi compagni. Paziente, difficile che si arrabbi, tenta
sempre
di mantenere il controllo su tutto. Ha una certa autorità,
che dimostra nei casi
di lite furibonda fra Fuoco ed Aria. Le piacciono le piante e gli
animali (un
po’ meno le farfalle, dopo questo viaggio…). Nel
tempo libero, sparge semi a
caso in giro per vedere cosa ne nasce. Ha paura dei diserbanti e dei
boscaioli.
Kassihell
Significato
del nome: Angelo della Morte
Elemento:
Fuoco
Data
di nascita: 13.4
Luogo
di nascita: Gibil, capitale del regno del Fuoco
Età:
35
Altezza:
1.73
Arma:
Katana
Descrizione:
Occhi nocciola, capelli mori spettinati lunghi fino alle spalle, barba
incolta,
tatuaggi di fiamma sul corpo e cicatrici.
Note:
Figlio di Vehuya,
diviene imperatore del Fuoco. Abilissimo nel combattimento
(è stato numerose
volte in guerra) e nel tirar su rissa, mostra il suo lato tenero
solamente con
la moglie ed i tre figli. Vorrebbe tanto incenerire mezzo mondo ma si
trattiene, più che altro per non sprecare energie. Odia gli
abbracci, i baci,
le dimostrazioni di inutile affetto, i complimenti “riempi
conversazione” e le
chiacchiere inutili. La sua Katana è il suo alterego, non se
ne separa mai, e
la venera come una Dea, una figlia o un amante. Piuttosto egoista ed
irascibile, rinuncerà alla vista da un occhio per salvare la
vita ad Efrehem.
Detesta i gavettoni e le pistole ad acqua. Le pietre focaie e gli
accendini,
invece, son la sua passione. Poco propenso nell’adorazione
divina, troverà in
Kaos molti punti in comune.
Lehelin
Significato
del nome: Lacrima di luce
Elemento:
Oscurità
Data
di nascita: 11.9
Luogo
di nascita: Varuna, capitale dell’Oscurità
Età:
23
Altezza:
Variabile
Arma:
Se stessa
Descrizione:
Piccola, con grandi occhi argento, corpo fatto d’ombra fumosa.
Note:
Combatte immobilizzando
i nemici calpestandone l’ombra. È la figlia di
Ozymandias, il sovrano più
minaccioso di Asteria. Detta
“l’incantatrice”, ha notevoli
capacità magiche
anche se si trova in estrema difficoltà in presenza di luce
o fiamme. Non
avendo un corpo fisico, è difficile da colpire e da ferire.
Allo stesso tempo,
per lei è difficile infierire fisicamente se non con
l’uso dell’oggetto
proibito. Inquieta, alla ricerca di qualcosa che non sa bene nemmeno
lei che
cosa sia (in realtà lo sa ma tenta di ignorare la
realtà). Avrà un figlio con
il Dio Kaos, che chiamerà Elehcim per via degli occhi rossi.
Imbattibile in
ombre cinesi.
Mattehedike
Significato
del nome: Dono degli Dèi vincitori
Elemento:
Roccia
Data
di nascita: 1.4
Luogo
di nascita: Un paesino non chiaro fra i monti della Roccia
Età:
23
Altezza:
1.66
Arma:
Pugni e calci
Descrizione:
Rasato, con un piccolo codino scuro. Corna di pietra
rivolte all’indietro, corpo con varie parti
in Roccia, vestito marrone o a quadretti, occhi scuri.
Note:
Nato nella zona montuosa
del regno, partecipa ad un torneo indetto dal re per stabilire chi
fosse il
guerriero più forte dell’elemento. Vince grazie
alla sua notevole potenza
fisica. Esaltato e convinto delle proprie capacità, non
accetta consigli perché
certo di sapere ogni cosa. Ha paura delle altezze e soffre di
vertigini, mal
d’aria e mal di mare. Questo non gli impedisce di esaltarsi
comunque, convinto
di essere imbattibile. Il suo sogno è vivere come una talpa,
avvolto dalla
terra e dimenandosi come un verme. Non è molto espressivo e
partecipe.
Reishefy
Significato
del nome: Signora della freccia
Elemento:
Elettricità
Data
di nascita: 4.7
Luogo
di nascita: Fornjotr, capitale del regno
dell’Elettricità
Età:
17
Altezza:
1.70
Arma:
Magia e sfinimento altrui
Descrizione:
Capelli zigzaganti di colore variabile fra il bianco, il giallo ed il
nero.
Occhi densi d’elettricità, vestito a fulmini e
pelle costantemente attraversata
dalle scosse del suo elemento. Coda terminante con sfera a piccoli
fulmini.
Note:
La più giovane della
compagnia, non smette un attimo di dimostrarlo. Immatura ed infantile,
con la
bocca sempre aperta, si caccia spesso nei guai trascinando con
sé chi le sta
accanto. Pensa raramente alle conseguenze delle sue azioni, prendendo
tutto
alla leggera. Tentare di farla calmare o ragionare è
inutile, và contro il suo
stesso elemento. Quando non ha nulla da fare, infila le dita nelle
prese di
corrente e lancia scosse in giro a caso, abbracciando gente che non
vuole di
certo ricevere un “dono” del genere. Sempre di buon
umore, ottimista oltre ogni
limite, non si ferma mai e trova divertente ogni cosa. Potente
nell’uso
dell’Elettricità, riesce a vincere nei
combattimenti anche
con l’uso logorroico della voce.
Thuwey
Significato
del nome: Sogno ritrovato
Elemento:
Metallo
Data
di nascita: 3.11
Luogo
di nascita: ?
Età:
27
Altezza:
2.02 (In media. Con il caldo aumenta, con il gelo cala)
Arma:
Se stesso
Descrizione:
Altissimo, occhi ramati, capelli corvini e dritti, lunghi fino al
ginocchio.
Vari spuntoni lungo tutto il corpo, orecchie a punta, labbra di colore
nero.
Abito scuro, lungo, con vari buchi per far passare le parti in metallo.
Denti a
punta.
Note:
Orfano, ha combattuto
fin da piccolo per ottenere ogni cosa. Figlio segreto della regina
Jovihann,
cela dentro di sé un’enorme potenza magica che usa
nella lotta. Modifica il suo
corpo a piacimento, facendolo divenire simile ad un’armatura
o arma affilata.
Il suo punto debole è l’acqua salata, che ne
rovina la pelle. Odia fare surf,
specie dopo l’avventura nel regno dell’Acqua.
Risparmia in parrucchiere e
vestiti. Nasconde il vero se stesso dietro un velo di cattiveria, con
punte su
petto e ventre per evitare ogni contatto. Ha un giro ristretto
d’amicizie che,
però, considera fondamentali e che difende con tutte le
forze. Meglio non
averlo come nemico. Capo delle guardie della regina, aiuterà
il fratellastro
Kire nei primi anni di regno, prima di divenire re
dell’Oscurità sposando
Lehelin.
Da
ricordare inoltre…
Ø
I mezzosangue
Ø
I vari parenti,
fratelli, amici e
consiglieri dei protagonisti.
Ø
Gli animali
domestici e le comparse.
Ø
La farfalla obesa.
DÈI
Creatrice
Regno
d’influenza: Tutti
Mansioni:
Generatrice di Universi e di Equilibrio (anche se è la prima
ad infrangerlo)
Era
di nascita: Terza
Arma:
Tutto ciò che le passa per la testa
Descrizione:
Lunghi capelli neri, occhi azzurri, antenne, coda elettrica, sette
braccia
reggenti ognuno un universo, terzo occhio ed iridi sul dorso di ogni
mano,
braccia piumate, spuntoni metallici, tatuaggi arricciati di pura magia.
Note:
Da qualcuno chiamata
Kasday (la divinità dal sesso incerto), ha creato Asteria ma
la cosa non le è
mai importata più di tanto. Crea per noia e per riempire lo
spazio vuoto
nell’immensità. Imbattibile alla batteria ed alla
tastiera, compensa le sue
carenze d’affetto (suo padre è Kaos…)
creando creature al suo servizio. Lo
schiavismo altrui la soddisfa, in parte. L’unico in grado di
farla sorridere è
Luciherus, suo amante occasionale. Manie di grandezza che si sprecano,
spera di
poter andare in pensione in qualche galassia morta in buona compagnia.
Dharam
Regno
d’influenza: Fuoco
Mansioni:
Controllore della stella Sirona (il sole d’Asteria) , delle
fiamme, del
magma/lava (vulcani e simili) e del calore
Era
di nascita: Seconda
Arma:
Fuoco
Descrizione:
Capelli rossi in fiamme guizzanti, tatuaggi di fuoco su tutto il corpo,
occhi
incandescenti, lungo mantello.
Note:
Finge di essere serio,
pacifista e responsabile. In realtà si dà alla
pazza gioia in ogni occasione
con musica ad alto volume, balli insensati, trenini conga, scherzi ai
colleghi
ed ai mortali (come mai oggi Sirona non sorge?!). Difficile che sia di
cattivo
umore, nonostante le provocazioni continue di Kaos e compagnia bella.
Adora
stare in spiaggia ad abbronzarsi, trangugiare cocktail di dubbia
provenienza e
consistenza, dare fuoco alle cose degli altri e cantare alle spalle del
gallo,
anticipandolo. Ha vinto il premio come Dio più
“stiloso” d’Asteria.
Enrikiran
Regno
d’influenza: Ghiaccio
Mansioni:
Controllore del gelo e del ritmo
Era
di nascita: Quarta
Arma:
Chitarra ghiacciata
Descrizione:
Cresta del suo elemento sulla testa, occhi gelidi, abiti chiari.
Note:
Di poche parole,
distaccato e logico, Enrikiran pare incapace di scomporsi. Estremamente
difficile farlo ridere, o anche semplicemente farlo sorridere. Si sfoga
suonando, attività che usa anche per combattere. Avvolto da
un mondo parallelo
geometrico, preciso e matematico, realizza tutto ciò che
desidera con le note
della sua chitarra. È il fratello maggiore di Loreatehenzi,
l’unico in grado di
fargli vivere qualche attimo di follia. Amico del famoso Uomo Ape, Dio
degli
insetti e delle punture, ed alleato con il terribile Dio delle
vendemmie, passa
il tempo libero (oltre che suonando, ovviamente…) mandando
bug ai programmi di
Xoduzz.
Gibrihel
Regno
d’influenza: Terra
Mansioni:
Dio della Terra, delle comunicazioni e dei trasporti
Era
di nascita: Terza
Arma:
Lancio di trenini ed una spada in legno indistruttibile
Descrizione:
Alto, magro, vestito di verde con codino marrone chiaro.
Note:
Amico fin dall’infanzia
di Mihael e Luciherus, con cui ha condiviso un sacco di scorribande, si
diverte
pure lui a mandare bug ai giochi di Xoduzz. Il suo sogno è
passare la sua
esistenza sul divano ma la Creatrice, una vera rompiballe, non glielo
permette.
Ogni tanto ha voglia di spaccare qualcosa e quindi si mette
d’accordo con un
po’ di suoi colleghi, per non prendersi tutta la colpa. Esce
di casa solamente
se vi è costretto e segue la politica del “massimo
risultato con il minimo
sforzo” (chi non lo farebbe?!). Si imbuca ai concerti Rock
dove finge di essere
un mortale, ma l’altezza lo tradisce.
Heronìka
Regno
d’influenza: Acqua
Mansioni:
Controlla Acqua, oceano, maree, fiumi ed animali acquatici
Era
di nascita: Quarta
Arma:
Adorabili bestioline assassine (piranha, squali, murene, paguri killer)
Descrizione:
Simile ad una sirena, lunghi capelli scuri.
Note:
Solitamente tranquilla,
tranne quando incrocia il colore rosso indosso ad una persona. Amica
della
Creatrice (nonostante il pessimo carattere di quest’ultima)
ed amante dei
viaggi, mangia porcherie di varia natura, salvo poi pentirsene
perché non vuole
ingrassare. Ascolta musica “cattiva” in cuffia,
perché così nessuno le rompe le
balle. Sogna ad occhi aperti, estraniandosi dalla realtà, a
ritmo delle sue
canzoni preferite. Questo, a volte, le fa perdere il filo del discorso
con i
suoi colleghi che non sanno se considerarla snob o spaventosamente
distratta.
Kaos
Regno d’influenza:
Oscurità
Mansioni:
Controllo del buio, le tenebre, la notte, le ombre ed il caos
Era
di nascita: Prima
Arma:
La risata malvagia
Descrizione:
Immenso, espandibile, occhi azzurri, senza contorni precisi.
Note:
Pessimo carattere ed un
senso sadico dell’umorismo. Se ne frega altamente di Asteria
in sé ma, se
questa dovesse svanire, svanirebbe anche parte del suo divertimento.
È la
divinità più antica e complicata, dentro di
sé conserva la memoria di tutte le
Ere passate e conserverà tutte quelle future, come oscura
presenza costante.
Ama spostare ogni cosa, soprattutto se appartiene ad altri, e pogare in
compagnia. Con la sua particolare voce, bassa e vibrante, è
il re del growl.
Trova nel terrore il suo potere, deciso e convinto che non ci sia
niente di
meglio della paura preventiva, onde evitare di farsi mettere i piedi in
testa
(anche perché i piedoni di Ozymandias è meglio
evitarli…). Mangia candele
quando non sa che altro fare.
Loreatehenzi
Regno
d’influenza: Aria
Mansioni:
Controllo di vento, cielo, aria, nuvolette ed uragani
Era
di nascita: Quarta
Arma:
capelli avvolgenti
Descrizione:
Piccolino e magro, ha lunghi capelli mori sempre mossi dal vento. Anche
il
pizzetto fa lo stesso. Solitamente veste di scuro o arancio.
Note:
Totalmente fuori di
testa, sempre in ritardo, incita al pogo di gruppo ogni volta che
può. Famoso
per l’hairbanding, colleziona oggetti con mucche, ed
è amico dell’animale
leggendario Pulcippo. Guarda film horror, fa agguati ad amici e nemici,
svolazza di qua e di là con entusiasmo. Ha una piccola
cagnolina che porta a
spasso (Shilla). Sempre in cerca di nuovi alleati per sopravvivere alla
terribile presenza del dannato Uomo Lucetta (un fastidioso essere che,
come un
parassita, vaga per le vie del pianeta e che gli Dèi
vogliono eliminare).
Luciherus
Regno d’influenza: Roccia
Mansioni:
Dio della Forza e del Coraggio
Era
di nascita: Terza
Arma:
Spada, coda, testa, artigli…
Descrizione:
Capelli blu scuro, lunghi e lisci, occhi aranciati, coda ed ali da
demone, cicatrici
di varia natura e vestiti scuri.
Note:
Amante della Creatrice,
l’unico in grado di sopportarla per davvero, passa il suo
tempo accontentandola
fisicamente o facendo danni in giro. Accanito fumatore e bevitore di
intrugli
alcolici. Distaccato dal mondo di Asteria, come da qualsiasi altro
mondo, di
cui poco gli importa. Vive per sé e per la Creatrice,
è decisamente poco
collaborativo. Egoista ed egocentrico, si arrabbia molto facilmente e
reagisce
con irruenza, violenza e scarso controllo. Non apprezza un
granché la neve, che
gli gela la coda, ma gradisce molto fare snowboard sulla lava di tanto
in
tanto. Ha una tale forza magica da essere considerato
“creatore”, anche se
tecnicamente da solo non crea un bel niente. Le sue
“interazioni” con la Creatrice,
però, fanno sì che lei generi universi. Il suo
sogno è starsene spaparanzato
tutto il giorno sul ciglio di un vulcano in eruzione a guardarsi le
Lune di
Asteria, sorseggiando drink in compagnia di qualche bella donna in
grado di
sopportarlo. Estremamente permaloso, si offende se viene chiamato
“Lucy” o in
altri modi “teneri”.
Mihael
Regno
d’influenza: Metallo
Mansioni:
Dio delle armi e della guerra
Era
di nascita: Terza
Arma:
Ogni cosa, dalle patate ai bazooka, ma la preferita è la sua
inseparabile spada
gigante dalla lama nera
Descrizione:
Lunghi capelli scuri, barba intrecciata, imponente armatura, corna.
Note:
Ama farsi chiamare
“possente Mihael”. È il gemello di
Luciherus, anche se sono decisamente diversi
fisicamente. Combatte usando qualsiasi cosa e si diverte un sacco.
Periodicamente parte alla distruzione di qualche mondo morto, tanto per
mantenersi in allenamento. Indossa
magliette di gruppi metal di vario tipo. Và a
spasso a pogare, rapisce
Loreatehenzi per farlo unire alle sue scorribande. Amico
d’infanzia di
Gibrihel, passa il tempo libero a giocare con lui o con Xoduzz al PC.
Mangia
ogni schifezza che gli capita a tiro, con soddisfazione e senza
ritegno. Usa le
corna come fermacarte e porta appunti, dimenticandosi comunque un sacco
di
cose. Alleato di Loreatehenzi per la lotta contro l’Uomo
Lucetta. Nemico
giurato del Dio della Ruggine.
Vereheveil
Regno
d’influenza: Luce
Mansioni:
Dio della sapienza, delle scritture e delle lingue
Era
di nascita: Terza
Arma:
Nessuna. Dice che ferisce più una penna…
Descrizione:
Grandi ali dorate piumate, capelli verde acqua, grandi occhi oro,
tatuaggi di
lettere e glifi su tutto il corpo, corporatura minuta.
Note:
Amico d’infanzia della
Creatrice, è il custode di tutta la cultura passata e
moderna, ovviamente anche
futura. Conosce tutte le lingue, di tutti i pianeti, di tutti gli
universi.
Stessa cosa vale per le scritture. Fra lui e Luciherus non scorre buon
sangue,
colpa di antiche gelosie d’amore, ma han imparato a
sopportarsi (più o meno). È
un Dio con immensa pazienza, sopporta praticamente ogni cosa, e buono
d’animo
(anche lui riesce ad essere bastardo, se si concentra!). Sempre pronto
a dare
consigli, anche non richiesti, e mettere l’ultima parola in
ogni discorso. Ha
profondi periodi di scarsa considerazione di sé, che passano
venendo sostituiti
da pura esaltazione intellettuale (“Perché voi non
vi rendete conto che io so
tutto!!”). Colleziona piume, penne e oche. Adora gli
abbracci, ma non ha molto
coraggio e quindi si limita a fare il faccino da cerbiatto in attesa di
riceverne. Si stizzisce quando gli si inumidiscono le ali e le piume si
gonfiano senza controllo.
Xoduzz
Regno
d’influenza: Elettricità
Mansioni:
Controllo di tuoni, fulmini, elettricità, giochi virtuali e
liquori
Era
di nascita: Quarta
Arma:
L’alcol, le scosse ed i temporali
Descrizione:
Capelli scuri a punte, cappotto lungo e nero, inseparabile casco per la
realtà
virtuale dei giochi.
Note:
Custode del “nettare
degli Dèi” (un intruglio assurdo di gradazione
astronomica che solo gli Dèi e Thuwey
possono trangugiare), è campione di “schiaccio il
barile di birra con la
testa”, “mi
guardo 30 dvd di fila senza
pause” e “gioco per un mese intero senza
fermarmi”. Il suo mondo parallelo
divino è per lo più concentrato sulla dimensione
virtuale del gioco, dove si è
creato il suo alterego con cui combattere ed interagire. Assieme a
Gibrihel,
Mihael, Loreatehenzi ed a volte Luciherus (solo se porta una delle sue
amanti
di nome Lilith), organizza tornei di pogo, videogames, rutto melodico e
gioco
della scossa. Ha uno speciale radar interno per la birra e la gnocca,
cose che
cerca costantemente. Il suo sogno è formare una band con
Kaos, Luciherus e
Lilith (di cui si offrirebbe volentieri come guardia del corpo).
Da
ricordare, inoltre…
Ø
Gli Sposi della
Notte: Nikkal e Jarih
(le Lune di Asteria).
Ø
Kuetzalikay ed
Aeirimanios (gli amici
di Luciherus).
Ø
Sirona, la stella
attorno a cui ruota
Asteria.
Ø
Pulcippo, che
tutto può e tutto sa.
EXTRA
God’s Power (Ovvero “la Creatrice ha
sempre ragione”)
Senza
toccarne i pezzi,
semplicemente guidandoli con movimenti delle mani, Dharam ed Enrikiran
giocavano a scacchi. Kaos trovava quel gioco piuttosto noioso. Lui
preferiva i
giochi d’azione, quelli in cui aveva l’occasione di
infierire fisicamente sugli
avversari. Gli Dèi erano difficili da uccidere e quindi il
divertimento poteva
spingersi molto oltre. Perché accontentarsi di sparargli
contro con fucili ad
inchiostro colorato quando potevi permetterti di usare un vero
bazooka?!
Purtroppo per lui, povero Kaos, agli Dèi di
quell’Era non piaceva farsi male.
Quanta nostalgia aveva dei “cari vecchi tempi” in
cui passavano tutto il tempo
ad infierire uno sull’altro! Ma poi erano arrivati i mortali
ed avevano dovuto
darsi una calmata. L’oscuro Dio di nebbia pensò al
figlio con speranza. Quel
piccolino, così uguale a lui, avrebbe di certo portato nuovo
scompiglio una
volta diventato grande! Heronìka stava facendo aerobica,
capovolta a testa in
giù con la coda abbandonata all’indietro. Seguiva
una dolce musica, nel vano
tentativo di rilassarsi e non pensare all’esame di tedesco.
Enrikiran
sbadigliò. Loreatehenzi, seguito a ruota dal leggendario
Pulcippo, volava a
mezz’aria indossando una maglia bianca a macchie nere con la
scritta “I love
mucche”. Si appollaiò alle spalle del fratello ed
osservò la partita. Dharam
alzò gli occhi verso il Dio dell’Aria ma non
aprì bocca. Mihael e Gibrihel,
seduti in terra, giocavano a carte. Era un gioco fantasy, pieno di
creature
immaginarie o provenienti da altri pianeti. Le figurette riportate
sulle carte
prendevano vita, quando il loro proprietario le evocava, e combattevano
per
davvero. Lanciavano magie, si pestavano, rubavano oggetti…il
tutto non
divenendo più grandi di cinque centimetri. Finito il loro
ruolo, tornavano
nelle carte. Facevano un po’ di casino. Xoduzz, spaparanzato
su un divano nero,
offrì un po’ della sua birra ad un piccolo Goblin
sfuggito al controllo dei due
giocatori di carte. La creaturina non capì ed
iniziò a giocare con i lacci
delle scarpe di Vereheveil, che se ne stava tranquillo in poltrona a
leggere un
libro e non si accorse di nulla.
Xoduzz
sorrise, soddisfatto
perché a fianco aveva un grosso barilotto di roba alcolica,
collegato alla
propria bocca tramite una lunghissima cannuccia, e fra le mani reggeva
il
controller per il suo gioco virtuale preferito. Le immagini uscivano
dallo
schermo, coinvolgendolo direttamente nell’azione. Dharam
diede solo un’occhiata
di sfuggita “all’azione” e
capì che aveva a che fare con donnine discinte.
“For
the power of the
Pulcippo!” ridacchiò Loreatehenzi, abbracciando
forte l’animale ciccione e dal
lungo pelo giallo.
Pulcippo
si limitò a
rispondere con un immancabile sguardo malvagio ed un
“Cip” di circostanza.
“Giochiamo
a
"D.U.L."? domandò il Dio dell’Aria, non trovando
di meglio da fare.
“E
sarebbe?” biascicò
Enrikiran, muovendo e ghignando per lo scacco al re.
“Dannato
Uomo Lucetta!”
rispose Mihael.
“È
un gioco stupido…” commentò
Kaos.
“È
un gioco strafigo!” sbottò
Xoduzz.
“No
che non lo è!” riprese
Kaos “Alla fine non muore per davvero Lucetta,
giusto?”.
“Beh
ma allora…potremmo andare
a prenderlo ed ucciderlo per davvero!” propose
Heronìka, rigirandosi dalla posa
di rilassamento.
“Idea
geniale. Mi piace!
Sangue!!” esclamò Dharam.
Tutti
lo fissarono. L’Uomo
Lucetta era suo figlio…
Le
divinità si alzarono ed
iniziarono a prepararsi per la battaglia impari. Affilarono armi,
prepararono
strategie di tortura, scaldarono le mani per usare la loro magia,
sciolsero la
lingua per sfogarsi negli insulti più terribili…
“Dov’è
Kasday?” domandò Luciherus,
comparendo dal nulla con due bottiglie di birra in mano e la sigaretta
accesa
di sbieco fra le labbra “E voi dove cazzo andate?!”
aggiunse, notando la
compagnia in assetto di guerra.
“Sarà
fuori a stendere…”
rispose Vereheveil, cercando il libro più pesante in suo
possesso da tirare
sulla nuca del D.U.L. “…e noi ci stiamo preparando
alla guerra”.
“Contro
chi?” farfugliò
Luciherus, giocherellando con la sigaretta.
“Contro
l’Uomo Lucetta!”
spiegò Mihael.
“Ancora
lui?! Ma non vi siete
rotti le palle?! Quell’insulso essere…”.
“Ma
questa volta lo
uccidiamo!” ridacchiò Kaos.
“Ah
beh…se la mettete
così…allora non posso mancare!”.
Pulcippo
lanciò un grido di
guerra terrificante, a cui si unirono le voci di tutte le
divinità presenti.
“Che
cos’è tutto questo
casino??!!” sbraitò Kasday, facendo il suo
ingresso in un lampo accecante ed un
rumore simile ad un tuono. Indossava un grembiulino a fiori e teschi,
allacciato alla sottilissima vita. I lunghi capelli corvini erano
trattenuti da
un fazzoletto impolverato e legato dietro alla nuca. Nelle varie mani
reggeva
stracci, spolverini, una scopa ed un aspira briciole gigante.
“Che
fai, conciata così?”
domandò Luciherus.
“Pulisco
il porcile che
lasciate sempre in giro voialtri. E non toccherebbe solo a me! Che cosa
combinate?! Siete impazziti?!”.
“No!
Stiamo andando a
torturare l’Uomo Lucetta!” esclamò
Loreatehenzi.
“L’Uomo
Ape sta per
raggiungerci…” aggiunse Enrikiran.
“Ed
ho anche chiesto
l’intervento del Dio della Gommapiuma” concluse
Mihael.
“Prima
il dovere e poi il
piacere, miei cari. Questa casa è una merda e,
finché non sarà tutto a posto,
non vi lascerò andare fuori a giocare, intesi?”
sbottò Kasday.
“Come
sarebbe a dire?!” iniziò
Kaos, gonfiandosi per lo sdegno.
“Non
provarci nemmeno, papà.
Chi comanda qui?” rispose la Creatrice.
Kaos
non rispose, guardando la
sua creatura ed incrociando le braccia.
“Avanti…dimmelo!
Chi comanda
qui?” incalzò Kasday.
“Tu”
ammise il Dio oscuro,
sospirando.
“Perciò
ora, volenti o
nolenti, ognuno al proprio posto e via, lavorare!! Poi potrete andare a
divertirvi come meglio credete”.
Le
divinità chinarono il capo,
come bambini sgridati. La Creatrice, soddisfatta di aver ristabilito la
giusta
gerarchia, iniziò a distribuire i compiti.
“Mihael…”
parlò, notando che
il Dio tentava di svignarsela “…le tue armi sono
tutte sparse in giro. Non
voglio più ritrovarmele fra i piedi! Mettile in ordine e poi
dai un’occhiata al
cancello di fuori. Credo che Ruggine sia tornata a dare fastidio. Vedi
di
sconfiggerla, questa volta!”.
“Sì…”
mugugnò Mihael,
iniziando a raccogliere spade, mazze ferrate e forchette dal pavimento.
“Non
fare quella faccia. Poi
potrai dilaniare l’Uomo Lucetta!”.
Mihael
sorrise, pur
infastidito dal lavoro che gli toccava fare.
“E
non limitarti ad
ammucchiare tutto in un angolo come fai di solito!” lo
ammonì la Creatrice.
Il
Dio lanciò un gemito. Era
esattamente ciò che aveva in mente di fare!
Sbuffò ed uscì, con le mani piene
di oggetti poco rassicuranti fra cui una motosega, due lanciafiamme ed
una
sparachiodi.
“Vereheveil…”
riprese Kasday,
girandosi verso il compagno d’infanzia
“…ti sarai reso conto da solo che la
biblioteca versa in condizioni a dir poco
pietose…”.
Il
Dio delle Letterature girò
gli occhi. I volumi erano impolverati, ammucchiati su vari tavoli, in
ordine sparso,
cosa che faceva imbestialire il rappresentante
dell’Equilibrio che aveva di
fronte.
Sospirò.
Sapeva che lo
aspettava un lungo lavoro di pulizia e ricatalogazione.
“Enrikiran
ti aiuterà”
aggiunse la Creatrice.
“Cosa?!”
sbottò il Dio del
Ghiaccio.
“Preferisci,
forse, lavare i
vetri?! O sbrinare il freezer?!”.
“No,
no…riordinare libri mi
sta benissimo!”.
“Perfetto”.
Vereheveil
ed Enrikiran si
fissarono, sospirando, e si avviarono verso l’immensa
biblioteca divina. La
Creatrice diede loro un paio degli stracci che reggeva fra le mani.
“Heronìka
e Loreatehenzi:
lavoro di squadra. Lavare ed asciugare. Mettete piede in cucina e
capirete di
cosa sto parlando! I piatti son solo il primo
passo…”.
Aria
ed Acqua rabbrividirono,
avendo la vaga idea dello stato in cui versava la cucina.
“Poi,
ovviamente, vi
toccheranno le altre stanze. Ma in quelle non c’è
un granché da fare”.
“Schiavista”
borbottò
Loreatehenzi, prendendo Pulcippo sottobraccio ed uscendo assieme ad
Heronìka a
passi lenti e svogliati, con altri stracci di Kasday come
“mezzo di supporto”.
“Gibrihel…”.
Il
Dio della Terra interruppe
subito la Creatrice, dicendole che aveva un gran mal di testa e che non
poteva
lavorare.
“Te
la stacco la testa, ok?!”
sibilò Kasday.
Gibrihel
si rizzò
sull’attenti, pronto ad eseguire ogni ordine.
“A
te, caro Dio della Terra,
spetta il giardino. Tagliare l’erba, potare le piante,
piantare fiori, togliere
le erbacce, sistemare il vialetto e cose del genere”.
“Ma
io…”.
“Non
discutere! Finché il tuo
lavoro non mi soddisferà, non potrai andare a giocare con
gli altri a torturare
l’Uomo Lucetta. Intesi?”.
“Intesi…”.
Borbottando
bestemmie,
Gibrihel uscì in giardino.
“Xoduzz!”.
“Mi
dica…” storse il naso il
Dio, fingendo in malo modo l’entusiasmo.
“Mi
pare di ricordare di
averti detto già parecchie volte di sistemare le lampadine
in taverna. Come Dio
dell’Elettricità, avresti dovuto fare tutto in un
attimo. Dato che è da mesi
che te lo ripeto, e che fai finta di nulla, ho deciso di raddoppiare la
dose.
Voglio che sistemi le luci in modo creativo. Non limitarti a cambiarle
o
sistemarle ma coordinale, così come tutte le luci della
casa, per creare
effetti di luce. Effetti…fashion! Ci siamo
capiti?”.
“Tutta
la casa?! Ma mi ci
andrà un’eternità!”
protestò Xoduzz.
“Non
esagerare! Al massimo
mezza giornata! E fai un bel lavoro…voglio vedere un
po’ di colori e sfumature
in questo insieme di mura”.
Il
Dio dell’Elettricità sbuffò
e si avviò verso l’uscita.
“E
non dimenticarti che è da
mesi che ti dico pure di collegare il digitale terrestre!”
aggiunse la
Creatrice, udendo chiaramente la maledizione che il Dio le
mandò a quella
frase.
“Dharam,
carissimo…” parlò
Kasday, mentre il Dio infuocato incrociava le braccia dietro la
schiena,
attendendo ordini.
“Anche
a te avevo affidato un
compito tempo fa, ricordi?”.
“Veramente
no…”.
“Riflettici
un po’. Cos’è che
dovevi fare? Pensaci…”.
“Ah
già…il camino!”.
“Esatto,
il camino! È tutto
tuo. Mettilo in ordine, puliscilo, accendilo e poi prepara il pranzo.
Se fate
tutti i bravi, per il pomeriggio dovreste aver finito tutto e sarete
liberi di
dilettarvi come meglio credete. Mi raccomando, non bruciare tutto come
ti
diverte fare! E sentiti fortunato che non ti faccio stirare. So quanto
la cosa
ti annoi”.
Dharam
sapeva che era inutile
protestare e quindi si allontanò senza fiatare, stringendo
lo spolverino e
l’enorme aspira briciole.
“Papà…”
riprese Kasday,
guardando Kaos.
“Cosa
vuoi? Io non muoverò un
dito, sappilo!”.
“Ed
invece tu riordinerai le
camere”.
“Io?!
Stai scherzando,
vero?!”.
“Affatto.
È colpa tua se sono
in disordine ed io questo non lo tollero. Avevamo un patto. Tu puoi
fare casino
FUORI da qui ma non in casa. Perciò ora, da bravo, metterai
tutto a posto”.
“Non
lo farò mai!”.
“Guarda
che ti rendo mortale!!
Con un bel corpo solido!”.
“E
va bene! Mi arrendo!”
sbottò Kaos, inorridito solo all’idea di esser
fatto di carne ed ossa “Ma ti
avviso che le dittature non durano in eterno!”.
Rimasti
soli, Luciherus fissò
la Creatrice con un mezzo sorriso.
“Immagino
che compito tu abbia
in mente per me, mia cara…” ghignò,
prendendola a sé.
“Davvero?”
mormorò lei “Che
bravo…”.
Lei
iniziò a slacciarsi il
grembiule a fiori e teschi. Lui la baciò, dolcemente,
chiudendo gli occhi. Li
riaprì, confuso. Ora era Luciherus a portare il grembiulino
dai colori
imbarazzanti.
“Che
stai facendo?!” mormorò.
“Tieni!”
esclamò lei,
sorridendo e porgendogli la scopa.
“Che
significa?!” continuò
Luciherus, fissando il manico in legno come un oggetto alieno.
“Significa,
bello mio…” iniziò
lei, legando il proprio fazzoletto attorno alla nuca del Dio della
Roccia “…che
tocca anche a te lavorare!”.
“A
me?! E dove?! Scherzi?!”.
“Hai
presente tutte quelle
simpatiche scale che collegano questo posto alla città?
Belle, in pietra…”.
“Ma…sono
225!”.
“Solo?!
Pensavo molte di
più…ad ogni modo…sono tutte tue! Ci
vediamo più tardi”.
Luciherus,
atterrito da quella
consegna, uscì trascinando la coda. Kasday
sogghignò. Si guardò attorno. Quella
stanza era un cesso al pari delle altre! Schioccò le dita e
tutto fu a posto,
pulito, lucido e ordinato. Sospirò, soddisfatta. Sedette sul
divano nero, dove
Xoduzz giocava, ed accese il megaschermo. Si rilassò,
facendosi comparire a
fianco un enorme secchio di popcorn e sorseggiando liquore misterioso
dal
barilotto con la lunga cannuccia. Sbadigliò, stiracchiando
tutte e sette le
braccia ed allungando i piedi. Si mise a giocare ad un videogame
musicale,
usando tutti gli strumenti contemporaneamente. Comodo avere sette
braccia!
Sorrise. Quella sì che era vita!
Grazie a tutti per aver
seguito l'intera storia. Per chi ha curiosità di vedere
alcuni di questi personaggi disegnati, cercate "frirry" su FB e
vedrò di accontentarvi :)
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